m 1896, Anno XXY11. Ék BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D'ITALIA Volume Ventisettesimo (7° della 8a Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1896 m- 4 5 ; 1 iì i| ; :ì BOLLETTINO DEL K. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1896. — Anno XXVII. 1896 - Anno XXVII. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. ♦ Volume Ventisettesimo (7° della 3a Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE DI G. BERTERO - INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1896 (Volume ventisettesimo o settimo della 3a serie) Introduzione Pag. 1 NOTE ORIGINALI C. Viola. — Osservazioni geologiche fatt9 nella valle del Sacco in pro- vincia di Roma e studio petrografie© di alcune roccie Pag. 4 M. Cassetti. — Sulla costituzione geologica dei monti di Gaeta » 36 P. Moderni. — Il nuovo lago e gli avvallamenti di suolo nei dintorni di Leprignano (Roma) » 46 Idem. — Le bocche eruttive dei Vulcani Sabatini » 57 Idem. Idem Idem ( Continuazione e fine) » 129 C. Viola. ~ Il Monte Circeo in provincia di Roma » 161 S. Franchi e G. Di Stefano. — Sull’età di alcuni calcari e calcescisti fossiliferi delle valli Grana e Maira nelle Alpi Cozie » 171 S. Bertoiio. — Contribuzione allo studio dei terreni vulcanici di Sar- degna » 181 V. Novarese. — Rilevamento geologico del 1895 nella Val Pollice (Alpi Cozie) » 231 A. Stella , — Sul rilevamento geologico eseguito in Valle Po (Alpi Cozie) nel 1895 » 26S B. Lotti. — Sul rilevamento geologico eseguito in Toscana nel 1895 . . s> 297 C. Viola. — Osservazioni geologiche fatte sui Monti Ernici (provincia di Roma) . » 300 — VI M. Cassetti. — Rilevamento geologico di alcuni gruppi montuosi del- l’Italia meridionale eseguito nel 1895 Pag. 313 V. Novarese. — Il quaternario nella valle del Pollice (Alpi Cozie) .... » 367 B. Lotti. — Inocerami nell’Eocene del Casentino (Toscana) » 394 V. Sabatini. — Relazione del lavoro eseguito nell’anno 1895 sui vulcani dell’ Italia Centrale e loro prodotti » 400 S. Bertolio. — Appunti geologico-minerari sull’Isola di San Pietro (Sar- degna) » 405 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE Bibliografia geologica italiana per Tanno 1895 Idem idem Idem idem Idem idem Pag. 113 (' Continuazione ) » 204 . . (Idem) » 333 ( Continuazione e fine) . . » 422 NOTIZIE DIVERSE Pubblicazioni del R. Ufficio geologico Pag. 127 Idem idem » 229 Idem idem » 365 Idem idem » 476 Elenco del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico . . » 478 ILLUSTRAZIONI Tav. I. Tav. II. - Carta geologica e sezioni nella valle del Sacco Pag. 31 Cristalli di pirosseno 20 e 21 Sezione del Monte Calvo alla Torre d’Orlando (Gaeta) .... » 42 Sezione attraverso la valle Formia-Itri » 43 Sezione dal Monte di Mola alla spiaggia N.E di Formia ...» 45 Sezione schematica per Monte Calvario e Poggio il Sassetto » 79 Sezione schematica . 87 — Carta dimostrativa delle bocche eruttive dei vulcani Sabatini » 160 VII Tav. III. — Carta geologica e sezione del Monte Circeo in provincia di Roma Pag. 168 Sezione lungo la cresta fra il colle di Lancafrè e lo sbocco della Valle dei Carbonieri (Val Pollice) » 249 Profilo alle cave di Boussonà (id.) » 250 Profilo lungo la cresta fra il Colle Giulian e la Punta Re- siassa (id.) » 261 Profilo lungo la strada mulattiera della Val Pellice fra il Prà ed Eyssart (lato sinistro della valle) , . » 262 Profilo I. — Da Costa delle Forciolline a Selassa (Valle Po) » 278 Profilo IL — Da Sarretto a Selassa (Valle Po) » 281 Profilo III e IV. — Da S. Bernardo di Erbetta a Monte Cracco (Valle Po) » 282 Profilo V. — Da Costa delle Forciolline al Gruppo (Valle Po) » 288 Sezione dalle Capezzate (Viticuso) al Monte S. Croce (Ve- nafro) » 319 Sezione del Monte di Rocca d’ Evandro » 325 Tav. IV. — Sezioni geologiche nel Casentino (Toscana) » 400 Tav. V. — Carta geologica dell’Isola di S. Pietro (Sardegna) » 420 PAETE UFFICIALE R. Decreto 9 gennaio 1896, relativo al personale del R. Comitato geolo- gico Pag. 1 Verbali delle adunanze 8 e 9 giugno 1896 del R. Comitato geologico . . » 5 Relazione dell’ Ispettore- Capo al R. Comitato geologico sui lavori ese- guiti per la Carta geologica nell’anno 1895 e programma di quelli da eseguirsi nel 1896 » 11 INDICE DEI FASCICOLI N. 1. — Primo trimestre 1896 N. 2. — Secondo id. N. 3. — Terzo id. N. 4. — Quarto id. da pag. 1 a pag. 128 129 » 230 231 » 366 367 » 478 BOLLETTINO DEL R. GOMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie III. Voli Vili Anno Ts96. Fascicolo 1°. SOMMARIO. Introduzione. Note originali. — I. C. Viola, Osservazioni geologiche fatte nella valle del Sacco in provincia di Roma e stadio petrografìco di alcune roccie (con una tavola e figure intercalate). — IL M. Cassetti, Sulla costituzione geologica dei monti di Gaeta (con figure intercalate). — III. P. Moderni, Il nuovo lago e gli avvallamenti di suolo nei dintorni di Leprignano (Roma). — IV. P. Moderni, Le bocche eruttive dei Vulcani Sabatini (con figure interca- late). Notizie bibliografiche. — Bibliografìa geologica italiana per 1’ anno 1895. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. — R. Decreto 9 gennaio 1896 relativo al personale del R. Comi- tato geologico. Illustrazioni. — Tav. I: Carta geologica e sezioni nella valle del Sacco a pag. 31. — Cristalli di pirosseno a pag. 20 e 21, sezioni geologiche a pag. 42, 48 e 45, sezioni schematiche a pag. 78 e 87. Anche nell’anno 1895 i lavori di rilevamento della gran Carta geologica d’Italia ebbero un notevole sviluppo nei diversi centri nei quali è suddiviso, e in particolare in quello delle Alpi Occi- dentali, dove nell’estate viene distaccato un forte gruppo di ope- ratori. Già nel primo semestre si eseguirono osservazioni in alcune località della Toscana e della provincia romana, dove riesce ma- lagevole i] soggiornare d’estate, ma fu soltanto in giugno, dopo la riunione annuale del Comitato, che i lavori cominciarono a svilupparsi completamente in queste e in altre regioni. Nelle Alpi Occidentali si è potuto tenere la campagna dal giugno alla fine di ottobre, e si eseguirono rilevamenti nei monti della valle di Susa, nelle alte vaili del Chisone, del Pedice e del Po, compreso il gruppo del Monviso, e infine nelle valli della Maira e della Grana nelle Alpi Marittime. 11 rilevamento di queste ultime è oramai attaccato a quello delle Alpi Cozie, e queste alle Alpi Graje, per cui non molto resta a farsi per completare quella importantissima parte della catena alpina. In Toscana, oltre al proseguire le osservazioni nelle Alpi 1 — 2 — Apuane, nello scopo di completarne la pubblicazione, si esegui- rono rilevamenti nella Yaldichiana, nell’alta Val d’Arno e nell* Ap- pennino tosco-emiliano, in particolare nel gruppo del Cimone. Nella regione romana, oltre al completare lo studio sui Monti Laziali, si ebbero particolarmente di mira i vulcani Saba- tini ed i Cimini, dei quali ultimi si è incominciato il rilevamento regolare, non che la vallata del Sacco con le catene adiacenti dei Monti Lepini e degli Ernici. Nell’Abruzzo aquilano fu eseguito il rilevamento delle alte valli del Velino e del Corno, che ancora rimanevano a studiarsi in quella regione, oramai vicina ad essere completata. Si continuarono in pari tempo le revisioni in varie parti del- l’Italia meridionale e in particolare nelle due provincie di Avel- lino e di Caserta, dove si riconobbero lembi di terreni secondari antichi finora sconosciuti. Fu pure proseguito lo studio dei terreni quaternari nella Lombardia orientale e nel Veneto occidentale, raggiungendo con la bassa pianura il gruppo degli Euganei. In quanto a pubblicazioni, si stampò il voi. IX delle Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia , contenente la descri- zione della Calabria, dell’ing. Cortese, con una Carta geologica alla scala del 500 000, tavole di sezioni e vedute prospettiche. Fu pure provveduto al proseguimento della Carta geologica della Calabria in scala di 1 a 100 000, di cui l’anno precedente erano stati pubblicati i sei fogli della parte centrale, col fare eseguire l’incisione su pietra, col concorso dell’Istituto Geografico Militare* dei sei fogli della Calabria meridionale nella stessa scala e senza tratteggio, che si spera di potere pubblicare con i colori geologici entro l’anno corrente. Fu pure stampata, ma non ancora distri- buita, la Carta geologica delle Alpi Apuane in quattro fogli nella scala di 1 a 50 000, ed ora si attende alla preparazione ed alla incisione delle tre tavole di sezioni che debbono accompagnarla. In seguito al voto espresso dal Comitato è stato preparato e pubblicato il Catalogo della Biblioteca dell’Ufficio geologico a tutto l’anno 1893, cui terrà dietro prossimamente un primo supple- mento per le aggiunte avvenute nel biennio 1894-95. - 3 - Le spese relative a queste pubblicazioni furono in gran parte coperte con alcuni residui, per ciò impegnati, che ancora esistevano sui bilanci precedenti; non essendo possibile il prele- vare somme per tale scopo dal fondo assegnato annualmente, che, anche per l’esercizio finanziario 1895-96, fu limitato a lire 45 000, cifra appena sufficiente per sopperire all’andamento dei lavori ordinari d’ufficio e di campagna. Nel 1895 vi fu una sola riunione del Comitato geologico, te- nuta nei giorni 8 e 9 giugno, i cui processi verbali trovansi, in- sieme con la Relazione dell’Ispettore-capo sull’andamento dei la- vori, nel fascicolo n. 2 del nostro Bollettino per detto anno. Per ogni maggiore dettaglio sull’andamento del servizio ri- mandiamo il lettore alla Relazione che Hspettore-capo, direttore del medesimo, presenterà al Comitato nella prossima sua riu- nione, insieme con le proposte sui lavori da farsi nel corrente \ anno. — 4 — NOTE ORIGINALI I. 0. Viola. — Osservazioni geologiche fatte nella valle del Sacco in provincia di Roma, e studio pirografico di alcune rode. (con una tavola) Vari torrenti provenienti dalle eminenze di Palestrina, Cave, Ge- nazzano, Artena, eco., danno origine al fiume Sacco (Trero degli an- tichi), il quale passando sotto Segni e Gavignano, entra nella Valle Latina, così chiamata, perchè faceva parte dell’antico Lazio. « Il suolo di questa spaziosa vallata », dice il Ponzi *, « mostra « varie accidentalità dipendenti dalle fìmbrie protratte dai monti cir- « costanti, avvegnaché ora si distende in pianure, ora si fa gibboso, « ora montuoso. Ciò nondimeno i fiumi che vi scorrono, non sono « molto serpeggianti, e tendono sempre a gettarsi verso la catena de- ce stra, indicando essere quella parte più bassa e appianata della cc valle. » Il fiume Sacco costeggia infatti i Monti Lepini, i quali fanno ve- dere dalla parte di questa valle nettamente le testate dei loro strati, e presentano il massimo rialzo ed il salto di oltre 600 m. fra il ter- reno, che si osserva nella Valle Latina, e lo stesso terreno trasportato in cima al Monte Cacume, sulle alture di Gorga, sopra Sgurgola, eco. La catena di sinistra del Sacco, all’ijicontro, non è bruscamente rialzata come la destra, ma anzi sale dolcemente. Il fiume Sacco attraversa fin sotto Anagni i tufi dei Colli Laziali e qualche deposito di travertino, lasciando a destra i calcari turo- niani di Artena e Segni, e gli urgoniani di Gorga, a sinistra le are- narie di Paliano e di Anagni. Prima di Sgurgola taglia dei potenti banchi di travertino, che si estendono orizzontalmente fino sotto Ana- 1 Osservazioni geologiche fatte lungo la Valle Latina , 1848, pag. 5. — 5 - gni e Ferentino; indi passando sotto l’abitato di Sgurgola, sita strada entro un affioramento di calcari formanti quella collina, che si chiama la Macchia di Sgurgola. In seguito, e cioè sotto Mordo, la valle si allarga, e principia ad aprirsi in una grande insenatura limitata dalle colline di Ferentino e di Frosinone. Dippoi costeggia i peperini di Su- pino e di Patrica a destra e i tufi della Selva dei Muli a sinistra, e ri- cevute le acque del fosso Cenica al ponte della Tomacella, rade le arenarie o molasse del Bosco Faito a sinistra e i tufi di Gallarne a destra. Oltre Callame il fiume Sacco si apre la via tra i calcari di Cic- cano a destra e le arenarie di Frosinone a sinistra, arricchendosi co- piosamente delle acque del torrente Cosa a 2 chilometri prima di Cec- cano. Rinforzatosi di questo tributo, taglia l’affioramento dei calcari di Ceccano, e quindi, serpeggiando fra i tufi di Pofi, Amara e S. Marco fino sotto Castro dei Yolsci, passa sul terreno molassico coperto par- zialmente dai tufi del vulcano di Pofi; a Colle della Pece rasenta una testata di strati d’arenarie e di calcari in esse intercalati e ricchi di bitume, e poi scavando il suo letto dentro l’Eocene di Castro, Fal- vaterra e S. Giovanni Incarico, lasciando a sinistra le argille, sabbie e i conglomerati di Ceprano, si fa tributario del Liri, presso Isoletta al confine della provincia romana. Questa ampia valle, in cui affiorano, come si disse, arenarie, calcari e argille coperte da tufo vulcanico, ora compatto e ora incoerente, da travertino, sabbie, conglomerati, leucititi, leucotefriti, leucobasaniti, leu- cobasalti e basalti feldispatici, si trova rinchiusa fra due catene di monti. Quella a destra (i Monti Lepini) si erge ripida e quasi a perpendicolo con istrati per la massima parte pendenti verso il Tirreno, mentre la sini- stra (Monti Simbruini ed Ernici) sale lentamente in guisa da rag- giungere vette molto elevate appena alla distanza di 25 a 30 chilometri dal fiume Sacco. L’ intero profilo di questa valle, dagli Ernici ai Le- pini, sembra formi due scaglioni degradanti verso il Tirreno, in cui le acque tendenti a portarsi verso i Lepini, contribuirono a mante- nere, o anzi ad accentuare vieppiù l’orografia attuale già determinata dalla tettonica stessa del terreno. In effetto però la Valle Latina è semplicemente una grande sinclinale, in cui è stato rinchiuso il ter- reno eocenico; si può anzi aggiungere una sinclinale a forma di C, il fondo della quale corre accosto ai Monti Lepini, avendo una falda ripiegata e in parte rotta dal salto principale di quest’ultima catena, laddove l’altra falda si addossa con debole pendenza all’Appennino, — 6 — formando quella catena di monti, che si chiama degli Ernici e dei Simbruini. La sinclinale stessa è accompagnata da pieghe e da rotture, come avremo occasione di vedere nel seguito di questa nota; pieghe e rotture, le quali sono da per se stesse qui naturali, e quasi direi necessarie, se si tien conto della forte spinta che doveano eser- citare i Lepini sollevandosi e spostandosi contro l’altra e più formi- dabile massa, che è l’ Appennino propriamente detto. Accanto all’interesse che presenta la tettonica di questa regione, vi è anche 1’ importanza della distribuzione dei vari terreni in senso trasversale dalle Paludi Pontine alla sommità degli Ernici. Sui Le- pini si osservano dei piccoli resti di terreno terziario, laddove tutta la massa è cretacea; e si aggiunga che nessuna formazione quater- naria attesta, in modo alcuno, siano mai state sui Lepini masse po- tenti di terziario erose posteriormente. Passando dai Lepini alla Valle Latina, le masse terziarie si fanno potentissime, e si addossano già anche sulla falda N.E dei Lepini. Queste masse terziarie sono pure potentemente sviluppate sugli Ernici, dove da arenacee e argillose divengono man mano calcaree. Di più le formazioni quaternarie, che si osservano sugli alti corsi dei torrenti, provano che terreni arenacei terziari coprivano considerevolmente la catena degli Ernici, oggi esclusivamente calcarei, e dove non si ha di quelli più vestigia alcuna. Senza andare troppo lontano, per rimanere nell’obbietto di questa nota, passeremo ora ad esaminare i terreni, che si osservano nella Valle Latina. Come si è accennato, le roccie principali che affiorano nella Valle Latina, sono calcari e propriamente calcari cristallini e marnosi, are- narie o molasse, argille, scisti argillosi e calcarei, coperti da tufi, lave, argille, sabbie e conglomerato quaternario. Il Murchison 1 studiando i giacimenti di Agosta e Subiaco nella valle dell’ Aniene e quelli di Olevano sul versante sinistro del Sacco, rileva la concordanza del macigno con i calcari a pettini e nummu- liti, e non esita a ritenere per eoceniche tutte quelle arenarie ; e con i dati di quell’eminente osservatore si potrebbe mettere fuori di dubbio che anche le arenarie di Frosinone, Ferentino e Anagni sieno eoce- niche. Osserva inoltre il Murchison che l’apparente concordanza del 1 Memoria sulla struttura geologica delle Alpi , degli Appennini e dei Car- pazi di Sir R. I. Murchison, traduzione italiana, 1851, pag. 201 e seg. 7 — macigno con i calcari della valle dell’Aniene, può trarre in errore i geologi poco esperti e fare credere il macigno più antico dei calcari ad ippuriti. Io intanto a questo proposito devo soggiungere che cal- cari a pettini e nummuliti contengono realmente resti di rudiste, e si trovano tanto sotto, quanto sopra al macigno. Il Ponzi 1 scoperse delle fucoidi nel calcare breccioso, arenaceo, cinereo, che riposa immedia- tamente sui calcari compatti e cristallini di Ceccano. E dopo il Ponzi non abbiamo più alcun geologo, che abbia portato un qualche contri- buto alla conoscenza dell’età di questo terreno. Il Branco 2 accenna bensì di avere osservato presso all’ Abbadia di Ceccano un conglome- rato costituito da ciottoli di granito, gneis, porfido quarzifero, mica- scisto, cementati da rena silicea, e ritiene perciò che codesto terreno sia da considerarsi dell’epoca miocenica, essendoché in altre parti d’Italia conglomerati analoghi costituiscono gran parte del Miocene inferiore. Io sono dispiacente di non potere dividere le idee del mio maestro. A me risulta che il conglomerato dell’ Abbadia è quaternario al pari di quello, che si osserva sotto Castro dei Yolsci. Dippoi convien no- tare che tali conglomerati nell’Italia meridionale compariscono inter- calati anche nel terreno eocenico, . sicché la presenza o no di conglo- merati ad elementi cristallini non decide affatto dell’età del terreno, in cui essi si trovano inclusi. E quanto si dice di questi conglomerati si intende naturalmente applicabile anche alle arenarie della valle del Sacco, costituite di silice e mica, le quali devono l’origine loro alla stessa causa, che generò i conglomerati. Arenarie e conglomerati si formarono tanto durante l’Eocene quanto durante il Miocene, prendendo gli elementi loro da terreni cristallini, che oggi più non si trovano. Giacché le arenarie della Valle Latina sono sterilissime di fossili, e non volendo accettare senz’altro le conclusioni del Murchison anche per le arenarie fuori della regione, in cui egli le ha osservate, e pas- 1 Gr. Ponzi, Osservazioni geologiche sulle provinole di Frosinone e di Velletri (Atti Acc. Pont. Nuovi Lincei)! — Roma, 1858. G. Ponzi, L’ Italia e gli Appennini. — Roma, 1875. P. Zezi, Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Ferentino e di Fro~ sinone (Boll. R. Com. geol.)., — Roma, 1876. 2 W. Branco, 1 vulcani degli Ernlci n:lla valle del Sacco (Atti R. Acc. dei Lincei). — Roma, 187 i. — 8 — sando sopra alle osservazioni e ipotesi del Branco, che egli stesso dà come poco probabili, guadagneremo nn punto di partenza per giudi- care dell’età di questo terreno, esaminando le relazioni stratigrafìche, che intercedono fra le arenarie e i calcari fossiliferi. A quest’uopo riporterò ora le osservazioni, che feci a Ceccano, Frosinone, Sgurgola e Gavignano \ I. Profilo Ceccano-Frosinone. * Terreni sedimentari. — I calcari di Ceccano affiorano in mezzo ad arenarie, calcari arenacei e marnosi, scisti argillosi e calcarei. Essi costituiscono una cupola ellissoidale tagliata longitudinalmente dal fiume Sacco. A Nord quindi essi prendono verso N e N.E, a Sud verso S.S.O e S.E. I calcari sono bianchi con vene cerulee, ora com- patti e ora cristallini, ora più e ora meno resistenti, ora a grossi banchi e ora a straterelli sottili. Sono ricchissimi di frammenti di conchiglie, coralli, echini, piccole nummuliti e altre foraminifere in- determinabili. Essi sono anche ricchi di pettini costati, di cui però si possono avere solamente le impronte e con le orecchie mal conser- vate. Il prof. Mayer-Eymar di Zurigo, che vide i detti pettini, mi dice che essi si possono riferire alle specie seguenti : Pecten sca - brellus (Lam.), P. pusio (Lam.), P. striatus (Sow.), P. limatus (Goldf.), P. Pandora (Dsh.), P. cavarum (Font.) var., P. opercularis (Lam.); con che si verrebbe a stabilire la miocenità di tali calcari. Ma le piccole nummuliti e le altre foraminifere, benché indeterminabili perchè non estraibili dal calcare, fissano invece con molta probabilità la parte media dell’Eocene superiore. 1 punti fossiliferi sono principalmente la cava Bonanni sotto l’a- bitato di Ceccano e al piede di un dirupo, che si chiama le Tombe, la cava Berardi a sinistra del Sacco, Santo Stefano e vari punti vi- cini al cimitero di Ceccano. Anche il Murchison 1 2 3 parla di calcari a pettini e nummuliti delle vicinanze di Subiaco, e io non vedo alcuna differenza tra quelli di Subiaco e questi di Ceccano. Come là, anche qui, a codesti calcari a pettini si addossano concordantemente dei calcari brecciati arenacei 1 Vedi in proposito la pregevole nota di Gr. B. Cacciamalj, In Valle del Uri, con la biografìa accuratamente raccolta (Club Alpino Italiano. Torino, 1889). 2 Vedasi la tavola annessa. 3 Op. cit. 9 — grigi, che sono pure ricchissimi di frammenti di conchiglie, echini, coralli, globigerine, nummuliti e altre foraminifere caratteristiche dell’Eocene superiore ; ma in tali calcari brecciati grigi non ho potuto osservare dei pettini, i quali per conseguenza devonsi ritenere come caratteristici dei calcari inferiori. La potenza dei calcari grigi può essere forse di circa 20 metri, come si può valutare alla cava Grizzi, a S.O di Ceccano sulla strada rotabile e alla cava Berardi, ove i calcari inferiori a pettini sono brec- ciformi, epperò utilizzati per preparare la calce. Vediamo ora che cosa segue in questo profilo ai calcari grigi anzidetti . Nella direzione da Ceccano verso Frosinone si osserva una for- mazione di arenarie o molasse, la quale appoggia direttamente e con- cordantemente ai calcari grigi di Ceccano. Queste arenarie sono silicee con biotite a piccoli e grandi elementi, dure, cerulee all’interno, friabili e gialliccio all’esterno, ove subirono l’alterazione per opera delle intemperie. Sono in generale a grossi banchi, e costituiscono una formazione potente, la quale si estende da Ceccano sino a Veroli, ove appoggia concordantemente a quei calcari . Dapprima gli strati con- servano la pendenza verso N e N.E, indi mantenendo bensì quasi sempre la stessa direzione, fanno diverse pieghe. Poco a Sud di Frosinone essi pendono verso Sud di 60°, mentre a Torrice, alla distanza di qualche chilometro, la pendenza loro è verso Nord di 40°. Lungo i vari fossi, che scendono dalle colline di Frosinone e fi- niscono nel fiume Sacco, si osservano numerosi frammenti di calcari a piccole nummuliti e pettini. E poiché questi fossi nè originano in terreni calcari, nè attraver- sano affioramenti di calcare, viene naturalmente il dubbio che una gran parte di tali frammenti provenga da piccoli banchi intercalati nelle arenarie di Frosinone. Ad Est di questa città, al colle di Capobarile, poco lungi dalla strada rotabile è una cava aperta nel calcare, che viene utilizzato per imbrecciare le strade e per piccole opere d’arte. Codesto calcare è a strati inclinati di 60° verso Sud, e ha una potenza di circa 10 metri. Sotto e sopra agli strati di calcare si osserva che le arenarie hanno la stessa pendenza e direzione dei calcari, e che tra le arenarie e il calcare bianco è frapposto un sottile strato di calcare arenaceo, brec- ciato, grigio. Osservando esattamente le relazioni di questo calcare con le are- — 10 - narie circostanti, dove non si nota nessuna frattura, sparisce ogni dubbio che il calcare di Capobarile rappresenti nient’ altro ohe una lente intercalata nei banchi di arenarie. Il calcare stesso è bianco, con vene cerulee, contiene numerose nummuliti indeterminabili, pet- tini, frammenti di conchiglie, coralli, echini, vale a dire gli stessi fossili caratteristici del calcare di Ceccano. Ambedue le formazioni sono accompagnate dai calcari brecciati, grigi. Un altro affioramento di questo calcare a pettini si osserva al torrente Meringo sotto Ripi, e così eziandio al Colle Tartarella nel comune di Torrice, dove gli strati con pendenza di 40° verso Sud sono intercalati e concordanti con le arenarie. Le arenarie di Frosinone e Torrice si inoltrano, come si disse, verso le montagne di Veroli e di Alatri, dove si appoggiano con per- fetta concordanza su quelle masse calcaree, le quali, come si vedrà in un’altra nota, sono identiche ai calcari bianchi a pettini di Ceccano. Dalla parte opposta di questo profilo, cioè nella direzione da Cec- cano ai Monti Lepini (Monte Siserno), la successione dei terreni è la seguente. Ai calcari di Ceccano segué un banco di 20 metri circa di calcari sabbiosi grigi, indi delle arenarie, le quali sono poi coperte dal tufo di Sant’Arcangelo. Segue indi un affioramento cupoliforme di calcare a pettini e piccole nummuliti del Colle Morrone. Anche questo calcare è identico al calcare bianco di Ceccano ; esso si mette sotto ai calcari arenacei grigi nummulitici, alle arenarie e alle argille compatte. Que- st’ultimo terreno, dove si notano anche calcari marnosi variegati, cir- conda il Monte Siserno fino a Giuliano di Roma, ed è quindi in di- scordanza con gli strati urgoniani di questo monte. Il profilo Ceccano-Frosinone mette nella massima evidenza la stretta relazione esistente fra i calcari a pettini e nummuliti di Cec- cano e le arenarie di Frosinone ; e noi possiamo già concludere che arenarie e calcari a pettini rappresentano un unico terreno, benché si possa anche ritenere che la facies arenacea sia superiore alla facies cal- carea, ma pertanto entrambe appartenenti alla parte media dell’Eo- cene superiore. Nella piccola cupola ellissoidale di Ceccano si può ancora osser- vare che i calcari arenacei e brecciati grigi, coprenti a S.O i calcari bianchi a pettini, non hanno una perfetta corrispondenza con i mede- simi calcari grigi della sponda sinistra, i quali coprono il calcare della cava Berardi ; sembra quindi che il calcare della sponda destra del - 11 — Sacco sia un poco sollevato su quello della riva sinistra ; cosi il fiume Sacco attraverserebbe il calcare di Ceccano dentro una piccola faglia. Resta pertanto incerto se la continuazione di questa faglia debba es- sere rintracciata ad Ovest di Castro dei Yolsci, come è probabile, ovvero la medesima abbia termine al Colle del Vescovo, ove si osser- vano le lave, di cui parleremo tra breve. Regione vulcanica di Ceccano. — Questa regione comprende i tufi e le lave di Callame , Sant1 Arcangelo o Colle Morrone , San Marco o Colle del Vescovo a destra del Sacco e San Francesco a sinistra. Sui calcari a pettini di Colle Morrone posa una lava, la quale verso Est è coperta di tufo compatto; e ancora più ad Est si apre un fosso profondo e breve, che il Branco credette di ritenere per cra- tere di esplosione, e chiamò cratere di Sant’ Arcangelo. A me sembra che non vi sia alcun dato nè favorevole, nè contrario a quest’ idea del Branco, poiché l’erosione ha cancellato ogni traccia di apparecchio vulcanico. La collina di Callame costruita di tufo, da cui affiorano delle lave, una delle quali va a finire alla Torre Berardi sulla strada rotabile, cir- condata da tre valli di erosione, non costituisce nemmeno per sè sola un cono di eruzione, perchè gli strati del tufo sono quasi orizzontali, e quindi la forma di cono di questa collina si deve solo all’erosione. Ad Est di Ceccano in prossimità del fiume Sacco è la località detta di San Francesco. Quivi i tufi coprono le arenarie, e da mezzo ai tufi affiorano delle lave, una delle quali a forma di filone e con divisioni quasi verticali attraversa il fiume Sacco, e con direzione da Nord a Sud si spinge fino al Colle San Marco. Nemmeno a San Francesco si può riconoscere che i tufi formino un cono, poiché gli strati loro pendono da una sola parte, cioè verso il Sacco. A Sud del Colle di San Marco e divisojdal fosso Majura stretto e profondo, sì erge il Colle degli Scolopi o del Vescovo, il quale è tutto costruito di tufo vulcanico compatto, terroso, da lapilli e scorie. Da mezzo ai tufi affiora una lava, che va dal Colle del Vento fino al- l’altro versante del Colle del Vescovo in direzione di S.E. Le lave di Colle del Vescovo, di San Francesco e Colle Mor- rone, e di Sant’Arcangelo hanno tutte una stessa struttura e com- posizione mineralogica, e sono dei veri basalti labradorici ; laddove la lava di Callame è un leuco-basaoto e quindi analogo alle leucititi di Patrica e Morolo povere di olivina. — 12 — La stretta vicinanza delle lave di San Francesco, Sant’Arcangelo e San Marco attira certamente l’attenzione del geologo, il quale po- trebbe essere inclinato di attribuirle ad un unico vulcano, da cui le lave si sieno versate in parecchie direzioni e in tempi diversi, e dove parte le esplosioni e parte l’erosione abbiano distrutto quasi ogni cosa; ma io insisto su questo che, oggi, non esiste più alcuna traccia di apparecchi vulcanici, e che perciò la fantasia prendendo il posto delle osservazioni, è affatto libera di costruire un vulcano, come ne può co- struire parecchi. Il fatto pertanto dello smisurato lavoro, che l’erosione operò ta- gliando fossi profondi nel tufo e nelle lave, eliminando ogni traccia riconoscibile dei crateri e dei coni, ci permette di tirare la conclusione attendibilissima che le eruzioni in questa regione doveano precedere di molto il vulcano di Pofì ancora così bene conservato, e tanto più i vulcani laziali. Lava di Sant7 Arcangelo, San Marco e San Francesco \ — Queste lave consistono essenzialmente di pirosseno , plagioclasio , olivina e ma- gnetite. L’olivina ed il pirosseno sono sempre in grandi cristalli automorfì, il plagioclasio sempre in microliti. I piccoli cristalli di p>irosseno non aventi contorni crstallografìci propri, nè la forma di microliti allungati secondo lo spigolo 001 !, nè struttura zonata, possono essere con molta probabilità nient’altro che frammenti dei grandi. Attorno ad essi e ai cristalli porfirici di pirosseno e di olivina si dispongono i microliti di plagioclasio e della sostanza vitrea , il cui potere rifrangente per la luce non è maggiore di 1,50. La magnetite non abbondante è al solito in cristalli isometrici uniformemente distribuiti nella massa. L’ olivina in cristalli porfirici con forte mono- e bi-rifrangenza ri- spetto al pirosseno, è generalmente alterata all’esterno e nelle poche fenditure irregolari, che attraversano i cristalli. II pirosseno in generale ben conservato presenta le combinazioni 1 Sopra le lave degli Ernici hanno scritto e pubblicato Ponzi, Zezi e Branco. Io qui non mi fermerò a dare i caratteri esterni, nè la maggiore o minore grandezza degli elementi microscopici, fuorché in qualche caso eccezio- nale di queste lave. Qui si studiano principalmente i caratteri dei singoli elementi isolatamente e in rapporto fra loro. — 13 — (001), (100), (010), (201), (101) con clivaggi distinti (HO) e talvolta con divisione parallela a (001); è cresciuto concentricamente in modo da far riconoscere nelle sezioni longitudinali una od al più due zone, la esterna verde e polieroica, il nucleo giallo o giallo-bruno con debole o nullo policroismo. Nel ...entro si ha: 7 (ng) : c = 40 — 50°. Nelle zone esterne polieroiche: 7 (ng) : c = 40 — 58°. Per le zone verdi e polieroiche ho osservato: a(np) = l,S89 7 (ng) = b718 a — T = 0,0295. per le zone gialle o giallo-brune: a = 1,675 7 = 0,708 7 — a = 0,0290. Nelle sezioni perpendicolari allo spigolo [001] i due poteri rifran- genti determinati direttamente, sono, per le zone verdi: a' = 1,691 P (nm) = 1,696 ; per le zone giallo-brune: a' = 1,677 P = 1,682. Con la formola logaritmica di G-. Bartalini 1 si determina: 2 V = 59°, 34' per le zone verdi. 2 Y = 60°, 44' » gialle. Questo pirosseno della serie Diopside-Hedenbergite (Tschermah), contiene probabilmente, secondo le esperienze di Herwig 2, almeno il 21 p. % di sesquiossidi. Tra questi ultimi conviene ammettere una certa quantità di ossido ferrico, il quale conferisce la colorazione verde più o meno intensa, benché, come è noto, anche la soda produce la stessa 1 Processi verbali della Società toscana di scienze naturali, 1887, pag. 179-180, e (Zeitscbrift f. Krystall. und Min., 1888., XIV, pag. 525); vedi anche Tschermak's Mineralogische und Petrographìsche Mitth ., B. XY, 1895, pag. 45. 2 C. Hintze, Handbuch der Mineralogie. Leipzig, 1893; pag. 1022. - 14 - colorazione nei pirosseni II ferro, o separato in forma di magnetite, ov- vero incorporato nella cristallizzazione del pirosseno in qualche zona di più e in qualche zona di meno, era probabilmente esaurito nel tempo delia cristallizzazione dei microliti di feldispato, poiché noi os- serviamo che i cristallini di magnetite sono quasi sempre associati ai cristalli di pirosseno ; vale a dire questi elementi si sono formati e nuotavano nel magma fluido e feldispatico. I microliti di feldispato allungati nello spigolo [100] presentano le geminazioni albitica e di Karlsbad, secondo si giudica dagli an- goli di eguale illuminazione in posizione parallela e di 45° coi Nicol per le sezioni perpendicolari a (010) K Sui gemini secondo la legge albitica ho eseguito numerose mi- sure degli angoli di estinzione e di eguale illuminazione, una parte delle quali sono esposte nel seguente quadro: V : [001] estinzione eguale illuminazione minima a' : '001] estinzione + 12° 22* '% 4- 51° + 25 5 4- 48 4- 20 14 — 50 + 26 8 — 43 + 28 11 + 43 + 24 4 — 35 + 70 8 — 87 + 30 V2 1 + 59 Vi + 16 24 + 44 Questi numeri non sono compatibili che per feldispati compresi nei termini Ab2, An3 e An 1 2. La sostanza vitrea avviluppa microliti di feldispato, apatite e pi- rosseno. Si osserva in queste lave anche della sanidina e un feldispato 1 C. Viola, Uebeir die gleiche Beleuchtung und Bestimmung der Feldspdfhe. (Zeitsch. f. Kryst., etc., XXIV, pag. 475). 2 Secondo quanto mi scrive il sig. Michel-Lévy i suoi sette diagrammi dei feldispati corrispondono press’a poco ai seguenti tipi: I) Ab II) Ab9 An2 III) Abs An3 IV) Abn An3 V) Ab7 An3 VI) Ab2 An3 VII) An. Vedi anche la sua recente pubblicazione, Etudes sur la determination des Feldspaths, Paris 1896. — 15 — plagiotomo non avente forma microlitica, nè struttura zonata, nè contorni cristallografici propri. Fa funzione di cemento degli altri elementi, nello stesso modo che il vetro e i microliti di labradorite, e inoltre come carattere essenziale conserva per lunghe plaghe la stessa orientazione ottica. La fisiografìa di un tale feldispato non corrisponde per nulla a quella dei feldispati primari: per la qual cosa io devo sostenere che il detto feldispato plagiotomo è sostanza rigenerata o propriamente secondaria, e quindi posteriore alla consolidazione della roccia. Riesce invero difficile di stabilire un’ ipotesi plausibile, che spieghi il come siasi rigenerata, e quali sostanze minerali esistenti vi ebbero reazioni reciproche. Tanto si può ammettere che il feldispato secon- dario siasi rigenerato dalla sostanza vitrea, quanto anche dai micro- liti medesimi. Io ritornerò su questo argomento in un paragrafo se- guente, parlando di alcune roccie degli Ernici, le quali presentano il detto fenomeno in un modo molto più esteso e più caratteristico. Fa d’uopo osservare che anche la mica nera in queste roccie si comporta pure come cemento, la quale è stata sempre ritenuta so- stanza intratellurica. Ed invero la mica nera e le miche in genere sono minerali plastici, e quindi adattabili facilmente a modellarsi sugli altri e di riempire i vani, laddove del feldispato non si può dire al- trettanto. In quanto all’ordine di successione degli elementi di queste lave, si può dire quanto segue: L 'apatite si ritrova in tutti gli altri elementi, ed essa occupa per conseguenza il primo posto nell’ordine cronologico della cristallizza- zione. Il secondo posto appartiene alla magnetite , benché per questa si possa ritenere siasi separata contemporaneamente all’apatite; la sua cristallizzazione continuò certo anche durante la separazione del pi- rosseno, poiché i cristalli zonati di questo hanno della magnetite in cristalli microscopici distribuiti per zone. La cristallizzazione dell’ olivina cessò mentre durava quella del pirosseno, e quella di quest’ultimo doveva protrarsi anche durante la formazione dei microliti di labradorite, essendoché si osservano nella sostanza vitrea delle inclusioni di pirosseno microlitico allungato se- condo lo spigolo [001], e non è ammissibile d’altro canto che codesti microliti non abbiano subito accrescimento, se fossero stati molto an- teriori alla consolidazione del vetro. — 16 Il sistema già usato dal prof. Fr. Becke 1 per mettere in evidenza il diverso ordine di cristallizzazione degli elementi di una roccia, mi sembra molto sintetico e comprensivo nello stesso tempo. Io me ne servo per rappresentare i diversi tempi di consolidazione delle lave di S. Francesco, Sant’Arcangelo e di S. Marco presso Ceccano, come il lettore può vedere nel seguente quadro: Separazioni Massa porfiriche fondamentale II. Profilo Gorga-Sgurgola-Ferentino. Terreni sedimentari. — Le arenarie di Anagni e Ferentino si ap- poggiano direttamente e concordantemente ai calcari bianchi. Esse sono egualmente costituite come le arenarie di Frosinone, hanno dal più al meno la stessa direzione, e pendono, salvo alcune pieghe, verso il fiume Sacco. Altrettanto dicasi delle arenarie di Paliano. Io ritengo che non si possa dubitare che le arenarie di Paliano, Anagni e Ferentino rap- presentino un terreno diverso dalle arenarie di Frosinone. E se tra Frosinone e Ferentino da una parte, e tra Ferentino e Anagni dall’altra è un’interruzione nella formazione di questo ter- 1 Fr. Becke, Petrographische Studien am Tonalit der Riesenferner (Tscher- mak’s Miner. Mitth., voi. XIII, pag. 379--430). - 17 — teno, ciò devesi o all’erosione, ovvero ad un avvallamento iniziale e forse contemporaneo alla formazione della valle del Sacco. Le arenarie di Anagni e di Ferentino passano sotto al travertino, e affiorano indi con pendenza opposta alla Macchia di Anagni, di guisa che tra questa e le colline di Anagni e di Ferentino è una piccola sinclinale, ove si depose un notevole banco di travertino. Così dicasi del travertino situato tra Ferentino e Frosinone. Alle arenarie della Macchia di Anagni seguono concordante- mente dei calcari brecciati arenacei grigi, i quali appoggiano pure concordantemente ai calcari della Macchia di Sgurgola. Quest’ultima e la collina detta i Moroni, in mezzo alle quali passa il fiume Sacco, formano una cupola elissoidale molto analoga a quella di Ceccano. I calcari di questa cupola sono di due specie: quelli superiori sono bianchi, giallicci con vene cerulee, ricchi di frammenti di conchiglie, coralli, echini, di globigerine. nummuliti, altre foraminifere e pettini costati, e rappresentano perciò il calcare a pettini e nummuliti di Ceccano. I calcari inferiori invece sono duri, cristallini, talvolta magnesiaci, e contengono sferuliti mal conservate. La potenza dei primi può forse essere di 150 m., quella dei secondi da 60 a 70. La ferrovia Eoma- Napoli costeggia i calcari urgoniani della Macchia di Sgurgola. Mentre però alla sinistra del Sacco affiorano i calcari cretacei, alla destra in- vece, e cioè al piede della collina detta i Moroni non ne affiorano af- fatto. Bisogna dunque concludere che tra i Moroni e la Macchia di Sgurgola è pure una paraclasi, come quella di Ceccano, dentro alla quale corre il fiume Sacco. I calcari a pettini dei Moroni pendono di 10° verso S.O e sono coperti concordantemente da calcari grigi, arenacei, brecciati. A tali calcari seguono delle arenarie, dei calcari marnosi e degli scisti argillosi. Sotto Sgurgola essi cambiano di pendenza, e saliscono verso i calcari cretacei di Sgurgola. Al piede di questo paese la for- mazione eocenica è interrotta da un salto di circa 150 m. Sopra l'abitato di Sgurgola si ripresentano i calcari a pettini, i quali si addossano concordantemente, ma in lembi divisi sugli strati cretacei, che ivi hanno una pendenza di 40° a 50° verso N.E. Lembi di calcari a pettini si osservano anche alla fontana di Santa Secondina sopra Sgurgola alla quota di 600 m., appoggiati pure concordantemente su quei calcari cretacei. Mentre gli strati eocenici hanno alla predetta fontana la forte 2 — 18 — pendenza di 60°, sono invece orizzontali alla Cima del Monte (quota 930 m.). A partire dalla Cima del Monte gli strati degradano dalla parte opposta, o sono anclie orizzontali. A Gorga ricomparisce un ul- timo lembo di terreno eocenico in questa sezione. La grande sinclinale da Gorga a Ferentino, nel cui mezzo scorre il fiume Sacco, è divisa subordinatamente in tre anticlinali e tre pic- cole sinclinali, aventi direzioni eguali. Le tre anticlinali sono : Cima del Monte; Sgurgola con una faglia; Macchia di Sgurgola con alcra faglia. Le tre sinclinali sono: Gorga; tra Sgurgola e i Moroni; tra la Macchia di Sgurgola e Ferentino. Regione vulcanica Patrica-Ticchiena. — Tra Ferentino e Fro- sinone, nella tenuta di Ticchiena, sotto il Monte Radicino è una regione coperta di tufo stratificato compatto e terroso, il quale tanto verso Fre- sinone alla regione detta la Selva, quanto verso Alatri sotto il Monte Caprara, appoggia sulle arenarie eoceniche. Gli strati di questo tufo hanno varie inclinazioni, ed è perciò dif- fìcile di concludere dal complesso della formazione se realmente questo tufo di Ticchiena formi un cono vulcanico. E frattanto certo che la inclinazione predominante dei suoi strati è verso il fiume Sacco, ma si noti che anche la base, su cui essi ap- poggiano, ha la stessa pendenza. Vari affioramenti di lava sono in questo tufo. Uno notevole ed importante va lungo il fosso, che lo separa dal Monte Radicino, e taglia nella sua prosecuzione la strada rotabile Ferentino-Frosìnone. Le divisioni e stratificazioni di questa lava accennano bensì che la colata doveva scendere verso il fiume Sacco; ma io credo che se anche la corrente fosse stata contraria, le stratificazioni potevano es- sere le medesime, se si ammette, come è possibile, che la lava, prima di consolidarsi, abbia subito un rigurgito per parte dei terreni, cal- cari o arenarie, che fecero barriera alla sua espansione. Se infatti questa lava fosse stata espansa dal fiume Sacco verso Ticchiena, ove la valle salisce, e dovea salire anche al tempo dell’eruzione, la lava, prima di consolidarsi, dovea necessariamente retrocedere da Ticchiena verso il Sacco. ^Passando da Ticchiena verso il fiume Sacco troviamo una col- lina, detta la Selva dei Muli, la quale è costruita, tutta, di tufo com- patto (peperino), scorie e lapilli, e la sua forma è quella di un cono. La massa più potente di tufo in questa regione è quella che si - 19 — estende per quasi 8 chilometri alla destra del Sacco. Questo tufo quasi sempre compatto incomincia poco a S.E di Morolo, e passando sotto Supino e Patrica continua fino alla collina di Callame, colmando tutto quel tratto, che va dai piedi dei Monti Lepini fino al fiume Sacco. Esso si interna nella gola di Supino, ove raggiunge la quota di 500 metri, appiccicandosi sulla falda N.E del Monte G-emma ; entra nel vallone, detto la Macchia Piana, e si appoggia sulla costiera di quei- rameno promontorio, alla quota di 400 metri, su cui sorge il paese di Patrica. Benché la pendenza di questo tufo sia variabile, tuttavia si può dire che essa è in generale verso N.E. Sulla costiera di Patrica la pendenza è di 20° verso S.80°E, ma in questo medesimo senso si dirige il fosso, entro il quale si è accumulata la maggior parte del peperino; per cui si può asserire che, almeno in via approssimativa gli strati del tufo seguono l’orografia del terreno, sul quale esso si è depositato. Da que- sti dati io non ritengo si possa concludere che l’eruzione del peperino ebbe luogo dalla parte dei Monti Lepini ; se essa fosse avvenuta da qualche cratere, ora scomparso, e situato in vicinanza del fiume Sacco, l’espansione si sarebbe effettuata tanto a destra quanto a sinistra, vale a dire verso i Lepini e verso Ticchiena e Selva dei Muli. Dai tufi di Patrica e Morolo affiorano delle lave. Quella di Mo- rolo, che confina con Supino, ha un’ estensione di circa 600 metri, e appoggia sul calcare cretaceo del colle Piazza Marotta; la lava di Patrica è pure appoggiata sul Cretaceo e affiora nella regione detta la Macchia Piana. I tufi di Morolo, Supino, Patrica, Callame, Selva dei Muli e Tic- chiena formano s/4 di un circolo, la quarta parte del quale è chiusa dalle arenarie e dai calcari di Ferentino. II mezzo di questo circolo, più depresso della sua circonferenza, è colmato di travertino e terreno alluvionale. Forse la disposizione di questi tufi a guisa di anfiteatro potrebbe farci indurre a credere che l’eruzione principale fosse avvenuta in vi- cinanza del fiume Sacco. Ma ripeto che tutte le pendenze di codesti tufi sono rivolte verso questo centro, fortunatamente la notevole ero- sione, che cancellò tutto l’apparecchio vulcanico, e che nelle grandi masse di peperino incise dei burroni profondissimi, soccorre anche qui l’idea che l’eruzione di questi tufi e delle lave deve essere antica quanto quella o quelle, che si sono osservate nella regione vulcanica di Ceccano. Ad argomentare dalle grandi masse di peperino e tufo in gene- rale, che si osservano nella regione vulcanica Patrica-Ticchiena, vien - 2 ) — fatto subito di pensare che la valle del Sacco dovea essere qui ostruita all’epoca postpliocenica, e che per conseguenza le acque dei monti Simbruini e Prenestini doveano necessariamente avere sfogo dalla parte opposta, cioè verso Roma, quando i Vulcani Laziali o non esistevano ancora, o non aveano ancora deposto il loro ricco materiale tufaceo fra Artena e Pales trina. Lava di Tìcchìena. — Questa lava è una leucotefrite. E costituita di magnetite , pirosseno e leucite in cristalli porfìrici, e magnetite , piros- seno e feldisjpato microlitico come massa fondamentale. La magnetite , come nelle lave della regione precedente, è in piccoli e grandi cristalli isometrici. Circa alla sua formazione è certo che essa rappresenta la prima separazione del magma, ma che continuò ancora fino alla completa consolidazione della roccia. Ciò si deduce con sufficiente attendibilità dalla formazione del pirosseno. I cristalli jporfirici del pirosseno hanno, tutti, struttura zonata, ed anzi riccamente zonata, e caratteristica di questa lava. Il pirosseno è quasi sempre più o meno dicroico, e cioè: a (np) = giallo-paglia (nm) fi 7 (ng) = verde oliva-verde prato. Le zonature del pirosseno sono alternativamente ora più ora meno colorate. Al nucleo colorato e dicroico segue una zona sbiadita e non dicroica, indi una verde e dicroica, e così via. Le qui unite figure fanno vedere l’angolo 7 : c di estinzione nella faccia (010) delle diverse zone costituenti il pirosseno, il quale aumenta da 88° a 56 a a misura che aumenta l’intensità della co- lorazione. In quanto a quest’ ultima noi sap- piamo che essa deriva tanto da un tenore di ferro in forma di sale ferrico, quanto anche da un tenore in soda , laddove l’an- golo di 56° è dovuto alla quantità conside- revole dei sesquiossidi. In quanto alle in- clusioni nel pirosseno, queste sono quasi esclusivamente di magnetite, le quali sono distribuite per zone. Di regola, ad una zona di debole colorazione seguono nu- merose inclusioni di magnetite, e ad una zona di colorazione più intensa seguono poche inclusioni di magne- c. — 21 - Fig. 2\ tite. Queste osservazioni ci mettono sulla via di poter ritenere die la mag- giore o minore intensità del colore verde e della dicroicità siano veramente dovute al ferro. Più magnetite cristallizzava dal ma- gma, e meno ferro entrava nella com- posizione del pirosseno, e quindi questo riusciva meno colorato ; e inversamente più ferro entrava nel pirosseno, e si for- mava su di questo una zona più colorata. Le combinazioni, cbe si osservano nei cristalli del pirosseno, sono : (001), (100), (010), (110), (0210, (101), (102) e 201). Le numerose zone del pirosseno nella lava di Ticchiena presentano anche un certo interesse dal punto di vista delle costanti ottiche, ed ecco ora le misure da me fatte *, con l’angolo degli assi ottici calcolato con la formola di GL Bart alini. I numeri romani si riferiscono alle zone di un pirosseno come nella qui unita figura 2. I) a = 1,675 A- 1,681 T = 1,704 2 Y = 59°, 2’ 7:0 = 38’ II) a = 1,678 |.= 1,685 T = 1,707 2 V = 59°, 48’ 7 : c = 51° III) a = 1,680 P = 1,687 j = 1,709 2 Y = 60°, 15' 7 : 0 = 56° Anche i microliti di pirosseno allungati secondo lo spigolo [001] aventi le combinazioni (001), (100), (010), (110), ed al più anche (201), sono pure ma debolmente polieroici : a = giallo-chiaro, p = 7 = verde oliva chiaro, e l’angolo di estinzione nell’angolo ottuso p: 7 : c = 43° — 50c. Questi microliti non sono zonati, od al più hanno una sola zona esterna più verde del nucleo. 1 C. Viola, Metodo per determinare Vindice di rifrazione della luce di un minerale nelle lamine sottili (Rend. R. Accad. dei Lincei, Voi. V, 1 sera., 5a serie, fase. 6). — Roma, 1896. — 22 — La separazione della magnetite ebbe dunque luogo anche durante la espansione della lava, ma fu rispettivamente piccola durante la cri- stallizzazione dei microliti pirossenici. Le caratteristiche inclusioni di pirosseno e apatite nella leucite , la piccola rifrangenza di questa, le sue anomalie ottiche, le gemina- zioni polisintetiche regolari, sono sufficienti per decidere con sicu- rezza della presenza di questo minerale. In quanto alla sua comparsa nel tempo che intercede fra la cri- stallizzazione dei microliti di pirosseno e di quelli di feldispato, io credo sia dubbia. Non vi è alcun fatto positivo inteso a dare a questa supposizione un peso attendibile. Le leuciti sono sempre circondate e in- volte da microliti di pirosseno e feldispato e da cristallini di magnetite. I piccoli microliti di feldispato circondanti e avvolgenti i cristalli di leucite e pirosseno, costituiscono, come si disse, con i microliti di pirosseno e con i pochi cristallini isometrici di magnetite, la massa fondamentale. Le sezioni sottili allungate del feldispato appartenenti alla zona [100] presentano debole birifrangenza. Le geminazioni sono secondo la legge di Karlsbad e Falbitica. Per la determinazione dei microliti feldispatici ho fatto numerose misure degli angoli di estinzione e di eguale illuminazione minima sulle geminazioni albitiche, di cui nel presente quadro sono riunite solo le più importanti : Angolo d’estinzione a' : [001] Angolo minimo d’eguale illum. Angolo d’estinzione a' : [001] + 5° 27° — 47* + 31 6 — 80 + 38 7 — 66 + 19 X - 74 + 67 14 - 90 + 11 v* II* — 42 + 5 y2 — 38 più due geminati con birifrangenza quasi nulla, vale a dire con un asse ottico di geminazione (Federow) \ E evidente che queste cifre sono compatibili sufficientemente con le proprietà ottiche dell ’anortite pura. 1 Tsclierm.dk? s Miner. Mitili., XII, 1893, pag. 408. - 23 — La presenza di questo plagioclasio è non solo dimostrata, ma è altresì escluso qualsiasi altro feldispato più acido di Ab3 An4, poiché se per alcune sezioni le dette tre cifre corrispondono contemporanea- mente anche per quest’ultimo, esse non sono assolutamente compati- bili per un feldispato avente in proporzione maggiore quantità di Ab. La roccia contiene anche cristalli irregolarmente limitati di sa - nidina (come accenna lo stesso Branco1) e un feldispato plagiotomo senza contorni cristallografici propri, inserito fra gli interstizi lasciati dagli altri elementi (leucite e pirosseno). Questo feldispato per lunghe estensioni conserva la stessa orien- tazione ottica, e non lascia scorgere alcuna struttura zonata. Di più, esso occupa spesso il posto di parecchi cristalli di leucite con gli stessi contorni di quest’ultima, e sempre con orientazione ottica co- stante attraverso i singoli indivìdui di leucite, sicché, osservata una preparazione con un solo Nicol o con luce non polarizzata, il feldi- spato sembra leucite. In quanto all’indice di rifrazione medio per la luce, lo ho determinato variabile intorno alla cifra 1,55. A causa delle poche geminazioni, e in mancanza di sezioni perpendicolari a a (np ) e 7 (ng ), non ho potuto rendermi conto della vera costituzione di questo feldispato. Ma però, determinato nelle lave di Morolo e di Pa- trica, le quali presentano l’analogo fenomeno, mi sono accertato che esso varia tra Ab7 Ane e Ab2 An3. E qui si apre naturalmente e necessariamente una discussione sulla provenienza di codesto plagioclasio. Che esso sia di natura secondaria non vi è alcun carattere fìsio- grafìco per metterlo in dubbio un solo momento. Basterebbe a ciò il trovarsi nella roccia come cemento, se la pseudomorfosi nella leucite non fosse già un argomento esauriente. Si deve poi, e principalmente, tener conto che il rapporto tra Na e Ca varia in modo notevole nei diversi feldispati secondari. Non è che io intenda di portare qualcosa di nuovo in petrografia riferendo il fenomeno del plagioclasio secondario o rigenerato, osser- vato da me nelle lave degli Ernici. La instabilità della leucite è nota da gran tempo, e il fenomeno della pseudomorfosi della sanidina e dell’analcime nella leucite è altrettanto vecchio quanto la conoscenza delle roccie metamorfìzzate dell’alto Wiesenthal nell’Erzgebirge. Fu già supposto da Naumann e Blum, e dimostrato chimicamente e mi- croscopicamente dal diligente osservatore A. Sauer. Op. cit. — 24 — Ultimamente studiò lo stesso fenomeno A. Michel-Lévy nelle leu- cotefriti del Culm du Màconnais. E altre osservazioni furono fatte sullo stesso fenomeno di metamorfismo 1. Inoltre A. Michel-Lévy, questo caposcuola della petrografia moderna, indicò pure la divisione della leucite sodica in albite e nefelina. Ma la bibliografìa non parla di rigenerazione di feldispati sodico-calcici nelle lave leucitiche. Il tema stesso quindi richiede che se ne faccia qui una breve discussione. Con la guida di A. Michel-Lévy si potrebbe ammettere che la circolazione di acque sodico-calciche sia la sola causa della rigenera- zione dei feldispati osservati nelle lave degli Ernici. Una tale reazione sarebbe naturalmente possibile. Supponiamo infatti che una molecola di NTa20 e una di CaO agiscano sopra 4 molecole di leucite potas- sica; si otterrebbe una molecola di Ab2 An con 2 molecole di K20. Con ciò frattanto non sarebbe spiegato il fatto che i feldispati se- condari oscillano notevolmente fra Ab2 An3 ed An. Là dove il feldispato secondario non è pseudomorfosi nella leu- cite, può benissimo essere la rigenerazione dai feldispati microliti, con l’intervento del contatto con il pirosseno. Prendiamo infatti un pla- gioclasio mAb+nAn ed x molecole del pirosseno costituite così : Ca Al2 Si 06; potremo supporre la seguente reazione: m Na Al Si3 08 -f- n CaAl2Si20, 4- x CaAl2Si206 -h x 02 = m Na Al Si3 Os 4- (n + x) Ca Al2 Si2 Os. E avremo per risultato un plagioclasio più basico, e un piros- 1 Naumann (Neues Jahrbuch f. Min., efcc., 1350, pag. 61). A. Sauer, Roccie metamorfìzzate dell' alto Wiesenthal nell’ Erzgebirge . (Zeitschrift d. d. geol. Gesell., 1885, pag. 441-465). Kunz, Sienite nefelinica e leueitofiri di Magnet Cove (American Journal of Science, 1886, XXXI, pag. 74). Fr. Williams, Annual Report of Arcansas, 1891. Hussak, Leueitofiri della Serra de Lingua , Brasile (Neues Jahrbuch f. Min., etc., 1892, II, 151). A. Lacroix, Sanidinite a leucite nelle bombe del Monte Somma ( Les en- claves des roches volcaniques, Macon, 1893, pag. 457). A. Michel-Lévy, Leucotefrite a pirosseno della base del Culm du Mà- connais (Bull, des Services de la Carte géologique de la France, etc., n. 45, VII, 1895-96). Anche il collega ing. V. Sabatini ha comunicato per le lave laziali, all’ adu- dunanza della Società geologica italiana tenuta quest’anno in Roma, lo stesso fenomeno che io ho osservato nelle lave degli Ernici. (Vedi Boll. Soc.geol.it, Voi. XV, fase. 1°, 1896). — 25 — seno più povero di calce, poiché la molecola Ca Al2 Si2 06 è passata nel feldispato. E inoltre facile verificare che questa trasformazione si effettua per modo che la legge di Becke 1 sulle metamorfosi dina- miche è pienamente soddisfatta. La pseudomorfosi dei feldispati basici e diversamente basici nelle leuciti, come si osserva nelle lave di Ticchi ena e nelle ]eucititi degli Ernici, non è spiegabile semplicemente con Y intervento di acque so- dico-calciche sulle leuciti; ripiego questo abbastanza artificioso, poiché non è probabile che acque circolino entro roccie fresche e compatte. Reazioni simili si possono ammettere per roccie molto alterate o sulle superfìcie esterne o in vicinanze delle fenditure. Io perciò ritengo che sia semplicemente l’azione del pirosseno sulla leucite la causa fondamentale del fenomeno di cui qui -si tratta. Le leuciti sono ricche di inclusioni di pirosseno e apatite, e si trovano sempre in contatto con i cristalli di pirosseno. I cristalli di pirosseno sono molto consumati in contiguità delle leuciti con depositi ora più, ora meno abbondanti di ossido di ferro e di calcite. Il fatto molto caratteristico che la calcite tiene spesso il posto del pirosseno fa ritenere questo ricco di calce 2. Già nelle precedenti lave ho fatto notare che la mica nera fa pure la parte di cemento, volendo con ciò attribuire anche a questo minerale la sua origine secondaria più che primaria dell’ultima con- solidazione, benché, come è conosciuto, la mica è flessibile e quindi disposta ad adattarsi a riempire i vani degli altri elementi. Con queste considerazioni sarebbe un poco dubbioso di attribuirle la for- mazione secondaria. Per vedere in modo semplice in quale maniera la reazione del pirosseno sulla leucite possa aver luogo, e per avere un’idea se la reazione sia possibile, assumiamo solo la molecola di leucite, che con- 1 Fr. Becke, TJeber Beziehungen zwischen Dynamometamorphose und Mole - cular-Volumen (Kais. Akademie der Wiss. in Wien., Math.-phys. Cl., 1896, N. III). 2 S. Speciale dà 12,18 % di CaO per la lava di Giuliano e 11,66 % per la lava di Poh. (Vedi Atti R. Accad. dei . Lincei, 1879, fase. 6°, pag. 181). Il dott. A. Piccini, dà la seguente media costituzione di una augite del Lazio : Si02 = 50,81, CaO = 21,64, MgO = 18,16, FeO = 8,76. F-ea08==l,59 A1203 = 4,87, perdita al fuoco 0,85. Somma 98,68. (Vedi Atti R. Accad. dei Lincei, 1830, Serie III, Tr., Voi. IV, pag. 225). — 26 - tiene la soda, e solo quelle molecole del pirosseno, che si possono utilizzare per la cessione della calce e dell’ allumina. z Na Al Si2 06 -j- y rCa Fe Si2 06 + Ca Al2 Si 061 -j- y C02 leucite L pirosseno J = z Na Al Si3 08 -f y Ca Al2 Si2 08 -f- y Ca C03 -f- (y— z) Si Oa -f- y FèO plagioclasio calcite quarzo Si ottiene plagioclasio, calcite, quarzo e un ossido di ferro, che con l’ossigeno dell’aria passa poi in sesquiossido V La reazione ha luogo qualunque sia la proporzione tra la mole- cola di leucite contenente soda, e le molecole di pirosseno contenenti calce e allumina, purché y > z. Il plagioclasio secondario della forma Abz Any sarà più o meno basico, secondo la quantità di calce contenuta nel pirosseno. Il piros- seno che risulta con l’uscita della calce e del ferro, sarà quindi più ricco di magnesia, e questo pirosseno dà luogo alla formazione della clorite e anche della mica. Una reazione simile del pirosseno è lecita anche sulla leucite po- tassica, purché si consideri una molecola del pirosseno della forma Na2Si03 ovvero Na2FeSi2O0. Si otterrà dunque in ultima analisi dei plagioclasi con propor- zione variabile di Ca ed Na, della sanidina, della calcite, del sesquios- sido di ferro ed eventualmente del quarzo, della clorite e della mica, come precisamente si osserva nelle lave in questione. La somma dei volumi molecolari delle sostanze che entrano in reazione, compresa l’anidride carbonica, è evidentemente maggiore della somma dei volumi molecolari delle sostanze prodottesi; epperò questa trasformazione conferma la legge di Becke per la metamorfosi dina- mica delle roccie. E stata questa legge verificata da Becke per le roccie metamor- fiche in genere, escluso l’anfibolo derivante dal pirosseno, qnando in esso non si ammetta una molecola di idrogeno. Possiamo dunque sostenere che il processo sopra supposto per le lave degli Ernici va classificato come metamorfismo dinamico. Le leuciti e leucotefriti degli Ernici sono per queste ragioni roccie 1 Sento il dovere di esprimere qui i più vivi ringraziamenti al prof. Fr. Becke di Praga per i consigli datimi riguardo a questa trasformazione. — 27 — ora più, ora meno metamorfizzate per lavoro dinamico. È la pressione, la quale è sempre unita ad una diminuzione di volume della roccia sottopostavi, clie ha determinato questo lavoro \ Sarebbe ancora da vedersi se la epigenesi della leucite sia più estesa nelle lave inferiori e meno nelle lave superiori, dove la pres- sione è minore. Io spero che le osservazioni ulteriori mi diano modo di verificare quest’ultimo fatto. In quanto al quarzo secondario che comparisce nella reazione, questo si può osservare nelle fenditure delle lave. L’ordine di successione dei minerali di queste leucotefriti si vede schematicamente rappresentato nel seguente quadro: Minerali Massa fonda- porfìrici mentale 1 Qui riti trovo in dovere di rispondere ad alcuni geologi e mineralogi, i quali, sembra, si sieno divisi in due scuole; luna col principio che ogni pres- sione genera lavoro dinamico, l’altra sostenendo la tesi che si deve distin- guere in geologia la pressione statica dalla pressione dinamica delle roccie per il fatto della produzione di calore, la cui importanza pei processi chimici non si può porre in dubbio. La risposta che io posso dare a quelli di questa seconda scuola * è la se- * G. Spezia, La pressione nell’ azione dell'acqua sull' apofillite e sul vetro. (Atti della Accad reale delle Scienze di Torino, Voi. XXX, 1895). Lave di Morolo, Patrioa e Gallarne. — L’ olivina non è sempre con- tenata in queste lave. E abbondante in quella di Callame, è scarsa in quella di Patrica, e nella parte inferiore della colata di Morolo manca affatto. Leucite e pirosseno sono invece di caratteri eguali ed egualmente sviluppati in queste lave. Onde è che tanto la leucitite di Morolo quanto il leucobasalto di Patrica e Callame potranno essere esami- nati qui contemporaneamente. I componenti essenziali di queste lave sono: magnetite, pirosseno , leucite con o senza olivina; secondarii: plagioclasio, sanidina, mica nera, calcite e oligisto. La magnetite non abbondante è, come al solito, in tutte le lave degli Ernici in piccoli cristalli isometrici inclusi negli altri elementi, e distribuiti uniformemente nella massa. L 'olivina in grandi cristalli automorfi è, per la sua forte bi-e mo- no-rifrangenza, le sfaldature irregolari e le proprietà ottiche, facilmente riconoscibile. E quasi sempre alterata, ed i suoi contorni esterni e interni contigui alle sfaldature irregolari sono ricoperti di ossido di ferro. E povera di inclusioni, fra le quali si può annoverare solo la magnetite. II pirosseno della serie Diopside-Hedenbergite (Tschermak) si trova in grandi e piccoli cristalli; quelli raggiungono alcuni mm. di lun- ghezza ; questi di forma microlitica, allungati nello spigolo [001] sono microscopici di 0,001 mm. di lunghezza. Fra queste due grandezze estreme vi è, si può dire, un passaggio graduale. Onde è probabile che il pirosseno abbia incominciato a cristallizzarsi nel periodo in- tratellurico, e abbia continuato fino all’ultima separazione del magma, che, come vedremo, è la leucite. I caratteri ottici di questo pirosseno sono identici a quelli già riferiti del pirosseno di S. Marco e di Ticchiena. guente : Ogni pressione esercitata su corpi, che noi conosciamo, siano essi roccie, metalli, ecc., ha per effetto una deformazione, quindi è causa di lavoro e calore. E poiché non si conoscono corpi rigidi facenti parte della crosta terrestre, così viene da se che in geologia è inutile, ed è anzi dannosa la distinzione tra pressione statica e spressione dinamica. — .29 - I microliti del pirosseno hanno dato in media: T : cg 40° — 50". La leucite è in cristalli isometrici di 0,4 mm. fino a 0,005 mm. I piccoli microliti di pirosseno e i piccoli cristalli di leucite av- volgono e racchiudono se non dovunque, ma per la maggior parte, i cristalli di olivina e i cristalli più grandi di leucite e pirosseno. Leu- cite e pirosseno, e anche in parte magnetite, formano la cosidetta massa fondamentale. Accanto a questa se ne trova un’altra, che del pari funziona da cemento, la quale ha inclusioni di magnetite, piccoli cristalli di leu- cite e microliti di pirosseno (y: c =45°); deve quindi ritenersi come l’ultima formata. E il fenomeno che già si è presentato nelle altre lave (Ticchiena) degli Ernici. Avendo a disposizione numerose sezioni sottili, ho potuto studiare il plagioclasio più esattamente. Questo è inattaccabile dall’acido cloridrico, e la sua rifrangenza media oscilla intorno a 1,56. Vi si presentano geminazioni di due individui secondo la legge albitica, sulle quali ho osservato: Estinzione Eguale illuminazione a' : [001] Estinzione a': [001] + 8 19 + 16 8 + 6 7. 12 — 35 0 + 34 % Le molte sezioni di mica nera mi hanno deciso a fare una de- terminazione approssimativa dell’angolo degli assi ottici: 2 V = 30' circa. In queste lave è ancora più evidente la fìsiografìa secondaria di questa mica. Parlando delle altre lave, ho già osservato che la mica nera può essere la metamorfosi delle molecole di pirosseno, che re- stano liberate da quelle che contengono la calce, le quali entrano in reazione sulla molecola sodica della leucite. Ed ora possiamo senz’altro dare l’ordine di cristallizzazione dei minerali di queste leuciti con o senza olivina. — 80. — Minerali Massa Stando ai dati del Branco \ come appunto osserva Rosenbusch -, queste lave dovrebbero essere delle leucotefriti, o rispettivamente delle leucobasaniti, ma poiché il feldispato ivi è secondario, esse in realtà sono delle leucititi e di leucobasalti. III. Profilo Segni-Gavignauo-Anagni. Terreni sedimentari. — I calcari di Segni in cui si raccolgono fos- sili dell’epoca turoniana, i quali sono ancora in via di studio, pen- dono leggermente verso la valle del Sacco. Di faccia a Segni si pre- senta un isolotto tutt’intorno circondato da tufo, sopraelevato nella pianura di circa 200 m. Questo isolotto su cui sorge il piccolo e misero paesello di Gavi- gnano, è semplicemente la continuazione della montagna di Segni. Gli strati del calcare hanno infatti la stessa direzione con pen- denza più forte, che a Gavignano è di 70°-80’ verso N.E; i calcari sono bianchi, cristallini o compatti come quelli di Segni, solamente 1 Op. cit. 2 H. Rosenbusch, Physiographie der massigen Gesteine. II ediz., 1837, II voi., pag. 701. Boll del.R. Coinit. cfeol d Italia Anno 1896.Tav.I.( C. Viola) CARTA E SE ZlOJSfl GEOLOGICHE DEIJA. VALLE! DEL SACCO IN l’ROVTNCIA DL ROMA Scala per la Caria 1 200.000 id per le Sezioni 1 100. 000 ... ... o - • ■ , . . 1 lezione A.JS per .ie{>ju, (rmionano e Anaém. ‘11;..“ Sezione (L H per Lo Semprevisa ( nei AC'Lepmi ) Ferentino e Finitone ( iieóli Eniici J Morolo FSqcco Ferroria. Ren.VaUorie Fa'entuio Cmtarnn i Carene SERIE DEI TERRENI Cr 1 Urgoniano ■ radiatiti . con sfinitili e e? Calcari con resti di ru deste e pettini. e? Argille , calcari u, larnosi e t. Tufo vulcanico degli Et. l Ir. Travertino . q ? Tufo vulcanico dei colti Cr? Tt ironia /io c Gasavi cnsis mi Jlipp. cor/iu - vaccinum . >, gigante us ere . e? Calcari gialli grigi e bianchi cojr pettini, nummuliti, fbi'aminifer'eX coralli . echini , ecc. e ?. Arenarie e scisti argillosi . 