» lùcrO BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA Volume Venti seesimo (0° della 3a Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1895. ? À M BOLLETTINO DEL K. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1895. — Anno XXVI. 1895 - Anno XXVI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Volume Ventiseesimo (6° della 8a Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1895 (Volume ventiseesimo o sesto della 3a serie) Introduzione Pag. NOTE ORIGINALI. G. Dì-Stefano. — Lo scisto marnoso con Myophoria vestita della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia Pag. E. Mattirolo. — Note geologiche sulle Alpi Lombarde, da Colico al Passo dello Spluga . » A. Stella. — Sui terreni quaternari della Valle del Po in rapporto alla Carta geologica d’ Italia » C. Viola. — La valle del Sacco e il giacimento d’ asfalto di Castro dei Volsci in provincia di Roma » V. Sabatini. — Sull’ attuale eruzione del Vesuvio » V. Novarese. — Nomenclatura e sistematica delle roccie verdi nelle Alpi Occidentali » S. Franchi. — Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi Occidentali » C. De Stefani. — - Il bacino lignitifero di Borgotaro » B. Lotti. — Sulle condizioni geologiche della sorgente termale di Vignoni in provincia di Siena . ' » V. Novarese. — Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in valle della Germanasca (Alpi Cozie) » A. Stella. — Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in Valle Varaita (Alpi Cozie) » B. Lotti. — Cenni sul rilevamento geologico eseguito in Toscana durante l’ anno 1894 » C. Viola. — Cenno delle osservazioni fatte sui Monti Lepini nel 1894. » 1 4 51 108 136 149 164 181 205 219 253 288 3l3 322 — VI V. Sabatini. — Relaziono del lavoro eseguito nel biennio 1893-94 sui vul- cani dell’ Italia centrale e i loro prodotti Puff- 325 M. Cassetti. — Osservazioni geologiche eseguite l’anno 1891 in alcune parti dell’ Appennino meridionale . . . , » 329 S. Franchi e V. Novarese. — Appunti geologici e petrografìa sui dintorni di Pinerolo » 385 B. Lotti. — Strati eocenici fossiliferi presso Barigazzo nell’ Appennino Mo- denese . ' jt- ........ » 429 P. Moderni. — Osservazioni geologiche fatte nell’Abruzzo Teramano du- rante l’anno 1894 » 446 V. Sabatini. — Sopra alcune rocoie della Colonia Eritrea » 459 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. M. NeumÀyr. — Erdgeschichte, Voi. I : Allgemeine Geologie. Seconda edi- zione per cura di V. Uhlig . Pag. 144 Bibliografìa geologica italiana per l’anno 1894 » 222 Idem idem » 346 Idem idem {fine) ' . . » 477 NOTIZIE DIVERSE. Il nuovo lago di Leprignano Pag. 145 Avviso » 146 Pubblicazioni del R. Ufficio geologico . » 147 Idem idem » 250 Idem idem » 383 Idem idem » 511 Elenco del personale componente il Comitato e 1’ Ufficio geologico . » 510 ILLUSTRAZIONI. Tav. I. e Tav. II. — Fossili nel calcare triasico della Punta delle Pietre Nere Pag. 50 Incisione. — Sezione geologica attraverso il Passo dello Spluga ...» 99 Tav. Ili e Tav. IV. — Carta e sezioni del bacino lignitifero di Borgotaro » 218 Tav. Y. — Sezioni geologiche in alcune parti dell’Appennino meridionale » 344 Tav. VI. — Carta e sezioni geologiche presso Barigazzo (Appennino Mo- denese) » 441 Tav. VII. — Sezione da Monte Girello al Torrente Vibrata nel Teramano » 458 VII PAETE UFFICIALE. Verbali delle adunanze del R. Comitato geologico nei giorni 8 e 9 giu gno 1895 • . Pag. 3 Relazione dell’ Ispettore-capo al R. Comitato geologico sui lavori per la Carta geologica nell’anno 1894 e programma di quelli da eseguirsi nel 1895 » 10 INDICE DEI FASCICOLI. N. 1. — Primo trimestre 1895 pag. 148 N. 2. — Secondo id. .... » 149 » 252 N. 3. — Terzo id. .... » 253 » 384 N. 4. — Quarto id. .... » 385 » 512 BOLLETTINO DEL II. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie III. ‘Voi. VI. Anno 1895. Fascicolo 1°. SOMMARIO. Introduzione. Mote originali. — I. G. Di-Stefano, Lo scisto marnoso con « Myophoria vestita » della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia. — IL E. Matti- rolo, Note geologiche sulle Alpi Lombarde, da Colico al Passo dello Spluga. — III. A. Stella, Sui terreni quaternari della Valle del Po in rapporto alla Carta geologica d’Italia. — IV. C. Viola, La valle del Sacco e il giacimento d’asfalto di Castro dei Volsci in provincia di Roma. Notizie bibliografiche. - Erdgeschichte di M. Neumayr, Voi. I: Allgemeine Geo- logie. Seconda edizione, per cura di V. Uhlig. Notizie diverse. — Il nuovo lago di Leprignano. — Avviso. Pubblicazioni del R. Ufficio Geologico. Illustrazioni. — Tav. I e Tav. II : Fossili nel calcare triasico della Punta delle Pietre Nere, a pag. 50. — Sezione geologica attraverso il Passo dello Spluga, a pag. 99. Rimandando il lettore per maggiori dettagli alla Relazione annuale che l’ Ispettore-capo presenterà al R. Comitato geolo- gico nella prossima sua adunanza, diamo intanto un cenno sommario dei lavori eseguiti dal nostro Ufficio geologico nel corso del 1894. Verso la fine del giugno, appena cioè la stagione lo ha permesso, si sono ripresi i rilevamenti e le osservazioni nelle Alpi Occidentali, che continuarono sino ad ottobre avanzato. Le zone da studiarsi erano in particolare nella parte meridionale delle Alpi Graje e nella settentrionale delle Marittime, con lo scopo di ricongiungere le due regioni attraverso leCozie; e se questo compito non fu "completamente raggiunto, come era fa- cile a prevedersi, fu però il lavoro tanto avanzato che è a sperare si possa completare entro l’anno in corso, nel quale rimarrebbe a studiarsi specialmente il gruppo del Monviso. Anche nella Toscana fu conseguito un notevole avanza- mento nel lavoro, e in particolare nel Senese e nell’ Appennino fiorentino. In quanto alle Alpi Apuane era oramai compiuto il lavoro di campagna, e tutto si limitò a qualche breve gita com- plementare per prepararne la Carta con le relative tavole di sezioni, ora in corso di pubblicazione. — 2 — Bene avanzati furono pure il lavoro di revisione della Carta e gli studi petrografici nella regione romana, in partico- lare per i gruppi vulcanici Laziali e Sabatini, e per la catena secondaria dei Lepini di cui è oramai completato lo studio. Le nuove tavolette pubblicate di recente dal R. Istituto geografico militare, permetteranno di riprendere in quest’anno i rilevamenti e la raccolta del materiale da studio nella regione viterbese. Nella stessa parte centrale d’Italia qualche cosa si è pur fatto nell’alto Teramano, dove più non rimane che a riempire alcune lacune per averne la Carta completa. Una importante revisione ebbe luogo nell’Italia meridionale, e in particolare nella Lucania, dove si poterono studiare e de- limitare i terreni triasici da poco tempo scoperti in quella re- gione. Revisioni analoghe si fecero pure nei terreni cretacei della Campania, in particolare nelle provincie di Avellino e di Caserta. Il lavoro sul Quaternario dell’Alta Italia fu spinto alacre- mente nella primavera, nel senso di coordinare fra di loro le molte tavolette rilevate da operatori diversi in Piemonte, in Lom- bardia e neH’Emilia, di riempire alcune lacune che ancora esi- stevano in quelle regioni, e di preparare una cartina geologica generale e varie carte speciali in maggiore scala, che si pre- sentarono poi nell’ agosto al Congresso geologico internazio- nale di Zurigo insieme con altri lavori. Resta ora a studiarsi il Quaternario della regione veneta e di alcune parti della Ro- magna; e ciò sperasi di fare, almeno in parte, nel corso di quest’anno, per poi preparare una pubblicazione speciale sul- l’interessante argomento. Nel 1894 si è ripresa la pubblicazione dei fogli della Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 100 000, che era rimasta sospesa dal 1888, cioè da quanto si stamparono i fogli dei din- torni di Roma. Il lavoro fu ripreso regolarmente in Calabria, come continuazione della Carta già da tempo pubblicata della Sicilia, e si pubblicarono i sei fogli della Calabria centrale. Contemporaneamente fu posto mano alla preparazione dei fogli senza^tratteggio della Calabria meridionale, onde averli pronti - 3 — per la pubblicazione non appena le condizioni del Bilancio lo permettano. Fu pure intrapresa la stampa di due importanti lavori speciali, e cioè della Memoria descrittiva della Calabria, con Carta geologica al 500 000 e tavole di sezioni, dell’Ing. C. Cortese, e della Carta geologica delle Alpi Apuane, in scala di 1 a 50 000, con relative tavole di sezioni deiring. D. Zaccagna: entrambi i lavori saranno probabilmente pubblicati nel corso di quest’anno. Alla spesa per queste pubblicazioni di carte e memorie de- scrittive si può per ora sopperire con alcuni residui dei Bilanci precedenti a ciò impegnati, in quanto che il fondo annuo, ridotto nell’esercizio 1893-94 a lire 50 000 e nel 1894-95 a lire 45 000, è appena sufficiente alla continuazione, su modesta scala, dei la- vori di campagna ed a sopperire alla pubblicazione del Bollet- tino, alle spese d’Uffìcio ed a quelle di manutenzione del labo- ratorio, della biblioteca e delle collezioni. Il R. Comitato geologico tenne nel 1894 due riunioni, l’una nei giorni 8 e 9 gennaio, l’altra il 4, 5 e 6 giugno; i verbali relativi furono pubblicati nei fascicoli 1° e 2° del Bollettino di detto anno, e in quest’ultimo trovasi anche la Relazione annuale dell’Ispettore-capo sui lavori del 1893 ed il preventivo di quelli pel 1894. Con R. Decreto 19 gennaio 1894, il prof. Capellini fu con- fermato Presidente del Comitato per detto anno e con altro De- creto del 25 stesso mese venne modificata la composizione del Comitato, chiamandone a far parte il Presidente della Società geo- logica italiana. Con Decreto poi del 20 dicembre 1894 furono confermati a componenti il Comitato per il biennio 1895-96 i professori Capellini, Omboni, Strùver e Taramelli, ed il primo di essi è confermato Presidente per 1’ anno 1895. NOTE ORIGINALI I. G. Di-Stefano. — Lo scisto marnoso con “ Myophoria vestita „ della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia . (con due tavole) L’ing. 0. Viola e io abbiamo di già pubblicato una Nota preli- minare 1 sulla costituzione geologica della Punta delle Pietre Nere, importantissimo scoglio posto presso il G-argano e a Nord del laghetto di Lesina. Ora siamo in grado di .dare una illustrazione più estesa di quel singolare lembo di terra, il quale, per la sua posizione, per le roccie di cui è formato e per i fossili che contiene, merita bene l’attenzione dei geologi. Mentre l’ing. Viola ha recentemente pubblicato il suo importante studio delle roccie eruttive 2, io presento l’esame dei fossili dello scisto marnoso nero, perchè i resti organici di quel fram- mento di sedimento triasico, che l’insabbiamento della spiaggia e l’abra- sione del mare potrebbero far sparire in un tempo non lontano, meritano di essere conservati e conosciuti. Non c’ è bisogno di dare qui estesamente la descrizione della Punta delle Pietre Nere, nè di riassumere quanto di questa dissero il duca di Tchihatchoff 3 e il Pilla 4, perchè l’abbiamo fatto in modo 1 C. Viola e G-. Di-Stefano, La Punta delle Pietre Nere presso il lago di Lesina in provincia di Foggio, (Boll, del R. Comitato geol., 1893, num. 2). 2 C. Viola, Le roccie eruttive della Punta delle Pietre Nere in provincia di Foggia (Boll, del R. Comitato geol., 1894, num. 4). 3 P. v. Tchihatchoff, Geognostische Schilderung des Monte Gargano in den Jahren 1839 und 1840 (N. Jahrb. f. Min., ecc., 1841, pag. 52-56). — Idem, Coup d'ceil sur la constitution des provinces méridionales du royaume de Na- ples, suivi de quelques notions sur Nice et ses environs. Berlin, 1842, pag. 49* 4 L. Pilla, Rapporto P e 2° a S. E. il Ministro segretario degli affari interni (Atti della Soc. econ. di Capitanata, voi. 5). Poggia, 1810. 5 compiuto nella Nota preliminare; quindi ripeterò solo quelle brevi notizie che sono necessarie all’intelligenza del presente lavoro. Il calcar nero marnoso, bituminifero, generalmente scistoso, talora compatto, ricco di cristallini di pirite, spunta di sotto una linea di dune imboscate (bosco di Pietra Maura) e si protende nel mare per circa 150 m. Le testate degli strati, che sono inclinati di circa 70° a S.75°E., emergono per lo più appena dall’acqua; solo all’estremità esterna della piccola Punta alcune rupi si elevano di qualche metro. Le roccie eruttive, cioè, secondo le determinazioni dell’ing. Viola, i lamprofìri sienitici e dioritici, stringono sui lati il piccolo fascio di strati calcarei, non più spesso di 15 m., e lo accompagnano dalla spiaggia fino all’estremità della Punta. Sulla spiaggia, sotto le dune, si nota una piccola massa di gesso cristallino grigio, superiore ai calcari; più in alto a S.E se ne vede un’ altra più grande, composta di gesso cristallino o marnoso, bituminifero, spesso in istrati sottili e contorti. Lontano dalla Punta, verso Lesina, tra le sabbie delle dune, ce n’è una terza massa assai più estesa. Il contatto del gesso sui calcari non è visibile, perchè le sabbie lo hanno nascosto. Dei lembi di panchina recente, formata di calcare giallastro con ciottoli neri, banchi di Cladócora cciespitosa e abbondanti conchiglie, che conservano ancora i loro colori (citate nella Nota preliminare), stanno attaccati agli scogli neri della spiaggia. Questi scogli emergono in generale pochi decimetri dal mare; quelli attaccati alla spiaggia 0 del tutto a secco si elevano talvolta anche di mezzo metro e in qualche raro caso poco meno di due metri. Il prof. Senofonte Squi- nabol, che ha visitato varie volte quei luoghi, mi ha informato gen- tilmente di aver rinvenuto questa panchina in posto, un po’ discosto dalla spiaggia, in mezzo la sabbia delle dune del bosco di Pietra Maura, ad un’altezza di circa 12 m., il che non venne fatto di osser- vare nè all’ing. Viola, nè a me. Ho potuto vedere presso il dott Gl. De Angelis in Roma un pezzo di quella panchina fossilifera così elevata, portato dal dott. Baratta. Senza avere, per ora, la possibilità di ripe- tere tale osservazione, ne debbo far notare l’importanza. Lo scisto calcare nero è discretamente abbondante di fossili, che sono però quasi sempre così compressi e deformati da rendere la loro determinazione molto difficile e in vari casi impossibile. La piccola fauna, ricca d’individui, è composta essenzialmente di molluschi, tra 1 quali predominano, per numero di specie, dei piccoli eleganti gaste- ropodi. Sopra alcune lastre di scisto si osservano numerosi esemplari — 6 - di Ostracodi, riferibili al genere Bairdia , assai vicini alla Bairdia periata Giimb. 1 di Raibl e alla B. cassiana Heuss 2 di S. Cassiano, senza che però possano identificarvisi con sicurezza. In pochissimi punti della roccia ci sono dei piccoli cumuli di bastoncelli nerastri non più lunghi di 3 mm., appiattiti e a parete silicica, dei quali alcuni mostrano uno o due solchi longitudinali e altri quattro. I primi sono dei Bactryllium molto affini al Bactryllium canaliculatum Heer del Keuper; i secondi, che hanno un numero di solchi maggiore di quello ammesso finora per i Bactrilli, del resto poco estesamente conosciuti, pare che, almeno genericamente, non possano separarsi dai primi. Questi importanti resti meriterebbero uno studio spe- ciale; ma il materiale raccolto fino ad ora è troppo ristretto e mal conservato. Notevoli sono alcune rarissime e piccole lastre di calcare nero, le quali presentano l’aspetto delle Zopfplatten del Dogger ger- manico, perchè sono coperte di leggieri rilievi vermiformi, che a prima vista sembrerebbero braccia di Ofiuridi. Tali rilievi, per la forma e pel solco mediano longitudinale, separante due serie di cercini obliqui, rammentano le Gyrochordae Heer 3 ; ma una determinazione, anche ge- nerica, di simili resti mal conservati e oscuri non è per ora da tentare. Lo studio dei molluschi offre migliori risultati. Mercè le ricerche fatte direttamente d i me, dal! ing. Viola e dal prof. S. Squinabol, che ha gentilmente ceduti i fossili da lui raccolti al R. Ufficio geolo- gico e in piccola parte a me, ho potuto riunire un discreto materiale, che è illustrato nelle pagine seguenti. Delle 23 specie di molluschi, che finora ho potuto distinguere, debbo non tener conto di quattro gaste- ropodi e tre lamellibranchi, perchè o troppo deformati o rappresentati da un numero insufficiente di esemplari ; così si hanno solo 16 specie studiabili, delle quali una resta per ora indeterminata, un’altra è dubbia ( Cardium cfr. rhaeticwn Mèr.), sette sembrano nuove e sette sono iden- tificabili con specie note, cioè le seguenti : Myophoria vestita v. Alb., Avicula Gea d’Orb., Leda percaudata Giimb., Promathildia Ammoni v. 1 C. W. Gumbel, Ueber Foraminiferen , Ostracoden und mikroskopische Thier-TJeber reste in den St. Cassianer und Raibler Schichten (Jahrb. d. k. k. geol. R. A., XIX, 1869, pag. 183, tav. VI, fig. 38). 2 A. E. Heuss, Paldontologische Beìtr'dge , II: Foraminiferen und Ostra- coden aus den Schichten von St. Cassian (Sitzb d. k. Akad. d. Wiss., LVII, 1868, pag. 30). 3 O. Heer, Die Uvwelt der Schweiz , pag. 142, tav. IX, fig. 12. — Die vorweltliche Flora der Schweiz, 1877, pag. 119, tav. XLYI, fig. 1-4. — 7 — Wohrm., Prom. subnodosa Mùnst. sp., Loxonema hybrida Miinst. sp., Lox arctecostata Miinst. sp. Prima di trarre delle conchiusioni dai caratteri di questa piccola fauna, è necessario di chiarire quale è il posto che la Myophoria vestita occupa nel Trias dell’Europa media e in quello alpino. In Germania, come di già abbiamo esposto con qualche estensione nella Nota preliminare sulla costituzione geologica della Punta delle Pietre Nere, essa occupa un livello ben noto. Questa elegante specie, creduta una volta dal Moesch 1 la Myo- phoria Goldfussi v. Alb., si presenta a Gansingen (Argovia) 2 nel più alto di tre piccoli banchi dolomitici associati con marne, costituenti nel loro insieme i così detti Gansinger Schichten. Tali strati stanno sopra are- narie grigie con Equisetum arenaceum Bronn, Pterophyllum Jdgeri Brongn. ecc., e immediatamente sotto il Lias inferiore ( Insektenmergel ). L’orizzonte di Gansingen si ripete nella Svevia e in Eranconia, dove è noto col nome di Lehrb erg schichten (Lehrberg presso Anspach). In quest’ultima regione sul Lettenkohlenstufe (Keuper inferiore), terminante con la Grenzdolomit , sta il Gypskeuper o Bunter Keuper , che è ricoperto dal Retico. Il Gypskeuper alla parte inferiore è costi- tuito di gessi e marne con banchi a Myophoria Kefer sterni Mùnst. sp. (= M. Eaibliana Bouè sp.), Astarte Posthorni Bouè sp ecc., corri- spondenti al Raibliano alpino 3 e, secondo il v. Wòhrmann 4, alla porzione superiore di esso ; nella parte media dell’arenaria di Stuttgart ( Schilfsandstein ), equivalente per la sua dora a quella di Gansingen, e dei Lehrb erg schichten, e nella superiore di un gruppo di livelli com- prèsi nei nomi di Stubensandstein e di Zanclodonletten, che vengono supe- riormente a contatto col Retico. I Lehrb erg schichten , composti di marne 1 C. Moesch, Dcls Flotzgebirge im Kanton Aargau, 1, 1856, pag. 17. 2 Idem, Geologische Beschreibung des Aargauer-Jura und der nordlichen Gebiete des Kantons Zurich (Beitràge zur geol. Karte der Schweiz, etc., IV Lief.). Bern, 1867. E. Schalch, Beitràge zur Kenntniss der Trias am sudo stlichen Schivar z- walde. Schafthausen, 1878. 3 F. Sandberger, Die Stellung der Raibler Schichten in den frànkischen und schwàbischen Keuper (N. Jahrb. f. Mia., ecc., 1866, pag. 85). — Die Glie- derung der Wiirzburger Trias und ihre Aequivalente (Naturw. Zeitschr., VI, 1868, pag. 128, 153, 192). 4 S. v. Wòhrmann, Alpine und ausseralpine Trias (N. Jahrb. f. Mio., ecc., 1894, II). — 8 - con tre banchi dolomitici intercalati, hanno nel banco superiore parte della fauna degli strati di G-ansingen, sicché determinano la posizione di questi nella parte media del Keuper medio. Pertanto siccome la porzione inferiore del Gypskeuper corrisponde all’alpino Raibliano, i livelli compresi tra tale porzione e il Retico verrebbero a rappresen- tare nel bacino germanico gli equivalenti di quelli che sulle Alpi sono intercalati tra il Raibliano e gli strati di Kossen, e quindi gli strati di G-ansingen e di Lehrberg potrebbero corrispondere all’alpina Dolomia principale. La Myoplioria vestita è stata raccolta dal Kilian 1 ne 11’ Andalusia (tra Gobantes e E1 Chorro) insiema con la Natica gregaria Schloth. sp. del Muschelkalk e del Keuper, con la Gervilleia praecursor Quenst. del Retico e con la Terquemia spondyloides Schloth. sp. del Muschel- kalk. Questa piccola fauna è certamente del Trias superiore, ma non è sufficiente a stabilire con precisione il posto che in esso occupa nelle regioni mediterranee la Myoplioria vestita. Dallo studio della presente bibliografia triasica non si trae che questa specie si presenti sulle Alpi ; però il dott. A. JBittner dell’Isti- tuto geologico austriaco e il sig. E. Kittl del Museo di storia natu- rale di Vienna hanno avuto la cortesia d’informarmi che essa si trova negli strati di Tor, in quelli di Heiligenkreuz e nel calcare di Opponitz. Nei Torer Schichten , dove è molto abbondante e forma dei banchi, fu indicata dallo Stur 2 come Myoplioria inaequico stata Laube. Il si- gnor Kittl mi ha anche gentilmente comunicati dei pezzi di calcare sabbioso di Tor zeppi di esemplari di Myoplioria vestita e di Avicola Geaì come è lo scisto calcareo della Punta delle Pietre Nere. Grli strati di Tor formano, come è noto, la parte più elevata di quelli di Raibl. Le importanti ricerche di Stur (Op. cit.) e del Suess 3 hanno mostrato che gli strati di Raibl presentano una serie di livelli, i quali sinteticamente si possono riunire in tre gruppi prin- cipali. In quello inferiore stanno gli scisti calcari neri con pesci e 1 W. Kilian, Missioni d' Andalousie, II: Etudes paléontologiques sur les térrains secondaires et tertiaires de V Andalousie (Mém. de l’Àcad. des Se. de fi listi tut de France, XXX, pag. 603). Paris, 1839. 2 D. Stur, Beitrage zur Kenntniss der geologischen Verhdltnisse der Un- gegend von Raibl und Kaltwasser (Jahrb. d. k. k. geol. R. A., XVIII, 1868). 3 E. Suess, in Suess und Mojsisovics, Ueber die Gliederung der oberen Triasbildungen der ostlichen Alpen (Jahrb. d. k. k. geol. R. A., XIX, 1869). 9 - piante e i così detti Taubenschiefer ; nel medio le marne con Myophoria Kefersteini , gli scisti con Solen caudatus e i calcari con Megalodus ; nel superiore i calcari, le marne e gli scisti con Astartè Rosthorni delle selle di Tor e di Thorl. Il Suess e lo Stur diedero il nome di Torer Schichten l’uno e di Corbula Rosthorni- Schichten l’altro al gruppo più elevato, che è immediatamente sotto la Dolomia principale, e re< strinsero quello di Raibler Schichten nel senso proprio al livello con Myophoria Kefersteini e a quello con Megalodus. Al livello di Tor corrispondono i banchi con Ostrea montis ca- prilis di Heiligenkreuz e i così detti calcari di Opponitz. I primi, co- nosciuti generalmente col nome di Heilighreuzschichten , nome che la signorina Ogilvie 1, fondandosi sulla originaria definizione del Wiss- mann '2, vorrebbe limitar solo alla parte superiore del piano di San Cassiano, si presentano presso San Cassiano e in altri luoghi vicini, come si rileva principalmente dai lavori di Bichthofen 3, Stur 4 e della stessa signorina Ogilvie. Questi strati costituiti di arenarie, marne e brecce, contengono Ostrea montis caprilis Klipst., Gervilleia Bouei v. Hauer sp., Gonodon Mellingi v. Hauer sp. eco., cioè le specie più co- muni del livello di Tor, e, come a Raibl, stanno sopra un orizzonte corrispondente al Raibliano nel senso stretto e sotto la Dolomia prin- cipale. I secondi, che si presentano nelle Alpi settentrionali, dove sono molto diffusi, ci son fatti conoscere da una lunga serie di lavori di Stur 5, Hertle 6, Stelzner 7, Lipold 8 e Bittner 9; contengono alla 1 M. Ogilvie, Contributions to thè Geology of thè Wengen and St. Cassian sfrata in southern Tirol (Quarterly Journ. of thè Geol. Soc., XLXIX, 1898, pag. 1). 2 H. L. Wissmann, Beitrdge zur Geognosie und Petrefactenkunde des siido- stlichen Tirols (in Munster, Beitrdge zur Petrefactenkunde , 1841, pag. 19). 3 F. v. Richthofen, Geognostische Beschreibung der Umgegend von Pre- dazzo , Sanct Cassian und Seisser Alp in Sud-Tyrol (Gotha, 1860, pag. 99 e 219). 4 D. Stur, Op. cit., pag 112. — Bine Excursion in die Umgegend von St. Cassian (Jahrb. d. k k. geol. R. A., XVIII, 1868, pag. 556). 5 Stur, Geologische Karte der nordostlichen Kalkalpen (Verhandl. d. k. k. geol. R. A., XV, 1865). — Geologie der Steiermark, 1871. 6 L. Hertle, Lilienfeld-Bayerbach, ecc. (Jahrb. d. k. k. geol. R. A. XV, 1865). 7 A. W. Stelzner, Die Umgebung von Scheibbs in Niederoesterreìch ecc. (Ibid., pag. 425). 8 M. W. Lipold, Geolog' sche Speziatali fnahmen der Umgegend von Kirch- berg und Frankenfels, ecc. (Ibid., XVI. 1863). 9 A. Bittner, Zur Verbreitung der Opponitzer Kalke in den nordsteiri- — 10 — parte superiore Ostrea montis caprilis Klipst., Gervilleia Bouei v. Hauer sp., Astarte Rosthorni Bouè sp , eco., e corrispondono così agli strati di Tor. Essi sono ricoperti dalla Dolomia principale e stanno sulla nota arenaria di Lunz, già di età un po’ controversa, ma oramai ricono- sciuta con gl’inferiori Rhaingrabener Schichten come appartenenti alla parte inferiore del Raibliano nel senso lato. A questi tre livelli, corrisponde la divisione superiore del Rai- biiano delle Alpi bavaresi e del Tirolo settentrionale * 1, la quale ha la Ostrea montis caprilis Klipst. in banchi, V Astarte Rosthorni Bouè sp., ecc. Come si vede, la Myophoria vestita occupa nelle Alpi in luoghi separati e lontani lo stesso livello, che è immediatamente inferiore alla Dolomia principale, mentre essa in Germania si trova in un se- dimento che sembra leggermente più elevato e corrispondente a tale Dolomia. Il livello alpino con Ostrea montis caprilis Klipst., Astarte Rostliomi Bouè sp., Myophoria vestita v. Alb., ecc., non può recisa- mente separarsi dal Raibliano nel senso stretto, come ha tentato di fare il Diener 2, nè molto meno ritenere da solo il nome di Raibliano. Il trasporto del nome sarebbe del tutto arbitrario, come bene ha mo- strato il Bittner 3, e inoltre i vari livelli degli strati di Raibl mostrano in tutte le regioni alpine carattere di gruppo omogeneo 4. Questi li- velli sono rilegati da intimi rapporti stratigrafici e paleontologici: la fauna degli inferiori, più legata a quella di San Cassiauo, e quella dei superiori, che differisce un po’ per la presenza di tipi nuovi, sono fuse negli orizzonti intermedi. Per tali ragioni è da ritenere la più schen und in den angrenzenden Oberoesterr .-kalk alpen (Verhandl. d. k. k. geol. R A., 1887). — Aus der Umgebung von Wildalpe in Obersteiermark und Lunz in Niederoesterreich (Ibid., 1888, pag. 71). — Aus dem Umgebung von Pernitz und Gutenstein in Piestingthale (Ibid., 1812, pag. 270). — Aus dem Umge- bung von Lackenhof und Gostling in Piestingthale (Ibid., pag. 271). — Aus dem Umgebungen von Opponitz , Ybbisitz und Gresten (Ibid., 1832, pag. 303). 1 S. v. Wòhrmann, Die Fauna der sogenannten Cardita-und Raibler Schi- chten in den Nordtiroler und bayerischen Alpen (Jahrb. d. k. k. geol. R A., XXXIX, pag. 205, tav. Vili, fig. 1). — Die Raibler Schichten nebst kritischen Zusammenstellung ihrer Fauna (Jahrb. d. k. k. geol. R A., XLIII, 1894). 2 C. Diener, Fin Beitrag zur Geologie des Centralstockes der julischen Alpen (Jahrb. d. k. k. geol. R A., XXXIV, 1884, pag. 659). 3 A. Bittner, Zar Stellung der Raibler Schichten (Verhandl. d. k. k. geol. R A., 1885). 4 S. v. Wòhrmann, Die Raibler Schichten nebst kritischer Zusammenstel- lung ihrer Fauna. 11 — recente opinione del v. Hauer 1Ì conforme del resto a quella emessa nel 1857 da lui e dal Foetterle 2, secondo la quale il nome di Raibler Schichten nel senso lato è dato all’ insieme scistoso, marnoso, calcareo e dolomitico interposto tra il così detto calcare metallifero alla parte inferiore e la Dolomia principale alla superiore. La Myophoria vestita sta alla parte superiore di questo complesso, e il conoscerlo è importante joer noi, perchè essa, per la sua abbon- danza e pel suo aspetto distinto, dà il carattere allo scisto calcare della Punta delle Pietre Nere. Delle altre specie di questo scisto, la Prom. Ammoni v. Wohrm. del Weissgraben presso Partenkirchen (Ba- viera) e la Prom. Kittli Di-Stef., che il Kittl, come mi ha informato in una comunicazione letterale del luglio 1894, ha trovato tra i fos- sili dello Schlernplateau, appartengono alle porzioni inferiori degli strati di Raibl; la Lox. hybrida Mùnst. sp. (indicata dal Koken nel Raibliano come Lox. arctecostata Mùnst. sp.) e YAv. Gea d’Orb. sono comuni al piano di San Cassiano e a quello di Raibl; la Lox. arcte- costata Miinst. sp. e la Prom. subnodosa Mùnst. sp. finora sono cono- sciute solo negli strati di San Cassiano ; la Leda jpercaudata Gùrnb. e il Card. efr. rhaeticum Mér. sono del R etico e dell’Ettangiano. Abbiamo dunque un sedimento triasico che potrebbe parere poco adatto a dare risultati precisi. Le relazioni della sua piccola ed elegant e fauna con quella delle marne di San Cassiano sono spiccate, però non ci sembra che sia il caso di associarle. Come è noto, la fauna del piano di San Cassiano passa quasi immutata nel Raibliano ; tuttavia i due gruppi sulle Alpi sono separati generalmente, se non sempre, da una massa molto potente di calcari e dolomiti, e offrono anche dei propri caratteri faunistici, comparendo negli strati di Raibl dei tipi nuovi, sicché non possono ritenersi contemporanei. Siamo lungi quindi dalla necessità di porre lo scisto della Punta delle Pietre Nere nel piano di San Cassiano, quando la Prom. Ammoni , la Prom. Kittli e più di tutto la Myojph. vestita , che sono elementi nuovi appartenenti nelle Alpi al Raibliano, e la Leda percaudata e il Card. cfr. rhaeticum del Retico indicano una maggior gioventù del sedimento. La pre- 1 F. v. Hauer, Die Geologie und ihre Anwendung auf die Bodenbeschaf fenheit der ost-ung. Monarchie. Wien, 1878, pag. 373. 2 F. Foetterle, Raibler und Bleib erger Schichten (Verhandl. d. k. k. geol. R, A., 1857, pag. 372). \ 12 - senza di queste due ultime specie, delle quali la seconda è, a dir vero, dubbia, non è un fatto imbarazzante, perchè l’associazione con un numero prevalente di specie di carattere più antico elimina il so- spetto che alla Punta delle Pietre Nere ci sia il Petico, e del resto l’esistenza di forme di questo piano in istrati triasici più bassi non è nuova. Il Kilian, come è stato detto, ha trovato la Gervilleia prae- cursor Quensb. del Petico insieme con la Myoph. vestita e qualche altro mollusco più antico nel Trias dell’ Andalusia ; il v. Wòhrmann 1 e il v. Ammon 2, notando nel Paibbano, specialmente nella parte superiore, la presenza di altre specie retiche, come Ostrea Pictetiana Mort , Dimyo- dus intusstriatum Emm. sp., Placunopsis Jis sistriata Winkl., le difficoltà di distinguere V Ostrea ( Alectryonia ) montis caprilis Klipst. dalla retica Ostrea Haidingeriana Emm. e il fatto che un significante numero di specie raibliane si ripetono in corrispondenti forme nel Petico, hanno fatto ben rilevare come le faune retiche e basiche si radicano in quella del Paibliano. Per queste varie ragioni crediamo che lo scisto calcare nero della Punta delle Pietre Nere debba riferirsi agli strati di Raibl, intesi nel senso lato. La presenza della Myoph. vestita degli strati di Tor e di un livello leggermente più elevato del Trias estralpino, associata dippiù con specie di carattere retico, fa credere che lo scisto in esame appartenga alla parte superiore del Paibliano; però non si può emettere per ora un’opinione recisa, perchè le relazioni della fauna esaminata con quella di San Cassiano sono forti e manca in essa quell’ aggregamento di specie, come Ostrea montis caprilis Klipst., Gervilleia Bouei v. Hauer, Gonodus Mellingi v. Hauer sp., Astarte Bosthorni Bouè sp., ecc , che danno il tipo degli strati di Tor e dei livelli alpini equivalenti. Quest’ultimo carattere negativo può esser dovuto in parte alla incompleta conoscenza della fauna per causa della esiguità del lembo triasico o, come è più facile, alle differenze di profondità alle quali si depositarono i sedimenti, perchè, sebbene lo scisto marnoso della Punta delle Pietre Nere, per la presenza di molti eleganti gasteropodi del tipo di quelli di S. Cassiano e dello Schlernplateau, associati con 1 F. v. WÒHRMA.NN, Die Fauna der sogenannten Cardita-und Raibler Schi- chten , ecc. 2 L. v. Ammon, Die Gastropoden des Hochfellenkalkes und iiber Gastvo- podem Reste aus Ablagerungen von Adneth, vom Monte Nota und den Raibler Schichten (Geognostisohe Jahreshefte, V, 1892, pag. 218). - 13 abbondanti esemplari di Avicula Gea e di Myophoria vestita , che nel E-aiblano si presentano in istrati litorali, indichi un deposito fangoso di mare poco profondo, tuttavia non può dirsi litorale nel senso ri- stretto, come sono gli strati alpini con Ostrea montis caprilis. Tuttavia per le ragioni esposte sopra è bene attendere che siano estesamente illustrate le faune dei livelli alpini con Myophoria vestita , prima di pronunziarsi definitivamente. L’esame del lembo trìasico della Punta delle Pietre Nere è im- portante per la conoscenza dei terreni triasici dell’Italia meridionale, perchè in essi, come si rileva dai lavori del prof. G-emmellaro 11 del prof. Bassani, del dott. De Lorenzo 2 e degli ingegneri Baldacci e Viola 3, non è noto fino ad ora un sedimento marnoso e scistoso con simile fauna, nè può dirsi che un netto orizzonte raibliano nel suo svi- luppo dolomitico vi sia per ora certamente provato. Nella dolomia principale della Calabria Citeriore, oltre alla Pleu- ■rotomaria solitaria Ben. sp., che il prof. Canavari 4 5 aveva di già indi- cato tra i fossili raccolti dal prof. Lovisato, l’ing. E. Cortese e io abbiamo trovato Gervilleia exilis Stopp. sp., G , salvala Brunn., Pinna reticularis Ben., Arca rudis Stopp., Megalodus Gumbeli Stopp., Thecos- milia clathrata Emm. sp. e altre specie nuove associate con abbondanti articoli di Diplojpora in parte del tipo della D. curvata Gumb., ma in generale di dubbia determinazione specifica, e Mytilus cfr. Ministeri Klipst., Cardita cfr. crenata Goldf., Gonodus Mellingi v. Hauer, che però sono rare. In quella della provincia di Salerno le raccolte di G. 0. Costa, del prof. Bassani 3 e degl’ingegneri Baldacci 1 G-. Ct. G-emmellaro, Sul Trias della regione occidentale della Sicilia (Mem. della R. Acc. dei Lincei, voi. XII, 1880). a G. De Lorenzo, Le montagne mesozoiche di Lagonegro (Atti della R. Acc. d. Se. fisiche e mat. di Napoli, voi. VI, S. 2, 1891). — Osservazioni geolo- giche nell’ Appennino della Basilicata meridionale (Atti della R. Acc. ecc. di Na poli, voi. VII, S. 2\ 1895). 3 L. Baldacci e C. Viola, Sulla estensione del Trias in Basilicata e sulla tettonica generale delV Appennino meridionale (Boll, del R. Comitato geol. ital., S, III, voi. V, 1894). 4 M. Canavari, Sulla presenza del Trias nell ’ Appennino centrale (Atti della R. Acc. dei Lincei. Transunti, S. 3, voi. IV, 1880). 5 F. Bassani, Fossili nella dolomia triasica dei dintorni di Mercato S. Se- verino in provincia di Salerno (Atti della R. Acc. delle Se. fìs. e mat. di Na- poli, voi. V, S. 2, 1893). — 14 — e Viola, oltre a talune specie nuove o troppo dubbie, alla bella fauna ittiolitica che il prof. Bassani ha riconosciuto identica con quella di Seefeld (Tirolo) \ e a qualche pianta, fanno fino ad ora notare le se. guenti specie: Pleurotomaria solitaria Ben. sp., Gervilleia exilis Stopp. sp.y Pinna rudis Ben., Mytilus radians Stopp., M. Cornalbae Stopp , Arca rudis Stopp., Megalodus Gumbeli Stopp., insieme con Diploporae e Pecten cfr. subalternans d’Orb., Mytilus Munsteri Klipst., Cardita cfr. crenata Goldf., Gonodus Mellingi v. Hauer. Nella dolomia di Lago- negro il dott. De Lorenzo ha indicato : Gervilleia exilis Stopp., molto abbondante, Pecten Hallensis v. Wohrm., P. subalternans d’Orb , P. Sclilosseri v. Wòhrm. e Myophoria fissidentata v. Wohrm. Come io e gl’ingegneri Baldacci e Viola abbiamo notato nel 18931 2 e come giustamente ha accentuato il dott. De Lorenzo nei lavori ci- tati avanti, la Dolomia principale dell’Italia meridionale ha dunque spiccate relazioni paleontologiche con i piani triasici che le sono immediatamente inferiori e fa credere che comprenda parte degli strati di Baibl; però le specie più comuni della Dolomia principale alpina sono abbondanti in quella della provincia di Salerno e nella Calabria settentrionale; l’estensione, la grande potenza e i caratteri litologici della dolomia in queste due provincie riproducono del tutto i caratteri di quella delle Alpi e dippiù le specie provenienti da S. Cassiano e dal Raibliano non si presentano solo negli strati più bassi visibili, ma a varie altezze e nel Salernitano anche al di sopra degli strati contenenti la fauna ittiolitica di Seefeld. Per queste ragioni non si può affermare che nella provincia di Salerno e nella Calabria* setten- trionale risulti finora la presenza di un livello raibliano ben divisibile dalla Dolomia principale. La dolomia con Gervilleia exilis di Lagonegro, poco spessa, rap- presenta certamente la parte inferiore della Dolomia principale del- l’Italia meridionale e su cinque specie conosciute altrove ne ha, se- condo il De Lorenzo, quattro comuni con gli strati di Raibl. Però se si pensa che non tutte queste specie sono, come rileva il dott. De 1 F. Bassani, Sui fossili e sulVeth degli scili sti bituminosi di Monte Pettine presso Giffoni Valle Piana in provincia di Salerno ( Dolomia principale ) (Mem. della Società ital. delle Scienze, T. IX, S. 3, 1892). 2 Gr. Di Stefano, Sulla estensione del Trias superiore nella provincia di Salerno (Boll della Soc. geol. ital., voi. XI, 1893). - 15 — Lorenzo ne’ suoi importanti lavori, di sicura determinazione ; che nelle regioni limitrofe avviene la stessa miscela di specie della Hauptdolo- mit con altre provenienti dal Raibliano, senza che per questo si possano staccare dalla Dolomia principale dei livelli raibliani, e che varie specie degli strati di Raibl passano nelle Alpi fìnanco nel Retico, pur non volendo, nè potendo dare alla presenza della GervUleia exilis un va- lore assoluto, tuttavia neanco possiamo presentemente ritenere che a Lagonegro sia rappresentato un chiaro orizzonte raibliano. Sulle Alpi gli strati di Raibl non sono sempre ben separabili alla parte supe- riore dalla Haupbdolomit , specialmente quando sono rappresentati da dolomie e calcari, e neanco è escluso che la parte superiore di tale gruppo di strati vi sia talvolta sviluppata nella facies della Dolomia principale (v. Wòhrmann). E dunque probabile che questo caso av- venga nella parte inferiore della dolomia con GervUleia exilis del- l’Italia meridionale ; ma nello stato presente delle nostre ricerche no n possiamo parlare di un livello raibliano bene individuato. Non escludo punto però che le successive investigazioni possano provarlo; dagli studi minuti e continuati del Trias dell’Italia meridionale dobbiamo ancora aspettarci importanti risultati. Da quanto abbiamo esposto sopra si vede che riesce difficile pre- sentemente di dire se lo scisto marnoso nero con Myophoria vestita della Punta delle Pietre Nere e la parte inferiore della dolomia prin- cipale cennata rappresentino due facies dello stesso gruppo di strati. L’età dei lamprofìri sienitici e dioritici della Punta delle Pietre Nere rinserranti lo scisto calcare triasico, non può determinarsi nè in modo preciso, nè dentro limiti ristretti, perchè su di essa, in contatto chiaramente visibile, non ci sono che dei lembi di panchina recente. Su questa determinazione, che rimane oscura, credo necessario di ripetere qui quello che ne abbiamo scritto nella Nota preliminare cennata più volte : « A Comisa (Lissa) 1 sotto il Cretaceo si notano delle roccie erut- tive che il v. Hauer dice somiglianti al melafìro e lo Tschermak deter- minò per diallagite: esse sono associate con marne e gessi. A poche miglia da Lissa sono gli scogli Brusnik (Melisella) 2 e Pomo 3> costi- 1 F. v. Hauer, Prehnit von Comisa auf der Insel Lissa und Eruptivge- steine aus Dalmatien (Verhandl. d. k. k. geol. E,. A., 1867, pag. 88). 2 Idem, Der Scoglio Brusnik bei St. Andrea in Dalmatien (Verhandl. d. k. k. geol. E. A., 1882, pag. 75). 3 C. y. Foullon, Der Augitdiorit des Scoglio Pomo in Dalmatien (Verhandl. "cl. k. k. geol. E. A., 1888, pag. 262). 16 — tuiti di diorite augitica secondo Foullon e v. Hauer. Or molti caratteri di tali roccie, come la presenza del pirossene in due generazioni, della orneblenda nello stesso tipo e nella stessa miscela, dell’abbondante apa- tite (Brusnik) si riscontrane nelle roccie della Punta delle Pietre Nere, le quali se non sono petrografìcamente identiche, hanno con esse molta analogia. « Il v. Hauer ( Prehnit von Comisa ecc., pag. £0), notando che le roccie di Comisa sono inferiori al Cretaceo, e basandosi sulle ana- logie delle roccie eruttive dalmate con quelle del Trias della costa il- lirica e con talune delle Alpi, crede possibile che esse siano triasiche. Il prof. C. De Stefani 1 crede invece le roccie eruttive di Comisa, degli scogli Pomo e Brusnik appartenenti all’ Eocene superiore. Sventura- tamente alla Punta delle Pietre Nere non può stabilirsi l’età delle roccie eruttive ; ma è certo che -esse non contengono nella massa fon- damentale della sostanza vitrea che in via eccezionale e in quantità evanescente, il che forse potrebbe mostrare che sono preterziarie. Inoltre esse per molti caratteri possono paragonarsi a quelle dioriti e porfì- riti triasiche alpine, che, secondo Rosenbusch 2 3, sono veramente di fi- lone per struttura e giacimento, fra le quali citiamo quelle delle valli alpine di Martell e di Sulden e le altre della Zufallsspitze 8 e le dia- basi porfìritiche delle Alpi centrali descritte dal Foullon 4 * *. « Per queste ragioni potrebbe anche supporsi che le roccie eruttive della Punta delle Pietre Nere siano triasiche e perciò formatesi al fi- nire del Baibliano e durante la deposizione degli strati triasici che stanno sopra questo piano. Tuttavia se le roccie eruttive della spiaggia di Lesina sembrano analoghe a quelle delle isole dalmate e a talune del Trias delle Alpi, non può per questo fissarsi con certezza il loro 1 C. De Stefani, Le roccie eruttive dell' Eocene superiore nell' Appennino (Boll, della Soc. geol. ita!, voi. Vili, 1889, pag. 262). 2 Rosenbusch, Mikr osco piscile Physiographie der massigen Gesteine, II Aufl., voi. II, pag. 457. 3 R Lepsius, Das westliche Sud-Tirol. Berlin, 1878. G. Stache und C .v. J ohn, Geologische und petrographische Beitràge zur Kenntniss des alteren Eruptiv-und Musseng esterne der Mittel und Ost-Alpen (Jahrb. d. k. k. geol. R A., XXVII, 1877, pag, 148-242; XXIX, 1879, pag. 817-404). 4 F. Teller, Ueber porphyrische Eruptiv gesteine aus den tiroler Central « Alpen (Jahrb. d. k. k. geol. R A., XXXVI, 1866, pag. 785). C. v. Foullon, Ueber Por perite aus Tirol (Ibid., XXXVI, 1886, p. 747). — 17 - posto cronologico » . Possiamo solo affermare * che sono posteriori allo scisto raibliano, che stringono nel mezzo. Tali roccie pei loro caratteri si manifestano di filone ed emergono dal mare insieme con lo scisto, serrandolo in modo che le loro superfici di contatto sugli strati ter- minali del piccolo fascio triasico hanno la stessa inclinazione di questo. Non parrebbe quindi esatto il supporre che i calcari furono ricoperti da una colata e poi rimessi del tutto a nudo dall’opera del mare ; è evidente invece che le roccie eruttive furono iniettate in filoni at traverso una massa di strati triasici, che vennero rialzati, e dei quali noi vediamo solo una ristrettissima porzione. Rimane anche oscura l’età delle masse .di gesso che sono presso la Punta delle Pietre Nere o un po’ lungi verso Lesina, perchè le loro relazioni con i calcari triasici non sono molto chiare e finora non of- frono altri elementi per condurre a conclusioni sicure. Sul finire del Raibliano sono frequenti i gessi nelle regioni alpine; ma, mancando i dati paleontologici e quelli stratigrafìci precisi, altri potrebbe anche supporre quei gessi cenozoici e forse non a torto. A nessuno può sfuggire l’importanza geologica di quel piccolo . lembo di terreno triasico rinchiuso fra roccie eruttive, il quale, senza relazione con i sedimenti immediatamente circostanti, nè con la massa secondaria e terziaria del Gargano, sta isolato sopra una spiaggia bassa e sabbiosa, limite di una pianura formatasi sul finire del Pliocene e nel Quaternario. Questo lembo, se pur s’immagina compresa in esso la por- zione che è evidentemente seppellita sotto le dune del bosco di Pietra Maura, resta molto ristretto. Pertanto può forse ripugnare a prima vista di ammettere che in quella regione il Trias sia stato sempre rappre- sentato da un così minuscolo fascio di strati e per conseguenza potrebbe sembrare razionale il supporre che la presente Punta delle Pietre Nere sia il resto di una terra più grande, già parte di quell’antico sistema orografico parallelo all’ Appennino, indicato dal De Giorgi col nomedi Gruppo appulo-garganico in vari lavori 1 e dal Fischer con quello di adriatisches Apenninen- Vorland 2. Però il problema è complesso. La panchina recente, che sulla spiag- 1 C. De Giorgi, Note geologiche sulla Basilicata , 1879. — Un errore geo- grafico (Rassegna settimanale, voi. IV, n. 99, 1879). — Il sistema appulo-gar- ganico e V Appennino (Note geografiche, 1894). 2 Th. Fischer, Grundzuge der Bodenplastik Italiens (Verhandl. des X deutsch. Geographentages in Stuttgart. Berlin, 1898). 2 — 18 già, dove è anche tuttora in formazione, è elevata quasi di due metri e nel contiguo bosco di Pietra Maura, secondo la recente osserva- zioni del prof. Squinabol, di circa dodici, mostra non solo che quella spiaggia adriatica non è da tempi storici remoti in un periodo di ab- bassamento! come finora si è creduto \ ma anche che la bassissima Punta delle Pietre Nere, anziché essere emersa nel Miocene, secondo ha ammesso il dott. Telimi, seguito dal Baratta, era ancora sott’acqua nel Quaternario e al principio del periodo presente. Per giustificare perciò la esistenza in quelle regioni di una terra più grande, sia anche insulare, dovrebbe ammettersi un’ alternanza di sollevamenti seguiti da % sprofondamenti ad epoche indeterminate e poi dal parziale sollevamento recente, la quale sarebbe troppo ipotetica. L’ammettere poi che le roccie della Punta delle Pietre Nere e le ana- loghe di Comisa (Lissa) e degli scogli Pomo, Kamike Brusnik (Melisella) abbiano formato in un’epoca geologica relativamente giovane un’unica terraferma, sia anche separata dal G-argano, potrebbe parer seducente ai sostenitori di quell’ antica Adria, che supposta dal Neumayr 1 2, è stata ammessa dal Suess 3, dal Canavari 4 e dal Teliini 5, con notevoli dif- ferenze di vedute rispetto ai limiti di estensione, e combattuta dal De Stefani 6. La contemporaneità di quelle roccie dei litorali italiano e dalmata non è finora provata, come non lo è anche con le altre di Pe- lagosa, dove sono frammenti di trachite di oscura provenienza 7 ; ma 1 A. Issel, Le oscillazioni lente del suolo o bradisisimi. Saggio di geologia storica (Atti delia R. Università di Genova, V, 1883). 2 M. Neumayr, Zur Geschichte des ostlichen Mittelmeerbeckens (Samml. ge- meinvàst. wiss. Vortr., 1832). — Erdjesc/iichte, I, 1831, pag. 537; li, pag. 330- 3 E. Suess, Das Antlilz der Erde : Die Adriatische Senkung ; I, 1885, p. 311). 4 M. Canavari, Osservazioni intorno alV esistenza di una terraferma nel- l'attuale bacino adriatico (Proc. verb. d. Soc. tose, di Se. nat., V, 1885, p. 151). 5 A. Tellini, Osservazioni geologiche sulle isole Tremili e sull'isola di Pia- nosa nell'Adriatico (Boll, del R Com. geol., 1893). 6 C. De Stefani, Les terrai ns tertiaires supérieurs du bassin de la Mèdi- terranee (Ann. de la Soc. géol. de Belgique, XVIII, 1891). — Divisione delle montagne italiane (Boll. d. Club alp. ital., XXVI, R93 pag 181). 7 G. Stache, Geologische Notizen ueber die lnsel Pelagosa (Verliandl. d. k. k. geol. R A., 1876). Marchesetti, Descrizione dell'isola Pelagosa (Boll, della Soc. adriat. di Se. nat , II, Trieste, 1876). M. Groller, Topographysch-geologische Skizze der Inselgruppe Pelagosa in adriatischen Meere (Mitth. aus dem Jahrb. d. k. Ung. geol. A., VII, 1835). 19 — anche che lo fosse, nulla indicherebbe sul proposito ; invece il fatto della sommersione della Punta delle Pietre Nere fino al principio del presente periodo e quello dell’esistenza, tra essa e l’isola di Lissa, del gruppo delle Tremiti, costituite, secondo il dott. Telimi ', solo di strati cretacei, terziari (Eocene, Miocene, Pliocene) e quaternari terrestri, mo- strano che il lembo triasico in esame non ha fatto parte con Lissa di un’unica terra. La posizione di quel nero scoglio sulla spiaggia adriatica è cer- tamente oscura. Il supporre che l’eruzione dei lamprofiri sienitici. e dio- ritici, che strinsero nel mezzo gli strati dello scisto marnoso e li rialza- rono fortemente in un tempo pur troppo indeterminato, e il lento sol- levamento di quella regione, indicato dalla presenza della panchina recente, tuttora in formazione, abbiano fatto emergere dal mare dei lembi di un sedimento triasico più esteso, formante un dorso a poca profondità, potrebbe fornire una spiegazione più semplice e verosi- mile del fatto. Ma noi non intendiamo tenerci nel campo delle ipotesi e non insistiamo più oltre sull’origine della Punta delle Pietre Nere, con la speranza che altre osservazioni possano meglio schiarire la que- stione . DESCRIZIONE DELLE SPECIE. PELECYPODA Avicola Klein Avicula Geo, d’Orb. (Tav. I, fig. 1-9). 1841. Avicula ceratophaga Munster (nec Schlotheim), Beitràge zur Petrefacten- kunde: Beschreibung und Abbildung der in den Kalkmergelschichten von St. Cassian gefundenen Versteinerungen, pag. 77, tav. VII, fìg. 14. 1841. » antiqua Munster (nec Mùnster in Goldfuss), Ibid., pag. 77, tav. VII, fig. 15. 1850. » Gea D’Orbigny, Prodromo de Paleontologie stratigra phique, 1, pag. 201, n. 529. 1 Tellini, Op. cit. e in Baratta, Sul periodo sismico garganìco delV Aprile- Giugno 1892 (Aon. dell’Uff. centr. di Met. e Geodin., XII, 1893). — 20 — 1866. Avicula Gea Laube, Die Fauna der Schichten von St. Cabsian (Denkschr. d. k. Akad. d. Wiss., XXY, pag. 50, tav. Vili, fig. 9j. 1888. » » V UMBEL, Grundzùge der Geologie, pag 701, fig.. lo. 1889. » » Parona, Studio monografico della fauna Raibliana di Lombardia, pag. 93, tav. Vili, fig. 7. 1889. » » v. Wohrmann, Die Fauna der sogenannten Cardita- und Raibler Schichten in den Nordtiroler und bayerischen Alpen (Jahrb d. k. k. geol. R. A., XXXIX, pag. 20-, tav. Vili, fig. 1 . Sulle lastre dello scisto marnoso nero della Punta delle Pietre Nere si osservano molte valve, per lo più isolate, di Avicula piccole e grandi, generalmente deformate o incomplete, sicché riesce difficile e talora impossibile di mettere un ordine fra le varie specie che vi si presen- tano. Ci. limitiamo quindi a pigliare principalmente in esame un gruppo di esemplari bene o discretamente conservati, che offrono i seguenti caratteri : Conchiglia piccola o di discrete dimensioni, un po’ inequivalve, ine- quilaterale, obliquamente ovale, più o meno gonfia. Linea cardinale diritta; apice diretto verso avanti, appuntito, sporgente. Orecchietta anteriore più o meno convessa, corta, appuntita, leggermente arcuata nell’orlo cardinale, sinuosa in quello inferiore, separata dal resto della valva da una depressione larga ed evidente, come si nota sulla figura dell’ A Gea data dal Laube, e che produce un seno nel contorno della conchiglia. Orecchietta posteriore allungata, aliforme, depressa, sinuata all’orlo paileale, divisa dalla valva da un solco lineare, fornita di un rostro breve ma appuntito e di un margine cardinale stretto e rilevato, talvolta suddiviso da un solco. La valva sinistra è leggermente più gonfia della destra. Le strie di accrescimento ornano la superficie delle valve in forma di sottili rilievi che sulle orecchiette e sul contorno palleale sono più forti e irregolari, ma sul resto della conchiglia sono piuttosto regolari, come si vedono sulla A. ceratophaga Miinst. nec Schloth., che è ricono- sciuta identica con VA. Gea d’Orb. È da notare però che esse, come si osserva su non pochi esemplari, hanno la tendenza a divenire irre- golari su tutta la superfìcie. Molte valve si possono osservare dal lato interno e fanno vedere la linea cardinale rilevata e divisa da un solco ; più raramente la leg- giera fossetta che ricettava parte del ligamento, posta dietro l’apice, — 21 - e in casi rarissimi i denti, ohe sono anche di difficile e dubbia os- servazione. Sopra una valva sinistra si nota un forte dente e una contigua fossetta; lo stesso avviene sopra una valva destra. Le de- pressioni che separano le orecchiette dal resto delle valve, si rilevano all’interno in forma di pieghe più o meno accentuate. L’osservazione della linea cardinale esclude l’appartenenza di questa specie al genere Geroilleia , come potrebbe forse far sospettare la somiglianza esterna di taluni esemplari con la GerviUeia praecursor Quenst. '. Le variazioni della specie in esame si restringono alla maggiore o minore gonfiezza della conchiglia, alla forma più o meno ovale delle valve e ai caratteri delle orecchiette, che sono ora più allungate e appuntite all’estremità, taf altra più accorciate, ma sempre ben di- stinte. La forma figurata nella tav. 1, fìg. 9, è molto stretta ed allun- gata ed io l’aggrego all’ vi. Gea con dubbio. I più picchi individui hanno una lunghezza di 4 mm. con una linea cardinale di 6 mm. ; i più grandi sono lunghi 17 mm. con una linea cardinale di 19 mm. ; nel mezzo sta tutta una serie di esemplari di varia misura. Gl’ individui piccoli corrispondono assai bene con VA. Gea d’Orb. di S. Cassiano e di tutto il Raibliano e io non saprei separameli. I più grandi ne differiscono solo per le dimensioni, essendo in generale VA. Gea una specie piccola, e pel rostro dell’orecchietta posteriore leggermente più lungo ; però è da notare che gli esemplari dell’ A. Gea , associati negli strati di Tor con la M. vestita , e che io ho potuto stu- diare grazie alla gentilezza del sig. E. Kittl, presentano spesso le di- mensioni degli individui della Punta delle Pietre Nere Inoltre il v. Wohr- mann figura un grande individuo degli strati a Cardita , del Reps (Haller Anger) che, completo, non può avere una lunghezza inferiore a 18 mm. e una linea cardinale meno corta di 20 mm. Il Loretz* 2 indica anche grandi esemplari di questa specie nel Raibliano della strada di Palzarego presso Cortina di Ampezzo Del resto la corrispondenza dei grandi esemplari con i piccoli è così stretta che se si vogliono staccare dall’ A Gea i primi, se ne debbono separare anche i secondi, il che non mi sembra ben giusti- ficato. Un’altra differenza tra gl’individui della Punta delle Pietre Nere * F. A Quenstedt, Der dura , 1858, pag. 29, tav. 1, fìg. 8-11. 2 H. Loretz, Eini je Petrefacten der alpiinen Trias aus den Siidalpen (Zeit. d. deutsch. geol. Gesells., 1875, pag. 816). — 22 - e VA. Gea così in’ è stata descritta finora dagli autori potrebbe trovarsi nella leggiera ineguaglianza di convessità tra le due valve, carattere che fino ad ora non è stato indicato nell’ .4. Gea ; ma ancora non sono stati figurati esemplari bivalvi di questa specie, nè delle valve destre, sicché si rimane in dubbio se veramente gl’ individui delle Alpi siano equi vaivi. Come è noto l’ineguaglianza delle valve è un contrassegno quasi costante nelle Aviculae , e negli esemplari della Punta delle Pietre Nere è così leggiera, che io non credo che essa possa servire come carattere differenziale. Ove però voglia darsi peso a queste differenze, potrà costituirsi con gl’individui dell’ Adriatico una varietà, che po- trebbe denominarsi major , la quale dovrà necessariamente compren- dere gli esemplari degli strati della sella di Tor (B»aibl), identici con i nostri Il Polifka 1 descrive una Avicula cislonensis vicina alla specie in esame; però la conchiglia della Schlerndolomit si distingue dai nostri esemplari, perchè ha l’orecchietta anteriore assai nettamente divisa, più acutamente prolungata e meno sinuata. L’elevata posizione dello scisto della Punta delle Pietre Nere nel Trias e le relazioni che parecchie di quelle specie offrono con altre re- tiche, ci fanno tenere qui in conto i rapporti della Avicula descritta con VA. Bunkeri Terq. 2 e con VA. Deshayesi Terq.; dalle quali si distingue pel carattere dell’orecchietta anteriore, che in essa è più sviluppata, più appuntita, separata dalla valva da una depressione più evidente e che rende più sinuoso l’orlo paileale, per quello delle strie di accre- scimento più regolari e meno numerose e pel più stretto risalto che limita l’orecchietta posteriore sulla linea cardinale. Inoltre VA. Deshayesi ha anche la valva destra orbicolare e quasi piana. Kje&fM Schumacher Leda percaudata Giimb. (Tav. II, fìg. 27 e 28). 1859. Leda alpina Winkler, Die Schichten der Avicula contorta inner und ausser deii Alpen, pag. 15, tav. 1, fìg. 8. 1 S. Polifka, Beitrag zur Kenntniss der Fauna des Schlerndolomites (Jahrb. d. k. k. geol. R. A., XXXVI, 1886, pag. 598, tav. Vili, fìg. 3, 4). 2 0. Terquem, Paleontologie de Vétage inférieur de la formation linsique de la province de Luxemburg, ecc. (Mém. de la Soc. géol. de France, 2 S., t. V, 1854, pag. 314, tav. XXI, fìg. 12 ; pag. 315, tav. XXI, fìg. 13). — 23 — 1861. Leda complanata Stoppani, Paleontologie lombarde: Monographie des fos- siles de l’Azzarola eco., pag. 62, tav. 8, fig. 1, 2. 1861. » percaudata GumBel, Geognostische Beschreibung des bayerischen » Alpengebirges und seines Yorlandes, pag. 407. 1861. » alpina Gumbel, Ibid., pag. 407. ' 1868. « claviformis Stoppani, Paléontologie lombarde: Monographie des fos- siles du groupe des lumachelles et des schistes noirs marneux, eoe., pag. 132, tav. 30, fig. 30 e 31. 1866. » » Capellini, Fossili infraliassici dei dintorni del golfo della Spezia (Mem. dell’Acc. delle Se. dell’Ist. di Bologna, S. 2, voi. V, pag. 63, tav. VI, fig. 20 e 21). Conchiglia poco gonfia, inequilaterale, ovato-arrotondita nel lato anteriore, ristretta in quello posteriore e prodotta in un rostro non molto lungo, acuto, leggermente arcuato verso l’alto, carenato dagli apici all’estremità, in modo da rinchiudere un’area allungata e stret- tamente lanceolata. Apici piccoli, appena sporgenti, leggermente opi- stogiri. Contorno paileale arcuato. Strie di accrescimento numerose, serrate, sottili, ma rilevate in torma di pieghe. Su qualche valva di buona conservazione si scorge che il lato posteriore della conchiglia prodotto in rostro è separato dal resto della valva da una leggierissima e ristretta depressione. Due valve a contorno mal conservato lasciano scorgere in parte le due serie di denti trans versi e spessi, divergenti dagli apici, e la piccola fossetta interna del ligamento. Si tratta dunque di una vera Leda. I rapporti più stretti di questa specie con altre Leda del Trias supe- riore sono con la Leda sulcellata Wissm. sp. apud Munst = L. Wiss- manniana Bittn. e con la Leda percaudata Gumb. La Leda sulcellata Wissm. è una specie di S. Cassiano, la quale, secondo il Bittner ‘, è stata male compresa dal Laube, die vi ha aggregato una serie di forme appartenenti al nuovo genere Phaenodesmia Bittn. e delle vere Leda. Per una delle specie appartenenti a questo genere il Bittner propone il nome di Leda sulcellata Wissm. (emend.) ; per un’altra, che è quella figurata dal Munsber, il nome di I^eda Wissmanniana Bittn. La Leda 1 A. Bittner, Zur KenntnUs der Nuculiden und Arciden der Fauna von St. Cassian (Verhaniì. d. k. k. geol. B-. A., 1894, n. 7). — 24 sulcellata Wissm. sp apud Munst *._=== L. Wissmanniana Bittn., è, come noto, così somigliante alla L. mucronata Sow., figurata dal Goldfuss 2, da sembrarle identica. Essa è vicina alla Leda della Punta delle Pietre Nere ; ma ne differisce per la maggiore gonfiezza, per la maggiore al- tezza e pel rostro più corto, più largo e più fortemente carenato, in modo che essa presenta un aspetto differente. Il Klipstein 3 figura sotto il nome di Nucula sulcellata Wissm. var., una forma che, pei caratteri esterni, si avvicina dippiù alla Leda in esame ; ma tuttavia una identificazione mi pare impossibile, perchè la specie della Punta delle Pietre Nere è sempre meno alta, ha una forma più elittica trasversalmente e un rostro più lungo e più stretto. Per quanto riguarda i rapporti con la Leda sulcellata Wissm. sp. (emend.), non possiamo, per ora, emettere un giudizio, perchè il Bittner non l’ha ancora descritta e figurata, nè indica a quale delle forme figurate finora egli si riferisce; però non è improbabile che tale specie sia vicina, se non identica, agli esemplari qui descritti, perchè egli indica forme parenti della Cortina d’Ampezzo, del qual luogo il Loretz ha indicato la Leda complanata Stopp. (non Phill., non Goldf., non Quenst.), che io reputo identica con i nostri esemplari. Molto intime sono le analogie di questa Leda della Punta delle Pietre Nere con la Leda percaudata Glirab., che il Dittmar 4 ha rico- nosciuta identica con la Leda alpina Winkl., nome che, sebbene più antico, bisogna abbandonare, perchè esiste una Leda alpina d’Orb. 5 (1847) del Kellowiano. Se si tien conto degl’individui riferiti dallo Stoppani alla Leda complanata e alla L. claviformis, ma che giustamente sono riuniti dal Dittmar alla L. percaudata e alla L. alpina, i nostri individui debbono con ragione essere associati a questa specie. L’unica leggiera differenza 1 G. v Munster, Beitrage zur Petrefacten-Kunde : Beschreibung und Abbil- dung der in d°n Kalkmergelschichten von St. Cassian gefundenen Versteinerun- gen, pag. 85, tav. Vili, fìg. 15. 2 A. Goldfuss, Petrefacta Germania?, eoo., II, 1863, pag. 147, tav. CXXY, fìg. 9. 3 A. v. Klipsteìn, Beitrage zur geologischen Kenntniss der ostlichen Alpen, 1843, pag. 263, tav. XVII, fìg. 19. 4 A. Dittmar, Die Contorta-Zone ( Zone der Avicola contorta Porti.). I tir e Verbreitung und ihre organischen EinscMiisse, pag. 171. 5 A. d’Orbigny, Prodrome de Paleontologie stratigrapìiique , I, 1859, pag 336, num. 136. 25 - che si possa rilevare nei caratteri esterni tra la L percaudata tipica e le valve della Punta delle Pietre Nere sta nella più forte arena- zione della linea cardinale nel lato posteriore della prima; ma non è su questa differenza di grado che si può stabilire una netta separa- zione specifica. Del resto questa differenza non si osserva tra gl’in- dividui indicati dallo Stoppani come L. complanata e L. claviformis , che non possono staccarsi dalla L. percaudata , e i nostri esemplari. Anche la L . claviformis figurata dal prof. Capellini nel suo importan- tissimo lavoro suirinfralias della Spezia corrisponde bene, per la forma, con i nostri esemplari, come ho potuto persuadermi col diretto esame degli esemplari originali, ottenuti dalla squisita cortesia del profes- sor Capellini. Tuttavia, siccome la forma e il numero dei denti sono mal conosciuti nella L. percaudata , e non si può fare per ora un pa- ragone rassicurante e completo tra i caratteri interni di quella specie e delle nostre poche valve, l’associazione di queste forme raibliane con la specie retica ed ettangiana è qui proposta con qualche dubbio. È eia notare nuovamente che il Loretz 1 cita la L. complanata di Stop- pani e non degli altri autori, cioè la L. percaudata , nel Raibliano della valle d’Ampezzo. Vicina alla specie descritta è anche la L. Titei Moore 2 del Retico inglese ; ma essa è più alta e assai meno attenuata nel lato poste- riore. r Certamente questa specie, oltre che con i tipi retici, ha relazioni con la basica L. complanata Phill. apud Quenstedt 3 et G-oldfuss 4; ma se ne distingue, come tutte le altre forme aggregate alla L. percau- data,, pel rostro assai meno lungo e più o meno arcuato, per la carena di tal rostro più leggiera e per la mancanza della piega interna irra- diante dagli apici. Di questa specie abbiamo studiato solo nove valve attaccate sulle lastre calcari e un esemplare bivalve, leggermente deformato. L’indi- viduo più piccolo è lungo 10 mm. e alto 5 rum. ; il più grande è lungo 12 mm. e alto 6 mm. ; quello bivalve ha uno spessore di 5 mm. 1 Loretz, Op. cit., pag. 819. 2 Ch. Moore, On thè Zone of thè Lower Lì is and thè Avicula contorta Zone (Quarterly Journal of thè geol. Soc. of London, 1861, pag. 504, tav. XV, fìg. 25). 3 Quenstedt, Op. cit., pag. 55, tav. 5, fìg. 12, 1 e 2; pag. 110, tav. 18, fìg. 39 e 40; pag. 186, tav. 23, fìg. 9 e 10. Goldfuss, Op. cit., II, pag. 148, tav. OXXV, fìg. 11. * - 26 - JfMyopHaria Brcnn Myojphoria vestita v. Alb. (Jay. I, fig. 10-19). 1864. Myophoria vestita v. Alberti, Ueberblick ueber die Trias mit Beriicksich- tigung in den Alpen, pag. 113, tav. Ili, fìg. 6 1883. » » Gììmbel, Grundziige der Geologie, pag. 691, fìg. 1. 1839. » » Kilian, Mission d’Andalousie, II: Etudes paléontolo- giques sur les terrains secondaires et tertiaires, de l’Andalousie (Mém. de l’Acad. d. Se. de l’Institut de Franco, XXX, pag. 603). Conchiglia piccola o di discrete dimensioni, più o meno gonfia, un po’ obliqua. Lato anteriore corto e arrotondito; lato posteriore ristretto, prolungato obliquamente, fortemente troncato. Apici proso- giri, piccoli, appuntiti all’estremità, ricurvi e avvicinati. Superficie ornata di 8-12 costole radiali, forti, arrotondite sopra e non di raro subacute, separate da spazi più larghi della loro gros- sezza. Le costole della valva destra sogliono essere più strette di quelle della sinistra. La penultima costola di ogni valva è divisa dalle altre da uno spazio assai largo, e, essendo sempre la più forte ed elevata, forma una carena obliqua, che sporge più o meno sul con- torno palleale. Questa carena divide le valve in due parti ineguali, delle quali l’anteriore è regolarmente convessa e ornata di costole che diventano più strette e leggere avvicinandosi alla lunula, mentre quella posteriore è più o meno concava nel mezzo, liscia e limitata da una forte costola arcuata, che si diparte dall’apice e rinchiude lo scudetto. Questo, in proporzione delle dimensioni della conchiglia, è grande, lanceolato e concavo. La fossetta ligamentare è piccola, ma non di raro bene osservabile in fondo allo scudetto, dentro il quale la . commessura delle valve è rilevata. Sul lato anteriore della conchiglia si nota una lunula ovale e larga con ornamenti distinti dati da 8-12 costole trasversali, arroton- dite sopra, più o meno leggermente arcuate verso gli apici, le quali o rimangono tutte semplici, come avviene per lo più, oppure si bifor- cano o presso il loro inizio o poco prima di toccare la commessura delle valve; in alcuni casi si anastomizzano (vedi Tav. I, fìg. 17). Le strie di accrescimento sono forti, rilevate e serrate fra di loro ; esse, intersecando le costole radiali delle valve e le trasversali della lunuln, le rendono più o meno subnodulose e talvolta nodulose. Tali - 27 — strie sono più rilevate nell’area posteriore della conchiglia, sulla quale in certi esemplari se ne notano alcune che in modo irregolare si riu- niscono in fascetti di due o di tre per formarne una. In rari casi si anastomizzano. I caratteri della cerniera, per la piccolezza degl’individui e la patina nera che li incrosta, si osservano con difficoltà. Le molte valve che ho potuto preparare all’interno mi hanno però permesso di notare i seguenti contrassegni: Valva sinistra (Tav. I, fig. 19). Elementi cardinali portati da una lamina non molto spessa. Due denti principali elevati ed uno laterale rudimentario. Il dente principale mediano è forte, elevato, subpira- midato, allungato nel senso della lunghezza della valva, lievemente arcuato verso l’interno della conchiglia, più alto e appuntito nella sua porzione anteriore. Il dente principale anteriore si stacca diretta - mente dall’orlo della valva sotto l’apice e si dirige obliquamente verso l’orlo anteriore; è triangolare, forte e più elevato. Una fossetta è posta tra questi due denti. Il lato posteriore è spessito e porta una sporgenza allungata e leggiera, che forma come un dente laterale posteriore rudi- mentare. Fra questo e il dente principale mediano intercede un’altra fos- setta stretta ed allungata. Delle impressioni muscolari è solo osservabile raramente quella anteriore, che è profonda, ovale e posta sotto il dente anteriore, ma sopra una lamina. Un esemplare mostra la linea paileale, indicata da un solco molto leggiero parallelo all’orlo della valva, il quale è un po’ rilevato. Valva destra (Ta'v. I, fìg. 18). Elementi cardinali portati da una lamina molto stretta. Due denti principali elevati, che partono insieme dall'orlo sotto l’apice e divergono fortemente. Il dente posteriore, al- lungato e listiforme, corre lungo l’orlo della conchiglia; quello ante- riore è più forte, elevato, appuntito, triangolare alla base, suddiviso da una depressione leggiera in due creste, delle quali la posteriore è più bassa, mentre l’anteriore è più elevata, lamelliforme, arcuata verso avanti. Fra i due denti c’è una fossetta triangolare posta sotto l’apice. La Myoplioria vestita della Punta delle Pietre Nere corrisponde assai bene agli esemplari del bacino germanico figurati dall’ Al- berti su modelli ottenuti con cera e guttaperca e nessun dubbio può cadere sulla sua esatta determinazione specifica. Essa è abbondantis- sima e quasi sempre ben conservata nello scisto calcare in esame e sempre di piccole dimensioni. Il più grande esemplare è largo 14 mm . e alto 13 mm. ; il più piccolo è largo 4 mm. e alto 5 mm. — 28 — Lo spessore massimo osservato è di 8 mm. (sopra un esemplare largo 10 mm.). È una specie var abile un po’ per la forma e il numero delle costole radiali e trasversali ; ma conserva sempre il suo tipo caratteristico. La conchiglia è più o meno obliqua e talvolta appena ; il lato posteriore su certe forme è molto allungato e su altre si mostra piuttosto corto e allora la conchiglia diventa subromboidale Yi sono individui pic- coli con 12 coste radiali e dei relativamente grandi con 8 oppure 9. La carena, sempre ben distinta, è più o meno forte e diviene non di raro, segnatamente sulla valva destra, assai elevata e tagliente. An- che le costelle trasversali della lunula variano di numero e di forza ; esse sono talora discretamente distanti fra di loro e tal’altra assai av- vicinate. Lo spessore, sempre forte in rapporto alle dimensioni della conchiglia, è variabile, in modo che si hanno individui assai gonfi e altri discretamente. La cerniera di questa specie non presenta il tipo schizodonte nel senso di Steinmann 1 2 3 * e Neumayr *. Infatti nella valva sinistra non c’è un dente principale suddiviso, nè la fossetta posta sotto l’apice di questa valva può rimaner vuota, perchè è evidente che riceve il dente principale anteriore della valva destra. I denti inoltre non presentano striatura, o almeno fino ad ora non hanno fatto rilevare questo ca- rattere che è, del resto, sempre di osservazione molto difficile. Però, come bene ha fatto notare recentemente il v. Wòhrmann 5, la biparti- zione del dente triangolare della valva sinistra nelle Myophoriae av- viene con differente intensità non solo nelle varie specie, ma anche negli individui di una stessa specie, e talvolta manca del tutto. La striatura dei denti, che non si presenta nei tipi devoniani, manca in alcune specie triasiche ( M . Kefersteini Munst. sp., M. fissidentata Wòhrm.) e in altre dipende dallo sviluppo individuale. Per queste ragioni la suddivisione del dente triangolare e la striatura dei denti non può avere valore sistematico, e il tipo della regione cardinale per buona parte delle Myophoriae si riconduce così a quello eterodonte. La disposi- 1 Stelnmann uad Dòderlein, Elemente der Palaontologie, 1890, pag. 284 e 250. 2 M. Neumayr, Beitrdge zu einer morphologischeti Eintheilang der Bivalven (Denkschrif. d. k. Akad. d. Wiss. ; LVIIT, 1891, pag. 714 e 785). 3 S. v. Wòhrmann, Uebe • die System atische Stellung der Trigoniden und die Abstammung der Nayaden (Jahrbuch d. k. k. geol. R. A., 1893). - 29 - zione del dente principale mediano dèlia valva sinistra nella Mgo- phoria vestita differisce nn po’ da quello delle Myophoriae tipiche, perchè non si stacca direttamente dall’orlo della conchiglia sotto l’a- pice, ma ne è separato da un piccolo spazio, come si osserva nella M. decussata Munst., per la quale il Wohrmann ha proposto il nuovo genere Griìnewaldia \ da cui la specie in esame differisce però pei caratteri della forma della conchiglia e per gli ornamenti. Pei ca- ratteri esterni questa specie non potrebbe collocarsi in uno dei gruppi Laeves , Carinatae , Flabellatae, Elegantes, nei quali sogliono dividersi le Myophorjae. Dalle Flabellatae , a cui è vicina, differisce per la presenza delle costole trasversali, nodulose o subnodulose della lunula, che rammentano quelle delle Trigoniae secondarie. Potrebbe quindi costi- tuirsi con essa una nuova sezione; se questa sia da elevare a genere o no, è una questione che decideranno le osservazioni ulteriori sulla cerniera. La Myophoria vestita fu neh 1856 determinata dal Moesch 2 come M. Goldfussi v. Alb. del Muschelkalk superiore e del Lettenkohlen- gruppe ; ma venne poi distinta dall’ Alberti. Essa differisce dalla M. Goldfussi v. Alb. 3 per la presenza delle costole trasversali che ornano la lunula, per la carena ben distinta e più elevata, per l’esi- stenza di una sola costola nell’area posteriore della conchiglia e pel maggiore spessore. Anche la M. Whateleyae v. Buch 4 ha molti rap- porti con la specie descritta; però se ne distingue perla mancanza di costole trasversali nella lunula e per la disposizione un po’ differente dei denti nella valva sinistra. Altre specie costate, come la M. jpicta Leps. 6 della Dolomia principale e la M. curvirostris Schloth. sp. 6 1 S. v. Wòhrmann, Die Fauna der sogenannten Cardita-und Raibler Schich- ten , ecc. pag. 215 e 216. 2 C. Moesch, Das Flotzgebirg ì im Kanton Aargau , I, 1856, pag. 17. 3 F. v. Alberti, Beitrdge zu einer Monographie des bunten Sandsteins, Muschelkalks und Keupers und die Verbindung dieser Gebilde zu einer For- mation (Trias), 1834, pag. 93, 130, 132. — Ueberblick uéber die Trias , ecc., pag. 112, tav. 11, fìg. 4. 1 L. v. Buca, Sur Véxistence du Muschelkalk dans la Lombardie , ecc., 1845 (Ball de la Soc. géol. de France, S. 2, t. II, pag. 343, tav.' IX, fìg. 1 e 3). 8 R. Lepsius, Das westliche Sud-Tyrol, 1878, pag. 357, tav. 1, fìg. 10. 8 E. Schlotheim, Die Petrefaktenkunde auf ihrem jetzigen Standpunkte , ecc , 1820, pag. 192. — Nachtrage zar Petrefaktenkunde, 1822, pag. 112, tav. 36, fìg. 7. - 30 — sembrano, pei caratteri esterni, più o meno vicine alla Myophoria ve- stita, però tutte se ne separano per la mancanza di costole trasver- sali nella lunula, oltre che per vari caratteri desunti dalla forma, dallo spessore, dalle dimensioni eco. Questa specie si presenta negli strati di Gansingen (Argovia), corrispondenti a quelli di Lehrberg presso Anspach, e appartenenti perciò alla parte media del Keuper medio estralpino. Essa, come mi hanno comunicato i signori E. Kittl e dott. A. Bittner, si trova sulle Alpi nella parte superiore degli strati di Baibl (Torer Schichten ), in quelli di Heiligenkreuz e nei calcari di Opponitz. Il sig. Kittl ha avuto la cortesia di mandarmi in esame vari esemplari di questa specie, rac- colti negli strati di Tor; essi, in rapporto- a quelli della Punta delle Pietre Nere, hanno le costole radiali più strette. Nell’ Andalusia, la Myopli. vestita si raccoglie nella parte superiore di quel Trias, asso- ciata con la Gerv. praecursor Quenst. sp. del Retico. tt* Dinne Cardium ctr. rhaeticum Mér. (Tav. I, fìg. 20-22; Tav. II, fìg. 29). 1853. Cardium rhaeticum Mérian, in Escher von der Linth, Geologiche Bemerkungen ùber das nòrdlichen Yorarl- berg und einige angrenzenden Gegenden (Denkschr. d. aligera, schw. Gesells. f. d. gesammt. Naturwiss , XIII Bd., pag. 19, tav. 4, fìg. 40). 1856. » » Oppel und Suess, Ueber die muthmasslichen Aequivalente der Kòssener Schichten in Schwaben (Sitzb. d. k. Akad. d. Wiss., XXI Bd., pag. 545, tav. 2, fìg. 1). 1858. I Philippianum Quenstedt (nec Bunker), De Jura, pag. 31, tav. 1, fìg. 33. 1860. » » Stoppani, Paleontologie lombarde: Monogra- phie des fossile s de l’ Azzar ola, ecc., pag. 48, tav. 4, fìg. 18-25. 1860. » nuculoides Stoppani, Ibid., pag. 49, tav. 4, fìg. 26-29. 1861. » rhaeticum Winkler, Der Oberkeuper nach Studien in den bayerischen Alpen (Zeitschr. d. deutsch. geol. Gesells., XIII Bd., pag. 482, tav. VII, fìg. 14 a-e). — 31 — 1861. Cardium rhaeticum MooRe, On thè Zone of thè Lower Lias and theAvicula contorta Zone (Quarterly Journa of thè geo!. Society of London, pag. 504, tav. XV, fig. 28). 1878. » , » Hauer, Die Geologie und ihre Anwendung auf die Kenntniss der Bodenbeschaffenheit d. òst.-ung. Monarchie, pag. 404, fig. 269. 1888. » » Gììmbel, Grundziige der Geologie, pag. 690, fig. 1 Conchiglia gonfia, leggerissimamente inequivalve, più lunga che alta, a contorno palleale arrotondito, subequilaterale o inequilaterale. Il lato anteriore è arrotondito; il posteriore subarrotondito o lieve- mente troncato. Apici piuttosto prominenti e quasi contigui. Sul lato posteriore, ma molto vicino all’orlo della conchiglia, si nota un an- golo ottuso e molto leggiero, che comincia dagli apici e va a svanire verso il contorno. La superfìcie della conchiglia è ornata nella parte posteriore di 18-20 coste fine, piatte, ben distinte, separate da solchi lineari e pro- fondi. Le strie di accrescimento sono forti e irregolari. Di questa specie ho esaminati 13 esemplari, che sono per lo più deformati. Il più grande individuo ha 13 mm. di altezza e 14 mm. di • lunghezza. Un esemplare bivalve è spesso 10 mm. La specie è variabile di forma, perchè è talvolta quasi equilaterale e tal’altra molto inequilaterale pel protendersi del lato posteriore. Questa elegante conchiglia ha i caratteri esterni di una Protocardia e mostra le più intime analogie col Cardium (Protocardia) rhaeticum Mér. 1 del Retico alpino ed estralpino, comprendendo in tale specie le varietà arrotondite (var. rotondata Winkl 2. == C. Philippianum Quenst. 3 e Stoppani 4 5 nec Dunker), quelle inequilaterali (var. elongata Winkl. = C. nuculoides Stoppani 6), e quelle più alte che lunghe (var. erecta 1 Mérian, in Escher v. d. Linth, Geologische fìemerkungen ueber das nordlichen Vorarlber j und ein'ge omgrenzenden Gegenden (Denkschr. d. allg. schw. Gesells. f. die gesammten Naturw., XIII, 1858, pag. 19, tav. 4, fig. 40). 2 G. G. Wjnkler, Der Oberkeuper nach Studien in den bayerisclien Alpen (Zeitschr. d. deutsch. geol. Gesells., XII f, 1831, pag. 482, tav. VII, fig. 14 a-e ). 3 F. A. Quenstedt, Op. cit., pag. 31, tav. I, fig. 38. 4 A. Stoppani, Paleontologie lombarde : Monographie des fossiles de VAz- z.arola ecc. 1360, pag. 48, tav. 4, fig. 18-25. 5 Idem, Ibid., pag. 49, tav. 4, fig. 26-29. 32 — Winkl == C. alpinum Grùmbel *), le quali si presentano associate e sono rilegate strettamente da passaggi e dai caratteri generali. Il nu- mero delle coste negl’individui della Punta delle Pietre Nere è leg- germente maggiore che nel C. rhaeticum Mér.; esse coprono quindi una parte maggiore della superficie posteriore della conchiglia e negli esemplari quasi del tutto equi vai vi la porzione costata è poco meno della metà delle valve. Questa differenza, del resto leggiera, la scono- scenza dei caratteri della regione cardinale negli esemplari in esame e la non perfetta conservazione di essi, non ci permettono di potere sicuramente identificare questa specie raibliana con la retica. Le varie Protocardia del Petico, del Giurassico e del Cretaceo sono così affini che delie identificazioni senza sicurezza possono condurre anche a errori stratigrafici; però gl’intimi rapporti degli esemplari della Punta delle Pietre Nere col C. rhaeticum Mér. non sono disconoscibili. Anche il basico C. Phihppianum Dunk. 2 è vicino agli individui in esame ; ma se ne distingue pel carattere della forte carena che li- mita lo spazio posteriore ornato di costicine, che sono anche di nu- mero minore. L’angolo leggiero ed ottuso che si suol notare sui Cardium della Punta delle Pietre Nere non serve di limite all’area ornata di costole, le quali sempre la sorpassano. Il C. truncatum Phill. apud Gfoldfuss ( Petrefacta Germaniae , tav. CXLIII, fìg. 10), probabil- mente identico col C. Philippianum Dunk., e l’affine C. oxynoti Quenst.* del Lias inferiore se ne distinguono per la più forte troncatura del lato posteriore e pel minor numero di costole. G ASTEROP0DA TrocHus Linné Trochus integro striatus Di-Stef. (Tav. II, fìg. 1, 2). Conchiglia spessa, piccola, conica, appuntita, ombellicata, com- posta di 7 giri piani, divisi da suture lineari ma bene impresse, e dei quali i primi sono disposti a leggieri gradini. Tali giri portano tutti all’orlo inferiore un margine suturale a forma di stretta fascia più o 1 W. Gùmbel, Geognostische Beschreibung des bayerischen Alpengebir- ges , eco., 1861, pag. 407. 8 W. Dunker, Ueber die in dem Lias* bei Halberstadt vorkommenden Ver steiner ungen (Palaeontographica, I, 1851, pag. 116, tav. XVII, fìg. 6). - 33 — meno rilevata, limitata sopra da un solco sottile, ma profondo. Negli esemplari accresciuti si manifesta anche un margine della stessa forma sotto la sutura, il quale evidentemente non si scorge nei giri inferiori, perchè sono più abbraccianti. L’ultimo giro è ottu- samente angoloso sopra e marginato. La base è leggiermente con- vessa. Il falso ombellico è imbutiforme, poco profondo, largo relativa- mente alle dimensioni della conchiglia, limitato da due carene forti e arrotondite. La superfìcie dei giri è ornata di strie spirali sottili e bene im- presse, che si mostrano qua e là, secondo la conservazione della con- chiglia ; però sono sempre ben visibili sull’ultimo giro e specialmente sulla base, dove sono fortissime Fra le due carene che limitano l’ombel- lico e le strie spirali si suole osservare un ristretto spazio del tutto liscio. Le strie di accrescimento sono oblique e forti, specialmente sulla base. L’apertura è obliqua, quadrangolare, leggerissimamente più larga che alta; il labbro è obliquo e tagliente; il lato columellare troncato sopra e leggermente spessito sotto. E una specie comune nel calcare scistoso della Punta delle Pietre Nere, ma quasi sempre deformata o a superfìcie erosa. L’esemplare più grande studiato è alto 7 mm. e largo alla base 5 mm. Le sue variazioni si restringono ad essere più o meno conico, più o meno allungato ed appuntito. Grli esemplari piccoli hanno tutti i giri lieve- mente scalinati (Tav. II, fìg. 1), come gli adulti hanno scalinati solo i primi. La forma della conchiglia e i caratteri dell’apertura farebbero ri- guardare questa specie come un Zizyphinus (= Calliostoma Swainson), che è anche talvolta strettamente ombellicato. La presenza delle due chiglie limitanti un falso ombellico relativamente largo danno a questa specie un carattere proprio e non lasciano sicuri della sua ap- partenenza sotto-generica. Essa ha pure molti caratteri comuni con i Trochus nel senso ristretto, ma non la piega dentiforme della colu- mella di quest’ultimo gruppo. Pertanto preferiamo lasciarla nel ge- nere Trochus , inteso nel senso lato. Le analogie di questi esemplari col Trochus funiculosus Kittl 1 di 1 E. Kittl, Die Gastropoden der Schichten von St. Cassian der sudai - pinen Trias (Ann. d. k. k. naturh. Hofmuseums zu Wien, VI, 1891 pag. 251). 3 — 84 — S. Cassiano, distinto anche da due chiglie che orlano l’ombellico, sono veramente intime ; però il Kittl non indica per questa specie il ca- rattere delle strie spirali. Il T. funiculosus è stato descritto sopra un unico esemplare ; ma esso, come si rileva dalla figura ha la superfìcie della conchiglia ben conservata, e se le strie avessero i caratteri che hanno sulle nostre forme, nelle quali quelle della base sono così forti che si rilevano anche negli esemplari di cattiva conservazione, dovreb- bero vedersi. Nelle presenti condizioni non si possono dunque identi- ficare gl’individui in esame col T. funiculosus Kittl, perchè ne diffe- riscono per un evidente carattere ornamentale. Se la conoscenza più estesa della specie di S. Cassiano mostrerà che tale conchiglia è for- nita pure di strie spirali sui giri e sulla base, i tipi che comprendiamo sotto il nome di Trochus integro striatus n. sp. andranno senz’altro nella sua sinonimia. Kittl Protonerita ? garganica Di-Stef. (Tav. II, fig. 17, 18). Conchiglia piccola, ovale, con la spira prominente, formata di quattro giri convessi, divisi da suture profonde. Ultimo giro molto grande ri- stretto verso la sutura. Apertura alta, semilunare, ristretta dietro, ar- rotondita avanti. Labbro incrassato all’interno, con orlo esterno acuto. Lato columellare obliquo, lievemente ondulato, ottuso, sprovvisto di denti, fornito di una callosità ombellicale gonfiata, separata dal labbro da una depressione, più elevata oppure gibbosa avanti, declive ma sempre convessa dietro. Questa callosità è più o meno estesa, sicché negli esemplari accresciuti colma del tutto la cavità ombellicale e nei giovani lascia scoperta invece una rima. La superficie dei giri è coperta di strie di accrescimento fine,, serrate, rilevate, che verso la sutura si piegano indietro. Talvolta queste strie si spessiscono, ma non diventano vere costelle. La Protonerita ? garganica è abbondantissima alla Punta delle Pietre Nere, sempre piccola e di tipo costante, sicché io ritengo che non possano riguardarsi tutti i numerosi esemplari conosciuti finora come individui nello stadio giovanile ; per questo credo di poterla nominare e descrivere. Questa specie, pei suoi caratteri esterni, può lasciare in dubbio se appartenga alle Naticidae o alle Neritidae. Essa ha molti rapporti con le specie del gruppo della Natica Mandelslohi Klipst., la cui appar- — 35 — tenenza alle Neritidae non è finora provata, sebbene sia molto proba- bile. Il Koken *, provando che una specie di questo gruppo ( Neritaria similis Koken) appartiene alle Neritidae , crede che il suo nuovo genere Neritaria possa comprendere, almeno in parte, le forme del suddetto gruppo. La specie in esame ha strette analogie con la Neritaria simibs Kok., ma non ne mostra nè le forti costole suturali, nè quel dente all’in- terno del lato columellare, che è il carattere principale del genere Neritaria . Si può dubitare che a un contrassegno così difficilmente osservabile nei fossili sia da dare un valore generico assoluto; ma pertanto, finché non sia più estesamente esaminato questo genere e non sia meglio schiarito il valore di tal carattere, non potremo col- locare gli individui in esame nelle Neritaria , molto più che il riassor- bimento dei giri interni non è finora dimostrato nella nostra specie. Le somiglianze esterne degli esemplari descritti con le Protone- rita 2 Kittl sono veramen:e notevoli ; infatti si rilevano in essi la forma naticoide, la spira elevata, le suture profonde, le strie di ac - crescimento piegate indietro verso la sutura, talvolta spessite quasi come pieghe , il lato columellare sprovvisto di denti, la callosità columellare molto spessa e in certi casi gibbosa avanti, caratteri che si presentano tutti nel nuovo genere del Kittl. Pertanto, sebbene io abbia fatto vari tentativi, non mi è riuscito finora di provare con certezza nella specie della Punta delle Pietre Nere il riassorbimento dei giri, perchè ho avuto risultati poco chiari; per questo manca la certezza che sia una Protonerita. Nondimeno, per le strettissime somiglianze esterne, colloco la specie descritta fra le Protonerita , ma naturalmente con dubbio. Delle ricerche ulteriori potranno definitivamente decidere la questione. I rapporti della Protonerita ì garganica con la Natica angusta Munst. apud Kittl e con la N. transiens Kittl 1 2 3 sono, pei caratteri 1 E. Koken, Deber die Gastropoden der rothen Schlernschichten nebst Bemerkungen iiber Ve'breitung und Herlcunft einigen triasischer Gaìtungen (N. Jahrb. f. Min., ecc., 1892, II, pag. 26). — Wòhrmann und Koken, Die Fauna der Raibler Scìiichtea vont Schlernplateau (Zeitschr. d. deutsch. geol. Ge- sells. XLIV, 1892, pag. 129). 2 E. Kittt, Die triadischen Gastropoden der Marmolata und vervsandter Fundstellen in den weissen Rijfkalken Sudtirols (Jahrb. d. k. k. geolog. R. A., XLIY, 1 Heft, pag. 120 e 127). 3 Idem, Die Gastropoden d,er SchicJiten voi St. Cassian der sudalpinen Trias , II Tn. [(Xnnal. d. k. k. naturh. Hofmuseums, 1892, pag. 39 tav. (X), VII, fig. 37 e 38 {N. angusta ; fig. 39 e 40 (N. transiens )]. — 36 — esterni, molto stretti; ma tutte e due hanno una callosità più estesa e ricoprente del tutto la regione ombelicale, che rimane in parte vi- sibile nella specie descritta, e dippiù la seconda, che sembra una va- rietà della prima, è ornata di forte costelle suturali. Fra le specie che mostrano relazioni con quella della Punta delle Pietre Nere vanno anche citate la N evita guttiformis v. Amm. del Plat- tenkalk 1 e la Natica fastigiata Stopp. di Esino 2 ; la prima è meno ovale-allungata, non ha la spira così prominente e non mostra nessuna stria di accrescimento spessita o quasi pliciforme; la seconda, che è anche probabilmente una Protonerita , se ne distingue solo per la man- canza di strie d’accrescimento pii cifo rmi, pel forte appiattimento canaliforme alla parte inferiore dei giri e per le maggiori dimensioni. La Protonerita ì garganica è piuttosto abbondante nelle lastre di scisto calcare; ma per lo più è deformata. 11 più grande esemplare studiato è alto 6 mm. foii tinte Andreae Promathildia Pellatii Di-Stef. (Tav. II, fig. 10-12). Conchiglia turriculata, appuntita, composta di 8-9 giri separati da suture lineari, ma profonde. Ogni giro è ornato di due chiglie spirali forti, eguali o subeguali, delle quali l’inferiore è posta nel mezzo del giro o un po’ più sotto e la superiore è più avvicinata alla sutura. Le due chiglie rinchiudono uno spazio appiattito, dal quale la superfìcie dei giri scende declive alle suture, e nella parte inferiore assai più ripidamente che nella superiore. Nella porzione superiore (lato basale) corre lungo la sutura una costola arrotondita e sottile; nella inferiore (lato apicale) non c’è sulla sutura una costola, ma l’orlo suturale dei giri è rilevato per effetto delle costole assiali. Le chiglie sono intersecate da numerose costole assiali, forti e leggermente oblique. AH’incrociamento con le chiglie si producono degli spazi subqua- 1 L. v. Ammon, Die Gastropoden des Hauptdolomites und Plattenkalkes der Alpen (Abhandl. d. zool. minerai. Vereines zu Legensburg, 1878, pag. 16, fìg. 15). 2 A. Stoppani, Paleontologie lombarde , I: Les pétrifications d’ Esino, eco. pag. 48, tav. II, fig. 11-16. - 37 - drati o rettangolari e nei punti d’intersezione si originano forti tu- bercoli, talvolta subspinosi. L’ultimo giro porta due chiglie spirali fortemente tubercolose per rincontro con le costole assiali e 4-6 costole secondarie arrotondite, che s’indeboliscono via via che si avvicinano all’estremità anteriore della conchiglia e spesso sono rese subnodulose dalle strie di accre- scimento. La base della conchiglia è convessa. Le strie di accrescimento sono forti e si scorgono sopra le pieghe assiali e negli spazi intermediari. Sulla base della conchiglia, dopo la seconda chiglia, le costole assiali s’indeboliscono e si risolvono nelle strie di accrescimento. Queste sull’ultimo giro hanno la forma di una lettera S capovolta, indicando così chiaramente l’ andamento del labbro. L’apertura è ovale, leggermente obliqua, chiaramente fornita avanti di una doccia stretta e non molto forte. La columella è co- perta di una callosità leggiera, breve e appiattita. 11 labbro è in parte spezzato, ma dalle strie di accrescimento si trae che ha la forma, di quello dei Loxonema. Esso è intaccato dalle costole spirali della base della conchiglia. I caratteri dell’apertura escludono l’appartenenza di questa specie al genere Cerithium. Il labbro somigliante a quello delle Loxonema , la doccia anteriore dell'apertura, la forma turriculata della conchiglia e le chiglie spirali dei giri rammentano bene il genere Mathildia Semper e quel gruppo di così detti Cerithium di S. Cassiano, quali il C. bo- linum Miinst. sp., il C. bisertum Miinst. sp., C. subnodosum Miinst. sp., ecc., la cui intima relazione con le Mathildiae fu sospettata di già per la prima volta dal Koken 1 e ammessa poi in parte dallo stesso 2. Il dott. Andreae 3 ha proposto di dare il nome di Promathildia alle Mathildiae giurassiche, che divide in due gruppi, dei quali il primo comprende le conchiglie turritelliformi con forte doccia anteriore dell’apertura e forti chiglie spirali sui giri (tipo la Matli. binaria Heb. et Deslongch. 4) 1 E. Koken, Ueber die Entwickelung der Gastropoden vomCambrium bis zur Trias (X. Jahrb. f. Min., ecc., VI Beil.-Bd., 183J, pag. 45-5-460). 2 Idem, Ueber die Gastropoden der rotile n Sciilernschichten, ecc., pag. 38. 3 A. Andreae, Die Glossophoren des « Termiti a Chailles » der Pfirt (Abhandl. z. geol. Spezialkirte von Els.-Lothr., IV, 1837, pag. 23). 4 Hébert et Deslongchamps, Mémoire sur les fossiles de Mmt • - Bel/ay (Bull, de la Soc. Linn. de Normandie, pag. 47, pi. VI, fig. 7). — 38 - e il secondo quelle con doccia leggiera e superfìcie dei giri cancellata per rincontro delle chiglie spirali con le pieghe assiali (tipo la Math. Ja- neti Goss. *). Il genere Promathildia fu accettato dal Koken (che potè osservare nella Promathildia biserta l’ iuclijiazione dei giri embrionali sull’asse della conchiglia) e dal v. Ammon per tutte quelle specie del Trias e del Lias di aspetto turritelleforme, con doccia anteriore nell’aper- tura e con chiglie spirali sui giri. Recentemente il Kittl che ha po- tuto provare anche l’inclinazione dei giri embrionali nella Prom. sub- nodosa Miinst. sp.; ha del tutto accettato il genere Promathildia per quel gruppo di specie che sono legate alla Prom. biserta e alla Prom. bolina , come sono quelle descritte nel presente lavoro La specie in esame va aggregata al gruppo delle Promathildiae cancellate. Certa- mente in tre delle quattro specie della Punta delle Pietre Nere non si è ancora provata la eteros trofia dei giri embrionali, perchè le con- chiglie non sono mai integre; ma è da notare che tale contrassegno è diffìcilmente e raramente osservabile nei fossili, e che il resto degli altri caratteri associano strettamente queste specie alle Promathildiae triasiche. Pei suoi ornamenti la Prom. Pellatii ha molti rapporti con la Prom. subcancellata Miinst. sp. (Prom. fenestrata Laube sp.) di S. Cas- siano, ma se ne distingue per le pieghe assiali meno numerose e più larghe, per la mancanza di una costola spirale presso la sutura infe- riore, per le due chiglie principali più forti ed eguali e pei giri meno alti. Di questa specie abbiamo studiati 9 esemplari. Il più grande in- dividuo completo è alto 17 mm. Debbo qui esternare i miei ringraziamenti al prof. Capellini e al dott. Y. Simonelli per la singolare cortesia con la quale mi procura- rono la conoscenza delle Mathildiae figurate dal Cossmann. Promathildia Kittli Di-Stef. (Tav. Il, fig. 13, 14). | Conchiglia conico-turriculata, appuntita a spira molto allungata, 1 M. Cossmann, Contribution h l'étude de la faune de l'étage bathonien en France. Gastropodes (Mém. de la Soc. géol. de France, 31 2 S., t. Ili, 1885, pag. 221, tav. 6, fig. 55 e 56; tav. 14, fig. 18-21). 2 E. Kittl, Die Gastropoden der Schichten von St. Cassian der sudai - pinen Trias , ili, 1894, pag. 215. - 39 - composta di 12-15 giri angolosi, divisi da suturo profonde. Ogni giro porta due chiglie spirali principali, delle quali la più forte è posta leg- germente al di sopra del mezzo del giro, che rende angoloso, e quella più leggiera è avvicinata alla sutura del lato superiore (lato basale). Lungo questa si scorge una costola più sottile delle chiglie, ma chiara. Lungo la sutura del lato inferiore (lato apicale) il giro è leggermente rialzato per effetto delle pieghe assiali, ma su di esso non c’ è una vera costola. Sull’ultimo giro si scorgono tre chiglie principali, fra le quali la inferiore è sempre la più forte ; sulla sua base ci sono una o due lieve costelle spirali che intaccano l’apertura ; però non di raro la base sembra del tutto liscia. Le chiglie sono incrociate da pieghe assiali numerose e forti, più larghe nella ‘parte inferiore del giro (lato apicale) presso la sutura. Nei punti d’incontro con le chiglie si producono numerosi tubercoli, forti e allungati. L’apertura è obliqua, ovale e, sebbene sia sempre spezzata o de- formata, fa rilevare una leggiera doccia anteriore. Il lato columellare è leggermente arcuato e coperto di una callosità piana, leggiera e breve. Le strie di accrescimento hanno la forma di un S rovesciato. Questa specie ha molti rapporti con la Prom. bolina Mlinst. sp. e con la Prom. subnodosa Munst. sp. di S. Cassiano. Dalla prima si di- stingue pei numerosi e forti tubercoli delle chiglie, per le pieghe as- siali, per la spira più allungata e per la mancanza di un ombellico ; dalla seconda, intesa secondo il Kittl, alla quale è vicinissima, dif- ferisce per la presenza di pieghe assiali più larghe e più forti, per la presenza di una chiara costola suturale alla parte superiore del giro (lato basale),* per la mancanza di leggiere strie spirali* e di una costola spirale nella parte inferiore del giro (lato apicale), pei giri più bassi, per le dimensioni maggiori, per la forma più conica e soprattutto per la spira composta di un numero maggiore di giri (12-15) e perciò assai più allungata. Sono anche da rilevare le strette analogie della Prom. Kittli con la Prom. tyrsoecus Kittl (Op. cit., pag. 227) di S. Cassiano. Il Kittl, che paragonò direttamente la specie della Punta delle Pietre Nere con la Prom. tyrsoecus , prima che la figura di questa fosse pubblicata, ha notato che la sua specie ha i tubercoli meno numerosi e più forte- mente sviluppati e che le due chiglie spirali sono spinte assai più presso la sutura superiore dei giri, sicché una identificazione non si può fare. 40 — Il sig. Kittl ha riscontrato anche questa specie tra i fossili del Raibliano dello Schlernplateau (comunicazione letterale del luglio 1894) e per somma cortesia ha proposto d’ intitolarla al mio nome; ma io preferisco di dedicarla a sì valente conoscitore dei gasteropodi tria- sici, come ringraziamento delle gentilezze usatemi e dei validi aiuti prestatimi. La Prom. Kittli è assai abbondante alla Punta delle Pietre Nere; ma è quasi sempre deformata. Il più grande individuo studiato è alto 26 mm. Promathildia subdonodosa Mùnst. sp (Tav. I, fig. 2B, 24). 1841. Fusus subnodosus Mpnster, Beitràge zur Petrefactènkunde : Be- schreibung und Abbildung der ih den Kalk- mergelschichten von St. Cassian gefun- denen Versteinerungen, pag. 124, tav. XIIT, fi g. 51. 1841. Cerithium Alberti Wissmann, ìuMììnster, Ibid., pag. 123, tav.XIII, fig. 45. 1841. TurHtella bìnodosa Munster, Ibid., pag. 120, tav. XHI, fig. 26. 1869. Cerithium bisertum Laube, Die Fauna der Schichten von St. Cas- sian (Denkschr. d. k. Akad. d. Wiss.. XXY) pag. 3, tav. 29, fig. 2). 1869. ■» bolinum Laube, Ibid., pag. 5, tav. 29, fig. 5. 1869. . » brandis Laube, Ibid,, pag. 7, tav. 29, fig. 10. 1894. Promathildia subnodosa Kittl, Die Gastropoden der Schicbten von St. Cassian der sudalpinen Trias : III (An- nalen d. k. k. naturh. Hofmuseums, IX Bd., pag. 224, tav. XVIII, fig. 36-45). Conchiglia turriculuta, cilindracea, composta di giri alti, angolosi, separati da suture profonde. I giri sono ornati di due chiglie princi- pali, delle quali la più forte è posta poco al di sopra della metà del giro, e l’altra, più debole, è avvicinata alla sutura del lato superiore (lato basale). Nella parte inferiore del giro (lato apicale) si scorge presso la sutura, ma non direttamente su di essa, una costola leggiera e chiara. Altre strie spirali non si osservano per causa dello stato di conser- vazione della conchiglia. Le due chiglie spirali portano numerosi e forti tubercoli. Sull’ul- timo giro, oltre le costole spirali descritte, se ne trovano altre tre - 41 - sulla base. Le strie di accrescimento hanno la forma di una lettera S rovesciata. L’apertura è sempre deformata, nondimeno fa vedere alla parte superiore una chiara e forte doccia. Di questa specie conosciamo tre soli esemplari, incompleti. L’e- semplare figurato appartiene alla mia collezione privata. Gl’individui studiati corrispondono alla forma tipica della Prom. subnodosa. Il sig. E. Kittl, che è stato anche così gentile di paragonare gli esem- plari della Punta delle Pietre Nere con quelli di S. Cassiano, ne ha potuto constatare l’identità. La differenza della Prom. subnodosa con la prossima Prom. Kittli sono state rilevate nella descrizione di quest’ultima specie. Promathildia Ammoni v. Wohrm. (Tav. II, fig. 15, 16). 1893. Turritella ( Promathildia ) bolina v. Ammon, Gastropoden aus Raibler Schichten der Bayerischen Al- pen (Geognostische Jahreshefte, 5 Jahrg., pag. 203, fìg. 34, 36). 1894. Promathildia ( Turritella ) Ammoni v. WòHRMANisr, Die Raibler Schichten nebst kritischen Zusammenstel- lung ihrer Panna (Jahrb. d. k. k. geol. R. A., XLIII, pag. 676, n. 233). Conchiglia turriculata, composta di 10-12 giri separati da suture profonde, ornati di costole spirali, delle quali due mediane formano delle forti chiglie. La inferiore di esse sta nel mezzo del giro ; la su- periore, che le è eguale o appena più debole, è più avvicinata alla sutura. Una leggiera costola spirale corre lungo la sutura della parte superiore dei giri (lato basale) ; essa è sempre ben visibile negli ultimi giri ; un’altra si osserva sulla sutura della parte inferiore (lato apicale). Le due chiglie rinchiudono uno spazio appiattito, dal quale la super- fìcie dei giri scende rapidamente alle suture. L’ultimo giro porta tre chiglie, delle quali la inferiore è la più forte. Le strie di accrescimento sono leggermente piegate come una lettera S rovesciata, oblique, forti e rilevate; le due chiglie, che ne sono intaccate, diventano subgranulose. Però quest’ultimo carattere è eccezionalmente osservabile su qualche individuo a superficie ben con- servata. — 42 — L’apertura è ovale e mostra avanti una doccia leggiera. H lato columellare è leggermente calloso; il labbro tagliente. Questa specie fa dal v. Ammon aggregata alla Prom. bolina Munst.' sp., con la quale ba intime analogie generiche e specifiche. Il v. Wohrmann recentemente ne l’ha separata col nome di Prom. Ammoni , perchè il paragone di questa specie con gli esemplari origi- nali della Prom. bolina gliene hanno fatto rilevare le differenze. La illustrazione della specie del Munster fatta dal Kittl e le ottime figure date permettono di differire bene queste due specie vicinissime. La Prom. Ammoni non mostra ombellico, ha i giri più arrotonditi, le due chiglie submediane e eguali e due costole secondarie, una sopra e l’altra sotto le suture. I nostri esemplari, rispetto alle forme figurate dal v. Ammon, hanno qualche giro dippiù e talora raggiungono dimen- sioni maggiori. La Prom. Kittli Di-Stef. ha rapporti con questa specie; ma se ne distingue essenzialmente pei giri più angolosi, per la spiccata inegua- glianza delle due chiglie, per le pieghe assiali e i chiari tubercoli di queste. Il Kittl 1 2 ha descritto una Prom. Antonii di S. Cassiano pros- sima pure alla specie in esame e dalla quale si distingue per la forma più cilindrica, pei giri più angolosi, per le due chiglie non submediane e molto ineguali e un maggior numero di costelle spirali. La forma più cilindrica, le due chiglie non submediane e ineguali, le molte strie spirali distinguono anche la Prom. stuorensis Kittl ( Die Gastropoden der Schichten von S. Cassian, ecc ., Ili, pag. 218, tav. IX, fìg. 10) dalla specie della Punta delle Pietre Nere. La Prom bolina Munst. sp., la Prom. Antonii Kittl, la Prom. Ammoni v. Wohrm. e la Prom. stuorensis Kittl si possono considerare come progenitrici di quelle specie retiche e basiche che si raggrup- pano intorno alla Tur vitella Dunkeri Terq. 2 = Melania turritella Dunk. 3 e sono verosimilmente delle Promathildia , quali Turr. Stoppani Winkl. e Turr. Alpis sordidae Winkl., Tun\ bicarinata Cap. nec Eichw., 1 E. Kittl, Die triadischen Gastropoden der Marmolata , ecc., pag. 175, tav. VI, fìg. 24. 2 0. Terquem, Paleontologie de V étage inférieur de la formation liasique de la province de Luxembourg , ecc. (Mém. de la Soc. géol. de Franco, 2 S., t. 5, 1854, pag. 252, tav. XIV, fìg. 5). 3 W. Dunker, Ueber die in 'dem Lias bei Halberstadt vorhommenden Ver- si, ine ungen (Palaeontograpliica, 1, 1851; pag. 103, tav. XIII, fìg. 57). — 43 — Turr. Semele d’Orb. sp., Turr. Terquemi Pietfce sp., Turr. circinnula v. Ammon, Turr. Gumbeli v. Ammon, ecc. Molte di queste specie sono vicinissime alla Prom. Ammoni raccolta alla Punta delle Pietre Nere e se ne differiscono per caratteri in generale leggieri, ma validi ; così la Turr. Bunkeri Terq., nelle sue forme tipiche e nelle varietà paucicostate, se ne distingue pei giri o convessi regolarmente o quasi appianati, per le chiglie non così forti e mediane, nè quasi eguali, oltre che per le maggiori dimensioni; la Turr. Stoppami Winkl. del Retico 1 per la intercalazione di una costola secondaria fra le due chiglie degli ultimi giri; la Turr. bicarinata Cap. 2 nec Eichw. degli strati con Av. contorta del golfo della Spezia per la mancanza di co- stole suturali, per la posizione meno mediana delle chiglie e per le maggiori dimensioni; la Turr. Semele d’Orb. sp. 3 4 pel carattere delle chiglie non così spinte in alto, per la mancanza di costole suturali e per le pieghe assiali strette ma molto elevate ; la Turr . Terquemi Piette sp. b una specie del resto dubbia e variamente interpetrata, per le chiglie più avvicinate alla sutura e per le costole assiali; la Turr. Gumbeli v. Ammon 5 pei giri arrotonditi, le chiglie meno forti e un mag- gior numero di costolette spirali nella porzione superiore dei giri, ecc. La specie descritta non è frequente alla Punta delle Pietre Nere e si mostra per lo più fortemente deformata, sicché son gli esem- plari determinabili con sicurezza. Essa è sempre di piccole dimensioni; 1’ individuo più piccolo osservato misura 3 mm. di lunghezza ; il più grande 10 mm. Natici I (Adanson) Lamarck Natica sp. (Tav. H, fi g. 19, 20). Conchiglia globulosa, a spira corta e appuntita, composta di cinque giri convessi, un po’ appiattiti presso le suture, le quali sono profonde. 1 G. G. Wjnkler, Ber Oberkcper, ecc., pag. 466, tav. V, fìg. 8. 2 G. Capellini, Fossili infraliassici del golfo della Spezia , 1864, pag. 39, tav. II, fig. 13-14. 5 J. Martin, Paleontologie stratigraphique de V fnfr alias du département de la Cote-d'or (Mém. de la Soc. géol. de Frauce, 2e S., t. VII, 1863; png. 75, tav. II, fig. 8-10). 4 E. Piette, Notice sur les gres dì Aiglemont et de Rimogne (Ball, de la Soc. géol. de France, 2e S., t. 3, 1856, pag. 201, tav. X, fig. 7). 8 L. v. Ammon, Die Gastropoden des Hauptdolomites, ecc., pag. 59, fìg. 12. — 44 — Ultimo giro molto grande, ventricoso, appiattito sotto. Apertura grande, semilunare, un po’ protratta avanti, ristretta dietro ; labbr » tagliente, lato columellare coperto di una callosità più o meno estesa, che sul- l’ombellico resta libero. Fessura ombellicale più o meno evidente limi- tata da un angolo ottuso; nei grandi esemplari si scorge uno pseudo- funicolo molto leggiero che sale fino alla parte anteriore del lato columellare. Strie di accrescimento forti. Il carattere quasi neritoide della sua callosità e lo pseudofunicolo della parte anteriore deH’ombellico (non visibile sulla figura) ram- mentano alcuni haticopsis a spira elevata e ad ombellico evidente; ma lo. stato di conservazione di questa conchiglia non permette di dare un giudizio sicuro. Pertanto la mantengo nel genere Natica , inteso nel senso lato, col quale, del resto, ha le più intime analogie. È una specie molto abbondante, ma sempre deformata o incom- pleta. Il più piccolo esemplare . è alto 5 mm., il più grande 16 mm. Natica Squinaboli Di-Stef. 1 (Tav. II, fi g. 21-28). Specie piccola o di discrete dimensioni, ovato-conico, a spira ap- puntita e prominente, composta di cinque o sei giri convessi, rapida- mente crescenti e divisi da suture canaliculate. Ultimo giro molto grande, più o meno ventricoso. Apertura ovale, estesa e spessita avanti, ristretta dietro. Negl’ individui ben conservati si osserva che l’orlo anteriore del! apertura è rilevato dalla parte interna, il che deve esser dovuto all’ispessimento del peristoma per la sovrapposizione di strati successivi. Il labbro è tagliente, il lato columellare coperto di una callosità appianata, poco spesso, più o meno estesa, che sull’ om- bellico non si suol saldare, restando libera e sporgente. E una specie discretamente abbondante, ma quasi sempre defor- mata. In alcuni esemplari l’ultimo giro è più esteso ed abbracciante in modo che si genera una varietà piu ventricosa e a spira più corta (Tav. II, fìg. 22). 1 Fra le molte Natiche indeterminabili dello scisto calcare della Punta delle Pietre Nere si nota una specie prossima a quella descritta sopra, ma con i giri scalinati e le suture fortemente canaliculate, che potrebbe essere la Natica ( Amauropsis ) Sanctae Crucis Laube degli strati di Ileiligenkreuz ; ma purtroppo è cosi deformati da non permettere nessun giudizio sicuro. - 45 — L’aspetto della conchiglia e la forma delle strie di accrescimento accennano agli Amauropsis , però i suoi giri non sono scalinati, lo pseudombellico, benché a forma di solco, è più grande che non soglia mostrarsi in tale gruppo sottogenerico e l’apertura non è semilunare. Non sono da disconoscere per la forma le somiglianze di questa specie con la Pseudomelania Munsteri Wissm. sp., specialmente per la forma del solco ombellicale. Il Kittl ha proposto {Die Gastropoden der Schi- chten von St. Cassian) l’allargamento del concetto di Pseudomelania in modo da comprendere anche delle forme perforate ; ma il carattere dell’ultimo giro, ventricoso e assai sviluppato, e la corta spira non possono far ritenere la nostra specie come una Pseudomelania , neanco nel senso del Kittl. Lo Stoppani figura una Natica longiuscula 1 della Dolomia princi- pale che ha assai rapporti con la nostra specie, però è più ventricosa, ha la spira più ottusa e manca di fessura ombellicale, o almeno l’au- tore non ne indica. Il più piccolo dei molti esemplari studiati è alto 4 min., il più grande 10 mm. Mj w OC O il ('MI n Phillips Loxonema hybrida Mùnst. sp. (Tav. II, fìg. 3-7;. 1841. Turritella hybrida Munster, Beitràge zar Petrefactenkunde : Besch- reibung und Abbildung der in den Kalkmer- gelschichten von St. Cassian gefundenen Ver- steinerungen, pagina 121, tav. XIII, fìg. 82 e 37. 1845. Cerithium Mayeri Klipstein, Beitràge zur geologischen Kenntniss der Oestlichen Alpen, pag. 182, tav. XI, fìg. 36. 1884. » » Quenstedt, Petrefaktenkunde Deutschlands : Ga- stropoden, pag. 511, tav. 205, fìg. 9. 1889. Loxonema hybrida Koken, Ueber die Entwickelung der Gastropoden vom Cambrium bis zur Trias (N. Jahrb. f. Min., ecc., Beil.-Bd. VI, pag. 442, fìg. 15, pag. 444, fig. 17). 1 A. Stoppani, Paleontologie lombarde , III : Fossiles du Trias supérieur ou de la dolomie; pag. 254, tav. 59, fìg. 1. - 46 - 1892. Zygopleur a avete co stata v. Wòhrmann uni Koken, Die Fauna der Rai- blerschicbten vom Schlernplateau (Zeitschr. d. deutsch. geol. Gesells., XLIV, pag. 204, tav. XYI, fìg. 3). 1894. Loxonema arctecostata Kittl, Die Gastropoden der Schichten von St. Cassian der sudalpinen Trias, III (Ann d. k. k. naturb.. Hofmuseums, IX, pag. 166, tav. XIII, fìg. 6-8). Conchiglia conico- turriculata, appuntita, composta di giri nume- rosi e discretamente convessi, divisi da suture profonde, ornati di 8-12 costole assiali rilevate, oblique, separate da spazi più larghi della loro grossezza, nei primi giri subdiritte o arcuate verso avanti, nei due ultimi arcuale a forma di una lettera S rovesciata. Questo carat- tere ha un vario grado d’intensità. Il numero delle costole è maggiore negli ultimi giri. I giri apicali sono lisci. Le strie di accrescimento hanno la stessa forma delle costole L’apertura è ovale e fornita anteriormente di una chiara doccia. Il lato columellare è leggermente ritorto e coperto di una callosità leggiera, appianata e stretta. II labbro è leggermente flessuoso, a forma di una lettera S rovesciata. La conchiglia è variabile di forma, presentandosi ora conica, ora turriculata e allungata. Il numero delle costole varia solitamente tra 10 e 12. Gl’individui della Punta delle Pietre Nere corrispondono bene agli esemplari della Lox. hybrida di S. Cassiano donatimi dal sig. Kittl, però mostrano i giri un po’ più convessi e le suture più im- presse. Il Koken ha chiamato Zygopleura le Loxonema fornite di costole assiali; questa nuova denominazione potrà ritenersi per indicare solo una sezione, perchè le forme del gruppo della Loxonema hybrida Miinst. sp. ( Zygopleura Koken l), sono, come bene ha recentemente notato il Kittl, così legate ai veri Loxonema paleozoici, pei caratteri della forma generale, per quella dei giri, del labbro e delle strie di accrescimento, nonché per la presenza di una doccia, da non potersene staccare come genere o sottogenere. 1 E. Koken, Ueber die Gastropoden der rothen Schler/ischichten, ecc., pag. 203. v. Wòhrmann und Koken, Die Fauna der Raibler Schicliten , eco., pag. 144. — 47 La Loxonema hybrida è una specie abbondante alla Punta delle Pietre Nere e si presenta in tutti gli stadj di accrescimento. Gli esemplari giovani hanno poche costole. Il più piccolo indi- viduo osservato è alto 4 mm., il più grande 17 mm. Questa specie proviene dal piano di S. Cassiano; il Koken ha indicato una Zygopleura arctecostata nel Raibliano dello Schlernplateau, la quale è, secondo il Kittl, la Lox. hybrida. Il Dittmar la cita nel Retico alpino col nome di Turritella Keuperina Dittm. ; ma questa determinazione finora non è stata controllata. Loxenema arctecostata Miinst. sp. (Tav. II, fig. 8). 1841. Turritella arctecostata Munster, Beitràge zur Petrefactenkunde: Be- schreibung und Abbildung der in den Kalkmer- gelschichten von Sfc. Cassian gefundenen Ver- steinerungen, pag. 121, tav. XIII, fig. 35. 1843. Melania rugosocostata Klipstein, Beitràge zur geologischen Kenntniss der Oestlicben Alpen, pag. 191, tav. XII, fig. 81. 1868. Loxonema arctecostata Laube, Die Fauna der fe’chicbten von St. Cas- sian, III (Denkschr. d. k. Akad. d. Wiss., XXVIII, pag. 65, tav. XXIV, fig. 19). subornata Laube, Ibid., pag. 86, tav. XXIV, fig. 18. arctecostata Kittl, Die triadischen Gastropoden der Marmo- lata und verwandten Fundstellen in den weissen Riffkalken Siidtirols (Jabrb. d. k. k. geo! R. A., XLIV, pag. 151, tav. V, fig. 5). » Kittl, DÌ9 Gastropoden der Scbichten von St. Cassian der siidalpinen Trias, III (Ann. d. k. k. naturb. Hofmuseums, IX, pag. 148, tav. XIII. fig. 9-14). Conchiglia turriculata, appuntita, composta di molti giri poco con- vessi, talora subappianati, separati da suture bene impresse, ornati di 14-20 costole fine, chiare, avvicinate fra di loro, oblique, lievemente flessuose sull’ultimo giro. Apertura ovale, provvista di una chiara doccia anteriore; labbro lievemente flessuoso a forma di una lettera *S rovesciata, come nella Lox. hybrida. Questa specie è rappresentata da un numero ristretto di esemplari; essa mostra i giri per lo più lievemente convessi, ma talora li ha quasi piani. Gli esemplari a giri convessi (var. arcuata Kittl) sono re- lativamente più numerosi, ma deformati; quelli a giri piani (var. ap- 1868. 1894. 1894. — 48 - planata Kittl), come è la forma figurata, che appartiene alla mia col- lezione privata, sono meglio conservati. I piccoli esemplari non sono distinguibili da quelli della Lox. tennis Munst. sp. Il più grande indi- viduo completo è alto 12 mm. M9s enti etnie ia Pictet et Campiche Pseudomelania adriatica Di-Stef. (Tav. II, fìg. 9). Specie conica, appuntita, imperforata, liscia, composta di 9 giri stretti, convessi, separati da suture profonde. Ultimo giro alto quanto metà dell’altezza della conchiglia. A pertura ovale-allungata, un po’ ar- rotondala avanti, leggermente ristretta dietro; labbro arcuato; lato columellare lievemente arcuato e coperto di una callosità leggiera e breve. Non ostante che la forma generale dell’apertura e l’aspetto della conchiglia richiamino le Pseudomelanìae piccole, colloco nondimeno con qualche dubbio la specie descritta in questo genere, perchè la con- servazione dell’apertura non è soddisfacente, le strie di accrescimento non si osservano e il carattere dei giri assai convessi e separati da suture profonde accennano anche alle Loxonema. Non sono anche da discono- scere i rapporti con le Coelostylina; ma, essendo le strie di accresci- mento sconosciute e l’apertura sciupata non è da parlare di un’as- sociazione con quel genere, molto più che i giri embrionali non sono scalinati. La specie più vicina alla Pseudomelania adriatica è la Rissoa alpina Kok. = R. tirolensis Kok. del Raibliano dello Schlernplateau 1 ; ma quella della Punta delle Pietre Nere ha i giri assai più bassi, le su- ture più profonde e l’aspetto più svelto, sicché non si possono identi- ficare. Il Koken ha riguardato la sua specie provvisoriamente e in modo convenzionale 2 come Rissoa ; ma pei nostri esemplari non è da tentare tale associazione generica. Il più grande dei 7 esemplari studiati è alto 12 mm. 1 v. Wohrmann und Koken, Die Fauna der Raibler Schichten , ecc., pa- gina 207, tav. XIII, fìg. 5. 2 E. Koken, XJeber die Gastropoden der rothen Schlernschichten, pag. 33. — 49 — Acifteonina d’Orbigny Actaeonina (Cylindrobullina) lesinensis Di-Stef. (Tav. II, fìg. 24-26) Specie piccola, conico-turriculata, composta di 6-7 giri a gradini alti, quasi piani, che alla parte inferiore, presso la sutura, si piegano ad angolo retto. L'ultimo giro è ventricoso, leggermente concavo nella parte inferiore, di altezza variabile, perchè, pur essendo in generale eguale alla metà dell’intiera lunghezza della conchiglia, lo è in vari casi leggermente di più e in una varietà assai meno. Ogni giro mostra alla parte inferiore un solco profondo e chiaro, che separa un listello elevato posto lungo l’angolo del giro. L’apertura è allungata, arrotondita avanti, ristretta dietro; il labbro è acuto e leggermente ondulato alla parte inferiore. La colu- mella è apparente solo nella parte anteriore del giro in forma di piega assai leggiera. La superficie dei giri è coperta di strie di accrescimento a forma di eleganti pieghe elevate, flessuose, ben distinte, fortemente arcuate verso dietro nella parte inferiore dei giri. Questo carattere dà il miglior contrassegno distintivo della conchiglia; però esso è osservabile solo nello stato di buona conservazione. Questa specie, assai abbondante, è molto variabile. Dalla forma tipica, con l’ultimo giro alto quanto la metà dell’intiera altezza della conchiglia, si passa a varietà a spira molto corta o ad altre cilindro- coniche, con l’ultimo giro corto e la spira molto allungata. L’ Actaeonina lesinensis ha strette analogie con un gruppo di specie triasiche e basiche, differibili tra di esse per poco. A nessuno può sfuggire T intima analogia della nostra specie con YAct. scalaris Munst. di S. Cassiano, specialmente con le sue forme allungate (Act. subscalaris Laube) ; però V Act. lesinensis ha i giri assai più alti, è ornata di pieghe assiali flessuose e mostra un solco spirale profondo e chiaro, limitante il listello che corre lungo l’angolo dei giri. Questo solco e le eleganti pieghe mancano invece nella specie del Mùnster e nella varietà del Laube. L 'Act. elongata Moore 1 della Dolomia principale e del Retico lo è pure vicinissima ; ma la specie del Moore ha l’ultimo giro sempre assai più alto, gli altri giri più bassi, la spira più corta e manca delle eleganti 1 Ch. Moore, Op. cit., pag. 509, tav. 16, fìg. 20. 4 - 50 — pieghe assiali. Molto somiglianti allAc^. lesinensis sono VAct. Buvignieri Terq. e VA et. avena Terq. dell’Ettangiano 1 ; la prima, die ha del tutto la forma della specie della Punta delle Pietre Nere, se ne distingue per la presenza di molte strie spirali, per la mancanza di pieghe assiali e per le maggiori dimensioni; la seconda per la maggiore altezza dell’ultimo giro, per l’assenza di pieghe assiali e per le maggiori di- mensioni. Vanno anche notati i rapporti di questa specie con VAct. scalaris Dum. 2 3 nec Mùnster dell’ Infralias del bacino del Rodano, la quale se ne separa per la mancanza delle pieghe assiali notate, per la spira più corta, pei giri più bassi, nonché per le dimensioni maggiori. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE (Tav. I). Fig. 1-9. Avicula Gea d’Orb. Fig. 5, Interno della valva destra. Fig. 6, Id. della valva sinistra. » 10-19. Myophoria vestita v. Alb. Fig. 17, Ingrandimento degli ornamenti della lunula di un esemplare a costole dicotome. Fig. 18, In- terno della valva destra. Fig. 19, Id. della sinistra. » 20-22. Cardium cfr. rhaeticum Mér. » 23,24. Promathildia subnodosa Mùnst. sp. Fig. 24, Ingrandimento del doppio dell’esemplare della Fig. 23. \ (Tav. II). Fig. 1, 2. Trochus integrostriatus Di-Stef. Fig. 2, Esemplare con apertura de- formata. » 3-7. Looconema iiybrida Miinst. sp. Fig. 3, Ingrandimento dell’ultimo giro dell’esemplare della Fig. 7. 1 0. Terquem, Op. cit. pag. 260, tav. XV, fig. 8 (0. avena), pag. 257, tav. XV, fig. 1 (T. Buvignieri). 2 E. Dumortier, Etudes paléontologiques sur les dépots jurassiques du bassin du Rhone: I, Infralias , 1864, pag. 126, tav. XX, fig. 12. 3 Gli esemplari fìgarati appartengono quasi tutti alle collezioni del E. Uf- ficio geologico, salvo rari casi, che sono indicati nel testo. Boll, dei R. Comit. geol. d’ Italia Anno 1895. Tav* I (G. Di-Stefano) V. COZZODINO DIS. ROMA FOTOTIPIA DANESI. Boll, del R. Comit. geol. d* Italia Anno 1895. Tav. II (G. Di- Stefano) r. COZZOLINO DIS. ROMA FOTOTIPIA DANESI. — 51 — Fi g. 8. » 9. » 10-12. » 18,14. » 15, 16. » 17, 18. » 19, 20. » 21-28. » 24-23. » 27, 28. » 29. Loxonema arctecostata Miinst. sp. Pseudomelania adriatica Di-Stef. Promctthi! dia Pellatii Di-Stef. PromatMldia Kìttli Di-Stef. PromatMldia Ammoni v. Wòbrm. Protonerita f garganica Di-Stef. Natica sp. ind. Natica Squinaboli Di-Stef. Actaeonina ( Cylindrobullina ) lesinasis Di-Stef. Fig. 24 e 25, Indi- vidui a superficie sciupata. Leda percaudata Gumb. Cardium cfr. rhaeticum Mér. IL E. Mattinolo. — Note geologiche sulle Alpi Lombarde , da Colico al Passo dello Spinga . Nell’adunanza del R. Comitato geologico tenutasi l’undici maggio 1892 *, veniva approvata all’unanimità la proposta del prof Taramelli che, in vista della interruzione dei rilevamenti geologici iniziati l’anno precedente nelle Alpi Centrali dall’ing. Cortese, s’ intraprendessero studi ed osservazioni speciali intorno ad alcuni problemi di litologia e tettonica la cui soluzione dovesse poi servire di base ad un lavoro definitivo di rilevamento In seguito a questa deliberazione il signor Ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, sul finire dell’agosto stesso anno m’incaricava di compiere coll’ing. Stella alcune gite di ricognizione nelle Alpi Cen- trali ; e, previo accordo col prof. Taramelli, che ci invitava specialmente a fare un confronto fra le formazioni ch’avremmo incontrate e quelle delle Alpi Occidentali, ed a vedere se fossero per esse opportune le divisioni dei terreni per queste adottate dal R. Ufficio geologico, ab- biamo incominciate le osservazioni percorrendo la bassa valle del Mera 1 Boll. Com. geol. (Atti ufficiali. Verbale dell’adunanza 11 maggio 1892). - 52 — e quella del Liro, da Colico cioè sul lago di Como al Passo o dogo dello Spluga. Pur troppo però per strettezza di tempo e condizione di cose, la ricognizione si limitò allora a quella sola gita ed anzi, non sempre favoriti da tempo propizio, non vi potemmo consacrare che sei giorni in principio del settembre: altri tre vi impiegai poi nel no- vembre. La regione percorsa, in parte era già stata riconosciuta dal profes- sore Taramelli coll’ing. Zaccagna, e più tardi dall’ing. Cortese, ed è compresa nelle carte geologiche di B. Studer ed A Escher f, del Curioni *, del Bolle 1 2 3 4, del Taramelli b Va notato però che fra i vari autori sono considerevoli diver- genze nella determinazione dei terreni, nel riferimento di essi piut- tosto ad una che ad un’altra epoca geologica, nel modo di raggrupparli e di delimitarli sulla carta. Allo scopo pertanto di ottemperare ora ad un invito del signor Ispettore-capo, riassumo qui, ricavandole dalle note di viaggio e fidando nella memoria, le principali osservazioni fatte riflettenti la geologia, senza cercare di trarre da esse conseguenze tettoniche generali, ciò che per certo non s’addice a chi ha potuto appena prendere conoscenza parziale e direi quasi superficiale della regione. Esporrò le dette osservazioni nell’ordine con cui si presentarono rimontando, quasi sempre sul fondo e sulla sinistra, le valli del Mera e del Liro, dalla pianura deila foce dell’ Adda al Giogo dello Spluga, accennando anche ad alcune ricerche di laboratorio che vi si riferiscono ; e darò a questo scritto, mantenuto nei limiti modesti di una relazione, la forma di itinerario da seguirsi sulla carta topografica alla scala di 1/50000 del R. Istituto geografico , militare, della quale ci siamo valsi 5 6 e di cui conservo la nomenclatura. 1 B. Studer et A. Escher von der Linth, Carte géologique de la Suisse à Véchelle de 1: 38 000. Winterthur, 1866. 2 G. Curioni, Carta geologica delle provincie lombarde alla scala di 1:172 000. Milano, 1876. 3 E. Rolle, Carte géologique de la Suisse relev é e et coloriée sous la di- rection de la Société Helvètique des Sciences naturelles h V echelle de 1 :100 000. Foglio XIX. 4 T. Taramelli, Carta geologica della Lombardia ad 1 : 250 000, con an- nesso volumetto di spiegazione. Milano, 1890. 6 Carte topografiche dell’Istituto geografico militare alla scala di 1:53 000 - 53 - Sul nostro cammino rilevammo minutamente per quanto ci fu possibile la geologia della regione percorsa, raccogliemmo non pochi esemplari di roccie, allo studio microscopico dei quali attese più par- ticolarmente l’ing. Stella ed eseguimmo anche qualche fotografìa. Per tal modo ho fiducia che sia le osservazioni fatte, per quanto necessariamente limitate ed incomplete, sia il materiale riunito, po- tranno venire utilizzati pel definitivo rilevamento particolareggiato della regione, da chi ne sia per essere in seguito incaricato. I. — Da Colico a Chiavenna. Come accenna il Polle * 1 gli indizi dell’azione glaciale incon- transi quasi ovunque nella regione da lui rilevata compresa nel fo- glio XIX della Carta svizzera. Nel tratto da noi percorso ebbimo a constatarli dalle rupi, che, come quelle di Puentes, spuntano arrotondate dall’alluvione sabbiosa o tor- bosa dell’ Adda presso Colico, fino al Giogo dello Spluga ; e non è dubbio che importante fattore della attuale orografìa fu anche qui, come ge- neralmente nelle valli alpine, l’azione glaciale, manifestatasi in uno o più periodi. In origine, ossia dopo l’ultima grande manifestazione glaciale, cui esso è precipuamente dovuto, il bacino del lago di Como si estendeva assai più, occupando nella bassa valle del Mera, oltre l’attuale laghetto di Mezzola, il così detto Piano di Chiavenna, che vuoisi formato in epoca relativamente recente per depositi alluvionali, ed è verosimile la leggenda che fa provenire il nome del paese Samolaco, da Sum- mum lacus 2. (Tavolette) : Passo di Spluga, Chiavenna, Menaggio , Ardenno- Val Masino e Morhegno. 1 P. Polle, Erlduterungen und Profile zur geologischen Karte der Umge- bnngen von Bellinzona im Kanton Tessin und von Chiavenna in Italien (Bei- tràge zur geologischen Karte der Schweiz; Lieferung 23). Bern, 1881. 2 Da molti non si ammette oggidì che l’escavazione per opera dei ghiacciai abbia avuto parte principale nella formazione dei grandi bacini lacustri alpini, quali il lago di Como. Sebbene niuna traccia attesti dell’ invasione del mare in epoca relativa- mente recente, taluni attribuiscono codesti bacini a seni, a bracci di mare, a fjords chiusi per sbarramento: e chi, ammettendo questi fjords, ne volesse spie- gare l’origine, sarebbe forse costretto di ricorrere a sua volta all’azione dei - 54 — Il lago di Mezzola il cui pelo d’acqua è attualmente elevato d’un solo metro circa su quello di Como, fu separato da questo dalle allu- vioni dell’ Adda, la quale non ancora sistemata coll’attuale rettifilo, sboccando dalla Valtellina quasi ad angolo retto sulla Val di Mera, serpeggiava per la pianura alluvionale che da essa era stata man mano formata. Questo piccolo lago di Mezzola va sempre più interrandosi per il materiale che costantemente vi trascinano il Mera, il Codera ed altri torrentelli. Il largo antico letto dell’ Adda, è ora in parte occupato da fina sabbia che, ammucchiata dal vento, si dispone a monticoli ossia a dune, a volte di alcune metri di altezza. Sulla pendice imboschita del Monte di San Giuliano, la cui costa scende sul piano dell’ Adda formando lo sperone che al loro sbocco divide le valli del Mera e la Valtellina, spicca biancheggiando di contro ai casolari di Vedescia presso la stazione di Dubino un alto detrito franoso che scende in forma conoide. Questo detrito è formato di frammenti di calcare per lo più gri- giastro, avente la fisionomia più frequente del calcare dolomitico e della dolomia triasica inferiore nelle Alpi Occidentali. Si vede il cal- care in posto in alto della frana di dove lo si fa artificialmente cadere, onde usarlo nelle fornaci poste ai piedi della falda franosa verso Sud, per la produzione di calce di buona qualità. * Il calcare in stretta zona, si dirige verso Est parallelamente alla Valtellina. È qui evidentissimo il ripiegamento indicato dal Theo- ghiacciai. Altri li attribuisce a grandi fratture apertesi in regioni dove tutto di- nota die le formazioni furono sottoposte e forse lo sono tuttora, ad azioni di co- stipamento. Altri ancora osservando come talvolta non corra esatta corrispon- denza di formazioni sulle due sponde del lago relativamente distanti, il che in luoghi di complicata tettonica, può essere affatto accidentale, ed osservando inoltre come vi si verifichino in taluni punti lenti e continui movimenti della superfìcie del suolo, avveratisi forse ed assai più intensi, nell’epoca in cui si formarono i laghi, ne attribuirebbero i bacini ad abbassamenti, od a faglie. Questi movimenti poterono e possono, secondo la loro direzione, menomare o rendere più spiccata l’importanza del bacino lacustre sollevandolo od abbas- sandolo lentamente tutto od in parte, ma ciò non toglie a mio avviso, che im- portante fattore della sua formazione sia stata l’opera dei ghiacciai. Su questo argomento già tanto discusso, mi auguro di potere ritornare in altra occa- sione. — 55 - bàld 11 che già, come altri, riferiva al Trias detta roccia. Il Eolie 2 lo figura schematicamente in alcune sezioni che passano per località vicine e noi, sebbene rapidamente, abbiamo voluto osservare nei par- ticolari questo interessante punto della regione. Dalle fornaci andando verso l’Adda alla punta dello sperone di San Giuliano, si hanno dapprima scisti vari argilloso-filladici scuri di colore traente talora al verdastro, carboniosi ed anche ferruginosi, con agglomeramenti di materiale poco coerente, limonitico, d’ altera- zione. Al microscopio la massa di essi è microcristallina, quarzo-feldspa- tica confusa, cosparsa di sostanza carboniosa, ed in essa sono grani irregolari di quarzo specialmente, di feldspato e di carbonati romboe- drici, lacinie sericitiche ed anche laminette di mica bianca. Subordina- tamente si hanno microliti di rutilo e di un minerale che pare pe- ro wschite, disposti in sciami: raramente di tormalina e zircone. I tipi di questi scisti come fu detto sono vari ; ve n’ hanno di più o meno afanitici e di quelli cosparsi di laminette di mica argen- tina ed a struttura simile alla ocehiadina, che non riesce facile a primo aspetto di distinguere da certe roccie gneissico-micascistose della regione. Da questi scisti si passa a scisti anagenitici di colore grigio chiaro argentino, talora leggermente verdicci od anche vinati, o variegati e non di rado, ma soltanto per plaghe limitate, grigi-grafìtoidi. Al- quanto untuosi al tatto, di fisionomia talcoide, sono in essi in quantità assai varia, noccioli di quarzo, j alino, biancastro ed anche roseo so- venti in forma di mandorle allungate, talora microscopici, e tal altra raggiungenti nel maggior diametro parecchi centimetri. In alcuni punti questi noduli quarzosi abbondano così da impartire quasi un aspetto puddingoide alla roccia: in altri questa è simile ad una arenaria a struttura piuttosto fine e si divide facilmente in lastre a superfìcie increspata: in altri ancora, mancando o quasi i noccioli, è scagliosa di tipo fìlladico, predominando il materiale sericitico quar- zoso microcristallino che forma cemento ai noduli. Sono nella roccia quali elementi accessori più o meno costanti e diffusi, variamente distribuiti e sviluppati a seconda delle varietà di 1 G. Theobald, Geologis:he Beschreibung von Graubunden (Beitràge zur geologischen Karte der Schweiz; Lieferung 8). Bern, 1866. 2 F. Bolle, Op. cit. — 56 — essa, l’oligisto con grafìtoide ed altri minerali scuri, la muscovite, la tormalina, la siderite, il rutilo, lo zircone ed in modo affatto acciden- tale, pirite e calcite. Non di rado anche macroscopicamente, notansi aciculi di torma- lina nera, che in talune varietà grigie o violacee è abbondantemente disseminata in microliti, a segno da renderne scura la tinta. Conviene ricordare ancora la disposizione radiale degli elementi autigeni, quali sericite ed oligisto, che soventi si osserva al micro- scopio attorno ai noccioli di quarzo allotigeno per lo più a contorni sfrangiati. Questi scisti ricordano tipi ascritti al Permiano nelle Alpi Occi- dentali e particolarmente alcune varietà di quelli che trovansi al Colle di Chavrière tra Modano in Moriana e Pralognan in Tarantasia, al Rio Genebrea e non lungi dal Colle nell’alta Valle Stretta sopra Bardonecchia, in limitatissime manifestazioni nella valle del Rio Secco ad Ovest del Monte Chaberton; e tipi simili ebbi ad incontrare in molti punti nelle Alpi Marittime, così come pure notai non di rado scisti analoghi agli scuri prima accennati, nell’orizzonte ritenuto per- miano nelle Alpi Marittime ed in Savoja, nelle Cozie e nelle Graje. Del Verrucano toscano, provenienti dalle Alpi Apuane, esaminai pure campioni di roccie consimili. Tali roccie scistose furono già citate e descritte da molti geologi e specialmente per le Alpi Marittime dal- l’ìng. Franchi e dagli autori menzionati nella bibliografia posta da questi in appendice ad una sua nota in questo Bollettino 1. Già il Theobald ed il Rolle ritenevano potessero essere equiva- lenti del Verrucano e come tali il secondo li segna nella sua Carta del 1881. Poco sopra la cappella di S. Quirico, ove sono più fìlladici di tipo talcoide e più facilmente si possono estrarre a lastre, è aperta una grande cava e vengono scavati come materiale dotato di qualità refrattarie, materiale che ha qualche analogia con quello più quarzoso ed a strut- tura più gneissica che si trae dalla formazione pure ritenuta permiana nelle Alpi Apuane presso Stazzema e viene usato pei forni fusori di Follonica. 1 S. Franchi, Nota preliminare sulla formazione gneissica e sulle roccie granitiche del massiccio cristallino ligure (Boll. R. Com geol., Voi. 24’, pag. 43). Roma, 1693. — 57 - Presso la cava, a S. Quirico, passa il contatto fra detti scisti ana- genitici e gneiss a struttura minuta, micascistosi, di vario tipo, ad andamento ondulato, qui non di rado verdicci per clorito, a due miche, ma prevalentemente a biotite, soventi quarzitici, zonati o con parti pegmatitiche, talora granatiferi. Ricordano tipi di quelli gneiss a grani di grossezza media o pic- cola detti gneiss minuti o superiori e di micascisti alpini, frequenti specialmente fra la valle del Ticino e quella della Dora Baltea. Nella nostra corsa incontrammo soventi gneiss minuti associati a micascisti, ed anche tipi fìlladici : per strettezza di tempo non potendo entrare al riguardo di essi in troppi particolari petrografìci li indicherò in complesso colla denominazione di gneiss minuti o roccie gneissico- micascistose. Oltre S. Quirico formano il resto dello sperone del Monte di S. Giuliano sulla pianura; come sul sentiero che mette ai casolari di Dosso, assai quarzosi, sono arrotondati e nettamente striati per azioni glaciali, ed in basso sono di frequenti ricoperti da morenico in cui si trovano blocchi di gneiss centrale tipico a grossi cristalli di feldspato. A Nord della frana di Yedescia non ci venne fatto di accertare nella falda boscosa e detritica la successione e la potenza dei diversi tipi di roccie che presentano varietà simili alle vedute nella parte a Sud. Poco prima dei casolari di Spinida si passa bruscamente con contatto quasi verticale, dalle roccie gneissico-micascistose a roccie anfiboliche di cui dirò in seguito. Nel tratto considerato l’andamento della stratificazione è alquanto flessuoso; la direzione oscilla prossimamente intorno ad E-O, gli strati pendono per lo più a Nord e sono generalmente assai inclinati, o verticali. In alto del dirupo dal quale piglia origine la frana, la massa calcarea su cui è la chiesa di S. Giuliano, appare di piccolo spessore. Poggia sugli scisti scuri e pare che in quel punto dove al contatto fra calcari e scisti vi sarebbe la cerniera della piega, questa cerniera non sia dovuta ad una unica ripiegatura, ma presenti una specie di leggierissima grinza o ripiegamento doppio appena accennato, il che si scorge anche guar- dando alla frana dalla pianura fra la stazione di Dubino ed il ponte o Passo di Mera. La piega poi nel suo assieme è alquanto ribaltata verso Sud. Onde meglio accertare il fatto tettonico e la successione dei tipi litoidi, a circa quattro chilometri ad Est della frana di Vedescia, ri- montammo dal paese di Dubino posto sopra il cono di deiezione del torrente Berzonica, l’angusta e profonda gola da questo incisa quasi normalmente alle varie formazioni; e pertanto ecco ad un dipresso la m 58 - successione notata specialmente sulla sinistra del torrente per circa un chilometro di distanza orizzontale con un dislivello di circa 250 o 500 metri, dallo sbocco della forra, alla bella cascata che forma in alto il torrente col precipitarsi nella gola per un’altezza di 25 o 3J.m 1. Per forse 250 o 300m si hanno le roccie gneissico -micascistose sul prolungamento di quelle notate a Sud di S. Quirico e come quelle ad andamento ondulato con direzione prossima ad E-O, dapprima quasi verticali, pendono poi di circa 70° a Nord. 2. Seguono, per 80m all’incirca, scisti sericitici per lo più chiari ed identici a tipi incontrati alla cava e, mantenendone la direzione, pendono un po’ meno degli gneiss precedenti e cioè di 60° Nord. 3. Separa gli scisti sericitici dalla massa calcarea che succede, un tenue spessore di 20 a 30 centimetri di uno scisto ftanitico a scisto- sità irregolare più o meno commisto a calcare, di colore bruno vio- laceo per pigmento ematitico, ovvero chiaro traente al verdognolo, o giallastro, simile a scisti argillosi rossi o variegati del servino lombardo. 4. Il calcare segue per 150 o 200m di spessore; è affatto simile a quello veduto innanzi, ossia ha la fisionomia solita dei calcari triasici dolomitici delle Alpi Occidentali. A frattura facile pseudoromboedrica, è attraversato in vari sensi da superficie di più facile distacco, così da rendere difficile lo stabilire in quel punto la sua direzione. Traspor- tato a D ubino viene pure come quello della frana di Vedescia, utiliz- zato per la calce. 5. Dalla sua parte Nord la massa calcarea è separata da un gruppo di roccie scistose che vengono in appresso, da uno scisto verdiccio argilloso, squamoso, qui alquanto sfatto per alterazione, che si divide in frammenti a superficie gibbose. Corrisponde allo scisto ftanitico che sta a Sud del calcare, è anche da questo compenetrato ed ha pure uno spessore molto limitato e forse appena doppio di quello. Materiali analoghi a questi scisti argillosi calcariferi, di aspetto vario e di colore soventi verdastro o rossastro, sono frequenti nelle Alpi Occidentali specialmente dove da una massa di calcare triasico compatto in banchi, si passa a roccie silicee inferiori : ad esempio li notai verdicci, laddove non v’hanno carniole, tra la massa calcarea del Gran Serù nell’alta Valle Stretta e le quarziti bianche del Trias infe- riore; rossastri in più punti seguendo in basso questa massa fino al Monte Chaberton e confusi poi colle roccie ftanitiche ritenute per- miane che appaiono in alcuni punti sotto la massa di questo monte. — 59 - Conviene però notare che scisti ftanitici rossi in tenui zone come nella regione ora accennata, nella massa dell’Aiguille du Midi verso la Valle Stretta, e dal lato opposto, verso Briancon, si trovano anche fra i calcari, ma specialmente prossime al passaggio di questi alle roccie interiori e soventi in questi punti la parte argillosa si mescola a quelli formando croste o zonature ondulate, interrotte, come in un calcare soventi alterato, sfatto, variegato di verdiccio, che, associato ad altri variamente colorati si ha nella sottile massa che posa sulla quar- zite in vicinanza della cappella, sulla vetta del Monte Tabor. Ritengo che tali materiali scistosi di tipo argilloso che in strate- rello fiancheggiano la massa calcarea di Dubino, siano da riguardarsi come una forma di contatto associata ai calcari triasici, e, sebbene soventi analoghi, non siano da confondersi cogli scisti di tipo argil- loso che si credono appartenere al Permiano. 6. Nel gruppo di roccie scistose che vengono dopo i calcari, com- prendiamo un insieme di scisti grigi scuri silicei, o calcarei, con al- cuni tipi argillo-fìlladici simili a quelli veduti alle fornaci a Vedescia e con tipi calcescistosi. Dapprima, avendo talora nella frattura aspetto quasi corneo, sono di tipo adinolico, di composizione e struttura analoga a quella d’un hàllefiinta e si mostrano zonati ed intimamente tormentati da azioni dinamiche subite, con pieghettature paragonabili a quelle che mostrano le fibre legnose nelle tavole d’abete. Sono zonati per filetti biancastri quarzitici cui in seguito si as- sociano filetti grigi calcariferi ed in alcuni punti adombrano la strut- tura occhiadina, in causa di noccioletti quarzitici in essi disseminati. Divengono man mano più regolari nella struttura con contorsioni più grandi ed evidenti ed in essi, al microscopio fra gii altri elementi, si notano per lo più diffuse la magnetite, la calcite ed anche la tor- malina e lo zircone. È dato agevolmente osservarli per una potenza di 100 o 150 metri in corrispondenza duna delle cascatelle del torrente. Avendo la solita direzione, in prossimità del contatto pendon > di circa 45° N. Pertanto pare s’abbiano a ritenere questi scisti come equivalenti di quelli ascritti al Permiano a Sud del calcare. Più a Nord la roccia è occultata da detrito proveniente in gran parte dal morenico che sta in alto sopra la parete della gola e che scendendo su essa si confonde con detrito di falda ed alluvionale, ve- lando così il contatto di quelle roccie, cogli gneiss minuti che seguono. — 60 — 7. Questi ultimi formano le pareti onde si chiude la gola; sono simili a quelli veduti verso Val di Mera; però qui appaiono general- mente più poveri di mica, con filetti, noccioli ed inclusioni bianche, associati anche con un po’ di gneiss verdiccio cloritoide ed i loro strati riprendono all’incirca Pinclinazione forte avvertita allo sbocco della gola e dalle pendenze osservate si può presumere che, in corri- spondenza a questa, la massa calcarea si ingrossi leggermente verso il fondo della piega. In fondo sulla destra, il detrito riempie la gola ed in alto, fin quasi alla chiesa di S. Giuliano la zona calcarea è ricoperta da mo- renico, mentre verso la valle dell’ Adda, la si vede correre continua lungo l’erta parete da essa formata a mezza costa del monte senza che, guardando dal basso, appaia affetta da dislocazioni per frattura. Presso S. Giuliano la roccia, sempre colla stessa fisionomia, è, nella parte media della zona, bianchiccia a struttura fine subsaccaroide. Nelle parti superficiali state esposte all’azione degli agenti atmosfe- rici, notansi sovente quelle solcature incrociantesi a losanga e quelle bucherellature che sono proprie delle dolomiti e calcari dolomitici. Per stabilire la vera natura della roccia, esaminai sommariamente in laboratorio un campione raccolto presso la chiesa verso N.O fi Al microscopio si mostra finamente saccaroide, ma di variabile grossezza di grana e si palesano plaghe in cui la struttura spatica è ben marcata, mentre in altre la massa è torbida, e gli aggregati cri stallini sono assai confusi. La massa è attraversata da piccole vene con andamento vario e vario spessore, continue, o limitate, che s’incrociano ed anastomizzano fra di loro, formando un reticolato irregolare. V’hanno poi sparsi nella roccia rari e piccolissimi frammenti di minerali chiari, trasparenti, birifrangenti, cristallini di pirite e mac- chiette ferruginose dovute al loro alterarsi. Non ho identificato quei frammentini che meglio si osservano nella esigua quantità di pulviscolo grigiastro che si depone dalla so - luzione cloridrica della roccia, ma gran parte di essi potrebbero essere d’un feldspato, forse albite, assai diffusa in simili roccie. I cristallini di pirite hanno soventi abito pentadodecaedrico. 1 Numero 137 dei Rapporti manoscritti del Laboratorio chimico-petrogra- fìco presso il R. Ufficio geologico in Roma. / — 61 — La densità della roccia è di 2,93. Dai saggi analitici risulta che trattasi d’una dolomite normale con piccola preponderanza di carbonato di calce, dovuto forse ad un po’ di calcite che per quanto puossi giudicare da] modo di comportarsi delle sezioni sottili con acidi deboli, parrebbe che se non costituisce da sola il materiale delle venuzze, almeno si trovi in esse. Contiene, e probabilmente allo stato di carbonato ferroso, minima quantità di ferro accompagnato, come di frequenti nelle dolomiti, da un po’ di manganese. Oltre agli elementi accennati constatai la presenza di minime quantità o di traccie di silice, allumina, solfo, soda, potassa ed anche litina. Da alcuni saggi quantitativi desumo per la roccia la seguente composizione centesimale: Carbonato di calce 55,55 Id. di magnesia 43 25 Allumina ed ossido ferrico 0,86 Silice e sostanze insolubili nell’ acido cloridrico, ecc. 0,58 100,24 dalla quale risulta che aH’incirca il 4 % sarebbe dovuto a calcite com- mista alla dolomite normale costituita cioè da una molecola di carbo- nato di calce associata ad una di carbonato di magnesia. Dopo questo saggio su d’un solo campione d’una sola delle va- rietà che la roccia presenta nella sua massa, non intendo però esclu- dere che essa possa in altri punti variare assai di composizione ri- spetto alla proporzione dei due carbonati che vi si trovano ed anche possa essere, costituita essenzialmente da calcite. Ebbi altre volte a constatare nelle masse triasiche tali variazioni da un punto ad un altro, ed infatti al Melzi 1 che studiò la roccia in campioni di una varietà nera da lui raccolti nei pressi di S. Quirico, risulterebbe che questa è un calcare. Pertanto il motivo tettonico dei pressi di Dubino, come nota il Polle, pare continui ad Ovest oltre Val di Mera e ad Est lungo la 1 G. Melzi, Ricerche microscopiche sulle roccie del versante Valtellinese della catena orobica occidentale (Giornale di Min., Crist. e Petrogr. diretto dal dott. F. Sansoni, Yol. II, fase. lj. Milano, 1891. - 62 — Valtellina. E che realmente i calcari (intendendo con tal nome anche le dolomie) segnati dal Theobald nel foglio XX della Carta svizzera presso Mello e Dazio 1 e probabilmente anche quelli sopra Sondrio ed oltre, sieno il seguito di quelli di Dubino, non è dubbio, ed appare esatta l’osservazione del Eolie "2 che la linea basale della piega debba essere ondulata. L’altezza infatti cui arriva il fondo della piega della dolomia presso S. Giuliano parrebbe un po’ maggiore di quella che deve raggiungere in corrispondenza del torrente Berzonica e nella sezione 13 data dal Eolie poco ad Est di questo, non v’ha più calcare, ma v’hanno soltanto gli scisti rappresentanti il Permiano. Da S. Giuliano poi prima che fosse aperta l’attuale Val di Mera, supponendo la zona calcarea continua, questa per raggiungere il cal- care segnato sulla sua direzione dal Eolie, sulla sponda destra del lago di Como, presso lo sbocco del Mera, doveva riabbassarsi. Che la linea basale della piega in sinclinale della dolomia, fra. questo punto ed il rio Berzonica, formasse almeno una curva convessa verso l’alto, per rialzarsi nuovamente verso Est, mi riesce evidente e le ondula- zioni di detta linea è a credere sieno dovute ad una seconda direzione di ripiegamenti, meno accentuata di quella palesata dalla piega con- siderata ed incrociantela quasi normalmente. La dolomia forse non sempre accompagnata dagli scisti permiani e che ora si rivela a lembi tanto limitati, doveva in origine tonnare sulla regione ampio mantello, ricoprente scisti arcaici, mantello che dopo essere stato ripiegato in varie guise, fu poi quasi del tutto esportato. ' Quando non si è aiutati da altri terreni inclusi, è generalmente diffìcile ben accertare gli andamenti stratigrafìci nelle masse gneissiche e micascistose, epperciò riguardo al motivo stratigrafìco di Dubino reso evidente dalla dolomia e scisti permiani, dirò ancora che non è messo fuori dubbio che gli gneiss minuti formino una propria piega con questi, ovvero che li comprendano per rinserramento d’un avval- lamento esistente prima in essi ed in cui si deposero scisti e dolomia. E rilevando minutamente la regione, basandosi specialmente sui lembi secondari rimasti, si potrebbe con qualche approssimazione ri- costruire il suo andamento tettonico. 1 G-. Theobald, Carte géologique de la Suisse , ecc., Feuille XX. 2 F. Bolle, Op. cit. — 63 — Come già dissi, poco oltre la frana di Yedescia, presso i casolari di Spinida dallo gneiss minuto a biotite, qui granatifero, si passa con- cordemente e per netto contatto a roccie anfìboliche più o meno sci- stose dirette anche ad E-O, o molto inclinate a Nord o verticali che formano una zona avente qui circa un chilometro e mezzo di potenza. Sono gneiss anfìbolici a biotite, epidotiferi con feldspato plagio- clasio prevalente, a grana ben distinta e più o meno minuta. La loro struttura però non è sempre nettamente scistosa; special- mente nella parte media della zona, la roccia nei frammenti si mostra talora massiccia a struttura granitoide di tipo dioritico. L’anfibolo vi è verde-scuro splendente, il feldspato, per lo più plagioclasio, è ben netto e presenta soventi anche macroscopicamente una struttura zonare con punteggiature scure di antibolo alla parte centrale del cristallo; così v’hanno compenetrazioni feldspatiche nel- l’anfìbolo. L’epidoto vi è sparso con una certa uniformità ed al mi- croscopio notansi, elementi secondari ed accessori, lo sfeno, il quarzo, la clorite, la magnetite, lo zircone, l’apatite. Nella massa anfìbolica sono nuclei massicci che constano d’ag- gregati granulari di roccia epidotico-quarzoso-pirossenica, in cui gli elementi sono irregolarmente distribuiti ed in cui v’hanno granati macroscopici giallo-bruni, ed anche, come trovammo sulla destra della valle, noduletti serpentinosi. Questa zona di roccie anfìboliche l’abbiamo vista pure in alto presso l’Alpe Piazza alle falde del Monte Bassetta da essa formato ed oltre Mera presso il ponte del Passo, dove nella località esaminata l’augite sostituisce nella roccia l’anfìbolo. Nel suo assieme la roccia anfìbolica presenta qui lo stesso aspetto che ha, in generale, nella zona continua regolare, detta da taluni dio- ritica e da altri anfìbolica, di Ivrea, che principia ad essere a giorno verso Sud non molto lungi da questa città e, dirigendosi a N.E, assai po- tente nella sua parte media, continua verso l’estremità Nord del lago Maggiore. La troviamo segnata nella Carta del Biellese di Sella, Berutti e Gastaldi *, nel foglio XXIII della Carta svizzera del Gerlach 1 2 e nel XXIV della stessa Carta di Spreafìco, Negri e Stoppani 3, e, 1 Sella, Berutti e Gastaldi, Carta geologica del Biellese. Biella, 1865. 2 H. Gerlach, Carte géologique de la Suisse , eco. Feuille XXIII. 8 Spreafìco, Negri e Stoppani, Carte géologique de la Suisse, ecc., F. XXIV. — 64 — come già fecero notare il Diener 1 ed altri, questi due fogli non s’ac- cordano in rapporto a detta zona con quelli' XVIII e XIX die loro sono immediatamente superiori. Ora in questo foglio XIX del Bolle, la zona delle roccie del Monte Bassetta oltre Yal di Mera, restringendosi e correndo verso Ovest, si seguita non interrotta fin sopra Giuliano presso la pianura terminale dell’alta vaile del Ticino. Seguendo sulla Carta la sua dire- zione, si incontrano oltre il piano della foce del Ticino, gli scisti anfìbo- lici di Locamo accompagnati da uno scisto quarzo-argilloso che il Bolle segna in modo speciale e chiama scisto verde di Tosone, ritenendolo probabilmente paleozoico : essi terminano alla parte bassa del cri- nale del contrafforte che divide il lago Maggiore dalla valle Centovalli. Tale contrafforte corre a S.O nel foglio XIX c!ov’ è segnato come formato da gneiss ed entra nei fogli XXIII e XXIV sui quali risulta costituito dalle roccie anfìboliche della zona di Ivrea. Ho visitato questa zona tempo addietro in più località delle quali la più a Nord, dove essa ha ancora oltre due chilometri di potenza, in Val Cannobina che scende al lago Maggiore, e d’onde appare diri- gersi appunto al contrafforte anzidetto. Di qui m’era nato il dubbio che poi trovai espresso dal Diener ch’essa ripiegando ad Est presso Locamo, prosegua, e che le roccie del Bassetta ne formino ancor parte. Sarebbe certo interessante vagliare quel dubbio mediante rileva- mento particolareggiato e studi petrografìci di confronto, giacche ove esso venisse meno nel senso della continuità della zona, si farebbe anche più evidente lo stretto legame fra la natura geologica delle Alpi Occidentali e quella delle Centrali. Nella breve sosta fatta alla zona anfìbolica in Val di Mera, non incontrammo quelle roccie che sono soventi intercalate o concomitanti in quella d’Ivrea, quali le belle lherzoliti che osservai nella valle del Rio Land-Wasser che s’apre sulla sinistra del Mastellone poco prima di Fobello e dei pressi di Finnero in Val Cannobina, le roccie gra- natifere varie dei pressi di Yogogna in Yal di Toce, gli scisti fini anfì- bolitici, le eufotidi, le serpentine, i calcari ed altre varie, i nuclei o masse elissoidali scure a fine tessitura dovute per lo più ad associa- zione di antibolo e biotite. 1 C. Diener, Der Gebirgsbau der Westalpen. Wien, 1891. — 65 — Noto intanto come altri già ebbe ad osservare nella zona d’Ivrea la concomitanza di roccie pirosseniche colle anfìboliclie ; così appar- tiene a questa zona la diabase peridotifera di Mosso nel Biellese stu- diata dal prof. Cossa 1 e 2. Al contatto presso Spinida osservammo la roccia gneissico-mica- scistosa nella anfìbolica, in piccola inclusione lenticolare di soli 15 cen- timetri all’incirca di lunghezza. Nel basso di Val di Mera le roccie anfiboliche conservano assai bene gli arrotondamenti ed anche le striature dovute al lavorìo gla- ciale. Il loro contatto a Nord colle roccie gneissico-micascistose simili a quelle che sono a Sud della loro massa, si incontra poco prima del passaggio a livello della ferrovia sulla strada nazionale quasi in corrispondenza d’un valloncello scendente ai casolari Bruga: essó è nettissimo, quasi verticale, con accenno a pendere a Nord ed ha pure direzione prossima ad E-O. Presso al contatto Nord la roccia anfrbolica è pure scistosa come a quello Sud e nel suo assieme si presenta come un enorme e ben distinto banco intercalato nelle roccie gneissico- micascistose, quasi come un dicco. Oltre Bruga le roccie gneissico-micascistose, sempre molto rad- drizzate, hanno andamento largamente ondulato ed al di là del cono di dejezione della Valle dei Batti, alla galleria ferroviaria di Campo, cominciano in esse intercalazioni di roccie granitò-gneissiche come quelle che oltrepassato l’altro ampio cono della Valle Codera incon- transi poi dopo Novate, dove presso Riva di Chiavenna si cava la pietra conosciuta in commercio col nome di S. Fedelino. E questo nome proviene da ciò che le prime cave vennero aperte di contro a Novate allo sbocco del Mera nel lago di Mezzola, sulla sua destra presso l’an- 1 A. Cossa, Ricerche chimiche e microscopiche su roccie e minerali di Italia ( 1875-1880 ), pag. 57. Diabase peridotifera di Mosso nel Biellese (E. Sta- zione agraria sperimentale di Torino). Torino, 1891. 2 Stavo correggendo le bozze di quésta relazione quando ebbi il recente lavoro sulla « Geologia dell’Ossola » (Genova, 1895) dell’ ingegnere Stefano Traverso, ricco di accurate diagnosi petrografìche delle roccie, che formano la zona anfìbolica d’ Ivrea, pel tratto di essa che attraversa l’Ossola, e l’associa- zione cui accenno di roccie varie anfiboliche e pirosseniche frequente nelle masse anfiboliche delle Alpi Occidentali, riesce per detta zona evidentissima. Dall’importante lavoro del Traverso poi risortono molte analogie litologiche e geologiche fra la regione che sommariamente descrivo e l’Ossola, ch’ebbi una sol volta occasione di attraversare nella sua parte bassa. 5 — 66 — tica chiesetta dedicata a S. Fedele, chiamata ora S. Fedelino per di- stinguerla da altre pure dedicate allo stesso patrono poste in località vicine. Nel basso di Val di Mera, il cosidetto granito di S. Fedelino, ac- compagnato da roccie gneissico-pegmatitiche, si trova nella roccia gneis- sico-micascistosa in masse filoniane di carattere intrusivo. Esso in modo particolare attirò da tempo l’ attenzione dei geologi. Ne trattano lo Studer, 1 il Theobald ed il Folle che ne cita un altro piccolo gia- cimento in Val Yerzasca dicendo frequenti i passaggi da gneiss a granito; l’ingegnere Viola 2 ne diede una descrizione petrografia e così il dott. Bolla, 3 il quale osserva che anche laddove la roccia è più massiccia v’ha pur abbastanza manifesto accenno alla struttura gneissica, insistendo perciò le si applichi la denominazione di gneiss, anziché quella di granito. Infine se ne occupa, ricordando questi la- vori, il prof. Cermenati 4. La struttura gneissica nella pietra delle cave è non di rado resa evidente dal parallelismo delle laminette micacee, ma limitando l’esame a certe plaghe pur non ristrette, sarebbe difficile decidere se la fisio- nomia della pietra si appalesi piuttosto gneissica che granitica. E noto d’altronde come frequenti siano i passaggi graduali dall’una al- l’altra struttura e come, specialmente alla parte periferica, in non poche masse granitiche o granititiche la struttura della roccia sia soventi gneissica : e pertanto, avuto riguarda agli spiccati caratteri eruttivi che presentano le sue masse, ritengo che alla pietra che vien qui la- vorata, meglio si convenga il nome di granito, anziché quello di gneiss. Talora la struttura della roccia accenna anche a quella porfì - roide. Nella sua carta il Folle rappresenta il granito di S. Fedelino con una plaga unica che comprende gran parte della Valle Goderà dove, 1 B. Studer, Index der Petrographie und Stratigraphie d^r Schweiz und ihrer TJmgebungen. Bern, 1872. 