/^>00 4 '*• .J. 'k' « f # 7 V %■ A '.y 1 ni#' BOLLETTINO DEL l{. COMITATO C.EOCOIÌICO D’ITALIA. 1872. — Anno III. > . % t J b. 1872. -Anno III. BOLLETTINO DEL li. COMITATO OEOLOOICO It’ ITALIA. Volume Terzo. N. 1 a 12. FIRENZE. TIPOGRAFIA DI G. BARBÈRA. 1872. Bollettino N° I e 2. Gennaio e Febbraio 1872. -cx>>®<00- FIRENZE, TIPOGRAFIA DI G. BARBÈRA 1872. Fiilicazffli M 1 COMITATO GEOLOGICO. Bollettino (teologico per l’ anno 1870. — Un volume in-8". » » PER l’anno 1871, » Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica del Regno. — Volume 1° in -4° di 404 pagine con tavole, una carta geologica e numerose incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sidle Alpi occidentali di B, Gastaldi. — Appendice Mineralogica di G. Struver, — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi. — Malacologia pliocenica italiana, Parte U, Gasteropodi sifonostonii, di C. D’ Ancona. Prezzo dell’ intero Volume, Lire 35, Brevi Cenni sui principali Istituti e Comitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di I. Cocchi. — Un volume in-4° L. 1, 50 Carta Geologica della parte Orientale dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi L, 3. 50 I Bollettini arretrati si vendono al prezzo di 12, — II presente Bollettino per gli associati nel regno 8. — Per gli associati all’ estero 10. — Un fascicolo separato 2. 50 BOLLI'TTINO DEL U. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. 1 e 2. — Gennaio e Febbraio 1871 SOMMARIO. Note geologiche. — l. Sullo ghiaie delle Colline Pisane e sulla provenienza loro e delle sabbie, che insieme costituiscono la parte superiore dei terreni pliocenici della Toscana, di Antonio D'Acni.vum. — li. Cenni sulla costitu- zione geologica del Piemonte, di B. Gastalui. — III . Intorno ai terreni terziarii del Accontino, di F. IJayan (estratto). Notizie diverse. — Pubblicazione di una Appendice alla Memoria dell' ing. Se- bastiano Mottuka; Sulla for>nazinnc lerzìat'ia nella zona solfifem della Sicilia. — Concorso per posti di Geologo-operatore. — Kottifìcazione. Avviso. — Cambiamento di residenza del H. Comitato Geologico. Catalogo della Biblioteca del R. Comitato. — (Continuazione.) Tavole ed Incisioni. — Sezione di terreni con depositi di ghiaie nelle Col- line Pisane, a pag. G. 7 e 9. Il favore col quale gli uomini serii hanno accolto questo nostro giornale, la importanza che il medesirao ha preso fra le pubblicazioni scientifiche di siinil genere recando a conoscenza degli scienziati de’ più remoti paesi gli studii e le opere degli Italiani, ci hanno fatto sentire il dovere di dargli una maggiore estensione e di migliorarne la forma. In pari temjio però abbiamo creduto opportuno di non aumentare il prezzo dell’ associazione, quantunque, avuto riguardo alla natura e alla mole della pubblica- zione e alle incisioni e tavmle che frequentemente la ar- ricchiscono, nessun altro periodico sia dato per così basso prezzo. E ciò facciamo perchè, superato l’ostacolo della spesa, precipuo fra quelli che rendono scarsa la lettura scientifica in Italia, il Bollettino corra per le mani di molti Italiani, si apra la strada non solo nelle grandi biblioteche e nelle scuole dove si inizia la gioventù agli studii maggiori, ma altresì nelle meno elevate, nelle bi- _ 4 - blioteche circolanti e popolari e così ottenga lo scopo principale al quale esso è destinato, cioè quello di far conoscere l’ Italia agli Italiani, Noi crediamo che se non è ancor giunto il momento in cui la parte colta del popolo italiano si dia universalmente alla lettura dei periodici scientifici, nemmeno di quelli che la istruiscono sulla natura e sulle ricchezze reali del suolo che abi- tiamo, pure questo tempo