1 . -Leuciti fi , trucotefriti e q? Conglomeralo . — C[? Alluvione recente . — 31 — sono sterili di fossili, od al più racchiudono poche e mal conservate rudiste. Questi calcari terminano al paese di GUvignano ; ad essi succedono degli strati di arenarie sempre concordanti agli strati calcarei, e con- servanti la stessa forte pendenza, indi dei conglomerati costituiti da ciottoli di calcare cretaceo e nummulitico, i quali si protraggono fino a Monte S. Giovanni di G-avignano, dove infine passano sotto al tufo della valle del Sacco. Da Monte S. Giovanni ad Anagni non si os- servano più terreni terziari, ma tufo dei Vulcani Laziali e travertino. Ad Anagni le arenarie, di cui si è già parlato, appoggiano con pen- denza forte ai calcari di Monte Pelato. Questo profilo mette in molta evidenza la sinclinale semplice della valle del Sacco, e fa un’altra volta vedere la concordanza del ter- reno terziario con i calcari cretacei. IV. Formazione della valle del Sacco. Hcll’epoca eocenica. — Il Branco 1 scrive: « La valle del Sacco, « nei dintorni di Valmontone è in diretta comunicazione colla Cam- « pagna romana, mentre all’ epoca terziaria dovea evidentemente « essere coperta dal mare. Sul fondo della lunga depressione, chiusa « tra l’ Appennino e i Monti Lepini, le acque del mare depositarono « calcari, arenarie, sabbie e argille. » Come si vede il Branco suppose che il terreno terziario (eocenico) si depositò allorché Appennino e Monti Lepini erano già formati (rialzati). Ma frattanto vi sono tre fatti essenziali, i quali non possono conci- liarsi con l’idea del Branco. Il primo è che tanto sui Lepini quanto sul- l’ Appennino si ritrovano gli stessi terreni eocenici della valle del Sacco ; il secondo è che i terreni terziari sono concordanti con gli strati superiori del Cretaceo, quelli e questi quasi raddrizzati a 70° e 80° come a Gravi- gnano, a Veroli, ecc. Il terzo fatto si basa sulla costituzione delle arena- rie, che, come è noto, sono composte di quarzo e mica. Anche i ciottoli di roccie cristalline intercalati nell’Eocene rappresentano una parte di quest’ultimo fatto, circa il quale si può domandare: donde vennero le sabbie di quarzo e mica, e i ciottoli rotolati di granito, porfido, ecc. ? Volendo accettare il modo di formazione suggeritoci dal Branco, 1 Op. cit. - 32 — bisognerebbe ammettere che gli elementi delle arenarie e dei conglo- merati eocenici fossero stati portati dal mare esterno, e deposti nella lunga depressione chiusa tra l’ Appennino ed i Monti Lepini, poiché terreni cristallini nè sull’ Appennino nè sui Lepini non esistono, nè esi- stettero mai. Ma questo fenomeno geologico non ha nessuna probabilità di es- sere. In primo luogo gli elementi dei conglomerati eocenici sono ro- tolati, e rappresentano perciò una formazione o di spiaggia del mare ovvero di fiume; dippoi nemmeno le sabbie quarzose grosse, le quali hanno dato luogo alla formazione delle arenarie eoceniche, non sono trasportabili da un mare alto. Inoltre si noti che arenarie, benché non molto potenti, coprivano anche le alte vette degli Ernici, i quali per conseguenza non doveano emergere dal mare eocenico. Io dico che 1’ ipotesi plausibile e capace di mettere in armonia i fatti osser- vati è semplicemente questa : le catene degli Ernici e dei Lepini non si sollevarono avanti la completa deposizione delle arenarie eoceniche. E se dal mare Tirreno si passa all’Adriatico, noi osserviamo che le arenarie vanno crescendo di potenza verso quest’ ultimo mare, e alle arenarie eoceniche succede il Miocene e quindi la grande forma- zione pliocenica. Questo crescendo in potenza della formazione terziaria da Ovest verso Est, non è facilmente spiegabile se non si imagina che il mare terziario andava aumentando di profondità dal Tirreno verso l’Adria- tico e che o a causa del sollevamento lento, ovvero del deposito, che si formava nel mare, la spiaggia andava ritirandosi verso 1’ oriente, mentre da occidente affluiva la massima quantità del materiale ne- cessario per le formazioni eocenica e miocenica. La catena cristal- lina tributaria di queste formazioni è appunto la Tirrenide già am- messa dal Savi, indi accettata nelle sue linee generali e discussa favo- revolmente da quanti geologi si occuparono della tettonica dell' Ap- pennino. Per restare nei limiti della questione noi dobbiamo ancora una volta affermare che per la formazione delle arenarie eoceniche della valle del Sacco, la Tirrenide dovea ancora emergere, e doveva essere libero il passo da quella catena a detta valle. Le grandi dislocazioni e i sollevamenti più accentuati avvennero dopo, e av- vennero in guisa da interessare contemporaneamente il Cretaceo e l’Eocene. Nell’epoca quaternaria. — Abbiamo sopra esaminato che i terreni terziari della valle del Sacco sono, tutti, eocenici, e veramente, date — 33 — le piccole nummuliti, che vi si rinvengono, e le globigerine, sono del piano medio dell’Eocene superiore. Non ho alcuna osservazione per provare che le arenarie, siano mioceniche e qualche terreno appartenga al Pliocene. Dall’ Eocene superiore si passa immediatamente a depo- siti quaternari di acqua dolce. Le lave e i tufi degli Ernici furono eruttati, quando l’erosione avea già tracciato in gran parte le linee generali delle valli e dei fiumi laterali, di guisa che è scorso un considerevole lasso di tempo dalla formazione della valle del Sacco alla comparsa dei vulcani. Ma anche dall’epoca dell’eruzione in qua è trascorso un tempo consi- derevole, dato lo sfacelo in cui si osservano oggi gli apparecchi dei detti vulcani, se si fa eccezione da quello di Pofì. Seguendo quest’ordine di idee, questo vulcano fu l’ultimo, e prime furono le eruzioni di Ticchiena, Patrica e Ceccano. Per l’età di questi vulcani è importante il fatto già notato dal Branco che lave e tufi non riposano mai su conglomerati quater- nari. Per avere un’idea del come si sia venuta a formare la valle del Sacco fino all’epoca quaternaria, dobbiamo innanzi tutto risalire col pensiero al momento, in cui il cono laziale non esisteva ancora. Le acque dei Monti Prenestini, di Segni, Gavignano, Sgurgola, Anagni e Ferentino si dirigevano verso l’attuale Campagna romana, ed erano- non solamente costrette di prendere quella direzione per la confor- mazione stessa della valle, ma bensì anche perchè questa era ostruita nella regione Ticchiena-Pratica dalle lave e dai tufi. Il fiume Cosa proveniente dalle montagne di Gfuarcino e di Collepardo era necessa- riamente obbligato di affluire dalla parte di Giuliano di Poma pel passo aperto tra il Monte Cacume e il Siserno, e gettarsi nella valle dell’ Amaseno, poiché la valle attuale del Sacco si trovava ostruita anche nella regione di Ceccano. Anche i tufi di Pofì chiudevano la valle verso Castro dei Volsci, sicché le acque di Fr osinone, Torrice e Pipi si trovarono costrette di passare sotto Castro dei Volsci, e col tributo di quelle di Vallecorsa gettarsi egualmente nell’ Amaseno. Io ritengo che i depositi di sabbie, che si osservano a Nord di Amaseno, siccome quelli presso Piperno e Fossa Nova non sarebbero altrimenti spiegabili. Forse le sabbie provenienti in questa maniera dal] a valle del Sacco rappresentano quel | materiale, che maggiormente contribuì all’ interramento della pianura 8 — 34 - che si estende a Nord di Piperno, e in parte anche delle Paludi Pontine. Solamente dopoché il ricco materiale eruttato dai vulcani la- ziali elevò la regione compresa fra Palestrina e Artena, il Sacco potè tracciare nelle sue linee generali il corso che ha attualmente. Lo spartiacqua, che separa la valle del Liri da quella del Sacco, raggiunge vette elevatissime: Mente Cotento (2014 metri) e Monte Viglio (2153) sopra Filettino, Monte Crepacuore (1997), Campo Catino (1987), Monte Monna (1951), Monte Prato (1806), Monte Ginepro (1971), Monte Passeggio (2082), Monte Pizzodeta (2087), Costa Comune (1862); ed è l’origine nella sua vicinanza di parecchie sorgenti e principio di fiumi notevoli, come l’Aniene, il Cosa di Guarcino, il fiume di Collepardo, l’Amaseno di Veroli. Il piovente che si diparte da questo spartiacqua, e diramandosi in vari contrafforti, finisce nella valle del Sacco, fa vedere nelle parti più piane dei conglomerati quaternari di potenza notevole. Accenno, per la valle del Sacco, ai conglomerati fra Alatri e Collepardo, fra Alatri e Frosinone e a quello fra Veroli e Castelliri. Co- desti conglomerati sono costituiti di calcari cristallini, calcari compatti, calcari marnosi, arenarie in piccoli e grandi blocchi, che raggiungono anche Va m* di diametro medio. Il conglomerato sotto Alatri, quello fra Alatri e Collepardo non possono provenire da altro luogo fuorché dalle montagne di Guarcino e Collepardo. I conglomerati sotto Veroli e tra Veroli e Castelliri vengono da quell’insieme di montagne formanti una specie di anfiteatro, il cui punto culminante è il Monte Passeggio. E tali montagne sono calcaree senza traccia di arenarie. Le arenarie della valle del Sacco, potentissime a Frosinone, Fe- rentino, Anagni, Paliano, ecc , si protraggono anche verso Alatri e Veroli, appoggiandosi concordantemente ai calcari, in alcuni punti dei quali ho rinvenuto delle piccole nummuliti. Ma esse sono sempre più basse di qualche parte dei conglomerati quaternari, che ho sopra ac- cennato. E vi sono fatti anche più sorprendenti, uno dei quali voglio subito riferire, benché torni un po’ estraneo a questa nota. La valle del fiume di Collepardo viene da Capo Fiume situato tra il Monte Passeggio e Campovano, montagne alte, scoscese, acci- dentate e ricche fornitrici di sorgenti fresche, limpide e leggiere. Questo fiume scava il suo letto entro burroni profondi; passando sotto l’Ab- 35 — badia di Trisulti e Collepardo, si getta nel fiume Cosa ad un chilo- metro a monte di Alatri. A destra e a sinistra del fiume di Collepardo il terreno soprae- levato di oltre 100 metri è spianato e coperto qua e là di tufo, terra rossa e argillosa. A destra questa specie di altipiano incomincia al- l’ Abbadia di Trisulti, e si estende fino a Vico. A sinistra esso è il principio della valle di San Nicola, e questa, congiungendosi con la valle di Prato di Campoli, forma la valle delFAmàseno di Yeroli, ricca d’acqua e scarsa di opifìci. San Nicola, da cui la valle prende il nome, è alla quota di 800 metri ; a sinistra si eleva il Monte Castello (1210 metri), e sopra questo incomincia la costa quasi piana de] Monte Passeggio, quindi Monte di Silvo Piano e Regione di Selva Piana. Il Monte Castello è tutto formato di conglomerato ad elementi grandi e piccoli, di arenarie e altre roccie, per lo più marnose, del- l’ Eocene. La posizione di questo conglomerato a 1000 metri circa sul mare, la sua costituzione in ciottoli grandi insieme con i piccoli e con sabbia e argilla, senza ordine nè stratificazione regolare, fanno pensare si tratti di una morena. ■ Ma, o conglomerato quaternario comune fluviatile, o morena, d’onde ne è venuto il materiale? Qui sta il punto, ed è a questo scopo che ho voluto riportare la osservazione in tutti i suoi particolari. Il materiale tanto di questo conglomerato quanto della maggior parte dei conglomerati nella valle del Sacco sopraddetti viene tutto dagli Ernici, ed è per siffatta ragione, che io sostengo che queste mon- tagne furono coperte dall’Eocene superiore arenaceo e marnoso, che oggi noi vediamo limitato esclusivamente alla valle del Sacco. Qui non è ancora il tempo di decidere se il conglomerato di San Nicola sia quaternario fluviatile o di ghiacciajo; occorre a tale intento di esaminare tutta la regione finitima dell’uno e dell’altro versante. Ma frattanto dall’esposizione fatta, considerando l’estensione dei con- glomerati quaternari nella valle del Sacco propriamente detta e dei suoi affluenti nelle regioni più alte, si viene a concludere che le mon- tagne degli Ernici molto più elevate di adesso potevano, nell’ epoca quaternaria, essere la sede di ghiacciai. Roma, febbraio 1896. - 86 — II. M. Cassetti. — Sulla costituzione geologica dei monti di Gaeta . I monti di cui trattasi sono quelli che scendono dal gruppo dei Monti Ausoni a formare il promontorio di Gaeta e precisamente quelli compresi tra il Mar Tirreno, la pianura di Fondi, il Santuario della Madonna della Civita ed il paese di Spigno Saturno. Sono compresi in gran parte nella tavoletta di Gaeta e in pic- cola parte in quella di Terracina della Carta topografica al 50000 dell’Istituto geografico militare. Essi formano in complesso un importante gruppo montuoso nel quale si notano alcune vette, che si elevano ad una considerevole al- tezza, come quella del Monte Petrella (metri 1533), del Monte Ruazzo (metri 1316), del Monte Revole (metri 1300) ed altre minori, dalle quali si domina, oltre che il sottostante golfo di Gaeta, un lungo tratto della costa tirrenica adiacente, e si scoprono, anche ad occhio nudo, le Isole Pontine, nonché Ventotene ed Ischia. In esso gruppo affiorano terreni secondari di varia struttura e di differente età, non che alcuni terreni terziari e quaternari. Le prime gite di ricognizione, eseguite durante la campagna geo- logica dell’anno 1895, avevano fatto sorgere il dubbio che una parte della roccia dolomitica affiorante nei monti in discorso, appartenesse al terreno triasico, in considerazione della vicinanza di essi col Monte Massico, dove il Trias è stato riconosciuto ; ma fatte più diligenti os- servazioni, coll’efficace concorso dell’ ing. L. Baldacci, si sono raccolti elementi sufficienti per stabilire che il terreno più antico del promon- torio di Gaeta appartiene all’epoca liasica e precisamente al Lias medio. Questo terreno abbraccia una superficie di non indifferente esten- sione, dappoiché comprende tutta la regione montuosa interposta tra il tratto di costa Sperlonga-Monte Cristo presso Gaeta e i monti Lauzo, Forca, Marano, Sant’Onofrio, Cefalo, Lauro e Rotondo. E rappresentato generalmente da calcari compatti, cristallini, ve- nati, a frattura irregolare e a tinta or grigio-chiara, or grigio- scura, disposti a piccoli banchi, il cui spessore varia da pochi centimetri a — 37 - qualche decimetro. Siffatti caratteri litologici però non sono comuni per tutta la estensione dell’affioramento, giacche vi s’incontra sovente la facies dolomitica, e in alcuni punti la roccia prende l’aspetto di vera dolomia, da confondersi facilmente colla dolomia triasica del Monte Massico. Il detto deposito liasico è ripiegato in vario senso, con ampie on- dulazioni, per modo che gli strati che lo costituiscono presentano di- versi cambiamenti d’inclinazione, formando in complesso una serie di pieghe che si riassumono in una sola vasta anticlinale. Lungo la costa però l’andamento dei calcari liasici non subisce che deboli per- turbazioni; ivi gli strati appariscono dolcemente rialzati dal lato del mare, pendono cioè di pochi gradi verso N.N.E, meno che a Sper- longa dove si piegano verso Ovest e al Monte Cristo dove inclinano in senso opposto ; così che guardando dal mare si vedono apparire, lungo la maggior parte della costa, le testate degli strati. La estesa formazione basica di Gaeta, mentre rimane scoperta nella costa tirrenica suindicata, è invece, nel rimanente suo peri- metro, ricoperta da terreni calcarei e dolomitici appartenenti a diversi piani del Cretaceo, dei quali parleremo in seguito. I calcari liasici in discorso contengono abbondanti esemplari di brachiopodi e, benché scarsamente, anche di gasteropodi. Fra i bra- chiopodi primeggiano le Terebratule. I gasteropodi sono general- mente di piccolissime dimensioni e molto mal conservati, in modo da non potere riconoscere nemmeno il genere a cui appartengono. Durante le nostre escursioni fu fatta una discreta raccolta di fos- sili, nella quale però il dott. Di Stefano, paleontologo dell’Ufficio geo- logico, ha potuto solo riconoscere le seguenti specie : Terebratula Rotzoana Ben. » Renieri Cat. Megaio dus sp. Vi riconobbe pure una valva di Rhynchonella , che finora non ha potuto determinare. I suindicati resti organici s’incontrano più o meno sovente nella località in esame, sempre però entro la roccia calcarea; in quella do- lomitica invece non mi è riuscito di trovarne; solo nella dolomia del Monte S. Magno sopra Sperlonga raccolsi un frammento di bivalve, però assolutamente indeterminabile. I fossili nei calcari sono molto abbondanti, specialmente al Monte — 33 — Erto presso Gaeta e alla Regione Le Yignole che sta al di là del Monte Dragone lungo la strada mulattiera Gaeta-Itri, nelle quali lo- calità furono principalmente raccolte le suindicate specie fossili. Dal lato N.E sui calcari liasici si appoggia, con debole discor- danza, una massa di dolomie e calcari dolomitici a grossi banchi, ge- neralmente bruni, cristallini, compatti, talvolta bianchi e allo stato polverulento. Questo complesso di strati dolomitici occupa anzitutto la estesa valle Formia-Itri e s’inoltra per un buon tratto nella valle successiva Itri-Fondi. Ivi la sua inclinazione è rivolta essenzialmente verso N.E, e la sua potenza oltrepassa in alcuni punti i metri 200. Lungo la sponda occidentale delle valli suddette la dolomia s’innalza fino alla cima dei Monti Lauro, Carbonaro, Yivola, Sant’Onofrio e Marano, e lungo la sponda opposta raggiunge invece una altezza limitata ed è ricoperta da calcari urgoniani. Un’altra massa di roccia dolomitica analoga alla precedente, ma di molto minore estensione, affiora al Monte Lauzo, al Monte Scia- vano, al Monte Cucco e a La Guardiola, appoggiata sui calcari lia- sici deha regione occidentale, e precisamente su quelli che s’inoltrano presso la pianura di Fondi. Gli strati di questo secondo deposito pen- dono invece ad O.N.O, hanno una potenza massima di 150 metri, e vanno ad immergersi sotto la pianura suddetta. Malgrado le più accurate ricerche non mi è riuscito di trovare il benché minimo avanzo organico nelle due masse calcareo-dolomitiche sopradescritte, quindi manca il sussidio paleontologico per potere sta- bilire la precisa epoca geologica alla quale esse debbono riferirsi; ep- però pel semplice fatto che i rispettivi depositi sono in discordanza con il sottostante terreno basico, mentre invece concordano perfetta- mente col superiore calcare urgoniano, e che per di più fra quelle e questo havvi un lento e graduale passaggio, io sono di parere di doverle ri- tenere come faciente parte del detto piano del Cretaceo inferiore, cioè dell’ Urgoniano, analogamente a quanto avviene nei monti del Ma- tese \ nel Monte Taburno e nel Monte Tifata presso Caserta 1 2 ed in altre località, e ciò fino a prova in contrario. 1 M. Cassetti, Appunti geologici sul Matese (Boll. R. Com. geol., 1898). 2 Idem, Osservazioni geologiche eseguite Vanno 1894 in alcune parti del- V Appennino meridionale (Boll. R. Com. geol., 1895). — 89 — Seguendo sempre 1’ ordine ascendente, troviamo che nella regione montuosa di cui trattasi, dal detto deposito calcareo-dolomitico si passa ad un esteso affioramento di calcari a Requienie, e perciò nrgoniani, non che ad alcuni limitati depositi di calcari contenenti esemplari di Gryphaea cfr. vesicularìs e Exogira Ratisbonensis, e ritenuti perciò ce- nomaniani. Questi due piani del Cretaceo si vedono con evidenza affiorare successivamente nella stessa località, sovrapposti l’ uno all’altro, sol- tanto nei monti che sorgono a N.O della regione basica e cioè nei monti Calvo, Forca e Rauto. Quivi essi pendono di 15° circa verso E.N.E e si appoggiano nella parte meridionale sui calcari liasici del versante settentrionale del Monte Ginestra e in quella orientale sui calcari dolomitici urgo- niani della valle Itri-Fondi, mentre nel rimanente si perdono sotto il deposito quaternario della pianura di Fondi, meno che per un pic- colo sprone in cui sono ricoperti dai calcari turoniani del piccolo colle detto il Monticchio. Nella detta località la distinzione di calcari urgoniani e di cal- cari cenomaniani è basata solo sul fatto che, mentre i calcari del Monte Rauto e quelli del versante orientale dei monti Calvo e Forca mostrano di quando in quando qualche esemplare di Re- quienia, salendo verso la cima di questi ultimi monti tale fossile di- viene mano mano più raro fino a sparire completamente per cedere il posto alla Exogira Ratisbonensis , la quale diviene abbondantissima alla cima del Monte Calvo. Del rimanente, i due citati piani del Cretaceo sono rappresentati da calcari con caratteri litologici assolutamente identici per tutta la rispettiva estensione, vale a dire sono tutti calcari semicristallini, compatti, a tinta grigio-chiara o grigio-scura ; e, stante la loro per- fetta concordanza di stratificazione, non è possibile tracciare una linea di demarcazione tra l’Urgoniano e il Cenomaniano, non potendo sta- bilire, nemmeno approssimativamente, il punto in cui finisce l’uno e incomincia l’altro. Ho detto che nei monti di Gaeta i calcari a Requienie sono molto estesi, mentre quelli a Gryphaea cfr. vesicularis sono assai limitati; difatti troviamo che i primi abbracciano una larga zona che contorna tutta la catena montuosa che s’innalza a Nord sopra Formia e che si pro- tende ad oriente fino a Spigno Saturno, e ad occidente fino al Monte Calvo, al Santuario della Madonna della Civita ed ai monti adia- — 40 - centi Grande e Lavigno sopra Itri, da cui scendono alla pianura di Fondi. Lungo la base del versante Formia-Spigno il calcare urgoniano è ricoperto dai terreni terziari e quaternari della costa adiacente, e nel versante opposto, cioè in quello che forma la valle Formia-Itri, non che in gran parte del versante contiguo sopra la valle Itri-Fondi, esso fa seguito alla massa calcareo-dolomitica sopra descritta. Sono altresì a mio avviso da ritenersi come appartenenti al piano Urgoniano, i calcari del Monte Rotondo presso il lago S. Puoto, a R.O di Sperlonga, che si sovrappongono ai calcari dolomitici urgo- niani del Monte Sciavano, non che quelli del Monte Lombone, del Colle e del Monte Rotondo, presso Gaeta, appoggiati ai calcari Fa- sici del Monte Cristo e del Monte Erto, e ciò per la loro perfetta ana- logia litologica con i calcari urgoniani sopra descritti, e malgrado che la presenza in essi delle Requienie non sia assolutamente accertata. I calcari nei quali si mostrano le Ostreidi si presentano solo in due località e formano due limitati depositi distinti e separati l’uno dall’altro II primo comprende gli strati interiori del Monte Orlando, che forma il piccolo promontorio di Gaeta, da dove per mezzo dell’istmo omonimo si prolunga nella valle che separa il Monte Rotondo dal Monte di Sant’Agata, e quindi fanno seguito ai calcari urgoniani del Monte Lombone, del Colle e del Monte Rotondo ora citati. Il secondo è quello sopraccennato, che affiora al Monte Calvo, ad Est di Fondi, insieme ai sottostanti calcari a Requienie. Le Requienie, o meglio le piccole Toucasie raccolte nel calcare urgoniano non sono determinabili : fra i tossili del calcare cenoma- niano il dott. Di Stefano ha determinato le due specie seguenti: Gryphaea cfr. vesicularis Lmk. sp. Exogira Ratisbonensis Schloth. — E. columba Lmk. sp. Il piano Turoniano, che pur esso s’incontra nei monti di Gaeta, presenta, come l’Urgoniano, una non indifferente estensione, rima- nendo appoggiato in gran parte sui calcari a Requienie ed in pic- cola parte su quelli a Gryphaea cfr. vesicularis. Lo troviamo altresì addossato direttamente ai calcari liasici. Il passaggio dal piano Urgoniano o Cenomaniano a quello Turo- niano non è assolutamente netto, ma è graduale tanto litologicamente quanto paleontologicamente. Ed in effetto, mentre la massa principale dei due primi piani cretacei suddetti è costituita di calcari grigi, se- — 41 — micristallini, compatti con venature di spato calcare, mano mano che ci avviciniamo al contatto col Turoniano il calcare cambia a poco a poco d’aspetto e diviene bianco, meno compatto e in alcuni punti del tutto tenero. Nel medesimo tempo si avverte la graduale sparizione delle Requienie o della Gryphaea cfr. vesicularis e la comparsa delle Rudiste. Il nucleo principale dei calcari turoniani occupa gli strati supe- riori della catena montuosa a Nord sopra Formia, dove s’innalza fino alle più alte cime di essa, disposto a guisa di mantello sui sottostanti strati di calcari urgoniani. Esso si estende dai monti Ruazzo e Orso sopra Itri al Piano Terruto sopra Formia ed ai monti Anduino, S. Angelo e Petrella sopra Spigno Saturno. Questi calcari hanno una fauna assai povera e mostrano soltanto, molto raramente, qualche esemplare d’ippurite indeterminabile. La tettonica dei due suindicati piani del Cretaceo nella detta ca- tena montuosa si presenta di una singolare semplicità; difatti, sa- lendo il versante occidentale dei monti Orso e Ruazzo per proseguire verso Spigno Saturno, traversando i monti intermedi, si osserva che gli strati pendono costantemente verso Nord-Est di 20° circa, fino al Monte Petrella; e solo partendo da questo monte per discendere il versante di Spigno, la pendenza cambia gradatamente fino a disporsi circa in senso normale alla precedente, cioè verso Nord-Ovest senza dar luogo a frattura di sorta. E chiara quindi la esistenza di un sem- plice leggero ripiegamento di strati, o per meglio dire, di una dolce sinclinale. Il calcare turoniano affiora altresì al Monte Conca, che sorge tra Gaeta e Formia, appoggiato direttamente sul calcare liasico del versante orientale del Monte Lauro. E un calcare bianco-grigio a grossi banchi, sufficientemente fossilifero. La sua potenza supera di poco i metri 100 e i suoi strati pendono di 20° a Sud-Est cioè verso il mare, epperciò in evidente discordanza col sottostante calcare liasico, i cui strati inclinano a Nord-Est. Un altro lembo di calcare turoniano analogo a quello del Monte Conca abbraccia la piccola catena di colline che s’innalza sulla spiaggia su cui è fabbricato il Borgo di Gaeta, e che si compone del piccolo colle sulla cui cima sorge il diruto convento di S. Spirito, del Monte Rotondo, del Monte di S. Agata e dei due piccoli colli attaccati, sui quali stanno il convento dei’ Cappuccini e la Torre Atrantina. - 42 — Questo lembo Fig. 1 .a fa m o £ di calcari turoniani si appoggia sui calcari liasici del Monte Dragone e sui calcari a Ostreidi del Monte Lombone e del Colle dal lato occidentale; dal lato opposto è ricoperto dalla panchina quaternaria del Borgo di Gaeta. ! A mio modo di vedere, vanno pure | riferiti al piano Turoniano gli strati su- g periori dei calcari che costituiscono il jg Monte Orlando sopra Gaeta, quelli cioè | che sovrastano gli strati calcarei a Ostreidi, ? per la ragione che nei detti strati supe- g riori questi fossili mancano completamente e o ^ vi troviamo invece abbondanza di Ippuriti. ^ | Oltre a ciò, cambia leggermente la strut- i. ® tura della roccia ; essa si presenta cioè meno cristallina e molto più tenera. I fossili sono piuttosto abbondanti nei suddescritti calcari turoniani, e in parti- colare le Sferuliti ; ma degli esemplari rac - colti il dottor Di Stefano non ha potuto ricavare gli elementi necessari per la de- terminazione delle specie. Finalmente sono da collocarsi nel piano Turoniano i calcari che costituiscono il pic- colo colle detto il Monticchio e le due pic- cole colline lì presso, che formano le ultime alture della parte occidentale dei monti di Gaeta, quelle cioè adiacenti alla pianura di Fondi. Anche qui la roccia calcarea mo- stra non rare impronte di Sudiste, però in condizioni da non permetterne la determi- nazione specifica nemmeno in modo appros- simativo. Sono notevoli le copiose sorgenti d’a- cqua potabile che scaturiscono lungo la li- nea occidentale di base del descritto gruppo montuoso, le quali unite a quelle, altret- tanto copiose, provenienti dai monti a Nord o e e o ci Ph 2 c3 a, - 43 — sopra Fondi, una volta inondavano la massima parte delia estesa ed importante pianura sottostante a questa città, in modo da renderla un grande stagno, ed ora, in seguito ai rilevanti lavori di bonifica fattivi dal Governo, sono convenientemente incanalate fino al mare. Le masse dei terreni cretacei dei monti di Gaeta stanno rispetto alle masse del sottostante terreno liasico a guisa di contrafforti, spe- cialmente nei due lati orientale ed occidentale, cioè dalla parte che guarda il golfo di Gaeta e da quella che guarda la pianura di Fondi ; per modo che la loro disposizione o per meglio dire la tettonica com- plessiva del gruppo è presso a poco rappresentata dalla fìg. la, qui con- tro, la quale partendo dalla pianura di Fondi passa pel Monte Calvo, per la regione Le Yignole e va alla Torre d’ Orlando sopra Gaeta ; essa mette in rilievo la posizione stratigrafica dei calcari cretacei del colle detto Monticchio e del Monte Calvo da una parte e quelli del Monte Eotondo e della Torre d’Orlando da un’altra, rispetto alla formazione basica intermedia. La fìg. 2a rappresenta poi la relazione esistente tra il Lias e tutta Fig. 2 a. Sezione attraverso la Valle Formia-It'ri. M. Carbonaro P. Terruto 499 910 (Scala di 1 a 100 000 per le lunghezze, doppia per le altezze). la serie cretacea sovraincombente, insieme alla massa calcarea dolomi- tica intermedia. L’èra terziaria nel gruppo montuoso di Gaeta é rappresentata dal- l’Eocene e dal Miocene. Il primo comprende una larga zona di scisti argillosi ed arenacei, non che alcuni più o meno potenti ed estesi depositi di puddinga fortemente cementata. Questi due terreni eoce- nici affiorano lungo la costa Formia-Minturno, addossati alle testate degli strati dei calcari cretacei di questo versante; essi dal lato di - 44 — ponente s’inoltrano fin sotto l’abitato di Formia e dal lato opposto raggiungono il torrente Ausente, da dove risalgono per costituire una gran parte dei territori di Castelforte e di Ausonia. Gli scisti hanno un andamento irregolare, vale a dire una strati- ficazione rotta e contorta in vario senso, quale generalmente la pre- sentano gli analoghi depositi di molte altre regioni appenniniche. Le puddinghe al contrario presentano una giacitura molto rego- lare; sono disposte a banchi più o meno grossi con debole pendenza verso ponente e sono superiori agli scisti. Esse costituiscono delle elevazioni di qualche importanza, come il Monte Campese sotto Maranola, il Monte di Castellonorato e il Monte Scavori che si protende in mare, non che le diverse colline dei din- torni di Minturno. Troviamo poi un piccolo deposito eocenico isolato, costituito di scisti argillosi, marnosi ed arenacei, nella valle occidentale adiacente al Monte di Mola e precisamente presso la Cappella di S. M. La Noce; ed un’ altro pure isolato e formato delle medesime roccie, nella Valle S. Andrea, sotto il Santuario della Madonna della Civita, entrambi appoggiati in discordanza sui calcari dolomitici urgoniani e che danno luogo a delle piccole sorgenti di acqua potabile. Il terreno miocenico invece s’ incontra in tre soli limitati affio- ramenti ed è rappresentato da depositi di argilla azzurra con inter- calazioni di lenti di gesso cristallino. Detti affioramenti si trovano, uno alle falde orientali del Monte di Mola sopra Formia e gli altri due presso il Colle Penitro ad Est di Castellonorato, sovrapposti in- differentemente ora agli scisti, ora alle puddinghe dell’ Eocene. In entrambe queste località l’argilla viene scavata per la fabbricazione dei laterizi. Nè gli scisti e le puddinghe dell’Eocene, nè le argille azzurre del Miocene contengono avanzi di resti organici ; sicché la determinazione della rispettiva età geologica è esclusivamente basata sui caratteri litologici e stratigrafìci e sulla loro analogia con terreni simili di altre località. Merita di essere qui citata una piccola faglia nettamente visibile, tra i calcari cretacei del Monte di Mola e i terreni terziari che affiorano alla base del suo versante orientale, quelli cioè che da Maranola scen- dono a Formia. Ivi gli strati dei suddetti calcari si mostrano tagliati a picco presentando una faccia assolutamente liscia in direzione presso a poco da Nord Est a Sud-Ovest, cioè quasi nel senso normale alla - 45 - direzione degli strati; ed è appunto contro questa faccia che si vedono addossati successivamente gli scisti e le puddinghe eoceniche non che le argille gessose mioceniche, presso a poco come viene indicato nel- l'unita fig. 3\ Fig. 3? Seziona dal Monte di Mola alla spiaggia N.E di Formia M. di Mola .§ Spiaggia 495 di Formia N.O ì S.E UrgJ Calcari a Requienie ( Urgoniano) — EsJ Scisti argillosi (Eocene) — EpJ Puddinghe (Eocene) Ma) Argille azzurre (Miocene) — G ) Lenti di gesso intercalate nelle argille azzurre — Tufo giallo (Quaternario) — qT) Tufi e detriti (Quaternario). (Scala di 1 a 25 000). Finalmente Tepoca quaternaria è rappresentata : 1° Da due piccoli depositi di tufo sabbioso giallo, quasi sciolto, misto a ciottoli più o meno grossi e arrotondati, i quali depositi affio- rano presso l’abitato di Formia, uno a levante appoggiato sulle ar- gille gessose e l’altro a ponente addossato direttamente sui calcari cretacei. 2° Da depositi alluvionali antichi e recenti, dei quali il più esteso è quello che forma la grande pianura di Fondi; viene poi quello che abbraccia il dolce pendio che dal Monte Campese e dal Monte di Castellonorato scende al mare tra Formia e il Monte Sca- vori, ed altri di poca importanza, che occupano le basse valli ed al- cuni piccoli tratti di spiaggia marina. 3° Da alcuni lembi di detriti di falda, dei quali il più notevole è quello che sta alla base delle ripide pendici del Monte Sant’Angelo a Nord di Castellonorato. 4° Da pochi sedimenti di tufo vulcanico sciolto, misto a detriti calcarei. Roma, novembre 1895. -46 III. P. Moderni. — Il nuovo lago e gli avvallamenti di suolo nei dintorni di Leprignano (. Roma ). Nei primi giorni dell’aprile 1895 avveniva nelle vicinanze di Le- prignano, paese a 32 chilometri al Nord di Roma, il fenomeno del quale fu fatto cenno nel fase. 1° di questo Bollettino per detto anno, cioè lo sprofondamento improvviso di una zona di terreno e conse- guente formazione di un lago che tuttora sussiste. Ricordo qui brevemente i dati relativi al fenomeno, da me rac- colti pochi giorni dopo. Nella notte dell’8 aprile, 3 chilometri circa a Nord del paese, ai piedi della collina ove credesi sorgesse l’antica Capena, e precisamente alla confluenza del piccolo fosso che scola le acque provenienti da una conca di forma circolare detta II Lago , nel torrente G-ra miccia, si produsse l’ avvallamento di una piccolissima zona di terreno ; dalla spaccatura che circoscriveva la parte sprofondata usciva del gas idro- geno solforato, nello stesso tempo che in essa si rovesciavano e si perdevano ]e acque provenienti dalla suddetta conca. Pochi giorni appresso, e cioè nella notte dal 12 al 13, si intesero tre detonazioni successive, somiglianti a scariche di artiglieria, se- guite da un acuto fischio e da un forte colpo di vento, e furono ve- dute fiamme violacee sprigionarsi dal terreno, nella direzione da dove veniva il rumore, mentre ne esalava un forte odore di solfo bruciato. La mattina seguente, la gente accorsa dalle vicinanze trovò che un tratto di superfìcie di forma irregolarmente circolare, avente in media 260 metri di diametro, si era staccata ed abbassata producendo un avvallamento, che nel punto più depresso misurava una profondità di metri 19,50, entro il quale si rovesciava il torrente Gramiccia, il di cui letto, per circa 300 metri di lunghezza, era stato travolto nella ro\ina. Da diversi punti del laghetto, che le acque del Gramiccia veni- vano formando, vedovasi distintamente lo sviluppo dell’idrogeno sol- forato, riconoscibile all’odore e si distingueva il punto del primo av- vallamento dalla maggiore emissione del gaz. Nella rottura periferica — 47 — erano improvvisamente comparse tre sorgenti d’acqua, delle quali stando ai caratteri esterni, due dovevano essere solfuree e l’altra fer- ruginosa. Le pioggie abbondanti cadute nei giorni che seguirono l’avveni- mento, riempirono ben presto Tavvallamento, ricoprendo le accennate sorgenti e facendo riprendere al Gramiccia il suo corso regolare : re- missione d’idrogeno solforato andò man mano diminuendo, per modo che alla fine d’aprile essa era del tutto cessata o per lo meno ridotta a così poco da non essere più avvertibile. Alla stessa epoca si tormarono nuovi crepacci a Nord del lago, sulle due sponde del Gramiccia fino alla confluenza del fosso di Val- lecupa, per una lunghezza di circa 150 metri : altri se ne manifestarono poi in altri punti e non è facile dire se essi fossero causati da asse- stamento della frana, ovvero fossero indizio d’un ulteriore avvalla- mento, che però finora non ebbe luogo. Si credono dovuti piuttosto alla prima che alla seconda causa. Intanto, un mese dopo il fatto, il lago si presentava come una conca irregolarmente circolare , con sponde a picco ed elevate di parecchi metri sul livello dell’ acqua, ed avente 130 metri di raggio medio, una superfìcie di metri quadrati 53000 circa ed uno sviluppo periferico di quasi un chilometro. E probabile però che, ad onta della sua notevole profondità, il laghetto sarà col tempo facilmente colmato dalle abbondanti torbide del Gra- miccia, o tutto al più vi resterà nella sua parte occidentale una pic- cola palude alimentata dalle piene invernali del torrente. Fu detto da qualcuno che l’acqua emessa dal lago era in quan- tità maggiore di quella che vi entrava, e che perciò la differenza do- veva essere causata da grosse sorgenti sgorganti sul suo fondo. Però misure dirette da me fatte diedero per l’emissario una portata di 163 litri al secondo, mentre la somma di quelle degli influenti am- montava a 199. Ed è giusto che sia così, poiché una certa quantità d’acqua dev’essere sicuramente assorbita dalla frana sottostante al lago; e in ogni modo prima di ammettere l’esistenza di sorgenti, sa- rebbero state necessarie altre numerose ed accurate misurazioni. Non è questa la prima volta che i dintorni di Leprignano sono teatro di simili fenomeni, poiché nelle vicinanze del nuovo lago esi- stono segni manifesti di altri e più grandiosi avvallamenti di suolo avvenuti in epoche diverse. A 1200 metri a Sud dell’ avvallamento di cui ci occupiamo, vi è un altro piccolo lago detto il Lagopuzzo, già ritenuto per un pie- - 48 - colo cratere apertosi nell’ottobre del 1856. Il Ponzi \ così descrive quell’avvenimento : « Il 28 ottobre, un’ora prima cbe annottasse, i « contadini che lavoravano nei dintorni di Lagopuzzo intesero forti il scosse di terremoto accompagnate da rombi sotterranei come di sca- « ri che d’artiglieria, nel mentre che un tratto di superfìcie gradata- « mente sprofondavasi. Spaventati fuggirono, ma fatta poca strada, « crescendo il fracasso, si voltarono e videro quel tratto di superfìcie « saltare in aria mista ad acqua e denso fumo nero. La mattina sus- « seguente tornati sul posto trovarono una voragine di circa 100 metri « di diametro dalle pareti tagliate a picco, ripiena di acqua, dalla « quale svolgevasi con violenza una grande quantità di gaz acido- « solfidrico. 1 rombi sempre decrescendo durarono il 29 e 30. » Oggi, dopo la ripetizione del fenomeno con circostanze quasi identiche, è permesso dubitare che neppure allora si trattasse d’una manifestazione vulcanica come riteneva il Ponzi. Le piccole diffe- renze di dettaglio nei due avvenimenti non possono infirmare questo dubbio : infatti, siccome il Ponzi non potè visitare la località che dopo un certo tempo, esso dovette na.turalmente attenersi alla descri- zione che del fatto gliene fecero i contadini del luogo, ed in questi casi si sa che l’immaginazione popolare tende ad amplificare tutto ciò che non riesce a spiegarsi ; è assai dubbio perciò che una parte della superficie fosse veramente slanciata in aria ; ed anche quando lo fosse stata, la cosa non avrebbe nulla di straordinario, poiché una grande quantità di gas racchiusa sotto forte pressione nel sottosuolo, alla quale si aprì improvvisamente un’uscita, poteva benissimo trascinar seco una certa quantità di materiali. Se nel nuovo lago tale circo- stanza non si è verificata, ciò vuol dire che la quantità di gas ivi esistente nel sottosuolo doveva essere minore, o che la pressione non era tale da determinare l’esplosione. In quanto poi al denso fumo nero vi è certo dell’esagerazione, perchè non si capisce da che cosa potesse essere prodotto. Ad Ovest del nuovo lago si apre un avvallamento quasi circolare detto di Fontana Ciocci, dalla piccola sorgente d’acqua potabile ivi esistente: esso è circondato da colline a pendìo ripidissimo che le 1 G- Ponzi, Sulla eruzione solforosa avvenuta nei giorni 28, 29, 30 ot- tobre sotto il paese di Leprignano nella contrada denominata il Lago Puzzo. (Atti deirAccademia Pontificia dei Nuovi Lincei, voi. X). — Roma, 1856-57. - 49 danno un aspetto imbutiforme. Il fondo della valle, che ha in media un diametro di 200 metri, pende sensibilmente verso Est, cioè verso il nuovo lago, ed anco i tufi da cui è costituita sono inclinati più o meno da questa parte. Molto probabilmente questa valle è dovuta ad un avvallamento di suolo, in proporzioni quasi uguali all’ultimo avvenuto. Costituita -esclusivamente da materiali vulcanici, farebbe credere che essa potesse essere un antico cratere ; ma tale ipotesi non regge, anzitutto perchè la stratificazione dei tufi non vi corrisponde, oltre che nei dintorni non vi è traccia di lave nè in cobite, nè in blocchi isolati ; e da ul- timo perchè essa trovasi a contatto con due avvallamenti simili, uno dei quali avvenuto sotto i nostri occhi, i quali, come si vedrà, non possono essere di origine vulcanica. Inoltre, su tutto il perimetro e nell’interno della conca sono manifeste le traccie di un franamento generale, e ancora si vedono le linee di distacco delle falde franate. A N.O di Valle Ciocci ed adiacente ad essa vi è un’ altra bella conca imbutiforme chiamata II Lago , il di cui fondo pianeggiante ha in media un mezzo chilometro di diametro : il suo nome indica già da per sè che ivi esisteva un lago, l’ultimo residuo del quale venne infatti verso 1’ anno 1856 prosciugato artificialmente con un cana]e di scolo, che per la Valle Ciocci andava al Gramiccia ed ora va al nuovo lago. L’aspetto di questo bacino è quello di un cratere vulca- nico ; ed a rendere maggiore l'illusione, esso esternamente presenta in parte la forma di cono, dovuta però alla erosione esercitata dai fossi molto incassati della Fontanella e di Vallelunga; inoltre sull’orlo occidentale della cinta si osservano depositi di pomici e pozzolana nera. Neppure questa valle però è d’origine vulcanica, non solo perchè anche qui si verificano le stesse condizioni che per la precedente, ma anche perchè a N.E un grande tratto della cinta è costituito fino al- l’orlo da argille plioceniche ricche di fossili. Giova inoltre osservare che, mentre sull’orlo della cinta la stratificazione dei tufi è pianeg- giante, nell’interno della conca essa è visibilmente inclinata verso il fondo della medesima. Quindi deve ritenersi che anche il vecchio Lago siasi formato in seguito ad un avvallamento simile a quello del nuovo lago di Leprignano. Se eguale è l’origine dei quattro citati avvallamenti, assai mag- giori si riconoscono in quest’ultimo, ossia nel vecchio Lago (detto di Simbaldi dal nome del proprietario) le proporzioni del fenomeno; infatti, confrontato il vecchio col nuovo lago, si ha che, non solo 4 - 50 — il diametro del primo è quasi il doppio di quello del secondo, ma anche la sua profondità doveva essere più che doppia, perocché il punto più depresso della sua cinta, trovasi a circa 45 metri sopra il fondo della conca, mentre 1’ avvallamento ultimo non raggiunge i 20 metri. Quale la causa di questi avvallamenti? Le condizioni geologiche della regione nella quale avvenne il fatto, il ricordo di altro fatto analogo avvenuto nelle vicinanze l’anno 1856, le manifestazioni sismiche avvenute del pari in più parti d’ Italia nei giorni che precedettero l’avvallamento, indussero da principio a sospettare che esso fosse dovuto ad una vera esplosione vulcanica, come già aveva supposto il Ponzi per il Lagopuzzo. E ciò era tanto più logico in quanto che ci troviamo esattamente sulla principale linea di frattura dei Vulcani Sabatini, anzi al limite orientale dei medesimi, nei quali l’attività vulcanica non è del tutto spenta. Le no- tizie ed i dati raccolti sul posto, non autorizzano però a sostenere questa ipotesi, giacche i due avvallamenti avvenuti in questo secolo, come gli altri due di epoca remota, non possono assolutamente rife- rirsi a fenomeni eruttivi, e bisogna cercare altre cause nella costitu- zione geologica del suolo circostante a quella regione. Vediamo perciò brevemente come questa si presenti, in base alle osservazioni fattevi in addietro dal nostro Ufficio geologico e da me recentemente. A circa due chilometri a Nord e ad Est del nuovo lago havvi un affioramento di calcare emergente dalle sabbie plioceniche e dai tufi che le ricoprono : questo affioramento, dal Monte del Cardinale, in di- rezione del Soratte, al Monte Belvedere, fra Leprignano e Piano, mi- sura circa sei chilometri di lunghezza per una larghezza che varia da un chilometro a pochi metri. Esso non è altro che una continuazione del vicino Monte Soratte, costituito di calcari secondari. Un altro piccolo affioramento si osserva allo sbocco del fosso delle Caselle, presso Bagnano Flaminio, e questo evidentemente sotto le sabbie si riattacca col precedente. Questa isola secondaria, è costituita da calcari vari che si riferi- scono probabilmente a piani diversi; alcuni sono grigi o bianchi con venature spatiche, come quelli che si incontrano sulla mulattiera fra il nuovo lago e S. Lucia; altri sono bianchi cristallini, quali ad esem- pio quelli del Bomitorio presso Fiano e quelli del Fosso delle Caselle presso Bignano Flaminio, ed altri infine se ne hanno di color nero con piccole cavità, come quelli di S. Stefano di Fiano, oltre alle do- lomie della vicina Bocchetta e del contiguo Monte Belvedere. — 51 - Sopra a questi calcari si appoggia direttamente il Pliocene, rappre- sentato in gran parte da argille sabbiose contenenti strati di sabbie gialle, sciolte o cementate, e talora da una brecciuola ad elementi an- golosi fortemente cementati. Vi sono poi numerosi lembi d’un tufo calcareo bianchiccio assai alterato e ricchissimo di fossili. Sulla strada fra il nuovo lago e S. Lucia, al culmine d’una collinetta, affiora pure un calcare giallo concrezionato, ricco anch’esso di fossili, che ricorda davvicino il macco di Palo. Sulla stessa strada fra il nuovo lago e S. Lucia, al contatto coi calcari secondari, trovasi un banco di sabbia debolmente cementata e di un colore giallo assai chiaro che, nell’acido cloridrico, si scioglie completamente senza lasciare alcun residuo, il che prova che essa è esclusivamente calcarea. In quanto al tufo calcareo, la posizione dei suoi affioramenti non permette nè di affermare, nè di escludere che sia intercalato alle argille; però il fatto offesso prevalentemente mostrasi per erosione nel fondo delle valli od al contatto coi calcari secondari, indurrebbe a ritenere che il medesimo dovesse essere inferiore a queste ultime. Dai fossili contenuti nel tufo calcareo e nell’argilla, raccolti per la maggior parte nel fosso di Paciano e collinette adiacienti, resta accertato che tutta la serie appartiene al Pliocene superiore. Essi sono: Rhynchonella bipartita Br. sp., Ostrea lamellosa Br., Fecten ( Chlamys ) ojpercularis L. sp., Cardium mucronatum Poli, Cardila antiquata Lmk. sp., Cardita aculeata Poli sp., Gibbuta magus L. sp., Astralium ( Bolma ) rugosus L. Al disopra di tutto sono i vari tufi stratificati dei Vulcani Saba- tini, dove orizzontalmente, dove con inclinazioni più o meno accen- tuate in tutti i sensi e dove con contorsioni e ripiegamenti bizzarri ; sulla destra del torrente Gramiccia essi aumentano di potenza man mano che si avvicinano ai centri eruttivi e nascondono completamente le roccie sedimentarie. Da ultimo, ad Est ed a Sud di Fiano, nella Valle Tiberina, si di- stende un grandioso deposito di travertino, che in lembi staccati mo- strasi pure nella valle del Gramiccia fino al nuovo lago. Ed appunto di questi travertini ci serviremo come di un filo conduttore per ri- montare alle cause che hanno provocato gli avvallamenti anzidescritti. La zona di terreno che noi consideriamo trovasi, come ho detto, all’estremità orientale della fenditura sulla quale sono allineati i mag- giori edifìci vulcanici Sabatini, e son note le relazioni che passano — 52 — fra la formazione del travertino e le azioni vulcaniche secondarie, o periferiche che dir si voglia, quando cioè tutta la attività si riduce alla emissione di idrogeno solforato o di carburi d’idrogeno o di anidride carbonica I Vulcani Sabatini, colle loro sorgenti mine- rali, colle loro solfatare e mofete ne sono un esempio classico. E quindi ovvio che le acque circolanti nel sottosuolo di regioni vulca- niche, che si trovano nell’ultimo stadio di loro attività, sciolgano grandi quantità di anidride carbonica e, se in vicinanza vi sono roccie calcaree, si carichino di bicarbonato di calce, per deporlo allo stato di carbonato appena giunte a contatto dell’atmosfera. Esempi classici ne abbiamo in molti luoghi dei dintorni di Roma, in alcuni dei quali il travertino si deposita ancora oggigiorno. E pure ovvio il supporre che tale lenta asportazione di materia debba lasciare dei vuoti sotterranei, i quali per cause diverse potranno franare, provo- cando in date circostanze degli avvallamenti alla superfìcie. La località dei dintorni di Leprignano ove si verificarono gli av- vallamenti trovasi appunto in queste condizioni : da una parte la serie dei Vulcani Sabatini, dall’altra le masse calcaree del Soratte e sue appendici, in vicinanza l’esteso deposito di travertino di Fiano ed i minori di Valle G-ramiccia. Dalle analisi state fatte 1 2 pare che tanto le roccie calcaree del 1 Vedi N. Pellatj, I Travertini della Campagna Romana (Boll, del R. Gom. Geol., 1882, pag. 218 e 219). 2 Alcuni dei campioni di roccie calcaree da me raccolti, furono sottoposti a saggi chimici sommari dall’ing. E. Mattirolo, nel Laboratorio chimico delfiUf- fìcio geologico, e qui ne trascrivo i risultati: Campione I. — Travertino , proveniente dalla piccola massa esistente allo sbocco del fosso di Vallelunga. E questo un calcare travertinoso di colore torto- rino chiaro, relativamente compatto, con piccole bucherellature e cavità allun- gate, irregolari ed irregolarmente distribuite nella massa e con alcune torme fossili mal definite dovute probabilmente in parte a vegetali. Campione II. — Tufo calcareo, proveniente dal Monte Carolano. È un cal- care tufaceo del Pliocene superiore, di colore giallo ocraceo chiaro, costituito da un conglomerato di resti fossili, in cui sono cavità di varia forma e gran- dezza, sovente modellate da questi resti. Campione III. — Roccia calcarea compatta , proveniente dalla costa meri- dionale del Monte Belvedere. Calcare dolomitico di colore grigiastro non uni- forme, ma ora più, ora meno chiaro, in causa di alcune parti, che sebbene a contorno poco definito, sfumantesi cioè col resto della massa, vi sembrano incastrate come in una breccia. - 53 — terziario quanto i calcari secondari (fatta eccezione per le dolomie) abbiano lo stesso grado di solubilità; inoltre noi sappiamo che le rocche calcaree cristalline, permeabilissime in massa, sono quelle che as- sorbono maggiore quantità di acqua (T ing. G-. Zoppi 1 ha potuto stabilire su dati ricavati da osservazioni fatte nel bacino del Fucino che tale assorbimento raggiunge fino il 92 % dell’acqua piovuta); ora poi vi è da osservare che malgrado la grande quantità di acqua che Campione IV. — Brecciuola , proveniente dalla regione Baseto. È com- posta di elementi di limitata grossezza, soventi volte non arrotondati: i pre- dominanti, in frammenti più voluminosi, sono di un calcare di colore gialliccio chiaro, ma si hanno pezzetti variamente grigi od ocracei ed anche taluni, pic- coli e spongiosi, di limonite. Nel suo assieme la roccia è di colore gialliccio traente all’ocraceo. V’ha qualche residuo fossile. Fra i vari elementi della breccia vi sono soventi cavità ed in generale il cemento che li rilega è di calcite chiara, francamente cristallina. Campione V. — Calcare bianco frammentario , proveniente dalla strada mulattiera fra il nuovo lago e S. Lucia. E un calcare chiaro traente al giallo- gnolo, di grana finissima, subsaccaroide, compatto ma a frattura facile, scheg- giosa, cosparso di poche e piccole cavità, talvolta tappezzate di cristallini di calcite e tal’ altra colorate da limonite. Onde avere un criterio della facilità con cui questi calcari vengono attac- cati dagli acidi, furono ridotti in granelli di circa Va millimetro di diametro e, liberati con lavature dal pulviscolo, una stessa quantità d’ognuno venne trattata in identiche condizioni colla stessa quantità d’acido cloridrico molto diluito. Il N. I, con effervescenza assai viva, si sciolse pel primo ; i N. II, IV e V si di- sciolsero all’incirca in un tempo doppio del N. I, ed il N. Ili impiegò per di- sciogliersi un tempo quadruplo. Tutti lasciarono un piccolo residuo fioccoso che pel N. I e IV era di co- lore ocraceo più scuro che non per gli altri. La soluzione del N. V però era quasi limpida essendo il residuo minimo. In questi residui sono comprese piccolissime quantità di granelli sabbiosi insolubili nell’acido, quasi mancanti nei campioni N. Ili e V. Precipitando dalle soluzioni l’ossido ferrico e l’allumina, e pesandoli coi re- sidui, si ebbe pei cinque campioni rispettivamente le percentuali: 1,81 — 8,56 — 0,60 — 1,29 — 0,20. In riguardo alla quantità di magnesia contenutavi, i campioni N. I, II, IV e V non ne contengono che piccole quantità, cioè rispettivamente: 0,37 — 0,39 — 0,50 — 0,59 °/0. Il N. Ili invece contiene 14,75 °/0 di magnesia e va con- siderato come una vera dolomite, molto prossima a quella in cui due molecole di carbonato di calce sono associate ad una di carbonato di magnesia. 1 Gr. Zoppi, Carta idrografica d' Italia : Liri, Garigliano, Paludi Pontine e Fucino (Min. Agr., Ini. e Commercio. - Direzione Generale dell’Agricoltura). — Roma, 1895. — 54 - dev’essere sicuramente assorbita dalle due isole calcaree del Monte Soratte e di Fiano, non esiste alcuna sorgente importante nei loro dintorni che restituisca alla superficie almeno una parte dell’acqua as- sorbita; il che dimostra che questa deve necessariamente avere dei corsi sotterranei, i quali dopo aver cessato d’alimentare le sorgenti che hanno dato luogo alla formazione travertinosa di Fiano ed ai pic- coli lembi di travertino della Valle Gramiccia, trovano forse oggi il loro sfogo esclusivamente per vie sotterranee nella valle del Tevere. Le piccole sorgenti, inferiori sempre ad un litro di portata, che s'in- contrano disseminate qua e là, come del resto in tutta la Campagna Romana, si debbono alle acque assorbite dai tufi vulcanici ; ed infatti tali sorgenti stanno ordinariamente sul fianco delle valli, al contatto di questi colle roccie plioceniche. Quegli avvallamenti dunque si possono ragionevolmente attribuire al franamento di cavità sotterranee dovute alla soluzione del calcare. In quali roccie poi, secondarie o terziarie, tali cavità si sieno formate non è facile il dire, poiché abbiamo veduto che, tanto le roccie calcaree del terziario quanto i calcari secondari (meno le dolomie), hanno lo stesso grado di solubilità, e potevano in tutte egualmente formarsi i vuoti colla medesima facilità. Abbiamo visto che le sabbie plioceniche, le quali affiorano in prossi- mità del nuovo lago, sono esclusivamente calcaree, quindi è possibilissimo che acque acidule potessero scioglierle e formare in esse dei vuoti; nè la loro poca coerenza sarebbe ragione sufficiente per escludere la for- mazione graduale di grandi cavità, che avessero potuto lungamente re- sistere al peso dei sovraincombenti materiali, perchè è probabile che esse rimanessero riempite d’acqua che servì di appoggio a detti ma- teriali. Nè si esclude il caso che, invece di una grande caverna, si trattasse qui di una quantità di piccoli vuoti separati da pilastri, i quali assottigliandosi continuamente per soluzione, giunsero al punto di non potere più reggere allo sforzo cui erano assoggettati ed allora avvenne il franamento. La stessa ipotesi può farsi per il tufo calcareo, che pure affiora in più punti nelle vicinanze del lago. Ma se si considera la limitata po- tenza di tali affioramenti calcarei pliocenici e la si confronta coi vuoti formati dagli avvallamenti (quello del lago di Leprignano non misura meno di 600 mila metri cubi) si comprende facilmente come la causa principale dei medesimi non trovisi entro questi terreni, ma convenga ricercarla più in basso, cioè nei calcari secondari. — 55 - Ed è appunto nei calcari secondari, che noi troviamo tali carat- teri di permeabilità ed estensione superficiale, non che di potenza, sufficienti a giustificare vuoti di qualunque altezza. Di più fra questi calcari si trovano delle dolomie le quali contengono quasi sempre della pirite, colla scomposizione della quale si potrebbero forse spie- gare le sorgenti ferruginose, che abbiamo veduto accompagnare la comparsa delle sorgenti solfidriche tanto al nuovo lago, rimaste poi sepolte sotto le sue acque, quanto al Lagopuzzo, dove invece sono an- cora visibili. La potenza dei calcari secondari ci è ignota, ma non può esservi dubbio sulla sua entità. Qualche indizio invece abbiamo sulla proba- bile loro estensione nel sottosuolo e sulla loro distanza verticale dalla superfìcie franata, come ora vedremo. Noi sappiamo che i franamenti i quali avvengono nel sottosuolo sono raramente avvertibili alla superficie quando oltrepassano i 200 metri di profondità; dovremo quindi cominciare con lo stabilire che anche qui le cavità non potevano trovarsi ad una profondità molto maggiore di questa. D’altra parte, il nuovo lago trovasi a metri 85 al di sopra del Tevere; ed è appunto in questa zona superficiale che il franamento deve essere avvenuto, perchè le acque sotterranee che avevano formato la cavità potessero poi fluire per la valle del Tevere. È evidente che se le cavità si fossero trovate al disotto della zona superficiale accennata, le medesime avrebbero dovuto rimanere costan- temente piene d’acqua, che servendo di appoggio ai materiali sopra- stanti, avrebbe impedito i franamenti. La disposizione degli affioramenti secondari, rispetto agli avval- lamenti di Leprignano, non offre dati sicuri per affermare o negare che al disotto dei medesimi, parte della zona superficiale di 85 metri sia o meno costituita da calcari. Visto però l’andamento degli strati negli affioramenti e considerato lo spessore relativamente piccolo della formazione pliocenica, ove questo è visibile, riteniamo giustificabile l’ipotesi che il calcare si estenda non solo sotto la regione franata, ma che vi si trovi entro i limiti voluti di profondità. Havvi poi la possibilità che le cavità possono essersi fatte al contatto dei calcari secondari colle roccie calcaree del terziario, e perciò scavate parte in quelli e parte in queste ; e dopo quanto si è esposto, questa ipotesi si presenta subito come la più verosimile. In- fatti tanto i calcari, quanto le sabbie ed i tufi calcarei, avendo lo stesso grado di solubilità, tutte queste roccie potevano essere intaccate dalle — 56 acque acidule nella stessa misura ; l’esistenza del vuoto nella zona su- perficiale di 85 metri, non solo si mostra possibile, ma s’impone quasi poiché il Pliocene superiore non può avere in questo punto una po- tenza maggiore, nè vi è traccia nelle vicinanze di affioramenti di altri piani di questa formazione. La parte superiore dei vuoti contenuta entro le sabbie ed i tufi calcarei spiega infine assai facilmente i frana- menti per la poca compattezza e resistenza dei materiali costituenti le volte di quelle camere sotterranee. Ammesso dunque che gli avvallamenti siano stati occasionati dal crollamento di caverne, comprese nella zona superficiale di 85 metri, antecedentemente scavate entro calcari secondari, sabbie e tufi calcarei del Pliocene, dall’azione dissolvente di acque acidule, resta a precisare quale fu la causa che ha determinato il franamento. Noi non conosciamo nulla delle circostanze che accompagnarono la formazione della Valle Ciocci e di quella detta II Lago , delle quali nessuno che io sappia ha mai parlato, ma sappiamo però che l’ultimo avvallamento fu preceduto e seguito da una forte attività sismica estesa a tutta la penisola ‘, e che anche nel 1856 avvenne lo stesso fe- nomeno pel Lagopuzzo. Fra il settembre ed il novembre di quell’anno vi fu infatti un periodo d’eccezionale attività sismica, che produsse forti terremoti in varie parti d’Europa, fra i quali quello violentissimo che il 12 ottobre rovinò Candia, danneggiò Rodi e Malta, agitò la Sicilia, la Calabria e qualche parte della provincia di Roma : il giorno 23 vi fu terremoto all’isola Yentotene nel gruppo delle Ponza, seguito forse da altre manifestazioni minori in altre parti, delle quali non si tenne conto, ed il 23 avvenne il franamento di Lagopuzzo h Questa coincidenza dei franamenti con periodi di eccezionale attività sismica, fanno pensare che questa forza, molto probabilmente debba aver con- tribuito nel determinare i franamenti stessi in seguito alla rottura di qualche pilastro, od al fessuramento della volta o alla formazione di fenditure che abbiano permesso l’uscita dell’acqua che per avventura riempiva la caverna. Resterebbe ancora da dire qualche cosa circa la possibilità o meno dell’esistenza di altri vuoti nel sottosuolo della regione; ma i 1 Vedi M. Baratta, Notizie dei terremoti avvenuti in Italia durante Van- no 1895 (Boll, della Soc. sismologica italiana, Voi. I, n. 1 a 4). — Roma, 1895. 2 Vedi Ponzi, op. cit. — 57 — dati ohe ci può fornire la misurazione dei quattro avvallamenti e della formazione travertinosa sono affatto insufficienti e non possono condurre a nessun risultato attendibile. Però se si considera che una gran parte della formazione travertinosa di Piano, si trova alti metri- camente ad un livello più elevato dei vuoti che hanno provocato gli avvallamenti di Leprignano, e che perciò le acque provenienti da quei vuoti non possono averli depositati, si dovrà necessariamente ammettere che altri vuoti debbano esistere ad un livello pili alto nella regione stessa o nelle regioni circostanti. Roma, ottobre 1895, IV. P. Moderni. — Le bocche eruttive dei Vulcani Sabatini . (con una tavola) 1 Il campo nel quale si svolsero le manifestazioni endogene che originarono gli edifìci vulcanici, il cui insieme costituisce il gruppo dei Vulcani Sabatini, trovasi a N.O della città di Roma ed è limitato a Nord dal cono del Vulcano di Vico, a Sud dal Mare Tirreno, ad Est dalla Valle Tiberina e ad Ovest dal gruppo dei Monti Ceriti e Tolfetani. L’area di forma irregolare sulla quale si ammassarono i prodotti di questo gruppo vulcanico, ha una lunghezza media da Est ad Ovest di 87 chilometri, ed altrettanti misurandone da Nord a Sud, essa risulta approssimativamente di 1869 chilometri quadrati. In questo calcolo non si è tenuto conto dei depositi di materiali vulca- nici che si trovano sulla sinistra del Tevere, fra Poggio Mirteto e Roma, a formare i quali oltre i Vulcani Sabatini, concorsero pure altri centri eruttivi. La regione ha un aspetto uniforme e poco accidentato; il terreno sale dolcemente dalla periferia verso il centro, segnato all’ incirca dal lago di Martignano. Intorno al lago di Bracciano, situato un po’ ad Ovest di questo, trovansi disposte le alture maggiori, le quali sono: Questa Carta dei Vulcani Sabatini sarà data col prossimo fascicolo. - 58 — la punta di Rocca Romana sopra Trevignano, che raggiunge 602 metri sul livello del mare; Monte Termini a K.O del precedente, alto 593 metri; Poggio il Sassetto, presso Oriolo Romano, alto 530 metri e Monte Calvario presso Manziana, che si eleva a 541 metri. La super- fìcie è solcata da nemerosi fossi di scolo irradianti dal centro : quelli che si trovano dal lato orientale conducono le acque al Tevere; quelli che solcano i lati meridionale ed occidentale le conducono diretta- mente al mare, ed i fossi infine che si trovano sul lato settentrionale, le riversano parte negli affluenti del Tevere e parte nel fiume Mi- gnone. Per il gruppo vulcanico Sabatino passa la grande linea di frattura parallela alla catena degli Appennini, sulla quale si trova allineata la maggior parte dei vulcani italiani; infatti a N.O dei Sabatini la linea di frattura è contrasegnata dal Vulcano di Vico, dal gruppo vulcanico Vulsinio e dal Monte Amiata; a S.E dal Vulcano Laziale, dai Vulcani Ernici, da quello di Roccamonfina e dal Vesuvio. Uscirei dal campo assegnato al presente lavoro se mi occupassi dei diversi tracciati di questa linea di frattura, indicati da Daubeny, Suess, Pilla, Savi, Ponzi, Scarabelli, Ricciardi, ecc., come pure della possibilità che invece di una sola linea di frattura trattisi di due o più parallele fra loro, intersecate diagonalmente da altre minori. A me basta osservare che E ipotesi enunciata dal dott. L. Ricciardi \ che cioè l’Isola d’Ischia, il Vesuvio ed il Vulture si trovino allineati sopra una linea di frattura secondaria, trasversale a quella parallela alla catena appenninica, troverebbe riscontro nella linea di frattura se- condaria pure trasversale a quella principale, sulla quale sono allineati i principali edifici vulcanici Sabatini, frattura che, secondo il Ponzi dalle rive del Tirreno si spinge fin contro gli Appennini, come pure nella linea di frattura trasversale sulla quale sono allineati in maggior numero le bocche eruttive dei Vulcani Vulsini. Questa linea trasversale nei Vulcani Sabatini, sarebbe segnata da Ovest ad Est dai seguenti edifici vulcanici: cratere della Caldara, conetto di Poggio Cinquilla, cono dei Cappuccini di Bracciano, piccolo cono di Monte Tonico, lago Sabatino o di Bracciano, cratere di Polline, cratere di Martignano, cratere di Baccano, cratere di Scrofano ; sulla si- nistra del Tevere sarebbe segnata dalle sorgenti che hanno formato i de- 1 L. Ricciardi, Sull’ allineamene o dei vulcani italiani. — Reggio-Emilia, 1887. — 59 — positi travertinosi di Monterotondo, andando poi a terminare, come dice il Ponzi 1, nei* Monti Sabini Ed è su questa linea (A-B) 2 che segna la frattura maggiore speciale ai Vulcani Sabatini, che nei diversi pe- riodi sarebbesi spostato ripetutamente il centro d’attività di questo interessante centro vulcanico, il quale perciò, a differenza dell’Etna, del Vesuvio, del Vulture, di Roccamonfìna, del Vulcano Laziale, di quello di Vico, ecc., ed a somiglianza del vicino gruppo Vulsinio, dei vulcanetti degli Ernici e del più lontano gruppo dei Campi Flegrei, invece d’un solo grandioso edificio, ne presenta diversi vicini fra di loro, attorniati dalle relative bocche avventizie che danno alla regione un aspetto speciale. Oltre all’ accennata linea di frattura ve ne sarebbero, a mio av- viso, altre 9 minori, indicate dagli allineamenti dei diversi edifìci vulcanici, delle quali due dirette E-0 e perciò quasi parallele alla linea già descritta, una diretta N.E-S.O, una diretta N-S e le altre cinque con direzione N.O-S.E, ossia parallele anch/esse alla catena appenninica. Delle due linee di frattura dirette E-O, su quella più a Nord (C-D) si trovano le bocche eruttive di Monte Termini, Monte Calvi, Monte Verano, Valle Contea e Monte Lucchetti, le quali si trovereb- bero pure rispettivamente su quattro delle linee di frattura dirette N.O-S.E, e le due ultime anche sulla frattura diretta N-S. Sull'altra linea (E-F) diretta E-O, vi è il Monte Raschio, il Monte Levo, il Monte Capriglia, il Monte di Rocca Romana e la Macchia di Monterosi, tutte bocche eruttive che si trovano situate altresì sopra altrettante linee di frattura dirette N.O-S-E; per la Macchia di Mon- terosi passa pure la linea di frattura diretta N.E-S.O. Su questa linea (Gr-H) diretta N.E-S.O, si trovano il cono di Monte Lucchetti, il cono della Macchia di Monterosi, il cratere di Trevignano, il lago Sabatino ed i due coni di Bracciano; passando quindi un poco a Sud dalla piccola massa trachitica del Monte Rota, va a terminare contro la massa trachitica dei Monti Ceriti. Sulla linea di frattura (I-K) diretta N-S, si trovano il lago di Mon- terosi, la Valle Contea, il Monte Lucchetti, il Monte dell’Olmo, il cra- 1 G. Ponzi, Osservazioni geologiche sui Vulcani Sabatini (Atti Accad. Pont, dei Nuovi Lincei, Anno XVI, Sess. VI). — Roma, 1868. 2 Vedi la Carta annessa, anche per tutte le altre linee di frattura che s’indicheranno in seguito. — 60 - tere maggiore dell’ Acquarella ed il cratere di Polline ; per tutte queste bocche passano pure le linee di frattura dirette N.O-S.E. Delle cinque linee di frattura dirette N.O-S.E, su quella (L-M) più ad Ovest, si trovano il Monte Raschio, Poggio il Sassetto, Poggio Tondo, Macchia della Fiore, Monte Perpignano, il cratere a Sud di questo ed i due coni di Bracciano. Sulla linea di frattura (N-O), ad Est della precedente si trovano: l’edifìcio vulcanico di Monte Termini, quello di Monte Capriglia, la sorgente termo-minerale di Vicarello, il lago Sabatino ed il cratere di Vigna di Valle. Sulla terza linea di frattura (P-Q) verso Est vi sono: l’edificio vulcanico di Monte Calvi, il cono di Rocca Romana, il cratere di Tre vignano, i due crateri di Acquarella ed il lago craterico di Mar- tignano. Sulla quarta linea (R-S) trovansi il cono di Monte Verano, il co- netto di Monte Tapino, il cono della Macchia di Monterosi, il cono di Monte Agliano, l’edificio vulcanico di Monte dell’Olmo, il cratere di Lagusello, il cratere di Stracciacappe, la conca di Martignano e quindi la parte occidentale delle cinta craterica di Baccano. Da ultimo, sulla quinta linea di frattura (T-U) si trovano: il lago craterico di Monterosi, la Valle Contea, il cono di Monte Lucchetti, il piccolo cono di Monte Fagliano, il cratere di Baccano e il Monte Aguzzo. Nell’ accingermi alla descrizione di tutte queste bocche eruttive, sono rimasto perplesso sul sistema da seguire, poiché, mentre da una parte mi pareva semplice prendere per punto di partenza la divisione naturale delle linee di frattura e descrivere successivamente le diverse bocche eruttive disposte su ognuna di esse, d’altra parte tale sistema m’appariva poco razionale per il fatto che questi edifici vulcanici for- mano degli aggruppamenti aventi caratteri differenti gli uni dagli altri, indicanti forse periodi diversi dell’attività del grande vulcano del quale fanno parte. Per questa considerazione, mi è sembrato meglio nella descrizione procedere per gruppi, così come si trovano disposti sul terreno, anziché secondo gli allineamenti che segnano le linee di frattura. Il numero di questi gruppi, secondo le mie osservazioni, sarebbe di 8 e cioè: 1° il lago Sabatino, o di Bracciano, colla sponda occidentale di esso ; 2° il gruppo di Oriolo composto di 4 bocche ; 3° quello di Bracciano con 7 bocche (situati questi ultimi due rispettivamente a N.O ed a S.O 61 - del lago saddetto). Girando da sinistra a destra intorno al lago, viene poi : 4° il grappo di Angaillara con 2 bocche, poste sulla riva meridionale del lago ; segue poi : 5° il grappo di Martignano con 5 bocche sulla sponda orientale del lago, al quale si unisce : 6° il gran- dioso gruppo di Gampagnano con 8 bocche, poste ad oriente del gruppo di Martignano. A Nord di questi due ultimi gruppi vi è il 7°, cioè quello di Monterosi, con 10 bocche e da ultimo, l’8° gruppo, che prende il nome da Trevignano, anch’esso con 10 bocche, situato a Nord del lago Sabatino fra il gruppo di Monterosi e quello di Oriolo. Però, prima di cominciare la descrizione di questi diversi gruppi di bocche eruttive, non posso esimermi dall’accennare almeno di volo, che cosa fosse probabilmente questa regione prima che venisse radi- calmente modificata dal vulcanismo e quali manifestazioni endogene dovettero precedere la comparsa dei Vulcani Sabatini. Il Ponzi, nella sua memoria sulla Tuscia Romana e la Tolfa , sup- pone che sul finire dell’epoca miocenica tutta la superfìcie della zona vulcanica romana doveva essere un grandioso golfo nel quale le acque del mare giungevano a lambire ]e falde dei Monti Sabini. In quel tempo, nelle acque di questo golfo una prima eruzione avrebbe fatto emergere le masse trachitiche della Tolfa, del Sasso e di Monte Cal- vario, nonché alcune punte di terreno eocenico in mezzo al quale il magma lavico s’ era aperta la strada. La conseguenza di questa prima conflagrazione sarebbe stata quella di trasformare l’antico golfo in un arcipelago composto d’ isolotti di varia grandezza, circondati da scogli e bassi fondi, rimanendo tale configurazione inalterata per tutta l’ epoca pliocenica. Quindi nel periodo glaciale quaternario, nuove e più forti convulsioni interne avendo scosso ancora questo tratto di superficie , si formarono contemporaneamente o quasi i quattro grandiosi centri vulcanici dei Vulsini, di Vico nel Cimino, dei Sabatini e quello Laziale: a poco a poco, coll’accumularsi dei ma- teriali eruttati, sarebbero emerse, qua e là dal mare, le sommità degli edifìci maggiori, e più tardi per generale e lento sollevamento, le acque ritirandosi avrebbero delineato un nuovo litorale, quale più o meno oggi noi lo vediamo, mentre i tre centri vulcanici cessati d’es- sere sub-acquei, continuavano a deporre sulle terre emerse gli abbon- danti prodotti delle loro dejezioni, finche diminuita la loro attività andarono gradatamente spegnendosi. La teoria del Ponzi, nelle sue linee generali, si presta assai bene alla spiegazione logica dei fenomeni endogeni che si svolsero in questa — 62 - regione, senonchè recenti scoperte di depositi d’acqua dolce interca- lati ai tufi 1 sembrerebbero demolire dalle fondamenta la suesposta teoria. Però, confrontando senza preconcetti le osservazioni prime del Ponzi cogli studi che viene ora facendo l’ing. Clerici, si riconosce che se questi ultimi forniscono nuovo e prezioso materiale per la geologia della Campagna Romana, non distruggono necessariamente tutte le ipotesi del primo. Infatti, la scoperta di banchi di tripoli intercalati ai potenti giacimenti di tufo, provano ad ogni modo l’esistenza di uno o più laghi d’acqua dolce o salmastra ; la differenza quindi si ri- durrebbe soltanto a questo, che i vulcani romani invece d’aver comin- ciato le loro eruzioni al disotto d’uno specchio d'acqua marina , le avrebbero cominciate entro uu bacino d'acqua dolce Come si vede, ciò può benissimo accordarsi colla teoria del Ponzi, poiché se riflettiamo che in seguito ai sollevamento miocenico dei Monti Ceriti e Tolfetani, molto probabilmente, come prolungamento dei medesimi, a Nord e Sud di essi può essersi formato un cordone littoraneo, ne viene per conseguenza che il grande golfo supposto dal Ponzi, sarebbe stato ridotto poco a poco ad un grande lago affatto se- parato dal mare, nelle di cui acque divenute prima salmastre e poi dolci, si sarebbero sviluppati i vulcani romani, ed in esse depositato i primi loro prodotti. Attenendomi perciò alla teoria del Ponzi, modificata nel modo suddetto dalle recenti scoperte, me ne servo come punto di partenza per la descrizione dettagliata delle singole bocche eruttive. Ed anzitutto, nel classificare come mioceniche le trachiti della Tolfa, del Sasso e di Monte Calvario, so di toccare una questione controversa, giacche il Ponzi 2 ed altri le riferiscono a quell’epoca, mentre il Tittoni 3 ed il De Stefani 4 le ritengono quaternarie. Se 1 Sono da ricordare specialmente le numerose ed interessanti memorie, che l’ing. E. Clerici viene pubblicando nei « Rendiconti della R. Accademia dei Lincei » e nel « Bollettino della Soc. Geologica italiana », sull’esistenza di depositi d’acqua dolce ricchi di Diatomee, interstratificati coi tufi della Campagna Romana. 