2 C. Viola, Contribuzione allo studio delle roccie. — Fisiografia del gra- nito di S. Fedelino (Boll, della Società geologica italiana). Roma, 1837. 3 A. Bolla, Il gneiss centrale nella Valtellina (Atti della R. Acc. dei Lincei, Rendiconti, Voi. VII, 21 sem.). Roma, 1891. i M. Cermexati, La Valtellina ed i naturalisti (Memoria bibliografica. Fase. 5, Capitolo: Mineralogia e litologia ). Sondrio, 1891. 67 - come riferisce, si presenta in grande massa sfumantesi in gneiss priva delle inclusioni cui invece accenna trovarsi in Val di Mera. Non esaminammo la roccia che nella parte bassa, dove per favo- revoli condizioni del giacimento e di località sono aperte le principali cave e riporto i rapidi rilievi quivi fatti. Poco a Nord di Novate ove la strada nazionale volge a N-O, per dar posto ad essa ed al binario della ferrovia sulla sponda del pic- colo bacine lacustre detto Pozzo di Riva, che mediante largo e breve canale mette nel lago di Mezzola, fu, pochi anni sono, tagliata a pa- rete la roccia che forma la ripida falda del monte, per un tratto di circa 300 metri e precisamente fra il passaggio a livello presso il casello ferroviario segnato n. 11 nella carta topografica e Riva. Questa parete in cui la roccia è finora fresca, libera ancora da patine terrose o da licheni, presenta particolare interesse pel geologo e pel petro- grafia e meriterebbe uno studio appo ito e minuto. Quivi è messo a nudo un miscuglio irregolare di roccie assai diverse per natura, cui accenna il Rolle che pur non ebbe campo di osservarlo come lo si può attualmente. Questo autore ricorda e tratteggia i blocchi di roccia anfì- bolica racchiusa nel granito, formolando a sè stesso il dubbio se ivi si tratti di masse filoniane eruttive siccome ritengono lo Studer ed il Theo- bald, ovvero di spaccature nella massa granito -gneissica riempitesi dal- l’alto dei frammenti di roccie più giovani che altra volta la ricoprivano. Aggiunge a ragione che le roccie nei monti particolarmente scoscesi di Novate e Codera, difficili a spiegarsi tettonicamente, pei loro carat- teri e pel loro modo di giacimento, costituiscono una delle più inde- cifrabili località della regione da lui studiata Nel tratto considerato si trovano incastonati e rilegati da roccie granito-gneissiche e pegmatitiche con prevalenza di quelle del tipo delia pietra di S. Redelino, massi di forme e di grossezza variabilis- sima di roccie diverse, pure d’abito granitico o gneissico, di roccie anfiboliche, cloritose, serpentinose e queste ultime ora colla parvenza della pietra serpentincsa cloritoide detta lavezzara , ora anche più ser- pentinosa con crisotilo ed asbesto. Venendo da Novate pare che da principio fra le roccie anfiboliche e serpentinose incluse, predominino le prime, poi le seconde e quindi nuovamente le anfiboliche talora d’aspetto dioritoide. Soventi nelle varie ro -eie notasi l’epidoto e così il granato è mi- nerale che, non di rado macroscopico, si osserva qui e nei dintorni in ben netti cristallini nelle roccie granito-gneissiche. — 68 — L’andamento generale non è in questo breve tratto ben definito e specialmente nelle parti gneissiche si rilevano contorsioni ed anche accartocciamenti. Tuttavia, giudicando dal corso di specie di filoni gra- nitoci, questo impasto che riesce difficile di convenientemente rappre- sentare su d’una carta topografica, ha nel suo insieme una direzione all’ incirca verso Nord, analoga a quella che appare poco oltre nei banchi nei quali sono aperte cave ed è evidente che trattasi di for- mazione dovuta alla eruzione della roccia di S. Fedelino. V’hanno come inclusi frammenti di roccie disposti in modo da lasciar supporre che in origine appartenessero ad uno stesso masso, così come all’ incirca esprime il Eolie 1 nella figura 17 accennando, egli però, a sole roccie anfiboliche, mentre v’hanno inclusi di varia natura disposti in modo affatto accidentale. Sono tal ra rotti, sformati, anche un po’ laminati con superficie di scivolamento dovute alle azioni subite durante l’eruzione ed ai movimenti orogenici posteriori. Per lo più queste inclusioni presentano arrotondamenti o smus- satura di spigoli, ma non ne mancano di quelle a spigoli vivi a punte acute. Esili filetti gneissici o pegmatitici ad andamento biz- zarro, che formano apofìsi a masse più grandi, li avvolgono talora e però non riesce sempre ben chiaro quale sia la parte inclusa, quale la includente. Che questo impasto sia dovuto a materiale caduto in cavità, ov- vero che le roccie rileganti sieno soltanto d’origine secrezionare, ori- gine ammessa soventi per spiegare vene e filoni, non mi pare in questo caso sostenibile. Io non so come qui si possa altrimenti vedere fuorché l’effetto d’una eruzione in cui la massa eruttiva pastosa, para- gonabile a quella delle roccie vulcaniche propriamente dette, strap- pando frammenti dalle pareti dei meati sotterranei in cui s’ aggira, frammenti dovuti fors’anche al detrito causato dall’originarsi di tali meati, e che possono essere anche della stessa natura della • massa già più o meno consolidata, li impasta, avvolgendoli fluidalmente e trasci- nandone pure alla superficie, dove sovente ci è così dato osservarli. Alla Eiva di Novale mi si presentarono d’un tratto e disordina- tamente alla memoria i frammenti inclusi in roccie vulcaniche che osservai nella regione del Mont Dorè, quelli gneissici micascistosi che nel letto del torrente Oropa si vedono impigliati nella roccia 1 F. Folle, Op. cit., Tav. VI, fìg. 17. - 69 — detta melafìro, accennati già da Quintino Sella dal Gastaldi ed altri, le roccie gneissiche e ‘pegmatitiche varie che con abito brecci- forme si hanno in alcuni punti nei dintorni di Chiavazza presso Biella, i miscugli soventi ad andamento fìuidale che si incontrano nella Valle Sesia e furono descritti dallo Struever 2, quelli analoghi, che ripuliti dall’ azione dei torrenti, si osservano risalendo da Fobello al passo di Baranca ed altri miscugli e roccie in inclusioni di molte altre lo- calità. Il poco tempo dedicatovi e le osservazioni poco estese, non mi consentono di trattare ora dei problemi cui darebbe luogo l’interpre- tazione dei fatti osservati nella regione in questione, in rapporto alla cronologia, al modo d’essere venute a giorno le varie roccie, alla ana- logia che vi può essere fra le roccie granito-gneissiche della Riva di No vate e quelle in esse incluse, con altre della regione, così come fra le inclusioni anfìboliche e le roccie prima vedute della zona anfibolica del Monte Bassetta, fra quelle serpentinose e le analoghe dei dintorni di Chiavenna, fra la massa granitica di carattere intrusivo di S. Fe- delino ovvero di Val Codera e quelle di granitite o di granito pro- priamente detto disposte da una parte e dall’altra della zona anfibo- lica d’Ivrea, da molti credute non antiche e cioè le masse del lago Maggiore e di quello d’Orta ed altre versò S-0 fino a quelle di Ca- stellamonte e di Rivara all’imboccatura della valle dell’Orco. Questi e simili problemi molteplici avrebbe a trattare ohi si accingesse diligen- temente allo studio particolareggiato dell’interessantissima regione. Nel granito di S. Fedelino, bianco, massiccio, a due miche, a grana piuttosto piccola, s’osservano al microscopio quali minerali accessori, l’apatite, lo zircone ed anche il rutilo; quà e là v’ha gra- nato soventi macroscopico e v’hanno disseminati cristallini di pirite i quali alterandosi per le azioni esterne, danno luo0o dopo qualche tempo, a piccole chiazze ferruginose sulle faccie dei massi lavorati. Come nella pluralità delle masse granitiche, si osservano nel gra- nito di S. Fedelino, ed anche nella parete presso Riva, distribuiti in 1 Q. Selt^a, Sulla costituzione geologica e sulVindustria del Biellese (Di- scorso inaugurale della f 1 Riunione straordinaria della Società italiana di scienze naturali in Biella). Biella, 1864. 2 G-. Struever, Contribuzioni allo stadio dei graniti della bassa Valsesia (Memorie R. Acc. dei Lincei, Classe Se. fis. e mat., Serie 41, Voi. VI, Roma, 1890). 70 — modo irregolare vene o filone elli ramificantisi, granitici, spesso aplitici o pegmatitici, nuclei o lenti granitiche a grana fina scure per abbon- danza di mica bruna : specialmente vicino alla roccia incassante , in quella prettamente gneissica che forma quasi salbanda al filone, sono frequenti le superficie liscie di scivolamento o liscioni. Presso Riva è aperta una cava divisa in due proprietà ed oltre questa, separatane da un monticello di roccia gneissica arrotondata per l’azione glaciale, che scende sulla strada, ve n’ha un’altra, forse la più importante, che sembra aperta nello stesso filone della prima. Questo ad andamento un po’ flessuoso diretto verso Nord ha forte pendenza per lo più ad Est ed ha qui 30 o 40 metri all’incirca di massima potenza. Seguendo sul fondo della valle per circa un chilometro la ripida falda montuosa fin presso allo sbocco di Yal Pioggiosa, si hanno altre tre o quattro cave o meglio saggi di cave ora abbandonate, l’ultima delle quali vien detta Malpensata per ciò che non si presta allo scavo economico, dovendosi in essa lavorare il banco troppo in basso. Secondo l’andamento del filone alle cave di Riva, esso dovrebbe rimontare sulla falda del monte e ci sarebbe parso che queste ultime cave sieno aperte in uno o più altri filoni che ad un dipresso, corrono parallelamente al primo, separati fra di loro da roccia gneissica nella quale pure notammo inclusioni lenticolari di altre roccie. Dal casello ferroviario già accennato rimontando sulla sua destra il cono di dejezione del Codera s’incontra tosto, dopo una intercala- zione di non grande potenza di roccia granitoide nella gneissica con nuclei ed intercalazioni di altre roccie, la grande cava detta della Foppa. L’andamento appare in questa diverso che in quelle prima vedute. Lo stacco della roccia avviene secondo la falda del monte quasi a picco, ed attualmente questa cava è pressoché abbandonata, causa le difficoltà che presenta l’estrazione ed i pericoli che minacciano i lavo- ratori pel facile staccarsi dei massi. Quivi più che in quelle prima vedute rinvengonsi cristallini di granato nella roccia e specialmente nei fìloncelli pegmatitici detti dai cavatori catene, che solcano la massa e nei quali la mica è per lo più disposta lungo la parte centrale del filone. Anche le macchiette ferruginose dovute a pirite, appaiono in questa cava più frequenti che non nelle altre. Altre cave poi sono sopra la borgata di Campo e più in alto sotto quella di S. Giorgio. In queste si lavora tutto l’anno, ciò che - 71 — non avviene in quelle presso il fondo della valle, causa la malaria dominante nell’estate. Infine cave pure attualmente importanti sono quelle situate allo sbocco del Mera nel lago di Mezzola presso S. Fedele, da cui, come già dissi, prese nome la pietra e che sembra sieno state le prime aperte in tempi assai remoti. Oltre Mera sono ora riattivate cave, state iniziate nel 1796 e poi abbandonate, che si aprono non lungi da S. Fedele in una piccola insenatura le cui parti più sporgenti sono di roccia gneissica, attra- versata da vene e con altre roccie come quelle vedute a Riva. A primo aspetto si direbbe che il banco qui scavato sia sul pro- lungamento di uno di quelli presso Riva; però osservando l’andamento delle varie roccie vedesi come pur essendo la pendenza generale assai torte, sia assai variabile in questo punto la direzione che parrebbe tendere a quella E-O. Non posso escludere che la roccia granitica si manifesti in un’area altrimenti conformata di quella rappresentata nella carta del Rolle e mi rincrebbe non poter sostare in quella località per meglio stabilire sulla sponda destra del lago di Mezzola l’andamento del granito e delle roccie che qui scendono direttamente al lago dove sono lambite dalla corrente principale, mentre sulla sponda opposta dove sono i due coni di dejezione di Verceja e di Novate, le acque del lago non toccano alla roccia viva che per brevi tratti, alle gallerie di Yerceja e di Campo ed al Pozzo di Riva. In gran parte la pietra di San Fedelino viene ora tagliata in prismi allungati che si scavano per lo più colla lunghezza in dire- zione del filone ed imbarcati o spediti per ferrovia, vengono usati specialmente a Milano per le rotaie stradali, essendoché essa per tale uso si mostra più durevole degli altri graniti, sebbene lo sia meno della sienite del Biellese. Come in tutte le cave di roccie granitiche così in quella di San Fedelino si notano quelle direzioni o superfìcie di più facile distacco della roccia dette peli di cava ben note ai cavatori che le distinguono a seconda della direzione, essendovene di longitudinali e di trasver- sali, con nomi diversi e che qui, relativamente frequenti, danno luogo soventi a superficie un po’ incurvate e non permettono di ottenere considerevoli saldezze come a Baveno, ad Alzo ed altrove. Al tetto ed al letto del filone a guisa di salbanda, come dissi, la roccia è prettamente gneissica, più scura per mica bruna in essa più - 72 abbondante, designata sul sito col nome di valcondria o fodera di cava e viene scavata principalmente per mettere a nudo la pietra utilizzabile. Però anche dalla valcondria materiale per lo più di rigetto, quando è meno gneissica si estraggono massi detti di granito nero e lavora- bili. Nelle cave di Piva i cavatori asseriscono ch’essa è più compatta al tetto che al letto del filone, che se meno compatta non taglia bene e scaglia facilmente, se più compatta è più dura a lavorarsi della pietra di San Fedelino. Il rendersi progressivamente più marcata la struttura gneissica nella pietra, è indizio a chi lavora della prossimità della valcondria. Ora le due varietà di pietra sono nettamente distinte, ora si passa dall’ una all’altra per sfumatura. Egli è certo che parecchie delle cose dette in riguardo delle cave di San Fedelino non parrebbe avessero a trovar posto in un rapporto di gite geologiche ; tuttavia credetti accennarle, pensando che anche esse potrebbero fornire al geologo utili indizi. Da Novate a Chiavenna, seguendo la falda dei monti, si rimontò rapidamente la valle sulla sinistra. Il suo ampio fondo è occupato, come già dissi, dall’alluvionale pianeggiante che forma il Piano di Chiavenna. In vari punti esso arriva fin contro la falda rocciosa so- venti arrotondata e levigata dai ghiacci, mentre allo sbocco dei torrenti è ricoperto dai loro coni di dejezione sui quali, come generalmente nelle valli alpine, sono disposti i principali abitati minacciati non di rado dalle piene che si avverano frequenti nella regione e che come nelle altre valli alpine modificano talora l’orografìa del fondo della valle h 1 Recentemente ancora il torrente Lobbia trascinò materiale fin presso la stazione di Samolaco. A Sommaggia sopra un limitato cono di dejezione di un torrentello che forma bella cascata e che si confonde con quello del Lobbia v’ ha un curioso cumulo di grossi massi dovati per certo ad antica frana, provocata probabil- mente dalle acque del torrente. A San Cassiano poi, disastri per piene successero frequenti e sono testi - moni di quella sfogatasi repentinamente or sono 13 o 14 anni i tristi avanzi di casolari e quelli della chiesa interrita per circa metà dell’altezza. Nel settem- bre 1892 furono ancora rovinate alcune case. In altre località vicine sono pure palesi i disastrosi effetti delle alluvioni, come a San Mamete presso Chiavenna dove il fabbricato della chiesa fu non è molto in gran parte esportato da una piena del Liro e come ai prati Ruina poco oltre quella città volgendo nella Valle Bregaglia, dove fu rovinato e - 78 - Oltre Novate fino ad una località detta cappella del Pizzo dove si termina nel fondo della valle il cono di dejezione di Prata, le falde dei monti sono di roccie gneissico-micascistose e nei ciottoli alluvio- nali di variabilissima grossezza dei due coni di dejezione accennati alla Valle Lobbia ed a San Cassiano, v’ Iranno parecchie varietà di roccie di tipi gneissici diversi, compresi quelli dei pressi di Novate ed anche roccie antìboliche varie con biotite. Soventi dette roccie sono granatifere ed in un ciottolo raccolto allo sbocco della Vallasela presso San Cassiano d’uno gneiss a bio- tite a zone irregolari di color roseo per l’accumularsi in esse del gra- nato, rinvenni abbondantemente disseminata la sillimanite che si vede anche macroscopicamente. Ma fra tutti i tipi di roccie qui veduti non ne incontrammo di quelli da potere con sicurezza riferire allo gneiss centrale tipico al quale già accennai sulla sinistra di Val Bregaglia e che, affatto carat- teristico, v’ha nella valle del Biro. Nella carta del Eolie il quale classifica indistintamente gran parte degli gneiss come gneiss in genere, ed altri mette fra i micaschisti, in quella delle linee strutturali del Diener 1 che li considera formare parte di un nucleo centrale di sollevamento, in quella del Taramelli che li segna come gneiss centrale, gli gneiss minuti da noi incontrati nella bassa valle di Mera e lo gneiss centrale della valle del Liro, non sono distinti fra loro. Ora ritengo che tale distinzione litologica sia importantissima riguardo anche alla interpretazione tettonica della contrada. Il Eolie parlando dello gneiss centrale del Liro, lo riconosce come sepolto l’antico borgo di Sa t’ Abbondio del quale non rimane che l’alto cam- panile tuttora in uso, che s’erge sulla desolata alluvione. Questa pare dovuta ad una enorme frana prodottasi poco a Nord nello gneiss centrale che sbarrò nella gola il torrente che scende a Sud del Pizzo di Sommavalle e le cui acque a più riprese rompendo lo sbarramento trascinarono furiosamente il detrito lungo il cono di dejezione già esistente su cui era co- strutto l’antico villaggio di Sant’ Abbondio. Non ci venne fatto di visitare poco lungi di qui la storica rovina di Piuro descritta dal Theobald. Tali alluvioni avvennero per condizioni di cose analoghe a quelle che si Verificarono in questi ultimi anni, ad esempio, nella valle di Susi: a Bardo- necchia, Chianoc, Villarfocchiardo. 1 C. Diener, Op. cit. - 74 — varietà distinta dagli altri gneiss, ma di ciò come accennai, non tien conto nella sua carta, e sebbene questa come carta d’insieme possa essere preziosa guida pel rilevamento particolareggiato, non si può da essa trarre indizio per tale distinzione. Quasi in corrispondenza alla cappella del Pizzo nel fondo della valle, v’ha nella pendice montuosa il contatto (avente andamento parallelo a quelli veduti alla zona anfibolica e cioè con direzione di E-0 e pendenza 70’ N) di una roccia anfibolica colle roccie gneis- sico-micascistose cbe poco prima gneissicbe, scure, zonate e talora di un tipo prossimo alla valcondria sono qui più chiare, con mica mu- scovite molto prevalente la quale in alcuni punti presso al contatto, ha colore traente al gialliccio e si manifesta in aggruppamenti irre- golari di laminette molto sviluppate in roccia a molto quarzo, cosparsa di rari e piccoli granati. La roccia anfibolica qui a grana fine d’aspetto dioritico, è nel basso ricoperta da detrito di falda e da glaciale nel quale sono fre- quenti i ciottoli di gneiss centrale e che si estende fino al torrente Schiesone a Camportaccio di Prata. Presso al ponte sullo Schiesone, nell’alveo del torrente tagliato in roccia viva, v’ha, diretto a N.O con pendenza sempre forte a N.E, uno gneiss minuto talora alquanto granitoide che presenta varietà simili ad alcune dei pressi di Novate, segnato dal Eolie come intercalazione o striscia di granito nella roccia serpentinosa che incontrammo poco oltre coi caratteri della pietra lavezzara di Chiavenna. Probabilmente qui siamo in presenza d’un fatto analogo a quello di Riva. Ivi nelle roccie gneissiche d’ iniezione sono inclusi massi di roccia serpentinosa ; qui, piuttosto può darsi, che questa sia attra- versata da un filone di quelle, e questo punto meriterebbe pure d’es- sere minutamente studiato in relazione colle roccie di Novate. Da Camportaccio andando a Chiavenna s’incontrano nella roccia serpentinosa due principali intercalazioni di roccia anfibolica, l’una sopra le case dette Petossa ed in cui è una galleria ferroviaria, l’altra all’abitato di Chiavenna. In queste intercalazioni la roccia è varia alquanto per struttura e per composizione. Nella prima notammo tipi di anfìbolit-e assai feld- spatica, a due feldspati, a grana media, imperfettamente scistosa e ta- lora d’aspetto di diorite massiccia. Di questa v’hanno varietà scure che ricordano roccie della zona anfibolica d’ Ivrea che vidi in Val Sesia e Val Mastellone e coll’anfibolite v’ha anche epidosite massiccia molto feldspatica a grana media. — 75 Nella seconda notammo diorite augitica biotitica leggermente quarzifera a grana varia. Questa seconda intercalazione si dirige a N.E lasciando tra essa ed il Mera una piccola catena o costola di rupi serpentinose con tipici arrotondamenti e che si trovano qui nel- l’incontro delle due valli Bregaglia e del Biro o di San Giacomo, come altre roccie così conformate si trovano soventi all’incontro di due grandi valli alpine. Tra San Vittore di Mese e Camportaccio di Prata, termina in alto il Piano di Chiavenna lungo all’incirca 11 chilometri ed ele- vato soltanto di circa 50 metri sul pelo del lago di Mezzola, avente cioè pendenza media minore del mezzo per cento. Sulla destra quello del Liro e sulla sinistra i] cono alluvionale del torrente Schiesone incontrandosi sul Mera, riempiono in questa località, dove l’un fiume si versa nell’altro, il fondo della valle. La strada nazionale per giungere a Chiavenna dopo avere lungo la sini- stra del Mera fiancheggiato un breve tratto pianeggiante dì forma grossolanamente rettangolare non ricoperto da coni di dejezione e li- mitato da quello di Prata, dal fiume, dalla falda montuosa e verso Nord dall’altipiano o terrazzo su cui è la città, rimonta l’altipiano stesso. La parte Sud di questo è ricoperta da blocchi talora colossali an- golosi soventi di serpentina del tipo lavezzara fra cui sono trovanti e ciottoli di roccie diverse e non di rado di gneiss centrale. Questo accumulo di massi che si spinge dalla falda montuosa fin oltre al fiume che lo incide dando luogo ad un limitato tratto di paese di carattere speciale, sembra dovuto ad antica frana rovi- nata sulle alluvioni della valle dai monti di Uschione che sovra- stano Chiavenna. Parrebbe anzi ch’esso abbia ostacolato nel loro modo di disporsi le alluvioni posteriori alla sua caduta, proteggen- done il piccolo tratto pianeggiante ora accennato che forse un tempo faceva part ». del Piano di Chiavenna : e livellandosi, per così dire, il tratto a monte fra i massi e le rupi arrotondate, si sia formato il pianeggiante dove sorge la parte principale dell’abitato di Chia- venna. La. piccola catena formata da siffatte rupi da sopra Prosto in Val Bregaglia correndo a S.O sulla sinistra del Mera, termina a Chiavenna col monticolo detto il Paradiso che sovrasta alla città sul quale sono ruderi di antico castello e le roccie che lo costituiscono sono per lo più di pietra lavezzara od oliare in parte atta alla fabbricazione al tornio di vasellame e stoviglie. — 76 — Un protondo ed enorme taglio artificiale detto la Canrga di- vide le rupi del Paradiso dalle altre, taglio che taluno vorrebbe fatto in altri tempi a scopo di difesa, ma che probabilmente non è dovuto che allo scavo della pietra lavezzara. Anzi sulle pareti della Oaurga oltre alle traccie di scalpello notansi anche ncisioni circolari che at- testano che in quel punto furono tratti pezzi di forma cilindrica per quella lavorazione qui altra volta attivissima, ora abbandonata forse pel quasi totale esaurimento della parte tenera ed omogenea della roccia che si trovava in convenienti condizioni di scavo ed esercitata ancora fino a questi ultimi anni in minima scala nei pressi di Piuro poco lungi in Yal Bregaglia. Nelle rupi di Chiave nna di speciale interesse pel petrografo, il tipo della roccia, come già accennai, non è costante, ma varia irre- golarmente. Di colore scuro, è ora verdastra simile ad una serpen- tina, ora grigiastra. Di struttura più fine ed omogenea è più dori- tosa o taPosa dove venne scavata pei lavezzi , mentre in altri punti, meno tenera, ha struttura più grossolana e scagliosa ed è più o meno serpentinosa. Si mostra talora cosparsa di piccole chiazze non ben definite che staccano per leggiera diversità nell’intensità della tinta, sul colore di fondo della roccia, dovute a prodotti d’alterazione di un diallagio; ora è anche striata, od accenna a fine zonatura. I componenti mineralogici, in gran parte prodotti di trasforma- zione di altri minerali, nella roccia delle rupi di Chiavenna variano notevolmente per quantità e per disposizione da un luogo all’altro. Si trovano in intima miscela fibrosa lamellare, diallagio alterato, olivina, serpentino soventi di tipo antigorite, grammatite, clorite, talco, carbonati romboedrici, magnetite soventi radunata in piccoli aggruppamenti irregolari, solfuri ed altri minerali e la roccia nel suo assieme va considerata come una pirossenite olivinica serpentini - zata, ovvero come serpentina di allagico- olivinica \ 1 A. Cossa, Op. cit., pag. 223. Roccie della Valtellina . Confermano pure la variabilità di struttura e composizione della roccia nella massa delle rupi di Chiavenna, alcune diagnosi del Cossa di campioni provenienti da detta massa, o dal suo prolungamento in Val Bregaglia Un esemplare a struttura non uniforme, raccolto dietro il Castello di Chia- venna e del quale il Cossa dà anche l’analisi chimica, gli risulta di una anfi- bolite serpentinosa costituita soltanto dall’associazione di abbondante tremolite, con peridoto e serpentino. - 77 — Un campione lavorato proveniente dai dintorni di Chiavenna, di color grigio, untuoso al tatto, appare costituito essenzialmente da talco o minerale talcoide sparso di poco carbonato romboedrico. La pietra oliare, che veniva utilizzata da tempi remotissimi, è ri- cordata da Plinio col nome di Lapis comensis e fu esaminata ed ana- lizzata da parecchi, fra cui il Delesse \ Tale genere di roccia serpentinosa di vario tipo è relativamente sviluppata nella regione, dove in inclusione, rincontrammo a San Fe- delino, ed in massa nei dintorni di Prata e Chiavenna, d’onde pare dirigersi oltre verso Val Bregaglia e ci si disse che contiene anche amianto che fu estratto forse più che altrove, nei pressi di Uschione, dove probabilmente la roccia assume più evidenti i caratteri di ser- pentina. In generale e nel loro complesso le roccie anfìboliche e le serpen- tinose dei dintorni di Chiavenna non presentano le fisonomie di quelle, dirò, corrispondenti nelle Alpi Cozie e G-raje, ma piuttosto, specie le prime, come già dissi, di quelle della zona anfibolica di Ivrea. La roccia serpentinosa nella quale presso Prata sono intrusioni di roccie granito-gneissicb© e che sta impigliata in roccie analoghe presso Novate, ricorda in alcuni punti la roccia meno tenera e più serpen- tinosa che vidi ad Oira sul lago d’Orta, della quale v’ha uno studio petrografìa del Sansoni 1 2 ; pietra che viene tornita per la fab- bricazione di tubi, e che sta colle roccie gneissiche ed anfìboliche prossime alla massa granitica di Alzo. Un confronto fra le roccie delle due località e fra il loro modo di presentarsi in rapporto alle roccie vicine, penso riuscirebbe utilissimo portando qualche maggior luce sulle relazioni geologiche di due regioni alpine. Non ricordo ora d’aver incontrato nelle Alpi Occidentali masse di roccie nel loro complesso paragonabili alla massa della pietra la vezzara di Chiavenna; non mancano tuttavia nelle regioni alpine ove sono anfiboliti e serpentine, scisti cloritici o grammatitici simili a varietà di essa e talora anche utilizzati per fornelli, stufe o vasi; 1 A. Delesse, Sur la pierre ollaire (Annales des Mines, Sèrie 5m«, T. X, Livraison 5, page 383). Paris, 1856. 2 F. Sansoni, Sulla serpentina d'Oira e sopra alcune roccie ad essa asso- ciate (Rendiconti R. Istituto lombardo di Se. e lett., Voi. XXV, pag. 681). Milano, 1892. — 78 — così se ne hanno presso al Colle di S. Marcello, tra la Valle d’Aosta e quella di Cogne, come in vari punti nelle valli di Lanzo e così al Colle Coupé Trape, tra queste e la Val di Susa dove forse più netti e sviluppati che in altri punti delle valli di Lanzo, si possono racco- gliere ottaedri di magnetite isolati ed inclusi nello scisto cloritico. Nella massa di Chiavenna la roccia accenna talora ad avere un andamento per scistosità, dovuta forse ad una pseudostratificazione, accenna cioè a dividersi in specie di banchi irregolari con direzioni assai variabili, che dal complesso delle osservazioni fatte tenderebbero a N.E, con pendenze pure variabilissime, ma sempre piuttosto sentite, volgenti a N.O ed anche S.E. Presso ad un pubblico lavatoio sulla stradetta che fiancheggiando il cimitero rimonta pei casolari di Poiatengo, si ha a nudo un punto che deve, essere prossimo al passaggio della roccia anfìbolica alla ser- pentinosa con intervento di roccie attinolitiche e calcarifere talora di tipo quasi ofìcalcitico e talora di certe varietà calcescistose verdastre, che nelle Alpi Occidentali s’incontrano non di rado al passaggio dei calcescisti alle masse d’oficalce o di serpentina. In una rapida e breve gita di qui a Val Bregaglia scavalcammo il contrafforte serpentinoso lungo la vallecola dalla quale si emunge l’acqua potabile per la città, vallecola che deve all’incirca correre sul passaggio delle roccie serpentinose g^leanfì boli che varie, qui per lo più a grana assai fine, e, come fu già notato, anche con minerali pirosse- nici. In questa vallecola ammirammo a più livelli, ma specialmente in alto nella massa serpentinosa arrotondata dai ghiacci, belle forme di erosioni dovute a lavorìo di torrenti, fors’anche di quello della Val Bregaglia, che di qui scendeva in epoca remota. Anche qui la roccia serpentinosa accenna ad una direzione media tra N.E ed Est con variabile pendenza. Scendendo verso Val Brega- glia rintracciammo nelle incisioni delle acque ed altrove dove sgorga copiosa sorgente, il contatto fra la roccia serpentinosa e gneiss mi- nuti in lastre a struttura piuttosto fine ad andamento ondeggiante, diretti all’incirca da Est ad Ovest, contatto che qui immediato, si svolge secondo una superficie di leggiera torsione, e ricorda ad esempio quello dello gneiss di Pessinetto rimontante attorno alla gran massa serpentinosa di S Ignazio presso Lanzo Torinese. Questi gneiss minuti formano qui la parte bassa della pendice montuosa fino al Mera, nel cui letto si vedono in qualche punto allo scoperto. -79 — Queste sommariamente le osservazioni fatte lungo la destra di vai di Mera nel tragitto dal suo sbocco a Chiavenna e non sufficienti per poterle estendere e per potere arrischiare ipotesi generali sulla tettonica della regione. Mi limiterò per ciò a far notare come, salvo che nell’erratico delle alluvioni del Liro e del Mera e nel morenico, non siansi incontrati tipi di roccie che possano essere ascritti allo gneiss centrale propria- mente detto, il quale sulla sinistra nel basso della valle non viene a giorno, e forse può darsi che lo si incontri soltanto nella parte più elevata della catena che divide il bacino del Mera da quello del Masino, essendoché specialmente dagli studi del Melzi 1 * * * si rileva che l’alta valle del Masino è costituita dallo gneiss centrale. II. — Da Chiavemia al Passo dello Spluga, Da Chiavenna rimontando per la strada nazionale ed entrando nella valle del Liro, laddove poco oltre la frazione di Bette quella corre prossima al fiume, ricompaiono emergendo dall’erratico, gneiss minuti micascistosi di tipo vario, i quali diretti all’incirca. ad E-O, immer- gendo di soli 20° o 30° verso Nord, vanno a sottoporsi concordemente allo gneiss centrale tipico, al quale si passa poco oltre. In essi intercalati, notansi qua e là alcuni ' filetti, straterelli, lenti variamente sviluppate, forme tondeggianti amigdalari e nuclei o no- duli pure di variabilissimo volume, di roccie anfiboliche talora epido- tiche, compatte, di color verde scuro. Nell’insieme queste roccie gneissiche colle dette inclusioni, si pre- sentano allo stesso modo e sono affatto simili a quelle che in più luoghi vedonsi cingere immediatamente le masse dello gneiss centrale, così come in vai di Susa presso la massa di Borgone e specialmente attorno a quella del Gran Paradiso, come per esempio presso Mom- piano a N.O di Locana nella valle dell’Orco, presso Ronco in Val 1 G. Melzi, Osservazioni geologiche sulla valle del Masino (R. Istituto lombardo di scienze e lettere. Rendiconti, serie II, voi. XXV, pag. 284). Mi- lano, 1892. Idem, Ricerche geologiche e petrografiche sulla valle del Masino (Giornale di Min, Crist. ' e Petrogr. diretto dal dott. F. Sansoni. Voi. IV, fase. 25). Mi- lano, 1898. - 80 — Soana, nel vallone di Sea presso Forno Alpi Graje, nei dintorni di JBonneva] nella valle dell’ Are in Moriana, eco. Scendendo dalla rotabile al Liro e volgendo verso Mese sulla destra del fiume, si possono osservare negli gneiss minuti ad anda- mento ondeggiante e qui più inclinati, una relativamente sviluppata intercalazione e zonature o letti di dette roccie, alternantisi collo gneiss. Quivi relativamente abbonda uno gneiss verdiccio zonato, an- fìbolico, biotitico, epidotifero, a grana molto fine. Soventi gli straterelli della roccia incassante vedonsi assecondare i nuclei involgendoli, cosicché alcuni di essi più che a concentrazioni d’un materiale 'eterogeneo alla massa che li include, danno l’idea di frammenti arrotondati impigliati nello gneiss minuto ed alcune piccole lenti, danno l’idea a loro volta di siffatti frammenti che hanno però subito azioni di schiacciamento o laminazione. Questi nuclei sono talora a struttura afanitica, duri, tenacissimi. Qualche rara volta nella loro massa si appalesa una specie di struttura zonare sferoidica, come quella che presentano talune roccie diabasiche o basaltiche. La zona gneissica in discorso con inclusioni anfiboliche; da con- siderarsi come di passaggio o di contatto collo gneiss centrale, l’ave- vamo già incontrata sopra S. Michele in Val Bregaglia, dove sembra che alla cascata dell’Acqua Fraggia la roccia anfìbolica abbia il so- pravvento sulla gneissica e l’abbiamo seguita lungo la costa del con- trafforte che divide al loro sbocco la Valle Bregaglia da quella del Liro. ^Ricoperta in basso da detrito di falda misto a morenico, la si vede correre sotto allo gneiss centrale che forma la parte alta dei monti e, seguendo la poco accentuata insenatura che qui presenta la montagna, la si vede abbassarsi verso il punto dove l’incontrammo sulla strada della valle di S. Giacomo e seguire oltre dalla parte op- posta di questa valle. Anche verso Val Bregaglia incontrammo negli gneiss belle inclu- sioni anfiboliche di varia forma: così presso i casolari di Grana, di Salto ed altrove, ed in alto sulla falda del monte, presso quelli di Cam- pedello, si vede spiccare una massa scura in forma d’enorme nucleo che può argomentarsi sia dovuta ad una di queste inclusioni. La roccia gneissica micascistosa, come dissi, è anche qui varia. Come generalmente nelle masse degli gneiss minuti le varietà vi si trovano alternanti per zone, ed è come quelle attraversata da vene qui per lo più quarzose ; però nel suo complesso ha fisonomia alquanto - 81 — diversa da quella di molte altre masse gneissiche micasoistose alpine, come per esempio quelle vedute nella bassa Val di Mera. Come generalmente nelle zone gneissiche ammantanti immedia- tamente lo gneiss centrale, predomina qui una mica bianca argentina * per lo più verdiccia, i letti micacei sono talora di certo spessore, fo- gliacei involgenti nuclei ora quarzosi, ora feldspatici, la roccia è so- venti occhiadina ed alcune sue varietà non si distinguono da varietà che si incontrano intercalate nelle masse dello gneiss centrale. Il granato anche in queste roccie è minerale accessorio, ma per lo più diffuso, sebbene in scarsa quantità: in un campione di mi- cascisto di color grigio d’acciaio, lucente, a lenticole quarzose a mica bianca molto prevalente sulla scura con poco feldspato assai alterato e con tormalina, minerale diffuso come il granato e soventi in cristalli macroscopici, si constatò la presenza della staurolite. Dalle roccie gneissiche micascistose, si passa qui, per ristretta e graduale successione di varietà, allo gneiss centrale o fondamentale designato in Lombardia col nome di ghiandone o serizzo ghiandone , da ciò che si presenta soventi porfìroide per grossi cristalli di feldspato, indicando il nome di serizzo lo gneiss in genere, ma più specialmente quello a grana grossa a struttura grossolana nodulosa od occhiadina, usato per lastroni, od altrimenti come pietra da taglio. Nello gneiss centrale è per circa sei chilometri aperta la valle, che in questo tratto offre quel tipo caratteristico di paesaggio talora grandioso e per forme e per tinte, proprio nelle Alpi alle regioni dello gneiss centrale. Per lo più, alte pareti, grandi masse, blocchi enormi, ricoperti da chiazze scure talvolta di colore ocraceo ferru- ginoso . La roccia generalmente mantiene assai bene gli arrotondamenti, talora anche le stria ture glaciali, così come presso i casolari di Mar- tego e sulla parete che poco lungi li sovrasta. Lo gneiss centrale è qui, come nelle cosi dette elissoidi delle Alpi Occidentali, poco movimentato, in grandi banchi accennanti talvolta a dolce incurvatura verso l’alto, ossia ad incurvarsi a cupola; si pre- senta in modo affatto identico e mostra le stesse varietà di struttura che in quelle si rinvengono. Queste varietà di struttura, cui corrisponde varia intensità di tinta, non sono per lo più nettamente separate, ma si fondono luna coll’altra e sono dovute al modo diverso di aggregazione ed alla va- riabile quantità e grossezza degli elementi mineralogici principali che 6 - 82 — costituiscono la roccia; mentre si può dire clie costante è la sua com - posizione, in riguardo alla natura di questi elementi. Fra essi sono essenziali i feldspati, il quarzo e le miche, acces- sori e molto subordinati la magnetite, lo zircone, il rutilo, l’apatite ed eventualmente e forse sempre secondari v’ha clorite, epidoto, tita- nite, oltre a numerosi altri minerali che come la tormalina ed il gra- nato possono trovarsi in modo affatto accidentale nelle masse dello gneiss centrale in alcuni punti anche anfìbolico. Fra i feldspati ora grigi, ora azzurognoli o per alterazione bian- castri, predomina l’ ortotomo in gran parte microclino, e fra le miche nel maggior numero di varietà prevale la biotite, sebbene in altre di color chiaro e non frequenti prevalga od anche sia esclusiva, la mu- sco vi te colla sua varietà sericite in spalmature bianche o verdognole. Il Bucca *, che studiò la roccia del Gran Paradiso in alcuni cam- pioni provenienti tutti dai pressi di Groscavallo nella Valle Grande di Lanzo non vi trovò muscovite, e colla biotite rinvenne una mica chiara prossimamente monoasse che egli riguarda come biotite sco- lorita. Pertanto, come già accennai pei filoni di S. Fedelino, pare che anche nello gneiss centra'e gneissico o granitoide si trovino riunite varietà ad una o a due miche e noto come converrebbe far ricerche al riguardo studiando le masse di roccie granitiche, onde vedere se anche in senso geologico si possa con qualche fondamento attribuire un certo valore alla distinzione petrografica che si fa di queste roccie in base alla natura dell’elemento micaceo in esse contenuto. Lo gneiss centrale lo si incontra più o meno massiccio, più o meno scistoso. Per plaghe e specialmente nell’interno della massa è grani- toide, ora a grana grossolana, ora fine, così come attraversato l’ampio lembo morenico che dalla costa ad Est scende sul paese di S Gia- como e Filippo. Massiccio o scistoso, molto di frequente è porfìroide a grandi cristalli di ortosio, che raggiungono anche 8 e 10 centimetri di lunghezza. Scistoso, è pure di frequenti occhiadino, noduloso, am- mandorlato ; è talora tabulare e per l’addensarsi e raggrupparsi diver- samente delle laminette micacee bianche e scure più o meno sviluppate, pel vario modo con cui queste sono disposte nei rivestimenti dei nuclei 1 L. Bucca, Appunti petrografici sul gruppo del Gran Paradiso (Boll. R. Com. geol., Yol. XVII). Roma, 1886. — 83 — feldspatici o quarzosi, in zonature, in plaghe o concentrazioni isolate, in spalmature, pellicole o leccature per lo più allungate, riesce varia- mente zonato, filettato, chiazzato, picchiettato, tigrato o vergato. Così varietà diverse, a chiazze stirate, rimontando la valle, os- servammo presso i casolari di Cimaganda, dove si passa allo gneiss minuto che immergendo non fortemente a Nord, ricopre, limitandola nella valle da questo lato, la massa dello gneiss centrale. Avviene anche di trovare due o tre varietà riunite in uno stesso frammento o masso, distinte, ovvero sfumantesi l’una nell’altra e così sulla strada in qualche blocco che fu ricercato come pietra da taglio, osservammo coesistenti la struttura granitoide grossolana e quella assai fine. Nelle masse le varietà si alternano, si sosti tuisono in vario modo per inserzioni lentiformi, per compenetrazioni a lingue, per plaghe, e come nelle masse granitiche s’incontrano in quelle dello gneiss centrale vene e nuclei di varia struttura, ma costituiti dagli stessi elementi della roccia, nelle quali vene ritrovasi non rara, in aggregato compatto, la clorite terrosa, che collo stesso modo di presentarsi in squame microscopiche, notai nelle altre masse di gneiss centrale e soventi nelle masse gra- nitiche; nelle vene sono pure frequenti i minerali vari accidentali. Molti s’occuparono già dello gneiss centrale nelle sue varie masse, tuttavia manca un lavoro che aduni ad un tempo le osservazioni pe- trografìche e le geologiche offrendo modo di compararle rispetto a queste diverse masse, collegando inoltre in pochi gruppi le molteplici varietà o modalità, sebbene sia prevedibile che su quest’ultimo punto il lavoro non possa emanciparsi da un certo che di artificioso e di convenzionale. Ad onta pertanto delle varietà che presenta la roccia e che sono le stesse nelle altre sue masse alpine, nell’ assieme lo gneiss centrale presenta sempre quell’aspetto caratteristico speciale che mal si sa- prebbe descrivere e pel quale però chi l’abbia attentamente osser- vato qualche volta, sempre lo riconosce. È ben distinto dalle va rietà di gneiss minuti dei quali ho prima parlato e che non ne vennero separate nelle carte geologiche della regione, ad eccezione di quelle del Curioni e dello Studer, che lo segnano come granito. Il contatto fra lo gneiss centrale e le roccie incassanti di rado è ben netto, per cui non sempre lo si può tracciare esattamente. Ri- montando la valle, sulla rotabile questo gneiss è dapprima piuttosto scistoso^ poco dopo porfiroide, e già a San Giacomo e Filippo ha la — 84: — fisionomia che presenta Dell’ interno delle masse alpine. Quivi sul fondo della valle che dà luogo a piccolo gradino, poco a monte dei ponte che attraversa l’angusta forra incisa dal Liro nel gneiss cen- trale, sono in questo messe a nudo dal torrente nel suo alveo inter- calazioni concordanti di uno gneiss minuto, aventi cioè direzione di circa N.80°E. e piuttosto debole pendenza a Nord. Tali intercalazioni in zone od in. lenti irregolari di gneiss minuti, aventi caratteri diversi da quelli delle varietà predominanti dello gneiss centrale e per lo più a mica chiara verdiccia e del tipo degli gneiss minuti della zona esterna alla centrale, notansi anche nelle altre masse di questo. Così nella massa del Gran Paradiso se ne incontrano nell’alto della valle dell’Orco, nel vallone di Forzo che scende in Yal Soana e nell’alto delle valli Valleille e Valnontey che scendono a Cogne. Per quanto è dato giudicare stando sul fondo della valle, par- rebbe che la massa dello gneiss centrale sia limitata ad Ovest dagli gneiss minuti che immergenti a N.O, la ricoprono formando nella parte alta dei monti sulla sinistra i pizzi del Torto, di Lughesasca e Papalino. Il limite qui posto dal Polle nella sua Carta fra gli gneiss in genere ed i micascisti (che è probabile corrispondano: i primi' allo gneiss centrale ed i secondi agli gneiss minuti che avvolgono la massa), sarebbe assai al di là del crinale. Causa le ripide falde e le pareti che sulla sua destra sovrastano al fondo della valle, non si può dal basso spingere lo sguardo verso Est: epperò secondo osservazioni di cui dirò in seguito propendo a credere che la massa di gneiss centrale si estenda dal lato Nord nel- l’alto dei monti, più che non è dato dalla Carta del Polle e che il sommo del Pizzo Stella, se non anche una certa parte del vallone ad anfiteatro di Angeloga, sia in essa compreso. Lungo la valle l’andamento dello gneiss centrale non sempre fa- cile a stabilirsi, è vario assai: ne vedemmo pertanto la massa com- presa fra gli gneiss minuti che con debole pendenza gli si immergono sotto a Sud e lo ricoprono a Nord. Se ora si considera la massa dello gneiss centrale nel suo com- plesso còme formante anticlinale, parrebbe che anche qui questo sia ribaltato verso la concavità del cerchio alpino così come la zona che costituisce il così detto elissoide Dora-Val Maira e per la disposizione della piega di Dubino, per le pendenze osservate negli gneiss minuti, — 85 — risalterebbe ohe questo ribaltamento interessò tutta la regione fin qui percorsa. Le pareti deilo gneiss centrale nella valle del Liro diedero luogo ad alcune rovine caratteristiche specialmente per il grande volume dei blocchi i quali soventi ne ingombrano il fondo e ricorderò lo scoscen- dimento del monte sulla sinistra della valle a Galli vaggio. Quivi blocchi talora enormi della frana e per lo più di gneiss tigrato si con- fondono coll’alluvionale, dovuto specialmente alle deiezioni del tor- rente di Vallesegna, che a memoria d’uomo al suo sboccare nella valle cambiò parecchie volte di letto, ed al morenico, che forma sbar- ramento alla valle, dando luogo ad un ben marcato scaglione. Sopra questo il fondo della valle è per breve tratto pianeggiante, dovuto con tutta probabilità ad antico laghetto ora ricolmo, in corri- spondenza al quale sulla sinistra, poco oltre le case di Cimaganda, si ha il contatto già ricordato e che noi non avvicinammo dello gneiss centrale cogli gneiss minuti che concordemente lo ricoprono a Nord, con- tatto che sulla destra sembra sia alquanto più a monte, oltre ai ca- solari di Yhò. I banchi dello gneiss minuto, dapprima prevalentemente a strut- tura fina e zonata, ad andamento regolare, hanno poco dopo movenze flessuose, e sempre con non forti pendenze, presentano direzioni varie per essere poco oltre assai tormentati e più micascistosi. Di contro ai casolari di Yhò la direzione loro è di N.B5°E. e, pur sempre ondeg- gianti, si vede che nel loro insieme tendono a cambiarla, ossia, dap- prima pressoché normali alla valle, tendono poi ad assumere quella predominante nel suo tratto superiore che le è quasi parallela. Dove una rupe forata dà passo alla rotabile la roccia è compatta, di tipo quarzitico, di colore grigio verdiccio, con inclinazione un poco più sentita. Sulla strada la si segue poco meno compatta fino allo sbocco Nord della galleria, nella quale la strada attraversa il de- trito che scende dalla vallecola lungo cui corre il confine tra i co- muni di Gallivaggio e di Campodolcino, Diviene poi meno quarzosa e compatta, più regolare ed una varietà più fìssile di color grigio a grana fina e nella quale non di rado vedonsi cristallini di tormalina nera, presso l’abitato di Prestone viene scavata per lastre. Dal pianeggiante di Cimaganda a Prestone si rimonta un altro scaglione morenico ed a Prestone si apre la pianura di Campodolcino che come striscia lunga oltre tre chilometri corre da Nord a Sud, oc- casionata come la prima da un bacino glaciale lacustre riempito. Tali pianeggianti limitati a valle da scaglioni morenici, sono te- stimoni di momenti di sosta nell’ultima fase dello squagliarsi del ghiacciaio che riempiva la valle ed incidentalmente dirò che in at- tuali ghiacciai relativamente limitati mi fu dato osservare taglietti che appaiono, nella stagione estiva e non tutti gli anni, fra la coda del ghiacciaio e la morena frontale. Così ne vidi al ghiacciaio di She- mes e due altri piccoli ne incontrai, uno al ghiacciaio dell’Agnello che versa nel vallone della Clarea, tributario della Dora poco sopra Susa, e l’altro, il cui pelo d’acqua era notevolmente inferiore del ciglio della morena che lo sbarrava, al ghiacciaio di Pera Ciaval sopra Usseglio, nell’alta valle di Yiù, e chi pur nella stagione calda ebbe occasione di percorrere prima quelle località mi asseriva che non esistevano anni addietro. Presso Prestone le case di Pietra sono costrutte fra enormi massi staccatisi dal monte. A Campodolcino sbocca il torrente Sabbiosa che correndo da Est ad Ovest raccoglie le acque del bacino di Angeloga e di quello di Praciscio. In alto della ripida falda per cui scende il torrente, nella quale gli gneiss minuti micascistosi con direzione all’incirca a N.O e con pendenza media a N.E sono talora a struttura grossolana a larghe la- mine micacee con granati bene sviluppati, s’apre il bacino di Fra- ciscio, il cui fondo è occupato da morenico e dall’alluvionale che in forma di conoidi sbocca in esso dalla valle di Sabbiosa e dalle val- lecole degli altri torrenti che vi si immettono. Causa l’intemperie non potemmo raggiungere il bacino di Ange- loga. Però nel morenico di quello di Fraciscio ed in specie nel mo- renico che sovrasta la parete che lo chiude a levante e sempre più nell’alluvionale rimontando il torrente Sabbiosa fin sotto alla cascata di Angeloga, abbondano tipi proprii dello gneiss centrale. A Nord del bacino di Fraciscio lungo la valle di San Giacomo non rinvenimmo più nè in posto, nè nel detrito questa roccia, ed è quindi a credere debba manifestarsi e forse ampiamente nel bacino di Angeloga, siccome già prima accennai. Giungendo a Fraciscio da Campodolcino, presso la cappelletta al ponte pel villaggio ei oltre, colla roccia gneissico-micascistosa soventi allo scoperto nell’alveo del Sabbiosa, sono scisti verdicci ed a circa metà distanza tra il ponte e la confluenza del torrente che scende dal Pizzo Fernio trovammo, nell’alveo trasversalmente al torrente, a — 87 — guisa d’intercalazioni piuttosto regolari, due banchi di calcare bianco a grana media panacea, con mica bianca disposta in spalmature come nelle madri-macchie del marmo, cosparsi di pochi cristallini di pirite: ed oltre questi v’ha per piccolo spessore, una specie di calcescisto scuro con calcare grigio, in cui s’incontrano in scarsa quantità, mi- nerale grafitoide, quarzo, feldspato, tormalina, rutilo, pirite. Le roccie calcaree del lembo triassico di cui dirò poi, che con di- rezione all’incirca N-S corre lungo l’alta vaile del Liro giungono a co- ronare la parte del monte che a Nord sovrasta il villaggio di Fraciscio, e calcari, forse seguito di dette intercalazioni, spuntano sulla sinistra del bacino a Sud di esse. Pel modo di presentarsi, per la natura del calcare che le forma, si potrebbe credere che tali intercalazioni sieno da ascriversi all’Ar- caico e lo stretto banco calcescistoso da riguardarsi come minuscolo rappresentante del calcescisto arcaico così sviluppato nelle Alpi Occi- dentali; ma la vicinanza del calcare triasico col quale coincidono nel- l’andamento, non pare casuale e non si potrebbe certo escludere che ad esso non appartengano come ultimo avanzo d’uno strettissimo fondo di piega o meglio di rinserramento del detto calcare ora pro- fondamente metamorfosato, nelle altre roccie, analogamente a ciò che avviene al Giogo dello Spluga e che descriverò in seguito. Nella descrizione del foglio XIV della Carta geologica svizzera troviamo che il prof. Heim 1 accenna, forse pel primo, al calcare del vallone di Fraciscio, che dice proseguire oltre a Sud e lo ammette pure come parte della lunga zona calcareo-dolomitica che dalla valle dell’ Hinterrhein pel passo dello Spluga entra in quella del Liro. Affatto incidentalmente noterò come in tutta la regione percorsa non s’incontrarono calcescisti arcaici, nè gruppi di qualche impor- tanza delle altre roccie fìlladiche concomitanti, così come non s’incontra- rono roccie a glaucofane tanto diffuse in tutta la cerchia delle Alpi Occidentali. Le cattive condizioni atmosferiche non ci permisero di tentare di seguire i banchi calcarei onde meglio osservarli e delimitarli ; credetti tut- tavia conveniente l’accennare ad essi come accennerò alle altre osser- vazioni, per quanto rapide e superficiali, che potemmo fare nel bacino di Fraciscio. 1 A Heim, Geologie der Hochalpen zwischen Reuss und Rhein (Beitràge zar geologischen Karte der Schweiz, Lieferung 25). Bern, 1891. Più a monte dei banchi calcarei, lungo la falda a Nord della Cresta del Calcagnolo seguimmo le roccie gneissiche micascistose so- vente a larghe miche e granatifere col granato non di rado trasfor- mato in prodotti cloritosi, e col detrito di esse, ed anche in posto, trovammo roccie varie anfìbolitiche scistose e massiccie clorito- attino- litiche, eclogitiche, epidotifere che poco più in alto devono apparire relativamente sviluppate, inserite negli gneiss minuti, forse già pros- simi allo gneiss centrale. Di esse, così come del calcare, non è cenno nelle varie carte geologiche della regione h E giacche se ne presenta qui un esempio, per quanto non sia dei più marcati, non credo fuori proposito accennare ad un fatto orogra- fico speciale che si incontra non di rado nelle valli alpine, dovuto senza dubbio alla erosione glaciale, e che per quanto di poco rilievo, non è pel geologo privo d’interesse. E noto come parallelamente alla valle principale, ad una certa altezza sul suo fondo, si osservino tratti poco inclinati o specie di ripiani quasi sempre ricoperti da morenico, che corrono lungo la falda, dividendola in due parti a più forte pendenza, scendente l’uno a valle, rimontante l’altro alla costiera, e tali tratti servono in certo modo di indicatori del livello raggiunto dagli antichi ghiacciai delle valli Orbene, talora dove la falda montuosa corre parellelamente alla valle, e per forma ed inclinazione non è a credere desse luogo altra volta ad un ghiacciaio secondario, e dove si può ritenere non sensi- bilmente mutata, per lavorìo di acque o franamenti, l i primitiva oro- grafìa postglaciale, osservasi non di rado nella conformazione di detti ripiani, più o meno pronunciato l’accenno a vallecola parallela alla valle principale, col ciglio verso questa poco rialzato, vallecola dolce- mente e gradatamente rimontante in senso opposto alla valle. Uno di questi, che chiamerò ripiani rimontanti od in contropendenza , su cui sono le case Gualdera, s’apre a Sud del bacino di Fraciscio, in corrispondenza appunto dei banchi calcarei forse non estranei, perchè più facilmente erodibili della roccia incassante, alla sua formazione e ri- corda quelli caratteristici che sono lungo la Val Grisanche, tributaria 1 La sottile zona calcarea è però segnata nella recente Carta dei profes- sori A. Heim e C. Schmidt ( Geologische Karte der Schweizx 1 : 500 000. Bern, 1894) compersa quando questo scritto era già composto a stampa. - 89 — della Valle d’Aosta, e moltissimi altri nei quali generalmente osservai la roccia scistosa verticale od a forte pendenza, avere all’incirca la stessa direzione della vallata. Questi ripiani si succedono talora lungo la valle disposti a denti di sega, ossia dal superiore si passa all’inferiore per un salto brusco. Le acque di quello di Gualdera, rispetto alla valle principale cor- rono a monte scendendo al Rabbiosa, così come quelle di un’altra vallecola rimontante che si apre nel ripiano di Motta sul quale corre la zona calcare triasica accennata e di cui dirò in seguito, scendono a Nord al torrente Scalcoggia. La spiegazione di tali forme del terreno è a ricercarsi in un com- plesso di condizioni riferentisi all’antica forma della valle e del ghiac- ciaio, all’andamento di questo, a quello delle roccie ed "alla loro na- tura; ma già più che non comporti l’interesse che può qui presentare tale particolare mi sono su di esso soffermato. Oltre il pianeggiante di Campodolcino, il thalweg della valle del Liro segue per alcuni chilometri a Nord quasi sempre in stretta in- cisione che alla falda del Monte Carden ripiegando a N.E giunge dopo breve tratto sotto la estesa pianura di Monte Spluga, elevata di poco meno che 19t)0 metri. La strada nazionale alla parte superiore del detto pianeggiante, abbandona il fondo della valle e serpeggia inerpicandosi per circa 30 J metri lungo l’erta falda montuosa, per raggiungere il ripiano di Pianazzo, sull’orlo della balza dalla quale il torrente Scalcoggia sboc- cando dalla valle secondaria di Madesimo, che qui si apre, si preci- pita in grandiosa cascata pjr unirsi al sottostante Liro. L’andamento degli gneiss minuti è pur qui alquanto variabile e sono anche qui in evidenza le movenze ondulate dei loro banchi, i quali poco oltre Campodolcino diretti nel loro assieme a Nord incli- nando ad Est, alle svolte stradali volgono ad E.N.E, immergendo mediamente verso Sud. Interrotta per alcuni tratti, ora ben marcata ed ora appena ac- cennata, la conformazione a gradino della falda del monte è palese. Osservando nell’insieme, si può dire che da quello di Pianazzo che forma quasi piccola conca nel cui fondo v’era probabilmente un la- ghetto glaciale, il ripiano segue rimontando ad incontrare l’ampio ba- cino di Monte Spluga e lungo i tratti di esso ora ricoperti da detrito, ora scavati in roccia viva e nei quali sono piccoli bacini glaciali, corre la strada. — 90 Un insieme di piccole alture tondeggianti costituite da calcare in cui predomina il tipo triasico più comune, in parte ricoperte da de- trito glaciale, forma la zona montuosa che separa la strada nazionale, dalla valle di Madesimo, la quale aprentesi, come accennai, a Pia- nazzo diretta per breve tratto a N.E, da Madesimo risale poi per al- cuni chilometri a Nord diretta nello stesso senso della valle prin- cipale. Sempre lungo la strada nazionale oltre Pianazzo, si seguono le roccie gneissiche varie ora accennate, che talora sono a struttura gra- nulare, quasi arenacea; attraversata poi una galleria, s’incontrano tipi verdicci, qualche volta sericitici, pieghettati, che per non potere indu- giare non esaminammo. Vengono in seguito carniole e calcare di fisionomia dolomitica triasica in cui è aperta una galleria relativamente lunga divisa in due tratte. Presso il suo imbocco a Sud scaturisce l’Acqua Eossa, così detta da ciò, che lascia sul suo passaggio una patina rossa ferruginosa ocracea; il calcare qui presso scavato per la breccia stradale è ora bianco, ora grigio più o meno scuro, bardigliaceo ad andamento on- deggiante, a frattura facile pseudoromboedrica. Poco oltre, al principio della galleria, si ha calcare grigio a lastre pressoché verticale, diretto quasi a N-S e simile a quello che si trova nelle masse triasiche delle Alpi Marittime e Cozie. Allo sbocco v’ha poca carniola, e dopo, risalito un relativamente ampio lembo morenico segnato pure nella Carta del Eolie, la strada attraversa l’ultima galleria che si incontra pel Passo dello Spluga. Questa è di poche centinaia di metri, aperta pure quasi intera- mente nel calcare talora bardigliaceo, talora ocraceo sfatto, diretto press’a poco allo sbocco Nord, a N.N.O, con pendenza poco meno che media a levante e quivi v’hanno nel calcare intercalazioni di scisti verdicci e quarzitici e scisti calcescistosi cariati a chiazze molto ferru- ginose dovute forse a siderose, o pirite alterate. Le varie roccie sono per lo più molto degradate ed in qualche punto si ha scisto verdiccio squamoso sfatto, che ricorda quello no- tato nella gola del Berzonica al contatto a Nord della massa calcarea col gruppo degli scisti ritenuti permiani. Pochi passi innanzi prima del sentiero che mette ai casolari di Buffalora quasi sopra la rotabile, la sua cunetta a levante è inta- gliata in roccia scistosa ad andamento irregolare con varietà ver- — 91 — dasfcre di scisti argentini d’aspetto filladico sericito-cloritici, con clo- rito in aggregati sviluppati, con muscovite, con tormalina, epidoto, ematite microscopici e cosparsi di non abbondanti noccioli lentico- lari ad andamento parallelo, più o meno grandi, di quarzo. Sopra di essi nella rupe tagliata a parete per alcuni metri d’al- tezza, corre con uno spessore di circa m. (',60 una quarzite biancastra simile a quella del Trias inferiore nelle Alpi Occidentali, a straterelli tabulari, con spalmature sericitiche e di muscovite, attraversata da vene di quarzo d’origine posteriore, cui . sovrasta per pochi centimetri ed in modo irregolare il m feriale scistoso squamoso verdiccio. Ven- gono poi cale tri bardigliacei e tufacei per alterazione che fan parte della massa triasica fra le d e valli del Liro e dello Scalcoggia, nei quali ancora sono presso al contatto colla quarzite, sottili intercala- zioni di quel materiale. I banchi di calcare come gli strati scistosi che assumono talora aspetto calcescistoso, appaiono rotti, ad andamento ondeggiante; le intercalazioni sono irregolari. Dalla strada scendendo e dirigendosi verso Ovest al ruscelletto che lambe le vicine case sulla carta denominate Teggiate e per due- cento metri all’ incirca proseguendo fino alla balza che per un’altezza di poco meno di 400 metri sovrasta al Liro, ricompaiono prima del ruscelletto gli scisti veduti già nello scolo stradale con altri scisti vari in parte verdastri con pochi noccioli quarzosi, attraversati da molte venuzze bianche di quarzo le quali vi formano una specie di reticolato irregolare che attesta di fratture avvenute nella roccia. Con passaggio graduale seguono roccie gneissiche diverse. Queste dove gii strati scendono al rio mostrando il loro dorso tigrato, sono cosparse di laminette isolate o gruppi di laminette sviluppate di biotite e poco oltre più che non qui, sono in esse grossi noccioli talora stirati e lami- nati ma per lo più ovoidali di quarzo aventi diametri che raggiun- gono anche 8 centimetri per 3. In questa varietà gneissica che ricorda a tutta prima varietà tigrate dello gneiss centrale, osservasi al micro- scopio che le chiazze brune anziché a sola mica, sono specialmente dovute all’agglomerarsi di piccolissimi granati. Vengono in seguito fino al ciglio della balza gneiss nrnuti grigi, talora verdicci per clorite, a struttura assai fine, anche tabulari, con varietà chiara simile a quella che viene scavata a Prestone. In essi pure v’ha tormalina non di rado macroscopica e granato, e special- mente verso l’orlo della balza v’hanno intercalazioni o forse lenti al- — 92 — lungate, di scisto quarzoso, di scisto di tipo arenaceo e fili adico serici- tico, e fra esse una fìlladica nera o grigio-plumbea a chiazze ferruginose di alterazione, fel dispati ca con minerale grafìtoide, a due miche, mi- crotormalinifera. Poco sotto nella balza corrono banchi compatti che ricordano quelli della rupe forata presso la piccola galleria stradale prima di giungere a Prestone La direzione media degli strati nel tratto considerato è fra Nord ed Est, la pendenza varia da 20° a 40° verso levante. Una parte degli scisti veduti, quelli che risortono fra la strada e gli gneiss propriamenti detti, è probabile possa attribuirsi al per- miano; ma mancando ora di campioni, non avendo osservato netto contatto fra detti scisti e gli gneiss, nè ricordando d’aver veduto tipi ve- ramente caratteristici pel permiano,' mi limito ad indicare la località come assai favorevole per Tesarne dei vari tipi di roccie e della loro successione. A Nord sul ciglio della balza, s’erge il monticolo arrotondato segnato sulla carta alla quota 1850 che sovrasta alla 'valle di contro ai casolari di Rasdeglia, formato di gneiss minuti micascitosi simili a quelli prima veduti attraversati da alcune vene pegmatitiche e che corrispondono a banchi a questi sottostanti nella balza sul Liro. Quivi sono tipi più compatti, v’hanno parti pegmatitiche, . grossi nuclei di quarzo associato a muscovite in gruppi di lamine assai svi- luppate e si notano frequenti e più grandi gli aciculi di tormalina. La direzione della roccia appare mutata e volta verso O.N.O con pen- denza di 50° a N.N.E. Dal detto monticolo verso N.E è dato veder bene il tratto di regione compreso fra la rotabile e l’incisione della valle detta qui del Cardenello, che convoglia le acque del piano di Monte Spluga e che a N.O del monticolo si unisce col vallone Scisarolo nel quale si radu- nano e corrono al Liro i rivoli scendenti dal ghiacciaio di Pizzo Terre. Quel tratto di regione presenta una stretta zona a monti coli ar- rotondati fra cui sono ripiani prativi, torbosi e paludosi, la quale si estende fino al piano di Monte Spluga. Lungo questo tratto corre il limite fra gli gneiss minuti propria- mente detti e le roccie pur d’abito gneissico, che possono forse attri- buirsi al Permiano, e lungo la strada ad un dipresso corre quello fra queste ed i calcari. Dal lato di levante però della rotabile la roccia, - 93 — ricoperta quasi sempre da detrito morenico, ricompare in pochi punti. Un po’ di calcare con tipi alterati carniolici spunta presso le casupole -di Palude e tra queste e la seconda cantoniera o ricovero detto la Stuetta sul lato di levante della strada, si ha in un punto, con andamento sinuoso, una successione di roccie simile a quella ac- cennata presso Buffalora e quivi la stretta zona di quarzite appare per brevissimo tratto ai due lati della strada Dietro la casa di ricovero, sotto al detrito si mostra uno scisto gneissico di tipo più francamente del Permiano alpino, il quale dalla parte opposta della rotabile forma le belle rupi mirabilmente arroton- date e striate su cui v’hanno i ruderi di un castello diroccato. Prima di giungere al gran piano di Monte 'Spluga, dovuto esso pure ad un bacino lacustre ricolmo, che la strada attraversa pel lungo per circa due chilometri per raggiungere al sommo di esso il villag- gio di Monte Spluga o Dogana di Spluga, si incontra poco sopra la rotabile dal lato di levante il calcare in un lembo lentiforme che esce dal detrito, nel quale è aperta una cava detta del Marmo, sebbene la massima parte della pietra che si frantuma facilmente venga estratta per la breccia stradale. In detta cava v’hanno banchi poco potenti ed abbastanza rego- lari di calcare marmoreo bianco e bardigliaceo, diretti a N.N.O con pendenza di 40° o 50° a levante e negli inferiori l’alterazione super- ficiale fa apparire sulla pietra quella venatura speciale simile alla legnosa, che mostrano talora certi cipollini. Sul fondo poi della cava il calcare è giallo ocraceo. Il calcare riappare tosto poco oltre in un’altra forma lenticolare che se^ue fino al pianeggiante e qui presso, spunta qua e là in pa- recchi altri punti del rialzo ricoperto in gran parte da morenico che dal lato di levante, sbarrandolo a valle, limita il piano di Monte Spluga. Questo morenico riducendosi a stretta zona, misto a detrito di falda ed all’alluvionale dei torrentelli, contorna il piano dal detto lato lungo la falda del Suretta fin poco oltre il villaggio di Monte Spluga. Lungo questa striscia morenica, il calcare rispunta ancora in piccole manifestazioni; come allo sbocco nel piano del torrente che scende dal vallone di Suretta e più a monte, fin presso l’abitato di Monte Spluga in altri due lembi più estesi ; nel secondo di questi, — 94 — inciso da un torrentello, il calcare, come alla cava del Mar mo, bianco o grigio cristallino, alterato, carniolico od anche del comune tipo tria- sico, è rotto e tormentato, e attorno ad una specie di nucleo di cal- care bianco ben appariscono le tortuosità degli strati. Dopo poco morenico il calcare riappare tosto sopra il villaggio e procedendo a Nord lo si segue in stretta zona, interrotta una sola volta da detrito, fino al Giogo dello Spluga, dove è divisa in due; ma di ciò dirò più tardi. Il morenico che sbarra il piano, ricopre a Nord la regione calcarea già ricordata, elevata di quasi 200 J metri, che corre fra la strada nazionale e la valle dello Scalcoggia ; è incisa dal torrente fra Made- simo, dove essa occupa i due lati della valle e Pianazzo, e si seguita a Sud sulle alture formanti l’ampio tratto poco inclinato o ripiano di Motta già accennato, che sta fra la bassa valle dello Scalcoggia ed il bacino di Fraciscio, elevato all’ incirca quanto la detta regione cal- carea. Fra il piano di Monte Spluga e Madesimo percorremmo la re- gione che ci risultò caratteristica per la sua singolare orografia dovuta all’erosione glaciale e per l’associarsi in essa dei vari tipi di calcari più comuni e specialmente di quello Villano va della parte bassa del Trias medio o Musehelkalk, con gessi e carniole. Fra i monticoli o collinette poco elevate a dolce curvatura v’hanno specie di ripiani o di conche imbutiformi, talune non slabbrate, sul cui fondo sono pianeggianti torbosi o paludosi ed in una vi ha anche un laghetto. Nella parte più elevata la roccia, che già vedemmo alle gallerie stradali ed in piccoli lembi spuntanti dal morenico, è a nudo, ma su- perficialmente quasi ovunque, è dalle azioni esterne ridotta in posto a detrito. Lungo la parte che forma l’arrotondato crinale, volgendo verso Madesimo trovasi una plaga in cui il calcare è in gran parte gessi- ficato e sonvi punti in cui il gesso è mescolato a calcare, nei quali si osserva, per così dire, l’andamento seguito dalla gessificazione, così come osservai in parecchie regioni gessose in Savoia, al Moncenisio e nella Valle Stretta di Bardonecchia. Più in basso, come nei pressi delle case Andossi dove per lo più il ter- reno è ricoperto da detrito, stanno pure numerosi e piccoli vani ad imbuto che attestano della presenza del gesso immediatamente sotto- stante, simili a quelli che incontransi nelle regioni triasiche ora men- — 95 — zionate, specialmente in quella del Moncenisio ed in quella più carat- teristica della Grande Forclaz ad Est di Moutiers, tra la valle del Doron di Bozel e la valle di Peisey in Savoia. Una massa di gesso bianco cristallino simile a quello che si estrae nella valle dell’Aro in Savoia ed a Savoulx e Melézet nell’alta valle di Susa, vedesi di contro sulla ministra dello Scalcoggia ergersi dal detrito del cono di deiezione del torrentello che scendendo dal Pizzo Sterla s’immette nello Scalcoggia presso Madesimo, dove viene indu- strialmente preparato. Questa piccola massa gessosa isolata si riattacca alla massa es- senzialmente carniolica che forma sulla sinistra della valle la parte bassa dell’incisione in cui scende il Rio Groppera e già dissi che a sua volta si riattacca col resto della massa calcarea correndo verso il ripiano di Motta. Dai calcari dolomitici di Madesimo, che si trasformano in gessi e carniole, concorrendo alla loro trasformazione, pigliano senza dubbio origine le rinomate acque dette magnesiaco-ferruginose. Queste acque devono essere analoghe a quelle della Vittoria e della Margherita a Courmayeur e ad altre molte delle regioni gessose alle quali ven- gono attribuite speciali virtù terapeutiche. Sebbene, come dissi, i calcari sieno per lo più frantumati, degra- dati per azioni esterne, passino qua e là in modo non definito a masse carnioliche o gessose e rivelino sovente andamento sinuoso, pure dalle direzioni prese nei calcari a lastre sulla strada, alle cave del Marmo ed in vari altri punti, dal seguire certi tipi speciali come quello più cristallino che si vede correre quasi come striscia intercalata pres- soché nel mezzo della massa, dalla forma della massa stessa, si deduce che sono diretti all'incirca a N-S con tendenza a volgere verso Ovest immergendo fortemente ad Est e con certa concordanza colle roccie che li comprendono. Al tratto terminale della valle dello Scalcoggia giungemmo ad ora tarda, epperò non potemmo fare attendibili osservazioni in questo tratto, dal cui esame particolareggiato io credo si possano trarre utili elementi per stabilire la forma e la posizione del lembo calcareo triasico. Dal bacino di Monte Spluga all’alto della valle dello Scalcoggia, fra la ripida rocciosa falda che scende dal Pizzo di Spadolazzo cin- gendo parte del bacino sulla sinistra e la parte Nord della massa calcarea, corre un breve tratto in cui il terreno ricoperto da morenico - 96 - è conformato a leggiero avvallamento. In questa poco sentita e non regolare depressione; spunta qua e là dal detrito roccia simile a quella veduta alla cantoniera di Stuetta, pur qui d’abito gneissico ^ del tipo più comune e caratteristico del permiano nelle Alpi Marittime, della quale tratterò in seguito. Essa forma la falda del monte, ma forse in questo luogo non raggiunge l’alto della giogaia, mentre si estende e costituisce sulla sinistra del bacino fino al Giogo dello Spluga il gruppo montuoso : e dal Pizzo Suretta che lo domina, tale roccia, comprendente vari tipi, venne dal Polle designata col nome di Suretta-gneiss. Pertanto appare già come i lembi calcarei attorno al Piano di Monte Spluga e la zona accennata che segue al Giogo, sieno in con- tinuazione della massa calcarea di Madesimo, la quale poco a Nord della borgata presenta una larghezza di circa due chilometri per re stringersi poi in stretta coda rimontando : ed appare come questo cal- care sia tutto o per la massima parte compreso negli scisti permiani, che, a loro volta, continui od interrotti, sono compresi negli gneiss minuti mica scistosi. A Nord dell’abitato di Monte Spluga s’apre, come già accennai, il vallone che mette al giogo; ad Ovest la breve valle di Loga cui so- vrasta in fondo sulla sinistra il Pizzo Tambò ed al basso di essa, in essa insenandosi alquanto, ha principio il piano di Monte Spluga. Questo, verso . ponente è limitato dalla falda a N.E del Monte Oarden, alla cima del quale termina il diritto crinale che declina da Ovest ad Est staccandosi dal piccolo ghiacciaio di Val Loga, limi- tando verso mezzogiorno la valle omonima. Al basso del Carden dove la roccia arrotondata e ricoperta solo per pochi tratti da detrito di falda, giunge alla pianura, è del tipo scistoso gneissico deg’i scisti permiani, mentre il detrito che scende da poco più alto è di roccia gneissica micascistosa; cosicché è a ritenere che il limite fra questa e quella, dai pressi del castello diruto attraver- sando la gola profonda del Cardenello incisa dalle acque che vi si precipitano dal piano, segua verso N.N.O lungo la falda del Carden. Sùbito dopo la cima di questo monte, sul crinale, v’ha una pic- cola massa di color chiaro ocraceo di roccia sfatta, che vista da lungi parrebbe calcarea. Sulla destra della valle di S. Giacomo poi, a Sud di quella specie di grande anfiteatro formato dai monti attorno alle borgatelle di Isolato, vedonsi sulle creste dei contrafforti che, staccan- dosi dal crinale su cui corre il confine di Stato, scendono da Ovest ad - 97 - Est, altre due o tre di tali piccole masse le quali pei tratti ove si trovano, rendono poco frastagliata ed accidentata la costa e già le notammo dall’alto dello scaglione di Eraciscio sopra Campodolcino. Una di queste masse delle quali non v’è cenno nelle carte della regione, appare sulla costa che a Nord sovrasta i casolari di Starleggia superiore, dove è noto esiste in un calcare una interessante grotta natu- rale detta del Nido 1, la quale molto probabilmente è in condizioni analoghe ad altre che incontransi nelle Alpi, ossia presso il contatto di un calcare con una roccia meno erodibile e poco o punto permeabile, come ad esempio le grotte di Bossea e di Rio Martino nelle Alpi Marittime. Riattaccando mentalmente queste masse isolate, esse costituireb- bero una zona o striscia continua, corrente da Nord a Sud parallela- mente alla valle del Liro, della quale striscia sarebbero i residui stati risparmiati dall’erosione. Noi non abbiamo avvicinato dette masse; credo tuttavia opportuno richiamare su di esse l’attenzione, perchè ove, siccome ritengo, sieno come quella di Starleggia, costituite da calcare, rimarrebbe a stabilire se esso sia arcaico ed incluso negli gneiss minuti, ovvero rappresenti il fondo d’un’altra piega triasica parallela a quella veduta e cioè non si riattacchi al calcare della massa di Madesimo, il quale avrebbe for- mato almeno un’altra piega esportata dall’erosione. E qui cade a proposito ricordare che guardando da Chiavenna al monte di Pratomorello, che gli si erge di contro ad Ovest, vedonsi pure ed all’mcirca sulla direzione determinata dalle accennate, masse s’mili forse in relazione con quelle, ma che potrebbe anche darsi, rappresentassero la ristretta zona calcarea che, se non continua, si trova frequentemente in altre località, al passaggio dello gneiss centrale alle roccie che lo ammantano. Tutt’attorno al bacino di Monte Spluga si vedono roccie arroton- date e striate ed accennerò specialmente a quelle che presso il villaggio emergono dal piano fra lo sbocco del vallone che mette al Giogo e quello della Val di Loga. Bacini pianeggianti posti nell’ alto di grandi valli alpine, circon- 1 G. Paribelli, La Grotta del Nido in Alpe Toiana sopra Starleggia (■ Comune di Campodolcino. Mandamento di Chiavenna). (Boll. Club Alpino italiano, Voi. XV, n. 45). Torino, 1881. 7 — 98 — dati da ripide falde, nei quali sboccano lateralmente alcuni valloni secondarii e paragonabili per condizioni orografiche a questo di Monte Spluga, sono frequenti e, come ad esso assai somiglianti per particolari orografici, ricorderò qui quello della Mussa elevato di circa 1800 metri e quello d’ Usseglio di 1250, nelle valli di Lanzo Torinese. Prima di lasciare questo bacino, affatto incidentalmente, ricorderò ancora che fra i vari detriti di falda, morenici, ed anche alluvionali e di conca che ricoprono la regione montuosa che lo circuisce, spic- cano per la loro tinta un po’ più chiara, parecchie limitate frane recenti che il sig. G-. Tognoni dimorante a Monte Spluga, direttore di quell’ Osservatorio meteorologico, ci disse essere dovute al terremoto del 9 giugno 1891, il quale ne produsse molte, e subito dopo avvenuta la scossa, nella sola parte montuosa in vista dal villaggio nè potè contare 28. - Ricorderò ancora come in una specie di vena quarzosa negli gneiss minuti sulla falda del Carden si raccolgano associati a pirite ed altri minerali, ben sviluppati cristalli di quarzo, talvolta curiosi per l’anormale sviluppo delle faccie, per cui a prima vista non si riconoscono per tali. Da Monte Spluga la strada nazionale, rimontato il poco morenico, giunge al Passo mantenendosi sempre sugli scisti permiani per lo più lungh’essa poco gneissici e come dirimpetto alla 3a cantoniera, di tipo fìlladico argilloso. Dietro questa, le balze che presenta in basso la costa del Pizzo Tamborello sono ancora formate da dette roccie e sol- tanto non molto più in alto, deve, attraversata la Val di Doga, pro- seguire il limite di esse cogli gneiss minuti micascistosi. Nelle balze poco discoste e circa a N.O della casa cantoniera, v’hanno lenti o letti di roccia compatta scura halleflintoide e fors’anche di roccia calcarea che rinvenimmo nel detrito, immerse nello scisto permiano di cui disturbano l’andamento, il quale ridiventa poco dopo regolare, e, con direzione verso N.N.O, pendente di circa 40° ad Est, lo scisto si dirige al displuvio lungo il quale corre il confine di Stato. Sul displuvio all’incirca a 50 metri sopra il livello della strada al Passo, v’ha un piccolo ripiano torboso che all’epoca della nostra visita si escavava. Di qui scendemmo alla rotabile e seguendo la linea di frontiera attraversammo longitudinalmente l’incavo del colle che, lungo circa 400 metri, è compreso fra le costiere che rimontano al Pizzo Tambò verso Ovest ed al Pizzo Suretta verso Est. Alle cause che in questo tratto della giogaia che divide il bacino — 99 - del Po da quello del Reno produssero la bassura del Passo dello Spluga, accidentata per piccoli monticoli, non può essere stata estranea la erodibilità delle roccie che in esso si trovano, più facile die non quella delle roccie che formano i due versanti che vi convergono. Sono in essa roccie scistose e fìlladiche ad andamento per lo più regolare dirette a N.10-°15°0 e pendenti mediamente di 40° ad Est, e le roccie calcaree già ricordate nei due gruppi di banchi o strati per lo più sottili ed ondulati, talora contorti. E l’erosione di queste roccie deve principalmente essere avvenuta per opera del tratto di ghiacciaio, che non pare dubbio in altr’epoca stesse qui direi a cavaliere del monte, unendo quello che scendeva verso Nord alla valle dell’Hinterrhein, con quello che correva a Sud nella valle del Liro. Lo schizzo affatto schematico di sezione, condotta per circa 700 metri lungo la frontiera, e l’elenco seguente meglio che una lunga descrizione esprimono ad un dipresso la successione e la potenza re- lativa delle principali . varietà di roccie che quivi osservammo, e cioè : Torbiera Passo dello Spluga ( Rotabile ) 2187 2117 2131 2204 N. 1. Scisti gneissici a sericite, di color verdiccio o grigiastro plumbeo, a struttura irregolarmente occhiadina o nodulosa e più o meno tabulari. In essi sono intercalazioni di roccia compatta grigio- scura hàlleflintoide. Passano ed anche alternano con: N. 2. Scisti meno gneissici sericitici fìlladici pure verdicci o grigio-plumbei a superfìcie increspate o gibbose per noduli feldspatici o quarzosi. N. 3. Scisti più fìlladici dei precedenti, clorito-sericitici, di — 1CX) — aspetto ora più o meno arenaceo, ora più o meno argilloso, di color lionato per alterazione e tormalini feri. N. 4. Calcari vari in banchi per lo più sottili, e cioè: bianchi cristallini marmorei a grana più o meno fine*, calcari grigiastri pure saccaroidi, talora di tipo cipollino, e calcari grigi finamente cristal- lini zonati per liste di variabile intensità di tinta e grossezza di grana, talora con nuclei od aggregazioni irregolari, giallastre spatiche, do- vute essenzialmente a dolomite. N. 5. Sottile gruppo di scisti simili a quelli n. 3. N. 6. Secondo gruppo di banchi e strati di calcari simili a quelli n. 4. N. 7. Eoccie porfìriche verdiccie, più o meno gneissiche, so- venti con accenno a struttura granitoide, ad elementi di media grossezza. N. 8. Scisti vari sericito-cloritici a grosse lenti quarzose. N. 9. Scisti tegulari verdicci a grana fina, molto quarzosi, in- tercalati, come quelli n. 8, nelle roccie n. 7. N. 10. Eoccia simile alla n. 7, ma generalmente più massiccia ed in cui è più pronunciato l’aspetto di porfido. Fermandomi dapprima ad esaminare i due gruppi di banchi cal- carei, accennerò come i calcari grigiastri saccaroidi sieno cosparsi di laminette per lo più isolate di muscovite e clorite, le quali talvolta nei cipollini si radunano in aggregati verdastri squamosi irregolari od in filetti o zone che assumono talora 1’ aspetto di esili intercalazioni di strati scistosi. In essi ed in minor copia nelle altre varietà, si rin- vengono poi disseminati altri minerali per lo più microscopici quali, quarzo, feldspato, epidoto, tormalina, ematite, rutilo. Y’ha poi anche pirite talora in cristallini abbastanza sviluppati, ma per lo più alterata e cambiata in ossido ferrico idrato. Le aggregazioni spatiche di dolomite sono manganesifere. Aggiungerò qui che tanto nei calcari del Giogo di Spluga come in quelli della Cava di Marmo, dei pressi di Buffalora e del bacino di Fraciscio, incontrai piccole e talora minime quantità di magnesia. La varietà marmorea bianca è più sviluppata nel piu ristretto gruppo di banchi, ossia in quello più ad Ovest, dove ha 3 o 4 me- tri di potenza. I diversi tipi calcarei meglio si possono osservare, perchè il masso è più attivamente scavato per pietrisco, nell’altro gruppo più potente, e mentre nel primo l’andamento dei banchi è . relativamente regolare, in questo essi presentano contorsioni e rotture bizzarre, messe talora meglio in evidenza dal materiale verde squamoso intercluso. — 101 — Specialmente dove è aperta la cava, il calcare, sovente alterato, si frantuma facilmente, ed è ricoperto da nn po’ di terriccio ocraceo ar- gilloso, residuo del calcare stesso, stato disciolto dalle acque meteo- riche. Non v’hanno qui i soliti tipi piu comuni del Trias medio delle Alpi Occidentali, ma v’hanno quelli incontrati in. più punti al limite della massa ritenuta triasica di Madesimo colle roccie incassanti e cioè le varietà vedute lungo la strada da Pianazzo alle cave del Marmo e nelle piccole masse a levante del Piano di Monte Spluga. Il cipollino di Frabosa Soprana nelle Alpi Marittime ritenuto triasico, specialmente alla divisione irregolare dei banchi, presenta quelle parti scistose squamose verdastre distribuite molto irregolarmente nella massa ed il materiale onde sono costituite è molto simile, se non identico, a quello del Giogo di Spluga, a quello sulla strada nazionale presso Boffalora. Opino quindi che anche per riguardo alle varietà che presentano questi banchi calcarei separati in due gruppi da scisti di fisionomia permiana ed in questi compresi, sieno come ritiene l’Heim da ascri- versi, così come i calcari di Madesimo, al Trias e probabilmente alla parte inferiore del Trias medio, metamorfosato. E vero che, visto che in qualche località nelle Alpi Occidentali vi sono lenti calcaree in roccie affatto simili agli scisti del Giogo dello Spluga e forse, come accennai, ve ne sono anche qui presso, mi si potrebbe obbiettare che i calcari del Giogo, anziché al Trias apparten- gano alla formazione ammessa come permiana in cui sono compresi. Ma per rispondere a tale obbiezione oltre alla continuità ed alla analogia che presentano coi calcari della massa di Madesimo, se pure tra i calcari e gli scisti al Giogo mancano roccie che si possano ascri- vere alla parte inferiore del Trias, ricorderei che poco lungi a Boffa- lora calcari simili li abbiamo trovati separati dalle roccie che li com- prendono da un banco di quarzite che per quanto poco potente, credo poter riferire al Trias inferiore. Per quanto ci fu dato osservare nella rapida ispezione fatta al Giogo dello Spluga, non ci parve che nelle piccole masse calcaree le varietà si ripetano con una certa simmetria da una parte e dall’altra di esse. E se pure poniamo mente alle roccie scistose che le impigliano, non v’ha esatta ripetizione dei loro tipi ai due lati di dette masse. Egli è perciò che, come già pei calcari di Dubino, esprimo il dubbio che anche qui piuttosto che di pieghe veramente dette, per — 102 — quanto strette e laminate del calcare negli scisti permiani, si possa trattare di una specie diversa di rinserramento di quello in questi, sebbene sia noto come non sempre e tanto più in regioni ch’ebbero a subire movimenti complessi sia esatta la corrispon- denza del tipo della roccia ai due lati o rami della piega da essa formata. I due gruppi di banchi calcari appaiono indicati verso Ovest e pertanto si trovino essi propriamente in piega o per movimenti com- plessi altrimenti rinserrati nelle altre roccie, per singolare coincidenza si nota al Giogo di Spluga, e più accentuato, lo stesso particolare sratigrafìco appena accennato nella massa di Dubino di contro alla Yedescia, quello della grinza o della doppia ripiegatura. La direzione della piega, ossia del così detto asse di sinclinale, è qui normale a quella del calcare di Dubino com’è normale la dire- zione della valle di S. Giacomo su quella della Valtellina Può essere che causa del primo delinearsi della valle di S. Gia- como, almeno nella sua parte superiore, sia stato appunto il fatto tet- tonico in questione, cioè che l’alto di questa valle sia come suol dirsi, in sinclinale. Considerati pertanto come già dissi i calcari di Madesimo, quelli del Piano di Monte Spluga e quelli del Giogo come una sola massa ora potente, ora sottile, compresa in altre roccie, l’andamento della sua linea di fondo o basale, presenta inflessioni, è cioè ondulato. Elevata nei pressi di Motta, s’abbasserebbe sotto la massa di Made- simo, per risalire al Piano di Monte Spluga, dove può anche essere ora in parte interrotta, esportata dall’erosione, e risalirebbe al Giogo punto in cui corrisponderebbe il suo massimo di elevazione ed ove dev’essere relativamente prossima alla superficie. Di qui si vedono verso Nord, i calcari riprendere in basso nella valle che scende a Spliigen, dove il Polle li figura nella sua Carta come triasici, al pari di quelli cui pure accenna di Monte Spluga, riferendo invece ad epoca indeterminata quelli del Giogo, ch’egli de- signa come marmi. Il Taramelli nella Carta della Lombardia ritiene i calcari di Madesimo come dolomie infraraibliane e quelli del Giogo assegna al Trias medio. Venendo ora alle roccie che comprendono i calcari, parlerò dap- prima di quelle grigio-verdiccie porfiriche che, più o meno gneissiche o massiccie, stanno ad Est delle loro masse, ricordando ch’esse sono della stessa natura di alcune di quelle già accennate, che trovammo 103 - alla cantoniera di Stiletta ad Ovest della massa calcarea e lungo il Piano di Monte Spluga, ad Est di questa. Dallo studio petrografia risulta che nel complesso sono costituite da una roccia porfirica o vero porfido più o meno laminato, trasformato od alterato, e più precisamente da un porfido granitico ad interclusi di quarzo e di feld- spato riconoscibile quasi sempre per microclino o plagioclasio e di mica biotite per lo più trasformata in prodotti prevalentemente verdi cloritosi, con una massa interstiziale microcristallina e talora cri- ptocristallina quarzosa feldspatica ricca di elementi sericitici; in questa si osservano accessori e molto subordinati: zircone, granato, tormalina, apatite, calcite ed altri minerali. Macroscopicamente, soltanto i cristalloidi di quarzo grigio del tipo proprio dei porfidi e quelli bianco lucenti a nette sfaldature del microclino si staccano dal fondo più scuro, verdiccio confuso, picchiet- tato per cristalli alterati di plagioclasio divenuti scuri e per rari punti bruni lucenti, residui di biotite inalterata. Osservando sezioni sottili ed anche superfìcie levigate dei vari campioni, si vede come 1’ omo- geneità di questo fondo cresca col crescere della scistosità o lamina- zione ed avvenga per migrazione nella massa interstiziale di prodotti d’alterazione dei plagioclasi e della biotite quali caolino, sericite, clo- rite, titanite e ferro titanato, epidoto, calcite. Intanto colla scistosità per frantumazione specialmente periferica e minuta, quasi per corrosione, decresce l’idiomorfìsmo dei quarzi e del feldspati porfiroidi che si presentano in grani tondeggianti a guisa di noccioli, distribuiti numerosi in una specie di cemento filladico verde-grigio, per cui i campioni più scistosi assumono aspetto fra il gneissico e, direi, l’anagenitico. I grani di quarzo costituiti ognuno da un solo individuo cristal- lino per lo più bipiramidato presentano frequenti le intrusioni della massa fondamentale caratteristiche nei quarzi dei porfidi. Ad ©stin zione per lo più ondulosa irregolare, il quarzo mostra soventi i fe- nomeni descritti dall’ingegnere Franchi nei quarzi che chiama li- stati od a graticcio in uno gneiss del massiccio cristallino ligure \ Esso non è ricco di inclusioni, e queste consistono in pochi pori disposti talora in serie ed in microliti opachi, ovvero di biotite e di rutilo. 1 S. Franchi, Op. cit., pag. 53. 104 Nei feldspati meno alterati frequente si nota la struttura zonare e l’estinzione irregolare. Sono soventi a contorno sfrangiato circondati da una specie di aureola di elementi di frantumazione. Talora rotti, i loro frammenti sono spostati. Yi si contengono inclusioni della massa fon- damentale e microliti di biotite, d’apatite e di zircone. Gli alterati sono essenziale: ente cambiati in sostanza caoliniforme cosparsa di la- minette di tipo sericitico formanti fìtto intreccio: questa sostanza, sebbene più o meno irregolarmente distribuita, palesa non di rado le traccio della zonatura e delle linee di geminazione del cristallo pri- mitivo. La biotite se, come raramente la s'incontra, è poco alterata, ha colore bruno-scuro ed è fortemente pleocroitica. Generalmente è ad orli scuri per l’accumularsi verso di essi di prodotti ferruginosi, con- tiene inclusioni aciculari e granulari scure, apatite in cristalli non di rado relativamente sviluppati, zircone e talora il suo colore cupo par- rebbe dovuto all’abbondanza di microliti di rutilo in aggregati sage- netici. Siccome avviene generalmente, per alterazione si scolora dive- nendo verdiccia. Le azioni dinamiche che la roccia ebbe a subire, si appalesano nelle sezioni sottili essenzialmente per le estinzioni irregolari dei quarzi e dei feldspati, per la disposizione quasi fìuidale nel senso della scistosità degli elementi micacei e dei plagioclasi sempre prismatici ed alterati, talora anche per essere questi elementi incurvati. Del gruppo di roccie permiane al Giogo di Spluga, il Eolie nella sua Carta segna soltanto queste più massiccie ora considerate, indi- candole già, sebbene dubitativamente, come equivalenti del Yerrucano In essa appariscono formare la massa del Suretta estendendosi a Nord, ed il limite fra esse ed i micascisti corre in basso del versante occiden- tale del Suretta, da Sud a Nord, a levante della bassura del colle compresa nei micascisti, nei quali è segnata l’intercalazione di calcare marmoreo. Tale posizione di limite è all’incirca mantenuta dal prof, l’ara - melli, il quale però fa venire la roccia calcarea in contatto di quelle del Suretta, che comprende sotto la denominazione di gneiss cloritici ed altri equivalenti del Verrucano. Il Curioni nella sua Carta non accenna al calcare del Giogo ed assegna al Carbonifero inferiore colla massa del Suretta, tutto il sommo della valle di S. Giacomo, comprendendovi il Monte Carden Lo Studer mette tale massa nei micascisti e gneiss, e gli scisti — 105 — de] colle coi calcari, contrassegna come scisti verdi di terreni inde- terminati 1 . Pertanto la somiglianza delle roccie del Suretta con roccie ritenute permiane, che sviluppatissime ebbi campo di osservare nelle Alpi Ma- rittime e nella Savoia e che già furono da parecchi studiate e definite come porfidi o roccie porfiriche, è veramente sorprendente e tale che alcuni campioni di queste località non si possono, anche sottoposti all’esame microscopico, distinguere da campioni da noi raccolti alla falda del Suretta. Ciò ad esempio avviene per esemplari della parte alta del Monte Besimauda sebbene in generale pur presentandosi questi somiglian- tissimi a quelli del Suretta, il loro color verdastro sia leggermente più sentito, forse in causa ad alcun po’ di anfìbolo che fortemente al- terato ed in modo affatto subordinato, si osserva di frequente nei campioni delle Alpi Marittime e non nei pochi del Suretta, che ab- biamo esaminato. Avverto che nella località da noi visitata il colore e l’abito della roccia nella massa si mantiene relativamente uniforme. Non incon- trammo varietà fortemente colorate in verde cupo, o grigio-scuro, o rosse, od a grossi cristalli idiomorfipo simili ai porfidi quarziferi comuni, varietà che di frequenti s’incontrano in altre masse di roccia analoga. Considerando ora gli scisti gneissici sericitici, le intercalazioni adinoliche od hàlleflintoidi, gli scisti fìlladici vari che trovansi spe- cialmente dal lato di ponente nell’incavo del colle, vediamo com’esse sieno nelle stesse condizioni di giacimento, ossia negli stessi rapporti geologici e talora molto simili ad altre vedute nella regione, così come ad alcune di quelle che stanno fra il calcare e gli scisti della cava di S. Quirico presso Vedescia, ad alcune di quelle del vallone Berzonica e di quelle ancora presso la strada fra l’ultima galleria ed il Piano di Monte Spluga, simili anche a scisti che rinvenni in varie altre regioni alpine specialmente nelle valli del Pesio, della Yermenagna e della Roja nelle Alpi Marittime, nei pressi del Monte Chaberton nelle Alpi Cozie ed in varie località della Savoia. 1 Nella recente Carta della Svizzera già cilata, dei professori A. Heim e C. Schmidt, le roccie del Suretta sono indicate bensì come porfidi quarziferi scistosi in parte sericitici, ma messe nel gruppo delle roccie antiche trasfor- mate. Queste roccie, malgrado l’aspetto vario, mostrano una certa uni- formità in riguardo ai loro componenti mineralogici, al modo con cui questi si presentano ed anche abbastanza strette analogie di struttura ; talché si possono considerare come fisionomie varie, gneissiche, fìlla- diche, afanitiche di uno stesso gruppo litologico, le quali, per mezzo dei tipi più scistosi delle roccie ultimamente considerate, si può dire passino gradualmente alla varietà più massiccia. Fra queste e le scistose più o meno gneissiche, corre un rapporto di struttura ed anche di composizione analogo a quello che v’ ha tra talune roccie scistose e quelle massicci© d* egual composizione, fra certi graniti e certi gneiss, hàlleflinte e cosidetti porfìroidi, fra certe dioriti e certi scisti dioritici, fra certi porfidi e certi porfidi laminati e tufi porfìrici scistosi. Ricordando che in generale i porfìroidi, mentre hanno analogia con tipi porfìrici, presentano transizione da un lato a tipi di hàlleflinte e di filladi sericitiche, mentre si riattaccano dall’altro a tipi gneissici, non pare fuori proposito il comprendere nell’insieme il gruppo di roccie scistose che incontrammo al Giogo dello Spluga, sotto la deno- minazione di scisti porfiroidici del Permiano alpino e non si sarebbe forse lontano dal vero considerandoli come forme tufoidi di una eruzione por lirica. Negli scisti gneissici sono marcatissimi gli indizi di azioni mec- caniche. Il quarzo dei grani non vi è come nei porfidi, ma è fram- mentario come nelle roccie gneissiche e nelle micascistose ed i fram- menti sono assai più grandi di quelli di quarzo che stanno nella parte microcristallina dei porfidi, nella quale sono impigliati grani quarzosi. Fra gli elementi micacei delle rocc:e scistose del colle, spicca, sebbene sempre più o meno scarsa, ia muscovite, in lamelle isolate distribuite porfìricamente secondo la scistosità. Fra quelli secondari od accessori v’ ha sempre la calcite, talora il granato e la tormalina soventi in cristallini mascroscopici, così pure ma molto subordinata la pirite. Notammo anche magnetite forse accompagnata ad altri minerali scuri metallici, e nelle varietà grigio-plumbee, un minerale grafitico. Un campione della varietà verdiccia filladica disseminato di rare e relativamente sviluppate squamette argentine di muscovite, è affatto simile ad un campione da me raccolto nel piccolo affioramento di scisto permiano a poco meno di 100 metri sotto la vetta del Monte Chaberton verso Nord e ad altri presso il Col de l’Alpette nella valle di Rio Secco, a ponente della massa di detto monte. - 107 — Crii scisti tegulari verdicci chiari omogenei della' falda del Suretta, ove vengono scavati, sono analoghi agli scisti estratti attivamente dalle falde del Monte Moro sopra Frabosa nelle Alpi Marittime. Per quanto macroscopicamente questi scisti appaiano omogenei e di grana fine, pure al microscopio risulta in essi evidente la disposi- zione porfìroide dei quarzi e feldspati presentanti molti dei caratteri di quelli nelle roccie più massiccie che li comprendono, e non di rado la massa microcristallina in cui sono immersi forma intrusione nei quarzi. Le roccie permiane porfiriche, gneissiche o fìlladiche incontrate al Giogo dello Spluga, o roccie simili si trovano comprese sotto le molte- plici denominazioni tratte da vari autori da nomi di località, quali quelle di Rofnaporphyr, Rofna o Rofla-gneiss, Suretta-gneiss, Appen- ninite, Besimaudite ed altri vari attribuiti ora alla stessa roccia, ora a varietà di essa, ora a queste riunite a roccia di epoca differente, ed è evidente che l’uso di alcuni di questi nomi può ingenerare, siccome ha ingenerato, una certa confusione. Dalle cose esposte penso risulti evidente 1’ identità dei tipi litologici dello gneiss centrale, in gran parte dell’ Arcaico a questo superiore, del Permiano e del Trias nella bassa valle del Mera e nella valle del Liro, con i tipi corrispondenti nelle Alpi Occidentali, ed evidente pure appaia l’analogia dei loro reciproci rapporti di posizione nelle due regioni. Egli è quindi non dubbio che il rilievo geologico della regione considerata deve informarsi in ogni particolare agli stessi criteri che guidano il rilevamento particolareggiato delle Alpi Occidentali. Questi criteri, come pure le divisioni dei terreni adottate dal R. Uf- ficio geologico, le quali per l’Arcaico sono pur sempre ad un dipresso quelle stabilite dal Gastaldi, trovansi già espressi in due note pub- blicate dall’ ing. Zaccagna, 1 alle quali sono annesse due cartine, che, sebbene in s ala relativamente piccola, esprimono i risultati di gran parte dei lavori suoi e miei eseguiti fino al 1889, allo scopo di iniziare la formazione della Carta in grande scala della regione alpina. ’ D. Zaccagna, Sulla geologia delle Alpi Occidentali (Boll R. Com. geol., Voi XVIII). Roma, 1887. Idem, Riassunto di osservazioni geologiche fatte sul versante occidentale delle Alpi Graie (Boll. R. Com. geol., Voi. XXIII). Roma, 1892. *¥■ 108 - Ed ora se non ho dato all’argomento lo sviluppo richiesto dalla sua importanza e se posso essere incorso in qualche inesattezza di par- ticolari, spero si vorrà tener conto, sia delle condizioni in cui furono fatte queste osservazioni, sia dall’averle io compilate a poco meno di due anni di distanza. Roma, maggio 1894. III. A. Stélla. — Sui terreni quaternari della Valle del Po in rapporto alla Carta geologica d' Italia. Sommario : 1. Cenno sni lavori di rilevamento per la Carta geologica della pianura del Po. — 2. Serie dei terreni quaternari. — 3. Divisione in alluvium e diluvium. — 4, Alluviale pro- priamente detto. — 5. Torbe. — 6. Dune litoranee. — 7. Dune continentali. — 8. Diluvium e sue divisioni. — 9. Diluviale antico, medio, recente e Morenico nella pianura subalpina. — 10. Conglomerati diluviali. — 11. Natura fluvio-glaciale del diluviale antico. — 12. Natura alluvionale del diluviale medio. — 13. Parallelo col Quaternario entro valle. — 14. Due espansioni glaciali. — 15. Doppia fase doll’ultima espansione. — 16. Serie dei terreni da questo punto di vista. — 17. Limite interiore del diluvium dal Pliocene. — 18. Terreni diluviali della pianura subappennina e loro divisione in recenti e antichi. — 19. Delimitazione dal Pliocene. — 20. Conclusione. , \ E noto forse al lettore, come da parecchi anni lo studio delle formazioni quaternarie della pianura del Po, per la nostra Carta geo- logica, sia stato dal Comitato geologico affidato, sotto la direzione del prof. T. Taramelli, ad un gruppo speciale di operatori, composto : del dott. F. Sacco per il bacino meridionale piemontese, del geom L. Bruno per la sua parte settentrionale, dello stesso prof. T. Taramelli per la regione lombarda occidentale e centrale, del geom. A. Cozzaglio per quella orientale, del prof. D. Pantanelli per la pianura emiliana propriamente detta, e dello scrivente per la bassa pianura compreso il delta del Po. Nel suo insieme questo campo di rilevamento com- prende la pianura del Po in senso stretto, cioè quella parte di pianura dell’Alta Italia, che appartiene all’ odierno bacino idrografico del Po, e a valle ha per confine il corso dell’Adige, quello del Reno, e la linea di spiaggia adriatica compresa fra le foci di questi due fiumi. 109 — Per completare lo studio a me affidato nel bassopiano, io dovetti estendere le osservazioni a monte anche verso l’alta pianura sia sub- appennina che subalpina, toccando così regioni assegnate ad altri rilevatori (Pantanelli, Cozzaglio, Taramelli). Addetto più tardi al rile-* vamento delle Alpi Occidentali, insieme coi colleghi ingegneri E. Mat- tinalo, V. Novarese, S. Franchi, ebbi occasione di occuparmi di rile- vamenti e ricognizioni nel Quaternario entro valle e agli sbocchi di valle, dapprima dalla Dora Riparia alla Dora Baltea, indi a Sud della Dora Riparia fino al Tanaro, scendendo anche in pianura a toccare qui pure le regioni affidate ad altri rilevatori (Bruno e Sacco). Il congresso internazionale geologico tenutosi nello scorso set- tembre in Zurigo fu occasione a raccogliere in una Carta d’assieme al 500 000, corredata da qualche C arta di dettaglio, i diversi rileva- menti eseguiti in pianura 1 ; e toccò a me il compito di attendere, in- sieme col professore Taramelli, al coordinamento delle diverse parti rile- vate, coirincarico di completare parecchie lacune rimaste nei rileva- menti, e di estendere le osservazioni a quelle parti dove la necessità di un coordinamento razionale lo richiedesse. Il compito era più arduo e più laborioso del previsto; onde si dovette, per il Congresso, limitare la compilazione (per verità nem- meno essa in tutto omogenea) della Carta d’assieme alla parte di pianura compresa daJla Dora Riparia alla linea Adige-Reno; salvo completarla con nuove osservazioni nella parte oltre Dora, e correg- gerla per alcune altre regioni (Biellese, Lago Maggiore) dove si sentiva maggiore il bisogno di qualche revisione. Il che fu fatto in gran parte nella campagna decorsa. Ma la serie dei terreni adottata nella Carta d’assieme, quale ri- 1 Le carte, tutte manoscritte, sono le seguenti : Carta geologica dei terreni quaternari della Valle del Po dalla Dora Ri- paria all'Adige, nella scala di 1/500 000. Carta geologica dei terreni quaternari della Lombardia Centrale , nella scala di 1/100 000, rilevata dal prof. T. Taramelli colla collaborazione dei- ring. A. Stella. Carta geologica dei terreni quaternari dei bacini dell' Orco e della Roana (Alpi Graie) nella scala di 1/50 000 \ desunta dai rilevamenti degli ingegneri V. Novarese e A. Stella. Carta geologica e storica del Delta del Po nella scala di 1 100 000, per cura dell’ing. A. Stella. sultò dal coordinare i rilevamenti dei diversi operatori, e dalle nuove osservazioni sul terreno, si allontana più o meno dalle divisioni da ciascun rilevatore originariamente adottate. Per quanto possa parere forte in qualclie caso il divario, io credo di poter affermare, che dessa le comprenda tutte quante, interpretate però da punto di vista più generale. Nè paia scortesia ai colleglli rilevatori della pianura, se io esporrò genuinamente i risultati generali a cui sono stato condotto, anche se non collimanti del tutto con quelli parziali, o direttamente o indirettamente già da ciascuno di loro pubblicati. Lungi da presun- zione, attribuisco alla fortuna di aver potuto estendere le mie osser- vazioni a tutta la regione, col valido aiuto delle precedenti osservazioni locali dei colleghi rilevatori, e specialmente di quelle locali e generali del prof. Taramelli, se forse meglio risponderà al vero la nuova serie dei terreni e la interpretazione che ne verrà data. Scopo della presente Nota è appunto quello di dare una concisa spiegazione di questa serie di terreni , e di giustificarne la delimitazione e la interpretazione; senza entrare in descrizioni regionali, nè in det- tagli locali, i quali sarebbero oziosi qui, senza il corredo della Carta geologica, che, ancora manoscritta, aspetta il suo compimento oltre Adige e oltre Reno. Dovendo però formulare molte affermazioni gene- rali, credo necessario sempre di citare, almeno tra parentesi, le località cui si riferiscono le osservazioni parziali, che le giustificano ; osserva- zioni di cui s’intende mia la responsabilità, salvo in quei casi in cui qualcuno dei col leghi rilevatori venga espressamente nominato. Serie dei terreni quaternari. — Le divisioni adunque adottate nella Carta geologica della Valle del Po, dietro il coordinamento cui ho accennato, sono le seguenti: a. Allindale d.s. Diluviale superiore cl.m. Diluviale medio di. Diluviale inferiore mo. Morenico cì Conglomerati diluviali recenti Cj Conglomerati diluviali antichi d± Dune continentali d2 Dune litoranee t. Torbe. Le quali divisioni, raggruppate cronologicamente, darebbero la seguente serie di terreni: - Ili - Alluvium (quaternario recente) Diluvium (quaternario antico) Alluviale — Torbe — Dune continentali e li- toranee Diluviale superiore o recente — Morenico — Conglomerati diluviali recenti. Diluviale medio. Diluviale inferiore o antico. Conglomerati diluviali antichi. Comincierò dal parlare della distinzione principale in Alluvium e Diluvium , per procedere poi separatamente alle suddivisioni dell’uno e dell’altro piano; nel che fare, cercherò anche di mostrare i rapporti di queste formazioni rispetto ad eventuali espansioni glaciali , e rispetto ai terreni pliocenici , per venire ad una classificazione comparativa dei terreni quaternari subalpini e subapennini da questo punto di vista. Divisione principale in Alluvium e Diluvium. — Nella nostra Carta geologica della pianura, i terreni ascritti alY Alluvium hanno estensione non minore, che i terreni ascritti al Diluvium; onde questa divisione principale ha la massima importanza per noi. Geologicamente essa scinde l’epoca quaternaria in due periodi principali diversi per caratteri paleontologici , e scinde i terreni in due gruppi principali, che si possono dire diversi di origine, perchè cor- rispondono a regimi idrografici affatto differenti. E noto, che resti di una fauna a grandi mammiferi terrestri ora scomparsi dalla nostra pianura, furono esumati mano mano dai suoi terreni quaternarii *, e precisamente da terreni, o sepolti sotto le allu- vioni attuali, o addirittura fuori del dominio di esse; ed è pur noto, che, mentre in quei terreni più antichi appena si hanno traccie incerte della presenza dell’uomo {paleolitico)) invece negli altri terreni più recenti, abbondanti reliquie ci rivelano lo sviluppo della famiglia umana dalla fase neolitica , alla protostorica , che ne segna già il completo dominio nella intera pianura. Si ha dunque piena ragione di distinguere geo- logicamente un Quaternario antico (diluvium), da un Quaternario re- 1 Questi resti giacciono nei diversi musei dell’Alta Italia, e furono solo in poca parte finora oggetto di studio. Ora che il materiale si è notevolmente accresciuto, e che il rilevamento geologico deve procedere a tutta la pianura, è da augurarsi, che questo materiale possa venire studiato nel suo assieme, comprendendovi la revisione di quello già per lo addietro saltuariamente stu- diato. cente (alluvium) ; questa deve essere la prima gran divisione in una Carta geologica del Quaternario della pianura. Ma, per quanto importanti, essendo affatto sporadici i trovamenti paleontologi ci e 'paietnologici nella immensa pianura, è evidente la ne- cessità di criterii sussidiari nel rilevamento effettivo; criterii, che anche per queste formazioni quaternarie sono sostanzialmente i me- desimi, che aiutano il geologo rilevatore nelle formazioni più antiche ; cioè la natura litologica e la giacitura stratigrafica dei terreni. Per ciò vedere, occorre un rapido cenno topoidrografìco sulla nostra pianura, almeno per la parte di essa finora studiata, che si riduce, come si accennò, al bacino del Po in senso stretto. Chi ne esamini senz’altro una cartina topografica in piccola scala, è naturalmente condotto a immaginarsi que:ta immensa conca di materiali di trasporto, come una regolare pianura a doppia pendenza, che dipartendosi dalle radici della catena alpino-appenninica che la accerchia, declini ad un tempo regolarmente e verso l’asse del suo fiume principale, il Po, e verso la linea di spiaggia dell’Adriatico, che ne raccoglie tutte le acque. Ma questo concetto si avvicina al vero troppo grossolanamente, e va assai modificato ; giacché in realtà la superfìcie generale della pianura così immaginata presenta marcate irregolarità sotto forma o di prominenze o di depressioni , di cui bi- sogna tener conto. Tralasciando per ora di parlare delle prominenze (il che si farà più avanti), se si nota l’andamento delle depressioni , si vede, che esso è in istretto rapporto colla idrografìa; avendo in gene- rale per linea direttrice il corso dei fiumi, e talora una linea che ad esso corso si raccorda (ciò al Tanaro, alTOglio e influenti, al Mincio\ Per tal modo i fiumi del bacino, compreso lo stesso fiume recipiente, corrono in generale non a livello della pianura, ma in quelle più o meno marcate depressioni, in cui essi depongono e rimutano le proprie allu- vioni. Lo stesso bassopiano padano è da considerarsi come una gran depressione , in cui fiume recipiente e fiumi influenti hanno avanzato e avanzano le novelle gettate. I terreni di trasporto in cui l’erosione dèi nostri fiumi incise quelle depressioni , ove si deposero le nuove alluvioni, non sono il por- tato della idrografìa attuale, ma debbono corrispondere a un regime idrografico affatto diverso dall’attuale, e più antico: essi sono il risul- tato di una idrografia diluviale. Questa fu diversa e per la portata maggiore dei fiumi, e pel loro decorso; come rivela il confronto delle alluvioni recenti (allu viali) colle antiche (diluviali), sia nella grossezza, — 113 — sia nella qualità rispetto ai bacini montani di loro provenienza. Il quale confronto è di aiuto a delimitare cartograficamente Yalluviale dal diluviale specialmente laddove vien meno il criterio topografico della forma anzidetta a depressioni , che non è nè così marcata nè così universale, come si potrebbe credere. Infatto il complesso sistema dei fiumi del bacino, nel regime idrografico più recente (alluviale) che succedette al diverso regime più antico (diluviale), ha dovuto man mano stabilirsi con condizioni di decorso e di pendenza sue proprie, attraverso un piano alluvionale generato dal precedente sistema idrografico (diluviale), a decorso e pendenza ad esso non consentanei. Per raggiungere questo nuovo stato di equilibrio idraulico, i più dei fiumi dovettero appunto erodere le antiche alluvioni, scavando at- traverso il piano diluviale le depressioni di cui si parlò. Senonchè alcuni fiumi incisero nettamente e profondamente quel piano dilu- viale, dando luogo al così detto terrazzamento, e sono i fiumi delle maggiori valli alpine ed i fiumi lacuali (Tanaro, Stura di Cuneo, Dora Riparia, Dora Baltea, Ticino, Adda, Oglio, Mincio); altri invece, o solo leggermente terrazzarono i terreni diluviali, o appena vi model- larono più ampii, ma più leggeri solchi (Pellice, Chisone, Stura di Lanzo, Malone, Orco, Agogna, Lambro, Chiese). Ma parecchi fiumi al contrario riportarono sulle alluvioni antiche le proprie alluvioni, venendo in tal modo a correre in conoidi sovrapposte al piano gene- rale diluviale; il che fecero alcuni fiumi alpini (Po a monte della prima confluenza, Chisola, Serio, Mella), e parecchi fiumi appenninici (Arda, Stirone, Baganza, Tiepido, Crostolo). Per certi fiumi i conoidi diventano anche molto depressi, sino a livellarsi col piano gene- rale ; quando il fiume ha trovato nel piano diluviale condizioni di pendenza prossime a quelle che gli confacevano;' nel qual caso si è stabilito un corso a equilibrio alquanto instabile, dopo divagazioni laterali di cui rimangono traccio in alvei abbandonati o in leggieri dossi laterali (corso inferiore di Maira e Varaita; Pellice, Elvo, Sesia; Panaro, Reno). Si hanno così quattro modi principali di comportarsi dei fiumi, e cioè a terrazzi , a solchi, a conoidi e ad alluvioni vaganti', nei primi due casi, (i più frequenti), i terreni alluviali, sono disposti in « depres- sioni » nei terreni diluviali; negli altri due casi invece sono sovrap- posti in « rialzo » sui terreni diluviali. Avviene non di rado che diversi di questi modi si succedano e 8 - 114 — si alternino lungo l’asta di un medesimo fiume. Così avviene che pa- recchi fiumi sbocchino al piano fra terrazzi, e indi più o meno presto proseguono su conoidi (Maira, Varaita, Pellice, Chisone, Cervo; e quasi tutti i fiumi appenninici); oppure, che certi fiumi correnti su conoide si incassino fra terrazzi nel corso inferiore (Po piemontese, Chisola, Terdoppio, Serio; oltre a molti fiumi e torrenti minori delle conche prealpine). Bastano questi cenni a mostrare quali sono i criterii usati nella delimitazione effettiva dell 'diluviale dal diluviale sul terreno e sulle carte; con un grado di approssimazione, che credo sufficiente, e che pare migliore di quello raggiunto nelle carte geo'ogiche precedenti, bene riassunte nella Carta d’Italia al milionesimo dell’ Ufficio geolo- gico (1839'. Appare da essa, come i geologi dell’Alta Italia avessero bene osservato e apprezzato la forma « a terrazzi »; e capito la neces- sità di separare le alte alluvioni terrazzate dalle più basse; ma poi dove si avevano le altre forme sopra accennata a solchi , o a rialzi , si restringeva spesso l’allu viale pressoché ai semplici greti fluviali, pa- reggiando così in importanza i terrazzetti alveali, che fanno piarda ai nostri fiumi in magra, cogli alti terrazzi diluviali. Più tardi poi, credendo di correggere questo errore, si cadde, da taluno, i 1 errore ancora maggiore, allargando Yalluvium oltre il limite dei terrazzetti alveali di tanto, da includervi gran parte della pianura diluviale, (dii. sup.); e si tenne questo procedimento anche là dove gli a’ ti ter- razzi segnavano i limiti già rettamente adottati: e, per abbracciare questi terreni in parte alluviali in parte diluviali , s’introdusse l’ap- pellativo di « Terrazziano », che assolutamente io schiverò, a scanso di confusione. Alluvium (Quaternario recente). 4. Definito così dai terreni più antichi V Alluvium, veniamo partita- mente alle divisioni in questo stabilite. Dal quadro dei terreni si vede, che non si poterono fare nell 'Alluvium ulteriori distinzioni cro- nologiche; ma soltanto si separarono dai Terreni alluviali propria- mente detti, le torbe e le dune litoranee e continentali. Terreni alluviali propriamente detti. — Questi vengono così a com- prendere alluvioni assolutamente recenti e ancor oggi in via di for- mazione, e altre molto meno recenti Se si guarda per esempio il tipo dei fiumi a terrazzi, si osservano spesso per entro ai cigli supremi della depressione terrazzata, ordini — 115 — di terrazzi inferiori ; e balza all’occhio in tal caso l’età diversa delle al- luvioni riportate dal fiume successivamente su quei diversi ripiani, e la maggiore antichità loro, rispetto alle alluvioni che il fiume depone sul fondo della valle attualmente. Ancora, nel tipo di fiumi ad alluvioni vaganti si hanno tracci 1 fre- quenti di corsi successivamente abbandonati dal fiume, e a che molto lontani dal corso vivo attuale, rispetto al quale debbono quelli essere molto più antichi. Se si studia infine nella bassissima pianura, che muore alla spiaggia adriatica, il protendimento in mare, specialmente ai delta fluviali, si induce pure la ben diversa antichità di quei diversi terreni. Ora ricordando, quanto si disse, che questi terreni dell’ Alluvium, corrispondono essenzialmente nell’Alta Italia allo sviluppo dell’uomo dal preistorico neolitico , attraverso alla età del bronzo , fino alla 'prima età del ferro (protostorico), indi attraverso a questi ultimi venti secoli fino ad oggi; nasce naturale l’idea di tentare una distinzione crono- logica di questa gran massa di terreni alluviali almeno in due parti, in base a un criterio paletnologico- storico, sussidiato dai soliti criterii ausiliari. Ma questo tentativo, che io pure ho affrontato, specialmente per il bassopiano, conduce a risultato assolutamente negativo. Se si notano infatti i trovamenti paletnologici e archeologici in quei terreni alluviali, studiandoli rispetto alla distribuzione topogra- fica, e alla giacitura nel terreno, si trova bensì qualche caso favore- vole, in cui trincee naturali o artificiali mostrano sovrapposizione di resti umani via via più recenti .-ui più antichi; ma ciò è in casi affatto eccezionali. Invece in generale avviene, che residui di antichità affatto diversa si trovino o addirittura assieme commisti nel medesimo strato, oppure tutti superficiali, o tutti ugualmente sepolti in alluvioni, che debbono corrispondere a un medesimo momento geologico; ovvero avviene, che residui ugualmente antichi si trovino invece in alluvioni di antichità molto disparata. Il che ci dice, che, stabilitasi la idrografia alluviale al regime e alle aree attuali, o molto prossime alle attuali, la famiglia umana su- bito invase dall’epoca neolitica quelle aree. In esse i cangiamenti flu- viali (e in gran parte anche i cangiamenti di spiaggia adriatica, come si vedrà), non furono che alterne oscillazioni intorno a un medio stato di equilibrio idraulico; contro le quali però fin dal periodo protostorico il genio italico seppe opporre le classiche opere arginali a difesa delle sedi prescelte nella pianura. — 116 - Nei terreni alluviali adunque, l’unica divisione possibile, rimane la distinzione fra gli attuali greti , segnati senz’altro dal corso stesso dei fiumi e torrenti, e tutte insieme le altre alluvioni più o meno recenti di questo unico periodo del Quaternario. 5. Torbe. — Questi depositi di carattere tanto speciale, furono di- stinti dai terreni alluviali propriamente detti, indipendentemente dalla più o meno alta antichità, che varia di assai, nei limiti dell’ Al- luvium. Esse comprendono invero le torbiere dei varii bacini lacustri nell’ambito degli anfiteatri morenici, in gran parte di riempimento preistorico, ma anche storico; comprendono gli stagni colmati del corso medio di parecchi fiumi (torbe dell’alto Piemonte, Mosi cre- maschi, torbiere mantovane), per lo più di epoca storica ; e finalmente i recentissimi bacini torbosi del basso piano, fra cui quelli del delta di Po, che si possono dire le torbiere dell’oggi. 6. Dune litoranee. — Anche queste più che per la loro estensione, furono tenute cartograficamente separate per il loro carattere speciale : il che se era opportuno per le ben note dune litoranee , era necessario per le dune che chiamo continentali , fino ad ora ignorate. Sotto il nome di dune litoranee io intendo, sia quelle che orlano attualmente la spiaggia adriatica, sia quelle che sorgono entro terra allineate anche a parecchi chilometri dalla spiaggia attuale (nel Ra- vennate e nella regione Adriense e Comacchiese), come testimonii di linee di spiaggia più antiche, ma pur sempre nel dominio del Qua- ternario recente , formatesi in condizioni identiche alle dune attuali. Per lo studio delle trasformazioni idrografiche dell’estuario adriatico queste linee di dune litoranee rimaste internate, sono elementi pre- ziosi. Non è qui il caso di fermarci su questo punto, di cui ebbi oc- casione di occuparmi in modo speciale, venendo a conclusioni forse non senza interesse per il nostro argomento. Basti qui il confermare, che queste dune , internate o no, appartengono tutte insieme alla idrografìa alluviale; nè vi è ragione di tenerle geologicamente se- parate Quello che si è detto delle alluvioni fluviali, (che nel Quaternario recente sono il risultato di alterne oscillazioni del corso fluviale in- torno a uno stato medio di equilibrio idraulico); si può quasi esatta- mente ripetere per le formazioni litorali, che si potrebbero chiamare — 117 1© alluvioni fluvio-marine. Giacché dallo studio degli effettivi cangia- menti dell’estuario adriatico e della sua spiaggia, avvenuti in periodo storico, risulta bensì l’avanzarsi generale di essa; ma ciò avviene lentissimamente nel complesso, e con alterna formazione e distruzione di alluvioni deltoidi, e corrispettiva distruzione e formazione di dune litorali. Queste azioni, combinate coll’ accertato avvallamento secolare di questa bassissima regione, e coll’azione del flusso e riflusso marino, danno pure luogo a formazione e trasformazione degli specchi vallivi e lagunari. Ivi non avviene soltanto, che una laguna, riparata dietro un cordone litorale (lido), si tramuti, per alluvionamento, dapprima in valle salsa, poi in palude, e mano mano in asciutti terreni, che even- tualmente si protendono a delta fuori della linea generale di spiaggia (es. regione Ravennate, delta attuale del Po e dell’Adige). Avviene anche il caso inverso, cioè che un’area deltoide di terreni asciutti e valli d’acqua dolce, abbandonata dal corso vivo del fiume, si tra- sformi in valle salsa e in laguna, riparata dietro un cordone a dune (lido) formatosi posteriormente al detto abbandono (es. valli salse di Porto Levante, lagune di Comacchio). E qui pure la vigile cura dell’arte si può dire, che in tutto il periodo storico fu rivolta, più o meno vittoriosamente, a mantenere artificialmente (argini fluviali; dighe litoranee (murazzi); deviazione di fiumi dalle lagune; lavori alle foci, etc.), quelle condizioni idro- grafiche, che l’uomo aveva trovato favorevoli allo stabilimento delle sue sedi in queste basse regioni. Dune continentali. — Affatto diverse dalle dune litoranee, sono quelle che ho chiamato dune continentali , prima d’ora non mai state, come tali, rilevate. E specialmente nella Lomellina, (in quella parte cioè della pianura diluviale, che si stende monotonamente sabbiosa fra Sesia e Ticino, soltanto da recenti grandiose opere d’irrigazione ridotta a cultura) che in parecchi punti ampie distese di sabbia si trovano adunate in collinette (localmente denominate « i dossi ») dalla brulla, arida super- ficie leggermente ondulata, e increspata dai venti; riproducendo ivi il paesaggio di certi tratti a dune della pianura diluviale prussiana, o di certe zone a dune internate dell’estuario adriatico. Questi dossi sabbiosi emergenti dal piano diluviale generale, erano stati prima d’ora interpretati come isole sporgenti di più antiche alluvioni sepolte, di cui per vero nella regione confinante pavese si trovano le traccie - 118 - Ma quelle da me segnate sulla carta, sia in Lomellina die nel Pavese, sono vere dune continentali ; di nui probabilmente si troveranno le analoghe nel Veneto, come risulta dalle notizie raccolte. Anche ai così detti sabbioni dell’alto Piemonte mi riserbo ancora una revisione a tale riguardo. Diluvium (Quaternario antico). 8. Nel dar ragione della divisione dei terreni quaternarii della pia- nura in antichi i diluvium) e recenti (alluvium), si è veduto, come questi ultimi siano o disposti entro depressioni (tipo a terrazzi e tipo a solchi), o sovrapposti in rialzo (tipo a conoidi e tipo ad alluvioni vaganti) rispetto alla pianura diluviale. Questa denominazione sempli- fìcativa di r< pianura diluviale » va ora dilucidata, per comprendere le suddivisioni geologiche del diluvium, numerate nella nostra serie dei terreni, e che io qui richiamo Diluvium Superiore (Quaterna j Medio . .antico) j \ Inferiore Diluviale recente — Morenico — Conglome- rati diluviali recenti Diluviale medio Diluviale antico .... Conglomerati diluviali antichi. Per ciò occorre considerare separatamente la parte subalpina, dalla parte subappennina della così detta pianura diluviale; cominciando dalla prima. 9. Nella pianura subalpina adunque, la gran falda di terreni di tra- sporto, che si stende con graduale acclività fino ai piedi dei monti, anche facendo astrazione dalle depressioni e dai rialzi dovuti alla idrografia alluviale, presenta ancora delle forti irregolarità sotto forma di prominenze anche addirittura collinesche, sul piano generale dilu- viale. Queste prominenze, esse pure costituite di materiale di trasporto, sono sporadiche e poco estese nella parte di questo piano più lontana dalle falde montuose, ove sorgono come isole sopraelevate in questo gran mare detritico (altipiani isolati dell’alto Piemonte meridionale, del Novarese e Vercellese; del Cremasco; del Bresciano); ma esse for- mano più a monte una fascia più o meno frastagliata di alture di terreno di trasporto, che si interpongono fra il piano diluviale generale sopradetto, e il piede dei monti che lo fronteggiano In questa fascia di alture di terreni di trasporto quaternarii, va fatta subito una distinzione. Una parte costituisce le regioni colli- — 119 — nesche dei nostri classici anfiteatri morenici , già distinti con più o meno di approssimazione anche nella Carta geologica d’Italia al milio- nesimo. Un’altra parte, in estensione più importante (che nella anzi- detta carta non è distinta) forma altipiani di tipo prevalentemente allu- vionale, che chiamerò per ora altipiani diluviali 1; i quali, e si stendono allo sbocco delle valli ove mancano le colline moreniche, e coronano gli stessi anfiteatri morenici all’esterno, spingendosi a valle come peni- sole sopraelevate sul piano diluviale generale. Le isole dell’ alto Pie- monte, del Novarese, Cremasco e Bresciano cui ho accennato, appar- tengono pure a questo tipo ad altipiano. Importanti sono i rapporti reciproci di positura fra questi diversi terreni, cioè il terreno morenico , il terreno degli altipiani diluviali , e il detto piano generale diluviale. Se a questo scopo si percorrono quelli dei nostri fiumi, che con profonde trincee naturali si aprono la via dapprima attraverso le col- line moreniche, e quindi attraverso il piano diluviale generale (per es. Bora Baltea, Ticino, Olona, Adda, Oglio); e se ne esaminano i tagli da valle a monte, si vede fra il terreno diluviale e il terreno morenico la più graduale transizione nelle dimensioni degli elementi e nella struttura generale; e al passaggio dalla topografia pianeggiante alla topografia collinesca, non si può dire, che il terreno della collina si basi sul terreno del piano, o si adagi sotto ad esso, ma si vede, che ha luogo un vero innesto dell’uno terreno nell’altro. Cosicché i due terreni, il Morenico e il Diluviale del piano generale non sono che due facies diverse , glaciale e fluviale , di una medesima fase del periodo di- luviale. Invece se si esaminano i terreni degli altipiani diluviali suddetti, nelle regioni dove essi vengono a contatto con i terreni delle colline moreniche , si trova sempre, che il terreno degli altipiani soggiace al terreno morenico (p. es. anfiteatro di Rivoli, anfiteatro d’ Ivrea, sbocco di Val dell’Orco, porzione occidentale dell’anfiteatro del G-arda); nè mai avviene il caso inverso. Si notano bensì, specialmente alla super- fìcie, delle zone di apparente transizione fra questi terreni ; e vedremo 1 La condizione altimetrica e la qualità di questi altipiani ancora incolti, o solo tardi ridotti a cultura, ha fatto nascere le note denominazioni volgari di Vauda e Gerbido in Piemonte, Barraggia nel Novarese, Brughiera e Groana in Lombardia. - 120 - più avanti in dettaglio come queste si spieghino. Ma questa appa- renza, se può trarre in inganno a un primo esame, non giustifica l’errore di chi afferma (come il dott. Sacco) i terreni degli altipiani diluviali equivalenti del Morenico. Questa transizione è solo superfi- cialmente apparente ; giacche sta sempre la reale sovrapposizione del terreno morenico tipico al terreno degli altipiani diluviali. Per questa sovrapposizione è evidente, che il terreno morenico insieme col terreno diluviale del piano generale, appartiene ad una fase recente nel periodo diluviale, in confronto degli altipiani diluviali , i quali appartengono ad una fase od a fasi più antiche. A bella posta ho detto fasi più antiche, perchè gli altipiani dilu- viali in realtà si mostrano composti di terreni appartenenti certa- mente a fasi diverse, di cui almeno due principali dobbiamo e pos- siamo tenere cartograficamente distinte; aiutati in ciò abbastanza bene dalla disposizione topografica stessa. E invero se si parte dal piano diluviale generale per rimontare quegli altipiani diluviali fino alla radice di essi verso monte, nelle re- gioni dove essi sono più tipicamente rappresentati (p. es al piede delle Alpi Marittime fra Maira e Tanaro; al piede delle Alpi Centrali fra Sesia e Adda), non è un unico gradino che si deve salire, ma sono due gradini principali. Con un primo gradino di parecchi metri, talora di più diecine di metri, si sale su di un primo ripiano; e poi con un secondo gradino, spesso più pronunciato, si arriva al ripiano supe- riore, che acclive si stènde fino alle falde montuose, oppure fino all’orlo esterno delle colline moreniche. Agli sbocchi di valle avviene, che l’orlo di questi gradini s’in- flette verso il fiume che esce dalla valle, accompagnandolo per buona tratta e ad esso più o meno avvicinandosi. Cosicché se il fiume è a sua volta incassato fra terrazzi nel piano generale dilu- viale (p. es. al Pesio, Cervo, Agogna, Ticino, Olona), chi parta dal livello del fiume, cioè dal fondo di valle allu viale, allontanandosene in direzione normale all’asta del fiume, si trova a dover salire tre gra- dini o terrazzi: cioè dapprima il gradino fra l’alluviale e il diluviale generale (1° ripiano e 1° terrazzo), poi il gradino dell’altipiano dilu- viale meno alto (2° ripiano e 2° terrazzo) ; finalmente il gradino dell’alì tipiano diluviale più alto (3° ripiano e 3° terrazzo). Questi ripiani cos- enumerati si seguono anche in ordine di antichità, dal meno al più antico: il piano diluviale terrazzato (1° ripiano), più antico dell’ diluviale è meno antico dei superiori altipiani diluviali] così di questi, il meno — 121 - elevato (2° ripiano intermedio) è il meno antico; il più elevato (3° ri- piano) è il più antico. Questa differenza di antichità è effettivamente ben segnata anche dalla differenza nella alterazione dei materiali di trasporto dei tre ri- piani qui enumerati. Specialmente è marcatissimo il contrasto che c’è in generale fra il più antico (altipiano diluviale più elevato) e il più recente (piano generale terrazzato). Quest’ultimo mostra, in generale, sotto una leggiera crosta di alterazione superficiale, subito il materiale fresco di ghiaia e sabbia viva, grigio-chiaro nell’assieme. L’altro invece mostrasi alterato in tutta la massa, i ciottoli sfatti, il tutto commisto a un terriccio ocraceo, che fa dare in Lombardia il nome di « ferretto »> a questo terreno : si potrebbero questi più antichi altipiani chiamare brevemente gli « altipiani fer rattizzati ». Meno generale è il contrasto fra il ripiano intermedio, e ciascuno dei due ripiani superiore e inferiore. In certe regioni esso più .si av- vicina al tipo degli altipiani ferrettizzati (fra Maira e Tanaro ; fra Ti- cino e Adda); in altre regioni più al tipo del fresco ripiano generale terrazzato (alle due Dorè, all’Oglio, al Chiese); della quale oscillazione vedremo la ragione Sempre però è avvertibile, caso per caso, una locale differenza nella grossezza dei materiali, e talora anche nella loro provenienza rispetto al bacino montano fra l’uno e l’altro dei ripiani distinti. Dove poi le scarpate degli altipiani diluviali (2° e 3° terrazzo) si accostano al fiume, e quindi al terrazzo del piano diluviale generale (1° terrazzo), le incisioni che vi fanno le vallecole di chiamata delle acque verso il profondo letto alluviale, giungono talora, sebbene raramente, a met- tere a nudo la giustapposizione e sovrapposizione del materiale di trasporto dei diversi ripiani (p. es. alla Stura di Cuneo, Pellice, Ce- ronda, Cervo, Ticino, Olona, Adda, Chiese); facendo constatare come effettivamente il terreno di ciascun ripiano meno alto venga ad adagiarsi sopra o contro il terreno del ripiano più alto ; cosicché il terreno del piano generale terrazzato (1° ripiano) è il terreno Dilu- viale recente ; quello degli altipiani diluviali meno elevati (ripiano 2n, intermedio) è il Diluviale medio ; e finalmente quello degli altipiani diluviali più elevati (3° ripiano) è il Diluviale antico. Questo rapporto di sovrapposizione anzi essendo più generale, quantunque più difficile a constatarsi, in confronto del rapporto di terrazzamento, permette di tener distinto il diluviale antico dal medio , e dal recente anche là, dove meno netto o deficiente è il terrazzamento — 122 - (per esempio dalla Stura di Cuneo alla Dora Riparia, e dal Brembo al Chiese), tenendo conto contemporaneamente della qualità e stato di alterazione dei materiali componenti, e insieme badando ai già ac-' connati rapporti di ciascun terreno col Morenico , o fuori delle valli o entro le valli. Sul quale ultimo punto dovremo ritornare più innanzi. Siamo giunti così alla divisione fondamentale dei terreni diluviali propriamente detti in Antico o inferiore , Medio , e Recente o superiore : giustificando la triplice distinzione, si è contemporaneamente indicato quale sia Y insieme dei criterii che ne permettono la effettiva delimi- tazione sul terreno e sulla Carta. Del terreno morenico tipico , si è pur veduto come esso debba essere cronologicamente raggruppato col Diluviale recente o superiore. Su questo punto però è necessario di ritornare; dopo che avremo aggiunto qualche spiegazione sui con- glomerati diluviali , che figurano distinti nella nostra serie dei terreni. 10. Questi conglomerati diluviali non rappresentano che una suddivi- sione litologica dei terreni diluviali; ma hanno qualche importanza per noi; perchè, se i nuovi rilevamenti ne precisarono lo sviluppo, il coordinamento loro, condusse a modificare, rettificandole, le idee che se ne avevano. In una massa come la nostra di terreni di trasporto, lo stato di scioltezza o di cementazione degli elementi dipende in generale da condizioni, che non c’è ragione di credere legate soltanto colla età dei terreni; ed è naturale il prevedere, che ci possono essere alluvioni e mo- rene più antiche o più recenti ugualmente cementate in conglomerati. Ciò avviene in fatto, e si può affermare, che nei nostri terreni quaternari vi sono conglomerati alluviali, come vi sono conglomerati del Diluviale superiore, medio e antico e del Morenico . Siccome però i conglomerati assumono importanza maggiore nei più antichi terreni, che non nei più recenti ; e d’altra parte, essendo essi superficialmente quasi sempre alte- rati e sciolti, appaiono in generale soltanto in profondità nei tagli dei rii e nelle scarpate dei terrazzi, si spiega 1’ errore, che fece raggrup- pare tutti insieme i conglomerati diluviali per ascriverli in blocco alla più antica fase del Quaternario, e anche a fase precedente. 1 1 In questo errore persiste il Dott. Sacco anche nella sua recentissima pubblicazione or ora gentilmente inviatami sull’ anfiteatro morenico del lago d’Iseo. L’Autore riunisce nel suo « Ceppo » cose eterogenee; come ho già detto m - Va notato anzitutto, che no a furono cartograficamente segnati nella Carta d’insieme i conglomerati d oli* Allumale e dei Morenico , come affatto sporadici e troppo saltuariamente rilevati. Per questi del resto non possono sorgere, nè sorsero, dubbii quanto all’età; presentandosi essi come niente altro, che modalità affatto locali del rispettivo ter- reno più o meno debolmente cementato. Pestano i conglomerati dei terreni diluviali propriamente detti Molto estesi sono i conglomerati del diluviale 'più antico o inferiore, (es. conglomerati inferiori della Stura di Cuneo, della Dora Piparia; ceppo dell’ Adda e analoghi conglomerati degli altipiani dell’alto Mi- lanese ; conglomerati degli altipiani isolati del Bresciano ; conglome- rato inferiore del Chiese). Ma anche gli altipiani diluviali medii si mostrano talora conglo- meratici (lungo Po a Torino; lungo Dora a monte; tagli dell’altipiano di Sanfrè); e più spesso il piano terrazzato del diluviale recente o su- periore (es. alla Stura di Cuneo, alla Maira, alla Dora Piparia, all’ Adda, al Cherio, all’Oglio, al Chiese). Si ha dunque in tutti e tre i piani del diluviale una facies conglo- meratica, la quale non è tanto legata all’età, quanto piuttosto ai bacini di provenienza del materiale di trasporto ; come si vede dalla mancanza di conglomerati a certi sbocchi di valle (Stura di Lanzo, Dora Baltea, Sesia, Ticino, eco.), e dalla presenza loro in più orizzonti ad altri sbocchi (Stura di Cuneo, Dora Piparia, Adda, Chiese). Anzi è sulla presenza di più conglomerati differenti sovrapposti lungo l’Adda, che il prof. Taramelli richiamò la mia attenzione, la quale poi si portò agli altri conglomerati. Siccome però non fu sinora possibile per tutti i conglomerati rilevati fare la ripartizione dei medii dag’i inferiori , queste due categorie si dovette tenerle cartograficamente tutte insieme sotto il nome di Conglomerati diluviali antichi, segnando come Conglo- merati diluviali recenti quelli corrispondenti al diluviale superiore o recente. Torniamo ora al Morenico. Ho detto come "nella nostra serie dei che riunisce cose eterogenee nel suo « Terrazziano » e nel suo « Diluvium » Ciò pur troppo diminuisce la utilità delle diverse carte geologiche del Qua- ternario pubblicate dall’Autore; tanto più, che in esse è troppo spesso inesatta la delimitazione dei terreni. — 124 terreni quaternari, il Morenico comprende quei terreni di trasporto collineschi elle formano in pianura i così detti anfiteatri morenici ; ter- reni, che nel loro sviluppo tipico, quale è presso a poco già segnato sulla Carta geologica d’Italia al milionesimo (da correggersi secondo i nuovi rilevamenti), debbono essere considerati come una facies del Diluvium superiore. Cosicché i terreni più recenti del Diluvium pre- sentano una facies fluviale, e una facies glaciale, costituendo nel loro assieme ciò che si suol chiamare una « serie glaciale » corrispondente ad una « espansione glaciale. » Nasce ora naturale la domanda, se anche i terreni più antichi del Diluvium (medio e antico), non presentino pure, più o meno evidente o mascherata, una loro facies glaciale. La domanda è molto importante per l'interpretazione di essi terreni, in rapporto a « espansioni glaciali » precedenti a quella or ora nominata degli anfiteatri morenici tipici: su di che tanti studi si fecero in questi ultimi anni, specialmente nel versante settentrionale delle. Alpi, estendendo studi e induzioni anche al versante meridionale Dove però è dovere il notare, che le traccio di una « espansione . glaciale più antica » erano già prima state segnalate nel Veneto, e studiate nella Lombardia, specialmente . dal prof. Taramelli. I nuovi rilevamenti, e il loro coordinamento, per- mettono a tale riguardo di precisare alquanto le nostre idee; del che ci daremo conto esaminando da questo punto di vista prima il dilu- vium antico o inferiore , poi il diluvium medio. Gli altipiani del diluviale antico , astrazione fatta dalla ferrettizza- zione, si presentano costituiti da limo, sabbie, ghiaie, ciottolame con la solita disposizione dei terreni alluvionali; e, come in questi, con di- mensioni di elementi crescenti da valle a monte. Avvicinandosi però alle falde montuose, ancora ad una distanza da esse, che è maggiore della distanza massima a cui si spingono in pianura 1 terreni mo- renici tipici, si avverte abbastanza generale un cangiamento no- tevole di struttura e dimensioni; la struttura diventa più o meno caotica, e le dimensioni del ciottolame crescono rapidamente fino a ciottoloni e massi non minori di quelli, che caratterizzano i terreni morenici tipici; accompagnati inoltre da maggior numero di ciottoli appiattiti, lisciati e talora striati, e da altri poliedrici ammaccati. Quei terreni insomma assumono realmente una facies glaciale , senza però perdere, in generale, la forma caratteristica di altipiano. E va notato questo fatto singolare: che anche al piede dei monti, le cui valli ap- pena presentano traccie internate di morenico tipico (valli delle Alpi — 125 - Marittime e delle Prealpi biellesi), i detti altipiani si avanzano in pianura con facies glaciale molto spiccata anche lungi dalle falde mon- tuose; invece dove il morenico scende, o quasi, soltanto allo sbocco di valle, appena poco oltre si avanza la facies glaciale negli altipiani (valli delle Alpi Cozie in parte, valli delle Alpi Graie, Valle Sesia); e dove infine il Morenico sbocca in pianura in tipici anfiteatri, ivi gli alti- piani diluviali (a dorso dei quali vennero eventualmente a giustapporsi o a sovrapporsi le collinette moreniche) se mostrano facies glaciale, la mostrano per una stretta zona contigua all’ orlo esterno dell’anfiteatro (agli anfiteatri d’Ivrea, del Lago Maggiore, del Lago di Como). Si capisce, che in questa zona le difficoltà di osservazione sono molto maggiori, che negli altri casi, dove non si ha tale complicazione; giacche la espansione glaciale, che venne ad invadere l’area dei preesi- stenti « altipiani fluvio-glaciali ferrettizzati » dovette spostarne e ri- maneggiarne le masse, conglobandone parte del materiale ferrettizzato in seno alle proprie morene, e intrudendo in essi altipiani i freschi elementi delle nuove morene, sicché questa zona di contatto diventa talora una vera zona di fusione. E qui infatti che si nota quella ap- parente transizione fra Diluviale antico e Morenico tipico , cui già ho accennato più addietro; e che genera dubbiosità nella delimitazione pratica snl terreno: e genererebbe incertezza anche nella interpreta- zione, senza l’aiuto delle osservazioni collaterali. Invece si viene a conclusioni alquanto diverse riguardo ai ter- reni del Diluviale medio , che si è veduto essere in generale disposti ad altipiani altimetricamente intermedii fra i più antichi ed elevati al- tipiani ferrettizzati (Diluviale antico), e i più recenti terreni del piano generale terrazzato (Diluviale recente). A quegli sbocchi di valle dove meglio si sviluppano gli altipiani del Diluviale antico, questi terreni del Diluviale medio, simili ad essi nella composizione, ma meno alterati e anche meno grossolani, ne orlano la scarpata, espandendosi da monte a valle (regione Cuneese, Biel- lese, alto Milanese). Oppure si stendono a valle delle fronti moreniche o di una parte di esse, formandone a monte l’imbasamento ; in com- posizione e in freschezza simili al terreno morenico e al finitimo ter- rene diluviale recente, pur essendo in complesso più minuti (fronte dell’anfiteatro di Rivoli, fronte S.O dell’anfiteatro d’Ivrea e di quello del Garda). Oppure finalmente si stendono innanzi alle fronti prealpine, anche là dove i terreni del diluvium antico sono ridotti a minori V — 126 - placche, e manca il terreno morenico (alto Piemonte fra Stura di Cuneo e Sangone, alto Bresciano orientale), in tal caso oscillando per ca- rattere; or più simili ai terreni pim antichi, ora più ai recenti. In tutti i casi la struttura è sempre quella di tipici terreni allu- vionali; la disposizione sempre quella di grandi coni di deiezione smembrati e frastagliati variamente; la composizione simile ai fini- timi terreni o più antichi o più recenti, anche là dove quelli assumono facies glaciale. Non si può per ciò solo affermare, che essi presen- tino una propria facies glaciale, nel senso, che corrispondano ad una separata espansione glaciale. Che anzi, se si guarda al modo di com- portarsi di questi terreni del diluviale medio rispetto ai terreni del diluviale antico , si vede che è assolutamente analogo a quello, che hanno i terreni alluviali rispetto ai terreni del diluviale recante ter- razzati. Anche le alluvioni recenti si dispongono fra terrazzi del di- luviale; an ch’esse sono simili a queste, quantunque più minute e più dilavate ; anch’esse talora assumono a monte apparente facies glaciale, là dove le finitime alluvioni terrazzate vanno a sfumarsi colle morene. Questa somiglianza fra Diluviale medio e Alluviale non è accidentale, ma ha importanza essenziale; come si capisce meglio passando al confronto dei terreni quaternari entro valle, come voglio fare bre- vemente. 13. Chi risalga da valle a monte il piano generale terrazzato (Dilu- viale recente) vede, come si è detto, questo terreno innestarsi col ter- reno morenico alle fronti degli anfiteatri. Ma, dove mancano anfiteatri morenici e le tipiche morene non si spingono che allo sbocco di valle, o addirittura si arrestano ancor più addietro nella valle, bisogna rimon- tare fino a quelle, per vedere la prosecuzione a monte del diluviale re- cente, innestarsi allo stesso modo nel terreno morenico. I terreni che formano la prosecuzione del « Diluviale recente » entro valle, sono quelli, che nel rilevamento regolare finora eseguito nelle Alpi Occiden- tali vennero distinti come Alluvioni terrazzate , a differenza delle Al- luvioni delle valli , le quali insieme coi recenti Coni di deiezione e coi Detriti di falda costituiscono entro valle 1? « Alluvium ». Ma anche i terreni diluviali più antichi (Diluviale medio e Dilu- viale antico) hanno entro valle i loro equivalenti. Infatti nelle valli delle Alpi Occidentali, che furono per prime rilevate (valli delle Alpi Graie dalla Dora Riparia alla Dora Baltea), furono separati sotto il nome di Diluvium antico lembi diluviali premorenici, che per qualità — 127 — e altimetrìa non sono altro, che la prosecuzione a monte degli altipiani diluviali più antichi della pianura; i quali lembi in queste valli, ove il morenico appena scende agli sbocchi, venivano appunto a trovarsi distesi appena a valle del Morenico, o insinuati nelle secondarie val- lecole influenti sbarrate dal Morenico stesso. Ma estendendo il rilevamento fuori degli sbocchi di queste valli (valle dell’Orco e finitime) e alle altre valli più meridionali (valli delle Alpi Cozie^ nacque la necessità di separare un altro piano diluviale, in- termedio fra il Diluvium antico e le Alluvioni terrazzate; sono Alluvioni terrazzate più alte, le quali si raccordano a valle cogli altipiani del « Diluviale medio » della pianura, e a monte s’ insinuano fino presso ai più avanzati lembi morenici, insieme col Diluvium antico. Le medesime relazioni osservate qui nelle Alpi Occidentali da me e dai Galleghi ingegneri Novarese e Franchi, ebbi ad osservare nelle valli del Biellese e in Val Sesia, come furono confermate dalle osser- vazioni del Taramelli nelle valli lombarde. Va notato inoltre, che i lembi del Diluvium antico verso monte, internandosi nelle valli, tendono ad assumere una sempre più spiccata facies glaciale ; non mancano lembi di tipo assolutamente torrentizio (come nelle valli influenti di Val d’Orco e di Val Stura di Danzo); ma la facies glaciale prevale e diventa talora addirittura per certe placche del Diluvium antico una vera facies morenica (sbocco di Val Stura; Val Giandone; Val Pellice; Val Chisone; confluenza del Tesso colla Stura di Danzo; valli biellesi; Val Sesia). Riassumendo : i terreni diluviali recente , medio, antico della pianura hanno la loro prosecuzione a monte, internata nelle valli, sicché il diluviale recente si continua nelle Alluvioni terrazzate ; il diluviale medio nelle Alluvioni terrazzate più alte ; il diluviale antico, nel Dilu- vium antico , eventualmente con facies morenica. De prime si innestano a monte coi lembi morenici tipici; gli altri due cessano (nella valle principale) a monte, là dove incominciano questi lembi morenici. Questo trovarsi dei due terreni diluviali più antichi soltanto a valle dei tipici lembi morenici, è naturale per chi pensi, che questi lembi more- nici segnano l’estremo limite cui scese il corrispondente ghiacciaio nella valle rispettiva, dove essi terreni diluviali preesistenti non poterono rimanere rispettati se non a valle di quel limite d’espansione. Ed è pure evidente, che i terreni diluviali medii, che costituiscono in valle le Alluvioni terrazzate jpiù alte, non possono rappresentare una separata espansione glaciale, dal momento che a paro con essi rimangono con- — 128 - servate le placche dei preesistenti terreni del Diluvium antico. Cosicché il nome di alte alluvioni terrazzate dato a quei terreni del diluviale medio, è perfettamente corretto; esse sono vere falde di terreni d’al- luvione, che si trovano rispetto al Diluvium antico nei medesimi rap- porti, in cui i terreni dell’ Alluviale stanno rispetto al Diluviale recente ed al Morenico rispettivo. 14. Queste osservazioni sui terreni diluviali entro valle, ci comple- tano quelle fatte in pianura rispetto alla facies glaciale dei terreni diluviali. Allo stesso modo, che i terreni del Diluvium recente o su- periore, rappresentano, come si è veduto, una serie glaciale cui corri- sponde una espansione glaciale; così i terreni del Diluvium antico o in- feriore, assumendo negli altipiani della pianura una facies glaciale, e nei lembi entro valle addirittura anche facies morenica, rappresentano a lor volta un’altra serie glaciale, cui corrisponde una espansione gla- ciale piil antica. I terreni alluvionali formatisi fra questa espansione più antica, e l’altra più recente, son quelli che costituiscono il Diluviale medio , e che si possono a ragione chiamare interglaciali. Però mentre della serie glaciale più recente troviamo facies flu- viale e facies morenica abbastanza nettamente distinte da poterle separatamente segnare, come fu fatto, nella Carta geologica (Mo- renico tipico e Diluviale recente propriamente detto); non così è della serie glaciale più antica, di cui appena possiamo rintracciare in pianura la facies glaciale in certe parti dei suoi altipiani. Essi però hanno prevalente la facies fluviale; e anche là dove assurgono a mag- giori altezze (fianco N. e N.E dello anfiteatro d’ Ivrea, e orlo S. degli anfiteatri del Lago di Como e del Lago Maggiore), non mai of- frono il paesaggio morenico del nostro versante alpino, sempre man- tenendo quello che si potrebbe chiamare « il paesaggio diluviale d’alti- piano » che non ci permette di parlare di morene più antiche in pia- nura, e tanto meno poi di delimitarle cartograficamente. Quando il ri- levamento in pianura sia completato anche nel Veneto, e sulla scorta del rilevamento regolare alpino, si possano ovunque segnare entro valle le divisioni del Quaternario, si potranno avere elementi suffi- cienti anche per fissare le differenze (che già fin d’ora si intravedono notevoli) fra le due espansioni glaciali nel versante nostro delle Alpi. Per ora appena si potrebbe con qualche approssimazione segnare, della espansione più antica, i limiti non sorpassati a valle. - 129 - W Riguardo a queste delimitazioni cartografiche, ho già ripetuta- mente notato, come alle fronti degli anfiteatri morenici nascano ap- punto difficoltà di delimitazione fra il Morenico tipico e il Diluviale antico a facies glaciale , e ne ho accennate le ragioni. È naturale che per alcuni anfiteatri, in regioni dove per lo addietro non si era so- spettata la facies glaciale degli altipiani diluviali , si fosse nelle carte geologiche precedenti (e quindi anche in quella al milionesimo dell’Ufficio geologico del 1839), conglobata nel Morenico una parte di questi altipiani, che corona gli anfiteatri (p. es. all’anfiteatro di Ivrea e in parte agli anfiteatri lombardi). Questo errore, corretto nella nostra Carta al 500 000, fu giustamente rilevato e rettificato dai geologi che studiarono il glaciale dell’altro versante alpino, ed ebbero occasione di percorrere alcune delle nostre regioni moreniche; i quali però, a differenza di quanto tu fatto da noi, chiamarono senza altro morene più antiche o esterne 1 queste parti di altipiani diluviali a facies glaciale. Senonchè essi poi vennero a parallelizzare altrove (anfiteatro del G-arda), con queste così dette morene antiche o esterne, una parte di vere cerehie moreniche', che secondo me a ragione erano, in carte geologiche precedenti, tenute come vere cerehie esteriori del tipico anfiteatro morenico, da cui io non trovo finora ragioni suffi- cienti per separarle. Questa semplice differenza di apprezzamento sarebbe di poco momento, se non avesse per conseguenza, da parte di quei geologi una interpretazione alquanto diversa dalla nostra, per il nostro Quater- nario subalpino in generale mediante un parallelismo dei terreni dilu- viali, che a me pare erroneo. A facilitare con quei geologi una deside- rabile intesa, aggiungo in proposito alcune poche osservazioni. 5 Nei terreni morenici tipici sia che escano in pianura ad anfi- teatro, sia che si arrestino a lembi entro valle, si avverte un note- vole sbalzo nello sviluppo delle morene da valle a monte; sbalzo, che dinota un singolare modo di espansione glaciale: come se i ghiacciai abbiano avuto dapprima una fase di espansione massima, segnata dai più esterni cordoni morenici degli anfiteatri e dai più avanzati lembi morenici delle valli; e dipoi si siano rapidamente ritirati in uno stadio un poco più arretrato e più stabile, rappresentato dalla massa 1 Penck, Brukner et Du Pasquier, Le systeme glaciaire des Alpes (Bull. Société Se. Nat. de Neuchàtel, Tome XXII, 1894). 9 — 130 — principale delle colline moreniche negli anfiteatri, ergentisi dietro a quelle cerehie esteriori, e dalle più importanti masse di lembi morenici sviluppantisi nelle valli poco a monte dei lembi sporadici più avan- zati. Questo fatto risulta dai rilevamenti finora eseguiti nelle Alpi Oc- cidentali (Alpi Graie e Alpi Cozie) e negli anfiteatri, morenici da quello di Rivoli (Susa) a quello del Garda. I cordoni morenici esteriori suddetti riposano sui terreni diluviali medii e antichi, talora prevalentemente sui medii (anfiteatro di Rivoli, di Ivrea e d’Iseo), talora prevalentemente sui più antichi (anfiteatri del Lago Maggiore, del Lago di Como e del Garda) ; e giacciono appunto in quella zona di apparente transizione fra il morenico e il diluviale an- tico, cui or ora ho accennato. Di qui spesso la naturale incertezza sul posto da assegnare a questi cordoni morenici esteriori , che paiono spesso a prima vista più antichi di quel che non siano, per forte mi- scela di materiale conglobato dai terreni sottostanti. L’esame attento ne rivela però sempre in qualche punto favorevole la differenza dai terreni diluviali più antichi, e la analogia coi more- nici tipici, con cui vanno raggruppati. Ad esempio nell’anfiteatro del Garda lo sbalzo topografico fra la più esterna cerchia Calvagese-Montichiari-Carpenedolo, e il resto della massa dell’anfiteatro è il più marcato. Questa cerchia s’appoggia verso Calvagese sul conglomerato fortemente ferrettizzato del diluvium più antico , e ivi presenta forte miscela di ferretto, prendendo aspetto molto diverso dalle colline moreniche più interne; mentre invece la prosecuzione sua verso Montichiari ne mostra, in quelle splendide frane imbutiformi, la tipica, fresca costituzione delle morene dell’ anfiteatro. 