verrà tanto più presto quanto più ci sforzeremo ad affrettarlo. Con questo il R. Comitato geologico — il quale non è un’Accademia nè una Società scientifica, e non ha la missione di queste, ma è un corpo di rilevatori incaricati di fare la carta del Regno, una parte alla volta, sotto la dotta direzione di esimii geologi e mettendosi in contatto e in rapporto con le notal3Ìlità de’ luoghi che si andranno man mano geologicamente rilevando con unità di con- cetto ed uniformità di metodo ' — fa atto di abnegazione e dà prova di attaccamento al decoro del paese e all’avan- zamento delle scienze geologiche in Italia. Esso crede inol- tre di contribuire indirettamente al suo scopo, pre]3arando il terreno moralmente, cioè disponendo gli animi a com- prendere ed apprezzare il grande lavoro cui mira, consi- stente nella gran Carta e ne’ volumi che servir devono a questa di descrizione e di testo, e a trarne vantaggio. 11 Bollettino^ come per lo passato, resterà chiuso alla polemica ed agli apprezzamenti personali; manterrà il rispetto delle opinioni e de’ lavori altrui, e sarà redatto per modo da essere utile ed istruttivo. Facciamo appello al concorso benevolo de’ nostri amici i geologi italiani con la fiducia di chi se ne sente sicuro, ai lavori de’ quali le pagine di esso Bollettino sono sem- pre aperte, e la grande diffusione di cui gode servirà di mezzo di pubblicità maggiore di quella di qualsivoglia altro periodico scientifico ai loro importanti lavori. La Redazione. ‘ Volendo avere notizie sulla natura e sullo scopo del Comitato geo- logico, vedansi i Brevi cenni sugli Istituti e Comitati geologici e sul R. Comitato geologico d’Italia (Firenze Tip. Barbèra, 1871) i quali servono anche di introduzione al F volume dmle Memorie per servire ALLA descrizione DELLA Carta GEOLOGICA DEL Regno pubblicato nel 1871. — 5 — NOTE GEOLOGICHE. I. Sulle ghiaie delle Colline Pisane e sulla provenienza loro e delle sabbie, che insieme costituiscono la parte superiore dei terreni pliocenici della Toscana. — Nota di Anto- nio D’ Aciiiakdi. Tutti che parlarono dei terreni pliocenici delle Colline Pi- sane hanno sempre distinto le sabbie gialle e le argille turchine; ma per quanto io sappia ninno ha mai fatto menzione di un terzo termine, cioè delle ghiaie che soprastanno alle sabbie in quella parte delle Colline Pisane che dolcemente scende alla pianura dell’ Arno ; termine oltremodo importante in quanto die ci svela la completa storia degli altri due. Io, per ora almeno, ho limitato le mie osservazioni a quel tratto di paese che sta compreso fra il mare, i monti di Livorno e della Castellina e le due valli dell’ Era e dell’ Arno ; onde discorrendo questo singolare deposito di ghiaie o ciottoli, avverto fin (P ora che non parlo die di quanto ho veduto in questa area limitatissima non solo, ma più specialmente ancora nella sua porzione settentrionale, sulla china cioè che scende alla valle dell’ Arno. È noto che sabbie gialle e argille turchine alternanti non di rado ripetutamente fra loro, come ce ne porge bellissimo esem- pio la valle cl’Era, sono considerate quali effetti diversi di una stessa cagione formatrice, piuttostochè come termini di età di- versa. Esse ci rappresentano infatti le prime un deposito litorale, le seconde oceanico o meglio effettuatosi a maggior distanza del primo dalla spiaggia, con 1’ avanzarsi della quale in grazia del- P incessante interrimento avveniva che le sabbie si deponessero al di sopra delle argille, precedentemente depositate quando P acqua ivi era più profonda e il lido più discosto. Per lo che — 6 — se vero è che le sabbie che in uno stesso luogo soprastanno alle argille sono posteriori