2 G. Ponzi, La Tusc'a Romana e la Tolfa (Mem. R. Accad. dei Lincei, Voi. I, s. 3). — Roma, 1877. 3 T. Tittoni, La regione trachitica dell agro Sabatino e Cerite (Boll. Soc. geol. ital., Voi. IV). — Roma, 1885. 4 C. De Stefani, Il piano pontico nei monti della Tolfa (Atti Soc. tose, di Se. nat., Proc. verb., voi. V, 9 gennaio 1887). — Pisa, 1887. - 63 — mi attengo di preferenza all’opinione del Ponzi, si è perchè attorno al Monte Calvario ed alle vicine colline di S. Vito, mi è sembrato veder chiaramente le marne a gessi del Sarmatiano, appoggiate con leggiera inclinazione sulle trachiti e senza che le prime mostrassero traccia alcuna di metamorfismo. Debbo sorvolare affatto su tale que- stione che mi porterebbe troppo lontano ; d’altronde i due gruppi della Tolfa e del Sasso sono al di fuori della zona vulcanica sabatina, alla quale si riferisce il presente lavoro e nella quale restano comprese soltanto le piccole masse trachitiche del Monte Calvario e delle col- line di S. Vito e di Rota; ora, che questa trachite sia miocenica o qua- ternaria poco importa, giacche per quanto verrò esponendo nella de- scrizione delle bocche eruttive dei Vulcani Sabatini, basta sia provato che la trachite delle suaccennate località è la roccia plutonica più antica della regione, cosa del resto sulla quale non credo vi siano dispareri. Il Credner nel suo trattato di geologia, distingue due sorta di vulcani, quelli omogenei e quelli stratificati. I primi sono quelli nei quali la massa fluida si riversa dall’orifìzio craterico, ammassandosi alla superficie in forma di cupola o di mantello, accompagnata da eru- zione debole o nulla di materiali detritici e da lieve sviluppo di va- pore acqueo : i secondi si hanno invece allorché l’emissione delle lave è accompagnata dalla proiezione di bombe, scorie, lapilli e ceneri che si dispongono a strati sui fianchi degli edifici vulcanici. Le colline trachitiche, esistenti nella parte occidentale della zona vulcanica sa- batina, appartengono evidentemente alla prima categoria, cioè a quella dei vulcani omogenei , e se non le avessi ritenute effetto di ma- nifestazioni endogene assai piu antiche di quelle che produssero poi i Vulcani Sabatini propriamente detti, avrei dovuto comprenderle fra le bocche eruttive di questi. E difficile dire però se la trachite del Monte Calvario, quella delle collinette di S. Vito e di Rota formino un tutto insieme coi monti del Sasso ai quali potrebbero essere unite in profondità, ovvero se siano masse completamente isolate ed indipendenti: il De Stefani 1 assicura che appartengono a due si- stemi vulcanici diversi, giacché le prime sono costituite da trachite quarzifera e gli altri da trachite andesitica; ad ogni modo quello che si può constatare si è che trovansi disposte sopra un allinea- 1 C. De Stefani, I vulcani spenti dell’ Appennino settentrionale (Boll. Soc. geol. ita!., Voi. X, fase. 8°). — Roma, 1891. - 64 - mento diretto N-S, il quale prolungato, incontra le piccole masse trachitiche di Castel Giuliano, clie a loro volta sono la punta avan- zata dell’estremo lembo orientale dei monti traditici del Sasso. La disposizione di questi affioramenti, che non dev’essere casuale, se non è sufficiente a provarci l’unicità della massa, deve almeno rappresen- tare una piccola linea di frattura sulla quale si dovettero aprire due bocche eruttive corrispondenti alle masse trachitiche del Monte Cal- vario e delle colline di S. Vito e di Rota. Il Monte Calvario come ho già accennato in principio, è uno dei punti più elevati della regione, raggiungendo 541 metri sopra il li- vello del mare: sulla vetta coronata di pini, d’abeti e di castagni, si ammira un panorama stupendo che si estende dalle case biancheg- gianti dei graziosi paeselli di Manziana, Quadroni, Canale, Monte Virginio, Oriolo, situati attorno alle sue falde, al Monte Amiata, al Monte Terminillo, al Monte Velino, alla catena dei Lepini. E una massa elittica il di cui asse maggiore, diretto E 0, misura all’incirca 3 chilometri, e quello minore uno e mezzo: la pasta trachitica è di color giallognolo, che passa al bianco grigio per l’alterazione prodotta in essa dalle emanazioni solfìdriche; ruvida al tatto, di frattura ine- guale, di lucentezza semivetrosa, contiene incastrati cristalli macro- scopici di sanidino e lamine di mica nera. Ricoperta in basso dai tufi dei Vulcani Sabatini, affiora ancora per erosione nella valle sotto Monterano diruto : in paese è conosciuta col nome di pietra manziana e per le sue proprietà refrattarie viene impiegata nella costruzione di forni e focolari. Nella trachite del Monte Calvario in generale, ma più special- mente nelle cave che si trovano sulla rotabile presso il villaggio di Quadroni, vedesi una quantità immensa d’inclusi che sembrano di- minuire di numero procedendo dall’alto in basso, ed anzi in qualche punto sparire affatto al disotto d’una zona superficiale di circa 10 metri di potenza: sono ordinariamente bombe di tutte le dimensioni di altre qualità di lave, contenenti cristalli di leucite, che rappresentano forse concentrazioni di materia meno acida, formatesi al momento dell’emissione. Del resto il fenomeno non è isolato: il Lotti 1 parlando degli inclusi contenuti nella trachite del Monte Amiata, chiamati anime di sasso , si esprime così: « La presenza di frammenti estranei 1 B. Lotti, Il Monte Amiata (Boll. R. Com. geòl., Voi. IX). — Roma, 1878. - 65 - « nelle roccie eruttive o cristalline in generale è un fatto notissimo « che verificasi in molte località; si citano ad esempio, tali inclusi nei « graniti dell’Adamello, di Cima d’Asta e dell’Isola del Giglio, nelle « lave del Vesuvio, del Somma e se non erro, anche nei leucitofìri « del Lazio. Nel Monte Amiata il fenomeno raggiunge un tal grado « di generalità, che può dirsi non esservi un blocco di benché me- te diocri dimensioni il quale non racchiuda un frammento di roccia « estranea ». Alle falde occidentali del Monte Calvario affiora un lembo di terreno eocenico rappresentato dalla pietra paesina e dall 'alberese, con scisti argillosi intercalati: questo piccolo lembo d’Eocene cosi oppor- tunamente disposto ad immediato contatto della trachite, similmente a quanto verificasi nelle due masse maggiori della Tolta e del Sasso, pare stia a testimoniare, se ve ne fosse bisogno, l’unicità dell’epoca alla quale tutta questa trachite si riferisce. Quando ciò non bastasse ancora, un’altra prova ce l’offre l’argilla sarmatiana che, come alla Tolfa, ed al Sasso, anche qui, riposa sulla trachite: tutta la falda meridionale ed in parte anche quella setten- trionale del Monte Calvario, sono ricoperte dalle marne grigio-azzur- rognole a Pecten Jiistrix ed Ostrea cochlear del piano indicato. Pove- rissime di fossili, contengono gesso in cristalli od in arnioni, e nelle località ov’è possibile vedere nettamente la stratificazione, questa mo- strasi leggermente rialzata verso la trachite, sulla quale nel deporsi si è modellata. L’altra piccola massa trachitica di Monte S, Vito, trovasi nelle vicinanze di Bracciano poco lontano dalla rotabile Bracciano-Man- ziana: sono quattro collinette (Monte S. Vito, Monte Oliveto, Monte Castagno e Monte Arsiccio) dalle forme spiccatamente coniche che s’innalzano sul piano ondulato della campagna circostante ed attirano subito l’attenzione dell’osservatore. La trachite venne ricoperta dalle dejezioni aeree dei Vulcani Sabatini, ma in seguito le acque piovane avendo asportato dalla parte più alta delle colline, ed accumulato al loro piede i tufi terrosi che vi si erano deposti, essa mostrasi oggi in piccoli lembi isolati gli uni dagli altri. Anche qui affiorano le ar- gille del Sarmatiano addossate alla trachite fra il Monte S. Vito ed il Monte Arsiccio e fra quest’ultimo ed il Monte Castagno, simili in tutto pei caratteri litologici, paleontologici e stratigrafici a quelle del Monte Calvario. A poco meno di un chilometro a Sud di queste colline, vi sono 5 — 66 - gli affioramenti trachitici di Monte Rota: sono quattro piccoli lembi sporgenti dai tufi, che prima li ricoprivano, il maggiore a Macchiozze, presso Monte Rota, e gli altri tre nel fosso ad Ovest presso la sor- gente d’ Acqua Acetosa. A me sembra che questa del Monte Rota non si possa ritenere come una piccola cupola isolata, ma bensì come un altro affioramento della massa trachitica dei monti di S. Vito, dai quali dista così poco. E vero pure che coll’ identico ragionamento la trachite di Rota potrebbe ritenersi unita a quella di Castel Giuliano, che affiora nello stesso fosso della prima, poco più di due chilometri a Sud da essa, e così si arriverebbe al supposto da me enunciato più sopra, che cioè tutti questi affioramenti possano appartenere ad una sola massa trachitica, che in direzione N-S si distenda dai monti del Sasso al Monte Calvario e della quale non vediamo che le punte più alte. Ripeto però, è questa un’ipotesi che se ha qualche dato in ap- poggio, il medesimo non è sufficiente, giacche l’altra ipotesi delle pic- cole masse staccate è possibilissima anch’essa, ond’è che in queste condizioni è prudente limitarsi alla semplice constatazione dei fatti. Da ultimo, a constatare la preesistenza della trachite alle roccie dei Vulcani Sabatini, il vom Rath nei suoi Frammenti mineralogico -geo- gnostici sull’ Italia, dice d’aver osservato nei leucitofìri di Bracciano, dei pezzi di trachite del Monte Virginio (Monte Calvario), fatto che basta a provare essere questa più antica di quelli. Il Tittoni 1 però, citando questa osservazione del vom Rath, aggiunge d’avere anch’egli raccolto dei frammenti angolosi di trachite nel tufo dei monti delle Crocicchie, presso Bracciano, frammenti che abbondano pure nei bloc- chi della maceria (muro a secco) fra le Crocicchie e Santo Stefano, ma sembragli che la forma litologica di questa trachite, sia affatto diversa da quella del Monte Virginio. Anch’io ho trovato dei massi erratici di trachite a I Monti, proprio sull’orlo del cratere di Vigna di Valle, in prossimità della località accennata dal Tittoni, ed infatti mi è sembrata diversa da quella del Monte Calvario, specialmente per maggior compattezza e per la minore quantità e grandezza dei cri- stalli di sanidina inclusi nella pasta; ma ad ogni modo la facies di questa roccia sì avvicina assai più alle trachiti della suddetta località che non a qualsiasi altra lava dei Vulcani Sabatini. Circa la presenza di frammenti di trachite nelle lave, nei tufi o i rpt Tittoni, opera citata. — 67 che si rinvengono erratici alla superficie, non si può dir nulla di pre- ciso ; però è lecito arguire che nel sottosuolo esistessero dicchi di questa roccia, irradianti dalla massa o dalle masse descritte, i quali vennero rotti dalle bocche eruttive apertesi più tardi, e da queste proiettati assieme alle altre materie. Quando si rifletta poi che le roccie erut- tive, ai contatti si mostrano più compatte, causa il loro più rapido raffreddamento, si avrà una spiegazione della differenza litologica esi- stente fra questi frammenti di trachite, provenienti forse da dicchi esili ed aventi perciò tutto il magma lavico a contatto colle incassanti roccie sedimentarie, e la massa trachitica centrale liberamente espan- detesi da un orifìzio e quindi in condizioni assai diverse di raffred- damento. Gruppo del lago Sabatino. — 1. Lago di Bracciano *. — Comin- cerò anzitutto dal lago Sabatino che dà il nome alla regione e che a sua volta lo ricevette dall’antichissima città di Sabate o Sabatìa , già esistente sulle sue sponde, chi dice fra Anguillara e Trevignano e chi proprio nei dintorni di quest’ultimo paese, ma della quale oggi non esiste più alcun vestigio, perchè, secondo Sozione, sarebbe rimasta sommersa per una catastrofe avvenuta in tempi remoti. Questo bellissimo lago di forma quasi circolare, situato a 164 metri sul livello del mare, misura 31 chilometri di circuito: dalla parte orientale è recinto da basse collinette che si elevano appena d’una sessantina di metri sul livello del lago; così pure dalla parte meridionale, ad eccezione del tratto occupato dal cratere di Vigna di Valle, la di cui cinta nel suo punto culminante elevasi a 162 metri al disopra delle acque. Presso il paese di Anguillara e ad oriente di esso, vi è il punto di maggior depressione del recinto e qui trovasi l’emissario che origina il piccolo fiume Arrone, il quale sbocca in mare poco distante dalla Torre di Maccarese. Ad occidente e settentrione invece il terreno s’innalza e le colline che formano il recinto da questa parte misurano dai 400 ai 500 metri sul livello del mare, salvo alcuni punti speciali che sorpassano pure questa quota. Le rive del lago, all’infuori di pochi punti rocciosi, sono coperte da una sabbia 1 II numero d’ordine col quale sono contrasegnate le diverse bocche erut- tive, serve per rintracciarle più facilmente sull’annessa Carta dimostrativa. nera, finissima, costituita da minutissimi cristalli di amfìgene, piros- seno, mica e fèrro titanato. La prima domanda che il geologo formula a se stesso, appena gli si offre alla vista il panorama del lago e delle sue rive, non può a meno d’essere la seguente: è questo un cratere ? La forma quasi circolare del lago, qualche tratto abbastanza elevato e dirupato del suo recinto, possono a bella prima farlo credere tale, specialmente al touriste che lo guarda nel complesso e si appaga della prima impres- sione; però chiunque percorra ed osservi minutamente tutto il suo recinto finisce per convincersi che questo lago non è un cratere, per- chè tanto le sue sponde che le colline fra le quali è circoscritto, non hanno i caratteri d’un orlo craterico e di quest’opinione furono anche il Ponzi ed il vom Rath. Pure vi sono alcuni, che nelle alture che circondano il lago, spe- cialmente da Nord e da Ovest, vogliono vedere una grandiosa cinta craterica, ed infatti per molto tempo il lago fu ritenuto un cratere di sprofondamento , più recentemente altri lo definirono per un cratere di esplosione. Per chiamare craterico un avvallamento di suolo, mi sembra in- dispensabile eh’ esso mostri in qualche punto della sua periferia un tratto, grande o piccolo poco importa, della cinta avente il profilo caratteristico più o meno imbutiforme, colle pareti tagliate quasi a picco in quelle parti nelle quali è circondato da prominenze di suolo , e colla stratificazione dei materiali eruttati, fortemente inclinata al- l’esterno, come si verifica, generalmente nei crateri di esplosione o di sprofondamento, e come i dintorni stessi del lago Sabatino offrono splendidi esempi. La linea perimetrale del lago soddisfa a queste con- dizioni? Niente affatto! Soltanto nella località chiamata il Macchione Grande, sotto e ad Est del Poggio il Sassetto a N O del lago, vi è un piccolo tratto che potrebbe esser preso per il frammento di cinta d’un cratere, il quale ad ogni modo avrebbe occupato soltanto una parte del lago; ma questa località verrà descritta dettagliatamente in seguito ed allora si vedrà quale importanza meritino i caratteri che presenta. In qualunque altro punto della ]inea perimetrale del lago si ravvisano tratti di cinta craterica, questi si riconoscono subito appar- tenenti ad edifici vulcanici indipendenti, disposti attorno al lago, i quali sono da esso ben distinti e rompono anzi la regolarità della sua curva circolare. In quanto alla stratificazione dei materiali, essa gene- ralmente inclina verso il lago (ad eccezione che nei piccoli crateri — 69 suddetti esistenti sulle sue rive), cioè in senso opposto a quanto do- vrebbe verificarsi se le colline che l’attorniano rapprese utassero vera- mente una cinta craterica. ^ Il voni Rath, mentre non riconosce l’esistenza di questa cinta, definisce non pertanto il lago un cratere di sprofondamento; completa però il suo pensiero aggiungendo « che non deve credersi che da questo cratere sia uscito del fuoco, poiché esso non è altro che il ri- sultato di uno sprofondamento avvenuto in seguito a vuoti lasciati dall’azione vulcanica. » Spiegata così l’origine della conca sabatina, non credo che nello stretto significato della parola poteva usarsi il vocabolo cratere , giacche in questo caso non si trattava della parte superiore d’un edifìcio crollato per i vuoti prodotti dalle sue eruzioni, ma dello sprofondamento d’un tratto di superficie qualunque sotto al quale un edificio vicino aveva fatto il vuoto; l’apparente contradi- zione è dovuta sicuramente al significato troppo lato che in addietro si dava a questo vocabolo: la definizione perciò che meglio si presta ad indicare questo fenomeno, sarebbe quella di avvallamento o conca- vulcanica. Volendo sostenere a qualunque costo che il circuito del lago rap- presenti l’apertura di un cratere, mi si potrebbe obbiettare che non ha nulla d’ illogico il supporre che sulla superfìcie ora occupata dalle acque esistesse un grandioso edificio vulcanico, il quale, sfasciatosi in un’ultima conflagrazione producesse l’avvallamento che poi originò il lago ; nel mentre che susseguenti manifestazioni endogene prolungatesi per lunga serie di secoli, avendo fatto sorgere sulla sua cinta, in- numerevoli bocche eruttive confondenti i loro prodotti, a loro volta sfasciatesi e ricostruttesi, cambiando posizione, forma e grandezza, abbiano così profondamente alterato la forma del primitivo grandioso cratere da renderlo irriconoscibile, e che modificato più tardi dagli agenti atmosferici, si presenta, ai nostri occhi quale oggi noi lo ve- diamo. Certamente una tale ipotesi è ammessibilissima e non ha nulla di strano, ma non essendovi alcun dato di fa.tto in appoggio della me- desima, a me pare la si debba lasciare nel campo delle ipotesi, non accordandogli che un’importanza affatto secondaria nella storia retro- spettiva dei Vulcani Sabatini, poiché nella vulcanologia se ci si al- lontana dalle conseguenze immediate che si possono dedurre dalle osservazioni dirette, per gettarsi a capofitto nel mondo delle ipotesi, si corre il rischio d’inventare non di ricostruire il passato. Infatti se il lago fosse stato un cratere, il ciglio della sua cinta - 70 — dovrebbe oggi essere segnato dalla linea spartiacque delle colline che lo attorniano: ora noi abbiamo che nella zona ad Ovest del lago, cioè in quella parte appunto ove trovansi le colline che potrebbero rap- presentare il frammento meglio conservato della grandiosa cinta cra- terica, questa linea spartiacque è segnata da una retta N-S che unisce le due masse trachitiche di Monte Calvario e dei monti di S. Vito. Se a questo fatto aggiungiamo l’altro, constatato anche dal Ponzi, dell’inclinazione generale dei tufi, di questa regione verso il lago, noi dovremo logicamente concludere che non è qui il caso di parlare di cinta craterica, poiché la sua ossatura sarebbe in questo tratto costi- tuita dalla massa trachitica preesistente, la quale verosimilmente do- veva formare già una prominenza di suolo, sulla quale si addossarono più tardi i tufi dei Vulcani Sabatini, come ci viene dimostrato dalla loro inclinazione. A S.O la linea spartiacque passa pe] cono dei Cappuccini di Brac- ciano, ed a Sud per l’orlo craterico di Vigna di Valle; a Sud di questi due edifìci indipendenti l’uno dall’ altro, la superfìcie si abbassa in dolce declivio e nessuna traccia vi si scopre d’una preesistente gran- diosa cinta craterica. Che il lato orientale poi non presenti alcun carattere di cinta cra- terica è cosa evidentissima, perchè oltre alle sponde bassissime, alla stratificazione rialzata verso i singoli edifici del gruppo di Mar tignano, si ha che le valli crateriche quivi esistenti hanno il loro scolo natu- rale nel lago, ed i terreni ad esse adiacenti lo hanno invece all’esterno, cioè dalla parte opposta, ed in proposito si possono fare delle osser- vazioni interessantissime. Infatti mentre il lago, per il cratere di Polline, raccoglie lo scolo delle acque dei bacini di Martignano e Stracciacappe, distanti 3 e 4 chilometri, all’esterno del cratere di Bolline, il fosso di Cesano ed i fossetti che raggiungono l’Arrone sotto alla Mola Nuova, segnano la linea dello spartiacque proprio sul ciglio delle collinette che recingono il lago, le quali sono appunto il versante esterno del cratere di Polline. Ad oriente dei crateri di Acquarella situati in riva al lago, avviene la stessa cosa dove il fosso del Pavone segna lo spartiacque ed un braccio di esso raccoglie le acque dei terreni che trovansi fra i suddetti crateri e quello di Stracciacappe, che, come fu già accennato, abbenchè più lontano dal lago, pure manda ad esso le sue acque. Questi fatti sono di per se stessi abbastanza eloquenti per dimostrarci che tutte le alture esistenti da questo lato, si formarono esclusivamente coi materiali proiettati dalle bocche sunnominate e che — 71 — se antecedentemente vi fosse stata una cinta craterica, di essa avrebbe dovuto rimanere qualche traccia a Sud del cratere di Polline e ad Est di quelli d’ Acquarella. Si potreppe supporre uno sventramento della cinta da questa parte, ma tale supposizione sarebbe ammessibile solo quando da qualche altro lato si vedesse almeno un frammento certo di questa cinta, ma noi sappiamo già per quali ragioni ad Ovest e Sud non si possa sostenere l’esistenza di quesla cinta, ed ora vedremo se lo si potrà per il lato Nord. Comincierò col citare l’autorevole parere del vom Rath 1, il quale a proposito di questa regione dice: « La parte Nord" che è la mag- « giore non presenta i caratteri d’un recinto craterico, ma bensì può « essere considerata come una parte della regione vulcanica romana, < che qui si presenterebbe sotto forma d’altipiano. » Il recinto da questa parte è costituito da un aggruppamento di numerose bocche eruttive adiacenti l’una all’altra, alcune delle quali segnano i punti più elevati dei Vulcani Sabatini ed a N.E delle medesime distendesi l’altipiano di tufo pomiceo citato dal vom Rath: la linea spartiacque per Monte Raschio, Monte Termini, Monte Calvi, Monte di Rocca Romana, Monte Agliano e Monte Fagliano descrive una linea serpeg- giante che non ha nessuna analogia col profilo di un orlo di cratere. Inoltre, come si può credere che qui esistesse una cinta craterica se dalle rive del lago fino alla sommità del recinto ogni collina rappre- senta una bocca eruttiva perfettamente riconoscibile, e se le alture maggiori corrispondono appunto al vertice dei coni più grandi? Non si deve logicamente pensare che essi si formarono esclusivamemte coi pro- dotti vomitati da queste bocche, specialmente quando alle falde di uno di questi coni, il Monte Termini, noi vediamo affiorare i terreni sedi- mentari dell’Eocene? L’ipotesi che qui esistesse una cinta ricoperta poi totalmente da una quantità di bocche avventizie e dai loro pro- dotti, non può trovare appoggio in nessun dato di fatto, ma soltanto nel preconcetto che la conca di Bracciano, ora occupata dalle acque, fosse un cratere. Da ultimo, se il lago fosse il grande cratere centrale dei Vulcani Sabatini, tutte le altre bocche eruttive ancora riconoscibili dovreb- bero trovarsi disposte su linee di frattura irradianti da questo centro, non già per l’antica teoria dei crateri di sollevamento, ma per la legge 1 G. vom E-ath, opera citata. 72 - enunciata dal prof. Ricco a proposito della disposizione delle bocche avventizie deir Etna \ Con questa legge l’autore dimostra come per la direzione che prendono le colate lungo i fianchi del cono, questo viene formato da una specie di scheletro a struttura radiale e per conseguenza le fratture devono necessariamente avvenire secondo la direzione dei piani radiali che coincide col contatto laterale delle co- late ove la superficie offre meno resistenza alla rottura, che se questa dovesse avvenire in direzione trasversale. Se si considera il lago come un cratere, evidentemente la zona che lo circonda rappresenterebbe il suo cono, molto schiacciato se si vuole, ma che tuttavia, essendosi formato nelle stesse condizioni di tutti gli altri, dovette ubbidire alle stesse leggi e presentare gli stessi caratteri. Invece noi vediamo che neppure questa condizione si ve- rifica, giacche la maggior parte delle bocche eruttive sono aggrup- pate a Nord e ad Est del lago e disposte, come già dissi, su linee di frattura parallele o quasi alla catena dell’ Appennino e su altre a queste trasversali. Se io nego che questo lago, preso nel suo complesso, sia un cra- tere, non esito però nel riconoscere che nascosti sotto le sue acque possano esservi gli avanzi di qualche bocca eruttiva. La sua profon- dità, che secondo l’ing. E. Abbate raggiungerebbe i 300 metri e se- condo altri soltanto 170 all’incirca, il fatto che in tutta la parte centrale dei Vulcani Sabatini le bocche eruttive si seguono senza interruzione addossate o poco distanti le une dalle altre., mi obbligano ad ammet- tere che anche nella vasta superficie ora occupata dalle acque, ve ne possano essere delle altre. Quante e dove saranno queste bocche, è difficile dirlo; può essere una sola come possono essere diverse ; però se noi diamo uno sguardo alla Carta dimostrativa qui annessa, vediamo che le bocche eruttive riconoscibili sono tutte distribuite in gruppi, sicché mi pare logico ammettere che anche quelle presumibilmente nascoste sotto al lago possano essere riunite in uno o più gruppi indipendenti, ovvero far parte di quelli che si trovano sulle sue rive, senza perciò escludere menomamente che possa trattarsi anche di una sola bocca. In quanto 1 A. Ricco, Eruption de l'Etna de 1892 (Comptes-rendus des Séances de l’Académie des Sciences, Tome 115). — Paris, 1892. 2 E. Abbate, Guida della Provincia di Roma. — Roma, 1890. - 73 - alla sua o loro esatta posizione, ed alla sua o loro grandezza, soltanto dei numerosi ed accurati scandagli fatti espressamente per questo scopo, e perciò con criteri speciali, ci potrebbero fornire preziose notizie in proposito, per quanto le modificazioni sicuramente avvenute sul fondo del lago, per i depositi accumulativi dalle acque ed i franamenti del recinto, possano permettere di sperare. Infatti, non credasi che basti il rilevamento del fondo del lago per risolvere in ogni caso la questione: se al disotto delle acque esi- stessero dei coni o dei crateri ben accentuati dalle loro cinte, sarebbe relativamente facile avere la prova materiale della esistenza di queste bocche, ma se invece si trattasse di uno o più crateri dalle cinte poco rilevate, come quello di Monterosi, che i depositi alluvionali possono avere facilmente colmati, il rilevamento del fondo non servirebbe a nulla. In questo caso i profili che da esso si potrebbero ricavare ci darebbero delle figure più o meno regolarmente imbutiformi, le quali però non proverebbero affatto la forma craterica di tutto o di una parte del lago, poiché anche se la superficie ora occupata dalle acque si fosse semplicemente sprofondata per azione indiretta di bocche vi- cine, è evidente che i franamenti delle sponde, costituite da materiali per la massima parte incoerenti, avrebbero dovuto dare al profilo del lago una figura pure imbutiforme. Del resto, che franamenti siano avvenuti, basta ad assicurarcene la scomparsa della città di Sabatia, che come ho accennato, si vuole rimasta sommersa in seguito ad una catastrofe. Il negare prima che il lago sia un cratere, per ammettere poi che sotto alle sue acque vi possano essere sepolte una o più bocche erut-, tive, può sembrare a bella prima una contradizione od un sofisma, mentre non è nè l’una nè l’altro, e cercherò di provarlo. Supponiamo per un momento che nei dintorni della Mola Nuova presso l’emissario del lago, fra i due crateri di Stracciacappe e La- gusello e ad Est di Vigna di Valle presso Bracciano, fossero sorti tre edifìci vulcanici, che colle loro deiezioni avessero riempito quelle de- pressioni ed obbligato le acque a salire per un altro centinaio di metri; che cosa sarebbe avvenuto? E facile immaginarlo: il lago si sarebbe ingrandito, assumendo una forma elittica e sotto le sue acque sarebbero rimaste sepolte le quattro bocche eruttive più basse del gruppo di Bracciano, il conetto di Anguillara e tutte quelle del gruppo di Martignano. In questo caso sarebbesi potuto con esattezza di linguaggio chia- -To- rnare il lago un cratere? Evidentemente no. Un fatto simile può essere avvenuto nella parte sommersa: ora domando io, se il lago non è un cratere, potremo noi dargli questo nome pel solo fatto che vi sono delle ragioni per ritenere che sotto alle sue acque possano es- sere sepolte una o più bocche eruttive? Chiamando cratere il lago, a me pare che noi daremmo al tutto il nome che può forse appartenere soltanto ad una o più parti di esso, che per mancanza di dati finora non è neppure possibile di determinare. 2 e 3. Macchia della Fiore. — Nella descrizione del lago di Brac- ciano ho accennato che a differenza della parte orientale e della me- ridionale, quella occidentale è chiusa da colline di una certa altezza: osservando la disposizione a semicerchio di queste colline, può sor- gere il dubbio che esse rappresentino le rovine di un grandioso cra- tere quasi totalmente distrutto, che avrebbe occupato un terzo all’in- circa dell’attuale lago. La linea perimetrale di quest’orlo craterico, salendo dal lago sotto Monte Tonico, passerebbe per la collina ov’è il paese di Bracciano, poi ad Ovest di Monte Perpignano, quindi a Poggio di Grotte Renara, Macchia della Fiore, Poggio Muratella, Poggio Tondo e per Poggio il Sassetto scenderebbe ai Bagni di Yi- carello dove s’immergerebbe nuovamente nel lago. Debbo aggiungere però che pochi ed incerti sono gli elementi che si hanno per ammettere resistenza di questo edificio vulcanico, che sarebbe per due terzi circa nascosto dalle acque del lago; ma pochi o molti che siano questi elementi, evidentemente sono gli stessi che servono di appoggio a coloro che nelle stesse colline da me citate vedono il frammento d’una cinta craterica assai più grande, che avrebbe dovutofiircoscrivere tutto il lago, e per quanto poco attendibili, lo saranno sempre di più considerati in rapporto ad un cratere delle dimensioni più modeste da me indicate. La prova maggiore che possa trattarsi d’un frammento di cinta craterica, è fornita dalla curva semicircolare sulla quale sono disposte le anzicitate colline, suddividendo però a tratti questa curva, dal- l’esame parziale di essa si rimane assai incerti sul valore da dare a questo criterio. Infatti a Sud, dal Monte Tonico fino alle falde di Poggio Grotte Renara, la curva passa per un gruppo di bocche erut- tive, che sono certamente posteriori al supposto cratere e che se possono benissimo essersi formate sul suo orlo, come si verifica spesso, pos- sono pure essere sorte dove prima non esisteva alcun edifìcio vulca- nico e quindi il fatto di contribuire con altre colline a disegnare - 75 - un semicircolo, potrebbe essere puramente accidentale. A Nord, vi è il gruppo di colline cbe formano Poggio il Sassetto, per le quali si può far passare questa linea perimetrale del grande orlo craterico, ma anche questo gruppo di colline ha più l’aria d’essere un edi- fìcio vulcanica distinto, anziché parte d’ una bocca eruttiva più grande; sicché anche questa parte della linea perimetrale avrebbe un valore assai relativo. Pesterebbe quindi soltanto la parte centrale segnata dalle due colline di Macchia della Fiore e dal Poggio di Grotte Fe- nara; esse segnano infatti un arco di circolo, che specialmente nel tratto di Poggio Grotte Fenara potrebbe indicare i residui d’un cra- tere metà più piccolo di quello poc’anzi accennato. In ultimo non vi sono ragioni per escludere neppure che queste due colline rappresentino un conetto distinto: la forma depressa ed allungata delle due colline prese insieme s’avvicina poco, è vero, alla forma dei coni vulcanici, però devesi avvertire che tanto nel caso dei due crateri come in quello del piccolo cono, qui tratterebbesi sempre di edifici antichissimi in gran parte alterati o demoliti da edifici più recenti e che perciò non possono presentare la forma caratteristica delle bocche eruttive ; inoltre Macchia della Fiore è costituita da lava e ricoperta da bombe: da Nord e da Sud due profondi burroni sepa- rano queste colline dalle altre e quando non si volessero ritenere ef- fetto soltanto dell’erosione, potrebbero anche segnare il perimetro di una bocca eruttiva. Un dato preziosissimo dovrebbe ricavarsi dalla pendenza delle lave di Macchia della Fiore, poiché se esse pendessero verso Ovest, verrebbe con ciò provata l’esistenza d’un cratere più o meno grande sulla di cui parte esterna sarebbero scivolate, quando invece se fossero inclinate verso Est, cioè verso l’interno del sup- posto cratere, bisognerebbe scartare l’ipotesi del medesimo ed accet- tare quella del cono. La località, coperta come è di fittissimo bosco, si presta poco a minuziose osservazioni quali sarebbero del caso, ed a me manca ora questo importante elemento: mi ricordo che la lava a Nord di Vigna Grande inclina effettivamente verso il lago, ma questa proviene si- curamente da centri eruttivi più recenti, per cui non se ne può tener conto. L’inclinazione che dovrebbesi procurare di rilevare esattamente, perchè toglierebbe ogni incertezza, è quella della lava che trovasi nel Fosso della Fiore sotto Poggio Muratella, e di quella che vedesi sui versanti Est e Nord di Macchia della Fiore. - 76 — La zona orizzontale di lava che riveste il fianco ripidissimo del Macchione Grande, ad Est di Poggio il Sassetto, potrebbe essere un altro elemento in appoggio dell’ipotesi del cratere più grande, ma bisognerebbe fosse bene accertato che la sua pendenza è verso Ovest. Infatti, questa zona di lava trasversale alle generatrici d’una collina che elevasi quasi a picco, dovrebbe rappresentare la sezione d’una colata che avesse rivestito il versante esterno del cratere e che sa- rebbe rimasta poscia sepolta sotto materiali ciré vi si accumularono più tardi ; perciò, come la lava di Macchia della Fiore a seconda della pendenza da una parte o dall’altra (ammenoché non fosse un dicco) indicherebbe se trattasi della sezione o della superfìcie d’una colata: nel primo caso ci proverebbe essere quella collina il residuo dell’ in- terno d'un cratere ; nel secondo, che essa è invece il versante d’un cono. Disgraziatamente anche questo dato mi manca per la difficoltà che come ho già accennato, s’ incontra nel fare tali osservazioni in questa regione : a me è rimasta l’ impressione che le lave di Macchione Grande pendano verso il lago, ma non ne ho la certezza materiale, per cui non posso insistervi. In quanto ai tufi essi sono generalmente inclinati dalla parte del lago, cioè verso l’interno dei supposti crateri, come osservò pure il Ponzi, e tale fatto è contrario all’ ipotesi dell’esistenza di un cratere in questa località, come fu notato anche più sopra. Dall’esame analitico della parte occidendale del recinto del lago Sabatino, risulta che, tenuto conto della curva sulla quale sono di- sposte le colline che lo costituiscono, non meno che delle modifica- zioni ed alterazioni apportatevi dagli agenti atmosferici, come anche dei materiali di cui sono formate le colline stesse, tre sono le ipotesi che si presentano, e cioè: 1° Ohe seguendo la curva naturale, segnata da tutte queste colline prese nel loro insieme da Bracciano a Vicarello, esse possano rappresentare la parte occidentale d’un grandioso cratere, che avrebbe occupato due terzi circa della superfìcie dell’attuale lago, sull’orlo del quale si sarebbero posteriormente formati i due gruppi di bocche eruttive di Bracciano e di Poggio il Sassetto. 2° Che facendo astrazipne dai due gruppi eruttivi ora citati, ri- tenendo la loro posizione affatto accidentale, seguendo la curva se- gnata dalle colline di Macchia della Fiore e Poggio di Grotte Renara, sulla medesima si potrebbe ricostruire un cratere metà più piccolo dell’altro. — 77 — 3° Infine che, malgrado la depressione e la forma di queste due colline unite insieme, si potrebbero pure considerare come gli avanzi d7un piccolo cono, la qual cosa spiegherebbe logicamente la pendenza generale dei tufi verso il lago. Ad ogni modo qualunque delle tre ipotesi si voglia ammettere, è indubitato che questa bocca eruttiva sarebbe sempre più antica di tutte le altre dei dintorni: ne consegue da ciò che quelle formatesi posteriormente, colle loro defezioni avrebbero ricoperto gli avanzi della più antica, alterandone la forma e confondendo assieme materiali forse diversi; il tempo dal canto suo colla sua opera demolitrice avrebbe continuato la distruzione. Per tali motivi i pochi dati che con dif- ficoltà si possono avere percorrendo questa regione, sono così incerti che riesce impossibile pronunciarsi in favore di uno qualunque dei tre casi contemplati. Gruppo di Oriolo. — Questo gruppo comprende 4 edifìci vulca- canici che sono: Poggio il Sassetto, Poggio Tondo, Monte Levo e Monte Raschio. 4. Poggio il Sassetto. — Ho già parlato incidentalmente di questa località nel paragrafo precedente, considerandola come parte della cinta del supposto grande cratere, ma per la mancanza di dati suffi- cienti, essendo assai dubbia resistenza di questo, parmi non debba tralasciarsi di tener conto anche della probabilità ch’esso possa essere un edifìcio vulcanico separato, per quanto pochi siano i dati che si hanno a sostegno di quest’altra ipotesi. Dopo tutto, questa seconda non escluderebbe necessariamente la prima, giacche ammessa V esi- stenza del grande cratere, questa località poteva benissimo dapprima aver fatto parte della cinta di quello e più tardi esser sorto sulla me- desima un cono che colle sue dejezioni nascose la parte del primitivo edifìcio sul quale si era sviluppato. Il cono detto Poggio il Sassetto sarebbe limitato ad Est dal lago -Sabatino, a Nord da Monte Capriglia, dal fosso che circonda Monte Levo e dal Monte Raschio; ad Ovest e Sud dal Fosso della Fiore. Entro questi limiti, oltre la sommità di Poggio il Sassetto, sono com- prese le alture di Monte Levo, Poggio delle Forche, Poggio del Ne- spolo e Poggio Muratella, le quali rappresenterebbero a loro volta delle bocche avventizie formatesi sul cono maggiore. Ebbi occasione di visitare due volte questa località in epoche di- verse; dalla prima mia gita, per le ragioni ohe fra poco indicherò, - 78 - riportai l’ impressione che essa doveva essere un cono, assai defor- mato se si vuole, ma ancora riconoscibile. Nella seconda mi ero pro- posto di studiare più accuratamente la località dal punto di vista di coloro che nel lago Sabatino vedono un solo grandioso cratere, del quale essa sarebbe stata una parte della cinta: ho detto già le ra- gioni che mi hanno fatto scartare questa ipotesi, e quelle pochissime che mi farebbero propendere per ritenerla piuttosto parte della cinta d’un cratere assai più piccolo. In definitiva però sono rimasto della prima opinione, che cioè questo gruppo di colline rappresentino in- vece un’ edifìcio vulcanico a parte ; poiché i pochi dati che si hanno, si adattano più facilmente a questa ipotesi che a qualunque altra. Nel versante orientale Poggio il Sassetto s’innalza ripidamente sulle acque del lago per 366 metri, mentre in quello opposto, cioè verso Oriolo, si eleva a dolce pendìo di appena 104 metri sul fondo del Fosso della Fiore: la differenza nell’altezza e nell’inclinazione dei due versanti starebbe in appoggio dell’ ipotesi che questo sia il frammento d’un orlo di cratere anziché un cono, quando non si tenesse conto che ad Ovest e poco distante vi è la massa trachitica di Monte Calvario. Essa, come si sa, è preesistente alle eruzioni dei Vulcani Sabatini e costituita da una pasta lavica che per la sua poca fluidità invece di spandersi si è ac- cumulata ; emergendo quindi dalle acque che ricoprivano tutta la re- gione, doveva molto verosimilmente essere circondata da spiaggie che si abbassavano rapidamente: niente di più probabile perciò che una bocca eruttiva apertasi sopra una superfìcie fortemente inclinata verso Est, colle sue deiezioni abbia facilmente riempito la parte ad Fig. 1 .a Sezione schematica per Monte Calvario e Poggio il Sassetto M. Poggio Calvario il Sassetto 541 Oriolo 530 T) Trachite — F) Ceneri, lapilli e lave. Ovest di essa dove il fondo delle acque andava gradatamente salendo, mentre le dejezioni formavano un cono da Est e da Sud, dove il suolo gra- datamente si abbassava. Se poi si fosse avverato il fatto, già in altra - 79 parte accennato, che cioè il cono di Poggio il Sassetto si fosse for- mato sopra un orlo di cratere più antico, al dislivello naturale di una spiaggia abbassantesi in proporzione del suo allontanarsi dalla sponda, dovrebbesi aggiungere il vuoto lasciato da un grande cratere spen- tosi; in questo caso avrebbe trovato ad Ovest la spiaggia già più o meno colmata dai materiali projettati dalla prima e più grande bocca eruttiva, mentre da Est il terreno sprofondavasi in un abisso ; più grande quindi il dislivello e sempre più facilmente spiegabile la dif- ferenza nell’altezza e nell/ inclinazione dei due versanti opposti. Anche da Nord il cono è poco accentuato, ma pure per questo versante si deve ripetere un fatto analogo a quello ora descritto: a pochissima distanza vi sono le colline eoceniche di Bassano di Sutri, in allora emergenti già dalle acque e circondate da spiaggie basse gradatamento scendenti che poterono essere più facilmente col- mate. Inoltre, da questa parte vi sono pure i due coni di Monte Ter- mini e Monte Raschio, entrambi posteriori a Poggio il Sassetto, che colle loro deiezioni possono aver contribuito a colmare qualunque dis- livello fossevi esistito. Questa supposta bocca eruttiva è circondata da fossi più o meno profondi, che la isolano dalle colline circostanti e la sua base irrego- larmente circolare si presta a dargli la forma di un cono assai schiac- ciato. Si potrebbe osservare che considerata la base in rapporto coll’al- tezza non ne risulta il profilo caratteristico d’un cono vulcanico; ciò è vero, ma non sarebbe difficile trovare una spiegazione a questo fatto quando Poggio il Sassetto si ritenesse non già un cono, ma sol- tanto un tronco di cono, sul quale fosse esistito un cratere. Ricorderò qui come nelle bocche eruttive le due parti di cui con- stano (quella interna cratere e quella esterna cono) possono essere ine- gualmente sviluppate, in modo da presentare una serie numerosa di forme a cominciare dal cono, dove non vi è affatto od assai incerta la traccia del cratere, per terminare gradatamente al cratere che non ha più attorno a sè traccia del cono: le forme intermedie sono rap- presentate da coni e crateri assieme riuniti, nelle quali a volte è più sviluppata la parte interna , alle volte V esterna. Senza andar molto lontano, nei Vulcani Sabatini stessi noi troviamo tutte queste diverse forme, i di cui due tipi estremi sono rappresentati dal caratteri- stico cono di Rocca Romana e dal tipico cratere del lago di Mon- terosi. Poggio il Sassetto può benissimo essere classificato fra queste - 80 — forme intermedie, quando si consideri che sulla sua parte culminante poteva esservi un cratere demolito e riempito dalle bocche eruttive sortegli più tardi ai lati e che gli agenti atmosferici terminarono poi di distruggere, cratere che si potrebbe ritenere oggi segnato dal largo tratto di superficie pianeggiante che trovasi appunto sul ver- tice di questa collina. Del resto, anche le due bocche eruttive ora ac- cennate e delle quali mi occuperò fra poco, sviluppatesi una sul ver- sante settentrionale e l’altra sul versante meridionale di questo cono, hanno contribuito ad allargarne la base e togliergli così il profilo ca- ratteristico dei coni vulcanici. In quanto ai fossi che delimitano il cono, potrebbero essere rite- nuti effetto dell’erosione : non nego che questa possa avere contribuito in qualche parte a scavare, in qualche parte a riempire i valloni che circondano Poggio il Sassetto, ma non posso ammettere ch’essi deri- vino esclusivamente dall’erosione quando su questi fossi vedo innal- zarsi quasi a picco per più di 100 metri d’altezza, le bocche eruttive di Poggio Tondo e Monte Levo, le di cui forme coniche sono netta- mente disegnate e non al certo dall’erosione. La sommità ed il fianco orientale di Poggio il Sassetto sono ri- coperti da lapillo, il fianco occidentale più specialmente da tufi in- coerenti, i di cui elementi principali sono ceneri e sabbie vulcaniche. A N.O del punto culminante di questa collina e pochi metri al disotto di esso, vedesi una colata che si dirige pure a N.O : sul ver- sante orientale vi è la fascia di lava del Macchione Grande, della quale ho già parlato e che va a confondersi a Nord colle lave che vengono dal Monte Levo, ed a Sud con quelle che scendono da Poggio delle Forche. La forma a zona che ha questa lava proprio al disotto di Poggio il Sassetto, potrebbe rappresentare la sezione d’una colata veduta dall’interno del cratere, sulla di cui superfìcie esterna sarebbe scivolata, come ho già accennato, ma ammessa l’ipotesi che sull’al- tura di Poggio il Sassetto esistesse un cratere, essa potrebbe rappre- sentare pure ed assai verosimilmente, una colata che trasbordata dal- l’orlo craterico, ha rivestito da questa parte il cono con una zona ir- regolare di lava. Infatti, che possa essere così lo si può desumere dal fatto che al Macchione Grande mentre l’orlo superiore della lava si mantiene orizzontale per circa un chilometro, l’orlo inferiore non mo- strasi affatto parallelo o quasi all’orlo superiore, come dovrebbe essere se si trattasse d’una sezione di colata, ma qui invece la lava si bi- parte in due lembi scendenti secondo le generatrici della collina, dei — 81 - quali quello più a Nord dirigesi verso Vigna Orsina, fermandosi a mezza costa, e l’altro con direzione un poco a S.E, si ferma pure a mezza costa, ma più in alto del ramo Nord. Inoltre vi è pure un’altra ragione; se la grande massa di lava del Macchione Grande rappresentasse davvero la sezione d’una colata e la forma conica della collina fosse effetto dell’erosione, a me pare che la zona di lava si dovrebbe seguitare a vedere sotto Poggio delle Vacche e Poggio Tondo, invece di contornare come fa Poggio il Sassetto, risalendo fra questo e Poggio delle Porche, per continuare poi sul versante op- posto verso Poggio della Fiora. Il ragionamento come vedesi, è basato sulla forma che queste lave mostrano sul fianco della collina, ma per poter giudicare esattamente se nel caso nostro trattisi di sezione o di superfìcie di colata, bisogna esser certi anzitutto che il rilevamento delle lave sia stato scrupolo- samente eseguito. Per conto mio non esito a dichiarare che, malgrado il massimo impegno messo nella delimitazione delle medesime, non è difficile che qualche inesattezza nei contorni possa verificarsi, poiché nell’ eseguire tale operazione mi sono trovato di fronte a difficoltà pressoché insuperabili con mezzi ordinari. Ciò premesso, non credo però che le possibili inesattezze che per avventura si verificassero, potrebbero modificare sensibilmente i limiti di queste lave, sicché resterebbe sempre quello che la qui unita Carta ci dimostra, e cioè che quelle a Nord di Poggio il Sassetto proven- gono dal Monte Levo e scendono dall’alto, così pure quelle a Sud che, uscite da un punto culminante situato fra Poggio delle Forche e Poggio delle Vacche, si riversarono parte ad Ovest verso Poggio delia Fiora e parte ad Est segnando indubitatamente delle vere co- late fluite sui fianchi di un cono. Pesta il lembo di lava del Mac- chione Grande che come ho detto, potrebbe essere una colata trasbor- data dall’orlo d’ un cratere. Comunque sia, per constatare se la lava del Macchione Grande rappresenta la sezione o la superfìcie d’una co- lata non vi ha altro elemento che l’inclinazione della medesima, che come dicevo in altra parte del presente lavoro, bisogna cercare di ve- rificare attentamente, cosa che dal canto mio procurerò di fare se mi si presenterà l’occasione. 5, 6 e 7. Poggio Tondo. — Questa località alla quale già ho ac- cennato più volte, è una bocca apertasi sul versante meridionale della collina di Poggio il Sassetto. Questo edificio vulcanico pare consti di un cratere entro il quale sia posteriormente sorto un cono 6 - 82 - come il Vesuvio nel Somma o meglio ancora come il Monte Ve- nere nel Vulcano di Vico, perchè la forma del cratere che circonda il Monte Tondo, in proporzioni minuscole, s’assomiglia più a que- st’ultimo. Abbenchè anche questa bocca eruttiva trovisi entro la regione boscosa più sopra accennata e perciò in condizioni infelicissime per potervi fare delle osservazioni, pure la stessa topografìa segna così nettamente questa forma craterica che mi sembrerebbe molto arri- schiato ritenerla soltanto effetto del caso. Poggio delle Vacche, Poggio delle Forche, Poggio del Nespolo e Poggio Muratella sono disposti a circolo e disegnano l’orlo d’un cratere avente una piccola apertura a S.E, dove convergono i due piccoli fossi di scolo che circondano il cono centrale di Poggio Tondo. Tutta la cinta craterica, ad eccezione della parte N.E, si mantiene dai 20 ai 30 metri più bassa del cono centrale, la di cui sommità trovasi alla quota di metri 444 sul livello del mare : da questa parte, fra il cono e la cinta craterica, corre un’ angusta vallecola semicircolare ad un livello più basso appena di 20 o 30 metri dall’orlo della cinta. A N.E la cinta craterica è segnata da Poggio delle Vacche, il quale è un’altura che, a differenza della parte occidentale, supera di 65 metri l’altezza di Poggio Tondo, raggiungendo 509 metri sul livello del mare e che per la sua forma conica si può ritenere esso pure per una bocca avventizia del piccolo edifìcio vulcanico. In appoggio di questa ipotesi abbiamo che fra il cono centrale e Poggio delle Vacche non si vede, come nella parte occidentale la vallecola che separa il cono dalla cinta craterica, ma sibbene un ripido fossetto di scolo che corre fra le due colline, perchè il piccolo avvallamento fu probabil- mente riempito dalle deiezioni di Poggio delle Vacche. Inoltre a Nord, e poco al disotto di questo poggio, vi è la colata di lava che dallo spartiacque esistente fra questa località e Poggio il Sassetto si rove- scia ad Est verso il Macchione Grande e che a me pare sia dovuta alle eruzioni di Poggio delle Vacche. Questa lava uscita da un punto situato in mezzo e quasi ad egual distanza dalle due sommità di Poggio il Sassetto e Poggio delle Vacche parrebbe a bella prima potersi indif- ferentemente assegnare tanto all’una che all’altra delle due bocche, osservando però che la parte di colata che si rovescia ad Ovest verso Poggio della Fiora, passa sopra a Poggio delle Forche, che fa parto della cinta craterica di Poggio Tondo, e sapendo che questa bocca eruttiva è posteriore a quella di Poggio il Sassetto, se ne deduce che — 83 - questa lava deve necessariamente appartenere ad una bocca più gio- vane ancora del cratere di Poggio Tondo, che perciò non può essere altra alTinfuori del conetto di Poggio delle Vacche, piccola bocca av- ventizia del cratere di Poggio Tondo, come questo a sua volta è una bocca avventizia del cono di Poggio il Sassetto. Le diverse vicende dell’ edificio vulcanico di Poggio Tondo, dai dati che si hanno, si possono disporre nel seguente ordine cronologico. Deve aver cominciato anzitutto con l’aprirsi il cratere segnato oggi dalle colline Poggio delle Porche, Poggio del Nespolo, eoe. (vedi n. 6 della Carta dimostrativa) che presenta un diametro di 1250 metri mi- surato da Nord a Sud : alle eruzioni di questo cratere apparterrebbe forse una parte delle lave, che sono nel Posso della Pioife sotto Poggio Muratella e quelle che pel versante orientale di questo poggio scen- dono pure al Posso della Fiore, eppoi vanno a perdersi nel lago Sa- batino. Entro questo cratere sarebbesi elevato poi il piccolo cono di Poggio Tondo (vedi n. 5 della Carta dimostrativa), alle eruzioni del quale è sicuramente dovuta la piccola colata di lava che vedesi a N.O nella vailetta circolare ai piedi del cono; potrebbe appartenere ad esso anche la lava, poc’anzi citata, che pel versante orientale di Poggio Muratella scende al Fosso della Fiore e quindi al lago, ma a questo riguardo non si hanno dati di sorta per decidere se appar- tenga piuttosto alla prima fase che alla seconda e bisogna perciò li- mitarsi a dire che per la sua posizione può appartenere ad entrambe. Da ultimo, sulla parte N.E della cinta craterica, si formò il co- netto di Poggio delle Vacche (vedi n. 7 della Carta dimostrativa) alle eruzioni del quale appartiene molto verosimilmente la lava che da Ovest scende verso Poggio della Fiora, ed almeno una parte di quella che da Est scende verso il Macchione Grande. Anche a Sud di questo conetto vi sono traccie di lava ricoperte quasi totalmente da terriccio e lapilli, ma siccome da questa parte il versante del conetto si con- fonde insensibilmente col versante meridionale del cono grande di Poggio il Sassetto, sarebbe impossibile dire se tale lava appartiene al grande od al piccolo cono. 8. Monte Levo. — E situato sul versante N.E di Poggio il Sas- setto, ed è una piccola collina allungata nel senso E-0 che termina con due punte: da Est e da Nord si alza quasi a picco per un cen- tinaio di metri sulla valle Fontevitabbia che da queste due parti lo circonda, mentre da Sud e da Ovest si erge di pochi metri dal pia- neggiante terreno circostante. — 84 — Dalla punta occidentale del Monte Levo, situata a 484 metri sul livello del mare, è uscita una grande colata di lava che dapprima si è diretta a Sud, eppoi ha piegato a S.E venendo a confondersi a Sud colle lave del Macchione Grande ed a Nord con quelle provenienti da Monte Capriglia e scendendo giù giù pei fianchi di Poggio il Sassetto e per la Macchia di Vicarello, ha raggiunto il lago dove si nasconde sotto alle sue acque. I Vulcani Sabatini poveri di lave (almeno visibili) in confronto degli altri vulcani romani, mostrano nella regione che si estende da Poggio il Sassetto a Trevignano una delle due sole masse imponenti di lave che abbia questo gruppo vulcanico, l’altra essendo quella di Santa Maria di Galera a Sud del lago. Mentre però la lava di que- st’ultima località è quasi certo che venga da una sola bocca, si indovina facilmente che quella invece di Monte Levo e dintorni, dev’essere stata vomitata da più bocche eruttive i prodotti delle quali si sovrapposero e mescolarono assieme. In questo ammasso di lave ve ne sono di quelle alterate più o meno in proporzione della loro mag- giore o minore acidità; ve ne sono di quelle ricchissime di cristalli di leucite, tanto da formarne un vero impasto cementato dal magma lavico, e fra queste alcune che contengono detti cristalli allo stato farinoso, altre allo stato primitivo o intermedio ; ve ne sono di quelle invece che non contengono che rari cristalli di leucite, ovvero li hanno piccolissimi e nelle quali la leucite passa gradatamente allo stato di diffusione, ed altre infine che pur contenendo della leucite, essa non é visibile ad occhio nudo. Abbenchè io ritenga cosa molto ar- dua, se non assolutamente impossibile, la esatta separazione grafica delle diverse colate, a causa del bosco che le ricopre, pure un’accurata ana- lisi microscopica di tutte queste lave, fornirebbe sicuramente preziosi elementi da permettere per lo meno di distinguere le une dalle altre. Ammesso che Poggio il Sassetto sia un cono sulla cima del quale esisteva un cratere oggi riempito ed irriconoscibile, come ho già detto, e volendo ricostrurre per quanto è possibile, la storia di questo com- plesso edifìcio vulcanico, del quale sono venuto descrivendo le varie bocche eruttive, dai dati che si hanno si può argomentare, che ces- sata o quasi l’attività nel cratere principale di Poggio il Sassetto, ed in seguito ad una frattura N.E-S.O del cono, si aprisse sul versante S.O di questo una bocca avventizia che, ingranditasi a poco a poco, formò a sua volta il piccolo edifìcio vulcanico di Poggio Tondo, il quale come abbiamo visto, avrebbe avuto tre fasi, indicate dalle sue - 85 - tre bocche. Spentasi l’attività anche in questo punto, sarebbesi ma- nifestata all’estremità opposta della frattura, cioè sul versante N.E, coll’erezione del Monte Levo. Certo non è condizione indispensa- bile l’estinzione di una bocca avventizia all’ apertura di una se- conda , specialmente quando sono situate sulla stessa frattura e poco distanti l’una dall’altra; ma suppongo sia avvenuto così perchè effettivamente dal tutto insieme mi è sembrato che il Monte Levo sia più recente del Poggio Tondo. Inoltre quest’ultimo colle sue tre bocche e colle dimensioni dell’edificio incomparabilmente maggiori di quelle del conetto di Monte Levo, ci mostra chiaramente essere esso il risultato di parecchie eruzioni, mentre l’altro assai probabilmente è il frutto di una sola, cessata assai presto in seguito ad una abbondantissima emis- sione di lava : la differenza di durata nell’attività dei due punti erut- tivi, assieme all’impressione prodotta da circostanze diverse che il Monte Levo sia più recente, mi ha fatto propendere a ritenere che le due ma- nifestazioni vulcaniche siano state successive anziché contemporanee. 9. Monte Raschio. — E un bel cono situato a N.O di Poggio il Sassetto e da esso separato soltanto da una piccola valletta che segna il limite dei due coni. L’ho messo assieme al gruppo dei vulcani di Oriolo, perchè non solo è vicino a questo paese, ma anche perchè sorto proprio alle falde settentrionali di Poggio il Sassetto come il Monte Levo, potrebbe rappresentare l’ultima manifestazione di questo apparato vulcànico. D’altra parte per i suoi caratteri e per l’età sua, starebbe ugualmente bene aggruppato col Monte Termini che gli sta a N.E, giacché sembra che appartengano entrambi alla stessa epoca eruttiva: come vedesi, anche la separazione in gruppi da me adot- tata per la descrizione, in base alla posizione topografica rispettiva delle diverse bocche ha qualche inconveniente , ma è indubitato che pei Vulcani Sabatini si presentava come la più razionale. Se avessi avuto per guida i risultati d’uno studio petrografìco delle lave di questi vulcani, forse avrei potuto scegliere il sistema di riunire insieme tutte le bocche eruttive che avevano emesso la stessa qualità di lava, poiché spesso la diversità dei prodotti può indicare varie epoche eruttive del vulcano, ad ognuna delle quali corrisponde una lava speciale, come mi avvenne di constatare nel vulcano di Roccamonfina. 1 ♦ 1 P. Moderni, Note geologiche sul gruppo vulcanico di Roccamonfina (Boll. R,. Com. geol., n. 8-4, 1887). — Roma. - £6 — La sommità del cono di Monte Raschio si eleva di 535 metri sul livello d* ). — Mùnchen, 1895. In questo opuscoletto l’autore espone ciò che può interessare il viaggiatore naturalista nei dintorni di Gardone sul lago di Garda, dividendo le materie in tre parti: Geologia, Botanica, Zoologia. Nella parte geologica egli passa in breve rassegna le diverse formazioni che qui si presentano, dal Lias all’Eocene, e poi dal Pliocene all’Alluviale — 358 — Issel A. — Cenni di nuove raccolte fatte nelle caverne ossifere della Liguria. (Atti Soc. ligustica di Se. nat. e geogr., V, 4). — Genova. L’autore presenta il risultato di nuove ricerche da lui fatte nella caverna Pollerà aperta entro il calcare arenaceo (Pietra di Finale), nel monticello di Pian Marino a circa un centinaio di metri sopra la borgata di Monte Sordo (Finalborgo). Egli ha potuto riconoscervi le traccio d’un potente terremoto, il quale deve rimontare a tempi storici remoti e sconquassò la parte anteriore della caverna lasciando sul dinanzi' di questa, qual’è attualmente, un arco. La Pollerà fu forse uno degli ultimi propugnacoli dei Liguri indipendenti contro l’invasione dei Romani. Gli scavi fatti sotto la direzione dell’autore misero in luce, oltre a nume- rose ossa di vertebrati, manufatti d’osso, di corno, di denti, litici e di terra cotta, i resti di dieci individui umani, tutti giovani o bambini, alcuni difesi da lastre di pietra, e che, per essere riuniti in una parte della caverna indicano il fatto nuovo che una determinata regione di questa era specialmente adibita al seppellimento delle persone non adulte. L’autore conferma che questa grotta, come nelle altre pure neolitiche del Finalese, fu destinata non solo a uso di sepolcro, ma anche a quello di abi- tazione o ricovero. Issel A. — DelVetà attribuita da Domenico Viviani alle serpentine li- gustiche. (Atti Soc. lig. di Se. nat. e geogr., VI, 2). — Genova. L’autore dimostra, citando i passi degli scritti del Viviani riferenti si a tale argomento, che quel naturalista non distinse affatto (scrivendo nel 1807 e nel 1809) le serpentine eoceniche dalle arcaiche in Liguria, come altri recentemente ha asserito. Johnston-Lavis H. J. — The eruption of Vesuvius, July , 3, 1895. (Na- ture, n. 1345, Voi. 52). — London. In questo articolo, pubblicato in data dell’8 agosto, l’autore dà alcune no- tizie sull’eruzione del Vesuvio cominciata il 3 del precedente mese, premet- tendo l’indicazione dello stato anteriore del vulcano. Alcuni schizzi corredano questo scritto. Johnston-Lavis H. J. — On thè formation at low temperatures of cer- tain fluorides, silicates , oxides, etc ., in thè pipernoid tuff of thè Cam- pania; with a note on thè determination of some of thè species by Prof. P. Franco. (Geol. Magaz., New Series, Dee. IV, Voi. II, 7). — London. L’autore, pur ammettendo che nella maggioranza dei casi, minerali, quali la mica, il pirosseno, la nefelina, la fluorite, l’ematite, l’antibolo, si siano for- mati col concorso di temperature elevatissime e talora anche di energiche pres — 359 — siòni, vuol dimostrare che essi possono anche prodursi sotto pressione piccola o nulla e ad una temperatura tanto bassa da non essere sufficiente a carbo- nizzare ed anche solo scolorire la materia organica delle ossa. E per far ciò si basa sui minerali trovati sui blocchi di calcare e sulle ossa contenute nel tufo della Campania, che per lo stato di conservazione di taluna di queste ultime mostrano aver avuto temperatura inferiore a quella indicata. Johnston-Lavis H. J. e Flores E. — Notizie sui depositi degli antichi laghi di Pianura ( Napoli ) e di Melfi (. Basilicata ) e sulle ossa di mammiferi in essi rinvenute. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 2). — Eoma. Nella prima parte del lavoro sono illustrati alcuni avanzi di Cervus elaphus scoperti sotto i Camaldoli (Campi Flegrei) entro la pozzolana in uno stato tale di sfacelo che esigette un lungo ed arduo lavoro per scavarli e restaurarli. La scoperta è importante in quanto che tali resti di mammiferi sono estrema- mente scarsi nei depositi tufacei della Campania. Gli autori ne colgono occa- sione per una breve descrizione e storia geologica della collina dei Camaldoli e del sottostante bacino di Pianura, il cui fondo è formato da depositi lacustri entro i quali appunto si rinvennero le ossa. Anche nei dintorni di Melfi, ai piedi del Vulture, erano stati trovati fino dal 1884, entro depositi di tufo, alcuni frammenti di ossa e corna di cervo. Anche in questo caso trattasi di sedimenti formatisi sul fondo di un piccolo lago dovuto probabilmente alla chiusura del corso del fiume causata da qualche corrente di lava del Vulture e poi a poco a poco riempitosi pei materiali tra- sportativi o cadutivi dentro. In una tavola, che accompagna il lavoro, sono disegnate le ossa tanto delluna che dell’altra località. Karsten H. — Zur Geologie der Insel Capri. (N. Jahrb.fur Min., Geol. und Palaeont., Jahrg. 1895, Bd. I, H. 2). — Stuttgart. Premessi alcuni cenni sulla posizione, conformazione ed orografia dell’isola, l’autore ne tratta con una certa estensione la parte geologica. L’isola è costi- tuita quasi per intero da un calcare grigio, cristallino, bituminoso, a frattura irregolare, la cui stratificazione non è visibile nettamente che in pochi punti e talvolta confusa con piani trasversali di frattura, talvolta riempiti da detriti o da vene spatiche : grandi masse stratificate di breccie o di puddinghe alter- nano con questo calcare, o ne riempiono le cavità, e tutte sono ad elementi assolutamente calcarei. Tanto nel calcare quanto nei conglomerati si trovano, relativamente abbondanti, i fossili, fra cui ellipsactinie e nerinee. Tale grande formazione fondamentale è caratterizzata dalla esistenza di grotte o cavità nella sua massa, fra le quali la famosa Grotta Azzurra, e da segni evidenti degli abbassamenti e dei sollevamenti subiti fino ad epoca rela- tivamente recente; per cui vi si distinguono diverse terrazze segnate dai fori 9 — 360 — dei litodomi. La sua stratificazione fu riconosciuta in generale diretta da N.E a S.O con pendenza di circa 43y verso N.O ; per modo che i maggiori di- rupi presentanti le testate degli strati, si trovano alla parte S.E dei due mas- sicci montani di Capri e di Anacapri. La grande formazione anzidetta è ricoperta da un calcare compatto, bianco, talora con letti di selce intercalati ; le rudiste che esso contiene in abbondanza lo dimostrano cretaceo. Nell’avvallamento esistente fra i due massicci sopra- detti, e in particolare verso la marina a settentrione, vedonsi lembi di un ter- reno più recente con arenaria o scisto argilloso più o meno arenaceo. Traccio di Pliocene marino sarebbero state riconosciute in più punti e a diverse altezze dall’autore, con mulluschi appartenenti a specie tuttora viventi nel Golfo di Na- poli. Maggiore importanza hanno poi gli estesi lembi di quaternario sugli alti- piani, prodotti generalmente dall’erosione • meteorica, ed i grossi banchi di ma- teriali vulcanici, con frammenti di pomice, provenienti dai Campi Elegrei o dallTschia a preferenza che dal Vesuvio o dal Somma. Keilhack E.. — Die Vergletscherung der Alpen. (Proro.eth.eus, 6, 1895, n. 288-291). — Berlin. Sono quattro articoli del Prometheus, nei quali l’autore rapidamente rias- sume i risultati dello studio geologico del fenomeno glaciale nel sistema alpino, specialmente in base alla esposizione fattane nel loro Systeme glaciaire des Alpes da Penck, Brùckner e Du-Pasquier (v. Bibliogr. per il 1894). Era gli esempi di cui l’autore si trattiene vi sono quelli dei terreni glaciali di Ivrea e del Garda. - Notevole è, che parlando della estensione dei terreni glaciali nelle Alpi meridionali, l’autore cita come morenici parte dei noti depositi pliocenici della Riviera di Ponente; intorno al che è desiderabile un’ulteriore comunicazione dell’autore anche per le relazioni che vi possono essere fra questi depositi e quelli del diluviale inferiore a facies glaciale degli altipiani estendentisi al piede settentrionale delle Alpi Marittime, e dei quali egli non parla. Lioy P. — Sui resti organici trovati in alcune grotte del Vicentino. (Atti E. Ist. Veneto di Se., lett. ed arti, S. VII, T. 6°, dis. 3). — Ve- nezia. La nota si riferisce agli avanzi trovati entro caverne nei dintorni di Cor- nedo e Valdagno dal De Gregorio, e di cui abbiamo accennato più in alto sotto questo nome. L’autore conferma l’importanza della scoperta della Cavia cobaya Pali., se potrà accertarsi che giaceva in veri strati quaternari non rimaneggiati, e ne coglie occasione per parlare della origine delle Cavie in generale e di altri mammiferi e molluschi trovati nelle predette caverne. - 361 - Lotti B. — TJ età , geologica delV arenaria di Firenze a proposito di una pubblicazione del prof. G. Trabucco su questo argomento. (Boll. Soc. geol. it , XIV, 1). — Roma. E una comunicazione fatta alla Società geologica nella sua adunanza in Firenze nell’aprile 1895, per confutare l’asserzione del Trabucco che il macigno del bacino di Firenze, ritenuto fino allora cretaceo, venne collocato per la prima volta alla base dell’Eocene, in seguito alle sue scoperte. In essa l’autore osserva che detta arenaria è stata ritenuta eocenica da quasi tutti i geologi che la studiarono; e che egli stesso, se per un momento ne dubitò, in seguito alla scoperta di strati nummulitici sottostanti, ritornò tosto all’antico riferimento. Nello stesso macigno, benché rare, furono trovate le nummuliti dal Lotti, e in quanto alla presenza di inocerami nella stessa formazione, negata dal Trabucco, l’autore cita diversi rinvenimenti fatti da lui stesso, e prima di lui da altri. Lotti B. — Sulle condizioni geologiche della sorgente termale di Vignoni, presso S. Quirico d’Orcia (prov. di Siena). (Boll. R. Com. geol., XXVI, 2). — Roma. L’argomento di questa nota è quello stesso di un articolo pubblicato dal- l’autore nella Zeit. f. prakt. Geologie di Berlino, del quale si rende conto più innanzi. Lotti B. — Cenni sul rilevamento geologico eseguito in Toscana durante Vanno 1894. (Boll. R. Com. geol., XXVI, 3). — Roma. E il consueto rapporto annuale del rilevamento geologico compiuto dal- l’autore, e che per il periodo di cui si tratta si svolse nell’area compresa nelle tavolette topografiche di Montalcino, Asciano e Sinalunga, in provincia di Siena, ed in quelle di Firenzuola, Bagni della Porretta, Vergato e Loiano, nelle pro- vinole di Firenze e di Bologna. Tra i fatti accennati in questo lavoro, notiamo che nella tavoletta di Asciano presso il Bagno Freddo e presso Poggio S. Cecilia fra l’arenaria eoce- nica e gli scisti policromi manganesiferi dall’autore ascritti, per analogia a quelli di altre località toscane, parte all’Eocene inferiore e parte al Senoniano stanno degli strati in cui il dott. De Angelis raccolse nummuliti determinate dal prof. Tellini come appartenenti all’Eocene medio o meglio al passaggio dal Parisiano al Bartoniano : ciò che accorda con quanto fu dall’autore ritenuto per terreni analoghi tra Greve e Figline nel Chianti. Notiamo pure le notizie intorno alle sorgenti termali di Rapolano ed alle sorgenti ed emanazioni di acido solfìdrico della regione circostante. Riguardo alle tavolette di Firenzuola e Bagni della Porretta, nelle quali si presentano questioni importanti, l’autore, pur accennando a qualche risultato già ottenuto, si riserva di parlarne dopo ulteriori osservazioni. — 362 - Lotti B. — Strati eocenici fossiliferi presso Barigazzo nelV Appennino modenese. (Boll. R. Com. geol., XXVI, 4). — Roma. L’autore premette che nell’ Appennino modenese il terreno eocenico può esser diviso in tre gruppi distinti stratìgraficamente, e, quasi sempre, litologi- camente. Il gruppo superiore è costituito da arenaria prevalente, alternante con strati di calcari e scisti marnosi; il medio, da scisti argillosi e calcari marnosi, con calcari screziati a foraminiferi e masse serpentinose ; l’inferiore^ da arenarie e scisti arenacei ed arenaceo-argillosi grigi, con qualche strato nummulitifero, specialmente nella parte superiore. Il secondo gruppo costituisce la ben nota zona delle argille scagliose, che ha dato luogo a tante discus- sioni. Ora il Lotti segnala presso Barigazzo una sezione nella quale si osser- vano in istrati quasi orizzontali e in rapporti stratigrafìci che non lasciano luogo a dubbi, i due primi dei gruppi indicati: nel superiore egli raccolse un esem- plare ben conservato di Inoceramus, assai affine all’ I. Cripsi Mant., abbon- danti Chondritesì Palaeodictyon (P. majus Mgh.), Helminthopsis, Helminthoida ( H crassa SchafL); e alquanto più in basso compariscono le bivalve (fra le quali il dott. Di-Stefano riconobbe in parte le stesse Cypricardìa , Thracia e Lucina descritte dal Capellini pel macigno della Porretta) entro masse calcaree irregolarmente comprese in un’arenaria che contiene Taonurus e Palaeodictyon. Nel gruppo mediano si hanno briozoari, lithothamnium , globigerine ed altre foraminifere, fucoidi, ed Helminthoida labyrinthica Heer. . Si hanno cioè fossili di tipo cretaceo e bivalve di tipo miocenico in istrati eocenici superiori alla formazione delle argille scagliose, il che porta l’autore a ricordare le diverse interpretazioni date dai vari autori del fatto già osser- vato in più punti dell’ Appennino settentrionale, ma non mai in condizioni così favorevoli come in questa località da lui trovata. Lotti B. — Die Eisenerzlager stati en und die Feldspath-eruptivgesteine der Insel Elba. (Zeit. f. prakt. Geol., Jahrg. 