16. In conclusione volendo classificare i terreni diluviali distinti nella Carta geologica, per rispetto al fenomeno glaciale, io verrei al seguente risultato : In pianura E ntro valle (a Ovest dell’Adige) (Alpi Occidentali) Diluvium superiore o re- , cente. [Espansione glaciale più recente in doppia fase]. Alluvioni del piano diluviale | generale terrazzato. | Morene degli anfiteatri (com- j presi i cordoni esteriori) Alluvioni terrazzate. Lembi morenici tipici. Diluvium medio [Intergla* ^ ciale]. { 1 Alluvioni degli altipiani di- luviali intermedi. Alluvioni terrazzate più alte. 131 - In pianura Entro valle Diluvium inferiore o antico [Espansione glaciale più. antica] . (a Ovest dell’Adige) (Alpi Occidentali) Alluvioni degli altipiani di- luviali più alti (ferrettiz- zati) e facies glaciale dei medesimi. Diluvium antico e fa- cies morenica del medesimo. Riserbandomi di vedere, se questa serie sarà applicabile anche nel seguito dei rilevamenti oltre Adige, come spero, io la sottopongo intanto alla considerazione dei colleghi nel rilevamento, ed al parere dei geologi anche dell’altro versante delle Alpi; dove consta, che i terreni diluviali presentano essenzialmente le stesse divisioni principali, ma localmente interpretate in modo forse non uniforme. E evidente in- fatti, che ciò che si chiamò alluvion des terrasses basses — niederterras- senschotter\ alluvion des hautes terrasses — hochterrassenschotter ; alluvion des plateaux — deckenschotter ha riscontro rispettivamente nei terreni di- luviali recenti , medii e antichi ; e che anche le nostre morene tipiche , cordoni morenici esteriori , facies glaciale del diluviale antico trovano più o meno riscontro. Ma la interpretazione, e quindi il raggruppa- mento cronologico di esse divisioni presenta ancora notevoli dif- ferenze, intravvedendosi pur tuttavia la prossima possibilità di armo- nizzarle. Se la nostra interpretazione della serie, potesse a ciò cooperare in modo efficace, sarebbe questo non ispregevole risultato dei nuovi rilevamenti del Quaternario nella Valle del Po 1. Prima di lasciare i terreni diluviali subalpini è ancora necessario di toccare della loro delimitazione dalle formazioni più antiche e pre- cisamente dal Pliocene. È noto che il Pliocene marino , sotto forma di marne azzurre, sabbie gialle e anche conglomerati, presenta piccoli ma perciò appunto importanti affioramenti al piede delle Alpi dal Mincio alla Stura di Lanzo, e dalla Stura di Cuneo al Tanaro. Questi affioramenti, in gran parte già prima noti e in parte risultati dai | nuovi rilevamenti (Sacco), sono sempre più o meno coperti dal man- tello quaternario; sì che di regola il Pliocene marino appena si mostra per poco nelle sbrecciature dei terreni diluviali. Ma nella massa dei terreni continentali messi a nudo in queste sbrecciature non si trova finora ragione positiva nè criterio sufficiente per separare la parte — 182 -1 più bassa, che sta direttamente sovrapposta al Pliocene marina , dalla parte soprastante. Con ciò non si esclude in via assoluta, cbe questa parte più bassa, e in generale la parte più profonda di questi depositi continentali, possa essere in parte pliocenica ; ma nessun dato positivo finora lo accerta. Pare anzi vi sia tutta la probabilità, che gli equivalenti continentali del Pliocene manchino effettivamente al piede delle Alpi per denudazione subita. 1 Basta pensare alla intensità della ero- sione sia fluviale che glaciale nel periodo diluviale antico; la quale aiutata o preceduta dallo squilibrio idraulico dovuto al sollevamento dei depositi pliocenici marini, fu capace di ridurne a sporadici lembi il mantello primitivo ; allo stesso modo che la erosione fluviale e gla- ciale dei periodi diluviali successivi, pur senza tale sollevamento, ridusse a lembi la coperta dei depositi diluviali più antichi. In conclusione, nella carta geologica noi veniamo a segnare, per ora, come quaternarii tutti i terreni continentali subalpini soprastanti al Pliocene marino. 18. Dobbiamo ora passare ai terreni diluviali della pianura subap- pennina; nella quale, giova subito confessarlo, riesce finora diffìcile il ritrovare, e ancora più diffìcile, il delimitare gli equivalenti dei di- versi piani del Diluviale (antico, medio e recente) distinti nella pia- nura subalpina. I criterii ausiliari, cbe ci hanno aiutato in quella delimitazione, e cioè: terrazzamento delle alluvioni più antiche rispetto alle meno antiche; sbalzo nella altimetria dalle une alle altre; e nella qualità, nella freschezza, nella grossezza del loro materiale; tutti questi cri- terii perdono in efficacia, tendendo qui tutte queste differenze a ren- dersi meno sensibili; come se i fenomeni d’alluvionamento fossero stati qui più tranquilli, e più uniformi, che nell’area subalpina. Il che è ben naturale, se si guarda alla tanto minore importanza della catena appenninica rispetto alla catena alpina, e dei suoi bacini fluviali, ove manca o appena è accennato il fenomeno glaciale. Si aggiunga che le difficoltà di delimitazione del Diluviale , già non piccole rispetto al- l 'Alludale, sono poi molto forti rispetto alle formazioni plioceniche. 1 Esce naturalmente dal nostro campo il « Pliocene continentale » dell’Asti- giano (Villafranca), dove finora non potè essere esteso il rilevamento. — 133 Quanto alla distinzione del Diluviale (Quaternario antico) dall ' Al- leviale (Quaternario recente), rimando a quanto ne ho detto, trattando delle ragioni di questa divisione, e dei criterii di effettiva delimita- zione (§ 3). Ricordo qui, che nella pianura subapennina la disposizione dei terreni alluviali rispetto ai diluviali , ha ]uogo in generale in quel modo, che ho chiamato misto . I fiumi infatti incidono (sia a terrazzi , sia a solchi) il diluviale agli sbocchi di valle, poi, uscendo, le allu- vioni recenti pareggiano le antiche , giustapponendosi dapprima , indi sovrapponendosi ad esse. 1 loro contigui conoidi di sovrapposi- zione si fondono così a formare, in gran parte, quella che si suol chia- mare la « bassa pianura » ; mentre la così detta « alta pianura » è tutta compresa nel piano diluviale generale terrazzato. Questo modo di comportarsi dei terreni alluviali rispetto ai diluviali, è già abbastanza bene riprodotto nella Carta geologica d’Italia al milionesimo, almeno fino al Reno. I nuovi rilevamenti condotti dal prof. Taramelli e da me ad Ovest della Trebbia sino a Casale, e dal prof. Pantanelli a Est della Trebbia fino a Bologna, confermano press’a poco quella rappresentazione; salvo, naturalmente, le dovute correzioni nei limiti. Anche oltre Reno è probabile, per quanto finora ho veduto, che si dovrà estendere questa delimitazione, la quale ivi cadrebbe nell’ area segnata come < Quaternario recente » nella detta Carta al milionesimo. Ora, se si studia, nell’area sopra accennata, la zona diluviale sub- appenninica risalendo da valle a monte, si passa dall’alta pianura alle colline propriamente dette, che presentano notoriamente verso pia- nura le diverse formazioni terziarie. E qui pure, come nella pianura diluviale subalpina, non è per un piano uniformemente inclinato che si raggiunge il piede delle colline, ma in generale vi si arriva sa- lendo un gradino interme iio, talora un doppio gradino più o meno marcato. Questo gradino fa scarpata ad una zona di altipiani, che fascia a Nord la fronte collinesca in parola, con larghezza più o meno grande, e con interruzione maggiore o minore agli sbocchi di valle ; dove le rientranze delle scarpate suddette ai fianchi dei singoli fiumi, appariscono così come coppie di terrazzi più elevati di quelli che essi fiumi intagliarono nel piano generale diluviale terrazzato (Di- luviale recente). Questa « zona ad altipiani , costituita aneli essa di terreni di tra- sporto continentali, rappresenta, come gli altipiani diluviali subalpini, formazioni più antiche di quelle del suddetto piano generale diluviale; il quale rappresenta, come l’analogo della pianura subalpina, il Diluviale — 134 - 19. recente. Di questi terreni, che anche nella natura ocracea in superficie, e talora nella natura conglomeratica in profondità, hanno molta somi- glianza con quelli degli altipiani subalpini, si tenne conto, più o meno esattamente, anche nelle precedenti carte geologiche finora pubblicate delle singole regioni subappennine ; ascrivendoli ora al Pliocene, ora al Quaternario ; ragione per cui nella nostra Carta al milionesimo dell’ 89, esse appaiono inglobate parte nel Pliocene, parte nel Quaternario antico. La regione che meglio chiarisce la affermata corrispondenza delle for- mazioni diluviali subappenniniche colle subalpine, è quella fra la Scrivia e il Tidone; dove la collina, e insieme con essa la pianura subappennina, stringono dappresso il Po sulla sua destra; mentre sulla sua sinistra il piano alluviale del fiume è dominato dall’alta terrazza del piano generale subalpino (Diluviale recente), sul quale, come isola tagliata fuori dalla zona subappennina, si eleva l’altipiano collinesco di San Colombano. Qui è evidente la corrispondenza fra il detto piano gene- rale terrazzato sulla sinistra (Diluviale recente) e il piano generale subappennino sulla destra, che allo stesso livello si stende acclive fino al piede della scarpata dell 'altipiano più antico , coronante le colline da Casteggio a Castel San Giovanni ; ed è pur evidente, che a questa scarpata corrisponde, sulla sinistra del Po, il concavo terrazzo che fa scarpata a Sud all’altipiano collinesco di San Colombano. I terreni con- tinentali, tanto dell’altipiano di San Colombano, quanto di quello Casteggio-Castel San Giovanni, hanno per imbasamento ‘(parte S E del Colle ]di San Colombano ; profili di Torrazza Coste e della Cali- fornia) il Pliocene marino. Ora, dalle osservazioni fatte nei rilevamenti tanto ad Ovest della Trebbia che a Est, si può estendere ques t’ultima affermazione a tutta l’area subappennina che ci occupa; poiché in fatto le « formazioni con- tinentali della zona ad altipiani » che sono più antiche del diluvium recente , riposano o su formazioni più antiche del Pliocene, o sul Plio - cene marino. Di fossili in queste formazioni non si conoscono che sporadici avanzi di mammiferi terrestri, di cui due specie, al più ( Rliinoceros leptorinus ed Elephas meridionalis) di tipo ritenuto in generale plio- cenico. Non si può quindi escludere ed è anzi probabile, che una parte di questi terreni continentali più antichi del diluvium recente f, possano essere pliocenici; rappresentanti di una facies continentale del Pliocene almeno superiore. — 135 — Ma se di tale divisione si intravede la possibilità, si è ben lungi dal potere concretare la delimitazione, e quindi la rappresentazione cartografica, colle osservazioni di campagna ancor troppo sommarie. Dalla esperienza finora fatta parrebbe a me; che, se tale suddivisione è effettuabile, lo possa essere soltanto in un rilevamento completo, che abbracci anche le formazioni terziarie e il Quaternario entro valle. Per ora dobbiamo accontentarci di intravedere la soluzione della que- stione; e, coerentemente a quanto fu fatto per la regione subalpina, dovremo accontentarci di tenere tutti assieme nella Carta geologica questi terreni continentali antichi , fino oli’ incontro del Pliocene marino. 0. Le conclusioni di quanto ho esposto si riassumono adunque nel seguente quadro, che mette a riscontro la serie dei terreni distinti nella Carta geologica colla interpretazione loro: TERRENI CARTOGRAFICAMENTE DISTINTI Periodi Nella Pianura Subalpina (a Ovest dell’Adige) Nella Pianura Subappennina (a Ovest del Reno) Nelle Valli Alpine (Alpi Occidentali) Recente (alluvium) 1 | Postglaciale Alluviale; Torbe; Dune continentali Dune litoranee , Alluvioni delle valli Coni di deiezione Detriti Morene attuali Glaciale recente Diluviale recente; Conglomerati diluviali recenti Alluvioni terrazzate © Z rt I ? 1 (in doppia fase) Morenico - Lembi morenici 3 O 0 g C ^ g ► < Interglaciale Diluviale medio Conglomerati diluviali antichi Formazione continentale antica Alluvioni terrazzate più alte 1 0 <2 ^ 3, / Glaciale antico e Preglaciale (Pliocenico in ^ parte?) Diluviale antico (in parte a facies glaciale) Lembi di diluvium an tico (in parte a facies morenica) ’E o Pliocene marino 136 - La esposizione che ho cercato di fare per dar conto della serie dei terreni distinti nella Carta del Quaternario, e della loro interpre- tazione, sarebbe certamente riuscita più chiara, se avessi potuto pre- sentare insieme la Carta geologica (ancora manoscritta) cui essa si riferisce. Ciò non ostante ho creduto opportuno il non tralasciare di sottoporre i risultati odierni al giudizio dei colleglli geologi, la cui critica mi auguro profittevole al miglior compimento della nostra Carta geologica di tutta la pianura dell’Alta Italia. Roma, marzo 1895. IV. C. Viola. — La valle del Sacco e il giacimento d ? asfalto di Castro dei Volsci in provincia di Roma. Prima di parlare dei giacimenti bituminiferi di Castro dei Volsci, diamo uno sguardo generico e compendioso alla costituzione geologica della valle del Sacco e delle catene montuose, che la fiancheggiano. Essa incomincia a Valmontone, vale a dire alle pendici orien- tali dei Colli Laziali, e finisce alla confluenza del Sacco col Liri. Di lì assume il nome di valle del Liri, indi del Garigliano, col qual nome lambisce le falde occidentali del vulcano estinto di Roccamon- fìna, e raggiunge il Mediterraneo. Si può dire quindi che la valle del Sacco con la sua continuazione, avente una notevole larghezza ed una lunghezza di oltre 100 km., unisce due dei principali e grandi vulcani estinti dell’Italia centrale, il Laziale e quello di Roccamonfina. In questa valle si sviluppa la ferrovia Roma-Napoli ; ivi il viaggiatore gode gli incantevoli panorami di verdeggianti poggi e di pittoresche borgate, terreni coltivati e ubertosissimi ; ivi l’alpinista escogita piacevoli escur- sioni su per le dirupate montagne, le quali per lungo tratto conti- nuano da ambo i lati. A sinistra del Sacco si ergono i monti Simbruini-Ernici e la loro continuazione sino a Cassino, i quali sono contrafforti dell’ Ap- pennino medio, a destra la catena Lepino-Pontino-Ausonia Quest’ul- tima incomincia presso il termine dei Colli Laziali, e finisce alle mon- tagne di Minturno oltre Gaeta. Fermiamoci un momento a considerare la costituzione geologica dei monti Simbruini-Ernici da Filettino a Sora e dei Lepino-Pontino- Au- soni, i quali da una parte delimitano la valle del Sacco, dall’altra le paludi Pontine e la pianura di Fondi, e formano indi la costa del mare Tirreno da Sperlonga a Gaeta, per continuare poi fino al Garigliano. Ambedue queste catene di montagne sono costituite di calcari compatti e cristallini, alle volte brecciformi, bianchi e rossicci, ora puri ed ora magnesiaci e sabbiosi, e che si presentano in banchi potenti o in istrati sottili. Sembra rappresentino l’Urgoniano e il Turoniano, poiché fino ad ora si sono trovati negli strati inferiori Sferuliti , Biradioliti e pic- cole Bequienie , e nei superiori Ippuriti, Nerinee ed Acteonelle. 1 Sulle alte vette dei montisi incontrano anche dei lembi di terreno eocenico costi- tuito di calcari con Nummuliti , argille, arenarie quarzifere e inoltre conglomerati ad elementi di roccie cristalline. Si ricorda qui l’Eocene di Gorga, Monte Cacume, Carpinete, Montelanico e Sgurgola, per parlare dei soli monti Lepino-Pontini. * 2 Più estesi e più sparsi resti di Eocene si ritrovano sugli Ernici e i Simbruini. Da questi caratteri analoghi, da questa identica facies della for- mazione delle due catene, risulta che sì il terreno dell’ una, come quello dell’altra rappresentano parti integrali di un unico deposito. Questa conclusione basata sopra osservazioni locali va estesa a quasi tutto il Cretaceo dell’ Appennino, come fu già dimostrato da diversi autori. t Riassumiamo ancora i seguenti fatti: nel Turoniano specialmente, ma anche nell’Urgoniano sono cal- cari brecciformi; il calcare è ricchissimo di rudiste e i fossili si presentano talvolta in frammenti grandi o minuti; i calcari stessi sono alle volte vere breccie di rudiste ; negli strati sono intercalati dei letti sottili di argilla e di marna. Risulta da ciò che il calcare cretaceo si formò a guisa di sco- gliera su terreni calcarei preesistenti. Il terreno più antico che affiora nella valle del Sacco è l’Eocene, 4 C. Viola, Osservazioni fatte sui Monti Lepini e sul Capo Circeo (Bol- lettino del R,. Comitato Geologico d’Italia, 1894, n. 2). Roma, 1894. 2 C. Viola, Op. cit. — 138 — salvo qualche piccola isola di calcare cretaceo, il quale distaccato ora dai Lepini e ora dalla catena opposta, ha spostato l’Eocene ed è venuto a giorno. 1 L’Eocene della valle del Sacco è quello stesso che si osserva sulle cime dei monti, di cui abbiamo teste fatto cenno, ma è più potente; nei piani più bassi predominano i calcari nummulitici, nei più alti, con perfetta concordanza, le arenarie grigie e le molasse, le quali peraltro possono forse già essere il principio del Miocene ; gli strati ne sono ora orizzontali ed ora inclinati e ritti, e frequentemente molto ripiegati e contorti. Su questi terreni si osserva il Quaternario di acqua dolce costi- tuito di travertino e di argille bluastre con straterelli di tufo vulcanico. Indifferentemente sopra i terreni terziarii e quaternarii della valle del Sacco sono dopositati i tufi provenienti dai vulcani Laziali e dagli Ernici. I prodotti di questi ultimi si osservano talora appoggiati di- rettamente o sull’Eocene o sul Cretaceo. I vulcani situati nella valle del Sacco o poco lungi da essa, ed estinti, sono: a destra del fiume quelli di Morolo, Patrica, Callame, San Marco, Giuliano di Roma e Villa Santo Stefano ; a sinistra, Selva dei Muli, Ticchiena, San Francesco (Ceccano), Pofì ed Amara. 2 1 G. Ponzi, Osservazioni geologiche fatte lungo la Valle Latina da Roma a Monte Cassino (Atti dell’Acc. pontificia dei Nuovi Lincei, anno I, 1848). Roma. Id., Sulla Valle Latina. Appendice alla precedente Memoria (Atti del- l’Accademia pontifìcia dei Nuovi Lincei, anno IV, 1852). Roma. Id., Osservazioni geologiche sulle provincie di Fr osinone e di Velletri (Atti dell’Accademia pontifìcia dei Nuovi Lincei, anno XI, 1858). Roma. Id., Sul sistema degli Appennini (Giornale arcadico di scienze ecc., nuova serie, Yol. XXIII, 1861). Roma. Id., Storia fisica delVltalia centrale (Atti della R. Accademia dei Lincei, Yol. XXIY, 1871). Roma. Id., V Italia e gli Appennini (Nella raccolta intitolata: Studi sulla geo- grafia naturale e civile d’Italia, 1875). Roma. 2 G. Ponzi, Sul rinvenimento dei vulcani spenti degli Ernici nella Valle Latina (Atti dell’Accademia pontifìcia dei Nuovi Lincei, 1858). Roma. P. Zezi, Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Ferentino e di Fro- sinone nella provincia di Roma (Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia, Yol. YII, n. 9-10, 1876). Roma. W. Branco, 1 vulcani degli Ernici nella Valle del Sacco (Memorie della R. Accademia dei Lincei, Serie 3% Yol. 1, 1877). Roma. C. Viola, Op. cit. E. Abbate, Guida della provincia di Roma. Roma, 1894; Yol. I, pagine 132-141. Uno sguardo più particolareggiato alla Carta geologica di questa regione ci insegna che i vulcani degli Ernici si trovano sopra deter- minate linee di faglia,, la cui principale direzione è quella della stessa valle del Sacco, vale a dire da N.O a S.E. Una di queste, linee rasenta il calcare dei monti Lepino-Pontini, ed è quella secondo la quale questi monti si sono separati dall’ Eocene della valle del Sacco; l’altra rasenta gli Ernici ed i Simbruini e se- para, non però nettamente, il Cretaceo di questi ultimi dall’ Eocene della stessa valle. Altre e numerose faglie si possono constatare tanto nelle catene dei Lepini e degli Ernici, quanto nella stessa valle del Sacco, ed hanno una grande importanza per la tettonica e lo studio dell’oro- grafia attuale. Dopo il rapido sguardo che ho vólto alla costituzione geologica di questa regione, facilmente si concepisce il modo come questa dovea formarsi \ Al finire dell’epoca eocenica almeno, od al principio del Miocene, la scogliera calcarea si sollevò, portando con se i terreni terziari, di cui si è già fatto cenno. Insieme a questo sollevamento, si produssero delle pieghe, o, come altri dicono, ondulazioni nel Cretaceo, le quali corrono parallelamente alla direzione di N.O a S.E. La ragione per cui insieme al sollevamento vi si produssero delle pieghe, che danno l’idea di due forze eguali e contrarie, e la cui di- rezione dovrebbe essere press’ a poco perpendicolare all’andamento dei sinclinali ed anticlinali, e quindi colla direzione degli strati, non è un soggetto il quale possa essere discusso in questa breve Nota. Basti solo indicare che nei sinclinali di tali ondulazioni rimase schiacciato il terreno eocenico. Dove la gran massa calcarea non potè secondare il formarsi di codeste pieghe, vuoi per la poca elasticità del calcare in rapporto con la sua estensione e con la eccessiva potenza, vuoi per la debole pres- sione sovrastante, vi si produssero necessariamente delle rotture e 1 G. Ponzi, L! Italia e gli Appennini. Op. cit. Rozet (Lieut.- colonel), Addition et la note de M. Ponzi sur V epoque de soulévement des Appennins (Bulletin de la Soc. Géol. de France; 2“ sèrie, voi. X, 1852-53). Paris. G. B. Oacciamalt, In Valle del Livi; osservazioni orografiche e geogno- stiche. (Boll. Club, alpino italiano, Voi. XXII). Torino, 1889. — 140 — degli spostamenti, che troviamo molteplici tanto nei monti Lepino- Pontino -Ausoni quanto negli Ernici-Simbruini. La Valle del Sacco rappresenta in conseguenza un sinclinale accompagnato da due spo- stamenti principali, secondo l’uno dei quali il Cretaceo lepino-pon- tino si sollevò rispetto all’Eocene, e secondo l’altro si sollevarono gli E mici ed i Simbruini. In seguito e cioè durante 1’ epoca quaternaria le eruzioni degli Ernici trovarono il loro naturale cammino per fenditure, che si produssero molto tempo innanzi, e delle quali abbiamo testé parlato. Nella valle del Sacco osserviamo varie sorgenti minerali, fra le quali meritano speciale menzione le ferruginose e le sulfuree, come per esempio quelle di Castro dei Volsci e di Ferentino \ Altre sor- genti minerali più numerose ed abbondanti scaturiscono poi sul versante opposto al Sacco, e proprio lungo la linea secondo la quale i monti Lepino-Pontini limitano a N.E le paludi Pontine, e la quale segna press’ a poco il luogo dei vari spostamenti, che come quelli della valle del Sacco hanno la direzione di N O a S.E 1 2. In queste condizioni geologiche trova spiegazione il fatto che la valle del Sacco è una regione vulcanica, ove le sorgenti minerali, che ancora vi si osservano, sono il resto di una attività ormai quasi affatto spenta. Le esposte conclusioni sono risultate la mercè di un complesso di fatti isolati, che in parte io e in parte altri geologi prima di me hanno osservato; esse ci serviranno ora a spiegare dei fenomeni, la cui causa può essere tanto intratellurica quanto sedimentaria, voglio dire la presenza di idrocarburi nell’Eocene. L’ipotesi che il petrolio sia d’origine intratellurica fu avanzata molto vantaggiosamente dal celebre chimico Mendeléeff per spiegare la straordinaria produzione di petrolio nel Caucaso 3. Ed io credo che 1 P. Zezi, Op.cit. E. Abbate, Op. cit. 2 G. Ponzi, La zona miasmatica lungo il mare Tirreno e specialmente delle Paludi Pontine (Rivista marittima, Anno XII, 1879). Roma. 3 Lo Stoppani fu nn caldo sostenitore e promotore dell’origine vulcanica dei petrolii. Le sue opere sono ancora vive, ed è quindi sufficiente che le ac- cenniamo qui di volo. Nel suo Saggio di una storia naturale dei petrolii (Politecnico, voi. XXIII, 1864) fa una estesa esposizione sui petrolii americani, ed esprime per la prima volta la sua idea che il petrolio è di origine vulcanica. - 141 - anche gli idrocarburi nella valle del Sacco siano d’origine in tratellurica. Per la formazione degli idrocarburi vi è l’ idrogeno dell’acqua, che interviene sul carbonio del ferro; tali prodotti pertanto sono esenti o poveri di azoto : ne consegue che 1’ ipotesi dell’origine intratellurica degli idrocarburi nella valle del Sacco potrà avere un maggior grado di probabilità allorquando vi saranno analisi chimiche di tali prodotti minerali. Pino ad ora possiamo sorreggerla in base alle condizioni del loro giacimento. Il petrolio e il bitume si trovano principalmente nel terreno eocenico, e in vicinanza di vulcani spenti o di spostamenti di terreno ; anche i calcari cristallini dei monti Lepino-Pontini sono bituminiferi. L’ asfalto fu constatato nella valle del Sacco* 1 : a destra a Castro dei Yolsci e San Giovanni Incarico; a sinistra a Filettino, Collepardo, Verdi, Bauco e Roccasecca. Il petrolio fu trovato a Pico, Pàstena, San Giovanni Incarico, Castro dei Volsci, Ripi e Strangolagalli, vale a dire sopra un’area di circa 500 kmq., sempre in condizioni eguali cioè impregnante i terreni dell’Eocene. Alcuni di detti luoghi non si trovano propriamente nella valle del Sacco, ma sulla falda dei monti Ernici: le condizioni però sono le stesse. Nella susseguente memoria, 1 Petrolii in Italia (Politecnico, serie quarta, parte letterario-scientifìca, voi. I, 1866, pag. 77, 219, 574, 709; e voi. II, 1867, pag. 68, 216) lo Stoppani passa in rivista tutte le località italiane, ove si rin- venne il petrolio, e ritorna di bel nuovo sulla sua idea che questo prodotto minerale sia d’origine intratellurica. Più tardi nel suo Corso di Geologia (voi. I, pag. 480-432 e voi. Ili, pag. 454-479), egli fa un compendio delle sue memorie precedenti, e spiega, e prova con numerosi argomenti che tanto in America e in Russia, quanto in Italia, il petrolio è d’origine vulcanica. Visitando infine i terreni petroleiferi di Terra di Lavoro, lo Stoppani ritorna sullo stesso argomento, che espone i i un articolo pubblicato sul gior- nale Il Sole di Milano (1877, n. 142). 1 L. Demarchi, I prodotti minerali della provincia di Roma (Annali di statistica, voi. 2°, serie 3a, 1832). Roma. E. Abbate, Op. cit. e P. Zezi, Op. cit. G. Ponzi e P. Carpi, Rapporto sull’asfalto di Veroli (Atti Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei). Roma, 1853. G. Tenore, Cenno sull'industria mineraria della Terra di Lavoro (Gior- nale « La Campania »). Napoli, 1886. — 142 — L’ Eocene sotto Castro dei Volsci 1 è costituito di arenarie grigie, argille bluastre e variegate, di calcari marnosi e scistosi e di calcari compatti bianchi. Gli strati ora sono orizzontali, ora ripiegati ed ora rialzati. Verso Castro dei Volsci, ove l’Eocene si adagia sui calcari cretacei, gli strati dell’Eocene sono leggermente inclinati di appena 22°, ma vicino al Sacco i banchi di arenaria hanno la forte pendenza di 70V In prossimità del calcare cretaceo l’Eocene è costituito di scisti arenacei e argillosi, i quali si sfaldano in sottilissimi fogli. Questi scisti arenacei sono impregnati di bitume e contengono resti orga- nici. Il luogo da me esplorato di tali scisti bituminosi è nella regione detta Campo le Mandre in vicinanza del Fosso del Colombo Ivi gli scisti hanno una potenza di m 1,50. Quantunque è da prevedersi con certezza che al Fosso del Colombo l’estensione del giacimento non sia grande, tuttavia vi sono indizi sulla superficie del terreno che il banco di scisti bituminosi si ripresenti lungo la via fra Campo le Mandre e Castro. Dal limite del Cretaceo coll’ Eocene fino alla sponda del fiume Sacco il terreno cambia gradatamente e concordantemente nella se- guente maniera: Dopo gli scisti bituminosi si osservano delle molasse gialle con straterelli di arenaria dura, indi dei banchi di argilla con banchi di calcare a foraminifere ; dippoi questi divengono più potenti, e final- mente al Colle' della Pece, che sovrasta al fiume Sacco, i banchi di calcare raggiungono una potenza di parecchi metri. Questi potenti banchi sono intercalati negli strati di arenaria grigia. L’Eocene di Colle della Pece e di Campo le Mandre è coperto da un conglomerato quaternario di 2 a 3 metri di potenza, costituito di roccie del terreno eocenico e di roccie cristalline, come graniti, sieniti, ecc. Il bitume si trova impregnato sopratutto nei grossi banchi di cal- 1 P. Spadoni, Osservazioni miner alo -vulcaniche fatte in un viaggio nel - V antico Lazio, Macerata, 1802. R. Ludwig, Geologiche Bilder aus Italie i. Moskau, 1875. F. Foetterle, Vorkommen von Asphalt .am Colle della Pece bei Pofì- Castro in Mittel-It alien (Verhandl. d. k. k. geolog. K.eichsanstalt). Wien, 1872. G. B. Gacciamali, Petrolii e bitumi di Valle Latina (Boll, del Naturalista). Siena, 1889. 143 - care cristallino eocenico di Colle della Pece; ma anche le arenarie grigie e le molasse sono debolmente bituminose. Il calcare è ora brec- ciato ed ora no, e contiene circa il 10 per cento di bitume. Dopo che la miniera di Colle della Pece passò in concessione al signor Loreto Ambrosi di Castro, vi si incornili ciarono lavori di esplo- razione, dove in addietro i contadini si limitavano di raccogliere la poca materia che si radunava naturalmente alla superfìcie Dopo i primi lavori eseguiti sotto la direzione dell’ing. Viviani, vi si intra- presero importanti scavi sotto quella dell’ing. Cadolini. m complesso vi si sono fatti oltre a 12 tasti e parecchie gallerie, una delle quali è lunga 500 metri e l’altra 300. Per poter rendersi conto della quantità di bitume coltivabile, con- viene innanzi tutto esplorare il calcare, nel quale sembra sia raccolto il minerale. I banchi di calcare hanno la direzione degli strati are- nacei dell’Eocene, e si vedono affiorare dall’Acquapuzza fino al Monte Nero, ove entrano nel terreno alluvionale, vale a dire per una lun- ghezza di circa 5 km. Si ripresentano probabilmente anche alla si- nistra del Sacco, dove peraltro sono ricoperti dai materiali vulcanici di Pofì. Come già si disse, i banchi di calcare pendono verso il Sacco; ne viene che per una razionale esplorazione, i tasti dovrebbero farsi perpendicolarmente alla falda del Colle della Pece rivolta verso il fiume Si potrebbe obbiettare all’ ipotesi dell’origine intratellurica del bi- tume in questa regione, la ragione, spesso invocata, che le molasse superiori contengono della lignite, i prodotti di distillazione della quale possono raccogliersi nel terreno vicino e impregnare anche strati più lontani. Ma allora non vi sarebbe ragione alcuna perchè il bitume si sia concentrato nel calcare, il quale non è poroso, e abbia invece lasciato sterilissime le molasse, che per l’appunto contengono la lignite. Messa sotto questo punto di vista la quistione, ognun vede che i fatti sono più favorevoli all’origine intratellurica degli idrocarburi in questione di quello che alla loro provenienza sedimentaria; ed è quindi da desiderarsi che si intraprendano non solo a Castro dei Yolsci, ma in tutta la valle del Sacco più estese ricerche, le quali possono avere una certa probabilità di riuscita - 144 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE Erdgescliiclite von Melchior Neumayr. 2te Auflage: neubear- beitet von Prof. Dr. Yiktor Uhligl I Band: Allgemeine Geologie . La pregevole Erdgeschichte del Neumayr, accolta con tanto favore così dal pubblico colto a cui era destinata, come dagli scienziati, è giunta in meno di un decennio alla sua seconda edizione, di cui ora ci si pre- senta il primo volume. L’opera di revisione che l’autore, troppo presto rapito fra l’universale compianto alla scienza, non ha potuto compiere, è stata assunta dal prof. Uhlig, suo allievo, che ha procurato con amo- revole cura di mettere il libro al corrente dei progressi compiuti dalla geologia dopo il 1886, conservando intatta nella sua forma originale e nei suoi pregi quella parte considerevole del libro a scemare il va- lore della quale non è giunta nel frattempo alcuna novità. Le aggiunte principali riflettono i capitoli dei vulcani e dei ter- remoti, accresciuti di cose tratte da pubblicazioni varie, giapponesi, americane ed altre, posteriori al 1886, e più di tutti il capitolo sul- l’origine delle montagne, aumentato di molto e messo a giorno delle nuove teorie e discussioni in proposito, per cui si è segnalato appunto l’ultimo decennio, ed a cui ha non poco contribuito l’opera stessa del Neumayr. Varie aggiunte e modificazioni di minor conto sono pure state fatte nel resto dell’opera, che ha fatto notevoli guadagni nelle illustrazioni, essendosi sostituite tavole ed incisioni nuove e molto ben fatte, ad altre oramai diventate vecchie nel passaggio dall’uno all’altro trattato di geologia. Una novità che sarà certo bene accolta è l’ag- giunta, nella leggenda delle figure, del numero della pagina in cui si tratta di esse, il che mancava nella prima edizione. La seconda edizione è così riuscità in tutto degna della prima, ed il primo volume lascia bene sperare del secondo; il libro del Neu- mayr potrà cosi continuare l’opera così ben incominciata di diffondere fra un pubblico, sempre più largo di persone istruite e colte, i risul- tati delle faticose indagini dei geologi. La parte prima dell’opera, stampata nell’ Istituto Bibliografico di Lipsia, forma un bel volume di pag. XIV+694 con 378 figure in- tercalate nel testo, 18 tavole (delle quali 12 a colori) e due Carte. - 145 — NOTIZIE DIVERSE Il nuovo Lago di Leprlgnano. — Il piccolo ritardo avvenuto nella pubblicazione del presente fascicolo, ci permette di far cenno di un interessante fenomeno geologico avvenuto nei primi di aprile 1895, in provincia di Roma, e cioè della formazione di un laghetto nei din- torni di Leprignano, paese situato a 32 chilometri al Nord di Roma. Nella notte dell’ 8 aprile, 3 chilometri a Nord del predetto paese, nel letto del torrente Gramiccia, si produsse l’avvallamento d’ una pic- cola zona di terreno ; dalla spaccatura che circoscriveva la parte spro- fondata usciva del gas idrogeno solforato, nello stesso tempo che in esso si rovesciavano e si perdevano le acque di un torrentello affluente del Gramiccia. Nella notte dal 12 al 13 stesso mese i pastori, che si trovavano nei dintorni di quella località, dicono avere inteso delle detonazioni somi- glianti a scariche di artiglieria, seguite da un’acuto fischio e da un colpo di vento, che spaventarono le mandrie, le quali, rotte le reti, se ne fug- girono. Obbligati ad uscire dalle loro capanne, alcuni di guei pastori asseriscono aver pure veduto da quella parte delle fiamme. La mattina appresso la gente accorsa dai vicini paesi trovò che un tratto di superfìcie, di forma irregolarmente circolare, avente in media 260 metri di diametro, si era staccata ed abbassata producendo un avvallamento, che nel punto più depresso misurava una profon- dità di metri 19.50, nel quale si rovesciava il torrente Gramiccia il di cui letto, per circa 300 metri di lunghezza, era stato travolto nella rovina. Da diversi punti del piccolo laghetto che le acque del Gramiccia venivano formando, vedevasi distintamente lo sviluppo dell’idrogeno solforato, facilmente riconoscibile al gorgogliamento delle acque ed all’odore caratteristico, e si distingueva pure benissimo il punto del primo avvallamento dalla maggiore emissione dello stesso idrogeno solforato. Nella rottura periferica prodotta dall’avvallamento erano im- provvisamente comparse 3 sorgenti d’acque minerali, delle quali due erano solforose e l’altra ferruginosa. Le abbondanti pioggie che seguirono questo avvenimento, avevano già il 20 aprile quasi totalmente riempito l’avvallamento, ricoprendo le accennate sorgenti minerali; mancava appena un metro e mezzo — 146 — per superare il dislivello fra il pelo dell’acqua del laghetto ed il letto del braccio inferiore del torrente G-ramiccia. Però nella sua parte cen- trale, corrispondente al punto del primo a\ vallamento, si distingueva ancora un leggiero gorgogliamento delle acque causato dall’emissione dell’ idrogeno solforato. Nulla può far presentire ulteriori franamenti, poiché all’ infuori di due brevi spaccature esistenti sulla sponda 'S.E del laghetto, a destra e a sinistra del torrente Gramiccia, nessun altro crepaccio vedesi all’ in- torno. Si slabbreranno sicuramente le sponde, oggi verticali del nuovo lago, fino a che non abbiano raggiunto la pendenza naturale delle terre sciolte e franeranno forse le due piccole zone segnate dalle due spaccature anzidette; ma all’ infuori di questo non vi è alcun dato che possa far credere ad un prossimo ingrandimento. Come fu sopra accennato il lago è di forma irregolarmente cir- colare: prendendo per raggio la cifra media di 130 metri, la superfìcie da esso occupata sarebbe di m2 53 066 e lo sviluppo periferico delle sue sponde di metri 816.40: questo però, tenuto conto delle molte si- nuosità, effettivamente sarà di 900 a 1000 metri. Circa le cause che hanno prodotto Tavvallamento e la conseguente formazione r del laghetto ci riserviamo di parlarne in seguito. In seguito a richiesta, pubblichiamo il seguente avviso pervenu- toci dal prof. John Milne, direttore dell’ Osservatorio sismologico di Tokio. AVVISO. È mio doloroso compito di informare V. S. Ili. ma che nello scorso febbraio la mia casa di abitazione, nonché il mio osservatorio privato, divennero preda delle fiamme. — In seguito a tale disgraziato avvenimento quasi tutti i volumi (più di mille) degli Annali della Società sismologica e un gran numero di copie del G-iornale di sismologia, che è la continuazione dei primi, furono distrutti ; non fu possibile di salvare dal fuoco che circa 500 copie più o meno avariate. Le società scientifiche o le persone che desiderassero completare la loro collezione sono pregate di farmelo sapere ed io non mancherò di soddisfarle nella misura del possibile. Fortunatamente il IV volume del Giornale sismologico, che racchiude moltissime infor- mazioni importanti per la scienza sismologica moderna, si trovava in mano dell’editore al momento dell’incendio. Le persone che esprimessero il loro desiderio di avere questo IV vo- lume dovranno rivolgersi alla Direzione del Japan Mail , a Yokohama. Siccome tutti i miei manoscritti degli ultimi 25 anni, nonché una grande biblioteca di opere sismologiche, furono abbruciati, sarei riconoscentissimo ai Signori autori che scris- sero su questa scienza di volermi favorire, in cambio del IV volume sopra menzionato, alcune copie dei loro scritti e di spedirmele alla « Geological Society », Burlington house , Londra. 22 Febbraio 1895. JOHN MILNE Imperiai University of Jap-an, Tokio. 147 — PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (31 marzo 1895) LIBRA Bollettino del R. Comitato geologico; Voi. I a XXIV, dal 1870 al 1893. Prezzo di ciascun volume L. 10 Idem di una serie di dieci volumi (sconto 20 p. %) ...» 80 Idem dell’abbonamento annuale in Italia . » 8 Idem idem all’Estero » 10 Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze 1872. — Un volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche » 35 Voi. Il, Parte 1'. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche 25 Voi. Il, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 Voi. UT, Parte l0. Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche ...» 10 Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 Voi. IV, Parte la. Firenze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole » 8 Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole » 16 Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci: Descrizione geologica del- V Isola di Sicilio. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica ,.......» 10 Voi. II, Roma 1886. — B. LOTTI: Descrizione geologica del- V Isola d'Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. III, Roma 1887. — A. FabrI: Relazione sulle miniere di ferro dell'Isola d'Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. IV, Roma 1888. — G. ZOPPI: Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente (Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » 15 Voi. V, Roma 1890. — C. De CASTRO : Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. » 8 Voi. VI, Roma 1891. — L. BALDACCI: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. SABATINI: Descrizione geologico-petrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche » 8 Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI: Descrizione geologico-mi- neraria elei dintorni di Massa Marittima in Toscana . — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Segue — 148 - CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2a edizione. — Roma. 1889 Prezzo L. 10 — La stessa montata su tela a stacchi » » 12 — La stessa montata su tela con bastoni » » 15 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 Foglio N. 262 (Monte Etna). . L. 5 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 266 (Sciacca) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria) . . . » 3 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 251 (Cefalù) .... » 3 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 » 252 (Naso) .... » 4 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 253 (Castroreale) . » 4 00 » 270 (Catania) . . » 3 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 271 (Girgenti) . . . » 3 00 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 00 » 272 (Terranova) . . » 4 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 273 (Caltagirone) . . » 5 00 » 258 (Corleone) . . . » 5 00 » 274 (Siracusa) . . . » 4 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5 00 » 276 (Modica) . . . » 3 00 » 261 (Bronte). . . . » 5 00 » 277 (Noto) . . . . » 3 00 Tavola » » » di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) . . » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . 00 00 L. 4 . » 4 . » 4 00 , » 4 00 . » 4 00 Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Cariasi vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) . L. 4 00 » 143 (Bracciano). . » 5 00 » 144 (Palombara) . » 5 00 Foglio N. 149 (Cerveteri) » 150 (Roma) . » 158 (Cori). . L. 4 » 5 » 4 Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 00. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000; ne sono pubblicati _i fogli seguenti: Foglio N. 236 (Cosenza) . . . L. 4 » 237 (S. Giovanni inF.) » 5 » 238 (Cotrone) ... » 3 Foglio N. 241 (Nicastro) . . . . L. 4 » 242 (Catanzaro) ... » 4 » 243 (Isola Capo Rizzuto) » 3 Tavola di sezioni N. 1 annessa a detti fogli L. 4. Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma 1886 L. 5 — Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, fogli con sezioni. — Roma 1884 nella scala di 1 a 25 000, in due » 10 Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico (Via S. Susanna, 1) ovvero ai principali librai d’Italia e dell’ Estero. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie III. Voi. VI. Anno 1895. Fascicolo 2°. SOMMARIO. Note originali. — I: V. Sabatini, Sull’attuale eruzione del Vesuvio. — II: V. No- varese, Nomenclatura e sistematica delle roccie verdi nelle Alpi Occidentali. — Ili: S. Franchi, Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi Occidentali. — IV: C. De-Stefant, Il bacino lignitifero di Bor- gotaro (con due tavole). — V: B. Lotti, Sulle condizioni geologiche della sorgente termale di Vignoni in provincia di Siena. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per 1’ anno 1894. Pubblicazioni del R. Ufficio Geologico. Atti ufficiali. — Verbali delle adunanze del R. Comitato geologico nei giorni 8 e 9 giugno 1895. — Relazione dell’ Ispettoremapo al R. Comitato geolo- gico sui lavori per la Carta Geologica nell’ anno 1894 e programma di quelli da eseguirsi nel 1895. Illustrazioni. — Tav. Ili e Tav. IV : Carta e sezioni del bacino lignitifero di Borgotaro, annesse alla nota del prof. C. De-Stefani, a pag. 218. NOTE ORIGINALI I. V. Sabatini. — Sull' attuale eruzione del Vesuvio 1. Riepilogo della presente fase eruttiva. — Da molto prima della grande eruzione del 1872 il Vesuvio trovasi in una fase di attività permanente, alla quale, a torto, da alcuni è stato dato il nome di stromboliana. E noto, difatti, die il modo di essere dell’attuale fase dello Strom- boli consiste in un’eruzione continua di frammenti di lave fuse e di materie solide, in forma di blocchi, pietre, scorie, sabbie e ceneri, con emissioni di gas e di vapori; ma senza riversamento di lava , che ap- parisce soltanto talvolta in fondo al cratere, per sparire di nuovo, dopo alcune oscillazioni di livello e dopo qualche tempo. Fu solo ec- 1 II ritardo avvenuto nella pubblicazione del presente fascicolo del Bol- lettino, ci permette d’ inserirvi queste notizie sulla eruzione del Vesuvio incominciata nel luglio dell’ anno corrente. 1 — 150 - eezionalmente elio nel 1889, quando le boccile passarono sull’ orlo del cratere, da una di esse si riversò fuori la lava, ma in quantità trascurabile. Nel Vesuvio, invece, i periodi di tranquilla attività sol- fatariana sono spesso interrotti da parossismi violenti con emissioni di lava, per traboccamento o per frattura. Anche accettando la defì- » nizione del sig. De Lapparent dell’attività stromboliana : « emis- sione, relativamente tranquilla, di lava dal vertice del cono, senza proiezioni violente 1 » che indica un’attività meno calma di quella di Stromboli, si vede che l’attuale fase del Vesuvio è ancora molto lon- tana da tanta calma regolarità. Il parosismo del 1872, il più violento di questa fase, aveva la- sciato in cima al vulcano un cratere enorme, della capacità di oltre 12000000 di metri cubi, col fondo coperto di pietre e con abondanti fumarole. Le pareti verticali della vasta fossa franavano continua- mente e fu impossibile scendervi giù fino a che non fu riempita in parte. Fu solo allora che il prof. Palmieri potette discendervi dal punto più depresso dell’orlo. Nell’ottobre del 1875 il fondo del cratere si depresse e il 18 di- cembre successivo vi si aprì una bocca ignivoma, che emise prima brani di lava, poi lava continua. Un cono interno intanto si venne formando, ma la lava, elevandosi, presto lo seppellì. Sulla crosta indù- rita di questa lava un secondo cono apparve, e similmente fu seppel- lito sotto altra lava che si depose sulla prima. Così, ripetutesi queste alternative più volte, il vecchio cratere del 1872 si trovò tutto riem- pito, assumendo d’allora il nome di piano delle fumarole , e la lava cominciò a traboccare dall’orlo sui fianchi del gran cono, mentre un cono terminale alto 50 metri si era formato a coronamento dell’edifizio. Questo secondo cono, come riferisce il prof. Mercalli 2, era situato a S.E del piano delle fumarole. Nel 1881 esso si trova ingrandito e nel suo interno un terzo cono si è elevato. Ma nel dicembre dello stesso anno entrambi questi coni aggiunti sprofondarono, lasciando al loro posto una voragine larga 50 metri. Le esplosioni però ricominciarono, la voragine fu ricolmata e un altro cono terminale si costruì nel 1882. Intanto il cono grande si spaccò dal lato di Pompei e poca lava ne venne fuori a varie riprese. 1 A. De Lapparent, Traité de geologie, 2° édition, Paris, 1885, p. 440. 2 Atti Soc. ital. di se. nat., XXVII. Milano, 1884. L’anno seguente un’altra colata si diresse verso Boscotrecase, e, pochi mesi dopo, nel 1834, da una squarciatura a N.O nuova lava uscì, scendendo nell’Atrio del Cavallo. Dal 1891 al 1893 fu un’eruzione quasi continuata. La lava, uscita da altra fenditura, discese lentamente, ma per molto tempo e quindi abbondantemente, nello stesso Atrio. Il fondo di quest’ultimo ne fu rialzato ed ora, tutto coperto da innumerevoli blocchi e scorie, vi si cammina con grande difficoltà. L’attuale eruzione. — Quando io giunsi al Vesuvio, il 10 del corrente luglio, l’eruzione era cominciata da diversi giorni. L’inge- gnere sig. Tasconi, assistente in quell’Osservatorio, gentilmente mi comunicò i suoi appunti sui giorni precedenti. Nella notte dal 2 al 3 luglio precipitò la parte superiore del cono terminale, e la mattina seguente la cima era avvolta nel fumo. Pa- recchie scosse si erano avute nella notte e continuarono il mattino seguente. Verso le 10 ant., sul fianco del gran cono, in direzione N.O, a poca distanza della spaccatura del 1872 e un po’ più ad Ovest, si cominciò a produrre la spaccatura nuova. Il solito pino di fumo si formò, ma non durò che mezz’ora. Una prima bocca era intanto ap- parsa verso la cima e, poco dopo, se ne formò una seconda, alquanto al disotto, emettendo entrambe fumo e cenere, insieme a poca lava. Verso le 12 apparve la terza bocca, alla metà del cono, e un’ora dopo da essa venne fuori la lava, che colò per varie ore. Finalmente una quarta bocca si apri alla base del cono, dando lava tutta la notte. L’apertura intanto delle bocche inferiori aveva, come al solito, ral- lentata l’attività delle superiori. La lava, scendendo, formò diversi rigagnoli che si unirono in più punti ed ora appaiono in nero sul fianco più chiaro del monte. Nes- sun fenomeno di proiezione accompagnò l’aprirsi del vulcano: si vi- dero solo dei blocchi superficiali staccarsi e rotolare giù perla china. L’ing. Tasconi me ne mostrò uno di 10 metri cubi. Verso le 4 pom. l’attività era molto indebolita. Poco fumo bianco usciva dalle due prime bocche, e la lava, che sgorgava dalle altre due, non era più visibile per lungo tratto. Essa riappariva solo verso il basso, ed il suo fronte la sera minacciava la rotabile della funico- lare, mentre la cima del monte era in calma. Il giorno 4 par che la lava si arresti e si spenga, mentre molto fumo s’innalza dalla sua superficie. Il 5 la calma semora anche maggiore; quando alle 11.30 ant., ad — 152 — Ovest del gran cono, tra la Bocca del Francese e quelle del 1858, ap- parve molto fumo. Si vede subito che una seconda frattura si apre quasi in prolungamento della precedente, e da essa una lava abon- dantissima, con. velocità di 2,50 a 3 metri al minuto, scende sulla rotabile della funicolare e la copre per una lunghezza di 200 metri. Contemporaneamente il cratere terminale dà gran fumo, con ceneri e pietre, accompagnate da boati. La violenza dell’eruzione continua nella notte e, nelle prime ore del mattino seguente, si aggiunge un fortissimo temporale. Il mattino del 6 la lava ha allargato il suo fronte, e la rotabile ha perduto altri 50 metri. Più in giù la corrente si è divisa in piu rami. Alle ore 5.15 pom. si avverte una scossa sussultoria della du- rata di sette secondi. Il giorno 7 la corrente si è di molto rallentata, la sua velocità essendo scesa a 9 o 10 metri all’ora. La sua altezza è di 2 metri. Un ramo secondario che era andato verso il vallone della Vetrana è ora spento. Le altre diramazioni si fanno meno minacciose. Alle sorgenti, dai cunicoli, che hanno già di molto allungate le bocche, escono cinque correnti vicine, ognuna con le sue dighe, e, a breve distanza riunendosi, formano un lago di fuoco, da cui la cor- rente ripiglia il suo cammino tortuoso, sulla lava del 1872, avvian- dosi al Piano delle Ginestre. Numerose fumarole sono alle spalle delle nuove bocche; altre, lungo la spaccatura radiale, indicano il posto delle bocche primitive. Dal cono terminale vengono fuori poco fumo e ceneri. Presso le bocche, sulla lava, fischiano due fumarole da due vite - colilli o conetti, coperti da sublimazioni gialle. Tra i gas, che sì sollevano dalla lava, colpiscono alle volte lo sguardo delle piccole trombe, provocate da vortici del vento, in vici- nanza delle bocche e quindi del cono, per cui il fumo assume nel sa- lire un rapido movimento spirale. Si ha così l’effetto di nastri bianchi, svolazzanti, ondulati, sfumati, affilati in punta, spiccanti sul bianco più rado del resto del fumo, e che si stendono su 150 o 200 metri di altezza, e poi spariscono. Calata la notte, verso le 9, comincia una pioggia di cenere fina,, ma in poca quantità. Le lave sono vivissime alle sorgenti; molto meno brillanti nel resto per le scorie che, già in gran quantità, le ricoprono. Il mattino dell’ 8 uno strato di cenere di 2 a 3 millimetri si trova sulla terrazza dell’Osservatorio. Il fronte della lava è già al Piano delle Ginestre. — 153 — mr * ' Il 9 le bocche sono abbastanza attive, mentre i vuccolilli sono spenti ed uno è già crollato. Le scorie galleggiano sopra un fiume di fuoco, che piega verso la via vecchia dell’ Osservatorio. Il cratere principale è pieno di sabbia. J1 nuovo cono terminale, formatosi dentro il precedente, come questo, è anoh’esso in parte rovinato. Una metà ad Est, difatti, non esiste più e nella parte ancora in piedi mostra 12 a 15 metri d’altezza. Al mio arrivo, il giorno 10, dalla cima veniva fuori poco fumo bianco, a sbuffi, ad intervalli, e, qualche volta, un po’ di fumo nero accanto. Le fumarole sulla frattura radiale erano poco attive. La lava continuava a scorrere tranquillamente e lentamente. Il giorno 11 l’attività subisce un leggiero aumento. Il 12 constata che la lava trovasi poco distante dalla rotabile pro- vinciale dell’ Osservatorio, in basso; mentre un piccolo ramo, più sopra, si è avanzato proprio sotto la terrazza dello stesso Osservatorio. Il fronte di questo ramo, la notte del 12, appare improvvisamente di sotto le scorie nere, come l’apertura d’un forno gigantesco. Durante questa giornata son salito in cima al gran cono. Dall’orlo del vecchio cratere ricolmo, di cui qualche punta sussiste ancora, si elevano qua e là delle fumarole poco attive. L’acido clori- drico e il solforoso vi devono essere misti a molto vapor d’acqua, perchè si respira abbastanza bene. Una lunga spaccatura in direzione Ovest si osserva sulle lave vecchie. Mi fu detto che esisteva prima dell’eruzione attuale, ma che soltanto ora si è allargata, misurando attualmente un metro di lar- ghezza in media. La profondità della parte visibile era di alcuni metri, e le pareti e i dintorni si mostravano coperti di sublimazioni giallo- aranciate, giallo-canario e verdi, che venivano sempre più aumentate dal molto fumo che si sollevava dalla frattura. Osservando bene però si vedevano subito, lì accanto, altre fratture secondarie, insieme alla prima. Nel vecchio cono terminale, in parte crollato, come si disse, la notte del 2, potetti entrare. Le sue pareti interne sono molto ricche in fumarole. La lava fortemente alterata mostra colori, vivacissimi, spe- cialmente nell’aranciato, poi nel giallo, nel rosso e nel verde, dovuti ad ossidi e cloruri diversi, non che a solfati, solfiti, ecc. Come del resto si capisce agevolmente, sulla lava, in basso, i colori sono molto meno vivi che sulla cima nel gran cono. Un secondo conetto terminale dovuto alla presente eruzione si vede sorgere in mazzo al cratere del primo. È anch’esso crollato ad. Est per un buon tratto e pare alto dai 12 ai 15 metri. Dall’apertura del suo circuito si vede l’interno cratere sul cui fondo è aperta una voragine di un’ottantina di metri di diametro. Le pareti, almeno nella parte superiore visibile, sono formate da strati bianchicci di prodotti di proiezioni. Ad ogni due o tre minuti una parte di queste pareti franava, sotto la più impercettibile scossa prodotta dal monte, e col fumo bianco si vedeva sollevarsi insieme una colonna di fumo nero, formata dalla polvere prodotta dal franamento. Al di fuori di questo cono interno una screpolatura, sul suolo del cratere del cono esterno, lo girava per due lati. E evidente che l’ultimo cono sarà presto inghiottito e la voragine enormemente ingrandita. Kidiscesi, passando vicino alla spaccatura radiale del gran cono, e constatai che anche qui si tratta non di una sola, ma di un sistema di fratture. Il giorno 13 tutto ripiega verso la calma. Oramai le campagne sottostanti di Resina sembrano salve ed anche la strada provinciale. Le mie osservazioni, di cui parlerò nel paragrafo seguente, sono anche finite ed io abbandono l’Osservatorio, con animo grato all’il- lustre suo direttore, prima di tutto, eppoi ai colleghi signori Di Lo- renzo e Tasconi, non che all’ ingegnere direttore della funicolare, i quali tutti, con gran le cortesia, mi fecero gli onori di quella loro bellissima, ma turbolenta villeggiatura. Osservazioni. — A) Apparecchio avventizio nell1 attuale eruzione. — L’uscita della lava essendosi operata tranquillamente, cioè senza proie- zioni, la formazione di crateri avventizi è completamente mancata. Anche la formazione de’ coni è stata poco accentuata. # Le bocche d’uscita, a poco a poco, si son venute prolungando ili un condotto sollevato sul suolo e formato dalla stessa lava. Lungo il percorso di questo cunicolo, generalmente nelle parti strette, spesso, a causa della pressione dei gas e dei vapori che si sviluppano dalla lava o degli urti della lava stessa, il tetto dell’involucro si è aperto. Due casi potevano darsi. Se l’apertura era piccola, un buco cioè di qualche decimetro, i gas avevano sufficiente tensione a lanciare in alto delle scorie ; ma, stante la strettezza dell’uscita, solo quelle spinte ver- ticalmente uscivano realmente all’aperto e, ricadendo e saldandosi più o meno tra loro, costituivano dei conetti a pan di zucchero, di circa un metro d’altezza e di un mezzo metro di diametro alla base. Questi conetti sono chiamati vuccolilli nel dialetto locale. Dal tubo che li at- — 155 — traversava, largo un decimetro circa in~alto, i gas della lava uscivano fischiando, finché, diminuendone la tensione, i vuccolilli si facevano poco a poco inattivi. Qualche volta la loro bocca si trova chiusa da un’ ultima scoria lanciata in alto. Nel caso invece di una grande apertura, i gas, sfuggendo da essa con debole tensione, non avevano la forza di spingere le scorie in alto, e l’apertura restava libera, senza alcun apparecchio sovrapposto. Di queste grandi bocche sui cunicoli di lava ne ho viste due di un paio di metri di lunghezza, secondo l’asse del cunicolo, con lm30 - lni50 di larghezza. In altro punto ho visto tutto il tetto di un cunicolo, di 0m80 di larghezza, crollato su 10-12 metri, onde solo in quel tratto si vedeva la lava incandescente scorrere ad un 0m50 al disotto del- l’orlo dell’apertura. Come si vede, si passa gradatamente ai punti in cui, la corrente allargandosi, il tetto non regge più e la lava si vede ricoperta di uno strato di scorie che avanza continuamente, mentre è contenuta late- ralmente da due dighe anche di scorie e che si fanno più grandi, sia col ‘passar del tempo in uno stesso punto, sia coll’ allontanarsi dal punto di emissione nello stesso tempo. Gli allargamenti della corrente sono in generale dovuti al riunirsi di più rami minori o dei loro cu- nicoli. i Le pareti interne dei cunicoli erano a superfìcie rugosa, cosparsa di punte con rigonfiamenti, che formavano piccole ed eleganti sta- lattiti sporgenti da una fine merlettatura, il tutto colorato in rosso per ossidazione. All’esterno invece, sovratutto presso i vuccolilli e le aperture, si trovavano sublimazioni diverse, sovratutto gialle. Ma sotto l’urto dei gas e dei vapori non sempre il tetto dei cu- nicoli si rompeva. Alle, volte si sollevava formando delle bolle di 2 a 3m di diametro con lm50 d’altezza. Quando la lava sottostante si solidificava, mancando il sostegno della tensione dei gas, queste bolle crollavano, lasciando talora qualche pezzo in posto. Poteva anche accadere che, formata la bolla, un aumento di tensione al disotto ne facesse saltare la cupola; si aveva allora un piccolo cratere con una fumarola nel mezzo. B) Osservazioni sulla colata attuale. — La lava attuale, al pari delle precedenti al Vesuvio, si rapprende, alla superficie, o in un aggregato di scorie, o in larghi frammenti a struttura cordata o a pieghe ondu- late ed intrecciate come quelle duna stoffa. Le corde e le pieghe hanno, in generale, da 4 o 5 centimetri a 3 o 4 decimetri di lar- ghezza. La superficie ne è rugosissima e tutta irta di punte fragi- lissime. E noto come sia irregolare ed inaspettato l’andamento della lava. Un po’ la vischiosità, un po’ la densità variabile pel passaggio con- tinuo dallo stato liquido allo stato solido, un po’ tutte le altre sue condizioni, fanno sì che le leggi del moto dei liquidi perfetti si veg- gano più o meno manomesse nel moto della lava. Così, dietro un osta- colo, la lava aumenta, si eleva e, se l’ostacolo resiste, invece di , de- viare, lo scavalca. Così non sempre sceglie la linea d’impluvio delle valli, ma si vede alle volte girare sul fianco d’una prominenza. Il fatto che la lava lastrica continuamente il proprio cammino spiega questo fenomeno. Si capisce quindi che le dighe, o morene laterali, dell’ignea corrente non sempre prendono la scarpa conveniente all’esterno, ma ad ogni momento si dispongono in equilibrio instabile, ed il passare della corrente liquida all’interno, ora stringendosi, ora allargandosi, turba quell’equilibrio e le sponde franano con un rumore secco carat- teristico, tanto più forte, quanto la diga è più alta, mentre un nu- golo di polvere copre ogni cosa. Una piccola parte della lava, uscita dal 4 al 5, scorse, come si disse, sul fianco del gran cono e si spinse in basso fin presso la ro- tabile della funicolare. Tutto il resto, uscito dal piede del cono stesso, a partire dal 5, si divise in due rami principali, ognuno dei quali in tre secondari. Uno di questi ultimi, diretto al vallone della Vetrana, presto si esaurì. Gli altri cinque rami, diretti al Piano delle Ginestre, si riunivano nuovamente più in basso. Di essi, dopo alcuni giorni, ad uno per volta, cominciò lo spegnimento. Il percorso di questa lava fu di circa tre chilometri. Il volume fu valutato il giorno 9 dai signori Di Lorenzo e Tasconi a 2 000 000 di metri cubi. Attualmente io credo che tale cifra debba portarsi a 2 500000, ciò che corrisponde ad un cubo di circa 135 metri di lato. Tutta questa massa poggia sulle vecchie lave del 1858 e del 1872, e un poco anche su quelle dell’ 83. La velocità in un punto qualunque è un elemento di poco valore. Occorrerebbe avere la velocità del fronte d’avanzamento e sovratutto la portata. In uno dei cinque rami della lava, lasciando da parte il sesto della Vetrana, già estinto, misurai una velocità di circa 6m al minuto. La sezione era all’ingrosso di un metro quadrato, onde si ebbe la portata di 6 metri cubi al minuto. Ritenendo questa cifra una media tra i cinque rami, s’avrebbe la cifra complessiva di 43200 ? -■ - 157 - metri cubi in 24 ore, a cinque giorni di distanza dall’inizio della grande colata. Lo spessore della lava era da 6 a 7 metri nei punti più alti; la larghezza 250 metri sulla rotabile della funicolare. Il solo danno pro- dotto fu il ricoprimento di un tratto di questa strada, che ora dovrà esser rifatto, col rialzamento dei tratti laterali. Se quest’eruzione non lascia dunque grandi danni dietro di sè, lascia però una grande preccupazione sull’ avvenire dell’ Osservatorio • Situato in posizione elevata sul suolo circostante, ha visto elevarsi questo suolo sempre più per l’accumulazione delle lave, onde pare dif- ficile che non sia raggiunto da un’eruzione sola come quella del 1872 o da un piccol numero di eruzioni come la presente. C) Colore della lava viva. — Si ritiene da molti 1 che la lava di giorno appaia come una melma color miele. Ciò è completamente inesatto. La lava, se scoperta, come presso le sorgenti, o se coperta di scorie ancora abbastanza arroventate, mostrasi di giorno color rosso fuoco di varie gradazioni, per quanto meno vivamente che di notte. Se invece è ricoperta di scorie più raffreddate mostrasi grigio-scura. Il giallo miele si vede non nella lava liquida e nemmeno nelle scorie che la coprono, ma nelle dighe laterali. Le pietre di cui queste si compongono sono difatti color giallo d’ocra nella maggior parte, nel resto rossastre o grigie. Quel giallo e quel rosso sono alterazioni superfi- ciali e non esistono che fino ad una certa distanza dai punti d’emis- sione. D) Importanza dei piani eruttivi (Ch. S.-Cl. Deville). — Alcune os- servazioni hanno mostrato il riaprirsi di una vecchia frattura ad una nuova eruzione, o almeno I influenza, sopra una frattura antica, di un’eruzione avvenuta attraverso una frattura nuova. Ma questi fatti sono stati troppo generalizzati ed esagerati con la teoria dei piani 'eruttivi, considerati come linee di minima .resistenza 2. E evidente che, in un cono di frammenti, una fenditura per cui è passata la lava rappresenta invece una linea di massima resistenza, a meno che la frattura non sia stata riempita che in piccola parte. Eorse nei coni, ove le fratture sono state numerosissime e s’intrecciano in tutti i sensi, si può avere un edifizio rigidissimo, paragonabile ai coni for- 1 A. De Lapparent, loc. cit., pag. 423. 2 Cfr. A. De Lapparent, loc. cit., pag. 419. - 153 - mati interamente di lava, e la teoria dei piani eruttivi può esservi applicata. Ma che il Vesuvio, uno dei pochi vulcani su cui si sono edificate tante teorie, possa servire a dimostrare anche questa, è cosa smentita dalla stessa sua storia. Essa ci dice che raramente una vecchia frattura, che abbia dato passaggio alla lava, s’ è riaperta. Ed è appunto in base a questo principio, opposto alla teoria di Ch. Sainte- Claire Deville, che il prof. Palmieri ha consigliato la Società della fu- nicolare ad impiantare la sua ferrovia lungo la frattura del 1867. E) Cristalli intr atellurici. — L’esistenza di questi cristalli, che vengono fuori già consolidati, trascinati dal magma fuso, do- vrebbe essere oramai fuori d’ogni quisbione. Disgraziatamente una constatazione diretta sulla lava viva non può farsi, perchè o questa è ricoperta di scorie già solidificate, o, se scoperta, emana tale calore che non è possibile guardarla troppo da vicino. Ed anche che si abbia la fortuna di osservare qualche piccolissimo getto, proprio dove esce all’aperto, come vedere dei cristallini, per lo più di qualche mil- limetro, in un liquido così vischioso? Ma se questa prova direttissima manca, ve ne sono molte altre, come le proiezioni di cristalli, le proie- zioni di pomici con cristalli già formati, le medaglie che si fanno so- lidificando rapidamente la lava delle colate in apposite forme, e di cui parlerò più avanti. Vengono poi altre prove meno dirette, ma ugualmente sicure, come quelle fornite dal microscopio, sia su mate- riali preparati nelle viscere dei vulcani, sia con quelli preparati per via sintetica nei laboratori. Siamo così giunti al punto che, se ancora si discute sui due tempi delle roccie acide, quelli invece delle roccie basiche, e sopratutto delle microlitiche, sono oramai fuori discus- sione. Ciò non ostante dall’osservazione dei lapilli filiformi (Scacchi) o capelli di Pelè , alcuni vorrebbero dedurre una prova contro i cristalli intratellurici delle lave.. Un’ osservazione giusta mi venne fatta a questo proposito dall’illustre prof. Palmieri. Egli ritiene infanti che, ove esistessero cristalli già formati nelle lave, quando, per proie- zioni da queste, venissero fuori dei lapilli stirati in fili, essi invece che di veri fili, dovrebbero assumere la forma di corone da ro- sario, formandovi i cristalli, preesistenti nel magma liquido, dei ri- gonfiamenti. Io comincio col notare che lo stesso Arcangelo Scacchi, il primo, se non erro, ad occuparsi dei lapilli filiformi, ammise che la lava, prima di espellerli, già contenesse cristalli formati. Oltre a dirlo espli- — 159 — citamente, 1 egli lo fa anche capire quando dice dei frammenti di leu- cite e di augite emessi dal Vesuvio nelle sue proiezioni. Se tutti i cristalli si formassero dopo l’uscita dei materiali dal cratere, si do- vrebbero avere cristalli interi e non frammenti. L’idea dello Scacchi, sulla provenienza di quei cristalli del primo tempo da lave antiche rifuse, oggi non è più ammessa; ma ciò non entra nella nostra di- scussione. Se dunque i cristalli più grossi non si trovano nei lapilli fili- formi, non è che non abbiano avuto il tempo di formarsi per la ra- pida solidificazione avvenuta in aria, ma è che si sono separati, come avviene spesso in tutte le pioggie di cristalli, dal magma avvolgente. Trattandosi poi di magma stirato in fili, il fatto si capisce meglio. Se difatti vi sono rigonfiamenti solidi, e^si devono spezzare i fili che li uniscono, e se ciò non avviene in aria, avviene nel cadere sul suolo. E questo potrebbe essere una prova del perchè questi fili, fragilissimi , sieno tanto rari. La sostanza dei lapilli filiformi, perchè consolidata rapidamente in aria, tanto più rapidamente in quanto il filo è più capillare, deve dare un magma amorfo o quasi. I suoi microliti devono es- sere pochi, se vi sono, e visibili solo coi più forti ingrandimenti. Ma è evidente che dei cristallini del primo tempo possano trovarvisi, ed essi devono essere tra i più piccoli, tanto che il prof. Palmieri li vide col microscopio. La loro piccolezza, più in rapporto con la resistenza della massa avvolgente e della sua vischiosità primitiva, non ne per- mise l’isolamento, come non permise i rigonfiamenti dei fili, di cui hanno un diametro minore. A me pare dunque che questi lapilli si spieghino agevolmente, senza esser pròva contro il primo tempo delle lave. 10 son dolente di non avermi potuto procurare un po’ di questo materiale per esaminarlo. 11 dott. Di Lorenzo, in una pregevole nota su quest’ultima eru- zione del Vesuvio 2, ritiene che la leucite cominci a consolidarsi mentre 1 A. Scacchi, Sulla origine della cenere vulcanica (Acc. Se. di Napoli, Ren- diconto, anno IX, fascicolo 8°, 1872). 1 Idem, Le eruzioni polverose e filamentose dei vulcani (Acc. Se. di Napoli, Atti, Voi. II, Serie 2 l, n. 10, 1886). 2 Efflusso di lava dal gran cono del Vesuvio cominciato il 3 luglio 1895 (Acc. Se. di Napoli, Rendiconto, Voi. I, Serie 3a, fascicolo 7°, luglio 1895). — 160 — la lava ribolle nel camino vulcanico. Ma se si pensi al grande sviluppo di questo minerale, che a Eoccamonfìna arriva alle dimensioni d’una noce, e se si ricordi che prima condizione d’ogni cristallizzazione im- portante è un’ assoluta tranquillità, per nulla verificata nei moti sus- sultorì e spesso violenti della lava nel camino, s’intenderà di leggieri come anche parte della leucite abbia un’origine intratellurica. E se è vero che di frequente la sua formazione continua, in poca quantità e più o meno interro ttamente nel canale d’ascensione, mentre finisce all’esterno, come è provato dal passaggio graduale dai suoi più grossi ai più piccoli cristalli, è vero altresì che, in molti altri casi, trovasi un salto enorme e senza transizioni, tra cristalli grossissimi e altri piccolissimi. Finalmente può avvenire che i cristalli grossi, o i grossi e gl’intermedi, manchino, restando solo gli altri. Tutti questi casi si verificano nelle roccie dei vulcani dell’Italia centrale, di cui ora mi sto occupando. F) Analisi microscopica della lava attuale. — Per quest’ analisi ho dovuto contentarmi di qualche frammentino un po’ più compatto, scelto nelle scorie, cioè nelle parti superficiali della colata, non es- sendo le parti profonde ancora solidificate. Ciò non di meno, dall’abile preparatore del nostro Ufficio (Teologico, sig. V. Sparvoli, ho potuto avere delle sezioni eccellenti. Ho così constatato trattarsi di una leuco- tefrite labr adorica, con labrador-bitunite anche nel primo tempo. La sua formola è così la seguente : Uj. t 0 1 P t 2-3 ì 1 2-3 F 1 • Augite. — In pochi grandi cristalli, spesso spezzati, ma abbastanza abondante in cristallini piccolissimi del secondo tempo. Colore giallo- sporco sbiadito. Assenza di policroismo. Felspati. — Abondano nei due tempi, in forme allungate, il più delle volte, ed in forme ugualmente sviluppate in tutti i sensi abba- stanza frequenti. I più grandi raggiungono le lunghezze di 8 o 9 de- cimi di millimetro e passano gradatamente ai più piccoli di 2 o 3 cen- tesimi. Gl’individui allungati mostrano le geminazioni dell’albite a lamelle finissime e larghe, alternate, e sono spesso circondati da una sottile filettatura di orientazione diversa. Qualche volta la struttura zonata si sovrappone alle geminazioni. Gl’individui ugualmente svi- luppati in ogni verso sono spesso molteplicemente zonati, e non di rado offrono altresì l’estinzione ondulata sovrapposta alla zonatura. - 161 — Nella zona di simmetria, la massima estinzione che ho constatata è stata di 2 X 31, escludendo così tutti i felspati meno basici del la- brador. Due sezioni quasi perpendicolari alla bisettrice ottusa ng hanno dato le estinzioni di 32 l’una e di 28° l’altra (a partire dalla traccia del piano degli assi ottici). La prima sezione mostrava il centro del- l’ imagine in luce convergente a */a del raggio, la seconda sezione ad 7*. Si vede quindi che, nel caso attuale, di felspati basici, perpen- dicolari ad ng l’errore di orientazione è trascurabile e non può perciò assolutamente raggiungere i 4° di differenza fra le due sezioni. Trat- tasi dunque di due felspati distinti, entrambi molto vicini al làbrador- bitunite. Eccezionalmente però trovasi qui anche l’ortoclasia. Difatti, una sezione senza geminazioni tri cliniche, e perpendicolare ad % si è potuto considerare come parallela a g1. Essa difatti pre- sentava il contorno p a1 m. L’ angolo pm era di 114° invece di 116° e l’altro pa 1 di 129° invece di 128°. La direzione p era negativa e l’e- stinzione compresa tra + 4a e 3jjr 5". A controllare la presenza dell’or- toclasia è venuta una sezione zonata ad orlo rettangolare, di cui il nucleo si estingueva sotto forte obliquità e le zone esterne sempre menò obliquamente, fino alla più esterna che si estingueva secondo i lati. L’esistenza quindi di felspati basici predominanti e di poco fel- spato acido è così pienamente provata, onde si ha già un forte motivo per ammettere che la zonatura è dovuta a variazione di composizione chimica. Se finalmente si ricorre alle faccie g\ si vede che la zonatura certe volte vi si ritrova, e non mancano sezioni zonate di questi fel- spati, sulle quali la zonatura medesima persiste per l’intera rotazione del piattino del microscopio. Resta così provato che i cristalli zonati di questa lava non sono niente affatto omogenei. De’ frammentini di un magma amorfo, gialliccio, trasparente, con bolle gassose imprigionate, si trovano nei felspati di questa lava, ri- velando il colore del magma amorfo primitivo, che qui non si vede intorno ai cristalli, perchè pieno d’impurità nerastre, mentre lo ritro- veremo nella lava presa ad una certa profondità nel bagno fuso (me - daghe). Leucite. — Abondantissima. Con la tinta sensibile si vede benis- simo l’insieme delle sue sezioni, e le anomalie appariscono più visi- bili. Ve ne sono di grandi fino ad un pisello, e gradatamente scen- dendo alle piccolissime di qualche centesimo di millimetro. Qualche volta è contenuta in piccoli cristalli nel pirossene; assai più spesso è essa che contiene pirossene, felspato e magnetite. Nei campioni la leucite è a frattura concoide, lucida, smaltata. Qualcuno crede ad una rifusione di leuciti preesistenti. Io fo notare che le traccie di tale rifusione non si vedono, perchè il microscopio mostra ordinariamente conservata la cris tallini tà geometrica ed ottica (forme, anomalie). Il dott. Di Lorenzo richiamò la mia attenzione su queste leuciti e sopra un prodotto di sublimazione che riempie alle volte i buchi delle scorie, e che pare anche una leucite, ma senza forme proprie e sulla natura del quale io dichiarai al mio dotto amico che restavo titubante. Difatti, avendo raccolto, di questa sostanza, dei frammenti di oltre un centimetro, li passai al mio collega ing. Aichino per farli analiz- zare, non senza aver notato che, ventiquattro ore dopo averli raccolti, da bianchi eran diventati giallo-ruggine per ossidazione del ferro. E l’ing. Aichino mi favorì gentilmente il risultato del suo esame, che è il seguente : cloruro di sodio' (oltre all’ 85 per cento) ; ossido di ferro; acido solforico; calcio; assenza di magnesio e sopratutto di potassio. Trattasi dunque non di leucite ma di un prodotto di sublima- zione, dovuto alle fumarole di cloruri {fumarole secche di certi autori); e difatti questa sostanza fu raccolta in vicinanza dei punti di emis- sione della lava. Magma. — Il magma o pasta è dunque formato da microliti di augite, di labrador-bitunite e di magnetite, avvolti in una sostanza nerastra piena d’impurità ferruginose. Finalmente volli analizzare una di quelle medaglie che si fabbri- cano con la lava, per venderle ai visitatori del Vesuvio. Mediante una leva a forbici, con manichi lunghi e portanti agli estremi opposti i due pezzi d una forma, che si ravvicinano e si strin- gono, dopo che si sono tuffati nella lava fusa, si prende l’impronta di queste medaglie. Esse hanno un corpo più o meno compatto, quella parte cioè che restò presa dentro la forma, e sono contor- nate da una frangia scoriacea, dovuta alla materia che sfuggì dalle commessure della forma stessa. La prima parte, quella da cui feci ricavare una preparazione, è gremita di cristalli di leucite fino a 4 o 5 millimetri; la seconda ne ha pochi visibili ad occhio nudo e ge- neralmente assai piu piccoli. Essendosi questa seconda parte raffred- data liberamente e sollecitamente, i gas contenutivi si svilupparono facilmente e quindi ne derivò la struttura scoriacea, spesso alquanto filamentosa, che questa parte assunse. E altresì evidente che delle leuciti, già esistenti nella lava, le più grandi restano prese nella forma e solo le più piccole sfuggono con la pasta dalle commessure. Una vernice grigio -ferro, lucida, vetrosa ricopre questa frangia sco- riacea. Il microscopio mi ha mostrato tutti gli elementi del primo tempo, come nella lava normale, avvolti in un magma formato principal- mente da una materia amorfa gialliccia, in cui sono disseminati pochi microliti di felspato e granellini di augite e magnetite. Mancano qui le impurità nerastre delle scorie superficiali, forse perchè esse galleggiano sulla lava, mentre queste medaglie, prese un mezzo metro più sotto, contengono un magma più pulito \ Roma, 22 luglio 1895 L’ eruzione descritta precedentemente, nella prima quindicina del mese di agosto erasi quasi spenta, quando improvvisamente, in questi ultimi giorni, per nuova ed abbondante uscita di lava, tutte le cor- renti, rianimandosi, si son rimesse in movimento. Lo spettacolo è di- venuto d’ un tratto imponente, mentre una delle correnti, riversandosi sulla strada provinciale, Y ha interrotta. Il prof. Palmieri dispose subito, non 1’ elevazione di una diga di scorie per deviare la lava, come si disse da qualcuno, ma il getto di una certa quantità di quel materiale solido davanti alla corrente, perchè potesse, appena da essa raggiunto e in essa incorporato, dimi- nuirne la scorrevolezza. La lava poco dopo deviava, gettandosi nel sottostante vallone delle Tre Cupe, ove ha formato un’ imponente cascata, scorrendo poi un poco sul fondo e arrestandosi subito. Una selva di castagni, nel vallone invaso, fu in parte distrutta. Il 20 corrente io mi recai da Napoli al Vesuvio e vi giunsi verso sera. E nella notte, accompagnato da Andrea Varvazzo, la coraggiosa ed abilissima guida dell’Osservatorio, scesi sulla corrente che ha lam- 1 I signori F. FouquÉ et A. Michel-Lévy, nell’atlante della loro Minera- logie micrographìque, Tav. XLIX, fìg. la, danno il disegno di una leucotefrite del Vesuvio (lava del 1868), la quale non. contiene felspato nel primo tempo. Lo stesso fatto ho notato io in altra lava vesuviana. — 164 bito la base della collina del Salvatore. Il giorno seguente completai le mie brevi osservazioni e raccolsi qualche notizia. La nuova lava uscita ora ha quasi raddoppiato il volume di quella del mese scorso, sia aggiungendosi alle correnti primitive e rianiman- dole, sia sovrapponendosi ad esse o a quelle delle eruzioni precedenti. Occupa così adesso una grande estensione, che, a monte del Piano delle Ginestre, ha oltre 500 metri di larghezza. In tutto questo tratto la rotabile della funicolare è interrotta. La rotabile provinciale, che da Resina mena all’Osservatorio, ha perduto circa 200 metri delle sue rampe. In qualche punto il fronte della colata ha formato rialzamenti di 10 a 12 metri. Questa nuova emissione è stata anche più tranquilla della pre- cedente. Nessuna bocca nuova, nè boati, nè proiezioni. Di nuovo ora la crosta solida ricopre quasi tutta la lava. Qualche picco] a corrente soltanto si scovre qua e là. Di una di esse misurai la velocità e la trovai di poco più di lm,50 al minuto primo. 1 Come giustamente ritiene il prof. Palmieri, questa calma emissione di lava ha molta probabilità di lunga durata. Napoli, 21 agosto 1895. IL Y. Novarese. — Nomenclatura e sistematica delle roccie verdi nelle Alpi Occidentali. Nella Relazione sul rilevamento della campagna 1893 pubblicata nel n° 3 dell’annata 1894 del presente Bollettino, sono stati concisa- mente enumerati e descritti i diversi tipi di roccie verdi che s’ incon- trano nella valle dell’Orco. Nel 1894 il lavoro principale di rilevamento si è svolto essenzialmente nelle Alpi Cozie, e coll’area su cui si sono 1 È notevole come questa nuova lava si sia spesso solidificata alla super- fìcie in larghe tavole. — 165 — l estese le osservazioni, è pure cresciuto di molto in quantità e varietà il materiale raccolto di roccie verdi, pure rimanendo sempre confermata la stretta analogia che sotto questo rispetto si sapeva da studi ante- riori esistere fra le diverse regioni delle Alpi Occidentali. Però lo studio di questo maggior materiale ha fatto più che mai manifesta la necessità di denominare e circoscrivere con maggiore esattezza alcuni tipi che finora erano stati considerati soltanto come varietà di altre specie litologiche già note, mettendo in chiaro le relazioni fra queste diverse specie, allo scopo di semplificare il linguaggio nelle successive pubblicazioni che si dovranno fare sull’ argomento. Il pre- sente scritto è destinato a stabilire queste nuove denominazioni, ed a spiegare quali rapporti si siano finora osservati esistere fra le nume- rose varietà di roccie che prenderemo a considerare. I. Nella Relazione citata ', esponendo la divisione del gruppo delle amfìboliti in amfìboliti in senso stretto ed ovarditi, è stato detto che esso è quello che presenta il maggior numero di varietà di tipi raccolti sotto una denominazione generica. In tal modo si veniva ad adombrare la possibilità di ulteriori divisioni, quando uno studio esteso ad una quantità maggiore di materiale lo dimostrasse necessario : la denominazione di amfìboliti però era conservata perchè introdotta nella geologia delle Alpi Occidentali fin dal tempo di Gastaldi, ed accettata da tutti gli autori venuti dopo di lui. Nella Relazione però erano state definite le amfìboliti in senso stretto come costituite dall’associazione di un amfìbolo verde chiaro od incoloro, ad epidoto e zoisite e ad un felspato sodico calcare più o meno vicino all’albite. L’amfibolite con tale definizione verrebbe a comprendere le tre specie di amfìboliti che nei più moderni trattati di petrografia (Kalkowsky pag. 201; Zirkel, III. Bd., pag. 333 e seg.) sono dette amfìboliti felspa- tiche, epidotiche e zoisitiche. Colle amfìboliti sono state riunite in un gruppo le ovarditi , circoscrivendo il significato di tale nome, entrato già da molto tempo nella geologia alpina, a quelle roccie in cui nella composizione sopra citata si sostituisce all’amfìbolo la clorite: la ra- gione del raggruppamento è data dall’esistenza di numerosi tipi in- 1 Vedi Boll, del R Com. geol., 1894, pag. 221 e segg. 2 — 163 — termedii in cui amfìbolo e clorite sono associati e che sono stati riu- ni ti sotto il nome di amfiboliti ovarditiche. La denominazione però di amfibolite data così al gruppo in genere come ai due dei sottogruppi, farebbe supporre che l’amfìbolo avesse in tali roccie il predominio o almeno una marcata prevalenza fra i mi- nerali costituenti. Ora questa supposizione è contraria alla realtà: lo studio del materiale raccolto sopra un tratto della cerchia alpina, che va dalla valle del Tanaro alla Dora Baltea, ha dimostrato che l’elemento essenziale costitutivo del gruppo delle roccie verdi denominato delle amfiboliti ed ovarditi, nella maggior parte dei tipi è un felspato triclino. L’amfìbolo, gli epidoti e la clorite sono elementi importanti soltanto perchè la roccia riceve da essi la colorazione che la distingue : si pre- sentano per lo più associati, più raramente uno di essi ha prevalenza marcata sugli altri ; più raramente ancora giungono soli od insieme a rilegare in seconda linea il felspato. Così hanno origine le numero- sissime varietà del gruppo. Determinata in tal modo la costituzione delle roccie in questione, si vede subito che il loro tipo più generale, che sarebbe formato da un plagioclasio, da amfìbolo, epidoto e clorite, non appartiene più alla famiglia sistematica delle amfiboliti, ma bensì a quella che i petro- grafi tedeschi dicono dei Grunschiefer. Per il tipo più generale di questa famiglia, il Kalkowsky ha proposto il nome di Prasinite , accettato poi anche dallo Zirkel nell’ultima edizione della sua opera 1 e che adot- teremo anche noi nel seguito per le nostre roccie alpine come sino- nimo di Grunschiefer nel suo significato più esteso, per evitare le cir- conlocuzioni tediose e gli equivoci a cui può dar luogo un ’estensione troppo grande del concetto di amfibolite. Il Kalkowsky ha chiamato prasinite una roccia in cui fra gli ele- menti essenziali, oltre al felspato, si annoverano in quantità presso a poco uguali Tamfibolo, l’epidoto e la clorite. Però a seconda della prevalenza di uno di questi tre minerali sugli altri ha distinto tre tipi che nella denominazione tedesca sono : a) Hornblendegrunschiefer ; b) Epidotgrunsch iefer ; c) Chloritgrunschiefer, e che noi diremo della prasinite amfibolica, epidotica e cloritica. Le prasiniti amfìboliche fanno passaggio alle amfiboliti felspatiche 1 Kalkowsky, Elernenle cler Lithologie. pag. 217; Zirkel, Handbuch der Petro graphie, III Bd., pag. 268. - 167 - ohe sono il legame fra le prasiniti e le amfìboliti in senso letterale (Amphibolfels) ; quelle epidotiohe invece sarebbero un termine della -serie che, col diminuire degli altri due elementi e del felspato, dà luogo alle epidositi e zoisititi, roccie non rare nelle A.lpi Occidentali. Le prasiniti cloritiche corrispondono perfettamente alle ovarditi , onde useremo le due parole come sinonimi. Così nella denominazione generale del gruppo delle roccie costi- tuito dalle diverse combinazioni dei quattro elementi : felspato, amfì- bolo, epidoto, e clorite, alla parola amfìbolite sostituiremo d’ora in avanti quella più comprensiva di prasinite ; amfìbolite rimane invece in senso più ristretto a denominare quelle specie in cui il felspato •cessa di essere il fondo della roccia, e l’amfibolo ha prevalenza decisa sull’epidoto e sulla clorite. Invece rimane completamente abbandonata la denominazione di amfibolite ovarditica , con cui effettivamente non s’intendeva di significare altro che ciò che ora si indica più breve- mente col nome di prasinite. Nella Relazione più volte citata è pure stato detto dallo scri- vente e dall’ingegnere Stella dello strettissimo rapporto che le ovar- diti, e ciò che ora diciamo prasiniti, hanno con certi gneiss distinti solo da quelle per la presenza del quarzo fra i minerali essenziali, i quali gneiss sono stati contradistinti cogli epiteti di ovarditici, amfì- bolitici ed epidotici. Più esattamente chiameremo ora gli gneiss di questo gruppo gneiss prasinitici , che passeranno poi a seconda dei casi a gneiss cloritici od ovarditici, amfibolici ed epidotici. La necessità delle distinzioni e denominazioni suesposte apparirà meglio evidente dall’ esame del quadro annesso, in cui sono state rac- colte tutte le numerose varietà di roccie verdi finora incontrate dai diversi operatori nel rilevamento delle Alpi Occidentali. Da esso e dai commenti che vi faremo risulteranno più chiari i rapporti reci- proci dei vari gruppi e tipi di roccie verdi fra di loro, e colle roccie di altro genere che s’incontrano nell’Arcaico alpino. Tale esame ci darà anzi l’oppo tunità di precisare la definizione di qualche tipo e di raffrontare quanto è stato detto in precedenza di tali roccie nella regione stessa, ed in quelle alpine confinanti, da osservatori varii in tempi e paesi differenti. (V. Quadro alla pagina seguente). Elenco sistematico delle roccie verdi delle Alpi Occidentali - 168 - o c3 Oh in eiuimuuopajd ojanzzx: •qyiu'B © u o -fi •M +3 c S ^ 5 o m o o ’S) ■ S ^ o a a So — ■ >o Q c3 ■2 2 «£.« 'fi è g 42 O ‘n fi © co co © o «8 fi* co £ fi ■£ I §* -3 23 ‘ _© "M © ^ SÈ* fi w <3 ^ © oE rfi © 2 > Y'S d g ^ S *43 feD fi & tfi © o o fto o fi O p Q 'So © Oj .rH oauj ojanzz"B vjure o8 w P P rtì." © a t> . oo © 3 o "fi *fin © aqoTliuisead oioooj ©pop oddruS i © *4= _ © ° fi fi O„o3 ._, ©H r2 ^ © ° P fi sg fip fi fi © o 1.1 •a,” P © fi 'fi ._, o © ^fi © fi *EL <» fir1 ^ © © © cfi fi ^ § ■J3 IS 5-1 O © 2 «H fi P ^ JSot,a — I nomi di roccie in corsivo corrispondono a tjpi piuttosto rari o che si presentano sempre in piccole mfisgp, — 169 IL Nel quadro annesso abbiamo tenuto distinto da tutto il resto il gruppo delle roccie prasinitiche la cui caratteristica sta nell’essere le Toccie in esso comprese costituite sempre da uno o più dei seguenti ‘elementi: un felspato sodico-calcare più o meno vicino all’albite; un minerale del gruppo degli amfìboli, che ora è un amfìbolo verde atti- nolitico, ora invece un amfìbolo sodico verde azzurro o violetto; un minerale epidotico, che può essere epidoto propriamente detto oppure zoisite ; ed infine una clorite. Tutti questi minerali hanno un carat- tere comune : o per la loro natura stessa o per il loro abito appar- tengono sempre alla categoria di quelli che siamo soliti a considerare •come secondarii. Per ciò le roccie del gruppo delle prasiniti sono composte essen- zialmente di minerali secondarii; e salvo rare eccezioni nella loro composizione non presentano mai elementi che si possano ritenere primitivi. Oltre ai minerali caratteristici ora enumerati, pochi altri assu- mono talvolta nelle roccie che ci occupano qualche importanza : il più frequente è la mica bianca che nelle ovarditi non manca quasi mai : molto più rara è invece la mica bruna o verde-bruna, che ha però sem- pre carattere accessorio. Nei tipi dove il felspato scarseggia, od anche scompare, ha una certa frequenza il granato. Tutti gli altri minerali che si trovano nelle roccie del gruppo hanno carattere piuttosto acci- dentale od accessorio. Siccome rispetto ai minerali essenziali il gruppo delle prasiniti è suscettibile di una divisione ulteriore, oltre a quella già fatta colle co- lonne verticali del quadro in base alla presenza, scarsità o mancanza del felspato, nelle caselle orizzontali è stata fatta tale divisione che è anche giustificata dai rapporti genetici che avremo in seguito oc- casione di discutere. Fra gli elementi non felspatici delle prasiniti è marcatissima una specie di correlazione fra l’amfìbolo e la clorite che pare si possano in certo modo sostituire a vicenda 1 ; invece il mi- 1 Questa osservazione è stata fatta da lungo tempo dal prof. L. Bucca. — Vedi Appunti petrografici sul gru ppo del Gran Paradiso (Boll, del B Com. geol. 1836, nn. 11-12, pag. 456). nerale- epidoticc, sia esso epidoto o zoisite, si trova indifferente- mente in tutte le roccie del gruppo, e per la quantità sembra affatto indipendente dagli altri due minerali : anzi la sua presenza è cosi costante che una prasinite, ovardite od amiibolite senza epidoto è nella nostra regione affatto eccezionale. Le espressioni usate nella ta- bella di prasiniti amfìboliche e di prasiniti cloritiche, debbono essere intese nel senso che con esse si è voluto specificare come nella roccia abbiano a vicenda il predominio l’amfibolo o la clorite, colla rispettiva esclusione di uno di questi due minerali, ma non del minerale epido- tico; più esattamente si sarebbe dovuto dire che i tipi che realmente si trovano sono le prasiniti epidotico-amfiboliche ed epidotico -cloriti- che (ovarditi), espressioni che non si sono usate per amore di brevità. Invece le prasiniti epidotiche della tabella sono realmente roccie in cui tra gli elementi non felspatici prevale 1 epidoto, mentre gli altri due minerali sono affatto subordinati ed uno specialmente, la clorite, può mancare affatto: nelle prasiniti epidotiche anzi il solo minerale cho dopo gli essenziali assuma una certa importanza è la mica bianca, e talora la fuchsite. L’amfìbolo più frequente nelle prasiniti è di colore verde chiaro e di abito attinolitico ; raramente in cristalli nitidi un po’ grandi, per lo più in fasci di aghetti od in cristalli aciculari isolati che scendono alle dimensioni di microliti invadendo il fondo felspatico della roccia. A questo amfìbolo verde assai spesso se ne associa uno violetto coi caratteri del gruppo amfìbolico della glaucofane, e collegato col primo da innumerevoli termini di passaggio mediante amfiboli verde-azzurri. L’amfibolo violetto rimane per lo più subordinato, ma talora sosti- tuisce quasi completamente quello verde e forma delle specie lito- logiche proprie ben caratterizzate. Nelle Relazioni per l’anno 1893 dei vari operatori della Carta geologica, si è già accennato all’im- portanza e diffusione della glaucofane (gastaldite), non solo fra le roccie del gruppo delle prasiniti, ma ancora in quelle altre roccie verdi che sono state comprese nel quadro annesso (eufotidi, diabasi),, ed in altre roccie di carattere analogo, oppure affatto diverso, che nel quadro non figurano, quali sarebbero quelle che sono state denomi- nati roccie a gastaldite, e molte specie di gneiss minuti, micascisti, calcescisti e calcari che contengono quest’ultimo minerale. Il descri- vere queste varie roccie ed i rapporti loro è argomento troppo vasto perchè qui possa essere altro che accennato ; non mancheranno però in avvenire occasioni per trattarlo con quello sviluppo che merita. La strattura dei tipi numerosi del gruppo delle roccie prasiniti- che è molto variabile. Generalmente quelle a felspato prevalente, seb- bene siano sempre in banchi ben chiari, sono poco scistose ed hanno anzi struttura piuttosto compatta; non è che sotto al microscopio che si scorge una disposizione più o meno parallela degli elementi aciculari e tabulari ; la scistosità non diventa evidente che nelle roccie a clorite od amfìbolo predominante. Per le varietà ovarditiche è caratteristica la tendenza alla struttura porfìrica, per cui il felspato si presenta isolato in noduli composti da uno o più individui dentro alla massa epidotico-cloritica : perciò gli operatori chiamano comunemente ovar- ditica tale struttura orbiculare o porfìrica, che si presenta anche assai diffusa negli gneiss omonimi. La struttura ovarditica, per quanto talora sia simile alla variolitica, non ha però al microscopio niente di comune con questa perchè i noduli felspatici non sono sferuliti come le variole, ma pochi individui aggruppati. Fra tutti i tipi del gruppo hanno importanza e diffusione più grande le prasiniti, le ovarditi e le amfìboliti felspatico-epidotiche ; tutti gli altri, per quanto frequenti, si mostrano quasi sempre in masse più o meno subordinate. III. Nel quadro sinottico delle roccie verdi, oltre alle roccie prasini- tiche, ne sono state comprese delle altre, alcune delle quali hanno colle prasiniti e tipi affini molta analogia, se non identità, e sono col- legate da passaggi con roccie di non dubbio carattere eruttivo. Nel quadro sono difatti state comprese colle dioriti, le diabasi e le eufotidi, le loro epigenesi: è fra queste ultime che si trovano tipi che hanno i loro corrispondenti fra le roccie prasinitiche. Per quel che riguarda le dioriti, chi scrive ha già avuto occasione, nella descrizione delle dioriti granitoidi e gneissiche della Valsava- ranche 1 , di porre in evidenza le analogie fra le dioriti in cui era più intensa la metamorfosi e talune delle altre roccie verdi dell’Arcaico alpino, che ora diremo del gruppo prasinitico. L’ ing. Stella, presso lo sbocco della Valle Varaita, ha incontrato analoghi passaggi fra dioriti e prasiniti. Vedi Boll, del R Com. geol., anno 1814, pag. 2/5. — 172 — Nella parte inferiore della valle del Chisone ring. Franchi^ e lo scrivente hanno trovato degli gneiss prasinitici derivanti da roccie di tipo dioritico, e che costituiscono le note masse gneissiche -delle cave del Malanaggio, di Porte e dei pressi di Perosa Argentina. Nel quadro figurano pure le dioriti, dioritoscisti ed amfiboliti ad orneblenda, della grande massa detta di Ivrea, che giunge in realtà oltre Cuorgnè; finora non è noto nessun passaggio di queste roccie a quelle di tipo prasinitico, e nemmeno si conoscono con certezza i loro rapporti geologici colle formazioni in cui queste ultime si tro- vano. Su tale argomento però gli operatori della Carta geologica non sono in grado di entrare in particolari, perchè i lavorrdi rilevamento finora non sono giunti all’area in cui si trovano le dioriti di Ivrea. Una relazione non meno stretta delle dioriti hanno colle prasi- niti le diabasi, a cui abbiamo associato le varioliti. L’ing. Franchi, nei dintorni di Boves, nell’alta Val Maira e nella Val Grana, ha tro- vato non solo delle amfiboliti felspatico-epidotiche che fanno passag- gio a diabasi autentiche, ma ancora delle diabasi in cui si è prodotto anche l’amfibolo violetto, che, come abbiamo detto, suole associarsi al- l’attinoto fino a sostituirlo quasi completamente sulle roccie prasini- tiche a scarso felspato o non felspatiche addirittura. E non è im- probabile che ulteriori studii dimostrino avverarsi lo stesso fatto in altri punti delle Alpi Cozie. Più numerose di tutte sono le trasformazioni non dubbie delle eufotidi, principalmente in prasiniti epidotiche e zoisititi felspatiche ; i passaggi sono così frequenti e manifesti che non abbiamo esitato nella tabella a porre le eufotidi di seguito alle prasiniti epidotiche per renderne più evidente la relazione. Però forse altrettanto frequenti sono delle amfiboliti felspatico epidotiche che si mostrano legate ad eufotidi uralitizzate, e che hanno con queste un’unica origine. Tutte le volte però che una roccia, per quanto di tipo prasinitico, è stata trovata in relazione genetica non dubbia con una delle tre roccie eruttive summentovate, è stata classificata fra le epigenesi di queste, mentre il nome di prasinite, di amfìbolite, od altro è stato dato alle masse di cui non si è trovato modo di stabilire la prove- nienza. E ciò per parecchie ragioni. La prima sta nella enumerazione che abbiamo fatta teste delle epigenesi dei diversi tipi: certe roccie prasinitiche provengono con molta probabilità soltanto da determinate roccie eruttive; così le prasiniti epidotiche e le zoisititi dalle euf'o- - 173 — tidi: altre però, come le prasiniti ordinarie, le amfìboliti zoisitico-fel- spatiche e le altre sembra possano provenire benissimo così da eufo- tidi, come da diabasi o dioriti, o probabilmente ancora dai tufi di taluna di queste roccie ; e mancano finora i criteri per decidere in ogni caso concreto a quale di questi tipi primitivi si debba attri- buire la roccia secondaria : è quindi ragionevole usare una denomina- zione oggettiva, che indichi la composizione e la struttura della roccia, senza risalire all’origine che può esser dubbia. Ma un'altra ragione anche più grave della prima induce ad usare la massima riserva nel giudicare della natura primitiva delle roccie prasinitiche, quando esse non sono in chiaro rapporto con roccie erut- tive ; ed è data dalle relazioni e dai passaggi delle roccie prasinitiche agli altri tipi di roccia che le accompagnano e le racchiudono, cioè agli gneiss, ai micascisti, ai calcescisti ed alle fìlladi. Fra le roccie prasinitiche con quarzo, gli gneiss prasinitici, e gli gneiss minuti, l’ing. Stella 1 ha descritto una serie di termini inter- medi, specialmente di gneiss minuti amfìbolitici e ovarditici, mentre sono assai rari e subordinati quelli epidotici: sull’origine di tali gneiss manca ancora ogni indizio ; nè si ha alcun sicuro fondamento per ri- tenerli provenienti piuttosto da una roccia eruttiva che da una cla- stica, sia questa un tufo od altro. Ed altrettanto si può dire dei mi- cascisti che presentano colle roccie prasinitiche rapporti anche più complessi. I micascisti epidotici molto diffusi collegano i micascisti or. dinari colle prasiniti epidotiche sempre più o meno micacee, i mica- scisti a gastaldite, di cui nelle Relazioni del 1893 è stata posta per la prima volta in evidenza l’importanza nelle Alpi Occidentali, sono col- legati con certe gastaldititi, epidositi a gastaldite ed eclogiti a gastal- dite, che presentano spesso la più grande analogia colle roccie omonime che accompagnano le prasiniti tipiche. Infine gli stessi calcescisti e le filladi, sulla cui origine sedimentaria si può dire che tutti i geologi sono d’accordo, hanno strette relazioni con certi tipi di roccie verdi, che non si trovano quasi se non in essi : tali sono, ad esempio, le ovar- diti molto ricche in clorite, fino a diventare cloritoscisti felspatici, e le zoisititi micacee a fuchsite. Queste roccie arricchendosi di ele- menti micacei, di quarzo e di calcite, passano insensibilmente ai cal- 1 Vedi Relaz. sul rilevamento del 1893 (Boll, del R. Com.. geol., 1894, p. 354). - 174 — cesoisti ed alle filladi, di cui del resto la clorite è un elemento co- stante. In presenza di questi fatti gli operatori della Carta geologica hanno creduto opportuno evitare le comode generalizzazioni per cui tutte o gran parte delle roccie del gruppo delle prasiniti sono sen- z’altro assegnate a dioriti, eufotidi, diabasi e loro tufi, ed hanno tenute distinte tutte quelle masse rocciose il cui riferimento a tipi eruttivi o clastici conosciuti poteva dar luogo a dubbi. Nel quadro, nella colonna delle roccie senza felspati, figurano an- cora talcosc-isti, serpentine e lherzoliti. Il legame fra queste due ultime roccie è sempre molto evidente e bene spesso si riconoscono le serpentine derivate da lherzoliti, o da altre roccie peridotiche a diallaggio, ecc. Fra le prasiniti e le serpentine v’ha inoltre sempre nell’area alpina considerata un legame geologico molto stretto, analogo a quello che esiste per le eufotidi, vale a dire sono spessissimo associate fra loro; invece petrografìcamente la separazione è molto netta: finora non è stato trovato nell’area rilevata nessun caso di una serpentina prodotta per alterazione o metamorfosi di una roccia costituita in prevalenza da un amfibolo, e tanto meno poi da un eufotide, sebbene non man- chino i casi di eufotide olivinica coll’ olivina trasformata in ser- pentino. IVT. Le roccie che abbiamo comprese nel quadro sono tutte collegate fra di loro o da un rapporto petrografìco genetico, per cui le une de- rivano dalle altre per alterazioni e trasformazioni di comuni elementi primitivi (epigenesi diverse), o dalla comunanza di taluni minerali componenti che con caratteri identici, ma in proporzioni diverse, en- trano a formare i diversi tipi (sottogruppi diversi delle roccie prasi- nitiche), o infine almeno dal rapporto geologico che deriva dalla co- stante associazione di certi tipi che certamente non sono stadii -di- versi di metamorfosi di un tipo unico primitivo (serpentine e prasi- niti ; serpentine ed eufotidi). Oltre a questi, un altro comune carattere geologico riunisce tutte queste roccie : salvo rarissime eccezioni si osservano sempre in banchi od in forme lenticolari interstratificate 1 Vedi S. Franchi (Boll, del R. Coni. geol. 1894, pag. 246). - 175 - nella serie ; anche quando lo loro natura eruttiva non è dubbia, nulla prova che esse siano intrusive. E noto anzi che questo carattere, che potrebbe essere dovuto in parte all’intensità del ripiegamento subito dalle formazioni, è così spiccato, che la scuola del Gastaldi ne ha tratto argomento per negare assolutamente la presenza di roccie di origine plutonica nelle Alpi Occidentali. Il carattere di unità che questi diversi rapporti ed analogie danno al raggruppamento che abbiamo fatto, non si osserva però nella di- stribuzione geologica delie roccie stesse. Nella loro generalità esse non sono limitate ad un orizzonte e nemmeno ad un piano, ma, per quanto in modo e misura diversa, s’incontrano in tutta la serie dei terreni sottostanti al Permo-carbonifero, che di solito i geologi italiani dicono Arcaico senza escludere la possibilità che possa contenere qualche ter- mine del paleozoico. La massima frequenza delle roccie verdi si ha in quel piano che da Gastaldi in poi si suole denominare zona delle pietre verdi , e che nella carta e profili geologici fin qui pubblicati è assegnato all’ Arcaico superiore. In questo piano tutti i tipi raccolti nella tabella sono rap- presentati : però la distribuzione loro nei varii orizzonti ed aggruppa- menti litologici non è uniforme. Taluni tipi si trovano indifferentemente negli gneiss minuti, come nei micascisti, nei calcescisti e nelle filladi ; così le prasiniti, le amfiboliti, le serpentine. Altri invece sono limi- tati ad orizzonti speciali come è già stato accennato a proposito di certe ovarditi molto cloritiche e dei calcescisti. Un fatto analogo è presentato dalle diabasi, che finora con certezza sono state trovate soltanto nei calcescisti e nelle filladi; le diabasi e varioliti del Mon- ginevro stanno fra i calcescisti fìliadici precarboniferi ed il Trias. Anche nell’Arcaico inferiore sono note roccie verdi; la loro diffu- sione è però alquanto diversa a seconda dei massicci: così nel Gran Paradiso roccie prasinitiche compaiono in quelle zone di gneiss mi- nato che sono state trovate nello gneiss centrale; nelle Alpi Marit- time (massiccio del Mercantóur) l’ingegnere Franchi ha rilevato nel- l’Arcaico inferiore amfiboliti , eufotidi e serpentina oltre a gneiss am- fibolici e pirossenici. Y. A complemento di quanto fu finora esposto non è inutile esami- nare quali denominazioni sono state assegnate per lo passato alle roccie — 176 - prasinitiche nella parte occidentale delle Alpi, e quali sono le deno- minazione usate per le rocche presumibilmente della stessa natura, delle regioni alpine limitrofe a quella considerata, dagli autori diversi che ne hanno trattato. Gli autori italiani che si sono occupati delle Alpi Occidentali hanno generalmente denominalo le roccie verdi in base alla loro com- posizione e struttura, senza risalire ai presunti tipi primitivi, anche nei casi in cui opinavano trattarsi di roccie metamorfiche. Le prime denominazioni delle roccie verdi, che si sono conservate del resto fino ad ora e molte delle quali figurano nella tabella, risalgono ai lavori di B. Gastaldi, il quale di molte roccie, prima ancora che fossero in uso gli attuali metodi d’indagine petrografia, ha con mirabile intùito divinato, con sufficiente approssimazione, la composizione mineralo- gica. Per le prasiniti il Gastaldi ha spesso usato la denominazione generica di scisti amfìbolici od ancora di scisti magnesiaci, con cui talora si intendono però anche serpentine scistose ; talvolta precisa meglio la roccia e la chiama a seconda dei casi, o amfìbolite, o scisto dioritico o epidotite : il nome di diorite è riservato piuttosto alle amfibo- liti felspatiche e zoisitiche della nostra tabella. In uno degli ultimi scritti del Gastaldi 1 è anche detto che sono l’albite e l’oligoclasio, i felspati predominanti delle roccie verdi. Com’è noto il nome di ovar- dite fu creato nel 1872 dal prof. Strii ver, con una definizione che cor- risponde esattamente alla nostra, cioè ad una roccia composta da fel- spato, clorite ed epidoto. Più tardi il prof. Bucca, applicando alla stessa roccia che aveva servito allo Struver per fondare la nuova specie litologica, lo studio microscopico, trovò fra i suoi elementi anche l’amfìbolo, ed estese il nome di ovardite a roccie costituite da amfì- bolo, epidoto e clorite in proporzioni variabili, rilegati da un fondo cristallino di felspato, principalmente plagioclasio 2 ; definizione che è esattamente quella delle nostre prasiniti intese nel senso più generale. Gli altri autori della scuola del Gastaldi, Baretti ed altri, si sono attenuti alla nomenclatura usata dal maestro ; e non se ne sono sensibilmente finora scostati nemmeno i diversi operatori dell’Ufficio Geologico nelle loro pubblicazioni. Le memorie degli ing. Zaccagna e Mattirolo com- 1 Spaccato geologico luogo le valli del Po e della Varaita (Boll, del B-. Com. geol., 1876, n. 8-4) 2 Bucca, Loc. cit., pag. 455. 177 — prendono generalmente, sotto il nome di amfìboliti, così queste, intese nel senso della tabella, come le prasiniti e l’ovardite: per la natura delle questioni trattate in tali memorie non occorreva discendere a distinzioni più minute. Solo quando prese sviluppo il rilevamento re- golare a grande scala, e si dovettero distinguere con maggior preci- sione le roccie, sorse la necessità di denominazioni più esatte, che come si è veduto cominciarono ad essere le circonlocuzioni di amfi- bolite ovarditica e simili, oppure di scisti verdi usata dall’ingegnere Stella per indicare le prasiniti. Gli autori stranieri che si sono occupati delle roccie verdi delle Alpi Occidentali italiane sono assai rari, e lo hanno fatto per lo più affatto incidentalmente. Così il Bonney 1 parla di un felspar actin olite rock dei pressi di Fenestrelle, che è certamente una roccia del gruppo delle prasiniti amfìboliche, ed esterna anche l’opinione che si tratti di una roccia ignea metamorfosata. Anche il signor J. W. Gregory 2 in più punti della sua nota sul « Waldensian Gneiss » parla di amfì- boliti e scisti a glaucofane non solo, ma ancora di epidioriti, di por- fìnti verdi scure, di amfìboliti intrusive (?) e giunge persino a rico- noscere andesiti alterate e ceneri vulcaniche! E vero che si tratta sempre di affermazioni non accompagnate da prove, forse perchè ri- flettono una questione diversa da quella trattata nel lavoro. Tutte lo roccie così denominate appartengono al nostro gruppo delle roccie pra- sinitiche, e sono ora prasiniti, ora ovarditi od amfìboliti, e per quanto si conosce finora senza relazione diretta con roccie di non dubbio carat- tere eruttivo. Boccio analoghe alle nostre sono note e descritte sotto vari nomi in altri punti delle Alpi italiane, svizzere e francesi. Nel lavoro del signor Termier sulla Vanoise 3 sono nominati dei chloritoschistes felspatliiqiies , dei schistes chloriteux et sericiteux felspathiquesr che certamento corrispondono a taluni dei nostri tipi : anzi non man- cano nemmeno i tipi a glaucofane, che il signor Termier chiama cirri- 1 T. G. Bonney, Notes on turo traverses of thè cr y st aitine rocksof thè Alps (Quart. Jour. of G. S., n. 177, 1889, p. 81). 2 J. W. Gregory, The Waldensian Gneiss , eco. (Quart. «Tour, of G. S., n. 198, 1894, p. 282 e segg). 3 P. Termier, Étude sur la constitution géologique du massif de la Va- noise (Bull, des Services de la Carte geologique de France, T. II, n. 20, 1891). - 178 — i phibolites felspathiques à glauco phane, schistes à% glaucopha ne non felspathi- ques, schiste violet , ecc. Tutte queste roccie sono contenute in terreni & facies cristallino, sulla interpretazione dei quali vertono ancora discussioni. Qualunque sia l’esito di queste, è certo che nelle Alpi francesi, sebbene con svi- luppo assai minore, compaiono le stesse roccie verdi che nelle Alpi Occidentali italiane. L’ing. Traverso, nella sua recente memoria sulla geologia dell’Os- sola 1 sotto il nome di amfiboliti descrive delle roccie a fondo felspatico, alcune delle quali presentano molta analogia colle nostre prasiniti amfì- boliche: sembra però dal contesto che si possano interpretare come prodotte dall’alterazione di dioriti od amfiboliti ad orneblenda, analoghe a quelle dei dintorni d’ Ivrea. Una somiglianza molto spiccata, per non dire identità, esiste fra le roccie verdi delle Alpi Marittime, Gozie e Graje e quelle delle Le- pontine e Eetiche, così italiane come svizzere. Già il Bucca, nel la- voro che abbiamo citato più volte, ha dimostrato l’identità delle ovarditi, nel senso alquanto più lato del nostro che aveva dato a tale parola, e quindi delle nostre prasiniti, colle roccie che il Eolie nei Grigioni aveva denominato clorogrisoniti in complesso, e distinto con vari altri nomi La grande analogia risulta non meno evidente dai lavori dei signori A. Heim e C. Schmidt intorno alle Alpi fra la Eeuss ed il Eeno 2, analogie di cui sono pure persuasi questi stessi signori, perchè nella Carta geologica d’insieme della Svizzera, nella scala da 1 a 500000, pubblicata nel 1894 3, hanno esteso i risultati dei loro ri- levamenti nelle Alpi Eetiche e Lepontine anche alla parte italiana delle Alpi Pennine e ad un piccolo lembo delle Graje ancora com- preso nella Carta. A differenza però di tutti gli altri autori che abbiamo finora ci- 1 S. Traverso, Geologia delVOssola. Genova, 1895; pag. 159 e seg. 2 A. Heim, Geologie der Hochalpen zwischen Eeuss und Rhein , con C. Schmidt, Anhang von petrographischen Beitrdgen (Bei. zur. geol. Karte der Schweiz, Lief. XXV, 1891). C. Schmidt, Geologische Excursion durch die cenfralen Schweizer-Al- pen, etc. (in Livret-Guide géologique dans le Jura et les Alpes de la Suisse ). Lausanne, 1894. 3 Geologische Karte der Schwei ;, 1: 500,000; von Alb. Heim und C. Schmid r. Bern, 1894. - 179 tati, i quali hanno descritto e denominato le roocie verdi in base alla loro costituzione e struttura attuale, senza risalire al tipo originario anche quando, come per esempio il Gastaldi, credevano fermamente aver che fare con roccie metamorfiche, gli autori svizzeri ora nomi- nati, in cui domina lo stesso concetto, sebbene abbiano sul metamor- fismo ben altre idee che non il Gastaldi, hanno seguito il sistema di risalire quasi in ogni caso colla denominazione alla roccia origi- naria, certa o presunta, di ogni tipo metamorfico. A ciò sono stati condotti probabilmente da due ragioni : la prima dev’essere l’osserva- zione diretta dei passaggi fra roccie eruttive non dubbie ed i tipi metamorfici, che, sebbene finora non specialmente descritti, si verifi- cheranno nelle Alpi svizzere come li abbiamo osservati da noi nelle Alpi Occidentali italiane : la seconda dipende invece dal modo con cui detti signori hanno interpretato il complesso di formazioni che nelle Alpi si presenta con facies di scisti cristallini. I signori Heim e Schmidt hanno diviso tale complesso in due parti. Una di queste, essenzialmente calcareo-fìlladica, nota da molto tempo sotto il nome Bundnerschiefer, è ritenuta da essi come una serie di sedimenti mesozoici più o meno metamorfosati, appartenenti ad un unico sistema, che lo Heim nel 1891 attribuiva, in base ai rari fossili trovati, ancora esclusivamente al giurese inferiore, al lias ; lo Schmidt, nel Livret guide e nella Carta, forse in seguito alle ultime pubblicazioni del Bertrand, comprendono nei Bundnerschiefer anche una parte del Trias,, allargando così alquanto il concetto dello Heim. Le roccie verdi contenute in tale gruppo di strati ( Gabbro , Diabas , Variolìt, grune Schiefer , Serpentin ) sono interpretate come le omonime roccie erut- tive e scisti diabasici più o meno metamorfosati. Riguardo all’età loro lo Heim pone senza risolverlo il dilemma : o sono roccie effusive e tufi vulcanici coevi degli scisti che le contengono, oppure sono roccie in- trusive eoceniche, iniettate negli strati mesozoici, e fatte scistose dalle pressioni orogeniche. L’altra parte del complesso cristallino, composto di svariati gneiss e micascisti, è detta semplicemente degli scisti cristallini antichi, senza più precisa denominazione di età; le roccie verdi che compaiono in essa sono attribuite in parte a roccie effusive basiche ( Serpentin , Talk , und Hornblendeschiefer z. Th. della Carta) ed in parte a roccie basiche di profondità (Hornblendepr otogin, Ampli/ bolit1 Serpentin ). Nella illustrazione del foglio N. XIY della Carta geologica svizzera, dove sono descritti questi varii tipi di roccia, si parla poi anche di - 180 - alcune specie che, con identici caratteri, si mostrano nei due gruppi del cristallino ( Strahlsteinepidotschiefer , Musco vitreiche Epidotstralilstein- schiefer , Gruner Schiefer ) e si insiste sopra questa identità di certi tipi nei due orizzonti. Astraendo per un momento dall’ interpretazione, e tenendo soltanto conto dell’identità deir abito petrografìa, la corrispondenza fra la serie svizzera e la nostra è perfetta : abbiamo i calcescisti e le fìlladi che rappresentano i Bundner schiefer : gli gneiss minuti , i micascisti dell’Ar- caico superiore ; e gli gneiss di quello inferiore nostro trovano i loro analoghi negli altere krystallinische Schiefer: nelle due formazioni poi esiste una serie svariata di roccie verdi, alcune delle quali sono limitate a certi orizzonti petrografìe^ altre invece associate indifferentemente a termini molto diversi della serie. Questa identità petrografia deve essere stata la ragione princi- pale che ha indotto i due geologi svizzeri a colorire secondo le loro idee quelle parti della catena alpina che stanno ad occidente della regione in cui le loro convinzioni si erano formate, e di cui proba- bilmente non avevano che una scarsa cognizione diretta. Da ciò la diversità notevole dell’interpretazione geologica, per la quale essi attribuiscono ad un unico sistema o complesso di piani ciò che dai geologi italiani, malgrado un facies petrografìco comune, si assegna a piani differenti. Difatti nel profilo del Monte Bianco di Zaccagna e Mattirolo si presentano con facies di calcescisti ( Bundner - schiefer , Glanzschiefer o schistes lustrés ), il Lias di Val Veni, una parte del Trias del Crammont, e, sulla destra della Valgrisanche, l’Arcaico. E la ragione per cui una parte dei calcescisti e fìlladi, e precisamente quella in cui soltanto finora sono state trovate da noi roccie verdi e si attri- buisce dagli italiani all’Arcaico (precarbonifero), è dello stesso ordine di quella per cui lo Heim ritiene liasici i calcescisti dei Grigioni ; colà strati fossiliferi del Lias provano l’età degli strati calcareo-fìlladici che li inglobano : da noi le alternanze banco a banco dei calcescisti col resto del cristallino a facies di gneiss e micascisti, non attribuibile ad ac- cidenti stratigrafìci nemmeno colle più ingegnose combinazioni tetto- niche, sono la prova dell’unità della formazione cristallina. E l’unico modo di conciliare le due interpretazioni sta nell’ ammettere, come si è già fatto, la ricorrenza dello stesso facies petrografìco, che è del resto un facies acquisito e non originario, in formazioni di età diversa. Per quel che si riferisce all’ interpretazione petrografia delle roccie verdi a qualunque orizzonte esse appartengano, la differenza fra l’opi- — 181 — nione dei signori Heim e Schmidt e la nostra non è così sensibile; è piuttosto una diversità di misura che di principio. La grandissima varietà di roccie verdi osservate e le loro moltiplici relazioni colle roccie che le includono, ci inducono ad usare una riserva molto grande nel risalire ai tipi primitivi, come abbiamo detto a suo luogo. Una tale riserva ci sembra poi desiderabile per un’ altra ragione, di natura esclusivamente didattica: le descrizioni e diagnosi delle roccie fatte colla preoccupazione di stabilire l’origine ed i rapporti genetici di un tipo, che si crede metamorfico, finiscono per essere per lo più poco oggettive, e sovente da esse non si può avere un’idea precisa della specie descritta, ciò che dà luogo a dubbi quando si tratti di fare paragoni di roccie descritte da diversi autori. Così, ad esempio, certe descrizioni del Duparc di roccie amfìboliche alpine, dette amphibolites felspathisées , sono talmente dominate dal concetto dell’origine della roccia per iniezione felspatica entro uno scisto amfibolico preesistente, che non è possibile dalla semplice descrizione stabilire se esse siano o no comparabili colle nostre amfìboliti o prasiniti, come lo farebbe pensare la loro associazione con serpentine e roccie analoghe. III. . S. Franchi. — Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi Occidentali. Sommario. — Introduzione. — Eufotidi e loro principali metamorfosi. — Eufotidi a gastaldite. — Granatiti. - Zoisititi. — Prasiniti nel masso erratico di ’eufotide di Pianezza. — Roccie. diabasi- che. — Diabase granulare. — Diabase ofitica. — Porfirite augitica a struttura semi-ofitica. — Dia- base porfìritica. — Porfirite variolitica. — Variolite. — Metamorfosi delle roccie diabasiche. — Me- v tamorfosi in prasiniti — Prasiniti anfiboliche e cloritiche. — Metamorfosi in anftboliti sodiche. — Forme scistose di queste roccie metamorfiche. ■ — Anfiboliti sodiche. — Prasiniti ed anfìboliti sodiche non in rapporto visibile con masse di roccie massiccie. — Cause del metamorfismo. — Giacimento delle diabasi ed eufotidi. — Loro età. — Tabella riassuntiva. Il collega ing. Novarese, nella nota che precede, ha dato un elenco dei principali tipi di roccie basiche finora accertati durante il rileva- mento geologico in grande scala delle Alpi Occidentali dai rilevatori del R. Ufficio geologico, nel quale comprende sotto il nome di prasi- 3 — 182 — nìti numerosi tipi di roccie con felspato essenziale , che hanno un grande sviluppo in quella regione e che costituiscono una parte' importan- tissima delle roccie che sono la caratteristica della zona delle pietre verdi del Gastaldi. Una parte meno importante, ma pur sempre con- siderevole di esse, è quella che venne compresa nella colonna delle roccie con felspato subordinato nella tabella che accompagna il lavoro citato. Di alcuni fra i tipi di questi due gruppi di roccie ho avuto la ventura di accertare l’origine per metamorfosi da roccie massiccie; di altri si può arguire analoga origine per metamorfosi più inoltrata, od avvenuta in condizioni diverse, nelle quali analoghe azioni mefca- morfìzzanti agissero con maggiore intensità, o per maggior tempo. Nelle pagine che seguono esporrò brevemente i processi delle me- tamorfosi realmente constatati, ed accennerò di sfuggita alle analogie esistenti fra le roccie derivatene e le altre che finora non furono os- servate in stretti rapporti genetici con roccie massiccie. Le prasiniti ricche in zoisite e povere in felspato furono dal- l’ing. Mattirolo e dallo scrivente riconosciute come prodotti di meta- morfosi di certe eufotidi fin dal 1838, anno in cui si diede principio al rilevamento di dettaglio nella valle del Sangone. Nell’alto di questa valle, nella grande massa di eufotidi metamor- fosate del gruppo di Monte Rocciaviè, avevo fin d’ allora notate delle roccie prossime a quelle che ora col Novarese si convenne di chia- mare prasiniti , tanto nella struttura macroscopica che in quella mi- croscopica. Osservazioni analoghe avevo fatte nell’ anno seguente a sinistra della Dora nei dintorni di Almese e su pel Dio Marzo a Sud del Monte Civrari, dove una più o meno forte laminazione aveva pro- dotte delle roccie gneissiformi, come appunto sono le prasiniti nella maggior parte dei casi. Più tardi gli ingegneri Mattirolo, Novarese e Stella osservarono gli stessi passaggi da eufotidi a roccie prasinitiche (zoisititi) nelle valli di Lanzo e dell’Orco, nelle quali i tipi potente- mente laminati sono frequenti. D’altra parte, mentre la uniformità di certe masse di prasiniti anche estese alcuni chilometri, e la costanza del tipo litologico in masse diverse ed in regioni lontane ci facevano persuasi trattarsi di masse eruttive metamorfosate, i loro rapporti colle masse serpentinose, identici a quelli notati tra le masse di eufo- tidi meno metamorfosate e le serpentine nella stessa regione, ci ave- vano indotti a credere che le roccie primitive potessero essere eu- fotidi. Così è per esempio, delle prasiniti dei dintorni di Trana asso- - 183 - «siate alle serpentine allo stesso modo che le eufotidi metamorfosate dell’ alta valle del Sangone, e aventi la stessa posizione rispetto ai gneiss sottostanti. Di una di questa è data in seguito una analisi chi- mica che corrisponde a quella di una eufotide. Però, malgrado la identità di caratteri e di struttura dei mine- rali componenti, nelle zoisititi e nelle prasiniti anfiboliche e cloritiche, la maggiore abbondanza in queste del felspato rispetto alla zoisite poteva lasciare qualche incertezza sulla loro possibile provenienza dalle eufotidi, quantunque non fosse dubbia per le zoisititi. Uno degli scopi del presente lavoro è di togliere ogni dubbio al riguardo, dimo- strando possibile la trasformazione di eufotidi in prasiniti anfiboliche e cloritiche tipiche. Rilevando nel 1892 nell’alta Valle Maira, ho notato al colle di Maurin e nei dintorni di Acceglio numerose lenti di scisti verde- vio- lacei scuri, che in quest’ ultima località trovai strettamente associati -con diabasi e variòliti, per modo che non esitai a ritenere quegli scisti in cui predomina un antibolo violetto e sono talvolta resti di augite, come prodotti dalla metamorfosi delle diabasi stesse. Fatti analoghi ed anche più netti furono osservati nel 1893 e nel 1894 nella Valle -Grana e in quella di Valloriate, notevolmente a Monte Pergo, a Monte Grum ed al Beccas del Mezzodì, vette del contrafforte che se- para il vallone dell’Alma (affluente dello Stura di Cuneo) dalla Valle Grana. Lo studio microscopico confermò pienamente quella ipotesi, e potei ottenere una serie di preparati microscopici in cui si seguono passo passo le trasformazioni di diabasi granulari, ofìtiche o porfìritiche, in roccie che non hanno più bricciola dei costituenti originari, nè traccia della struttura primitiva, composte di un felspato sodico acido (gene- ralmente albite), anfibolo violetto e verde, clorite, epidoti, oligisto, sfeno, e più o meno calcite e quarzo. Di queste, quelle più ricche in albite possono trovar posto fra le prasiniti , delle quali hanno pure i carat- teri strutturali, le altre meno ricche in albite e più ricche in anfibolo violetto vanno collocate nelle anfibolia. Nelle stesse regioni di Val Maira e di Val Grana alle diabasi sono associate intimamente delle masse di eufotidi, nelle quali si osserva il medesimo processo di trasformazione. Le roccie che ne nascono, quantunque aventi la stessa composi- zione mineralogica e frequentemente la stessa caratteristica dell’ anfibolo violetto predominante, hanno soventi un aspetto microscopico molto 184 ^ diverso dalle diabasi metamorfosate, e ciò in causa della diversa distri- buzione che prendono gli elementi mineralogici di nuova formazione,, vista la diversa grandezza degli elementi da cui derivano; giacche è chiaro che a parità di altre condizioni la maggior parte dei nuovi elementi chiari resta al posto dei felspati, ed al posto del pirosseno- la gran parte di quelli colorati \ Le roccie derivate da queste eufo- tidi sono soventi povere in albite o ricche in zoisite pur conservando un forte tenore in anfìbolo violetto. Elifotidi e loro metamorfosi. — Non è mia intenzione di trattare- ora di tutte le svariate metamorfosi delle eufotidi, per studiare le- quali occorre molto maggior tempo di quanto io possa ora disporre. Mi accontenterò perciò di accennare rapidamente alle principali forme di roccie die ne nascono, ed insisterò solo sulla loro trasformazione in prasiniti tipiche, fatto non dimostrato finora e non privo di im- portanza nello studio della genesi delle roccie verdi nelle Alpi Occidentali. Le eufotidi il cui diallagio è più o meno profondamente trasfor- mato in anfìbolo azzurro sono note sotto il nome di eufotidi a gastai - dite (gastaldit-gabbro). Di queste chi scrive studiava campioni raccolti dal Lotti all’Isola del Giglio, ed al Capo Argentaro fin dal 1837 nel la- boratorio del prof. Fouqué al Collegio di Francia, ed in alcuno di essi il Lacroix segnalava l’esistenza della crocidolite 1 2. Tali roccie, segna- late dal Bonney presso Sestri Levante, sono frequenti nel massiccio arcaico ligure, e sono frequentemente associate colle diabasi in Yal Maira ed in Val Grana. Sono rappresentate in Valle Varaita, nella valle del Chisone e nella valle di Susa. A questa categoria di eufo- tidi che si trasformano in roccie a gastaldite appartiene senza alcun dubbio la roccia del Rocker dii Col , figurata dal Termier e descritta- come un’anfìbolite in cui « le glaucophane se transforme par piace» en une sorte de diallage extremèment chargé de petites inclusione indiscernables ». 3 E chiaro invece che è il diallagio che si trasforma. 1 Sembra che la trasformazione in elementi più stabili per le nuove con- dizioni in cui si trova la roccia, tenda ad effettuarsi col minore spostamento- possibile degli elementi chimici che si vanno scambiando. 2 A. Lacroix, Sur les propriétés optiques de la crocidolite et la diffusion de ce minerai (Bulletin de la Société minéralogique de France, T. XIII, n. 1). 3 P. Termier, Massi f de la Vanoise (Bulletin des Services de la Carte géologique de la France, etc., n. 20, p. 34). — 185 — in glaucofane. Per le eufofcidi del Monginevro la trasformazione del -diallagio in antibolo era descritta come ora non si potrebbe meglio da Michel- Lév}r fin dal 1877 nel suo noto lavoro « Mémoire sur la Yariolite de la Durance. » In un lavoro che verrà pubblicato fra breve, chi scrive metterà in rilievo le frequenti trasformazioni di eufotidi in roccie con granato secondario abbondante, ed in vere granatiti , fenomeni osservati special- mente nelle roccie che si trovano in filoni nelle lherzoliti \ Le eufotidi saussuritizzate con o senza smaragdite, quelle parzial- mente uralitizzate, e quelle trasformate più o meno completamente in roccie che hanno per componenti essenziali antibolo verde e zoisite, sono frequenti ed in grandi masse, potenti dei chilometri, tanto nelle forme massiccie, che in quelle gneissiche, scistose o scistoso- zonate. L’albite è pure sempre un costituente di queste roccie colla do- rile, una mica bianca, talco e sfeno. Vi sono delle varietà di queste eufotidi, il cui felspato è un’an- desina od un’andesina-labrador ; ed in questi casi l’albite secondaria può essere tanto abbondante, che la roccia di nuova formazione può dirsi una vera prasinite. Questo fatto che si poteva dire a priori probabile, viste le composizioni chimiche delle diabasi e delle eufo- tidi che hanno dei tipi di uguale acidità, potè essere dimostrato collo studio di alcuni campioncini staccati dal masso erratico di Pianezza in una escursione fatta nello scorso ottobre coll’ mg. Stella. Ecco quanto diceva, della roccia di tale masso, il Gastaldi fin dal 1853, polemizzando col prof. A. Sismonda, che riteneva il masso come uno spuntone di serpentina collegato in profondità colla massa del M. Musiné: «Il rocco di Pianezza non è punto composto di ser- pentina, ma bensì di una pasta fusibile al cannello (feldspato gra- noso ?), a tinta giallo-grigia, contenente una gran quantità di cristalli 1 In quel lavoro, che tratta delle lherzoliti e delle roccie con felspato che vi si trovano in liioni, sono condotto a considerare le granatiti tanto frequenti nelle masse serpentinose delle Alpi Occidentali, come prodotto dalla metamor- fosi di eufotidi che vi si trovavano in dicchi. Tale ipotesi, che contrappongo a quella del Weinschenk, che le vuole prodotte da inclusioni di masse calcari nelle peridotiti, è specialmente fondata sull’osservazione che nelle lherzoliti il passaggio di filoni di eufotidi a granatiti è visibile, e che nelle granatiti delle serpentine il diallagio più. o meno conservato non manca quasi mai. — 186 informi di diallagia a color bronzino o verde sporco (dimensioni 25= metri su 14 su 12). » E nella nota in calce aggiunge : « Su molti punti del masso, invece di questi cristalli » (di diallagio) « si vedono dei fa- scetti di fibre verdognole, aventi tutti i caratteri dell’attinoto. In altri massi delle vicinanze di Alpignano i cristalli di diallagia meglio for- mati, si separano in modo distinto dalfanfìbolo aghiforme. Giova os- servare che esponendo ad una viva fiamma sottili laminette di questa diallagia esse fondono sul margine, e danno uno smalto verde-scuro. Siccome la pasta di tutti questi massi è pure sempre feldspatica, la- roccia che ne risulta potrebbe chiamarsi eufotide dioritica » 1 2. Non aggiungo nulla alla bellissima descrizione macroscopica del sommo geologo torinese,, che intuì tanto la massa di felspato granu- lare, quanto la trasformazione del diallagio in antibolo fibroso, e passa a darne la diagnosi microscopica. In un campione con resti di diallagio questo si trova in elementi da 1 a 3 millimetri semplici o geminati ; talvolta conserva il suo con- torno arrotondato come nelle eufotidi fresche, tal’ altra si trasforma, all’ intorno in i tralite. Il clivaggio li (100) è perfetto, però alcuni elementi mostrano* delle lamine di augite coi soli clivaggi m (110) comprese fra parti diallagiche. Il diallagio è ancora meglio caratterizzato da un clivaggio* 0 geminazione molto evidente secondo p (001). 2 II minerale è bruno- chiaro e soventi geminato secondo ti. L’uralitizzazione incomincia all intorno, si insinua nei clivaggi ti indi per quelli m, dando origine ad antibolo verde-chiaro, poco anti- bolo violetto, clorite, e concorre cogli elementi del felspato alla for- mazione dell’epidoto Il felspato primitivo è completamente scomparso; quello secon- dario determinato col metodo Fouqué è albite. E in elementi di circa- 1 millimetro, e forma il fondo a mosaico come nelle prasiniti tipiche. Come in queste l’epidoto è automorfo e gli aghi degli antiboli attra- 1 B. Gastaldi, Appunti sulla geologia del Piemonte. Torino, 1853, p. 7. 2 Dalle osservazioni fatte sopra eufotidi di Capo Argentaro, dell’Isola del Giglio e del massiccio ligure, sarei piuttosto tratto a ritenere che esista se- condo p una geminazione anziché un clivaggio. A meno che le liste di diffe- rente illuminazione osservate siano dovute a lamine parallele a p di un minerale diverso dal diallagio. — 187 — versano tanto l’epidoto che l’albite, mostrando di essersi formati prima. Il leucoxene è abbondante in segregazioni granulose impure. La roccia osservata nei punti dove non havvi diallagio non può essere sotto nessun rapporto distinta dalle prasiniti. Il campione senza resto di diallagio macroscopicamente non ricorda più in nessun modo le eufotidi, si distingue dalle prasiniti ordi- narie per l’assenza di scistosità, e microscopicamente non è possibile distinguernelo sotto alcun aspetto: albite in mosaico con contorni cristallografici a contatto colla clorite, lardellata dall’anfìbolo attino- litico ; sfeno, oligisto, ecc Questi fatti hanno una grande importanza, perchè lasciano intra- vedere Torigine di numerosi tipi di prasiniti più chiare ed a più grandi elementi relativamente a quelle che ho constatato provenire dalla me- tamorfosi delle diabasi, delle quali parlerò in seguito. Roccie diabatiche, — Le diabasi finora osservate nella regione Val Maira-Val Grana si possono raggruppare attorno ai tipi seguenti: I. — Diabasi granulari. IL — » ofitiche. III. — Porfiriti augitiche. IV. — » andesitiche. V. — » variolitiche. YI. — Varioliti. Tutte queste roccie sono profondamente metamorfosate, soventi lami- nate e rese zonate, scistose od anche fìlladiche. Le varioliti massiccie però non furono finora vedute offrire 1 q facies metamorfiche profonde che si notano nelle altre roccie, se anche non furono soggette a laminazione. Questa è lungi dall’essere una condizione necessaria alle metamor- fosi di cui trattiamo ; anzi notiamo appunto fin d’ora che la lamina- zione ci può offrire roccie con aspetto e struttura particolari, ma non ci risulta avere particolare influenza sulla composizione mine- rologica delle roccie di nuova formazione. Così notansi ad esempio delle roccie che l’esame macroscopico in- duce a ritenere come vere diabasi granulari o porfiritiche, nelle quali l’esame microscopico constata l’assenza assoluta di ogni elemento pri- mitivo, e se ne hanno altre rese scistose e quasi fìlladiche, e che per nessun carattere esterno si possono paragonare alle diabasi, e con- tengono invece dei resti dell’augite primitiva. - 188 La scistosità delle roccie derivate, e la loro zonatura, sono soventi in rapporto con una struttura zonale o fiuidale delle roccie primitive ; però il fatto della indipendenza della trasformazione completa dalla laminazione è messo fuor di dubbio da molti esempi studiati, alcuni dei quali saranno citati in seguito. Questo fatto ha una certa impor- tanza perchè, mentre dimostra come le azioni dinamiche sono lungi dall’avere una parte quasi esc 'usi va nella formazione di alcuni mine- rali, ci porta a ritenere il calore come fattore importante nei processi di metamorfosi, sia esso prodotto dalla trasformazione di forza viva e quindi accompagnato dalla laminazione, ovvero sia invece effetto della profondità a cui furono portate le roccie nelle epoche successive alla loro formazione, accompagnato in questo caso da una pressione statica considerevole b Faccio ora seguire le diagnosi petrografìche di alcuni dei tipi sovraindicati, scegliendoli fra i meno metamorfosati; così sara data una idea dello stato delle roccie di cui parlo, stato che lascia chiara- mente intravedere quali siano i processi delle loro metamorfosi. Diabase granulare. — (Grande masso presso il ponte sulla Maira in Acceglio; tav. Prazzo). Roccia di aspetto massiccio, sulla cui massa verde, con aspetto di clorite compatta, chiazzata di bianco verdiccio, si distinguono elementi verdi-nerastri di qualche millimetro di grossezza (augite). Qua e là cristalletti di pirite e plaghe irregolari di calcite. A. M. — Struttura granulare con qualche accenno a struttura ofitica. Li augite bruno chiara è fessurata, fratturata e sconnessa; con parti freschissime, altre leggermente intorbidate, bruno-verdiccie per incipiente trasformazione, altre trasformate negli elementi secondari. Nelle fessure minute si sviluppa a volte della clorite (pennina?) o un anfibolo violetto con clivaggi e fibrosità normali al loro andamento. Nelle fratture più grandi e all’ intorno si trasforma in clinocloro ed in antibolo violetto che ha le tinte di policroismo della gastaldite. Questo 1 Sono interessantissime da questo punto di vista le esperienze che sta istituendo il prof. Spezia per studiare le influenze che hanno la pressione e la temperatura in certe azioni chimiche. Quelle fatte finora tendono a dimo- strare La grande importanza della temperatura in confronto della pressione, ■contrariamente a quanto si riteneva da molti geologi. — (G-. Spezia, La pres sione nell’ azione delVacqua sull"1 apofillite e sul vetro . Torino, 1835). - 189 — minerale forma delle sbarbature o frangie isoorientate coll’augite e pro- tendentisi da questa nell’interno del felspato primitivo e nel secon- dario. Accompagna queste trasformazioni la formazione di masserelle granulari impure e talvolta semi-opache di leucoxene , elemento secon- dario costante nelle roccie diabasiche trasformate. Il felspato primitivo in elementi di qualche millimetro venne de- terminato per and? sina col metodo Fouqué. È geminato secondo la legge di Carlsbad e quella dell’ albite. E rara la geminazione del pendino. Negli elementi di andesina che ancora rimangono si vanno svi- luppando prismetti automorfì di epidoto, di zoisite, di anfibolo violetto (faccie ni), di clorito e di calcite. Il felspato secondario forma plaghe a mosaico minuto talvolta con elementi geminati, e si trova in elementi automorfì sparsi fra la clorite e nella massa dell’andesina. Si presenta nello stesso modo e cogli stessi caratteri del felspato secondario determinato come albite in molte roccie di questa serie. L’ epidoto oltre che in prismetti nell’ andesina, è sparso, nella roccia. Il clinocloro è un elemento importante, la calcite è relativa- mente abbondante, ed il quarzo rarissimo. Una lente di diabase granulare alquanto diversa dalla precedente si trova nei calcescisti dirimpetto a Grangie Chiapusso nel vallone Mularasso a Nord di Acceglio. In questa l’ànfìbolo secondario è in parte verde, e alcuni elementi di quello violetto presentarono il ca- rattere ottico della crocidolite. Campioni di roccie analoghe furono trovati nella Valle Valloriate; e nelle collezioni del Gastaldi un cam- pione dato come proveniente da Les Constants sopra Savoulx, è di una diabase granulare a grandi elementi simile a certe eufotidi ad anfibolo secondario violetto; però il pirosseno è augite 1. Diabase ofitica. — (Lente nei calcescisti presso Elva, Val Maira; tav. di Sampeyre). A. M. — L ’ augite bruno-chiara è in elementi di 2 o 8 min., il più delle volte intagliati a figure geometriche dai fel spati, e senza traccia 1 Q lesto campione prova 1’esistenza di masse diabasiche nella valle di Bardonnecchia ; però, secondo il Mattirolo, detto campione sarebbe erratico e forse staccato da certe masse di roccie verdi che egli rinvenne in alto alle falde di M. Jafferau. - 190 - di clivaggio li' (100). Negli intagli interni dell’augite, all’intorno di di essa e nelle fessure si sviluppano delle fibrille di anfibolo violetto , soventi in fascetti isoorientati sul pirosseno ; contemporaneamente pic- cole plaghe cloritiche e macchie irregolari di leucmene impuro pigliano origine. L* 1 andesina-labrador primitivo è profondamente saussuri ti zzato, mas- sime nelle parti prossime all’augite, ed è compenetrato da un feltro minutissimo di anfibolo attinolitico e da zoisite. In alcuni punti invece la trasformazione del felspato è completa con formazione di albite secondaria, di una mica bianca sericitica e di un minerale che sembra far la parte dell’epidoto e del quale finora non ho potuto stabilire l’identità *, causa la picciolezza (0,mm2)degli elementi, che impedisce di separarli. PORFIRITE ATJGITICA A STRUTTURA SEM1-OFITICA. — (Massa diabasica di Beccas del Mezzodì; tav. Dronero). Roccia color verde-scuro, a grana minuta, con vene epidotiche. A. M. — L’augite si trova in fascetti di microliti allungati con disposizione parallela o radiale, anziché in grandi elementi. Attraverso ad essi si sviluppano ofìticamente i microliti di ande- sina striati, lunghi da 1 a 2 min. Parte del felspato, in elementi più grandi zeppi di inclusioni, forma coll’augite il fondo della roccia. Sono abbondanti come elementi secondari: dorile , calcite e leucoxene. Diabase porfiritica. — (Rovine, del Castello di Acceglio; tav. Prazzo). Conservata parzialmente l’augite senza traccia di felspato e di strut- tura primitiva. 1 Oltre che in questa venne trovato in molte altre diabasi metamorfosate massiccie e laminate, delle quali sembra un minerale caratteristico. Eccone i i caratteri: incoloro, limpidissimo; si presenta in generale con sezioni rettango- lari non molto allungate, e talora con sezioni rombiche cogli angoli acuti dai 65° ai 70° smussati da due faccio. La rifrangenza è forte e paragonabile a quella degli epidoti, la birifrangenza raggiunge quella dell’augite nelle sezioni rettangolari, sempre negative in lungo. Le sezioni rombiche danno l’uscita di una bisettrice positiva, ed il piano degli assi è collocato secondo la micro- diagonale. Quelle rettangolari presentano soventi geminazione polisintetica tra- sversalmente, e le rombiche due clivaggi perfetti paralleli ai lati, ed uno im- perfetto secondo la microdiagonale. Dopo arroventamento è attaccato comple- tamente dall’HCl, mentre tutto il felspato primitivo è inattaccato. 191 - Roccia scistosa verde-scura minutamente macchiata di violaceo e con parti sericee francamente violette. Screziature verdi-giallognole di epidoto. A. M. — L 'augite è il solo elemento primitivo di cui rimane qualche resto, essendo in gran parte trasformato in anfibolo violetto ed in diorite. Jdalbite secondaria è concentrata in nuclei con calcite , ed in ele- menti minuti striati o no si mostra fra il feltro di anfibolo violetto che è l’elemento essenziale della roccia. Clorite , epidoto abbondante, calcite, leucoxene sono gli altri ele- menti di questa roccia, che potrebbe chiamarsi uno scisto a glaucofane con augite. Porfirite variolitica. — (Lente nei calcescisti ad Est di Lau- setto presso Acceglio; tav. Argenterà). Roccia scistosa verde con piani di facile clivaggio a lucentezza sericea. Nella frattura grana finissima con punteggiature verdi-scure su fondo verde più chiaro. Numerose vene di calcite e cristalli ma- croscopici di pirite. A. M. — Yi sono grandi elementi felspatici che includono cri- stalli allungati di augite di formazione simultanea, disposti parallela- mente e che simulano le striature. Microliti di andesina striati im- perfetti sono o isolati o in fasci divergenti, od in pseudo-sferuliti. Anche in questo caso conservano la loro individualità e mostrano chiara- mente la natura felspatica delle vere sferuliti o variole che si tro- vano nello stesso preparato microscopico. Si osservano cristalli piegati e notansi la struttura fluidale ed una evidente zonatura. Localmente i felspati sono trasformati in albite a mosaico; epi- doto cloriti, leucoxene e granulazioni opache sono sparse in tutta la roccia. Variolite. — (Massa diabasica di Acceglio; tav. Prazzo). Roccia verde-scura massiccia ; nella frattura fresca su un fondo vetroso verde scuro si vedono le variole con orlatura chiara grosse da 1 a 2 mm , soventi raggruppate comunque fra loro. A. M. — La massa fondamentale non è amorfa, ma è costituita da una massa di elementi minutissimi di apparenza fibrosa, risultato della devitrifìcazione secondaria (clorite?). Le variole sfumano attorno col fondo della roccia, e mostrano o la forma radiale semplice, od una forma allungata con un microlite - 192 - felspatico nel mezzo , come quelle figurate da Michel-Lévy nella va- rlolite dei Fenils. 1 Frequenti elementi di magnetite, ed un pulviscolo minuto che può essere di epidoto o di sfeno, sparsi in tutta la roccia, ne sono gli altri elementi. Altre varioliti trovai nel vallone Monfìeis alle falde di M. Pergo ; sono di color verde-violaceo ed a variole molto più grandi. Anche nel vallone d’Elva in relazione colle diabasi ho notate delle parti variolitiche. In alcuni punti le palme che altrove costituivano le variole, formavano invece col loro disordinato intrecciarsi una massa compatta. Metamorfosi delle roccie diabasiche. — In tutte le roccie ora descritte venne constatata la formazione più o meno abbondante di minerali nuovi, i quali in qualcuna prevalgono sugli elementi primitivi. Supponendo che abbiano perdurato più a lungo le cause che pro- dussero quelle trasformazioni, non è. difficile immaginare che si giun- ga ad avere delle roccie nelle quali non si ha più traccia degli ele- menti primitivi, se ne conservi o no la struttura. E così avviene infatti. I minerali secondari sono i seguenti: albite , calcite , quarzo, zoisite, epidoto, mica bianca , anfibolo violetto , anjibolo verde, clorite, leucoxene, oligisto od ilmenite e il minerale indeterminato. Da parte o da tutti questi elementi in proporzioni diverse sono costituite le roccie, delle quali, o per qualche resto di augite, o del plagioclasio primitivo, o per la permanenza della struttura, o per 1? as- sociazione intima sul terreno con roccie aventi qualcuno di questi caratteri, non è dubbia la provenienza per metamorfosi più o meno completa da roccie diabasiche, compatte o tufacee. La metamorfosi può aver luogo in due modi principali : 1° Metamorfosi in prasiniti. — L’albite contenuta nel plagioclasio primitivo si libera completamente o quasi allo stato di albite secondaria. In questo caso essa in elementi da 1 a 2 millimetri, soventi striata e disposta a mosaico, forma come il fondo della nuova roccia insieme colla clorite, al cui contatto assume soventi contorni cristallografici. 1 M. A. Michel-Levy, Note sur la prolong ition verste Sud de la Chetine des Aiguilles Rouges (Bulletin des Services de la Carte géologique de France, n" 27, février 18J2). 193 - L’anfìbolo verde, con punto o poco anfìbolo violetto, in aciculi e fasci fibrosi forma come un feltro che si sviluppa indipendentemente dagli elementi di albite che compenetra e lardella in tutti i modi; e gli epidoti in cristalletti automorfì, in accumulazioni granulose od in granulazioni minute, sono diffusi in tutta la roccia. La calcite è frequente, sparsa specialmente nei felspati della cui formazione è contemporanea. Il quarzo è poco abbondante o manca affatto. Lo sfeno (leucoxene) in granulazioni od accentrato in nugoletti, e rarissimamente con forme cristalline, è un elemento costante, e l’oli- gisto e l’ilmenite sono soventi visibili ad occhio nudo, sparsi in cri- stalletti lucenti nella roccia. Sono questi i caratteri delle prasiniti tanto per la natura e forma dei componenti che per la struttura microscopica, fino ai più minuti particolari. Se vi ha qualche differenza essa consiste nell'essere la titanite sotto la forma granulare e molto diffusa nelle roccie di cui trattiamo, anziché accentrata, in elementi ad orientamento unico. Un esempio di questo modo di metamorfosi ci è offerto da una diabase porfìritica trovata in ciottoli nel morenico presso Collegno, e nella quale è conservata apparentemente la struttura microscopica. 1 Roccia bigio-verdognola, sulla cui superfìcie levigata si scorgono nettamente aree porfiriche bianche con contorni geometrici, grosse alcuni millimetri, e nella massa come un intreccio di microliti chiari lunghi da 1 a 2 mm. Frequenti venature gialle sono evidentemente di epidoto, e numerosi cristalletti brillanti scuri sono di oligisto o di il- menite. La roccia ha l’aspetto di una roccia con felspati di due tempi. A. M. — Le aree chiare porfiriche e microlitiche mostrano con- torni meno precisi e si risolvono in una massa granulare di felspato a mosaico minuto, con abbondanti e minute segregazioni di epidoti, anjlbolo attinolitico, diorite, mica bianca e leucoxene. Il felspato secondario è sovente geminato semplicemente ; è meno rifrangente del balsamo, e certamente molto prossimo olì1 albite (M. Fouquè). 1 Ho scelto questo esempio di una roccia della valle di Susa perchè più dimostrativo di tutti i campioni da me posseduti di Yal Maira e Yal Grana. Esso serve anche a dimostrare come si verifichino anche nelle diabasi dell’alta valle di Susa i fenomeni che sto descrivendo. — 194 — Solo in alcuni punti si distinguono al microscopio in luce natu- rale le aree bianche microlitiche sul fondo colorato formato dalla clo- rite e dall’anfìbolo, abbondanti nella roccia; non di rado, parallela- mente alla loro lunghezza e sul loro asse, una o più file di inclusioni segnano ancora le geminazioni del microlite primitivo, che in luce polarizzata si vede invece costituito da numerosi elementi albitici comunque orientati ; alcuni di questi si estendono oltre il limite del microlite e si commettono, attraverso il feltro di antibolo attinolitico e di clorite, col resto del mosaico felspatico formante il fondo della roccia. Anche nei microliti secrezioni minute di elementi ferro-ma- gnesiaci. L 'anfibolo verde secondario è abbondante, in generale in aghetti minuti attorno ed attraverso ai felspati e nelle plaghe cloritiche ; so- venti è in fascetti associato con un anfibolo violetto poco abbondante, col quale sfuma talora in uno stesso elemento. L’ epidoto in vene, in grandi elementi od in granulazioni che tem- pestano il preparato microscopico. I grandi elementi di 'pistazite hanno delle parti centrali colle tinte di policroismo dell 'orthite. La pennima è abbondante ; ilmenite od oligisto abbondante, visibile macroscopicamente; leucoxene granulare diffuso in tutta la roccia. Per composizione mineralogica e per struttura microscopica questa roccia, che ha ancora macroscopicamente tutto l’aspetto di una porfìrite diabasica, è adunque una prasinite tipica. Divisioni delle prasiniti. — Le prasiniti provenienti da diabasi hanno tutte comuni il carattere del mosaico di albite ed i costituenti essen- ziali: anfibolo , clorite ed epidoto. Di questi ultimi Tanfìbolo e la clorite sembra possano sostituirsi quasi completamente, mentre l’epidoto si trova in tutte direi in egual misura. Così dalla prevalenza di uno o dell’altro dei due primi si hanno prasiniti cloritiche e prasiniti anfiboliche. Le prime presentano sviluppata la particolarità notata parzial- mente in alcune delle roccie descritte, che cioè l’albite assume a con- tatto colla clorite dei contorni cristallografici propri. Questo fatto si verifica tanto nella massa della roccia che nelle vene essenzialmente albitiche che la attraversano. Una esagerazione di questa forma è of- ferta dalle roccie incontrate in alcuni punti in Val di Susa e nella valle di Yiù, le quali sono costituite da una massa cloritica cemen- tante elementi automorfì di albite grossi da 2 a 5 millimetri. Delle prasiniti anfiboliche è caratteristico il feltro degli aghi an- — 193 — fìbolici che si sviluppa sul fondo albitico a mosaico come in una massa omogenea. Si trovano tipi massicci, scistosi e scistoso-zonati delle due va- rietà di prasiniti; però le cloritiche si trovano più spesso fra le forme scistose o scistoso-zonate. 2d Metamorfosi in anfiboliti sodiche. — L’albite contenuta nel plagioclasio primitivo si libera in piccola parte allo stato di felspato e concorre in buona parte alla formazione dell’anfìbolo sodico violetto. Si hanno in questo caso delle roccie coi caratteri generali seguenti : L ’albite come elemento subordinato si mostra qua e là attraverso il feltro formato dagli aghetti di anfibolo fra cui quello violetto è pre- valente. Questo nei tipi di roccie non laminate forma dei grandi ele- menti con orientazione unica, sfrangiati, o fasci di elementi fibrosi. In quelle laminate si orienta in striscie, in zone od in letti, che ne sono quasi intieramente costituiti e che alternano con letti in cui pre- valgono gli epidoti e la clorite. In queste roccie è frequente il minerale ignoto di cui si diedero i caratteri descrivendo una diabase ofìtica dei pressi di Elva. Epidoti , quarzo , sfeno e più raramente la calcite si trovano cogli stessi caratteri che nelle roccie precedenti. Si hanno così delle vere anfiboliti sodiche aventi la composizione mineralogica e la struttura di quelle poste nella colonna con felspato subordinato nella tabella anzicitata dell’ ing. Novarese. Un bell’esempio di questo modo di trasformazione è offerto da un campione della massa diabasica del Colle dell’Ortica, nel contrafforte tra Val Stura e Val Grana (tav. di Dronero S.O.). Roccia massiccia a grana minuta, verde-violacea con parti franca- mente violette e con piccole vacuole tappezzate di cristalli di albite. A. M. — Un anfibolo attinolitico ed un anfibolo violetto sono i minerali costituenti più importanti. Sono fra loro sovente associati in fasci di elementi più o meno perfettamente orientati, sfrangiati, sfibrati ed intrecciantisi fra loro. Sono frequenti elementi isolati colle sole fac- cie m (110) o coll’aggiunta di quelle g' (010). L’ epidoto è in granulazioni impure sparse in tutta la roccia ; la clorite è frequente in sfumature sull’orlo esterno degli anfiboli. Il felspato si mostra qua e là fra gli anfiboli o tappezzante le druse, ed anche in questo caso lardellato da aghetti di anfibolo. E striato e mostra le estinzioni simmetriche e la rifrangenza caratte- ristiche dell 'albite. - 196 — Roccie di questo tipo sono frequenti nella regione che stiamo studiando, e delle varietà di esse molto laminate sono le roccie scistose verdi- violacee del Colle di Maurin e del Castello di Acceglio. Queste in alcuni punti contengono ancora resti di augite. In tutto simili sono certe diabasi granulari e porfìritiche mas- siccio e scistose dell’Isola del Giglio nelle quali si trovano quasi sempre resti di augite e del felspato primitivo. In queste abbonda il mine- rale ignoto di cui si dettero i caratteri. 