o più recenti di queste ; d’ altra parte prese a distanza possono essere e sono talvolta contemporanee. Lo stesso è a ripetersi per le ghiaie, delle quali intendo parlare, e che ci rappresentano un terzo termine anche più litorale delle sabbie stesse, un terzo termine che per la sua origine o depo- sizione sta alle sabbie gialle come queste alle argille. Nè su ciò vai la pena di intrattenerci ulteriormente, che oltre all’ essere cose ovvie, le sono anche note a quanti conoscono i nostri ter- reni subapenninici. Alle argille più o meno fossilifere succedono al di sopra le sabbie ordinate a seconda della grossezza loro e fra queste e quelle spesso si osservano degli stratarelli sottili, non di rado molto fossiliferi, che tengono un po’ dell’ argilla, di cui hanno il colore turchiniccio, e un po’ della sabbia, di cui hanno Ingrana; onde debbono considerarsi come termine di passaggio dalle ar- gille alle sabbie. E delle sabbie le inferiori sono finissime e molto fossilifere, le conchiglie essendovi ora sparse ora accumulate intorno ai banchi di Ostriche e Cladocore ; le superiori sono invece grossolane e prive di fossili. A queste soprastanno le ghiaie, che talvolta secoloro alternano, nò è a credersi che ci rappresentino un deposito diluviale ; chè se spesso mancano i segni della stratificazione, non di rado sono pure evidenti e r essere poi tutte distese per il loro fianco maggiore ci toglie ogni dubbio sopra il loro modo di deposizione. Sulla via che dal Pallone conduce al paese di Colle Salvetti a mano destra osservasi chiaramente la stratificazione di queste ghiaie, i cui stratarelli ci presentano l’ inclinazione stessa delle « ghiaie — h sabbie gialle grossolano. colline (fig. 1), e meglio ancora la si vede in un profondo botro presso il casale del Sorbo a men che due chilometri da Fauglia — 7 — nella valle del rio della Tavola al di sotto e a ponente della villa Ristori sul fianco della collina ; come appare anche dalla figura 2, die ci mostra un lato di questo botro. Fig. 2. A t i 1 t f « 1 I ( I I n i^hiaio -- h sabbio gialle grossolane. È dunque più che evidente che queste ghiaie ci rappresen- tano la parte più grossolana dei sedimenti che a distanze diverse dai punti di origine si deponevano nei tempi pliocenici presso alle sponde del nostro mare d’ allora. La provenienza delle ghiaie dovette essere la medesima che per le sabbie e le argille; quindi lo studio di quelle ci guida a conoscere la provenienza dei no- stri terreni pliocenici, ed eccone in ciò più che palese l’ impor- tanza. Partendosi da San Martino sui Monti Livornesi e passando per Santo Regolo, Orciano, La Madonnina dei IMonti e Sant’ Ermo fino alla valle della Cascina, si percorrono colli elevati, scoscesi per forre, nudi e squallidi, che sono formati di argilla, detta in vernacolo maftaione, hiancana o terra arziììa. Se ci si parta invece da CastelT Anseimo e passando per Luciana, Fauglia, Crespina, Lari, Usigliano e Capannoli ci si spinga fino alla valle dell’Era, si passa di collina in collina, più basse delle precedenti, ma tutte verdi di boschi, olivi e vigneti, e che con la loro ri- gogliosa vegetazione ci attestano esserne il suolo vegetabile for- - 8 - iiiato di sabbie. Una terza zona di colli si distende randa randa alla pianura a cominciare da Nugola e oltre per Colle Salvetti, Ceppaiano ec.; è la zona delle minori colline, la di cui superficie suole essere aspersa o di sabbie grossolane o di ghiaie che con- sentono pure ricca e fiorente vegetazione. Procedendo da mezzo- giorno a settentrione s’ incontrano i vari terreni e i due tagli seguenti presi V uno (fig. 3) sulla destra del rio della Tavola, 1’ altro (fig. 4) sulla