Almo Voi. R. COWITATO GEOLOGICO D’ITALIA AJ>T3SrO ISOO ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1900 ELENCO del personale componente il Comitato e 1’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. CossA Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia, R. Università di , Padova. ScARABELLi GIUSEPPE, Senatore del Regno, Imola. Struver Giovanni,, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. - Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati NiccoiA, Direttore. Ing. Mazzuol" Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. SoRMANi Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi o'peratori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattjrolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma, nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL H. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA 1900. Anno XXXI. 1900. ~ Anno XXXI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA ♦ Volume Trentunesimo (r della 4^ Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE DI G. BERTERO 1900 / INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1900 (Volume trentunesimo o primo delia 4^" serie) Introduzione . Pag. 1 / NOTE ORIGINALI. A. Stella. — Sulle condizioni geognostiche della pianura piemontese rispetto alle acque del sottosuolo Pag. 4 L. Baldacci e S. Franchi, — Studio geologico della galleria del Colle di Tenda (Linea Cuneo-Yen timiglia) » 33 S. Franchi. — Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell’ Appennino ligure » 119 B. Lotti. — Rilevamento geologico eseguito nel 1899 nei dintorni del Trasimeno e nella regione immediatamente a sud fino a Orvieto » 159 M. Cassetti. — Yuove osservazioni geologiche sui monti di Oaeta . » 174 P. Moderni. — Osservazioni geologiche fatte nel 1899 al piede orien- tale della catena dei Sihillini » 181 B. Lotti. — SuH’età della formazione marnoso-arenacea fossilifera deirUmbria superiore » 231 C. Viola. ^ Sopra alcuni pettini del calcare a piccole nummoliti dei dintorni di Subiaco in provincia di Roma » 247 M. Cassetti. — Rilevamenti geologici eseguiti l’anno 1899 nell’alta valle del Sangro e in quelle del Sagittario, del Oizio e del Melfa » 255 B. Lotti. — Sulla genesi dei giacimenti metalliferi di Campiglia Ma- rittima in Toscana » 327 P. Moderni. — Yote geologiche preliminari su i dintorni di Leonessa in provincia di Aquila » 338 V. Sabatini. — Congresso geologico internazionale. - Sessione IX (Parigi 1900). L’escursione ai Pujs, alla Limagne e al Mont-Dore 355 — VI NOTIZIE BIBLIOG-EAEICHE. Bibliografia geologica italiana per Fanno 1899 88 Idem idem {continuasi oné). ...» 189 Idem ^ idem {continuasi oné) .... » 278 Idem idem {continiiasione e fine) . » 385 NOTIZIE DIVERSE. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico Ho Idem idem » 227 Idem idem . . . i » 324 Idem idem » 430 Elenco del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico . . » 433 ILLUSTRAZIONI. Tav. I. — Schizzo geologico di una parte della pianura piemontese desunto dai rilevamenti dell’Ufficio geologico Pfig> 32 Tav. II. — Carta geologica dei dintorni del Colle di Tenda .... » 72 Tav. III. — Profilo geologico della galleria del Colle di Tenda. . . » ivi Tav. IV. — Portata delle sorgive interne nella stessa » ivi Sezione verticale ed orizzontale della faglia incontrata dalla galleria di Tenda » 86 Sezioni geologiche nei monti di Gaeta » 179 Sezioni schematiche nella regione dei monti Sibillini . . . Pag. 183, 187, 188 Tav. V e VI. — Unovi pettini dei dintorni di Snbiaco .... Pag. 254 Sezioni geologiche nei monti dell’alta valle del Sangro .... Pag. 262, 267 Sezioni geologiche presso Campiglia Marittima » 329, 333 Tav. VII. — Carta e sezioni geologiche dei dintorni di Leonessa . Pcig. 354 Sezioni geologiche nella zona vulcanica dell’Alvernia. Pag. 364, 367, 373, 378, 379 — VII — PAETE UFFICIALE. R. Decreto J: febbraio 1900 relativo al personale del R. Comitato geologico Pag. 3 INDICE DEI FASCICOLI. IS". 1. — Primo trimestre 1900 a pag. 118 y. 2. — Secondo id. » 119 » 230 IS". .3. — Terzo id. . . • . . » 231 » 326 X. 1. — Quarto id. » 327 co * BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IV. Voi. I. Anno 1900. Fascicolo 1“. SOMMAEIO. Introduzione. Note originali. — I. A. Stella, Sulle condizioni geognostiche della pianura pie- montese rispetto alle acque di sottosuolo. — II. L. Baldacci e S. Franchi, Studio geologico della G-alleria del Colle di Tenda (linea Cuneo -Yentimiglia). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1899. Pubblicazioni del B. Ufficio Geologico. Atti ufficiali. — E. Decreto I febbraio 1900, relativo al personale del E. Co- mitato Geologico. Illustrazioni. — Tav. I. Schizzo geologico di una parte della pianura piemontese desunto dai rilevamenti dell’Ufficio Geologico, a pag. 32. — Tav. II. Carta geologica dei dintorni del Colle di Tenda a pag. 72. — Tav. III. Profilo geologico della Galleria del Colle di Tenda, ibidem. — Tav. lY. Portata delle sorgive interne nella stessa, ibidem. — Sezioni verticale ed orizzontale della faglia incontrata dalla Galleria di Tenda, a pag. 86. I lavori di rilevamento, di revisione e di ricognizioni geo- logiche proseguirono regolarmente anche nell’anno 1899 nei varii centri delle Alpi Occidentali, dell’ Appennino ligure-emiliano, dell’Umbria, delle Marche, della Provincia romana e delle pro- vinole di Caserta e d’Aquila. Nelle xAlpi Occidentali venne continuato il rilevamento delle valli scendenti dal versante di destra alla Dora Baltea e fu portato a termine quello della Valsavaranche, della valle della Thuile, della valle di Champorcher, iniziandosi anche quello del versante sinistro della Dora: si rilevarono in tutto circa 780 chilo- metri quadrati di territorio, aspro e diffìcile per la sua notevole altitudine e per le complicazioni in esso incontrate. Nella valle della Thuile furono trovati giacimenti fossiliferi importantissimi per definire l’età di quelle formazioni calcescistose con roccie verdi, e nella Valsavaranche si trovarono e si rilevarono con accu- ratezza notevoli fenomeni stratigrafici, la cui esatta interpretazione gioverà essa pure a risolvere le difficili questioni cronologiche ancora in corso di studio. — Nelì’Appennino ligure-emiliano fu completato lo studio per una cartina geologica delle Alpi Apuane e regioni limitrofe, e si incominciò ad eseguire una serie di vedute fotografiche di fenomeni stratigrafici interessanti, le quali dovranno corredare la memoria descrittiva delle medesime. — Furono quindi ripresi e continuati i rilevamenti nella Liguria di levante. — NeirUmbria settentrionale fu pure proseguito il rile- vamento, riattaccandosi al lavoro degli anni precedenti e con speciate riguardo alle ardue questioni che finora sembrano mettere in disaccordo in quelle regioni i dati forniti dalla pa- leontologia con quelli stratigrafici; in questo rilevamento furono raccolti molti dati per risolvere il difficile problema. Il rileva- mento di questa regione verrà proseguito nella parte occiden- tale e meridionale, onde congiungersi con quello della Provincia romana. — Anche nella Regione picena fu proseguito il rileva- mento, ed ivi pure si presentarono analoghi problemi, alla cui risoluzione si giungerà certamente coU’avanzare degli studi di dettaglio e col concorso del paleontologo. — Nella provincia di Roma fu continuata la revisione e lo studio particolareggiato, stratigrafico e paleontologico, dei monti in cui si apre il bacino dell’Aniene. Inoltre si portò a compimento il rilevamento detta- gliato dei Vulcani Cimini, e si continuò quello del gruppo vul- canico vulsinio, già discretamente avanzato. — Proseguirono pure le revisioni, e lo studio particolareggiato, stratigrafico e paleontologico, dei monti secondari delle provincie di Caserta e di Aquila, che furono estese a più di 500 chilometri quadrati di territorio montuoso. — In fine fu pure fatto uno studio det- tagliato del Colle del Monteilo in provincia di Treviso per scopi idraulico-agrari. Neirinsieme furono nello scorso anno studiati circa 3500 chilometri quadrati, di cui geologicamente rilevati a nuovo circa 2500, e riveduti e suddivisi su basi paleontologiche e stratigra- fìche gli altri 1000. — 3 — In quanto a pubblicazioni nulla di nuovo è stato fatto al- Finfuori del Bollettino, ma si completarono e si proseguirono importanti lavori in corso di stampa, fra i quali la Carta geolo- gica della Calabria nella scala di 1 a 100,000, che sarà ultimata entro l’anno corrente, la Memoria descrittiva del Vulcano La- ziale di prossima pubblicazione e la Memoria descrittiva delle Alpi Apuane, cui si attende già da qualche tempo e per la quale fu stampata una Cartina geologica generale del gruppo in scala di 1 a 250,000 comprendente anche le regioni limitrofe deli’Appennino. Nulla di nuovo e di speciale avvenne nelle Collezioni e nella Biblioteca, se non il continuo e regolare aumento di materiale do- vuto a raccolte del personale deirufflcio, a doni o scambi e ad acquisti, limitatamente questi ultimi alle piccole risorse del nostro bilancio. Una discreta somma fu però erogata per nuove scaffalature tanto per libri che per roccie e fossili, non che per Tacquisto di nuovo materiale da laboratorio, fra cui un appa- recchio micro-fotografico completo per la riproduzione di sezioni microscopiche. Lavori straordinari furono infine eseguiti pel concorso del- l’Ufficio all’Esposizione mondiale di Parigi: ma di questi e di altri dettagli si dirà in esteso nella Relazione annuale che sarà presentata prossimamente al R. Comitato Geologico e quindi inserita in questo periodico insieme coi verbali delle adunanze. — 4 — NOTE ORIGINALI I. A. Stella. — Sulle condizioni geognostiche della pianura piemontese^ rispetto alle acque di sottosuolo. (con una tavola). Sommario. — 1. Oggetto di questo studio. — 2. Pianura in senso largo e suoi terreni ; diluvium antico, morenico, diluvium, a.lluvium. Pianura propriamente detta costituita dai due ultimi. — 3. Idrografia sotterranea in questa e sua alimentazione, — 4. Suddivisioni della pianura pro- priamente detta. Tavoliere torinese e sue acque freatiche ; interpretazione — 5. Pianura me- ridionale e sue acque freatiche e profonde ; interpretazione. Appendice sulla pianura in destra del Po. — 6. Pianura settentrionale; sue acque freatiche e profonde; interpretazione. — 7. Cri- teri direttivi nella utilizzazione di acque di sottosuolo, freatiche o profonde, per la città di Torino. 1. Intorno ai risultati generali dello stadio, che della pianura del Po va compiendo PUfficio G-eologico, io ho avuto occasione di rendere conto dapprima in una Nota sintetica sulla serie geologica dei terreni di trasporto (quaternarii) che costituiscono questo grande bacino, di poi in una breve comunicazione ‘ riassumente alcune leggi della sua idrografìa sotterranea Non è d’uopo insistere sulla importanza che assume la conoscenza delle condizioni geo-idrologiche di una regione, di fronte al problema di utilizzarne acque di sottosuolo. Oggi questo problema si presenta per quella parte occidentale della pianura che fa capo a Torino, ap- punto per una eventuale estrazione di acqua di sottosuolo a servizio di questa città, onde non parrà inopportuno, che io cerchi di riassumere, nel modo più chiaro ed oggettivo che mi sarà possibile, i dati geo- ' A. Stella, Sui terreni quaternari della valle del Po in rapporto alla Carta geologica cV Italia (Boll. B. Com. geo!., 1895, n. 1). Id., Sulla idrografia sotterranea della pianura del Po (Boll. Soc. geol. it., 1896, n. 4). gnostico-idrografici riguardanti tale regione, cercando poi di ricavarne alcuni criteri a profitto del problema che interessa tanto quella grande città, ma che pare ancora lungi daU’essere maturo. 2. Quando si dice terreni quaternarii della pianura piemontese si viene a indicare uh complesso di terreni topograficamente più estesi e geognosticamente più vari di quanto forse si suole comunemente intendere pensando a terreni di trasporto in pianura. A tale proposito 10 non avrei che a richiamarmi ai primi paragrafi della mia nota sopra citata; ma nel nostro caso speciale sarà meglio che ci riferiamo alla cartina geologica che ho unito a questo scritto, cercando di farci un’idea chiara di quanto essa rappresenta nel caso concreto che ci interessa h Ci conviene intenderci con un esempio. Chi segue il corso della Stura di Lanzo, là dove essa solca la campagna di Noie, trovali fiume vagante fra le sue alluvioni^ fiancheggiate da magre campagne o sten- dentisi a livello del greto fluviale o appena ad esso raccordantisi in leg- giero pendio, più di rado da esso superate per una leggiera piarda o ter- razzerò di erosione. Allontanandosi dal flume, per esempio verso la sua sinistra, troviamo un gradino o terrazzo ben marcato, di alcuni metri, sul cui ciglio si stendono le campagne pianeggianti di Noie. Il piano livellato di queste campagne va a battere a sua volta al piede di un’altro gradino elevato di qualche diecina di metri il quale non è altro che la scarpata dell’esteso brullo altipiano detto la Vauda su cui si stendono i campi militari di tiro di San Maurizio e di Ciriè. 11 ripiano delle basse alluvioni corrisponde a quello che nella cartina geologica è segnato alluvium; le campagne pianeggianti terrazzate verso il fiume corrispondono a quello che è segnato diluvium; fìnal- ^ Questa cartina è ricavata dalla Carta geologica manoscritta della pia- nura del Po, accennata nella mia Xota addietro citata; la quale Carta però fu completata secondo i risultati dei successivi rilevamenti geologici eseguiti nelle Alpi Occidentali da me e dai colleglli ingegneri Mattirolo, Novarese e Franchi. — 6 — mente l’altipiano soprelevato corrisponde a ciò cHe è segnato diluvium antico. Sono tutti terreni quaternarii di trasporto della pianura, ma topograficamente e geologicamente classificabili come originati in epoche diverse sempre più lontane passando dal primo ai terzo. I terreni anzidetti del diluvium qui ai due lati della Stura, come della maggior parte degli altri fiumi, vanno a monte ad appoggiarsi direttamente alle propagini rocciose dei contrafforti alpini che pro- spettano la pianura, ma alle due Dora si aggiungono ad essi altri terreni di trasporto segnati come morenico nella nostra cartina. Questi terreni morenici, esternamente si sfumano con quei terreni che ab- biamo detti diluvium recente, ai quali essi sono (almeno con una certa approssimazione) coetanei; quantunque di origine non identica. Giacché i primi rappresentano « cerehie moreniche » degli antichi ghiacciai espansi fino a sboccare dalle valli alpine, gli altri rappre- sentano depositi torrenziali delle acque che precedettero, accompagna- rono e seguirono questa fase di espansione. Con ciò noi abbiamo un’idea del significato che nella nostra car- tina della pianura piemontese hanno le distinzioni dei terreni qua- ternarii (di trasporto) in diluvium antico., diluvium, morenico, alluvium. Sarà necessario estendere e precisare meglio la conoscenza di questi terreni, cosi ancora troppo ristretta ; ne avremo occasione nel proceder^ della nostra esposizione, nella quale qui dobbiamo tener di mira spe- cialmente il legame della natura geognostica colla idrografia sotter- ranea. Tutti questi terreni quaternarii adunque distribuiti in pianura nel modo rappresentato dalla nostra cartina sono terreni cosidetti di tra- sporto, terreni cioè costituiti di ciottolame, ghiaie, sabbie, limo] questi materiali sono generalmente sciolti, ma qualche volta anche cementati; sono superficialmente alterati in grado diverso e distribuiti con pro- porzioni, modo di miscela e aspetto stratigrafico alquanto variabili. Sicché pure avendo una certa uniformità nella complessiva composi- zione, i terreni della pianura presentano effettivamente variabilità notevoli per differenze sia dall’uno all’altro terreno, sia da parte a parte di un medesimo terreno; alle quali differenze geognosticlie cor- rispondono poi differenze nel grado di permeabilità che qui special - mente ci importa di studiare. È noto il carattere dei terreni morenici ; in quelle cerehie e in quegli allineamenti coUineschi che costituiscono i nostri anfiteatri, sia grandiosi (Rivoli, Ivrea) sia appena abbozzati (Cuorgnè). La strut- tura intima è essenzialmente caotica e vi ha miscela disordinata di elementi ghiaioso-ciottolosi^ talora anche grossissimi come impastati di limo sottile ; l’alterazione superficiale è minima. Invece nei terreni diluviali antichi^ siano essi disposti in elevati altipiani (sbocco della Stura di Lanzo, del Pollice, del Chisone) siano piuttosto alti pianori declivi verso il piano generale (sbocco del Chi- sola e Noce) la struttura è meno caotica, avendo già una certa pur non generale, nè perfetta stratificazione. Ma l’alterazione vi è molto notevole, spesso assai profonda, sì da dar luogo a quella generale ar- gillificazione accompagnata da forte arrossamento che è nota sotto il nome di ferretizzazione. Tanto i terreni morenici^ per quel generale impasto di Zmo, quanto i terreni diluviali antichi^ per questa forte miscela di parte argilla- ferruginosa, riescono cosi poco o nulla permeabili alle acque meteoriche; le quali, invece di penetrare, o ristagnano (pozze d’acqua sugli altipiani, laghi morenici) o rapidamente si scaricano in superficie in ciò favorite dalla altimetria e plastica sia degli altipiani diluviali antichi incisi da numerosi solchi, sia dalle colline moreniche frasta- gliate da molte vallecole. Tale considerazione ha grande importanza se si voglia rendersi conto della scarsità relativa e irregolarità di acque sotterranee in questa porzione dei terreni di trasporto, sia in generale, che nei nostri della pianura piemontese in particolare. Invece nei terreni del diluvium e alluvium noi troviamo una maggiore regolarità di disposizione e di struttura. Sappiamo dall’esempio studiato, che Yalluvium comprende depositi più recenti, cioè i greti dei fiumi e torrenti attuali, e le alluvioni — 8 — prossime alle attuali; mentre il diluvium comprende alluvioni pili anticlie delle attuali, che in quelhesempio abbiamo chiamato alluvioni terrazzate. Questa denominazione è pur qui abbastanza giustificabile, perche anche per la pianura piemontese si verifica il fatto, rilevato in generale per tutta la pianura padana, che esse alluvioni, come appartenenti a una precedente idrografia alquanto diversa dall’attuale, hanno costi- tuito un piano antico d’alluvionamento ; e in esso i fiumi della idrografia attuai^ sono stati per lo più obbligati a scavarsi delle depressioni nelle quali sono andati deponendo e rimutando le più recenti- al- luvioni. Queste depressioni appunto sono in molti casi delimitate da ter- razze più o meno marcate. Tali sono quelle che abbiamo citato lungo la Stura di Lanzo dal suo sbocco fino a Caselle; e le analoghe, seb- bene non continue, dell’Orco e del Malone nella prima parte del loro corso in pianura all’incirca sino all’altezza di S. Benigno ; tali le alte terrazze che accompagnano la Dora Riparia da Alpignano allo sbocco in Po a Torino, e lo stesso Po lungo quasi tutto il suo percorso che consideriamo. In questi casi è bene marcata e giustificata la distinzione fra le antiche alluvioni terrazzate del diluvium^ e le posteriori più recenti e depresse alluvioni del^aZZ^^^;^wm ; ed è anche facile il persuadersi di ef- fettive differenze fra le une e le altre sia per certe diversità di qualità,, grossezza, coerenza degli elementi alluvionali, sia per la differente alterazione superficiale più marcata nelle antiche ohe nelle recenti alluvioni. Ma questo terrazzamento non è sempre cosi bene marcato, trat- tandosi talora di semplici solchi appena avvertibili (come nel Chi- sola e in certe tratte del Po) e non è neppure generale lungo l’asta dei diversi fiumi della pianura che ci^ occupa. Nella Stura medesima che ci servi di esempio, vediamo, che essa, uscita dalla stretta di Lanzo, solca subito il piano diluviale in dolce depressione fino a Mathi, e soltanto da Mathi a Caselle è accompagnata dalle vere e proprie ter- — 9 — razze ^ ; ma a valle di quel punto il ciglio della terrazza di sinistra si sfuma gradatamente nel piano generale, dove le alluvioni recenti giungono a pareggiare le antiche giustapponendosi e anche sovrap- ponendosi ad esse. Cosi si comportano il Chisone e il Pellice, già prima della loro riunione ; cosi Varaita e Maira dopo breve percorso fra terrazzi, che già hanno abbandonati nella tratta di corso che entra nella nostra cartina. Si capisce come più difficile riesca in questi casi una buona de- limitazione cartografica fra le antiche e le recenti alluvioni, senza una minuziosa indagine sul terreno basata sui criteri differenziali dietro accennati. Però ci soccorrono anche abbastanza bene i criteri di raccorda- mento fra tratti ben delimitabili, separati da tratti a delimitazione più incerta. Ciò sia detto a stabilire il valore e il significato della distinzione cartografica fra allumale, e diluviale,, il che era neces- sario per comprendere quello che resta a dire di questi terreni, specialmente in rapporto alle acque sotterranee. 3. Sono questi veramente i terreni di trasporto che meno impro- priamente si possono dire pianeggianti, e che per brevità chiameremo terreni della pianura propriamente detta; ed è in essi soltanto che si può parlare di una idrografia sotterranea. Anzitutto va notato che la positura pianeggiante e la più o meno alta permeabilità di questi terreni danno loro un carattere tutto op- posto da quello del morenico e del diluvium antico, perchè si oppon- gono al rapido scolo delle acque meteoriche e ne favoriscono la penetra- zione nel sottosuolo. A queste acque d’infiltrazioni proprie si devono aggiungere altre estranee acque di infiltrazione, e cioè quelle eventual- mente provenienti, sia dai corsi d’acqua naturali che solcano la pia- nura, sia dai canali artificiali e dalle irrigazioni. ^ ]\loDtr(‘ ili sinistra si ha terrazza unica bene marcata, in destra si os- serva anche doppia terrazza: ciò suol avvenire abbastanza frequentemente, avendosi eosì nn passaii’gio più f^raduale fra diluvium e alluvium. — 10 — Non è possibile farsi in generale un’idea un po’ precisa della re- lativa entità di queste infiltrazioni proprie ed estranee, agendo esse di solito cospiranti ad alimentare l’idrografìa sotterranea. Ci sono però casi particolari in cui evidente riesce la loro importanza; ed è bene citarne qualcuno. Allo sbocco del Po in pianura/ sotto Eevello (cioè poco a Sud dell’area rappresentata nella nostra cartina) il fiume corre fra le proprie recenti alluvioni, che qui appunto escono in espansa conoide, a pareggiarsi alle laterali antiche alluvioni, fino a quel punto ter- razzate. Ma le sue acque perenni rapidamente scompaiono, penetrando sotterraneamente, si che il fiume, per un percorso di più chilometri (eccezione fatta dai periodi di piena), non ha corso visibile fino a Stafifarda, dove ricompare acqua e dove comincia la zona dei fonta- nili. Ora questi fontanili, come vedremo, non sono che gli emuntori della falda acquifera sotterranea di questo piano, alla quale cosi il fiume dà in magra il contributo di tutte le sue acque. Se consideriamo il piano terrazzato che fiancheggia il corso della Dora Riparia da Pianezza a Torino, esso alberga, come vedremo, una falda di acqua sotterranea, la cui profondità va crescendo da valle a monte, pur essendo acclive verso la radice di quel piano. Orbene, le osservazioni appositamente istituite sul regime di questa falda acquea hanno dimostrato, che essa ha delle oscillazioni periodiche, le quali presentano dei massimi fra metà settembre e metà ottobre, e dei minimi alla fine d’inverno; esse seguono cioè i massimi e i minimi di precipitazioni meteoriche. Analoga legge del resto si conosce per le oscillazioni della falda acquea della pianura lombarda bene studiata. Ciò dimostra la impor- tanza, abbastanza evidente del resto, delle acque pioventi sulla pia- nura, la quale è la più generale alimentazione delle sue falde acquee h ^ Di ciò forse non si tiene abbastanza conto da parecchi tecnici, come ri- sulterebbe, per esempio, dalla relazione di ima Commissione del Collegio degli ingegneri e architetti di Torino (1893) sulla questione delFacqiia potabile per quella città. — 11 — Quanto alla influenza delle acque di irrigazione^ essa è notoria nei pozzi delle regioni irrigue, specialmente in queste della pianura piemontese, quasi generalmente molto permeabili. Ivi anzi si osserva, al tempo delle irrigazioni di una data zona, non solo un’influenza locale di peggioramento e di alzamento nelle acque dei pozzi comuni di quella zona, ma anche un’influenza abbastanza sensibile in pozzi del territorio che sta a valle della zona irrigata. Ciò viene anche a dimostrare una certa continuità e un certo movimento da monte a valle nella massa di acqua nella quale pescano i pozzi comuni. • Una conferma di questa continuità e di questo moto della massa d’acqua, è la influenza mutua che sogliono fra loro esercitare per ampio raggio, certe opere artificiali di emungimento, come sareb- bero, a monte, sbarramenti e gallerie subalvee, a valle canali dre- nanti e fontanili, e cavi sorgenti ; del che notoriamente si hanno esempi nelle diverse parti della nostra pianura, che hanno anche dato luogo a non poche questioni giuridiche. Ora è noto che le acque raggiunte dai pozzi comuni sono quelle che si sogliono chiamare acque f reatiche : sicché, data la continuità di queste per una certa tratta di pianura, potremo dire che esse costi- tuiscono ivi una falda freatica^ la cui faccia superiore non è altro che la superficie che sfiora il livello dei pozzi comuni. Ora accade in certe parti della pianura, che, penetrando con una perforazione al disotto del livello freatico, dopo attraversato per un certo tratto il terreno più o meno poroso che è imbevuto delle acque freatiche, si batta contro un terreno più o meno impermeabile, senza acqua; e, perforato questo, si ritrovi nuovamente un terreno poroso, ricco d’acqua; e così di seguito fino anche a notevoli profondità. Queste acque che s’incontrano al di sotto delle acque freatiche hanno, come vedremo, quasi sempre caratteri di purezza, di regime e di livello piezometrico diversi da quello delle acque freatiche: le potremo chiamare acque 'profonde : e parlare analogamente di falde acquee profonde, le quali pure sogliono presentare una certa estensione — 12 — e continuità, e sono dotate di un certo movimento, come risulta dallo studio di pozzi tubulari contigui e dalla perennità di erogazione che da alcuni si ha occasione di ottenere. Le acque freatiche e le acque 'profonde costituiscono insieme le cosiddette acque di sottosuolo di una data parte della pianura; e il sistema di tutte queste acque di sottosuolo in moto, costituisce ap- punto quella che noi chiamiamo la idrografia sotterranea della pia- nura. Di questa idrografia sotterranea siamo lontani dal conoscere l’andamento particolareggiato ; ma cogli elementi finora noti possiamo tentare di intravederne le linee generali. 4. Per studiare la pianura propriamente detta da questo punto di vista, è necessario fissare l’attenzione separatamente alle diverse parti in cui si può scindere la porzione di essa, che è rappresentata dalla nostra cartina geologica. Ci conviene distinguere una parte settentrionale, una parte me- ridionale e una centrale. La pianura centrale è il ripiano alquanto elevato, al cui margine sta la città di Torino, e che possiamo denominare il Tavoliere torinese^ Solcato dalla depressione a terrazzi, in cui scorre la Dora Ri- paria, serpeggiante in quel ribasso alluviale, è delimitato a monte dal- l’anfiteatro morenico di Rivoli e dall’altipiano diluviale ferretizzato- di Druent, agli altri tre lati verso Po, verso Stura e verso Sangone da terrazze elevate ; ^ che esso Tavoliere resta sopraelevato non solo rispetto al livello della depressione alluvionale della Dora, ma anche rispetto alle altre • due porzioni, meridionale e settentrionale della pianura che consideriamo. La positura elevata di questo ripiano è strettamente legata alla origine sua, come prodotto delle deposizioni fluvio-glaciali di quel periodo di espansione glaciale che corrisponde alla formazione del noto anfiteatro morenico che gli sta a monte; come vi è legata intimamente la sua intima struttura e la qualità delle sue acque. L’esame dei tagli naturali e artificiali praticati in molti punti di esso ripiano lo dimostrano costituito di elementi della Val di Susa, con caratteristica disposizione fluvio-torrenziale a valle^ 13 — € più caotica a monte, prevalentemente ghiaioso, ciottoloso, a gros- sezza crescente da valle a monte, con leggera sebbene variabile alte- razione superficiale e con cementazione più o meno continua e com- patta in profondità. Ho già addietro accennato come -questo Tavoliere torinese al- berghi una falda acquea. I numerosi pozzi della regione trovano acqua a profondità costanti per pozzi prossimi di una medesima lo- calità: ma a profondità variabili da punto a punto, e decrescenti da monte a valle, o meglio dalla radice del ripiano (m. 50 circa), verso la sua periferia (m. iO circa); dove anzi si manifestano in diversi punti le note sorgenti perenni visibili sia lungo la terrazza orientale lungo Po (dal Regio Parco a Ponte Sangone), sia lungo la ter- razza meridionale (da Ponte Sangone a Beinasco) e settentrionale (dal Regio Parco ad Altessano), sia lungo la parte inferiore delle ter- razze che accompagnano la Dora. Questa linea di sorgenti è segnata anche nella nostra cartina. Questa disposizione dei livelli freatici, specialmente studiati nella sua parte verso valle (Torino), la perennità delle sorgenti periferiche cui essi danno luogo, e la portata notevole di gallerie o di pozzi di emungimento (Millefonti, Baraccone) dimostrano trattarsi effetti- vamente di una falda freatica abbastanza generale (almeno nella sua porzione orientale) di acqua lentamente moventesi da monte a valle analogamente a quanto si sa per altre parti nella pianura padana in in generale \ Lungo un profilo che si conducesse da valle a monte, per esempio da Torino verso Rivoli, la faccia superiore di questa massa d’acqua ^ Analoghe falde freatiche vedremo infatti nella pianura a iN'. e a S. del Tavoliere: e si conoscono pure nelle pianure lombarda e veneta. Anzi in diverse porzioni della pianura lombarda la falda freatica fu anche dettagliatamente ri- levata, sì che se ne può studiare randamento a curve di livello quotate. Senza un tale rilievo speciale, quanto è qui detto e si dirà delle falde freatiche della pianura piemontese va inteso in via approssimativa. — 14 — avrebbe una pendenza minore di quella della superficie della pianura diluviale, sotto cui essa si sottende; e andrebbe a intersecare la livel- letta del basso piano alluvionale della Dora poco a monte di Torino : sicché la Dora sovrasterebbe alla faccia superiore di questa massa d’acqua per il percorso a monte della città. Ho già accennato al regime di questa falda freatica come dimo- strante Tinfluenza della diretta precipitazione meteorica . sulla sua alimentazione; ma come si vede, non è da escludersi, ed è anzi pro- babile, data la costituzione geognostica, un contributo di alimentazione per parte del fiume che solca la pianura. Certamente poi l’acqua del fiume concorre indirettamente ad alimentare questa falda acquea .per i canali che numerosi solcano la pianura e che distendono come un vela d’acqua su di essa al tempo dell’irrigazione. Poco di più possiamo dire al riguardo della idrografia sotterranea del Tavoliere torinese. Sappiamo che i pozzi^ per raggiungere la faccia superiore della falda freatica, attraversano per lo più terreno sciolto nella porzione di pianura prossima al Po (p. es. Torino); invece bat- tono già in pieno conglomerato nella porzione più a monte (p. es. al Ba- raccone), in qualche caso (p. es. alla Yenaria) attraversano alternatamente terreno sciolto e cementato. Parecchi pozzi tabulari affondati di una diecina di metri, taluno anche di una ventina (Torino) sotto il livello freatico, trovarono sempre acqua livellantesi col livello freatico appartenente alla medesima massa di acqua ; nè a me è noto vi siano pozzi diffondati a trovare eventuali orizzonti acquiferi inferiori. Ad ogni modo bastano questi dati a dimostrare falso in questo, come in altri casi, il concetto ^ che l’orizzonte acquifero della falda freatica corrisponde a un velo o lama d’acqua di contatto, scorrente ^ Questo concetto è espresso dal Prof. F. Sacco nella sua nota che rias- sume una conferenza snll’origine del sottosuolo torinese. E qui mi spiace di dover osservare, come questo autore anche nelle altre sue numerose note e relazioni geo -idrologiche bene spesso si abbandoni a giudizi alquanto azzardati, e talora erronei. fra alluvioni sciolte e alluvioni cementate. Si ha invece a che fare con una massa d’acqua che imbeve le formazioni siano sciolte siano cementate del piano diluviale, e che almeno nella parte finora esplo- rata costituisce superiormente una falda abbastanza continua limi- tantesi con una superfìcie declive di livello che rappresenta appunto lo stato di equilibrio fra alimentazione ed erogazione. L’alimenta- zione sappiamo essere fornita dalla infìltrazione dell’acqua meteorica propria (piovente sulla pianura medesima) aumentata pure dalle in- fìltrazioni di acque estranee sia naturali che artifìciali ; l’erogazione è data dalle sorgenti periferiche, dai pozzi e dalle gallerie emungenti, e dai disperdimenti profondi. 5. La porzione della pianura propriamente detta, che ho chiamata Meridionale, si stende al Sud della pianura torinese ora studiata a destra e a sinistra del Po. Consideriamo dapprima quella che dalla sinistra sponda del Po si stende acclive verso la cerchia alpina da cui sboccano i fìumi-torrenti dal Sangone al Pollice. Come risulta dalla nostra cartina, essa è separata dal piede dei monti da una serie di pianori di diluvium antico (ferretizzato) in corrispondenza dello spazio interposto fra fiume e fìume, mentre si insinua nelle valli lungo i fìumi-torrenti che la solcano. La disposizione e la natura dei terreni alluvionali recenti e antichi che la costituiscono è anche qui intimamente legata alla loro genesi geologica, che in parte si è già accennata. In corrispondenza di ciascuno sbocco di valle abbiamo altrettante conoidi di alluvionamento più antico (posteriore sempre al diluvium ferretizzato) che fra loro si fondono; per entro a queste co- noidi si sono aperta la via le alluvioni più recenti, dei fìumi-torrenti attuali, i quali generalmente nella prima tratta si scavarono un solco più 0 meno marcato, ma poco più innanzi seppero giustapporre e ta- lora sovrapporre aUe antiche le novelle alluvioni. Il fìume recipiente padano ingrossato da tutti i suoi affluenti si comportò quasi per tutto il percorso che ci interessa con azione ter- razzante, ri mutando e disperdendo nella depressione tracciatasi le torbide comuni. — 16 — In questa depressione le alluvioni segnate « alluvium » lungo il suo corso, sono prevalentemente sabbiose con limo e gìiiaietta, rappresen- tando cosi la miscela delle alluvioni che vi apportano specialmente i fiumi-torrenti di sinistra. Questi però soltanto nel loro corso inferiore hanno alluvioni cosi minute ; giacche esse diventano rapidamente grossolane risalendone il corso, sicché allo sbocco di tutti questi fiumi o torrenti dalle valli alpine in pianura, essi mostrano greto prevalentemente ciottoloso- ghiaioso. Nè essenzialmente diversa nel complesso è la costituzione dei ter- reni segnati « diluvium », i quali osservati parte a parte mostrano oscillazioni di struttura e maggiore alterazione superficiale, rispetto ai contermini terreni dell’ a alluvium » ; ma presentano nel loro as- sieme analoga legge di variazione da valle a monte. Eiassumendo si può dire, che malgrado locali oscillazioni tutti questi terreni della porzione meridionale di pianura che consideriamo constano di ciottolame, ghiaia, sabbia, limo distribuiti da monte a valle in modo, che alle alluvioni prevalentemente grossolane della più declive pianura superiore (che diremo alta pianura), seguono rapidamente alluvioni molto più minute della pianura inferiore più livellata (che diremo bassa pianura) e con questo di notevole che, mentre le prime hanno struttura caotica dominante, le seconde hanno più regolare assetto che tende a una generale stratificazione. Ciò si desume da numerose osservazioni lungo la cave, lungo i tagli artificiali, e lungo le terrazze e le piarde naturali : e si conferma dai dati raccolti sui pozzi, come vedremo fra poco. Questi dati raccolti sui numerosi pozzi e sulle sorgenti (fontanili) della regione ci aiutano a farci un’idea del regime delle acque sotter- ranee. Sulla cartina io ho segnato una linea sinuosa che dalla cam- pagna a monte di Villafranca si dirige a Nord fino alla campagna di Stupinigi, ed è indicata come linea-limite dei fontanili, perchè allaccia i primi fontanili che scendendo da monte a valle si incontrano nei ter- ritorii di Cavour, Villafranca, Vigono, Airasca, Orbassano, Stupinigi. — 17 — Questa linea dei fontanili viene nello stesso tempo a separare prossima- mente quella che ho chiamata alta pianura dalla bassa pianura; e se si tiene conto della profondità a cui i pozzi numerosissimi della popolosa regione raggiungono le acque freatiche, si vede che mentre a valle della suddetta linea si hanno le acque freatiche solo a qualche metro, talora a pochi decimetri dalla superfìcie, a monte cresce rapidamente la profondità loro verso i dieci e più metri. E se infine lungo una linea di massima pendenza congiungiamo il livello freatico di una serie di questi pozzi da monte a valle, otteniamo in generale una linea di profìlo avente analogo andamento del profìlo del terreno, ma meno declive ; e i due profìli presentano flesso là appunto dove comincia la zona dei fontanili. In tal modo si coordinano livelli di pozzi e fon- tanili in un’unica superfìcie: questa sarebbe la faccia superiore della falda freatica generale (più o meno continua) nella quale pescano i pozzi comuni e dalla quale emungono acqua più o meno perenne- mente i fontanili. Anche qui aU’alimentazione della falda freatica concorrono da un lato le acque proprie, pioventi sulla pianura, dall’altro le acque d’in- fìltrazione che forniscono sia i fìumi-torrenti principali correnti a livello pari o talora più elevato delle pianure collaterali, sia rii torrentizii scendenti dai contrafforti prealpini e dai ripiani del diluvium antico ; sia fìnalmente le acque distribuite sulla campagna irrigua mediante la rete dei numerosi canali, parecchi dei quali anzi sono alimentati a lor volta dai fontanili stessi. Si ha cosi tutto Un meccanismo com- plicato di alimentazione cui i fattori or accennati debbono concorrere in varia misura nelle diverse parti della pianura, e a cui deve corri- spondere un complicato regime fìnora poco studiato nei suoi partico- lari, ma in cui localmente la influenza dei singoli fattori sopra citati risulta in molti punti provata. Ma oltre alla falda freatica di cui fìnora si è parlato, vale la pena di dire qualche cosa di altre falde acquee più profonde, esplo- rate nella regione, quasi esclusivamente nella bassa pianura, me- diante discreto numero di pozzi tubulari, sia per aumentare il con- o — 18 tributo d’acque sotterranee ai canali di irrigazione, sia per cercare acque potabili migliori di quelle della falda freatica. Questi pozzi tubulari, affondati in questa bassa pianura scendono (per quanto a me consta) a profondità variabile all’incirca dai 10 ai 35 metri : attraversando in generale al disotto della falda freatica una alternanza di strati, gli uni argillosi, gli altri sabbioso -ghiaiosi. In questi ultimi incontrano acqua più o meno abbondante dotata gene- ralmente di una certa pressione ; a livello piezometrico variabile da strato a strato e da punto a punto, ma generalmente diverso dal livello freatico locale e molte volte superiore ad esso livello fino a raggiungere e talora superare il livello del suolo, o almeno della bocca del pozzo, dando luogo cosi a dei veri zampilli artesiani (p. es. Airasca, Cari- gnano. None) ; il regime di queste acque si suol mantenere più co- stante di quello delle freatiche, di cui risultano anche migliori gene- ralmente \ Sono adunque acque essenzialmente indipendenti dalle acque freatiche locali, ad alimentazione meno oscillante, scendenti da un livello superiore, donde debbono provenire dopo aver attraversato un buon materasso filtrante. Possiamo farci una idea più concreta del probabile meccanismo di queste acque profonde ripensando alla costituzione geognostica della nostra pianura. Schematizzando idealmente un profilo condottovi da ^ Ciò vale specialmente in riguardo all'essere queste acque a temperatui-a più costante e quindi più fresche d'estate ed esenti dagli inquinamenti risul- tanti dalle infiltrazioni superficiali, sia locali, sia di acque iiTigue, che invece deteriorano molto le acque freatiche. Quanto alla qualità chimica delle acque freatiche o profonde di questa pianura sappiamo ben poco. In generale sono ritenute acque buone, però non dolcissime ; il che è naturale specialmente pro- cedendo dalla Chisola verso Sud, data la natura dei bacini montani in cui sono diffusi calcescisti e calcari, i cui detriti infatti troviamo specialmente nelle sabbie, tutte a effervescenza più o meno marcata. Per lo studio delle alluvioni, richiamo la mia nota inserita nel Boll. R. Com. geol. 1897 n. 2 « Contributo allo studio genetico dei terreni alluvionali nelle valli alpine (Alpi Cozie) ». — 19 — monte a valle troveremmo la alta pianura costituita fino a profondità abbastanza rilevante di una massa prevalentemente ghiaioso- ciotto- losa altamente permeabile: la bassa pianura costituita da una alter- nanza di strati ghiaioso-sabbiosi permeabili con strati argillosi imper- meabili ; in modo che questi ultimi vanno assottigliandosi verso monte fino a perdersi nella massa ghiaioso- ciottolosa dell’alta pianura. Ora sappiamo che la falda freatica dell’alta pianura si scarica in superfìcie nella bassa pianura mediante i fontanili che cominciano appunto al limite fra alta e bassa pianura ; ma la massa d’acqua che tutto imbeve il materiale altamente poroso dell’alta pianura deve necessariamente penetrare per tracimazione negli strati permeabili della bassa pianura che sono come tante digitazioni della massa permeabile dell’alta pianura, e ivi assumere in generale una certa pressione. Analogamente farebbe l’acqua di un serbatoio alla cui parete fossero innestati tanti tubi di condotta. Ora se questi tubi di condotta hanno resistenze e lun- ghezze variabili e presentano in vario modo perdita ed erogazione, si capisce come in punti scelti a caso di essi tubi, si possano avere livelli piezometrici e portate di erogazione anche molto differenti, anologamente a quanto avviene in natura per i pozzi tubulari che consideriamo. In natura anzi le condizioni devono certamente essere più complesse di questo schema da me ricostituito, in via, per cosi dire, dimostrativa. Come ho detto a proposito del Tavoliere torinese la continuità della falda acquea va intesa in senso molto lato; come va intesa in senso molto lato la composizione supposta delle alluvioni dell’alta e della bassa pianura. Non bisogna dimenticare che si ha intreccio reciproco di antiche conoidi diluviali dapprima, e poi di più recenti conoidi alluviali, e quindi cause di rapide variazioni nella qualità delle alluvioni non solo da monte a valle, lungo l’asta dei fìumi, ma anche lateralmente ad essa. Ciò, pur non alterando lo schema generale ora esposto per la por- zione più alta delle alluvioni, tenderà a individuare parallellamente all’asta dei fìumi dalle zone più o meno acquifere, sia freatiche sia profonde, come ho già avuto campo di notare in generale nella pia- — 20 - nura padana subalpina, e come è dimostrato per la pianura snbappen- nina emiliana, e come pare avvenga effettivamente in corrispondenza dell’asse dei conoidi diluviali principali anche nella regione che . ci occupa. Oltre alle cause di' variazione anzidette non bisogna dimenticare inol- tre la diversità nelle condizioni di alluvionamento dal periodo alluviale più recente ai periodi diluviali più antichi, che deve indurre, come induce, causa di variazioni dalla superficie in profondità, sicché anche nell’alta pianura, al disotto delle grossolane alluvioni esplorate dai pozzi comuni, si distenderanno alternanze di alluvioni più sottili, atte a separare diversi livelli acquei, almeno locali, quindi a compli- care vieppiù lo schema dimostrativo da me esposto, di idrografia sot- terranea. Di ciò non abbiamo dati concreti generali per l’alta pianura; che io sappia non possiamo che riferirci ai diversi lavori di tere- brazione fatti nell’alta pianura del Sangone per l’acqua potabile di Torino, oggetto già di molte discussioni forse non sempre abbastanza misurate e positive b In vista della speciale posizione di quella por- zione di alta pianura, appena fuori dello sbocco di valle, dove si svi- luppano complicate le formazioni quaternarie antiche e recenti di due bacini, non è il caso di entrare qui in merito a quella discussione. Ba- sterà il costatare come la esistenza di falde acquee più profonde, quali più e quali meno importanti o continue, è effettivamente confermata in questo punto di alta pianura, quantunque sembri mancare, come è na- turale, quella regolarità che caratterizza piuttosto le falde acquee della bassa pianura. Prima di lasciare la pianura meridionale, dovrei parlare della por- zione in destra di Po, topograficamente e geologicamente legata oltre che ai fiumi-torrenti padani Varaita e Maira, ed ai minori torrenti Stel- ^ Sarebbe importante uno studio dettagliato di questa speciale regione di acque di sottosuolo, quando si abbiano i dati dei pozzi tubulari d’assaggio at- tualmente in via di esecuzione. Ione, Banna, anche ai fiumi Stura, Tanaro, naturalmente da esso di- vertiti in epoca geologicamente recente Questa porzione di pianura deve essere considerata come la prosecuzione di quella parte di pianura piemontese che si suol chiamare l’Alto Piemonte, la quale cade quasi tutta fuori dell’area della nostra cartina. Ora se si considera tutta insieme queste grande distesa di terreni quaternarii (di trasporto) fino al piede delle Alpi Marittime, si trova che l’altipiano Viìlanova-Poirino-Sommariva (diluvium antico) non è che la prosecuzione settentrionale di una serie di analoghi altipiani (di Possano, di Trinità, di Carrù, di Beinette) che vanno a Sud a riattaccarsi alle radici dei monti fra il Pesio e il Tanaro; mentre la restante porzione (diluvium e alluvium) che costituisce la pianura pro- priamente detta in destra di Po rimonta acclive verso la pianura cuneese. Anche qui è soltanto questa pianura propriamente detta, che ci interessa per riguardo alle acque di sottosuolo; e, quantunque più complessa e più varia nei suoi terreni della pianura in sinistra di Po, anche in essa si può distinguere un’alta pianura, da una bassa pianura, e tracciare fra questa e quella una linea dei fontanili che rannodandosi con quella tracciata sulla nostra cartina proseguirebbe a S.E all’incirca per Scarnafìgi, Villafalletto, CentaJlo fino a Morozzo. Appunto a valle di questa linea, cioè a Nord nella bassa pianura, si ha la zona di rinascimento delle acque freatiche, che dà luogo qui anche a diversi territori sortumosi (noti sotto il nome di Priglie o Bagnassi); e ivi pure si ha inoltre la presenza di acque profonde^ esplo- rate mediante discreto numero di pozzi tubulari, taluni anche zam- pillanti. Ora appunto la porzione di pianura propriamente detta, che nella nostra cartina cade in destra del Po, viene ad appartenere in gran parte a questa bassa pianura di cui costituisce l’estremo lembo set- tentrionale, andando a fondersi colla bassa pianura già considerata addietro in sinistra del Po mano mano che si approssima al corso del Po. In tal modo sia dal punto di vista topografico, sia dal punto — 22 — di vista geo-idrologico essa viene, per la parte che ci riguarda, a fondersi con la bassa pianura in sinistra del Po, e ad essa restano applicabili senz’altro le medesime considerazioni, ohe a quella fin qui si applicarono e verranno più innanzi applicate. Non credo sia qui il caso di estendere in modo particolareggiato il nostro studio e le nostre considerazioni al difuori della nostra car- tina^ cioè alla pianura dell’Alto Piemonte. Può bastare per ora l’ac- cenno qui fatto, visto che essa pianura si trova già a distanza cosi grande da Torino, da far quasi certamente escludere il concetto di utilizzare per quella città le sue acque di sottosuolo. E ciò tanto più quando consterebbe, che vi sono acque di monte appena a Sud della pianura medesima in condizioni buone di qualità e quantità, e in condizioni altimetriche migliori. 6. Dopo quanto si è detto fin qui ci sarà più facile e più breve par- lare della porzione settentrionale della nostra pianura propriamente detta, quella cioè ohe a Nord del Tavoliere torinese occupa il resto del- l’area rappresentata dalla nostra cartina. I fiumi-torrenti principali (Stura, Malone, Orco) la solcano ricevendo nel corso extraalpino il con- tributo di rii torrentizi non solo delle minori valli prealpine, ma anche dei prominenti altipiani del diluvium antico e da una porzione pe- riferica delle colline moreniche dell’anfiteatro d’Ivrea ; i quali alti- piani e colline non appartengono, come sappiamo, alla pianura pro- priamente detta. Le alluvioni recenti {alluvium) ohe ampie accompa- gnano il loro corso sono prevalentemente grossolane, come grossolani sono i loro greti, ancora ghiaiosi (anche con ciottoli e sabbia) fino alla confluenza nel Po. Dicemmo già che queste alluvioni recenti si insinuano fra le antiche alluvioni {diluviali) terrazzandole anche per alcuni tratti si da essere più o- meno depresse rispetto a quelle ; più giù riescono a pareggiarle e talora a espandervisi sopra là dove quasi si fondono lateralmente verso lo sbocco in Po; mentre questo mesce le sue alluvioni sabbiose a queste più grossolane, e le rimuta nel ripiano alluviale, generalmente accompagnato da più o meno marcati terrazzi. — 23 — Si ha cosi un comportamento analogo a quello della pianura me- ridionale, salvo una minore regolarità sia topografica che geognostica, in relazione alle condizioni geologiche alquanto diverse in cui questi terreni, pure a quelli contemporanei, si formarono ; cosa che ha il suo riflesso anche nella idrografia sotterranea. Abbiamo visto, parlando dapprima del Tavoliere torinese, la sua origine schiettamente fluvio- glaciale ; e di poi parlando della pianura meridionale la sua origine schiettamente fluviale. Qua nella pianura settentrionale abbiamo per cosi dire un’origine mista. Il ripiano diluviale in sinistra dell’Orco appartiene a una grande scarparta fluvio-glaciale stendentesi a Sud del grande anfiteatro mo- renico d’Ivrea, cui geognosticamente si innesta. Il ripiano diluviale fra Orco e Malone è ancora in parte di origine fluvio-glaciale, rannodandosi a monte con formazioni moreniche spintesi fino a far capolino dallo sbocco della valle dell’Orco in pianura. Final- mente il ripiano fra Malone e Stura (s’intende escluso l’altipiano di Barbania del diluvium antico) è di origine più schiettamente fluviale, per essere il morenico di Valle Stura molto più arretrato entro valle. E infatti è in questa porzione della pianura dominata dalla Stura, che ravvisiamo più marcate analogie col comportamento anche idrologico della pianura meridionale già studiata. Anche qua si è potuto segnare, come in quella, una linea-limite dei fontanili, che delimita a monte la zona di pianura inferiore dove si emunge artificialmente l’acqua della falda freatica. Questa linea viene anche qua a separare a monte un’alta pianura a struttura man mano più grossolana (ghiaiosa superficialmente); e a valle un’altra parte di pianura a struttura più minuta (ghiaioso-sabbioso-argillosa ^ anche superficialmente). ^ Xella perforazione di alcuni pozzi oltre ad alluvioni sciolte si sareb- bero trovate nel territorio di Settimo anche strati cementati. La informazione merita conferma, ma non va dimenticata, e forse potrebbe accennare a influenza o del conoide della Dora, o delle formazioni della Collina torinese. — 24 _ Anche qui, come nella pianura meridionale, la falda freatica risale- da monte a valle con profilo meno declive del profilo del suolo; e mentre nella bassa pianura verso il Po oscilla per lo più intorno a un metro di profondità, si approfonda di alcuni metri a monte ; e rag- giunge anche una diecina di metri verso la radice dell’alta pianura. Ed è in questa falda freatica che pescano i pozzi comuni, mentre da essa emungono i fontanili abbastanza numerosi inferiormente all’anzidetta lineadimite segnata. Finalmente anche qui, come nella pianura meridionale, oltre alle acque freatiche, conosciamo, specialmente nella bassa pianura, anche acque profonde, esplorate con diversi pozzi tubulari (Volpiano, metri 6-30, Brandizzo, metri 8-12, Settimo, metri 6-8, Venaria, metri 40) Questi dimostrano alternanze di strati più sabbiosi con strati più argil- losi; e in corrispondenza di quelli successione di diversi livelli acqui- feri capaci di dare acque generalmente migliori dell’acqua freatica, e fornite di una certa pressione, che la fa salire a un livello piezo- metrico per lo più poco differente dal livello freatico locale, e talora la fa sgorgare al disopra del suolo (Settimo) o del fondo dei cavi- sorgenti (Volpi ano). Quanto all’alta pianura i pozzi comuni pescano sempre in terreno prevalentemente ghiaioso- ciottoloso : sotto al quale però (come si disse per la pianura meridionale) è da ritenere in massima si sottendono’ alternanze di strati prevalentemente sabbiosi e altri prevalentemente argillosi più o meno estesi, i primi dei quali alberghino eventual- mente falde acquee più o mepo regolari e continue. ^ Mentre gli altri pozzi tubulari mi erano già noti e servono quali ad alimentazione di fontanili, quali a provvista di aequa potabile nei territori no- minati, debbo alla cortesia dell’ ingegnere-capo municipale di Torino, i dati sul pozzo trivellato d’assaggio che si sta affondando alla Tenaria a T.O dell* abitato • Ton è ora il caso di riportarne i dati particolareggiati: basterà notare, die esso ha trovato 5 livelli acquiferi, a livelli piezometrici differenti, che sono compresi fra i 7 e i 4 metri sotto il suolo. — 25 — Di ciò abbiamo conferma in un pozzo d’assaggio alla Favorita presso S. Maurizio, ancora in via di affondamento \ il quale giunto già a 31 metri di profondità, ba incontrato almeno 7 falde acquee con livelli piezometrici distinti e salenti a profondità variabili fra i 2. 50 e i 13 metri sotto il suolo. La falda freatica come sappiamo è alimentata direttamente e dalla infiltrazione delle acque proprie pioventi in pianura, e dalle tracima- zioni delle acque del fiume e rivi e canali che la solcano, nonché dalla lama di acqua d’irrigazione, che questi vi distendono sopra periodica- mente; e in corrispondenza di questa diretta alimentazione risente nei suoi diversi punti oscillazioni di regime e di qualità più o meno rilevanti avvertite dai pozzi comuni e dai fontanili. L’orizzonte o gli orizzonti acquiferi inferiori debbono essere invece ad alimentazione almeno in parte indiretta. Come si è osservato per la pianura meri- dionale, tutto porta a credere, che almeno l’acqua dei primi orizzonti profondi nella bassa pianura sia probabilmente alimentata in gran parte dalla falda freatica che si distende elevandosi a monte di essa, specialmente nell’alta pianura; nella presunzione che l’acqua freatica che imbeve la massa di più grossolane alluvioni dell’alta pianura, penetri di là negli interstrati sabbioso-ghiaiosi, che inferiormente al pelo freatico da quella massa si staccano, via via più nettamente indi- viduati da interstrati argillosi, scendendo a costituire la bassa pianura. Si capisce poi, che se si tiene conto della eventualità, che anche scendendo in profondità sia nella bassa che nella alta pianura si sottendano al disotto di questo primo cappello di terreni di trasporto un complesso di strati-lenti alternatamente sabbiosi e argillosi più o meno irregolari e discontinui, l’acqua che imbeve quel sistema superficiale ^ I dati di questo pozzo irentilmente comunicatimi dall’ ingegnere-capo della Società deU'acqua potabile di Torino, meritano speciale studio, insieme col materiale da esso attraA’ersato, anche in vista dello studio cronologico dei tfirreni, che potrebbero scendere anche al disotto del quaternario propria- mente detto. dia luogo a sua volta per tracimazione a una idrografìa sotterranea anche più profonda, della quale appena ci è dato di intravedere il complicato meccanismo, e di cui bisogna all’atto pratico studiare con apposite trivellazioni il regime nelle singole parti della pianura. Questo modo di intendere la idrografìa sotterranea dell’ alta pia- nura, anche se ancora grossolanamente approssimato, può tuttavia esserci di guida per darci spiegazione della parte esplorata, e da aiu- tarci a presumerne la parte eventualmente esplorabile. 7. Ed è ciò che occorre se si vuole aggiungere alcunché intorno ai cri- teri che pare dovrebbero guidare una ricerca di acqua di sottosuolo per uso della città di Torino; il che cercherò di fare non per presunzione di dare suggerimenti, ma per il convincimento, che a bene risolvere que- stioni complesse come questa, si possa giungere soltanto a patto di saper porre bene il problema. Per le ragioni già addietro accennate restrin- gerò le mie osservazioni all’area rappresentata nella cartina geologica qui unita, e in essa soltanto a quella parte che ho chiamato « pianura propriamente detta ». Delle tre parti (settentrionale, meridionale e centrale) in cui questa pianura propriamente detta fu suddivisa, escluderemo subito, almeno in riguardo ad acqua potabile, la parte centrale, ossia il Tavoliere to- rinese, quantunque a immediata vicinanza della città. E noto infatti, che le acque freatiche di questo Tavoliere, fìnora le sole esplorate e utilizzate (pozzi comuni, impianti di Millefonti e del Baraccone) si rive- lano improprie ad uso di bevanda per essere troppo crude e forte- mente selenitose; e siccome ciò dipende dalla qualità delle alluvioni del bacino della Dora Piparla ohe costituiscono il Tavoliere fino alle profondità esplorate, e che debbono costituirlo a profondità anche maggiori, non sarà il caso di ulteriori ricerche di acqua di sottosuolo per uso potabile in questa porzione centrale della pianura. Questo difetto dal punto di vista chimico non dovrebbe in gene- rale aversi nelle acque delle due porzioni meridionale e settentrionale della pianura. — 27 — Conviene però notare, che se si considerano alluvioni delle due porzioni di pianura, esse presentano bensì una marcata analogia complessiva, per la analogia delle formazioni geologiche che comples- sivamente costituiscono i bacini montani, delle Alpi Graie a Nord della Val di Susa, e delle Cozie a Sud di essa valle; ma presentano parte a parte anche differenze notevoli, in corrispondenza dei singoli bacini. A noi importa specialmente tener presente la percentuale di elementi calciferi, di cui le roccie madri (calcescisti e calcari) sono pochissimo sviluppate nelle Alpi Graie, e molto più nelle Cozie, specialmente a Sud del bacino del Chisola ; onde il carattere di acque dolci nella pianura settentrionale, e invece una certa durezza in alcune acque della pianura meridionale, specialmente a Sud del Chisola, come fu già accennato. Nè bisogna dimenticare la influenza reciproca di bacini collaterali, che può esser anche stata maggiore in periodi anteriori all’attuale, e che può quindi far variare la qualità delle acque mano mano che esse appartengano a orizzonti acquiferi più profondi. Ciò per esempio potrebbe rendere difettose le acque attinte anche fuori del 'tavoliere torinese, entro un certo raggio d’azione tutto attorno al perimetro attuale di questa pianura diluviale, per miscela di acque o di alluvioni ad esso appartamenti ; ciò anche potrebbe portare difetti alle acque attinte in profondità presso i colli torinesi, per influenza di antiche alluvioni da essi provenienti. Ciò posto, può nascere il quesito, se convenga eventualmente uti- lizzare acque di falda freatica, o piuttosto acque di orizzonti inferiori. Il quesito in massima si risolverebbo subito a favore delle seconde dal punto di vista igienico; tuttavia altri elementi concorrono a far tentare anche la utilizzazione almeno parziale di acque freatiche \ ^ Tali erano essenzialmente quelle della originaria presa del Sangone, e dei recenti impianti sussidiari di Millefonti e del Baraccone. Tali sono quelle di tutte le proposte prima di ora avanzate per nuove derivazioni da Calasse, dalla Favorita di S. Maurizio, dalle Grangie di ^Xole, da Druent, dal territorio a valle di Frossasco, dalle Frigi ie di Savigliano, secondo i dati municipali. (V edi. Co- mune di Torino : Studio per una nuova condotta d’acqua potabile, giugno 1899). — 28 — È naturale che in questo caso si debba cercare di emungere la falda freatica in quelle parti delle aree diluviali terrazzate, che si pre- sentino possibilmente difese da infiltrazioni immediate igienicamente pericolose, e che si trovino altimetricamente cosi situate da permettere una derivazione per gravità, come si suol dire, cioè a deflusso naturale senza elevazione meccanica. Non bisogna nascondersi la difficoltà di soddisfare a queste condizioni contemporaneamente. Per soddisfare a buone condizioni altimetriche bisognerebbe portarsi nell’alta pianura; ma per uscire più sicuramente dal dominio pericoloso delle acque di irrigazione, bisognerebbe risalire a monte di tanto, da entrare in ter» reni sempre più grossolamente caotici e altamente porosi, ad acque facilmente inquinabili e intorbidabili per pioggia ; mentre poi il regimo della faldg, freatica tende ivi a diventare più irregolare e forse alea- toria la quantità disponibile. A quest’ultimo inconveniente si ovvierebbe, se ci avvicinassimo di tanto ai corsi dei fiumi da portarci addirittura in piene alluvioni recenti^ e da esse emungere la diretta infiltrazione delle acque fluviali; ma è evidente con quanta prudenza dovrebbe essere adottato un tale partito, per non cadere in inconvenienti ancora maggiori. . Non si può escludere a priori, che lungo i nostri fiumi, in punti opportunamente scelti, e cioè lungo le tratte ad acque buone e regime più costante, scorrenti fra greti ampii e incolti, con alluvioni potenti e abbastanza minute e dilavate, si possano eventualmente ottenere sufficienti acque, costantemente buone. Però sembrerebbe poco probabile che si verifichino tali condizioni nel corso superiore dei nostri fiumi-torrenti appena fuori dallo sbocco di valle; e allora, se si dovesse abbandonare il corso superiore, si scenderebbe subito a livelli tali, da dover rinunciare alla condotta per gravità, pure avendosi però il vantaggio di maggiore vicinanza alla città da alimentare. Siamo quindi innanzi alla necessità di ricerche sistematiche in gran parte ancora da fare ; ma senza delle quali pare prematuro qualunque giudizio di scelta definitiva o di definitivo abbandono della questione. - 29 Se invece di limitare la ricerca alle acque freatiche si tentasse di ulilizzare acque 'profonde \ è quasi certo che si avrebbero più facil- mente acque di qualità soddisfacente. Ciò posto è evidente quanto sarebbe desiderabile, che queste acque si trovassero sufficienti e piezometricamente abbastanza elevate nella alta pianura settentrionale o meridionale in posizione abbastanza elevata da permettere una condotta per deflusso naturale: ma, anche se si fosse obbligati a rinunciare a questo vantaggio ricorrendo ad acque profonde della bassa pianura si avrebbe in tal caso l’altro van- taggio di avere il punto o i punti di presa, ben più vicini alla città. Sappiamo che in questa nostra pianura (come in genere nella pianura padana), è la bassa pianura la sede naturale delle ricerche di acque profonde; e tutto porterebbe a credere, che ivi la maggiore regolarità degli strati alluvionali che la costituiscono, e la maggiore superficie di alimentazione che loro sta a monte diano in massima maggiore affida- mento di regime costante e di sufficiente portata di erogazione. Ma conosciamo pure livelli di acque profonde nell’alta pianura; e . non è da escludere, che a una certa distanza dagli sbocchi di valle, possano questi presentare condizioni di portata e di regime ancora sufficienti allo scopo. Quanto al livello piezometrico delle acque profonde finora esplorate, sia nell’alta che nella bassa pianura meridionale e setten- trionale, sappiamo che esso è capace di salire a profondità dal suolo poco differente dalla profondità delle acque freatiche e in qualche * A questo scopo sarebbero dirotte le trivellazioni d’assaggio ultimamente intraprese presso San 31aurizio. presso la Tenaria e presso la presa del San- gene addietro accennate. • La bassa pianura settentrionale riesce appena a pareggiare il livello dei quartieri alti di Torino lungo il suo margine superiore, verso il confine dell’alta pianura ; mentre scendendo verso il margine basso lungo il Po rimane inferiore a quel livello di qualche diecina di metri. La bassa pianura meridionale è un po’ meno depressa, distendendosi da iS'.E, ove è una diecina di metri più bassa della città, verso S.O ove invece è di una diecina di metri superiore. — 30 — caso lo supera, fino a dare zampilli artesiani fuori terra (bassa pia- nura in qualche punto). Nasce quindi la necessità di uno studio sistematico per un certo numero di pozzi tubulari vecchi e nuovi attingenti a queste acque profonde, dal punto di vista della qualità, quantità erogabile, e re- gime deir acqua. Dietro un tale esame si presenterà il caso di pro- cedere eventualmente a una serie di esplorazioni anche più profonde del terreno mediante altri sondaggi in alcuni punti opportunamente scelti, per raggiungere e studiare eventualmente falde acquifere an« cora più profonde, cercando di farsi un criterio sulle falde più op- portune all’ eventuale emungimento di acque buone, suflScienti e nelle migliori condizioni di livello piezometrico. Quanto poi alla eventualità di incontrare diversi orizzonti acqui- feri, profondi al di fuori e al di sotto dei pozzi finora affondati, si può osservare essere molto probabile, che nella più parte dei pozzi tubulari finora costruiti, specialmente nella bassa pianura, non si sia esplorato che il superiore cappello di terreni di trasporto, si che affondandosi in essa, si debbano incontrare ancora sino a notevole profondità al- ternanze di strati ora sabbioso-ghiaioso, ora argillosi, analoghi a quelli sinora incontrati; soltanto con probabile tendenza a grossezza decrescente nelle alluvioni, mano mano che si discende in strati più profondi, e quindi più antichi. I dati di confronto con analoghi terreni in analoga posizione della pianura lombarda e veneta (esplorata in molti punti oltre i 5') in., in parecchi oltre i 100 m. e in qualche luogo fino ai 2 0 m.) porterebbero in massima a presumere l’anzidetta successione sfcratigrafica e la presenza di parecchi orizzonti acquiferi profondi aventi buona costanza di regime, e capaci di fornire acqua dotata di una certa pressione, ma il cui livello piezometrico non dovrebbe essere gran che diverso dal livello freatico, come suol avvenire delle acque profonde fino ad ora esplorate nella regione. Naturalmente tutto ciò è detto come semplice presunzione e colle dovute riserve, senza escludere la eventualità di locali disturbi, — Si- che potrebbero portare differenze anche essenziali dal nostro punto di vista. E queste potrebbero dipendere da condizioni radicalmente diverse nell’antico alluvionamento : come sarebbe la presenza di strati palu- stri, in profondità (meno improbabili forse nella parte bassa della pianura meridionale) oppure la intromissione di alluvioni della Col- lina torinese insieme o’ in sostituzione di quelle alpine (forse in vici- nanza della predetta Collina) ; o finalmente la presenza di formazioni prequaternarie in posto non tanto lontano dalla superficie, che po- trebbero esser più facilmente formazioni dei colli torinesi nelle re- gioni più vicine ad essi, o formazioni alpine nelle regioni più vicine alla cerchia montana. Il fin qui detto ci conferma la necessità degli studi appositi ac- cennati, sia per le acque freatiche e sia per le acque profonde ; sol- tanto dopo di ciò si potrà positivamente pensare alla estrazione di acqua di sottosuolo a servizio della città. Pur non nascondendomi la complessità del problema, tutto o quasi tutto da studiare, non v’è ragione per credere, che non si possa risolvere in modo soddisfacente, come lo risolvettero tante altre città in condizioni non meno difficili, E infatti, senza uscire dalla pianura del Po, è noto essere ormai parecchie le città ivi alimentate da acque di sottosuolo, in modi dif- ferenti a seconda delle condizioni locali. Infatti Mantova interamente e Treviso parzialmente, sono alimentate da acque profonde mediante pozzi artesiani affondati (metri 60-120) nel recinto urbano. Abbiamo Venezia e Padova alimentate da condotte per deflussi naturali aventi origine nella pianura superiore, e cioè l’una nella pianura trevigiana (30 km.), l’altra nella vicentina (40 km.) ; in ambi i casi emunte dai primo orizzonte (profondo metri 12-14) mediante pozzi tubulari. Anche Ferrara è analogamente alimentata con acque profonde della pianura emiliana orientale (60 km., pozzi tubulari zampillanti profondi metri 20-30); mentre invece Reggio Emilia utilizza acque freatiche del piano a monte della città (17 km.), sempre però scen- denti per deflusso naturale. 32 — Finalmente è istruttivo l’esempio di Milano, che dopo avere a lungo studiato derivazioni di acque montane, si è pure posto il problema delle acque di sottosuolo. Si fecero dapprima laboriose ricerche e osservazioni sulle acque freatiche della zona di alta pianura a monte della città, acque che si sarebbero potute condurre per deflusso naturale; poi si affrontò il problema delle acque pro- fonde, e se ne studiarono le condizioni geo-idrologiche mediante diversi pozzi tubulari di assaggio nel territorio del comune fino alla profondità di metri 145. Incontrati parecchi orizzonti acquiferi, alcuni dei quali risultarono opportuni allo scopo, fu ques‘a la soluzione scelta; e vi si dette opera mediante impianto graduale di gruppi di pozzi tubulari a grande diametro, affondati fra i metri 30 e i 60; nei quali l’acqua sale piezometricamente a pochi metri sotto il suolo, per essere poi meccanicamente sollevata al serbatoio, che la di- stribuisce finora ad alcuni quartieri e la estenderà ben presto alla intera città. La città di Torino si trova in condizioni analoghe fino ad un certo punto, sebbene più complicate; e il concetto della eventuale utilizzazione di acque di sottosuolo, freatiche o profonde, non dovrebbe nè essere abbandonato a priori, nè essere affrettatamente applicato, senza avere esaurito lo studio completo del problema, a chiarire il quale vorrei avere, pur modestamente, contribuito. Eoma, gennaio 1900. Bollett. del E. Comit. G-eol. d'Italia. Anno Tuv. I A. .Steda;. Schizzo geologico di una parte della Pianura Piemontese desunto dai rilevamenti dell Ufficio geologico. SPIEG.AZIONE ! 1 Allimurn - Alili uiovì deindrografia .1 1 affilale o ad essa coordinate. Diluvi Um - Antiche aUuyioni del pia ij generale terra-zzato . l.'t.'.’X Morenico - Terreni morenici delperiodc deplt a nh teatro . i|||i{i|i| Dlltivinm antico - Terreni di trasporto ' ' può antichi ptrlv pai ad QÌhptani ferrctizzati. Formazioni prequalernarie . —w' lineahmife dei Fontanili e Sorgenìi^^ -Scala di 1:500.000- <1^ ° ? ipy- N/ T ( 33 — II. L, Baldacci e S. Franchi. — Studio geologico della Gal- leria del Colle di Tenda [Linea Cuneo-Ventimiglia), (con tre tavole). Generalità. — La regione che deve essere attraversata dalla linea ferroviaria Cuneo -Ventimiglia, di cui il tratto da Cuneo a Limone è già da lungo tempo aperto all’esercizio, presenta nel valico alpino detto Colle di Tenda un punto, che venne già impropriamente con- siderato come limite fra le Alpi e l’ Appennino, mentre invece esso rappresenta soltanto una delle ordinarie depressioni nella conti- nuità morfologica e geologica della catena alpina. Quella depressione deve più ragionevolmente, per considerazioni geografiche e geologiche, riguardarsi come un punto singolare del confine fra le Alpi Marittime e le Alpi Liguri: le prime verrebbero comprese fra le valli della Verme- nagna e della Roja da un lato e quelle della Stura di Demonte e della Tinea dall’altro raggiungendo il Colle dell’ Argenterà, mentre le Liguri sarebbero limitate fra il Colle di Tenda e la Bocchetta di Altare \ Dal punto di vista geologico la regione del Colle di Tenda ha una speciale importanza come termine generale di divisione, poiché ivi trova il suo estremo limite orientale la zona orotettonica del Monte Bianco, con predominio di terreni cristallini, la quale dai massicci o nuclei centrali {Centralkerne del Diener) del S. Grottardo e dell’Aar, ai giganteschi affioramenti dei gruppi del Monte Bianco, di Belle- donne, del Pelvoux e dell’ Argenterà forma l’arco più esterno delle alte regioni della grande cerchia alpina ^ ^ S. Franchi, Snl limite fra le Alpi e gli Appennini (Geografia per tutti, 15 luglio 1892). ® T. Novarese, Le Alpi Piemontesi (Memorie della Società geografica ita- liana, Voi. IX, 1899). 3 In corrispondenza della Valle Yermenagna, che ha origine a Nord di quel colle, verso il limite interno della regione alpina rimane pure assai ridotta in larghezza quella larghissima zona concentrica, essa pure prevalentemente cristallina detta del Monte Rosa, e formante coi nuclei del Ticino (Antigorio), del Rosa, della Dent Bianche, del Mont Pourri, della Yanoise^ del Gran Paradiso, deirellissoide Dora-Yal Maira, ecc., l’arco più interno, del quale Tultimo lembo riapparirebbe nel nucleo cristallino del Savonese * . Fra i due archi di ampiezza e costituzione differentissima s’inter- porrebbe, non interrotta, la grande zona che il Diener (1. c.) chiamò zona del Brianzonese, costituita essenzialmente da terreni sedimentari dal paleozoico aU’ Eocene, la quale formerebbe interamente lo Alpi Liguri fino al mare fra Savona ed Albenga. Nella descrizione geolo- gica verrà fatto cenno particolare di queste grandi suddivisioni, e delle modificazioni che i più recenti studii consigliano di apportarvi. Il Colle di Tenda, detto nel medio-evo Colle del Cornio, è uno dei più frequentati valichi alpini e fu praticato fin dall’epoca romana, come attestano, le reliquie trovate a Borgo S. Dalmazzo, a Limone ed altrove. La grande rotabile da Cuneo a Nizza vi fu incominciata nel 1591 da Carlo Emanuele I, che fece incominciare anche un’opera di traforo, e condotta a termine nel 1782 da Vittorio Amedeo III, ‘ ma già fino dal 1450 era stato fatto sotto Anna di Lusignano un primo tentativo di scavare una galleria sotto il Colle I grandi lavori stradali sotterranei ivi in questi ultimi tempi compiuti e cioè prima la galleria della strada nazionale, lunga circa ^ C. Dienek, Ber Gehirgshaii der Westalpen. — Wien, 1891. S. Franchi, Nota preliminare sulla formatone gneissica e sulle roccie granitiche del Massiccio cristallino ligure (Boll. R. Com. geo!., 1893, fase. 1). ^ T. Martelli e Taccarone, Guida delle Alpi occidentali, Voi. I. — Torino, 1889. Y. Marinelli, L'Italia. — Milano. ® Y. Enciclopedia delTIngegnere, Yol. I, parte III, L. Yallardi. — Milano. 3 chilometri, la quale abbassò il difficile valico del Colle dalla altitu- dine di metri 1873, che doveva raggiungersi con una numerosissima serie di risvolte su coste franose ed esposte alle nevi e alle tormente, fino a circa metri 1322, e più recentemente la grande galleria ferro- viaria, della lunghezza di più che 8 chilometri, perforata in basso quasi in corrispondenza e circa metri 300 sotto la prima, hanno ri- velati nella struttura geologica del terreno degli importanti e singo- lari fenomeni tettonici, per alcuni dei quali, malgrado la relativa abbondanza di elementi, la interpretazione riesce tuttavia ardua, e non può in qualche punto uscire dal campo delle ipotesi. La cima di Colle Alto, sulla quale è edificato il forte omonimo si erge, fiancheggiando ad Est il Colle, fino a metri 1909, e la linea di spartiacque continua verso Est per le cime di Becco E-osso (metri 2207), del Becco (metri 2500) ecc., mentre verso Ovest la cresta mon- tuosa è marcata dalle cime di Pernante e dalle dirupate pareti gneis- siche e anagenitiche dell’Abisso (metri 2165). Volgendo da qualche punto elevato nei pressi della stazione di Limone lo sguardo verso Sud questa cortina montuosa si presenta nella sua maestosa forma di ampio circo colla concavità aperta a Nord, nei cui fianchi incidono il loro corso il torrente S. G-iovanni prove- niente dalle alture del Becco, e quello di Limonetto che nasce nella Rocca dell’Abisso, i quali riunendosi presso Limone vanno a formare il corso della Vermenagna. I versanti sono nella loro parte inferiore ampii e non ripidi, ma frastagliati dalle erosioni e Unmentati da disturbi stratigrafici e sono coronati in alto da ripidi ciglioni e dirupi calcarei, talora isolati e ri- stretti come quelli del Brio Castea e del Bec Barai, talora riuniti in creste dentellate, o formanti angusti altipiani tabulari come quello del Colle Alto. La imponente massa dell’Abisso chiude a Ovest il panorama, il quale è limitato ad Est dalle cime dei monti Jurin e delle Fasce, sul partiacque fra Vermenagna e Pesio. Uno dei tratti più caratteristici nella struttura geologica della regione, intimamente legata alla forma esterna, è dato dalla disposi- — 36 — zione della formazione eocenica, la quale stipata in lembi ristretti e allungati nelle valli della Vermenagna e della Roja, si allarga note- volmente verso Sud, e acquistando ivi una grande potenza, maschera quasi interamente i più antichi terreni, costituisce gran parte dei monti racchiudenti le valli dei torrenti Argentina ed Arroscia, e presenta il suo limite Nord- orientale, presso Albenga, oltre il torrente Centa, nome che piglia là Neva dopo la sua confluenza con quell’ ultimo torrente. Dalla potente serie scistoso-arenacea e calcarea dell’Eocene spun- tano qua e là gli affioramenti dei terreni più antichi, dallo gneiss e dal Permiano fino al Cretaceo. L’allineamento generale delle formazioni nel versante settentrio- nale è in questo tratto abbastanza costante, con una direzione gene- rale N. 20'^O— S. 20“E; e non tenendo conto dei numerosi e intensi disturbi stratigrafìci locali , marcatissimi specialmente nella zona eocenica, la inclinazione più costante è approssimativamente verso E.20”N, mentre nel versante meridionale le formazioni sono gene- ralmente raddrizzate, spesso ripiegate e sconvolte e traversate da nu- merose litoclasi, senza una tendenza generale a pendere verso Sud- I grandiosi lavori, spesso attraversati da gravissime difficoltà, per la perforazione della Galleria ferroviaria, vennero assiduamente seguiti per cura del R Ufficio geologico, e alcuni funzionari di questo, fra i quali gli scriventi, ebbero ripetute occasioni di visitarli, e furono più volte richiesti di pareri su difficoltà e problemi costruttivi in dipen- denza delle accidentalità geologiche che si incontrarono durante i lavori. L’Ufficio geologico per gentile concessione della Direzione governativa dei lavori possiede ora una completa e sistematica raccolta delle rocoie traversate col traforo. Anche della galleria per la strada nazionale si ha una raccolta, ma fatta alquanto saltuariamente durante i lavori ", la quale venne ^ Il traforo della galleria per la strada nazionale fu incominciato nel giugno 1873, e dopo varie fortunose vicende fu terminato con perforazione a mano al giugno 1882. — La galleria è illuminata attualmente da 110 — 37 — in parte arricchita con campioni tolti appositamente dalle nicchie non murate. Valendoci di questi dati, delle osservazioni dirette da noi fatte durante le visite ai lavori interni e della Carta geologica a i/50000 della regione, rilevata già da tempo da uno di noi per incarico del R. Ufficio geologico, e completata in qualche dettaglio con apposite escursioni, crediamo opportuno ora che questa grande opera si avvia al suo felice compimento, e poiché ben presto il rivestimento murario completo della Galleria cancellerà ogni traccia dei terreni traversati e dei singolari fatti stratigrafici osservati, di conservarne la memoria, e di tentare su queste basi la interpretazione della intricata struttura geologica di questo tratto della catena alpina. Prima di entrare in materia è per noi un grato dovere quello di esprimere i sensi della nostra viva riconoscenza alla benemerita Direzione governativa dei lavori, e cioè all’egregio ingegnere-capo cav. A. Amadasi, all’ ingegnere R. Girard, e ai suoi degni collabora- tori signori Baldini e Fiori, nonché ai signori fratelli Vaccari della Impresa costruttrice per le facilitazioni che in ogni occasione ci furono largite, sia per visitare i lavori, sia per raccogliere i campioni di roccie, sia per ogni informazione che ci occorse di richiedere. Caratteristiche della zona tettonica comprendente i dintorni del Colle di Tenda. — AH’esterno della fascia quasi continua di ter- reno Permo-carbonifero, la quale si sviluppa nel mezzo delle Alpi Occidentali fra il golfo di Genova e l’alta valle del Rodano, tra questa stessa fascia ed i massicci cristallini costituenti la cosiddetta zova del Monte Bianco^ si sviluppa, come già venne accennato, una zona di terreni comprendenti oltre alla serie secondaria, lembi più o meno lampade elettriche ad incandescenza, di 16 a 20 candele ognuna, distanti metri 28, 60 l'una dall'altra, che vennero, ottenendo notevole economia e maggior quantità di luce, sostituite agli antichi fanali a petrolio. La forza motrice per questo impianto elettrico è fornita dalle sorgenti della Roja. — 38 — importanti di ©ocene ^ È questa la seconda zona alpina del Lorv, che il Diener ” riunì alla zona permo -carbonifera suddetta, corrispondente alla terza zona alpina distinta da quel primo geologo {zone des grès à antracite)^ per farne la zona da lui detta zona del Brianzonese. Crii studi ora compiuti nelle Alpi Occidentali consiglierebbero di ritornar© alla primitiva suddivisione del Lory, come fece l’Haug che alla © 2® zona alpina del Lory attribuì rispettivamente i nomi di zone des Aiguilles dArves e zone axiale du Brianconnais La prima di queste du© zone ha un considerevole sviluppo lungo il lato N.E del massiccio dell’ Argenterà tra Talta valle dell’Ubay© © dell’ Ubayette e 1© Alpi Liguri, attraverso alle valli Stura, G-esso e Vermenagna, nella parte superiore della qual© ultima valle, alle falde della gneissica Rocca dell’Abisso, ha il suo limite occidentale sullo spiovente tirreno delle Alpi Marittime. In quella zona, a Est della Rocca dell’Abisso, è aperta la bassura, detta Coll© di Tenda, e nei terreni di quella zona medesima è perforata la G-alleria di ©guai nome della quale descriveremo il profilo. Si volle qui accennare brevemente alla posizione di quel traforo rispetto alle zone di terreni suddette, soltanto perchè possedendo esse delle speciali caratteristiche sia tettoniche che stratigrafiche, dovute alla identica storia geologica delle regioni che vi sono comprese, ossia alle analoghe vicissitudini nel deposito dei terreni © nei loro succes- sivi movimenti, 1© conclusioni tratte in alcuni punti di esse, dove siansi presentate condizioni di studio favorevoli, possono fornire utili elementi per lo studio di altri punti di più difficile interpretazione, © suggerire il più opportuno indirizzo per 1© indagini da farsi. Ch. Lory, Essai sur VorograjìJiìe des Aìpes Occìdenfales. — Paris-Gre- noble, 1878. ^ C. Diexer, 1. c. * E. Haug, Contrihntion à Vétade des lìgnes directrices de la chatue des Aìpes (Annales de Géograpliie, tome Y, p. 167). * S. Franchi, SnìVetà mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi Oc‘ cidentali (Boll. B. Com. geoL. 1898, fase. 4®). - 39 — Cosi nel caso nostro Fesame delle osservazioni fatte in terreni di questa zona in Moriana e nel Brianzonese e quelle fatte in alcuni punti di essa nella parte italiana, ci possono indicare all’ incirca la natura e l’intensità dei fenomeni tettonici che dobbiamo aspettarci di constatare nel profilo della Galleria. Facciamo una rapida rassegna di alcuni dei risultati ottenuti dagli studi compiuti in questa zona. Alla Grande Moenda, nel versante destro della valle dell’ Are a Nord di S^.- Michel, il Kilian osservò dei fenomeni di ricoprimento del Lias superiore per parte del Lias inferiore e del Trias, in grazia di una piega coricata quasi orizzontalmente, il cui ramo superiore rovesciato è esso stesso a sua volta fortemente ripiegato^ Tra il Permo- carbonifero ed il Nummulitico si notano ivi tre anticlinali di Trias racchiudenti tre sinclinali di Lias. In questa stessa regione è nota la faglia detta di Sl-Michel tra il Carbonifero ed i terreni secondari. Lo stesso Kilian in collaborazione con E. Révil ci dà alcuni profili attraverso il vallone di Yalloire ", poco distante dall’orlo N.E del Pelvoux, in cui oltre alle pieghe multiple e laminate di terreni secondari che si rovesciano sull’Eocene, è indicato tra questo e quei terreni un contatto anormale lungo una taglia estesissima, in corrispon- denza della quale il rigetto sembra sia stato assai importante. E appunto la costanza di questa faglia fra l’Eocene ed i terreni secondari, che per effetto di essa vengono a ricoprire quel primo ter- reno, è uno degli argomenti invocati dal Termier per sostenere la teoria di recente emessa sulle Nappes de recouvrement du Briangonnais, Una faglia in posizione analoga vedremo esistere al Colle di Tenda fra i terreni secondari e l’Eocene, sul quale quelli vengono a formare un esteso ricoprimento. ' W. Kilian. Si/r /'ffìli/re tourmentée des pìia isoelinaiix dans les montagnes de la Savoie (Bull. 8oc. rréol. de France, 3^ serie, T. XIX, p. 1152). * W. Kilian e F. Révijl, Deacription géologiqiie de la Vallèe de Valloire {Savoie) et de quelques massifs adjacents. — Chambéiy, 1899. — 40 Senza parlare dei profili del Lory, nei quali sono indicate assai più faglie di quanto le osservazioni posteriori non portino a ricono- scere, secondo il profilo di Kilian e Lugeon ^ condotto tra la Gironda ed il confine italiano a Sud di Briancon, vi sarebbero sulla riva si- nistra della Durance delle pieghe estesissime e coricate di terreni secondari, che al loro limite occidentale vengono a brusco contatto co] Permo-carbonifero. Più presso a noi, nella valle dell’Ubaye, Kilian e Haug ^ rico- nobbero resistenza sull’Eocene di una grande serie di masse esotiche di terreni secondari, le quali essi considerano come testimoni di pa- recchie falde di slittamento (nappes de charriage), che i caratteri litolo- gici e paleontologici e la disposizione delle pieghe mostrerebbero aver dovuto procedere da N E, cioè dalle più esterne delle pieghe della zona di cui stiamo esaminando le caratteristiche. Secondo quei due geologi il ricoprimento avrebbe avuto una estensione superiore ai trenta chilometri. Al di qua del confine, nell’alta valle della Stura, una grandiosa faglia tra Argenterà e Bersezio porta a diretto contatto cogli strati ad Helminihoida dell’Eocene superiore i calcari del Trias ad Encri- nus liliiformis ; ed i terreni secondari sul versante sinistro della valle presentano strettissime ripiegature rovesciate verso S.O. Più presso alla regione che ora ci interessa, nel contrafforte fra Stura e Gesso, si osserva una ripetuta serie di pieghe laminate iso- clinalmente, nelle quali, fra terreni secondari dove figurano Trias,, Lias, Giurese e forse anche il Cretaceo, si notano quattro distinte zone sinclinali pizzicate di Eocene, delle quali due sono ristrettissime. E appunto una di queste pieghe di terreno giurese, quella della ^ W. Kilian e M. Lugeon, Une coupé transversale des Alpes hriauQonnaises de la Gyronde à la frontière italienne (Comptes-rendus de FAcadémie des Sciences, 2 janvier 1899). * W. Kilian e E. Haug, Sur V origine des nappes de recouvrement de la région de rUbage (Comptes-rendus de FAcadémie des Sciences, 14 février 1898). — 41 — Rocca Pissousa, dominante a N.O l’abitato di Valdieri, che ha il suo proseguimento nella catena Rocca Vacciarampi — Monte Bussaja — Monte Pianard, e oltre la Valle G-rande di Vernante, nell’affiora- mento di Bec Barai. Questo si ricongiunge, sotto il quaternario dei pressi di Limonetto, attraverso il vallone di egual nome, coll’affiora- mento della balza calcare, che, a guisa di un enorme banco interca- lato nell’Eocene, va a formare le rupi ricoperte dal Nummulitico fos- silifero, sul quale è basato il forte centrale di Colle Alto, poco ad oriente del Colle di Tenda. L’anticlinale suddetta ha una grande importanza perchè il suo esteso affioramento, assai distinto, tanto orograficamente che litologi- camente, costituisce una delle principali direttrici tettoniche della re- gione. Uno di noi ha dimostrato come questa anticlinale presenti» una rottura seguita da faglia nel suo limite meridionale, dove sopra una certa estensione l’Eocene medio viene a brusco e diretto contatto con strati sottostanti a quelli con Gryphxa arcuata b Altre faglie numerose ed importanti sono visibili tra Permo-carbonifero e Trias nel vallone di San Giovanni tra .Monte Jurin, la Costa Murin ed il val- lone di San Giovanni, che sbocca nella Vermenagna a Limone. A quella stessa anticlinale o meglio allo stesso fascio di pieghe anticlinali, appartengono senza dubbio i calcari marmorei a crinoidi con rare belemniti che affiorano fra l'Eocene alla Cima di Pepino, a S.E del Colle, dove essi includono zone di calcare nummulitico in modo che queste sembrano con quelli interstraficate. Dalla stessa piega assai probabilmente ripetono la loro origine gli affioramenti di calcari triasici che si osservano in pieno Eocene alle falde S.O di Monte Missouri a oriente di Tenda, nel versante del vallone di Briga Marittima, e gli affioramenti di calcari giuresi nell’alto circo della valle dell’Argentina, alle falde di Monte Saccarello e di Monte Fronte > nei quali venne raccolta una fauna del Titonico. ^ S. Franchi, Contribuzione allo studio del Titonico e del Cretaceo nelle Alpi Marittime italiane (Boll. R. Com. geol., anno 1894, fase. 1). 42 — Tutti questi fatti mostrano che la zona di terreni nella quale è aperta la Galleria di Tenda è caratterizzata dalla sua struttura a pieghe stipate rovesciate airesterno, le quali talvolta si rompono, dando luogo a frequenti faglie, i cui piani hanno pendenze verso l’interno, e nelle quali il rigetto avviene con ricoprimento delle parti interne sulle esterne (rispetto all’arco alpino) della faglia stessa. Ove poi si rifletta alla serie di movimenti avvenuti a datare dal Permo-carbonifero, e particolarmente al finire del Permiano e del Trias inferiore, anteriormente al Giurese, dopo il Cenomaniano ed il Seno- niano, ed alle conseguenti emersioni, seguite da periodi di abrasione e di nuove riimmersioni, i quali fenomeni originarono le trasgressioni del Permiano, del Trias inferiore e medio, del Giurese e dell’Eocene, si può formarsi un’idea delle complicazioni che saranno per incontrarsi nella successione e posizione relativa dei diversi terreni, e, data la povertà di fossili, le difficoltà straordinarie nello spiegarne la stratigrafia e la tettonica. Tratteggiata così la fisionomia della zona tettonica a cui appar- tiene la regione in cui è aperta la Galleria di Tenda, prima di de- scrivere i terreni incontrati, passiamo a dare una breve descrizione geologica della regione che si estende tra Limone e Tenda nelle parti alte dei due bacini della Vermenagna e della Poja. Descrizione g^eolog^ica della reg^ione \ — La Vermenagna tra San Giacomo di Vernante ed i pressi di Limone ha il suo thalweg aperto nei calcari di una sinclinale di Trias medio, la quale si può seguire da Monte Pena a S.O di Robilante fino alla Costa Murin, a ridosso del- l’abitato di Limone, dal lato N.E. E una sinclinale ristretta coricata verso S.O, con direzione media N.O-S.E,' e che è separata da una zona non potente ma continua di quarziti e di scisti quarzo-sericitici dal Permo-carbonifero del gruppo della Besimauda. Al lato Est della ^ jS'eH’esegiiire il rilevamento della regione è stato utilizzato il precedente rilevamento dell’Ing. Zaccagna, nel quale le pieghe triasiclie e gii affioramenti giuresi dei dintorni di Limone erano indicate con molta esattezza. 43 — Costa Murin una faglia chiarissima con direzione N. IS'^.O stabilisce un limite anormale fra il Trias inferiore e medio della sinclinale suddetta ed il Fermo-carbonifero. A questa segue verso S.O un’anti- clinale di quarziti del Trias inferiore, nel cui mezzo, una zona di scisti sericitici, che dal cocuzzolo di quota (1685 m.) scende verso San Maurizio, e si mostra nei pressi della stazione di Limone, po- trebbe rappresentare il Permiano. Delfanticlinale quarzitica si può osservare il proseguimento nel vallone di San Giovanni ad Est di C. Astesan, alle falde di Eric Savoia, a Sud della quale essa si in- terna sotto la massa della Cima delle Fascie (2495 m.), le cui eccelse rupi sono costituite da formazioni calcari riferibili al Giurese, al Cretaceo ed alfEocene. La testata di Monte Vecchio (1920 m.) ad Est di Limone, è in • calcari del Trias medio, appartenenti ad una anticlinale di questo terreno, sotto alla quale si vede il nocciolo di quarziti e scisti serici- tici in un contrahorte limitato, su cui si svolge la mulattiera che conduce da Limone alla sommità di quel monte. Tra Tanticlinale ultima di Monte Vecchio e quella precedente di Trias inferiore si trova una sinclinale di Trias medio ristrettissima, la quale probabil- mente è da quella separata per effetto di una faglia. A Sud di Monte Vecchio, la Maira/ Volpigera ed i Tetti Giton e Gianet sono già collocati sugli scisti dell’Eocene, che in larga zona si presenta nella Valle Grande di Vernante, nel cui versante ricopre in trasgressione Tanticlinale di San Maurizio e quella di Monte Vec- chio, e si estende nella valle principale tra i calcari del braccio Sud di questa anticlinale e Tanticlinale giurese di Bec Barai. Questa zona di terreno eocenico nel contrafforte tra la Verme- nagna ed il vallone di S. Giovanni si inoltra verso Nord, trasversal- ‘ Maira indica nella regione una casa di contadini isolata nell’alta mon- tagna, come tetti indica un gruppo di case ; tanto la prima che i secondi possono anche essere abitati durante Tinverno. ^el Savonese la prima parola si trasforma in m,enja. mente aiPanticlinale di Monte Vecchio, fino a Limone. Di più, a metà della falda della Costa Murin si osserva una striscia di scisti cal- cari con niimmuliti, pizzicata nella sinclinale di calcari del Trias, presentanti quivi delle diplopore e strisele ricche di piccolissimi gaste- ropodi indeterminabili. La zona di Eocene di cui parliamo si sviluppa tra il vallone di S. Giovanni ed il vallone Cabanaira, e ricopre, con un lembo poco potente, su cui sviluppano i meandri della strada che sale al Colle di Tenda dal lato Nord, i calcari marmorei affioranti nell’esteso ci- glione tra Limonetto ed il Forte di Colle Alto. Il proseguimento di quella zona eocenica arriva allo spiovente della Valle Roja tra il p. 2169 a Nord della Cima di Pepino ed il colle della Perla, che è all’estremità del vallone di S. Giovanni*, scende nel vallone di Rio Freddo e si espande a Sud del Colle Selle vecchie nel contrafforte Monte Bertrand — Monte Saccarello — Monte Fronte, limitante ad occidente l’alto bacino del Tanaro. Questa zona ha una struttura sinclinale evidente, ma molto disim* metrica, e si rovescia come tutte le altre pieghe verso S.O. Essa com- prende nel suo mezzo dei lembi di Eocene superiore, costituiti essenzial- mente di arenarie in grossi banchi con sottili interstrati di scisti cal- cari, dove abbondano le fucoidi e V Helmintoida lahyrinthica. E carat- teristica pel suo aspetto e pei ripiegamenti multipli che si vedono verso oriente di chi salga la strada del Colle, la massa di questo ter- reno che forma la cresta diruta (senza quota) che è a S.E della Cima di Gherra b Ad esso appartengono pure la massa della Cima del Becco e tutta l’alta catena del Monte SaccareUo tra Cima Velega e- ^ Sono forse le ripide pareti di queste arenarie che fecero sospettare al Portis r esistenza di « anageniti e besimauditi triasiche e permiane » nel « fianco meno erto verso J^Tord » del vallone di Cabanaira, poiché di tali roccie non havvi traccia in questo vallone, ed esse non affiorano che a qualche chi- lometro di distanza nel vallone di S. Giovanni. (V. Due località fossilifere nelle Alpi Marittime. Boll. Soc. geol. ital., Yol XYII, 1898). — 45 — Monte Monega, nell’alta catena separante i bacini della Roja, del Ta- naro e dell’ Argentina. Al modo istesso in cui la zona eocenica precedente si prosegue in- interrotta dal versante marino alla Stura, un’altra zona dello stesso ter- reno dalla Valle Stura nei pressi di Demonte passa in Val Gesso al Colletto della Madonna, tiene il versante destro del vallone della Trinità (Entracque); passa nella Valle Grande di Vernante in corri- spondenza della Cresta Pianard, e di qui nel vallone di Limonetto, tra la vetta che è a S.O di Bec Barai (giurese) e il Monte Ciotto-Mien; passa quindi nel versante della Roja tra la Cima Pernante ed il Colle di Tenda propriamente detto, occupa tutta l’estremità del bacino della Roja, superiormente alla sorgente di esso, poscia volgendo nel versante del Rio Freddo fra Cima Becco Rosso e Monte Corto, si allarga assai nella Valle di Briga, e va a formare l’alta testata della Cima di Marta. Questa zona comprende la più occidentale fra le masse eoceniche dell’alta Valle Roja. Essa è separata dalla prece- dente dall’affioramento quasi non interrotto di terreni giuresi Rocca Vacciarampi-Monte Bussaja-Monte Pianard-Bric Brusatà-Bec Baral- CoUe di Tenda ; ma più a S.E le due zone si confondono presso la Cima Becco Rosso, e gli affioramenti secondari della Cima di Pepino, intimamente interstratiifìcati con masse di calcari ed arenarie num- mulitiche, che in banco potente scendono verso S.E nel Rio Freddo, segnano per un certo tratto il loro contatto reciproco. Prima di passare a descrivere i terreni che affiorano nel versante della Roja è bene accennare all’esistenza di numerosissimi affiora- menti di terreni secondari recenti, i quali, a guisa di veri Klip]pen^ spuntano in molti punti nella prima delle zone eoceniche ora descritte. Lasciando di annoverare le minori di tali masse secondarie, che ta- lora raggiungono solo qualche diecina di metri di larghezza, citerò quella di Eric Castea e quella che ne costituisce il prolungamento verso S.E, sulla quale sono la Maira Magni ed i Tetti Remondin ; alcune piccole ad Est dell’ imbocco Nord della Galleria e quella del Colle Buffe; un affioramento esteso a Sud di «Limone, ad occidente — 46 della serra morenica del vallone di S. Giovanni ; al Eric Valletta, ed una a Nord di Cima Becco Rosso, la quale si ricollega con quella già citata della Cima di Pepino. Queste masse sodo di calcari mar- morei o compatti, bigio chiari talora leggermente rosei, raramente con stratificazione perfetta. In molti punti contengono numerosi crinoidi, rari corallari, ed in alcuni punti (Eric Castea e Cima di Pepino) of- fersero, come nelle balze del Colle di Tenda rare belemniti. Di questi fossili furono pure trovati in un sottilissimo affioramento di calcari marnosi in straterelli sul contrafforte ad Est dei Tetti Gherra. Per Tanalogia litologica e por la somiglianza loro nel modo di affiora- mento in mezzo all’Eocene si sarebbe condotti ad assimilare queste masse calcari con quelle che nella Valle Argentina contengono una fauna del Titonico. Non avendovi però rinvenuti, oltre le belemniti non determinabili altri fossili caratteristici, conviene limitarsi a con- siderarli come giuresi senza determinazione di piano. Dal punto di vista geognostico è importante il notare come tali masse di terreni giuresi affiorino fra l’Eocene, indifferentemente nelle parti alte o basse dei contrafforti, e nelle parti più o meno profonde della zona inferiore di questo terreno, talché essi si di- mostrano come spuntoni di un terreno eroso sul quale T Eocene si depose in trasgressione. Si disse della zona inferiore, perchè finora nessun affioramento secondario è noto fra gli strati superiori ad Helminthoida. Gli affioramenti dei dintorni immediati di Limone dimostrano che ivi esisteva un seno del mare giurese, che si internava in mezzo al Trias, sul quale terreno si deposero in trasgressione i terreni di quella prima epoca, i quali poi furono profondamente erosi, anterior- mente al deposito dell’Eocene, che nella regione si trova in trasgres- sione su tutti i terreni, compreso il gneiss, certo precarbonifero, del gruppo dell’ Argenterà. Le due zone eoceniche sono, come fu detto, separate da un affio- ramento continuo di terreni secondari, di cui è importante indagare l’età, venendo essi in parte attraversati dalla Galleria. — 47 — Uno di noi ^ espresse già la sua opinione sull’età di questi cal- cari, che attribuì al Griurese, quantunque non avesse rinvenuto in essi altri fossili, possedenti un certo valore cronologico, che delle belemniti. A quella conclusione era tratto dalia corrispondenza tra i calcari del Colle di Tenda (dedotta dalla continuità dell’ affioramento e dalla iden- tità litologica) e quelli costituenti la sommità della catena del Monte Bussaia-Eocca Yacciarampi, i quali poggiano in discordanza, tanto nel versante verso Entracque che in quello verso Eoaschia, sopra strati a Gryphcea arcuata Lamk. e ad Areitites bisulcatus Brug., e fanno superiormente graduale passaggio a strati con belemniti appartenenti al genere Duvalia. In un altro lavoro “ venne confutata l’opinione espressa dal Portis ^ che questi calcari appartengano al Trias supe- riore, opinione che non era suffragata da nessun fatto positivo e che la presenza delle belemniti basta a dimostrare erronea. I corallari, determinati solo genericamente ed anche con qualche incertezza dal Portis, non potevano costituire un dato paleontologico sufficiente per fissare un piano qualsiasi ; ma, anche supposto che la determinazione dei generi fosse attendibile, essi indicavano a prefe- renza un terreno più giovane del Trias ; poiché mentre tutti i generi citati si estendono dal Trias al Giurese ed al Cretaceo, il genere Stylina è particolarmente abbondante appunto nel Giurese \ ^ S. Franchi, Coiìtribnzione allo studio, ecc. “ S. FitANCHi, Sulla fjeolofjia di alcuni punti delle Alpi Marittime e Cosie. ( )sserA* *azioni deH'iiig. Secondo Franchi a proposito di ima nota del professore A. Portis (Boll. Soc. Treol. ital., Yol. XVII (1898), fase. 4). ® A. Portis, 1. c. * E il caso di ricordare qui che alcuni corallari raccolti dal Bruno a ^lolite Brusatà poco a X.O di Bec Barai, in calcari marmorei che sono la vi- sibile prosecuzione di quelli di Tenda, corallari che il Michelotti aveva deter- minati per Cjiathopliiflliuni, furono dal Portis riferiti al genere Calamopliyllia, e paragonati ai corallari del Titonico di Argenterà e del Monte Saléve (A. PORTiS, Sui terreni fossiliferi dei dintorni dell' Argenterà. Mem. della R. Acc. d. Se. di Torino, anno 1881). Questa determinazione, che concorda precisamente colle no- stre idee sul l'età del calcare del Colle di Tenda, viene a confutare quanto su di • ■ssa ebbe a dire lo stesso Portis, il quale, se avesse mezzo di paragonare i ••ampioni di roccia a Calamopìigllia dell’ Argenterà con quelli di Tenda, potrebbe agevolmente riconoscerne l' identità della roccia e convincersi che la prima sua opinione ora quella giusta. — 48 — Il Portis, per provare l’età triasica di quei calcari, si appoggia anche sulle analogie litologiche ohe essi presentano coi calcari del- l’Azzarola ; però si può affermare con tutta sicurezza che i calcari del Trias tanto delle Alpi Marittime che delle Cozie non hanno nessun carattere litologico ' comune con quelli in questione. Fu già accennato come i calcari marmorei suddetti si colleghino con quelli di Beo Barai attraverso il vallone di Limonetto, verso il quale essi formano un ciglione caratteristico che saie al Colle di Tenda, e quindi si svolge con direzione Ovest-Est per formare le balze sulle quali è costrutto il Forte di Colle Alto. Vari affioramenti di detto calcare si vedono nel vallone di Cabanaira e nel versante settentrionale del Colle attraverso gli squarci della coperta eocenica (calcari ed arenarie più o meno grossolane con Nummulites perforata, N. eurvisipira,^ ecc.) prodotti o dall’erosione o da salti, di cui alcuni sono evidenti ; e i calcari stessi sembrano costituire come un potente banco diretto approssimativamente N.O con pendenza di 25 o 30° verso N.E. Nel versante del vallone di Limonetto tale banco, che è ricoperto dagli strati con nummuliti della 1° delle zone eoceniche, ricopre gli scisti arenacei della 2° di quelle zone, i quali si immergono sotto di esso con lievi pendenze. Il limite inferiore del banco non è contrad- distinto da una zona nummulitica come quella soprastante, ma al suo contatto, in qualche punto, si osservarono striscio di calcari con pic- cole nummuliti come quelli che si trovano nell’ Eocene medio fin sotto la zona ad Helmintlioida. SuUa linea di displuvio tirreno-padana gli scisti eocenici si im- mergono sotto i calcari marmorei pochi metri ad oriente del Colle; cosi tra questo ed i pressi del Ricovero Maggiore, presso il quale una grande quantità di blocchi dei calcari franati delle balze, ricopre 1’ Eocene, e ne nasconde il limite superiore. Un 180 metri circa ad oriente di quel ricovero, al disotto dei cal- cari e senza alcuna transizione con essi, si nota una non potente zona (15 metri) di scisti vinati od ocracei, con patine verdognole e — 49 — grandi cristalli di pirite ; e al disotto di questi scisti dei calcari dolo- mitici bigio -cenere, farinosi, con essi intimamente legati. In queste roccie non si trovarono fossili, ma esse sono litologicamente identiche a quelle sottostanti agli strati a Gry^phcea arcuata le quali formano un orizzonte quasi continuo sotto ai calcari marmorei della catena Monte Bussala -Eocca Vacciarampi. G-li stessi scisti rossi sottostanno ai cal- cari marmorei presso Pallanfrè e ricoprono dei calcari dolomitici con camiole ; si ritrovano fra le due cime di Bec Barai e sotto al costolone che da esso scende verso Limonetto, a Nord di T. Cortassa. L’identità litologica, la loro posizione e la continuità osservata permettono di riferire queste roccie al Lias inferiore od al Eetico. I calcari dolo- mitici sono con grande probabilità da riferirsi a questo ultimo piano. Fra le quote 1760 e 1700 a S.E del Eicovero Maggiore e fra le quote 1530 e 1640 a Sud di esso si osservano, circondati dall’Eocene, due lembi dei terreni suddetti, disposti nello stesso ordine: calcari marmorei, scisti argillosi variegati, calcari dolomitici color cenere. Questi lembi, aventi al più un centinaio di metri di larghezza, pel fatto di avere gli strati rotti e sconnessi e di mancare, come si vedrà più sotto, di radice, giacche nelle gallerie sottostanti non furono in- contrate le roccie corrispondenti, si debbono, secondo noi, considerare come due lembi franati dalle balze del Colle Alto, a misura che la erosione degli scisti eocenici sottostanti ne scalzava la base, e scivo- lati lungo la falda del monte nei punti dove ora li troviamo. Fra l’Eocene sono notevoli due altri piccoli affioramenti, proprio nel fondo del rigagnolo a pareti scoscese e franose che sta ad occi- dente dell’imbocco Sud della galleria carrozzabile. Sono affioramenti di qualche diecina di metri, nei quali si notano gessi, calcari dolo- mitici e camicie, e che si trovano l’uno all’altezza di quell’im hocco ? j l’altro un 20 metri più in alto b Non sembra dubbio che essi sieno 1 affioramenti della grande massa di anidrite con calcari associati, che si vedrà essere attraversate dalle due gallerie. I ‘ ^ Que.sti affioramenti sono indicati sulla Carta geologica colle lettere A e B. 4 - 50 — Un affioramento di gesso si nota ancora nel Rio Margone a S.E del Ricovero della Punta, presso il limite tra Eocene e Cre- taceo. La struttura geologica della zona che ora descriveremo è compli- catissima e non perfettamente spiegabile, nemmeno ora che la perfo- razione delle due gallerie ci ha fornito la serie incontrata a differenti profondità sotto la superfìcie del terreno. A 300 metri dall’imbocco Sud della galleria carrozzabile è chia- \ rumente visibile aH’esterno, e fu constatata anche nello scavo, una frattura, in forza della quale i calcari marmorei dell’imbocco, che con- sideriamo come giuresi, una zona sottile di calcari marnosi in strate- relli che parrebbe rappresentare il Cretaceo, ed i soprastanti calcari scuri con nummuliti diretti N.O e fortemente raddrizzati vengono a brusco contatto cogli scisti arenacei eocenici (vedi la Tav. III). La di- rezione di quella frattura è all’incirca N. 15*^. E; quindi di poco incli- nata rispetto all’asse di quella galleria. Il prolungamento di essa verso Sud corrisponde quasi esattamente al limite dei calcari marmorei giuresi e dei calcarei listati cretacei, sui quali sono i Tetti Ghio, coll’alluvione del Rio Canelli, ad occidente della quale però affiora l’Eocene, fìn presso il ponte della strada carrozzabile sopra il detto rio. Ad occidente di quella frattura il limite fra l’Eocene ed il Cretaceo sottostante è diretto prossimamente verso O.S.O, e passerebbe* poco a Nord del ponte citato sopra, sicché, in corrispondenza di essa noi dobbiamo supporre che lo spostamento nel senso orizzontale, per effetto del movimento avvenuto non sia inferiore a 400 metri. Presso alla traccia di quella frattura, a S.O di Tetti Ghio, accanto allo stradale, al primo risvolto di esso, sotto il ponte sul Rio Canelli, ricoperto direttamente dagli scisti cretacei, havvi un affiora- mento, non più esteso di 12 metri quadrati, di uno gneiss molto alte- rato, colla mica cloritizzata, presentante qua e là vene di oligisto. E uno gneiss come quelli della non lontana Rocca dell’Abisso e del vallone di Caramagna (v. la Carta geologica) perfettamente caratteriz- zato, si per composizione mineralogica che per struttura, e che pre- senta la caratteristica microscopica della struttura vermicolare ^ pro- pria di molti graniti e gneiss. Questo affioramento di gneiss si trova al lato orientale deirallu- vione, che in questo punto per la confluenza dei due rivi Margone e Canelli, raggiunge la massima larghezza (109 metri circa), e dista orizzontalmente una cinquantina di metri dal profilo della galleria, la quale passa proprio nel bel mezzo di quell’alluvione. A Sud dell’affioramento gneissico i calcari marnosi in straterelli del Cretaceo, si osservano molto raddrizzati ai due lati del fondo di valle; però poco più in basso, a levante della cosidetta sorgente della Roja, sul lato sinistro della valle, preceduto a monte da poca terra ocracea, un affioramento di roccie completamente diverse è attraver- sato dallo stradale per 70 od 80 metri. Sono roccie quarzitiche bigio- verdognole e rosso-vinaccia, ad elementi grossolani, in tutto simili a quelle che affiorano a contatto dello gneiss dell’Abisso presso il Forte di Giaura, e che si manifestano come costituite in parte di materiali tufacei di porfidi quarziferi. Queste roccie, riferibili al Permiano, sono incontrate dalla Galleria fra le progressive 6617 e 6745. Il Portis (luogo citato) mette sotto una sola tinta (permiano) queste roccie, i gneiss precedentemente incontrati ed un insieme di scisti calcari e di arenarie a cemento calcareo o quarzoso, che il tunnel attraversa fra le progressive 5428 e 5635, il quale insieme noi dimostreremo do- versi riferire all’Eocene. Un lembo alluvionale antico ricopre le roccie quarzitiche suddette, dopo le quali, al più meridionale risvolto delio stradale in quei pressi, affiorano le dolomie bianche, cristalline, sac- caroidi, in cui è quindi scavata per buon tratto la valle della Koja. Sul lato destro di questa, nei calcari marnosi del Cretaceo i quali per un duecento metri a valle della sorgente della Roja, costituendo tutta la falda montuosa, vengono a confinare coll’alluvione, si osserva una faglia marcatissima diretta N.35‘’.E, con pendenza di 50® verso * 5^. FuANcni, Siilln prex'^:i'a della structiire vermiciilée (Michel-Lévy). (Boll. Soc. Gool. it.. Voi. Xlir. I, 189i). 