1 Roccie analoghe, e che io non esito a considerare come aventi la stessa origine, si trovano nell’alluvione del Pellice, nel morenico della valle di Susa, presso' Rocca vione in lenti nei calcescisti, e nell’ alluvione del torrente Casotto presso Torre Mondovì. Un campione raccolto alla vetta di Monte Albergian dall’ing. Mat- tirolo, e che potei esaminare, è uno dei più bei tipi di queste roccie massiccie, con la struttura macroscopica di una diabase in cui l’ au- gite è completamente trasformata in antibolo violetto e verde. Il mi- nerale incognito è particolarmente ben sviluppato in questa roccia. Alcuni rari elementi felspatici secondari sembra possano riferirsi ad un plagi oclasio molto basico. I tipi descritti per ciascuno dei due modi di metamorfosi sono di roccie massiccie; però in ciascuno di essi sono frequenti, anzi sono prevalenti i tipi di roccie secondarie scistose e scistoso-zonate e non rari i tipi fìlladici. Le prasiniti scistose o scistoso-zonate della regione in parola non presentano più traccia alcuna della struttura e dei minerali primitivi ; però la loro origine non è dubbia, viste le associazioni sul terreno o in una unica massa con roccie ancora riconoscibili per diabasi o in masse distinte, ma aventi gli stessi caratteri e gli stessi rapporti di quelle colle roccie incassanti. * Uno scisto verde a grana fina raccolto dall’ing. Lotti con altri numerosi cam- pioni di roccie meglio ricordanti le diabasi, venne riconosciuto come una diabase granulare laminata. Il felspato in parte è torbido per avanzata saussuritizzazione, in parte trasformato in albite distribuita in sottili letti secondo la scistosità. Sono ancora frequenti elementi di augite, della quale si constatano passaggi chiari a tre sorta di antiboli, bruno, azzurro e verde. Il bruno segna il primo stadio, il violetto il secondo e l’ultimo il verde. Qualche elemento compieta- mente trasformato in antibolo è nel mezzo bruno ed alle due estremità passa per sfumature ad antibolo verde smeraldo e ad antibolo violetto. — 197 - Non è escluso che in alcuni casi, e specialmente le piccole masse potenti pochi decimetri intercalate nei calcari e nei calcescisti possano rappresentare la metamorfosi di un deposito tufaceo di elementi diabasici. La composizione mineralogica di quelle roccie scistose è la stessa che nelle roccie massiccio, dalle quali non differiscono che per la di - sposizione, in letti più o meno marcati e visibili ad occhio nudo o solo al microscopio, dei differenti elementi ferro-magnesiaci, giacche anche in questo caso l’albite forma il fondo granulare della roccia. La roccia del castello di Aceeglio è un tipo scistoso di anfibolite sodica nella quale sono ancora resti di augite, e la porfirite variolitica già descritta è una roccia scistoso-tabulare nella quale buona parte del felspato primitivo è ancora conservata, e che si può dire origina- riamente scistosa. La roccia scistosa verde-violacea che forma il Monte Yallonet alla sinistra del colle di Maurin, e che viene a brusco contatto colle quarziti del Trias o del Permiano, è appunto uno scisto costituito es- senzialmente da un feltro minutissimo di aghi di antibolo violetto, di- stinto da quello del castello di Aceeglio per la sola mancanza del- l’augite. Anche per le anfìboliti sono frequenti i tipi zonati, e la zonatura è in generale prodotta dall’alternanza di letti più ricchi in antibolo violetto con altri in cui prevalgono gli epidoti, pistazite e zoisite. Si hanno così roccie a listarelle alternanti violacee e verdi-chiare più o meno giallognole, nelle quali non di rado osservasi ancora una com- plessa pieghettatura posteriore alla zonatura stessa. E chiaro però che questi due modi di metamorfosi in prasiniti ed in anfibolia sodiche non sono sempre nettamente distinti in natura, e che si possono trovar roccie che rappresentano un modo di trasfor- mazione intermedio, con sviluppo in egual misura di albite e di anti- bolo violetto. Cosi ne nascono numerosi tipi di passaggio che talvolta si è in- certi nel classificare e non di rado si osserva delle roccie a liste pra- sinitiche ed anfìbolitiche alternanti. Esse potranno a seconda dei casi essere dette prasiniti anfibolitiche o anfibolia prasinitiche. Divisioni delle anfibolia sodiche. — Ho già detto come il minerale di cui si dettero i caratteri senza conoscerne il nome sia frequente nelle anfìboliti epigeniche delle diabasi, siano esse massiccie o scistose, e come esso tenga in certo modo il posto dell’ epidoto. Si avrebbero così due divisioni a farsi: anfibolia sodiche epidotiche ed anfibolia sodiche 4 — 198 - che piglieranno il nome dal minerale, quando lo studio di più abbon- dante materiale ci avrà permesso di determinarlo. Anche qui si hanno poi le forme massiccie , le scistose , le scistoso - zonate e le filladiche. Prasiniti ed aufiboliti non in rapporto visibile con masse di roccie massiccie. — Ho già dimostrato che alcune prasiniti provenienti dalla meta- morfosi delle eufotidi non differiscono sotto nessun rapporto da molte delle prasiniti le meglio caratterizzate. Quelle ora riconosciute prove- nienti dalle diabasi, hanno con queste comuni la struttura e la compo- sizione mineralogica, ma hanno in generale una cristallinità alquanto minore; fatto questo naturalissimo se si considera che la maggior parte delle diabasi studiate appartengono agli strati più alti del precarbonifero. Lo stesso si può dire delle anfìboliti sodiche provenienti dalle diabasi rispetto alle anfìboliti a gastaldite scure, con zonature epido- tiche, con fascette violacee, ricche in gastaldite, che accompagnano soventi le prasiniti, e che il Gastaldi raggruppava sotto il nome di anfìboliti epidotiche, frequenti nella parte inferiore della zona delle pietre verdi. In queste gli elementi di gastaldite o di antibolo verde sono più grandi e più perfettamente cristallizzati, e lo sfeno anziché in grani od in accumulazioni granulose è accentrato in elementi cristallini automorfi. Anche in questo caso la differenza sta in una maggiore e più perfetta cristallinità della roccia, spiegabile qui pure collaetà molto più antica e colla probabile molto maggior profondità alla quale avvenne l’e- pigenesi delle roccie primitive. In queste non si incontrò finora il mine- rale incognito caratteristico delle anfìboliti provenienti dalie diabasi. Non è quindi senza una certa dose di attendibilità che, passando dal noto all’ignoto, si considerano buona parte delle prasiniti antiche e delle anfìboliti a gastaldite come provenienti dalla epigenesi di roccie diabasiche. Se noi vediamo delle diabasi trasformarsi in anfi- bolia negli strati superiori del precarbonifero, l’ipotesi che proven- gano dalla metamorfosi di roccie eruttive 1 le anfìboliti molto più an- tiche che presentano gli stessi caratteri di struttura e la stessa com- posizione mineralogica, non ha più nulla di arrischiato; ed in attesa che delle analisi permettano di togliere ogni riserva al parallelo che inclino a stabilire, si può fin d’ora asserirebbe le roccie che loro det- * Vedasi il paragrafo in cui si discute l’età delle roccie pirosseniche. — 199 — fero origine dovevano avere una composizione chimica molto affine a quella delle diabasi. Dico composizione chimica e non mineralogica, perchè, in seguito alle ricostituzione completa di tutti gli elementi la nuova roccia deve in molti casi essere fino ad un certo punto meno dipendente dalla struttura e dalla composizione mineralogica, della roccia primitiva che dalla composizione chimica della sua massa. Così, delle prasiniti pro- venienti da certe dioriti quarzifere con biotite della valle del Chisone, differiscono dalle diabasiche quasi unicamente per la presenza della , biotite e V abbondanza del quarzo ; il plagio clasio e l’ orneblenda bruna si trasformano in. un mosaico di albite con feltro di aghetti di anfibolo verde, e con formazione di clorite, epidoto, zoisite, titanite, ecc. E si concepisce pure come ad esempio una diorite propriamente detta, senza quarzo e senza biotite, possa dar luogo a delle prasiniti che al- l’esame microscopico non sarebbe facile distinguere da altre prove- nienti dalle diabasi. In questo ordine di ricerche le analisi chimiche saranno guida preziosa ed offriranno dati positivi a complemento delle osservazioni sul terreno e di quelle fatte al microscopio; ed io sono lieto di poter fin d’ora riportare i risultati delle analisi fatte dall’ing. G-. Aichino di due campioni di roccia, di una prasinite e di una anfibolite sodica, che lo studio sul terreno ed al microscopio mi avevano condotto a ritenere come provenienti da eufotidi o da diabasi, senza che fossero notati rapporti con masse riconoscibili di tali roccie. I. — Scisto a gastaldite o anfibolite sodica del Monte Vallonet presso il Colle di Maurin (alta Val Maira). II. — Prasinite della cava sotto il Colletto presso Trana (valle del Sangone). I II Silice 48.67 50.88 Sesqniossido di ferro (ferro totale) ... 10. 80 10. 02 Allumina 18. 36 17. 65 Calce 11. 03 10. 95 Magnesia 5. 49 4. 77 Soda 1. 12 2. 52 Potassa 0. 11 0. 24 Anidride titanica 0.45 1.32 » fosforica tr. tr. Perdita per arroventamelo 4. 20 2. 52 Totale . . . 99.73 100.37 Peso specifico 3. 04 2. 99 — 200 — La roccia I, che più sopra ho assimilata all’ anùbolite sodica con resti di augite che fa parte della massa diabasica di iùcceglio, è inter- calata nei calcescisti ed alla loro parte più alta, come le diabasi di Monte Pergo, Monte Bram e del Beccas del Mezzodì. La roccia II invece è in masse di una notevole uniformità, inter- calate fra grandi masse di serpentine che stanno invece presso la base della zona delle pietre verdi. Stratigraficamente questa sembra corri- spondere alle eufotidi metamorfosate, ma ancora riconoscibili, che sona associate con grandi masse di serpentina nell’alta valle del Sangone. E notevole la analogia di composizione chimica tra queste due roccie di aspetto diversissimo, e specialmente la analogia di quella della roccia II con quella di certe eufotidi. Naturalmente per avere un valore decisivo queste analisi debbono essere numerose, e più d’una per una stessa massa rocciosa, ed io mi guarderò dal discutere le cifre di queste due analisi, che voglio crederò prime di una lunga serie. Cause del metamorfismo. — Lo stato poco avanzato in cui si trova lo studio di queste roccie diabasiche, tanto sul terreno che in laboratorio, non permette di emettere una ipotesi qualsiasi sulle causo dei diversi modi di metamorfosi anzi cennati, ma possiamo cion- nullameno fare alcune considerazioni che possono forse restringere il campo delle indagini dirette a quello scopo. Il fatto di avere trovato delle diabasi metamorfosate massiccie o scistose aventi la stessa composizione mineralogica, sembra escludere che le azioni dinamiche considerate dal solo lato meccanico possano essere ritenute come cause importanti in questo ordine di fatti. Neppure sembra possano essere considerate come fattori determinanti piuttosto l’uno che l’altro dei due modi di metamorfosi, in prasiniti ed in anfìboliti, giacche dei due modi si hanno prodotti massicci e scistosi. Il fatto poi di averli incontrati associati in una stessa massa,, molto presumibilmente soggetta in tutta la sua estensione alle mede- sime cause esterne, se ne eccettuiamo le azioni meccaniche che pos- sono variare molto da punto à punto, ma che pare non abbiano in- fluenza sotto questo punto di vista, induce a ricercare le cause di questi due modi di trasformazione nella diversa composizione chimica delle diverse masse o delle diverse parti di una massa stessa. Quanto alle cause del metamorfismo in genere, escluse le azioni meccaniche come tali, restano in linea di campo le azioni dinamiche — 201 — come sorgenti di calore, la pressione, il calore ei i] tempo durante il quale hanno agito, astraendo dall’acqua la cui presenza è forse con- dizione necessaria. Questi ultimi fattori dovrebbero avere grande importanza nel caso nostro, se si considera che sopra la formazione calcarea che rinchiude le lenti di roccie diabasiche si depositarono senza notevole discordanza il Fermo-carbonifero ed il Trias, potenti com- plessivamente 1000 metri almeno. Le diabasi del Devoniano della regione renana studiate dal Lossen e dal signor Milch x, dalle accurate descrizioni che questi autori ne -danno, risultano identiche a quelle da noi studiate, e presentano i numerosi tipi colle identiche particolarità strutturali e di com- posizione mineralogica. Anche in quella regione le diabasi dovettero rimanere durante tutta l’epoca permo-carbonifera a delle grandi pro- fondità sotto il livello del mare. Invece le metamorfosi non hanno quasi avuto effetto sulle dia. basi del Siluriano della catena di Menez-Hom in Bretagna, certamente più antiche di quelle di Val Maira e di Val Grana. Dalla accurata descrizione che ne dà il signor Barrois, al quale non sarebbero certo sfuggite le forme metamorfiche se vi esistessero, le roccie diabasiche massiccie o tufacee non presentano che un principio delle profonde metamorfosi ora descritte. Giacimeoio delle roccie pirosseuichc. — Similmente a quanto venne notato nelle singole regioni dai rilevatori dell’Ufficio geologico per le roccie verdi dei vari tipi, le diabasi e le eufotidi di Val Maira e di Val Grana sono in lenti, con ogni apparenza di interstratifìca- zione fra roccie calcaree, senza alcun indizio di filoni o dicchi 1 2. Si 1 K. A. Lossen, Studien an metamorphischen Eruptiv — and Sedìment- gesteinen , erlautert an mikroslcopìschen Bildern (Jahrb. preuss. geol. L. Anst. fiir 1883, und fùr 1884). L. Milch, Die Diabas-Schiefer des Taunus (Zeit. d. Deut. geol. Ges. XLI, 1833). — Il signor Milch distingue gli scisti diabasici a seconda della prevalenza: I dell’attinoto e dell’epidoto; I[ del.’anfibolo azzurro; III della clorito. Distingue poscia tre stadi di trasformazione, secondochè sono conservati parzialmente la •struttura e la composizione mineralogica, o la struttura o la composizione, o nessuna delle due. Per le roccie da me studiate mi parve più naturale una prima distinzione in roccie ad albite e ad antibolo azzurro prevalenti, basando sullo sviluppo degli altri elementi essenziali le divisioni di 2° ordine. 2 Chi scrive notificò la rara eccezione che nelle Alpi Occidentali fanno a - 202 - deve adunque concludere alla loro essenza di colate o di depositi tu- facei contemporanei ai depositi calcariferi clie le includono. Quanto ai rapporti reciproci fra diabasi ed eufotidi, se vi sono masse esclusivamente di diabasi ed altre di sole eufotidi, ve ne sono altre in cui le due forme litologiche sono per tal modo associate da far pensare alla loro segregazione da una unica massa- magmatica. Alla stessa conclusione pare si possa giungere per le roccie similari del Monginevro dove, in qualche gita fattavi nel 1889 coi colleghi Zaccagna e Mattirolo e coi signori Potier e Bertrand,, avevo notato frequenti massi composti promiscuamente di parti eufo- tidiche e di parti diabasiche, per modo da non poter decidere *quale delle due roccie fosse in vene od in filoni nell’altra. Però lo studio sul terreno appena incominciato ci induce su questo punto ad una prudente riserva, non ignorando che i signori Grenville-Cole e Gregory ritengono pel Monginevro l’anteriorità delle eufotidi attraverso alle quali le diabasi sarebbero state eruttate \ Fra le diverse opinioni emesse sul modo di giacimento delle dia- basi dell’alta valle della Dora Riparia, per analogia con quanto ha osservato più a Sud, chi scrive inclinerebbe ad accettare le conclusioni dello Zaccagna e quelle espresse a voce dall’ingegnere Mattirolo che ul- timamente rilevò in dettaglio le regioni delle diabasi, secondo le quali queste sarebbero in parte intercalate nei calcescisti ed anteriori al Per- miano che questi geologi indicano nella regione. Non escludo però che al- cuni tipi speciali di roccie diabasiche possano essere contemporanee del Permo-carbonifero, avendo io stesso in diversi punti di Yal Stura incon- trate in questo terreno delle masse di porfiriti augitiche accompagnate dai loro tufi. In queste però non furono finora notati i fenomeni di metamorfismo che caratterizzano le roccie diabasiche precarbonifere. Età delle diabasi ed eulbtidi dell’ alla Val Ma ira e di Yal Grana. — In una parte della Relazione sulla campagna geologica del 1894,. queste regole le eufotidi ed altre roccie oliviniche con felspato, che si trovane in numerosi filoni poco potenti nelle lherzoliti delle Prealpi torinesi. Anche in Val Grana, alle falde di Monte Bram, si nota qualche filone di eufotide nelle serpentine ; e lo stesso fatto si osserva nelle serpentine eoceniche dei dintorni della Spezia. 1 Grsnville-Cole and W. Gregory, The Variolitic Eocks of Mont Genevre (Quarterly Journal of thè G. S., Voi. XLVI, Part 2&, 1890). - 203 - clie sarà pubblicata fra breve, ho cercato di dimostrare l’età precar- bonifera \ e certamente paleozoica, della formazione composta essen- zialmente da calcescisti, calcari cristallini, calcari dolomitici e breccie calcari, la quale include le diabasi in Val G-rana ed in Val Maira, ba- sandomi : 1° Sulla sua posizione stratigrafica inferiormente al Permo-car- bonifero della regione, litologicamente distinto; 2° Sulla sua apparente concordanza con quel terreno in molti punti ; 3° Sulla presenza di resti fossili di cefalopodi, di gasteropodi e di lamelli branchi in roccie della formazione calcarea certamente in feriori alle diabasi. Ho inoltre espresso l’idea della probabile età devoniana della parte contenente i grandi banchi di breccie calcari che sottostà im- mediatamente al Permo-carbonifero, e che include buona parte delle lenti di roccie pirosseniche, tratto a ciò dall’assenza di indizi chiari di interruzione nel deposito tra il Permo-carbonifero ed i calcescisti sottostanti. La roccia di M. Albergian favoritami per studio dal collega Mat- tirolo, che è una diabase metamorfosata in anfìbolite massiccia, ci indicherebbe l’esistenza delle diabasi in punti stratigrafìcamente molto bassi nella zona delle pietre verdi, e le analogie di certe roccie anfi- bolitiche e prasinitiche con quelle che abbiamo accertato derivare dalle diabasi, ci inducono a credere la distribuzione di queste roccie estesa a buona parte della zona delle pietre verdi , della quale una parte finora non delimitabile, potente almeno 2000 metri, è certamente paleozoica. Riepilogo. — Riassumendo quanto venne detto in una tabella che indichi lo stato attuale delle ricerche, ancora molto incomplete, avremo : 1 Non è però ancora dimostrato che il Permo-carbonifero non possa com- prendere una parte dei calcescisti che in molti punti sottostanno agli scisti, che generalmente vi sono attribuiti, in perfetta concordanza. Roccie primitive Roccie metamorfiche derivate con poco o punto dei minerali primitivi i basiche con olivina | Zoisititi anfìb diche e granatifere con talco. Id. anfiboliche e micacee (mica bianca). Zoisititi anfiboliche con gasta’dite o con sma- Eufotidi \ i senza olivina > ragdite. , Scisti anfibolie! con fuchsite. f Granatiti diallagiche. 1 1 acide . Id. anfiboliche con gastaldite. J Prasiniti con o senza gastaldite. i basiche \ Id. cloritiche ed anfiboliche. | Id. anfìbolitiche. Anfìboliti prasinitiche. 1 Diabasi , 1 i | Id. sodiche epidotiche. 1 ) acide . 1 Id. id. 1 . . . . Prasiniti essenzialmente felspatiche e fel- spatiti Le zois ititi, le granatiti, prasiniti e le anfìboliti possono contenere qualche resto del pirosseno o del felspato primitivo; tutte indistinta- mente possono essere massiccie o scistose o scistoso-zonate ; quelle pro- venienti dalle diabasi, e specialmente le anfìboliti, possono anche es- sere fìlladiche. Le varietà massiccie delle prasiniti e delle anfìboliti per la loro struttura ricordano soventi ancora la roccia primitiva, non così quelle scistose che non hanno più nessun carattere esterno comune. 1 Queste anfìboliti piglieranno il nome del minerale finora indeterminato di cui già si dettero i caratteri. CL De-Stefanl — II bacino lignitifero di Borgotaro . (Con due tavole) Canni storici. — Secondo quanto narra il Leonardi-1 dal qua1 e ricavo in gran parte questi cenni, pare che fino dal 1837 il prof. An- drea Piroli notasse l’esistenza di strati lignitiferi nella valle del Taro. Delle sue scoperte fu fatto rapporto dal Morandi il 21 febbraio 1848 e dal prof. Zilioli il 13 dicembre 1843 al governo ducale di Parma e Piacenza, ed un estratto ne venne pur pubblicato più tardi 2. Il Piroli fece varie ricerche sui luoghi, si rivolse per analisi e consigli ad alcuni scienziati 3 4, e, fatta società col banchiere Ponti dì Piacenza, chiesta la concessione, chiamò l’ingegnere Haierman che fece alcuni lavori nel canale di San Martino presso Borgotaro. Però, chiesto parere al Curioni, questi concluse « che le cose da lui osser- « vate avevano un interesse più scientifico che industriale », talché dopo aver gettate circa 25 mila lire, fu lasciata decadere la conces- sione già ottenuta con decreto 31 marzo 1857 \ Nel 1863 essendo rincarato il carbon fossile, il colonnello Leo- nardi, direttore della Regia Fonderia d’ Artiglieria in Parma, tornò con altri a visitare quei giacimenti, fece analizzare la lignite al pro- fessor Cauda 5, poi al Bombicci 6 ed al prof. Penny dell’ Università di Grlasco v 7, ed ottenne, con decreto prefettizio 22 agosto 1865, tre 1 Leonardi, Cenni storici intorno alla miniera di combustibile fossile nel V aitar ese parmigiano. Parma, 1884. 2 Nuova Enciclopedia popolare. Supplemento, voi. IV- V. 3 Leonardi, Cenni storici, ecc., pag. 4, Allegati A e B. 4 Loc. cit., pag. 5. 5 Leonardi, Cenni storici , ecc., pag. 6, Allegato C. A. Sobrero (R. Acc. delle Scienze in Torino. Adunanza 9 maggio, 1869). Cauda, Di un nuovo combustibile fossile italiano (Atti della R. Acc. delle scienze in Torino, voi. IV, pag. 638). 6 Leonardi, Cenni storici , ecc., Allegato D. 1 Loc. cit., Al’egato E. — 206 concessioni di ricerca sopra una superficie di 1200 ettari. Nei primi di settembre 1867 furono ripresi i lavori di ricerca e con la lignite estratta nel canale di Grànica presso Borgotaro, la sera del 21 novembre 1867, furono illuminati con buon risultato la città ed il teatro comunale di Piacenza *; come altre esperienze furono fatte poi dalfing. GilardinL Ispettore dell’illuminazione della città di Milano 1 2, e la sera del 14 agosto 1868 fu illuminata la città di Spezia 3. La Società che faceva gli scavi si era costituita legalmente il 1° luglio 1868 ed aveva chiesto un parere all’ing' Crescenzo Montagna, il quale aveva già diretto la miniera di lignite di Agnana in Calabria. Questi non escluse le spe- ranze di buon esito della miniera, notando però che al di fuori non apparivano traccie sufficienti e, come già aveva fatto per quella mio- cenica di Agnana, così dichiarò anche questa del Yaltarese apparte- nente al sistema carbonifero e contenente vera antracite 4. Però, dietro parere dell’ing. Zoppetti mandato a visitare i luoghi, il Consiglio delle miniere, con deliberazione 7 giugno 1869, riconosceva mancare le circostanze necessarie a dichiarare scoperta la miniera. Alcuni saggi consigli ed osservazioni di Quintino Sella, pubbli- cati nel 1869 nella Gazzetta di Torino , dettero luogo nello stesso gior- nale a repliche del dott. Battista, del prof. Riboli e di Crescenzo Montagna, persone tutte assai meno pratiche e disposte ad avere con- cetti esagerati e non veri sulla natura è sulla disposizione degli strati nel bacino. La polemica fu stampata a parte in un opuscoletto 5. Il 28 febbraio 1870 la Società confermava con atto legale la sua esistenza, mandava campioni della lignite all’Esposizione artistica in- dustriale di Parma, di quell’anno, e vi otteneva medaglia d’argento, 1 II Progresso , Piacenza, 27 novembre 1867, n. 79. Il Corriere Piacentino , Piacenza, 27 novembre 1887, n. 95. Leonardi, Allegato F. 2 11 Sole, Milano, 9 gennaio 1868. Leonardi, Allegato G. 3 Leonardi, Cenni storici , ecc., Allegato I. 4 C. Montagna, Parere sul deposito carbonifero di Borgotaro, 21 agosto 1838 (in Leonardi, Cenni storici , Allegato H ). 5 Sul combustibile italiano : Lettera del comm . Quintino Sella al prof, de- putato P. Torrigiani, e risposta del dott. Luigi Battista al prof. Timoteo Ri- boli (Estratto dalla Gazzetta di Torino , n. 885, 337 e 338). Torino, Tipografia letteraria, 1869. — 207 — faceva pubblicare alcune notizie ne’ giornali \ e nel settembre 1872 chiamava a visitare il bacino l’ing. Strange, il quale ne faceva spe- ciale rapporto 1 2. Altro rapporto si ha dell’ing. Bauer 3 4, il quale di- resse gli scavi dal 1871 fino all’ottobre 1873, nel quale periodo, per analisi, lavori ed altro, si spesero, dicesi, 120 mila lire *. Una nuova visita dell’ing. Bonacossa, nel 1873, non potè modifi- care la deliberazione del Consiglio delle Miniere, sicché i lavori fu- rono abbandonati. Il governo rimandò sui luoghi l’ing. Zoppetti nel 1882, tanto per contentare chi richiedeva nuovi studi. Approssiman- dosi l’apertura della ferrovia Parma-Spezia il colonnello Leonardi, nel 1884, richiese la concessione, che passò poi al signor Antonio De Por- nari il quale tuttora la mantiene. Nel 1891, nel 1893 e nel 1894 il ba- cino ed i luoghi adiacenti furono visitati da me, e gli studi da me fatti mi hanno condotto ad escludere in modo sicuro la presenza di lignite in quantità utile ad essere scavata. Nel 1893 il bacino fu vi- sitato anche dall’ing. Toso. Estensione del bacino. — Il bacino (Vedi Tav. Ili) si estende fra il Taro a Sud ed il Ceno a Nord ed è confinato ad Est dalla parte alta delle vallate del Testanello, della Mozzola e della Fèssola, e ad Ovest dalla Varàcola fluente al Taro, e dalla No veglia che va nel Ceno. Il bacino appartiene in gran parte alla provincia di Parma e in breve tratto a quella di Piacenza. Per procedere con ordine esporrò prima la situazione stratigra- fica del bacino e farò l’esame delle roccie più antiche circostanti, la cui osservazione ci aiuterà assai nel determinare l’età del bacino stesso. Roccie antiche circostanti. — I. Le roccie più antiche appaiono di là dai monti, nel versante della Magra, in fondo alle vailette della G-ordana e della Mangiola. Sono roccie titoniche con Aptychus e Be - lemnites , e neocomiane con abbondanti fucoidi, formanti due piccoli affioramenti, alle quali, intorno Pontremoli, alla Costa, secondo le sco- perte del Cocchi, si aggiungono arenarie della Creta superiore con Inoceramus Cri p sii Mant. 1 Leonardi, Cenni storici , eco., pag. 9, Allegato M. V Industriale, Milano, 4 settembre 1891, Anno T, n. 9. 2 Leonardi, loc. cit., Allegato L. 3 Loc. cit., Allegato N. 4 Loc. cit , pag. 9. — 208 - II. Questi terreai sono coperti qua e là da scogli di calcare num- mulitico, rappresentante non dubbio della parte più antica dell’epoca terziaria, e probabilmente della parte inferiore dell’Eocene medio a Nummulites complanata. Succede l’altissima serie di arenarie, le quali, discendendo pur nel versante del Taro, formano il G-ottero e gli alti monti Zuccone e Orocco a settentrione di esso, non elle la parte ele- vata delle valli del Tarodine e del G-otra, mentre in lembi separati ri- compaiono nella massa del Molinatico. Queste arenarie mancano di fos- sili atti a precisare da soli la cronologia; ma per la sovrapposizione al calcare nummulitico e per le osservazioni fatte altrove sono da attribuirsi all’Eocene medio \ III. In parte equivalenti, in parte superiori alle arenarie sono i calcari marnosi ad Helminthoida labyrintliica H., dei quali si ha esempio a valle di Borgotaro, tra Solignano e Cassio, nel prolungamento di quella serie calcarea che venendo dalle valli della Trebbia, del Mure, dell’Arda, vi costituisce i monti Pareto, Albareto, Dosso, Carameto 1 2, IV. Ai detti calcari ed alle arenarie succede la formazione delle argille scagliose o galestrine, bigie, rosse, verdi, nere od altrimenti co- lorate, contenenti qua e là arenarie e calcari compatti identici agli alberesi toscani; tanto nota pei franamenti continui e pericolosi cui dà luogo, e dei quali pur troppo tanti esempi antichi e recenti si ve- rificarono anche nelle vicinanze di Borgotaro. In questa formazione, attribuita all’Eocene superiore, si trovano pure le serpentine, a volte cuprifere, tanto frequenti in alcuni punti della valle del Taro. 1 L’arenaria, presso Firenze, secondo studi ancora inediti del dott. Mari- nelli, contiene Nummulites Lucasana Defr., N. Tchiliatcheffi D’Arch. var., N. Beaumonti D’Arcli., N. subbeaumoriii De la H., Assilina. Le recenti osservazioni farebbero creder preferibile la mìa antica opinione, per a quale equiparavo l’arenaria fiorentina a quella dell’Eocene medio del rimanente Appennino set- tentrionale, opinione che avevo abbandonato per seguire quella del Lotti che che la riteneva più antica. 2 Se questi calcari, come' ora dubito, sono proprio equivalenti a quelli stessi ad Helminthoida dei dintorni di Firenze, apparterrebbero alla plaga del- l’ Eocene medio con Nummulites curvispira Mgh., N. subirregularis De la H., N. irregularis Desh., Operculina, Assìlina , Alveoima, ecc. (0. Marinelli, Il calcare nummulitico di Villamagna presso Firenze. Boll. Soc. geol. it., XIII, 1895). Le specie di Nummulites distinguerebbero spesso delle plaghe di profondità di- versa, piuttosto che delle zone cronologiche differenti, poiché fuori dei dintorni di Firenze le dette specie dei calcari trovansi sotto e non sopra a quelle delle arenarie già indicate. - 209 - Le dette roccie, affatto sterili, segnano nettamente i limiti del ba- cino contenente traccie di lignite; ma per meglio comprendere la si- tuazione del bacino, accennerò anche l’andamento degli anticlinali cir- costanti formati dalle predette roccie antiche, rimettendomi, per mag- giori schiarimenti, ad altro mio lavoro \ A ponente si dilunga, con direzione da N.N.O a S.S.E la piega (N. Uh che dipartendosi da Monte Orocco e da Monte Zuccone seguita pel Gottero e pel Cornoviglio alle Alpi Apuane : è regolare, lunga, piuttosto ampia, ed ha per nucleo l’arenaria eocenica. A mezzogiorno del Taro si estende la piega regolare, isolata, e quasi circolare, dei monti di Pontrèmoli (N. 18), costituita pur quasi in massima parte d’arenaria. Finalmente a levante ed a settentrione si trova la piega N. 6, diretta molto obliquamente sulle precedenti, che ha per nucleo i calcari ad Helminthoida dell’Eocene medio e che, principiando ai Qua- drelli sulla Trebbia, con andamento irregolare traversa il Nure e il Piglio, e si alza nel Monte Moria diretta da N.O a S.E, poi va al Monte Carameto diretta a Sud, poi al monte Dosso e a Solignano sul Taro diretta quasi da O.N.O ad E. S.E. Le dette pieghe racchiudono come un amplissimo triangolo occu- pato dalle roccie sedimentarie ed eruttive dell’Eocene superiore, e in mezzo a questo triangolo, fra il Ceno ed il Taro, si trova il bacino lignitifero, formato da roccie più recenti, il quale dunque è un vero e proprio sinclinale. Roccie del bacino. — Le roccie del bacino lignitifero sono esclu- sivamente schisti marnosi assai calcarei, talora un poco galestrini, più o meno distintamente stratificati, bigi, cenerognoli, cerulei, verdastri, prevalenti talora da soli negli strati inferiori, ovvero alternanti con arenarie bigie, cenerine, raramente verdognole, le quali talora passano a veri conglomerati poco cementati, contenenti ghiaiette, grosse fin quanto una nocciola, di calcari compatti, apparentemente eocenici, di serpentine, di diaspri rossi, di quarzo e di micaschisti aventi carattere alpino. Le arenarie contengono pure spesso piccole glebe ellissoidali di schisto. Le alternanze fra gli schisti marnosi e le arenarie sono regola- rissime (Vedi Tav. IV, Fig. 3, 5, 7); per lo più gli straterelli alternanti 1 C. De Stefani, Le pieghe dell' Appennino fra Genova e Firenze (Cosmos, Torino, S. II, voi. XI, 1892). - 210 - hanno pochi centimetri d’altezza, ma talora gli schisti dominano da soli per molte diecine di metri, e tal’altra si intercalano banchi dJ arenaria più o meno grossolana, alta fino 6 metri e piu (Tav. IV, Fig. 8, 10). Questi banchi così alti dominano specialmente nella zona inferiore, ma non mancano pure al di sopra. Essendo il terreno lignitifero sovrapposto regolarmente e senza apparente interruzione ai galestri eocenici, per le circostanze strati- grafiche potrebbe appartenere alla parte più alta dell’Eocene superiore. Il Toldo non lo distingue dall’Eocene recente *. Il Sacco, il quale ha delimitato il bacino con molta esattezza ed ha fatto di questa parte dell’ Appennino la migliore carta litologica che finora si conosca 1 2 3, pose gli strati esterni, specialmente argillosi, per poca altezza, nel Barto- niano, cioè, secondo il suo intendimento, nella parte più alta dell’Eo- cene, successiva al Parisiano con Kummulites complanata , e gli altri strati, costituenti la massima parte del bacino, nel Tongriano o Mio- cene inferiore. Però gli strati argillosi non sempre hanno una situa- zione stratigrafica diversa dagli altri; perciò una distinzione di età fondata sulla sola diversità litologica mal reggerebbe: inoltre, appar- tenendo già alla parte più alta dell’Eocene le argille galestrine, le altre roccie sovrastanti, ben lungi dal rappresentare tutto il così detto Bartoniano del Sacco, potrebbero scendere tutt’al più all’estremo più alto di esso. Il Trabucco, più esatto negli ordinamenti cronologici e meno nella limitazione delle roccie, attribuisce tutto il bacino all’ Aquitaniano % terreno mal conosciuto nell’Appenino, o, in altri termini, al Miocene inferiore. . Però l’opinione che attribuisce il bacino al Miocene inferiore, non è di per sè più sicura di quella che lo pone nell’ Eocene superiore, poiché i terreni fossiliferi del Miocene inferiore, tanto comuni attorno all’ Appennino più a settentrione, hanno tutt’altri caratteri litologici. Con questi terreni del Yaltarese hanno molta affinità quelli della Val di Sieve e della cresta principale dell’ Appennino fiorentino, ma anche 1 G. Toldo, Carta geologica della provincia di Piacenza. Piacenza, Fagioli. 2 F. Sacco, Carta i geologica dell' Appennino settentrionale (Parte centrale). Torino, Bocca, 1891. 3 G. Trabucco, Carta geologica della provincia di Piacenza \ (senza data). Cronologia dei terreni della provincia di Piacenza. Piacenza, Bertola, 1890, pag. 82. — 211 — questi nella parte inferiore mancano di fossili ben distintivi: essi stanno fra i terreni dell’Eocene superiore e quelli del Miocene medio. Ad ogni modo, per le circostanze stratigrafiche si può esser certi che il terreno lignitifero appartiene alla parte più alta dell' Eocene superiore o più verosimilmente alla più antica del Miocene inferiore , ed è sicura- mente terziario. Vediamo se l’esame dei resti organici possa dare qualche migliore schiarimento. Fossili e natura del terreno lignitifero. — I.I frammenti di li- gnite, i tronchi, ramoscelli o frustoli dei quali si vedono le impronte nella roccia, potrebbero dare qualche criterio più esatto per determi- nare l’età del terreno, quando fossero esaminati in sottili sezioni mi- croscopiche. Al più certe impronte nell’arenaria potrebbero interpre- tarsi come foglie di conifere, come pure qua e là trovai alcuni stro- bili. Altri esemplari sono evidentemente dicotiledoni di vari generi e tutti cotali resti sono altrettanto evidentemente di origine terrestre. Altri fossili finora non erano stati trovati : ma io ne trovai pa- recchi, i quali, sebbene non bastino a determinare in modo assoluto l’età del terreno, sono più che sufficienti a chiarirne la natura. II. Sulla superficie degli schisti incontrai dovunque, sebbene non tanto abbondanti, impronte distintamente conservate di zoophycos , ge- nere ornai riconosciuto appartenente ad un’alga marina, il quale, co- minciando nel Siluriano, arriva fino nel Pliocene e probabilmente fino all’epoca odierna. Uno degli esemplari da me raccolti sulla sinistra del Vona è no- tevolissimo, perchè ha la base attaccata ad un frammento di legno carbonizzato, ciò che prova come esso non abbia abitato sul fondo, ma abbia galleggiato lungamente sul mare. III. Altre impronte anche più frequenti per ogni dove sulla super- fìcie degli schisti marnosi, siano alghe, siano vermi, però ad ogni modo marine, sono quelle dell’ Eterodyction textum (Heer); la specie si trova nell’Eocene ma anche in altri terreni; il genere arriva dai più antichi terreni paleozoici, in alcuno dei quali è conosciuto col nome errato di Butothrephis , fino ai più recenti, e forse fino ad oggi. IV. Crii schisti marnosi sono talora pieni di piccole foraminifere, visibili solo nelle sezioni, in dubbiamente marine, appartenenti alle Globigerinidae , in particolar modo abbondanti ne’ mari piuttosto pro- fondi e meno vicini alle spiaggie. V. Sulle arenarie si trovano poi dappertutto (Gravago, Noveglia, — 212 — San Martino, Vona, Galleria De Martini, Brunelli, Trecoste, ecc. eco.) sulla superficie delle lastre, e spesso in numerosi individui, i tubi cilin- drici, schiacciati, del Bathysiphon apenninicus Sacco, genere di forami - nifera di grandi dimensioni, agglutinante, silicea, propria di mari profondi che si trova dalla Creta ad oggi, e specie nota nell’Eocene superiore della prossima valle del Ceno, come nel Miocene medio della Val di Reno, a Carpathos ed in altri luoghi. VI. Minore importanza hanno i rilievi e le vermicolazioni, dovute forse ad anellidi, o per lo meno allo strisciare di altri animali marini, dette volgarmente serpentoni , che si trovano sulle arenarie, al confine coll’argilla marnosa, ma che, specialmente quando non mostrano disegni superficiali in qualche modo complicati, sono comunissime in terreni di tutte le età. VII. Sono pure a ricordare i frequentissimi fori fatti nel legno e conservati anco dopo ch’esso divenne carbone, alcuni dei quali potreb- bero attribuirsi ad insetti, ma altri, per la forma loro, sicuramente appartengono alle Teredo che forano i legni galleggianti sul mare. Dicotiledoni, Zoophycos , Eterodyction , Globigerinidae, Bathysiphon, Vermicolazioni, Teredini, non sono bastanti a determinare l’età precisa del terreno, come accade di altri terreni di consimile tipo, i quali, dai più antichi tempi fino ai più ‘moderni, conservano con meravigliosa affinità fossili affini. I resti predetti bastano però a provare nel modo più luminoso che il terreno lignitifero è d’ origine prettamente marina e che si è depositato non ad immediata contiguità del litorale, come del resto lo com- provano la tenuità e la scarsità dei conglomerati che qua e là si trovano . L’età del resto fu determinata con molta approssimazione me- diante la stratigrafia. Il nostro terreno così, fra gli altri terreni lignitiferi d’Italia, viene ad essere de’ più antichi, e precede quelli di Agnana in Calabria, di Zovencedo nel Vicentino, di Cadibona in Liguria, di Monte Massi in Toscana, non che altri ancor più recenti. Il Montagna 1 nomina gran numero di piante, le quali, secondo lui, apparterrebbero al Carbonifero e ravvicinerebbero il nostro ter- reno, come quello miocenico di Agnana, ai depositi carboniferi del- l’Europa centrale, dell’Inghilterra, degli Stati Uniti. Qualunque bota- 1 Parere sul deposito carbonifero , ecc., Loc. cit. — C. Montagna, Cenni storici sulla miniera di carbon fossile nel Valtarese. Piacenza, 1863. — 213 — nico o paleontologo, anche superficiale, si accorgerebbe facilmente che i nomi e le conclusioni proposte dal Montagna sono tutte assoluta- mente sbagliate. Disposizione e andamento degli strati lignitiferi. — La regione nella quale si estende il terreno lignitifero ha la sua maggiore lun- ghezza regolarissima da settentrione a mezzogiorno, dal Ceno al Taro. Tale è pure dovunque la direzione degli strati (Vedi Tav. Ili, Fig. 1, 2). La loro inclinazione varia secondo i tratti, e secondo che vengano considerati nelle parti estreme della regione od in quelle centrali. A levante la pendenza è, con poche deviazioni locali, da Est o da S.E ad Ovest o N.O; a mezzogiorno lungo il Taro è verso Nord; a ponente, lungo i Vona, la Yaracola e la No veglia, è verso Ovest e N.O con qualche turbamento locale ; a settentrione lungo il Ceno è verso Sud. Insomma, dalle regioni laterali situate presso il confine coi terreni sterili sotto- giacenti, gli strati pendono ognintorno verso il centro. Le pendenze sono per solito deboli e non superano da una parte, come dall’altra, i 30°, se non in caso di movimenti molto eccezionali. Nella parte cen- trale, per grande estensione, gli strati sono affatto orizzontali, e tali per esempio appaiono nel Monte Santa Donna e lungo la cresta che separa il Yona dal Testanello e dagli altri torrenti, fino al fondo della valle, per l’altezza di più che 400 metri. E evidentissima , dunque , la disposizione del terreno lignitifero a ba- cino assai regolare, conseguenza dell’essere i suoi strati posti come di- cemmo, in un sinclinale. La notevolissima regolarità degli strati si può dire appena alte- rata da faglie abbastanza frequenti (Tav. IY, Fig. 5, 7.1, ma per lo piu superficiali, lungo il pendio delle vallate, e da contorsioni e spo- stamenti per vero dire molto forti talora, in ispecie sui confini del bacino, ma prettamente locali (Tav. IY, Fig. 3, 4, 9). Natura della lignite. — La lignite è intensamente nera, vellutata; ha lucentezza resinosa, polvere nera, lucente con lieve tendenza al bruno, frattura concoide ; si divide in frammenti irregolarmente po- liedrici. — Il peso specifico è: 1,838 secondo il Goretti 1 1,251 » Penny 2 1 Leonardi, Cenni storici , ecc., Allegato D, pag. 19. 2 F. Penny, Rapporto sopra V analisi di un campione di carbon fossile ri- cevuto il 10 dicembre 1869 dal signor H. L. Seligmann (in Leonardi, Loc cit.. Allegato E , pag. 21). o — 214 - Nel fuoco si accende prontamente e brucia presto con fiamma viva e brillante, ma talora fuliginosa. Un frammento bruciato nella fiamma ad alcool diviene tuberco- loso, si rigonfia, acquista un volume quasi triplo e si riduce in coke leggero, nero, metalloide, friabilissimo. L’acqua perduta a 100° è ap- prossimativamente del 3 per cento. I prodotti volatili sono del 60 per 100. II potere calorifico espresso in calorie è 5924 (Goretti) 6404 (De Kramer) 1 6170 (De Fornari) 2. La composizione elementare, per cento parti in peso, dette ai vari osservatori i seguenti risultati: I. (Goretti). Carbonio 77X00 Idrogeno 6,000 Ceneri e ossigeno 17,COO 100,000 IL (De Kramer). Carbonio 82,110 Idrogeno 5,704 Azoto 5,400 Ossigeno 5,786 Cenere 1,000 100,000 III. (Penny). Carbonio fisso 48,950 Materie volatili 40,960 Acqua 1,400 Zolfo 1,690 Ceneri 7,000 100,000 1 Leonardi, loc. cit., Allegato B , pag. 14. 2 Analisi fatta per conto del signor Antonio De Fornari e da questi gen- tilmente comunicatami. - 215 — IV. (Analisi per conto di A. De Fornari). Carbonio 75,920 Idrogeno 4,720 Azoto .2,010 Ossigeno 5,180 Acqua 1,570 Zolfo. 2,190 Cenere 8,410 ~ÌC0,0G0 La lignite, se fosse in quantità, sarebbe dunque eccellente, pari a quelle migliori delle Maremme toscane. Fu fatta questione se dovesse chiamarsi lignite o litantrace. Per l’età è senza dubbio una lignite ; però per la composizione e per molte proprietà fìsiche risponderebbe al litantrace. Le esperienze fatte per la produzione del gas illuminante dettero, per ogni quintale, 25 metri cubi di gas, a Piacenza nel 1867 \ 21 a Milano nel 1868 % 25,124 alla Spezia pur nel 1868. Nell’esperienza fatta alla Spezia 1210 chi- logrammi di carbone distillato dettero metri cubi 304 di gas, chilo- grammi 550 di coke in pezzi agglomerati e 340 chilogrammi di coke in polvere 1 2 3. Modo di trovarsi della lignite. — Quasi in ogni strato, grande o piccolo, d’arenaria, trovansi traccie di lignite, le quali però non costituiscono materia combustibile. Esse abbondano specialmente nella parte meridionale del bacino, nel Yaltarese. Si trovano qua e là tron- chi fluitati, isolati, a volte lunghi vari metri e del diametro di 10 a 20 o 40 centimetri. Masse accumulate in banchi veri e propri senza commistione dì materie estranee non se ne trovano mai o casual- mente per brevi tratti. Bensì trovansi straterelli e banchi alti da 2 a 3 decimetri fino a circa 1 metro, nei quali i tronchi isolati sono diffusi e spersi per tutta l’altezza del banco in mezzo alle arenarie ed allo schisto, i quali, per quantità, sempre predominano (Tav. IV, Fig. 5, 6, 9). Le accumulazioni di questi tronchi e stecchi isolati sono assai 1 Leonardi, loc. cit., Allegato F , pag. 25. 2 II Sole, Milano, giovedì 9 gennaio 1868. Leonardi, loc. cit., Allegato G, pag. 28. 3 Loc. cit., Allegato I, pag. 38 e seg. — 216 — più frequenti nelle arenarie ; ma sono talora più alte e direi più con- centrate nello schisto marnoso. Per solito quando apparisce un tronco- carbonizzato, sulla superficie del medesimo banco che lo contiene se- guitano altri tronchi per lunghi tratti. L’esame di alcuni degli affioramenti, a mo’ d’esempio, lo com- proverà meglio. I. La galleria De Martini (Fig. 5, 7), costruita per la ferrovia Parma- Spezia, la prima a valle di Borgotaro, traversa gli schisti e le arenarie* per alcune centinaia di metri. Gli strati sono poco inclinati, anzfi all’imboc?o Borgotaro sono quasi affatto orizzontali prima, poi alla, finestra 4a da Parma pendono di 25° a S.78°0. giacche siamo più. vicini alla parte orientale del bacino. Verso la 1' finestra e l’entrata Parma pendono all’incontrario, ovvero circa 34° ad O.30°N., sicché anco in quel punto essi formano una debole conca o bacino, e si pud ritenere che la galleria segua gli strati quasi secondo la loro direzione, per modo che essa ne taglia una parte solo per l’altezza di qualche diecina di metri. Vi si trovarono nell’arenaria in parecchi punti tronchi lunghi anche 1 metro e del diametro di 1 decimetro o poco più, e lenti di 4 a 6 e fin 12 centimetri, specialmente nel tratto contiguo alla la fi- nestra da Parma ; ma nulla più. Si vedono frequenti ma scarse traccia nei numerosi rigetti fuori delle 5 finestre. L’arenaria abbonda più de- solito perchè gli strati sono quelli inferiori del bacino ed immediata- mente sovrastano, per pochi metri, ai galestri sterili sottostanti, cotanta estesi sulla destra del Taro. II. Lungo il torrente Vona ed i suoi piccoli affluenti di destra ci troviamo più vicini alla regione occidentale del bacino, mentre sulla sinistra siamo nella parte centrale. Infatti nel fondo del detto torrente,, sulla sua destra, poco lungi dal Taro, le pendenze sono di 30J a N.- 19° E , e circa mezzo chilometro più in su sono pur di 30’ ad E.10°S.r quantunque salendo ancora si notino altre deviazioni e pendenze al Nord. Uno straterello alto circa 1 decimetro di lignite e d’arenaria, naturalmente senza importanza industriale , trovasi appunto sulla* destra del Vona, circa mezzo chilometro più in su del suo sbocco nel Taro. Un’altra lente limitata, con lignite alta 15 centimetri, è poco lon- tano, ma sulla sinistra (Fig. 9). Risalendo lungo il torrente di S. Martino, che è dei principali e più bassi affluenti a destra del Vona, ed è una delle vallette nello quali si manifestarono maggiori traccie, troviamo, presso la sua entrata- - 217 — nel Yona, lenti assai interrotte dall’arenaria, alte 7 a 9 centimetri; mi- nori straterelli sono più su o più giù. Il torrentello, in basso, seguita per un pezzetto l’andamento degli strati arenacei e della lignite ivi pendente 28° a E.40°S., turbata da frequenti ma limitate faglie. Questo straterello medesimo, secondo me, ricomparisce sulla sinistra del Yona, poco sopra 1’incontro del Canale di S. Martino, con lenti interrotte a 2 o 3 riprese e con estensione ancor minore. Seguitando il torrentello di S. Martino, poco sopra lo strato pre- cedente, ad una cascata, è altra lente, sovrastante circa 100 metri alla precedente, con tronchi isolati, alta al massimo 15 centimetri e pen- dente IO9 a N.85°E. Altra piccola lente, alta al più 18 centimetri, e per lo più 11 centimetri, è in mezzo agli strati quasi orizzontali, leg- giermente pendenti di 14° a N.SO’E. nel Rio Secco, a settentrione della cura di San Martino, ad altezza di circa 100 altri metri sopra la lente precedente del Canale di S. Martino: una piccola lente mi- nore, di 4 a 5 centimetri, è 1 metro più in basso. III. Il fosso di Grànica scende al Taro presso 1’ entrata Parma della galleria ferroviaria De Martini. Pili corto e parallelo al Yona, esso solca la parte centrale del bacino, i cui strati, perciò, sulle due sponde di esso, e fra esso e il Yona, sono quasi perfettamente orizzon- tali. In fondo al torrente, sulla destra, al luogo detto Lombasino, sotto Yadonino, sono nell’arenaria traccie di lignite in scarse lenti interrotte, alte 10 a 12 centimetri. Circa 100 metri più alto, alla quota di circa 650 metri, a S.O di Yadonino, negli strati orizzontali, quasi soltanto schistoso -argillosi, è il banco principale che io abbia visto (Fig. 6). E alto 79 a 97 centi- metri ed è pieno di lenti alte talora 1 decimetro e di piccoli tronchi •di lignite, quasi tutti forati da teredini, che però non formano uno strato compatto, ma sono isolati da materie argillose, talora anche un poco arenacee : alcuni tronchi sono alti 12 centimetri e lunghi 24. Nella parte più alta dello strato la lignite è più unita, e, mista a ma- terie terrose, raggiunge talora l’altezza di 24 centimetri. Uno strato ■compatto e più continuo degli altri è alto metri 0,055. Traccie consimili si ripetono a No veglia, Gravago, Trecoste, Pizzo d’Oca, Porcigatone, Costa, Tiedoli, Brunelli, Mariano, e dovunque. Da tutte le osservazioni fatte alla superficie risulta dunque che le traccie della lignite sono diffuse ma scarse e che non si trovano mai banchi di combustibile alti ed estesi. Cenno sui lavori di ricerca. — I lavori di ricerca alquanto prò- - 218 - fondi, fatti fino ad oggi, furono i seguenti, nel comune di Borgotaro: 1° Lavori a cielo scoperto, sulla sinistra del Vona, a S. Pietro accennati dall’ing. Bauer. Yi si scoprì, dice il Bauer, ma è cosa da ac» cogliersi con riserbo e di cui non si vede più traccia, uno strato di carbone alto 40 centimetri che presentava in certi punti un’altezza di più d’un metro 1 2. 2° Un pozzo aperto prima del 1868 alla foce del torrentello di Grànica sul Taro, profondo, dice il Bauer, 84 metri \ Fu aperto nell’are- naria sui margini del bacino ed entrò quasi subito nello schisto nera che ne forma il substrato e che apparisce scoperto anche immediata» mente sulla destra del Taro. A 67 metri traversò metri 1,80 di cal» care 3. Quel pozzo perciò fu affatto inutile, quantunque consigliato da. quasi tutti gl’ingegneri che si succedettero, fuor che dal Sella 4. 3° Galleria aperta dal Bauer prima del 1872 presso Vadonino. in alto sulla destra del Canale di Grànica, negli strati già descritti. Se ne ricavò una ventina di tonnellate di lignite, dice il Bauer. Un’altra galleria contigua, diretta a 0. 60’ N., lunga metri 10, larga 2r alta 1,80, fu aperta dal signor De Fornari e costò lire 40 per ogni metro lineare, cioè lire 12 per metro cubo. E il miglior lavora fatto anche dietro consiglio del Sella. Tre buche fatte dal Leonardi entro strati arenacei con piccole lenti sono a destra dello stesso tor» rente, più in basso, presso Lombasino. 4° Pozzo aperto prima del 1868 sulla sinistra del Vona, profonda 20 metri, aperto a caso entro terreni nei quali nulla più si vede delle solite traccie. 5° Saggio sulla destra del fosso di San Martino, profondo, dice il Bauer, 60 metri. Per almeno 7 od 8 metri traversò superficialmente terreno franoso, avventizio, con spesa inutile ; inferiormente incontra forse il piccolo banco più basso notato sul Rio di San Martino ; il banco superiore, notato alla cascata, non dovette essere traversato per- chè sulla destra del torrentello fa un’ardita curva e si rialza esterna» mente al punto del saggio. 1 G. Bauer, Rapport sur la mine de Borgot ro. Situation a la fin de Vannée 1873 (in Leonardi, Cenni storici , ecc., Allegato N). 2 Loc^ cit 3 Risposta del dottor Luigi Battista al professor Timoteo Riboli (Sul com- bustibile italiano ecc,, pag. 25). 4 Sul combustibile italiano , ecc , pag. 8. BolLdel R. Coirai, geol. d'Italia Anno 1895.TavIE.(CDe Stefani) CARTA E SEZIONI GEOLOGICHE DEL BACINO DI BORGOTARO r/ Fori rii Va do nino . e. Pozzo di Granirà . .illuvioni- recenti ■ Armario r argille eoa lignite f Miocene inferiore ). ò Serpentina . y Granito cloritieo. yt Gmglotnerato o/lolitico. oc Diaspri rossi . /? Diabase rosso. Galestri e calcari ( ^Eocene snp.) |j||Ppp|j . Arenaria del- Boll. del R. Coirai., geol. d'Italia Anno 1895.Tav.IV (C.De Stefani) Fiq.J- Trincea sulla sinistra del Taro presso Tory o /aro. Fiy.4r. /. Terreno franoso superficiale 2. Argille alluvion ali recenti. _ 3. G/u aie a/lurionali Contorcimenti negli stilisti marnosi Arenarie e galestri con traccia di vegetali. _ ( Scala 1.’ 200 ) . a sinistra del Iona sotto la Cappella. Fiy.5. Fra la 3ae la ia finestra della Galleria J)e Jf ardiri ( linea Tarma-Barpotaro) /. Arenaria con lignite alternante in mezzo a strati di arenaria e galestro, con fàglia ondulata . _ ( Scala 1 •' 80 ) . F/ip. 6. _ Sezione di un tratto della Gal- Jeria (fi Yadonino o della Cappella . lenti di Ug/iite nello schisto arenaceo. _( Scala 1 ! 25). Ficp 7- — Alternanze di arenarie e galestri, con Taglie alla quarta finestra della Galleria BeMartini f linea Tarma - Borgo taro ). Big. IO. Sezione sulla destra del torrente Vona sotto Torri. t. Arenaria dir riposa sopra t. lenti di lignite nell ‘arenaria coperta da ? Alternanze di arenaria e galestri ■ ?. Tetra vegetale ._( Scala Li 300) . /. Alasse d’arenaria isolate nel t . Galestro . _ ( Scala 1 ! 1000 ) — 219 - Conclusioni. — I detti lavori di ricerca, salvo la galleria di Va-' donino, sarebbero stati assolutamente da condannarsi perchè inutili e vani o non destinati a rivelare maggiori cose che non si vedano alla superfìcie del suolo. I soli lavori possibili avrebbero potuto essere al più saggi in luoghi ben scelti, là dove si vede più di una lente sovrapposta, o brevi gallerie dove le lenti sono meno del solito ristrette e discontinue. Ma, indipendentemente da ogni saggio fatto, i terreni del bacino, come si disse, poco disturbati dalla posizione loro originale, sono per estesi ed altissimi tratti scoperti lungo tutte le pendici delle valli e per tutta la loro altezza superiore spesso a 400 metri, sicché poterono essere esplorati minutamente per lungo e per largo da tutti i cerca.- tori, i quali non vi trovarono maggiori traccie di lignite di quelle accennate a suo tempo. Ora cotali cognizioni, messe insieme sopra strati e banchi sì profondamente sventrati dalle acque e sì estesa- mente intaccati da tutti i lati e ad ogni possibile angolo sull’orizzonte, superano incomparabilmente tutto ciò che si potrebbe venire a cono- scere col mettere a scoperto pochi metri quadrati mediante pozzi, tri- vellazioni o gallerie. E dunque da ritenere con sicurezza che neppure nell’interno della montagna , neppure mettendo allo scoperto tutto intiero uno de’ banchi li- gnitiferi, si troverebbe materia sufficiente per una escavazione, e che ogni saggio ed ogni ricerca profonda è completamente inutile. In conclusione, quantunque il bacino sia abbastanza antico, assai regolare, e contenga frammenti di buona lignite ; pure questa è troppo scarsa, limitata ed impura, forse perchè fu depositata non in un lago od in un estuario, ma nel mare e a qualche lontananza dalla spiaggia; perciò non dà alcuna speranza di utilità industriale. Y. B. Lotti. — Sulle condizioni geologiche della sorgente termale di Vignoni, presso S. Quirico d'1 Orda ( provincia di Siena). In una nota inserita nella Zeitschrift fur praktische Geologie , N. 10, 1893, nella quale esponevo i risultati delle osservazioni geologiche sulle sorgenti termali della Catena Metallifera, giunsi alla conclusione che queste manifestazioni endogene si trovavano in prossimità ed — 220 - anche spesso esattamente al contatto del terreno eocenico con quegli affioramenti sporadici di roccie secondarie che compariscono qua e là isolati in mezzo ad esso e che appunto costituiscono i resti di quel- l’antica catena litoranea. Così quelle dei Bagni di Lucca scaturiscono a piccola distanza dalla cupola secondaria della Val di Lima; quelle della Val di Nie- vole trovansi presso la base delle due isole secondarie di Monteca- tini e di Monsummano; quelle dei Bagni di S. Giuliano al piede oc- cidentale del Monte Pisano; quelle di Casciana in prossimità d’un esiguo affioramento di roccie secondarie, solo da poco tempo segna lato dallo scrivente (Proc. verb. Soc. Tose, di Se. nat., Y, 1886) ; quelle di Canapiglia Marittima pure alla base occidentale di quel gruppo basico. In condizioni analoghe trovansi poi le sorgenti temuti del Frassine in Yal di Cornia, quella di Gavorrano, quelle delle Calda- nelle, dei Poggetti, di Roselle e di Talamone presso Grosseto, quelle di Petriolo e del Ponte a Macereto nel Senese, quella di Canino, in provincia di Roma, quelle di S. Casciano, di Chianciano, di Rapolano e di Montal- ceto nella catena interrotta del Monte di Cetona; finalmente quella di San Filippo, presso il Monte Amiata, non che i gruppi di soffioni boraci - ièri della Yal di Cecina, di Monterotondo e di Travale, i quali altro non rappresentano che una manifestazione più violenta dello stesso fenomeno idrotermale. Feci notare inoltre come facessero eccezione alla regola generale le condizioni geologiche della poderosa sorgente termale di Yignoni in Val d’Orcia, la quale sembrava scaturire in mezzo a roccie eoce- niche, senza alcuna relazione manifesta con affioramenti secondari. Allora invero non si era peranco proceduto dal R. Ufficio Geo- logico al rilevamento di quell’area e le notizie che di essa si avevano erano quelle fornite da vecchi autori o raccolte in fugaci escursioni di recognizione eseguite dallo scrivente. Intorno a questa sorgente infatti dominano le roccie sedimentarie eoceniche con qualche masse- rella di serpentina e di oficalce, non che il travertino depositato dalla sorgente stessa. Avendo però compiuto nell’anno decorso il rilevamento in grande scala della tavoletta di Montalcino, nell’area della quale comparisce la sorgente in parola, fui oltremodo sorpreso e lieto al tempo stesso di trovare alla distanza di forse 310 metri ad Ovest della sorgente, sopra un lato di un’insenatura del monte, presso le Coroglie, una completa serie di roccie secondarie. L’area occupata da queste roccie - 221 — non supera 15 ettari, e devesi appunto alla esiguità di questo affiora- mento ed alla sua situazione topografica se esso era sfuggito finora all’osservazione dei geologi. La serie secondaria di Vignoni è costituita come appresso dall’alto in basso: 1° Calcare nummulitico; 2° Scisti argillosi variegati e calcari rossastri del Senoniano; 3’ Diaspri grigi, verdi e giallastri del Lias superiore; 4° Calcari grigi con spalmature argillose rosse del Lias medio; 5° Calcari grigio-cupi in parte stratificati, in parte massicci, del Lias inferiore e forse anche del Retico. L’Eocene ed il Senoniano sovrappongonsi indifferentemente e con discordanza su' tutte le altre formazioni più antiche, le quali nell’in- sieme costituiscono un piccolo uniclinale avente gli strati inclinati verso SE. Io non rinvenni fossili in queste roccie, ma la loro analo- gia perfetta con roccie corrispondenti di tutta la Catena Metallifera non solo, ma anche dei piccoli gruppi vicini, abbondantemente prov. visti di fossili, dei dintorni di Montepulciano e del Monte Zoccolino presso San Filippo, non lascia alcun dubbio sulla loro cronologia geologica. E degno di nota il fatto che proprio al piede occidentale di questo piccolo scoglio secondario, presso le Coroglie, stendesi un’ampia co- perta di travertino che va a congiangersi con quella del Bagno di Vignoni, e che vi si osservano tuttora i residui di un antico fenomeno idrotermale nelle esalazioni di vapori caldi che sviluppansi ad inter- valli dal terreno circostante. A non molta distanza, a Nord di Pienza, presso Saat’Anna, vi è una sorgente di acqua acidula a 30° C. che scaturisce da un cratere scavato nel travertino e sovrapposto alle argille plioceniche. Or bene, anche qui alla distanza di mezzo chilometro, presso la chiesa di San- t’Anna, affiora un isolotto di terreno liasico e retico. Così, dopo quanto è stato esposto, la legge della connessione fra le sorgenti termali della Catena Metallifera e gli affioramenti secon- dari isolati in mezzo a roccie dell’Eocene e del terziario superiore non soffre più alcuna eccezione. — 222 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ ANNO 1894 1 Arcangeli GL — Sul granito dell’isola del Giglio. (Atti Soc. toscana, Se. nat., Proc. verb., IX). — Pisa. Già il Pareto aveva osservato nel granito dell’isola del Giglio divisioni simulanti una stratificazione, ed attribuivate alla più facile decomposizione di numerose vene d’un granito a grana più minuta eli quello della massa e ricco in tormalina nera. Il dott. Arcangeli verificò il fatto di quelle divisioni in più punti dell’isola: ma crede doversi escludere la spiegazione del Pareto, per essere le vene di quello speciale granito irregolarmente disposte e in nessun rapporto con le divisioni; egli piuttosto ritiene debbasi cercarne la causa nella struttura della roccia che, lungo piani paralleli presenterebbe minor coesione, forse determinata dalla pressione o dalla esistenza di colate successive. Artini E. — Appunti di mineralogia italiana: antimonite di Cetine. (Rend. R. Acc. dei Lincei, III, 12, 2:) sem.). — Roma. Con materiale recentemente pervenuto al Museo Civico di Milano il dottor Artini ha potuto istituire l’esame cristallografico dell’antimonite della miniera detta delle Cetine di Cotorniano presso Rosta in provincia di Siena: ed ora rende conto dei risultati di tale esame. L’antimonite è, nell’esemplare studiato, in cristallini brillantissimi spesso terminati perfettamente, impiantata su ma- trice di quarzo compatto, e accompagnata da minuti cristalli di quarzo, calcite e gesso, imperfettamente sviluppati. Quanto al suo giacimento, l’autore riporta ciò che ne scriveva l’ing. Fabri nel suo rapporto inserito nella Rivista del ser- 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di località estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. vìzio minerario del 1888. Esso è costituito da un potente ammasso lenticolare, quarzoso e antimonifero, che trovasi al letto di una formazione calcarea rife- rita al Retico. In basso succedono degli scisti silicei permiani. L’ammasso quar- zoso, in alto presso il calcare, racchiude molte vene di calcite, aragonite e gesso ? e passa gradatamente al calcare. Il minerale è costituito prevalentemente da stibina ed è sparso in noduli, geodi, macchiette e piccole lenti : in alcune spac- cature però si presenta, per lo più allo stato di ossido, in vene ed incrostazioni. Baldacci L. e Viola C. — Sull1 estensione del Trias in Basilicata e sulla tettonica generale dell’ Appennino meridionale. (Boll. Com. geol., XXV, 4). — Roma. Un recente studio fatto nella regione lucana dagli ingegneri Baldacci e Viola, coadiuvati per la parte paleontologica dal dott. Di-Stefano, ha permesso di giungere a nuovi ed importanti conclusioni intorbo al Trias della Basilicata e alla tettonica generale dell’ Appennino meridionale. L’estensione del Trias è grande lungo l’Appennino meridionale : gli affioramenti della penisola sorrentina, di Salerno, dell’Avellinese, di Potenza, della valle dell’ Agri, di Lagonegro, Maratea e della Calabria settentrionale di- segnano quasi un semicircolo con la convessità verso l’Adriatico ( semicircolo tirreno)', essi fanno parte d’un unico sollevamento che dovette effettuarsi verso la fine del Cretaceo, prima del resto dell’Appeunino, mentre il nummulitico si deponeva specialmente a Sud. L’andamento generale del Trias è a pieghe anti- clinali, specialmente nei maggiori affioramenti meridionali dei Monte Papa, del Monte Volturino, dei Monti di Tito: fra i monti di Campagna e la penisola sorrentina è sollevato lungo una grande frattura diretta E-O. Seguendo la classificazione del Bittner per il Trias delle Alpi meridional :, il Trias è costituito dall’alto al basso dai seguenti piani: III. Dolomia princi- pale e calcari dolomitici ( Gérvilleia exìlis , Megalodus, Diploporae), talvolta calcari cristallini cerulei con intercalazioni di scisti argillo-calcarei con resti di. pesci; Ila. Scisti silicei variocolori a radiolarie, a fucoidi, con banchi e lenti di calcari compattissimi grigi, a liste e noduli di selce cornea ( Halobiae , Fosi- donomyae, ecc.); II&. Grandi scogliere di calcari biancastri, cerulei o grigi cri- stallini, intercalate negli scisti precedenti (madrepore, resti di echinidi, qualche turricolata, ecc.); IL Potente pila di calcari grigi compattissimi con liste e noduli di selce cornea e intercalazioni di scisti silicei ( Halobiae , Posidonomyae , Ammonitidi, ecc.). Il piano I mancherebbe nella regione: talora la dolomia III alla base è nera, bituminosa : forse gli scisti silicei dei piani Ila e II non sono veramente distinti dalla Dolomia principale, e dove mancano possono essere sostituiti dalla dolomia nera. I terreni basici e giuresi sono scarsissimi e pare stabilito il fatto quasi ge- nerale della diretta sovrapposizione del Cretaceo al Trias. Il terziario poggia — 224 — direttamente sul Trias o sul Cretaceo, ed il membro di esso più importante per potenza ed estensione è l’Eocene, di composizione litologica identica a quello nel resto dell’Appennino: in generale vi predomina la facies arenacea nelle parti più elevate della serie, mentre nelle parti interiori predominano gli scisti ar- gillosi passanti ad argille scagliose variegate, con intercalazioni di calcari al- beresi e calcari a piccole nummuliti. A due livelli differenti dell’Eocene superiore del Cilento si hanno conglo- merati ed arenarie costituiti da elementi provenienti da roccie cristalline ar- caiche e, per i conglomerati, anche da calcari secondari. Alle roccie già nume- rose che il Deecke riconobbe in questi conglomerati, gli autori ne aggiungono varie altre. Considerando poi la disposizione dei vari lembi di conglomerati sui due versanti dell’Appennino, si deve riconoscere che al momento della loro forma- zione non solo l’ Appennino era già sollevato, ma dovea essere fiancheggiato da due catene di roccie cristalline che staccandosi dalla Calabria dirigevansi l’una verso N.O, estendendosi alli penisola sorrentina e più a Nord, e l’altra verso N.E. arrivando presso al Vulture. Baratta M. — Intorno ai recenti fenomeni endogeni avvenuti nella re- gione etnea. — Roma, 1894. L’autore si propone di fare in questa nota un esame sommario, mantenuto quasi esclusivamente nel campo della induzione e dei confronti, dei fenomeni endogeni manifestatisi nella regione etnea neH’agosto 1894; nel quale mese terremoti fortissimi e di gravi conseguenze, accompagnati da altri minori, col- pirono in modo speciale una parte deH’imbasamento del vulcano. Egli dà in una cartina l’indicazione delle aree di varia energia sismica del terremoto del- l’8 agosto, ed in un’altra le zone mesosismiche dei terremoti etnei del 1865, 1879, 1894. Espone i principali fenomeni che all’Etna ed alle Eolie furono con- comitanti al periodo sismico del 1894, e li mette a raffronto con quelli verifi- catisi in occasione delle eruzioni del 1865, 1874, 1879, 1886 e 1892. Queste varie eruzioni furono precedute e seguite da periodi sismici, _ durante i quali qualche scossa fu capace di produrre effetti rovinosi e disastrosi; e sulla natura di questi terremoti l’autore accenna ad interessanti questioni, che possono sol- levarsi. Riguardo a quelli dell’agosto 1891, egli osserva che ebbero un’area meso- sismica coll’asse maggiore disposto secondo una generatrice del cono etneo e tale che, prolungato, coincide o quasi con la linea di frattura della doppia eruzione del 1829. E pare potersi stabilire che questa frattura o sistema di fratture siasi scossa producendo i terremoti del 1894, in causa dell’azione eser- citata dalla massa lavica portata a grande altezza nel camino vulcanico ed in virtù delle forze stesse che hanno fatto salire quella massa. — 225 — .Baratta M. — II terremoto garganico del 1627. (Boll. Soc. geogr. it., S. Ili, Voi. VII, 6). - Roma. L'autore pubblica la relazione inedita, scritta da un contemporaneo (don Giulio Lucchini) del grande terremoto che nel 1627 sconvolse la regione gar- ganica. In nota aggiunge notizie complementari dedotte da altri lavori. Baratta M. — Dei centri sismici della Romagna e delle Marche. (Boll. Soc. geol. it., XIII, 1). — Roma. E una breve notizia preliminare sui centri sismici della Romagna e delle Marche, di cui l'autore crede potere stabilire resistenza in base al materiale edito ed inedito ch'egli ha esaminato intorno alle manifestazioni sismiche di varie epoche in detta regione. Di questi centri sismici, che l’autore enumera, parte trovasi in mare e parte entro terra; i primi paiono, generalmente, assai meno profondi degli altri: e questi possono dividersi in trasversali e longitu- dinali, a seconda che il diametro maggiore della loro area mesosismica, quasi sempre ellittica, è normale o parallelo all’asse dell’ Appennino. Baratta M. — Sui centri sismici della Capitanata. (Riv. geogr. it.r Annata I, fase. 6). — Roma. Le ricerche iniziate in occasione del periodo sismico del 1892 della penisola garganica e di quello del 1893, estese poi ai maggiori terremoti di cui si con- servi notizia per la Capitanata, hanno condotto l’autore ad identificare in questa regione vari centri, a ciascuno dei quali riferisce alcuno di quei terremoti. Tali centri sismici sarebbero collocati parte in terra e parte in mare, e con- corsero quasi tutti a produrre le scosse del 1892. Baratta M. — Sul terremoto di Rimini del 14 aprile 1672. (Riv. geogr. it., Annata I, fase. 8). — Roma. Poiché gli odierni studi sismici hanno dimostrato che i terremoti di una data regione, aventi il luro centro in essa {cor ento centrici) y si ripetono con uni- formità di caratteri, risulta interessante il ricercare i documenti storici intorno- ai maggiori terremoti di quella regione. Si è perciò che l’autore stampa un documento inedito della Biblioteca Va- ticana intorno al terremoto di Rimini del 14 aprile 1672, il quale causò grandi rovine. Lo fa seguire da notizie dedotte da altre fonti; e dal loro insieme pargli poter dedurre che l’epicentro fu in mare, a S.E di Rimini, dove appunto egli determinò resistenza d’un centro sismico cui riferisce il terremoto del 1786 & probabilmente molti altri più antichi. — 223 — Baratta M. — Sui 'principali centri sismici della Toscana. (Atti Soc. toscana Se. Nat., Proc. verb., IX). — Pisa. E l’enumerazione dei principali centri sismici della Toscana, che all’antore parvero più sicuramente lisultare dalle sue ricerche storiche. Sono ventiquattro, fra cui, importanti per frequenza di terremoti, quelli di S. Sepolcro, della Val di Sieve, dei dintorni di Firenze, della Val d’Elsa, e dei dintorni di Siena, di Livorno e di Pistoia. Baratta M. — Intorno ai fenomeni sismici avvenuti nella penisola gar- ganica durante il 1893. (Ann. Ufficio centr. Meteor. e Geodin., Voi. XV, Parte I). — Roma. Un periodo sismico, importante per la sua durata e per la violenza di ta- lune scosse riuscite disastrose, cominciò nella penisola garganica il 27 giugno 1893, e fu, forse, continuazione di quello della prima metà dell’anno precedente. Il dott. Baratta, che visitò la regione sul principio d’ottobre, qualche tempo dunque dopo la massima energia del fenomeno che fu il 10 agosto, osservò diligente- mente le traccio ancor persistenti del terremoto e ricercò dai testimoni tutte le possibili informazioni. E della sua inchiesta dà particolareggiato conto nella presente memoria, aggiungendovi le notizie intorno a fenomeni che sono, o potrebbero essere, concomitanti a quello studiato, e dell'insieme dei fatti cerca in ultimo l’interpretazione. Limitandoci a quest’ultimo punto, poiché della parte analitica non vi sa- rebbe modo di qui occuparsi, diciamo che riguardo all’origine del terremoto l’autore afferma non esistere elemento alcuno nella regione che permetta di ricercarla in conati vulcanici; e, sebbene nel periodo sismico siensi avute ta- lune coincidenze con le fasi della luna, pure è da rifiutarsi in principio qua- lunque ipotesi extratellurica. Resta dunque l’attribuirsi il terremoto a causa tettonica; e l’autore la riscontra appunto nelle vibrazioni in due fratture esi- stenti, una lungo la costa meridionale della penisola garganica e da essa poco discosta, e l’altra nella valle del Carbonara; vibrazioni dovute a cause pura- mente meccaniche: il riaprirsi di una frattura, dice l’autore, per opera di quelle stesse forze che l’hanno prodotta o per ulteriore assetto degli strati, deve ne- cessariamente dar luogo ad un terremoto. I terremoti in discorso presentarono due serie di fenomeni assai interes- santi, e cioè: la grande violenza dell’urto entro una zona ristrettissima e i fre- quenti rombi che spesso si sentirono senza nessun movimento apparente del suolo. Baratta M. — Il terremoto garganica del 10 agosto 1893. (Rassegna delle Se. geol. in Italia, Voi. III). — Roma. E un breve cenno sommario dell’argomento ampiamente svolto nella me- moria precedente. — 227 - Bartóli A. — Sullo stato dell' Etna dopo la fine della grande eruzione del 1892. (Boll. mens. Osservatorio centrale, Moncalieri, S. II', Yol. XIV, 3). - Torino. Con osservazioni proprie fatte sino al 2 febbraio 189B e con quelle del dottor Raffo, che dimorò sino all’ottobre dello stesso anno alla Casa del Bosco sull’Etna, il prof. Bartoli fa la cronaca dello stato di quel vulcano dopo la fine della grande eruzione del 1892 e sino al 2 settembre 1893. Egli conclude che durante questo periodo: 1° i crateri dei Monti Silvestri non dettero più alcuna traccia di eruzione; 2° che il fumo che essi mandavano era in proporzione dell’umidità dell’atmosfera; 3° che la stessa umidità influiva sul fumare più o meno del cratere centrale, ma che per quest’ultimo non era interamente necessaria e poteva dare moltissimo fumo anche con aria relativamente secca. Bartoliki Gr. L. — V allungamento della punta di Castro ( Lago d’Iseo) negli ultimi secoli. (Rivista geogr. it., Annata I, fase. 9). — Roma. Nella parte superiore della riva occidentale del Lago d’Iseo vi ha un delta in via di formazione, detto la Punta di Castro, dal nome del paese presso cui si trova: esso è prodotto dal torrente Tinazzo che scende dalla Valle Borlezza. Dall’esame di una carta del giugno 1686 l’autore ha dedotto che l’allungamento del delta fu in totale di quasi cento metri, ciò che dà un medio aumento di mezzo metro circa all’anno. Becke F. — Scheelit im Granit von Predazzo. (Tschermak’s Min. u. Petr. Mitth., N. Folge, Bd. XIV, H. 3). - Wien. Nel granito tormalinifero di Predazzo si trovano nidi di tormalina e quarzo con struttura raggiata, nel cui centro v’ha ordinariamente una cavità in cui si trovano calcite e talvolta anche solfuri metallici. In uno di tali nidi il Becke ha trovato un grosso individuo di fluorite con della scheelite compatta. Lo stesso minerele era già stato trovato in altri punti della stessa massa granitica, e colla stessa associazione. L’impressione che ne risulta si è che la scheelite e gli altri minerali dipendano dal granito e rappresentino un’ ultima « fase pneu- matolitica » del processo di solidificazione di questo. Becker H. — Carta geologica dell'Alta Brianza, alla scala da 1 : 86,400. — Milano, 1894. Questa Carta è quasi una riproduzione di quelle del Taramelli (1890) e del Corti (1893), con qualche maggior dettaglio nei dintorni di Erba, dove l’autore ebbe a fare osservazioni personali. Se ne attende la descrizione, che è stata promessa. - 228 — Benoist E. — Tableau synchronique des formations terdaìres du S.O de la France , du bassin de May enee et du Vicentin. (Actes Soc. lin- néenne de Bordeaux, XLI). — Bordeaux. E uno studio di confronto ira i vari piani della formazione miocenica di località diverse, nelle quali figurano per l’Italia i dintorni di Tortona, i colli di Superga e in particolare il Vicentino coi piani di Castel Gomberto (tongriano), Crosara (liguriano), Priabona (bartoniano), Roncà, San Giovanni Barione e Monte Postale. Bertolio S. — Note sur quelques roches des collines euganéennes. (Bull. Soc. géol de France, S. Ili, T. XXII, 5). — Paris. L’autore presenta il risultato dell’esame petrografìco de lui fatto di alcune roccie degli Euganei comunicategli dai professori Omboni e Lacroix. Egli di- vide tali roccie in cinque gruppi, cioè: rioliti, trachiti, andesiti, labradoriti e basalti; i due primi sono di gran lunga i più varj e frequenti. Chiama rioliti tutte le roccie che presentano quarzo bipiramidato, cioè quarzo con forma cristallina propria, a contorni geometrici, di origine primor- diale certa. Son roccie bianche o colorate in giallastro o rossastro molto chiaro : i campioni a colorazione grigia carica sono i più compatti, e rappresantano varietà, accidenti del tipo normale. Spesso il quarzo e il feldspato sono nettamente visibili all’occhio nudo, talvolta invece non si discernono neppure con la lente. Le trachiti sono generalmente povere in elementi ferrugginosi ; contengono quasi tutte del quarzo, talora abbondante, che l’autore considera come secon- dario. Egli vi distingue : trachiti a mica nera, molto abbondanti ; trachiti a mica nera ed augite ; trachiti a mica nera, orneblenda ed augite ; trachiti ad oligoclase, orneblenda e mica; trachiti micacee. Le andesiti, d’aspetto molto vario, sono distinte dall’autore in andesiti a pirosseno ed iperstene, ed andesiti ad orneblenda. Parimenti in due categorie son divise le labradoriti, e cioè labradoriti ofìtiche e labradoriti ad orneblenda ed augite. Di basalti, nei campioni esaminati, non si trova che un tipo della località Scajara presso Battaglia, ove è in contatto della scaglia di cui rac- chiude qualche frammento in niun modo metamorfosato. L’autore parla pure di una retinite di Pendise, di cui dà, come d’altre fra le roccie ricordate, la com- posizione chimica. Dopo avere esposto i caratteri delle singole roccie, l’autore riassume in un quadro la loro composizione, adottando la notazione di Michel- Lévy, alla nomenclatura del quale si attiene nel corso del suo lavoro. Bertolio S. — Studio micrografico di alcune roccie dell7 isola di San Pietro [Sardegna). (Boll. Com. geol., XXV, 4). — Roma. L’autore avendo avuto occasione di fare una breve gita all’ isola di S. Pietro, presso la costa S.O della Sardegna, vi ha raccolto alcuni campioni di roccie che ha poi studiato petrograficamente e chimicamente ; di tale studio espone in questa nota i risultati. L ’ isola di S. Pietro, a pochi chilometri ad occidente della Sardegna, pre- senta la formazione vulcanica più occidentale dell’Italia, e le roccie che la costituiscono sono interessanti quali testimoni di eruzioni acidissime. L’età di queste roccie è assai incerta: il deperimento estremo degli apparati vulcanici consente solo di collocarle fra le più antiche della Sardegna. L’autore si occupa successivamente delle roccie da Carloforte alla regione Paradiso (trachite, retinite, tufi vari), delle lipariti delle regioni Gioia, Ripa d’Oncampo, ecc. (notevoli per la ricchezza di elementi colorati che sono ecce- zionali nelle altre roccie dell’isola), nelle quali è incassato un filone di perlite verde; delle roccie del Becco e di Capo Rosso (tufi, trachite), ed infine delle trachiti quarzifere a oligoclase e labradorite di Punta delle Colonne e Punta Nera. • La trachite a Capo Rosso ed a Capo Becco ricopre una formazione di ar- gille bianche caolinose alternanti con tufi, nella quale si trovano diversi strati di un minerale di manganese che diede luogo ad importanti coltivazioni; il mi- nerale è sottoposto a potenti banchi di splendidi diaspri finamente variegati e racchiudenti pregiate ocre di vario colore. Bertrand M. — Etudes dans les Alpes frangaises : I. Structure en éventail, mas sifs amydaloides et métamorphisme. (Bull. Soc. géol. de France, T. XXII, 2). — Paris. II. Schistes lustres de la zone centrale . (Ibidem, T. XXII, 2-3). — Paris. Questi studi riguardano principalmente ie Alpi della Moriana e della Ta- rantasia, e solo eccezionalmente nel secondo si considera qualche profilo più a Sud, nel massiccio di Bardonecchia, nel Queyras e nell’Ubaye. I risultati però sono estesi anche molto oltre tali limiti, ed in ispecie al versante italiano. La prima parte degli studi è essenzialmente tettonica e si riassume nelle conclusioni seguenti. L’asse geologico o tettonico della catena è una grande anticlinale a ventaglio formata dai terreni del Permo-carbonifero, che corre da Bourg Saint-Maurice a Briancon, in corrispondenza della parte più orientale di quella zona alpina, nota col nome di zona del Brianzonese. Ad Est e ad Ovest di questa anticlinale, la pendenza generale degli strati verso di essa è interpre- tata mediante l’ipotesi di una serie di pieghe rovesciate rispettivamente verso l’ Italia e verso la Francia, che costituiscono una struttura a pieghe monocli- nali od isoclinali, con una anticlinale a ventaglio nel mezzo. Nella parte ad oriente dell’asse del ventaglio la regolarità della struttura è interrotta da enormi lenti intorno a cui s’inflettono le pieghe (in parte le così dette masse od elissoidi centrali), che éecondo il Bertrand sarebbero ora sinclinali, ora an- — 230 - ticlinali. Ne risalta così un tipo speciale di struttura per la quale è proposto dall’ au- tore il nome di struttura amigdaloide , caratterizzata da pieghe sinclinali con amigdale o nuclei anticlinali che le divaricano, e da pieghe anticlinali coperte da amigdali sinclinali. Tanto nell’uno che nell’altro caso le pieghe proprie dell’amigdala sono indipendenti da quelle delle pieghe che la involgono e non continuano fuori di essa. Infine un’ultima conclusione che il Bertrand crede dimostrata dalla concordanza perfetta di tutte le formazioni diverse osservate, e dalla presenza di lembi inalterati di terreni permo-carboniferi che diventano sempre più rari andando dall’asse anticlinale verso l’oriente, si è che il grado di metamorfismo delle formazioni andrebbe aumentando man mano che si procede verso l’Est, per modo che sarebbero permo-carboniferi i terreni attri- buiti finora all’Arcaico, compreso lo gneiss ghiandone del Gran Paradiso, il quale non sarebbe che l’ultimo termine di un metamorfismo, a cui non sa- rebbero che accidentalmente sfuggiti quei rari lembi di terreno carbonifero noti fra gli gneiss e micascisti della Val Grisanche ed altrove nella valle d’Aosta. La seconda parte dello studio del Bertrand è diretta a provare che la for- mazione degli schìstes lustrés del Lory, colle roccie verdi intercalate (cal- cescisti dei geologi italiani), è per la sua parte maggiore un equivalente del Trias già noto in questa parte delle Alpi, e come tale da tutti riconosciuto (quar- ziti, calcari, carniole e gessi); un’altra parte di tali scisti dovrebbe però anche rappresentare il Lias, La dimostrazione è fatta con due ordini di argomenti : in primo luogo coll’osservazione di passaggi laterali del Trias a facies normale (facies brianzonese), a calcescisti e scisti fìlladici che si osserverebbe assai bene alla Punta di Picheri sopra Val de Tignes (alta valle dell’Isère), ed in secondo luogo colla discussione di profili diversi, l’interpretazione dei quali riesce più semplice ammettendo i calcescisti triasici anziché paleozoici: è vero che per confessione dello stesso autore due profili in corrispondenza del Piccolo Mon- cenisio farebbero eccezione e permetterebbero la conclusione precisamente op- posta. Il signor Bertrand, per spiegare Tenorme sviluppo del Trias a facies di calcescisti di fronte al tipo normale calcare, considera i primi come una for- mazione analoga al fysch eocenico, caratterizzato pure dalla presenza di roccie verdi, ed avente col nummulitico a facies calcare gli stessi rapporti che cor- rono tra i calcescisti ed il trias alpino occidentale normale. Da questo paragone, e dalla considerazione del facies di scisti cristallini che avrebbe secondo lui il Pernio-carbonifero nelle Alpi Occidentali, il Bertrand piglia argomento per fare delle considerazioni d’ordine più generale ancora ri. guardo alla successione dei facies dei terreni ed al metamorfismo nelle diverse catene di montagne in genere nell’Europa centrale, nella Scandinavia, in Scozia, e nell’America del Nord. Oltre a numerosi profili intercalati nel testo, la memoria è accompagnata — 231 — da quattro tavole, in cui sono date carte geologiche e tettoniche della regione studiata ed alcuni profili generali. Bidou L. — Le soufre: ses gisements et son exploitatìon en Italie. (Le Genie ci vii, XXIV, n. 21 et 25). — Paris. Sono note prese durante un viaggio in Italia fatto a scopo industriale, ma nelle quali si parla della origine delio zolfo, della qualità del minerale, dei suoi giacimenti in Sicilia, nella Romagna, nelle Marche, nell’Abruzzo, nell’Avel- linese, in Calabria, nella provincia di Roma, riportando specialmente le opinioni e le osservazioni degli autori in proposito. Bittner A. — Zur neuereri Literatur der Alpinen Trias. (Jakrb. d. k. k. geol. Reichsanstalt, Bd. 44, H. 2). — Wien. L’autore fa un esame critico profondo di tutte le pubblicazioni del Mojsi- sovics dal 1866 ad oggi, per dimostrare che, dopo tanti lavori, siamo stati costretti di ritornare alle divisioni proposte da Hauer, Richthofen, Stur, Gùm- bel, ecc., fondate su osservazioni stratigrafìche. Nella prima parte egli dimostra che contrariamente a quanto ha fatto il Mojsisovics nei due recenti lavori « Die Hallstdtter Entwicklung der Trias , 1832, e Die Cephalopoden der Hallstdtter Kalke, 1893 » la denominazione di « norìsche Stufe » deve essere mantenuta per quegli strati ai quali fu data, sebbene questi siano stati finalmente collocati nel loro esatto posto, cioè al di sopra del Car- nico, e che il nuovo nome di « juvavische Stufe » loro assegnato debba essere rimosso. Il Mojsisovics adottò il termine Norico per tutto il Trias alpino, perchè il tipo di questo piano fu dato dai caratteri faunistici dei calcari di Hallstatt, avendo egli asserito con precisione che la più importante e netta linea paleon- tologica di divisione nel Trias superiore alpino passa attraverso detti calcari. Il vocabolo «juvavìsch » fu usato dal Mojsisovics (1874) per distinguere una determinata provincia zoologica, ma fautore osserva che questo nome usato in un senso topico, non può ora impiegarsi in senso cronologico per indicare un piano. Nella, seconda parte dui lavoro l’autore esamina lo svolgimento del pen- siero del Mojsisovics nella tentata riforma nelle divisioni del Trias alpino. Nel 1866 Suess e Mojsisovics, riproducendo, un po’ modificata, un’idea di Escher v. der Linth, che credette (1854) gli strati di Werfen appartenenti al Keuper, proposero ( Verhandl . d. k. k. geol. B. A ., pag. 159) una suddivisione del Trias superiore fondata su nuove basi. Essi distinsero 17 membri nel Trias supe- riore; ma Stur dimostrò subito che il membro n° 10 apparteneva al Lias in- feriore e che i membri 3, 4 e 11 non erano altro che ripetizioni degli stessi strati ( Werfener Schichten). Dopo che Suess pubblicò nel 1868 il suo studio sugli strati di Raibl , il Mojsisovics continuò da solo le ricerche sul nuovo - 232 — smembramenti j del Trias alpino. Stampò prima alcune note sui calcari di Ha lista tt e sul Trias di Hall (Tirolo), nelle quali stabilì otto zone nei primi e presentò nei quadri di divisione la vecchia ripetizione di membri identici p poi pubblicò l’ importante lavoro « Ueber die Gliederung der oberen Triasbil- dungen der ostlichen Alpen , 1869 », col quale cominciò ad occuparsi di tutto ii Trias alpino. In questo scritto stabilì la divisione dei calcari di Hallstatt in Norico e Gamico, collocando il Norico sotto il Carnico; diede una suddivisione del Trias superiore ben differente da quelle sino allora da lui adottate; affermò che la Seefelderdolomit (Dolomia principale) sta in discordanza sui sottostanti membri triasici; rigettò la Rifftheorie di Richthofen e Stur, e cercò spiegar tutto- ammettendo lacune, denudazioni e trasgressioni. Nel capitolo delle Alpi lom barde, il calcare di Esino fu posto sopra gli strati di Raibl, cioè nel livello- delia Dolomia principale. Nel 1871 ( Beitràge zar topischen Geologie der Alpen) egli divide gli strati a C ardita in tre livelli differenti e distanti fr5T di loro e colloca la Partnachdolomit nel 21 livello; ma nello stesso anno ( Ueber die Stellung der Xordtiroler C ardita- Schichten, eco.) sopprime la Partnachdolomit, che sino- allora aveva rappresentato ne’ suoi quadri di divisione una parte così impor- tante. Nel 1872 il Mojsisovics ( Parallelen in der oberen Trias der Alperì) so- stiene, contro Stur, che la sottoposizione dei calcari norici di Hallstatt ai car- nici è dimostrata dai dati paleontologici e stratigrafìci ; dice di grande impor- tanza lo studio del Salzkammergut come punto di partenza per le divisioni del- Trias, e inadatto a questo scopo il territorio dell’arenaria di Lunz, scelto dallo- Stur; e presenta una divisione che è differente da quelle date e nella quale sono eliminate in gran parte le ripetizioni degli stessi membri. Al lavoro « Das Gebirge um Hallstatt , 1873 », dove non parla più degli otto livelli deh calcari di Hallstatt, nè di lacune e trasgressioni, succede lo scritto « Faunen - gebieie und Faciesgebilde der Triasperioden in den Ostalpen , 1874 », col quale il pensiero del Mojsisovics entra nella seconda fase, riproducendo le teorie ed i fatti osservati dal Richthofen. Il Mojsisovics ammette ora che le difficoltà per stabilire il parallelismo> dei vari membri triasici sta nella esistenza di separate provincie geologiche, e- in quella di differenti facies di formazione, come era stato detto da Richthofem e da Stur. Crea le provincie mediterranea e juvavica; stabilisce il fatto che nei calcari norici di Hallstatt mancavano le Daonelle e in quelli norici mediter- ranei le Halobie, e che al principio del Carnico le due provincie si misero in comunicazione; dice che i generi Amaltheus ed Aegoceras sono ben rappresen- tati sulle Alpi nel Muschelkalk, che spariscono al principio del Norico, per riapparire nel Retico e nel Lias, e ammette una terza provincia zoologica a. S.E delle due prime. — 233 — Ai quadri di divisione del Trias sono portate nel 1874 profonde modifica- zioni ; i livelli vi cambiano di posto e alcuni sono soppressi. Il Bittner trova inesatta la definizione di facies, data dal Mojsisovics nel- l’opera: Die Dolomitriffe von Sudtyrol , 1879, e ritiene che le parole isomesico ed eteromesico, isotopico ed ef erotopico, isopico ed eteropico impiegate nei concetti noti e comuni di differenze di mezzi di formazione, di luogo e di facies , siano in parte superflue o dannose. Nell’opera: Die Cephalopoden der mediterranea Triasprovinz, 1882, il Mojsisovics distrugge le sue teorie sul ritiro dei generi Aegoceras e Amal- dheus, perchè la determinazione generica da lui fatta era inesatta, e poco dopo {1892) elimina la provincia juvavica, che già nel 1886 nella nota preventiva -dell’opera « ArJctische Triasfaunen », aveva allargato di molto. La nota « Die Hallstatter Entwicklung der Trias », 1892, segna un cambia- mento essenziale. Gli strati norici di Hallstatt passano sui camici, come Stur aveva sostenuto sin dal 1865, mentre il Mojsisovics aveva detto nel 1833 ( Verhandl . d. k. k. geol. R. A .) che le zone del Carnico erano concordanti sul Norico. La divisione del Trias superiore presentata dal Mojsisovics nel 1893 '(Die Cephalopoden der Hallstatter Kalké) differisce da tutte le altre, nel nu- mero, nell’ordine e nel significato delle zone. I membri, già distinti col nome di Carnico, nel passare sopra il Norico non conservano più l’antico ordine di successione, le zone del Carnico vengono rovesciate e si creano le sottozone. Così, nota l’autore, lentamente, dal 1866 al 1893, dopo avere pubblicati nu- merosi lavori per riformare lo smembramento del Trias, il Mojsisovics è ritor- nato alle divisioni che prima del 1866 avevano stabilito, con osservazioni sul terreno, Hauer, Richthofen, Stur, Lipold, Hertle, Gùmbel ed altri. L’autore propone infine una divisione del Trias in gruppi naturali e perciò bene accettabile, nella quale il nome Carnico va conservato agli strati che lo ricevettero originariamente, messi ora in parallelo con la Dolomia prin- c:pale: gli strati di Raibl e l’arenaria di Lunz (Carnico) sono messi in paral- lelo col Lettenkohle tedesco, e gli strati di Wengen - S. Cassiano, di Buchen- stein e di Esino, paragonati al Muschelkalk superiore, ricevono il nome di Ladinische Gruppe , già creato nel 1892. .Bittner A. — Brachiopoden aus der Trias von Lagonegro in Unterita- lien. (Jahrb. d. k. k. geol. Reichs., Bd. 44, H. 4). — Wien. L’autore dà in questa nota la descrizione dei brachiopodi, che il dott. G. De -Lorenzo ha raccolto nel calcare dolomitico del Trias di Ligonegro. Le specie esaminate sono le seguenti: Terebràtula Sturi Laube, Aulacothyris sp. ind., Rhynchonella sp., Spiriferina ( Mentzelia ) ampia Bitta., Sp. sp. ind. ex aff. £>p. fragilis Schloth., Sp. sp. ind. ex aff. Sp. piae Bitta., Spingerà ( Diplospi - velia) Wissrnanni Mùnst. sp., Koniackim De Lorenzoi nav. spec., Amphiclina sp. ind. — 234 - Le specie note indicano che quel]calcare dolomitico di Lagonegro appartiene al Trias inferiore, e più esattamente a nn livello dell’età degli strati di S. Cassiano, del calcare della Marmolata e di Esino e della dolomite dello Schlern. La nota contiene, nel testo, le figure della T. Sturi Laube e della Konin ckin'i De Lorenzoi nov. sp., che è il più interessante brachiopode del Trias di Lagonegro. La determinazione generica di quest’ultima specie è provvisoria finche non si saranno meglio osservati i caratteri dell’area. Boeris GL — Sopra la calcocite di Montecatini. (Rend. R. Acc. dei Lincei, III, 6, 1° sem.). Roma. — (Rivista di Min. e Crist. it., XIV, 1 e 2). — Padova. Id. — Ueber chalkosin von Montecatini. (Groth, Zeit. fur Krystall. und Min., Bd. XXIII, H. 3). - Leipzig. L’autore rende conto delle osservazioni da lui istituite su alcuni cristalli di calcosina della miniera di Montecatini. Egli ha osservate le forme se- guenti : [100], [010% 1110% [230], [012], [023], 011], ? [021], [052], [111', [112 ; son nuove per il giacimento : [230R012], [023], [021% [111% e per il minerale la [052], osservate nei tre cristalli misurati. Questi presentavano le combinazioni: I. [103], [110], [230], [010], [023], [011], [0521 [112], [111]; IL [110], [012], [011], [052], [112], [111]; III. [110], [010], [011], [052], [112], [111]. L’autore non ha calcolate le costanti, non presentando i cristalli di cui disponeva le condizioni favorevoli necessarie. Oltre alla legge di geminazione già nota per questa località (piano di ge- minazione una faccia di [110]), l’autore ne ha osservata, come assai probabile, una non ancora indicata per il minerale : sarebbe a piano di geminazione pa- rallelo ad una faccia di [011].% Bonarelli G. — Contribuzione alla conoscenza del Giura-Lias lom- bardo. (Atti R. Acc. Se. di Torino, XXX, 2). — Torino. Avendo visitato la parte meridionale del mesozoico della Brianza, l’autore raccolse un certo numero di fossili, e fece alcune osservazioni stratigrafiche specialmente intorno al Giura-Lias, di cui rende conto in questa nota. D’accordo con i professori Parona e Taramelli, che in questi ultimi anni espressero l’opinione che il marmo rosso del Sasso Bicicola (Suello) appar- tenesse al Lias medio, non prima indicato in Lombardia, l’autore dice che la fauna della Bicicola è prettamente charmoutiana, ed aggiunge che pure al Charmoutiano è da ascriversi un complesso di strati che, in condizioni alquanto etoropiche, si continuano ininterrotti da Civate verso Carella, da Canzo a Camnago, occultati qua e là da formazioni moreniche o da detriti di roccie in — 235 - posto. In essi egli distingue due orizzonti, e cioè: Charmoutiano superiore (orizzonte che l’autore chiama Domeriano dalla formazione del medolo di M. Domerò) e Charmoutiano inferiore con facies quasi identica a quella del Sine* mudano sottostante, dal quale sarebbe molto difficile, se non impossibile, se- pararlo in una carta geologica, tanto per la povertà di fossili, quanto per la graduale transizione fra i due piani. Nel piano inferiore ha trovato, lungo il torrente che dal Colle Turati scende verso Erba, oltre a frammenti indeterminabili di ammonidee un buon esem- plare di Deroceras Davoei, fossile caratteristico appunto del Charmoutiano in- feriore. Nel piano superiore, nella stessa regione, ha trovato forme caratteristiche di ammonidee, cioè: Phyllocevas Meneghina Gemm., Rhacophyllites lariensis Mgh., Arieticeras r etrorsicosta Opp., A. algovianum Opp., Harpoceras (?) boscense Reyn. Il calcare del piano inferiore ha colorazione chiara, grigio - cerulea, con macchie rosso -vinate ; quello del piano superiore è più chiaro, lar- gamente macchiato di rosso vinato, e a superfìcie rugosa per abbondante mica. Avendo l’autore precedentemente osservato che nell’ Appennino centrale l’Aleniano (Lias superiore) è generalmente rappresentato dalla parte superiore del Rosso ammonitico, ricercò se lo stesso avesse luogo anche in Brianza, e potè giungere a conclusione affermativa, sebbene i fossili sieno rarissimi e ge- neralmente mal conservati. Egli raccolse un buon esemplare di Erycites fallax Ben. lungo la stradetta da Civate a Suello; un buon esemplare di Hammato- cèfas subinsigne Opp. e un frammento di Phylloceras tatricum Pusch in Val Coppelline. L’autore poi ritiene che il rosso ad Aptici rappresenti tutto il Giura in- feriore-medio e non il Titonico come altri crede. Alla memoria è unito, oltre ad una tavola di sezioni, un abbozzo di carta geologica all’ 1/50 000 della regione compresa fra Camnago, Albese e Casiino, nella quale viene indicata con un colore speciale una parte del Charmoutiano. Bonney T. Gr. — On some cases of thè conversion of comjpact « Green - stones » into Schists. (Quart. Journal of thè Geol. Soc., Voi. L, part 2, n. 198). — London. Presso il sentiero che dall’Ospizio del Bernina conduce all’Alpe Grùn, l’au- tore nota tre dicchi varianti da 1 piede ad 8 di potenza di scisti verdi negli gneiss. I due minori sono più scistosi e con apparente interstratifìcazione nel gneiss, uno però ne taglia gli strati con angolo di 20°. Nel filone più grande la roccia è più massiccia e più simile ad una diabase. L’autore studiò petro- graficamente queste roccie in ognuna delle quali trova sviluppato un minerale incoloro che sembra formarne il fondo e che crede in massima parte un fel- spato secondario. La parte media del filone più potente mostrò mica giallo- bruna parzialmente trasformata in clorite o decolorata. Le roccie di due dei filoni hanno di densità 2,55 e 2,72. — 236 — Sulla riva orientale del Lago Bianco, nella stessa regione, una massa di roccia scistosa verde si intrude in uno gneiss verdognolo a grana fina. I componenti microscopici sono antibolo attinolitico, clorite, mica minuta, poco distinta. Masse lenticolari di apparenza terrosa rappresentano felspati rotti e decomposti, alcuni con estinzione ondulosa.. Grani chiari, di cui parte sembrano felspati secon- dari, grani di ossido di ferro e di ilmenite, e poca calcite. Quantunque ne sia distinta la struttura scistosa, la roccia è molto simile ad una diabase, e può es- sere ritenuta come un prodotto di laminazione di una dolerite a grana fine. La sua densità è 2,83. L’autore nota che scisti verdi analoghi sono frequenti nelle Alpi ove for- mano masse di grande importanza, e furono designati col nome di grune Schiefer dai geologi svizzeri. Essi sono associati a calcescisti e micascisti. L’autore li ritiene in buona parte derivati da roccie eruttive basiche, e in parte dai loro tufi metamorfosati. Bonney T. Gr. — Mesozoic Rocks and cristalline schists in thè Lepon- tine Alps. (Quart. Journ. of thè G-eol. Soc., Yol. L, part 3, n. 199). — London. In questo lavoro l’autore reca nuovi argomenti raccolti al passo del Furka col signor James Eccles nel 1891 e nella valle d’Urseren nel 1893, in sostegno delle ipotesi emesse nel suo lavoro precedente, del quale si è dato un sunto a pag. 56 del Bollettino pel 1890. Egli stabilisce cosi i punti principali nei quali non è d’accordo coi geologi svizzeri : 1) Non nega l’esistenza di roccie giuresi nel bacino di Altkirche, ma non crede che a primo aspetto la stratigrafia sia favorevole a considerare il marmo di Altkirche come membro della serie giurassica; 2) Ammette siano avvenute delle metamorfosi nelle roccie di origine se- dimentaria per causa di azioni meccaniche,ma afferma che le roccie risultanti (paleozoiche superiori o mesozoiche) non sono paragonabili cogli scisti meta- morfici di ignota antichità da cui sono in generale distinguibili ; 3) Che non si può dedurre l’esistenza di un passaggio per transizione da roccie sedimentarie a roccie cristalline dall’esistenza di una stretta zona in- termediaria nella quale gli effetti distruttivi della pressione sono stati tanto grandi da lasciare in dubbio se essa rappresenti una roccia cristallina laminata, ovvero una roccia clastica compressa. Nemmeno se ne può dedurre l’identità dalla rassomiglianza superficiale, senza l’aiuto dello studio microscopico dimo- strante che quella dipende da una reale intima comunanza di struttura e di composizione. Per discutere la posizione e l’età del marmo di Altkirche studia sette profili, di alcuni dei quali dà le figure, compresivi uno presso Altkirche od un altro del Passo del Furka. Da essi risulterebbe chiara, secondo Fautore, - 237 - ? la intercalazione del marmo, che si trova talvolta in due zone distinte e tal altra presenta passaggi a tipi micacei, nella serie degli scisti cristallini coi quali si trova a contatto, e dei quali perciò avrebbe comune l’età. Per il marmo dei pressi di Altkirche sostiene essere molto più facilmente ammissibile l’ipo_ tesi che esso si trovi compreso fra roccie giuresi per effetto di faglie e scor- rimenti, che l’altra secondo la quale si riterrebbero della stessa età. Una sezione in Val Canaria ed un’altra in Val Bedretto mostrano che i micascisti scuri e gli scisti a granati neri hanno gli stessi caratteri nelle due località ; e se quelli di Yal Canaria sono giurassici, lo sono pure con ogni ve - rosimiglianza quelli di Yal Bedretto. Così pure saranno giurassici i micascisti scuri aventi gli stessi caratteri che sono associati con scisti a granati neri e scisti neri al Passo di Nufenen ed a quello del Binn con scisti a granati neri e con marmo dolomitico. Ma le rauch- waclce triasiche di Yal Priora, Yal Canaria, di Airolo, del Fasso di Nufenen e della Yalle del Binn contengono frammenti di uno o più membri di questo gruppo di roccie; queste sono adunque pretriasiche e non giuresi. Una revisione dei Biindnerschiefer della Yia Mala ed al passo di Lohyn lo persuadono vieppiù che le fìlliti mesozoiche come quelle del distretto di Thusis, quantunque recanti traccio di pressioni, sono chiaramente distingui- bili dagli scisti scuri del gruppo cristallino; il calcare impuro e l’arenaria in- terstratificati colle prime dai calco-mica-scisti e scisti quarzosi rispettivamente che fanno parte degli ultimi, e le grandi e pure masse di calcari e dolomiti mesozoiche sono abbastanza differenti dai marmi e dalle dolomie associate cogli scisti cristallini, tanto all’aspetto macroscopico che a quello microscopico. Bonney T. GL — Geological difficulties in thè Leipontine Alps. (The G-eol. Mag., New Series, Decade IV, Voi. I, n. 5). — London. È una lettera diretta al Geological Magazine in cui 1’ autore risponde ad alcuni punti della nota del dottor Staff', pubblicata nel numero di aprile dello stesso giornale, rinviando pel resto alla nota di cui è dato un cenno preceden- temente. Bruno L. — Il Diluvium alpino dalla Dora Riparia al Ticino. Cenno T idrografia sotterranea nella zona prealpina tra la Sesia e il Ti- cino. (Boll. Soc. geol. it , XII, 4). — Roma. Dopo un cenno sullo stato presunto della regione subalpina al passaggio dal Pliocene al Quaternario, l’autore passa a parlare del così detto Diluvium al- pino, dandone brevemente la distribuzione topografica (corredata da una car- tina), la diagnosi litologica, e inducendone la genesi. Secondo l’autore si trat- terebbe di talus detritico-franosi rimaneggiati. L’autore dà poi alcune notizie sulle sorgenti e sui pozzi della regione compresa fra la Sesia e il Ticino, e cerca di dedurne 1’ andamento della falda acquifera. — 238 — Bruno L. — II lago d/Orta e la morena di Omegna : nota sopra due escursioni fatte al Lago. — Novara, 1894. L’autore cerca di rifare, sulla scorta di alcune osservazioni, in parte la storia geologica del lago. Dalla posizione della morena di sbarramento di G-ozzano, e della morena di Omegna-Cireggio poggianti su antico cono di defezione dello Strona, induce l’autore che in epoca preglaciale il lago avesse per influente lo Strona e per emissario l’Agogna. Il fenomeno glaciale alterò tale regione, riducendola allo stato attuale, ma non fu, secondo l’autore, l’agente escavatore della depressione lacustre. Bucca L. — Nuove discussioni sull’età del granito di Monte Capanne (i isola d'Elba). (Bull. Acc. Gioenia, XXXIY-XXXY). — Catania. Continuando la discussione intorno all’età del granito di Monte Capanne, il prof. Bucca brevemente risponde alle due recenti note del prof. De Stefani e del dottor Dalmer. Riguardo al porfido quarzifero della parte centrale dell’isola, che il profes- sore De Stefani considera come più recente della maggior parte dei sedimenti eocenici, l’autore ripete la sua affermazione trattarsi di un pseudo-porfido ; nè lo maraviglia che il Kalkowsky abbia riconosciuto un vero porfido quarzifero in un frammentino di roccia del Capo Poro, poiché appunto il pseudo-porfido- contiene fra gli altri anche dei frammenti di vero porfido. Egli insiste sulla mancanza di fenomeni di contatto dovuti a quello che egli ritiene preteso porfido; non acquetandosi all’osservazione del Dalmer che altrove, in Sassonia, si ha porfido quarzifero racchiudente frammenti inalte- rati di fìllade e gneiss, poiché tali roccie lasciano poco chiaramente vedere le traccie del metamorfismo, a differenza di quelle che avrebbero dovuto risen- tirlo all’Elba. E poiché il Dalmer cita il Capo Poro come bell’esempio della prova di in- trusioni di filoni orizzontali di porfido traverso strati eocenici, e trova impos- sibile spiegarli ammettendo il pseudo-porfido, l’autore afferma che studiando da vicino quella formazione si è convinto del contrario. L’autore non ammette neppure l’esistenza di conglomerati e tufi vulcanici indicata dal prof. De Stefani; e mantiene, contro il diverso parere dello stesso, la natura metamorfica dell’eurite. Quanto alla presenza di fìloncelli granitici traverso le roccie basiche ('diabase, gabbro, serpentina) di Fetovaja, ritenute eoceniche, indicata dal Dalmer a sostegno della giovane età del granito, il prof. Bucca fa delle riserve tanto sull’essere quei fìloncelli apofisi del granito stesso, quanto sull’età delle roccie basiche. Bucca L. — Le varioliti del Monte Cerviero in Calabria (presentazione). (Bull. Acc. Gioenia, XXXIY-XXXV). — Catania. In quest’annunzio di una memoria da pubblicarsi ulteriormente è detto — 239 — solo che essa tratta di argomenti interessanti la geologia del Monte Cerviero (Calabria) e dintorni. L’autore trovasi in disaccordo con altri, circa l’età attri- buita sin oggi ad alcune roccie di quella regione : più particolarmente si inte- ressa di quelle che per la loro struttura ebbero nome di varioliti e che furono da molti ritenute come post-eoceniche, mentre egli le riferisce ad epoca molto più antica, non indicata. Buco A L. — Osservazioni sugli ultimi terremoti etnei nello scorso agosto. (Bull. Acc. Gioenia, XXXVIII). — Catania. In realtà, intorno all’argomento indicato dal titolo della nota, altro non si fa che rispondere a due obbiezioni fatte dal prof. Ricco ad idee dall’autore espresse in precedente scritto, ed affermare, contrariamente all’opinione del Baratta, che i terremoti etnei dell’agosto 1894 debbonsi attribuire ad assetta- mento di roccie e non già a tentativo di eruzione. A ciò l’autore premette alctine considerazioni intorno al terremoto del 1783 ed ai successivi, i quali sono in stretta relazione colla costituzione geologica delle Calabrie e del Messinese. Una lunga catena granitica e di roccie cristal- line, traversa, egli dice, quelle contrade : una volta continua, è ora interrotta da due fratture tra la Sila e la Serra San Brano (istmo Sant’Eufemia- Squillace), e tra l’Aspromonte e i Monti Peloritani (stretto di Messina). Queste fratture, come quella che separa la catena dalla Basilicata, avvennero secondo rette ra- dianti dallo Stromboli; e la catena ha forma quasi di semicerchio col centro in Stromboli. Gli strati della catena pendono verso l’Jonio ; sul versante tirreno sono le formazioni più antiche, e nel Tirreno sono rovinate le parti più antiche della catena e tendono a rovinarvi quelle ancora emerse con continue scosse che hanno come evidente causa l’attività dello Stromboli. Difatti si ha nel versante tirreno una zona dove i terremoti sono continui e spesso funesti ; essa attra- versa l’alta valle del Orati, l’istmo Sint’Enfemia-S|uillace, la gola fra Monte Vaticano e la Serra San Bruno, la spiaggia del Golfo di Gioja, e finisce al versante tirreno dei Monti Peloritani. Buco a L. — Gli ultimi terremoti delle regioni etnee. (Giornale di Sici- lia, 11, 12 e 13 settembre 1894). — Palermo. L’autore che ebbe occasione di visitare, immediatamente dopo il terremoto, i luoghi colpiti, calcola a breve profondità l’ipocentro, e attribuisce la causa del movimento all’assestamento delle roccie in conseguenza delle ultime eru. zioni e principalmente di quelle del 1892. Fa rilevare come la regione colpita appartenga alla parte più esteriore della Valle del Bove, e come la causa distrut- trice di questo lato orientale dell’Etna, il più vecchio e il più debole, che ha generato per sprofondamento quella valle, seguiti tuttora ad agire, manifestan- dosi con questi terremoti che si ripetono ad intervalli di tempo non lontani. 240 — Canavari M. — Ancora sull’ eocenicità della 'parte superiore della scaglia nell1 Appennino centrale. (Atti Soc. toscana Se. nat., Proc. verb., IX). — Pisa. Ad un’obbiezione recentemente mossa all’opinione del prof. Canavari se- condo cui una parte della scaglia nell' Appennino centrale è da ritenersi eoce- nica, egli osserva che sarebbe valevole qualora egli avesse detto, ciò che non fece, che con le nummuliti avea trovato fossili cretacei. Gli strati nummulitici intercalati nella parte superiore della scaglia (e fondamento di quel riferimento) furono trovati dall’autore sulle cime del Monte dei Tre Vescovi, nelle vici- nanze di Camerino. Quivi la scaglia rossa fa graduale passaggio a quella grigia e nella parte superiore di questa si trovano fossili che accennano al Miocene medio. Anche nelle pendici orientali del gruppo dei Sibillini, tra Piobbico e Giampereto, la parte superiore della scaglia, ripiena d’impronte di Taonurus , passa a calcari marnosi grigi con qualche raro fossile indicante il Miocene. I medesimi fossili miocenici si raccolgono più frequentemente nella scaglia grigia di Crispiero, presso Camerino, in immediato contatto e perfetta concordanza con la scaglia rossa. Sempre più quindi viene provata l’eocenicità della parte su- periore della scaglia nell’ Appennino centrale. Canavari M. — Sul preteso Dogger inferiore di Monte Gemmo presso Camerino . (Atti Soc. toscana Se. nat., Proc. verb. IX). — Pisa. Avendo il dott. Bonarelli ritenuta provata 1’esistenza del Dogger inferiore a Monte Gemmo presso Camerino in base ad un’ammonite riferita all’ A. Begleyi Th. (= A. scissus Ben.?), il prof. Canavari fa, a scanso di confusione, osser- vare che quel fossile fu da lui tratto dalla roccia calcareo-marnosa rossastra, da cui estrasse le specie più tipiche del Lias superiore, quali: Lillia Mercati Hau. sp., Hìldocera's bifrons Brug. sp., Phylloceras doderleinianum Cat. sp., Ph. Capitami Cat. sp., ecc. Cancani A. — Sopra alcune notevoli roccie magnetiche trovate nelle vicinanze di Bocca di Papa. (Rend R. Acc. dei Lincei, III, 8, 1° sem.). — Roma. Una raccolta di roccie e minerali magnetici del Lazio, iniziata dall’autore e depositata nell’Osservatorio geodinamico di Rocca di Papa, conta già più di sessanta esemplari molto diversi fra loro nella distribuzione e nella intensità del magnetismo. Fra questi meritano speciale menzione un frammento di lava sperone raccolto sulla salita di Monte Cavo, e l’unico che sinora si conosca di tale specie, dotato di punti magnetici distinti, e un altro frammento di bomba vulcanica di leucitofìro che, oltre a vari punti distinti molto intensi, ha una distribuzione di attività magnetica tutt’affatto speciale. — 241 — Capellini GL — Rinoceronti fossili del Museo di Bologna. (Mein. Acc. Se. Ist. di Bologna, S. V, T. IV). — Bologna. L’autore dà notizie intorno ai resti di rinoceronti fossili esistenti nel Museo di Bologna, illustrandone in due tavole i più importanti. Il più antico avanzo è la porzione di mandibola scoperta nel 1718 a Monte Biancano da G. Monti che lo riferì al genere Rosmarus ; più tardi l’abate Ranzani la determinò ret- tamente come appartenente al Rhinoceros megarhinus De Christol. Alla stessa specie appartiene il bacino incompleto, ma molto interessante, trovato nel 1871 dall’autore nelle sabbie plioceniche di Rio Secco presso il Sasso; e vi appar- tiene pure una porzione superiore di omero sinistro proveniente dal Colle della Casazza, nonché un bel molare superiore raccolto sotto Montelungo di Musiano. Fra diverse ossa trovate presso Pradalbino, l’autore figura come particolarmente interessante un astragalo perfettamente conservato e corrispondente all’astra- galo sinistro del rinoceronte raccolto dal Cortesi a Montegioco, del quale però è molto meglio conservato. * L’autore enumera inoltre i modelli e avanzi di rinoceronti di località fuori del Bolognese posseduti dal Museo di Bologna. Capellini GL — Rliizocrinus Santagatai e Bathysiphon filiformis. (Rend. R. Acc. dei Lincei, III, 5, 1° sem.). — Roma. L’autore espone anzitutto la storia delle successive determinazioni del fossile che tu riferito all’ Apiocrìnites elipticus Goldf. dal Santagata, che primo 10 segnalò come molto sparso nelle marne mioceniche delle colline di S. Chierlo (Bologna); Bianconi lo trovò abbondante nelle molasse di S. Vittore, M. Paderno e altre località del Bolognese, e l’autore stesso lo trovò nelle molasse delle alte colline bolognesi, e precisamente tra Maserna e la Serra, in tale quantità da potersi veramente dire il fossile più abbondante e caratteristico. Il dottor Manzoni credette doverlo riferire al genere Rlìizocrinus , ed il Meneghini lo descrisse sotto il nome di Rlìizocrinus? Santagatai , facendo riserve per l’in- sufficienza del fossile e dicendo che anche l’analogia lasciava qualche dubbio in quel riferimento generico. Quando nel 1893 il prof. Sacco pubblicò la sua nota dal titolo : Le genre Bathysiphon h l’état fossile , il prof. Capellini non esitò a riconoscere che il Bathysiphon taurinensis Sacco (B. filiformis Sars, secondo il prof. Andreae) si identificava col Rhizoerinus ? Santagatai Mgh. Quanto a certi tubetti esistenti sopra una lastra calcareo-argillosa della zona di scisti ed argille scagliose presso Vianino nel Parmense, e per i quali 11 prof. Sacco stabilì la specie Bathysiphon appenninicus, l’autore li giudica identici a quelli da lui osservati nell’arenaria di Convella presso Porretta: ma per le condizioni di giacimento di questi ultimi dubita che essi abbiano appar- tenuto piuttosto a vermi che a rizopodi. E quanto ad altri tubi più sottili © - 242 — più abbondanti che accompagnano i precedenti di Corvetta, qualora si potesse dimostrare che non abbiano appartenuto a vermi ma bensì a foraminiferi, piut- tosto che al genere Bathysiphon si dovrebbero riferire al genere Rhabdammina. Capellini GL — - Di alcuni fossili controversi riferiti a crinoidi , forami - niferiy vermi e corollari. (Rend. R. Acc. dei Lincei, III, li, 2° sera.). — Roma. In seguito alla pubblicazione della memoria del dott. De Angelis sopra i corallari dei terreni terziari dell’Italia settentrionale, l’attenzione del prof. Ca- pellini si portò sulla Pavonaria miocenica Michelotti [P. Portisi De Angelis) e la riconobbe identificabile col fossile di Torino di cui è parola nella nota precedente ( Bathysiphon taurinensis Sacco): esso non presenta alcun carattere che possa farlo attribuire alle Funiculine , genere cui oggi si riportano le Pavc- narie. L’autore ricorda pure che nel 1883 il prof. De Stefani ebbe ad occuparsi di fossili analoghi ai precedenti, dell’ Appennino settentrionale, e che riferì al genere Virgularia. Cassetti M. — Osservazioni geologiche sul Monte Massico presso Sessa Aurunca in provincia di Caserta. (Boll. Com. geol., XXV, 2). — Roma. Il piccolo gruppo montuoso del Massico presso S'essa Aurunca (Terra di Lavoro), che si eleva ad 810 m. sul livello del mare nel monte che gli dà nome, è costituito specialmente da terreni secondari, rappresentati da dolomie e calcari. Tali terreni sono molto regolarmente stratificati e comprendono : alla base del versante verso Cascano un affioramento di calcari dolomitici, bruni, compatti, bituminosi, con liste e noduli di selce, i quali passano a vera dolomia bruno- grigia saccaroide con Gervilleia exilis , del Trias superiore, e poche altre specie ( Mytilus sp., Arca rudis Stopp., A. Songavatii Stopp., Megalodus cfr. triqueter Wùlf,; Pecten sp.): quindi un piccolo lembo di calcare rossastro e un potente affioramento di calcari cristallini, compatti, che si estendono fino alle falde del Monte Massico, e son simili ai calcari del Lias inferiore della Calabria, della Sicilia, ecc. ; in ultimo il Cretaceo, rappresentato inferiormente da calcari a Toucasia carinata (Urgoniano), e quindi da calcari con frammenti di rudiste, probabilmente riferibili al Turoniano, se non alla parte superiore deH’Urgo- niano. Vi è poi molto notevolmente sviluppato l’Eocene, rappresentato da scisti ar- gillosi, arenacei e marnosi, intercalati da calcari e breccie nummulitiche : ha stratificazione ondulata, contorta e fratturata in vari sensi. Il Quaternario, che circonda il gruppo, è costituito da detriti calcarei e dolomitici, tufo vulcanico incoerente e tufi terrosi e pomicei subacquei pro- venienti dal vicino vulcano di Roccamonfina. 243 — Cassetti M. — Relazione sui lavori eseguiti nella valle del Volturno nelVanno 1893. (Boll. Com. geol., XXV, 3). — Roma. L’autore, operatore dell’Ufficio geologico, rende conto sommariamente delle osservazioni fatte nell’anno 1893 durante il rilevamento di alcuni gruppi mon- tuosi in prossimità della valle del Volturno. In precedenti lavori egli ha già parlato di due di questi gruppi, cioè il Matese e il Massico : ora, per l’unifor- mità di costituzione della regione, si limita ad indicare brevemente i caratteri litologici e paleontologici, nonché l’estensione e la tettonica dei vari terreni. Il Trias superiore affiora solo nel gruppo del Massico : e così pure quello che pare riferirsi al Lias, benché manchino per farlo documenti paleonto- logici. L’Urgoniano è la più estesa formazione della regione ; è rappresentato da dolomie e calcari più o meno dolomitici, e da calcari cristallini, semicristallini e saccaroidi. Il fossile caratteristico, e spesso il solo, è la Toucasia cannata Math. sp.; si hanno però qua- e colà nerinee indeterminabili. Anche molto sviluppato è il Turoniano, costituito da calcari di varia strut- tura, talvolta alternanti con dolomie : contiene Hippurites giganteus d’Ombre- Firmas e II. gosaviensis Dom. ; è perfettamente concordante con l’Urgoniano. All’infuori di alcuni limitati depositi di scisti ed arenaria alle falde dei monti del Matese ed al Castello di Formicola e presso Ciorlano nel gruppo di Ciorlano e Pratelia, per i quali riman dubbio se ascrivibili alla base del Mio- cene piuttosto che all’Eocene, quest’ultimo è il solo rappresentante della serie terziaria e lo costituiscono calcari nummulitici, argille scagliose, scisti calcareo- argillosi ed arenarie. Nel gruppo del Matese si possono, per i caratteri litologici e stratigrafìci, distinguere tre membri, i quali sono dal basso all’alto: calcare nummulitico a grossi banchi, con frammenti di rudiste, molto analogo al cal- care turoniano sottostante con il quale è in perfetta concordanza (contiene la Nummulites striata d’Orb.); calcari nummulitici senza frammenti di rudiste, a banchi più o meno grossi o a lastre (contengono la N. perforata d’Orb. e la N. lucasana Defr.); infine, depositi più o meno estesi di argille scagliose e scisti calcareo-argilloso-arenacei. Chelussi I. — Studio pirografico di alcune arenarie della provincia di Aquila {Abruzzi). (Giornale di Min., Crist. e Petr., IV, 4). — Milano. L’autore espone brevemente i risultati dello studio microscopico da lui fatto di alcune arenarie di varie località dei dintorni di Aquila. Si tratta di arenarie i cui componenti principali sono il quarzo ed i felspati, cui si uni- scono altri minerali, quali miche, clorite, granati, calcite, ecc.: quest’ultima, oltre a costituire il cemento abituale, trovasi pure in cristalli. — 244 — Chelussi I. — Appunti petrografici sopra alcune roccie della provincia di Parma. (Giornale di Min., Crist. e Petr., I*V, 4). — Milano. In questa breve nota Fautore espone i caratteri macro e microscopici di alcune roccie raccolte dal prof. Sacco nella provincia di Parma. Esse sono: un porfido quarzifero raccolto nella zona delle argille scagliose di Val Dordona, un granito trovato in posto al Mont9 Formigare presso Berceto nella zona ofiolitica, ed un altro granito trovato, pure in posto, nella stessa zona a Groppo presso Terrarossa (Val di Magra). Clerici E. — Sopra un giacimento di diatomee al Monte del Finocchio o della Creta presso Tor di Valle. (Boll. Soc. geol. it., XII, 4). — Roma. Trovasi questa località sulla sinistra del Tevere lungo la via Ostiense a pochi chilometri al sud di Roma, circoscritta agli altri lati dal fosso delle Tre Fontane, dalla via Laurentina, dal fosso di Ponte Buttero. In essa vedesi in basso la pozzolana rossa e quindi il tufo litoide giallo-aranciato, e sopra una pozzolana nerastra con grosse scorie nere, projetti diversi e molta leucite cao- linizzata; il termine più antico della serie è una argilla di colore giallo ver- dastro, immediatamente sottostante alla pozzolana rossa. Infine sopra la poz- zolana nera, talvolta cementata come un tufo granulare, trovasi uno strato di 50 cm. di tripoli passante superiormente ad una sabbia marnosa gialliccia. E nel tripoli che si rinvengono diatomee in gran copia, le quali, studiate dai si- gnori Antonelli e Bonetti (vedi Bibliografìa 1893) dimostrarono che il deposito si è formato entro acque dolci. La sabbia marnosa, con concrezioni travertinose e più o meno ricca di materie vulcaniche, costituisce tutta la sommità del colle di fronte al quale è stato costruito il nuovo ponte della Magliana. Per la via d'accesso a questo ultimo si dovette praticare nel colle una profonda incisione, la quale mostra dal basso in alto : un’argilla turchina, plastica con resti di vegetali e molluschi d’acqua dolce, passante, con l'intermezzo di uno straterello di sabbia giallo- gnola, ad un’argilla giallastra pure con resti vegetali e molluschi come sopra, con addossamenti di sabbie, ghiaje e travertino, il tutto ricoperto da un’argilla bruna e da sabbie con concrezioni travertinose. L’autore dà quindi un quadro comparativo di dette sezioni e di altre osser- vate nelle vicinanze, dal quale risulta dovunque: 1° Una serie argillo sabbiosa inferiore con molluschi d’acqua dolce e con materiali vulcanici; 2° Una serie vulcanica intermedia, dal tufo granulare, alla pozzolana rossa, al tufo litoide, alla pozzolana nera, il tutto talora intercalato da argille tripolacee con diatomee d’acqua dolce; 3° Una serie argillo-sabbioso-travertinosa superiore, con tripoli, a piante palustri e le stesse diatomee. Segue l’esame delle trivellazioni operate sulla riva sinistra del Tevere per i lavori di sistemazione del fiume, con osservazioni sui terreni della riva destra e su quelli alla sinistra sino alla via Tuscolana; conchiudendo, in opposizione alle teorie emesse dal Portis (Y. Bibliografìa 1898) con l’escludere affatto la formazione marina dei tufi e dei terreni sottostanti e sovrastanti, e ritenendo il tutto di origine continentale. Clerici E. — Notizie intorno ai tufi vulcanici della Via Flaminia dalla valle del Vescovo a Prima Porta. (Rencl. R. Acc. dei Lincei, III, 2, 1° sem.). — Roma. Continuando le sue ricerche sui legni fossili esistenti nei tufi vulcanici, l’autore portò la sua attenzione a questo breve tratto lungo la via Flaminia, che è tra i più complicati ed istruttivi dei dintorni di Roma, e dove, conti- nuando le ricerche iniziate dal Meli alla Yalchetta ed al Peperino, ed esten- dendole alle grandiose cave aperte più tardi nella Regione del Yescovo, rac- colse grande numero di molluschi, fìlliti, legni fossili, di cui già diede parziali notizie. Nell’attuale lavoro l’autore descrive le varie località nell’area studiata, incominciando dal punto dove le cose si presentano con la massima sempli- cità, cioè dalla cava della Yalchetta aperta entro tufo litoide giallo, ottimo per costruzione, con blocchi erratici a proietti, che talvolta presentano la strut- tura zonata delle bombe del Somma e del Lazio, costituiti da svariati minerali, e dei frammenti di lave leucitiche e sanidiniche, di calcari saccaroidi, e dei ciottoli arrotondati di calcari secondari: in esso abbondano le fìlliti ed i vani cilindrici lasciati da rami d’alberi, insieme con conchiglie terrestri ed avanzi di vertebrati. Poco oltre, alla Celsa, si vede lo stesso tufo riposare sopra altro tufo grigio compatto litoide, con resti vegetali e molluschi terrestri, assai so- migliante per il colore al peperino, da cui è separato da uno straterello mar- noso con ghiaia che s’impasta anche col tufo giallo; e così per lungo tratto sino a Prima Porta, dove però il tufo giallo trovasi in basso; quindi lo straterello marnoso e sopra il tufo grigio granulare, passante a luoghi a tufo terroso co- lore tabacco, coperto a sua volta da tufo rossastro con grosse pomici nere, che più avanti si fa nerastro con leuciti. In altro punto lungo la via Flaminia fu pure possibile vedere la roccia che sta sotto al tufo peperinico; questa è una sabbia argillosa verdiccia o giallognola con molluschi terrestri, terminata in alto da un impasto di ghiaia siliceo-calcarea e cristalli di augite col tufo grigio che vi sta sopra. In conclusione il Clerici riconobbe in tutta quella regione sulla destra del Tevere tre tipi di tufo litoide: il grigio, il giallo, il rossiccio pomiceo, interca- lati da altri tufi incoerenti, e da marne, ghiaie ed altri materiali sedimentari, tutti contenenti resti di vegetali e altri fossili terrestri e d’acqua dolce, che ne provano la loro origine assolutamente continentale. — 246 — Clerici E. — Considerazioni sopra i tufi vulcanici a Nord di Roma, fra il fosso della Crescenza e quello della Torr accia. (Rend. R. Acc* dei Lincei, III, 7, 1° sem.). — Roma. In questo articolo l’autore completa il precedente sui tufi vulcanici della via Flaminia, dando in esso notizie sopra una zona parallela a detta via, ma più. a monte, verso il sistema Sabatino. Incomincia dal Monte delle Grotte (o Sepolcro dei Nasoni), dove riconosce dal basso all’alto una ghiaia siliceo-cal- carea con sabbia bruna, un tufo granulare grigio stratificato orizzontalmente es- che passa ad altro tufo litoide color marrone, altra ghiaia siiiceo-calcarea con marna ricca di materiali vulcanici, quindi un banco enorme di tufo a pomici nere con pasta ora rossastra ora violacea, nel primo caso litoide, nel secondo facilmente disgregabile e usato dopo triturazione per pozzolana ; segue un tufo leucitico giallognolo poco coerente e in qualche punto una marna biancastra diatomeifera e con molluschi di acqua dolce, e finalmente lo stesso tufo gial- lastro di tipo terroso. Risalendo la valle della Crescenza dal lato sinistro, dopo qualche deposito di sabbie e ghiaie alternanti con tufo terroso, rivedesi ben presto il tufo giallo litoide ricoperto più avanti dal solito tufo a pomici nere, mentre sulla destra questo a poco a poco scompare per dare luogo al tufo or- dinario incoerente. L’autore segue tale serie per lungo tratto rimontando la valle e le vallette laterali, e osservando nel fondo di quelle di destra le ghiaie e sabbie gialle con fossili pliocenici appartenenti al gruppo di Monte Mario come al nord della regione appariscono sotto i tufi quelle di Monte Rotondo - Mentana sulla sinistra del Tevere. L’autore fa quindi il confronto fra il tufo grigio peperinico delle cave di Peperino e del Vescovo sulla destra del fiume e quelli di Castel Giubileo e S. Valentino nei Parioli sulla sinistra, e ne di- mostra le analogie. Termina il lavoro con un cenno sul taglio eseguito presso ponte Molle per dare passaggio ad una nuova strada. In esso vedesi dal basso in alto : un’are- naria grigio-azzurrognola o giallastra con molluschi marini, cui sono addossate ghiaie siliceo -calcaree tenacemente cementate ed involgenti grossi massi di materiale tufaceo; lo stesso materiale, non litoide, ricoperto da marna giallo- gnola con molte pomici nere ; vari strati marnosi con molluschi di acqua dolce o lastre travertinose con molluschi e vegetali; infine il tufo pomiceo a fondo oscuro ricoperto da altro tufo a pomici bianche. Clerici E. — Sulla origine dei tufi vulcanici al Nord di Roma. (Rend. R. Acc. dei Lincei, III, 8, 1° sem.). — Roma. Come prima conclusione alle due note sopraindicate il Clerici, discute della origine dei tufi vulcanici al Nord di Roma e, dopo avere citato le opinioni di diversi autori, si ferma a quella recentemente emessa dal Portis (V. Bibl. 1893) per la quale, non solo i tufi, ma tutte le roccie formanti il suolo della Cam- - 247 — pagna romana, i travertini compresi, sarebbero d’origine marina. Cita in pro- posito i ritrovamenti fatti di conchiglie marine, che non arrivano ad una doz- zina di valve sopra una quantità enorme di materiale cavato e dopo lunghe xicerche da lui e da altri fatte sul posto durante un decennio, mentre assai considerevole è il risultato riguardo ai molluschi continentali, specialmente di acqua dolce; osservando in opposizione alla teoria del Portis, che nega il trasporto di tali conchiglie dai terreni pliocenici marini, come le stesse sabbie attuali del Tevere nell’interno di Roma contengano, oltre alle foraminifere, numerose -specie di conchiglie marine e salmastre strappate a quei terreni. Conchiude quindi che gli argomenti addotti per dimostrare l’origine marina dei tufi, sono di poco valore per i tufi in genere e non ne hanno alcuno per quelli della via Flaminia. <3 lesici E. — Ancora sulla origine e sulla età dei tufi vulcanici al Nord di Roma. (Rend. R. Acc. dei Lincei, III, 12, 1° sem.). — Roma. Riassume in questa i fatti esposti nelle note precedenti, citando le di- verse opinioni degli autori intorno alla età ed alla origine dei tufi, e conchiude ohe le diverse qualità di tufo sono alternativamente comprese fra sedimenti fossiliferi di origine indubbiamente continentale; di più, .le stesse specie di fos- sili continentali si trovano anche entro gli stessi tufi. Alcune di dette specie, i molluschi d’acqua dolce, vissero nelle acque in cui avvenne la miscela che poi fornì i tufi, altri furono sepolti dalla pioggia dei prodotti eruttati; altri in- fine, già allo stato fossile, sono stati strappati con parte della roccia che li -conteneva e rimescolati, insieme a ciottoli di ogni specie, dagli agenti meteorici dai corsi d’acqua e dalla miscela stessa. Conchiude quindi che i tufi vulcanici al Nord di Roma sono continentali, che subaeree sono le bocche eruttive da •cui derivano, e, vista la natura dei fossili contenuti, di età indubbiamente qua- ternaria. Cleeici E. — Sulle spugne fossili del suolo di Roma ( Potamospongie ). (Boll. Soc. geol. it., XIII, 1). — Roma. E una comunicazione fatta alla Società geologica in occasione della sua adunanza in Roma il 1° aprile 1894, nella quale, facendo la storia delle spugne di acqua dolce finora conosciute in Europa, e mostrandone le differenze con le marine, viene a parlare di alcune di esse rinvenute in parecchie località dei dintorni di Roma, entro tufi di varie qualità ovvero entro tripoli ed apparte- nenti alle specie .Spongilla lacustris e ftuviatilis Johnston, dalle cui spicule dà le figure ingrandite 750 volte al microscopio. Siccome era stato asserito da altri (V. Portis, Bibl. 1893) che nei sedimenti quaternari del suolo romano abbondano spicule silicee di spugne marine, da ciò traendosi un’altra prova che detti sedimenti sieno d’origine marina anziché continentale, così l’autore contesta nuovamente questa teoria osservando che le - 248 - abbondanti spicule rinvenute non sono di origine marina ma bensì di acqua, dolce. Nota poi che ambedue le specie menzionate erano già state citate dal Terrigi per i terreni quaternari del Quirinale e della trivellazione del forte sulla. Via Appia. Infine osserva che in quasi tutte le località le spicule sono accompa- gnate da diotomee d’acqua dolce e spesso anche da molluschi pure d’acqua, dolce, confermanti tutti l’origine non marina di quei sedimenti. Clerici E. — Sulle diatomee fossili del suolo di Roma. (Boll. Soc. geol. it., XIII, 1). — Roma. Nella stessa adunanza della Società geologica il Clerici presentò alcuna fotomicrografie di diatomee fossili d’acqua dolce rinvenute nei dintorni di Roma, confrontandole con altre di diatomee marine viventi nei mari attuali per bene mostrarne la differenza, e ne prende occasione per combattere con nuovo argomento l’origine nettuniana del suolo di Roma ammessa dal Portis. Colomba L. — Sulla glaucofane della Beaume ( alta valle della Dora Ri- paria). (Atti R. Acc. Se. di Torino, XXIX, 9). — Torino. Gli scisti ed i calcari che si alternano sulle quarziti costituenti in gran parte la parete rocciosa che forma la base del Seguret, nella località detta Beaume a poca distanza da Oulx, sono caratterizzati dalla presenza della glau- cofane. Di questa si occupa l’autore nell’ indicata nota: nella quale partita- mente espone i caratteri fisici e chimici della glaucofane, enumera i minerali che l’accompagnano, contemporanei ad essa e da essa derivati, espone la com- posizione mineralogica delle roccie che la contengono ed infine brevemente ra- giona intorno alli sua genesi. La glaucofane è colorata in azzurro, molto intenso nei calcari ed assai meno negli scisti: in entrambe le roccie è distribuita in letti di pochi centi- metri di spessore, disposti secondo la stratificazione ed alternanti con altri in cui manca o è eccessivamente scarsa. Nei calcari la glaucofane è accompa- gnata dai minerali seguenti: clorite, plagioclasio, mica, ematite, pirite, quarzo, tormalina; negli scisti si ha solamente: talco, clorite, pirite, quarzo e poco felspato. La glaucofane è spesso alterata, dando luogo a vari prodotti; e, sebbene- in alcuni dei tipi di calcare (che l’autore distingue in numero di otto) essa manchi, tutti però debbonsi considerare come aventi in origine contenuta Iel glaucofane. Così nei calcari come negli scisti si può veder bene l’alterazione della glaucofane nella sostanza cloritosa: il felspato plagioclasico dei calcari,, l’ematite in granuli, la pirite (almeno parzialmente), l’epidoto, l’ematite, la li- monile, ripetono la stessa origine, immediata o mediata. Quanto alla glauco- fane stessa manca qualsiasi ragione per considerarla secondaria. — 249 — Consiglio-Ponte S. — L’acqua sulfurea nel canale di Brucoli. (Bull. Aco. Gioenia., XXXVIj. — Catania. L’autore dà breve notizia dell’acqua solfarea di un piccolo bacino adia- cente al canale di Brucoli (Augusta) a un centinaio di metri dalla sua bocca, e separato da esso da una diga artificiale, che non impedisce però Barrivo, che dia luogo fors’anche per altre vie, dell’acqua del canale. E un’acqua limpidis- sima, senza accenno a sviluppo di gas, e con odore sensibile d’acido solfidrico: d’ordinario tranquilla, s’innalza di tanto in tanto per arrivo di nuova acqua, ■che in parte sfugge di nuovo. L’arrivo di nuova acqua è accompagnato dall’ap- parire di fiocchi galleggianti, con apparenza di latte cagliato, ma in parte fioccoso, della grossezza sino ad oltre un pugno, e costituiti di 92,9 % di zolfo e per il resto di sostanze organiche, oltre a un piccolo residuo (0,8 %) probabilmente siliceo. L’autore mette in rapporto quest’acqua sulfurea con le manifestazioni vul- caniche della regione: basalti, sorgenti calde, ecc. "Consiglio-Ponte S. — - Ricerche dei blocchi eruttati dal cratere centrale dell'Etna durante l'eruzione del 1879. (Sunto nel Bull. Acc. Grioenia, XXXVII). — Catania. Questi blocchi sono frammenti di antiche lave costituenti l’impalcatura del gran cratere e profondamente alterate e decomposte dalle emanazioni, principal- mente acide. Essi sono rivestiti da depositi originati da sublimazioni, special- mente salgemma, pirite, ferro oligisto, gesso, e sono degni di studio per la mi- neralogia dell’Etna. Un saggio sulla paite solubile nell’acqua ha dato abbondanti •solfati con calce, magnesia, allumina, potassa, soda e traccio di fosfati. Cooke J. H. — The Pleistocene heds of thè Maltese Islands. (Abstr. of thè Proceed. Geol. Soc. of London, n. 630). — London. Non è che un breve sunto affatto sommario di una comunicazione letta alla Società geologica di Londra e della discussione che tenne dietro alla lettura intorno ai depositi postpliocenici dell’isola di Malta, distinti dall’autore in tre classi secondo la loro origine, e cioè: l.° Depositi vallivi, comprendenti quelli degli altipiani, dovuti a degradazione subaerea e all’azione della pioggia, con conchiglie terrestri e ossa di mammiferi, e quelli situati sul fondo delle valli, ossiano letti di sabbia, ghiaia e ciottoli, disposti in modo da mostrare che gli agenti produttori andavano diminuendo di intensità; 2.° Conglomerati esistenti lungo le coste x> al piede degli altipiani, talvolta sommersi, talaltra a livello del mare; sono in generale molto logorati dall’azione dell’acqua, e spesso con- tengono conchiglie terrestri : essi sono in molti casi distintamente stratificati e sembra sieno stati trasportati in un periodo di grandi pioggie ; 3.° depositi ossiferi di caverne e di spaccature, stati già descritti dall’autore in altra circostanza. (Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (30 giugno 1895) LIBRI Bollettino del R. Comitato geologico; Voi. I a XXV, dal 1870 al 1894. Prezzo di ciascun volume L. Idem di una serie di dieci volumi (sconto 20 p. %) ...» Idem dell’abbonamento annuale in Italia » Idem idem all’Estero » Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze 1872. — Un volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche » Voi. Il, Parte la. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » Voi. Il, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di ,pag. 64 con tavole » Voi. Ili, Parte 1*. Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche » Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » Voi. IV, Parte la. Firenze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole ...» Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole » Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci: Descrizione geologica del- l’Isola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » Voi. II, Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- V Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica . » Vo*l. Ili, Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » Voi. IV, Roma 1888. — G. ZOPPI: Descrizione geologico-mineraria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » Voi. V, Roma 1890. — C. De CASTRO: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. » Voi. VI, Roma 1891. — L. BALDACCI: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea . — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa » Voi. VII, Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: Descrizione geologico-petrografìca delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche » Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI: Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana . — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 10 — 80 — 8 — 10 — 35 — 25 — 5 — 10 — 15 — 8 — 16 — 10 — 10 — 20 — 15 — 8 — 6 — 8 — 8 — Segue CARTE Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2* edizione. — Roma 1889. Prezzo L. 10 — La stessa montata su tela a stacchi » » 12 — La stessa montata su tela con bastoni » » 15 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : 5 00 3 00 4 00 5 00 5 00 5 00 3 00 3 00 4 00 5 00 4 00 3 00 3 00 3 00 248 (Trapani) 249 (Palermo) 250 (Bagheria) 251 (Cefalù) . 252 (Naso) . 253 (Castroreale) • 254 (Messina) . . 256 (Isole Egadi) . 257 (Castelvetrano) 258 (Corleone) . . 259 (Termini Imerese). » 260 (Nicosia) 261 (Bronte). Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 3 00 4 00 3 00 3 00 4 00 4 00 4 00 3 00 4 00 5 00 5 00 5 00 5 00 Foglio N.262 (Monte Etna) . . L. » 265 fMazzara del Vallo)» » 266 (Sciacca) . » 267 (Canicattì) . » 268 (Caltanissetta) » 269 (Paterno) . » 270 (Catania) . » 271 (Girgenti) . » 272 (Terranova) » 273 (Caltagirone) » 274 (Siracusa) . » 275 (Scoglitti) . » 276 (Modica) » 277 (Noto) . . 249 e 258) . L. 4 . » 4 , » 4 . » 4 . » 4 00 00 00 00 00 » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) >> » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma 1888 L. 25 — N-3. I fogli e la tavola di questa Cariasi vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) . » 143 (Bracciano). . » 144 (Palombara) . L. 4 » 5 » 5 Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 00 » 150 (Roma) . . . » 5 00 » 158 (Cori). ...» 4 00 Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 00. nella scala di 1 a 100 000; ne sono pubblicati i Carta geologica della Calabria fogli seguenti: Foglio N. 236 (Cosenza) . . . » 237 (S. Giovanni inF.) » 238 (Cotrone) . . . L. Foglio N. 241 (Nicastro) . . . . L. 4 » 242 (Catanzaro) ... » 4 » 243 (Isola Capo Rizzuto) » 3 Tavola di sezioni N. 1 annessa a detti fogli L. 4. Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma 1884 ' L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala dii a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma 1886 . » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma 1894 ...» 3 Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico (Via S. Susanna, 1) ovvero ai principali librai d’Italia e dell’Estero. -A,vviso. v E stato pubblicato il Voi. IX delle Memorie descrittive della Calda geologica d’ Italia, contenente la Descrizione geologica della Calabria, dell’ inge- gnere E. Cortese. — E un volume di pag. xxvm-310 con annessa la Carta geologica della Calabria alla scala di 1 per 500 000, oltre a tavole di sezioni, ad incisioni e vedute intercalate nel testo. Vendesi al prezzo di L. 13. BOLLETTINO BEL R. COMITATO GEOLOGICO D' ITALIA. Serie III. Voi. VI. Anno 1895. Fascicolo 3°. SOMMARIO. Note originali. — I: V. Novarese, Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in valle della Germanasca (Alpi Cozie). — II : A. Stella, Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in Valle Varaita (Alpi Cozie). — III: B. Lotti, Cenni sul rilevamento geologico eseguito in Toscana durante l’anno 1894. — IV: C. Viola, Cenno delle osservazioni fatte sui Monti Lepini nel 1894. — V: V. Sabatini, Relazione del lavoro eseguito nel biennio 1898-91 sui vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. — VI: M. Cassetti, Osserva- zioni geologiche eseguite l’ anno 1894 in alcune parti dell’ Appennino meridionale (con una tavola). * Notizie bibliografiche. — Bibliografìa geologica italiana per 1’ anno 1894 (Conti- nuazione, vedi n. 2). Pubblicazioni del R. Ufficio Geologico. Illustrazioni. — Tav. V : Sezioni geologiche in alcune parti dell’ Appennino me- ridionale (M. Cassetti) a pag. 844. NOTE ORIGINALI I. V. Novarese. — Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in valle della Germanasca (Alpi Cozie). Sommario. — Cenni topografici. — Studi geologici anteriori. — Serie dei terreni antichi. — Gneiss e micascisti grafitici. — Conglomerati dell’Arcaico. — Gneiss ghiandone; suoi diversi affioramenti. — Micascisti e gneiss superiori; calcari cristallini; roccie prasinitiche ed amfi- boliche; talcoscisti. — ■ Calcescisti e filladi. — Calcari cristallini dolomitici e dolomiti; loro posizione nella serie; presunto calcare dolomitico del Ghinivert citato dal Gastaldi. — Prasi- niti, eufotidi e serpentine; loro scarsità relativa nella valle della Germanasca. — Cenno pe- trografia sulle roccie verdi della serie. — Tettonica. Ipotesi di Gastaldi, di Zaccagna, di M. Bertrand. Il « Waldensian Gneiss» di J. \V. Gregory. I filoni della valle dell’Angrogna. — Quaternario. — Morenico antico e suoi caratteri in dipendenza dalla costituzione litologica dei varii bacini. — Diluvium: bacino di Perrero. — Materiali utili. La valle detta comunemente di San Martino o della Germanasca, la più importante fra le tributarie del Chisone, è, salvo un piccolo lembo meridionale, totalmente compresa nella tavoletta di Perosa Ar- gentina (F. 67, IV) alla scala di 1 per 50 000 della Carta dell’ Istituto geografico militare. La forma della valle è quella di un triangolo con un vertice alla — 254 - confluenza della Germanasca col Chisone, presso Perosa ; gli altri due vertici corrispondono alla punta Vallonetto (metri 2777) a Nord, ed al Bric Boucier (metri 2998) a Sud, riuniti da una catena continua d’andamento quasi del tutto rettilineo che ha le sue massime depres- sioni al colle del Piz (metri 2606) fra le valli della Germanasca di Massello e del Chisone, ed al colle d’Abries (metri 2650 *, fra la valle della Germanasca di Prali e quella d’Abries in Francia. Le notizie geologiche intorno alla valle di San Martino sono assai scarse, e non pare che alcuno se ne sia mai occupato di proposito. L’opera statistica del Barelli, che risale al 1835, contiene delle indi- cazioni geologiche abbastanza esatte, limitate però soltanto ai gia- cimenti di minerali e materiali litoidi utili che s’incontrano nella valle. Qualche cenno ne dà il Gastaldi nella seconda parte degli Studi geologici sulle Alpi Occidentali , in cui riporta pure qualche passo del Barelli. Però in realtà il Gastaldi è stato a lungo nella valle, e ne avrebbe forse parlato più diffusamente se non gliene fosse mancato il tempo : la sua carta manoscritta, di cui avremo fra breve a par- lare prova la sua conoscenza della regione. Dopo il Gastaldi si trova qualche cenno incidentale della valle della Germanasca nella prima pubblicazione dello Zaccagna nella Geologia delle Alpi Occidentali e qual- che particolare maggiore nella Geologia della provincia di Torino del Baretti. Nella Carta geologica del Gastaldi, che si conserva nell’ Ufficio geologico, la coloritura della valle di San Martino è completa, e, come si è potuto verificare, anche sufficientemente prossima al vero. A differenza però di quanto ha fatto per rispetto all’ellissoide del Gran Paradiso, il Gastaldi nelle Alpi Cozie ha assegnato all’Arcaico supe- riore o zona delle pietre verdi, esclusivamente il complesso di calce- scisti e fìlladi e le roccie verdi contenute in essi : la massa sottostante composta di gneiss e micascisti diversissimi con lenti di calcare cri- stallino e di altre roccie è assegnata tutta allo gneiss centrale od Ar- caico inferiore: mancherebbero quindi, secondo il Gastaldi, gli gneiss minuti e micascisti dell’Arcaico superiore. E noto ancora che lo Zac- cagna, appunto nel suo scritto poco sopra citato ha separato la mag- gior parte degli gneiss dell’Arcaico inferiore del Gastaldi dal com- plesso, per attribuirli all’Arcaico superiore, conservando nel mezzo dell’intiera massa primitiva del Gastaldi una stretta zona di gneiss centrale che ha considerato come asse di una anticlinale ribaltata verso la pianura. Nella campagna del 1894 non si è potuto compiere del tutto il rilevamento della valle di San Martino, avendolo impedito in ispecie alcune precoci nevicate ; è rimasta incompleta la parte alta del con- trafforte divisorio dalle valli del Pellice e dell’Angrogna, a levante del colle Giuliano. Tuttavia, salvo per una delle questioni, che vedremo essere però di capitale importanza e che dovette rimanere in sospeso, i risultati della campagna del 1894 si possono riguardare come definitivi, non essendo probabile che lo studio della ristretta area che ancora resta da percorrere vi abbia a portare modificazioni di qualche entità. Sarà però sempre bene ricordare che la parte riconosciuta soltanto e non rilevata è il massiccio della Punta Cornour al "disopra dei Tredici laghi, e le creste che ne dipendono dal colle Giuliano fino al Gran Truc. I diversi terreni della serie antica si succedono nella valle della Germanasca in modo molto regolare, non presentando nell’ insieme nemmeno la tettonica grandi complicazioni, almeno apparenti. Gli strati di tutta la serie sono inclinati piuttosto fortemente verso ovest, onde risalendo la valle si passa dalle formazioni più profonde a quelle più recenti. Le roccie che vi s’incontrano si possono raggruppare in quattro sezioni o gruppi con criterii puramente litologici, perchè man- cano i fossili. Di queste diverse sezioni discuteremo in seguito nella parte tettonica bassetto ed i rapporti crenologici. Le quattro sezioni, che indichiamo nell’ordine con cui si succe- dono andando da est ad ovest e sovrapponendosi regolarmente le une alle altre, sono le seguenti: 1° Gneiss e micascisti grafitici; 2° Gneiss ghiandone ; 3° Micascisti e gneiss superiori; 4° Calcescisti e fìlladi. Esclusa la seconda, tutte le ai tre sezioni contengono intercala- zioni di roccie molto diverse che descriveremo partitamente in ogni singola sezione. Gneiss e micascisti grafitici. - Sebbene la grafite sia nota ed anche escavata da molto tempo nella valle del Chisone, non si trova in alcuna pubblicazione un cenno della diffusione ed importanza delle roccie grafitiche che ne accompagnano i giacimenti. E non è facile — 256 - spiegarsi questo silenzio quando si consideri che sopra una vasta zona la potenza del complesso grafìtico è di parecchi chilometri : così nella valle di San Martino la larghezza della fascia grafìtica misurata in senso orizzontale a partire dallo sbocco della valle presso Perosa non è mai minore di tre chilometri. La roccia caratteristica e predominante di questo gruppo è uno gneiss minuto molto scistoso, a cui un pigmento grafitico uniforme- mente diffuso imparte un colore plumbeo ora più ora meno scuro. Questa roccia passa talora ad un micascisto grafitico, per la scom- parsa dell’ elemento felspatico: la differenza però fra gneiss e mica- scisto non si può fare generalmte che in sezione sottile; più rara- mente il quarzo diminuisce o viene anche a mancare rispetto agli elementi micacei della roccia, e si hanno allora degli scisti grafitici, spesso molto ricchi di pigmento. Con queste roccie alternano, rimanendo però di solito subordinati, degli gneiss minuti ordinari affatto ana- loghi ai precedenti, ma senza il pigmento grafìtico, dei micascisti bianchi, ed infine dei micascisti a sismondina ora ricchi, ora invece assai poveri di materia grafitica. Nella serie sono poi ancora intercalate masse di altre roccie di natura molto diversa ; siccome però non si osservano dentro alla valle di San Martino, ce ne occuperemo nei cenni sul rile- vamento della valle inferiore del Chisone. 1 Il complesso di roccie che abbiamo descritto si presenta con ca- ratteri costanti sopra un’estensione abbastanza grande, e se non si può dire ancora che esso formi un orizzonte, è certo che nei limiti del- l’area finora rilevata nella valle del Chisone ed adiacenti, essa può essere considerata come una zona dotata di individualità geologica propria. A questa zona danno una particolare importanza due fatti, uno dei quali è indizio e l’altro prova non dubbia della primitiva natura sedimentaria di una parte almeno dei terreni che la compongono, circo- stanza di non piccolo rilievo per una serie completamente cristallina ed attribuita al! Arcaico. Il primo fatto, noto da tempo, è la presenza di ban- chi di grafite assai estesi e regolari ; il secondo è venuto in luce soltanto quest’anno per effetto del rilevamento, ed è la presenza negli gneiss grafitici di banchi e lenti di un conglomerato ad elementi cristallini, 1 Questi cenni saranno pubblicati nel prossimo fascicolo del Bo1 lettino. - 257 — in tutto simile a quello notissimo di Obermittweida, nell’Arcaico su periore dell’Erzgebirge in Sassonia. I conglomerati gneiss tei. — La località dove i conglomerati del- l’Arcaico sono meglio visibili, e dove sono stati anche trovati per la prima volta dallo scrivente nel luglio del 1894, è il tratto della strada carrozzabile della valle San Martino (Perosa-Perrero), che è compreso fra il paese di Pomaretto ed il secondo ponte nella Germanasca, detto Ponte Raut, poco prima della frazione Villa Secca Qui, sopra una lunghezza di oltre due chilometri, la valle strettissima è aperta in uno gneiss grafìtico grigio scuro sulle cui faccie di scistosità si scor- gono delle lenti allungate di quarzo talvolta scarse, tal altra più ab- bondanti, sempre però di dimensioni assai limitate. Se però si os- servano le faccie di rottura normali alla scistosità ed al maggior al- lungamento di queste lenti, la roccia cambia immediatamente aspetto e si dimostra come un conglomerato di elementi mai molto grossi, cementati da una pasta gneissica. Negli elementi del conglomerato ha predominio assoluto il quarzo bianco granulare, sebbene per quanto molto più rari non manchino pezzi di scisto grafìtico scuro e ciottoli di uno gneiss o granito a piccola grana. I ciottoli dimostrano di essere stati compressi e stirati, non si presentano però appiattiti in lenti, ma piuttosto in fusi allungati; nelle regioni dove appaiono tondeggianti di rado giungono ai 4 o 5 centim. : per lo più stanno intorno ai 2 centim. Ai lati della strada, che è stata aperta soltanto nel 1889, sono fre- quenti i tagli freschi nella roccia ; subito dopo il paese di Pomaretto, a monte, v’ha una piccola cava ; inoltre nel letto del torrente la roccia lisciata lascia vedere assai bene la struttura in molti punti, come per esempio precisamente a Ponte Raut. Coordinando tutto ciò che si può osservare in questi profili parziali, naturali od artificiali, nei quali si vede come tali conglomerati non siano letti o banchi continui, ma appaiono tratto tratto dentro ai banchi dello gneiss grafitico come porzioni localizzate ad elementi maggiori dentro una roccia della stessa natura a grana assai più minuta, si è portati alla conclusione che anche lo gneiss minuto che contiene i conglomerati, in origine altro non era se non una roccia clastica, ad esempio una arenaria od una psammite. Ed infatti- in molti punti si vede un banco di gneiss affatto omogeneo arricchirsi di elementi più grossi, dar luogo ad una porzione di conglomerato, i cui elementi pochi metri più oltre vanno diventando più radi fino a scomparire di nuovo per lasciare posto allo stesso gneiss grigio minuto di prima. — 258 Percorrendo le due falde del monte che sovraincombono al tratto di valle Pomaretto-Villasecca, è stata trovata la continuazione in di- rezione dei conglomerati : sulla destra della valle, intorno e sopra i ruderi di Fort Louis e presso le case di Buffa sulla costa che scende da Piano Bruciato verso Perosa ; in quest’ultima località la decom- posizione ha talvolta messo in rilievo i ciottoli nelle faccie di sci- stosità, dando una grande evidenza al carattere clastico della roccia. Sulla falda sinistra i conglomerati si vedono fra Comba e Crosa, fra- zioni di Bovile, ma specialmente fra Bleger e Lausa, frazioni di Po- maretto, dove nel cemento gneissico sono stati osservati ciottoli ton- deggianti di una roccia a struttura finamente granitica di circa 15 cen- timetri di dimensione massima, però affatto sporadici ed eccezionali. Dentro a questa serie di conglomerati e gneiss che possiamo dire fin d’ora psammitici, compaiono banchi e straterelli di grafite impura che non hanno alcuna importanza industriale, ma che provano l’iden- tità della formazione della valle di San Martino con quella delle altre località della valle del Chisone dove la grafite è escavata, e sono un indizio prezioso dell’ origine sedimentaria di tali giacimenti. Tali affioramenti di grafiti, che è facile ritrovare perchè hanno dato luogo a ricerche, si vedono presso la frazione Massello sulla destra della Germanasca di fronte a Pomaretto, e sulla strada stessa carrozzabile fra il Ponte Baut e Villa Secca; altri meno accessibili si trovano sulle due falde montuose. Nell’area occupata dalle roccie del gruppo grafitico nella valle della Germanasca il predominio spetta agli gneiss grafìtici coi con- glomerati associati; delle altre forme litologiche proprie del gruppo non hanno sviluppo un po’ notevole che i micascisti a grafite e si- smondina che si osservano in due località, amendue prossime al con- tatto del gruppo grafìtico colle roccie del gruppo seguente, gli gneiss ghiandoni. Queste due località sono il tratto di cresta da Ovest della punta Tre Valli (metri 1610), e buona parte della lunga cresta che porta il nome di Costa Lazzarà fra la valle San Matrino e quella di Pramollo. In questi due punti al solito gneiss grigio si sostituisce un mi- cascisto a mica bianca in cui la grafite diventa scarsa e tende ad ac- centrarsi in noduli od occhi; alla mica bianca si associa un cloritoide, la sismondina, ora in pagliette diffuse nella roccia, ora invece accen- trata come la grafite e talvolta colla grafite stessa in occhi e pic- coli lenti dentro al micascisto. Si ha così una forma litologica di aspetto molto caratteristico e che vedremo presentarsi pure in un’altra delle zone che descriveremo: l’unico carattere distintivo che parrebbe dover essere la presenza o la mancanza della grafite è fal- lace perchè spesso dentro ai micascisti a simondina e grafite v’hanno delle varietà in cui quest’ultima manca. Un elenco delle forme litologiche diverse del gruppo grafìtico, con diagnosi sommarie, sarà dato nella nota che riguarda la valle del Chisone. Qui ci limiteremo a qualche indicazione petrografia relativa ai conglomerati gneissici non trovati finora fuori della valle della G-er- manasca. Il cemento gneissico che lega i ciottoli consta di quarzo , sempre in granelli disposti a mosaico, e di felspato, la cui natura non si è ancora potuto stabilire, ma che non presenta striature o geminazioni di sorta ; esso modella spesso i grani di quarzo ed all’ aspetto si direbbe se condario. Quarzo e felspato sono tenuti insieme da una notevole quantità di minerali finitici e cioè da mica bianca , da clorite verdognola e da una mica bruno-rossastra ora assai fresca, ora più o meno parzialmente cloritizzata ; sempre però in elementi assai piccoli. Non manca mai il granato in piccolissimi individui micro- scopici contenuti nei felspati, . qualche rara volta in grani scarsi 'appena visibili ; coi caratteri di minerali accidentali si sono osservate la tormalina , talora assai abbondante e la sismondina. Il pigmento nero grafìtico si presenta in due forme: quale polvere più o meno fina generalmente nella mica e nel felspato, oppure in scaglie o pa- gliuzze negli interstizi fra i vari altri minerali. Il quarzo invece è stato trovato sempre limpido e senza inclusioni ciò che induce a cre- derlo allotigeno. E mancato il tempo di sottoporre ad esame i ciottoli diversi del conglomerato. Come si è detto, per la maggior parte sono di quarzo bianco latteo che in sezione sottile si mostra come un aggregato di granelli, ognuno dei quali presenta ancora delle screpolature irregolari che però non alterano in alcun altro modo l’individuo che solcano. Altri ciottoli assai più rari sono di una roccia composta di quarzo e felspato, di tipo aplitico, con scarsi frustoli di mica bianca e nera. E notevole però che all’infuori dei frammenti di scisto grafìtico che potrebbero essere uguali alle roccie analoghe della stessa formazione, fra i ciottoli del conglomerato finora non si è trovato nulla che si possa riferire alle roccie che si conoscono nella regione, quali gneiss, - 260 - micascisti, roccie verdi, eco., appartenenti ad altra formazione che non sia la grafitica. Gneiss ghiandone. — Questa seconda sezione non comprende che una sola forma litologica, tenuta accuratamente distinta dalle re- stanti per l’importanza delle questioni che vi si connettono e che di- scuteremo più innanzi trattando della tettonica. Lo gneiss ghiandone porfìroide è stato trovato nella valle della G-ermanasca in quattro affioramenti distinti ; uno di questi forma cer- tamente una massa affatto staccata dal resto: per le altre tre è man- cato nel 1894 il tempo per ricercare se tutte, o, come vedremo esser più probabile, almeno due di esse formino una zona continua, oppure se siano tutte indipendenti fra di loro. Due delle masse sono nella sinistra della Germanasca. La mag- giore è costituita da un banco relativamente poco potente, ma con- tinuo, il quale dal Colle di Buffa che è al contatto fra lo gneiss ghian- done ed i micascisti granatiferi della sezione seguente, scende fino al villaggio di Trussière, sulla strada carrozzabile, immediamente a valle della piccola cappella cattolica del paese. La potenza di questo banco nel tratto di cresta ad Est del colle di Buffa non è superiore ai 250- 300 metri, si assottiglia anzi ancora scendendo, per assumere poi una potenza massima di 5 o 600 metri a mezza costa, fra San Martino e Granerò; in fondo alla valle, nel basso, le coltivazioni non hanno permesso di stabilire nettamente il limite fra gneiss e micascisti su- periori. Il banco diretto a Nord 15° Ovest pende fortemente verso Ovest, poggia sui micascisti grafìtici ed è coperto dai micascisti grana - tiferi. La seconda massa sulla sinistra della Germanasca si trova molto in alto, ad Ovest di questa che abbiamo descritta e separata da essa, da circa due chilometri di potenza di gneiss e micascisti superiori. E una lente allungata da Nord a Sud, di una dimensione massima di 6 o 700 metri in tal senso, a Sud della cresta che porta il segnale detto della punta di Midi o Muret, formando un caratteristico dosso arro- tondato di fianco alla costa stessa. . Sulla destra della valle sono pure state ritrovate altre due masse di gneiss ghiandone. Una affatto analoga a quella del Colle diBuffa- Trussière, è pur essa in forma di banco non molto potente e forma una zona diretta quasi da Ovest ad Est e pendente verso Sud che si è seguita dal tratto fra le quote 1500-1600 della lunga cresta che scendendo verso Nord dal Monte Gardetta (1976) divide il vallone di — 261 Faetto da quello di Riclaretto, fino alla Costa Lazzarà nella regione che porta il segnale colla quota 1718 metri. La lunghezza per cui è stato riconosciuto supera i due chilometri. L’ultima massa infine, che sembra dovere essere la maggiore di tutte, compare nella parte alta del vallone di Faetto, detta vallone di Cialancia, dove comincia a mostrarsi alla confluenza del vallone del Lauson, proseguendo a monte di questa, per andarsi forse a congiun- gere colle aitile masse di gneiss ghiandone, che da quanto si sa esi- stono verso la punta Cialancia sopra il bacino dei Tredici laghi. Fi- nora però la delimitazione di tali masse non è stata compiuta. Siccome la porzione inferiore del vallone di Faetto è coperta nella parte più bassa da estesi lembi morenici e rivestita di folta vege- tazione ed il tratto intermedio del vallone, specialmente sul lato sinistro, ancora non si è potuto percorrere, non è stato possibile stabilire se esista un nesso fra una delle due masse della destra della Germanasca e la zona di gneiss ghiandone Colle di Buffa -Trussière, che pure giunge fino al torrente e sembrerebbe doverlo attraversare. Noto però fin d’ora che all’anticlinale di gneiss centrale segnata dallo Zaccagna per l’ellissoide Dora-Val Maira, corrisponderebbero con molta ap- prossimazione le due masse del Colle di Buffa e dell’Alpe Cia- lancia; ne sarebbero invece fuori, sebbene prossime, quelle della Costa Lazzarà e della Punta Muret. Gli gneiss delle quattro masse sono congiunti dal comune carat- tere macroscopico di essere ad elementi grossi, largamenti scistosi, e con nuclei felspatici, più o meno spiccatamente porfìrici. Lo gneiss ghiandone del vallone di Cialancia presenta fra tutti la maggiore rassomiglianza coi tipi più frequenti di gneiss ghian- done dell’ellissoide del Gran Paradiso, n m è però finora stato studiato in special modo. Lo gneiss della punta Midi o Muret è quello che mostra meno spiccato il carattere dei nuclei felspatici porfìrici: è molto scistoso, ma la mica nera è ancora ben conservata ed al microscopio assai fresca. Invece il felspato si dimostra molto alterato; per lo più completamente sgretolato, ed in uno stato di caolinizzazione piuttosto avanzato: a giudicare dai residui ancora inalterati, si direbbe che in origine era microclino : il quarzo abbondante è pure profondamente frantumato e costantemente ridotto a mosaico. Alla mica bruna si associa un po’ di mica bianca, e qualche individuo di granato. - 262 - La roccia delle due masse del Colle di Buffa e della Costa Laz- zarà è uno gneiss largamente scistoso, con quelle ampie membrane di mica a fini elementi grigi o grigio -scuri, che sono caratteristiche degli gneiss alpini; il felspato oltre che nelle lenti schiacciate fra le lamine di scistosità, si presenta nei nu^ei od occhi porfirici ora scarsi ora più abbondanti. Esso però è nei due casi sempre ortose, il microclino è assai subordinato. I segni di deformazione meccanica sono evidentissimi: a volte tutta la lente felspatica è Ridotta ad un mosaico di frantumi inalterati ; altre volte, ed è generalmente il caso degli occhi, solo gli orli del felspato sono trasformati in tal mosaico, mentre il nucleo è rimasto integro, o appena ridotto in due o tre pezzi ricementati dal mosaico. Il quarzo presenta pure analoghi feno- meni. La mica bruna, ora più ora meno scarsa, è costantemente asso- ciata alla mica bianca, e spesso diventa verdiccia per un principio di alterazione. Nel lembo estremo occidentale del banco di Costa Lazzarà, sulla cresta Nord del Monte Gardetta, lo gneiss diventa finamente scistoso e tabulare, e perde quasi completamente la mica bruna, di cui in sezione non si trova più che qualche lembo verdognolo : gli occhi di felspato però rimangono quasi inalterati, e spiccano in grigio sul fondo finamente scistoso della roccia. Il felspato è anche qui ortose e non microclino. Nel complesso, come si vede, la costituzione degli gneiss ghian- doni è assai semplice, e l’alterazione non sembra aver dato luogo a numerosi prodotti secondari. Micascisti e gneiss superiori. — Per la varietà delle forme lito- logiche, questa sezione è l’antitesi della precedente: consta di un complesso di gneiss e micascisti di varia composizione e struttura, e contiene intercalate lenti di calcare cristallino di grande potenza, e banchi minori di prasiniti, anfiboliti, serpentine e calcescisti. Occupa la parte intermedia della valle, entrando in essa al Nord pel tratto compreso fra il Colle Clapier ad Ovest e quello di Buffa ad Est ; scende verso Sud allargandosi considerevolmente a ventaglio, per modo che sullo spartiacque S.E va- dal colle Giuliano fino alla Costa Lazzarà sopra un’estensione orizzontale più che tripla di quella fra i due colli predetti al Nord. Giova ricordare che in questa potenza debbono essere comprese le masse di gneiss ghiandone della punta Midi o Muret a Nord, e quella dell’Alpe Cialancia a Sud; sono invece affatto esterni e presso il contatto inferiore gli gneiss ghiandoni del Colle di Buffa e della Costa Lazzarà. - 263 - . ]1 contatto inferiore segue la linea che abbiamo già descritto par- lando dell’andamento di queste due masse di gneiss ghiandone: dal Colle di Buffa scende a S. Martino, a Trussière, attraversa la valle all’in- circa in corrispondenza del vallone di Faetto, e va a tagliare la cresta Nord del Monte tardetta verso i 1600 metri, per proseguire diretto verso Est fino alla piccola depressione a Sud del segnale metri 1717 sulla Costa Lazzarà. Questa linea appare quindi come un arco irre- golare fortemente incurvato verso Ovest. Il contatto superiore, verso i calcescisti, è molto più regolare; dal Colle Clapier scende alla frazione Boberts del comune di Mas- sel!o, segue per buon tratto il corso della Germanasca di Massello, risale per Ciabrans il contrafforte fra i valloni di Salza e Bodo- retto, passa a Servé 1 e Bonous, scavalca a Galmonte l’ultimo sprone della cresta fra Bodoretto e la valle di Prali, e risale questa lungo il torrente fin oltre a Malzat, per salire poi direttamente al colle Giu- liano. Questa linea di contatto corre quasi esattamente da Nord a Sud, inflettendosi appena leggermente verso Ovest fra i due punti estremi. L’area compresa fra le due linee così tratteggiate è poco meno della metà di quella totale della valle, la quale deve quindi buona parte dei suoi caratteri orografici e del suo aspetto a questo com- plesso di roccie che all ’infuori delle lenti di calcare cristallino, è nel- l’apparenza molto uniforme. La forma litologica predominante, quella che si può dire inglobare tutto il resto, è un micascisto a muscovite, grigio, quasi sempre granatifero e che contiene spesso anche sismon- dina e clorite più o meno finamente disseminate, che gli danno la tinta grigia poc’anzi accennata. Una bellissima varietà di questo mi- cascisto è data dal micascisto ad occhi o nuclei di sismondina che ri- corre frequentemente negli orizzonti superiori della massa, presso i contatti sebbene non sia circoscritta a questi (Massello, Colle Giu- liano); esso pure per lo più granatifero: questa roccia, salvo la pre- senza della grafite, come è già stato detto, è affatto simile ad una che abbiamo descritto nel gruppo grafìtico. Il micascisto accennato è talvolta felspatico e farebbe con ciò pas- saggio agli gneiss. Questi però hanno un’aspetto particolare, e sem- 1 Serve o Servej, frazione di Rodoretto, è indicata nella carta al 50 000 dell’ Istituto geografico militare col nome di Serre. - 261 - brano circoscritti, salvo una varietà, alla parte inferiore della forma- zione, dove finora sono stati trovati di preferenza. La varietà eccet- tuata è uno gneiss a muscovite largamente scistoso con occhi e no- duli di felspato abbastanza grossi, che è stato costantemente trovato a contatto diretto cogli strati inferiori del gruppo dei calcescisti, ciò che sembrerebbe indicarlo come un’orizzonte, se fosse continuo. Lo si è incontrato al Colle Clapier, presso Servej nel vallone di Rodoretto, e sullo sprone ad Est di Galmonte. In tutte queste località sembra co stituire un banco poco potente. Fra le intercalazioni tengono il primo posto i calcari cristallini, noti da molto tempo siccome quelli da cui si estraeva un marmo pre- giato e pietra da calce e già descritti con sufficiente esattezza, anche per quel che si riferisce alle loro condizioni geologiche nell’opera del Barelli, in vari passi ricordati poi anche dal Gastaldi 1. Questi cal- cari sono lenti e banchi molto potenti che continuano sopra grandi estensioni formando degli allineamenti. Tuttavia non è verosimile che formino degli orizzonti continui perchè si trovano in diversi livelli del profilo della serie: così si osservano tre o quattro lenti o banchi so- vrapposti lungo la cresta fra il Colle di Buffa e la Punta Midi, verso il contatto inferiore ; nel cuore della massa e verso il contatto supe- riore sono i calcari di Maniglia, Roccia Corba, Rocca Bianca, del Cappello di Envie e della Punta Cornour (cresta Nord o del Bel- vedere). Più rare di ogni altra intercalazione sono quelle di banchi di quarzite che non sono state osservate che in tre punti; sulla cresta Nord del Monte Gardetta, sulla cresta che scende all’ Ovest della Punta Cornour, e sul monticello di fronte a Prali, presso al contatto dei calcescisti, dove un banco di una decina di metri di potenza di una quarzite bianca, simula l’aspetto che hanno nella valle gli affio- ramenti di calcare cristallino. Sulle roccie verdi intercalate nei micascisti e gneiss superiori non pare si sia mai fermata l’attenzione dei geologi, perchè all’infuori del talco, prodotto escavato da secoli nella valle, non se ne trova mai fatta menzione. 