sinistra ce ne mostrano la successione. Lo studio geologico di questi terreni prova ad evidenza, come sì bene dimostrò il Savi,* che la loro deposizione si fece dalla parte di tramontana e che il movimento, onde emersero dal mare, si effettuò invece da mezzogiorno, per lo che se ne invertì la pendenza nel sollevamento. Ma non solo lo studio stratigrafico dimostra la provenienza dei materiali dalla parte di tramontana, chè un accurato esame di questi e segnatamente delle ghiaie, che meglio degli altri si studiano, conduce alla medesima conclusione, come ora intendo di dimostrare. Io ho raccolto queste ghiaie in più punti, sia verso la valle della Torà, sia verso quelle della Crespina e della Cascina e altre intermedie, e le ho raccolte tanto nelle valli che nei poggi, tanto a settentrione che a mezzogiorno ; nè in generale altra ditterenza ho trovato che nell’ abbondanza e nelle dimensioni loro, risultando quasi da per tutto dei detriti delle medesime rocce ; o per meglio dire le più abbondanti le ho trovate da per tutto, e solo talune, che sono assai rare, non rinvenni che in pochi luoghi, sia che negli altri non si trovino, sia che la loro mancanza vada considerata più come apparente che reale e rela- tiva alla imperfezione delle ricerche. I ciottoli da me raccolti sono di Quarzite, Quarzo, Piromaca, Macigno o altra arenaria, Calcaria e Schisti. ’ Dei movimenti avvenuti dopo la deposizioìie del terreno pliocenico ìiet suolo della Toscana, ai quali sembra dcbbasi attribuire l’attuale co)>fujura- zione della sua superficie. Nuovo Cimento, aprile e maggio, 18()3, Pisa. (T. Nord.) Fig. 3. 0^- Snd.) 9 Valle della Torà. Fanglia. Sorbo. — o-’oV-'r ''o < O ci f y '*90^00‘'« /Cav^ "o‘ ?oggio allaFarnia. "H Santo Regolo. Luciana. Acciaiolo. fcb Vallebbiaiu. Pallone. ci tn o o o o rt c3 O Cw Sodoballi. .. Colle Salvetti t£) 55 — 10 I ciottoli di Quarzite sono da per tutto oltremodo abbon- danti. Vario ne è il colore e la grana. Predominano sugli altri quelli di una Quarzite bianco-grigiastra o bianco-giallastra, e frequenti son pure i ciottoli di altre Quarziti di colore diverso, rossastre, carnee, paonazze più o meno chiare, verdoline e ce- rulee. La struttura ora è schistosa, ora granulare, ora com- patta ; in quel primo caso fra sfoglia e sfoglia si osservano delle laminette esilissime di Damurite (Damourité), che prevalgono nello Quarziti verdastre; nel secondo i grani silicei più o meno grossi sono pure più o meno disgregabili fra loro; nel terzo finalmente osservando nella massa, che pare compatta, scorgonsi più 0 meno manifesti i granelli silicei, per il solito angolosi, immersi nel fondo del pari siliceo della roccia. E tutte queste varietà di Quarziti hanno le loro analoghe nei Monti Pisani e nelle Alpi Apuane, ma segnatamente in quelli, quantunque fra i vari ciottoli ne abbia trovato taluno che non si trova che in queste, come è il caso di una bella Quarzite candidissima, di cui non conosco V eguale che del Monte Kondinaio presso il Corchia. Alle Quarziti succedono per la copia loro i ciottoli di Quarzo bianco, di cui giova distinguere due sorta. Alcuni bernoccoluti, spesso cavernosi, lucenti come grasso nella frattura, candidissimi e di tutte le dimensioni ; altri fatti a piastrella, a superfìcie smorta e bianchi come fossero di Feldispato opaco, diversi infatti dai primi. Or bene : per chi sia pratico dei nostri monti e ne di- stingua le rocce, è facile riconoscere in quei ciottoli della prima sorta il prodotto del disfacimento dei filoni quarzosi e in questi della seconda gli avanzi degli schisti nodulosi, dei quali talvolta ci è dato anche rintracciare un qualche frammento col suo Quarzo incluso