52 Nord, a 50 metri da quella sorgente. I calcari marnosi al disotto del piano della faglia hanno strati ad essa paralleli, mentre al disopra vi sono quasi normali. Si può ritenere come certo che quella grande sorgente nasce da quella faglia la cui superfìcie costituisce’ come il collettore delle acque interne delle masse rocciose ohe stanno a monte di essa. Torneremo su questo argomento nel descrivere le roccie attraversate dal tunnel, giacche è in corrispondenza di questo tratto, compreso fra la sorgente in parola e Taffioramento gneissico, che si incontra- rono le gravissime difficoltà di traversata delFimbocco Sud. La strada carrozzabile che si sviluppa sulla riva sinistra taglia per un cento metri sotto Tultimo risvolto le dolomie chiare ; a queste succedono per brevissimo tratto (35 a 40 metri) dei calcari marnosi scuri in straterelli, ripiegati ad L, aventi un contatto brusco colle do- lomie dal lato di monte. Questi calcari presentarono qualche belem- nite ; per ciò e per i loro caratteri litologici che li ravvicinano a quelli del Cretaceo, sarebbero probabilmente da attribuire al membro infe- riore di questo, cioè al Neocomiano. Passato questo affioramento, le dolomie, salvo qualche passaggio laterale alla forma di calcari, di cui si parlerà in seguito, costituiscono per una certa altezza i due versanti della valle fìno a qualche centi- naio di metri dall’imbocco Sud. Nel versante destro il loro limite su- periore si mantiene per un certo tratto, presso il ricovero del Lordo, fra le linee di livello 1150 e 1200; ma più a Sud, nel contrafforte meridionale _di Rocca Cairon esso oltrepassa i 1250; passa a tergo delle C. deU’Ortiga (1251 metri) e gira attorno allo stretto e diruto bacino a quelle case sottostante, per riprendere più in basso il contrafforte suddetto e scendere alla Roja un 125 metri a Nord dell’imbocco. Nel versante sinistro il limite superiore delle dolomie si mantiene fìno al vallone di Caramagna all’incirca all’altezza della strada carrozzabile; quindi a Sud di quel vallone segue il ciglio delle rupi segnate sulla carta, con forte tratteggio, e presso le inferiori delle C. Deveglio scende alla Roja. Rappresentiamo approssimativamente con punteg- giate le proiezioni di quei due limiti sul piano del profìlo della Tav. III. 53 — Le dolomie in discorso hanno grana più o meno spatica, sono massiccie ed a stratificazione poco netta; sono tipiche presso il ricovero del Lordo, dove il corso della Roja scava in esse il rapido suo letto. Nei pochi punti dove è visibile, la stratificazione mostra direzioni e pendenze varie, raggiungenti sovente i 40°. Come si disse le dolomie sono per lungo tratto di una certa uni- formità ; ma in corrispondenza del tratto di strada ora abbandonato che era sulla destra del torrente si notano dei passaggi graduali per vere sfumature litologiche , da esse a dei calcari compatti scuri, a grana fina, contenenti frequenti noduli di selce, e in qualche punto frequenti belemniti; come, ad esempio, laddove Tantica strada abban- donata ha il suo piano scavato a scalpello appunto in quel calcare nero. A tutta prima può parere strano che questa importante massa di dolomie appartenga alla serie giurese; ma se si considera che delle parti dolomitiche esistono nella massa dei calcari di Monte Bussaia e in quelli delle rupi a tergo di Briga, certamente giuresi, e che nel Nizzardo una potente formazione di dolomie riposa sulla zona ad Ammonites polyplocus e ad A. tenuilohatus (vedi Coquand, Bulletin S. G. de Franco, annóe 1876-77, III serie, tome V, pag. 813), essendo le formazioni di cui parliamo la prosecuzione di quelle del Nizzardo, il fatto sembrerà invece naturalissimo. Queste belemniti sono i soli fossili trovati in questa formazione, essenzialmente dolomitica, e permettono al più di ascriverla al Giu- rassico. Essa è ricoperta dalla formazione dei calcari marnosi in stra- terelli, avente alla sua base dei calcari arenacei glauconiosi con nu- merose belemniti, che per le analogie litologiche coi calcari di Val Bevera, che offersero una faunula con Nautilus pseudo-elegans^ uno di noi ha riferiti al Neocomiano \ Non è però possibile affermare se esistano rapporti di continuità fra questo terreno e le dolomie che lo sopportano ; tuttavia per la natura litologica di queste, quando si pensi ^ Franchi, Coutribuzioue allo studio, ecc. — 54 — alle analogie col Giurese del Nizzardo, noi inclineremmo a ritenerle posteriori al Lias. Trecento metri circa dair imbocco Sud, ai due lati della Itoja, delle falde detritiche elevate impediscono di vedere il contatto fra questa formazione dolomitica con delle dolomie di tutt’altro tipo, bigie, farinose, più minutamente cristalline, di tipo triasico, che af- fiorano per meno di cento metri ai due lati della Roja. Sono di quel tipo i calcari che affiorano tra i calcari cretacei, in una zona larga poco più di 100 metri, tra i pressi dell’imbocco Sud e le Cascine di Fimra, indicate sulla Carta. In essi furono trovati crinoidi e traccio non chiare di diplopore. A questi calcari dolomitici, sul lato sinistro della Roja, segue una zona non più potente di 20 metri di calcari marmorei, con striscio dolomitiche, e dopo vengono i calcari arenacei glauconiosi, bruni alle superficie alterate, con noduli di selce scura e belemniti, identici a quelli riccamente fossiliferi di Val Bevera determinati come neoco- miani; quindi i calcari in straterelli e gli scisti calcari neri, in cui è rimbocco della Galleria. Sul lato sinistro, lungo la strada, una zona più sottile di calcari marmorei e di calcari marnosi s’ incunea fra i cal- cari dolomitici riferiti al Trias della zona di Cascine Vieura. La cartina geologica annessa, colla succinta descrizione geologica ora fatta, basterà a dare un concetto della costituzione geologica della regione attraversata dalla Galleria, la quale, per quanto apparisca già complicata, non potrà tuttavia impedire ohe si resti ancora sorpresi dalle serie rocciose incontrate nel traforo delle due gallerie della strada nazionale e della ferrovia, serie che passiamo ad esa- minare. Terreni incontrati nelle perforazioni delle g^allerie. — Galleria della strada nazionale. — I dati geometrici di questa galleria sono i seguenti : Lunghezza metri 3183. 10. Imbocco Nord : quota sul mare metri 1319. 15 (asse a 35 metri ad Est del profilo del tunnel ferroviario). Imbocco Sud : quota sul mare metri 1277. 98 (asse a 161 metri ad Est del profilo del tunnel ferroviario). Le roccie attraversate, come risulta dall’elenco posseduto dall’Ut- ficio dell’Ispettorato ferroviario di Cuneo, e da una serie non molto sistematica di campioni esistenti presso l’Ufficio geologico, comple- tata con alcune osservazioni nelle nicchie per ghiaia non total- mente rivestite, esistenti lungo la galleria, sarebbero quelle dell’elenco seguente, in cui le progressive partono dall’imbocco Nord. Da 0 a 100 metri. Terreno detritico di origine glaciale. » 100 » 393 » Scisti arenacei, calcarei argillosi, ecc., e calcare nummulitico (Eocene). » 393 » 530 » Calcare marmoreo, con crinoidi e coralli (Giu- rese). » 530 a 600 » Scisti variegati, specialmente vinati (Lias in- feriore). a 600 » Faglia con detriti calcarei e con tufo calcare ocraceo. » 600 » 2105 » Scisti argillosi, arenacei, calcari, arenarie com- patte ecc., deirEocene, in cui è compresa fra le quote » 950 » 1012 una massa di calcare scuro a crinoidi (con - nummuliti ?). 2105 » 2209 0 Dolomia bigia screziata. » 2209 2265 » Anidrite e gesso (senza stratificazione). » 2265 » 2278 » Calcare nero compatto, con crinoidi e num- muliti. » 2278 » 2368 » Scisti eocenici (con vene di gesso). » 2368 f> 2876 » Anidrite e gesso. » 2876 y> 2898 » Rottura con tufi calcarei ocracei e detriti calcari. » 2898 a 3050 » Scisti eocenici. » 3050 a 3100 » Calcare nummulitico scuro. )} 3100 a 3183.10 )) Calcare marmoreo a crinoidi. Per la vicinanza dei piani verticali, passanti per le due gallerie, — 56 — non si è troppo lontani dal vero quando si trasportino, proiettandoli sul profilo della galleria ferroviaria, i dati incontrati nella galleria carrozzabile ; e correggendoli poi opportunamente, tenendo conto della direzione degli strati, si ha sempre un’ approssimazione maggiore di quella che si avrebbe deducéndo i limiti dai dati esterni. Ciò però non è vero che quando i piani delle faglie che esistono non siano troppo incli- nati rispetto a quello del profilo. Cosi la faglia descritta precedente- mente presso l’imbocco Sud della galleria di cui si parla, la quale faglia corrisponde alla rottura notata fra le progressive 2876 e 2898, poco inclinata rispetto al profilo, impedisce alle formazioni che stanno ad Est di essa, e che sono incontrate dal].a galleria tra le progressive 2898 e 3183, di raggiungere il piano del nostro profilo, il quale in quel tratto sarà molto diverso dal profilo ad esso parallelo, passante per l’asse dell’ imbocco della galleria carrozzabile, che rappresentiamo alla stessa scala, un po’ più in alto nella stessa Tav. III. Galleria ferroviaria . — I dati geometrici relativi a questa galleria,, diretta N-S, sono: Lunghezza metri 8080. Imbocco Nord : quota metri Ì03i. 19. Pendenza nel tratto Nord 2 ” Imbocco Sud : quota metri 990. 00. Pendenza nel tratto Sud 10 e 14 °/ . Quota di massima altezza in galleria metri 1040 circa. La serie di roccie incontrata nella perforazione è quella della se- guente tabella, in cui le progressive sono computate a partire dal- l’imbocco Nord. Da 0 a 2489 metri. Scisti calcarei ed arenacei scuri, con intercala- zioni di banchi di arenarie compatte e di banchi calcari scuri carboniosi (con numerose vene di calcite spatica). » 2483 » 2588 » Calcari neri e bigi, e calcari arenacei zeppi di nummuliti, fra cui N. 'perforata e N. curvi- spira. » 2588 » 2898 » Calcari marmorei, grigio-chiari, fratturati, con. Da 2898 » 2963 » 2985 » 3025 » 3058 » 3114 » 3550 » 4114 » 4330 . 4340 4450 V 4913 y 4954 » 5185 » 5190 a 2898’ metri a 2963 « 2985 » » 3006 » a 3025 » » 3058 » a 3058 » •) 3114 h » 3550 » » 4114 » » 4330 » .) 4340 » 4450 » » 4913 » ') 4954 » h 5185 » ») 5190 « » 5428 » coralli e crinoidi (Giurese), (alla quota 2852 un po’ di calcare tufaceo frammentario cor- risponde probabilmente ad una frattura). Faglia inclinata a Nord, con detriti e melma, molto acquifera. Scisti calcarei bigi, piritiferi, calcari marnosi (rappresentanti gli scisti variegati del Lias inferiore). Calcari dolomitici bigio-cenere, con mosche spa- tiche (Retico?). Scisti calcareo-argillosi, bigi e verdognoli ra- sati, con stra torelli di calcare marmoreo. (3006 e 3023 fratture con poltiglia calcarea bigia). Filoncino di quarzo e calcite. Scisti con liste di calcare marmoreo. Faglia. Scisti ardesiaci ed arenacei (Eocene). Scisti ardesiaci ed arenacei, con arenarie pre- valenti (Eocene). Scisti ardesiaci, calcareo-argillosi ed arenacei (Eocene). Anidrite con una intercalazione fra le pro- gressive 4277 e 4285 di un masso di calcare nero, venato di gesso. Scisto calcare nero con vene di gesso (Eocene). Arenarie in parte compatte, scure, con cristalli di pirite e vene di gesso (Eocene). Anidrite. Calcare dolomitico bigio con vene di gesso. Anidrite. Calcare marmoreo bigio, venato di gesso. Anidrite, nella quale sono due intercalazioni - 58 — calcari simili alle precedenti, fra le progres- sive 5247-5264 e 5334-5345. Da 5428 a 5440 metri Arenaria quarzoso-felspatica(arcose)bigio-cliiara (Eocene). » Alternanza di scisti calcare- oarenacei e di scisti calcareo-argillosi neri, con arenarie nerastre (Eocene). ) Faglia quasi verticale, obliqua all’asse, pen- dente leggermente verso Sud. ' Arenarie bigie e nerastre compatte e calcari argilloso -arenacei scuri (Eocene). Massa isolata di anidrite negli scisti eocenici. > Calcari scistosi neri con qualche massa di cal- care nummulitico compatto. Breccia di frammenti calcari con cemento di calcare cristallino bigio. ' Dolomie chiare saccaroidi. • Anidrite (con incluso di calcare bigio, venato di gesso alla progressiva 6310). > Gneiss con biotite in gran parte cloritizzata, con vene di oligisto e di pirite. (In corrispondenza del tratto precedente, e pro- prio della progressiva 6426. 50 avvenne lo spro- fondamento imbutiforme nel letto della Eoja). In questi gneiss, fra le progressive 6452 e 64S2 (circa) havvi una grande spaccatura ripiena di melma giallastra fluida, con massi di gneiss, di scisti permiani e di calcari. Ai due lati della spaccatura lo gneiss è fratturato e smosso, con impregnazione della melma suddetta in tutte le sue fenditure. Da 6617 a 6745 metri. Quarziti rosse e verdi con elementi porfirici e scisti variegati (Permiano). » Dolomia bianca a grana fina o saccaroide (Giu- ra-lias). 5440 » 5635 a 5639 5639 >> 5685 5685 » 5638 5688.» 5754 5754 » 5765 5765 » 6035 6035 » 6348 6348 » 6616 » 6745 » 7765 — 59 — In queste dolomie alla progressiva 7426 si ha una spaccatura con incrostazioni di calcite e cartone di monte^ ed alle progressive 7214, 7346 e 7470 si osservano delle masse di calcari nerastri compatti (calcari a belemniti e noduli di selce affioranti lungo la Roja). Da 7765 a 7852 metri. Calcare dolomitico bigio di tipo triasico, con calcare zonato giallognolo (progressiva 7823), e faglie piene di detrito di calcari marnosi del cretaceo, alle progressive 7785 e 7835. » 7852 » 7870 » Calcare zonato bruno e calcare marmoreo con liste dolomitiche (Cretaceo inferiore). » 7870 » 7875 » Calcare bruno in straterelli (Neocomiano). » 7875 » 8080 » Calcari marnosi bigi e nerastri in straterelli e scisti calcari carboniosi (Cretaceo), con nu- merose fratture e vene di calcite. In queste ultime roccie, presentanti numerose diaclasi e rigetti, è pure scavata la trincea precedente r imbocco. Desorlzlone e discussione del profilo. — I terreni attraversati fra le progressive 0 e 2588 appartengono interamente all’Eocene medio, malgrado la loro potenza che risulta apparentemente grandissima, non solo a causa delle molteplici ripiegature minute in cui si tradussero le ripiegature di massa, lungo il profilo poco riconoscibili, ma anche per essere tagliate dal traforo molto obliquamente alla loro direzione. In quel terreno le sole distinzioni possibili sono quelle della parte scistosa (flysch) e della parte inferiore più compatta, nummuli tiferà. I terreni in parola ricoprono i calcari marmorei giuresi, che ad essi sottostanno come un banco continuo, per quanto se ne giudica dal loro affioramento fra Limonetto ed il Colle di Tenda. Questo grande banco calcareo è rotto secondo diverse faglie, alcune osservate internamente nella perforazione, e alcune visibili all’esterno, tutte con rigetti di varia importanza. Ai loro lati i calcari sono in alcuni punti fittamente fratturati parallelamente ad esse, sicché si osserva una falsa stratificazione, la quale per l’uniformità litologica — 60 — della roccia in ogni senso, può trarre in inganno. Il profilo tagliando gli strati obliquamente alla loro direzione, le pendenze appaiono in esso minori e le potenze maggiori delle reali. Fra Limonetto e il Colle di Tenda gli scisti eocenici della 2* zona, di cui fu detto più sopra, si vedono chiaramente immergersi quasi in concordanza sotto il ciglione a picco dei calcari marmorei, e quantunque presso il contatto si possano qua e là osservare roccie nummulitifere, pure non si presenta mai il potente banco di calcare bruno soventi arenaceo, zeppo di nummuliti, simile a quello che ricopre i calcari marmorei sull’alto del Colle, la cui continuità e costanza di posi- zione venne riconosciuta anche nei due trafori. Si ha quindi una man- canza di simmetria nella successione ai due contatti, pur cosi vicini; e questo dato già lascia sospettare che non ci si trova qui in presenza di una piega anticlinale. Presso il Colle di Tenda poi il contatto fra calcare marmoreo e scisti eocenici si presenta come un contatto anor- male per faglia Nella perforazione della galleria della strada nazionale sotto il banco di calcare marmoreo corrispondente a quello del Colle si riscon- trarono gli scisti rossi del Lias inferiore, e al di là di questi una nettissima frattura acquifera, ripiena di melma giallognola con fram- menti di calcare finamente triturati (prog. 600), oltre la quale si ritrova- rono gli scisti eocenici. Anche nella galleria ferroviaria, oltrepassati gli scisti variegati, corrispondenti a quelli rossi, indi un breve tratto in dolomie più antiche, probabilmente retiche, e finalmente un ritorno di scisti variegati, dovuto a una faglia con rigetto, fu incontrata una grande frattura fortemente acquifera (prog. 3058) con poltiglia cal- carea bigia e frammenti di calcare ; e al di là di questa la perfora • zione incontrò di nuovo bruscamente gli scisti eocenici fortemente raddrizzati e sconvolti. In conseguenza, le roccie della serie costituita dai' calcari mar- morei a crinoidi e coralli, scisti rossi e variegati e dolomie bigie ci- neree non presentano mai, nè nel contatto esterno in alto della mon- tagna, nè nella galleria nazionale, nè in quella ferroviaria, la serie — 61 — inversa, che pure dovrebbe ritrovarsi se esse facessero parte di una piega anticlinale comunque ristretta e laminata; ma invece i ter- mini inferiori della medesima vengono sempre a brusco contatto per faglia, indubbiamente riconoscibile, cogli scisti delfEocene medio, come viene indicato nel profilo. Non è quindi in alcun modo ammissibile la spiegazione del fatto fornita dal Portis (1. c., v. profilo), colla ipotesi di una piega anticli- nale ribaltata, ma è invece necessario riconoscere la presenza evidente di un fenomeno di slittamento (charriagé) di un vasto lembo di ter- reni secondari con tutto il loro manto eocenico sugli scisti eocenici di una sinclinale più esterna (rispetto all’arco alpino) e con uno sposta- mento in senso orizzontale non molto inferiore ai tre chilometri, considerato in un profilo normale alle direzioni stratigrafiche delle diverse zone. A Sud di questa faglia, o meglio superficie di slittamento, i due trafori attraversarono per lungo tratto le roccie eoceniche, le quali nella galleria della nazionale giungono fin sotto quei due lembi di terreni secondari scaglionati a Sud del Ricovero Maggiore, i quali nella descrizione geologica vennero considerati come ivi discesi, per effetto di franamento, dal ciglio del monte. 11 protrarsi dell’Eocene sotto quei lembi dimostra la verosimiglianza di questa ipotesi, perchè, tenuto conto dell’assetto generale delle tormazioni della regione, se i detti lembi stessero a rappresentare dei veri affioramenti, la loro con- tinuazione in profondità si sarebbe dovuta trovare assai più a Nord della loro posizione esterna. Solo l’affioramento inferiore potrebbe forse considerarsi come col- legato con le anidriti sottostanti, ma da questa ipotesi risulterebbe una disposizione assai inverosimile ed incompatibile sia coll’anda- mento che presentano i suoi strati, sia coll’insieme di tutti i dati del profilo. I due piccoli affioramenti di gesso (A e B) presso l’imbocco Sud della galleria carrozzabile nel rigagnolo ad occidente di esso si debbono a nostro avviso, considerare come affioramenti secondari e collegare — 62 — 1 f colle anidriti adiacenti attraversate da quella galleria; cosi di quel- l’altro piccolissimo affioramento di quelle roccie che è nel Rivo Mor- gone a S.E. del ricovero La Punta. Il contatto fra le anidriti e l’Eocene al limite meridionale di quelle, lungo il tunnel ferroviario, passò quasi inosservato nella per- forazione, e vi si riconobbe solo un contatto brusco e netto. Per spie- gare la sovrapposizione delle anidriti alle rocce eoceniche si può ricorrere a due ipotesi: o del rovesciamento per piega o dello scorri- mento lungo una linea di frattura. L’assenza però di ogni traccia di calcari nummulitici, che non mancano mai in tutta la regione, e ohe anzi sono ben sviluppati, al contatto inferiore dell’Eocene coi terreni secondari, ed anche il carattere dei fenomeni constatati nel resto dal profilo e in tutta la regione, dove le faglie hanno tanta importanza, ci fanno propendere in favore della seconda di quelle ipotesi. In questa interpretazione non ci può essere di soccorso la stratificazione, la quale nelle anidriti si può dire completamente obliterata. Una delle questioni teoriche più difficili a risolvere è quella dell’età di queste anidriti. Nella regione non esistono affioramenti di tali roccie, ma i gessi si trovano in lembi poco importanti insieme a carniole nel Trias medio della Valle Casterino e nella discesa dal Colle del Sabbione verso Entracque. Questi fatti che si ripetono poi^ in vasta scala nel Trias a facies brianzonese nel Delfinato ed in Savoia, e l’esistenza di grandi masse di anidriti nel Trias medio della jloriaha ci indurebbero a riferire anche nel caso nostro le anidriti a quel terreno. Ed a questa assegnazione non vi sono argomenti di gran valore da opporre ; solamente è da osservare che tutte le masse calcari incluse nelle anidriti sono litologicamente assai più simili ai calcari marmorei del Giurese che ai calcari dolomitici tipici del Trias. Quindi, a meno che non si ammetta che le condizioni speciali in cui si trovarono quelle masse calcari relativamente esigue in mezzo alle anidriti abbiano potuto indurre in esse delle trasformazioni, si po- trebbe con qualche ragione supporre che esse sieno riferibili ad un terreno posteriore al Trias medio. A questa conclusione ci indur- — 63 — rebbe anche il fatto della sovrapposizione diretta dell’Eocene, con cal- cari nummulitici alla base, alle anidriti in qualche punto, quando si osservi che in tutta la regione a Sud del Colle di Tenda, cioè nella valle della Roja, i terreni che si trovano immediatamente sotto il Nummulitico sono o il Cretaceo o, in mancanza di questo, il Giurese. Il campione della roccia che sarebbe stata attraversata, secondo i dati dell’Ufficio tecnico di Vie vola, fra le progressive 5428 e 5440 è una specie di arcose od arenaria costituita dagli elementi del gneiss, con cemento siliceo, che non avremmo difficoltà ad ammettere come per- miana, come la ritenne qualche geologo, ‘ quantunque non rasso- migli molto a quelle tipiche di questo terreno; però fra le progres- sive 5440 e 5456 si riscontrarono argille nere calcarifere, e dopo (5590) arenarie compatte scure e fino alla progressiva 5625 calcari arenacei bituminosi e argillosi neri, roccie queste identiche ad alcune che sono tipiche dell’Eocene. Alla progressiva 5639, al di là di una faglia, ripi- gliano le arenarie, di cui qualche campione chiaro è a cemento quar- zoso come quello precedentemente descritto; ma gli altri sono arenarie calcarifere più o meno scure, sotto nessun rapporto differenti da quelle dell’Eocene. Al di là delle arenarie, prima della piccola massa di anidri te (5685-5688) e dopo di essa, sonvi calcari scistosi neri come i precedenti, con qualche massa (5697) di calcare nero compatto con crinoidi e con rarissime piccole nummuliti, il tutto riferibile all’Eo- cene, che si estende fino oltre la progressiva 5754, alla quale il Portis estrasse un campione di calcare con nummuliti. Le breccie a grandi elementi angolosi calcari bianchi e bigi, a cemento eminentemente cristallino che si incontrano fra le progressive 5754 e 5765 sarebbero, a nostro avviso, piuttosto legate colle dolomie saccaroidi sottostanti (5765-6035) anziché ai calcari nummulitici precedenti. Dalla progres- siva 6035 alla 6348 si hanno anidriti, le quali, analogamente alle ^ Secondo il Portis (1. c., p. 152) le roccie incontrate dopo le anidriti fra 1-' progressive 5128 o 5685 rappresenterebbero il « conglomerato del Permiano superiore ». — 64 — precedenti, includono alla progressiva 6310 una masserella di calcare marmoreo bigio con vene di anidrite. Dell’età delle dolomie precedenti, identiche a quelle che si incon- treranno in seguito sarà parlato trattando dell’età di queste ; notiamo solo per ora che non si incontrarono nella perforazione i calcari marnosi in straterelli del Cretaceo, i quali all’esterno, superiormente alle dolomie ed alle anidriti, si osservano sotto il Nummulitìco per buon tratto ai due lati della lioja, e si trovarono alla profondità di metri 40 sotto il letto di quel fiume, laddove avvenne lo sprofonda- mento di esso, in corrispondenza della progressiva 6426. Bisogna perciò supporre che il Cretaceo venga a terminare a cuneo tra il nummulitico e le dolomie, certamente ad esso inferiori, siccome venne indicato nel profilo. Un contatto brusco, probabilmente di faglia, presso la progres- siva 6348 separa le anidriti da una massa di gneiss, talora laminati e con mica quasi completamente cloritizzata, la quale è attraversata per circa metri 288. A questa massa appartengono i gneiss del piccolo affioramento segnalato presso la strada u azionale alquanto più a Nord del contatto suddetto ad oriente del profilo, il che indica che la faglia deve essere diretta verso E.N.E. In questi gneiss sono frequenti vene di oligisto e talora di oligisto con pirite marziale e calcite (639 1), e presso il contatto colle anidriti, dei filoni di pegmatite con oligisto. Abbiamo già detto come queste roccie siano veri gneiss e rappresen- tino un prolungamento verso oriente del massiccio dell’ Argenterà Tali gneiss al semplice esame macroscopico potrebbero forse essere assimilati ad alcune varietà di quelle roccie permiane, distinte sotto il nome di besi mauditi dallo Zaccagna, non mai, nemmeno lontana- ^ Xon poSxSiamo perciò trovarci d’accordo col Portis (1. c... p. 155) che li chiama « anageniti permiane » e li mette nel suo profilo sotto nn’egnale tinta tanto colle roccie incontrate fra le progressive 5428 e 5685, in gran parte di tipo eocenico, che colle roccie veramente permiane (6617-6745) di cui parleremo fra poco. — 65 — mente colle anageniti; ed al microscopio si rivelano come gneiss tipici, per struttura e per composizione mineralogica, come già si disse precedentemente . Trattando delle vicende della perforazione si parlerà della frattura esistente in questi gneiss, la quale essendo riempita di melma calcare con blocchi degli stessi gneiss, di roccie quarzitiche del Permiano e di calcari, si manifesta come una frattura post-eocenica, epperciò assai probabilmente contemporanea di quelle precedentemente descritte. Le roccie quarzitiche permiane che vedemmo affiorare lungo la Poja sono attraversate dalla perforazione fra le progressive 6617 e 6745, e ricoprono con pendenza Sud i gneiss precedenti. Ad esse si sovrappongono direttamente ed in trasgressione, poiché manca al loro contatto tutto il Trias, le dolomie alle quali fu già ac- cennato nella descrizione geologica. Non havvi nulla da aggiungere ai dati del profilo per quanto concerne le dolomie, presentanti passaggi graduali a dei calcari compatti scuri con belemniti, salvo alcune fratture alle progressive 6745, 7246, 7835, la loro stratificazione imperfetta, e le forti pendenze verso Nord nei punti dove quella è visibile. La presenza delle belemniti ci per- mette al più di affermare che tali dolomie sono posteriori al Trias, come quelle identiche attraversate dalla Galleria fra le progressive 5765 e 6035. Esse sono pure molto diverse dai calcari marmorei che furono attri- buiti al Giurese; tuttavia, data l’assenza completa del Trias ad un lato di esse ed il loro contatto diretto col Permiano, noi saremmo disposti a riferirle pure al Giurese ; le distingueremo tuttavia dai cal- cari marmorei, intendendo con ciò di lasciare impregiudicata una più precisa determinazione di età. n contatto fra le dolomie chiare saccaroidi precedenti e quelle bigie farinose di tipo triasico, nelle quali come venne detto si trovarono traccio non chiare di diplopore, non lo si può osservare all’esterno ; nè il modo in cui avviene fu rilevato aH’interno, si che si possa dire se è concordante o discordante. o — GG - Nei calcari dolomitici triasici la perforazione incontrò diverse spaccature riempite di frammenti dei calcari cretacei, costituenti una breccia poco consistente a cemento marnoso, uno fra le progressive 7785 e 7814, Taltro- alla progressiva 7835. E probabile che sia pure in corrispondenza di un’altra spaccatura che alla progressiva 7846 fu incontrato del calcare arenaceo bruno scistoso, ricordante perfettamente quelli neocomiani. La zona sottile di calcari marmorei bigio chiari, che separa i calcari dolomitici precedenti dal Neocomiano, è probabilmente da rife- rirsi al Giurese. Ad essi seguono i calcari cretacei di cui si parlò precedente- mente, e dei quali fanno parte gli scisti neri dell’imbocco assai simili a certe roccie dell’Eocene, ma senza alcun dubbio cretacei. I calcari marnosi in straterelli bigi, giallognoli nelle superficie ossidate, dei pressi della sorgente della E.oja, dove formano due stret- tissime sinclinali, si collegano nel modo in cui è indicato dalla pun- teggiata del profilo con questi calcari dall’imbocco Sud, i quali fanno parte di un bacino sinclinale che occupava tutto lo slargo di Vievola, e che si incontrano fin presso alla sommità di Monte Corto, dove sono ricoperti dal Nummulitico, e sulla sinistra della Roja fin presso alla Madonna Vievola. In conseguenza non appare chiaro su quali dati si sia fondato il Portis per segnare nel suo profilo due sinclinali di Eocene, le quali sarebbero successivamente attraversate dal traforo dopo le roccie per- miane. Oltre al fatto di non essere stata incontrata in quel tratto di galleria alcuna roccia di tipo eocenico, è anche da osservare che la zona di calcari nummulitici che segna il limite inferiore di quel ter- reno, come si vede dalla carta geologica annessa, dall’imbocco Sud della galleria carrozzabile sale rapidamente al disopra della Rocca Cayron (1651), le cui alte rupi occidentali, a picco sulla Valle Roja, sono in calcari marnosi a straterelli del Cretaceo, minutamente pie- ghettati, quindi mantenendosi quasi orizzontale raggiunge la vetta di Monte Corto (1719). Sulla destra della Roja invece, dai pressi del - 67 — ricovero La Punta, la stessa fascia nummulitica sale rapidamente alla Punta Margheria (1855 m.) e di li, poco ad Ovest dalla cima Pernante, passa in Valle Vermenagna. Nel tratto quindi a Sud delle sorgenti della Roja T Eocene non solo non può in alcun modo es- sere incontrato dalla perforazione, ma esso si mantiene sulla linea esterna del profilo per altezze che crescono rapidamente ed oltrepas- sano i 500 metri in corrispondenza della Rocca Cairon, e raggiun- gono gli 800 in corrispondenza di Monte Corto. Nel profilo sono indicate in punteggiato delle linee rappresentanti approssimativa- mente le proiezioni dei limiti inferiori dell’ Eocene nei due versanti della Roja sul piano di esso. L’ Eocene, abbandonato il fondo del ramo principale della Roja a monte delle sorgenti omonime, non vi ridiscende che nei pressi di Yentimiglia tra Airole e Trucco. Da quanto è stato finora esposto sulla geologia dei dintorni del Colle di Tenda, sui terreni attraversati dalle due gallerie e sui loro rapporti di posizione reciproca, appare quanto numerose ancora siano le incertezze sulla precisa età di alcune importanti masse rocciose. E quantunque alcuni risultati di questo studio, per quanto atti a sor- prendere, come sono ad esempio il grande slittamento delle masse di roccie secondarie delle balze delle sommità del Colle e l’altro verificato nei lavori alla progressiva 5428, siano abbastanza provati, non è superfluo il ricordare ora come tali fatti siano dello stesso or- dine e natura di altri che nella zona di terreni che ci occupa ven- nero constatati al di qua ed al di là del confine ; e solo forse l’osser- vazione delle caratteristiche della zona delle quali si trattò nella prima parte di questo scritto, può indurre nel lettore la convin-rr zione che la interpretazione generale data sia, malgrado le partir in sospeso, assai prossima al vero. Si noli però che le incertezze princi- pali sono quelle riguardanti l’età delie anidriti, le quali possono essere triasiche o giurassiche, e quelle della età delle dolomie bianche saccaroidi sfumanti a luoghi con calcari scuri marmorei a belemniti, le quali possono appartenere al Lias od al Giura; ma che tali incer- tezze non hanno effetto sulla interpretazione dei rapporti di quelle — 68 — con gli scisti eocenici con cui vengono a contatto, nè sui rapporti di quesfce dolomie coi calcari di tipo triasico in ogni caso sottostanti, o coi calcari in straterelli del cretaceo in tutti i casi ad essi , so- vrapposti. Altri punti dubbiosi sono quelli della natura del limite fra anidriti e roccie eoceniche alla progressiva 5428, il cui contatto an- ziché per salto, come si indicò nel profilo, potrebbe essere ritenuto come semplice contatto trasgressivo dell’Eocene sulle anidriti; e quell’altro del contatto fra anidriti e gneiss (progressiva 6348), ri- spetto al quale si possono pure tare le stesse due ipotesi suddette. Già si dissero le ragioni della scelta da noi fatta; d’altronde la sostituzione di contatti per trasgressione a quei due contatti per faglia non cambierebbe sensibilmente l’aspetto del profilo, nè la sua generale interpretazione. Confrontando ora il profilo della Galleria colla cartina geologica della regione che attraversa non si può a meno di essere sorpresi dello sviluppo inatteso delle anidriti all’interno della catena costi- tuente il Colle, e della disposizione e sviluppo in profondità dei ter- reni eocenici, e del protrarsi fin lungo quel profilo dello gneiss del gruppo dell’ Argenterà, ove si faccia astrazione deiraffioramento assai ridotto che esso presenta, e che a molti osservatori era finora sfuggito. Il fatto del contrasto inatteso fra il profilo di cui i dati interni sono esattamente raccolti, e la regione, che pure era stata rilevata a grande distanza tutto attorno in modo assai particolareggiato, è tale da consigliare la massima prudenza in chi è chiamato a dare un pro- fila geognostico di una regione montuosa con struttura a pieghe come sono in genere quelle alpine ed appenniniche. E la prudenza si deve pure estendere alla previsione di quei fenomeni i quali più che l’età e la natura stessa delle roccie attraversate, hanno la massima importanza quando si tratta di una perforazione di galleria, come ad esempio le zone acquifere, o melmose, ecc. Nel caso nostro se era .prevedibile l’incontro di ingenti masse — 69 — d’acqua allorché nell’imbocco Nord si sarebbero raggiunti i calcari marmorei sottostanti al Nummulitico, la spaccatura nello gneiss e la zona melmosa ad esso corrispondente, erano assai meno prevedibili. Certo per la vicinanza del profilo per lungo tratto al corso della Itoja, sotto al cui letto la galleria non era nemmeno a grande profondità, dovevano logicamente lasciar temere numerose fratture o contatti acquiferi; ma quelle non si supponevano probabili in una massa di gneiss necessariamente limitata, e questi si ritenevano assai più pro- babili in corrispondenza dei contatti dello gneiss e del Permiano colle roccie secondarie, i quali contatti invece non offrirono particolari difficoltà. Vicende della perforazione. — Il traforo sotto il Colle di Tenda fu incominciato verso la fine del 1889, dapprima con perforazione a mano, e in seguito dopo terminati gli impianti per la forza motrice e per la compressione dell’aria, ricavata dalla itoja e dal vallone di Li- monetto, con perforatrici Ferroux modificate. Nessun incidente degno di nota speciale recò, fino agli ultimi mesi del 1893, seri ostacoli al lavoro, ad eccezione dell’incontro dal lato Sud di notevoli quantità d’acqua provenienti direttamente dai corsi superficiali, le quali penetravano negli scavi soprattutto per le numerose fessure da cui era tormentato il terreno. Ma nell’autunno 1893 gravissimi incidenti, causa di immense difficoltà e di grande ri- tardo ai lavori, si presentarono tanto dal lato settentrionale che dal- l’altro, e di questi crediamo opportuno dare qui qualche accenno. Imbocco Nord. — All’epoca delle visite da noi praticate nella estate del 1891 ai lavori della Galleria, l’avanzata dal lato Nord si trovava so- spesa alla progressiva 2469 dall’imbocco per rincontro di un copioso getto d’acqua presentatosi, fin dall’autunno precedente, sullo spunto del cunicolo di fondo ; il getto veniva lanciato, con estrema veemenza e con una portata non inferiore a 100 litri per secondo, fino a circa 10 metri dalla fronte di taglio, e al momento della visita, benché dimi- nuito di forza, non permetteva tuttavia che di avvicinarsi con somma difficoltà a più di 5 metri dalla fronte stessa. Le acque copiose in- -To- tem© dovevano sfogarsi, scorrendo sul suolo dello scavo, poiché non era stato praticato un sufficiente canale di eduzione, © quindi allaga- vano per una certa altezza la Galleria. Vari provvedimenti furono ideati per vincer© la difficoltà © ri- prendere il lavoro di avanzamento, e finalmente fu adottato quello suggerito da una speciale Commissione governativa, di scavare pa- rallelamente alla Galleria dei cunicoli laterali, collo scopo di attirare © scaricare, suddividendola, la portata del getto interno. I cunicoli vennero intrapresi alla distanza di 10 metri dall’asse della Galleria, avendo previamente sbarrato con una forte diga in muratura, terra battuta e legname il cunicolo principale, soprattutto allo scopo di liberare il suolo della galleria dalla copia di acque che provenivano dall’avanzata. Lo scavo di questi cunicoli scaricatori, che doveva eseguirsi sotto l’imperversare da ogni lato di veementi getti d’acqua freddissima (6® 0.), riusci estremamente difficile e penoso per il personale, ma tuttavia la loro esecuzione venne alacremente spinta, © dopo una serie di altri giravi incidenti e dopo altre interruzioni, specialmente per scavare canali sufficienti a dar© sfogo all’esterno alle acque af- fluenti in Galleria, fu ripreso finalmente nel settembre 1896 lo scavo della galleria principale. Le maggiori difficoltà furono presentate dal cunicolo di sinistra, che fu arrestato a metri 9,50 indietro dall’avanzata inferiore. Fino dagli ultimi di agosto 1896 il forte getto centrale essendo notevolmente scemato, i minatori riuscirono ad accostarsi all’avanzata centrale © a praticarvi 6 colpi di mina in corona, ottenendo un avanzamento di metri 0. 60. In seguito a quei colpi il getto prese tutt’ altra forma, cioè quella di una lama d’aoqua cadente verticalmente da una fessura trasversale nel cielo del cunicolo. Fu allora possibile riprender© colla perforazione meccanica l’avanzata centrai© e il lavoro regolare. Le acque interne anziché esaurirsi o tendere almeno a diminuire divenivano però sempre più copiose, benché suddivise, coll’ava nzare degli scavi, che aprivano continuamente nuovi sbocchi al loro sfogo. 71 — Il terreno era in quel tratto costituito dalle roccie deli’ Eocene medio, cioè da calcari scistosi neri con intercalazioni di scisti are- nacei, molto fessurati nel senso N-S, cioè parallelamente all’asse della galleria, colle spaccature ora saldate da spato calcare, ora aperte; ed è appunto da queste ultime clie più copiose e veementi irrompe- vano le vene d’acqua. Svariate ipotesi si emettevano allora per spiegare la presenza di cosi forti quantità di acqua, e fra le più accreditate quella che per mezzo di meati sotterranei esistessero delle comunicazioni fra lo scavo e qualche grande caverna ripiena di acque o riserva interna qualun- que, oppure con laghi esistenti nei monti circostanti, come quelli del- l’Abisso, del Lagon sotto la Cima di Gherra ed altri ancor più lontani. Il laghetto di Peirafica al piede S.E della Eocca dell’Abisso era a noi conosciuto fin da quando si eseguivano i rilevamenti geologici della regione : esso si trova alla altitudine di metri 23 S7 in piena for- mazione gneissica e dista in linea retta più che 6 km. dal punto ove si manifestarono le acque, essendo separato da questo da una potente serie di gneiss, roccie permiane, secondarie ed eoceniche, traverso le quali non si può ragionevolmente supporre la esistenza di spaccature interne continue; nel qual caso il. laghetto, per la sua piccolissima capacità, e sopratutto perchè le acque che esso raccoglie sono quelle di un bacino ristrettissimo e di una massa rocciosa essa pure assai limitata, sarebbe stato in pochi giorni completamente prosciugato. Neppure dal lago di Gherra, che è più vicino all’asse della Galle- ria, ma tuttavia ne dista quasi 4 km., e si trova alla altitudine di metri 2050, con una superficie che non superai metri quadrati 150 e di profondità massima non raggiungente i metri 4, si poteva ragionevol- mente supporre che fossero fornite le acque incontrate nella Galleria. Quel lago è scavato in piena formazione eocenica ed è alimentato da sorgenti provenienti dai calcari e scisti eocenici della massa limitatis- sima in base ed in altezza della Cima di Gherra. La portata di queste sorgenti e di quelle subalvee non supera i 15 litri al 1'', come risulta 9 da una misura sommaria della portata dell’emissario. Dall’esame dello sponde di questo e di quelle del bacino non risultò alcun indizio cbe il livello del lago avesse subite variazioni di qualche entità negli ultimi anni, e d’altra parte con le limitate dimensioni sue, nonché della massa rocciosa che lo alimenta, anche questo si sarebbe esau- rito in brevissimo tempo. Un’altra località da cui si poteva sospettare che provenisse almeno una parte delle acque era il vallone di Panice. Là si osserva in vi- cinanza dei Magazzini militari una lunga depressione a fondo pianeg- giante e colmata di materiale morenico, rappresentante probabilmente il fondo di un antico lago glaciale. Trovandosi questa depressione quasi in corrispondenza sul tratto di avanzata in cui maggiore era la irruzione delle acque, fu ritenuto che la presenza di potenti masse di materiale detritico impregnate d’acqua potesse essere una delle cause del fatto. Non si può assolutamente escludere che una parte del l’acqua affluente in Galleria provenga da un deposito di questo genere, ma tuttavia, per la non grande potenza del deposito stesso e per la sua limitata estensione, messe in confronto con la grandiosità del fenomeno, è chiaro che in qualunque modo la depressione di Panice non può aver esercitata che una minima e trascurabile influenza. Dall’insieme dei fatti risulta che la spiegazione dello afflusso in- terno di acque deve ricercarsi nella ordinaria circolazione, nelle viscere della terra, delle acque meteoriche, le quali, assorbite dai terreni per- meabili e soprattutto dai vasti affioramenti calcarei della regione, scen- dono per le numerose e fitte litoclasi in questi prodotte dai movimenti orogenici e da esse stesse soventi allargate per soluzione, per costituire un sistema di vene acquifere interne. E evidente che nello scavo del sot- terraneo vennero tagliati vari di questi corsi interni, alcuni dei quali per la loro disposizione e per il loro sviluppo in altezza potevano bene assomigliarsi a veri tubi d’acqua sotto pressione. Probabilmente anche, lungo alcuni di questi, devono esistere cavità ed allargamenti paragonabili a serbatoi interni prodotti dalla erosione meccanica o dalla dissoluzione chimica dei calcari per parte delle acque circolanti. CARTA GEOLOGICA DEI DINTORNI DEL COLLE DI TENDA Eoe® m° Quat' F Boll, del R .Comit. geol. d'Italia Anno 1900. lav ili (L Baldacci e .S.Franclm) PROFILO GEOLOGICO DELLA GALLERIA DEL COLLE DI TENDA ScaJa di 1 a 25.000 vr j Hf'. ( ■ ‘ A'. df .000 jo m Depositi già. aaJi {mo) nel versa n te Nord . aJluyjah ( a I J Calcari marmorei higio-chiari . a volte compatti a gra- na fina , e hrumcci con crmoidi , corallan e helemniii . Calcari argillosi , arenacei e argilloso -arenacei , più o meno scuri, scisti arenacei , arenarie (a r ) . Dolomie cristalline chiare più o meno saccaroidi, passanti O [? localmente a cale marmorei e compatti bigi conhelem- mti e noduli di selce (cb) Anidriti compatte bianchissime , includenti frequen- ti masse di calcari dolomitici e marmorei (c) Calcari dolomitici bigi di tipo triasico con traccie di cliplopore(?) Calcari , id arenacei ed arenarie nummulitici (N per- forata e N cur-vispira) Scisti argillosi variegati , gialli ,-verdi e rossi , con stalli di pirite Calcari marnosi in straterelli , scisti dalcari nerastri , carboniosi , eoa calcari arenacei bruni glauconiosi con Belerrmites allahase (Neocoraiano) Dolomie farinose bigio -cenere associate e subordinate agli scisti precedenti Quarziti .arenarie quarzitiche varicolori, talora con elementi di tufi porfirici , scisti argillosi ,ecc Gneiss con miche quasi completamente cloritizzate e felspati con struttura vermicolare , intersecato da frequenti vene di oligisiò Scala delle portate (in litri) delle sorgive mterne nel tratto Nord -della Galleria Boll del R Coinit geoì. d'itali. Anno 1900 Tav IV (L Bai dacci e S Franchi) ì Galleria di Tenda ( Cuneo-Ventimiglia } k Altezza di pioggia e neve (Osservatorio diLiraonejm min. NB_Z a.liezzà di neve caduta sì ritiene corrispondente ad in acqua., ed è rappresentata con linea doppie — 73 — Riguardo allo sfogo, pur necessario, di queste vene sotterranee, prima clie venissero tagliate dalla perforazione, tenuto conto del po- tente mantello di scisti e arenarie eoceniche, quasi impervio alle acque, che ricopre i calcari giuresi, si può ragionevolmente supporre che la erogazione avvenisse lungo il letto stesso della Vermenagna, a valle della Galleria, sotto forma di sorgenti subalvee dove il corso -d’acqua incide gli affioramenti dei terreni permeabili. L’esistenza generale di simili manifestazioni, in analoghe circo- stanze geognostiche, non può revocarsi in dubbio, e venne sempre verificata nei corsi d’acqua percorrenti zone di terreni parte permea- bili, parte impermeabili, quando si eseguirono misure sistematiche di portata a monte ed a valle di affioramenti di roccie permeabili o di incisioni in queste prodotte dal fiume in tratti sottostanti a banchi più 0 meno potenti impervi! alle acque *. ‘ Tale è. per esempio, il caso del faime Seie e del suo affluente Tanagro in provincia di Salerno : per il primo di questi fiumi infatti le misurazioni di cui erano state prima fissate le località in base ad accurato rilieAm geologico, fornirono, come era stato previsto, al ponte di Olivete una portata che, senza cause apparenti, superava di più di 4 me. quella misurata poco a monte, sotto <4>uagliett.‘i. Tale aumento non può spiegarsi che col contributo di sorgenti su- balvee in quel tratto, -dove la valle dopo un percorso in terreni impermeabili taglia i contrafforti di un grande gruppo montuoso calcareo-dolomitico, che si .•leva sidla sua destra. Per il Tanagro poi. fra Sicignano e Contursi si trovarono, sempre senza .•ausa visibile, degli aumenti di portata variabili fra me. 5. 55 e 7. 75, dopo il percoi-so in una gola incisa nei contrafforti della vasta ed elevata massa cal- <-area deiili Alburni, le cui vene acquifere interne erano tagliate in quel tratto dal fiume. (^>nesti fatti, verificati in una regione di costituzione geologica non molto dissimile dalla nostra, forniscono da un lato una spiegazione naturale dei feno- meni in (piesta osservati, e porgono anche utile ammaestramento per le previ- sioni che in avvenire dovranno fai‘si nel caso che la linea venga prolungata oltre Vievola, poiché qualimtpie sia il tracciato che si sceglierà si presenterà in oirni caso la necessità di lunghe gallerie in circostanze analoghe per l’assetto dei terreni, la loro sti'uttnra e permeabilità e la circolazione interna delle acque (V. Ministero di Agricoltura. Industria e Commercio: Carta idrografica d’Italia. Il Self . Ingegneri Baldacci e Torricelli. Roma 1893). » — 74 — \ Nella Gralleria di Tenda la portata media delle polle sotterranee i andò rapidamente aumentando a misura, che la perforazione dai cah cari nummulitici si avvicinava al contatto col sottostante banco di calcare secondario, affiorante all’esterno e in comunicazione diretta con vastissime superfìcie calcaree assorbenti. La progressiva dell’incontro di questo banco era stata prevista dallo studio geologico con molta approssimazione sulla base degli elementi visibili all’esterno (Y. pro- fìlo della Tav. Ili) ; la portata stessa diventò fortissima traverso questo banco, e raggiunse poi un massimo nell’attraversamento della zona eminentemente fratturata indicata nel profìlo, per diminuire poi no- tevolmente, sempre secondo le previsioni, nella traversata dei terreni sottostanti alla zona precedente, terreni di natura poco o punto per- meabile. Come è naturale, il procedere del rivestimento murario nelle zone più acquifere, ebbe ed ha grande influenza nel trattenere, le acque, delle quali tuttavia le vene più forti continuano a scorrere nella galleria attraverso ad aperture appositamente lasciate nella mu- j ratura. j Il diagramma qui unito (Y. Tav. lY) mostra la relazione fra le j portate delle sorgive interne nel tratto settentrionale della Gralleria e le altezze di pioggia e neve cadute nei mesi corrispondenti. I dati relativi vennero forniti dallo solerte Direzione dei lavori, essendo quelli meteorici desunti dalle osservazioni fatte per cura del Capo-ri- parto signor C. Baldini nell’Osservatorio di Limone. L’altezza di neve caduta (segnata con la doppia linea sottile) è stata considerata, secondo la regola ammessa ^ corrispondente a ^ ^ acqua. Il diagramma indica a colpo d’occhio, come alla caduta di grandi pioggie corrispondessero dei massimi relativi nelle portate (Y. p. es. i dati corrispondenti al novembre 1895, quelli dell’ottobre 1896, del- l’ottobre 1897, ecc.), e come i massimi assoluti si verifìcassero nei ^ Tedi G. Marinelli, La Terra. Yol. I, cap. Y. — Yallardi, Milano. 75 — mesi della fusione delle nevi cadute durante l’ inverno, come quelli del maggio 1895, corrispondente anche a una forte altezza di pioggia, del maggio e giugno 1896, dell’aprile, maggio e giugno del 1897. Cosicché se supponiamo le altezze di neve caduta nei mesi tra novembre e marzo aggiunte, previa riduzione in altezza di acqua, alle pioggie del maggio successivo, e ne tracciamo la curva relativa, che si può considerare con grossolana approssimazione, come la curva delVacqua venuta a contatto colla sujperficie del terreno^ noi osserviamo i una certa corrispondenza dell’andamento di questa con quella della . portata delle sorgive all’interno della Galleria. A rigore queste curve j non sarebbero paragonabili sia per le possibili variazioni importanti J nelle pioggie e nevi cadute a Limone, dove furono raccolti i dati, e )i nella alta regione del Colle di Tenda, sia per la irregolarità della fon- i dita delle nevi, che certo non possiamo supporre avvenga totalmente nel I maggio, e più specialmente per la continua variazione che da un lato ,>! l’avanzamento e dall'altro il rivestimento producevano nelle condi - I zioni delle bocche di efflusso delle sorgive artificiali suddette. 1 Tuttavia il rapido aumento di portata corrispondente quasi imme- j diatamente alle grandi pioggie ed alla fondita delle nevi, dimostra 1 che l’area da cui provenivano le acque è compresa in limiti assai vi- cini all’asse della Galleria, ed è una conferma della spiegazione più , sopra addotta, riguardo alla loro diretta origine dagli affioramenti di calcari assorbenti. j Le difficoltà provenienti dall’affluenza delle acque furono le più : gravi che si ebbero a superare da questo lato, poiclaè per ciò che riguarda la natura dei terreni questa si mostrò piuttosto favorevole, quan- tunque abbastanza frequentemente (V. profilo) si sieno riscontrate •; faglie ripiene di materie detritiche e zone di roccie fratturate, che tutte vennero superate felicemente, adottando metodi variati a seconda j dei casi. Imbocco Sud. — Come fu già accennato, il primo tratto di Galleria da questo lato procedette regolarmente, quantunque reso difficile, spe- cialmente in prossimità dell'imbocco, da numerose fratture incontrate — 70 — nella roccia e da filtrazioni acquifere ora provenienti direttamente dal corso della Roja, essendo ivi la Galleria molto vicina alla superficie del terreno, ora da vene interne sotto pressione che davano anche sor- give zampillanti. La zona di terreno in cui ebbe a svolgersi questa prima parte del lavoro è eminentemente fratturata per causa dei movimenti oro- genici, e di struttura assai complicata, come mostra il profilo, ma dall’esame esterno del terreno, nel quale solo si possono riconoscere i indizi di varie faglie e di qualche piega degli strati, nulla poteva far i sospettare la gravissima difiicoltà cui -si andava incontro. , L’ingegnere Girard, capo-sezione ai lavori della Galleria, che con i grande intelligenza ideò e pose in opera i provvedimenti per supe- i rare gli ostacoli, ritenuti per un tratto insormontabili, che si presen- t tarono da questo lato, descrisse i particolari dell’arduo lavoro in una j' importantissima memoria tecnica \ Da questa e dalle nostre osser- vazioni dirette sono desunte le notizie seguenti. Erano stati regolarmente attraversati gli scisti e le anageniti per- miane (V. profilo) e il lavoro procedeva nel sottostante gneiss dori- i tico, del quale venne citato il ristrettissimo afi&oramento all’esterno, alquanto faticosamente, per la singolare durezza e compattezza di questa roccia, ben superiore a quelle dei terreni attraversati fino allora. Alla progressiva 1625. 10 dall’imbocco Sud il 29 settembre 1893 la perforazione meccanica dovè sospendersi per causa di forti filtrazioni e scariche di acqua torbida, provenienti dalle fessure della roccia gneissica; e in seguito, ripresi i lavori, questa cominciò a presentarsi fortemente disgregata e triturata, con frequenti soluzioni di conti- nuità ripiene di melma argillosa gialla e con copiose filtrazioni irre- golari, talvolta irrompenti, di acqua fangosa. L’avanzarsi entro questo terreno disgregato, che non permetteva l’uso della perforazione mec- ^ Ing. Eaffaello Girard, Galleria del Colle di Tenda. Traversata di una faglia ripiena di materia melmosa e di grossi massi (Giormile del Genio Civile* E orna. 1897). - 77 - canica, fu difficile e lentissimo, e subi frequenti interruzioni, talché dal settembre 1893 fino al luglio 1894, la fronte del cunicolo non potè esser spinta che di m. 12 circa. Verso la progressiva 1639 dall’imbocco Sud, la roccia gneissica triturata aveva ceduto il posto a un miscuglio caotico di massi di varie dimensioni, di gneiss, di anageniti e scisti permiani e di gessi e anidriti, alcuni poliedrici, più raramente alquanto arrotondati, e gli interstizi erano colmati da una melma semiliquida, la quale a ogni tentativo di avanzamento, a ogni rimozione di qualche masso, inva- deva gli scavi per grande altezza e lunghezza con grave pericolo delle persone e danneggiando i lavori già eseguiti. Durante questo tentativo di far procedere il cunicolo di fondo, si contarono ben quaranta irruzioni di melma, alcune delle quali porta- rono le materie a più di m. 40 dalla fronte; esse erano spesso accom- pagnate da scosse e da rumori singolari e impressionanti, dovuti alla caduta ed al movimento della melma con grandi massi lungo la spac- catura che riempivano. A proposito delle frequenti e irregolari irruzioni di acque ci accadde più volte nelle nostre visite di sentire la opinione che esse si portassero sempre dove più attivi erano gli scavi, abbandonando i tratti già scavati, e questo fatto è anche rammentato dal Girard nella me- moria citata. Sembra che di ciò si possa dare una spiegazione assai semplice e naturale, supponendo la esistenza nel magma pastoso spe- cialmente fra masso e masso di numerosi vuoti grandi o piccoli, pieni di acqua la quale si scaricava violentemente appena apertole un adito; la irruzione doveva naturalmente cessare quando il serbatoio interno si vuotava, ciò che accadeva assai rapidamente. Un’altra spiegazione di quel fatto si potrebbe dare riflettendo alla prontezza con cui quella melma si induriva appena venuta a contatto dell’aria. In virtù di questa proprietà quando il deflusso della melma, per sospensione dei lavori 0 per condizioni speciali veniva a sostare, si formava tosto una crosta solida, che a guisa di cemento chiudeva il passaggio alle materie liquide, le quali irrompevano poscia appena che, col - 78 — 1 tentare di spingere avanti la fronte d’attacco, quella crosta veniva ' abbattuta. La melma, che venne esaminata nel laboratorio del E». Ufficio geologico, consisteva in una materia argillosa di colore ocraceo chiaro, e dava, spappolandosi nell’acqua una materia di grande plasticità; ' essa conteneva insieme aU’argilla il 25 per cento circa di carbonato calcare, ed aveva la proprietà di rapprendersi rapidamente durante ■ rasciugamento, in modo che riusciva anche difficile lo scarico dei va- r gonetti addetti allo sgombro di quella materia, dopo il breve tempo j- che decorreva fra il caricamento alla fronte d’attacco e lo^ scarica- ■ ■ mento a km. 2,500 nelle gettate. Il personale, si dirigente che operaio, continuò con ammirabile - perseveranza e coraggio, sfidando i più gravi disagi e pericoli, di cui non si poteva valutare la portata, i tentativi per spingere avanti la - fronte del cunicolo, ma ciò non ebbe altro effetto che di produrre più : gravi perturbazioni nella massa melmosa, e le difficoltà del lavoro si - presentarono assolutamente insormontabili coi mezzi ordinari. In questo stato di cose, la stessa Commissione governativa che 1 • ebbe a dare le disposizioni di cui fu già parlato riguardo alle diffi- 1 • coltà provenienti dalle irruzioni di acqua dall’imbocco Nord, propose che si tentasse, mediante la costruzione di due cunicoli sussidiari laterali alla galleria, di attirare le acque che impregnavano la massa melmosa, prosciugandola e togliendole il carattere di terreno scor- revole. Neppure la esecuzione di questi cunicoli, che riuscì di somma difficoltà per la veemenza delle acque e per le continue irruzioni di melma, e dei quali quello occidentale fu spinto per m. 33 di lun- ' ghezza e quello orientale per 14, servi a prosciugare la massa, o ad esplorarne in qualsiasi modo lo spessore, essendosi dovuti forzata- mente arrestare appena raggiunta dai due lati la massa melmosa me- desima, il cui limite risultava così non perpendicolare all’asse della Gralleria ma diretto approssimativamente S.E -N.O. ' Durante la escavazione dei cunicoli avvennero non meno di una — 79 cinquantina di franamenti; il più formidabile di questi, accaduto il 15 ottobre 1891, dopo violente scariche d’acqua torbida e fortissimi I boati interni, spinse le materie franate fino a più di m. 50 dalla fronte di avanzamento, ostruendo tutti gli scavi e travolgendo le arma- ture. Contemporaneamente si produsse, alla superficie del terreno presso il letto della Roja e quasi in corrispondenza sull’asse della Galleria, uno sprofondamento imbutiforme di m. 9 di diametro e circa 6 di profon- dità (punto indicato colle lettere Sp nella cartina), che dava idea della notevole estensione nel senso verticale della massa melmosa racchiusa nelle viscere del terreno. La portata media delle acque j fluenti in questo tratto del sotterraneo era di circa 40 litri al 1" ed ‘ esse contenevano dal 20 al 25 per cento di materia terrosa. I II volume di materie solide (melma e massi), che invasero il sot- terraneo durante questo periodo del lavoro, nel quale non vennero i scavati nemmeno 250 metri cubi utili per l’avanzamento, non è mi- I I nore di 3000 metri cubi, e non è difficile immaginare quali appren- sioni facesse nascere, per la continuazione del lavoro e per la stabi- ; lità della Galleria, la esistenza di vuoti interni di simile grandezza in una massa di materia cosi instabile. A questo punto, oltre a interrompere interamente i lavori da questo imbocco, fu pensato seriamente a variare il tracciato della Galleria abbandonandone un lungo tratto già costruito. Sopravvenne allora, nell’ottobre 1894, in seguito ad accurato studio del terreno e alle pre- visioni che se ne poterono trarre riguardo all’estensione delle faglie, un accordo fra l’Amministrazione governativa e l’Impresa costruttrice, col quale fu stabilito che l’Amministrazione stessa avrebbe eseguito in economia un tratto di Galleria dalla progressiva 1623.76 in poi, i finche non fosse interamente oltrepassata la parte franosa. Già nell’agosto del 1894 l’Ispettorato generale delle strade ferrate aveva incaricata una Commissione composta dell’Ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere e di uno di noi di eseguire una dettagliata ricogni- zione geognostica dei terreni attraversati dal tracciato, per averne una guida nei provvedimenti da prendersi per la prosecuzione dei lavori; e la detta Commissione, alla quale nelle ricognizioni sul terreno e nelle visite ai lavori venne aggregato l’altro di noi, che aveva rilevato geologicamente in grande scala la regione del Colle, e stabilita la cronologia dei terreni che vi erano rappresentati, presentò in propo- sito una relazione, da cui togliamo i dati seguenti per ciò che riguarda rimbocco Sud della Galleria, riferendosi per la descrizione geologica della serie e dell’andamento dei terreni a quanto fa già detto nel capitolo speciale. Discendendo dalla cima del Colle verso Sud ed oltrepassato il gran ciglione di calcare giurese coperto di banchi di calcare nummu- litico, e i sottostanti scisti basici, si entra in una vasta falda di scisti eocenici, dei quali la monotonia viene interrotta soltanto dai due scaglioni di calcari e scisti secondari che vennero da noi considerati, per le ragioni già esposte, come frammenti distaccati dal ciglione superiore predetto, e la formazione eocenica si segue fin poco sopra l’imbocco Sud della galleria della strada nazionale, presso il quale affio- rano i calcari secondari e il Nummulitico in serie rovesciata. L’Eocene è, come fu detto, rappresentato da scisti nerastri argille - , calcarei, da scisti neri lucenti, spesso carboniosi, e da scisti psammi-i tici e arenarie più o meno grossolane. Non solo percorrendo la falda fra il ciglio del Colle e l’imbocco della garlleria delia strada nazionale, ma'i ancor meglio, addentrandosi nei valloni laterali fra il Colle e la Cima di' Pernante o seguendo la strada militare fra il Forte principale e la Cima di Pepino gli scisti eocenici si vedono presentare i più complicati disturbi stratigrafici, e vi si osservano fitte pieghettature, contorsioni, accartocciamenti e rovesciamenti completi; la direzione stratigrafica è tuttavia abbastanza costante ed approssimativamente N.O-S.E. Al di sotto dell’imbocco Sud della galleria nazionale, dopo un altro ristretto lembo di scisti eocenici, si entra nella formazione cal- carea secondaria, in mezzo alla quale emerge, poco più basso del Ricovero la Punta, il limitatissimo affioramento della massa gneissica che fu ritrovata coi lavori interni, e al di là di questo fino all’im- bocco Sud della galleria ferroviaria si trovano dapprima gli scisti e liìi F pi it B1 k il S:i P 15l II lì i ’Sl iì 81 — le anageniti permiane, poi una complicata serie di dolomie e calcari di varie epoche, con forti disturbi stratigrafici, di cui venne già parlato. Ciò che forma la caratteristica della regione in questo tratto è la esistenza di frequenti faglie, chiaramente visibili e fra queste una importantissima, in corrispondenza della spaccatura incontrata inter- namente, diretta quasi N.O-S.E con una inclinazione di circa 67® verso S.O. Lungo la frattura il terreno è ripiegato e triturato, con visibile soluzione di continuità, e la traccia della dislocazione è segnata nella campagna da una striscia di terra giallognola analoga a quella incon» I trata allo stato semiliquido nei lavori sotterranei. La larghezza di questa soluzione di continuità, attentamente j studiata dagli indizi esterni, si trovò approssimativamente di una j trentina di metri, e nella citata relazione al R. Ispettorato Generale fu in parte su questa base emessa la ipotesi che presso a poco al- trettanto dovesse essere lo spessore di materia scorrevole da attra- ! versarsi dalla Galleria, e che la faglia originaria dovesse conside- I rarsi oramai, per movimenti e alterazioni posteriormente subite, come , una sacca interna riempita di materiale detri tico proveniente dalla I disgregazione delle varie roccie che ne formavano le pareti. Ma ' altri criteri più sicuri si sono avuti neiraffermare la assai probabile breve estensione della zona melmosa da attraversarsi. L’avanzata I procedendo da Sud a Nord dai gneiss compatti e senza acqua era pe- ' netrata nei gneiss fratturati, dislocati ed impregnati di melme, che an- j nunciavano la vicinanza della mossa delle materie acquifere incoerenti. I Ma quale larghezza poteva essa presentare ? Questa era la do- 1 manda che si poneva inquietante a quelli che avevano la respom I sabilità del proseguimento del traforo, e che essi rivolsero ai geologi !per prendere norma sul da farsi: o tentare di superare con un , grande sforzo di tecnica la zona melmosa, se di poche diecine di metri, o pensare ad un cambiamento di tracciato se la larghezza della zona si poteva supporre invece di qualche centinaio di metri. L’esame , della carta geologica ci mostrava il limitatissimo affioramento di 1 1 - 82 — gneiss, di cui fu parlato, a poca distanza dal profilo della Gallerifi|l (20 metri) e oltre 200 metri a Nord del punto in cui incominciava la f, melma. Dopo questa adunque nel traforo si sarebbero senza dubbio id incontrati di nuovo i gneiss. Il modo di fìssurazione del gneiss impregnato it di melma aveva poi tutti i caratteri che presentano le roccie ai lati di ;r una spaccatura. La melma perciò doveva costituire coi materiali cao- a tici, di cui è stato detto, il semplice riempimento di una spaccatura t o frattura del gneiss, di formazione posteriore a tutti i terreni so-jj vraincombenti, cioè post-eocenica. L’affioramento di gneiss essendo a : meno di 200 metri a Nord dell’avanzata nella melma, certamente in- { feriore a 200 doveva essere la zona di melma da attraversare. Ma i inoltre tutto portava a ritenere che la spaccatura nel gneiss, la cui t direzione si conobbe nei cunicoli laterali essere inclinata di circa 54“ \ sull’asse della Galleria, dovesse essere più limitata. Poiché la spacca- j tura iniziale non aveva certo potuto subire un allargamento conside- ) revole, data la resistenza della roccia in questione alla azione mec- ‘ canica e chimica delle acque che potevano in esse circolare. ì La Commissione suddetta, credette perciò di tenersi al disopra ì dell’ampiezza probabile della zona melmosa, assegnandole un massimo ; di metri 30 lungo la Galleria ; e le sue previsioni furono confermate ; dalla perforazione. > La ripresa dei lavori per conto diretto dell’Amministrazione ebbe luogo dopo vari studi per determinare il migliore e più adatto sistema di perforazione, e prima di tutto fu assolutamente respinta l’idea di : una variazione di tracciato con conseguente abbandono di un lungo i tratto di Galleria e forse anche di tutta, poiché dagli indizi esterni si poteva riconoscere che la temuta frattura si estendeva lateralmente ] all’asse del primitivo tracciato per più centinaia di metri e che per evitarla sarebbe stato necessario un cambiamento radicale e costosis- < simo per ogni riguardo. Fu quindi deciso di attraversare in qualunque modo la massa melmosa. Vari metodi si presentavano (V. Girard, 1. c.) e fra questi l’im- piego dell’aria compressa, che era praticato appunto in quell’epoca — 83 — nella galleria dell’Emmersberg attraverso sabbie colanti, e ohe era stato già adottato con successo per le gallerie sotto la Hudson-River fra New-York e Jersey-City, ma tal metodo fu riconosciuto pericoloso, di j dubbia riuscita e non conveniente per la grandiosità degli impianti, i non corrispondente alla presunta lunghezza della spaccatura. ! ^Fu anche pensato alla convenienza dell’ incanalamento per pre- I cauzione delle acque della Roja, supponendosi che le filtrazioni in 1 galleria . potessero provenire da quel torrente; ma dietro esatte mi- ;i sure di portata praticate a monte e a valle della spaccatura e per il altri sicuri indizi, fra cui un pozzo di esplorazione spinto nel citato j| sprofondamento superficiale fino a 18 metri sotto il fondo dell’al- f veo in quel punto distante non più di 4 metri, si riconobbe chiara- Sl mente che le acque della Roja non filtravano in quel tratto nel ; sottosuolo. E questo risultato era da aspettarsi, poiché le sorgenti ideila Roja che si trovano pochi metri più a valle in corrispondenza i di una spaccatura, e che hanno portata quasi costante, mentre la 'Roja superiormente ad esso è sovente a secco, sono là a dimo- I strare che in quel tratto si raccolgono le acque sotterranee di cui [quelle sorgenti servono come da sfioratore, sicché l’acqua che fluiva dalle melme era, come quella incontrata nell’imbocco Nord, acqua di circolazione interna. i Era in questa circostanza da prendere in considerazione anche il I sistema dell’ingegnere F. Rziha \ da lui con successo applicato nella ij30struzione delle gallerie ferroviarie di Ippensen e di Naensen nel Braunschweig, ove vennero attraversate spaccature di considerevole : astensione ripiene di sabbie e ciottolame, fluenti con gran copia di I icqua. Esso é in sostanza basato sul principio seguito già dal Brunnel I leUa costruzione della galleria sotto il Tamigi (1819-1841), di avanzare ì ìioé lo scavo del profilo, anziché in blocco su tutta la fronte, per itj'-; imingoli elementi di essa, dando con ciò sfogo parziale alle acque e |d materiale irruente. Oltre a ciò, alle armature in legname sono li ^ F. Rziiia. Lehrbuch der (jes((m:nfpji Tnnnelhaukiiiist, Yol. II. — Berlin, ISTI. t ì — 84 sostituite completamente quelle in ferro (esclusa la ghisa). Però 1 nel caso attuale sarebbe stato necessario studiare radicali modifica- > zioni del sistema, in vista della grossezza dei massi inclusi nella melma, i Altri metodi più moderni come quello q)er congelamento del ',v Poetsche, ottenuto mediante la infissione nel terreno di una serie di t i tubi nei quali circola un liquido portato da apposita macchina refri- h gerante a una temperatura di — 25® C, ed applicato finora esclusiva- ; • mente allo scavo dei pozzi in terreni fluenti, e quello per consolida- ;> mento e petrificazione del magma fluido, iniettandovi, mediante pompe i| e tubi, grandi quantità di cemento a rapida presa, non si ritennero ii per varie ragioni applicabili al nostro caso, nel quale oltre a combat- '7 tere colle fluidità di quella massa non omogenea non conveniva per- t dere di vista il pericolo, sia per la esecuzione degli scavi sia per la il galleria una volta compiuta, dei grandi vuoti interni lasciati dalla it enorme massa di materie già franate. Inoltre conveniva tener pre- 'fi sente la perdita di tempo e la spesa ingente occorrente per impianti t di genere cosi speciale. Cosi venne razionalmente adottato il metodo belga, consistente )’i essenzialmente nelFeseguire lo scavo per parti limitate della intera t. sezione, e nel quale appena abbattuta la parte superiore del profilo d viene costruito completamente il rivestimento della calotta, procedendo ; in seguito allo scavo e murazione dei piedritti, sostenendo la vòlta i sia artificialmente, sia lasciandola a tratti riposare sulla roccia ed 3 eseguendo la muratura dei piedritti per brevi sezioni. Fu ripreso dunque il lavoro dapprima tentando di aprire il cunicolo ( di avanzata in calotta mediante armatura completa a cassa di legno, ma ' si trovò subito serio ostacolo per la presenza dei massi chiudenti a ogni • passo la strada ai marciavanti, che si spezzavano contro di essi, e per le continue irruzioni di melma che fluiva attorno a ogni masso, i; Per la estrema difficoltà di procedere con armatura in legname, i col quale sistema, le operazioni di scavo e il collocamento dei legnami richiesero per qualche quadro 18 giorni di continuo lavoro, in mezzo a gravissimi pericoli per la incolumità del personale, fu pensato dalla ! - 85 — Direzione dei lavori di ricorrere a un metodo che permettesse di spin- gere i tavoloni marciavanti anche traverso i massi, spezzandoli ove opponessero resistenza, e fu studiato un apparecchio del tutto nuovo, consistente in una armatura metallica a rivestimento completo, i cui particolari sono minutamente e chiaramente descritti dall’idea- tore del sistema, Ing. Girard, nella citata memoria accompagnata da nitidi disegni (1. c.), alla quale rimandiamo chi volesse farsi un ade- guato concetto degli interessanti particolari del sistema. Nella stessa memoria sono poi descritte con abbondanza di particolari le succes- sive operazioni per lo scavo e rivestimento della calotta, e, in seguito, dei piedritti e dell’arco rovescio. Lo scavo e rivestimento susseguente dell’arco rovescio riusci relativa- mente più facile, avendo la melma acquistato un certo grado di coesione. Mediante l’ adozione del sistema sopraindicato per il cunicolo di avanzamento in calotta, i lavori di ripresa della galleria riattivati il 1° dicembre 1894 ebbero dopo aspra lotta lieto risultato, poiché d 6 maggio 1895 il cunicolo stesso aveva tra versata la spaccatura melmosa e raggiungeva l’altra parete gneissica, trovando dapprima 10 gneiss fratturato ed acquifero con melma nelle fessure, indi la roccia solida; e alla fine di marzo 1896 era già completato, sempre tra- verso grandi difficoltà, un tratto di sotterraneo lungo metri 43. 44 per conto diretto della Amministrazione, e i cantieri vennero riconsegnati all’Impresa, la quale riprese regolarmente i lavori di avanzamento. Conformemente alle previsioni basate sullo studio geologico la larghezza della spaccatura risultò di circa metri 30, e la sua forma fu riconosciuta come è indicato nella figura che segue. Dopo queste gravi difficoltà, cosi faticosamente superate, non si ve- rificarono altri avvenimenti di notevole importanza, anzi può dirsi che 11 traforo riusci, per la natura e disposizione delle roccie, per la scar- sità di .acque interne e per altre circostanze, relativamente facile, e il 13 febbraio 1898 ebbe luogo, con grande precisione, l’incontro fra il tratto di Galleria perforato del lato settentrionale e quello del lato meridionale alla distanza di metri 3090 dall’imbocco Sud. — 86 — Sezioni della faglia incontrata fra le progressive 6412,80 e 6456,24 darli’ imbocco Nord. (Scala di 1 a 500) Sezione verticale. Sezione orizzontale. gn. Gneiss cloritico con vene di oligisto, ecc. gnf. Gneiss c. s., molto fratturato con poltiglia terrosa gialla nelle spaccature. d. Magma caotico di poltiglia argilloso-calcarea con massi di gneiss, anageni ti, calcari e anidrite. — 87 ~ I profili indicano la serie dei terreni traversati, fra i quali sono notevoli le potenti masse di anidrite. A proposito di queste è solo da osservare che, in vista della compattezza di quella roccia e della sua apparente solidità, fu sperato che fosse possibile fare a meno del ri- vestimento murario completo di tutta la sezione, e sopratutto delfarco rovescio; ma che in seguito, essendosi cominciato a manifestare in vari tratti scoperti del profilo qualche rigonfiamento e parziale dila- mazione e distacco di roccia, dovuto a fenomeni di idratazione, fu preso il prudente partito di rivestire interamente la sezione, come se ne era intravista la opportunità, in base a fatti analoghi già verifica- tisi in altre gallerie praticate traverso fanidrite. Riguardo al calore interno sì della roccia che dell’aria non ven- nero fatte sistematiche osservazioni, e ciò per la principale ragione che durante tutta la durata dei lavori non si ebbero mai a lamentare inconvenienti per effetto di eccessive temperature, malgrado che verso il mezzo della Galleria si avesse uno spessore di roccia sovra- incombente di metri 870 circa. Ciò avrebbe portato, secondo la legge geotermica dell’aumento di 1” per ogni 33 metri di altezza, a una temperatura di circa 27® nella roccia, temperatura che non venne certo mai riscontrata. Tal fatto era dovuto essenzialmente alla presenza ed alla attiva circolazione delle acque interne, aventi una temperatura di appena 6® C. e inoltre alla forma del monte, con ripido risalto in mezzo e piuttosto pianeggiante nei due versanti, per effetto della quale la tem- peratura interna del terreno resta più direttamente in relazione colla temperatura media esterna: era quindi piuttosto applicabile in questo caso l’aumento geotermico verificato nelle grandi gallerie del Cenisio e del Gottardo, di 1® per ogni 50 metri circa di profondità e quindi di poco più che nelle roccie, temperatura che non è tale da pro- durre disagi o inconvenienti, anche coll’elevato grado di umidità e coll’inquinamento dell’aria che si verificano per tante cause nello scavo di grandi gallerie. Roma, dicembre 1899. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE 1 BIBLXOORAFXA. OEOLOGtlOj^ IXAET^TVJL PER l'AjSTNO 1899 ^ Agamennone G. — Il terremoto nell Appennino parmense-reggiano della s notte del 4 al 5 marzo 1898. (Boll, della Soc. sismologica italiana^ i Yol. Y, fase. 3, pag. 72-92). — Modena, 1899. È un’analisi dettagliata di questa poderosa scossa di terremoto che, dal- • r Appennino reggiano e parmense, irradiò tutto aU’intorno nella Toscana, nella I Liguria, nel Piemonte, nella Lombardia, nel Y eneto, nella Romagna e perfino | nel Trentino, sopra una larghezza di quasi 300 chilometri da est ad ovest e i altrettanta lunghezza da nord a sud, con una superficie di circa 70000 chilo- n I metri quadrati, comprendente 12 intiere provincie e altre 18 in parte più o- it‘ meno grande. L’epicentro sismico trovossi nell’ Appennino parmense-reggiano, o le località maggiormente colpite furono: Calestano, Langhirano, Aeviano, Fe- ì lino, Corniglio e Berceto in provincia di Parma; Yetto, Castelnuovo ne’ Monti,, il Yilla Minozzo, Sologna, Ligonchio, Collagna e Ramiselo in quella di Reggio.. ì Detto epicentro sarebbe stato nelle vicinanze di Monte Fuso (metri 1118) fra f l’Enza e la Parma. La scossa fu, secondo i luoghi, ondtdatoria o sussultoria o- i mista; la sua durata si ritenne di 12 secondi o poco più e la direzione fu na- i turalmente variabile secondo le località. In alcune di queste, e cioè in quelle 1 più vicine all’epicentro, la scossa fu preceduta da rombo, paragonabile al ni- i r more di forte vento. A quanto si può argomentare dalle fatte osservazioni la h profondità dell’ ipocentro, o focolare sismico, dovette essere relativamente < grande. ^ Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- > caUtà estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 89 — Al lavoro è unita una carta della regione colpita doA^e, per ogni località è indicata con segni conA^enzionali la forza della scossa sentita, come già pra- ticò il Mercalli per il terremoto ligure del 1887. DalPinsieme della carta risulta quanto segue: L/a massima intensità si è A^erificata sul versante IS’.E del- rAppennino: 2*^ La interposizione di questa catena ha ostacolata la propaga- zione del moto verso S.O; 3® La interposizione della Alalie padana ha solo n influito nel senso di mitigare alquanto la intensità del movimento, non ostaco- landone però la propagazione Aderse la Lombardia* e verso il Veneto. Il che AÙene in appoggio dell’idea dall’autore già espressa che il veicolo principale del moA’imento sismico debba ricercarsi a grande profondità e non già alla superficie, in modo che il medesimo non può essere influenzato dagli strati superficiali di potenti alluAÙoni come quelle del Po. Aoamexxoxe G. — Il terremoto emiliano della notte dal 4 al 5 marzo 1898. (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. Vili, fase. II, 2*^ sem.. pag. 321-326). — Roma, 1899. Premessi alcuni cenni sommari sul terremoto in questione, estratti dal lavoro precedente, l'autore espone qui i risultati di un suo studio sulla velo- cità di propagazione del medesimo. Dalla discussione dei dati relatÌAÙ egli cal- cola tale A'elocità a 2900 metri per secondo. Airaghi C. — Echinidi di Carcare, Lego, Cassinelle e dintorni. (Atti della Soc. italiana di Se. nat. e del Museo civico di St. nat., Voi. XXXVIIl, fase. 3'\ pag. 245-252). — Milano, 1899. È una nota preA'enth'a suirargomento trattato in esteso col lavoro se- guente. Airaghi C. — Echinidi del bacino della Bormida. (Boll. Soc. Geol. it.. Voi. XVIII, fase. 2“, pag. 140-178, con 2 taAmle). — Roma, 1899. Sono quelli di Carcare, Dego, Cassinelle e dintorni nell’alto bacino della Bormida di Spigno. Il mateiiale studiato ammonta a più di 300 esemplari ed appartiene alia collezione Michelotti della UniA'ersità di Roma, al Museo del- l’UniA^ersità di Torino, alle collezioni Rovasenda e degli eredi Perrando, cui aggiungonsi pochi esemplari appartenenti al R. Istituto tecnico di Udine e al Museo cìaùco di Milano. Essi proA^engono da terreni appartenenti al tongriano. — 90 — airaquitaniano e al langhiano. di cui l'autore dà una succinta notizia strati- 1 grafica. La fauna tongriana è ricca di Clipeastroidei riferibili ai generi Echi- fi lìocyamus e Clypeaster. di Cassidulidei dei generi Echinaiitims ed Echiìiolampa.-i. \ i ed è essenzialmente litorale ; in essa, sopra 39 specie. 5 sono nuove. Quella j ^ dell’aquitaniano risulta formata da sole 5 specie, di cui 2 nuove: essa è di • * mare profondo. La fauna del langMano comprende solo 2 specie, entrambe di ; t mare profondo, delle quali una comune con lo Schlier di Bologna, di 3Iontese ♦ e altre località italiane. L'autore, premesso un elenco completo di tali specie. ; * fa la descrizione delle medesime, corredandola con due tavole in cui sono figu- 1 ^ rate le nuove specie descritte, oltre ad alcune altre fra le più interessanti. Aucidiacoxo S. — Sui terremoti del 3 maggio 1899. (Boll. Acc. G-ioenia ii di Se. nat.. fase. LX. pag. 28-33|. — Catania. 1899. Trattasi di lievi monumenti ondulatori avvertiti a Catania e nei paesi i e nei alla sera del 3 maggio 1899, dovuti in parte all'eco del forte terremoto 4 avvenuto in Grecia la stessa sera con direzione est-ovest, in parte, però entro ■ limiti assai ristretti, a fenomeni sismici locali. Si tratterebbe di un terremoto 4 secondario, in rapporto con quello di Grecia, avente il suo centro superficùde 4 in località vicinissima a Santa Maria di Licodia in dipendenza del medesimo ;4 focolare sismico da cui irradiò quello del 14 maggio 1898. che tanti danni prò- là dusse nei paesi etnei (vedi Eiccò. Bibl. 1898), e che si sarebbe così riprodotto f a distanza di circa un anno, in concomitanza con quello di Grecia. ^ - i Arcidiacoxo S. — U esplosione centrale dell' Etna del 19 luglio 1899. t (Boll, della Soc. sismologica ital., Tol. T. n. 4, pag. 122-131). — :J Modena, 1899. [ Questa grandiosa manifestazione eruttiva ebbe luogo alle 8 ore del 19 lu- ! I glio 1899 con una formidabile esplosione al cratere centrale dell'Etna. In con- 'j seguenza si innalzò un gigantesco pino di fumo grigio sino a oltre metri 1 « di altezza, il quale, a causa del vento, si spinse verso S.E aumentando enor- a memente in estensione, per cui coprì gran parte del cielo sopra Catania per la ' durata di un'ora e mezzo circa. Xessun movimento notevole del suolo accom- i pagnò l'esplosione; solo leggiere e rapide ^ùbrazioni precedettero, accompagna- ^ rono e seguirono il fenomeno : la cenere, in forma di tenue pioggia, cadde su . diverse località abitate, e sulle alte pendici del 'amicano era visibile da Catania i pel suo colore gialliccio. Danni gravi ebbe a subire in questa circostanza l’Os- servatorio Etneo, sul quale caddero grosse pietre a temperatura elevata. Dopo la lunga e formidabile eruzione del 1892, l’esplosione centrale del 1899 è stato il fenomeno eruttivo più saliente fino allora accaduto, e proverebbe oke il vulcano sta preparando il materiale per qualche altra eruzione. Artidi E. — Ancora sulla leadhillìte di Sardegna. (Kendiconti del B. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXII, fase. XY, pag. 10484050|. — Milano. 1899. — Idem. (Eivista di min. e crist. italiana, Yol. XXIII, fase. I a III, pag. 33-35). — Padova, 1899. Scopo di questa breve nota è di dimostrare la erroneità di un asserto, ’ ripetuto nei manuali e trattati di mineralogia, che cioè nella leadhillite, quan- tunque monoclina, la bisettrice acuta deU’angolo degli assi ottici è perfetta- mente normale alla base, come dichiarava il Laspeyres fino dal 1872, cioè nel tempo in cui questo minerale era creduto trimetrico. L’autore, che già erasi occupato della leadhillite di Sardegna (vedi Bibl. 1890)^ volle' verificare spe- rimentalmente la cosa, servendosi di due lamine di sfaldatura limpidissime provenienti da San Giovanni e di un cristallino semplice e molto nitido di Malacalzetta. Egli potè così constatare che, non solo la bisettrice acuta non è normale alla faccia di sfaldatura, ma che fa con la normale a questa un angolo abbastanza grande e costante di circa 4®. Baratta M. — Alessandro Volta ed i suoi studi sulle fontane ardenti di Pietramala e di Velleia. (Bollettino della Soc. geografica it., S. III, Yol. XIL n. 6, pag. 249-256). — Boma. 1899. Fra i lavori meno conosciuti del gi-aude fisico comasco sono da annove- rarsi quelli che riguardano le fontane ardenti, che egli intraprese dopo queìli eseguiti sui gaz infiammabili delle paludi, onde verificare se anche quel feno- meno fosse dovuto a grandi ammassi di gaz sviluppantisi per la lenta decom- posizione delle sostanze organiche. A tale sco2)o egli si recò nel 1780 a Pietra- mala nella valle del Santerno e nel 1784 a Yelleja in quella del Chero, dando poi relazione di tutto in una memoria pubblicata a Yerona nel 1784 ed una appendice alla medesima stampata lo stesso anno a Milano. In queste, pure non escludendo che il gaz infiammabile derivi in parte da qualche vicino giacimento di combustibile fossile, od anche di petrolio, si dichiara proclive a credere che il fenomeno sia identico a quello che avviene nel fondo delle acque stagnanti — 92 - 1 per la decomposizione di organismi, con raggiunta di grandi serbatoi sotterl ranei nei quali si raccolgono i gaz infiammabili, per uscirne poi attravers tectonica di quel gruppo e come da essa dipendano unicamente certi fatti d’in- ' dole sismica che vi si riproducono di tempo in tempo. Questi si presentano sotto forma di periodi più o meno lunghi di scosse di terremoto localizzate, accompagnate da cupi rombi, i quali frequentemente si avvertono anche senza — m - m movimento sensibile del suolo. Interessantissimi furono, fra gli altri, i fenomeni colà avvenuti nel 1866 e dei quali si ha una esatta descrizione: si tratta di tremiti congiunti a sordo rumore sotterraneo, che durarono più o meno inten- samente per ben 8 mesi, interrotti talvolta da forti detonazioni con susseguenti scosse sismiche interessanti la intiera montagna. Anche posteriormente tali fenomeni si rinnovarono a più riprese con intensità variabile, talché il feno- meno si può dire quasi continuo. La localizzazione e la persistenza di tali manifestazioni sismiche ed acu- stiche provano che le loro cause sono affatto locali e dipendenti, non da feno- meno vulcanico anche secondario, ma da manifestazioni delle forze interne che determinarono il corrugamento orogenetico della regione e tendono tuttora a darle un proprio e stabile assetto tectonico. I rombi e le scosse sarebbero do- vuti ad una stessa causa, cioè ad una serie di piccoli e rapidi tremiti, in gran parte impercettibili anche ai più delicati istrumenti per la loro estrema picco- lezza e rapidità, favoriti talora da condizioni locali come la esistenza di grotte interne od altro. Baratta M. — dei materiali per una storia dei fenomeni sismici avvenuti in Italia, raccolti dal Prof. Michele Stefano De Rossi. (Bol- lettino Soc. Geol. ital.. Voi. XVIII, fase. 3®, pag. 432-460). — Koma, 1899. Il De Rossi, come è noto, attese per lunghi anni a raccogliere notizie sui fenomeni della dinamica terrestre ed in specie quelle relative alle manifesta- zioni sismiche e vulcaniche dei tempi passati, lasciando alla sua morte pa- recchie migliaia di schede cronologicamente ordinate, che ora Fautore, per incarico della famiglia, si propone di rendere accessibili a quanti si occupano di queste ricerche, per quella parte almeno che non fu pubblicata dallo stesso De Rossi o da altri, in particolare dal Mercalli. In questo saggio egli pubblica le notizie non ancora figui-anti nelle opere ben note a quanti si occupano di sismologia, oppure provenienti da fonti diverse, il che costituisce di già per sé un ottimo materiale da studio, perchè ogni notizia nuova offerta agli studiosi è destinata ad apportare nuova luce, mutando fors’anche le conclusioni degli studi fatti precedentemente. Tale saggio costituisce il prodromo di un catalogo dei terremoti italiani che, facendo seguito a quello del Perrey, conterrà tutte le notizie pubblicate dal De Rossi nel suo Bollettino del vulcanismo con le altre rimaste inedite finora e con quelle venute alla luce dopo la morte di questi. Le indicazioni contenutevi ammontano a 471 e vanno daU’anno 522 al 1871. — 94 — Bassani F. — La ittiofauna del calcare eocenico di Gassino in Piemonte^ (Atti Acc. delle Se. fis. e mat., S. Il, Yol. IX, n. 13. pag. 42 con 3 tavole). — Napoli, 1899. È un lavoro di grande importanza per la solnzione della vecchia quistione i sulla età di questo piano della Collina di Torino, basato sullo studio degli | ittiolitl forniti all’autore dal Cav. di Rovasenda, possessore di una ricca colle- li zione paleontologica locale, dai Musei universitari di Torino, di Roma e di Na- V poli, nonché da altri. Sopra questa interessante e controversa formazione si affaticarono numerosi o scienziati italiani e stranieri, dei quali l’autore dà l’elenco con un cenno dei t loro scritti. In complesso essa è costituita essenzialmente di marne, talora al- s ternate con strati arenacei ed inglobanti lenti o banchi calcarei, cui appartiene | il noto Calcare di Gassino riferito dapprima al Nummulitico, quindi all’oligo- ì cene, al miocene medio e infine al Bartoniano inferiore (orizzonte di Priabona). 4 Il parere dei geologi non è ancora concorde, stando alcuni per l’eocene (Bar— i tornano), altri per l’oligocene (Tongriano). Il risultato dello studio fatto dallo | autore sui pesci fossili, rappresentati a Gassino da 26 specie, di cui 18 forni- j scono importanti criteri cronologici, è favorevole all’età eocenica del giaci- 1 mento, che vien posta fuori di dubbio. In quanto al piano esso favorisce la . opinione che si tratti di Bartoniano, senza peraltro escludere il Parisiano ; per « cui l’autore propende a collocarlo nel Parisiano alto o nel Bartoniano basso. A questa parte dimostrativa, segue la descrizione dettagliata ed accuratissima Ji delle specie studiate, le cui particolarità sono riprodotte nelle tre belle tavole à' che corredano il lavoro. Bassani F. — Sulla Himdella laticauda, 0. G. Costa^ degli scìiisfi i bituminosi triasici di Gijfoni nel Salernitano. (Rendiconto Acc. delle 1 Se. fis. e mat. S. 3^, Yol. Y, fase. 8 a 12, pag. 225-227). — Napoli, [< 1899. Questa specie di Giffóni, illustrata dal Costa nel 1850 e riportata dallo Zittel e daU’Hoernes nei loro trattati di paleontologia come proA^eniente dal > calcare infracretaceo di Pietraroja (provincia di BeneA’^ento), venne ora ricono- ■ scinta dall’autore, sull’esame del medesimo campione, quale ima fogliolina di cicadacea appartenente probabilmente al genere Pterophglliim^ rappresentato in quegli scisti da altri avanzi già figurati dal Costa. In una nota l’autore riproduce l’elenco dei pesci fossili da lui riscontrati ~ 95 — in questo giacimento, con la sinonimia relativa. Come egli già dimostrò (vedi Bihl. 1892) questa piccola ittiofauna (11 specie) permette utili confronti con altre conosciute ed appartenenti alla Dolomia principale. Belassi P. — Ma teriali per la storia dei fenomeni sismici della regione parmense (pag. i-xxii 4“ i-136, in-84- — Parma, 1899. È una raccolta di notizie ricavate e riportate testualmente da un grande numero di manoscritti inediti esistenti nelle varie biblioteche della regione, e in particolare nella Palatina di Parma, e dalle pubblicazioni relative all’argo- mento, con la indicazione dei documenti di cui l’autore si è servito per questa lunga e laboriosa compilazione. Dette notizie sono disposte in ordine cronolo- gico dall'anno 615 d. C. sino al forte terremoto del 4 marzo 1898, del quale l'iAitore fornisce molti dettagli. jN’aturalmente gli ultimi due secoli sono quelli che hanno dato maggiore copia di materiali. Dal complesso delle notizie risulta che nel maggior numero dei casi le scosse ebbero una direzione normale alle valli del Taro e del Parma, ossia fm-ono parallele al crinale appenninico : queste due valli possono ritenersi come distretti sismici, i cui punti maggiormente colpiti furono Borgotaro per la prima, Arola, Torrechiara e Torre per la seconda, nella quale è opportuno in- _dicare le sorgenti salate di Designano e le salse di Eivalta, che sembrano accennare a linee di frattura. Bergeat a. — Die (iolischen Inselli geologisch heschriehen. (Abhandl. der K. bayer. Akad. dei* Wiss., II Cl., B. 20, I Abth.; pag. 1-274, con 24 tavole). — Miinehen. 1899. Dopo gli antichi lavori del Dolomieu (1783), dello Spallanzani (1795) e di Federico Hoffmann |1832) nessuna descrizione geologica generale del gruppo delle Eolie fu pubblicata fino al 1892, nel quale anno vide la luce la De^ scrizione geolofjico-pctrofjrafica di quelle isole degli ingegneri Cortese e Saba- tini ^Memorie d esci' iti ire della Carta (jeoloffica d"" Italia, Voi. VII). Il presente lavoro, frutto di diversi mesi di permanenza dell’autore nelle Isole Eolie negli anni 1894 e 1898, viene ad aggiungersi ai precedenti e in certo modo a com- pletarli. Dato un bi’eve cenno generale del gruppo, l’autore entra subito nella de- scrizione d(dle singole isole nell’ordine seguente: Stromboli, Panaria, Salina, — 96 — L/ipari, Vulcano, Filicudi e Alicudi; facendo precedere per ciascuna di esse letteratura relativa e corredandole di vedute prospetticlie e sezioni intercalate nel testo. In un capitolo di conclusione tratta poi della morfologia dell’arcipe- Si lago con le circostanze relative aUe attività costruttrice e demolitrice del vul- canismo e dell’erosione; dà la serie cronologica dei fenomeni avvenutivi, m jB rapporto con la storia del vulcanismo nelle altre parti dell’Italia meridionale SI e del Mediterraneo occidentale ; infine fa la enumerazione dei prodotti deUe SI Eolie, con le analisi cliimiclie rispettive, con un cenno generale sulla petro- S| grafia della regione e sulle variazioni cMmiclie dei magma relativi, ,S| L’importante lavoro è corredato da numerose tavole con vedute prospet- S| tiche, carte geologiche delle isole studiate, carta d’insieme del giuippo ed altre SI particolarità relative a quei vulcani, S| Bergeat a. — Von den àolischen Inselli, (Zeitschrift fiir praktische.jB Gieologie, Jahrg. 1899, H. 2, pag. 4347). — Berlin, 1899. 9 Sono brevi notizie geologiche e storiche relative ai giacimenti di pomice ! di Lipari e all’acido borico delle fumarole di Vulcano, nelle Isole Eolie. * La pomice si estrae a Lipari dal Monte Pelato, un cratere estinto, ove ^ forma una accumulazione della potenza di oltre 200 metri; essa è il principale,^ articolo di esportazione dell’isola, e viene ricavata da 120 piccoli scavi con'* 4 una produzione di circa 6000 tonnellate di materiale, che imbarcasi per la mag- gior parte a Canneto sulla costa orientale dell’isola. '5 L’industria dell’acido borico di Vulcano, di cui l’autore fa la storia, è » oramai cessata; ed egli ne fa cenno specialmente per accennare ai rapporti di > questo fenomeno naturale con le teorie circa l’origine dei depositi stanniferi di Sassonia e della Corno vaglia, inquantochè le fumarole di Vulcano conten- gono 21 dei 24 elementi caratteristici di quei depositi, e fra essi figura lo ‘ stagno. Bergeat a. — Piimicì of Monte Pelato, Lipari Islands, Itali/ . (Trans, of thè north of England Inst. of Min. and Mech. Engineers. Voi. XLVIII, P. 4, pag. 26). — Xewcastle-upon-Tyne. 1899. È un sunto di notizie sulla industria delle pomici a Lipari, ricavato dal* l’articolo precedente. — 97 — Bertacchi C. — Sulla plastica e la geologia della regione pugliese. Saggio di geografia fisica. (EiYista geografica italiana, Anno YI, fase. II-III, pag. 81-93, fase. lY, pag. 193-200, fase. Y, pag. 271-283). — Eoma. 1899. Scopo principale del lavoro è quello di contribuire alla soluzione della vecchia questione della indipendenza dei rilievi pugliesi dall’ Appennino. Esso è diviso nelle tre parti seguenti: 1*^ Morfologia. L’autore descrive la forma dei rilievi costituenti la regione pugliese, distinti in tre gruppi (Murgie nel centro, Gargano al nord-ovest, colline salentine al sud-est) fra loro separati dal Tavo- liere di Puglia e dalla * bassura Taranto-Brindisi, facendone risaltare le essen- ziali differenze con l’ Appennino, dal quale sono geograficamente indipendenti: dalle forme basse, pianeggianti, largamente terrazzate, oltre che dal distacco orografico di quei rilievi, risulta maggiormente confermata tale indipendenza; 2’ Geologia. L’autore riassume i risultati degli studii geologici fatti nella re- gione, insistendo specialmente su quelli del De- Giorgi pel Leccese, e del Cor- tese, del Canavari, del Yiola e del Cassetti per il Gargano, dai quali deduce nuovi argomenti in appoggio della indipendenza dall’ Appennino non solo, ma ancora delle intime relazioni coi rilievi montuosi d’ oltre Adriatico; 3*^ Idrografia. Questa è rappresentata nei tre rilievi pugliesi da laghi littorali e da fiumi asciutti, mentre i veri corsi d’acqua attraversanti il Tavoliere provengono dal- r Appennino: in generale le acque piovane sono assorbite dal sottosuolo calca- reo per mezzo di cavità carsiche. Anche in questa parte l’autore si vale dei lavori del De- Giorgi, che sono i più recenti in materia e i più dettagliati. Segue, e chiude il lavoro, un capitolo di Conclusione, nel quale l’autore insiste sul principio che la regione appulo-garganica non è, nè topograficamente, nè geo- logicamente una dipendenza, e tanto meno una diramazione, dell’ Appennino. Bertolixi G. L. — Ancora della linea e dei fiumi di resorgiva in rela~ sione alle lagune e al territorio veneto. (Eivista geografica italiana. Anno YI, fase. II-III, pag. 98-104). — Firenze, 1899. Ritornando suirargomento delle acque di resorgiva nella regione veneta orientale (vedi Bihl. 1897) l'autore, in aggiunta ai principii stabiliti, ne enu- mera ora altri basati su fatti da lui accertati, e cioè: I fiumi sono guada- bili superiormente alla linea delle resorgive; 2® La grande strada trasversale pedemontana corre al di sopra di quella linea; 3® La medesima separa due si- stemi stradali, l’uno a monte, l’altro a valle di essa; 4® Superiormente alla — 98 — grande strada trasversale stanno le città pedemontane, inferiormente quelle i della pianura; 5® Isella regione considerata liavvi una seconda linea stradale, J la prelitorale, che limita superiormente la zona dell’estuario e corre al di sopra i delle lagune, segnando l’antico litorale da Adria a Trieste. Conclude che la linea delle resorgive è un elemento fondamentale della ìì descrizione della valle padana e, aggiungiamo noi, in intimo rapporto con la j sua costituzione geologica. Bertolio S. — Sulla microstruttura delle Comenditi. (Eendiconti del i R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXII, fase. XY, pag. 1000-1003, j con tavola). — Milano, 1899. > ( Come è noto da precedenti lavori dell’autore (vedi Bihl. 1894, 1895 e 1896), | egli comprende sotto questa denominazione un gruppo di rioliti, abbondante- | mente silicifere, da lui trovate nell’isoletta di San Pietro poco lungi dalla j costa occidentale della Sardegna meridionale, dove si ha una notevole varietà j di tipi diversi fra loro per composizione mineralogica e per struttura. Gli eie- \ menti costitutivi principali sono : sanidino, anortose, quarzo, arfvedsonite, aegi- | rina, magnetite e zircone. Il quarzo, abbondante sempre, vi è in cristalli bipi- i xamidati, ricchi di inclusioni caratteristiche riproducenti il contorno geometrico f del cristallo in cui sono racchiuse ; ed i felspati presentano brillanti riflessi azzurri r sui piani di rottura normali a (010). Xumerose sono le varietà di struttura delle ji comenditi, di cui l’autore dà un cenno corredandolo di una tavolacon riprodu- j zioni micrografiche di sei tipi diversi. Ra maggior parte però di queste roccie i appartiene ad un tipo la cui struttura può dirsi granofirica-criptocristallina. ^ 1 Bettoni a. — Affioramenti toarciani delle Prealpi bresciane. (Boll. Soc. h Geol. ital., Yol. XYIII, fase. 3^ pag. 461-466). — Roma, 1899. Questo piano del lias superiore, che in addietro alcuni ritenevano man- i canto nella provincia bresciana, sarebbe stato, in seguito a ricerche del defunto i Ragazzoni e del Bittner, riconosciuto in Yal di Xavezze a nord di Gussago, dove si troverebbe rappresentato da breccie calcareo-silicee a brachi opodi e | crinoidi; queste però, secondo l’autore, sono intercalate ai calcari marnosi del il Medolo (lias medio) il che distruggerebbe il riferimento loro al lias superiore, (b Per risolvere la questione egli dà in questa nota la successione stratigrafica di Yal Xavezze, finora non giustamente interpretata. Essa è la seguente incomin- ù dando dal basso: 1® Un calcare grigio-cereo, marnoso, con numerosi fossili del Charmoutiano inferiore ; 2® Calcari grigi con letti e noduli di selce, con — 99 — pochi fossili del Domeriano o Charmoutiano superiore: 3*^ Le suddette breccie calcareo-silicee o silicee compatte, a minuti elementi, con piccole ammoniti co- muni nello stesso Domeriano: 4® Calcare marnoso- giallastro con ammoniti, trovate dal Ragazzoni ed ancora discusse: 5® Calcari biancastri-marnosi, alter- nanti in alto con scisti verdognoli a Posidonomya ; 6° Scisti ad aptici. Considerato quindi che le breccie del n. 3 non portano dato alcuno per poterle riferire al lias superiore, che invece presentano una facies simile a quella dei calcari brecciati a brachiopodi e crinoidi che si riscontrano nei cal- cari grigi domeriani del Veneto, mentre nella provincia bresciana il vero lias superiore si presenta sempre coi caratteri proprii del Toarciano, l’autore crede potere asserire che nella Val Vavezze questo livello manca assolutamente nella forma citata e sostenuta dal Ragazzoni e dal Bittner. Accenna da ultimo a veri depositi toarciani esistenti nella provincia di Brescia e ne dà i caratteri paleontologici sicuramente accertati : essi sono quelli di Molvina. Cappuccini di Rezzato, Monte Covolo, Urago, Ome ed Adro, nei quali rinviensi V Hildoceras hifrons Brug. ed il Coeloceras crassum V. et B. Boeris Gt. — Sopra la tridimite di S. Pietro Montagnon negli Euganei. (Atti della Soc. ital. di Se. nat. e del Museo civico di St. nat., Voi. XXXVIII, fase. pag. 17-32, con 2 tavole). — ^IRano, 1899. — (Rivista di min. e crist. italiana. Voi. XXII, fase. V e VI. pag. 66-80, con 2 tavole). — Padova, 1899. Sino dal 1868 G. vom Rath aveva segnalato la presenza della tridimite legli Euganei, e precisamente nella trachite di Monte Pendise presso Teoio ; lel 1878 M. Schuster dava maggiori notizie su quelle di Zovon e Monte Giorno, Dure nelle vicinanze di Teoio, di cui studiò in modo speciale i caratteri ottici Y. von Lasaulx, mentre il Mallard riprese più tardi lo studio delle proprietà t »ttiche della tridimite, su campioni delle diverse località conosciute, ivi com- ! ìrese quelle degli Euganei, pubblicandone i risultati nel 1890; da questi appa- : isce come la tridimite degli Euganei, a differenza di tutte le altre, è trasfor- ■ Data in quarzo. Identica trasformazione subirono pure i cristalli dello stesso ^ uinerale raccolti dall'autore nella trachite di San Pietro Montagnon, da lui ^ nttoposti a misure goniometriche nello scopo di contribuire con le sue osserva- ^ ioni alla più dettagliata conoscenza di questo giacimento italiano di tridimite. Velie due tavole annesse sono date le figure di cristalli variamente ge- i ninati del minerale in discorso. - 100 — Boeris Gr. — Nuove osservazioni sopra i minerali della Comba di Compare p Rohert, [NttiiR. Acc. delle Se. di Torino, A"ol. XXXIY, disp. 12, , pag. 609-621). — Torino, 1899. — Idem. (EiAnsta di nLin. e crisi, ita- i liana, Yol. -XXIII, fase. l a III, pag. 20-32). — PadoA'a, 1899. Di questo giacimento di minerali, messo a giorno da una caA'a di. serpen- tina scistosa nelle vicinanze di A^ùgliana (Torino), lautore fece cenno in altra nota (vedi Bibl. 1897) nella quale illustrava V epidoto che tì si trova entro . una granatite ìa'ì esistente in piccole lenti compatte avvolte in un sottile strato h di clorito. Xella presente nota egli tratta di altri minerali e cioè della iJmejiite, ! • del diopside, della titanìte., d^ apatite e del granato. Jiilmeiiite trovasi in piccoli cristalli, che diedero 94° 26' per l’angolo del t romboedro fondamentale, il quale, sugli assi esagonali, corrisponde al rapporto i parametrico 1 ; 1,38235. Questo romboedro riesce quindi alquanto diverso di quello della ilmenite degli Urali, cui KokscharoAV assegna 94° 29'. Il diopside è in cristalli color verde-chiaro torbidiccio o verde-scuro e < trasparente, con abito dwerso e maggiore ricchezza di forme nei primi : essi \ aderiscono alla roccia (geode di calcite spatica) nelle maniere più svariate e sono ordinariamente di millimetri 2-3 di lunghezza e larghezza. La titanite è impastata entro la clorito, in piccoli cristalli e talora in bei geminati sufficientemente sviluppati, che fornirono buone misure in base delle quali, adottando l’orientamento • del Descloiseaux, l’autore calcolò l'angolo = 60° 12' e le costanti 0,75357 ; 1 : 0,85446. Ti apatite, pure entro la clorito, è in cristallini di abito assai SA^ariato e con forme riunite in combinazioni molteplici, la cui costante cristallografica si : trovò di 1:0,72840; essa è strettamente in rapporto colle apatiti dei giacimenti i analoghi di Yal d’Aia ed altri. Il granato, color giallo-miele, oltre alle forme ordinarie, mostra anche il triacisottaedro, forma non tanto frequente in questa specie. Xel testo sono intercalate le figure delle più importanti forme descritte. Bombicci L. — La Cubosilicite in un esemplare di legno silicizzato del Castelluccio presso Porretta nel Bolognese. (Eend. Sessioni E. Aec. ^ Se. dell’Istitnto di Bologna, X. S., Yol. Ili, fase. 3®, pag. 85-86). )j — Bologna, 1899. | È una breve comunicazione all’Accademia con la quale l’autore fa cono- « scere una singolare e interessante specie nuova di silice idrata, del tipo cal- ' \ — 101 — cedonio, cristallizzata in cubi; il che proA^a l’attitudine nelle particelle di silice idrata a produrre forme esaedriche regolari, in analogia con quelle della me- lanoflogite, della cristobalite, della sulforicina. L’autore richiama la grande AÙcinanza del romboedro primitivo del quarzo al cubo, d’onde la possibilità di ima tendenza di esso ad assumere una più perfetta simmetria ogniqualvolta ima lieve idratazione, o altre circostanze,' inducano lievi modificazioni nello I assetto delle particelle costituenti. Egli ritiene poi che i belli cristalli cubici j della calcedonia azzurrina di Tresztyan m ^ransilvania ritenuti effetto di , pseudomorfosi di fluorite, altro non siano che veri e propri Cristalli di Cnho- j silicite. I :i Boxareuli O. — Le Ammoniti del Rosso ammonitico descritte e figuraU ! da Giuseppe Meneghini. (Boll. Soc. malacologica italiana, YoL XX, pag. 198-220). — Pisa, 1899. ! L'autore, dopo aA^er fatto un esame dettagliato delle ammonitidee figurate ji dall'illustre Meneghini nella classica sua opera sopra i fossili del Bosso am- nionitico {Monographie des fossiles appartenants un calcaire rouge ammonitiqne i| de Lombardie et de VApennin de l' Italie Centrale, Milan, 1867-81) e in altra po- steriore {Knove ammoniti dell Appennino Centrale, Pisa, 1885), nello scopo di Ij riscontrare quali denominazioni adottate dal Meneghini A^adano sostituite da l| altre più in armonia con i progressi fatti negli ultimi tempi dalla scienza, rias - i: siirae in queste pagine il risultato del suo laA'oro dando per ogni tavola le ij rispettiA'e denominazioni modificate. Tra queste A^e n’ha 12 da sostituire ad i I altrettante date dal Meneghini per forme, che egli non riteneva appartenenti a : specie nuoA'e e che l’autore considera come tali. I' Bonarelli G^. — / fossili senoniani dell Appennino centrale che si con- j servano a Perugia nella Collezione Beliucci. (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIY, disp. 15^, pag. 1020-1027, con tavola), j — Torino, 1899. j Sono in tutto 19 esemplari che l’autore riferisce a 9 specie (7 echinidi, im pesce ed una pianta), fra le quali è nuovo lo Ptijchodus Belhiccii, analogo allo ' Pt. latissimiis Ag. ma da cui si distingue per le sue forme tipiche; questa ' specie proAuene dalla caA^a del Porello presso Sigillo sul A^ersante occidentale di Monte Cucco. Gli esemplari studiati provengono dalla scaglia rosata che neH'Appennino centrale costituisce un orizzonte limitato dai 30 ai 100 metri di — 102 — spessore. Interessante è poi il fatto di trovare fra esse una Calamìfopsis, pianta ■ che in Westfalia si raccolse nei terreni del Campaniano assieme ad altri fossili ji caratteristici di questo periodo ; dai che l’autore tenderebbe a riferire a questo \i livello la suddetta scaglia, che sarebbe perciò sincrona alla parte inferiore del » piano di Brenno in Lombardia ; esclude però in ogni caso che la scaglia rossa deir Appennino centrale e delle Prealpi venete appartenga, sia pure in parte, al Damano, mentre sopra di essa havvi la scorglìa cinerea che pure presenta numerosi fossili senoniani. nella tavola annessa sono date le figure in grandezza naturale di 7 fra ? le forme descritte, ivi compreso un grosso dente dello Ptgchodiis Belliiccii Bon. j( Bonarelli Gr. — Escursioni della Società geologica italiana nei dintorni\ di Ascoli Piceno. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XYIII, fascicolo 3^, il pag. Lvm-Lxvii, con carta). — Eoma, 1899. | Queste escm’sioni, fatte in occasione della riunione annuale della Società \ in Ascoli nel settembre 1899, sono due e cioè alla Montagna dei Fiori e ad Acquasanta. I nella prima, dopo attraversati i terreni quaternari della vallata del Tronto I e le colline mioceniche alla destra di questa, in direzione di Teramo, si rag- giunse al villaggio delle Ripe l’eocene medio ivi rappresentato da argille sca- gliose alternanti con calcare biancastro a piccole nummuliti e frammenti di Pecten, di Cidariti e di Briozoi. Da qui la comitiva risalì la valle del SalineUo che divide la Montagna dei Fiori da quella di Campii, dove si vide ripetuta la serie secondaria dell’ Appennino Centrale, nota in altre escursioni della So- ' cietà, e cioè dal basso in alto: 1. Calcare massiccio, talvolta oolitico, con numerosi fossili, del trias j .superiore e calcare sub cristallino del lias inferiore. ' 2. Calcari bianchi, macchiati di rosso e fossiliferi, del lias medio. | 3. Calcari marnosi grigiastri con fucoidi ed ammoniti del lias superiore. ! 4. Calcare bianco del Dogger, scisti ad aptici del Malm e calcare com- . patto del Titonico. 5. Calcare maiolica del Xeocomiano. 6. Scisti a fucoidi dell’Albiano. i 7. Calcare ippuritico del Cenomaniano. 8. Calcare rosato del Turoniano. 9. Scaglia rosata del Senoniano. 