1 V. Barelli, Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re di Sardegna , Torino, 1835; pag. 47 e seg. B. Gastaldi, Studi geologici sulle Alpi Occidentali , parte II, Firenze, 1871; pag. 36. - 265 - Pur tuttavia, sebbene per lo più in lenti di molto limitata esten- sione sono frequenti nei terreni che descriviamo prasiniti cloritiche od ovarditi, amfiboliti granatifere, scisti amfibolic >cloritici, ora asso- ciati ai giacimenti di talco, ora affatto isolati. Di potenza e conti- nuità affatto eccezionali è un affioramento di ovardite che dal val- lone di Faetto per la cresta del Monte G-ardetta giunge alla Costa Lazzarà, affatto parallelo al banco di gneiss ghiandone che abbiamo descritto nella stessa località, ma anche più esteso sebbene assai meno potente (da 100 a 150 metri). Altre masse numerose ma meno potenti si osservano intorno ai Tredici laghi, presso Perrero, intorno alle cave di talco di Maniglia, sullo sprone alla confluenza delle due Germanasche di Frali e di Massello. Precisamente in questa ultima località fra i casolari detti Meison sulla carta e la frazione di Bessè si osserva una serie di lenti di roccie verdi molto caratte- ristiche. La principale s’incontra quasi subito dopo Meison (ad Est), sulla costiera scoscesa percorsa dal sentiero, ove forma delle rupi a foggia di ton ioni e d1 guglie: la roccia si mostra dapprima per un tratto profondamente sgretolata in frammenti poligonali : indi nel suo corpo principale alterata in modo da mostrare una struttura che non si può altrimenti definire se non assimilandola ad una struttura clastica di conglomerato o breccia. Nuclei e frammenti angolosi o tondeggianti fino a 15 cm. di diametro minimo, durissimi; compatti, di aspetto afa- nitico sono impastati in una massa cloritica verdognola più o meno scistosa e tenera. L’aspetto della roccia ricorda, salvo il colore che è grigio-verdognolo o giallastro per alterazione, il così detto gabbro rosso dell’ Eocene toscano. Verso la base della lente banchi più o meno sot- tili di amfìbolite compatta e dura alternano col micascisto granati- fero, e circostanza di cui dovremo tener conto in seguito, con lenti di talco presso alle quali non si osserva il calcare cristallino. Il talcoscisto così quello bianchissimo escavato, come l’altra va- rietà verdognola meno pura, inquinata* per lo più di attinoto, com- pare in numerose località sempre associato a roccie verdi, e spesso ancora al calcare cristallino su cui è direttamente appoggiato, e con cui spesso alterna in straterelli dando luogo a cipollini talcosi. Il talco compare a Maniglia, a Bessè, a Fontana, alle cave dette del Malzas ad Ovest della cresta Cavalupo, sopra Sapatlé, ed alla base della Costa del Petto di fronte al Nido dell’Orso. Per la sua composizione si può ritenere che il talcoscisto rappresenti la serpentina che è rarissima e di cui non ho incontrato che un’unica massa, as-ai picco'a sulla mu- — 266 — lattiera che riunisce l’Alpe Cialancia all’Alpe della Balma, nel val- lone superiore di Faetto. La sezione dei micascisti e gneiss superiori comprende le seguenti forme litologiche : Micascisti Micascisti a granato e sismondina Micascisti ad occhi di sismondina ~ . . . ( ordinari Gneiss minuti . ' , . . . . , . . . . . ( a struttura ovarditica (m parte prasmitici) Gneiss muscovitici occhiatini Quarziti Calcare cristallino saccaroide, cipollini, bardigli Amfìboliti, amfiboliti granatifere,, scisto amfibolico Prasinite ed ovardite Talcoscisto. La roccia principale del gruppo è il micascisto, raramente il mi- cascisto tipico a musco vite e quarzo , di solito invece il micascisto a muscovite con granato , ed ora più ora meno frequenti in minute scaglie la sismondina ; assai spesso nel micascisto compare la clorite : invece non è stata finora osservata una mica colorata. Minerali accidentali accessori sembrano piuttosto scarsi: si è osservata finora soltanto la zoisite ed il rutilo. Il granato è un elemento molto costante e lo si ritrova sempre in dimensioni variabili da grossi individui di 1 cm. di diametro, fino a granelli piccolissimi e quasi microscopici. Il micascisto ad occhi di sismondina si può considerare come una varietà del precedente in cui v’abbia maggior quantità di tal cloritoide raccolto in occhi o nuclei, che si trovano frequentemente isolati e sciolti per la decomposizione e la sfaldabilità della roccia. Questi nuclei con- stano unicamente di sismondina in lamelle esagonali e muscovite : il resto della roccia è muscovite con quarzo, ed ancora sismondina dif- fusa in scagliette e minuti granati. Spesso nelle varietà più minute di micascisto si tro va del felspato, e così si fa passaggio ad un primo gruppo di gneiss minuti, in cui oltre alla mica bianca, al quarzo ed al felspato generalmente senza contorno esterno e senza geminazione polisintetica, si associa il gra- nato in piccoli cristalli, la clorite, e talora la zoisite e l’epidoto. La diffusione di questo tipo di gneiss minuti | ero non è molto grande. - 267 — Più frequenti sebbene limitati alla vicinanza del contatto inferiore, e forse anche in questo soltanto colà dove v’hanno roccie verdi sono altri gneiss di natura assai più complessa e di quella struttura particolare che abbiamo preso • l’abitudine di denominare ovarditica, - dal nome della roccia dove costantemente ricorre, e che è una struttura orbicu- lare minuta in cui degli occhi felspatici sono o totalmente o parzial- mente avvolti dai minerali micacei od aciculari. Nel gruppo di gneiss in questione tale struttura è sempre più o meno pronunziata; essi constano di quarzo , di felspato che sembra essere in prevalenza un plagioclasio acido, di mica bianca a cui spesso, ma non sempre, si as- socia una mica bruna ; sogliono accompagnare tali minerali la clorite , la zoisite ed il granato. Questi gneiss sono stati trovati particolar- mente nella regione Monte Gardetta, Gran Truc, Costa Lazzarà. Un tipo affatto speciale, tanto ricco di quarzo da sembrare a primo aspetto una quarzite con molta mica bruna, ed in cui ai minerali predetti si aggiunge l’amfibolo, è stato trovato a contatto diretto dello gneiss ghiandone presso Trussière, proprio sulla strada carrozzabile della valle. Un gruppo particolare è costituito dagli gneiss muscovitici occhia- tali, che come si è detto si trovano costantemente alla base dei calce- scisti. Sono largamente scistosi e quasi tabulari tanto che vengono in più luoghi scavati come materiale tegolare. Constano essenzial- mente di felspato e mica bianca; il quarzo è relativamente scarso; il felspato in prevalenza è ortose e microclino, però molto deformato meccanicamente e parzialmente caolinizzato ; v’ha però oltre a questo un altro felspato, plagioclasio, della serie acida, a piccolo angolo di estinzione. Infine v’hanno ancora dei lembi di una mica verde , al- quanta clorite ed epidoto. Le quarziti sono così poco importanti che si possono considerare come varietà locali di micascisti in cui il quarzo ha preso il soprav- vento. La parte maggiore dei calcari cristallini è formata da un calcare saccaroide bianco, a grana piuttosto grossa senza che tuttavia sia mai lamellare ; è debolmente magnesiaco. A questi calcari bianchi si as- sociano dei calcari grigi zonati parallelamente alla stratificazione, grigi più o meno chiari, e spesso con sottili straterelli verdognoli talcoso micacei per cui passano da bardigli a cipollini. Quando il cal- care è a contatto coi giacimenti di talco, lo si osserva riempirsi di aghi di attinoto verde-chiaro in belle masse raggiate. Non si sono - 268 - però finora osservati dei calcefiri. Al contatto col talco però il calcare si riempie di lenti e noccioli di questo, e finisce talora per "aversi una roccia in cui il talco impasta dei nuclei di calcare .cristallino bianco con attinodo. Delle lenti di roccie verdi sparse nelle varie località buona parte appartiene alle amfiboliti: è notevole però che in tutte quelle che sono state esaminate è stata riscontrata la glaucofane, il granato e della mica bruna più o meno fresca, ma sempre ben riconoscibile. Le pra- siniti sono non meno frequenti delle amfiboliti, ed in talune di esse è pure stata trovata la mica bianca o verde scura. Queste roccie sono state trovate in prossimità di ogni giacimento di talco: così a Mani- glia, a Sapatlé, fra Meison e Bessè. La grande massa già descritta che parallelamente allo gneiss ghiandone va dal vallone di Faetto alla Costa Lazzarà è pure, in parte formata da pra uniti, ma forse in prevalenza dalla varietà cloritica di queste, l’ovardite; la mica bruna compare in tutte le varietà che ne sono state esaminate, associandosi però sempre alla mica bianca. Il talcoscisto per la sua purezza e bianchezza è una delle parti- colarità della valle della Germanasca dove è attivamente escavato : anzi in tali qualità il Gastaldi aveva voluto vedere un distintivo del talcoscisto dello gneiss centrale da quello della sua zona superiore delle pietre verdi, generalmente verde o grigio-verdognolo e più o meno sempre inquinato da attinoto. La serpentina, come si è detto, è sommamente rara nei micascisti e gneiss superiore; presenta però i soliti caratteri. Calcescisti e fìlladi. — Le roccie comprese in questa sezione sono quelle stesse che nella geologia delle Alpi Occidentali italiane sono state designate semplicemente col nome di calcescisti, sebbene fosse nota fra questi ultimi la presenza di roccie affatto prive di calcare, a cui per conseguenza tal nome non era a rigore applicabile. L’osser- vazione più attenta e minuta di questi ultimi anni ha provato che una parte non indifferente della potente serie dei così detti calcescisti consta di roccie d’aspetto fìlladico 'in cui la calcite manca affatto od è in quantità trascurabile. Queste roccie talora alternano in banchi sottilissimi coi tipi calcariferi ed allora ogni distinzione è impossi- bile e forse anche oziosa; altre volte però la roccia senza calcare forma complessi potentissimi senza che il tipo calcescisto propria- mente detto vi compaia ed allora è indispensabile porre mediante il nome di fìllade tale fatto in evidenza. - 269 - Nella valle della Germanasca, tutta l’area ad Ovest della linea che abbiamo descritta dal Colle Clapier al Colle Giuliano, quale limite superiori dai micascisti e gneiss superiori, è occupata esclusivamente dai calcescisti che vengono a formare così tutta l’alta valle. In essi difatti sono aperti buona parte del vallone di Massello, tutto quello di Salza, quasi tutto quello di Rodoretto, ed oltre la metà di quello di Prali. La separazione dei micascisti dal gruppo inferiore è per lo più abbastanza netta, sebbene in più luoghi sopra una zona più o meno stretta si possa osservare come il passaggio dall’uno all’altro gruppo si faccia mediante alternanze dei rispettivi tipi litologici, micascisto e calcescisto, le quali si possono osservare assai bene in due località : la cresta ad Ovest del Colle Clapier verso la Punta Raccias ed il cri- nale divisorio fra il vallone di Rodoretto e quello di Salza. Questa zona di contatto è anzi importante perchè è caratteriz- zata dalla presenza nei calcescisti di alcuni tipi speciali, analogamente a ciò che avviene nei micascisti, pei quali abbiamo visto appunto presso detto contatto inserirsi talvolta gli gneiss muscovitici occhia- tini. Nei calcescisti invece è una roccia prevalentemente calcarea o dolomitica che sta alla base della serie. Così al Colle Clapier la roccia con cui alternano i micascisti al disopra dello gneiss musco vitico oc- chiatino è un calcare saccaroide dolomitico, che dà luogo anzi in qualche punto a carniole, le quali sono ben sviluppate più a nord nel vallone di Borsetto, altro affluente del Chisone indipendente dalla Ger- manasca. Sul crinale fra il vallone di Rodoretto e quello di Salza, dal crinale stesso fino alia frazione Serve di Rodoretto si segue un banco di dolomite tipica, durissima, a grana molto fina, ma molto evi- dentemente cristallina, potente una decina di metri al massimo. Più a Sud, in un vallone di fronte al capoluogo di Rodoretto sulla destra torrente omonimo, sempre nella stessa posizione stratigrafìca, si osserva un banco di calcare marmoreo micaceo grigio zonato, talvolta con piccoli cristalli prismatici di tormalina sulle faccie di sfaldatura. Oltre questo punto verso Sud sembra che tale zona venga a mancare; infatti al Colle Giuliano non si trovano più nè lo gneiss muscovitico occhiatino nei micascisti nè il calcare cristallino nei calcescisti. A questi calcari cristallini dolomitici e dolomiti si connettono varie questioni che c’inducono a soffermarci alquanto sull’argomento. In primo luogo è bene notare l’analogia che presenta nelle Alpi la 2 - 270 - formazione dei calcescisti in località molto distanti fra di loro. Nelle Alpi Graje, sopra vaste estensioni, della Valle Soana e della Val Savaranche, intorno al nucleo gneissico del Gran Paradiso, precisamente al contatto dei calcescisti colle formazioni inferiori ricorre un banco più o meno potente di calcare cristallino, ora dolomitico, ora invece semplice- mente micaceo e granatifero che si può seguire sopra grandi estensioni. E noto che il prof. M. Bertrand nei suoi Etudes dans les Alpes franqaìses ha attribuito al Muschelkalk o Trias medio, dei calcari che si trovano nel? identica posizione stratigrafica, taluni dei quali anzi non sono che la prosecuzione dello stesso banco che si osserva all’origine della Val Savaranche (Nivolé) e nell’alta valle dell’Orco. Ciò in base a con- siderazioni stratigrafiche e non a fossili che in detti calcari si siano rinvenuti. I calcari in questione nella valle della Germanasca non hanno dato traccia alcuna di fossili: litologicamente non presentano nep- pure nessuna analogia coi calcari del Muschelkalk alpino : il solo banco di dolomite di Serve (Rodoretto) presenta un’alterazione super- ficiale che gli dà una grande rassomiglianza con analoghi calcari do- lomitici di formazioni fossilifere, ma nella frattura fresca si mani- festa così cristallino che si capisce subito quanta scarsa probabilità di successo vi possano avere le ricerche di fossili. All’infuori di questa zona presso il contatto inferiore non sono noti nei calcescisti della valle della Germanasca altri banchi di calcare dolomitico. Ciò toglie fondamento ad una affermazione fatta ripetuta- mente dal Gastaldi della presenza di un calcare dolomitico fossilifero presso la punta del Ghinivert ( Chinivert in Gastaldi), uno dei picchi più elevati del crinale che divide la valle Germanasca da quella del Chisone h Nè lo scrivente che percorse la faccia orientale e la cresta meridionale del monte Ghinivert, nè Ting. Mattirolo che ne fece l’ascensione per la cresta Nord-Ovest hanno trovato traccia di tal calcare dolomitico fra i calcescisti del monte. E quindi probabile che il Gastaldi, che del resto non aveva raccolto in persona il campione, ma l’aveva avuto da altri, sia stato tratto in inganno da un’indica- zione erronea. La zona certamente fossilifera (triasica) della valle 1 Vedi : B. Gastaldi, Deux mais surla geologie des Alpes Cotliennes, Turin 1872; pag 17. — Io., Studi geologici sulle Alpi Occidentali, parte IT, Firenze 18 4; pag. 3J e seg. — Id., Sui fossili del calcare do ^mitico del Chaberton ( Alpi Ci zie), Roma, 1876; pag. 6-7. - ‘271 - della Dora Ripària è più ad Ovest, in un livello sti^atigrafìco della massa dei calcescisti molto più alto clie non il Ghinivert, relativa- mente ancora profondo. All’infuori della stretta zona delle alternanze presso il contatto, che non è del resto, come vedemmo, nemmeno continua, il gruppo dei calcescisti e delle fìlladi forma un complesso assai omogeneo e non interrotto, con uno spiccato carattere di unità geologica, carattere che lo distingue dai calcescisti delle Alpi G-raje che in taluni luoghi, che abbiamo indicato nella Relazione dell’ anno scorso, si presentano in lenti rinchiuse negli gneiss minuti. L’insieme della formazione è però assai uniforme, perchè per quanto le varietà fìlladiche alternino spesso in potenti serie colle va- rietà calcari, la differenza fra esse non è molto spiccata e non ri- sulta spesso se non dopo un esame attento : solo in taluni luoghi, come per esempio nella parte mediana dell’alto vallone del colle d’Abries, le varietà fìlladiche sono caratterizzate da una maggior ricchezza di quarzo che salta subito all’occhio dando origine ad un tipo di roccia più resistente che non le solite forme scistose e calcari Non è stato finora possibile riconoscere se nella successione delle forme calcari e fìlladiche della zona dei calcescisti v’abbia una certa regolarità; è si- curo però che lungo la cresta dal colle Clapier al colle dell’Albergian si è osservato fra il Becco dell’Aquila ed il Truc Oialabrie una potente massa prevalentemente fìlladica compresa fra due zone calcari. Non è quindi improbabile che, come avviene in piccolo sopra potenze di pcchi metri, si verifichino anche in grande delle alternanze. Dentro a questa serie così omogenea, le roccie intercalate d’altra natura spiccano molto distintamente e sono anOhe facilmente rico- noscibili. Anche qui si ripetono i tipi già noti dalle Alpi G-raje, cioè eufotidi, prasiniti, ovarditi, amfiboliti, cloritoscisti, serpentine, di cui ci occuperemo fra breve nella parte petrografia. Per rispetto alle roccie di tal genere la valle della Germanasca si trova in una posizione singolare; in essa le roccie verdi hanno un minimo di potenza tanto che in taluni punti del profilo si può dire manchino assolutamente, ed anzi nessuna amigdala potente di prasinite, eufotide o serpentina si annovera fra quelle che sono esclusivamente nella valle; le mag- giori appartengono a masse che hanno il loro sviluppo vero fuori di essa. In questa le roccie verdi si presentano in piccole lenti lontane le une dalle altre, lembi insignificanti che appena servono a stabilire - 272 - la continuità fra quelle ben altrimenti imponenti della valle del Chi- sone e della valle del Pollice. Lungo la cresta Nord sono degne di menzione la serpentina della Punta Bacc:as, e le eufotidi e rocce associate della Punta del Gran Mioul, che propriamente non sono che una propaggine di quelle della Punta dell’Albergian nella valle del Ohisone. Dopo questa non ha qualche importanza che l’ eufotide della Punta del Bett, e quindi non si trovano più intercalazioni considerevoli di roccie verdi se non molto più al Sud) nella valle di Prali. In questa ledenti di prasinite, ovar- dite, ed eufotide cominciano a diventare frequenti sulla erla parete di sinistra dove affiorano in lunghi banchi e lenti allineate. Le masse maggiori della valle però non compaiono che nel vallone della Mi- niera dove un potente complesso di serpentina, eufotide e prasiniti diverse forma il fondo del vallone e la cresta dal passo di Fionira al Colie Giuliano per una lunghezza di circa due chilometri. Questa massa che scende poi nella valle del Pellice altro non è se non l’estre mità settentrionale della potentissima amigdala di roccie verdi che va a formare il Monviso e giunge fino alla Val Maira. Le forme litologiche osservate nel gruppo dei calcescisti, filladi e roccie incluse sono le seguenti: Filladi Calcescisti Calcari varii, micacei, ecc. Dolomite Micas cisti Prasiniti, ovarditi Amfiboliti Scisti a glaucofane Cloritoscisti, talcoscisti Serpentine Eufotide Diabase (?) Componenti essenziali e costanti della fillade sono il quarzo in granelli irregolari, aggruppati a mosaico, spesso con contorni a su- tura, un minerale micaceo incoloro, che si attribuisce di solito alla mica hiancaì ma che se fosse studiato in ogni caso forse lascerebbe riconoscere qualche altro minerale,' e della clorite verdognola pleocroi- tica ma di una birifrangenza debolissima. Il colore grigio più o meno scuro è impartito da un pigmento nero pulverulento diffuso in tutti i minerali componenti, salvo che nel quarzo, dove compare solo negli interstizii fra i varii granelli del mosaico. Se a questi elementi si aggiunge la calcite, si passa al calcescisto 273 - congiunto colla fillade da una parte, e coi calcari cristallini micacei dall’altra, da innummerevoli termini di passaggio. Nelle numerose va- rietà della roccia poi si osserva un gran numero di minerali acces- sori od accidentali : i più frequenti sono la tormalina , la zoisite e IV pidoto ; in una varietà è stata trovata quest’anno pure la sismondina, in qualche tipo speciale pure Vamjiboló. Un posto a parte si deve as- segnare alla mica nera che è stata osservata in lembi e frustoli in qualche campione : non è però improbabile che la clorite che si trova in qualunque varietà della serie derivi almeno in parte dalla mica nera: difatti in talune sezioni di clorite si osservano inclusi di zir- cone colle caratteristiche aureole pleocroitiche, che dimostrano come il minerale sia un’epigenesi di una mica bruna preesistente. Probabilmente il numero dei minerali contenuti nei calcescisti è molto maggiore ; ciò che impedisce di trovarli è il modo con cui bisogna procedere alla loro ricerca: essi sono generalmente piccolissimi e difficilmente rico- noscibili ad occhio nudo, onde nulla indica nella uniforme massa della roccia quale sia la varietà più ricca in minerali delle altre; la raccolta dei campioni si fa perciò del tutto alla cieca, e non è che la diagnosi microscopica che rivela la maggiore o minore ricchezza della composizione mineralogica. I calcari cristallini micacei dei calcescisti ed i calcari saccaroidi non differiscono essenzialmente dai tipi precedenti che per la preva- lenza della calcite; presentano gli stessi minerali annegati per così dire nella massa della calcite. La sola circostanza notevole è che nei non frequenti calcari micacei della valle della Gfermanasca non si è ancora trovato il granato, immancabile altrove. Della dolomite di Servò presso Rodoretto sono già stati detti i caratteri principali: aggiungeremo ancora che è così tipica da non dare alcuna effervescenza coll’acido cloridrico a freddo, mentre si scioglie completamente a caldo. Molto subordinate rispetto alla massa dei calcescisti e fìlladi, e generalmente in relazione abbastanza chiara colle roccie verdi com- paiono delle forme litologiche di composizione assai svariata che non si possono altrimenti denominare che micascisti. In. essi al quarzo ed alla mica si associano costantemente la tormalina e la glaucofane (ga- staldite ?) spesso poi il granato , V epidoto ì la zoisite , Vamfibolo e lo sfeno. Quanto abbiamo detto delle roccie verdi in genere e del gruppo delle roccie prasinitiche in ispecie nella nota sulla loro nomenclatura % - 274 - e sistematica 1 ci dispensa dall’entrare in particolari sulla loro compo- sizione e struttura: daremo piuttosto un rapido sguardo al loro modo di diffusione, alla frequenza delle singole specie ed a]le loro associa- zioni. La massima diffusione spetta alle roccie prasinitiche in genere cioè alle prasiniti proprie, colle loro tre varietà di cloritiche epido tiche e amfìboliche ed alle amfiboliti sempre più o meno epidotiche o feldspatiche e perciò strettamente legate colle prasiniti. Le sole amfi- boliti non felspatiche che si siano trovate sono quelle in cui nell’al- tinoto prevale un amfìbolo violetto attribuito genericamente al gruppo della glaucofane. Tutte le masse che sono stale rilevate, salvo pochis- sime eccezioni, constano di roccie di tal genere, ora rappresentate da una sola specie, ora più frequentemente, per piccola che sia la lente, da parecchie. Invece la serpentina e la eufotide si incontrano più di rado: la serpentina forma talvolta masse affatto indipendenti: l’eufotide invece è sempre collegata o colla sola serpentina o molto più spesso colle roccie prasinitiche. È anzi probabile che queste con- tengano dei nuclei di eufotide più spesso di quanto risulti dal rileva- mento. Così ad esempio, nel vallone di Rodoretto dove le lenti di roccie verdi sono molto scarse e dove non è stata trovata eufotide in posto, se ne incontrano nel torrente della valle numerosi ciottoli, che non possono provenire che da piccoli nuclei non reperibili delle lenti pra- sinitiche. In talune località, specialmente nella grande massa meridionale della valle (Colle Giuliano— passo Fionira) al passo Brard, la relazione fra l’eufotide, le amfiboliti epidotico - felspatiche e le prasiniti zoisitiche sono così strette che è impossibile non riconoscere in queste un’epi- genesi di quella o di una roccia avente con quella una stretta analogia. Nella massa più settentrionale della valle, quella del Gran M'ioul, dove pure l’eufotide è associata a roccie prasinitiche, queste invece di ma- nifestarsi come epigenesi di quella assumono un carattere particolare : diventano compatte, più o meno finamente granulari e macroscopica- mente si direbbero diabasi appunto -granulari. L’indagine microscopica ha dimostrato che ad un’uniformità di tipo macroscopico apparente corrisponde invece una grande varietà di composizione e struttura, per modo che si riconoscono prasiniti, ovarditi amfìboliche con scarso 1 Vedi il presente volume del Boll, del R Com. geol., pag. 161 (n. 2). - 275 - epidoto, ovardite propria con cristalli porfirici di albite, e finalmente uno scisto epidotico-gastalditico. Questi diversi tipi però si possono ordinare benissimo in modo che risulti chiara la derivazione di taluni di essi da altri, come stadii differenti dell’epigenesi di una roccia pri- mitiva la quale non dev’essere stata molto diversa da una diabase : però sebbene si sia trovata una roccia in cui la struttura di una dia- base granulare è ancora riconoscibile, non è stato possibile al micro- scopio trovarne alcuna che presentasse tracce inalterate degli elementi primitivi. Gli è per ciò che fra le roccie verdi della valle della Ger- manasca le diabasi sono state introdotte solo dubitativamente. Le serpentine incontrate sono tutte molto omogenee e compatte ; solo taluna è finamente granulare. Non è stata trovata serpentina diallaggica e nemmeno lherzolite. Lo studio del materiale raccolto ha condotto infine alla conclu- sione, che non si può trovare alcun carattere differenziale costante fra le roccie verdi dei micascisti e quelle dei calcescisti. All’ infuori del carattere già rilevato dal Gastaldi del diverso colore dei talco- scisti, della rarità delle serpentine e della mancanza di eufotidi nei micascisti (almeno finora non sono state trovate), non si potrebbe ad- durre alcuna altra differenza. Y’ha qualche tipo di amfìbolite molto granatifera dei micascisti che non è stato trovato nei calcescisti; la mica nera quasi costante nelle prasiniti ed amfìboliti dei micascisti, è invece assai più rara in quelle dei calcescisti, ma si trova pure in esse. Queste leggerissime differenze che hanno tutto il carattere di ac- cidentalità non sono tali da controbilanciare le grandissime analogie fra le roccie di costituzione identica dei due gruppi, che nei campioni isolati non si possono affatto distinguere. Tattunlea. — La tettonica nella valle di San Martino si presenta in modo estremamente semplice, perchè essa consta di una successione regolare di stradi con inclinazione abbastanza uniforme, ed in media anche abbastanza piccola, cioè da 15° a 2CP, verso Ovest. Lungo la cresta settentrionale della valle, da Perosa alla punta del Vallonetto è anche costante la direzione complessiva, sempre prossima alla me- ridiana, eoa piccole deviazioni di 10° a 2CT ad Est o ad Ovest; verso Sud invece, come si è già detto incidentalmente l’andamento è un po’ meno uniforme, e mentre alla Costa Lazzarà si hanno direzioni E-O, al Colle Giuliano la direziono è circa N-S; le pendenze sono sempre rivolte rispettivamente verso Sud e verso Ovest ; accidentalità locali molto rilevanti non si conoscono ; le irregolarità sono numerosissime ; - 276 - le più frequenti si riscontrano nella zona degli scisti grafitici sotto- stanti a tutte le altre zone. I geologi italiani, dal Gastaldi in poi hanno attribuito all’Arcaico tutta la serie di terreni finora descritta e non essendo venuto ancora alcun argomento irrefragabile a provare un’età diversa, cun’è stato fatto per le Alpi Graje, anche dagli operatori dell’Ufficio Geologico è stata mantenuta nell’Arcaico, inteso però semplicemente nel senso di terreno costituito essenzialmente da scisti cristallini non fossiliferi. Come è stato già detto il Gastaldi ha assegnato all’Arcaico supe- riore o zona delle pietre verdi solamente i calcescisti; ha attribuito quanto sottostava a questi all’ Arcaico inferiore o zona dello gneiss antico, in cui riconosceva la presenza di lenti di calcare cristallino, di talco bianco e di grafite. Questo concetto è stato modificato essen- zialmente dallo Zaccagna, col limitare l’Arcaico inferiore solamente agli gneiss ghiandoni: con ciò il profilo del Gastaldi che era una suc- cessione regolare, veniva trasformato da Zaccagna in una anticlinale molto stretta ribaltata verso la pianura, che spiegava la posizione dello gneiss antico nella serie. Il Baretti si è pure accostato a questa opinione. II rilevamento di quest’anno è rimasto incompleto precisamente nella parte che riguarda gli gneiss ghiandoni e sarebbe quindi pre- maturo volere da esso dedurre conferme o confutazioni alle ipotesi ora esposte. Le campagne future diranno se tutti gli affioramenti di gneiss ghiandoni siano da considerarsi come equivalenti, e se l’Arcaico inferiore debba limitarsi a questa forma litologica soltanto. Perchè non sarebbe impossibile che, analogamente a quanto si è veduto ve- rificarsi per il tipico ellissoide del Gran Paradiso, anche nelle Alpi Cozie si possano assegnare all’Arcaico inferiore tipi di gneiss e mica- scisti analoghi a quelli superiori, e fors’anche in misura molto mag- giore che non per le Graje. Inoltre nell’ipotesi dello Zaccagna gli gneiss e micascisti superiori verrebbero ad essere equivalenti degli gneiss e micascisti grafitici e conglomerati gneissici, che formerebbero la gamba ribaltata della sin- clinale. Non è che questo possa escludersi a priori, perchè se v’hanno nelle due formazioni tipi disformi v’ hanno pure tipi identici, ma converrà aspettare i risultati del rilevamento definitivo per poterlo ritenere provato. Si potrebbe pure tentare di applicare alla serie cristallina della valle della Germana sca le interpretazioni che serie analoghe hanno - 277 - ricevuto fuori d’Italia in regioni anche immediatamente limitrofe nelle Alpi francesi e svizzere, e che forse nella loro forma estrema sono state sviluppate dal prof. M. Bertrand nei suoi Etudes dans les Aljpes frangciises pubblicati nel 1894. I calcescisti e le fìlladi ( schistes lustrès ) rappresenterebbero il mesozoico; precipuamente il Trias; le roccie inferiori, gneiss o micascisti, il Permiano ed il Carbonifero più o meno metamorfosati; il metamorfismo poi, secondo il Ber- trand, andrebbe nelle Alpi crescendo verso l’Est. Fatti concreti in appoggio di tale ipotesi nella valle di San Martino non sono stati trovati: però volendo abbandonare il sicuro fondamento dell’osserva- zione e lasciarsi andare alle congetture, non sarebbe diffìcile trovare chi nella formazione grafìtica colle sue roccie clastiche, e coi suoi banchi di grafiti ravvisi il Carbonifero. In tal caso il profilo della valle della Germanasca sarebbe una splendida conferma delle ipotesi del Bertrand ; al C arbonifero succederebbero gli gneiss ghiandoni, ed i micascisti rappresentanti il Permiano, indi i calcescisti che sarebbero il Trias; non mancherebbero nemmeno le quarziti che potrebbero es- sere rappresentate dal piccolo banco di Galmonte presso Prati. Non verrebbe però ad essere ugualmente confermata l’altra parte dell’ipo- tesi del metamorfismo crescente verso Est, perchè appunto la forma- zione più orientale sarebbe la meno metamorfosata. Il signor dott. J. W. Gregory ha, non molto tempo fa, pubblicato una sua interpretazione della serie che ci occupa nella sua memoria intitolata The Waldensian Gneiss \ nome sotto cui raccoglie diverse cose, ma essenzialmente gli gneiss ghiandoni delle Alpi Cozie, per distinguerli da quelli del Gran Paradiso, secondo lui più antichi. Il « Waldensian Gneiss » sarebbe, secondo il Gregory, una roccia eruttiva pliocenica che avrebbe attraversato gli scisti incassanti attri- buiti al paleozoico. Non è questo il luogo di esaminare tale ipotesi : però il signor Gregory la fonda sopra una serie di affermazioni di fatti, una parte dei quali si osserverebbe nella regione considerata dalla presente relazione; ora taluni di questi fatti non sussistono ed altri sono interpretati nel modo più lontano da ogni verosimiglianza, onde è opportuno indicarli. Il signor Gregory afferma di non aver trovato lo gneiss ghian- 1 J. W. Gregory, The Waldensian Gneiss and their place in thè Codiavi sequence. (Quart. Journ. of G. S., voi. L, n. 198, May 1894, pag. 232). - 278 - don© nella posizione indicata dallo Zaccagna, percorrendo la valle della Germanasca ad Ovest di Perrero , e a quanto pare pure la cresta Bric Cavalupo, Rocca Bianca, Cima delle Liste e Punta Bruta. Ora, siccome abbiamo veduto, lo gneiss ghiandone affiora in- vece effettivamente tanto nel fondo della valle ad Est di Perrero, presso Trussière, sulla strada carrozzabile, che il signor Gregory do vrebbe aver percorsa, quanto nel vallone di Cialancia, precisamente in corrispondenza della zona segnata dallo Zaccagna : certo nella Carta al 1000000, la zona è segnata con una larghezza molto supe riore al vero, ma uno schizzo di Carta geologica dev’essere interpre tato con una certa larghezza di criterio e non si deve pretendere che, riportato ingrandito sopra una Carta al 50000 corrisponda esattamente alla realtà. Come avremo occasione di dire in altro scritto, poco più di un chilometro a Nord di Perosa, nelle due rive del Chisone v’ hanno delle cave di una roccia gneissica a mica nera di cui ha già par- lato il Bonney *. II Gregory identifica questa roccia collo gneiss cen- trale chiamandola a fypicalWaldensian gneiss with some foreign inclusions , mentre vedremo essere tale roccia a base di oligoelasio e non avere nulla di comune collo gneiss ghiandone. Ed uscendo per un momento dai confini della valle del Chisone, per parlare della prossima valle d’Angrogna percorsa da chi scrive in una escursione di ricognizione coll’ ingegnere Baldacci, il Gregory afferma di aver trovato in questa, in una località di cui dà anche la fotografia « un’andesite alterata, tagliata da un filone di gabbro a grana fina »: in seguito ambe le roccie sono state invase da un complesso di vene di aplite intrusive che egli considera come apofisi di una massa di « Waldensian gneiss » che non affiora (pagine 256-257). La lo- calità è facilmente riconoscibile e la descrizione anche fino ad un certo punto esatta: si tratta di una lente di roccia prasinitica verde- grigia contenente parti verdi-scure di struttura più compatta che sono ciò che il Gregory deve avere chiamato gabbro, e solcata da vene estremamente irregolari di una roccia quarzosa bianca, generalmente molto sottili (al massimo 8 o 10 cm.), ma che alle volte si allargano bruscamente in nuclei maggiori. I filoni di « a coarse n ell follateti, gneiss » non sono però stati veduti. 1 T. G. Bonney, Notes on two traverses of thè Cryst. Rocks of thè Alps. (Quart. Jop.rn. of G. S., voi. XLV, n. 177, February 188.), pag. 83 e 103 [b]). — 279 - La massa di roccia prasinitica è inclusa nei micascisti grigi in cui non v’ ha traccia di filoni di nessun genere, i quali sono limitati alla roccia verde. Un campione della presunta aplite studia* o col mi- croscopio ha dimostrato esser questa un mosaico di quarzo , contenente dei piccoli cumuli di cristalli di zoisite , e rari cristalli di amfibolo at- tinolitico, insieme con un po’ di clorite e di mica bianca ; v’ ha quindi una certa differenza dalla forinola stabilita dal signor Gregory, il quale del resto ha avuto cura di dire che escludeva da essa i minerali accessorii e quelli stranieri che riteneva assorbiti dalla roccia incas- sante. Dall’aspetto e dall’esame microscopico le vene della roccia della Val d’Angrogna, sono riferibili a molte altre identiche che solcano le roccie verdi alpine in molte località, e che contengono di solito oltre ai mine- rali indicati anche l’albite, alle quali può attribuirsi un’origine di con- crezione, ritrovandosi in esse quasi tutti gli elementi della roccia in- cassante. Manca poi ogni e qualunque fondamento per ritenerle apofìsi di ipotetiche masse eruttive. Queste sono le inesattezze maggiori, almeno soltanto per quel che riguarda le valli d’Angrogna e San Martino; Tindicare quelle minori occuperebbe troppo spazio. Una sola cosa vogliamo ancora rilevare: nel citato lavoro, a pag. 269, è accennato all’esistenza di conglomerati negli scisti, che sarebbero poi i micascisti e gneiss superiori, ai Tre- dici laghi e Punta Bruta. La località corrisponde a quella parte della valle che non fu ancora percorsa: non è quindi possibile affermare o negare in proposito. Importa solo porre in chiaro che questi conglome- rati, dato che esistano, non hanno per la posizione nulla a che fare coi conglomerati gneissici degli scisti grafitici. La descrizione però che il Gregory dà della roccia è così vaga e confusa, che, salvo il caso di una grande evidenza, sarà molto difficile identifì care la roccia che ha voluto intendere sotto tal nome \ 1 Mentre il presente scritto era in corso di stampa è stata rilevata la località in questione. Precisamente ai Tredici laghi affiora una lente di gneiss ghiandone a quanto pare sfuggita al Gregory: invece nulla si è veduto che possa ragionevolmente attribuirsi ad un conglomerato. Tuttavia si è osservato ap- punto come talune parti della piccola massa di gneiss ghiandone dei Tredici laghi presentino la singolarità di alterarsi alla superficie in modo da assumere l’a- spetto di una roccia clastica : i nuclei felspatici e talune parti quarzose che rimangono in risalto simulano i ciottoli, mentre la parte micacea dello gneiss — 280 - Quaternario. — Il quaternario antico è rappresentato nella va]le dal morenico, e da alcuni depositi di origine alluvionale limitati alla vicinanza del torrente, nel tratto fra Ponte Rabbioso e Perosa; quello recente solamente dai detriti di falda e dalle alluvioni recenti, man- cando ghiacciai attuali nella valle. Il morenico antico è sviluppato nella parte alta della valle, nei valloni di Massello, di Salza, di Rodoretto, e specialmente in quello di Prali, maggiore di tutti : nella parte bassa ha importanza il more- nico del vallone di Paetto, che dal bacino della Cialancia giunge fino alla Germanasca. Non sembra però che un grande ed unico ghiacciaio abbia un tempo occupato la valle e sia sceso fino a Perosa e neanche almeno fino a Perrero, che sta poco a valle della confluenza dei diversi valloni; anzi, ogni apparato glaciale antico corrisponde perfettamente al vallone in cui si trova, e. giunge a mala pena allo sbocco di esso. V’ha tuttavia una circostanza che induce ad una certa riserva nel determinare il limite della massima espansione glaciale, ed è l’influenza che sull’importanza e persistenza dei depositi more- nici esercita la costituzione litologica del bacino collettore del ghiac- ciaio, che nella valle della Germanasca è così manifesta da meritare qualche parola in proposito. Nella parte alta del vallone di Massello, nel circo del colle del Piz, e nell’altipiano del Bett v’hanno traccie benissimo conser- vate di imponenti lisciamenti glaciali che continuano a valle fino al piccolo altipiano laterale occupato dal lago del Vallone, dove esiste pure un piccolo deposito morenico. Questo, ed i lisciamenti glaciali assai estesi immediatamente sottostanti, che non possono attribuirsi ad un ghiacciaio locale, per cui mancano le condizioni topografiche, provano che il ghiacciaio principale è giunto fino all’altezza del la- ghetto del Vallone, che è cn\ a 750 m. sul fondo della valle. Malgrado questa potente massa di ghiaccio, i depositi morenici della valle sono assai meschini: all’ infuori di un deposito un po’ ele- vato ad Eidut, tutte le altre placche moreniche sono limitate al fondo della valle, e se si paragonano con quelle di altre località al- più facilmente alterabile rappresenta il cemento. In molti casi la rassomiglianza esterna con un conglomerato è grande assai e si intuisce come chi non è fa - migliare colle varie strutture degli gneiss alpini, possa da un esame un po’ sommario essere tratto in errore ; ciò che ha fatto nascere l’idea che questo sia il conglomerato a cui il sig. Gregory ha voluto alludere. — 281 — pine sono ben lungi dall’essere proporzionate all’importanza del ba- cino. La ragione di ciò è da ricercarsi nella natura litologica di questo, sostituito quasi unicamente da calcescisti e da filladi, mate- riale che presenta poca resistenza alla disgregazione, e che le acque d’ablazione glaciale debbono avere smaltito principalmente sotto forma di melma, lasciandone solo una parte minima per le morene. Perciò alcuni piccolissimi lembi morenici che si trovano fra Ma- niglia e Chiabrano, ed a Bossè potrebbero anziché a piccoli ghiac- ciai locali, essere dovuti al ghiacciaio della valle della Germanasca del Piz, e segnare il suo limite di massima espansione, meglio che non le morene del bacino di Massello situate assai più indietro. A proposito di tal bacino noteremo di passaggio come in esso si osser- vino delle porzioni di morena cementata da calcare ; altra conseguenza dell’ influsso esercitato dalla costituzione litologica del bacino sulla natura della morena. Ben diverse si mostrano le morene nel vallone di Prali, in cui la metà di destra è formata esclusivamente da gneiss e da micascisti, ed in cui inoltre i calcescisti contengono considerevoli amigdale di roccie prasinitiche e serpentinose. Precisamente alla Villa di Prali, il fianco destro della valle è coperto da un’ imponente morena terminale ta- gliata alla base dal torrente e che giunge fin oltre i 1900 metri, più in alto ancora del Nido dell’Orso; e tale morena continua ancora a monte verso i casolari di Selle e verso i Tredici laghi, costituita in prevalenza da massi di gneiss, micascistù, prasinite e serpentina. Il vallone di Rodoretto, intermedio fra i due nominati, tutto nei calcescisti, e più di tutti povero di rocce verJi è anche quello in cui le morene sono ri otte alla minima espressione. Oltre ai lisciamenti glaciali già menzionati del vallone di Mas* sello nei calcescisti, sono da citarsi quelli veramente esemplari negli gneiss e micascisti del bacino dei Tredici laghi, i quali laghi sono ap- punto di erosione glaciale. Le alluvioni antiche, attribuibili al diluvium ad una certa altezza sul livello attuale del fiume si osservano nel piccolo bacino di Per» rero, a Villa Secca ed allo sbocco della valle presso Pomaretto, dove si collegano con quelle della valle principale del Chisone. Il bacino di Perrero è anzi notevole perchè malgrado la sua ristrettezza, nel tratto di esso fra l’origine a Ponte Rabbioso ed il paese si osserva molto bene il terrazzamento ohe ha prodotto tre ripiani a diversa al- tezza sul fondo attuale alluvionale dove sulla roccia scorre il torrente. - 282 — Materiali utili. — Per l’abbondanza e varietà di materiali utili, la valle della Germanasca occupa un posto singolare fra le valli al- pine generalmente povere di prodotti minerarii. Suo cespite princi- pale di ricchezza è l’escavazione del talco, di cui non si fa per ora che questo cenno, riservando una esposizione possibilmente completa a quando si sarà compiuto il rilevamento della valle, essendo rimaste le cave principali di talco nella parte non ancora studiata. Sono state pure un tempo assai attive nella valle le cave di marmo, tratto dalle lenti contenute nei micascisti. Vi si traeva tanto marmo statuario, quanto bardiglio e specialmente cipollino, di cui si vedono ancora presso la frazione di Pomejfrè dei tronchi di colonna. Le cave lavorate da tempo antichissimo sono state riprese in questo secolo e durarono attive fino al 1854; d’allora in poi rimasero abban- donate. Nella zona dei calcescisti si trovano minerali metallici, principal- mente pirite cuprifera, collegata sempre alle roccie verdi. Sull’alti- piano del Bett, prossimo al crinale che divide la Germanasca dal Chisone, è concessa ed è saltuariamente attiva una miniera che col- tiva un giacimento di tal genere, intrastratifieato ai calcescisti ed as- sociato a prasiniti diverse, di andamento regolarissimo ed assai pro- mettente, se la sua altezza (2800 metri) non fosse un ostacolo molto grave ad una coltivazione economica Anche a Sud di Prati, nel val- lone detto appunto della Miniera, vi sono tracce di lavori e ricerche minerarie al contatto superiore di una potente lente di eufotide e ser- pentina coi calcescisti: è probabilmente la stessa località che il Ba- relli chiama Comba di Boyecire. Poma, maggio 1895. A. Stella. — Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in Valle Yaraita ( Alpi Cozie). Sjnt erario. — 1. Area rilevata e formazioni in essa rappresentate. — 2. Cenni topografici. Quaternario. — 3. Generalità sugli scisti cristallini del bacino, e loro divisione in due regioni. — 4. Regione gneissica: generalità. — 5. Anfiboliti ; calcavi; micascisti in essa. — 6. Roccie gneissiche nella medesima. — 7. Eegicne delle pietre verdi : generalità. — 8. Gruppo dei mi- cascisti in essa: micascisti; gnèiss minuti; quarziti. — 9. Gruppo dei calcescisti nella medesima : calcescisti; calcari; filladi. — 10. Gruppo delle pietre verdi: sviluppo petrografie© e geologico. — 11. Massa di pietre verdi del Monviso : serpentine, serpentinoscisti ; scisti attinotici, clorito- scisti, talcoscisti; granatiti; anfiboliti, prasiniti ; eufotidi ; roccie porfiritiche. — 12. Altre inter- calazioni di pietre verdi nei calcescisti. — 13. Lenti di pietre verdi nei micascisti. — 14. Confronto della divisione qui adottata per gli scisti cristallini, colla divsione in Arcaico inferiore e superiore. L’area da me rilevata è formata dal bacino della Yaraita (Alpi Cozie) dallo sbocco alle origini, esclusane la parte, che appartiene al ramo di Bellino, e gli estremi contrafforti verso la pianura. Essa si stende per gran parte nelle tavolette Sampe^yre e Bevello nella scala di 1 a 50 000 del foglio 79 della Carta d’Italia, entrando appena per poco nelle confinanti tavolette Monte Viso (foglio 67), Sa- luzzo (foglio 80) e Busca (ibidem). Nei limiti del mio rilevamento il bacino della valle è aperto tutto quanto negli scisti cristallini, che vi sono rappresentati nella serie com- pleta delle loro forme litologiche caratteristiche delle Alpi Occidentali. Prima però di venire a queste formazioni, giova premettere al- cunché sulla topografia della valle, e sui terreni quaternari, che la ri- vestono con notevole sviluppo. La Yaraita sbreccia le Alpi Cozie fra Po e Maira in direzione media da Ovest a Est, scendendo dall’alto spartiacque, che segna il confine italo -francese con altitudine da 2600 metri a 3300 metri, fino alla pianura cuneense, che vi si insinua a 450 metri di altitudine. Le linee di crinale, che separano la valle dalle contigue valli del Po a N< rd e della Maira a Sud, salgono a raccordarsi allo spartiacque di fondo, accompagnando abbastanza regolarmente la linea di valle con altitudini fra 600 e 1000 metri nella bassa valle (bacino di Ye- nasca-Melle) e fra 1000 e 2300 metri nella valle mediana (bacino di M elle-Sampeyre). - 284 - Di qui il crinale di destra continua abbastanza regolarmente verso Ovest, alzandosi fino a toccare i 3000 metri nel bacino di Casteldelfino, donde sale ad innestarsi alla cresta di fondo. Invece il crinale di sinistra, per raggiungere quella cresta, allon- tanandosi verso Nord, fa un ampio giro, che comprende il fondo della valle di Chianale, dove oscilla pure intorno ai 3000 metri; ma prima ergesi per buona tratta ad altezze molto maggiori, laddove viene a formare l’eccelso contrafforte meridionale del Monte Viso; contrafforte che già alle selle raggiunge i 3000 metri di altezza, mentre tocca, come è noto, i 3i43 al Viso stesso, la vetta principale delle Cozie. Questo andamento della linea di crinale è strettamente legato alla costituzione geognostica, come avrò qualche occasione di accennare più innanzi. Tutta del resto la plastica della valle mostra, nell’assieme e nei dettagli, esempi di questo legame fra orografia e geognosia, la cui esposizione va riserbata a una descrizione geologica completa della regione. Qui basterà di vedere anzitutto la relazione fra l’andamento del fondo di valle, e le formazioni quaternarie, che la rivestono. La linea di valle da 450 metri, al suo sbocco, sale in 20 chilometri a 1000 metri a Sampeyre, e in altri 10 chilometri a 1300 metri a Casteldel- fino. Di qui i due rami principali, quello di Bellino, che ne forma la vera continuazione verso Ovest, e quello di Chianale, che rimonta a N.O, in 10 chilometri circa raggiungono rispettivamente i dee bacini di S. Anna e di Chianale a 1800 metri circa; dietro i quali i colli dell’ Autaret e del Longet segnano le depressioni principali dei ri- spettivi fondi dei valloni, ad altezze di poco superiori a 2600 metri. Bisalendo la valle da Costigliele (450 metri) a Casteldelfino (1300 metri', si trovano tre salti di valle : di 100 metri al Melle, di 150 metri a Sampeyre, e di L5 metri a Casteldelfino. Casteldelfino giace appiccicato alla grande e ripida falda morenico - detritica , che scende nella valle principale dagli altissimi valloni della massa del Viso (pietre verdi). Con essa va ricordato anche l’enorme versante di detriti (l’unico importante nella valle) che costituisce la chiusa Torrette -Villar; dove la valle taglia la massa di serpentina che fa parte della lente del Viso. A monte della immensa falda caotica di Casteldelfino, nel bacino di Val Chianale (inciso nei calcescisti) non si ha altro importante svi- luppo di detriti e di morene. Ivi la valle di Chianale risale con doppio salto di roccia in posto (a Castelponte e a Pontechianale), con un piccolo 285 - sviluppo di detriti di falda, e coni recenti di dejezione , in basso; e con traccie evidenti di fondi di ghiacciai negli alti suoi influenti. A valle di Casteldelfìno il Morenico si sviluppa abbastanza note- volmente in lembi addossati ai fianchi della valle, e talora scendenti dalle valli confluenti; in molta parte però rimaneggiato dai torrenti confluenti a formare coni di dejezione terrazzati sovrastanti al piano generale della alluvione della valle , e sbrecciati dai più modesti coni di dejezione recenti , che a questo piano si raccordano. Uno di questi alti coni di dejezione corrisponde al lembo more- nico più avanzato nella valle, che ivi forma quel primo gradino ac- cennato, su cui sta l’abitato di Melle. Il bacino di Sampeyre a sua volta è formato dalla fusione di un complesso di questi alti coni di dejezione, in corrispondenza alla re- gione di sosta principale del ghiacciajo; ed è ora inciso profondamente dalla Yaraifa, che vi deve scendere l’altro gradino. A valle di Melle il fiume serpeggia fra ampii greti alluviali, che occupano quasi tutta la valle, fin quasi allo sbocco. Ma non è da cre- dere che questo aUuviale della valle si espanda a livello fuori della valle sulla intera pianura ; poiché esso alluviale s’ insinua fra terrazzi mano mano più marcati, che accompagnano il fiume sotto Costigliole, e che divi- dono Valluviale basso dal piano diluviale terrazzato ; piano che rappresenta in pianura 1’ equivalente dei coni di dejezione terrazzati entro valle. Ma vi ha di più. Nella tratta or nominata, fra Melle e lo sbocco, si notano (Brossasco, sbocco di Val Rossana) alti ripiani di terreno di trasporto, non molto grossolano, ocraceo, che dominano il fiume con terrazzi più alti di quelli del piano diluviale ora detto. Queste sarebbero le alluvioni terrazzate 'più alte , più antiche e premo- reniche; le quali, come è noto, rappresentano il diluviale medio , in pia- nura e in molti sbocchi di valle. Non furono trovati finora veri lémbi di diluviale antico , cioè gli equivalenti del diluviale inferiore della pianura; ma, come ho detto, non furono ancora rilevati gli estremi contrafforti montuosi fronteg- gianti la pianura allo sbocco di valle ; dove di solito essi lembi hanno la loro sede fi 1 Per la nomenclatura e la interpretazione generale di queste distinzioni del Quaternario, rimando alla mia Nota: Sui terreni quaternari della Valle del Po, in rapporto alla Carta geologica di Palli (Boll, del R. Cnn. gxtl., 1894, n. 1). 8 - 286 - 3. Detto così del Quaternario, veniamo agli Scisti Cristallini che costituiscono il bacino rilevato. Queste formazioni si sviluppano in masse così strettamente legate a quelle delle finitime valli, che dovrò ridurre il mio dire talora a semplici accenni, i quali troveranno il loro complemento, quando i prossimi rilevamenti si saranno estesi a quelle regioni confinanti. Dette masse sono distribuite con una certa regolarità nel bacino, come si avverte anche risalendo la valle. Lungo essa si trovano dal suo sbocco fino a Venasca (6 chilometri circa) un complesso di mica - scisti con pochi gneiss minuti, e di calcescisti con calcari cristallini; e inoltre intercalazioni di roccie verdi diverse. Da Venasca a Frassino (12 chilometri circa) un complesso di roccie gneissiche con pochi micascisti , e pochi calcari cristallini e sporadiche intercalazioni di roccie verdi. Da Frassino finalmente (30 chilometri), ricominciano micascisti , quarziti e calcari ; poi calcescisti e roccie verdi. Notisi che qnesti ultimi ( calce- scisti e roccie verdi) costituiscono da soli il bacino superiore oltre Sampev re ; formando essenzialmente le roccie verdi la dirupata massa del Viso, e i calcescisti tutto il verdeggiante bacino di Val Chianale. Le suddette formazioni che s’ incontrano a monte di Frassino, e le analoghe a valle di Venasca non rappresentano, che due estremità di una grande fascia, di cui la parte intermedia si svolge per i monti del versante destro della valle. Questa fascia viene a cingere e a rico- prire le formazioni gneissiche trovate fra Venasca e Frassino, le quali occupano un’area chiusa quasi tutta sulla sinistra della valle. Potremo chiamare « regione gneissica » quest’area chiusa, mentre diremo « regione delle 'pietre verdi » l’area occupata da quelle altre formazioni supe- riori. Di queste due regioni cercherò di esporre la costituzione geo- gnostica per dire poi brevemente delle loro relazioni reciproche. Regione gneissica. 4. Planimetricamente questa regione occupa un ottavo soltanto del- l’area rilevata, e precisamente una parte del bacino mediano. Essa ha figura di un segmento schiacciato di ellisse, la cui corda, di poco più che 10 chilometri, è la porzione di crinale Val Varaita-Val Po, compreso all’ incirca tra San Bernardo Vecchio e San Bernardo di Gilba; men- tre il suo arco, con saetta di circa tre chilometri, scende da San Ber- nardo Vecchio e passa all’ incirca per Venasca, sbocco di Vaimala, Melle, Frassino, e Gilba, e risale al crinale a San Bernardo di Gilba. 287 - Tettonicamente si può nel complesso affermare abbastanza regolare l’andamento a cupola della massa gneissica, i cui banchi hanno dire- zioni adattantisi alla linea perimetrale dell’ellisse, e pendenze, non forti, verso l’esterno. Sicché il segmento d’ellisse ora accennato sarebbe la proiezione del segmento di un elissoide, che solo per piccola parte s’immerga da Nord nel bacino mediano di Val Varaita. Questa regione gneissica avrebbe così la sua prosecuzione, oltre il crinale di sinistra, nella Valle di Po, il cui rilevamento è necessario per comprendere meglio anche la parte sinora rilevata. Di questa tuttavia io cercherò di dare in breve un concetto adeguato. Essa è prevalentemente costituita da gneiss molto felspatici , spesso sviluppantisi nei tipi caratteristici del così detto « gneiss centrale ». In questi subordinatamente s’intercalano banchi e fasci di banchi, di micascisti ; piccole masse amigdalari di calcari marmorei , e sottili in- tercalazioni stratiformi di roccie anfibolitiche. Quanto alle roccie anfibolitiche, , esse non sono che poche lenti allun- gate, di pochi metri di potenza, e di alcune diecine di metri di lun- ghezza ; quasi tutte soltanto inserite nella scorza della massa gneissica, scendendo da Costa • Tallone ad attraversare la valle appena a monte di Venasca. Tanto sulla sinistra della valle, come sulla destra, si vedono ab- bastanza bene i pochi banchi nereggianti di queste roccie anfibo- litiche , di abito tabulare e fina grana ; che studiate A. M. si rivelano alquanto speciali. Esse sono Anfibolia felspatiche con biotite, dove la biotite è ac- compagnata eventualmente da clorite : concomitante vi è il solito epi- doto (tipo pistazite ) e accessorio molto rutilo e ilmenite con leucoxe.no. Talora diventano anche alquanto quarzifere. E importante notare la presenza della biotite colla contemporanea associazione di felspato e quarzo ; il che rende queste roccie anfibolitiche dissimili da tutti i tipi pur così abbondantemente ' e variamente svi- luppati nella regione delle pietre verdi, come si vedrà innanzi. Del resto nelle altre lenti anfìboliche sono rappresentati tipi so_ liti di anffboliti, e precisamente Anfibolia a glauco fané epidotiche , sia granulari compatte, sia più o meno perfettamente zonate, affatto analoghe a quelle della regione delle pietre verdi, di cui parle- remo. Ancora da raggruppare qui sono piccoli nuclei e lenticciole di — 288 - tipiche Eclogiti a viva macchia verde e rossa, riccamente onfacitiche; che si trovano nei micascisti a gastaldite, di cui dirò più innanzi. Geologicamente poco più importanti delle anfìboliti sono le lenti, e masse di Calcari , sparsi per entro alla massa gneissica, indifferente- mente a tutti i livelli. Sono calcari cristallini, chiari, massicci, sia compatti che spatici. In una delle masse più importanti (Costa Monforte) si mostrano bernoccoluti per noduli e lenticciole verdi compatte; che A. M. si constatò essere aggregati pirossenico-anfibolici con titanite. E notevole, che a differenza delle masse calcari della regione delle pietre verdi, questi calcari della regione gneissica non passano a cal- cari micacei , e tanto meno a calcescisti. 0. Resta a dire dei Gneiss e dei Micascisti di questa regione gneissica, nella quale, come si accennò, i micascisti sono subordinati, rispetto ai gneiss. Essi non presentano quelle transizioni a tipi gneissici, che caratterizzano le analoghe roccie della zona delle pietre verdi, in ge- nerale: ma sono piuttosto intercalazioni subordinate e, quasi direi, estranee, nella massa delle roccie gneissiche. Neppure tutte le varietà, che si vedono sviluppate nella regione delle pietre verdi, si ritrovano qui. Essenzialmente sono Micascisti sem- plici a mica bianca, fogliacei; talora anche granatiferi, e quasi sempre in banchi isolati separanti i banchi di gneiss. Passano talvolta a veri Micascisti a granato splendenti, con gra- nati anche grossetti. Rari sono i Micascisti a sismondina e i Micascisti grafitici , così im- portanti, come vedremo, nella regione superiore. Invece sono relativamente abbastanza sviluppati, anche in grosse masse, i Micascisti a gastaldite , e specialmente nelle varietà eclogitica ed epidositica \ y E in questi micascisti eclogitici , alternanti con micascisti a granato che si trovano lenti e nuclei delle Eclogiti già sopra accennate. Queste masse di micascisti a gastaldite nella regione gneissica più profonda della nostra area, meritano attenzione, perchè sono forse le 1 Per la nomenclatura di questi e degli altri micascisti, rimando al cenno di sistematica esposto nella mia Relazione sul rilevamento dello scorso anno: A. Stella, Relazione sui rilevamenti geologici di Valle clelVOrco e Valle Soana nel 1893 , § 16 (Boll, del R. Coni, geol., 1S94, n. 4). — 289 - uniche forme litologiche, che non siano comuni alla nostra regione gneissica e alla cosidetta zona del « gneiss centrale » del Gran Paradiso, con cui essa ha tanta analogia. Tale analogia sussiste effettivamente fra le due masse gneissiche in parola; le quali però si trovano in così differenti condizioni di al- timetria, da assumere forme orografiche addirittura opposte; presentan- dosi queste di Yal Yaraita piuttosto con dolci movenze collinesche; mentre quelle del Gran Paradiso si ergono eccelse in torreggianti balze e frastagliati profili. Ma dalla diagnosi geologica e litologica dello sviluppo dei tipi gneissici delle due masse, risulta raffermata analogia. Anche nella nostra regione gneissica abbiamo tipi quasi mas- sicci, sempre più o meno porfìroidi; e ancor più sviluppati i tipi oc- chiolati in numerose varietà; degli uni e degli altri troviamo modifi- cazioni scistose per azione chimico meccanica, cioè tipi laminati. Oltre a queste forme, che dirò di « tipo gneiss centrale » si ha una certa abbondanza di gneiss minuti diversi. Finalmente abbiamo tipi di transizione da questi ultimi ai primi; e in' essi certe varietà, che non sempre è possibile di tenere ben distinte dai tipi laminati di quelli. Cominciamo dalle forme di tipo « gneiss centrale ». I tipi quasi massicci si presentano per lo più come roccie granitiche a biotite, a grossa grana, quasi sempre con grossi cristalloidi porfirici di ortose, e con una certa disposizione parallela degli elementi. Nella massa più importante di tipo gneiss centrale, che attraversa la valle fra Yenasca e Brossasco, queste forme granito -po rfiroid i si osservano benissimo, sulla sinistra della valle (mulattiera di Bros- sasco), con grana media, e sulla destra (dinanzi al ponte di Brossasco) con grana grossissima. In essa massa (astrazione fatta dalle altre in- tercalazioni gneissiche) si trovano qua e là delle parti, ove la mica fa difetto; sono masserelle di tipo aplitico , nell’assieme compatte, bianche, con felspati porfirici sporadicamente diffusi. Ma la vera parte massiccia della roccia, qui come negli altri af- fioramenti, è molto limitata; giacche attraversandone i banchi nor- malmente al senso di loro andamento, si pas?a rapidamente a tipi schiacciati, stirati, ed epigenizzati fino a diventare talora affatto simili a scisti Jillaiici sericitici. La trasformazione dai tipi più massicci ai tipi più laminati , chiaz- zati, rigati, filladici, si può seguire grado grado nei campioni raccolti - 290 — non solo microscopicamente, ma anche macroscopicamente, per la macahiàtura in nero e bianco, che in generale si mantiene ; onde la tra- sformazione riesce all’occhio non meno evidente di quello che lo sia p. es. in certe eufotidi a grossa e viva macchia.. Marcatamente distinti dai tipi più massicci (e da non confon- dersi con tipi laminati di essi) sono i tipi occhiolati. Nel multiforme aspetto che assumono questi, sono da notare i caratteristici, ma non tanto frequenti, gneiss ghiandoni , sia a due miche sia a mica chiara, prevalente. Da questi si passa a tipi, che non sono più schietti gneiss ghiandoni, ma variano fra occhiolati nodulosi e lenticolari tabulari. In questi oltre agli occhi unitarii di ortose, si hanno più o meno abbondanti occhi felspatici complessi, costituiti da aggregti di felspati diversi A. M. spesso zeppi di inclusioni (quarzo, mica, epidoto); inoltre si ha talora l’elemento micaceo spalmato sulla superfìcie ondulata della lastra in quel particolare finissimo intreccio biotìtico-sericitico, che dà quella lucentezza sericea in tinta scuro-plumbea propria di certi micas cisti filladici. Anche nei gneiss occhiolati si trovano traccie evidenti di lami- nazione, fino ad ora qui con sicurezza constatata specialmente nei tipi occhiolati a due miche; i quali da struttura di gneiss quasi gliian- doni passano a tipi laminati in modo analogo ai tipi granitici, seb- bene con minore evidenza macroscopica. Le altre forme gneissiche, generalmente a due miche, più tabulari, caratterizzate da grana più fina ed uniforme, e perciò raccolte in gruppo come forme di « tipo minuto » sono nel loro insieme almeno altret- tanto importanti geologicamente delle precedenti, e litologicamente non meno svariate. Yi sono tipi più scisto so-micacei, e tipi più lepti- nitici. Quelli più leptinitici sono i più perfettamente tabulari, e a strut- tura meglio saccaroide; e dal modo con cui si distribuiscono gli elementi sono o schiettamente zonati ; o piuttosto fettucciati; o soltanto granulari- tabulari , talora con noduletti felspatici; e anche leggermente scagliosi. L’abito però varia notevolmente secondo la grana, che può diventare anche finissima ; e secondo la abbondanza e qualità dell’elemento mi- caceo, che può in certe varietà essere esclusivamente di mica bianco- verdiccia, mentre per lo più vi si aggiunge biotite) anche molto abbon- dante ; di rado clorite . Degli elementi concomitanti , soliti degli gneiss, non manca mai l’epidoto microscopico ( pistazite e zoisite , talora - 291 - con orthite ); il granato vi © sporadico, e raramente visibile; la torma- lina più frequente, ma irregolarmente disseminata, specialmente nei tipi leptinitici chiari \ 1 Riguardo agli Epidoti, che anche negli gneiss e nei micascisti di Yal Va- raita hanno grande diffusione, debbo correggere una inesattezza incorsa nella Relazione dello scorso anno (Bollettino 1894, n. 4) a proposito delle associazioni concentriche di epidoti di quei gneiss minuti delle Alpi Graje; inesattezza che consiste nell’avere, in quella enumerazione degli epidoti, scambiato dipostopb'- montite e orthite. Queste asso dazioni hanno luogo adunque nell’ordine seguente: orthite nel centro, poi involucri successivi di piemontiteì pistazite e zoisite dal- l’interno all’esterno. Associazione comune tanto in quelle roccie delle Alpi Graje, come in queste delle Alpi Cozie è quella di orthite con involucri di pistazite ; e associazione comunissima è quella di pistazite e zoisite. Anche riguardo alle Miche debbo qui aggiungere un’osservazione: Nella diagnosi di gneiss minuti e di micascisti tanto delle Alpi Graje quanto delle Cozie, ho sempre parlato di una mica bianco-verdiccia , che non denominai 7nuscoviteì perchè della muscovite non presenta sempre tutti i ca- ratteri. Infatti in queste miche bianco-verdiccie ebbi ad osservare spesso va- riazioni notevoli nel comportamento ottico in sezione sottile: vi trovai la- minette nettamente biassi, e altre nettamente monoassi, con transizioni dall’un caso all’altro, senza che sia avvertibile differenza alcuna di aspetto esteriore. Parecchi saggi microchimici, che eseguii su laminette pure, isolate, sia biassi che monoassi o con angolo piccolissimo, diedero, nei preparati delle seconde,- notevole abbondanza delle cristallizzazioni caratteristiche di Mg e Ca accom- pagnanti quelle di K ed Fa. Un saggio quantitativo poi, eseguito dall’ingegnere Aichino nel nostro laboratorio su un grammo circa di laminette isolate di questo tipo, diede i seguenti risultati: Perdita per calcinazione 6.20 Si02 51.15 Fe203 (ferro totale) 13.47 A1203 22.18 CaO 1.76 MgO 1.24 K20 4.15 Na20 0.56 100.71 Ciò farebbe intravedere un legame importante fra composizione chimica e proprietà ottiche; si avrebbero qui delle miche di tipo apparentemente mu- scovitico, in cui un notevole contenuto di Fe con Ca e Mg, senza cambiamento apprezzabile di colorazione, indurrebbe cangiamento nelle proprietà ottiche, verso un tipo biotitico Queste ricerche preliminari meriterebbero ulteriore sviluppo; e anzi a tale scopo, io avevo ceduto fin dall’anno scorso il materiale di studio al Gabinetto di mineralogia dell’ora defunto prof. Sansoni, che ne incaricava l’assistente dott. Rina Monti. Ma tale studio non potè essere che incominciato. - 292 — Alquanto diversi sono i tipi più scistoso-micacei , meno sviluppati e anche meno varii dei precedenti. Nell’elemento micaceo 'è raro che manchi la biotite , anzi essa è per lo più abbondante e talora esclu- siva; e nella grana minuta della roccia, il felspato tende quasi sempre a raccogliersi in sferule luccicanti, cioè a dare quella varietà che ho già altrove chiamato gneiss variolitici. Degli elementi concomitanti, granato e tormalina debbono essere affatto sporadici, a giudicarne dal mate- riale esaminato in sezione sottile; e anche Y epidoto microscopico vi sarebbe sempre annidato nell’elemento micaceo, e non incluso nell’ ele- mento felspatico. Notevole è la presenza di aghetti di attinoto nel felspato di uno gneiss scistoso molto biotitico, a contatto col banco di anfibolie sulla destra della valle presso il Molino di Yenasca. In appendice a questi « gneiss scistoso-micacei » vanno ancora ricordati certi sporadici micascisti felspatici prevalentemente sericitici, talora quasi fi lladici, ove pure il felspato presenta la stessa struttura variolitica. Ho detto in principio, che fra i gneiss di tipo « centrale » e i gneiss di tipo « minuto » vi sono tipi di « transizione ». Sono specialmente gneiss tabulari nodulosi e lenticolari , che sul terreno si presentano per lo più come nuli’ altro che modalità di certi tipi di gneiss minuti sopra enumerati. Ma avviene anche, che certe varietà di gneiss minuti si assomi- gliano e apparentemente si identificano con certe varietà anche di tipi laminati ; e precisamente, che i tipi fettucciati leptinitici si assomi- gliano moltissimo ai gneiss occhiolati laminati ; e che i tipi finamente varioli'ici si assomigliano molto a certi stadi di laminazione di gneiss granitoidi ; e infine, che certi micascisti filladici siano molto prossimi a stadi estremi di laminazione degli uni e degli altri. Onde la unità geologica delia « regione gneissica » sul terreno, dove in poche decine di metri accade di veder succedersi anche tutti quanti i tipi enumerati, riesce molto marcata malgrado la complessità petrografia, di cui vorrei essere riuscito a dare un’idea. E se carto- graficamente non è possibile di separare dalla massa degli gneiss altro, che le masse granitoidiche , i tipi occhiolati e gli schietti mi- cascisti, la regione gneissica, pur nella non grande area da me ri- levata, si mostra molto complessa *; presentando forte analogia colla 1 Vedi 1. c. - 293 - grande massa della zona gneissica profonda del Gran Paradiso (zona del gneiss centrale) di cui ebbi occasione di parlare nella Relazione dello scorso anno. I rilevamenti verso la valle del Po, è prevedibile, come si disse, che forniranno nuovi elementi alla sua giusta interpretazione. Regione delie pietre verdi 7. Esternamente alla linea indicata come delimitante la « regione gneissica », si sviluppano le formazioni della « regione delle pie- tre verdi » in una gran fascia ; che, come fu detto, attraversa la bassa Val Varaita sotto Yenasca fino allo sbocco in pianura, e balta valle sopra Frassino fino alla linea limite del mio rilevamento; linea che corre dal Colle Bicocca pel passo di Pienasea al Colle Longet, donde coincide colla cresta, che segna il confine di Stato. Tanto a valle di Yenasca, quanto a monte di Frassino, le forma- zioni di questa zona vengono a sovrapporsi evidentemente a quelle della regione gneissica ; sicché l’andamento medio a valle di Yenasca risulta avere direzione S.S.O-N.N.E con pendenza a E.S.E; e a monte di Frassino direzione S.S.E-N.N.O, con pendenza a O.S.O, mentre i due andamenti, passando da valle a monte, si raccordano, (pur con qualche locale disturbo), abbastanza gradualmente, passando per an- damento di direzione O-E, pendenza Sud lungo una linea, che, scostan- dosi di poco dalla linea di valle sopra Yenasca, man mano le si ac- costa verso Melle, e viene ad attraversare la valle stessa appena a monte di Frassino. Le roccie che entrano a costituire questa estesa « regione delle pietre verdi » sono raggruppabili in tre gruppi principali: micascisti, quarziti e gneiss (generalmente di tipo mi- nuto) gruppo dei Micascisti 1 calcescisti, calcari e filladi, gruppo dei Calcescisti 2 'pietre verdi diverse . . gruppo delle Pietre verdi 3 Come si vede, sono essenzialmente le forme litologiche caratte- ristiche della così detta « zona delle pietre verdi » nelle Alpi Occiden- tali. E anche qui le pietre verdi sono disposte in amìgdale più o meno potenti, nella massa di banchi degli altri due gruppi; i quali a loro volta si mostrano fra di loro equivalenti geologicamente. Ya per altro notato, che nella distribuzione topografica e strati- - 294 - grafica dei tre grappi di roccie, si nota una localizzazione notevole dei singoli grappi, con molto evidente corrispondenza nel paesaggio orografico. Infatti una grande zona di micascisti forma lo sbocco di valle, che si apre fra poggi vitiferi e boscose pendici ; una imponentissima lente di roccie verdi domina balta valle culminando agli ardui, nudi crestoni delle Lobbie e Guglie di Viso; e uua grande massa di calce- scisti involge queste lente, estendendosi a monte, a formare i ver- deggianti pascoli del bacino di Chianale. Grappo dei micascisti. — Le roccie di questo gruppo adunque for- mano essenzialmente i monti in cui è aperta la valle inferiormente a Venasca; dove però contengono intercalate masse degli altri due gruppi, cioè calcescisti e pietre verdi. Di qui, sempre più impoverite di queste intercalazioni, si svolgono verso monte, esteriormente alla già notata linea delimitante la regione gneissica; e vanno così a formare dapprima gran parte del versante destro della valle, sino al- l’altezza di Frassino; poi anche parte di quello sinistro; finche ven- gono ricoperte dai calcescisti a monte di Sampeyre, lungo una linea che attraversa la valle al Villar, salendo a tagliare il crinale Varaita- Po poco a Ovest di Cima di Crosa, e il crinale Varaita-Maira poco a Est di Cima Lubin. Però anche a monte di questa linea si ritrovano roccie di questo gruppo qua e là nella massa dei calcescisti, sin nella sua parte su- periore, e sporadicamente anche nella massa delle roccie verdi del Monte Viso. Le roccie del gruppo, sviluppate su questa grande estensione, pre- sentano nel loro assieme una mirabile somiglianza colle roccie del gruppo dei micascisti e gneiss minuti della classica zona delle pietre verdi delle Alpi Graje; roccie di cui ho avuto occasione di parlare con qualche estensione nella Relazione dello scorso anno '. Anche qui sono micascisti e gneiss a mica bian ca e bianco-verdiccia ; i primi però assai più importanti dei secondi. Degli 8 principali tipi di micascisti , che io distinsi studiando quel materiale, si può affermare, che non ne manca nessuno nella nostra 1 Vedi: A. Stella, Relazione sui rilevamenti geologici diV al delV Orco e Val Soana nel Ì893 (Boll, del R. Com. Geol., anno 1894, n. 4). - 295 — regione; dove però presentano disformità marcata nello sviluppo re- lativo. Qui inoltre furono trovati due nuovi tipi, colà non osservati, di cui parlerò più innanzi. I Micascisti a tormalina non sono rappresentati, che da pochi af- fioramenti, che debbono essere considerati piuttosto come micascisti comuni con tormalina concomitante. Anche i Micascisti a gastaldite , che tanta importanza assumono in quella regione delle Alpi Grraje, qui sono molto meno importanti geo- logicamente. Petrograficamente però hanno questo di notevole ; che da micascisti a gastaldite passano a veri Gneiss minuti a gastaldite ; forme gneissiche, di cui nelle grandi masse di micascisti a gastaldite della Val dell’Orco non avevo constatato la presenza. Sono gneiss tabulari, lucenti, di tipo leptinitico, a grana piuttosto fina, coi prismetti di gastaldite generalmente verdicci per alterazione, intrecciati sulla faccia della lastra, luccicante per spruzzature di mica bianco-argentea. A M. sono epidotici e granatiferi) e contengono molto rutilo. In una massa di micascisti che si sovrappone alla massa dei cal- cescisti presso il confine italo-francese dal Colle Longet al Colle del Lupo si trovano pure micascisti a gastaldite molto quarzosi, sia tegu- lari che nodulosi, anche con noccioli piuttosto angolosi e grossetti di quarzo; e sono in relazione con micascisti speciali a chiazze bluastre, le quali però non sono di gastaldite ma di oligisto. Questi Micascisti a oligisto , di cui si trovano anche altri esempi in mezzo ai micascisti a sismondinaì sarebbero una varietà speciale a questa nostra regione. Bisogna aggiungere qui la siderite come altro minerale di ferro che dà luogo a locali varietà di micascisti ; essa si trova in noduli e len - ticciole disposte nel piano di scistosità dei micascisti ; è in gran parte limonitizzata e accompagnata da pirite. Ne trovai qui nel vallone del Lupo e ai Crosi (sopra Sampeyre); dove le lenticciole si accostano tanto da dare quasi dei banchi di minerale di ferro, sui quali ivi furono anche fatti lavori minerari a memoria d’uomo. Anche qui in Val Yaraita i diversi tipi di micascisti sono bensì spesso granatiferi, ma non sono frequenti i veri Micascisti a granato. Invece assumono talora una certa importanza i Micascisti a grafite , quantunque solo raramente passino a veri grafito scisti. E specialmente nella regione dello sbocco di valle, nella massa di micascisti involgenti i calcescisti , che questi micascisti a grafite , sfatti, si trovano tanto in destra che in sinistra della valle. Essi anzi contengono talora sismon - - 296 - dina e diventano anche felspatici ; assomigliandosi ai tipi di scisti gra- fitici così sviluppati nella regione più a Nord in queste Alpi Oozie. Ancora più importanti, e quasi altrettanto importanti quanto i micascisti comuni, sono i Micascisti a sismondina. Di questi anche qui distinguono tipi scistosi , abbastanza micacei, a sismondina spruzzata uniformemente nella massa; tipi lenticolari a sismondina raccolta in lenticciole; e tipi quasi massicci a sismondina caoticamente diffusa, accompagnata da poca mica. Questi micascisti a sismondina sono qui proprio da considerarsi come modificazioni dei micascisti comuni, per sostituzione parziale del cloritoide alla mica; tanto che, come i micascisti comuni, anch’ essi hanno varietà granatifereì tormalinifere , gastalditifere1 e qui anche cia- nitifere. Questa ultima varietà di Micascisti a sismondina con cianite merita speciale attenzione ; perchè è la prima volta, che nelle. Alpi Occidentali si constata la presenza di cianite. Essa si presenta in prismetti non terminati, molto simili alla gastaldite, ma di un colore più pallido, incolori in sezione sottile, caoticamente annidati nella massa di un micascisto a sismondina scistoso, abbondantemente micaceo, raccolto già dal collega ing. Franchi in gite di ricognizione a N.E di Sam- peyre. Finalmente i Micascisti comuni , che sono anche i più importanti, si presentano in diverse varietà. Sono talora tipi chiari-splendenti a muscovite, fogliacei; più spesso però grigio-lucenti a mica bianco-ver- diccia più o meno abbondantemente spalmata o spruzzata sul piano di scistosità. Questa scistosità presenta i soliti diversi gradi, che in combinazione colla grana più o meno fina, dànno luogo alle solite modificazioni in tipi lenticolari) tabulari, tegulari , scagliosi) scaglioso-gra- nulosi, fiUadici. Di questi i tipi scagliosi sul terreno diventano spesso così poveri di mica, da dare dei micascisti quarzitici , o quarziti micacee, che sono per lo più in relazione con delle vere quarziti tipiche. Queste Quarziti sono una delle caratteristiche importanti di questa massa di micascisti, e tengono una certa zona abbastanza costante di dif- fusione, che lungo la valle si segue a varie riprese dallo sbocco fino all’altezza di Sampeyre. Ivi dal brullo cocuzzolo della Rasciassa at- traversa la valle al Villaretto, dominandola a Nord negli alti dirupi che salgono al versante dei Orosi E anzi è da notare che colle — ‘297 — / quarziti , si accompagnano calcari, che notevolmente si arricchiscono di quarzo al contatto colla quarzite. In tutte queste quarziti tabulari è tipica la semplicità della com- posizione ; e la omogeneità della struttura compatta. Soltanta avviene che si arricchiscono saltuariamente di spruzzature micacee, e talora la grana diventa grossetta, con struttura nodulosa. Solo tipo aberrante sarebbe una quarzite chiazzata in verde da clorite (A. M. con epidoto e calcite) che intrecciasi con gneiss minuti, con anfiboliti e con calcari, al contatto fra i calcescisti superiori e ia massa di serpentina, che attraversa balta valle. Mentre dai micascisti comuni , di cui ho rimarcato l’importanza geo- logica, si passa a notevoli masfie di quarziti or ora menzionate, risulta dalle osservazioni fatte, che invece è relativamente limitato il pas- saggio a Gneiss minuti : passaggio così frequente nella zona delle pietre verdi delle Alpi G-raje. Nella nostra regione si ritrovano intercalazioni di gneiss minuti, ma nel complesso esse sono molto subordinate rispetto all’insieme dei micascisti. Le forme litologiche di questi gneiss in massima parte riprodu- cono quelle già trovate nelle Alpi G-raje 1 ; e ci sono i tipi leptinitici , i tipi scistoso-micacei , e i tipi psammitici. Anche qui al contatto colle intercalazioni di roccie verdi ci sono varietà di gneiss anfibolitici e ovarditici. Va notato, che all’ infuori di queste forme litologiche di transizione fra pietre verdi e gneiss, nes- s un’ al tra azione di contatto è constatabile fra le pietre verdi e i gneiss micascisti, che le involgono. E poi notevole, che le masse più importanti di gneiss sono di ti i-o variolitico , analogo, cioè, al tipo di gneiss scistosi della regione gneissica. Ma v’ha di più. Vi sono piccole intercalazióni gneissiche, che pre- sentano forme litologiche molto simili alle forme occhiolate del tipo « gneiss centrale », quantunque non assumano, per quanto osservai, la struttura più schietta di questo tipo ; ma quella piuttosto dei tipi di transizione. Anche nella zona delle pietre verdi delle Alpi G-raje ebbi a notare non infrequenti certe varietà porfiriche dei gneiss leptinitici, 1 Vedi: Stella, 1. c. — 298 - e certe varietà lenticolari dei gneiss scistosi, le quali si avvicinerebbero a questi tipi di Val Varaita. Una di queste intercalazioni di gneiss grossolani si trova a Monte San Bernardo sul crinale Yaraita-Maira , in posizione molto alta nella serie. Ivi si notò un fatto molto importante; e cioè, che poco superiormente a questi gneiss grossolani, appena oltre Colle Erisetta, affiorano banchi di una roccia, per aspetto e per composizione micro- scopica, molto simile a quelle varietà di così dette c< besimauditi » che, nelle Alpi Marittime dall’ing. Franchi e nelle Alpi Retiche da me, fu- rono riconosciute come « porfidi granitici laminati ». La presenza di una roccia granito-porfirica nella regione delle pietre verdi, potrebbe spiegare la ricorrenza di queste forme gneis- siche; che anche nella regione gneissica profonda sono in sì stretta relazione con roccie granito-porfìriche. Tali roccie gneissiche appaiono proprio in banchi intercalati nei micascisti. Forse bisogna far eccezione per quelle del crinale di Monte Birron, in banchi pressoché orizzontali, che verso il versante di Val Varaita sarebbero disposti a cupola; sì da poter forse essere interpre- tati come uno spuntone di roccie della « regione gneissica » inferiore, di mezzo alle roccie superiori della regione delle pietre verdi. 9. Gruppo dei calcescisti. - Le roccie di questo gruppo, nel quale insieme coi Calcescisti propriamente detti, s’ intendono inclusi i Calcari cristallini che talora li accompagnano, e gli Scisti filladici , che abba- stanza frequenti vi si inseriscono, prendono qualche sviluppo allo sbocco della valle; ove sono intercalati ai micascisti poco a Est di Venasca. Di qui verso monte nella grande area di sviluppo dei micascisti si riducono a sporadiche intercalazioni; mentre poi, come si è già detto, nell’alta valle a monte di Sampeyre una enorme pila di calcescisti, in cui s’interpongono masse di roccie verdi (fra cui quella enorme del Viso) e pochi micascisti, si adagia regolarmente sopra i micascisti fino al limite dell’area da me rilevata. Queste tre famiglie di roccie, ' Calcescisti propriamente detti, Cal- cari e Filladi , sono petrograficamente e geologicamente fra loro legate. Petrograficamente il legame risulterà evidente dalla breve diagnosi litologica che farò di questo gruppo. Geologicamente i calcescisti , propriamente detti, sono i più im- portanti; e contengono alternanze sottili ma frequenti di filladi , e meno frequenti, ma più importanti, di calcari. - 299 — E anzi sul terreno è così fìtta la alternanza delle diverse famiglie di roccie, specialmente nell’alta valle a monte di Sampeyre, laddove il gruppo dei calciscisti è molto potente; che non sarebbe possibile segnare cartograficamente dei limiti, che rispondano alla effettiva al- ternanza sul terreno. Bisogna quindi accontentarsi di segnare tutte queste roccie in gruppo, marcando separatamente soltanto le più im- portanti e più schiette masse di calcare. Quanto ai rapporti fra le roccie di questo gruppo ( calcescisti , cal- cari, filladi ) e le 'pietre verdi propriamente dette, che vi sono inserite a lenti, è importante notare; che questa inserzione è molto netta, in generale; sicché al contatto si ha un brusco passaggio dalla massa di pietre verdi alla massa di calcescisti involgenti, siano essi calcescisti propriamentej detti, siano calcari , siano filladi. Soltanto in qualche caso, relativamente raro, ho notato dei piccoli straterelli di roccie di transizione fra i calcescisti e le masse verdi che li toccano; in modo analogo a quanto si vede avvenire nei gneiss e micascisti. — Qui posso citare al contatto colle serpentine certi calcescisti verdi cloritici con anfibolo (Colle Vallante), uno anche con glaucofam (Lago Nero); — e al contatto con ovarditi certi sciiti ovarditici molto calcitiferi (Dovo sopra Villa; sopra Grangie Soustra); — e infine certi calcari tabulari a grosse spalmature di clorite al contatto con serpentinoscisti (Tour Reai) e con ovarditi (sopra Villar). Veniamo paratamente a ciascuna delle tre famiglie di roccie del gruppo dei calcescisti, e cioè: 1. Calcescisti in senso stretto; 2. Calcari cristallini; 3. Filladi. I Calcescisti in senso stretto nel loro assieme sono caratteriz- zati, come di solito, dall’associazione di quarzo alla calcite (o altri car- bonati) prevalente; mentre alla mica bianca si associa talora la clorite , raramente la sismondina. Concomitanti sono, epidoto {pistazite e zoi- site) granato e tormalina , il primo sempre microscopico, gli altri due appena visibili a. o. n., e solo la tormalina abbastanza diffusa da po- tersi quasi dire caratteristica. Accessorii pirite e rutilo. La uniformità marcata delle masse di calcescisti, si rispecchia nei caratteri litologici anche A. M.; anzi spesso avviene, che differenze di aspetto, più che da una variazione di composizione, dipendano da differenza nel modo o nel grado di alterazione della roccia. 300 — Si possono tuttavia tenere petrograficamente distinti alcuni tipi abbastanza marcati, clie sarebbero: a) Tipi comuni , tabulari, grigi; in essi è scarsa la clorite e manca la sismondina; mentre abbonda spesso la tormalina; sono grigi o grigio giallastri, spesso cariati. f) Tipi scistoso- micacei ; l’elemento micaceo è più importante, si che più si assomigliano ai micascisti; ai quali più strettamente sono legati anche geologicamente. y) Tipi speciali a sismondina; analoghi ai precedenti, ma con laminette brillanti di sismondina diffuse nella massa con imperfetta orientazione. Tipi speciali a clorite , chiazzati di verde sulla super- ficie. Quelli sono in relazione con micascisti a sismondina; questi in relazione con intercalazioni di cloritoscisti. d) Tipi filladdci plumbei , sia tabulari a superfìcie aspra, sia più fissili, a superficie lucente, talora zigrinata ; passanti anche nella com- posizione, come nell’aspetto, alle filladi. e) Tipi tabulari molto calcariferi , per lo più grigi, a leccature esilissime micaceo-grafitiche, passanti ai calcari a lastre.. I Calcari cristallini sono pure di composizione uniforme, e senza minerali accessorii in generale; l’aggregato di calcite (o altri carbonati) può essere variamente accompagnato da quarzo sporadico e da poca mica bianco -argentea, e da pulviscolo carbonioso. Mineralogicamente si presentano così come calcari per lo più bianchi o grigio-chiari , talora grigio-scuri , neriì giallastri , di rado rossi , per pigmento ematitico. A seconda della grana più o meno fina, o compatti cerei, o più spatici brillanti; sia di tipo massiccio, sia di tipo tabulare , analoghi a certi calcari a lastre di orizzonti superiori all’Arcaico. La quale ultima distin- zione ha una certa importanza geologica, per la prevalenza marcata di tipi massicci nelle lenti isolate racchiuse nelle masse di micascisti ; dei tipi a lastre nei banchi e nelle masse intercalate nella massa dei calcescisti; a cui fanno anche passaggio mediante il tipo sopra accen- nato dei calcescisti tabulari molto calcariferi. In diverse di queste lenti calcari furono aperte cave per calce, di cui ora solo due attive e importanti nella lente, che attraversa la valle poco sotto Venasca: costituita da calcare compatto, chiaro, più o meno dolomitico, con filari subordinate di calcare compatto scuro. Nella lente tagliata dalla rotabile sopra Frassino, di calcare più spatico, è aperta una cava di buon pietrisco. — 301 — h: Le Filladi sono in istretto legame non solo geologico (come si vedrà), ma anche petrografico coi calcescistbpropriamente detti. Giacché dal tipo addietro enumerato dei calcescisti fi, lladici, si passa, col decre- scere della calcite, a delle roccie scistoso-tegulari di finissima grana, dalla superficie lucida submetallica, generalmente assai scura per ag- giungersi di sostanza carboniosa all’elemento sericitico, il quale A. M. mostra i caratteristici intrecci di rutilo sagenitico. A seconda della presenza o meno di poca calcite, o di clorite- in- vece della mica, cui si accompagna anche talora la sismondina , si pos- sono distinguere: *) le filladi grafitiche ; |s) le filladi leggermente col - cifcre ; y) le filladi speciali cloritiche e anche talora sismondinifere] tutti tipi però che si assomigliano tanto da non essere a occhio nudo se- parabili. Le fìlladi calcifere , passano litologicamente ai calcescisti , come si è detto; mentre le filladi a sismondina passano ai micascisti e le filladi cloritiche a clorito scisti. 10 Gruppo dello pietra verdi. — Questo gruppo è molto complesso petrograficamente nella nostra area, dove sono più o meno notevol- mente rappresentate gran parte della famiglia di roccie, che nelle Alpi Occidentali lo costituiscono, e precisamente: 1. Prasiniti 1 2. Anfìboliti diverse ed Eclogiti (specialmente a glaucofane). 3. Eufotidi. 4. Dioriti. 5. Eoecie porfiritiche e diabasiche. 6. Serpentine e Serpentino scisti. 7. Scisti attinotici, Scisti cloritici, Talcoschti. 8. Granatiti. Queste famiglie di roccie hanno uno sviluppo relativo molto dis- forme. Considerate poi nel loro insieme, come gruppo di « roccie verdi», esse sono marcatamente localizzate nella loro distribuzione per entro alla massa dei micascisti e dei calcescisti (in senso largo). E precisa- 1 La nomenclatura qui adottata per le roccie verdi è quella stabilita di comune accordo fra i rilevatori delle Alpi Occidentali, il cui valore è preci- cisato nella nota dell’ ing. Novarese: Nomenclatura e sistematica delle roccie verdi nelle Alpi Occidentali (Boll, del R Com. geol., 1895, n. 2). 4 - 302 — mente si nota nn fascio di lenti di roccie verdi nella bassa valle, se- guire la linea di contatto fra la regione gneissica e la regione delle pietre verdi poco appena esternamente ad essa linea, secondo una di- rettrice che da San Bernardo Vecchio sul crinale fra Val Varaita e Val di Po, scende a S. Firmino in destra della valle, e risale a San- t’Antonio per terminare alla bassa Val Mala. All’ infuori di questo fascio di lenti, non sono, che affatto sporadiche e piccole le altre in- tercalazioni verdi nei micascisti. Ma poi nell’alta valle, intercalata nella massa dei calcescisti, si ha la grande massa verde del Monte Viso più volte accennata; che attraversa la nostra valle, fra il Villar e Torrette chiudendosi, a Sud contro il Colle Sampeyre, mentre a Nord passa in Val di Po attraverso il crinale fra essa e la Val Varaita; di cui forma l’alta barra emergente fra il Colle d’Inchiosin e il Colle divallante, dal profilo frastagliato culminante al Monte Viso. Oltre a questa massa imponente, si hanno masse minori di rocHe verdi intercalate nei calcescisti tanto al disotto che al disopra della massa del Monte Viso. Al disotto si ha una serie di lenti in corona alla linea perimetrale di essa massa, che da punta delle Barre sul crinale Varaita Po passano per Monte Marzucco e Monte Cugulet al crinale Varaita-Maira Al disopra si ha ancora su questo crinale una serie di lenti minori fra Colle Sampeyre e Colle Bicocca; e poi, pressoché allo stesso livello geologico, analoga e più fìtta serie sul crinale italo francese fra Col Longet e Colle dello Agnello; e fra le due serie alcune masse isolate, che le congiungono idealmente, di Cima di Perdià e di Torre Beai. Riassumendo si possono distinguere, nella distribuzione geologica delle pietre verdi , tre zone principali ; cioè : 1) grande amigdala del Monte Viso; 2) altre lenti molto minori intercalate nei calcescisti ; 3) masse intercalate nei micascisti. In questo ordine appunto passerò a dare un’ idea della costituzione di queste masse verdi di cui la più importante e interessante, cioè quelle del Viso, solo dopo il rilevamento in Val di Po potrà essere nel suo assieme compresa. 11. Una parte sola di questa grande lente di pietre verdi, del Monte Viso, entra adunque nel bacino di Valle Varaita da me rilevato, e vi entra da Nord formando i 10 chilometri circa di crinale fra Colle Inchiosin e Colle Vallante, scende ininterrotta attraversando i 4 chilometri di valle — 303 fra Villar e Torrette; e, salendo a Sud verso ii crinale Varaita-Maira, rapidamente si riduce, chiudendosi con breve arco al colle Sampeyre. Senza entrare in dettagli, si può dire che nell’assieme questa parte meridionale della grande lente tiene il suo asse diretto da N.N O a S.S.E, misurando dalla punta del Viso per Cima delle Lobbie al Colle Sampeyre 16 chilometri circa di lunghezza. Tale è pure la direzione media dei banchi che la costituiscono, con pendenza nel complesso piuttosto forte verso Ovest; e con abba- stanza evidente modificazione di andamenti ad assecondare la forma lenticolare della sua massa nei calcescisti ; i quali, la involgono a lor volta tutt’attorno dal Colle di Vallante per Torrette, Colle Sampeyre, Villar, Colle Inchiosin. Il Gastaldi 1 prima, e poi lo Zaccagna 2, hanno dato, nei loro profili attraverso le Alpi Cozie, esempi di questo comportamento; che, salvo qualche modificazione, si ripeterebbe in profili trasversali fatti in altri punti della massa. Non altrettanto uniforme invece riuscirebbe, in diversi profili di dettaglio, la composizione litologica della massa, la quale si mostra molto complessa pure nell’area da me rilevata, quantunque non penetri che di scorcio nel cuore della massa stessa. Una prima e netta distinzione è da fare fra le serpentine e le altre pietre verdi ; separazione non solo litologica, ma anche geolo- gica, molto più marcata, che non sia fra i diversi tipi di queste altre roccie verdi tra di loro.- Geologicamente le Serpentine (all’infuori di poche intercalazioni di serpentinoscisti fra le anfiboliti; p. es. al Colletto sopra Puy), sono disposte attorno alla massa del complesso delle altre roccie verdi in lenti a rosario; che s’interpongono fra essa massa, e i calcescisti che la rivestono tutt’attorno. Queste lenti fra loro isolate sono però molto diverse in dimensioni : possono avere qualche centinaio di metri di lunghezza per qualche diecina di potenza, come lungo il con- tatto occidentale (vallone di Vallante); possono crescere a masse im- ponenti, come quella che forma la Itasciassa al contatto orientale, e 1 B. Gastaldi, Spaccalo geolog' co tango le valli superiori del Po e della Varaita (Boll, del R. Com. geol., 1876). 2 D Zaccagna, Svila geologia delle Alpi Occidentali (Boll, del R. Com. geol , 1-87) - 304 - la maggior massa meridionale, che raggiunge la sua massima larghezza all’ attraversamento della valle fra Villar e Torrette, e che corona a Sud l’amigdala del Monte Viso. Litologicamente queste masse serpentinose constano in prevalenza di tipica serpentina massiccia compatta ; la quale però diventa anche scistosa, fino a passare a vero Serpentinoscisto fissile ; e ciò specialmente nelle masse minori, con scistosità concordante mediamente all’anda- mento di interstratifìcazione nei calcescisti. La serpentina però è talora diallagica, come nella massa alquanto scistosa del Rascias: senza che apparisca altro minerale originario; e al contatto coi cale scisti assume delle spalmature spatiche di carbo- nati (esempio Colle Vallante). Invece al contatto colle altre roccie verdi della massa, più spesso al contatto coi calcescisti , si notano in essa straterelli di Scisti att ino- tici, passanti, come di solito, a Clorito scisti (esempio Colle Vallante, Colle Nebin, Colle del Luca). Di rado vi si intercalano Talcoscisti alquanto serpentinosi, più o meno tendenti al violaceo. Finalmente non mancano piccole masserelle di Granatiti , com- pletamente involte dalla massa di serpentina. Ne osservai nella massa di serpentina che sale a Monte Nebin. Nè solo sono granatiti rossastre , con clorito, e talora con diallaggio smaragditizzato, e con i soliti mi- nerali macroscopici ( granato rosso, vesuviana, diopside ); ma anche gra- natiti verdi-chiare compatte, quasi esclusivamente costituite da granato uvarovite. Sulla probabile relazione genetica di queste roccie con roccie eu- fotidiche, non posso, almeno per alcune, altro che confermare le pre- visioni del collega Franchi '. Venendo ora alle altre roccie verdi, che entrano a far parte di questo segmento dell’amigdala del Viso, esse appartengono essenzial- mente alla famiglia delle anfiboliti e delle prasinit /, con masse subor- dinate di eufotidi e di roccie porfiritiche. Si ha campo di osservare la alternanza di queste roccie nella parte superiore della grande amigdala, penetrandovi da] la valle longitudinale di Vallante per risalire i ripidi 1 Vedi: S. Franchi, Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi Occ 'dentali (Boll, del R. Com. Geol , 1895, n. 2). - 305 - valloni del Duce, delle Giargiatte o di S. Chiaffredo, e delle Sagnette fino ai colli omonimi: e analogamente nella parte inferiore dell’amigdala, salendo dalla Valle Varaita superiore alla arditissima cresta delle Lobbie e Guglie di Viso. Risulta fa una tale ispezione, che in questa nostra area, all’in- fuori di quelle roccie massiccie sopra nominate (eufotidi e roccie por- fi, ritiche), i non pochi tipi delle famiglie delle anfibolia e delle prasiniti , vi si alternano e si intrecciano, non meno fittamente di quello che avvenga dei diversi tipi di gneiss minuti e micascisti, nelle grandi aree di loro sviluppo nelle Alpi Occidentali. Tanto che non è possibile cartograficamente di rappresentare in generale una tale distribuzione di tipi, macroscopicamente neppur sempre distinguibili; ma bisogna accontentarsi di segnarli in gruppo, separando da essi le più evidenti masse di quelle roccie massiccie. Il che non toglie la necessità di insistere sulla grande varietà li- tologica di essi tipi, di cui passo a dire brevemente. Della famiglia delle Anfibolia i diversi tipi rappresentati sono tutti più o meno epidotici (con pistazite o anche zoisite ); raramente sono felspatici , e Yanfibolo può essere attinoto o glaucofone. Si ha così a seconda della combinazione degli elementi principali e della loro di- sposizione i seguenti tipi: Anfibolia epidotiche, Anfibolia a glaucofane epidotiche ; generalmente molto minute. Non consta che passino a vere Epidositi , invece talora passano a Zois ititi. Molto spesso gli elementi tendono a localizzarsi per straterelli dando luogo a una struttura zonata, talora molto appariscente per alternanza di straterelli grigio-giallastri essenzialmente epidotici , con straterelli violaceo -scuri essenzialmente glaucof anici: e anche con stra- terelli grigio-verdognoli essenzialmente aUimtici. Onde si hanno Anfi- bolia zonate a glaucofane ed epidoto, e altre ad attinoto ed epidoto ; le prime a grana meno fina delle seconde, che sono molto compatte e meno diffuse. Non mancano tipi complessi epidotici con due anfiholi, e tipi di transizione fra i diversi qui enumerati; mentre sono rari i tipi di transizione al gruppo seguente. Come le nominate anfìboliti, anche le Prasiniti sono qui essen- zialmente epidotiche, ma in esse la glaucofane è affatto subordinata, — 308 - quantunque non infrequente nella nostra regione; degli epidoti la 'pistazite e la zoisite paiono egualmente importanti. Sono sempre tabu- lari, a grana finissima, compatte, verdognolo scure, dalla superfìcie piuttosto scabra, talora zigrinata. Più comuni paiono Iq Prasiniti nor- mali, aventi anfibolo, epidoto e clorite -immersi con uguale importanza nel fondo felspatico. Vengono poi le Prasiniti cloritiche, cioè con clorite prevalente sull’ a;i- fibolo, raramente a struttura schiettame.de orbiculare ; più simili spesso a scisti tegulari, scuri, chiazzati. Ultime sono le Prasiniti anfibo- liche tabulari, compatte, anche grigio-chiare. Anche qui le prasiniti essenzialmente epidotiche non furono constatate, ci sono però transi- zioni a tipi di Zoisititi felspatiche. Si vede da questa rassegna, che tutte queste roccie verdi ( anfibo - liti e prasiniti) sono essenzialmente roccie anfibolico-epidotiche. Se non è giustificato litologicamente il nome di « epidotiti » dato loro in blocco dal Gastaldi, 1 esso esprime però la felice intuizione dell’acuto geologo, che con unica denominazione rammentava il conponente caratteri- stico generale a tutti i tipi, e indicava la unitjà geologica di essi. Le Eufotidi trovate nell’area da me rilevata, quantunque non molto diffusa, si trovano però sempre in masse d’una certa impor- tanza ; come sono quelle del Rifugio Sella, e delle Rocche Meano. Sono roccie in generale a grossa macchia, talora molto felspatiche; la strut- tura massiccia è irregolarmente conservata, sonvi bellissimi tipi a dial- laggio anche verde, porfìrico nella massa bianca felspatica. Più spesso però è più o meno pronunciata quella trasformazione strutturale e mineralogica, che si incontra tanto frequente nelle eufo- tidi delle Alpi Occidentali; si che passano a roccie zoisitico-anfiboli- che per lo più granatifere a struttura più o meno scistoso-lentico- lare. In queste la uralitizzazione del diallaggio avviene non tanto spesso in smaragdite , quanto in attinoto , e specialmente in glaucofane , dando luogo a certe forme scistose non sempre facili a distinguersi da certi tip di anfiboliti zonate addietro enumerati. Nei pochi punti, ove fu possibile l’osservazione, io constatai la 1 B. Gastaldi, Spaccato geologico lungo le valli superiori del Fo e della Varaita (Boll, del R. Com. Geol., 1876). - 307 - generale concordanza fra la scistosità di queste masse eufotidiche la minate, e la stratificazione delle anfìboliti che le comprendono. Quanto alle Roccie porfiritiche , importanti geologicamente, perchè prima d’ora sconosciute, mi basti qui farne cenno. È ai laghi di San Chiaffredo, che io trovai erratici abbastanza abbondanti di una roccia massiccia, a struttura porfìrica, per inter- clusi bianchi abbondanti e altri più scuri sul fondo grigio verdognolo compatto. Gii interclusi bianchi sono di felspato saussiritizzato; quelli scuri, di unfibolo ; vi è biotite alterata e fondo generale di aggregato zoisitico. Questa roccia passa anche a tipo assolutamente compatto, senza interclusi; roccia, che fu trovata attraversare in filoncelli massi di eufotide; ed esserne anche a sua volta attraversata. Roccie affatto analoghe di aspetto, quantunque a disposizione scistoso lineare degli elementi, io trovai alle Lobbie di Viso; e si pre- sentano come se fossero una modificazione strutturale di quella porfìrica, per forma leggermente allungata degli interclusi, e struttura tabulare generale. Qui però A. M. non si vede quasi affatto felspato, sostituito da zoisite , e vi si aggiunge il granato in diffusi granellini. Riserbandomi di studiare meglio queste roccie dopo rilevamento completo della amigdala del Viso, ho voluto qui soltanto farne cenno per l’importanza generale che possono avere, come l’unico tipo della famiglia di roccie diabasico-porfiritiche, riconoscibili finora come tali in questa massa di roccie verdi. Non chiuderò questo cenno sulla composizione della lente del Monte Viso, senza ricordare che, quantunque sporadiche, non man- cano in esso intercalazioni di roccie scistoso-micacee. Ne trovai erratiche nel vallone delle Forciolline, e in posto sui due contrafforti delle Lobbie di Viso; dove il colle fra Cima delle Lobbie e Cima delle Guglie è aperto in una intercalazione di Micascisto tabu- lare, a mica bianca, granatifero con oligisto. Anche il colle fra Cima delle Lobbie e Cima Rasciassa è aperto in corrispondenza di una interca- lazione di Gneiss scistoso, molto brillante, A. M. attinotico ed epidotico. Queste intercalazioni, per quanto piccole, sono importanti per la interpretazione genetica delle roccie anfibolitico-prasinitiche. Dalle os- servazioni dei colleghi e mie risulta, come è noto, lo stretto legame fra roccie di queste famiglie, e roccie massiccio (dioriti, eufotidi, dia- — 308 - basi, porfiriti) da cui per metamorfosi si passa a roccie di tipo antibo- li tico-prasinitico Questo non ci autorizza però a generalizzare la genesi per metamorfismo di tutte le roccie di questo tipo da roccie massiccie ; e l’inserzione di roccie scistoso-micacee fra banchi di roccie anfì- bolitico-prasinitiche anche in questa gran massa di roccie verdi del Viso, è altro degli argomenti, che giustificano la nostra prudenza. 12. Piatre verdi nei calcescisti. — Ho già fatto un cenno della distri- buzione di queste altre lenti di pietre verdi nella massa dei calcescisti , sia sottostanti, e sia specialmente sovrastanti alla grande amigdala verde del Monviso. Prese nel loro insieme sono essenzialmente le mede- sime forme litologiche colà trovate, che si ripetono qui, con qualche particolarità degna di nota, e con poche differenze. — Anfibolia e Pra - s initi sono ugualmente diffuse nella massa di queste pietre verdi. Le Anfibolia anche qui sono essenzialmente a glaucofane. Le più frequenti sono le Anfibolia zonate , talora zeppe di aciculi di tormalina. Meno frequenti sono le Anfibolia granulari , pure a glaucofane. No- tevole un tipo (alta Valle Chianale) eccezionale a grossa grana felspa- tica, tempestata di grani bronzati di ilmenite con aureola di leucoxeno. Delle Prasiniti, mentre non costatai i tipi normali, trovai ugual- mente frequenti i tipi anfibolici e i tipi cloriti ci ; questi ultimi pas- santi anche a schiette Ovarditi , cioè senza antibolo. Ci sono invece (per esempio nella massa di Rocca Nieraì delle Prasiniti essenzialmente epidotiche ; sono roccie tabulari, afanitiche, ver- dognole chiare ; che però A. M. mostrano avere oltre a A! epidoto preva- lente (pistazite con zoisite), un leggero feltro di attinoto sul fondo felspatico. Queste roccie alternano con Anfìboliti zonate, passanti ad Anfiboliti massiccie compatte a glaucofane. Questo legame del resto fra tipi inasinitici e tipi anfibolitici è ge- nerale; e osservabile tant) al crinale fra Colle Sampeyre e Colle Bi- cocca, come al crinale fra Colle Agnello e Rocca Niera. Ma talora sonvi tipi di prasiniti , che hanno piuttosto aspetto mas- siccio, e un abito generale macroscopico e microscopico, che vivamente richiama quello di roccie diabasiclie trasformate. Ciò è confermato dal confronto con roccie, che indubbiamente appartengono a queista categoria, provenienti dai rilevamenti del col- — 309 lega ing. Franchi. Il non aver potuto fino ad ora trovare, nella regione che ci occupa, la prova di questo legame genetico, e lo stretto legame colle altre roccie prasinitiche, non ha permesso finora la separazione cartografica di un tipo di roccie diabasiche. Invece si ha anche cartograficamente rappresentabile il tipo delle Eufotidi , sia massiccie più o meno fresche, sia recanti traccie di meta- morfosi e laminazione. La massa eufotìdica del Tour Reai, è affatto simile alle masse del Viso; e la trasformazione vi è appena iniziata, nel modo colà accennato. Invece altre piccole masse eufotidiche trasformate (Comba del Bai, Colle di S. Yeran) presentano, anche conservando la struttura mas- siccia, la uralitizz azione del diallaggio in glaucofane; e anche una completa laminazione. Tutte queste masse eufotidiche è notevole come siano in stretto rapporto con masse serpentinose , sempre però nettamente da esse di- stinte petrograficamente. Sotto Tour Reai nereggia, incisa dall’emissario del Lago Nero, una Serpentina massiccia diallagica) dalla massa scura afanitica per- fettamente serpentinica1 in cui brillano larghi clivaggi di diallaggio bastitizzato . Insieme si accompagnano Serpentina più scistosa senza diallaggio e Serpentinoscisti fissili. Questa ultima roccia si ripete a più riprese intercalata nei calce- scisti colle anfiboliti e prasiniti, come alla Rocca Bianca, e fra punta S. Yeran e Colle dell’Agnello. Ivi anzi è pure in relazione con Talco scisti : di cui inoltre affio- rano alcuni straterelli anche isolatamente intercalati nella massa di calcescisti molto calcariferi, nel contrafforte che s’innesta fra i due colli dell’Agnello. Pietre verdi dei micascisti — Anche di queste ho già dato breve- mente la distribuzione nella massa dei micascisti. Comprendono anche esse Anfiboliti e Prasiniti ; cui si devono qui aggiungere Eclogiti e Dio- riti. Anche qui vi sono Serpentine con Granatiti e Scisti cloritici e attinotici. 13. Come masse le Anfiboliti e Prasiniti sono poco importanti, come si è accennato; però si ha questo di diverso, che ivi è rappre- sentato il tipo di Prasiniti normali in una roccia massiccia, grigia, compatta, superficialmente arrossata (presso Madonna di Peralba); e — 310 - vi è pure rappresentato il tipo, delle Anfibolia senza glauco fané (pure epidotiche) in roccia, finamente granulare, grigio -verdognola (Meire Meniot, Comba Biron). Del resto gli altri tipi di PrasiniU ovarditiche , Anfibolia a glaucofane , zonate e massiccie ricadono in quelli già ad dietro descritti. Qui va notata la transizione abbastanza frequente fra queste roccie anfibolitiche e prasinitiche e le roccie includenti, mediante Gneiss anfibolitici e prasinitici. E pure notevole il legame di certe anfìbobti a glaucofane con speciali Micascisti a glaucofane (Vallone del Lupo presso il confine francese). Analoga relazione si ha fra certi Micascisti a granati già citati (a monte di Frassino) e una Eclogite grigio-chiazzata, spalmata di splen- denti lamine di muscovite, che si trova in lenticciuole e nuclei. In relazione con le roccie anfiboliche formanti le masse isolate cingenti dalla destra della Varaita fino alla Valle Mala la zona gneis- sica, si trovano in tali masse delle parti aventi aspetto affatto di- verso dalle roccie fin qui enumerate. Sono roccie chiazzate, a macchie minute, alternatamente grigio-chiare e verdognolo-scure ; la grana è fina, non tanto però, che non si vedano punti luccicanti; e la dispo- sizione delle macchie non è sempre caotica, più spesso è lineare; tanto che si passa da forme massiccie a forme scistose. L’abito generale di queste roccie ha stretta somiglianza con quello delle così dette dioriti gneissiche di Val Savaranche, descritte dal collega ing. Novarese 1 ; e anche nella composizione mineralogica si mostrano uguali a quelle. Sono quarzifere ; Yanfibolo è in cristalloidi prisma- tici, e l’epigenesi del felspato in epidoto {zìisite e pistazi'e) non è com- pleta; vi si vedono leucoxeno e granati. La presenza di queste roccie dioriticlie , non frequenti nelle Alpi Occidentali, ha una certa importanza; tanto più per la loro giacitura intorno a una parte della regione gneissica. Quanto alle Serpentine , sono in lembi, di qualche diecina, e anche di qualche centinaio di metri di lunghezza, nella massa di micascisti della bassa valle; sono del solito tipo massiccio, compatte, costituite 1 V. Novarese, Dioriti granitoidi e gneissiche di Val Savaranche (Boll, del R. Com. geol., 1894, 3°), — 311 unicamente di fino intreccio di serpentino con magnetite diffusa : pas- sano anche a Serpentinoscisti} ma di rado. La loro natura compatta le rende utili come pietrisco, di cui è aperta una importante cava a valle di Venasca sulla rotabile. Poco sopra la cava notai anche in questa massa di serpentine nuclei di Granatiti dei soliti tipi rossastri, anche molto compatte; qui pure, come quelle dell’alta valle, completamente racchiuse nella massa di serpentina. 14. Esposta così in breve la costituzione geologica delle due regioni distinte negli Scisti cristallini dell’area rilevata, cioè « Regione gneis- sica » e a Regione delle pietre verdi » conviene ritornare su questa distinzione locale, più topografica che geologica, per vedere d’inter- pre tarla. Si è accennato, come le formazioni dalla seconda regione vengano a cingere e ricoprire le formazioni della prima; e si può dire, in ge- nerale; che, se si conducessero diversi profili trasversali normalmente al perimetro della regione gneissica, taglierebbero in generale con una certa regolarità dalfiinterno all’esterno formazioni mano mano più alte nella serie. Ma ho già notato, che per la irregolarità- colla quale il bacino della valle, sbreccia l’area di sviluppo di queste formazioni, soltanto un’ottavo di essa appartiene alla Regione gneissica , di cui la prosecu- zione è da cercare a Nord in Val di Po. La restante area, spettante alla Regione delle pietre verdi, entra nell’alto bacino della valle in forma- zioni molto alte nella serie, meno alte nel bacino inferiore, e ancor meno nella valle mediana ; e il complemento di queste diverse zone della fascia di formazioni è da cercare a Sud nella confinante Val Maira. In queste condizioni di rilevamento, non si può rendersi esatto conto della geologia della regione, prima che i rilevamenti delle due valli contigue, ne abbiano completate le lacune. Per ciò, nel fare una divisione delle formazioni ho adottato la denominazione oggettiva di « Regione gneissica » e « Regione delle pietre verdi » ; adottando, per l’insieme delle formazioni, la denominazione pure oggettiva di « Scisti cristallini ". Dalla diagnosi, che di essi ho cercato di dare, è ri- sultato evidente la forte analogia fra la nostra « Regione gneissica » che è anche la più profonda della serie osservata, e V Arcaico inferiore classico delle Alpi Graje (zona del gneiss centrale); e la non meno mar- — 312 — cata analogia fra la nostra « Regione delle pietre verdi soprastante in complesso alla precedente e quell’ Arcaico superiore (zona delle pietre verdi). Come in quello Arcaico inferiore abbiamo veduto nella nostra « Regione gneissica » roccie di tipo gneiss centrale strettamente legate con altre di tipo gneiss minuti (spesso con biotite) ; cui si intercalano anche micascisti, calcari marmorei e poche roccie verdi del gruppo delle anfiboliti; il tutto disposto come in un settore di elissoide, che si spinga nella nostra valle da Nord, sotto alle formazioni della « regione delle pietre verdi ». In questa « Regione delle pietre verdi » poi, come nell’ Arcaico superiore sopracitato, abbiamo trovato micascisti in stretta relaziona con gneiss minuti (senza biotite) e più spesso con guarniti e con calcari, raramente con gneiss simili a quelli di tipo centrale ; calcescisti stretta- mente legati a filladi e calcari cristallini ; e importanti inserzioni len- ticolari di pietre verdi diverse (specialmente anfiboliti e prasiniti ; dioriti , ed eufotidi ; serpentine). Quanto all’unità della « Regione gneissica » essa risultò geolo- gicamente abbastanza marcata. Meno evidente, riesce la unità della < Regione delle pietre verdi » per la già notata localizzazione delle tre famiglie principali di roccie: micascisti , calcescisti e pietre verdi. Richiamo infatti, che esteriormente e superiormente al nocciolo della regione gneissica si trova come un involucro formato essenziale mente di roccie del gruppo dei micascisti , con poche pietre verdi; e sopra questo primo involucro, un secondo, di roccie del gruppo dei calcescisti con intercalazioni di pietre verdi molto più importanti, fra cui è l’imponente amigdala del Monte Viso. Nello abito complessivo petrografico e nel comportamento rispetto al paesaggio orografico, riesce, al geologo che percorre la valle, molto più marcato il distacco di questo secondo involucro (di calcescisti con roccie verdi) da tutte le formazioni sottostanti; che non sia fra il nocciolo gneissico e tutte le formazioni sovrastanti. E forse, più a questa impressione generale, che a una vera analisi dettagliata, è dovuta la interpretazione del Gastaldi, che ascrisse alla sua « zona delle pietre verdi » soltanto quel secondo involucro (calcescisti con roccie verdi), te- nendo tutto insieme le sottostanti formazioni nella sua « zona del gneiss centrale ». Questo apprezzamento fu già modificato nella cartina - 313 — al 1 COO OOO di Zaccagna e Mattirolo *, nella quale le formazioni che costituiscono il primo involucro sopraindicato sono raggruppate colle sovrastanti nella loro « zona della pietre verdi ». I miei rilevamenti di dettaglio, almeno per il bacino di Val Va- raita, confermerebbero quest’ultimo raggruppamento, salvo correzioni talora importanti nel limite fra le due zone Insomma i tre gruppi di roccie, da me denominati gruppo dei Mi- cascisti, gruppo dei Calcescisti , gruppo delle Pietre verdi , per quanto disformemente sviluppati nella serie, verrebbero a formare un tutto unico geologico, sotto al quale sta il nocciolo gneissico. E soltanto con una tale separazione, che sussiste l’analogia sopra affermata della nostra Regione gneissica e della nostra Regione delle pietre verdi , rispettivamente colle due zone arcaiche ben note delle Alpi Graje, « zona del gneiss centrale » e « zona delle pietre verdi ». Se la mia divisione oggettiva locale in due Regioni corrisponda per- fettamente a questa divisione geologica generale in due Zone , speriamo sarà messo in miglior luce dai rilevamenti delle valli contigue. Roma, maggio 1895. III. B. Lotti. — Cenni sul rilevamento geologico eseguito in Toscana durante l'anno 1804 . Il lavoro di rilevamento eseguito dallo scrivente nell’anno de- corso si aggirò nell’area rappresentata dalle tavolette topografiche di Montalcino, Asciano e Sinalunga in provincia di Siena, ed in quelle di Firenzuola, Bagni della Porre tta, Vergato e Loiano, parte in pro- vincia di Firenze, parte in quella di Bologna. Tavoletta di Montalcino (F. 121, III). — L’area, cui riferiscesi questa tavoletta, è nella maggior parte occupata dal Pliocene, costi- tuito, come di solito, da argille, sabbie e conglomerati ; solo rara- 1 D. Zaccagna, Sulla geologia delle Alpi Occidentali (Boll, del R. Com. geol., 1837). - 814 - mente da calcari marini, come nell’altipiano di Pienza e nei pressi di S. Quirico d’Orcia. A Sud e S.O, presso S. Quirico e Montalcino compaiono terreni eocenici; a N.E, presso Sant’Anna, Montisi e Pe- troio, affiorano di mezzo al Pliocene masse isolate di calcari liasici e retici. Un piccolissimo affioramento di roccie secondarie comparisce anche in mezzo all’Eocene, presso la sorgente termale di Yignoni, a Sud di S. Quirico d’Orcia. Il Pliocene marino, nella sua parte inferiore ove sovrapponesi al- l’Eocene e alle masse secondarie, è costituito di solito da alternanze di argille e di potenti banchi di conglomerato, a maggior distanza da argille ricoperte qua e là da sabbie e da ciottoli. Nei dintorni di Pienza le sabbie, oltreché superiori, si presentano anche intercalate alle argille, le quali racchiudono di frequente banchi di lignite. Presso Oosona e Lucignano d’Asso queste alternanze sono talmente nume- rose da render quasi impossibile una netta separazione fra i due ter- reni. Ad Ovest del Salcio, sotto S. Quirico, affiora di sotto alle sabbie un calcare fogliettato, fetido, detto 'pietra puzzola, nel quale vedonsi impronte vegetali, in gran parte del genere Equisetum Esso riposa direttamente sull’Eocene. Tutt’intorno alla collina eocenica di Montalcino, sin quasi a mezza costa, stendesi il Pliocene, for « ato, presso il contatto, di calcare fos- silifero, di sabbie ed anche di argille. A maggior distanza predomi- nano le argille frequentemente sabbiose. Questa formazione promiscua, sabbio so-argillosa, costituente un suolo fertilissimo e ben coltivato, domina anche nei dintorni di Buon- convento sull’Ombrone Nei dintorni di S. Giovanni d’Asso predominano invece le sabbie, talvolta cementate e molto fossilifere; però fra S. Giovanni e Buon- convento si ripetono le alternanze di sabbie ed argille che stupenda- mente si osservano nei tagli naturali prodotti da profonde solcature del terreno. Il terreno miocenico lacustre, lignitifero, che occupa il bacino dell’Orcia, tra la stazione di Montamiata e la confluenza del torrente Asso, comparisce per breve tratto presso il margine Sud della tavo- letta ed è separato dal Pliocene marino per mezzo di un piccolo sbar- ramento di circa un chilometro, formato dalle roccie eoceniche. L’Eocene è costituito in prevalenza dal solito terreno calcareo- argilloso, da qualche strato di calcare nummulitico e da arenaria. Presso Bellaria e Greppomanni, nei dintorni di S. Quirico, sta - 315 - racchiusa nelle roccie calcareo-argillose qualche piccola massa di ser- pentina con oficalce e steatite, della quale ultima fu anche tentata la escavazione. Gli scogli sui quali stanno Oastiglion d’Orcia e la Rocca, sono di calcare nummulitico in grossi banchi inclinati di pochi gradi verso S.E. Questi strati riappariscono poi più a Nord presso la Quer- ciola. Presso la Ripa d’Orcia, antico castello medioevale, il fiume taglia una massa d’arenaria sottostante al terreno calcareo-argilloso, che viene scavata in vari punti. La collina su cui è posta la città di Montalcino è formata in parte d’arenaria, in parte di calcari e scisti argillosi. L’arenaria ri- posa qui in generale sui calcari, però in qualche punto mostrasi anche da questi ricoperta, cosicché è probabile che formi in essi delle grosse lenti, non essendo qui ammissibile la spiegazione del fenomeno con rovesciamenti stratigrafici. Tra l’arenaria ed i calcari compariscono spesso scisti argillosi ros- sastri, manganesiferi. In una nota a parte sulle condizioni geologiche della sorgente termale di Vignóni \ ho reso conto di recente dei terreni secondari che compariscono in un’area ristrettissima in prossimità dei Ragni omonimi. Questi terreni ricompariscono poi più a Nord presso San- t’Anna, Montisi e Petroio. Intorno a Montisi essi affiorano qua e là a guisa di scogli tra le sabbie plioceniche e son costituiti da calcare nero stratificato alter- nante con scisti calcareo -argillosi con traccie di fossili. È probabile che spettino al Retico. Il calcare è a luoghi fetido e la direzione dei suoi strati è N.N.O-S.S.E, e finclinazione verso N.E. Spesso è buche- rellato dai litofagi pliocenici anche nei punti più elevati, ben dimo- strando che il mare nell’epoca pliocenica copriva intieramente quelle alture Il Poggio di Lecceto, monacello brullo, acuminato, che forma una delle tante isole secondarie in mezzo al Pliocene presso Petroio, è costituito da un calcare massiccio, chiaro o roseo, con traccie d’uni- valvi; passa però a luoghi a calcare nero stratificato come quello delle altre protuberanze secondarie. 1 B. Lotti (Boll. R. Com. geol., 1895, n. 2, pàg. 219). — 316 - La collina di Sant’Anna è di calcare grigio venato di bianco, probabilmente reti co, sul quale appoggiansi in un punto scisti ana- loghi a quelli del Lias superiore delle vicine località. Nell’area rappresentata in questa tavoletta compariscono varie sorgenti minerali e termali La più interessante è quella di Yignoni con una portata di 50 1. a 1" ed una temperatura di 481 C ; ad essa accorrono nella stagione estiva circa 500 persone, che sono alloggiate in due o tre alberghi assai comodi. Le sue acque, calcarifere in sommo grado, dettero luogo alla formazione di un’ampia distesa di travertino. A Collalli, a Vegliena e all’Ombicciolo presso S. Quirico, scaturi- scono dal Pliocene varie sorgenti magnesiache, di cui quella di Col- lalli è largamente utilizzata. Sotto Pienza a S.O vi è una scaturi- gine detta l’Acqua Puzzola per l’odore di acido solfìdrico che tra- manda. Presso Sant’Anna vi è una copiosa sorgente d’acqua acidula con 30° C. di temperatura che sgorga da un cratere scavato nel travertino depositato dalle sue stesse acque sopra le argille plioceniche. Tavoletta di Asciako (F. 121, IV). — Anche in quest’area pre- domina il Pliocene, in gran parte costituito da pure argille, dalle quali risulta quel paesaggio brullo, sterile, desolato, conosciuto col nome di Crete senesi. Ad Est e N.E compariscono terreni eocenici e vari gruppi secondari isolati che possono considerarsi cerne facenti parte dell’estremità N.O della catena di Cetona. Presso Asciano, Rapolano e le Serre il Pliocene è ricoperto da ampie distese di travertino, testimoni della grande attività idroter- male di un tempo, attività che oggi ancora continua nei bagni ter- mali di Papolano e di Montalceto. Le argille pure dominano a distanza di 5 o 6 chilometri dall’an- tico litorale pliocenico, mentre nella zona costiera si hanno continue alternanza di sabbie ed argille, come, ad esempio, nei dintorni di Ca- stelnuovo Berardenga. E però degno di nota il fatto che a maggior distanza, e separata dalla prima da una zona di argille pure di am- piezza variabile da 5 a 10 chilometri, comparisce altra zona sabbioso- argillosa, la quale non sembra in relazione con alcuna terra emersa nel mare pliocenico. Questa zona mista, della larghezza di 5 a 6 chilo- metri, stendesi in direzione N-S da Castelnuovo a S. Giovanni d’Asso e più oltre fino a S. Quirico, divergendo dall’altra zona littoranea, la quale, come la catena contigua, dirigesi invece da N.O a S.E. - 317 - L’Eocene di questa tavoletta, rappresentato quasi in totalità da arenaria, costituisce gli estremi lembi della regione chiantigiana che termina nel' e colline di Lucignano e Sinalunga. Alcuni piccolissimi affioramenti di roccie calcareo-argillose che compariscono presso Moda- nella, Montauto, Molino di Calcione e Sinalunga, son forse da ri- tenersi ad essa intercalati. Strati nummulitici si osservano poco sopra al Bagno Freddo e presso Poggio Santa Cecilia alla base dell’arenaria, ' proprio al passaggio agli scisti policromi manganesiferi sottostanti di cui vado a far cenno. Le foraminifere dei generi Orbitoides e Num- mulites raccolte dal dott. De Angelis presso Poggio Santa Cecilia furono esaminati dal prof. Teliini, che le giudicò appartenenti alla parte superiore dell’Eocene medio o meglio al passaggio dal Parisiano al Bartoniano. Senza entrare ora in merito alla questione del valore cronologico da attribuirsi alle nummuliti per la divisione in piani del nostro Eocene, noto che tale risultato è perfettamente conforme a quanto fu da me esposto nell’anno decorso pei terreni analoghi di una parte del Chianti, tra Greve e Pigline, ove pure, tra l’arenaria e gli scisti policromi sottostanti, trovansi strati con nummuliti ed orbitoidi di quello stesso piano eocenico 1. Tra le arenarie e i terreni più antichi interpongonsi scisti rossi argillosi e diaspri manganesiferi che per analogia con quelli di altro località toscane, riferisco in parte all’ Eocene inferiore, in parte al Senoniano. In questa formazione diasprina fu tentata in vari punti, e specialmente presso Poggio Santa Cecilia e Monte Martino, l’esca - vazione del manganese, ma a quanto pare, con risultati non troppo lieti, perchè oggi tali escavazioni sono completamente abbandonate. Il minerale è molto siliceo e generalmente povero ed è stratificato, poi- ché son gli stessi strati diasprini che localmente e gradatamente si 1 Colgo l’occasione per dichiarare che non posso tener conto di alcune critiche mosse alla mia nota sui terreni del Chianti, inserita nel Bollettino del B,. Comitato geologico del n. 2, 1891, che appunto trattava dei terreni eocenici e senoniani di questa regione limitrofa, perchè esse non si riferiscono alla inter- pretazione dei fatti da me esposti, ma attaccano l’essenza dei fatti stessi. Io debbo quindi mantenere in tutta la loro integrità i fatti e le conclusioni ; i fatti perchè, corredati com’erano di particolari, nessuno poteva smentirli recisa- mente; le conclusioni perchè pienamente conformi, e non discordi, come si as- serisce, colla serie geologica da me constatata per tutta la Toscana dopo averla ormai percorsa in lungo e in largo per tracciaree la Carta geologica in gran le scala. 5 — 818 — convertono in strati di minerale manganesifero. Tra questi si osser- vano alcuni straterelli di quarzo con calcopirite ed un tal fatto è degno di nota perchè la calcopirite e il minerale di manganese trovansi associati anche in altre località toscane in questo stesso terreno, come ad esempio presso Stribugliano nel Monte Amiata e presso Monte Fe- gatesi in Val di Lima. Mentre nelle località circostanti, dove affiorano in plaghe isolate i terreni secondari e come del resto nella maggior parte della Catena Metallifera, si passa dall’Eocene o dal Senoniano direttamente ai terreni liasici ed anche al R etico, qui nei pressi di Rapolano si presenta assai sviluppato un terreno intermedio, il Titoniano. Esso è rappresentato da calcari con selce che formano le parti prominenti della catena che separa la valle dell’Ombrone da quella del Sentino e che stendesi, in direzione N.N.O-S.S.E, da Rapolano fin quasi a Montalceto. I calcari titoniani, di solito grigio-chiari o bianchi maiolica, tal- volta anche rossastri, racchiudono lenti di selce grigia, nera e rossa e contengono aptici assai ben conservati. Io ve li ho rinvenuti presso il Monte e sotto le Casette, tra Rapolano e le Serre. In più luoghi vedonsi questi calcari sovrastare a strati diasprini e a scisti giallastri con traccie di Posidonomya. Tra questi due terreni trovansi frequente- mente strati di passaggio calcareo-silicei, pure con aptici e special- mente co\V Ajztychus Beyrichi. Presso Rapolano, sulla via di Lucignano, sotto i calcari tito- niani stanno certi calcari rossi, marnosi, a frattura concoide, pieni di frammenti di fossili con aptici e qualche piccola belemnite, e sotto a questi degli scisti calcarei friabili', gialli, con Posidonomie. Ai Bagni Temperati a questi strati corrispondono certi diaspri giallo- verdastri e diaspri manganesiferi, scisti calcareo-silicei ad aptici e calcari grigio-chiari sottilmente stratificati. Di solito il passaggio dal calcare titoniano agli scisti e ai diaspri del Lias superiore avviene per mezzo di straterelli di calcare giallastro con selce grigia o rosso- cupa che via via avvicinandosi ai diaspri acquista il predominio. Anche in questo calcare abbondano gli aptici. La collina di Montalceto, ove ergesi l’antica torre omonima, è formata di calcare bianco o grigio con traccie d’univalvi e riferibile per analogia al Lias inferiore. Ad esso sovrappongonsi direttamente i diaspri del Lias superiore od il calcare con selce del Dias medio con qualche traccia di calcare rosso, di cui recentemente fu iniziata la esca- vazione come pietra ornamentale. Queste roccie del Lias inferiore formano l’estremità meridionale del gruppo secondario di Rapolano e trovansi sullo stesso allinea- mento N.N.O-S.S.E dei lembi retici, isolati in mezzo al Pliocene e più meridionali, di Trequanda e di Montecalvoli, mentre la massa dei calcari titoniani e dei diaspri del Lias superiore del gruppo di Rapolano devia da questo allineamento volgendo a Nord. Notando ora la mancanza dei terreni più antichi del Lias superiore a ponente del gruppo di Rapolano ed in continuazione dell’accennato allineamento, e la presenza in loro vece delle masse di travertino delle Serre, di varie putizze e delle sorgenti termali di Rapolano, sembra assai pro- babile in quel tratto l’esistenza di un campo di fratture e di spro- fondamenti. Le sorgenti termali di Rapolano trovansi presso il margine me- ridionale ed orientale di quella estesa coperta di travertino di cui fu già fatta menzione e che adagiasi sulle argille plioceniche. Questo travertino, in vari punti di ottima qualità, vien largamente scavato presso Rapolano e poco sotto le Serre. Il ritrovamento in esso, presso Rapolano, di resti di elefante e di rinoceronte non che, a quanto di- cesi, d’un teschio umano, attesta la sua formazione ininterrotta da epoche remote fino ai dì nostri. Queste acque son divise in tre gruppi caratterizzati essenzial- mente da una differenza di temperatura e dette perciò : Bagni Freddi, Bagni Temperati e Bagni Caldi, cui corrispondono tre stabilimenti balneari. Le acque dei Bagni Freddi, dette anche Bagni d’Armaiolo, hanno 29!) C. di temperatura, quelle dei Bagni Temperati 36° C. e quelle dei Bagni Caldi 3)°, 5. Oltre a questi vi è il Bagno Marii, fan- ti co bagno solfureo di Rapolano, che ha una temperatura di 39’-40) C. e contiene maggior copia di acido solfìdrico degli altri. Contiguo a questo bagno vedesi un cratere scavato nel travertino per entro al quale si accumula l’acido solfidrico e che perciò fu detto la mofèta. Il cratere pare siasi formato in seguito ad escava ioni ivi praticate per l’estrazione del solfo che incrosta le spaccature e le cavità del tra- vertino.Ora è circondato da un alto muro onde evitare che gli animali vi periscano avvicinandosi. Anche presso il Bagno d’Armaiolo sprigionasi dal travertino l’a- cido solfidrico, gorgogliando fortemente nell’acqua. La sorgente del Bagno Caldo, sebbene continua, presenta, ad in- tervalli regolari di quindici minuti, un aumento di portata con forte sviluppo di gaz che dura circa cinque minuti. Questo fenomeno fu — 320 - posto in evidenza nel cortile dello stabilimento 'per mezzo d’un tubo verticale, dall’estremità superiore del quale l’acqua trabocca spumeg- giante. La causa è da ricercarsi probabilmente nell’accumulamento pe- riodico in cavità sotterranee di acqua e di gaz e nella forza espansiva di quest’ultimo, piuttostocbè in un sifone, come di solito viene invo- cato per spiegare le sorgenti intermittenti. Oltre alle sorgenti si hanno in questi dintorni numerose esalazioni di acido solfidrico o putizze , di cui la più notevole e veramente gran- diosa è quella del Botro di Ragnaia presso Poggio Santa Cecilia. Essa consiste in un forte getto freddo di acido solfidrico, misto ad acido carbonico ed aria. E denominata il soffione , ed infatti, salvo la man- canza di vapore acqueo, pel rumore e per la veemenza del getto pre- senta molta analogia coi soffioni boraciferi. Tavoletta di Sinalunga (F. 121, I.). — Nell’area rappresentata in questa tavoletta comparisce l’arenaria eocenica in piccola parte presso Lucignano e Sinalunga, non che nell’angolo N.E in prossi- mità di Corto aa; tutto il resto è occupato dal Pliocene e dal Quater- nario. Il Pliocene però è da distinguersi in marino e lacustre; que- st’ultimo, caratterizzato da Dreyssensia , Paludina e da altri fossili la- custri, che saranno pubblicati dal dott. G. Di -Stefano, trovasi nelle colline che fiancheggiano la Chiana tra Yaliano e Monte S. Savino. Di questi fossili e dei rapporti precisi fra il terreno marino e il lacustre e della importanza di questo per la genesi dei bacini lacustri attuali circostanti, sarà riferito nel prossimo anno, quando ne siano compiuti gli studi. Tavolette di Firenzuola e Bagni della Porretta (F. 98, II e III). •— Anche per queste tavolette credo opportuno rinviare la descrizione particolareggiata all’anno venturo, quando i nuovi studi della pros- sima campagna estiva avranno fornito ulteriori fatti per la completa risoluzione del grave problema appenninico, cioè della possibilità o meno di riferire al Miocene inferiore ed al Cretaceo superiore parte di quella estesa formazione arenacea e calcareo -argillosa che general- mente, pei dati paleontologici o per altri criteri litologici e stratigra- fici, vien riferita all’Eocene. Intanto mi preme di notare che tutte le osservazioni da me fatte in quest’anno ebbero per risultato di escludere affatto l’età miocenica per tutta quella estesa massa d’arenaria che da Bontà, presso Borgo S. Lorenzo, fino a Porretta costituisce questa parte dell’ Appennino settentrionale e che per alcune bivalvi del genere Lucina, in essa tro- 321 - vate presso la galleria di Gattaia e ricordate dal Ristori ' e dal De- Stefani 1 2, veniva appunto riferita al Miocene interiore. Quest’arenaria, come quella di Barberino e di S. Piero a Sieve, di cui fu riferito l’anno decorso 3, sta sotto alla formazione calcareo- argillosa con serpentine, cbe da Sant’Agata presso Scarperia va fino al Passo della Futa e che a sua volta vien ricoperta da calcari a globigerine con strati nummulitici alla base 4 5. Son questi i calcari del Monte Calvi presso Scarperia, di Panna e di Santa Lucia, cor- rispondenti a quelli del Monte Morello e della Calvana, presso Fi- renze. Quanto alla formazione calcareo-argillosa che occupa l’ampia conca di Firenzuola e che da alcuni geologi fu ritenuta cretacea, forse perchè nel lato occidentale e meridionale della conca stessa appa- risce sottostante all’arenaria, debbo osservare che essa presenta iden- tici caratteri litologici di quella- precedentemente accennata, superiore alle arenarie, colla quale trovasi inoltre in continuità attraverso il Passo della Futa, e come questa racchiude masse serpentinose 6 ed è ri- coperta da alcuni lembi dei soliti calcari a globigerina presso Pietramala. Oltredichè nel lato orientale della conca è questa formazione calcareo- argillosa che va a sovrapporsi alle arenarie, dimodoché devesi rite- nere che essa o rappresenta una grossa lente dentro le arenarie, oppure forma un sinclinale ribaltato verso oriente. Pure in continuità con questa, passando per la Futa e per la valle del Gambellato, trovasi la formazione calcareo argillosa che sten- desi da Castiglion de’Pepoli a Porretta dinanzi e a Nord dei monti arenacei dell’ Appennino Pistoiese. Anche qui essa racchiude masse serpentinose e diabasiche ed inoltre presenta in vari punti strati num- mulitiferi. La sua sovrapposizione all’arenaria è dovunque manifesta in questo tratto. 1 G. Ristori, Il bacino pliocenico del Mugello (Boll, della Società geol. it., Vili, 1889). 2 C. De Stefani, Il bacino lignitifero della Sie ‘ e (Boll. R. Com. geol., 1891). 3 B. Lotti (Boll. R. Com. geol , 1894, n. 2). * Ai Casali, sopra Sant’Agata, in certi straterelli sottili d’arenaria micacea rinvenni un inoceramo che si conserva nelle collezioni del R. Ufficio geologico. 5 Alla estremità S.S.O della grande massa diabasica di Monte Beni e Sasso di Castro mi avvenne di ritrovare un affioramento di granito che appoggiasi direttamente e senza transizione graduata sulla diabase. 322 — Con ciò viene sempre più accresciuto il numero dei fatti contrari all’ idea dell’età miocenica dell’arenaria di Porretta. Ma su questo tema ritorneremo in seguito, quando sarà compiuto il rilevamento geolo- gico di questa parte dell’ Appennino settentrionale. Roma, febbraio 1895. IV. C. Viola. — Cenno delle osservazioni fatte sui Monti Lepini nel 1894 . Lo studio geologico eseguito da me nel 1894 sui Monti Lepini, in provincia di Roma, è lo svolgimento del programma tracciato nella mia Relazione del 1893 l. In quest’anno ho avuto occasione di fare più particolareggiate osservazioni in certe determinate sezioni, di racco- gliere maggior numero di fossili anche col dott. Di Stefano, di guisa che la geologia dei Monti Lepini entra in una fase, direi, più concreta. In questo cenno, il quale è la continuazione di quello dell’anno scorso, espongo i fatti e le osservazioni più notevoli, lasciando ancora dei dubbi là dove la questione non è studiata interamente, col proposito di sviluppare poi tutti gli argomenti nel lavoro finale. Ippuriti del gruppo dell’ Hippurites giganteus ( H . giganteus e H. go- saviensis) si trovano alla falda "N.E della Semprevisa e del Monte Lu- pone, nei calcari di Carpineto e in quelli di Gorga. Alla falda N.E del Monte Lupone e in tutto il gruppo dei calcari tra Montelanico, Segni, Cori e Roccamassima si raccolgono acteo- nelle, nerinee e frammenti di rudiste. Risulta pertanto che tali cal- cari rappresentano il Turoniano tipico, vale a dire dalla base di questo piano, ove predominano gli H. gosaviensis e giganteus fino alla base del Senoniano, dove i calcari sono ricchissimi di Nerinee ed Acteonelle. Nei calcari di Piperno, Maenza, Roccagorga, Bassiano, Sonnino, T erracina, Amaseno, Villa Santo Stefano, Giuliano, Prossedi, Pisterzo, 1 Vedi Bollettino 1834, n. 2, pag. 152. 323 - della Semprevisa, di Gorga, del Monte Gemma, di Mordo, Supino e Patrica si raccolgono abbondantemente Sferuliti e Biradioliti. A Maenza, Sonnino e Villa Santo Stefano i calcari a Sferuliti sono intercalati da banchi diRequienie; essi rappresentano per conse- guenza TUrgoniano. Se vi sia o no anche il Cenomaniano, è una questione che si potrà risolvere dopo lo studio più esatto dei fossili, raccolti da me e principalmente dal dott. Di Stefano. I monti Pontini, Lepini ed Ausonii, fino al confine della pro- vincia di Roma, appartengono dunque esclusivamente all’Urgoniano e al Turoniano, e con dubbio anche al Cenomaniano. Ho esaminato i calcari che compongono questi monti; essi sono costituiti di cristalli di calcite ora 'macroadiagnostici, ora macroeu- diagnostici, con minuti frammenti di gusci di rudiste. Si vede da ciò che il calcare si formò a guisa di scogliera sui terreni calcarei preesistenti, parte a spese di questi calcari medesimi, e parte a spese dei resti di rudiste, le quali in gran copia doveano allignarvi. . Insieme a questa fissazione di età dei calcari, la quale presenta due grandi difficoltà, e cioè, la raccolta e preparazione delle rudiste, che per lo più si trovano in calcari duri, ed il fatto che le, rudiste da sè sole possono appena servire per determinare le grandi suddivisioni del Cretaceo, come già notò il Peron nel 1885, dippoi lo Stadie nel 1889 e Futterer nel 1893, studiai la tettonica e la orografia di questa ca- tena di monti. Noterò qui che nei monti Lepini, Pontini ed Ausonii si osser- vano tre sistemi di faglie. Uno di essi segue 1 allineamento della catena, ed ha quindi anche la direzione degli strati e dei sinclinali ed anticlinali. A seconda di questo sistema di faglie, il quale va da N.O a S.E, la catena Lepino- ùusonia si è separata tanto dalla valle del Sacco, quanto dal mare Tirreno, 'la Semprevisa si è sollevata dalla parte di Bassiano e si è immersa lungo la valle di Carpineto. Un altro sistema di faglie va da Nord a Sud; lo si osserva tra Artena, Roccamassima e Cori, tra Piperno ed il Frasso di Terracina. Il fosso di Vallecorsa ha pure la direzione di N-S, e può quindi anche essere originato da una frattura di terreno. La medesima direzione ha la stretta valle fra Roccagorga e Maenza. Il terzo sistema di spostamenti ha la direzione da Est ad Ovest; taglia i calcari di Artena-Segni, va da Segni a Sgurgola e de- termina una depressione, che si può seguire da Amaseno a Sezze. - 324 - Nel luogo di questi spostamenti e fratture si sono formati i grandi fossi longitudinali e la depressione caratteristica di Amasene. La valle di Montelanico, il Yolubro nel Campo di Montelanico ed il fosso sotto Norma (fra Norma e Sermeneta) si trovano sopra una linea, che va da Nord-Est a Sud-Ovest. Questa medesima direzione si ritrova poi più a Sud, cioè da Terracina a Monte San Biagio, ed è quella che determinò la depressione di Fondi. Queste naturali depressioni che corrispondono o a fratture o a spostamenti di terreno, hanno anche servito a suddividere la regione che passa sotto il comune nome di Lepini, in tre gruppi e sono : i Monti Lepini propriamente detti, vale a dire, il gruppo del Monte Lupone, il quale si estende da Artena e Cori al Yolubro di Monte- lanico e Norma. Da questo limite fino alla valle di Amaseno si esten- dono i Monti Pontini, i quali propriamente limitano le paludi omo- nime. Dalla valle di Amaseno verso Sud sono i Monti Ausonii. L’altipiano di Gorga, che si estende da Gorga al Monte Gemma, alla Ciamutara, alla Malaina e a Nord-Est è limitato dal ciglio di Sgurgola-Morolo-Supino e a Sud-Ovest dalla valle di Carpineto- Montelanico, presenta un grande interesse, a causa di una suc- cessione continua di fratture di terreno, depressioni, doline, grotte e sorgenti d’acqua ; è la parte più interessante del gruppo ed orogra- ficamente e tettonicamente la più accidentata dei Monti Lepini in genere. Coperto un tempo di folto bosco, e quindi poco visitato, esso non fu nemmeno studiato dai geologi, i quali si contentarono di os- servarne i dirupi dalla valle del Sacco. Per l’epoca della formazione dei Monti Lepini ha molto valore la scoperta da me fatta l’anno scorso di terreno eocenico in vicinanza della cima del Monte Cacume di Patrica, a Gorga ed in quest’anno a Sgurgola presso la fontana 'di Santa Secondina, vale a dire alla quota di circa 760 metri. Dico che la scoperta di piccoli lembi, a quote molto elevate (come Monte Cacume a 1000 metri), dello stesso Eocene che si osserva riem- pire la valle del Sacco,, fa sparire la supposizione di qualche autore, che la formazione dei Monti Lepini sia avvenuta prima di quella dei- fi Appennino, vale a dire al finire del periodo cretaceo. Inoltre al Monte Cacume, l’Eocene è accompagnato da ciottoli di roccie granitiche, rac- colti da me in quest’anno ; il che dimostra non solo che la formazione dei conglomerati dell’Eocene lungo tutta la costa tirrena, va senza interruzione da Nord a Sud ; ma ancora che i frammenti di granito che - 325 - il Branco 1 raccolse nei tufi dei vulcani Ernici, più che essere stati eruttati da essi, sono ivi caduti dal terreno eocenico. Feci pure qualche osservazione sulle lave che si trovano sotto Patrica e tra Morolo e Supino in contrada Piglione. Queste lave sono leucititi, vale a dire composte di massa fonda- mentale leucitica e di cristalli porfìrici di olivino ed augite. Esse ap- poggiano direttamente sul calcare cretaceo e sono in gran parte co- perte di tufo compatto. Sorge subito il quesito se queste lave occu- pino il posto di crateri distinti, ovvero siano semplicemente colate di un cratere unico e più discosto. La prima ipotesi non mi sembra possa reggere all’ esame dei fatti. Il Branco parla di un cratere nella gola a Nord sotto Patrica, il quale avrebbe dato origine ai peperini di Patrica, ma egli non accenna alle lave di Supino. Riesce invece molto più semplice di attribuire ambedue queste lave di composizione identica, ad un cratere unico situato verso il fiume Sacco. I tufi di questo cratere si sarebbero raccolti non solo a Patrica, Morolo e Supino, ma bensì anche sull’al- tipiano di Gorga, ove precisamente sotto la cima del Monte Malaina si escava del peperino. Queste conclusioni e questi modi di vedere sulla formazione e sulla tettonica dei Monti Lepini in genere troveranno forse qualche oppo- sitore, e sarebbe quindi necessario di svilupparli in modo più ampio ; a tale scopo sarà diretto, come già dissi in principio, il lavoro finale. V. V. Sabatini. — Relazione del lavoro eseguito nel biennio 1893-94 sui vulcani deW ltcdia centrale e i loro prodotti . Verso la metà dell’anno 1893 fui incaricato dello studio delle for- mazioni vulcaniche comprese nella provincia di Roma, e che si con- tinuano poco al di fuori di essa; costituendo tutte insieme la zona vulcanica dell’Italia centrale. 1 W. Branco, J vulcani Ernici nella valle del Sacco (Memorie della R. Acc. dei Lincei, S. 8 ', Voi. 1°). Roma, 187?. - 326 — Il territorio che entrava così nei limiti del mio lavoro abbracciava : 1. i vulcani Ernici ; 2. i vulcani Laziali ; 8. la Campagna romana ; 4. i vulcani che si raggruppano intorno al centro del lago di Bracciano ; 5. i monti della Tolta; 6. i monti Cimini; 7. i vulcani che si raggruppano intorno al centro del lago di Bolsena. Basta la sola enumerazione di queste regioni, che si dovevano stu- diare nella ricerca delle bocche eruttive, nell’ andamento e determina- zione dei loro diversi prodotti, nella separazione di questi sul terreno, per intendere tutta la difficoltà e lunghezza di un simile lavoro. In certe regioni, come nei Laziali, gli apparecchi vulcanici ben conservati han potuto essere di guida e facilitare le ricerche, del resto già illustrate da una miriade di scrittori, tra i quali citerò solo il Ponzi, il vom Rath e lo Struver. Ma in altre regioni, come nel Braccianese *, il problema si presen- tava ben altrimenti difficile. Ivi difatti la predominanza delle roccie frammentarie sulle continue, o de’ tufi sulle lave, ha permesso agli agenti esterni una vasta opera di distruzione, onde gli apparecchi eruttivi son divenuti poco o niente riconoscibili. E così che la deter- minazione dell’origine dei laghi di Bracciano e di Bolsena ha potuto dar luogo ad opinioni diametralmente opposte, delle quali il vom B-ath e il Judd sono stati i più autorevoli sostenitori La più grande pru- denza s’impone quindi in simili quistioni e le affermazioni debbono basarsi sopra una lunga serie di fatti. Il mio studio è cominciato coi monti Laziali e col Braccianese. Sul secondo non sono ancora in grado di dare risultati concreti, avendo eseguito solo alcune ricognizioni sul terreno. Sui primi invece il lavoro è già quasi ultimato sul terreno e molto avanzato in labo- ratorio, onde posso esporne i risultati principali. Cominciando dalla costituzione generale del vulcano Laziale, io 1 Con questa parola indico non il territorio dipendente dalla città di Brac- ciano, ma tutta la regione vulcanica, al cui centro è il lago dello stesso nome. - 327 credo potersi ritenere i primi tre periodi del Ponzi, che sono del resto evidenti, cioè: 1. Formazione del cono esterno, che diremo Tuscolano o del- l’ Artemisio. Eruzioni di questo cono. Formazioni delle bocche avventizie cor- rispondenti. 