1895, H. 1). — Berlin. Prendendo occasione da una recensione fatta dal Reyer di un suo articolo sull’Elba, nella quale è detto che le formazioni ferrifere di quell’isola non hanno alcun rapporto con i graniti, l’autore afferma la sua opinione che invece esista uno stretto rapporto fra quei giacimenti e quelle roccie massiccie. L’autore è dello stesso parere del Czyszkowski, il quale ha studiato a fondo le formazioni ferrifere, che cioè il minerale non abbia alcun rapporto con le roccie attraversate, e sia di formazione relativamente recente, che l’autore ritiene post-eocenica, come eocenici ritiene i graniti con i quali sono a contatto, e che pure contengono masse di minerale ferrifero a Calaginevra e Terranera nell’Elba, come a Campiglia, a Gavorrano e nell’Isola del Giglio. È poi notorio - 363 — che lo stesso fatto, 1’esistenza cioè di minerali ferriferi entro il granito, si ri- scontra in molte località estere, come alle Cevenne, a Huelva, in Algeria, nel- l’Attica, ecc. Lotti B. — Thermalquelle zu Vignoni bei S. Quirico d'Orcia , Prov. Siena. (Zeit. £ prakt. Geol., Jahrg. 1895, H. 12). — Berlin. Facendo seguito ad altra comunicazione fatta allo stesso periodico sulle sorgenti termali della Toscana (v. Bibliografia 1893), l’autore fornisce in questa alcuni particolari relativi a quella di Vignoni nella valle d’Orcia, la quale pure, secondo la legge generale da lui enunciata, sgorga al contatto dei terreni ter- ziari coi secondari. La serie riconosciuta in quella località è, dall’alto al basso, la seguente : 1° Calcare nummulitico; 2° Scisti argillosi e calcari rossastri del Senoniano; 3° Diaspri varicolori del Lias superiore; 4° Calcari grigi con spalmature argillose rosse del Lias medio ; 5° Calcari scuri del Lias inferiore e forse anche del Retico. I primi due membri della serie sono affatto discordanti con gli altri, i quali costituiscono un piccolo anticlinale avente gli strati inclinati a S E. Lovisato D. — La tormalina della zona arcaica di Caprera. (Rend. R. Acc. Lincei, 8. V, Voi. IV, 2, 1° sem.). — Roma. La tormalina, che finora in Sardegna non si conosceva altrimenti cbe nelle roccie granitoido-scistose dell’Asinara, fu riconosciuta dall’autore abbastanza diffusa, sebbene sempre in piccola quantità. Essa si trova in due modi di gia- cimento; nelle granuliti e, particolarmente, nelle roccie cbe subirono l’azione metamorfica di queste, d’ordinario scisti ad elementi cristallini passanti dal- l’Huroniano al Cambriano o micascisti più antichi : è in questi ultimi che si trova nell’isola di Caprera. Le tormaline di Caprera, quasi sempre accompagnate da granato roseo, sono compenetrate dal quarzo in modo che difficilmente si possono liberare da esso. Esse appartengono al gruppo delle ferro-magnesiache e, come tutte quelle di questo gruppo, mancano di litio. La stessa varietà si trova nel prolungamento di quella zona arcaica verso San Teodoro passando pel golfo degli Aranci. Lovisato D. — Sopra alcuni minerali di Su Poru fra Fornii e Correboi in Sardegna. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Voi. IV, 3, 1° sem.). — Roma. Scopo principale della ,nota è di illustrare un minerale finora sconosciuto che l’autore trovò nella località sovraindicata entro scisti di età huroniana, e che, in seguito ad analisi chimica, riconobbe appartenere al gruppo dei piros seni senza allumina e precisamente ad una varietà della Hedembergite. Nella medesima località, e insieme al minerale anzidetto, si trova disse- minata la blenda, la pirite di ferro, il granato, l’idocrasia, la calcopirite e la calcite. Quest’ultima forma poi assieme al quarzo e ad altre sostanze uno strato nel quale predomina un minerale verdognolo tendente al giallo, in lunghi aghi fra di loro intrecci antisi, riconosciuto in seguito ad analisi chimica per un epi- doto, distinto dall’epidoto normale per l’abbondanza in allumina e manganese, e per la sua povertà in calce e in ferro. Siffatta sostanza si presenta in molte roccie di Sardegna, come risultato della decomposizione di silicati ferro-ma- gnesiaci, e si trova nella granulite a sferoidi di Ghistorrai, negli scisti huro- niani, nelle roccie secondarie e nelle roccie vulcaniche antiche, particolarmente nelle trachiti di Siliqua, dall’autore ritenute mioceniche. Del minerale rinvenuto in queste ultime l’autore dà pure Tanalisi chimica. Malfatti P. — Silicospongie plioceniche. (Rend. R Acc. Lincei, S. V, Voi. IV, 3, 1° sem.). — Roma. Sono alcune notizie preliminari intorno a silicospongie raccolte dal profes- sore Razzore nelle formazioni argillose plioceniche di Borzoli presso Sestri Ponente in Liguria. Si tratta di pochi esemplari, in parte frantumati, ma con la trama scheletrica così perfettamente conservata da consentire determina- zioni precise. L’autore vi ha riconosciute tre forme : la prima è una Dictionina euretide , che già all’aspetto esterno rammenta le forme mioceniche di Crati- cularia, e per la quale l’autore crea la nuova specie Craticularia Razzorei,' un’altra è pure una Craticularia , la Cr. Manzonii , specie stabilita dall’autore nella revisione degli spongiari del Miocene emiliano; la terza forma è una Rizomorina, che per taluni caratteri ha analogie con il genere cretaceo Scy- talia , donde si scosta per altri, e fra le forme attuali non trova esatta corri- spondenza : per quest’ ultima l’autore crea il nuovo genere Donatispongia ed il nome specifico di patellaris. Manzella E. — Sugli asfalti di Ragusa. (Giornale scient. di Palermo, II, 10). — Palermo. L’autore ha esaminato alcuni campioni di asfalto di Ragusa, il quale, come è noto, trovasi nei calcari miocenici. Le sue determinazioni si sono limitate al peso specifico, che trovò di 2.36, al contenuto in bitume, che risultò del 14. 73 per cento ed all’assenza di solfo, silice ed altre sostanze estranee; sicché l’asfalto risulterebbe esclusivamente formato da carbonato di calcio e bitume. {Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (30 settembre 1896) LIBRI Bollettino del R. Comitato geologico; Voi. I a XXVI, dal 1870 al 1895. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem di una serie di dieci volumi (sconto 20 p. %) ...» 80 — Idem dell’abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem. idem all’Estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze 1872. — Un volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche » 35 — Voi. Il, Parte la. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. Il, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole 5 — Voi. Ili, Parte 1\ Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 — Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888° — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 — Voi. IV, Parte la. Firenze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole » 8 — Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica del- l'Isola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. II, Roma 1886. — B. LOTTI: Descrizione geologica del- V Isola d'Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. Ili, Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell'Isola d'Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Voi. IV, Roma 1888. — G. ZOPPI: Descrizione geologico-mineraria dell' Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » 15 — Voi. V, Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. » 8 — Voi. VI, Roma 1891. — L. BALDACCI: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 — Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. SABATINI: Descrizione geologico-petrograftca delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche » 8 — Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI : Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 — Voi. IX, Roma 1895. — E. CORTESE: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni,, tavole ed una Carta geologica » 12 — Segus CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2a edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 — La stessa montata su tela a stacchi » » 12 - — La stessa montata su tela con bastoni » » 15 — Carta geologica della Sicilia nella scala di l a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 Foglio N. 262 (Monte Etna). L. 5 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 266 (Sciacca) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria) . . . » 3 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 251 (Cefalù) .... » 3 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 » 252 (Naso) .... » 4 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 253 (Castroreale) . . » 4 00 » 270 (Catania) . . . » 3 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 271 (Girgenti) . . . » 3 00 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 00 » 272 (Terranova) . . » 4 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 273 (Caltagirone) . . » 5 00 » 258 (Corleone) . . . » 5 00 » 274 (Siracusa) . . . » 4 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5 00 » 276 (Modica) . . . » 3 00 » 261 (Bronte), . . . » 5 00 Tavola di sez. N. I (annessa ai » » N. II (annessa ai » » N. Ili (annessa ai » » N. IV (annessa ai » » N. V (annessa ai » fogli 249 fogli 252, fogli 253, fogli 257 . fogli 273 277 (Noto) .... e 258) .... L. 4 00 260 e 261) ...» 4 00 254 e 262) ...» 4 00 e 266) » 4 00 e 274) » 4 00 » 3 00 Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Cariasi vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) . L. 4 00 » 143 (Bracciano). . » 5 00 » 144 (Palombara) . » 5 00 Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 00 » 150 (Roma) ...» 5 00 » 158 (Cori). ...» 4 00 143, 144 Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150) — L. 4 00. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000 ; ne sono pubblicati i fogli seguenti: Foglio N. 236 (Cosenza) . . . L. 4 » 237 (S. Giovanni inF.) » 5 » 238 (Cotrone) ... » 3 Foglio N. 241 (Nicastro) . . . . L. 4 » 242 (Catanzaro) ... » 4 » 243 (Isola Capo Rizzuto) » 3 . . L. 4. Tavola di sezioni N. 1 annessa a detti fogli . . Carta geologica dell’Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma 1886. » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma 1894 » 3 — Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico (Yia S. Susanna, 1) ovvero ai principali librai d’Italia e dell’ Estero. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO W ITALIA. Serie III. Voi. VII. Anno 1896. Fascicolo 4°. SOMMARIO. Noie originali. — I : V. Novarese, Il quatornario nella valle del Pollice (Alpi Cozie). — II: 33. Lotti, Inocerami nell’Eocene del Casentino (Toscana) (con una tavola). — III : V. Sabatini, Relazione del lavoro eseguito nell’anno 1895 sui vulcani dell’Italia centrale e loro prodotti. — IV: S. Bertolio, Appunti geologico-minerari sull’Isola di S. Pietro (Sardegna) (con una tavola). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1895 {continua- zione e fine, vedi n. 8). Elenco del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Illustrazioni. — Tav. IV: Sezioni geologiche nel Casentino (Toscana) a pag. 409. — Tav. V: Carta geologica dell’Isola di S. Pietro (Sardegna) a pag. 420. NOTE ORIGINALI I. V. Novarese. — Il quaternario nella valle del Pellice [Alpi Cozie), 1 Lungo la valle del Pellice il quaternario cambia più volte carat- tere e natura. L’alta valle, dalle origini fino alla confluenza del rio Cruello, è esclusivamente la regione del morenico e delle traccie gla- ciali; il diluviale entro valle predomina nel tratto successivo fino a Torre Pellice, oltre cui il quaternario assume il tipo e lo sviluppo die suole avere nell’aperta pianura, sebbene questa non incominci cbe dopo il ponte nuovo di Bibbiana. Queste differenze sono collegate strettamente colla forma della valle. La sua parte più alta è 1’ allungato bacino del Prà, a fondo piano, chiuso fra una parete di calcescisti ad Ovest ed una di pra- 1 Vedi: V. Novarese, Rilevamento geologico del 1895 nella Val Fellice { Alpi Cozie) (Boll, del R. Com. geol., 1896, n. 3, pag. 281). Si rimanda a tale nota, di cui la presente non è che il complemento, per la descrizione topogra- fica della valle, e per 'quanto concerne i terreni più antichi del quaternario. La presente nota però è stata redatta sulla base di osservazioni raccolte durante le tre campagne di rilevamento 1894-95-96. — 368 - siniti ad Est; gli succede una selvaggia sequela di forre e cascate a partire dalla gola di Mirabouc fino a quella fra Malpertus ed Abses, lungo le quali il torrente in poco più di otto chilometri precipita di oltre 1009 metri. Dall’ultimo punto nominato in poi il Pellice ha un corso meno tumultuoso ed irregolare, e scorre quasi sempre sulle pro- prie alluvioni non mettendo che assai di rado a nudo la roccia sotto- posta; la valle si mantiene discretamente larga ed a fondo pianeg- giante, serrata però sempre fra due costiere parallele molto elevate, che si abbassano e si scostano soltanto dopo Torre Pedice, lasciando maggiore spazio alle divagazioni del fiume. Le due valli di Angrogna e di Luserna tributarie del Pedice, ri- producono con maggiore semplicità le condizioni della valle principale: un tratto superiore con predominio del morenico; uno inferiore con depositi diluviali più o meno antichi. Invece tutti gli altri valloni la- terali, compreso quello così importante dei Carbonieri, si trovano nelle condizioni della parte più alta della valle principale : in essi il qua- ternario si può dire esclusivamente di origine glaciale. Siccome nella Val Pedice non v’ ha attualmente alcun ghiacciaio, si tratta sempre di morenico più o meno antico. Alluvium. — I terreni quaternarii più recenti sono rappresen- tati dall’ alluvione fluviale del Pedice, in parte greto ancora sterile e petroso, ma per la maggior parte già conquistato dada coltivazione, che accompagna il fiume dal ponte di Abses a monte di Bobbio Pedice in poi; da numerosi coni di dej ezione recenti tutti poco impor- tanti, allo sbocco di ogni vallone ; e da numerosissime plaghe coperte da detrito di falda , in quasi ogni zona altimetrica della valle, ma con predominio nelle parti più elevate, principalmente in quelle che stanno immediatamente al disopra della regione dei pascoli. Diluvium. - Morenico. — Le morene più estese ed importanti del- l’alta valle sono nel bacino del Prà. Il piano da cui esso prende nome, il Prà (prato), lungo tre chilometri all’incirca, non è che un fondo gla- ciale, e verso l’estremità inferiore è stato certamente un lago prodotto dado [sbarramento della valle per opera della morena frontale antica, il cui ciglio si deve ora superare da chi risale la valle per avere ac- cesso dal colletto della Maddalena al bacino del Prà. Si osserva qui con molta evidenza l’influsso che la natura litolo- gica diversa dei due fianchi della valle esercita sopra lo sviluppo delle - 3G9 - morene. Tutte le morene ancora conservate, quasi senza eccezione, dalle più antiche a quelle quasi recenti costrutte negli ultimi periodi dell’esistenza del ghiacciaio nella parte più elevata del circo montano, sono sulla destra della valle, sul versante delle rocce prasinitiche che danno un materiale tanto resistente da potersi ritenere quasi indi- struttibile ; sulla sinistra dove v’hanno soltanto calciscisti, roccie molto alterabili e che danno detrito minuto, manca ogni traccia morenica ; è necessario anche tener presente che 1’ estrema ripidità del versante sinistro è una condizione poco favorevole alla formazione e perma- nenza di un deposito incoerente. L’esempio più patente del fatto ac- cennato è la stessa morena terminale del Prà che si trova tutta quanta sulla destra della valle e risale verso il Colle Barrant fin oltre i 2200 metri, mentre sulla sinistra, immediatamente sopra il colletto della Maddalena non v’ha alcun avanzo morenico, e la roccia in posto giunge fino al piano. La parte più elevata del vallone del Prà presenta una vasta di- stesa di. lisciamenti glaciali alla base della punta Manzol, limitati a valle dal laghetto di Mal Consej, a monte di quello di Adret del Laus, considerato come l’origine del Pedice e dovuto anch’esso ad uno sbar- ramento morenico del vallone che scende dal lago Nero. L’antico ghiacciaio però è sceso ben oltre il Prà, che non rappre- senta che una sosta più prolungata delle altre nell’ultima fase di re- gresso del ghiacciaio, prima della sua graduale e completa scomparsa. L’ importanza della morena frontale della Maddalena attesta che la sosta dev’essere stata lunga; non è però stata certo l’ultima, perchè a monte del piano del Prà, intorno ai due laghi ora nominati sono ancora perfettamente conservate le morene relativamente assai estese del periodo estremo dell’esistenza del ghiacciaio. A valle del Prà, oltrepassata la gola di Mirabouc e la cascata del Pedice, da Villanova al ponte di Malbec, sul fondo e sui due lati della valle fino a grande altezza (1303 metri circa) v’ha un altro gruppo di depositi morenici alla Ruà, a Maison, alla Casa Selleta nel Combai dell’Aiguillassa, ecc. Di questa plaga morenica inferiore più di tutte interessanti sono le due morene laterali insinuate nei valloncini di Eyssart e Combai Laimont, costrutte con materiali dell’ alta valle, abbondanti di massi di serpentina ed eufotide, sopra gli gneiss e mi- cascisti della parte inferiore della serie antica, nei quali sono aperti i due valloni. Questi due lembi morenici che raggiungono ancora al- tezze da 300 a 350 metri sul fondo della valle, e la morena di Ferrera - 870 - in basso, sono gli ultimi avanzi di morene conservati a monte di Bobbio ; dopo di essi il ghiacciaio, che pure ha dovuto essere impor- rante, non ha lasciato quali tracce del suo passaggio che alcuue su- perfìcie lisciate allo sbocco del vallone Laimont e sullo gneiss ghian- done del fondo della valle subito dopo Ferrera a destra, e non molti massi erratici di serpentina e prasinite poco prima delle case Laus e presso il ponte di Abses. A valle del ponte di Abses del ghiacciaio del Pellice non si trovano più che traccie molto scarse ed esigue, e. sulla sinistra della valle anche rintracciabili con molta difficoltà. In grazia però delle due roccie carat- teristiche dell’alta valle, l’eufotide e la serpentina, che mancano to- talmente in quella inferiore, si può, anche sul lato meno favorito, il sinistro, porre fuori di dubbio l’escursione massima del ghiacciaio fino a Villar Pellice, poco prima dello sbocco del Combai Rouspart. Ciot- toli e massi delle due roccie accennate si trovano sparsi a mezza al- tezza lungo la pendice che sta alle spalle di Bobbio; più frequenti si possono osservare dietro Villar Pellice; risalendo la strada che con- duce alla frazione di Comba, fino a 100 metri circa di altezza dal ter- razzo su cui sta il Villar, s’incontrano massi d’eufotide e serpentina, taluno dei quali anche di discrete dimensioni. Sul lato destro le traccie glaciali sono molto più distinte: allo sbocco della Comba dei Carbonieri s’incontrano due lembi morenici corrispondenti alle estremità delle due morene laterali del ghiacciaio che la occupava: uno sulla sinistra della Comba che giunge fino a 960 metri, l’altro sulla destra a 900 metri con elementi (serpentina) che certamente provengono dall’alta valle dei Carbonieri, come fra breve avremo occasione di dire. Gli stessi elementi si ritrovano allo sbocco della Comba Liussa, dove senza dubbio costituivano una morena insinuata, raggiungendo anche qui un’altezza assoluta di quasi 800 metri, ossia 150 metri sul livello attuale del fiume. E escluso che tali lembi possano essere do- vuti ad un ghiacciaio particolare della Comba Liussa, perchè in questa, aperta negli gneiss e micascisti, manca del tutto la serpentina. Oltre questo punto, sempre sulla destra del Pellice, il passaggio del ghiacciaio non è più attestato che da enormi massi erratici di serpentina. Due se ne vedono alla quota di 700 metri circa, cioè pochi metri sopra il terrazzo diluviale, di cui dovremo parlare in seguito, corrispondenti al punto della Carta al 50000 al disotto della parola Fetimenu. Un altro se ne trova alquanto a valle seppellito in buona parte dalle allu- — 871 — vioni nel letto stesso del Pellice. Infine l’ultimo che ho potuto rin- tracciare è un masso di serpentina di parecchie centinaia di metri cubi sopra le Fucine alla quota di 680 metri, cioè ancora una cin- quantina di metri nel fondo della valle. Sulla Carta al 50000 tale masso si troverebbe precisamente al disotto dell’w della parola Fucine , a S. E. di Villar Pedice. Concludendo, è fuor di dubbio che il ghiacciaio del Pedice è sceso fino a poco oltre di Villar. Però è d’uopo mettere in piena luce una caratteristica dell’ultimo tratto dell’area che ha occupato, ed è la rela- tiva scarsità ed esiguità del materiale morenico. Anche sul fianco destro dove si è veduto esser più frequenti i resti morenici, special- mente fra il Combai Laimont e la Comba dei Carbonieri, ogni traccia glaciale si riduce a pochi massi erratici ed a qualche superficie di roccia levigata. Invano si è ricercato qualche avanzo di morena late- rale ad una certa altezza nel fondo della valle, che serva a ricosti- tuire l’antico livello del ghiacciaio fra la morena del Laimont e quede dello sbocco dei Carbonieri. Di fronte a Bobbio, a mezza costa suda pendice montuosa esiste bensì a Combette (1020 metri) una notevole estensione di terreno detritico, dove l’esistenza di una morena sarebbe verosimile, ma un esame accurato degli elementi di cui tale terreno consta, non ha permesso di trovare neanche un solo masso di una roccia che non sia affatto locale e propria del monte che gli sovrasta, in cui s’incontrano gneiss ghiandoni, micascisti a sismondina, e cal- cescisti. Le specie litologiche proprie dell’alta valle e caratteristiche del morenico non si trovano più, e non ricompaiono che più a valle, allo sbocco della Comba dei Carbonieri, dada quale certamente provengono le roccie che hanno permesso di identificare per morenici i depositi dello sbocco della Comba Liussa e gli altri massi erratici che si tro- vano anche più a valle e che poc’anzi abbiamo enumerati. Inoltre è d’uopo osservare che, come avremo occasione di ripetere fra breve, manca anche del tutto una morena frontale, la quale pure avrebbe dovuto lasciar traccia di sè ove fosse esistita, perchè la valle di fronte a Villar dove tal morena avrebbe dovuto trovarsi, è abbastanza larga. Confrontando tale mancanza coda esiguità dei depositi morenici a valle di Ferrera, possiamo concludere che l’escursione del ghiacciaio del Pedice fra questa località ed il Villar è stata relativamente assai breve, e che ad un rapido avanzamento è succeduto un ritiro non meno rapido durante il quale è mancata la possibilità di costrurre un — 372 — apparato morenico notevole e duraturo. Le stazioni più prolungate della fronte del ghiacciaio sono state assai più a monte cioè nel tratto Villanova-Ferrera ed al Prà. Però occorre notare che nel primo di questi tratti v’ ha giusta posizione di morene di due tempi diversi, perchè la morena del Combai Laimont, che è una morena laterale, non può essere certamente contemporanea della sottoposta morena di Ferrera che è 300 metri più bassa e che corrisponde ad una morena frontale. Nella valle o Comba dei Carbonieri le traccie glaciali sono al- trettanto, se non più importanti che nella valle principale. A ciò ha senza dubbio contribuito la forma della sua parte più elevata che si allarga e si ramifica nei tre valloni del Pis, della Gianna e della Cia- braressa, molto più propizi che non la stretta e lunga valle del Prà ad accogliere un’ampia distesa di nevati capaci di alimentare un po- tente ghiacciaio. Anche qui i depositi morenici maggiori sono a metà della valle, principalmente presso lo sbocco di ciascuno dei tre val- loni sopra indicati. Così al ponte di Pautas dove sbocca il vallone Tournan o della Ciabraressa , la morena laterale destra è ancora con- servata perfettamente; nella sua parte più alta sono molto caratte- ristiche le molteplici creste parallele riprodotte in parte anche dalla Carta topografica. Da questo punto alla confluenza dei valloni della Gianna e del Pis ed oltre, i depositi morenici continuano non inter- rotti verso monte segnando tutta la strada di regresso dei, ghiacciai parziali, scomparsi in un tempo molto recente, lasciando una magni- fica regione di lisciamenti glaciali negli alti circhi del colle Armoine (al lago Lozere), dei colli della Gianna e di Sea Bianca. A valle invece del ponte di Pautas una serie di piccoli lembi morenici e numerosi massi erratici indicano che il ghiacciaio ha avuto un’estensione molto maggiore ed è giunto alla valle principale. L’ab- bondanza dei massi erratici di dimensioni straordinarie è una parti- colarità della valle dei Carbonieri : taluni di essi sono di gneiss ghian- doni, prasinite, eco., ma il maggior numero è formato da serpentina, roccia che compare sulla sinistra della valle in un banco potente più cen- tinaia di metri che va dal Colle Barrant a Nord fino alla Rocca Nera e Rocca Fons a Sud; da questa massa provengono certamente tutti gli enormi blocchi che abbiamo già segnalato nella valle principale fra lo sbocco della Comba a Peyrlà e le Fucine del Villar, e tutti gli altri numerosissimi che si ammirano nel letto del torrente e sui fianchi della valle presso il fondo da Peyrlà fino alle Grange del Pis ed oltre. — 378 — La presenza nella valle principale dell’ estremità delle due morene laterali del ghiacciaio dei Carbonieri è già stata segnalata nelle pagine che precedono. Quella di sinistra si osserva abbastanza in basso dietro le case di Peyrlà, dove è fatta evidente dalla presenza di un grossissimo masso di serpentina ; risalendo la pendice, si trovano ancora massi erra- tici di serpentina, tutti in generale piuttosto piccoli, fino a 960 metri ; non v’ha però verso questo limite alcun deposito continuo. Sulla destra invece di fronte a questa morena, ve ne ha un’altra ad una certa al- tezza dietro le case di Buffa, anch’essa coi soliti massi di serpentina, e che sembra formare un lembo continuo fra gli 800 e 900 metri. Dentro alla Tomba si osservano ancora due lembi morenici intermedii alle case di Raymond e dei Carbonieri, sul fondo presso la strada ; non si sono incontrate invece traccie di morene laterali ad una certa altezza ciò che deve attribuirsi senza dubbio all’estrema ripidezza dei fianchi della valle. Però tutti i lembi descritti, tanto quelli estremi quanto gli intermedii confrontati con quelli a monte del ponte di Pautas, sono molto esigui, anche tenendo conto dei numerosi massi erratici: con minore contrasto, ma colla stessa evidenza si ripete qui il fatto già messo in rilievo nella valle principale, e che ci ha condotti ad am- mettere che l’ultima fase di massima espansione dei ghiacciai nella vai Pellice non è stata di grande durata, e che anche il regresso fino alle maggiori morene ancora conservate dev’essere stato relativamente molto rapido. Il vallone Cruello, affluente di sinistra del Pellice, assai meno im- portante del precedente, ha pure morene molto estese e continue; la sua morena terminale più avanzata è quella che si osserva ora a Ba- langé, ma detrito morenico s’incontra pure sparso lungo la pendice sottoposta su cui stanno le frazioni di Serre, Bussolea e Campi; è però verosimile che sopra questo spazio si siano confuse la morena sinistra della valle principale con quella di destra del tributario. Sulla destra del vallone Cruello, presso Puy si osservano anche delle roccie lisciate nel micascisto, anch’esse però in posizione tale da potersi attribuire tanto al ghiacciaio principale quanto al secondario. Molto più a monte dentro il vallone sono notevoli per la conservazione perfetta le morene su cui è stata tracciata la strada che sale al Colle G-iulian, e che con- tinuano fino a monte delle omonime Grange. Anche nella Comba Liussa v’hanno morene, ma limitate all’in- terno del vallone, intorno alle Grange Farcumai, Fogliane, Maurin, ed Alpe Chiot la Sella. Non s’incontrano più a valle traccie che de- — 374 - notino un maggior avanzamento del ghiacciaio secondario, ciò che però non esclude che un tale fatto possa essersi verificato; non v’ha nel vallone alcuna roccia che possa dirsi con assoluta certezza esclu- siva della sua parte più elevata, onde manca il mezzo di potere iden- tificare i massi erratici isolati. La morena che abbiamo descritto prima,, allo sbocco della Comba Liussa è dovuta essenzialmente al ghiacciaio principale, come lo prova il materiale di cui è costituita. Sulla sinistra del Pellice a valle del Cruello s’incontrano ancora i valloni di Subiaschi e Rouspart, oltre alcuni altri molto minori ; essi sono però molto brevi e precipitosi e poco adatti a conservare i de- positi morenici che in essi si sarebbero potuti formare. Solo nel Su- biaschi al disotto di Barma d’Aut, prima che il torrente si precipiti nell’orrida gola scavata nelle prasiniti ed anfiboliti, si osserva qualche avanzo di morena. Anche le due valli di Angrogna e di Luserna in quello stesso pe- riodo glaciale in cui si formavano i depositi morenici che abbiamo finora descritto sono state occupate da ghiacciai che rimasero certa- mente indipendenti dal principale. Per le due valli però v’ha la stessa difficoltà accennata poc’anzi per la Comba Liussa, di stabilire con una relativa sicurezza il limite del- l'escursione massima del ghiacciaio per la mancanza di specie litologiche esclusivamente rappresentate nella parte alta e che manchino in quella bassa. Risalendo la valle d’ Angrogna le prime traccie moreniche sicure si trovano oltre il ponte di Balfé ; le morene però raggiungono il loro svi- luppo massimo nel bacino di Prà del Torno, sotto Leisartet e presso Ghia vie al confluente del vallone dell’Infernet occupato esso stesso fino a più dei 1400 metri da morenico. Sul fondo e sui fianchi del val- lone principale si ritrovano morene a Ceresarea, fra Giasset e Sella, a Sella Vecchia ed ancora nel circo terminale occupato da un laghetto quasi sempre gelato. Gli avanzi accennati ci permettono di ricostituire un ghiacciaio che dalle sue origini fino alla stretta di Roccaglie (ponte di Balfé) ha avuto almeno sei chilometri di lunghezza ed ha ricevuto il suo principale alimento dalle pendici di sinistra, limitate dalla cresta che corre da Punta Cialancia al Gran Trac. La valle di Luserna rivolta verso nord e che scende dall’amplis- simo circo compreso fra la Punta del Cavallo, Monte Frioland, e le Punte d’Ostanetta e di Rumiella sembrerebbe essere stata anche più — 375 - adatta di quello di Angrogna a dar ricetto ad un importante ghiac- ciaio ; tuttavia le prime traccio moreniche conservate non si trovano che molto a monte a partire dalla località detta Prato del Torno in cui termina la strada rotabile delle cave, cupo fondo di valle cir- condato da altissime e ripide pareti di gneiss, dove affluiscono pre- cipitando da orridi burroni tutti i torrenti del circo terminale. Ma le morene e gli apparati morenici più estesi ed in uno stato di conser- vazione veramente ammirabile si trovano ancora più in alto sul ci- glio della parete gneissica di più centinaia di metri di altezza che circonda Prato del Torno, fra i 1203 e 1403 metri circa, ed in cor- rispondenza dei valloni in cui si suddivide il circo superiore. Si verifica quindi un fatto analogo a quello descritto pel vallone dei Carbonieri che presenta nella forma e nell’orientazione una grande rassomiglianza con quello di Luserna: le morene maggiori corrispon- dono ai ghiacciai parziali; però mentre nei Carbonieri è sicuro che questi per un tempo più o meno lungo si riunirono per formare un solo ghiacciaio che ha occupato tutta la valle, qui invece non si può dire se si siano riuniti mai, perchè nel basso della valle non si tro- vano più morene. Certamente un ostacolo allo sviluppo del ghiac- ciaio è stata la forma del terreno. Tra il fondo del circo superiore e quello del botro di Prato del Torno v’ha una balza a scaglioni verti- cali di 400 metri, da cui il ghiaccio doveva certamente precipitare, onde veniva portato bruscamente ad una quota di 800 metri, cioè in una zona climatica, dove la sua permanenza non era più possibile, senza un’alimentazione molto maggiore di quella di cui poteva disporre. Le due convalli principali del circo superiore sono quella che termina al colle del Y allone e l’altra che conduce al colle delle Porte. La prima è occupata da estesissime morene fino alla sua estremità superiore, e presso le Alpi Vallone presenta anche stupende superfici lisciate sullo gneiss ghiandone. Il suo apparato terminale molto ben conservato forma il bacino occupato dai pascoli della JEtessia. Questo bacino è separato da una potente morena in forma di cordone diretto da Nord a Sud, dall’altro bacino di Pian Frolero e Bamà più ampio del precedente, ed esempio piuttosto unico che raro di conservazione perfetta dell’apparato morenico terminale di un ghiacciaio montano. Tutte queste morene sono essenzialmente costituite da massi del bellissimo gneiss ghiandone a struttura granitoide che attraversa in un banco di oltre 500 metri di potenza tutta l’alta valle di Luserna dalla Punta del Cavallo alla Punta Rumiella. - 376 — Dalla Ressia © da Pian Frolero scendono verso il botro di Prato del Torno delle lunghe strisele moreniche che terminano al preci- pizio formato dalla parete gneissica. Soltanto sulla destra una lingua morenica giunge proprio fino in basso formando la cresta su cui stanno le case Galivergia, dietro alle quali, nelle cave di gneiss tabulare v’hanno dei tagli che mostrano la sovrapposizione del morenico alla roccia gneissica. Però più in giù di questo punto il morenico si riduce a poca cosa, e nel lungo ed angusto tratto di valle percorso dalla carreg- giabile delle cave non si osservano più tracce glaciali sicure. La sta- zione più prolungata dei ghiacciai è stata nei ripiani verso i 1300- 1400 metri dove si trovano i due bacini nominati. In un altro vallone del circo, ad Est dei due precedenti, quello del Rio Erca si trova un’altra morena importante, quella di Creus, dove però la forma del bacino terminale non è più così spiccatamente evidente. Diluviale superiore e medio entro valle. — Dalla confluenza del Pellice e del Cruello in giù, la valle si allarga ed il suo fondo di- venta pianeggiante ; comincia qui il suo tratto mediano. Quasi subito sul fondo alluvionale si disegnano dei terrazzi dapprima brevi ed in- certi, poi ben netti e delimitati che indicano l’esistenza di fasi suc- cessive di alluvionamento e di erosione od in altre parole la pre- senza dell ’alluvium e del diluvium. Prima di Bobbio la distinzione di questi due terreni è diffìcile perchè il fiume appena uscito dalla gola che lo rinserra ha regime erosivo in magra ed alluvionale in piena ; 1’ abitato di Bobbio stessa è protetto contro la furia del torrente dalla diga detta di Oliviero Cromwell. Non è che a valle del paese che si cominciano a scor- gere di fianco alla strada, a sinistra, dei terrazzi di notevole al- tezza, come ad esempio quello su cui sta la borgata Subiasco, che continuano per circa un chilometro per scomparire e riapparire in seguito: il vero terrazzo diluviale continuo ed importante non co- mincia sulla sinistra che a Yillar Pellice ; da questa località in poi fino a Torre ed oltre, il Pellice è fiancheggiato dal ripiano percorso dalla strada carrozzabile della valle, alto da 20 a 30 metri sulle sue acque. Sulla destra invece un terrazzo di qualche metro si pronuncia subito di fronte a Bobbio a cominciare dal ponte della strada di Peyrlà e della valle dei Carbonieri e continua non interrotto, raggiungendo talora anche i 10-15 metri di altezza fino a poco oltre lo sbocco della Comba Li u ssa ; in seguito per oltre un chilometro il fiume lambe - 877 — il piede di un’erta parete rocciosa, senza lasciare spazio per un depo - sito alluvionale, indi al Prà delle Brue ricompare il terrazzo che cessa nuovamente al ponte della Rocchetta. Questi terrazzi diluviali cadono di solito con ripida scarpa diret- tamente sul piano alluviale; talora però, principalmente nel tratto a valle del Villar v’hanno tanto a destra quanto a sinistra dei gradini intermedi anche discretamente estesi. La loro superfìcie, ad un’osser- vazione anche molto sommaria, si rivela costituita da un seguito di tratti pianeggianti e di conoidi coll’apice rivolto verso i fianchi della valle : queste non sono che i coni di deiezioni più o meno antichi dei valloni laterali ed anche dei più modesti burroni che solcano la parete rocciosa sempre molto ripida. Rispetto a queste conoidi è molto marcata e sensibile la differenza fra i due fianchi della valle. Sul lato sinistro, più precipitoso, i coni di deiezione dei valloni di maggior importanza sono considerevolmente sopra elevati sulle alluvioni antiche del Pellice, e respingono questo verso destra costringendolo a girare attorno alle loro basi che va però per compenso continuamente scal- zando. Il più imponente di questi coni di deiezione antichi è quello del Combai Rouspart presso Villar Pellice, il cui dorso visto dal ponte Subiasco presso Bobbio sembra sbarrare la valle ; lo stesso torrente che lo costrusse, respinto verso destra dalle proprie alluvioni, lo ha ora profondamente inciso formando il burrone che la strada rotabile deve passare con una forte curva in discesa ed un ponte, prima di en- trare in Villar Pellice. Di minori proporzioni ma altrettanto evidente è il cono di deiezione del vallone Subiasco, subito a valle di Bobbio : i terrazzi che abbiamo indicato presso questo paese sono incisi ap- punto in esso e dovati all’azione tanto del fiume principale quanto del torrente Subiasco stesso, che ha pure profondamente inciso il pro- prio cono di deiezione. Sulla destra, allo sbocco della Valle dei Carbonieri e della Comba Liussa i rispettivi coni di deiezione sono pure manifesti, ma senza paragone meno inpor tanti dei due che abbiamo citato sulla sinistra Se teniamo conto della distribuzione del morenico già descritta e di ciò che abbiamo detto dei coni di deiezione giungiamo per la valle del Pellice alla conclusione, che la importanza di questi ultimi è in- versamente proporzionale a quella del vallone da cui provengono ed alla quantità di morenico che in esso si è conservata. La ragione di tale apparente anormalità sta principalmente nella forma generale della valle: i rovinosi valloni del versante sinistro rivolti anche verso — 878 - Sud, sono quelli in cui più presto dovettero scomparire i ghiacciai, e dove necessariamente per il forte declivio tutto il detrito fu più sollecitamente portato allo sbocco: quindi rapida distruzione delle scarse morene, ed enorme accumulazione di materiale nella valle col- lettrice che questi coni tendono a sbarrare contribuendo così in doppio modo a colmarla, perchè opponendosi al corso del fiume, lo ob- bligano a deporre le proprie alluvioni a monte dell’ ostacolo che formano. Questo, del resto, è il meccanismo solito dell’ alluvionamento delle valli alpine nei loro tratti a media e piccola pendenza. li solo vallone di . sinistra che sembri fare eccezione è il Oruello , ma conviene notare in primo luogo che alla sua foce manca lo spazio perchè un cono di deiezione possa formarsi e durare ; in secondo luogo, le morene ancora intatte che in esso abbondano provano la più lunga durata del ghiacciaio che lo occupava, ed anzi ci danno così uno indizio prezioso dell’ influenza negativa che i ghiacciai hanno eser- citato sopra questi coni di deiezioni entro valle. Nei lunghi valloni di sinistra si verifica lo stesso fatto di una lunga permanenza dei ghiacciai, a cui si deve anche aggiungere una minore pendenza media, due circostanze che bastano a spiegare lo sviluppo minore delle co- noidi. Anche prima che un’ispezione più accurata abbia fatto ritrovare le traccie glaciali già descritte, ad un occhio esercitato non sfugge la differenza che presenta il quaternario entro valle fra il tratto a monte di Villar e quello successivo, differenza che si può dire consi- stere essenzialmente in un minor distacco fra alluviale e diluviale da Bobbio al Villar che non a valle. A chiunque osservi gli alti terrazzi fra Villar e Torre si affaccia subito un dubbio: quale è l’agente che ha deposto questi terreni? Si tratta realmente sempre di alluvioni, oppure è invece anche in parte un deposito morenico terrazzato dal fiume ? E l’incertezza è aumentata da una circostanza speciale. I tagli, naturali o artificiali, che permettano di osservare la natura del ter- reno non sono molto abbondanti, ma in qualcuno di essi tanto nella destra quanto nella sinistra della valle il tipo del terreno è decisa- mente morenico : grossi massi caoticamente accumulati senza traccia di stratificazione. Altrove invece la stratificazione compare, i ciottoli sono arrotondati, ed in special modo lungo la carrozzabile si nota nei massi e ciottoli che coprono il terreno e sono impiegati nei muri a secco, l’ assoluta prevalenza degli gneiss porfìroidi e granitoidi, - 379 - roccie della media e bassa valle, mentre rarissimi sono quelli di pra- sinite, eclogite, eufotide e serpentina dell’alta valle, che pure trattan- dosi di morenico non dovrebbero mancare. Il G-astaldi ha risolto il dubbio attribuendo addirittura al more- nico tutto quanto il terreno di trasporto della media valle fino quasi a Torre Pellice : così almeno appare dalla sua Carta manoscritta. Il Baretti ha creduto invece di dover tenere una via di mezzo affermando che: « sotto al morenico appaiono i resti del diluvium recente » mentre il fondo della valle sarebbe « occupato da alluvioni 'postglaciali e re- centi » 1 ma non cita fatto alcuno che conforti la sua asserzione. Si ripete qui il caso già rilevato nella bassa valle del Chisone, di un diluviale entro valle a facies parzialmente morenica, il quale non è in alcun rapporto diretto coi morenico dell’alta valle, mentre si collega per gradi insensibili col diluviale fluviale della pianura. Ed è precisamente quanto avviene sul caso nostro. Come vedremo fra breve, fra il diluviale a monte e quello a valle di Torre Pol- lice non è possibile nessuna distinzione fondata sopra una diffe- renza di costituzione. Invece fra il diluviale entro valle ed il glaciale che abbiamo descritto nel paragrafo del morenico la distinzione è molto netta, e non v’ ha alcun legame. Gli ultimi massi del terreno erratico giungono fino a Villar sovraponendosi al cono di deiezione del Rouspart sulla sinistra, ed a Fucine sulla destra ; segni di un avan- zamento maggiore e della deposizione di un morenico che possa dirsi della stessa fase di espansione a cui appartengono tali traccie, mancano totalmente. Se quindi realmente per una parte del diluviale antico entro valle siamo di fronte a terreni di origine glaciale, questi appar- tengono ad una espansione glaciale più antica. Ed anche per quella d’o- rigine alluvionale che si osserva entro tale diluviale è facile stabilire la maggiore antichità di fronte ai depositi pure diluviali a monte del Villar. E ovvio che tutta la parte a monte delle traccie moreniche inferiori non potè essere deposta che dopo il ritiro del ghiacciaio : si tratta dunque di alluvioni postglaciali, ossia, per quanto si ri- ferisce a quelle terrazzate, di diluviale recente o superiore, formatosi nell’ ultima fase di ritirata del ghiacciaio. Per ciò, mentre a monte del Villar abbiamo un diluviale recente sul fondo della valle, poste- riore e nettamente distinto dal terreno morenico sparso sui fianchi 1 Vedi Baretti, Geologia della provincia di Torino. Torino, 1893, pag. 312. fino ad una certa altezza, a valle il fondo è occupato da un com- plesso di terreni anteriori all’ultima espansione glaciale, parte more- nici e parte alluvionali. Per quanto, appena si trovi una sezione, torni abbastanza facile distinguere l’uno dall’altro questi due terreni, non è possibile però separarli cartograficamente, non essendovi alcun carat- tere orografico o topografico òhe permetta di supplire alla mancanza di sezioni naturali, piuttosto scarse, e che si succedono in modo da provare che la miscela dei terreni delle due differenti origini è molto irregolare. E probabile che si tratti anche in molti punti di terreno fiuvio -glaciale, ossia di terreno morenico rimaneggiato dalle stesse correnti di fusione glaciale. In nessun punto però si è potuta vedere la sovrapposizione netta dei due terreni e tanto meno quella di un terreno morenico sopra uno diluviale, a cui sembra accennare la frase citata del Baretti. La presenza sul fondo di valle di un terreno attribuibile al morenico ha indotto a cercare delle tracce glaciali sui fianchi nel tratto Villar-Torre Pellice, ricerca che non ha dato alcun risultato. Si trovano bensì, poco prima di Torre Pellice nella sinistra, a Cop- pieri e sopra, dei terreni di trasporto e dei ciottoli che giungono fino quasi alla quota di 750, cioè 250 metri circa sul Pellice, ma meglio che ad un deposito morenico possono attribuirsi al cono di deiezione del vallone che scende in tal punto dalla vetta del Yandalino, lasciandosi a sinistra i casolari di Tagliaretto e Chiavola. Neppure si sono trovate roccie arrotondate o lisciate ; poco lungi da Torre, al ponte della Bocchetta sulla destra si osserva una rupe di gneiss gra- nitole con arrotondamenti: essa però è troppo vicina al fiume perchè non sia più verosimile attribuire a questo l’azione dell’arrotondamento piuttosto che ad un ipotetico ghiacciaio. I due valloni di Angrogna e di Luserna presentano pure del di- luviale entro valle, ma mentre per quest’ultimo tutto si riduce ad una serie di alluvioni antiche nei punti dove un allargamento del thalweg permetteva la deposizione del materiale di trasporto, nel primo, per quanto angusto ed a fondo molto incassato v’ha un diluviale ben ca- ratterizzato e profondamente inciso dai torrente. Questo diluviale in- comincia al ponte del Mulino (il primo a valle del ponte diBalfè) ed accompagna per lungo tratto l’ Angrogna sulla destra: manca per un tratto, poi riappare sulla sinistra, proseguendo in una striscia molto stretta ma quasi continua, fino a congiungersi col diluviale della valle principale. Questo diluviale ha spesso potenza considerevole (anche 10 metri) ed è tagliato dal torrente in pareti verticali o quasi, che mostrano com’esso sia costituito da ciottolame alluvionale colle- gato da un cemento terroso piuttosto resistente. In qualche punto del percorso indicato, principalmente allo sbocco del valloncino, o meglio burrone che scende da Prato Stella, si notano anche delle masse considerevoli di terreno di trasporto con grossi blocchi ango- losi di gneiss : tuttavia non è verosimile che si tratti di una morena, ma piuttosto di una massa di detrito di falda accumulata allo sbocco di un vallone straordinariamente ripido, coronato da dirupi di roccia gneissica. Diluvium antico. — Subito dopo la stretta di Torre Pellice la valle si allarga e sulla sinistra, fra i monti ed il piano su cui stanno gli Airali di Luserna e San Giovanni, s’interpongono delle piccole alture . che si stendono fin oltre Bricherasio. Esse sono costituite to- talmente da terreno di trasporto, meno pochi spuntoni di roccia affio- ranti lungo il loro orlo orientale, cioè le isole cristalline di Bricherasio e del ponte nuovo di Bibbiana già descritti nella precedente memoria sui terreni antichi della Valle del Pellice. Sulla destra il fiume scorre al piede di un alto terrazzo diluviale sul quale è costrutta Luserna San Giovanni, fino alla rupe di Cab urna, altro spuntone roccioso cir- condato da quaternario. Da questo punto il terrazzo prosegue allonta- nandosi però dal fiume fino a Bibbiana, di cui porta il castello. Il cristallino riappare tre volte ancora lungo il suo piede, sotto forma di scisti grafitici bene osservabile alla base della collina del castello citato. Il promontorio prasinitico del Moncucco divide in due parti questo diluviale di destra: una che forma il bacino di Lusernetta e Luserna insinuandosi nella valle omonima; l’altra alle spalle di Bib- biana si collega col gradino di diluviale antico che lungo la base orientale del Montoso, prosegue fino a Bagnolo, dove si rannoda al quaternario antico del bacino Barge -Bagnolo, su cui dovremo ritornare nel seguito. Anche il diluviale della sinistra, per quanto circoscritto dalla de- pressione del torrente Chiamogna di San Michele, prosegue oltre questo verso Nord. Alcuni lembi isolati sul cristallino presso 0. del Bric sullo spartiacque fra Pellice e Chiamogna, ed alle C. Pruni sulla sinistra di quest’ ultimo, lo collegano alle basse colline quaternarie addossate al cristallino, coltivato a vigneti, dei Moreri e di San Secondo che vanno a congiungersi col diluviale della Val Ohisone - 332 - La presenza degli affioramenti cristallini all’orlo degli altipiani diluviali che si sono descritti ha indotto il Gastaldi ad attribuire nella sua Carta manoscritta, erroneamente al cristallino buona parte delle colline fra San Giovanni e Bricherasio. Il Baretti che forse non ha avuto modo di controllare personalmente in questo punto le indi- cazioni della Carta Gastaldi, accenna alla presenza di lembi di diluvium antico nelle colline fra Torre Pellice e Luserna San Giovanni, sullo spartiacque tra il Pellice ed il Chiamogna e nella collinetta di Briche- rasio *, in modo però alquanto vago, . così che non si può capire se abbia o no riconosciuto tutta l’estensione dell’ errore del Gastaldi : la stessa incertezza è lasciata dalle sue Carte perchè mentre la Carta dei terreni prepaleozoici coincide (Tav. I) con quella del Gastaldi, quella del quaternario antico (Tav. II) è invece conforme alla verità nei limiti consentiti dalla scala piuttosto piccola. In realtà appena oltrepassato l’Angrogna, comincia contro la falda montana il terrazzo quaternario che continua con larghezza variabile ma senza alcuna interruzione fino a Bricherasio. Abbiamo anzi qui nel pianoro triangolare su cui sta la frazione di Caffaro, limitato a Nord dalla profonda depressione del Chiamogna di S. Michele, un esempio bellissimo, per quanto ridotto, di altipiano diluviale antico con tutte le caratteristiche di tal terreno. In esso sono frequenti le por- zioni ferrettizzate od argillifìcate che dir si voglia : talora vasti tratti della sua superficie sono coperti da una argilla sabbiosa (lehm) ros- sastra, prodotta della decomposizione profonda e totale degli elementi costituenti il terreno: altrove, pur rimanendo la decomposizione presso a poco la stessa, sono ancora riconoscibili i ciottoli e blocchi inclusi nel terriccio, e fino ad un certo punto anche determinabili, riprodu- cendo così nelle sue essenziali caratteristiche il ferretto lombardo; più spesso però la trasformazione non è che parziale, ed una parte più o meno grande dei ciottoli è ancora inalterata o quasi. La natura alluvionale del terreno risulta chiara nel maggior nu- mero dei tagli che s’incontrano, che sono per lo più i fianchi delle strade incassate anche di tre o quattro metri, frequenti nell’altipiano, e così caratteristiche del diluviale antico ferrettizzato. Però in pa- recchie località si osservano nel terreno massi grossissimi (di 2-3 metri cubi ed oltre) anche angolosi, di roccia dell’alta valle (pra- 1 Vedi Baratti, 1. c., pag. 312-313. — 383 — siniti, gneiss ghiandone) che gli impartono uno spiccatissimo aspetto morenico. Così fra le Case Turin e Talliarea, fra San Giovanni e le Case Saret, dopo le fornaci di calce e mattoni, ed alle Case Boere (non segnate nella Carta, ma immediatamente a Nord di Priorato), dove si osserva anzi nn grosso masso erratico di prasinite granatifera. Presso Luserna, nel tratto d’altipiano compreso nell’angolo acuto formato dalla confluenza del Pellice e della Luserna, a destra della strada che scende al ponte del Martinetto sopra quest’ultimo torrente, presso il cimitero, si osserva un enorme cumulo di massi di gneiss gra- nitoide ghiandone di volume superiore ad un metro cubo. Infine presso San Giovanni alle fornaci nominate or ora, v’ha un giaci- mento di argilla impura, con rarissimi ciottoli, discretamente esteso, che non può essere prodotto dalla semplice decomposizione del ter- reno alluvionale, ma pare invece un deposito di acqua stagnante. Si ripete cosi il fatto osservato per il diluviale entro valle: una miscela cioè di terreni apparentemente di origine diversa che può essere fluviale, glaciale, oppure ancora quella cosidetta fluvio-glaciale. Una circostanza però esclude ogni possibilità che questo diluviale esterno sia equivalente a quello entro valle, ed è la sua distribuzione altimetrica. Torre Pellice è sopra un terrazzo diluviale molto ben li- vellato ad. una quota di circa 520 metri; il diluviale antico immedia- mente a valle raggiunge alla villa Peyrot la quota 567, alle Case Sa- ret presso San Giovanni circa 535 metri, ed un piccolo lembo isolato presso le Case del Brio, sullo spartiacque fra Pellice e Chiamogna, giunge persino ai 575 metri. Si tratta dunque per il diluviale esterno di un terreno piu antico di quello che forma il terrazzo di Torre Pellice, il quale insieme coi suoi equivalenti entro valle, nella classi- ficazione dei terreni quaternarii della Valle del Po esposta dal col- lega Stella, apparterrebbe per ciò al diluviale medio, mentre gli alti- piani che abbiamo descritto sarebbero il diluviale più antico o dilu- viale inferiore. Vedremo fra breve però come anche il diluviale medio compaia in questa parte inferiore della valle che stiamo descrivendo. Stabilita la possibilità che agenti diversi abbiano contribuito a formare i terreni del diluviale inferiore, è naturale che si ricerchi prima di ogni altra cosa, se fra tali agenti si possono annoverare anche quelli tuttora attivi nella località. Tali sono i fiumi, cioè oltre al Pellice, l’Angrogna e la Luserna. Secondo l’opinione che ha lun- gamente prevalso nella regione piemontese riguardo al diluviale an- tico, questo non sarebbe altro che l’avanzo delle conoidi dei fiumi 2 - 884 — sboccanti nella pianura, più o meno completamente demolite da un suc- cessivo periodo di erosione. Allo stesso modo che nel diluviale entro valle si riconoscono le conoidi antiche dei tributarii laterali, si potrebbe inda- gare se è possibile ricostruire dai lembi conservati le conoidi proprie del- bAngrogna e della Luserna. Ed infatti sulla sinistra dell’Angrogna il di- luviale antico è rappresentato dall’altipiano su cui sta la villa Peyrot, il quale ha una tale posizione che è molto verosimile ritenerlo come l’unico avanzo conservato dell’antica conoide propria dell’influente, tanto più che l’insenatura fra la Casa Appia e Gelati, in cui il terrazzo è ri- dotto ad una sottile striscia addossata alla montagna, lo separa dall’altipiano San Giovanni-Bricherasio, e gli dà una certa indivi- dualità sua propria. Per il torrente Luserna la cosa è molto meno dubbia; la posizione del diluvium antico nell’ansa di Lusernetta in- dica chiaramente la sua origine essenzialmente di conoide: tuttavia convien osservare che il tratto di terreno a facies morenica, che ab- biamo segnalata poco prima presso Luserna, cadrebbe entro la conoide quantunque ad una certa profondità sotto il livello superiore dei ter- razzi attuali. In quanto al Pellice, è logico attribuirgli tutte quelle parti alluvionali del diluviale antico che non possono essere ascritte a nessuna delle due conoidi parziali degli affluenti. Presso la stretta di Torre, però, dove dovrebbe essere stata l’origine della conoide del di- luviale antico, non ne sono stati conservati che alcuni lembi sulla destra a cominciare dal ponticello in legno di fronte alla fabbrica Chiodo, e che proseguono verso Luserna collegandosi a quel terrazzo diluviale. Le conoidi quindi per quel tanto che possono essere esistite sono state variamente modificate, ed in tutte si scorgono nette le traccie di un terrazzamento ; le presenta lo stesso diluvium antico di Lu- serna che è stato quello più rispettato dall’erosione. Molto maggiore è stato invece il lavorio dell’Angrogna che ha spazzata al suo sbocco la vasta area depressa fra Torre Pellice e Pralafera, dove sparge attualmente le sue alluvioni. Al Pellice infine è d’atribuirsi l’escava- zione di tutto l’ampio bacino degli Airali compresa fra i terrazzi di- luviali, e che è collegata col piano dalla stretta fra la stazione ed il ca- stello di Bibbiana. Però fra il piano generale di questa depressione, già notevolmonte elevato sulle alluvioni attuali del Pellice (da 5 a 10 metri) e quindi attribuibile al diluviale superiore e recente, ed i terrazzi diluviali antichi, in più luoghi si osserva un terrazzo inter- medio, come al Casale Nazzarotti presso San Giovanni, ed alle Case Turin, separato dall’inferiore da un gradino più o meno distinto, e 385 — che rappresenta certamente il diluviale medio, cioè la prosecuzione oltre l’Angrogna del terrazzo su cui sta Torre Pellice. A sua volta il terrazzo diluviale recente esterno trova la sua prosecuzione entro valle sulla destra a monte del ponte della Rocchetta nel ripiano delle C. Braide elevato di qualche metro sul Pellice al piede del terrazzo diluviale medio del Prà delle Brue : sulla sinistra potrebbe essere pure diluviale recente il piano del nuovo cimitero di Torre Pellice. In più luoghi però del diluviale antico la facies morenica si presenta molto spiccata, e porta nuovamente ad ammettere la possibilità di un’espansione glaciale molto più antica di quella già nota e fuori questione osservata entro valle a monte del Villar. L’unico indizio si ha nella natura del terreno: in quanto a ciottoli striati, già molto rari nel morenico assai più recente, non è il caso di trovarne in questo dove l’alterazione è sempre avanzatissima. Neppure v’ha la possibilità di trovare dei massi erratici di cui sia dato provare con assoluta certezza la provenienza, ed escludere ogni altro modo di trasporto che non sia quello glaciale. Tuttavia la costituzione del ter- reno, la struttura caotica a grossi blocchi è un indizio più che suf- ficiente, ed i pochi punti in cui tale fatto si può osservare nel dilu- viale antico della Val Pellice acquistano un grande valore, se si con- frontano con ciò che si osserva in una località poco distante, il ba- cino Bagnolo-Barge o valle del Giandone, dove l’estensione di questo terreno diluviale antico d’aspetto morenico è molto maggiore. Si tratta qui di una delle vailette secondarie aperte direttamente verso la pianura in cui il torrente molto modesto che la percorre non ha avuto la forza di demolire il quaternario antico come ha potato farlo l’im - ponente fiumana del Pellice; il terreno si è conservato quindi ancora in modo quasi perfetto e si può osservarvi il predominio della facies more- nica su quella alluvionale. Il fatto è già stato segnalato incidentalmente dal collega Stella *, ma assai prima di lui lo aveva notato e pubblicato l’ingegnere Zaccagna che nella sua sezione attraverso le Alpi Cozie per la vetta del Monviso 1 2 indica come morenico il terreno che sta attorno allo spuntone cristallino del Castello di Bagnolo, segnato nella re- 1 Vedi A. Stella, Sui terreni quaternari della valle del Po in rapporto alla Carta geologica d'Italia (Boll, del R. Com. geol., 1895, n. 3, pag. 127). 2 Vedi D. Zaccagna, Sulla geologia delle Alpi Occidentali (Boll, del R. Com. geol., 1887, Tav. Vili). - 386 — gione semplicemente dalla parola Castello e dalla quota 518 Lo Zac- cagna, preoccupato nel fare la sua sezione, da questioni riguardanti unicamente i terreni cristallini, non lia dato alcuna importanza alla sua osservazione, che pure in quei tempi non lontani, per il quater- nario della pianura piemontese era tale da sembrare rivoluzionaria, perchè portava necessariamente ad ammettere l’esistenza di un pe- riodo glaciale quaternario molto più antico di quello a cui sono dovuti i grandi anfiteatri di Rivoli e di Ivrea. Eppure 1’ evidenza è tale che nessuno a cui siano famigliari i terreni glaciali può, in presenza del diluviale antico della valle dell’Infernotto (nome dell’alto corso del Griandone), negare il suo carattere morenico. L’ammettere un’espansione glaciale corrispondente al diluviale in- feriore è quindi un’ inevitabile necessità, e ciò basta a spiegare la presenza del terreno morenico nel quaternario così dello sbocco della valle del Pe Ilice, come in quel tratto entro valle, dove lo abbiamo se- gnalato frammisto ai terreni alluvionali dei terrazzi del diluviale medio. Si tratta di un periodo glaciale antico, corrispondente al diluviale inferiore, durante il quale dalla Val Pellice scese un ghiacciaio che a differenza di quello posteriore è giunto fino alla pianura, e che ritiran- dosi ha lasciato nella valle delle morene, i cui lembi residui sono stati inglobati dalle alluvioni posteriori. Siccome ogni avanzamento gla- ciale, quando le valli sono ristrette, spazza in esse ogni terreno di trasporto anteriore, non è da aspettarsi che nel diluvium entro valle si abbia la sovrapposizione della morena al diluviale medio fluviale, ma piuttosto il contrario, salvo che si tratti di terreno fluvio-glaciale che si forma alla fronte del ghiacciaio, dove questo non ha più azione alcuna sul fondo. Di questo periodo glaciale più antico però conviene dire che non ci sono stati serbati altri resti che i lembi morenici del fondo di valle entro questa, e quelli esterni allo sbocco corrispondenti proba- bilmente alle morene frontali. La forma esterna del morenico in pia- nura, di fronte almeno agli sbocchi delle grandi valli, è scomparsa del tutto; dentro alla valle manca ogni traccia di morene laterali o di blocchi erratici depositati nei fianchi, che ci permettano di stabilire l’altezza raggiunta dal ghiacciaio nei diversi punti del suo percorso, come si può benissimo fare per il periodo glaciale più recente del di- luviale superiore. Conviene quindi ammettere che i depositi glaciali entro valle sono di natura molto effimera, ed è bastata la denuda- zione di un periodo geologicamente breve come quello che è trascorso - 387 — fra il diluviale inferiore ed il tempo attuale, per farli scomparire fino alle poche reliquie che ancora si possono identificare. Dopo quanto è stato descritto si può cercare di ricostruire la storia della valle del Pellice nel periodo quaternario, tentativo facilitato dalle chiarissime relazioni fra i terreni diluviali dell’interno della valle e dell’aperta pianura, e che ci permetterà di illustrare e confer- mare coll’esame di un esempio particolare quanto in via generale è stato esposto dal collega] Stella nel suo lavoro già più volte citato sui terreni quaternari della valle del Po. I terreni quaternari più antichi si trovano allo sbocco della valle, da Torre Pellice in giù, formando il bacino degli Airali, e quando an- cora non erano stati erosi dalle acque, dovevano ricoprire e scaval- care la bassa diga rocciosa tagliata dal Pellice nella stretta del ponte di Bibbiana, ed allargarsi nella pianura ; essi corrispondono ad una antica espansione glaciale, di cui non si può fissare l’estremo limite, poiché quanto si è conservato di quaternario antico non è certa- mente che una piccola porzione di quello che in origine si era de- posto ; le due maggiori valli tributarie di Angrogna e Luserna erano pro- babilmente durante questo periodo occupate da ghiacciai affluenti del principale. Nel periodo di ritiro seguito all’espansione, sopra il terreno morenico e commisto con esso in modo da non potersi agevolmente distinguere si deponevano dapprima i terreni fluvio-glaciali indi le al- luvioni delle fiumane prodotte dall’ablazione dei ghiacci. Questo am- masso di deiezione allo sbocco della valle ha prodotto qui pure un fatto che vediamo ripetersi in molte altre valli alpine, e specialmente nella conoide diluviale antica di Danzo, cioè la deviazione dei piccoli affluenti laterali costretti a dirigersi lungo la generatrice della co- noide. Così qui il Chiamogna di San Michele che esce da un vallone scavato nel cristallino nel senso N-S, all’incontro dei terreni quater- nari, rivolge il suo corso prima ad Est e poi addirittura a N.E, e non va a finire nel Pellice che oltre lo scoglio cristallino di Mom- brone, dopo aver descritto un immenso arco nella pianura. Noto di passaggio che il Baretti attribuisce questa deviazione al cono dilu- viale recente del Pellice, quello cioè che comincierebbe al ponte nuovo di Bibbiana, ciò che è inesatto. Anche verso l’orlo Sud del bacino degli Airali si ha traccia di un simile fatto : fra il Moncucco e lo scoglio di Caburna si delinea una depressione che alquanto più a S.E di- venta la valle molto larga ed incassata del Pio Secco di Bibbiana, e - 383 che probabilmente non è altro che un alveo abbandonato dal tor- rente Luserna o da una delle correnti glaciali, che non poteva fluire verso la valle attuale occupata dai ghiacci, oppure dalla morena ora scomparsa. Continuando il ritiro del ghiacciaio, dentro la valle rimasta sgombra si deponeva la parte maggiore del detrito ricoprendo quei lembi di morenico deposti dal ghiacciaio nelle sue stazioni, ed il fiume, sboccando nel primo allargamento cominciava la demolizione ed il terrazzamento dei depositi più antichi su cui scorreva. G-ià fino d’ allora il Pollice dev’essersi stabilito nella via attuale di sbocco per- chè precisamente la stazione di Bibbiana sta su di un terrazzo inter- medio fra l’altipiano antico ed il piano generale della pianura, ciò che indica che il taglio della diga cristallina è molto antico : d’altronde non v’ha indizio che il Pellice abbia avuto in tempi più remoti un altro corso, salvo che lo si voglia vedere nella depressione percorsa ora dal Chiamogna, la quale però non è congiunta in alcun modo col ba- cino degli Airali, e quindi forse non è dovuta che ad una corrente glaciale più antica. Mancano argomenti per stabilire so il ritiro dei ghiacciai dopo questo antico periodo sia stato completo, come sembra probabile: ad ogni modo certo i ghiacciai se non scomparvero si ritrassero di molto e nel periodo interglaciale si compì l’erosione ed il terrazzamento della maggior parte della conoide glaciale e fluviale costrutta fuori valle. Secondo il Penck e la sua scuola si sarebbe iniziato pure in questo periodo, per le nuove condizioni climatiche, subtropicali o quasi, il fenomeno della ferrettizzazione : questa, come si è detto, è assai dif- fusa, ma limitata alla faccia superiore degli altipiani : non si è potuto quindi trovare alcun profilo che possa servire come argomento prò o contro alla soluzione della questione molto difficile ed interessante, perchè da essa si è tratto un criterio per stabilire l’esistenza di due non solo, ma di tre periodi glaciali al Sud delle Alpi. Nel successivo periodo d’avanzamento dei ghiacciai questi non raggiunsero più la primitiva estensione e si fermarono a metà del tratto medio della valle, a Villar Pellice: la stazione che qui fecero non dovette essere molto lunga, perchè data l’importanza assunta dal ghiacciaio, gli avanzi morenici sono molto esigui : il ghiacciaio si è ar- restato al cono di deiezione del Eouspart che lasciò intatto e sovra cui non ha deposto che uno scarso materiale morenico; appena a destra della valle la morena è un po’ più evidente ed abbondano i - 339 — massi erratici, dovuti però al contributo arrecato dal ghiacciaio della valle dei Carbonieri, mentre sembra che il ghiacciaio principale da Ferrera in poi non abbia quasi più portato materiale. Questa avanzata fu seguita da una ritirata molto rapida, fino al precitato bacino Fer- rera-Villano va pel ghiacciaio principale ; pel ghiacciaio dei Carbonieri abbiamo pure notato una cosa analoga fino al ponte Pautas. Ciò con- fermerebbe l'osservazione fatta dallo. Stella, dello sbalzo che si avverte nel morenico tipico fra una breve fase di espansione massima seguita da rapido ritiro fino ad uno stadio più arretrato e più stabile. Un’altra stazione assai lunga dopo un nuovo ritiro rapido del ghiacciaio è stata quella dello sbocco del bacino del Prà a cui ha fatto seguito un ri- tiro progressivo fino alla scomparsa totale del ghiacciaio. Intanto però dietro alla piccola morena frontale più avanzata del Villar avveniva il riempimento del tratto di valle previamente spaz- zato dal ghiacciaio, mediante i coni di deiezione dei diversi valloni affluenti costrutti dalle potenti fiumane di ablazione glaciale trasci- nanti tutto il materiale morenico abbandonato dai ghiacciai in riti- rata, e si deponeva così quel diluviale recente entro valle che ora vediamo terrazzato dai corsi d’acqua attuali nelle condizioni di regime stabilitesi dopo il definitivo ritiro dei ghiacciai. Mentre ciò avveniva nell’alta valle, nella bassa e nel piano, entro le valli di erosione scavate durante l’interglaciale e forse anche du- rante i primi tempi del nuovo periodo glaciale, si deponevano i ter- reni del diluviale recente a cominciare da un poco a monte di Torre Pellice, formando il piano degli Airali, e dopo aver attraversato l’ul- tima stretta andavano a formare la vasta conoide diluviale recente del Pellice. Il solco alluvionale del Pedice entro valle da Bobbio fino allo sbocco fra le rupi su cui poggiano le spade del ponte di Bibbiana, è opera del periodo seguente che ha veduto la scomparsa totale dei ghiacci dada valle. Nell’ annessa tabella, qui retro, sono sintetizzate le relazioni reci- proche dei diversi terreni quaternarii descritti nelle pagine prece- denti. A dar ragione della classificazione seguita sono però neces- sarie alcune spiegazioni, per le quali dovremo confrontare i risultati a cui siamo giunti cou quelli di varii autori che si sono occupati del quaternario sui due versanti delle Alpi e nel Nord d’Europa. < D Q* Pi P d a) 43 Oli a ^ © .— I o © © PÌ U 390 3 § ©.2 o3 ® © Pi f-i • r— j fi O «n © ni .jh a PÌ •Fa H *d Sl a a if r— i o © Pi © -4L» p M u O fi ^ ,fi -p d A0 §^r„.s t>pp & 2 P p5 fi © pi ai fi ’rd *Jh •-"c •rfiPH P P © g 2^ .2 2 fi p a ° © Ph ® © p 2 f- 1 . fi © Pi nd ^ fP fi fihP 2~ fi fi O > P 1—1 r© 3t> 2 "cÌ fi^ od P;n a fih> o s oìO 2^ p © u o a S'rS.^ fi^^ s ® ^ fi P^H fH fi O ai fi © ©cp ^ pi xn Pi . 2 fi fi "'p p „ fcc fi g’ 2 s S £p fi ^ p Pi -ri — d ci = t- pp © 2 p rp fi >a •o s fi tx 2 <1 fi ^3 ’I4 a ► fi fi N fi P~ © © 'd' p- 2.2^3 a .2^ pì .2 ► t> r2 ^ fi 3 63 p 4h 13 fi fi o rQ d o 2 &0 .2 © p fi. 2 .2 & |r§ 0.H «C O P • © • di=J P 2 © hP © .2 ► e Joj ’®--i -a ^ © o eì » C.^3 •a: 8 = -1 •S O cn o w §f — i m C3 SJ3 O O S g.S o Q S,2 4? 0,5 2® dalle acque del Chiamogna di San Secondo, al - 391 — Non v’ha dubbio che tutto il morenico della Val Pellice che ab- biamo compreso nel diluviale superiore è l’equivalente dei morenici riconosciuti tali per universale consenso in tutte le altre valli alpine italiane, e per ciò di quelli dei grandi anfiteatri della valle del Po (Rivoli, Ivrea, lago di Giarda, ecc.) e di tutti gli altri morenici de- posti nel periodo di regresso che ha seguito l’ultima grande espansione glaciale. Nella valle del Pedice però fra questa e la precedente, di cui abbiamo segnalato le traccie nel diluviale inferiore, è manifesta una grande diversità di estensione: misurando le lunghezze massime del ghiacciaio nei due periodi, dall’origine della valle (Monte Granerò), e ritenendo che il ponte di Bibbiana ne sia stato il limite estremo nel periodo più antico, si hanno le due cifre 18 chilom. e 28 chilom. rispettivamente per l’ultima e la penultima età glaciale. La propor- zione trovata è abbastanza concordante con quella che si ammette generalmente sul versante settentrionale delle Alpi (0. 