10. Scaglia cinerea e calcare leggermente marnoso detto bisciaro. jN'ella gita ad Acquasanta, rimontando il Tronto,, dai soliti depositi qua- ternari, fra cui i travertini estesissimi, si passò alle molasse gessifere del mio- cene superiore, alle marne fossilifere del miocene medio, quindi direttamente alle argille scagliose ed ai calcari nummulitici anzidetti, mancando ivi tutta la serie intermedia, e da ultimo alla scaglia cinerea ed alla scaglia rosata dei Senoniano, il tutto coperto qua e là da depositi travertinosi fra cui quello po- tentissimo di Acquasanta sulla destra del Tronto, dove esiste una fra le più notevoli sorgenti termali sulfuree d’Italia, sgorgante al limite fra il deposito quaternario e la scaglia cinerea. Alla Relazione è unita una Carta geologica della Montagna dei Fiori e regione circostante rilevata dallo stesso autore, con una sezione naturale di detta Montagna quale si vede lungo la valle del Salinello. : Boxarelli Gr. — Alcune fonnazionì terziarie fossilifere dell' Umbria. ' (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XYIII. fascicolo pag. 484-490). — i Roma. 1899. i Si tratta di giacimenti indicati in un lavoro dei signori Yerri e De An- ! gelis sul miocene delTUmbria (vedi più avantil e da essi ritenuti come sincroni e del tutto corrispondenti, mentre, secondo rautore, sono diversi per facies, I per condizioni tettoniche e per caratteri paleontologici : e su questi tre punti egli fu alcune considerazioni in appoggio alla sua tesi, dalle quali risulta che il riferimento al miocene di quella formazione non è basato sui fatti. In più, I conchiude Tautore. neirUmbria settentrionale non si hanno ancora indizi sicuri di terreni riferibili a questo livello : non escludendo però la possibilità che i depositi a Lucina possano, in seguito ad ulteriori e più fortunate indagini pa- I leontologiche, ritenersi miocenici, mentre esclude un simile riferimento per le I marne dure a Pteropodi delle località indicate dai predetti autori. j Borsieri C. — Escursione geologica a S.E di Roma, (Boll, del Natura- I lista. A. XIX. p. 59-611. — Siena. 1899. I' lì E la breve relazione di una escursione fatta alF Acquasanta presso la |i via Appia nuova, al Tavolato, a Capo di Bove, a S. Sebastiano sulla via j' Appia antica, con osservazioni suUe roccie incontrate e sui minerali che esse contengono. - 104 — Bosco C. — Hystrix etrusca n. sp. (Palaeontographia italica, Yol. lY, pag. 141-154, con 2 tavole). — Pisa, 1899. Questa nuova specie è basata su resti trovati nelle argille turchine plio- ceniche del Yaldarho superiore (Museo di Montevarchi), nelle ligniti di Ghi- vizzano (Museo di Pisa) ed altri esistenti nel Museo paleontologico di Pii-enze, L’autore fa un’accurata descrizione di questi avanzi ed un confronto di essi colle specie viventi, di cui ebbe esemplari da diversi musei, concludendo che la nuova specie era di statura di un terzo superiore a quella delle maggiori attuali : essa è inoltre bene distinta da tutte le forme sin qui conosciute, tanto fossili che Avventi, e difficile è il giudicare quale più ad essa si avvicini, quan- tunque la H. cristata e la H. hirsutirostris, fra le AÙventi, sieno le più affini. IN^elle tavole è data la figura di due crani tro Am ti presso TerranuoAm Brac- ciolini nel Yaldarno superiore e di altri resti prò Annienti dallo stesso Yaldarno,. da Ghivizzano nella valle del Serchio e da Oli vola in quella della Magra. Bosco C. — / roditori pliocenici del Valdarno superiore. Nota prelimi- nare. (Bendiconti R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. YIII, fase. 9®,. 2° sem., pag. 261-265). — Roma, 1899. L’autore, che ha fatto uno studio completo degli aAmnzi di questi animali conservati nel Museo paleontologico dell’Istituto di studi superiori in Firenze ed in quello dell’Accademia Yaldarnense in MonteAmrehi, ne dà ora un cenno> preliminare. Le forme da lui riconosciute, e di cui descrive gli avanzi, sono: Castor plicidens Major, Trogontherium Cuvieri Fischer, Arvicola pliocenicus Major, Hgstrix etrusca Bosco, Lepus Valdarnensis Weithofer, Lepiis etrnsciis n. sp., Lagomys sp. Inoltre, nel Museo di Firenze, egli troA^ò delle ossa di Lepus, che per dimensioni si corrispondono e do Adotterò appartenere ad indi- A^idui di statura un po’ maggiore del L. mediterraneus, cioè intermedia fra il valdarnensis e Yetrusciis : mancano però gli elementi per riferirli aU’una piut- tosto che all’altra di queste due specie fossili, e fors’anche ad una terza. Brugnatelli L. — tJeher ein wahrscheinlich neues Minerai aus den Asbest- grnben in Val Brutta ( Veltlin). (Groth, Zeitschrift fiir Krystatì. imd Min., B. XXXI, H. I, pag. 54-55). — Leipzig, 1899. Questo minerale fu rinvenuto, in forma di piccole scaglie bianchissime associate con cristallini prismatici, sopra un frammento di roccia asbestifera insieme con asbesto (crisotilo), calcite e magnetite. I cristallini sono a 4 faccio — 105 — con base, ed ai caratteri ottici si rivelano del sistema rombico con angolo degli assi di 35®; la doppia rifrazione ne è negativa e non molto forte; il peso spe- cifico medio 2,013. Dal saggio chimico possibile sulla piccola quantità di materia di cui l’autore disponeva, risultò trattarsi di un carbonato idrato di magnesio. Il minerale però, pei suoi caratteri, non può attribuirsi ad alcuna delle specie di analoga composizione conosciute finora; da ciò il dubbio fondato che si tratti di un mmerale nuovo, dubbio che si risolverà quando sarà possibile una analisi quantitativa. Brugnatelli L. — Ueber eine interessante Mineralassociation der Asbest- i griiben vom Val Lanterna (Veltlin). (Grroth, Zeitschrift fiir Krystall. iind Min., B. XXXI, H. I, pag. 55-56). — Leipzig, 1899. I Questa associazione, osservata dall’autore nei giacimenti d’asbesto di Yal I Lanterna, componesi di cristalli di magnesite^ dolomite e aragonite. La prima fonna degli aggregati color giallo chiaro fra le fibre dell’asbesto ; la seconda dei cristalli bianchi o talvolta brunastri sopra i detti aggregati; la terza dei cri- stalli lamellari e prismatici in quantità notevole fra le fibre dell’asbesto o sopra gli aggregati di magnesite. Cristallini e granelli di magnetite titanifera accom- pagnano i tre minerali. Sembra poi che la magnesite . sia stata la prima a for- marsi, ed è notevole che il carbonato di calcio, in presenza della magnesite, 1 siasi costituito in aragonite anziché in calcite. Anche per rispetto alle loro par- . ticolarità cristallografiche questi minerali, in special modo la magnesite, sono assai interessanti, per il che di esse Fautore fa una dettagliata descrizione. I pesi specifici furono trovati rispettivamente; 3,062; 2,847; 2,936. I Brugnatelli L. — Ueber ein alpines Vorkommen von Chrgsoberyll. i (Crroth, Zeitschrift fiir Krystall. und Min., B. XXXII, H. I, pa- gine 81-82). — Leipzig, 1899. i Questo minerale, finora in Eui’opa noto soltanto a Marschendorf in Moravia ; (benché Fautore ne abbia avuto di recente un campione da Helsingfors in Fin- 1 landia). è stato ora riconosciirto nei dintorni di Sondalo in Yaltellina, dove troA^asi I con altri minerali entro una pegmatite molto quarzifera, associato con un granato ; bruno rossiccio. Esso vi si presenta abbondante, parte in lamelle larghe e sot- tili, parte in cristalli ben conformati, di colore variabile dal verde giallastro ' al verde oliva sporco, poco tiasparenti od anche affatto opachi, t — 106 — In complesso questo giacimento italiano è uguale a quello di Moravia, dove pure il crisoberillo trovasi entro una pegmatite : con la differenza che là vi si accompagna col berillo che manca nella roccia di Sondalo, dove abbonda invece la biotite. Brugnatelli L. — Ottaedrite e brooTiìte della Piattagrande presso Son- dalo in Valtellina. (Eendiconti del E. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXII, fase. XIX-XX, pag. 1405-11). — Milano, 1899. — Idem. (Eìt. di min. e crist. italiana, Yol. XXIII, fase. I a III. pag. 37-43). — Padova, 1899. Questi due minerali furono sinora raramente osservati nella regione alpina italiana e cioè solo a Yillarfocchiardo (Yal di Susa) dal Piatti, a Beura (Yal d’Ossola) dallo Spezia, nella Yal Trompia dall’ Artini e, limitatamente alla ottae- drite nel Biellese da Quintino Sella. Si tratta quindi di un nuovo giacimento scoperto dalFautore, che per la gran copia e la bellezza dei cristalli, supera i precedenti e sta alla pari con i principali giacimenti conosciuti dell’estero. I due minerali si trovano, nella località indicata, entro druse ricoprenti le pa- reti di ima grande frattura nella roccia gneissica, costituite essenzialmente da cristalli di quarzo, di adularla, di albite e ricoperto in gran parte da aragonite, da calcite, da siderite e da abbondante limonite proveniente da alterazione della pirite esistente in notevole quantità nella roccia. L’autore dà nella sua nota le caratteristiche cristallografiche da lui osser- vate su esemplari delle due specie. Cacciatali G-. B. — Rilievo geologico tra Brescia e Monte Maddalena. (Commentarii dell’Ateneo di Brescia, Anno 1899 ; estratto di pag. 27, con carta). — Brescia, 1899. La regione illustrata con questo lavoro stendesiper circa 30 kmq. al nord- est di Brescia ed è costituita essenzialmente dal gruppo del Monte 3Iaddalena culminante a m. 875 sul mare, il cui versante occidentale manda l'erso ovest tre contrafforti, di cui il settentrionale finisce presso Mompiano ed il meridionale al Colle Cidneo entro la città stessa. Le roccie di questo gruppo montuoso pre- sentano due tipi di calcari conosciuti in luogo sotto i nomi di corna e di medòlo, il primo in basso della serie, di colore bianco e d’apparenza massiccia, il se- condo al disopra spesso marnoso con noduli e straterelli di selce: essi appar- tengono al lias inferiore e mèdio, e sono dall’autore divisi in sette orizzonti — 107 litologici che vanno dal Charmoutiano superiore (Domeriano di Bonarelli) al Sinemnriano inferiore. La potenza complessiva del sistema è di circa m. 1400, di cui 1000 spettano al medòlo e 400 alla corna. In quanto alla tettonica risulta che la parte settentrionale del gruppo ed il contrafforte di Mompiano presen- tano una disposizione stratigrafica regolare con pendenza ad mentre le altre parti si mostrano come masse indipendenti per effetto di fratture con faglie. L'autore rifa quindi la storia delle fasi orogenetiche della regione e cerca le cause della sua attuale conformazione, considerando dapprima i fatti di cor- rugamento che determinarono il rilievo originario, quindi quelli di alterazione e d’erosione che modificarono l’orografia e la petrografia primitiva. A propo- sito di quest’ultima egli accenna al fatto della dolomitizzazione di una parte della corna, che in base a diverse considerazioni, potrebbe derivare da emanazioni di vapori magnesiaci, in rapporto con probabili eruzioni vulcaniche terziarie comprovate dalla presenza di scorie peridotiohe nella valletta di Santa Eufemia, analogamente a quanto a^^v^eniva in quell’epoca nella regione veronese. Anche li medòlo subì delle alterazioni litologiche, con fissuramento e sfarinamento, da cui un mantello di detrito siliceo o d’argilla ocracea sotto il quale è di fre- quente sepolta la roccia. Tratta infine dei posteriori fenomeni di erosione, cui si devono tutte le vallette della regione coi relativi conoidi di defezione. IS'ella cartina unita sono distinti a colori 6 orizzonti litologici del medòlo , cui l'autore dà nomi locali, il piano della corna ed i vari conoidi di defezione. Cacciamat.i Gl. B. — Oeologia delle colline circostanti a Brescia. (Rivista mensile del Club alpino it., Yol. XVIII, n. 10, pag. 432-433). — Torino. 1899. — Idem. (Rivista it. di Se. nat., Anno XIX, n. 11-12, pag. 143-145). — Siena, 1899. — Idem. (Boll. Soc. Gleol. ital., Voi. XVIII. fase. 3^, pag. lxxi-lxxiv). — Roma, 1899. È un riassunto della memoi-ia precedente, letta all’Ateneo di Brescia nella Hfduta 23 luglio 1899. ( ■AMERAXA E. — Intorno aW origine del calcare metallifero delVIglesiente. (Resoconti riunioni Associazione mineraria sarda, Anno IV, n. 6, seduta 18 giugno 1899, pag. 4-7, con tavola). — Iglesias, 1899. Confutando le idee espresse dell’ing. Dietz (vedi Bihl. 1898)., circa l’origine dei giacimenti metalliferi della Sardegna per azione metamorfica che avrebbe trasformati gli scisti argillosi in calcari, l’autore espone una serie di fatti, dovuti — 108 - ad osservazione sua e di altri, in base ai quali trova ai^onienti per combattere la nuova teoria. ^N'ella tavola sono date due sezioni geologiche in appoggio della tesi soste- nuta dalFantore. Canavari M. — La fauna degli strati con Aspidoceras acanthicum di Monte Serra presso Camerino, Parte 3^ [Cephalopoda : Simoceras). (Palaeontograpliia italica, Yol. lY, pag. 253-262, con 3 tavole). — Pisa, 1899. In questa terza parte del suo lavoro (vedi Bihl. 1898) l’autore prende in esame i cefalopodi del genere Simoceras (continuazione) illustrandone quattro specie e cioè; S. Fncijiii n. sp. aff. a S, Beniamim Cat., S. paraferes n. sp. aff. a S. teres Yeiim., S. (?) Grecai n. sp. aff. a S. favaraense Gemm. e S. peltoideam Oemm., S. Liidovicii Mgh. ' Come vedesi tre delle quattro specie descritte sono -nuove. Tutte sono poi figurate nelle tavole, con dettagli intercalati nel testo. vCaxavari M. — Ostracodi siluriani di Sardegna. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XI, Ad. 7 maggio 1899. p. 150-153). — Pisa, 1899. Bornemann fu il primo che nel 1858 trovò ostracodi negli -scisti silmlani di Sardegna e le specie scoperte furono descritte nel supplemento al Yol. II della Parte 3^ del Voyage en Sarda igne del Lamarmora, pubblicato nel 1860. Ora l’autore fece ricerca di questi fossili nel banco di calcare nero qhe a Xea Sant’Antonio nel Fluminese sta incluso nella parte superiore di quella forma- zione scistosa e, in questa nota preventiva, fa conoscere la presenza in quel •calcare di ima microfauna di tali organismi, insieme con numerosissime specie di cefalopodi, gasteropodi, lamellibranchi e brachiopodi non ancora citate pel siluriano di Sardegna. Xegli ostracodi predominano le forme del genere Entoinis, con la caratteri- stica E. migrans Barr. finora nota solo in Boemia e tre specie nuove; E. pteroides, E. IcJinnsae. E. Zoppii. Segue per frequenza di, esemplari il genere Begrichia: vi si ti’ovano poi due specie del genere Bolbosoe, l’ima corrispondente alla B. bohemica Barr., laltra affine alla B. .Toltesi Barr. Gli ostracodi ritrovati nel siluriano di Sardegna saranno descritti dall au- tore nel Yol. Y della Palaeontographia italica. Caxavari M. — Hoplitì titoniani delV Appennino centrale. (Atti 8oc. to- scana di Se. nat. : Memorie, Yol. XTII. pag. 95-103. con tavola). — Pisa. 1899. Ti sono descritte tre specie nuove di raccolte nel Titoniano supe- riore dei monti della Rocchetta, facenti seguito al gruppo del Sanvicino verso nord. Esse sono : H. aesinensis appartenenti alla serie della H. Chaperi Pict. ; H. heterecosmiis e H. Boiiareìlii della serie della H. Enthymi Pict. Gli originali sono tutti figurati nella tavola annessa. Caxcaxi a. — Periodicità dei terremoti adriatico-marchigiani e loro ve- locità di propagazione a piccole distanze. (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, S. T, Tol. Vili, fase. 2®. 1° seni., pag. 76-79). — Roma, 1899. j Xello studio del terremoto 21 settembre 1897, avente il suo epicentro nel- ■ j l'Adriatico a chil. 20 dalla costa tra Fano e Senigallia, Pantore giunse a due risultati importanti che egli pone in rilievo nel presente scritto, e cioè: P La spiccata periodicità dei più intensi terremoti conosciuti che, coll’epicentro nel- ! l’Adriatico, hanno colpito la costa delle Marche ; 2*^ La determinazione della velocità di propagazione delle onde sismiche per piccole distanze. Da una tabella dei dodici terremoti più forti registrati nei vari cataloghi, ! si vede come le coste marchigiane e romagnole Vennero scosse a periodi di 100 j (più o meno 14| anni da terremoti di intensità media, cui succedono con inter- || valli di 23 (più o meno 10) anni altri terremoti d’intensità minore. Un solo ; ! terremoto rovinoso sfugge a questa regola, ed è quello del 24 aprile 1741. Da un'altra tabella si rileva che la velocità di propagazione a piccole di- ri stanze, sempre piccola in confronto di quella a grandi distanze, va crescendo Ucol propagarsi del moto ondulatorio. Le differenze poi fra le velocità osservate iijnei vari terremoti sono dovute alle diverse intensità degli impulsi parziali e » sovratntto alla varia costituzione dei terreni attraversati. i :jCAPEDER G. — Sili fenomeni di erosioue nei dintorni di Brà e di Ca- i stellamonte [Piemonte). (Boll. 8oc. Geol. ital., Yol. XYIII, fase. 3®, pag. 309-314. con tavola). — Roma. 1899. 1 Xelle colline di Brà il tei-reno maggiormente sviluppato è FAstiano, con le solite sabbie gialle, occupanti una larga zona che si stende fra Brà e Som- ■ iraariva Perno e continua poi per Canale, Asti, ecc., ecc., formando ampie col- — 110 - line leggermente ondulate e spesso pianeggianti. La caratteristica di questa terreno sta nei burroni e nelle Talli profondissime a pareti Terticali; dovute a grandiosi fenomeni di erosione. In questo scritto Fautore illustra con alcuni esempi la genesi di tali fenomeni e il modo di procedere della erosione, ve- nendo a conchiudere che si possono avere valli profondissime e piramidi di erosione anche senza intervento di un masso protettore, come a^"vdene general- mente nei terreni morenici, purché vi sieno sabbie ed elementi fini e uniformi, facilmente asportabili dall’acqua ma resistenti e compatti a secco ; perchè allora il terreno difficilmente franasi e l’acqua, per la verticalità delle pareti, vi scorre sopra senza molto penetrarlo e senza produrre lo sfasciamento degli strati sot- tostanti. Fatti analoghi, conducenti alle medesime conclusioni, furono osservati dal- l’autore nelle vicinanze di Castellamonte (Ivrea) dove esistono pure delle pira- midi in terreni alluvio- glaciali, benché con caratteri fisici alquanto diversi dai primi. Xella tavola sono rappresentate vedute illustranti i fenomeni descritti. Capellini Gl. — Balenottere mioceniche di San Michele presso Cagliari (Memorie R. Acc. Se. Istituto di Bologna, S. Y, T. YII, fase. 4®,. pag. 661-678, eon 2 tavole). — Bologna, 1899. — Sunto in (Bendi- eonto R. Aee. Se. Istituto di Bologna, N. S., Yol. Ili, fase. 8®, pag. 75-77). — Bologna, 1899. Trattasi di ossa trovate entro la pietra cantone o calcare argilloso mio- cenico dei’ dintorni di Cagliari ed appartenenti a due individui specifica- mente differenti del genere Aulacocetiis, che l’autore denomina A. calaritanns e A. Lo vi sa ti. Prima di fare la descrizione di questi avanzi egli riassume brevemente la storia dei resti di Balenottere rim^enuti in Europa, riportando le conclusioni del Brandt, secondo il quale i resti di Balenottere mioceniche, in specie quelli di Baltringen e di Croazia vanno riferiti al genere anzidetto ; ricorda a tale uopo quelli trovati a Gralatone in Terra d’Otranto entro la pietra leccese e da lui studiati nel 1877. Descrive quindi minutamente i resti di San Michele, con- sistenti in due notevoli porzioni di cranio delle due specie, con la regione tempore-occipitale bene conservata, in frammenti di mascellare, avanzi di man- dibole, vertebre, frammenti di coste, ecc,, ecc. Yelle due tavole che accompagnano la memoria sono riprodotti i resti delle due specie nuove. — Ili — ì Carapezza e. e Schopen^ L. F. — Sopra alcune EhYnchonellinae della Sicilia. (Griornale della Soc. di Se. nat. ed economiche, Yol. XXII, pag. 40 in-I*’ con 4 tavole). — Palermo, 1899. Sono 20 specie, conservate nel Museo geologico dell’Università di Palermo, di cui 18 appartenenti al lias inferiore, una al superiore ed una al Titonico. 1 Le prime provengono da diverse località e precisamente: 8 dai calcari coni- I patti grigio -scuri di Monte Gibilforni presso Palermo, 4 dal calcare compatto ' di Monte Pellegrino pure presso Palermo, 4 da quello di Bisacquino in pro- ! vincia di Palermo, 1 da quello dei dintorni d’Isnello nella stessa provincia e 1 I finalmente comune a Monte Pellegi'ino ed a Bisacquino. La specie del lias ; superiore, la sola che non sia nuova, fu raccolta negli strati con Leptaeiia dei K dintorni di Taormina, e Tultima nei calcari tra Chiusa Sclafani e Palazzo tl Adriano insieme con ammoniti certamente titoniche. ) I Per una delle prime, la Rh. globosa trovata in contrada Cappelluzza della |:| Madonna, presso Bisacquino. gli autori propongono il nuovo sottogenere Gegeria \ per i suoi caratteri particolari. A questo sottogenere viene riferita con certezza la speci© retica Rh. Gegeri Bittn. e dubbiosamente la Rh. Hoffinaimi Bockh del i lias inferiore. j Alla descrizione delle specie segue la bibhografia del genere Rhynchonel- \\liììa. istituito dal Genimellaro nel 1871 sopra sole quattro specie e poi da altri "-Accresciuto in seguito a successive ricerche, e che nella presente pubblicazione ptroA'a un novello contributo. Xelle quattro tavole annesse sono figurate tutte le specie descritte. i /‘-ASSAETTI INI. — Osservazioni geologiche su alcuni monti tra le valli del I Volturno e del Liri. eseguite nel 1898. (Boll. E. Comitato Geol., i Voi. XXX, n. 3. pag. 218-243, con taA^ola). — Eoma, 1899. (| È la solita relazione annuale sul rilevamento geologico eseguito dall’autore . lel 1898, in continuazione di quelli degli anni 1894-95-96 nello stesso gruppo >|vedi Bihì. I In es.sa hawi una dettagliata descrizione dei caratteri litologici, stratigrafici Ji paleontologici dei vari terreni che costituiscono i monti della regione meridio- • liale della 5Ieta in Terra di Lavoro, e propriamente quelli compresi tra la valle ilei Volturno sotto Castellone S. Vincenzo e quella del Liri tra Sora e Bocca l’Arce, nei quali sono rappresentati il lias (dolomia cristalhna friabile), i piani : ’Jrgoniano e Turoniano del cretaceo (calcari diversi) e l’eocene (calcari e scisti). i — 112 — Dà pure un cenno sui monti di Settefrati, S. Donato e Alvito. dove affio- i i*ano i medesimi terreni. Il fatto più saliente è la descrizione di un potente deposito di terreno i pliocenico di origine terrestre, costituito di travertino, conglomerati sabbiosi e argille sabbiose, che si estende sulla sponda sinistra del Diri tra Sora e Arpino. ' Questo deposito è attribuito dall’autore alla esistenza di un lago formatosi nella detta regione colle acque del Melfa, del Éibreno e del Diri nell’epoca pliocenica^ prima che il Melfa si fosse aperta l’attuale via di sfogo incidendo la massa calcarea tra Casalvieri e Roccasecca. jN’ella tavola sono disegnate, in scala di 1 a 100000, sezioni geologiche nel gruppo della Meta, in quello di Monte Cairo e nei monti di Atina e Alvito. CECCHi-MENGARim E. — Ricerche su cdciini petroli italiani. (Grazzetta chimica italiana. Anno XXIX, P. 1^, fase. YI, pag. 460-470, con tavola). — Roma, 1899. Queste ricerche, d’indole puramente chimica, furono fatte su tre petrolii dell’ Emilia, provenienti dai noti giacimenti di Salsomaggiore, Ozzano-Taro e Yelleja. Dai risultati ottenuti d’autore deduce che questi petrolii emiliani si avvicinano per la loro natura a quelli della Russia, mentre sono bene distinti ] (la quelli prov^enienti dall" America. 1 ' ì Checchia G^. — Escursione geologica ai Colli Labiali. (Boll, del Xatu- ;i ralista, A. XIX, pag. 78-79). Dà relazione delle cose osservate in una gita scolastica nel Yulcano La- ziale toccando Marino, Rocca di Papa, Mónte Cavo, Ariccia, Albano e Castel Gandolfo. Clerici E. — Sui recenti scavi per il nuovo ponte sul Tevere a Ripetta in Roma. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XVIII, fase. 3^, pag. 501-509). — Roma, 1899. Approfittando degli scavi eseguiti per la costruzione del nuovo Ponte Cavour in Roma, l’autore fece ima serie di osservazioni allo scopo di confer- mare e completare le notizie geologiche pubblicate dal Meli nel 1880 in occa- sione delle fondazioni del ponte detto di Ripetta, attiguo al predetto e costruito nel 1878, e in particolare per rintracciare quel materiale torboso che servì — 113 — f al suo studio sulla flora rinvenutavi e pubblicato nel 1883 {Boll. Soc. Geol. it., Voi. XI). In tali ricerche l’autore rinvenne, in uno strato sabbioso soprastante, moUnschi fossili di specie marine e continentali, i primi fortemente logorati, gli altri meglio conservati malgrado la sottigliezza del guscio: altri molluschi, specialmente d’acqua dolce, trovò ottimamente conservati in una argilla bigia sottostante con filliti, quasi esclusivamente del genere Salix, con numerosi strobili di Alnns e altri avanzi vegetali, presso a poco delle stesse specie già rinvenute nel materiale del 1878. Solo nello scavo della seconda pila a destra si rinvenne il materiale torboso, con spc'ssore di metri 0. 50, nettamente stratificato e com- preso entro sabbie grigie, ancor’ esse ricche di residui vegetali. lie foglie di Fagns sijlvatica Linn. formano la parte principale della torba, unitamente a quelle, meno frequenti, di Popnlus alba Lina, e di Acer campestre Linn. La trivellazione più profonda raggiunse i metri 25, 72 sotto il mare, e nemmeno con questa furono raggiunte le argille plioceniche che, come è noto, esistono alla sinistra del Tevere aUe falde del Pincio. Dalle fatte osservazioni l’autore conchiude: che i fossili marini contenuti nelle sabbie provengono da formazioni anteriori; che le specie continentali stanno un po’ dappertutto ma, per essere di piccole dimensioni, prevalgono nelle sabbie sottili; che non è ammissibile una differente distribuzione delle specie marine a seconda della profondità; che i molluschi, tanto marini che continentali, contengono nella loro cavità la stessa sabbia che li include, mentre >alora ai primi aderisce parte della roccia che li inchiudeva in origine; che le sabbie, anche più profonde, contengono frammenti di tufi d’ogni specie, il che ndica la loro formazione posteriore a questi e a maggior ragione ai tempi Dliocenici. Tutto ciò, insieme al rinvenimento deH’argilla con filliti, dà una luova prova che tutta la formazione è d’acqua dolce e postpliocenica. Cocchia E. — La forma del Vesuvio nelle pi f tur e e descrisioni antiche (pag. 68). — Xapoli, 1899. E opinione divisa da molti autori che il Vesuvio, prima della celebre ;ouflagrazione del 79 d. C., fosse tutto un gran cono e che in seguito a questa, le fosse demolita la parte sud-ovest, ed ivi sorgesse un nuovo cono che poi orese il nome di Vesindo, restando all’antica sponda del cratere rimasta quello di >omma. Contro tale opinione oltre allo storico J. Belloch sorse ultimamente il De Lorenzo che allegando un dipinto rinvenuto ad Ercolano, di cui esiste una •iproduzione rappresentante il Vesuvio con diie prominenze, vi riconosce le ittuali cime del Somma e del Vesuvio. L’autore in questa memoria, valendosi — 114 — di argomenti storici e naturalistici, sostiene l’opinione antica più gèheralrnénte ammessa dai geologi e dai geografi. Citato lo Strabono e diversi altri antichi scrittori che più o meno esplici- tamente accennarono alla rovina del cratere, l’autore confuta l’obiezione basata sulla pittura di Ercolano dimostrando che essa rappresenta una veduta presa da questa città, corrispondendo esattamente all’aspetto del Somma visto da Resina che sta sopra la città sepolta, A sostegno della sua opinione ricorda quindi due pitture di Pompei che egli illustra. Il testo è corredato e illustrato da otto figure che riproducono le diverse vedute ricordate in questa memoria. Colomba L. — Su alcuni materiali da costruzione in leucotefrite dM sottosuolo di Torino. (Atti R. Acc. Se. di Torino, Yol. XXXTY, ' disp. 13% pag. 726-745). — Torino, 1899. Trattasi di una roccia leucitica, durissima, scoperta in prossimità di alcuni ruderi di mura romane nel sottosuolo di Torino, dove formava rivestimento nelle parti superiori di un pozzo. Trattandosi di un materiale non esistente nei dintorni della città, l’autore volle studiarlo petrograficamente per dedurne i la provenienza. Egli ne fa quindi una descrizione dettagliata, seguita dal con- fronto con altre roccie leucitiche esistenti nel Museo mineralogico di Torino o procuratesi dai vulcani dell’Italia centrale e meridionale, utilizzando per ciò anche lavori pubblicati da altri che di questa roccia si occuparono. Dall’esame microscopico risulta che la roccia è una lencotefrite pirosseììica, i avente disseminati allo stato porfirico la leucite, il pirosseno, la sanidite ed un felspato basico; mentre la massa fondamentale si presenta costituita da oligo- . clasio, pirosseno, leucite, magnetite ed apatite, oltre ad una certa quantità di sostanza vetrosa. ~ ' Dai confronti fatti risulta che le maggiori analogie si hanno con le roccie leucitiche deiYulcani Cimini in provincia di Roma, dove, più che in ogni altro 1 gruppo esistono roccie che petrograficamente si avvicinano a quella di Torino; - e in particolare la leucotefrite della Madonna del Lauro presso Yetralla, attuai- i mente scavata come materiale da costruzione e probabilmente utilizzata anche nei tempi di Roma antica. Resta però un mistero il perchè si trasportassero i materiali di tal genere a tanta distanza ed in località dove al certo non dove- vasi sentirne il bisogno. ( Continua). ! PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (^31 marzo 1900) LIBRI f Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXX, dal 1870 al 1899. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem delUabbonamento annuale in Italia ......... 8 — Idem idem all’estero . » lO — i ( Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Un volume in-4'’ di pag. 364 con tavole e carte geologiche » 35 — Voi. Il, Parte 1^. Firenze 1873. — Un volume in-4'^ di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. II, Parte 2*. Firenze 1874. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. III, Parte 1*. Firenze 1876. — Un volume in-4* di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 — Voi. Ili, Parte 2*. Firenze 1888. — Un volume in-4® di pag. 230 con tavole »15 — Voi. IV, Parte 1*. Firenze 1891. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole ' » 8 — Voi. IV, Parte 2*. Firenze 1893. — Un volume in-4® di pag. 214 con tavole «16 — r lemorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci: Descrisione geologica i dell’Isola di Sicilia, — Un volume in-8® di pag. 436 con tavole e { una Carta geologica » 10 — Voi. II, Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 266 con tavole e una j Carta geologica » 10 — Voi. III, Roma 1887. — A. FabrI: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Voi. IV, Roma 1888.— G. ZOPPI : Descrizione geologico-mine- raria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8^ di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica. » 15 — I — 116 — Voi. V, Roma 1890. — C. De CASTRO: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus {Sardegna). ■ — Un,_ volume i 11-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologied-mineraria. ' L. Voi. VI, Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa » Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. Sabatini: Descri- zione geologico-petrograjìca delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche » Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI: Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima m Toscana. — Un v-o- . lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica ì> Voi. IX, Roma 1895. — E. CORTESE: Descrizione geologica , della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, tavole ; ed una Carta geologica » CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1,000 000, in due fogli: 2® edizione.^ — Roma 1889. ... . -. . . . . . Prezzo L. 10 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 — NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio N. 262 (Monte Etna). . L. 5 — » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 ('Mazzara del Vallo)» 3 — » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) . . . » 4 — » 250 (Bagheria) . . . .) 3 — » 267 (Canicattì) ...» 5 — » 251 (Cefalù) .... » 3 — » 268 (Caltanissetta) . » 5 - 0 252 (Naso) .... » 4 — » 269 (Paterno) ...» 5 — » 253 (Castroreale) . . . » 4-^ . » 270 (Catania) . . . » S — » 254 (Messina) . j . » 4 — » 271 (Girgenti) . . . » 3- » 256 (Isole Egadi) , . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 — » 2'57 (Castelvetrano) . j) 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 — » 258 (Corleone) , . . » 5 — » 2';^4 (Siracusa) ...» 4 — » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 — » 260 (Nicosìa) . . . » 5 — )> 276 (Modica) . . ) » 3 — » 261 (Bronte). . » 5 — » 277 (Noto) .... » 3 — Tavola di sezioni N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 — » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) . . » 4 — » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 26,2). . » 4 — ». » N. IV (annessa, ai fogli 257 e 266) . . , . » 4 — » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) .... » 4 — — 117 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — N8. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 — )) 150 (Roma) . . . » 5 — » 158 (Cori) . . . . » 4 — Foglio N. 142 (Civitavecchia) . L. 4 — » 143 (Bracciano). . » 5 — » l44 (Palombara) . » 5 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150) — L. 4. Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in quattro fogli e tre tavolfe di sezioni, con copertina. - Roma, 1897 . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: . . . L. 5 — Foglio Stazzema . . . . . L. 5 — . . . » 5 — » Serravezza » 3 — Foglio Carrara . . » Castelnuovo Le tavole di sezioni, ciascuna L. 5. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000; ne sono pubblicati i fogli seguenti: Foglio N. 236 (Cosenza) . . . L. 4 — Foglio N. 245 (Palmi). . .. . L. 3 — » 237 (S. Giovanni in F.) * 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 247 (Badolato. . . )) 3 — j » 241 (Nicastro) . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . )> 4 — 1 » 242 (Catanzaro) . . » 4 — » 263 (Bova) . . . . )» 3 — 1 » 243 (Isola Capo Riz- j zuio) >'V 3 — » 264 (Staiti) . . . . » 3 — Tavola di sezioni N. I e N. II, ciascuna . . L. 4. Carta geologica dell’Isola d’Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni, — Roma, 1886 ^ » 5 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabns (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 5 — 3 — 1 Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in lìoma, Bologna, Milano e Napoli. 118 In corso di stampa Memorie descrittive delia Carta geologica d'Italia : Voi. X. — V. Sabatini, Descrizione geologica del Vulcano Laziale, con Carti geologica annessa e taA^ole diverse. Carta geologica della Calabria nella scala di i a 100,000 -. Fogli X. 220 (Verbicaro). » 221 (Castrovillari). » 222 (Amendolara). » 228 (Qetraro). Fogli X. 229 (Paola). » 230 (Rossano). » 231 (Girò). » 254 (Reggio). con una tavola di sezioni. Annunzi di pubnucazioni Bonarelli. — Escursioni della Società geologica italiana nei dintorni dì Ascoli Piceno (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XYIII, fase. 3®), — Eoma, 1899; p,ag. 10 iii-8® con carta geologica. Peola. — Flora messiniana di Gnarene e dintorni (Ibidem). — Eoma, 1899 ; pag. 30 in-8‘*. Dé-Stefaxo. — Oli strati a pinne di Morrocii. Nuoto lembo postpliocenìco di Reggio Calabria (Ibidem). — Eoma, 1899 ; pag. 20 in-S®. Del Zanna. — I laghi di S. Antonio in proyincia di Siena (Ibidem). — Roma, 1899; pag. 8 in-8®. Ugolini. — Sopra alcuni fossili dello Schlier del Monte Cedrone (Umbria) (Ibidem). — Eoma, 1899; pag. 8 111-8*^. ' Caramelli. — Di alcuni scoscendimenti nel Vicentino (Ibidem). — Eoma, 1899 ; pag. 12 in-8°. ICapeder. — Sui fenomeni di erosione nei dintorni di Bra e di Castella- ; monte (Piemonte) (Ibidem). — Eoma, 1899 ; pag. 6 in-8® con una tavola. ‘Del Zanna. — I fenomeni carsici nel bacino dell’Elsa (Ibidem). — Roma, 1899; pac;. 9 in-8®. t Meli. — OsserTazioni sul Pecten (Macrochlamys) Ponzii Meli e confronti con alcune forme di pectinidi neogenici affini che yì si collegano (Ibidem). — Roma, 1899 : pag. 30 iii-8®. Ì Sacco. — L’Appennino settentrionale. Parte lY : L’ Appennino della Ro- magna (Ibidem). — Eoma, 1899; pag. 07 in-8‘’. Ie-Stefano. — \JEIepIias ineridtonalis ed il Rhitioceros MetcM nel quaternario calabrese (ibidem). — Eoma, 1899 ; pag. 10 in-8®. Baratta. — Saggio dei materiali per una storia dei fenomeni sismici aTTenntì in Italia raccolti dal Prof. Michele Stefano De Rossi (Ibidem). : — Roma, 18! K) ; pag. 28 in-8®. t3ETT<»Ni. — Affioramenti toarcianì delle Prealpi bresciane (Ibidem). — i Roma, 1899 : pag. 0 in -8®. ► Jgulim. — Appendice al catalogo dei molluschi fossili pliocenici del [‘Bacino delPEi’a (Ibidem). — Eoma, 1899; pag. 1 in-S*^. i tORKNA. — Le formazioni eoceniche e mioceniche flancheggianti il I grruppo del Catria nell'Appennino centrale (Ibidem). — Eoma, 1899; pag. 12 in-S". i fONAHHLLi. — Alcune formazioni terziarie fossilifere dell’Umbria (Ibidem). [ — Eoma, 1809 ; })ag. 0 in-8'\ , 1. Yi NASSA DE Eedny. — I fo8sili della « Tabella Oryctographica di Perdinando Bassi conservata nel R. Istituto Geologico di Bologna Ibidem). — Eoma, 1899: pag. 10 in-8°. i LERici. — Sui recenti scavi per il nuovo ponte sul Tevere a Pipetta in ^ ftma (Tlndom). — Roma, 1899; pag. 8 in-8®. ib >E Lorenzo. — Studio geologico del Monte Vulture (dal Yol. X, S. 2^, ^ 1. 1, della E. Ace. delle Scienze fis. e mat.). — Xapoli, 1900; pag. 208 ] con vedute, tavole di sezioni e carta geologica. Il OERis. — Sopra la perowskite di S. Ambrogio in valle di Susa (Eendi- ì ^onti R. Ace, (k i Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 2*^, 1® sem.). — Roma, 1900; >ag. 4 in-4®. {Segue) eseguito: V> pagina precedente) E. Clerici. — Appunti per la geolog'ia del Viterbese (Ibidem). — Berna, :1^ pag. 7 in-4®. - ■' E. Tacconi. — Sulla wulfenite del Sarrabus (Ibidem, fase. 3°, P sem.y Berna, 1900 ; pag. 5 in-4^. A. Tommasi. — La fauna dei calcari rossi e grigi del Monte Clapsayon ni Oarnia occidentale (Pai e entegraphia italica, Anne 1899, Tel. T). — P 1900; pag. 54 in-4° cen 7 tavele. G. Bonarelli. — Cefalopodi sinemuriani dell’ Appennino centrale (Ibidem Pisa, 1909; pag. 30 in-4°, con 3 tavole. C. Bosco. — I Roditori pliocenici del Valdarno superiore (Ibidem). Pisa, 1900 ; pag. 20 in-4® con 2 tavole. B. Greco. — Fossili oolitici del Monte Foraporta presso Lagonegro in K licata (Ibidem). — Pisa, 1900; pag. 20 in-4^ con tavole. [ A. Fucini. — Ammoniti del Lias medio dell’Appennino centrale esistenti] Museo di Pisa (Ibidem). — Pisa, 1900; pag. 42 in-4® con 6 tavole. j M. Canavari. — Fauna dei calcari nerastri con Cardiola ed Ort1mce\ di Xea S. Antonio in Sardegna. Introduzione e Parte I (Ibidem). Pisa, 1900; pag. 24 in-4®, con 2 tavole. C. Riva. — Sul metamorfismo subito dai gneiss a contatto coi porfidi qi ziferi nelle vicinanze di Porto Ceresio (Lago di Lugano) (Bendicf B. Istituto lombardo, S. II, Tol. XXXIII, fase. II-III). — Milano, Il pag. 6 in-8®. O. Marinelli. — Cavità di erosione nei terreni gessiferi di Fabriano (Ri^ geografica italiana. Annata TU, fase. I). — Roma, 1900 ; pag. 8 in-8®. E. Mariani. — Fossili del Giura e dell’infracretaceo nella Lombardia {u della Soc. fase. 4°). - It. di Se. - Milano, 1900: pag. 80 in-8® con tavola. 1900; pag. 5 in-4®. e pseudomorfosi della di Rivoli (Piemonte) con tavola; nat. e del Museo Civico di St. nat., Tol. XXXTj miniera di Malfidi Fr. Salmo jRAGHi — Esiste la Bauxite in Calabria? (Rendiconti del R. IstitI Lombardo, S. II, Tol. XXXIII, fase. T). — Milano, 1900: pag.‘ 10 in-8«. I G. Capellini. — La rovina della Piana del Soldato presso Grotta Arpj a Porto Venere nel 1895 (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, S. T, Tol. fase. 5®, 1° sem.). — Roma, F. Millosevich. — Minerali (Sardegna) (Ibidem). — Roma, 1900; pag. 7 in-4®. P. Longhi. — Di alcune Gymnites della nuova fauna trìasica di Val di Pi presso Lorenzago in provincia di Belluno (Atti della Soc. Teneto-tren) di Se. nat.. Anno 1899, fase. 1°). — Padova, 1900; pag. 30 in-8®. S. Squinabol. — Revisione della florula fossile di Teoio (Ibidem). — ; dova, 1900 ; pag. 8 in-8®. G. Capeder. — Contribuzione allo studio degli Entomostraci dei terreni cenici del Piemonte e della Liguria (Atti R. Acc. delle Se. di Tot Tol. XXXT, Disp. 1^). — Torino, 1900; pag. 14 in-8® con taA^'ola. F. Sacco. — Sull’età di alcuni terreni terziarii dell’Appennino (Ibidem).ì — Torino, 1900 ; pag. 9 in-S*^. G. PioLT.i. — Sopra una macina romana in leucotefrite trovata nei ^iutM (Ibidem, Disp. 2^). — Torino, 1900; pag. 4 in)j I^rezzo dlel presente fescicolo L. A.3sr]sro isoo N. 2. ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1900 ^ m. i8oo ■ - . ^ - ELENCO ^ del personale componente il Comitato e l' Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Ctiovannl prof, di geologia, R. Università di Bologna, Cocchi Igi:no. prof, di geologia, a Firenze. CossA Alfonso, prof, di chimica. R. Scuola per gli ingegneri in Torino. G-emmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia. R^. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Padova. ScARABELLi GIUSEPPE, Senatore del Regno. Imola. Striar Giovanni, prof, di mineralogia. R. Università di Roma. Taramele! Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il PpvESIdente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Xiccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere. Roma. A Personale addetto ai lavori della Carta geologica. ^ Direnone : - ^ ? Ing. Pellati ATcuolò, Direttore. - Ing. Mazzuoli Lucio. . TJffcio geologico: h' Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. - Ing. SoRMANi Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. A; Ing. Aichino Giovanni. . -i Ing. Sabatini Yenturino. Aj.-Ing. Cassetti Michele. ”Ì Aj.-Ing. Moderni Pompeo. _ . S Aj.-Ing. Luswergh Cesare. 4 Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi. Capo dei rilevamenti. * Ing. Lotti Bep^’ardino. Ing. Z.AGCAGNA Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Yiola Carlo, Ing. Novarese Yittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roìia nel Museo agrario-geologico. \ia Susanna, ìi. 1. bollettino del r. comitato geologico D’ ITALIA. Serie IV. Voi. I. Anno 1900. Fascicolo 2°. S03IAIAEIO. Note originali. — I. S. Franchi. Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeiticFe nelle Alpi occidentali e nell* Appennino ligure. — II. B. Botti, Eilevamento geologie 3 eseguito nel 18-19 nei dintomi del Trasimeno e nella regione im- mediatamente a Sud fino a Orvieto. — IH. AI. Cassetti. ATiiove osserva- zioni geologiche sui monti di daeta. — IV. P. AIoderni. .Ossei-vazioni geologiche fatte nel 1899 al piede orientale della catena dei Sibilliui. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per lanno 1899 (Conti- nuazione). Pubblicazioni del E. Ufficio Geologico. Illustrazioni. — Sezioni geologiche nei monti di Gaeta, a pae. 179. — Sezioni schematiche nella regione dei Alonti Sibillini, a pag, 183. 187 e 1-88. NOTE ORIGINALI I. S. FiiAXCHi. — Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentedi e neU Appennino ligure. Dal giorno in cui il Damoiir ^ constatava la composizione della giadeite in un campione di roccia che il . signor Bertrand de Lom affermava di aver raccolto in posto presso St. Alarcel, nella Valle d’Aosta, indicandone anche con una certa esattezza la località, la questione della presenza o meno di roccie giadeitiche nelle Alpi avrebbe potuto essere avviata verso una pronta soluzione, mediante ^ A. Dam<»ur, Xonrelìes aitalijses .sur la jadeite et sur qnelques roches sodi- fères (Bull. Soc. Min. de Fr.. T. IV. 1881, n. 6, pag. 1.57). — 120 - ricerche che avessero potTito confermare quell’asserzione h Invece, quan- tunque la controversia si facesse più che mai animata in Italia e fuori, discutendo l’origine dei diversi ciottoli trovati in più punti della Svizzera, in Stiria ed in Piemonte, non risulta che alcuno abbia visi- tata la località indicata dal Bertrand ^ -, Però lentamente si andavano preparando i materiali ohe dovevano condurre alla soluzione definitiva. Dei petrografi distinti analizzavano chimicamente e petrografi- camente le giade! ti del Tibet e del Turkestan delle quali venivano anche studiati i giacimenti Continue scoperte arricchivano i musei di ricche suppellettili di stazioni neolitiche di tutti gli angoli d’Europa, ed il materiale veniva, quantunque assai meno soventi di quanto fosse desiderabile, esso pure analizzato da chimici e da petrografi. Manca è vero finora l’elenco dei tipi rocciosi che sono rappresentati nelle diverse ricchissime collezioni italiane, senza del quale la discus- sione sulla loro provenienza rimane vaga e inconcludente ; però non poco si è fatto anche da noi in Italia. Dobbiamo allo Strobel la pub- blicazione dei risultati dell’esame di alcuni oggetti del Museo di Parma ^ Dirò in seguito quanto quell’ asserzione corrispondesse alla verità, sicché si discusse finora una questione che fino dal 1881 si poteva ritenere come risolta. ^ Sulla provenienza delle roccie nefritoidi vedansi i seguenti lavori nel Bullettino di Paletnologia italiana : Strobel, Proveniensa degli oggetti di nefrite 0 ■ di giadeite (Anno IX, 1883, n. 11 e 12). Idem, Proveniensa dei niamifatti prei- storici di nefrite e di giadeite (Anno X, 1881, n. 7 e 8). (Meyer Trad. Strobel). Idem, Pi alcune accette di pietra, specialmente di giadeite del P. Museo di an- tichità di Parma (Anno XII, 1886, n. 5 e 6). “ F. XoTLixo, Ueber das Vorkommeu von Jadeit in Oher-Birma (Xenes .Tahrbnch f. Min., Geol. n. Paleont., 1896, I, pag. 1). j M. Batter, Edelsteinkunde. Leipzig, 1896. * Idem, Per Jadeit iind die anderen Gesteine der Jadeit-lagerstàtte von Tarn- maiv in Ober-Birma (Xques Jahrhnch f. Min., Geol. u, Paleont., 1896, I, pag. 23). Idem, Jadeit von Tibet (Xenes Jahrhnch, etc., 1896, I, pag. 85). Anche A. Lacroix diede fin dal 1889 una diagnosi petrografica della giadeite del Tibet (Bull. Soc. fran^aise de Mineralogie. Année XII, p. 126). fatto dall’Arzruni, ed alFIssel numerose indicazioni sul materiale degli oggetti litici delle caverne liguri, le quali notizie tendono a dimostrare la sua provenienza dai monti liguri, dove molti di quei diversi tipi di roccie sono sviluppatissimi. Un bellissimo studio, accompagnato da analisi, del signor Mrazec su di un ciottolo di giade itite ^ del Museo di Bucarest, recante una eticlietta colla provenienza « Piemonte »; ed un altro pure interes- santissimo studio del Piolti ^ di un altro ciottolo, di cui è pure data l’analisi, e cbe fu trovato nel morenico presso Rivoli, risollevarono la questione, confermando quanto era già stato asserito, cbe la giadeitite esiste in posto nelle Alpi occidentali. Ma i sostenitori dell’origine asiatica, sia per scambi commerciali cbe per immigrazioni di popoli asiatici, degli oggetti di giadeite delle Stazioni europee, opporranno tuttora cbe quei ciottoli nulla provano, potendo essere oggetti manufatti fluitati, ovvero, tale ipotesi essendo poco ammissibile pel ciottolo trovato dal Piolti nel morenico, che anche quando fosse provato cbe delle giadeititi esistessero nelle Alpi in posto, ove queste fossero di varietà diverse di quelle cbe si trovano nelle Stazioni piemontesi o svizzere, l’origine indigena di queste non sarebbe ancora provata. Certo il fatto di non essere stata trovata in posto la giadeite nelle Alpi, non era nemmeno sufficiente argomento per ne- gare cbe essa vi esistesse, poiché non è neppur provato cbe lunghe e razionali ricerche fossero state fatte a quello scopo. La probabile ristrettezza dei giacimenti di quella roccia eccezionale doveva costi- tuire naturalmente una grande difficoltà, cbe si opponeva, prima cbe al loro esaurimento, come qualcuno suppose, al loro ritrovamento. Chi ha rilevato geologicamente una regione come quella ad esempio ^ Seguendo il Mrazec chiamerò (jiadeititi e cloromelcuiititi 1q roccie arenti per costituenti essenziali rispettivamente la giadeite e la cloromelanite, il che è conforme alle norme ora generalmente seguite nella nomenclatura. * G. Piolti, Suìla presenta della jadeite nella Valle di Siisa (Atti della R. Acc. della Se. di Torino, XXXIV, disp. 12, 1899). del gruppo del Monte Viso, sa quanto sia cosa arrischiata l’affermare che nessun tipo litologico in essa esistente abbia potuto sfuggire alle sue ricerche, e data l’ampiezza della zona delle pietre verdi nella quale era logico di ricercare il giacimento probabile delle roccie gia- deitoidi, chi avrebbe potuto affermare che la presenza di quelle róccie fosse assolutamente da escludersi ? Potendo esse trovarsi in punti di difficile od impossibile accesso ed in giacimenti limitati di numero e in potenza, poteva benissimo accadere che delle ricerche anche minute non sortissero un risultato positivo. E inoltre noto come l’azione meccanica dei torrenti alpini abbia per effetto di isolare i nuclei di roccie più resistenti, si che il rapporto del numero dei ciottoli di esse, rispetto a quello delle roccie meno dure è di gran lunga superiore ai rapporto dello sviluppo in super- ficie sul terreno dei rispettivi tipi rocciosi, il effe è stato messo in evidenza per le valli Varaita e Po dall’ ingegnere Stella h Cosicché il ritrovamento di pochi ciottoli qua e là non significava ancora necessariamente la presenza di potenti giacimenti della roccia in posto. Una delle cause che tanto ritardarono la soluzione definitiva del lungo dibattito, la si deve principalmente cercare nell’imperfetta cono- scenza del materiale Etico delle nostre Stazioni, parlando del quale, mentre ricorrono tanto soventi i nomi di giadeite e di nefrite, rara- mente si fa ad esempio quello di eclogite, di cui è costituita una parte non trascurabile di oggetti. Degli elenchi degù oggetti litici delle diverse Stazioni con le denominazioni petrografiche esatte delle roccie costituenti, avrebbero certo fatto intravedere prima d’ora quello die ora risulta evidente dal solo materiale della Stazione di Alba, cioè il nesso strettissimo litologico e quindi certamente genetico, fra le giad.eititi e le eclogiti', e siccome i giacimenti di roccie eclcgitiche sono numerosi e da tempo conosciuti nelle Alpi e nell’ Appennino, ^ A. Stella, Conh'ihjifo allo stadio genetico dei terreni aìlavionali nelle vaili alpine [Alpi Cozie[ (Poli. E. Com. Geo!., anno 1897. n. ’2|. le ricerche avrebbero avuto un indirizzo sicuro per trovare le giadeititi in posto. Gli elenchi di cui sopra sono tuttora a desiderarsi, e certo solo l’opera combinata dei paletnologi, dei petrografi. e dei geologi, per la compilazione di essi e per il paragone colle roccie delle singole regioni, ci potrà permettere di chiarire molti punti oscuri sull’origine del dovizioso materiale delle nostre Stazioni. Queste considerazioni varranno a spiegare come anche ora, a rilevamento geologico quasi compiuto, non siano numerosi i giacimenti di roccie giadeitoidi che si possono indicare nelle Alpi occidentali e nell’ Appennino ligure. Di alcune di queste roccie era stata fatta menzione in lavori dei miei colleghi e miei ^ senza che fossero tuttavia rilevati i rapporti colle roccie giadeitiche. Il collega Stella ed io sospettammo' in seguito che le nostre pirosseniti potessero corrispondere a giadeiti, ma per mancanza di analisi e di materiale di paragone, si rimandò a miglior tempo il trattamento dell’importante questione, alla quale sentivamo l’obbligo morale di concorrere. 'L’abbondante materiale di scarto trovato nella importantissima Stazione neolitica, che l’ingegnere G. B. Traverso scoperse presso l’abitato di Alba % materiale che il dott. Colini volle concedermi in esame, mi permette di stabilire un parallelo fra le roccie che servi- rono a fabbricare buona parte del numero straordinario (finora 600) di manufatti in quella Stazione rinvenuti, ed alcune roccie identiche od assai simili da alcuni miei colleghi e da me rinvenute nelle Alpi e nell’ Appennino ligure, in giacimenti diversi ; e quantunque il tempo ristretto che ora posso dedicare a questo argomento non mi permetta ^ Fkaxchi, Appunti geologici e pcfrografìci sui monti di Bnssoleno (Boll. R. Coni. Geol.. anno 1897, n. 1|. — A. Stella, Sul rilevamento geologico eseguito in Valle Po nel 180Ó (Boll. R. Com. Geol.. anno 1893, n. 3). * G. B. Traverso, La Stazione neolitica di Alba. Alba, 1898. Piomhixi, Stazione neolitica di Alba in provincia di Cuneo (Bull, di Palet- nologia. anno XIX (189.3j, n. 7 e 9). di fare uno studio completo dei pezzi avuti (una sessantina), il che si | potrà fare in seguito quando ne saranno pronti tutti i preparati mi- croscopici, lo studio di alcuni esemplari per ognuno dei principali tipi mi permette già di trarne con tutta sicurezza la conclusione del- l’origine indigena alpina e forse anche in parte appenninica del ma- teriale di detta Stazione h Materiale della Stazione neolitica d’Alba. — Il materiale cedu- tomi per istudio è costituito specialmente da quei pezzi che il dottor Colini non potè classificare come giadeititi al solo esame esterno; perciò non mi occuperò di determinare il rapporto del numero dei pezzi delle differenti forme litologiche, ora senza significato, che solo i avrebbe quando nel computo si comprendessero tutti gli oggetti della Stazione. Fra i pezzi alcuni sono completamente grezzi, altri hanno già i subito un po’ di modellatura a mezzo della scheggiatura, altri hanno i inoltre avuto un principio di lisciatura, altri infine, che ebbero una - modellatura completa senza levigatura od anche con una levigatura più o meno perfetta, sono frammenti di ascie, accette, scalpelli, ecc., talora di perfetta lavorazione. Vi sono inoltre due ciottoli di Iherzolite certo tratti da un’alluvione, ; dei quali uno levigato da un solo, l’altro dai due lati. Infine un fram- mento di talcoscisto bianco, micaceo, ai due lati del quale è incomin- ciato il lavoro di perforazione. Non discorro oltre di questi ultimi pezzi, privi di ogni impor- tanza, se ne togli la certezza che per la natura loro sono da conside- i rarsi come di origine alpina o appenninica. I ciottoli di Iherzolite ^ Di questo studio venne già pubblicato un sunto che fu presentato nella seduta del 3 giugno di quest’anno all’Accademia dei Lincei ; però al presente j scritto, nel quale espongo inoltre le diagnosi petrografiche, è aggiunto non poco | valore dai ritrovamenti fatti di poi di numerosi campioni di roccie giadeiticlie j erratici od in posto nella valle di Susa, presso Casellette e nei valloni di Oropa j e di St. Marcel. — 125 — possono essere stati tolti dallo stesso letto del Tanaro, che può averli strappati agli strati ciottolosi del ^Miocene inferiore. Di una parte importante dei rimanenti pezzi, dei quali alcuni sono completamente massicci senza verun accenno a scistosità, altri sono più o meno scistosi, si possono già fare, in seguito al solo esame macroscopico due grandi gruppi: run » costituito da roccie di composizione quasi omogenea a grana più o meno fina, che salvo poche eccezioni, hanno un solo elemento costituente essenziale ; l’altro da roccie la cui massa fondamentale ha la struttura, le tinte e l’apparenza delle roccie pre- cedenti, ma nelle quali sono disseminati più o meno uniformemente elementi di granato di tinta e grandezza diversa, e che non si esita a collocare fra le eclogiti. L’esame microscopico conferma questa divi- sione nei due gruppi, poiché dimostra che le roccie del primo gruppo sono in gran parte pirosseniti, in cui il costituente essenziale è un pirosseno che presenta gli stessi caratteri generali del minerale inglo- bante i granati nelle roccie del secondo gruppo od eclogiti. L’esame petrografico mostra inoltre che fi granato, in elementi microscopici, più o meno scarso si trova pure nel primo gruppo di roccie, e suggerisce quindi l’idea che fra i due gruppi esista uno stretto nesso genetico, e che la sola differenza consista nel maggiore o minor sviluppo che prende l’elemento granato., il quale è accessorio nel primo e diventa elemento costituente nel secondo di quei due gruppi di roccie. In tale idea confermano l’identità in essi degli altri ele- menti accessorii, nonché le proprietà e le anomalie dell’ elemento pirossenico costituente fondamentn,le nei due gruppi di roccie. La tinta delle roccie varia dal bigio verdiccio chiarissimo al verde nerastro, passando per molte gradazioni di verdi bigiastri, nelle quali rari campioni recano la nota di tinte verde erba. Le stesse tinte, meno le più chiare, almeno nei campioni che ho fra mani, si ripetono nel fondo della serie di roccie granaiifere h Alcune ^ Molte delle eclogiti del Vallone Oropa. alle quali accenno in seguito, pre- sentano pure il pirosseno molto chiaro : però in t;fii casi anche i gi’anati sono a tinte relativamente chiare. — 1-26 - roccie fra le più chiare hanno delle macchie rettangolari bianca- stre (zoisite). Tutte quelle roccie sono molto compatte e tenaci, hanno durezze comprese fra quelle del felspato e del quarzo; fondono facilmente, colorando la fiamma nel giallo vivo caratteristico del sodio, e produ- cendo smalti dal -color caramella chiaro al nero cupo. La maggior parte di esse è più densa del ioduro di metilene puro a 25^, cioè superiore a 3. 3. Le densità a 20^ circa di alcuni fram- menti di ascie del primo gruppo di roccie dai tipi più chiari traslucidi a quelli verdi nerastri sono rappresentate dalle cifre seguenti; 3. 31 3. 33 3. 34 3. 35 3. 36 Le roccie del gruppo con granato hanno densità maggiori, le quali in alcune roccie oltrepassano 3. 5. Le densità di alcuni fra i pezzi di densità inferiore a 3. 3 risul- tarono : 3. 11 3. 19 3. 22 3. 25 Il pezzo avente la densità di 3. li, che è di una ròccia bigio- verdognola molto omogenea, a grana fina e compattissima, all’esame microscopico si rivela di una natura assai diversa dalle roccie che descriverò in seguito. Essa mostra un fondo costituito da zoisite e da felspato tempestato da innumerevoli piccoli, granati incolori, da masserelle di leucoxme impuro, e da elementi pirossenici essi pure parzialmente uralitizzati. Questa roccia è identica per aspetto, costi- tuzione e struttura microscopica ad alcuni fra i tipi più afanitici delle porfiriti, che hanno un grande sviluppo alla base del Monviso ed alla Lobbia di Viso, delle quali ha parlato lo Stella nel suo lavoro Siti rilevamento geologico eseguito in Valle Po nel 1895. Queste roccie presentano numerosi tipi più o meno afanitici, talora con macchie bianche rettangolari, residui dei felspati porfirici. Per le loro proprietà fìsiche tali roccie sono atte a sostituire le giadeiti, e non è improba- bile che alcuni altri oggetti della collezione Traverso siano da esse \ 1 ! I costituiti. La densità che difficilmente può giungere a 3. 15 può servire a distinguerli da quelli in giadeite h Porfiriti del tipo suddescritto non si incontrano, che io sappia, nelle Alpi occidentali, fuorché nella catena del Monte Viso; perciò la loro constatazione in pezzi della collezione Traverso assume una importanza ohe non può sfuggire a nessuno. Occupiamoci ora delle roccie aventi densità superiori a 3. 3, con 0 senza granato, facendone sommariamente l’esame microscopico. Minerali accessorii. — Sono la 'pirite^ V ilmenite^ la quale in alcuni casi è intatta, in molti casi è parzialmente, in altri quasi totalmente trasformata in rutilo. Questo è in grani o masserelle irregolari, soventi torbide, quasi mai cristallograficamente ben terminati. Lo sfeno è in qualche campione in elementi caratteristici e ben terminati, in qualche altro in grani di determinazione non certa. Lo zircone non manca quasi mai; è soventi cristallograficamente terminato in elementi rag- giungenti mm. 0. 1. Il granato elemento accessorio del primo dei due gruppi indicati sopra include soventi rutilo ed ilmenite. Minerali essenziali. — Il primo posto è tenuto dal pirosseno^ in elementi in generale grossi meno di mm. 0. 3, dal cui intreccio intimo risulta il tondo a grana minuta della roccia. Soventi è in elementi sfibrati e sfrangiati minutissimi che si compenetrano vicendevolmente, rare volte è a struttura quasi granulare e talora con struttura rag- giata irregolare. I clivaggi non fitti non sono quasi mai rettilinei, sicché le forti estinzioni oblique rispetto ad essi sono sempre più o meno fortemente ondulose. Oltre ai clivaggi prismatici é talora accennato quello /q. Secondo questo pare siano disposte le inclusioni fitte e sottili ^ Trascrivo qui le analisi fatte clall’ing. Aichino di due campioni delle suddette porfiriti : perdita Si O2 AqOj Fe2 O3 CaO MgO KO NaO al fuoco TÌO2 Lobbia di Viso: 47. 77 15. 87 13. 82 11. 95 5. 97 0. 22 3. 97 1. 02 tr. d = 3. 05 Colle Sagnette: 48. 18 16. 55 11. 05 11. 19 7.35 0.46 3.66 1.48 tr. 0 = 3. 04 — 128 — allineate, analoghe a quelle che si osservano di frequente nei diallagi , j| e che osservai nella parte centrale degli elementi pirossenici di molte ìi delle roccie di questa serie. Soventi in corrispondenza di questo nucleo contenente le inclusioni osservansi rifrangenze ed estinzioni alquanto j. più forti che nel rimanente dell’elemento pirossenico, nel quale tuttavia j] si proseguono evidentemente i clivaggi m. Questo fatto si deve inter- q pretare in alcuni casi colle metamorfosi parziali del pirosseno primitivo !»’ della roccia (quello colle inclusioni) in anfìboli secondari, analoga- i mente a quanto si osserva nelfuralitizzazione dei pirosseni delle diabasi h e delle eufotidi. V Il pirosseno delle varietà chiare è in lamina sottile completamente incoloro, ma verde glauco {ng ) e verde giallognolo (wm e iip ) nelle ji varietà scure. Le lamine sottili di molte di queste roccie di color verde i ì scuro sono tempestate da macchie sfumate di color verde glauco -leg- : germente polieroico ; e mentre in alcuni casi sembra che in corrispon- denza di esse il minerale pirossenico non cambi sensibilmente di proprietà ottiche, come fu osservato da altri osservatori, in altri tali lì macchie per il pleocroismo, per la differente rifrangenza, birifrangenza ; ' ed estinzione rivelano la presenza di una metamorfosi parziale in i anfìboli di natura diversa. 1 La birifrangenza non è certo uguale nei pirosseni delle diverse i roccie; la dispersione che si osserva in essi quasi costantemente, eccezione fatta delle varietà più chiare, non solo impedisce di apprez- j ; zarla al suo giusto valore con luce bianca, ma indurrebbe in grave ■ errore chi si affidasse a quel solo carattere. Pel fatto di questa i ^ dispersione, congiunta alle estinzioni ondulose, è in molti casi impos- | sibile misurare l’angolo di estinzione, sempre però superiore ai 30^, con qualche approssimazione. La dispersione è come già dissi forte i nelle roccie verde schietto e diventa intensissima, e paragonabile a i quella delle ottreliti, nelle roccie verdi-scure o verdi-nerastre. Per j effetto di questa dispersione le sezioni di elementi prossime ad essere normali ad un asse prendono quelle tinte azzurrognole tanto caratte- ! ristiche di certe varietà di zoisite, e ai due lati della estinzione mas- — 129 - sima imperfetta e sempre ondulosa, si hanno da un lato tinte indaco- bigiastre, dall’altro tinte giallo-verdastre, sicché una zona con massima estinzione corrisponde al limite sfumato fra queste due tinte. In alcune roccie nerastre, di cui sono costituite alcune ascie, i cui frammenti indicano una lavorazione perfetta, nelle quali la colorazione verde intensa in lamina sottile si mostra distribuita colla massima irregolarità in ogni elemento pirossenico, la birifrangenza è pure irregolarissima ; presentandosi, al contorno o qua e là nel mezzo, delle parti ohe polarizzano a vivi colori sfumanti colle altre in cui dominano delle tinte bigie e bluastre indicanti birifrangenza bassa. Per questi tratti ero condotto a paragonare la roccia a certe zoisititi in cui gii elementi in modo irregolare verso dati punti al- l’interno, e più specialmente al contorno, sfumano in pistazite. Però tanto il carattere della fusione, quanto l’osservazione di passaggi per gradi dai pirosseni con leggiera dispersione ad altri con dispersione sempre maggiore, fino a quelli in parola, mi convinsero trattarsi pure in questo caso di pirosseno. In esso le estinzioni nello stesso elemento subiscono pure fortissime anomalie. Non mi sembra improbabile che questi caratteri cosi straordinari nei pirosseni siano in alcuni casi parzialmente dovuti ad un principio del processo di uralitizzazione. Tutte le proprietà ora descritte per gli elementi pirossenici, nei quali la dispersione è nulla o poco sensibile, corrispondono esatta- mente a quelli che sono dati per la giadeite da vari autori, e segna- tamente dal Bauer, sicché i tipi più chiari delle nostre roccie sono senza verun dubbio giadeititi. L’osservazione dei passaggi suddetti dalla giadeite a pirosseni aventi con essa comuni tutte le altre proprietà, ma possedenti inoltre una forte dispersione nelle roccie meno chiare, ci dimostra che questi pirosseni debbono essere affini colla giadeite e costituire dei passaggi ad un minerale analogo avente un certo tenore in ferro, cioè alla cloromelanite. E qui il caso di osservare che nella giadeitite studiata dal Mrazec 130 si nota già una forte dispersione, quantunque gli elementi estranei alla composizione teorica normale della giadeite siano solo 6. 41 di FogOg, 4. 83 di OaO e 2. 46 di MgO, e si tratti di un pirosseno avente oltre ^ dodici pei* cento di soda, e quindi assai prossimo alle giadeiti, mentre la dispersione è insensibile nel pirosseno verde molto chiaro della giadeitite studiata dal Piolti, ohe ha composizione molto lontana da ! quella della giadeite e contiene oltre a 12 per cento di calce e solo ' 7. b’4 per cento di soda. Non è quindi da stupirsi che quella proprietà si esageri nel modo | da noi descritto nelle varietà più intensamente colorate e più pros- ; sime alla composizione della cloromelanite. | Nella letteratura non è accennato, ch’io sappia, al carattere di que- i sta forte dispersione nei pirosseni giadeitoidi, eccetto che nello studio 1 del Mrazec, il quale è disposto ad ammettere che questa proprietà la si debba attribuire ad un forte tenore in titanio del pirosseno, per analogia colle augiti titanifere delle roccie vulcaniche, che hanno pure forte dispersione. Ulteriori ricerche, certo non facili, a causa della piccolezza degli elementi pirossenici e della diffusione in essi delPilmenite e del rutilo, permetteranno forse di chiarire se questa ipotesi sia attendibile. | A questo proposito osservo come le analisi di due campioni di | roccie giadeitiche, condotte dall’ing. Aichino con molta cura, nelfuna ! delle quali il pirosseno non ha dispersione sensibile, e nell’altra in- , vece ha dispersione fortissima, non differiscono essenzialmente che pel j rapporto degli elementi AI2O3, Fe^Oa e FeO, sicché nella importanza che prendono le quantità dei due ultimi ossidi rispetto all’allu- j mina, sembrerebbe logico il cercare la causa della forte dispersione. (Vedi più avanti le analisi delle roccie del lago di Prato Fiorito e ! di Mocchie). Intanto, lasciando in sospeso tale questione teorica, quello che a | noi interessa notare si è la presenza nelle nostre roccie come eie- ' mento costituente prevalente od essenziale di pirosseni giadeitoidi^ che il stanno fra la giadeite ed un altro pirosseno più intensamente colorato e che per alcuni suoi caratteri e per qualche analisi dobbiamo ritenere corrispondere alla doromelanite del Damour. Lo studio microscopico di alcune scheggio che il Damour con somma cortesia volle favorirmi, delle cloromelaniti da lui studiate, mi permetteranno di aggiungere in altro lavoro altre osservazioni sulle cause della forte dispersione nei pirosseni giadeitoidi. Granato. — Elemento accessorio nel gruppo delle roccie giadeitiche, diventa elemento costituente essenziale nelle roccie eclogitiche. In quelle della suppellettile della Stazione di Alba è in pochi casi grosso più di i mm., ed è soventi ad elementi minori, distribuiti quasi uni- formemente e più o meno fìtti, nella massa pirossenica compatta. Esso è rosso o rosa-chiaro, talora in elementi aggregati di più cristalli; han sovente la forma netta del rombododecaedro ; in qualche caso ha forma di gusci riempiti da un elemento pirossenico; in qualche altro è associato a grandi elementi di biotite verdastra scura, che talora cir- conda e racchiude nel suo interno. Glauco fané. — Un anfìbolo violetto a segno di allungamento po- sitivo si trova in due dei pezzi esaminati. Nella roccia eclogitica po- vera in granato e di colore nerastro, di cui è fatto un frammento di ascia, tale anfìbolo forma col pirosseno verde intenso, stando con esso intrecciato intimamente, la massa fondamentale. La maggior parte dei suoi elementi sono perfettamente distinti da quelli del pirosseno, e quantunque sembri che in qualche punto elementi di questo minerale prendano delle tinte bluastre, non mi è possibile in questo caso affermare che l’anfìbolo sia prodotto dalla metamorfosi del pirosseno, come si vedrà invece avvenire chiaramente nel materiale alpino e appenninico. Biotite, — Si incontra solo in un frammento di eclogite quasi grezzo che ha subito appena un principio di lavorazione e nella roccia eclogitica di un frammento di ascia perfettamente fìnita. E in rare lamelle di color bronzo visibili ad occhio nudo, e ai microscopio si mostra più o meno completamente trasformata in clorito. Mica bianca. — Trovasi in alcuni dei tipi più scistosi, in pagliuzze visibili ad occhio nudo. Elementi secondari, — Oltre alla clorite^ sono da considerarsi i come tali la piemontite, la zoisite, proveniente probabilmente dalla i metamorfosi di felspati e la mica bianca con essa associata. Lianfibolo verde che si sviluppa talora in vene o in dati punti e i certamente anche Vanfibolo violetto. Havvi pure in un’eclogite un anfìbolo azzurro che ha alcuni carat- i teri doìV arfvedsonite e che è un prodotto della metamorfosi del pi- 1 rosseno. ■ | Non sono entrato in più minuti particolari nell’esame macrosco- pico dei campioni di cui non potei avere in tempo le sezioni sottili e nelFesame microscopico degli altri, poiché credo che quanto ho detto sia sufficiente per dimostrare come la maggior parte dei pezzi della Stazione d^ Alba siano costituiti da roccie aventi per costituenti essenziali dei pirosseni della serie giadeite-cloromelanite.^ in parte delle guali si ag- giunge come costituente importante il granato; cosicché queste roccie con granato ieclogiti) si possono considerare come delle giadeititi o delle do- romelanititi granatifere. Roccie griadeitiche ed eclogitìche delle Alpi occidentali e del- l’ Appennino ligure. — In quella prima regione montuosa le eclogiti I hanno numerosi giacimenti, quantunque esse non si incontrino mai in grandi masse e siano lungi dall’avere l’importanza che vi hanno i ’i principali tipi delle altre cosiddette roccie verdi, con cui sono nella ii maggior parte dei casi intimamente associate. Invero esse si trovano raramente in banchi o lenti o noduli aventi più di qualche metro di potenza, generalmente al contatto fra i le masse di serpentina e quelle di eufotidi, prasiaiti ed anfiboliti, e m più raramente nella massa di questi diversi tipi di roccie. Di giaci- ■ } menti di eclogiti di questa natura l’ing. Stella ^ e lo scrivente hanno j ^ ^ A. Stella, Sul rilevamento geologico eseguito in Valle Po {Alpi Cozie) nel 1896 (Boll. R. Com. Geol., 1896, n. 3). — 133 — dato qualche cenno in precedenti lavori, in uno dei quali dietro la considerazione della frequenza delle eclogiti al contatto fra quei tre tipi di roccie io esponevo il dubbio che potessero essere roccie di contatto ^ Troppo lungo sarebbe l’enumerare le masse di tale roccie che si osservarono dai miei colleghi e da me nelle valli delle Alpi occidentali che stanno fra la Maira e la Dora Baltea ; però, data la importanza della regione del Monte Viso dal punto di vista della questione che stiamo trattando, riporto qui quanto mi scrive il col- lega Stella, che appunto ebbe ad occuparsi del rilevamento delle valli Varaita e Po, sui due principali giacimenti di roccie giadeitoidi: « Raccie eclogitlche dei bacini del Po e della Varaita. — Di tali roccie esistono due diversi giacimenti: « I. Nella massa di pietre verdi del Monviso. c( E noto che questa massa di pietre verdi è sbrecciata dalla Valle Varaita, e specialmente dalla Val Po, di cui forma gran parte dei circhi superiori. L’imbasamento di quella massa è la zona serpentinosa che forma briglie rocciose da Punta Rasciassa a Rocca Eond; sopra di essa si appoggia la complessa zona anfibolitico-prasinitica con masse di eufotidi e porjiriti, che si erge nelle eccelse chiostre rocciose cul- minanti al Monviso. Il limite fra le due zone, è ben marcato orogra- ficamente, correndo dal Colle di Luca al Colle Armoine sopra gli scaglioni di Biulè, di Alpette e di Pian del Re; ed è importante geo- 1 logicamente perchè è lungo esso appunto che sono diffuse prevalen- temente le roccie eclogiticlie, comprendenti varii tipi di giadeititi. (( Cominciando da Sud e procedendo verso Nord ne ho osservato infatti nei seguenti punti: al colletto 2477 a N.O di Alpe Biulè; lungo la depressione che da questo colletto scende ad Alpette, in di- rupi emergenti dal morenico, a S.O di Punta Murel; poi al di là di I Alpette nel ripiano roccioso, in parte surtumoso, che sta a monte di I Rocca Nera; e a S.O di questo ripiano nelle magnifiche roccie arro- ^ S. Fk.vxchi, Appunti geologici e petrografici sui monti di Bussoleno (Boll. E. Cora. OeoL. 1897, n. 1). tondate che coronano a monte il superiore dei laghi di Prato Fiorito; finalmente sul fianco occidentale del Colle Armoine dove la cresta i comincia a salire verso Monte G-ranero. j « In questo allineamento le rocde edogitiche si presentano come pie- • cole masse più o meno irregolari, che variano da lenti di qualche i diecina di metri -di lunghezza a nuclei di qualche metro; sempre a contatto fra zona serpentinosa e zona anfibolico-eufotidica; talora ancora ' incluse nella serpentina (Colle Armoine), più spesso invece già asso- ciate alle roccie anfibolico-eufotidiche. i Esse masse di roccie edogitiche presentano alquanta variabilità sia i dall’uno all’altro affioramento, sia in un medesimo affioramento. Si | hanno roccie a grana fina micromere, e roccie a grana più grossetta, : forse più frequenti queste di quelle; Mineralogicamente si può dire ; che, pur avendo tutte come minerale essenziale il pirosseno omfacitico- ; giadeitico, variando da eclogiti complesse, in cui al pirosseno e al granato si aggiunge glaucofane^ fino a semplici pirosseniti in senso ; stretto (es. la bellissima roccia compatta verde brillante dei laghi di i Prato Fiorito); le più comuni paiono le semplici eclogiti a pirosseno e ^ granato. Il microscopio rivela in tutte abbondanza di rutilo e di Urne- j nite e sempre sono visibili punteggiature di pirite. Oltre che in questo !i( allineamento di contatto, si trovano roccie edogitiche (con giadeititi) j sebbene sporadiche, sia nella zona inferiore, che nella zona superiore, al contatto. (( Appartengono alle prime certe eclogiti in parte compatte, asso- ! ciate ad eufotidi granatifere, intercalate nella serpentina al colletto (quotato 2620) del crinale Val Po-Val Pellice fra il Colle della Grianna e la Punta Bianca. c( Appartengono alle seconde certe omf acititi che si trovano in nuclei associate ad una massa eufotidica, che costituisce la vetta quotata . 2837 del crestone che domina a occidente il ripiano di Alpette. ! « Anche queste roccie edogitiche presentano variazioni di com- posizione e struttura analoghe a quelle della zona di contatto addietro enumerate. ff II. Nella massa micascistoso-gneissica della parte inferiore delle valli suddette. « Questa massa complessa contiene in diverse parti dei micascùti granatiferi quali con gastaldite, quali con sismondina, entro i quali si trovano liste^ lenticciole e nuclei di roccie eclogitiche con tipi di giadeititi. « Posso citare le località seguenti ove furono osservati: « In destra della Yaraita, nei micascisti granatiferi che formano le balze dominanti il fiume fra i due ponticelli appena a monte di Fras- sino ; nei micascisti granatiferi a sismondina ohe affiorano a Piano Ma- donna, lungo il contrafforte che scende in destra di Yaraita al ponte di Brossasco; in diversi punti del versante montuoso che sovrasta a Brossasco, nei micascisti granatiferi, talora a gastaldite, visibili sia in dirupi, sia in qualche scavo artificiale lungo il sentiero che sale da Colle Duvetta a Bec Monforte, e sul orinale da ambo le parti della massa calcare ivi un tempo escavata; in diversi punti del versante sinistro di Yallone Gilba, cioè lungo la mulattiera della valle a Colle Colet, e lungo il sentiero che sale per Colle Bastone e Colle Cisbot, sempre negli affioramenti di quei micascisti granatiferi; su pel versante sinistro di Yalle Isasca, nei micascisti splendenti, talora a granati e gastaldite, che si incontrano salendo dal cimitero di Isasca al pilone Colletto per passare in YalBronda; finalmente nel versante destro della bassa Yal Po, in alto del contrafforte di Colle Serret (Martiniana), in erratici poco sotto il crinale dove il sentiero devia per S. Bernardo. Questa eclogite quasi certamente proviene dai micascisti ivi inseriti nei gneiss; di cui nella stessa zona furono osservati late- ralmente tipi analoghi con nuclei anfibolitici. Tutti questi affioramenti di roccie eclogitiche si presentano in masse anche minori di quelle inserite nelle pietre verdi, addietro ci- tate, trovandosi in filari e lenticciole al più di pochi metri di lun- ghezza e di pochi decimetri o di pochi centimetri di spessore, o in nuclei della grossezza anche solo di un pugno. Anche come compo- sizione tendono a variare da quelle. Ci sono bensì le semplici eclogiti o — 136 — massiccie, più o meno compatte a pirosseno (omfacite giadeitica) e granato, ma si aggiunge forse più spesso Vanfiholo (che talora è glau- cofane) oltre a epidoto, mentre talora si hanno parti addirittura senza : pirosseno, sicché la roccia si riduce ivi a pura granatite. Inoltre qui - avviene che specialmente nella porzione a contatto colfincludente micascisto la roccia [contenga mica argentina. I mineraK accessorii | rutilo e ilmenite sono qui pure rivelati dal microscopio. « Strutturalmente pare ohe qui le roccie tendano a struttura in ;i generale più compatta; solo che talvolta nei sottili filari si ha una {] certa zonatura degli elementi, che provoca struttura tabulare della roccia. » ^ Al primo tipo di giacimento indicato dallo Stella sono le eclogiti 1 1 dell’alta valle del Sangonetto, che presso i laghi di Griaveno si interpon- ' ' gono fra la grande massa di serpentine di JRocca Rossa e le prasiniti : i sottostanti; quelle che alla Punta del Lago a N.O del Colle della it Roussa formano due zone inserite fra la grande massa di eufotidi del ^ gruppo di Roccia vrè. Così pure è delle masse di eclogiti in lenti fra i : scisti anfìbolici nei pressi di Bussone a Nord di Griaveno ed a Monte La Croce a S.S.O di Trana, nella zona di roccie verdi che viene a ; contatto coi micascisti, i quali lo separano dai gneiss della massa | - Dora-Varaita, verso lo sbocco della valle del Sangone. Alla stessa zona di passaggio dai micascisti ricoprenti i gneiss i . alla zona delle roccie verdi, e sempre con queste associate, si trova Teclogite scistosa a grandi cristalli di gastaldite in sottilissima zona i , un chilometro ad Est di Poisatto, e la giadeitite di Sinette di cui parlerò in seguito. Non farò qui l’enumerazione delle molte località ove furono os- servati giacimenti di questo tipo di roccie eclogitiche dai miei colleghi e da me ; dirò solo che esse non mancano in nessuna delle valli tra la Maira e la Dora Baltea. Al secondo tipo di giacimento, cioè a quello di lenti n.ei mica- scisti, si possono riferire i noduli pirossenici compatti tenacissimi bigio- verdognoli che si osservano nei micascisti a minerali della zona che — 137 - è attraversata dalla bassa valle dell’Orco fra Locana e lo sbocco in pianura, e cinge a S.E il massiccio dei G-ran Paradiso. Indico questo come possibile giacimento di roccie giadeiticbe quantunque nei pochi noduli studiati oltre al pirosseno si mostrassero in piccola quantità felspato e quarzo. Per la loro grande variabilità non è inverosimile che fra quei noduli se ne trovino di essenzialmente pirossenici o pi- rossenico-granatiferi. Alcuni noduli studiati che per compattezza, te- nacità e colore molto ricordano certe giadeititi, erano costituiti da un pirosseno in parte serpentinizzato fra i cui elementi a contorno arrotondato sono piccole aree di felspato ^ Nei pressi di St. Marcel in Valle d’Aosta trovai nei blocchi erratici delle roccie giadeitichs appartenenti ai due i-ipi di giacimenti indicati innanzi. In corrispondenza della località indicata da Bertrand de Lom passa appunto una potente zona di pietre verdi a pirosseni, glaucofane, granato, sismondina, ecc. nella quale se non vidi il filone di quarzo (?) includente secondo il Bertrand la giadeitite, osservai però lenti di ^ In tutto l’alto vallone di Oropa, del quale intrapresi il rilevamento geo- logico ultimamente, a X.O della famosa zona porfirico-dioritica di Ivrea, si sviluppa una potente formazione di micascisti di tipi svariatissimi, i quali non sono che la prosecuzione di quelli sopra indicati della valle dell’Orco. Sono micascisti o semplici o a gastaldite, granato e sovente a pirosseno, sicché talora si possono dire veri micascisti eclogifici. In tutti questi tipi di micascisti, anche in quelli semplici, sono frequenti delle lenti, Cj[uasi sempre rigonfie, aventi da pochi centimetri ad una ventina di metri di potenza, di eclogiti di tipi svariatissimi e di rara bellezza, e delle masse lenticolari, in generale di minori dimensioni, di pirosseniti a grana mi- nuta tra il verde-chiaro e il verde-nerastro, le quali senza verun dubbio ap- partengono ai gruppi delle giadeititi e delle cloromelanititi. Ivi pure si trovano masse di queste ultime roccie con più o meno granato, sì che il legame gene- tico da noi esposto fra le eclogiti e le giadeititi viene luminosamente confer- mato in questa regione delle Alpi Graje. Rimando ad altro lavoro lo studio delle roccie giadeitiche del Vallone Oropa raccolte in posto alle falde dei monti Tovo, Camino, Rosso e Mucrone e nel letto del torrente dove sono abbondan- tissime, e in massi talora. di 50 e 00 cm., poiché materiale sì ricco ed importante merita uno studio speciale. — 138 — cloromelanitite non dubbia. Fra gli erratici rinvenni poi numerosis- simi massi di roccie eclogitiche e giadeito -cloro melanitiche di tipi svariatissimi. Notevoli sono alcuni grossi massi di giadeititi verdognolo- chiare, traslucide sugli spigoli, del quale tipo erano pure delle striscio di giadeite intercalate in un blocco di micascisto. Di tutti questi tipi di roccie del vallone di St. Marcel, tratterò in un prossimo lavoro in un con quelle del Biellese^ della Valle di Susa, eco. Un terzo genere di giacimento di roccie eclogiticbe è fornito dalle masserelle lenticolari ohe accompagnano quasi costantemente le : masse di talco che si scavano nelle Alpi occidentali. Campioni di eclogiti di questi giacimenti furono dallo scrivente raccolti nelle ri- cerche di talco presso Case Flizzo nella valle del Sangone, presso il colle della Boussa nella valle del Chisone, e presso Grangie Su- fc biaski nella Valle Pellice, associate coi calcari e cogli scisti attinolitici 9 che quasi costantemente accompagnano il talco. Queste eclogiti hanno la particolarità di contenere come elemento costituente la biotite, che | finora non incontrai, come tale, nelle roccie eclogitiche degli altri già- | cimenti. Esse sono pure talora ricche di zoisite. Ho voluto accennare i a questo giacimento che non ha veramente grande importanza, perchè 1 alcuni pezzi della Stazione di Alba sono appunto, come si vide, eclogiti a biotite. Anche nell’ Appennino ligure sono frequenti le masse di eclogiti, le quali vi prendono anzi in alcuni punti un’importanza che non hanno i mai nelle Alpi occidentali. Bicordo le numerose ed importanti masse nell’alta valle dell’Olba fra Tiglieto e Pianpaludo, e segnatamente nei f dintorni di Martino Olba, lungo l’Olba fra Olba e Vara inferiore, a ' Monte Antenna, a Nord di Brio dell’Oca, à Nord di Monte Ermetta, ' ad Est di Monte Beigna, ecc. In queste regioni le eclogiti si interca- , lano nella serpentina entro la quale formano masse lenticolari a guisa di dicchi potenti qualche centinaio di metri, e in masse minori si j mostrano nelle fìtte alternanze fra scisti anfìbolioi, serpentinoscisti, micascisti e calcescisti. I tipi rocciosi variano assai per la grandezza degli elementi e — 139 — specialmente per la maggiore o minore ricchezza in granato, passando talora a vere granatiti^ e specialmente per la maggiore o minore ric- chezza in glaucofane^ nella quale sovente si trasforma completamente 0 quasi Telemento pirossenico. Non è qui il caso di accennare al numero stragrande di tipiche presentano le eclogiti, le quali, pur conservando alFincirca la stessa composizione mineralogica, dipendentemente dalla grandezza degli elementi dei costituenti essenziali, pirosseno e granato, dal loro co- lore e sviluppo relativo, dalla maggiore o minore ricchezza di elementi accessori, come il ferro titanato, il rutilo e la pirite, che possono prendere talora importanza di elementi costituenti, dalla natura com- patta e scistosa della roccia, dalla più o meno avanzata metamorfosi degli elementi pirossenici in anfibolo verde, e più frequentemente in glaucofane. I fatti che voglio rilevare in questo genere di roccie, che sono talora a grandi elementi, cioè cogli elementi pirossenici grossi alcuni centimetri, tale altra a grana minutissima in cui quegli elementi non superano il decimo di millimetro, sono i passaggi rapidissimi da un tipo all'altro, cioè da quelli ad elementi macroscopici ad altri micro- meri a grana finissima. Ma oltre che la grandezza varia la propor- zione degli elementi ; il tenore in granato è pure variabilissimo, aven- dosi roccie in cui il granato prevale in modo da darci vere granatiti^ ed altre in cui il granato si fa raro e microscopico, si che si hanno vere piros ceniti. Le eclogiti e le pirosseniti micromere sono compatte e tenacissime, e per quanto si disse sulla natura del pirosseno di queste roccie e sulle loro proprietà fisiche, noi possiamo affermare che esse sono roccie giadeiticlie e cloromelanitiche^ sotto nessun riguardo differenti dalle roccie similari della Stazione di Alba. Lasciando completamente da parte lo studio anche sommario della serie interessantissima delle roccie eclogitiche dei giacimenti indicati, esaminiamo ora solamente la natura di queste due forme micromere speciali di esse, Funa senza, l’altra con granato come ele- mento costituente. 140 - Il Damour, che tanto ha contribuito alla conoscenza chimica delle roccie nefritoidi, nel lavoro già citato, nel quale dava, fra le molte altre, tre analisi di roccie giadeitiche alpine, ci dà pure una analisi della « substance verte à structure cristalline qui empàte des nombreux grenats rouges » di una ecloglte di Fay, presso Nantes, la quale contiene più del 6 per cento di soda; ed aggiunge che nei di- versi saggi fatti sopra diverse varietà di eclogiti, quella base alca- lina raggiungeva il quantitativo dal 5 all’S per cento h In un lavoro posteriore lo stesso Damour ci dà le analisi chi- ■ miche dei pirosseni di quattro eclogiti, del Messico, di Antiochia, di Lione e di Carcassona, il cui tenore in soda varia fra il minimo di 7. 48 ed il massimo di 11. 76, ed il tenore in ossido ferrico fra 8. 86 e 13. 90 ; e attribuisce tali pirosseni alla cloromelanite che, secondo : lui, è una giadeite in cui il ferro si sostituisce all’allumina e colora il minerale in verde ^ Il mio amico A. Lacroix, nella sua bellissima opera sulla Mine- ralogia della Francia e delle sue Colonie, mostrando di capire tutta l’importanza delle osservazioni del Damour ora citate, con intuizione chiara, che queste poche pagine mostrano giustissima, parlando del- l’omfacite delle eclogiti, scrive: « Ce pyroxène est parfois très- sodique, il passe à la jadéite, et c’est certainement dans ce genre de gisement qu’il y a lieu de chercher le gite originel de la jadéite et i de la chloromélanite » ^ i Ma a dimostrare che il pirosseno delle eclogiti alpine è eminen- temente sodico sta pure i] fatto così generalmente osservato della i! sua metamorfosi, soventi completa, in anfiboli sodici violetti del | gruppo della glaucofane, fatto questo che può valere quanto e assai i più di qualche analisi chimica di campioni isolati. In seguito si vedrà |i ^ A. Damour, 1. c. ® A. Damour, Noìiveaii.x essais sur la Cìiloromélanite (Bull. Soc. frane, de Min., 1893, n. 4, p. 57). ® A. Lacroix, Miiiéralogie de la Fraiice et de ses Colonies (Voi. I, p. 604). — 141 pure in uno dei campioni di origine alpina da noi studiati, il piros- seno far passaggio ad un altro anfibolo sodico, cioè dlV arfvedsonite. Si noti che essendo la glaucofane essenzialmente un silicato di allu- mina e soda, ci indica la analoga natura allumino -sodica o giadeitica del pirosseno dal quale deriva per metamorfosi, allo stesso modo che l’arfvedsonite che è un silicato di ferro e soda ci indica che il piros- seno da cui deriva è ricco di ferro e soda, e cioè una cloromelanite. Io non posso presentare alcuna analisi chimica delle roccie giadei- tiche della Stazione di Alba, ma solo quelle 'di due roccie dei giacimenti alpini con cui sono tratto ad assimilarle. Mi dovrò quindi limitare a paragonarle per quanto risulta all’esame microscopico della loro co- stituzione e dalle proprietà peculiari che i loro componenti presen- tano, in grazia delle quali sia lecito dedurne, se non la identica, almeno la analoga composizione chimica; aiutato in ciò dalla osser- vazione dei caratteri fisici e pirognostici, e dalle due analisi di roccie giadeitoidi di origine alpina certa. Quantunque nel rilevare le Alpi occidentali non siansi fatte spe- ciali ricerche nel senso di mettere in luce i possibili giacimenti di giadeite, ripassando ora le diverse collezioni dai miei colleghi e da me fatte, si è potuto radunare un certo numero di campioni di roccie o semplicemente pirosseniche (le nostre omfacititi) o pirossenico-granati- fere (eclogiti), di cui alcune presentano tale identità con diversi dei frammenti della Stazione di Alba, che l’origine alpina di questi non può esser messa in dubbio da chiunque li paragoni con quelli. Passiamo ad esaminare alcuni di questi campioni indicandone con la massima precisione il giacimento. Cloromelanitite di Mocchle. — Ad occidente di Mocchie, in quel di Condove (Val di Susa) il torrente Gravio, prima di precipitarsi nel taglio profondo che esso si è scavato nella morena insinuata, che si sviluppa fra Bonardi, quel primo villaggio e le falde del Truc Brulé, attraversa una briglia rocciosa che forma a Nord dell’abitato detto Le Sinette le ripide rupi, ricoperte nelle parti pianeggianti dal mo- renico stesso. Queste rupi sono costituite da roccie verdi di diversi 142 — tipi, prevalentemente anfiboliche, associate a calcescisti ed a calcari. Fra quelle roccie verdi tra serpentinoscisti ed anfìboliti, presso la mulattiera tra Mocchie e Le Sinette, sono le pirosseniti da cui staccai il campione che ora descrivo come cloromelanitite. La roccia è di un bel verde erba cupo, compatta, minutamente e confusamente fibrosa, e con aspetto sericeo sulle superficie della non molto marcata scistosità, secondo la quale presenta rare zonature ' chiare macchiate di verde. Levigata prende un bel colore verde in- tenso con rare venature di verde più chiaro. Riga i felspati ed è 1 rigata dal quarzo; ha densità di 3.33; fonde facilmente in smalto , verde nerastro, colorando la fiamma in giallo brillante. | Al microscopio i clivaggi, l’estinzione obliqua (35'^ a 39^) nelle sezioni j più fortemente biritrangenti, la rifrangenza e la birifrangenza rivelano | essere il minerale costituente della roccia un pirosseno monochno. In lamina sottile è ancora colorato in verde azzurrognolo chiaro | 1 e mostra un sensibile policroismo. Qua e là sonvi delle parti colorate ; in verde più intenso, dovute ad una parziale uralitizzazione del pi- i ; rosseno in smaragdite, la quale, oltre a piccoli elementi isoorientati ' sul pirosseno, forma aghetti indipendenti che lo compenetrano, e si i; sviluppano al limite degli elementi pirossenici o lungo certe fratture | della roccia. Da questo antibolo fortemente polieroico nelle tinte verde i . glauco e verde giallognolo, e da zoisite, passante ad epidoto sul con- j torno, sono formate le macchie verdi delle zonature chiare della roccia, le quali contengono pure poco quarzo e piccole aree di riempimento : di un felspato indeterminabile. Il pirosseno costituente essenzialmente la roccia è in elementi |: aventi al massimo mm. 0. 1 di grossezza, non terminati e confusa- ^ mente fra loro intrecciati e compenetrantisi ; sono soventi piegati e | contorti e con estinzioni ondulose. La dispersione forte (p > ’j) non , lascia mai vedere estinzioni perfette, il cui massimo, non uguale nel- | l’area di ogni singolo cristallo, è dato dal passaggio da tinte bigio- indaco che si hanno da un lato alle tinte giallastre che loro seguono 1 immediatamente dall’altro lato. 143 — Cosi le sezioni prossime ad essere normali agli assi ottici hanno delle tinte bluastre caratteristiche che contrastano colle tinte vive delle sezioni a maggior birifrangenza. Le sezioni trasversali coi cli- vaggi caratteristici, secondo il prisma, danno uscita d’asse, e da quelle longitudinali si vede che la bisettrice più prossima all’asse del prisma è la n.j. Elementi accessori sono il granato, poca ilmenite^ dalla quale si venne spogliando più o meno completamente il rutilo^ in grani non limpidi nè cristallograficamente terminati, e la pirite. L’analisi di questa roccia, eseguita dall’ing. Gr. Aichino, La dato i risultati seguenti: SiO., AhOg Fe203 FeO CaO MgO A^aO KO Cr,03 5(5,85 8,42 9,82 1,12 12,16 4,57 6,91 0,28 0,00 MnO Perdita al fuoco Totale traccio 0,59 100,72 Dell’anidride titanica, della quale è stata fatta ricerca, non venne con- statata quantità sensibile. Perciò al suo tenore in ossidi di ferro e non a quel costituente chimico deve essere attribuita la forte dispersione notata nel pirosseno. Di una roccia identica per struttura e per proprietà fisiche è un frammento che staccai da un grande blocco di eclogite erratico nei pressi di Casellette b ^ In una visita fatta di recente a questo giacimento raccolsi molte varietà delle quali non posso dare ora lo studio. È però interessante il dire come al- cune di esse contengano granato macroscopico, e come si trovino vicine alcune lenti di eclogiti. In una escursione fatta nello scorso giugno nei pressi di Casellette, a poca distanza da C. Malpensata, dove il morenico si mostra un po’ alto alle falde di Monte Musine, raccolsi, in uno spazio ristretto, due blocchi di giadeititi verdi- bigiastre, Tiina più chiara dell’altra, grossi 30 e 45 cm. circa, e un fram- mento di ascia di una cloromelanitite verde-scura a grana finissima, presentante appena un principio di lisciatura. È notevole il fatto che mentre una parte della superficie dei blocchi in- — 144 — Giadeitlte del lag^hi di Prato Fiorito. — Di una roccia die difiPe- risce da quella di Sinette solo per un colore più smeraldino è un campione raccolto dall’ingegnere Stella nel primo dei tipi di giaci- menti accennati avanti, cioè associato colle roccie verdi, ai laglii di Prato Fiorito. E a struttura cristallina granulare minuta, senza accenno a sci- stosità, e prende una bella pulitura in un verde erba brillante. Ha durezza fra 6 e 7, densità 3. 34, fonde facilmente al cannello in smalto verde brunastro, colorando la fiamma in giallo brillante. Al microscopio è completamente incolora, mostra una più perfetta cristallinità che non la roccia di Sinette, e una struttura granulare con elementi non sfibrati e meno fra loro intrecciati. In luce naturale i clivaggi e il rilievo, in luce polarizzata la birifrangenza, la forte estinzione obliqua (35'’), la posizione degli assi ottici (un asse secondo c) rivelano trattarsi di un pirosseno. E un fatto notevolissimo che questo pure essendo colorato quasi altrettanto for- temente quanto il pirosseno della roccia di Sinette, solo in un altro tono, non presenti che una dispersione quasi impercettibile. Il para- gone della loro composizione chimica sarà molto interessante per la ricerca degli elementi, la cui presenza produce la forte dispersione. La roccia è di una purezza eccezionale e non presenta come ele- menti estranei che rari elementi di rutilo limpidi. L’assenza della ilmenite concorre colla maggior chiarezza del pirosseno e colla pre- senza di traccie di cromo a spiegare la differenza di tinta esistente tra questa roccia e quella di Sinette. dica la loro natura morenica, da un lato essi mostrano una superficie di rot- j tura concoide che può essere stata provocata o da un gran colpo o per mezzo || dell’arroventamento con successivo rapido raffreddamento. Credo utile richiamare i sulla regione in parola l’attenzione dei paletnologi, perchè i fatti suesposti seni- « brano accennare alla presenza di una stazione neolitica. Altri ciottoli erratici poco arrotondati di giadeiti furono trovati presso Bor- ; - gone, presso Yillar Bocchiardo e presso S. Antonino in Yal di Susa, e nel , materiale del diluvium presso Torino. — 145 — Ecco i risultati dell’analisi fattane dall’ing. Aichino: SÌO3 AI2O3 FeO CaO MgO ISTaO KO Cr.O^ Ph^O, 56,63 17,33 1,74 0,22 13,35 4,36 6,80 .... traccle .... TiOg Perdita al fuoco Totale . .7. 0 Jo 100^53 la quale dimostra, come già feci notare, come la differenza essenziale fra questa roccia e la precedente stia nel rapporto delle quantità degli elementi AI2O3, FegOg e FeO. Un altro campione della stessa località dei laghi di Prato Fiorito ha una tinta intermedia fra i due campioni precedentemente descritti. Di questo tipo di roccia, però, di un verde meno schietto è un frammento di punteruolo della Stazione di Alba, nella cui superfìcie di rottura si vedono sviluppate grosse fìbre di anfìbolo verde nella massa pirossenica. La roccia del ciottolo studiato dal dottor Piolti, ohe gentilmente me ne favori un campioncino, è alquanto più cristallina delle roccie precedentemente descritte, ed è anche molto più chiara, essendo di un verde molto chiaro traente a 11’ azzurrognolo. Di questa ricca tinta è una bella ascia della collezione Traverso. In quella roccia si nota pure in lamina sottile un certo sviluppo di esili fìbre di un anfìbolo verde, certamente di origine uralitica. , Oladeltite granatlfera (erratica presso la Colletta di Paesana). — Un campione assai interessante, perchè costituisce come un termine di passaggio fra le roccie giadeitiche e le eclogiti, è quello trovato erratico dall’ing. Novarese presso la Colletta fra Paesana e Barge. La sua forma di ciottolo angoloso a spigoli appena smussati, non lascia nessun sospetto che si possa trattare di un pezzo precedentemente lavorato. La sua massa è verde scuro in alcune parti in altre verde blua- stro, a grana fìna. In' alcuni punti è zeppa di macchie rettangolari bianche, fra cui sono sparsi granati rossi, da 2 a 3 mm. di diametro. Nel campione avente non più di 10 cm. di lunghezza vi sono parti 14G — senza inclusi bianchi e senza granato, in cui la roccia è una vera cloromelanitite. Per durezza (6 a 7), densità (superiore a 3.3^, fusibilità ed aspetto si rivela tosto come una roccia giadeitoide, il che è confermato pie- namente dall’esame microscopico. Il pirosseno fondamentale è incoloro, ed ha soventi le fìtte inclusioni allineate ed orientate (rutilo?) già notate in altre roccie ora descritte. Però i suoi elementi sfumano qua e là nel mezzo, e specialmente all’intorno con un anfìbolo secondario azzurro, che da esso deriva, e ohe è quello che colora in verde azzurro la roccia. Esso è sempre sfumato e^’^mai in elementi ben distinti, cosicché è impossibile determinarne con precisione i caratteri. La estinzione minore che nel pirosseno, sul quale è orientato, il segno negativo in lungo ed il pleocroismo nelle tinte azzurre e verdi con assorbi- mento nj5 > n,, > Urj dicono trattarsi di arfvedsonite. In alcuni elementi si vede il turchino-bleu tendere in modo appena avvertibile a tinte violette senza che si osservi in alcuno le. tinte franche della crocidolite. La metamorfosi in arfvedsonite^ che è un anfìbolo sodico-ferrifero, del pirosseno della roccia, ci dice chiara- mente che questo deve essere una clm^omelanite. Le macchie chiare a contorno netto che ricordano assai bene i felspati porfìroidi di certe porfìriti diabasiche, si mostrano essenzial- mente costituite da zoisite e mica bianca con poco felspato. Non sembra dubbio che si tratti di plagioclasi metamorfosati. Questo campione di roccia è identico ad alcuni pezzi della colle- zione Traverso, e ricorda per le sue macchie bianche i campioni della collezione Pisani e del Museo di Bukarest, i quali debbono d’ora in- nanzi considerarsi senza tema di errare come di origine alpina h ^ Alla cortesia del prof. Gr. Spezia debbo un frammento di ciottolo di una bellissima roccia esistente nel Museo mineralogico di Torino e recante l’etichetta Collina di Torino. Isella massa fondamentale verde-scura compattissima a grana fina sono — 147 Fra le roccie eclogitiche alpine descriverò alcuni campioni che più si rassomigliano alle roccie similari di cui sono costituiti alcuni oggetti della Stazione di Alba. Eclogrite dei pressi di S. Bernardo di Martiniana. — Fra le eclo- giti merita il primo posto un campione del 2^ modo di giacimento indicato dallo Stella, e che questi raccolse presso il crinale del contrafforte fra le valli Faraita e Po, non lungi da S. Bernardo di Martiniana. È una roccia compattissima ed a grana assai fina, di color verde scuro tempestata di piccoli granati rosso-bruni. Densità, durezza e fu- sibilità delle parti scevre di granati corrispondono a quelle delle giadeiti. Al microscopio la roccia si mostra tempestata di piccoli elementi di ilmenite con poco sfeno, senza quasi traccia di rutilo. n granato, in elementi non cristallograficamente terminati, verso il suo mezzo presenta numerose inclusioni degli altri elementi della roccia, e specialmente del pirosseno. Il pirosseno incoloro e leggermente verdognolo, dove è intatto presenta le solite inclusioni allineate nel suo mezzo, e sfuma esso pure in modo molto irregolare con elementi di anfibolo azzurro analoga- mente, ma in modo meno chiaro, di quanto si è visto nella roccia precedente. Esso presenta tali analogie macroscopica e microscopica con la roccia di un frammento di una bellissima ascia della Stazione di Alba, che si potrebbe credere staccata con -esso dallo stesso masso ; e se una differenza si nota si è una maggior compattezza e finezza di grana numerosi inclusi a sezioni parallelogrammiche. ricordanti quelle del campione ora descritto. Il fondo verde è costituito da un pirosseno. e gli elementi chiari sono costituiti essenzialmente da zoisite e mica bianca. Aon è dubbio che trattisi pure in questo caso di roccia giadeititica. Di roccie di questo tipo hawi un grande sviluppo nel vallone di St. Marcel se si giudica dal numero straordi- nario di eiTatici che se ne trovano. Aon di rado il pirosseno è completamente trasformato in anfibolo violetto, nella cui massa appaiono le aree rombiche chiare essenzialmente di zoisite. — 148 — nel campione raccolto dallo Stella rispetto al pezzo di ascia. In questa sono inoltre vari elementi di biotite cloritizzata che non trovansi in quella prima roccia. Eolog^ite zonata di Sea Bianca. — Un altro campione dal collega Stella raccolto al colletto che è ad Ovest di punta Sea Bianca (Valle Po), pure presentando con quello suddetto grandi rassomiglianze per grana e struttura, presenta inoltre a zone una struttura a feltro d’una finezza paragonabile a quella di alcune giadeiti della Nuova Ze- landa. Esso è intimamente associato con eclogiti scistose a grandi ' elementi, le quali sfumano con eufotidi gneissiche granatifere, meta- morfosate, con diallagio in avanzata uralitizzazione. ! Questa metamorfosi del pirosseno in anfibolo verde e più frequen- temente in anfibolo violetto, la si constata in quasi tutti i giacimenti di eclogiti tanto alpini che appenninici, nei quali sovente la glauco- fane prevale quasi sempre sul pirosseno; e se è relativamente facile trovare campioni in cui questo minerale colla sua tinta verde carat- teristica si distingue in striscio o nuclei fra la massa rosso-violacea del resto della roccia, è relativamente difficile il ricavare campioni di dimensioni ordinarie in cui quell’anfibolo non macchi in violetto il fondo pirossenico. • Non senza gastaldite, ma ancora con pirosseno verde prevalente : sono dei campioni raccolti dal Novarese sulla costa fra Buil e (irangie Pian Albert nella valle di Chialamberto, dal Mattirolo i presso Tornetti nella valle di Viù, dallo Stella fra Tome e Lajetto i in Valle Po, ecc. ' Eclog^ite di Arramola erratica (Val Maira). — Nella Valle Maira ' non conosco eclogiti in posto, però rinvenni presso Arramola un ( ciottolo di forma elissoidale molto allungata, lungo 20 e grosso 8 cm., j per ridurlo alla quale aveva certo concorso un principio di lavorazione. { E una bellissima eclogite con fondo verde-bigio a grana fina con abbondante granato, rari elementi pirossenici macroscopici a clivaggi : ^ brillanti. E in generale molto fresca ma in certi punti mostra delle i. concentrazioni di anfibolo verde certamente secondario. — 149 — Al microscopio il pirosseno in generale leggermente colorato in verde glauco è qua e là a tinta assai più forte e sensibilmente poli- eroico. Ha dispersione molto sensibile. Il granato freschissimo in elementi piccoli, rare pagliuzze di bio- tite e molte massarelle granulose di rutilo sono gli altri elementi. E probabile che questa roccia sia originaria della vicina Valle Yaraita. Boccia nefrltoide della Valle Grana. — Nella Valle Grrana non conosco neppure giacimenti di eclogiti, che nemmeno trovai erratiche. Però nel letto del Grrana da un grande masso staccai un campione di roccia che ha l’aspetto di roccia nefritoide. E verde erba scura a grana finissima, compatta e tenacissima. Ha densità di 3.23 ma in alcuni punti durezza inferiore a 3. Al cannello le scheggie gonfiano legger- mente e si contorcono fondendo difficilmente agli spigoli. Al microscopio il fondo della roccia si rivela come costituito da una massa compatta di clinocloro, nella quale sono distribuiti unifor- memente elementi sfibrati e sfrangiati di anfibolo, racchiudenti resti di un pirosseno da cui derivano, e passanti essi stessi a clorite come quello che costituisce il fondo. Tale roccia parmi si possa più facilmente legare alle serpentine di cui havvi qualche massa nella valle, e della quale potrebbe essere una forma di contatto, che alle masse diabasiche, le quali sono quasi costantemente ricchissime in gastaldite secondaria. Eologlte di Plampaludo (valle dell’Olba). — Un campione dallo scrivente raccolto nella valle dell’Olba presso Piampaludo nell’ Ap- pennino ligure, fra le importanti masse ricche in gastaldite di quella regione con'erva deUe parti immuni dall’uralitizzazione. Lo descrivo perchè non è improbabile che di roccie simili siano costituiti degli oggetti neolitici delle grotte liguri '. ^ Vidi nel Museo etnografico di Roma due bellissime ascie in roccie granatifere provenienti dalla grotta di Pollerà, ma non ho potuto verificare se siano di vero eclogiti ovvero di quelle roccie a granato, pirosseno, anfibolo e — 150 — La roccia presenta delle fratture riempite di glaucofane e di clorite maoroscopiclie ; ha la densità straordinaria di 3.67 dovuta al forte tenore in granato ed in rutilo e ad un po’ di pirite. Il rutilo è in m asserelle irregolari di alcuni millimetri di grossezza, ed in tale quantità da potersi considerare come uno degli elementi costituenti della roccia, e lo si riconosce alla tinta bruna ed alla frattura fina- mente granulare come di acciaio a grana finissima. Il pirosseno d’un bel verde carico cementa fra loro gli elementi di granato rosso e di rutilo. Al microscopio si vede ohe le masserelle di granato a contorno irregolare, grosse talora alcuni millimetri, sono formate dalla riunione di numerosissimi piccoli cristalli o giustaposti o separati da filetti di pirosseno o di anfibolo da questo derivato. Anche le masserelle di rutilo si risolvono o in una miriade di piccoli elementi cementati dal pirosseno e dall’ anfibolo od in un complesso e minuto sistema di elementi filiformi irregolari secondo tre direzioni, le cui maglie sono riempite di pirosseno. Lo stesso rutilo è poi ancora sparso in minute inclusioni nel granato e nel pirosseno. Questo minerale, d’un bel verde glauco non uniforme è sensibil- mente polieroico {iig verde glauco, verde erba, n,n giallo verdognolo), e, cosa notevolissima, nello stesso preparato microscopico si trova in elementi di qualche millimetro di grossezza, o forma delle plaghe ad elementi minutissimi con struttura intrecciata come le più micro- mere fra le giadeititi. Esso presenta una dispersione fortissima, meglio osservabile nelle sezioni a debole birifrangenza. In molti punti qua e là gli elementi pirossenici mostrano nel loro interno plaghe violette azzurrognole polieroiche, che indicano felspato che si trovano nei gneiss del Savonese, e di cui ebbi a descrivere pe- trograficamente qualche esemplare nel mio lavoro: « TsTota preliminare sulla formazione gneissica e sulle roccie granitiche del ruassiccio cristallino ligure » nel quale accennai pure al grande sviluppo che hanno lo eclogiti nella valle deirOlba (Boll. E. Com. Geo!., 1893, n. 1). — 151 — chiaramente la loro trasformazione in glaucofane, la quale forma pure, specie fra i granati o al contatto di essi, delle piccole zone sfu- manti col pirosseno, dal quale deriva, ed anche pagliette distinte. Gloromelanitite ^ranatifera (staccata da chi scrive da un blocco erratico nel torrente Visone presso (xrognardo, in quel di Acqui). — E una roccia a fondo verde scuro nelle parti compatte, e verde mare nelle parti scheggiate, nella quale sono sparsi dei granati grossi di 1 a 2 millimetri, rare lamelle di una mica bianca, e rarissimi nuclei bianchi zoisitici. Densità e durezza corrispondono a quelle delle roccie giadeiti- che. Per trasparenza è di un bel verde erba nelle scheggie sottili. Al microscopio oltre il rutilo abbondante ed il granato come mi- nerali accessori, mostra rare pagliuzze di mica bianca. 11 pirosseno, costituente essenziale, è ancora sensibilmente colorato e polieroico in lamina sottile ; forma elementi di mm. 0. 3, sfrangiati, ed intrecciati, o plaghe a più minuti elementi ed a struttura feltrata. Presenta estinzioni irregolari e imperfette con forte dispersione. 11 granato è zeppo di inclusioni dell’elemento pirossenico. Qua e là si trasforma in anfibolo verde isoorientato o formante plaghe di fibre intrecciate fra gli elementi pirossenici. Come elemento secondario noto pure poco epidoto. Questa roccia è molto prossima per aspetto esterno e per strut- tura microscopica a qualcuna della collezione Traverso. Da quanto è stato detto sulla pertinenza ad una unica serie di roccie di una parte importante dei pezzi di scarto della collezione Tra- verso^ e sulla identità di alcune e sulla analogia di altre di esse con roccie raccolte in posto nelle Alpi occidentali, mi pare si possa trarre l’importante conclusione che le roccie di cui è fatta la sujì'pellettile neolitica della Stazione di Alba sono senza dubbio^ in gran parte^ di ori- gine alpina {gruppo del Monviso)^ e possono essere anche in pjarte di origine appenninica. Diversi ciottoli, sia di giadeitite che di altre roccie che si tro- varono in quella Stazione, sembrano provare che il materiale fosse — 152 — cercato nelle alluvioni, le quali lungo le valli Yaraita e Po dietro le> considerazioni esposte dallo Stella (1. c.), potevano avere una relativa ricchezza in ciottoli di roccie giadeitoidi. E se si considera la vici- nanza di Alba al corso di quei torrenti nell’Alto Piemonte, sembrerà assai probabile che i greti di essi siano stati i giacimenti che forni- : rono quel materiale. Naturalmente la parte inferiore del Miocene, nel i tratto in cui questo terreno viene ad addossarsi, cingendolo, al gruppo ^ cristallino ligure, fra la Bormida di Spigno e il Lemme, affluente del- j » l’Olba, ricchissima in ciottoli e blocchi di roccie Iherzolitiche, eclo-| gitiche e contenenti senza dubbio, roccie giadeitìche, o le alluvioni! dei torrenti che incidono quel terreno, meglio che la roccia in posto, | hanno potuto fornire altra parte del materiale in discorso. Così ap-^ pare come gli abitatori della Stazione di Alba non avessero punto! difficoltà di procurarsi nelle vicine regioni delle roccie che possedes-i sero le qualità caratteristiche delle giadeititi, per farne strumentici atti ai vari usi; ed in tali condizioni sarebbe inconcepibile che lei cercassero in regioni lontane. j Quello che più stupisce, vista la grande diffusione delle eclogitiì a gastaldite e di altre roccie gastalditiche compattissime e di una! tenacità non inferiore a quella delle giadeititi, quali sono certe por-ij Ariti diabasiche e le diabasi metamorfosate abbondanti nelle valli| Chisone, Maira, Grana e Yalloriate (affluente della Stura), si è ohei esse siano così scarsamente rappresentate nel materiale da me esa-i minato. i Queste roccie debbono la loro grande tenacità alla struttura ad;| intreccio confuso in ogni direzione, che presentano gli aciculi o glijj elementi sfrangiati dell’anfìbolo violetto nel quale si trasforma rele-.