2. Formazione del cono interno o Monte Albano, dentro il cra- tere del cono Tuscolano, e terminato esso stesso col cratere dei Campi d’ Annibaie o di Rocca di Papa. Eruzioni di questo cono interno. Formazione delle bocche avven- tizie corrispondenti. 3. Formazione delle conche di Castel Gandolfo e di Nemi per esplosione vulcanica (o per semplice sprofondamento, secondo altri) sui fianchi di Monte Albano. Il quarto periodo del Ponzi, sarebbe caratterizzato dalla forma- zione di Monte Pila, sul ciglio del cratere di Rocca di Papa, e da una enorme colata che ne sarebbe uscita ; la quale colata alle Fratocchie si sarebbe divisa in due rami, l’uno andato a finire a Capo di Bove e Taltro alFAcquacetosa. Più tardi lo stesso Ponzi riconobbe Terrore commesso sull’ origine di queste lave, ma conservò il suo quarto pe- riodo, caratterizzato dalla formazione di Monte Pila. Per le lave io stesso ho potuto constatare : che la colata di Capo di Bove è diversa da quella di Acqua - cetosa, come anche il vom Rath ha notato ; che nessuna delle due si continua fino a risalire a Monte Pila ; che la lava che presso a Monte Pila scende dai Campi di An- nibaie nella Val Molara è diversa dalle due precedenti ; che la colata di Capo di Bove probabilmente è più antica che non si sia ritenuto finora. Quanto all’ epoca della formazione di Monte Pila, Ponzi la basava sopra leggende antiche, riportate da Tito Livio, e che parlavano di grandinate di pietre sopra Monte Albano, in modo così vago che non si capisce come abbiano potuto servire a deduzioni serie. Non mi pare dunque che possa dirsi con certezza se Monte Pila abbia seguito o preceduto la formazione de’ laghi di Castello e di Nemi. L’ing. Di Tucci, da certe osservazioni fatte al Monte Calvarone sul lago di Nemi, crede riconoscere ivi un frammento di un antico vul- cano, anteriore all’ Artemisio. E siccome ivi la lava, ricca di cristalli macroscopici di pirossene, gli sembra diversa da quelle de’ due recinti - 828 - attuali, così egli cerca gli altri siti ove si trovano lave simili a quella del Calvarone, ed ottiene due curve, secondo le quali sarebbero stati disposti i due recinti di un vulcano prelaziale , sulle cui rovine si sarebbe edificato il vulcano attuale Le mie osservazioni sul terreno hanno mostrato che l’argomento della presenza o della natura di cristalli macroscopici, già adoperato anche dal Ponzi e da altri per differen- ziare i prodotti dei due recinti, non ha valore di sorta. Due colate so- vrapposte mostrano spesso quella differenza e nel fatto dell’ingegnere Di Tucci, se egli avesse osservato dippiu, avrebbe trovati molti altri punti, fuori del suo presunto antico vulcano, con lave a cristalli visibili di pirossene. A suo tempo discuterò più a lungo tale argomento. Una delle grosse questioni del vulcano Laziale, è la provenienza e il modo di formazione del peperino. Alcuni lo vogliono uscito dal lago d’ Albano o di Castello, altri da’ crateri del primo e del secondo recinto, non ritenendo la conca di Castello come bocca eruttiva, ma come sprofondamento. Alcuni ritengono che pioggie di ceneri abbiano formato tale tufo, altri che sia dovuto a correnti di fango. Anche qui il signor Di Tucci discute a lungo in favore della seconda teoria, mettendo erroneamente vom Rath tra’ suoi fautori. Lasciando per ora da parte ogni discussione, dirò che ho potuto constatare che : il lago di Castello è munito di recinto craterico e che esso fu un vero cratere eruttivo; il peperino iu massima parte è dovuto a questa bocca ; il peperino è uscito allo stato di proiezioni di ceneri e non di correnti di fango. La ricerca delle origini della colata di Capo di Bove, se non ha dato un risultato soddisfacente, mi ha però condotto a trovare tutte le lavi contenenti melili te. Ne ho infatti trovate, oltre che a Capo di Bove, già conosciute, anche a Castiglione, a Pantano Secco, a Ponte Ravenna, al Laghetto (d’ Albano), sul lago di Nemi, ecc. La questione della formazione dello Sperone è stata anche defi- nita. Esso è un’ alterazione della lava, prodotta dalle fumarole di cloruri, e s’incontra ad ogni passo, in vicinanza però dei punti d’e- missione, perchè solo lì quelle fumarole hanno esistito. Tra le lave del Lazio, le sole che abbiano felspato abondante, nel primo tempo, son quelle che si son precipitate dai Campi d’ An- nibaie nella Yal Molara, tra Rocca di Papa e Monte Pila. E notevole il fatto della formazione d’un felspato vicino al Voli- goclasia-andesina , come prodotto secondario, dovuto ad alterazione della leucite. Il giacimento del Tavolato, importante per le leucotefriti con hauyna, che contiene in frammenti, mi ha condotto alla ricerca di roccie simili, altrove. Ne ho trovate, risalendo verso i Laziali, fino in fondo al lago di Castello, e le ho studiate in posto sui fianchi del lago di Nemi{ per quanto un po’ diverse delle precedenti. Tutte le altre lave del Lazio son leucititi normali, con poco fel- spato e poca nefelina qualche volta, raramente con un po’ di olivina. Degl’ inclusi nelle lave e nei tufi il prof. Striiver ed il Lacroix si sono occupati. Io ne ho descritto qualche altro, come si vedrà a suo tempo. Non credo dover insistere maggiormente in queste generalità. Alcune delle quistioni più importanti sulla geologia dei Laziali sa- ranno da me esposte in note staccate, salvo poi a coordinarle, in ul- timo con tutto il resto del lavoro sui vulcani romani. Roma, giugno 1895. VI. M. Cassetti. — Osservazioni geologiche eseguile l'anno 1S94 in alcune parti dell' Appennino meridionale . (Con una tavola). La raccolta dei dati occorrenti per riconoscere e suddividere i terreni secondari di alcuni gruppi montuosi dell’ Appennino meridionale, ha formato oggetto della campagna geologica dello scrivente nel- l’anno 1894. Le regioni montuose percorse e studiate sono le seguenti : 1° Gruppo del Monte Tifata, che si estende a Nord di Santa Maria Capua Vetere, di Caserta e di Maddaloni, e fa parte del ba- cino meridionale del Volturno; 2'* Gruppo dei monti di Dur azzano, che si elevano tra Madda- loni, Sant’Agata dei Goti, Airola e le Forche Caudine; 3° Gruppo del Taburno, che sorge a Nord di Montesarchio e che comprende i monti ad Ovest di Tocco Caudio e quelli a S.E di Frasso Telesino; 330 - 4° Monti marmiferi di Yitulano e Solopaca; 5° Monti di Telese e di S. Salvatore Telesino; 6° Monti di Cancello, Cervinara, Nola e Sarno, fino quasi al Monte Vergine sopra Avellino da un lato e ai monti di Nocera dal- l’altro. Quantunque la ristrettezza del tempo impiegato non abbia per- messo estese ricerche di elementi, specialmente paleontologici, pure i dati raccolti sono oramai sufficienti a determinare la costituzione geo- logica delle regioni esaminate; si è perciò che non credo privo d’inte- resse riassumere le singole osservazioni fatte, ed a tal’uopo parmi opportuno procedere per ordine di età dei vari terreni, dal più antico al più recente, indicando per ciascuno di essi i principali affioramenti e la estensione, non che i rispettivi caratteri litologici, stratigrafici e paleontologici. Trias supsriora. — Il terreno triasico che affiora al monte di Mercato S. Severino, illustrato dal prof. Bassani *, e che dal lato di tramontana va a. perdersi sotto i calcari cretacei di Montoro Inferiore, dagli altri lati invece, oltreché collegarsi al terreno triasico dei monti di Salerno, si estende a quelli di Siano, di Castel S. Giorgio e di No- cera Inferiore, si prolunga quindi fino alle pendici dei monti di Sarno toccando l’abitato di questo paese e quivi sparisce sotto i terreni cre- tacei di quella regione. Questo lembo di terreno triasico è rappresentato da calcari dolo- mitici bituminosi, di una tinta che passa dal grigio-chiaro al grigio- scuro, talvolta a struttura compatta, tal’ altra scheggiosa e che vanno facilmente in frantumi sotto il colpo del martello ; essi offrono sovente la struttura sabbiosa o polverulenta. La loro diversità litologica dipende in gran parte dalla maggiore o minore dolomitizzazione della roccia e la varietà di tinta dalla più o meno grande ricchezza in bitume. Frattanto, nei calcari triasici in parola, troviamo che, mentre quelli che stanno al principio dell’ affioramento dal lato occidentale cioè alla base del monte di Sarno, sono di una tinta molto scura che si avvicina al nero ed hanno una struttura scheggiosa, proseguendo verso la sella che separa la pianura di Sarno dalla valle di Siano e 1 F. Bassani, Fossili nella dolomia dei dintorni di Mercato S. Severino ( provincia di Salerno). Napoli, 1893. - 831 — precisamente lungo la rotabile Sarno-Bracigliano, s’incontrano alcuni punti in cui la roccia triasica è allo stato di sabbia bianco-giallastra, e la sua dolomitizzazione è tale da poterla francamente annoverare fra le vere dolomie. Difatti, secondo uua analisi sommaria fatta nel gabinetto di chimica dell’Ufficio geologico dall’ing. Aichino la compo- sizione di detta sabbia dolomitica risultò la seguente: Carbonato di calcio 59 26 Id. di magnesio . . . . 40 30 99 56 A Nocera Inferiore e a Castel S. Giorgio poi i detti calcari pre- sentano una notevole compattezza, una tinta piuttosto chiara e sono traversati da numerose vene spatiche La disposizione del deposito triasico in esame presenta molta re- golarità di stratificazione o, per meglio dire, non offre accidentalità stratigrafiche tali da rendere complicato lo studio della relativa tet- tonica. La continuità degli strati è molto evidente ed è solo interrotta da più o meno larghe valli di erosione, quali sono la valle di Braci- gliano e quella di Siano. La loro pendenza si mantiene quasi uni- forme e costante per tutta la estensione deH’affiorameato, vale a dire di 15° a 20° verso N.N.O. La fauna di detto terreno triasico varia da un punto all’altro della sua estensione, sia per ricchezza, e per specialità di resti or- ganici e sia in ordine allo stato di conservazione di questi; cosi nel mentre i calcari di Mercato S. Severino offrono una discreta messe per un paleontologo, potendo ivi con qualche facilità e con comodo fare una copiosa raccolta di varie specie di fossili, dai calcari di Castel S. Giorgio e da quello di Nocera, benché di quando in quando mostrino alla loro superficie impronte più o meno evidenti di fossili, pure non ò possibile ricavare il benché minimo esemplare anche in frammenti, a causa della loro completa spatizzazione, della compat- tezza della roccia e della intima adesione di quelli a questa. Nei calcari di Sarno non mi è riuscito di scorgere traccie di avanzi organici, malgrado le più accurate ricerche. Continuando a percorrere l’affioramento verso levante troviamo che la fauna del calcare del monte Torre del Gatto è in generale scarsissima, e solo nel versante occidentale di detto monte mi fu dato di osservare sulla - 832 - superficie di alcuni blocchi staccati molto erosi dalle acque, numerose impronti di fossili appena visibili ad occhio nudo. I fossili del monte di Mercato S. Severino raccolti dal prof Bas- sani sono i seguenti: Pleurotomaria solitaria Ben. sp. Turbo sp. Neritcpsis Costai Bas. Gervilleìa exilis Stopp. Avicula sp. Pinna reticularis Ben. Mytilus radians Stopp. Mgtilui Cornalbae Stopp. » Ministeri Klipst. Lima sp. Megalodus Gumbeli Stopp. Cardita crenata Goldf. Fimbria Mellingii Hauer sp. Alcune delle suindicate specie di fossili furono raccolte coll’ ing. Baldacci in una escursione fatta al detto monte e precisamante nel versante orientale di esso. Urgoniano, — E un fatto ormai accertato che nella maggior parte delle regioni appenniniche centrali e meridionali, nelle quali affiora il Trias, a questo si sovrappone direttamente il Cretaceo e precisamente il piano Urgoniano, mancando quindi tutti i rappresentanti della serie interposta tra i due citati terreni. Lo stesso fatto osservasi nei monti interposti tra Sarno e Mercato S. Severino dove affiora il terreno triasico, compresi nella regione ap- penninica in esame. Il piano urgoniano è generalmente rappresentato da calcari più o meno dolomitici alla base, passanti gradatamente a veri calcari semi- cristallini bianchi e grigi, sovente bituminosi, di compattezza varia- bile, e coi quali talvolta si alternano in modo regolare e tal’altra si confondono in guisa tale de rendere difficile, anzi impossibile, al geo- logo il poter marcare una qualsiasi traccia di separazione tra 1’ una e l’altra roccia, dappoiché spesso anche lungo il medesimo banco si passa indifferentemente dal calcare puro al calcare dolomitico. Nel gruppo del Monte Tifata il terreno urgoniano si estende dal Monte Tifata propriamente detto, ai monti di Caserta Vecchia, Li- matola e scende a formare il Monte S. Michele sopra Maddaloni. Stratigraficamente parlando gli strati più bassi dell’esteso depo- sito urgoniano in parola s’incontrano al Monte Tifata e nel versante occidentale dell’attiguo Monte S. Leucio ; ivi troviamo un potente af- fioramento di calcare dolomitico bianco, leggermente bituminoso, di compattezza variabile, or confuso ed ora passante gradatamente a vero calcare cristallino che spesso si trasforma in dolomia calcarea allo - 838 - stato polverulento, nel qual caso viene estratta ed impiegata come sabbia per la confezione della malta. Tale affioramento, che presenta in media una potenza di 500 me- tri, a primo aspetto sembrerebbe doversi ritenere appartenente a ter- reno triasico e quindi collegato a quello del Salernitano e del Monte Massico, o per lo meno ad uno dei piani del Lias, ma facendo accu- rate e ripetute osservazioni, risulta chiaramente che siffatta massa calcareo-dolomitica non rappresenta che una semplice variazione lito- logica nel terreno Cretaceo, siccome è stato constatato pei monti del Matese e per altri dell’alta valle del Volturno A somiglianza delle altre masse dolomitiche urgoniane sopra ci- tate, anche questa del Tifata può dirsi quasi affatto priva di resti organici, se facciamo astrazione di alcune rarissime traccie di impronte, ma in uno stato di disfacimento tale da riuscire assolutamente vano ogni sforzo per una determinazione anche approssimativa. Non escludo per altro la probabilità che altri più fortunato di me nello studio dei monti dolomitici in discorso, riesca a scoprire qualche località fossilifera che sia sfuggita alle mie ricerche. Al Monte di Marmo e in tutto il resto del Monte S. Leucio, non che nei monti attigui fino a Maddaloni, ci troviamo in pieno calcare, a cui si passa gradatamente. I caratteri litologici di questo calcare sono gene- ralmente quelli sopraccennati e solo in pochi punti esso offre la strut- tura mil iolitica e talvolta quella brecciata, come osservasi percorrendo i monti dell’Arco e il Monte Castellone sopra Castel Morrone. Nella detta massa calcarea non è rara la presenza della Toucasia carinata , non che di molti esemplari di piccole Nerinee. Sono discretamente fossiliferi i calcari dei monti Castellone e del- l’Arco suddetti, non che quelli del monte La Coppa, del versante set- tentrionale del Monte S. Michele sopra Maddaloni e dei monti circo- stanti all’abitato di Caserta Vecchia. Specialmente in quest’ultima località potrebbe farsi con comodo una copiosa raccolta di Toucasie e Nerinee, giacché ivi s’incontrano dei banchi di calcare, che potrebbero dirsi un impasto di tali fossili. 1 M. Cassetti, Appunti geologici sul Matese (Bollettino del R. Comitato geologico, 1893). Id., Relazione sui lavori eseguiti nella valle del Volturno nell’ anno 1893 (Boll, del R. Comitato geologico, 1894). 6 — 834 - 10 potei raccogliere le forme seguenti determinate dal dottor Di Stefano, cioè: Toucasia cavillata Math. sp. Cerìthium sp. » sp. Nerinea sp. L’andamento degli strati urgoniani nei monti di cui trattasi si presenta leggermente ondulato: al Monte Tifata e al Monte S. Leucio, gli strati hanno una pendenza di 10° a 15° verso S.E ; andando verso Caserta Vecchia si rialzano a poco a poco formando una dolce sinclinale e quindi dopo un piccolo tratto quasi pianeggiante, ridiscendono sen- sibilmente per riprendere nei monti di Maddaloni la primitiva incli- nazione. 11 gruppo montuoso di Durazzano s’incontra a levante del prece- dente, appena oltrepassata la valle di Maddaloni; anzi può dirsi geo- logicamente parlando che essi sono collegati fra di loro, dappoiché la valle suddetta li separa solo orograficamente, non essendo essa che una semplice valle di erosione. Questo secondo gruppo è costituito esclusivamente di calcari ur- goniani caratterizzati dalla presenza della Toucasia , la quale si mostra, dove più, dove meno frequente, in tutti i vari monti che lo formano. Il fenomeno dell’alternanza di banchi di calcari puri con ban- chi di calcari dolomitici si osserva in diverse località del gruppo in esame e specialmente nei monti Burrano, Panicara, Aglio e De- coro, colla caratteristica speciale da me constatata in quasi tutti gli altri analoghi depositi della regione appenninica meridionale finora studiata, che nel mentre il banco di calcare dolomitico è affatto privo di resti organici, quello di puro calcare contiene, benché raramente, impronte di Requienie e di Nerinee. Siffatto fenomeno è analogo a quello da me constatato al monte La Defenza sopra Mugnano e ai monti di Pietramelara, dei quali è cenno nella citata Relazione sul rilevamento geologico dell’anno 1893. Nei monti della regione occidentale del gruppo in esame, in quelli cioè che guardano la valle di Maddaloni, quali sono i monti Decoro, Aglio e il versante occidentale del Monte Longano, la pendenza degli strati è di 15° a 20° verso S.E, vale a dire in perfetta concordanza con quella degli strati calcarei dell’ opposto versante del Monte San Michele del gruppo precedente ; nei consecutivi invece, vale a dire nei monti Burrano, Panicara e nel versante orientale del Monte Lon- — 335 - gano, la pendenza degli strati è rivolta quasi in senso opposto, cioè verso S.O, mentre fra le due citate regioni si osserva una perfetta con- tinuità di stratificazione. E chiara quindi la esistenza di una sincli- nale, il cui asse è diretto presso a poco da Est ad Ovest. La seconda inclinazione si mantiene costante in tutta la regione orientale del gruppo in esame, e cioè nei monti Pietre Piane, Sau- coli, Tairano, Iasanti e Maineto, di guisa che nel versante che scende ad Airola e Mojano, si mostrano le testate degli strati. Circa la fauna dei calcari, troviamo che nella regione occidentale appariscono di quando in quando impronte di Requienie e Nerinee, riconoscibili specialmente alla superficie della roccia erosa dalle acque, e nella orientale s’incontrano con molta frequenza oltre i suindicati fossili, molti altri resti; epperò codesti avanzi organici sono molto mal conservati e indeterminabili nella specie. Il gruppo del Monte Laburno è separto dal precedente dalla pro- fonda valle del fiume Isclero, confluente del Volturno, le cui sorgenti scaturiscono precisamente lungo la base del versante meridionale di detto monte. Una di queste e la più importante è quella denominata del Pizzo, la quale fu a suo tempo dal Vanvitelli condotta a Caserta per for- marvi la famosa cascata della Villa Reale: un’altra sorgente di minore importanza nasce sopra il piccolo abitato di Cirignano ed è stata da poco tempo utilizzata per provvedere d’ acqua potabile il vicino paese di Montesarchio. I calcari che costituiscono questo importante gruppo montuoso sono generalmente bianchi, compatti, a frattura irregolare, ed essendo traversati da numerose vene spatiche sono fratturati in diversi sensi. Solo in pochi punti offrono la struttura miliolitica e molto raramente appariscono dolomitizzati. Al^ Monte Taburno, propriamente dett\ la potenza complessiva degli strati calcarei è di circa mille metri. Ora, percorrendone la ri- pida falda dalla base fino alla cima, si è indotti a ritenere tutta questa massa calcarea come appartenente ad un medesimo piano del Cretaceo e precisamente al piano Urgoniano in vista della uniformità di stra- tificazioni e di caratteri litologici. Ma pel semplice fatto che solo nei calcari di base si osservano, benché rarissimamente, le tracce della Requienie, mentre questo fos- sile sparisce completamente negli strati superiori, non si può esclu- dere la probabilità che una parte dei calcari più alti sia da rife- - 386 - rirsi al piano Turoniano, facendo riscontro al medesimo piano del Cretaceo che comparisce nei vicini monti di Vitulano, di cui parle- remo in seguito, come può meglio desumersi dalla sezione n. 1 (vedi Tav. V). Tanto più che il Guiscardi nella sua Memoria, Studi sidla famiglia delle lìudiate (Atti della R. Accad. delle scienze), cita una Hippurites Taburnii trovata nei calcari di detto monte, appartenente al gruppo dell’ Hipp. giganteus. La stratigrafia del gruppo in esame si presenta oltremodo sem- plice ed evidente, dappoiché in tutti e quattro i suoi versanti appa- riscono, in modo regolare, le testate degli strati; se non eh*, mentre nel versante occidentale la stratificazione pende di 8° a 10° verso le- vante, nel versante opposto troviamo pressoché lo stesso grado di inclinazione, ma in senso contrario, cioè verso ponente; negli altri due versanti poi di tramontana e mezzogiorno si vede nettamente il fascio degli strati formare un piccolo avvallamento o per meglio dire una conca. E appunto in conseguenza di tale disposizione stratigrafica dei calcari del Taburno, e dall5 essere la massa calcarea contornata da un velo di terreno eocenico impermeabile, che noi troviamo diverse sor- genti di acqua più o meno abbondanti lungo il suo perimetro di base. Mettendo poi in relazione la disposizione degli strati sui due ver- santi del gruppo del Taburno e del gruppo di Durazzano, quelli cioè separati dal fiume Isclero, si deve riconoscere la esistenza di una linea di frattura passante lungo la detta valle, diretta cioè da N.0 a S.E, frattura che determinò il distacco dei due citati gruppi. Difatti, mentre nel versante del Taburno la stratificazione dei calcari pende di IO1 circa a N.E, nel versante dirimpetto, cioè sopra Mojano, essa pende di pari grado, ma in senso perfettamente contrario, cioè a S.O. Il quasi totale imboschimento dei monti del Taburno, fa sì che, meno che nelle ripide pendici, sono ben limitati i punti in cui la roccia si presenta spoglia di terra vegetale ; ora, per quanto accurate siano state le mie ricerche, non mi è riuscito di trovare, fra questi punti scoperti, una località fossilifera; solo raramente, in qualche blocco erratico staccato dal monte ed eroso dalle acque, ho scorto le traccie della Requienia. I monti di Vitulano e Solopaca sono collegati dal lato di mez- zogiorno al Taburno e a tramontana fanno sponda alla valle de] fiume Calore nel suo tronco inferiore. Essi sono rinomati per le diverse va- rietà di marmi colorati che vi si trovano e che nel secolo scorso fu- - 337 - rono estratti in gran copia e impiegati per uso decorativo nelle Reggie di Napoli e di Caserta. Detti marmi affiorano in vari punti della regione orientale dei monti in discorso e precisamente al Monte di Camposauro, al Colle della Noce, al Pizzo Cupone e al Monte Cappello. L’ing. Zaccagna che, per incarico giudiziario, fece nel 1890 uno studio minuzioso delle cave di marmo di Vitulano \ nel descrivere i vari caratteri litologici dei marmi accenna altresì ai caratteri strati- grafici e paleontologici di essi e dei calcari in mezzo ai quali af- fiorano. E a tale riguardo dice che la pendenza degli strati è general- mente di pochi gradi verso Est e che quelli più bassi contengono la Reguienia insieme a Nerinee e a Trigonie, e quelli più alti ¥ Hippu- ites cornuvaccinum , Acteonelle e Ceritii. Nelle mie escursioni ho potuto constatare la perfetta esattezza di tali dati, i quali portano a ritenere che nei monti di Vitulano sono rappresentati due dei piani dell’ epoca cretacea, cioè TUrgoniano (cal- cari a Requienie) ed il Turoniano (calcari ippuritici). J1 piano Urgoniano comprende la zona dei marmi e tutta la pila degli strati calcarei che la racchiudono. Questi calcari abbracciano tutta la regione occidentale del gruppo, cioè i monti di Solopaca e Frasso Telesino, non che gran parte della regione orientale, dove ven- gono parzialmente ricoperti dai calcari turoniani del Monte Pentirne e del Colle della Noce e in parte s’immergono sotto i terreni eocenici di Campoli e di Paupisi. La stratigrafia dei monti del Taburno e di quelli di Vitulano, che come abbiamo detto sono collegati fra di loro, viene meglio in- dicata dalla unita sezione n. 1. (vedi Tav. V). I monti di Telese e di San Salvatore Telesino, cioè il Monte Acero, la Rocca del Canale ed il Colle Puglianello geologicamente parlando non sono che la continuazione dei Monti del Matese dal lato di mezzogiorno e precisamente del monte Monaco di Grioja ad Ovest di Cerreto Sannita, dappoiché la grande valle del torrente Ti- terno che separa topograficamente questi monti dal Monte Acero non è che una valle di erosione; difatti i calcari che costituiscono i monti in esame, oltreché presentare una perfetta concordanza di stratifica- zione con quelli del monte Monaco di Gioja, offrono altresì i mede- 1 D. Zaccagna, Perizia nella causa Finanza contro Izzo, 1890. - 338 — simi caratteri paleontologici e cioè contengono come i primi esemplari di Requi enie e di Nerinee. Solo differiscono in certo qual modo nei caratteri litologici, pel semplice fatto che mentre i calcari del monte Monaco di G-ioja sono poco dolomitici e leggermente bituminosi, quelli invece dei monti di Telese e San Salvatore Telesino sono in parte molto dolomitici ed eminentemente bituminosi.. Il tenore in bitume poi aumenta sensibil- mente mano mano che dal Monte Acero passiamo al Colle Pugliano, che è poi quello che dà origne alle rinomate sorgenti di acqua mine- rale di Telese, dove trovasi uno dei primari stabilimenti di bagni di tal genere. Sembrami quindi fuor di dubbio che i calcari dei monti in qui- sfcione siano contemporanei a quelli del monte Monaco di Gioja e debbano perciò riferirsi alla medesima epoca geologica, vale a diro all’ Urgoniano \ Nel grappo dei monti di Cancello, Cervinara, Nola e Sarno il piano Urgoniano è largamente rappresentato ; esso abbraccia tutta la ca- tena montuosa che da Cancello si estende al Piano di Coppa a S.E di Cervinara e sale fin quasi alla vetta del Monte desco Alto, e pro- segue al Monte Campinamo a Nord di Bajano, al Monte Travertone, al Morricone Roccioso, al Toppo il Cocuzzo, e dopo essersi nascosto sotto i calcari turoniani del monte di Avella, Toppo Grande e del Campo di Mercogliano torna ad affiorare alle falde del Monte Ver- gine sopra Avellino. Alla valle di Monteforte detti calcari urgoniani si collegano con quelli del gruppo montuoso che sorge ad Est di Nola, cioè dei monti di Visciano, Li veri, Marzano di Nola e Lauro, dove sono ricoperti dai calcari turoniani del Monte Tresta ; s’internano quindi nella valle di Quindici, immergendosi sotto i calcari turoniani della montagna ad Est di detto paese da una parte, e sotto i calcari turoniani del gruppo dei monti ad Est di Palma Campania dall’altra, per ricom- parire nei monti di Sarno e di Siano, dove si appoggiano direttamente sui calcari dolomitici del Trias superiore precedentemente descritti, affioranti alla base dei detti monti di Sarno. In questo esteso deposito urgoniano, la roccia calcarea offre poche varietà di struttura ; gli strati più bassi sono generalmente co- 1 M. Cassetti, Appunti geologici sul Matese (1. c.). - 339 — stituiti di un calcare bianco-grigio, compatto, dolomitico e mano mano che ci avviciniamo agli strati più alti sparisce gradatamente l’elemento dolomitico e si passa al calcare semi-cristallino puro ; solo è da notare che nel monte sopra Cancello e in quelli presso Nola, e più special- mente là dove sorge il convento dei Camaldoli, il calcare dolomitico si alterna col calcare semplice nello stesso modo come nei monti del gruppo di Durazzano sopra descritto. La stratificazione poi presenta un andamento molto regolare, dappoiché, facendo astrazione di poche leggiere ondulazioni, gli strati inclinano costantemente verso N.E. Le altre due sezioni annesse alla presente relazione (vedi Tav. V), la prima che da Mignano presso Bajano si dirige al monte di Sarno e l’altra che da Lauro va al monte di Avella, mostrano chiaramente la suaccennata regolarità nella disposizione dei depositi cretacei in discorso. Quasi in tutta la regione urgoniana sopra descritta, dove più dove meno frequenti, s’incontrano esemplari di Requienie, spesso accom- pagnati dalla Nerinee; epperò frale località dove la fauna del calcare offre una discreta ricchezza meritano di essere citate : 1° La Collina di Cancello, dove i banchi di calcare puro che si alternano con quelli di calcare dolomitico, contengono non rare im- pronte di Requienie. 2° Il Monte Sant’Angelo a N.O di Cicciano, dove il calcare contiene poche Requienie, ma viceversa è piuttosto ricco di turrico- late (probabilmente Nerinee) e di non pochi frammenti di ostree. 3° Il Toppo Alto e il Monte Campinamo sopra Bajano, nel primo dei quali troviamo solo pochi esemplari di Requienie, mentre nell’altro il calcare è molto ricco, oltreché di Requienie anche di Nerinee, special- mente nella zona prossima alla Cappella di Santa Maria di Bajano. 4° Il Monte Travertone e la sottostante valle di Vaifredda ad Est di Bajano, dove appariscono sovente i citati generi di fossili. Turoniano. — In tutta la estensione di monti dell’ Appennino me • ridionale che formano oggetto della presente relazione, questo piano del Cretaceo medio si limita : 1° Ai monti Calvi e Castello sopra Valle Maddaloni nel gruppo del Monte Tifata. 2° Al Monte Pentirne, Colle della Noce e Monte San Michele nel gruppo dei monti di Vit ulano. 3° A buona parte della regione orientale e meridionale dei monti di Cervinara e Nola. — 340 - Ai monti Calvi e Castello il piano Turoniano è rappresentato da calcari poco dissimili per caratteri litologici dai calcari urgoniani ai quali si appoggiano con perfetta concordanza di stratificazione ; ne dif- feriscono però pel fatto clie nella zona di calcari superiori sparisce la Eequienia e vi troviamo invece una discreta ricchezza di Hippurites e di Sphaerulites . A conferma di ciò è notevole un fatto che si osserva nei monti Calvi e Majno ; la presenza cioè di alcuni banchi di calcare ippuri- tico perfettamente analogo a quello del Monte Sant’Angelo al Gar- gano, già riconosciuto per Turoniano da vari geologi \ Anche i calcari turoniani del Monte Pentirne, Colle della Noce e Monte San Michele sopra Vitulano sono in perfetta concordanza di stratificazione coi sottostanti calcari urgoniani, vale a dire pendono dolcemente ad Est, immergendosi sotto i terreni eocenici di Eoglia- nise e Torrecuso. Sono or bianchi or bruni, a frattura irregolare, a grana fina ed a grossi banchi. L’ing. taccagna, in occasione del suo citato studio sui monti mar- miferi di Yitulano, raccolse delle Actaeonelle e un Hippurites che in- dicò come Hipp. corniovaccinam Bronn, ma nella quale il dott. Di Ste- fano riconosce la Hipp. Gosaviensis Dauv. Nel gruppo dei monti di Cervinara e Nola, i calcari turoniani cominciano ad affiorare al Monte Pizzone a Sud di San Martino Valle Caudina e di là si estendono alla parte superiore del Monte Ciesco Alto, al Monte di Avella, al Toppo Grande e al Bosco Cupone a N.E di Bajano. Tornano ad affiorare al Monte Tresta e al Monte Faito a N.E di Lauro e da quivi scendono pel Poggio Boschitella al Campo di Somma a S.E di Quindici. Abbracciano quindi quasi completamente il gruppo di monti ad Est di Palma Campania e cioè il Monte Sant’Angelo, le Schiappe di Sarno, il Pizzo di Alvano e il Truppo di Coppa. In tutte le località sopracitate la stratificazione dei calcari turo- niani è sempre in perfetta concordanza con quella dei calcari urgo- 1 Bocca, Appunti geologici sui monti del Gargano (Boll. R. Com. geo!, 1881). E. Cortese e M. Canavari, Nuovi appunti geologici sul Gargano (Boll. R. Com. geol., 1884). C. Viola e M. Cassetti, Contributo alla geologia del Gargano (Boll. R. Com. geol., 1893). - 341 — niani sottostanti, dai quali poco o nulla si discostano per caratteri litologici, e solo, come gli altri già descritti, differiscono fra di loro per le traccio di fossili che contengono. Ho detto che gli strati dei calcari turoniaui in esame concor dano con quelli dei sottostanti calcari urgoniani, epperciò troviamo che al Monte Pizzone, al Monte desco Alto, al Monte di Avella e al Toppo Grande la pendenza dei due calcari è di pochi gradi verso N.E ; nall’ attiguo Bosco . Cupone la inclinazione volge gradatamente in senso perfettamente contrario, cioè a S.O, formando così una dolce anticlinale, alla quale succede una sinclinale mano mano che ci avvi- ciniamo al Monte Pizzone e al Monte Tresta, dove poi gli strati ripi- gliano la primitiva pendenza. Nei monti ad Est di Palma Campania e a Nord di Sarno, i cal- cari turoniani, dei quali sono nella massima parte costituiti insieme alla limitata zona di calcari urgoniani sottostanti, formano una specie di cupola tagliata dal lato di mezzogiorno. Infatti, troviamo che nel versante settentrionale gli strati pendono di 15° a 20 ’ a N.N.E, man mano che ci avviciniamo al versante occidentale la pendenza volge a poco a poco verso Ovest, finché al Monte Sant’ Angelo sopra Palma si vedono gli strati pendere di 10° a 20° a O.S.O ; di guisa che le testate degli strati calcarei si mostrano allineate nel versante meridionale, cioè sopra Sarno, dove poi si appoggiano in discordanza sui calcari dolomitici del Trias superiore che ivi affiorano. Come ho ripetutamente accennato, il fatto che caratterizza questi calcari e li fa ritenere come appartenenti al Turoniano è la man- canza delle Requienie e la presenza invece delle Ippuriti. Ora nell’esteso affioramento turoniano in parola, questi fossili si mostrano dove più dove meno frequenti; così li troviamo piuttosto abbondanti al Monte Pizzone sopra San Martino, al Toppo Grande presso Bajano e al Monte Sant’Angelo sopra Palma: nelle due prime località e più specialmente nella seconda potrebbe con comodo farsi una buona raccolta di detti fossili, dove si trovano abbastanza ben conservati e determinabili. Io potei solo raccogliere, per la brevità del tempo, alcuni esemplari di Sphaerulites e di grosse Nerinee, però non ben determinabili nella specie. Al Monte Sant’Angelo la roccia calcarea può dirsi in alcuni punti un vero impasto d’ippuriti, se non che la eccessiva compattezza della roccia e la forte cementazione dei fossili, rendono vano ogni - 342 — sforzo per riuscire ad isolarli, se non in tutto, almeno in parte per tentarne la determinazione specifica. Eocene. — Più o meno estesi depositi di terreno terziario e pre- cisamente del periodo eocenico, affiorano in vari punti della regione appenninica in esame. Essi si appoggiano q' asi sempre in discordanza sui terreni sotto- stanti ed occupano ora le valli die separano i monti l’uno dall’altro, coprendo solo in parte i calcari secondari ed ora occupando alcune insenature dei monti stessi in luoghi elevati, d’onde l’azione erosiva delle acque non ha potuto rimuoverli. Il terreno eocenico è generalmente rappresentato da argille sca- gliose, talvolta intercalate da calcari o breccie nummulitiche, nonché da scisti argillosi, calcarei ed arenacei, fra i quali sovente affiorano alcuni limitati depositi di arenaria grossolana, micacea, bruna, più o meno cementata. Le suindicate roccie eoceniche presentano una stratificazione con- torta e sconvolta in modo da rendere assai difficile lo studio della re - lativa tettonica. Tuttavia da ripetute osservazioni fatte nelle varie regioni eoceniche da me esaminate, parmi fuor di dubbio che la parte più bassa del deposito sia rappresentata dalla zona delle argille sca- gliose con gl’ interposti calcari e breccie, e che su tale zona si siano depositati successivamente gli scisti calcarei, argillosi- ed arenacei. I depositi poi di arenaria grossolana, che, come ho detto, di quando in quando s’ incontrano addossati alle roccie suddette e che in alcuni punti sono apparentemente da queste coinvolti, potrebbero rappresentare o la parte più alta dell’Eocene, o quella più bassa del Miocene. Nel gruppo, del Monte Tifata, le roccie eoceniche affiorano nella grande valle che separa il Monte Zicchinoso dal Monte Virgo e dal Monte Castello a N.E di Caserta. Esse da un lato si appoggiano ai calcari urgoniani e turoniani dei monti suddetti e dall’altro s’immergono sotto i depositi alluvio- nali adiacenti al fiume Isolerò. Abbracciano una estensione di parecchi chilometri quadrati, e comprendono tutte e tre le zone di terreno sopracitate, cioè la zona delle argille scagliose con i calcari intercalati, quella degli scisti ar- gillosi, calcarei ed arenacei, e infine alcuni piccoli depositi di arenaria grossolana. Nel medesimo gruppo di monti un deposito eocenico analogo al - 843 — precedente, però meno esteso, occupa i dintorni di Biancano sulla si- nistra del Volturno, e rimane addossato dal lato di mezzogiorno ai calcari urgoniani del monte Le Carambole, e dal lato opposto viene ricoperto dai tufi vulcanici quaternari adiacenti al detto fiume. Finalmente un piccolo affioramento di soli scisti argillosi e cal- carei, mascherato da tufi vulcanici, s’incontra in un limitato avvalla- mento del versante Ovest del Monte Tifata, sopra Sant’ Angelo in For- mis, e quegli scisti riposano sui calcari dolomitici urgoniani del monte. Nel gruppo dei monti di Durazzano un esteso deposito di terreno eocenico, costituito in massima di argille scagliose, si estende lungo il versante settentrionale del Monte Longano, toccando da una parte la valle di Maddaloni, e dall’altra protendendosi fino quasi all’abitato di Sant’Agata dei Goti. Tale deposito, che approssimativamente misura un’estensione di circa 8 chilometri quadrati, si addossa da una parte ai calcari urgoniani del Monte Longano e nel resto viene ricoperto dai tufi terrosi vulcanici della valle di Maddaloni e dai tufi pomice! del fiume Isolerò. In mezzo al deposito eocenico in parola si vedono affiorare alcune piccole masse di calcare cretaceo, le quali, molto probabilmente, si collegano alla massa principale cretacea che costituisce il monte sud- detto. La lunga e stretta valle che separa il gruppo del Taburno dai monti marmiferi di Vitulano, che dal lato di occidente sbocca a Frasso Telesino e dall’ opposto scende a Tocco Caudio, è comple- tamente riempita di materiale eocenico, mascherato in pochi punti da tufi vulcanici terrosi. Questo deposito eocenico ai due estremi della detta valle si collega cogli analoghi estesi depositi che comprendono quasi tutto il versante occidentale ed il versante orientale del gruppo del Taburno. Detto terreno è costituito essenzialmente di scisti calcarei e mar- nosi, i quali offrono diverse varietà di struttura e di tinte ; abbondano più specialmente gli scisti calcareo-marnosi verdi e gialli, non che gli scisti calcarei neri ferruginosi. I calcari dolomitici urgoniani delle falde meridionali del Monte Acero, nel gruppo dei monti di Telese e S. Salvatore Telesino sono in gran parte ricoperti di scisti argillosi eocenici, i quali si congiungono coll’estesa formazione eocenica che da Cerreto Sannita scende al fiume Tammaro e quindi va a costituire la maggior parte della provincia di Campobasso e una buona parte di quella di Foggia. — 344 — Finalmente nell’esteso gruppo montuoso di Cervinara e Nola tro- viamo tre limitati depositi di terreno eocenico, costituiti essenzial- mente di scisti argillosi. Il più esteso è quello che affiora nella valle che separa il monte Piano di Coppa, dal Monte Pizzone a S E di Cervinara presso San Martino. Il secondo affioramento, di limitatissima estensione, s’ incontra in una stretta insenatura del versante settentrionale del Toppo Grande ad Est di Bajano, a qualche centinaio di metri di altezza sulla grande valle di Campo Summonte. Il terzo lo troviamo nella valle di Quindici, e precisamente sotto l’abitato di Taurano sopra Lauro. Quest’ultimo è quasi completamente mascherato da tufi terrosi vulcanici, di guisa die rimane solo scoperto nei burroncelli che solcano la località. Quatsrnario. — L’epoca quaternaria infine nella vasta regione di cui trattasi, è principalmente rappresentata da depositi di tufi terrosi di origine vulcanica, misti sovente a detriti calcarei; i quali depositi occupano generalmente gli alti ripiani, le insenature poco scoscese in mezzo ai monti e le falde di questi. E altresì rappresentata da depo- siti più o meno importanti di detriti di falda e dei così detti coni di dejezione. I tufi vulcanici, la cui formaz'one è probabilmente dovuta alla attività dei vicini estinti vulcani di Roccamonfina e del Monte Somma, costituiscono in alcuni punti depositi di una certa importanza, sia per estensione, sia per potenza ; così quello della larga pianura di Castel Morrone e di Casola nei monti del Tifata e quello dell’ampia valle di Durazzano nel gruppo dei monti omonimi. I tufi suddetti poi ricoprono spesso in tutto o in parte la super- fìcie montuosa, specialmente quando quest i è tenuta a bosco, e for- mano uno strato di terra vegetale fertilissima, dove più dove meno potente. Fra gli elementi vulcanici che compongono detti tufi, abbonda la pomice che vi si trova in frammenti di varia grossezza ; uno strato di tufo molto ricco in pomice è quello che ricopre i monti boscosi di Cervinara. I detriti di falda sono molto frequenti nella regione montuosa in discorso, ed in alcuni punti formano depositi di notevole potenza, fra i quali meritano di essere citati: 1° Quello che abbraccia la falda meridionale del Monte Ta- Isolerò Mad.del laburno T? Or tuli eli e ('laburno) FsoJencja di Prato Colle della No ce Vii ulano Falde del MTPentime F“e Calore O CC c o. o cé - 845 — burno, estendentesi per circa sei chilometri di lunghezza con una media larghezza di un chilometro ed una potenza variabile da uno a parecchi metri. Tale detrito è in generale talmente cementato da potersi chia- mare una vera breccia calcarea. 2° L’esteso deposito nelle falde settentrionali dei monti di So lopaca e quello su cui è fabbricato il paese di Yit ulano. Nel primo il detrito è cementato come quello del Taburno, spe- cialmente nella regione sottostante al Bosco S. Stefano, dove misura una lunghezza di due chilometri circa per uno di larghezza. Nel depo- sito di Yitulano, il detrito è quasi sciolto e misto a tufo vulcanico. 3° Finalmente quello che occupa la falda meridionale dei monti ad Est di Sarno, e che rimane appoggiato sui calcari dolomitici tria- sici di quella regione. Questo deposito è molto importante per la sua grande potenza, la quale in alcuni punti oltrepassa i 20 metri, come ben può osservarsi percorrendo la via rotabile Sarno-Siano. Quivi il materiale detritico è stratificato in alternanza con tufi vulcanici po- mi cei incoerenti. Quanto ai coni di dejezione, sono degni di particolare menzione quello che incontrasi allo sbocco della profonda valle di Sorrencello, e che si prolunga fino all’abitato di Avella presso Bajano, nonché l’altro lì presso allo sbocco della Vallicella e che scende fin sotto il piccolo abitato di Quadrello. — 846 - NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA per l’anno 18941 ( Continuazione , vedi numero 2). Corti B. — Sulla fauna a foraminiferi dei lembi 'pliocenici prealpini di Lombardia . (Rend R. Ist. lomb., S. II, voi. XXVII, 4 e 17). Milano. In questa nota l’autore espone i risultati di un suo studio sui foraminiferi del Pliocene prealpino di Lombardia; nella prima parte si occupa dei depositi di Taino, Folla d’Induno, Pontegana e Almenno S. Salvatore; nella seconda di quei di Val Faido, di nuovo Pontegana e Nese. In tutto ha riconosciuto 109 specie ; le argille azzurre . e gialle di Almenno S. Salvatore ne contengono 57, le argille di Taino 49 e 48 quelle di Val Faido: gli altri depositi in nu- mero minore. Il giacimento di Almenno è deposito di spiaggia; quello di Taino è riferi- bile, come già fece il Parona, alla zona dei brachiopodi e dei coralli, quello della Folla d’Induno è di mare più profondo. Quanto ai lembi di Val Faido, Pontegana e Nese, che hanno grande affi- nità fra loro, essi appartengono a formazione marina con un livello batime- trico fra la zona di spiaggia e quella dei brachiopodi. Corti B. — Sulla fauna giurese e cretacea di Campora presso Como. (Rend. R. Ist. lomb. S. II, voi. XXVII, 8). — Milano. In una nota precedente (Rend. Ist. lombardo, S. II, voi. XXV) Fautore* esponendo il risultato di sue ricerche paleontologiche nel calcare maiolica e 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di località estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 347 — negli strati del rosso ad optici di Campora, giungeva alla conclusione che in questi ultimi aveansi fossili titoniani, e che la majolica rappresentava con tutta probabilità un deposito cretaceo. Ulteriori studi lo mettono in grado di confermare queste due conclusioni: gli strati marnosi a letti di selce, comu- nemente detti del rosso ad aptici , sono da riferirsi al Titonico: gli strati infe- riori della majolica ad Holco stephanus Groteanus , Lythoceras quaclrisulca- tum, Fygope nucleata, Pyg. Bouei, Pyg. triangidus, Aptychus Seranonis for- mano il piano inferiore del Neocomiano (Valenginien) : la zona superiore della majolica spetta indubbiamente alla parte più antica della Creta ; le specie Holco stephanus Astierianus , Hoplites cryptoceras e Aptychus Didayi di questa zona superiore accennano all’orizzonte di Hauterive ( Hauterivien , facies des Voirons), mentre la Gervillia aliformìs , che vi è frequente, è del- l’Aptiano L’affioramento titonico, che offrì all’autore trenta specie, trovasi lungo il viottolo che dalla strada Camnago-Ponzate scende a Campora; è costituito da un fascio di strati marnosi rosso-cloritici, in parte anche diasprjgni, dello spes- sore di circa dieci metri, i quali gradatamente pascano alla majolica ; la pre- senza in questi strati del Phylloceros Manfredi, Hhynchoteuthis Fischeri e Phylloricrinus fenestratus fa pensare alla probabile esistenza di qualche piano dell’Oxfordiano. La majolica di Campora presenta qualche traccia di stratificazione ed ha noduli ed arnioni di selce. Corti B. — Sul bacino lignifico di Pulliì in comune di Valdagno (Prov. di Vicenza): nota p (deontologica . (Boll, scient., XV, 3). — Pavia. Questo bacino è racchiuso entro calcari secondarii e riposa sopra i tufi basaltici eocenici comuni ai più piccoli e meno importanti giacimenti di Zo- vencedo, Monteviale e Monte di Malo, pure in provincia di Vicenza. La sua estensione è di circa 25 ettari e gli strati, in numero di 16, di lignite e scisto bituminoso, sono compresi in una potenza complessiva di m. 100 di calcare eocenico. Il complesso di questa formazione appartiene quindi all’Eocene, e probabilmente al piano Suessoniano. Intercalati col calcare trovansi anche strati di marne scistose brune ric- chissime di bivalvi e gasteropodi, in generale però male conservati. Queste marne, convenientemente trattate, lasciano un tenuissimo residuo siliceo for- mato quasi esclusivamente da frustoli bene conservati di diatomee e spicule di spongiari. In esso l’autore ha riconosciuto 32 specie di diatomee fossib", di cui 17 non sono più viventi. In preponderanza sono specie di acqua dolce, perchè solo 7 sono decisamente marine, 3 sono promiscue e 2 di acque salmastre: ciò, secondo l’autore, prova che le marne si depositarono entro una bassura - 348 — che andava gradatamente rinserrandosi. Dall’esame delle specie viene confer- mata l’età eocenica del giacimento. Cozzaglio A. — Note esplicative sopra alcuni rilievi geologici in Valle Camonica ( Lombardia ). (Giornale di Min., Crist. e Petrog., V, 1-2). — Milano. L’autore si qccapa in questa nota della descrizione geologica, lasciando lo studio delle roccie e dei fossili rispettivamente alla signorina R. Monti e al prof. A. Tommasi. Lo studio geologico riguarda la Yalcamonica inferiore . da Darfo a Ma- lonno, i cui rilevamenti geologici sono rappresentati in uno schema planime trico al 500000 comprendente le seguenti formazioni: 1 Micas cisti ; Breccie quar- zose ; Verrucano e Servino ; Servino ; Rauchwacke ; Muschelkalk e Buchenstein ; Scogliere di Wengen; Raibl ; Dolomia principale ; Porfidi ; Porfirei ; Por (triti dio àticìie e augitiche ; Tonalite. L’aspetto di queste formazioni nella regione è rappresentato da 6 sezioni trasversali al loro andamento ; e nel testo è esposto in ordine topografico in tre capitoli corrispondenti alle tre divisioni della regione, che sono: 1° Zona degli scisti cristallini a Nord di Capo di Ponte. 2° Zona del Monte Concarena sulla destra dell’Oglio e a Sud di Capo di Ponte. 3° Zona delle formazioni limitanti a Ovest la tonalite di Monte Frerone, sulla sinistra deH’Oglio a Sud di Capo di Ponte. Della prima zona l’autore tratta molto brevemente, senza riferimenti alla serie arcaica in generale. Più in esteso sono trattate le altre due zone. Rimandando al testo per i dettagli, basti qui di notare: il rinvenimento di fossili del Muschelkalk in Valle di Dosine ; la constatazione della dolomia principale nelle creste della zona raibliana di Borno ; Taccenno a marcato eteropismo delle formazioni tria* siche della regione; lo studio di molti filoni di porfiriti attraverso tutte le formazioni fino al Raibliano incluso, alcuni dei quali aventi importanza gene- rale, come quello che inietta i calcari del Muschelkalk attraverso l’anticlinale di Sucinva, e quelli che in parte attraversano e in parte sono attraversati dalle ap olisi di tonalite nei calcari di Monte Badile. La discordanza del Verru- cano rispetto agli scisti cristallini è pure accennata. Cozzaglio A. — Studi geologici ed idrografici sul bacino alimentatore della fonte di Mompiano e sulla derivazione delle acque potabili per la città di Brescia : con aggiunte. — Brescia, 1894. Premesso un cenno sulla successione dei terreni della regione, dalle marne raibliane alla scaglia cretacea , l’autore espone l’assetto di questi terreni. Lo studio del loro andamento, delle pieghe e delle faglie, porta a ridurre l’area - 349 - del vero bacino alimentatore , in confronto dell’area del bacino imbrifero del fiume Garza. Esso bacino alimentatore ha una parte montuosa, o una parte pianeggiante (piano di Nave). Da quella erompe il fiume Garza, scaricando le acque super- ficiali-, da questa le acque di filtrazione , che sotterraneamente alimentano la fonte di Mompiano soltanto in parte, giacche un’altra parte, secondo l’autore, andrebbe dispersa verso il fiume Mella, come egli induce dallo studio delle acque freatiche del piano di Nave e di Mompiano. Ricercando quindi il modo di aumentare la portata della fonte di Mom- * piano, lo trova nella esecuzione di una galleria attaverso il colle dividente la fonte dalla pianura di Nave, dove essa galleria dovrebbe far capo a un pozzo filtrante, avente per scopo di richiamare tutte le acque di filtrazione sot- terranea. Invece studiando la questione dell’intorbidamento della fonte in piena, l’autore lo trova dipendente non solo dalle infiltrazioni del Garza, ma anche di tutto il piano di Nave ; e a ciò propone rimedio nell’allungamento della con- dotta forzata fino a una fonte artificiale da crearsi nella dolomia acquifera di Cortine. Questo saggio di geologia applicata è corredato di una cartina geogno- stica al 100 000 e di alcuni profili nella stessa scala. D’Achiardi G. — Indice di rifrazione delle tormaline elbane. (Atti Soc. toscana Se. nat., Pr. verb., IX). — Pisa L’autore presenta i risultati di numerose misure prese su prismi tagliati parallelamente all’asse principale di simmetria in cristalli opportunamente scelti nelle diverse varietà di tormaline del granito elbano, eccettuate quelle a terminazione celes1 e-turchina, verde-azzurra, verde-porro e gialla, per le quali non fu possibile tagliare alcun prisma. Alcune delle conclusioni cui egli giunge sono le seguenti : L’ indice di rifrazione è diverso nei cristalli, o parti di stesso cristallo, diversamente colorati. Le differenze, ordinariamente piccole, fra individui di- versi di una stessa varietà possono essere in rapporto con differenze cristal- lografiche o forse con le condizioni del taglio dei prismi. Queste differenze fra individui della, stessa varietà sono maggiori per l’indice o> che per il s. Il potere rifrattivo medio 2 w -H 3 di poco differisce fra le tormaline acroiche e le rosee, che sono le varietà più vicine cristallografcamente e chimicamente e spesso sfumanti fra loro: cresce passando da esse alle giallo-verdi e più an- cora alle nere; e ciò pare sia in rapporto con la composizione chimica. La po- tenza birifragente sembra crescere in ragione delle differenze cristallografiche fra i valori di a e c, ossia in ragione inversa della lunghezza dell’asse di simmetria. 7 - 850 — Dalmer K. — Uber die Zinnerzlagerstdtten von Cava del Fumacchio unweit Campiglia. (Zeit. fur prakt. Geol., Jahrg. 1894, H. 10). — Berlin. In aggiunta ad una comunicazione di A. Gu?rlt sopra i giacimenti stanni- feri nel calcare e specialmente in quello della Cava del Fumacchio presso Campiglia Marittima (Toscana), il dott. Dalmer ricorda che se non appariscono roccie eruttive ad immediata prossimità di questo giacimento, pure a piccola distanza trovasi una cupola di granito tormalinifero, forse di età terziaria, certamente post-liasico. Non è impossibile die questa massa si estenda sotterra- neamente fin sotto la Cava del Fumacchio e che quindi la genesi di quel de- posito stannifero sia dovuta all’azione di fumarole granitiche. È a notarsi che quei giacimenti ferriferi del Campigliese, in uno dei quali è racchiuso lo stagno, ricordano molto da vicino quelli dell’Elba, pei quali è quasi certa la relazione genetica col granito elbano. Dalmer K. — Ueber das Alter der Granit-und Porphyrgestein der lnsel Elba. (N. Jahrbuch f. Min., Geol , und Pai , Jahrg. 1894, Bd. I, H. I). — Stuttgart. Dopo aver esposto nuovamente le condizioni geologiche delle apDfìsi gra- nitiche di Fetovaia, di cui aveva già scritto anteriormente (Die geol. Verhdltn. der lnsel Elba} Zeits. f. Natuiwiss., LVII, 1884), combatte le osservazioni del Bucca contro Topinione da esso autore ospressa che le roccie in cui tali apofìsi stanno racchiuse siano di età eocenica ed alterate dall’azione granitica. Aggiunge che, a dimostrare l’età terziaria del granito elbano, possono es- sere invocate altre prove: e cioè che, ad onta dei forti piegamenti e raddriz- zamenti degli strati eocenici, i filoni granitici che stanno racchiusi nelle roccie più antiche, che pure subirono l’azione del ripiegamento posteocenico, non mo- strano di aver preso parte a questi movimenti, e che nessuna traccia verifi- casi nella massa granitica del Monte Capanne, da cui apparisca un’influenza qualsiasi dovuta a movimenti orogenici. Combatte poi T idea del Bucca sulla natura del porfido quarzifero e dice che la mancanza di azioni metamorfiche di esso sullo roccie eoceniche, lungi dall’essere una prova contro la natura eruttiva del porfido stesso, è la con- ferma di ciò che avviene dovunque. Davies A. M. and Gregory J. W. — The geology of Moni Chaberton. (Quart. Journal of thè Geol. Soc., voi. L, part 3). — London. Sunto: (Abstr. of thè Proceed., ecc , n. 625). — London. L’importanza geologica dei dintorni del Monte Chaberton è messa in evi- denza dalle varie opinioni dei numerosi geologi che se ne occuparono e che sono sommariamente riferite dagli autori. Questi esplorarono il monte in tre punti : nel Grand Vallon, nella tratta Gr. Baisses-Colle Chaberton, e nel vallone Clos des Morts e giunsero alle conclusioni seguenti : 1) La serpentina del Chaberton è intrusiva nei calcescisti, e si trova in frammenti nei calcari cavernosi del Trias; è perciò di intrusione pre-triasica. 2) Vi sono altre roccie basiche scistose che si intrudono nel Trias, e sono perciò post-triasiche. 3) Gli strati contorti del vallone Clos des Morts sono fossiliferi e pre- sentano esemplari di Talamophyllia fenestrata Reuss, corallo caratteristico degli strati di Gosau. Perciò malgrado i dubbi del Kilian e del Diener ò confermata la presenza del Cretaceo in questa parte delle Alpi. 4) I movimenti tettonici comprendono pieghe, rovesciamenti, faglie e un importante piano di scorrimento. 5) Gli autori accennano ancora che oltre alle due serie di roccie intru- sive ve ne sia una terza di età cretacea superiore o terziaria che sarebbe rap- presentata dalle eufotidi, diabasi e porfiriti del Monginevro e del gruppo del Rocciavrè. Accompagnano la memoria vari profili ed una cartina geologica. De Agostini Gr. e Marinelli O. — La comunicazione sotterranea fra il canale di' Arni e la Pollacela nelle Alpi Apuane, dimostrata me- diante V uranina. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, III, 7, 1° sem ). — Roma Nella discussione cui dette luogo la ricerca di acqua potabile per la città di Firenze, sorse la questione se la sorgente la Pollacela, nelle Alpi Apuane, da cui quelle acque voleansi trarre, fosse in comunicazione sotterranea con il Canale d’Arni, che ad un livello di 222 circa metri superiore e ad una di- stanza di km. 3. 75 si perde al limite fra scisti e calcari. Per chiarire in modo indubbio la cosa, gli autori colorarono con 5 kg. di uranina le acque del Canale in prossimità del punto in cui scompaiono : e dopo circa 41 ore videro le acque della Pollacela a lor volta colorite da quella sostanza: la comunicazione era così materialmente accertata. De Amicis Gr. A. — Osservazioni critiche sopra talune Tinoporinae fos- sili. (Atti Soc. toscana Se. nat., Pr. verb., IX). — Pisa. Due specie di foraminiferi molto comuni nel Miocene delle colline di To- rino ed originariamente descritte dal Michelotti coi nomi di Nummulites irre- gularis e Nummulina globuHna, furono recentemente riprese in esame dal prof. Sacco e dal sac. Dervieux: il primo dei quali creò per esse un nuovo sottogenere, Miogypsina , ed il secondo un nuovo genere, Flabelliporus. Il dot- tore De Amicis a sua volti, studiato il materiale, conferma le conclusioni del prof Sacco, proponendo si conservi il nome del nuovo sottogenere da questi proposto, con quelli specifici del Michelotti. Egli ha pure esaminato degli esem- plari di un fossile dell’ Eocene (Bartoniano inferiore o Parisiano) presso Gas- sino, dal Dervienx determinati prima come Calcarina tetraedra Gumbel, e poi come Tinoporus baculatus Carp., e dal Sicco nella collezione dell’ Università di Torino considerati come specie nuova di Baculogypsìna ( B . eocaenica ): egli ritiene non si possano specificamente separare dalla B. sphaerulata , e fa una varietà, B. sphaerulata P. e J. sp. var. eocaenica Sacco. De Amicis G. A. — La fauna a foraminiferi del Pliocene inferiore di Bon- forneUo presso Termini Imerese (Sicilia): nota preventiva. (Atti Soc. toscana Se. nat., Pr. verb., IX). — Pisa. È un breve cenno preliminare intorno alla fauna a foraminiferi di una marna bianca molto calcarifera (trubo) dello Zancleano di Bonfornello presso Termini Imerese. I foraminiferi esaminati sono circa diecimila cinquecento: circa ottomila cinquecento esemplari appartengono ai generi OrbuHna e Glo- bigerina. Sono rappresentate nove famiglie, comprendenti 40 generi con 163 forme. L’autore enumera le famiglie, e cita alcune delle specie per qualche rapporto più interessanti: e termina dicendo essersi convinto che le marne bianche o inibì di Bonfornello debbono essersi deposte nel più antico Pliocene, in mare di notevole ma non eccessiva profondità, e batimetricamente corri- spondono a quelle delle provincie di Messina, Reggio Calabria e Catanzaro, e probabilmente anche a quelle azzurrognole di Savona: non possono per contro riunirsi ai trubì di Girgenti, depositatisi in mare assai meno profondo, nè alle marne plioceniche inferiori del Bolognese, esse pure di mare meno pro- fondo. De Angelis Gr. — I corollari dei terreni terziari dell Italia settentrio- nale, collezione Michelotti ( Museo geologico della R. Università di Roma). (Memor. della R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. I). — Roma. Il dòtt. De Angeli» in questa memoria diligentemente descrive un abbon- dante materiale di corallari di varie località dell’Italia settentrionale apparte- nenti a vari piani o zone del terziario, cioè: Astiano, Piacentino, Tortoniano, Elveziano, Oligocene superiore, Tongriano, Eocene medio; e costituito essen- zialmente dalla collezione Michelotti, ora nel Museo geologico dell’ Università romana. L’ importante monografìa è corredata di tre tavole. De Angeli» G. — Il pozzo artesiano di Marigliano (1882). (Bull. Acc. Gioenia, XXXIV-XXXV). ~ Catania Trascriviamo senz’altro, quasi integralmente, la breve comunicazione: Nel 1882 a Casa Ferro, frazione di Marigliano, circondario di Nola, fu pra“ ticato un pozzo artesiano, che raggiunse la profondità di 174 metri. Il mate- riale, importante per la sua natura (sabbie, marne, pozzolana, ceneri, lapilli, ecc.) e per i fossili, attirò l’attenzione dell’autore. A m. 15,50 scopri un bellissimo — 353 — tripoli d’acqua dolce ricco di diatomee. Le cqnclusioni dell’autore sono che a nord -nord-ovest del Vesuvio si dovea stendere un seno di mare con acque poco profonde e poche salate: là vicino doveva sboccare un torrente: ben presto il seno fu separato dal mare, divenne un laghetto dove prosperarono le dia- tomee: quindi fu tutto colmato. Da tutto ciò dovrebbe dedursi che il Vesuvio è sorto dalle acque marine. De Bosniaski 8. — Nuove osservazioni sulla flora fossile del Verru- cano 'pisano . (Atti Soo. toscana Se. nat , Pr. verb., IX). — Pisa. Le numerose e ricchissime località fossilifere del Verrucano di Monte Pi- sano trovate nella ristretta area di San Lorenzo e nella limitrofa valle di Co- selli, permettono all’autore di confermare le conclusioni da lui altra volta messe innanzi come probabili. Alle specie già da lui precedentemente indicate ne ag- giunge in questa breve nota altre che portano a circa 60 il numero di specie dell’interessante flora, nella quale predominano specie fra le più caratteristiche del Permiano. Secondo l’autore possono distinguersi tre zone, che dal basso all’alto sono le seguenti: zona scistoso-ardesiaca, alternanza di arenarie, conglomerati e scisti grigi e violacei molto argillosi, e l’ultima composta prevalentemente di scisti duri arenaceo-micacei con arenarie intercalate. Le prime due zone hanno gran- dissima analogia con la terza e la quarta zona della regione renana del Saar, cioè con gli strati di Cussel e di Lebach (piani inferiore e medio dìi Rothliegende) e la terza corrisponde al piano superiore del Rothliegende stesso. Si ha gran- dissima analogia col Permiano di Autun in Francia, i tre grappi del quale hanno il nome di Autunìano (Permiano inferiore); all 'Autoniano dunque deve riferirsi la flora del Verrucano del Monte Pisano. De Giorgi 0. — Il sistema appulo-garganico e l' Appennino. (Geogr. per tutti, 1894, n. 18-21). — Milano. Nel periodico La Geografìa per tutti è riportato uno scritto del dottor De Giorgi pubblicato nella Rassegna pugliese di Trani. In esso l’autore, ricordando opinioni già da lui a più riprese espresse e concordanti con ulteriori studi d’altri autori, stabilisce l’ indipendenza del Gargano, delle Murge della pro- vincia di Bari e delle Serre della provincia di Lecce dall’ Appennino meridio- nale, parti 3olarmente dimostrata dalla diversa struttura geologica. De Gregorio A. — Nota su taluni coralli del terziario inferiore di Si- cilia della formazione delle argille scagliose. (Naturalista siciliano, Anno XIII, n. 4 'e 5-6). — Palermo. L’autore enumera e parzialmente descrive alcuni coralli del nummulitico di Sicilia, argille scagliose e arenarie grigie e giallastre. Sono le specie se- guenti: Latimaeadra (Miria) Himerensis , n. sott., n. sp., dei dintorni di Ter- - 354 — mini; Phyollocoenia irradians Edw. H., DimorphyVa òxylopha Reuss?, Desmo- cladia septifera Heuss?, Tro?hoseris difformis Heuss, Septastraca dìversiformis (Mieli.) n. sp., Plocopliyllia constricta Heuss affi, Astraeopora decaphylla Heuss, Sti/lo^oenia lobato-rotundata (Mich.) E. H., Slylocenia taurini ensis Reuss, Tsastraea affìnis Heuss var. Guardiolensìs n. var Favia conf ertissima Heuss, Heliastraeaì Guardiolensìs n. sp., Heliistraea Guettardi Defr. sp. Essi pro- vengono per la maggior parte da Guardiola presso Spinello. De Gregorio A. — Description des faunes tertiaires de la Vénétie. Fos - siles des environs de Bassanoì surtout du tertiaire inferiéur de Vliori - zon à Conus diversiformis Desh. et Serpula spirulaea Lamie. (An- nales de géol. et de paléont., 13me livr.). — Tarin-Palerme. L’autore descrive fossili più o meno abbondanti, di varie località dei din- torni di Bissano, appartenenti particolarmente al terziario inferiore. Il numero troppo scarso dei fossili esaminati ed il non avere studiato la stratigrafia della regione, non gli consentono di pronunciarsi sopra l’età esatta dei giacimenti, e lo inducono a limitarsi ad indicare con riserva qualche raffronto. La memoria è corredata di cinque tavole. De Gregorio A. — Description des faunes tertiaires des la Vénétie : mo - nographie des fossiles éocéniques ( étage parisien ) de Mont Postale. (Annales de géol. et de paléont., 14me livr.). — Turin-Palerme. L’autore ha potuto disporre d’una ricca collezione di fossili del Monte Po- stale, in parte raccolti da lui stesso, in parte acquistati. Egli dà la descrizione tanto delle specie già da altri indicate, quanto di quelle nuove, e le illustra in 9 grandi tavole. Il numero totale delle specie esaminate è 10L Quelle più facilmente rico- noscibili sono di gasteropodi ; vengono dopo i pelecipodi, alquanto più difficili a studiarsi per l’alterazione prodotta dalla fossilizzazione e per la tenacità della roccia che s’oppone talora alla messa in evidenza di caratteri importanti: i po- lipai sono più rari; rari pure i rizopoli, ad eccezione del V Àlveolina Bosciì ta- lora abbondantissima : anche le nummuliti sono rare. De Lorenzo G. — Sulla geologia dei dintorni di Lagonegro . (Rend. R. Aco. dei Lincei, S. V, III, 3, 6, 7, 1° sem.). — Roma. Continuando le sue ricerche geologiche nei dintorni di Lagonegro, l’autore ha raccolto nuovo ricco materiale paleontologico e fatte osservazioni che gli consentono di preparare un esteso lavoro d’assieme, del quale dà un cenno pre- liminare in queste tre note. Nella prima di esse si occupa in modo particolare del calcare dolomitico a scogliera che egli, in precedente lavoro, riguardava, con riserva, equivalente alla parte inferiore dei calcari a noduli di selce che formano la base delle for- - 355 - inazioni mesozoiche. In realtà, questo calcare costituisce banchi lenticolari, zoogeni e fitogeni, entro gli scisti silicei a radiolarie : fra gli abbondanti fos- sili ch’esso contiene, spesso malamente conservati, l’autore ha determinato delle forme di cui dà l’elenco, e le quali costituiscono una fauna importante per contenere associati molti tipi generalmente ritenuti come appartenenti a ter- reni di età diversa, quasi tutti però della parte inferiore del Trias superiore. Nella terza nota però egli dice che il Mojsisovics, avendo esaminati i ce- falopodi di questo calcare a scogliere, vi ha riscontrato forme che, mentre esclu- dono mescolanza di fossili appartenenti a diversi orizzonti, appartengono senza dubbio al piano norico e molto probabilmente alla zona del Trachyceras A>'chelaus • L’autore conclude la prima nota dicendo che i calcari a noduli di selce, gli scisti silicei a radiolarie e il calcare dolomitico a scogliera si debbono con- siderare come terreni eteropici, rappresentanti zone o plaghe batimetricamente e bionomicamente diverse, ma appartenenti a un unico periodo geologico, sin- crono di quello durante il quale nelle Alpi meridionali si formarono gli strati di San Cassiano e di Raibl, e nelle Alpi settentrionali, da un lato gli strati a Cardita, cominciando da quelli con fauna di San Cassiano fino agli strati di Tor, e dall’altro complessivamente i Reingrabner Schiefer, i Lunzerschichten e gli Opponitzer Kalke. Le dolomie a Gervilleia exilis poi, per ragioni strati- grafiche e paleontologiche, corrispondono alla parte inferiore dell ' Hauptdolomit alpina. Nella seconda nota, l’autore brevemente si occupa, dando qualche lista di fossili, degli altri terreni dellx regione. Questi sono, prima di tutto, dei calcari grigi, bituminosi, friabili, talvolta dolomitici, contenenti intercalate masse dolomitiche cariate, che passano supe- riormente, senza alcun distacco, a calcari neri, compatti, bituminosi e marnosi; i fossili son rari nei calcari neri e numerosi negli altri. Questo terreno è iden- tico, litologicamente e paleontologicamente, al Lias inferiore di Longobucco e Cropalati, corrisponde ai calcari grigi e neri costituenti la parte superiore del Lias inferiore di Taormina, e può ritenersi equivalente, secondo le idee ultime di Oppel, alle quattro zone Aè\Y Arietites rarico status, Oxynoticeras oxynotum, Arietites obtusus, Pentacrinus tuberculaius. Alia parte superiore dell’Urgoniano (D’Orbigny) apparterrebbero i calcari grigi, affumicati, compatti, talora zeppi di rudiste, fra cui talune ricordanti la Sphaerulites Blumenbachi Stud. sp., i quali stanno in istrati potenti sui cal- cari del Lias inferiore o sui terreni del Trias superiore. Al Bartoniano sono da assegnarsi argille scagliose, scisti argillosi, arenarie e calcari marnosi che stanno nel fondo delle valli o presi in istrette pieghe sinclinali; e potenti de- positi glaciali stantio a rappresentare il Postpliocene, insieme ad alluvione e conglomerati che si osservano in vari punti. La terza nota finalmente è consacrata quasi esclusivamente alla tettonica della regione. De Lorenzo G-. — Le montagne mesozoiche di Lagonegro. (Atti !R. Acc. Se. fìs. e mat., S. II, voi. VI, n. 15). — Napoli. L’autore, intrapreso lo studio geologico dei dintorni di Lagonegro, in questi ultimi anni è venuto successivamente pubblicandone i risultati parziali, come abbiam visto nelle bibliografie precedenti. Nel presente lavoro, molto più degli altri diffuso, egli riunisce le osser- vazioni fatte e le conclusioni a cui pervenne, così intorno all’età dei terreni come alla loro tettonica ed alla formazione delle montagne. Non essendo pos- sibile entrare in particolari, limitiamoci a dire che la serie dei terreni dal- l’autore stabilita è la seguente: Trias superiore : comprendente: 1) i calcari a noduli di selce che, con po- tenza certo non minore di 500 metri, sono litologicamente e paleontologica- mente identici a quelli della parte occidentale di Sicilia; 2) gli scisti silicei a radiolarie, intimamente legati ai precedenti, poverissimi di resti organici ma- croscopici e formati da radiolarie, che al prof. Parona per i generi ed anche per le forme specifiche (assai limitatamente discernibili) non presentarono alcun carattere differenziale spiccato da quelle degli scisti silicei del M. Cru- zeau presso Cesana, da lui ascritti al Trias inferiore; 3) calcare dolomitico, che per i caratteri chimici e petrografìci, la struttura massiccia, la forma len- ticolare, la disposizione in mezzo agli scisti silicei rinsieme della fauna si è condotti a considerare rappresentante scogliere d’origine organica ; 4) sopra l’inscindibile complesso dei tre termini precedenti sta, senza discordanza, ma C3n brusco distacco litologico e faunistico, la Hauptdolomit , rappresentante forse solo la parte più bassa della IJauptdolomit alpina. Lias inferiore : molto variabile litologicamente, è di solito rappresentato inferiormente da calcari grigi, lionati, macchiati di nero, compatti o friabili, talvolta concrezionati, o per lo più alterati in una marna grigia o in roccia dolomitica friabile, e superiormente da calcari scuri o neri, alternanti qualche volta con marne giallastre o banchi dolomitici. Questi calcari sono sempre fortemente bituminosi: non è possibile netta- mente separare i calcari dolomitici grigi prevalentemente inferiori da quelli marnosi neri abitualmente superiori. Essi contengono una fauna a brachiopodi che autorizza a ritenerli contemporanei ed equivalenti a quelli di Longobucco, Taormina, Hierlatz e Hindelang, ascrivendoli, al pari di questi, alla parte su - periore del Lias inferiore. Apturgoniano: sviluppato al Monte Cervaro ed altrove nella parte nord- ovest della regione studiata dall’autore, ha i caratteri petrografìci e paleonto- logici con i quali si continua nella provincia di Salerno e va a formare la parte settentrionale ed occidentale deila penisola di Sorrento. Eocene superiore: prevalentemente argilloso; ed infine Quaternario, in cui come è noto, l’autore ha trovato formazioni glaciali. — 357 - W Una carta geologica al 50 000, una tavola di sezioni, e numerosi profili intercalati nel testo, illustrano questo lavoro. De Lorenzo GL — Osservazioni geologiche sul tronco ferroviario Casal - buono-Lagonegro della linea Sicignano- Castro cucco. (Atti R. Istituto d’incoragg., 8. IV, voi. 7). — Napoli. L’autore dà una sezione geologica dei terreni traversati dal tronco ferro- viario Casalbuono-Lagonegro della linea Sicignano-Castrocucco, e si occupa delle roccie della regione esclusivamente dal punto di vista dell’arte del co- struttore e particolarmente dei lavori ferroviari. Il calcare triasico a liste e noduli di selce, poco atto per difficoltà di la- vorazione ad essere impiegato come pietra da taglio, si presta invece benissimo ad aprirvi trincee e gallerie. Costituiscono un buon terreno per uri tracciato di ferrovia, sebbene meno del calcare, gli scisti silicei bene stratificati che stanno su di esso. La dolomite che segue, chiudendo il Trias, friabile e permeabilis- sima, può dar luogo a gravi scoscendimenti. I calcari marnosi del Lias inferiore se compatti ofirono buon appoggio alle opere d’arte, e se dolomitici e farinosi scoscendono facilmente. Ottimo il cal- care dell’Apturgoniano, e pessime come sempre le argille scagliose dell'Eocene superiore, sulle quali si fondarono alcuni pilastri di un viadotto e si aprì parte di una galleria. Del Viscio GL — I terremoti di Lesina. (Boll. mens. Osservatorio centr. di Moncalieri, S. II, voi. XIV, 9). — Torino. Sono alcune notizie intorno ai terremo! i che scossero i dintorni di Lesina nel Gargano alla fine del marzo dello scorso anno: l’autore si occupa special- mente dei rapporti di essi con gli altri che verifìcaronsi a varie riprese nel pro- montorio garganico e particolarmente con quello micidiale del 1627 : discorre pure dell’origine delle numerose cavità imbutiformi formatesi in questa occa- sione e che egli attribuisce a sprofondamento della banchina cui era venuto a mancare il sostegno del gesso esportato dalle acque. Dervieux E. — Le Nodosarie terziarie del Piemonte. (Boll. Soc. geol. it , XII, 4). — Roma. È l’elenco di 32 Nodosarie del bacino terziario del Piemonte con osser- vazioni intorno a quella specie che non sono comprese nella illustrazione del genere fatta dal prof. Silvestri nel 1872. IL lavoro è accompagnato da due tavole. De Stefani C. — Il cosidetto porfido quarzifero dell’isola d'Elba. (Atti Soc. toscana Se. nat., Pr. verbali, IX). — Pisa. L’autore, da una serie di considerazioni varie, è indotto alla conclusione 858 — che la roccia detta porfido quarzifero dell'isola d'Elba, è regolarmente inter- stratificata ed incassata nella parte più alta dell’Eocene superiore, è intima- mente connessa colle roccie eruttive basiche ed ha fatto eruzione all’esterno. Piuttosto che il nome di porfido quarzifero le converrebbe quello di trachite quarzifera: è paragonabile alle trachiti quarzifere di Campiglia e della Tolfa, e più ancora a quella di Roccastrada. Secondo l’autore, alla base di questa roccia eruttiva si hanno banchi di conglomerati composti di frammenti grandi e piccoli della roccia stessa, in- sieme a ghiaie e frammenti angolosi arrotondati dalle intemperie, di scisti, di calcare e delle roccie eruttive basiche : sono gli pseudo-porfidi del Bucca, veri tufi vulcanici per il De Stefani. De Stefani 0. — Le flore carbonifera e permiana del Monte Pisano. (Atti Soc. toscana Se. nat., Proc. verbali, IX). — Pisa. Secondo il prof. De Stefani le flore della Traina e del Monte Vignale, nel Monte Pisano, sono di due età differenti: la prima appartiene, com’egli sin dal principio determinò, alla parte superiore del Carbonifero superiore: la se- conda, alla parte più antica del Permiano inferiore. E ciò appunto vuol dimo- strare in questa breve nota, col raffronto con altre flore ben note. De Stefani C. — Gli schisti paleozoici delV isola d’ Elba. (Boll. Soc. geol. it., XIII, 1). — Roma. In questa breve nota il prof. De Stefani espone le conclusioni cui per- venne intorno a due ordini d’argomenti in sue gite all’isola d’Elba fatte negli anni 1892 e 18ò3. Anzitutto egli colloca nel Devoniano inferiore tutti gli strati paleozoici della regione orientale dell’isola compresi fra le serpentine antiche è l’Infralias, da altri distinti in siluriani, carboniferi e permiani e ch’egli ritiene non separabili, nè litologicamente, nè paleontologicamente. Alla Cala Baccetti, nella parte più alta di questi strati, ha trovato una fauna di cui ha dato notizia preliminare in una nota indicata qui sotto. L’altro argomento ch’egli tocca è l’età dei giacimenti ferriferi. In più luoghi il minerale ferrifero si vede alternare negli scisti devoniani. L'opinione che i minerali ferriferi siano dej>ositi di superfìcie che interessarono vari ter- reni e formaronsi quando il rilievo del suolo era ad un dipresso l’attuale, trova ostacolo nelle sue osservazioni; però il materiale ferrifero fu probabilmente per azione delle acque asportato dalle roccie antiche in posto, intruso nei calcari e nelle altre roccie più recenti e distribuito, anche in vene, negli scisti paleozoici. De Stefani C. — Découverte Lune faune paléozoìque à Vile d’Elbe. (Bull. Soc. géol. de Franco, S. Ili, T. XXII, 1). — Paris. Annunzia che nel luglio 1892 trovò negli scisti lucenti del lato orientale dell’isola d’Elba dei fossili, specialmente molluschi marini e principalmente 359 - lamellibranchi, dei quali dà una lista preliminare indicando il solo nome gene, rico con qualche confronto a specie note. In base ad essa riferisce i terreni che racchiudono quei fossili al Devoniano, probabilmente interiore. E come conclusione dice che, i terreni paleozoici della Toscana, da altri inglobati nel Permiano, debbono dividersi nel modo seguente: 1) Carbonifero superiore del Monte Pisano e di Jano a Calamites Cistii Brong., Acitheca polymorpha Brong., Sphenophyllnm, ecc. 2) Devoniano inferiore dell’isola d’Elba a Hyòlithes, Beynchia , Plumuli- tes , Goniaiites , Bellerophon, Anthracoptera , Myalina , ecc. 3) Siluriano medio delle Apuane a Orthoceras, Gomphoceras , Cyrtoceras, Cardiola , Actinocrinus, ecc. Duparc L. et Mrazec L. — Résultat de nouvelles recherches sur le ver sant italien du Mont Blanc. (Archives des Se. phys. et nat., 3me póriode, T. XXXII). — Genève. E una breve comunicazione preliminare sopra il risultato di nuove ri- cerche sul versante italiano del Monte Bianco. Tutta la porzione che s’estende dal Mont Dolent sino al Mont Maudit è di protogino : un sistema di filoni di granulite costeggia quivi la base del massiccio. Nella cresta del Mont Dolent al Greppillon, un filone di granulite impasta blocchi di protogino. Risalendo il ghiacciaio del Miage si osserva che la cresta della montagna del Brouillard è costituita da micascisti più o meno granulitici, con qualche intercalazione di anfìbol ti. Le Aiguilles Grises sono invece formate di anfìbo- liti fortemente iniettate da una bella granulite senza mica. Al di sopra del Col Infranchissable gli autori trovarono un sinclinale car- bonifero preso nel cristallino. E costituito da arenarie micacee e da scisti neri traversati da un filone di galena altravolta lavorato. Duparc L. et Vallot J. — Constitution pétrographique de la partie centrale du massif du Mont Blanc. (Archives des Se. phys. et nat.., 3me période, T. XXXII). — Genève. E una comunicazione preliminare sommaria intorno a roccie della parte centrale del massiccio del Monte Bianco. Il punto che gli autori dichiarano il più interessante fra quelli che risul- tano dalle loro nuove ricerche, è la esistenza nella parte superiore dello spi- golo del Brouillard di una cupola di protogino sopportante uno spigolo di mi- cascisti injettati. Questo fatto interessante, che dimostra la natura intrusiva del protogino, è messo in evidenza da una profonda erosione del ghiacciaio del Miage. Gli autori ne danno uno schizzo. Notiamo anche, ai Petits Mulets, accanto al protogino una roccia formata da ciottoli di quarzo perfettamente rotondati, riuniti da un cemento sericitico — 360 - con leucoxeno. Questa roccia non potrebbe distinguersi dall’arenaria carboni- fera; non è injettata ed il suo contatto col protogino non può essere che mec- canico,, come è per esempio il caso per le inclusioni di Orny. E forse carbo- nifera, e forse anche più antica; la presenza del sinclinale carbonifero del versante meridionale rende probabile quest’opinione. Franchi S. — Contribuzione allo studio del Titonico e del Cretaceo nelle Alpi Marittime italiane. (Boll. Com. geol., XXV, 1 ) — Roma. In questa sua nota l’autore segnala 1’esistenza del Titonico e di varii piani del Cretaceo nei dintorni di Ventimiglia, stabilita in base a località fos- silifere da lui scoperte: si occupa quindi della tettonica di quella regione della quale dà, oltre ad una carta geologica ed una delle linee tettoniche, varie se zioni. Discute quindi la possibile corrispondenza fra alcune zone litologica mente distinte del Cretaceo dei dintorni di Tenda e quelle ora stabilite presso Ventimiglia. Dà in ultimo alcune notizie preliminari sullo sviluppo del Giu- rese e del Cretaceo a Nord del Colle di Tenda, nonché in Val Maira, nelle Alpi Cozie. Ci limiteremo qui ad osservare, come fa l’autore nella conclusione della nota- come risulti che il Giurese ed il Cretaceo, i quali nelle carte geologiche più recenti non figurano che in pochi punti della zona calcarea che cinge ad Est ed a Nord-Est il massiccio ci istallino dell’Argentera, si mostrano in una o più serie di aificramenti fra loro collegati, e talvolta molto estesi, e con caratten litologici distinti e, fino ad un certo punto, costanti, dalla valle del Roja per Valle Vermenagna, Valle del Gesso, Valle della Stura di Cuneo e l’alta Valle IMaira, alle valli deH’Ubayette e dell’Ubaye. Ne risulta più chiara la natura insulare del massiccio cristallino delle Alpi Marittime durante tutta l’epoca secondaria e durante l’Eocene; e più evidente l’unità di costituzione della zona calcarea interalpina (zone du Briangownais) nella regione esaminata, in quella di Mongioje e in quelle della valle dell’Ubaye e del Delfìnato. Franchi S. — Relazione sui principali risultati del rilevamento geolo- gico nelle Alpi Marittime eseguito nelle campagne 1891-92-93. (Boll. Com. geol., XXV, 3). — Roma. In questa relazione del lavoro fatto nel 1893 nelle Alpi Marittime, l’inge- gnere Franchi espone a grandi linee anche il risultato dei suoi studi in quella regione nelle due campagne precedenti:' segue nel farlo l’ordine ascendente delle formazioni, tralasciando di parlare di quelle che sono argomento della nota precedente. Cominciando dal massiccio gneissico dell’Argentera, che ha rilevato in parte e di cui ha esaminato petrograficamente buon numero di campioni, enu- mera i principali tipi litologici dando qualche notizia intorno alla loro esten- sione ed ai loro rapporti reciproci. Fra le roccie gneissiche acide (aventi la - 361 — composizione normale degli gneiss) l’autore indica i seguenti tipi: gneiss ghian- done , gneiss a letti micacei sinuosi con grandi occhi di ortosio o di micro- clino: è il tipo più profondo di tutti i massicci arcaici delle Alpi Occidentali: non costituisce la parte preponderante del massiccio, nè pare occupi una po- sizione stratigrafica determinata; gneiss granulare o granitico , gneiss biotitico caratterizzato dalla disposizione isometrica (Zirkel) dei costituenti eccettuata la biotite; gneiss rubi ginosi, che, visti in massa, hanno color rosso ematite o rosso ocraceo per colorazione degli elementi bianchi da parte dei prodotti fer- rosi della decomposizione della biotite ; gneiss laminati , che sono scisti filla- dici, con sfaldatura sericea, più o meno lucenti, sparsi in numerosi punti interstratificati agli gneiss dei vari tipi, e che, malgrado macroscopicamente e microscopicamente facciano pensare a roccie paleozoiche impigliate negli gneiss per ripiegamenti, pure per l’esame di termini di passaggio e per la frequenza loro mostrano risultare dalla laminazione degli gneiss. Le roccie gneissiche basiche, presentanti la composizione normale degli gneiss più o meno profondamente modificata dalla presenza, come elementi costituenti, subordinati, importanti o prevalenti, di granato, orneblenda, piros- seno e calcite, comprendono: gneiss grana* if eri, in zone di potenza molto limi- tata fra gli gneiss ordinari; gneiss con orneblenda associati in molti punti con tutti i tipi di gneiss; gneiss anfibolici e pirossenici , talora anche granati feri] orneblendoliti, le roccie precedenti prive o quasi di feldispato o quarzo, e ta- lora pirosseniche e granati fere; piroiseniti granatifere, pirosseniti calcifere, calce fri; serpentine, in taluni casi presentanti prove di derivazione da piros- seniti. Queste roccie gneissiche basiche sono intercalate nelle acide, con pas- saggio in generale brusco in zone, banchi, lenti, amigdale, arnioni, variabili da una potenza di centinaia di metji ed estensione di chilometri ad arnioni grossi pochi centimetri. Gli strati sono prevalentemente diretti N.O-S.E, secondo la massima lunghezza dell’ellissoide e le pendenze hanno luogo verso l’interno di questo. Il granito, l’affioramento del quale ha la dimensione massima di 12 km. fra Cima Comba Grossa e Ciriegia, ed una larghezza di 10 km. fra le Terme di Valdieri e Punta Barnon, presenta più tipi, fra cui il più frequente è quello a due miche a grana media : presso i contatti è soventi a grana minuta e pun- teggiato di granato roseo che talora diviene minerale costituente; presenta pure come fenomeno di contatto endomorfo frequentemente la strattura vermi- colare. Come negli gneiss, così nel granito le energiche pressioni hanno pro- dotto una laminazione in parecchie zone, dando una roccia scistosa, gneissi- forrne o zonata, o filladica, rilegata alla roccia massiccia da passaggi graduali. L’autore enumera quindi le roccie che trovansi in filoni: sono il micro- granito negli gneiss anche a molti chilometri dall’affioramento granitico cen- trale; le apliti che tagliano, in filoni poco potenti, la massa granitica e in filoni 362 — frequentissimi lo gneiss, e traversano i filoni di microgranito; la microgra- nulite, che rappresenta un termine di passaggio ai porfidi; il porfido quarzi- fero, in filoni di 5 a 6 ni. negli gneiss, simile a taluni porfidi del Permiano del Monte Besimauda e della valle del Tanaro; e le porfìriti anfìboliche in filoni, negli gneiss e più raramente nel granito. La successione di queste roccie intrusive negli gneiss è, cominciando dalle più antiche, la seguente : graniti della massa centrale e micrograniti in filoni; apliti; porfidi quarziferi; porfìriti anfìboliche. Il granito è antipermiano perchè si trova in elementi rotolati alla base di questo terreno : per le porfìriti si può affermare l’età antetriasica, avendosene raccolto ciottoli nella parte supe- riore del Permiano: i porfidi quarziferi sono probabilmente coetanei dei por- fidi del Monte Besimauda, della valle del Tanaro, dell’Esterel o di qualche punto di Val Maira. Passando a parlare brevemente della zona delle pietre verdi , l’autore è indotto a combattere le idee in proposito espresse dal signor M. Bertrand, e molto lontane da quelle da lui e dai suoi colleghi accettate. Poco si estende sul Permo-carbonifero e sul Trias, ed alquanto maggiormente sul Lias, intorno al quale potè fare importanti osservazioni. Franchi S. — Sulla presenza della « structure vermiculée » (Michel- Lev y) nello gneiss centrale. (Bòli. Soc. geol. ital., XIII, 1). — Roma. L’autore comincia dal ricordare che Michel-Lévy segnalò nel 1875 una par- ticolare struttura fra ortosio e quarzo nei graniti, la quale in un recente lavoro chiamò structure vermiculée , pur considerandola quale una facies particolare della sua struttura micropegmatitica. Tale struttura è, per osservazioni dell’autore, molto frequente; egli la chiama, con traduzione approssimativa del nome francese, struttura vermicolare , e la de- finisce : « associazione di due minerali, dei quali uno (vermicolare) è distribuito nell’altro (vermicolato) entro a canaletti sinuosi ed irregolari, avendo in questi, in generale, estinzione simultanea. » Egli la osservò nei graniti del Savonese, nel gran dicco delle Alpi Marittime e di certe apofisi del granito di Monte Ca- panne (Elba) presso Fetovaia. La trovò inoltre, sempre tra feldspati (ortose e plagioclase) e quarzo, in tutti i campioni di gneiss centrale in cui la cercò, e cioè in quelli dei massicci: ligure, delle Alpi Marittime, delle Alpi Cozie, del Gran Paradiso e della Valtellina. E perciò condotto a presentare alle ricerche degli studiosi i due quesiti se- •guenti: 1. La struttura vermicolare è veramente comune a tutti gli gneiss profondi? 2. Nell’affermativa, è caratteristica di essi o trovasi anche in quelli superiori? Franco P. — Sulle costanti geometriche dell’ ortoclasia del Vesuvio. (Gior- nale di Min., Grist. e Petrogr., Y, 3). — Milano. Avendo potuto disporre di alcuni cristalli assai nitidi, semplici e geminati, - 363 — di ortoclase del Vesuvio, l’autore ha istituito su di essi misure goniometriche e calcoli, per contribuire alla conoscenza di quel minerale che, com’egli di- mostra ricordando gli studi precedenti, dava ancor luogo ad alcuni dubbi. I cristalli esaminati dall’autore formano druse o tappezzano le cavità di roccie cristalline rigettate anticamente dal vulcano: alcuni provengono da massi con tessitura granitica, formati da ortoclase, nefelina, antibolo, mica: altri da una roccia con tessitura cristallino-scistosa, nella quale lamelle di mica si alternano con una sostanza a grana finissima di colore bianco -rossiccio e splendore vitreo in gran parte formata da ortoclase. Le conclusioni a cui pervenne l’autore sono le seguenti : 1. L’ortoclase vitreo del Vesuvio per i suoi angoli medii si riferisce al tipo generale della sanidina stabilito da Kokscharow, con differenze assai in- feriori a quelle che occorrono nelle inclinazioni omologhe dei diversi cri- stalli ; 2. Le differenze degli angoli calcolati sono accidentali e sono dovute a deformazioni che i cristalli subiscono nell’aggrupparsi ; assai raramente i cri- stalli presentano una simmetria triclina; 3. La teoria di Tscliermak non trova applicazione di sorta, perchè le variazioni non seguono un tipo speciale, ma mentre alcuni angoli variano no- tevolmente, gli altri si mantengono quasi invariati. Fucini A. — L’ Unio sinuatus Lamie, nelle antiche alluvioni del Tevere presso Città di Castello (Umbria). (Atti Soc. toscana Se. nat., Pr. verb., IX). — Pisa. Fra alcuni fossili mandati per esame al Museo di Pisa, l’autore riconobbe VUnio sinuatus Lamk. in esemplari di non perfetta conservazione e corrispon- denti esattamente a quelli delle fondazioni del ponte di Ripetta a Roma, illu- strati dal Meli. Essi furon trovati a Promano, presso Città di Cistello, a due o tre chilometri dal Tevere, in un fosso in cui era una piccola frana di arena gialla simile a quella del Tevere a Roma ed a 10 o 15 metri sul livello del fiume. Essi provengono dunque dagli antichi depositi del Tevere e possono rite- nersi di fossilizzazione relativamente recente. Fucini A. — Notizie paleontologiche sulla Oolite di Sardegna : nota pre- ventiva. (Atti Soc. toscana Se. nat., Pr. verb., IX). — Pisa. L’autore dà la lista di alcune specie da lui determinate su materiale co- municatogli dal prof. Lovisato, e provenienti da un calcare marnoso del monte Perdaliana nella parte media dolla Sardegna orientale, e da un calcare com- patto durissimo del Monte Timilone presso Alghero. Alcune di esse sono nuove per la Sardegna, e sono importanti, perchè confermano l’esistenza dell’Oolitico in quell’ isola. Le specie riconosciute sono le seguenti : Rhynchonella sp. (del tipo della — 364 — Rh. varians Sdii.), Terebratula Timilonensis Fuc., T. sp. ind., Pecten cingu • latus Phill., Lima sp. ini., L. Hector D’Orb., Gervillia sp. ind., Pinna cfr. cu- neata Phill., Modiola Sowerbyaua. D’Orb. (M. plicata Sow.), M. cf. cuneata Sow., Cardium subtruncatum D’ Orb., Ceromya striata D’Orb., Gresslya Mene- ghina Fuc., Arcomia minima Fuc., Goniomya gibbosa D’ Orb., Thracia? Lovi- satoi Fuc. (affine alla T. ( Corimya ) Lens Àgass.), Cercomya pinguis Agass., Pholadomya Murchisoni Sow., Ph. ovalis Sow., Natica parthenica Mgh. Fucini A. — Due nuovi terreni giurassici del circondario di Rossano in Calabria. (Atti Soc. toscana Se. nat., Pr. verb., IX). — Pisa. Nei suoi studi nel circondario di Rossano, in Calabria, l’autore osservò un calcare rosso carnicino, più o meno cupo, zonato, traversato da numerose fen- diture spatiche. Esso ha la prevalenza fra gli elementi dei conglomerati della parte inferiore dell’ Eocene nei dintorni di Paludi. Si trova in posto nella valle del Colognati in più punti, sulle filladi e sul granito. Presso Sant’Onofrio sop- porta in discordanza roccie eoceniche ; presso Bocchigliero pare ricoperto in concordanza da calcari marnosi riferibili al Lias superiore, sotto i quali poco oltre si hanno i calcari neri del Lias inferiore. I caratteri litologici non essendo quelli triasici, l’autore inclina a credere che il calcare rosso sia riferibile al Lias medio. Di fossili, nella roccia in posto, non trovò che qualche Pentacrinus, ma in un masso rotolato riscontrò: Rhynchonella aptycha Canav., Rh. due specie ind., Terebratula cf. Taramellii Gemm., Placunopsis Zitteli Gemm., Pecten Agatus Gemm., Phyltoceras sp. ind., Harpoceras ? sp. ind. Questi fos- sili non permettono una sicura determinazione d’età del giacimento : e l’autore non può escludere che i calcari rossi possano appartenere al Lias inferiore, od anche, benché paia meno probabile, all’Oolite. L’autore annunzia pure l’esistenza presso Bocchigliero di una formazione calcarea riposante in discordanza sul Lias inferiore. Il Pseudochaetetes sici- liensis Can. (in schedis) affine al Ps. polyporus Quenst. vi si trova in belli esemplari ed autorizza l’autore ad ascrivere quella formazione al Titonico. Fucini A. — Nuovi fossili della Oolite inferiore del Capo San Vigilio sul lago di Garda. (Bull. Soc. malac. ital., XVIII). — Pisa. L’autore illustra alcune specie nuove o non ancora citate dell’ Oolite di San Vigilio sulla sponda orientale del lago di Garda, come risultato dello studio della importante collezione del Museo di Pisa e di quello di Pavia, nonché di alcune specie nuove del Museo di Torino. I fossili così aggiunti sono i seguenti : Terebratula nepos Can. (= T. Aspasia Vacek, non Mgh.), Lima Taramellii n. sp., Modiola Boehmi n. sp., Pholadomya Vigilii n. sp. (= Ph. corrugata Vacek e Gioii, non Koch e Dunker), Cardium benacense n. sp., Goniomya Paronai n. sp., Emarginula f Vigilii n. sp., Tro- chus praealpinus n. sp , Harpoceras discoides Zie!;., Tmetoceras Gemmellaroi F - 865 - n. sp., Àtractites? BenecJcei Mgh. m. s., Àtractites ? sp. ind., Bèlemmites sp. inh Gentil L. — Sur Vexistence de la liorneblende dans les tufs volcaniques du Monte Vulture {Basilicate). (Bull. Soc. fr. de Mineralogie, XVII, 4). — Paris. L’autore ha raccolto al Monte Vulture, presso Melfi, delle bombe ricche in or- neblenda, minerale che si trova pure in cristalli completamente liberi, entro i tufi. Fra questi cristalli uno solo molto ben conservato, con faccie cristalline abbastanza numerose, gli permise misure goniometriche che riferisce. Questo cristallo presenta tutte le faccie conosciute dell’orneblenda dei basalti. La den- sità ne è 3, 191. L’orneblenda ha numerose inclusioni di apatite in bastoncini di parecchi millimetri di lunghezza. L’autore non ha osservato l’orneblenda nella lava del Vulture, nè altri l’ha s'no ad ora indicata ; mentre invece la si trova nei tufi in più punti. Gentil L. — Sur la microstructure de la mélilite. (Bull. Soc. fr. de Mi- neralogie, XVII, 5). — Paris. L’autore si è occupato della ricerca della natura di quei filamenti micro- scopici esistenti nella melilite cui impartono la microstruttura detta dallo Stelzner pflockstructur. Fra il materiale su cui egli eseguì il proprio studio fi- gura la melilite della leucitite del Monte Vulture, e di quella di Capo di Bove: ed a questo titolo registriamo qui questo lavoro. L’autore giunge alta conclusione che quella microstruttura è dovuta a pro- dotti d’alterazione fra i quali il più frequente è una sostanza giallo di miele o giallo più chiaro, facilmente attaccabile dall’ acido cloridrico facendo ge- latina. Gibertini D. e Piccinini A. — Analisi dei gas combustibili naturali di Torre e Salsomaggiore. (Gazz. chim. it., anno XXIII, fase. 12). — Palermo. Scopo precipuo di questa nota è l’esposizione del modo seguito nel fare l’analisi di due gas combustibili naturali: quello di Torre (comune di Traver- setolo) e quello di Salsomaggiòre. Il primo si sviluppa da salse su di una piccola collina a 250 metri sul li- vello del mare: la temperatura del fango è quella ambiente, l’acqua è legger- mente alcalina ed ha odore di nafta, sostanza che si vede in goccie alla sua superficie. Il gas, che si svolge abbondante, è inodore, incolore, infiammabile : arde con fiamma giallastra leggermente luminosa; raccolto in uno dei piccoli crateri dagli autori, fu da essi riconosciuti di densità = 0. 6439 e della seguente composizione centesimale (in volume) : metano 91. 49 ; idrocarburi non saturi 0. 04; 8 — B66 — anidride carbonica 4.25; ossido di carbonio 0.12; ossigeno 0.90; azoto 3. 20. Totale 100.00. Il gas di Salsomaggiore fu preso ad un gasometro che alimenta apparec- chi di illuminazione e riscaldamento. La sua densità risultò, determinata con due diversi metodi, = 0. 6184 (per pesata) e 0. 5950 (con la velocità di efflusso), e la composizione fu trovata la seguente (in volume) : metano 90. 78 ; idrocar- buri non saturi 0.44; anidride carbonica 2.55; ossido di carbonio 0.34; ossi- geno 0. 79 ; azoto 4. 96. Totale 99. 86. Goldschmidt Y. — Phosgenit von Monteponi. fZeit. fur Kryst. und Min., XXIII; 1-2). — Leipzig. L’autore continuando lo studio cristallografico della fosgenite di Monteponi (vedi Bibliografìa del 1893), ne descrive dettagliatamente in questo lavoro altri 16 esemplari. Da questo studio l’autore fa risultare la presenza di sette forme nuove per la fosgenite e di altre sei non bene accertate. E di speciale importanza la comprovata emiedria trapezoedrica già segnalata nella precedente comunica- zione. Una solida prova dedotta dalle forme era specialmente necessaria perchè nessuna specie di cristalli aveva finora presentato tale emiedria e perchè non fu trovata la polarizzazione circolare che si prevedeva. Espone quindi i diversi fatti sui quali si fonda per ritenere come accertata tale emiedria. Alla memoria è unita una tavola con figure dei cristalli. G-rablovitz G. — Sul periodo sismico di Monte Saraceno ( Montesan - tangelo ) nell1 estate del 1893. (Annali Ufficio centr. Meteor. © Geod., Voi. XV, Parte I). — Roma. E l’esposizione delle osservazioni fatte intorno al periodo sismico che tra- vagliò il Monte Saraceno nel Gargano e rovinò la borgata di Mattinata nella estate del 1893 ; con l’aggiunta delle deduzioni trattene intorno alla natura del fenomeno. Secondo fautore tale natura è ben definita: trattasi di terremoti di asset- tamento ; e sede di tale assettamento gli pare abbia dovuto essere il calcare ippuritico della base del Monte Saraceno. Il terremoto del 10 agosto, che fu il più veemente, ebbe secondo l’autore, la durata di 10 r e dovette risultare anziché di una sola scossa, di una serie di scosse a brevissimi intervalli, cagionate dalla rottura successiva di una gran parte delle resistenze che ancora si opponevano al nuovo assettamento del gruppo del Monte Saraceno. E in tutto il periodo sismico, i terremoti furono vibratorii, con vibrazioni rapidissime, di minima ampiezza e brevissima durata complessiva. L’autore osservò pure una concordanza fra il risveglio dell’attività sismica ed il plenilunio. Gregory J. W. — The Waldensian Gneisses and their place in thè Cottian Sequence . (Quart. Journal of thè Geol. Society, voi. L, part. 2). — London. Sunto: (Abstr. of thè Proceed. ecc., n. 618). — London. L’autore è stato condotto ad occuparsi della natura e dell’età del gneiss, da tutti ritenuto antico, delle Alpi Cozie, da varie obbiezioni che si presenta- rono al suo spirito e che egli così formula: se lo gneiss è la roccia più an- tica della regione, perchè è sfuggito ai corrugamenti e contorsioni, alle pieghe e fratture cui andarono così estesamente soggette le altre roccie? Perchè i suoi minerali sono così freschi, mentre quelli degli scisti circostanti sono tanto alterati? Perchè i micascisti presso lo gneiss sono generalmente più grossolani di quello non siano più lontano e sono tanto spesso granatiferi? Ed ancora: se lo gneiss è la roccia più antica perchè non vi si trovano delle intrusioni e dicche di serpentina e anfiboliti della zona delle pietre verdi ? Per tentare di chiarire questi dubbi l’autore esplorò la zona da Bussoleno a Crissolo indicata come gneissica dalla cartina delle Alpi Occidentali, degli ingegneri Zaccagna e Maltirolo: visitò anche il limite meridionale del Gran Paradiso. Le osservazioni fatte sono da lui assai particolareggiatamente rife- rite : e poiché le conlusioni alle quali egli giunge sono piuttosto lontane dalle idee generalmente accettate, sarà bene riferirle qui ad un dipresso nei termini in cui le riassume al termine del suo lavoro. Eccole : Gli gneiss nella regione indicata (che egli chiama gneiss valdesi perchè bene sviluppati nelle, valli di questo nome), si presentano come masse isolate e non come una zona cotitinua occupante un orizzonte geologico fìsso alla base della serie delle formazioni. Anziché essere roccie fondamentali laurenziane, ricoperte dagli scisti od appoggiandosi contro essi in seguito a fratture, sono roccie intrusive. E ciò è dimostrato : dal metamorfismo di contatto attorno ad essi, dall’esistenza di apofisi di gneiss e di aplite dallo gneiss nello scisto, dal contenere spesso blocchi alterati di scisti e dall’essere talora carichi di materia cloritica ed anfiboliea assorbita durante l’intrusione, dalla trasgressione nel contatto fra le due formazioni, dal fatto che nessuna delle roccie ignee in- trusive negli scisti taglia lo gneiss, ed infine dall’altro fatto che gli gneiss non si sono risentiti dei movimenti che schiacciarono e contorsero gli scisti. Lo gneiss del Gran Paradiso presenta gli stessi rapporti con gli scisti: solo si distingue da quello delle Cozie per la massa maggiore e per la possibilità che sia in parte intruso in un’epGca anteriore La struttura gneissica, nella regione in discorso, non risulta da dinamo- metamorfismo, ma è originale e risulta dall’intrusione della roccia in una con- dizione viscida. Altrove, anche nelle Cozie, si hanno gneiss prodotti dal dinamo- metamorfismo di roccie ignee e di sedimenti meccanici. Gli gneiss del Valdese sono posteriori agli scisti, e la loro intrusione in — 368 - questi fu probabilmente contemporanea ai grandi movimenti della fine del Pliocene e ne fu forse la causa. Haberfelner J. — Geologische VerJialtnisse des Erzreviers voti Cinque Valli und Umgebung. (Zeit. fur prakt. Greol., Jahrg. 1894, H. 4). — Berlin. Le roccie sedimentarie di questa contrada del Trentino sono : fìlliti quar- zifere, verrucano, depositi glaciali e grandi accumulamenti detritici. Quelle eruttive consistono in granito, porfido e formazioni metamorfiche di contatto fra il granito e le filliti. Dopo la descrizione petrografie^ di questi vari tipi di roccie vengono dal- l'autore presi in esame i processi pei quali formaronsi nella regione spaccature diverse, specialmente lungo il contatto fra le roccie eruttive e quelle sedimen- tarie, che furono poi riempite di minerali costituiti principalmente di blenda, galena e calcopirite con pirite arsenicale. L’intiera contrada da Roncegno a Pergine, poi da Fersina al Lago di Palù verso Val Calament da un lato e da Pergine fino in Val Piné dall’altro, può dirsi costituire un vasto distretto metallifero che, reso accessibile dalla strada di Yalsugana, potrà offrire oggi come in passato un campo favorevole alle imprese minerarie. Issel A. — Cenni intorno al Museo geologico della E. Università di Ge- nova, (Boll. Soc. geol. ital., XII, 4). — Roma. In occasione della riunione della Società geologica italiana tenuta in Ge- nova nel 1893, il prof. Issel presentò questa succinta relazione intorno allo sviluppo storico ed alle condizioni attuali del Museo geologico della Università genovese, del quale egli è già da buon numero d'anni direttore. Tale Museo, che, dopo varie peregrinazioni, è tuttora in aspettazione di un conveniente lo- cale è ricco d’importanti collezioni, particolarmente per quanto concerne la Liguria e dovuta, oltre che all’opera assidua del professore Issel, a doni ed acquisti. Fra questi ultimi ha il primo posto la collezione, ricca di 2100 esem- plari, di piante fossili raccolte da don Ferrando nei giacimenti bormidiani di Santa Giustina e Sassello : di cui l’autore cita, oltre a più specie eccezional- mente ben conservate, come notevolijper dimensioni, una fronda di Flabellaria lunga m. 1. 80 e larga m. 1.40. ed una di Perrandoa lunga m. 1.50 e larga 0.60. La stessa collezione Perrando compreude 6500Jesemplari di fossili terziari, spe- cialmente conchiglie, dell’Appennino ligure e oltre a 500 manufatti preistorici della Liguria. Degno ancora di essere specialmente indicato è il ricco materiale prove- niente dalle caverne ossifere di Liguria. — 369 — Issel A. e Traverso S. — Nota sul litorale fra Va io e Spotorno. (Atti Soc. lig. Se. nàt. e geogr., V, 3). — Genova. Gli autori si propongono in questa nota di esporre alcune osservazioni fatte lungo il litorale fra Vado e Spotorno, le quali li conduco ao ad una in- terpretazione nuova di una irregolarità stratigrafica presso Bergeggi da altri già segnalata, e offrono utili criteri per rintracciare il confine, fin qui contro- verso, fra i sistemi triasico e permico in Liguria. Partendo dalla stazione di Vado verso Bergeggi per la provinciale, dopo traversato il piano alluvionale del Segno, donde emergono balze plioceniche, si entra in una formazione di scisti fìlladici verdi con interstrati di gneiss, che potrebbero rappresentare tanto un elemento di quella, quanto, il che pare più probabile agli autori, il risultato di pieghe per cui si ripete la serie di filladi e gneiss. Oltrepassato Bergeggi, succede alle filladi, con contatto non visibile, una carniola, quindi la quarzite e poi il calcare dolomitico che poi forma i promontori rocciosi compresi fra Bergeggi e Spotorno. La carniola pare rappresenti il residuo di un banco, ora scomparso, supe- riore alla quarzite e scivolato in una soluzione di continuità che divide la quar- zite dagli scisti. La posizione reciproca del calcare e della quarzite, piuttosto che con un rovesciamento, come fu proposto, si spiega per una frattura con rigetto per cui gli strati calcarei scesero più centinaia di metri. Così una frattura con rigetto ha fatto scendere d’altra parte la quarzite per modo da far scomparire l’originaria sua sovrapposizione agli scisti fìlladici. Questi ultimi, per la loro natura prevalentemente micacea paiono da attri- buirsi al Permiano anziché al Trias inferiore: essi costituiscono la maggior parte del litorale fra Spotorno e Vado. Un lembo di calcari dolomitici, imme- diatamente sottostanti a quelli di Bergeggi trovasi nell’ isolotto omonimo: con- tengono fossili mal conservati, ma sufficienti a farli attribuire al Trias medio. La quarzite risulta riferibile al Trias inferiore. Nell’ isolotto di Bergeggi, sul calcare dolomitico si hanno spalmature di pelagosite, minerale intorno al quale gli autori danno interessanti particolari : anche in terraferma, sugli scogli che emergono dal mare nella caverna di Ber- geggi si presenta un minerale somigliante. Sempre la pelagosite è in una zona di pochi metri al disopra del livello medio marino, zona dilavata dal mare quand’è agitato, e, sembra, nei tratti della costa meno esposti alle traversie dominanti e più anfrattuosi. Nella seconda parte della nota, consacrata alla descrizione petrografica delle roccie precedenti, queste sono divise in quattro gruppi, e cioè: 1. roccie gneis siche e gneissico-scistose ; 2 roccie scistoso-filladiche (micacee, anfiboliche, clo- ritiche, epidotiche) ; 3. roccie quarzitiche (quarziti micacee, conglomerati quar- zitici, scisti quarzitici); 4. roccie calcaree (calcescisti, calcari compatti e calcari saccaroidi). - BTO — Rispetto all’elemento predominante queste roccie possono dunque dividersi in micacee (che comprendono i primi due gruppi), quarzitiche e calcaree. Le micacee presentano grandi varietà strutturali, dovute specialmente al dina- mismo o alla diversa distribuzione ed alterazione degli stessi materiali costi- tuenti: le forme laminate, filladiche, sono legate alle gneissiche da termini strutturali di passaggio : tutte vanno riunite in una sola formazione, ascritta, come dicemmo, al Permiano. Gli scisti predominano nella regione e sono essenzialmente scisti micacei e cloritici, corrispondenti per età e natura a quelli dei Monti Pisani e di pa- recchie località alpine. Johnston-Lavis H. J. — Sulla inclusione di quarzo nelle lave di Strom- boli,, ecc , e sui cambiamenti da ciò causati nella composizione della lava. (Boll. Soc. geol. ital , XIII, 1). — Roma. L’autore si occupa in questa nota di inclusioni di quarzo nella lava della Punta Petrazza dell’isola di Stromboli ed in quella di Strombolicchio. Le prime arrivano fino alle dimensioni d’un uovo: sono talora estremamente chiare e limpide, tal’altra opache e bianche, ed anche in questo secondo caso con mac- chie di colore ocraceo; quelle di Strombolicchio' sono generalmente in grani più fini. Di entrambe descrive parecchi esemplari, sussidiando la descrizione con riproduzioni micrografiche. Dai loro caratteri egli deduce che il quarzo ha subito una flussione ma non una fusione, almeno nei casi esaminati: e quanto alla sua azione sul magma avvolgente (intendendo per magma una pasta ignea parzialmente cristallizzata ed individualizzata), egli dice che si è estrinsecata col- l’aumentarne la quantità di pirosseno, diminuirne la magnetite ed innalzarne il tenore generale di silice. Johnston-Lavis H. J. — Enclosures of Quartz in Lava of Stromboli , etc., and thè changes in compositori produced by them. (Quart. Journal Geol. Soc., Yol L, part 1). — London. È un breve cenno intorno all’argomento trattato nella nota precedente. Johnston-La\is H. J. — The volcanic phenomena of Vesuvius and its neighbourhood : report of tlie Committee, consisting of Mr. H. Bauer- man, Mr. F. W. Eudler , Mr. J. J. H. Teal and prof. H. J. Johnston- Lavis. (The Geol. Magazine, N. Series, Dee. IV, Yol. I, n li). — London. Sono, sommariamente esposte, alcune osservazioni fatte al Vesuvio nel 1894. Il nuovo cono formatosi nell’Atrio del Cavallo è interamente costituito di lava, nella maggior parte del tipo cordata, e le sue pareti hanno inclinazione fra 13° e 15°. Fra i minerà1! prodotti di sublimazione due specie meritano di es- - 871 - sere segnalate: la tenorile formatasi in piccole quantità in uno spiraglio, e la halite potassica molto abbondante intorno agli orifici, e spesso di un bel bianco niveo. Johnston-Lavis H. J. and Gregory J. W. — Eozoonal structure of thè ejected blocJcs of Monte Somma. (Scientific Trans, of thè R. Dublin Society, S. II, Yol. V, n. 7). — Dublin. La struttura eozomale è estremamente comune nei blocchi di calcare alte- rato del Monte Somma e corrisponde nei più minuti particolari a quella dei più tipici esemplari dell’ Eozoon canadense. Gli autori illustrano alcuni cam- pioni per mostrare tale corrispondenza, donde poi deducono la conferma della natura minerale HeWEozoon e la sua genesi analoga a quella dei blocchi del Somma: per metamorfismo, cioè, di un calcare più o meno magnesiaco per opera d’una roccia ignea: sarebbe, insomma, essi d’cono, una struttura zonata dovuta ad alterazione di contatto accompagnata dall’assorbimento del magma siliceo -ferro-magnesiaco. Ki itl E. — Die Gastropoden der Schichten von St. Cassian der sudai - pinen Trias , III Tlieil: Schluss. (Ann. d. k. k. naturh. Hofmuseums, Bd. IX, H. ,2). - Wien. La terza ed ultima parte del bellissimo lavoro del Kittl sui gasteropodi degli strati di San Cassiano occupa tutto il fascicolo 2° del IX volume degli Annali del Museo di Storia Naturale di Vienna e contiene nove tavole. L’autore esamina qui le specie appai tenenti ai generi Loxonema , Rhahdo- concita, Katosira, Coronaria, Goniogyra , Undularia , Pseudomelania, Coelosty- lina , Spiro dir ysalis , Eustylus) Spirostylus, Orthcsiylus, Hypsipleura , Euchry- salis , Palaeoniso , Telleria, Macro chitina, Microcheilus , Promathildia , Pustularia, Purpuroidea, Siphonophyla, Palaeotriton, Fusus (?), Spirocyclina , Trachaecus, Actaeonina. Importantissime sono le considerazioni fatte sui vari generi, specialmente su quelli della famiglia delle Pseudomelanidae. L’indole della presente biblio- grafia e la ristrettezza dello spazio non permettono qui un riassunto di tutte le osservazioni paleontologiche dell’autore. Il lavoro si chiude con un’appendice di generi e specie, con delle osserva- zioni complementari e con le conchiusioni generali su tutta la fauna studiata. L’autore ha esaminate 396 specie; ma riconosce che quelle di San Cas- siano sorpassano il numero di 400. Alcune altre forme saranno descritte più tardi. Mùnster descrisse 192 specie di San Cassiano e Klipstein 348; Laube le ridusse a 207. L’autore ammette che delle specie descritte da questi autori solo 237 si possono giustificare; egli ne ha descritte 159 come nuove. Le con- chiusioni portano un quadro di tutti i generi esaminati e il numero di specie ammesse per ogni genere, - 372 - La massima parte dei fossili studiati proviene dalle marne degli Stuo- reswiesen • però forniscono altre specie delle località vicine e lontane i cui strati sono la continuazione degli anzidetti, come la signorina Ogilvie e Ro- thpletz dimostrarono con molti particolari. Kittl E. — The triadischen Gastropoden der Marmolata und verwand- ter Fundstellen in den weissen Fiffkalken Sudtirols. (Jahrb. d. k. k. geol. Reichs., Bd. 44, H. 1). — Wien. L’autore, compito lo studio dei gasteropodi di San Cassiano, crede neces- sario di estendere il suo esame a tutti i gasteropodi del Trias alpino ; avrebbe aggiunto volentieri la revisione dei gasteropodi di Esino a quello studio, se non avesse incontrato invincibili impedimenti a interpetrare le specie dello Stop- pani. Ter effettuare la revisione dei gasteropodi di Esino crede pertanto utile di esaminare prima quelli del calcare della Marmolata, la cui fauna non gli sembra punto contemporanea con quella di Esino. Trova bensì che quella della Marmolata è contemporanea con l’altra del Latemar raccolta da Richthofen. Esposti alcuni dati storici sulla fauna in esame egli ne studia prima i ce- falopodi per trarne delle conseguenze sulla sua età. Mojsisovics e Salomon ri- ferirono il calcare della Marmolata propriamente detto agli strati di Wengen, ma l’uno accennò ai rapporti col piano di Buchenstein, mentre Salomon distinse anche nella Marmolata questo piano. L’autore nota che la fauna di cefalopodi del calcare della Marmolata ha otto specie proprie e che mostra il Trachyceras Reitzi. Dalla presenza di questa specie trae che essa accenna chiaramente al piano di Buchenstein, e questo non gli sembra in contraddizione con i dati stra- tigrafici esposti da Mojsisovics e Salomon, perchè li crede fondati su soli ca- ratteri petrografici. Esamina quindi 117 specie di gasteropodi appartenenti ai generi Patella, Scurria , Worthenia, Pleur otomaria, Stuorella, Coelocentrus, Euomphalus, Eu - nemopsis,^ Scalaria, Trachynerita , Protonerita , Chryptonerita , Nerilopsis, Del phinulopsis , Naticopsis , Marmolatella , Naticella, Prostylifer, Turritella, Lato- nema, Undularia , Coelostylina, Pseudomelanìa , Ehabdoconcha, Euchrysalis, Eustylus, Spirostylus, Orthostylus , Hypsipleura, Coronaria , Macrochilìna , 1 el- leria, Romathildio, Purpuroidea , Angularia. Fra questi i generi Trachyne- rita, Protonerita , Cryptonerita e i sottogeneri Fedaiella e Marmolatella sono nuovi. L’autore nota che tutte le 17 specie del Latemar sono alla Marmolata, il che parla in favore della contemporaneità del calcale del Latemar e di quello della Marmolata. Se il calcare di Esino appartiene agli strati di Wengen, non vi appartiene certamente quello della Marmolata. Nonostante che il calcare in esame abbia molte specie comuni con gli strati di San Cassiano, l’autore non ammette che i due sedimenti stiano accanto per età. Egli fa rilevare la pre- senza di forme del Muschelkalk superiore tedesco nel calcare della Marmolafca — 373 — e la sostituzione di forme di Esino e di San Cassiano con altre vicine, ma dif- ferenti. Da quanto abbiamo esposto l’autore trae cbe la fauna della Marmolata sta tra gli strati di Wengen e di San Cassiano e il Muschelkalk superiore. Ritiene però cbe il calcare della Marmolata e gli strati di Buchenst.-in formino una unità faunistica, distinta da una serie di generi e di specie caratteristici. La monografìa porta sei tavole e varie figure nel testo. Labat. — Le Vésuve et les sources thermo-minérales. (0. R. des sóances de la Soo. géol. de Franco, n. 10, 7 mai 1894). — Paris. È una breve comunicazione fatta evidentemente, benché non sia detto, in seguito ad una recente visita al Vesuvio e dintorni. Dopo accennato allo stato del vulcano, l’autore dice che tutto il contorno del golfo di Napoli presenta dei bacini crateriformi. L’attività vulcanica si ma- nifesta con emanazioni gassose e sorgenti termo-minerali in parte utilizzate. Ciò che distingue le acque minerali del golfo è, non solo la loro abbondanza e la loro temperatura, ma anche la loro mineralizzazione molto complessa: esse sono ad un tempo alcaline, clorurate, solfatate, solforose e ferruginose ; conten- gono, cioè, quasi tutti gli elementi delle varie classi di acque. A Castellammare, da una stessa roccia calcarea sgorgano, a pochi metri di distanza, parecchie sorgenti di tipi diversi. Questo carattere di acque miste molto complesse, essendo abbastanza par- ticolare alle emanazioni termo-minerali del golfo di Napoli ed altri punti d’Italia in cui il vulcanismo non è antico, Fautore si domanda se non v’è un rapporto fra queste sorgenti ed i terreni vulcanici. Lanzi M. - Le diatomJfe fossili del Quirinale. (Atti Acc. Pont, dei Nuovi Lincei, anno XLVII, sess. Y-VII). — Roma. E lo studio delle diatomee esistenti in alcuni campioni di argilla sabbiosa raccolti dall’ing. Clerici negli scavi fatti in via Nazionale, alle falde del Qui- rinale, per le fondazioni del palazzo della Banca Nazionale, e dal medesimo de- scritti in un suo articolo inserito nel Bollettino del R. Comitato geologico pel 1836. In essi l’autore riscontrò abbondanti tutte le specie di Epitliemia , cui succedono per quantità le Navieula, le Rhoisphenia, le Synedra, le Pleuro- sijima; meno frequenti o rare sono le Eunotìa, le Diatoma, le Sarirella, ecc. ecc. Sono in tutto 76 specie viventi esclusivamente in acque dolci, o che si adat- tano a vivere tanto nelle dolci, quanto nelle salmastre ; nessuna di esse è esclu- siva delle acque marine. Da ciò si conchiude che quel sedimento, che incomincia a circa 22 metri sul livello attuale del mare e riposa su altro sedimento argil- loso certamente marino, si è formato senza alcun dubbio entro acque dolci o leggermente salmastre» 8* 374 - La Valle G. — - Sulle roccie incontrate nei trafori della linea ferroviaria Patti-Brolo in Provincia di Messina. (Atti Acc. Gioenia, S. IV, Voi. VII). — Catania. L’autore riunisce in questa nota le osservazioni da lui fatte intorno alle roccie incontrate in varie gallerie in costruzione fra Patti e Capo Sellino presso Giojosa Marea della ferrovia Messina -Palermo: l’ultima sua visita fu alla fine del luglio 1892. La galleria detta di Punta Fetenti, in ragione delle emanazioni solfìdriche sviluppantisi dalla roccia in taluni punti, nei primi 50 metri dall’imbocco verso Messina attraversò pegmatiti più o meno compatte e scistose, mentre per 115 metri dall’ imbocco opposto fu aperta in scisti micacei lucenti molto ferrugi- nosi, incoerenti. Succede, progredendo verso Palermo, la galleria di Calava, la quale è for- mata realmente di due tratti separati da un burrone largo 15 metri. Il primo tratto è aperto nello Scoglio Nero, che ai due imbocchi si mostrò costituito da filladi, sulle quali all’est?rno sta un calcare schistoide bruno, compatto, simile a quello della formazione di All. Il secondo tratto di galleria è aperto nel Capo Calavà, che risultò costituito in massima parte da aplite e pegmatite, su cui poggiano ad oriente scisti micacei scuri e quindi talcoscisti chiari. L’ultima galleria esaminata è quella di Capo Schino ; per 247 metri dal- l’ imbocco verso Messina si traversarono scisti micacei a struttura varia con bloc- chi quarz itici : nel tratto verso Palermo, separato dal precedente da 250 metri, non ancora perforati, si ebbero filladi varie traversate da micascisti, e conte- nenti blocchi calcari con secrezioni quarzose e qualche filone di quarzo cristal- lino. Abbonila in queste roccie la pirite, raramente in cristalli netti. Lotti B. — Die Kupfererzlagerstdtten der Serpentingesteine Toscanas und deren Bildung durch Differentiationspr ocesse in basischen Eruptiv- magmen. (Zeit. fiir prakt. Geo]., Jahrg. 1894, H. 1). — Berlin. E l’applicazione della teoria sostenuta dal Vogt, sulla formazione dei de- positi metalliferi nelle roccie basiche per processo di differenziazione, alla genesi dei giacimenti cupriferi nelle roccie serpentinose della Toscana e della Liguria. Secondo questa teoria la concentrazione del minerale in masse globulari, che potevasi credere dovuta ad azioni posteriori di alterazione della roccia eruttiva che lo contiene, sarebbe da riferirsi ad un processo originario di con- centrazione degli elementi del magma prima del suo consolidamento. Lotti B. — Sulle apofisi della massa granitica del Monte Capanne nelle roccie sedimentarie eoceniche presso Fetov aia, nell’ isola d’Elba. (Boll. Com. geol., XXV, I). — Roma. Con questo breve scritto, corredato di sezioni e di una carta geologica del - 375 - promontorio di Fetovaia, l’autore dimostra che il granito della massa del Monte Capanne, della età del quale è stato tanto discusso, manda delle apofisi in roccie sedimentarie decisamente eoceniche, solo in parte alquanto alterate, e racchiudenti strati di calcare nummulitico. Lotti B. — Rilevamento geologico eseguito in Toscana nelVanno 1893. (Boll. Com. geol., XXV, 2). — Roma. In questa relazione sono descritte le tavolette alla scala di 1/50,000 di Radicondoli, S. Casciano Val di Pesa, Radicofani, Prato in Toscana, Greve, Montepulciano e Borgo S. Lorenzo, e quelle alla scala di 1/25,000 di Cutigliano e Lizzano in Belvedere, nell’Appennino tosco-emiliano. Il terreno più antico che affiora nell’area studiata è il Permiano della Montagnola Senese, formato, come tutto il resto della Catena metallifera, da arenarie quarzitiche, scisti arenacei e puddinghe quarzose (Verrucano). Seguono i diversi piani del Trias, in generale dolomitici, quindi il Lias inferiore (calcare bianco e rosso) ed il superiore (scisti e diaspri). Da questi terreni antichi, fatta eccezione per qualche piccolo lembo di Titonico e di Senoniano, si passa diret- tamente all’ Eocene, estesissimo in tutta la regione e caratterizzato dalla pre- senza di roccie ofiolitiche, cui seguono i vari piani del Miocene, del Pliocene e del Quaternario, esaminati con molto dettaglio dall’autore. Lovisato D. — Sulla Senarmontite di Nieddoris, in Sardegna) e sui mi- nerali che V accompagnano in quella miniera. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, III, 2, 1° sem.). — Roma A Nieddoris (Iglesias) si coltivarono anni addietro filoni con minerali di nichelio e cobalto. Il minerale predominante è conosciuto come nichelina, ma per il prof. Lovisato, che visitò la località (non però i lavori perchè non pra- ticabili), e raccolse, campioni nelle scariche e in qualche gruppo di minerale, el altri ne acquistò od ebbe in dono, questa specie è la meno abbondante. Il minerale, dice l’autore, è un miscuglio di molte specie, fra le quali ha ricono- sciuto, anche con qualche analisi, e col grado di certezza consentito dall’essere solo eccezionalmente cristallizzati, le seguenti : arite, breithauptite, ullmannite, gersdorffìte, smaltina, millerite, pirite, calcopirite, blenda, galena, mispickel, quarzo e siderite. Oltre a queste, ha riconosciuto la valentinite, già nota per altri giacimenti sardi, e la senarmontite, nuova per l’Italia ed oggetto princi- pale della nota in esame. Tutti questi minerali sono in matrice generalmente di quarzo e talora di ferro carbonato : l’autore non ha trovato i minerali d’argento, da altri indicati, come contenuti però in matrice di fluorina, da lui solo ecce- zionalmente riscontrata. La senarmontite è rarissima, in aggruppamenti di cristallini ottaedrici re- golari, fra il trasparente ed il translucido, incolori o lievemente bianchicci; oppure in cristallini ottaedrici perfetti isolati; sempre in matrice di quarzo, — 376 - Lovisato D. — II Devoniano nel Gerrei {Sardegna). (Rend. R. Aco. dei Lincei, S. V, III, 3, 1° sera.). — - Roma. L’autore ha scoperto nell’ottobre 1893 il Devoniano superiore nel Gerrei, regione a Nord del Sarrabus in Sardegna. Alla miniera di Su Snergiu si ha dal basso all’alto: scisti micacei compat- tissimi dell’Huroniano ; scisti grafitici, racchiudenti il minerale d’antimonio; scisti constratificati a calcari bluastri, ricchi di vene di calcite bianca, che fini- scono in alto con calcari quasi lamellari. In questi ultimi calcari l’autore ha trovato cefalopodi in generale deformati, dei generi Clymenia e Goniatites, caratteristici del Devoniano superiore. Al prof. Bornemann, che ebbe in esame il materiale, pare sicuro il Gonia- tites linearis Mùnster, specie caratteristica delle assise superiori del Devoniano del Belgio, provincie renane, Hartz, Sassonia, Slesia. Sottostanti agli indicati calcari bleu con vene di calcite, si ha in varie lo- calità prossime un’alternanza di scisti argillosi e calcari scuri, durissimi, pieni di Ortoceratiti e Crinoidi : questi ultimi, non ancora studiati, paiono poter in- dicare il Devoniano inferiore. L’autore indica pure altri ritrovamenti di fossili, senza per altro intratte- nervisi sopra. Lovisato D. — Avanzi di Squilla nel Miocene medio di Sardegna. (Rend. R. Aco. dei Lincei, S. V, III, 4, 1° sem.). — Roma. La formazione delle marne argillose del Miocene medio di Fangario, presso Cagliari, ricca di fossili già in parte studiati ed illustrati, offrì ultimamente al prof. Lovisato dei resti di una Squilla , che nella presente nota brevemente descrive sotto il nome di Squilla miocenica Lovisato. Nessuna specie di squilla, osserva egli, era ancor nota nel Miocene o nel Pliocene. Lupi A. — Nota preliminare sopra una nuova caverna della Liguria. (Atti Soc. lig. Se. nat. e geogr., Y, 1). — Genova. L’autore dà alcune notizie intorno ad una piccola caverna esistente in con- glomerati ed arenarie del Pliocene superiore a fianco della strada della Cornice nel Colle dei Castelletti, presso San Remo. Nella parte anteriore la caverna è un santuario, antico di più secoli, e ad esso deve il nome di Grotta della Ma- donna. Nella parte non ridotta a santuario, l’autore ha trovato scarsi manufatti mal conservati e numerose ossa frantumate e quasi tutte in pessimo stato di con- servazione. Queste mostrano aver appartenuto a qualche grosso cervo e forse anche al genere Bos, - 377 - Matteucci R. V. — Le roccie porfiriche dell’isola d’Elba: Porfido granitico. (Atti Soc. toscana Se. nat., Memorie, XIV). — Pisa. L’autore ha fatto una visita di alcuni giorni alla parte mediana del- l’isola d’Elba; studiò in seguito il materiale di roccie cristalline raccolte nel laboratorio del prof. Rosenbusch ad Heidelberg, e la presente nota contiene i risultati di tale studio. Egli si occupa dunque del porfido quarzifero di vari autori, fra cui il Lotti, trachite quarzifera di altri, e porfido granitico (granita porphyr di Rosenbusch) per lui: roccia associata alla formazione eocenica, con sorprendente regolarità di alternanza e concordanza con gli strati di questa; tanto che, com’egli dice, sembra spesso si tratti di strati eterogenei di un me- desimo terreno. Tale concordanza, che si osserva quasi ovunque, parla chia- ramente contro l’idea di veri filoni ed in favore di penetrazioni od apofisi: la roccia, che ha facies profonda spiccatissima, deve aver penetrato la formazione eocenica sotto un’alta pressione, dovuta a potente massa d’acqua sovraincom- bente o a formazioni sedimentari ora abrase, e che spiega come il magma sia stato costretto ad espandersi fra gli strati anziché traversarli. Certo inferior- mente all’Eocene si debbono avere dicchi e filoni, come se ne hanno del resto anche nell’E cene, a Capo Fonza, per esempio. Riguardo all’epoca in cui ebbe luogo la penetrazione del porfido quarzifero nelle stratificazioni eoceniche man- cano elementi per fissarla altrimenti che col dire che può andare dall’Eocene superiore in poi: l’analisi petrografica indurrebbe, da sola, a stabilire un’età molto più antica. Nelle considerazioni generali che precedono la descrizione petrografia del porfido granitico, l’autore dice ancora che fra le roccie granitiche dell’ Elba non gli pare esista una serie, e tanto meno una serie continua come spesso si ritenne: esse, in base alla giacitura ed alla struttura, fanno parte di tre cate- gorie ben distinte fra loro, e cioè granito abissale di Monte Capanne, porfido granitico del centro e aplite porfirica filoniana superficiale pure del centro dei- fi isola: la costituzione minerale e la composizione chimica di questi tre tipi favoriscono l’idea dell’origine da un magma unico. I costituenti primari del porfido granitico sono: il quarzo, i felspati (es- senzialmente ortoclase) e la biotite, essenziali; e cordierite, apatite, zircone, accessorii. I prodotti di alterazione sono : clorito, pirite, muscovite, sericite, ru- tilo, eco.; e finalmente si ha la tormalina, quale minerale neogenico. L’autore accenna pure all’esistenza di una breccia endogena , dipendente dalla fratturazione del porfido granitico o successiva cementazione dei fram- menti entro fessure del porfido stesso per opera di acque silicee. Matteucci R. V. — Due parole su fattuale dinamica del Vesuvio. (Boll, mens. Osservat. centr. di Moncalieri, S. II, Voi. XIV, 1). — Torino. L’autore dà alcune notizie intorno allo stato del Vesuvio nei mesi di ofc- — 878 — tobre e novembre 1893. Accenna alla differenza cbe riguardo alla temperatura della lava si ha fra la eruzione cominciata nel giugno del 1891 e quella del 1872 per altri riguardi analoghe. Mentre la lava del 1872 era assai calda ed assai fluida e potè quindi scorrere con veemenza e riversarsi su vasta regione, l’altra era assai meno calda e meno scorrevole e quindi più presto si arrestava nel suo cammino, e dopo la prima metà dell’agosto 1891 raramente si allon- tanò molto dalle aperture d’emissione. La cupola lavica massiccia formatasi tra il cono vesuviano e il Monte Somma, e dalla quale sgorgava la lava, aveva, all’epoca cui si riferisce la nota, il vertice a 180 metri sul livello dell’Atrio del Cavallo: la galleria che portava a questa la lava sboccava sul fondo del cono vesuviano in forma di ampia caverna, ad un’altezza di 70 metri circa superiore a quella del ver- tice dell’ indicato cono lavico. È degno di nota il fatto che, pur continuando abbondante l’efflusso della lava, il cratere vesuviano aveva talora manifestazioni stromboliane abbastanza energiche. Matteucci R. V. — La fine delV eruzione vesuviana (1891-94). (Boll. mens. Osservatorio cent, di Moncalieri, S. II, Yol. XIV, 4). — Torino. Fino a tutto il mese di gennaio 1893 il dinamismo al Vesuvio era rap- presentato da due manifestazioni distinte, quantunque intimamente fra loro legate: al cratere terminale, incessante attività stromboliana, interrotta solo da calme solfatariche di breve durata e da momenti di rilevante energia: nel- l’Atrio del Cavallo, sgorgo continuo di lava e formazione di coni-fumarole ab- bastanza attivi. Nel gennaio l’efflusso lavico andò man mano diminuendo, ed il 4 febbraio l’intera colata era ferma. L’autore visitò il vulcano nella metà del febbraio, e descrive lo stato in cui lo trovò. Il dinamismo al cratere era alquanto aumentato, mentre era già cominciata l’operazione del riempimento. Da coni-fumarole molto bassi, nella regione centrale della colata, formati da lava a corda ricoperta da cloruri e solfati giallastri e bianchi, usciva anidride solforosa secca, ad elevatissima tem- peratura : quivi pure, da numerosi crepacci si aveva, insieme ad elevata tempe- ratura, abbondante deposizione di cloruro di sodio, e scarsa di cloruro ferrico, insieme a scarsi solfati e acido solforico. Le pareti delle fumarole e dei crepacci più attivi, dove più alta era la temperatura, erano rivestiti da esilissimi cristalli e splendenti e leggiere laminucce di tenorile. Anche l’ematite fìnissimamente micacea e di color rosso-rame, abbondante, incrostava anfrattuosità e bollosità delle scorie. Matteucci R. Y. — Bibliografia scientifica delle provincie di Ancona) Pesar o-Urbino e limitrofe: geologia e scienze affini. — Napoli, 1894. È la lista di oltre 400 lavori di geologia q scienze affini riguardanti le - 579 - proyincie di Ancona, Pesaro-Urbino e limitrofe, disposti secondo l’ordine alfa- betico del nome degli autori. Mattirolo E. — Sui lavori eseguiti durante la campagna geologica del 1893 nelle Alpi Occidentali . (Boll. Com. geol., XXV, 3). — Roma. È un breve cenno dei fatti più importanti osservati durante il rilevamento geologico compiuto dall’autore durante il 1893, sopratutto nelle tavolette di Cesana, Oulx e Bardonecchia. Risultò fra l’altro l’esistenza di lembi triasici di calcari, talora con gessi e carniole, e di quarziti, isolati ed abbastanza lon- tani dalla grande massa principale triasica, e talora ridotti all’apparenza di sottili interstratifìcazioni nelle roccie antiche, del;e quali infatti erano rite- nuti coetanei. Tali lembi disegnano invece direzioni di ripiegamento e costi- tuiscono perciò utile guida nel districare la complicata tettonica della regione. L’autore trovò nella massa del Chaberton un banco assai fossilifero, in cui rinvenne un individuo mal conservato di Retzia che lo caratterizza come triasico. Le ftaniti del Monte Cruzeau a S.E di Cesana, anziché arcaiche come si ritennero, sono dall’autore collocate fra le roccie considerate permiane. Nei calcescisti arcaici è molto diffusa l’onkosina ed in qualche punto tro- vasi pure il glaucofane, minerale abbondante nei micascisti, gneiss minuti e roccie anfiboliche dell’Arcaico delle Alpi Occidentali. Mazzetti G. — Echinidi fossili del Vicentino o nuovi o poco noti. (Mem. Pont. Acc. dei Muovi Lincei, Yol. X). — Roma. L’autore figura e descrive in questa nota : Hypsospatangus carenatus, Hy. Peroni , Schizaster rana , Linthia nobilis , Echinolampas galerus , Brissospatangus Palejensis ; tutte specie del Vicentino nuove, od almeno, egli dice, tali per lui, epperciò nel titolo le indica come nuove o come poco note. Descrive pure e figura lo Spatangus purpureus Muli, del Veronese. Gli esemplari appartengono al museo di Pisa, meno il Brissospatangus Palejensis , che è in quello di Modena. Meli R. — Sopra la natura geologica dei terreni rinvenuti nella fon- dazione del sifone che passa sotto il nuovo canale diversivo per de- positare le torbide delV Amaseno sulla bassa campagna a destra del canale Portatore nelle paludi. (Boll. Soc. geol. ital., XIII, 1). — Roma. Premesse alcune osservazioni sui monti di Terracina, sul Circeo, sulla Grotta delle Capre, sul Lago di Paola e sul bacino pontino, che egli crede dovuto ad uno sprofondamento, l’autore parla del nuovo canale diversivo che si sta scavando per impedire che le acque dell’Amaseno, torbide in piena si mescolino con le acque chiare della Linea Pia scaricando queste nel fiume delle Volte. Nello scavo di detto canale, sotto un metro di terreno vegetale, si incon- trò uno strato di torba con molluschi di acqua dolce (potenza 0,m 60), quindi marna tenace con fossili dimostranti la preesistenza di un bacino di acqua salmastra analogo all’attuale Lago di Paola, ridotto successivamente in stagno con formazione della torba predetta. Nel fondare il sifone che passa sotto il nuovo canale diversivo si incontrò la seguente sezione: terreno vegetale (lm); torba (0,m 50); marna con molluschi d’acqua dolce (0,m 60); marna salmastra (l,m 20); sabbia marnosa grigia ricchissima di fossili (l,m 70) assolutamente marini. Tale sezione dice chiaramente che in quel punto, ora distante 3 km. dalla spiaggia, si ebbe dapprima un seno di mare, trasformato poi in bacino salmastro, quindi in stagno con formazione di torba: il che dimostra una volta ancora che il mare dimorò già nel territorio pontino e che il Circeo in altri tempi fu una isola in aperto mare, d’accordo con le descrizioni datene dagli antichi. Meli R. — Zanna elefantina rinvenuta nelle ghiaie d'alluvione della valle delVAniene. (Boll. Soc. geol. ital., XIII, 1). — Roma. È una breve comunicazione verbale fatta alla Società geologica, nella sua riunione in Roma il 1° aprile 1894, nella quale l’autore, parlando di una zanna elefantina a doppia curvatura rinvenuta a 3 chil. da Roma durante la costru- zione della Batteria Nomentana, non la attribuisce all’ E. antiquus Falc., che è certamente il più abbondante degli elefanti fossili dei dintorni di Roma, ma bensì all’ E. meridionalis Nesti o all’ E. prìmigenìus Blum., che pure si rin- vengono nella stessa 'regione, ma più raramente, propendendo per la prima di dette specie. Monterosato (March, di). — Conchiglie terrestri viventi e fossili di Monte Pellegrino. (Naturalista siciliano, Anno XIII, n. 9). — Pa- lermo. Insieme alla specie di molluschi viventi sul Monte Pellegrino (Palermo), l’autore ne enumera alcune di fossili terrestri le quali, benché raramente, sono mischiate a quelle marine nel tufo del classico deposito delle pendici del monte. Le specie fossili sono le seguenti: Helix {Er della) Mazzullii Jan, H. [Ere' ella) Costae Ben., H. ( Transiberus ) sphaeroidea Ph., H. ( Corucola ) Doderleiniana Monts., Cy clost orna ( Pomonia ) peregrinum Monts. Monti R. — Studi petrografici sopra alcune rocce della Valle Cano- nica. (G-iorn. di Min., Crist. e Petrogr., V, 12). — Milano. L’autrice espone in questa memoria l’esame petrografìe© di alcune roccie raccolte dal prof. Sansoni e dall’ing. Cozzaglio nella Valle Camonica fra Esine - 381 - e Malonno, di parte delle quali pubblicò già lo scorso anno un cenno prelimi- nare (v. Bibl. 1893). Il maggior numero dei campioni studiati è di porfiriti dioritiche ; altri sono di servino, di anfìboliti, di una brecciola porfirica e di arenaria. Tre tavole di microfotografìe corredano la memoria ad illustrazione della struttura di talune roccie e della presenza e distribuzione di peculiari mi- nerali. Nasini R. e Anderlini F. — Analisi chimica dell1 acqua termale della sorgente del Monte lrone in Abano. (Gazz. chim. it., Anno XXIV, fase. 4). — Roma. La sorgente termale di Abano trovasi sopra il piccolo colle detto Monte lrone (Colli Euganei) ed è una polla abbondantissima circondata da altre assai più piccole: tutte sono più o meno ricche di gas; esse hanno temperatura varia, e quella che ha costantemente la temperatura più elevata fu trovata per misure fatte dagli autori a 87°, la temperatura dell’aria essendo da 7° a 8°. La composizione dei gas varia alquanto nelle diverse polle; non così quella dell’acqua. I gas hanno un odore particolare che ricorda quello del petrolio e che il Ragazzini attribuiva appunto nel 1856 all’olio di nafta, che egli riteneva aver determinato, ciò che successive ricerche e quelle degli autori non con- fermarono. Essi analizzarono i gas della polla centrale, e li trovarono costituiti per circa 75 0 0 di azoto, accompagnato da acido carbonico in quantità discreta, ossigeno in piccola quantità, idrogeno solforato (o sostanza che lo dà) in piccola quantità, ed idrocarburi in quantità discreta, quasi totalmente costituiti da metano. Riguardo all’idrogeno solforato per il diverso comportarsi del gas in vari tempi, per i caratteri complessi presentati all’analisi, gli autori opinano si abbia l’ossisolfuro di carbonio che in speciali circostanze potrebbe scomporsi in acido carbonico e idrogeno solforato. Quanto all’acqua analizzata dagli autori, dovrebbe classificarsi fra le saline clorurate, aggiungendovi anche bromo-jodurate-litiose : poiché questi tre corpi vi sono in quantità notevole, ed il litio quanto o poco meno di quello sia in acque classificate come litiose. Su dieci chilogrammi d’acqua gli autori ebbero un residuo fisso a 180° di gr. 58,485, composto in gran parte di cloruri (fra cui gr. 84,0294 di cloruro di sodio) e solfati (gr. 12,6310 di solfato di calcio). Nevi ani A. — Terza contribuzione alla conoscenza dei briozoi fossili italiani. Di alcuni briozoi pliocenici del Rio Landa, illustrati da Ferdinando Bassi nel 1757. (Boll. Soc. geol. it., XII, 4). — Roma. L’autore riporta le diagnosi date nel 1757 da Ferdinando Bassi di alcune specie di Briozoi da lui raccolte nel Pliocene del Rio Landa nel Bolognese: avendo esaminati gli esemplari originali che fan parte della Tabella orycto - grafica sedimenti marini fossilis ex Agro Bononiense , composta dallo stesso - 382 — Bassi ed ora esistente nel Museo di Bologna, il prof. Neviani nè dà alcune notizie e determina come rappresentati le specie seguenti: Merribranipora re- ticulum Linn. sp., Escharoides monilifera M. Edw. sp., Porina borealis Bk. sp , P. columnaris Manz. sp., Cupularia umbellata Defr., C. canariensis Bk., Cel- lepora sp., Ent%lophora proboscidea M. Edw. sp. Nicolis E. — Contribuzione alla conoscenza dei terreni quaternari d.el Veneto occidentale. (Atti R. Istituto veneto, S. VII, T. V, 9). — Venezia. L’autore espone considerazioni ed osservazioni su vari punti del Quater- nario del Veneto occidentale Ricordiamo per esempio l’esistenza di certi mon- ticoli di sabbia, cui nel Veronese si dà il nome di dossi, nel Vicentino quello di motto o motta e nel Padovano quello di dune : sono di forma circolare od ellittica, talora a mezzaluna, frequentemente emergenti da 2 a 10 m. dalla bassa pianura ed a larga base ; sono preesistenti al terrazzamento, e rappresentano, secondo l’autore, il residuo di un apparato più continuo: talvolta non formano rilievo, ma sono sepolti. Anzicbè di dune , come potrebbesi interpretarle, l’autore crede si tratti di depositi formati dai fiumi preterrazziani, forse ulteriormente modificati dal vento o da altro agente. Novarese V. — Fossili triasici nei monti della maremma toscana . (Boll. Soc. geol. ital., XIII, 1). — Roma. L’autore ha trovato a ponente di Casal dei Pari (frazione del Comune di Campagnatico), sopra il Verrucano un ristretto lembo di calcare molto ricco di fossili : steli di crinoidi, radioli e piastre di echinidi, gasteropodi e qualche corallo. TI dottor Di Stefano vi ha potuto riconoscere parecchi esemplari di pic- coli gasteropodi, poco ben conservati, ad eccezione di una piccola Natica affine a specie triasiche, ma che sembra specie nuova ; fra i resti di crinoidi son ben determinabili quelli dell 'Encrinus liliiformis Bronn, accompagnati da altri di varie specie vicine a tipi triasici, per esempio Encrinus silesiacus Beyr., ma non determinabili esattamente: fra gli echinidi è determinabile la Cidaris tran- sversa Mayer. Le due specie determinabili sono entrambe del Musclielkalk, onde può rite- ‘ nersi il calcare in questione come appartenente al Trias medio. Questo fatto porta l’autore ad esprimere la possibilità che una parte dei calcari che accompagnano il calcare cavernoso e soglionsi riunire con questo nel Retico, rappresentino qualche piano più profondo : il che corrobora la sua idea che fosse triasico un complesso di scisti teneri bianchi e grigi, scisti vio- letti e conglomerati a cemento calcareo rosso e bianco, da lui precedentemente osservato fra il calcare Retico e il Verrucano in vari punti delle tavolette di Murlo e di Roccastrada. {Contìnua). PUBBLICAZIONI DEL IL UFFICIO GEOLOGICO (30 settembre 1895) LIBRI Bollettino del R. Comitato geologico; Voi. I a XXV, dal 1870 al 1894. Prezzo di ciascun volume L. 10 Idem di una serie di dieci volumi (sconto 20 p. %) ...» 80 Idem dell’abbonamento annuale in Italia » 8 Idem idem all’Estero » 10 Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze 1872. — Un volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche » 35 Voi. 11, Parte 1 l. Firenze 1878. — Un volume in-4^ di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 Voi. Il, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 Voi. Ili, Parte 1®. Firenze 1876. — Un volume in-4 * di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 Voi. IV, Parte la. Fireoze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole » 8 Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole • » 16 Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica del- l’Isola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. II, Roma 1886. — B. LOTTI: Descrizione geologica del- V Isola d’Elba. — Un volume in-8n di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. Ili, Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. IV, Roma 1888. — G. ZOPPI: Descrizione geologico-mineraria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » 15 Voi. V, Roma 1890. — C. De CASTRO: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. » 8 Voi. VI, Roma 1891. — L. BALDACCI: Osseroazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. SABATINI: Descrizione geologico-petrografìca delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche . » 8 Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI : Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana . — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX, Roma 1895. — E. CORTESE: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Segue CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2a edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 — La stessa montata su tela a stacchi » » 12 — La stessa montata su tela con bastoni »_ » 15 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 Foglio N.262 (Monte Etna). . L. 5 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 266 (Sciacca) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria) . » 3 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 251 (Cefalù) . . . . » 3 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 » 252 (Naso) .... » 4 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 253 (Castroreale) . . » 4 00 » 270 (Catania) . . . » 3 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 271 (Girgenti) . . . » 3 00 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 00 » 272 (Terranova) . . » 4 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 273 (Caltagirone) . . » 5 00 » 258 (Corleone) . . . » 5 00 » 274 (Siracusa) . . 275 (Scoglitti) . . . » 4 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » . » 3 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5 00 » 276 (Modica) . . » 3 00 » 261 (Bronte), . . . » 5 00 » 277 (Noto) . . . . » 3 00 Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) . . » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » » N. IV (annessa ai fogli. 257 e 266). . » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274). . L. 4 00 . » 4 00 . » 4 00 . » 4 00 . » 4 00 Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma 1888 L. 25 — N3. I fogli e la tavola di questa Caì'ta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) . » 143 (Bracciano). . » 144 (Palombara) . 4 00 5 00 5 00 Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 00 » 150 (Roma) . . . » 5 00 » 158 (Cori) . ...» 4 00 Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000 fogli seguenti: 1,44 e 150). — L. 4 00. ne sono pubblicati i Foglio N. 236 (Cosenza) . . . I . 4 » 237 (S. Giovanni inF.) » 5 » 238 (Cotrone) ... » 3 Tavola di sezioni N. 1 annessa a detti fogli Foglio N. 241 (Nicastro) . . . . » ' 242 (Catanzaro) . . . » 243 (Isola Capo Rizzuto) . . L. 4. L. 4 » 4 » 3 Carta geologica dell’Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in fogli con sezioni. — Roma 1884 due L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma 1886 » 5 - Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma 1894 » 3 Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico (Via S. Susanna, 1) ovvero ai principali librai d’Italia e dell’ Estero. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie III. Voi. VI. Anno 1895. Fascicolo 4°. SOMMARIO. Note originali. — I: S. Franchi e V. Novarese, Appunti geologici e petrografie! sui dintorni di Pinerolo. — II : B. Lotti, Strati eocenici fossiliferi presso Barigazzo nell’ Appennino Modenese. — III : P. Moderni, Osservazioni geo- logiche fatte nell’Abruzzo Teramano durante l’anno 1894. — IV : Y. Saba- tini, Sopra alcune roccie delia Colonia Eritrea. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per 1* anno 1894 ( Conti- nuazione e fine, vedi n. 3). Elenco del personale componente il Comitato e 1’ Ufficio geologico. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. » Illustrazioni. — Tav. VI : Carta e sezioni geologiche presso Barigazzo (Appennino Modenese), di B. Lotti, a pag. 444. — Tav. VII : Sezione da Monte Girello al Torrente Vibrata nel Teramano, di P. Moderni, a pag. 458. NOTE ORIGINALI I. Se Franchi e V. Novarese. — Appunti geologici e petro- grafici sui dintorni di Pinerolo . j. Contrafforte fra il OMsoue e il Sangone e sponda sinistra della valle inferiore del Olrisone. Sommario — Diversi gruppi di roccie che costituiscono il contrafforte. — Gneiss del gruppo di Monte Freidour. — Caratteri generali. — Gneiss granitoide. — Id. ghiandone. — Id. lentico- lare. — Id. occhiadinc. — Id. leptinitici. — Leptiniti. — Gruppo delle roccie grafitiche. — Zona grafitica di Giaveno. — Gneiss minuti. — Id. id. granatiferi. — Micascisti. — Id. a cloritoide. — Id. id. granatiferi. — Scisii macchiati. — Grafi tossisti. — Grafite. — Prasiniti biotitiche. — Andamento di detta zona grafitica. — Posizione stratigrafica rispetto al gneiss centrale. — Zona grafìtica delia bassa valle del Chisone. — Gneiss biotitici. — Id. minuti. — Micascisti. — Gneiss minuti grafìtici. — Micascisti grafitici. — Grafìtoscisti. — Scisti macchiati. — Micascisti con ciottoli di quarzo rotolati. — Roccie anfìboliche. — Prasiniti. — Anfìboliti. — Roccie dio- ritiche. — Prasiniti da esse derivate. — Gneiss superiori alla zona grafitica di Giaveno. — Zona delle roccie verdi. — Eclogiti. — Cloritoscisti. — Serpentinoscisti. — Serpentine. — Lherzoliti. — Prasiniti. — Quaternario. — Osservazioni generali. Del contrafforte montuoso che divide la valle del Sangone da quella del Chisone, e che è compreso nella tavoletta di Perosa Argen- - 886 - tina al 50000 ed in quelle al 25000 di Pinasca, San Secondo Pine- rolo, Cumiana e Giaveno, avevo incominciato il rilevamento nel 1888. Lasciato allora incompiuto esso venne ripreso solo nel 1894 ; ed essendo ora pressoché terminato, nelle pagine che seguono indicherò i princi- pali gruppi di roccie che lo costituiscono, darò i caratteri litologici e petrografie! dei principali tipi di roccie che vi sono compresi, accen- nerò ai loro rapporti reciproci e ad alcune interessanti metamorfosi. Di quel contrafforte non è ancora possibile il tracciare compieta- mente la tettonica in relazione col resto del massiccio gneissico di cui fa parte, perchè i rilevamenti di dettaglio ora eseguiti per parte dei colleghi dell’ Ufficio geologico in diverse punti del massiccio stesso portano a modificare alquanto il concetto che ne avevano formulato i geologi precedenti, e per ricostituirne la tettonica generale è pru- dente attendere che il rilevamento sia condotto a termine. Eccettuato il Quaternario, i terreni rappresentati in quelle tavo lette appartengono agli scisti cristallini , e tanto la parte inferiore di esso o formazione dello gneiss centrale *, che la parte superiore, o zona delle pietre verdiì vi sono rappresentate. La distinzione delle due formazioni, che le relazioni dei colleghi Novarese e Stella sul rilevamento dello scorso anno mostrarono ab- bastanza netta nel gruppo del Gran Paradiso in causa di un gruppo di strati aventi caratteri particolari, e che formano come un guscio separante la parte profonda dalla zona superiore, non trova riscontro nelle Api Cozie. Quivi si ha una serie di roccie tipiche e riferibili senza esitazione al gneiss centrale , e d’altra parte ve n’ha un’altra serie certamente della zona delle pietre verdi ; ma v’ha inoltre un complesso di roccie, importante per tipi litologici e per sviluppo, sul quale non si era 1 II progresso del rilevamento ha mostrato come il cosidetto gneiss cen- trale sia più complesso di quanto si credeva; è quindi più che mai necessario di togliere alla dicitura gneiss centrale ogni significato litologico, per attribuirle quello di vera divisione geologica. D’ altra parte la continuità di deposito, senza indizio di un hiatus qualun- que, osservata tra il Permo-carbonifero ed una parte della zona delle pietre verdi nelle valli Grana e Maira, nonché il ritrovamento di fossili entro roccie finora da tutti considerate come appartenenti a detta zona, costringono a ces- sare dall’ includere tutta questa zona nell’ Arcaico. A questo nome si può sosti- tuire quello più oggettivo di scisti cristallini f. rivolto sinora Y attenzione dei geologi, se non nei punti dove è scavata la grafite, e che, mentre stratigrafìcamente e per certi ca- ratteri sembrano doversi porre nella divisione inferiore, per altri ca- ratteri e geologici e petrografìci dovrebbe porsi in quella superiore. Questo complesso di roccie lo comprenderemo sotto il nome di roccie grafitiche , a causa dell’abbondanza di grafite che imprime un carat- tere macroscopico speciale ad una gran parte di esse. In relazione stratigrafica stretta con queste roccie grafìtiche sono estese masse di roccie di apparenza gneissica, di cui una è quella da lungo tempo scavata tra San Germano e Porte nella valle del Ghisone, ed è nota sotto il nome di pietra di Malanaggio. Queste roccie hanno pure ca- ratteri particolari comuni abbastanza costanti, pure variando di com- posizione mineralogica ; noi le raggruppiamo sotto il nome di roccie dioritiche , nome di cui sarà in seguito data la ragione. Delle suddette roccie grafìtiche una zona ristretta accompagnata da micascisti, gneiss minuti e da roccie prasinitiche speciali si nota nel bel mezzo degli gneiss, che, sviluppandosi a guisa di arco, divide in due parti, l’una interna all’arco e stratigrafìcamente più profonda, l’altra esterna e stratigrafìcamente superiore, come avremo campo di dimostrare parlando della tettonica della regione. Così dovremo descrivere successivamente le roccie principali dei gruppi seguenti, intesi per ora come gruppi litologici senza preoccu- parci se siano da riferirsi alla parte inferiore od alla parte superiore della formazione cristallina. Gneiss del grippo del Monte Freidour interni alla zona grafitica. Gruppo delle roccie grafitiche. Roccie dioritiche intercalate nel gruppo precedente. Gneiss superiori alla zona grafitica di Giciveno. Roccie verdi. Gneiss del gruppo del Monte Freidour. In questo gruppo figurano tipi di roccie svariatissimi, dei quali io non descriverò che i principali, e che saranno- sufficienti a mettere in chiaro la grande uniformità di composizione mineralogica ed i molti caratteri strutturali comuni anche in roccie di aspetto macrosco- pico diversissimo. Fin dallo scorso anno avevo richiamata l’attenzione sugli ele- menti di felspato a struttura vermicolare che circondano gli elementi - 388 - di ortosio o di microclino nei gneiss di molte località delle Alpi, e mi domandavo se quel carattere microscopico non si potesse ritenere come caratteristico. Non è ancora giunto il tempo di rispondere a tale quesito; però osservo che tale struttura venne rinvenuta entro a gneiss anfibolici di Val Masino (Valtellina) dal Melzi, nel gneiss gra- nitoide di Pontemaglio dall' ing. S. Traverso ( Geologia dell' Ossola ì pag. 64, Genova, 1895) e che nei pressi di Venasca il collega Stella la scoprì entro ai tipi granitoidi di quella zona gneissica. Nelle roccie di questo gruppo la struttura vermicolare si trova in tutte le varietà dal tipico gneiss ghiandone ai gneiss leptinitici tegulari i più minuti ; e quello che più importa è la costanza e l’ identità dei rap- porti fra l’ortosio od il microclino e gli elementi di plagioclasio vermico- lati che lo circondano in tutti quei tipi di gneiss. In qualcuno dei gneiss ghiandoni è poi notevole il fatto che la struttura vermicolare si os- serva in quasi tutti gli elementi di oligoclasio che formano la massa granulare della roccia, insieme all’albite ed al quarzo. I nuovi metodi di determinazione che arricchirono ultimamente di molto i nostri mezzi di indagine sulla natura dei felspati delle roccie, ci permisero di meglio precisare^ ]a composizione minera- logica dei gneiss, pei quali il metodo dell’estinzione simmetrica di Michel-Lévy, prezioso per lo studio di certi gruppi di roccie, non poteva applicarsi con frutto a causa dell’esiguo numero di elementi in condizioni propizie che si possono trovare in un preparato micro- scopico. II metodo di Becke d’una praticità indiscutibile, i diagrammi di Michel-Lévy, che ci rendono famigliari problemi di ottica mineralo- gica molto complessi, e il metodo di Fouqué che ci dà con una cifra il nome del felspato sono tali potenti mezzi di indagine che lo studio dei felspati degli gneiss, i più indeterminabili per l’assenza di con- torni e sovente anche di -geminazioni, si può ora dire possibile. Quan- tunque la necessità di vedere tutto l’abbondante e svariato materiale raccolto in regioni e formazioni diverse mi abbia impedito di dedi- care il tempo che sarebbe occorso allo studio dei gneiss raccolti nel rilevamento, tuttavia da esso risultarono due altri caratteri importanti comuni ai gneiss di questo gruppo, cioè: che gli elementi vermico- lati sono sempre di oligoclasio (determinato col metodo di Becke) e che è sempre presente, ed è soventi elemento abbastanza importante Yalbite (determinata col metodo di Fouqué). Questa è quasi sempre geminata semplicemente, ed ha per carat- - 389 - teri quasi costanti la limpidezza e la perfezione dell7 orientamento ottico, la finezza e perfezione dei clivaggi, quando esistono. La più forte bi- rifrangenza rispetto agli altri felspati, la rifrangenza relativa osser- vabile col metodo di Becke sono altri caratteri che servono di guida nella ricerca degli elementi cui applicare il metodo di Fouqué. I ge- minati sono nella maggior parte dei casi di due soli individui, in qual- cuno dei quali si aggiunge qualche striatura sottile. Ecco i principali tipi di gneiss di questo primo gruppo : Gneiss geanitoide. — E un gneiss in grossi banchi a stratifica- zione imperfetta. In campione si osserva ancora una scistosità imper- fetta messa in evidenza dalle miche sul fondo bianco saccaroide. Man- cano in generale i felspati porfirici. A. M. — Zircone e rutilo ; biotite e muscovite poco abbondanti. Or- tose in elementi di 4-6 mm. circondati da elementi di oligoclasio non striato con tendenza all’automorfismo. Di questo felspato tanto questi che gli elementi inclusi nell’ortosio sono vermicolati. L7 oligoclasio forma poi col quarzo e coll ’albite, determinata col metodo Fouqué, la massa minuta della roccia, con struttura ad incastro 1 od a mosaico. Sono inoltre frequenti lenti a mosaico esclusivamente quarzose. Elementi secondari epidoto , orthite, clorite. Nella regione questo gneiss si trova esclusivamente in un affio- ramento lenticolare tagliato dal Chisone tra Cham belli er e Meano (ta- voletta di Perosa Argentina) compresa tra due zone di scisti grafìtici, sotto i quali si immerge nel vallone di Borsetto alla destra, e presso Chambellier, Bertolotti, i punti quotati 1837, 1815, 1634 m. ecc. a si- nistra del Chisone. Verso Est la lente di gneiss, sempre chiusa fra due zone di roccie micascistose più o meno grafitiche, per Costa Baissa e la costa Monte Cucetto- Punta della Merla, passando a forma di gneiss ghiandone ed occhiadino si collega lenticolarmente cogli gneiss di Monte Cristetto e di Monte Muretto (tav. di Pinasca). Il gneiss granitoide non deve perciò considerarsi che come una facies locale delle roccie che descri- veremo in seguito. Detta striscia di gneiss era considerata dallo Zac- 1 Indico con tal nome, collo Stella, la struttura che si ha quando gli ele- menti di quarzo o di felspato che formano una massa si compenetrano mutua- mente secondo linee sinuose in sezione sottile, dimodoché gli elementi sono fra loro allacciati e non si separerebbero se anche venisse a mancare la coesione. - 890 — cagna come risultante dal restringimento in anticlinale della parte profonda degli gneiss die affiorano più largamente nell’estremità del- l’elissoide attorno al Monte Freidour. Vedremo in seguito che il con- cetto semplice dello Zaccagna non è confermato che in parte dallo studio di dettaglio. Gneiss Ghiandone. — E uno gneiss a grandi noduli, occhi, lenti o mandorle di elementi chiari nei quali domina soventi un grosso geminato di felspato potassico, e attorno ai quali si inflettono lenti quar- zose allungate distinguibili macroscopicamente, zonarelle a elementi minuti, bigie, ricche in elementi micacei, ed i letti di biotite più o. meno marcati, più o meno continui. Vi si trovano le due miche, quan- tunque la biotite sia in generale prevalente. A. M. — Apatite, zircone , biotite , musco vite. — L’ ortosio od il mi- cco clino in elementi più o meno semplici sono circondati da elementi di oligoclasio a struttura vermicolare , i quali si protendono a guisa di piccoli delta nella loro massa ; talvolta vi sono inclusi. L’ ortosio ed il microclino sono soventi fratturati, e allora si sviluppano nelle fratture piccoli ele- menti di felspati meno rifrangenti, geminati semplicemente (albite ?). La struttura vermicolare oltre che negli elementi che attorniano gli ortoclasi, come suole accadere negli altri gneiss e nei graniti, in questo tipo di gneiss la si nota in quasi tutti gli elementi di oligoclase che formano la massa granulare della roccia, e vi assume delle eleganti forme ramificate , palmate o radiate. Particolarmente interessanti da questo punto di vista sono i gneiss ghiandoni tipici dei pressi di Cumiana e di Costa, sul contrafforte di Monte Freidour (tav. Cumiana), di Comba Rocceria (tav. Pinasca), delle falde di Monte Turo nel vallone di Rio Taonera (tav. Coazze). L’ albite freschissima, tersa, ad orientamento ottico ed estinzione perfetti, geminata semplicemente, è presente in questi gneiss, in piccoli elementi (1 min.) tra Toligoclasio vermicolato, e talvolta è anche relati- vamente abbondante h Include soventi elementi freschi di mica bianca e di epidoto. 