identico a quello degli altri ciottoli, che per il solito sono di puro Quarzo, che solo è rimasto come sostanza più dura. E come per i ciottoli di questa seconda qualità di Quarzo ì frammenti della roccia madre ne confermano la provenienza dagli schisti nodulosi, così per quei primi i minerali, che tal- volta includono e fra essi più frequente degli altri la Pipidolite (var. Afrosiderite), ne confermano del pari la derivazione dei filoni quarzosi. Anche per questa sorta di ciottoli adunque resta pro- vata la provenienza loro e dai Monti Pisani e dalle Alpi Apuane, dove abbondano e questi filoni e quegli schisti. 11 Non meno frequente, certo non scarsa, è anche la Piromaca ; la quale è del pari diversa e per la compattezza e per il colore. Per il solito presentasi in massarelle informi, non di rado esse pure fatte a piastrella e di un colore grigio più o meno scuro e talvolta quasi nero di pece. È la Piromaca della calcaria detta dal Savi grigio-cupa con selce, come provano anche i ciottoli che P accompagnano, e nei quali pur si conserva tuttora la parte calcare, che per il solito manca, essendosi per la sua minore durezza e solubilità più facilmente perduta per via. Questi po- chi ciottoli sì fatti con la ripetizione degli stratarelli selciosi nella roccia madre ci danno perfetta immagine della sum men- tovata calcaria, quale si osserva nei àlonti Pisani sulla destra del Serchio fra Vecchiano e il padule e in alcune parti delle Ali)i Apuane, ma insieme anche sull’ Apennino, come se ne veg- gono bellissimi esempi al Ponte Nero e in altri punti della valle di Lima. Oltre a ciò, quantunque più rari, non mancano tuttavia ciot- toli di Piromaca d’ altro colore, e io ne ho raccolti dei grigio- chiari, dei biondi e dei verdastri, che pur trovano riscontro nelle rocce degli stessi monti. E così è dei ciottoli di Diaspro, abitualmente rossi più o meno cupi, per il solito venati di bianco, che sono del pari fre- quenti, mentre scarseggiano invece e sono piccolissimi quelli de- gli schisti rossi che sogliono accompagnare i Diaspri, e che per la loro tendenza a sverzare si riducono facilmente in frantumi. I ciottoli di macigno e di calcaria son rari, nè gli ho trovati da per tutto ; anzi in pochissimi luoghi i primi, in pochi i se- condi •, e se ne può intendere la ragione ripensando che le cal- carle raro è che producano ciottoli, meno il caso che tendano a frantumarsi naturalmente, e se li producono per la natura loro e per la poca durezza, già dissi come P acque e gli attriti facil- mente vi abbiano presa; e quest’ ultima considerazione vale an- che per il macigno e per le altre arenarie meno resistenti delle Quarziti. Piari dunque sono i ciottoli di queste due sorta di rocce; ma non per tanto sì bene riconoscibili, che anche per essi si può risalire alla roccia che li produsse, ricercandola negli stessi monti, donde provennero gli altri tutti. E qui per i ciot- toli calcari noterò che sono delle così dette calcarie grigio-cupa — 12 - e grigio-chiara con selce e di altre, e per quelli di macigno che io gli ho trovati in luoghi ov’era più probabile che fossero giunte le ghiaie dell’ Apennino, sul quale il macigno è difatti una delle rocce più abbondanti. E rari sono ugualmente i frammenti di schisto, sono anzi rarissimi se si eccettuano quelli che hanno natura diasprina o di Quarzite e dei quali fu detto a lor tempo. Nè qui rammen- terò se non pochi frammenti da me raccolti di uno schisto gial- lastro, assai tenero, argilloso-limonitico, quale si trova anche nei Monti Pisani e in quelli più remoti della Spezia. Finalmente un ciottolo solo ho raccolto di natura ferro-piros- senica e anche per esso si può risalire alle