63 : 1) : su quello meridionale non mi è noto si sia finora stabilita, per la dif- ficoltà di determinare nei varii casi il limite estremo a cui è giunta l’espansione maggiore. Vedremo fra breve d’altronde come non si debba dare un gran peso a queste cifre, perchè sulla maggiore o minore lunghezza dei ghiacciai hanno gran peso le circostanze locali : sta però sempre il fatto di una maggiore estensione del ghiaccio nella penul- tima che non nell’ultima età su cui sono concordi tutti gli autori che ammettono più età glaciali. Gli autori stranieri che hanno studiato i terreni quaternari gla- ciali al Nord delle Alpi e nell’ Europa settentrionale si accordano nell’ammettere nel periodo quaternario più di due epoche glaciali distinte: sul numero totale di queste epoche regna però ancora molta discordia, e mentre coloro che hanno studiato il fenomeno nelle Alpi tendono ad ammetterne soltanto tre (Penck, Brùckner, Keil- hack), per tacere di un’ipotetica quarta epoca molto vicina e assai più breve delle altre di cui riparleremo, per il Nord dell’Europa, ed in genere per tutto l’emisfero settentrionale (Alpi comprese), il Geikie è giunto a distinguere sei periodi glaciali separati da cinque periodi interglaciali, che comincierebbero addirittura nel Pliocene su- periore \ L’aver trovato nella valle del Pellice ed anche fuori di 1 Vedi J. Geikie, Journal of Geologi/, voi. Ili, n. 3 - Chicago, 1895 ; ed anche la critica fattavi da K. Keilhack, Die Geikie' sche Gliederung der nord - europaischen Glacialablagerungen (Jahrb. der k. preuss. geol. Landesanst. fiir 1895, pag. 111). — Berlin, 1896. — 392 — essa le prove, già in parte note, di almeno due età glaciali distinte, non esclude la possibilità, che queste siano state in numero maggiore. La forma della valle è tale che ogni espansione glaciale ha dovuto spazzare sul suo cammino le traccio di quelle che l’avevano preceduta: quindi, se realmente la penultima età glaciale, come pare, è stata la maggiore di tutte, è esclusa la possibilità di trovare nella valle traccie delle età anteriori : queste, ove esistessero, si potrebbero trovare nella pianura che non abbiamo considerato che incidentalmente, ma questa probabilità è pur essa esclusa, perchè, come si è detto, il piano gene- rale, dopo il ponte di Bibbiana, è formato unicamente da terreni del diluviale superiore. Come abbiamo accennato, gli ammassi morenici che s’incontrano nelle valli alpine, dietro le morene più lontane dell’ultima espansione glaciale sono stati variamente interpretati. Chi, come il G-eikie od il Du Pasquier, ha voluto vedere in essi le prove di un’età glaciale po- steriore a quella dei grandi anfiteatri del versante meridionale alpino e più breve assai delle altre; chi, come il Penck, li ha interpretati come episodii post-glaciali, o come l’Hansen li ha ritenuti come prova di brevi incursioni epiglaciali. Tali sarebbero nel nostro caso le morene del tratto Villano va Fer- rera e quella della Maddalena al Prà, rappresentanti rispettivamente^ciò che i geologi transalpini hanno chiamato le morene del primo e del secondo stadio postglaciale. Però se si osserva la posizione di queste morene relativamente alla forma della valle, l’ipotesi che meglio spiega la loro origine è quella di una stazione più o meno prolungata del ghiacciaio in loro corrispondenza durante la loro fase di regresso. La posizione altimetrica della fronte di un ghiacciaio dipende solo in parte dalle condizioni generali climatiche: a determinarla e mante- nerla stabilmente entro certi limiti contribuiscono potentemente le condizioni topografiche locali. Abbiamo visto difatti come la forma del terreno (parete gneissica quasi verticale) malgrado molte altre condizioni che sarebbero state più favorevoli allo sviluppo di un grande ghiacciaio, abbia fatto sì che nella valle di Luserna le morene terminali si siano formate molto più a monte e più in alto che non nella valle di Angrogna; così nella valle principale vediamo il mo- renico svilupparsi prima e dopo la grande gola di Mirabouc, mentre lungo questa le traccie glaciali sono molto scarse. Nella valle dei Car- bonieri, in cui la forma del profilo trasversale è abbastanza costante, il morenico è assai più uniformemente distribuito che non nella valle — 393 — principale, ciò che attesta che il moto di ritirata dal ponte di Pautas fino ai circhi superiori è stato abbastanza uniforme, ed esclude V ipo- tesi di ritorni parziali del ghiacciaio. Fin qui le divergenze fra le interpretazioni nostre e le vedute dei varii autori nominati non sono tali da ritenersi inconciliabili : molto più essenziale e più difficilmente componibile invece è la diffe- renza di interpretazione del diluviale medio, se i tre piani in cui da noi è stato diviso il quaternario si vogliono mettere in parallelo rispettiva- mente colle alluvions des plateaux ( Deckenschotter), des hautes terrasses (Hochterrassenschotter) , et des basses terrasses (Niederterrassenschotter) , che la scuola rappresentata dal Penck, Bruckner e Du Pasquier ri- tiene corrispondere ciascuno ad una espansione glaciale particolare, mentre tanto per l’ ing. Stella nel suo lavoro più generale quanto per chi scrive, nel caso di Yal Pollice, il diluviale medio (= hautes ter- rasses), corrisponderebbe ad un periodo interglaciale. Come è noto secondo gli autori citati i detti tre piani rappre- sentano le alluvioni formatesi intorno all’apparato morenico terminale di ciascuna delle tre espansioni glaciali principali che ammettono, mentre i periodi interglaciali, nella zona prealpina e subalpina (Al- penvorland) sarebbero caratterizzati da una potente erosione fluviale che ha preparato le depressioni in cui si sono deposte le alluvioni dei periodi glaciali successivi. Nell’interno delle valli però le cose sono andate diversamente, e vediamo difatti il Bruckner nella regione della Salzach descrivere dentro la valle una serie di depositi di età inter- glaciale, come coni di deiezione antichi ecc., eco. \ Nella valle del Pellice la cosa è pure abbastanza chiara e non ammette interpre- tazioni diverse: è evidente che il diluviale medio fra Villar e Torre Pedice rispetto al diluviale antico dello sbocco di valle, è nelle iden- tiche condizioni in cui si trovava il diluviale superiore o recente fra Bobbio e Villar di fronte al morenico di Villar, cioè si tratta di al- luvioni formatisi in gran parte a spese del materiale morenico ab- bandonato nella sua fase di regresso dal ghiacciajo, venute a deporsi in quella porzione di valle che questo nella sua fase anteriore di avanzamento aveva spazzato da ogni deposito ed anche erosa ed approfondita, dato s’ ammetta la tanto discussa erosione glaciale. Su questo modo d’interpretazione non mi pare possibile fare que- 1 Vedi E. Bruckner, Die Vergletscherung des Salzachgebietes. Wien, 1887. stione ; il voler ammettere che il diluvium medio entro valle corri- sponda ad un’età glaciale particolare porterebbe alla conseguenza di dover assegnare a due periodi glaciali distinti il morenico che ab- biamo compreso nel diluviale superiore; ciò che assolutamente non potrebbe essere giustificato da nessuno dei fatti osservati. Siccome il trarre da un sol caso particolare delle conseguenze da estendersi ad una regione così vasta e varia come quella alpina non è cosa ragionevole, colle obbiezioni fatte non s’intende affatto di me- nomare il valore generale delle due diverse opinioni che si sono con- siderate: si è voluto soltanto mettere in sodo che esse applicate a spiegare un caso particolare non sono conciliabili; ciò che può di- pendere semplicemente non dalla intrinseca bontà di ciascuna di esse, ma dall’errore che si può commettere ritenendo perfettamente equivalenti le tre sezioni in cui nei due casi si è diviso l’intiero di- luviale. Basterebbe ad esempio il parallelizzare le hautes terrasses col nostro diluviale antico, perchè l’accordo più perfetto si stabilisse fra le due ipotesi. Rimarrebbe però a trovare l’equivalente del Decken- schotter sul versante italiano delle Alpi; ciò che potrà accadere quando si saranno meglio poste in chiaro le relazioni fra quaternario e plio- cene nella zona subalpina. Roma, dicembre 1896. II. B. Lotti. — Inocerami nelV Eocene del Casentino [Toscana), (con una tavola). Ciò che sto per esporre non costituisce la dimostrazione, ma la conferma della presenza d’inocerami nell’Eocene dell’ Appennino set- tentrionale. La prova chiara ed incontestabile di questo fatto geolo- gico, tante volte accennato da alcuni autori ed altrettante volte con- tradetto e negato da altri, fu da me trovata presso Barigazzo nello Appennino Modenese e resa di pubblica ragione nell’anno decorso in questo bollettino, sotto il titolo : Strati eocenici fossiliferi presso Bari- gazzo nell’ Appennino Modenese ; e fu allora da me dimostrata l’età eocenica non solo degli strati con inocerami, ma anche di quelli, sot- - 395 — tostanti immediatamente nello stesso punto, che racchiudevano bivalvi ritenute finora, dai geologi che studiarono l’ Appennino, come spettanti al Miocene. Le condizioni del giacimento fossilifero erano di un’estrema semplicità e poterono esser rappresentate in una sezione nella maggior parte tolta dal vero. Esposi allora come gli inocerami e le bivalvi di Barigazzo si trovino alla base di una formazione arenacea con rari banchi calcarei intercalati e determinata come eocenica dalla presenza di nummuliti e come essa ricuopra direttamente la formazione calcareo- argillosa o delle argille scagliose con roccie ofiolitiche e con strati nummulitici, formazione che alla sua volta riposa sopra arenarie esse pure in vari punti nummulitifere. Nel Casentino gli inocerami occupano la stessa posizione stra- tigrafìca. Anche qui, come nella maggior parte dell’ Appennino settentrionale, il terreno eocenico presentasi costituito essenzial- mente da tre formazioni distinte: una superiore di calcari mar- nosi talvolta con qualche straterello arenaceo intercalato; una in- termedia di scisti argillosi e calcari (zona delle argille scagliose e delle roccie ofiolitiche) ed una inferiore di arenarie e scisti arenacei. Mentre però quest’ultima formazione mantiene dovunque e costante- mente identici caratteri, le due superiori cambiano con facilità da un punto all’altro passando lateralmente da puri calcari a pure arenarie per tutti i gradi intermedi rappresentati da formazioni miste, costi- tuite cioè da calcari con strati arenacei, scisti argillosi con calcari e lenti d’arenaria ed arenarie con strati calcarei. Così, mentre nei monti di Bibbiena e di Chitignano, sulla sinistra dell’Arno, e in quelli del finestrino e di Larniano, sulla destra, riposano sulla formazione cal- careo-argillosa i calcari marnosi puri o tutto al più con qualche raro straterello di arenaria molto calcarifera, presso Poppi e Fronzola so- vrappongonsi ad essa masse di arenaria con qualche banco interposto di calcare marnoso, e mentre nelle colline sulla destra dell’Arno la zona calcar eo-argillos a conserva la sua natura tipica, sulla sinistra, tra Soci e Pratovecchio, essa vien sostituita nella maggior parte da una formazione mista di strati arenacei, strati arenaceo-argillosi e strati cal- carei con nummuliti ed orbitoidi. Presso Memmenano, tra Bibbiena e Poppi, alla base della for- mazione superiore, calcarea, affiora, tra scisti argillosi rossi e grigiastri (sr) (vedi fig.'l, 2 e 3, Tav. IY), una piccola lente d’arenaria (ar1) in al- cuni strati della quale, presso una cava di pietrà (n.° 2 delle sezioni), raccolsi due esemplari à’ Inoceramus insieme con Taonurus , CJiondrites , - 396 Helminthoida , Helminthojosis , grosse fucoidi ed altri rilievi. In una se- conda cava della stessa pietra (n° 3), a pochi passi dalla precedente, fra gli strati d’arenaria con Taonurus, grosse fucoidi e rilievi diversi, osserva nsi lenti di calcare screziato a foraminifere. La parte visibile della lente arenacea di Memmenano, essa pure diretta da N.O a S.E come tutte le formazioni circostanti, misura circa 300 metri di lunghezza e forse 20 di spessore e mentre dal lato N.O va a nascondersi sotto le alluvioni dell’Arno, dal lato S.E si tra- sforma gradatamente in una roccia calcarea finamente arenacea e un po’ micacea (csa), i cui strati alternano ripetutamente con scisti ar- gillosi rossi (sr)f con calcari a foraminifere e denti di pesce (n°. 4), e con strati d’arenaria a grosse fucoidi e rilievi simili a quelli della roccia contenente inocerami. Questi strati, ad onta del cambiamento di natura, riposano, come quelli dell’arenaria calcarifera con inocerami, sugli stessi scisti argil- losi rossi e grigiastri (sr) con calcari a foraminifere. I calcari mar- nosi (c) della zona superiore cuoprono il tutto a poche diecine di metri di distanza verticale dalla lente arenacea. In direzione le condizioni stratigrafìche di questi strati si pre- sentano come nella fìg. 3, Tav. IV. I particolari litologici della serie fossilifera di Memmenano possono osservarsi in vari tagli trasversali lungo la linea ferroviaria fra il Can- cello n. 31 e la La Tomba. Gli strati nel loro insieme formano un sem- plice uniclinale e si succedono dall’alto al basso nell’ordine seguente : 1° Calcari marnosi bianchi con calcare litografico; 2° Calcari marnosi con strati lenticolari d’arenaria calcarifera e scisti argillosi grigi alternanti. L'arenaria contiene V Helminthoida e rilievi diversi (vedi il taglio naturale, fìg. 4, Tav. IV); 3° Rari strati d’arenaria calcarifera a rilievi tra scisti argilloso - arenacei grigi, scisti argillosi rossi e straterelli di calcare marnoso con Taonurus ; 4° Scisti grigi con straterelli d’arenaria a rilievi ed Helminthoida e calcari marnosi a fucoidi; 5° Scisti argillosi rossi alternanti con strati d’arenaria a rilievi e strati di calcare screziato a foraminifere ; 6° Arenaria calcarifera con qualche strato lenticolare di calcare a fucoidi. Gli strati d’arenaria racchiudono Inoceramus , Taonurus, Hel- minthoida, Helminthopsis e rilievi diversi indeterminabili e sono sepa- rati fra loro da sottili letti di scisti argilloso-micacei ; — 397 — 7° Scisti rossi come al n. 5; 8° Formazione calcareo -argillosa tipica, la quale disponesi in leggero anticlinale e manifestamente va di nuovo sotto ai calcari marnosi n. 1 della collina di Bibbiena dopo un tratto di circa un chilometro, occupato dal deposito lacustre pliocenico e dall’alluvione del torrente Archiano. Tutti i vari membri di questa serie sono strettamente collegati fra loro da forme litologiche comuni e costituiscono nell’insieme un tutto indivisibile ed isotipico. Ciascun gruppo di strati non differisce dall’altro che per la prevalenza dell’una o dell’altra roccia. Gli strati ad inocerami n. 6 non rappresentano altro che un maggiore sviluppo locale degli strati arenacei alternanti cogli scisti rossi del gruppo n. 5 e^ciò è confermato dal fatto già enunciato, che a brevissima di- stanza gli strati di arenaria ad inocerami si trasformano anche la- teralmente in alternanze di calcari arenacei a rilievi e di scisti rossi. Nelle stesse condizioni stratigrafiche, cioè immediatamente sotto i calcari marnosi e sopra la formazione calcareo-argillosa, ritrovansi gli scisti argillosi rossi tra Villa Uzzano e Ortignano nella valle della Teggina; dimodoché la sezione trasversale del giacimento di Mem- menano, prolungata verso S.O dall’altro lato dell’Arno, vien rappre- sentala come nella fìg. 2, Tav. IV \ Una piccola lente di arenaria sta racchiusa fra gli scisti argillosi rossi anche sopra Tortiglia per la strada tra Borgo alla Collina e la Consuma e a maggior distanza, nella Val di Sieve, si osserva lo stesso fatto presso Santa Lucia, fra Sambavello e Corella, colla differenza che qui son diverse le masse lenticolari d’arenaria comprese fra gli scisti e che i calcari a foraminifere in essi racchiusi contengono effet- tivamente delle nummuliti 1 2. Merita di esser notato che questi scisti 1 La presenza di scisti argillosi rossi con calcare nummulitico alla base dei calcari marnosi è del resto un fatto comunissimo in Toscana e special- mente nei dintorni di Firenze, come ne abbiamo esempio a Vaglia, a Prato- lino, a Valecchia e sulla sinistra dell’ Ema presso la sua* confluenza colla Greve. In quest’ultima località anzi è degno di nota il fatto che tali scisti sovrappon- gonsi direttamente alle arenarie calcarifere con inocerami ed ammoniti del Monte Cuccioli e di Monte Ripaldi. 2 Ciò che vi ha di notevole in questa località si è la presenza di roccie a bivalvi, ritenute finora mioceniche, a breve distanza presso il Casellino e - 398 — 11 rossi di Santa Lucia possono esser seguiti quasi senza interruzione in una zona strettissima diretta, come tutte le altre formazioni, da S.E a N.O, la quale dai pressi della Verna nel Casentino giunge quasi al passo della Futa sopra Barberino di Mugello, e cLe, presso i Casali sopra Sant’Agata, in quel di Scarperia, in certi straterelli arenacei racchiusi fra questi scisti, poco sotto ai calcari marnosi del Monte Calvi, fu da me raccolto un esemplare di inoceramo con Palaeodictyon ed altri rilievi. Così la corrispondenza di posizione degli strati ad inocerami di Memmenano con quelli nummulitiferi di Santa Lucia, viene confermata dalla presenza di inocerami presso i Casali nella stessa zona di scisti. Se ora, dopo aver esposto la parte analitica delle condizioni geo- logiche degli strati ad inocerami di Memmenano, gettiamo una sguardo sintetico sulla tettonica generale del Casentino, ci apparirà manifesta la posizione di essi nella parte superiore dell’Eocene e come poco at- tendibili sarebbero quelle ipotesi di dislocazioni che potessero essere escogitate per far rientrare sotto tutta la serie eocenica gli strati in parola. Sta in fatto che la parte più elevata dei due tratti montuosi che fiancheggiano la conca casentinese tra Stia e Bibbiena, è formata da arenarie i cui strati, salvo ondulazioni secondarie e puramente locali, pendono verso il fondo della conca, mentre la parte più depressa di questa e le colline adiacenti sui due lati dell’Arno sono costituite dalle roccie calcareo-argillose e dai calcari superiori regolarmente so- vrapposti all’arenaria nell’ordine più sopra notato. La sezione fìg. 1 (Tav. IV), condotta attraverso questo sinclinale e passante per il giaci- mento fossilifero di Memmenano, mostra le condizioni stratigrafiche e tettoniche predominanti nella costituzione geologica del Casentino. Essa è alla scala di 1:50 000 tanto per le orizzontali quanto per le verticali ed è dedotta dalla carta geologica da me rilevata nella de- corsa estate e da schizzi ed appunti presi sul luogo. Prolungata dai due lati, essa non incontrerebbe per molti chilometri che arenarie (ar), mentre nella sua porzione intermedia e più depressa essa taglia le indubbiamente sottostanti a questi scisti rossi con calcari nummulitici. Su questo argomento ritornerò con altro lavoro nel quale sarà dimostrato che gli strati a bivalvi della Val di Sieve, non solo stan sotto, ma son compresi fra strati nummulitici, ciò che esclude la spiegazione del fenomeno col ricorso a rovesciamenti stratigrafici. - 399 - formazioni superiori eoceniche (cs, sr, c) e i terreni più recenti mio- cenico (m) e pliocenico lacustre {pi). Nei punti (n° 1) della formazione calcareo argillosa ( cs ) si osservano strati di calcare screziato con num- muliti, rotalide, textularide e briozoari; nel punto (n° 2) furon rac- colti gli inocerami; nel punto (n° 3), in un’altra cava della stessa arenaria calcarea che viene scavata nel punto (n° 2) e a pochi passi da questo, come già dicemmo, una brecciola calcarea associata alla arenaria presentò al microscopio frammenti di briozoari ed una, invero un po’ dubbia, nummulite; nei punti (n° 4) finalmente, in brecciole analoghe, si osservarono foraminifere diverse con prevalenza di globi- gerinide, textularide e rotalide, nonché piccoli denti di pesce. L’arenaria di Fronzola ( ar *), sovrapposta alla formazione calcareo- argillosa rappresenta, come fu accennato, una forma eteropica dei calcari (c) ma ciò non esclude che possa anche riguardarsi come il resid o di una lente arenacea analoga a quella ad inocerami di Mem- menano; infatti, tanto essa quanto quella del Poggio Pecorino, alla stessa guisa dei corrispondenti e prossimi calcari di Larniano, ripo- sano, almeno in parte, su scisti argillosi rossi, come quella di Mem- menano. Del resto anche questa di M emmenano deve ritenersi verosi- milmente una forma eteropica dei contigui calcari marnosi (c) come viene accennato dagli strati di calcare marnoso ad essa interposti e da un piccolo taglio che osservasi lungo la rotabile andando verso Poppi, riprodotto dalla fig. 4 (Tav. IV), nel quale compariscono alter- nanze di strati di calcare marnoso e strati d’arenaria del tipo pietra- forte con Helminthoida e cogli altri soliti rilievi caratteristici. La sezione brevemente descritta mostra inoltre che la linea di sinclinale del Casentino non coincide colla linea di massima depres- sione della conca, ossia col ihalweg dell’Arno, ma trovasi tutta sulla sinistra di questo. Da quanto son venuto esponendo si conferma quindi che anche nel Casentino, come nell’ Appennino Modenese e nei dintorni di Fi- renze, i resti d’ inocerami trovansi in strati che non solo spettano al- l’Eocene, ma più specificatamente alla sua parte superiore. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Pliocene pi) Deposito lacustre. Miocene super. . m) Calcari coralligeni ed arenarie calcaree. 3 - 400 Ic) Calcari marnosi. ar ) Arenaria calcarifera con inocerami. sr) Scisti argillosi rossi e grigiastri con straterelli di brec- ciola calcarea a foraminifere. cs) Calcari e scisti argillosi con brecciole nummulitifere. csa ) Calcare arenaceo-micaceo, scisti argillosi e bracciola a foraminifere. ar) Arenaria e scisti argilioso-arenacei con strati nummu- \ litici. * Punti fossiliferi = 1) nummuliti — 2) inocerami — 3) foraminifere diverse e qualche dubbia nummulite — 4) foraminifere diverse. Poma, ottobre 1396. III. V. Sabatini. — Relazione del lavoro eseguito nell 1 anno 1S95 sui vulcani dell ’ Italia centrale e loro prodotti. Nella mia precedente relazione (Boll. Com. geol , voi. XX, p. 325; Roma, 1895) riepilogai le più importanti conclusioni a cui le mie ri- cerclie sul vulcano Laziale mi avevano condotto e dissi che quello studio era già molto avanzato. Esso attualmente volge alla fine e co- stituirà la prima parte di tutto il lavoro su: 1 vulcani delV Italia cen- trale e i loro prodotti. Devo aggiungere che nuove ricerche mi han rivelata la melilite nelle lave dell’ Acquace tosa sulla via Laurentina e dintorni. Lo stato d’alterazione di questo minerale nei campioni da me esaminati precedentemente me l’aveva nascosto. Così, per la com- posizione, queste lave si ravvicinano a quella di Capo di Bove, en- trando nella grande categoria delle lave con melilite, anzi melilitiche, poiché quel minerale vi esiste solo nel secondo tempo. Queste lave sono abond anti tra’ prodotti che si trovano fuori il recinto del cratere esterno o Tuscolano; fatto questo che le riattacca; per lo meno nella maggioranza dei casi, alle eruzioni di quel cratere. Ya notato però che, all’aspetto, le lave dell’Acquacetosa e quella di Capo di Bove si mostrano differenti e non c’è motivo per ammettere l’origine comune, come qualche volta si è fatto. Ripeto invece che vi sono anche troppi Boll, del R. Comit.geol .d' Italia. SEZIONI geologich: Figf.ll» Figf IVa Anno 1896. Tav IV'. ( B. Lotti; ; L C AS E N T I N 0 ( Toscana.) r ! Lit.L. Salomone, Roma 401 - argomenti per non ritenere le due provenienti dai Campi d’ Annibaie, secondo volle il Ponzi nei suoi primi lavori. Oltre che la continuazione di queste lave non si vede nell’interno del cratere Tuscolano, la loro composizione è troppo diversa da quelle ivi discese dal cratere in- terno. Ma le mie ricerche dell’anno scorso mi han condotto ad uno dei più importanti risultati ottenuti finora su’ monti Laziali, ed è quello della determinazione dell’origine del felspato nelle leucititi della re- gione. Questo felspato è sempre un prodotto secondario dovuto ad alterazione della leucite. Il fatto già da me dimostrato sopra alcune colate, come dissi nella precedente relazione, è assolutamente generale in tutte queste leucititi, e ne ho parlato in una comunicazione alla Società geologica del giorno 20 marzo di questo anno e pubblicata nel voi. XV, fase. 1 del Bollettino della stessa Società. Questo fatto può parere strano, visto che il felspato era stato messo, colle precedenti analisi, nel primo tempo di queste roccie, ma non di meno io credo che le mie osservazioni abbiano dimostrato l’insussistenza di tale determinazione. E la cosa è anzi più generale di quanto in principio io stesso non avessi creduto. Difatfci il mio amico e collega ing. Viola, nella sua interessante nota sugli Ernici (Boll. Com. geol., 1896, fase. 1°) ri- trova lo stesso fatto, ed i suoi argomenti sono una felice conferma dei miei. Le leucititi laziali sono dunque roccie senza felspato , anche quando lo contengono. Ma lave con felspato originario ve ne sono nei prodotti del vulcano Laziale, sebbene in molto minore quantità delle precedenti. Quando il felspato apparisce, si ritrova, non solo nel primo tempo, ma anche nel secondo, e la roccia diventa una leucotefrite. Così è in gran parte de’ massi erratici del Tavolato e dintorni, in un certo punto alle Fratocchie, in qualche banco del lago di Nemi, ecc. Passo ora a dire qualche cosa del lavoro nelle altre regioni. Esso purtroppo non è che di poco avanzato. Tacendo di esigenze d’ufficio, e quindi indipendenti dalla mia volontà, come parte delle cause del ritardo, non sarà fuor di luogo richiamare alla mente del lettore la vastità della regione vulcanica affidatami e sopratutto la sua grande complicazione. Sarà bene io ricordi qui che il programma del mio lavoro, secondo dissi nella citata precedente relazione, si può riassu- mere così: — 402 - 1° ricerca delle bocche eruttive; 2° andamento e determinazione dei loro diversi prodotti; 3° separazione di questi sul terreno. Ove si rifletta alle difficili questioni, già sollevate da valenti geo- ^ logi su questa regione, s’intenderà il dovere di chi ora se ne occupa di basarsi sopra una lunga serie di fatti , come stampai l’anno scorso, prima di avventurarsi con leggerezza a qualunque affermazione. Mentre iniziavo lo studio dei Monti Laziali, cominciai anche quello del Braccianese, che formerà oggetto della seconda parte del mio lavoro. Diverse volte son ritornato a fare ricognizioni intorno al lago di Bracciano ed ai vicini crateri, ma lo studio di quelle lave è quasi tutto da fare, e lo studio del terréno lo è ugualmente. Sarà in- teressante, se non cercare la soluzione del problema della formazione del lago di Bracciano, almeno riunire molte osservazioni che ci fac- ciano avviare a quella soluzione. Il vom Rath, ne’ suoi mirabili Fram- menti sulVItalia} emette dubitativamente l’idea che possa trattarsi di sprofondamento, e dà due ragioni, sulle quali però si guarda bene dallo insistere, vedendone la grande debolezza. Egli nota che la conca del lago non ha recinto craterico ben definito, e trova troppa diver- sità di materiali sul suo contorno. Alla prima ragione si può subito obbiettare che se il recinto è stato demolito, perchè formato da ma- teriali teneri, non è questo un motivo per negarne l’esistenza. Potrei aggiungere che un po’ di residuo del recinto antico vi si vede, ma non voglio dar valore ad un fatto certamente dubbio. Quanto alla diversità dei materiali, essa è più apparente che reale. Nelle lave non si va oltre a quella diversità che mostra per esempio il Vesuvio nei prodotti delle sue varie eruzioni, essendovi, a quanto ho visto finora, leucititi e leucotefriti. Chi può negare per questo 1’ unicità della bocca eruttiva del Vesuvio? Del resto la stessa variazione trovasi al vulcano Laziale. Quanto ai tufi, alla grande quistione, chi può affermare di avervi visto dentro ad occhio nudo, quando ordinariamente con lo stesso mi- croscopio vi si vede poco ? E stato fatto uno studio di quei tufi per dimostrarne le differenze ? Sarà possibile farlo ? Il tempo di giudicare diversi due tufi, sol perchè litoidi o incoe- renti, a grana grossa o fina, colorati in giallo o in rosso, con o senza inclusi, dovrebbe esser finito. La parte fina, il cemento, indurito o no, è generalmente troppo alterato per essere riconosciuto; e i frammenti di lave che racchiude, se permettono delle determinazioni — 403 — più o meno buone, non danno invece indizi sicuri, perchè non sempre provengono dal bagno fuso nel momento dell’eruzione, ma spesso dalla rottura di roccie solide preesistenti. Allo stato dunque delle cose, sapientemente il v. Rath si limitò ad emettere delle semplici ipotesi, ed è da sperare che una studio fu- turo possa risolvere la quistione. Finche dunque dovremo limitarci ad ipotesi, quella di Judd, che è poi di Ponzi e di tanti altri, che trattisi cioè de’ resti d’un enorme vulcano, appare più probabile. Il lago di Bracciano è all’intersezione, di due grandi fratture: la frat- tura tirrena principale picchettata dal M. Amiata, dai laghi di Boi- sena, di Vico e di Bracciano, dal M. Laziale, da Roccamonfìna e dal Vesuvio, e la frattura trasversale di Scrofa-no, Camporciano, Baccano, Martignano, lago di Bracciano, Monte Virginio, ecc. All’intersezione di due fratture così importanti doveva trovarsi un cratere di pari im- portanza, e nessuno dei crateri che sono vicino alla conca di Bracciano mostra uno sviluppo comparabile a quello delle bocche che si trovano lungo quelle fratture. Gli edifizi minori ben riconoscibili son venuti tutti dopo, intorno alla conca di Bracciano, addirittura sull’ orlo suo, e qualcuno ha emesso correnti di lava che, intrecciatesi o sovrappostesi alle preesistenti, han complicato i resti dell’edilìzio principale. Io non discuterò nemmeno le sue dimensioni; difatti di crateri con dimensioni comparabili a queste ce ne sono e molti. Anzi pel lago di Bracciano è evidente che le demolizioni per esplosioni e sprofondamenti devono avere di molto aumentate le di- mensioni primitive del cratere. Dall’orlo attuale possiamo invece de- durre quale ampiezza avesse la base del cono corrispondente. Noi dunque per ora non abbiamo di fronte che due semplici ipotesi, la seconda però più probabile della prima. Noterò come intorno al lago di Bracciano, a questo che sarebbe dovuto ad un enorme sprofondamento senza esplosioni, secondo al- cuni, ad un vero cataclisma locale, non esiste nessuno di quei segni di dislocazione che pure avrebbero dovuto prodursi, o, se esistono, non sono stati mai visti, nè da me, nè da altri. Inoltre, questa idea degli sprofondamenti è stata nella provincia romana applicata a tutti gli edifizi vulcanici poco riconoscibili. Il lago di Castel Gandolfo, quello di Nemi, quello di Bracciano e l’altro di Bolsena sono stati, da una certa scuola tutti attribuiti alla stessa causa. E stata questa l’ipotesi invo- cata tutte le volte che non si è potuto dimostrare l’ipotesi vulcanica, — 401 — per mancanza di prove o per mancanza d’osservazioni. Non si capisce perchè non si siano applicati gli sprofondamenti anche a Baccano e a Camporciano ! Non ho potuto spingere più avanti queste e le altre ricerche sui vulcani Sabatini, mancandomi il corredo degli studi microscopici che devono alternarsi con le osservazioni di campagna. E mi mancavano i primi perchè finora sono stato occupato con le lave laziali. Per utilizzare i mesi più caldi, nei quali le escursioni nei Sabatini riescono difficili, ho cominciato l’anno scordo a fare le prime gite nei Oimini. Si sa che con questo nome s’intende la regione del Monte Cimino propriamente detto e l’attigua ove trovasi il lago di Vico. Monte Cimino è un gran vulcano sulla cui sommità, a 1056 metri sul mare, si osservano i resti del cratere terminale a ferro di cavallo. Tra’ suoi primi prodotti va notato il 'peperino del Viterbese. All’a- spetto questa roccia sembra in certi punti un tufo, in altri una lava, perchè è molto alterata. Il microscopio mostra invece una bellis- sima andesite. Gli elementi più grandi vi sono ben conservati, onde l’alterazione è più apparente che reale, limitandosi ai più piccoli ele- menti della pasta. Tutte le altre lave che coprono i fianchi o scen- dono dall’alto di Monte Cimino sono posteriori e probabilmente, a giudicarle dall’aspetto, sono trachiti o andesiti. Una bella corona di colline, che sono forse coni secondari, cinge questo vulcano. La Pallanzana ha dimensioni maggiori delle altre e spicca anche di lontano accanto al Cimino, che è di molto più grande. Il gruppo di Vico è un vulcano adoppio recinto. Una conca, cioè, in parte occupata dal lago, e dalla quale si eleva un cono eccentrico, il noto Monte Venere. Anche qui si trovano molte e diverse lave e tufi abondanti. Una caratteristica generale delle ultime eruzioni dei Cimini, dei Sabatini e de’Laziali, è l’apparizione d’un tufo di ceneri sottilmente stratificate, che copre gli altri prodotti anteriori come mantello, lace- rato qua e là, e di cui trovansi in alcuni punti solo dei brani. Tali ceneri, scure a’ Laziali, sono grigio-chiare ai Sabatini (Martignano, Baccano, ecc.). Sarebbe interessante fame la separazione, perchè cor- rispondono all’ ultima e più attenuata manifestazione della vita di questi vulcani. Una formazione molto estesa a Nord dei Sabatini è un tufo li- toide con grosse scorie nere, che spiccano sulla massa generalmente - 405 - gialliccia. Un campione di questo tufo si vede presso Roma, a Castel Giubileo e al Sepolcro dei Nasoni. A Civita Castellana, esso ha una po- tenza di alcune decine di metri. Ma il nero delle pomici non è una caratteristica, poiché nello stesso banco si passa spesso dalle pomici nere alle bianche *. Non entro in maggiori particolari sulle mie osservazioni, sia perchè non tutte sono definitive, sia perchè dovrò svolgerle ampia- mente in altre pubblicazioni più particolareggiate. Roma, maggio 1896. IV. S. Bertolio. — Appunti geologico-minerari sull1 Isola di S. Pietro ( Sardegna ). (con una tavola). 13 iToliog-rstf ia,. Baldracco., Cenni sulla costituzione metallifera della Sardegna — Torino, 1854. Della Marmora, Voyage en SardaigneJ Voi. II • — Paris, 1857. G. vom Rath, Vortràge und Mittheilunge — Bonn, 1883 (pag. 38). Halse., On thè manganese deposit of thè islet of San Pietro ( Sardinia ) (North of England Institute of min- ing and raechanical engineers, Voi. XXXIV, 1884-85). Rudler, Notes on microscopio sections of rocks from San Pietro (ibidem). Eigel, Ueher einige trachytische Gesteine von der Insel San Pietro (Tscbermak’s Mineralog. und Petrogr. Mitth., 1886. Vili). Fuchs et De Launay, Traité des gites minéraux et metallifères , 1893, Voi. II, — ■ Paris, 1893. Bertolio, Studio micrografico di alcune roccie dell" isola di San Pietro (Boll. Com. geol., n. 4, 1894). » Sulle comenditi nuovo gruppo di rioliti a aegirina (Rendiconti R. Acc. Lincei, 1895). » Contribuzioni sui terreni vulcanici di Sardegna (Boll. Com. geol., n. 2, 1896). » Sulla composizione chimica delle comenditi (Rendiconti R. Acc. Lincei, 1896). L’isola di S. Pietro trovasi nella parte meridionale della Sardegna, a circa 8 miglia dalla sua costa occidentale, e da Iglesias vi si accede comodamente valendosi della ferrovia privata di Monteponi. Vista dalla costa sarda si mostra ondulata da colline, fra le quali la più 1 A giudicare dall’aspetto, il tufo giallo da costruzione della Campagna romana ha molta somiglianza con questo. In certi punti, sulla pasta del primo, che è dello stesso color giallo, appariscono delle piccole scorie filamentose nere o nerastre. A Nord de’ Sabatini e nel Viterbese invece le pomici nere sono più grosse e generalmente si mostrano abondantissime. elevata, servendo anticamente di vedetta agli abitanti dell’ isola per spiare l’arrivo dei pirati tunisini, conserva il nome di Guardia dei Mori, e porta, a 205 metri sul mare, un semaforo. La spiaggia orientale dell’isola offre una sicura rada, protetta dai venti di ponente e di libeccio, commercialmente assai importante per le rilevanti partite di minerali cbe vi imbarca l’Iglesiente. Su questa spiaggia fu fondata nel 1736 da una colonia di genovesi, oriundi dal- l’isola di Tabarca nel mar di Tunisi, una cittadina chiamata in se- guito Carloforte, la cui popolazione mantenne con fierezza, attraverso numerose vicissitudini, i costumi della patria lontana e la lingua avita. L’isola di S. Pietro era altra volta coperta di boschi, ma ora ne è affatto spoglia, perchè gli abitanti dissodarono ogni tratto che fra le roccie racchiudeva un po’ di terra, per coltivarvi la vite. Per la sua piccolezza non ha corso nell’isola alcun torrente o rio perenne, e per la impermeabilità del suolo l’acqua dovunque di- fetta, sicché gli abitanti sono . costretti a raccogliere e conservare in cisterne quella, che durante le pioggie scola dai tetti. La costa, che guarda la Sardegna, è per lungo tratto a dolce de- clivio e la spiaggia, larga più centinaia di metri, permise la siste- mazione di ricche saline; da ogni altro lato però l’isola presenta delle scogliere dirupate e delle coste a picco, contro le quali, furiosi ad ogni soffio di vento, s’infrangono i marosi. L’isola è esclusivamente vulcanica, e le sue formazioni sembrano analoghe a quelle della costa sarda di Portoscuso e della vicina peni- sola di Sant’ Antioco. Se i fenomeni vulcanici, che hanno originato l’isola di S. Pietro, sono gli stessi che interessarono le regioni limitrofe, queste ultime, conservando sotto il vulcanico i terreni di sedimento, possono offrire dei documenti stratigrafici sicuri per determinare l’età delle eruzioni di cui questo lembo di Sardegna fu teatro. Tuttavia, pur essendo l’isola di origine vulcanica, si ingannerebbe a partito chi credesse di ritrovarvi alcun testimonio del periodo erut- tivo, poiché la regione fu profondamente erosa ed ogni vestigio di cratere o di apparecchi vulcanici andò distrutto. Cenno topografico dall’isola. — JLi’isola di S. Pietro si presenta accidentata da numerose colline, sparse per lo più senz’ordine sopra la sua superfìcie. Alcune però si collegano fra di loro, dando luogo a qualche piccola serie, allineata secondo N-S ovvero S.E-N O. Così una serie di alture corre parallelamente alla costa orientale dalla Punta fino al Resciotto, alto 96 metri sul mare (vedi la Tavola annessa) e - 407 - forma una piccola catena con direzione N-S; altre elevazioni, aventi la stessa direzione, si trovano nella parte occidentale dell’isola Questi sistemi di alture danno luogo a delle valli, dirette da settentrione a mezzodì, fra le quali la principale è quella di Comende, che ha circa due chilometri di lunghezza e che si trova nel settore N.O dell’isola. Un’altra serie di elevazioni si diparte da Carloforte e si dirige verso N.O, mandando un’appendice a Guardia dei Mori (205 metri) e spingendosi fino a Comende ; un sistema di ondulazioni analoghe si protende dal Macchione fino a Capo Becco attraversando tutta l’isola. Nella sua parte meridionale l’isola di S. Pietro offre numerose piccole elevazioni distaccate ed indipendenti, risultato di profonde solcature operatevi dalle acque nel suolo. La principale valle di questa regione è quella che segue la strada • che dai Pescetti va allo Spalmatore e lungo la quale si osservano qua e là dei fenomeni di trasporto che attestano resistenza, in altri tempi, di un corso d’acqua la cui importanza non sarebbe oggidì in relazione colie dimensioni ristrette dell’isola. Certamente a quest’or- dine di fenomeni si deve attribuire la presenza nella regione dei ciot- toli calcarei, segnalati dal Lamarmora vicino ai Pescetti e da me ri- trovati in altri punti, poiché questa roccia manca completamente nel- l’isola. L’isola di S. Pietro ebbe altra volta una superficie assai più estesa che non ora, come le dimostrano le scogliere che si proten- dono a mare alla Punta, alle Colonne, al Sandallo, ecc. Le sue coste sono frastagliate da insenature profonde; nella parte settentrionale, vicino alla Punta, è notevole il canale di Menerosso , che si presenta come un piccolo fjord , e la cui origine probabilmente si ripete da una frattura diretta N-S. Lasciata la cittadina di Carloforte e dirigendosi verso Ovest, si attraversano due altipiani di circa 500 metri di larghezza, posti ri- spettivamente alle quote di 50 e 100 metri sul mare; l’inferiore, nella sua parte meridionale, presenta una spaccatura con pareti a picco, di- retta N-S e chiamata Val d’ inferno. Nella parte occidentale dell’isola, vi sono le regioni di Comende, Becco, Calavinagra, ecc., che furono profondamente incise dalle acque. Il carattere orografico dell’isola è strettamente legato al litologico, poiché la superficie fu modellata sopra tutto dalle acque, le quali agi- — 408 - rono più o meno intensamente a seconda della struttura delle roccie, che incontrarono nel percorso. Infine è notevole, nella parte meridionale dell'isola, non lungi dalla Punta delle Colonne , l’esistenza di due laghetti, chiamati dei Pescetti e della Vivagna. Il primo di questi laghi, che ora fu prosciu- gato per dare all’agricoltura il terreno che occupava, si trova a 14 metri sul mare e può forse essere un avanzo di cratere secondario. L’acqua contenuta in entrambi questi avvallamenti è salmastra, in causa dell’afra marittima che accentua in questa regione notevolmente i suoi effetti per la vicinanza delle saline. Litologia. — Da un punto di vista generale l’isola di S. Pietro si può considerare come costituita da tufi e da trachiti. I primi sono ben visibili a chi lascia Carloforte e segue la costa orientale dell’isola, dove si mostrano nettamente stratificati ; essi sono di diverso aspetto e di differente grossezza di elementi e ne includono soventi alcuni appartenenti ad altre roccie. La successione dei tufi è la seguente : sottoposto alla trachite, che corona le colline attornianti Carloforte, vi è uno strato di tufo gros- solano, rossastro, di tre o quattro metri di spessore, che riposa sopra uno straterello di tufo impalpabile di pochi centimetri di potenza; a questo fa seguito un altro strato, di circa 20 centimetri di spessore, di tufo bianco a grani alquanto più grossi e che a sua volta appoggia su di un potente strato di tufo grossolano rossastro. Questi tufi conten- gono tutti quanti dei belli cristallini, perfettamente conservati, di sa- nidino e di anortose. La maggior parte dei tufi dell’isola sono potentemente silicizzati e perdettero ogni traccia del primitivo aspetto incoerente, trasforman- dosi in roccie durissime, che danno scintille coll’acciarino come la pietra focaia. Ho raccolto verso la punta meridionale dell’isola, a sud dei Pe- scetti, dei bellissimi esemplari di tufo bianco contenenti delle concentra- zioni di opale di 15 centimetri di diametro, con passaggi insensibili alla roccia che li racchiude e che dimostrano essere avvenuta una sosti- tuzione molecola per molecola di silice idrata agli elementi del tufo. Talora i tufi così silicizzati sono bianchi e leggeri, come quelli che si trovano verso la punta meridionale dell’isola, altra volta sono ver- dastri o rossigni, come nei dintorni dei Pescetti. Frequentemente sono di color più cupo, come verso Calavinagra ed al Becco, e con- tengono tutti dei frammenti di pomice, di trachite rossastra, di reti- — 409 — nite nera, della grossezza variabile da un grano di ceci ad un uovo di piccione. Per quanto ricerche abbia fatto in questi tufi stratificati non mi fu dato di riscontrarvi alcuna traccia di fossili. Nei tufi friabili affiora del minerale di manganese, sotto forma di piccoli arnioni, nei quali sono ben visibili ad occhio nudo, inclusi nella massa, gli stessi cristalli che si osservano nel tufo. A S.O del colle Guardia dei Mori, nella località Bocchette, si osserva in un tratto di pochi metri di una ripa scoscesa, la succes- sione di circa 15 strati orizzontali di tufo di diverso colore e di di- versa grossezza, disposti colla massima regolarità, e che sopportano la trachite. Lungo la collina, che corre parallelamente alla costa da Rombi al Macchione, sono ben visibili altri tufi stratificati, che pen- dono leggermente ad Ovest. Nei tufi dell’isola di S. Pietro non mi fu dato mai di osservare altri cristalli che di feldispato ed eccezionalmente, a Capo Becco e a Sud del Macchione, delle piccole tavolette di mica, che conservano quasi sempre il contorno esagonale e che mostrano dei brillanti ri- flessi color rame. L’isola presenta molte varietà di trachiti. Predomina sovra tutte una trachite rossa, compatta, ricca di feldispato e priva di ogni altro minerale, la quale è visibile per tratti nella parte N.E dell’isola, forma la punta Nera a Sud ed occupa una grande estensione nella parte S.O. In questa trachite non ho trovato . alcun incluso di altre roccie. Nella parte orientale dell’isola, all’altezza di Carloforte, tutte le alture circostanti sono ricoperte da una trachite vetrosa, ricca di inclusi di pomice e di retinite nera, i quali ultimi, mostrandosi sti- rati e regolarmente disposti nella massa, accennano alla fluidità altra volta posseduta dalla roccia fusa in movimento. Questa trachite sco- riacea presenta delle ampie cavità, dovute alle grandi bolle gassose che racchiudeva, e ricopre i tufi che attorniano Carloforte, formando il suolo del primo altipiano di cui fu tenuto parola. Tutta quella regione situata al N.O dell’isola, che, a partire dalla località detta del Paradiso, rasenta a Nord la Guardia dei Mori, si spinge fino a Comende e da Comende al mare, a Calavinagra, Bor- tone, tocca il Becco e dal Becco va a San Giacomo, è ricoperta da una formazione di rioliti assai interessanti. La superficie occupata da queste roccie è povera di vegetazione e solo nelle valli o in quelle rare insenature, dove la conformazione — 410 — del suolo permise il deposito di alquanta terra, si scorge, qualche plaga coltivata. Osservata dal semaforo di Guardia dei Mori, quella regione si presenta netta e bene delimitata in mezzo alle altre, perchè quelle colline offrono dei profili singolari, a dirupi, che richiamano, in miniatura, anche per il loro squallore, l’aspetto delle formazioni granitiche del Capo di Sopra in Sardegna. Le roccie in parola, alle quali diedi l’anno scorso il nome di Co - monditi , costituiscono per l’associazione dei minerali che contengono un tipo petrografie© nuovo, mai incontrato altrove, e mostrano dei bei feldispati, dei quarzi bipiramidati e degli individui di antibolo e pirosseno sodico. La cristallinità di queste roccie è grande e molti esemplari ri- chiamano grossolanamente la struttura delle granititi. Il quarzo secon- dario ha impregnato patentemente tutta la formazione. Non ho incontrato in queste rioliti alcun incluso, tranne che nel canale di Bottomi dove una varietà a struttura molto fine si mostra inclusa nella comendite ordinaria. La composizione mineralogica di questo gruppo di roccie è la seguente : I. Anortose, sanidino, quarzo, aegirina, arfvedsonite (orneblenda, augite, zircone). II Sanidino, quarzo secondario. A Capo Rosso ed a Capo Becco vi è una trachite con oligoclase e biotite che presenta una bella struttura colonnare; inoltre le tra- dirti a oligoclase costituiscono la Punta delle Colonne e la Punta Nera; infine a Punta Genia vi è una domite. Frequenti nell’isola sono i vetri vulcanici e fra tutti i più impor- tanti e diffusi sono quelli che formano la retinite nera di cui fu già tenuta parola, ed una perlite verdastra, macchiettata di bianco, che a guisa di filone attraversa le comenditi da Sud a Nord. Infine, nella parte meridionale dell’isola, non lungi dai Pescetti, il Lamarmora cita l’esistenza di un filone di retinite verde con inclusi rossastri, che non fu fino ad ora ritrovato, ma del quale però si conservano cam- pioni nei Musei di Cagliari e di Parigi Tutte le roccie dell’isola sono molto acide; esse, inoltre, furono da fenomeni secondari riccamente silicizzate, come risulta dalle ana- lisi riportate nel seguente specchio: - 411 — SiO2 APO3 Fe303 FeO MnO CaO MgO Na20 K20 1 75,40 18,25 2,47 1,57 II 76,84 5,87 3,92 0,87 0,73 3,34 0,52 5,41 III 70,03 18,63 0,11 — 2,62 0,10 3,15 IV 79,1 8,2 16,9 1,8 - 1.1 — 3,4 2,2 V 71,5 — 9,2 — — 1,2 0,3 6,5 2,8 VI 80,3 — — — — 0,6 5,5 3,9 VII 79,1 8,9 1,9 1,1 — 1,1 3,9 3,1 Vili 75,1 — 16,4 — — — 0,1 6,8 2,0 I. Quarztrachyt di Capo Rosso, Eigel. — II. Riolite dello Spalmatore, id. — III. Ossidiana, id. — IV. Retinite nera di Carloforte, Bertolio. — V. Tra- chite a biotite di Capo Rosso, id. — VI. Riolite rossigna della parte centrale dell’isola, id. — VII. Retinite verde di Comende, id. — Vili. Comendite, id. E rimarchevole nelle roccie dell’isola di S. Pietro la povertà di calce, che in parecchi esemplari si mostra solo allo stato di traccie, e la relativa ricchezza di alcali. Quest’ultimo carattere è dovuto alla abbondanza del feldispato sodico e potassico, e la prevalenza del primo sul secondo spiega l’eccesso di soda che nelle roccie dell’isola normalmente si riscontra. Micrograficamente, le roccie dell’isola di San Pietro si possono paragonare alle rioliti di Schemnitz in Un- gheria e ad alcune roccie degli Euganei e dell’isola di Ponza, tranne le comenditi che, come già si disse, formano un gruppo a parte. Tutte le rioliti e le trachiti della regione mostrano in lamine sottili del sanidino e dell’anortose, talvolta del quarzo bipiramidato in cristalli idiomorfì, avvolti in un magma ricchissimo di quarzo spu- gnoso ed assai povero di microliti. Le comenditi presentano inoltre associati dei cristalli di aegirina e di un anfìbolo del tipo arfved- sonite. Età probabile e successione delle varia ©razioni. — La man- canza assoluta nell’isola di S. Pietro di qualsiasi lembo di terreno stratificato, che possa servire come punto di riferimento nella scala cronologica di quelle formazioni, e l’essere riuscite fino ad ora senza risultato le ricerche di fossili nei tufi dell’isola, non permette di in- durre alcunché di positivo sull’età probabile delle eruzioni che la for- marono. L’unico autore che siasi occupato di questo argomento fu il La- marmora, il quale, traendo partito dall’anologia che presentano le formazioni dell’isola di S. Pietro con quelle della costa occidentale della Sardegna, le raggruppò colle trachiti antiche dell’isola madre, eruttate, sempre secondo lo stesso autore, alla fine dell’eocene. Tuttavia se la determinazione dell'età delle roccie che ci occupano è problema per ora insolubile considerato nel ristretto quadro del- l’isola di S. Pietro, e se è anche oltremodo difficile, in causa delle profonde erosioni che la regione ha subito, lo stabilire il punto da cui le colate provennero, non è impossibile fissare l’ordine cronologico delle varie eruzioni di cui l’isola di S. Pietro fu teatro. Il gruppo di roccie più antico dell’isola è quello delle comenditi, le quali formano un massiccio che occupa circa 700 ettari di super- fìcie nel settore N.O. Queste roccie, che per la loro cristallinità, per la composizione mineralogica e chimica si differenziano nettamente da tutte le altre della regione, subirono tutti i fenomeni che interessa- rono queste ultime e si mostrano attraversate da filoni di retinite verde, talvolta compatta, altra volta brecciata, con elementi angolosi cementati da un magma vulcanico. Questa retinite, di cui un bel filone si incontra percorrendo la strada che da Carloforte guida a Comende, è ricoperta dai tufi e dai conglomerati trachitici che circondano le comenditi. Le comenditi non presentano relazione petrografìca colle altre formazioni dell’isola; esse sono solo intimamente collegato con una varietà di riolite a grana fina che si trova nella parte orientale della regione e che sembra anteriore alle vere comenditi, poiché alcuni frammenti sono da queste inglobate. Queste due roccie petrografìca- mente però non sono separabili, poiché identica ne è la composizione mineralogica, e differenziano solo per la struttura, eminentemente sferolitica nella varietà microcristallina. Le comenditi, inoltre, non contengono nessun incluso di altre roccie, nè proveniente dalla superfìcie, nè strappato lungo il camino vulcanico, che possa lasciar supporre vi fossero anteriormente nel- l’isola altre roccie vulcaniche. Queste rioliti sodiche occupano quindi la parte inferiore della serie litologica dell’ isola e su di esse appoggiano i tufi e le trachiti. Anche la trachite rossa, che domina nell’isola e che è nettamente anteriore ad ogni altra, poiché tutte ne racchiudono, allo stato di incluso, è sovrapposta alle comenditi. La dimostrazione di questo asserto non è facile a darsi e lunga pezza rimasi incerto sull’età relativa di queste due roccie, poiché i contatti che si possono seguire alle Bocchette, a San Giacomo, ece., - 413 - son pochissimo concludenti. Ma però se si segue la strada che mena a Comende, ed oltrepassata la regione del Paradiso si scarta qualche centinaio di passi a Nord e si prende il sentiero che conduce con una ripida discesa nel vallone di Comende, si osserva, al principio della discesa, nei lati stessi del sentiero, che è scavato in trincea, la netta sovrapposizione della trachite rossa alla comendite che affiora sotto. Il contatto è orizzontale ma non regolare, poiché nelle comen- diti sono scavate delle piccole tasche, dentro le quali si insinua la trachite rossa. Si potrebbe obbiettare alla priorità delle comenditi, che questo massiccio può aver avuta una origine intrusiva, posteriore, se non a tutte, a parte delle altre formazioni. L’aspetto micrografìco di alcune comenditi sarebbe una prova in favore di questa ipotesi. Il prof. Rosenbusch aveva, infatti, paragonato alcune comenditi al tipo Paisanit che è una roccia filoniana (ganggestein) del Texas. Inoltre se si considera che le numerose breccie ed i frequenti conglo- merati vulcanici, che l’isola presenta, non contengono alcun fram- mento di comenditi, riesce a prima vista poco probabile la priorità di queste roccie sulle altre, poiché le roccie frammentizie, essendosi for- mate a spese di quelle che preesistevano, dovrebbero pur includerne qualche elemento. Questi argomenti per negare che le comenditi siano il nocciolo centrale di tutta la formazione dell’isola di S. Pietro, non hanno però, a mio avviso, un grande valore. Petrografìcamente le comenditi si presentano con molte varietà, e se qualcuna non ha struttura effu- siva ben marcata, nella maggior parte questo carattere è accentuato. Inoltre se il massiccio ripetesse un’origine intrusiva, avrebbe dovuto determinare sui tufi dei fenomeni di contatto, che, per quanto di poca entità, trattandosi di roccie acide, dovevano pur tuttavia essere visibili, mentre invece le comenditi si mostrano prive di apofìsi e mantengono costantemente la loro caratteristica struttura, senza al- cuno accenno ad aumentata vetrosità, come pure i tufi conservano, al contatto, il loro normale aspetto. Se nelle breccie e nei conglomerati non si avvertono inclusi di comendite, ciò lo si deve alla relativa posizione di queste roccie ri- spetto alle altre dell’isola. Esse, infatti, giaciono ad un livello più basso dei tufi e dei conglomerati e quindi non potevano, in queste ultime formazioni, dar origine ad inclusi. Che la venuta delle comenditi abbia determinato una vera eru- zione vulcanica, è anche comprovato dall’esistenza nell’isola di tufi di comenditi, caratterizzati per la presenza di piccole macchiette nere, dovute a elementi ferromagnesiaci trasformati e decomposti. Alla eruzione delle comenditi, o del gruppo riolitico centrale, seguì quella della trachite rossastra ; ad essa tennero dietro i depositi di tufo, che a loro volta furono coperti da colate più recenti. I tufi nell’isola sono regolarmente disposti per strati e conser- vano la loro posizione quasi orizzontale. Essi mostrano nettamente il carattere d’una formazione stratificata col concor so dell’opera livella- trice dell’acqua; anzi, osservando la successione di grossezza degli elementi nei varii banchi, la regolarità e la sottigliezza di alcuni strati, la finezza degli elementi, che ne costituiscono altri, seguiti immedia- tamente da tufi grossolani, si è condotti ad ammettere che questi pro- dotti, emessi da una bocca aerea, caddero in uno specchio d’acqua agitato per le convulsioni telluriche, dove si depositarono prima le parti più pesanti formando i tufi grossolani, mentre poi, rendendosi quiete le acque, si depositarono i tufi più fini e leggeri in sottili strati, finche una nuova eruzione vi sovrappose dei nuovi materiali grossolani. Questi tufi, in seguito, in molti punti subirono l’effetto delle sorgenti termali silicizzanti, che interessarono anche le trachiti più giovani, e si trasformarono in roccie compatte. Probabilmente è a quest’ epoca che si devono ascrivere i depositi di manganese che s’ incontrano nell’isola. Le trachiti a plagioclase sembrano sovrapposte ai tufi; esse si trovano alla periferia dell’isola, come a Punta Colonne ed al Becco. In quest’ultima regione si ha una potente alternanza di tufi e di trachiti brecciate, coronata superiormente da trachite a biotite. Quest’ultima roccia è evidentemente posteriore ai tufi. La roccia più recente di tutta l’isola è a mio avviso la trachite vetrosa che ricopre le alture adiacenti a Carloforte, ricchissima di inclusi di altre trachiti, di retinite nera, di ossidiana, ecc. La successione delle eruzioni nella regione sarebbe quindi la se" guente : 1° Eruzione riolitica. 2° Eruzione della trachite rossastra. 3° Tufi e depositi manganesiferi. 4° Trachite a oligoclase e trachiti a inclusi neri di Carloforte. Mineralogia dall’isola. — Sopra ogni altra specie sono nell’isola abbondanti i cristalli di feldispato vitreo, che raggiungono talvolta — 415 sei o sette millimetri di lunghezza. Essi presentano normalmente le sole faccie j>, g1 , e sono notevoli per offrire dei bei fenomeni di iride- scenza, dovuti probabilmente, ad una specie di decomposizione super- ficiale. Mentre questi feldispati opalescenti sono ben visibili alla su- perficie delle roccie, si presentano vitrei e con pochi riflessi all’in- terno dei massi dove non subirono l’azione atmosferica. Questi cri- stalli sono normalmente d’anortose, come lo dimostra la seguente analisi compiuta da me recentemente su materiale scelto : SiO2 . APO3. CaO . K20 Na20 Rapporto d’ossigeno 12,5:3:1,2. Densità 2,53 a 2,59. Tuttavia però i cristalli d’anortose sono associati con quelli di sanidino. Eccezionalmente nell’isola s’incontra l’oligoclase ed il la- brador. Il quarzo vi è abbondantissimo, e tutte le roccie della regione ne sono fortemente impregnate; nelle rioliti, che s’incontrano lungo la strada che va al Becco, si mostra con abito bipiramidato, in cristalli talvolta neri, di cinque e più millimetri di lunghezza; il quarzo con- tiene delle interessanti inclusioni vetrose, morfologicamente identiche e con eguale orientazione dei cristalli che le racchiudono. L’opale è frequente nell’isola ; ebbi occasione di raccoglierne delle belle concen- trazioni nei tufi, della Punta Nera ed al Becco. I diaspri costituiscono dei banchi che attraversano le formazioni della costa occidentale, ma i più noti sono quelli che si trovano a Capo Becco ed a Capo Bosso, variamente colorati da ossidi metallici e finamente venati. La tridimite fu determinata dal Lacroix in alcune geodi che rac- colsi nella trachite vetrosa di Carloforte : essa accompagna dei cristalli appiattiti secondo g 1 di orfcose sodica e di baritina. Per la rassomiglianza che offrono queste geodi con quelle del Cappuccino in Alvernia, non sarebbe improbabile di riscontrarvi la fayalite. I minerali ferromagne- siaci sono piuttosto rari in tutta l’isola. Si incontra ad Ovest verso il Becco e ad Est verso i Pescetti, nei tufi, del mica nero, in belle tavolette idiomorfe con riflessi bronzini. L’ antibolo che si osserva nelle 66,1 18,2 0,1 3,5 1M 99,3 4 — 416 - comenditi associato all’aegirina, presenta le faccie m, m, g 1 colla ter- minazione (111) (COI). Il dottor G. d’Achiardi eseguì le misure di alcuni cristallini di questo anfìbolo. A causa delle fine e fìtte striature che si osservano sulle faccie del prisma, i risultati ottenuti non si possono considerare come assoluti. Tuttavia tenendo conto delle sole osservazioni culmi- nanti, fatte con grande angolo di incidenza, Tangolo delle faccie m m risulterebbe di poco superiore a 123° e differirebbe quindi di circa 30” da quello dato dal Brògger per l’arfvedsonite di Groenlandia. La composizione chimica di questo anfìbolo fu da me determi- nata e figura nella colonna I della seguente tabella, dove in II, III e IV sono riportate le analisi di arfvedsonite di Groenlandia, fatte rispettivamente dal De Kobell, dal Rammelsberg e dal Lorenzen: I. II. III. IV. SiO2 49,10 49,27 51,22 43,85 A1203 5,50 2, CO tr. 4,45 Fe203 . . . . . 4,20 14,58 23,75 3,80 FeO 27,70 28,00 7,80 33,43 MnO ..... 50 62 1,12 45 CaO 18 1,50 2,08 4,65 MgO 17 42 90 0,81 K20 1,60 tr. 68 1,06 Na20 . . . . . 10,50 8,00 10,58 8,15 CI — 24 — — Perdita al fuoco . — Sf 0,16 0,15 99,40 99,63 98,29 100,80 Verso Capo Becco, infine, è da notarsi la presenza di cristalli di baritina che raggiungono anche un centimetro di lunghezza. Importanti dal punto di vista industriale per le coltivazioni a cui diedero luogo, sono i depositi di minerali di manganese che affiorano soventi nell’isola. La pirolusite si presenta nei tufi sotto forma di ar- nioni interstratificati. Questo minerale è impuro, mostra nella massa delle faccette brillanti di quarzo e di feldispato, prova evidente che si è sostituito alle roccie vulcaniche. Sopratutto il giacimento del Macchione offre un certo interesse per la genesi di questi minerali. Riporto quanto si riferisce a tale giacimento, estraendolo da un ver- bale da me fatto nel 1895 in seguito ad una domanda di permesso - 417 — per ricerche minerarie, stata inoltrata al R. ufficio distrettuale di Sar- degna. « La località chiesta in esplorazione, come del resto tutta l’isola di S. Pietro, è formata esclusivamente da terreni vulcanici. Gli af- fioramenti di minerale manganesifero sono visibili sopratutto sul ver- sante S.O della prima serie di colline che si svolge parallelamente alla costa. La successione delle formazioni in quella regione è la se- guente : La parte superiore delle colline è costituita da una potente colata di trachite, che riposa sopra uno strato di tufo grossolano rossastro, il quale comprende due strati di tufo bianco' finissimo, probabilmente decomposto e trasformato in argilla caolinosa. Gli strati di tufo sono regolari, con leggera pendenza a N.E. Fra i diversi strati si riscon- trano degli abbondanti arnioni di minerale manganesifero, disposti presso a poco lungo i piani di contatto dei diversi tufi. Questo minerale forma nettamente due affioramenti di dire- zione E-O. Il primo, della potenza variabile da pochi centimetri ad alcuni decimetri, mostra del minerale a frattura concoide e ricco di abbondanti faccette di quarzo bipiramidato e di feldispato. Il secondo affioramento, che corre a pochi metri sotto il primo e colla stessa di- rezione, mostra del minerale più puro, accompagnato da materie ter- rose rossastre, che potrebbero essere impregnazioni di dialogite. Analisi eseguite sopra alcuni campioni di questo minerale accu- sarono il 36 per cento di manganese metallico, risultato che a me pare eccessivo ». Questo Bollettino ha già dato a pag. 411 del Voi. XXV (18941 la sezione di una galleria praticata a scopo di ricerca nella località Macchione, mostrante come il minerale di manganese affiori lungo i contatti dei diversi tufi. Il giacimento più importante di tutta la regione è quello di Capo Rosso e di Capo Becco, situato sulla costa occidentale dell’isola e che fornì altra volta una rilevante produzione, scemata solo in questi ul- timi anni per il considerevole ribasso di prezzo subito dai minerali dovuto al minor consumo che se ne fa in metallurgia, all’ introduzione di processi di fabbricazione del cloro che rigenerano il manganese, ed infine alla forte produzione delle miniere del Caucaso, ora ferroviaria- mente collegate colla linea di Tifìis-Batum. La conoscenza dei giacimenti di manganese dell’isola di S. Pietro è assai antica. Memorie e tradizioni accennano a scavi praticati nelle — 418 — località del Becco e di Capo Bosso per l’estrazione del minerale di manganese, e specialmente delle tinte gialle e rosse, che vi si rin- vengono e la cui presenza attribuì altra volta alla costa il nome di ripa della Tinta. Le ricerche regolari furono però solo praticate nel 1855 nella località di Capo Bosso, e riuscirono in breve a far dichia- rare scoperta la miniera. Il luogo del giacimento è quel tratto della costa occidentale del- l’isola che si estende come un seno concavo fra Capo Rosso ed il promontorio detto Punta del Becco a S.E. del primo. Lungo questo tratto la costa presentasi a perpendicolo sul mare per una rilevante altezza ed è composta di una alternanza di trachiti ed argille, o tufi, alquanto rialzati verso il mare e pendenti verso l’interno dell’isola. Questa formazione è ricoperta da una cortina di trachite bigia, a mica nero, con struttura colonnare, di spessore va- riabile da tratto a tratto per effetto delle smotte del terreno e di antiche denudazioni, ma che conserva però, in ogni suo punto, una potenza superiore a una dozzina di metri. Sottoposto a questa tra- chite corre costantemente un banco di argilla rossastra, di varia po- tenza, che riposa sopra dei diaspri gialli, venati in bruno, dello spes- sore di 40 a 50 centimetri. Questi diaspri formano il cappello di un banco di ocre giallo-scure, che raggiunge talvolta oltre 1 m,50 di spessore e ad esse sottoposte, con netta separazione, ve ne sono altre di color giallo-chiaro e leggerissime. Sopportano le ocre gialle dei magnifici diaspri rossi di circa 50 centimetri di potenza, che racchiudono in esili straterelli, delle belle ocre violette, assai pesanti e ricercate in commercio. Inferior- mente a questi diaspri vi è lo strato di manganese, che si coltiva, di uno spessore medio di 30 centimetri, racchiuso al tetto dal diaspro ed al letto da una successione di argille bianche e rossastre. Le argille, che dominano in questa formazione, sono probabilmente dei tufi decomposti e caolinizzati, e si ripetono, alternate con roccie trachitiche, fino al mare, senza che vi sia interposto alcun altro strato di diaspro o di minerale metallifero. Il giacimento di manganese affiora per oltre due chilometri lungo la costa, presentando alcune irregolarità, come ondeggiamenti assai forti, rotture e faglie, di cui una rigetta in basso gli strati di quattro o cinque metri; nell’ insieme però si rivela una formazione regolaris- sima, di modo che, dato un banco di roccia, lo si ritrova facilmente in qualunque punto della costa. — 419 - La formazione manganesifera di Capo Rosso e di Capo Becco forma quindi uno strato di piccola potenza che si estende sopra una ragguardevole superficie. Gli affioramenti lungo la costa occidentale dell’isola corrono a circa 60 metri di altezza sul mare, ed i lavori di coltivazione, che furono praticati nella regione, dimostrarono chiara- mente come il giacimento abbia una pendenza di circa 20° verso l’in- terno dell’isola. Se però, dirigendosi da occidente verso oriente, si oltrepassano questi affioramenti, che si trovano alle falde del Monte Becco, e si sale sullo stesso monte, scendendo poscia per qualche centinaio di passi lungo il versante opposto, si osservano dei nuovi affioramenti di diaspro accompagnati da minerale di manganese, aventi un’ inclinazione accentuata verso mare, e quindi opposta a quella che si riscontra nella parte occidentale del giacimento. Se si ritiene, come tutto induce a credere, che nella regione di Capo Rosso e del Becco esista un unico strato di manganese, è necessario di ammettere che il giacimento, il quale sembra dalle attuali coltivazioni che si affondi sotto la massa del Monte Becco, dopo un certo tratto, non ancora raggiunto coi lavori di miniera, si rialzi verso oriente formando una specie di bacino racchiudente la trachite colonnare. La formazione manganesifera sarebbe quindi posteriore al deposito di tufi della re- gione ed anteriore allo spandimento delle trachiti a biotite ed a oli- goclase. Il minerale di Capo Rosso e di Capo Becco è amorfo, a grana finissima e di color nero, o leggermente rossigno se inquinato da ferro. E molle e la polvere macchia fortemente le dita. La sua com- posizione chimica mi risultò la seguente: Biossido di manganese 86. 0 Protossido di manganese . . . 4. 0 Ossido di ferro 15. 0 Allumina 5. 0 Calce 1.0 Magnesia 2. 0 Acido fosforico 0. 4 Acido silicico 9. 1 Acqua combinata 6. 8 Acido solforico 0.1 Perdita a 100° 20. 5 99.4 — 420 - L’associazione dei diaspri col biossido di manganese non è pecu- liare del giacimento dei capi Rosso e Becco, ma un fatto che si ri- scontra in molti altri depositi di pirolusite. Tuttavia non sembra che nella genesi di questi minerali debbasi attribuire ai diaspri quell’importanza, che la loro frequente presenza nei giacimenti manganesiferi lascierebbe supporre. Il signor Halse spiega l’origine del principale deposito di man- ganese dell’isola di S. Pietro, supponendo che la regione fosse altra volta sommersa e formasse il fondo di un lago, nel quale caddero delle ceneri vulcaniche ricche di manganese. Le acque si saturarono in tal guisa di bicarbonato di manganese e conseguentemente anche di ferro, poiché quest’ultimo metallo accompagna tutti i prodotti vul- canici. In seguito questi carbonati furono ossidati gradualmente dal- l’ossigeno libero contenuto nell’acqua, o persero l’acido carbonico per effetto del calore e depositarono stratificati gli ossidi sul fondo del bacino. Le acque così impoverite di manganese abbandonarono poscia la silice gelatinosa. Questa, trattenendo ancora degli ossidi metallici in diversa proporzione, riuscì variamente colorata, ed in seguito, in- durendosi, originò i diaspri, che per essere formati da successivi tenui depositi, assunsero un aspetto venato. Si può obiettare all’ipotesi del signor Halse che i tufi dell’isola non pare contengano quantità apprezzabili di manganese ; d’altra parte la trasformazione del bicarbonato in biossido, coi processi chiamati in aiuto dal signor Halse, non sembra evidente. Tuttavia è invece possibile che il giacimento di Capo Rosso e Capo Becco sia stato originato da sorgenti ricche di carbonato di manganese, analoghe a quelle che sgorgano nei Pirenei, nella vecchia valle d’Aure, a Sonlon, ecc., e che lo strato di carbonato, in tal guisa formatosi, siasi in seguito trasformato in ossido, per effetto dell’azione termica esercitata dalla cortina di trachite che vi si stese sopra. Sembrerebbe a prima giunta naturale che un tal fenomeno abbia dovuto interessare anche la formazione caolinosa interposta fra lo strato di manganese e la trachite, cuocendola, trasformandola, almeno parzialmente in porcellanite, ma per la decomposizione del carbonato di manganese non occorre una temperatura molto eleyata, e, d’altra parte, è probabile che le argille, che accompagnano il minerale, ab- biano avuto un’origine secondaria, posteriore a questi effetti di meta- morfosi e che si trovassero allo stato di tufi all’epoca dell’eruzione della trachite a biotite. Del resto è altresì probabile che siasi a Capo Boll. del R.Comit.geol. d’Italia. Anno 1896. Tav. V, ( S.Bertolio). CARTA GEOLOGICA DELL' ISOLA S. PIETRO (Sardegna) nella Scala di la 75,000 La Punta PI? delle Oche « Men eross P ta Borrona Spalmature Grande P!" dello Spalmatore Trafilile vetrosa eoa in c/usi neri. 71 riviri ti con oli qo classe Tufi e conqlonwmti. Pi* Genia Padelle Colonne Con ululi ti e violiti. 