1 La relativa freschezza dell’albite, e l’essere quasi sempre intimamente associata con qualche epidoto, potrebbero indurre a ritenerla di origine secon- daria; però nessun fatto positivo autorizza ad estendere per le roccie acide il fatto che sembra generale per le roccie basiche delle Alpi Occidentali, della trasformazione dei plagioclasi in albite con perdita di calce che concorra alla formazione di epidoti. Frequenti sono i casi di gneiss albitiferi, e fra gli au- Il quarzo è in generale concentrato in lenti di elementi e suture complesse, grosse alcuni millimetri, lunghe alcuni centimetri visibili macroscopicamente; è pure sparso scarsamente tra il felspato. Epi- doto, ortkite, clorite. Questo tipo di gneiss,- il più bello della regione, e più prossimo agli gneiss omonimi delle Alpi Marittime e del Gran Paradiso, quan- tunque più sviluppato nella parte presumibilmente più profonda degli gneiss di cui parliamo, si trova pure in zone e in lenti fra roccie di altri tipi, nella parte più alta di essi, cioè a contatto colla zona degli scisti grafìtici che stanno loro sopra, come per esempio nei pressi di Porta presso Cumiana. Costituiscono una varietà di quelli ora descritti certi gneiss che si incontrano nel gruppo del Monte Freidour, nella cui sezione tra- sversale alla scistosità oltre alle lenti od occhi felspato-quarzose, alle lenti allungate di quarzo ed a letti micacei, si notano striscie irrego- lari, bigie, a minuti elementi che hanno l’apparenza di ciottoli etero- genei inclusi laminati. Localmente queste parti bigie si sviluppano a forma di lenti che raggiungono 1 decimetro di spessore su due o tre di larghezza. A di- stanza il loro contorno ellittico dà loro l’ apparenza di ciottoli inclusi nel gneiss ; ma osservandole d’ avvicino si vedono riunirsi in adden- tellato col resto della roccia, nella quale sono qua e là sparse lista- relle della stessa natura, le quali provano all’ evidenza la loro originef avvenuta contemporaneamente e in seno alla roccia stessa. Tali parti A. M. si vedono costituite da biotite freschissima, quarzo e raro felspato colla struttura di un micascisto. Gneiss lenticolare. — Il gneiss che indico sotto questo nome è bigio, scistoso, tabulare e mostra nella sezione trasversale lenti chiare più o meno allungate nel fondo bigio minutamente zonato. Anche le lenti sono a fini elementi, e non si distinguono dal resto della roccia che per la molto minore quantità di mica. tori lo Zirkel ( Lehrbuch der Petrographie , III B., p. 189) ne cita numerosi esempi in alcuni dei quali l’aibite costituisce i grandi occhi felspatici, e l’origine con- temporanea alla roccia non sembra potersi revocare in dubbio, come i gneiss di Drehfelder presso Freiberg. Altri dei gneiss citati sono roccie simili a certi gneiss minuti epidotici a glaucofane non rari nelle Alpi Occidentali e molto probabilmente di natura metamorfica; così sono quelli di Syra nell’Arcipelago greco studiate da Foullon e Goldschmidt. - 392 - A. M. — Letti di biotite bene orientati, con sviluppo automorfìco di ejpidoto-zoisite nel loro seno, alternano con letti quasi essenzialmente quarzosi ad elementi fratturati, con estinzioni ondulose, e con- striscio prevalentemente felspaticbe. Il telspato è essenzialmente ortosio in geminati non grandi a contorni irregolari. Havvi pure un po’ di oli - goclasio finamente striato. Non riescii a determanare l’ albite, quan- tunque sembri esistervi. Poca muscovite è sparsa nella roccia con rari granati. Gneiss micaceo. — E un gneiss tabulare, a grana media o fina, bigio più o meno scuro per l’abbondanza relativa della mica preva- lentemente bruna. La grana ne è minuta e uniforme. La scistosità nella massa non è molto marcata. A. M. — Sono abbondanti le due miche, fra le quali non sono rari grandi elementi di anatase geminati. L’ ortosio in piccoli elementi è pure in questi gneiss contornato di elementi vermicolati di oligoclasio . L’ albite fa parte con questo e col guarzo abbondante della massa fondamentale della roccia. Questi gneiss si trovano in piccole zone o in banchi entro al gneiss ghiandone. Gneiss occhiadino. — Occhi felspatici di media grossezza imper- fettamente distinti nelle zonature felspato- quarzose, separate da letti micacei in cui la mica bianca è pure importante, sono i caratteri ma- croscopici di questo gneiss nella regione. Sono soventi tabulari, e non di rado nella faccia di separazione presentano una listatura messa in evidenza dalla distribuzione a fasce delle miche. A. M. — La muscovite è rinchiusa in tutti i felspati, ed è un ele- mento costituente della roccia. La biotite cloritizzata ed in parte epi- dotizzata è abbondante. li ortosio è frequente con orlature di oligoclasio vermicolato. Il mi - crociino in rari e grandi elementi, è generalmente in elementi minuti sparsi nella massa microgranulare quarzoso-felspatica. L’ albite è frequente in tutta la roccia con geminazioni semplici e con poche striature. Qualche elemento felspatico mi diede estinzione simmetrica di 21° e mostrò rifrangenza superiore a quella del quarzo. Si tratta adunque di andesina o di labrador *. 1 II labrador fu segnalato dal Becke in un gneiss del Waldviertel ed il — 393 — Il quarzo è in lenti a mosaico con pochissimo felspato, e sparso nel resto della roccia. L 'epidoto, abbondante accompagna la bi otite, e presenta talvolta noccioli interni di orthite. I gneiss di questo tipo sono frequenti e predominano in generale nella parte superiore della serie che ora studiamo, associati a gneiss scistosi e tabulari in tutto simili ad essi, ma senza occhi felspatici. Gneiss leptiniticl — Allo stesso mòdo in cui per l’abbondanza delle miche, secondo certe lenti o zone, da gneiss ordinari si passa a gneiss micacei, per la loro scarsezza in tutta la massa della roccia o in striscie prevalenti su quelle ricche in miche, si hanno i gneiss lep - Unitici ed i gneiss leptinitici zonati. In generale sono gneiss ad ele- menti fini a scistosità perfetta e soventi tegulari bigio -chiari o bigi con zonature bianche. Talvolta hanno occhi felspatici distinti, tal altra sono a grana corrispondente a quelli dei gneiss occhiadini. A. M. — Fra le miche scarse prevale la mica bianca; pel resto hanno microscopicamente la struttura e la composizione mineralogica degli altri gneiss. E interessante il notare che anche nei tipi più mi- cromeri di queste rcccie i piccoli elementi di ortosio sono circondati da oligoclasio vermicolato ; e che anche in essi Valbite è un costituente mineralogico della roccia. Se un carattere speciale generale vi si può trovare si è la più intima miscela dei felspati col quarzo. Leptinite. — L’assenza di mica nera e la scarsezza di quella bianca ci danno le vere leptiniti, rappresentate nella regione da va- rietà tegulari a grana finissima e da altre a grossa grana ed a strati- ficazione imperfetta. Alcuni campioni di leptinite di questo tipo furono trovati nel torrente Noce presso Frossasco, e sono certamente intercalati negli gneiss di cui trattiamo dei quali è formato intieramente V anfiteatro montuoso circostante. Essi hanno alcuni caratteri degni di nota e perciò ne daremo una breve descrizione. Macroscopicamente una massa bianchissima saccaroide sulla quale spiccano le lenti di quarzo di aspetto vetroso come si notò nello gneiss ghiandone. Rare lamelle di biotite e qualche elemento di sfeno. Weber notò un nocciolo prossimo all’anòrtite in un felspato zonato di un gneiss della Foresta Nera. 394 — A. M. — Sfeno abbondante geminato polisinteticamente. Anatase in sezioni a fuso col clivaggio p (001) trasversale ben marcato. Muscovite scarsa; biotite rarissima. Ortosio , oligoclasio, albite formano plaghe a struttura intricata . È caratteristico lo sviluppo di numerosi microliti saussuritici di zoisìte nella massa di alcuni felspati Il quarzo delle lenti vedute macroscopicamente è a suture irrego- larissime ed a grandi elementi con estinzione ondulosa ; si trova pure in elementi sparsi tra i felspati. li epidoto si trova in elementi più grandi che la zoisìte , e soventi automorfo. Gruppo delle roccie grafitiche . Ho già accennato all’importanza di questo gruppo per lo sviluppo che prende nella valle del Chisone, e per l’importanza, dal punto di vista della tettonica, di una zona di roccie che vi appartengono, in- tercalate nei gneiss, fra i quali si mostra in un sottile affioramento svolgentesi secondo un ampio arco nelle tavolette di Cumiana, di Gia- veno, di Coazze e di Eoure. Di questa descriverò prima la serie lito- logica, l’andamento e la posizione stratigrafica; tratterò poscia della serie litologica che si trova in Val Chisone, paragonandola colla precedente. Zona di roccie grafitiche intercalate nei gneiss, o zona gra- fitica di Giaveno. — Quantunque siano le roccie con grafite abbon- dante, quelle che danno l’impronta alla zona, in essa, e con quelle as- sociate in modo da non poternele geologicamente separare, stanno pure diversi tipi di roccie o con grafite scarsissima, o che ne sono affatto prive. Questo gruppo di roccie diverse forma un’unità a sè, perchè molti caratteri petrografici sono comuni, e soventi solo l’assenza o la pre- senza della grafite le distingue, mentre invece sono molto distinti i gneiss sotto e soprastanti. Le distinzioni litologiche che si possono fare sono le seguenti: Senza grafite Con grafite gneiss minuti gneiss minuti granatiferi micascisti gneiss minuti grafìtici gneiss minuti grafìtici granatiferi micascisti grafitici 395 - Senza grafite Con grafite micascisti granati feri micascisti grafitici granatiferi » a cloritoide prasiniti a cloritoide scisti grafitici macchiati grafito scisti. Gneiss minuti. — Sono róccie scistose o tegulari, soventi utiliz- zate per coperture, di color bigio e bigio verdognolo, molto micacee con mica bianca prevalente. Quasi sempre gli elementi quarzoso-fel- spatici si accentrano formando come delle variole più o meno nette nella massa della roccia, visibili in chiaro, specialmente nella sezione trasversale alla stratificazione. A. M. — Zircone , sfeno abbondante, mica bianca prevalente, mica bruno -verdognola scarsa. Il felspato può essere abbondante, ed in generale è in occhi di più elementi a orientazione diversa, tempestati di quarzo e con nu- merosi inclusi di tutti gli altri elementi, sicché non è facile trovare punti .sui quali possa farsi l’osservazione in luce convergente. In qualcuna di queste roccie, che sembra costituire una transi- zione ai gneiss sottostanti, i felspati furono trovati di due sorta, en- trambi meno rifrangenti del quarzo: ìy orto sio in elementi piccoli con clivaggi netti, e un oligoclase-albite di quello più rifrangente, geminato polisinteticamente, dal quale anche con buone uscite di bisettrici non ottenni che cifre intermedie fra quelle date dal Fouqué per l’albite e per l’oligoclasio. Però in queste roccie, questo secondo felspato è in generale solo. Il quarzo oltre a formare plaghe a mosaico compenetra in modo caratteristico i felspati. Sono frequenti la pistazite soventi con al centro cristalli di orthite isoorientati, la zoisite , ed è abbondante la clorite , che dà alla roccia il colore verdognolo. Questi gneiss minuti si trovano in generale alla parte inferiore della zona che descriviamo, costituendo una specie di transizione agli gneiss occhiadini, ecc. Gneiss minuti granatieri. — Queste roccie, grafitiche o non, sono scarsamente rappresentate nella zona ; hanno i componenti delle pre- cedenti, ma sono sempre molto più povere in felspato, che vi forma dei piccoli occhi, e che è parzialmente sostituito dal granato ; vi si ag- giunge di frequente la tormalina. - 396 - Micaschisti. — Sono roccie scistose, tegulari o fìlladiche, nel se- condo caso soventi solo distinguibili al microscopio dai- gneiss minuti. Nella maggior parte di essi osservansi distribuite sulle faccie di cli- vaggio larghe lamelle verdi o di clorite o di cloritoide più o meno profondamente cloritizzato, le quali impartiscono un carattere macro- scopico specialissimo. Meno di frequente manca assolutamente la clorite , la mica bianca in lunghe lamine minutamente zigrinata è madreper- lacea, e si hanno micascìsti squamosi. Il granato soventi a grandi elementi si trova in generale nei micascisti a cloritoide. Di tutte queste roccie si hanno i tipi grafitici, e quando la grafite non è molto abbondante, questi hanno con quelli oltre a molti caratteri microsco- pici comuni, molti caratteri macroscopici, astrazione fatta dalla tinta bigiastra. Certi micascisti sguamosi sono i più semplici; una mica bianca a piccolo angolo assiale e il quarzo ne sono gli elementi essenziali; il rutilo eccezionalmente abbondante a sciami impregna fi elemento mi- caceo in cristalletti ben sviluppati, geniculati, eco. Micascisti quarzitici tegulari. — Sono certi micascisti in cui la mica e la clorite (macroscopica') sono subordinate rispetto al quarzo. Presentano la singolarità di avere i quarzi annebbiati da un minu- tissimo pulviscolo nero uniformemente distribuito, mentre gli altri elementi ne sono privi, e ciò contrariamente a quanto accade negli scisti grafitici, ove il quarzo è in genere scevro di inclusioni. Micascisti a cloritoide. — Possono avere questo minerale carat- teristico in elementi minuti od in elementi macroscopici; così si hanno due tipi di roccie di aspetto molto diverso quantunque minerologica- mente identici. Idilmenite , il rutilo che è in via di isolarsene, il rutilo già in cristalli perfetti, soventi abbondante, la tormalina , il granato , un po’ di grafite sono frequenti ; si hanno così i micascisti a cloritoide grafitici granatiferi od i micascisti a cloritoide grafitici o micascisti a cloritoide granatiferi quando uno solo dei due è abbondante. Come il cloritoide il granato può essere macroscopico (2 a 4mm) o microscopico. Scisti macchiati. — Le roccie grafitiche anzi cerniate arric- chendosi di grafite passano a certi scisti neri, a grana più fina, con aspetto meno cristallino, compatti, massicci nella rottura trasversale fresca. In questa spiccano sul fondo scuro delle macchie chiare a con- torno parallelogrammico, sezioni queste di elementi che nel piano di scistosità si mostrano allungati a guisa di microliti. Nei due casi un nucleo scuro nel centro o lungo l’asse fanno ricordare perfettamente i — 397 - cristalli di chiastolite che osservanti in cerbi scisti modificati dal gra- nito ; e questa è la ragione del nome di scisti macchiati che ho dato a queste roccie. Dico fin d’ora che di scisti analoghi con quegli inclusi, colle identiche apparenze, ma con dimensioni molto maggiori (6 a 7 mm. di grossezza e 7 ad 8 cm. di lunghezza) vennero trovati in diversi punti della valle dei Chisone, da me e dall’ ing. Novarese; ma in cia- scuna delle numerose regioni studiate venne sempre trovato il mine- rale completamente trasformato in un minerale micaceo con caratteri simili a quelli della muscovite con poco cloritoide e più o meno clorite. Oltre alle apparenze macroscopiche anche i prodotti della me tamorfosi inducono a credere che si tratti di chiastolite. A. M. — Le roccie in parola si mostrano essenzialmente costituite da quarzo e mica bianca in lamelle; un pulviscolo nero che inquina tutto il preparato si vede in parte costituito da miriadi di cristalletti tenuissimi di rùtilo più o meno coperti di grafite. Sono frequenti macchie ocracee dovute forse alla decomposizione di granati. Grafitoscisti e grafite. — Colla prevalenza della grafite nel mine- rale micaceo si passa a veri grafitoscisti filladici, lucenti, untuosi, tal- volta ancora granatiferi. In questi prevale localmente la grafite su tutti gli altri elementi, e si hanno in alcuni punti vere lenti di grafite più o meno pura, che dettero luogo a qualche ricerca presso Forno. Prasiniti. — Sono roccie verdi o bigio-verdognole nelle quali ad occhio nudo si vedono numerosi occhiettini felspatici staccarsi sul fondo verde. Esse sono intercalate in lembi sottili ed allungate nella zona grafìtica in diversi punti, presso C. Zoppo (Forno) e presso C. Fieul (vallone del Rio Fronteglio) nella tavoletta di Coazze. A. M. si mostrano di composizione mineralogica molto complessa. SfenOy rutilo, granato ed attinoto automorfì, inclusi specialmente nei fel- spati. Una mica bruno-chiara freschissima, clinocloro geminato in ele- menti, ben cristallizzati (1 o 2 mm.), un anfibolo chiaro attinolitico , epidoto granulare sono gli elementi colorati più frequenti; è pure presente la zoisite in elementi da 1 a 2 mm., e la clorite specialmente in piccoli inclusi, nei felspati. Il felspato , riferibile ad una sola specie, è un plagioclasio acido ; è freschissimo e limpido, fatta astrazione dagli inclusi costanti di altri elementi della roccia; soventi all’intorno sfuma in una zona che pos- siede un’estinzione diversa. Il quarzo o manca od è poco abbondante. - 398 - Queste roccie sono simili perfino nei particolari alle roccie omonime della zona delle pietre verdi, certamente di origine metamorfica 1, e sono identiche con altre che nella valle del Chisone ho constatato derivare dalla metamorfosi di certe dioriti, come si vedrà in seguito. Andamento della zona. — Questa si mostra tra i gneiss alla falda Ovest dello sperone che è ad Ovest di Levrino (Cumiana), donde con di- rezione N-N.O si sviluppa sotto la Cappella della Guardia e sulla dor- sale che sale a Truc Le Creste (tav. di G-iaveno). Quivi gli strati sono raddrizzati e vivamente ripiegati, e di qui la zona muove con direzione quasi costante e con pendenza N.E verso Mollar dei Franchi. La zona che era larga non più di 300 m. alla Cappella della Guardia si fa un po’ più larga (500 e 600 m.) a Truc Le Oreste, dove si trovano i mi- gliori campioni di scisti macchiati. Da Mollar dei Franchi entrando nella tavoletta di Coazze si vedono gli scisti grafitici a Monte Fusero, donde con direzione quasi E-0 e pendenza N. 40° o 50° si dirigono verso l’alto Sangone nei pressi di Forno. A Monte Fusero, stando sempre ristretta a 303 o 400 m. la parte grafitica, i micascisti ed i gneiss minuti che la accompagnano si mostrano in zona più larga, (500 m. verso Nord e 1500 m. verso Sud). Però ad ovest di Balangero gli scisti grafìtici che formano la cresta di T ruc delle Piate mostrando a Sud le testate formanti balze scoscese e ritagliate, e spiegando verso Nord il dorso degli strati inclinati, donde il nome del Truc, sono sop- portati direttamente da gneiss ghiandone che viene ad inserirsi tra essi ed i micascisti. Nella regione Pian del Secco, al disopra della zona principale grafitica se ne mostra una minore, potente un 103 m., intercalato nei gneiss minuti. Ivi pressò a C. Zoppo s’intercala nella zona di micascisti che separa quelle di scisti grafìtici una sottile lente di prasinite. Oltre il Sangone, la zona, occultata dalla morena stupenda- mente conservata del vallone della Balma 2, sotto la quale affiora un po’ a T. Taboga, diventa più potente a Dragona ed a Ceresey che vi 1 S. Franchi, Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi (Boll. R. Com. geo!., 1895, fase. 2°). 2 Nel ramo principale del Sangone i ghiacciai non discesero a valle di Forno, e la morena di Pale segna il punto più basso al quale discesero nella valle del Sangonetto. è fondato sopra ; sotto questo caseggiato due zone grafitiche secon- darie si mostrano scendendo al Sangone. In' questo tratto la direzione è O-S.O e la pendenza N-N.O di 30° a 40°. Più oltre si assottiglia sotto il Fortino (tav. di Polire), ed è appena accennata sulla costa tra il Colle della Poussa e il Monte Bocciarda; ma presso i casali Poussa vicino alle cave di talco, ed in molti punti presso Palma si notano lenti di scisti grafìtici spesso con tormalina in cristalli macroscopici. Cosicché gli scisti grafìtici dapprima limitati ad una zona ristretta, oltre il Colle della Poussa, pare si spargano sopra una grande po- tenza di gneiss minuti e micascisti che includono lenti di gneiss oc- chiadino. Tracciando sopra una carta d’insieme l’affioramento ora descritto si vede che è molto prossimo ad un arco di cerchio di circa 15 km. di raggio, con uno sviluppo di km. 20. Gli strati hanno costantemente la pendenza verso l’esterno dell’arco stesso. Posizione stratigrafica. — La zona grafìtica è indubbiamente superiore alla serie dei gneiss che avvolge ad arco e sui quali si addossa come su d’un conoide. Nell’ alta valle del Sangone dagli scisti grafitici camminando . in direzione normale al suddetto arco e verso l’esterno di esso si arriva dopo lieve potenza di micascisti e gneiss minuti al ciglione di serpentino che sta alla base della potente massa di eufotidi metamorfosate in roccie anfìboliche della valle della Balma. Similmente da Trac Le Creste seguendo il crinale tra il Sangone e la Chisola esteriormente all’arco, dopo d’aver attraversati pochi chilo- metri di gneiss e micascisti con lenti di roccie anfìboliche intercalate, si arriva alle serpentine di Monte della Croce, sulle quali vengono in se- guito le prasiniti di M. Montagnazza e la massa lherzolitico-serpentinosa di Piossasco. Sembra adunque che la zona grafìtica descritta sia inter- calata, e che all’esterno di essa, astrazion fatta dai ripiegamenti locali, si trovino roccie sempre più giovani. Se così non fosse, se per es. fra Trac le Creste e le serpentine di Monte della Croce, indubbiamente su- periori, si trovassero roccie più profonde degli scisti grafitici, e che formassero ivi un’anticlinale, noi dovremmo considerare la zona gra- fìtica come una sinclinale impigliata fra i gneiss e quindi dovremmo vederla riaffiorare, prima di giungere alle serpentine, al secondo ramo dell’anticlinale che segue la sinclinale. Ma così non accade. Nell’alta valle del Sangone la potenza dei gneiss che separano la zona grafì- tica dalle serpentine è così esigua, che l’ipotesi che vi si trovino in - 400 - anticlinale non è nemmeno concepibile. D’altronde la disposizione ad arco, la sottigliezza della zona rispetto al suo sviluppo e sopratutto l’esame della serie litologica in diverse regioni trasversali di essa non sembrano conciliarsi coll’ ipotesi che si tratti di una sinclinale. Considerando ora che i gneiss che vengono sopra a questi scisti a Sud del Sangone, (per non entrare a parlare dei gneiss del contraf- forte Sangone-Dora Riparia, il che ci trarrebbe troppo in lungo), con- tengono masse potenti di gneiss a grossi elementi, ricchi in biotite, molto simili ad alcuni della zona interna, e che non pare possibile considerare come facienti parte della zona delle pietre verdi, noi ri- terremo la zona di scisti grafitici, micascisti, gneiss minuti con lenti di roccie prasinitiche come intercalata nel cristallino inferiore. Esso cor- risponderebbe alle intercalazioni di gneiss minuti e micascisti con roccie analoghe alle prasiniti notate dai colleghi Novarese e Stella nell’Arcaico inferiore del gruppo del Gran Paradiso. Zona grafitica della bassa valle del Chisone. — Una linea che partendo dai casali r Baisa, posti al limite fra l’Arcaico ed il Qua- ternario all’ angolo S.O della tavoletta di Cumiana, passi a 0. Bernardo (tav. di Pinasca), 0. Ribetti, 504° m. a Sud della vetta di Monte Mu- retto, indi ripieghi verso Nord, passi a C. Galletti, attraversi il torrente Lemina a C. Serverà, giri a sud delle rupi La Roccia, lasci poco a S.O il Monte Parpajola, e scenda al thalweg del Gran Dubbione poco a monte di Tagliaretto, separa la gran massa di gneiss del gruppo di Monte Ereidour anzidescritti che stanno a Nord di essa, dagli scisti grafìtici che costituiscono a Sud il contrafforte tra Val Lemina e la pianura, e quello piu largo tra Val Lemina stessa ed il vallone di Rio Gran Dubbione, e che si sviluppano ancora a Sud del Chisone, in buona parte della tavoletta di S. Secondo Pinerolo, e nei monti al di là del Pellice. Più ad Ovest il limite è meno semplice, e non si potrebbe de- scriverlo che con molte parole senza l’aiuto di una carta; però lasciando per ora da parte le fascie di detti scisti, che si trovano fra i gneiss più a Nord, si può dire che la grande massa di essi è a Sud della spezzata Traversi (Tagliaretto), C. Longhi, 0. Gin, Albarea ; ad Ovest di questo abitato il limite si nasconde sotto il Quaternario antico, e gli scisti riaffiorano nelle rupi al giro dello stradale presso Perosa Argentina. A sud della suddetta linea dominano gli scisti grafìtici che danno - 401 - una tinta bigio-scura special© al terreno. Notevoli a questo riguardo sono il contrafforte collinesco cbe termina a Pinerolo, ed i dintorni di Dubbione, coltivati a vigna. Di scisti grafitici accompagnati da gneiss minuti e micascisti esi- stono diverse zone più a Nord, delle quali l’una separa la lente di gneiss granitoide di Meano dai gneiss del Monte Bocciarda, e corre in direzione O-E e con pendenza Nord dal Obisone a Chambellier fino a Monte Poletto (tav, Pinasca N.E), con potenza varia da 300 a 600 metri. Una zona parallela di molto minore potenza, due o tre chilometri più a Sud separa la stessa lente di roccie di gneiss granitoide da una lente di diorite di cui parleremo in seguito ; altre minori un poco più a Sud, limitano a Nord tra Agrevo, Monte Cucetto, eco., la grossa lente di roccia simile a quella di Malanaggio che ha per limite a Sud la linea limite Nord degli scisti grafìtici. Aggiungo inoltre che la grande massa di scisti grafìtici a Nord di Tagliaretto si prolunga in zona sottile sotto O. Righetto, Gran Dubbione, Monte San Giacinto e si prolunga fino a Monte Sette Confini a tergo del Monte Freidour, e proprio nel cuore della massa gneissica. Tutte queste zone facil- mente distinte e specialmente quest’ ultima, hanno una grande im- portanza perchè su di esse dovremo basarci specialmente, a rileva- mento compiuto, per spiegare la tettonica complessa della regione. Le roccie che le costituiscono sono in tutto simili a quelle della grande massa. In questa, astrazion fatta delle roccie dioritiche e di quelle di tipo Malanaggio, esse si possono dividere in due grandi gruppi: quelle in cui la grafite non ha importanza, e quelle in cui essa entra come elemento costituente dando loro un aspetto speciale. Nelle roccie non grafìtiche distingueremo i seguenti sotto-gruppi: I. Gneiss biotitici II. Gneiss minuti . III. SVlicascIsti . . . zonati a lenti felspatiche con biotite . \ granato macroscopico granatiten. . . . < ° . . » microscopico con sismondina (microscopica) 2 - 402 — In quelle grafìtiche: IY. Gneiss minuti grafitici Y. Micaseisti » con biotite granatiferi. . . . j con sismondina. ' granato macroscopico » microscopico sismondina macroscopica » microscopica VI. Grafitoscisti VII. St isti grafitici macchiati. tormaliniferi granatiferi granatiferi (granato microscopico) con sismondina (microscopica) A queste roccie bisogna aggiungere un sottogruppo che ha una grande importanza per la geologia della regione, ed è quello dei gneiss minuti e micascisti includenti frammenti angolosi, tanto da formare vere breccie a ciottoli rotolati di roccie diverse e di quarzo. Nell’area da me rilevata ho semplicemente da notare: * YIII. Micascisti con lenti quarzose (ciottoli schiacciati?) e con ciottoli di quarzo rotolati. Vi ha finalmente un ultimo gruppo di roccie, quello delle roccie anfiboliche, pur lasciando da parte quelle che sono in relazione colle dioriti e colla roccia tipo Malanaggio, e che si trovano in lenti di non grande potenza fra le roccie grafìtiche. Si ha così: ( prasiniti IX. Roccie anfiboliche .... ( anfiboliti. I Sottogruppo. — Quelli zonati sono gneiss .ricchi in biotite, a due felspati con struttura granulare. A. M. sono ricchi in epidoto auto- morfo avente al centro Yorthite pure automorfa isoorientata. Quello a lenti felspaticlie è un gneiss più micaceo del precedente nel quale l’elemento bianco è in lenti fra i letti micacei costituiti in parte di mica bianca secondaria. Le lenti grosse 2 o 3 cm. sono soventi co- stituite essenzialmente da un grande geminato di Carlsbad (ortose). II Sottogruppo. — Roccie tabulari, tegulari- scistose, bigie, bigio- verdiccie, soventi con occhiettini felspatici, essenzialmente costituite di mica bianca , quarzo e da un felspato acido cbe sembra rigenerato. Zircone , rutilo , tormalina , granato, grafite in piccola quantità, eia biotite bruno-chiara in maggior misura, in parte cloritizzataj sono elementi quasi costanti. La biotite, il granato o la sismondina entrando come elementi costituenti caratteristici microscopici o macroscopici della roccia possono dar luogo a tipi alquanto diversi fra loro. Ili Sottogruppo. — Roccie scistose e fìlladiche bianco-verdognole o bigio -verdognole a superfìcie lucente, con macchie verdi macrosco- piche, soventi con grossi granati. L’assenza del felspato le distingue dalle rcccie precedenti, il qual fatto si manifesta coll’assenza di ru- gosità nella superfìcie clivaggio e degli occhietti nel taglio trasver- sale, quando quelle apparenze non siano prodotte dal granato. La. sismondina , anche macroscopica in clivaggi di qualche milli- metro imperfettamente paralleli alla scistosità della roccia, è più fre- quente in queste roccie e più abbondante che nelle precedenti. IV Sottogruppo. — Roccie come quelle del II sottogruppo alle quali la grafite abbondante impartisce un colore bigio scuro o nera- stro lucente. La grafite in pulviscolo piuttosto minuto è inclusa nei felspati, mentre questo ed elementi grafitici più grandi trovan posto specialmente fra i minerali finitici. Meno ricchi che i gneiss minuti semplici in felspato; il quale forma piccole lenti od occhi distribuiti porfìricamente. Quelli granatiferi presentansi bucherellati per decom- posizione e sparizione completa di granati molto meno resistenti del fondo quarzoso-grafìtico della roccia. V Sottogruppo. — Scisti fìlladici bigi o neri lucenti lisci o gra- nulosi se granatiferi, presentanti soventi clivaggi bronzei o verdicci perfetti, inclinati rispetto alla fogliosi tà della roccia. Aghetti neri di tormalina sono frequentissimi, anche grossi 1 mm. Il granato in ele- menti minuti con un nucleo di pulviscolo nel mezzo impregna so- venti completamente la roccia ed è uniformemente distribuito perfino in grandi elementi di biotite; si ha così una roccia simile alla pietra da cote. VI Sottogruppo. — ' Aumentando la grafite rispetto agli altri - 404 — elementi si passa a veri grafìtoscisti fìlladici scuri, lucenti, untuosi, soventi granatiferi e tormaliniferi. VII Sottogruppo. — Roccie scistose bigio-nerastre o nere con fondo a grana minutissima, sericeo nella scistosità, sulle quali si distinguono macchie chiare a figura di parallelogramma, raccorciate od allungate, aventi quasi sempre nel mezzo o lungo l’asse una parte scura. Sono queste le apparenze degli scisti a chiastolite delle zone di contatto delle roccie granitiche; come già si disse per quelli analoghi sotto ogni rispetto descritti dalla zona grafìtica intercalata nei gneiss. In questi le mac- chie sono più grandi e variano dalle dimensioni da min. 1 X 3-6 a 8 X 30-40. Le apparenze loro sono le stesse, nucleo scuro sull’asse e minutamente cristalline nella frattura. Mostrano soventi un evidente schiacciamento, e dal piano di scistosità cui sono in generale paral- lele si distaccano con una crosta nera micaceo-grafìtica. Oltre alle macchie negli scisti in discorso si notano frequenti clivaggi larghi da 1 a 3 mm., con riflessi bronzei, e che ivi pure sono sviluppati fuori del piano di foliazione della roccia. Questi elementi finitici sono di una clorite a bassa rifrangenza (pennina) che pro- viene dalla trasformazione della biotite, sempre elemento importante in questi scisti. Dove le macchie sono grandi sono escluse le piccole e viceversa, co- sicché si può dire essere un fatto generale lo sviluppo uniforme avuto dal minerale che loro diede origine in ogni campione di roccia. Nelle roccie a grandi macchie, queste sono rare, in quelle a piccole macchie più serrate ed intrecciate, dando l’idea di una struttura ofìtica nelle sezioni parallele alle scistosità. A. M. — Rutilo, tormalina, oligisto , grafite. Questa in pulviscolo mi- nuto ed in scaglie. Granati incolori, innumerevoli, sparsi in tutta la roccia, meno nelle macchie, e grossi 0,m006. Di questi è pure notevole funiformità dello sviluppo. Biotite in clivaggi larghi qualche milli- metro e nutriti in spessore, quasi completamente trasformati in pen- nina, i cui clivaggi sono in generale trasversali alla scistosità della roccia. Muscovite in clivaggi minutissimi, nitidi; col quarzo granulare lim- pido costituisce il fondo della roccia. In nessuno dei campioni rac- colti in quattro diverse località, si potè vedere un resto del minerale primitivo delle macchie. Le aree di queste sono occupate da minerali secondarii fra cui si notano i seguenti: — 405 — Una mica bianca in clivaggi perfetti confusamente orientati e più largamente sviluppati presso il contorno. Possiede bisettrice acuta negativa inclinata di quattro o cinque gradi sul clivaggio. È perciò escluso che si tratti di idrargillite, e la constatazione dell’esi- stenza di un po’ di potassa conferma trattarsi di mica bianca. Un altro minerale, che con poco quarzo e colla mica occupa l’area della macchia, è un cloritoide ineie menti azzurrognoli leggermente po- lieroici, geminato polisinteticamente, e che al segno, rifrangenza e birifrangenza non lascia dubbio sulla sua identità. Questo minerale occupa in generale il mezzo delle macchie. In queste si trovano ancora oltre il pulviscolo di grafite granati e elementi di biotite cloritizzata che si protraggono comunque fuori del loro limite nella massa della roccia. albitei?) è in rarissimi elementi all’orlo delle macchie. Detti scisti furono da me notati nella valle del Chisone nei se- guenti punti : 1° presso Albarea, a quasi immediato contatto colla massa dioritica di Albarea; 2° nella falda montuosa ad Est di Fransa (tav. S. Secondo Pinerolo); 3° nella Comba Riaglietto dove sono svi- luppatissimi e dove trovai macchie lunghe 8 a 10 cm.; 4° infine li vidi col Novarese presso Chianoviere sulla destra del Chisone. A questi scisti grafìtici macchiati sono da associarsi cerbi altri che non ne differiscono che per l’assenza delle macchie, e il maggior sviluppo di granati e che si trovano in località vicine (Albarea). Vili Sottogruppo. — La roccia in cui rinvenni i ciottoli roto- lati di quarzo è un micascisto a sismondina non diverso dagli altri della serie. Ha clivaggi sericei lucenti con macchie ocracee per un po’ di pirite decomposta. La sismondina ed un po’ di grafite sotto le pellicole micacee danno alla roccia riflessi azzurrognoli. Il quarzo oltre che nella massa granulare della roccia si trova in grossi ciottoli ellissoi- dali indubbiamente rotolati, in lenti schiacciate, striate e segmentate che potrebbero provenire dalle laminazioni di altri ciottoli. Un rive- stimento micaceo circonda il ciottolo che si stacca con sufficiente fa- cilità dal resto della roccia. Il quarzo dei ciottoli è a grana sacca- roide, e qua e là mostra pellicole di elementi fìllitici. Ciottoli identici ed altri di natura diversa trovansi pure nelle roccie, la cui singolare struttura mi aveva colpito in una gita fatta nel 1888 in Valle Ger- — 406 - manasca e che nel corrente anno l’ing. Novarese chiarì come vere breccie 1 paragonabili a quelle di Obermittweida.. Di roccie simili nelle quali mi avevano colpito le lenti quarzose avevo distinte molte intercalazioni negli scisti grafìtici, però i ciottoli netti furono trovati solamente in due punti, cioè alla punta di Poccia- cotello, e presso C. Usseglio in Val Lemina nella tavoletta di San Se- condo Pinerolo; due punti che molto probabilmente fanno parte dello stesso affioramento. IX Sottogruppo. — Di queste roccie trovai rare lenti intercalate negli scisti anzi descritti; esse sono di due tipi molto distinti. Le une sono vere anfìboliti compatte con accessori granato, zoisite, fel- spato e sfeno. L’anfìbolo verde chiaro è sfrangiato ed è l’elemento essenziale della roccia. Il felspato non si potè determinare. Di questa roccia hanvi diverse lenti di discreta potenza tra case Didier e Pei- rotti nei dintorni di Villar Per osa. Le altre sono 'roccie anfìboliche con felspato essenziale, tipi di roccie analoghe a quelle descritte come intercalate nella zona grafì- tica della valle del Sangone presso C. Zoppo e 0. Fieul. L’anfìbolo verde-mare abbondantissimo forma la massa che racchiude i felspati che compenetra in elementi sottilissimi. Non hanno biotite. Il felspato che forma gli occhietti nella roccia è privo di gemi- nazioni, ma presentasi allo stesso modo che 1’ albite nella maggior parte, delle prasiniti. Un po’ di clorite1 rari granati sviluppati in seno ai felspati, fre- quenti scaglie opache (grafite o ilmenite) e un po’ di materia ocracea sono gli altri elementi della roccia. Di questo tipo è una lente a tergo della Villa Priotti (tav. di Pinerolo), intercalata nei micascisti grafìtici. M occi e dioriticlie. Comprendiamo sotto questo nome generico delle roccie di tipo molto diverso all’aspetto esterno, ma aventi comuni molti caratteri di struttura. Quantunque la composizione mineralogica vari consi- 1 V. Novarese, Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in valle Ger- manasca (Boll. B.. Com. geol., 1895, fase. 3°). derevolmente nei termini estremi, questi li vediamo però sul terreno far passaggio dall’uno all’altro per mezzo di tipi intermedi, in masse la cui unità non è revocabile in dubbio. Questa ragione del giaci- mento unico giustificherà la comprensione sotto quel nome di alcuni tipi che hanno composizione mineralogica primitiva o secondaria tale da doversi porre in altri gruppi di roccie. Queste masse rocciose si trovano fra gli strati delle roccie grafì- tiche con tutte le apparenze di vera intercalazione; cioè con visibile concordanza ai contatti, e senza che siasi finora notato fenomeno in- trusivo di sorta, se ne eccettuiamo la presenza degli scisti macchiati osservati al loro contatto in qualche raro punto Gli affioramenti sono di forma varia; così ad esempio quello in cui sono praticate le cave di Malanaggio, e che è tagliato dal Chi- sone tra San Germano e Porte, e che si sviluppa in gran parte sulla sua destra, dove venne rilevato dal collega Novarese, è di forma gros- solanamente triangolare; gli scisti grafìtici ne sono ricoperti a Nord tra Malanaggio e Porte, e poscia vi si immergono sotto oltre il Chisone. Gli affioramenti che si sviluppano sulla sinistra del Ohisone hanno forma di grandi lenti allungate intercalate fra zone di roccie scistose dirette approssimativamente E-0 con pendenza Nord. Lembi di una di queste lenti che si può seguire da C. Maurino al Gran Dubbione su 5 o 6 chilometri nella tavoletta di Pinasca, sono le piccole masse scavate a monte di Perosa Argentina ai due lati del Chisone presso Cialines ; la dirò lente di Albarea per brevità. Di questa lente una parte tagliata fuori dal Chisone è la massa di Brio Ceresa indicata dal Novarese nelle pagine seguenti. A Nord di questa lente, e preci- samente tra di essa e la lente di gneiss granitoide di Meano si svi- luppano parallelamente altre lenti minori di roccie anfiboliche pure comprese fra zone di roccie scistose, fra comba di Agrevo e Monte Cucetto. La composizione minerologica di queste roccie, specialmente a causa dei felspati in istato di profonda alterazione, sfuggenti ad ogni 1 Durante le escursioni fatte nell’estate 1895 osservai ad Est di Albarea (T. Pinasca) dei veri filoni di roccie dioritiche anfiboliche più o meno trasformate in prasiniti speciali nel mezzo di una roccia biotitica francamente granitoide, la quale sfuma verso Ovest colle roccie dioritiche gneissiche di Albarea, e verso Est con dei gneiss di tipo comuue. Di questi fatti importanti verranno date ulteriori notizie. - 408 - determinazione, è ancora molto incerta, e perciò in attesa dei risul- tati di analisi che ci fissino nella loro composizione chimica, e avuto riguardo al non compiuto rilevamento delle regioni dove si sviluppano, allo stesso modo che non ci arrischiamo a classificarle, non entreremo in grandi dettagli sulle molte forme metamorfiche che presentano. Faremo solamente uno studio di qualche campione delle tre masse principali notate : di quella di Comba Agrevo-M. Cucetto, di quella di Albarea e per ultimo della massa di Malanaggio. Le roccie di Comba Agrevo sono ricche in antibolo e sono in generale più massiccie; ne rappresenta il tipo la roccia seguente rac- colta a Costa Baissa. Roccia a fondo bianco finamente saccaroide chiazzata di verde- scuro. Le chiazze più grandi (2 o 3 mm.) mostrano al centro dei clivaggi neri brillanti di un minerale da cui la parte circostante, fi- namente fibrosa, sembra derivare. Le macchie minori sono compieta- mente fibrose e sfumano nel fondo chiaro. Un orientamento non molto marcato di queste macchie indica un principio di scistosità. A. M. — Apatite in elementi relativamente grandi. Biotite bruno- chiara, con tinta particolare alla mica scura di tutte le roccie di questo gruppo e del gruppo grafitico. E trasformata in gran parte in clinocloro. Orneblenda bruno-scura ; è il minerale a clivaggi nerastri veduto ma- croscopicamente. Esso è quasi completamente trasformato in anfìbolo verde con un processo degno di studio. Nelle parti più fresche V anfì- bolo è bruno-scuro tendente al violaceo, quasi opaco secondo ng anche in sezione sottile. A poco a poco si intorbida cominciando dalle parti. periferiche, e se ne segregano dei corpuscoli submicroscopici dap- prima, che quindi si accentrano e si riconoscono per sfeno e rutilo *; intanto l’anfibolo da bruno-torbido si fa bruno-chiaro annebbiato da inclusioni, ed ha il suo policroismo in toni bruno-chiari. Infine le inclusioni si accentrano e si riducono a grandi inclusi di leucoxene con grossi elementi di rutilo al centro, e l’anfìbolo di- 1 È notevole questa segregazione di minerali titaniferi analogamente a quanto si osserva nell’ uralitizzazione dell’augite nelle diabasi e del diallagio nelle eufotidi. La formazione di sfeno minutamente suddiviso nel mezzo dei mi- nerali primitivi, pirosseni e orneblenda, conferma la loro perdita in calcio, per- dita che fu già provata mediante analisi chimiche nel caso dell' uralitizzazione dei pirosseni. — 409 - venta verde-chiaro limpido. Nelle sezioni normali al prisma si vedono i tre an fi boli rappresentanti i tre gradi ora indicati con numerose sfumature di passaggio perfettamente isoorientati e possedenti non solo i clivaggi ma anche Je geminazioni dell’antibolo primitivo. La mica bruna è sovente inclusa nel? antibolo, e non di rado intatta dopo la completa trasformazione di quello. Sono frequenti lamine sot- tili di essa adagiate lungo i clivaggi dell’ antibolo. ' L’antibolo secondario è sfibrato, sfrangiato ed è elemento im- portante della roccia; non di rado presenta le faccie prismatiche m (110) e g (010). Il felspato della roccia, sembra un unico plagioclasio che il suo stato di inoltrata saussuritizzazione non permette di determi- nare. L’abbondanza di zoisite che si sviluppa nel suo seno indica trat- tarsi di un plagioclasio abbastanza basico. Esso è un elemento impor- tante della roccia. Il quarzo, meno abbondante del felspato è in piccole accentrazioni a mosaico e distribuito fra il felspato. Si tratta dunque di una diorite quarzifera in via di trasforma- zione. Essa rappresenta il tipo meglio conservato fra quelle raccolte. Tra C. Buy e Prato Frajet una roccia analoga a questa pre- senta molti elementi felspatici a struttura vermicolare. Molto simili a questa sono le roccie scavate a Monte Pan di Zuc- caro (Inverso Porte) e facienti parte della massa di M alanaggio ; però ivi la roccia è più scistosa e la trasformazione è più inol- trata. Tra Comba Agrevo e Comba Ciampiano si trovano tipi scistosi, scistoso-zonati e pieghettati della roccia sopra descritta; naturalmente la struttura e la composizione mineralogica sono affatto diverse ; spe- cialmente la massa felspatica è trasformata in una massa chiara ad elementi equidimensionali di un felspato che in qualche caso ho po- tuto determinare per albite , e che include tutti gli altri elementi della roccia: biotite in parte ancora esistente, antibolo verde-chiaro, zoi- site, ecc. Ciò rappresenta un passaggio a vere p ras miti, analogamente a quanto avviene per certe dioriti di Valsavaranche studiate dall’in- gegnere Novarese; per certe roccie dioritiche dallo Stella osservate presso Yenasca in valle Yaraita, ed a quanto ebbi a dimostrare avvenire per molte diabasi ed eofotidi, nelle notizie anzi citate. La roccia della lente di Albarea è molto diversa dalla precedente — 410 - nell’aspetto, quantunque presenti molte analogie di struttura micro- scopica. Ecco la diagnosi di un campione delle cave dei pressi di Pagliere (tav. Pinasca): Roccia a fondo bianco finamente saccaroide, con parti di aspetto vetroso (quarzo). Cumuli più o meno grandi bruno nerastri di lami- nette micacee con un orientamento imperfetto indicano un principio di scistosità, tale però che non rassomiglia a quella di nessuno dei gneiss della regione. A. M. — Zircone , biotite bruno-gialla freschissima, abbondante in accumulazioni come nelle roccie granitiche, e sparse in lacinie minute in tutta la roccia. Il felspato è di tre sorta, di cui due meno rifrangenti del quarzo. Quello di essi che è meno rifrangente è in piccoli elementi immerso nel terzo felspato torbido e indeterminabile; esso è limpido, fresco e contiene frequenti inclusi automorfi di zoisite. Questo fatto ed alcune altre apparenze, per le quali sembra che esso nasca dal felspato tor- bido, lo farebbero ritenere come un felspato acido rigenerato, come si vide accadere nella ( diorite anzi descritta; presenta rari elementi minuti, geminati che non permisero una determinazione. Vi sono poi altri rari elementi di felspato pure meno rifrangenti del quarzo e che neppure potei determinare, intorno ai quali stanno par- ticelle vermicolate del felspato più rifrangente, torbido e probabil- mente riferibile all 1 oligoclasio. Resta il dubbio se quello sia secondario e probabilmente prossimo all’albite come il prirùo, o sia invece or- tosio primitivo. Però in un campione di roccia più gneissica di certe cave vici- nissime a quelle che fornirono il campione precedente presentansi bellissime vermicolazioni a palma nel plagioclasio più rifrangente del balsamo attorno ad elementi meno rifrangenti e pei quali non mi sembra dubbia l’origine primitiva. Quest’ultimo felspato non geminato non potè essere determinato La massa torbida del plagioclasio è zeppa di zoisite , epidoto , leu - coxene e biotite. Il quarzo è annidato in piccole plaghe a mosaico e subordinato al felspato. Questa roccia, se pure contiene un felspato potassico, ciò accade in misura tale che essa può ancora porsi nello stesso gruppo della roccia precedente, da cui differisce essenzialmente per la mancanza dell’orneblenda. - 411 - r A poca distanza dalla località che ci fornì il campione ad aspetto granitico si trovano roccie analoghe ad aspetto gneissico marcato, le quali però, per giacimento, composizione mineralogica e struttura microscopica, sono a questi intimamente legati. Esse costituiscono in massima parte la lente di Albarea. Simili ai tipi gneissici di questa lente, in generale più scuri ed a fondo azzurrognolo, sono le roccie della massa di Malanaggio tra questa località e Porte, le quali hanno pure un’apparenza di roccie prasinitidìe , a causa degli occhietti felspatici chiari sul fondo bigio- verdognolo. A. M. — La maggior differenza si manifesta appunto nei felspati ; questi sono più limpidi ad orientazione ottica più perfetta, in occhi da 1 a 3 mm. formanti il fondo della roccia, e soventi con una parte esterna isoorientata più rifrangente e con estinzione diversa, perciò più ba- sica. E questo un fatto comune a diverse altre roccie analoghe con felspati rigenerati. Il felspato nuovo è meno rifrangente del quarzo, trattasi perciò o di albite o di oligoclàsio acido e forse di entrambi.. La formazione del nuovo felspato acido diede luogo alla contemporanea se- gregazione di abbondante zoisite automorfa, che compenetra tutti gli elementi della roccia, compresa la biotite , di dorile , epidoto , calcite , granato e sfeno. Alle cave di Malanaggio è inoltre frequente un po’ di antibolo verde secondario. Alcuni banchi intercalati alle stesse cave sono di prasiniti bel- lissime, con fondo felspatico di albite a volte geminata semplice- mente, con anfibolo attinolitico, clorite , zoisite, epidoto , calcite , sfeno , e con biotite bruno-gialla abbondante; sono prasiniti biotitiche come quelle derivate dalle dioriti e come quelle di C. Zoppo nella valle del Sangone. Affioramenti ristretti di roccie al tutto simili si trovano nella lente di Albarea presso Pagliere presso alle cave di cui si descrisse un campione. Il loro modo di essere rispetto alla roccia dioritica am- biente non è peranco ben chiarito, quantunque il contatto sembri pa- rallelo alla scistosità delle due roccie. Sono roccie a fondo felspatico rigenerato a grana minuta straor- dinariamente ricche in biotite, anfibolo epigenico e zoisite. In qualche campione il plagioclasio rigenerato è affatto subordinato, e sono abbondanti biotite , anfibolo, zoisite largamente cristallizzati e lo sfeno granulare. - 412 - Queste roccie, come la prasinite di Malanaggio, sono prive di quarzo, epperciò provengono da roccie alquanto diverse dalle dioriti anfìboliclie biotitiche. E notevolissimo il fatto della permanenza della biotite fresca cogli identici caratteri in questi vari tipi di roccie, anche in quelle che su- birono profonde metamorfosi ; è pure singolare il modo in cui è asso- ciata all’anfìbolo epigenico, per cui in alcuni casi questo sembra ne derivi. Riassumendo in questo gruppo di roccie abbiamo delle dioriti Mo- ntico-anfiboliche quarzifere già moito epigenizzate, ma ancora rico- noscibili, dalle quali derivarono per più inoltrata metamorfosi delle vere prasiniti anfiboliche con biotite e quarzo, nelle quali dei minerali primitivi non rimangono che il quarzo e la biotite. Abbiamo poi roccie analoghe che con molte riserve, in attesa dei risultati di analisi chimiche, riterremo come dioriti biotitiche quarzi- fere. Da queste pure per trasformazione dei felspati si passa a roccie prasinitiche speciali prasiniti epidofiche con biotite e quarzo , in cui l’ antibolo epigenico o manca affatto (Porte) od è subordinato (Mala- naggio). Infine in questo secondo sottogruppo di roccie riscontransi affio- ramenti ristretti di prasiniti anfiboliche con biotite senza quarzo, simili a quelle derivate dal primo sottogruppo, i cui rapporti di giacimento non sono ancora ben chiariti. Le roccie prasinitiche summenzionate sono tutte a biotite ed alcune quarzifere a differenza, delle prasiniti che ho dimostrato derivare dalle diabasi e dalle eufotidi, nelle quali la biotite non figura mai, ed il quarzo se presente, è affatto subordinato (S. Franchi, 1. c.) Gneiss superiori alla zona grafìtica di Giaveno. Si disse come gli strati nella ristretta zona grafìtica di Giaveno pendono all’esterno dell’arco grandioso da essi descritto, e come tanto nell’ alta valle del Sangone, quanto nel contrafforte che sta tra il Sangone e la Chisola, cominciando dagli scisti grafitici verso l’esterno si arrivi più o meno prontamente alle serpentine che, nelle due lo- calità, stanno alla base delle pietre verdi, e che le roccie che si vanno incontrando siano successivamente più giovani delle precedenti. Così per esempio fra gli scisti grafitici macchiati di Truc Le Creste e le serpentine di Monte della Croce, si ha: - 413 - 1. una ristretta zona di micascisti a sismondina; 2. una zona di gneiss di circa un chilometro di potenza nella quale figurano dei gneiss ghiandoni porfiroidi; 3. una zona di 400 metri prevalentemente di micascisti la quale termina al Col del Tis; 4. altra zona di gneiss fra cui gneiss tabulari e gneiss ghian- doni porfiroidi; 5. diverse lenti di anfiboliti a Trac Mongrosso ; 6: zona di micascisti e gneiss minuti, gneiss tormaliniferi, fino alla bassura ad Ovest di Monte Croce, dove, micascisti, calcescisti, decalcifìcati e cariati, scisti attinolitici e serpentinoscisti con sottili lenti di eclogiti a omfacite tipiche, si alternano in zone ristrette e ripetute fino alle serpentine di Monte della Croce. Dei gneis ghiandoni di tipo profondo con considerevoli potenze sarebbero dunque stratigr a finamente superiori alla zona grafìtica. Del resto a Levrino presso Cumiana, dei gneiss scistoso-lenticolari essen- zialmente biotitici si sovrappongono direttamente agli scisti della zona in parola ; gneiss identici e sotto nessun rapporto distinguibili da altri considerati come tipici gneiss centrali nel Gran Paradiso si sovrap- pongono sugli stessi scisti a C. del Tetto, presso Pian Paschetto a S-S.O di Giaveno. Non è fuor di posto una breve diagnosi dello gneiss di Levrino: gneiss scistoso-lenticolare, a letti ben nutriti di biotite freschissima. Grandi occhi di felspato e striscio quarzose parallele ai letti micacei. A. M. — Non presenta notevoli differenze da certi gneiss descritti dei dintorni di Cumiana.. I grandi occhi di ortosio , rotti e sconnessi, sono ivi pure circondati da oligoclasio vermicolato , però il fenomeno è meno tipico, sicché coll’ortosio estinto si ha l’apparenza di un finissimo merletto in alcuni punti del contorno. Il medesimo felspato in elementi minuti geminati, tempestati o vermicolati del quarzo, forma le masse microgranulari che colle lenti di quarzo a mosaico ed i letti di biotite costituiscono la roccia. Poco epidoto o zoisite. Stabilito indiscutibilmente che gneiss di tipo profondo stanno sopra agli scisti grafitici, il fatto di trovarne alcuni chilometri di po- tenza come accade fra Trac Le Creste e Monte della Croce, non può più essere recato a sostegno di ipotesi, secondo le quali la serie non sia sempre ascendente. Questo fatto di per sè semplice ha una grandissima importanza per la tettonica di tutta la regione. 414 - A nessuno sarà sfuggita la grande analogia e direi anzi la iden- tità fra le roccie della zona grafìtica di Giaveno e la grande zona della bassa valle del Cliisone. Gneiss minuti e micascisti, grafìtici o non, scisti macchiati, prasiniti, hanno gli stessi caratteri macroscopici e microscopici nelle due zone; inoltre osservando nelle carte, le estre- mità dei loro affioramenti a Levrino da un lato ed ai casali Baisa dal- Y altro, nella tavoletta di Cumiana, l’ idea di un raccordo fra loro sotto l’alluvione che giri in largo attorno al contrafforte di Monte Freidour che scende a Tavernette, nasce molto spontanea. Ed allora l’assimila- zione cronologica delle due zone sembrerebbe giustificata, quantunque a quella della valle del Chisone le roccie dioritiche e le breccie ed i mi- cascisti con ciottoli rotolati imprimano un carattere speciale. Però avuto riguardo a ciò che dal seguito de] rilevamento può ancora venire molta luce si asteniamo dal formulare fin d’ora il concetto tettonico che lo studio fatto potrebbe suggerirci. Per le stesse ragioni non fissiamo per ora il limite tra le due parti del cristallino della regione, e pas- siamo senz’altro a dire alcun che delle roccie verdi. Roccie verdi. La bassura esistente tra Truc Mongrosso e Monte della Croce è occupata da micascisti, calcescisti , scisti attinolitici , cloritoscisti e serpen- tinoscisti , con lenticole di eclogiti . La massa di Monte della Croce è in serpentina scagliosa, ha un chilometro di potenza o contiene nume- rosissime masse di granatiti oltre a sottili zone di serpentinoscisti. Di questi una striscia è al limite della serpentina colle prasiniti della Montagnazza, limite che corrisponde al colletto esistente tra Monte della Croce e la falda Ovest della dorsale Monte Pietraborga-Montagnazza. La punta di Monte Pietraborga è già costituita dalla serpentina della massa di Trana, separata dalla precedente dalle prasiniti anzi citate, e da un’altra massa della stessa roccia che si trova a Punta del Col- letto divisa da una terza massa di serpentina clie è ad Est di Punta del Colletto. Seguendo invece il crinale dentellato a strati di prasinite raddrizzati della Montagnazza si arriva al colletto che si trova fra essa e il Monte Penne su di una larga zona di serpentinoscisti, clorito- scisti a grandi ottaedri di magnetite, e scisti attinolitici con asbesto, che forma la zona limite tra le serpentine di Monte Penne e la grande massa di prasiniti attraversata. Al colletto tra Monte Penne e Monte San Giorgio una zona di scisti cloritici separa le serpentine dalla massa - 415 - di lherzoliti serpentinose di Monte S. Giorgio ohe si estende a Sud fino sotto il Castello di Piazza e ad Est fino a Piossasco dove è co- perta dal Quaternario. Eclogiti. — Sono in masse limitatissime e di poca importanza, ma sono notevoli perchè si avvicinano molto alle eclogiti tipiche, a differenza della maggior parte delle eclogiti delle Alpi Occidentali. Sono roccie a fondo verde con numerosi inclusi di granato rosso, variamente sviluppati e abbondanti da punto a punto. A. M. — Rutilo ; granato roseo con parti bruniccie verso il mezzo con inclusi di omfacile. Questo minerale è il costituente essenziale della roccia. È in elementi di varia grandezza, che si trasformano in antibolo verde bluastro cupo nel contorno, massime al contatto col granato. Fra di essa in elementi minori ed in quantità affatto subordinata trovasi un antibolo che ha le tinte di poli eroismo della gastaldite, e che pure sfuma all’intorno in detto antibolo verde-cupo. Questo ha le tinte di certe arfwedsoniti, ma non ne possiede le proprietà ottiche. Clorito scisti. — Li abbiamo visti associati a serpentinoscisti ed agli scisti attinotici in diversi punti, specialmente al limite fra pra- siniti e serpentine, e fra serpentine e lherzoliti. Sono sempre zeppi di ottaedri di magnetite perfetti e raggiungenti a volte la grossezza di un centimetro. Sono costituiti essenzialmente da pennino,. Roccie Iherzolit iche e serpentinose. — Rinvio per queste roccie alle notizie che ne darò in una nota a parte trattando specialmente della massa lherzolitica sernentinosa di Lanzo-Musinè, di Monte Moncuni e di Monte S. Giorgio, e dei filoni delle roccie felspatiche che le attra- versano. In questo lavoro saranno pure esposte alcune idee sull’origine delle granatiti. Prasiniti. — In un lavoro che riassume gli studi fatti dai diversi operatori nelle Alpi Occideatali 1 furono già dal Novarese precisati i caratteri delle roccie che si comprendono sotto tale nome, e chi scrive ebbe ad esprimere il suo convincimento sulla derivazione per meta- morfosi dalle eufotidi e dalle diabasi, di alcuni fra i tipi più comuni e più abbondanti nelle dette Alpi. Le prasiniti della regione in discorso appartengono appunto a questa categoria, e di esse ho dato notizie nel lavoro citato nel precedente fascicolo del Bollettino 2. 1 Al Novarese, Nomenclatura e sistematica delle pietre verdi delle Alpi Occidentali (Boll. R. Com. gecl., 1895, fase, 2°). 2 S. Franchi, 1. c. - 416 - Quaternario. Valle del Chisone. — I ghiacciai della valle del Chisone e della valle della Germanasca non discesero fino a Perosa Argentina, sicché il corso inferiore del Chisone è un bell’esempio di quelle valli in cui si possono osservare i terreni alluvionali dal più recente al più antico. Il diluvium antico 1 costituisce i contrafforti collineschi che stanno alla sinistra del Chisone tra Meano e Perosa Argentina e che sono originati dall’intaglio di una estesa e potente falda alluvionale per opera dei torrentelli scendenti dal gruppo del Monte Bocciarda. Di questi contrafforti i più importanti sono tre : quello che termina a Bec Dauphin e sul cui crinale si distende il caseggiato Ciapella; quello di Cialines a Sud di Agrevo, ed infine quello a cui s’addossa Perosa Argentina e su cui stanno il Forte ed il caseggiato di Ciam- piano. Tra i due primi sonvi altri contrafforti minori sui quali stanno i casali di Muliere, Briere e Boet; essi si elevano sopra una falda alluvionale torrentizia estesissima, su cui stanno i casali Brandonegna, solcato da rigagnoli senza importanza, e che è terrazzata a Sud dal torrente Greve e dal Chisone. Così è della falda alluvionale analoga che si trova tra i due ultimi grandi contrafforti anzi citati, e che è terrazzata dal Pio di Comba Ciampiano e dal Chisone stesso, e sulla quale è situata la borgata Brancard. Un lembo di alluvione corrispondente alle due falde torrentizie precedenti sembra sia quella su cui sono poste la parte alta e la chiesa di Perosa Argentina, e che è difesa dalle erosioni attuali del Chisone dallo spuntone di roccie grafitiche in cui è intagliato a Sud lo svolto dello stradale. Se si considera l’importanza del terrazzamento fra questi tre lembi di Brandonegna, Brancard- e Perosa Alta ed il Chisone, sembra si possano considerare come equivalenti al diluvium medio , che si distinguerà più in basso nella valle. Tra Perosa e Dubbione sulla sinistra della valle una estesa falda di terreno di trasporto si mostra a grande altezza a Nord di Bivoira, 1 Adotto pel Quaternario le divisioni stabilite dal collega ing. Stella nel suo lavoro Sui terreni quaternari della valle del Po, ecc. (Boll. R. Com. geol., 1895, fase. 1°). — 417 — Ribetti ed a Bernardi; ma mentre è plasmata a conoide su vasta estensione dalle acque di Ccmba Rivoira, si mostra poi più a valle in falde a declivio unico ed uniforme, per cui non è possibile di farvi quelle divisioni, che in questi terreni sono essenzialmente basate sulla morfologia topografica. Dirimpetto si ha invece balta terrazza di Inverso Pinasca di cui parla l’ing. Novarese nelle pagine che seguono a queste mie. A valle di Dubbione, che è posto al vertice del largo cono a lieve pendenza del Rio del Gran Dubbione, si possono fare in base alla topografìa quattro divisioni nelle alluvioni. Una più alta e più antica {diluvium antico ) che sale ad appoggiarsi contro le roccie grafìtiche fin sopra Ciapelle ad Est di Dubbione ed a Caserme a Nord di Villar Perosa a 120 metri sul letto attuala del Chisone. Un’altra divisione, prodotta dal terrazzamento di quella e che ha per limite superiore all’incirca la strada carreggiabile che va da Dubbione ad Airoli, a C. Viotti, a C. Rovere, eoe. e per limite in- feriore una linea sinuosa che si tien poco distante dalla strada car- rozzabile, sembra doversi riferire al diluvium medio. Sulla carta al 25000 di Pinasca le curve di livello di 10 in 10 m. indicano assai bene queste due zone di alluvione, la prima più antica con piccoli contrafforti arrotondati ed a forti pendenze separati da forti incisioni di rigagnoli di nessuna importanza, la seconda più pianeggiante con lievi declivi verso l’asse della valle e con incisioni meno sentite per opera di quegli stessi rigagnoli. Dove questi escono dalle incisioni del diluvium medio formano piccoli coni sull’alluvione più recente {diluvium recente) colla quale sfumano, e che è leggermente terrazzata dal corso del Chisone. Sulla destra non sembra esistere il terrazzamento intermedio sopra descritto. E notevole il leggiero terrazzamento del diluvium recente a monte di Malanaggio di fronte al terrazzamento importante a valle di Porte (10 m.), quantunque ivi avvenga ora nella viva roccia per oltre 1 km. Di questo fatto la causa sta molto probabilmente nella resistenza della roccia dioriti ca che il Chisone deve erodere nella stretta che è tra Porte e Malanaggio. Presso Porte infatti la roccia dioritica scende con fòrti pendenze fino all’alluvione attuale del Chisone, in mezzo alla quale spunta in diversi punti. A Nord di Porte ed a Sud di Giaj due lembi di alluvione a pen- denze uniformi corrispondono all’alto terrazzo di C. Gay indicato dal Novarese sulla destra. B - 418 - Una falda di alluvioni antiche abbastanza estese e nella quale sono possibili, quantunque un po’ meno nette, le divisioni fatte presso Dubbione, si osserva sulla destra del T. Lemina tra Riaglietto e S. Pietro. Le cascine Turbiglio, Darbesio, Bolla, Vecchia e Rubini sono sul diluvium antico , mentre 0. Danesi, S. Antonio, Colombata e Ser sono sul diluvium medio , sul quale trovansi i centri abitati di S. Martino, Fiugera, Riaglietto e Abbadia, e la cascina Bertairone. Il diluvium recente , il cui piano corrisponde alla superfìcie del gran cono di dejezione fuori valle è chiaramente terrazzato dal Chisone a Sud di Riaglietto e dal Lemina a Nord dello stradale dove si osser- vano due piccole terrazze. È a notarsi che le alluvioni antiche della Val Lemina, che for- mano una striscia raggiungente la larghezza di 1 km. presso Ab- badia sulla destra del torrente, sono solo rappresentate da sottili lembi applicati alla falda collinesca della sinistra. Un velo di terreno di trasporto sale fino all’altezza del colletto quotato 451 metri a Nord della Cittadella, colletto che era perciò soverchiato dal diluvium antico. Il diluvium antico della valle presenta quasi ovunque la facies mo- renica. Così il lembo Villar Perosa-Dubbione contiene grossi blocchi di gneiss centrale, di eufotidi e di eclogite. Questa facies è ancora più spiccata nei contrafforti sopra citati di Ciappella, e del forte di Perosa, tanto che dapprima ero dubbioso se interpretarli come morenico o come diluvium antico. Presso Brancard e salendo da Perosa Argentina al forte si tro- vano blocchi di considerevole grossezza di serpentina, di eufotidi ura- litizzate a smaragdite, di eufotidi ad olivina, eco.; però salendo dal forte ai casali di Ciampiano sul dorso del contrafforte, non s’incontra più alcun elemento delle roccie dell’alta valle. Dominano invece assoluta- mente varii tipi di gneiss in blocchi relativamente grandi profonda- mente ferrettizzati, con altre roccie provenienti dalle falde montuose adiacenti, del gruppo di Monte Bocciarda. Questo fatto dimostra ad evidenza che non si tratta ivi di mo- renico la cui caratteristica è appunto il miscuglio dei diversi tipi di roccie di tutta la valle soprastante, ma invece di un’alluvione antica il cui materiale, tolto esclusivamente alle vallecole secondarie vicine era disteso in una serie di coni fra loro raccordati, e si mescolava soJo verso l’asse d’ allora (presso le rovine del forte) colle alluvioni della valle principale e della valle Germanasca. La ferrettizz azione del gneiss del diluvium e del gneiss dioritico presso Ciampiano conferma 419 — trattarsi veramente del diluvium antico anteriore all’ epoca glaciale che originò i nostri anfiteatri extra-alpini. Bacini - di Cumiana e di Frossasco. — Le alluvioni dei bacini prospicienti alla pianura, ristretti e chiusi da un anfiteatro di cime poco elevate, sono particolarmente difficili da suddividere, perchè i corsi d’acqua poco importanti che vi hanno origine producono rara- mente terrazzamenti importanti sui quali basarci per estendere ad essi le suddivisioni introdotte in quelle delle grandi valli. Così è, nella regione di cui tratto, dei bacini ad anfiteatro di Cu- miana e di Frossasco. Quello è costituito da numerosi conoidi che hanno i loro vertici nelle varie gole secondarie ( ampetto, Allivella- tori, Montegrosso, Burdini, Porta, S. G-ervasio) e che si fondono poi in una falda unica a varia pendenza, la quale viene insensibilmente a raccordarsi col diluvium della pianura, e mostra in qualche tratto su questo un poco marcato terrazzo. Il Pio Tori, il R. Borghiuo, la Chisola ed il R. Rumiano terrazzano qua e là questa falda che inci- dono profondamente, e che è pure frastagliata da innumerevoli altri corsi minori. Il conoide ferrettizzato di Tavernette e le falde detritiche ocracee rosseggianti dei pressi della Torre di Baldissero, collegano il bacino di Cumiana alla falda di diluvium antico del bacino di Frossasco, molto piu semplice ed omogenea, incisa protondamente da numerosi riga- gnoli e terrazzata dal Torrente Noce e dal Rio Chiaretto. Presso il limite tra la roccia in posto ed il diluvium antico quella è profondamente decomposta e ferrettizzata anche su qualche metro di spessore, allo stesso modo che i blocchi di gneiss del terreno detritico sono fradici come quelli del ferretto caratteristico. Tale stato di decomposizione dei gneiss permette in molti punti della regione a leggieri declivi l’impianto di vigneti sul gneiss in posto, nel quale si scavano i fossi col piccone. E notevole la distribuzione verso la sommità di detto diluvium di grandi blocchi e tavoloni di gneiss poco arrotondati (5 o 6 m. di grossezza) a distanze di qualche chilometro dalla roccia in posto. Questo tatto che pare difficilmente spiegabile col trasporto per mezzo delle acque che scendevano poche e suddivise sulla falda diluviale si può forse spiegare collo scivolamento di detti blocchi sui nevai, dopo il loro staccarsi dalle falde montuose soprastanti per effetto dei disgeli. A causa di queste alluvioni antiche ferrettizzate che formano ge- neralmente una falda continua piu o meno estesa circondante la roccia - 420 - in posto, questa si incontra solo ad una certa altezza sulla pianura diluviale. In alcuni tratti però, come tra Pinerolo e Monte Oliveto e tra questo monte e Boet la roccia in posto scende fino a pochi metri dalla pianura. Del Quaternario della valle del Sangone la cui storia è intiera- mente legata con quella dello sviluppo dell’anfiteatro morenico di Ri- voli non è il caso di parlare in questa nota. Considerazioni generali. I ciottoli di quarzo rotolati nei micascisti, ed i caratteri litolo- gici di molte roccie della zona grafitica , ci fanno ritenere come certa l’origine clastica sedimentaria delle roccie che la costituiscono, malgrado la loro relativa cristallinità. Questa può essere dovuta a cause metamor lizzanti diverse, la cui importanza relativa non siamo in grado di precisare. Ad esempio la presenza di una mica bruna cogli identici caratteri e con una freschezza relativa in tutte le roccie grafitiche ed in tutte le roccie dioritiche tanto fresche quanto metamor- fosate in prasiniti, non è facile a spiegarsi. Nelle roccie dioritiche non par dubbio la si debba ritenere come elemento costituente primitivo; a contatto di queste, e specialmente negli scisti grafìtici macchiati la si potrebbe ritenere come elemento metamorfico di contatto, ma nella grande massa di scisti grafìtici a considerevoli distanze dalle suddette roccie gratifiche non si potrebbe forse fare appello a tale azione di contatto senza attribuirle un’ estensione sproporzionata all’ importanza delle masse stesse. D’altronde anche gli scisti macchiati se si trovano in alcuni punti in prossimità delle roccie dioritiche, in molti altri fu- rono trovati dove non havvi indizio di affioramenti dioritici (Comba Riaglietto); ed in molti altri punti dove il contatto con questi è vi- sibile gli scisti .non sono macchiati. Conviene perciò aspettare dai nuovi fatti che potranno risultare dal seguito del rilevamento, un po’ più di luce sull’argomento. Un altro fatto importante che risulta dallo studio precedente èia metamorfosi di roccie dioritiche in roccie prasinitiche, metamorfosi che segue leggi analoghe a quelle notate nella trasformazione delle roccie diabasiche in prasiniti. Anche qui si nota la trasformazione di un felspato sodico -calcico in uno essenzialmente sodico; ed invece del pirosseno in questo caso è un anfibolo bruno ricco in titanio che si trasforma in anfibolo verde attinolitico. Tanto in questo caso come in quello vi ha una produzione concominante di sfeno , epidoti e clorite. Per le cause del metamorfismo di queste roccie si potrebbero ri- petere le considerazioni fatte per le roccie diabasiche; cioè qui pure la presenza simultanea in punti poco distanti di roccie metamorfosate massiccie e scistose, aventi la stessa costituzione mineralogica, mi induce a ritenere la pressione come uno dei fattori, essenzialmente ne- cessario onde avere ì7 acqua a temperatura superiore a 100°. Sono cioè tratto a considerare ivi pure il processo di metamorfosi; come un pro- cesso chimico per via umida, il cui veicolo è l’acqua soprariscaldata a temperatura corrispondente alle profondità alle quali furono portate le roccie durante i movimenti orogenici. Questi movimenti per effetto dei quali si inabissano le masse di roccie, cesserebbero perciò di essere cause uniche del metamorfismo di quelle, come le intendono oggidì alcuni dinamometamorfisti, per essere semplici cause concomitanti. Nè ciò è contraddetto dal fatto generalmente osservato che le roccie che hanno subite azioni meccaniche più potenti sono anche le più metamorfosate, giacché la frantumazione degli elementi mineralogici deve certamente favorire lo scambio degli elementi chimici necessario alla formazione dei minerali nuovi. Un fatto di altro ordine e di non minore importanza risultante dallo studio precedente si è quello che roccie di origine sedimentaria si trovino intercalate e sottostanti a masse di roccie gneissiche, che per nessun carattere si possono distinguere dal cosidetto gneiss centrale tipico degli altri massicci cristallini alpini. Qualunque sia però l’origine di quei gneiss, alla ricerca della quale cerchiamo di contribuire con lo studio microscopico non meno che collo studio dei giacimenti, resta finora esclusa ogni iniezione filo- niana di tali roccie nelle roccie metamorfiche che vi stanno a con- tatto. E per questo riguardo mi riservo di rispondere al signor W. Gre- gory sull’età e sul modo di giacimento del suo Waldensian gneiss *, in un prossimo lavoro sui dintorni di Bussoleno e di Yillarfocchiardo. Roma, maggio 1895. S. FRANCHI. 1 J. W. Gregory, The Waldensian Gneisses and their place in thè Cottian sequence. (Quart. Journ. of G. S., Voi. L, n. 198, May 1894, pag. 232). - 422 - ir. Sponda/ destra della/ "v alle inferiore del Cliisone. Sommario. — Area studiata. — Terreni antichi; roccie del gruppo grafìtico; scisti macchiati: grafiti. — Dioriti quarzifere granitoidi e gneissiche delle cave di Porte e di altre località. — Quaternario. Diluvium a facies alluvionale ed a facies morenica. — Ferrettizzazione della roccia in posto. In questo breve capitolo sono raccolti i risultati del rilevamento ese- guito nel 1894 del lato destro della valle del Chisone compreso nella tavoletta al 50000 di Perosa, a valle del Beo Dauphin, e nelle tavo- lette di Pinasca e San Secondo di Pinerolo al 25000, escluso però il vallone di Pramollo. Terreni antichi. — I terreni antichi del tratto rilevato corri- spondono a quelli che abbiamo raccolti nel gruppo grafìtico trat- tando della valle della Germanasca: dentro ad essi v’hanno però delle masse che per l’aspetto, composizione e struttura diversificano com- pletamente dagli scisti grafìtici e dai micascisti che li rinchiudono, tanto che considerata anche la loro giacitura, è giustificata l’ipotesi della loro natura eruttiva, e forse anche intrusiva. Le roccie del gruppo grafitico sono quelle che abbiamo enumerate in uno scritto precedente, 1 coll’aggiunta degli scisti macchiati di cui avremo fra breve a discorrere, e di qualche altro tipo raro o forse accidentale. Queste rocce formano tutto il fianco destro della valle - con pendenza generalmente rivolta ad Ovest ed a Sud. Dentro a questi terreni a monte di Perosa, sempre sulla destra, si osserva, una massa in cui sono aperte due piccole cave, di una roccia gneissica molto micacea la quale per quanto presenti qua e là differenze apprezzabili di aspetto e struttura, pure ha in complesso una omogeneità di costituzione che gli scisti incassanti sono ben lungi dall’avere, malgrado il loro aspetto uniforme. La roccia, che è la prosecuzione della massa analoga sulla sinistra del fiume, a valle dello sbocco del Bio Greve, affiora alla base dello sprone denominato Punta Ceresa, ed è coperta dagli scisti grafìtici, che formano tutto lo sprone stesso, pendendo più o meno fortemente verso Ovest. 1 Vedi il presente volume del Bollettino del R. Com. geol, pag. 255 (n. 3). - 423 Molto più a valle una roccia analoga compare nelle grandiose cave del Malanaggio sul] a sinistra e di Inverso Porte sulla destra del Chisone. Il rilevamento ha fatto conoscere che tutte queste cave sono aperte all’estremità settentrionale di una grande massa di forma grossolanamente triangolare, posta quasi tutta sulla destra del tor- rente, la quale forma il Pan di Zuccaro, il Brio Castelletto (metri 894), posto quasi nel centro dell’affioramento, e giunge fino al Brio Poi ed al paese di S. Secondo. Questo gneiss più o meno granitoide attra- versa il Chisone fra San Germano e Porte e risale a formare la massa del Malanaggio, che non è se non l’apice settentrionale del triangolo ora descrito. Nella sua parte settentrionale questa massa è a contatto diretto degli scisti grafìtici che si mettono sotto di essa con pendenza verso Sud e Sud-Ovest ; lungo il lato Sud-Ovest collo gneiss vengono a contatto dei micascisti a muscovite, ma così coperti da coltivazioni e così al- terati, che è assai difficile l’osservare in essi direzione e pendenza. Il contatto occidentale che corrisponde per un tratto alla valle del Rio Turinella, sotto Roccapiatta, non è stato ancora definitivamente ri- levato. Infine come semplice notizia preliminare si aggiunge ancora che nel vallone di Pramollo, poco sopra a San Germano, è stata trovata una terza massa dello stesso genere, sulla pendice meridionale del Poggio Pini, sopra Costabella: essendo tale località stata percorsa sol- tanto in ricognizione non si ha idea dell’importanza che può avere questo affioramento. Gli scisti macchiati, che ricordano nel loro aspetto gli scisti a chiastolite, sebbene i lunghi prismi biancastri che spiccano in essi non siano di tal minerale, sono stati trovati con bellissimo sviluppo sull’erta pendice che sovr’incombe alla strada rotabile detta dell’Inverso, fra Chianavera e la frazione Sagna di San Germano Compare ivi in due varietà: uno scisto tabulare, ardesiaco su cui si osservano delle mac- chie bianche di 7-8 cm. di lunghezza, e fino un centimetro di lar- ghezza, spesso con una stretta zona centrale longitudinale più scura, ed uno scisto ricchissimo di grafite, in cui i prismi biancastri a sezione quadrata o rombica, con un nucleo verdiccio, lunghi fino a 10-15 cm. formano nelle fa'Tcie di scistosità una specie di reticolato a ramificazioni, che a primo aspetto pare un’impronta di origine orga- nica, analoga agli intrecci di calamites nelle facciV degli scisti ad im- pronte del Carbonifero. - 424 — I banchi di grafite hanno qui maggior sviluppo che non nella valle della Germanasca, e nella frazione di Viviani, di Inverso Pi- nasca, vi sono coltivazioni regolari e ricerche numerose. Oltre la gra- fite propriamente detta e coltivabile, abbondano degli scisti grafitici in cui la materia litoide ha la prevalenza su quella carboniosa, seb- bene nell’aspetto, la differenza dalla grafite propria sia assai piccola; unico carattere distintivo, almeno sul terreno, è la maggiore durezza degli scisti. I conglomerati gneissici si mostrano in alto della pendice al cui piede stanno le frazioni di Inverso Pinasca, a S.E delle case di Buffa, precisamente in prosecuzione della zona il cui andamento è stato de- scritto per la valle della Germanasca. I tipi di roccia osservati nel complesso considerato sono i se- guenti : Gneiss e micascisti grafìtici Conglomerati gneissici Scisti grafìtici Scisti grafitici macchiati Micascisti a grafite e sismondina Gneiss minuti quarzitici senza grafite Micascisti ordinari Dioriti quarzifere a biotite ed amfìbDlo con struttura granitoide o gneissica (tipo Malanaggio). Gli gneiss e micascisti grafìtici sono collegati da forme inter- medie, e l’unica distinzione consiste nella presenza o nella mancanza del felspato, distinzione non sempre possibile ad occhio nudo. Macro- scopicamente i due tipi hanno grande rassomiglianza, specialmente quando abbonda il pigmento grafitico. Questi gneiss e micascisti sono nella loro struttura microscopica identici al cemento dei conglomerati che abbiamo descritto discorrendo delia valle della Germanasca. Al quarzo in granèlli e masserelle a mosaico, sempre limpido, si associa negli gneiss il felspato inquinato sempre da grafite) e con tutti i caratteri di un minerale rigenerato. Quarzo e felspato sono ancora legati in- sieme da mica bianca da clorito , e da una mica bruna che non manca mai in nessuna varietà e si può dire caratteristica per le roccie a grafite del gruppo grafìtico. Minerali accessorii frequenti sono il granato quasi sempre microscopico, e solo raramente in piccoli granelli appena vi- sibili, e la tormalina relativamente abbondante e talora anche visibile sulle facce di scistosità sotto forma di lunghi e sottili prismi. — 425 - I conglomerati gneissici sono di tipo prossimo a quelli, della valle della G-ermanasca, cioè ad elementi varii collegati da un cemento gneis- sico minuto grigio-scuro di tipo psammitico : però cominciano a diven- tare frequenti le varietà con mica abbondante e più povere di pigmento grafitico che si accostano nell’ aspetto ai micascisti con lenti di quarzo descritti dal collega Franchi nelle pagine che precedono. L’aspetto macroscopico degli scisti grafìtici macchiati è già stato descritto prima. II fondo della roccia è scistoso nel vero senso della parola perchè è composto unicamente da minerali micacei incolori senza o con ra- rissimo quarzo ; v’ ha qualche scarso granato ed il solito pigmento grafìtico. Dentro a questa massa in molti casi si vedono delle pagliette più scure e lucenti che sono dei cristalli di clorite impregnata di pig- mento per modo che in luce naturale non si distinguono affatto dal resto della sezione. In quanto ai grossi prismi bianchi essi sono at- tualmente un aggregato di minerali di alterazione, non ancora com- pletamente determinati. Nella varietà tabulare a prismi schiacciati, questi constano di mica bianca e di un altro minerale assai meno biri- frangente che non si potè determinare; nella seconda varietà a cri- stalli più lunghi con aspetto di ramificazioni l’orlo è formato da mica bianca, con qualche lamina ad orli pleocroitici in bruno, mentre il nucleo è formato da sismondina, debolmente colorata a geminazione polisin- tetica. Quale sia il minerale originario che ha formato i prismi non è possibile dire. Dei micascisti a sismondina del gruppo grafitico è già stato detto che sono identici a quelli degli gneiss e micascisti superiori salvo la presenza della grafite. Gli gneiss minuti quarzitici ed i micascisti non si distinguono da quelli di tal gruppo per nessun carattere speciale ed occorrono tanto nell’una che nell’altra formazione, almeno per quanto si sa finora. Le roccie che costituiscono le tre masse della base del brio Ceresa (I), del Malanaggio-In verso Porte (II) e del Poggio Pini (III) sono state determinate come dioriti quarzifere a biotite ed amfìbolo, con qualche riserva dovuta alla difficoltà che s’incontra talora per determinare la natura del felspato in talune varietà. Nella massa (I) le varietà si possono assegnare a due tipi: gra- nitoide l’uno, sebbene il parallelismo delle miche sia evidente, gneis- sico tabulare l’altro. Un campione preso da questa massa fu già de- — 426 - scritto una volta dal Bonney ', il quale però non riconobbe la natura del felspato, in cui mancano quasi totalmente le geminazioni polisin- tetiche, sebbene si tratti di un plagioclasio. La varietà granitoide è esclusivamente biotitica ; in essa la mica è molto fresca; il quarzo non molto abbondante; la zoisite in prismi sembra secondaria; il felspato si presenta in due modi, uno certamente primitivo più o meno alterato che è un oligoclasio , l’altro fresco e probabilmente se- condario che è albite. Accessorio lo zircone. Nella varietà gneissica tabulare il felspato è da attribuirsi del tutto olY albite; abbonda Y epi- doto a cui s’associa alquanta zoisite ; si scorge un po' d’ amfibolo e molta diorite. Nella massa (II), anche in ragione della sua grande estensione, ab- bondano le varietà di struttura e di composizione. Sulla destra del Chisone la struttura gneissica è sempre assai evidente, ma varia di molto l’aspetto della roccia sia per la grossezza degli elementi che per la diversa proporzione fra quelli bianchi e quelli colorati. Nella parte meridionale del massiccio verso la cosidetta Colletta e fra Pra- rostino e San Secondo lo gneiss è ad elementi relativamente grossi, e la mica, più scarsa del solito non forma membrane continue sulle facce di scistosità ma soltanto delle macchie. Invece presso l’orlo set- tentrionale sono frequenti le varietà in cui la mica nera predomina; così presso Manda frazione di Prarostino. Nelle cave sulla riva del Chisone lo gneiss è a grana minuta, e le macchiette felspatiche iso- late e tondeggianti ricordano la struttura ovarditica, che si presenta molto spiccata in certe varietà amfibolico-cloritiche raccolte presso il contatto meridionale fra le case G-ay e Monier poco lungi da San Se- condo. Malgrado queste varietà così numerose la composizione è abba- stanza uniforme ; elementi costanti sono un felspato iridino e la mica bruna in proporzioni variabili ; quarzo sempre presente ma sempre subordinato: Y amfibolo non abbonda che localmente, talora fino a mettere in seconda linea la mica bruna come per esempio appunto nella varietà a struttura or biculare' (ovarditica) di casa Gay. Però così l’amfibolo come Yepidoto e la zoisite che non mancano mai, e la clo- rite sempre in poca quantità e non sempre presente, hanno l’aspetto di minerali secondari derivati dalla metamorfosi ed alterazione di 1 Vedi Bonney, op. cit., pag. 103 (&) (Quarry 1 1/2 Kil. above La Perouse). minerali preesistenti. Solo nella varietà ad elementi maggiori sembra cbe il felspato non abbia dato luogo a formazione di albite ma piut- tosto ad epidoto e zoisite misti a prodotti d’alterazione terrosi. La roccia del Poggio Pini (III) ha pure analoga composizione sebbene l’aspetto sia meno gneissico ; è caratteristica però l’ abbon- danza della clorite : del resto compaiono in essa tutti gli elementi enu- merati poco fa cioè quarzo, felspato, biotite, amfìbolo, clorite, zoisite e granato. Il felspato al solito forma degli aggregati saccaroidi di granelli non geminati ed è attribuibile all’albite. Questa, fra tutte le roccia della regione è quella che presenta maggiore analogia colla roccia di Valsavaranche descritta dallo scrivente col nome di diorite quar- zifera gneissica. 1 Quaternario. — Il Quaternario della valle inferiore del Chisone merita considerazione speciale perchè si lega per gradi ben visibili con quello delia pianura senza che in esso si trovi quel morenico ti- pico così sviluppato nelle valli delle Graje e nella comba di Susa. Veramente lo sviluppo maggiore del Quaternario è sulla sinistra del torrente ; sulla destra non si hanno che lembi staccati gli uni dagli altri, ma in posizione tale che il loro studio riesce sommamente istruttivo. Già si è detto in una nota precedente come nella valle inferiore della Germanasca fàccia difetto il morenico: il Quaternario vi è di tipo alluvionale e si collega a Pomaretto con quello analogo della valle del Chisone. Poco oltre la confluenza dei due torrenti ad una certa altezza sul fondo della valle si scorge molto nettamente sulla sinistra un gradino su cui si sono annidati i diversi villaggi di Fajola, Peynaud, Inverso Pinasca, Viviani e dopo una interruzione, le diverse frazioni di San Germano. Questo gradino è formato da materiale di trasporto addossato al pendìo roccioso, ed è terminato da una superficie pianeg- giante che forma, il terrazzo alto da 50 a 60 metri dal fondo attuale, e su cui qualche torrentello ha costruito dei coni di deiezione minu- scoli. Presso San Germano la massa diluviale è assai estesa, ma la forma di terrazzo è meno pronunciata ; in quel punto, posto allo sbocco del vallone di Pramollo, è inoltre evidente nel diluviale l’in- 1 Dioriti granitoidi e gneissiche di Val Savar anche (Boll, del R. Com. geol., 1894, fase. 8°). 428 _ fluenza dell’ antico cono di defezione del torrente che esce da questo ultimo, il Bisagliardo, il quale ha poi terrazzato esso pure così il proprio cono come le alluvioni antiche della valle principale. Dopo San Germano compaiono vari altri lembi di diluvium antico a Turina, alle case Pistone e Gay, ed alle case Trombotto, sul dorso del poggio detto Castel del Lupo, ma distinti da un carattere parti- colare. La scarpa del terrazzo non è tutta di terreno di trasporto, ma è invece parzialmente in roccia; sono dei lembi deposti per così dire a mezza costa; il fiume che li aveva costrutti, nel periodo erodente succes- sivo ha inciso non solo le proprie alluvioni anteriori, ma anche la roccia su cui queste poggiavano. Ed il fenomeno si ripete attualmente proprio in corrispondenza di questi lembi. Poco a valle del ponte vecchio di Porte comincia sulle due sponde un piano coperto di alluvioni che allargandosi fino allo sbocco della valle si raccorda col piano gene- rale della pianura. In tale loca] ita appunto, il fiume scorre da 10 a 15 metri più in basso del detto piano in uno stretto letto scavato nello gneiss; quelle alluvioni sono ornai, e da un pezzo, fuori dell’ambito delle piene, ed appartengono a quel piano che gli operatori indicano col nome di diluviale recente. Tutte le altre masse più sopra nominate e che sono attribuibili al diluviale antico o tutt’al più al medio, mostrano una caratteristica variazione man mano che si risale da valle a monte il Chisone. Nei profili, invero non troppo frequenti, del diluviale a valle di S. Ger- mano si scorge un tipo alluvionale abbastanza spiccato con ciottoli ben arrotondati e con accenni di stratificazione ; più a monte invece, sotto Inverso Pinasca, per es., il terrazzo è formato da un cumulo caotico ad elementi molto grossi ed angolosi di massi di tutte le specie litologiche più caratteristiche dell’ alta e media valle come eu- fotide, serpentina, eclogite, gneiss ghiandone, ecc., che danno alla for- mazione un aspetto morenico dei più spiccati: si ha qui un esempio di diluviale antico terrazzato a facies morenica entro valle. A proposito di Quaternario, è opportuno un osservazione relativa al fenomeno della ferrettizzazione , cioè di quell’ alterazione particolare più o meno profonda e localizzata, frequente nei terreni di trasporto quaternari, ma non esclusiva a questi. Sulle faccie terminali verso la pianura dei contrafforti che dividono 1’ una dall’altra valle alpina, faccie che per la loro forma e posizione si trovano ad essere aree in cui 1’ azione dell’ erosione superficiale dovuta alle acque meteoriche è mi- nima, si osserva che il fenomeno della ferrettizzazione, cioè dell’ alte- razione profonda delia roccia senza che questa perda la sua struttura, si estende anche a superfìcie considerevoli di roccie in posto. Il feno- meno si osserva con caratteri alquanto diversi a seconda della natura della roccia, ma è costante, al di sotto di una certa altezza, su tutta la faccia dei monti che è rivolta al piano, mentre cessa subito appena si entra nelle valli maggiori. Le roccie che meglio mostrano tale alterazione sono gli gneiss e micascisti. E precisamente lungo la pendice occidentale dell’ ultima collina di terreno cristallino che sta fra il Chisone ed il Pellice alle I spalle di San Secondo e Bricherasio, dove si trovano esclusivamente tali roccie, si verifica il fatto indicato in modo assai caratteristico. Invece il Quaternario che sta al piede di questi poggi è più raramente ferrettizzato in modo completo, sebbene non manchino qua e là delle plaghe dove tale fatto si verifica. Roma, maggio 1895. Y. NOVARESE. II. B. Lotti. — Strati eocenici fossiliferi presso Barigazzo nell Appennino Modenese . (Con una tavola). Il terreno eocenico dell’ Appennino Modenese può esser diviso in tre gruppi fra loro distinti stratigraficamente ed anche, quasi sempre, litologicamente. Il gruppo superiore è costituito da arenaria preva- lente, in continua alternanza con strati di calcari e di scisti marnosi ; il medio da scisti argillosi e calcari marnosi, con calcari screziati a foraminifere e masse serpentinose ; V inferiore da arenarie e scisti are- nacei ed arenaceo-argillosi grigi, con qualche strato nu mmuUtifer o specialmente nella parte superiore. Nei dintorni di Pievepelago e Barigazzo, che più ci interessano per ciò che andiamo ad esporre, le roccie del primo gruppo, che chia- meremo e1 (v. Carta geologica, Tav. VI), formano la parte più ele- vata della catena che, dirigendosi da S.O a N. E, divide la valle della - 430 — Scoltenna da quella del Dragone, coi monti Acuto, Cantiere, Rovinoso, La Besigola 1 e Rocca. Da un lato e dall’altro, quasi a mezza costa della catena stessa, questa formazione e1, clie nell’insieme presenta strati quasi orizzon- tali o poco inclinati, sovrapponesi a quella del secondo gruppo e2, co- nosciuto più comunemente dai geologi che studiarono l’ Appennino Emiliano col nome di zona delle argille scagliose. In queste roccie sta racchiusa, nei dintorni, la piccola massa serpentinosa S di Sassostorno, dalla parte della Scoltenna, e quelle notevolissime di Boccassuolo, Sas- satello e Erassinoro, dalla parte del Dragone, costituite quasi esclu- sivamente da diabase. Sotto a questa formazione compariscono gli scisti arenaceo-argil- losi e le arenarie del terzo gruppo (e3-©4), nelle vallecole di Serpiano, di Barigazzo e della Santona che scendono alla Scoltenna e lungo la Scoltenna stessa fino al Ponte di Strettara, da dove, dirigendosi verso S.E, vanno a costituire la zona montuosa che sovrincombe a Sestoia e a Panano. Questo aggruppamento è del tutto conforme a quello seguito con- temporaneamente dal Pantanelli pel tracciamento della carta geolo- gica dell’ Appennino Modenese pubblicata di recente 2, e son lieto di trovarmi d’accordo collo stesso autore non solo in questo, ma anche nei riferimenti cronologici, colla sola differenza, che egli riferisce al- l’Oligocene il gruppo superiore e1, mentre io non trovo ragioni per distaccarlo dall’Eocene, non solo perchè formato da roccie che rap- presentano in tutto quanto l’ Appennino settentrionale il più tipico Eocene, ma anche perché ad Ovest del Monte Cantiere, in un cam- pione d’arenaria feldspatico-cloritica di questo gruppo si potè osser- vare un esemplare completo ed un frammento di nummulite i cui caratteri sono come appresso descritti dal dott. Di Stefano 3 « Num- mulites piccola, discretamente gonfia, non granulosa, a filetti sottili raggiati, flessuosi, che è vicina alla Nummulites striata d’Orb. Però la determinazione specifica non può farsi con sicurezza, non essendo ben visibili i caratteri interni ». 1 Non Alpe Sigola, come erroneamente è detta sulla Carta dell’ Istituto geografico militare. 2 L' Appennino Modenese descritto e illustrato. Rocca San Casciano, 1895. 3 Anche le successive determinazioni paleontologiche le debbo alla cortesia del collega dott. Gr. Di Stefano. Nella regione che ci occupa gli strati di questo gruppo son ca- ratterizzati. da fucoidi, Taonurus e varie specie d’ Helminthoida ( H . crassa SchafL ed H. labyrinthica Heer), che trovai specialmente nel Monte Rocca, nel Monte Lama e sopra al Castellaro, non che da un Bathysiphon 1 che raccolsi in copia sopra la Santona, presso Pala- gano ed altrove. Il gruppo successivo è contraddistinto dalla presenza di roccie eruttive basiche (serpentina, gabbro e diabase), di solito in piccole masse sporadicamente disseminate, ed i suoi strati racchiudono V Helminthoida labyrinthica nel Monte Rocca e al Castellaro, abbon- danti fucoidi, foraminifere, briozoari e, più raramente, nummuliti. Queste ultime vi si raccolsero dal Pantanelli presso Roncoscaglia in prossimità del contatto coll’arenaria del gruppo successivo e dal me- desimo autore ne furon riconosciute tre specie, di cui una sola determi- nabile, la N. intermedia d’Arch., insieme ad un’or bitoide e molti brio- zoari, lithothamnium e radioli d’echino 2. Il terzo gruppo (e3-e4) costi- tuito, come fu detto, da sola arenaria e da scisti arenacei, racchiude pur esso strati con nummuliti, specialmente nella parte superiore dove furono raccolte, per non uscire dall’area che c’interessa, dal Panta- nelli presso Fanano alla confluenza del Rio dell’Ospitale col torrente Leo, dal Bombicci nel Pizzo della Riva sopra Rocca Cometa e da me alla Doccia presso Sestola. Nei dintorni di Magrignana e di Fa- nano vi trovai anche delle impronte somiglianti a Gyrochordae e Munsterie. E fuor di dubbio quindi che tutti e tre questi gruppi di strati, costituenti la parte più elevata dell’ Appennino Modenese, spettano al periodo eocenico. In altro lavoro più generale dirò come questo triplice aggruppamento non sia sempre possibile dappertutto nell’ Ap- pennino settentrionale; come il primo gruppo in specie cambi facil- mente di aspetto e di natura in senso orizzontale, per il diverso svi- luppo dell’ima o dell’altra delle roccie che lo costituiscono, tantoché l’uno di questi gruppi finisce per confondersi nell’altro 3; e come in 1 Un Bathysiphon ( B . apenninicus, Sacco) fu ritenuto dal Sacco come abi- tuale delle argille scagliose da esso riferite al Cretaceo (F. Sacco, Le genre Bathysiphon h Vétat fossile ; Bull. Soc. géol. de Fr., s. 8', t. XXI, 1893). 2 D. Pantanelli, Sopra un piano del nummulitico superiore nelV Appen- nino Modenese (Atti Soc. Nat. di Modena, s. 3a, XIT, 1893). 3 Un esempio lo abbiamo sul lato destro della vallecola di Barigazzo dove la formazione e2 manca, venendo sostituita in parte dal gruppo superiore e1, in parte da quello inferiore e4 (v. Carta geol.). conseguenza venga dimostrato, ciò che altra volta ho asserito 1 che ai limiti litologici delle formazioni eoceniche non possono sempre corrispondere limiti crono] ogi ci. Tracciate così le linee principali della geologia dell’ Appennino Modenese o, più precisamente, di quella parte di esso rappresentata nelle due tavolette di Pievepelago e di Fanano, al cui rilevamento geologico ho atteso appunto nella decorsa estate, passiamo ad esporre il fatto principale e non privo d’interesse che mi avvenne di osser- vare e di ben constatare nel corso del rilevamento stesso. Basteranno poche parole per tale esposizione, perchè la carta e la sezione, che unisco alla presente nota, mi sembrano di per loro sufficienti alla descrizione ed illustrazione del fenomeno, specialmente quando riflettasi alla grandezza delle scale adottate, 1:25000 per la carta e 1 : 12 500 per la sezione, tanto per le altezze quanto per le di- stanze, e quando si sappia che la sezione stessa non è ideale, ma nella massima parte rappresentata realmente in un taglio del terreno. A meno di un chilometro da Barigazzo andando verso Modena, sopra l’abitato del Castellaro, nel punto ove la via nazionale fa uno stretto gomito per girare intorno ad uno sperone d’arenaria che scende dal Monte Cantiere e separa le due vallecole di Barigazzo e della Santona, si osserva in un taglio, in parte naturale, in parte artifi- ciale, una pila di strati quasi orizzontali costituiti, sopra strada, da arenarie compatte2, con sottili letti argillosi interposti, colle quali alternano in alto pochi banchi di calcare marnoso 3, in basso grossi strati d’arenaria 5 sotto strada, da arenarie un po’ più confusamente stratificate 4 nelle quali stanno coinvolte masse calcaree e calcareo- arenacee costituite quasi in totalità da bivalvi 5. L’ insieme di questi strati apparenti nel taglio (v. Sez. A-B, Tav. VI), che supera di poco lo spessore di 100 metri, forma esattamente la base del gruppo supe- riore e1. Immediatamente sotto agli strati a lenti calcaree fossilifere seguono gli scisti argillosi con calcari marnosi e calcari a foramini- 1 B. Lotti, La Creta e l’Eocene nei dintorni di Firenze fProc. verb. Soc. tose. Se. nat., IV, 1885) 2 Vedi nota a pag. 435, n. 3 e 4. 3 Idem n. 2. 4 Idem n. 5. 5 Idem n. 6 e 7. fere 1 del secondo gruppo e2. La carta geologica del Pantanelli 2 in questo punto tiene un po’ più alto il limite fra il primo ed il secondo gruppo e segna nell’ accennato sperone del Monte Cantiere, presso la strada nazionale, le roccie di quest’ ultimo gruppo che egli riferisce all’Eocene superiore; ma per una carta in scala relativamente piccola, 1:150000, ed in vista della esiguità di questo lembo di terreno su- periore che forma il detto sperone, non può tale spostamento di limite essere considerato un difetto. In questa piccola pila di strati, ripeto quasi orizzontali, come mo- stra la sezione A B, che possono esser seguiti per 6 o 7 chilometri quasi fin presso Lama Mocogno e che si ripetono nell’altro versante del Monte Cantiere, raccolsi nel punto segnato col numero 1 (v. Carta geol. e sez., Tav. VI) un esemplare ben conservato di Inoceramus , che il dott. Di Stefano riconobbe come assai affine all’/. Cripsi Mant., abbondanti Chondrites , Palaeodictyon , Helminthopsis , Helmintìioida, Taphrelminthopsis , Ceratophycus, Taonurus , eco., alcuni determinati specificamente dallo stesso Di Stefano, come l’ Helminthoida crassa SchafL e il Palaeodictyon majus Mgh.; nel punto segnato col numero 2 compariscono le bivalvi fra le quali, sebbene si tratti di modelli interni, il Di Stefano riconobbe in parte le stesse Cypricardia , Thracia e Lucina descritte dal Capellini 3. Queste bivalvi stanno in un calcare grigio, con concrezioni limonitiche e facilmente frantumabile per la presenza appunto di quei fossili quasi sempre spatizzati. Talvolta le bivalvi abbondano a segno da costituire di per se sole la massa calcarea. I calcari fossiliferi formano delle masse irregolarmente lenticolari, di dimensioni variabili, ma non superiori a sette o otto metri, dentro l’arenaria ed i fòssili non son confinati alle sole masse calcaree, ma penetrano anche nell’arenaria che le involge alla quale fanno passaggio per mezzo di un sottile involucro di roccia mista calcareo-arenacea. L’arenaria circostante è talvolta a grana gros- solana come quella degli strati superiori associati a quelli ad Inoce- ramus e racchiude essa pure dei Taonurus e dei Palaeodictyon , sp. affi. P. majus Mgh., ma a maglie più allungate. Nei punti segnati col numero «5 sono gli strati con briozoari, lithothamnium, globigerine ed 1 Vedi Nota a pag. 436, n. 8 e 9. 2 D. Pantanelli, V Appennino Modenese , ecc. 3 Gf. Capellini, Il macigno di Porretta, ecc. (Mem. Acc. Se. Ist. di Bolo- gna, S. 4a, t. II, 1881). - 434 — altre foraminifere, fucoidi ed Helminthoida labyrinthica Heer. Questi strati, sebbene non abbiano offerto alcuna nummulite, corrispondono forse a quelli di Roncoscaglia del Pantanelli, i quali pure, come fu accennato, oltre alle nummuliti racchiudono resti di briozoari e di lithothamnium. Del resto la presenza o meno in essi di nummuliti non ha alcuna importanza speciale, poiché, per le conclusioni cui dovremo giungere, basta il fatto che la formazione calcareo-argillosa e2 * e quella sottostante (e5-e4) sono da ritenersi eoceniche per avere offerto in più punti strati con nummuliti. Per riconoscere bene i rapporti di posizione fra gli strati arenacei con Inoceramus e bivalvi e quelli calcareo-argillosi sottostanti del gruppo e2, occorre esaminare il terreno anche alquanto più ad Est della sezione, presso G. Borella, in certi dirupi a picco, non che, e forse anche meglio, presso C. Fontana immediatamente sopra la strada nazionale. Il fatto capitale dunque è il seguente: nella stessa località e nella stessa formazione compariscono inocerami e bivalvi simili a quelle trovate in altri punti dell’ Appennino in roccie di tipo eocenico e rite- nute e descritte come mioceniche; gli strati con Inoceramus sono su- periori a quelli a bivalvi e la loro distanza stratigrafica non supera i 40 metri; tanto nell’arenaria con inocerami, quanto in quella che racchiude le lenti a bivalvi si osservano resti di Taonurus e di Pa- laeodictyon ; il tutto sovrincombe alla formazione calcareo-argillosa o delle argille scagliose , la quale, subito sotto agli strati a bivalvi, contiene l’ Helminthoida labyrinthica , fucoidi, briozoari, foraminifere e, a poca di- stanza nei dintorni, orbitoidi e nummuliti, ed è sovrapposta ad are- narie racchiudenti esse pure strati nummulitici \ 1 I seguenti risultati dell’esame microscopico delle roccie fossilifere del Ca- stellaro, eseguito dal collega ing. A. Stella, confermano il legame genetico in- timo esistente fra queste roccie, nonché l’unità del loro deposito. Roccie del gruppo e1. a) Sopra gli strati ad inocerami: N. 1. — Arenaria calcarifera, molto felspatica e micacea, a due miche con poca clorite. Massa felsitico-arenacea con spruzzature di muscovite, accom- pagnata da molta biotite e poca clorite qua e là. La massa consta di calcite, quarzo e felspato abbondante. Frequenti e assai grossi granuli di zircone. Gra- nulazioni opache metalliche e sub-metalliche nella biotite, fino a completa so- stituzione. Parte interstiziale argillosa appena avvertibile qua e là. — 435 - Chiunque visiti la località non potrà non riconoscere, anche ad un primo esame, la esattezza del fatto enunciato e non gli sarà forse difficile di raccogliere qualche altro inoceramo, come gli sarà facilissimo di raccogliere in copia le bivalvi nei punti indicati. Chiara gli risulterà N. 2. - (Intercalata alle arenarie precedenti, immediatamente sopra gli strati ad inocerami). — Calcare marnoso leggermente quarzo-felspatico e micaceo, con sola mica muscovite. Massa omogenea costituita da fino pulviscolo calcareo- argilloso, avente spesso struttura di calcare finamente spatico e contenente di rado qualche granellino diafano di quarzo e qualche laminetta di muscovite. b) Strati ad inocerami: N. 3. — (Arenaria con Helminthopsis). — - Arenaria calcarifera, felspatico- micacea, leggermente argillosa, a due miche e poca clorito. Massa costituita essenzialmente di grani di calcite e di grani di quarzo con felspato, raramente striato, con sostanza interstiziale di natura argilloso-silicea, nella quale .si osservano abbondantissimi aciculi di rutilo sagenitico. Vi sono inoltre sparse laminette di mica muscovite, poca biotite e pochissima clorite, non che granula- zioni scure, opache o subopache, insieme con qualche granello di rutilo. N. 4. — (Arenaria con Helminthoida crassa ). — Arenaria calcarifera come la precedente. Composizione identica; però con minor quantità di so- stanza interstiziale siliceo-argillosa, e maggior tendenza della calcite ad assu- mere forme idiomorfe. c) Sotto gli strati ad inocerami alla base del gruppo e1: N. 5. — (Arenaria con Taonurus, nella quale stanno racchiuse le lenti a bi- valvi).— Arenaria marnosa, leggermente felspatica, molto micaceo-argillosa, a due miche, con poca clorite. Simile nella grana e nella composizione alle roccie N. 3 e N. 4, salvo differenze di proporzioni fra le diverse parti componenti. In questa si ha piuttosto una massa generale minutissima, dove hanno uguale importanza gra- nulazioni di quarzo con pochissimo felspato, granulazioni di calcite con sostanze argillose e un feltro di minerali micacei (muscovite prevalente, biotite e clorite), il tutto picchiettato di granuli scuri metallici, con qualche granellino di zircone e forse di rutilo. N. 6. — (Calcare arenaceo a bivalvi; parte esteriore più arenacea delle lenti). — Fondo generale costituito da cemento calcareo a grana minuta, cosparso di granuli opachi o semiopachi scuri metallici, e di rari grani di zircone e di rutilo. Su questo fondo stanno disseminati granellini in prevalenza di felspato, striato e non striato, in parte minore di quarzo. Vi si osservano inoltre irre- golarmente distribuite laminette di muscovite e di biotite colle quali paiono strettamente collegati alcuni intrecci di rutilo sagenitico. N. 7. — (Idem; parte costitutiva delle lenti). — Simile in tutto alla prece- dente ; solo vi si aggiunge qualche grano di sostanza argillosa (a finissima grana e otticamente inerte) sparsa qua e là nel cemento calcareo. Roccie del gruppo e2. a) Strato a foraminifere immediatamente sotto le roccie N. 6 e N. 7 : — 436 altresì l’impossibilità di spiegare con artifizi di tettonica il fenomeno, che altri potrebbe dire strano e che io dico solo di eccezionale im- portanza per le condizioni favorevoli in cui possono farsi le osserva- zioni e per trovarsi riuniti in un sol punto i due fatti paleontologici che resero tanto problematica la geologia del nostro Appennino set- tentrionale. Per coloro poi che non potranno avere agio di studiare de visu la località in parola, non saranno inutili alcune brevi considerazioni basate essenzialmente sui dati di fatto, esposti nella carta geologica e nella sezione. La quasi orizzontalità degli strati e1 e quindi la loro sovrapposi- zione a quelli ^ risalta evidente dall’ esame della carta, quando si noti che la loro linea di contatto insinuasi nelle due vallecole di Bari- gazzo e della Santona, dopo aver girato intorno al piccolo sperone del Castellaro, e mantiensi dentro di esse allo stesso livello, come mostrano le quote 1224 e 1170 di Barigazzo e della Santona, livello alquanto superiore a quello raggiunto presso il Castellaro. Potremmo aggiungere che prolungando la sezione A~B di poco più che altret- tanto, essa incontrerebbe lo stesso contatto tra le due formazioni, nel versante N.O del Monte Cantiere, pure alla quota di circa 1200 metri. Tali essendo le condizioni stratigrafìche della formazione e1 ri- spetto alla e2, è egli possibile ideare un rovesciamento o un disloca- mento qualsiasi per quanto strano e complicato ? E supposto che lo fosse e che gli strati del Castellaro dovessero essere ritenuti cretacei, non si andrebbe con ciò incontro ad un’altra difficoltà a riguardo delle bivalvi? Le stesse considerazioni stratigrafìche possono ripetersi per le roccie arenacee (e3-e4), le quali occupano il fondo delle due vallecole anzidette e riappariscono esse pure ad Ovest del Monte Cantiere nella valle del Dragone sotto alla formazione calcareo-argillosa e2. La presenza di bivalvi di tipo miocenico e di fossili di tipo cre- N. 8. — Brecciola calcareo-arenacea, felspatica; come le roccie N. 3 e 4, ma a grana assai più. grossa^ b) Strato a fucoidi fra gli scisti argillosi : N. 9. — Calcare marnoso leggermente quarzoso-micaceo, con sola mica muscovite. Tutta la massa mostrasi come un minutissimo pulviscolo calcareo- argilloso, solo qua e là con grani argillosi, con cristalloidi spatici di calcite e con granelli sporadici di quarzo e di felspato, anche striato. Qualche laminetta di muscovite. — 437 - taceo negli strati eocenici superiori alla formazione calcareo-argillosa o delle argille scagliose non è un fatto nuovo, nè isolato. Così, ad esempio, il Mantovani 1 2 nota che le ammoniti trovate alla Costa dei G-rassi nell’ Appennino Parmense furono raccolte nell’arenaria che sta sopra le argille scagliose e che fu detta dal Doderlein giovine ma - cigno. Dalla descrizione fatta dal Capellini * risulta che le roccie a bivalvi trovate presso Stagno in quel di Porretta compariscono alla base dell' arenaria subito sopra la formazione calcareo-argillosa con serpentine e quelle di Casola riposano immediatamente sopra le argille scagliose; quanto a quelle di Monte Cavallo, sempre in quei dintorni, ho potuto constatare io stesso la loro posizione alla base della massa arenacea del Monte Cavallo, ove questa sovrapponesi alla formazione calcareo-argillosa con serpentine, la quale nel Monte di Granagliene racchiude strati nummulitici 3. Il Capellini aggiunge inoltre che il complesso delle roccie a globigerine e bivalvi dell’ Appennino Bolo- gnese sarebbe da conguagliarsi alle marne compatte che nell’ Appen- nino centrale, nell’ Umbria e nelle Marche raggiungono grandissimo sviluppo e sono indicate col nome di bisciaro. Ora, per le osservazioni del dott. Bonarelli e per le mie proprie, risulta che questo terreno nell’Umbria è eocenico ed è rappresentato, come nell’ Appennino Mode- nese, dalle stesse due formazioni arenacee, una superiore e l’altra in- feriore, divise da una zona di roccie calcareo-argillose con serpentine; e precisamente, alla base della formazione superiore, costituita anche qui da arenaria prevalente in alternanza con strati di calcari e di marne, presso Gualdo Tadino il prelodato dott. Bonarelli, col quale visitai la località, trovò una massa calcarea piena zeppa di Lucine. In alcuni strati arenacei della formazione superiore trovansi in copia Palaeodictyon^Helminthoida e Taonurus , come nell’ Appennino Modenese. I petrefatti di tipo cretaceo e di tipo miocenico, che appalesansi qua e là nei terreni eocenici dell’ Appennino settentrionale, sono stati la causa per la quale tanto il complesso, quanto le singole forma- 1 Pio Mantovani, Argille scagliose e ammoniti dell’ Emilia (Atti Soc. It- Se. nat., pag. 47, 1875). 2 G. Capellini, Calcari a bivalvi di Monte Cavallo, Stagno e Casola nel- V Appennino Bolognese (Mem. Acc. Se. Ist. di Bologna, S. 4, t. II, 1881). 3 Ideai, Sul calcare screziato a foraminifere dei dintorni di Porretta (Rendic. Acc. Se. Ist. di Bologna, 1879). — 438 zioni costituenti questi terreni hanno subito le più strane vicissitudini in riguardo alla loro cronologia geologica, ad onta che nella loro va- rietà conservino un’impronta caratteristica che li distingue nel modo più deciso da quelli più giovani e da quelli più antichi. Fino dal 1847 il Pilla *, colpito dalla promiscuità di fossili eoce- nici e cretacei in questi terreni, ritenne opportuno di doverli riunire in un gruppo distinto che chiamò terreno etrurio. Savi e Meneghini 1 2, in seguito agli studi del Murchison 3, credettero invece di poter netta- mente distinguere in questo complesso l’Eocene dal Cretaceo per mezzo delle nummuliti; ma, mentre fu da loro e dai loro successori fissata nell’Eocene la grande massa delle arenarie, il cosidetto macigno , essi trovaronsi obbligati a repartire in due epoche diverse la for- mazione calcareo-argillosa, perchè offriva specie fossili dell’Eocene e del Cretaceo 4. Si andò avanti così in questo concetto, spostando dal- l’una all’altra epoca questa formazione in quelle plaghe ove, in se- guito ad osservazioni e ricerche speciali, venivano alla luce dei fos- sili, pur lasciando nell’Eocene l’arenaria, finché essa pure dovette alia sua volta cambiar di posto nel] a serie geologica. Così, mentre anche l’arenaria superiore alle argille scagliose , il cosidetto giovine macigno del Doderlein, per le osservazioni del Mantovani 5 nell’ Appennino Par- mense, minacciava di passare al Cretaceo, la scoperta in essa di bi- valvi aventi i caratteri di alcune di quelle ben riconosciute per mio- ceniche, nell’ Appennino Bolognese, nella Val di Sieve ed altrove, conduceva il Manzoni 6 a far rivivere l’idea del Bianconi .7 sull’età miocenica di tutta l’arenaria dell’ Appennino. 1 L. Pilla, Trattato di Geologia. Pisa, 1847. 2 Savi e Meneghini, Considerazioni sulla geologia della Toscana . Fi- renze, 1851. 3 R. I. Murchison, Sulla struttura geologica delle Alpi , degli Appennini e dei Carpazi. Firenze, 1851. 4 I. Cocchi, Description des roches ignées et sédimentaires de la Toscane (Bull, de la Soc. géol. de Franco, S. 2a, t. XIII, 1856). 5 Pio Mantovani, Intorno ad alcune ammoniti dell Appennino dell' Emilia. Reggio, 18S7. A. Manzoni, Della miocenicith del macigno , eco. (Boll. R. Comit. geolo- gico, 1881). 7 G. Bianconi, Considerazioni intorno alla formazione miocenica dell’ Ap- pennino (Mem. Acc. Se. Ist. di Bologna, S. 3, t. Vili, 1877). i - 439 - Il De Stefani il Ristori 2 ed altri, pur non accogliendo l’opi- nione del Manzoni in tutta la sua portata, dovettero anch’essi, per le stesse ragioni, riferire al Miocene plaghe vastissime di arenaria appen- ninica. Rimaneva pur sempre nell’Eocene l’arenaria tipica di Firenze, ritenuta superiore alle roccie calcareo-argillose circostanti nelle quali si erano ritrovati fossili di tipo cretaceo ; però, in seguito al rileva- mento geologico in grande scala di quella contrada, si dovette rico- noscere che quest’arenaria non riposava già sulle roccie supposte cre- tacee, ma era da queste ricoperta, dimodoché, qualora non si fosse voluto accettare l’idea della presenza di fossili di tipo cretaceo nel- l’Eocene, conveniva riferir l’arenaria al Cretaceo. E così fu fatto, nel- l’ultima edizione della Carta geologica d’Italia in piccola scala, per le masse d’arenaria dei monti di Eiesole, del Chianti e del Monte Al- bano, malgrado le osservazioni dello scrivente 3 4. Ma non si tardò a ri- conoscere insostenibile il riferimento di questa formazione al Cretaceo, essendosi trovati alla base di essa, nel Chianti, strati nummulitici e quegli scisti e calcari policromi, in parte eocenici, in parte senoniani, che segnano anche altrove il vero limite fra le due epoche geologiche terziaria e secondaria. Neppure si potè mantenere nel Miocene l’arenaria dei monti di Barberino e di Borgo San Lorenzo sui due lati della Sieve, essendo stata riconosciuta sottostante a roccie decisamente eoceniche ed avendo offerto anche un esemplare d 1 Inoceramus \ Contuttociò la zona calcareo- argillosa o delle argille scagliose con masse eruttive basiche (serpentina, gabbro e diabase) veniva quasi concordemente conservata nell’Eocene e coloro che vi scoprivano qua 1 C. De Stefani, Fossili di Dicomano e della Porr atta (Proc. verb. Soc. tose, di Se. nat., II, 1880), e II bacino lignitifero della Sieve (Boll. R. Com. geol., 1891). 2 G. Ristori, Il bacino pliocenico del Mugello (Boll. Soc. geol. ital., Vili, 1889). 3 Nel mio scritto La Creta e V Eocene nei dintorni di Firenze (Proc. verb. Soc. tose., IV, 1885), accennai d’aver trovato una nummulite nell’arenaria di Fiesole, notata dubitativamente per desiderio del compianto prof. Meneghini ; recentemente anche il Trabucco (Nummulites ed Orbitolites dell'arenaria ma- cigno, eco., Proc. verb. Soc. tose., IX, 1894), rinveniva nella stessa arenaria nuovi esemplari di nummuliti. 4 B. Lotti, Relazione sul rilevamento geologico eseguito in Toscana nel- l'anno 1894 (Boll. R. Com. geol., 1895). - 440 — e là fossili abituali del Cretaceo o ritennero questi propri del ter- reno eocenico o ricorsero ad artifizi per spiegarne in esso la pre- senza. Così il Capellini 1 a j roposito di questa formazione dice che « salvo qualche piccolo lembo, pel rimanente non può riferirsi ad un terreno più antico del flysch a fucoidi ed Helminthoida labyrinthica, che i geologi ormai son concordi nel riferire all’Eocene superiore »; e poiché a lui non potè sfuggire 1’ intimo legame fra gli strati nummu- litici e quelli a fossili cretacei, nota più oltre che ai fossili di tipo cretaceo c< che s’incontrano come veri erratici nelle argille scagliose non si poteva attribuire soverchia importanza per precisarne l’età ». Altrove 2 poi fa osservare che « diligenti ricerche stratigrafìche non potranno a meno di chiarire che le alternanze verificatesi qualche volta di strati ad orbitoidi e nummuliti con quelli ad inocerami non implicano doversi riferire queste roccie ad uno stesso complesso. Ciò che la paleontologia stratigrafica ha constatato quasi dovunque dovrà verificarsi anche in quei punti limitatissimi nei quali si hanno appa- renze di gravissima eccezione ». Il Taramelli 3, dopo aver constatato l’età eocenica della forma- zione calcareo-argillosa con serpentine dei pressi di Varzi e di Bobbio - nell’ Appennino Pavese colla scoperta di strati nummulitici, dice di non potersi decidere a portar fuori dell’epoca cenozoica certe arenarie alternanti con lavagne e con strati a nemertiliti e Zoophycos di quei dintorni, ad onta che in esse roccie il dott. Negri avesse trovato degli inocerami. Il Del Prato 4, contro l’opinione espressa dal Capellini, dice di non poter ritenere come erratici i fossili di tipo cretaceo delle ar- gille scagliose e conclude che questi fossili son propri della formazione del flysch appenninico e non danno sufficiente ragione per ammettere nell’ Appennino Parmense dei veri lembi di terreni mesozoici. Nel 1882 il De Stefani 5 * riferiva su fossili cretacei trovati in Gar- 1 G. Capellini, Il macigno di Porretta, ecc., (Mem. Acc. So. Ist. di Bologna, S. 4 , t. II, 1881). 2 Idem, Il cretaceo superiore ed il gruppo di Priab n a (Ibidem, t. Y, 1884). 3 T. Taramelli, Sopra due giacimenti nummulitici deli Appennino Pa- vese (Rend. Ist. Lomb., 1882). 4 A. Del Prato, La geologia dell' Appennino Parmense (Rend. Ist. Lom- bardo, 1882). 3 C. De Stefani, Il Gau7t e la Creta superiore nell’ Appennino settentrio- nale (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., II, 1880). - 441 - fagnana insieme con Chondrites ed Helminthoida ; ma nei vari punti da lui citati questi strati fossiliferi stan sopra ai calcari nummulitici , come può vedersi nella carta geologica delle Alpi Apuane recente- mente eseguita dall’Ufficio geologico. Piu tardi 1 riferì su fossili ana- loghi dei monti della Tolfa ed io feci notare fin d’allora che un cal- care nummulitico, constatato con osservazioni microscopiche, trovasi alla base di tutti i terreni della Tolfa e che per conseguenza i fossili di tipo cretaceo ivi trovati non potevano essere che in strati supe- riori al nummulitico, come infatti implicitamente lo ammetteva lo stesso De Stefani, ritenendo cretacei tutti i terreni dei monti della Tolfa. Più tardi ancora 2 in un’importantissima e completa rassegna dei fossili di tipo cretaceo raccolti in vari punti dell’ Appennino set- tentrionale, pur ritenendo, giustamente eocenica tutta la formazione calcareo-argillosa intorno e a valle di Porretta e pur volendo spiegare la presenza di un’ammonite in un blocco d’alberese incontrato dentro la galleria di Casale, fra Riola e Porretta, in pieno dominio delle ar- gille scagliose , il De Stefani trovasi costretto a supporre una piccola piega di terreno cretaceo capitata proprio dentro la galleria stessa; ma prima di questo terreno si avrebbe dovuto incontrare la grande massa dell’arenaria, pure eocenica, che sta sotto le argille scagliose 3. Nei monti della Spezia presso Vezzano fu trovata dal Cocchi un’ammonite {Schio embachia Cocchii ) ed un’altra indeterminabile dal Capellini in un’arenaria, che in seguito al rilevamento geologico del Zaccagna fu riconosciuta eocenica; che anzi nella stessa cava di pietra, fra Vezzano basso e Vezzano alto, da dove dicesi che provengano quelle ammoniti, lo stesso Zaccagna raccolse fra gli scisti argillosi dei noduli di calcare, nel quale il Meneghini osservò nummuliti ed orbitoidi. Anche leggendo la descrizione che ne fa il Sacco 4 si acquista la convinzione che quell’arenaria spetta all’Eocene. Egli dice infatti che gli strati, cretacei secondo lui, dove furon trovati quei fossili, sembrano sovrapporsi al macigno eocenico della stessa località ed im- magina disturbi stratigrafici per spiegare il fatto. Anche il De Ste- 1 C. De-Stefant,L<2 Creta neimonti dellaTolfa (Proc. verb. Soc. tosc.,V, 183B). 2 Idem, Studi paleozoologici sulla Creta inferiore e media delV Appennino settentrionale (Mem. Aooad. Lincei, S. 4a, t. I, 1883). 3 Vedi B. Lottj, Rilevamento geologico eseguito in Toscana nel 1893 , pa- gine 28-28. 4 P. Sacco, L’ Appennino settentrionale (Boll. Soc. geol. it , XII, 1893). - 442 — fani *, non potendo negare la sovrapposizione di quegli strati fossiliferi a calcari nummulitici, è forzato ad ammettere nel promontorio orien- tale della Spezia un rovesciamento in senso opposto a quello ben noto del promontorio occidentale, come è costretto pure ad invocare ripetute pieghe rovesciate per spiegare « quelle circostanze stratigrafiche sin- golarissime e speciali, per le quali terreni mesozoici alternano in mezzo a terreni terziari » presso Perticara nella provincia di Pesaro 1 2 3. Forse fu in vista delle difficoltà sempre maggiori, cui si andava incontro, a misura che si moltiplicavano le osservazioni e le scoperte paleontologiche, col conservare nell’Eocene la formazione calcareo- argillosa con serpentine e riferire al Cretaceo quelle piccole plaghe, sempre incertamente delimitate, in cui comparivano fossili di tipo se- condario, che il Sacco credette opportuno di prendere una misura ra- dicale trasportando in totalità la formazione predetta al Cretaceo 2. Egli in seguito allo studio di fossili trovati in vari punti dell’ Ap- pennino settentrionale concluse che la formazione calcareo-argillosa che li contiene rappresenta tutto il Cretaceo tipico, dal Cenomaniano inferiore al Senoniano superiore. Pur troppo però per sostenere, di fronte alle constatazioni locali, questa profonda modificazione della cronologia geologica dei terreni appenninici, trovasi anch’egli nella necessità di ricorrere continuamente ad inversioni della serie e a dislocazioni stra- tigrafìche. Oltre di che questo suo modo di vedere lo porta necessa- riamente a riferire al Cretaceo l’arenaria sottostante alle argille sca- gliose, la quale, come abbiamo veduto, racchiude essa pure, almeno nell’ Appennino Modenese e nel Fiorentino, strati nummulitici. Sta in fatto, ed è questa un’osservazione importante, che dapper- tutto, neU’ Appennino settentrionale, dove all’ Eocene, ben determinato e limitato in basso da strati nummulitici, come ad esempio nelle Alpi Apuane, in Val di Lima, nel Monte Amiata e presso Rapolano, succede la serie secondaria, il Cretaceo superiore è sempre rappresentato da scisti po- licromi, diaspri e calcari rossi (scaglia), mai però da roccie arenacee e calcareo-argillose simili a quelle dell’Eocene. 1 C. De Stefani, Nuovi fossili di Liguria, della Toscana , ecc. (E-end. Acc. Lincei, I, 1892). 2 Idem, Fossili cretacei dell'Emilia e delle Marche (Ibidem, I, 1892). 3 F. Sacco, Contribution h la connaissance paléontologique des argilles ècailleuses et des schistes ophiolitiques de VApennin septentrional (Bull. Soc. belge de géologie, ecc., VII, 1893). L’esperienza acquistata con una lunga pratica nel rilevamento della Carta geologica d’Italia, percorrendo specialmente le campagne della Toscana e del! Appennino settentrionale, fece sempre dubitare a me del valore attribuito ai rari fossili di tipo cretaceo ed alle bivalvi di tipo miocenico per la determinazione cronologica dei terreni di aspetto eocenico in cui qua e là tali petrefatti comparivano. Scrissi infatti fino dal 1883 1 contro l’età miocenica dell’arenaria a bivalvi di Porretta e fino dal 1885 2 contro l’età cretacea dei terreni dei din- torni di Firenze, non cessando di ritornare sull’argomento in questo senso ogniqualvolta me ne capitò l’occasione. Gli ultimi studi pel rile- vamento dell’ Appennino Bolognese nel 1893 e 1891 3 e quelli dell’anno corrente nell’ Appennino Modenese mi avevano già confermato sempre più nella convinzione acquistata, quando, presso al compimento del lavoro in quella regione, ebbi la ventura d’ imbattermi nella località fossilifera di cui sopra, che riassumeva, direi quasi sinteticamente, in uno spazio limitatissimo ed in condizioni oltremodo favorevoli per lo esame, i fatti qua e là osservati in precedenza. Stabilito adunque che presso Barigazzo negli stessi strati, ben deter- minati come eocenici, son racchiusi fossili di tipo cretaceo e fossili di tipo miocenico ed ammesso che tale conclusione, per le considerazioni esposte, sia estensibile agli altri punti fossiliferi dell’ Appennino sopra ricordati, vediamo di dare al fenomeno la più logica interpretazione e la spiegazione più plausibile. E prima di tutto domandiamoci se la determinazione di questi fossili sia assolutamente sicura. Pei fossili supposti cretacei osservo che essi sono generalmente in roccie arenacee e quindi poco adatte a conservare quei caratteri indispensabili per una giusta determinazione specifica, e quanto ai generi nessuna diffi- coltà dovrebbe aversi a priori per ammetterne il prolungamento della esistenza fino nell’Eocene, che anzi un’opinione contraria sarebbe antiscientifica, non essendo ragionevole il supporre che gli inocerami, ad esempio, i quali vissero in tutta l’epoca secondaria ed ebbero il loro massimo sviluppo nel Cretaceo, non possano aver avuto qualche superstite nell’ Eocene. Il Meneghini, che descrisse come 1. eocenus un 1 B. Lotti, Sulla posizione stratigrafica del macigno di Porretta (Boll. E. Comit. geol., 1883). 2 Idem, La Creta e l'Eocene nei dintorni di Firenze. 3 Vedi Boll. R. Comit. geol., 1894 e 1895. - 444 - inoceramo trovato dallo Strozzi nei pressi di Pontassieve *, fa notare olie « questo esemplare somministra dati sufficienti per stabilirlo come specie distinta, doppiamente interessante, e perche appartiene ad un terreno tanto povero di spoglie animali e perchè dimostra prolungata anche nell’epoca terziaria la esistenza di quel genere 1 2 ». L’associazione d’inocerami e di nummuliti fu anche osservata da Escher von der Linth in Svizzera nella valle del Sihl e nei monti di S. Gallo presso Sevelen, Wildhaus e Hohen Sax in strati che egli chiamò Wangschichten , ma credè di potere spiegare il fenomeno con dislocazioni stratigrafìche ; però il Kaufmann, in seguito ad esatte osservazioni in questa ed in altre località contigue, riconobbe inam- missibile una tale spiegazione e ritenne esplicitamente che tali strati segnino un passaggio fra la Creta e l’Eocene « come il piano garu - miliario di Leymerie che per racchiudere specie cretacee ed eoceniche ha da molti anni attirato l’attenzione dei geologi 3 ». Se poi la determinazione specifica di questi fossili di tipo cretaceo fosse incontestabile, non restano che due soluzioni: o ritenere che alcune specie, poche invero e rappresentate da pochi individui, si pro- trassero fino all’Eocene o che esse furon divelte da terreni preesistenti, forse prima ancora che fossero consolidati, e trasportate nel mare 1 Savi e Meneghini, Considerazioni, ecc., pag. 485. 2 Giova notare che questo ed altri inocerami trovati dallo Strozzi insieme con Nemertilites , Helminthoida, ecc., per quanto possa sofisticarsi sul punto preciso ove si rinvennero, furono tratti indubbiamente da quella formazione di strati calcarei, argillosi ed arenacei che domina tra Pontassieve e Fi- renze e che è tutta quanta superiore all’arenaria eocenica di Fiesole; fatto che può esser constatato lungo la valle del Mugnone presso Monte Rinaldi e presso Sveglia, ove quest’arenaria forma due anticlinali ricoperte dalle roccie calcareo-argillose suddette. 3 F. J. Kaufmann, Kalk-und Schiefer geòide der Kantone Schwyz und Zug, ecc. (Beitr. zur geol. Karte der Schweiz). Bern, 1877, pag. 60-60. In proposito dell’associazione di nummuliti con fossili di tipo cretaceo nei Carpazi, in Grecia, nell’America settentrionale ed altrove, hanno scritto fra gli altri V. Uhlig, Beitr. zur Geol. d. Westgaliz. Karpaten (Jahrb. d. k. k. geol. Reichsanst., 1888). — Boblaye et Virlet, Exped. scienti f. de Morée. Paris, 1888. — Th. Fuchs, Die Pliocànbild. v. Zante und Corfù (Sitz.-ber. d. Wiener Akad., math.-naturw. Classe, LXXV, 1877). — Naumann und Partsch, Physi- Tcal. Geol. v. Griechenland. Breslau, 1855. — Heilprin, On thè oge of thè Tejon rocks of California and thè occurrence of ammonitic remains in tertiary deposits (Proceed. of. thè Acad. of Philadelphia, 1882). Boll. del R.Comit. (jeol. d’Italia. CARTA E SEZIONE GEOLOGICA PRES Scala SEZIONE A H Strada Vandcdi ( 13,0 0 ) INNO Scala l: 12,500 Anno J895.Tav.VI. ( B. Lotti ) 9 RAMGAZZO (APPEXXLVO MODENESE ) 25,000 ) Casi 'elZaro (10,50 ) SSJE. Alasse sejpen linose . Scisti wenaceo-arffillosi griffi e rossastri che rappresentano una fàcies delta formazione successiva, (e*) . 1 -Arenaria con PaZaedictyon mazus. Cera /opti mix JJ e sfrati' mirnnailitici . -0- Umanazioni d'idrocarburi (fuochi J. Punii fossiliferi ( l ( In o ceraia ux, Jfelniùiiho àia lafvriid/iica, JT. crassa, Palaedictvon r/iaias- eie (2> (gpr leardi a , 77 erari a. Zarina . eie. ( 3 JJdriozoari,, fbraj/citufère e fri coidi . — 445 - eocenico, alla stessa guisa che oggi vengono trasportate nel mare at- tuale e nelle alluvioni del Tevere e dell’Arno le conchiglie divelto dai terreni subappenninici. Per non fermarmi sul fatto notissimo della presenza di rudiste nelle roccie nummulitiche dell’Italia media e me- ridionale, citerò una osservazione fatta dal dott. Di Stefano sul clas- sico Pliocene superiore di Altavilla presso Palermo, ove rinvengonsi, saldati insieme colle conchiglie plioceniche, belli esemplari di Sphae- rulites ed Rippurites , strappati evidentemente al sottostante Cretaceo. L’ opinione della origine erratica di questi fossili, sarebbe confor- tata dal fatto che essi trovansi racchiusi quasi esclusivamente in roccie clastiche, dovute a depositi littoranei e dall’ osservare che le loro specie sembrano appartenere a vari piani del Cretaceo; così, per esempio, il De Stefani 1 ne determinò del Senoniano superiore, del Santoniano e Coniaciano, del Turoniano e del Cenomaniano, ed il Sacco 2 3, in base allo studio dei fossili delle argille scagliose , fu condotto, come vedemmo più sopra, a distribuire questa formazione in tutto il Cretaceo tipico, dal Cenomaniano inferiore al Senoniano superiore. Analoghe considerazioni possono farsi a riguardo dei fossili cre- duti miocenici. Noto anche per essi che la questione non è di sapere se i loro generi possano trovarsi nell’Eocene, essendo questi già for- mati fino da epoche anteriori, ma piuttosto sarebbe a dimandarsi se le specie che trovansi nell’Eocene dell’ Appennino son quelle stesse del Miocene. Il Capellini, ad esempio, osserva 8, che fra i fossili num- mulitici d’Egitto e di Nizza vi sono bivalvi le quali ricordano assai bene taluna delle forme che s’incontrano nel macigno di Porretta e dice anche che un primo confronto fra questi fossili di Porretta e taluni di quelli delle Corbières gli aveva fatto nascere il sospetto che il maggior numero di quei modelli potessero rappresentare la Lucina corbarica) descritta e figurata da Leymerie ed indicata come specie ca- ratteristica degli strati epicretacei delle Corbières e della Montagna Nera. Ma supposto anche che talune delle specie trovate negli strati eocenici dell’ Appennino siano proprio quelle stesse conosciute nel 1 C. De Stefani, Verzeichniss von Fossilien der oberen und mìttleren Kreide in nordlìchen Apennin (Yerhandl. k. k. geol. Reichsanst., 3, 1883). 2 F. Sacco, Contribution a la connaissanee, ecc. 3 G-. Capellini, Il macigno di Porretta , ecc. — 446 — Miocene, parmi non vi sia ragione per questo di conclùdere in modo assoluto che quegli strati son miocenici, essendo ben noto che un buon numero di specie son comuni ai vari piani del terziario. Roma, dicembre 1895. III. Po Moderni. — Osservazioni geologiche fatte nell Abruzzo Teramano durante l’anno 1894 . (Con una tavola). Il rilevamento geologico nella regione settentrionale abruzzese, durante la campagna del 1894, si estese alle due tavolette di Nereto e Civitella del Tronto, nella prima delle quali fu completato e nella seconda rimase limitato alla sola parte orientale. Ciò premesso, passo a riferire quali furono le formazioni ricono- sciute e le principali osservazioni fatte sulle medesime. Terreni secondari: Neocomiano. — Nella parte centrale della ta- voletta di Civitella del Tronto, emerge dal rotto mantello eocenico un’isola di calcari secondari, di forma elittica, avente una lunghezza da N.O a S.E di 16 chilometri ed una larghezza massima di 3 7a: comprende le due alte cime di Monte Girello (Montagna dei Fiori) (metri 1797) e del Monte di Campii (metri 1721) divise l’una dall’altra dal profondo burrone dove scorre incassato il fiume Salinello. Ad oc- cidente, al contatto coll’Eocene, le due montagne, ma più specialmente quella dei Fiori, sono tagliate a picco e dalla parte orientale scendono pure dirupate e ripidissime. Sono costituite da calcari marnosi rossi e verdastri, da calcari giallognoli con venature spatiche, contenenti abbondanti noduli e straterelli di selce variamente colorata e da calcari bianchi saccaroidi alternanti fra loro. I banchi dei diversi calcari non sono molto potenti e la loro regolarissima stratificazione è inclinata ad Est dai 40° ai 50°. Soltanto nel vallone del fiume Salinello, un poco ad Ovest della Grotta S. Angelo sul versante meridionale del Monte Girello, per dove passa appunto la qui unita sezione (Vedi Tav. VII), si osserva una piccola sinclinale il di cui asse ha una lunghezza che non raggiunge i due chilometri; in questa località sono di bellissimo effetto i sottili strati di calcari rossi e verdi, ripiegati e contorti fantasticamente in mille modi. L’andamento della stratificazione può osservarsi nei vari burroni che solcano il fianco orientale della massa calcarea, ma più special- mente nel vallone del Salinello ed in quello del Fosso Grande, che attraversano intieramente la pila degli strati. Presso il villaggio della Pipe, allo sbocco del vallone Salinello, vi è la Grotta S. Angelo, tanto rinomata ed ammirata dagli abitanti dei dintorni, alla quale vecchie tradizioni danno parecchi chilometri di lunghezza : si tratta però di una caverna di una sessantina di metri al più di lunghezza, divisa in tre parti, e senza particolarità inte- ressanti. Il rilevamento della scorsa campagna dovette arrestarsi alle falde orientali delle due montagne anzidetto e perciò il massiccio di esse non può dirsi ancora studiato intieramente, non essendo stato percorso in ogni sua parte; pur tuttavia i campioni raccolti lungo il versante orientale, nei valloni del Salinello, delle Pietre Posse e del Fosso Grande, permettono di collocare, sia pure provvisoriamente, nel Neocomiano questa isola di calcari, identici litologicamente a quelli neocomiani dei monti della Sabina. Terreni terziari: Eocene. — La parte ben determinata di questa formazione occupa soltanto un tratto della zona centrale della tavo- letta di Civitella del Tronto, dove circonda l’isola anzidetta di calcari secondari. Abbenchè il rilevamento nella parte occidentale della ta- voletta non sia ancora ultimato, pure approssimativamente si cono- scono i limiti assai ristretti che circoscrivono l’Eocene ; a Sud esso si unisce colla zona che attraversa la tavoletta di Montorio al Yomano e va a terminare alle falde del Gran Sasso, ricoperta dalle molasse soltanto in un piccolo tratto fra il Tordino ed il Yomano; ad oriente uno stretto lembo di questa formazione, ricoperto quasi totalmente dai detriti quaternari, è interposto fra i calcari secondari ed il Mio- cene (Yedi la tavola annessa). Questo terreno consta di calcari mar- nosi, calcari scistosi, calcari bianchi scheggiosi e calcari grigi semi- cristallini a noduli di selce (questi ultimi fanno passaggio ai calcari marnosi) intercalati fra loro. La stratificazione dell’Eocene è assai disturbata, abbenchè non tanto quanto quella del Miocene che lo ricopre; pur tuttavia si può vedere abbastanza chiaramente che l’inclinazione generale di questa - 448 - zona eocenica è verso l’Ovest. Qualche geologo ha creduto riconoscere in questo lembo di Eocene il piano superiore ed il medio, rappresen- tato il primo dal calcare bianco scaglioso ed il secondo dagli altri calcari ; non credo però tale divisione esatta, poiché a me è sembrato ch’essi si alternino tutti gli uni cogli altri. Ad ogni modo quel che si può asserire si è che questi calcari appartengono alla parte più alta dell’Eocene abruzzese. Questo terreno è poverissimo di fossili: nei dintorni di Sciara (tavoletta di Civitella del Tronto) raccolsi delle belle impronte di Zoophycos ; il Costa, ha trovato la Nummulites complanata nei monti sopra Joannelle (unione delle due tavolette di Montorio al Yomano e Civitella del Tronto); l’Amary, il Pecten quinqueco status e la Plagio- stoma Hopperii pure di Joannelle, il Pecten flabelliformìs e la Venus senilis , sopra Forca di Valle (Isola del Gran Sasso) ed i Fucoides imbricatus e furcatus nei calcari marnosi e scagliosi. L’ing. Baldacci ed il prof. Canavari, al Gran Sasso, in calcari analoghi a questi, tro- varono la Nummulites latispira Mgh., V Orbitoides papyracea Bour., oltre a pettini ed echinodermi. Miocene. — Questa formazione occupa il lembo occidentale della tavoletta di Nereto, la parte orientale è quella occidentale della ta- voletta di Civitella del Tronto: è costituita dalle solite arenarie mi- cacee gialle e giallo-brune intercalate ad argille turchine, che si spin- gono fino alle alture di Pizzo di Sevo e Monte di Mezzo, a 2500 metri di elevazione, sullo spartiacque appenninico. I fossili vi sono rarissimi ed a me finora non mi riuscì di trovare altro che fucoidi ed impronte indeterminabili di brachiopodi: il Costa dice che nel Teramano furono trovati soltanto tre ittioliti, e cioè lo Sphaerodus depressus Ag. eVOxy- rhina Desorii Ag. nell’arenaria di Montorio al Yomano, l 'Oxyrhina Mantelli Ag. nel cemento di una breccia a Teramo \ La stratificazione è disturbata in mille modi, ciò che però non impedisce di vedere che nelle sue linee generali è costantemente rialzata verso l’ Appennino. Queste arenarie furono già da altri classificate, parte in eoceniche e parte in mioceniche, ma tale divisione non venne basata su dati paleontologici, giacche tanto le une che le altre sono ugualmente quasi affatto senza fossili, ma sibbene sulla diversità della stratifica- zione che si osserva nelle due parti. Infatti, mentre la stratificazione 1 Questa breccia dev’essere probabilmente di età quaternaria. nelle elevazioni di Pizzo di Sevo e Monte di Mezzo, che si ritengono eoceniche è regolarissima, piu in basso verso Teramo nella zona as- segnata al Miocene essa è sconvolta, mentre dovrebbe essere tutto al- l’opposto. A questo si può aggiungere, che le arenarie classificate per eoce- niche, oltre ad avere stratificazione regolarissima, sono anche di colore alquanto più oscuro e le argille ad esse intercalate sono ridotte a pochi e sottilissimi straterelli, mentre nelle altre si trovano pressoché in parti uguali alle arenarie. Anche a me la piccola differenza nella facies della roccia, la di- versità nella stratificazione e soprattutto la grande potenza di queste arenarie, fece nascere il dubbio che si dovessero suddividere in più parti; tale suddivisione tentai, ma non potei proseguire per mancanza assoluta di un orizzonte sicuro. Limitando le osservazioni ad una zona ristretta, le suaccennate differenze possono sembrare base sufficiente per una suddivisione, ma considerando nell’ insieme tutto l’ammasso delle arenarie, si riconosce che sarebbe erroneo l’annettervi troppa importanza. Infatti ad Ovest del Pizzo di Sevo e Monte di Mezzo vi sono le arenarie di Amatrice, le quali, essendo ad Est l’inclinazione generale di questa roccia, dovrebbero evidentemente essere più basse, mentre per la loro facies , per la proporzione delle argille intercalate e per i disturbi stratigrafici, sono identiche a quelle dei dintorni di Teramo che si trovano alla sommità della pila. Si vuole che queste arenarie del Teramano contengano vari gia- cimenti di lignite pei quali furono fatte ricerche e stampate memorie ; la località dove si dice che dovrebbe trovarsi il più importante di questi giacimenti è quella di Valle S. Giovanni. Al di sotto del paese, proprio nel letto del Tordino, in uno dei soliti strati di argilla inter- calati alle molasse, havvi una zona di circa mezzo metro di spessore, nella quale si osservano frammenti appiattiti di lignite, ai quali il dott. E. Paolini nel suo opuscolo 1, ha dato un’importanza che asso- lutamente non ha : sarebbe follia soltanto il pensare alla coltivazione della detta zona dove la lignite trovasi disseminata in noduli che in sezione misurano una lunghezza da 5 a 20 centimetri e raramente raggiungono un centimetro di potenza! 1 D. Paolini, Sulla ricerca dei minerali nell’agro di Molitorio al V ornano. Teramo, 1876. - 450 — Per debito d’imparzialità debbo però prender nota anche di quanto mi venne riferito da un vecchio contadino, il quale mi assicura aver lavorato alle esplorazioni fatte altra volta in questa località: esso mi disse che nel punto da me visitato, il Governo borbonico fece ese- guire nel 1848 delle ricerche da ingegneri inglesi. Fu scavato un pozzo della profondità di 50 palmi; con esso si raggiunse uno strato di li- gnite della potenza di un metro, che fu seguito sotto al Tordino per tutta la lunghezza del suo letto (una diecina di metri) quindi una piena del fiume seppellì e fece crollare questi lavori, che non furono più ripresi. Il vecchio contadino aggiunse, che in seguito a ciò venne fatto un foro di trivella in un terreno prossimo al fiume e situato un 100 metri più ad Est dal suddetto affioramento : la trivellazione spinta fino a 700 palmi (probabilmente in questa cifra vi deve essere uno zero di troppo ! ) incontrò pure il carbone, ma non seppe dirmi a quale profondità. Pare che anche nella valle del Yomano presso Montorio, nel 1848, siano state fatte delle ricerche da ingegneri inglesi (gli stessi forse incaricati dal Governo borbonico delle ricerche nella valle del Tordino) le quali, a quanto si dice in paese, portarono alla scoperta di uno strato di carbone, oggi ricoperto dai depositi del fiume. Nella pubblicazione sovracitata del dott. Paolini si accenna pure ad un altro giacimento esistente nei dintorni di Ripa: recatomi sul posto trovai nel letto di Rio Grosso, fra Ripa e Cavucci, una galleria quasi totalmente riempita da franamenti, scavata in uno strato d’ar- gilla ed a livello delle acque del fosso ; mi si disse che di là era stata estratta della lignite, della quale però io non trovai la minima traccia. Debbo perciò concludere che se in questa località ne fu veramente trovata, doveva trattarsi semplicemente di qualche piccolo ammasso isolato: tralascio d’accennare altre località, nelle quali pure si ritiene siavi della lignite, ma dove le mie ricerche hanno avuto lo stesso risul- tato negativo. Terreni quaternari. — Assai sviluppate sono queste formazioni nel campo che fu oggetto delle mie osservazioni, come del resto in tutto il litorale abruzzese, e sono costituite da roccie differenti per facies e per giacitura ; esse rappresenterebbero piani diversi, che forse in seguito si potranno distinguere graficamente sulle carte. La parte più alta, od alluvione moderna , è rappresentata dai detriti che costituiscono i letti dei torrenti Vibrata, Salinello, Tordino e Rio; dalle sabbie del piccolo tratto di spiaggia marina, compreso nell’an- — 451 - golo N.E della tavoletta di Nereto; dalle falde di detrito che si vengono formando attualmente alla base delle due montagne di Campii e dei Fiori, nella tavoletta di Civitella del Tronto, e da una specie di puddinga che si disgrega e si ricompone continuamente e come sottile mantello ricopre in gran parte i dirupati fianchi orientali delle suddette montagne. L’ alluvione antica , costituita pure da ciottoli angolosi ed arrotondati intercalati confusamente con sabbie argillose, riempie le larghe valli della Vibrata e del Tordino ed in essa questi torrenti scavarono i loro alvei; ad essa appartengono anche gli antichi coni di deiezione che si vedono sotto Civitella, nei dintorni di Campii ed in quelli di Pantaneto. A questo periodo devono appartenere i travertini di Civitella, Bocca S. Felicita e Monte Santo: sono queste tre colline di arenarie mioceniche alte da 200 a 300 metri circa sulle bassure circostanti ed affatto isolate, sul culmine delle quali vi sono depositi di travertino che poggiano sopra un sottile strato di ghiaie quaternarie. Formati da sorgenti delle quali oggi non havvi più traccia, quei giacimenti, per la loro eccezionale posizione, non si poterono estendere molto ma si accumularono, raggiungendo in qualche punto una potenza rag- guardevole; questo si verifica più specialmente sulla collina di Civitella del Tronto, dove i travertini, sui quali esisteva una fortezza, ora sman- tellata, la recingevano d’una muraglia naturale, che dalla parte di po- nente è alta più di 30 metri. Dopo il deposito più importante, quello di Civitella del Tronto, pel quale passa il nostro profilo, viene l’altro di Bocca S. Felicita e da ultimo la piccola massa di Monte Santo E da notarsi pure che le tre colline hanno altezze diverse, diminuenti da Civitella a Monte Santo. Un’altra forma di quaternario è quella che lungo tutto il litorale abruzzese ricopre e si confonde col terreno pliocenico: sono ghiaie identiche a quelle del Pliocene, mescolate con sabbia gialla, che in qualche luogo stanno sopra banchi di argilla giallastra con venature turchine difficili a distinguersi alla superficie dall’argilla pliocenica. Nel litorale chietino prevalgono le ghiaie, in banchi fino a 10 metri di potenza, che ricoprono sabbie gialle: vi si rinvengono abbondan- temente dei Lythothamnium, ed alle volte in così grande quantità da formare, come tra Chieti e Francavilla, dei veri straterelìi di calcare concrezionato. - 452 - Nel litorale teramano i banchi di ghiaia non sono così potenti, ed al posto della sabbia si trovano invece le argille gialle con venature turchine, il di cui spessore sorpassa qualche volta i 20 metri Quasi sempre queste roccie sono ricoperte da un sottite strato di terriccio bruno-rossastro. Il piano quaternario a cui si riferiscono tali roccie è il più basso della serie e ritengo sia coevo con la puddinga a grossissimi elementi che trovasi a Le Piane, a Pietracamela, a Fano Adriano (situati alle falde orientali del Gran Sasso), abbenchè diversa sembri la loro origine, segnando forse quella specialissima roccia l’avanzo di morene d’antichi ghiacciai. Nella tavoletta di Nereto queste ghiaie e queste argille ricoprono le colline plioceniche che formano il versante sinistro delle valli della Vibrata e del Tordino e sorpassano la quota di 230 metri sul livello del mare: ve ne soao poi piccoli lembi staccati qua e là sul culmine delle colline plioceniche, e più specialmente nei dintorni di Bellante, Mosciano e Tortoreto. Nella tavoletta di Civitella havvi un piccolo strato di queste ghiaie al disotto dei tre depositi di travertino anzi accennati, el altri due piccoli lembi situati ai piedi della collina di Civitella. La disposizione di questi materiali ad altezze diverse, stratificati orizzontalmente, formando alle volte minuscoli terrazzi sui fianchi delle colline; la loro presenza ad altezze, che come a Civitella raggiun- gono i 536 metri sul mare ed in qualche altro punto li sorpassano, obbligano a ritenere che da principio un immenso mantello di questi materiali dovesse ricoprire tutta la regione e con lieve pendenza scen- dere fino al mare. Intaccati facilmente e profondamente questi depositi dagli agenti esterni, vi rimase denudato il terreno pliocenico, il quale fu intaccato a sua volta ; così si venne delineando fattuale orografìa. I lembi del mantello di ghiaie quaternarie, rimasti sul culmine delle collinette plioceniche, colf approfondarsi dei burroni intorno alle medesime, dovettero essere travolti nelle frane che l’erosione occasio- nava, o scivolati sui fianchi di esse formarono in qualche località i piccoli terrazzi ai quali ho accennato più sopra. Non è però neppure impossibile che queste roccie, per la loro di- sposizione rappresentino gli avanzi di veri e propri terrazzi, cosa che non si può constatare facilmente, giacche essi sarebbero stati quasi totalmente erosi e dei medesimi non resterebbero altro che dei picco- lissimi lembi sul culmine delle colline. - 453 - Difficile è il separare le argille quaternarie dalle plioceniche, dove non vi sono tagli naturali che permettano di vedere la differenza del colore e la più perfetta stratificazione di queste ultime. La separazione delle ghiaie poi è cosa anche più difficile, specialmente quando sono ad immediato contatto colle roccie plioceniche, non essendovi allora altro elemento determinante, che l’esistenza di depositi di pozzolana fra le due formazioni, depositi che rarissimamente affiorano, come dirò a suo luogo: la quasi assoluta mancanza di fossili non è un in- dizio che possa servire di guida, giacche anche il vero Pliocene in questa zona ne è poverissimo. Nella tavoletta di Nereto, la strada rotabile che dalla stazione ferroviaria di Mosciano conduce al paese, attraversa terreni costituiti da ghiaia mista a sabbia gialla, che si crederebbe pliocenica, se nel vallone della Ponte che fiancheggia ad Ovest la suddetta strada, nu- merose cave non rivelassero la presenza della pozzolana al disotto della ghiaia. Nei dintorni di Nereto, e precisamente presso il piccolo villaggio di Torri,, in un taglio naturale vedonsi delle argille gialle, con molte venature di argilla turchina, sulle quali riposano delle ghiaie, che sarebbero ritenute plioceniche da chi non sapesse che tutta la regione ad est di quella località, è costituita dagli stessi ma- teriali sotto ai quali fu rinvenuta in vari punti la pozzolana. Nella tavoletta di Montorio al Vomano, il rilevamento della quale fu ultimato nella campagna precedente, rinvenni depositi di un ghiaione speciale composto esclusivamente di ciottoli arenacei, appiattiti od arrotondati, mescolati assieme indifferentemente, ch’io ritengo àpparfcenga pure a questo piano più basso del Quaternario. Fra le diverse località nelle quali constatai l’esistenza di questi depositi, in- vero assai limitati, citerò il Colle S. Arcangelo presso Montorio ed il Colle Monsignore presso Teramo, costituiti entrambi di arenarie mio- ceniche. Nella prima di queste località vi è anzi una bella sezione naturale, do^e si vede lo strato di breccia, di circa 2 metri di potenza, poggiare sulle arenarie, e ricoperto a sua volta da uno strato di argilla gialla di oltre 2 metri di spessore. Al disotto di questo Quaternario antico, stanno le cosidette poz- zolane del litorale adriatico e, come già accennai, sono esse che con la loro presenza servono di orizzonte geologico, permettendo di sepa- rare il Pliocene delle so vr aincombenti ghiaie ed argille quaternarie. Nella regione il nome di pozzolana viene indistintamente dato a tutti quei depositi di materiali incoerenti o quasi, che si possono unire alle — 454 - calci per formare delle malte ; da ciò si capisce facilmente come spesso sotto questo nome si comprendano anche roccie che con la vera poz- zolana non hanno alcuna lontana rassomiglianza. Infatti i numerosi campioni da me raccolti nelle diverse cave che mi fu dato di visitare, formano una collezione graduata di tipi che dalle sabbie gialle micacee, provenienti dalla demolizione del Pliocene e dalla scomposizione delle arenarie mioceniche, nelle quali non vi è traccia alcuna di materiali vulcanici, giunge fino ad un vero tufo leucitico simile ai tufi della Campagna romana. Ve n’ è di colore giallo-paglia, giallo-mattone, giallo-bruno, rosso bruno, grigio-chiaro e grigio-bruno, con o senza leuciti ed infine di grigio-nerastro. Ve ne sono di cementate costituenti una roccia semi-litoide e ve ne sono di incoerenti, quasi tutte però ad elementi finissimi. Alcune sono sabbiose, altre argillose in grado maggiore o minore, ciò che dà loro proprietà diverse, e perciò alcune vengono usate per ottenere malte comuni ed altre invece per le idrauliche. Questi materiali si trovano in piccoli depositi di forma lenticolare ; ma al! infuori di tale condizione generale, ogni giacimento ha caratteri suoi propri per quanto riguarda la natura del materiale, la potenza e la giacitura: eccone qualche esempio. Nei dintorni di Ortona a Mare, e precisamente presso S. Leonardo, sull’orlo sinistro del Posso Moro (tavoletta di Lanciano) vi è un grosso deposito di pozzolana, di cui la parte superiore è rossastra, l’in- feriore bruna ; entrambe le qualità sono sabbiose, abbastanza cemen- tate e contenenti elementi vulcanici macroscopicamente visibili; vengono adoperate previa triturazione per far malte e la più bassa è ritenuta la migliore. Le condizioni dello scavo non mi permisero di constatare la potenza del giacimento, che da quanto mi si disse sul luogo, sa- rebbe in media di m. 2 50: in questo depòsito furono trovate molte ossa fossili che, come al solito, andarono disperse. Non è visibile in nessun punto il letto dello strato, ma esso deve trovarsi sulle sabbie plioceniche ; al tetto è ricoperto da 2 a 3 metri di argille giallastre. Il giacimento, come ho detto, trovasi sull’orlo del Fosso Moro,, nella parte più alta del versante sinistro; ma al disopra di esso mancano le sabbie gialle e le ghiaie quaternarie che costituiscono l’altipiano sul quale corre la strada rotabile fra Ortona ed Orsogna, le quali fu- rono erose nello scavamento del Posso Moro; tenuto quindi conto di questa circostanza, ai 2 o 3 metri di argille che ricoprono la pozzo- lana bisogna aggiungere circa altri 20 metri di sabbie e ghiaie asportate, — 455 - sicché la profondità vera del giacimento doveva essere da principio di 22 a 25 metri. Nei dintorni vi sono altre cave, fra le quali più specialmente sono apprezzati i prodotti di quella di Villa Caldari. Nei dintorni di Pianella, Moscufo, Loreto Aprutino, Collecorvino (tavoletta di Chieti), dove sono molti depositi cLi pozzolana, non mi riuscì di trovare nessuna cava aperta, poiché questo materiale essendo qui assai vicino alla superfìcie ed essendovene un po’ da per tutto, ogni volta che occorre si apre appositamente un cavo che viene subito richiuso cessato il bisogno. Dalle notizie raccolte mi risulta che in questa regione la pozzolana si troverebbe alla profondità di 2 a 4 metri, ed avrebbe una potenza da 0,50 a metri 1,50; al disopra di essa, nei dintorni di Pianella e Moscufo, si trovano delle argille gialle. Dei dintorni di Pianella potei averne un campione di color giallo -scuro assai sabbioso, che molto probabilmente deve contenere elementi vul- canici, però non visibili ad occhio nudo. Presso Notaresco (tavoletta di Teramo) esistono parecchie cave, e tutte a pochissima profondità: sulla destra del fosso che passa sotto regione Oollacchione ve n’è una che affiora alla superfìcie, ma della quale non si vede il letto e perciò non si ha la certezza che riposi direttamente sul Pliocene. La pozzolana è color grigio-ferro e la sua potenza è inferiore ad un metro; in parte cementata, sabbiosa, è composta di elementi finissimi e contiene dei noduli bianchi sabbioso- calcarei. Sulla rotabile fra il Convento di Properzano e Notaresco havvi una cava di pozzolana, un metro al disotto delle ghiaie, fra le quali nei dintorni rinvenni un’esemplare di Ostrea lamellosa , evidentemente trasportato: la pozzolana è dello stesso colore di quella anzicitata, ugualmente semi-litoide, tanto che prima d’essere messa in commercio dev’essere triturata; è però molto più sabbiosa e non contiene i noduli bianchi osservati nell’altra. Il giacimento ha la potenza di metri 1,50 e riposa sopra uno strato di tufo grigio ricco di leuciti, avente la potenza di metri 0,50 ; il letto di esso non è visibile, per cui resta in dubbio se esso si appoggi o no direttamente sulle argille plioceniche : si tentò di adoperare questo materiale, debitamente triturato, nella com- posizione delle malte, ma i risultati non furono troppo favorevoli. A Morro d’Oro, poco lontano, vi sono parecchie cave dove le pozzolane si trovano sciolte e di colore più chiaro. Nei dintorni di Nereto e Corropoli (tavoletta di Nereto) sono vari depositi isolati e non molto estesi d’una pozzolana talora ce- 456 — mentata, talaltra sciolta, di color grigio-ferro ad elementi quasi im- palpabili; la loro potenza varia da 0,50 a 1,50 e rarissimamente rag- giunge i 2 metri. Si trovano al disotto delle ghiaie a profondità di- verse ed anche qui non si sa se riposano o meno sul Pliocene. Presso la Masseria Pompetfci (a N.E di Bollante), situata sul cul- mine d’una collina di argille plioceniche, vi sono sul versante occi- dentale della medesima e ad altezza diversa, due piccolissimi depositi di pozzolana grigio-giallastra semilitoide e poco sabbiosa : essa ha una potenza di circa 30 centimetri, riposa sulle argille plioceniche ed è ricoperta da un metro di argille gialle quaternarie. Altro fatto simile di giacimenti di pozzolana disposti al altezze diverse, cioè a gradini o terrazzi sul versante d’una stessa collina, si ripete alla regione Capodimonte presso Bollante. La superfìcie ivi è ricoperta da terriccio bruno, sotto al quale stanno le solite argille gialle e sotto a queste una pozzolana cementata, un po’ più scura di quella di Masseria Pompetti, riposante sull’argilla pliocenica. La po- tenza di questi depositi non sorpassa i 50 centimetri ed essi si trovano alla profondità d’un paio di metri dalla superficie: essi e le argille che sostengono, hanno stratificazione orizzontale o quasi, e quando accennano ad avere una leggiera inclinazione, questa concorda sempre con quella delle sottostanti argille plioceniche, sicché a prima vista le une e le altre si direbbero intercalate. Questi depositi, come ho detto in principio, appartengono probabilmente ad uno stesso strato rotto e scivolato lungo i fianchi della collina. Poco lontano da Masseria Rozzi, a S.E di Bellante, sulla rotabile che da questo paese conduce alla stazione ferroviaria, vi è una delle cave di pozzolana più accreditata dei dintorni; situata ad una ven- tina di metri di profondità dalla superficie, vi si accede per un pozzo verticale che permette di vedere i materiali dai quali il giacimento è ricoperto. Alla superfìcie vi è una zona di un mezzo metro di ter- riccio bruno-rossastro contenente ghiaie; sotto a questo, vengono da 15 a 18 metri di argille gialle sabbiose, che accennano ad una dispo- sizione stratiforme, ed in ultimo si arriva al giacimento di pozzolana, assai esteso ma avente soltanto V2 metro di potenza. Questi materiali sono disposti orizzontalmente, però alla bocca del pozzo vi è un banco di travertino sabbioso il quale inclina di circa 201 a N.E, che è ]’ in- clinazione del Pliocene sottostante : la pozzolana sembra identica a quella di Masseria Rozzi, soltanto questa è sciolta invece d’essere ce- mentata. - 457 Nei dintorni di Mosciano vi è gran nnmero di cave di pozzolana di qualità diverse; ve n’è della giallastra cementata o sciolta, di co- lore più o meno chiaro e ve n’è pure una qualità grigia ricchissima di picco] e leuciti, simile ad altra dei dintorni di Notaresco. Questi gia- cimenti aventi in media un metro di potenza, si trovano ad una die- cina di metri dalla superficie, riposano sulle argille plioceniche e sono ricoperti da ghiaie e sabbie quaternarie. IJn piccolo deposito di pozzolana alquanto argillosa, di color giallo-mattone si trova pure fra detriti del cono dq deiezione, alle falde del Monte di Campii, nella tavoletta di Ci vitella del Tronto. Potrei seguitare a citare altri giacimenti, perchè le pozzolane esistono anche nelle tavolette di Montorio al Vomano e Gran Sasso d’ Italia, ma differiscono sempre in qualche cosa le une dalle altre, sia nel co- lore, sia nel grado di compattezza, sia nella composizione della roccia, sia nella potenza dello strato che nella profondità del giacimento ; ma i tipi da me citati, ritengo siano sufficienti a dare un’idea di questi materiali di cui mai nessuno finora si è occupato, abbenchè siano ge- neralmente conosciuti lungo tutto il litorale e formino oggetto di tante piccole lavorazioni. 