ì mento pirossenico ; e la loro tenacità è tale, che non di rado con un| martello ordinario si e impotenti a staccarne dei campioni se la;' roccia non presenta qualche spigolo ad angolo acuto. Notevoli sonoc a questo riguardo specialmente delle roccie della Valle Grana edaltret della valle del Chisone, dove sono sviluppate nel gruppo del Granò Mioul. Sono diabasi o porfìriche o granulari nelle quali il pirosseno,!- — 153 — che è Felemento costituente preponderante, si trasforma quasi com- pletamente in glaucofane, la quale in elementi sfrangiati si intreccia confusamente presentando una struttura non molto dissimile da quella delle giadeititi. Da queste anche se parzialmente uralitizzate come si osserva in alcuni casi, si differenziano per un considerevole svi- luppo di lawsonite e di albite, provenienti entrambe dalla trasfor- mazione dei plagioclasi, e per innumerevoli masserelle di leucoxene. La durezza, la grande tenacità, l’omogenità e la densità, ancora considerevole di queste roccie (fra 3. 05 e 3, 20), possono renderle atte ai vari usi a cui si destinavano le roccie giadeitiche, delle quali nelle Alpi Cozie sono molto più abbondanti. Roccie di tali tipi abbondano pure in Liguria e specialmente presso l’abitato di Pegli, come pure se ne trova al Capo Argentario ed alle isole del Giglio e della Gorgona, delle quali descrissi i prin- cipali tipi in un precedente lavoro \ L’esame minuto di tutta la rara collezione Traverso potrà illu- minarci su questo punto e chiarir meglio l’origine o le origini del ricco materiale. Un altro fatto notevole è quello di non aver trovato fra il mate- riale di scarto e nella parte della collezione da me veduta, sebbene frettolosamente, nessun esemplare costituito o dai porfidi quarziferi bigi compatti e tenacissimi del M. Besimauda, delle valli Casotto e Corsaglia o dei porfidi quarziferi rossi a felspati porfiroidi, pure ^ Eichiamo su (piesti fatti Tattenzione di quanti si occupano deiresame del materiale delle stazioni neolitiche in Piemonte ed in Liguria, perchè la con- statazione di quelle roccie nei manufatti di esse costituirebbe una buona con- ferma della loro natura indigena. Parvenii formata di una roccia a glaucofane del genere di quelle cennate, una bellissima ascia piatta della Stazione della valle della Vibrata in quel di Teramo, nel cui materiale di scarto, cedutomi per esame dal dott. Colini, riconobbi pure una serie di roccie giadeite-cloro- raelanitiche ed eclogitiche, nonché delle roccie anfibolitiche (nefritiche) con glaucofane. — 154 — assai tonaci che il vicino Tanaro presenta abbondanti nelle sue | alluvioni La spiegazione di questi fatti la si potrà avere forse quando la i suppellettile litica delle varie Stazioni del Piemonte sia stata esami- nata petrograficamente con cura; e si potrà forse giudicare allora ; quanta parte potessero avere nella scelta del materiale la tradizione, il gusto e forse anche la moda, nonché le regioni per cui erano pas- sati anteriormente gli abitanti delie Stazioni stesse. Dopo quanto è stato detto sulle roccie alpine trovate in posto od , erratiche, ma in forme tali da escludere che su di esse si fosse eser- citata opera d’uomo, roccie di cui alcune ricordano assai bene quella ! della collezione Pisani analizzata dal Damour e quelle altre con tanta cura studiate dal Mrazec, non può più rimaner dubbio che queste ; ultime roccie la cui origine alpina era finora ritenuta dubbia, proven- gano, come il ciottolo studiato dal Piolti, realmente dalle Alpi. Reciprocamente le analisi chimiche di queste ultime roccie ven- gono a confortare ed a completare i risultati dello studio petrogra- fico delle prime. Non credo opportuno discutere in questa nota preliminare il dif- ficile argomento deirorigine delle roccie giadeitiche ed eclogitiche; dirò solo che quelle masse che si trovano incluse nelle serpentine, nelle eufotidi o nelle roccie anfiboliche da queste roccie derivate, si possono considerare di origine eruttiva. A ciò mi trovo indotto dai seguenti fatti: Anzitutto il pirosseno in molte delle eclogiti dei giacimenti sopra indicati ha delle grandi affinità col diallagio, tanto pei clivaggi che per le i inclusioni caratteristiche. In una eclogite ricca in granato inserita nella serpentina a Nord di Camporossetto (Condove) il pirosseno si mo- i stra verso il mezzo dei singoli elementi di un colore bruno -violaceo come quello di molte diabasi ed eufotidi, e sfuma irregolarmente i ^ Il Traverso afferma pure che non esiste nelle allnvioni del Tanaro j)resso Alba nessnna roccia paragonabile con quelle della Stazione da lui scoperta. 155 — verso Testerno dove esso non presenta colorazione sensibile. 11 piros- seno presenta pure frequenti geminazioni secondo (100) che non vidi nelle altre roccie giadeitiche od eclogitiche, e si trasforma esso pure qua e là in anfìbolo verde azzurrognolo, con formazione di sfeno abbondante. Anche la composizione chimica del diallagio di molte eufotidi e del pirosseno di molte diabasi non è essenzialmente di- versa da quella della omfacite sodica o giadeitica, poiché le loro frequenti metamorfosi in glaucofane mostrano che quei pirosseni sono pure riccamente sodici Il fatto osservato in alcune eclogiti che nello stesso campione presentano del pirosseno a grandi elementi e delle plaghe di esso con struttura giadeitica minutissima, mostra poi come questa struttura non possa costituire di per sé una difficoltà a rite- nere come eruttiva la roccia che la presenta. Tra i pirosseni delle eufotidi e delle diabasi e quelli del gruppo giadeite-cloromelanite non osservasi dunque differenza essenziale, che jDOSsa autorizzarci ad at- tribuire loro origini tanto differenti. Se si osserva poi che in alcune masse diabasiche sono frequenti dei locali impoverimenti in felspato per modo da passare a vere pirosseniti, appare chiaro come si possa dalle diabasi passare a roccie non essenzialmente differenti dalle gia- deititi. In secondo luogo dei passaggi graduali furono osservati fra le eclogiti e le eufotidi; ed il fatto di vederle soventissimo associate con queste roccie o colle roccie anfiboliche da esse derivate, per meta- morfosi, sono sufficienti argomenti per attribuire loro ufforigine ana- loga. Analogamente nei monti del Kuenlun i giacimenti di giadeititi, j secondo il Bogdanovitch, sono associati a sieniti augitiche con eufo- ' tidi e diabasi. Finalmente Tassociazione in masse importanti e ripetutamente ^ Ho più volto messo in rilievo come i felspati prodotti dalla metamorfosi ] di queste roccie siano plagicela si acidi e il più soventi albiti. Bisogna adunque supporre che la soda degli anfiboli violetti secondari fosse data da pirosseni ^ sodici. i intercalate colle serpentine, come accade appunto nella valle dell’Olba, | sembra indicare dovere essere le eclogiti di origine analoga a quella i delle serpentine. Si notino inoltre i fatti importanti della esistenza dì , roccie a nefelina, giadeite e plagioclasio, notate dal Bauer fra le gia- deititi provenienti dal Tibet {Jadeit von- Tibet^ 1. c., p. 85); e quello ; della frequenza delle macchie bianche zoisitiche, con tutta probabilità plagioclasi molto basici metamorfosati, in alcune giadeititi alpine, le quali verrebbero cosi ad essere forme estreme di roccie diabasiche. Tutte queste considerazioni parlano chiaramente in favore del- i l’origine eruttiva delle roccie eclogitiche e delle roccie giadeitiche con . esse associate. Però a questa ipotesi si possono fare alcune obbiezioni ! quando si considerino le roccie eclogitiche che abbiamo osservato ; esistere in masserelle, lenticciole o noduli di dimensioni assai ridotte ■ intercalate nei micascisti, poiché l’origine eruttiva di queste roccie le quali sembra sfumino petrografìcamente coi micascisti sarebbe diffi- cile a concepirsi. All’origine semplicemente dinamometamorfica come sarebbe di- sposto a credere il Mrazec, la quale origine sarebbe concepibile per le masse di roccie eclogitiche intercalate nei micascisti, si possono pure opporre alcune obbiezioni; sia considerando gli stretti rapporti i di quelle roccie colle serpentine e colle eufotidi; sia ponendo mente al fatto che il pirosseno delle eclogiti è sovente completamente me- tamorfosato in glaucofane. In questo caso bisognerebbe concepire due periodi di processi metamorfici in condizioni assai differenti, nel primo dei quali si formarono le eclogiti e le giadeititi, e nel secondo dei quali ebbe luogo l’uralitizzazione dei loro elementi pirossenici Bisogna adunque aspettare da altre osservazioni sul terreno e in laboratorio nuovi fatti che permettano di farci un’ opinione fondata su questo i argomento. Osservo intanto come esistano grandi analogie di giacimenlo fra ' le nostre roccie eclogitiche e quelle della giadeitite di Tammaw sul fiume Urù nell’alta Birmania, dove queste roccie sono comprese in una serpentina che fa parte, secondo il Bauer, di una serie cristallina. nella quale figurano interessanti roccie ad anfibolo ed albite (nostre prasiniti?) e uno scisto a glaucofane con inclusioni di pirosseno che rappresenta assai probabilmente una giadeitite parzialmente uralitizzata. Da quanto sono venuto esponendo nel corso di questo lavoro io mi credo autorizzato a formulare le seguenti conclusioni: 1° L’elemento pirossenico delle roccie eclogitiche di cui sono note molte masse nelle Alpi occidentali, è in molti casi un pirosseno sodico molto prossimo a quelli del gruppo giadeite-doromelanite. 2® Per impoverimento graduale o rapido del tenore in granato le roccie eclogitiche suddette passano localmente a roccie essenzial- mente pirosseniche, le quali hanno tutte le proprietà delle giadeititi e delle cloromelanititi. 3° Nessuna obbiezione seria può essere ormai fatta a che si considerino realmente come di origine alpina le giadeiti trovate in ciottoli, tanto in Svizzera che in Piemonte ; specialmente quelle della collezione Pisani, del Museo di Bukarest e il campione raccolto dal Piolti, delle quali tre abbiamo descritto tipi corrispondenti di origine alpina certa d'’ Nel materiale della Stazione neolitica di Alba figurano, senza parlare delle Iherzoliti, delle eclogiti^ talora a glaucofane, delle giadeititi, delle cloromelanititi, delle porfiriti afanitiche e delle an- fiholiti con identici caratteri di roccie analoghe del gruppo del Monviso, della Valle di Susa, del vallone di Oropa e di quello di St. Marcel. 5“ La presenza di quelle porfiriti, di un tipo specialissimo della catena del Monviso, olire all’analogia delle altre roccie, dimostra come una parte certo importante del materiale litico della Stazione di Alba ^ Il materiale trovato nei pressi di Casellette e le numerose masse di roccie giadeitiche del Tallone Oropa e dei pressi di St. Marcel, alle quali accennai nelle note precedenti, aggiungono, se pure n’era d’nopo, grande va- lore a questa importantissima conclusione. — 158 — possa essere originaria del gruppo del Monviso nelle Alpi Cozie, nel qual caso è assai probabile che essa provenga dalle alluvioni dei fiumi Varaita e Po. jj 6° Nell' Appennino ligure dove sono pare frequenti e importanti masse di roccie a pirosseno fortemente sodico, analogamente a quanto j: accade nelle Alpi Cozie, quelle roccie passano localmente a roccie già- deitiche e cloromelanitiche. i 7° E perciò anche possibile che parte del materiale della sta- , zione suddetta possa provenire dall’ Appennino ligure, dove può essere jj stato tolto dagli strati ciottolosi del Miocene inferiore o dai greti dei h' fiumi fra la Bormida di Spigno e l’Olba. j 8° L’origine certamente indigena del materiale roccioso della 4 Stazione neolitica di Alba, la evidente sua lavorazione nella Stazione i3 stessa e le notizie che si hanno sulla natura dei manufatti litici di diverse Stazioni piemontesi e liguri ed i numerosi ed abbondanti già- cimenti di tipi svariati di roccie giadeitiche delle Alpi a noi già noti, i i quali ci permettono inoltre di intravederne la estensione in altre 11 valli dove si proseguono i terreni che le comprendono, costituiscono ^ degli argomenti validissimi per affermare la probabile origine pa- < rimenti indigena di tutto o della massima parte del materiale roccioso ' ^ delle Stazioni neolitiche che si trovano nei due versanti delle Alpi occidentali e dell’ Appennino ligure. i Rimane a farsi pel materiale delle altre Stazioni del Piemonte il j confronto col materiale alpino delle regioni più vicine, ma l’abbon- ! danza di questo perm^ette fin d’ora di affermare la assai poca proba- bilità che gli antichi abitatori dell’alta valle del Po cercassero altrove ! un materiale del quale avevano dovizia nel loro paese. ’ Roma, giugno 1900. B. Lotti. — Rilevamento geologico eseguito nel 1899 nei dintorni del Trasimeno e nella regione immediatamente a Sud fino a -Orvieto. I terreni che furono presi in esame nella Eelazione sulla campagna precedente (v. Boll. Comit. GreoL, 3, 1899, pag. 207),' e che costituiscono la regione a Nord e ad Est del Trasimeno, fanno seguito, cogli stessi caratteri e nello stesso ordine, ma con sviluppo alquanto diverso, nella regione a Sud, fra questo lago e Orvdeto, sulla quale si aggirarono i lavori di rilevamento durante la campagna deìTanno scorso. Fanno qui inoltre comparsa i depositi pliocenici marini, che vedremo poi estendersi senza interruzione lungo la valle inferiore del Tevere, e piccoli ma frequenti lembi di tufo vulcanico che preludono alla vasta formazione eruttiva del sistema vulsinio. L’area rilevata comprende la parte meridionale della tavoletta di Castiglion del Lago, quasi tutta la tavoletta di Città della Pieve e quella d’Orvieto, ad eccezione dell’area posta sulla destra del torrente Paglia e che forma l’altipiano vulcanico d’Orvieto. Generalità topogrrafiche e geologiche. — La regione in parola è costituita essenzialmente da una catena d’alture che dal Trasimeno 1 stendesi verso S.S.E fino alla confluenza del Paglia col Tevere, e di cui i punti culminanti sono rappresentati dal vertice del Monterale (m. 851) e da quello del Monte Peglia (m. 837). Il torrente Nestore (pron. Nestore) taglia trasversalmente la catena presso la sua estre- mità settentrionale, separando da essa il piccolo gruppo montuoso del Monte Petrarvella o di Panicale che sbarra il bacino del Trasi- meno nel suo lato Sud, mentre il torrente Chiani, dopo ’un percorso ! nel piano di Città della Pieve e di Carnaio] a, penetra bruscamente, I con stretto gomito, nel cuore della catena stessa e ne solca longitu- dinalmente la porzione meridionale, incassato profondamente in una stretta e tortuosa gola, fino al suo sbocco nel Paglia presso Orvieto. Sebbene il Chiani corra per entro una squarciatura dei terreni eocenici, pure esso segna grossolanamente, lungo il versante occiden- tale della catena, la linea di divisione fra V Eocene e la grande distesa del Pliocene marino, alla stessa guisa che il torrente Paglia tiene presso a poco distinta la potente massa tabulare, composta esclusi- vamente di materiali vulcanic , dell’altipiano d’ Orvieto, dai terreni sedimentari eocenici e pliocenici sui quali solo sporadicamente sono disseminati piccoli lembi di quei materiali. Terreni secondari. — Le roccie più antiche di questa regione spettano all’èra secondaria e compariscono in un piccolo affioramento presso Parrano, nel versante occidentale della catena, ed in un’ampia plaga che dal Monte Peglia, posto a cavaliere dello spartiacque della catena, stendesi in direzione S.S.E nel suo versante orientale f Lo studio di questo secondo gruppo fu appena iniziato nella decorsa campagna e limitato al solo Monte Peglia; ne rinvio quindi la de- scrizione particolareggiata ad una prossima occasione, limitandomi a ricordare che il Monte Peglia forma una cupoletta . ellissoidale, com- pleta, coll’asse maggiore, di poco più che due chilometri, diretto da N.O a S.E, e costituita da un nucleo di calcari grigi con selce, probabilmente titoniani, cui succedono in ordine ascendente una zona esigua di scisti marnosi violetti, gialli e neri, altra serie di calcari biancastri e rosei pure con selce, ed infine un mantello di scisti marnoso-calcarei rossi e grigi che rappresentano rispettivamente la scaglia rossa e la scaglia cinerea del Cretaceo superiore. Le osservazioni su questa serie possono farsi agevolmente percorrendo la vallecola * ^ Tra Sanfatucchio e Pucciarelli, presso la sponda S.O del Trasimeno, di mezzo al terreno quaternario lacustre emerge una collinetta chiamata il Poggetto. costituita da calcare eocenico e da scisti e calcari marnosi rossi e grigi che ricordano molto la scaglia senoniana. L’esiguità dell’affioramento non permetto una determinazione sicura dell’età di questi strath — 161 - che sale, profondamente incisa nella cupola, da Villa Spante, sopra S. Faustino, al Poggio Pillandrone, altura più settentrionale del Monte Peglia. L’affioramento secondario di Parrano è limitato ad un’area pres- soché circolare, avente un diametro non più grande di 200 metri, ed è formato da solo calcare neocomiano, direttamente ricoperto dalle roccie eoceniche. Il calcare è grigio, con noduli di selce nera, imperfetta- mente stratificato e racchiudente rari aptici, fra i quali si riconobbe dal dottor Di Stefano VAptychus angulocostatus Pet. La massa calcarea è divisa in due da uno stretto solco a pareti verticali, nel fondo del quale scorre rumoroso il Fosso del Bagno, impraticabile lungo questo tratto. Alcune caverne cupe e profonde, che forse meriterebbero di essere esplorate, si aprono sulle pareti del detto solco. Alla base di questo' masso calcareo secondario, nel punto dove il fosso dalla stretta gola sbocca in un’aperta ed ampia vallecola, scaturisce una copiosa sorgente sulfurea, a temperatura ordinaria, conosciuta sotto il nome di Bagno minerale di Parrano. Un casotto offre il comodo di potervi prendere in estate un bagno fresco e sa- lubre. TerreHi eocenici. — Mentre, com’é naturale, gli strati eocenici si addossano bruscamente allo scoglio calcareo neocomiano di Par- rano, nel Monte Peglia fra detti strati e quelli del Cretaceo superiore vi è passaggio graduato. Gli scisti calcarei e calcareo -marnosi grigi senoniani, compresi sotto il nome di scaglia cinerea^ passano qui a scisti marnosi grigi, listati di selce nera, e questi a scisti arenacei e ad arenarie, sulle quali si ripetono poi, come può vedersi scendendo dal Monte Peglia a S. Faustino, gli scisti marnosi con selce, accom- pagnati da scisti marnosi rossastri che ricordano quelli costituenti la scaglia rossa^ la qual cosa conferma l’intimo legame fra i terreni eocenici e quelli secondari in questi dintorni. Sulla strada tuderte, presso il bivio Todi-S Venanzo, gli scisti marnosi grigi, aumentando in essi l’elemento calcareo, divengono qua e là calcari marnosi, e tanto quelli come questi sono pieni di minuti organismi granulari, alla — 162 — stessa guisa delle marne spettanti alla formazione marnoso-arenacea fossilifera deH'Umbria tifernate. Una zona estesa e potente di calcari nummulitici, accompagnati da calcari grigio-chiari con selce e da scisti marnosi ed argillosi a fucoidi, separa questa formazione inferiore, marnoso-arenacea, dell’Eocene da un’altra formazione superiore, quasi esclusivamente arenacea, precisa- mente come vedemmo verificarsi nell’altra parte dell’Umbria descritta nella delazione della campagna geologica precedente. Ma non dapper- tutto, nella regione di cui ci occupiamo, gii strati sottostanti a questa zona nummulitica sono prevalentemente marnosi; in molti punti sono invece prevalentemente ed anche esclusivamente arenacei. Nei dintorni di Parrano, al Piegaro, nel Montalvino sotto il Monte Città di Fallerà e nei monti di Panicale sul Trasimeno le roccie sottostanti al num- mulitico sono arenarie non dissimili da quelle superiori, tantoché dove svanisce la zona nummulitica, come nel fosso Polaioli e a S. Angelo in quel del Piegaro, non vi ha modo di separare l’arenaria inferiore da quella superiore. Invece presso Castiglion Fosco, sulla destra del torrente Nestore, la formazione marnoso-arenacea sottostante al num- mulitico si presenta coi caratteri più spiccati della corrispondente formazione marnoso-arenacea dei dintorni di Perugia e di Città di Ca- stello ; non vi si osservano però, come là, gli strati calcarei con fossili di tipo miocenico ^ ^ A proposito di questi fossili di specie abituali del Miocene, cadb in ac- concio di ricordare che gli argomenti da me forniti per dimostrarne l’età eocenica, almeno per quella parte deiriTmbria tifernate da me studiata e rilevata alla scala di 1:50000, si riducono essenzialmente ai seguenti: 1*^ La formazione marnoso-arenacea, che racchiude gli strati calcarei con quei fossili, fa graduato passaggio alla scaglia cinerea senoniana: 2® Questi strati, oltreché fossili di tipo miocenico, racchiudono, benché rare, delle piccole nummuliti e delle orbitoidi, nonché fucoidi, Taoiiurns, Pa- laeodictgon, Hehninthoida, Helminthopsis e Bathgsiphon; 3° La detta formazione marnoso-arenacea sta sotto all’arenaria eocenica ed ai calcari nummulitici con scisti rossi a fucoidi e calcari con selce dei monti del Trasimeno e di Cortona, e le condizioni stratigrafiche esemplificate in una - 103 — La zona nummulitica cKe divide l’arenaria superiore dall’arenaria 0 dalla formazione marnoso-arenacea inferiore, può seguirsi, salvo brevi interruzioni, dai monti a Sud del rasimene fino a Marrano presso Orvieto, per una lunghezza, nel senso della direzione, di circa 32 chilometri. Essa occupa il lato orientale del Monte Solare e la vaile del E-iolo, nel gruppo di Panica! e, i dintorni di Castiglion Fosco, le pendici orientale e meridionale del Monterale, i dintorni di Monte Giove e di Castel de’ Fiori, quelli di Parrano e quelli di S. Faustino presso Orvieto. Non forma questa zona una massa continua ed uni- forme, ma scindesi in varie amigdale, di cui la maggiore, enorme per estensione e lunghezza, è quella che, staccandosi dalla pendice orien- tale del Monterale, spingesi fino a tre chilometri a Sud di Parrano sul Cniani; la più piccola, di un chilometro e mezzo di lunghezza, è quella di Pratalenza, sulla pendice Nord del Monterale Altre amigdale son quelle della valle del Riolo, di Castiglion Fosco e del Monte Città di Fallerà a ^'ord della catena e quella di S. Faustino a Sud. sezione "eoraetricjimento esatta tra Monte Murlo e Monte Acuto in quel d’IIni- bertide, sono tali da escludere qualunque ipotesi di inversione della serie. 4° Le numnmliti deH’arenaria del Monte Murlo che ricuopre immedia- tamente la formazione marnoso-arenacea fossilifera furono dal dott. Di Stefano e dal prof. Tellini riconosciute come decisamente eoceniche. Ciò può servire di risposta al dott. P. R. Ugolini, il quale, non avendo, credo, ancora preso cognizione della mia ultima nota (Boll. Comit. Geo!., 3, 1899), in baso a cert(‘ sue ricerche paloontologiche istituite su fossili di questa parte deirUmbria, rinvenuti riordinando le collezioni del Museo geologico di Pisa, dichiarava inesatte le conclusioni, cui già io era pervenuto in una nota prece- dente iBoll. Comit. Geol., 1, 1898), ed affermava che nulla meglio dei fossili vale a comprovare la verità. Io dico invece che ad un fatto stratigrafico bene accertato non ])otrà mai opporsi un argomento paleontologico. Egli poi non doveva a.sserire che « invano in quella formazione cercherebbesi la minima traccia di nummnliti », perchè doveva avere appreso dalla mia nota, da lui citata, che orbitoidi e nummnliti « macroscopiche ed assai frequenti » si trovano proprio nel calcare di ]\[onte Cedrone, dal quale provengono i fossili da lui studiati e so no trovano altresi nel calcare fossilifero di Monte S. Maria, di Ciciliano e del Rio Taldimonte, dove, come scrissi, furono riconosciute dal Pantanelli e dal Di Stefano. — 164 — Le dette amigdale nummulitiche non sono esclusivamente for- mate da calcare nummulifcico, sebbene questa roccia sia la prevalente, ma vi si collegano altre forme litologiche, come calcari con selce, scisti grigi e rossi marnosi con fucoidi, scisti argillosi variegati e calcari alberesi con scisti argillosi grigi, cioè l’ordinaria formazione calcareo-argillosa o delle argille scagliose. I calcari con selce e gli scisti marnosi rossi sono strettamente collegati col calcare nummuli- tico e lo accompagnano dovunque, come dicemmo avvenire anche nei dintorni del Trasimeno e nei monti di Cortona. La formazione cal- careo-argillosa apparisce come una modificazione in senso laterale od anche verticale degli scisti variegati e questi sembrano rappresen- tare un maggiore sviluppo e una modificazione degli scisti rossi mar- nosi che alternano col calcare nummulitico. Così, ad esempio, l’amigdala di Castiglion Fosco, che stendesi ad Est da Ovest, è formata per la metà orientale dalle ordinarie roccie calcareo -argillose con qualche raro banco di brecciola nummulitica e per la metà occidentale da calcare nummulitico, calcare con selce e scisti rossi, restando in questo secondo tratto sovrapposti al calcare pochi strati di roccie calcareo-argillose. Nell’amigdala che da Monte Città di Fallerà scende fino a Greppo, sulla destra del fosso della Jerna, non compariscono che calcari nummulitici, calcari con selce alternanti con scisti rossi e calcari marnosi rossi colle superficie degli strati piene di fucoidi. La piccola lente di Pratalenza è tutta costituita di calcare nummu- litico e calcare con selce; gli strati sottili arenacei che ne formano il letto presentano dei Palaeodictyon. Nella grande massa amigdalare che da Casa Martino, sulla .sinistra della Jerna, ove termina in cuneo, stendesi verso Sud fin oltre Parrano, via via aumentando di spessore, predominano il calcare nummulitico ed il calcare con selce che for- mano i monti di Poggio Murale, Monte Gabbione, Castel de’ Fiori, Pian del Sette ed altri. Il calcare con selce è intramezzato qua e là da calcari rossi marnosi con fucoidi e da scisti rossi argillosi. La roccia nummulitifera è costituita dal solito calcare a struttura fram- mentario-spatica o calcare screziato.^ che a luoghi fa passaggio ad una — 165 — brecciola ad elementi calcarei varicolori. In molti punti, nei dintorni del Monterale, la formazione nummulitica prende l’aspetto di quella calcareo-argillosa e qualche volta passa ad essa decisamente, come a Monte Giove, a Greppolischieto e nei dintorni di Parrano. Gli strati calcareo argillosi formano un amigdala di circa sette chilometri di lunghezza dentro la grande massa nummulitica che dalla pendice N.E del Monterale giunge fin presso Parrano. Alla estremità meridionale di questa amigdala le roccie calcareo-argillose sfumano in scisti ar- gillosi variegati. Anche nei dintorni di Parrano il calcare nummuli- tico trovasi sopra e sotto la formazione calcareo-argillosa e quivi ap- parisce sempre più intimo il legame fra gli scisti variegati, il calcare nummulitico e gli strati calcareo-argillosi ; in molti punti dove in que- st’ultima formazione predomina il calcare, non si saprebbe dire se ci troviamo nel nummulitico o negli strati calcareo-argillosi, perchè, mentre vi si mantengono i caratteri più spiccati di questo terreno, non vi mancano strati nummulitici e strati di calcare con selce. NeU’amigdala nummulitica di San Faustino, al contrario di ciò che avviene nei dintorni di Parrano, sono gli scisti variegati che compariscono sopra e sotto al nummulitico; stan sotto nel tratto settentrionale dell’amigdala e sopra nel tratto meridionale. Devesi concludere pertanto, e ciò in accordo colle osservazioni fatte nelle precedenti campagne in Val di Sieve, nel Casentino, nel- l’Umbria tifernate ’ e nei dintorni di Cortona e del Trasimeno, che le masse amigdalari nummulitiche e gli scisti variegati che le accom- pagnano o che, talvolta, le sostituiscono e che separano una forma- zione arenacea superiore da una formazione arenacea o marnoso-are- nacea inferiore, rappresentano la zona calcareo-argillosa ossia la zona delle argille scagliose che quasi in tutto l’ Appennino settentrionale troviamo inserita o fra calcare ed arenaria o fra arenaria ed are- naria. ' B. Lotti. Studi suirEocene dell’ Appennino Toscano (Boll. Comit. GeoL, 1. imH). lea — D’arenaria superiore son costituite le alture del Monte Solare e di Mongiovino presso Panicale, quelle di Santa Felicissima sopra Ca- stiglion Fosco, la parte superiore del Monterale, i monti del Bosco dell’Elmo, di Melonta e dell’Elmarina sulla sinistra del CHani. L’are- naria superiore è generalmente in grossi strati, con qualche rara in- terposizione di banchi di calcare marnoso. Presso Santa Felicissima, sopra Castiglion Fosco e sotto il ver- j tice del Monterale, sulla strada di Monte Giove, si osservano dentro i l'arenaria strati di calcare nummulitico e questo fatto, unitamente ai i passaggio graduato di questa formazione arenacea superiore alla sot- li tostante nummulitica, passaggio che si osserva in vari punti e in i special modo presso Monte Gabbione, esclude che essa possa essere ^ riguardata come miocenica e discordante sull’Eocene. Depositi pliocenici marini e lacustri. — I terreni pliocenici, che ji cuoprono una buona metà della regione studiata, si depositarono in i parte sul fondo marino, in parte su fondi lacustri o fluviali. Sono marini i terreni pliocenici delle colline di Chiusi, di Città della Pieve^ di Ficulle e di Fabro, comprese fra i monti eocenici ora descritti e , la catena del Monte di Cotona; sono lacustri o fluvio -lacustri quelli che j sfcendonsi lungo la valle del Nestore e vanno a riunirsi coi depositi i dell’antico lago tiberino. Le colline di Strada e Vaiano, poste fra il lago di Chiusi ed il Trasimeno, sono costituite dal Pliocene lacustre che qui, come ebbi j ! occasione di notare altrove sovrapponesi a quello marino. Il terreno 1' sabbioso a fossili marini occupa l’estremità dello sperone compreso - fra il canale della Tresa e il lago di Chiusi, ed il limite fra esso ed il terreno pure sabbioso o sabbioso-argilloso a fossili lacustri è tracciato nettamente da uno strato di ciottoli forati dai litofagi. Questo terreno i ' lacustre, da cui son formate nella massima parte le colline della , Valdichiana, va, verso Arezzo, quasi a congiungersi con quello con- | ^ B. Lotti, Cenni geologici sul Valdarno (Boll. Comit. GeoL, 3, 1897). — 167 — temporaneo del Valdarno, dimostrando cosi clie, sul finire del pe- riodo pliocenico, un gran lago stendevasi dal Trasimeno verso N.O fin presso Arezzo e forse comunicava con quello del Yaldarno o ne accoglieva il superfluo. L’origine di questo bacino sembra dovuto al primo manifestarsi del sollevamento, sul finire del periodo pliocenico, nella regione ad Ovest della Valdichiana, in conseguenza del quale il terreno pliocenico marino si dispose in piano inclinato contro i monti eocenici della Magione, di Gortona e di Oastiglion Fiorentino. Ad Est di Città della Pieve il passaggio fra il terreno marino e quello fluvio-lacustre della valle del Nestore avviene in senso orizzontale. I fossili marini, abbondantissimi nelle colline di Città della Pieve, vanno facendasi sempre più rari a misura che si procede verso la valle del Ne- store e i ciottoli calcarei vanno perdendo le traccio dei fori di litofagi. Le colline di Città della Pieve e di Monteleone, nonché la parte più elevata ed orientale di quelle di Ficulle sono costituite da sabbie e ciottoli che sovrappongonsi verso S.O ad una notevole distesa d’ar- gille e queste alla lor volta ricuoprono un’altra zona di sabbie e ciot- toli che da San Pietro, presso San Casciano de’ Bagni, passando per Allerona e per Monte Rubbiaglio, giunge in prossimità d’Orvieto. Però mentre nella zona superiore alle argille i ciottoli acquistano il predominio sopra le sabbie, in questa inferiore avviene precisamente rinverso. I ciottoli che compariscono alla base di questa formazione inferiore sono spesso ravvolti in una terra argillosa rossastra, come quelli del Miocene superiore della Maremma toscana, della Val di Cecina e dei Monti Livornesi ; per la loro posizione stratigrafica po- trebbero infatti anche trovar posto nel Miocene, poiché, mancando di fossili, sarebbe sempre lecita tale supposizione, però le sabbie e i ciottoli alternanti, che succedono immediatamente sopra, sono ben provvisti di fossili pliocenici \ ^ Vedere in proposito A. Verri, Azione delle forze nell’assetto delle valli: appendice, Distribuzione dei fossili nella Valdichiana, ecc. (Boli. Soc. Geol. ita- liana, V, 1886). 4 - 168 — Pertanto la serie litologica del Pliocene marino in questi dintorni! è la seguente dall’alto in basso: 1. — Ciottoli e conglomerati. ‘2. — Ciottoli alternanti con sabbie. 3. — Argille. 4„ — Sabbie e ciottoli. 5. — Ciottoli e conglomerati rossi. I fossili sono abbondantissimi tanto nelle sabbie come nelle ar». gille e specialmente al passaggio dalle sabbie alle argille. I dintorni di Fienile e di Fabro meritano speciale menzione non tanto per l’ab- bondanza dei fossili, quanto per la loro perfetta conservazione. Vi è frequentissima VOstrea cochlear. Sono pure da ricordarsi per la stessa; ragione i dintorni di San Faustino, da dove proviene una splendida! collezione di conchiglie di proprietà del signor canonico Valentini in Orvieto. Un elenco di specie raccolte in questa località trovasi in una nota interessante dell’ing. Clerici, pubblicata nel Bollettino della Società geologica italiana \ Un tempo il Pliocene marino dovette ricuoprire una gran parte dei monti sulla sinistra del Chiani, poiché oggi se ne osservano, in- sieme a plaghe assai estese, vari piccoli residui ad altezze di circa 550 metri sulle alture di Parrano e di Sam Faustino. ». Dentro le sabbie, in genere discretamente cementate e quindi | solide e poco permeabili, sono scavate di frequente delle piccole abi-ì tazioni umane, specialmente nei dintorni d’Orvieto sulla sinistra del } torrente Paglia. Esse consistono generalmente in, una sola stanza che | serve da cucina e da camera da letto e che prende luce dalla porta f d’ingresso e da una piccola finestra laterale, aperta nell’ unica parete 4 anteriore in muratura; quasi sempre queste abitazioni hanno sul da- S vanti un orticello. Questi trogloditi del secolo XX, in genere brac- 5 ^ E. Clerici, Sui dintorni di San Faustino nelV Uinhria (Boll. Soc. Geol. ita- liana, XY, 1896). cianti di campagna, non trovano di dover lamentare che un po’ di umidità ! Nel terreno pliocenico lacustre, che fiancheggia là valle del Ne- store e che in massima parte è formato di sabbie e ciottoli, si os- servano tra Pobrilli e il Poggetto delle argille con frammenti di conchiglie lacustri. Pure nelle argille, presso Canella ‘, proprio alla base del deposito lacustre, sull’arenaria eocenica scuopresi uno strato pieno zeppo di C/nio, Vivipara^ Melanojpsis ed altre conchiglie lacu- stri. A Trebbiano poi sotto Castiglion Fosco, questo stesso terreno presenta un affioramento di lignite torbacea e, in abbondanza, pic- cole concrezioni limonitiche e grosse concrezioni calcareo-ferru- ginose. Per ulteriori notizie geologiche e paleontologiche su questi depo- siti pKocenici marini e lacustri, possono efficacemente consultarsi gli scritti del Verri per le accurate osservazioni del quale fu ricono- sciuto e messo in evidenza l’antico delta del Tevere presso Città della Pieve. Tufi vulcanici. — Lembi isolati di tufo vulcanico riposano qua e là discordanti sul Pliocene marino e più raramente sull’Eocene. Le prime traccie appaiono a San Lorenzo e a San Martino presso Mon- teleone, 7 o 8 chilometri a S.E di Città della Pieve. Se ne osserva poi un gruppo numeroso un poco a Nord di Fienile, poi all’Abadia, ^ Dalla collina di Canella (forse Cannella), posta aU’estremità di uno spe- rone eocenico che da Montali scende fin presso il Gestore Terso Sud, scaturi- scono tre copiose sorgenti di acqua buonissima, che sono un vero benefizio per quelle aride campagne. È strano il vedere uscire tanta copia d’acqua dal })iede d'ima collinetta di pochi metri elevata sulla regione circostante. Il loro regime deve quindi manifestamente estendersi in alto lungo il tratto montuoso che dirigesi a Montali e a Monte Marzolana e ciò in accordo colla direzione degli strati nel senso della lunghezza dello sperone. * A. Verri, Sui movimenti sismici nella Valdichiana (R. C. dell’Istituto Lombardo. X, 1887): a pag. 781 ricorda un dente ed altri resti ddHippopotamus m ijor Ciiv. nelle argille lacustri presso Fontignano. a Cliianaiola, a Cesarea, a Pian di Meano, a Pomello, a Palombaio, per la via Cassia e specialmente a Bagni. Si fanno poi più nume- rosi e più estesi presso Morrano e in tutta la regione compresa tra San Faustino, la Capretta e il torrente Paglia. Il lembo più elevato trovasi a circa 600 metri sul mare, per la strada di San Venanzo, un chilometro sopra alla Colonnetta da dove staccasi la strada per Todi. Questo riposa sull’Eocene. Questi tufi sono in generale sottilmente stratificati e ondulati al contatto col terreno pliocenico. Vi si osservano pezzi di lava leuci- tica, cellulare e di scorie grosse come una noce. Alcuni lembi presso Fienile constano di uno strato grosso 1-2 metri di tufo giallastro pumiceo e leucitico, con frammenti di lava, compreso fra strati sot- tili di tufo granulare grigio -cupo, formato di frammenti cristallini di sanidino, d’augite e d’olivina. Nei dintorni di San Faustino predomina il tufo nerastro granu- lare, somigliante a quello che cuopre il tufo giallo litoide d’ Orvieto e che vedesi fra Porta Cassia e la Funicolare. Presso Morrano, nel j taglio della strada nuova, si osserva, interposto agii strati di tufo granulare, un grosso deposito di tufo pumiceo giallo. Gli strati infe- riori di tufo granulare sono incisi da profondi solchi dentro i quali penetra if tufo pumiceo stesso. | Dalle condizioni di giacitura di questi lembi tufacei sembra po- tersi dedurre che essi depositaronsi in piccoli bacini isolati ripieni d’acqua ; bacini rimasti forse sul terreno pliocenico dopo la sua emer- | sione dalle acque del mare prima che gli agenti esterni ne avessero : modificata la superfìcie in accordo colle leggi idrografiche. Il mate- l riale ivi caduto sotto forma di ceneri si depositò in sottili letti, clas- i sificandosi in ragione di grossezza e di peso specifico. Non vi ha dubbio pertanto che la formazione di questi tufi 1. vulcanici abbia avuto luogo dopo il Pliocene e probabilmente nei ; primordi dell’era quaternaria. | I , Depositi quaternari. — Ad un periodo antico del quaternario sono da attribuirsi certi depositi di ciottoli che fiancheggiano il lato | — 171 — sinistro del Paglia presso lo sbocco del Chiani, di fronte a Orvieto e che ritrovansi, risalendo il corso del Ohiani stesso, sotto Parrano, a Olevole, alla Bissa, presso Oarnaiola, a Spazzolino e per un buon tratto ai piedi delle colline di Città della Pieve, in lembi manifesta- mente terrazzati sul Pliocene. Origrine del lago Trasimeno. — Al quaternario antico spettano pure, come già dissi nella Relazione della campagna' precedente ‘, i depositi lacustri di sabbie e ciottoli che stendonsi sui margini del lago Trasimeno e lungo la depressione fra le colline plioceniche della Valdichiana e i monti eocenici di Cortona e di Castiglion Fiorentino fino al piano di Arezzo. Il lago pliocenico che, come fu più sopra accennato, occupava quasi tutta l’attuale Valdichiana e il bacino del Trasimeno, si era, dunque, ridotto in larghezza, ma non in lunghezza. I depositi lacustri che fiancheggiano il corso attuale del torrente Tresa, tra i monti di Panicale e le colline di Strada, stanno ad indi- care che il lago aveva il suo sfogo da questo lato. Dalla parte di Panicale il deposito lacustre quaternario ricuopre il terreno eocenico e sale fino ad una quota di 355 metri presso Paciano, mentre dalla parte di Strada ricuopre il terreno pliocenico lacustre, salendo presso Gioiella ad una quota di circa 366 metri. A Palazzolo sulla sinistra del torrente Tresa e al Petraio sulla destra il deposito quaternario sovrapponesi al Pliocene marino; è questo il punto dove le colline plioceniche della destra si avvicinano tal- mente a quelle della sinistra della Tresa da lasciare uno spazio ri- strettissimo per il defiusso di questo torrente ed è a credersi che il lago fosse qui sbarrato dal terreno pliocenico marino, pur avendo attraverso questa sbarra il suo sfioratore. Formatosi successivamente in essa la profonda incisione attuale, l’antico lago si vuotò in gran parte riducendosi presso a poco alle attuali dimensioni. Continuando il movimento ascensionale, progressivamente crescente da N.E verso Boll. R. Comit. Geol., 3, 1899. — 172 — S.O, dell’area posta ad occidente della Valdichiana, pel quale aveva avuto origine, nel modo più sopra indicato, il primo bacino plioce- nico, le acque del Trasimeno si trasportarono verso la parte orientale del bacino e vennero a contatto diretto col terreno eocenico delle colline della Magione, mentre i suoi depositi quaternari s’inalzavano di oltre 100 metri sull’attuale livello nella sua parte occidentale. Cambiate le condizioni idrografiche, il lago perde il suo emissario naturale e si stabili forse un relativo equilibrio fra l’immissione e l’evaporazione, fino a che non fu provveduto per opera dell’uomo alla sua sistemazione definitiva. Tale spiegazione della genesi del Trasimeno trova il suo fonda- mento nel fatto che il terreno pliocenico fu trasportato all’altezza di circa 900 metri sul mare nei dintorni del Monte Amiata, a 800 presso il Monte Cetona, a 688 presso Montepulciano, mentre nei paraggi del Trasimeno non giunge a 400 metri; si ha, cioè, una differenza di li- vello di 100 metri sopra una distanza orizzontale di 10 chilometri fra Eadicofani e Monte Cetona e di 400 metri sopra 15 chilometri fra Monte Cetona e le colline del Trasimeno e fra Montepulciano e queste stesse colline, ossia una pendenza media del deposito pliocenico di circa il 10 per 1000 da S.O verso N.E nella zona più elevata, fra i due anticlinali del Monte Amiata e del Monte Cetona, e di circa il 26 per 1000 nella zona più bassa, fra l’anticlinale del Monte Cetona e il sinclinale della Valdichiana. Nei depositi dell’antico lago postplioce- nico, i quali, come dissi altrove compariscono lungo il perimetro occidentale e non sull’orientale dell’attuale Trasimeno e diminuiscono d’altitudine a misura che si procede verso oriente, questa pendenza si riduce a circa il 5 per 1000. Gli effetti dell’abbassamento di livello delle acque nel bacino del Trasimeno, in seguito al taglio della sbarra di terreno marino plio- cenico, e dello spostamento dello specchio acqueo verso oriente, rima- ■ ■i ì ) ^ Loc. cit. — 173 — sero chiaramente impressi nel corso dei torrenti Paganico e Poscia, suoi tributari, i quali, scendendo dalle colline di Pozzuolo in dire- zione S S. E volgono ad un tratto il loro corso inferiore verso E*N.E. Lo stesso fenomeno dovette verificarsi per il Pio Maggiore e per la Tresa ; infatti questi due corsi d’acqua ora decorrenti verso la Chiana per opera dell’uomo \ immettevano da tempi recentissimi nel Trasi- meno e quindi il Pio Maggiore, dopo un tratto di percorso in dire- zione S.S.E, doveva rivolgersi bruscamente verso N.E e la Tresa, che scende da Est verso Ovest, doveva volgersi a Nord. Il Verri accennò un tempo ^ ad uno sprofondamento postplioce- nico del territorio umbro, come causa dell’origine del lago Trasimeno e della valle della Magione, fra il Trasimeno e Perugia; sembra però che non abbia insistito in questa ipotesi, perchè in altro scritto po- steriore ’% dopo aver ricordato che l’antico Tevere durante il Plio- cene sboccava in mare presso Città della Pieve e che, per la contro- pendenza derivata al terreno in seguito al sollevamento della regione amiatina, dovette cambiar corso, retrocedendo lungo la valle del Ne- store, e prendere la via attuale, attribuisce ad un corrugamento par- ziale contro i monti di Cortona, Castiglion Fiorentino, Arezzo e Pratomagno la depressione dei depositi pliocenici del Valdarno e della Valdichiana e la formazione d’un bacino lacustre tra le colline della Valdichiana e la montagna, del qual bacino il Trasimeno è l’ultimo residuo. Come vedesi, fra il mio modo di interpretare l’origine del Trasi- meno e quello del Verri vi è una qualche differenza. Egli considera l’antico grande bacino lacustre come la conseguenza diretta di un ^ Ciò ri.sulta da im Breve del 1490 di papa Innocenzo III, esistente negli archivi di Perugia (vedi E. MattiPvOlo, S?il prosciugamento del Trasimeno. To- rino, 1876). ® A. Yeriii, Le valli antiche e moderne delV Umbria {BoW. Com. Geo!., 1880). ® Idem, Anione delle forze neU' assetto delle valli (Bollettino Soc. Geol. ita- liana, V, 1886). — 174 — movimento speciale avvenuto in epoca quaternaria, io invece lo ri- j tengo come la modificazione di un bacino preesistente formatosi sul È finire delfiepoca pliocenica; modificazione dovuta ad un sollevamento j ineguale e progressivamente maggiore del terreno dalla Yaldichiana ; andando verso occidente. Per ambedue poi il lago attuale rappresenta i il residuo di un bacino lacustre assai più esteso. b Roma, aprile 1900. ' III. : M. Cassetti. — Nuove osservazioni geologiche sui monti di jj Oaeta. i [• La concordanza di stratificazione tra la dolomia della valle Itri- i i I ; Formia coi calcari a rudiste soprastanti, non che la perfetta analogia i litologica di tale dolomia con altre dei monti circostanti, indubbia- mente cretacee, perchè alternanti col calcare a rudiste, mi fecero < supporre nelle mie escursioni del 1895, che la medesima fosse da at- •; tribuirsi per intiero alEepoca cretacea. Ma quando all’ing. Viola sorse il dubbio che le dolomie dei ; monti di Terracina, sottostanti ai calcari a rudiste, potessero essere ^ più antiche e forse anche triasiohe, per la supposta esistenza di una t forte discordanza di stratificazione tra le prime e gli altri, credetti j! opportuno, l’anno scorso, di ritornare sul posto col detto ingegnere, per vedere meglio le relazioni esistenti tra la dolomia e il calcare cretaceo, tanto nei monti di Terracina quanto in quelli di Gaeta, pro- curando nel contempo di fare più attente ricerche paleontologiche. | Nella rapida gita fatta in questa occasione si potè constatare che I la zona più bassa della dolomia della valle Itri-Formia, mentre lungo la sponda sinistra è in gran parte sottoposta e concordante coi calcari a rudiste, nella sponda destra invece si trova sottoposta ed alternante con calcari, che abbiamo riconosciuto basici anziché cretacei, come io aveva ritenuto nella gita del 1895 per mancanza di dati paleontologici. Un tale fatto nuovo fece sorgere la necessità di praticare altre ricerche e fare nuovi studi sui monti di Gaeta, per vedere di fissare con esattezza l’età delle dolomie, che in quella regione presentano una non indifferente estensione ; ed a tal uopo vi ritornai da solo nel maggio di quest’anno. Ma anche in questa escursione, per quanto accurate siano state le mie ricerche, non mi riuscì di trovare resti organici nelle dette dolomie, cosi che ogni deduzione relativa alla loro età è semplice - mente basata su dati stratigrafici. Nella mia nota del 1895 sui monti di Gaeta ‘ esposi, piuttosto dettagliatamente, le condizioni geologiche dei vari terreni che affio- rano in quella regione, motivo per cui nella presente nota mi limi- terò solo a rettificare la citata inesattezza e in pari tempo aggiungerò altri dati raccolti sia stratigrafici che paleontologici. I monti di cui trattasi sono quelli che stanno tra Formia, Itri, Fondi e il Mar Tirreno: in essi, come sopra ho detto, la dolomia è molto estesa e potente ed il suo carattere predominante è quello di una roccia bruna, compatta, cristallina, più o meno bituminosa. Questa però non è tutta della medesima età, dappoiché ne troviamo sotto- stante ai calcari basici, non che alternante ora con questi ora con quelli cretacei. La dolomia sottoposta ai calcari basici affiora soltanto nella valle Itri-Formia o più precisamente nel vallone denominato Pontone, at- ^ M. Cassetti, Sulla coatituzione geologica dei monti di Gaeta (Bollettino del R. Coni. Geol., anno 189B, n. 1). — 176 — traversato dalla ferrovia Sparanise-G-aeta e si estende dalle pendici meridionali del Monte Costamezza fin quasi sotto l’abitato di Itri. Essa è bruna, molto compatta, bituminifera, ed a frattura scheggiosa, caratteri assolutamente analoghi a quelli della dolomia riconosciuta triasica del vicino Monte Massico Se poi teniamo conto che anche in questa località la dolomia triasica è .sormontata da calcari a facies liasica, somiglianti a quelli della regione di cui ci occupiamo, non è improbabile che le due dolomie siano da ritenersi contemporanee. Il terreno indubbiamente liasico, e forse del Lias medio, è costi- tuito da un’alternanza di calcari a brachiopodi, con piccole turricolate e con crinoidi, non che da dolomie di vario aspetto. Esso abbraccia la maggior parte dei monti che costituiscono quella regione, giacche si .estende dalla valle Itri-Pormia fino a tutta la costa tirrenica in- terposta tra Gaeta e Sperlonga. La roccia dolomitica è assolutamente priva di resti organici; non così i calcari che con essa si alternano, i quali contengono qua e là, più o meno in abbondanza, dei fossili tanto brachiopodi che gaste- ropodi; essi però, e specialmente quest’ ultimi, sono in generale for- temente spatizzati e talmente incorporati alla roccia da riuscire assai difficile e talora assolutamente impossibile il loro isolamento e per conseguenza la loro determinazione anche semplicemente generica. I fossili basici da me raccolti in questa nuova gita, sono della medesima specie di quelli indicati nella mia nota citata e cioè : Terehratiila Botsoana Ben. » Renieri Cat. Megalodiis sp. Solo è da notare che detti fossili, oltreché nei calcari del Monte Erto a N.O di Gaeta e nella regione Tignole a Sud di Itri, s’incon- trano pure in quelli dei monti Conca e Cefalo presso Formia e dei monti Porcignano, Castelluccio e Pigliano a S.O di Itri. ^ M. Cassetti, Osservazioni geologiche sul Monte Massico presso Sessa Aii- riinca in provincia di Caserta (Boll, del E. Com. Greol., anno 1894, n. 2). — 177 — Avendo poi in questa gita fatte migliori osservazioni sui depositi calcarei che affiorano nel promontorio di Gaeta, ho potuto convin- cermi che il terreno liasico dovrebbe indubbiamente comprendere una certa potenza di calcari sottostanti alla Torre d’Orlando e pre- cisamente quelli che formano gli strati più bassi della ripida sponda meridionale di questo promontorio. Benché ciò sia difficile a consta- tare, pure è una naturalissima conseguenza del fatto che gli strati prospicienti al mare sotto detta torre, sono in continuazione e per- fettamente corrispondenti agli strati indubbiamente basici del vicino Monte bombone, anch’esso prospiciente al mare dal medesimo lato, nei punti detti La Nave, Torre Viola e Torre Scessura. Il terreno cretaceo dei monti di Gaeta è anch’esso costituito di un’alternanza di strati dolomitici e di strati calcarei, e tale terreno ricopre e contorna quello liasico disponendosi tutto intorno a guisa di ferro di cavallo, dappoiché le roccie cretacee cominciano a cem- parire alla Torre d’Orlando, formando la parte più alta di quel pic- colo promontorio e di là si estendono nelle contigue colline che si elevano sulla spiaggia Gaeta-Formia e che fronteggiano il già detto Borgo di Gaeta, ora comune di.Elena; passano quindi a costituire i monti dell’alta sponda sinistra della valle Formia-Itri, e cioè il Monte I Costamezza, il Monte Orso e il Monte Rave Fosche, da dove s’inol- ! trano al Monte Grande sopra Itri e poscia ai monti Rauto, Forca e I Calvo protraendosi nei monti adiacenti alla pianura di Fondi fino quasi a Sperlonga. ' Come le dolomie basiche cosi quelle cretacee sono affatto prive ; di fossili, i calcari invece mostrano, benché assai raramente, pochi esemplari di Toucasia e di Sphaerulites. Questi fossili non si trovano però insieme in tutti i punti fossbiferi, ma solo nei monti adiacenti I al Santuario della Madonna della Civita ed in quelli che si affac- , ciano alla pianura di Fondi. Nei monti invece che contornano il Golfo di Gaeta e cioè Torre d’ Orlando, Torre Atrantina, Monte I ^ . . Sant’Agata, Monte Rotondo e Monte Conca si rinvengono solamente * esemplari di Sphaerulites piuttosto in abbondanza. Alla Torre d’Or- I landò poi, oltre alle citate rudiste, vi si trova un’ostrica che dal dot- tore Di Stefano venne determinata come appartenente alla specie Gryphaea cfr. vesicularis^ la quale fece ritenere fin dal 1895 la pre- senza in detta località del terreno Cenomaniano. Nelfiultima gita fatta ho potuto constatare che i calcari conte- nenti la suindicata ostrica formano unico deposito con quello conte- nente le sferuliti, e questo corrisponde perfettamente, nel senso stra- tigrafico, coi vicini calcari a Toucasia^ ritenuti dell’Urgoniano: così che se ne trae la conseguenza che detti calcari dobbiamo riferirli tutti ad un medesimo piano. Il preciso posto cronologico di gran parte dei calcari a Toucasia non è ancora ben fissato per mancanza di dati paleontologici sicuri e sarà bene quindi di attendere ricerche ulteriori per pronunziarsi definitivamente. Il fatto certo è che nei monti di Gaeta non è affatto possibile una separazione tra i calcari a Toucasia e quelli a Gryphaea^ sia per la loro continuità stratigrafica, sia per la mancanza di apprezzabih differenze litologiche. In quanto poi al Turoniano non è da escludere che sia rappre- sentato nei monti di cui trattasi e precisamente in quelli che s’innal- zano sulla spiaggia Gaeta-Formia, a partire dalla Torre d’Orlando, come io supposi nel 1895, ma anche ciò mi sono persuaso essere ben difficile se non impossibile di accertare. Come osservasi nelle due annesse sezioni, tra il Cretaceo ed il Lias esiste una leggerissima discordanza di stratificazione, la quale è piuttosto evidente al Monte Conca, che sorge lungo la costa Gaeta- Formia dove può benissimo esaminarsi percorrendo la strada rotabile d’accesso al forte costruito sulla cima di detto monte (V. Fig. 1"*). Sotto la Torre d’Orlando invece siffatta discordanza non è accer- tabile, giacché ivi si vedono solo le testate degli strati liasici e cre- tacei formare una potente pila, che s’ innalza sul livello del mare colla medesima disposizione, su di una costa quasi a picco. Il terreno lias i co forma un bacino leggermente ondulato, vale a dire vi si incontra una serie di anticlinali e sinclinali, ed è note- Sr^ionr dalla ralle Fonala- Uri (lUa Torre Orlando laesso darla. — 179 — CrJ c ■K.. vole il fatto che tutti gli strati del Lias, tanto calcarei che dolomi- tici, si vedono rialzati sul mare lungo tutta la costa Gaeta-Sper- longa. Un’ anticlinale piuttosto sentita si rileva nella ripetuta valle Formia-Itri, cerne è indicato nella sezione relativa (Y. Fig. 2“), ohe la taglia trasversalmente nel punto in cui si fronteggiano i due monti Cefalo e Orso. Ivi si osserva che i calcari e le dolomie basiche del versante orientale del Monte Cefalo sulla sponda destra della detta valle, scen- dono dolcemente ad Ovest, mentre le corrispondenti dolomie basiche e i soprastanti calcari « dolomie cretacei della sponda opposta, pen- dono in senso perfettamente contrario. Deve perciò necessariamente ammettersi l’esistenza di una cupola od anticbnale, distrutta in se- guito per effetto di successive erosioni, in causa delle quali si formò l’attuale valle. Un tal fatto fa sempre più confermare nella ipotesi che la dolo- mia affiorante nel fondo deba valle e che resterebbe compresa sotto la cupola del deposito basico, possa con grande probabilità ritenersi triasica. Dalla sezione Fig. L® poi, la quale dal Monte Conca va aba Torre d’Orlando attraversando il Golfo di Gaeta, risulta in modo evidente che tanto il deposito cretaceo ohe quebo bsiaco sottostante, formano una leggerissima sinclinale per modo che la superfìcie deUe roccie formanti il fondo del golfo, trovasi ad una piccolissima profondità sotto il livello del mare, ciò che è anche dimostrato dai dati bati- metrici rilevati dall’Ufficio Idrografico della R. Marina e che figurano nella Carta idrografica di quella regione. Il I ( '1 i Roma, giugno 1900. P. Moderni. — Osservazioni geologiche fatte nel 1899 al piede orieniale della catena dei Sibillini, Il lavoro di rilevamento geologico eseguito nel 1899 si estese in quella zona sub-appenninica, immediatamente sottoposta alla catena dei Monti Sibillini da Accumoli ad Amandola, ed estremamente frasba- gliata nella parte superiore delle valli del Tronto, del Fluvione, del- Tx^so e del Tenna. Sul versante orientale della catena anzidetta affiorano le stesse roccie che costituiscono la Montagna dei Fiori fra Ascoli e Teramo, dove anche in quest’anno feci qualche gita, una delle quali assieme ai membri della Società Geologica italiana, che appunto ad Ascoli tenne quest’anno la sua adunanza estiva \ ‘ A proposito della Montagna dei Fiori, cade qui opportuno di rilevare alcuni appunti generici che il dott. Bonarelli * fa sui lavori deirUfficio Gieo- logico nella regione e sulle note da me pubblicate in riguardo (Y. Boll. Comi- tato Geol. 1898, 1 e 1899, 8). In questa occasione sarebbe stato desiderabile di tener presente che il rilevamento geologico della regione non è ancora completo, e che le dette mie note non sono che Relazioni annuali dei lavori in corso, e ({Hindi non possono essere considerati come definitivi i risultati cui in esse viene accennato. Il dott. Bonarelli, mostrando di non convenire con quanto da me fu detto riguardo alla costituzione ed assetto tettonico della Montagna dei Fiori, vor- rebbe che a questo gi*ande affioramento mesozoico venisse applicata la defini- zione di « ellissoide uniclinale mesozoica, la quale per faglia viene a contatto con la serie delle roccie eoceniche ». Ora, non solo nella Carta geologica da me rilevata, e che fu a disposizione della Società predetta durante l’escur- sione, è chiaramente segnata la faglia che separa nettamente le formazioni eoce- niche da quelle mesozoiche della Montagna, e non solo le indicazioni statigra- fiche mostrano distintamente per queste ultime la disposizione in serie uniclinale, Boll. Soc. Geol. it., Voi. XVIII, fase. 3». Roma 1899. — 18.2 — Terreni secondarii. — Nel programma del lavoro di quest’anno, i non era compreso il rilevamento dei Monti Sibillini, quindi dovrei i astenermi o quasi di parlare di terreni antichi; ma, come si com- prende facilmente, per rilevare tutto il terziario bisognava giungere | a contatto del secondario, da qui l’opportanità di riferire le osserva- | zioni fatte lungo questa linea di confine, che naturalmente riesce = alquanto irregolare. * Il versante orientale del Monte Vettore è costituito da potenti banchi di dolomia, con inclinazione generale verso Ovest, la quale | i potrebbe appartenere si al Trias che al Lias, cosa che per il momento non mi è possibile di precisare, poiché nell’unica escursione fatta alle falde orientali del monte non mi riuscì di trovar fossili ; ritengo j però che rappresenti il Lias inferiore, e di questo parere erano anche i ! lo Spada-Lavini e l’ Orsini \ Avendo dovuto visitare il versante meridionale del Vettore per ; delimitare un lembo di calcari* eocenici, fui obbligato di pernottare a ; Castelluccio, villaggio situato ai piedi del versante occidentale; ap- : profittai di quest’occasione per salire sulla punta occidentale della T montagna, la quale è da questa parte costituita di calcari bianchi, i grigi e neri con noduli e straterelli di silice, che nelle parti più alte della montagna appartengono sicuramente al Lias medio, come da i frammenti di ammoniti che potei raccogliere; mentre i calcari che ^ costituiscono la parte più bassa di questo versante occidentale, e spe- ma la faglia stessa fu anche segnata in una sezione geologica che accompagna una delle dette mie Relazioni. | La esistenza di questa faglia toglie alla Montagna dei Fiori il vero ca- i ratiere di ellissoide (se pure si voglia ancora conservare nella nomenclatura I geologica una espressione che, avendo un significato puramente geometrico, ri- i sulta nella maggior parte dei casi ben poco rispondente alla realtà), quindi' sembrerebbe ancora da ritenersi più esatta e più rispondente al fatto la j definizione che già ne detti di « isola di calcari secondari, di forma el- littica ». ^ Spada-Lavini et Orsini, Qiielqnes ohservations géologiqnes sur les Apeu- ' nins de l’ Italie centrale (Bull. Soc. Géol. de France, T. XII, 2° Serie. Paris, 1855). i -- 183 - cialmente la vicina collina su cui trovasi il villaggio di Oastelluccio e dintorni, devono molto probabilmente appartenere al Giurese. Anche questo Lias medio, di cui è costituita pure tutta la valle del lago di Filato fin giù verso Le Svolte, che divide le due som- mità maggiori del Vettore inclina verst) Ovest ed è questa la ra- gione per la quale, in mancanza di fossili, ritengo che la dolomia di cui è costituito il versante orientale e che va a cacciarsi sotto a queste roccie del Lias medio, possa più probabilmente rappresentare il Lias inferiore. Il versante orientale della catena dei Sibillini è costituito dalle rocce del Cretaceo fra le quali spiccano i calcari rossi del Senoniano. Questa formazione, a Nord e Sud del Monte Vettore, è completamente rovesciata per modo che la scaglia si trova al disotto degli altri cal- cari del Senoniano. Fig. — Monte Zampa. Tale disposizione si vede bene alfimbocoo delle diverse pittoresche e orride gole che tagliano la catena dei Sibillini, ma più specialmente alle Pisciarelle, al disotto del Monte Zampa, davanti alla spaccatura che serve d’ingresso alla parte più alta della valle del Tenna (V. la Fig 1‘). Qui la scaglia, inclinata verso Ovest, costituisce il fondo della valle; su di essa poggia qualche sottile banco di scaglia rossa, sulla — 184 — quale s’innalza la serie dei calcari bianchi e colorati del Sen ornano, mentre sul fianco del Monte Zampa si vede nettamente il contorci- mento degli strati, i quali inclinati fortemente verso Est nella parte più alta della montagna, sono ridotti ad avere una forte inclinazione ! verso Ovest nella parte più bassa della medesima. Più ad Est, nel fondo delle valli dell’Ambro e del Tenna, quasi • al contatto con le roccie del terziario, si ritrovano i calcari compatti , del Senoniano al disotto della scaglia, i primi e l’ultima, dopo aver , ripresa la loro inclinazione generale, concordemente e leggermente pendenti verso Est. j Faccio osservare che ho compreso la scaglia fra le roccie del Se- noniano, perchè la medesima, nella regione da me rilevata, è cosi in- timamente connessa a quelle, da dimostrare assai chiaramente come ; fra i calcari compatti del Senoniano e la scaglia non vi sia altra differenza all’infuori della natura fissile di questa roccia. Concor- ! danza perfetta nella stratificazione, comunanza nelle accidentalità, , come la Fig. 1^ dimostra assai bene, nessun carattere paleontologico i per distinguerla dalle altre roccie; sicché la sola differenza che si do- ì vrebbe considerare per separarla, sarebbe la sua fissilità, carattere di | nessuna importanza, specialmente quando si rifletta che dal calcare Ì compatto del Senoniano alla scaglia havvi un passaggio graduale vi- j sibilissimo e in mezzo a questa si trovano spesso anche banchi di 1 calcare compatto del Senoniano. j Si vuole da molti ohe la scaglia contenga delle nummuliti e perciò \ si debba collocare nell’Eocene; malgrado le osservazioni da me fatte 1 con la maggior cura possibile, in tutta la scaglia che affiora fra Villa l S. Giovanni e Capodacqua, nella tavoletta d’ Arquata del Tronto^ e nel- i l’affioramento anche maggiore che scopersi fra il Tenna e l’ Ambre, nella ; tavoletta d’ Amandola, non mi fu possibile trovarvi nummuliti, e cosi : pure non ne trovai nella scaglia esistente nei dintorni di Acquasanta ed ; in quella che costituisce il versante settentrionale della Montagna dei Fiori. Per queste ragioni la scaglia grigia o rossa poco importa, devesi, almeno in questa regione, considerare come appartenente al Senoniano. — 185 — Terreni terziari. — Nella località chiamata Forca di Presta, si- tuata alla falda meridionale del Vettoretto, esiste un piccolo lembo d’Eocene, costituito dalla caratteristica brecciuola, ricchissima di num- muliti, intercalata con banchi di calcare cristallino grigio e bianco, ricco anch’esso di tali fossili. Il piccolo affioramento sembra limitato da una. faglia a linee spezzate, di cui un tratto è diretto quasi N-S e l’altro diretto E-0; esso riposa sopra alcuni pochi straterelli di scaglia grigia e rossa, piegati in sinclinale similmente ai sottoposti calcari compatti, ed uno strato di scaglia grigia vedesi pure intercalato fra le roccie eoceniche. Questo fatto, io credo, che si ripeterà certamente in altre località ed in più vaste proporzioni, deve aver consigliato molti a collocare tutta la scaglia nell’Eocene. Qui però esso è tipico ed evidentis- simo: sulla scaglia si appoggiano le rocce eoceniche in mezzo alle quali si riconosce uno strato di calcare che ha assunto la stessa forma della sottoposta roccia, caso non difficile a verificarsi ed a spie- garsi, tanto più quando trattasi di due formazioni che si trovano a contatto. Ai piedi della catena dei Sibillini affiora una stretta zona di scisti argillosi e marne, in mezzo alle quali roccie trovasi intercalato un calcare speciale a grana più o meno grossolana, contenente qualche volta delle piccolissime nummuliti, conosciuto con il nome caratteri- stico di cer rogna. Questi terreni affiorano pure nei dintorni di Acqua- santa e sono appunto quelli tanto controversi, poiché vi sono alcuni che vorrebbero assegnarli all’Eocene, altri invece al Miocene, ed altri ancora parte all’una e parte all’altra delle due divisioni. Alcuni paleontologi tenendo conto esclusivamente di certi fossili contenuti negli scisti, che per decomposizione divengono marne, le classificarono nel Miocene, altri basandosi sulle nummuliti contenute nel calcare cerrogna.^ li hanno collocati nell’Eocene, ed altri infine limitando le osservazioni a questo o quel punto del territorio, dalle diverse condizioni locali che si presentano qua e là hanno creduto di riconoscervi ora l’una, ora l’altra, ora tutte e due le epoche nominate. — 186 — A questi ultimi appartiene il dott. G-. Bonarelli, il quale nella relazione già citata, presenta una sezioncina schematica della valle del Tronto, disegnata dallo stabilimento balneare di Acquasanta, la quale però non corrisponde esattamente al vero e perciò, le tre sud- divisioni da esso ideate risultano piuttosto arbitrarie. Infatti il cul- mine della piramide non è costituito da un grosso banco di molassa come sembrava dal basso, ma bensì da un potente banco di quel calcare detto cerrogna contenente alle volte delle nummuliti, ohe il Bonarelli colloca nell’Eocene medio. Negli scisti argillosi che si appoggiano alle roccie del secondario nella Montagna dei Fiori, quanto in quelli dei dintorni di Acqua- santa come in quelli che affiorano ai piedi dei Sibillini, ho constatato sempre che questi banchi di calcare sono intercalati indifferentemente tanto nella parte più alta quanto nella più bassa della formazione e non costituiscono perciò un’orizzonte che possa servire di base a delle sud- divisioni. Se quindi si hanno prove che questi calcari appartengono all’Eocene medio, si dovrà necessariamente ammettere che vi appar- tengono pure gli scisti e le marne, ad essi intercalate, come risulte- rebbe anche dalle osservazioni del Lotti e come credo si dovrà finire per convenire tutti. Al disopra del banco di calcare citato, nella parte più alta della formazione scistosa dei dintorni di Acquasanta, fra esso e le molasse vi è soltanto un non molto potente strato di marne, che presso il vil- laggio di Matera manca affatto, e le molasse riposano direttamente sul calcare cerrogna. Nei dintorni di Acquasanta al disotto di .questo banco più alto di cerrogna, trovasi un banco di calcare bianco, ricco di pet- tini che ai paleontologi sono sembrati appartenere al Miocene mal- grado che il Lotti nell’Umbria, il Viola nei Simbruini, ed io nelle Marche, li troviamo al disotto di strati contenenti nummuliti eo- ceniche. La stratificazione di questi scisti è molto disturbata come feci notare anche nella mia Relazione dell’anno scorso riportando tre sezioni della Valle del Tronto, nella quale si vedevano bellissimi contorci- — 187 menti degli strati: anche nella zona di queste roccie che trovai ai piedi dei Sibillini si osservano, abbenchè in grado minore, disturbi stratigrafici come vedesi dalla qui unita Fig. 2 ohe rappresenta il ca- ratteristico Colle Forche ad Ovest di Amandola. La maggior parte dell’area rappresentata dalla tavoletta di Ar- quata del Tronto e circa la metà di quella di Amandola è occupata dalla potente formazione delle arenarie, sempre prive di fossili, che fra Acquasanta ed Arquata, mostrano una magnifica sinclinale dovuta a rialzamento verso l’isola di terreni più antichi che afidora nei din- torni di Acquasanta, ed al rialzamento della parte opposta verso TAppennino. Yig, 2^ — Colle Forche. Nell’angolo N.E della tavoletta di Amandola appare il Pliocene che poi si allarga nella vicina tavoletta di San Ginesio, occupandola per la maggior parte. Questo Pliocene superiore è costituito nella zona più bassa da sabbie cementate, vere e proprie arenarie, delle quali mi occupai anche nell’ultima mia Relazione, e che mal si distinguono dalle molasse con le quali vengono a contatto. Fra l’Aso ed il Tenna specialmente, questo passaggio dal Miocene al Pliocene è cosi graduale da non po- tersi delimitare che con una certa approssimazione; del resto questo pliocene continua come nelle tavolette vicine a presentare le stesse anomalie nella sua stratificazione, raddrizzata alle volte fino alla ver- tioale. La Fig. S*" rappresenta delle pieghe nelle argille plioceniche intercalate con straterelli di sabbie, quali si vedono sulla sponda si- nistra del Tenna, nella tavoletta di San Grinesio, a S.O di Monte San Martino. Terreni quaternari. — Il quaternario delle due tavolette di Arquata • ; del Tronto ed Amandola è di varie specie. Vi sono anzitutto le falde di j detrito ai piedi dei monti e nelle valli ohe separano la catena dei Sibillini ; ! i allo sbocco di dette valli si hanno dei coni di deiezione più o meno po- | i tenti; giù lungo le valli dell’ Aso e del Tenna, a causa dell’erosione, ^ sulle colline che fiancheggiano le due valli, sono rimasti numerosi ? lembi di ghiaie appartenenti agli antichi letti dei due fiumi. All’angolo N.O della tavoletta di Amandola infine vi è la bella e grande pianura di Castelluccio a 1274 metri di altitudine, pianura che si estende nella "vicina tavoletta di Norcia: essa rappresenta un antico fondo la- | . custre al disotto del quale molto probabilmente deve nascondersi una ] torbiera. Roma, marzo 1900. I — 189 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE OEOLOOIO^ XT'A.TuX^lSJ^ PER 1899 ^ {Coìifiìtiiasioue, vedi n. 1). Coppa A. — Studio geologico e paleontologico del Miocene del Siracusano. (Memorie della Acc. di Se., Lett. ed Arti degli Zelanti e pp. dello studio, N. S., Yol. IX, pag. 46 in-8”). — Acireale, 1899. Accennato alla grande estensione occupata dalla formazione miocenica nella Sicilia e all’aspetto particolare di quella del Siracusano, l’antore espone in questa Memoria il resultato degli studi geologici e paleontologici fatti sul miocene di questa regione. Xella prima parte si occupa della geologia. Il mio- cene si estende dalla formazione vulcanica di Yal di Xoto fino ai due mari Ionio ed Africano. Essa è costituita da calcari più o meno marnosi raramente passanti ad argille contenenti quasi sempre noduli di selce. Questi calcari for- mano strati per lo più assai potenti e quasi orizzontali, i fossili vi sono rari e mal conservati. Le basi ben definite di questa formazione miocenica sarebbero, secondo Tautore, i calcari con aptici del Xeocomiano, mentre, secondo altri, si appoggerebbero su questo calcare altri piani riferiti al cretaceo e all’eocejie. Riguardo poi alla divisione in piani od orizzonti della formazione mio- cenica stabilita da altri geologi, l’antore ritiene che essa non abbia una base solida tanto dal lato stratigi-afico che geologico. La seconda parte della memoria è dedicata alla paleontologia e l’autore descrive la fauna della formazione miocenica interamente marina, rappresen- tata da denti di scpialidi, da gasteropodi, bivalvi, echinidi, coralli e da ver- micolazioni abbondantissime che potrebbero essere di teredini. Alla descrizione è unito un quadro coll’indicazione delle località dove i fossili furono rinvenuti. Accenna infine alla formazione gessifera che ritiene appartenente al miocene. ’ Y i sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 190 — Da questo studio l’autore conclude che quantunque i dati paleontologici non bastino a stabilire dei piani di suddivisione, crede che una gran parte j della formazione di Siracusa appartenga al miocene medio e che vi sieno pure rappresentati il superiore e l’inferiore e forse anche l’eocene; come pure è as- ; sodato che compare in alcuni punti il post -pliocene, o quaternario, con aspetto | litologico simile ai terreni precedenti. Ritiene da ultimo che i diversi piani ■ citati dagli autori non rappresentino che successioni stratigrafiche e che sia azzardato lo stabilire confronti tra il Siracusano e Malta per sole analogie litològiche e peggio ancora col Bacino di Vienna. I Cortese E. — Le miniere di ferro dell’ Elba, Nuovi dati geologici e nuovi j lavori fatti nel biennio 1897-99, (Rassegna mineraria, Yol. XI, nn. 3 a 8, pag. 23). — Roma, 1899. i Li’autore espone in questo lavoro il risultato delle ricerche e degli studi fatti sidle miniere dell’Elba, delle quali aveva la direzione tecnica. Cita la memoria geologica sull’Elba dell’ingegnere Lotti, e, non dissentendo da lui nella determinazione dell’età delle roccie, esprime però il dubbio che le quarziti e ' le anageniti di Monte Fico, Monte di Rio, Gliove, Sassera e Calendozio sieno da ascriversi al Lias anziché al permiano, basandosi anche su roccie identiche di Taormina in Sicilia e Longobucco in Calabria, riconosciute basiche. Del pari basici riterrebbe gli scisti segnati permiani dal Lotti, e che l’autore ri- | tiene identici a quelli di Rio Albano e di Cala Seregola, e solamente im po’ più alterati da emanazioni endogene. | Le emanazioni endogene che portarono il minerale di ferro hanno segiùto una direzione ben determinata da S 10® E a X 10® O, e l’autore riconosce che j esse individuano un sistema di faglie parallele, ad ognuna delle quali corri- ' sponde un sistema di filoni. Riconobbe inoltre altri due sistemi in corrispon- denza coi primi ; uno diretto da O 27® S a O 27® X ed un altro circa nord-sud. Questi sistemi di faglie hanno frantumata la massa e determinato l’andamento della costa nella parte orientale dell’isola. Le faglie del primo e terzo sistema i sono anteriori all’emanazione ferrifera e prepararono la via e gli spazii all’espan- zione del minerale; quelle del secondo sistema sono posteriori alla formazione dei filoni metalliferi ed hanno tagliate e rigettate le masse ferrifere stesse. In ! base a queste faglie l’autore passa alla spiegazione ed interpretazione dell’ori- gine e natura dei giacimenti ferriferi e delle loro differenze mineralogiche, premettendo un cenno sulla varietà dei minerali e delle roccie che vi si incon- trano, dei quali dà pure i nomi locali. — 191 — Il minerale di ferro, dovuto ad emanazioni endogene di acque ad altissima pressione, e forse ad altissima temperatura, ricche di ossidi di ferro, si depose al principio dell’epoca colitica, e non se ne trova traccia nei depositi eocenici. Queste emanazioni hanno seguite le fessure e riempite le cavità con minerale di ferro. 1 filoni che hanno la direzione del primo sistema di faglie, per effetto del secondo furono tagliati o rigettati verso ovest. In causa poi del terzo si- stema si produssero grandi cavità in cui si deposero le grandi # masse di mi- nerale. Sarebbero questi i così detti bacini di deposito segnati dal Fabri nella sua Memoria sulle miniere dell’Elba e la parte brecciforme di roccia e minerale che si osserva al fondo dei medesimi sarebbe dovuta ai detriti di roccia prodotti nella formazione delle faglie. Le masse di espandimento esterno sono quelle depositate dalle emanazioni alla loro uscita dalle roccie che dovettero attra- versare. L’autore esclude che il minerale provenga da metamorfosi di piriti e che esso si sia deposto là dove esistevano masse di calcare, riempiendo il vuoto formatosi per dissoluzione del calcare stesso, causata dalle acque e vapori acidi e ne espone le ragioni. Cita in appoggio della sua teoria i fatti riconosciuti con lavori speciali e passa quindi a descrivere le singole miniere spiegandone con la teoria stessa le varie accidentalità. Passa da ultimo ad esaminare i sistemi di lavorazione adottati in quelle miniere. Alcune figure nel testo indicano Tandamento delle diverse faglie e la disposizione delle masse di minerale. Cortese E. — Sui giacimenti ferriferi deir Isola d'Elba. (Rassegna mi- neraria, Voi. XI, n. 12,- pag. 180-181). — Torino, 1899. Ad alcune osservazioni fatte dall’ingegnere Lotti (vedi più avanti) al precedente lavoro riguardo all’età di certe roccie dell’Elba e delle emanazioni ferrifere, l’autore replica in questo scritto sostenendo le proprie ragioni in base a fatti constatati sul luogo. D'Achiardi G-. — Studio di alcune varietà di opale della Toscana. (Atti 8oc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XI, Ad. 29 gen- naio 1899, pag. 114-136). — Pisa, 1899. Scopo primo di questo studio è la ricerca della perdita di acqua alle di- verse temperature, la quale ricerca condusse anche allo esame microscopico dei diversi opali ed all’analisi qualitativa e quantitativa di qualche varietà. Esso — 192 — fu fatto sopra le seguenti varietà di opale, che Fautore descrive partitauiente : [ 1° Opale limpido di San Piero in Campo (Elba); 2® Opale bianco-latteo opaco della stessa località ; 3® Opale nero (resinite) della stessa località : 4P Opale grigio j di Jano (prov. di Firenze); 5® Opale rosso-grigio dell’Impruneta (prov. di Fi- renze); 6*^ Fiorite di Santa Fiora (Monte Amiata); 7® Farina fossile di Castel del Piano (Monte Amiata). Confrontando fra di loro i risultati ottenuti coll’essiccatore e col riscalda- mento a diverse temperature, Fautore ne deduce due diagrammi che mettono simultaneamente sott’occhio le analogie fra le varietà descritte. Il primo di essi si riferisce alle prove nell’essiccatore, il secondo alle perdite per riscaldamento. Da questi diagrammi si vede come per alcune varietà si ebbe contegno assolu- tamente diverso dalle altre, e come la differenza sia in armonia col modo d’ori- j gine e con la diversa costituzione dell’opale. Conchiude osservando che nessuna formola chimica può esprimere in com- plesso la composizione dei vari opali. Fatta eccezione della farina fossile, sempre ricca di acqua, nessun opale presenta una costituzione corrispondente alla for- mula dei più comuni acidi silicici, tutti essendone termini più o meno avanzati di disidratazione. D’Achiardi Gt. — Osservmìonì sulle anomalìe ottiche del granato deh VAffaccata {Elba). (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali. Y-bl. XI, Ad. 7 maggio 1899, pag. 153-155). — Pisa, 1899. È una breve replica ad alcune osservazioni critiche fatte dal Klein in una i sua recente Memoria alle idee espresse dall’autore per spiegare le anomalie ottiche di questo granato elbano (vedi Bibl. 1896). Lo studio fatto posterior- mente su cristalli di altre specie dall’autore, lo confermò sempre più nell’ idea che le anomalie ottiche non debbano attribuirsi sempre ad un’unica cagione e come nello stesso cristallo possono avere simultaneamente o successivamente agito cause diverse. D’Achiardi G^. — Fosforescenza di alcune dolomie delVElha. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XI, Ad. 7 maggio 1899. j pag. 156-157). — Pisa, 1899. Questo fenomeno fu riscontrato per la prima volta all’Elba dall’autore, sopra campioni provenienti da Yaldana presso Portolongone, appartenenti ad una formazione sottostante agli strati marmorei presilimci racchiusi fra scisti — 193 — quarzosi di sopra e scisti tormalijiiferi di sotto : la stessa formazione e la stessa roccia dolomitica si trovano poi specialmente sviluppate a Capo Calamita, e qiiest'ultima presenta pure il fenomeno della fosforescenza. Kicordando che il Becquerel attribuì la fosforescenza dello spato d’Islanda alla presenza di sostanze estranee, e specialmente del manganese, l’autore volle ricercare se negli esemplari da lui esaminati si trovasse questa sostanza in discreta quantità: ne fece quindi l’analisi quantitativa, da cui risultò la grande purezza della dolomia e che il manganese vi si trova in così piccola quantità che non fu possibile separarlo dal ferro: difatti il campioiie di Yaldana diede per ^lUgO^ + Feg 0^ il 0. 83 per cento, e quello della Calamita 1’ 1. 33. Resta quindi escluso che, in queste dolomie almeno, la causa della fosforescenza sia quella sopraindicata. D'Achiardi Ct. — Minerali del marmo di Carrara. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali. Yol. XI, Ad. 2 luglio 1899, pag. 160- 163). — Pisa, 1899. L’autore, che ha intrapreso lo studio generale di questi interessanti mine- rali. di cui si occuparono parzialmente diversi altri, dà ora una notizia preventiva del suo lavoro in cui tratta specialmente della fluorina e della blenda, entrambe assai rare, state brevemente descritte dal Busatti e dal Giampaoli, e di altre specie di cui nessuno fece menzione, quali il realgar l’orpimento, il rutilo e, dubitativamente, la tormalina, che l’autore cita soltanto per averne sentito par- lare, non avendola veduta. Dal Lago D. — Note geologiche sulla Val d’Agno (pag. 78 iii-8®). — Val d'Agno, 1899. Come lo stesso autore dichiara, sono in queste note riportati i dati raccolti dalle numerose pubblicazioni geologiche e paleontologiche sul Vicentino, coor- dinati in relazione ai terreni della Val d’Agno. Xella descrizione infatti dei diversi terreni che figurano in questa regione, vengono citati gli autori che li studia- rono e date le loro determinazioni. Indicati i limiti del bacino preso in esame, ne passa in rassegna tutte le formazioni cominciando dagli scisti protozoici. La serie del terreno è si può dire completa dal permiano al Tongriano, e l’autore ne distingue i singoli piani enumerando i fossili caratteristici ed indicando le roccie e i minerali più importanti che vi si trovano. — 194 — Dal Piaz Gt. — Grotte e fenomeni carsici del Bellunese. (Memorie Soc. geografica ital., Yol. IX, pag. 178-222, con 7 tavole). — Poma. 1899. Premessi alcuni brevi cenni sulla conformazione orografica e sulla costi- tuzione geologica dei monti circostanti all’ampio vallone bellunese, l'autore passa a descrivere le grotte e le altre manifestazioni carsiche che in essi si riscontrano. Pra questi ultimi merita speciale menzione il fenomeno delle deto- nazioni sotterranee del Monte Tematico a sud di Peltro. Divèrsi autori si occu- parono di tale argomento, ma nessuno seppe darne una spiegazione soddisfa- cente ; ora poi riesce tanto più difficile il farlo, perchè il fenomeno osservato solo nel 1851, pare non siasi più ripetuto in seguito. È però verosimile che si trattasse della caduta di massi entro cavità sotterranee d’origine carsica, cosa del resto naturalissima vista la natura della roccia che costituisce quel monte. La fauna fossile delle caverne esplorate è discretamente abbondante e vi figurano i generi Ursiis (due specie distinte). Mustela, Canis, Arctomijs, Lepns, Bos, Capra, Ovis, Bhinolophus, con avanzi d’ industria umana. Corredano il lavoro alcune tavole con piante e sezioni di grotte esplorate, con le misure altimetriche relative. Dal Piaz D. — Il Lias nella provincia di Belluno \ nota preliminare. (Atti del K. Istituto veneto, S. YIII, T. I, disp. 4^, pag. 579-583). — Yenezia, 1899. Questo terreno fu dall’autore riconosciuto nei monti al nord di Poltre, dove è rappresentato da una serie di piani quasi tutti fossiliferi appartenenti alle varie formazioni del Lias, e nei quali raccolse un discreto materiale da studio. Egli ora pubblica in breve riassunto i risultati delle prime ricerche, riservandosi di descrivere in seguito il materiale raccolto con le illustrazioni relative. La serie riconosciuta presenta dall’alto in basso: 1. Calcari grossolani, verdicci con una fauna a cefalopodi molto analoga con quella del Capo San Yigilio sul lago di Garda; 2. Uno strato di calcare selcioso, rosso vinato, assai tenace, con piccole ammoniti ed una bivalve che ricorda la Posidonomya Bronni, somigliantissima a quella che si rinviene nel Lias superiore della Montagna di Cotona e al Monte Albenza ; 3. Calcare rosso arenaceo, a macchie verdi azzurognole, con Haipocevas bifrons ed altre forme caratteristiche del rosso ammonitico di Lombardia; — 195 — 4. Calcari grigi grossolani, talvolta dolomitici, ricoprenti un complesso di strati di ima oolite bianca, leggermente giallognola, con numerosi bracliìo- podi e pelecipodi; 5. Calcari grigi, traenti al violetto, ricchi di silice, con crinoidi, bracliio- podi e bivahd; 6. Dolomie ora bianche, saccaroidi, ed ora grigio -chiare, cavernose con fossili in cattivo stato di conservazione, appartenenti probabilmente all’ in- fralias. Davis W. M. — Bahe per faglia mi Monti Lepini. (Bollettino della Soc. geografica it., S. Ili, Yol. XII, n. 12, pag. 572-586). — Roma, 1899. Trovansi queste lungo il piede X.E dei Monti Depini, fra Sgurgola e Morolo nella valle del Sacco e segnano probabilmente una frattura recente accompagnata da dislivello, posteocenica secondo le osservazioni fattevi dall’Ufficio Geologico. Esse sono fra di loro separate da coni di defezione, formati in gran parte con detriti di roccie eoceniche, e che vanno a confondersi con la pianura sotto- stante. Alcune figure schematiche e vedute fotografiche illustrano il lavoro, il quale, scritto originariamente in inglese, fu tradotto e corredato di note dal dott. Pasanisi che ne curò la pubblicazione. De Alessandri G. — Fossili cretacei della Lombardia. (Palaeontographia italica, Voi. lY, pag. 169-202, con 3 tavole). — Pisa, 1899. Sono esemplari provenienti da collezioni diverse ed ora radunati nel Museo civico di ^Milano, cui si aggiungono altri dei musei di Pavia, di Ber- gamo e di Como. Essi sono riferiti a due piani stratigi’aficamente distinti fra loro; il piano di Siroiie di sotto, quello di Brenno di sopra. Il primo, costituito da una puddinga calcarea a grossi elementi, detta appunto puddinga di Sirone, rappresenta la parte media del Senoniano e in particolare il Santoniano inferiore ; i fossili vi si trovano in girando abbondanza, ma rappresentano poche specie ; di più sono generalmente rotti, deformati, privi di ornamentazione e quindi di difficile determinazione. Le specie di questo piano sicuramente determinate sono 17, appartenenti ai generi Actaeonellaj Nerinea, Glaucoma., Cardium, Fimbria e Inoceramus ; tre specie, appartenenti ai generi Hippurifes, Ostrea e Stglina, restano indeterminate. Questo piano corri- — 196 — spenderebbe cronologicamente ai calcari coralligeni superiori del Veneto con Jnoceramiis Cripsii. \ Il secondo piano, superiore e concordante col precedente, è rappresentato j da calcari marnosi, poco compatti, grigi, o giallastri, o rossi, identici con quelli I della scaglia del Veneto e dell’ Appennino centrale, da ascriversi al Senoniano i supei-iore o Campaniano e, in piccola parte, al Parisiano. Le specie descritte ! di esso sono 15 ripartite nei generi Belemnitella, Pholadomija, Eadiola, Inoce- ramiis, Ostrea, Grgpltaea^ Cgclolites (?). Ricordasi che le ammoniti di questo piano vennero già illustrate dal Mariani (vedi Bibl. 1898). Segue una accurata descrizione delle specie dei due piani fornita di ricca | sinonimia e corredata da tre tavole con riproduzioni fotografiche degli ori- ginali. j i De Alessandri G-. — Osservazioni geologiche sulla Creta e siilV Eocene ' della Lombardia. (Atti della Soc. ital. di Se. nat. e del Museo civico di St. nat.. Voi. XXXVIII, fase. 3°, pag. 253-320, con 2 tavole). — Milano, 1899. È un complesso di osservazioni stratigrafiche e litologiche, e conseguenti interpretazioni cronologiche, sulla zona cretaceo-eocenica affiorante nella re- gione prealpina, ad immediato contatto col quaternario della pianura, dal lago di Como a quello d’Iseo. Premesso un cenno sui vari autori, che se ne occu- i parono, dall’ Amoretti (1794) al Curioni, allo Stoppani, al Taramelli, al Mariani i (1896) ed altri, osserva come la divisione del cretaceo lombardo proposta dal j Taramelli sia fra tutte la più logica, cioè un piano superiore (Damano, Seno- niano e Turoniano) ed uno inferiore (Cenomaniano èd Albiano). Anche l’autore : adotta due divisioni, benché alquanto modificate: il cretaceo superiore, o Se- ! nonianp, distinto in Campaniano o piano di Brenno e in Santoniàno o piano di Sirone, e Finferiore distinto in Turoniano e Cenomaniano. | Xell’eocene riconosce pure due piani : il superiore o Bartoniano e Finfe- riore o Parisiano. i Entra quindi nella descrizione dei vari affioramenti facendo confronti con ■' quelli meglio noti di altre località italiane e dimostrando che i lembi cretacei ed eocenici lombardi trovansi generalmente lungo una linea di corrugamento 1 diretta da X.O a S.E, linea che a levante del lago d’Iseo ripiega verso sud, seguendo quella dell’asse maggiore del bacino del Garda: ciò spiega come le forze orogenetiche che determinarono questi affioramenti abbiano agito in senso quasi sempre normale all’asse alpino, ma che sulle sponde del Garda le potenti ' — 197 — formazioni dolomiticJie abbiano prodotto una variante nella direzione del cor- rugamento, facendola parallela a quella della superficie di reazione. Iti quanto alla natura litologica dei diversi piani del cretaceo superiore è quella indicata nel lavoro precedente, mentre per l’inferiore vi ba molte varietà, a motivo che in esso sono inglobati parecchi piani con facies diverse. Per l’eo- cene si hanno al hvello superiore marne grigiastre od azzurre compatte, alter- nanti con straterelli di arenarie grigie ; e all’inferiore un calcare- marnoso ver- dastro o rosso vinato analogo alla scaglia, pure con straterelli arenacei alter- nanti con banchi di calcare giallognolo. Al lavoro è annessa una carta geologica al 100000, divisa in due parti, con profili al 50000, nella cj^uale, oltre le formazioni suindicate, trovansi indi- cate le posteoceniche distinte in Tongriano, Piacenziano, Morenico e Diluvium- Alluvium. De Axgelis D’Ossat G-. — Il gen, Heliolites nel Devoniano delle Alpi Carnicìie italiane. (Boll. Soc. (Geol. it.. Voi. XYIII, fase. 1°, pag. 33-40). — Poma, 1899. L'autore che sta compiendo lo studio dei corallarii devoniani della Gamia, dei cpiali già diede una comimicazione preliminare alla Società geolo- gica (vedi Bihl. 1895), ha creduto opportuno, in seguito ad osservazioni del prof. Lindstrom e ad im più accurato esame del materiale, di presentare alcune osservazioni sulle forme di Heliolites, correggendone le determinazioni specifiche. Le forme descritte in questa nota, ed in parte anche figimate, sono le seguenti: Heliolites interstinctiis L. sp., con varietà devoiiica nuova; Heliolites porosus Gold. sp. con varietà Liudstv'òmi nuova; Heliolites Barrandei Pen. Queste forme provengono dal calcare corallino di Ladinut a Xord di Paularo, riconosciuto devoniano, anziché pernio-carbonifero o siluriano come crerlevasi. De Axgelis D'Ossat G. — Seconda contribuzione allo studio della fauna fossile paleozoica delle Alpi Gamiche . (Memorie P. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. Ili, Est. di pag. 32). — Poma, 1899. In questa seconda contribuzione (vedi Bibl. 1896) l’autore espone il risul- tato dello studio fatto su fossili del siluriano superiore e del devoniano raccolti neH'escursione alle Alpi Gamiche nel 1895 e della quale il Taramelli {Bihl. 1896) diede relazione alla stessa Accademia dei Lincei. Premesso un breve cenno storico sullo studio del devoniano e del siili- |; riano della Carnia, egli riporta la divisione del devoniano presentata dal Predi i nella Lethaea palaeosoica, sulla quale si fonda nell’interpretare il valore crono- i logico dei fossili studiati per stabilire che nel versante italiano s’incontrano ■ gli stessi piani riconosciuti dal Frech in quello austriaco. La località più fossi- ! lifera è presso la Cacera Promosio ed il Passo di Promosio a S.E del Pizzo ' Timau, e di essa l’autore presenta una veduta schematica. Dopo un elenco dei libri più importanti consultati, 1’ autore passa alla descrizione delle forme studiate, seguendo in essa l’ordine stratigrafico dal basso in alto. Delle forme descritte ed in parte illustrate viene in fine dato un i quadro nel quale sono distinti i piani o zone sia del siluriano superiore che del devoniano e le località in cui furono rinvenute. j Le specie nuove per il devoniano delle Alpi Gamiche sono Clymeiiia (Gijrtoclymenia) angustisejìtata Mstr., Clgmenia (ì Bis co cìy meni a) Haiieri 3Istr., : i Tornoceras cinctiim Keiserling ed il Bellerophon an. n. sp. (Frecìii). I fossili, ! i quantunque in numero limitato, sono così caratteristici da potere accertare nel versante italiano delle Alpi Gamiche le zone seguenti: 3® Devoniano inferiore, zona a Tornoceras inexspectatum : 2® Siluriano superiore, zona ad Orthoceras Bichteri ; Siluriano superiore, zona ad Ortìi. alticola. | Queste zone sono state trovate dove il Frech indica il Gulm, il devoniano m medio e la parte inferiore del devoniano superiore. L’autore, in base alle zone i stesse, presenta una sezione schematica che taglia da nord a sud il tratto I alpino fra il passo della Yalentina e quello di Promosio, e spiega la tettonica t 1 1 di quel versante ben diversamente dal modo di vedere del Frech. | i De Angelis d’Ossat G. — Le sorgenti di petrolio a Tocco da Casanria « {Ahriisso), (Rassegna mineraria, Yol. XI, nn. 16 e 17, pag. 241-215 £ e 258-261). — Torino, 1899. Premesso un breve cenno degli studii anteriori sulla interessante località, I l’autore espone il risultato dei suoi dando la serie seguente: 1® Cretaceo; cab ; care bianco, cristallino, con rare selci incluse, formante la parte più elevata t della Schiena d’ Asino, propaggine del Morrone : contiene molti avanzi di rudiste, fra cui Hippiirites organisans Desm., e probabilmente E. toiicasia d’Orb., forme ( caratteristiche del Turoniano. 2® Eocene; non visto in posto dall’autore, ma solo in massi erratici di un calcare duro, giallastro, ricco di nummuliti, provenienti probabilmente dalla Majella: egli vi ha riconosciuta la Nnmmnlites TcJiiìiatctieffiefJì 199 — d'Arcli.. per cui pare trattarsi di Bartoniano superiore. Miocene; svariato complesso di roccie, fra la Schiena d’ Asino e la MajeUa discordante sul calcare cretaceo: sono argille nella parte più profonda, quindi calcari rappresentanti la zona delle laminarie, da ultimo la formazione littorale con materiali più grossolani; per i fossili rinvenutivi tutto il complesso appartiene al miocene medio, con qualche lembo dubbio di superiore: è la sede degli idrocarburi, in specie al contatto fra calcari ed argille, ed importanti sono certi straterelli marnosi, ricchi di resti di pesci, specialmente otoliti, indicanti la genesi dei petrolii. Alla stessa formazione appartengono gli asfalti di Roccamorice, Mano- pello e S. T alentino, con abbondanza di fossili, specialmente di LitJiotìiamnhim^ che spiccano in bianco sul calcare nero asfaltifero. 4° Pleistocene ; costituito da depositi lacustri formanti l’altipiano di Tocco; vi sono argille in basso, poi sabbie argillose e torba, quindi travertino che forma la spianata dell’altipiano. In una seconda parte del lavoro l’autore espone le condizioni geologiche speciali della miniera di Tocco, conchiudendo per la origine organica del pe- trolio. che sarebbe specialmente dovuto ad avanzi di pesci, la cui distillazione ha prodotto gli idrocarburi aventi sede nel calcare del miocene medio. Questo calcare di Tocco però non ha alcun rapporto con gli altri lembi analoghi di Bolognano, S. Talentino, ecc., essendone disgiunto dalla formazione argillosa che gli si sovrappone e lo circonda: ciò è dimostrato anche dal regime delle sorgenti, strettamente subordinato alle vicende atmosferiche. Le argille sovra- stanti vi avrebbero anche contribuito alla conservazione degli idrocarburi più volatili, mentre nelle altre località indicate rimane il solo bitume. De Axgeus d'Ossat G-. e Lrzj CI. F. — Altri fossili dello 8chlier delle Marche. (Boll. Soc. Oeol. it., Tol. XTIII, fase. 1®, pag. 63-64). — Roma. 1899. • È una aggiunta all'elenco dei fossili di San Severino (Marche), pubblicato dagli stessi autori nel Bollettino della Società geologica (vedi Bihl. 1897) basata su esemplari nuovamente raccolti principalmente dal prof. Cardinali del R. Isti- tuto tecnico di Macerata. Le nuove forme citate confermano ed estendono le conclusioni già esposte, che cioè quella zona appartiene alla parte superiore del miocene medio ed alla j zona batimetrica profonda del Langhiano. Fra le specie indicate figura la Isis peìorifana Seg., che si trova nei terreni i sincroni di Sicilia e di Sardegna, ed ora rinvenuta pure per la prima volta sul i continente, • 6 — 200 — Deecke W. — Die pleistocdnen Landseen des Apennins. (G-lobus, B. LXXTI, n. 22, pag. 345-348 e n. 23, pag. 366-369). — Braunscliweig, 1899. L’autore ha preso occasione dal lavoro del De Lorenzo sui grandi laghi pleistocenici nell’Italia meridionale (vedi Bìhl. 1898), per passare in rassegna tutti gli antichi bacini lacustri dell’ Appennino peninsulare. La maggior parte di essi è dovuta a cause tettoniche (corrugamenti e fratture); il vulcanismo ha pure contribuito collo sbarrare l’efflusso di parecchie valli, a creare dei laghi verso la fine del pliocene. I laghi sono a poco a poco scomparsi, o perchè furono colmati da sedimenti, o perchè l’erosione ha approfondito i loro emissarii: questo lavoro d’erosione è stato in molti casi facilitato dalla solubilità delle roccie calcari formanti le conche lacustri. I laghi in molti casi furono colmati parzialmente da deposizioni di travertino dovuti alla alimentazione loro con acque calcarifere. IN^eir Appennino furono antichi laghi il Mugello (pliocene medio e superiore), il Yaldarno superiore (pliocene), la Yal di Chiana (quaternario); il Trasimeno è iin avanzo di queste conche lacustri pleistoceniche e quaternarie. Secondo il Deecke sono dovuti ad antichi laghi i travertini della Yal d’Elsa superiore fra Poggibonsi, Colle Yal d’Elsa e Casole, e quelli fra Poggibonsi, Siena ed il piede della Montagnola Senese, che colmano pure la valle di Monteriggioni. A mezzogiorno di Siena,, il bonificato Piano del Lago è dovuto ad un lago antico. Yell’ Appennino centrale erano laghi pleistocenici l’alta Yalle Tiberina, la conca di Terni e quella di Rieti. La pianura travertinosa presso Montalto di Castro è ritenuta pure dall’autore come residuo di un antico lago. Le eluizioni vulcaniche del paese degli Ernici e di Roccamonfina hanno trasformato in laghi parti delle valli longitudinali del Sacco e del Garigliano. Yegli Abruzzi oltre al Fucino, sono antichi laghi la conca di Aquila, quella di Rocca di Cambio, il Campo Felice, il bacino di Solmona, quello di Scanno, ecc. I laghi pleisto- cenici dell’Italia meridionale sono enumerati colla^scorta del De Lorenzo, e sono quelli del Yoce, del Mingardo, dell’ Agri, del Mercure, il Yallo di Diano, ed i laghi di Yenosa e di Atella presso il Yulture: di questi ultimi l’autore ripro- duce in parte le figure datene dal De Lorenzo nella sua opera. De Giorgi C. — Ricerche su i terremoti avvenuti in Terra cV Otranto dairXI al secolo XIX. (Mem. della Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Yol. XY, pag. 95-154). — Roma, 4899. Scopo di questa memoria è di dare una statistica possibilmente completa dei terremoti più importanti avvenuti nella penisola salentina, e di indagare — 201 — la relazione delle oscillazioni sismiche di Cjuesta regione colle regioni vicine e quelle divise da brevi tratti di mare. Gli elementi sismici raccolti si riferiscono a due periodi. Uno va dal se- colo XI alla metà del xiX. e contiene i dati ricavati dalle cronache locali e da monografie storiche della città e prox'incia, ecc. Xel 2® gli elementi sono desunti da ossei’vazioni fatte con istrumehti sismici. Dell'uno e l'altro periodo è data una estesa statistica nella prima parte di questo lavoro. ^ella seconda parte che tratta dei rapporti fra i terremoti della penisola salentina e quelli delle regioni cii'costanti, esamina dapprima la frequenza dei terremoti salentini e risulta che se non infrequenti, rarissimi sono quelli disa- strosi. Eiguardo alle stagioni vi ha poca differenza tra il numero di quelli del periodo estivo da quelli dell' invernale. Quanto alle località si verifica che rari sono i ten-emoti estesi a tutta la regione ; più frequenti quelli parziali e special- mente hmgo le coste o a breve distanza, e più nelle coste orientali che nelle occidentali. La forma predominante dei terremoti è rondulatoria : la sussultoria dipende da condizioni geologiche locali. Dato un breve cenno sulla posizione geografica, sulla idrogi*afia e sulla struttm-a geologica della Terra d'Otranto, prende in esame i terremoti avvenuti nelle regioni italiane circostanti in rapporto con quelle della regione stessa. Da tale esame risulta che i terremoti più forti della penisola salentina (1456, 1743) non si propagarono affatto o non fimono rilevati nella regione garganica. nello stesso modo che i più intensi di questa regione non fiu’ono avvertiti nella pro- vincia di Lecce: che di 44 periodi sismici 10 solo confrontano con i terremoti salentini. L"na sola scossa coincide nell'ora e nel giorno fra le regioni danna e salentina. ed è quello del 10 agosto 1893. Quanto ai rapporti fra i ten-emoti salentini e quelli delle regioni transmarine a S.E dell'Italia, l'autore ricorda i terremoti dell' Erzegovina e del Montenegro, deirArcipelasro greco e dell'Albania che furono risentiti a Lecce con scosse o avvertiti dagli strumenti sismici. Resta così confermato che il sistema oro- grafico salentino è indipendente dall' Appennino lucano e concorda invece con quello dell' Epiro. Esamina l' intensità relativa dei terremoti della Terra d'Otranto e la di- mostra in relazione colle condizioni geologiche locali, per cui gli stessi terremoti furono disastrosi in alcune città, innocui in altre, prendendo in speciale esame quelli di Lecce. Riepiloga da ultimo i dati esposti in questa memoria in- dicando le nonne edilizie da seguirsi nella costruzione e riedificazione dei fabbricati. — 202 — De Diorgi C. — La Puglia sotto Vaspetto fisico e geografico. (Scienza e diletto, Anno YII, n. 27, pag. 1-12). — Cerignola, 1899. Prendendo argomento da lavori pubblicati dal prof. BertaccM sulla Puglia, l’autore in una lettera al prof. Aicola Pescatore, fa notare la presenza nel tratto da Basano ad Otranto di tre pieghe orografiche, nelle quali viene a diramarsi la catena principale del Barese, e che digradando verso est si confondono nel- r istmo salentino senza raggiungere la città di Lecce. Questa è quindi indipen- dente e separata dalle Murge baresi. L’autore nota pure i terrazzamenti litoranei del Grargano, delle Murge e delle Serre salentine da Basano ad Ostimi, e da Castellaneta a Orottaglie. De Dregorio A. — Qiielques fossiles noiiveaiix de Lavacille près de Pas- sano des assises de S. Gonini. (Annales de G^éol. et Pah, Livr. 24. pag. 1-4, con tavola). — Paierme, 1899. Rimandando il lettore a quanto egli pubblicò in addietro intorno a questa fauna (vedi Annales, etc., Livr. 13 e 20, Bihl. 1894 e 1895). l’antore illustra ora un’altra serie di fossili raccolti specialmente nella stessa località. Sono cinque specie nuove che egli denomina: Fiisiis perhellicosns, Tiirritella pompejana, Acteon ahatis, Pnrpnra jiiridica e Miirex expiignans. Queste specie sono disegnate nella tavola annessa. De Dregorio A. — Description de quelqnes fossiles miocènes de Vliorizon a Cardita Jouanneti de Forabosco [Asolo) et de Romano [Passano). (An- nales de Gréol. et Pai., Livr. 25, pag. 1-18, con 6 tavole). — Pa- ierme, 1899. Ricordando l’elenco dei fossili di Borabosco, da lui pubblicato nel 1885 nel Aatm-alista Siciliano [Elenco* di fossili deir orizzonte a Cardita Jonanneti) e che qui riporta, l’autore pubblica ora alcune diagnosi dei medesimi, in parte inedite. Descrive quindi e figura altre 33 specie delle località indicate, fra le quali 13 nuove. De GtRegorio A. — Deux nonveanx depóts d’Elephas antiqnns dans le qiiaternaire des environs de Paierme. (Annales de Déol. et Pai.. Livr. 26, pag. 1-8, con 3 tavole). — Paierme, 1899. Sono due piccoli depositi d’ossami riconosciuti nelle località dette Lupa- rello e Acqua dei Corsari presso Palermo, dove sinora non si era trovata traccia alcuna di fossili, e per di più in particolari condizioni di fossilizzazioue. — 203 — La prima è a 3 chilometri a ponente della città, sotto Baida, lungo il piede della montagna, in terreno dellTstitnto zootecnico e fn scoperta per scavi ■ fattivi onde cercare sabbia da costruzione: ivi le ossa di elefanti si trovano mescolate a conchiglie terresM e marine, fra le quali 1* autore ti'ovò due specie nuove, la Helix Luparellensis e la H. praemacrosfomci, mostranti insieme con le altre che le condizioni climatiche vi erano diverse dalle, attuali. I denti d'e- lefante poi offi-ono differenze notevoli con c^neUi ti-ovati in altre località, e tutti appartengono ad individui di piccola statima. La seconda località è a 4 chilometid a levante da Palermo, in condizioni affatto differenti dalla prima: e il deposito è in una argilla con gi’ande quan- tità di fossili postpliocenici della classica fauna diPicarazzi: i denti di elefante hanno dimensioni di gi-an lunga superiori agli anzidetti, e probabilmente appar- tengono ad altra varietà di El. ajifiqnns. Xelle tavole annesse sono disegnati i resti di elefanti insieme con i mol- luschi associathd. De Dregorio A. — Coelenterata tithonica. Polijpiers éponges et hgdroicles fifhojiirpies des « Stramherg Seti idi teii » de Sicile. (Aimales de Déol. et Pah. Livi’. 27. pag. 1-36, con 6 tavole). — Paierme. 1899. Ricordati i suoi vecchi lavori sui corallari titonici, pubblicati dal 1880 al 1894. e citati i più recenti della signorina Ogilvie (1896-97) e del prof. Canavari |1894), Tautore fa in questo lavoro un riassunto dai suoi studi sulle specie si- ciliane ad un confronto coi lavori più recenti, dando una nuova diagnosi delle specie medesime provenienti per la maggior parte dalle falde del Olente Pel- legrino {deposito classico illustrato da Gr. G. Geuimellaro). parte dalle contrade Arenella e Aqiiileia (fra Isnello e Castelbuono). pochi dal Casale di sopra, dietro Busambra. nuova località fossilifera scoperta daH'autore: la roccia è un I calcare giallastro-bianchiccio nell'ultima località, grigiastro nelle alti-e, sempre I compatto e tenace. Le specie descritte e denominate daH'antore sono: 7 Spoiigiae; 2 Hgdromc- dusac: b Chaetosoai : 39 Aiitìiozoa. Esse sono figurate nelle tavole annesse. Dee (jR'dice F. e XoÈ G. — Relazione della escursione geologica al Malpasso a sud di Roma. (Boll, del Xatiiralista, A. XIX. p. 64-66). — ! Siena, 1899. Vi si dà conto di ima gitn fatta al sud di Roma seguendo il corso del i Tevere sino a Malafede, quindi risalendo per la valle di Spinacelo al Malpasso 204 — e tornando per Casale Brunori e la Via Ostiense, con osservazioni sui tufi vul- canici, sui depositi d’acqua dolce e marini, non che sulle lave incontrate lungo il tragitto. Crii autori, in seguito ad esame petrografico del Millosevich, ritengono che i frammenti lavici esistenti nelle ghiaie marine sottostanti alle argille plioce- niche del Malpasso sieno provenienti dai vulcani Sabatini e non dai Laziali. Del Prato A. — Petroli ed emanazioni gasose nelle provincie di Parma e Piacenza. Bibliografia, (pag. 38 in-8). — Parma, 1899. È un elenco bibliografico di tutti i lavori pubblicati relativi airargomento nelle due provincie di Parma e Piacenza, che l’autore ha potuto consultare e dei quali è dato per ordine alfabetico d’autore, il titolo, con un breve sunto delle indicazioni speciali contenutevi. Sono in tutto 54 bibliografie, in alcune delle quali vengono riportate analisi di petrolii e prodotti derivati fatte o riferite dai vari autori. Del Prato A. — Sulla presenza del genere Burtinopsis nel Pliocene italiano. (Rivista ital. di paleontologia, A. lY, fase. IT, pag. 127-134). — Parma, 1899. Tel ben noto giacimento piacentino di Bacedasco e precisamente sulla si- nistra del Rio della Baina nella Costa dei Martani fu nel 1897 messo allo sco- perto un nuovo resto di Misticeto che l’autore, valendosi dell’aiuto del prof. Ca- pellini, fece oggetto di studio, del quale è data relazione in questo lavoro. Premesso un breve cenno sui numerosi cetacei scoperti nel Piacentino ed i A^ari riferimenti ad essi dati dai paleontologi, l’autore passa a descrAere i resti del fossile scoperto consistenti in una parte del cranio, e in cinque ver- tebre cervicali, due dorsali ed una caudale. Dall’esame di questi resti l’autore riconosce evidenti rapporti di questo fossile colla specie nota del genere Burtinopsis di Y. Beneden e crede si debba riferire al B. similis Y. Beneden. L’autore osserA^a infine essere questo il primo resto ben definito di cetacei scoperti nelle colline fra l’Arda e l’Ongina, e questo, insieme ad altre ossa h i troA^ate, indica un deposito di forme o specie ben dh^erse da quelle finora rinA^enute nel resto del Piacentino e conferma ropinione che il deposito di Ba- cedasco sia da riferire ad un periodo del pliocene antico. — 205 / Del Zaxxa P. — I laghi di 8. Antonio in provincia di Siena. (Boll. Soc. Greol. ital., Tol. XYIII, fase. 3°, pag. 281-288). — Eoma, 1899. Sono quattro grandi e profonde cavità circolari, due delle quali tuttora riempite d'acqua, sull’altipiano detto di S. Antonio che si stende a nord della Montagnola Senese fra i torrenti Elsa e Staggia. Da tradizione popolare attri- ' buiva ai due laghi origini prodigiose e profondità straordinarie : l’autore trovò invece nel maggiore (D. Chiaro) m. 14 e nel minore (L. Scuro) m. 7. 5, profon- dità pur sempre ragguardevoli in rapporto alla piccola superficie degli specchi acquei, valutata rispettivamente in ettari 1,035 e 0,408. In quanto alla loro origine sarebbero dovuti a sprofondamenti prodottisi nel travertino pulverulento e nel tufo calcareo, di cui è costituita tutta la zona adiacente, per il franare di volte e cavità sotterranee; e tale processo sembra continuare tuttora, come lo dimostrano i tanti movimenti del suolo producenti rovina dei fabbricati, fra cui la chiesa di S. Antonio situata nella immediata vicinanza del Lago Chiaro, che si dovette abbattere e ricostruire più lungi, nel 1898. Dgual sorte toccherà forse in seguito all’antico chiostro ed alle case vicine. Del Zanna P. — 1 fenomeni carsici del bacino delVElsa. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XAMII, fase. 3^, pag. 315-323). — Eoma, 1899. Dopo aver ricordato gli autori che trattano più o meno estesamente del bacino superiore di questo fiume, fra cui il Eepetti, il Capellini, il Campani, il Lotti, lautore di questa nota espone il risultato delle ricerche fatte nelle vicinanze di Monte Alaggio, la cima più alta e più settentrionale della Alontagnola Senese, dove liaAAÙ uno dei più belli esempi di fenomeni carsici nell’Italia centrale. La natura cavernosa di questo monte calcareo è dimostrata non solo dalle molte gi’otte, ma ancora da doline regolari con diametri di 50 a 100 metri e da altre depressioni più vaste, che in pochi istanti assorbono le acque piovane; inoltre non si trova in tutto il monte una sola sorgente e i fossi non portano acqua se non quando piove dirottamente. Alla sua cima poi apresi una cavità che mette in un pozzo verticale o quasi, di grande profondità e che deve co- municare con grandi cavità, come lo dimostra una forte corrente d’aria che la percorre ora in un senso, ora nell’altro secondo la stagione ; e lo stesso fatto si verifica in altre parti della montagna, dimostrando la esistenza di comunica- 1 zioni interne fra le varie cavità. Anche i poggi di San Dimignano presentano fenomeni carsici interessanti, con cavità crateriformi regolari, specialmente a Alonte Pillori, dove si ingorgano le acque piovane. A Poggio del Comune pure si ripete la mancanza di acque — 206 — sorgive e resistenza di gole profonde quasi sempre asciutte, non clie di solchi che si inabissano fra pareti ripide e quasi verticali. Havvi dunque un ampio bacino sotterraneo che contribuisce largamente alle sorgenti dell’Elsa, le quali, in seguito alle misurazioni fattevi per lo studio idrografico del bacino dell’Arno, danno in media litri 1400 al secondo, con un minimo di 1070 ed un massimo di 1700. Dervieux e. — Foramìniferì terBÌarìì del Piemonte e specialmente snl gen. Polymorpliina D’Orbigng. (Boll. Soc. Greol. ital., Voi. XYIII, fase. 2^, pag. 76-78). — Eoma, 1899. Prendendo occasione dall’ultimo catalogo dei fossili piemontesi pubblicato dal Sacco nel medesimo Bollettino degli anni 1889 e 1890, l’autore fa questa breve aggiunta ai suoi studi sui foraminiferi del terziario piemontese, relativa a due delle sette specie di Polgmorphina in esso contenute e cioè Poi. xantea Seg. e Poi. acuta D’Orb. Egli ha potuto controllare queste due specie rappresentate da 14 esemplari nella collezione del cav. Di Rovasenda, e dall’esame di esse conchiude trattarsi* non’ già di polimorfine, ma bensì di pleurostomelle e di virguline, e precisa- mente di PI. rapa Gilmbel, var. recens n. e PI. alternaus Schv'., Virg. sdirei- hérsiana Cz. e Virg. schreibersiana var. longissima (Costa). Egli ha potuto determinare inoltre la Polgmorphina rotnnclata, var. fraefa, Bornemann nell’ Elveziano dei Colli torinesi e la Poi. ovata, D'Orbigny, nel Tortoniano di Tortona. De Stefani C. — Come Vetà dei graniti si deliba determinare con criteri stratigrafici. (Boll. Soc. Greol. it., Yol. XYIII, fase. 2^, pag. 79-115, con 2 tavole). — Roma, 1899. Presi dapprima in esame e discussi i principali criterii usati ordinaria- mente per determinare l’età dei graniti, l’autore porta le sue osservazioni sulle tre regioni: Calabria, Isola d’Elba e Cima d’Asta nel Tirolo meridionale, nelle quali al granito, per recenti studii, è stata attribuita un’età moderna. Cominciando a discutere sull’età ed origine di quello di Calabria ritenuto non antico ed eruttivo dal De Lorenzo (vedi Bibl. 1896) distingue i graniti della regione occidentale da quelli della centrale ed orientale. Ritiene i primi gneiss piuttosto che graniti per la divisione a strati e per l’alternanza dei mine- rali che li accompagnano ; sono identici ai gneiss ed ai graniti centrali delle Alpi occidentali. Dii altri sono in realtà dioriti quarzifere, anfiboliche, simili alle - 207 — tonaliti intima mente legate coi micascisti e cogli scisti cristallini antichi, ed appartengono probabilmente ad età più recente. iSTon divide il modo di vedere del De Lorenzo sulla successione stratigra- fica delle roccie e riproduce alcuni spaccati a sostegno della sua opinione. Prescindendo dalla zona di roccie a nord dell’istmo di Catanzaro, lo gneiss 0 granito forma tre elissoidi : dei Peloritani, dell’ Aspromonte e del Poro ed è, secondo l’autore, la’ roccia fondamentale sottostante stratigraficamente a tutte le altre. La serie delle roccie soprastanti ad esso è la seguente : micascisto, fillade sericitica, fillade carboniosa e calcare titonico. I filoni e le vene granitiche che attraversano i gneiss e i micascisti, e talora anche le filladi, sono probabilmente il prodotto di secrezioni ed appartengono ad età più recente delle roccie attraversate. Passando all’Isola d’Elba l’autore prende a confutare l’opinione del Lotti e di altri che ritengono il granito di Monte Capanne eocenico e giunge alla conclusione che esso preesisteva aU’eocene ed è antichissimo ; ne sono però in- dipendenti le eruzioni porfiriche che derivano forse da un medesimo magma interno. I vari filoni granitici sono posteriori alla massa granitica, ma dipen- dono da questa e sono prodotti verosimilmente per fenomeni idrotermali po- steiiori a quelli che hanno alterato il granito e metamorfosato gli scisti eocenici a contatto di esso. L'autore aggiunge alcuni fatti che si presentano nell’isola, interessanti l'origino del granito, quali la presenza di filoni granitici nelle roccie antiche della regione orientale dell’Elba, l’inclusione di granito e di roccie cristallino antiche nei porfidi eocenici, non che la presenza o mancanza di ghiaie granitiche nei terreni antichi dell’isola. ^ Viene infine a parlare del granito di Cima d’Asta, dal Salomon e da altri ritenuto di origine eruttiva, laccolitica, non antichissima e solo anteriore alla cosidetta faglia posteocenica della Val Siigana. Gli argomenti addotti dal Sa- lomon sono basati sulla mancanza di ghiaie derivanti dal granito negli altri terreni vicini, sul metamorfismo di contatto fra granito e gli scisti vicini e la sua posizione stratigrafica apparentemente superiore agli scisti, lungo il confine meridionale della sua massa. Lasciando l’argomento del metamorfismo del quale ha già trattato e quello delle ghiaie che sembra sieno state trovate dal Kraft nel verrncano, l’autore espone le osservazioni fatte per le ‘quali ritiene la sovrapposizione del granito agli scisti solo apparente e dovuta ad inversione ed a rovesciamento del primo sui secondi. Applicando ai graniti della Corsica e della Sardegna le deduzioni ricavate dallo studio di quelli di Calabria, Sicilia e Toscana, egli conchinde che essi costituiscono il terreno più antico della nostra penisola. Al lavoro sono annesse due tavole di pi*ofili relativi alla Calabria ed aH’Elba. 208 — De Stefani C. e Fantappié L. — / terreni terziari superiori dei din- torni di Viterho. (Rendiconti R. Acc. dei Lincei. S. T. ToL TIII. fase. 3®, 2® sena., pag. 91-100). — Roma, 1899. Aelle vicinanze di Viterbo (Fosso di Arcionello e Villa Ravicini) esistono due lembi di un calcare conchigliare, che il Meli già ritenne eq^nivalenti del macco di Corneto e di Palo (pliocene superiore) ma che gli autori dall'esame dei fossili, collocherebbero invece nell’Elveziano (miocene medio) facendone un parallelo col calcare di Rosignano o di Leitha. I fossili sono specialmente Li- totanni, Briozoi, Corallarii, Foraminifere e specialmente molluschi fra i quali il Pecten Malvinae, specie caratteristica del miocene medio d’Italia. Le JSfnlliporae poi attestano il carattere littorale del deposito. Al calcare succedono delle argille di mare profonde, finissime, biancastre, con foraminifere e molluschi caratteristici del pliocene inferiore: sopra di esse riposa il peperino dei Vulcani Cimini. Hella parte superiore delle argille si trovano mescolati in certa abbondanza degli elementi vulcanici, il che prove- rebbe che le eruzioni del sistema Cimino cominciarono nel pliocene e furono sottomarine, od almeno proiettarono i loro prodotti in mare. De Stefani C. e Nelli B. — Fossili miocenici delV Appennino Aquilano. (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. Vili, fase. 2®. 2° sem.. pag. 46-50). — Roma, 1899. È ima serie di specie, tutte del miocene medio, raccolte dal Chelussi nei dintorni di Aquila (specialmente a Monte Luco) e in altre parti della pro- vincia, e determinate dal Nelli. Fra queste sono notevoli quelle provenienti dai calcari bianchi, cristallini o bardigliacei, che a primo aspetto si credereb- bero di una epoca molto più antica, ma che pei fossili risultano coetanei delle arenarie e delle marne. Tutti questi terreni sembrano appartenere alla zona langhiana, perciò ad una plaga di mare piuttosto profondo. Sono molto estesi nell’ Appennino aquilano e pel loro aspetto, specialmente i calcari, furono sempre creduti eocenici e talora anche cretacei ; in sostanza però sono formati dalla ricostituzione di materiali calcarei preesistenti. Secondo gli autori il miocene inferiore sarebbe esteso non solo in tutto l’ Appennino centrale, ma nella intera penisola fra Renno nel Modenese e la Sila in Calabria. Così pure il tipo arenaceo dell’eocene superiore e medio ces- serebbe sulla destra del Tevere, ne più ricomparirebbe che in Puglia e in Basili- cata : nell’ Appennino compreso tra questi estremi l’eocene medio è rappresentato da calcari nummulitici e le arenarie, ivi tanto estese, sono tutte del miocene medio. — 209 — De Stefano G-. — Un nuovo lembo conchìglifero di Reggio Calabria. (Boll. Soc. Geol. it, Yol. XYIII, fase. 1^, pag. 1-3). — Eoma, 1899. È ima notizia preventiva sulla scoperta di una località fossilifera in con- trada Morrocu, poco lungi. da Reggio Calabria, costituita da una piccola spia- nata di alluvione antica, cui sottosta una sabbia fine e compatta in alto, sciolta in basso, e infine strati di argilla sabbiosa priva di fossili. Yell’ allu- vione antica abbondano le Helix, e nelle sabbie bavvi gran copia di molluschi marini e foraminiferi, dei quali l’autore dà un elenco sommario, con predo- minio di Cerithhiin e di Pinna, per cui propone per essi il nome di Strati a Pinne. Questi lamellibranchi, che finora si ritenevano rari in Calabria e limi- tati quasi al territorio di Stilo, vengono ora, in seguito alla fatta scoperta, a manifestarsi così abbondanti da poter dare il loro nome al piano che li contiene. Perciò la nuova località fossilifera è del pili alto interesse, e l’autore conta di illustrarla in seguito con apposito lavoro stratigrafico-paleontologico. De Stefano G. — Appunti sopra alcuni lembi dei terreni post-terziari di Reggio Calabria. (Boll. Soc. Geol. it., Yol. XYIII, fase. 2^, pag. 132-139). — Eoma, 1899. È una rapida rassegna dei terreni costituenti i lembi più importanti del post-terziario dei dintorni di Reggio Calabria (piano Sahariano di Mayer o quaternario inferiore secondo altri); sono quelli di Gallina, del Salvatore di Sant'Agata, di Pavigliana, di Carrubare, di Eavagnese, di Bevette e di Mor- rocu (recentemente scoperto), che l’autore descrive partitamente indicando per ciascuno i fossili contenuti, e dando gli spaccati di Gallina-San Salvatore e di ^Morrocu. Questi A^ari lembi non sono sincroni fra di loro; ma si possono dEd- dere in due classi; l*’^ Quelli che si solleA'arono nel periodo glaciale e conten- gono una fauna nordica; 2^ Quelli di sollevamento più recente con fauna simile alla attuale, con qualche specie di mari più caldi. Questi terreni post-terziarii, ordinariamente sabbie, riposano di solito sopra argille mioceniche, qualche volta langhiane; soA^ente non hanno resti organici, ma talora ne sono ricchissimi e con fauna caratteristica. Sono assai sA’iluppati da Capo dell’Armi a Scilla, e ricoperti di solito da una formazione terrestre, foiTnante terrazze talora sino a pm di m. 800 sul mare, con potenza sino a m. 15; quest'ultima è priA^a di fossili, eccetto che a Morrocu doA'e Ad abbondano le Helix ed havAd qualche Bulinins. — 210 — De Stefano D. — Rinvenimento di mammiferi fossili nel Quaternario di Morrocii presso Reggio Calabria, (Boll. Soc. Deol. it.. Voi. XTIII, fase. 3^, pag. lxx-lxxi). — Eoma, 1899. L’autore annuncia il rinvenimento di frammenti di mammiferi fossili, fra i quali denti molari di Elephas inericlionalis Xesti, alla base degli ultimi strati alluvionali del quaternario di Morrocu. Altra scoperta di denti molari di Bhinoceros fu poi fatta nella contrada Corvo, sopra il villaggio di Archi, a nord di Leggio, entro gli strati marini quaternari più recenti, e di frammenti di molari e di difese di Elephas meri- dionalis negli strati più bassi alluvionali della stessa località. Detto materiale scientifico sarà quanto prima illustrato in apposita nota. De Stefano G-. — Oli strati a pinne di Morrocu. Nuovo lembo jjost- pliocenico di Reggio Calabria. (Boll. Soc. Greol. it., Tol. XTIII, fase. 3®, pag. 255-280). — Boma, 1899. È il promesso lavoro illustrativo di questo giacimento finora sconosciuto e che per la sua importanza e novità merita l’attenzione degli studiosi. Il lembo fossilifero di Morrocu è situato fra quelli, da tempo conosciuti, di Ravagnese, Gallina e Bovetto e forma una specie di terrazzo fra i mede- simi; per l’aspetto del terreno e per la sua fauna è analogo ai due ultimi. La serie ne è così formata dall’alto in basso: 1® Alluvione antica priva di fossili: 2^^ Strati alluvionali ad Helix; 3*^ Sabbie poco compatte o sciolte, calcarifere, con pinne in quantità, Cerithium vnlgatnm, altri molluschi e alcune specie di fora miniferi; 4° Argille sabbiose; 5® Argille pure. I primi tre membri sono da ascriversi al quaternario, e gli altri due al miocene; e di tutti l’autore fa una analisi dettagliata con l’elenco delle specie fossili che, limitatamente ai mol* luschi, sono in numero di tre per le sabbie marine (3®) e di sei per l’alluvione terrestre (2®). Le specie marine enunciate sono quasi tutte viventi nel Mediterraneo, poche le emigrate, pochissime le estinte ; nel loro complesso indicano che il lembo che le contiene è post-pliocenico, equivalente del Sahariano di Mayer. Anche la stratigrafia ce lo indica come tale, e per consenso unanime mioce- niche debbono essere le argille sulle quali riposa in perfetta discordanza, come sono del pari quelle sottostanti agli altri lembi post-pliocenici sovrin- dicati. Ma la caratteristica principale di queste sabbie di Morrocu è la grande — 211 - r abbondanza delle pinne, che finora si credeTano rarissime in Calabria, e in particolare della P. tetragona Broc., di cui qualche individuo supera in lun- ghezza il mezzo metro, quantunque sia quasi impossibile il ricavarle intiere stante la loro estrema fragilità. L’autore crede che nuove ed accurate indagini potranno arricchire questa fauna di altre specie. De Stefaxo Gr. — Z’Elephas meridionalis ed il Khinoceros Merchi ìlei quaternario calabrese. (Boll. Soc. Greol. it., Yol. XYIII, fase. 3°, pag. 421431). — Eoma, 1899. Sono i resti di vertebrati rinvenuti, come si disse sopra, nella contrada Corvo presso Archi (Reggio Calabria) entro il quaternario marino antico e consistenti in denti molari delle due specie, e frammenti di difese della prima, insieme con frammenti di vertebre di cetacei e buon numero di molluschi, fra i quali abbondante il Loripes lactens Linn. Il Fh. Merchi i fu trovato altra volta in un giacimento di sabbia micacea post-pliocenica a Capo Stilo (vedi Flores, Bihl. 1895), ma V Et. meridionalis non erasi ancora rinvenuto in Calabria. L’autore fa in ultimo cenno dei pachidermi rinvenuti nei terreni terziari e quaternari calabresi, e cioè : Anthracoterinm magniim Cuv. del miocene (Ton- griano) di Agnana, Elephas armeniacns Falc. del quaternario (Sahariano) di Terreli presso Reggio, il FJiinoceras Merckii Jaeg. già indicato di Capo Stilo e questo phi recente di Archi, cui si aggiunge anche l’ A'/. Questa ultima scoperta della contrada Corvo estende sin quasi a Reggio Calabria l’area nella quale visse in Italia V El. iner,, limitata dal Weithofer a Rocca- secca in Terra di Lavoro (vedi Bibl. 1893) e dal Flores a Chiaromonte in Basilicata (vedi Bihl. 1890). De Stefano G. — Appendice alla fauna fossile di Morrocii. (RiAÀsta itili, di paleontologia, Anno Y, fase. lY, pag. 115-116). — Bo- logna, 1899. È un elenco supplementare che arricchisce di nuove specie e varietà quello già pubblicato degli strati a pinne di Morrocu (vedi sopra), e nel quale sono anche registrate le specie degli echini e dei foraminiferi. Esso contiene 25 specie e, nel mentre fa risaltare maggiormente la ric- chezza faunistica della località, conferma il sincronismo col vicino dejjosito di Ravagnese. - 212 — De Stefano Gr. — Paleogeografia post-pliocenica di Reggio Calabria. (Atti ! (iella Soc. ital. di Se. nat. e del Museo civico di St. nat.. To- lume XXXYIII, fase. 3^ pag. 321-341). — Milauo, 1899. I depositi quaternari dei dintorni di Reggio, dove occupano una esten- sione notevole, riposano d’ordinario sopra argille mioceniche e presentano due formazioni distinte, una marina sottostante, l’altra superiore di origine terrestre. Alla fine dell’epoca pliocenica questa regione era un seno di mare, limitato dai due promontori di Capo dell’ Armi e di Scilla con rupi a picco : è in questo seno che al principio del quaternario si depositarono le sabbie post-plioceniche, in gran parte formanti quelle colline, ora divise da valli di erosione. In causa delle correnti, or calde, or fredde che dovevano alternarsi nello stretto di Mes- sina, che già esisteva, quella insenatura potè ospitare una svariata fauna lito- rale, quale è quella che ora si trova nelle sabbie dei dintorni di Reggio. Due piani si distinguono in questa formazione marina, e cioè: uno inferiore, ca- ratterizzato dalla abbondanza relativa di specie nordiche, dal numero delle specie estinte, da quello delle specie plioceniche; l’altro superiore, con fauna simile alla attuale del Mediterraneo, con qualche specie pliocenica e con qualche altra estinta ovvero di mari freddi o tropicali. Al di sopra havvi il potente deposito terrestre, formato di sabbie ed argilla, cui si mescolano spesso ghiaia e ciottoli di vario volume, talvolta con materiali vulcanici : esso, sotto forma di i terrazze, sopra le basse, le medie e le alte pianure, ha quasi sempre colore i brunastro ed è d’ordinario privo di fossili, fatta eccezione del lembo di Mor- rocu, nel quale l’autore rinvenne 5 specie di Helix tuttora viventi nel bacino mediterraneo. Da ultimo l’autore ricostituisce a grandi tratti le varie fasi climatiche della Calabria, e di tutta Fltalia meridionale compresa la Sicilia, da principio sino alla fine dei tempi quaternari. Diener C. — Grnndlinien der StriiMur der Ostalpen. (Petermanns Mit- teilungen, 45 B., IX H., pag. 204-214). — Dotila, 1899. I recenti studi ed i rilevamenti eseguiti dall’Istituto geologico di Vienna, hanno dimostrato che la dhùsione delle Alpi orientali in due zone laterali calcari ed una centrale cristallina non risponde alla vera tettonica della catena che l’autore ritiene invece rappresentata dalle cinque zone seguenti : 1*^ zona del Flisch ; 2® zona calcare settentrionale ; 3^^ zona centrale ; 4*^ zona della Brava ; 5° zona calcarea meridionale. — 213 — Queste zone sono rappresentate in un abbozzo di carta inserita nel testo, nella quale sono altresì indicate le masse . porfiriche di Bolzano, le filliti di Clausen, il massiccio della Cima d’Asta, Tinsenatùra devoniana di Graz, le zolle mesozoiche della parte centrale e le masse eruttive dell’orlo periferico periadriatico. L’autore prende in esame ciascuna di queste zone descrivendone la co- stituzione geologica e l’andamento delle linee direttive fondamentali, per venire alle seguenti conclusioni: Le Alpi orientali risultano da parecchi tratti di catene che a guisa di ventaglio si dirigono verso levante. Il primo comprende ; la zona arenacea o del Flisch e la zona calcare settentrionale, le quali formano una unica zona tettonica che senza interruzione dalle Alpi occidentali continua in quelle orien- tali, ed il tratto della zona centrale cristallina che dal Bosenstein si stende nella massa gneissica della valle della Miirz e in quella del Glein Alpe, diri- gendosi a A.E per le Alpi cetiche ai monti del Leitha. Tutto ciò è influenzato dal massiccio boemo. Il secondo tratto corrisponde al tronco principale delle Alpi centrali : esso descrive una curva parallela a quella dei Monti Yarisci dell’Europa centrale colla convessità volta a nord, accompagnata nella sua parte interna da una zona di roccie gneissiche, certo non più antiche del Trias medio. Segue il tratto della linea della Brava nelle cui pieghe si rivela pure un moA'imento diretto verso nord. Esso è caratterizzato dal suo andamento rettilineo e per l'accordo colle Alpi settentrionali nello sviluppo degli strati mesozoici. L'ultimo tratto che comprende la zona calcare meridionale passa nel sistema delle pieghe dinariche. Col suo ripiegamento a S.O verso l’Adriatico esso assume una posizione indipendente. In questa zona bisogna ammettere un moto di ripiegamento diretto a sud, come è evidente quello di una spinta verso nord nella zona calcarea settentrionale e del Elisch. La curva periadriatica di roccie eruttive granitiche recenti fa credere che le Alpi meridionali sieno state real- mente separate dal tronco principale da un movimento diretto verso la costa adriatica, che produsse la frattura in cui si insinuarono le masse eruttive. Le Al]ù orientali sarebbero quindi formate dall’incontro e dall’unione di due sistemi di pieghe, dei quali uno rivolto prevalentemente a nord l’altro a sud. Aelle Alpi Gamiche e nella zona centrale sono state riconosciute traccie di rìpiegamento carbonifero contemporaneo a quello della catena variscica del- l’Europa centrale. Aella zona calcare settentrionale nella linea della Brava, e forse nella regione di rottura dell’altipiano di Bolzano si ebbe un ripiega- — 214 — mento di epoca cretacea, mentre depositavansi gli strati di Gosau. Il più re- cente ripiegamento nelle Alpi orientali si ebbe in alcune fasi dell'era terziaria. Le diverse parti di esse però si comportarono diversamente relativamente alle formazioni terziarie. j| Di Stefano G. . — Studi strati grafici e paleontologici sul sistema ere- l'j taceo della Sicilia. (PalaeontograpMa italica. Tol. IT. pag. 1-46. ij tav. I-T). — Pisa, 1899. j Facendo seguito alla Parte I di questi studi pubblicata nel 1888. e rela- [ tiva agli strati con Caprofina della Pupe del Castello di Termini-Imerese, l'autore illustra con la presente i sottostanti calcari con Polijconifes della stessa | località. I fossili studiati trovansi per la massima parte nelle collezioni geoio- i' siche dell'Pniversità di Palermo. i i I calcari in quistione. collocati fra quelli a Toncasia sotto e quelli a Ca- i protiìia sopra, sono caratterizzati dalla presenza del Poi. Yeriieaiìi Bayle: essi ^ sono grigi, compatti o sub cristallini, in certi punti brecciformi. con uno spes- } sore totale di poco superiore ai quattro metil; i fossili vi sono molto abbon- danti e nella loro posizione naturale; oltre a quattro specie di Polgconifes, vi ; figm-ano le Orhifolina. Alecfrgonia, Rinieraelifes. Sellaea, Sphaemlifes e Xerinea. i Detti calcari sono di difficile determinazione cronologica per la mancanza : di relazioni con sedimenti a cefalopodi e ancora perchè la specie che più vi j abbonda, e che dà loro il nome, si presenta in altre località in orizzonti di- | versi. L'opinione più comune è che i livelli con Poi. Yern. rappresentino la j facies coralligena deU'Albiano : l'autore però, per questo di Termini-Imerese, j peiTLene a conclusioni differenti e lo colloca alla base del Cenomaniano. in < base alle sue intime relazioni coi sovrastanti calcari a Caprofina. j Telia parte paleontologica sono descritte 9 specie, delle quali 3 nuove, e cioè: Pohjc. Geniniellaroi. P. Donvillei. P. Boehini, tutte figumte nelle tavole. I In fine del lavoro è esaminato uno Sphaernlifes comune ai calcari con i. Polgconifes. a quelli con Caprotina e a quelli turoniani, e ne sono fatte rilevare le intime analogie con lo Sph. Saura gesi d’Hombre-Fùmas sp. Di Stefano G. e Sabatini T. — Sojjra un calcare pliocenico dei din- ' torni di Yiferho. (Boll. E. Comitato Geo!.. Tol. XXX. n. 4. p. 346-352). — Eoma. 1899. Scopo della nota è di provare con argomenti stratigrafici e paleontologici, ; che i due lembi di calcare dei dintorni di T iterbo ritenuti miocenici da De Ste- i' 1, — 215 — fani e Pantappiè «Tedi più sopra», sono inTece pliocenici e ginstamente para- «ronabili al macco di Cometo, come fece il 3Ieli in addietro. GH antoii contestano anzitutto che la fauna trovata nei due lembi calcarei di Villa Eavicini e di Fosso ArcioneUo possa appartenere ah'Elveziano. che anzi la dicono certamente pliocenica; i pettini, spesso in buono stato di con- servazione. vi predominano, mentre gii altri generi sono rappresentati per lo più da modelli o da frammenti: ma il P. Malcinae non vi esiste affatto, e probabilmente fu come tale creduto il P. opercuìaris che molto gli si avvicina. L’argilla marina dei dintorni di Viterbo, certamente pliocenica, non è superiore, ma bensì inferiore al calcare: e ciò può vedersi nettamente a Villa Eavicini dove, lavori di scasso nel calcare, hanno messo a nudo TargOa anzidetta. Per siffatte ragioni gli autori ritengono senza dubbio alcuno che il cal- care dei dintorni di Viterbo (Villa Eavicini e Fosso di ArcioneHo). appartenga al pliocene Uttorale. come ginstamente aveva detto il 3Ieli sino dal 1S95. Essi dubitano poi che gli elementi vulcanici che si manifestano nella parte supe- riore deirargilla possano essere indizio sicuro della phocenicità delle prime eruzioni cimine, ritenendo i medesimi dovuti ad un rimaneggiamento del pepe- rino sovrastante. Faxtapplé: L. — Minerali nuovi od in nuore condizioni di giacitura per la regione Cimina. (Eivista di min. e crist. italiana. Tol. XXTTT. fase. I a III. pag. 8-20». — Padova, 1899. Fra i minerali dei blocchi erratici dei vulcani cimini hawi di nuovo la K'illastonite in cristalli distinti e fra quelli delle roccie Vopale e Vematite cri- stallizzata: si rinvennero poi in nuove condizioni di giacitura nella stessa re- gione il quarzo e l’idocrasio nei primi, il quarzo nelle seconde. La wollastonite si trova in cristallini bianchi, od in cumuli granulari, od in piccole massereUe cristalline nei blocchi di varie località dell’orlo orientale del cratere di Vico, insieme con granato, idocrasio e mellilite. I cristallini ne sono generalmente molto piccoli e difficilmente si prestano a misure goniome- triche: i meslio conserrati somigliano molto agli analoghi del Vesuvio. L’opale si trova entro la roccia denominata cimiìiite dal VTashington (vedi Bibl. 1S96\, dove riveste qua e là delle piccole cavità molto frequenti nella roccia. Esso appartiene alle varietà Jaìite e la sua presenza è notevole per la coesistenza col quarzo trasparente più o meno intatto, chiuso nelle parti mas- siccio della roccia, talché è a .suppoi’si che entrambi abbiano la stessa origine. — 216 — e che il primo ebbe a subire l’idratazione pel contatto con sostanze fluide a temperatura elevata. U ematite trovasi in noduli cristallini formati da piccoli individui tabulari, associati a sanidino, entro la viilsinite (vedi come sopra) che affiora tra Titerbo e Yetralla sul versante esterno del cratere di Vico. I cristallini, di colore grigio -acciaio e vivo splendore metallico, misurano da 1 a 2 mill. nel senso della maggiore larghezza e colla lente vi sono nettamente visibili le faccie del romboedro. In appendice l’autore accenna alla jìirite trovata entro un pezzo erratico di arenaria nei conglomerati di Fagianelle presso Viterbo, materiale eccezio- nale per la sua natura tra gli altri blocchi del recinto di Vico. Essa mostra i suoi caratteri fisici bene conservati, salvo l’alterazione dovuta al vulcano, e trovasi in piccole vene come entro materiali analoghi che si rinvengono entro terreni terziarii al nord di Viterbo. ! h Ferro A. A. — Analisi della sferocohaltite di Libiola. (Atti Soc. Lign- ■ stica di Se. nat. e geogr., Voi. X, n. 4, pag. 264-268). — Grenova, 1899. Questo carbonato di cobalto, nuovo per l’Italia, è stato rinvenuto nelle antiche miniere di rame di Libiola presso Casarza nella Liguria' di levante e i depositato nel Museo mineralogico della Università di Genova. Scopo dell’ana- lisi chimica era di riconoscere se si trattava di vera sferocohaltite (carbonato • anidro) o di remingtonite (carbonato idrato), non prestandosi i due minerali a ricerche cristallografiche differenziali, nè essendovi altri mezzi possibili stante | la presenza della malachite e dell’azzurrite. Separate intanto queste ultime dada rimanente massa con procedimento meccanico, l’autore passò all’analisi quali- tativa e quantitativa di questa, e ne ebbe la composizione centesimale se- ^ guente : CoO = 59,68 ; = 36,12 ; GuO == 2,87 ; FeO + CaO = 1,08 : H^O 0,25. Essendo le piccole quantità di rame e di acqua dovute alla malachite ed all’azzurrite non completamente eliminate, se ne deduce che il minerale è ef- | fettivamente sferocohaltite. Flores E. — Appunti di geologia pugliese (dalla Eassegna Pugliese, \ Anno XVI, n. 9, pag. 18 in-8°). — Trani, 1899. ; 'i Eicordata la vecchia questione della dipendenza o meno delle Puglie dal- l’Appennino, nella quale nè geologi, nè geografi sono ancora d’accordo, l'au- ,4 tore, nell’intento di contribuire alla sua soluzione, espone brevemente le con- . — 217 — dizioni geologiche della regione, per quanto si conoscano attualmente. Premesso quindi un cenno geologico sulle tre parti componenti la Puglia, cioè la peni- sola garganica, le Murgie baresi, la Terra d’Otranto, egli riassume in un quadro la serie dei terreni rappresentativi, e cioè dall’alto in basso a partire dal quaternario: Pliocene superiore; tufi calcarei ad Ampìiistegina, sabbioni, argille e sabbie di varie località. 2® Miocene medio; calcare tenero del Leccese, con ittioliti. 3® Eocene medio; calcare tufaceo nummulitico di Monte Saraceno (Gargano) e calcare nummulitico di Leuca (Leccese). 4® Tiironiano ; calcari ad ippuriti e radioliti di Monte Sant’Angelo (Gargano) e delle Murgie baresi e leccesi. 6® tirgoniano ; calcari a Toucasia e dolomie del Gargano e delle Murgie baresi e leccesi. 6° Neocomiano ; dolomie con selce e calcare marnoso a Bhgn- chonella peregrina del Gargano. 7® Pitonico ; calcari con Ellipsactinia e Diceras pure del Gargano. Da questo prospetto risulta che le formazioni più antiche appartengono alla regione garganica, e che, fatta astrazione dal pliocene e quaternario, la parte più importante appartiene ai piani Turoniano ed Drgo- niano del cretaceo. Dato quindi un cenno sulla condizione di quel territorio carsico, e sulle relative grotte, doline e gravine, l’autore riassume gli argomenti in favore e contro alla dipendenza delle Puglie daH’Appennino, conchiudendo che la regione pugliese doveva far parte nel periodo terziario di una penisola dalmatica che dirigevasi verso l’ Appennino meridionale, da cui la separava un braccio di mare che metteva in comunicazione TAdriatico col Jonio per l’attuale valle del Biadano. Flores E. — // Puh di Mol fetta, stazione neolitica pugliese (Confe- renza tenuta in Molletta il 19 marzo 1899, pag. 32 in-8°). — Trani, 1899. C^uesta cavità imbutiforme, della circonferenza di circa 450 metri e prò- I fonda 30, aperta entro il calcare cretaceo delle Murgie, trovasi a 2 chilometri circa a S.O di Molletta in provincia di Bari: essa, come le molte altre della regione, deve la sua origine ad im fenomeno carsico. L’autore ne fa una de- scrizione specialmente sotto il punto di AÙsta preistorico, parlando degli avanzi j d'industria umana in essa rinvenuti e riferibili all’epoca neolitica. Questa del ' Pillo sarebbe la stazione più antica dell’uomo preistorico nel Barese, e fra le altre particolarità offre quella della presenza di oggetti in giadeite, materiale estraneo alla regione. I 218 — Forn^asini C. — Le Globìgerine fossili d'Italia. (PalaeontograpMa italica. Yol. lY, pag. 203-216). — Pisa, 1899. Premesse alcune considerazioni sulla filogenesi e sulla struttura delle Glohigerìneae, che col Rhumbler divide nelle due forme liscie e aghifere, e sui rapporti fra le globigeriue e le orbuline, Tautoré prende ad analizzare e stu- diare il valore di tutte le forme citate dagli autori come fossili in Italia, pre- sentando una specie di" indice critico nel quale, seguendo lo stesso metodo usato per lo studio delle rotaline fossili italiane, ciascun nome specifico è seguito dalla citazione degli autori in ordine cronologico e dal giudizio perdonale del- l’autore sul valore della specie trovata. Da quest’indice egli desume un prospetto nel quale vengono ordinate 22 forme considerate come specie e varietà e delle quali sono indicati i sino- nimi e la loro distribuzione nei diversi terreni mesozoici e cenozoici in Italia. In cinque disegni intercalati nel testo sono rappresentate le figure inedite di specie citate senza descrizione nel Tahlean di D’Orbigny, ricavate da schizzi originali di questo autore. Dette specie sono; Globi gerina elongofa. GL gihha, Gl. rotnndata, Gl. heliciiia, Gl. pnnctnlata. Riguardo alla età delle globigeriue l’autore ritiene, che salvo qualche caso alquanto dubbio ancora, non si possa rimontare oltre il Dias superiore, al quale, a Monsummano per es., sono abbondantemente rappresentate. PoRii^Asmi C. — Le polistomelline fossili d'Italia. (Memorie R. Acc. Se. deiristituto di Bologna, S. Y, T. YII, fase. 4*^, pag. 639-660). — Bologna, 1899. Esposte alcune considerazioni sulla costituzione di questo gruppo di fora- minifere, le cui forme inferiori fanno parte del genere Nonionina e le superiori del genere Polgstomella, e sui rapporti fra le . varie Polgstomellinae, l’autore prende in esame tutte le forme citate come fossili nelle formazioni geologiche italiane e le riassume in un prospetto, nel quale sono in ordine sistematico in- dicate le specie e varietà delle polystomelline, i loro sinonimi e la distribu- zione di esse nei terreni terziario medio e superiore e post-terziario italiani. Delle 82 forme enumerate, solo 33 figurano in questo prospetto. Le rima- nenti sono da riguardarsi: come incerte 16, sinonime 23, appartenenti ad altri generi 10. nell’esame delle forme sono date le incisioni di cinque figure inedite di specie citate senza descrizione nel Tableau di D’Orbign;\^ e sono: JSfouiouiua laevigata., No. limba, No. melo, No. elegans e Polgstomella semistriata. — 219 — Franchi S. — Nuove località con fossili mesozoici nella zona delle pietre verdi presso il Colle del Piccolo San Bernardo [Valle d'Aosta). (Boll. E. Comitato GreoL^ Yol. XXX, n. 4, pag. 303-324, con tavola). — Koma, 1899. Eiprendendo Targomeiito sull’età della zona delle pietre verdi del Ca- staldi (vedi Bibl. 1898), l’autore dà notizia di un nuoA^ó giacimento fossilifei-o analogo a quello già citato del vallone di Xarbona (Yal Grana) e da lui sco- perto ultimamente nei calcescisti in località prossima al Piccolo San Bernardo nell’alta valle di Aosta; giacimento con fossili determinabili e finora unico in queirestesa zona di terreni cristallini. Essi si trovano nella zona dei terreni formanti la catena Monte Favre-Crammont-Monte Colmet-Grande Eoclière, divisa in due da una incisione profonda della Dora fra Courmayeur e Morgex e limitata a est dalla zona degli scisti antraciferi lungo la linea Piccolo San Bernardo-Thuile-Col Serena e verso ovesFdalle masse dei monti della Saxe e Chetif e dalla zona degli scisti ritenuti giuresi dai più. Dopo avere brevemente riassunto le già esposte discrepanze dei geologi circa l'età di questa zona di calcescisti da taluni tenuta distinta dalla zona delle pietre verdi. Fautore trova una conferma nella scoperta delle belemniti in questi calcescisti alla sua convinzione che tale zona rappresenta alcuni oriz- zonti dei terreni basici. L'autore presenta un abbozzo geologico della regione studiata e alcuni profili esponendo la serie dei terreni che ivi affiorano e discutendone la de- terminazione ed i loro rapporti. Formandosi più specialmente a descrivere i calcescisti ove furono rinve- nute le belemniti fa, coll'aiuto dei profili, risultare come essi si comportino colle altre roccie, por affermare che la zona di roccie cristalline Morgex-Cour- inayour ha tutto lo caratteristiche della zona delle pietre verdi, dalla quale non A'i ha ragione di separarla e che essa è di età mesozoica non solo, ma in massima ]>arte posteriore al Trias, comprendendo diversi piani di terreni giurassici. Accenna da ultimo alle azioni modificatrici per metamorfosi, entro a roccie eruttivo ed in sedimenti secondari che si appalesano nella regione studiata, con intensità od effetti non minori di quelli osservati megli stessi terreni delle Alpi Cozie. Franc o P. — Sulle fiamme recentemente osservate al Vesuvio. (Boll, della 8oc. di X^aturalisti in Napoli, S. I, Yol. XII, pag. 70-71). — Na- poli, 1899. A proposito di una pubblicazione del dott. Matteucci sulle fiamme osser- vate nel cratere del Yesuvio nell’aprile 1898 (vedi Bihl. 1898), l’autore, citati — 220 — i diversi casi nei quali furono osservate tali fiamme sia nel Vesuvio che in altri » vulcani, espone alcune considerazioni sui risultati delle osservazioni spettro- I scopiche fatte su di esse e ritiene che lo spettro continuo osservato dal Mat- ^ teucci sia quello delle scorie incandescenti che occuparono il fondo del cratere a e, senza negare le fiamme dallo stesso osservate, fa notare che lo spettro di i queste doveva mostrarsi con righe invertite su quello continuo. ; l,ì Franco P. — 8e il cono del Vesuvio esistesse prima del 79. (Boll. Soe. aeoi. it., Voi. XVIII, fase. P, pag. 4144). — Eoma, 1899. i Replicando all’ultima nota del dott. De Dorenzo, Ancora del Vesuvio ai tempi di Strahone (vedi Bibl. 1898), l’autore riporta diversi brani della mede- sima e li confuta sostenendo la propria opinione sull’interpretazione degli , scritti di Strabene e dell’affresco pompejano. j Fucini A. — Di alcune nuove ammoniti nei calcari rossi inferiori della Toscana. (PalaeontograpMa italica, Voi. IV, pag. 239-252, tav. XIX’ ' XXI). — Pisa, 1899. ‘ Riordinando nel Museo paleontologico di Pisa la collezione dei fossili dei calcari rossi ammonitiferi della Toscana, l’autore ha trovato alcune specie non s ancora avvertite in questi terreni ed altre affatto nuove, e di esse rende conto 1 nella presente memoria. Riporta dapprima la lista dei fossili illustrati dal De Stefani (vedi Bihl. 1896 : | Lias inferiore ad Arietites, ecc.) il quale, tenendo conto dei riferimenti fatti dal 1 Meneghini, è quegli che più di recente e più diffusamente si è cccupato di tale fauna. Passa quindi a descrivere le specie da lui osservate e non illustrate dal ì De Stefani, insieme colle specie nuove e quelle non conosciute per questi depositi. | Dall’esame complessivo delle specie illustrate dal De Stefani e da quelle enumerate dall’autore, questi ritiene che nella formazione dei calcari rossi sia ! rappresentato anche il Lias medio nella sua parte inferiore, appartenendo a questo le specie ben caratterizzate : Terehratnla incisiva Stopp., Platijplenroceras brevispina Sow., Tropidoceras Masseannm d’ Orb. e Cijcloceras Maiigenesfi d’Orb. ed altre fra le quali la specie nuova Tropidoceras campiliense Fuc. Indica pure altre specie che sono comuni al Lias medio ed all’inferiore. Un altro argomento per ritenere che la parte superiore dei calcari rossi - in esame debba riferirsi alla parte inferiore del Lias medio è la presenza in essa di lenti di calcari spalici, che dall’ autore furono dimostrati (vedi Bibl. 1897) j appartenere alla parte inferiore del Lias medio. 1 — 221 — L’autore aggiunge altri argomenti desunti dall’esame dei fossili per dimo- strare che i così detti calcari rossi inferiori della Toscana rappresentano una formazione eteropica di vari piani liasici che vanno dai più bassi del Lias in- feriore ai più bassi del Lias medio. jN’elle tavole annesse sono rappresentate diverse delle specie descritte. Frcixi A. — Sopra alcuni fossili oolitici del Monte Timilone in Sardegna, (Bull. Soc. malacologica ital., Yol. XX, pag. 150-160, con tavola). — Pisa, 1899. L’autore fino dal 1891, dall’esame di fossili della Sardegna inviatigli dal prof. Lovisato, aveva riconosciuta la presenza del terreno oolitico in quell’isola e ne aveva dato cenno nei Processi verbali della Società toscana, di quel- l’anno. Xon avendo potuto, come si era proposto, recarsi in Sardegna a stu- diare quella formazione, descrive e figura in questa nota i fossili suddetti pro- venienti dal Monte Timilone nel promontorio occidentale di Porto Conte. Indicati i fossili già illustrati dal Meneghini come giurassici di varie loca- lità di queU’isola, passa a descrivere quelli di Monte Timilone dandone la figura in una tavola. Fra essi vi sono due forme nuove: Terehratiila timilo- neiisis e Thracia Lovisaioi. Tanto i fossili determinati dal Meneghini come quelli descritti dall’autore mostrano affinità faunistiche con depositi contemporanei extra-italiani; sola- mente il Pecten cinga lata s Phill. si trova in altre regioni d’Italia. Furchheim F. — Bibliografa deWIsola di Capri e della Penisola sor- rentina. (Bibliografia della Campania, Yol. II, pag. 88 in-8°). - Napoli. 1899. Con lo stesso metodo seguito nel 1° volume della Bibliografia della Cam- pania (vedi Bihl. 1807), l’autore dà in questo 2® un cenno descrittivo delle opere indicate, talora coiraggiunta di giudizi critici sulle medesime. Anche in questo volume, nel quale la geologia ha molta parte, sono tenute distinte le pubblicazioni per materia e in ordine alfabetico per autori, premet- tendo lo citazioni degli antichi scrittori. La prima parte di esso riguarda l’isola di Capri. Nella seconda, sulla pe- nisola sorrentina, sono tenute distinte Sorrento, Massa Lubrense, Yico Equense, Castellammare di Stabia, Nocera dei Pagani e Cava dei Tirreni. La terza tratta di Amalfi, Salerno e Pesto. È dato in fine un’appendice relativa alla Campania e l'indice alfabetico dei nomi citati. — 222 — Quest’opera, assai pregevole, dimostra una grande cura e diligenza nella raccolta e cernita dei materiali sparsi in tanti libri e nei moltissimi periodici, talora poco conosciuti, ed è a desiderarsi che l’esempio sia seguito anche per altre regioni italiane. G-entile G-. — Escursione geologica a San Polo dei Cavalieri {Roma). (Boll, del Naturalista, A. XIX, pag. 43-45). — Siena, 1899. In questa relazione di una gita scolastica si fa cenno dei vari terreni in- contrati, e in particolare della serie ginro-liasico-retica formante il triangolo Tivoli-San Polo-Marcellina, e dei pliocenici che vi si appoggiano alla base, ricchi di coralli, cirripedi e molluschi, che li fanno ritenere più antichi di quelli di Monte Mario. Sopra questi materiali riposano i tnfi vulcanici prove- nienti dai Yiilcani Baziali. Geyer G. — Ueher die geologischen Aiifnahmen ini Westabschnitt der Karniscìien Alpen. (Yerhandl. der k. k. geol. Eeichs., Jahrg. 1899, n. 3, pag. 89-117). — Wien, 1899. L’autore riferisce sul rilevamento geologico eseguito nel 1897-98 nella parte occidentale delle Alpi Gamiche. Questa regione viene divisa in tre zone distinte da Nord a Sud tanto per riguardo all’orografia che alla stratigrafia ed in parte anche alla tettonica. La prima zona nordica abbraccia l’estremità occidentale delle Alpi della valle della Gali fra il passo di Zochen e Sillian : essa presenta ima catena triasica a pieghe, a luoghi rovesciate, nella cui base formata di scisti cristallini la Gail ha scavato il proprio letto. Questo fiume segna il confine colla zona media che fa parte della catena principale delle Gamiche, tra la valle di Wolaja e Innichen nella valle Pusteria. Questa zona è formata da scisti argillosi del pa- leozoico antico, grauivacke e calcari con molte pieghe. Là zona meridionale infine è compresa in quel tratto del versante meridionale delle Alpi che scende verso Sappada e Porni-Avoltri, rappresentata da diverse masse pianeggianti di strati triasici frammentate dall’erosione e appoggianti sul paleozoico. Di ciascuna di queste zone l’autore descrive dettagliatamente la serie dei terreni e delle roccie, richiamando gli studi dei diversi autori che se ne occu- parono e terminando con alcune osservazioni sulla tettonica della intiera re- gione. Ctiorgis Ci. e Al. VISI U. — Pozzolane na furali ed artificiali. iCiazzetta chimica italiana, anno XX I X . P. l®. fase. IH. pag. 185-263). — Poma. 1899. In qnesta prima parte di un esteso scritto tecnico sulle pozzolane, è da ^ rileviire. per quanto interessa la presente bibliografia, la copia di analisi con molta diligenza raccolte dagli autori e che. naturalmente, si riferiscono soprat- tutto a materiale italiano, tanto a pozzolane propriamente dette, quanto a qualche altro prodotto che ne assume il nome e lufficio. Sono anche riferite alcune notizie intorno ai giacimenti delle pozzolane, desumendole da pubblicazioni di vari autori precedenti. CiRECo B. — Fauna, della zona con Lioceras opalinnm Beili sp. di Bos~ sano in Calabria. iPaleontographia italica. Tol. IV. pag. 93-140. tav. mi-IXl. — Pisa. 1899. In varie località del circondailo di Rossano trovasi un calcare rosso car- nicino con vene spatiche che il Pucini fino dal 1894. per la sua posizione stra- tigrafica e per la sua rassomigliiinza con quello di Sicilia, riferiva al lùas medio senza però escludere che potesse ctnche appartenere al Lias mferiore oppure aH'oolite. L'autore, in seguito alla scoperta fatta di un altro lembo dello calcare ma fossilifero, nella località detta Pietra Malemt. sulla sinistra del Coloimati a 5 km. a sud di Rossano aveva potuto stabilire che tale calcare doveva essere ascritto all'oolite inferiore e ne diede partecipazione in una nota (ve
  • ì in evidenza la loro determinazione cronoloirica. Sono 72 specie delle quali, tolte 18 nuove e 25 dubbie o indetenninate. ne rimaneono 29 ben conservate : diti che si può concludere che questa fauna si compone di specie appartenenti tutte all'oolite inferiore e. se se ne eccettuino I alcune ritenute finora esclusive degU strati a Posidonomya aìpiiia Bras. precisa mente alle zona con Lioceras opalinnm Rein., come quella di S. Vigilio, benché vi manchi questa specie caratteristica. L'autore passa quindi iilla descrizione dei fossili da lui raccolti, e fra i : easieropo-li istituisce il nuovo srenere Adeorbisina con una sola specie A. Ca- i uétr trii rarissima. Alla descrizione fa seguito un elenco bibliosTafico ed un indice delle forme derelitte, fitriirate nelle due tavole unite alla memoria. — 224 — Gtreco B. — presensa del Dogger inferiore al Monte Foraporta | presso Lagonegro. (Boll. Soc. G^eol. it., voi. XTIII, fase. 2®. pa- | gine 65-70). — Eoma. 1899. | In una escursione fatta al Monte Eoraporta in occasione deiradunanza | estiva della Società geologica a Lagonegro nel settembre 1898. Taiitore ed il |j prof. Canavari raccolsero una quantità di roccie fossilifere in una zona di cal- ^ cari neri simili a quelli di Longobucco e di Boccbigliero in Calabria e che fc perciò furono ritenute dal De Lorenzo e, a tutta prima, anche daU’autore del fe Lias inferiore parte superiore. Ma il materiale di Lagonegro, studiato accuratamente dall’ autore, lo ha i convinto che si tratta invece di un deposito del Dogger inferiore, per avere te osservata la mancanza del genere spiriferina e per essere le singole specie cor- rispondenti a quelle del Monte San Diuliano (Sicilia) e di Pietra Malena (Ca- <1 labria). j Ritiene quindi che i calcari di Monte Foraporta debbano riferirsi al Dogger inferiore anziché al Lias. Essi stanno in discordanza sopra le dolomiti del li Trias superiore; mancherebbe quindi al disopra di queste tutta la serie basica. ,j Huber O. (ton). — Beitrag sur Kenntniss der Ernptivg esterne von Pre- dasso und des Monsoni. (Zeitschrift der Deut. geol. Gresell., B. LI. H.I. pag.. 89-103, con tre tavole). — Berlin, 1899. I Prendendo le mosse dal dotto lavoro del Brògger sulle roccie eruttive : triasiche di Predazzo (vedi Bihl. 1895) l’autore, che ha passato ben sette estati j in quelle vallate del Tirolo meridionale, dà ora un valido contributo aUa co- noscenza litologica di quella interessante regione il cui studio, 'dopo tanti anni : di ricerche, non si può dire ancora esaurito. Egli raggruppa queUe roccie nei seguenti tipi : 1® Monzonite e pirossenite ; 2® Melaf irò ; 3® Granito : 4® Porfido; e di ogni gruppo, basato specialmente sul tenore in silice, tratta con molte par- ticolarità, riferendosi alle sue osservazieni fatte in posto ed airesame chimico e microscopico di ciascun tipo. IssEL A. — Spallansani nel Finale ligustico (in « Omaggio di scienziati i italiani e stranieri nel primo centenario dalla morte di Lazzaro Spallanzani », pag. 189-193). — Reggio Emilia, 1899. Come contributo alle onoranze rese a Spallanzani nel primo centenario deUa sua morte, il prof. Issel ricorda le osservazioni geologiche fatte dal grande naturalista nel 1781 durante una breve gita nella Riviera di Ponente. Tali os- i i , i — 225 — serTazioni si riferiscono alla pietra di Finale, che a lui parve costituita da una sola specie di pettine, e assai più estesa di quanto non sia realmente. Osserva il prof. Issel, che se realmente trovansi nella roccia assai più fossili, oltre al Pecten Gentoni Fontannes, che è quello notato dallo Spallanzani, è notevole che questi ha riconosciuto trattarsi di specie sconosciute ai pescatori del mar di Ligmùa e di Provenza. Issel A. — Considerazioni supplementari al terremoto umbro-marchigiano del 18 dicembre 1897. (Boll, della Soc. sismològica ital., Yol. Y, fase. 2 e 3, pag. 59-71). — Modena, 1899. Aggiunte alcune notizie sul terremoto umbro-marchigiano del 18 dicembre 1897, intorno al quale egli già scrisse (vedi Bibl. 1898), Tautore si occupa in particolar modo di un fenomeno, non molto raro, ma imperfettamente studiato finora, e che si connette ad altri su cui qualche scrittore, e principalmente il Van den Broeck richiamò di questi tempi l’attenzione degli studiosi. Trattasi delle numerose detonazioni sotterranee, dalle quali il terremoto fu accompagnato, che sembravano provenire da un punto situato al disotto del Monte Yerone (ove fu, secondo l’autore, l’epicentro) ; ma in parte provenivano anche da focolari più settentrionali. Per detonazioni l’autore intende quei fra- gori, quali isolati, quali succedentisi in serie a brevi intervalli l’uno dall’altro, fragori più o meno prolungati, come il rimbombo del tuono o di potenti arti- glierie in distanza. Cominciano d’ordinario con un colpo foile, che ha bene spesso suono un po' metallico, poi diminuiscono grado grado, come allonta- nandosi, e cessano del tutto; ma talvolta, prima di dileguarsi, subiscono una o due fasi di rinforzo. Queste detonazioni, non possono confondersi col rombo propriamente dette che precede di pochi istanti, almeno presso l’epicentro, quasi tutte le oscilla- zioni sismiche forti o fortissime in ogni paese. Esse, nella regione di cui ora si tratta, non sono rare e bene spesso si manifestano in stretta connessione col terremoto; quando il paese non è agitato da terremoto, si odono di preferenza in autunno e quando il tempo sta per mutare, per quanto almeno può pre- starsi fede alla testimonianza degli abitanti non confortatata da osservazioni regolari. Un tale fenomeno è famigliare agli abitanti dell’ Appennino medio, che gli danno il nome di homb'w. Si è segnalato in parecchie occasioni di terremoto in altre località; pare debbano riferirvisi, nel maggior numero dei casi, i fragori che diconsi marina in gran parte dell’Italia media, e riigli della marina nel Senese, benché non ne sia dimostrata la correlazione coi terremoti. E cosi si — 226 — ravvicina a questo fenomeno quello che con vario nome si conosce lungo il lito- rale del Belgio, dei Paesi Bassi, della Prancia, in riva a certi laghi delhln- ghilterra, della Svezia, della Svizzera, nella regione del Grange, ecc. Tutte o quasi tutte tali manifestazioni paiono all’autore e possono considerarsi derh^are da cause endogene. Kaiser E. — Melilith und Nephelin vom Vesuv. Mìttheiliingen aiis dem mineralogischen Miiseum der Universitdt Bonn, IX Tlieil. (Glroth., Zeitschrift fiir Krystall. und Min., B. XXXI, H. I, pag. 24-28). — Leipzig, 1899. Alle osservazioni pubblicate da molti autori sulla composizione chimica e le particolarità microscopiche delle melilite, l’autore aggiunge ora le sue fatte su di un campione proveniente dal Vesuvio e conchiude che in questo vul- cano, oltre a cristalli del tipo hiimholdtilite trovansi pure altri del tipo melilite propriamente dette. In quanto alla nefelina egli la osservò entro una bomba vulcanica insieme con biotite, vesuviana ed augite, in grossi cristalli o in piccole forme compli- cate con piramidi : da numerose misure angolari gli risultò il rapporto 1 : 0.83846> assai prossimo a quelli dati da Baumhauer e da Kokscharo'w. Klein C. — Optìsche Stiidien I : P Die optischen Constanten des Anortìiits vom Vesuv. (Sitzungsb. der Kon. Preuss. Akad. der Wiss. zu Berlin. Jahrg. 1899, XIX, pag. 346-358). - Berlin, 1899. Dopo aver ricordato le ricerche fatte su questa interessante specie mine- ralogica da altri cristallografi, l’ autore espone in questo lavoro i risidtati delle sue proprie eseguite su campioni provenienti dal Vesuvio, in base ai quali egli stabilisce le costanti ottiche del minerale. La Valle Gr. — I giacimenti metalliferi di Sicilia in provincia di Mes-~ sina. (Puntata 1% pag. 34 con tavola). — Messina, 1899. L’autore si è proposto lo studio dei giacimenti metalliferi della provincia di Messina, i quali hanno dato luogo, come è noto, ad una coltivazione sal- tuaria che non assunse mai grande importanza. In questa prima parte del suo lavoro egli esamina i giacimenti del ver- sante j onice della catena Peloritana: distingue, tanto nel testo quanto nella tavola (contenente la rappresentazione topografica al 1 ; 50,000) i diversi bacini idrografici, per ciascuno dei quali enumera i minerali rinvenutivi, indicando, con maggiore o minore diffusione, le condizioni di loro giacitura. {Continnd). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (^30 g;iu§;iio 1900) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXX, dai 1870 al 1899. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem deH’abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero . . . . . . . » lO — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Un volume in-4'’ di pag. 364 con tavole e carte geologiche » 35 — Voi. Il, Parte l'h Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. II, Parte 2^. Firenze 1874. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole. » 5 — Voi. Ili, Parte 1*. Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 — Voi. HI, Parte 2®. Firenze 1888. — Un volume in-4” di pag. 230 con tavole » 1 5 — Voi. IV, Parte 1®. Firenze 1891. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole » 8 — Voi. IV, Parte 2**. Firenze 1893. — Un volume in-4” di pag. 214 con tavole » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci: Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia. — Un volume in-8‘’ di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi, II, Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- l* Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. Ili, Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Ispla d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Voi. IV, Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mine- raria dell’Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » 15 — — 228 — Voi. V, Roma 1890. — C. De CASTRO : Descrizione geologico- mineraria della zona argentìfera del ^arrabus {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. L. Voi. VI, Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. Sabatini: Descri- zione geologieo-petrografìca delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche » Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI : Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » Voi. IX, Roma 1895. — E. CORTESE: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2® edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di \ a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio N. 262 (Monte Etna). . L. » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del Vallo)» » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) . . . » » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicatti) . . . » » 251 (Cefalù). . . . ’)) 3— » 268 (Caltanissetta) . » a 252 (Naso) .... » 4 — )) 269 (Paterno) . . . » » 253 (Castroreale) . . » 4 — )) 270 (Catania) . . . » » 254 (Messina) . . . )) 4 — » 271 (Girgenti) . . . » » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) . . . )) » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » » 260 (Nicosia) . . . » 5 — » 276 (Modica) . . . » » 261 (Bronte). . . . » 5 — » 277 (Noto) . . . . >> Tavola di sezioni N. I (annessa ai fogli 249 e 258) . . . » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » » N. HI (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . L. 4 » 4 » 4 229 Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — N3. I fogli e la tavola, di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) . L, 4 — » 143 (Bracciano). . » 5 — » l44 (Palombara) . » 5 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150) — L. 4. Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 150 (Roma) . . . » 5 — > 158 (Cori). ...» 4 — Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in quattro fogli e tre tavole di sezioni, con copertina. - Roma, 1897 . L. 30 — • NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Stazzema L. 5 — » Serravezza » 3 — Foglio Carrara L. 5 — » Castelnuovo . ...» 5 — Le tavole di sezioni, ciascuna L. 5. Carta geologica della Calabria, nella scala dì 1 a 100 000; ne sono pubblicati i fogli seguenti: Foglio ? 236 (Cosenza) . . . L. 4 — Foglio i 245 (Palmi). . . . L. 3 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 247 (Badolato. . . » 3 — » 241 (Nicastro) . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . » 4 — » 242 (Catanzaro) . . » 4 — > 263 (Bova) . . . . » 3 — » 243 (Isola Capo Riz- zuio) » 3 — » 264 (Staiti) . . . . » 3 — Tavola di sezioni N. I e N. II, ciascuna . . . L. 4. Carta geologica dell’Isola d’Elba, nella scala di \ a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con ' sezioni. — Roma, 1886 » 5 — j Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella i scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabiis (Isola di Sardegna), nella ; scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — I Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un i foglio. — Roma, 1894 » 3 — ! I Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves. in Roma, Bologna, Milano e Napoli. i — 230 - imminente pubblicazione : Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia, Voi. X, contenente: Y. Sabatini, I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte I : Vul- cano Laziale. — Roma, 1900. Un volume di pagine 392 con 10 taA^ole, una girando Carta g^logica, e numerose figure nel testo Prezzo L. 12, In corso di stampa: Carta geologica della Calabria nella scala di i a lOOOOO: Fogli IV. 220 (Terbio aro). Fogli IV. 229 (Paola). » 221 (Castro villari). » 230 (Rossano). » 222 (Amendolara). » 231 (Ciro). » 228 (Cetraro). » 254 (Reggio). con una tavola di sezioni. Annunzi di pubblicazioni 5. Capellini. — Balenottera iniocenica della Repubblica di San Marino (Rendiconti R. Acc. dei Lìncei, S. V, Tol- IX, fase. 7*^, 1® seni.), — Ronia. 1900: j)ag. I in-L’. j. DE-tóTEFANc. ^ Fossili di Un pozzo artesiano di Ravagnese (Rh ista it. di Paleontologia, Anno VI, fase. I). — Bologna, 1900; pag. 2 in-S*^. P. Oi'iEXHEi.M. — Sopra due iiuotì Pecten del Miocene di Bussano (Ilndeni). — Bologna. 1900 : pag. 6 in-8® con tavola. Idem. — Jfuovi molluschi e vermi oligocenici del Yeneto ((Ibideni). — Bo- logna. 1900: pag. 9 in-8®. T. DI■^iTEFAND, — n Maini in Calabria (Ibidem). — Bologna, 1900: pag. 8 iu-H^ r. Padani. — Su alcune sorgenti di gas nel Bolognese (Rivista geografica italiana, Annata VII. fase. IV). — Roma, 1900: pag. 9 in-8®. [j. Sk LENZA. — L* ITippopotaìiiKs PenUfiiifli Falconer di Taormina (dagli At^i ^ Roidicon'i della Acc. di Se, Lett. ed Arti degli Zelanti, S. V. Col. \'). — Acireale, 1900: jiag. 8 in-8^. L Xi • > LI-. — Terrazzi e formazioni diluviali in rapporto col bacino del, Garda (Ate: .jf i b. Istitmu Veneto, V. LIX, disp. 5‘*), — A'enezia, 1900; 1-A. d f. Z\ L s^iv . — Anortite di S. Martino (Viterbo) (Rivista di min. e crist. Voi. XXI'", bìsi-. ■ ; i[|. Padova. 1900: pag. 9 in-8®. Il)} SnlPesistenza della Sodaliie nei blocchi erratici del Viterbese (lì i b-oi), -- Padova.. 1900: pag. B in-8®. 1. ILA- r» D;. Pleicroismo e policromismo delle tormaline cibane (Piocessi A. r'Dili :-.v. to-*. (li Sr. nai.. Voi. Xll. Ad. 28 ghigno 1900). — Pisa. 1900 ; (Olir. •’ in-l". 1-: 1. La cordierite dei filoni tornialiniferi nel granito di S. Piero in Campo (F.lba) (C i'd'ni). - i'i-a, 1900: pag. 10 in-P, 1*1^:. Brevi notizie sulle Ammoniti del Lias medio delPAppeuniuo centrale esisteuti nel Museo di Pisa (Ibidem. Ad. 1 marzo 1900). — Ci-.i. pin i: |mìu. 1 in-4 '= 1 I>E-S: i i Wi li Miocene nelPAppeniiiuo settentrionale a proposito di due recenti lavori di Oppenheim e di Sacco (Ibidem'. — Pisa, 1900: pag. 5 in-l-. K. Vi\ \ a 1»K>. V. La sorgente acidulo-alcalino-litiosa di Uliveto. SI lidio iti ro^eologico. Pisa. 1909; pag. 20 in-8'’ con Carta geologica. }. 19 v M I . A l. Ricerche analitiche sopra una roccia sedimentaria di Lom- bardia iCod, S.»c. (i( .1. ila!.. Voi. -vIV. fase. 1®). — Roma, 1900; pag. 9 iìl-N . Xi . w . RevKione generale dei briozoi fossili italiani. - 1. Idmonee (li.id. rn». R -ma, iOO'l; j.A- 10 in-8«. . ( ixi ili. Osservazioni sni denti incisivi dell’elefante africano (Ibidem). - It-.IIJI. liMHi: pag. 10 in-S®. pKoi.A. Flora tougriana di Pavone d’ Alessandria (Ibidem). — Roma. 1900, fjag. 27 in-V. j. Si.-.i ì;nz\, Xnovo lembo del Lias inferiore del Messinése (Ibidem). — li'Mna, 19'Hi: |,i!g. d in-S', {Segue) eseguito: V. pagina^ precedente) A. PoRTis — Osservazioni stratigraficlie a proposito di alcune lave del vicinanze di Roma (Ibiclem). — Roma, 1903; pag. 43 in-S®. . ; L. Colomba. — Ricerche microscopiche e chimiche sn alcnue quarziti d dintorni di Onlx (alta valle della Dora Riparia) e su alcune roccie aS sociale (Ibidem). — Roma, 1900; pag. 21 C. Forxasini. — Le poli morfine e le uvigerine fossili d’Italia (Ibidem) — Roma, 1900; ]3ag. Il in-8®. C. Airaghi. — DRalcuui conoclipeidi (Ibidem). — Roma. 1900: pag. 6 ind con tavola. A. PouTis. — Di una formazione stagnale presso la Basilica ostiense di Rom e degli avanzi fossili vertebrati in essa rinvenuti (Ibidem). — Roma, 1900- pag. 02 in-8^ A. Verri g G. De Angelis d’Ossat. — Secondo contributo allo studio de Miocene nelPUnibria (Ibidem). — Roma, 1900 ; pag. -10 in-8'^. Gc. Rovereto. — Illustrazione dei molluschi fossili tongriani posseduti da“ Museo teologico della R. Uni verità di Renova. — Genova, 1900: pa- gine 210 in-8‘^ con 9 tavole. A. IssEL e G. Rovereto. — Carta geologica dei territori di Santa Riustiu e Sassello. nella scala di 1 a 50 000. — Firenze, 1900; un foglio a coloF- E. U. Fittipaldi. — Gastropodi del calcare turbniano di S. Polo Mates (Campobasso). — l^apoli, 1900; pag. 14 in-4^ con tavola. T. Taramelli. — Relazione sulle condizioni geologiche del Colle Moutello in rapporto alla circolazione sotterranea delle acque. — Montebel- Inna^ 1900; pag. 29 in-8®. F. Millosevich. ^ Appunti di Mineralogia sarda (Rend. R. Acc. dei Linee" S. V, Voi. IX, fase. 11^, 1® sem.). — Roma, 19()0 pag. (i in-4®. G. D'Achiardi. — Larderellite dei soffioni della Toscana (Ibidem). — Romi 1903; pag. 4 in-4®. ^ L. Pamp ALONI. — I terreni carboniferi di Seni ed oolitici della Perdali an in Sardegna (Ibidem). — Roma, 1900; pag. 4 in-4®. S. Franchi. — Sulla presenza di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali nell’ Appennino ligure (Ibidem). — Roma, 1900: pag. 5 iu-4®. A. XoELLi. — Contribuzione allo studio dei criuoidi terziari del Piemon (Atti della Soc. It. di Se. nat. e del Museo Civico di St. nat., Voi. XXXD fase. 1®). — Milano, 1900; pag. 40 in-8® con tavola. G. DAL PiAz. — Sulla fauna fossile della grotta di S. Dona di Lamon (Ibideni — Milano, 1900; pag. 14 in-8® con tavola. C. Airaghi. — Echinidi postpliocenici di Monteleone Calabro (Ibidem). Milano, 1900; pàg. 10 in-8°. E. XicoLis. — Resti di Mosasauriauo nella scaglia rossa (Cretaceo superio di Valpantena in provincia di Verona (Atti R. Istituto Veneto, T. LI disp. 7). — Venezia, 1900; pag. 8 in-8'^. G. Mercalli. — Notizie vesuviane (Anno 1899). — Modena, 1900; p»ag. 2biii-^ A. IssEL. — Note spiccate - I. Valle del Penna (Atti Soc. Ligustica di nat. e geogr.. Voi. XII, n. 1). — Genova, 1900: pag. 15 in-8°. U. Pagani. — Sorgenti di petrolio nel Bolognese. — Torino, 1900; pag. G. Mercalli. — Il Vesuvio. — Xapoli, 1900; pag. 18 in-8^. 27 iu-8- I^rezzo dlel presente fUscicolo 1L<. rR. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA t' ¥ I A.N’NO 1 900 c N. 3. '■s k ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1900 ELENCO del personale componente il Comitato e T Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente, Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. CossA Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Padova. ScARABELLi GIUSEPPE, Senatore del Regno, Imola. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucto, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Diredone Ing Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. SoRMANi Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrarie -geologi co, via Safé Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IV. Voi. I. Anno 1900. Fascicolo 3®. SOMMARIO. liote originali. — I. B. IjOTTI, Sull’età della formazione marnoso-arenacea fos- silifera dell’IJmbria superiore. — II. C. Viola, Sopra alcuni pettini del calcare a piccole nununuliti dei dintorni di Subiaco in provincia di Roma. — III. M. Cassetti, Rilevamenti geologici eseguiti l’anno 1899 nell’alta valle del Saiigro e in quelle del Sagittario, del Grizio e del Melfa, Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1899 (Conti- nuazione). Pubblicazioni del R. Ufficio Oeologico. Illustrazioni. — Tavole V e VI. Huovi pettini dei dintorni di Subiaco, a pag. 254. — Sezioni geologiche nei monti dell’alta valle del Sangro, a pag. 262, 267 e 276. NOTE ORIGINALI I. B. Lotti. — Sull'età della formazione marnoso-arenacea fossilifera deU Umbria superiore. Il riferimento al Miocene dei calcari fossiliferi racchiusi nella formazione marnoso-arenacea dell’ Umbria è stato sostenuto finora quasi esclusivamente con argomenti dedotti dallo studio dei fossili ed a questo studio, già iniziato dal Foresti ^ e dal De Stefani, ^ hanno dato un largo contributo in questi ultimi tempi i signori Verri e ^ In Verri, Alcune note sui terreni terziari e quaternari del bacino del Tevere (Atti Soc. it. Se. nat., XXII, 1879, pag. 329). ^ C. De Stefani, Il Tortoniano dell’ alta Val di Tevere (Proc. verb. Soc. to.se. Se. nat., II, 1879, pag. 111). — 232 — De Angelis d’Ossat ^ i quali, anche contro i risultati di anteriori osservazioni stratigratiche di uno di loro conclusero concordemente doversi riferire al Miocene quella formazione di marne ed arenarie con calcari fossiliferi, notevolmente estesa nel Perugino, nell’Umbria ti ternate ed anche nella Val Tiberina toscana. Alle conclusioni dei prelodati autori, che pure allo studio dei fossili avevano accoppiato alcune osservazioni stratigrafìche sul posto, fecero eco altri studiosi quali l’Ugolini, in seguito a sole osservazioni paleontologiche di gabinetto e il Vinassa de Regny in alcune .recensioni di lavori paleontologici b Non mancarono però degli os- servatori, specialmente paleontologi, che, in base agli stessi fossili, conclusero in modo diverso e fra questi sono da citarsi il Tarameli! il Bonarelli ® ed il Sacco b II Tarameli! credè che i terreni in que- stione si potessero riferire all’Oligocene e il Bonarelli si associò a questa opinione, dichiarando inoltre che nell’Umbria settentrionale non si ha peranco sicuro indizio di terreni riferibili al terziario medio. Il Sacco, pur essendo di preferenza cultore della paleonto- ’ A. Verri, Cenni sulle formasioni dell’ Umbria settentrionale (Boll. Soe. geol. italiana, XVI, 1897). — A. Verri e Gl. De Angelis d’Ossat, Contributo allo studio del Miocene neir Umbria (R. 0. della R. Accad. dei Lincei, 3 giugno 1899). — Idem e Idem, II Contributo allo studio del Miocene nell’Umbria (Boll. Soc. geol. italiana, XIX, 1900). — G-. De Angelis d’Ossat, I ciottoli esotici nel Miocene del Monte Deruta {Umbria) (R. C. della R. Accad. dei Lincei, 17 giugno 1900). '* * A. Verri, Rapporti tra le formazioni con ofloliti dell’ Umbria e le breccie granitiche del Sannio (Boll. Soc. geol. italiana, VI, 1887, pag. 279 e seguenti). ^ R. Ugolini, Sopra alcuni fossili dello Schlier del Monte Cedrone {Umbria.) (Boll. Soc. geol. italiana, 3, XVIII, 1899). * Rivista italiana di paleontologia. III, 1899, I e III, 1900. ^ In Verri, Alcune note sui terreni terziari e quaternari del bacino del Tevere (Atti Soc. it. Se. nat., XXII, 1879, pag. 329). ® G. Bonarelli, Alcune formazioni terziarie fossilifere delV Umbria (Boll. Soc. geol. italiana, 3, XVIJIj 1899). F. Sacco, Sull’età di alcuni terreni terziari dell’ Appennino (Atti Acc. R. delle Scienze di Torino, XXXV, 1899-900). logia, non potè sfuggire alla evidenza delle osservazioni stratigra- fiche, eseguite ripetutamente sopra una vasta estensione di suolo, e concluse col riferire le dette formazioni alFEocene, in perfetto ac- cordo ^ coi risultati ottenuti dallo scrivente -in seguito al rilevamento geologico compiuto in questi ultimi tre anni nella regione in parola ; risultati esposti in varie pubblicazioni ohe saranno volta a volta citate. Il problema del Miocene dell’ Umbria si eleva forse al disopra d’una semplice questione locale e merita perciò la massima atten- zione e la più serena discussione. Troppo spesso nelle’ polemiche geologiche ciascuna delle parti contendenti si preoccupa soltanto di esporre le proprie osservazioni e di mettere in evidenza quei fatti che stanno in appoggio della propria tesi, senza darsi cura di verifi- care quanto venne osservato e posto innanzi dall’altra parte, cosicché ognuna di esse rimane salda infine nell’opinione formatasi e la scienza non trae dal dibattito utilità di sorta. Mi è parso quindi che dovesse riuscir vantaggioso per la que- stione accennata il riassumere gli argomenti sui quali è fondata la mia convinzione che la massima parte del terreno fossilifero del- 1 l’Umbria, ritenuto miocenico, debba rientrare nell’Eocene, con la j speranza che i sostenitori d’una contraria opinione procedano sui 1 luoghi ad un riscontro accurato dei fatti stratigrafici da me osser- vati ed in gran parte registrati in varie pubblicazioni, e l’esporre al tempo stesso i risultati dei primi lavori di verifica da me iniziati ; sulle osservazioni da essi contradditori portate in appoggio delle loro I vedute. I II terreno in questione presenta forme orografiche e caratteri 1 peculiari spiccatissimi che lo fanno riconoscere a primo aspetto ed I ^ Lo scrivente però non è affatto d’accordo col Sacco nel riferire al Ton- j ariano il calcare fossilifero della Terna. Come ebbe a dire altra volta (Boll. Com. Geol., XXX, 3, 1890, pag. 210) questo calcare non ha che fare meno- 1 inamente nè per la natura litologica, nè per la stratigrafia, nè pei fossili col I calcare fossilifero delFUmbria. — 234 — anche a distanza. È costituito prevalentemente da marne e da are- narie, talvolta in strati alternanti, tal altra in zone ove predomina o la parte marnosa o quella arenacea. Vi si intercalano qua e là masse grossolanamente amigdalari di calcare a bivalvi e strati calcarei con glauconia, fossiliferi, di cui lo spessore varia da pochi centimetri ad un paio di metri. Non di rado vedonsi inserite in questa formazione sottili zone di scisti argillosi variegati con straterelli pieni di fora- minifere diverse, denti di pesce ed anche nummuliti. Nel versante tirreno dell’ Appennino settentrionale e centrale la formazione marnoso -arenacea comincia a mostrarsi nella Val di Sieve, penetra nel Casentino, prosegue nella Val Tiberina toscana e tifer- nate, poi nei dintorni di Perugia e di Marsciano, nei Monti Martan ed oltre, dovunque cogli stessi caratteri e, ciò che più interessa nella stessa posizione stratigrajìca. Nella Val di Sieve abbiamo la seguente serie in ordine di- scendente ^ ; 1” Arenaria del Monte Senario, del Monte Griovi e di San Mar- tino in Scopeto. 2° Calcari e scisti argillosi con banchi nummulitiferi delle stesse località. 3” Scisti marnoso arenacei di Monterotondo e del Monte Giovi ; marne grigie a globigerine con straterelli d’ arenaria e calcari con glauconia a pteropodi dei dintorni di Dicomano e di Vicchio, che passano lateralmente ad arenarie con strati calcarei, pure a glauconia, con orbitoidi e nummuliti. 4° Scisti argillosi variegati di Corolla e di Sambavello. 5° Arenarie e marne in strati alternanti, con lenti di calcare a bivalvi di Filetta, del Casellino, di S. Godeuzo, ecc. Le formazioni 3, 4 e 5 sono membri dello stesso terreno marnoso- ^ Per maggiori particolari vedi B. Lotti, Studi sull’ Eocene dell’ Appennino toscano (Boll. Com. Geo!., XXIX, 1, 1898). — 235 — arenaceo. I fossili dei calcari a bivalvi sono siati ritenuti miocenici, ma le condizioni stratigrafìclie del terreno che li racchiude escludono in modo assoluto che siano più giovani del più caratteristico nummu- litico. Tutt’mtorno al Monte Giovi e nelle vallecole franose e dirupate che scendono alla Sieve presso S. Martino in Scopeto, manifestasi nel modo più chiaro e in sezioni naturali la sovrapposizione del calcare nummulitico 2 alla formazione marnoso-arenacea 3, 4 e 6. Nel Monte Falterona, dal lato del Castagno, osservasi pure la sovrapposizione dell’arenaria (con calcari nummulitici presso Fontana del Borbotto, Montelleri e altrove) alla formazione marnoso-arenacea a bivalvi, con la interposizione della solita zona di scisti variegati. Quest’ ultima passa ininterrotta nel Casentino, rasentando la cresta dell’ Appennino nel suo lato N.E, e si osserva poi al Poggio dei Tre Confini, all’ Abbadia di Frataglia e a Corezzo, sempre dividendo una formazione superiore arenaceo -marnosa con strati ad orbitoidi e nuinmuliti, da una infe- riore di marne prevalenti, strati arenacei e straterelli di calcare a glaucoma con briozoi e frammenti di bivalvi presso il Passo delle Mandriole. Nel Casentino l’arenaria superiore si trasforma lateralmente in calcare marnoso e i passaggi si osservano nel modo più evidente fi Dal Casentino questi terreni passano nella Val Tiberina toscana e qui la formazione superiore agli scisti variegati si mantiene di preferenza calcarea. Alla base dei calcari marnosi comparisce qui inoltre una zona di roccie calcareo -argillose, fra le quali sono rac- chiuse masse di serpentina (Poggio delle Caldane, Monte Petroso, Monte Murlo, Monti Pognosi). Gli scisti variegati da Corezzo in Ca- sentino passano attraverso lo spartiacque fra l’Arno e il Tevere e penetrano nella Val Tiberina, dove possono vedersi presso Bulciano e a Poggio di Spiegi. Pel Passo di Frassineto vanno poi al Poggio di Sambuco e a Monte Verde e di qui, lungo la costa S.O dell’Alpe ^ B. Lotti, loc. cit., pag. 57 e 58. — 236 — della Luna, si seguono, attraverso Monte Garzole e San Giustino, fin presso Città di Castello nella Val Tiberina tifernate. La formazione marnoso-arenacea, con calcari a glaucòma e fossili di tipo miocenico segue costantemente dappresso la zona degli scisti variegati e nella Val Tiberina toscana, oltreché a questi, soggiace anche alla forma- zione calcareo-argillosa con serpentine. Per convincersi che tale è effettivamente la sua posizione stratigrafica basta percorrere la strada che, nella vallecola della Bisolla, dal Molinello conduce a Castelnuovo in quel di Pieve Santo Stefano b A San Giustina nella formazione marnoso-arenacea si raccolsero alcune delle specie citate come mioceniche b Da San Giustino, proseguendo nella Val Tiberina tifernate, la zona degli scisti variegati, che trovavasi sulla sinistra del Tevere, sparisce sotto il Pliocene lacustre ed il Quaternario, fors’anche inter- rotta da una faglia, ohe sembra aver luogo lungo un gran tratto del corso del fiume, e riapparisce ad una distanza di sette o otto chilo- metri sulla destra, dove attraversa i tre speroni montuosi, quasi pa- ralleli, che comprendono le due vallecole della Scarzola e delfErchi, tra Monterohi e Città di Castello. È qui appunto, a Monte Santa Maria Tiberina e nei Monte Cedrone, ohe la formazione marnoso- arenacea sottostante ha offerto la maggior quantità di fossili di tipo miocenico Gli scisti variegati che separano l’arenaria di Col de’ Fab- bri dalla sottostante formazione marnoso-arenacea fossilifera di Monte S. Maria e che sono assai sviluppati presso Casa Lustro, proseguono, con qualche interruzione per ricoprimento dovuto al deposito lacustre pliocenico, attraverso le valli del Nestore e del Niccone, fino al Monte Murlo, a S.O d’Umbertide, dove la posizione stratigrafica della for- mazione marnoso-arenacea fossilifera è tale da non lasciar dubbio ^ B. Lotti, loc. cit., pag. 73 e 74. * A. Yerri e G. De Angelis d’Ossat, Contributo allo studio del Miocene nell’ Umbria (R. C. della B. Accad. dei Lincei, 3 giugno 1899). alcuno sul posto che ad essa spetta nella serie dei depositi ^ Essa, oltreché sottostare all’ arenaria del Monte Murlo con nummuliti indubbiamente eoceniche ed agli scisti variegati, fa ivi passaggio graduato alia scaglia cinerea senoniana del Monte Acuto, di modo che è da escludersi qualunque ipotesi di inversione della serie. Che la formazione marnoso-arenacea compresa fra IMonte Murlo e Monte Acuto corrisponda a quella di Monte S. Maria Tiberina non è da re- vocarsi in dubbio, perchè, come abbiamo detto per gii scisti varie- gati, vi è fra esse continuità, salvo un breve tratto di appena cinque chilometri, sullo sperone compreso fra i torrenti Aggio e Nestore, dove è ricoperta dal deposito pliocenico. La somiglianza litologica poi è perfetta e gli strati calcarei fossiliferi a glaucoma dei pressi di Monte Murlo, pur non avendo offerto finora specie determinabili, sono anche qui, come dappertutto, pieni zeppi di briozoari e di fram- menti di Pecten ed Ostrea^ come può vedersi presso S. Bartolomeo de’ Fossi. Dal Monte Murlo, gli scisti variegati, sempre di esiguo spessore, seguonsi senza interruzione lungo il contatto fra l’arenaria con- strati ad orbitoidi e nummuliti (Feriano, Castel Rigone e altrove) e la for- mazione marnoso-arenacea sottostante, fino alla doga; da dove, attra- versando il torrente Formanuova, salgono sulla costa orientale del Monte Bitorno e ridiscendono poi a San Valentino di Villa, tra la stagione ed Antria. A questo punto la zona degli scisti variegati, che abbiamo po- tuto seguire passo a passo dalla Val di Sieve attraverso il Casentino e la Val Tiberina toscana e tifernate, e che costituisce un cosi pre- zioso e tanto caratteristico orizzonte stratigrafico, perde la sua conti- nuità e di essa non si vedono che alcune traccie, esigue ma non meno caratteristiche, una trentina di chilometri più a sud, nei pressi ^ Vedi i particolari e la seziono geologica in B. Lotti, Rilevamento geol. nri dintorni del Lago Trasimeno^ di Perugia e di Umhertide (Boll, Com. Geol., XXX, 3, 1899). di Marsciano e di Collazzone, sempre in stretta connessione colla formazione marnoso-arenacea fossilifera e col terreno nnmmulitico. Riservandomi di descrivere particolareggiatamente ed illustrare con carta e sezioni la serie stratigrafìca di Marsciano, dove le condi- zioni di giacitura dei vari terreni non lasciano il minimo dubbio sul loro ordine di successione e dove si trovano quasi direi condensati in uno spazio limitatissimo tutti quei fatti che abbiamo potuto osser- vare sopra una vasta estensione, ritengo opportuno di esporre fìn d’ora sommariamente la detta serie, tanto più che è appunto in vici- nanza di questa località, presso Deruta e Cerqueto, che sono stati, rinvenuti fossili di tipo miocenico \ La località in parola comprende le due piccole protuberanze co- niche del monte di Civitella de’ Conti e del Monte Cerquabella, tra San Venanzo e Marsciano. L’area nella quale comparisce la serie completa dei terreni eocenici e del terreno in questione non misura più di sei chilometri quadrati; e il profondo solco del torrente Faena, che interponesi fra i due monti suindicati, ed altre incisioni minori che irradiano dalle sommità di questi verso la base, mettono a nudo completamente e nel modo più chiaro la interna struttura del rilievo. La direzione generale degli strati corre da N.O a S.E e l’incli- nazione, che di solito non oltrepassa i 45", è in questo punto, come in tutta la regione circostante, invariabilmente verso S.O. Il terreno più giovane della serie, dal quale risulta formata la parte più elevata delle due alture, è costituito da arenaria in grossi strati, fra i quali, nel Monte Cerquabella, si osservano banchi di una iS puddinga calcarea a grossi elementi e con nummuliti di grandi di- mensioni. Gli elementi sembrano in massima parte costituiti da roccie i calcaree secondarie ; ma in un esemplare che conservo vedesi un fram- ^ mento calcareo contenente piccole nummuliti. Le grosse nummuliti,. ^ ^ A. Yerri e Gr. De Angelis d’Ossat, II Contrih. allo studio del Miocene nell’ Umbria (Boll. Soc. geol. italiana, XIX, 1, 1900). 239 — che -di preferenza appartengono al gruppo delle striate \ trovansi comprese negli interstizi dei ciottoli e talvolta appariscono deformate per compressione fra i ciottoli stessi. I^essun dubbio adunque che questa roccia sia decisamente eocenica e provenga al tempo stesso, almeno in parte, dal disfacimento di roccie nummulitifere preesi- stenti. Presso la base dell’arenaria agli strati di questa si associano strati di calcare granulare e strati di una brecciolina pure calcarea a piccole nummuliti, dai quali si fa passaggio in basso ad una pila di strati formati dal più tipico calcare nummulitico, associato a calcare con selce ed alternante con sottili letti di scisti rossi e grigi a fu- coidi. E questa la formazione nummulitica 'che domina nei dintorni del Trasimeno, nei monti di Città della Pieve e in quelli di San Fau- stino di faccia a- Orvieto ^ e che divide l’arenaria superiore dalla formazione marnoso -arenacea sottostante. Sotto al nummulitico seguono strati d’arenaria e di marne azzurre, compatte , alternanti con strati calcarei formati quasi intieramente da orbitoidi, che appariscono in sezione con qualche traccia di Pecten e punteggiati da rare particelle di glaucoma. Questi strati, che si osservano specialmente al piede N.E del monte di Civitella de’ Conti presso la strada di San Venanzo, girando verso N.O spariscono e la* * formazione, trasformandosi in senso laterale, diviene quasi esclu- sivamente marnosa. Si riproduce, cioè,- qui in piccolo, ciò che ha luogo in più larga scala nella Val di Sieve tra le roccie arenacee dei poggi di Dicomano e le marne delle colline di Vicchio *. A questa formazione marnoso-arenacea, con strati ad orbitoidi. ^ Il dott. Di Stefano vi riconobbe la Niimmulites striata d’Orb. e VOrbi- toides papyracea Boiibée. * Vedi B. Lotti, Rilev. geol. eseguito nel 1899 nei dint. del Trasimeno e nella regione immediatamente a Sud fino a Orvieto (Boll. Com. Geol., 2, 1900). * Al dott. Di Stefano sembrarono sezioni Orbitoides papyracea Boubéè, ma non potè determinarle con sicurezza. * B. Lotti, loc. cit., pag. 18. succede in basso una sottilissima zona di scisti variegati con strate- relli d’una roccia calcareo -arenacea verdastra, zeppa di foraminifere \ gusci e radioli d’echinidi e piccoli, denti di pesce; e al disotto di essa si ripetono le alternanze di marne e di arenarie, con prevalenza delle prime, cui si associa un calcare a glaucoma con frammenti di Pecten ed una roccia pure a glauconia cbe è un impasto di piccole ostriche oblunghe con briozoari, frammenti d’orbitoidi, gusci e radioli d’echi- nidi ^ E questa senza dubbio la roccia nella quale trovansi i fossili creduti miocenici, ed infatti da una vicina località, il fosso del Varco presso Cerqueto, proviene una Lucina glohulosa citata dal dottor De Angelis ^ Questa formazione marnoso-arenacea fossilifera, sempre con ca- ratteri spiccatissimi, si segue con continuità per Poggio Aquilone verso N.O fino a Monte Yibiano Vecchio, dove è di nuovo ricoperta dal calcare nummulitico, che forma una callotta ellissoidale costi- tuente le due alture del Monte Vergnano e del Poggio bardella. Tra il nummulitico e la formazione marnoso-arenacea interponesi, anche qui, una zona di scisti variegati che si osservano tra Monte Vibiano Vecchio e Monte Vergnano e nel fosso delle Setole. Oltre chè dalle osservazioni stratigrafìche dirette, la sovrapposizione del nummuli- tico alla detta formazione marnoso-arenacea è qui dimostrata dalle numerose e copiose sorgenti che scaturiscono dal contatto fra i calcari e le sottostanti roccie marnoso-arenacee quasi impermeabili. Sulla destra del torrente Nestore ^ questa formazione è quasi in- ^ Il dott. Di Stefano vi ha riconosciuto i generi 2\^odosaria, Denfalina. Texhilaria, Rotalici, Tniìicatnlina ed altri. ® Da osservazioni fatte dal dott. Di Stefano. Questi strati fossiliferi pos- sono vedersi presso il Poderuccio, a circa 150 metri di distanza dalla casa co- lonica, sulla strada che sale verso Civitella. È quasi certo che con un'accurata e paziente ricerca vi si rinverrebbero dei fossili determinabili. ’ Terhi e De Axgelis d’Ossat, loc. cit. * Da non confondersi coll’altro torrente omonimo,, citato più sopra, che sbocca nel Tevere tra Città di Castello ed Dmbertide. tieramente coperta dal Pliocene lacustre ; però se ne scuoprono alcuni lembi a Compignano, presso Monte Stradello e a Morcella, nelle quali due ultime località presenta frequenti banchi di calcare fossilifero con Pecten di piccole dimensioni e frammenti di altre bivalvi. Il lembo di Morcella poi ha molta importanza perchè serve di legame fra la formazione marnoso-arenacea del monte di Civitella de’ Conti e il giacimento a bivalvi del fosso del Varco presso Cerqueto. La formazione marnoso-arenacea del gruppo di Civitella può se- guirsi per oltre due terzi di giro intorno alla base del rilievo. La zona del calcare nummulitico gira tutt’intorno a mezza costa del ri- lievo stesso ed estendesi poi dal lato S.E, acquistando notevole svi- luppo, verso Collelungo e Montecastello di Yibio. L’arenaria supe- riore, con puddinga a grandi nummuliti, forma, a guisa di due callotte riunite, la parte culminante dei due monti del gruppo, il monte di I Civitella cioè e quello di Cerquabella. Basta, con uno sguardo sulla carta geologica rilevata in quest’anno alla scala di i 50000, mettere in relazione la distribuzione pianimetrica dei terreni col rilievo oro- grafico, per escludere ogni altra interpretazione tettonica che non sia quella semplice della serie regolare sopra enunciata. Ma si obietterà dai signori Verri e De Angelis che sull’altra riva del Tevere, nei monti di Deruta, le cose procedono diversa- mente. Là, essi diranno, vi è un’arenaria indubbiamente miocenica perchè racchiude ciottoli di diversi calcari eocenici, non escluso il calcare nummulitico ^ e quest’arenaria riposa sulla solita formazione marnoso-arenacea, nella quale sono stati raccolti fossili di specie mio- ceniche -. I Sebbene io abbia appena iniziato il rilevamento geologico di quel gruppo di monti e non possa ancora dare un giudizio coscien- zioso e sicuro sul posto occupato da quest’arenaria nella serie geolo- ^ <'r. De An^eli.s d'O.ssat, I ciottoli esotici nel Miocene del Monte Dernfci {t'^n-o'i») (R, C. della R. Accad. dei Lincei. 17 giugno 1900, pag. 12). * A. Verri e D. De Angelis d'O.'^sat, II Contributo^ ecc. I 242 gica, dico francamente che essa roccia mi è apparsa con caratteri litologici tali che non hanno riscontro nelle arenarie eoceniche della Toscana, nè in quelle, che io credo eoceniche, dell’Umbria; non avrei quindi, al momento, alcuna difficoltà a ritenerla miocenica. Piuttosto che un’arenaria essa è una melassa grossolana che localmente passa ad un conglomerato di ciottoli di calcari eocenici e di altre roccie. Però non parmi sufficiente questo fatto per dimostrarne l’età miocenica. Eicordiamo infatti che la puddinga, indubbiamente eocenica, asso- ciata all’arenaria superiore dei monti di Civitella e di Cerquabella presso Marsciano, racchiude ciottoli di un calcare nummulitico più antico. Merita anche di essere ricordato a questo proposito un altro fatto. Kel primo contributo allo studio del Miocene nell’Umbria (E. C. della R. Accad. dei Lincei^ 3 giugno 1899) a pag. 544 è detto dai signori Verri e De Angelis che « nei poggi di Paciano e del Monterale, sta (( sopra l’Eocene medio una potente formazione d’arenarie, nella quale « fu trovato incluso un banco di ciottoli di calcari, quarziti, graniti, ^ < dioriti, ecc., eguale ai banchi del Monte Deruta. » Ora proprio in quest’arenaria, che costituisce la parte più elevata e la formazione più giovane del Monterale, e precisamente un poco sotto la cima a S. E, presso la strada che porta a Monte G-iove, rinvenni degli stra- terelli pieni di nummuliti. Non è dunque provato inappellabilmente che l’arenaria di Deruta sia posteocenica. Quanto alla formazione mar- noso-arenacea, sulla quale riposa l’arenaria e che racchiude bivalvi, se- gnatamente lueine, di tipo miocenico, credo che essa faccia parte del terreno in questione, ma non vi insisto per ora. Noto soltanto che un * po’ più a sud, tra Assignano e Toscella, presso Collazzone, comparisce, interposta alla formazione marnoso-arenacea un’ esigua striscia dei soliti scisti argillosi variegati che, come abbiamo veduto più sopra, costituiscono un prezioso orizzonte geologico, sempre strettamente col- legato alla formazione marnoso-arenacea fossilifera. Tali scisti, sotto il nome di marne 'polierome, sono citati presso Toscella anche dai si- J gnori Verri e De Angelis e sulla loro età eocenica non è elevato alcun dubbio. Il Verri infatti scrive: « Fra questi terreni, formati da alter- « nanza di marne bigie, di calcari arenacei e di arenarie, si vede sbu- « care presso Toscella uno spuntone di marne policrome. Nelle mon- « tàgne di Todi e di Orvieto che prospettano ad ovest la catena « Martana, marne consimili, con alternanza di calcari policromi a « granitura fina, di calcari arenacei, di arenarie, di calcari e brec- « ciole con Nummuliti ed Orbitoidi, si sovrappongono in concordanza ff agli strati delle marne e dei calcari siliciferi, i quali, per posizione « stratigrafìca indiscutibile, supponiamo rappresentare nell’ Umbria « l’Eocene inferiore o la parte inferiore di questo periodo. » b Due cose sono da porsi in rilievo in questo brano, e cioè che questi scisti variegati anche pei detti autori sono indubbiamente eo- cenici e che essi compariscono presso Toscella tra la formazione marnoso-arenacea ritenuta miocenica b Però, secondo gli stessi au- tori, tali scisti formerebbero dentro di essa uno spuntone] ora questo loro modo di vedere parmi assolutamente insostenibile, perchè è troppo frequente il caso di tali inserzioni di scisti variegati nella formazione marnoso-arenacea deH’Umbria e sempre con disposizione isoclinale, tantoché dovrebbero ritenersi dovunque come altrettante strettissime pieghe ribaltate. Uno spuntone eocenico, ribaltato, fra le marne dovrebbe essere l’affioramento, di forse 20 metri di potenza, degli scisti variegati del monte di Civitella, di cui abbiamo parlato più sopra; spuntoni ribaltati tutti gli affioramenti di scisti variegati compresi tra le roccie marnoso-arenacee dei monti di Umbertide, di Città di Castello, di San Giustino, di Borgo San Sepolcro, ed uno strettissimo , ma immensamente lungo spuntone , pure ribaltato , quello che dalla Val di Sieve, attraverso il gruppo della Falterona 3d il Casentino, penetra nella Val Tiberina toscana. * A. Verri e G. De Angelis d'0.s.‘^at, loc. cit., pag. 242. * Gli scisti variegati trovansi di solito alla base dei calcari nummulitici > dei calcari con selce associati: talvolta però si ripetono ad un livello più •asso, nella formazione marnoso-arenacea e fra le due zone di scisti stanno flora comprese delle arenarie e marne con calcari ad orbitoidi. Ciò verificasi .ppunto nella Val di Sieve e a Marsciano, come abbiamo veduto. — 244 — Le marne che nei monti di San Faustino, di faccia a Orvieto, stan sotto a questi scisti variegati e che, insieme ai calcari marnosi listati di selce nerastra o calcari siliciferi dei prelodati autori, costi- tuiscono anche per essi (loc. cit., pag. 241 e 242) indiscutibilmente la parte inferiore dell’ Eocene, rappresentano invece la stessa forma- zione marnoso-arenacea fossilifera in questione, in cui mancano sol- tanto, come avviene spesso localmente, i calcari a glaucoma con fos- sili. Questo verificasi facilmente seguendo la formazione marnoso-are- nacea fossilifera del monte di Civitella verso San Vito in Monte e verso San Venanzo, dove si congiunge, con transizione graduata, a quella di marne e calcari marnosi selciferi di San Faustino. Per esempio, a Poggio Aquilone presso Marsciano si hanno nella forma- zione marnoso -arenacea i calcari a glaucoma con frammenti di fos- sili; ad un chilometro di distanza, al Poggio dell’Abate, seguendo ininterrotta la stessa formazione, vedonsi apparire in essa le marne listate di selce, caratteristiche del terreno marnoso -arenaceo dei monti di San Faustino, il quale non solo sta sotto il nummulitico, ma passa gradatamente alla scaglia cinerea del Monte Peglia b Fatta astrazione dai rari banchi di calcare a glaucoma fossilifero, le roccie marnoso-arenacee, indubbiamente eoceniche anche pe’ miei contradittori, si assomigliano talmente a quelle nelle quali sono stati raccolti i fossili di tipo miocenico, che essi stessi, parlando dei banchi a Lucina e a Pecten del fosso del Varco presso Cerqueto, dicono che tali banchi si formarono sopra alle roccie caratteristiche dell’ Eocene^ le quali si vedono in posto là vicino tra Cerqueto e Morcella. Ora in queste roccie caratteristiche dell’Eocene tra Cerqueto e Morcella io ho trovato appunto, sulla strada tra Morcella e San Silvestro, gli strati calcarei ,a glaucoma con ostriche e pettini, alcuni di questi ultimi intieri e discretamente conservati, che erano sfuggiti ai detti osservatori. Riassumendo adunque, senza tener conto di quel complesso sva I ^ B. Botti, Rilevamento geologico eseguito nel 1899 nei Uinforni del Trasi- meno, ecc. (Boll. Comit. Geol., 2, 1900). — 245 ~ riato di indagini e di criteri che inducono nell’osservatore la convin- zione profonda della verità di certe conclusioni, insisto sopra alcuni fatti specifici, sui quali richiamo l’attenzione dei sostenitori delfetà miocenica dei terreni in questione, invitandoli ad istituire su di essi un serio e spassionato riscontro, perchè senza la dimostrazione della inesistenza di tali fatti non sarebbe possibile alcuna ulteriore di- scussione. I fatti specifici che servono di caposaldo alle mie conclusioni sono i seguenti: 1. Presso San Martino in Scopeto, a Villa Pinzi, in Val di Sieve la formazione marnoso-arenacea fossilifera vedesi sottostare a calcari nummulitici in strati quasi orizzontali e i calcari nummulitici son ricoperti alla lor volta dall’arenaria di San Martino e del Monte Giovi. 2. Nell’alto della valle del Castagno, pure in Val di Sieve, le arenarie nummulitifere del Monte Falterona, ricoprono la formazione marnoso-arenacea, con banchi a lueine ed altri fossili di tipo mioce- nico, in strati pochissimo inclinati, mediante la interposizione di una sottile zona di scisti variegati, con strati . nummulitiferi presso Gorganera. 3. Questa zona di scisti variegati dalla Val di Sieve seguesi senza interruzione fino alla Val Tiberina toscana e in tutto il suo percorso sovrapponesi alla formazione marnoso-arenacea. 4. Nella vallecola della Bisolla sotto Gastelnuovo, in quel di Pieve San Stefano, questa formazione marnoso-arenacea, con traccio di li pteropodi e globigerine e con strati del caratteristico calcare a glau- 3onia, vedesi sottostare alla formazione calcareo-argillosa racchiu- lente roccie serpentinose e questa ai calcari marnosi ad Helminthoida i 'abyrinthica. 5. Tra Monterchi e Monte S. Maria Tiberina la formazione narnoso-arenacea, dalla quale proviene il maggior numero di fossili li tipo miocenico, sta sotto costantemente alle arenarie con orbitoidi ! nummuliti (Lippiano, la Dogana, ecc.). I calcari fossiliferi, oltreché — 246 — le specie determinate come mioceniclie, raccliindono nummuliti di !r piccole dimensioni. i 6. Questa formazione e gli scisti variegati concomitanti seguesi ! t con continuità, salvo un breve tratto di forse cinque chilometri, fino !: a Monte Murlo in quel d’Umbertide, dove, oltre a star sotto alle are- ' >• narie con nummuliti eoceniche, fa passaggio graduato agli scisti se- « noniani del Monte Acuto. A San Bartolomeo questa formazione rac- ^ chiude i soliti strati di calcare a glaucoma pieni di briozoi, di frammenti i ; di Pecten e di piccole ostriche. 7. Nel monte di Ci vitella de’ Conti presso Marsciano, in una i i area ristrettissima, si riproduce in piccolo la serie completa della Val 'i di Sieve, del Casentino e delia Val Tiberina tifernate e cioè, dall’alto !•: al basso : arenaria, calcari nummulitici e scisti a fucoidi, arenarie con s banchi di calcare ad orbitoidi, scisti variegati, strati marnoso-arenacei ^ con calcari a glaucoma fossiliferi. 8. La formazione marnoso -arenacea fossilifera dei dintorni di 1 i Marsciano, tra Poggio Aquilone e San Vito fa passaggio a quella pure ì. marnoso-arenacea dei monti di San Faustino, ritenuta eocenica anche dai signori Verri e De Angelis, la quale non differisce dall’altra che per la mancanza di strati calcarei fossiliferi e per la comparsa in essa i di certe marne e calcari marnosi listati di selce nerastra. Dal fin qui detto dovremo adunque concludere che ci troviamo ì in presenza di un grave disaccordo fra la stratigrafia e la paleontologia i nelle sue applicazioni alla cronologia geologica? Potrebbe esser così, i ma io mi auguro che ulteriori scoperte di fossili finiscano per conci- i Ilare ancora una volta fra loro le due scienze sorelle. Non è forse a questo riguardo senza significato il fatto della quasi costante asso- ciazione di nummuliti, ammessa anche dai signori Verri e De An- gelis ai fossili di tipo miocenico e l’altro che di Monte Tabor, nella collina di Prepo, presso Perugia, località ricca di fossili raccolti spe ^ Yerri g De Angelis d’Ossat, loc. cit., pag. 242. — 247 — cialmente dal prof Beliucci, oltre ad alcune specie mioceniche, son citate dal De Angelis ‘ alcune specie che datano già dal Cretaceo. Tuttociò potrebbe indicare che sulla età miocenica della fauna raccolta nella formazione marnoso-arenacea delfUmbria, non è stata ancora pronunziata l’ultima parola. Roma, settembre 1900. II. C. Viola. — Sopra alcuni pettini del calcare a piccole nummuliti dei dintorni di Subiaco in provincia di Roma, (con due tavole). Giacimento dei fossili. I calcari con nummuliti di Subiaco appoggiano con discordanza ora su dolomie, che in parte sono triasiche e in parte possono ap- partenere a piani secondari più recenti, ora su calcari superiori del Cretaceo. Essi oltre a piccole nummuliti, contengono pettini, ostriche •e frammenti di coralli ed echini. Questa formazione litorale si divide in due membri, di cui Tuno, l’inferiore, è costituito di calcari bianchi per lo più compatti, rara- mente cristallini, non sempre visibilmente stratificati, con coralli in abbondanza ed echini, con pettini costati di grandi e piccole dimen- sioni e per lo più appartenenti a specie nuove; l’altro, immediata- ^ Le specie citate sono le seguenti: Microjìora (sott. gen. Calpensia) im- pressa Moli. sp. fossile dal Cretaceo; Memhranipora reticnliim L. sp. fossile dal Cretaceo; Pecten scahrelliis Lk. del Miocene medio di Catologna; Pecten Bes- seri Andr. fossile dall’Aquitaniano al Tortoniano. 2 - 248 — mente superiore, consiste di calcari sabbiosi, ferruginosi, divisibili irt straterelli sottili, contenenti anche essi coralli, echini e ostriche, ma sopratutto pettini in grande abbondanza, appartenenti tutti a specie nuove, di cui però solo alcuni possono essere determinati stante la non buona loro conservazione, cattivissima per la maggior parte di essi. Indicheremo il membro superiore col nome di calcare a 'pettini e l’inferiore con quello di calcare a echini e coralli. Il primo, che ha considerevole estensione sotto il convento dei Cappuccini di Subiaco, mi ha fornito i migliori esemplari di Pecten per il presente studio. Ma le stesse specie si ritrovano in altre località presso Subiaco e anche ad Affile e a Ponza nei monti vicini. Disgraziatamente il calcare con coralli ed echini e quello supe- riore con pettini non hanno offerto tali elementi da farne stabilire bene l’età, essendo le nummuliti indeterminabili e i pettini non ancora descritti. Le maggiori affinità dei pettini sono però con specie eoce- niche, come già indicò IL dott. De Angelis b che si è occupato di questo calcare ; ma tuttavia non siamo in condizioni di potere per ora stabilire con certezza a quale piano di tutto il sistema nummulitico, cioè all’Eocene propriamente detto o all’Oligocene, appartenga. Lo studio di altre specie che potranno trovarsi nel calcare in esame e quello dei pettini di altri calcari con nummuliti ben determinabili, fini- ranno col risolvere la questione. Pertanto crediamo che solo come modesta contribuzione a tale studio possa essere non inutile la de- scrizione di queste poche specie nuove. Sopra ai calcari con pettini stanno marne indurite e argille azzurre con molte foraminifere, dei modelli e delle impronte di bivalvi e vari pteropodi. Il dott. De Angelis b fondandosi essenzialmente suUa presenza di quattro specie di pteropodi, ha assegnato queste ar- ^ G-. De Axgelis d'Ossat, L’alta valle dell’ Aniene ; parte I plem. della Soc. geogr. ital., 1898, Voi. VII, parte seconda, pag. 191). ^ G-. De Angelis d’Ossat, op. cit., pag. 220 e 228. — 249 — w gille alla facies langhiana del Miocene. Sull’età di queste argille ritor- neremo. N Queste sono le condizioni di giacimento dei nostri pettini, le quali sono state indicate anche dal dott. De Angelis (op. cit., fìg. 2, pag. 222). Per lo studio dei pettini ho fatto il possibile di riuscire esatto nei confronti, esaminando la ricca bibliografia dell’Eocene e del Mio- cene. Il dott. G. Di Stefano mi avviò nel difficile compito, ed è ben poca cosa, se gli porgo qui i miei più vivi ringraziamenti. Descrizione delle specie. Gen. CHLAMYS. Chlamys Clarae^ n. sp. (Tav. Y, Fig. I a, b, c, II, III). Conchiglia biconvessa, orbicolare, leggermente inequivalve, equi- latera, ornata di 18 a 20 forti coste radiali, sopra subarrotondate, sud- divise per lo più in 3 costicine secondarie radiali. Gli spazi interco- stali leggermente più stretti della grossezza delle costole, portano generalmente due costicine secondarie relativamente forti e avvici- nate ; in vari casi ne mostrano tre (vedi Fig. I-c). Le strie di accresci- mento determinano sulle costicine radiali secondarie delle squamette arrotondate. Le costicine radiali secondarie vanno perdendosi verso la regione apiciale. L’apice è corto con i lati più o meno concavi. La valva destra, che porta il seno bissale, è leggermente più convessa del- l’altra. Le orecchiette sono bene sviluppate (vedi Fig. II e III), ineguali, ornate di 5 a 6 coste longitudinali. L’orecchietta anteriore delia valva destra è più allungata ed è fornita di un seno bissale. Le relazioni più strette il Pecten Clarae le ha con i P. quinyuepar^ titus Blanckenhorn, P. hellicostatus Wood e P. Jliorenti d’Arch. — 250 - Il Pe'den quinquepartitus ^ del calcare nummulifcico inferiore della Siria settentrionale fu determinato dal Blanckenhorn per mezzo di varie impronte, che io ho potuto esaminare nel Museo paleontologico di Monaco di Baviera. L’angolo apiciale di tale Pecten^ la forma della conchiglia e il numero delle costole corrispondono assai bene alla specie che qui descriviamo; ma in esso non sono le costicine secondarie dentro agli spazi intercostali, dove invece se ne presen- tano due o tre in quello nostro; inoltre nella specie della Siria le costole principali sono più arrotondate sopra. Per queste differenze crediamo che la specie qui descritta si debba tenere separata dal P. quinquepartitus, nonostante le strettissime analogie. Nel Pecten hellico status Wood ^ dell’Eocene d’Inghilterra le coste principali sono acute sopra, mentre nella specie di Subiaco sono più ottuse. Inoltre nella specie inglese le squamette sono molto spi- nose, tanto da dare alla conchiglia un carattere distinto. Infine i grandi spazi intercostali del P. hellicostatus sono ornati di varie e fine cestelle secondarie, le quali invece nel P. Clarae sono più grosse e di numero minore (per lo più due). Notiamo anche che il P. belli’ costatus ha una regione apiciale molto allungata e acuta. Il Pecten di Subiaco si differenzia dal Pecten Thorenti à’Ar- chiac ® dell’Eocene di Bayonne per i seguenti caratteri: il P. Clarae è più convesso, ha spazi intercostali più stretti e ornati di un numero minore di costole secondarie, e una regione apiciale con angolo assai più corto e con lati molto più concavi. ^ M. Blanckenhorn, Pas Eoccin in Syrien, mit hesonclerer Beriìcksiclitigiing Nord-Sgriens (Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft, XLII Bd., 1890, pag. 318 e 352, Tav. XIX, fig. 2-3). ^ S. Y. Wood, A monograph of thè Eocene Bivaives of England (Palaeon- tographical Society, Yolume for 1870. London 1871, pag. 38, Tav. YIII, fig. 11 a, b). “ A. d’Archiac, Description des fossiles reciieillis par 31. Thorent, dans les couches a nnmmulines des environs de Bayonne (Mémoires de la Société géolo- gique de Brance, 2® Serie, Tome 2®, p®. p., pag. 189, 211, PI. YIII, fig. 8 a, h). — 251 — Notiamo qui sotto dei rapporti e delle differenze del Pecten Clarae con altre specie meno vicine delle tre indicate sopra. Il P. Malvinae del Miocene d’Egitto, figurato dal Fuclis * * e il P. opercularis L. del Miocene di Baviera, figurato dal Groldfuss ^ fianno molti rapporti con questa specie, ma se ne distinguono per le costole principali più basse, più larghe e meno chiaramente distinte dagli spazi intercostali; inoltre pel numero maggiore delle costicine secon- darie degli spazi intercostali, le quali sono anche più sottili, e hanno l’aspetto di strie anziché di costole secondarie. Notiamo anche che le squame del P. Malvinae figurato da questi autori sono più distinte e acute, sebbene più fini di quanto si nota nel P. Clarae. Gli esemplari del P. Malvinae Dubois del bacino di Vienna ^ si distinguono dal Pecten di Subiaco, soprattutto pel numero molto maggiore di costole, che sono quindi più avvicinate fra di loro e più strette f Il P. Tchihatcheffi d’Arch. % del nummulitico dell’Asia Minore, ha un maggiore numero di coste principali, che sono anche più strette, e l’angolo apiciale è più ottuso. Il P. scàbriusculus Math. e il P. Fontannes ® del ' ^ Th. Fuchs, Beitrage ziir Keiuitniss der Miocaenfanna Aegijptens nnd der libgscìien Wiiste (Palaeontograpliica, XXX Bd., II Theil, 1883, pag. 41, 59, Tav. XXI. fig. 3, 3 a). * A. Goldfuss, Petrefacta Germaniae (Leipzig 1863, 2te Auflage, II Theil, pag. 59, Tav. 95, fig. 6 a, b, non fig. 6 c, ^/). * M. Hoernes, Die fossilen Mollnsken des Tertiaer-Beckens vonWìen (Abli. der k. k. geolog. Eeichsanstalt, IT Bd.. 1870, pag. 414, Tav. LXIT, fig. 5, a, b, r). * Ho fatto il confronto solo col P. Malvinae figurato da questi autori perchè non mi fu possibile di avere l’opera di F. Dubois de Montpéreux, Conchijliologie fossile et aperpi géognostiqne des formations dn pjlatean Wolhgni- Podolien. Berlin. 1831. * P. DE Tchihatcheff, Asie Minenve. Paleontologie par A. d’Archiac, F. Fischer et E. de Terneuil. Paris, 1836, pag. 143, PI. IT, fig. 6, a, b. * F. Fontaxxes. Les ferra ins tertiaires dn Bassin de Yisan (Ann. de la Société d'agriculture de Lyon, 5® serie, T. 1^, 1878. Paris 1880, pag. 11 e 97, PI. III. fig. 1 flr, b, c, d). — 252 — Miocene di Francia, si distinguono dalla specie di Siibiaco per le co- stole più larghe e più arrotondate, per il numero più grande di co- stole secondarie, nonché per le squamette molto più numerose, minute e delicate come nel P. opercularis L. Del P. Clarae tipico esistono parecchi esemplari nel R. Ufficio Geologico, ma sono per lo più male conservati. Alcuni però fanno ve- dere bene gli ornamenti, altri le orecchiette. Dimensioni : Diametro antero-posteriore .... 45 mm. Diametro umbo-ventrale 50 » Spessore . . . . ' 16*18 » Località: Cappuccini di Subiaco. Chlamys Clarae var. sublacensis. (Tav. V, Fig. lY). I molti individui, che indichiamo con questo nome, per i carat- teri degli ornamenti, delle orecchiette e delle costole principali e secondarie sono identici al Pecten Clarae tipico ; ma se ne distinguono per la forma molto trasversalmente allargata e per l’angolo apiciale conseguentemente più grande. La differenza è spesso così forte che si sarebbe tentati di aggrup^Darli in una specie a parte; ma il fatto dell’identità dei caratteri cehnati sopra e quello delle numerose forme intermedie, che rilegano i due gruppi, mi persuadono che qui si tratta di un'unica specie molto variabile nel contorno, come del resto sono la massima parte dei Pecten. Anche questa varietà è molto diffusa da formare interi banchi. Dimensioni: Diametro antero-posteriore .... 56-60 mm. Diametro umbo-ventrale 45-50 >' Spessore 25 » Località: Cappuccini di Subiaco. 253 — Gen. PBCTE2^^. Fecten De-Angelisi^ n. sp. (Tav. YI, Big. Y, YI e YII). Conchiglia suborbicolare od ovale-allungata, inequivalve, equila- ierale; valva destra molto convessa, con apice robusto, ricurvo, ma poco sporgente dalla linea cardinale; angolo apiciale largo con lati concavi, orecchiette larghe ineguali. Il cattivo stato di conservazione non permette di osservare se. esse sono ornate di costole, Nella valva destra sono da 15 a 16 costole radiali principali forti, leggermente e largamente arrotondate sopra, separate da spazi eguali alla grossezza delle costole o leggermente maggiori. Sulle costole principali e negli spazi intercostali si scorgono le traode di costole radiali secondarie. La valva sinistra è appiattita o leggermente concava, ornata di 12 a IB costole radiali forti, largamente e leggermente arrotondate sopra, separate da spazi in generale più stretti delle costole. Questi spazi in- tercostali portano delle costole secondarie radiali in numero di 2 a 4. Sulle coste principali sono le traode di costole secondarie (vedi Fig.YI). Sui lati della regione apiciale si nota uno spazio privo di costole. Questo Fecten è molto abbondante nei calcari a nummuliti di Subiaco ; però è mal conservato, a valve per lo più staccate. Non ostante il suo cattivo stato di conservazione, specialmente riguardo agii ornamenti, io ho creduto di non doverlo trascurare per la sua forma distinta. In seguito altri geologi potranno raccogliere esemplari più perfetti, e completare la conoscenza dei caratteri di questa specie importante. Il Fecten De-Angelisi si avvicina molto al F. aduncus Eichw. apud Fuchs ^ del Miocene di Egitto (non Hòrnes e al P. suhhene- ^ Th. Fuchs, Beitrarje znr Kennfuiss der Mìocaenfaiina Aegijptens linci der Ubijscìien IViiste (Palaeontographica, XXX Bd., 1883, pag. 54 (36), Tav. XIX (XIY) fig. 1.5|. • 51. Hcernes, Die fossilen Molliisken des Terticier-Beckens von Wien (Abh. der k. k. geolog. Reichsanstalt, lY Bd., 1870, pag. 401, Tav. LIX, fig. 7, 8. 