421 - Becco ed a Capo Rosso depositato sul fondo del bacino direttamente della pirolusite, giacche si conoscono delle sorgenti che contengono sciolto quest’ossido, come p. e. quelle delle terme di Luxeuil 1 in- crostanti di manganese le vasche dei bagni, e quella che, secondo Townsend, al Capo di Buona Speranza deposita anche a grande di- stanza delle spesse incrostazioni dello stesso minerale sulle roccie nel percorso fra cui scorre 2. Può darsi che delle acque termali sature di acido carbonico abbiano sciolto del manganese, che si è poi depo - sitato quando le acque persero 1’ acido carbonico. Le soluzioni manganesifere si infiltrarono anche nelle spaccature delle trachiti e forse si insinuarono nei contatti dei differenti strati di tufo, originando quei piccoli filetti di manganese, il cui minerale si distingue da quello di Capo Rosso e Capo Becco per racchiudere nella sua massa numerosi cristallini di quarzo e di feldispato. Queste sorgenti termali forse preludiavano alle ultime commozioni vulcaniche dell’isola, e poscia, arricchendosi in silice e motiplicandosi per ogni dove, interessarono tutta la regione silicizzando fortemente i tufi e le trachiti. Iglesias, luglio 1896. 1 Ctr. Daubrée, Les eaux souterraines - Yol I, pag. 62. 2 Cfr. V. Geo d deck, Gites metalli feres, pag. 390. - 422 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA per l’anno 1895 1 (■ Continuazione , vedi numero 3). Marchesetti C. — L’Ursus ligusticus Iss. nelle Alpi Giulie. (Atti Museo Civico St. nat. di Trieste, Voi. IX). — Trieste. L’autore ha esplorato una caverna nella valle di Trilussa, e vi ha trovato più scheletri di Ursus ligusticus. Descrive il modo loro di giacitura e dà le misure dedotte da un cranio assai ben conservato. Marinelli O. — Il calcare nummulitico di Villamagna presso Firenze. (Boll. Soc. geol. it., XIII, 3). — Roma. Questo calcare scoperto dal De Sbefani unitamente all’autore presso la fat- toria di Villamagna, a circa 100 metri a est della villa di Poggio a Luco, h intercalato, in limitatissima lente, entro un calcare compatto alquanto marnoso (alberese), che da quella località si estende fino oltre Pontassieve, formando un ampio sinclinale passante per la località fossilifera. I fossili studiati dall’autore vennero rinvenuti in uno spazio di pochi metri quadrati e si possono quindi ritenere contemporanei. Il calcare che li racchiude si presenta in forma di una breccia a piccoli elementi assai compatta. I fossili in essa predominanti sono orbitoidi e nummuliti; vi è pure no- tevole la abbondanza di Alveolina oblonga ? che costituisce in alcuni punti quasi per intero il calcare : sono pure relativamente frequenti i denti di pesce. In base ai fossili l’autore conclude che questo giacimento spetta all’Eocene medio (Parisiano di Mayer) e probabilmente alla parte più antica di questo piano. 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di località estere, interessano la geologia d’ Italia od hanno rapporto con essa. — 423 — Matteucci R. Y. — Vie vuleanische Thatigkeit des Vesuv wdlirend des Jahres 1894. (Tschermak’s min. und petrogr. Mittheil., Bd. XV, H. 1-2). — Wien. ' Indicate le condizioni in cui si trovava il Vesuvio al principio del 1894, l’autore espone i fatti più notevoli, osservati di tempo in tempo a cominciare da quest'epoca. Dal riassunto di questi avvenimenti rileva che cessato l’afflusso della lava nell’Atrio del Cavallo l’attività, limitata nel cratere centrale ad uno stato poco più che di solfatara, ritornò al 4 febbraio alla fase stromboliana che perdura tuttora. Questo riassunto fornisce all’autore sufficienti dati per rappresentare gra- ficamente con una curva il comportamento del Vesuvio in questo periodo. Le ascisse di questa curva rappresentano il tempo nel rapporto di 1 mill. per 24 ore, le ordinate il grado di attività corrispondente. Mentre però per le ascisse si può avere una misura esatta, le ordinate dipendendo da apprezzamenti indivi- duali non possono rappresentare che una quantità approssimata. Tuttavia l’au- tore ritiene die questo sistema di tracciare annualmente di simili curve possa essere di grande utilità per apprezzare a colpo d’occhio la misura dell’attività di un dato vulcano. Tale sistema adottato in. generale darebbe delle curve sintetiche ed anche una curva unica dimostrante l’attività dell’interno della terra. Alla memoria è unita una tavola nella quale sono rappresentati la curva dell’attività del Vesuvio nel 1894 ed i diversi stati del cratere nelle diverse epoche dell’anno stesso. Matteucci R. V. — Ver Vesuv und sein letzter Ausbruch von 1891-1894. (Tschermak’s min. und petrogr. Mitth., Bd. XV, H. 3, 4). — Wien. Premessa una bibliografìa degli autori che scrissero intorno a quest’ultimo periodo del Vesuvio, l'autore espone dapprima alcune considerazioni generali sui fenomeni presentati dai vulcani, venendo quindi a parlare del Vesuvio, sull’attività del quale dà un sunto relativo agli ultimi cento anni a cominciare dal 1794, notando come in questo periodo si sia avuta una durevole attività stromboliana interrotta da fasi pliniane, delle quali indica le più considerevoli. Riassume quindi tutti i fatti intorno alla eruzione del Vesuvio negli ultimi tre anni, e ne descrive i prodotti, distinguendo quelli del cratere centrale da quelli dell’Atrio del Cavallo. Fra i primi nota i projetti antichi che risultano da blocchi di lava riget- tati di nuovo e da sabbie frammentizie; ed i nuovi, cioè: bombe, lapilli e sabbie filiformi. Nei prodotti dell’eruzione laterale: lave, scorie, bombe, subli- mazioni e gas. Questi prodotti vengono dall’autore dettagliamente studiati. Dallo studio di questa eruzione l’autore viene a delle conclusioni generali sulla struttura dei vulcani, indicando i rapporti fra l’interna attività terrestre 424 — e le eruzioni centrali e laterali e lo sviluppo dei gas; non che la relazione della stabilità del cono vulcanico col materiale lavico e colla proiezione dei diversi materiali incoerenti. A questo studio sono unite quattro tavole: in esse è data la planimetria del versante nord del Vesuvio ; la massa di lava accumulatasi nell’ Atrio del Cavallo indicata con curve orizzontali ; un profilo del vulcano coll’indicazione delle aperture laterali; e due vedute, l’una delle fumarole che escono dalla nuova lava e l’altra del cratere di demolizione durante la eruzione laterale. Matteucci E.. Y. — - Ueber die Eruptìon des Vesuv am 3 Juli 1895. (Zeit. d. d. geol. GeselL, Bd. XLVII, H. 2). — Berlin. Sotto forma di lettera al signor Tenne, l'autore riproduce le osservazioni fatte dall’ing. Treiber, ispettore della funicolare vesuviana, durante un’eruzione laterale (eccentrica) del Vesuvio dal 3 al 6 luglio 1895. All’esposizione dei fatti osservati Fautore aggiunge alcune osservazioni d’indole generale: la struttura del cono vesuviano è tale" che esso non può sostenere pressioni che oltrepassino un limite determinato, per modo che quando il magma raggiunge nel condotto centrale una certa altezza si aprono spaccature lungo i fianchi del cono : quest’altezza è presso a poco la stessa in tutte le eruzioni. L’altezza del cono maggiore si mantiene quindi, durante lunghi periodi, fra limiti ben determinati, dai quali non si allontana se non quando i fianchi si sono rinfor- zati dal di fuori per eruzioni successive. Le spaccature si producono nei fianchi verticalmente dall’apice del cono alla sua base, anche quando il dinamismo interno si mantiene costante, per modo che le eruzioni centrali sono rare ed insignificanti. Mattirolo E. — Note geologiche sulle Alpi lombarde , da Colico al Passo dello Spluga. (Boll. R. Com. geol., XXVI, 1). — Roma. In seguito a deliberazione del Comitato geologico di fare eseguire alcune ricognizioni nelle Alpi centrali, allo scopo di confrontare le formazioni geolo- giche di queste, con quelle delle Alpi occidentali, delle quali già era comin- ciato il rilevamento, l’autore venne incaricato di eseguire coll’ing. Stella alcune gite da Colico, sul lago di Como, al Passo dello Spluga. In questo lavoro si dà una succinta relazione delle osservazioni fatte ri- montando le valli del Mera e del Liro, lungo le quali fu rilevata minutamente la geologia della regione e furono raccolti campioni di roccie studiati poi dal- l’ing. Stella. Da questo studio l’autore ritiene risulti l’identità dei tipi litologici della zona dello gneiss centrale, di gran parte dell’arcaico a quella sovrastante, del Permiano e del Trias, con i tipi corrispondenti delle Alpi occidentali ed appaia pure evidente l’analogia dei loro reciproci rapporti di posizione nelle due regioni. Sono quindi da seguirsi, nel rilevamento geologico delle Alpi — 425 — centrali, gli stessi criteri che servirono di guida nel rilevamento delle occi- dentali. Meli R. — Sopra alcuni resti fossili di mammiferi rinvenuti nella cava della Catena presso Terracina (prov. di Roma). (Boll. Soc. geol. it., XIII, 2). — Roma. E una comunicazione fatta alla Società geologica nella sua adunanza ge- nerale in Massa Marittima nel settembre 1894. In essa si tratta di una piccola collezione di resti fossili di mammiferi, conservata nel R. Liceo E. Q. Visconti in Roma e studiata dal Mantovani, il quale però la diceva proveniente dalla Caverna Teodorico (?) presso Terracina, mentre l’autore la crede estratta dalla Cava della Catena alla base del Monte Sant’Angelo nella stessa località ; in questa infatti si rinvenne una breccia ossifera, di cui si conservano ancora campioni in una piccola collezione a Terracina, con caratteri di affinità cod quelli di Roma. Dà quindi l’elenco dei resti ivi conservati, i quali, oltre ad una semi-ma- scella umana e ad una scheggia di selce lavorata, comprende denti di bue, cavallo, rinoceronte, cervo, nonché una difesa di cinghiale e altri frammenti diversi. Nella collezione di Terracina l’autore ha notato denti di bue, di cavallo e di ippopotamo. Meli R. — Paragone fra gli strati sabbiosi a Oyprina aequalis Bronn , del Monte Mario nei dintorni di Roma e quelli di Ficarazzi presso Palermo , racchiudenti la medesima specie. (Boll. Soc geol. it., XIII, 2). — Roma. Ter la forma litologica e per le specie fossili, il giacimento di Ficarazzi presenta una grandissima anologia con quello delle sabbie classiche di Monte Mario, con la differenza però, che in quest’ultimo mancano quasi tutte le forme viventi oggi nei mari boreali, mentre si rinvengono a Ficarazzi. Inoltre nel Monte Mario è da notarsi un maggior numero di specie, ora emigrate nei mari caldi e ritenute estinte. Per queste e per altre ragioni, come il complesso della sua forma e la sua facies , inducono l’autore a ritenere il Monte Mario decisa- mente pliocenico, in opposizione alle idee espresse da alcuno che lo vorrebbe più recente ; pliocènicità che è anche confermata dai resti di mammiferi rinve- nutivi. Inoltre tale conclusione è avvalorata dal posto che il giacimento classico di Monte Mario occupa nella serie stratigrafìca, essendo esso inferiore alle sabbie povere di fossili ed alle ghiaie senza elementi vulcanici, coperte dalle argille salmastre, sottogiacenti ai materiali vulcanici, che vi piovvero sopra e si stratificarono sulla cima del Monte Mario. Concludendo, fautore ritiene che il predetto giacimento classico sia ante- riore a quello di Ficarazzi (post-pliocene) e posteriore a quello di Altavilla — 426 - pure in Sicilia (pliocene), e lo considera quindi come spettante indubbiamente al pliocene superiore. Meli R. — Sopra due esemplari di Neptunea sinistrorsa Desìi. (Fusus) pescati sulla costa d’Algeri. (Boll. Soo. geol. it., XIII, 2). — Roma. Basandosi sopra due esemplari di Reptunea sinistrorsa Desh. recente- mente avuti come pescati sulle coste d’Algeria, l’autore ritiene cbe questa specie, la quale si rinviene fossile nel post-pliocene medio della Sicilia, possa essere ancora vivente in qualche punto della parte meridionale del Mediterraneo. Meli R. — Notizie sopra alcuni fossili ritrovati recentemente nella pro- vincia di Roma. (Boll. Soo. geol. it., XIV, 1). — Roma. E una breve comunicazione fatta alla Società geologica sopra resti spet- tanti quasi tutti a mammiferi quaternarii, rinvenuti in diverse località della provincia di Roma, Fra questi notiamo: un frammento basilare di un grosso corno di Cervus elaphus Linn., nelle defezioni vulcaniche incorenti di Torre Ai- fina; altre due corna frammentarie, appartenenti alla stessa specie, nello stesso terreno a Sugano, presso Orvieto; molari e premolari inferiori, perfettamente conservati, spettanti a un giovane Cervus , nelle marne quaternarie della valle del Lirica Colle Yiccio presso Ceprano; due branche mandibolari, destra e si- nistra, di Elephas antiquus Falc., con i molari in posto molto ben conservati; dellejghiaie con elementi vulcanici della valle dell’Aniene, presso la via No- mentana; frammenti di zanna elefantina ed un pezzo di molare spettante ad altro individuo della stessa specie dalla medesima località; infine numerose im- pronte di felci e di vegetali erbacei entro un frammento di tufo, raccolto presso il cimitero di Canino. Meli R. — Sopra alcune rare specie di molluschi fossili estratti dal gia- cimento classico del Monte Mario presso Roma. (Boli. Soc. geol. it., XIV, f). — Roma. Avendo l’autore eseguito nuove esplorazioni nello strato delle marne sab- biose grigie fossillifere del Monte Mario, nella nota località della Farnesina, vi estrasse parecchie specie non segnate in alcuni dei cataloghi fino ad ora pubblicati, ovvero dubbiose o rarissime. Fra queste sono da indicarsi la Venus umbonaria Agass., la V. casina Linn., il Dentalium Delesserti Chenu, VXJm- brella mediterranea Lamk., la Siliquaria anguina Linn., e parecchie altre, fra cui il Typhis tetrapterus Bronn, con dimensioni ben maggiori di quelle indicate dagli autori che lo descrissero e delle figure datene dal Bronn. Dalle stesse marne l’autore estrasse pure parecchi dischetti o vertebrine di Ophiura. 427 - Meli R. — Ancora due parole sull1 età geologica delle sabbie classiche del Monte Mario presso Roma . (Boll. Soc. geol. it., XIV, 2). — Roma. L’autore prende occasione da un lavoro del dott. De-Franchis, il quale, de- scrivendo i molluschi fossili dei tufi calcari di Galatina, in provincia di Lecce, riguarda questi come sincroni del deposito classico del Monte Mario, che sul- l’autorità del De-Stefani considera come tipico del post-pliocene inferiore, am- mettendo come dimostrata e fuori dubbio questa teoria, contrariamente all’opi- nione generale, confortata anche dagli ulteriori rinvenimenti fatti al Monte Mario che ne confermano sempre più il collocamento nel pliocene superiore. Fa quindi un esame dettagliato del frammento di catalogo da lui stampato nel 1887 e trova che la proporzione delle specie estinte è pel Monte Mario del 20 per cento, mentre che per Galatina non è che del 15, perciò il primo giaci- mento sarebbe più antico del secondo. Ma la pliocenicità delle sabbie classiche di Monte Mario è anche dimostrata, o meglio confermata, dai resti di echino- dermi, fra cui V Echinolampas hemisphaericus Lmk., e di mammiferi, fra i quali il rostro di Dìoplodon descritto dal Capellini, VElephas meridionali s Nesti e l’ Equus Stenonis Cocchi. Vengono infine tutti gli argomenti stratigrafici ed i rapporti con gli altri terreni dei dintorni di Roma a comprovare l'età plioce- nica del giacimento classico di Monte Mario, come fu sempre ritenuta dai geo- logi passati e dalla gran maggioranza dei moderni. Meli R. — Molluschi fossili estratti recentemente dal giacimento classico del Moìite Mario presso Roma. (Boll Soc. geol. it , XIV, 2). — Roma. In seguito a nuove esplorazioni fatte dall’autore, in prosecuzione di quelle accennate più sopra, egli ottenne altri esemplari di specie rare o non indicate affatto nei cataloghi di quel giacimento sinora pubblicati, e perciò nuove per il pliocene superiore dei dintorni di Roma. Egli ne dà l’elenco in numero di 40 (fra cui abbondano i Cardium, le Placunanomie e le Nasse) alcune delle quali ben conosciute in altri terreni pliocenici e post-pliocenici italiani. Oltre a queste specie di molluschi l’autore menziona parecchi individui di Echino- cyamus pusillus Muli, ed un bell’esemplare di Pyrgoma sulcatum Phil. : infine cita anche buoni esemplari di Lichenopora mediterranea Blainv. e di Disco - porella mediterranea Busk. Meli R. — Notizie sui resti di mammiferi fossili rinvenuti recentemente in località italiane. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 2). — Roma. In questa nota l’autore descrive alcuni avanzi di mammiferi rinvenuti di recente in varie parti d’Italia, e cioè: 1° Un grosso molare di Mastodon arvernensis trovato nel 1892 entro le - 428 — sabbie gialle del pliocene superiore di Figliole, in provincia di Alessandria, ed ora posseduto dall’autore ; 2° Un cranio di Canis, associato a sei incisivi di Equus e due molari di Elephas, rinvenuti presso Chiusi nelle sabbie gialle alquanto indurite, ed ora acquistati dal R. Istituto tecnico di Roma ; 3° Due molari superiori spettanti ad uno stesso individuo di Elephas antiquus e rinvenuti nel travertino dei dintorni di Rapolano; furono acquistati dalla R. Scuola degli ingegneri di Roma; 4° Una grossa zanna, due molari ed altri avanzi elefantini ritrovati presso Roma nel quaternario della valle dell’Aniene, depositati nella stessa Scuola; 5° Un frammento di mandibola con denti di Bos prìmigenìus proveniente dalle ghiaie alluvionali della stessa valle dell’Aniene presso la via Nomentana; 6° Un dente di Equus estratto a 15 metri di profondità nello scavo di un fosso nella tenuta di Carano fra Yelletri e Nettuno; 7° Frammenti di corna di Cervus elaphus rinvenuti presso l’abitato di Conca, nella stessa regione, in terreno alluvionale superiore ai tufi litoidi, e due corna complete e bellissime rinvenute sulla spiaggia marina presso Net- tuno. A proposito di questi ultimi rinvenimenti Fautore dà infine un riassunto di quanto si conosce finora in fatto di mammiferi fossili ritrovati nei territori di Anzio e Nettuno. Meli R. — Sopra alcune roccie e minerali raccolti nel Viterbese. (Boll. Soc. geol., XIY, 2). — Roma. In questa nota si tratta di materiali raccolti dall’autore nelle ultime gite da lui fatte nella regione viterbese, e cioè: 1° Cristalli completi di sanidino, staccati dalla trachite porfìroide del Monte Cimino; 2° Crossi cristalli di augite dei dintorni di Montefìascone e dell’Isola Montana nel lago di Bolsena; 3° Numerosi campioni di trachiti e di andesiti, interclusi nella trachite fra Bagnaja ed il Monte di Soriano; 4° Frammento di un nodulo di quarzo intercluso nella trachite presso Vitorchiano; 5° Campioni di leucotefrite porfìroide raccolti sopra S. Martino al Cimino, sulla via Cassia verso Viterbo, presso Vetralla, e di altre località; 6° Un tripoli bianco trovato presso Magognano ed altro raccolto presso il Bulicame di Viterbo, con molluschi d’acqua dolce; 7° Sabbie quarzifere con squamette di mica trovate presso le rovine di Ferento sotto il tufo vulcanico; 8° Ocre gialle e rosse di Grotte S. Stefano; 9° Argilla nerastra in filoncelli entro la trachite di S. Martino al Cimino ; 429 - 10° Un calcare conchigliare grossolano, simile al macco , delle vicinanze di Viterbo, sottostante alle argille generalmente ritenute plioceniche, con mo- delli di molluschi marini; 11° Gruppi di cristalli di selenite entro le argille plioceniche di Bagnaja; 12° Cristalli di calcite trovati entro le fenditure del calcare eocenico a Magognano, Barbarano, Monte Razzano e Vetralla. L’autore infine indica, come minerale nuovo per la regione cimina, l’hauyna in cristalli. Meli R. — Relazione sommaria delle escursioni geologiche eseguite con gli allievi della R. Scuola d’applicazione per gli ingegneri di Roma nell’ anno scolastico 1894-95 al Monte Soratte e nel Viterbese (prov. di Roma). (Annuario della R. Scuola d’appi, per gli ing. di Roma, anno scolastico 1895-96). — Roma. L’escursione al Soratte, effettuata nel mese di marzo, aveva per scopo di visitare le cave di sabbia silicea che sono sotto Sant’Oreste, di studiare i terreni liasici dei quali è formato il monte e di osservare i tufi che ne coprono il versante occidentale sino a Civitacastellana ed oltre. Le sabbie, di età pliocenica, hanno forte potenza e sono formate di gra- nellini di silice con piccole squamette di mica; esse riposano discordanti sui calcari liasici che costituiscono la maggior parte del monte, poiché alla base di questo, verso Civitacastellana, si mostra il terreno più antico appartenente al Letico. Vengono in seguito i soliti tufi giallastri stratificati, gli strati di pomici e, nella valle del Treja, depositi di alluvione, marne tripolacee e ghiaie. L’altra escursione, nel Viterbese, ebbe luogo in aprile, ed ebbe per scopo la traversata dei vulcani Sabatini, Cimini e Vulsinii da Roma, per Viterbo, ad Orvieto, e diede occasione a interessanti osservazioni su quelle formazioni vul- caniche e sui terreni di sedimento che vi si trovano connessi. Melzi GL — Le porjiriti della catena orobica settentrionale. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Yol. XX Vili, 8). - Milano. Nel versante settentrionale della catena orobica fra Berbenno ed il passo di Aprica, l’autore ha osservato numerosi filoni di porfìriti incassati nelle roccie scistose, i quali, ad eccezione dello Studer, non furono citati da alcun autore. Premette un cenno sulla geologia della regione nella quale, tranne limitati affioramenti di Verrucano, la maggior parte della valle è incisa nella forma- zione scistosa che presenta i due tipi distinti di micascisti granatifero e tor- malinifero e di scisto grigio-lucente a struttura foglie ttata che l’autore ritiene possa classificarsi come fillade. I filoni di porfìrite attraversano tanto il micascisto che le filladi; sono di — 430 - varia potenza da 72 a 2 metri e non hanno nel loro andamento alcun rapporto colla direzione degli strati. Essi risultano di roccia durissima di colore grigio-verdastro più o meno scuro in relazione col predominio dei felspati o degli antiboli. L’autore riassume in una descrizione complessiva le osservazioni fatte nel- l’esame dei molti campioni raccolti e nell’analisi microscopica delie relative sezioni sottili. Queste porfiriti appartengono al gruppo delle porfìriti antibo- li che. Mercalli Gr. — Notizie vesuviane (. 1892-93-94 , gennaio giugno 1895j. (Boll. Soc. sismol. it., Voi. I, 1, 2, 4, 5). — Roma. Sono note quasi giornaliere dello stato del Vesuvio, che Fautore cominciò a tenere nel novembre 1892, quando si stabilì in Napoli, ed ha continuate a tutto giugno 1895. In essa sono indicati tutti i fenomeni presentati in questo periodo dal Vesuvio, sia osservati da Napoli che in frequenti gite fatte al vulcano. Mill H. R. — The glacial Land-forms of thè Margins of tlie Alps. (American Journal of Science, Voi. XLIX). — New-Haven. L’autore dà relazione dell’escursione, che, alla fine del Congresso geolo- gico internazionale di Zurigo, fu fatta sotto la direzione dei professori Penck, Briickner e Du Pasquier (vedi Bibliografìa 1894), allo scopo di esaminare i re- sidui degli antichi ghiacciai nei due versanti delle Alpi. A questa relazione fa seguire un riepilogo delle conclusioni generali teo- riche a cui vennero i suddetti professori. Nelle Alpi i depositi glaciali si divi- dono in due classi: glaciale, o morene propriamente dette e fluvio-glaciale , o alluvioni formate dall’azione delle acque scorrenti sulle morene. Il complesso di questi depositi corrisponde alla fase finale del ghiacciaio, e in essi può es- servi una successione essendo gli uni in parte soprapposti agli altri e ciascuno corrispondendo ad uno stadio di ritiro o di avanzamento del ghiacciaio stesso. I depositi fluvio-glaciali rappresenterebbero uno stadio intermedio in ogni pe- riodo glaciale: sotto i depositi glaciali relativamente recenti, caratterizzati da leggera alterazione prodotta dagli agenti atmosferici, vi hanno altri due periodi distinti fra di loro e dal più recente, da strati molto alterati e da una grande erosione che palesa l’esistenza d’un lungo periodo subaereo, fra ciascuna epoca glaciale. Tali periodi diconsi interglaciali. Fra questi depositi interglaciali è compreso il loess. Il lehm è il prodotto di alterazione di esso. Il ferretto sarebbe un prodotto di alterazione delle più antiche morene. Queste occupano le parti esterne dell’anfiteatro morenico, formando una specie di cerchio attorno ed in parte sottostante alle morene più recenti che formano le falde interne. Le alluvioni dei ghiacciai più antichi vengono dagli autori stessi chiamate — 431 - altipiano alluvionale ( Deckenschoiter ), quelle del periodo glaciale intermedio alti terrazzi alluvionali ( Hochterrassenschotter ) e quelle del più recente bassi terrazzi alluvionali ( Niederterrassenschotter ). Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte nell’ Abruzzo Teramano du- rante Vanno 1894. (Boll. R. Com. geol., XXVI, 4). — Roma. L’autore espone il risultato del rilevamento geologico delle due tavolette all’ 7Mooo di Nereto e Civitella del Tronto. La formazione più antica di questa regione è rappresentata da calcari marnosi e saccaroidi formanti il gruppo del Monte Girello e del Monte di Campii, ohe dall’autore vengono attribuiti dubitativamente al Neocomiano, non essen- done ancora completato lo studio. L’eocene occupa una zona centrale nella tavoletta di Civitella del Tronto, circonda l’isola di calcari secondari ed è rappresentato da calcari marnosi e oalcari bianchi e grigi semi-cristallini con noduli di selce; rarissimi vi sono i fossili. Maggiore estensione ha il miocene, che occupa buona parte delle due tavo- lette. Sono arenarie micacee brune intercalate ad argille turchine; contengono rarissimi fossili e traccio di lignite. Assai sviluppati sono pure i terreni quaternari rappresentati dalle alluvioni recenti dei corsi d’acqua e da quelle antiche, cioè dai depositi ghiaiosi e sab- biosi delle valli in cui i torrenti scavarono il proprio letto e dai coni di deie- zioni. Al quaternario appartengono pure i travertini di Civitella, Rocca Santa Felicita e Monte Santo. L’autore accenna anche ad un deposito quaternario a terrazzi, ‘ed esteso lungo il litorale abruzzese, formato di ghiaie e sabbie, coprente il pliocene, dal quale difficilmente si distingue. Indica infine la presenza di pozzolane che si trovano talora interposte tra il pliocene ed il quaternario e servono a separare l’uno dalFaltro. Di queste pozzolane l’autore passa a rassegna i diversi depositi, osservando che sul luogo si chiamano con tal nome anche materie che non contengono elementi vulca- nici; ma vi sono però vere pozzolane che servono per malte idrauliche. Egli ritiene che esse provengano da ceneri finissime dei vulcani tirreni cadute sui monti e radunate poi dalle acque nelle parti più depresse. Xegri A. — Osservazioni sopra la Caverna della Fornace presso Cor - nedo e sopra i resti di mammiferi in essa contenuti. (Atti R. Istit. Veneto di se., lett. ed arti, S. VII, T. 6°, disp. 83). — Venezia. In una nota preliminare pubblicata nello stesso periodico nel dicembre 1894 (vedi disp. 1), l’autore aveva accennato ad un cranio di cavia scoperto in questa caverna insieme ad altri resti di Ursus spelaeus, di Arvicola, Mus, 5 — 432 - Crocidura , ecc., dal Meneguzzo ed acquistati dal Museo di Padova, e si propo- neva di farne uno studio completo. Ma in questo frattempo il De Gregorio, venuto per lo stesso mezzo in pos- sesso di altri esemplari degli stessi fossili, ne pubblicò nei suoi Annali la de- scrizione, indicando il cranio di cavia quasi identico alla C. cobaya come tro- vato per la prima volta in terreni quaternari. L’autore ba quindi creduto in questa nota di limitarsi a mettere in chiaro alcuni dati di fatto che modificano assai il valore dei ritrovamenti di cui si tratta. Premessa una descrizione della caverna da lui visitata, distingue i residui fossili rinvenuti nel deposito argilloso rosso che occupa la grotta per l’altezza di due metri, in avanzi veramente fossili, in probabilmente fossili, in dubitati- vamente fossili ed in resti affatto recenti. Osserva che i denti ed altri ossi di Ursus spelaeus si trovano solo nella parte più profonda del deposito e ritiene che questo accumulamento di ossa si sia effettuato molto prima della deposi- zione del fango e che probabilmente questo mammifero abbia abitato la ca- verna. Il deposito si formò lentamente ed in un’epoca in cui viveva quivi il Cricetus vulgaris, di cui vi abbondano i resti. Dagli studi fatti risulta che avrebbe vissuto alla fine del periodo glaciale. Venendo alla cavia, e ritenuto che gli avanzi di essa sieno nello stesso deposito che contiene i resti di Cricetus , si potrebbe ammettere la contempo- raneità dell’esistenza di questa colla Cavia cobaya. Osserva però che mentre il primo cranio inviato a Padova presenta veramente tutto l’aspetto di fossile, altri tre trovati pure entro fango in spaccature della roccia non presentano caratteri di fossilizzazione tale da ammettere che sieno rimasti sepolti diecine di secoli; ne conclude quindi che la presenza di resti di cavia in questa grotta sia dovuta a circostanze fortuite, rappresentando un avvenimento di data assai recente, ed in niun rapporto colla fauna pleistocenica dei nostri paesi. E da sperare che nuove ricerche conducano a spiegare la presenza di resti di cavia, specie oggidì esclusivamente americana. In una tavola sono rappresentati la grotta ei i resti di fossili più impor- tanti ivi raccolti. Negri G. B. — Sopra le forme cristalline dell' aragonite del Monte Ro - mazzo {Liguria). (Atti Soc. ligustica di Se. nat. e geogr., VI, 3). — Genova. L’aragonite oggetto di questo studio è un grande e bello esemplare do- nato dal prof. Issel al Museo dell’Università di Genova. Esso proviene da un ammasso serpentinoso eocenico detto Brio di Pria Scugiente o Monte Ramazzo e fu rinvenuto entro scavi già da tempo praticati per estrazione di serpentina piritosa a scopi industriali. L’esemplare risulta da un gruppo di cristalli assai brillanti e per la mag- gior parte inalterati. L’autore in questo lavoro dà le misure goniometriche a — 433 — cui ha sottoposto 45 cristalli dei migliori. Di questi sette soltanto sono sem- plici, mentre gli altri sono tutti geminati in modi diversi. L’autore espone le forme osservate in numero di 29, delle quali 11 nuove, e ne descrive le faccie. Dà poi un prospetto nel quale vengono registrate le forme e le combinazioni osservate nei cristalli misurati. Neviani A. — Nuovo genere e nuove specie di briozoi fossili. (Riv. it. di Paleont., Anno I, fase. 2°). — Bologna. L’autore descrive un nuovo genere ( Vibraculina ), che per i caratteri zoe- ciali appartiene alla famiglia delle Cellulariadae nel senso inteso da Busk e da Hinchs, e descrive e figura due nuove specie di esso: V. Conili e V. Seguen - ziana. La prima specie trovasi non comune nelle sabbie gialle e sabbie argil- lose grigie del post-pliocene della Farnesina, presso Roma; la seconda è raris- sima nelle sabbie calcaree post-plioceniche di Spilinga, presso Monteleone Ca- labro. Nevi ani A. — Nuova specie fossile di Stichoporina. (Riv. it. di Pa- leont., Anno I, fase. 6°). — Bologna. Gli esemplari studiati dall’autore furono raccolti nelle marne plioceniche di Tor Caldara, presso Anzio. Dopo aver dato un elenco delle specie note del genere Stichoporina , de- scrive e figura una nuova specie : la St. persimplex. Le maggiori affinità di questa si hanno colla St. simplex K., dalla quale però è bene distinta. Neviani A. — Briozoi eocenici del calcare nummulitico di Mosciano presso Firenze. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 2). — Roma. Sono 54 esemplari, dei quali ne vennero determinate 35, e, benché non in buono stato di conservazione, l’autore vi ha riconosciuto 14 specie ed una va- rietà. Una di queste specie, ritenuta come nuova, appartiene a genere che, comparso nel mesozoico, è ancora vivente; essa è per la prima volta trovata fossile in Italia, e viene denominata Conescharellina eocoena dall’autore, che ne dà la figura. Neviani A. — I briozoi post-pliocenici di Spilinga {Calabria). (Boll, sedute Acc. Gioenia di Se. nat., fase. XLI). — Catania. È il sunto di una memoria da pubblicarsi negli atti della stessa Accademia. In essa sono illustrate circa 70 specie di briozoi fossili, delle quali 46 appar- tengono ai Cheilostomati e le altre ai Ciclostomati. Nei primi vi sono sei specie ritenute nuove {Bactridium calabrum, Mi - croporella Manzonii, Hippoporina circumcincta, H. Spilingae , Porina impervia , Schizoretepora Pignatarii), e quattro già note come viventi, rinvenute per la — 434 — prima volta fossili ( Schizotheca fissa Bk., Smittia marmorea Hk., Smittia pa - vonella Aid., Retepora Solanderia Riss.). La maggior parte delle specie è vivente nel Mediterraneo o nell’Atlantico specialmente boreale, ripetendo così le condizioni di vita riscontrate in altri depositi post-pliocenici di Calabria, alla Farnesina ('Roma) ed a Livorno. Neviani A. — Nota preliminare sui briozoi fossili del postpliocene an- tico della Farnesina e Monte Mario. (Boll. Soc. romana per gli studi zoologici, IV, 1, 2). — Roma. Questa piccola fauna delle formazioni sabbiose del Monte Mario, dall’au- tore attribuita al post-pliocene antico, non era ancora stata convenientemente studiata, e solo se ne possedevano brevi elenchi dati dal Conti, dal Manzoni, dal Clerici. L’autore, avendo raccolto un ricco materiale, ne fece lo studio, estendendolo a quello che si trovava raccolto nel Museo della R. Università di Roma e presso alcuni privati; potè così determinare oltre un centinaio di specie, delle quali alcune nuove per la scienza. Tutti i Briozoi studiati appar * tengono ai sottordini Cheilostomata e Cyclostomata, in numero di T8 specie dei primi e 20 dei secondi. In questa nota preliminare egli dà la descrizione di 2 generi nuovi e di 19 fra specie e varietà nuove. Neviani A. — Briozoi fossili illustrati da Ambrogio Soldani nel 1780. (Boll. Soc. romana per gli studi zoologici, XV, 1, 2). — Roma. È una rivista dei Briozoi illustrati dal Soldani nel Saggio oritto grafico, con riserva di pubblicare in altro lavoro lo studio di quelli contenuti nella Testaceo grafia dello stesso Soldani. Fatto l'esame delle forme dei Briozoi, le riassume in un quadro nel quale l’autore indica la specie, la località, il numero dei vasetti in cui sono conte- nuti e le pagine dell’opera in cui sono citate. Neviani A. — Briozoi neozoici di alcune località d’Italia, Parte 4a e 2a (Boll. Soc. romana per gli studi zoologici, IV, 3, 4, 5, 6). — Roma. In questo lavoro sono elencati i Briozoi delle seguenti formazioni: 1° Pliocene e post-pliocene delle Puglie. 2° Post-pliocene di varie località di Calabria. 3° Post-pliocene di Santa Maria di Catanzaro. ^ 4° Post-pliocene di Caraffa (Catanzaro). 5° Post-pliocene di Presinaci (Calabria). Fra questi sono due specie nuove: Hippoporina integra e Tubuceìlaria Farnesinae. 6° Calcare ad Amphistegina di Parlascio (Toscana). 7° Pliocene del Bolognese. 8° Miocene e pliocene dell’Astigiano. Fra questi una nuova varietà ed una forma rarissima ( Onychocella miocenica Seg.). — 485 - Nicolis E. — Depositi quaternari nel Veronese. (Atti R. Ist. Veneto di Se., lett. ed arti, S. VII, T. 6°, disp. 7a). — Venezia. È una esposizione delle osservazioni fatte sul quaternario di questa re- gione, rappresentato dal ceppo preglaciale, dal glaciale antico e dal loess , del quale specialmente si occupa l’autore, studiandone i diversi giacimenti, la com- posizione ed i vari aspetti. Dà quindi due profili del quaternario : l’uno da Va- leggio, Villafranca, Isolalta a Vaccaldo di Vigasio ; l’altro da Sona, Lugagnano, S. Massimo, Forte S. Zeno, alla Spianata e presso la cancellata di Porta Vescovo (Verona). Dai fatti osservati deduce: che il loess veronese, a differenza degli altri terreni di trasporto, non rappresenta tutti gli elementi delle roccie ora in posto a monte del suo ambito; che questo giacimento sembra distribuito in modo capriccioso ed è gremito di strane concrezioni calcari; che il suo stato d’alte- razione alla superficie, diverso da luogo a luogo, dinoterebbe essere esso di età differente; che mentre in alcune località il loess partecipa dell’abito litolo- gico delle arenarie e molasse oligoceniche, altrove presenta l’aspetto di detrito fangoso del calcare eocenico e potrebbe quindi provenire dall’abrasione di ignoti e scomparsi rilievi terziari; infine che, almeno por la regione studiata, non persuadono abbastanza le teorie eoliche, la sommersione parziale marina ed il. pronto risollevamento, per spiegare la genesi del loess e che forse lo potrebbe la teoria delle cause attuali, con una diversa orografia. In una tavola sono disegnati i detti profili. Novarese V. — Nomenclatura e sistematica delle roccie verdi nelle Alpi occidentali. (Boll. R. Com. geol., XXVI, 2). — Roma. Scopo dello scritto è lo stabilire con esattezza la denominazione di un certo numero di roccie fin qui variamente denominate dagli autori, e di chiarire i rapporti loro con altre roccie concomitanti. Oltre le dioriti, diabasi, eufotidi, lherzoliti e serpentine, v’ha un gruppo di roccie verdi alpine in cui i minerali costitutivi sono sempre uno o più dei seguenti: un felspato sodico-calcare acido (per lo più albite ), un amfibolo (at- tinoto e glauco fané), un epidoto ( epidoto s.s. o zoisite) ed una clorite1 minerali che hanno sempre il carattere e l’abito di minerali secondari, derivati da altri primitivi generalmente del tutto scomparsi. Per questo gruppo è adottata la denominazione di roccie prasinitiche dal nome di prasinite proposto dal Kalkowsky per una specie contenente tutti e quattro i minerali caratteristici. Il nome di prasinite è stato conservato per le roccie a felspato prevalente; le varietà sono distinte cogli epiteti di epidotiche , amfiboliche e cloritiche , le quali ultime sono esattamente equivalenti alle ovar- diti (dal monte Torre d’Ovarda nelle Alpi Graje) dello Struver. Per quei tipi 436 — del gruppo in cui il felspato è scarso o manca, sono stati tenuti i nomi di zoi- sititi, epidositi , amfiboliti e clorito scisto. Tutte le roccie prasinitiche sono certamente metamorfìclie, molte di esse anzi sono identiche ad epigenesi non dubbie di eufotidi, diabasi, dioriti, por- fìnti, eco.; però non sempre si può stabilire da quale di queste varie roccie derivi ogni singolo tipo di prasinite. Non è del resto improbabile che fra esse vi siano pure epigenesi di tufi diabasici e porfìritici, e sono pure frequenti ter- mini di passaggio a gneiss, micascisti e calcescisti. Conviene perciò usare molta cautela nel risalire ai tipi primitivi delle varietà diverse del gruppo delle roccie prasinitiche. Nelle Alpi occidentali le roccie verdi sono sempre collegate molto stretta- mente fra loro da relazioni di diverso genere, e salvo casi rarissimi si presen- tano sempre perfettamente interstratificate nella serie cristallina. Chiude il lavoro una rassegna critica sommaria delle denominazioni usate dai varii autori per le roccie prasinitiche, così in Italia, come nelle regioni li- mitrofe della Francia e della Svizzera. Novarese Y. — Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 , in valle della Germanasca {Alpi Cozie). (Boll. R. Com. geol., XXYI, 3). — Roma. L’autore, nella valle della Germanasca, divide i terreni della serie antica (arcaica di Gastaldi) in quattro sezioni. Quella inferiore degli gneiss o mica- scisti grafitici è notevole per i banchi grafìtici che contiene, e per la presenza di lenti estese di conglomeati gneissici in tutto analoghi a quelli della Sassonia e della Scandinavia, e che per la prima volta si ritrovano nelle Alpi occidentali. La seconda sezione comprende un certo numero di lenti più. o meno estese di gneiss ghiandone in parte sottoposte, ed in parte contenute dentro ad una po- tente pila di micascisti e gneiss a struttura minuta che formano la terza delle sezioni. In questa v’hanno lenti di calcare cristallino saccaroide e bardigliaceo (Roccia Corba, Roccia Bianca) e lenti di amfiboliti, prasiniti e talcoscisto, molto rara la quarzite. La quarta sezione è costituita da una potentissima pila di calcescisti e fìlladi con lenti di roccie verdi (prasiniti, amfiboliti, eufotidi, forse diabasi, clorito- scisti e serpentine). Queste lenti però sono piuttosto piccole e rade, e se si fa il pa- ragone colle valli adiacenti del Chisone superiore e del Pellice, nella valle della Germanasca scarseggiano molto dentro ai calcescisti le roccie verdi: ciò non toglie però che vi compaiano masse potenti al Grand Mioul al Nord, e fra il Colle Giuliano ed il Passo Fionira nel Vallone della Miniera a Sud. La tettonica è molto semplice trattandosi di una serie isoclinale con pen- denza ad Ovest; questa semplicità però potrebbe essere soltanto apparente: tuttavia l’autore si astiene da un giudizio sulle varie ipotesi finora immaginate — 437 per spiegare la successione delle roccie sulle Alpi Cozie, riservandosi di trat- tare la questione quando queste saranno rilevate del tutto. Il quaternario non ha grande estensione ; consta di morenico e depositi al- luvionali, diluviali e recenti, oltre che dei detriti di falda. Chiude il lavoro una enumerazione molto sommaria dei materiali utili della valle, relativamente ricca di tali prodotti. Novarese V. — Die Quecksilbergruben des Monte Amiatagebietes in To- scana. (Zeit. fur prakt. G-eol., Jalirg. 1895, H. 2). — Berlin. L’autore piglia occasione da alcune rettifiche al lavoro del Rosenlecher : Die Quecksilbergruben Toscanas (V. Bibliogr. 1894); per far noti alcuni dei risultati dei rilevamenti e studi dell’ing. Lotti e propri sulla regione cinabri- fera delFAmiata. Nelle vicinanze del Cornacchino , nelle ftaniti ritenute titoniche dal De Ferrari, il Lotti ha trovato impronte di Posidonia Bronni ; nei calcari grigi inferiori, in seguito a lavori di ricerca, sono venuti alla luce frammenti piritiz- zati di ammoniti di tipo basico; il lembo di calcare cinabrifero superiore alle ftaniti (calcare della miniera del Cornacchino), creduto noecomiano finora, è le- gato così strettamente da passaggi ed alternanze (calcari con noduli di selce) alle ftaniti da non potersi separare da queste. Per ciò i tre membri della serie del Cornacchino inferiori alla Scaglia apparterebbero al lias superiore e forse in parte pure al medio. A queste notizie seguono alcune osservazioni che riguardano la natura e l’origine dei giacimenti cinabriferi e che tenderebbero a confermare l’ipotesi, per cui al Siele ed alle Solforate le masse cinabrifere si possono sempre rite- nere come riempimento di spaccature dentro ai banchi calcari rinchiusi fra gli scisti. E riprodotta infine integralmente una comunicazione dell’ing. Lotti sulla miniera di Montebuono, con cui si dimostra come il giacimento cinabrifero che in questa si coltiva sia dovuto alla corrosione del calcare nummulitico per effetto delle acque acide che sono state il veicolo delle manifestazioni metalli- fere attuali. Oglialoro A., Forte O., Cabella A. — Analisi chimica completa qua- litativa e quantitativa dell’acqua detta delle Caldarelle , presso Riardo. (Rend. R. Acc. Se. fìs. e mat., S. Ili, Voi. I, 1, 2). — Napoli. Questa sorgente trovasi a un chilometro circa dal paese di Riardo (prò - vincia di Caserta) ed è usata per bagno e per bevanda. L’acquane è limpida, incolora ed inodora; svolge acido carbonico; ha temperatura quasi costante di 13° C., ed un peso specifico di 1,002 404. Oltre all’acido carbonico ed una certa quantità di azoto, furono riconosciuti — 438 — e dosati in quest’acqua il cloruro ed il solfato di potassio, carbonati diversi, fosfati, eco., ecc. E un’acqua eminentemente acidulo-alcalina. Oliveri Y. — - Analisi chimica delle acque termali dei lagni di Termini Imerese. (Staz. sperim. agr. it., XXVIII, 5). — Modena. Nella parte più bassa della città di Termini Imerese scaturiscono vicino al mare due sorgenti termali, l’una a Sud-Ovest l’altra a Nord-Est. Da molto tempo è usufruita la prima per bagni. Solo da pochi anni si è cercato di utilizzare l’altra nello stesso modo, ed è questa che fu analizzata. Essa scaturisce in mezzo alla formazione triasica; l’acqua ne è limpidis- sima, di sapore salato ed un poco amara : ha una temperatura dj 42° circa. Dall’analisi risulta che la sua composizione è analoga a quella dell’altra, contenendo in grande quantità il cloruro di sodio insieme con cloruri, solfati e carbonati diversi. Oppenheim P. — Neue Binnenschnecken aus dem Vicentiner Eocdn . (Zeit. d. d. geol. Gesell., Bd. XLVII, H. 1). — Berlin. E una nuova contribuzione alla conoscenza delle conchiglie terrestri, di acqua dolce e salmastra dell’Eocene del Vicentino, già descritte dall’autore nelle Memorie dell’Accademia di Vienna (vedi Bibliografìa 1890). Egli dà prima una descrizione stratigrafica delle località, distinguendovi due orizzonti, uno superiore, l’altro inferiore al calcare di Roncà e suoi equi- valenti. Queste formazioni sono assai estese, e per la loro forma e per la presenza di ciottoli eterogenei di roccie cristalline nei tufi dei Eochesatti e di Sauiri, ne deduce l’esistenza di una estesa area montuosa alla fine del Piano di Roncà, il cui sollevamento è constatato dalle diverse flore di Bolca e di Novale, indi- canti le mutazioni climitichè dovute ad esso. Ne conclude all’ esistenza di un periodo continentale. Viene poi alla revisione di alcuni generi e specie impor- tanti e ne illustra alcune nuove, ritenendo che il complesso loro si possa ri- ferire al calcare grossolano, cioè all’Eocene medio. Indicata poi la distribuzione della specie nelle varie località, l’autore os- serva che la fauna ha pochi rapporti con faune terrestri, d’acqua dolce e sal- mastra studiate finora. La frequenza specialmente delle Clausiliae conferma la sua teoria continentale. Fatta quindi la storia geologica di tutti i generi che s’incontrano in questa formazione del Vicentino, l’autore tratta la questione geografica, concludendone essere questa fauna composta di forme che attualmente sono sparse sopra la intera superficie della terra. Alla memoria sono unite due tavole. — 439 — Oppenheim P. — Ancora intorno divisola di Capri. (Riv. it. di Paleon- tologia, I, 4). — Bologna. Riferendosi ad una memoria di H. Karsten sulla geologia di Capri (vedi più sopra) l’autore osserva che mentre in molti punti conviene su quanto questi asserisce, confermando, in parte, le osservazioni fatte dall’autore in un prece- dente studio su quell’isola, è costretto a contradire in altri e alle conclusioni del Karsten. La principale obbiezione riguarda l’età del macigno, tanto nella parte media, quanto presso Lo Capo nella punta orientale dell’isola che dal Karsten è ritenuta pliocenica e forse anche più recente. L’autore, anche prescindendo dalla presenza delle nummuliti da lui trovate non in posto, per il solo carattere petrografìco del macigno di Capri, le sue analogie colle roccie dell’Appennino, i fossili di Lo Capo e la presenza di breccia nummulitica sopra la Grotta Azzurra, dimostra come oltremodo pro- babile l’età eocenica di tutto l’insieme. Quanto alle nummuliti trovate in un blocco di marna glauconifera entro un muro, ritiene sicura la sua provenienza dalla parte centrale dell’isola, tanto più che formazioni perfettamente corri- spondenti ha trovato nella penisola sorrentina. Orlandi S. e Rovereto G. — Relazione della gita fatta’ alV isolotto ed alla Grotta di Bergeggi il 1° giugno 1894. (Atti Soc. lig. di Se. nat. e geogr., Y, 4). — Genova. Questa breve relazione di una gita essenzialmente zoologica e botanica contiene solo un breve accenno alla costituzione geologica dell’isolotto di Ber- geggi. Questo è formato da una pila di strati di calcare dolomitico del Trias medio, inclinati di 25° a mezzogiorno e con la stessa direzione di quelli della costa prospiciente. In occasione della gita furono raccolti in questo calcare ar- ticoli di crinoidi, forse Encrinus liliiformis , Pentacrinus sp., ed un brachiopodo, Retzia trigonella , in belli esemplari. Osasco E. — Di alcuni corollari pliocenici del Piemonte e della Li - guria. (Atti R. Acc. Se. di Torino, XXXI, disp. 3a). — Torino. L’autrice, riordinando i coralli fossili terziari del Museo geologico del- l’Università di Torino, ha fatto alcune osservazioni sopra i coralli pliocenici del Piemonte e della Liguria, delle quali rende conto in questa nota. La quale comprende la diagnosi (ed il disegno) di alcune forme nuove e l’elenco di 60 forme riconosciute nella regione con l’indicazione del piano e della località. Pantanelli D. — Geologia dell’ Appennino modenese. (Nell’Opera: L’Ap- pennino modenese, descritto ed illustrato). — Rocca S. Ca- sciano, 1895. Enumerate in succinto le formazioni geologiche che si presentano in pro- vincia di Modena, l’autore descrive i diversi membri di esse. - 440 - I terreni secondarii sono solo rappresentati da due piccoli lembi di Cre- taceo superiore, ben accertato per i fossili, uno a Ranocchio presso il Panaro a N.E di Montese, l’altro a G-ombola nel torrente Rossenna, confluente della Secchia. Fra i terziarii il più antico occupa la zona più elevata della regione ed è rappresentato da arenarie con banchi a nummuliti intercalati, dell’Eocene in- feriore. L’Eocene superiore è rappresentato dalle argille scagliose con calcari com- patti o argillosi intercalati. Le serpentine, con tutte le roccie concomitanti, af- fiorano in una zona presso a poco parallela al crinale dell’ Appennino, secondo una linea di fenditura del terreno, e separano grossolanamente le plaghe eoce- niche dalle mioceniche. Vi è pure una zona secondaria delle stesse roccie più in basso, che forse rappresenta un apofìsi della zona principale derivante da spaccatura normale alla prima. Nella zona delle argille scagliose si trovano le molte salse dell’Appennino e le manifestazioni petrolifere. Le formazioni oligoceniche sono assai limitate e risultano da una serie di strati alternati di calcari con fucoidi, arenarie ed argille. Il Miocene copre in generale la parte più elevata delle medie montagne; è formato da calcari arenosi, arenarie, calcari bianchi silicei con radiolarie, o da argille più o meno compatte, in strati ora potenti, ora piccoli, intercalati a calcari. Le formazioni plioceniche, marne, argille e sabbie, si adagiano sul versante settentrionale delle ultime colline. Su alcune di queste si trova un ultimo lembo pliocenico, di origine alluvionale, formato di sabbie e ghiaie. Oltre le formazioni quaternarie più importanti ed estese della pianura, l’autore descrive altri depositi che trovansi nella parte superiore dei fiumi che solcano l’ Appennino, formati di ghiaie e sabbie, riferiti da alcuni geologi a morene, ma che esso ritiene dovuti a fenomeni di erosione. L’autore si occupa pure delle frane numerose che si veggono lungo i fianchi delle vallate, delle quali non si può assegnare l’epoca, alcune potendo risalire al Pliocene ed altre essendo recentissime. Venendo alle manifestazioni endogene, descrive le salse, le sorgenti mine- rali e le emanazioni gazose, che nel territorio modenese sono assai frequenti, osservando che invece i terremoti vi sono rari, leggeri e sempre dipendenti da centri di scuotimento lontano. Riassume infine in linee generali la storia geologica della regione. Al lavoro è unita una carta geologica alla scala di 1 : 150 000. Pantanelli D. — Sulle radiolarie mioceniche dell1 Appennino. (Riv. it. di Paleont , I, 2). — Bologna. L’autore risponde ad alcune osservazioni fatte dal sig. Tedeschi (vedi Riv. it., ecc. eco., I, 1) ad una precedente nota sullo stesso argomento (vedi Bi- bliografia 1894). — 441 Osserva dapprima che dai giacimenti emiliani escludeva quello di Arcevia, citato ora dal Tedeschi come deposito abissale. L’esame della roccia e la descrizione datane dal Cappellini, che la chiama molassa marnosa, furono i criteri che l’autore giudicò sufficienti per escludere che quel giacimento si fosse formato in mari di grande profondità. Aggiunge che il confronto con specie conosciute poco giova, quando rappresentano forme diverse, nè può dare aiuto la monografia di Haeckel, che ha notato solo le località della prima preparazione per una data specie, osservando che non vi è genere un po’ numeroso per specie che non presenti forme affini tra quelle di superfìcie e quelle di profondità. Ritiene poi che il criterio della robustezza delle specie abissali, valevole per le viventi, non sia tale per le fossili. Il criterio della grossezza delle radiolarie fossili è giusto, ma se si con- frontano le preparazioni delle radiolarie mioceniche con quelle degli abissi ocea- nici si verrebbe a concludere che se lo spessore, la irregolarità e la rugosità dovessero essere proporzionali alla profondità, le mioceniche starebbero a pro- fondità tripla e quadrupla delle massime trovate dal Challenger. Nota che il genere Sphaeroidea della famiglia Monacantha non è nuovo : fu indicato dall’autore col nome di Adelocyrtis. Finalmente osserva che nel lavoro citato, accennando alle correnti nel Me- diterraneo provenienti dall’Oceano indiano, intendeva solo spiegare la maggiore temperatura di quei mari, e come conseguenza secondaria, la diffusione per mi- grazione passiva di specie simili sopra un’area assai estesa, non già al tra- sporto di radiolarie mioceniche per le correnti dei mari indiani. Parona C. F. e Rovereto GL — Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte (. Liguria occidentale). (Atti R. Acc. Se. di Torino, XXXI, disp. 2a). — Torino. Nel mezzo del massiccio arcaico ligure, lungo la valle di Montenotte, tro- vasi una zona di roccie diasprigne collegata a quarziti, anageniti e scisti seri- citici d’aspetto permiano. Oggetto della presente nota è quello di dar notizia della presenza di ra- diolarie in quei diaspri. Si accenna perciò brevemente alla serie dei terreni dagli gneiss ai diaspri, si espongono le particolarità della formazione diasprigna ed i caratteri petro- grafìa dei diaspri, per poi passare allo studio paleonteologico ed alle conside- razioni che ne derivano. Le radiolarie sono nella massima parte indeterminabili per incertezza nei contorni ed insufficienza di caratteri ornamentali, per cui in gran parte rimane dubbia la determinazione generica e specifica. I generi riconosciuti sono 38, dei quali solo 3 non furono fino ad ora trovati in terreni più. antichi del Giu- rese. Le forme riferibili a questi generi sono 57 ; di esse, circa 20 si prestano - 442 - a confronti più o meno vicini con specie triasiche o paleozoiche, 10 con specie del Giurese e del Cretaceo, 9 si possono ritenere nuove e le restanti sono ge- nericamente o specificamente dubbie. I confronti più numerosi si hanno con radiolarie carbonifere e triasiche. È poi notevole il fatto che la fauna a radio- larie ora esaminata è quella stessa che si ha in roccie simili di Cesana e di Baldissero: gli scisti silicei a radiolarie delle tre località, paiono evidente- mente collegarsi cronologicamente ed essere un particolare livello o una facies del permiano alpino. Alla memoria è unita una tavola in cui sono figurate le forme riscon- trate. Peola P. — Sulla presenza della vite nel territorio di Bra. (Ann. della R. Acc. di Agric. di Torino, Voi. XXXVIII). — Torino. Ricordati i pochi avanzi di vite finora trovati in Italia, nei terreni terziarii, l’autore si occupa di quelli che si trovano nel Museo civico Craveri a Bra e che furono rinvenuti nelle marne sabbiose giallastre presso quella città. Dal loro esame risulta però che, anziché alla Vitis vinifera , questi esemplari sono da riferirsi al Platanus deperita (Mass.) Bordelli, come già avevano opinato il Cle- rici e il D’Ancona. Nello stesso museo trovasi anche un masso di marna, proveniente da una frana delle vicinanze, contenente molte impronte di foglie. Fra queste, alcune, sembrando all’autore riferibili al genere Vitis, furono da lui studiate e in questa nota ne vengono descritti due esemplari che crede abbiano una grande affinità colla Vitis Braunii Ludw. Questa fu rinvenuta a Salzhausen e a Rockenberg nel Miocene, mentre la forma studiata dall’autore appartiene alPAstiano: tuttavia non presentando queste notevoli differenza con quella, crede trattarsi di una forma pliocenica della predetta Vitis Braunii. Peola P. — Flora fossile braidese . — Bra, 1895. In questa pubblicazione l’autore descrive ed illustra la collezione delle fìl- liti del sig. Craveri raccolte nei lavori per la costruzione della ferrovia Bra- Alessandria. Sono 183 specie divise in 83 generi e provengono in gran parte dalle marne giallastre dell’ Astiano, alcune dalle marne azzurre del Piacenziano e poche altre del Messiniano. Alla descrizione sistematica della specie l’autore fa seguire un prospetto comparativo con altre flore fossili, dal quale risulta una grande somiglianza con quelle del Miocene in generale ed in modo speciale con quella di Sinigaglia, colla quale ha in comune il 63 °/0. Ma le formazioni braidesi da cui proviene la flora studiata, appartengono certamente al Pliocene superiore (Astiano), deve quindi ritenersi pliocenica, malgrado che solo il 29 % delle specie sia comune alla flora pliocenica. Essa concorda bene con le flore di Mongardino e del Val — 443 - d’Arno superiore, colle quali ha comunanza nelle famiglie prevalenti. L’ana- cronismo di questa flora si spiegherebbe colla vicinanza del golfo padano, che producendo un clima più caldo permetteva agli ultimi avanzi delle antiche flore di svilupparsi in luoghi che per latitudine non sarebbero però stati adatti a quelle. In un’appendice l’autore dà la descrizione di altre 8 specie di Castello di Volta, ma derivano da formazioni che non hanno relazione con quelle sudde- scritte. A questo lavoro sono unite due tavole. Philippi E. — Zwillingslamellirung am Schwerspath von Primaluna. (N. Jahrb. f. Min., G-eol. und Pai., Jahrg. 1895, Bd. II, H. 2). — Stuttgart. E una comunicazione epistolare nella quale l’autore tratta di alcune par- ticolarità che presenta la geminazione secondo la faccia 6Poc in alcuni fram- menti di baritina di un filone che viene scavato fra Cortabbio e Primaluna in Valsassina (Lombardia). Philippi E. — Beitrag zur Kenntniss der Aufbaues und der Schichten - folge in Grignagebirge. (Zeit. d. d. geol. Gesell., Bd. XLVII, H. 4). — Berlin. L’autore illustra il gruppo montuoso delle Grigne presso Lecco in Lom- bardia, corredando il suo studio di una carta geologica al 25.000 dell’area compresa fra il lago di Como e la valle della Pioverna, oltre che di alcuni profili. Lo studio si riattacca ai lavori precedenti sulla geologia della regione specialmente a quelli del Benecke. Nella parte tettonica esso considera due sistemi di pieghe, l’uno da Nord a Sud, l’altro da Est a Ovest, e afferma l’esistenza di movimenti postgla- ciali. Nella parte stratigrafica si trattano soccessivamente 3 e seguenti forma- zioni della regione: Buntsandstein, Rauchwacke, Muschelkalk, scisti di Bu- chenstein, calcari di Varenna e Perledo, scisti di Wengen, calcare di Esino, Raibliano e Dolomia principale, Quaternario. Speciale attenzione presta l’au- tore al Muschelkalk, seguendo la suddivisione del Bittner, così modificata: Mu- schelkalk inferiore; Muschelkalk superiore; quest’ultimo diviso in calcare a brachiopodi e calcare a trinodosus. Soltanto ai fossili del Muschelkalk è dedi- cata la rapida rivista dell’appendice paleontologica. Nel quaternario si trattano separatamente: glaciale; detriti e breccie; al- luvioni. - 444 - Platania G.no e Platania Gf.ni — Sui recenti terremoti nella regione orientale delVEtna. (Atti e B,end. dell’ Acc. di Se., lett. e arti dei Zelanti e P P. dello studio di Acireale, Nuova Serie VI). — Aci- reale. E un sunto di osservazioni fatte dagli autori sulle due scosse di terre- moto che avvennero in questa regione nei giorni 7 e 8 agosto del 1894. Essi de- scrivono minutamente i danni prodotti dalle scosse nelle località visitate e danno relazione dei diversi fenomeni osservativi. L’area mesosismica presenta una figura sensibilmente ellittica con l’asse maggiore lungo 7 chil. diretto S.E-N.O, che prolungato passerebbe per il cra- tere centrale dell’Etna ; l’asse minore è di circa 8 chil. L’epicentro del terre- moto del giorno 7 sarebbe presso Zarbati a N.O di Acireale, quello del giorno 8 si troverebbe più a N.O nella regione Mazzasette. Giudicando dalla ristret- tezza dell’area mesosismica e dalla violenza della scossa rapidamente decre- scente colla distanza dall’epicentro, ritengono che questo stia alla profondità di 2 a 4 chil. Vengono quindi istituiti dei confronti fra i fenomeni sismici presentati da questi terremoti con altri di quella regione e collegati coi fenomeni eruttivi dell’Etna. Osservano infine che l’area più frequentemente colpita nella regione orien- tale dell’Etna si estende dal Nord di Acireale a Macchia presso Giarre in cor- rispondenza di una faglia che produsse un dislivello considerevole, notando le oscillazioni del suolo che tuttora si verificano lungo la costa da Acireale a Macchia. Porro C. — Geognostiche Skizze der XJmgegend von Finero. (Zeit. d. d. geol. GeselL, Bd. XLVII, H. 8). — Berlin. La regione illustrata ha per asse quella tratta della zona anfibolica di Ivrea che corre da Monte Laurasca a Monte Gridone, passando per Einero, essa si estende da Santa Maria Maggiore a Crealla in senso normale a detta zona. La Carta geologica al 50 000 che accompagna il testo, comprende le se- guenti divisioni: Gneiss d’Antigorio ; Gneiss della Sesia ; Scisti sericitici ; Gneiss di Strona; Anfiboliti felspatiche; Anfìboliti felspatiche scistose; Pirosseniti felspatiche con orneblenda; Anfìboliti felspatiche zonate; Peridotiti; Peridotiti serpentinizzate ; Calcari; Quaternario; Porfìriti. Le roccie basiche (peridotiti, anfiboliti, pirosseniti), appartengono in mas- sima parte alla zona di Ivrea; a S.E della quale si sviluppano i gneiss di Strona, mentre a N.O si sviluppano gli altri gneiss con l’intermezzo parziale degli scisti sericitici. Un profilo generale attraverso a queste formazioni, ne mostra la concordanza dei banchi variamente raddrizzati. - 445 — Dei singoli gruppi di roccie l’autore espone la diagnosi petrografia, spe- cialmente delle roccie basiche, di due delle quali dà microfotografìe e analisi chimiche fatte eseguire. Nel quaternario distingue nel testo argille e conglo- merati. Delle porfiriti non dà che un cenno dello sporadico affioramento. Notevole il legame, che risulterebbe, dei diversi gneiss qui distinti sul- l’esempio del Gerlach, e il fatto che gli scisti sericitici diventano anfìbolici a contatto colle anfiboliti; finalmente il legame fra peridotiti e anfìboliti, mentre c’è taglio netto fra peridotiti e pirosseniti. Nell’interpretazione genetica l’autore accetta le idee del Traverso sulle roccie scistoso-gneissiche, e quanto alle roccie basiche le presume prodotti di differenziazione di un magma eruttivo iniettatosi fra i banchi non ancora di- sturbati dalle roccie scistoso-gneissiche, delle une e delle altre presumendo derivata la scistosità dalle azioni dinamiche posteriori. Riccò A. — Notizie sullo stato dell' Etna. (Boll. Soc. sismol. it., I, 2). — Roma. Sono brevi notizie sulle condizioni dell’interno del cratere centrale del grande vulcano, dopo l’eruzione del 1892 e fino alla fine del 1894, desunte da osservazioni fattevi dall’autore e da altri. Notevole il fatto che la profondità del cratere sarebbe stata calcolata in 424 metri, mentre ad occhio sembra assai minore. Ristori Gr. — Cheloniani fossili di Montebamboli e Casteani, memoria paleontogica , con appendice sui cheloniani fossili del Casino (Siena). (Pubblicazioni del R. Istituto di studi superiori, ecc.). — Fi- renze, 1895. Nelle miniere lignitifere di Montebamboli e Casteani nelle maremme toscane, e precisamente negli strati inferiori del combustibile, furono in più riprese tro- vati numerosi avanzi di vertebrati fossili, che vennero distribuiti fra i musei di Siena, di Pisa e di Firenze. L’ autore ha potuto avere comunicazione di tutto ciò che riguarda i Chelonii, e nella presente memoria fa conoscere il ri- sultato dei suoi studi su questi resti interessanti. Essi appartengono ai due ge- neri Trionyx ed Erays e a 6 specie nuove, che sono le Tr. Bambolii , senensis, Portisi e le Em. depressa , parva, Campami , di ciascuna delle quali l’autore fa un’ampia descrizione. Anche nelle ligniti del Casino presso Siena l’autore riconobbe resti di una Trionyx in base ai quali, dopo accurato studio, stabilì la nuova specie Tr. pro- pinquus avente molta analogia con la Tr. Portisi anzioennata della miniera di Montebamboli. Gli avanzi delle forme nuove studiate e descritte sono disegnati in 6 tavole annesse alla memoria. Ristori G. — Di un nuovo cheionio fossile nel Miocene dell ’ isola di Malta. (Mem. Soc. tose, di So. nat., Voi. XIV). — Pisa. È la illustrazione dell’impronta di porzione posteriore dello scudo e di al- cune piastre ossee di un Cheionio, rinvenute sopra un grosso frammento di calcare marnoso, proveniente dall’isola di Malta e depositato nel Museo paleon- tologico di Pisa. L’autore riferisce questo fossile al genere Podocnemis con cui presenta tanta analogia e ne fa una specie nuova, la P. lata , che descrive ampiamente e confronta con le specie affini studiate dall’Owen, dal Lydekker, dal Cope e da altri. Una tavola dà le figure dello scudo a un terzo di grandezza. Rohrer R. — Chemische Untersuchungen des Eisenglanzes von Elba. (Tschermak’ s min. und petrogr. Mittheil., Bd. XV, H. 1-2). — "Wien. E il resoconto di una analisi qualitativa e quantitativa fatta dall’ autore nel laboratorio dell’Università di Tubinga sull’oligisto dell’Elba. Il risultato medio di due analisi sarebbe : silice 0.49 ; ossido di ferro 98.60: calce 0.42; magnesia 0.74. Rosiwal A. — Enstatitporphyrit und Porphyrittuff aus den Karnischen Alpen ( Val di S. Pietro). (Verhandl. der k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1895, n. 16). — Wien. Lo studio di queste roccie è fatto su materiale raccolto da G. Geyer nella alta valle di S. Pietro a nord di Tolmezzo. Di ciascuno dei due tipi 1’ autore dà la diagnosi macroscopica, microscopica e microchimica. La Porfirite enstatitica si collegherebbe al tipo dei « keratofìri non quar- ziferi ». Il Tufo si individua come un « tufo di porfirite enstatitica ». Rovere C. A. — La Sicilia sotto V aspetto geologico e fisico , con annesse nozioni elementari di geologia: conferenze. — Roma, 1895. E una pubblicazione d’indole popolare, nella quale dopo un cenno sulla geografìa dell’isola, tratta della sua costituzione geologica, valendosi in gran parte della nota opera del Baldacci. Segue una descrizione delle condizioni fìsiche della Sicilia, ossia orografìa, idrografìa, clima, vegetazione, ecc., ecc. delle varie sue parti. Chiudono il volume alcune nozioni elementari di geologia, atte a volgariz- zare i principii di questa scienza. Al libro va unita una carta topografica della Sicilia al 500 000. - 447 — Rovereto G. — Osservazioni geologiche lungo la nuova linea ferrata Genova-Ovada. (Boll. Soc. geol. it., XIII, 2). Roma. L’autore passa in rassegna le formazioni attraversate dal nuovo tronco fer- roviario Genova-Ovada, e ne descrive petrograficamente i principali tipi lito- logici. Nel tronco Polcevera-Borzoli la linea attraversa, parte in galleria, gli scisti eocenici, ed un piccolo deposito pliocenico ; ed a munte di Borzoli delle masse diabasiche e serpentinose. Nel tronco Borzoli-Acquasanta si attraversa il calcare dolomitico triasico del M. Gazo, quindi scisti micacei e serpentine arcaiche. Alla stazione di Acquasanta vi sarebbe un lembo miocenico del quale però non si rinvennero altri fossili che VOstrea crassa Reuss. Nel tronco Acqua- santa-Fado si rincontrano calcescisti, piccole lenti di anfiboliti, serpentine e pe- ridotiti. Una di queste è scavata presso Baiardo come pietra da taglio impie- gata per gli imbocchi di gallerie e per cornici e copertine delle opere d’arte della linea. Roccie della serie arcaica sono pure attraversate dalla galleria del Turchino e dal tronco Campoligure-Ovada fino a Costa. In seguito il terreno attraversato è il Miocene. Rovereto GL — Arcaico e Paleozoico nel Savonese. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 1). — Roma. In questo lavoro Y autore studia le roccie gneissiche ed i graniti del Sa- vonese e il Permo-Carbonifero ed il Trias del Finalese. Riconosce nei gneiss le intercalazioni di roccie anfìboliche, e crede trovare attorno ai graniti nelle divere roccie che li includono dei tipi dì contatto , fra cui un hiotit e scisto a chiastolite. Del Permo-carbonifero studia specialmente la tettonica, e descrive brevemente la natura litologica. Del Trias infine tratta solo incidentalmente. Il lavoro è accompagnato da cinque tavole di cui una di profili, ed un’ altra con la Carta geologica del massiccio arcaico ligure nella scala di 1 a 200 000 Sabatini V. — Sull' attuale eruzione del Vesuvio. (Boll. R. Com. geol., XXYI, 2). — Roma. L’autore, dopo riepilogata sommariamente la presente fase eruttiva del Ve- suvio, descrive l’eruzione cominciata nella notte dal 2 al 3 luglio del 1895. Il mattino del 3 da una spaccatura rivolta a N.O cominciò a fluire la lava, senza che fenomeni di proiezione si manifestassero. Il 5 altra frattura si produsse più in basso e quasi in prolungamento della precedente. Lava abbondantissima ne esce e taglia la rotabile della funicolare, arrivando il 12 fin presso la strada che va dall’Osservatorio a Resina. Lo stesso giorno 12 egli salì sul cratere cen- trale osservando il vecchio cono terminale in parte crollato al principio dell’e- ruzione, e il nuovo conetto formatosi dopo, ed anche esso in parte crollato. Una lunga spaccatura E-0 si osservava sulle lave vecchie del gran cratere 6 — 448 — del 72, su cui si elevarono i coni terminali successivi. Tale frattura esisteva però prima dell’eruzione attuale. Essendo la lava fluita tranquillamente non si sono avuti coni avventizi nel vero senso della parola : appena qualche conetto di circa un metro d’altezza si è formato sopra la corrente. La superficie di questa lava mostra la struttura cordata solita e in certi punti una divisione tabulare. Il giorno 9 luglio il vo- lume emesso raggiunse i 2 500 C00 me.: in agosto tale volume fu raddoppiato. L’autore combatte la credenza che la lava di giorno appaia come melma color miele, e l’altra dei piani eruttivi di Deville. Questi ultimi non sarebbero linee di minima, ma di massima resistenza. E combatte del pari 1’ ipotesi che cristalli di leucite di maggiori dimensioni potessero non essere intratell arici. Questa lava si manifestò al microscopio una leueotefrite. Sabatini V. — Relazione del lavoro eseguito nel biennio 1893-94 sui vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. (Boll. R. Com. geol., XXVI, 3). — Roma. L’autore, in questa relazione di sole quattro pagine, rende conto assai brevemente del lavoro da lui iniziato sui vulcani romani. Parlando dei Vulcani Laziali, dice che conserva i tre periodi classici del Ponzi: 1° formazione del cratere esterno (Artemisio); 2° formazione del cratere interno (Campi d’ Annibaie) ; 3° formazione de’ crateri di Albano e di Remi. Dice che non accetta l’ipotesi del Di Tucci di un vulcano prelaziale , fon- data sopra inclinazioni di strati vulcanici, che si sa essere variabili da punto a punto di uno stesso edifizio vulcanico ; e sopra la natura macroscopica delle lave (presenza o assenza di felspato e augiti visibili), argomento che anche con- servato così deve cadere dopo più attento esame della regione. Il peperino, per l’autore, è dovuto a proiezioni di ceneri e blocchi, lanciate dalla conca di Albano. Le lave melilitiche, come quella di Capo di Bove, si trovano in molti altri luoghi (Castiglione, Pantano Secco, Ponte Ravenna, laghetto di Giuturno, eco.). Lo sperone è un’alterazione della lava ordinaria, dovuta a fumarole di cloruri. Le lave laziali sono generalmente leucititi. Quasi tutto il loro felspato, quando ne contengono, è un’ alterazione delle leuciti. Tale felspato secondario abbraccia tutta la serie felspatica. Sabatini Y. — Sopra alcune roccie della Colonia Eritrea. (Boll. R. Com. geol., XXVI, 4). — Roma. L’autore riprende lo studio della collezione di roccie che l’ ing. Baldacci portò dalla Colonia Eritrea, e già eseguito sommariamente dal prof. Bucca. - 449 - Comincia coll’esporre la scrittura simbolica di Michel-Lèvy, completandola d’accordo coll’ing. Novarese. Quindi, avendo diviso il lavoro in tre parti (scisti cristallini, roccie granitoidi, roccie porfiriche), comincia ad occuparsi della prima parte, la sola pubblicata nella presente memoria. In essa si tratta degli gneiss di Keren, della gola di Ailet e del M. Farak presso Ailet; dei micascisti di Uà’à-Zula; delle Pr asinità. cloritiche quarzifere della valle dell’ Arghesana, sotto il M. Bizen (Ghinda) e Uà’ à Zula ; della prasinite anfibolica quarzifera di Gurnò (Valle Anseba presso Keren); delle epidositi quarzifere del M. Ghè- dam (Massaua); delle anfiboliti del forte di Keren e di Filogobai (valle di Ghinda) ; dei cloritoscisti di Mai’ binzi, Arbaroba presso Ghinda; dei calcescisti felspatici cloritizzati di Valle Arghesana (Ghinda); della pirossenite anfibolica con wernerite di M. Ghèdam (Massaua); degli scisti fìlladici delle Acque calde d’Ailet; degli scisti silicei con materia carboniosa di Mai" binzi (Arbaroba). Sabatini V. — Sui basalti labradoriti di Strombolicchio. (Boll. Soc. geol. it., XIII, 2). — Roma. Il signor Johnston-Lavis, in un suo articolo pubblicato nel Bollettino della Società geologica, aveva notato che il Sabatini nella sua memoria sulle isole Eolie, a proposito dei basalti di Strombolicchio, aveva indicato una sola va- rietà di pirossene, l’augite, mentre ve ne sono due, l’augite, cioè, ed un piros- sene verde. Inoltre quei basalti contengono inclusi di quarzo. L’autore risponde che gl’inclusi non li vide, perchè fu a Strombolicchio di sera, al solo scopo di portar via qualche campione della lava che forma quell’isolotto. Di questa lava egli dette la composizione, in cui entra solo l’au- gite, ma non vi si trovano pirosseni colorati. Questi dunque se furono trovati dal Johnston-Lavis devono esistere in vicinanza degl’inclusi di quarzo e dovuti al metamorfismo delle parti della roccia in contatto di quest’in elusi, secondo fu nettamente indicato dal Lacroix. Sacco F. — I molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte XVII: « Cerithiidae, Triforidae, Cerithiopsidae e Diasto- midae » . — Parte XVIII : « Melaniidae, Littorinidae, Fossaridae, Rissoidae, Hydrobiidae, Paludinidae e Valvatidae ». — Parte XIX : « Turritellidae e Mathildidae ». — Torino, 1895. Questi tre fascicoli che formano la continuazione dell’opera, di cui si diede conto nelle bibliografie degli scorsi anni, contengono la illustrazione delle fa- miglie indicate nel titolo e, come quelli, sono corredati da tavole in lito- grafia, contenenti 193 figure. Sacco P. — L Appennino settentrionale. Parte III, La Toscana: studio geologico sommario. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 2). — Roma. In continuazione dello studio geologico dell’ Appennino settentrionale, l’au- — 450 — tore dà in questo lavoro una succinta relazione sulla geologia della Toscana. Per i terreni precretacei, riferendosi a lavori precedenti di diversi geologi, si limita a dare alcuni cenni, indicando le località ove essi sono specialmente sviluppati. Venendo al Cretaceo, l’autore, nelle osservazioni fatte in Toscana, trova la conferma alfa sua opinione di ritenere, cioè, cretacea la grande zona degli scisti ofìolitiferi, attribuita da molti geologi all’Eocene superiore, sia per i fos- sili caratteristici rinvenutivi, sia per i rapporti stratigrafìci fra questa e le formazioni riconosciute assolutamente cretacee; e ciò malgrado le anticlinali e sinclinali spesso ripiegate e coricate che è costretto ad ammettere per tale in- terpretazione. Ricordando le considerazioni generali già esposte trattando del Cretaceo nella la e 2a parte di questo studio, passa in esame tutti gli affioramenti di questo terreno nella Toscana. Passa quindi all’Eocene, osservando che tanto l’ Eocene superiore (Bar- toniano ) quanto l’inferiore ( Suessoniano ) mancano completamente in questa regione. Sviluppato e potente è invece il Parisiano , costituito di diverse are- narie e di scisti marnoso-calcarei. Nota però che i rapporti tra questi due ter- reni non sono sempre ben netti, trovandosi gli uni ora sopra, ora sotto agli altri. Indicati i fossili di questa formazione, viene ad una descrizione sommaria delle due zone. Del Miocene mancano, secondo l’autore, in Toscana le assise inferiori ed è solo rappresentato il Messiniano , il quale però per certi caratteri potrebbe anche, almeno in parte, collocarsi alla base del Pliocene. Ne descrive gli affio- ramenti principali. Passa quindi successivamente in rassegna tutti gli altri terreni sino al più recente. Sacco F. — Trionici di Monteviale. (Atti R. Acc. Se. di Torino, XXX, disp. 12). — Torino. In questa nota l’autore dà il risultato dello studio fatto, su due esemplari di Trionici scoperti negli strati lignitiferi di Monteviale. Questo giacimento, per la presenza di Anthracoterium magnum, sembra doversi riferire all’oligo- cene inferiore. L’autore descrive i resti di questi due fossili e ritenendoli appartenenti ad una specie affine al Trionix Capellina Neg., rinvenuto negli scisti lignitiferi del Monte Bolca, e di cui la varietà monlevialensis Neg. fu già segnalata nelle ligniti di Monteviale, li considera come varietà del T. Capellina che chiama var. gracillima e var. expansa. Essi sono illustrati in una tavola lito- grafica. 451 - Sacco F. — I coccodrilli del Monte Bolca. (Mem. R. Acc. Se. di Torino, Serie II, Tomo XLV). — Torino. In questa nota è data la descrizione di cinque esemplari di Crocodilus vicetinus, specie fatta già conoscere da parecchi anni da P. Lioy, ed alla quale gli esemplari corrispondono abbastanza bene, e viene illustrata una nuova specie col nome di Crocodilus bolcensis Sacco. Lo scheletro che servì di base a questa ultima determinazione era stato dal Nicolis ritenuto come C. vicetinus , ma da un esame accurato l’autore deduce che esso non appartiene nè al vero coccodrillo tipico, nè ai rincosuchidi, ma bensì al gruppo dei coccodrilli che dal Gray sono indicati col nome di Mecistops; però tenuto conto dell’imper- fetta conservazione dell’esemplare e poiché anche i Mecistops vengono dal Bou- langer riuniti al genere Crocodilus , l’autore riferisce la nuova specie a questo genere, avvertendo che esso appartiene al gruppo dei coccodrilliani gavialoidi e probabilmente al sottogenere Mecistops. Uno degli esemplari del C. vicetinus presenta bene conservato lo sche- letro esterno che è simile a quello del C. niloticus. Al lavoro è unita una tavola. Sacco F. — Les rapports géo-tectoniques entres les Alpes et les Apen- nins. (Bull. Soc. belge de Géol., Hyd. et Pai., IX). — Bruxelles. La vecchia quistione relativa al punto nel quale gli Appennini si staccano dalle Alpi, oramai risolta e accetata dalla maggioranza dei geografi e dei geo- logi in favore del colle di Cadibona, porse occasione all’autore di fare un con- fronto geo-tettonico fra le due catene, per arrivare alla conclusione che detto passaggio va invece stabilito alle depressioni dei Giovi non lungi da Ge- nova. Egli non accetta l’idea, generalmente ammessa, che l’Appennino setten- trionale sia la continuazione diretta delle Alpi, ma ritiene le due catene affatto distinte fra di loro, essendo quest’ultima una catena arcaica con ricoprimenti paleozoici e mesozoici, e l’altra una catena mesozoica con ricoprimenti ce- nozoici. Il prolungamento delle Alpi và verso il mare, ed è in una parola l’antica Tirrenide, ora rappresentata da pochi lembi emergenti nell’ arcipelago toscano, che sta a sud, si riannodano col massiccio arcaico calabro-siculo, dal quale sono separati dalla grande depressione tirrenica. Il gruppo corso-sardo avente una costituzione geologica e caratteri paleontologici, specialmente nella Sardegna meridionale, ben differenti da quelli della catena alpina, apparter- rebbe ad altro massiccio. La zona archeo-mesozoica alpina, dopo avere costi- tuito la Sicilia settentrionale, passa curvandosi nell’Africa a formare l’Atlante^ e poi, curvandosi maggiormente, anche lo stretto di Gibilterra, per proseguire nella Sierra Nevada in Spagna e terminare nelle Isole Baleari. In quanto all’ Appennino, la sua estremità nord-occidentale sarebbe nella — 452 — Collina di Torino e al sud-est si prolungherebbe nella catena appulo-garganica in rapporto coi monti della Dalmazia e della Grecia. Una tavola accompagna l’interessante lavoro. Sacco F. — Le « Rhinocéros > de Dusino (Rhinocéros etruscus Falc ., var. Astensis Sacco). (Archives du Muséum d’histoire naturelle de Lyon, T. YI). — Lyon. Questo Rinoceronte, scoperto l’anno 1880 nel territorio di Dusino, presso Villafranca d’Asti, scavato per intiero e restaurato per opera del prof. Baretti, che lo presentò al Congresso geologico internazionale di Bologna nel 1881, non era ancora stato illustrato. A questo lavoro si è accinto l’autore, il quale, dopo alcune indicazioni sulla posizione stratigrafìca del fossile, corrispondente alla parte media del pliocene superiore, passa ad un dettagliato esame osteo- logico del medesimo, confrontandolo con i rinoceronti fossili più affini e col vi- vente R. javanus. Il fossile di Dusino è forse il più completo ed il meglio conservato dei rinoceronti pliocenici,* esso presenta le maggiori affinità col R. etruscus Falc., per cui l’autore lo considera come una varietà di questo, che egli chiama astensis. Quattro belle tavole, con le fotografie dell’animale restaurato e delle varie sue parti, corredano l’importante lavoro. Sacco F. — Relazione geologica sopra un progetto di derivazione d'acqua potabile dalla regione Priglia ( Savigliano ). - — Torino, 1895. Trattasi di un parere geologico sopra un progetto inteso a fornire acqua potabile alla città di Torino e ad altre minori, derivandola dall’alta valle del Po I/autore incomincia col considerare lo stato di questa valle come è attual- mente e com’era prima del quaternario ; passa quindi ad esporre sommaria- mente la costituzione geologica delle montagne e della pianura tra la Stura ed il Po per venire a parlare della idrografia superficiale e sotterranea. Fa in seguito un esame geologico speciale della regione Priglia fra Villafalletto e Savigliano, per passare allo studio del progetto di derivazione, dichiarandolo buono e degno di essere preso in considerazione. Salomon GL — Sul metamorfismo di contatto nel gruppo dell' Adamello. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 2). — Roma. È questo un breve cenno preliminare intorno ad alcuni dei risultati cui l’autore è pervenuto nello studio ch’egli per più anni è andato facendo sul gruppo dell’Adamello, interessantissimo per trovarsi ivi svariatissime roccie che hanno subito il metamorfismo di contatto esercitato da una sola roccia pluto- nica, la tonalite. Questa viene in contatto con strati dell’Arcaico, del Permiano — 453 e del Trias inferiore e medio, litologicamente costituiti da gneiss, micascisti, filladi, arenarie, grauwache, argilloscisti, conglomerati, marne, tufi vulcanici, calcari e dolomie. La tonalite lungo il suo limite occidentale è accompagnata da una zona di roccie di contatto, per la maggior parte perfettamente cristalline, della com- posizione mineralogica di gneiss, micascisti e quarziti, e molte con taluni componenti, come la biotite e la cordierite, concentrati in modo da formare noduli o macchie- Tali roccie risultarono all’autore derivate quasi interamente dalle arenarie e grauwache del Permiano. Anche alcuni strati arenacei del Servino si trasfor- marono in roccie simili, conservando però quasi sempre una scistosità o una disposizione parallela di certi elementi e specialmente delle macchie. G-li argilloscisti del Permiano e ' gli argilloscisti e le marne del Trias {servino) si trasformarono in micascisti, gneiss e veri « Hornfelse. » Risultato importante dello studio dell’autore è ancora l’aver provato l’età postpaleozoica della tonalite dell’Adamello, negata da Lòwl. Salomon Gt. — Ueber die Contactminer alien der Adamellogruppe. I. Wer- nerit (Dipyr von Breno). (Tschermak’s min. und petrogr. Mittheil . Ed. XV, H, 1-2). — Wien. Idem, Idem. — (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Voi. XXVIII, 15). — Milano. Già Escher von der Linth aveva segnalato la presenza di calcari contenenti cristalli di un minerale nero presso Breno (Valcamonica), allo sbocco della valle di Fa, senza però determinare il minerale stesso. I calcari che apparten- gono alla parte superiore del Muschelkalk alpino si trovano precisamente presso Niardo ed i casolari della Nes a mezz’ora da Breno. Il minerale è stato de- terminato dal Salomon per wernerite nel senso di Dana, ed è da considerarsi come un minerale prodotto per metamorfosi di contatto nei calcari, dalla vicina massa di tonalite dell’Adaniello. La wernerite si trova in due varietà: in prismi quadrati od ottagonali neri a superfìcie scabra, oppure in prismi lim- pidi di splendore vitreo non colorati; questa è però la varietà più rara. L’au- tore paragona l’analisi del minerale di Breno con numerose analisi di altri dipiri, couseraniti, mizzoniti e werneriti di altre località per stabilire quale posto gli spetti nella serie delle scapoliti, ed aggiunge un indice bibliografico degli autori che hanno parlato del dipiro e della sua presenza in varie roccie. Nei dintorni di Breno, presso Niardo e Santello di Degno, il dipiro com- pare nei calcari, ma ad una certa distanza dalla massa eruttiva, non in imme- diato contatto con questa, dove i calcari invece sono trasformati in marmo a grossa grana ripieno di granati, vesuviana ed altri silicati. Da ciò l’autore de- duce che il dipiro di Breno è un minerale di contatto della tonalite, ma che è limitato alla zona esterna dell’aureola metamorfica. Invece dall’esame di altre località dóve il dipiro è stato trovato risulterebbe che esso deriva pure dal contatto di altre roccie eruttive, quali granito, sienite eleolitica, ofìte, lherzo- lite, e che compare anche in immediata vicinanza di queste nei calcari. Da ciò l’autore deduce che la specie di metamorfosi di contatto dipende non dalla natura della roccia metamorfosante soltanto, ma anche da quella della roccia metamorfosata. Salomon W. — Geologische und palaeontologische Studien uber die Mar- molata. (Palaeontographica, Bd. XLII, Lief. 1-3). — Stuttgart. Questo importante lavoro è dedicato essenzialmente all’illustrazione della fauna del calcare della Marmolata (Alpi venete). L’esame dei gasteropodi ne è però escluso, perchè affidato al dott. J. Bòhm. L’autore studia dapprima la serie geologica che costituisce la Marmolata. Vi distingue il Permiano, rappresentato dai calcari bituminosi a Bellerophon T i quali per lui possono contenere anche parte del Buntersandstein inferiore, e il Trias, che comprende gli strati da quelli di Werfen fino al calcare della Marmolata, cioè gli strati di Werfen, quelli a Ceratites binodosus e C. trino- dosus , che l’autore comprende nel nome di Muschelkalk alpino, quelli di Buchen- stein, quelli ad Halobia Lommeli e il calcare della Marmolata propriamente detto. Col nome di strati ad Halobia Lommeli l’autore comprende gli orizzonti intercalati tra gli strati di Buchenstein e quelli di Raibl. Egli ritiene che gli strati di origine vulcanica di Wengen e quelli marini di S. Cassiano siano fa- cies contemporanee e mostra che sulla Marmolata sono rappresentate entrambe. A proposito deirorigine dei calcari e delle dolomie degli strati con H. Lom- meli fautore combatte lungamente la teoria del Richthofen e del Mojsisovics sulforigine coralligena delle dolomie e dei calcari del Trias albino e crede col Rothpletz, che invece siano dovuti ad accumuli di Diplopore, formatisi sul fondo marino là dove non avvennero eruzioni e trasgredendo poi sulle masse eruttive. La magnesia delle dolomiti e dei calcari dolomitici proviene, secondo l’au- tore, da sali magnesiaci formatisi negli accumuli di Diplopore per l’azione di sostanze organiche. L’autore esamina quindi l’età del calcare della Marmolata, il quale è ri- guardato come una facies a Diplopore, mentre gli strati a brachiopodi di Val di Rosalia sono indicati come una colonia di brachiopodi locale; e viene alle seguenti conclusioni principali: Il calcare della Marmolata è corrispondente al- l’incirca al complesso degli strati di Wengen e di S. Cassiano; è più giovane degli strati di Buchenstein e più antico di quelli di Raibl ; esso ha tante forme comuni col Muschelkalk alpino, che si può dire provenga da esso e non ne sia separato da grande spazio di tempo; ha molte forme comuni col Muschelkalk tedesco ed abbraccia forse tutto o in parte il Muschelkalk extralpino superiore, ma nelle Alpi non si può fissare il limite del Keuper. L’autore inoltre con- — 455 — chiude che le parti fossilifere del calcare di Esino sono contemporanee con gli strati fossiliferi del lato Nord della Marmolata e col WettersteinJcalk; che la Schlerndolomit pare equivalente al calcare della Marmolata ; che gli strati di Buchenstein della Alpi meridionali corrispondono verosimilmente alla parte su- periore del Muschelkalk superiore delle Alpi settentrionali. Segue l’esame delle condizioni tettoniche della Marmolata, i cui risultati sono i seguenti: La Marmolata è costituita da un insieme di strati pendenti a Nord con media inclinazione, dislocato da varie fratture longitudinali e tra- sversali; essa presenta una struttura embricata originata da una serie di su- perfìcie di scorrimento parallele ed egualmente inclinate. La parte paleontologica è molto estesa ed esamina i fossili degli strati di Werfen, di quelli di Buchenstein, di Wengen, di S. Cassiano e del calcare della Marmolata propriamente detto, pei quali è riserbata la massima parte della monografìa. Riesce impossibile di fare un riassunto di tutte le importanti osservazioni paleontologiche contenute in questo volume. Vi sono esaminati i brachiopodi, i lamellibranohi e i cefalopodi della Val di Rosalia e le diplopore, gli antozoi, i crinoidi, gli echinidi, i brachiopodi, i lamellibranohi, i cefalopodi e i crostacei del versante settentrionale della Marmolata, nonché i cefalopodi del calcare del Latemar (Forno di Fiemme). Sono illustrate 162 specie, fra le quali 49 sono in- dicate come nuove. Vi è descritto fra le Spirigera , il nuovo sottogenere Didymospira e fra le Mytilidae il nuovo genere Mysiodiptera. Importanti sono le osservazioni sulle Evinospongia, che l’autore crede pos- sano appartenere davvero a resti di alghe, sebbene lasci aperta la questione. La monografia porta 8 tavole in litografia e 14 figure nel testo. In un’appendice l’autore esamina brevemente varie pubblicazioni di M. Ogilvie, di v.Wòhrmann, di Bittner e di Ritti; in contraddittorio con quest’ultimo sostiene che non c’è alcuno argomento geologico e paleontologico per considerare come appartenenti alla stessa unità faunistica gli strati di Buchenstein e il calcare della Marmolata. Schmidt C. — Observations sur la geologie de la regioni da Simplon . (Archi ves des Sciences phys. et nat., voi. XXXIV). — Genève. L’autore riferisce alla Società geologica svizzera intorno alle ultime sue osservazioni sulla geologia del Sempione presentando nove profili trasversali di tutto il gruppo. Queste osservazioni confermerebbero l’interpretazione da lui data, della struttura geologica della regione, nell’ultima carta geologica svizzera, nella quale figurano roccie arcaiche e depositi mesozoici che vengono dall’autore descritti. Dal risultato delle osservazioni fatte l’autore è indotto a spiegare la tet- tonica della regione diversamente dai vari autori che la studiarono, e cita in - 456 — proposito lo Zeller, e l’ipotesi ammessa dai signori Heim, Lory, Taramelli e Renevier che esaminarono un progetto di tunnel attraverso il Sempione. Anche il profilo presentato da Heim nel 1888, e lo schizzo schematico pub- blicato dal Traverso nel 1895, non corrisponderebbero, secondo l’autore, alle vere condizioni geologiche della catena. Egli tenderebbe a stabilire che le for- mazioni arcaiche e mesozoiche formano ivi un solo ed unico sistema di ripie- gamento e di ricoprimento. Scott H. — The mines of Elba. (Journal of thè Iron and Steel In- stitute, n. 1, for 1895). — London. L'autore, che nel 1893 fu incaricato di stabilire un laboratorio chimico per la miniere di ferro a Rio Marino e di funzionare come chimico di quelle e dello stabilimento di Follonica, riunisce in questa nota le osservazioni da lui fatte in quelle miniere e loro minerali, aggiungendovi un cenno storico, un riassunto delle condizioni geologiche e quant’altro può interessare quell’industria. La parte originale e nuova è naturalmente quella che si riferisce all’og- getto speciale per cui orasi impiantato il laboratorio : quello cioè di stabilire se ed in qual misura fosse vero trovarsi all’Elba del minerale inquinato da fosforo e da arsenico. Risultato delle ricerche dell’autore fu quello di determinare i punti in cui il minerale è impuro. Sestini F. — Composizione chimica della grafitile del Monte Pisano (Gazz. chim. it., Anno XXV, fase. 1). — Roma. E la riproduzione della nota pubblicata lo scorso anno nei Processi ver- bali della Soc. toscana di Se. nat. (v. Bibl. 1894). Sestini F. — Ricerche sulle grafiti italiane. (Gazz. chim. it., anno XXV, fase. 8) — Roma. (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., Voi. IX, 18 gen- naio 1895). — Pisa. L’autore ha analizzato le grafiti di varie località d’Italia, e precisamente quelle del Pizzo Bianco (Monte Rosa), di Calabria (località ignota); di Pre- molle (presso Pinerolo), del Monte Pisano e del Monte Amiata. Fra queste grafiti solo le prime tre presentano la reazione del Luzi, e sono perciò vere grafiti, mentre le altre sono piuttosto grafititi. Silvestri A. — Nuove notizie sulle Cyclamminae ( foraminiferi ) fossili. (Atti e Rend. delPAcc. di Se., lett. e arti dei Zelanti e PP. dello Studio di Acireale, Nuova Serie, VI). — Acireale. Il genere suindicato di foraminifere fu dall’autore ritrovato fossile alcuni anni or sono nel Pliocene inferiore dei dintorni di Siena: ulteriori ricerche praticate nella medesima regione gli permettono ora di dare maggiori dettagli - 457 - sulla C. cancellata Bradv, già illustrata negli atti della stessa Accademia, e di far conoscere un’altra specie, la C. pusilla Brady, unica per il Pliocene ita- liano. Il medesimo genere è stato poi trovato dal De-Amicis nel Pliocene inferiore di Bonfornello in Sicilia, rappresentato da una specie che egli designa col nome di C. pliocaena. Simonelli Y. — Sopra un nuovo Pteropode del Miocène di Malta. (Boll. Soc geol. it., XIV, 1). — Roma. E una Cavolinia ritrovata in una copiosa ed interessante raccolta di fossili terziari maltesi esistente nell’Istituto geologico di Bologna e dovuta alle cure del prof. Cooke: in essa l’autore rileverebbe una specie nuova, che, dal nome del donatore, chiamò C. Cookei. Lo strato entro cui fu raccolto il fossile rimane alla base del calcare a globigerine, nella parte superiore della serie aquitaniana: esso è caratteristico di tale orizzonte, nè mai si trovò al disopra o al disotto di quello strato. Di questo singolare pteropode l’autore dà la figura ed una estesa descrizione. Squinabol S. — Dal Fortore al Gargano : note di escursioni. (Il Rina- scimento, voi. I, fase. I). — Foggia. L’autore espone il risultato scientifico di alcune gite fatte nella regione compresa fra il Fortore ed il Gargano, con qualche punta nell’interno di quest’ul- timo. Meta importante di queste escursioni è anzitutto lo scoglio delle Pietre Nere, unico punto del Gargano dove affiorano roccie eruttive antiche, dette già basalti o sieniti dal Tchihatchoff e dal Pilla, e ora garganiti dall’ing. Viola che ne ha fatto lo studio di recente. L’autore fa una descrizione di questa punta, singolare, in tutto conforme a quanto ne scrisse l’autore predetto e ne dà una cartina in grande scala rilevata appositamente. Accenna pure ad un’altra località dove si rinvengono le medesime roccie che alle Pietre Nere, cioè a San Giovanni in Pane, ma non assicura che esse siano in posto o tra- sportate. Parla pure di altri luoghi del Gargano verso San Nicandro e San Marco in Lamis, riferendosi per questi alla descrizione fattane dallo stesso Viola e dal Cassetti. Chiude il lavoro un cenno sui bradisismi locali e sui mutamenti connessivi, rilevando nel Gargano un movimento dì depressione che si esercita da tempo remotissimo e che tuttora continua. I laghi di Varano e di Lesina sarebbero appunto il risultato di tale abbassamento. Per contrapposto accenna ad un bra- disismo ascendente affatto locale, nel tratto circondante le Pietre Nere, notato, oltreché dall’autore, dal predetto ing. Viola, ma di maggiore entità di quanto questi lo supponesse: siffatto parziale sollevamento, secondo l’autore, avrebbe avuto una certa influenza nei cambiamenti avvenuti e che ancora avvengono nel corso inferiore del Fortore. - 458 - Steinmann Gr. — Geologi 'sche Beobachtungm in den Alpen : I. Das Al- ter der Biindner Schiefer. (Berichte d. naturf. G-esell. zu Freiburg i. B., IX Bd., 3 Heft). - Freiburg i. B. L’autore limita il significato di « Biindner Schiefer » solamente agli scisti argillosi (fìlladici) in parte calcariferi, in parte no, con lenti di arenarie a grana molto minuta e di calcari impuri, che corrispondono petrografìcamente ai Glanz- schie/er, schistes lustrés , ed ai calcescisti e filladi , degli autori delle diverse na- zionalità che hanno studiato le Alpi occidentali; rimangono escluse le masse di calcari puri e dolomitici, i gessi e le carniole al pari delle roccie verdi. Questi « Biindner Schiefer » così intesi sono stati attribuiti dai varii autori al lias, al terziario antico (eogene), oppure all’arcaico o paleozoico. Lo Stein- mann nel suo studio conclude che il flysch oligocenico del Pràttigau caratte- rizzato da ChGndrites ed Helminthoides si trasforma gradualmente negli scisti di Schyn e della Via Malà, finora attribuiti al paleozoico, oppure al Trias o Giurese. Questa trasformazione è dovuta all’aumentò di cristallinità e al can- cellarsi delle impronte dovute al costipamento degli strati ripiegati fortemente. Le roccie di carattere diverso dal flysch che si ritrovano inglobate da esso presso al contatto coi calcari e le masse eruttive mesozoiche, non sono che masse estranee al flysch , incorporate a questo da grandiosi accavallamenti e spostamenti. L’autore chiude questa prima parte del suo studio domandandosi se i ri- sultati dello studio dei « Biindner Schiefer » nei Grigioni si debbano estendere a tutto il resto della catena fino alle Alpi Marittime, quistione che promette di discutere in una prossima continuazione. Stella A. — Sui terreni quaternari della valle del Po in rapporto colla Carta geologica d'Italia. (Boll. R. Oom. geol., XXVI, 1). — Roma. Questa nota è una concisa spiegazione della Carta geologica della pianura del Po, presentata dal R. Ufficio geologico al Congresso internazionale di Zu- rigo del 1894; la quale Carta, posteriormente modificata in più parti, com- prendeva la pianura dalla Dora Riparia al Mincio, ed era stata compilata dal- l’ing. Stella insieme col prof. Tarameli! in base a rilevamenti proprii e degli altri incaricati dall’Ufficio stesso, i signori Pantanelli, Sacco, Cozzaglio e Bruno I terreni distinti e rappresentati sarebbero: Alluviale - Torbe - Dune continentali e litoranee. Diluviale superiore o recente - Morenico - Conglomerati diluviali recenti. Diluviale medio ) . . i Conglomerati diluviali antichi. Diluviale antico ) La distinzione principale in diluvium e diluvium è giustificata da carat- teri paleontologici e paletnologici, e si concreta nella differenza di regione Alluvium | Diluvium { — 459 idrografica, per cui nella pianura diluviale i fiumi o scavarono terrazzi e solchi , o sovrapposero conoidi o alluvioni vaganti. Nell’alluviale non sono possibili ulteriori suddivisioni cronologiche. Le tra- sformazioni idrografiche dell’area alluviale, sia lungo i fiumi che alla spiaggia adriatica, sono in gran parte oscillazioni alterne intorno a uno stato medio di equilibrio idraulico. Dune continentali non prima d’ora segnalate, sono certi dossi sabbiosi della Lomellina. ^ Nello studio del diluviale si parla prima della pianura subalpina, poi della subapennina. Dalla discussione delle osservazioni fatte in quella, e nelle valli alpine, si compendiano i risultati colla seguente tabella. in pianura Entro le valli alpine Diluvium superiore o recente (Espansione glaciale più recente) in doppia fase Alluvioni del piano generale ter- razzato e morene degli anfi- teatri (compresi i cordoni esteriori) Alluvioni terrazzate e lembi morenici tipici. Diluvium medio (interglaciale) Alluvioni degli altipiani dilu- viali intermedi Alluvioni terrazzate più alte. Diluvium inferiore o antico (espansione glaciale più antica) Alluvioni degli altipiani dilu- viali più alti (ferrettizzate) e facies glaciale dei medesimi Diluvium antico e fa- cies morenica del me- desimo. Nella pianura subapennina si può soltanto distinguere dal diluviale recente una formazione continentale di altipiani più antichi. Conglomerati si trovano in tutti i piani del diluviale, oltre che nell’allu- viale. I limiti del Pliocene sono difficili da stabilire, tanto che s’intende, che la denominazione di diluviale antico comprende tutte la formazione continentale inferiore fino alFincontro del Pliocene marino. Stella A. — Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in Valle Va- raita (Alpi Cozie ). (Boll. R. Gom. geol., XXVI, 3). — Roma. II rilevamento comprende il bacino della Yaraita, escluso il ramo di Bel- lino, e lo sbocco della valle. Dopo un cenno oroidrografico, si parla brevemente del quaternario accen- nando alla estensione del morenico, diluviale, alluviale e dei detriti. Le altre formazioni sono scisti cristallini e vi si fa una distinzione provvisoria in 2 re- gioni : la gneissica e quella delle pietre verdi. Le roccie della prima, costituì- — 460 — scono un settore d’elissoide nella bassa valle, e comprendono: gneiss (di tipo centrale e di tipo minuto) con lenti granitiche, e subordinatamente micascisti, calcari marmorei , anfibolia. Le roccie della seconda regione ammantano quelle della prima, e sono successivamente micascisti , con gneiss prevalentemente mi- nuti; poi quarziti , calcescisti e filladi con calcari cristallini e con micascisti nodulosi e inserzioni di pietre verdi diverse ; l’enorme amigdala del Monte Viso è la più importante di queste lenti complesse nei calcescisti. L’autore fa la diagnosi di ciascun gruppo di roccie, e ne espone l’assetto nelle zone della regione. Nelle roccie scistoso-micacee è notevole la presenza di micascisti a glauco fané con lenti eclogitiche nella regione gneissica ; e la ab- bondanza di micascisti a sismondina nella regione superiore. In queste roccie notasi una mica speciale di tipo intermedio fra la muscovite e la biotite. Delle roccie verdi l’autore distingue prasiniti , anfibolitì diverse ed eclogiti (spesso a glaucofcne), eufotidi, dioriti ; roccie porfiritiche e didbasiche ; serpentina e serpentinoscisti ; scisti attinotici , cloritici, talcosi; granatiti. Egli insiste sulla netta separazione delle serpentine dalle altre roccie verdi, e sulla presenza, in queste, di porfiriti non mai prima d’ora segnalata. Tacchini P. — Il terremoto di Roma del 1° novembre 1895. (Boll. Soc. sismol. it., I, 12). — Eoma. Questo terremoto avvenne alle 4 e Va circa del mattino e il moto, durato diversi secondi, fa prevalentemente ondulatorio, con direzione poco discosta dal Sud al Nord. I danni prodotti in città furono lievi, ma la durata della oscillazione produsse grande spavento nella popolazione. L’autore ritenne su- bito che il centro del movimento non doveva trovarsi a molta distanza da Soma; il che fu anche provato dalle prime notizie che si ebbero dalla cam- pagna, dalle quali si indusse che l’epicentro dovesse trovarsi verso il mare: in- fatti danni relativamente gravi erano avvenuti a Fiumicino e ad Ostia, mentre i Monti Laziali erano stati poco colpiti. Osservazioni e studi ulteriori dimo- strarono che l’epicentro trovavasi in mare, poco distante dalla spiaggia di Ostia, e che la profondità del focolare sismico dovette essere di 15 chilometri circa. Alla nota è unita una cartina dimostrante l’area colpita dal terremoto, di circa 12 000 chil. quadrati, distinte in zone a seconda della intensità, delle quali quelle di massima forza, che comprende Roma, ne misura 450 circa. Taramelli T. — Le regioni sismiche in Italia. (Corriere della sera, 10-11 die. 1894), — Milano. — (Riv. geogr. it., Annata II, 1). — Roma, 1895. E il sunto di una conferenza tenuta dall’ autore a Milano nel dicembre 1894. Accennato allo stato attuale della scienza geodinamica e parlato dei vari sismografi, descrive le aree sismiche d’Italia e presenta due carte, una geoio- — 461 — gica e l’altra sismica, indicandone i rapporti e mostrando come sai movimenti sismici abbiano molta influenza la natura e disposizioni degli strati terrestri, le fratture del suolo, i corsi d’acqua, ecc. Fa quindi la storia di molti terre- moti e specialmente di quelli che più afflissero l’Italia. Taramelli T. — Sugli strati a Posidonomya nel sistema liasico del Monte Albenza in provincia di Bergamo. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Voi. XXVIII, 10). - Milano. E un contributo alla soluzione del problema tettonico di rovesciamento ri- conosciuto per primo dallo Stoppani, e che interessa tutti i monti a levante di Lecco; tale rovesciamento va trasformandosi poco a poco nella vòlta cori- cata del Monte Albenza, sul cui versante meridionale affiorano gli scisti del retico, che sono poi sviluppatissimi nella Valle Imagna, ossia sul versante orientale dello stesso monte. A questo terreno inferiore segue con molta re- golarità la serie liasica, quindi la giurese e la cretacea. I banchi a Posidonomya , oggetto principale di questa nota, presentano una posizione certamente supe- riore al calcare grigio del domeriano (Bonarelli) ed inferiore alla zona ad ap- tici, là rappresentante cumulativamente i piani giuresi. Il banco fossilifero fu seguito dall’autore per circa otto chilometri, ma pare abbia uno sviluppo molto maggiore. Circa al riferimento di questo piano al lias superiore, egli non crede si possa errare, tanto più che il fossile caratteristico è una specie molto affine alla P. Bronni ; per cui si avrebbe nelle prealpi lombarde un rappresentante di quel livello diverso dal solito rosso ammonitico. Taramelli T. — Dei giacimenti pliocenici nei dintorni di Almenno in prov. di Bergamo. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, voi. XXVIII, 19). — Milano. Questi giacimenti furono per primo descritti dallo Stoppani, che vi distinse le argille azzurre, le sabbie gialle ed il conglomerato detto ceppo : egli però supponeva quest’ultimo quale il risultato di delta torrenziali nel mare plioce- nico e lo riteneva coetaneo dell’argilla; ma tale idea fu più tardi riconosciuta non esatta. La stessa località fu poi studiata dal Varisco, il quale considerò il ceppo come una formazione quaternaria fluvio-glaciale. Altri più di recente ne trattarono, come il Sacco, che collocò il conglomerato nel Villafranchiano, ed il Corti che studiò le fòraminifere dell’argilla. Alcuni scavi eseguiti nei dintorni di Almenno misero in luce nuovi fatti e permisero di fare ulteriori osservazioni, per ciò l’autore conferma l’idea del Varisco della esistenza di due conglomerati, il vero ceppo ed un conglomerato diluviale sovrastante al primo. La differenza fra le due roccie si avverte a preferenza nelle vicinanze di Almenno, ma va perdendosi più a valle: il ceppo è però sempre più tenace e più fortemente cementato dell’altro conglomerato, e i suoi banchi, più estesi — 462 - e distinti, hanno interposto letti di marne gialle e di sabbie. Il conglomerato diluviale, meno resistente agli agenti atmosferici, si sarebbe lentamente tra- sformato in ferretto. In quanto all’età, il ceppo, riferibile alle sabbie gialle nei suoi banchi inferiori, può rappresentare con quelli più elevati un primissimo diluvium , non ancora influenzato da alcun trasporto glaciale : la formazione, nel suo complesso, è decisamente continentale. Taramelli T. — - Osservazioni sul Paleozoico delle Alpi Carniche. (Boll. Soc. geol.. it , XIV, 2). — Eoma. Rimandando ad altro lavoro un più esteso trattamento, l’autore rende conto in modo sommario dei risultati di una gita d’una ventina di giorni da lui fatta sulle Alpi Carniche insieme al prof. Tommasi ed ai dottori Brugnatelli e De Angelis. La serie delle formazioni paleozoiche regolarmente sovrapposte agli scisti argillo-micacei ed ai micascisti azoici, comprende il Siluriano, il Devoniano, il Carbonifero ed il Permiano; riguardo a quest’ultimo conferma l’attribuzione da lui già precedentemente fatta ad esso delle roccie porfìriche e tufacee, dal Frech riferite al Carbonifero inferiore. Seguono con leggera discordanza le arenarie rosse con puddinghe quar- zose del piano di Gròden, e quindi i calcari a Bellerophon coi gessi e colle dolomie cariate. Cinque località fossilifere di questa formazione, trovate nella gita di cui si tratta, varranno a fornire nuovi elementi per decidere se il piano deve riferirsi al Permiano o non piuttosto al Trias, come, con altri, inclina a credere l’autore. Taramelli T. — Osservazioni stratigrafiche sui terreni paleozoici nel versante italiano delle Alpi Carniche. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, Voi. IV, 2° sem.). — Roma. L’autore fa una esposizione preliminare dei risultati principali delle osser- vazioni fatte in Carnia, specialmente a controllo dei suoi vecchi studi nella regione, da cui da molto diverge il Frech nella sua opera sulle Alpi Carniche. Tali divergenze sarebbero in molta parte erronee e dipendenti da insufficienza di osservazioni. Ciò dimostra l’autore passando in rassegna le seguenti forma- zioni ivi sviluppate: Siluriano, cioè scisti a graptoliti e calcare a ortoceratiti. Devoniano, nella facies corallina e nella zona a Clymenia. Carbonifero, già studiato in parte dal Tommasi e riveduto bene in un profilo del M. Pizzul. Da esso sarebbero da escludere le roccie eruttive (dia- basiche e porfìriche) spettanti invece al Permiano. Permiano, colle suddette roccie eruttive e col calcare a Bellerophon, per la prima volta constatato nelle Alpi carniche italiane. - 463 - Tassinari P. — Analisi chimica dell'acqua del Doccione dei Bagni Caldi {Bagni di Lucca). — Livorno, 1895. È questa la principale fra le sorgenti che forniscono gli stabilimenti ter- mali dei Bagni di Lucca ed ha una temperatura di oltre 54° ed un peso spe- cifico di 1,003. All’analisi chimica diede in prevalenza solfato di calce, quindi in quantità decrescenti solfato di soda e carbonati di soda e magnesia. Ricerche fatte sopra alcune sorgenti di altri stabilimenti, con temperature sempre più basse e con composizioni variabili uniformemente al variare della temperatura, servono a dimostrare la loro origine comune, spiegando le pic- cole differenze con le speciali condizioni del loro percorso e della loro scatu- rigine. Le analisi furono eseguite nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Pisa. Tedeschi E. — 1 radiolari delle marne mioceniche di Arcevia. Nota ; 'preliminare . (Riv. it. di Paleont., anno I, fase. 1). — Bologna. Queste marne del miocene medio furono già descritte nel 1892 dal Capel- lini in occasione della scoperta di un delfinoide ivi sepolto, e l’autore si ri- mette, pei dati stratigrafìci, a quella descrizione. Egli osserva che esse, per i caratteri litologici e per la microfauna, corrispondono a quelle di Paderno nel Bolognese e di Montegibio nel Modenese, e mostrano in complesso molta mag- giore analogia coi fanghi a globigerine che coi fanghi ad organismi silicei del- l’attualità. La fauna a radiolari offre una ricchezza estrema di forme, poten- dosi calcolare il numero delle specie a circa un migliaio, dove le Cyrtoidea hanno il sopravvento sugli altri gruppi, venendo in seconda linea le *S ’phae- roidea e le Discoidea. Le specie sono da considerarsi per la maggior parte come nuove, ne vi mancano i nuovi generi, in ispecie fra i Larcoidi. La fauna ha carattere abissale e si può ritenere tropicale, come sono le faune attuali più ricche in radiolari, ad esempio, quelle delle Filippine e delle Isole della Sonda. Tellini A. — Alcuni documenti riguardanti i terremoti del Friuli. (« In Alto », cronaca della Soc. Alp. friulana, Anno YI). Udine. L’autore riproduce dei documenti esistenti nella Biblioteca arcivescovile di Udine, relativi ai terremoti di Artegna nel 1511 e di Tolmezzo nel 1783, la cui causa, come di tutti i terremoti friulani, egli, col Tommasi, attribuisce al lavorio erosivo delle acque sotterranee circolanti in una regione eminente- mente calcarea, dolomitica e marnosa, per cui vi praticano cavità che poi per crollo delle pareti possono dare luogo a scuotimenti superficiali. Seguono al- cune osservazioni sul Catalogo dei terremoti friulani pubblicato dal Tommasi 7 - 464 — nel 1888, sul servizio geodinamico governativo e sul modo di fare osserva- zioni sismiche. Tommasi A. — Sulla fauna del Trias inferiore nel versante meridionale delle Alpi. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, Voi. XXVIII, 7). - Milano. È la esposizione succinta dei principali risultati ottenuti dall’autore nello studio della fauna del Trias inferiore delle nostre Alpi, su materiale apparte- nente a diversi musei italiani. Le specie di questa fauna sommano a 58, divise fra 25 generi. I molluschi, ad eccezione di una specie di Lingula , la costitui- scono per intiero, e vi figurano con le classi dei Lamellibranchi, dei Ga3ter- podi e dei Cefalopodi. Le acque basse ed i fondi prevalentemente argillosi dei mari di quell’epoca non erano forze opportune per lo sviluppo dei Brachiopodi e degli Echinodermi. Lo studio dell’autore ha dato 12 forme nuove, che con quelle già cono- sciute solo nel Trias inferiore danno 30 specie peculiari di questo terreno. Tommasi A. — Contributo alla fauna del calcare bianco del Latemar e della Marmolada. (AttidelH. R. Accad. degli Agiati, S. Ili, Voi. I, 3). — Rovereto. Giovandosi degli studi geologici e paleontologici del Salomon sulla Mar- molada (vedi più sopra) e del lavoro sullo stesso argomento pubblicato dal Kittl lo scorso anno, l’autore esaminò il materiale che di quella località esi- steva nel Museo di Pavia, e riscontrò comuni al calcare del Latemar e a quello della Marmolada alcune altre specie, oltre a quelle già note dapprima, e fra esse alcune nuove. Di quest’ultime egli dà la descrizione e insieme la figura in una tavola. Trabucco Gr. — Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Langhiano nella serie miocenica. (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., Voi. IX, 13 gennaio 1895). — Pisa. A questa sostituzione proposta dal Depéret e appoggiata dal Munier- Chalmas e dal De-Lapparent, l’autore si oppone osservando e dimostrando: 1° che le tipiche colline delle Langhe, sulle quali Pareto fondò il suo piano Langhiano sono ricchissime di fossili caratteristici; 2° che il Langhiano tipico non corrisponde solamente allo Schlier , ma sibbene esattamente al 1° Piano mediterraneo; 8° che i limiti stratigrafici e paleontologici del Langhiano sono da tempo stabiliti; 4° che secondo i criteri scientifici e per diritto di priorità deve essere conservato il termine di Langhiano per designare le formazioni del 1° Piano mediterraneo intermedio fra l’Aquitaniano e l’Elveziano. 465 - Trabucco Gr. — Sulla vera età del calcare di Gassino . (Boll. Soc. geol. it., XIII, 2). — Roma. In questa nota l’autore combatte le idee espresse dal Sacco in un suo ar- ticolo, pubblicato nel voi. XII dello stesso Bollettino, circa l’età del calcare di Gassino. Suo scopo è di dimostrare con copia di argomenti paleontologici che quella formazione va riferita al Tongriano e non al Bartoniano, come il Sacco ed altri hanno fatto finora. Trabucco Gr. — Sulla vera posizione dei terreni eocenici dei monti del Chianti. (Boll. Soc. geol. it , XIV, 1). — Roma. Prendendo le mosse da una pubblicazione del Lotti nella quale è data la serie stratigrafìca dei monti del Chianti e combattendone le conclusioni, 1’ au- tore tende a dimostrare che la stratificazione dell’eocene del Chianti è perfet- tamente identica a quella del bacine di Firenze, intorno alla quale egli emise le sue vedute in altre due note (vedi Bibliografìa del 1894). Egli premette una rapida descrizione geologica delle località in discussione, da cui risulterebbe che quei monti sono costituiti da diverse elissoidi di are- narie, contigue, corrispondenti ad anticlinali, in mezzo alle quali stanno le sin- clinali in cui i galestri o il calcare nummulitico ricoprono il macigno, e ciò a differenza della opinione del Lotti che vorrebbe questi ultimi intercalati nel- l’arenaria anziché superiore ad essa. La nota è accompagnata da una tavola di sezioni. Trabucco Gr. — Sull’età geologica del mdcigno di Firenze. (Boli. Soc. geol. it., XIV, 1). — Roma. In risposta ad una nota del Lotti relativa alla età delFarenaria-macigno di Firenze (vedi più sopra), l’autore intende dimostrare che nessuno prima di lui aveva collocato il macigno alla base dell’Eocene, mentre prima l’opinione generalmente ammessa era che il medesimo fosse ritenuto decisamente cretaceo . Egli poi rivendica a sé la priorità della scoperta di nummuliti nel detto ma- cigno. Esclude poi che la promiscuità di nummuliti e di inocerami negli strati eocenici del bacino di Firenze, annunciata dal Lotti, sia conforme al vero. Trabucco Gr. — Sulle nummuliti dell' arenaria macigno del bacino eoce nico di Firenze. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 1). — Roma. E una breve comunicazione nella quale l’autore tende di rivendicare a sé la scoperta di nummuliti nel macigno fiorentino, citando, oltre a quella di Monte Ceceri (Vedi Bibliografia 1894) la località di S. Andrea Sveglia lungo la valle del Mugnone e precisamente la cava di Villa di Masseto e quella di Poggio Gino, e altre, dalle quali estrasse centinaia di esemplari di nummuliti. — 466 — Trabucco Gr. — II Langhiano della 'provincia di Firenze. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 2). — Roma. In questa nota l’autore prende in esame la parte orientale della provincia fiorentina, la cosidetta Romagna toscana, nella quale ha raccolto molti fossili che non lasciano dubbio sulla età di quelle formazioni marno-calcareo-arenacee. Queste devono essere ascritte al miocene medio, piano langhiano, ed essere assimilate a quelle coeve delle tipiche colline delle Langhe, della Collina di Torino, di Val Scrivia, di Val Staffora, ecc., ecc. Anche la disposizione delle roccie e il carattere del paesaggio ricordano perfettamente quelle delle tipiche Langhe. Alla estremità orientale della provincia po', sugli strati langhiani, pog- giano in discordanza i terreni messiniani (gessoso -solfiferi) e i pliocenici infe- riori (argille e breccie conchigliari) illustrati dallo Scarabelli, dal Manzoni e dal Foresti. Trabucco GL — Terremoto della Romagna-toscana del 4 settembre 1895. (Boll. Soc. geol. it., XIV, 2). — Roma. E una comunicazione fatta in occasione dell’ adunanza della Società geo- logica italiana in Lucca nel settembre 1895, nella quale 1’ autore parla di os- servazioni fatte in una gita attraverso la Romagna toscana. Si tratta di un moto tellurico localizzato, il quale produsse qualche danno ai fabbricati nella sola zona mesosismica, e che continuò, con lievi scosse per qualche tempo nella regione dell’epicentro, la quale, molto ristretta, si estende per un raggio di alcuni chilometri e circonda il cosidetto Vulcanello nel comune di Portico. L’autore crede il fenomeno prodotto da esplosione di gaz infiammabile tratte- nuto sotto pressione in cavità del sottosuolo. Trautschold H. — Vom Ufer des mittellàndischen Meeres. (Bull. Soc. imp. des Naturlistes de Moscou, Annóe 1895, n. 1). — Moscou. L’autore nell’ inverno 1893-94 ha fatto nei dintorni di Nizza alcune, osser- vazioni sulla natura e distribuzione dei conglomerati littorali che a quanto gli è sembrato confermano le sue vedute esposte in altre occasioni sopra un mo- vimento di regresso del mare nell’ emisfero settentrionale dal Cretaceo in poi. I conglomerati in questione sono molto diffusi lungo la Riviera di ponente, e sono stati assegnati da diversi autori ad età differenti, variabili dal qua- ternario al miocene e ritenuti di origine marina, fluviale e glaciale. L’autore passa per ciò in rassegna le opinioni di Issel, Rosemont, Tournouèr e Potili sull’argomento, e conclude per ritenere i conglomerati in questione tutti di origine marina, e formatisi per l’azione del mare sulla costa nei periodi succes- sivi all’emersione delle masse giuresi e cretacee, quindi terziarii, quaternarii — 467 — e recenti, riguardando tal fatto come una prova del moto continuo di ritiro del mare. Traverso S. — Geologia delVOssola. — Genova, 1895. Questa estesa memoria (275 pagine) rappresenta il risultato di un assiduo lavoro di più anni, nel quale le osservazioni fatte sul terreno sono state dili- gentemente sussidiate e corroborate dall’ esame petrografie©, e talora anche chimico, di numerosissimi campioni di roccie : cosa di essenziale importanza trattandosi di regione quasi interamente costituita da formazioni arcaiche. L’autore, premessa una ricca bibliografia di geologia ossolana, si occupa in successivi capitoli della oro-idrografia, della litologia, della stratigrafia e della tettonica, trovandosi anche naturalmente condotto a considerazioni d’indole ge- nerale. In ultimo, traccia sommariamente le sue conclusioni. Poiché non sarebbe possibile tentare di riassumere cosi vasto argomento, ci limitiamo a ricordare quanto riguarda la tettonica. Questa è in perfetto ac- cordo con quella di altri massicci alpini e specialmente del Gran Paradiso. Si ha una grande volta centrale costituita dal massiccio di gneiss granitoide e dalle assise gneissiche ad esso sottostanti (zona del gneiss centrale), amman- tellata dagli strati gneissici e scistosi superiori, che offrono simmetricamente un complicato diagramma di pieghe secondarie, e terminata infine dal sinclinale doppio del mesozoico della valle del Rodano e dell’alta Val Formazza. Le roccie verdi sono intruse nel gneiss e insieme prese nei ripiegamenti : il dicco prin- cipale però sta in posizione affatto disimmetrica, nel distacco di due forma- zioni, serrate dal dinamismo contro di esso. La piega centrale ha forma ellis- soidale o a cupola. L’ asse dell’ anticlinale, nello sviluppo della piega, si eleva in modo continuo verso N.E, dove, con quella di Val Yigezzo, più estese masse di gneiss granitoide vengono a giorno, con maggiore sviluppo dei ripiegamenti. L’anticlinale ossolano aperto e pianeggiante nella Valle Antigorio, si serra scendendo al Monte Rosa, ove in rapporto all’ ellissoide granitica del Monte Bianco, è marcatissima una flessione a doppia curvatura degli strati, i quali ripigliando quindi l’orientazione normale, volgono a modellare il massiccio del gran Paradiso. Oltre1 che una carta geologica al Vasoooo» accompagnano la me- moria tavole illustranti la stratigrafia e la struttura micro e macroscopica delle roccie. Traverso S. — Riepilogo dello studio geologico delV Ossola. (Atti Soc. lig. di So. nat. e geogr., V, 4). — Genova. E un cenno delle principali conclusioni della memoria precedente. Traverso S. — Sur la geologie de V Ossola ( Alpes Léjpontines). (0. R, Ac. des Sciences, OXX, 2). — Paris. Sono alcune notizie sommarie intorno alla geologia dell’ Ossola, accompa- - 46S — gnanti la presentazione della memoria precedentemente indicata alla « Academie des Sciences » di Parigi. Traverso S. — Roccie granitiche e porfiriche del Sarrabus {Sardegna). (Atti Soc. lig. di Se. nat. e geogr., VI, 2). — G-enova. Come seguito allo studio già fatto sulle roccie sedimentarie del Sarrabus. metamorfosate per contatto delle roccie eruttive, 1' autore espone il risultato dello studio di queste ultime. Premessi alcuni cenni geografici, passa a descrivere tali roccie che divide in granitiche e porfiriche. Nelle granitiche distingue i graniti e loro varietà, le granuliti e le microgranuliti. Nelle porfiriche, i porfidi e le porfiriti. Indicate le varie località ed il loro modo di presentarsi, ne descrive i ca- ratteri, macroscopici e microscopici, i minerali essenziali ed accessori. Il granito sardo presenta macroscopicamento analogia con quello dell’Elba, con quello delle Alpi e specialmente con quelli di Alzo e del Lago Maggiore. Le microgranuliti hanno tessitura porfìrica e ricordano quelli del Lago d’Orta, di Arona e di Lugano. La granulite tipica a sola mica bianca e a grana mi- nuta, è rara ; più diffusa è la granulite biotitica a grana media. I porfidi e le porforiti sarde hanno riscontro in molte regioni delle Alpi e specialmente delle Leponzie e delle Centrali. Esse si corrispondono per carat- teri geognostici e più ancora per composizione mineralogica. In generale le roccie eruttive verdi sono quasi identiche a quelle della Corsica. Quanto alla loro età, 1’ autore ritiene le roccie granitiche sarde corrispon- dano alle alpine e le riferisce agli ultimi periodi del paleozoico, superiori al Devoniano. L’età dei porfidi e delle porfiriti che li seguirono, sarebbe limitata tra il Permiano e il Trias. A questo studio è unita una tavola indicante le roccie, i filoni argentiferi e i rigetti di questa regione. Traverso S. — Su alcune roccie di Fontanaccio e di Flumentorgiu in Sardegna. (Atti Soc. lig. di Se. nat e geogr., VI, 3). — Genova. Sul litorale occidentale della Sardegna, da Capo Pecora a Portixeddu si hanno argilloscisti, scisti, micacei e cloritici, quarziti e calcari, roccie ri- ferite, in parte con riserva, al Siluriano. Da Portixeddu a Fontanaccio esse sono ricoperte in discordanza da arenarie elveziane. A Nord, da Fontanaccio al Rio Murtas affiorano roccie cristalline, micacee o scistose, alle quali succedono in serie discendente filladi e gneiss; queste roccie, considerate come siluriano o cambriane, sono riferite dall’autore alla parte superiore dell’Arcaico. Dicchi di basalto, con tufi e vetrofiri alle salbande, traversano i terreni — 469 - sopraindicati: dicchi di riolite, accompagnati da tufi e intersecati dal basalto, si hanno nell’Elveziano. Argomento della presente nota è lo studio di queste roccie vulcaniche, così della loro natura come dei loro rapporti reciproci e dei fenomeni di con- tatto. In sostanza esse riduconsi a due tipi : rioliti essenzialmente granitoidi, accompagnate da tufi fortemente cementati od incoerenti, e basalti olivinici con tufi e vetrofìri. Il metamorfismo prodotto da tali roccie, è specialmente notevole nelle arenarie elveziane, mentre non si manifesta nelle roccie scistose e filladiche. Le roccie vulcaniche sono posteriori all’Elveziano, di cui racchiudono fram- menti, e sono ricoperte dal Quaternario: i basalti sono posteriori alle rioliti. Traverso S. — Nota preliminare sulle roccie eruttive della Valle di Trebbia. (Proc. verb. Soc. tose., Se. nat. IX, 7 luglio 1895). — Pisa. E una nota preliminare presentata dall’autore mentre, studiate sul terreno le roccie eruttive della Valle di Trebbia, da Bobbio a Fontanigorda comprese fra scisti, arenarie e calcari, riferiti all’Eocene, stava esaminandole al micro- scopio. Sono roccie lherzolitico-serpentinose, gabbriche e granitiche, riferibili ad età non più antica dell’eocenica, e, secondo l’autore, emerse nell’ordine di loro enumerazione e riferibili a successive fasi di liquazione e di eruzione di un magma che, dopo le prime emissioni basiche, andava aumentando di acidità nelle ultime. L’eruzione fu accompagnata da magmi fangosi e da sorgenti termo-mi- nerali. Tuccimei GL — Il Villafr uncinano e V Astiano nella valle tra i Corni- culani e i Lucani. (Memorie Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Voi. XI). — Roma. L’autore mantiene l’opinione, già manifestata in altri suoi scritti, che il Villafranchiano debba considerarsi come un terreno a se, il più elevato dei piani pliocenici, anziché una facies lacustre dell’ Astiano superiore come altri fanno; e ciò per diversi motivi, fra i quali la orizzontalità dei suoi strati, mentre quelli dell’ Astiano, a ridosso dei primi rilievi dell’Appennino sono sollevati e talvolta direttamente sottostanti ai primi. Questa idea troverebbe conferma nelle osservazioni fatte dall’autore nella regione pliocenica fra i monti Cornicolani ed i Lucani a levante di Roma, nella quale egli rilevò parecchie sezioni geologiche, raccogliendovi abbondanti fossili. Dall’esame di questi l’autore deduce che all’ Astiano ha fatto seguito una fase in gran parte salmastra e che questa fase è da riferirsi al Villafranchiano : al passaggio dall’una all’altra havvi un ultimo sollevamento dell’Appennino, che ha spostato i terreni dell’ Astia no dalla loro posizione originaria, cui segue una - 470 — fase discendente, per modo che, in talune località, sopra al Villafranchiano- salmastro, si ha quello decisamente marino, con depositi relativi ogniqualvolta non si versavano in quel mare importanti corsi d’ acqua, come nel caso attuale. In conclusione l’autore non intende il Villafranchiano nel senso di una, semplice fase lacustre o salmastra dell’Astiano, ma come una vera e propria epoca geologica, sia pur breve, nella quale si trovavano contemporaneamente stagni, lagune, estuari e mare libero, equivalente al Siciliano di Doderlein ed. alPArnusiano di Mayer-Eymar. Tuccimei Gr. — Sopra i resti fossili di mammiferi trovati alla villa Spinola presso Perugia. (Atti Aco. Pont, dei Nuovi Lincei, Anno XLVIII, Sess. I-II). - Roma. Negli scavi eseguiti a Villa Spinola presso S. Martinello (dintorni di Pe- rugia), furono rinvenuti resti di un individuo di età avanzata di Elepìias me- ridionali Nesti, consistenti in una mandibola, in una lunga difesa ben con- servati ed altri resti che, per l’esame fattone dall’autore, non lasciano alcun dubbio sulla determinazione della specie. Questi resti furono rinvenuti entro le sabbie gialle, ma la difesa penetrava colla punta estrema nelle ghiaie supe- riori. Essendo la specie indubbiamente pliocenica, l’autore ascrive al Pliocene queste ghiaie che formerebbero il piano Villafranchiano o Arnusiano. Il terreno pliocenico di S. Martinello presenta la sezione seguente da basso in alto: 1° Marne turchine; 2° Sabbie marnose azzurre; 31 Sabbie gialle; 4° Ghiaie irregolari e poco coerenti. Gli strati sono quasi orizzontali. Non vi si rinvenne traccia di molluschi. L’autore aggiunge che questa specie deve tenersi distinta à&W Elephas antiquus Falc., nel che concordano moltissimi autori, contrariamente all’ opinione del Portis che le fonderebbe in una sola Oltre i resti di Elephas meridionali, furono trovati in questa località una mandibola di Rhinoceros etruscus e denti di Bos, Equus, Sus, Cervus e Felis . Vacek M. — TJeber die geologischen Verdltnisse der Umgebung von Trient . (Verhandl. der kk. geol. Reichs., Jahrg. 1895, n. 17-18). — Wien. Questa relazione della campagna geologica del 1894 riguarda la regione del foglio Trento contiguo a quella del rilevamento eseguito nel 1893 ; com- prende in modo speciale i dintorni di Trento. I gruppi di formazione che costituiscono la regione rilevata sono: 1. Fil- — 471 - lade; 2. Porfidi; 3. Buntsandstein ; 4. Muschelkalk ; 5. Keuper; 6. Retico; 7. Liasi 8. Titònico; 9. Senoniano e Nummulitico. Di ciascun gruppo Fautore dà la composizione nei diversi piani locali, e il loro sviluppo nella regione. Notevole è specialmente la complessità dei gruppi triasici; e il ricorrere di facies conglomeratiche alla base dei gruppi 2, 3, 4. In base a questo fatto, e alla discontinuità della serie geologica, e ta- lora a osservazioni stratigrafìche, Fautore insiste nel suo noto concetto dei « cicli di sedimenti » ; i nove gruppi di formazioni sopra enumerate sarebbero «cicli» ciascuno composto di un gruppo di sedimenti, e ciascuno trasgressi- vamente depositato sul precedente. Valentini G. — Sulle acque del sottosuolo a N.E di Milano. (Il Poli- tecnico, giugno-luglio 1895). — Milano. Nell’intento di constatare l’ influenza delle acque del Naviglio della Mar- tesana sulla falda acquifera sotterranea fra il Lambro e la Molgora, si fecero osservazioni sistematiche nel sessennio 1886-1891, estentendole a 15 pozzi e 10 fontanili compresi su una larghezza di 4 km. fra i suddetti fiumi. I risultati delle osservazioni sono compendiati in 5 prospetti e una tavola di diagrammi, donde rilevasi il livello del Naviglio, dell' Adda e delle acque sotterranee, la altezza di pioggia, la umidità relativa, il deficit di saturazione durante il sessennio. L'autore mette in evidenza i seguenti importanti risultati: La falda acquifera sotterranea presenta 2 massimi e 2 minimi annui, che seguono a distanza di 1 a 2 mesi i massimi e minimi della pioggia. L’oscilla- zione totale é molto maggiore per i pozzi (da 0m. 75 e 3m. 13) che per i fon- tanili (da 0m. 19 a 0m. 89). La falda acquifera sotterranea è influenzata ma poco e per breve durata dall’acqua del Naviglio. Vinassa de Regny P. E. — I molluschi delle glauconie bellunesi. (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., Voi. IX, 5 maggio 1895). — Pisa. L’autore presenta l’elenco delle specie da lui studiate dei molluschi prov- vedenti dalle ben note glauconie bellunesi, dei quali il Museo di Pisa pos- siede una ricca collezione. Questi fossili furono studiati già in parte dal Mene- ghini, il quale riteneva le glauconie coeve al piano di Castelgomberto (oligo- cene superiore). Questa determinazione, spiegabile per l’aspetto della fauna che ha tipo assai antico, non risponde ai fatti posteriormente accertati per i quali gli strati ai quali questi molluschi appartengono, devono ritenersi decisamente miocenici. - 472 — Vinassa de Regny P. E. — Prospetto della fauna del Monte Postale e di S. Giovanni Ilarione. (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., Voi. X. 17 novembre 1895. — Pisa). L’autore presenta l’elenco delle specie sino ad ora riscontrate nelle dette località del Veneto, in esso ha distinto con segni particolari le forme comuni al bacino di Parigi, e quelle che si riscontrano nei bacini dell’Europa meridio- nale, nell’India e in altre località. Delle 66 forme del Monte Postale se ne hanno 33 speciali di questa fauna, quasi tutte salmastre o di mare poco profondo, 23 sono comuni agli strati a Velates Schmideliana del Veneto e 3 al calcare grossolano del Bacino di Pa- rigi. Dal loro complesso questi strati si potrebbero considerare come Parisiani, e solo di poco inferiori al gruppo di San Giovanni Ilarione con facies assai diversa. Le forme di molluschi di S. Giovanni Ilarione, tolte le dubbie, sono 224, 123 sono esclusive del Veneto di cui 9 comuni con Roncà, 90 sono state tro- vate anche nel calcare grossolano parigino, le altre a Nizza, nei Pirenei e nel- l’Ungheria. Benché sia assai manifesta la somiglianza di questo bacino con quello di Parigi, il gran numero delle specie esclusive a quello, dimostra che la forma- zione terziaria delle Alpi Venete deve considerarsi come un tutto a se ed au- tonomo. Vinassa de Regny P. E. — Brevi appunti sul terremoto fiorentino del 18 maggio 1895. — Pisa, 1895. In questi appunti vengono riportate in parte le osservazioni e le conside- razioni esposte nel lavoro di Giovannozzi , Vinassa de Regni) e Pimpinella di cui fu dato un cenno più sopra. Viola C. — La valle del Sacco e il giacimento d’asfalto di Castro dei Volsci in provincia di Roma. (Boll. R. Com. geol ., XXVI, 1). — Roma. Idem. — Idem (Zeit. f. prakt. Geol., Jahrg. 1896, H. 5.). — Berlin. L’autore premette una descrizione geologica succinta della valle e delle catene dei monti che la fiancheggiano, i Simbruini-Ernici a sinistra, i Lepini- Pontini-Ausoni a destra. Queste catene sono costituite in gran parte da cal- cari delFUrgoniano e del Turoniano ; nelle loro vette affiora l’Eocene costi- tuito da calcare nummulitico, da argille, arenarie e conglomerati. Il terreno piu antico che affiora nella stessa valle del Sacco, salvo qualche lembo isolato di Cretaceo, è l’Eocene uguale a quello che si osserva nella cima dei monti : nei piani più bassi predominano i calcari nummulitici, nei più alti e concordanti le arenarie grigie e le molasse che forse segnano l’inizio — 473 - del Miocene. Su questi terreni sta il Quaternario costituito da travertino, da argille bluastre e da tufo vulcanico, che appoggia talora anche direttamente sull’Eocene e sul Cretaceo. Esso proverrebbe dai vulcani Laziali ed Ernici. Questi ultimi sono allineati secondo linee di faglie la cui direzione è quella stessa della valle del Sacco. L’autore le passa in rassegna e da ragione degli avvenimenti geologici per i quali la regione assunse l’attnale struttura. Venendo a parlare dell’asfalto ed in generale degli idrocarburi, indica le località ove ne fu constatata la presenza, osservando che ne è impregnato il terreno eocenico in vicinanza dei vulcani e degli spostamenti del terreno. Si occupa specialmente dell’asfalto del Colle della Pece e di Campo le Mandre presso Castro dei Volsci. Ivi gli scisti arenacei a contatto del calcare cretaceo sono impregnati di bitume e contengono resti organici. Il calcare cristallino in grossi banchi talora breccia to, dell’Eocene ne è sopratutto ricco contenen- done il 10 %. Quanto all’origine di questo bitume l’autore la ritiene intratellurica e non già da distillazione di ligniti delle molasse superiori, poiché in questo caso il prodotto della distillazione avrebbe impregnato tanto le molasse che i calcari mentre il bitume e concentrato in questo e le molasse ne sono prive. Viola 0. — Cenno delle osservazioni fatte sui Monti Lepini nel 1894. (Boll. R. Coin. geol., XXVI, 3). — Roma. In continuazione dello studio geologico dei Monti Lepini, del quale si diede conto nella Bibliografìa dello scorso anno (1894), l’autore espone in questa nota, osservazioni più particolareggiate e nuovi dati su questa regione. Per i nuovi fossili raccolti si conferma nelhopinione che i monti Pontini, Lepini ed Ausoni appartengano esclusivamente all’Urgoniano e al Turoniano e dubitativamente al Cenomaniano. Riconosce in questi monti tre sistemi di faglie ; il primo diretto, secondo l’allineamento della catena, da N.O a S.E ; il 2° da Nord a Sud ; il 8° da Est ad Ovest. Esse avrebbero determinato in parte l’attuale orografìa della regione. La presenza sulle vette più elevate di piccoli lembi dello stesso Eocene che forma il fondo della valle del Sacco toglie secondo l’autore, valore all’o- pinione di qualche geologo che ammette la formazione dei Lepini anteriore a quella dell’Appennino. Aggiunge da ultimo alcune osservazioni sulle lave e i tufi di Patrica e su quelli tra Morolo e Supino, che l’autore attribuisce ad un unico cratere si- tuato verso il corso attuale del Sacco. Virgilio F. — La Collina di Torino in rapporto alle Alpi , alV Appen- nino ed alla pianura del Po : memoria geologica. — Torino, 1895. Dopo un riassunto storico dei principali studi fatti finora sulla Collina di Torino ed una critica delle opinioni precedentemente emesse, che egli tutte - 474 — combatte, l’autore espone una sua nuova ipotesi sull’origine dei conglomerati miocenici, che costituiscono in gran parte detta Collina. Egli ammette che questi conglomerati si siano depositati in fondo al mare miocenico portativi nelle piene dei fiumi alpini, a non grandi distanze dal loro shocco. Similmente dei depositi ciottolosi si formarono dal lato dell’ Appennino. In seguito al corrugamento postmiocenico, venuta ad aumentare tanto dal lato delle Alpi che da quello dell’ Appennino la pendenza dei fondi marini, detti conglomerati in forza del proprio peso slittarono sopra gli strati argillosi e marnosi sottostanti allontanandosi ciascuno dalle falde montuose dove furono deposti e tendendo verso il mezzo del golfo marino, finche non si incontrarono e si confusero in parte. Continuando il corrugamento, parte dei conglomerati emerse in corrispondenza della Collina di Torino, dividendo così il golfo in due rami, quello dell’Astigiano e quello occupato dall’attuale pianura a Nord del Po ; e sul finire del Pliocene continuò ad emergere gradualmente da Ovest ad Est, insieme al bacino pliocenico dell’Astigiano, aiutato in ciò dalle masse di detriti con cui si iniziò il diluvium. L’autore cita in seguito degli esempi di catene e delle esperienze del Reyer che crede vengano a sostegno della verosimiglianza della propria ipotesi. In seguito estende i proprii concetti alla spiegazione della genesi dell’ Appennino ; ed infine tratta dall’origine del loess della Collina di Torino. Virgilio F. — Argomenti in appoggio delle nuove ipotesi sulla origine della Collina di Torino. (Atti R. Acc. Se. di Torino, voi. XXX, disp. 16). — Torino. Con una serie di nove profili attraverso alla valle padana, di cui otto ideali relativi ai periodi passati e l’ultimo rappresentante la sezione attuale, l’autore cerca di spiegare come si sia svolta la formazione della collina di To- rino secondo la nuova ipotesi da lui emessa nel lavoro precedente. I profili sono condotti fra Mathi e l’alta Bormida di Spigno in una lunghezza orizzon- tale di km. 97,5; e corrisponderebbero quelli ideali al finire delle epoche Tongriana, Aquitaniana, Langhiana, Elveziana, Tortoniana e Messiniana rispet- tivamente le prime sette, all’aurora del quaternario l’ottava. In seguito l’au- tore risponde ad alcune obbiezioni che si potrebbero muovere specialmente sul valore delle pendenze ipotetiche adottate pel fondo marino nei suoi profili. Volz W. — Die Korallenfauna der Schichten von Set. Cassian in Sud- Tir ol. — Stuttgart, 1895. L’autore riguarda questo scritto come una introduzione al suo lavoro : Die Korallen der Schichten von Set. Cassian , che si doveva pubblicare e si è infatti pubblicato, nel 48° volume della Palaentographica. Da questa introdu- zione si trae che le specie di corollari di S. Cassiano sono salite a 57 e che fra di essi sono fondati i quattro nuovi generi Hexastraea, Cassianastrea , Tae- 475- chastraea, Myriaphillìa. Vi è esaminata la struttura microscopica dell’apparato settale dei generi Thecosmilia , Montlivaltia, Omphalophyllia e Myriophyllia. In questo lavoro è abbandonata la denominazione o la distinzione di una pro- vincia juvavica. Zeller H. R. — Ein geologisches Querprofil durch die Centralalpen. — Bern, 1895. L’autore in questo opuscolo illustra un profilo condotto attraverso le Alpi centrali da Solothurn a Nord fino ad Arcisate presso Varese a Sud, rilevato nella scala da 1 a 25 000 e riprodotto in una tavola al 100 000 che accompagna la memoria. Il profilo attraversa così tutte le zone più interessanti delle Alpi centrali, cioè: le Alpi calcaree settentrionali, il massiccio dell’Aar, quello del San Gottardo, quindi la zona degli scisti lucenti, poi la cupola gneissica di Antigorio, il massiccio del Ticino, la zona amfibolitica dell’Ossola, che seguendo ! esempio del Diener chiama Amphibolitzug von Ivrea, le catene cristalline del lago d’Orta e la regione eruttiva del lago di Lugano. Nel profilo sono state evitate per quanto è stato possibile le interpretazioni tettoniche : nel testo però sono discusse le varie ipotesi preposte da autori diversi nelle singole lo- calità intersecate dal profilo. In quanto ai terreni la cui interpretazione è og- getto di maggiori discussioni, gli scisti lucenti, l’autore ritiene che possano a seconda dei casi assegnarsi ad orizzonti diversi che vanno dal mesozoico fino al cambriano. In un brevissimo capitolo di chiusa si osserva come finora sol- tanto per la parte settentrionale del profilo (massiccio dell’Aar, catene calcari settentrionali) si abbia un certo accordo fra i varii osservatori; mentre invece verso Sud regnano tuttora le più stridenti discordanze e si agitano le più vi- vaci discussioni intorno all’assetto ed all’età di molte delle roccie che costi- tuiscono la catena. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (31 dicembre 1896) LIBRI Bollettino del R. Comitato geologico; Voi. I a XXVI, dal 1870 al 1895. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem di una serie di dieci volumi (sconto 20 p. %) ...» 80 — Idem dell’abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’Estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze 1872. — Un volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche » 35 — Voi. Il, Parte la. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. II, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. III, Parte 1®. Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 — Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888» — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 — Voi. IV, Parte la. Firenze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole » 8 — Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole . » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Bald ACCI : Descrizione geologica del- l'Isola di Sicilia . — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. II, Roma 1886. — B. LOTTI: Descrizione geologica del- V Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. Ili, Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Voi. IV, Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mineraria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » 15 — Voi. V, Roma 1890. — C. De CASTRO: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. » 8 — Voi. VI, Roma 1891. — L. BALDACCI: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 — Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. SABATINI: Descrizione - geologico-petrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche » 8 — Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI : Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 — Voi. IX, Roma 1895. — E. CORTESE: Descrizione geologica della Calabria . — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 — Segue CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2a edizione. — Roma 1889. . . Prezzo La stessa montata su tela a stacchi » La stessa montata su tela con bastoni » 10 12 15 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 Foglio N. 262 (Monte Etna). L. 5 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 266 (Sciacca) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria). . . » 3 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 251 (Cefalù) . . . . » 3 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 a 252 (Naso) .... » 4 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 253 (Castroreale) . . » 4 00 » 270 (Catania) . . . » 3 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 271 (Girgenti) . » 3 00 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 00 » 272 (Terranova) . . » 4 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 273 (Caltagirone) . . » 5 00 » 258 (Corleone) ... » 5 00 » 274 (Siracusa) . . . » 4 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5 00 » 276 (Modica) . . . » 3 00 » 261 (Bronte). . . . » 5 00 » 277 (Noto) . . . . » 3 00 Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) .... L. 4 00 » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) ...» 4 00 » » N. Ili (annessa ai fogli 253, : 254 e 262) ...» 4 00 » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » 4 00 » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00 Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma . ... L. 25 — 1888 NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue Foglio N. 142 (Civitavecchia) . » 143 (Bracciano). . » 144 (Palombara) . L. 4 » 5 » 5 00 00 00 Foglio N. 149 (Cerveteri) » 150 (Roma) . » 158 (Cori). . L. 4 00 5 00 4 00 L. 4 00. Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150) Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000; ne sono pubblicati i fogli seguenti: Foglio N. 236 (Cosenza) . . . L. 4 » 237 (S. Giovanni inF.) » 5 » 238 (Cotrone) ... » 3 Tavola di sezioni N. 1 Foglio N. 241 (Nicastro) . . . . L. 4 » 242 (Catanzaro) ... » 4 » 243 (Isola Capo Rizzuto) » 3 annessa a detti fogli .... L. 4. Carta geologica dell'Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma 1886. . . » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma 1894 » 3 — Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico (Via S. Susanna, 1) ovvero ai principali librai a’ Italia e dell9 Estero. ELENCO del personale componente il Comitato e I’ Ufficio geologico al 81 dicembre 1896. R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna, Presidente. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Cossa Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Padova. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati NiccoiA, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario -geologico, via Santa Susanna, n. 1-A. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie III." — Anno VII.0 18 96 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE R. Decreto 9 gennaio 1896 , relativo al personale del R. Comitato geologico. UMBERTO I PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ ITALI A. Visto il Nostro Decreto del 25 gennaio 1894, n. 39 ; Sulla proposta del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio; Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1. Sono confermati componenti del R. Comitato geologico pel trien- nio 1896-97 i signori: Cocchi prof. Igino, Cossa prof. Alfonso, Gem- mellaro prof. Gaetano Giorgio, Scarabelli-Gommi-Flamini Giuseppe, Senatore del Regno. Art. 2. Il prof. Giovanni Capellini, Senatore del Regno, è confermato presidente del Comitato suddetto per l’anno 1896. Il Ministro anzidetto è incaricato della esecuzione del presente Decreto che sarà registrato alla Corte dei Conti. Dato a Roma, addì 9 gennaio 1896. Firmato UMBERTO Controfirmato A. Barazzuoli. Registrato alla Corte dei Conti addì 23 gennaio 1896. Reg. 428, Personale civile , f. 329. Firmato G. Cappiello. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE r. Comitato geologico. — Adunanze fieli’ 8 e 9 giugno 1896. Verbale delle adunanze dell’8 giugno 1896. Seduta antimeridiana. La seduta è aperta alle ore 9.50 e sono presenti, oltre al Presidente pro- fessore Capellini, i signori Cocchi, Cossa, De Stefani, Gemmellaro, Mazzuoli, Pellati, Scarabelli, Struever e Taramelli. Scusano la loro assenza, il prof. Omboni con lettera al presidente, ed il Direttore dell’ Istituto geografico militare, il quale scrivendo al Ministero esprime il desiderio di essere poi informato di ciò che nell’adunanza potrà es- sere trattato nei riguardi dell’Istituto geografico, sulla cui solerte cooperazione, egli soggiunge, il Comitato geologico potrà sempre fare assegnamento. La parola è data all’Ispettore Pellati, il quale comincia col render conto dell’esito avuto dai voti emessi nell’ultima riunione del Comitato e di. altri fatti d’indole speciale. Le ristrettezze del bilancio del Ministero d’ agricoltura impedirono che l’assegno per la Carta geologica fosse portato da 45 a 60,000 lire, e neppure a 50,000 com’erasi domandato. Secondo quanto si era annunziato, l’Ufficio prese parte alla Esposizione del Congresso geografico di Londra, mandandovi due Carte d’Italia al 500 000, una geologica e l’altra mineraria; quest’ultima corredata da un elenco delle miniere. Queste Carte figurarono pure al Congresso geografico tenuto in Poma lo scorso settembre, nella quale occasione, in una seduta speciale, l’Ispettore Pellati parlò del lavoro della Carta geologica d’Italia in una conferenza seguita dalla visita alle collezioni ed ai laboratori dell’Ufficio. Si procurò all’Accademia montanistica di Berlino una collezione intesa ad ■ 6- illustrare i giacimenti più caratteristici delle nostre miniere, collezione che era stata richiesta dal prof. Hauchecorne, che se ne dimostrò molto soddisfatto. Un secondo esemplare della collezione rimase nel nostro Museo. Riguardo alla Carta geologica d'Europa non si hanno ancora notizie dei fogli che eransi annunziati dopo la pubblicazione del 1° fascicolo avvenuta alla fine del 1894. Intanto sono stati pagati altri 2000 marchi in acconto, di modo che attual- mente i versamenti fatti ammontano alla somma di 8008 marchi sui 24,000 pei quali l’Italia si è impegnata a lavoro compiuto. Il Ministero ha disposto inol- tre che per ora resti sospesa la distribuzione delle copie ancora disponibili del 1° fascicolo in attesa degli altri. Pellati parla pure dei rapporti deirUfficio geologico con la Società geolo- gica, dolendosi che per questa non sia ancora stato possibile trovare un locale conveniente, essendo tuttora deficiente quello destinato all’ Ufficio stesso: del resto la Direzione della Carta non tralascia occasione per mostrare il suo vivo interesse per la Società. I fossili che, dietro deliberazione del Comitato, eransi richiesti al Museo di Pisa, ov’erano rimasti dopo esservi stati mandati per istudio, furono restituiti, meno alcuni esemplari andati smarriti o distrutti nelle preparazioni per l'esame. II Comitato esamina quindi una domanda fatta dal prof. Canavari per ot- tenere l’ inserzione nella Pai aeontog rapina Italica , di cui egli ha iniziato la pubblicazione, di lavori eseguiti nell’Ufficio geologico. Questa proposta dà luogo ad una discussione alla quale partecipano: il presidente Capellini, il prof. Taramelli ed altri, tutti d’accordo nel volere che i lavori di paleontologia direttamente connessi alla Carta geologica d’ Italia sieno riservati alle Memorie del Comitato a ciò destinate, limitandosi a tra- smettere alla Palaeontographia quelli d’indole generale o che non abbiano que- sto carattere. Il professore Gemmellaro insiste particolarmente sulla necessità di dare impulso alla pubblicazione dei lavori paleontologici dell’Ufficio, e ne subordina il modo ai mezzi finanziari di cui si può disporre ; intendendo cioè che, se questi sono sufficienti, la pubblicazione si faccia esclusivamente nelle Memorie del Comitato, e nel caso contrario si profitti di quegli altri modi che possano ritenersi convenienti e fra questi la inserzione nella suddetta Palaeon- tographia. Ed il Comitato unanimemente delibera che sieno inseriti nelle Memorie del Comitato, le quali potranno convenientemente pubblicarsi a puntate a mi- sura del materiale e dei fondi disponibili, i lavori paleontologici che formano diretto corredo della Carta geologica d’Italia, e sia accolta benevolmente la offerta della Palaeontographia per gli altri, quando ve ne siano disponibili. Riguardo allo studio dei legni fossili dei tufi della Campagna romana, per il quale il dott. Clerici avea chiesto un aiuto morale e materiale, Pellati co- munica che lo stesso Clerici si è assicurato l’appoggio del prof. Iirotta, cui — 7 - il lavoro presenta particolare interesse. Vien9 quindi a cessare l’opportunità di un lavoro preliminare che il Comitato desiderava come saggio: l’intervento del prof. Pirotta essendo guarentigia sufficiente che il lavoro risponderà allo scopo che abbiamo di mira. Pare dunque al Pellati che si potrebbe autorizzare il Clerici a compiere senz’altro il lavoro; ed il Comitato approva. L’Ispettore passa quindi ad esporre i risultati dei lavori eseguiti nello scorso anno. Cominciando dalle Alpi Occidentali, dove si avea per iscopo di riannodare i rilevamenti già eseguiti nelle Alpi Graje con quelli delle Cozie e delle Marittime, scopo già in gran parte raggiunto, entra in qualche partico- lare intorno ai punti più importanti del lavoro ed ai risultati scientifici ottenuti. Parlando poi del lavoro sul Quaternario della valle del Po, egli espone una domanda fatta dal sig. Locchi di Torino, il quale, avendo preparato un rilievo dell’anfiteatro morenico del lago di Garda, ha chiesto comunicazione dei dati necessari per colorirlo geologicamente. Per ciò occorrerebbero ancora alcune osservazioni che l’ing. Stella potrebbe fare subito. Il prof. Taramelli, che conosce il lavoro del Locchi, ne conferma l’impor- tanza e trova molto opportuna la proposta, anche per il maggiore divulga- mento delle cognizioni geologiche. Quanto al rilevamento della valle padana, lo stesso Taramelli conviene nel- l’opportunità di estenderlo alla regione veneta prima di pubblicare il materiale già in pronto per la parte fatta s’nora, e ciò in accordo anche con precedente deliberazione del Comitato. Sul lavoro fatto nell’ Appennino toscano, Scarabelli osserva che la interpre- tazione di certi terreni data come certa dall’ing. Lotti non gli sembra defini- tiva, epperò desidera che detto ingegnere si metta con lui d’accordo per lo studio della questione e per l’esame di altre località da lui conosciute Dopo avere accennato ai lavori eseguiti nell’Abruzzo aquilano, nelle Alpi Apuane e in varie parti dell’Italia meridionale, Pellati passa alla Campagna ro- mana, in cui il lavoro ha bene progredito per opera degli ing. Viola e Saba- tini, incaricato l’uno dei terreni sedimentari e l’altro dei vulcanici. Egli però presenta il quesito se, vista l’estensione che va prendendo tale lavoro, per non uscire dai limiti di tempo previsti da principio, non fosse il caso di fare un lavoro più riassuntivo, valendosi, delle osservazioni già fatte e coordinan- dole con gli studi precedenti. Il prof. Struever osserva non potersi fare diversamente da quanto si fece sin qui, e che occorre un lavoro completo, senza alcun limite di tempo ; e pro- pone che si pubblichino le diverse parti a misura che saranno ultimate. Il Comitato approva ad unanimità. Allora l’Isp. Pellati presenta una memoria dell’ing. Sabatini sui Vulcani Laziali, dei quali egli ha ora finito lo studio, sottoponendola all’esame del Co- mitato per la pubblicazione. — 8 - Lo stesso Ispettore accenna quindi alle pubblicazioni fatte, fra cui quella della Memoria dell’ing. Cortese sulla Calabria, ai lavori eseguiti nell’Ufficio, nelle collezioni, nel laboratorio chimico-petrografìco, nonché in quello paleon- tologico, ed in ultimo agli incarichi diversi avuti dal personale. Dopo presentato il resoconto delle spese, che viene approvato, la seduta è tolta alle ore 11 Va- Il Presidente G. Capellini. Seduta pomeridiana. La seduta è aperta alle ore 1 1. 50, essendo presenti gli stessi membri che trovavansi a quella del mattino. Prima che si incominci la discussione sui lavori da farsi, Scarabelli do- manda al Direttore del servizio perchè sia invalso l’uso di cominciare la cam- pagna tanto tardi, per modo che questa cade nei mesi più caldi, quando non è possibile lavorare dappertutto. Pellati risponde che veramente finora i limiti della campagna furono fìs- sati in considerazione del lavoro delle Alpi, sebbene gli operatori che lavorano neile parti centrale e meridionale della penisola la cominciassero un po’ prima, a meno che, come quest’anno, la deficienza dei fondi non lo impedisse. Ora però si stabilirà la distribuzione del lavoro in modo consono alle speciali con- dizioni di clima delle varie regioni. Lo stesso Ispettore espone quindi quali sieno i lavori da farsi nella pros- sima campagna, i quali risultano in massima già fìssati, non essendo che la continuazione di quelli della campagna precedente. Così nelle Alpi Occidentali si spera di condurre a termine la vasta regione fra il Gran Paradiso ed il mare. In Toscana l’ing. Lotti lavorerà nelle tavolette di Montevarchi, Vallombrosa, Poppi e Dicomano. L’aiutante Moderni riprenderà il rilevamento rimasto sospeso dell’Abruzzo teramano; e l’aiutante Cassetti continuerà la revisione dei gruppi montuosi compresi nelle tavolette di Yenafro, Castellone al Volturno e Atina. Nella valle del Po l’ing. Stella dedicherà il tempo che gli lascierà disponibile il lavoro sulle Alpi, agli studi sul Quater- nario. Infine alcune revisioni dovranno ancor farsi dall’ing. Zaccagna nelle Alpi Apuane per condurre a termine la terza tavola di sezioni. A proposito dei lavori da farsi dall’ing. Lotti, il presidente ricorda l’op- portunità che, specialmente per la Val d’Arno, egli si tenga in rapporto col prof. Cocchi, e per il versante settentrionale dell’Appennino con il senatore Scarabelli. Per il laboratorio chimico Pellati osserva che gli studi d’interesse geolo- gico vi soffrono frequenti ritardi per analisi e saggi d’altro genere richiesti - 9 — da imperiose necessità; procurerà però che tali lavori straordinari sieno limi- tati al minimo possibile. Lo stesso accenna poi alle trattative corse con l’Istituto geografico mili- tare per la esecuzione dei sei fogli senza tratteggio, occorrenti a completare la carta al 100 000 della Calabria. Essendo mancato il concorso pecuniario del Ministero dei lavori pubblici, che per i precedenti fogli erasi impegnato a pagare i 2/s della spesa, si sa- rebbe convenuto che l’Ufficio geologico porterebbe da 2/5 a 3/s il proprio concorso e l’Istituto geografico da ‘/s a 2/ s il suo, ribassando nel tempo stesso a L. 1 il prezzo per centimetro quadrato in luogo delle lire 1.10 che si pagavano al- l’Istituto cartografico italiano. Però, l’Istituto geografico domanda in compenso l’incarico della tiratura di quei fogli con i colori geologici. Ciò presenterebbe per noi una maggiore guarentigia e probabilmente anche un’economia; ed il Comitato appoggia la cosa, purché sia assicurata la buona esecuzione delle Carte. Perciò l’Ispettore prenderà accordi col Direttore del- l’Istituto, con l’intervento anche del Presidente. Il Presidente presenta poi una lettera del dottor Guido Bonarelli, il quale domanda al Comitato un sussidio di L. 200 per completare lo studio e la rac- colta dei materiali nel gruppo del Furio nell’ Appennino centrale, già da lui iniziati negli anni precedenti ; egli metterebbe a disposizione dell’Ufficio geo- logico tutto quel materiale, insieme ad un abbozzo di Carta geologica della regione al 100 000 e a qualche cenno di spiegazione. Dopo breve discussione il Comitato delibera di accordare tale somma al Bonarelli, dopo che l’importanza del materiale presentato sia stata riconosciuta da qualcuno dei suoi membri a ciò delegato dal presidente. Il prof. Taramelli ricorda una sua proposta già fatta altra volta ed ap- provata; che eie è qualcuno dell’Ufficio fosse incaricato di riunire le più impor- tanti linee tettoniche delle varie regioni italiane studiate ; tale lavoro d’insieme avendo utilità sotto vari punti di vista.. L’ispettore Pellati dice che l’ingegnere Baldacci, cui fu dato quell’incarico, già ha raccolto qualche materiale in pro- posito; egli farà in modo che la cosa sia sollecitata e spera che sarà presto condotta a termine. Il Comitato accoglie ancora una proposta del presidente intesa ad invi- tare il Direttore dell’Ufficio a far preparare, compatibilmente col tempo dispo- nibile, una copia della Carta geologica d’Italia al 500 000, messa al corrente, da offrirsi all’Accademia dei Lincei, in sostituzione di quella molto arretrata, colà esistente dal 1878. Dopo di che, esauriti gli argomenti all’ordine del giorno, la seduta è tolta alle 15. 30. Il Presidente Gr. Capellini. — 10 - Adunanza 9 giugno 1896. La seduta è aperta alle ore 9. 30, essendo presenti oltre al Presidente i membri già indicati. Dichiarata aperta la seduta, il Presidente invita il segretario a leggere i verbali delle due sedute del giorno 8, i quali vengono letti ed approvati. La seduta è tolta alle ore 10. Il Presidente. G. Capellini. Relazione dell’ Ispettore-capo al R. Comitato geologico SUI LAVORI ESEGUITI PER LA CARTA GEOLOGICA NELL’ANNO 1895 E PROGRAMMA DI QUELLI DA ESEGUIRSI NEL 1896. Il voto espresso da questo Comitato nelle adunanze dello scorso anno (8 e 9 giugno) di elevare da 45,000 a 60,000 lire l’annuo assegno per la Carta geo- logica, allo scopo di dare maggiore impulso ai lavori e specialmente alle pub- blicazioni, non potè essere dal Ministero secondato a motivo delle strettezze finanziarie del paese. Neanche potè essere consentita la richiesta di un aumento più modesto, di sole lire 5,000, per provvedere alla coloritura a mano di al- cune copie dei fogli della Carta geologica già ultimate, dei quali per man canza di fondi non fu ancora possibile fare la regolare pubblicazione. La tanto notevole riduzione dei fondi posti a nostra disposizione nei due ultimi esercizi ci ha obbligati ad usare nelle spese dello scorso anno parsi- monia anche maggiore che nell’anno precedente, anche per la circostanza che circa lire 5,000 dovettero erogarsi in spese non attinenti direttamente al ser- vizio geologico, cioè per indennità dei viaggi d’istruzione di al lievi- ingegneri del Corpo delle Miniere e per indennità a membri della Commissione nominata dal Ministero per lo studio dell’ultimo terremoto di Calabria e Sicilia. Si spera nonostante che dalla presente esposizione il Comitato potrà per- suadersi che i lavori eseguiti nell’anno decorso riuscirono abbastanza soddi- sfacenti sia nei rilevamenti sul terreno, sia negli studi fatti in Ufficio sui ma- teriali raccolti. Anche per le pubblicazioni si potè, mercè i residui dei bilanci precedenti, continuare a dar segno di sufficiente operosità. Ma con quelle, che si spera di condurre a termine entro l’anno corrente, della Carta delle Alpi Apuane e dei sei fogli della Calabria meridionale, ogni residuo dei bilanci pre- cedenti sarà esaurito e, se non potrà ottenersi l’aumento domandato, ci trove- remo costretti a ridurre le nostre pubblicazioni a minime proporzioni. Laonde, senza riproporre al Comitato il voto espresso nelle adunanze dello scorso anno, ci limitiamo a manifestare la speranza che il Governo trovi finalmente il modo di fare sul fondo della Carta geologica l’aumento di almeno una diecina di migliaia di lire, indispensabili per mettere a disposizione del pubblico i risul- tati dei lavori fatti nelle precedenti campagne con tanti sacrifizi di tempo e di denaro. - 12 - Nelle adunanze dello scorso anno avevamo annunciato che l’Ispettorato delle Miniere aveva preso impegno di inviare al Congresso geografico inter- nazionale, che doveva tenersi in Londra nel mese di luglio, la Carta geologica al 500 000 messa al corrente dei più recenti rilevamenti, unendovi una Carta mineraria alla stessa scala, che si stava espressamente componendo per cura degli ingegneri distrettuali delle miniere, contenente l’indicazione della posi- zione di tutte le miniere, cave ed officine mineralurgiche del Regno. L’impegno preso fu mantenuto e le Carte presentate furono in quel Congresso bene ac- colte ed apprezzate, come ce ne diede poscia notizia la nostra Ambasciata di Londra, a cura della quale ne fu fatta l’esposizione e la rispedizione in Italia alla chiusura del Congresso. Delle Carte stesse si diede anche comunicazione al Congresso geografico italiano, tenuto in Roma nello scorso settembre, nell’occasione di una confe- renza da me fatta a richiesta della Presidenza del Congresso in seduta ple- naria sulla formazione e pubblicazione della Carta geologica del Regno , anzi avendo potuto ottenere di fare la conferenza nel locale del nostro Ufficio geo- logico, profittai dell’occasione per far vedere ai congressisti non solo le nostre Carte e le altre pubblicazioni, ma anche le collezioni, le sale di disegno e di coloritura, i laboratori e la biblioteca, onde potessero rendersi esatto conto dell’organizzazione del nostro servizio. Sono lieto di poter assicurare il Comitato che i congressisti si mostrarono ben soddisfatti della visita fatta e che ne riportarono un’ottima impressione, come ce lo provò il voto che alla chiusura del Congresso vollero esprimere per la prosperità della nostra istituzione. Nella Relazione dello scorso anno accennai ad una richiesta che ci era stata fatta dal prof. Hauchecorne, quale direttore dell’Accademia montanistica di Berlino, per avere da noi una collezione di minerali atta a rappresentare i giacimenti più caratteristici delle nostre miniere. Una simile collezione fu di fatti composta in doppio esemplare, mediante l’intelligente concorso dei nostri ingegneri distrettuali delle miniere e risultò di 275 campioni fra minerali pro- priamente detti, ganghe e roccie incassanti, rappresentanti non solo i princi- pali nostri giacimenti metalliferi, ma anche quelli di solfo, grafite, combusti- bili fossili, bitumi e petroli, acido borico, salgemma e allumite, opportuna- mente classificati ed elencati in un catalogo di cui mi faccio debito di presentarvi una copia. La collezione destinata a Berlino fu spedita al principio dello scorso gennaio e nell’accusarne ricevimento il prof. Hauchecorne mostrò di averla gradita moltissimo come atta a fornire per la praticità della scelta un eccel- lente aiuto per l’insegnamento e considerandola, per valersi delle sue espres- sioni, come un gioiello di quel museo per il pregio e la bellezza dei campioni che la compongono. Il secondo esemplare della collezione stessa rimase nel nostro Ufficio e se ne fece il coordinamento coi campioni preesistenti di simil — 13 — genere di italiana e di estera provenienza per avere, con quelli che potranno ulteriormente aggiungervisi, la completa illustrazione dei giacimenti di minerali utili dei nostro paese a confronto delle più notevoli varietà dei giacimenti esteri. Credo opportuno, prima di accingermi a farvi il resoconto sistematico dei lavori eseguiti nella decorsa campagna, soffermarmi ancora su poche altre co- municazioni di indole generale aventi relazione più o meno diretta col nostro servizio. Carta geologica d'Europa. — Fra i voti espressi lo scorso anno dal Co- mitato geologico uno era relativo ad una seconda distribuzione degli esem- plari del primo fascicolo della Carta geologica d’Europa rimasti a disposizione del Ministero di agricoltura e commercio, da farsi determinatamente in modo che tornasse profittevole all’opera della Carta geologica italiana ed in genere alle discipline geologiche del nostro paese. Il Ministero però trovò la proposta prematura e ritenne più opportuno, mosso fors’anche da alcune considerazioni risultanti dalla discussione che aveva avuto luogo in seno al Comitato, che nessuna nuova distribuzione po- tesse essere fatta senza una preventiva speciale autorizzazione. In seguito a questa disposizione, dei 65 esemplari che ancora rimanevano in deposito nel- l’Ufficio geologico nessun’ altro ne fu distribuito, ad eccezione di uno solo stato richiesto dal senatore Brioschi quale Presidente della Scuola superiore di agri- coltura in Milano. La casa Dietrich e Beimer editrice della Carta aveva, all’epoca della spe- dizione dei 330 esemplari del primo fascicolo, chiesto il pagamento in acconto di 2000 marchi oltre i marchi 6008 che già le erano stati pagati negli anni 1882, 1884, 1885 e 1887. Tale pagamento fu fatto nell’ottobre dell’anno decorso per modo che ora in conto dei 24,000 marchi dovuti dall’Italia per le carte sud- dette ne furono già pagati 8038 mentre non si sono ancora ricevuti che 6 dei 49 fogli di cui la Carta deve constare. Veramente per il 1895 era stata annun- ciata, come il Comitato rammenterà, la distribuzione di un secondo fascicolo di 10 fogli; ma non si ebbero posteriormente altre notizie. Società geologica italiana. — La Direzione del servizio geologico ha pro- curato di mantenersi in rapporto sempre più stretto e cordiale colla presidenza della nostra Società geologica, persuasa come è che le due istituzioni sono in dovare di aiutarsi a vicenda per lo scopo comune che in ultima analisi esse si propongono. E dolente di non avere ancora potuto ospitare convenientemente la So- cietà, come avrebbe fatto volentieri se avesse avuto effetto il voto del Comi- tato relativo all’ampliamento del locale, voto al quale il Ministero non potè ancora accondiscendere per inflessibili ragioni di economia. - 14 - Il chiarissimo Presidente della detta Società, che come tale oggi p;r la prima volta abbiamo il piacere di avere in mezzo a noi, può fare testimonianza che nulla abbiamo omesso per secondarlo nell’opera sua intelligente ed inde- fessa, specialmente nell’organizzazione dell’ultima adunanza generale che con fe- lice pensiero e con ottimo successo fu tenuta in Sardegna nello scorso aprile. Anche gli altri membri del Comitato che a vicenda si succedettero nella pre- sidenza della Società, ben sanno che la Direzione del servizio geologico ha pro- curato sempre di mettere in evidenza presso il Ministero i servizi che la So- cietà geologica ha reso direttamente ed indirettamente alla opera della Carta geologica ed ha sempre procurato che, malgrado la scarsità dei mezzi posti a nostra disposizione non venisse meno alla Società, l’aiuto del Governo; e siamo lieti che ad uno dei più antichi e benemeriti membri del Comitato, che ebbe più di una volta l’onore di presiedere la Società geologica, S. M. abbia voluto dare in questi ultimi mesi un particolare attestato della sua stima e della sua benevolenza. La splendida riuscita delle ultime adunanze generali tenute dalla Società con il numeroso concorso di membri dell’ Ufficio geologico ed ingegneri di miniere che vi presero parte, grazie ad un permesso speciale che il Ministero accordò per tale circostanza a tutti quelli che lo richiesero, dimostrarono sempre meglio’ quanto se ne apprezzi la serietà dei propositi e la nobiltà degli intenti, anche dalle persone che per la natura del loro ufficio devono mirare sopratutto alle applicazioni della scienza. Una prova del concorso efficace che gli ingegneri delle miniere possono prestare negli studi geologici, l’ebbe da ultimo anche l’illustre nostro Presi- dente nella esplorazione della grotta di Pegazzano che fu oggetto di una sua pregiata comunicazione all’ Accademia dei Lincei. Mediante la collabora- zione di un nostro distinto ingegnere egli potè procurarsi un bellissimo ed esatto rilevamento della grotta, corredato di profili e sezioni, che hanno con- fermato i concetti che egli già aveva espressi sulla formazione della medesima in base a criteri puramente tettonici e stratigrafici. Paleontologia. — A senso della deliberazione presa lo scorso anno dal Comitato relativo alla restituzione dei fossili di proprietà dell’Ufficio geologico che si trovavano ancora al Museo di Pisa, essendone stata fatta richiesta ver- balmente e per iscritto al prof. Canavari direttamente, si ottenne la restitu- zione della massima parte di essi, cioè di quasi tutti gli esemplari di Ellipsa- ctnie, dei fossili del Caucaso raccolti dall’ing. Baldacci, di una parte di quelli delle Alpi Apuane, essendo gli altri andati smarriti nei tramutamenti ed in parte consumati nelle preparazioni e manipolazioni di laboratorio. A proposito di fossili devo ricordare al Comitato che dopo la lunga in- terruzione avvenuta (dal 1876 al 1883) nella pubblicazione delle Memorie in grande formato per servire alla descrizione della Carta geologica d’ Italia, -15 — e l’adozione a partire dal 1888 di una nuova serie di pubblicazioni in for- mato più maneggevole (in 8°) col titolo di Memorie descrittive della Carta geologica d’ Italia, le memorie in grande formato erano state quasi esclu- sivamente riservate alla pubblicazione dei più importanti lavori di paleon- tologia interessanti la nostra Carta geologica, presentati anche da persone estranee al Comitato ed all’Ufficio geologico. Senonchè tale pubblicazione do- vette subire per ragioni di economia una nuova interruzione dopo il 1893 ed ora non si sa quando potrà essere ripresa. La pubblicazione della Palaeontographia Italica , iniziata lo scorso anno per cura del prof. Canavari dell’Università di Pisa, in formato quasi identico a quello delle citate Memorie, potrebbe rimediare, almeno in parte, alla man- canza o, come meglio amiamo credere, al ritardo di queste. Fin dallo scorso gennaio il prof. Canavari, alla cui ardita impresa auguriamo di cuore prospero successo, ci scrisse esprimendo il desiderio che nella sua Palaentographia siano pubblicati anche i lavori fatti per le determinazioni aventi diretta connessione colla Carta geologia, dal nostro paleontologo dott. Di Stefano, anzi pregandoci di fargli inviare qualche lavoro pel volume II che dovrebbe pubblicarsi entro l’anno corrente. Tenendo conto delle surriferite circostanze ci pare che la pro- posta del prof. Canavari sia conveniente ed opportuna. Il dott. Di Stefano non sarebbe per parte sua alieno dall’aderire, per quanto le ordinarie sue occupa- zioni glielo permetteranno, alla domanda fa.tta; sentiamo anzi che egli potrà dare fra non molto qualche lavoro sui fossili cretacei dei Monti Lepini e sugli Hippurites dell’Italia meridionale, con una diecina di tavole che si incariche- rebbe di disegnare egli stesso. Ad ogni modo desideriamo sentire a questo riguardo il parere del Comitato. Devo finalmente rammentare la domanda, che fece lo scorso anno al Co- mitato il dott. Clerici, di un aiuto morale e materiale che lo mettesse in grado di terminare un lavoro sui legni fossili dei tufi vulcanici dei dintorni di Roma. Questo lavoro, accompagnato dalle necessarie illustrazioni grafiche, do- vrebbe poi essere stampata in appendice allo studio geologico sulla Campagna romana che sta ora eseguendosi per cura del nostro Ufficio sotto la direzione scientifica del prof. Strùver. Il Comitato fece in massima favorevole acco- glienza alla domanda del dott. Clerici, ritenendo opportuno che intanto presen- tasse una nota a titolo di saggio, la quale sarebbe stata stampata nel Bollet- tino e che il lavoro fosse sorvegliato ed aiutato da un abile botanico per la identificazione delle specie fossili con le viventi. Devo ora porgere anzitutto al Comitato i ringraziamenti del dott. Clerici per la adesione data alla domanda di lui ed informarlo quindi che il prof. Pi- rotta ha dichiarato che volentieri assumerà l’incarico "di assistere l’esecuzione di un lavoro che si presenta anche per lui di molto interesse negli studi di raccordamento della flora vivente con quella fossile. 8 — 16- Quanto alla nota di saggio il dott. Clerici farebbe notare, d’accordo col prof. Pirotta, che per il significato che le verrebbe dato dal Comitato e per il suo desiderio di presentare al più presto uno studio su di un argomento di genere nuovo per l’Italia, come è quello dei legni fossili, essa verrebbe a contenere la parte più importante della ricerca e poco resterebbe per la memoria da farsi dopo. Ora pare anche a me che essendo assicurata l’assistenza ed il consiglio di un botanico tanto valente quale è il prof. Pirotta, venga meno la ragione della nota di saggio e che potrebbe essere preferibile che il dott. Clerici con- centrasse tutta la sua attività nello studio della memoria completa. D’altronde le belle riproduzioni foto-litografiche presentate l’anno scorso e le altre poste- riormente aggiunte, danno piena sicurezza che il lavoro di un osservatore di- ligente e sagace come è il dott. Clerici riuscirà del più grande interesse per l’illustrazione di una formazione che ha tanta importanza per lo studio geolo- gico della campagna di Roma. Resoconto dei lavori eseguiti nella decorsa campagna. Nuovi rilevamenti e revisioni. — Come negli anni decorsi furono eseguiti nel 1895 lavori di nuovo rilevamento e di revisione per opera degli ingegneri Lotti, Zaccagna, Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella, del dott. Di-Stefano e degli aiutanti Cassetti e Moderni sotto la direzione dell’ ing. Baldacci. Le regioni di nuovo rilevamento furono le Alpi Occidentali, l’Appennino tosco-emiliano, l’Abruzzo e la pianura del Po (per i terreni quaternari e recenti). Le revisioni furono fatte nelle Alpi Apuane e nell’Italia meridionale (fra Cassino e Gaeta e nell’Avellinese). allevamento delle Alpi Occidentali. — Le regioni rilevate furono alcune parti della valle di Susa (tav. di Bussoleno) per opera degli ing. Mattirolo e Franchi ; la valle della Germanasca e specialmente l’alto vallone della Cia- lancia, l’alta valle del Pellice, principalmente lungo la frontiera ed il crinale divisorio settentrionale e parte del gruppo del Monviso, dall’ing. Novarese; l’alta valle del Po e gruppo del Monviso dall’ing. Stella; parti delle valli del Grana e del Maira dall’ing. Franchi, col concorso del paleontologo dott. Di-Ste- fano. L’ing. Mattirolo completò inoltre alcune parti dei rilevamenti degli anni precedenti nelle tavolette di Perosa Argentina, Roure, Susa e Novalesa. Per la direzione del lavoro l’ing. Baldacci fece varie escursioni nelle alte valli della Dora, del Po, del Pellice e di Luserna, nel gruppo del Monviso e nella alta Val Grana. L’area rilevata nelle Alpi Occidentali nella scorsa campagna fu di km.2 1043, impiegando in tutto, compresi i viaggi dall’Ufficio centrale al Piemonte e vi- -17- ceversa, le gite di direzione e il concorso del paleontologo, 470 giornate di cam- pagna, col percorso di 8943 km. su via ordinaria. Per le speciali difficoltà incen- trate per l’asprezza ed elevate altitudini delle regioni rilevate e per lo studio di nuovi gravi problemi presentatisi, l’area rilevata in questa campagna risulta alquanto minore di quella degli anni precedenti. Sui risultati scientifici, alcuni dei quali di importanza notevole, riferiranno paratamente i vari operatori; e qui non ne do che un cenno sommario. Il rilevamento della valle di Susa dimostrò come in quella regione la di- visione dei terreni così detti arcaici , in zona dello gneiss centrale e zona delle pietre verdi, sia ancora meno precisa e netta che in altre parti delle Alpi Cozie. Ivi, come in altre regioni di cui si dirà in seguito, si trovano gneiss di diversi tipi, non differenti da quelli del così detto gneiss centrale , intercalati in lenti, non solo nei micascisti, ma anche nei calcescisti e quasi a contatto colla grande zona calcarea di Meana. Nel rilevamento dei dintorni di Pinasca l’ing. Franchi trovò una prova della intercalazione di scisti grafìtici negli gneiss più profondi della serie. In questi scisti sono indubbiamente intercalate lenti limitate di gneiss, contenenti gneiss brecciosi e micascisti con ciottoli di quarzo rotolati, accennanti alla pro- venienza da più antiche formazioni. L’ing. Novarese trovò che le roccie grafitiche della valle inferiore del Chisone (su cui già riferì in altra occasione) continuano nel vallone di Pra- mollo, dove si osservano anche banchi di conglomerati gneissici, e nei monti di S. Secondo e Bricherasio, sempre verso la base dei terreni supposti arcaici, però sopra aree sempre più ristrette dirigendosi verso Sud. In essi compaiono degli scisti neri, carboniosi, privi affatto di aspetto cristallino ; ma tuttavia vi si nota sempre frequente ed intima la alternanza con micascisti identici a quelli che si incontrano in tutti gli orizzonti della serie antica. Gli gneiss di tipo centrale, ghiandoni, granitoidi, listati, granulari, ecc., tanto nella valle della Germanasca quanto nel vallone di Pramollo, formano una serie di grandi lenti isolate, fra loro indipendenti, intercluse entro micascisti o gneiss di altra natura, in diversi orizzonti della serie. Tale fatto si ripete nella valle del Pellice ; anzi in questa gli gneiss a medi o grossi elementi vanno acquistando importanza sempre maggiore man mano che si procede verso Sud, in modo da prendere un assoluto predominio sui micascisti e gneiss minuti, ai quali però sono sempre associati. Sembra che sia da includere in questo gruppo tutta la grande massa gneissica in cui sono aperte le cave della valle di Luserna. Verso la parte superiore di questa serie di micascisti, a lenti di gneiss, si osservano lenti di calcari cristallini e micacei, ora in sottili banchi, ora in lunghe e potenti amigdale, che sembrano costituire un orizzonte. Nella serie si intercalano a vari livelli delle masse amigdaloidi di varia importanza di anfìboliti granatifere e di prasiniti. — 18 — La zona a questa superiore dei calcescisti con fìlladi della valle Germa- nasca contiene verso la sua base una fascia potente e continua di prasiniti, serpentine ed eufotidi, cbe traversa tutta la valle, e altro non è che la porzione settentrionale della gran lente di roccie verdi che va a formare il gruppo del Viso. Sopra questa grande massa che forma un complesso ben ca- ratterizzato, si incontra una potente serie di calcescisti con lenti minori di eufotidi e prasiniti, fra loro affatto indipendenti. Sotto la grande amigdala di roccie verdi del Viso, fra questa e la serie sottostante di micascisti con gneiss, s’intercala una importante zona di calcesci- sti, sottile a Nord, ma la cui potenza va considerevolmente aumentando verso Sud. In essa si contengono lenti di calcari ora cristallini, ora bardigliacei, che pure aumentano di potenza verso Sud fino a costituire la potentissima massa del Monte Sea Bianca : qui specialmente essi sono bene stratificati, in banchi piut- tosto sottili e ricordano nel loro aspetto molti calcari fossiliferi. Finora non vi si trovarono resti organici, ma non è improbabile che ne vengano rinvenuti in seguito, analogamente a ciò che avvenne più a Sud in calcari litologica- mente identici, dove vennero trovati crinoidi e altri fossili. Nell’alta valle del Po fu studiata dall’ing. Stella la serie completa dei ter- reni costituenti la regione. Essa comincia in basso cogli gneiss di tipo centrale, continuazione verso Nord di quelli di Val Varaita, i quali contengono le sin- golari intercalazioni di scisti grafitici analoghi a quelli sopra descritti. Vi si sovrappongono in concordanza dei micascisti, alcuni dei quali a sis- ari ondina, e certi gneiss di struttura identica allo gneiss centrale , come quelli incontrati più a Nord dall’ing. Novarese. Viene in seguito una zona di calcari e calcescisti, di cui i primi divengono predominanti da Sud verso Nord, notan- dovisi dei caratteristici calcari a lastre e calcari bianchi a chiazze oscure (di apparenza organica), mentre ai calcescisti si accompagnano delle vere fìlladi come in Val Varaita. I calcari hanno grande rassomiglianza litologica con altri trovati più a Sud, di cui si parlerà in seguito. La potente massa delle pietre verdi sovrastante a questi calcescisti è la prosecuzione della lente del Viso, e in essa si nota una zona interna essen- zialmente serpentinosa e una esterna essenzialmente anfibolica. Più verso Sud il rilevamento compiato dall’ing. Franchi nelle valli Grana e Maira condusse ad una scoperta che potrebbe avere una importanza capitale per la geologia delle Alpi Occidentali. L’ing. Franchi trovò fossili tanto nella vasta massa calcarea, già indicata come arcaica dal Gastaldi, la quale traversa le due valli con una larghezza superiore in qualche tratto a 10 km. e con una potenza riconosciuta di circa 800 metri, quanto in una potente serie di calce- scisti ad essa sovrapposti. In queste località fossilifere (Ponte la Follia sopra Pradleves, Cauri, Cam- pomolino, ecc.) l’ing. Franchi e il dott. Di-Stefano raccolsero gran numero di esemplari di una pleurotomaria non distinguibile dalla P. solitaria Ben. della — 19 - Hauptdolomit, e molti lamellibranchi, fra i quali una forma confronta colla Gervilleia exilis Stopp. A questi calcari si sovrappone una serie di calcescisti fossiliferi, sviluppati nel vallone di Narbona e presso Campomolino ; essi contengono numerosissime belemnitidi e ammoniti, le quali, benché non determinabili specificamente, sono di tipro assolutamente liasico, essendovi fra esse anche dei veri arietite s. I calcari fossiliferi di Pradleves si collegano con un’altra estesa zona cal- carea, che è attraversata dalla Maira fra Stroppo e S. Damiano Macra, e si estendono fino al crinale fra Maira e Yaraita, donde altre masse minori rile- vate dall’ing. Stella sembra che li colleghino colle citate grandi masse della alta valle del Po e con quelle più a Nord. La serie dei calcari triasici e dei calcescisti liasici si trova direttamente sottoposta, apparentemente in perfetta concordanza, a certi micascisti, a sis- mondina e gastaldite, con lenti di prasiniti e serpentine, sui quali riposa con- cordante una zona di roccie litologicamente identiche a quelle del Permo-car- bonifero, coperta a sua volta da calcari, gessi e carniole finora ritenuti appar- tenenti al Trias inferiore. Nessun artifizio stratigrafico può finora dare la spie- gazione di questi fatti, ma è sperabile che si possa dalla prossima campagna attendere la spiegazione del grave problema, la quale rischiarerà molti punti della cronologia finora oscura e tanto discussa delle formazioni alpine. Quaternario della Valle del Po. — Al rilevamento di questi terreni attese nel mese di maggio l’ing. Stella, e in 16 giorni di escursioni nelle pianure di Lombardia e del Veneto potè delimitare le varie formazioni quaternarie e re- centi nei fogli 51, 59, 60, 61, 62, 68, 64 e 74 alla scala di V10o ooo- Lo scopo principale fu la delimitazione d elV alluniate dal diluviale supe- riore nella zona che, attraverso i detti fogli, corre parallela al Po da Cremona ai Este, e lo studio delle relazioni fra il diluviale superiore e il morenico dtfi- l’anfiteatro del Garda, oltre a quello delle dune continentali dell’alta pianura mantovana- veronese. Toscana e Appennino tosco-emiliano. — Il rilevamento vi fu continuato per opera dell’ing. Lotti che terminò la tavoletta di Arezzo, rilevando poi quelle di Castelnuovo Berardenga, Subbiano, Fanano e Pievepelago (circa S/A rive- dendo anche alcune parti di quella di Sinalunga. L’ing. Lotti trovò nuovi fatti importanti per la dimostrazione della età eo- cenica di vari terreni, contenenti, insieme a fossili eocenici, anche fossili ritenuti di età più antiche e più recenti, come inocerami, lucine ecc., ed espose i risultati dei suoi lavori in note già pubblicate nel Bollettino, secondo le cui conclusioni sarebbe resa assai più semplice la interpretazione della struttura geologica di quella parte dèll’Appennino. L’area da lui rilevata in 133 giorni di campagna ascese a 1500 km2. -20 — Abruzzo. — L’aiutante Moderni si occupò del rilevamento della tavoletta di Leonessa, che presenta gravi difficoltà per lo sviluppo in essa raggiunto da vari piani del secondario, senza caratteristiche .differenze litologiche, dal Trias al Cretaceo e per le complicazioni stratigrafìche. La regione venne anche percorsa e studiata dall’ing. Ba] dacci e vi furono raccolti in varie località fossili del Lias medio e inferiore; ma benché i limiti di vari terreni sieno oramai messi a posto e benché per alcuni di essi non esistano dubbi sulla loro età, se ne hanno* tuttavia dei gravi per altri e per i rapporti stratigrafìci, in modo che occorrono ulteriori studi pel completo rile- vamento di quella tavoletta. In questo lavoro l’aiutante Moderni impiegò 79 giorni percorrendo 2368 km., comprese le gite di ricognizione anche in regioni limitrofe, e 8 giorni vi oc- cupò l’ing. Baldacci. La superficie rilevata fu di circa 403 km.2 Riassunto del nuovo rilevamento eseguito nella campagna del 1895 : Alpi Occidentali . . Km2 1048 Toscana e Appennino tosco-emiliano . . » 1500 Abruzzo » 400 Totale . . . Km2 2948 Quaternario della Valle del Po ... 8 fogli al x/xoo ooo- Revisioni nelle Alpi Apuane. — Le revisioni praticate dall’ing. Zaccagna nelle Alpi Apuane ebbero per iscopo di preparare la pubblicazione della Me- moria descrittiva, e di raccogliere elementi per la esecuzione delle sezioni che accompagneranno la Carta geologica della regione. Per questi lavori l’ing. Zaccagna impiegò io campagna 43 giorni. Recisioni nell'Italia meridionale. — Sotto la direzione dell’ ing. Baldacci, l’aiutante Cassetti operò la revisione dei monti calcarei compresi nelle tavo- lette di Cassino, Avellino, S. Angelo dei Lombardi, Fondi e Gaeta, suddividen- dovi e delimitandovi, colla scorta dei fossili, i due piani del Cretaceo, che ge- neralmente li formano, cioè l’Urgoniano e il Turoniano. Nei monti di Gaeta la revisione condusse alla scoperta di un vasto e im- portante affioramento anticlinale di calcari del Lias medio, sottoposti diretta- mente in leggiera discordanza ai calcari cretacei della costa fra Formia e Gaeta e dei monti verso N.E e N.O di essa. Vennero dall’aiutante Cassetti impiegati in queste revisioni 105 giorni di campagna, col percorso di 2588 km. Campagna Romana. — Questo lavoro, al quale sono addetti specialmente gli ingegneri Viola e Sabatini, sotto la direzione dell’ing. Zezi, ebbe nel 1895 un certo incremento tanto per i terreni sedimentari, quanto per i vulcanici. — 21 - L’ing. Viola, che nel 1894 aveva ultimato lo studio dei Monti Lepini, ri- volse nel 1895 la sua attenzione alla valle del Sacco e alla catena dei Monti Ernici che la chiudono a levante, impiegandovi 106 giornate di lavoro, col percorso di 2645 km. Dalle osservazioni fatte sui calcari della valle del Sacco che stanno presso al piede orientale dei Lepini, risultò che essi contengono nummuliti e forarni- nifere dell’Eocene superiore, nonché pettini costati analoghi a quelli che si trovano nei calcari di Subiaco. Essi si presentano inoltre in stratificazione concordante con le arenarie della stessa valle, cui talvolta sono anche inter- calati, come pure concordano con i calcari turoniani dei Lepini. Ne risulta quindi la assenza nella valle del Sacco di rappresentanti dell’Eocene medio ed inferiore, e il riferimento delle arenarie di Erosinone all’Eocene superiore, anziché al Miocene inferiore come fu fatto finora. Il Viola portò pure la stia attenzione sui vulcani di Morolo, Patrica, Ticchiena e Ceccano. Nella catena dei Monti Ernici, compresa nelle tavolette di Sora, Alatri ed Anagni, il Viola distinse due regioni calcaree longitudinali, di cui la più oc- cidentale e meno elevata è fossilifera e appartiene all’Eocene con pettini co- stati uguali agli anzidetti, di modo che havvi perfetta analogia fra i due lati della vallata del Sacco : l’altra regione invece, cioè la più elevata degli Er- nici, risultò priva di fossili ; per cui, essendo anche indecisa la relazione stra- tigrafica con la precedente, rimane dubbia l’età di quei calcari : essi però, per analogia litologica con i calcari inferiori dei Lepini, appartengono molto pro- babilmente al piano TJrgoniano. Alcuni conglomerati rinvenuti nelle vailette dipendenti da questi monti più elevati, fanno pensare a residui di morene formate da ghiacciai che da essi discendessero nel periodo quaternario: sono però necessarie altre ricerche in proposito. In quanto all’ing. Sabatini, egli continuò le sue gite nei Vulcani Laziali, che condusse a termine; quindi, perla stagione troppo avanzata, invece di ri- prendere il Braccianese, passò direttamente ai Vulcani Cimini, di cui esaminò la parte meridionale già rilevata, e rilevò a nuovo quella a Nord del Lago di Vico fino a Viterbo, lasciando per la campagna ventura il rilevamento della regione ad occidente e ad oriente del lago. In questo suo lavoro il Sabatini impiegò 96 giornate, con un percorso di chilometri 2251. Nel lavoro di gabinetto lo stesso ingegnere ha potuto completare lo studio delle roccie dei Vulcani Laziali. Lavori d ’ ufficio. — Come di consueto, nel tempo non destinato al lavoro di campagna, il personale si trovò raccolto presso l’Ufficio geologico, e i varii operatori si occuparono dello studio del materiale raccolto nelle escursioni, del suo ordinamento, della compilazione delle relazioni e note da inserirsi nel Bollettino , della copia e coloritura delle carte rilevate, nel quale ultimo lavoro vennero seguite alcune istruzioni e norme da me tracciate con nota 29 no- — 22 - vembre 1895, sugli elementi e spiegazioni che sulle carte stesse devono essere collocate, affinchè esse rimangano un documento il più completo possibile di tutte le osservazioni fatte sul terreno. Pubblicazioni. — Oltre a quella consueta del Bollettino , destinato in gran parte alle relazioni annuali del personale operante, l’Ufficio ha fatto o prepa- rato nell’anno 1895 le pubblicazioni seguenti: 1° Memoria descrittiva della Calabria dell’ ing. Cortese. — Forma il voi. IX delle Memorie descrittive della Carta geologica d’ Italia , a corredo della Carta della Calabria nella scala di 1 a 100,090. E un bel volume di oltre 310 pa- gine, con la Carta geologica della regione al 500,000, quattro tavole di sezioni, geologiche a colori, cinque tavole con vedute fotografiche di località diverse e 24 figure intercalate nel testo. Fu distribuito nell’agosto 1895. 2° Carta geologica della Calabria nella scala di 1 a 109,000. — Nello scopo di riprendere la pubblicazione di questa Carta, già iniziata nell’anno pre- cedente con i sei fogli della parte centrale, si è eseguita la incisione di altri sei fogli della Calabria meridionale senza tratteggio, e precisamente di quelli portanti i numeri 245, 246, 247, 255, 263 e 264 (il 254 fu già pubblicato con la Sicilia): questi fogli, insieme con una tavola di sezioni, dovranno ora essere pubblicati con i colori geologici entro l’anno in corso. La spesa della incisione fu di L. 1, 10 per centimetro quadrate di disegno ed è stata, come per i pre- cedenti fogli, sopportata dall’Ufficio per 4/5 e per 1/5 dall’Istituto geografico militare, cui resta la proprietà del lavoro. 3° Ca ia geologica delle Alpi Apuane nella scala da 1 a 50,000. — Questa Carta in quattro fogli, di cui la tiratura in mero era già stata eseguita dal- l’Istituto geografico militare, fu stampata coi colóri geologici nel corso del 1895, ma non è ancora distribuita. A completarla occorrono tre grandi tavole di se- zioni, che l’ ing. Zaccagna sta preparando, e di cui la prima era in corso di incisione alla fine dell’anno; esse saranno compiute nell’anno corrente e si distribuiranno insieme con la Carta. Da quanto si è fatto finora, si spera che nel complesso risulterà un lavoro ben riuscito e tale da fare onore allo stabi- limento che lo ha eseguito. 4° Catalogo della Biblioteca. — E stata compiuta la stampa di questo catalogo, la cui compilazione e pubblicazione ha dato un certo lavoro al per- sonale addetto alla Biblioteca. Esso forma un volume di quasi 300 pagine, e fu distribuito nel mese di dicembre ultimo. Il catalogo rappresenta lo stato della Biblioteca a tutto il 1893. Trovasi ora in corso di distribuzione un primo supplemento relativo al biennio 1894-95. Collezioni. — Come già si disse fu formata una doppia raccolta di minerali utili italiani e delle principali roccie che ne caratterizzano i giacimenti; un esemplare di questa fu inviata all’Accademia montanistica di Berlino, corredata del catalogo e di 23 - tutte le indicazioni occorrenti, l’altra rimase ad arricchire la nostra collezione di sostanze utili e fu poi completata coi materiali già esistenti ed ordinata in modo da servire all’illustrazione geologica dei giacimenti minerari dell’Italia. Per le collezioni normali fu continuato il loro ordinamento e sviluppo in armonia col progresso dei lavori di campagna. Si intraprese inoltre il riordinamento della collezione dei marmi acquistata dalla famiglia del gen. Pescetto, secondo criteri di petrografia archeologica, approfittando perciò .del concorso spontaneo e gratuito di un erudito specia- lista. Laboratorio chìmico-petrografìco. — - Le ricerche, i saggi e le analisi state eseguite durante l’anno 1895 nel nostro laboratorio chimico furono come per solito assai varie e si riferirono a poco meno di un centinaio di campioni. Il maggior numero di essi concerneva la determinazione chimica di mine- rali e roccie, pochi riguardavano minerali metalliferi ed infine ale mi riflette- vano saggi di carattere industriale. Questo materiale era stato in gran parte raccolto dal personale dell’Uf- ficio durante il rilevamento; ed oltre ad alcune analisi completo, si eseguirono determinazioni di specie minerali, oppure saggi parziali, come quelli per la ricerca del cromo in miche verdi frequenti nella zona dei calcescisti e ritenute fucsiti, in picotiti ed altri minerali, saggi per manganese, titanio, fluoro, fo- sforo, alcali e per altri elementi che interessava conoscere. Si esaminarono poi alcuni calcari provenienti dai dintorni di Leprignano e da altre località della provincia romana. Alcuni campioni riguardavano minerali metalliferi ed anche metalline, e su di essi si eseguirono ricerche per rame, manganese, argento, oro, per lo più con risultati negativi. Infine, altri saggi di carattere industriale furono ese- guiti sopra terre coloranti e per la determinazione dello zolfo negli sterri. Delle analisi fatte furono pubblicate quelle di un’albite di Candia nel gior- nale Tschermak’s minar alo gischen und petrographischen Mitteilungen di F. Becke in una nota dell’ing. Viola, e, nel nostro Bollettino, quelle di due roccie e cioè d’uno scisto a gastaldite, o anfìbolite sodica, del Monte Vallonet nell’alta Val Maira e d’una prasinite della cava sotto il Colletto presso Trana, in valle del Sangone, in una nota delL’ing. Franchi sopra alcune metamorfosi di eufo- tidi e diabasi nelle Alpi Occidentali, ed inoltre quella d’una roccia dolomitica di S. Giuliano nella bassa valle della Mera, inserita in una nota dell’inge- gnere Mattirolo. Nel principio dell’anno 1895 si lavorò pure allo studio» delle pozzolane ro- mane, studio che si dovette poi sospendere per dar corso ad altri lavori. In quanto alla parte petrografia, furono eseguite n. 671 sezioni sottili da conservarsi, oltre ad un certo numero di quelle che vengono distrutte per speciali determinazioni. L’ing. Viola, oltre allo studio microscopico di alcuni calcari dei Monti Ernici, esaminò le principali lave dei vulcani della valle del Sacco, ricono- scendo l’esistenza di veri basalti labradorici nella regione di Ceccano, roccie non ancora conosciute nè qui, nè in altri vulcani romani. Da questo studio ri- sulterebbe pure l’origine secondaria dei felspati nelle leucititi, nelle leucote- friti e nei basalti felspatici, dovuta all’azione di pirosseni sodo-calcici sulle leuciti ed alla costituzione dei felspati da felspati microlitici. L’ing. Novarese esaminò n. 20 L sezioni corrispondenti a campioni raccolti nelle campagne geologiche precedenti nelle Alpi Occidentali e principalmente nel 1894 nelle Alpi Graje. L’ing. Sabatini continuò lo studio delle roccie del Vulcano Laziale ; studiò alcuni scisti cristallini della Colonia Eritrea e le lave dell’eruzione vesuviana dell’anno 1895, esaminando all’ incirca 200 preparazioni. L’ing. Franchi esaminò alcune roccie diabasiche e porfiriche in rapporto alle loro metamorfosi, sulle quali pubblicò una nota nel nostro Bollettino ; studiò quindi una serie di roccie gneissiche, dioritiche e grafìtiche della valle del Chisone, delle quali rese pure conto nel Bollettino. L’ing. Stella infine studiò ed ordinò il materiale raccolto in Val Varaita nella campagna del 1894, nonché alcune roccie della Toscana delle quali trattò in una sua nota nel Bollettino. Gabinetto paleontologico. — Il dott. Di-Stefano durante il 1895 ha conti- nuato il suo lavoro di determinazioni paleontologiche richieste dal rilevamento geologico. Tra i fossili studiati da lui si possono citare quelli del Trias supe- riore di Marsiconovo e di Tramutola, già raccolti dagli ingegneri Baldacci e Viola; quelli dei Lias di S. Casciano dei Bagni e dell’ Eocene di Barigazzo, raccolti dall’ing. Lotti; quelli liasici e triasici della Val Grana; quelli (cefalopodi) del Lias inferiore delle Alpi Apuane, raccolti dall’ing. Zaccagna ; i molluschi del- l’Urgoniano di Caserta Vecchia, del Cenomaniano di Gaeta, del Tnroniano dei pressi di Monte Cassino e della montagna di Nusco, raccolti dall’aiutante Cassetti, ecc. Fra questi fossili sono importanti quelli dei calcari cretacei con Ostreidi dei monti di Gaeta, i quali, per la presenza della Exogyra Ratisbonensis Schloth., Exogyra columba Lmk. e di qualche Griphaea affine alla G. vesicularis , sono stati riferiti al Cenomaniano, che nella sua facies calcarea non è stato finora trovato nella parte meridionale del nostro continente. Qualche autore cita la Ex. Ratisbonensis' anche nel Senoniano, ma per ora non abbiamo argomenti per riferire a quel piano i calcari con Ostreidi di Gaeta. Assai più importanti sono i fossili del Lias dei dintorni della stessa città. Essi mostrano che la facies dei calcari grigi delle Alpi venete e del Tirolo con Terebr. Rotzoana , Terebr. Renieri e Megalodus si ripete non solo sulla catena del Pollino (Calabria), ma anche nei monti di Gaeta. -25- II dott. Di-Stefano ha anche eseguito un lavoro illustrativo dell’importante giacimento con Dreyssensia di S. Giovanni Incarico, i cui fossili furono raccolti per primo dall’ing. Viola e poi dal Di-Stefano e dal Viola insieme. Lo stesso Di-Stefano nell’agosto fu per vari giorni nella Val Grana (Cuneo) insieme con l’ing. Baldacci e con l’ing. Franchi, che aveva trovato delle loca- lità fossilifere nei calcari e calcescisti dei dintorni di Pradleves, di Cauri e di Narbona. Le ricerche ivi eseguite fornirono dei fossili, i quali mostrano che in quel potente insieme di calcari e calcescisti possono distinguersi, almeno per ora, il Trias superiore ed il Lias inferiore. L’importanza di questi risultati su calcari che sino allora erano ritenuti per arcaici, e delle questioni tettoniche che vi sono connesse, indussero il dott. Di-Stefano a richiedere anche il parere dei prof. Gemmellaro, Benecke e Kayser sui fossili raccolti. L’opinione che i suddetti professori vollero gentil- mente dare, è conforme alle conclusioni tratte dallo studio fatto nel laboratorio paleontologico dell’Ufficio. Però s’impone ancora la necessità di ulteriori ricer- che stratigrafìche prima di emettere un ultimo parere sull’età dei calcari fos- siliferi citati e sulla tettonica di quelle difficili regioni. Incarichi diversi del personale. — L’ing. Baldacci ebbe ad occuparsi anche nel 1895 di varie questioni relative alle ferrovie e ai lavori pubblici in genere, come lo studio fatto in mia compagnia di difficoltà incontrate nello scavo della galleria della Fiumarella (linea Catanzaro-Stretto Veraldi), della grande frana av- venuta a Roccapalumba sulla linea Palermo-Porto Empedocle, della galleria di Tenda (Cuneo-Ventimiglia), dello studio di frane e di consolidamenti sulle strade provinciali Castelmezzano-Laurenzana (provincia di Potenza) e Trivento-Masseria Ferrerò (provincia di Campohasso), impiegando in questi vari incarichi 45 giorni di gite. Lo stesso continuò anche ad occuparsi degli studi relativi alle acque potabili di Torino. L’ing. Sabatini ebbe incarico di recarsi a Napoli per studiarvi la eruzione del Vesuvio avvenuta nel mese di luglio, ne esaminò i prodotti e ne diede una relazione che trovasi inserita nel fascicolo 2° del Bollettino. Infine il dott. Di-Stefano, chiamato a far parte della Commissione per lo studio dei terremoti calabro-siculi, fece nei mesi di settembre e novembre una serie di escursioni in Calabria e nella provincia di Messina, dandone poi rela- zione al presidente della Commissione stessa. — 26 - Resoconto delle spese per l’anno 1895 I. Assegni al personale straordinario: Due disegnatori (a L. 150 mensili ciascuno) L. 3,600.00 Uno scrivano (a L. 120) » 1,440.00 Un usciere (a L. 100) » 1,200 00 Primo inseiviénte (a L. 90) » 1,080.00 Secondo inserviente (a L. 80) » 960.00 Portiere (a L. 95) . . . » 1,140.00 Totale L. 9,420.00 L. 9,420.00 II. Indennità di campagna e trasferte diverse : SAlpi Occidentali L. 6,618.10 Alpi Apuane » 694.03 Toscana e Appennino tosco-emiliano » 2,330.60 Abruzzo aquilano » 1,317.41 (Provincia romana » 3,125.94 Italia meridionale » 1,449.05 Valle del Po » 319,32 L. 15,854.45 L. 15,854.45 Direzione dei rilevamenti L. 867.86 Trasferte diverse del personale » 1,085.28 Adunanza del Comitato » 378.80 Totale L. 18,186.29 L. 18,186.29 III. Spese d’Ufficio, Biblioteca e Collezioni : Spese di cancelleria, posta, riscaldamento, ecc., ecc L. 3,135,89 Idem nei diversi centri di rilevamento (compresa la spesa per le guide) . » 838.40 Consumo di carte topografiche » 137.98 Biblioteca » 1,165.95 Totale L. 5,278.22 L. 5,278.22 IV. Pubblicazioni diverse : ( Testo L. 2,646.25 Bollettino-,. 1 Tavole » 429.35 ( Estratti ■» 208.75 Totale L. 3,284.35 L. 3,284.35 Da riportare L. 3,281.35 L. 32,884.51 27 — Carta della Calabria al 100m. Riporto L. 3,281.35 L. 32,884.51 Incisione di sei fogli della Calabria meridio- nale L. 2,990.40 Aggiunta di ferrovie su fogli già pubblicati . . » 120.00 Totale L. 3 jl0.40 L. 3,110.40 Memoria descrittiva della Calabria Testo Tavole (oltre quelle pagate nel 1894) . Incisioni intercalate L 1,409.81 » 1,428,00 » 100.70 Totale L. 2,938.51 L. 2,938.51 Carta delle Alpi A- puane al 50“ in 4 [ Stampa dei colori L. 6,080.56 fogli. ) Catalogo della Biblioteca dell'Ufficio geologico 1,805.77 Totale L. 17,219.59 L. 17,219.59 V. Laboratorio chimico-petrografico : Consumo di materiale e spese diverse L. 497.65 Riparazioni ed aggiunte ai microscopi ...» 450.20 Esecuzione di sezioni sottili fuori Ufficio » 414.84 Totale L. 1,362.69 L. 1,362.69 VI Manutenzione dell’U fficio : Riparazioni ai mobili . L. 45,00 Idem all’edificio » 167.24 Totale L. 212.24 L. 212.24 VII. Spese diverse : Compensi straordinari al personale dell’Ufficio L. 1,050.00 Sussidio ordinario annuale alla Società geologica » 500.00 Idem straordinario (per il 1891 non pagato) » 300.00 Disegno delle ferrovie su di una Carta d’Italia al 500“ » 175.00 Acconto per la Carta geologica d’Europa » 918.00 Assicurazione al fabbricato » 466.00 Totale L. 3,409.00 L. 3,409.00 Totale speso nel 1895 L. 55,088.03 La sómma disponibile per l’anno 1895 essendo stata di L. 45,000.00 si ebbe una spesa maggiore di L. 10,088.03 la quale fu coperta con i residui degli anni precedenti, impegnati per la pubblicazione di Memorie e Carte geologiche. 4 — 28 — Programma dei lavori per la campagna entrante. Nuovi rilevamenti. — Alpi Occidentali. — Il programma per la continuazione del rilevamento in questa regione è oramai già tracciato, e consiste nel com- pletamento di alcune parti di tavolette rimaste da terminare 1’ anno scorso e nel riprendere il nuovo lavoro nelle regioni che ancora restano a rilevare per congiungere i rilevamenti delle Alpi Gozie con quelli delle Alpi Marittime. Propongo quindi che Ping. Mattirolo faccia prima di tutto le poche gite occorrenti per terminare le tavolette di Roure e di Susa, e le parti di quelle limitrofe confinanti coi precedenti rilevamenti. L’ing. Novarese completerebbe alcune parti della tavoletta di Monviso e quella di Cavour, fino al confine colla provincia di Cuneo, rimanendo poi di- sponibile per circa metà della campagna per trasferirsi più a Sud, dove la sua opera possa essere richiesta per assicurare il compimento del programma. L’ing. Franchi avrà da terminare le tavolette di Argenterà, Prazzo e Dro- nero, e potrà, se gli resta tempo, riprendere il rilevamento di quella di Boves. L’ing. Stella terminerà la tavoletta di Cavour per la parte in provincia di Cuneo, passando poi a rilevare quella di Monte Chambeyron, donde, come l’ing. Novarese, se gli rimarrà tempo, potrà recarsi a collaborare coll’ingegnere Franchi. Lo scrivente ritiene che, se la stagione sarà propizia, si potrà in questa campagna, oltre ad ottenere il rilevamento completo della vasta regione alpina fra il Gran Paradiso ed il mare, molto probabilmente giungere a importantis- simi risultati sulla età geologica delle formazioni alpine. Assai probabilmente l’opera del paleontologo dott. Di-Stefano sarà anche in quest’anno necessaria per ricerca e raccolta di fossili in campagna. Toscana. — Si propone che l’ing. Lotti si occupi nella prossima campagna del rilevamento delle tavolette di Montevarchi, Vallombrosa, Poppi e Dicomano, riattaccandosi ai lavori compiuti negli anni precedenti. Italia centrale. — Per le speciali difficoltà cronologiche e stratigrafiche, di cui si è già parlato, che si presentano nelle tavolette di Leonessa e li- mitrofe, si propone che 1’ aiutante Moderni, dopo qualche gita da farsi coll’in- gegnere Baldacci nei dintorni di Leonessa, lasci per ora il rilevamento di quei monti per riattaccarsi invece a quello dell’Abruzzo settentrionale, già prece- dentemente eseguito, terminando la tavoletta di Civitella del Tronto, e rile- vando poi quelle di S. Benedetto e Ascoli Piceno. Il rilevamento dei citati gruppi montuosi abruzzesi potrebbe essere ripreso dopo eseguito quello di limitrofe tavolette, come quelle di Terni e di Rieti, per le quali esistono già studi stratigrafici, colla scorta dei quali il lavoro ri- marrà molto facilitato. Valle del Po. — L’ing. Stella potrà riprendere le sue osservazioni sui ter- reni quaternarii della valle del Po, in quanto lo permetteranno le sue occupa- zioni nelle Alpi Occidentali e nelle epoche a ciò più propizie, quali la prima- vera e l’autunno. Suo scopo sarà prima di completare ad oriente il rilevamento dell’anfiteatro morenico del Garda, per poi estendersi nella regione veneta. Revisioni. — Alpi Apuane. - — L’ing. Zaccagna ha bisogno ancora di varie escursioni, il cui numero e importanza non si può finora determinare, onde rac- cogliere elementi per la descrizione geologica delle Alpi Apuane e specialmente per completare alcune sezioni della Tav. Ili, già tracciate sulla Carta geologica pubblicata alla scala del 50CO0. Italia meridionale. — L’aiutante Cassetti potrebbe continuare la revisione da lui già iniziata con buoni risultati dei gruppi montuosi compresi nelle ta- volette di Yenafro, Castellone al Volturno e Atina; in essi è compreso anche l’alto gruppo della Meta, per il quale esistono fondati dubbi sulla determina- zione di alcuni terreni e sui loro rapporti stratigrafìci. Campagna Romana. — Per questo lavoro si propone che l’ing. Viola porti anzitutto a compimento lo studio dei Monti Ernici, per quindi volgere la sua attenzione ai Simbruini ed ai monti dell’alta valle dell’ Amene ; e l’ing. Saba- tini riprenda lo studio dei vulcani Braccianesi e dei Cimini sino al suo com- pimento, rilevando quelle parti delle tavolette di Viterbo e di Orte che vi sono comprese. Sarebbe poi desiderabile che il dott. Di-Stefano, per quanto lo permette- ranno le altre sue occupazioni, abbia a riprendere le osservazioni e la raccolta dei fossili nel gruppo liasico dei monti Tiburtini, Cornicolani e Lucani, e che Ting. Mattirolo riprenda del pari lo studio delle pozzolane romane, interrotto per attendere ad altri lavori. Lavori dell' Ufficio. — Poco possiamo proporre che non entri nella serie dei lavori consueti, compresa la pubblicazione del Bollettino , ciò dipendendo dalla incertezza dei fondi di cui si potrà disporre. Tuttavia accenniamo ai se- guenti lavori, i quali non sono che la continuazione di altri già fatti, e cioè: 1° pubblicazione delle tre tavole di sezioni annesse alla Carta geologica delle Alpi Apuane stampata lo scorso anno. Di una di esse è ormai quasi ultimata la composizione cromo’iitografìca ; di un’altra potrà farsi fra pochi giorni la consegna al litografo; mentre la terza è in corso di disegno e richiede ancora qualche verificazione sul terreno ; 2° ripresa della pubblicazione della Carta -3Q- geologica della Calabria al 100m con la stampa dei sei fogli della parte me- ridionale, e una tavola di sezioni annessa, già trasmessi al Ministero per tale scopo; 3° la incisione dei rimanenti fogli che formano la Calabria settentrio- nale, in numero di sette, per il che furono già presi i necessari concerti col- l’Istituto geografico militare e fu già fatta concreta proposti al Ministero. Riparto spese per il 1896-97. — E a credersi che anche per 1’ esercizio finanziario 1896-97 verrà accordata la somma di L. 45,000 quale minimo occor- rente per il proseguimento dei lavori di rilevamento della Carta geologica, la quale, insieme con circa L. 8,000 di avanzi dei bilanci passati, da una somma disponibile di L. 53,000 che propongo di destinare in quest’ anno come segue : Spese ordinarie: Rilevamenti ed escursioni diverse L. 19,000 Spese dell’ Ufficio, compresi gli assegni al personale straordinario, il laboratorio, la bi- blioteca, le collezioni ecc. ecc. . » 18,000 Pubblicazione del Bollettino *> 3,500 Assicurazione e manutenzione del locale » 1,000 Spese straordinarie : Stampa di tre tavole di sezioni delle Alpi Apuane » 4,500 Acconto per la pubblicazione dei sei fogli della Carta della Calabria meridionale al 100m, con una tavola di sezioni » 3.000 Incisione di sei fogli della Calabria settentrionale al 100m. . » 3,000 Spese impreviste * 1,000 Totale L. 53,000 N. PELLATI.