1 Quale la genesi di queste pozzolane? Per poter rispondere con esattezza a questa domanda, bisognerebbe anzitutto conoscere questi materiali un po’ meglio di quel che non si possa colle sole osserva- zioni macroscopiche. Alcune di esse sono costituite esclusivamente o quasi da materiali vulcanici; in altre pare che questi si trovino as- sociati con sostanze di provenienza diversa, in proporzioni differen- tissime; altre è probabile non contengano affatto elementi vulcanici. Perciò fin da quando cominciai a vedere queste pozzolane, manifestai il desiderio che le medesime fossero studiate nel laboratorio dell’Uf- ficio Geologico, onde stabilire con precisione nei diversi tipi quali minerali entrano nella loro composizione, la loro proporzione e quella dei detriti di roccie, l’esistenza o meno in esse di fossili microscopici : ma finora questo n n si è potuto fare. Mi limito quindi a riportare il risultato comparativo di alcune analisi chimiche che il prof. Mar - chetti C. ha ottenuto da pozzolane di Poma, di Napoli e da un cam- pione proveniente da Loreto Aprutino (Teramo). 1 II prezzo di costo di questo materiale, varia secondo le diverse cave da L. 2. 00 a L. 8. 00 per metro cubo di pozzolana bene asciutta e ridotta in polvere, messa sul piazzale della cava. Calce Magnesia . Silice Allumina . Protossido di ferro . Materie volatili . Materie inerti . . . Napoli Roma Teramo 9. 47 8. 80 8 80 4. 40 4.70 1 21 42.00 45.00 44. 50 15.50 14. 80 15. 00 12. 50 12. CO 12. 00 13. 63 14.70 18.49 2.50 — — In tali condizioni, basandosi esclusivamente sui caratteri esterni e sulla giacitura di queste pozzolane, mi pare si debba ritenere elle le medesime siano una roccia di seconda formazione, costituita da ce- neri finissime provenienti dai vulcani tirreni, cadute dapprima sul- l’ Appennino, eppoi lavate e trascinate in basso dalle acque piovane, assieme a detriti di roccie sedimentarie. Inoltre, non è impossibile che una parte di queste ceneri, specialmente le più basse, cadete entro stagni d’acqua dolce o salmastra siano veramente in posto; sarei in- dotto a credere ciò dalla divisione in zone dal basso in alto, secondo il volume degli elementi, osservata in alcune pozzolane. La disposizione di questi materiali ad immediato contatto colle roccie plioceniche, corrisponderebbe con quella dei più antichi tufi della Campagna romana, i quali pure riposano direttamente sul Pliocene; tale osservazione farebbe pensare che è di preferenza alle eruzioni dei vulcani romani che si debbono attribuire le pozzolane abruzzesi. Però se tale fatto è vero, dovrebbe verificarsi un’ altra circostanza quella cioè che in tutte le vallate principali dell’ Appennino abruz- zese, si dovrebbero trovare depositi di queste pozzolane, e sempre più grandi e caratteristici, man mano che diminuisce la distanza dai sup- posti centri che le avrebbero originate. Dai dati che si hanno presen- temente risulta infatti che nella conca di Aquila ed al Piano del Ca- valiere presso Carsoli, si trovano effettivamente queste pozzolane ed è perciò assai probabile che esistano anche in tutte le altre valli dove non furono ancora vedute, perchè non se ne fece oggetto di ricerche speciali; ma questa verifica si potrà fare assai facilmente, in occasione di una revisione generale del rilevamento della regione Abruzzese, oramai vicino al suo compimento.' Roma, giugno 1895. CI\ N e O COItli atìO ( Calcari marnosi e calcari crìslallini indice balsamo ri p < id. La presenza dell’albite non si è potuta constatare. Prasinite anfibolica quarzifera di Gumò nella valle Ansèba, presso Keren. — Roccia verde-scura in lenti entro micascisti profondamente alterati e sulla quale si veggono abondanti cristallini di antibolo e con straterelli bianchi intercalati. S t2 a1 q A2 Ej 2 811 Il microscopio mostra orneblenda e felspato predominanti, la prima un po’ più abondante del secondo. L 'anfibolo dà : - 470 — fTg verde mare sfm= verde gialliccio Up = verde gialliccio molto chiaro. Estinzione massima nella zona del prisma 22°; geminazione h1 (100) rara. Il felspato ha dato l’estinzione massima 2 X 25 nella zona nor- male a g[ (010); mostra sottili geminazioni, per lo più dell’ albite, qualche volta del periclino. Si è dunque almeno al principio della serie del labrador. Qualche anortosa con estinzione a + 9° su g 1 (010) è stata pure trovata. Quarzo. Qualcuno con inclusioni di epidoto sulla periferia, onde è probabile che almeno questa sia più recente. Tanto il quarzo che il felspato mostrano a volte 'estinzioni ondulate. Inclusioni vetrose con bolla. Sfeno. Abondantissimo, in grani, o fusiforme. Birifrangenza ele- vata, 2V piccolo, bisettrice positiva. Epidoto. Varia dalla pistazite (epidoto propriamente detto) alla zoisite, con preponderanza della prima. Spesso gremisce i felspati in forma di caratteri cuneiformi, onde in luce polarizzata si ha Y illusione della struttura pegmatitica, quando i colori di polarizzazione son bassi come nella zoisite o se le inclusioni sono di epidoto ad orientazione vicina a quella che è normale agli assi ottici \ Mica bianca piuttosto abondante. Risulta da decomposizione del felspato. b) Epidositi quarzifere. — Un’altra roccia quarzifera trovasi al M. Ghèdam presso Massaua. E una epidosite guarzifera in limitate lenti nello gneis 2 e non mostra scistosità. I suoi elementi sono estremamente piccoli, nerastri, a super- fìcie luccicanti e si direbbero di antibolo; qua e là aghetti brillanti lunghi e sottilissimi d’apatite e concentrazioni giallastre d’epidoto, oltre a qualche po’ di pirite. F0 F2 Hp M €% Ej CI c Il microscopio non mostra traccia alcuna di antibolo. La roccia è 1 I signori Fouqué e Michel-Lévy hanno indicato delle associazioni pe- gmatoidi di antibolo e felspato negli scisti anfìbolici (V. Min. rnicr., pag. 174). 2 Baldacci, loc. cit., p. 38. 471 molto alterata, l’elemento più abondante è l’epidoto, polieroico, spesso in grandi elementi. La clorite è abbastanza sparsa, molta la calcite. Il minerale bianco, creduto plagioclasia dal prof. Bucca \ è senza geminazioni, poco più rifrangente del balsamo, uniasse positivo, onde è quarzo, di cui ha anche le inclusioni caratteristiche. Mostrasi alle volte più o meno corroso. Una delle caratteristiche di questa roccia è il ferro titanifero, quasi interamente trasformato in leucosseno. Si hanno sezioni a contorni poligonali, spesso esagonali, alle volte molto allungate (diritte o a dentriti), isolate o in aggruppamenti complicati, spesso avvolgenti al- tri elementi della roccia (epidoto, mica nera, eco.). Esse sono di rado interamente opache : qualche volta con orlo grigiastro ; altre volte, nel maggior numero dei casi, costituite da una, due o tre serie di fascette rettilinee e parallele, alternamente grigiastre e nere con orli sfumati. Per quanto fazione sulla luce polarizzata sia poco sensibile e la ri- frangenza non sembri troppo forte, deve ammettersi che trattasi di trasformazione in leucosseno. L’ ing. Aichino ha fatto su questa roccia la ricerca del titanio e ve l’ha trovato in quantità molto sensibile. La mica nera è in poche e piccole laminuccie. L’apatite mostrasi in bei prismi allungati. Ne ho misurato fino a due millimetri. c) Anfiboliti. — Passiamo ora a descrivere alcune vere anfiboliti senza felspato. Anfiboiite del forte di Keren. — Boccia verde-scura in lenti spor- genti dagli scisti anfìbolici decomposti e risultante da un insieme di cristalli allungati e luccicanti di antibolo, che raggiungono la lun- ghezza massima di lmm5o 2mm. a2 eL8 Il microscopio mostra un insieme di orneblenda in cristalli gene- ralmente molto allungati ed intrecciati, con sfaldature caratteristiche ed estinzione massima a 22°. Il policroismo è sensibile, ma non forte, come il Bucca lo ritenne, forse a causa di sezioni troppo spesse: n g = verde-mare alquanto chiaro, nm= verde sbiadito tendente un po’ al gialliccio, n p ==■ verde gialliccio sbiaditissimo. 1 Loc. cit. , campione n. 12. 472 - Molte volte Torlo dei cristalli è più colorato del nucleo e tende segnatamente al gialliccio. Fenditure trasversali. Qualche rara gemi- nazione h1. L’ epidoto è in granellini abondanti leggermente colorati in giallo- chiaro o senza colore, isolati o raggruppati in ammassi, o in fìlonetti attraverso la roccia. Si tratta di epidoto propriamente detto e di zoisite. La diversa birifrangenza li separa facilmente. Anjibohte di Filogobcri invaile di Ghinda). — Roccia verdastra, sci- stosa nella massa, ad elementi indiscernibili ad occhio nudo. a2 e2 ei: Il prof. Bucca ne fa un micascisto 1 in cui la mica sarebbesi tra- sformata in clorite. Io ho constatato la presenza di anfìbolo e zoisite abondanti, con poca pistazite. L’anfibolo con leggero policroismo dal verde sporco non troppo carico al verde gialliccio sbiadito, mostra spesso i due sistemi di sfaldature. Anfibolia di Ghinda. — Verde-nerastra, gremita di punti luccicanti, che con la lente appariscono dovuti alle sfaldature dell’anfìbolo : sci- stosità appena accennata. L ’anfibolo è l’elemento predominante, leggermente polieroico e co- lorato come il precedente ; la bisettrice è negativa, come provasi con le sezioni perpendicolari ad rs^ che son meno birifrangenti di quelle perpendicolari ad ; sfaldature finissime, non sempre visibili ; estin- zione massima constatata a 18 o 19°. Sono elementi molto piccoli, spesso di dimensioni microlitiche: i più grandi raggiungono 4/a mm . Negl’interstizi trovasi un minerale fortemente alterato in zoisite ed altri epidoti, che il Bucca crede felspato, ma che, allo stato della roccia, non si lascia più riconoscere. d) Cloritoscisti. — Cloritoscisto di Alai’ hinzi (Arbaroba) presso Ghinda. — Scisto verde, finamente fogliettato, che raggiunge notevole potenza ed estensione. Esso risulta quasi esclusivamente di clorite presso che isotropa ; calcite ; caolino , in lamelluccie molto birifrangenti, come mica bianca, ma con estinzione obliqua, ed epidoto in granellini molto piccoli. La scistosità è abbastanza rivelata dalla differenza tra strati più trasparenti, ove predomina la clorite, e strati meno trasparenti ove 1 Loc. cit., campione n. 5. - 473 predomina invece l’epidoto. Ma sono le lamelle di caolino che accen- tuano meglio tale scistosità. e) Calcescisti felspatici cloritizzati. — Calcescisto cloritizzato del fondo della valle dell’ Ar glie sana presso Ghinda. — Aspetto di cal- care verdastro compatto. La roccia precedente era un semplice passaggio ai calcescisti. Qui invece il tipo è spiccato, ma la sua cloritizzazione lo fa rimanere tra le roccie verdi. f c 03m. E costituito da molta calcite cristallizzata e da felspato trasfor- mato in massima parte in calcite, mica bianca e sovratutto clorite. Le parti intatte mostrano spesso assenza di geminazioni o raramente quella di Karlsbad, con rifrangenza inferiore a quella del balsamo. Qualche volta appariscono, sebbene appena accertate, le geminazioni - dell’ alb ite. /) Pirosseniti anfiboliciie con WERNER ite. — Pirossenite di monte Ghèdam, presso Massima. — Roccia verde nell’insieme, in lenti entro scisti micacei. I suoi elementi, principali si vedono anche ad occhio nudo: essi sono anfiholo verde-scuro; pirossene verde un po’ chiaro, traente al verde d’erba, in massettine unite aH’anfìbolo, e wernerite bianca in massettine allungate accusanti la scistosità. £(0l.t,) Sk2SPAm2 El L’ anfibolo è in piccoli elementi, polieroici dal verde-azzurrognolo alquanto carico al verde -gialliccio alquanto sbiadito Il pirossene è in grandi plaghe, verde smeraldo sbiadito, avvolgente l’anfibolo. In una sezione allungata, a sfaldature parallele, ho consta- tato un angolo di estinzione di 54°. Ciò esclude il diopside, ritenuto dal Bucca. Ma ritornerò più sotto su questa quistione. Sfeno in grandi cristalli, avvolgenti qualche volta un po’ d’ an- tibolo. Wernerite. Il prof. Bucca *, certamente in seguito ad un equivoco o a qualche pessima preparazione capitatagli, la scambia con l’orto- clasia La rifrangenza, inferiore a quella del pirossene e dell’anfìbolo, è però superiore a quella dell’ortoclasia ; le traccie delle sfaldature 1 Loc. cit. , campione n. 10. - 474 - formano due sistemi ad angolo retto nelle sezioni perpendicolari al- l’asse de] prisma; l’estinzione è in lungo; in luce convergente il mi- nerale mostrasi uniasse positivo. Le sfaldature qualche volta sono confuse per alterazione, ed allora ne nasce un intorbidamento delle sezioni. Un saggio Borìeky ha dato potassa e soda, e questa non così scarsa da poter pensare alla meionite. La cosa è convalidata dalla birifrangenza che è quasi uguale a quella del pirossene. Difatti le sezioni di massima birifrangenza dei due minerali han dato quasi la stessa colorazione 1. Così da un lato ho escluso anche il dipiro, restando solo possibile la parantina o scapolite; e d’altro lato ho potuto verificare il pirossene, con uno sguardo al quadro delle birifrangenze 2. Esso mostra che una wernerite ed un pirossene per avere la stessa birifrangenza devono essere l’una pa- rantina e l’altro augi te 3. Il felspato è accessorio nella composizione di questa roccia. Tro- vasi spesso incluso in piccoli frammenti nel pirossene e nella werne- rite. Qualche volta è senza geminazioni o con quella di Karlsbad, e con rifrangenza inferiore all’indice del balsamo, onde è, compreso tra l’ortoclasia e foligoclasia. Nella più parte dei casi si ha una rifran- genza superiore a quella del balsamo; assenza di geminazioni, o ge- minazione di Karlsbad o anche dell’albite; le sezioni perpendicolari alle bisettrici hanno uni birifrangenza poco diversa, ma alquanto maggiore sulla sezione perpendicolare ad onde la bisettrice acuta è positiva. Su quest’ultima sezione si ha un’estinzione a 7d°. Nella zona perpendicolare a g 1 ho trovato un massimo di 2 X 20. Si può dunque ritenere che questo felspato è andesina. Qualche volta il secondo felspato è incluso nel primo e allora si vede benissimo la differenza. § 4. Scisti Elladici. — Assumo qui questa locuzione semplicemente 1 Ho avuto un turchino di terz’ ordine, onde la mia preparazione non era troppo sottile. Il suo spessore, come ho dedotto dalla colorazione dei due mine- rali e come ho anche misurato direttamente, era di 0mm,052. 2 Vedi A. Michel-Lévy, Les minéraux des roches , Paris, Baudry, 1888 (tavola cromo -litografica). 3 II sig. A. Lacroix, in una memoria sugli scisti con wernerite (Bull. Soc. frane, de Min., 1889) dice a pag. 858 cheli pirossene di quelle roccie è malacolite (diopside); però l’angolo massimo di estinzione che egli ha trovato nei pirosseni dei gneis pirossenici di Bretagna è di 42° a 45° (pag. 95), valore corrispondente all’augite. — 475 — come sinonima di scisti finamente fogliettati e con le superficie di scistosità più o meno lucide. Scisti , colorati in grigio d? alluminio, a sottilissima stratificazione , delle Acque calde di Ailet. — Essi presentano la composizione seguente : EVI f cg m CI Il felspato vi si vede ancora abondantemente, non essendo troppo alterato : le geminazioni dell’albite lo fanno subito riconoscere. I gra- nelli di quarzo vi sono di una piccolezza estrema. La mica nera pri- mordiale vi è più o meno alterata e trasformata in mica bianca e clorite : qualche volta è inclusa negli elementi bianchi ; ordinariamente forma letti intercalati a quelli di felspato e quarzo, o avvolge dei nuclei, allungati secondo la scistosità, degli stessi due minerali. Di due campioni esaminati, in uno, tra gli elementi colorati, predominava la mica nera, in altro la clorite insieme alla mica bianca, segno non di roccie diverse, ma di punti diversamente alterati della stessa roccia. Scisti finamente fogliettati e fortemente alterati delle Porte del Diavolo (Asmard). — Sono assai potenti, regolarmente stratificati con pendenza sensibile ad Ovest, e si estendono di molto lungo Torlo del ciglione del- l’altipiano. I colori mutano da un punto all’altro e sono rossastri, giallastri e grigiastri. Oltre a grossi grani di quarzo e a molti granelli di magnetite, tutto il resto consta di prodotti d’alterazione. Alcuni ferruginosi, giallastri, altri con debole policroismo, forte rifrangenza, forte birifrangenza, colore dal giallo limone al giallo rossastro (epidoto?). Vi si trova inoltre calcite e mica bianca. A questa roccia è da mettere accanto, se pure non -è la stessa, con una maggiore alterazione, quella che porta 'Tindicazione della stessa località, e che è giallo-terra, ugualmente a stratificazione finissima e dal Bucca definita per argilloscisto. Essa contiene abondanti granellini di quarzo, un po’ di mica nera ancora riconoscibile, molta materia limo- nitica, oltre a qualche raro avanzo di felspato e ad un po’ di mica verdastra rigenerata- in piccolissime lamelle allungate. § 5. Scisti silicei. — Scisti silicei neri di Mai' liinzi ( Arbaroba ) presso Ghinda. — Finalmente questi scisti (che, sul piccolo campione da me esaminato, non rivelavano scistosità, perchè forse era un fram- mento di strato, di spessore più grande) si mostrano neri, a frattura compatta e lucida. Il microscopio mostra però una sub-stratificazione con spessori - 476 — estremamente piccoli. Una materia nera tinge i vari straterelli, ren- dendoli opachi o più o meno trasparenti. Granelli piccolissimi di quarzo sono solo visibili ma, almeno in parte, non possono essere pri- mordiali, poiché riempiono alle volte dei fìlonetti trasversali alla stra- tificazione. Esponendo la preparazione all’azione del calore ad alta temperatura, per alcuni minuti, il pigmento nero si attenua di molto, e nelle parti più sottili della lamina sparisce quasi. Si vede così che esso è dovuto a sostanza carbonosa. Roma, novembre 1895. (Continua). NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE 1511* IIOGI Lf AIIA GEOLOGICA ITALIANA per l’ anno 1894 ' ( Continuazione e fine, vedi numero 3). Novarese V. — Dioriti granitoidi e gneissiche della Valsavar anche {Alpi Graje). (Boll. Com. geol., XXV, 3). — Roma. La Valsavaranche (Valle d’Aosta) è attraversata, verso la metà del suo corso, dal Colle di Mésoncles alla base della Punta Bianca, da una potente zona di roccia dioritica per lo più quarzifera, più raramente di composizione normale. La roccia ha ora una struttura granitica tipica, ora invece è affatto gneissica o scistosa: questi due termini estremi sono collegati da numerosi tipi intermedii. Colla struttura varia la composizione die è: andesina, amfìbolo verde bruno, biotite e a seconda dei casi quarzo, per le varietà granitoidi, mentre quelle gneissiche sono costituite da quarzo, albite, amfìbolo attinolitico, epidoto, mica bianca, ai quali minerali nei tipi non quarziferi si aggiungono la zoisite, la do- ri te e talora il granato. Elementi accessori che si riscontrano in tutte le va- rietà sono apatite, zircone, orthite e sfeno, quest’ ultimo spesso molto abbon- dante ed anche in cristalli piuttosto grossi. Quest’ulima particolarità ha indotto in altri tempi il Baretti a denominare sienite sfenica la roccia che costitusce la prosecuzione della zona dioritica di Valsavaranche nell’ attigua valle di Cogne, e che è, come lo ha dimostrato il microscopio, anch’essa una diorite quarzifera a struttura granitica. Lo studio petrografìco e chimico delle varietà raccolte ha fatto ritenere che la roccia di Valsavaranche sia stata originariamente massiccia, e sia diventata parzialmente e localmente gneissica in causa delle pressioni orogeniche 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di località estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. che hanno prodotto effetti meccanici (frantumazione del quarzo, felspato ed altri minerali) e dato luogo a formazione di nuovi minerali, in aggiunta a quelli do- vuti all’ordinaria azione degli agenti atmosferici. Novarese V. — Relazione sul rilevamento eseguito nelle Alpi Occidentali (valli dell’Orco e della So ana) nella campagna del 1893. (Boll. Com. geol., XXV, 3). — Roma. La regione rilevata, che corrisponde ad un settore meridionale dell’elissoide del Gran Paradiso, è costituita per la massima parte da scisti cristallini attri- buiti all’Arcaico, e divisi in due zone, una inferiore o dello gneiss centrale, l’altra superiore o delle pietre verdi. Il rilevamento ha confermato non essere l’Arcaico inferiore così uniforme come si credeva, ma trovarsi in esso masse di una certa estensione di gneiss minuto. Inoltre nel vallone di Sea (Valle Grande di Lanzo) un microgranito porfirico trovato erratico sembra indicare la presenza di roccie intrusive nello gneiss antico. Nell’Arcaico superiore si è riscontrata una notevole diffusione di roccie a gastaldite associata ai più diversi tipi lito- logici. Lungo l’orlo esterno dell’ Arcaico verso la pianura, allo stocco della valle dell’Orco, si osserva una stretta zona di terreni molto svariati, in parte di roccie massiccio ed in parte sedimentarli. Fra le prime, oltre ai graniti ed alle dioriti già note, sono stati trovati dei porfidi quarziferi associati a tufi assai estesi e ciratt elàstici. Ogilvie M. M. — Cordi in thè « Dolomites » of South Tyrol. (The Geol. Mag., New Series, Dee. IV, voi. I, n. 1-2). — London. Al Congresso della British Association tenuto in Nottingham nell’agosto 1893 le sezioni riunite di zoologia e geologia discussero il tema dei banchi coralli- geni: e fu allora indicata come regione offrente bell’esempio di banchi coralli- geni fossili quella delle dolomiti del Tirolo meridionale. Ciò ha indotto la si- gnorina Ogilvie, che studiò recentemente tale regione e pubblicò intorno alla geologia di essa una memoria di cui rendemmo conto nella Bibliografìa dello scorso anno, ad esaminare di proposito quell’ argomento, per quanto riguarda appunto il Tirolo meridionale, allo scopo di stabilire se ed in qual misura le do- lomiti vi rappresentino banchi di corallo. Essa osserva che in quella regione si hanno fatti che appoggiano piuttosto l’ipotesi di Murray sullo sviluppo dei banchi di corallo, anziché quella di Darwin. Nelle dolomiti del Tirolo meridionale si riscon- trano singolari analogie con i banchi attuali: tale, per esempio, l’esistenza di prominenze vulcaniche nell’oceano triasico formanti piattaforme sottomarine su cui edificarono i coralli: una catena o barriera, più o meno continua, di banchi si formò a Sud di Gròden ed Enneberg, a settentrione della quale si costituirono depositi diversi da quelli dell’oceano a mezzodì. In un periodo ulteriore (Raibl) si formarono banchi corallini sopra depositi sottomarini rialzati; e si ha motivo — 479 di credere che durante i periodi del Trias, particolarmente favorevoli nel moz zogiorno del Tirolo allo sviluppo dei . coralli, il fondo del mare andasse sog- getto ad estesi movimenti di discesa, con oscillazioni in prossimità dei banchi in. cui manifestavasi l’energia vulcanica: niuna prova però che siasi verificata quella proporzione voluta dalla teoria di Darwin fra la rapidità di sviluppo dei coralli e l'entità della discesa. Nella sua nota l’autrice, giovandosi anche di qualche sezione, stabilisce che i grandi massicci dolomitici (Dolomit- Riffe) dello Schlern, della Sella, ec indicati come corallini sono invece ordinari depositi marini e debbono il loro aspetto at- tuale in gran parte ai movimenti subiti nell’epoca terziaria. I calcari del Cipit e le dolomiti di origine realmente corallina, formano letti relativamente poco potenti, interstratificati e non la parte essenziale della montagna : i coralli cominciarono a svilupparsi nel periodo di Wengen e si portarono verso Nord in quello di S. Cassiano: banchi estesi di corallo si formarono in punti sparsi durante il periodo di acque più basse del Raibl. Oppenheim P. — Ueber die Nummuliten des Vicentinischen Tertiàrs. — Berlin, 1894. L’autore si è proposto di verificare se le formazioni terziarie del Veneto si possono dividere in base alle nummuliti, ed esaminate perciò numerose località, giunse alla conclusione che il terziario veneto più antico può dividersi nelle tre seguenti zone nettamente distinte : 1° il sistema di Spilecco con forme vi- cine alla N. planulata (IV. bolcensis Mun. Chalm. e N. spileccensis Mun. Chalm.l; 2° la formazióne principale con JV. biarritzensis d’Arch., N. gizehensis Ehr., JV. irregularis Desh., N. complanata Lam., N. perforata d’Orb., ecc.; 8° l’orizzonte della JV. Fiditeli Mich., N. intermedia d’Arch. e N. Boucheri de la Harpe, com- prendente il gruppo di Priabona e tutto l’Oligocene. L’autore fa pure in questa memoria un confronto fra la distribuzione delle nummuliti nel Veneto con quella di altre regioni e particolarmente nel bacino del Nord della Francia e del Belgio, ecc. Riguardo l’età delle marne a Pentacrinus diaboli Bay. nella parte meri- dionale dei Colli Berici, l’autore si accorda col Hantken nell’ascriverle all’Eocene superiore, mentre il Bittner le riferisce all’inferiore. Nella memoria, accompagnata da una tavola, sono descritti e in parte figu- rati alcuni tipi nuovi ed altri particolarmente interessanti. Oppenheim P. — Die eocàne Fauna des Mt. Pulii bei Valdagno im Vi- centino. (Zeifc. deut. geol. Gesell., Bd. XLVI, H. 2). — Berlin. In questa molto diffusa monografia della fauna eocenica di Monte Palli (Vicentino), 1’ autore, premesso un riassunto delle condizioni strati grafiche della regione (di cai dà anche una sezione fra Monte Pulii e S. Maria), descrive — 480 — le specie, fra cui alcune sono nuove, ed altre, già descritte, esamina ampia- mente nei particolari della forma e nei loro rapporti sistematici. Questa parte della memoria, si chiude con la discussione intorno alla età della formazione. Maggiori sono le affinità fra la fauna di Monte Pulii con quella di Roncà che non con quella di Monte Postale: cinque sono le specie che essa ha comuni con questa e 21 con l'altra. Secondo l’autore, le marne lignitifere di Monte Pulii sono l’equivalente dei tufi, salmastri di Roncà, delle argille con Nummulìtes sub- planulata v. Hantk e Mad., e delle marne con N. laevigata del Nord-Ovest dell’ Ungheria. In dieci tavole sono figurate specie nuove ed altre imperfettamente dise- gnate in precedenti lavori ed appartenenti all’Eocene inferiore di varie località del Vicentino. Pagliari S. — Sui 'petroli italiani. (Giornale scient. di Palermo, Anno I, n 3). — Palermo. L’autore rende conto dei risultati di ricerche da lui fatte tempo addietro sul petrolio di Montechino in Val di Riglio (Piacenza^, seguendo il metodo im- piegato dal Mendelejeff per il petrolio di Baku. Il petrolio studiato dall’autore si presentava limpido, leggermente fluore- scente, colorato in giallo pallido : la sua densità relativamente all’acqua era 0.785 ; la maggior parte distillava fra 100° a 120°. Lo divise in 20 porzioni per succes- sive distillazioni frazionate; e mentre trovò confermata la regola stabilita dal Mendelejeff intorno all’esistenza d’una relazione molto semplice fra la densità e la temperatura di ebullizione delle diverse porzioni di petrolio ottenute per distillazione frazionata, mettendo a raffronto i risultati ottenuti con quelli cor- rispondenti ad altri petroli, ne deduce qualche norma intorno alla più conve- niente maniera di impiego di quel petrolio. Pantanelli D. — Zona miocenica a radiolarie delV Appennino settentrio- nale e centrale . (Atti Soc. naturalisti di Modena, S. Ili, Voi. XII, 3°). — Modena. L’autore ricorda anzitutto brevemente la natura della zona a radiolarie nell’ Appennino settentrionale e centrale, la quale stratigraficamente appartiene alla parte inferiore del Miocene medio. E vien subito allo scopo precipuo della sua nota, il quale quello si è di discutere la probabile origine di tale for- mazione. Occasione a tale disamina è la ipotesi messa innanzi dal prof. Spezia per la genesi dei tripoli di Sicilia, nel suo lavoro intorno alla genesi del solfo di quell’isola. Sacondo tale ipotesi, i depositi di tripoli di Sicilia per la loro po- tenza e per la quantità di silice necessaria al grande sviluppo locale degli or- ganismi silicei, dipendono da silice endogena, inerente al vulcanismo. - 481 - Il prof. Pantanelli vuol dimostrare che tali ipotesi non è ammissibile e he propone un’altra. Per lui, le sorgenti minerali non possono avere in- fluenza notevole sulla proporzione della silice contenuta nelle acque dei mari, e non è necessario che gli organismi a scheletro siliceo si trovino in presenza di silice solubile, potendola separare dai silicati che possono rimanere indefini- tamente sospesi nelle acque. Per lui, una corrente marina proveniente da regioni di facile sviluppo degli organismi in discorso, obbligata a percorrere un mare relativamente ristretto, dove, potendo affluire acque dolci e limpide, fosse favo- rito in parte lo sviluppo loro, rappresenterebbe la migliore condizione per il largo deposito dei medesimi: e ritiene che tali condizioni si verificassero molto prossimamente nel Miocene medio quando si depositarono quegli strati. Dove- vano esistere correnti marine che dall’ oceano tropicale S.E si avviassero verso il Mediterraneo miocenico ove trovavano condizioni favorevoli per lo sviluppo degli organismi pelagici e per la loro deposizione. Pantanelli D. — Contributo alla geologia dell! Appennino modenese: sopra una recente pubblicazione del prof. F. Sacco sull1 Appennino dell1 Emilia. (Atti Soc. naturalisti di Modena, S. Ili, Voi. XII, 8’). — Modena. Il prof. Pantanelli, per evitare che il suo silenzio possa interpretarsi come con- senso alle idee del prof. Sacco intorno alla geologia dell’ Appennino dell’Emilia, per buona parte assai diverse, com’ è noto, da quelle comunemente accettate, si occupa in questa nota di indicare alcuni dei punti intorno ai quali più grave e certo è il suo disaccordo con quell* autore : poiché egli, pur ammettendo esi- stere giuste osservazioni nel lavoro del Sacco, ritiene intempestivo il modo sommario con cui questi trattò la geologia dell’ Appennino, non nuova pertanto alle ricerche dello studioso. Si tratta, in gran parte, di osservazioni locali numerose sulle quali non pos- siamo qui arrestarci: accenniamo invece alla questione delle argille scagliose e del macigno, che hanno interesse generale e per le quali il prof. Pantanelli non vede ragione di accettare le interpretazioni o nuove o riprodotte del prof. Sacco, che del resto in successivi lavori modificò, parzialmente almeno, egli stesso. Pantanelli D. — Miocene di Vigoleno e Vernasca. (Atti Soc. natura- listi jdi Modena, S. Ili, Yol. XIII, 1°). — Modena. E una breve comunicazione del rinvenimento fatto negli strati marnosi at- torno al [castello di Yigoleno (provincia di Parma) di fossili che li collocano nel Miocene medio: le specie trovate, tralasciando quelle che potrebbero essere plioceniche, sono le seguenti: Pleuroioma gradata Defr., P. Vigolenensis May , P. Sotteri Micht., Natica redempta Miclit. L’autore aggiunge che si accorda col Toldo nel riferire al Miocene medio 7 - 482 — le arenarie e le marne a strati alternanti che compaiono dall’ incontro delle strade dell’Ongina e di Lngagnano sino a Vernasca. Parona C. F. — Appunti per lo studio del Lias lombardo. (Fend. F. Isti- tuto lomb., S. II, Voi. XXVII, 14). — Milano. L’autore dà notizia di alcuni fossili da lui determinati in materiale comu- nicatogli da vari studiosi e proveniente da diverse località del Lias lombardo. Una località fossilifera nuova è quella dell’alpe Loggio, nel comune di Ponna in Valle d’Intelvi ; fra numerosi frammenti di ammonidee, l’autore ha potuto riconoscere: Arietites bisulcatus Brug., A. stellaris Sow., A. ceratitoides Quenst., Psiloceras tortilis d’Orb. (?), Lytoeeras seeernendum De Stef. (?). La presenza dell’ A. bisulcatus lascia ritenere che oltre la zona superiore del Lias inferiore lombardo (piano di Saltrio) si abbia quella inferiore. Il rinvenimento di fossili (Arietites ceratitoides Quenst., A. spiratissimus Quenst.) a Maraglio ed alle falde del Monte Isola nell’isola di Peschiera (Lago d’Iseo) ha confermato l’esistenza del Lias inferiore, piano di Saltrio. L’ing. Salmojraghi trovò nel calcare nero selcioso con sfumature rossiccie del Montecolo di Pilzone un bell’esemplare di un’ ammonite che nella sezione dei giri e -nelhornamentazione corrisponde esattamente ad una delle ammonidee distinta dal Quenstedt col nome specifico di Ammonites armatus nodofissus , e appartenente alla parte inferiore del Lias medio. E ben distinta dall’ A. ar- matus Sow., e 1’ autore propone di denominarla Platipleuroceras Salmoiraghii n. f. Essa, insieme al Liparoceras Beckei Sow. del calcare grigio roseo di Pro- vaglio, altra volta segnalato dall’autore, lascia ritenere che nella serie liasica del Lago d’Iseo, litologicamante assai uniforme, si abbia oltre al Lias inferiore, la zona profonda del Lias medio, che senza distacco stratigrafìco nè litologico passa alla zona superiore o del Medolo. Di quest’ultima l’autore ricorda i fossili raccolti in più punti. Parona C. F. — I fossili del Lias inferiore di Saltrio in Lombardia : Parte II. Gasteropodi. \ Bull. Soc. malac. it., XVIII). — Modena. L’autore ha in precedenti lavori fatto conoscere i caratteri generali della fauna di Saltrio e l’ha riferita alle zone a Pentacrinus tuberculatus, Arietites obtusus , Oxynoticeras oxynotus; ne ha descritti i crinoidi, i brachiopodi ed i lamellibranchi : ed ora descrive i gasteropodi. Questi sono rappresentati da 23 specie ; il genere più ricco è la lJleur otomaria che ha tredici forme : i ge- neri Phasianella , Amberleya e Discohelix ne hanno una ciascuno ; i generi Trochus e Chemnitzia quattro ciascuno. Le Pleur otomaria ed i Trochus ( Eutrochus ) costituiscono il gruppo di forme più caratteristico per la classe dei gasteropodi della fauna di Saltrio. Undici forme sono ritenute nuove ; le altre appartengono a specie che, per buona parte, spettano alla fauna di Hierlatz. Eccettuate la Pleur. anglica , la Cryptaenia expansa ed altre due forme incerte, nessuno dei gasteropodi di Saltrio fu finora riscontrato nei vari giacimenti del Lias inferiore del versante meridionale delle Alpi e della penisola. La memoria è accompagnata da due tavole. Parona C. F. — La fauna fossile ( calloviana ) di Acque Fredde sulla sponda veronese del lago di Garda. (Memorie R. Acc. dei Lincei, S. IV, Voi. VII). — Roma. La fauna fossile di cui si tratta fu scoperta nel 1885 sulle pendici del Monte Baldo fra Canevini di Torre e Acque Fredde, entro piccole cavità di uno straterello di calcare Bianco e rosso, poggiante su un banco di calcare compatto privo di fossili, il quale sta a sua volta sugli strati ricchi della fa- mosa fauna di S. Vigilio. Nella presente memoria il prof. Parona descrive oltre a cinquanta specie, in gran parte nuove, e discute l’orizzonte al quale appar- tiene il giacimento. Questo è calloviano, e presenta i più stretti rapporti con quello di Babierzówka nella Galizia occidentale, che Uhlig ascrisse appunto a quell’orizzonte in base alle ammoniti. La fauna di Acque Fredde è perfettamente sincrona a quella di Campo- rovere e di Canove (Ghelpa) nei Sette Comuni; esse differiscono però pel tatto che mentre quella di Acque Fredde manca di brachiopodi ed è ricca di gaste- ropodi, quella di Camporovere ha quelli copiosissimi e questi rari. Paragonata alla fauna calloviana extralpina di Montreuil-Bellay nella parte occidentale del bacino di Parigi, quella di Acque Fredde presenta nel complesso la stessa facies, ad eccezione del genere Phylloceras che manca alla fauna francese. La memoria è accompagnata da una tavola. Penck A., Bruckner Ed. et Du Pasquier L. — Le systeme glaciaire cles Alpes. Guide publié à l’occasion du Congrès géologique interna- tional de Zurich. (Bnlletin de la Société des Sciences naturelles de Neuchàtel, tome XXII). — Neuchàtel. Dal titolo stesso appare lo scopo di questa pubblicazione, che forma un opuscolo di 86 pagine con parecchie figure dimostrative intercalate nel testo. Questo consta essenzialmente di due parti. Nella prima si dà un rapido con- cetto generale dei terreni glaciali alpini , e se ne spiega la nomenclatura. Indi si espongono i fatti generali, su cui sarebbe basata la distinzione fra de- positi delVultimo periodo glaciale , e depositi glaciali più antichi ; e la suddi- visione di questi ultimi in altri due periodi, ammessa dagli autori. Nella se- conda parte si applicano i criteri generali premessi, alla descrizione speciale delle formazioni glaciali delle singole regioni incluse nel programma del Con- gresso. La esposizione, fatta in parte su materiale già noto, e in parte su os- servazioni originali, si fa nell’ordine seguente : 1. Le morene terminali del — 484 — ghiacciaio della Reuss. — 2. Le alluvioni glaciali. — 3. La regione di Sciaf- fusa. — 4. Le morene del Lago Maggiore. — 5. L’anfiteatro d’Ivrea. — 6. L’an- fiteatro del Garda. — 7. Terreni glaciali entroalpini. — 8. L’anfiteatro del- l’Inn. — 9. La pianura bavarese. — 10. L'anfiteatro dell’Isar. Peola P. — Le Conifere terziarie del Piemonte. Contributo alla paleo- fitologia piemontese. (Boll. Soc. geol. it., XII, 4). — Poma. È l’elenco delle conifere terziarie del Piemonte, risultato dallo studio del materiale esistente nel Museo geologico di Torino, nella collezione Craveri del Museo Civico di Bra e in quella del Rovasenda. Per ogni forma è citato fau- tore e l’opera in cui fu descritta ed illustrata, nonché la sinonimia piemon- tese; per quelle già note non è ripetuta la descrizione e la diagnosi ma solo e indicata qualche particolarità individuale degli esemplari esaminati. Le lo- calità da cui provengono gli esemplari sono le colline di Torino (Villa Mer- letti, Val Ceppi, Fagnur, Sciolze, San Grato, ecc.), Andona, Bagnasco, Bra, Cherasco, Chieri, Druent, Guarene, Gassino, Monte Castello, Nuceto, Pavone di Alessandria, rio Torsero. Le specie sono 57 ed appartengono ai generi : Pinus Linck. (subg. Finaster Endl., Taeda Endl., Strobus Spach.) Pinites , Larix Linck., Abies Tourn., Abie- tites , Sequoia Torr., Taxodium Rich., Glyptostrobus Endl., Widdringtonia Endl., Callitris Venfc., Thuya L., Chamaecyparis Spach., Juniperus L., Taxites Brong., Podocarpus L’ Erit., Ephedra L. Piolti Gr. — Contribuzione allo studio della variolite del Mont Gimont (< alta valle di Susa). (Atti P. Acc. Se. di Torino, XXIX, 3). — Torino. L’autore si occupa in questa nota di una breccia da lui osservata al Mont Gimont. Macroscopicamente essa risulta di frammenti a spigoli vivi di variolite e di altra roccia di bel colore verde -erba, riuniti da un cemento ver- dastro scuro. Quest’ultimo è costituito da diabase afanitica, che al microscopio si manifesta in più varietà rappresentanti graduali passaggi determinati da una più o meno perfetta cristallizzazione. La sostanza che oltre la variolite costi- tuisce i frammenti della breccia è un vetro, in generale perfettamente isotropo, ma talvolta presentante un principio di devitrifìcazione. Riguardo a questa breccia, l’autore ritiene che le lave diabasiche scorrendo le une sulle altre sieno divenute variolitiche nelle superficie di contatto delle successive colate, e che un’ultima eruzione fattasi strada fra le roccie sopra- stanti abbia rotto le croste variolitiche' e i vetri cementandone poscia i fram- menti. La breccia rappresenterebbe dunque una fase dei vari periodi eruttivi che dettero luogo alla formazione diabasico-variolitica del Mont Gimont. Il vetro incluso nella breccia pare all’autore possa considerarsi come una lava diaba- sica o, per così dire, una diabase iniziale. - 485 — Platania Gr. — Sit la Xiphonite, nuovo anfibolo dell' Etna. (Atti g Ren- diconti Acc. se., lettere ed arti di Acireale, Nuova serie, Voi. V). — Acireale. L’autore espone in questa nota il risultato degli studi preliminari da lui fatti intorno ad un minerale esistente insieme a parecchi altri entro una lava scoriacea delFEtna ad Aci Catena, e che egli per le misure cristallografiche isti- tuite considera come una varietà di antibolo, cui dà il nome di xiphonite (dal nome delFantica Xiphonia). È in piccoli cristalli di colore da giallo-chiaro a giallo-miele più o meno carico, trasparente ; polvere chiara, quasi bianca ; pleo- croismo quasi nullo. Essi trovansi nelle vescicole di alcune scorie ; le pareti delle vescicole sono coperte da numerosi minerali, fra cui l’oligisto in lami- nette e cristalli talora iridescenti. La xiphonite, esaminata al microscopio, pre- senta cavità con gas a contorno irregolare, talora ramificate. L’autore aggiunge qualche notizia intorno alla natura della roccia che racchiude il minerale. Platania G-. — Una nuova interruzione, del cavo telegrafico Milazzo-Li- pari. (Atti e Rend. Acc. se., lett. ed arti di Acireale, Nuova serie, Voi. Y). — Acireale. E una breve comunicazione delle notizie raccolte e delle osservazioni fatte durante la riparazione del cavo sottomarino Milazzo-Lipari del quale avvenne l’interruzione nel 14 dicembre 1892 e del quale è dato conto nella seguente memoria. Platania Gt.no e G.NNI — Le interruzioni del cavo telegrafi, co Milazzo-Lipari e i fenomeni vulcanici sottomarini nel 1888-92. (annunzio : Bull. Acc. Gioenia, XXXVI; memoria: Atti eco., Voi. VII, S. 4a). — Catania. Prendendo argomento da una nuova interruzione del cavo sottomarino Milazzo-Lipari, avvenuta il 14 dicembre 1892, gli autori riassumono in questo la- voro le notizie raccolte e gli studi fatti sulle tre interruzioni precedenti dello stesso cavo, dei quali uno di essi già rese conto nella sua nota : I vulcani sottoma- rini durante V eruzione di Vulcano nel 1888-89 (vedi Bibl. 1890) e vi aggiungono le informazioni e le osservazioni fatte in questa quarta interruzione. Il cavo ap- pariva come fosse stato rotto da un colpo violento e repentino. L’armatura era danneggiata per un certo tratto, come per attrito ed una parte di esso cavo rottosi nel tirarlo a bordo si ritiene sia rimasta sotterrata per un tratto di più di 2 chilometri. Furono pure esaminati due campioni di saggio di fondo, uno preso nel luogo ove avvenne la rottura, l’altro a circa due chilometri dal medesimo verso Milazzo. Il primo risulta di pochi e minutissimi frammenti di — 48S - lava angolosi e come rotti di fresco e indicherebbe l’azione di fenomeni endo- geni ; l’altro, in polvere finissima, risulta al microscopio di detriti di pomici, di cristalli di felspato e talora di pirosseno e contiene alcuni foraminiferi. Dalle considerazioni sui fatti esposti gli autori, pure riconoscendo la man- canza di più minute osservazioni, credono di potere affermare cbe in un’area estesa in fondo al mare sieno avvenuti fenomeni di natura vulcanica cbe sono stati resi manifesti dalle interruzioni del cavo telegrafico sottomarino. Questa nota è accompagnata dai diagrammi delle riparazioni eseguite e da una carta nella quale è rappresentata la posizione del cavo. Ponte G. G. — Al lago Naftia. (Atti Soc. it. Se. nat., XXXIY, 4). — Milano. E la riproduzione d’una breve nota pubblicata nel Bollettino del Natura- lista del 1893 e della quale rendemmo conto nella Bibliografia di quell’anno. Regalia E. — Sulla fauna dèlia grotta dei Colombi ( Isola Palmaria , Spezia); nota paleontologica. (Archivio per l’antropologia e l’etno- logia, Voi. XXIII, 3). — Firenze. In questo lavoro l’autore riassume le osservazioni fatte in detta grotta negli anni 1872-73-75 e da lui esposte in una memoria pubblicata nel 1873, ag- giungendovi il risultato di più recenti ricerche. Premessi alcuni cenni storici e bibliografici, enumera la fauna fino ad ora riconosciuta nella caverna descrivendone dettagliatamente i resti. Essa si com- pone di 26 specie di molluschi, di una almeno di crostacei, 3 di pesci, 3 di an- fìbii, 20 di uccelli e 10 almeno di mammiferi. Basandosi su questa fauna non meno cbe sui dati stratigrafìci dei depositi della grotta l’autore crede si possa rispondere ai due quesiti : 1° se nella grotta dei Colombi sia rappresentata una fauna anteriore all’attuale ; 2° se si possa provare la contemporaneità degli uomini cbe frequentarono la grotta stessa con quella fauna. Prende a tale scopo in esame le diverse specie basandosi specialmente sui mammiferi /che raggruppa in specie proprie anche del quaternario, in specie esclusivamente quaternarie, in specie dell’epoca glaciale, ed in specie di fauna più meridionale. Confronta quindi questi con quelli di depositi senza dubbio quaternari di altre caverne tanto dell’Italia che di altri paesi, e, dall’esame stratigrafìco dei depositi trovati nella grotta dei Colombi, pare all’autore di potere concludere cbe i più bassi cbe ivi si riscontrano contenenti, oltre a pro- dotti d’ industria, solo specie selvatiche sono anteriori alla fauna neolitica, anzi all’epoca attuale, sono quindi quaternari ; in conseguenza gli uomini cbe pri- mamente occuparono la grotta erano contemporanei della fauna più antica ivi esistente perchè questa conta parecchie specie state indubbiamente pasto del- l’uomo. Conchiudendo : La grotta dei Colombi venne dunque frequentata da cac- ciatori durante il periodo quaternario e lo fu pure in un epoca posteriore, du- rante la fase litica locale, e quando esistevano parecchie specie addomesticate. Dei resti umani ivi trovati una certa quantità appartiene alla 2'* epoca indi- cata ; alcuni più rari sono certo contemporanei della più antica. Ciò non è di- mostrato ancora per molti altri importanti resti, ma vi hanno probabilità in favore , quali la colorazione più cupa delle ossa, ed il trovarsi essi, in diversi punti della grotta, più profondamente situati. Alla memoria è unita una tavola litografata rappresentante alcuni dei resti rinvenuti nella grotta. Ricci F. — Studio microscopico di uri anfibolia del Riobasso nel Savonese . (Atti Soc. toscana Se. nat., Proc. verb., IX). — Pisa. L’anfìbolite oggetto di questo studio appartiene alla zona de’le pietre verdi, e secondo il De Stefani ed il Franchi all’Huroniano. Il campione esaminato macroscopicamente ha colore bigio-verdastro scuro, struttura leggermente fibrosa, nelle fratture recenti, e all’esterno un colore gial- lastro per alterazione dell’orneblenda che è in grande prevalenza nella roccia. L’orneblenda è in massa di piccoli e sottili cristalli di color verde cupo assai splendenti, nei quali si possono scorgere facilmente i piani di sfaldatura paralleli alla faccia del prisma (110). In questa massa appare l’oligoclasio talora bianco-latteo, talora bigio, quasi sempre cangiato in caolino: vi si osservano pure cristallini di pirite spesso alterata ed il quarzo. Il peso specifico della roccia determinato colla bilancia di Jolly, è in media 3,C58 a 14° cent. All’esame microscopico in lamine sottili l’autore vi ha rinvenuto le se- guenti specie che descrive : orneblenda , oligoclasio , caolino , clorite , sfeno, rutilo , zircone , ilmeniteì pirrotina, ematite, muscovite . Manca o vi è solo in tenuissima quantità la magnetite Ficcò A. — La lava incandescente nel cratere centrale delVEtna e fe- nomeni geodinamici concomitanti. (Annali Ufficio centr. Meteor. e Geodin., Yol. XV, P. I). — Roma. Accennato ai terremoti avvenuti il 22 aprile 1893, che dal versante set- tentrionale dell’Etna si estesero alle Madonie e fino alle Eolie, l’autore espone i fenomeni presentati dal cratere centrale dell’Etna in quel periodo. Riferisce quindi su di una escursione fatta il 28 giugno al detto cratere nell’interno del quale si scorgeva la lava incandescente, che sgorgava in diversi punti da cre- pacci della parete verso N.O e, discendendo in piccola colata tortuosa, si rac- coglieva in una massa a circa 20 metri sopra il fondo del cratere. Continue esplosioni e cupi rombi manifestavano in questo frattempo l’at- tività del vulcano, e ciò malgrado, gli istrumenti dell’Osservatorio indicavano in quei giorni una calma completa. Da relazioni di varie persone che salirono all’Etna dal 29 ottobre 1892 al - 488 - 24 aprile 1893 risulta che questa lava incandescente nell’interao del cratere non era stata vista che dal dott. Tosi che vi sali il mattino del 26 aprile; l’au- tore è quindi indotto ad ammettere che tale -fenomeno abbia cominciato il 26 aprile o poco prima. L’ autore ritiene che i grandi terremoti prodottisi dal 22 aprile e che diven- nero deboli all’apparire della lava nel cratere centrale, si debbano connettere coi fenomeni vulcanici descritti, e che i conati e le tensioni dei fluidi interni che scos- sero l’Etna, le Madonie e le Lipari abbiano causato l’ascensione e la comparsa della lava nel cratere. La forma dell’area scossa allungata tra le Eolie e l’Etna rende probabile che il centro di scotimento sia stato in un’antica frattura fra le due regioni vulcaniche e la forza impellente sia venuta dall’Etna. Ritiene quindi Fautore che si tratti di una eruzione abortita, perchè il fianco dell’Etna ha resistito senza squarciarsi. Aggiunge che tale fenomeno non è nuovo e cita varie epoche in cui si produssero emissioni di lava talvolta tranquillamente, talaltra ^no. È data infine una descrizione degli effetti del terremoto sulle varie località, in base ai quali sono tracciate le linee isosismiche che vengono disegnate in una tavola annessa insieme ad una veduta del cratere centrale colla lava incan- descente. Ricco A. — Breve relazione sui terremoti del 7 e 8 agosto 1894 avvenuti nelle contrade etnee. (Boll. mens. Osservatorio centrale, Moncalieri, S. II, Voi. XIV, 10). — Torino. L’autore riferisce intorno alle scosse di terremoto avvenute in Catania e re- gioni vicine nei giorni 7 ed 8 agosto 1894, dando dettagliati ragguagli sulla loro intensità e direzione, sugli effetti *pr°dotti © sul modo col quale furono segnalate dagli istrumenti sismici. Passa in rassegna le località nelle quali furono risentite le scosse ed indica l’area mesosismica determinata in seguito a visita di dette località., e che sarebbe rappresentata da un elisse il cui diametro maggiore diretto N.O-S.E è di circa sei chilometri ed il minore di due. 11 centro di tale elisse trovasi alla latitudine di 37°, 39’, 30 ' e alla longi- tudine Est da Monte Mario di 2°, 39', 30". Le scosse vengono distinte ..per in- tensità in 5 gradazioni e le corrispondenti linee isosismiche danno delle curve chiuse, aU’incirca concentriche alla predetta elisse. Le direzioni delle oscillazioni date dagli istrumenti sismici sono convergenti piuttosto verso il cratere centrale dell’Etna anziché verso il centro sismico. Piccola è la profondità dell’ipocentro perchè rapidissimo fu il decrescere colla distanza della intensità della scossa. Dalla direzione delle fratture prodotte negli edifìci non si possono avere criteri sicuri per determinare la profondità del centro di scuotimento per essere gli edifìci stessi in gran parte costruiti con materiali irregolari e poco omogenei. Dalla posizione dell’area mesosismica e dalla direzione del suo asse mag- giore, l’autore deduce l’origine vulcanica ed etnea di tali terremoti. Non è però - 489 - facile il decidere se essi si debbano considerare come residui dell’attività delia eruzione del 1892, o se rappresentino, in una coi fenomeni geodinamici del- l’aprile e maggio 1898, nuovi conati eruttivi non riusciti. Ristori G. — La risorgente della Pollacela. (Soc. toscana Se. nat , Proc. verb., IX). — Pisa. È una breve relazione dell’esperimento fatto sulla sorgente detta la Pel- laccia nelle Alpi Apuane dai signori G-. De Agostini e 0. Marinelli e del quale abbiamo dato un cenno più sopra. •Romano S. — Le piti recenti eruzioni deir Etna. (Geografia per tutti, Anno IV, n. 11). — Milano. Il sig. G-. A. Bertolini in un suo articolo pubblicato nella Geografia per tutti (anno IV, n. 3) col titolo: La Sicilia , il suolo , i prodotti e gli abitanti , afferma che l’Etna dal 1874 riposa; ora l’autore in una lettera, ricorda le quattro eruzioni posteriori, cioè quella del 1879 nella quale si formò il nuovo cono Umberto-Margherita, a 2450 metri sul mare; quella del 1883 fra il Monte Guardiola ed il Monte Binario: quella violenta del 1886 nella quale formossi il Monte Gemmellaro a 7 chilometri sopra Nicolosi, preceduta da forti terremoti e che produsse gravi danni; e finalmente quella non grave del 1892. Sarebbero così a contare da quella ricordata da Tucidide, avvenuta ai tempi di Pitagora, cioè 2640 anni addietro, 81 eruzioni delle quali 18 in questo secolo. Rosenlecher R. — Die Quicksilbergruben Toscanas. (Zeit. fiir prakt. Geologie,' Jahrg. 1894, H. 9). — Berlin. E una descrizione geologico -mineraria della regione cinabrifera del Monte Amiata fatta in base a varie pubblicazioni esistenti e ad osservazioni personali dell’autore. Sono descritti i giacimenti del Siele, del Cornacchino, le Solforate, Monte Buono ed Abbadia S. Salvatore. La memoria è corredata di una carta, di una tavola di profili e di alcune figure intercalate nel testo. Rosiwal A. — Vorlage von Erz-und Gesteinsproben aus Cinque Valli (Sudtirol). (Verb.. d. k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1894, H. 6). — Wien. È la presentazione di una serie di campioni di minerali e di roccie della regione metallifera di Cinque Valli nel Trentino. I minerali dei filoni sono blenda, galena, calcopirite, wolframite, un nuovo minerale scoperto a Cinque Valli dal Sandberger, il nikel-arseniuro di ferro (Ni, Ee) As2; inoltre pirite, cerussite, stilpnosiderite, quarzo, fluorite e mesitina. Le roccie incassanti sono determinate come fìllade quarzifera grigia, scisto sericitico, scisto cloritico verde che il Sandberger in uno studio precedente aveva determinato come scisto paragonitico, ed infine una roccia massiccia, una porfìrite dioritica quarzifera. — 490 — Rovereto GL — Diabasi e serpertene terziarie nella Liguria occidentale. (Atti Soo. lig. se. nat. e geogr., V, 2 j. — Genova. Sono osservazioni petrografìclie intorno ad una massa di roccie eruttive intrusa, nella valle della Polcevera, nella potente zona di scisti argillosi che stanno sotto i calcari a fucoidi con facies di flysch eocenico e furono in pre- cedente lavoro dall’autore considerate come eoceniche e corrispondenti etero- picamente alla parte superiore delle argille scagliose : qui egli aggiunge man- cargli gli elementi per escludere che tali scisti sieno cretacei. Le roccie eruttive di cui trattasi sono diabasi e serpentine. Quelle manife- stano a contatto degli argilloscisti, azioni ben marcate di metamorfismo esomorfo ed endomorfo, mentre tali azioni son dubbie al contatto con la serpentina. Una sezione osservata presso la Murta mostra a partire dagli scisti le forme se- guenti di contatto nella massa diabasica: epidiabase (gabbro rosso), diabase amigdalare, diabase porfirica, diabase normale, diabase microlitica. La serpentina contiene amigdale di diabase nettamente diverso dalla roccia in grande massa: l’autore vi riconobbe tre tipi, cioè diabase viriditica, vetrosa e ofìtica. Rovereto GL — Fenomeni di contatto del granito savonese. (Eoli. Soc. geol. it., XIII, 1). — Roma. L’autore accenna brevemente ad alcuni fenomeni di metamorfismo da lui osservati nelle roccie che vengono a contatto con la massa granitica del Sa- vonese. Tali fenomeni sono particolarmente nei calcescisti della parte superiore della serie arcaica, e si manifestano con la completa dissoluzione della calcite, e riproduzioni di quarzo cementante grani di mica nera ; i biotitescisti risultanti occupano d’ordinario la zona immediata di contatto: più discosto si passa a micascisti quarzitici, nei quali manca la mica nera e predomina il quarzo mi- crogranulare. Le anfìboliti presentano fenomeni metamorfici meno decisi : fibrosità e gra- nulosità nel quarzo testimoniano azioni di dinamo-metamorfismo. Nei gneiss l’autore non trovò minerali di contatto : ma invece una breccia dovuta forse ad azioni di attrito e la laminazione data particolarmente dal quarzo. Sacco F. — I molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte XY ( Cypraeidae , Ampliiperasidae). Parte XYI {Cancellar iidae). — Torino. Sono due nuovi fascicoli in continuazione dell’opera già citata nella Biblio- grafìa dello scorso anno, pubblicate a spese dell’autore, nel primo dei quali vengono descritti i molluschi della famiglia delle Cypraeidae Gray (1824) e - 491 — delle Amphiperasidae H. e A. Adams; nel secondo la famiglia delle Cancel- lariidae II. e A. Adams (1853). I fascicoli sono corredati da numerosissime figure su tavole litografate. Sacco F. — 1 molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte XV^ ( Cypraeidae , Amphyperasidae). Parte XYI ( Cancella - riidae). (Boll. Musei di Zoologia e Anatomia comparata, R. Uni- versità, n° 171). — Torino. Vengono succintamente enumerati i generi, i sottogeneri e le specie di queste famiglie illustrate nei fascicoli precedentemente indicati dello stesso autore. Sacco F. — Le variazioni dei molluschi. (Bull. Soc. malacol. it., XVIII). — Modena. Lo studio analitico e generale dei molluschi terziari del Piemonte e della Liguria ha dato occasione all’autore di notare il fatto che le numerosissime e svariate forme dei molluschi non si presentano in ogni gruppo come specie distinte ed indipendenti fra loro, ma si mostrano frequentemente come forme specifiche collegate per mezzo di altre forme secondarie di transizione. Sol- tanto coll’esame complesso di tali forme si possono stabilire i gruppi aventi caratteri simili o specie, e attorno a questi tipi specifici si raggruppano nu- merose e svariatissime forme che possono chiamarsi varietà. Ciò induce l’au- tore ad occuparsi in questo scritto delle variazioni dei molluschi in generale ed esporre le considerazioni e le osservazioni fatte. Basandosi su queste, giunge alla conclusione che piccoli mutamenti nelle forme, per sè poco importanti, ma interessanti quando diventano costanti, specifici, bastano a determinare il pas- saggio da una specie all’altra, e a spiegare la graduale trasformazione ed evo- luzione delle forme organiche. Come esempio di tali trasformazioni prende in esame il gruppo dei Chenopus a cominciare dal Miocene (elveziano) fino al- l’epoca attuale illustrandolo con figure disegnate in una tavola annessa. Sacco F. — Trionici del Monte Bolca. (Atti R. Acc. Se. di 1 orino, XXIX, 12). — Tonno. L’autore, ritenendo che il numero grande di specie di trionici (se ne con- tano 60 a partire dal Cretaceo), sia dovuto in parte a che i paleontologi sono stati indotti a proporre nuovi nomi specifici basandosi sopra frammenti di scudi dorsali affatto incompleti, ne deduce che si dovrà, in seguito ad una più seria revisione dei resti di trionici, venire ad una riduzione delle specie prima riconosciute, come già fu fatto dal Boulenger per i Cheioni viventi. Intanto in questa nota egli dà conto di alcune recenti scoperte di resti abbastanza com- pleti di Trionyx i quali, benché attribuibili a specie conosciute, presentano ( - 492 — tuttavia caratteri proprii interessanti, alcuni dei quali sembrano collegare fra loro forme considerate finora specificamente distinte. I resti che prende in esame provengono dalle ligniti del Monte Bolca e sono 5, dei quali uno costituito da uno scudo dorsale completo e gli altri di parti assai interessanti di esso. Dall’esame di questi fossili risultano le loro affinità notevolissime coi Trio- nici eo-oligocenici d’altre parti del Veneto descritte dal dott. Negri. Osserva in proposito che le specie descritte da questi come nuove ricordano per molti caratteri specie precedentemente descritte e ritiene sieno necessari ulteriori rin- venimenti delle specie prima descritte. Nota pure come sia alquanto sorprendente che si trovassero a convivere in regioni così ristette quali sono quelle del Bolca e di Monte viale molte specie di Trìonyx in depositi d’altronde geologi- camente abbastanza prossimi. Parrebbe quindi logico di ridurre alquanto il numero di quelle specie e ne espone le ragioni basandosi sui caratteri che presentano i fossili esaminati. . II primo degli esemplari studiati dall’autore si avvicina per alcuni carat- teri alla specie T. Capellina data come nuova dal Negri e ne diversifica per altre, concordando invece coi T. schaurothianus ed afjinis. Dubita che anche queste possano considerarsi come varietà del T. Capellina come l’esemplare da lui studiato, che perciò chiamerebbe T. cfr. Capellina Negri var. conjungens Sacc. Anche gli esemplari 2° e 5° attribuisce alla stessa varietà. Gli altri due 8° e 4°, mostrando pure una certa affinità col T. Capellina, non possono però per il loro stato di conservazione esser determinati con sicurezza. Sacco F. — L'apparato morenico del lago d’ Iseo. (Annali R. Acc. Agrio. di Torino, Voi. XXXVII). — Torino. In questo suo lavoro intorno all’interessante apparato morenico del lago d’ Iseo, l’ autore espone successivamente la distribuzione ed i caratteri in quella regione del Messiniano, Villafranchiano, Ceppo, Diluvium, Lacustro-gla- ciale, Morenico e Terrazziano. Aggiunge una bibliografia del terziario e quaternario della regione stessa, ed una Carta al 100 000 nella quale sono delimitate le formazioni terziarie e posterziarie. Sacco F. — L Appennino settentrionale. Appendice prima. (Boll. Soc. geol. it., XII, 4). — Roma. In seguito a revisioni geologiche eseguite nell’ Appennino settentrionale durante la primavera del 1893, l’autore fu indotto a modificare alquanto l’in- terpretazione ed i limiti di alcuni piani geologici. Tali modificazioni introdotte in una seconda edizione della sua Carta geologica dell’Appennino settentrionale (parte centrale) vengono dall’autore stesso succintamente esposte in questo lavoro. — 493 - Accennato ai terreni arcaici, ai primari e a quelli secondari pregiurassici, dei quali ultimi le piccole varianti nei limiti ha indicate nella carta, esprime, rispetto al Giurese, il dubbio che una parte di certi schisti rossi affioranti sotto i banchi arenacei presso Pontremoli e nel golfo della Spezia, siano da attribuirsi al Cretaceo anziché a questo piano. Alcune potenti zone arenacee appoggiantesi ai terreni giura-liasici e coperte dalla zona degli scisti ofìolitici del Cretaceo, già attribuito all’infracretaceo, sono invece attribuibili al macigno eocenico, la loro posizione stratigrafica di- pendendo da fenomeni di rovesciamento di sinclinali strettissime. Alcune zone marnose arenacee e calcaree, dapprima inglobate nel Cretaceo, debbono invece riferirsi all’Eocene; vengono quindi ristrette le aree cretacee specialmente nei monti della Spezia, di S. Stefano d’Aveto, di Genova e del Vogherese. Quantunque la zona delle argille scagliose e degli schisti ofiolitiferi per lo più si vegga affiorare fra il macigno eocenico ed i calcescisti pure eocenici ad Belmìnthoidea labyrintliica , egli la ritiene cretacea, spiegando il fenomeno stra- tigrafìco con forti pieghe coricate e trasgressive. Il terreno eocenico è quello che ha subito maggiori modificazioni prendendo maggior sviluppo in seguito a ritrovamento di fossili e alla tettonica meglio riconosciuta. Tuttavia l’.autore riconosce che occorrono ancora nuovi studi e ricerche per bene accertare i rapporti fra Eocene e Cretaceo. Intorno ai piani dell’Eocene nulla ha da aggiungere per il Messiniano, che del resto nell’ Ap- pennino ha pochissima importanza. Del Parisiano che distingue in zona pre- valentemente arenacea (Etrurio str. sensu) e in zona schistoso- calcarea (Ligu- riano str. sensu) descrive le varie località ove esse affiorano ed i fenomeni stratigrafìci che presentano. Quanto al Bartoniano al quale attribuisce una sottile zona marnosa giallastra poco compatta, che affiora sotto l’arenaria oli- gocenica, dubita possa insieme col Tongriano, a cui fa passaggio, ascriversi alla base dell’Oligocene. Accenna in seguito a nuovi lembi di Villafranchiano scoperti a Nord di Spezia. Avverte infine che le delimitazioni segnate sulla carta, in mancanza di dati palentologici, hanno carattere provvisorio. Sacco IT. — Lo sviluppo glaciale nell’ Appennino settentrionale. (Boll. Club alp. it., Voi. XXVII). - Torino. L’autore intende in questa nota mostrare in modo alquanto sommario, quanto sia stato importante ed esteso lo sviluppo glaciale nella parte alta del versante nordico dell’ Appennino settentrionale: la determinazione e delimi- tazione delle corrispondenti formazioni non è, com’egli riconosce, sempre facile e spesso rimane dubbia. Le formazioni moreniche dell’ Appennino non hanno di gran lunga lo sviluppo e la potenza di quelle delle Alpi, ed anche ne è diverso - 494 l’aspetto: i terreni glaciali appenninici presentansi per lo più come semplici veli irregolari, disposti qua e là a lembi sparsi, spesso con facies di depositi franosi: son rari i ciottoli striati, e rare del pari le roccie levigate e striate. Raramente si ha la forma di semicerchi od anfiteatri: solo talora si hanno brevi cordoni poco elevati, mentre in generale si ha morenico sparso. In alcuni fondi di vallate, i terreni morenici hanno però talora sino a 100 m. di spessore. Nell’ Appennino i depositi morenici trovansi a cominciare da 830 o 900 m. sai livello del mare, raramente sotto i 700 metri: i più estesi e tipici sono per 10 più fra i 900 e i 1000 metri. Sul versante meridionale trovansi, solo in qualche caso, traccie di terreno morenico. I ghiacciai degli Appennini non furono molto estesi e per lo più dovettero essere semplici vedrette. Salomon Gr. — Sul metamorfismo di contatto subito dalle arenarie 'per- miane della Val Daone. (Giornale di Min,, Crist. e Petr., V, 1-2). — Milano. In seguito alle osservazioni fatte dal Reyer, dal Suess e da altri sulle arenarie permiane della Val Daone (Valcamonica), in prossimità della tonalite, l’autore visitò accuratamente questa valle nel 1891 *e nel 1892 allo scopo di raccogliere e studiare molti campioni di quelle roccie tanto allo stato normale che metamorfosate dal contatto della tonalite. In questa memoria egli espone 11 risultato de’ suoi studi. Nella prima parte dà un cenno della geologia di quella regione, ferman- dosi specialmente sui dati stratigrafìci in relazione colle condizioni petrografìche dei diversi strati di arenaria. Nella parte petrografìca è distinto lo studio dei campioni appartenenti agli strati normali da quello degli strati metamorfosati. Nell’uno e nell’altro l’autore si estende a descrivere i caratteri che tali roccie presentano sia ad occhio nudo che al microscopio, indicando i minerali che entrano a comporle, le modificazioni di questi ed i minerali di nuova formazione. Confronta poi i risultati da lui ottenuti con quelli di altri scienziati, ripor- tando un numero considerevole di osservazioni sul metamorfismo di contatto di arenarie con roccie plutoniche e notando che esiguo è il numero dei casi di metamorfismo causati da esse sulle arenarie e più rari ancora quelli prodotti da roccie dioritiche. Riassume infine i risultati delle osservazioni fatte da lui e da altri nel modo seguente : 1° Il metamorfismo di contatto causato da roccie plutoniche produce nelle arenarie e grauvacche i seguenti minerali di nuova formazione : mica bruna, verde e bianca, ortose, plagioclasio, quarzo, tormalina, magnetite, sillimanite, cordierite, chiastolite, andalusite, granato, pirite, pirrotina, rutilo, zircone, an- tibolo ed un pirosseno a calce. 2° La cristallizzazione comincia sempre nel cemento e distrugge solo a - 495 - distanze piccole dal contatto ogni accenno alla origine clastica delle roccie, con- servandosi quasi sempre i frammenti più grandi di quarzo. 3® La massima estensione orizzontale degli effetti metamorfici, osservata finora in tali roccie, è di 2000 m. 4° Le roccie metamorfiche sono da ascriversi alle arenarie o grauvacche di contatto quando lasciano ancora riconoscere la struttura clastica, ma presentano già segni di metamorfismo; ovvero esse sono intieramente cristalline ed in questo caso conviene denominarle, secondo la loro composizione attuale, mica • scisti , gneiss o roccie massiccie di contatto. 5° In alcune regioni si distinguono zone di diversa intensità del meta- morfismo (Brettagna, Sassonia, ecc.). 6° I minerali di nuova formazione presentano spesso strutture speciali di contatto. 7° In quanto al modo del metamorfismo non esiste una differenza essen- ziale fra le rocce plutoniche che ne sono la causa. SdIo le sieniti eleolitiche pare che differiscano alquanto. Ma i graniti, le vere sieniti e le dioriti si com- portano identicamente. Sardberger F. (von). — Zinckenit von Cinquevalli in Val Sugana {Sudtyrol). (N. Jahrb. f. Min., Geol. und Pai., .Tahrg. 1894, Ed. I, H. 2). — Stuttgart. In questa sua comunicazione epistolare l’autore, in aggiunta a quanto ha scritto sui filoni di Cinquevalli (vedi Bibliografia 1893), partecipa di aver rice- vuto nuovi campioni di minerali di un nuovo filone della stessa località, fra i quali ha trovato una sostanza in cristalli poco distinti aciculari, che per i suoi caratteri chimici ha attribuito alla zinckenite. Sestini F. — Composizione chimica della grafitite del Monte Pisano. (Atti Soc. toscana Se. nat , Pr. verb., IX). --- Pisa. Presso S. Maria del Giudice (Monte Pisano), al disopra della Pieve Vec- chia, in un monticello denominato il Monte zoppo, vennero praticati nello schisto due fori per ricerca di carbon fossile distanti 15 metri l’uno dall’altro, e alla profondità di 6 metri circa fu rinvenuto un giacimento grafìtico di spes- sore considerevole. Ivi presso vi ha pure un affioramento di materia grafìtosa, messo allo scoperto dalle acque di un fosso che corrodono il fianco del monte. L’autore in questa nota dà conto delle analisi eseguite in due campioni scelti uno dall’ammasso della materia scavata dai pozzi, l’altro dall’affiora- mento visibile nel letto del fosso, i quali dimostraronsi appartenere alla specie grafitite , con abbondante residuo fisso. Silvestri A — Foraminiferi fossili della salsa di Paterno. (Atti Acc. Se. lett. arti di Acireale, Nuova serie, Voi. Y). — Acireale. Questa salsa, situata a circa mezzo chilometro a N.N.O. di Paterno, nel Rione Salinelìo, è rappresentata da un bacino argilloso leggermente inclinato verso N.O situato in mezzo alle lave basaltiche. Alla sua superficie vi sono piccole cavità crateriformi, dalle quali scaturiscono gas spesso accompagnati da poca acqua fangosa e salata. Nell’inverno, anche per effetto delle pioggie, il bacino si mantiene allo stato melmoso, nell’estate è asciutto e ricoperto di efflorescenze saline. Si manife- stano in esso di tempo in tempo dei parossismi eruttivi e l’autore descrive quello avvenuto nel 1878, con improvvisa emissione di enorme quantità di acque termali fangose con gas e idrocarburi liquidi. Questi materiali furono analizzati dal defunto O. Silvestri, il quale trovò che l’acqua fangosa conteneva il 18 % d’argilla, della quale circa il 80 °/0 era costituito di sabbia silicea, irammenti di pirite e gusci di foraminiferi. Questi furono da lui raccolti e ne aveva cominciato lo studio, ma distratto da lavori di maggiore importanza, rimasero ignorati iu mezzo ad altro materiale di studio. L’autore ne ha ultimamente intrapreso lo studio ed in questa me- moria ne espone il catalogo descrittivo ordinato secondo la classificazione del Brady. Ricerca quindi l’età della formazione a cui tali foraminiferi apparten- gono, e conclude che, per il facies delle forme studiate, per il loro paragone con formazioni in cui predomina il complesso delle medesime e con forme di origine sicura, non che per la conoscenza della geologia locale, si possa riferire il sedimento argilloso contenente i foraminiferi al Pliocene inferiore ( Zancleano , Seguenza). La memoria è corredata da quattro tavole e da una cartina al 50 000 dei dintorni di Paterno. Spezia GL - — La silice nei triboli di Sicilia. (Atti R. Aco. Se. di Torino, XXIX, 12). - Torino. In risposta ad obbiezioni mossegli dal prof. Pantanelli in una nota regi- strata in questa Bibliografia, l’autore conferma ed avvalora di nuovi argomenti l’ipotesi che, nel suo lavoro sull’origine del solfo nei giacimenti di Sicilia, fu condotto ad ammettere rispetto ai depositi di tripoli della regione stessa. Tale ipotesi si è che quei depositi, per la potenza loro e per la grande quantità di silice occorsa per lo sviluppo locale degli organismi che li formarono, debbono dipendere da silice endogena inerente al. vulcanismo. Spica M. — Intorno alV analisi di un minerale di molibdeno e sulla esi- stenza di un tetramolibdato ferroso. (Gazz. chim. it., anno XXIV, Voi. 1°, fase. 2). — Roma. L’autore analizzando per molibdeno un minerale di Stilo (Calabria) vi trovò 497 — qualche composto interessante: nella presente nota indica minutamente i pro- cedimenti analitici seguiti nella determinazione dei vari minerali ed i risultati ottenuti. La matrice è essenzialmente silicea (circa 96 % di silice), ed è in parte bianca ed in parte colorata in rosso da una sostanza che forma come una in- crostazione su di essa : la natura di questa sostanza non è ben determinata, essa contiene molibdeno, ferro, alluminio, magnesio. Oltre a biotite é muscovite ed a pirite alquanto cuprifera, la roccia con- tiene una sostanza gialla di aspetto ceroida, amorfa, che risultò composta da 49.47 °/„ di uranio e 29.70 %" di molibdeno, il che corrisponderebbe molto pros- simamente alla formola U303, 3Mo03, di un composto che sarebbe nuovo (trimolibdato di uranio). Stella A. — Contributo alla geologia delle formazioni pretriasiche nel versante meridionale delle Alpi Centrali. (Boll. Com. geol., XXV, 1). — Roma. Oggetto di questa nota è il risultato delle osservazioni di campagna e dello studio litologico, fatti per chiarire il problema della posizione geologica spettante a quel complesso di formazioni sottostanti al Trias inferiore nelle Alpi Centrali e note sotto il nome di appenniniti e di scisti di Casanna. Le osser- vazioni furono fatte specialmente nel Luganese e alto lago di Como; inoltre in valle Camonica, nella valle del Liro e nelle Prealpi Orobiche. Le conclusioni principali sono le seguenti. Dal Luganese alla Val Camo- nica sotto alle formazioni clastiche, comprendenti la serie dal Trias inferiore al Carbonifero, stanno .gli scisti cristallini comprendenti micascisti grigi, gneiss scistosi scuri, filladi, gneiss chiari, micascisti chiari, quarziti, hàlleflinta, scisti anfib olici. Le roccie separate da alcuni geologi sotto il nome di « scisti di Casanna * e di appenniniti appartengono rispettivamente al gruppo delle filladi e dei gneiss chiari con quarziti. La nota è corredata di alcuni profili geognostici. Stella A. — Relazione sul rilevamento eseguito nell’anno 1893 nelle Alpi Occidentali {valli dell’Orco e della Soana). (Boli. Com. geol. XXV, 4). - Roma. Il rilevamento dell’autore comprende la valle Forzo, la valle Soana al di- sotto di Ronco, la media valle dell’Orco, e le valli Viana e Galenca; i risul- tati sono brevemente esposti in questa relazione. L’autore insiste specialmente sui sementi punti: Complessità di composi- zione della zona del gneiss centrale; analogia d’interpretazione genetica Tra zona del gneiss centrale e zona delle pietre verdi; legame petrografìco delle pietre verdi coi gneiss minuti, micascisti e calcescisti; esistenza di. un gruppo 8 - 498 — di scisti verdi da separarsi dal gruppo delle anfìboliti (e che corrispondono poi alle roccie verdi denominate più tardi prasiniti) j triplice divisione del diluviale. La relazione è corredata di una carta orotettonica alla scala di 1 a ICO 000. Tacchini P. — Terremoti calabro-messinesi del 16 novembre 1894. (Rend. R. Acc. dei Lincei, III, 9, 2° seni.). — Roma. In questa nota vengono esposti i dati contenuti nelle notizie telegrafiche relative alle tre fasi di questo terremoto. Da essi risulta che si tratta di un terremoto disastroso, localizzato, che non si estende con carattere rovinoso al di là della costa di Messina per lo stretto e sino a Palmi, ricordando perciò il famoso terremoto del 1783 che riuscì assai più disastroso, specialmente sul versante occidentale della provincia di Reggio Calabria e nel Valdemone, cioè nella Piana di Messina e nelie Eolie. Nota che, dalle notizie in allora giunte non risultava che i vulcani etneo-eolici presentassero fenomeni straordinari. Presenta quindi il diagramma ottenuto dal sismometrografo a doppia velocità ideato dal dott. Agamennone, facendo risaltare la necessità dell’impiego di un simile apparecchio per la risoluzione di alcune importanti questioni di sismologia. Taeamelli T. — La valle del Po nell’epoca quaternaria. (Atti del 1° Congresso geogr. it., Yol. I). — Genova, 1894. In questa conferenza fatta in occasione del 1° Congresso geografico italiano tenutosi a Genova nel 1892, l’autore traccia a grandi tratti la storia della valle del Po dal principio del Quaternario in poi, ed abbozza le questioni tanto im- portanti ed in parte ancora in discussione che vi si collegano. Egli prende le mosse dalla fine dell’Eocene, quando avvenne quel corru- gamento orogenetico, che è la prima ragione della depressione padana, con sollevamenti successivi e conseguente abrasione, erosione ed interrimenti nei periodi del Miocene, del Pliocene e del Quaternario, sino a raggiungere lo stato attuale del rilievo, però già ampiamente abbozzato sin dalla fine del Miocene. Il golfo padano pliocenico è assai bene definito dai depositi del Pliocene ma- rino esistenti’ in masse isolate al piede delle Alpi centrali ed occidentali e in zona quasi continua nell’ Appennino settentrionale : i colli di San Colombano e di Castenedolo in Lombardia non erano che banchi corallini entro quel golfo. La scomparsa di questo è segnata da una potente alluvione ghiaiosa e sab- biosa, fortemente cementata da materia calcarea: è il ceppo di Lombardia, il quale, per taluni elementi alpini che contiene, devesi ammettere conseguente ad una espansione glaciale avvenuta alla fine del Pliocene. Gli fa seguito quella enorme formazione alluvionale conosciuta col nome di diluvium , le cui maggiori masse corrispondono a due o più periodi inter- glaciali: talune di queste sono ad elementi grossolani profondamente alterati ed alla superfìcie trasformate in una argilla ocracea poco ferace (ferretto)] esse formano le cosidette groane o brughiere di Lombardia. L’autore distingue due diluvium , l’antico e il recente, quest’ultimo meglio conservato e profondamente terrazzato dalle correnti postglaciali. Succede lo sviluppo -dei grandi ghiacciai nelle principali valli con trasporto di massi erratici e formazione degli anfiteatri morenici, che l’autore brevemente passa in rivista. Scoscendimenti grandiosi poi, vere rovine di montagne, ebbero luogo nelle valli alpine durante la riti- rata dei ghiacciai. Nella lunga epoca postglaciale avveniva nella valle padana il terrazzamento di alcune aree delle pianure diluviali e si andava poco a poco stabilendo la idrografìa attuale; e quando questo lavorio era già molto avan- zato, l'uomo neolitico venne a stabilirsi, piantando le sue palafitte nelle paludi e nei laghi morenici che andavano man mano tramutandosi in torbiere. L’autore chiude il suo discorso con una comunicazione fattagli dall’inge- gnere Stella sulla formazione del delta padano, con la quale si collega lo studio delle variazioni idrografiche lungo la costa adriatica dalla Sdobba a Rimini. Il testo è corredato da una cartina nella quale sono indicate le diverse formazioni quaternarie e plioceniche della valle padana. Taramelli T. — Della storia geologica del Lago di Garda {con appen- dice e bibliografia ). (Atti dell’I. R. Accad. degli Agiati in Rove- reto, Anno XI). — Rovereto. E il titolo di una conferenza tenuta il 23 luglio 1893 dall’autore a Rove- reto, nella quale, premesse alcune considerazioni d’indole generale, fa la storia della formazione del Garda, distinguendola in tre fasi successive, cui corrispon- dono altrettanti parti del discorso. Egli da prima considera le formazioni che costituiscono il fondo e le sponde del lago, dalla dolomia principale triasica, all’ Infralias (dolomia superiore dello Stoppani), ai calcari diversi del Lias, del Giura e della Creta, nella quale ul- tima epoca avvenne il movimento che ripiegò, sollevò e infranse la pila degli strati precedenti, senza però farli emergere dal mare per tutti i periodi del- l’Eocene e del Miocene inferiore : appartengono infatti a questi i calcari num- mulitici della Rocca di Man erba, che devono formare, insieme colla massa cre- tacea, la maggior parte del fondo del Garda. E a alla fine dell’Eocene che avvenne il corrugamento già pronunciato, cui si deve la coniormazione del ba- cino, per modo che nel Miocene antico non vi esisteva che un golfo, il quale ben presto si convertì in estuario e poi in valle, da ultimo in bacino lacustre. Nessun argomento prova che il mare pliocenico siasi addentrato nell’area oc- cupata dal Garda. Venne in seguito la fase d’erosione attraverso quei periodi, nei quali le masse furono lentamente foggiate nella loro forma attuale, dimi- nuendo grandemente di volume : il bacino del Garda dovè la sua origine prima all’azione delle correnti terrestri, poi a quella dei ghiacciai che hanno formato il bellissimo anfiteatro morenico a Sud del lago ed hanno lasciato tante traccie del loro passaggio sui fianchi dei monti che lo circondano: venne da ultimo — 500 - l’erosione esercitata dal lago stesso sulle sue sponde, azione sempre stata molto energica, è tale da conferirgli la sua forma attuale. Segue un’appendice con importanti osservazioni sulla origine dei laghi in generale e un cenno bibliografico relativo. Il lavoro è corredato di una Carta geologica dei dintorni del Garda, di altra Carta dimostrante lo sviluppo dei ghiacciai nel bacino e da una serie di se- zioni geologiche attraverso il medesimo. Taramelli T. — Considerazioni geologiche sul Lago di Garda. (Rend. R. Istituto lomb., S. II, Voi. XXVII, 3). — Milano. Premesse alcune osservazioni sui terreni che costituiscono la conca del Garda, l’autore' espone le sue idee intorno alla genesi del lago, da cui risulte- rebbe che, se non l’unico, almeno il principale suo fattore deve essere stata Perosione esercitata dal ghiacciaio. Si avrebbe quindi, in ordine di tempo : 1° Deposito di sedimenti marini dal Trias al Miocene; 2° Corrugamento orogenetico avvenuto in epoca cretacea ; 3° Affioramento ed emersione nel Miocene antico ; 4° Conseguente formazione di un golfo marino e più tardi di un estuario e di una vallata, con terrazzamento della roccia e deiezioni alluvionali; 5° Erosione glaciale con deiezioni moreniche. La formazione dei laghi prealpini sarebbe quindi essenzialmente un effetto di erosione, nella quale i rapporti tettonici e la diversa erodibilità delle roccie hanno sempre un grande valore. L’erosione per opera dei ghiacciai, assai meglio che l’erosione dovuta a correnti diluviali e di disgelo, spiega i dettagli di con- formazione del fondo e delle pareti dei bacini lacustri prealpini, nonché il rap- porto fra l’importanza del lago e l’ampiezza del corrispondente sistema gla- ciale. Termier P. — Etude pétrographique des micaschistes et autres- roches cristallines du massif du Petit Mont-Cenis. (C. R. des séances de la Soc. géol. de France, n. 13, 18 Juin 1891). — Paris. L’autore ha studiato tre tipi di roccie che si trovano al disotto del Trias, al colle del Piccolo Moncenisio, ed ai dirupi che dominano la valle d' Ambin, fra il colle e Planais. Il primo tipo è formato da quarziti, in cui si osserva della sericite, gruppi di pennina, ilmenite, ed abbondantissimo il rutilo in fini aghi; fra le zone quar- zose compaiono talora lenti felspatiche formate da ortose, albite ed anortose. Al disotto delle quarziti stanno degli scisti cariati fissili a faccio di sfal- datura argentine con macchie di clorite, che al microscopio si rivelano costi- tuiti da quarzo, sericite e poca clorite; talora compare pure il felspato, nelle tre varietà suddette. - 501 — Inferiori a tutte sono certe roccie poco scistose, dure, nerastre, verdastre od azzurrognole che l’autore attribuisce alle glaucofaniti, e che constano di clorite, sericite e glaucofane; in proporzioni molto variabili si osservano ancora l’epidoto ed i felspati (albite, anortose, ortose). Lo sfeno è abbondantissimo; più rari il rutilo e l’ilmenite. L’autore trova nella analogia di queste roccie con quelle della Yanoise una conferma dell’età permo-carbonifera che il Bertrand ha attribuito loro fon- dandosi su osservazioni stratigrafìche. Le glaucofaniti sarebbero colate di una roccia eruttiva sodico-magnesiaca completamente ri cristallizzata per metamor- fismo dinamico. Tommasi A. — La fauna del calcare concliigliare ( Muschelkalk ) di Lom- bardia. — Pavia, 1894. Questa monografìa, onorata di premio dal R. Istituto lombardo di scienze e lettere, comprende : uno sguardo retrospettivo sullo svolgimento delle cogni- zioni sopra il Muschelkalk lombardo (prendendo le mosse dal 1815, anno in cui per la prima volta si affermò l’esistenza del Muschelkalk in Lombardia) ; alcuni cenni sull’estensione e costituzione della formazione in discorso fatti in base ai lavori preesistenti e in parte alle osservazioni dell’autore ; la descrizione dei fossili e le conclusioni che possono dedursene. L’elenco delle specie determinate dall’autore o da altri citate, mostra che la fauna del Muschelkalk è meno povera di quanto crede vasi: la località di Lenna-Piazza nella valle Brembana è quella che ne fornì il numero maggiore; tengon dietro la Val Trompia e la Val Sabbia, e tutte le altre valli. Le specie sono 86, distribuite in 42 generi ; gli echinodermi hanno 5 specie, i molluscoidi 12, i molluschi 69. Dodici specie sono nuove: delle rimanenti, più di l/s è comune col Muschelkalk recoarese, quasi 1/2 con quello della Slesia superiore, e poco meno con quello della Slesia inferiore, e con quello di Germania. La grande abbondanza di cefalopodi distingue la regione lombarda dalle altre indicate. L’autore non può indicare a quale delle due zone del Muschelkalk lom- bardo, l’inferiore a Ceratites binodosus e la superiore a C. trinodosus , ammesse dai vari autori, appartengano le singole specie, una parte del materiale da lui studiato mancando delle necessarie indicazioni. «*» Trabucco GL — Sulla posizione del calcare di Mosciano e degli altri terreni eocenici del bacino di Firenze; nota preliminare. — Fi- renze, 1894. L’autore, come notizia preliminare ad una memoria che annunzia prossima quale risultato di numerosissime escursioni, pazientissime ricerche paleontolo- giche e stratigrafiche, e studio di numerosissime sezioni di roccie, presenta al- cune conclusioni che qui riassumiamo : a) Il calcare screziato, brecciforme, a frattura concoide di Mosciano ( grani - - 5G2 - fello ) è costituito da frammenti angolosi bianchi, grigi, neri di calcare com- patto e di micascisto grigio a cemento spatico, commisti a granelli di piro- maca: la dimensione degli elementi va da quella di piccolo uovo all’altra di minutissimi granelli. Alterna in istrati non più potenti di l m,, con calcari mar- nosi e straterelli esilissimi di scisti argillosi a Chondrites Sta sugli scisti ar- gillosi rossi e policromi, appartiene all’Eocene medio (Parisiano), e con gli stessi caratteri compare in parecchi altri punti del bacino di Firenze. b ) La serie discendente dei terreni eocenici di questo bacino comprende : Eocene superiore (Liguriano) : calcari compatti e scisti marnosi a Chon - drites intricatus Brong., Ch. furcatus Sternb., Nodosarìa , Rotalina , ecc. ; ftaniti e diaspri rossi e variegati ; serpentina, eufotide, diabase, breccia serpentinosa. Eocene medio (Parisiano) : calcari compatti e scisti marnosi a Helmìnihoida e Chondrites , intercalati verso la base con arenaria, calcari a grana finissima, ed altri a grana grossa ; calcari compatti marnosi con vene di selce piromaca a Bostricophyton Pantanellii Squin. intercalati e passanti gradualmente a calcari screziati, con micascisto e selce piromaca (grandetto). Eocene inferiore (Suessoniano) : scisti argillosi rossi e policromi (galestri) e breccia calcareo-arenacea ed arenaria (macigno) a grossi strati. Arenarie e scisti sono concordanti e presentano graduale passaggio. c) Al Cenomaniano appartiene l’arenaria (pietra forte) ad Inoceramus Cri- psii Mant., ecc., intercalata a scisti argillosi a Chondrites. Trabucco GL — Nummulites ed Orbitolites dell1 arenaria macigno del ba- cino eocenico di Firenze. (Atti Soc. toscana Se. nat., Pr. verb., IX). — Pisa. Riportate le conclusioni della nota precedente, l’autore aggiunge che l’a- renaria macigno tipica del bacino fiorentino, che egli dice ritenuta prima cre- tacea, va invece collocata alla base dell’Eocene. A ciò fu indotto dalle condi- zioni stratigrafiche e dal rinvenimento di due fossili con certezza riferibili ai generi Nummulites ed Orbitolites nel macigno delle cave di Monte Ceceri (Fie- sole). Ulteriori ricerche lo misero poi in presenza di altri di questi fondi, non determinabili specificamente, .di altre località. Traverso S. — Contribuzione allo studio - delle roccie vulcaniche* { Gior- nale di Min., Crist. e Petr., V, 3). — Milano. L’autore ha studiato alcune roccie vulcaniche del Museo geologico del- l’Università di Genova raccolte dal capitano De Albertis nelle sue crociere con la Violante e il Corsaro. Insieme a varie di località estere, ve ne son due ita- liane, e cioè un basalto di Capo Passero (Sicilia) e un altro dell’Etna, presso la Casa degli Inglesi : di entrambi dà i caratteri macroscopici e microscopici. Il basalto di Capo Passero è una roccia pesante, porfirica, di aspetto la- vico, e uniformemente colorata in nerastro azzurrognolo nella massa, in cui sono immersi grossi cristalloidi pirossenici, nero-picei, e più rari granuli gial- lastri. Al microscopio la massa fondamentale si mostra prevalentemente de ve- trificata, quasi olocristallina, a tipica struttura ofitica, con plagioclasio calcifero listato e geminato per lo più con la legge di Karlsbad, con magnetite e pi- rosseno granulare o prismàtico. Della prima generazione l’autore segnala : sfeno, ferro ossidulato e titanato, augite bruna, plagioclasio (specialmente con caratteri di anortite), olivina. L’autore espone pure i caratteri della stessa roccia in avanzato stato di alterazione. Il basalto di presso la Casa degli Inglesi (Etna) ha in certi campioni struttura affatto compatta, quasi afanitica: in altri è minutamente vacuolare, quasi scoriacea, con allungaménto delle cavità. Raramente è porfirica all’esame microscopico, per minuti elementi granulari o tabulari, immersi in una base vetrosa che li ha molto corrosi. Al microscopio, la massa fondamentale mostra struttura amorfa o granulomicrolitica, talora con aspetto breccioso, e non è mai così uniforme e spiccatamente porfirico-ofìtica come nella roccia di Capo Passero mentre per la composizione le due roccie sono assai analoghe. Traverso S. — Ricerche geognostiche e microscopiche su alcune roccie del - l'alto Canavese. (Atti Soo. lig. Se. nat. e geogr., V, 1). — G-enova. L’autore espone in questa nota i risultati dello studio petro-stratigrafìco della sienite dell’ alto Canavese, e delle roccie stratificate (nelle svariate forme scistose, gneissiche, fìlladiche) che l’includono, ed in modo speciale dei loro rapporti di contatto : descrive anche qualche altra roccia che insieme alle pre- cedenti costituisce la regione considerata. Il lavoro comprende due parti : con- sacrata l’una alle ricerche geognostiche, l’altra a quelle microscopiche. La sienite forma un massiccio a contorni d’affioramento assai irregolare, lungo circa 5 chilometri nel senso nord ovest-sud est e largo meno di due. La morena di Brosso ricopre ed occulta l’estensione a sud-est della sienite, la quale a nord-ovest si arresta contro banchi di roccie anfiboliche, granatiche e serpentinose parzialmente pure intruse in essa, e dagli altri lati è a contatto diretto con micascisti e gneiss micacei. La sienite è uniforme per costituzione e costante nella struttura, la quale non varia che per la grossezza degli ele- menti. Il massiccio è oltremodo omogeneo, senza accenno a passaggi colle roccie che lo circondano. Al contatto la sienite presenta intorbidamento ed ir- rugginimento degli elementi granulari, e clorit’zzazione di quelli colorati, con produzione di minerali secondari,- ed anche la solita accentrazione di elementi. La sienite solcata da sistemi di frattura, generalmente irregolari ed interrotti, è, in parecchie zone di periferia, divisa in lastroni talora non più spessi di 2 cm. da piani di frattura regolari e paralleli dovuti al dinamismo che agì sul massiccio. Le roccie scistose e gneissiche, molto sviluppate nel Canavese, hanno im- portanti varietà di struttura e composizione, messe in luce dalla diagnosi mi- 504 — croscopica che mostra pure i rapporti di contatto. Dallo studio delle sezioni dalla differenza di composizione e di struttura rispetto alle forme normali, spe- cialmente per le alterazioni e per la microcristallizzazione dei componenti in massima rigenerati, dalie prove della potenza cristallizzante e intrusiva della roccia sienitica nella scistosa, pare all' autore risulti la manifestazione di un metamorfismo, oltreché da un semplice contatto di roccia ignea, come nelle forme eruttive moderne, sviluppato più intensamente dalla potenzialità e dalla fluidità della massa, forse in rapporto ad energici agenti mineralizzatori. Traverso S. — Il porfido di Monte Cinto in Corsica. (Atti Soc lig. Se. nat. e geogr., V, 3). In questa nota l’autore rende conto dello studio eseguito su alcuni esem- plari di porfido petroselcioso del Lago e del Monte Cinto in Corsica. I cam- pioni del Lago Cinto presentano speciale interesse per la struttura laminare originaria che simula la struttura scistoso-raggrinzata delle roccie fogliettate. Tale struttura che egli chiama laminazione fluidale è ampliamento sviluppata e visibile nei piani lisci di una scistosità traversale posteriore ad essa. L’autore descrive con molto dettaglio i caratteri macroscopici e microsco- pici che presenta il porfido a struttura compatta di Monte Cinto e quello a struttura laminare del Lago Cinto, facendo risaltare che essi benché a strut- tura diversa sono litologicamente identici. Spiega tale differenza di struttura colfammettere che il. porfido massiccio passò dallo stato fluido, al pastoso e al solido, senza intensi disturbi. L’azione che produsse la struttura laminata, fluidale, con poca scistosità corrispondente, si deve essere manifestata nella roccia tra i due periodi di consolidamento e ne espone lo ragioni. In una tavola litografata sono riportati al vero i due aspetti del porfido da faccio levigate di clivaggio. Vallot J. et Duparc L. — Sur la nature joétrographique du sommet du Mont-Blanc et des rocker s avoisinants. (C. E». Ac. des Se., CXIX, 2). — Paris. Era generalmente ammesso che la cima del Monte Bianco fosse costituita dal protogino; una visita accurata delle rupi che spuntano dal ghiaccio in- torno alla vetta ha dimostrato' essere questa formata da scisti d’aspetto se- ricitico e micaceo, analoghi a quelli delle rupi dei Mottets e del Montanvert. Dentro a questi scisti si trovano dei banchi di anfìbolite e delle apotìsi della massa del protogino nonché filoni granulitici posteriori. Da ciò gli autori con- chiudono esservi alla sommità del Monte Bianco un lembo del mantello sci- stoso che copriva la cupola di protogino, solcato da potenti filoni dello stesso protogino che sono quelli che hanno fatto credere che quest’ultimo si estendesse fino alla vetta del monte. — 505 Vender V. — Sul 'petrolio di Salsomaggiore. (Rend. R. Istituto lom- bardo, S. II, Voi. XXVII, 18). — Milano. L’autore espone il risultato di ricerche chimiche da lui istituite sul petrolio greggio di Salsomaggiore. Per l’indole di questa Bibliografìa non essendo il caso di entrare in particolari, poiché si tratta di argomento unicamente di in- teresse industriale, limitiamoci ad accennare che l’autore giunge alla conclu- sione che per il comportamento chimico, le proporzioni delle diverse frazioni, la densità ed il punto di accensione di esse, il debole tenore in paraffina, e la vischiosità degli olii pesanti, il petrolio di Salsomaggiore è assai vicino ai petroli leggeri del Caucaso, e nettamente differente da quello d’America. Il petrolio greggio di Salsomaggiore fornì all’autore: 41 0/q di olii leggieri (ben- zina incolore), 45 0/q di petrolio da illuminazione, 6 0/q di lubrificanti leggeri e 0,7 0/q di paraffina. Verri A. ed Artini E. — ■ Le formazioni con ofioliti nell’ Umbria e nella Valdichiana. (Giornale di Min., Crist. e Petr., IV, 4). — Milano. È la stessa nota pubblicata nei Rendiconti dell’Istituto lombardo, voi. XXVII, di cui si diede un cenno nella Bibliografia del 1898. Vinassa de Regny P. E. — Un’ escursione nelle Alpi venete. (Atti Soc. toscana Se. nat., Proc. verb., IX). — Pisa. E la relazione di una escursione fatta in varie località delle Alpi venete per formarsi un concetto esatto della natura e disposizione dei varii piani geo- logici del terziario di quella regione di cui l’autore sta studiando i fossili. Rende da prima conto di una visita alle collezioni Nicolis in Verona ed in quella del Monte Postale nota la presenza di un grande esemplare di Velates schmideliana che lo conferma nell’idea che il Monte Postale sia una facies di mare eocenico, forse di poco inferiore a Roncà, e sia da riferirsi al Parisiano* Viste le colline terziarie dei dintorni di Verona passa alle cave di Avesa, indi al Monte Baldo. Fa quindi un’escursione a Rovereto e dintorni, indi in Valsu- gana e a Bassano, accennando ai giacimenti fossiliferi più importanti. Descrive quindi quelli di Schio per accennare poscia ai celebri giacimenti di S. Giovanni Barione, Roncà, Montecchio, Monte Viale e a quello non meno interessante di S. Urbano di Monte Sgreve, nella quale ultima località nota una serie di strati superiore alle brecciole con Trochus Lucasianus , contenenti nullipore, scutelle, briozoi e Pecten , il cui complesso ritiene corrispondente al Piano di Schio e diverso dal piano di Castelgomberto, e da riferirsi ad un’epoca più recente. Viola C. — Esame p>tóro grafico di alcune roccie dell’Isola d’Elba. (Boll. Com. geo!, XXV, 1). — Roma. Questo studio petrografìe© di 84 roccie dell’Isola d’Elba fa parte della nota — 506 - dell’ing. Lotti, intitolata : Sulle (ipofisi della massa granitica del Monte Ca~ panne nelle roccie sedimentarie eoceniche presso Fetovaja. In esso è data la composizione mineralogica della granitite del Monte Ca- panne, delle apofisi e del granito tormalinifero di Fetovaja, del porfido di Monte Turato presso Palombaja, e di roccie siliceo-scistose e calcari raccolti presso Fetovaja ed appartenenti alFEocene. Le roccie sedimentarie contengono mica e pirosseno , die l’autore ritiene minerali caratteristici di contatto, come anche chiastolite, andalusite e granato osservati pure nelle dette roccie di contatto con i filoni. Viola C. — Osservazioni fatte sui Monti Lepini e sul Capo Circeo in provincia di Roma, nell'anno 1893. (Boll. Com. geol., XXV, 2). — Eoma. E il resoconto sommario delle gite fatte ai Lepini e al Circeo per studiarne la costituzione geologica. E riconosciuto cretaceo tutto il terreno dei Monti Lepini e liasico (inf. e medio) quello del Capo Circeo. Il Cretaceo vien suddi- viso in tre parti, dal punto di vista litologico, le quali verranno studiate in- sieme con i fossili che contengono. E stato osservato il terreno eocenico al Circeo, a S. Giovanni Incarico, Giuliano di Roma, Prossedi, Monte Cacume di Patrica, Gorga, Carpineto, Montelanico e Sgurgola. Le osservazioni sono state estese anche fuori della provincia di Roma, cioè a Fondi, Pastena e S. Giovanni Incarico. Circa i vulcani degli Ernici, Fautore accenna alle lave di Villa Santo Stefano e di Supino, che non sono state accennate nè dal Ponzi, nè dal Branco. Viola C. — Sopra Valbìte di secondaria formazione quale prodotto di metamorfismo di contatto delle diabasi e dei gabbri in Basilicata. (Boll. Com. geol., XXV, 3). — Roma. L’autore studia l’albite da lui trovata nelle fenditure e nelle geodi delle diabasi in Basilicata, ne misura gli angoli principali di alcuni cristalli bene conservati, ne dà il peso specifico, e ne riferisce i dati in base ai nuovi metodi d’analisi microscopica; in più dà il disegno di una geminazione albitica. Ba- sandosi poi sul fatto che le diabasi contengono in abbondanza la silice cristal- lizzata, ritiene che il terreno di contatto sia ricco di tale materiale ; e poiché il Trias superiore è pure siliceo, suppone che quel terreno appartenga a questo livello, ammettendo così la triasicità di quelle diabasi e di quei gabbri. Viola C. — ■ Le roccie eruttive della Punta delle Pietre Nere , in provincia di Foggia. (Boll. Com. geol., XXV, 4). — Roma. E la parte petrografia che segue alla Nota preliminare sullo stesso sog- getto pubblicata nel medesimo Bollettino (anno 1893, pag. 129) dall’ autore e dal dott. Di Stefano. Le roccie eruttive appartenenti alla famiglia dei lam- profiri (Rosenbusch) si dividono in due parti, cioè, lamprofiro sienitico a strut- tura ora granitica ed ora porfirica, e lamprofiro dioritico sempre porfìrico e panidiomorfo ; a quest’ultima appartengono i tipi kersantite e camptonde con 0 senza antibolo porfìrico. Gli elementi essenziali costituenti queste roccie sono ortoclasio, anfibolo , malacolite e olivino. La roccia di contatto con lo scisto bi- tuminoso a Myophoria vestita v. Alb. è un lamprofiro dioritico metamorfizzato, il quale a causa della olivina alterata sembra una serpentina. Queste singole variazioni di roccie si trovano in uno stesso filone, ove l’or- toclasio predomina nel mezzo come nella struttura granitica, ed il plagioclasio alle sponde del filone come nella struttura porfirica. L’autore descrive quindi dettagliatamente la fisiografìa del lamprofiro sie- nitico, che riferisce' poi agli altri tipi di roccie, poiché i singoli minerali si ri- petono sempre con gli stessi caratteri. Oltre che alla Punta delle Pietre Nere si trovano canrptoniti anche a San Giovanni in Pane vicino a Lesina, quali blocchi sparsi sul Cretaceo. Nelle formole sintetiche, che vi sono riportate, l’autore dispone gli elementi nel I e nel II tempo, inserendo 1’ elemento bianco nel mezzo ; e gli elementi stessi sono ordinati secondo la successione, incominciando dal più antico. Ac- canto a ogni elemento è segnata anche la sua quantità approssimativa in decimi. In appendice poi descrive due roccie raccolte sulla spiaggia e non appar- tenenti al filone, cioè: sienile augitica e felsofiro (Rosenbusch). Servendosi delle memorie pubblicate da M. Groller, Fr. v. Hauer, C. v. Foullon e C. v. Solm, 1’ autore fa un paragone tra le roccie della Punta delle Pietre Nere e le roccie eruttive più prossime della Dalmazia; e ritiene che tutte eb- bero origine nel medesimo tempo e da un solo centro eruttivo ; di più ammette l’esistenza della Terra Adriatica supposta da Neumayr. Wòhrmann S. F. (von). — Alpine und ausseralpine Trias. (N. Jarhb. f. Min., G-eol. und Pai., Jahrg. 1894, Bd. II, H. 1). — Stuttgart. In questo lavoro l’autore dopo aver con minuta analisi passato in rassegna 1 diversi modi di presentarsi del Trias in molte località alpine ed extra-alpine, giunge alle conclusioni seguenti : I cambiamenti verticali di facies sono dovuti principalmente ad oscillazioni del suolo, quelli orizzontali a profondità diverse del mare nello stesso periodo di tempo. I mari in cui si deponevano i sedimenti del Trias germanico, di quello al- pino settentrionale e di quello alpino meridionale erano in comunicazione. Le posizioni emerse o di minima profondità marina che hanno avuto maggior influenza nel provocare sviluppi faunistici maggiori sono due: una detta dal- l’autore « dorso vindelico » formato dai massicci uniti della Boemia e della Selva Nera all’ incirca lungo la linea Linz-Basilea ; l’altro, il « dorso alpino centrale » corrispondente al nucleo di terreno primitivo delle Alpi centrali. Il — 508 primo di questi dorsi compare nel Muschelkalk medio e raggiunge la sua mas- sima elevazione al tempo del Lettenkohle (base del Keuper) : del secondo si hanno indizn dalla fine del Permiano e perde d’importanza verso la fine del Trias superiore. Nei campi di sprofondamento si hanno pres’ a poco le stesse facies sui due versanti del dorso alpino centrale. I potenti sedimenti calcari e dolomitici sono dovuti ad alghe calcaree delle famiglie delle Codiacee e Sifonee, le quali abitavano zone del mare più pro- fonde che non per esempio lo Sphaerocodium Bornemanni , che è una forma decisamente littorale. I cefalopodi non sono più adatti di ogni altro gruppo di animali per de- terminare Y età dei singoli orizzonti, perchè legati essi pure a facies speciali, non compaiono se non con queste. Solamente con faune complete si possono fare determinazioni di età attendibili. La comparsa di specie molto diffuse, così dette internazionali è molto importante, perchè la loro diffusione indica una grande autonomia ed indipendenza da mutazioni di facies. Chiude lo studio una tabella molto estesa in cui sono sincronizzati i diversi piani del Trias nei tre bacini germanico, alpino settentrionale e meridionale. APPENDICE Baratta M. — Sul terremoto di Benevento del 14 marzo 1702. (« Il Pensiero italiano », Anno IV, novembre). — Milano. Baretti M. — Guida allo studio della Geologia con applicazioni alle Alpi occidentali , dal Rodano alla linea Ticino -Scrivi a- Bis agno. — Milano, 1894. Barpi U. — Brevi cenni intorno agli avanzi fossili animali della tor- biera di Tonato. — Milano, 1894. Bignami-Sormani E. — Sulla calce idraulica di Palazzolo : Notizie. — Milano, 1^94. Caterino M. — Contributo allo studio della geologia sicula ossia osser- vazioni geognostiche sui dintorni di Nicosia. — Aversa, 1894. — 509 — G-orrieri D. — Sopra un ’ arenaria molassa ofiolitica proveniente dalle cave di Montovolo neW Appennino bolognese. — Bologna, 1894. Guastalla M. — Caolini e silici di Calabria : studi tecnici, industriali e commerciali. — Palermo, 1894. Helmacker R. — Entstellung der Sicilianischen Schwefellager. (Berg- nnd Huttenmànnische Zeitung, 4). — Leipzig. Jaekel 0. — Die eocànen Selachier von Monte Bolca. — Berlin, 1894. Lenz 0. — Ueber die vulcanischen Ausbrucke bei Pantelleria 1891 und am Etna 1891. (Lòtos). — Prag. Marco C. — La geologia nel santuario d* Oropa. (Relazione annuale della sezione biellese del Club alpino italiano). — Biella. Marinelli 0. — Una visita al giacimento di boghead di Monte Musi. («In Alto », 1894). — Udine. Mauro, Oglialoro, Todaro ed altri. — Analisi chimica completa delle acque minerali di Castellamare di Stabia. — Napoli, 1814. Mercalli Gr. — - Le isole Pontine. (Natura ed Arte, 1894, n. 7). — Milano. Palmieri L. — Sulle presenti condizioni del Vesuvio. (Boll. trim. della Soc. alp. merid., Anno II). — Napoli. Rothpletz A. — Ein geologischen Querschnitt durch die Ost-Alpen nebst Anhang ilber der sogenannte Glarner Doppelfalte. — Stuttgart, 1894. Sesti ni F. e Martelli D. — Acqua acidula-alcalina-ferroso-litinica della sorgente di Agnano: relazione dell 1 analisi chimica. (Laboratorio di Chimica agraria della R. Università di Pisa). — Pisa. Tioli L. — Le acque minerali e termali del Pegno di Italia. — Mi- lano, 1894. ELENCO del personale componente il Comitato e l’ Ufficio Geologico al 81 dicembre 1895. R. Comitato Geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna, Presidente. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Cossa Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Padova. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. Struver Giovanni, prof, di mineralogia, R„ Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico : Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Ing. Aichino Giovanni. Dott. Dì Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Sabatini Yenturino, petrografo. Sig. Cassetti Michele, aiutante. Sig. Moderni Pompeo, idem. Sig. Lusvergh Cesare, idem. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario geologico, via Santa Susanna, n. 1-A. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (31 «Ucemlirc 1835) LIBRI Bollettino del R. Comitato geologico; Voi. I a XXVI, dal 1870 al 1895. Prezzo di ciascun volume L. Idem di una serie di dieci volumi (sconto 20 p. %) . . . » Idem dell’abbonamento annuale in Italia » Idem idem all’Estero . . » Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze 1872. — Un volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche » Voi. Il, Parte la. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » Voi. Il, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole . » Voi. Ili, Parte la. Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche » Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » Voi. IV, Parte la. Firenze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole » Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole » Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica del- l’Isola, di Sicilia . — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica .' » Voi. II, Roma 1886. — B. LOTTI: Descrizione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » Voi. Ili, Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » Voi. IV, Roma 1888. — G. ZOPPI: Descrizione geologico-mineraria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » Voi. V, Roma 1890. — C. De CASTRO : Descrizione geologico- mineraria della zona argenti/ erra del Sarrabus (Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. » Voi. VI, Roma 1891. — L. BALDACCI: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa » Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. SABATINI: Descrizione geologico-petrografca delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche . » Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI : Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana . — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » Voi. IX. Roma 1895. — E. CORTESE: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 10 80 8 10 35 25 5 10 15 8 16 10 10 20 15 8 6 8 8 12 Segue Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2a edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 — La stessa montata su tela a stacchi ...... » » 12 — La stessa montata su tela con bastoni ..... » » 15 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta- si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 Foglio N. 262 (Monte Etna). . L. 5 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 265 fMazzara del Vallo)» 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 266 (Scianca) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria) . . . » 3 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 251 (Cefalù) .... » 3 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 » 252 (Naso) .... » 4 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 253 (Castroreale) . . » 4 00 » 270 (Catania) . . . » 3 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 271 (Girgenti) . . . » 3 00 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 00 » 272 (Terranova) . » 4 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 273 (Caltagirone) . . » 5 00 » 258 (Corleone) . . . » 5 00 » 274 (Siracusa) . ' . » 4 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5«0 » 276 (Modica) . . » 3 00 » 261 (Bronte). . . » 5 00 » 277 (Noto) . . . » 3 00 Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) .... L. 4 00 » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) ...» 4 00 » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262). . . » 4 00 » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » 4 00 » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) ...... 4 00 Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma 1888 C. 25 — N3. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) . L. 4 00 » 143 (Bracciano). . » 5 00 » 144 (Palombara) . » 5 00 Tavola di sezioni (annessa ai fogli Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 00 » 150 (Roma) . . . » 5 00 » 158 (Cori). ...» 4 00 142, 143, 144 e 150) — L. 4 00. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000; ne sono pubblicati i fogli seguenti: Foglio N. 236 (Cosenza) . . . L. 4 » 237 (S. Giovanni inF.) » 5 » 238 (Cotrone) ... » 3 Foglio N. 241 (Nicastro) . . . . L. » 242 (Catanzaro) ...» » 243 (Isola Capo Rizzilo) » Tavola di sezioni N. 1 annessa a detti fogli .... L. 4. 4 4 3 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma 1894 » 3 — Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico (Via S. Susanna, 1) ovvero ai principali librai d’Italia e dell’Estero. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie III.1* — Anno VI.0 18 9 5 ATTI UFFICIALI, BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE r. Comitato geologico. — Adunanze dell’ 8 e 9 giugno 1895. Verbale dell’ adunanza 8 giugno 1895. La seduta è aperta alle ore 9, essendo presenti, oltre al Presidente Capellini, i signori Cocchi, Cossa, Scarabelli, Strnever, Taramelli, Pellati e Mazzuoli : hanno scusato la loro assenza i signori Gemmellaro ed Oraboni ed il Direttore del- l’Istituto geografico militare. La parola è quindi data all’ Ispettore-capo Pellati per render conto dei lavori eseguiti nel 1894 per la Carta geologica. Cominciando dalla illustrazione geologica della Calabria dell’ing. Cortese, la quale potè condursi a termine, come si sperava, entro lo scorso anno, egli ne presenta ora le ultime bozze con le tavole relative, di modo che il lavoro sarà pubblicato fra brevissimo tempo essendone già stampate le tavole. In base al voto di plauso emesso lo scorso anno dal Comitato all’ing. Cor- tese che, pur avendo cessato di appartenere al servizio della Carta geologica, continuò ad occuparsi di quella Memoria, il Pellati propose per lui al Mini- stero una onorificenza cavalleresca, che venne accordata. Anche la Carta geologica al 50,000 delle Alpi Apuane avrebbe dovuto essere ultimata entro lo scorso anno: la cosa non fu possibile ed ora soltanto si hanno in ordine i quattro fogli che egli presenta; di uno si hanno già le prove litografiche, due stanno in lavorazione dal litografo, al quale si consegnerà senza indugio il quarto giunto in questi giorni. Intanto l’ing. Zaccagna sta preparando le tavole di sezioni, e dovrà in seguito occuparsi della redazione della memoria illustrativa, che dovrà essere corredata delle tavole necessarie, con profili, vedute, ecc. Si dovrà pure provvedere allo studio petrografìe© e chimico delle roccie della regione: al primo si è già dedicato l’ing. Franchi, che potrà continuarlo; lo studio chimico si farà nel laboratorio dell’Ufficio, il quale funziona ora regolarmente. — 4 — Non è possibile precisare quando questo lavoro delle Apuane sarà finito; si ritiene che potrà esserlo entro il prossimo anno. Intanto però il Pellati fa rilevare che questo studio delle Alpi Apuane, iniziato sin dal 1879 e che non si estende a più di 1703 chilometri quadrati di superfìcie, può parere aver soverchiamente durato: ma devesi notare che in principio il lavoro non fu condotto con unità di concetto, e che la regione è di una difficoltà ed impor- tanza singolari: l’opera dello Zaccagna ha avuto il plauso di quanti ebbero occasione di esaminarla e al Congresso geologico internazionale di Zurigo, al quale non si fece in tempo per presentare la Carta, si manifestò 'da parecchi il vivo desiderio di vederla presto, anche per l’aiuto che può venirne allo studio delle Alpi. Parlando di quel Congresso, il Pellati ed il Presidente che vi furono pre- senti attestano che l’Ufficio Geologico italiano vi fece bellissima figura; la Carta della valle del Po attirò in modo particolare l’attenzione degli stu- diosi. Passando quindi a parlare della Car'a geologica d’Europa, la quale fu esposta manoscritta a Zurigo in 49 fogli, in parte però costrutti con dati an- cora incerti, e che fu molto ammirata, il Pellati accenna alla distribuzione della ll dispensa fatta dall’Ufficio per incarico del Ministero di una parte degli esemplari da questo acquistati. E poiché ne rimangono ancora 65 copie, egli avrebbe proposto di darne ai membri del Comitato e dell’Ufficio geologico ed agli istituti scientifici: ma il Presidente fa osservare che, trattandosi di una pubblicazione che prenderà un tempo assai lungo, si arrischierebbe di dare ora la la dispensa a persone che poi non potrebbero avere le successive: meglio quindi riservare questa distribuzione all’epoca non lontana in cui sa- ranno pronte altre dispense. Parlando della riunione della Società geologica italiana tenuta a Massa Marittima nel settembre 1834, l’Ispettore Pellati accenna che quella del cor- rente anno si terrà prossimamente a Lucca, sotto la direzione del prof. Cocchi : e questi, dicendo delle escursioni che in tale occasione potranno farsi nelle Alpi Apuane e nel Monte Pisano, è condotto ad affermare l’assoluta necessità di pubblicare la Carta delle Apuane al 25,000; anche il Presidente dice che la Carta al 50/ 00 è per alcune parti insufficiente, e le note preparate dall’ing. Zac- cagna hanno appunto per base queste carte in scala maggiore. Il Pellati osserva che tale questione fu già esaminata dal Comitato, e che in seguito a deliberazione di questo si propose al Ministero di pubblicare al 25,000 le 6 tavolette comprendenti la regione marmifera. Il Ministero però non ha creduto di dare per il momento alcuna disposizione al riguardo ; ma è lecito sperare che si potrà trovare una soluzione soddisfacente. L’Ispettore passa quindi ad esporre come sieno stati eseguiti i voti espressi dal Comitato nell’ultima sua seduta. Le relazioni che i rilevatori devono pre- sentare annualmente a corredo del proprio lavoro di campagna, lo furono ge- — 5 — neralmente e continueranno ad esserlo. La necessità di venire ad una classifi- cazione dei terreni alpini fu tenuta presente, e se non si può dire ancora risolto il difficile problema, si sono però preparati importanti elementi per raggiungere lo scopo. A ciò concorre anche una nota dell’ing. Novarese già approvata dalla Commissione delle pubblicazioni e che uscirà nel prossimo fascicolo del Bollettino, il quale ha per oggetto la nomenclatura delle pietre verdi; altro lavoro analogo si annuncia dall’ing. Franchi. La somma assegnata per il lavoro della Carta geologica essendo notevol- mente diminuita in questi ultimi anni, si è procurato di fare nell’Ufficio tutte le possibili economie, limitando ad esempio la tiratura delle Carte e memorie, nonché la distribuzione del Bollettino, riducendo allo stretto necessario gli acquisti per la Biblioteca, ecc. Ma con l’assegno attuale è impossibile conti nuare senza danno del servizio: cosUsi è nella impossibilità di proseguire la pubblicazione dei fogli al 100,000 col sistema adottato per la Calabria centrale e meridionale; e si ha molto lavoro pronto alla pubblicazione, ira che rimane giacente, mancando persino il modo di darne copia quando, come accade spesso, se ne richiede da Amministrazioni pubbliche, Commissioni scientifiche, ecc. Il Pellati si riserva di proporre al Comitato un voto da farsi al Ministero perchè porti l’assegno annuo da L. 45,000 a 60,000, per far fronte alle esigen te delle pubblicazioni o perchè almeno accordi 5,003 o 6,000 lire annue per isti- tuire un modesto ufficio di coloritura a mano. Proporrà pure un altro voto per l’esecuzione del progetto di adattamento di una soffitta ad uso di ufficio ; progetto che importa la spesa di 7,000 lire e che il Ministero, cui fu presentato in addietro, tiene tuttora sospeso. Lo stesso Ispettore passa quindi ad esporre sommariamente i lavori ese- guiti nella campagna scorsa. Nelle Alpi Occidentali si mirò, com’era stabilito, a concentrare il rileva- mento per modo da riunire la parte già studiata delle Alpi G-raje a quella delle Alpi Marittime attraverso le Cozie; lavoro che però presenta gravi dif- ficoltà e che si prevede richiederà altri due anni. Quanto al lavoro della valle del Po, ormai completato fino all’Adige, dovrà estendersi verso levante, per formare oggetto a suo tempo di una speciale importante monografia : vi atten- derà l’ing. Stella sotto la direzione del prof. Tarameli! Nella Toscana si proseguì il lavoro nell’alto Yaldarno e nell’Appennino. Nell’Abruzzo si fecero rilevamenti nella provincia di Teramo e poco manca ancora per completare quella parte. Il Presidente avverte che nello studio della valle padana bisognerà porre mente e coordinarlo coi risultati di recenti ricerche sulle quali egli dà schia- rimenti. Sulla importanza scientifica di questo studio, aggiungono considerazioni il senatore Scarabelli, che raccomanda di estenderlo ai terreni quaternari della Romagna, ed il prof. Taramelli che dà spiegazioni in proposito. — 6 Ricordate le revisioni eseguite in varie parti dell’Italia meridionale, il Pellati accenna al lavoro della Campagna romana, il quale procede regolar- mente nel modo stabilito dal Comitato. A questo punto egli dà comunicazione di una proposta dell’ing. Clerici. Questi ha fatto una ricca raccolta di fossili, specialmente vegetali, nei tufi di Roma quando la operosità nelle costruzioni offriva più opportune le condizioni per avere del materiale che ora sarebbe impossibile in gran parte di riunire: ha anche esteso le sue ricerche ad una qualche distanza dalla città. Ha iniziato lo studio del materiale: ina è costretto ad interromperlo per deficienza di mezzi e per Timpossibilità in cui poi sarebbe di pubblicare il lavoro che dovrebbe essere corredato da numerose tavole. Chiede al Comitato aiuto morale e materiale per proseguire i suoi studi: egli poi cederebbe il suo lavoro all’Ufficio insieme al materiale studiato. Il Presidente afferma la difficoltà grandissima degli studi di paleofitologia, e l’interesse che si avrebbe a che sorgesse in Italia qualcuno ad occuparsene in modo speciale. Crede molto opportuno lo studio proposto, e opinerebbe che, senza troppo impegnarsi per il momento, si incoraggiasse il Clerici a presen- tare un primo saggio del suo lavoro; si deciderebbe in seguito se si debba aiutarlo nel compimento. li prof. Struever conviene in questo modo di vedere, ma vorrebbe che il lavoro fosse sorvegliato e aiutato da un abile botanico, per la identificazione delle specie fossili con le viventi : il Comitato potrebbe pregare di tale ufficio chi si ravvisasse meglio in condizione di adempierlo. Il Comitato approva pienamente la proposta di chiedere all’ing. Clerici un primo saggio del lavoro e dà incarico alla Direzione di fare le pratiche neces- sarie ad ottenere il concorso dell’opera di un botanico. — Quel primo saggio» previe le pratiche d’uso, potrà essere inserito nel Bollettino. A questo proposito l’Ispettore Pellati si dice lieto che il Comitato affermi che del lavoro della Carta geologica non è in principio esclusa la collabora- zione di estranei, sempre quando la loro opera abbia stretta attinenza colla esecuzione della Carta stessa: solo è dolente che le condizioni finanziarie limi- tino di fatto molto l’accettazione di siffatti lavori. Continuando la sua esposizione il Pellati a'ccenna brevemente alla forma- zione di un lago a Leprignano nelle vicinanze di Roma, del quale l’aiutante Moderni fece uno studio preliminare che presenta al Comitato, come primo risultato ottenuto: con riserva di fare eseguire ulteriori studi che, se ne sarà il caso, saranno pubblicati. Presenta quindi la parte già stampata del Catalogo della Biblioteca : questa pubblicazione procede un po’ lentamente per cause indipendenti dell’Ufficio, ma si ritiene che fra qualche mese sarà compiuta ; ad esso farà seguito una prima appendice relativa alle opere pervenute nel biennio 1894-95. Il riordina- mento delle collezioni per opera deU’ing. Lotti può considerarsi come ultimato, 7 — non mancando oramai che la redazione di alcuni cataloghi. Intanto essendosi, per soddisfare alla domanda fatta dal prof. Hanchecorne di Berlino, preparata dagli ingegneri dei distretti minerarii una raccolta di campioni relativi ai gia- cimenti minerali italiani, un esemplare di essa verrà ad arricchire le nostre collezioni. Il Pellati dice ancora che, in seguito ad invito avuto, saranno presentate all’Esposizione geografica, che avrà luogo prossimamente in Londra, una Carta geologica d’Italia al 503,000 messa al corrente degli ultimi rilevamenti, ed altra Carta alla stessa scala coll’indicazione delle miniere, cave e stabilimenti mineralurgici esistenti in Italia. Queste Carte, eseguite nell’Ufficio Geologico, sono pressoché ultimate e presto si spediranno. Accennando ad incarichi speciali avuti dal personale dell’Ufficio, ricorda quello a cui egli attese, in unione agli ingegneri Baldacci e Franchi, per le gravi difficoltà presentatesi nella galleria ferroviaria in costruzione sotto il Colle di Tenda: le loro previsioni, intieramente avveratesi, valsero a provare ancora una volta l’importanza dell’intervento del geologo nelle opere pubbliche, intervento che in molti casi, come nel presente, può evitare all’Amministra- zione gravi spese e controversie. Ultimata cosi l’esposizione di quanta riguarda la scorsa campagna, la se- duta è tolta alle ore 11 e mezzo. Il Presidente G. Capellini. Verbale dell’adunanza 9 giugno 1895. La seduta è aperta alle ore 9 e tre quarti, presenti gli stessi membri della seduta del giorno innanzi. Il Presidente riassume il processo verbale della seduta precedente, il quale è approvato. Lo stesso Presidente ricorda i voti ieri proposti dall’Ispettore Pellati, ri- guardo all’aumento dell’assegno annuo per la Carta geologica da L. 45,000 a L. 60,000 per poter provvedere alle pubblicazioni, riguardo alla necessità di eseguire il progettato adattamento della soffitta a locale d’ufficio, per il quale si è preventivata la spesa di L. 7,000 e riguardo ad un’altra distribuzione del primo fascicolo della Carta geologica d’Europa, che vengono formulati come segue : Il Comitato fa vóti perchè: — 8 — 1° Il fondo annuale ora stanziato in bilancio per la Carta geologica sia portato da 45 mila a 60 mila lire allo scopo specialmente di poter far fronte alle spese delle varie ed urgenti pubblicazioni. Qualora poi per ineluttabili necessità di bilancio occorresse rassegnarsi a rinunziare provvisoriamente al sistema delle pubblicazioni cromo-litografiche, converrebbe aumentare la pre- sente dotazione di almeno lire 5000 all’anno, per poter provvedere ad un pic- colo ufficio di coloritura a mano con due o tre coloritori, e mettersi in grado di soddisfare alle richieste delle pubbliche e private amministrazioni, autoriz- zate dal Ministero ad aver comunicazioni di carte o studi dell’ Ufficio geo- logico. 2° Nell’estate entrante si dia corso al progetto di adattamento di una soffitta per uso dell’Ufficio geologico, a meno che non fosse possibile il ricu- pero delle due sale già prima occupate e poi cedute alla Stazione di Patologia vegetale. La somma occorrente per finale riduzione ammonterebbe a circa L. 7,000, (precisamente L. 6,985. 55), in base al progetto Luswergh in data del 9 ottobre 1893. 3° Il Ministero autorizzi una seconda distribuzione del primo fascicolo della Carta geologica d’Europa a seconda della proposta accennata nella Rela- zione dell’Ispettore-capo. Il 1° e 2° dei voti suespressi vengono appoggiati ed approvati dal Comi- tato. Quanto al 3°, relativo ad un’ulteriore distribuzione della la dispensa della Carta geologica d’Europa, resta fissato che ad essa provvederanno il Presidente e l’Ispettore, limitandola però a quegli Istituti scientifici che si crederanno meglio indicati, i quali per altro non fossero compresi nelle distribuzioni che farà il Ministero dell’Istruzione pubblica. L’Ispettore Pellati riprende quindi la sua relazione, parlando brevemente dei lavori progettati per la campagna del 1895, che in gran parte risultano da quanto ha detto nella seduta precedente e non sono che la continuazione di quelli della scorsa campagna. Il rilevamento delle Alpi Occidentali sarà con- tinuato dai soliti operatori, col criterio già indicato e si ritiene che in due anni si potrà fare il desiderato congiungimento fra i lavori delle Alpi Graje e delle Marittime. In Toscana e nell’Appennino tosco-emiliano l’ing. Lotti continuerà l’opera dello scorso anno. Ad alcuni completamenti nell’Abbruzzo attenderà l’aiutante Moderni sotto la direzione dell’ing. Baldacci. Le revisioni possono considerarsi terminate da Salerno e da Foggia in giù; continueranno ancora nella Campania, occupandosene l’aiutante Cassetti sotto la sorveglianza delfing. Baldacci. Il lavoro della Campagna romana continuerà col piano stabilito e si esten- derà da una parte ai Monti Ernici e dall’altra ai Vulcani Cimini, dove anche vi è da rilevare a nuovo la Carta geologica. Quanto a pubblicazioni, oltre a compiere quelle della Memoria sulla Ca- labria, dei quattro fogli al 50,000 delle Apuane con le annesse sezioni, e del — 9 - Catalogo della Biblioteca, si proseguirà quella dei sei fogli al 100,000 della Calabria meridionale. L’Ispettore parla quindi di alcune collezioni di fossili di proprietà del- l’Ufficio, le quali furono mandate per istudio al dott. Canavari quan d’era pa- leontologo dell’Ufficio e risiedeva a Pisa presso il prof. Meneghini. Alla morte di questi se ne riebbe una parte: la restante si trova ancora nel Museo di Pisa. Si tratta di collezioni importanti per se, e talune, come quella delle Ellipsactinie, necessàrie ora per i confronti con nuovo materiale che si va raccogliendo. Il Comitato, considerando che il prof. Canavari non ha ora più bisogno di quelle collezioni per studiarle, delibera che rispettare si rivolga al Ministero di Agricoltura perchè in via ufficiale ottenga la desiderata restituzione. L’Ispettore Pellati accenna ancora ai cataloghi delle collezioni che, quando saranno pronti, si potranno forse pubblicare, se non integralmente, in modo sommario. Parla quindi di qualche lavoro speciale fatto dal personale dell’ Ufficio, come per esempio per studio di frane, fra cui importante quella sul tratto di ferrovia Rocca Palumba-Monte Maggiore in Sicilia. Ricorda quindi che l’Ufficio chiese ed ottenne dal Ministero di Agricoltura comunicazione degli scandagli fatti dal prof. Vinciguerra nei laghi dell’Italia centrale che potevano interessare il lavoro della Campagna romana; ed in ultimo che in seguito a desiderio espresso dal Ministero di Agricoltura e Commercio fu lo scorso anno inviata alla sezione eritrea dell’Esposizione tenutasi in Milano, la collezione delle roccie raccolte nel 1891 dal nostro ing. Baldacci in quella colonia, colla Carta geologica, sezioni, fotografie ed altre illustrazioni relative, come già era stato fatto per l’Esposizione di Palermo. Dopo ciò, null’altro rimanendo da trattarsi, il Presidente ringrazia l’Ispet- tore Pellati della chiara esposizione fatta e delle disposizioni date per la pun- tuale esecuzione dei voti espressi dal Comitato nelle adunanze dello scorso anno, e ringraziando anche gli altri membri del Comitato pel cortese loro in- tervento, scioglie l’adunanza. La seduta è levata alle ore 10 e un quarto. Il Presidente G. Capellini. 8 Relazione dell"Ispettore-capo al R. Comitato geologico sui lavori eseguiti per la Carta geologica nell’anno 1894 E PROGRAMMA DI QUELLI DA ESEGUIRSI NEL 1895. Era mia intenzione di promuovere alla fine dello scorso dicembre o al principio di gennaio un’ adunanza straordinaria del Comitato, analogamente a quanto era stato fatto l’anno precedente. Avrei desiderato sottoporre al vostro esame, poco dopo la chiusura della campagna geologica del 1894, i principali risultati in essa ottenuti per avvisare al modo migliore di coordinarli e trarne il massimo profitto pel progresso scientifico e per l’incremento della Carta geologica, alla quale sono in modo particolare dirette le nostre cure. Senonchè varie ragioni impedirono di tradurre in atto un tale divisamento, delle quali la principale fu il ritardo che dovettero forzatamente subire le due importanti pubblicazioni che avevamo preso impegno di dare ultimate entro l’anno 1894, cioè la Memoria geologica sulla Calabria e la Carta geologica delle Alpi Apuane. Quanto alla prima giova ricordare che il manoscritto dell’ing. Cortese fu presentato al Comitato nell’adunanza del 6 giugno dello scorso anno, nella quale fu nominata la Commissione che doveva esaminare il lavoro. Questo esame però avendo richiesto un tempo considerevole, il manoscritto non potè essere restituito all’Ufficio che alla fine di ottobre. Furono allora fatte subito le pratiche per la pubblicazione, ma intanto l’autore, il quale, come è noto, non appartiene più al servizio governativo, aveva assunto impegni professio- nali che non gli permisero di occuparsi con sufficiente assiduità dei ritocchi e dei completamenti che si erano resi necessari per dare l’opera finita entro il tempo prestabilito. Ora soltanto il compito dell’autore può considerarsi com- pletamente assolto e le ultime prove di stampa che presento, munite di tutte le illustrazioni relative, ci assicurano che fra brevissimo tempo l’interessante lavoro potrà essere reso di pubblica ragione. — 11 — Nella suaccennata adunanza • dello scorso anno il Comitato ha espresso un voto di plauso all’ing. Cortese per quest’opera cui egli si dedicò con tanto amore anche dopo la sua uscita dal Corpo delle Miniere. In base ad un tale ■voto, sicuro di interpretare i sentimenti del Comitato stesso, proposi pel Cor- tese una onorificenza e la proposta essendo stata benevolmente accolta dal Ministero, egli fu con decreto reale dello scorso dicembre nominato cavaliere della Corona d’Italia. Quanto alla Carta geologica delle Alpi Apuane è noto che quella presen- tata lo scorso anno dall’ingegnere Zaccagna al Comitato non era definitiva e -che mancavano ancora alcune revisioni sul terreno, le quali portarono a note- voli cambiamenti, talché, dei quattro fogli della Carta al 50000, tre soltanto poterono essere ultimamente consegnati al litografo ed il quarto potrà esserlo fra breve, mentre le sezioni sono ancora tutte nelle mani dell’autore. Questa Carta pertanto e le sezioni relative non potranno essere definitivamente libe- rate per la stampa prima di qualche mese, dopo di che si dovrà provvedere alla redazione del testo ed a corredarlo delle illustrazioni, che per un lavoro di questo genere occorreranno in gran numero, come cartine d’insieme, vedute prospettiche, profili e schizzi dimostrativi, analisi chimiche e petrografìche di roccie, ecc. Possiamo dunque, per non andare incontro ad altre sicure delusioni, prevedere che tutto ciò non sarà completamente ultimato che entro l’anno venturo. Dobbiamo notare a questo proposito che restano ancora da studiarsi molte •delle roccie e molti minerali già raccolti ed in parte da raccogliersi ad illu- strazione della Carta stessa. Delle analisi petrografìche si è incaricato l’inge- gnere Franchi e le analisi chimiche, le quali hanno in questo caso un’ ecce- zionale importanza, trattandosi fra l’altro di marmi e di materiali d’uso indu- striale la cui composizione non fu mai sistematicamente studiata, saranno fatte per cura dell’ing. Mattirolo coadiuvato dall’ing. Aichino. Potrà sembrare che questo lavoro delle Alpi Apuane abbia preso un tempo eccessivo pensando che fu incominciato fin dal 1879 e non si estende che ad un’area di circa 1700 chilometri quadrati ; ma conviene riflettere che esso fu con- dotto per parecchi anni senza sufficiente unità d’indirizzo, che ebbe non poche e talora lunghe interruzioni per incarichi di varia natura conferiti agli ope- ratori ad esso applicati, che da pochi anni soltanto si poterono accertare nella tettonica di quegli aspri monti e di quelle complicate stratificazioni alcune fatti, la cui interpretazione rese necessario di rivedere tutto il rilevamento già fatto, anzi di rilevare a nuovo una parte notevole del terreno che era già stato prima rilevata con concetti non conformi. Infine conviene por mente che si tratta di una regione che per la varietà e natura delle sue formazioni si prestò mirabilmente a studiare ed a maturare la soluzione di alcuni dei più ardui problemi della geologia alpina. D’altronde il lavoro, che ormai può dirsi com- piuto dall’ing. Zaccagna per quell’interessantissima regione, presenta un grado — 12 — tale di arditezza insieme e di accuratezza da potere reggere il confronto colte migliori e più classiche monografìe geologiche sinora pubblicate. Tale almeno* è il giudizio che ne diedero persone competentissime che ebbero occasione di prenderne conoscenza e primi fra tutti il nostro illustre Presidente e l’esimio* nostro collega Igino Cocchi, che ebbero dal Comitato lo speciale incarico di tener dietro allo sviluppo scientifico del lavoro stesso. Intanto si confida che lo Zaccagna, essendo ora stato completamente eso- nerato da ogni incarico relativo al servizio distrettuale ed alla scuola mine- raria di Carrara ed essendo con decreto ministeriale dello scorso dicembre stato esclusivamente ridestinato al servizio geologico, consentendogli di rima- nere ancora provvisoriamente a Carrara per l’ultimazione della Carta geolo- gica di quella regione, potrà maggiormente affrettare il compimento del suo- lavoro, tanto più che gli venne anche concesso di valersi per i lavori di di- segno e di coloritura di uno degli aiutanti addetti a quelTOfficio distrettuale. Il ritardo teste accennato fu anche la cagione per cui la Carta geologica, delle Alpi Apuane non potè figurare all’esposizione di lavori geologici, tenuta a Zurigo nell’occasione del YI Congresso geologico internazionale, insieme agii altri lavori del nostro Ufficio che furono colà spediti a seconda del programma da voi approvato nelle adunanze dello scorso anno. Congresso geologico internazionale di Zurigo. — In base a tale programma, gli oggetti da noi esposti furono i seguenti: 1° Carta geologica d’Italia al 500 000 espressamente colorata a mano con la gamma adottata per le Carte d’insieme internazionali e messa al corrente degli ultimi rilevamenti. Tale Carta venne subito dopo la chiusura di quella esposizione restituita insieme agli altri oggetti che erano stati da noi inviati colà e rappresenta il più recente lavoro di insieme che l’Ufficio possiede esteso a tutto il territorio italiano. 2° Carta geologica della Calabria centrale, in sei fogli, al 100 000, con una tavola di sezioni, insieme riuniti, stampata con tinte analoghe a quelle della Carta precedente ed ormai pubblicata e distribuita. 3. Carta geologica del gruppo del Gran Paradiso disegnata a mano alla scala di 1 a 100 000, per cura specialmente dell’ing. Novarese, conforme agli ultimi rilevamenti di dettaglio eseguiti dal nostro personale geologico. 4. Carta generale del Quaternario della valle del Po, pure al 500 000, co- lorata a mano e riassumente i nuovi lavori eseguiti sotto la direzione del nostro collega prof. Tarameli! 5. Carta del delta del Po, nella scala di 1 per 75 000, rilevata e colorata a mano per cura dell’ing. Stella, sotto la direzione dello stesso prof. TaramellL 6. Poccie dei dintorni del Capo Fetovaia nell’isola d’Elba, raccolte dal- l’ing. Lotti ad illustrazione dei noti suoi lavori sull’eocenicità del granito di quella località. - 13 — 7. Roccie e fossili della Punta delle Pietre Nere, raccolte dall’ing. Viola V. Laboratorio chimico petrografico: Acquisto apparecchi pel Laboratorio chimico L. 51.50 Materiale di consumo e spese diverse » 816.20 Esecuzione di sezioni sottili fuori Ufficio » 343.22 Totale L. 1,210.92 L. 1,210.92 VI. Manutenzione dell’Ufficio : Acquisto di mobili L. 75. 00 Riparazioni id » 218.00 Totale L. 293.00 L. 293.00 VII. Spese diverse: Onorario di un disegnatore a Carrara per 3 mesi a L. 150 L. 450.00 Pagato ad altro disegnatore a Pavia (Carta della Valle del Po) » 200.09 ■Compensi straordinari al personale dell’Ufficio » 1,250.00 Sussidio alla Società geologica » 500.00 Assicurazione del fabbricato » 463.09 Totale L. 2,866.09 L. 2,836.00 Totale spese del 1894 L 50,410.17 La somma disponibile per l’anno 1894 risultava dalle due mezze annualità, 1893-94. (L. 50,000) e 1894-95 (L. 45,000), e cioè di L. 47,500.00. Vi fu quindi una maggiore spesa di L. 2,910,17 somma che fu prelevata dai residui degli anni precedenti, impegnati appunto per le pubblicazioni Programma dei lavori per la campagna entrante. Nuovi rilevamenti. — Alpi Occidentali. — Sempre seguendo il concetto che si cominciò ad attuare nella decorsa campagna tendente a congiungere i rile- vamenti delle Alpi G-raje con quelli della parte settentrionale delle Alpi Ma- rittime traverso le Alpi Cozie, propongo il seguente programma per la distri- buzione del lavoro fra i vari operatori. Ing. Baldacci. Direzione dei rilevamenti e delle revisioni, eccettuato ciò che si riferisce allo studio della provincia di Roma sempre affidato all’ing.- capo dell’Ufficio geologico. Ing. Mattirolo. Completamento delle tavolette di Bussoleno (a Nord della Dora), Susa (parte meridionale)y Novalesa (quadrante S.E), Cesana (idem S.E), Perosa Argentina (idem S.O). - 32 - Ing. Novarese. Completamento delle tavolette di Perosa Argentina (SE e N.E), nuovo rilevamento di quella del Monte Viso (N.E e N.O), completamento delle tavolette di S. Secondo, Pinerolo, Cavour (N.O). Ing. Franchi. Completamento delle tavolette di Bussoleno (a Sud della Dora), Roure, Pi nasca, Prazzo, Sampeyre (S.E e S.O), Dronero. Ing. Stella. Monte Viso (S.E e S.O), Sampeyre (N.E', Revello (N.E e N.O), Cavour (S.E e S.O). Non è probabile che questo vasto programma possa mettersi in atto inte- ramente nella prossima campagna, tanto più che fra le tavolette da rilevare ne figurano alcune assai difficili non solo per la varietà dei terreni, ma anche per l’asprezza dei luoghi. L’esperienza degli anni precedenti ha poi dimostrato che, incominciando ufficialmente i lavori di campagna nelle Alpi dopo la prima metà di giugno, il che porta poi a intraprenderli in effetto non prima del luglio, una gran parte delle giornate più propizie non viene ad essere utilizzata in campagna. Per queste ragioni ho creduto opportuno di affrettare la partenza degli ingegneri addetti al rilevamento delle Alpi, colla intenzione di far terminare il loro la- voro di campagna alquanto prima che negli anni decorsi, cioè verso la seconda metà di ottobre, in modo che possano essere di ritorno a Roma pei loro studi e lavori d’ufficio prima del novembre. Toscana e Appennino Tosco-romagnolo. — Questo lavoro potrà essere con- tinuato dall’ ing. Lotti, il quale si ricongiungerà al rilevamento degli anni pre- cedenti r prendendo le tavolette di Cortona e di Arezzo, indi rilevando quelle di Subbiano, Castelnuovo Berardenga e Montevarchi in Toscana, quelle di Pie- vepelago e Fanano nell’Appennino tosco emiliano. Italia centrale. — Pel completo rilevamento dell’Abruzzo settentrionale, già incominciato dall’aiut. Moderni, vi sarebbero da terminare le tavolette di Civitella del Tronto (circa la metà, comprendente i terreni mesozoici della Montagna dei Fiori e di Campii) e l’angolo N.O della tavoletta di Montorio al Vomano. Vi sarebbe inoltre da intraprendere il rilevamento della tavoletta di Leonessa, in cui sono sviluppati i terreni secondari del gruppo del Terminillo e sue diramazioni. A questo lavoro potrebbe applicarsi l’aiutante Moderni colla diretta sorveglianza dell’ing. Baldacci. Revisioni. — Per suddividere i vari piani del Cretaceo e per ricercare e delimitare eventuali affioramenti di terreni più antichi occorre procedere alla revisione del gruppo di monti compresi fra il Liri, il Golfo di Gaeta e la linea di depressione Fondi — S. Giovanni Incarico; oltre a questi, sono da rivedere per lo stesso scopo i monti a Nord di Cassino e Venafro, per ora fino al — 83 — gruppo della Meta, la parte orientale dei monti di Nola e la estrema punta della penisola Sorrentina. Intenderei affidare queste revisioni, da farsi sotto la diretta sorveglianza dell’ing. Baldacci, all’aiutante Cassetti, il quale ha già acquistata sufficiente pratica nello studio e delimitazione dei terreni in questione. Per la separazione di alcuni lembi di Quaternario caratterizzati dalla pre- senza di pozzolane nell’Abruzzo orientale, vi sarebbe da fare una rapida revisione lungo la costa adriatica tra i fiumi Pescara e Fortore; ma siccome si tratta di lembi limitati e di non grande importanza geologica, ritengo che questo lavoro potrà rimandarsi ad altra occasione. Per ciò che riguarda le revisioni nelle provincie di Salerno e Potenza e di quelle delle Puglie, già rilevate dal 1888 al 1892, può oramai dirsi che esse si trovino in sufficiente grado di avanzamento, e la carta geologica relativa è quasi pronta per poterne intraprendere la pubblicazione alla scala di 1/100 000 accompagnata da una Memoria descrittiva. Però, anche per queste provincie si riconosce la necessità di preparare come base della carta geologica una carta topografica senza tratteggio di monti, analogamente a ciò che si fece per la Calabria, essendo quelle regioni molto montuose, il che rende i fogli attuali all’1/100 090 molto oscuri e assolutamente inadatti a ricevere i colori geologici. Non molte escursioni sarebbero oramai necessarie per , raccogliere tutti gli elementi occorrenti allo studio completo di quelle provincie, e fra questi oc- correrebbe anche una serie di fotografìe illustrative dei punti di maggiore in- teresse geologico. Sarebbe veramente desiderabile che, ove le condizioni del bilancio lo permettessero, si cominciasse fin d’ora a pensare alla pubblicazione di queste carte e relative descrizioni, la cui preparazione costò molto tempo e non poco lavoro. Campagna Romana. — Ora che è compiuto il lavoro di rilevamento nel gruppo aei Lepini, e poco resta a farsi ancora per lo studio del materiale rac- colto, l’ing. Viola potrà occuparsi dei Monti Ernici, che stanno di fronte ai primi dall’altra parte del Sacco, e dei terreni calcarei della stessa valle del Sacco, i quali presentano molta analogia con quelli dei Lepini; ritengo quindi, per l’e- sperienza fatta, che il lavoro potrà ora progredire con una certa celerità e, avanzando tempo, il Viola potrà rivolgere la sua attenzione anche ai monti Simbruini. Restano i Prenestini ed i monti della valle dell’Aniene, lo studio dei quali si dovrà rimandare al 1896. Per la parte vulcanica l’ing. Sabatini, dopo ultimati i Laziali, potrà dedi- carsi al rilevamento dei Monti Cimini, pur continuando le osservazioni sui vul- cani braccianesi e sull’Agro romano. Per i Cimini, come fu detto altra .volta, il rilevamento rimase in addietro sospeso per mancanza di carte topografiche; ora" queste sono state rilevate e pubblicate alla scala di a 50 009 dall’Istituto Geografico militare; quindi il lavoro potrà procedere regolarmente attaccandosi - 34 — ai rilevamenti da tempo eseguiti più al Sud verso Roma. Nel corso dell’estate si potrebbero quindi frile vare le tavolette di Viterbo e di Orte formanti la metà meridionale del foglio n. 187, comprendenti appunto il gruppo dei Cimini con la regione limitrofa. Il dott. Di -Stefano potrebbe riprendere, per quanto lo permetteranno le altre sue occupazioni, le osservazioni e la raccolta dei fossili nei monti Tibur- tini, Lucani e Cornicolani per prepararne in seguito la descrizione. Sarà pure continuato, e possibilmente condotto a termine, lo studio anali- tico delle pozzolane laziali, nel mentre si proseguirà la raccolta dei dati occor- renti per la parte generale della Memoria descrittiva della provincia di Roma, affidata, come è noto, all’ing. Zezi in un col coordinamento dei lavori degli altri collaboratori. Lavori dell1 Ufficio. — Nulla di speciale possiamo aggiungere per i lavori da eseguirsi in Ufficio nel corso del 1895, i quali, oltre alla pubblicazione del Bollettino ed agli altri lavori consueti, si riducono : 1° Alla pubblicazione della Memoria descrittiva della Calabria; 2° A quella dei quattro fogli, con annesse tavole di sezioni, della Carta delle Alpi Apuane al 50 000; 3° A quella del Catalogo della Biblioteca; 4° a quella dei sei fogli della Calabria meri- dionale nella scala di 1 a ICO 000 con annessa tavola di sezioni. Con queste pub- blicazioni verrà ad esaurirsi il fondo tuttora disponibile sui residui dei bilanci precedenti e su quello del 1894-95, restando a carico dell’esercizio 1895-96 la spesa per il Catalogo della Biblioteca. Congresso internazionale di geografia in Londra. — In questa occasione credo opportuno informare il Comitato, ebe dietro invito direttoci dal Ministero degli Affari Esteri, abbiamo preso impegno d’inviare all’Esposizione che nel pros- simo mese di luglio si terrà in Londra per la circostanza del IV Congresso intemazionale di geografìa, la Carta geologica al 500 000 che figurò lo scorso anno al Congresso di Zurigo, messa al corrente degli ultimi rilevamenti, alla quale uniremo una Carta alla stessa scala, ora in via di formazione presso l’Uf- ficio geologico, su dati forniti per cura specialmente degli ingegneri distrettuali delle miniere, la quale rappresenterà a mezzo di segni appositi la posizione di tutte le miniere, cave ed officine mineralurgiche del Regno, corredata di un elenco esplicativo. Riparto spese, per il 1895-96. — Alla somma di L. 45,000, che si spera avere ancora disponibile per detto esercizio, finanziario, va aggiunta quella di circa L. 19,500 per residui dei bilanci precedenti impegnati per pubblicazioni, che proponiamo di destinare come segue: - 85 — Spese ordinarie : Rilevamenti ed escursioni diverse L. 20,000 Spese d’ufficio, compresi gli assegni al personale straordinario (circa L. 9,000), il laboratorio, la biblioteca, le collezioni, ecc » 19,000 Pubblicazione del Bollettino » 8,500 Catalogo della Biblioteca » 1,500 Assicurazione e manutenzione del locale ..... » 1,000 Totale L. 45,000 Spese straordinarie : Memoria descrittiva della Calabria (testo, due tavole di sezioni e altre cinque di fotografie) . L 2,500 Carta della Alpi Apuane al 50,000 » 4,000 Tavole di sezioni annesse » 8,000 Incisione di 6 fogli della Calabria meridionale. . . » 3,030 Stampa di detti 6 fogli coi colori geologici . . » 5,000 Tavola di sezioni annessa » 2,COO Totale L. 19,500 N. PELLAT1. « Lf - ■ ;< : '