9). — 254 — dictus Ponfcannes ^ del bacino di Yisan e del bacino di Crest. Si di- stingue dal primo e dal secondo per le coste principali più strette e i per la presenza di coste secondarie, che mancano in questi due. Di i più il P. De-Angelisi è meno ricurvo del P. subhenedictus. Molti altri pettini hanno delle relazioni con la specie, che qui i si descrive ; ma ora per uno solo, ora per più caratteri ne sono molto j lontani. A tutti poi mancano le costole secondarie negli spazi intere o- stali, mentre nella valva sinistra del Pecten De-Angelisi sono bene visibili. ' Il P. benedictus Lam. ^ apud Fuchs del Pliocene di Perpignano,. del Miocene di Anjou (Doué) e del Miocene d’ Egitto si distingue per le coste principali molto più basse e meno distinte, e per la man- ^ canza di costole secondarie. Anche il P. Bunkeri Ma^^er del Miocene di Madera è differen- I tissimo da quello che descriviamo, soprattutto per la mancanza di costole secondarie ; e così pure il P. Rollei Hòrnes * * del Miocene di Vienna, oltre che per altri particolari, che non citiamo. Il P. Valentinensis Font. ^ del Miocene medio del bacino di Crest si accosta per la forma al P. De-Angelisi, ma esso ha gli spazi inter- costali molto più larghi nell’ una e nell’altra valva. Nel nostro Ufficio Geologico trovansi due esemplari bene conser- vati della valva sinistra, oltre numerosi frammenti, fra i quali ancho qualche ornamento di costole. ^ F. Fontannes, Les terrains tertiaires dii Bassin de Yisan (Ann. de la Société d’agriculture de Lyon, 5® serie, Tome I, 1878. Paris, 1880, pag. 11 e 99, PI. II, fig. 1 a, b, c). ^ Th. Fuchs, op. cit, pag. 53 (35), Tav. XX (XY), fig. 3-6. ® K. Mayer und D. G. Hartpng, Geologisclie Beschreibnng dev Inselli Madeira und Porto Santo. Leipzig, 1864, pag. 223, Tav. Y, fig. 29. * M. Hcernes, op. cit., pag. 400, Tav. LIX, fig. 4, 5, 6. ^ F. Fontannes, Les terrains tertiaires dn Bassin de Crest (Annales de la Société d’agriculture de Lyon, 5® sèrie, Tome II, 1880. Paris, 1881, pag. 827 e 994, P1.Y, fig. 4-10). Anno 19 00.Tav.VI.(C.Viola) Fig. VI. F,g. vji: 11. del R. Comit. geol. d' Italia Fn/. V. I Dimensioni: Diametro antero-posteriore. 80-100 mm. Diametro umbo- ventrale . 90-110 » Spessore 40-45 » Località: Cappuccini di Subiaco. Roma, agosto 1900. III. ìiL Cassetti. — Rilevaìnenti geologici eseguili Vanno 1899 neWalta valle del Sangro e in quelle del Sagittario^ del Gizio e del Melfa, Dalla valle del Sanerò a quelle del Sag^ittario e dei Gizio (Abruzzo aquilano). — La regione montuosa di cui trattasi, assai accidentata, alpestre e in parte boscosa, è quella che partendo dalla sponda sinistra del Sangro, tra Villetta Barrea e Pescasseroli, si estende ai territori di Scanno, Villalago, Anversa, Introdacqua, Pet- torano sul Gizio e Rocca Pia fino a raggiungere da un lato la valle del Sagittario e dalFaltro quella del Gizio e il Piano delle Oinquemi- glia. In essa rimangono compresi alcuni monti appartenenti alla cosi detta Marsica o paese dei Marsi, dagli antichi popoli che l’abitarono; la quale, com’è noto, abbraccia quel vasto territorio montuoso dell’Ap- pennino Centrale, che sta tra l’alta valle del Sangro (di quel tratto cioè a monte della stretta gola di Barrea) e il gruppo del Monte Velino a nord-ovest del Fucino. Fra le più alte cime comprese nella suindicata regione, vanno principalmente notate quella del Monte Marsicano, che sorge sulla sponda sinistra del Sangro tra Pescasseroli e Qpi, e che si eleva a m. 2242 sul mare, non che quelle della Terratta, del Monte Arga- tono, del Monte Genzana e della Serra della Sparviera, che formano le alte sponde della valle e del lago di Scanno e che s’innalzano ri- spettivamente di m. 2208, m. 2151, m. 2176 e m. 1997 sul livello del mare. Questi cinque monti, sia per la loro notevole elevazione, sia per la loro posizione rispetto agli altri circostanti e meno elevati, offrono delle condizioni vantaggiose per osservazioni tanto geografiche che geologiche, poiché da quelle alte cime la vista può spaziare su di una vasta distesa di territorio, e inoltre perchè con un numero limitato di ascensioni si può arrivare a formarsi un’idea generale abbastanza . esatta della conformazione orografica e costituzione geologica di quel- l’importante bacino. Il Monte Marsicano e la successiva Serra Monte Cappella (m. 2225) formano una erta catena che s’innalza maestosa sulla valle del Sangro. . A questa catena fa seguito l’altra formata dalla Serra della Terratta col Monte Argatone, che forma l’alta sponda sinistra della valle di Scanno. Entrambi i versanti delle due citate catene, ma più specialmente quello orientale, sono solcati da valli ripide e profonde, fiancheggiate da balze e dirupi di varie altezze e privi di ogni vegetazione, in modo che la regione presenta un aspetto selvaggio e pittoresco in- sieme. Siffatte accidentalità del suolo, essendo accompagnate in vari ' punti da sfaldamento dei potenti depositi calcarei nel senso del loro | spessore, e potendosi per conseguenza vedere messi a nudo i rispettivi | affioramenti su notevoli altezze, offrono numerosi punti di osserva- IJ zione assai propizi per lo studio della serie stratigrafica dei terreni i e della tettonica relativa. j Il Monte Genzana insieme alla Serra Fonte Gelardi dal lato di mezzogiorno, e alla Serra di Colle Rufigno dal lato opposto, forma |- un’altra elevata e lunga catena che s’innalza sulla sponda destra della valle di Scanno. Essa è diretta presso a poco da N.O a S.E e con — 257 — ]a sua estremità settentrionale tocca il Sagittario sotto Anversa, mentre con quella meridionale raggiunge la successiva' Serra della Sparviera. A questa catena fa seguito nella stessa direzione un’altra non meno elevata, che dalla citata Serra della Sparviera passa alla Serra Pantaniello, alla Serra Eocca Chiarano e al Monte Greco (m. 2283) t e si prolunga fino all’alta valle del Sangro presso Barrea. Anche i versanti delle due citate catene montuose sono solcati da profondi burroni, generalmente con sponde ripide, ohe discendono da una parte nella valle del fiume Gizio, nel Piano delle Cinquemi- glia, nel Piano Aremogna e nella valle del Sangro e dall’altra nella valle detta La Foce, ove incomincia il Sagittario, non che nelle so- prastanti valli di Scanno e dei Prati e nell’opposto Vallone Prolfo che sbocca ne] Sangro presso Villetta Barrea. Questa regione montuosa presenta nella sua struttura varie e no- tevoli fratture, ripiegamenti e contorsioni di strati in modo da ren- dere difficile a prima vista una soddisfacente interpretazione tettonica e cronologica dei terreni che la compongono. Occorsero perciò parecchie escursioni in vario senso, per formarsi in proposito un’idea sufficientemente chiara, e a ciò contribuì anche l’intervento dell’ing. L. Baldacci, dirigente il lavoro, col quale vennero stabilite le linee tettoniche generali e abbozzata una prima suddivi- sione stratigrafica di quei terreni. Eimanevano tuttavia molte incertezze sulla cronologia di alcuni strati con faune molto importanti, e allo scopo di stabilire questi dati la regione venne nuovamente visitata insieme al dott. G. Di Stefano, paleontologo dell’Ufficio Geologico, col quale si fecero ulteriori studi stratigrafici e ricerche paleontologiche; si arricchirono così le raccolte di fossili e si poterono stabilire esattamente vari orizzonti e capisaldi per la non facile geologia dell’ Appennino abruzzese. Descrizione dei terreni. - Cenni generali. — L’ossatura montuosa della regione studiata è in gran parte costituita di terreni mesozoici, rappresentati da dolomie e calcari di varia struttura, appartenenti in parte al periodo basico o giurese e in parte al cretaceo. — 2D8 — Una zona piuttosto limitata è costituita da terreni terziari, rife- ■ ribili in gran parte al periodo eocenico ed in minima proporzione a I quello miocenico, rappresentati, il primo da calcari più o meno com- I patti, talvolta cristallini, con nummuliti o senza, e il secondo da cal- I cari più o meno marnosi e da argille gessose. I Troviamo poi qua e là, specialmente lungo le falde delle montagne I e nei fianchi delle valli, alcuni estesi e potenti depositi di terreno I quaternario antico e recente costituito da conglomerati più o meno I cementati e da masse detritiche sciolte. 1 Lias inferiore. — Il deposito più antico o, per meglio dire, il ter- 1 reno basale della regione in esame è costituito da una roccia dolomitica | generalmente bianca, leggermente bituminosa, ora compatta, ora fria- I bile, talvolta sabbiosa. Questa roccia la troviamo: nella Regione La Difesa presso Anversa ; lungo la sponda destra del Vallone Prolfa e nella contigua valle del Sangro presso Villetta, nelle più basse pendici occidentali del Monte Marsicano e in quelle meridionali del vicino Monte Palombo presso Pescasseroli. Nella parte inferiore e nella media di queste dolomie, alle quali si associano anche dei calcari cristallini, non abbiamo trovato fossili; ma in quella superiore, io e il dott. Di Stefano trovammo nel calcare cristallino grigio o bianco associato alle dolomie dei nidi fossiliferi con piccoli ammoniti e rari gasteropodi. Questo calcare è litologica- : mente identico a quello del Lias inferiore della Sicilia occidentale j' e vi corrisponde anche paleontologicamente. : L’affioramento dolomitico della Regione La Difesa ha una limi- j tata estensione; nondimeno è importante perchè il solo che offra dei ; fossili nella sua porzione superiore. Esso comincia a comparire nelle li falde occidentali della Serra di Colle Rufigno, precisamente nella \ Regione dei Prati e quindi, aumentando di potenza, giunge a for- j mare gran parte dell’erta costa detta La Difesa, sul fianco che discende i al Sagittario. Gli strati pendono di 10^ a lo*’ verso E.S.E. Lo spessore ■ di questa formazione non è superiore a 300 metri. Su questo insieme si appoggia in concordanza una potente pila — 259 — di strati calcarei con RJiynchonella. Proprio al contatto con questi strati, nelle zone di calcare cristallino, per lo più bianco, abbiamo raccolto fossili, che però in gran parte o sono indeterminabili, o ap- partengono a specie non ancora descritte. Il dott. Di Stefano tuttavia vi ha potuto riconoscere le seguenti specie del Lias inferiore : Paleoniso piipoides Genim. Phìjlloceras njlindriciim Sow. sp. Lijtoceras articulatiun Sow. sp. Cosi la parte superiore di quel complesso calcareo dolomitico va collocata nel Lias inferiore. La parte inferiore è intimamente collegata alla superiore e sembra non potersi staccare da essa ; tuttavia dob- biamo riconoscere che non è esclusa per ora la possibilità che appar- tenga al Trias superiore. L’altro affioramento, quello cioè della sponda destra del Val- lone Prolfo e che -si protende nella sottostante valle del Sangro sotto Villetta, è molto notevole per la sua estensione e potenza, giacche abbraccia un buon tratto delle due sponde di detto fiume e s’innalza sulla sponda sinistra fino quasi alla cima del Monte Mattone e su quella destra fin sotto l’abitato di Civitella Alfedena: ma ad onta della sua notevole potenza ed estensione, non mi è riuscito di tro- varvi resti organici di nessun genere e tanto meno traccio della pic- cola ammonite trovata nella roccia dolomitica della P." La Difesa. Le due roccie però hanno non solo i medesimi caratteri litologici, ma altresì occupano la medesima posizione nella serie, giacche anche quella della valle del Sangro è sormontata da calcari a brachiopodi simili a quelli dei calcari che sovrastano immediatamente la roccia dolomitica della P.® La Difesa. Cosi sembra potersi ammettere che la parte superiore di questa massa dolomitica sia contemporanea alla precedente, appartenga cioè anch’essa al Lias inferiore. Nella mia nota inserita in questo Bollettino nel 1897 \ parlando ^ M. Cassetti, Sul rilevamento geologico di alcune parti deW Appennino, ese- guito nel 1806 (BoU. Com. Geol., Yol. XXYIII, n. 4). Roma, 1897. — 260 — . del deposito dolomitico della valle del Sangro, emisi l’ipotesi che ■ si trattasse con molta probabilità di terreno b.asico, e, stante la I mancanza del sussidio paleontologico, senza precisarne il piano, I conglobava detto deposito con quello .dei calcari a brachiopodi so- I prastanti. I Ora però in vista dell’analogia di detta roccia dolomitica con I quella dellà E,.® La Difesa, la mia ipotesi viene modificata solo nel I senso ohe almeno la parte superiore di questa dolomia deve ritenersi I del Lias inferiore. | Siffatto sincronismo porta per conseguenza che anche parte della I potente ed estesa massa dolomitica della valle di Fondillo e della | successiva valle di Canneto, nel gruppo della Meta, per la quale nelle | mie Eelazioni del 1896 (v. sopra) e 1897 inserite nel medesimo Bol- lettino, io aveva solo dubbiamente ammesso che potesse trattarsi di terreno liasico, ora bisogna tenerlo in modo assoluto, trovandosi essa strettamente collegata e ip. continuazione con quella del Sangro, come- dimostrai nelle Eelazioni stesse. Solo è da notare che superiormente alla dolomia delle due valli anzidetto, invece di trovarvi i calcari a brachiopodi, come alla E1 La Difesa e nella valle del Sangro, vediamo senz’altro comparire i calcari cretacei sormontati da calcari eocenici ed in alcuni punti, come al Monte Capraro, e al Monte Sterpi d’Alto, dalle dolomie si ■ passa direttamente ai calcari eocenici con nummuliti. 1 Questo fatto potrebbe spiegarsi, a mio modo di vedere, in due i modi, o ammettendo che nelle due valli di Canneto e di Fondillo la I dolomitizzazione si sia estesa da una parte ai soli calcari a brachio- - podi e dall’altra anche ai superiori calcarei cretacei, o ritenendo che | in questa regione non abbia avuto luogo la deposizione dei primi e degli altri insieme. |! Per la dolomia di dette valli poi, non rimane ancora esclusa, ^ M. Cassetti. Rilevamento geologico neW Ahriizso Aquilano e in Terra di :i Lavoro, eseguito nel 1897 (Boll. Coni. GreoL, Voi. XXIX, n. 2), Boma, 1898. 1 . — 261 - come abbiamo detto, la supposizione, che la zona più bassa di essa, possa eventualmente appartenere al Trias superiore. Intanto se ci facciamo ad esaminare attentamente la posizione stratigrafica dei due affioramenti dolomitici sopra descritti, quello cioè della valle del Sangro e Taltro della Regione La Difesa nella valle del Sagittario, e proseguiamo le nostre osservazioni sulla disposizione dei diversi depositi calcarei che affiorano nella regiona interposta tra i detti due affioramenti, non possiamo fare a meno di rilevare in modo evidente la presenza di una delle più importanti linee di frat- tura esistenti nella regione abruzzese di cui ci occupiamo, importante sia per la sua estensione, sia per i suoi effetti stratigrafìci. Tale frattura ha una direzione presso a poco da N.N.O a S.S.E seguendo all’incirca una linea retta, la quale con una estremità tocca il Sagittario e con l’altra il Sangro, o più precisamente essa partendo dalla Regione La Difesa presso Anversa, passa lungo il versante oc- cidentale della catena formata dalla Serra di Colle Rufìgno, dal Monte Genzana e dalla Serra della Sparviera, attraversa quindi lo spartiacque tra il Sagittario e il Sangro nella sella interposta tra la Serra Pan- taniello e la Serra Pizzella e proseguendo lungo l’alveo del Vallone Prolfo, che scorre tra la Serra Rocca Ohiarano e la Montagna di Godi, finisce al Sangro presso Villetta. Ora, partendo dal Sagittario, noi osserviamo che nella Regione La Difesa gli strati della roccia dolomitica insieme a quelli calcarei soprastanti della Serra di Colle Rufigno, sono rialzati dal lato occiden- tale, pendono cioè ad oriente, mentre i più recenti depositi terziari di Anversa e di Castro valve vanno a urtare contro le testate di quelli con la medesima pendenza, in modo da far sembrare questi due de- positi, così diversi di età, come contemporanei. Proseguendo poi verso Villalago troviamo che al Monte della Ro- vere la pendenza dei calcari terziari volge a S.O, vale a dire in senso assolutamente opposto a quella dei calcari liasici. Nelle successive falde occidentali della catena formata dal Monte Genzana e dalla Serra Fonte Gelardi i depositi terziari, che costituiscono Fig. 1=^ — Sesione fra il fiume Saiigro (Pcscnsseroli) e Monte Gensana (Scanno). Sangro M. Palombo V. “^Torra La Terratta R.' Le Vallette Lago di Scanno M. Genzana 1906 degna 2208 2176 - 262 — I 'S ® y o o K w O log 2 g .S o Cd-: S O C3 K „ o ‘rgf o o s 111 S 5 ili 15 ?^.S . g'^ o g Sh| ^ dì ^ So -- 13 e ri 3 J; lÌo“ § sa g-J-o C'^ e “gli o I 3 1 ® flC3 O O o -- ® o ffl t; § G l’alta sponda destra della valle di Scanno, si appoggiano sui calcari liasici con evidente discordanza di stratificazione; infatti mentre questi sono quasi pianeggianti o meglio presentano una leggiera in- curvatura verso la cresta della catena per poi inclinare a N.E, gli strati eocenici pendono più o meno fortemente a S.O, cioè in senso assolutamente opposto, come vedesi nella Fig. l'* qui contro. Prima di passare oltre, parmi qui opportuno accennare ad un fenomeno di qualche importanza, dipendente dal fatto della linea di frattura in esame ; e cioè la pre- senza di una considerevole frana ad est e sopra Yillalago e precisa- mente nel punto in cui troviamo la piccola borgata denominata Frat- tura \ frazione del comune di Scanno, fenomeno che senza dub- bio ha determinato la formazione dell’attuale lago di Scanno (ve- dasi in proposito: Carta idrogra- fica P Italia., Aterno-Pescara 1900). a t, mh s 2 c5 -g > S in 'r o ci 'L - . •ti 15 g 75 C -e 5 tco ^ Molto probabilmente questo nome fu dato al paese perchè fabbricato siiUa frana in AÙcinanza del distacco di essa dalla roccia in posto. 263 — w La linea di frattura in quistione passa poco a monte di detta borgata ed ivi gli strati dei calcari eocenici sono molto raddrizzati in modo da superare i 46^ di pendenza, appoggiandosi sulle testate dei sottostanti calcari liasici. Ora presso a poco lungo il contatto delfEocene col Lias, in una epoca non certo molto remota, probabilmente per effetto della circo- lazione sotterranea delle acque o per litoclasi preesistenti, i banchi dei calcari eocenici si ruppero e si sfasciarono in modo da produrre il franamento di una considerevole massa detritica ; e questa favorita nel suo scorrimento dalla forte pendenza della falda montuosa e dei materiali del deposito argilloso che vi sta sotto, si propagò fino alla sottostante valle, formandovi una diga d’interramento tale da intercet- tare il corso delle acque provenienti dalle grosse sorgenti del sopra- stante vallone dei Prati e rinchiuderle in modo da formare un lago; le acque tornano poi ad uscire sotto forma di nuove sorgenti, al con» tatto della potente diga detritica colle sottostanti argille, e si river- sano nel successivo vallone della Foce contribuendo così alla origine del fiume Sagittario. Ritornando all’esame stratigrafico dei vari depositi attraversati dalla grande linea di frattura di cui ci occupiamo, fermiamoci al cosi detto vallone delle Masserie e precisamente nel punto in cui questo profondo vallone s’incurva per dirigersi al ponte della Scaletta per unirsi al vallone dei Prati che passando sotto Scanno sbocca nel lago. Quivi osserviamo che la linea di frattura cambia leggermente direzione e si volge un po’ più verso sud ; nello stesso tempo in I luogo di vedere sollevati gli strati liasici dal lato occidentale della ; linea in modo da pendere ad est, come abbiamo visto dal Sagittario j fin qui, si osserva che essi sono sollevati dal lato opposto, pendono ! cioè ad ovest. Questa pendenza si mantiene costante fino alla valle del j Sangro, vale a dire per tutta la catena formata dalla Montagna di i Preccia, Serra Pizzella, Monte e Montagna di Godi, La Montagnola e , Monte Mattone, la quale in principio segna lo spartiacque tra il Sa- , gittario ed il Sangro. 3 264 — Nel versante orientale di detta Montagna di Freccia, per un buon ! r tratto, gli strati dei calcari basici e quelli dei calcari eocenici sopra- | ; stanti sono talmente rialzati da sorpassare i 45’^ di pendenza, mo- * strando per una considerevole potenza le loro testate. ! E cosi nella parte bassa vedonsi affiorare i calcari a Megalodus e a Terehratula Renieri Cat. del Lias, e a questi succedere senz’altro i calcari eocenici. Questi ultimi cessano nella Serra Pizzella, mentre i primi pro- seguono acquistando maggiore estensione e potenza tanto da costituire completamente i contigui Monte e Montagna di Godi. | Finalmente nella successiva Montagnola e nel Monte Mattone sopra Villetta, i calcari basici sono nuovamente ricoperti da queUi eoce- nici, i quali formano gli strati più alti scendendo per tutto il versante occidentale di detti monti fino al così detto Casone presso il Sangro. I medesimi calcari eocenici occupano pure il versante occidentale della Serra Pantaniello e della contigua Serra Rocca Ohiarano, for- manti una elevata catena che fronteggia queUa predetta, da cui è se- parata dal Vallone Prolfo, con la stratificazione pendente verso po- nente, di guisa che vanno a battere contro i calcari basici e le sotto- stanti dolomie del versante opposto, come venne da me indicato nella ' citata Relazione del 1896. II terzo affioramento calcareo- dolomitico sottostante |ai calcari basici, occupa la base del versante occidentale del Monte Marsicano e della successiva Serra Cappella, nonché quella del versante meri- dionale del contiguo Monte Palombo. An ch’osso tanto per l’aspetto che per la sua posizione è perfet- i tamente analogo a quello della R.® La Difesa, ma non vi trovai traccio di fossili; credo tuttavia sia il caso di ritenerlo apparte- nente del pari al Lias inferiore. ; Tale affioramento è diretto presso a poco da N.O a S.E con pen- denza a N.E di 20° a 25° circa. Esso comincia a mostrarsi alla R.° Balzi a levante di Opi e prosegue, aumentando di potenza, sotto i boschi .Vantra e Scapito sulla sponda sinistra del vallone di Fila- — 265 toppa, oltrepassa il torrente detto La Oanala, s’inoltra nella R.® Gli Spiriti e quindi, rastremandosi di nuovo, giunge fino alla R.® Fosse di S. Paolo nella sponda sinistra del Sangro, dove sparisce sotto il deposito eocenico, che riempie buona parte della valle di questo fiume. Lias superiore. — Come ho accennato più sopra il deposito dolo- mitico della Regione La Difesa è sormontato da una potente pila di strati calcarei costituita da un’alternanza di calcari compatti, mar- nosi, biancastri con ammoniti e di calcari compatti melati o rossastri con brachiopodi, i quali stanno immediatamente a contatto col sot- tostante deposito calcareo-dolomitico già descritto. Si tratta di un affioramento di notevole estensione e potenza, nel quale, solo di quando in quando, si notano delle leggere varia- zioni nei caratteri litologici. Esso comprende gran parte del versante orientale della catena montuosa che s’innalza sulla sponda destra della valle di Scanno, o più precisamente dalla Serra di Colle Rufigno passa alla contigua Serra Fonte Gelardi, salendo fin quasi alla cima dell’interposto Monte Gen- zana e si estende dal lato opposto sino alle pendici dei monti che • sovrastano gli abitati di Bugnara, Introdacqua e Pettorano sul Gizio. In tutto questo bacino la stratigrafia si presenta assai regolare, dappoiché la direzione si mantiene costante, cioè da N.O a S.E e Tin- clinazione, benché subisca delle variazioni ora in un luogo ora nell’altro, per effetto di leggere ondulazioni, è sempre predominante verso oriente. In questa formazione raccolsi fossili prima da solo e poi col dott. Di Stefano, che ne ha fatto anche le determinazioni. Nei calcari è molto abbondante la Rhyncìionella Cleslana Leps., specie del Dogger inferiore e del Lias superiore. Però nel nostro caso l’appartenenza di questi strati al Dogger si può escludere, perchè nelle marne alter- nanti con i calcari vi sono, come al Monte Bulgheria in provincia di Salerno \ dei cefalopodi di carattere basico. Vi si presentano alcune ^ G. Di Stefano, Osservasìoni sulla geologia del M. Bulgheria in provincia di Salerno (Boll, della Soc. geol. ital., Voi. XIII, 1894). Koma, 1895. - 266 — forme del gruppo del Polyplectus discoides Ziet. sp. e altre molto affini I 2blV Hildoceras {Lillia) comense v. Buch sp. A queste forme ne sono j associate altre del gruppo deìV Hildoceras algovianum Opp. sp. Si i tratta qui dunque di strati della parte inferiore del Lias superiore o |i di quella superiore del medio. Questa precisa limitazione di livello l| resta per ora aperta e su di essa ritornerà il dott. Di Stefano; però, |j tenuto conto che gli strati simili del Monte Bulgheria (Salerno) < appartengono al Lias superiore, manteniamo provvisoriamente questa ij formazione nel Lias superiore fino a quando altre osservazioni non ne \\ abbiano dimostrato l’appartenenza alla parte superiore del Lias medio, j Un’altra località dove si trovano abbondanti esemplari di Rhyn- chonella Clesiana e qualche esemplare di Harpoceras è il Colle Guar- j di ola, sulla ripa destra del vallone di Santa Margherita a Pettorano sul ' j Gizio. Ivi gli strati con ^Rhynchonella stanno pure sulle dolomie con calcari. 'j Nel 1898 ^ riferii detti calcari con le marne al Lias, per la pre- senza di un Harpoceras del gruppo dald! Harpoceras radians Bein. sp., J ma le dolomie le collocai con dubbio nel Betico. Dopo le escursioni i fattevi col dott. Di Stefano avendo visto che la parte superiore delle j j dolomie della B.*’ La Difesa appartiene al Lias inferiore, ritengo che i la stessa età debba avere anche la parte superiore delle dolomie del H vallone di Santa Margherita, le quali sostengono immediatamente, come i quelle, gli strati a Rhynchonella. ■ Oolite. — Sulla parte più alta del Monte Marsicano e nella com j tigna catena della Terratta si osservano dei calcari bianchi cristallini, ; i talvolta compatti, sovrapposti in concordanza ai calcari liasici. In ! tali strati si trovano abbondanti esemplari di piccoli brachiopodi, i appartenenti però a poche specie. Vi raccolsi dei fossili da solo e poi insieme col dott. Di Stefano, il quale vi ha riconosciuto la Rhyncho- nella sacharoideo De Greg. var., da lui determinata col paragone i ^ M. Cassetti, Eilevameiito geologico nell’ Abnisso Aquilano e in Terra di Lavoro^ eseguito nel 1897 (Boll. Coni. Geol, Yol. XXIX, ii. 2). Roiua, 1898. — 267 — degli esemplari originali del De Gregorio, e varie altre piccole spe- cie affini a Rhynchonellae o a Tere- hratulae del Dogger, sopratutto a quelle di Ghelpa e di Camporovere nel Vicentino. E-iteniamo dunque che quei calcari rappresentino il Dogger e con molta probabilità Torizzonte con Posidonomya alpina auct. Vedasi in proposito la Fig. 2^ qui contro. I calcari a piccoli brachiopodi affiorano altresì sulla vetta di Monte Palombo e di là giungono al vicino Monte Pietra Gentile. Al Monte Palombo però la roccia è assai povera di fossili e solo mi è riuscito di trovarvi un esemplare di Terehratula. Stando poi ai caratteri stra- tigrafici e litologici, sembra che i calcari di detto piano esistano pure al Monte Genzana, dove sareb- bero interposti tra i calcari del Lias e quelli cretacei, i quali rag- giungono la cima di detto monte ; nelle località precedenti invece gli strati giurassici occupano la parte più elevata delle montagne, mentre il superiore piano cretaceo ne ab- braccia solo le pendici orientali, appoggiandosi in concordanza a quello giurassico. — 268 - Neocomiano. — L’escursione fatta quest’anno in compagnia del dott. Di Stefano nell’Abruzzo aquilano, ha confermata l’idea della esistenza del Neocomiano nei monti adiacenti al Piano delle Cinque- miglia, come io avevo supposto fin dalla prima volta che trovai i | calcari a Rliynchonellae che ivi affiorano e dei quali feci cenno nelle ! mie Relazioni del 1897 e 1898. i Il dott. Di Stefano riconobbe in tali calcari a grosse Rhyncìio- nellae costate la più grande analogia con quelli neocomiani a Rhyn- chonella peregrina e altre specie del Monte Gargano, già indicati da vari autori. Finora non si è raccolta in Abruzzo la Rhyncìionella pe- \ regrina; ma il Di Stefano ha trovato nei calcari della valle della Serra di Monte Paradiso, presso il piano suddetto, le stesse specie in- ' descritte che al Gargano accompagnano quella Rhyncìionella. I calcari a grosse Rhynchonellae stanno immediatamente sotto quelli cretacei con Itieria Scillae Gemm. Si è poi riconosciuto che nella detta regione abruzzese i calcari neocomiani non sono solo limitati alla valle della Serra di Monte Paradiso, come dapprincipio io avevo supposto, ma si estendono al- tresì verso la contigua valle di Chiarano. Siffatto terreno pare affiori altresì nella parte più alta della Serra della Sparviera, che s’innalza ad est e sopra Scanno, dove i calcari presentano ad un dipresso il medesimo aspetto litologico e dove ho raccolto alcuni avanzi del citato brachiopode molto somiglianti a quelli delle località precedenti, non che nella Serra Fonte Gelardi o più precisamente nella parte meridionale della catena montuosa che fa capo al Monte Genzana sulla sponda destra della valle di Scanno. Urgoniano. — I calcari ad Itieria Scillae e ad Ellipsactiniae ana- loghi a quelli della Costa Calda e del Monte Fratello presso il Piano delle Cinquemiglia, li troviamo notevolmente sviluppati lungo le pen- dici orientali della catena formata dalla Serra della Terratta e dalla Serra del Campitello a S.O di Scanno e del successivo 'Monte Mar- sicano, scendendo verso il Sangro. Essi occupano il Monte Forcone, il Monte della Corte, il Monte w- 269 — del Campitello, la Serra Crapa Morta^ la Serra Ganzano, la Serra del Monte e la Serra del Carapale, e si estendono nella successiva Mon- tagna Grande proseguendo nelle profonde ed erte pendici delle due sponde del vallone La Foce che sotto Anversa sbocca nella valle del fiume Sagittario. Nei calcari in esame, oltre alle Ellipsactiniae e alle Itieriae^ si rin- vengono esemplari di grandi gasteropodi (forse altre spècie di Ne- rinee); essi però sono generalmente in pessimo stato di conservazione e, tentandone l’isolamento, si staccano in frantumi in modo da non permettere nemmeno la loro determinazione generica. I fossili raccolti e determinati dal dott. Di Stefano sono in gran parte identici a quelli che io ho citati nella mia Relazione del 1897, Detti calcari sono quasi tutti bianchi semicristallini, ora molto tenaci, ora abbastanza teneri, e spesso disseminati di grossi e pic- coli crinoidi e di coralli. La loro stratificazione è perfettamente concordante con quella dei sottostanti calcari a piccoli brachiopodi precedentemente descritti (ri- tenuti del Dogger) e per conseguenza anche ^ con quella dei calcari basici, che formano il terreno basale di qrfei monti. Sono cioè diretti presso a poco da N.O a S.E e pendono a N.E di 20^ o 30'’ circa, vale a dire verso il vallone dei Prati e il successivo lago di Scanno. Anche la parte culminante del Monte Genzana e della succes- siva Serra di Colle Rufigno è costituita da calcare cretaceo e proba- bilmente urgoniano. Terziario. — Nei monti in esame il terreno terziario è rappre- sentato da calcari, da marne calcaree e da marne argillose, che si estendono dal Sagittario presso Anversa alla vallata di Scanno fino a raggiungere la Montagna di Godi e dalla sponda sinistra del val- lone delle Masserie fino al Sangro, abbracciando due zone di terreno l’una quasi successiva all’altra e nella medesima direzione, che formano I neH’insieme una striscia lunga parecchi chilometri ma assai limitata I nella sua larghezza. La prima zona formata dalle roccie suddette occupa ]a parte I a valle della Regione La Difesa fino ad Anversa e Castrovalve, pro- segue nella R.® Macchia Giumenta, Monte della Rovere e, oltrepas- sando il villaggio di Frattura, passa a formare una potente massa nelle due alte sponde della valle di Scanno e specialmente nella | destra, in quella cioè che comprende il lago e il vallone dei Prati che ! vi sbocca, o più precisamente abbraccia la R.® Piana Malvacione, E.® I J Griardini, il piccolo colle di S. Egidio e la Montagna di Preccia. j La seconda zona occupa la sponda orientale del vallone delle Mas- j serie raggiungendo la Serra Pantaniello, da dove sale alla Serra Rocca '] Chiarano sulla sponda sinistra del Vallone Prolfo che discende al Sangro^ jj I calcari sono generalmente più o meno compatti, talvolta cri- i stallini, a struttura ora uniforme, ora brecciata con crinoidi, e conten- ' I . . . gono sovente piccole nummuliti e frammenti di rudiste. 1 Le marne calcaree e le marne argillose con gessi sono anch’esse j più o meno compatte e talvolta assolutamente sciolte ; vi abbondano | i fossili, specialmente lamellibranchi, però in generale mal conservati. ' ; Vi sono frequenti soprattutto i Pecterij le Lucinae e le Arcopagiae allo ( stato di modelli deformati. • ' Lo suindicate roccie costituiscono un deposito continuo, e non ij solo i rispettivi strati sono sovrapposti e perfettamente concordanti i fra di loro, ma tra i calcari compatti che formano gli strati inferiori J e le marne argillose che formano quelli più alti vi è un passaggio graduale, ciò che può evidentemente osservarsi al ponte della Scaletta presso Scanno e precisamente nel punto in cui il vallone delle Mas- serie immette in quello dei Prati, dove il primo di detti valloni : presenta alte e ripide sponde, che tagliano i banchi calcarei nel senso trasversale; e siccome la pendenza di questi è piuttosto forte, si può facilmente osservare il graduale passaggio di struttura tra l’uno e l’altro banco successivo. Le marne con i calcari, pel loro intimo legame con i sottostanti calcari nummulitici, potrebbero parere anch’esse eoceniche ; ma questo dubbio rimane eliminato dopo le escursioni che vi ho fatte col dott. Di Stefano. — 271 — Dei fossili che abbiamo raccolti a Castrovalve e a Scanno la mas- sima parte sono allo stato di modelli e deformati ; parecchi apparten- gono a tipi nuovi di Lucina^ Arcopagia^ Arca^ eco.; quelli determina- bili non lasciano dubbio che si tratta di una facies del Miocene medio. Le specie determinate dal dott. Di Stefano sono le seguenti : Osh'ea cochlear Poli, var. Pecten cristatns Borri Pecten denndatns Heuss Pecten Koìieni Puchs Pecten cfr. Haveri Micht. Lucina spinifera Mtg. sp. Dentaliiim cfr. interruptus Schr. Ficula condita Brongn. sp. Eiidolinm cfr. stephaniopìioriim Font. sp. Flabellnm avicula Micht. sp. Quaternario. — Questa formazione, nella regione di cui trattasi, abbraccia dei depositi abbastanza estesi e, in alcuni punti, assai po- tenti, che fiancheggiano la valle del Sangro e quella di Scanno. E rappresentata da un conglomerato, ora quasi sciolto ora più o meno cementato, ad elementi di varia grossezza di natura calcarea e di provenienza tanto basica che cretacea ed eocenica, non che da detriti di falda e da terreno alluvionale. I depositi più importanti sia per estensione che per potenza e che sono formati da conglomerati, b troviamo nella valle del Sangro, quelb dei cosi detti Colli Alti e Colli Bassi e dei Colli Nascosi, i primi due a sinistra e il terzo a destra del fiume presso Pescasse- roli; essi si appoggiano quasi completamente sugli scisti argillosi eocenici di quella regione, e sono generalmente sciolti o poco cemen- tati ; e neba valle di Scanno quello che occupa le basse pendici della Serra del Monte e deb a Serra del Carapale, dove il conglomerato è in vari punti notevolmente cementato, e quindi compatto in modo da prestarsi al taglio e aUa pubtura, e viene impiegato come pietra da costruzione. — 272 — Quest’ultimo deposito è assai potente ed esteso e si appoggia da un lato, cioè a monte, sui calcari secondari e a valle su quelli terziari. Nei tre suindicati depositi di conglomerato ed in altri molto meno limitati, che s’incontrano ai due fianchi delle suddette valli, la stra- tificazione è assai marcata ; la loro origine probabilmente si deve ad antichi bacini lacustri nelle parti più elevate delle valli. I depositi detritici, formanti masse più o meno potenti ed estese, occupano generalmente le più basse falde degli alti monti che fian- cheggiano le valli, come quelle del Monte Genzana, del Monte Mar- sicano, ecc. Finalmente nella regione in esame non mancano i depositi al- luvionali recenti, generalmente molto limitati, ohe occupano le parti più basse e pianeggianti delle valli. Dalla valle del Sangro (Abruzzo aquilano) a quella del Melfa (Prov. di Caserta). — Nella mia Relazione sulla campagna geologica del 1898 parlai dei monti di Settefrati, San Donato e Alvito, che si estendono ad ovest del gruppo della Meta \ limitatamente però al versante meridionale di essi, quello cioè che scende alla valle del fiume Melfa. Durante il 1899 spinsi le mie escursioni al di là del cri- nale di detti monti, fino a raggiungere da una parte la valle del Sangro tra Pescasseroli e Opi, oltrepassando cioè la così detta Forca d’ Acero, che segna lo spartiacque tra le valli suddette e il confine j tra le due provinole di Caserta e Aquila, e dall’altra i monti di Gioia il Vecchio, al di sopra cioè delle sorgenti del Sangro, fino ad affacciarmi || a quelli che prospettano da sud la conca del Fucino. ! La citata regione montuosa è separata dal lato orientale dal il gruppo della Meta, per mezzo della valle di Canneto, dove ha ori- gine il Melfa, e della opposta valle di Fondillo, tributaria del Sangro. ! ^ M. Cassetti, Osservazioni geologiche su alcuni monti fra le valli del Volturno , ' e del Liri, eseguite nel 1898 (Boll. Com. Geo!., Yol. XXX, n. 3). Roma, 1899. ■ I Meno pochi e limitati depositi quaternari che occupano le falde più basse dei monti, la regione in esame è tutta costituita da terreni terziari e secondari. Partendo dai terreni più antichi, noi troviamo che nella valle Forca d’ Acero, sopra ^San Donato, affiora una roccia dolomitica, la quale oltre a presentare i medesimi caratteri litologici della prossima dolomia della valle di Canneto, si trova nelle identiche condizioni stratigrafìche, vale a dire occupa il fondo della valle ed è sormontata dagh stessi calcari cretacei che si appoggiano sulla dolomia di Can- neto e nello stesso modo passa a questi in modo graduale. Farmi quindi giustificato il potere asserire che le due citate roccie dolomitiche siano da ritenersi come appartenenti al medesimo depo- sito, siano cioè collegate fra loro in modo che la dolomia di Canneto torni ad affacciarsi nella valle Forca d’ Acero. In conseguenza di ciò, per le stesse ragioni per le quali abbiamo ammesso come basica la zona di dolomia della valle di Canneto in contatto col Cretaceo, dobbiamo ritenere ad essa equivalente la cor- rispondente dolomia della valle Forca d’ Acero. Salendo le due sponde della citata valle Porca d’ Acero si os- serva, come ho detto, che dalla detta roccia dolomitica si passa ai calcari cretacei, i quali s’innalzano: quelli della sponda sinistra, fino alla cima della Serra delle Gravare che sovrasta la valle di Fondillo, appoggiandosi alle dolomie che quivi affiorano e quelli della sponda destra proseguendo per la Costa delle Rosole, Monte Tranquillo, Monte Pietroso, Picco La Rocca, Monte Vallecelano, Monte Cerasa, Monte delle Vitelle, Monte Schiena Cavallo, Monte Marcolano, e pro- traendosi per tutta la successiva serie di montagne che segue a nord- ovest sino al piano del Facino. I suindicati monti formano un’elevata catena, il cui crinale è precisamente quello che segna lo spartiacque tra la valle del Sangro e quelle del Melfa e del Liri. I calcari di cui essa è costituita hanno vario aspetto, ma ge- neralmente sono bianchi o grigi, compatti, semicristallini; gli strati — 274 — più bassi contengono, dove più dove meno, esemplari di Toucasia^ modelli di gasteropodi e coralli; gli strati più alti invece della Toucasia racchiudono esemplari di rudiste (sferuliti e ippuriti) e di grandi e piccole Acteonellae. Oltre alla citata differenza nella fauna, si nota anche una certa varietà nel carattere litologico per modo che, mentre i calcari a Tbit- casia si presentano traVersati da numerose vene spatiche, le quali in presenza degli agenti atmosferici producono delle fessure in vario senso e quindi il frantumamento della roccia, i calcari a rudiste of- frono una struttura piuttosto uniforme. A me sembra ohe questi due fatti possano condurre alla conclu- sione che i due calcari appartengano a due distinti piani e probabil- mente i primi al piano a Toucasia, che per ora viene indicato come Urgoniano, e gli altri al Turoniano e forse anche al Senoniano. Stratigraficamente la formazione calcarea suindicata si presenta assai regolare; e, tranne leggere ondulazioni che danno luogo ad una serie di dolci anticlinali e sinclinali, la sua pendenza è generalmente rivolta verso nord-est. I monti Forcella, Valle Caprara, Ortella e Lampazzo sopra Pe- scasseroli e che formano l’alta sponda destra del Sangro, sono esclu- sivamente costituiti di calcari a Toucasia. Nel versante orientale del primo di essi, cioè del Monte Forcella, s’incontra una zona di cal- care brecciato roseo, che, si presta alla pulitura, acquistando l’aspetto di un vero marmo brecciato, e che viene estratto per uso di costru- zione. Quivi la pendenza degli strati è rivolta a S.E con un’inclina- zione di 4® a 6®. Anche il Monte Turchie, che si eleva a S.O presso Gioia Vec- chio de' Marsi, nel cui versante di sud-est, troviamo le prime sor- genti del Sangro, è semplicemente formato di calcari a Toucasia e Nerinea. Quivi la stratificazione forma una leggera anticlinale, o più pre- cisamente gli strati sono disposti a cupola, piuttosto schiacciata, la cui sommità trovasi presso a poco nella parte più elevata di detto — 275 monte : difatti è facile osservare che nel versante di esso che guarda il piano del Fucino gli strati pendono di iO® circa verso N.O, e in quello opposto, vale a dire quello che scende al Sangro, pendono in senso assolutamente contrario. I detti calcari a Toucasia si protendono per tutta la regione com- presa nei territori di Gioia e Lecce ne’ M arsi, ricoperti in pochi punti da rari e limitatissimi lembi di scisto eocenico, alcuni dei quali contengono intercalazioni di scisti lignitiferi di pochissima impor- tanza. Nella regione montuosa di cui ci occupiamo, e precisamente sul displuvio che si riversa nel Sangro, sono notevolmente sviluppati i calcari eocenici ai quali si passa gradatamente dai calcari cretacei sottostanti. In questi calcari oltre alle nummuliti, che sono piuttosto frequenti, s’incontrano numerosi avanzi di rudiste, sia in frammenti sia anche in esemplari quasi completi. Essi cominciano a comparire nella parte più alta del Monte Pa- nico e del Monte San Nicola a nord sopra S. Donato e si estendono per tutto il versante settentrionale di detti monti fino a toccare e ad oltrepassare ad Opi la sponda destra del Sangro ; e più precisamente dalle dette località si protende lungo il versante occidentale dei con- tigui Colle Consolido e Monte Dubbio e continua poscia nel Monte La Felcia, Forca d’ Acero, Eegione Controversa, Serra di Campo Ro- tondo, Coppi della Madonna e Eegione Le Forche, non che al Monte Marrone sulla sponda opposta del Sangro, su cui è fabbricato il villaggio di Opi. II carattere predominante di detti calcari è quello di una brec- ciola molto compatta ; non manca però la struttura uniforme e granu- losa. Le nummuliti sono contenute quasi in tutte le varietà suddette, dove più dove meno visibili ad occhio nudo : i frammenti di rudiste insieme alle nummuliti sono più specialmente contenuti nel calcare brecciato, ma dove si ha un bellissimo esempio dell’associazione dei citati resti organici, cosi diversi di età, è precisamente nella Eegione — 276 — Forca strada C o d o d u o G O S C H 13 d’Acero. Quivi, in. grazia dei tagli fatti per la costruzione della rotabile interprovinciale Opi-San Donato, sono stati messi X X allo scoperto alcuni bandii del detto calcare ricco di avanzi di rudiste ora in frammenti e ora quasi com- plete, specialmente ippuriti, inglo- bate nella roccia nummulitica. Lungo la detta strada, e preci- samente nel tratto che costeggia la E.® Macchia Arvana, ho raccolto un grosso esemplare di Hi^purites^ tappezzato e ripieno di numerose nummuliti, il quale conservasi nel- l’Ufficio Geologico. Il dott. Di Stefano ha trovato in questo calcare : Nummulites striata d’Orb., N. lucasana Defr., N. perfo- rata d’Orb. eoe. Come ho detto più sopra, dai calcari cretacei della valle Forca d’Acero si passa gradatamente ai sudescritti calcari eocenici, di guisa che la rispettiva 'stratificazione è perfettamente concordante; questa è assai regolare giacché pende dol- cemente verso O.N.O, epperciò ha una direzione presso a poco paral- lela al corso del Sangro nel tratto tra Pescasseroli e Villetta. In conseguenza di tale disposi- zione del deposito calcareo in esame, i rispettivi strati vedonsi rialzati dal lato E.S.E, vale a dire nella regione I fcD Ih •sE "ai w O ® a. cs ®o .2.“. > ^ — 277 — compresa tra la valle di Fondillo e la valle Forca d’ Acero, e più pre- cisamente nel versante orientale dei monti Dubbio e San Nicola e in quello meridion?de del successivo Monte Panico. Siffatta giacitura è in senso quasi opposto a quella dei calcari cretacei ed eocenici dei contigui Monte San Marcello, Colle Nero e Monte Bellaveduta, che stanno tra San Donato e Settefrati, dei quali parlai nella mia nota del 1899 \ di modo che i due depositi succes- sivi sono entrambi rialzati presso a poco lungo l’asse della catena montuosa che forma il displuvio tra il Sangro e il Melfa. Vedasi la Fig. 3^ qui contro, che dà appunto una sezione attraverso i monti che separano le due valli. Questo fatto dimostra che in origine i due depositi eocenici ne dovevano formare uno solo ininterrotto, il quale, in seguito a solleva- mento posteriore, più accentuato lungo l’asse della catena, si ruppe precisamente in questo punto, dividendosi in due ; le successive erosioni avendone asportata la parte più culminante, rimasero solo i due lembi che ora vediamo disposti in quella guisa e separati fra di loro dai terreni più antichi. Roma, luglio 1900. ^ M. Cassetti, Osservazioni geolofjiche su alcuni monti tra le valli del Vol- turno e del Liri, eseguite nel 1808 (Boll. Com. Geo!.). Roma, 1899. — 278 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE OEOLOOXO^ ITA-LT A.1V.4. PER l’a^o 1899 ‘ {Continnasione, vedi n. 2). Lazzarini a. — Alcuni fenomeni carsici nei dintorni di Socchieve. (In alto, Cronaca della Società alpina friulana, Anno X, n. 1, 2 e 3, pag. 5). — Udine, 1899. L’autore dà conto in brevi note delle osservazioni fatte su alcuni feno- meni carsici della Carnia presso Socchieve e in particolare del laghetto e della foiba di Xonta, dei karren di Yal Dumblis e del CoUe Criviell, accennando anche alla circolazione sotterranea delle acque in quest’ultimo. Alcune figure intercalate nel testo danno la conformazione e altre parti- colarità delle cavità esaminate. Lorexzi a. — Una particolarità morfologica della regione fra il Taglia- mento e il lago di CavaBSo. (In alto, Cronaca della Società alpina friulana, Anno X, n. 5, pag. 65-67). — Udine, 1899. L’autore richiama l’attenzione degli studiosi su di alcuni laghetti, la cui coesistenza con le più distinte traccie glaciali fa pensare ad una causa comune. Parla in particolare di uno di tali laghetti, scavato intieramente nella roccia in posto a 325 metri sul mare, nelle vicinanze di Cavazzo Camice, su di un dorso che separa il Tagliamento dalla valletta occupata dalla palude di Ca- vazzo. Tutto all’intorno si vedono traccie evidentissime dell’azione glaciale, nè vi mancano i blocchi di puddinga triasica caratteristici della morena di destra ‘ Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 279 — F della Talle del Tagliamento. Come per il lago di Ospedaletto, pure studiato dall’autore, tratterebbesi quindi di cavità prodotta da un locale movimento vor- ticoso del ghiacciaio causato da ostacoli che ne determinavano bruschi ripiega- menti, in modo analogo 'a quanto avviene nelle correnti fluviali: la forza così sviluppata avrebbe avuto per effetto di trapanare la roccia sottostante e pro- durre una cavità, riempitasi poi di acqua. I laghi di Ivrea, scavati entro la diorite sulla sinistra del grande ghiac- ciaio della Dora Baltea, apparterrebbero a questa categoria di bacini, che l’autore propone di chiamare laghi paravallivi. Losito C. — Escursione a nord dì Roma (dal Bollettino del Naturalista, Anno XIX, pag. 2). — Siena, 1899. Dà relazione di una breve gita al Monte della farnesina, a Tor di Quinto, ai 3Ionti Parioli, nelle vicinanze di Roma, con un cenno sui terreni pliocenici e quaternari che ivi sono rappresentati. Lotti B. — Sui giacimenti ferriferi deir Isola cVElhà. (Rassegna mine- raria, Yol. XI, n. 10, pag. 145-146). — Torino, 1899. L’autore brevemente rileva alcime opinioni dell’ing. Cortese (vedi più sopra), intorno ai giacimenti ferriferi elbani, contrarie alle sue e che a lui non paiono accettabili. Tale è per esempio quella relativa all’età della formazione del minerale, che il Cortese ritiene oolitica, perchè egli non trova all’Elba ter- reni più giovani del Lias superiore interessati dalla mineralizzazione, ed anche per analogia col deposito di Razzano (Calabria). Ora, l’autore osserva che l’età posteocenica è dimostrata invece dalla presenza di vene di ematite nei calcari di Cala Seregola, ch’egli riafferma (contro l’avviso del Cortese) eocenici; e da quelle di magnetite nei filoni granitici posteocenici presso Terranera; nonché dalla stretta analogia con i giacimenti ferro -cupriferi del Massetano (Toscana) indubbiamente posteocenici, perchè racchiusi in roccie eoceniche. Riguardo all’origine dei giacimenti, mentre il Lotti si accorda con il Cor- tese nell’escluderne, almeno in generale, la provenienza da piriti, dissente pei- quanto concerne la sostituzione per processo chimico-molecolare del carbonato di calce delle masse calcaree per parte del minerale di ferro ; la quale sosti- tuzione, negata dal Cortese, è invece affermata, con l’appoggio di prove che egli ritiene inoppugnabili, dall’autore. 4 280 Lotti B. — Un giacimento di rame nativo presso Pari in Toscana. (Ras- segna mineraria, Yol. XI, n. 12, pag. 177-178). — Torino, 1899. — Idem (in tedesco). (Zeitsciirift fiir praktische G-eologie, Jalirg. 1899, H. 10, pag. 354-356). — Berlin, 1899. Il giacimento cuprifero di Pari (provincia di G-rosseto) nella massa ofio- litica del Monte Acuto, ha un particolare interesse scientifico per la natura e il modo di presentarsi del minerale, affatto diverso da quelli degli altri numerosi giacimenti cupriferi nelle roccie ofiolitiche della Toscana, Emilia e Liguria. In esso il rame nativo, eccezionale negli altri, costituisce quasi esclu- sivamente l’elemento metallifero, ed è contenuto in forma di masserelle rotonde o discoidali e di mosche in una serie di vene felspatiche, approssimativa- mente parallele, racchiuse nell’eufotide. Il rame nativo è quasi sempre accom- pagnato da cuprite, con la quale è intimamente commisto. Le vene metallifere sono da riguardarsi come segregazioni di un’eufotide più felspatica dentro l’eufotide ordinaria : non pare però abbiano continuità inde- finita, ma appaiono piuttosto come lenti di non grandi dimensioni. L’eufotide incassante contiene qualche volta della calcosina, ma non vi fu mai trovato il ramo nativo. Lotti B. — Rilevamento geologico nei dintorni del Lago Trasimeno^ di Perugia e d’ Umhertide. Reiasione sulla campagna 1898. (Boll. R. Co- mitato GreoL, A^ol. XXX, n. 3, pag. 207-218). — Roma, 1899. È questa la consueta Relazione sommaria del lavoro di rilevamento ese- guito durante l’anno dall’autore, e che, per il 1$98, si è svolto nei dintorni del Lago Trasimeno, di Perugia e di Umbertide, nell’alto bacino del Tevere. In tale regione i terreni che hanno maggiore importanza sono quelli del- l’eocene e del secondario. Riguardo ai primi l’autore si estende in modo par- ticolare a confermare l’eocenicità, già da lui stabilita in precedenti pubblicazioni, di quella estesa formazione marnoso-arenacea, che altri considera invece come miocenica od oligocenica. Tale formazione comparisce in gran parte della re- gione studiata, al disotto dell’arenaria con nummuliti, indubbiamente eocenica, ed i rapporti stratigrafici fra le due formazioni escludono qualunque idea di rovesciamento. In essa , oltre alle impronte di fucoidi , Taoiinriis, Palaeo- dictgon, Helmintlioida ed Helminthopsis, più abituali dell’eocene, ma che tut- tavia non possono avere grande importanza, si osservano strati calcarei con — 281 Fecteii, briozoi, orbitoidi, nummuliti, ecc. Questa formazione passa gradata- mente alle roccie secondarie per mezzo della scaglia cinerea^ dimostrando così che essa non solo è più antica dell’arenaria nummulitica, ma rappresenta, almeno in questa zona di passaggio, la parte inferiore dell’eocene. A dimostrare che questa formazione marnosa-arenacea controversa, è più antica dell’arenaria con banchi nummulitici, l’autore presenta eziandio una se- zione fra Monte Murlo e Monte Acuto presso Umbertide. I terreni secondari costituiscono le masse isolate del Monte Acuto, dei Monte Tezio e del Monte Malbe con alcune loro appendici : per ciascuna di tali masse, l’autore presenta la successione dei vari piani dal Senoniano al Retico e la tettonica rispettiva. Manasse E. — Analisi chimica della Limonile di Monte Valerio. (Atti Soc. toscana di nat. ; Processi verbali, Yol. XII, Ad. 19 nov. 1899, pag. 21-22). — Pisa, 1899. L’autore dà due analisi di una limonile generalmente compatta, ma anche vacuolare o terrosa, non di rado iridescente, irregolarmente distribuita in un calcare ceroide del lias inferiore, a Monte Valerio, costituente un giacimento di considerevole estensione, in antico lavorato per cassiterite, minerale di cui la limonite costituisce la matrice, e poi a più riprese per minerale di ferro. La media delle due analisi dà un tenore in ferro del 56. 80 per cento : il fosforo e l'arsenico sono allo stato di traccio; SO* nella proporzione dell’ 1. 32 per cento. Mariani E. — Su alcune grotte deir alta Briansa. (In alto. Cronaca della Società alpina friulana. Anno X, n. 3, pag. 42-43). — Udine, 1899. Indicate le diverse grotte che s’incontrano in questa parte della Lom- bardia, siano orizzontali, siano, in maggior numero, verticali, l’autore ricorda quelle scoperte nel gruppo montuoso del Palanzone-Bolettone, la prima delle quali, esplorata nell’ottobre 1898, venne battezzata Grotta Guglielmo dal nome dello scopritore. Questa grotta è situata a 1320 metri sul mare e a circa 100 I metri sotto la vetta del Palanzone nel suo versante occidentale. Ha la sua 1 apertura sul sentiero che dalla Bocchetta di Lemna mette all’altipiano del Ti- ! vano : essa è alta 1. 10 e larga un metro ed è di forma irregolare. La grotta I ! - 282 — si presenta da principio con im piano inclinato diretto a S.E, per prendere in seguito la forma di pozzo a pareti quasi verticali: presenta però diversi ripiani, in modo da formare una serie di pozzi più o meno inclinati disposti quasi a gradinate. Allo stesso modo presentasi la grotta del Fuseli (Monte Fuselo), sotto la Bocchetta di Bemna sul versante del Monte Bolettone, e forse anche il Buco della ISTiccolina a giudicarne dal primo tratto esplorato, che riceve le acque dell’altipiano del Tivano. L’autore accenna all’importanza che avrebbe lo studio di queste grotte anche nella ricerca del percorso delle acque sotterranee a mezzo di sostanze coloranti. Mariani E. — Ricerche micropaleontologiche su alcune rocce della Creta lombarda. (Atti della Soc. ital. di Se. nat. e del Museo civico di St. nat., Yol. XXXYIII, fase. pag. 195-202, con 2 tavole). — Milano, 1899. Continuando le ricerche micropaleontologiche cominciate fino dal 1880 (vedi Bihl. 1889) sulle roccie di diversi livelli geologici della Lombardia e del Yeneto, l’autore si occupa in questa nota di quelle cretacee della conca di Biandronno, Morosolo e Erascarolo nel Yaresotto, di Brenne, Fetana e Bulcia- ghetto in Brianza e del colle di Bergamo, ricchissime di foraminiferi. Dallo esame accurato di queste roccie risulta che una parte degli strati cretacei di Biandronno spettano come quelli di Bregnano, Brenne, Fetana e Bulciaghetto al Campaniano (Senoniano superiore), anziché al cretaceo inferiore. I calcari di Morosolo come quelli di Erascarolo, riferiti al cretaceo superiore, appartengono invece alla inferiore. I calcari compatti poi del colle di Bergamo, colle arenarie ad interstrati calcari marnosi sottostanti, per il complesso della loro micro- fauna mostrano un’età alquanto più antica di quelli di Brenne e apparterreb- bero al Senoniano inferiore. L’esame delle numerose sezioni sottili dimostra che la microfauna del cretaceo inferiore è costituita prevalentemente di minute glohigerine. La microfauna del Senoniano superiore, che l’autore descrive, è costituita in prevalenza di glohigerine e quindi di nodosarie e di textnlarie. L’assenza di forme a guscio completamente arenaceo, la presenza di planorhuline e di abbondanti textulariiie dimostrano che la fauna viveva in mare non molto profondo. — 283 — I recenti studi non consentendo la divisione del cretaceo lombardo che in due piani principali, Fautore assegna al piano inferiore, le roccie del Costone di Gavardo in Yal Soriana già da lui riferite al cretaceo medio. Yelle due tavole sono rappresentate quattro sezioni sottili di calcari delle località sopra indicate. Mariani E. — Sul calcare marnoso piiddingoicle pseudo-g inrese di Bian- droniio e su una Ehynchonellina del Lias inferiore delValta Briansa. (Bendiconti del B. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXII, fase. X, pag. 726-732). — Milano, 1899. Questo calcare puddingoide che si trova fra il laghetto di Biandronno ed il lago di Yarese, alterna con delle arenarie e riposa sulla Maiolica biancastra, coperto alla sua volta da calcari giallicci e azzurrognoli. Xei ciottoli di vaile dimensioni inglobati in quel calcare è nota da tempo la presenza di fossili giuresi. Tali frammenti provengono, secondo Fautore, da calcari in posto al nord di Biandronno nella bassa Yal Clivi a, riposanti sopra calcari marnosi rossicci o grigiastri del lias superiore. Egli ritiene quindi che mentre si de- positavano nel mare del cretaceo inferiore i calcari marnosi, dei corsi d’acqua provenienti dal nord vi trasportarono i frammenti delle formazioni giuresi emerse. I fossili in essi contenuti dimostrano che le roccie da cui provengono spettano a diversi piani tra FOxfordiano ed il Titoniano. L’autore aggiunge che lo studio dei fossili finora trovati nella Maiolica autorizza a ritenere come essa sia inferiormente giiirese, mentre i suoi strati superiori rappresentano il Xeocomiano e forse in alcuni punti il Bar- remiano. Ricorda (piindi che in un precedente lavoro sulla fauna retica lombarda (vedi Bill. 189S) aveva indicato che il Sinemuriano, benché paleontologica- mente non distinguibile in zone, era rappresentato nelle prealpi lombarde, meno che dalla zona più profonda a P silonoti. Questa però potrebbe trovarsi in parte nella cosidetta dolomia a Coiichodon soprastante al piano ad Aviciila con- torta, dolomia che, per dati stratigrafici e paleontologici, non potrebbe essere staccata dalla serie giurese di cui forma la parte più profonda. Aggiunge infine che nel calcare giallastro del lias inferiore di San Bocce d’Adrara, fu trovata una Rhgnchonellina associata alla Terehratiila gregaria ca- ratteristica del Letico, e probabilmente tale calcare rappresenta la zona più profonda del lias inferiore. — 284 — Ora la scoperta nell’alta Briaiiza presso Pusiano, in un calcare giallastro, di valve di Bhynchonellidae della stessa specie di T alle Adrara confermerebbe la presenza di questa zona nella Brianza. Essa appartiene alla specie Rlujn- chonellina Paronai Bose, e l’autore ne dà la descrizione. i j Mariani E. — Appunti geologici e paleontologici sui dintorni di Schil- ■ par io e sul gruppo della Presolana. (Bendiconti del B. Istituto lom- ! bardo, S. II, Voi. XXXII, fase. XYII, pag. 1241-55). — Mi- lano, 1899. I In alcune escursioni fatte nell’alta valle del Bezzo in Lombardia e nel h gruppo montuoso della Presolana, l’autore ba raccolto diversi fossili del trias j. che formano argomento di questa nota. : Bisalendo le vallecole al sud di Schilpario s’ incontrano tutti i terreni del- 1 r infraraibliano, fra il Buchenstein ed il Baibl, con diverse facies litologiche, che però si possono raggruppare in due principali, cioè : una calcareo-argidosa, arenacea e melmosa che si può chiamare facies di Wengeii, ed una calcareo- dolomitica predominante o facies di Esilio. La fauna dell’una e dell’altra non plesentano fra loro notevoli differenze, e molti fossili sono comuni ad en- j trambe. i I fossili descritti dall’autore, appartenenti al Muschelkalk o al piano di \ Wengen, sono i seguenti: Natica [Macrociieiliis] gregaria Schio th., Ceratites civ. lì leiinaniis Ptgchites gibbiis Ben., Pt. flexiiosns Mojs., Celti tes fortis Mojs., Orthoceras sp., Halobia Lommeli Wissm., Posidonomga gibbosa Gemm., P. zre;/- ;• gensis Wissm., Mgoconcha Bnnnieri v. Hauer, Traclujceras sp.. Celti tes epoleiisis ( Mojs. Xel versante settentrionale del gruppo della Presolana alla dolomia infra-» raibliana segue una serie di strati argillosi arenacei nerastri, sopra i quali si ' hanno calcari brecciati e frantumati, e superiormente scisti marnosi e arenacei ricoperti alla loro volta da potente zona di calcari dolomitici che formano la parte più elevata della montagna. Xel versante meridionale non si incontrano gli interstrati marnosi ed argillosi, ma solo calcari dolomitici. La tettonica di questo gruppo è piuttosto complicata; vi si manifesta una grande sinclinale obliqua pendente a sud-ovest, con molti salti e contorsioni. I fossili del versante meridionale determinati e descritti dall’autore sono solo delle ammoniti, quelli del versante settentrionale sono gasteropodi e bi- valvi. A questi egli aggiunge le diplopore trovate in varii punti e di cui dà l’elenco. . Marinelli O. — Osservazioni geologiche sopra i terreni secondari del gruppo del Monte Indica in Sicilia. (Eendiconti E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. YIII, fase. 8^^, sem., pag. 404-412). — Eoma, 1899. L’autore riferisce sui risultati di alcune escursioni geologiche eseguite nella regione fra il Dittaino e la Gornalunga, specialmente al riguardo dei ter- reni secondari che ìtì, affiorano disotto ai terziarii. Essi sono disposti in tre zone quasi parallele, delle quali la più settentrionale è formata dal M. Scalpello ; la centrale comprende il M. Judica ed il M. Turcisi; la più meridionale le alture in Ticinanza di C. Cammancure e C. Juppesi. L’ossatura di questi rilievi è costituita da calcari bianchi, talora brecciati, con liste e nodidi di selce, con impronte di Halohia corrispondenti, secondo l’autore, perfettamente a quelli tanto sviluppati nella Sicilia occidentale. Questi tralcari selciferi sarebbero talora sostituiti da marne argillose con calcite fibrosa, pure con impronte di Halohia ed altrove da argille arenacee con brecciole, con fossili che l’autore riconosce di fauna raibliana. Accanto alle formazioni indicate e specialmente nel versante settentrionale dei monti Judica, Scalpello e Turcisi, si presentano, in posizione stratigrafica un po’ superiore a quella dei calcari, degli scisti silicei e dei diaspri A’'aricolori che ricordano quelli di Gibilrossa e che crede impropriamente attribuiti al lias superiore. Questi scisti alternano o sono sostituiti da scisti marnosi a fucoidi, che insieme ai precedenti ritiene, per la loro posizione, coevi o di poco superiori agli strati raibliani prima considerati. L’autore è quindi del parere che questi teri-eni formino un tutto geologicamente unico spettante al Eaibliano. Accenna quindi ad alcune roccie eruttive che si presentano nella zona più meridionale, forse triasiche, e ad altre roccie in massi isolati e staccati entro le roccie terziarie simili ai klippen dei Carpazi!, e dall’esame fattone li ritiene cretacei senza indicarne la provenienza. Passati in rassegna i terreni terziarii e quaternarii estesi in quella regione, chiude con alcune osservazioni tettoniche, dalle quali trae la conclusione che in ciascuna zona esista un anticlinale più o meno completo e regolare, , come si vede da alcuni profili, senza peraltro dimostrare questa sua concezione. Marinelli O. — Spostamento della foce del Simeto. (Eivista geografica italiana. Anno YI, fase. Y, pag, 284-290). — Eoma, 1899. L’autore, avendo osservato che la posizione della foce del Simeto non j corrispondeva con quella indicata nella carta dell’Istituto geografico militare. — 286 — rilevata nel 1867, ha fatto un rilievo speditivo di quella località e ne presenta uno schizzo che indica le differenze fra i due rilevamenti. Da questo risulta che la foce del Simeto si sarebbe spostata verso sud di circa un chilometro nell’ultimo suo tratto, e che è pure avvenuta una mutazione nel carattere della foce stessa. Osserva poi che nella carta dell’Istituto idrografico della R. marina, rilevata nel 1888, la posizione della foce si accorda di più con quella rilevata dall’autore. Da informazioni assunte in luogo parebbe che lo spostamento fosse avve- > nuto in seguito a piena nel 1882, e che la foce nel 1857 fosse ancora più a nord ; che nel 1887. j Circa la forma della foce sembra all’autore che, mentre nel 1887 sboccava ! normalmente in una regione sporgente con carattere deltizio, nel 1897 il fiumu | dopo un restringimento notevole si allargava con tendenza a formare un estuario. ; Egli crede che la forma della foce sia dovuta all’azione della marea, che nel | periodo di abbassamento esporterebbe il materiale portato dal fiume. Osserva che nell’ultimo trentennio le modificazioni avvenute interessano quasi esclusi- vamente la foce del Simeto e poco o punto le spiaggie circostanti. Da scarsità j dei depositi alla foce dipende da quella delle materie sospese che il fiume trasporta, mentre è rilevante la quantità delle sostanze chimicamente disciolte, come risulta dai dati raccolti dal prof. Silvestri in una serie di ricerche sulla composizione chimica delle acque del Simeto, che l’autore riporta. i j Martelli O. — Fenomeni analoghi a quelli carsici nei gessi di Sicilia. ■ (dagli Atti del III Congresso geografico italiano , aprile 1898, i Yól. II, pag. 134-147, con 2 tavole). — Firenze, 1899. Premesse alcune indicazioni sulla struttura geologica e sulle condizioni I topografiche della zona gessoso-solfifera di Sicilia, l’autore descrhm i fenomeni di erosione ivi osservati, limitandosi però ai dintorni di Sant’Angelo Muxaro ; e di Santa Elisabetta (Tav. di Aragona), i cui rilievi più notevoli sono costituiti da gessi su base di argille tortoniane. In questa regione si presentano grotte,, fessure, voragini che si aprono al fondo di cavità imbutiformi, le quali assorbono l’acqua e sono detti 3ubhi. Queste diverse cavità che l’autore passa in rassegna sono dovute all’azione simultanea dell’erosione superficiale e sotterranea analo- gamente alle cavità carsiche. Qualunque ne sia la forma esse finiscono sempre in grotte. Talora però vengono ostruite ed allora le cavità terminano in un piano alluvionale. Sono le grotte che franando danno origine alle cavità. Questi fenomeni hanno molta somiglianza con fenomeni carsici, essendo — 287 — ' m- come quelli l’effetto dell’erosione chimica e meccanica delle acque. hTe differi- scono però: per la mancanza o scarsità di doline a forma regolare, per l’origine predominante quasi generalmente di erosione interna, per la presenza nel fondo di una grotta abbastanza ampia, per la loro posizione costante al contatto fra le argille ed i gessi, per la frequenza infine di sprofondamenti che sono rari nelle regioni carsiche, e ciò in dipendenza della natura e scontinuità della roccia gessosa. L’autore passa in rassegna altre regioni ove si verificano fenomeni simili. Di tali regioni, che egli chiama anormali dal punto di vista idrografico perchè non presentano scolo superficiale alle acque, ma sotterraneo per mezzo di grotte e canali scavati nei gessi, viene dato un elenco colla relativa estensione che in complesso raggiunge non meno di kmq. 24, 94. L’autore accenna da idtimo alla presenza di avallamenti superficiali spesso occupati da laghi, in regioni ove la roccia gessosa è coperta da roccie più recenti, che probabilmente debbono la loro origine alla stessa causa; Ma di questi laghi si riserva di occuparsi in altra occasione. Martelli D. — Natura mineralogica e composizione chimica della sabbia silicea di Tripalle presso Faiiglia. (Le stazioni sperimentali agrarie italiane, Yol. XXXII, fase. 1°, pag. 127-130). — Modena, 1899. — Idem. (Studi e ricerche istituite nel Laboratorio di chimica agraria della E. Università di Pisa, fase. 15). — Pisa, 1899. — Idem. (Atti B. Acc. dei Greorgofili, S. lY, Yol. XXII, n. 1). — Firenze, 1899. L'autore riporta in questa nota il risultato dello studio mineralogico della sabbia silicea di Tripalle nelle Colline Pisane, presentato dal dott. Busatti alla Società toscana di Se. nat. nel 1889 (vedi Bihl. 1889\ e vi fa ‘seguire quello dell'a- nalisi chimica da lui eseguita fino dal 1888 su due campioni delle stesse sabbie. ASC ARI A. — Il cratere delVEtna dopo V esplosione del 19 e 25 luglio 1899. (Boll, della Soc. sismologica ital., Ypl. Y, n. 4, pag. 145-152). — Modena, 1899. Descrive l’autore l’aspetto che presentava il cono terminale dell’ Etna dopo le esplosioni indicate e nota : che nel pendìo fattosi molto ripido verso sud è caduta la maggior parte del materiale grosso lanciato; la presenza di grandi solchi prodotti sul materiale mobile dalle grosse pietre che tì sciTolavano sopra prima di rotolare sino al piano; bombe di materiale pastoso lanciate a grande distanza e altezza fino al Monte del filosofo; la cenere che ha coperto tutti i paesi alla base dell’ Etna ; molte fumarole di nuova formazione nel fianco S.O verso la base ed in maggior numero verso la sommità. Dopo una forte ^scossa del 4 agosto' si ebbe una grande colonna di fumo e pioggia di cenere. iSTota anche nelle fumarole, oltre all’odore di solfo, delle emanazioni di acido cloridrico. D’interno del cratere visitato il 6, 7, 8 e 11 agosto si riscontrò enorme- mente modificato, molto allargato al fondo e quasi cilindrico; l’orlo a ]S’.0 a jN^.E è in parte precipitato nell’ interno o portato via. D’azione demolitrice è dovuta all’esistenza nel fondo del cratere di due centri di massima attività in corrispondenza di quei punti. ISTel cratere non si osserva lava incandescente nè traccia di fuoco. Da bocca antica del fondo è coperta ed otturata da quantità di materiale caduto. Yi erano due bocche attive, una a IN’.O in corrispondenza del piccolo cratere avventizio che era addossato alla parete completamente asportata, ed un’altra a IN’.E che mandavano fumo in abbondanza. In una nota premessa dal direttore dell’Osservatorio, questi ricorda come l’autore abbia tròvato dei pezzi di lava a nord e ad est dell’Osservatorio stesso incrostati di pirite, la quale deve essersi formata nell’interno del vulcano in epoca relativamente recente; infatti lo zolfo ed il ferro in varie combinazioni non mancano nel cratere dell’Etna, e sotto l’azione del calore possono avere reagito fra di loro. Furono poi osservate delle traccie di fuoco nell’ interno del cratere stesso il 26 agosto. Matteucci e. Y. — les particiilarités de Vériìption dn Vésnre, (Comptes Eendus des séances de l’Ac. des Se., Yol. CXXIX, n. 1. pag. 65-66). — Paris, 1899. D’argomento principale di questa comunicazione, cioè il sollevamento endo- geno di una cupola lavica avvenuto al Yesuvio, fu già dall’autore trattato nei rendiconti dell’Accademia delle scienze di Xapoli (vedi BìM. 1898). D’autore aggiunge qui alcuni dati sulle aumentate dimensioni del cratere e sull’altezza della cupola che è di m. 163, con un volume di circa 125 milioni di metri cubi. Sono pure enumerati i diversi prodotti delle fumarole di questa eruzione, fra i quali abbonda il selenio, la presenza delhacido fluoridrico e degli acidi iodidrico e bromidrico, non che del bicarbonato di soda. — 289 — E MATTErcci E. Y. — Cenno sulle attnali manifestazioni del Vesuvio (fine giugno 1899). (Bendiconto Acc. delle Se. fis. e mat.; S. 3^, Tol. Y, fase. 6*^ e 7^, pag. 173-177). — Napoli, 1899. È un esame degli apparati eruttivi che manifestarono finora l’interno di- namismo della odierna fase eruttiva del Yesuvio, nel quale sono passati bre- vemente a rassegna i fenomeni più interessanti che si presentarono dal 1872 in poi, rimandando all’epoca in cui questa fase sarà giimta al suo termine la pubblicazione di un rapporto completo su di essa. MATTErcci B. Y. — Su fenomeni magmastatici verificatisi nei mesi di luglio-agosto 1899., al Vesuvio. (Bendiconti B. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. Yin, fase. 6^ sem., pag. 168-176). — Boma, 1899. Sono in questa nota esposti con maggiori dettagli i fenomeni avvenuti al Yesuvio nel luglio-agosto 1899. Eicordati i fatti osservati dal 3 luglio 1893, le bocche laterali apertesi nel fianco del gran cono e la formazione della cupola la^ùca, l’autore cerca di dare spiegazione dei fenomeni osservati e riporta una sezione schematica del cono vesuviano e della cupola, coi canali d’efflusso laterali, rappresentante le condizioni del Yesuvio nell’agosto 1899. La lava accumidatasi nella cupola superò la resistenza che la colonna ma- gmatica poteva vincere : questa si dovette quindi innalzare fino a che colla sua pressione giunse a dilatare una delle fenditure del cono e per essa la lava si iniettò, dando luogo ad un cratere di esplosione all'altitudine di 1060 metri con efflusso di lava. Allora la colonna magmatica si abbassò ed aumentò in conse- guenza subito lo sgorgo della lava presso la sommità della cupola, avendo l’au- mentata pressione nel condotto centrale allargata la fenditura laterale. ^Iatteucci B. Y. — Sulla causa verosimile che determinò la cessazione della fase effusiva cominciata il 3 luglio 1895 al Vesuvio. (Bencli- conti B. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. YIII, fase. 10®, 2® sem., pa- gine 276-281). — Boma, 1899. Prendendo in esame i fatti osservati nel Yesuvio durante la fase effusiva per la via delle fenditure laterali, l’autore ha notato i rallentamenti saltuarii nell’efflusso lavico che precedettero la cessazione di esso avvenuta il 1® settem- bre. 1899. Questi rallentamenti si mostrarono in coincidenza colla maggiore — 290 — energia nelle esplosioni al cratere ed al suo innalzamento, e l’autore cerca di stabilire la causa determinante di questi fatti. Egli osserva che la composizione della lava, la sua elevata temperatura e | la forte proporzione di gas e vapori cbe vi si sviluppano abbiano influenza sulla i fluidità della lava stessa rendendone più facile la penetrazione nei più lunghi ed angusti meati. Deve quindi accadere che se una lava già molto scorrevole venga a diminuire di fluidità con attitudine crescente a solidificarsi, pur restanda . costanti le condizioni di penetrazione, i condotti d’efflusso si restringeranno a poco a poco e finiranno per otturarsi completamente. Si deve dunque ammet- tere il principio che, mentre l’inizio degli efflussi laterali sta in rapporto colle condizioni statiche della colonna lavica e della resistenza dei fianchi del vul- cano, la loro durata e la loro cessazione dipendono invece dal succedersi delle ) differenziazioni magmatiche. Matteitcci e. Y. — 8nr Vétat actiiel cles volcans de V Europe méridionale. (Comptes Eendus des séances de PAc. des Se., Yol. CXXIX, n. 19, pag. 731-737). — Paris, 1899. L’autore rende conto delle osservazioni fatte in una visita ai vulcani del- l Italia e della Grecia dall’autunno 1898 a quello del 1899. Al Vesuvio riconobbe un’attività stromboliana nel cratere terminale con- temporaneamente a spandimento di lava da fenditure laterali, con fumarole della ’ quali enumera i prodotti. Yell’Etna, in riposo dal 1892, ebbero luogo forti esplo- sioni nel luglio 1899 con allargamento del cratere. Lo Stromboli mantenne la sua attività esplosiva normale fino al 7 marzo 1899, in cui si ebbe un aumento di attività colla fusione in uno di due dei sette crateri di cui è formato quel- Fapparecchio eruttivo. Vulcano attraversava una delle sue fasi strombolianu abituali, mentre Santorino dopo trent’anni di emanazioni gassose sembrava i prepararsi a riprodurre lo spettacolo di fiamme e di esplosioni che già ebbe luogo nell’Egeo. Matteecci e. V. — Sullo stato attuale del Vesuvio [1899^ luglio 3) e sul ì sollevamento endogeno della nuova cupola lavica avvenuto nei mesi di 1 febbraiO'inarso 1898. (Boll, della Soc. Sismologica ita!.. Voi. V. n. 4, I pag. 97-121). — Modena, 1899. { È riprodotto in gran parte il lavoro già pubblicato nei Eendiconti dell’Ac- cademia delle scienze fisiche e matematiche di Vapoli, del quale è dato cenno ; 291 — neUa Bibliografia del 1898, con accenno alle presenti condizioni del cratere di poco variate e alla continuazione della manifestazione esplosiva con getti di scorie coeve e di frammenti di vecchie lave accompagnati da vapori e fumi carichi di sabbie. MATTErcci E. T. — Sulla attività dei vulcani Vesuvio, Etna, Vulcano, Stromboli e Santorino nell’ antiinno 1898. (Boll, della Soc. sismolo- gica ital., Tol. Y, n. 4, pag. 132-144). — Modena, 1899. In questa nota sono riportate più diffusamente le osservazioni e le ricerche fatte sui vulcani attivi d’Italia e di Grecia in seguito ad incarico avuto dal Ministero della pubblica istruzione, e delle quali diede comunicazione all’Acca- demia delle scienze di Parigi (vedi sopra). Mattieolo e. — Relazione sul rilevamento geologico eseguito nel 1897 nella valle di Champorcher {Alpi Grafe). (Boll. E. Comitato Geo!., Voi. XXX, n. 1. pag. 3-29). — Eoma, 1899. La valle di Champorcher, della quale Fing. Mattirolo ha iniziato il rileva- mento geologico nel 1897, si può considerare divisa in due parti di cui l’infe- riore è formata dal tratto della valle dal suo sbocco alla confluenza del vallone della Legna nell’ Aj asse e la superiore limitata da un lato dalla Cima Piana al Colle Fenis e daU" altro da questo alla vetta del Monte Eosa dei Banchi; solo quest'ultima è stata interamente studiata dall’autore, che si occupa essenzial- mente di essa nella presente Eelazione, registrando molte osservazioni riguardo alla distribuzione dei diversi tipi litologici e sulla natura dei più interessanti fra questi. La valle è interamente scavata nelle formazioni che costituiscono la zona delle pietre verdi di Gastaldi; il rilevamento di essa rimanendo, per ora, isolato, non può con sicurezza dedursi la posizione delle roccie che la costituiscono rispetto allo gneiss centrale. Eisulta però la posizione rispettiva di quelle roccie nella valle; e cioè che la massa degli gneiss minuti considerata nel suo com- plesso si appoggia su quella serpentinosa, cui fa seguito allo stesso livello quella a svariati tipi litologici che a lor volta si adagiano sui calcescisti, i quali nella valle occupano la posizione più profonda. Eisulta ancora messa in evidenza l’associazione intima, o, potrebbe dirsi, l’equivalenza geologica dei vari tipi compresi in una stessa zona dal Gastaldi. — 292 — L’autore non entra per ora nella controversa questione dell’età dei calce- scisti alpini, ma Solo osserva che, data la possibile genesi loro, possono esservi calcescisti petrograficamente equivalenti a diversi livelli geologici, come avviene per alcune forme di calcari e di quarziti. Infatti nella stessa valle di Cham- porcher debbonsi distinguerne due livelli. La Relazione contiene pure un breve capitolo sui fenomeni glaciali della valle, come pure sui poco importanti suoi giacimenti di minerali utili. Mattirolo e. — Osservazioni idro-geologiche sopra alcune sorgenti nella Valle del Gesso presso Valdieri (pag. 24 in-8°). — Torino, 1899. Per il progettato grandioso « Acquedotto piemontese » si vorrebbero cap- tare le sorgenti che si manifestano sulla destra del desso fra le valli di En- traque e di Roaschia. In questa nota l’ing. Mattirolo espone lo studio idrogeo- logico della regione nella quale è presumibile si raccolga l’acqua e di quella che questa deve percorrere per dar luogo alle sorgenti. Risulta dall’esposizione dell’autore, che tali acque, cadute in regioni elevate in cui non sono ragioni d’inquinamento, percorrono un lungo e tortuoso cam- mino entro roccie esclusivamente calcaree : non sono quindi in relazione con le acque del desso e, se prese nella roccia viva, non possono essere contaminate da altre acque nè da materie d’origine organica. Le osservazioni dell’autore darebbero cioè in certo qual modo ragione della buona qualità delle acque determinata da altri osservatori e stabilirebbero l’assenza del pericolo che tale qualità avesse ad alterarsi. Meli R. — Osservazioni sul Pecten [Macrochlamgs] Ponzii Meli e con- fronti con alcune forme di pectinidi neogenici ajfini che vi si collegano. (Boll. Soc. deol. ital., Yol XYIII, fase. 3^ pag. 324-353). — Roma, 1899. L’autore descrisse nel 1881 una forma di pettinide del genere Chlamgs, sottogenere Macrochlamgs, al quale diede il nome di Pecten Ponsii ritenendolo proveniente dal pliocene di Civitavecchia. In seguito a ricerche fatte all’estero egli si convinse però che questa forma si trova nei bacini miocenici di Yieima e deiriJngheria insieme al Pecten latissimiis, ma di forma un po’ diversa e che si rannoda con quella del bacino miocenico del Rodano che il Pontannes distinse, come varietà del latissimus, col nome di P. restìtutensis. — 293 - m Pone quindi in dubbio la provenienza di questo fossile nettamente mioce- nico dalla località indicata, tanto più che le ricerche ivi fatte per trovarne un esemplare, riuscirono vane. L’autore riporta quindi l’elenco dei fossili plioce- nici di Civitavecchia, completando e correggendo quello già pubblicato. Passa in seguito a rassegna le località italiane ed estere dove si rinvenne il Pecten restìtntensis ed il latissimiis, concludendo che la Macrochlamys Ponsii sarebbe una forma intermedia tra la M. restìtntensis e la M. latissima e corri- sponderebbe, come la prima, ad una fase ben determinata nella storia del gruppo della J/. latissima,^ la vestitiitensis la forma più antica e pro- genitrice delle altre due. Mercalli Gr. — La nuova cupola lavica formatasi sul Vesuvio (pag. 4 in-S®). — Xapoli, 1899. L’autore descrive come si è formata per eruzione laterale del Vesuvio questa cupola, che quasi da quattro anui continua a crescere e che ha profon- damente cambiata l’orografia locale colmando due profondi valloni tra la col- lina su cui sorge l’Osservatorio ed il piede del gran cono. All’articolo è unita una fotografia che mostra lo stato attuale della cupola. Mercalli Gr. — Tufi olivinici di S. Venansio [Umbria). (Atti della Soc. italiana di Se. nat. e del Museo chùco di St. nat.. Voi. XXXYIII, fase. pag. 191-193). — Milano, 1899. L’autore dà notizie dei tufi osservati neU’autimno del 1885 presso il paese di S. Venanzo fra Oi*^"ieto e Perugia. Tali tufi, sovrapposti immediatamente al pliocene, vengono così distinti: 1° Tufo costituito da lapilli nerastri più o meno spugnosi oon ciottoletti di marna ricoperti di calcite che cementa legger- mente tutto il lapillo; 2° Tufo giallo bruno friabile cementato leggermente da materia gialla amorfa, con frammenti di rocce basaltiche, gran numero di cri- stalli di olivina e frammenti di roccie argillose e arenacee; 3° Tufo giallastro friabile che alterna col precedente costituito da numerosissimi cristalli di au- gite, olivina e felspato vitreo collegati da una cenere vulcanica; contiene pure granelli attirati dalla calamita. L’autore ricorda pure la presenza di tufi-pozzolane a Cerqueto. Egli ri- tiene cpiesti tufi indipendenti dai vulcani vulsini ed appartenenti ad un vul- cano quaternario da classificarsi fra i vulcani embrionali. — 294 - 31ERCAI.LI Gr. — Notìsie vesuviane {tiiglio-dicembre 1898). (Boll. Soc. sismo- logica ital., Tol. Y, n. 1, pag. 20-32. con tavola). — Modena, 1899. li’autore rende conto delle condizioni presentate dal Yesuvio nel 2° seme- stre 1898, desnnte, da osservazioni proprie e da notizie avute sull'attività del vulcano in questo periodo. Yota un forte dinamismo al cratere centrale dal 13 al 17 settembre, con un aumento contemporaneo neirefflusso lavico laterale. Tale parossismo ritiene causato dallo sforzo fatto dal vulcano per liberare il suo condotto centrale dai materiali accumulatisi per i franamenti dei mesi precedente e che continuarono fino al dicembre. Yota poi: un aumento in quest’epoca della profondità del cratere, dovuto ad abbassamento nella colonna lavica; le fumarole notevolmente diminuite: au- mento di altezza nella cupola lavica, cbe raggiunge 865 metri sul mare, dovuto a sovrapposizione di nuove lave uscenti dalla sommità con spostamento della cima stessa verso il Somma, come rilevasi da due figure unite alla nota. Mercalei G-. — Escursioni al Vesuvio. La fine della fase eruttiva 1895-99. (dall’ Appennino meridionale, Boll, della Sez. di i^apoli del Club alpino ital., n. 3-4, 1899, pag. 1-4). — Napoli, 1899. L’autore rende conto delle osservazioni fatte al Yesuvio in due escursioni del 22 luglio e 6 settembre 1899, descrivendo lo stato del cratere centrale e della nuova cupola lavica. L’efflusso in quest’ultima cessò poi col 7 settem- bre, chiudendosi cosi la lunga fase di eruzione di lava eccentrica. Con questo però l’autore ritiene non sia cessato il periodo eruttivo, avendo ripreso con maggior forza le esplosioni stromboliane del cratere, dove il condotto è ancora pieno di lava; nè vi ha probabilità che tale dinamismo cessi tanto presto per- chè i periodi eruttivi vesuviani di solito non finiscono mai tranquillamente, ma sempre con emissione lavica violenta e rapida. Mielosevich F. — Celestina di Strongoli [Calabria). (Eendiconti E. Ac- cademia dei Lincei, Ser. Y, Yol. YIII, fase. 7®, 1° sem., pag. 344- 346). — Eoma, 4899. — Idem. (Eivista di min. e crist. italiana, Yol. XXII, fase. Y e YI. pag. 91-94). — Padova, 4899. I cristalli di celestina oggetto del presente studio provengono dalla mi- niera di zolfo della località detta Carcarella presso Strongoli. Essi presentano — 295 — forme che danno combinazioni di abito, assolutamente diverso. I cristalli del primo tipo sono i più comuni, più numerosi e generalmente di piccole dimen- sioni; rivestono le cavità della marna solfifera e sono dello stesso abito di quelli di Sicilia; essi presentano le forme seguenti: |00l| |01l| |102| |llO| Ì322| • quest’ultima forma è nuova per la celestina. Quelli del secondo tipo, più grandi e meno numerosi, sono sparsi sopra una incrostazione di calcite che presenta qua e là dei globuli sporgenti formati da aggregati di cristalli dello stesso mi- nerale: essi presentano la combinazione jlOOj |00l| |01l| |l02| jllOj jUlj. Questo tipo piuttosto raro si può rassomigliare a quello della celestina di Conil presso Cadice descritta da Gr. Drabant. L’autore dà le figure dell’uno e dell’altro tipo, aggiungendo un elenco degli angoli misurati in confronto a quelli calcolati. Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte nelV Umbria e nel Piceno durante gli anni 1897 e 1898, con Appendice sul terremoto di Rieti. (Boll. R. Comitato Greol., Volume XXX, n. 3, pag. 244-268). — Roma, 1899. La prima parte di questa Relazione si riferisce alle osservazioni fatte nei dintorni di Piediluco sopra Terni. 1. monti ad oriente e ad occidente del lago presentano una sinclinale nel cui asse diretto X.B-S.O si trovano le due conche di Rieti e di Piediluco. Pna frattura sembra esistere fra Papigno e le Mar- more, e avrebbe contribuito a formare il salto dal quale precipita il Velino. Xei dintorni dello Marmore o presso il Velino predominano dei calcari bianchi semicristallini con crinoidi del lias medio, mentre i monti che circondano il lago appartengono al Xeocomiano. A Papigno si hanno poi calcari del Tito- nico. I colli di Labro che separano la conca di Rieti da quella di Piediluco sono costituiti di pliocene vallivo, che è pure assai sviluppato nella conca rea- tina, rialzato ad est cioè verso il Terminillo. Attorno alle cascate si disten- dono i travertini piuttosto spugnosi che, in continuo aumento, vanno rialzando il letto del Velino al suo sbocco, producendo un regurgito a monte che rende paludosa la pianura reatina. Passando al Piceno l’autore si fermà più specialmente a descrivere i dintorni di Acquasanta, a ponente di Ascoli. Sopra la scaglia grigia si hanno scisti argillosi che, con facies eocenica, contengono fossili miocenici : essi pre- sentano pieghe assai forti che l’autore riproduce in alcune figure. Su questi scisti s’innalza la formazione potente delle molasse che, rialzate in generale o — 296 — regolarmente verso l’ Appennino, nei dintorni di Ascoli e di Acquasanta, pre- sentano un forte ripiegamento in sinclinale. L’autore presenta una sezione che passando per il Monte dell’Ascensione va dal Tronto all’ Aso e lascia scorgere i terreni dalla scaglia cretacea al pliocene. Questo, formato di sabbie, arenarie, argille e conglomerati occupa una grande plaga raggiungendo al Monte del- l’Ascensione l’altitudine di 1103 m. sul mare. Lembi staccati di quaternario marino si veggono presso la costa sopra il pliocene, ed altro quaternario ta- lora terrazzato lungo i corsi d’acqua sta a rappresentare gli antichi letti dei torrenti. Al contatto fra roccie secondarie e terziarie s’incontrano sorgenti sulfuree, e l’autore descrive con dettaglio quella termale dell’Acquasanta assai nota, utilizzata per bagni, che scaturisce entro ampie caverne. 'Ne presenta l’analisi chimica e ne descrive i caratteri fisici. In appendice alla relazione è dato un cenno sul terremoto di Rieti del 28 giugno 1898, indicando i danni ivi verificatisi nei fabbricati e deducendo dai fatti osservati e dalle notizie raccolte, la natura della scossa che ritiene dovuta a terremoto entocentrico avente la forma della zona centrale sismica, cioè ellittica, il cui punto epicentrico dovè trovarsi nei dintorni di Santa Rufina dove è nota la presenza di una roccia eruttiva. Morena T. — Le formazioni eoceniche e mioceniche fiancheggianti il gruppo del Catria nell’ Appennino Centrale. (Boll. Soc. G-eol. itaUana, Yol. XYIII, fase. 3^, pag. 471-483). — Roma, 1899. Lo studio dei fossili scoperti nella collina di Montedoro presso Cantiano nel versante occidentale del Catria avendo accertata ivi la presenza dello schlier corrispondente a quello di altre località delle Marche, l’autore si è valso di questo dato cronologico per ricercare e riconoscere l’età di tutte le formazioni comprese fra la scaglia del cretaceo superiore ed il Messiniano che fiancheg- giano il gruppo del Catria. Da queste ricerche risulta che sopra la scaglia cinerea del cretaceo vi ha il così detto hisciaro, costituito in basso da una roccia calcareo -selciosa bruna con vene di calcite e con fucoidi, e superiormente da calcare marnoso bian- castro frammentario con fucoidi e macchie ferruginose; in esso fu trovata la Niimimilites planiilata caratteristica dell’eocene superiore. Sul hisciaro si ha una marna scistosa intercalata da lamine di calcite spatica. In essa si trovano i fossili dei quali l’autore dà l’elenco e per i quali — 297 — questo sedimento si mostra coevo dello schlier ; esso rappresenta la facies lan- ghiana del miocene medio. Dalle marne scagliose si fa un graduale passaggio al macigno per mezzo di arenaria a grana fina micacea giallastra, alternantesi con strati di marna, e sopra il macigno sta un’altra massa di arenaria simile a quella. Contiene fu- coidi e non vi fu rinvenuto che un unico fossile, una Ostrea da paragonarsi alla 0. cochlear var. navicnlaris. Sopra le ultime assise arenacee, si presenta in alcune località il Messi- niano tipico con tripoli, gesso e solfo. Ciò sta a confermare l’età delle arenarie che rappresentano la facies litoranea elveziana del miocene medio fra il Lan- ghiano ed il Messiniano. Da queste osservazioni si vede esservi in queste formazioni un notevole hiatus mancando il rappresentante del miocene inferiore. Alla presente nota è unita una sezione geologica attraverso la catena Monte Catria-Monte iVerone, che mostra la successione della serie presa in esame. X ASINI E. e Saltadori B. — Relazione sull’ analisi dell’ acqua dei Ba- gnoli. (Grazzetta chimica italiana, Anno XXLK, Parte II, fase. II, pag. 161-180). — Poma, 1899. Quest'acqua scaturisce alla base di una roccia trachitica presso il villaggio dei Bagnoli al Monte Amiata, alla distanza di un chilometro da Arcidosso e a 7(X) metri sul mare. Essa è limpida, inodora, con sapore leggermente acidulo, ha una temperatura di 21° e lascia dopo lungo tempo un deposito fioccoso bianco-giallastro. Gli autori, incaricati dal proprietario della sorgente, ne hanno eseguita la analisi qualitativa e quantitativa, delle quali è data un’estesa relazione in questa nota. Da tale analisi risulta che quest'acqua, per il suo piccolissimo residuo fisso, appartiene alla classe delle acque oligometalliche, come quelle di Piuggi, di Plombières, di Chaudefontaine, di Gastein, ecc. Essa è una delle acque più. si- licifere per la quantità di silice, che costituisce quasi la metà del residuo fisso. La presenza inoltre in essa del ferro, dei sali alcalini e del litio la rendono assai indicata in certe malattie, mentre l’essere anche bacteriologicamente pura, il suo sapore grato e l'anidride carbonica che contiene la fanno ritenere un’ec- cellente acqua da tavola. - 298 - Nelli B. — I fossili atonici del Monte Indica nella provincia di Catania. (Boll. Soc. Greol. it., Yol. XYIII, fase. 1”, pag. 52-62, con tavola). — Roma, 1899. Bra le argille, probabilmente mioceniche, che si stendono a sud del Monte > Judica, Monte Griovanni, Monte Turcisi, si presentano degli affioramenti di i calcari coralligeni in forma di piccole masse e di grandi blocchi, nei quali furono raccolti dal prof. O. Marinelli molti fossili e regalati al Museo di Firenze • i I coralli ed i molluschi che vi si rinvengono sembrano essere stati ruzzo- lati, trovandosi nel calcare sotto forma di ciottoli. Questi fossili, studiati dall’autore, vengono descritti in questa nota. Essi sono simili ed in parte identici a quelli trovati dal Gremmellaro nsl Titonico i di Sicilia; sono quindi da riferirsi a questo periodo. Oltre a varie specie di coralli di difficile determinazione e ai fossili caratteristici già descritti dal Oein- mellaro, xi sono: Itìeria Stassycii Zeuschner, e le nuove forme: Anomia trans- verse-striata, Pecten 3£arinellii, Ostrea pseiidomiiltifovmis, Pileoliis intercostafns, Ptygmatis Stefanii, Gerithiii n Pantanellii. Queste nuove forme sono, con alcune altre, figurate nella tavola annessa. Nelli B. — Il Raibliano del Monte ludica nella provincia di Catania. (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. YIII, fase. 2^, 1® sem., pag. 91-92). — Roma, 1899. In questa nota l’autore dà alcuni cenni preliminari sui fossili raccolti dallo stesso Marinelli nei terreni dei monti Scalpello e S. Nicoletta nella medesima zona geologica dei monti Judica, Turcisi e Catenanova e dei quali è data la descrizione nella memoria seguente. Nelli B. — Il Baihl dei dintorni di Monte Judica. (Boll. Soc. Greol. it., j Yol. XYIII, fase. 2®, pag. 211-223, con tavola). — Roma, 1899. I fossili che vengono descritti in questa nota si trovano in calcari coni- i patti grigio-chiari stratificati, a noduli di selce, che alternano con calcari scuri quasi neri, brecciformi, spalici, duri e tenaci. Nei calcari bianchi si trovano Halobie che si mostrano pure alla superficie ' di straterelli di calcite fibrosa intercalati fra i calcari con selce. I calcari neri contengono brachiopodi, gasteropodi e qualche raro cefalopode. I noduli di selce contengono molte radiolarie. Le specie descritte e disegnate nella tavola sono: Tracìiyceras plicatiim Calcara 1845 (= Tr. affine Parona 1889), Trachyceras ferefnrcatiim n. sp., Avicnla Gea d’Orb., Cassianella gryphaeata Milnst., C. decussata Mttnst., Posidoiiomya sp. ind., Halohia lucana De Lorenzo, H. stenla Gemm., Leda Biondii Gemm. 1860 (= L. complanata Stoppani 1861, L. percaiidata e L. alpina Giimbel 1861, L. claviformis Stoppani 1863), Myoplioria vestita Alb., M. Goldfiissi Alb., Lucina Gornensis Par., Trigonodiis Jndicensis n. sp., Coenotìiyris Gernniellaroi n. sp., C. Calcarai n. sp., C. sicnhis n. sp. Queste ultime però sono dairantore ritenute assai affini fra di loro e forse varietà di una stessa specie, La fauna descritta è analoga a quella del Raibliano di Lombardia de- scritta dal Parona (vedi Bibl. 1889) ed è pure simile con quella a Myoplioria vestita della punta delle Pietre Aere descritta dal Di Stefano (vedi Bihl. 189 o)\ ritiene quindi l’autore che questi terreni, i quali si trovano nella stessa zona dei monti Jiidica, Turcisi e Catenanova, appartengano al tiàas e precisamente al Raibliano ed alla zona del Tracliyceras Aon. Aicolis e. — Trìplice estensione glaciale ad oriente del Lago di Garda. (Atti del E. Istituto veneto, S. YIII, T. I, disp. 3^, pag. 315-319, con tavola). — Venezia, 1899. Colla sistemazione della Val Sorda sul Garda, eseguita per mezzo di brigbe e salti, l’antore ebbe modo di osservare i depositi qnaternarii che ivi affiorano. Trattasi di un borro che risulta dallo sventramento delle formazioni glaciali ed interglaciali, che da 350 metri sul mare discende a 68 a Bardolino su di un percorso di tre chilometri. Il profilo odierno di questa valle sarebbe così costituito : morena fresca del neoglaciale; loess ; strato ferrettizzato ; morena II; loess ed argille cinereo- plumbee; strato alterato -o ferretto con ciottoli rammolliti; ce/jt/jo* e materiale di trasporto, in parte a facies glaciale. Pei fatti osservati Tautore opina che in questa valle si mostrano per ero- sione i documenti di tre successive invasioni glaciali i di cui hiatus, dell’epoca glaciale, già consumati sarebbero rappresentati dai due strati ferrettizzati con- comitanti a banchi di loess e Fnltimo, quello dell’epoca diluviale, sarebbe rappresentato e dall’erosione diuturna e dalla lenta ma continua alterazione, dall'alto al basso, della superficie morenica del neoglaciale. Cosi anche i tre periodi deH’epoca diluviale colle rispettive facies figurano nella stratigrafia della regione veneta. Alla nota è unito uno schema della valle studiata. — 300 — Novarese Y. — Le Alpi Piemontesi. (Memorie della Soc. geografica ita- liana, Yol. IX, pag. 25-81). — Eoma, 1899. Dopo avere accennato alla divisione proposta del sistema alpino in due parti, Alpi occidentali ed Alpi orientali, separate da una linea che dal Lago Maggiore per il S. Bernardino andrebbe alla valle del Reno e indicate le ca- ratteristiche morfologiche, tettoniche b litologiche che giustificano la divisione delle Alpi italiane in piemontesi, lombarde e venete, Fautore presenta un quadro generale delle Alpi piemontesi che in forma di ampio arco si stendono dal Colle dell’Altare al Sempione, distinto in tanti settori dalle valli che. jiartono dallo spartiacque della catena. Per la struttura delle Alpi piemontesi. Fautore si vale dello studio geolo- gico del Diener, che riassume riportandone la cartina schematica nella quale sono rappresentate le zone tettoniche in cui questo autore divide la catena, con qualche modificazione e coll’aggiunta del Massiccio ligure. Nella cartina sono distinte due zone principali denominate del Monte Rosa e del Monte Bianco, caratterizzate per il predominio dei terreni cristallini. Fra qgeste vi ha una terza zona detta del Brianzonese che corre continua dal Golfo di Genova ai Grigioni, detta anche zona interna dei calcari e scisti, formata prevalentemente dai terreni del carbonifero, del permiano, del triasico e subordinatamente da terreni più recenti fino all’eocene. L’autore passa a rassegna gli studi dei diversi geologi che hanno cercato di risolvere le questioni e i problemi sulla struttura della regione alpina, de- lineando lo stato attuale in cui trovasi la questione in rapporto alle Alpi oc- cidentali. Da questi studi risulta che restando fermi i due allineamenti descritti dal Diener dei nuclei centrali che stringono fra di loro la zona del Brianzonese, è divenuto incerto il limite interno di essa mancando di fondamento il limite stabilito dal Diener fra i terreni paleo-mesozoici e l’arcaico, poiché si sono ri- conosciuti terreni secondari e paleozoici al difuori di esso. Quanto alle due zone del Monte Bianco e del Monte Rosa esse differireb- bero unicamente per diverso grado di metamorfismo in terroni della stessa età. Resta ancora a stabilire la delimitazione dei terreni secondarii metamorfosati, la loro separazione dai terreni più antichi e la definizione dell’età paleozoica od arcaica di questi. Come lo dimostra il Diener la conformazione del terreno nelle Alpi occiden- tali dipende completamente da due fattori ; cioè dalla costituzione geologica é dagli agenti geodinamici esogeni. All’azione infatti dei corsi d’acqua, dei ghiac- — 301 -- -ciai e dell’atmosfera è dovuto il forte divario fra lo spartiacque geografico e Tasse tettonico. Le valli longitudinali sono scarse nelle Alpi piemontesi. Per la disposizione stessa arcuata del sistema il maggior numero delle valli lia direzione generalmente trasversale, o constano di tratti longitudinali alter- nanti con tratti trasversali dipendentemente dai contatti fra roccie più o meno resistenti all’erosione. Aelle anticlinali formate dai nuclei gneissici centrali si ha in generale cor- rispondenza perfetta fra la costituzione geologica e l’orografia: tali sono quelle del Grran Paradiso, del Monte Rosa, del Monte Bianco ed anche quella del- l’elissoide delle Alpi Marittime. Meno perfetta è la geologia e l’orografia nello andamento dello spartiacque che dovrebbe correre parallelo alla direzione ge- nerale delle pieghe : infatti nelle Alpi occidentali si osserva che lo spartiacque passa dalTuna all’altra delle zone orotettoniche del Diener. Questo divario fra lo spartiacque geologico e l’asse tettonico è dovuto alla influenza proponde- rante degli agenti geodinamici esterni sulla conformazione dei monti e delle valli. La più importante delle zone orotettoniche del Diener è quella del Monte Rosa per la sua grande estensione. In essa si hanno i due piani che il Gastaldi distinse in gneiss antico (inferiore) e zona delle pietre verdi ( superiore). L’autore si trattiene quindi a parlare diffusamente di quésti terreni, fa- cendo risaltare Timportanza che hanno le diverse roccie da cui sono costituite, sul carattere del paesaggio impresso alla regione a seconda della costituzione geologica. Benché poco estesi i terreni di origine alluvionale e glaciale, hanno per il geografo una grande importanza sia per l’agricoltura che per le abitabilità delle valli e l’autore lo dimostra trattenendosi specialmente sulle valli della Dora Riparia e della Toce. Per l’angustia generale delle valli i centri di po- polazione si trovano in generale allo sbocco di esse contrariamente a quello che si verifica nell’Appennino. Aei capitoli seguenti di questa memoria l’autore passa a rassegna i sin- goli gruppi delle Alpi Liguri, Marittime, Cozie, Graie e Pennine. Di ciascun gruppo descrive estesamente i caratteri geologici e geografici, l’andamento e la forma delle valli e dei corsi d'acqua ; enumera i diversi valichi alpini, dandone cenni storici e l’altimetria, aggiungendo osservazioni interessanti sulla ricchezza mineraria, sul movimento commerciale, l’emigrazione, ecc. Oltre la cartina schematica già indicata illustrano la memoria due sezioni geologiche delle Alpi Marittime e Cozie, non che le vedute del Monviso e del- l’alta valle di Champorcher. — 302 — Ogilvie M. M. — The torsion-striicture of thè Dolomites. (The Quar- teria Journal of thè Greol. Soc., Yol. LY, n. 219, pag. 560-633, con carta). — London, 1899. Riassunti brevemente i fatti constatati e le opinioni emesse dai geologi sulla regione alpina- delle Dolomiti, non che quelli esposti in due precedenti memorie (vedi Bibl. 1893 e 1894), sia dal punto di vista tettonico che da quello stratigrafico, l’autrice passa ad esporre con dettaglio il risultato delle lunghe osserA’-azioni fatte, descrivendo successivamente le condizioni stratigrafiche e tettoniche delle regioni tirolesi che comprendono l’anticlinale del Passo di Groden, quello della valle di Buchenstein, il massiccio dolomitico del Sella, l’area del Sett Sass e di Prelongei, ed infine la regione G iudicarie-Asta (Trentino). Yelle condizieni stratigrafiche e tettoniche che questi gruppi presentano, l’autrice crede di riconoscere che i movimenti più cospicui della crosta terrestre furono di torsione e crede di poter venire alle seguenti conclusioni: 1. Yella regione dolomitica le faglie tanto semplici che per ripiegamento (overfault) sono più frequenti di quello che era stato fin qui supposto. 2. La disposizione di queste faglie indica un fenomeno tipico di torsione. 3. Tale fenomeno è il risultato dell’interferenza di una dislocazione dia- gonale più recente sopra una longitudinale più antica. 4. La più recente dislocazione avvenne durante il terziario medio, in un col movimento che diede origine alla piega della regione Giudicarie-Asta e in generale al sollevamento delle Alpi. 5. Della stessa età sono i dicchi e le masse granitiche più recenti, e la loro attuale posizione è l’effetto naturale del movimento di torsione. 6. Il fenomeno di torsione spiega pienamente le speciali condizioni stra- tigrafiche delle dolomiti , specialmente il loro presente isolamento in massicci montuosi, il sezionamento irregolare di vari orizzonti di roccie inferiori alia loro base, la disposizione a ventaglio di alcune falde di dette roccie nei passi e nelle valli interposte fra i massicci e la presenza di lembi di roccie cre- tacee e giuresi entro gli stessi massicci. Questo importante lavoro è corredato da molte sezioni e da diagrammi spiegazione della teoria esposta, non che da una cartina geologica dei mas- siccio Sella-Enneberg. O SILVIE M. M. — Torsìon-stnictiire in thè Alps. (Nature, Voi. 60,. p. 443-446). — London, 1899. Ricliiamato il precedente lavoro nel quale si propose di spiegare me- diante il fenomeno di torsione la stratigrafia così caratteristica del massiccio Sella-Enneberg, l’autrice cerca ora di dimostrare del pari applicabile tale principio alla struttura generale del sistema alpino, essere cioè essa basata sopra pieghe curvate a spirale e non sopra sinclinali ed anticlinali rettilinei. Ongaro Gt. — Analisi di ima Beolite. (Eivista di min. e crist. ita- liana, Voi. XXIII, fase. I a III; pag. 35-36). — Padova, 1899. È questa la cosidetta natrolite rossa di Valle dei Zuccanti esistente in quantità nei porfidi augitici compresi fra la valle dell’Astice e quella dell’A- gno nel Vicentino. Dall’analisi chimica fatta dall’autore però il minerale presenta una compo- sizione prossima a quella della stilbite, mancando affatto la soda ed avendo un tenore in silice di circa il 59 per cento. Oppenheim P. — Ueher Mioceni [Helvétien] in der iinmittelbaren Umgehung Veronas. (Zeitschrift der Deiit. geol. GreselL, B. LI, H.I, pag. 168-174). — Berlin, 1899. Formazioni sicuramente mioceniche non erano finora conosciute nella re- gione di colline fra Vicenza ed il lago di Giarda: la formazione più recente in tutto quel complesso di strati erano ancora gli strati di Schio del Suess, di posizione incerta. Lasciando da parte la questione delle età di questi strati, l’autore osserva che dovunque ha potuto rilevare un profilo sicuro, essi sono ricoperti da una potente formazione mediterranea caratterizzata da fossili, pei quali essa dimo-^ strasi più recente deH'oligocene superiore, cioè decisamente miocenica. Anche alcuni Pecten esistenti nella Collezione Nicolis in Verona, molto affini al P. Besseri Andr. e al P. Malvinae Dub., sono certamente neogenici: forme ana- loghe raccolte presso Verona dal Beyrich, si trovano pure nel Museo di Berlino. Bisogna quindi conchiudere che, a differenza di quanto si credeva finora e contrariamente alle carte pubblicate, veri strati miocenici esistono nella zona subalpina veronese, estendentesi da un lato sino a Vicenza e dall’altro al Garda. Questi strati, secondo l’autore, apparterrebbero al piano Elveziano. — 304 — Oppei^heim P. — I supposti rapporti dei crostacei tersiarii di Ofen descritti da Loerenthey con quelli veneti. (PiTista ital. di paleonto- logia, Anno Y, fase. II, pag. 55-62). — Bologna, 1899. Sino ad ora orasi ritenuto che il calcare di Ofen (Pngheria) con Njiminu- lites intermecliiis d’Arch. contenente una delle più ricche fanne terziarie di erostapei, fosse da ascriversi all’orizzonte di Priahona. In seguito agli studi del L/oerenthey su questa fauna, questi avrebbe riscontrate una grande somiglianza tra essa e le faune con crostacei di San Griovanni Barione, per cui egli è portato a ritenere i calcari di Ofen come appartenenti alla parte inferiore del Bartoniano o alla superiore del Parisiano. L’autore però, dopo avere esaminato accuratamente le determinazioni del Loerenthey, è giunto a risultati affatto diversi, dimostrando con argomenti paleontologici che esse non conducono ad una opinione contraria a quella degli antichi autori. Questi risultati paleonto- logici sono anche in corrispondenza di fatti stratigrafici che non vanno d’ac- cordo coll’idea sostenuta dal Loerenthey di una età più recente del complesso di Ofen: l’autore è quindi d’opinione che non sia possibile separare il calcare con N. ìjitermedius dal piano di Priabona. Oppexheem P. — Ueher Kreide und Eoedn bei Pinguente in Istrien. (Zeitschrift der Deut. geol. DeselL, B. LI, H. II u. Ili, Protokoll. pag. 45-49). — Berlin, 1899. L’autore tratta in questa nota di alcuni fossili provenienti dai dintorni di Pinguente nell’Istria, ed appartenenti al cretaceo ed all’eocene, esistenti nel Museo dell’Università di Oratz. I primi furono raccolti alla Porta di Ferro a ponente della città e fra essi abbondano le specie seguenti: Janira Pirona, Ostrea aff. Miinsoni Hill., Apricardia cf. Pironai Boehm, Terehra? sp., le quali tutte furono raccolte anche a Col dei Schiosi presso Polcenigo nel Friuli in terreno che si estende verso levante sino ai dintorni di Tarcento. Il loro ritrovamento nell’Istria aumenta ora maggiormente l’estensione di questo orizzonte cretaceo. I fossili eocenici provengono dalle marne ed altre roccie che riempiono la conca terziaria di Pinguente e fra essi notansi le specie seguenti dell’eocene medio : Orhitoides patellaris v. Schloth., Harpactocarcinns qnadrilohatiis Desm.. Pecten Tchihatcheffi d’Arch., Spondglus cf. radula Lam., Serpiila snhparisìensis De Greg. Anche questo terreno è al pari del primo strettamente connesso al nord con gli analoghi del Friuli e al sud con quelli dell’Erzegovina, per cui fende come esso a prolungarsi nella Penisola Balcanica. r — 305 — Oppen^heem P. — 8nl Pecten aduncus Eichwald nel Neogem di To- scana. (Eivista ital. di paleontologia, Anno Y, fase. Ili, pag. 85-86). — Bologna, 1899. È una breve nota intesa a rettificare alcune idee espresse nella descri- zione di questa specie fatta di recente dal dott. Ugolini (vedi più avanti) circa la sua posizione cronologica. Ammesso indubbiamente, come fu dimostrato da Th. Puchs nel 1878 che il P. adimciis si è trovato nel calcare sovrastante ai gessi di Castellina marittima, resta ancora a provare l’esatto livello nel quale fu rinvenuta questa specie che tanto il Puchs che l’Ugolini dicono esclusiva- mente miocenica. Secondo l’autore si tratterebbe invece di un orizzonte marino che si interpone fra il miocene tipico ed il pliocene, al quale corrisponderebbe in Toscana il calcare di Rosignano e che potrebbe porsi in cima al Messiniano di Mayer. Pagani U. — Sopra due nuovi bollitori o salse sul torrente Selliistra nel circondario cVImola. (Bollettino della Soc. geografica ital., S. Ili, Yol. XII, n. 5, pag. 201-207). — Roma, 1899. Questi bollitori (così sono chiamate nel dialetto locale le salse) si trovano sul corso medio del Sellustra, torrente tributario del Sillaro, entro una valle scavata nel terreno pliocenico. Il primo sta a 115 m. di altitudine presso la casa colonica detta la Campagnola, nel letto stesso del Sellustra ; l’altro, o per meglio dire un gruppo di altri quattro bollitori,, più a monte presso la Cà JSova di Pipano, a pochi metri di altezza sul torrente, in un valloncello limi- tato a qualche distanza dalle argille scagliose cui si addossano marne ed ar- gille del pliocene inferiore. Tanto nel primo che in questi ultimi le eruzioni di fango sono intermittenti e la temperatura di esso è sempre bassa. Tra i gas predomina Fanidrido solfidrica, mentre scarsi vi sono i carburi infiammabili. Pagani U. — La salsa di San Martino in Pedriolo presso Castel San Pietro. (La Cultura geografica, n. 9-10, pag. 99-100). — Firenze, 1899. A circa 7 chil. da Castel San Pietro, presso l’alveo del torrente Sillaro, a X.E della cliiesa di San Martino, si osservano nel terreno alluvionale e a non molta distanza le ime dalle altre cinque pozze d’acqua limacciosa, nelle quali gorgogliano quasi di continuo dei gas. La maggiore di esse ha 70 cent, di — 306 — diametro e quasi due metri di profondità. La temperatura dell’acqua tì era di 8°, mentre quella dell’aria era a 9®. Il gas non fu analizzato ancora regolar- mente, ma da saggi fatti risulta esservi in prevalenza assolnta il metano. In una di queste pozze si ha l’acqua decisamente salata : in un’altra più piccola, l’acqua limacciosa è coperta da una sostanza giallognola, dovuta forse ad ef- florescenze solfuree. Circa le condizioni geologiche del terreno, l’autore si limita a notare resi- stenza di un potente affioramento di argille scagliose sotto le argille azzurre plioceniche a poca distanza dalla suddetta chiesa. Pamp ALONI L. — Le roccie trachitiche degli Astroni nei Campi Flegrei. I. Roccie del cratere scoriaceo centrale. (Eendiconti R. Acc. dei Lincei, S. y, Yol. YIII, fase. 2^, sem., pag. 86-91). — Roma, 1899. — Ide^m. II. Esemplari della corrente laterale. (Ibidem, fase. 3°, 1^ sem., pag, 133-139). — Roma, 1899. Yella prima parte di questo lavoro, l’autore espone il risultato dello studio fatto su campioni di trachite provenienti dal cratere centrale degli Astroni, distinti in varietà compatte e varietà bollose. A parte le differenze dovute ai caratteri macroscopici, l’esame microscopico vi rivela gli stessi elementi, cioè la sanidina fra i felspati monoclini e l’anortite fra i triclini: vi abbonda pure il pirosseno augite, e in quantità minore l’anfibolo orneblenda, l’hauyina, la bio- tite, la sodante. Abbondantissima ne è la massa vetrosa colorata in bruno giallastro da innumerevoli globuliti scure e da particelle di ematite o limonite, provenienti probabilmente da ossidazione ed idratazione della magnetite sparsa in gran copia nella massa. Yelle varietà più bollose, la magnetite e la limonite si trovano in maggior quantità, mentre vi mancherebbe l’hauyina. Yella seconda parte, l’autore prende in esame i campioni provenienti dalla corrente lavica laterale, che si vede sotto i tufi nel lato orientale del cratere esplosivo, e che, a parte le differenze esteriori, hanno costituenti identici a quelli della varietà bollosa del cratere centrale: vi scarseggia però la parte vetrosa, hanno struttura più massiccia e gli elementi cristallini vi figurano in numero molto maggiore che nei primi. In conclusione trattasi nel primo caso di vetrofiri trachitici, nel secondo di A^ere roccie trachitiche, che stanno fra le andesiti e le sanidiniti. iSTotevole è poi il fatto che in dette roccie laugite è accompagnata da felspati di piccola acidità, mentre sinora le trachiti dei Campi Flegrei avevano date quantità di sanidina assai maggiori. Parkinson J. — The Glaiicopìiane Gabbro of Pegli^ North Italg. (The geological Magazine, N. S., Decade lY, Yol. YI, n. YII, pag. 292- 298, con taYola). — London, 1899. L’autore dà la descrizione petrografica di un gabbro a glaucofane, che presentasi airestremità occidentale di Pegli, nella Lguria di ponente, facendola precedere da un cenno degli studi di altri scrittori su roccie analoghe. Macroscopicamente la roccia di Pegli è scura, abitualmente senza grandi felspati, benché qualche Tolta i residui di questi le dieno l’aspetto a macchie bianche e nere, come un ordinario gabbro grossolano. Yella maggior parte dei casi, il componente ferro-magnesiaco è molto sviluppato e presenta evidente la tinta blu- ardesia del glaucofane. In sezioni sottili essa appare come una roccia felspatico-diallagica abi- tualmente alterata per cangiamenti secondari e presentante molto glaucofane. In quasi ogmi caso è chiaro che il diallagio ha largamente contribuito alla for- mazione del glaucofane, ed il nome di gabbro a glaucofane è interamente ap- propriato. L’autore espone minutamente i vari aspetti del glaucofane, ravvicinandoli a quelli descritti per roccie di altre località, e ne presenta anche la riprodu- zione in due sezioni microscopiche. Egli indica pure la presenza di attinolite e quella di felspato secondario; nonché di mica bianca, che in qualche punto costituisce quasi tutta la massa fondamentale della roccia. Esiste eziandio un minerale, prodotto d’alterazione, che é forse ima forma non ordinaria di epi- doto, e di esso, come degli altri, l’autore segue le successive fasi di produzione. Minerali accessori sono ancora: l’apatite, riconosciuta anche chimicamente in alcune sezioni, la pirite e la ilmenite, piuttosto abbondante e più o meno alte- rata in leucoxene. Il peso specifico della roccia é 3. 129 : quello della varietà più felspa- tica 2. 977. Parona C. F. — Note sui cefalopodi terziari del Piemonte. (Palaeonto- graphia italica, Yol. lY, pag. 155-168, tav. XII-XIII). — Pisa, 1899. Sui cefalopodi terziari ’del Piemonte scrissero Michelotti, E. Sismonda, d’Orbigny, Gastaldi e Bellardi, il quale nel 1872 iniziò con essi la sua mono- grafia sui molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria, illu- strandone gli esemplari sparsi nelle collezioni pubbliche e private. Ma da quell’epoca vennero in luce forme non ancora conosciute e altre che estendono - 308 — le nostre cognizioni sopra forme già note, per cui l’autore in questo lavoro raccoglie e pubblica le sue osservazioni in proposito. I fossili presi in esame provengono dalla formazione di G-assino e dal miocene delle colline torinesi, e a proposito della prima viene pienamente confermato il suo riferimento al Bar- tornano in conformità alle conclusioni cui venne il Bassani studiandone la ittio- fauna (vedi più sopra). Be forme studiate ed ampiamente descritte sono le seguenti. Per Q-assino: Atnria Rovasendiana n. sp. (erroneamente riferita dal Bellardi alla A. Atnrì Bast.), Raiitìlns cfr. decijneiis Micht., Rhijncholites sp. Per le colline di Torino: Atnria Aturi Bast., Atnria Formae n. sp., Scaptorrliyncns miocenicns Bell., Rhijncholites Allionii Bell, ed altre due forme nuove dello stesso genere. Spira- lirostra Bellardii d’Orb. jN’elle due tavole annesse sono riprodotte le forme descritte. Paroxa C. F. — Osservazioni sulla fauna e sull’ età del calcare di sco- gliera presso Colle Pagliare nell’ Abruzzo Aquilano. (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXTY, disp. 8^, pag. 378-387). — Torino, 1899. Questa fauna cretacea proveniente dal bacino dell’ Aterno a sud di Aquila,, e che fu già oggetto di studio dell’autore (vedi Bihl. 1897), presenta forme ca- ratteristiebe del giacimento di Col dei Schiosi nel Friuli associate ad altre proprie degli strati a caprotine di Termini Imerese, studiate dal Di-Stefano: essa quindi, oltre a contribuire alla migliore conoscenza della serie cretacea aquilana, dimostrasi importante perché riunisce forme che si ritenevano esclu- sive di quelle due località fra loro tanto distanti. Avendo l’autore potuto pro- curarsi nuovo materiale da quel giacimento, potè isolare numerosi fossili, che formano argomento della presente nota. La fauna di Colle Pagliare conta una ottantina di forme ripartite in vari gruppi, e cioè: foraminiferi, corallari, brachiopodi, lamellibranchi e gasteropodi, questi ultimi specialmente ricchi di forme, alcune delle quali con ogni proba- bilità nuove. Dall’elenco delle specie si rileva la ricchezza e la varietà della fauna stu- diata e che l’autore promette d’illustrare con apposita monografia. Kiassumendo poi le discussioni fatte sulla età delle faune di Col dei Schiosi e di Termini Imerese, egli osserva che quella di Colle Pagliare, per quanto ricca, non ne presenta, oltre alle forme comuni con esse, nessun’ altra nota che abbia deciso valore cronologico; tuttavia le maggiori probabilità ch’ca l’età di quest’ultimo giacimento stanno per il Cenomaniano superiore. - 309 — Passerini X. — Sopita la composizione dei calcari alberesi nelle colline del Fiorentino. (Atti E. Acc. dei G-eorgofili, S. lY, Yol. 22, n. 1, pag. 44-49). — Firenze, 1899. Dopo avere parlato in genere degli alberesi delle colline di Firenze, l’autore riferisce i risultati ottenuti dall’analisi di alcuni di essi. Peola P. — Florula del Fossaniano di Sommar iva-Perno in Piemonte. (Bivista ital. di paleontologia. Anno lY, fase. lY, pag. 122-125). — Parma, 1899. Sono impronte fillitiche sopra una marna rossiccia, sabbiosa, riposante sulla potente formazione delle sabbie gialle e rappresentante il Fossaniano di Sacco. Confrontato stratigraficamente con i giacimenti che diedero le flore plio- ceniche di Era e Pocapaglia (vedi Bibl. 1895 e 1896), che ne distano pochi chi- lometri, questo di Sommariva-Perno risulta più recente, in quantochè il primo sta al passaggio fra Piacenziano e Astiano, il secondo nell’ Astiano inferiore, mentre il terzo sta nell’ Astiano superiore. Confrontando poi questa florula, composta di 8 specie, con le due prece- denti, risulta che tutte, benché plioceniche, conservano molto del miocene; inoltre 5 specie sono in comime con Era e nessuna con Pocapaglia. Essa prova che dal principio dell’astiano il clima andò facendosi sempre più temperato. Peola P. — Flora delV Elveziano torinese. (Rivista ital. di paleontologia, Anno Y, fase. I, pag. 30-40). — Eologna, 1899. Le filliti, che formano oggetto di questo studio, provengono dalle forma- zioni elveziane dei dintorni di Torino e di Sciolze, e parzialmente di Rossignano, e posano, in genere, sopra una marna argillosa bianchiccia: esse apparten- gono a 49 specie, che vengono descritte, due delle quali nuove {Piiiiis Bova- scndai e Betiila sp.), e due proprie dei terreni terziari del Piemonte {Qnercns Gastaldi e Mijrica Sisììioiidae)\ di quelle conosciute poi havvene 6 trovate nel- Teocene, 37 nell’oligocene, 42 nel miocene, 21 nel pliocene; 3 sole sono comuni a tutti questi terreni. È quindi una flora miocenica, con buon numero di specie oligoceniche e plioceniche. Yi predominano le conifere e le cupulifere, segno di clima temperato, ma vi sono pure numerose le lauracee e le miricacee, che denotano un clima temperato-caldo: mancano affatto i rappresentanti di un clima tropicale. — 310 — 1 Peola P. — Flora del Langhiano torinese. (Eivista ital. di paleontolo- gia, Anno Y, fase. lY, pag. 95 a 108). — Bologna, 1899. Sono un centinaio di esemplari di f illiti, raccolte dal Gastaldi, dal Sismonda e dal RoTasenda in un lembo di Langhiano attraversante le colline torinesi e conservate nel R. Museo geologico di Torino e in quello privato del Rovasenda a Sciolze. Esse si trovano sopra una marna grigia azzurrastra fogliettata, in- sieme con aculei di echini ed avanzi di molluschi. Alcune di queste piante furono studiate daU’Heer nel 1858, altre da E. Sismonda nel 1859 e nel 1865; l’autore ora ne completa l’esame, con l’ag- giunta di belli ed interessanti esemplari raccolti posteriormente dal Rovasenda . Le specie descritte sono 77, delle quali 10 proprie del Langhiano di Torino. Delle altre 67, 8 furono trovate sinora nell’eocene, 45 nell’oligocene, 59 nel miocene e 19 nel pliocene. Trattasi quindi di una flora miocenica che conserva ancora il 70 di forme oligoceniche ; quindi è una flora del miocene inferiore, dinotante un clima fra il temperato e il tropicale. Yi primeggiano le miriche, le conifere, le cupulifere e notansi diverse specie della flora australe, cioè australiane e del Capo di Buona Speranza. Peola P. — Fiorala messiniana di Monte Castello d' Alessandria. (Boll. Soc. Geol. it., Yol. XYIII, fase. 1®, pag. 44-51). — Roma, 1899. Questo Monte Castello, o meglio Montecastello, è un villaggio poco al nord di Alessandria e sul versante orientale di una piccola collina alla sinistra del Tanaro, formata da banchi sabbiosi grigio -giallognoli e da strati molto inclinati di una marna bianchissima, fra i quali notansi sottili vene di gesso e strati di arenaria durissima fortemente cementata. È in essi che l’autore ha trovato, insieme a frequenti impronte di larve della Libellula deris, una trentina di esemplari di filliti che formano l’oggetto di questa nota. Le specie sono in numero di 20, delle quali 3 conosciute nell’eocene, 14 nell’oligocene, 18 nel miocene e 6 nel pliocene ; delle mioceniche cinque^ appar- tengono esclusivamente al miocene superiore. Trattasi dunque di una flora che conferma il riferimento fatto dal Sacco di quel terreno al Messiniano, in baso alla stratigrafia, alla presenza del gesso e alle larve di Libellula. Infatti nelle i vicinanze si vede da una parte il Tortoniano e il Tongriano, dall’altra il Pia- ce nziano e l’ Astiano. La distribuzione attuale delle specie o generi corrispondenti a quelle di '| Montecastello, rivela una flora di clima temperato caldo. Yi predominano le co- nifere con 8 specie di tipo americano e le ericacee con 2 specie puro americane. 311 — f Peola P. — Flora messinìana dì Ouarene e dintorni. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XYIII, fase. 3^ pag. 225-255). — Eoma, 1899. Dopo la pubblicazione del classico lavoro di E. Sismonda {Matérìaux poiir servir à la paléontologie dn terrain tertìaìre du Piémont, 1865) nel quale è illu- strato il notissimo ed importante giacimento fillitico di Guarene-Ea Morra in quel di Alba, fu continuata ancora la raccolta di quelle piante fossili dallo stesso Sismonda e da altri, fra cui l’autore, specialmente nei gessi di S.ta Yit: toria d’Alba, e nuove e parziali descrizioni videro la luce in seguito. Cionono- stante molte finiti di quelle località rimanevano ancora non studiate nel Museo geologico di Torino, per cui una aggiunta alla flora di Guarene rendevasi ne- cessaria, il che fa l’autore col presente lavoro. Egli però ha creduto opportuno di imire alle nuove specie trovate quelle già studiate dal Sismonda, in modo da avere una monografia completa delle filliti del Messiniano di Guarene e dintorni, e cioè di quella plaga che ha per centro la città di Alba e comprende i territori di Guarene, Piobesi, Castagnito, Monticello, S.ta Vittoria e La Morra, molto ricca di depositi gessosi e marne con larve di Libellula doris e impronte di pesci. Le specie descritte sono 107, delle quali 47 non conosciute dal Sismonda. Di esse 13 sono proprie di questa plaga e delle rimanenti 8 furono già rinve- nute nell’eocene, 64 nell’oligocene, 80 nel miocene, 32 nel pliocene e 1 nel qua- ternario. Trattasi dunque di una flora miocenica del tipo di quella di Oenin- gen, cioè del miocene superiore, colla quale ha pure in comune la abbondanza di larA’e della L. doris. Fatti gli opportuni confronti con le specie viventi, la flora di Guarene dimostrasi di clima temperato-caldo e analoga con la flora americana ; in essa comincia però a svilupparsi qualche tipo europeo, e per la prima volta vi compare il nostro Fagiis sijlvatica. Yisto poi la preponderanza di tipi propri dei terreni più antichi del pliocene, l’autore osserva che il Mes- siniano, cui appartiene la flora studiata, pur rappresentando un periodo di transizione fra miocene e pliocene, è da ascriversi piuttosto a quello che a questo. Philippi e. — Ueher einen Dolomitisirungsvorgang an sudalpinem Con- chodon-Dolomit. (X. Jahrb. fur Min., Geol. und Pai., Jahrg. 1899, B. I, H. I, pag. 32-46, con tavola). — Stuttgart, 1899. E una notevole contribuzione alla quistione della trasformazione del cal- care in dolomite per mezzo di un lento fenomeno di metamorfismo atmosferico 6 312 — detto di dolomitizzazione secondaria, che l’autore ha potuto studiare sulla do- lomia a Gonchodon infraliasicns dei dintorni di Lecco, dove vedonsi i passaggi dal calcare compatto scuro semplicemente dolomitico, alla vera dolomite giallo- chiara, altamente cristallina e riducentisi facilmente in sabbia, e dove accade non di rado di trovare campioni costituiti per metà dell’uno e dell’altro di questi prodotti. Dall’analisi di campioni rappresentanti i vari stadi di metamorfismo risultano i seguenti tenori estremi in calce e magnesia: dolomitizzazione inci- piente, CaO = 54. 15 e MgO = 1. 38 ; dolomitizzazione completa, CaO = 31. 33 e MgO = 20. 90. Le osservazioni microscopiche poi fatte dall’autore mostrano che i due carbonati non sono uniti chimicamente ma soltanto meccanicamente; è ciò spiega il risultato delle ultime ricerche cristallografiche per le quali è provato che dolomite e calcite non sono isomorfi come prima si credeva, ma bensì tetartoedrica la prima, romboedrico-esagonale la seconda. IS'ella tavola annessa è disegnato un campione di dolomite del piano a Gonchodon a metà calcare e dolomitico, e inoltre una sezione microscopica della stessa roccia mostrante i cristalli di dolomite entro una massa calcare fina- mente cristallina. PiOLTi G-. — Sulla presenta della jadeìte nella Valle di Susa. (Atti E. Acc. Se. di Torino, XXXIY, disp. 12, pag. 600-608). — Torino, 1899. Il ritrovamento di un ciottolo avente i caratteri esterni della giadeite fatto dall’autore anni addietro nel materiale morenico di Eivoli allo sbocco della valle di Susa, quando cioè ferveva la questione fra i paletnologi della esi- stenza o meno di siffatto materiale in Europa, lo indusse a farne ricerca fra i ciottoli della Dora Eiparia e nei giacimenti- serpentinosi della valle, ma il ri- sultato fu negativo. Egli pertanto cominciò con l’assicurarsi che si trattasse di vera giadeite, e non di altri materiali finora confusi con essa; e n’ebbe la conferma tanto nell’esame microscopico, quanto nell’analisi chimica che diede una composi- zione molto vicina a quella di una giadeite asiatica analizzata dal Damour nel 1881. Fa quindi in breve la storia di alcuni ritrovamenti di oggetti lavorati nella valle di Susa, con materiali diversi e fra questi la cossaite che vi è assai rara e ne conchiude che, come avvenne probabilmente per questa, anche la giadeite sia stata quasi intieramente asportata in epoca neolitica per farne manufatti. Conchiiide quindi con lo Strobel che la vecchia ipotesi della provenienza asiatica della giadeite perde molto della sua probabilità, ed è di opinione col Mayer che i giacimenti europei di questo materiale sono ancora a scoprirsi e che probabilmente ne esistono nelle Alpi, dove non furono ancora ricercati ab- bastanza acc*uratamente. Porro C. — Cenni preliminari ad iin rilievo geologico della catena oro- bica dalla Valsassina al M. Venerocolo. (Pendiconti E. Istituto lom- bardo, Ser. II, Yol. XXXII, fase. Y, pag. 408-419). — Milano, 1899. In attesa della pubblicazione di un lavoro al quale attende da qualche anno, l'autore riassume in questa nota i risultati ottenuti in alcune escursioni fatte ultimamente nelle Alpi Orobie dalla Yalsassina ad ovest sino al Monte Yenerocolo ad est, e dalla Yaltellina sino all'altezza di S. Griovanni Bianco nell’altro verso. Due sono le quistioni principali da risolversi in questo elevato gruppo di monti, cioè ; I rapporti fra le roccie cristalline e la gran massa delle roccie sedimentari clastiche sovraincombenti ; 2® L’orizzonte geologico di questa massa che sta compresa fra dette roccie cristalline ed i calcari del Muschelkalk. Fatta una rassegna delle principali roccie che si presentano nella intiera serie, dagli scisti cristallini cioè ai porfidi, da questi alle formazioni clastiche e ai vari piani sovrastanti dal calcare grigio del Muschelkalk alla dolomia re- tica, e dopo avere tracciata in breve la tettonica di questo complesso di forma- zioni, l'autore viene alle conclusioni seguenti: 1® Il complesso cristallino che forma il versante valtellinese, è molto più antico delle zone clastiche formanti la cresta della catena e parte del versante sud, e non fa passaggio a queste; 2'^ Le roccie sedimentari clastiche sono discordanti con le cristalline, e un com- plesso di faglie si interpone fra i due sistemi; 3® Xelle roccie clastiche si in- tercalano, nella parte ovest del sistema, alcune zone fossilifere del Servino (trias inferiore), il che proverebbe il loro livello immediatamente sottostante al Muschelkalk predetto. Porta Y. A. — Nuovi chelonii fossili del Piacentino. (Eivista italiana di paleontologia. Anno lY, fase. lY, pag. 105-122, con tavola). — Parma, 1899. Sono pochi resti di tartarughe rinvenuti a Castellarquato, prima ricordati dal Cuvier (1830), poi dal Portis (1885), e studiati parzialmente dallo Strobel che li riferì a due forme, Archaeochelonia Sordellii Strob. e Chelone sp. Disgra- 314 — ziatamente però tali resti del Piacentino, conservati nel Museo di Parma, oltre ad essere pochi, appartengono tutti agli arti, mancando completamente le ossa della testa, del clipeo e del piastrone, da cui si desumono specialmente i ca- ratteri specifici. L’autore, dopo accurato studio di essi, li attribuisce a tra specie, delle quali fa una dettagliata descrizione, e cioè: Chelone Stroheli n. sp., Gìieloiie Sordellii Strobel, Chelone Simonellii n. sp. IN^ella tavola sono date le figure dei resti a metà della grandezza naturale. PoRTis A. — Avanzi di tragiilidi oligocenici nelV Italia settentrionale. (Boll. Soc. Greol. -it., Voi. XYIII, fase. I, pag. 4-14). — Eoma, 1899. Sono due frammenti di ossa rinvenuti entro le marne oligoceniche di Chiavon nel Veneto, dapprima attribuite ad un uccello, riconosciute poi dal- l’autore come resti di un mammifero della famiglia dei tragulidi. I due fram- menti vengono in questo lavoro ampiamente descritti e figurati, e procedendo per confronto, l’autore li crede appartenere con molta probabilità al genere Prodremotherinm, del quale è oggi sicuramente conosciuta una sola specie, il Pr. elongatnin Pilhol. Anche il Sordelli nella sua Flora fossilis insuhrìca (vedi Bìhl. 1896) de- scrisse alcune ossa provenienti dall’arenaria miocenica di Maccio (Como), dan- done la figura ; l’autore crede debbansi riferire parimenti al .genere anzidetto, essendovi soddisfacente accordo nelle forme e dimensioni con gli avanzi di Chiavon. Questa conclusione è importante, perchè con essa si arriva a stabi- lire la età tuttora discussa della gonfolite comense, che apparterrebbe allo oligocene inferiore. Altri avanzi di tragulidi rinvenuti in Italia sono quelli di Cadibona, stu- diati dal Gastaldi, per cui questo giacimento lignitifero della Liguria va rife- rito all’oligocene medio, alquanto più in alto dei depositi a ittioliti di Chiavon e della suddetta gonfolite ; e allo stesso livello sono da ascrivere anche le ligniti di Agnana in Calabria. In questi due casi però si tratta non del genere Pro- dremotheriiim, ma bensì del genere Gelocns, meno antico del primo. PoRTis A. — Una nuova specie di rinoceronti fossile in Italia? (Boll. Soc. Geol. it., Voi. XVIII, fase. 2®, pag. 116-131, con tavola). — Eoma, 1899. La specie sarebbe fondata su di un pezzo di mandibola di rinoceronte di ignota provenienza, esistente da lungo tempo nel Museo universitario di Eoma, — 315 — e al quale accenna anche il Weithofer nel suo lavoro Ueber die ter ti are n Laiidsangetìiiere Italiens inserito nel volume XXXIX del Jaìirb. der k. k. Geoì. Rrichs. (vedi Bibì. 18S9). Questo pezzo, liberato dai materiali che lo avvolgevano quasi per intiero e restaurato convenientemente^ viene dall'autore ampiamente descritto nel pre- sente lavoro. Fatto poi un minuzioso confronto di questo esemplare con le figure analoghe di rinoceronti appartenenti a varie specie, conchiude che esso maggiormente si avvicina al miocenico Eh. Schlejennacheri Kaup ti’ovato ad Eppelsheim. a Sansan. a Pickermi e in altre località mioceniche, non esclu- dendo una certa affinità col suo successore attuale il Eh. sondaicns. In quanto al luogo di rinvenimento, non avendo ti'ovata sul pezzo nè altrove indicazione di sorta, l'autore, dopo una serie di ragionamenti, ricerche e deduzioni, è di opinione che esso provenga dalle sabbie gialle del sistema di Monte Mario e precisamente dal piede della collina detta Monte delle Piche, a poca distanza da Poma, lungo la ferrovia per Civitav.ecchia. Per con- gnenza in quei depositi del pliocene superiore il Eh. Schlejcrmacheri Kaup si troverebbe insieme col comunissimo Eh. Merrki K. et Jaeg., oltre che con ele- fanti. cavalli, ippopotami e qualche carnivoro; quelle due specie, insieme col rarissimo Eh. leptoidtinns Cuv. dell'alta Italia, rappresenterebbera tutta la fauna di tal genere riconosciuta in Italia dalla base del pliocene in poi. Di esse la più antica è la prima, in quanto che fuori d'Italia non era conosciuta, come è detto sopra, che in terreni miocenici. Xella tavola amiessa è daki la figura, in due proiezioni diverse, della m;mdibola in quistione a metà della grandezza naturale. Redlich K. a. — Yoridnfige Mìftheilung ììher die Kreide von Pingnente in Istrieji. (Yerhandl. dei* k. k. geol. Eeichs., Jahrg. 1899. n. 5, pag. 150-1511. — Wien. 1899. È una breve comunicazione preliminare sullo studio di fossili cretacei prove- nienti dalla Val di Quieto, ad ovest di Pinguente, in località Porta di Ferro ed avuti in esame dal prof. HOrnes. Xella lista figurano i generi Osti'ea, Exogijrcij Lima. Xeithea, Aricnìa. Lithodomus, Diceras. Capriimla. Eadiolites^ Caprotina, Xeri- nea. Tgìostoma. Terebra. con numerosi gasteropodi e lamellibranchi indeterminati. Anche in questo, come nel l^voi*o suaccennato del dottor Oppenheim, si ha una nuova dimostrazione della conispordenza di questo giacimento con quello di Col dei Schiosi nel Friuli, descritto dal Bohm. L'autore però non si pronuncia ancora sul suo riferimento al Cenomaniano o al Turoniano. — 316 — Eiccò A. — Riassnnto della sismografia del terremoto del 16 iiov. 1894. Parte I. (Eendiconti E. Acc. dei Lincei, S. T, Tei. TTTT. fase. 2® sem., i3ag. 3-12). — Eoma, 1899. — Idem. Parte IL (Ibidem, fase. 2®, 2® sem., pag. 35-15). — Eoma, 1899. — Idem. (I e II)' (Boll, della Soc. sismologica ital., Tol. T, fase. 5, pag. 157-180). — Modena, 1899. L’autore, quale membro della Commissione governativa incaricata di stu- diare il terremoto calabro-siculo del 16 novembre 1891, visitò ben 80 centri abitati fra i più colpiti e, avuto notizie particolareggiate di altri luoghi dagli ingegneri del Genio Civile di Eeggio- Calabria e daU’Lfficio centrale di meteo- rologia e geodinamica, riferisce in questa nota per la parte sismologica, I dati che si è procurato riguardano 170 località, e per mezzo di questi si sono tracciate sopra una carta topografica le linee isosismiche, secondo la scala Eossi-Porel e determinate per ciascuna la massima dimensione e la su- perficie in chilometri quadrati. L’area epicentrale ove furono maggiori le ro- vine cade nel circondario di Palmi, con un massimo nella borgata di S. Pro- copio. Quest’area è reniforme, mentre le altre sono sommariamente concentriche a questa, però più estese a ponente e più ravvicinate a levante. Esse presen- tano inoltre varie anomalie, che l’autore descrive, le quali dimostrano come le linee isosismiche seguano il contorno dei grandi massicci cristallini, trasmet- tendo questi il movimento tellurico con minore diminuzione d’intensità a con- fronto di ciò che avviene nelle roccie sedimentarie. La massa dell’Etna si comporterebbe allo stesso modo. Le isosismiche oltre l’istmo di Catanzaro, indi- cano una rapida diminuzione d’iutensità che si spiegherebbe coUa frattuin del cristallino corrispondente allo stretto di Messina. L’autore, a proposito dei danni subiti dai fabbricati, ritiene non sia spe- rabile avere da essi la misura dell’intensità del terremoto. La statistica però fornisce dati del danno reale e relativo dei vari comuni funestati dal terremoto, * e l’autore espone un quadro nel quale sono indicate le case danneggiate, croi- ? late in parte o totalmente in 121 comuni della provincia di Eeggio ed in 15 ; di quella di Messina. Tenendo alle registrazioni degli strumenti sismici, queste vengono com- * pendiate in una tabella, nella quale sono indicate : le distanze degù osservatori dall’epicentro ; la durata, il priucipio, la fine ed il massimo dell’oscillazione ; l’ampiezza, la direzione prevalente e quella dell’epicentro. Da questi dati lau- i lore rileva che l’ampiezza massima delle oscillazioni decresce in generale colla j — 317 - I distanza dall’epicentro ; inoltre la loro direzione registrata non confronta in prevalenza con quelle dell’epicentro, indicando un movimento del suolo, pro- dotto oltre che da onde sismiche longitudinali, anche da altre dirette e riflesse. Le intermittenze osservate nel terremoto possono dipendere tanto da im- pulsi distinti, quanto da interferenze delle onde sismiche, e, per le stazioni più lontane dall’epicentro, anche da diversa velocità di propagazione delle onde stesse. Accennato alla direzione degli oggetti lanciati che coincide in generale con quella del piano passante per il luogo considerato e per l’epicentro, l’autore si occupa della velocità di propagazione del movimento sismico che gli risulta al secondo di km. 2. 085 con un errore massimo di m. 30 in più o in meno. Espone quindi i diversi metodi per trovare la profondità dell’epicentro ed osserva che merita maggiore fiducia la profondità troAmta coi principi di Schmidt, che risulta di 172 km. ; profondità alla quale le materie si trovano allo stato fluido e dove più facilmente possono succedere urti e deflagrazioni tali, da scuotere la scorza solida che le rinchiude. Accennato infine alle condizioni meteoriche osservate nel giorno del ^ter- remoto, alle scosse premonitrici e alle repliche seguite alla grande scossa, istituisce un confronto fra questo terremoto e quello del 1783. Dalle curve iso- sismiche di questo tracciate sulla stessa carta del terremoto del 1894, si vede che l’epicentro di quello quasi coincide con questo. Dal confronto delle iso- sismiche poi risulterebbe una intensità più che doppia in quello del 1783. Anche i danni e le vittime risultano in quello del 1894 di molto minore entità, per cui esso sarebbe una replica in scala minore dell’altro. Riccò A. — Terremoto Etneo del là maggio 1898. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. Y, n. 7, pag. 220-230, con tavola). — Modena, 1899. Questa sensibile scossa di terremoto, prevalentemente ondulatoria, fu avvertita in Catania la mattina del 14 maggio 1898 con direzione nord-sud. L'autore dà in questa nota relazione delle registrazioni dei sismometrografi e dei danni prodotti nei dintorni ; e coiichiude trattarsi evidentemente di un ter- remoto etneo eccentrico, • col centro cioè a S. Maria di Licodia sul versante S.O del cono, poiché da quel punto l’intensità del movimento andò diminuendo in tutte le direzioni, anche verso il cratere centrale. L’ipocentro poi dovette essere a poca profondità, perchè l’intensità diminuì rapidamente in tutte le direzioni. Yella borgata anzidetta le case furono danneggiate quasi tutte, e parecchie di esse diroccarono in tutto o in parte. Yella tavola annessa sono disegnate le oscillazioni dei sismometrografi. 318 - Riva C. — Sopra la formazione diahasica e sopra alcuni minerali di Rosas nel Sulcis {Sardegna). (Rendiconti del R. Istituto lombardo. S. II, Voi. XXXII, fase. lY, pag. 344-360). — Milano, 1899. Questa roccia eruttiva, già indicata dal Ramarmora come diorite, trovasi intimamente connessa con i minerali metalliferi formanti oggetto della conces- sione mineraria di Rosas, la galena cioè e la blenda, entro la grande forma- zione siluriana di calcari e scisti, a S.E della catena dei Monti Reni. Col nome di diorite essa fu indicata sino agli ultimi scritti dagli autori ebe trattarono della regione, ed è merito dell’autore Taverne indicata la vera natura. Questa roccia è prevalentemente costituita da felspato plagioclasio e da augite più o meno uralitizzata ; vi sono accessorii l’apatite e il ferro titanato. Il felspato va riferito alTandesina; è fortemente alterato e tra i prodotti secondari predomina la muscovite, la quale talvolta lo sostituisce del tutto. R’augite vi è in larghe plaghe, raramente in cristalli, ed ha contorni irre- golarmente poligonali : essendo l’uralitizzazione assai estesa, l’anfibolo sostituisce talvolta il pirosseno, il che spiega il nome di diorite dato finora alla roccia. Questa è attraversata sovente da sottili fessure riempite da cristallini di zoisite. La galena e la blenda sono talora intimamente commiste con la roccia mas- siccia, e allora il felspato e il pirosseno sono sostituiti dalla calcite e dall’anfi- bolo, che da soli fanno da ganga ai due solfuri. L’autore descrive anche alcune specie minerali che di frequente si rinven- gono a Rosas. Esse sono: allofane, limonite, malachite, auricalcite, calamina, crisocolla, azzurrite, cerussite, pirite, calcopirite, cuprite, fluorite e brochantite, quest’ultima nuova per la Sardegna. Per alcune di esse egli dà il disegno delle forme cristalline, con le misure relative. Rr-a C. — Brochantite di Rosas nel Sulcis {Sardegna). (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, S.Y,Yol.YIII, fase. 7®, sem., pag. 347-348). — Roma, 1899. — Idem. (Rivista di min. e crist. italiana, Yol. XXII, fase. Y e YI, pag. 89-90). — Padova, 1899. È una nota aggiunta al lavoro precedente, relativa al ritrovamento della brochantite, in bei cristalli di colore verde smeraldo, entro la roccia diabasica alterata, con abbondante limonite, delle miniere di Rosas. L’autore dà i caratteri cristallografici di questo minerale, da lui conside- rato come trimetrico, osservando che l’abito dei cristalli è simile a quello della brochantite di Russia descritta dal Kokscharow. I cristalli di Rosas sono però maggiormente tabulari secondo (010). - 319 — f Biva C. — Ueher einige Mìneralien von Rosas {Sardinìen). (G-roth^ Zeit- schrift ftir Krystall. und Min., B. XXXI, H. YI, pag. 532-537, con tavola). — Leipzig, 1899. È un sunto dei lavori precedenti, nel quale l’autore espone specialmente i caratteri cristallografici dei minerali di Rosas. Eoccati a. — Nuove ricerche sulla provenienza del materiale roccioso della Collina di Torino. (Atti R. Acc. Se. di Torino, XXXIY, di- spensa 11% pag. 817-828, con tavola). — Torino, 1899. In continuazione alle ricerche già fatte sullo stesso argomento {yddlBihl.lSdi) Fautore prende in questa nota in esame altro materiale proveniente dallo stesso terreno elveziano, raccolto parte nel torrente S. Raffaele che scende verso Cimena e parte nella località detta Calabria. Le roccie delle quali è dato lo studio petrografico sono le seguenti; Granatite ad arfveelsonite che ritiene identica a quella in posto nella valle rii Chialamberto. Granatite che corrisjoonde a campioni provenienti da Campiglia in Yal Soaiia.. Prasinite anfìholica che ritiene riferibile al tipo della valle di Susa. Scisto diasproide a radiolarie riferibile secondo l’autore a quello di Rivara nel Canavese piuttosto che a quello di Cesana Torinese. Calcare cristallino identico a quello del Passo della Carmetta presso Yiù nella valle di Lanzo. Menziona poi una porfirite diabasica ed wRenfotide, delle quali non potè fare lo studio completo per la loro profonda alterazione, ma che però crede si possano identificare, la prima colla porfirite sparsa in ciottoli e massi nell’alta Alalie di Susa e che il Piolti dà come proveuiente dal Monte Gimont; la se- conda con una A^arietà di eufotide comune al Monte Musine, presso Casellettu pure studiata dal Piolti (A’^edi Bihl. 1897). In una cartina al 1/600,000 sono indicate con tratteggio le località della Collina di Torino dalle quali provenne il materiale e con lettere i punti della catena alpina OA^e tali roccie si troA'ano in posto. Rosenbusch H. — Ueher EuMolith, ein neues Qlied des theralithischen Effiisivmagmen. (Sitzungsb. der Kon. Preuss. Akad. der Wiss. zu Berlin, Jalu*g. 1899, YII, pag. 110-115). — Berlin, 1899. È una nuoA^a A-arietà di lava, così denominata dall’autore, proveniente dal Amicano spento di Pian di Celle presso San Yenanzo nell’TJmbria, a circa ugual — 320 — distanza fra Orvieto e Perugia, e della quale ebbe un campione dall’ing. Cle- rici di Roma. Essa mostrasi come una massa grigio-cMara olo cristallina for- mata da una miscela microscopica di olivina, melilite, leucite, biotite e ma- gnetite, con individui macroscopici di olÌA^ina e biotite e piccolissime cavità ripiene di una zeolite, probabilmente epistilbite. Ea struttura della roccia ba un carattere porfirico poco pronunciato. lina analisi chimica della euktolite diede i risultati seguenti : SiOg = 41,43; TìO2=0. 29; Ala03=9. 80 ; ¥efi,=S. 28 ; EeO = 5. 15; MgO = 13. 40; CaO = 16. 62; iN'a,0 = l. 64; K,jO = 7. 40; HaO = l. 11. Il suo peso specifico è di 2,758. Per la sua composizione questa roccia trova posto nella serie dei magma d’effusione teralitici insieme col porfido leucitico, la leucitite, il basalto leucitico, ed il melilitico, riempiendo una lacuna nel complesso delle roccie eruttive ; da ciò il suo nome (roccia desiderata). Rovereto G-. -- Serpnlìdae del tej^siarìo e del quaternario in Italia. {Psi- laeontographia italica, Yol. lY, pag. 47-92, tav. YI-YII). — Pisa, 1899. dell’intento di classificare gli anellidi fossili l’autore si è procurato una ricca raccolta di forme tubicolarq in gran parte da attribuirsi a serpule, valen- dosi delle collezioni di vari musei italiani e di alcune private. Per il confronto colle forme viventi si giovò di quelle dragate da lui lungo le coste liguri e di collezioni zoologiche. Premessa una copiosa lista bibliografica degli autori consultati, sia per le sinonimie delle specie AÙventi che di quelle fossili, espone, in una estesa intro- duzione, le difficoltà dello studio degli anellidi fossili, i loro caratteri, la distin- zione dei generi, il significato paleontologico del genere Serpnla, la distinzione delle specie e varietà, il loro valore cronologico, terminando con una rivista storica sullo studio degli anellidi in Italia. Segue quindi la descrizione delle varie forme studiate che sono le seguenti: Genere Serpnla con dieci specie delle quali sei nuove; sottogenere Hij- clroides con una sola specie che l’autore ritiene un genere ; gen. Filograna con tre specie, di cui una nuova; gen. Vermilia con tre specie; gen. Ditnipa con due specie; gen. Pomatoceros con quattro specie, tra cui una nuova; gen. Pia- costegns con sei specie, di cui quattro nuove; gen. Frollila con cinque specie, due delle quah nuove ; gen. Spirorhis con sei specie, delle quali quattro nuove. Alla fine di questa monografia è dato un elenco sinonimico delle serpule del terziario e quaternario d’Italia e sono disegnate in due tavole le forme studiate. — 321 — f Sabatoìti Y. — I vulcani di San Venanso. (Rivista di min. e crisi, ita- liana, Yol. XXII, fase. I a lY, pag. 3-12). — Padova, 1899. Sono due piccoli centri vulcanici, situati Inno a S. Yenanzo nell’Umbria (circondario di Orvieto) l’altro a Pian di Celle, un chilometro circa più a sud, con solo tufo il primo, con tufo e lava il secondo. Entrambi stanno su di ar- gille plioceniche gialle, le quali a lor volta riposano sulla grande formazione eocenica di quei dintorni, costituita principalmente da calcari marnosi grigio- chiari fogliettati : le argille hanno poco spessore e le valli circostanti alle due bocche eruttive sono profondamente intagliate nell’eocene. Essi sono posti sul vertice di due schienali alle quote di metri 465 e 472 sul mare, ed i lapilli che coronano le due alture hanno una potenza media fra i 10 e i 20 metri e una estensione complessiva di circa mezzo chilometro quadrato ; essi sono ge- neralmente cementati. L’unica corrente lavica, a Pian di Celle, poggia sui la- pilli, i quali in certi punti hanno spessore assai ridotto, fino a sparire verso la estremità della colata, ove cessa anche il pliocene e allora la lava poggia di- rettamente sull’eocene. Coi lapilli trovansi inclusi di roccie sedimentarie, i quali, assai rari a Pian di Celle, costituiscono a S. Yenanzo la maggior parte del materiale: essi provengono dalle argille e dai calcari del terreno sottostante, sovente con segni di rottura parziale o totale. La lava di Pian di Celle, studiata dall’autore, è una melilitite leiicitica con olivina, di colore grigio e granellosa. L’olivina vi appare in grandi cristalli e contiene inclusioni di picofite ; la melilite vedesi al microscopio in microliti fi’angiati, forma finora sconosciuta, ma che era stata dall’autore ritrovata in al- cune lave del Yiilcano Laziale; queste però sono essenzialmente pirosseniche, mentre la prima è quasi j^riva di pirosseno. Trovansi inoltre nella lava di I^ian di Celle : la leucite in numerose sezioni di piccolissime dimensioni, il pi- rosseno in pochi e piccolissimi grani, la nefelina, la mica nera, la magnetite ; in una cavità poi l’autore ritrovò, oltre ai precedenti, l’apatite e la natrolite. In quanto all’analisi chimica, egli riporta quella data dal Rosenbiisch (vedi più sopra). A questo nuovo tipo di lava l’autore diede il nome di venangite. Sabatini Y. — Reiasione sul lavoro eseguito nel triennio 1896-97-98 sui vulcani delV Italia centrale e i loro prodotti. (Boll. R. Comitato GeoL, Yol. XXX, n. 1, pag. 30-60). — Roma, 1899. In questa Relazione l’autore si occupa dei vulcani Cimini e Yulsinii. Sono dapprima indicate le formazioni sedimentari che affiorano nel Yiter- bese, cominciando dall’eocene che si presenta a Monte Razzano ed a Perento — 322 con arenarie e calcari a piccole nummnliti, che si veggono in pochi lembi iso- lati, coperti generalmente dai tufi vulcanici e talora in frammenti erratici. Suc- cede il pliocene il quale, oltre al grande sviluppo che prende nella valle del Tevere, affiora nella valle della Yezza, a Fabbrica, a Soriano, a Bagnara. a Orto, a Borghetto, ecc. Esso si presenta colle solite argille, sabbie gialle e conglomerati, e l’autore dà un elenco dei fossili rinvenuti in alcune località. Sopra le ghiaie plioceniche si presentano altre ghiaie cementate quater- narie, depositi d’acque dolci e travertini. L’autore vi riconosce in questi tre livelli differenti, uno più antico tra le ghiaie quaternarie e le sabbie argillose, uno medio sopra le ghiaie e coperto da tufo terroso, ed uno più recente nel letto del Tevere tra Bassano ed Orte coperto da depositi alluvionali moderni. Dalla loro disposizione in relazione coi depositi vulcanici e i terreni pliocenici, come risulta da varie sezioni esaminate, l’autore deduce che anche in questa regione il vulcanismo è posteriore al terziario e al ritiro delle acque marine. Passa quindi alle formazioni vulcaniche. B Cimino mostra traccio di due crateri adiacenti e slabbrati ; è coronato alle falde settentrionali da una serie di coni secondari, ma ne manca nella parte meridionale : solo à maggiore distanza si apre il cratere di Vico come un cono eccentrico. Il jìeperino forma il substrato della regione viterbese. È questo una roccia grigio-chiara o rossastra che serve, quando compatta, nelle costruzioni, ma passa facilmente a materiale terroso. Esso appare nei burroni intorno al cra- tere principale in testate sopra le argille. La questione se questa roccia sia un tufo o una lava non è ancora risolta : se al microscopio e per l’aspetto esterno possa credersi una lava, la grande abbondanza di questo materiale, la sua con- tinuità, l’assenza di fenomeni di contatto, l’abbondanza d’ inclusi, la stratifica- zione sottile, e il costituire molti coni, lo farebbero credere un tufo: l’autore però ammette che vi possano essere in esso tanto lave che tufi. Per le lave l’autore nota la differenza fra quelle del Cimino e quelle del cratere di Vico, per contenere queste le leuciti visibili in maggiore abbondanza. IS'el Cimino nota una lava andesitica detta in hiogo peti'isco, distinta da altre che prendono diversi nomi volgari a seconda del loro aspetto. Quanto ai tufi li distingue in leucitici ed andesitici, e presenta diverse sezioni naturali che mostrano la loro disposizione. La presenza di contrafforti più o meno isolati formati da tufi litoidi con scorie nere, come ad Orte e a S. Maria di Monte- casoli, è dovuta a fenomeni di erosione e successivo riempimento di ceneri trasportate dalle alluvioni con ulteriore erosione. Venendo alla conca di Bolsena l’autore ne delinea la formazione dandone r — 323 — una figura schematica, dalla qualle risulta nella zona periferica del lago una serie di alture arcuate che non possono attribuirsi a coni, ma a frammenti di circuiti. IS'on crede sostenibile l’ipotesi del Yom Rath che ritenne quei materiali dovuti a breve 'periodo eruttivo, nè facilmente spiegabile la formazione del lago collo sventramento di crateri perimetrali, secondo il Verri. L’autore ritiene che una alta montagna si elevasse ove ora è il lago, con pendenza debole e con altezza superiore forse a quella dell’Etna. Essendo frequenti i fenomeni esplosivi Abo- lenti, la sua demolizione fu più rapida della ricostruzione ; si ebbe quindi una voragine nella quale, attenuandosi l’attività eruttiva, si costruivano nuovi recinti in località diverse dipendentemente dallo spostamento dell’asse eruttivo; così si formarono recinti o frammenti di recinti che corrispondono appunto alle alture arcuate più o meno parallele e avviluppate fra di loro, demolite e modificate poscia, da crateri perimetrali. Di questa struttura detta a sfoglia si hanno traccio più visibili nell’edificio di Latera. Questo cratere, del quale l’autore dà una figura schematica ed una sezione, presenta quattro recinti interni più o meno concentrici, dei quali non esistono che frammenti, meno che per il primo che è quasi completo ; essi vengono descritti daH’autore. Dall’ interno del recinto maggiore parte la grandiosa colata del Lamone, che girando intorno aU’altura di Semonte discende per 10 chilo- metri verso S.O con una larghezza media di 3, formata da grossi blocchi di laAm nera, porosa e ricoperta in gran parte da folta foresta. L’autore accenna da ultimo ai Auilcanetti di S. Yenanzo e di Pian di Celle, di cui nella bibliografia precedente. ( Continua) PUBBLlGAZIOxNI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (^30 settembre 1900} I.IBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXX, dal 1870 al 1899. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem delUabbonamento annuale in. Italia . » 8 — Idem idem all’estero » lO — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Un volume in-4'’ di pag. 364 con tavole e carte geologiche » 35 — Voi. Il, Parte 1\ Firenze 1873. — Un volume in-4^ di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. II, Parte 2^. Firenze 1874. — Un volume in-4“ di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. Ili, Parte 1®. Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 — Voi. Ili, Parte 2^ Firenze 1888. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 — Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — Un volume in-4“ di pag. 136 con tavole » 8 — Voi. IV, Parte 2®. Firenze 1893. — Un volume in-4“ di pag. 214 con tavole » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci: Descrizione geologica dell'Isola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. II, Roma 1886. — B. LOTTI: Descrizione geologica del- V Isola d'Elba. — Un volume in-8” di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. Ili, Roma 1887. — A. FabrI: Relazione sulle miniere di ferro dell'Isola d'Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni. » 20 — Voi. IV, Roma 1888. — G. ZOPPI: Descrizione geologico-mine- raria dell' Iglesiente (Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » 15 — Voi. V, Roma 1890. — C. De CASTRO: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. » 8 — Voi. VI, Roma 1891. — L. BaldaccI: Osseruasioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa L. 6 Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. SABATINI: Descri- zione geologico-petrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche » 8 Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI: Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi, IX, Roma 1895. — E. CORTESE : Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8” di pag. 338 con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. X, Roma 1900. — V. Sabatini: I vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte 1^ : Vulcano Labiale. — UTn vo- lume in 8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di \ a \ 000 000, in due fogli : 2® edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 251 (Cefalo) .... » 3 — M 252 (Naso) .... » 4 — » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 254 (Messina) . . . » 4 — » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 260 (Nicosia) . . . » 5 — » 261 (Bronte). . . . » 5 — Foglio N. 262 (Monte Etna). . L. 5 » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 » 266 (Sciacca) . . . » 4 » 267 (Canicattì) . . . » 5 » 268 (Caltanissetta) . » 5 » 269 (Paterno) . . . » 5 » 270 (Catania) . . . » 3 » 271 (Girgenti) . . . » 3 » 272 (Terranova) . . » 4 » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 274 (Siracusa) . . . » 4 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 » 276 (Modica) . . . » 3 » 277 (Noto) . . . . » 3 Tavola di sezioni N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 — » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) . . » 4 — » )) N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262). . » 4 — » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) .... » 4 — » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274). ...» 4 — — 326 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — N3. / fogli e la tavola-di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) . L. 4 — Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 143 (Bracciano). . » 5 — » 150 (Roma) . . . » 5 — » 144 (Palombara) . » 5 — » 158 (Cori) . 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150) — L. 4. Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in quattro fogli e tre tavole di sezioni, con copertina. - Roma, 1897 . L. 30 — WB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema .... . L. 5 — » Castelnuovo . . . . ^ » 5 — )) Serravezza. . . . . » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . . L. 5. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000; ne sono pubblicati i fogli seguenti: Foglio N. 236 (Cosenza) . . . L. 4 — Foglio N. 245 (Palmi). . . . L. 3 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 238 (Cotrone) ...» 3 — » 247 (Badolato. . . » 3 — » 241 (Nicastro) . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . » 4 — » 242 (Catanzaro) . . » 4 — > 263 (Bova) . . . . » 3 — » 243 (Isola Capo Riz- » 264 (Staiti) . . . . » 3 — zuto) » 3 — Tavola di sezioni N. I e N. II, ciascuna . . L. 4. Carta geologica dell’Isola d’Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni, — Roma, 1886 » Carta geologico-mineraria deir Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » Carta geologico-inineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 10 — 5 - 5 — 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves ìd Koma, Bologna, Milano e Napoli. Annunzi di pubblicazioni f. De Angelis d'Ossat. — I ciottoli esotici nel Miocene del Monte Deruta (Umbria) (Rendiconti R. Acc. dei Dincei, S. Y, Yol. IX, fase. 12'\ sem.). — Roma. 1900: pag. 8 in-I®. Levi. — Osservazioni sulla distribuzione dei fossili negli strati pliocenici di Castellarquato (Rivista ital. di Paleontologia, Anno YI, fase. II). — Bologna, 1900: pag. 20 in-8^. Peola. — Flora del Tongriano di Bagnasco, IVuceto, ecc. (Ibidem, Anno YI, fase. II). — Bologna, 1900; pag. 10 in-8®. LeNi;-Stef ANO. Sopra alcuni minerali di Calabria (Boll, del Xaturalista). Siena, Doti: pag. 0 in-l". È. XuoLis. Marmi, pietre e terre coloranti della provincia di Verona. — i \'* ioiia. 19 MJ: pag. 02 in-S'* con tavola. La Vaijj;. - 11 museo di mineralogia e geologia nella R, Università di I Messina. - Messina. 19(X): pag. 22 in-l^^. J’k. Yhk.ilio. - Ceoiuorfogenia della provincia di Bari. — Trani, 1900; nag. IIS in A ’ con 3 tavok*. V G. De Amwu.is d'Ossat. — L’origine dei ciottoli esotici nel Miocene del V Mmite Deruta (Umbria) iReml. R. Aci*. Lincei, S. A", Yol, IX, fase. 2*^, E 2’ >eui.). Roma. 1900: pag. ó iiiA^^. G. Oai-ellim. - Di un uovo di Aepiornis nel Museo di storia natiu'ale di Lione e di altre uova e ossa fossili dello stesso uccello raccolte a Madagascar nell’ultimo decennio del secolo XIX. — Bologna, 1900; pag. 17 iiiA". C. S( alia. — Revisione della fauna post-pliocenica dell’argilla di Nizzeti ' presso Acicastello (Catania). — Catania, 1900; pag. 26 inAC ■p. Rimatohi. - Sulle Cabasiti di Sardegna e della granulite di Striegau ' nella Slesia (Rend. R. Acc. Lincei, 8. Y. AYjl, IX, fase. 4A 2^ sem.). — Roma, 1909; pag. ò in A”. (Segu&i (Seguito: V. pagina precedente) G. Db Lorenzo. — Sulla probabile causa dell’attuale auineutata- atti del Tesuvio (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^’, Voi. TI, fase. 5-7). poli, 11)00; pag. 3 in-I®. Fr. B vssani. Avanzi di Clupea {Meletta) crenata nelle marne di Ale Sardegna (Ibidem). — Aupoli, 1900; pag. 3 in-I". Idem. — Su alcuni avanzi di pesci nelle marne stampi ane del bacino 5 Ales in Sardegna (Ibidem). — Aapoli, 1900: pag. 3 in -4". G. Mercalli. — Parosismo stromboliano ed esplosioni vulcaniane al Vesu nel maggio 1900. — Prato, 1900: pag. 8 in-8^. S. Squinabol e G. Ongaro. — Osservazioni sulla cosidetta Civrania Colli Euganei. — Livorno, 1900: pag. 8 in-S*^. G. De Angelis d’Ossat. — Riunione straordinaria della Società geolog] italiana tenuta alle Isole Eolie ed a Palermo nell’Aprile 1900 (Boll Geol. it., Anno XIX, fase. 2°). — Roma, 1900: pag. 34 in-8®. G. De Stefano. — Oli avanzi fossili dei Misticeti in Calabria {Ibidem). Roma, 1900 ; pag, 14 in-8®. C. De Stefani. — Le accfue atmosferiche nelle fumarole a proposito di Vi cano e di Stromboli (Ibidem). — Roma, 1900: pag. 26 in-S*^. P. E. Tinassa de Regny. — Rocce e fossili dei dintorni di Orizzana e Lagaro nel Bolognese (Ibidem). — Roma, 1900: pag. 28 con due tavq A. Xeviani. — Briozoi terziari e posterziari della Toscana (Ibidem). Roma, 1900; pag. 27 in-8^. A. Yerri. — Sulla trivellazione di Caffo di Bove (Ibidem). — Roma, 19( pag. 5 in-8°. B. Xelli. — Fossili miocenici dell’ Appennino aquilano (Ibidem). — Rop 1900 ; pag. 38 in-8® con tavola. A. SiLVEvSTRi. — Biloculifia Giierrerii^ nuova, specie fossile siciliana (B sp. del gruppo ({eWHarp. falciferiim Sow. sp. Hildoceras ''Segnensiceras) cfr. Algovìanum Opp. sp. ■ Si tratta probabilmente di una porzione molto elevata del Lias medio. Sono necessarie del resto, come ho detto avanti, altre ricerche paleontologiche in tutto il secondario dei dintorni di Leonessa. Lias superiore. — Potrebbe forse appartenere a questo piano del Lias una serie di scisti rossi intercalati con scisti verdastri e grigi, nei quali in un sottile lembo a N.E del villaggio di Ocre, alle falde occidentali del Monte Tolentino fu rinvenuto, come si disse già, un frammento di ammonite che, quantunque indeterminabile, richiama qualche forma del Lias medio (parte superiore). Titonico. — In prossimità del Monte Macchiala ve ta, a sud di Leonessa, giunge l’estremo lembo d’una zona di Titonico, assai svi- luppata nei dintorni di Antrodoco, sotto la forma di calcari ad ellipsactinie. E costituito da un calcare giallognolo semicristallino, a venature spatiche disposte irregolarmente in tutte le direzioni. L’aspetto di questa roccia non è caratteristico, perchè essa si ritrova nella regione anche nel Lias e nel Cretaceo. Fossili non ne furono trovati, quindi nei dintorni di Leonessa non essendovi elementi sufficienti per accertare l’esistenza di tale formazione bisognò riferirsene alle osservazioni state fatte nei dintorni di Antrodoco: le differenze litologiche dei calcari circonvicini per- misero di delimitare la massa da questa parte. Cretaceo. — Questa formazione è molto sviluppata nei dintorni di Leonessa e presenta le maggiori difficoltà nello studio della regione, \ per la grandissima somighanza delle sue roccie con alcune di quelle del Lias, come fu già fatto notare più addietro. Ha una grande po- ' tenza ed è rappresentata da una ricca varietà di calcari : ve ne sono di cristallini bianchi in banchi non molto potenti, semi cristallini bianchi, giallognoli e grigi, calcare maiolica con venature spatiche ed a frat- tura concoide bianco, rosso e giallo {scaglia)] breccia rossa e scisti argillosi rossi e grigi, identici affatto a quelli del Lias e da questi distinguibili soltanto quando sono accompagnati, il che avviene rara- mente, da scisti ardesiaci neri. I — 347 — Tutte queste roccie si alternano e sono accompagnate costante- mente da numerosi straterelli di selce di vari colori, la quale trovasi pure disseminata in noduli, dove più dove meno abbondantemente in tutti i succitati calcari, precisamente come in quelli basici . Ciò che può caratterizzare questo terreno è la stratificazione re- golarissima, nella quale non si osservano le accidentalità notate nel Lias : l’inclinazione generale degli strati, salvo rare eccezioni, è verso ovest, cioè rialzata sempre dalla parte delle due grandi fratture della valle del Velino e della valle che da Leonessa va a Chiavano. Al bosco di VaUonina, in fondo al vallone Tascino, s’incontra una zona abbastanza estesa di questo terreno che da est ad ovest è limitata fra i due monti di Cambio e di Prato Pecoraro, ma che da nord a sud va dalle falde settentrionali del Monte di Prato Pecoraro alla fonte di Valle Magiionica, situata a N.E della punta di Monte Porcini nei dintorni di Antrodoco. Riposa direttamente sui calcari del Lias inferiore ed in parte anche sulle dolomie di Forca dei Faggi, ritenute triasiche: la massa maggiore è rappresentata da calcari maiolica, intercalati con calcari semicristallini giallognoli a venature spatiche in straterelli sottili. A Forca dei Faggi vi sono molti calcari rosso-mattone e qualche banco di breccia rossa ; scisti argillosi grigi affiorano all’estremità di questa zona, sul versante settentrionale di Prato Pecoraro ; un piccolo lembo isolato di scisti rossi affiora sul versante settentrionale del Monte di Cambio, che riposando però direttamente sulle roccie del Lias infe- riore molto probabilmente devono appartenere al Lias; altri scisti argillosi grigi si vedono al bosco di VaUonina, precisamente dove sgorga l’abbondante sorgente di acqua, ed altri infine, sempre inter- calati ai calcari, affiorano aU’estremità meridionale della zona, grigi aUa fonte Magiionica, grigi e rossi a nord di Monte Porcini, sulla mulattiera che dalla suddetta fonte scende alla Valle Mèta. L’inclinazione degli strati in questa zona di Cretaceo, facendo eccezione all’inclinazione generale che ha nei dintorni, è verso N.O in discordanza con le sottoposte roccie più antiche. Il Cretaceo sembra — 348 — qui insinuato in mezzo ai terreni liasici quasi come avesse riempito una valle preesistente di erosione, quantunque questa sua anormale posizione potrebbe anche essere dovuta all’esistenza di fratture. Un’altra zona di questo terreno nella parte del gruppo del Ter- minillo, appartenente ai dintorni di Leonessa, è quella che costituisce il versante orientale del Monte Jazzo e tutto il Colle Ara Grande, presso Posta, e si prolunga giù per la valle del Velino ver^o Antrodoco. Qui l’inclinazione generale del Cretaceo è verso ovest, come nel vicino Monte La Cerasa, del quale parlerò fra poco, ed è rappresen- tato più specialmente da calcari ceroidi biancastri, scheggiosi, a stra- terelli sottili, intercalati con banchi di calcare maiolica e con pochi calcari rossi. Nel gruppo del Monte Boragine, per quanto l’accennata grande somiglianza delle sue roccie con quelle del Lias ha permesso di vedere, sembrerebbe che il Cretaceo costituisca tutto il versante orien- tale del gruppo, estendendosi a nord alf altro del Monte I Bozzoni, del quale forma quasi esclusivamente tutta la massa. Procedendo verso sud, a Scanzano e Vetozza, la zona cretacea è interrotta perchè ricoperta dagli scisti argillosi del terziario, ma a Bacugno essa riap- pare con maggiore potenza ed estensione, costituendo tutto il Monte La Cerasa e quello della Nocella, ossia la metà meridionale dell’intiero gruppo, attaccandosi poi a Favischio col Cretaceo di Ara Grande e Monte Jazzo. Anche la sommità del Monte Boragine propriamente detto, è costituita da calcare cretaceo. Questi è rappresentato da calcari maiolica intercalati con calcari bianchi cristallini quasi sempre lamellari, da calcari rossi, ohe special- mente sopra Bacugno hanno una certa potenza, da calcari bianchi o grigi con silice a noduli od a straterelli e da scisti rossi e grigi. E rimarchevole come gli strati di calcare cristallino siano fortemente aderenti agli strati di calcare maiolica, con i quali alternano, di maniera che nella linea di contatto non riesce di averne campioni separati, ma si spezzano sempre in modo che il campione risulta in parte di un calcare ed in parte dell’altro. — 34.9 — Gli scisti rossi e grigi si trovano un po’ dappertutto, ma non con molta potenza; ve ne sono nella valle del Faggio presso Terzone, nella sella fra Monte Boragine e Monte della Nocella, fra la punta del Monte Boragine ed il Monte Arcione, sulla rotabile di Cittareale a nord di Trimezzo, su i versanti orientale e meridionale del Monte La Cerasa, nella valle di San Vito, ecc., ecc. Gli scisti cbe si vedono nella collina di Albaneto, attraversata dalla rotabile Leonessa-Posta, e che può riguardarsi come una propaggine del gruppo di Monte Bo- ragine, appoggiati come sono alla Montagnola dove si rinvennero fos- sili del Lias medio, potrebbero essere più facilmente liasici che non cretacei. Nel vallone di San Venanzio vi sono pure altri scisti rossi, su i quali è indispensabile eseguire ulteriori ricerche, essendo questo un punto interessantissimo per accertarsi dell’età dei medesimi e dei rap - porti di giacitura fra essi ed i calcari del Monte - Coromano, apparte- nenti sicuramente al Lias medio. In alcune località, fra le quali citerò la falda occidentale del Monte Massarello, in tutta la zona interposta fra la valle di San Vito e fiosso Carde to, sulla strada che da San Vito va a Monte della Nocella, fra Forca dei Faggi e la regione Bocchetta nel gruppo del Termi- nillo, sulla mulattiera fra Ocre e Rescia e precisamente sotto il Monte d’Ocri, nel gruppo di Monte Tolentino, ed altrove, s’incontra un calcare ferruginoso, durissimo, a grana grossolana, la cui facies specialissima lo farebbe a prima vista prendere per una roccia eoce- nica, mentre sembra trovarsi sempre al contatto del Lias con il Cretaceo. In tutto il versante orientale del Monte Boragine, come al Monte I Bozzoni, il Cretaceo inclina regolarissimamente verso ovest, cioè proprio in senso opposto del Lias: fra detto monte e Monte Laghetto vedesi una piccola anticlinale. Nel Monte La Cerasa invece, che costituisce la parte meridionale del gruppo, l’inclinazione non è più cosi uniforme, poiché mentre sul fianco orientale essa è prevalen- temente verso nord, sull’occidentale gli strati inclinano verso est e nella parte più alta si osservano piccole sinclinali ed anticlinali. — 350 — Nel gruppo del Monte Tolentino infine questo terreno costituisce 1 tutta la massa, ad eccezione di una parte del Monte Tolentino prò- % jS priamente detto, del Monte Canestro e del Monte d’Ocri ad esso adia- 'jj centi; rimane però incerta l’età del Monte Cornuvolo, come fu già ? detto. - ^ Qui è rappresentato dalle stesse roccie notate nei due gruppi già descritti : sul versante orientale del Monte Massa e Monte Alto qual- che strato di calcare maiolica interposto ai calcari bianchi cristallini ' lamellari ha una tinta leggermente rosea, d’aspetto vaghissimo e segna un passaggio fra il calcare maiolica bianco ed il rosso (scaglia). Nel fosso Corno vi sono strati di calcare semicristallino grigio-chiaro e grigio-scuro, d’una durezza rimarchevole, tanto che riesce difficile spezzarlo con il martello. Sul versante occidentale del Monte Alto e su quello orientale della collina sulla quale è fabbricato Monteleone di Spoleto (e che appartiene al gruppo dei monti di Monteleone) ai cal- cari rossi sono intercalati calcari gialli che differiscono dai primi sol- tanto per il colore; calcari rossi aventi una certa potenza si rinven- gono pure alla regione Le Vaglie e sopra Vindoli sul versante orien- tale del Monte Tolentino. Su questo versante affiora anche un calcare speciale che costituisce pure la cima del Monte Boragine ; d’un giallo più chiaro di quello intercalato alla scaglia, non a frattura concoide, * è fessurato in diverse direzioni per modo che sotto l’azione del mar- tello cade facilmente in frantumi. Sotto Monteleone di Spoleto si vedono gli scisti rossi intercalati ai grigi ed ai neri ardesiaci; altri scisti rossi e grigi si scoprono alla Costa d’ Aprile presso Trivio, alla regione Le Vaglie, a nord di Monte Peritone e sulla strada che da questa località scende alla Villa, a Fonte Ruzza, alla regione Quarantana, sulla strada fra San Griove- nale e Forca di Rescia, a Forca di Rescia, nella valle di Campo- lungo e precisamente nel ‘punto dove si distacca la strada per Forca di Rescia, ecc. Anche qui Tinclinazione generale degli strati è verso ovest e varia spesso dalla verticale all’orizzontale. Devesi anche osservare — 351 — r che mentre negli altri due gruppi la stratificazione si fa rimarcare per la sua regolare uniformità, nel gruppo del Monte Tolentino, e spe cialmente a Monte Alto e Monte Massa, essa presenta notevoli disturbi. Terreni terziari Scisti argillosi, — Costituiscono il gruppo dei monti ad ovest di Cittareale ed a N.E di Leonessa : ricoprono inoltre le falde del Monte Boragine con una lunga e stretta zona che fra Scan- zano e Yetozza improvvisamente si allarga fino a nascondere compieta- mente il Cretaceo, raggiungendo fin quasi la punta del Monte Boragine. A Bacugno gli scisti argillosi restano nuovamente limitati alle falde del Monte La Cerasa, ma sulla sinistra del Velino prendono grande esten- sione verso Borbona, estensione che aumenta poi nei dintorni di Antro- doco. Un lembo isolato se ne scopre nei valloni che da Piedimordenti sal- gono verso Monte Marcone e Colle Lungo, ed un altro fra Lonaro e Ville di Fano ad oriente di Borbona che si riattacca con gli scisti argillosi dei dintorni di A matrice. Questi scisti argillosi di colore grigio-scuro che all’azione atmo- sferica diventano turchini, sono intercalati con calcari scagliosi più 0 meno bianchi e con qualche banco di calcare compattissimo grigio, nel quale in altre località si rinvennero delle piccolissime nummuliti microscopiche. Di fossili riconoscibili macroscopicam.ente non s’incon- trano che rare fucoidi. La stratigrafia è assai sconvolta ed inclina indifferentemente in tutti i sensi, come potei constatare anche nel Teramano, dove questi scisti argillosi affiorano lungo tutto il piede orientale della catena appenninica ; in qualche località però l’inclinazione è prevalentemente verso nord ed in altre versò ovest. Questi scisti argillosi riposano direttamente sul Cretaceo e sono alla loro volta ricoperti dalla potentissima formazione delle arenarie, che dal centro della catena appenninica si spinge fin quasi al litorale adriatico. Controversa è l’età di essi; per la presenza di fossili rite- nuti caratteristici del Miocene, i paleontologi li ritengono miocenici; altri, in altre regioni, come il Lotti nell’Umbria ed il Viola nei Monti Sublacensi (Roma) per i rapporti stratigrafici di questi scisti con altre 352 — roocie dell’Eocene, come per la presenza di nummuliti, li hanno clas- sificati come eocenici. Arenarie. — Nei dintorni di Leonessa, le arenarie occupano tutto il lembo orientale della medesima ; sono identiche in tutto a quelle del Monte di Mezzo e- del Pizzo di Sevo nei dintorni di Amatrice. Non contengono cioè intercalate delle argille, ma soltanto degli esilissimi straterelli di scisti argilloso-arenacei, e sono di colore alquanto più oscuro di quelle del Teramano e di Amatrice, accompagnate dalle argille e da banchi e vene di gesso, che qui mancano affatto. Anche la stratigrafia delle arenarie è sconvolta come quella dei sottostanti calcari eocenici, e non presenta la regolare giacitura delle arenarie del Pizzo di Sevo. Terreni quaternari. Alluvione antica. — Come ho già detto in prin- cipio^ davanti a Leonessa si distende un vasto bacino lacustre di forma irregolare avente tre bracci disuguali, il maggiore dei quali si protende a N.E fra il gruppo del Monte Tolentino e quello di Monte Boragine, con numerose e profonde insenature; a Terzone si divide in due rami, che vanno a terminare, il principale sotto alla collina di Chiavano ed il secondario, per la lunga e stretta valle di Terzone sotto alla collina di Trimezzo. Il braccio medio si protende a nord fra il gruppo del Monte Tolentino e le montagne di Monteleone di Spo- leto ; anche questo si divide in due rami attorno al Monte Alto, che resta cosi completamente isolato dal gruppo del Monte l’olentino. Il braccio minore, diretto verso S.E, separa il gruppo del Terminillo dalle colline di Albaneto, che fanno parte del gruppo di Monte Bo- ragine, ed è quello che per il suo fondo maggiormente elevato, è stato il primo a rimanere asciutto. Il bellissimo lago, ohe in scala maggiore doveva rassomigliare all’attuale lago di Piediluco presso il Velino ad ovest di Leonessa, era alimentato principalmente dal tosso Tascino, che raccoglie la maggior parte delle acque del versante settentrionale del gruppo del Terminillo, dal displuvio del gruppo del Monte Tolentino e da quello occidentale del gruppo di Monte Boragine. — 353 I depositi alluvionali lasciati dal lago, hanno una potenza consi- derevole specialmente nella parte centrale del bacino, e si compon- gono di argilla, pozzolana e ghiaia. L’argilla costituisce la parte più bassa del deposito. Essa è di color turchiniccio, ma all’azione degli agenti atmosferici diventa gialla, contiene intercalati esili straterelli di sabbia gialla ; nel paese se ne servono per far mattoni. . Nel fosso Yorga, alla confluenza della valle di Sant’Angelo, nei dintorni di Monteleone di Spoleto, le erosioni del torrente hanno messo allo scoperto uno strato di lignite contenuto in queste argille, che ha già più di 2 metri di potenza nella sola parte visibile : la lignite è nero-bruna, si fende e scaglia facilmente all’ aziono dell’ aria, precisamente come alcune ligniti terziarie della Toscana. Brucia fà- cilmente nei focolari, ma non viene utilizzata in nessun modo, essendo la regione ancora ricca di boschi. Il giacimento si estende nella collina fra il fosso Yorga ed il Monte Alto ed assieme ad un altro che si dice esistere nei dintorni, merita di essere ulteriormente e dettaglia- tamente studiato. Sopra alle argille si rinviene un materiale speciale, chiamato in paese 'pozzolana e che infatti contiene degli elementi vulcanici : è una specie di tufo argilloso assai oscuro, che quando è perfettamente asciutto, assume una tinta turchiniccia, alle volte affatto incoerente, ma più spesso debolmente ’ cementato. Pestato e ridotto in polvere serve in paese per comporre malte. Questo materiale, molto verosimilmente proviene dai vulcani ro- mani, ed è una roccia di seconda formazione perchè caduto prima su i monti, venne poi lavato dalle pioggie assieme ad altri detriti e stratificato nel fondo del lago. La sua giacitura però non è regolare non trovandosi costantemente fra le argille e le ghiaie, ma solo qua e là in depositi isolati. Nella relazione sul rilevamento fatto nel 1894, parlando di queste pozzolane, assai sviluppate lungo il litorale adriatico, dopo aver ma- nifestato l’òpinione che le medesime dovessero provenire dai vulcani — 354 — romani, aggiungevo che se ciò era vero, depositi di questi materiali si sarebbero pure dovuti trovare in tutte le principali valli dell’ Ap- pennino abruzzese. Come si vede, i fatti corrispondono pienamente non solo, ma le pozzolane di Leonessa, per la qualità del materiale e per la forma lenticolare dei loro giacimenti, situati fra argille e ghiaie quaternarie, sono identiche in tutto a quelle del Teramano. La parte più alta del deposito lacustre è composta di ghiaie, di- visa in due zone, però non troppo nettamente distinte : in quella più bassa vi sono vere ghiaie arrotondate, i cui pezzi di tutte le dimensioni sono spesso cementati formando una puddinga, ohe si di- sgrega facilmente; nella zona superficiale le ghiaie sono mescolate dove più dove meno con frammenti angolosi, che a loro volta si tro- vano pure cementati. Un’altra forma di quaternario si ha nei potenti accumulamenti di detriti, che formano i coni di deiezione nella valle del Velino sotto Cittareale ed a Bacugno, nei quali però si confonde anche la falda di detrito che si viene formando attualmente. Alluvione moderna. — Assai limitato è questo terreno nei dintorni di Leonessa ed è rappresentato dai depositi della valle del Velino, dalle due piccole pianure paludose di Monteleone di Spoleto e di Borbona e dalle falde di detrito che hanno una certa potenza a Ba- cugno e lungo le pendici del versante settentrionale del gruppo del Terminillo dove, come ho detto, si confondono con i vecchi coni di deiezione. Roma, settembre 1900. (] Deposito lacustre (quaternario -ar Arenarie (tellerziario-scScisIi argillosi del terziario lembo di basalte degli altipiani. 11 suolo, che serve di base a questi monti, è tutto di granito. La vegetazione ricorda un po’ quella della ^ i Campagna Romana: erbe da prato e cereali. I coni dei Puys, nel maggior numero di casi, sono scoverti, spesso colorati nel nero o nel rosso-scuro dei lapilli basaltici, qualche volta biancheggianti al | sole nel candore della domite. Si raggiunge l’albergo ai piedi del Puy ^ de Dòme, e si esegue l’ascensione per la mulattiera tortuosa. ^ 11 Puy de Dòme si presenta come un grande dicco di domite, Ò che arriva fino alla cima, ove è scoverto, e sul quale si addossa la cenerite, su entrambi i lati. Due ipotesi sono state emesse. Pel signor ■: Michel-Lévy il dicco sarebbe intrusivo dentro materiali divelti dal sottostante camino vulcanico e spinti fuori intorno al dicco mede- b simo. La montagna sarebbe dunque sórta tutta insieme : le sue parti , incoerenti e compatte avrebbero un’origine contemporanea, almeno come apparizione alla luce. La cenerite ^ vi sarebbe perciò una ^ Tutti i tufi, sciolti o litoidi, del Rialto Centrale son detti ceneriti. Le Generiti litoidi sono in poca quantità. La cenerite semphce risulta di sole ce- neri o di ceneri e sabbie: se invece contiene frammenti lavici più o meno grossi dicesi cenerite con blocchi. — 367 — breccia di frizione. La denudazione posteriore avrebbe scoperto il dicco. Con l'altra ipotesi, invece, la cenerite sarebbe un prodotto di proiezioni anteriori e il dicco vi si sarebbe intruso dopo. Dopo avere dall’alto del Puy de Dòme ammirato il panorama completo di tutti gli altri Puys clie si estendono a perdita d’occhio da un lato e dall’altro, siamo ridiscesi, e, rasentando il Pariou, for- mato d’andesite, abbiamo notato gl’inclusi del sottostante granito che questa lava contiene e quelli di quarzo e felspato provenienti dalla stessa roccia. Passiamo accanto al Puy Chaudron, formato di domite biancastra, completamente scoverto, e intaccato da larghe frane. Si sale quindi a mezza costa su] Puy de Còme, che ha dato una delle più larghe colate di labradorite. Questa lava difatti raggiunge tre 0 quattro chilometri di larghezza. Fiff. 2\ • C/iojohie Con la visita del Puy Chopine finiscono le osservazioni di questa prima giornata. Questo Puy è costituito da un gran dicco di domite che ha sollevato un pezzo enorme di roccia sottostante al contatto tra il granito anfibolico (vi) e gli scisti micacei e chiastolitici (a?). L'insieme è attraversato da un filone di basalto, diretto al centro del Puy des Gouttes che è addossato al precedente, cosi da circondarlo di un baluardo su poco meno della metà del contorno. Quest’ultimo Puy è formato da prodotti di proiezioni basaltiche 3^). Si potrebbe affacciare l’idea che esso rappresenti il recinto esterno dell’altro Puy a cui è addossato, e allora sarebbe più antico e quindi, almeno qui, il 368 — basalte avrebbe preceduto la domite, ammettendo cbe una terza eru- zione avesse prodotto il filone pure di basalte che attraversa la stessa domite. E invece più logico ammettere ohe questo filone sia contemporaneo delle proiezioni del Puy des Gouttes, poiché sono en- trambi della stessa sostanza. In tal caso, appunto perchè il filone traversa la domite, quest’ultimo Puy sarebbe posteriore e non ante- riore al Puy Ohopine. Da questo esempio si veggono i dubbi che pesano ancora sull’età della domite. Riepilogando, in questo primo giorno si è dato uno sguardo alle diverse lave dei Puys e alle roccie che ne formano la base. Si è no- tato qualche fenomeno di contatto, si è discusso sull’origine del Puy Chopine, con l’annesso Puy des Gouttes, e su quella dei Puy de Dòme. Dalla vetta di quest’ultimo, su cui si vedono ancora le grandiose fondamenta d’un tepapio romano, dedicato a Mercurio, si è avuto una idea d’insieme della bella catena dei Puys. Verso sera, discendendo per 600 m., per valli profonde e a tra- verso fitti boschi, si riguadagna la piana della Limagne e quindi Clermont. Si porta via un’impressione grandiosa : si rivede e si rias- sume un panorama sui generis. Il carattere della regione è Varroton- damento. I Puys, quando non terminano in cratere, sono difatti mam- melloni completamente arrotondati. Le vallate^ anche se profonda- mente scavate, hanno una grande dolcezza di curve. Ove questa manca effettivamente, l’occhio non se ne avvede perchè interviene il bosco a covrire l’irregolarità del suolo. Ma un bosco tenuto con cura continua, che ha perduto ogni carattere selvaggio : più che bosco, si direbbe parco. Quanto siamo lontani dai burroni selvaggi e dirupati e dalle macchie incolte della provincia di Roma! Le gole di Barba- rano, di Bieda, di Civita Castellana, le macchie di Gallese, dei Vul- sini mi tornano davanti agli occhi e fanno vivo contrasto con quanto ho visto in questo primo giorno. Un altro appunto. Da noi il tufo, coerente e incoerente, è abon- dantissimo. Qui, salvo le scorie e i lapilli che formano i coni dei Puys, se ne vede poco. Anche ammettendo che una parte sia stata — 369 — erosa, appare evidente che non dovette mai essere in quantità con- siderevole rispetto alle lave. Finalmente noterò la spiegazione dei massi tondeggianti di gra- nito, che si trovano spesso sul Rialto Centrale, e che sono dovuti alla struttura perlitica della roccia. I massi restano isolati, quando le parti interposte alterate, sfarinate, sono state portate via dalle acque. Un’identica spiegazione io detti ^ delle palle di lava che si trovano spesso isolate in gran numero nei vulcani romani e che es- sendo in sito, possono col loro insieme far ricostruire intere colate. Giornata II {31 agosto) : Peperiti di Gergovia e glaciale di Veyre- Monton. — Da Clermont si sale alla Gergovia. La giornata sarà in- teressante per le osservazioni sulle peperiti e la discussione delie quistioni che hanno sollevato. La roccia che, nel suo insieme, ha il color del pepe, come i nostri peperini albani, anche come composizione^ un po’ all’ ingrosso, si può ad essi ravvicinare. Meglio ancora si può definire qualche cosa d’intermedio tra il tufo palagonitico e il pepe- rino d’ All ano. Difatti essa è costituita da frammentini di basalti scoriacei e vetrosi, ornoblenda bruna, mica nera, augite, quarzo, cal- cari diversi (qualche volta fossiliferi) il tutto riunito da un cemento calcareo. Anche qui siamo di fronte a due opinioni. La prima, che ha in Julien il più autorevole sostenitore, considera la roccia come risul- tante da pioggie di ceneri e di scorie negli stagni contemporanei del calcare a Phryganes. L’altra opinione, emessa da Michel-Lévy, consi- dera la roccia come una breccia filoniana intrusiva, posteriore agli strati miocenici della Limagne, e probabilmente contemporanea delle eruzioni plioceniche della stessa regione e del Mont-Dore. Con questa seconda ipotesi i creduti filoni di peperite indicherebbero le bocche degli edifizi diroccati da cui uscirono i basalti degli altipiani, o al- meno i dintorni di tali bocche. * L'état ftcfiiel des recherclies sur les volcans de l Italie Centrale. Comunica- zione fatta al Coiigres.so di Parigi il 21 agosto 1900. — 370 — La prima ipotesi si appoggia agli argomenti seguenti: interstra- tificazione delle peperiti tra i calcari miocenici su vaste estensioni; frammenti angolosi di basalto inclusi in quei calcari; conchiglie in- tatte nei fori delle scorie basaltiche. Gli argomenti opposti sono : le breccie peperitiche non son sempre interstratificate, ma spesso intrusive nei detti calcari; esse sono in relazione con filoni e colate intrusive di basalti, i quali ora le attra- versano, ora si mostrano al disotto, e quindi le prime sembrano il cappellaccio di questi filoni; i giacimenti di bitumi della Limagne sono tutti nelle peperiti; in vicinanza di queste spesso si osserva forte raddrizzamento negli strati calcari, che ordinariamente sono quasi orizzontali in tutta la regione ; nelle peperiti a contatto di questi calcari, e raddrizzate del pari, si trovano frammenti calcarei di età diverse ; le peperiti, tranne che coi suddetti filoni, che sono sottili e di poca importanza, non sono in relazione con nessuna vera colata miocenica, tutti i basalti della regione essendo più giovani; 1 le peperiti si producono a tutti i livelli, appena i filoni di basalto raggiungono terreni poco coerenti. Cominciando le nostre osservazioni, noi constatiamo che, secondo l’ipotesi filoniana, il basalto avrebbe dovuto infiltrarsi tra strati di alcuni centimetri di spessore d’un calcare lacustre miocenico, e ciò spesso per molte centinaia di metri di estensione : i frammenti, do- vuti alla frantumazione dello stesso calcare, mescolati al magma lavico, avrebbero prodotto gli strati peperitici, alternanti con quelli calcarei. Noi intanto notiamo subito che anche gli strati che dovreb- bero essere di calcare intatto, e senza elementi vulcanici, sono invece sempre più o meno mescolati con sabbie vulcaniche e con, lapilli. Ci si mostra un esempio della peperite filoniana, un banco cioè che attraverserebbe sotto un certo angolo gli strati di calcare. All’ap- parenza non si vede che una certa discordanza tra l’uno e gli altri, essendo il primo più in alto, i secondi più in basso. L’intrusività vien subito contestata da qualche collega francese che ora studia quella regione, e che ritiene il banco di peperite in concordanza coi calcari, e quindi in essi intercalato. Più avanti ci si mostra un altro banco di peperite al disopra di strati inclinati di calcare. Geikie osserva, d’accordo con la maggioranza dei presenti, che questi strati hanno potuto inclinarsi prima della formazione del banco peperitico. Al Puy de la Piquette, che visitiamo più tardi, si vede una pe- perite, con fratture irregolari in tutti i sensi, addossata ad altra peperite con stratificazione inclinata a più di 50^ La somiglianza col peperino del lago Albano è in questo sito assai notevole. Qualcuno vede anche qui un fenomeno chiaramente intrusivo. Io fo notare che fatti analoghi si trovano anche nei peperini albani. La divisione po- ligonale è un fenomeno di contrazione ohe certe volte dà a qualunque tufo la struttura prismatica o poliedrica. Gli strati raddrizzati si tro- vano anche nel Lazio ; ma lì, come forse anche qui, si spiegano come prodotti da laminazione per dislocazioni posteriori. Nel Lazio queste dislocazioni furono prodotte dall’assetto del materiale e sono meno sensibili; nella Limagne si debbono ai movimenti per fratture che hanno interessato roccie più antiche e di cui si è già parlato. Pres- sioni più forti hanno contribuito ad accentuare questa pseudo-strati- ficazione, a renderla cioè più chiara e più frequente. Continuando a descrivere l’escursione del mattino, noterò una colata di basalto, intrusiva nel calcare a Phryganes^ che è stato cotto sopra e sotto. Ha conservato il suo colore, ma ha preso, presso i con- tatti con la lava, struttura prismatica verticale, cioè normale alla lava stessa. Durante la cottura l’acido carbonico andò via, ma col tempo la roccia si è nuovamente carbonicata. Incluso nei calcari miocenici, notiamo qualche 'blocco di basalto con bella struttura sferoidale, e, dopo viva ed interessante discus- sione, a cui prendiamo parte un po’ tutti, si sale in cima al rialto di Gergo via, al disopra di Merdogne. Vediamo così, in alto, delle colate di basalto, al disopra di argille e marne verdastre con Melania aqui- tanica. Tra queste marne e i calcari a Phryganes^ che stanno sotto, osserviamo deUe alternanze di tufi calcarei, con impronte di piante, e di peperiti con inclusi di menilite e di resinite giallo -d’ocra e nera. 372 — Nel pomeriggio visitiamo il Puy de la Piquette, di cui si è già parlato, poi, sulla via per Veyre-Monton, vediamo una colata di ba- salto con bella struttura prismatica a colonne coricate. Sulla collina di Veyre-Monton si osserva un glaciale, in cui si ritrovano tutte le roccie del Mont-Dore. La sera si torna a Clermont. Il prof. Glangeaud, mio compagno di vettura e che fu una delle nostre guide più preziose, più infatica- bili e più cortesi, mi mostra il Puy de Vouél, nella piana della Li- magne. Esso è miocenico. Quando difatti si formò, la sua base era immersa in una laguna oligocenica, onde la parte bassa dei materiali di questo cono è peperitioa. Crii strati di calcare, formatisi dopo in questa laguna, si appoggiarono al cono, e, solo in seguitò, furono in gran parte erosi. Il cono è rimasto cosi scoverto interamente. Giornata III (1 settembre)'. Da Clermont al lago di Aydat e a Mu- rols. — Lungo la rotabile si comincia coll’osservare le argille del quaternario inferiore cotte dalla colata di Gravenoire, che le copre. Nelle fenditure di questa lava fu trovata la marmotta, quindi l’età della lava medesima può riportarsi al quaternario inferiore. Al ponte a sud di Ceyrat si osservano le arcose addossate alla ripa granitica per la dislocazione prodotta dalla frattura terminale della Limagne h Gli strati tongriani son rialzati quasi vertical- mente contro il granito. Questa roccia è attraversata da una stretta rete di fìloncelli granitici, e più avanti mostra una tinta biancastra chiazzata di macchie a colori metallici verdastri e rossastri. E questo un segno quasi sicuro di sostanze metallifere. Questo granito difatti è pieno di massettine di galena. La strada si eleva, incontrando quindi a Theix le lave del Puy de Mey, dominate dal rialto di basalto pliocenico della Serre. Il Puy de Mey è il solo Puy che abbia dato due colate sovrap- * A questa frattura si deve la formazione del vulcano di Gravenoire, come già si è detto. — 373 poste. L’inferiore è di basalte la superiore è di labradorite (/*). Entrambe sono dei quaternario inferiore. Fìg, 3^ Dopo la galleria della Cassière il granito passa al tipo anfìbolico e alla diorite. Spesso trovasi a contatto di scisti precambiani o ne include dei frammenti. In questo contatto o in inclusi del granito si trovano delle roccie cornee \ dovute al metamorfismo del cipollino sotto l’azione dello stesso granito. In seguito traversiamo la grande colata della Cheire, dovuta ai Puys de la Vache e de Lassolas. E un basalte con grandi cristalli di pirossene e di peridoto. La sua superficie è estremamente sconvolta e scabra, una vera sciava^ onde il nome di Cheire che è simile alla pa- rola precedente, perchè ha con essa un’origine comune. Questa co- lata ha barrato la vallata, formando il pittoresco laghetto di Aydat. Il torrente passando attraverso la lava scompare e riappare più volte. La stessa colata aveva formato un altro laghetto a monte del prece- dente, presso la galleria della Cassière, ma è stato prosciugato una trentina d’anni fa. Il tempo stringe e noi, a malincuore, passiamo oltre, senza poter ^ I francesi chiamano corues vertes {hornfels) gli scisti anfibolici e piros- senici. visitare il bel cratere del Puy de la Vache, cbe vediamo un po’ coi nostri binocoli. Questo cratere ha la profondità di tutto il cono ed è completamente aperto da un lato, per cui vi si entra senza salire sul cono stesso. Il prof. Glangeaud, con un’ardita similitudine, lo para- gonava al Colosseo. Il lago d’Aydat ha un chilometro circa di diametro. Le sue sponde sono un po’ coverte da macchia o da bosco, e tutta la parte rimanente è coltivata a cereali. Vi si osservano granito anfìbolico, scisti anfìbo- lici e dioriti. Quest’ultima roccia vi è celebre per le continue muta- zioni di grana e di struttura. Obbligati a passar oltre, lasciamo da parte anche il Puy de la Itodde che ha dato proiezioni abondantissime di cristalli di pirossene. La rotabile si svolge in larghe e molteplici curve, passando per la base del Puy de Monténard, che è coperto di bosco e termina in due punte. A Mareuge raggiungiamo la tefrite con hauyna, che ha la sua origine nell’irraggiamento periferico del Mont-Dore. Questa colata è rilevata di molti metri sulla campagna adiacente. Presso Saignes incontriamo il basalto demi~cìeuil con bitunite. Quindi cominciamo a discendere verso Murols, per una valle profonda e larga, a pareti rivestite di bosco, in cui, come in quasi tutta l’Alvemia, domina il pino. Nelle parti più elevate di questa valle si segue un basalto con bella struttura colonnare. I prismi, a fasci ora orizzontali, ora inclinati, ora verticali, sono di grande effetto. Quando la superficie della rupe Ji taglia secondo sezioni rette, sembrano enormi cataste di legna. Più in basso s’ incontrano tufi e pozzolane fino in fondo alla valle. Arrivati a Murols, una cittadina molto caratteristica della regione in cui siamo, gli occhi corrono ai tetti delle case acuminate. Sem- brano a prima vista coperte da lastre d’ardesia, tagliate grossolana- mente in forma di poligoni allungati e sovrapposti con struttura embricata. Esaminando queste lastre da vicino, vediamo che sono di fonolite, la quale si sfalda in lamine assai sottili. E questo il sistema di copertura adoperato in molti altri siti dell’Alvernia. Giornata IV >'2 settembre) : Tartaret^ Salto della Fulcella^ Saint- Kectaire. — Uscendo da Murols, per risalire un po’ la valle e rag- giungere il lago Chambon, passiamo accanto alle proiezioni scoriacee del Tartaret. Questo vulcano, col suo cratere, è tutto coperto di bosco, ia cui al solito domina il pino. La colata emessa è di basalto del quaternario superiore. Il lago Cbambon è stato prodotto appunto da questo vulcano che si è edificato a traverso la valle, barrandola. Presso la diramazione della strada che conduce al lago vediamo ap- parire le ceneriti miste. Questi tufi sono difatti dapprima misti alle sabbie plioceniche, determinate con i resti fossili rinvenutivi (ani- mali e piante); più in alto diventano puri, e allora non contengono che sanidina e vetro. Di lontano vediamo delinearsi all’orizzonte il masso del Mont-Dore, e il sig. Michel-Lévy ci riassume brevemente le serie delle eruzioni alverniate e le loro differenze. Xell’irraggia- mento periferico del Xont-Dore la potassa uguaglia la soda;- la calce è in minor quantità che nell’ irraggiamento centrale. Qui la calce è più abbondante, e la soda è in maggior quantità della potassa Nei PuYS si ha la relazione CaO > Na-0 ■> K'O. Presso le rive del lago Chambon si eleva, con parete a picco da un lato, il Salto della Pulcella. E una massa allungata di prodotti di proiezioni, che includono pezzi di granito, di basalto, ecc. Sulla parete a picco completamente scoverta, si vede sopra alcuni metri quadrati di superficie una copertura di cenerite. Anche questo è uno dei punti contestati. Alcuni credono si tratti semplicemente di pro- dotti di proiezioni e si appoggiano alla stratificazione a mantello che è molto evidente in alto Boulei; altri crede si tratti d’una breccia di riempimento per proiezione e ricaduta in un camino vulcanico (Gosselet); altri ammette che in alto ci sia stata caduta libera di proiezioni sopra suolo scoverto, ma che in basso si tratti d’un dicco eruttivo, d’un’ascensione fangosa (Michel-Lév^^). Come si spieghe- rebbe altrimenti quell’addo?samento di cenerite, se non ammettendo che rappresenti il rivestimento del camino vulcanico? chiede qual- cuno. La discussione qui si fa vivacissima. L’idea delle breccie venute 376 dai fondo trova numerosi oppositori. Qualcuno suggerisce l’idea che li trattasi non di camino vulcanico, ma di un semplice accumula- mento di materiali eruttivi, ottenuti per proiezioni, su più vasta estensione, e rimpiccolito ed isolato per opera delle potenti erosioni che ebbero luogo in seguito. L’addossamento della cenerite potrebbe spiegarsi con una faglia. In seguito, ritornando a Murols, si prosegue per Saint-Nectaire. Si segue sempre la stessa vallata, profonda, ma a pareti non troppo ripide, sempre coperte d’erba, in qualche punto imboschita. Presso il vecchio Saint-Nectaire si osserva un filone di aragonite radiata nel granito. Un po’ più giù troviamo delle croste d’orpimento nelle fenditure dello stesso granito. Questa roccia in alcuni siti mostra una pseudo-stratificazione quasi verticale, con strati di alcuni centimetri. Si arriva quindi al nuovo Saint-Nectaire, che è una sta- zione termale di lusso. I filoni principali delle acque termali sono in questa valle diretti per lo più a N.E e' sono spesso riempiti di aragonite, calcedonio, opale e orpimento. Dei filonetti di diallogite e d’altri minerali vi appariscono pure. Inoltre le acque termali, che hanno una tempera- tura vicino ai 40°, sono eminentemente carboniche ed incrostanti. L’acido carbonico si. sviluppa qui un po’ da per tutto, in tutti i riga- gnoli; il potere incrostante di queste acque è utilizzato per la piccola industria della formazione d’involucri intorno a qualsivoglia oggetto. Travertini e tufi silicei si trovano un po’ dovunque, pieni di steli, di foglie, ecc. Si vedono, dopo, le cave del Pu}^ de la Serre de Saint-Julien, in cui si trova questa sezione: 3. Pliocene sup. : Conglomerato glaciale con blocchi di tutte le lave del Mont-Dore, 2. Pliocene medio : Cenerite pomicea e sabbiosa, 1. puddinga di grossi ciottoli ben rotolati di quarzo, granito, basalto porfiroide e fonoliti inferiori. Giornata V (3 settembre) : Rialto di Pardines^ Puy de Saint-San- - 377 — doux. — Da Champeix, dove si è passata- la notte, si parte per visi- tare le sezioni di Pardines. Disgraziatamente il tempo cattivo ci guasta questa escursione. Rapidamente vediamo il basalto coronare il rialto, poggiando sul Miocene superiore. Una fenditura attraversa questa lava in vici- nanza dell’orlo del rialto : essa fu prodotta nel 1733, quando un fra- namento, che qualcuno collega ad un terremoto, distrusse Tantico Pardines, un villaggio di poi ricostruito, e che vediamo più in basso. Il -1 è del Pliocene inferiore: più tardi esso fu inciso da un’erosione che venne poi ricolmata dal Pliocene glaciale (superiore) che si addossò al basalto e al sottostante Miocene. In questo glaciale sono tutte le roccie del Mont-Dore in frammenti angolosi, non di rado puliti e striati. Un blocco di trachite, in questa formazione, misura 30 metri di lunghezza. Xel pomeriggio visitiamo il Puy de Saint-Sandoux, in mezzo ad una fitta nebbia. Questo Puy è costituito da una peperite, qua e là sfarinata e ridotta ad un tufo bianco-giallastro. Molti filoni, spessi e sottili, di nefelinite e di tefrite con olivina, hanno attraversato la peperite: le loro creste emergono e si dirigono spesso radialmente, dall’alto verso il basso. Inclusi di granito e segregazioni diverse sono contenuti nelle lave di questi filoni. E notevole come essi abbiano sconvolto la peperite e i sedimenti sottostanti. Frammenti di calcari a Limnea e a Potamides e di arcose son raddrizzati e sollevati di 100 metri al disopra della loro posizione primitiva. Si toma la sera a Clermont. Giornata VI (4 settembre): La Queuille, Roc Piane, Tuilière, Sa- nadoire. lago di Guéry, il Cappuccino. — Partiti da Clermont il mat- tino, e discesi alla stazione di La Queuille, che trovasi a circa 1000 metri d’altitudine verso la Panne d’Ordanche. Il signor (3-langeaud, lungo la via mi dà molti minuti particolari, con la sua cortesia sempre squisita. Inoltre disegna nel mio libretto la seguente sezione da lui rilevata, ed ancora inedita (Vedi fig. D): Giunti al Roc Piane, da un breve altipiano vediamo il 378 — burrone di Rochefort. Tutto intorno si hanno elevazioni brusche co- perte di bosco. L’altipiano è completamente a prato e quindi ci permette di stabilire la posizione relativa delle varie masse dei din- torni, che si vedono tutte. La fonolite della Tuilière mostra una splendida struttura colonnare con prismi verticali nel piano del dicco. Invece la stessa roccia, alla Sanadoire, mostra prismi meno belli e perpendicolari a quel piano. E questo un sito interessante, perchè dimostra che la struttura a colonne può indifferentemente prodursi parallelamente o perpendicolarmente al piano dei filoni in cui si ma- nifesta \ Fig. 4‘'. — Sezione fra la Qiieille e il lago di Gnerg secondo Glangeand, {Il lago trovasi a destra della figaro). Puy Lo uo Constatiamo successivamente diversi fatti. Così la cenerite del Mont-Dore in basso, dove è acida, appare senza blocchi ; poi più su con- tiene blocchi di lava ; e finalmente in alto i blocchi spariscono di nuovo e l’acidità è anche maggiore che non alla base. Presso la Sanadoire vediamo una colata di trachite di 160 metri di potenza. Il sig. Michel- Lévy ci avverte che al Mont-Dore non esistono colate sottili: esse sono almeno di 10-20 metri. ^ Abbiamo già visto che presso Murols questa variabilità d’inclinazioue dei prismi si trovava anche in una colata. Del resto le strutture a ventaglio si conoscono anche a Ponza e nei vulcani romani. li kL.ir... — 379 ^ Dal bel laghetto di Guéry, prodotto da un’ostruzione della val- lata, per opera delle lave, seguiamo la vallata stessa, che si va incas- sando sempre più profondamente. I fianchi son coperti di macchia, meno in alto ove appare la lava. Più avanti, in una sezione, vediamo il basalto al disotto; quindi la trachite in ciottoli con grossi cristalli di felspato (un centimetro e più) ; e in alto Tandesite con divisione tabulare orizzontale. - Fig. 5\ — Scliisso del hniTone di Bocliefort. Arriviamo alla borgata del Mont-Dore abbastanza presto per tentare l’ascensione del Cappuccino, che la sovrasta. Il panorama è bello. La città giù nella valle, al suo termine, dove è cinta da un emiciclo montuoso. In fondo domina il Sancy. A sinistra è il Puy Ferrand. Il Cappuccino è a destra, coperto da una foresta di pini bellissimi. L’ascensione vi si fa con una comoda funicolare, che arriva fino al- l’origine della foresta. Il resto della salita lo facciamo a piedi, arri- vando fino alla balza terminale. Il monte è costituito da trachite con grandi cristalli e numerosi inclusi, ed è celebre pei minerali che si son prodotti nella lava a spese degli stessi inclusi. Questa giornata è stata importante per la gran raccolta " delle — 380 — roccie più diverse e dei loro inclusi che abbiamo potuto fare. Quando, più tardi, siamo riuniti nello splendido albergo, ove siamo alloggiati, il pensiero corre già all’alba seguente. Con una inversione nel pro- gramma degli ultimi due giorni, noi saliremo al Sancy, al punto culminante di questa bella regione. Giornata VII {5 settembre) : Il Sancy e la grande cascata. — La giornata s’inizia con una visita alla Valle d’inferno, ove si trovano numerosi filoni di trachi-andesite con microliti di ornoblenda. Si sale quindi sulla cima del Sancy, di dove si abbraccia il pa- norama di tutta l’Alvernia. Lontano a Sud sono i monti del Cantal, che salgono quasi alla stessa altezza (un po’ meno). Nell’intervallo, il rialto granitico di Mille vaches, e un po’ ad Est il Cézalier. Più ad Est ancora è il Velay. A N.E si vede la catena dei Puys, accanto ai quali si stende la piana della Limagne. Il paesaggio nei dintorni appare ondulato, nudo : nelle vicinanze immediate mostra alte mon- tagne con frequenti appicchi. Noi possiamo vedere e contare otto laghi, alcuni dei quali abbiamo già veduti da vicino nei giorni scorsi. Il solo lago Pavin ci è nascosto dal Puy Ferrand, ma, arrivati su questo, possiamo scoprirlo, con le sue pareti a forte pendio, un po’ come quelle del lago di Nemi. Esso è un cratere di esplosione, e l’acqua vi è profonda 92 metri. La roccia dominante nel Mont-Dore è la cenerite, a differenza dei Puys, ove predominano le lave. E questo tufo, che coperto di erbe folte, rende dolci le linee del paesaggio, sul quale qua e là si sollevano bruscamente delle creste di trachite, corrispondenti alle teste dei filoni. Le parti alte del Mont-Dore mostrano molti filoni emergenti cosi sulla cenerite laterale. Certe volte hanno aspetto di lunghi tavoloni verticali. Si discute un po’ sul sito dove sorgeva il cratere delJ’irraggia- mento centrale, che molti credono esistesse a quasi mezza via tra il Sancy e il villaggio di Mont-Dore. Quindi per le creste d’uno dei filoni emergenti si va a Cacadogne, e di li pel Eoe de Cuzeau si segue una bella colata d’andesite (a""), di alcuni metri di potenza, inclinata verso — .381 — la Grande Cascata. Il ritorno si esegue pel fosso profondo dello stesso nome, che ha i fianchi erbosi a 45°. Possiamo cosi osservare la serie seguente (dall’alto) : Andesite (>-'*), trachite (-'^), cenerite (p°‘0, andesite cenerite (p°Tf) basalto cenerite (p^t^). Nell’interno dello stabilimento termale del Mont-Dore constatiamo finalmente l’affioramento della fonolite inferiore. A differenza di qualcuna delle giornate precedenti, e di quella ultima di domani, nella presente non ci siamo occupati di questioni speciali, le nostre guide han cercato di darci un’idea d’insieme della geologia dell’Alvernia, mentre coll’occhio, dal suo punto culminante si abbracciava l’insieme del paesaggio. Forse quest’ultimo era un po’ scadente, paragonato a quello delle regioni vulcaniche d’Italia. I nostri vulcani sono circondati da maggiori sorrisf da maggiori civet- terie della natura. Perfino i vulcani che si elevano sulla squallida Campagna Romana traggono nel contrasto tra quella e i loro coni, ricchi di vegetazione, di vita e di ricordi una grande bellezza este- tica. In Alvernia, il paesaggio ha una bellezza un po’ triste, un poco squallida, quasi da paesaggio alpino, a linee però molto raddolcite. Le cittadine linde, eleganti, lussuose, piene di vita, che si trovano scendendo nelle parti più basse, sembrano una stonatura, o un correttivo delia natura. Dolce stonatura, eccellente correttivo però ! poiché permettono un riposo più completo dopo lunghe e faticose escursioni. Quanto alla geologia, essa, che nella catena dei Puys ci era parsa molto semplice, qui si fa assai difficile. La complicazione è tale che pare impossibile come si sia potuto arrivare ai risultati che già si posseggono. Occorreva che, dopo l’opera di eminenti geologi, V. La- saulx prima, Michel-Lévy dopo, vi mettessero le mani. L’ultimo so- pratutto, che del Mont-Dore ha fatto uno studio magistrale. Ed è al maestro venerato che, sulla vetta del Sancy, monumento del suo sapere, i discepoli che si trovano nell’escursione promuovono una piccola manifestazione di omaggio. A questa manifestazione viene — 382 — associato il nome d’un altro maestro, quello di Fouqué, a cui si spe- disce un telegramma, augurandogli che si conservi ancora lungamente al progresso di quella petrografia, di cui egli è stato uno dei più emi- nenti fondatori. Giornata Vili {6 settembre): Sorgenti ' incrostanti^ Lusclade^ La * Bourhoule. — Presso la ripa detta il Salone di Mirabeau, si osserva un po’ il glaciale, in un fronte di morena. Più avanti il Salone di Mirabeau, presenta una trachite a pasta nera con struttura prisma- tica verticale, fatta come di canne d’organo. Il signor Gautier ci av- verte aver trovato nelle vicinanze, al burrone di Chez Tambcine, un filone di trachite bianca, che egli crede riolitica. Dalla parte opposta della valle (che è quella della Dordogna) affiora in basso una fonolite inferiore, simile a quella dello stabili- mento del Mont-Dore. Sotto il Salone trovasi la sorgente incrostante di Croizat. L’acqua vi è a 47'*, 5. La fontana è circondata da un asi- nelio co’ guarnimenti, un ragazzo col suo abito, e tre capre pietri- ficati. Il ragazzo è un fantoccio, gli animali sono veri, tutti assog- gettati all’azione incrostante di quest’acqua. Si sono cobi coverti completamente di uno strato calcare di 3 centimetri. Per quest’opera- zione è occorso un anno. Perchè un paniere si copra di uno strato di 2 millimetri, occorrono 45 giorni. L’incrostazione si esegue fa- cendo cadere l’acqua sopra i diversi oggetti e non già per immersione. Questa sorgente esce da un ammasso di blocchi trachi tici, di aspetto alluvionale, che debbono essere del Miocene superiore o dei Pliocene inferiore, dell’epoca in cui forse la Dordogna, come qualcuno crede, scorreva in direzione opposta all’attuale e il vulcano comin- ciava a formarsi. Poco dopo osserviamo in un fossetto un filone di trachite con inclusi, nella cenerite a blocchi. Un po’ prima di Lusclade riappa- risce la fonolite inferiore. Contiene noseana in grani gialli o rossi. A Lusclade troviamo la celebre riolite, che è bianca se intatta, rossa se alterata. Ad essa si assoc’ano perliti bianche e nere. Questa riolite e le sue varietà ricordano un po’, all’aspetto, quelle di Ponza. Finalmente arriviamo alla Bourboule, per la quale passa la faglia, contro cui s’interrompono le colate emesse dall’irraggiamento centrale. Dietro lo stabilimento termale Choussy, nella piccola città della Bourboule, questa faglia si mostra d’una bellezza e d’una chiarezza eccezionali. Presso le antiche sorgenti, la cui temperatura era da 31"^ a 5P, si vede una parete piana di granito, inclinata ad 80° S.E, ed alta 30 metri. A questa parete si addossa da un lato per tutta l’al- tezza una cenerite bianca, pomicea. Quando, a poca distanza, si sca- varono dei pozzi artesiani per ricercare le acque al contatto del granito, le sorgenti antiche si disseccarono, e dai pozzi si ebbe acqua a 63°. Questi pozzi attraversarono la cenerite per 80 metri, che si debbono aggiungere ai 30 d’altezza visibile per avere un minimo della potenza della cenerite. Inoltre i vicini mammelloni granitici si elevano ancora di 69 metri. Quindi la somma dei numeri precedenti, i65 metri, rappresenta un minimo del rigetto della faglia. Nella valle della Dordogna, seguendo lo stesso allineamento che vedesi a Choussy si trova un’altra parete di granito con cenerite addossata. Queste pareti granitiche sono su molti punti levigate e ivi presentano degli specchi di frizione \ Con qualche altra osservazione si chiude la giornata e l’escur- sione. • 5. — Nel separarci al Mont-Dore eravamo tutti entusiasti di' questa bella regione, la cui importanza era nota da lungo tempo. A farcene gustare lo studio concorsero le nostre guide sapienti, con la loro esperienza del sito, con la loro scienza e con l’inesauribile cortesia. Primo di tutti debbo citare il direttore dell’escursione, il mio illustre e venerato maestro signor A. Michel-Lévy. Almeno per noi più gio- vani, la sua parola fu un insegnamento continuato, fatto con quella ^ Il signor Gautier ha trovato il prolungamento di questa faglia per oltre un chilometro al di là del sito fin dove era stata seguita dai precedenti geologi. 384 - modesta bonomia, con quell’amorevole interessamento, a traverso al quale non si scorge mai l’alto funzionario, il direttore d’uno dei più importanti servizi geologici del mondo. Egli discute coi più giovani come da pari a pari, con lui tutti hanno piena libertà di parola, e la sua guida riesce tanto più profittevole, in quanto egli non appa- risce mai altrimenti che maestro ed amico. Solo nello spingerci avanti, nello strapparci dai siti ove erano le più belle roccie, e dove cerca- vamo raccogliere e formare mille campioni, egli faceva mostra della sua grande energia. Con essa e per essa abbiamo potuto, in pochi giorni, vedere tanta parte dell’Alvernia. In secondo luogo citerò il signor A. Lacroix, il giovane e già illustre professore di mineralogia al Maseum d’histoire naturelle, la cui scienza degl’inclusi ci fu d’aiuto prezioso. Il signor Glangeaud, professore aH’Università di Clermont, non fu, per instancabilità di cure, da meno degli altri. Egli rifà attualmente la Carta dei vulcani del Eialto Centrale, sotto la guida del signor Michel-Lévy, che, beninteso gli lascia piena libertà di apprezzamenti, anche dove non vanno d’accordo co’ suoi. Va quindi ricordato il professor P. Gautier, il cassiere-modello e festeggiato della nostra spedizione, quegli che di essa volle pigliarsi i peggiori rompicapi. Il professore Gautier la- vora anch’egli alla geologia del Eialto Centrale. In ultimo va citata e ringraziata tutta una miriade di persone, sindaci, consiglieri co- munali delle varie città attraversate, direttori di stabilimenti ter- mali, singoli cittadini, i quali tutti gareggiarono nel farci lietissima accoglienza. Roma, settembre 1900. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOORAFXA. OEOLOOIO^ PER l’a^s^ì^o. 1899 ' {Coiìtìniì astone e fìne^ vedi n. 3). Sacco F. — Gli anfiteatri morenici del Veneto. (Dagli Annali della E. Acc. di Agr. di Torino, Yol. XLI, pag. 64 in-8®, con due Carte). — Torino. 1899. Questo studio geologico è presentato daH’autore a complemento di quello generale sulla Valle Padana, cominciato nel 1883. Allo studio del quaternario premette alcune notizie sui terreni terziari marini del Veneto, intrattenendosi più diffusamente sulle formazioni più recenti continentali ; fra queste la plio- cenica, che nel Veneto viene distinta in due piani: il Levantiniano (Piacen- ziano) ed il Villa franchiano. Il prinio, rappresentato da marne sabbiose con Helìx e lenti lignitiche, non venne prima d’ora riconosciuto in Italia : esso si appoggia in discordanza sul Messiniano ed è ricoperto dal Villafranchiano. Passando al quaternario, l’autore riconosce ben distinte nel Veneto le due formazioni del Dilnvinni e del Morenico. Dopo aA^ere accennato breA^emente ai depositi tipici ciottolosi giallo-rossicci ed al Loess diluAÙale, e notato che alcuni depositi attribuiti al Villafranchiano potrebbero appartenere a questa forma- zione, passa ad occuparsi del Morenico. Malgrado il titolo dato a questo laA'oro, l’autore si limita, per questa for- mazione, a pochi cenni rimandando alle descrizioni che sulle formazioni more- niche del Veneto esistono di dh^ersi autori, fra i quali principalmente il Ta- ramelli, e, a jDroposito di questi, non crede potersi sostenere Tidea da lui emessa di una prima grande espansione glaciale, che sarebbe giunta sino al mare. ‘ Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. Descritti quindi i due anfiteatri morenici del Piave, distinto in tre rami, e quello del Tagliamento, da un breve cenno sul TerrasBÌaiio^ terminando il suo lavoro con un esteso elenco bibliografico del quaternario. Sono unite a questo lavoro le Carte geologiche, alla scala di 1 : 100,000 dei due anfiteatri descritti, con la distinzione sommaria a colori dei terreni terziari e quaternari. ' Sacco F. — I molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte XXYII: Unionidae, Carditidae^ Astartidae^ Crassatellidae, La- saeidae, Galeommidae, Cardiidae^ Limnocardiidae e Cìiamidae (pag. 74 in4^, con 14 tavole). — Torino, 1899. È la continuazione della descrizione dei pelecipodi terziari del Piemonte e della Liguria, accompagnata da un indice alfabetico ed illustrata da tavole con 441 figure in eliotipia. Sacco F. — Abbozzo di Carta geologica delV Appennino della Romagna. Scala di 1 a 100,000 (due fogli a colori). — Torino, 1899. Questa Carta, che viene illustrata nel lavoro seguente, è in due fogli colo- rati a mano, eseguiti su di una riproduzione litografica della carta 1 ; 100,000 dell’Istituto geografico militare. La regione rappresentata si estende dalla valle del Sillaro a quello del Metauro, limitata a sud dalla parte dell’ Appennino Toscano, della quale fu già pubblicata la carta dallo stesso autore, mentre a nord arriva alla pianura padana e all’Adriatico. I terreni sono distinti con 16 tinte dal giura-lias al terrazziano. Sacco F. — L' Appennino settentrionale. Parte lY : L' Appennino della Romagna. (Boll. Soc. aeoi. ital., Yol. XYIII, fase. 3^ pag. 354-420). — Eoma, 1899. Questo studio geologico è la continuazione di quello generale dell’ Appen- nino, di cui sono già pubblicate le parti che riguardano la zona settentrionale, l’ Appennino dell’Emilia e quello della Toscana centrale e occidentale. I terreni più antichi del giura-lias non si presentano nell’ Appennino ro- magnolo propriamente detto, ma soltanto al Passo del Furio e nel Catria, e l’autore ne dà la serie. Il cretaceo tii3Ìco calcareo si presenta soltanto nella parte sud-est attorno agli affioramenti giuro-liasici. Molto sviluppata è invece la formazione delle argille scagliose. Lo studio di questa regione lia sempre più convinto l’autore dell’età cretacea di questa formazione, pure ammettendo die terreni simili ap- paiono talora anche nell’eocene, specialmente superiore. Ammette quindi due facies di cretaceo, una calcarea, che nell’ Appennino marchigiano forma rilievi gibbosi più o meno elevati, Taltra eccezionalmente argillosa, che forma depres- sioni orografiche più o meno spiccate. ISTella regione studiata, le argille sca- gliose si presentano in due grandi zone in direzione normale all’andamento generale dell’ Appennino ; la prima in corrispondenza della valle del Sillaro, l’altra nella vallata della Marecchia. L’eocene, assai sviluppato, viene descritto nelle sue varie facies, e l’au- tore ne distingue due principali : una marnoso-arenacea, corrispondente com- plessivamente al macigno, ed una marnoso-calcarea, e cioè calcare a fucoidi, pietra palombina e forme litologiche analoghe. Osserva che la parte inferiore dell’eocene presenta spesso difficoltà ad essere distinto e delimitato dal cretaceo. La massima parte di queste formazioni eoceniche sono attribuite dall’au- tore al Parisiano, mentre il Bartoniano lo crede limitato a una zona poco estesa, che affiora sotto certe placche di Tongriano. Passa poi a descrivere le diverse forme dei terreni e, nello stabilirne la serie, vi include anche il bisciaro deirUrbinate come parte inferiore del Parisiano. L’oligocene è rappresentato essenzialmente dal Tongriano con facies pre- valentemente marnoso-sabbiosa litoranea. Esso assume in questa parte dell’Aj)- pennino uno SA'iluppo, potenza e regolarità che manca nelle altre parti. Riesce però difficile la distinzione tra esso e l’eocene sia per la scarsità dei fossili, sia per l’analogia litologica coll’eocene stesso. L’autore indica però i caratteri litologici che distinguono le due formazioni. Verso la Val di ]Marecchia questa serie di banchi marnoso- arenacei viene a mancare, troncata da un affioramento cretaceo ; si presenta invece con facies calcareo-areuacea assai fossilifera, e costituisce i rilievi speciali a guglie e picchi isolati di San Marino, Pennabilli, San Leo, Monte Fumaiolo ed altri, fra cui la Verna, attribuiti daH’autore al Tongriano, e che posano in gran parte sulle argille scagliose. La zona elveziana tanto sviluppata nell’ Appennino emiliano non si pre- senta nell’Appennino romagnolo ; essa cessa contro la zona cretacea citata della valle del Sillaro, allo stesso modo che cessa il Tongriano contro la zona cre- tacea della Marecchia. — 388 — Il mio -pliocene o Messiniano è invece immensamente s^nliippato in questa parte dell’ Appennino. Hel primo tratto dal Sillaro al Montone, sotto una regolare zona gessosa si sviluppa una serie potente di marne, sabbie ed arenarie grigie o giallastre, che rendono difficile la distinzione dal soggiacente oligocene. Osserva però Fautore che la formazione mio-pliocenica presenta una forma orografica speciale di colline meno erte delle tongriane, foggiate a terrazze, e distinte per carat- tere più intensivo della coltivazione. La formazione messiniana ad est di Val Montone è costituita da arenarie, sabbie e marne inglobanti lenti ciottolose, lignitiche e gessoso -solfif ere con immenso sviluppo superficiale, e corrisponde, malgrado numerose variazioni stratigrafiche locali, ad una grande sinclinale entroappenninica. Aella valle della Marecchia, la formazione messiniana è smembrata dall’affioramente irre- golare del cretaceo. Ad est di questa valle, il Messiniano si scinde in tre zone principali, che l’autore iùdica col nome di entroappenninica, media e litoranea: la prima si presenta con un sinclinale e due anticlinali ; la zona media pre- senta una tettonica regolare con dolce pendenza ; la zona littorale è rappresen- tata da un anticlinale lungo la linea Rimini-Pesaro-Fano, la cui gamba set- tentrionale è in gran parte sotto il mare. L'autore passa in ultimo a descrivere brevemente la formazione pHocenica^ nella quale è preponderante il Piacenziano ; mentre il Yillafranchiano si pre- senta solo nella regione tosco-marchigiana. Accenna infine ai terreni quaternari,, che non presentano fenomeni speciali. Salle e. — Del calcare alberese. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Pro- cessi verbali, Yol. XI, Ad. 7 maggio 1899, pag. 144-150). — Pisa, 1899. È uno studio di questa varietà di calcare, tanto comune in Toscana, ba- sato specialmente su di analisi chimiche, eseguite sopra campioni provenienti dalle località seguenti: Montehero (Monti livornesi); La Poggia (ibidem): Mon- terotondo (prov. di Grosseto) ; Castellina Marittima (prov. di Pisa) ; Monteca- tini (Yal di Cecina). Dal risultato delle analisi quantitative apparisce anzitutto ima grande differenza nei diversi campioni per la parte insolubile nell’acido cloridilco, variante da 6.80 a 35.70 per cento, e composta quasi intieramente da argilla: da ciò l’attitndine di alcuni a fornire calci più o meno idrauliche : notasi inoltre che le impurità provenienti da ossidi metallici aumentano col crescere del - 389 — tenore in argilla. La presenza poi di traccio di fosforo nella roccia sta a con- fermare Torigine organica dell^lberese, e così pure le materie bituminose in esso contenute. '^ei Monti livornesi, l’alberese trovasi talvolta alternante con strati di un calcare nerastro, detto dai cavatori porcino, il quale fu pure analizzato dall’au- tore, che vi riscontrò quasi il 20 per cento di residuo insolubile, costituito quasi totalmente di silice ; per questo la pietra non è utilizzabile nell’industria della calce. Il porcino, inoltre, differisce dall’alberese per la maggior quantità di materie bituminose, cui deve il suo colore. Da un esame microscopico dei due calcari, l’autore trovò confermata la estrema povertà in fossili dell’alberese, i quali si riducono a pochi resti di foraminifere. Il porcino invece è gremito di foraminifere, in preferenza globi- gerine bene distinte ; vi osservò pure un briozoo. Detti avanzi sono tutti spa- tizzati, segno evidente del metamorfismo cui la roccia andò soggetta. Salomon W. — Nene Beobacìifnngen ans deii Gehieten cles Adarnello und des Sf. Gottìiard. (Sitzungsb. der Kbn. Preuss. Akad. der Wiss. zìi Berlin, .lahrg. 1899, III, pag. 27-41). — Berlin, 1899. Facendo seguito alle sua pubblicazione del 1896 sul gruppo dell’ Adarnello Ivedi la Bibl. relativa), l’autore dà ora relazione di nuove osservazioni fatte nel 1898 in questo stesso gruppo e in quello del San Gottardo, che com- pletano le antecedenti, tirandone alcune conclusioni generali sopra i massicci alpini. Egli si occupò specialmente dei terreni sedimentari che circondano la massa tonalitica dell' Adarnello e trovò che gli scisti cristallini e gli strati mar- nosi del Tonale, finora ritenuti arcaici vanno invece riferiti al Trias e paralle- lizzati con analoghe formazioni della Valtellina. Il calcare di Esino conosciuto in soli due punti nello stesso gruppo, mostrasi invece, ampiamente metamor- fosato, in molti altri luoghi della vicina Valcamonica e delle valli minori di- pendenti. Anche il dipiro della zona metamorfica di contatto, creduto limitato a due località, è rappresentato in molti altri luoghi che l’autore enumera. Con- statò pure la presenza di altri minerali entro il granito in vicinanza della zona di contatto, e nuoA^i risultati ebbe anche dallo studio della tonalite, spe- cialmente in Val di Genova. Analoghe osservazioni potè fare l’autore sugli gneiss e scisti micacei del San Gottardo, e roccie circostanti, traendone una serie di considerazioni sulla natura e la genesi di queste masse centrali della catena alpina, in appoggio — 390 — alle idee già espresse in lavori precedenti, concludendo per l’età terziaria della tonalite che egli crede dimostrata in modo jDOsitivo. Sono uniti al lavoro due schizzi geologici schematici delle parti sud-ovest e nord-ovest del gruppo dell’Adamello. San&iorgi D. — Fossili pliocenici raccolti nei colli fiancheggianti il San- terno. (Rivista ital. di paleontologia, Anno Y, fase. lY, pag. 111-115). — Bologna, 1899. L’autore ha continuato le ricerche nella località sovraindicata, già illu- strata dallo Scaraboni e dal Foresti che ne fece lo studio dei fossili (vedi Bìì)l. 1897) nello scopo di raccogliere nuovi documenti paleontologici atti a ri- solvere il dubbio cui accenna quest’ultimo circa l’età di quei terreni per la miscela di specie plioceniche con altre mioceniche. Premessi pochi cenni sui terreni incontrati, studiati del resto e ampiamente descritti dallo Scarabelli, dà l’elenco dei fossili rinvenuti in ciascuno dei tre livelli colà rappresentati e conchiude trattarsi dei soliti tre piani del pliocene, sovrapposti direttamente ai gessi del miocene. Le forme ritenute proprie del Tor- toniano vi mancano, mentre sono numerosissime quelle caratteristiche del Pia- cenziano; e siccome l’elenco comprende un numero ragguardevole di specie, così l’autore ritiene non possa sussistere alcun dubbio sulla pliocenicità dei terreni nei quali vennero raccolte. Scacchi E. — Ulteriori osservazioni sui cristalli di Haiierite di Sicilia. Nota preliminare. (Rendiconto Acc. delle Se. fis. e mat., S. 3‘\ Yol. Y, fase. 6^ e 7^ pag. 164-165). — Napoli, 1899. Avendo ripreso in esame questo argomento già trattato in addietro (vedi Bibl. 1890) l’autore dichiara di avere osservato nella hauerite di Raddusa ca- ratteri tali da essere portato a ritenere che questa specie cristallizzi in forme tetartoedriche del sistema cubico, e non nelle dodecaedriche come è in gene- rale ritenuto. Anche la nllmannite, che ha tanta analogia di caratteri con la hanerite. dovrebbe, secondo l’autore, appartenere del pari al gruppo tetartoedrico del sistema suddetto. L’esame di cristalli di hauerite che meglio di quelli finora studiati di ullmannite mostrano i caratteri di quest’ultima, pone meglio in evidenza 1" iso- morfismo delle due specie. ScHAFFER Fr. — Beitvdge zur Par all eli sir img der Miocdnbildiingen des piemonfesischeii Tertidrs mit denen des Wiener (Jahrbuch der k. k. geologisclien Eeiclisanstalt, Jalirg. 1898, H. 3-4, pag. 389-424). — Wien, 1899. — Ideni. IL (rbidem, Jahrg. 1899, H. 1, pag. 135-164). — AYien, 1899. Premessa la serie stabilita dal Ma;rer per il neogene antico del Piemonte iAqiiitaniano, Langbiano, Elveziano, Tortoniaiio, Messìniano) ed i termini cor- rispondenti del Bacino di Vienna secondo il parallelo fatto dal Depéret (vedi Bull. Soc. Geol. de Fr., Ili S., T. XX e XXI) l’autore nella prima parte del laA'oro espone i pareri dei geologi italiani sull’importante argomento, conclu- dendo che ancora molto resta a farsi prima di poter risolvere definith^amente i numerosi quesiti che la molteplicità e la varietà delle formazioni terziarie del bacino piemontese e la loro tettonica intralciata, offrono agli studiosi. Passa quindi ad una particolareggiata esposizione delle osservazioni da lui fatte nella parte settentrionale del Monferrato, fra Casale e Torino, in specie nei dintorni delle due città, riportando anche i risultati ottenuti dagli osserva- tori che lo precedettero e facendo gli opportuni confronti con località estere e in particolare col bacino viennese. Xella parte seconda prende in esame i dintorni di Serra valle Scrivia, già centro degli studi del Mayer, e quelli di Acqui studiati più di recente dal Trabucco, esponendo ampiamente i risultati delle sue proprie osservazioni e discutendo e confrontando quelle dei precedenti osservatori, il tutto corredato da lunghe serie di fossili, in parte anche da lui raccolti. Fra le conclusioni cui l'autore giunge notiamo le seguenti: 1" rAquitaniano, per i suoi caratteri faunistici; va lasciato alla base del miocene : 2® l’Aquitaniano, il Langhiano e l'Elveziano inferiore del terziario pie- montese non sono che facies di un solo terreno equivalente al piano mediter- raneo antico dei tedeschi ; W con la parte superiore dell’Elveziano incomincia un secondo piano mediterraneo, caratterizzato da una fauna differente. Ossers'a da ultimo essere da questi studi luminosamente provata la esat- tezza della serie stabilita dal Suess pel Bacino terziario di Vienna e la differenza cronologica dei due piani mediterranei antichi. L'importante lavoro è corredato dei seguenti profili; da Serralunga al Santuario di Crea; dintorni di Gassino: diutorni di Serravalle Scrivia ; da Bi- caldone ai Bagni di Acqui. — 392 — ScHAFFER Fr. — Eiìie siibfossile Mikrotestenfanna aiis (lem Eafen voii Messina. (Yerhandl. der k. k. geol. Eeiclis., Jalirg. 1899, n. 15-16, pag. 365-370). — Wien, 1899. Fino dal 1871 Tk. Fucks aveva osservato nei depositi del porto di Messina una quantità di piccoli organismi animali associati con alghe, sui quali pubblicò due brevi note nello stesso periodico in quello stesso anno e nel successivo, paragonando quella piccola ma ricca fauna, con quelle fossili di Steinabrunn e di Yiederleis. Di recente l’autore riprese in esame quel materiale consistente in una marna grigia, mescolata con sabbia sottile e contenente radicette e fo- glioline di Zostera marina in sieme con una grande quantità di conchiglie di piccoli molluschi allo stato subfossile ; ed in questa nota egli dà l’elenco dei gasteropodi e delle bivahd ammontanti a oltre un centinaio di specie, e costi- tuenti una fauna di mare poco profondo, avente per caratteristica principale l’abbondanza dei gasteropodi a confronto dei bivalvi. La mancanza assoluta di grossi individui è da ascriversi, come già fece il Fuchs per la fauna di San Cassiano, aH’impedimento che le erbe marine opponevano alla libertà di svi- luppo dei molluschi. ' ScHAFFER Fr. — Ziir Ahgrensinig der ersten Mediterranstiife und sur Stellimg des Langhiano im piemontesiscìien Tertulrhecken. (Yerhandl. der k. k. geol. Eeichs., Jahrg. 1899, n. 17-18, pag. 393-396). — YEen, 1899. L’autore risponde ad alcune osservazioni critiche fattegli intorno alla equi- valenza dei livelli ritenuti per Aquitaniano, Langhiano ed Eh^eziano inferiore nel terziario del Piemonte (vedi sopra), dando ulteriori schiarimenti in proposito ed attribuendone le cause alla tettonica complicata di quel bacino ed alle diverse condizioni in cui si formarono quei sedimenti nelle varie parti del medesimo, ora più ora meno paragonabili a quelle del Bacino di Yienna. Da ciò le diverse opinioni dei geologi mentre all’autore sembra indubitato che in Piemonte il primo piano mediterraneo comprende una parte dell’Elveziano e che il Langhiano rappresenta un orizzonte più profondo che non sia quello dello Schlier viennese. Silvestri A. — Foraminiferi pliocenici della provincia di Siena. Parte II. (Mem. della Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Yol. XY, pag. 155-381, con 6 tavole). — Eoma, 1899. La prima parte di questo studio sui foraminiferi delle crete senesi, fu pubblicata nel Yol. XII di queste stesse memorie (vedi Bihl. 1896). — 393 — In questa seconda parte Fautore completa Fillustrazione della fauna sud- detta ultimando quella dei nodosaridi e aggiungendo quella dei rotalidi (Ro- taline, GrloI)igerine e Polistomelline). Come riassunto di questo studio è data in fine una tavola comparativa della distribuzione dei foraminiferi passati in rassegna nelle diverse località, da cui provengono. Sono in tutto 257 specie. Le specie nuove, e più caratteristiche, sono rap- presentate in 6 tavole disegnate dal vero dallo stesso autore. Silvestri A. — Una nuova località di Ellipsoidina ellipsoides. (Rendi- conti R. Acc. dei Lincei, S.Y, Yol. YIII, fase. 12^^, sem., pagine 590-596). — Roma, 1899. Questa specie di foraminiferi, assai caratteristica, scoperta dal Seguenza nelle marne terziarie del Messinese ed anche in altre località della Calabria o della Sicilia, si trova esclusivamente nel piano più antico del pliocene che il Seguenza distinse col nome di Z anele ano. L'autore ne segnala la presenza nell’alta valle del Tevere alla distanza di circa 200 m. a Y.E di Sansepolcro, alla profondità di 3 o 4 metri dal suolo. La roccia che contiene questo fossile è una marna di color gialliccio, nella quale si è riscontrata la presenza di abbondanti foraminiferi, di alcuni ostra- codi, dentini di pesci e tritumi di conchiglie. L'autore la ritiene con certezza un sedimento marino formatosi in seno alle acque di un estuario zancleano alla profondità da ISO a 500 metri. Egli presenta un elenco dei foraminiferi riconosciuti in questa marna, indicando con asterisco le forme comuni al zan- cleano di Sicilia e Calabria, da cui risulta la somiglianza notevole di facies fra le due faune microscopiche. Ye conchiude che il fondo dell’alta valle del Te- vere, al principio del pliocene, era ancora sommerso nelle acque di un estuario; che la costituzione della vallata attuale rimonta al massimo al secóndo periodo del pliocene inferiore, posteriore quindi al miocene, ed esistervi una facies della formazione zancleana contemporanea alla facies consimile studiata dal Se- guenza nel territorio di Reggio-Calabria. Osserva poi che quest’ultimo distin- gueva nello Zancleano della Calabria tre facies secondo la profondità, cioè : Depositi costieri (sabbie a molluschi) ; depositi di media profondità (marne sab- biose a molluschi e foraminiferi) ; depositi abissali (marne a foraminiferi). Colla descrizione della Ellipsoidina ellipsoides è data pure la figura di essa veduta esternamente ed internamente. — 394 — Silvestri A. — Nuove osservazioni sulla Biloculina globosa e sulla var. cristata del Peneroplis pertusus. (Atti dell’Acc. Pont, dei Nuovi Lincei, Anno LII, Sess. Ili, pag. 68*73). — Poma, 1899. * In seguito ad osservazioni posteriori a precedenti pubblicazioni dellau* tore su questi foraminiferi, in questa nota egli dà una descrizione accui'ata dei caratteri esterni ed interni della Biloculina globosa, osservati in esemplari pro- venienti dalle argille della Coroncina presso Siena e dei quali dà pure le fi- gure. La struttura interna di questa lo conferma nella diagnosi fatta di specie nuova. Sulla nuova forma del Peneroplis pertiisiis var. cristata di cui già riferì in altra pubblicazione, in seguito ad autorevole parere di due valenti rizopo- disti stranieri l’autore si è convinto che, anzi che di una varietà cristata trat- tasi semplicemente di forma imitativa dovuta a corrosione esterna della con- chiglia del P. pertusus. Silvestri A. — Illustrazioni soldaniane di Ciclammine fossili. (Atti dell’Acc. pont. dei Nuovi Lincei, Anno LII, Sess. YI, pag. 119-125). — Koma, 1899. Nella Testaceographia del Soldani si trovano le figure A, C ed E (Tav. LX), e nel Saggio orittografico la figura 10 N (Tav. I), che illustrano gruppi di esem- ' plari compresi in Unica descrizione come Naiitilitae o Hamnionitae, le quali finora furono malamente determinate dagli autori che se ne erano occupati, e solo la fig. n. 10 fu giustamente spiegata nel 1894 dal Fornasini come riprodu- zione poco esatta della Cgclammina cancellata Brady. L’autore, giovandosi dell’esame di esemplari raccolti nel pliocene senese e della descrizione delle forme data dal Soldani, ha riconosciuto in quei forami- niferi i caratteri delle Cgclamminae fossili e dal confronto degli esemplari rac- colti colle figure del Soldani, che vengono riprodotte in questa nota, stabilisce le sinonimie della Cgclammina cancellata Brady e della C. pusilla Brady, indi- candone la distribuzione sia allo stato fossile, che allo stato attuale. SiMONELLi Y. — Sopra un resto fossile di Zifioide trovato a Vigoleno nel Piacentino. (Rivista ital. di paleontologia, Ahno lY, fase. lY, pag. 134-138). — Parma, 1899. Trattasi di un rostro proveniente da Yigoleno giacente, da oltre un se- colo, nel Museo geologico della Università di Parma e dall’autore riconosciuto 395 — come appartenente alla specie Dioploclou Lawleyi stabilita sino dal 1885 dal Capellini sn di altro frammento analogo rinvenuto presso Volterra, Egli ne dà in questa nota un cenno descrittivo con le figure relative prese in posizioni diverse e due sezioni trasversali, il tutto a metà della grandezza naturale. Al resto fossile era appiccicata dell’argilla finissima turchina, il che fa credere che l’esemplare provenga dalle argille turchine plioceniche, che infatti non mancano a Vigoleno. Spezia Gr. — Sopra mi deposito di quarzo e di silice gelatinosa trovato nel traforo del Sempione. (Atti E. Acc. Se. di Torino, XXXIV, disj). 13''^, pag. 705-713). — Torino, 1899. La materia studiata dall’autore si presenta come una pasta molto umida, leggermente granulosa, di colore bianchissimo, che ad una prima osservazione si mostrò costituita da minutissimi cristalli di quarzo immersi in una sostanza gelatinosa. Essa fu trovata entro una litoclasi attraversante il gneiss a m. 300 circa dall’imbocco della galleria sul versante italiano. L’esame microscopico rh'elò, oltre ai cristallini di quarzo, di lunghezza non superiore al mezzo mil- limetro, una certa quantità di minuti romboedri bianchi o incolori, non supe- riori ad un millimetro, con cristallini di quarzo inclusi : essi sono costituiti da carbonati di calcio, magnesio e ferro, hanno faccio un po’ ricurve, e traccio di poliedria come in certi cristalli di dolomite. L’autore ritiene questo minerale come una varietà di ankerite. Vi trovò inoltro qualche raro cristallo di pirite e più raramente ancora qualche lamella di mica. DalTesame della massa gelatinosa risultò poi trattarsi di una miscela di silice idrata (circa 3/5) con allumina del pari idrata ; la prima starebbe lenta- mente mutando la sua struttura e composizione molecolare per trasformarsi in (jiiarzo ; per cui il deposito della litoclasi della galleria del Sempione è un esempio di una formazione quarzosa tuttora in attività e prodotta dalla trasfor- mazione della silice idrata gelatinosa in quarzo, alla quale trasformazione forse non sarà estranea la presenza deirallumina idrata. Stella A. — Rilievo plastico delVanfiteatro morenico del lago di Sarda. (Boll. Soc. Greol. ital.. Voi. XVIII, fase. 1^, pag. xxii-xxiii). — Roma 1899. XeH’adunanza tenuta nel febbraio 1899 in Pisa dalla Società geologica italiana, l’autore diede notizia di questo rilievo in scala di 1 : 25,000, modellato — 396 — dal Locchi a Torino e da lui colorito geologicamente secondo i più recenti ri- levamenti di dettaglio. Esso trovavasi esposto alla Mostra nazionale di Torino del 1898 fra il materiale del R. Ufficio geologico. La serie dei terreni rappresentati in questa plastica comprende buon nu- mero di suddivisioni del quaternario recente {allnvinm) ed antico {dilnviiim). quindi in blocco le roccie in posto terziarie e secondarie. Stella A. — Calcari fossiliferi e scisti cristallini dei monti del Salnzzese, nel cosidetto elissoide gneissico Dora-Maira, (Boll. E. Comitato Greol., Yol. XXX, n. 2, pag. 129-160, con tavola). — Roma, 1899.- Paragonando colle carte precedenti, la cartina geologica annessa alla memoria dell’ ingegnere Eranchi (vedi Bibl, 1898), che riassume i risultati conseguiti nei lavori di rilevamento nelle Alpi, si osserva die, mentre nelle prime, l’area interna alla zona delle pietre verdi dell’ elissoide Dora-Talniaira appare costituita da un unico terreno arcaico (zona del gneiss centrale), in quella del Eranchi l’ elissoide stesso si jii'osenta molto più complesso e vario, sia per il numero di zone geologiche ivi distinte, sia per le varietà geologiche di ciascuna zona. L’autore, che prese parte a quel rilevamento, prende a descrivere in questa nota alcune di quelle zone che meglio si delineano nella parte meridionale dell’ elissoide stesso, specialmente dove esso si presenta arcuato tra le valli del Po e della A^araita. In questa parte esso si divide in tre zone principali, una più interna, quasi tutta sulla sinistra del Po, che si può chiamare zona giieissica di Revello, una mediana che domina la valle del Po e della Yaraita. e che chiama sona gneìssica di Veiiasea, ed una terza più esterna detta sona gneissica di Dronero. Queste tre zone sono separate da due zone micaceo-scistose, la prima fra la zona gneissica interna e quella mediana, costituita in prevalenza da mica- scisti e gneiss minuti più o meno grafitici con intercalazione di conglomerati gneissici, quarziti e calcari cristallini con masse di roccie dioritiche e denomi- nata sona grafitica: Taltra, fra la zona mediana e Testerna, e che partecipa della composizione sia della zona grafitica sia di quella delle pietre verdi, che l’aiitore chiama sona fossilifera di Fiasco, per contenere speciabnente in vici- nanza di questa località dei calcari fossiliferi. Di questa zona fossilifera si occupa l’autore in questa nota e ne descrive estesamente la natui^a litologica delle roccie che la costituiscono, le loro A'arietà ed il modo con cui i diversi gruppi si trovano fra loro associati, presentandone dei profili. Essa risulta di micascisti in prevalenza, con banchi di gneiss e vi si associano, calcari fossiliferi, calcescisti, scisti grafitici e quarziti, e anche anageniti con lenti intercalate di pietre verdi. Ea presenza dei banchi fossili- feri nelle masse calcaree dolomitiche permette di ascriverle al Trias e proba- bilmente àlla parte media di esso. L’autore passa quindi ad esaminare e discutere i rapporti dei calcari fossiliferi colle zone gneissiche che li racchiudono e colla grande zona delle pietre verdi esterna, già dimostrata mesozoica. Ammessa l’età triasica di questa e di quella di Fiasco, quest’ultima deve essere interpretata come impigliata nell’elissoide stesso, e, data la continuità fra queste formazioni mesozoiche e le più antiche formazioni dell’elissoide, si devono ritenere quest’ultime formazioni, in parte almeno, permo-carbonifere. La zona fossilifera di Fiasco sarebbe insomma im lembo di Trias a facies prevalentemente cristallina, disposto in sinclinale fra due masse, almeno in parte, permo-carbonifere a facies cristallina, corrispondenti l’una alla zona gneissica di Dronero, l’altra a quella di Yenasca. Quest’ ipotesi, che l’autore ritiene la più naturale, deve però ammettersi con la riserva dovuta allo scarso corredo di fossili. Quanto alla zona grafitica nella quale non furono rinvenuti fossili l’autore, e i colleglli Franchi e YoA^arese, inclinano a vedervi il rappresentante del carbonifero alpino. In mancanza di dati decisivi e di linee tettoniche ben precise, resta però assodato che nella zona di Fiasco vi è il più intimo legame di natura litologica, concordanza stratigrafica e continuità genetica fra calcari fossiliferi e scisti includenti ; e tale triplice legame sussiste fra la zona stessa e le zone gneissiche die la comprendono, come fu riconosciuto fra la zona esterna delle pietre verdi ed il massiccio gneissico sottostante. L'autore aggiunge alcuni schiarimenti alla sua ipotesi, che potrebbe pre- sentare dei dubbi a coloro che stessero ancora ai concetti che si avevano anni sono sulle roccie alitine, riguardo alle masse gneissiche ritenute arcaiche. Il valore che suol darsi alla cristallinità delle formazioni fu mostrato falso da tante ossers'azioni, e nelle Alpi specialmente bisogna riconoscere che scisto cristallino non è sinonimo di arcaico^ ma è un abito petrografico che può essere assunto da formazioni di età differentissime. L'autore accenna da ultimo al metodo di isolamento degli articoli di cri- noidi spatizzati nel calcare dolomitico, ed ai risultati dei saggi chimici sui medesimi, ottenuti nel laboratorio deH’Ufficio geologico. A questa nota è annessa una tavola di profili geologici della regione studiata ed è corredata da una cartina e da altre sezioni inserite nel testo. — 398 — Struever Gr. — / giacimenti minerali di Saiilera e della Rocca Nera alla Mussa in Val d’Aia. (Eendiconti E. Acc. dei Lincei, S. Y. Yol. YIII, fase. IX, V sem., pag. 427-434). — Eoma, 1899. — Idem. (Eivista di min. e crisi, italiana, Yol. XXII, fase. Y e YI» pag. 80-88). — Padqva, 1899. — Idem. (Centralblatt flir Min., G-eol. und Pai., J. 1900, n. 2, pag. 41-48). — Stuttgart, 1900. Sui minerali di Yal d’Aia in Piemonte scrisse l’autore sino dal 1871 {3Iem. R. Com. Geo!., Yol. I), ma i due giacimenti sopradetti non eraco ancora conosciuti perchè scoperti, o meglio riscoperti, il primo nel 1873 e l'altro nel 1880. In A^isite fatte sul posto a più riprese egli xi potè raccogliere molto materiale, aumentato da numerosi invii fattigli da cercatori di minerali : espone ora le osservazioni eseguite in posto e sulla ricca collezione di minerali messa insieme. Xel giacimento di Saulera, sul lato meridionale del piano della Mussa, vedesi un grosso banco costituito ora da epidoto, ora da una miscela di granato con altri minerali, intercalato entro gli scisti A^erdi cloritici e talcosi. In alcune geodi, e nelle numerose screpolature che attraversano il banco, si troA^ano cristalli di granato, epidoto, diopside, cliiiocloro, apatite, titanite e calcite, con rare mas- serelle di calcopirite. Questi minerali formarono oggetto di studio per l’autore^ che ne espone ora i risultati. Alla Eocca Xera, un poco più a ponente del precedente giacimento, tro- A^ansi cristalli di granato, apatite, idocrasio bruno e calcite entro un secondo banco costituito di granato con altri minerali, e intercalato nella serpentina. Anche questi, in particolare quelli bellissimi di granato color rosso -giacinto -cupo, sono stati studiati dall’autore. Mentre tutti i minerali menzionati si possono ritenere come contemporanei, la calcite ne è certamente posteriore ; infatti essa serA^e da cemento ai fram- menti di roccia o A^edesi cristallizzata nei vani rimasti fra di essi. A complemento poi di quanto scrisse in anteriori pubblicazioni sulla Testa CiarAm, aggiunge qui alcune osserA^azioni relative a questo giacimento racchiuso, come è noto, nella serpentina compatta. Infine l’autore fa esser A^are la grande analogia esistente fra i singoli gia- cimenti, sinora noti di Yal d’Aia, caratterizzati dalla presenza della apatite con data forma cristallina non citata in altri luoghi, e della calcite con forma costante (111). — 399 — Tacchini P. — Il terremoto romano del 19 luglio 1899. (Eendiconti E. Acc. dei Lincei, S. T, Yol. Vili, fase. 11, 2^ sem.. pag. 291-296). — Eoma. 1899. Questa forte scossa avvertita in Eoma nel pomeriggio di detto giorno fu il contraccolpo di una rovinosa commozione sismica, di cui l’epicentro deve collocarsi nei pressi di Frascati, Grottaferrata e Marino, che furono i luoghi in particolar modo colpiti. Le località più lontane dove la scossa, molto inde- bolita, fu segnalata, sono: Spoleto, Antrodoco, Fiamigmano, Avezzano, Guarcino, Isernia, Sessa. Tentotene e Ponza, da una parte, Cerveteri, Civitavecchia e Vetralla daH'altra. Il movimento è stato generalmente a due riprese, prima sussultorio e. a quattro secondi di distanza, ondulatorio. Aotasi che questa scossa violenta non è stata preceduta da alcun fenomeno precursore, ma invece seguita da parecchie repliche tanto nello stesso giorno, quanto nel successivo. L’autore coglie occasione da questo fenomeno per riferire sul comporta- mento degli strumenti sismici, che questa volta si trovavano in azione in un sotterraneo del Collegio romano dove ha sede l’ Osserv^^lorio geodinamico in Eoma. Tacconi E. — Alcune notizie geologiche sul gruppo della Presolana. (Eendiconti del E. Istituto lombardo. S. IL Tol. XXXII, fase. IX, pag. 682-689). — Milano. 1899. In questo gruppo prealpino della Lombardia, situato fra le valli del Serio e del Lezzo, prevale la formazione triasica, e tutto il Trias alpino vi è rappre- sentato nella serie seguente: Scisti di Werfeii lungo una striscia da Tilminore al passo della Manina, a contatto col A'errucano permiano: Dolomia cariata in due piccoli lembi, sopra Vilmiuore e nella valle del torrente Xembo; lliischelkaìk in piccoli lembi di un calcare scistoso, scuro, con vene bianche, quasi ovunque fortemente contorto e frantumato: Scisti di Weiigen molto estesi, passanti talora ad arenaria compatta, durissima, bene stratificata, con resti vegetali, ed attra- versati da filoni di porfiriti dioritiche (vedi G. Vigo, Bihl. 1898): Piano di S. Cassiano rappresentato da un lembo di scisti che, passando sotto la dolomia della Presolana, va a formare la Cima Verde: Dolomia infraraihliana con grande sviluppo a tre livelli diversi, corrispondenti alla dolomia PEsino, alla dolomia metallifera e alla dolomia della Presolana anzidetta; Formazione rai- bliana bene rappresentata, con forme litologiche diverse; Dolomia principale, con grande sviluppo, scagliosa, alterata e facilmente franabile, onde si formano - 400 - estese conoidi di detrito alle falde dei monti. Seguono un Conglomerato o allu- vione cementata anteriore alle invasioni glaciali, forse di due epoclie diverse, e il Terreno glaciale formante due cerehie moreniche, talora alterate e ferrettizzate. Viene da ultimo la Formasione alluvionale, poco estesa, negli alvei delle valli. Si ha così una successione analoga a quella data dal Mojsisovics per la località di Selt-Sass nel Tirolo, e dal suo esame risulta che la tettonica del gruppo può spiegarsi senza ricorrere a curve eccessivamente comj)licate od a salti come altri fece. La stratigrafia della Presolana sarebbe infatti assai più semplice di quanto a prima vista potè apparire. Tabamelli T. — Di alcune delle nostre valli epigeneticlie. (Atti del III Congresso geografico italiano. Voi. II, pag. 90-102). — Fi- renze, 1899. Accennato alle difficoltà che si presentano per trattare con sufficiente si- curezza delle mutazioni verificatesi per epigenesi o per cattura nell’andamento delle nostre valli, tanto più quando vi entri come fattore qualche movimento del suolo, Taiitore si propone in questa memoria di indicare le località da lui percorse, richiamando le ideo altra volta esposte quando ancora non era ge- neralmente ammessa la prevalenza delle cause esogene nella genesi delle val- late. Premette prima alcune considerazioni sulla classificazione delle valli e delle selle, suirincisione dei terrazzi, sulla azione erosiva dei periodi diluviali e sulle modificazioni portate alla conformazione delle montagne e delle valli dalla glaciazione. Passa quindi a rassegna le diverse regioni alpine e prealpine della Li- guria, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Istria, esponendo i fatti osservati. Vota che l’ Appennino settentrionale non presenta vestigie molto manifeste di valli abbandonate ; accenna però a mutamento avvenuto nel corso del Tressi- naro, dell’Arno, del Tevere, della Aera e del Velino. Lai fatti esj)osti l’autore viene a conchiudere che la formazione delle valli si presenta anzitutto collegata coi fenomeni climatologici, tellurici che determinarono la precipitazione acquea e nivale nei periodi posteriori aH’emersione della re- gione. Quanto aU’influenza che i movimenti del suolo possono esercitare sulla direzione e confluenza delle valli, essa deve essere stabilita caso per caso, os- servando che bisogna andare cauti nello ammettere dislocazioni e fratture che in molti casi abbisognano di conferma. Osserva infine che dalle considerazioni esposte emerge il grande valore della erosione glaciale, specialmente nell’aver modificata l’ampiezza e le con- — 401 — dizioni di fondo delle valli preesistenti, modificando così profondamente i trac- ciati idrografici precedenti, a cui si collega l’energica erosione avvenuta nelle aree già glacializzate, dopo la rapida dispersione dei ghiacciai. Taramelli T. — Sulle aree sismiche italiane (dalla Eassegna nazionale, Anno XXI, 16 giugno 1899, pag. 16 in-8^). — Firenze, 1899. Indicate le carte sismiche che in base a numerosi cataloghi di terremoti si sono costruite in Italia, l’autore osserva che i molti dati raccolti fanno co- noscere che la distribuzione e l’intensità delle aree sismiche si presenta in rap- porto evidente coi principali fatti stratigrafici, che esse hanno un allineamento più prossimo al meridiano, cioè in direzione delle linee stratigrafiche dei ter- reni più antichi, e più profondi, mentre la direzione dell’asse appenninico è collegata coi corrugamenti delle formazioni più recenti. Eiporta in proposito diversi esempi di fratture preesistenti ai terremoti che si collegano colla tetto- nica e la localizzazione delle aree sismiche. Osserva poi che fino ad ora nessun chiaro rapporto si rileva delle aree sismiche colla distribuzione delle regioni vulcaniche italiane. Per le regioni strettamente vulcaniche, cioè ai coni vulcanici che hanno fatto eruzione in epoca storica, ovvi una coincidenza naturale della maggiore intensità dei feno- meni sismici in rapporto della maggiore mole del vulcano. Per dare un’ idea della frequenza, della disastrosa intensità dei terremoti, l’autore ricorda i principali di cui parla la storia. Raccogliendo i risultati delle osservazioni sino ad ora constatati sulla di- stribuzione dei terremoti italiani, egli stabilisce 20 principali regioni dell’Italia e suo isole e ne dà l’elenco. Xota infine come la Sardegna benché occupata da estese zone vulcaniche e da numerosi coni vulcanici sia affatto immune da terremoti propri e poco sensibile alle scosse che le arrivano da altri centri. Taramelli T. — Di alcune particolarità della superficie degli strati nella serie dei nostri terreni sedimentari. (Rendiconti del R. Istituto Lom- bardo, S. II, A^ol. XXXII, fase. YII, pag. 521-29). — Milano, 1899. L’autore si occupa in questa nota di quelle impronte-rilievi, reticolazioni, chiazze argillose ed altre particolarità che si presentano alla superficie dei sin- goli strati nei terreni sedimentari e dei quali i geologi non hanno dato finora sufficienti spiegazioni. Piportate le osservazioni del Woener sul problema ancora oscuro della stratificazione dei calcari e dei sottili interstrati argillosi talora papiracei, che ~ 402 separano gli strati di calca? i aventi origine biologica, Tautore ritiene probabile che questi interstrati si possano riferire a causa cliniatologica, per più ampia dispersione di torbide terrigene ; non escludendo però che possano essere dovuti ad abbondante A^egetazione di alghe nelle masse di deposito recente, o caduti dagli strati superiori dell’acqua marina. IN'ei sedimenti, terrigeni la influenza dei fenomeni meteorici, congiunta allo spostamento nella posizione delle foci negli antichi mari, laghi od estuarii, spiegherebbe più facilmente la presenza di questi interstrati. L'autore cita le arenarie e i calcari arenacei del cretaceo della Brianza e del Bergamasco, le arenarie triasiche delle prealpi; ricorda i calcari marnosi dell’eocene appenninico e i calcari infraliasici di Yalseriana ed altri che pre- sentano negli interstrati alghe, A^ermiculazioni, fucoidi, ecc., caratteristiche delle diverse formazioni. Ricorda quindi il modo singolare di soA^rapporsi degli strati calcarei della maiolica, nei quali la superficie di uno strato s’insinua con bitorzoli su quella dell’altro, e la presenza fra essi di una pellicola di sostanza cloritoide che s’insinua pure in venature serpeggianti attraverso la massa calcare a guisa di suture craniali. A spiegare questi fatti l’autore ammetterebbe che si fosse formato un deposito caseoso di calcare che, turbato nelFatto di consolidarsi, si fosse rotto e risaldatosi di nuovo dopo il consolidamento. Siccome tali su- ture non si riscontrano in altri calcari degli stessi periodi geologici, ritiene che non sempre, nè dovunque, al fondo degli antichi mari si aA^esse quella tranquillità di deposito che è ammessa dai geologi. Anche il problema della corrugabilità degli strati è altrettanto oscuro come quello della loro origine, ed esprime il dubbio che la loro condizione fisica nell'atto del corrugamento orogenico fosse quale ora a noi si presenta nelle cave, gallerie e trincee. . - L’autore espone quindi altri fatti, fra i quali le formazioni selciose, i ri- lieAÙ detti nemertiliti, le impronte di passi di vertebrati, le figure di viscosità e di impronte radicnlari da lui osserA^ati e che gli sembrano di qualche inte- resse per lo studio della tettonica delle montagne. Taramelli T. — Di due casi di idrografia sotterranea nelle prouincie di Treviso e di Lecce. (Rendiconti del R. Istituto Lombardo, S. II, Yol. XXXII, fase. XIX- XX, pag. 1389-1402). — Milano, 1899. L’autore prende in esame due casi analoghi d’idrografia sotterranea in due regioni lontane e diverse per costituzione di suolo e di sottosuolo, cioè — 403 — quello del Colle del Montello in proTincia di Treviso e quello delle vicinanze di Lecce in Puglia. Il Colle del Montello ha una lunghezza di 15 chil. j)er una larghezza media di 5, limitata a nord e a est dal corso attuale del PiaA^e, al sud dalla pianura, a sud-ovest dal solco di Biadene che lo separa dai colli di Montebel- lunq ; la sua altezza massima è di 369 m. sul mare, mentre il Piave trovasi da 95 a 70 metri. Esso è costituito interamente da alluvione cementata del fiume Piave pliocenico o diluviale antico : il nucleo è di conglomerato con cojDertura di varia potenza da 5 a 10 metri di ferretto. Questo ferretto fu rimaneggiato in parte ed esportato ed ingoiato dalle acque che solcavano il colle e spariva nelle fessure del conglomerato, dando luogo ad un gran numero di doline di Avaria ampiezza o profondità. A queste due porzioni distinte corrispondono due diverse condizioni di circolazione sotterranea e quindi di sorgenti. Quelle più abbondanti si trovano nel perimetro, alla base o presso la base del colle. La maggior parte però delle fonti meno abbondanti e più o meno temporanee sono nel ferretto, la cui parte esterna si è resa impermeabile. L’aspetto carsico della superficie e le grotte del Montello sono la conseguenza di un’ampia circola- zione sotterranea e ne sono un residuo le sorgenti che yì si osserA^ano. Cita altre località d’Italia e dell’estero alle quali si potrebbe estendere la spiegazione applicata al Montello. L’analogia e contemporaneità di tali forma- zioni confermerebbe il concetto che i particolari orografici ed idi'ografici, e quelli della circolazione sotterranea, sono di data relatÌA’'amente recente ; e l’autore ne troA'a un esempio convincente nell’altro caso della circolazione sot- terranea presso Lecce nella penisola Salentina. In questa regione le accidenta- lità del corrugamento postpliocenico furono obliterate dall’erosione e dai depo- siti terziarii e ([uaternarii. L’emersione della j^enisola è recentissima e forse ne continua in alcune parti il solleA^amento. Essa è una regione recente quanto il 5Iontello. colla differenza che questa fu completata sotto il mare mentre era già scomparso il golfo padano, e a'ì si riscontrano gli equiA^alenti marini dei terreni alluAÙonali e morenici posteriori alle argille e ai calcari conchigliari de- positati in detto golfo durante il pliocene. Passate a rassegna le formazioni geologiche che si presentano in questa parte delle Puglie. descriA-^e i sistemi idrografici che vi si osservano, cioè una ricca zona acquifera presso il Insello marino, che rappresenta parte di un si- stema di canali sotterranei a cui appartengono probabilmente le A^ene che ali- mentano le sorgenti del Mare Piccolo di Taranto ed altre. Questo sistema acquifero, che giace presso il liA'ello marino attuale, ricorda quello del conglo- merato del 51ontello doA^e il limite medio inferiore delle acque sotterranee è determinato dalle alluA'ioni del letto attuale del PiaA^e. — 404 — L’altro sistema idrografico che si osserva in questa parte delle Puglie ha luogo tra i tufi pleistocenici e le argille ad essi sottostanti. La profondità della zona acquifera è minore e varia in relazione colle pioggie. dell’epoca quater- naria queste acque dovevano essere state molto più abbondanti e ad esse sono da attribuirsi le molteplici grotte. Questa grande quantità d’acqua scorrente alla superficie e circolante sot- terra erodeva ed asportava la massa dei recenti sedimenti assai teneri, risul- tandone quelle bassure e conche simili alle doline del Montello e forse anche la formazione del suddetto Mare Piccolo di Taranto. Dalla idrografia di queste due lontane contrade, di cui una era sommersa mentre l’altra era emersa da tempo, e forse già invasa una volta dal ghiaccio, l’autore ne deduce la importanza di studiare una serie cronologica parallela fra formazioni recenti, continentali e raarine e stabilire rapporti fra le prime e le seconde, ciò essendo di grande giovamento allo studio della orogenia e conseguente idrografia sotterranea. Tara^iejlli T. — Di alcuni scoscendimenti nel Vicentino. (Boll. Soc. GreoL ital., Yol. XYIII, fase. 3*^, pag. 297-308). — Eoma, 1899. Gdi scoscendimenti dei quali l’autore si occupa in questa nota sono abba- stanza conosciuti per le frane che vanno funestando i monti del Yicentino. Accenna dapprima agli scoscendimenti delle Alpi meridionali dei quali si occupò in uno scritto del 1881 e che sarebbero avvenuti in coincidenza colla permanenza di un ramo di ghiacciaio che andava scomparendo, aggiungendo però che tale coincidenza deve essersi verificata relativamente di rado. Più frequente ritiene invece il caso di grandiosi scoscendimenti e di ac- cumulazioni di detriti per torrenti secondarii, quando i gliiacciai erano ridotti a breve distanza dalle loro fronti attuali. Deve essere accaduto molte volte che le morene laterali abbiano fatto argine agli scoscendimenti, e che in alcuni casi questi abbiano sbrecciata una parte della morena. Dn tale caso deve es- sere avvenuto nelle vicinanze di Arsiero dove si verificò nei 1852 uno sco~ scendimento nella località Perale sulla destra del fiume Posina e che si ripetè nel 1889 per erosione operata dalla corrente e per rammollimento della massa della frana e delle sottostanti argille gessifere. Questo recente scoscendimento del quale l’autore dà un disegno, è l’effetto del parziale distacco di un enorme accumulamento di frana, che troncò la morena laterale di Lago presso Yelo d’Astico. Questo scoscendimento post-glaciale è alla sua volta l’effetto di un distacco di parte di un vasto sistema di frane che ricopre fino all’altezza di metri 700 il versante settentrionale del monte Priaforà e degli attigui a sud-est. Tale massa di scoscendimenti antichi si segue per circa 6 chilometri sulle falde delle montagne che superiormente si ergono con nude creste dolomitiche. L’au- tore indica pure lo scoscendimenio post-glaciale a destra dell’Astico di fronte a Casotto al confine di stato e quello di Laghi in valle della Zara confluente del Posina, facendo risaltare l’importanza dello studio di tali fenomeni nella loro fase di formazione, nei rapporti cronologici e per l’influenza di essi sulla idrografia e topografia locale. Questo studio si collega con quello delle mutazioni avvenute nel decorso delle correnti, e Fautore accenna alle osservazioni fatte in molti lembi di allu- vioni diluviali, secondo lui anteriori all’ultima glaciazione, alhneati lungo le valli deir Astice, del Posina, del Pio Freddo e nella Tal d’Assa, in corrispon- denza ai confluenti, come residui di antichi talus terrazzati. A complemento delle jiotizie sopra -i depositi glaciali e diluviali, accenna da ultimo a certi pianori di detriti che in alcune località della provincia si trovano alle falde dei monti più o meno distanti dalle roccie da cui ne discesero i materiali, e che potrebbero rappresentare delle frane scivolate sopra delle scom- parse vedrette o nevati. Tale fatto si presenta anche nell* Appennino settentrionale. Tascoxe L. — Il Vesuvio nei primi sette mesi del 1899. (Boll. Osserva- torio di Moncalieri, S. II. Yol. XIX, n. 6-7, pag. 12-43). — Torino, 1899. L'autore espone brevemente lo stato del Vesuvio dal gennaio alia fine del luglio 1899. notando che in cpiesto periodo non si ebbero fasi molto accentuate. L'emissione lavica ha perdurato con le solite alternative d'incremento* e di di- minuzione, con un volume di due milioni di metri cubi che, uniti ai precedenti, formano la massa di 107 milioni emessi in 48 mesi. Le lave hanno colmalo le valli adiacenti aUa collina ove sorge l’Osser- vatorio. che ora trovasi a 27 metri sopra il piano lavico. L'eruzione stava per finire : non si osservavano più che piccoli rivoli di lava ; le fumarole sulla fen- ditura radiale non emanavano più abbondante vapore e dal cratere centrale si spriirionava grande quantità di cenere, indizio di prossima fine delle fasi eruttive. Tascone L. — Il Vesuvio e la fine del periodo eruttivo 1895-99. (Boll. deH'Osservatorio di Moncalieri, S. II, Voi. XIX, nn. 8 a 10, pa- gine 58-59|. — Torino, 1899. Ricordando la precedente nota nella quale preannunziava la fine del lungo periodo eruttivo 1895-99, l'autore si limita ora ad indicare alcuni fatti, riserbandosi di dare al più presto una relazione estesa ai particolari scientifici. 406 — IS'on si osservano più, alla data del 13 ottobre, lave fluenti: le fumarole sono spente e Tapparato dinamico del cratere centrale è in perfetta quiete. Che questa calma possa durare, la storia lo smentisce. L’autore fa infine osservare l’importanza di questo periodo per il cambiamento portato all’orografia vesu- viana dall’enorme quantità di magma eruttato. Tellini a. — Fenomeni carsici nella pianura. (In alto, Cronaca deUa Società alpina friulana, Anno X, n. 4, pag. 52-54). — Udine, 1899. Oltre gli esempi di fenomeni carsici indicati dal Marinelli nei terreni pre- glaciali della valle del Tagliamento, altri ve ne sono che l’autore descrive in questa nota, che è la continuazione del lavoro sulle peregrinazioni speleologi- che nel Friuli, pubblicate dall’autore nello stesso periodico. Due di queste depressioni si trovano sulla sinistra del Xatisone presso Bolzano e portano rispettivamente il nome di Garnisse e di Pesenelat, e l’autore ne dà la pianta e la sezione. Il terreno è costituito da ghiaie incoerenti. La maggiore ha un diametro, alForlo superiore, di 240 metri e di 160 al fondo, con profondità media di 8 metri ; la minore ha un diametro all’orlo di 110 e di 90 al fondo, con profondità da 5 a 6 metri ; il fondo è in entrambe pianeg- giante. Altre conche scodelliformi si trovano presso Vicinale di Buttrio; esse hanno forma d’imbuto e sono dette Formi. Ve ne sono 5 o 6 a non molta di- stanza le, ime dalle altre, e sono doline di pianura nelle quali il conglomerato villafranchiano, e forse messiniano, sottostante alla pianura si comporta come negli altipiani di càlcare cretaceo rispetto all’origine loro dovuta all’erosione. In un colle isolato, detto di Lestans, presso il torrente Cosa alla destra del Tagliamento, si presenta un ruscello della portata di alcune decine di litri di acqua alimentato dalle paludi che si estendono fino al colle di Sequals, il quale ad un certo punto incontra un buco a pareti ripide che ne inghiotte le acque le quali ricompaiono poi più a sud del colle in una scaturigine detta fontana del Piruzzar ; esso rappresenterebbe in piccolissima scala le Catavotre del Peloponneso. Tellini A. — Le acque sotterranee del Friuli e la loro utilùzamone. (Annali del E. Ist. Tecn. A. Zanon, S. II, Anno XYI-XYII, pagine 175-260, con 2 tavole). — Udine, 1899. L’autore si propone in questo lavoro di esaminare come gli abitanti del Priuli abbiano risolto il problema delle acque potabili, di indicare dove le con- — 407 — dizioni di potabilità delle acque lasciano ancora a desiderare e di suggerire i mezzi per provA^edervi in modo soddisfacente. iN'ella prima parte sono esposte considerazioni di indole generale sui modi svariati, usati specialmente nel Friuli dai tempi antichi fino ad oggi, per prò- -curarsi l’acqua potabile. Viene in seguito esposto il modo col quale ciascun co- mune vi ha proAnreduto, disponendo questi in ordine alfabetico. Fa precedere brevi cenni geologici e topografici, non che sulla popolazione wdel territorio di ognuno di essi; indica il numero dei pozzi, il livello freatico e la temperatura, aggiungendo alcuni cenni sommarii di analisi chimiche e riservandosi di fare seguire altri capitoli riassuntivi nel seguito di questo lavoro. Tommasi a. — Alciinì fossili nuovi nel Trias inferiore delle nostre Alpi. (Kendiconti del E. Istituto lombardo, S. II, Voi. XXXII, fase. XI, pag. 771-774, con tavola). — Milano, 1899. Questa nota è un nuovo contributo aUa conoscenza della fauna del Trias inferiore delle Alpi, illustrata dall’autore nella Palaeontographia italica {y^ài Bibl. 1896). In essa vengono illustrati alcuni fossili raccolti in Val Pesarina e in Val di Liana, sopra Prato Gamico (Udine). Xella prima località furono rinvenuti colla Naticella costata, il Pecten venetianas ed una Gervillia molto simile alla G. miftiloides. Xella seconda, oltre i suddetti fossili e la Mijophoria costata, l'autore riconobbe quattro specie nuove: Avicnla Folengi, Pecten costi fidns, Ger- villia isoptera e Mgophoria Pesarinae : ed inoltre una Mgopìioria elegans Punk, trovata per la prima volta nel Trias inferiore delle Alpi carniche. Tanto questa come le quattro specie nuove sono descritte nella presente nota e riprodotte in fototipia nella tavola annessa. Tornquist a. — Nelle Beitrdge ziir Geologie nnd Paldontologie der Uni- gehiing von Recoaro nnd Schio (ini Vicentin). Ili Beitrag. (Zeitschrift der Deut. geol. Uesell., B. LI, H. Ili, pag. 341-377, cou 3 tavole). — Berlin. 1899. L’autore tratta in questa terza parte del suo lavoro del calcare del Monte Spitz, che secondo lui è l’orizzonte inferiore degli strati di Buchenstein, dove l’orizzonte superiore è indicato dal Ceratites snhnodosus. Premessa la storia degli studi fatti su di esso, egli passa ad una descrizione particolareggiata della fauna e descrive le seguenti specie: (Alghe) Diplopora vicentina n. sp., D. annii- lata Schafh., D. mnltiserialis GnvAb., Lithothamninm? triadicnm n. (Forami- fi — 408 — nifere) Bigenerina triadica n. sp. ; (Antozoi) Thecosmilia spiszensis n. sp.; indi Spiriferina {Mentselia) Meniseli Dunk. sp., Spingerà trigonella Schloth. sp., Loxo^ nenia {Heterocosmia?) cf. Schlotheimi Qu. sp., Naticopsis {picosinos) tersadica Mo.js, sp. e Tar. pnlchra Can., Naticopsis {Mannolatella) planoconvexa Kittl, Crgpto- nerita mnltispiralis n. sp,, Neritaria conomorpha Kittl sp., Aviciilopecten TF/ss- /w^ww/Miinst. Pecten trettensis n. sp., Pleuronectites Begrichi n. sp., Macrodns sp., Mijoconcha Echi n. sp., Daonella paiicicostata Tornq., Naiitilns sp. ind. In ultimo Tautore passa a discutere la posizione stratigrafica del calcare dello Spitz. Questo calcare e il piano a Ceratites snhnodosiis sono legati strati- graficamente e litologicamente, ma sono distinti per la fauna. Crii strati su- periori, cioè a C. siibnodosiis, contengono ammoniti e specialmente ceratiti molto distinte; il calcare dello Spitz invece non ha fossili tanto caratteristici da pre- cisarne bene la posizione. Ma essa viene determinata con sicurezza dagli strati a Ceratites trinodosus che sono sotto al calcare predetto, e dei quali l’autore parlerà nella lY parte del suo lavoro. Tuttavia esaminando bene i fossili descritti e mettendoli in confronto con quelli di altre località note, l’autore arriva alla conclusione che anche da essi risulta che il calcare dello Spitz deve appar- tenere al piano di Buchenstein e cioè all’orizzonte inferiore. Trabucco Gf. — U isola di Linosa: studio geofisico. (Atti del III Congresso geografico italiano, Yol. II, Parte I, pag. 148-162, con 2 tavole). — Firenze, 1899. Premessi alcuni cenni su quest’isola, sulla sua topografia, clima, idrografia,, fauna, flora, agricoltura, ecc., l’autore passa ad occuparsi della geologia di Li- nosa, citando dapprima un suo precedente lavoro (vedi Bihl. 1898) e quelli di altri autori che se ne occuparono. Essa è formata interamente da terreni vulcanici. Kella sua base è costi- tuita da un banco di basalto amigdaloide che forma la roccia fondamentale e si presenta tutt’attorno alla costiera con ripidi precipizi. Ha grande spessore e non presenta centri di eruzione. La roccia appartiene al gruppo dei basalti feld- spatici, è di color bruno a grana finissima e a massa prevalentemente cellu- losa, colle cavità riempite di calcite e dolomite. A questo basalto si sovrappone un altro porfirico, che a guisa di banco si estende a quasi tutta l’isola ed in dicchi e correnti ne attraversa i tufi vulcanici : esso è di color grigio con massa fondamentale olocristallina di plagioclasio, augite e poca magnetite, dentro cui stanno cristalli di magnetite, di plagioclasio {bitownite)^ peridoto ed augite. Sopra questo basalto porfirico, nel centro dell’isola, al Monte Biancarella, alla Cala — 409 - Pozzolana ed al Monte di Levante, si trovano tufi stratificati incoerenti o ce- mentati e in alcuni punti fossiliferi, attraversati da colate di basalte porfirico e da pomici in correnti e strati. Ti si osservano diversi crateri ben conservati e così quello del Monte di Ponente, di Monte Vulcano, quello della Montagna Rossa ed il Monte di Le- vante, il cui cratere è squarciato verso il mare. Residui di un grande cratere centrale sono il Monte Bandiera e il Monte Cal- careUa. I tufi stratificati contengono numerosi fossili e l’autore vi ha determinate le specie seguenti: Cerithiiim vulgatiim Brug., Cerithiolurn scahriim Oliv., Rissoa cimex Lin., Gastrochaena duhia Pennant, Vermetns intortus Lamk. Sulla genesi di quest’isola l’autore ritiene che la sua base basaltica sia do- vuta ad eruzione sottomarina, che su di essa si formarono successivamente dei coni vulcanici, che eruttarono lave e materie detritiche emergendo a poco a poco dal mare, ma espandendosi anche sott’acqua dove i tufi impigliarono i fossili che ora contengono. Un movimento sismico ascendente posteriore fece emergere, probabilmente nel quaternario antico, l’isola portando la panchina tufacea fos- silifera a 30 metri sul livello del mare. Una carta geologica dell’isola con sezioni ed una tavola che indica la po- sizione della medesima, con sezioni batimetriche del mare circostante, corredano questo lavoro. Trabucco U. — Carta geologica, geognostica, agricola delV Alto Monfer- rato, nella scala di 1 a 75,000 (un foglio a colori). — Firenze, 1899. Questa carta è annessa ad una relazione fatta dall’autore al Consorzio antifillosserico di Val d’Orba sui mezzi più adatti a trasformare la viticultura, per la difesa contro la fillossera. Velia prima parte di questa relazione è data una descrizione sommaria geologica, geognostica, agronomica ad illustrazione della carta suddetta. Indicati i terreni costituenti l’Alto Monferrato, nel quale oltre la grande zona arcaica, scistoso-ofiolitica sono rappresentati tutti i terreni dal Tongriano al recente, e dato Telenco dei fossili principali e caratteristici, ne descrive la natura litologica, specialmente dal punto di vista agronomico, dando l'analisi fisico-chimica dei terreni vegetali provenienti dalle diverse roccie. Velia carta in cromolitografia, eseguita su trasporto di quella dell’Istituto geografico militare, alla indicazione dei terreni e loro natura litologica è aggiunta quelle delle lùti americane più appropriate a ciascuno di essi e la loro composizione percentuale in carbonato calcico, in ferro ed allumina, come pure in silice ed argilla. Sono inoltre segnate le cave di gesso, quelle di cal- care e le sorgenti termali. — 410 - TuccrMEi Gr. — Sopra alcune ossa fossili di cervo trovate sulla Via Aii- relia. (Atti delPAcc. pont. dei Nuotì Lincei, Anno LII, Sess. Ili, pag. 65-67). — Roma, 1899. In un sabbione quaternario biancastro che si presenta in una sezione di 15 metri nel tratto della via Aurelia fra Castel di Guido ed il ponte sul fiume Arrone, furono rinvenute dall’autore tre ossa che sono un frammento di meta- carpiano, colla sua estremità distale ed una prima e seconda falange di un dito che vi fa seguito. Per le sue dimensioni e per la forma gracile ritiene di poterle riferire alla specie Cerviis elapliiis, assai frequente nel quaternario romano. L’autore fa rilevare l’importanza di questo ritrovamento per la rarità del caso di trovar queste falangi in così perfetto stato e a contatto del metacar- piano, che non lasciano dubbio sul riferimento e sono tali da servire di con- fronto nelle future determinazioni. Rimandando alle notizie già date sui cervi quaternari della provincia di Roma in un precedente suo lavoro (vedi Bihl. 1898), l’autore presenta le dimensioni di queste ossa che possono con- frontarsi con quelle delle figure date dal Cuvier e dal dott. Boggino. aggiun- gendo una figura delle medesime a metà del vero. Ugolini P. R. — Molluschi nuovi o poco noti del pliocene della Vahd'Era. (Rivista ital. di paleontologia, Anno Y, fase. I, pag. 25-29). — Bologna, 1899. nell’elenco dei molluschi fossili delle sabbie e argille plioceniche della Tal d’Era (Toscana), presentato in una precedente nota (vedi Bibl. 1898), l’autore indicava alcune poche forme nuove, o che almeno egli ritiene tali, ed in questa nota le descrive illustrandole con figure. Esse sono: Follia plicata Brocc. var. D'Ancoiiai n. v. : Nassa reficulata var. Mainardiì n. v.; Terebralia dertonensis Sacc. var. Alicliensis n. v. ; Pay- raudeautìa intricata Don.; Modiola Grecai n. sp. ; Venericardia Bosniaskii n. sp. Ugolini P. R. — Sopra alcuni pettinidi delle arenarie mioceniche del circondario di Rossano in Calabria. (Atti Soc. toscana di Se. natu- rali; Memorie, Yol. XYII, pag. 105-112, con tavola). — Pisa, 1899. Dalla collezione di fossili miocenici della Calabria esistente nel Museo di Pisa, fatta dai dottori Fucini e Greco, provengono i pettinidi che formano oggetto di questa nota. In circa 80 esemplari di tutte le dimensioni e più o meno bene conservati si trovano distinte non più di 7 specie. Di esse la maggior parte non furono mai citate per la Calabria. Provengono dalle arenarie calca- — 411 — rifere del miocene medio a Clypeaster e Pecten di Bossano, Cropalati e Cam- pana, che stanno ti*a i conglomerati rossi del miocene inferiore ed il calcare marnoso senza fossili del miocene superiore. I fossili illustrati in questa nota sono: Cìilamys scahrella Lmk. ; Pecten Koheni Fuchs, non ancora citato nel mio- cene italiano e del quale l’autore possiede altri esemplari provenienti dal Gran Sasso ; Pecten Besseri Andi-z. ; P. solarium Lmk. ; P. karalitanns Mgh. e P. Fncinii n. sp. prossima alle tre precedenti. Xella tavola annessa è figurata questa nuova forma in due esemplari ed il P. Koheni. Ugolini P. E. — Il Pectiinculus glvcimeris Limi, e il Pectunculus insubricus Brocc. del pliocene italiano. (Bull. Soc. malacologica ita- liana, Tol. XX, pag. 129-146). — Pisa, 1899. Accennato alle difficoltà che si sono finora incontrate per stabilire una vera e propria distinzione di dette forme di Pectnnciilns delle formazioni plioceniche italiane, Tautore, valendosi di una numerosa raccolta di Pectnnciilns del plio- cene del Senese, di San Miniato e della valle dell’Era, ha cercato di determi- nare dei limiti a ciascuna specie e fissare dei dati caratteristici per distinguerle nettamente. In seguito a questo studio l’autore non credo attendibile la sepa- razione ammessa dal Pantanelli di tre specie (P. pilosns, P. glycimeris e P. insnbricns)., dimostrando che non si possono assolutamente separare le due prime fonne, perchè non presentano caratteri differenziali costanti e fissi va- levoli a giustificare la separazione assoluta di due forme tanto affini. Eico- nosce quindi come specie buona il P. insubricus Brocc. e riunisce in una sola le forme ylycimeris e pilosns degli autori sotto il nome unico di P. glycimeris Linn. L'autore passa quindi a dare la sinonimia delle due specie e la loro dia- gnosi latina, esaminando dettagliatamente i caratteri esterni ed interni distintivi delle due conchiglie e le loro dimensioni. L'gollni P. K. — Sulla presema del Pecten adiincus Eichiv. nella pan- china pliocenica dei monti livornesi. (Bull. Soc. malacologica italiana, Voi. XX, pag. 147-149). — Pisa, 1899. Xelle collezioni paleontologiche del Aluseo di Pisa, trovasi un esemplare ben conservato di Pecten proveniente certamente dalla panchina pliocenica sovrapposta agli alabastri di Castellina Marittima, il quale venne determinato dal Fuchs, come una valva di Pecten aduncns Eichw. e che porta l’annotazione — 412 — dello stesso, essere questa specie, fino allora, stata rinvenuta solamente nel miocene. li’esame accurato fattone dall’autore lo lia confermato nella determi- nazione datane dal Fuchs e fa rilevare l’interesse che ha questo fatto per la conchigliologia pliocenica italiana. Osserva che una sola forma di Pecten può avvicinarsi a questa, per quanto sia dissimile, e cioè il P. arciiatiis Brocc., che il Brocchi cita come trovato nella formazione pliocenica di Asti. Ma questa forma non è certamente plio- cenica, è anzi esclusiva del miocene. Tale è- pure il parere del Sacco, che avendo studiato l’esemplare della collezione del Brocchi ha riconosciuto dalla roccia aderente, che esso deve pro- venire certamente dal Tongriano di Rocchetta Cairo, anziché dal pliocene di Rocchetta d’Asti come indica erroneamente il Brocchi. Il ^Pecten adiincus starebbe quindi a rappresentare l’ultima delle forme mioceniche che abbia vissuto sino al principio del pliocene. Ugolini P. R. — Monografia dei Pettinidì miocenici delV Italia Centrale. (Bull. Soc. malacologica ital., Yol. XX, pag. 161-197, con tavola). — Pisa, 1899. Scopo di questa monografia è di passare a rassegna le numerose specie di Pecten miocenici che provengono dai principali giacimenti fossiliferi della Toscana, delle Marche e dell’Umbria appartenenti alle collezioni del Museo di Pisa. L’autore si è fermato specialmente su poche di esse meno diffuse, non troppo comuni o controverse. L’ordine di classificazione adottato è quello del Fischer, e sono indicate con tutta esattezza le località precise da cui proven- gono. Alla descrizione è premesso un elenco bibliografico delle opere principali consultate per lo studio degli esemplari. Della Toscana figurano 4 specie di Ghlmngs, di cui una nuova, la Cìi. Me- neghìiiii ; 11 specie di Pecten^ delle quali nuova il P. Canavarii. Delle Marche vi sono 7 CJilamys, di cui nuova la Ch. Orsinii, 2 Amussinm e 2 Pecten. Xell’Um- bria, 3 Chlamys e 3 Pecten^ nuovo il P. Hórnesi. È dato in fine un quadro riassuntivo delle specie per località e nella ta- vola sono disegnate le forme nuove. Ugolini P. R. — Molluschi continentali fossili della Teiera Rossa di Agnano nel Monte Pisano. (Boll. Soc. Greol. it., Yol. XYIII, fase. 2®, pag. 71-75). — Roma, 1899. L’autore presenta l’elenco di una raccolta di molluschi raccolti nella terra rossa quaternaria che riempie le spaccature dei calcari cavernosi di Agnano ~ 413 — nel Monte Pisano, dati per lo studio dal dott. De Bosniaski, in aggiunta a quelli già determinati dal De Stefani. Sono 22 forme: 8 Helix, 2 Hyalinia, 1 Stemgyra, 1 Cgclostoma, 1 Biilimns, ^ Pomati as^ 2 Pupa e 5 Claiisilìa^ che in parte ven- gono brevemente descritte. P^GOLiNi P. B. — Sopra alcuni fossili dello Schlier del Monte Cedrone (Umbria). (Boll. Soc. G^eol. ital., Yol. XYIII, fase. pag. 289-296). — Eoma, 1899. Riordinando le collezioni del Museo geologico di Pisa Fautore ebbe occa- sione di studiare una piccola collezione di fossili provenienti dal Monte Cedrone, presso Città di Castello, nell’Umbria. I fossili studiati sono in prevalenza pettini ed echini ed in questa nota Fautore ne dà l’elenco ragionato e descrittivo delle specie. Da questo studio resterebbe confermato che la serie marnosa arenacea che contiene tali fossili appartiene alla zona media del miocene corrispondente allo Schlier.; e quindi contrariamente all’opinione del Lotti ed altri che attri- buiscono questa formazione alFeocene per essere sottostante a strati con orbi- toidi e nummuliti. Fautore ritiene tolto ogni dubbio sulla presenza del miocene medio al Monte Cedrone. I^GOLixi P. R. — Appendice al catalogo dei molluschi fossili pliocenici del Bacino delVEra. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XYIII, fase. 3^, pag. 467-470). — Roma, 1899. Avendo Fautore fatta un’altra abbondante raccolta di molluschi fossili pliocenici della A'alle dell'Era, fa ora un’aggiunta all’elenco già pubblicato di essi (vedi Bibl. 1898); di poche specie che non aveva ancora rinvenute. Con queste si hanno così 175 specie, e dall’esame comparativo di esse colla fauna di altri depositi risulta che 55 si trovano a Monte Pellegrino e Picarazzi, 59 a Monte Mario, 79 nell’Astigiano e 113 nel Piacentino e nel Parmense. I fos- sili quindi del bacino dell'Era sono più antichi di quelli di Monte Mario, di Monte Pellegrino e Picarazzi, non solo, ma vissero per la maggior parte nella zona più profonda del mare pliocenico, sicché si avvicinano a quelli del Pia- centino per corrispondenza cronologica e batimetrica. A comprovare la loro età più antica stanno anche altri dati, cioè che un numero notevole di specie risale fino alla zona del miocene superiore; che il 62 circa di esse non esistono più, mentre nel pliocene tipico la percentuale delle forme estinte può giungere sino al 56 ®/o' debbono quindi le formazioni del bacino dell’Era rife- rirsi alle zoue più antiche del pliocene italiano. 414 — Va(^ek M. — Ueher dìe geologìschen Verhaltnìsse der Umgebnng von Bove- S redo. (Verhandl. der k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1899, n. 6*7, pa- gine 184-204). — Wien, 1899. I Questa nota riguarda la regione comprendente la Vallarsa, la Val Ter- ragnuolo, in parte la depressione di Val Loppio, ove le formazioni triasiche, fl continuando dalla regione di Recoaro, affiorano in alcuni punti. La parte 9 più bassa del Trias, spetta al Muschelkalk, composta di calcari grigi nodosi 9 coperti qua e là da masse di Rizocoralli, e passanti sopra al calcare dello .9 Spitz con molte diplopore. La potenza di questo piano varia da 40 m. (Riva) a 9 300 m. (Camposilvano), condizioni già note della regione di Recoaro (vedi più 9 sopra Tornquist). j Il gruppo del Keuper in Vallarsa incomincia con calcari varicolori, nodosi, con lenti di pietra verde e tufo, equivalenti agli strati di Buchenstein di Re- l coaro, che coprono, il calcare dello Spitz. I tufi melafirici sono intercalati, come •'! altrove, in questo piano più basso del Trias superiore. Sopra ai terrazzi tuta- ■; cei si inalza la dolomia principale con Turbo solitariiis. J Mentre ad est della valle dell’Adige è sviluppato il retico, nella Vallarsa j manca affatto. Sulla dolomia principale sta invece il Lias sviluppato in tre | di’sdsioni fra loro concordanti, cioè : 1® calcari inferiori grigi e rossi e marne j di Vallarsa e Val Loppio con Gervìlia Buchi, Leda., Niiciila, Terebratiila hexa- j gonalin Ben., Ter. Renieri, Ter. pnnctata e Ter. gregaria Suess ; 2® i cosidetti ] calcari grigi delle Alpi meridionali di carattere litoraneo, con fauna e flora \ (flora di Rotzo) poco caratteristica ; 3® un complesso oolitico che chiude il Lias. ■ Questo membro è il più interessante (strati a Bìiynch. bilobata Benecke) perchè .■ contiene una ricca fauna di ammoniti e brachiopodi. In ispecie il piano supe- i riore di questo complesso ha dato la ricca fauna di San Vigilio. Le vicinanze ; di Tonno sono un’altra località fossilifera di recente scoperta. I fossili citati j dall’autore, come quelli di San Vigilio, vi dimostrano la presenza del Lias su- periore. Oltre Tonno, un’altra località fossilifera fu di recente scoperta presso Roveredo con Ter. ventricosa Zit. e fossili di San Vigilio. La parte più bassa di questo piano oolitico' viene determinata dalla fauna ; scoperta a M. Oiovo e presso Ballino, fauna equivalente a quella degli strati - ad Aspasia di Sicilia descritti dal Gemmellaro. Questa fauna stabilisce il pas- , saggio dai calcari grigi sAT oolitico, cioè dal Lias mèdio al Lias superiore, cosic- ché l’orizzonte oolitico sarebbe equivalente al piano Toarciano di D’Orbigny. Esso manca talvolta, come p. e., in gran parte dei Sette Comuni. ‘ Il gruppo del Giura è limitato alle parti più basse della Val d’Adige e ai Sette Comuni. Incomincia con calcare rosso nodiiloso a Posidonoimja alpina, con — 415 — ammoniti, echini, hrachiopodi {Ter. cnruiconcha) eqnÌA^alente al Calloviano. Xella Vallarsa si trovano belenmiti. Più sviluppato è a Monte Giovo, M. Baldo, Sorna, dell'orizzonte più basso fu trovato Peltoceras transversarium Quenst. Presso Roveredo sono in poca potenza sul Calloviano, l’Oxfordiano, il Chimmeridgiano e il Portlandiano. Il gruppo Titonico -Biancone è in trasgressione sugli anzidetti terreni : in basso è l'orizzonte ad aptici senz’altri fossili : a questi seguono dei calcari equi- valenti a quelli con la fauna di Stramberg, indi la cosidetta Maiolica con .4. Beyrichì, A. lafzis. Sulla Majolica concordante seguono calcari marnosi detti Biancone, e dopo una. lacuna segue la scaglia del Senoniano. Con dubbio il Biancone può riferirsi al deocomiano, benché la parte più bassa con Tereh. di- phijoides sia equivalent3 al Berriasiano e la parte più alta contenga fossili del Barremiano. Mancando il Gault, il Cenoinaniano e il Turoniano, la scaglia del Seno- niano copre il Titonico e l'Oolitico con trasgressione. Questa scaglia, con 100 metri di potenza, contiene una povera fauna, che non sembra limitarsi ad un solo orizzonte. Vi si trovano echinidi {Stelloni a tnher culata, ecc.), inocerami, rudiste, belemniti {B. mucronata) e raramente ammoniti. L'eocene segue concordante alla scaglia e si divide in due piani, mediante tufi basaltici, intercalati. Il piano più basso a calcari nummulitici contiene dei banchi di calcari nodulosi con fauna di Spilecco. È dubbio se questo piano sia l'eocene inferiore. Ih piano superiore, calcari ricchi di nummuliti, con Velates Scìimiedeliana Chem. è equivalente al piano di Ronca e di San Giovanni Barione. L'oligocene è bene caratterizzato da due livelli, le marne in basso, e gli strati calcari a nullipore in alto, discordanti sull'eocene e sulla scaglia. Il livello più basso ha dato una fauna di foraminiferi e quindi è equivalente alle marne di Ofen con Clavnlina Ssahoi Hant., mentre il livello più alto corrisponde aH'oligocene medio, ossia al piano di Castel Gomberto. Il miocene è composto di marne con granuli di glauconia a fauna di Schio ove si presenta il classico Pecten deletns (miocene inferiore). Seguono formazioni diluviali, come morene, pietra morta, ecc. La Val Lagarina (Val d’Adige) sta in intima relazione con la tettonica del luogo. Ciò si deduce considerando i tre centri tettonici: Adamello, Cima d’ Asta e Recoaro. Il movimento principale venne dall’ Adamello, e ne seguirono le tre catene Brenta-Catria, Gaza-Casale e Orto d’Abramo-M. Baldo, di cui l’ultima limitò la valle Lagarina. Queste tre catene fanno un angolo con le Giudicarle. Analogamente si presentano le pieghe provenienti dalla Cima d’Asta, che ca- ratterizzano i Sette Comuni e l’altipiano Lavarone-Folgaria. Per la formazione 416 — della Val Lagarina ha maggiore importanza l'isola di Eecoaro, da dove le singole pieghe si estesero concentricamente verso Monte Baldo, formando il bacino di Sorna oltre Brentonico. Verri A. e De Angelis d’Ossat G-. — Contributo allo studio del MÌ0‘ cene nell’ Umbria.. {RendlGordì E. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. Vili, fase. 11, 1^^ sem., pag. 543-550). — Eoma, 1899. Premessi alcuni cenni sulla struttura dei sistemi montuosi dell’Umbria e indicati i vari terreni che ivi affiorano, fermandosi specialmente sulla forma- zione marnoso-arenacea fossilifera, ohe trovasi ora sovrapposta ora sottojDosta alle argille scagliose, sono in questo lavoro esposti i giudizi che dall’esame dei fossili raccolti furono emessi su quelle formazioni dai diversi geologi. Per gli uni, in base ai fossili, quel complesso è ritenuto miocenico, attribuendo a ribal- tamento la presenza delle argille scagliose sopra la formazione marnoso-arena- cea ; per gli altri, in base alla stratigrafia, è ritenuto eocenico. Gli autori, in questa nota, basandosi sulle osservazioni fatte in varie parti dell’Umbria e sui fossili raccolti, si occupano della questione, prescindendo daH’esame di quelle formazioni, che per una causa o per l’altra stanno sotto alle argille scagliose. Fra le varie sezioni citate, nelle quali le formazioni arenaceo -marnose con pettini e pteropodi stanno distintamente sopra il piano delle argille scagliose, essi presentano il disegno di quello della valle dell’Acquina a nord di Carestello. È quindi data la determinazione dei fossili raccolti, limitata agli esemplari meglio conservati e più caratteristici, e indicata l’ubicazione di ciascuno con un numero al quale si riferiscono le forme di cui è dato l’elenco, colla citazione degli autori, delle località italiane in cui furono scoperte e dei terreni relativi. Dalle forme citate risulterebbe che la fauna è certamente propria del miocene medio, con predominio ài facies langhiana, corrispondente allo Schlier : non mancano però sedimenti fossiliferi caratterizzati da grossi briozoi e da sva- riati pettini, che corrisponderebbero all’Elveziano. Così il miocene medio del- riTmbria collegherebbe quello ben noto delle Marche a quello del A’-ersante tirreno. Verri A. e De Angelis d’Ossat O. — Cenni sulla geologia di Taranto. (Boll. Soc. Oeol. it., Voi. XVIII, fase. 2*^, pag. 179-210). — Eoma, 1899. Il colonnello Verri che, troA^andosi di residenza in Taranto, ebbe occa- sione di stiidiare il terreno di quella regione, ne dà nella prima parte di questa nota una breA’e descrizione topografica, geologica e idrografica. Da iin sezione lungo la strada da Locorotondo per Martina Franca a Ta- ranto, si rileva che l’ossatura mesozoica delle Murge risulta da una grande anticlinale principale e da una minore, separate da una sinclinale che, riempita da terreni posteriori, si trasformò in un altipiano ondulato. IJn ramo secon- dario scende verso la marina, coperto da sedimenti più recenti. La sinclinale va allargandosi verso sud-est e presenta una insellatura, dovuta in parte al- l’erosione, in parte all’ossatura stessa. L’autore prende a minuto esame le formazioni diverse sovrapposte alle roccie mesozoiche, che prendono i nomi locali di tufo mippigno, massaro e car- paro costituiti da sabbioni rugginosi con banchi di ciottolame, da conglomerati di conchiglie e sabbie, talora durissimi e da banchi di cespi di Cladocora cae- spitosa ; ad essi sono in alcime parti sottoposte delle marne. Queste formazioni diverse indicano il sollevarsi successivo del fondo marino. jN’el territorio a sud-est di Taranto fanno seguito altre formazioni sabbiose più o meno cemen- tate. con tritimii di conchiglie marine ed altre erratiche terrestri, che indicano il passaggio graduale dal fondo marino alla terra emersa. Dopo queste osser- vazioni stratigrafiche, il Verri passa a spiegare il regime delle acque in que- ste formazioni, la presenza di falde idriche più o meno copiose, in dipen- denza delle condizioni pluviometriche e che alimentano le sorgenti, delle quali alcune pullulano nel fondo marino e si manifestano lungo il litorale. A questa circolazione sotterranea sono dovuti gli sprofondamenti imbutiformi che abbon- dano nel territorio. L’azione di queste acque, in concorso con quella deH’acqua marina, dà ragione deH’attuale topografia dell’ellissoide delle Murge, che nel periodo pliocenico costituiva un’isola. Seguono alcune note di geologia applicata, nelle quali sono date le ana- lisi di calcari e tufi, e sono indicate le condizioni meteoriche della regione. Al dottor De Angelis è dovuto lo studio dei fossili raccolti dal Verri, e ne è dato conto nella seconda parte di questo lavoro. Citati gli autori che si occuparono di questa regione, l’autore presenta un quadro nel quale cerca di sincronizzare le formazioni del Tarantino con quelle di Matera, Laterza, Ginosa, Gravina, studiale dal Di Stefano e dal Viola ; della valle del Bradano dal De Lorenzo e del bacino di Galatina dal De Franchis. Segue un ricco elenco dei fossili studiati, nel quale è tenuto conto delle forme viventi nel ^Mediterraneo e delle relative profondità marine in cui furono pe- scate. e sono indicate le specie comuni ai giacimenti di Valle Biaia e Monte Mario, non che di Monte Pellegrino e Ficarazzi. L’autore ritiene che la fauna del tufo zuppìgno, almeno nella parte inferiore, debba ascriversi al pliocene superiore, benché il De Franchis la ritenga post- — 418 — pliocenica. Quanto agli altri depositi, mazsaro e carparo, non è dubbio il loro riferimento al quaternario. Da ultimo l’autore, dietro l’esame complessivo della fauna degli strati ta- rantini e della natura litologica di essi, descrive le condizioni fisicke cke si manifestarono nella regione e gli spostamenti positivi e negativi da essa subiti, i quali confermano complessivamente le osservazioni del Verri e di altri geologi. Vi&o G-. — Studio petrografico su aìcnm roccie della C arnia. (Eendicoiiti E. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. Vili, fase. 10®, 1® sem.. pag. 497-503). — Boma, 1899. Le roccie descritte in questa nota furono raccolte dai professori Brugna- telli, Taramelli e Tommasi in occasione di una gita geologica nelle Alpi car- niche. Esse sono distinte in quattro gruppi: Diabasi provenienti dalla valle del Degano, dal Olente Crostis e dal Monte Pizzul: con molta probabilità appartengono a questo gruppo altri campioni raccolti in Val Pesarina, ma troppo alterati per permettere una determinazione sicura. Melafìri raccolti nei dintorni di Pomi di Sopra. Porfirifi quarzifere dei dintorni di Timau (Monte Ziiflan e Monte di Terzo). Porfidi quarziferi degli stessi dintorni di Timau. L'autore dà i caratteri di queste roccie ed espone il risultato delle osser- vazioni fatte sulle medesime. ViNASSA DE Eegxy P. E. — I Radiolciri delle ftaniti titoniane di Car- pena (Spezia). (Palaeontographia italica. Voi. LV. pag. 217-238, con 2 tavole). — Pisa, 1899. Come aveva promesso in una nota preventiva su questo argomento (vedi Bihl. 1898) l’autore iu questo lavoro dà la descrizione completa dei radiolari delle ftaniti titoniane di Carpena. Bimandando, per quanto riguarda la giaci- tm-a delle ftaniti e i caratteri della fauna studiata, alla nota inserita nella Pi- vista italiana di Paleontologia (Anno IV, fase. 2) si limita ad indicare il modo di fossilizzazione e a citare i lavori dei quali si è valso per la determinazione dei radiolari, notando cke gli ingrandimenti sono stati tenuti costantemente per le forme più grandi a 125 diametri e per le più piccole a 250. Le forme descritte sono 107, delle quali 3 dubbie. Quelle nuove, in nu- mero di 92, sono figurate nelle tavole annesse. — 419 — Yij^^assa DE Eegny P. e. — studi geologici sulle roccie deir Appennino Bolognese. I. Le roccie dei dintorni di Gaggio Montano. (Boll. Soc. &eol. it., YoL XYIII, fase. 1^. pag. 15-32, con tavola). — Roma, 1899. L’autore, clie si è proposto di studiare sotto l’aspetto geologico e petro- grafico le roccie gabbriche, diabasi che, ofiolitiche, ecc., dell’ Appennino bolo- gnese, si occupa in questa nota di quelle che affiorano nei dintorni di Gaggio Montano, paese situato sulla riva sinistra del Setta, confluente del Reno, a 627 metri sid mare. Premesse alcune notizie sui lavori di diversi autori che, a cominciare dal Santagata, si occuparono del Sasso di (raggio, l’autore descrive questa massa, a cui è addossato il paese, e diverse altre che affiorano in quei dintorni, espo- nendo il risultato dello studio microscopico e delle analisi chimiche delle di- verse roccie. Da questi risulta che esse sono costituite prevalentemente da eu- fetide e da norite con oficalci ed ofisilici. Queste masse rocciose sporgono dal calcare marnoso alternante col ma- cigno, che l’autore ritiene eocenici. Colle analisi chimiche e microscopiche egli dimostra che queste hanno subito al contatto colle roccie gabbriche una azione di metamorfismo. Concludendo, l'autore opina che a Gaggio Montano si abbia una massa gabbrica unica che si mostra allo scoperto per erosione in diversi putiti, che essa si effuse posteriormente ài calcare ed al macigno, che aprendosi un varco fra di essi ne portò in alto una porzione notevole, producendo una breccia di frizione calcarea e di eufotide. Oltre a due vedute del paese e ad una sezione schematica nel testo, la nota è accompagnata da una tavola con le sezioni sottili di alcune delle roccie studiate. Yinassa de Regyy P. E. — Pesci neogenici del Bolognese. (Rivista ital. di paleontologia. Anno Y, fase. Ili, pag. 79-84, con tavola). — Bo- logna. 1899. Il materiale che ha servite a questo studio, si trova nei musei geologico e mineralogico di Bologna, ma l’autore si valse pure di una collezione in parte determinata dal Lawley, e a lui favorita per lo studio dal dottor Foresti. La maggior parte delle specie provengono dal pliocene dei dintorni di Bo- — 420 — logna : solamente V Oxyrìiina hastalis Ag. si rinviene nel miocene. Cinque specie, e cioè Chcircharodon megalodon Ag,, Odontaspis cuspidata Ag. sp., OxyrhinOr Desori Ag., Notidanus primigenius Ag. e Spìiyrna prisca Ag., sono esclusive del miocene e prevalentemente dello Schlier. Alla nota è unita una tavola in eliotipia, con disegni di denti delle specie descritte. Yinassa de Begny P. e. — A proposito elei molluschi fossili di Via degli Orti nell’ Asolano. (Rivista ital. di paleontologia. Anno Y, fa- scicolo III, pag. 86-87). — Bologna, 1899. Per una confusione avvenuta nelle collezioni del Museo di Pisa, fra i fos- sili oligocenici di Yia degli Orti e quelli miocenici delle prossime località di Bosco di Asolo, ecc., nel Yeneto, erano state descritte in un lavoro dell’autore (vedi Bibl. 1898, Synopsis dei molluschi, ecc.) come oligoceniche alcune forme decisivamente mioceniche. In questa nota egli corregge l’errore avvenuto, indicando le forme appar- tenenti di certo al miocene di Asolo, e notando che tale correzione non altera per nulla i risultati stratigrafici del lavoro col quale si conferma la oligoceni- cità degli strati a Serpiila spirnlaea di Yia degli Orti e di Yalle Orgagna nel Y eneto. Yixassa de REG^’^Y P. E. — Un nuovo posso artesiano nel Comune di Cascina. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XYIII, fase. 3®, pag. lxxiv- Lxxvi). — Roma, 1899. L’autore dà notizia della perforazione di un nuovo pozzo artesiano fatta nel Comune di Cascina (provincia di Pisa), completando il precedente lavoro sullo stesso argomento (vedi Bihl. 1896). Questo nuovo pozzo ha raggiunta la profondità di circa 33 metri e trovasi a 500 metri dal pozzo Silvi nella pia- nura detta Corigliana, che si stende tra il Posso Reale e il Posso d’Arno. La portata che da principio fu di 800 litri al minuto primo, si ridusse in breve a circa 200. L’acqua è saliente almeno di un metro sulla superficie. Questo pozzo, forato un banco d’argilla, ha incontrato le sabbie del plio- cene. È quindi a ritenersi che l’acqua sia di migliore qualità di quella degli altri pozzi, riconosciuta non potabile. - 421 - Yixassa de Eegny P. e. — / fossili della « Tabella OryctograpMca » di Ferdinando Bassi^ conservata nel B. Istituto geologico di Bologna, (Boll. Soc. aeoi. ital.; Yol. XYIII, fase. 3^ pag. 491-500). — Roma, 1899. Di questa Tabella, che trovasi nella sala Aldrovandi delFIstitiito suddetto si occuparono, oltre al Capellini, il Pornasini che ne illustrò i foraminiferi ed il Xeviani che ne studiò i briozoi. L’autore, avendo avuto occasione di riordinare le antiche collezioni di questa sala, ha riconosciuto che i fossili illustrati non sono che una piccola parte di quelli contenuti nella Tabella, dove abbondano gasteropodi, lamelli- branchi, vermi, ecc.; ha quindi creduto di prendere in esame tutti i fossili in- dicati nella Tabella Orgctographica e ne dà l’elenco in questa nota, corredando ciascuna indicazione data dal Bassi col nome attuale della specie. Dal riassunto delle forme indicate dal Bassi si rileva la presenza di forme di minuti molluschi, non per anco citati nel Bolognese, e di altre assai rare ed interessanti per la geologia di questa regione. Yiola C. — Mineralogische iind petrograplnscìie Mittheilimqen ans dem Hernilerlande in der Provine Boni {Italien). (X. Jahrb. fiir Min., Geol. und Pai., Jahrg. 1899, B. I, H. II, pag. 93-137, con 8 tavole). — Stuttgart, 1899. In questa memoria l’autore, dando ijiaggior sviluppo alla parte petrogra- fica del suo lavoro sulla Yalle del Sacco (Boll, del R. Comitato Geologico; vedi Bibl. 1890), si occupa delle roccie vulcaniche che vi affiorano. Egli riunisce le varie eruzioni in gruppi, senza dare molto peso all’esistenza di spe- ciali vulcani, le cui vestigia sono in parte distrutte e vi distingue: la leucitite di Patrica e Gallarne: il basalto leucitico di Morolo, Sant’Arcangelo, Giuliano e Yilla Santo Stefano; la leucotefrite di Ticchiena e di Pofi; la basanite di San Francesco ; ed infine il basalto feldspatico di San Marco. Fra queste roccie si trovano tufi in parte depositati sott’acqua, in parte aerei. Benché queste roccie eruttive sieno molto varie, sono però analoghe fra loro per i minerali componenti e per la grandezza di questi. I pirosseni sono sempre riducibili a tre tipi, cioè quelli con le estinzioni di 45®, di 50®-65® e di 65®-75®. Gli ultimi sono sodici e l’autore propone per essi il nome di Fedorowite, minerale che sta fra l’augite-aegirina e la aegirina. Con il sussidio di diagrammi stereografici l’autore riesce a determinare nei pirosseni varie geminazioni, fra le quali nuova è quella secondo la faccia 110. — 422 — La leucite varia di grandezza da 0.03 min, a 1 mm. Essa mostra sempre gli stessi caratteri ottici e le anomalie già descritte da Klein. 'Dalla presenza di varie figure stellari osservate nella leucite alterata in alcuni tufi. Taiitore deduce la simmetria della leucite. Il feldspato microlito automorfo o è anortite ovA'ero si a'vvicina ad Ab, An,. Il feldspato secondario . che si presenta in tutte le roccie leucitiche varia molto di composizione e deve considerarsi come un’epigenesi della leucite, ove nella reazione sia intervenuta la soda dei pirosseni a grande angolo di estinzione. Il-peridoto è olivina, ma per solito si accosta aUa fayalite per l'angolo degli assi ottici, il forte potere birifrangente e la sostanza di alterazione che è sempre sesquiossido di ferro. L’autore riferisce il risultato dell’analisi chimica del basalto leucitico di Morolo, eseguita da lui nell’ Università di Zurigo: da essa risulta che il magma di Morolo è un gahhromagma secondo il concetto di Eosenbusch. dove Ca > K^a + 4^ ©4 Mg <: Ca + K^a -f- K. Facendo alcune ipotesi sul modo di combinarsi degli alcali, delle terre alcaline e dell’alluminio colla silice risul- terebbe il magma di Morolo una specie di minetta lencitica, ferro-magnesiaca, ove è Mg > Ca, KijN'a = 3.5 essendo Ca > ®/* secondo la sistematica di Michel-Lévy. L’autore infine tenta di dimostrare che il feldspato secondario non è dovuto all’alterazione della leucite per mezzo delle acque, dimostrando con esperienze sulla porosità, che le lave di Morolo e di Ticchiena non sono permeabili all’acqua. Oltre a molte figure illustrative nel testo, questa Memoria è corredata da otto tavole, delle quali sei contengono fotografie di sezioni sottili e le altre pre- sentano due diagrammi stereografici per determinare rorientazione delle sezioni di pirosseno, datone Tangolo dell’estinzione rispetto alle sfaldature. Yiola C. — Zur Kemitniss des Anorthifs vom Yesìiv. (G-roth, Zeitschrift flir Krystall. und Min., B. XXXI, H. Y, pag. 484-498). — Leipzig. 1899. Lo scopo di questo lavoro è di stabilire con nuove misure e con metodo proprio le costanti per l’orientazione ottica^ dell’ anortite, che erano già cono- sciute dai lavori di v. Fedorow, Michel-Lévy, Klein e Becke. Così l’autore deter- mina dapprima le posizioni di 29 faccio di un cristallo e confronta i risultati con quelli di Des Cloizeaux e di Striiver. Xella seconda parte determina gli indici di rifrazione con l’apparecchio di Abbe e dalla posizione dei massimi e minimi, calcola l’orientazione dell’anortite. In ultimo riprende le misure di Klein e calcola con queste l’orientazione dell’anortite. — 423 — Yiola C. — Per Vanortite del Vesuvio. (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, S. Y, Y ol. YIII, fase. 8°, 1° sem., pag. 400-404). — Roma, 1899. — Idem. Xota IL (Ibidem, fase. 9®, V sem., pag. 463-469). — Roma, 1899. — Idem. Xota III. (Ibidem, fase. 10®, 1® sem., pag. 490-497). — Roma, 1899. In queste tre note sono riportati gli studi suH’anortite vesuviana, dei quali* è dato un cenno nella bibliografia precedente, fatti dall’autore sopra un cristal- lino ricco di faccio, trasparente e bene sviluppato, avuto dal prof. E. Scaccili deirUniversità di XapoH. Yiola C. — Le frane di Stigliano in Basilicata. (Annali della Società degli Ing. e degli Arch. italiani. Anno XIY, fase. 1^^, pag. 31--41). — Roma, 1899. XeUe %’icinanze di Stigliano, lungo un tronco della strada nazionale della Yalle d’Agri in costruzione, si verificarono nelFinverno 1898 delle frane ebe formano l’argomento di questa nota. L’autore nella descrizione dei terreni indica dapprima che questi risultano in gran parte alla base di argille scagliose variegate, sulle quali poggiano are- narie più 0 meno solide, passanti inferiormente a vere argille. Sopra le are- narie stanno le argille del pliocene coperte in alcuni luoghi da sabbie gialle, che presso Stigliano sono sostituite da tufo calcareo fossilifero in piccoli lembi analogo a quelli di Matera e di Gravina. Fatte quindi alcune osservazioni generali sulla permeabilità delle roccie e siilFazione disgregante delle acque nelle argille scagliose, indica le sorgenti che si manifestano in quelle località al contatto delle arenarie colle argille stesse, e passa quindi a parlare delle frane che ebbero luogo nelle località Porcellini, Antunno e Forzaglia: queste due ultime sono le più importanti e si estesero per una larghezza di circa 200 metri con 1 km. di lunghezza. Anche nell’abi- tato di Stigliano si manifestarono frane, con demolizione di case e minaccia per altre, causa il disgregamento delle arenarie sulle quali poggiano, dovuto al muoversi lento delle argille. Basandosi infine sull’osservazione che una frana detta dell’Omo Morto è ora cessata per effetto del rimboschimento di quell’area, propone come rimedio il rimboschimento delle due località franose, e, per l’abitato, la chiusura dei pozzi che favoriscono l’esportazione delle argille e la selciatura delle vie. — 424 — Tiola C. — Sopra alami minerali italiani, (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. YIII, fase. 11^, 1" sem., pag. 535-542). — Roma, 1899. — • Idem (seguito). (Ibidem, fase. 12®, 1® sem., pag. 565-570). — Roma, 1899. Sono in questa nota date le costanti ottiche dell’albite del marmo di Car- rara ; della moscovite di Mentori ano ; del gesso di Romagna ; dell’ortoclase del granito di Calabria ; del salgemma di Lungro e della sanidina dei Monti Cimiti i indicate nella nota seguente. Yiola C. — Optische Stiidien iiber italienische Miner alien. I. Alhit am dem carrarischen Marmar. II. Miiscovit von Monte Orfano (Lago Maggiore). III. Qgps am der Romagna. lY. OrtoMas am dem Oranit von Calabrien. Y. Steinsals von Lungro in Calabrien. YI. Sanidin am Cimini (Provine Rom). (G-roth, Zeitschrift fiir Kryst. und Min., B. XXXII, H. II, pag. 113-124). — Leipzig, 1899. Le costanti ottiche misurate coll’apparecchio di Abbe e calcolate dall’autore sono le seguenti: Albite del marmo di Carrara. 1.52823 j = 1.53232 I 2Y = 4-76®.55' 7D = 1.53887 ) Gesso delle miniere di Romagna. *D = 1.52038 . l3D== 1.52246 j 2Y = 4. 56®. 30' rD = 1.52961 ) Moscovite del Monte Orfano. aD = 1.56188 \ PD = 1.59472 I 2Y = — 51®.4r 7D = 1.60274 ) Ortoclasia del granito di Calabria. aD = 1.51854 ì = 1.52260 I 2Y = — 6r.26' 7D = 1.52404 ) Salgemma di Lungro. Sanidina dei Cimini. aD = 1.51977 \ nD = 1.54384 a 20® C. • pD = 1.52488 | 2 Y = + 38*. 22' 10 = 1.52553 ) L’autore indica inoltre le condizioni di giacitura, nonché i caratteri ottici e cristallografici dei minerali studiati. Yiola C. — Nuove osservazioni geologiche fatte nel 1898 sui monti Er- nici e Simhruini (Appennino Romano). (Boll. R. Comitato Greol., Yol. XXX, n. 4, pag. 325-345). — Roma, 1899. Riprendendo il rilevamento geologico dell’ Appennino romano. Fautore ha fatto nel 1898 nuove osservazioni sui monti Simbruini ed Ernici e le espone in questa Relazione. — 425 — Il Trias rappresentato dalla dolomia principale, oltre che a Filettino, fu pure constatato in altri punti, fra i quali importanti sono quelli di Yallepietra e del bacino del Simbrivio, confluente dell’Aniene. I piani del cretaceo che stanno sopra a questa dolomia sono quelli a requienie e gasteropodi della Creta inferiore e quelli a sferuhti della Creta media. Su questi si appoggia il terziario. L’autore presenta un profilo geologico che va dalla Madonna del- l’Appello di Subiaco al Monte Fallascoso di Tenne, e che mostra la disposi- zione dei terreni e dà un'idea della tettonica di questa regione. La zona da Monte Autore a Monte Affilano sarebbe costituita da un’anticlinale un po’ gobba, il cui asse corre presso a poco lungo T Anione dove affiorano i calcari dolomitici. L’autore fa rilevare che la presenza di bacini acquiferi nell’alto Anione è in relazione colla dolomia triasica, e passa a rassegna le diverse sorgenti più importanti, fra le quali quella del Pertuso di Trevi. La dolomia che sta alla base della formazione si estende dalla valle del- l’Aniene a quella del Turano, e ivi si osservano fenomeni carsici assai interessanti. Sulla dolomia si adagiano lembi di cretaceo e di terziario. Le stesse formazioni dei Simbruini si ripetono presso che identicamente negli Emici, dove pure Tossa tura dei monti è di calcare dolomitico: e l’autore cita le diverse località dove esso affiora, ma per la mancanza di fossili non può sempre riferirlo al Trias: ritiene però quello di Monte Monna e della base del Monte Passeggio triasico, come quello di Filettino. In altre località crede debba riferirsi al cretaceo, secondando esso nella stratificazione il piano a requienie e gli altri superiori. Il terziario dal basso all’alto è costituito da calcare nummulitico, da are— narie, marne, argille e brecciuole nummulitiche, e copre in trasgressione più o meno accentuata i piani del cretaceo. Ael calcare nummulitico l’autore ha constatato la presenza di un orizzonte netto a pettini^ che si estende dalla valle del Sacco a quelle delTAniene e del Turano. Il terziario è assai sviluppato negli Ernici, specialmente nella grande de- pressione cretacea Verdi- Anticoli-Ferentino-Guarcino, coperta in gran parte da un potente deposito di tufi vulcanici. Washington H. S. — Some Analijses of Italian volcanic Rocks. I. Tra- chytes of Phiegraean Fields and Ischia, (The American Journal of Science, S. lA^ A^ol. AMII, n. 46, pag. 286-294). — Xew Haven, 1899. L’autore, premessa una succinta descrizione, presenta le analisi da lui fatte della trachite del Monte Xuovo e del Monte di Cuma nei Campi Flegrei, di quella — 426 — di Monte Rotare e di Marecocco e della ciminite dell’Arso nell’ isola d’Iscliia e le mette a confronto con quelle fatte da altri autori su queste ed altre roccie. Da queste analisi risulta che le roccie dell’Ischia e dei Càmpi Flegrei, mentre differiscono chimicamente da quelle della linea Bolsena- Vesuvio pre- sentano certe analogie con quelle delle isole che trovansi lungo la costa d’Italia, cioè Capraia, Ponza, Dipari e forse anche dell’Etna e della valle di Hoto ; sa- rebbero quindi piuttosto in relazione con quelle della linea delle isole suddette che colla linea principale, e benché non abbia sufficienti dati è di avviso che le stesse non sono connesse geneticamente colle vicine roccie del Somma -Vesuvio. R fatto principale su cui basa questa conclusione e la analogia fra le due linee vulcaniche in quanto all’ordine e alla progressione dell’estinzione lungo di esse. Oltre queste due linee, Bolsena-Vesuvio e Ponza-Ischia-Dipari-Etna, ne esisterebbe forse, secondo l’autore, una terza più a sud-ovest nel Mediterraneo che dalla Linosa per la Pantelleria anderebbe alla Sardegna. Si avrebbero così tre linee distinte: la più recente lungo la penisola caratterizzata principal- mente per l’alto tenore di K^O, e del pari di CaO, e per la presenza della leucite nelle sue roccie; la seconda, cioè quella delle isole, in cui le roccie hanno alto tenore in alcali, ma con T^agO più elevato che KgO e non hanno leucite ; la terza più lontana nel Mediterraneo, forse la più antica con maggiore tenore in ^N^agO e caratterizzata a quanto sembra da minerali sodici particolari, come enigmatite, aegirina e nefelina. Zambonini F. — Ueher den Olivin Latiums. (Grroth, Zeitschrift fiir Krvstall. und Min., B. XXXII, H. II, pag. 152-156). — Leipzig, 1899. Dopo avere esposto la breve letteratura riguardante l’olivina del Lazio e accennato che lo Strilver dubitò della presenza della forsterite nel Lazio, l’autore osserva di avere trovato tre cristalli di questo animale allungati secondo (001). ove il prisma (110) e la forma (010) sono in prevalenza. Gli angoli misurati sono molto vicini a quelli relativi dell’olivina. Le forme (230) e (141) sono nuove per l’olivina ; talvolta i cristalli sono sviluppati egualmente nelle tre dimensioni, o appiattiti secondo (001). Il rapporto degli assi è : a : b : c : = 0,46571 : 1 : 0,58646 di Des Cloizeaux, calcolato in base ai dati dello Scacchi. Con esso sono calco- lati gli angoli delle faccie e messi in rapporto con le misure eseguite. Il peso specifico è 3. 41 e l’analisi chimica eseguita dall’autore diede : SiO^ == 40. 39 ; EeO = 8. 81 ; AlgOg = 0. 35 ; MgO = 49. 73 ; XiO = 0. 12 ; che corrisponde molto bene alle analisi fatte da Stromeyer sopra cristalli di Vogelsberg. APPENDICE ^ Baretti M. — / giacimenti antracitiferi di Valle d' Aosta : Relazione geologica (pag. 15 in-4°). — Milano, 1899. Bologxixi N. — Le roccie nel Trentino. (L’UniTerso, Anno IX, n. 12, pag. 187-189). — villano. 1899. Bombicci L. — Reiasione salV origine del fango termale vulcanico di Bat- taglia (pag. 5 in-8®). — Venezia, 1899. Borseeri C. — Escursione geologica a 8. E di Roma. (Boll, del Natura- lista, Anno XIX. pag. 59-61). — Siena, 1899. Casoria e. — L'acqua jodica nella valle di Sarno {provincia di Salerno); studi e ricerche chimiche (dalla Idrologia e climatologia, pag. 36 in-8®). — Firenze, 1899. Chzcchia D. — Escursione geologica ai Colli Laziali. (Boll, del Natura- Usta. Anno NIX. pag. 78-79). — Siena, 1899. Cozz AGLIO A. — Valore e modalità degli spostamenti della regione veneta in confronto della lombarda. (Commentari dell’ Ateneo di Brescia per Tanno 1899. pag. 69-91). — Brescia, 1899. CozzAGLio A. — Le moderne teorie sulla formazione dei laghi prealpini. (Commentari deU' Ateneo di Brescia per l’anno 1899, pag. 121-133, con tavolai. — Brescia. 1899. D’ Aghi ARDI A. e D. — Relazione sui giacimenti lignitiferi di Montebam- boli (pag. 16 in-8‘’, con 3 tavole). — Pisa, 1899. D'Achiardi D. — Osservazioni sulle tormaline nelVisola del Giglio. (An- nali Università toscane, T. 22). — Pisa, 1899. FR03IENT A. — Rapport sur les Mines de Tavagnasco (pag. 74 in-4®, con 10 tavole). — Ivrée, 1899. ^ Sono pubblicazioni non pei’venute all’Ufficio o pervenutevi troppo tardi pc*r poterne fare la bibliografia in tempo debito. 7* — 428 Riannetti C. — Analisi delP acqua alcalina carbonica di Monteverdi. (Atti E. Acc. dei Fisiocritici, S. lY, Yol. XI, pag. 409434). — Siena, 1899. Kittl e. — Die Oastropoden der Esinokalke, nebst einer Revision der Gastro- poden der Marmolatahalke. (Ans: Annalen des k. k. naturh. Hof- museums, B. XIY, H. 1-2, pag. 237, con 18 tavole). — Wien, 1899. Linck Gr. — Die Pegmatite des oberen Veltlin. (Jenaische Zeitschr. f. Xa- turw., B. 33, pag. 345-360, con 3 tavole). — Jena, 1899. MalIìAdra a. — U epoca glaciale nelV Ossola. (In giro pel mondo. Anno I, n. 19-20, pag. 150-153). — Bologna, 1899. Marinelli L. — Memoria sul terremoto di Rieti. (Eiv. di art. e genio, Anno 1899, p. 221-236, con 3 tavole). — Eoma, 1899. XicoLis E. — Geologia ed idrologia della regione Veronese (dalla Provincia di Yerona, monografia raccolta dal C^®. L. Sormani-Moretti, pag. 59 in-folio, con 2 tavole e una carta geologica). — Yerona, 1899. PoRENA F. — Sulla forma del Vesuvio prima del 79 d. C. (In giro pel mondo. Anno I, p. 71). — Bologna, 1899. Eenevier e. — Elude geologique du tunnel du Simplon. (Eclogae geologicae Helvetiae, Yol. YI, n. 1, pag. 31-34). — Berne, 1899. Eicci E. — Val di Venina; sorgenti delV Adda: note geologiche (pag. 24, in-16^, con tavola). — Sondrio, 1899. Eicci L. — I nuovi laghetti delV Appennino toscano. (La cultura geografica. Anno I, pag. 96-98). — Firenze, 1899. Sestini F. e Campani E. — Nuova analisi chimica delVacqna salsobromo- iodica di Castrocaro. (Studi e ricerche istituite nel Laboratorio di chimica agraria della E. Università di Pisa, fase. 15*^). — Pisa, 1899. Stroppa C. e Gtarelli F. — Acqua minerale di Montetondo delle Fate: analisi chimica, (dal Bollettino chimico-farmaceutico, pag. 8 in-8®). — Bologna, 1899. ELENCO del personale componente il Comitato e 1’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. CossA Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Padova. ScARABELLi GIUSEPPE, Senatore del Regno, Imola. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Iog. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrarie -geologico, via Santa Susanna, n. 1. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (31 dicembre 1900) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXXI, dal 1870 al 1900. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem deirabbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero . » lO — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia ; Voi. I. Firenze 1871. — Un volume in-4'’ di pag. 364 con tavole e carte geologiche » 35 — Voi. II, Parte l^h Firenze 1873. — Un volume in-l'^ di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. II, Paite 2®. Firenze 1874. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. Ili, Parte 1*. Firenze 1876. — Un volume in-4* di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 — Voi. Ili, Parte 2®. Firenze 1888. — Un volume in-4® di pag. 230 con tavole » 15 — Voi. IV, Parte 1®. Firenze 1891. — Un volume in-4” di pag. 136 con tavole » 8 — Voi. IV, Parte 2®. Firenze 1893. — Un volume in-4® di pag. 214 con tavole » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I, Roma 1886. — L. Baldacci: Descrizione geologica delV Isola di Sicilia, — Un volume in-8® di pag. 436 con tavole e una Carta geologica * . » 10 — Voi. II, Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- V Isola d*Elba, — Un volume in-8® di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. Ili, Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro delV Isola d'Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Voi. IV, Roma 1888.— G. Zoppi: Descrizione geologico-mine- raria delV Iglesiente (Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed una Carta geologica » 1 5 — Voi. V, Roma 1890. — C. Db CASTRO: Descrizione geològico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria. » 8 — — 431 — Voi. VI, Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa L. 6 Voi. VII, Roma 1892. — E. CORTESE e V. Sabatini: Descri- zione geologico-petrografiea delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche » 8 Voi. Vili, Roma 1893. — B. LOTTI: Descrizione geologico-mi- neraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. CORTESE: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. X, Roma 1900. — Y. Sabatini: I viilcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Lasiale. — Un vo- lume in 8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli: 2® edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella^ scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. - Roma, 1886 » 100 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio N. 262 (Monte Etna). . L. 5 » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) . . . » 4 » 250 (Bagheria). . . » 3 — >> 267 (Canicattì) . . . » 5 n 251 (Cefalo). . . . » 3 — ! 268 (Caltanissetta) . » 5 tè 252 (Naso) .... » 4 — )) 269 (Paterno) . . . » 5 » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . » 3 » 254 (Messina) . . . » 4 — 1 271 (Girgenti) . . . » 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . .. » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) . . . » 4 » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » 3 » 260 (Nicosia) . . . » 5 — )) 276 (Modica) . . . » 3 » 261 (Brente). . . . » 5 — » 277 (Noto) . . . . » 3 Tavola di sezioni N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 — » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) . . » 4 — » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262). . » 4 — » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) .... » 4 — • J* N. V (annessa ai fogli 273 e 274) .... » 4 — — 432 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. / fogli e la tavola di questa Cariasi vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) . L. 4 •— » 143 (Bracciano). . » 5 — » l44 (Palombara) . » 5 — Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 » 150 (Roma) ...» 5 158 (Cori) . ...» 4 Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150) — L. 4. Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in quattro fogli e tre tavole di sezioni, con copertina. - Roma, 1897 , L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo . ...» 5 — • » Serravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . • . L. 5. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000; ne sono pubblicati i fogli seguenti: Foglio N. 236 (Cosenza) . . . L. 4 — Foglio N. 245 (Palmi). . . 3 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 247 (Badolato. . . » 3 — » 241 (Nicastro) . . » 4 — * » 255 (Gerace) . . . » 4 — » 242 (Catanzaro) . . » 4 — » 263 (Bova) . . . . » 3 — » 243 (Isola Capo Riz- zato). .... » 3 — » 264 (Staiti) . . . . )) 3 — Tavola di sezioni N. I e N. II, ciascuna . . . L. 4. Carta geologica dell’Isola d’Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni, — Roma, 1886 » 5 — Carta geologiCo-mineraria delT Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma. Bologna, Milano e Napoli. — 433 — In corso di stampa: Carta geologica della Calabria neUa scala di i a looooo; Foglio 220 (V erbicaro) * 221 (Castrovillari) * 222 (Amendolara) » 228 (Cetraro) Foglio 229 (Paola) * 230 (Possano) » 231 (Girò) * 254 (Messina) Tavola di sezioni X. IH. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO Serie IV. “ — Anno 1.° 1900 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE i?. Decreto 4 febbraio 1899, relativo al personale del R. Comitato geologico. UMBEETO I PEE GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE EE D’ITALIA. Visto il R. Decreto del 25 gennaio 1894, n. 39; Sulla proposta del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio ; Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1". Sono confermati a componenti il E. Comitato Geologico, pel biennio 1900-1901, i signori: Cocchi professore Igino; Cossa professore Alfonso; Gemmellaro professore Gaetano Giorgio; ScarabeLLi conte Giuseppe. Art. Il professore Giovanni Capellini è confermato Presidente del Comitato predetto per l’anno corrente. Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del presente Decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti. Dato a Roma, addi 4 febbraio 1900. Firmato: UMBERTO. Controfirmato: Salandra. Annunzi di pubblicazioni A Xeviani. — Briozoi terziari e posterziari della Toscana (Boll. Soc. Geol. it., Anno XIX, fase. 2% — Roma, 1900; pag. 27 in-8^ A. Verri. — Sulla trÌTellazione di Capo di Bove (Ibidem). — Roma, 1900; _ pag. 5 in-8®. B. Xelli. — Fossili miocenici delPÀppennino aquilano (Ibidem). — Roma, 1900: pag. 38 m-8® con tavola. A. SiLVE.STRi. — Biloculìna G-uerrerìì^ nuova specie fossile siciliana (Boll. Soc. Gioenia, fase. LXIV). — Catania, 1900; pag. 10 in-8'^. C. Riva. — Sopra due sanìdiniti delle isole Flegree (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. IX, fase, o e 6, 2® sem.). — Roma, 1900; pag. 10 in-4®. L. Seguexza. — Schizzo geologico del promontorio di Castelluccio presso Taormina. — Messina, 1900; pag. 18 in-8®. G. De Lorenzo e C. Riva. — Il cratere di Vivara nelle Isole Flegree. — Xapoli, 1900: pag. ,60 in-I® con 3 tavole. K. Ha.ssert. — Frane glaciali negli Abruzzi (Boll. Soc. geogr. ital., S. IV, Voi. I, fase. 7). — Roma, 19(X); pag: 9 in-^®^ con 6 tavole. G. Del Bue. — Contributo alla conoscenza dei terreni miocenici di Castel- nuovo nei 3touti (Riv. ital. di Paleontologia. Anno VI, fase. III). — Bo- logna, 19