masse ferree della Val di Castello e altre della Versilia. Si può quindi atfermare senza tema di essere smentiti, che tutte le ghiaie di quella parte delle colline pisane che scende alla pianura dell’ Arno hanno riscontro nelle rocce dei monti che si elevano a settentrione di questa stessa pianura, cioè dei Monti Pisani, delle Alpi Apuane e dell’ Apennino ; segnatamente delle due prime catene, e più ancora della prima che della seconda. Delle rocce dei monti che stanno dalla parte opposta, cioè dei Monti Livornesi e della Castellina, non vi si rinviene un sol ciot- tolo : non Serpentino, non Oficalce, non Eufotide, non Diabase, non Calcaria-colombina, non Calcaria-grossolana, non Gesso. Che se vi si rinvengono ciottoli di Macigno, di Diaspro e anche, benché raramente, di una calcaria che parrebbe Alberese, tre sorta di rocce proprie anche di questi monti meridionali, oltreché tro- varvisi raramente e non da per tutto, hanno poi più somiglianza con le rocce sì fatte dell’ Apennino e dei monti posti fra esso e l’Arno, di quello che con le analoghe dei Monti Livornesi e della Castellina. E poiché le medesime rocce esistono qua e là e poiché non un solo frammento mi fu concesso rinvenire di quelle che sono esclusive di questi ultimi monti, è mestieri con- cludere che tutte le ghiaie, delle quali ci occupiamo, e tutte le sabbie che loro sottostanno e seco loro alternano, e che altro non sono che frammenti più sminuzzati delle stesse rocce, tutte siano provenute dai Monti Pisani e dalle Alpi Apuane, e in parte forse anche dall’ Apennino durante il pliocene, e in special modo al suo termine prima che per l’ inalzarsi delle colline e contem- — 13 — poraneo abbassamento dei monti posti a settentrione dell’ attuale pianura pisana, s’ invertissero i corsi delle acque ; le quali per r innanzi procedevano al mare da settentrione a mezzogiorno, e ora da mezzogiorno a settentrione, per voltare quindi a ponente, come ce ne porgono esempio le valli dell’ Era, della Cascina, della Crespina, dell’ Isola, della Torà e altre vicine. Invertito il corso delle acque, si è pure cambiata la natura dei depositi e lungo i torrenti che solcano le valli frapposte ai colli, i di cui dossi sono seminati di ghiaie dei Monti Pisani e delle Alpi Apuane, oggi si depositano e si raccolgono invece i ciottoli di Serpentino, Eufotide, Calcaria-alberese e di altre rocce, che provengono dai Monti Livornesi e dalla parte più settentrio- nale di quelli della Castellina, di Santa Luce e di Cello. Ecco dunque pienamente confermato dallo studio di questo particolare deposito ghiaioso delle nostre colline quanto già de- dusse il Savi dallo studio stratigrafico di questi medesimi luoghi. Anche in molte altre parti della Toscana si trovano depositi ghiaiosi e pur anco in questa stessa parte occidentale. Di fatti a Monte Carlo, a Montecchio e altri punti sulla destra del- P Arno si raccolgono ciottoli in copia della stessa natura di que- sti delle colline meridionali ; e ghiaie molto più grosse, veri massi di macigno, si osservano accumulati uno sull’ altro nella valle di Nievole presso Borgo a Buggiano e nelle valli della Lima e del Serchio prima del loro incontro. Secondo il Savi, sarebbero depo- siti diluviali gli uni e gli altri, e il loro accumulamento si col- legllerebbe a quel gran fatto dell’ innalzarsi delle colline e con- temporaneo sprofondarsi dei Monti Pisani; a quel movimento di altalena, onde si stabilirono le basi dell’ attuale configurazione di questa parte d’ Italia. Delle ghiaie di Monte Carlo, Altopascio e Montecchio nulla posso dire per ora ; ma tutti quei massi, e quasi tutti di maci- gno, che nelle valli della Lima e del Serchio appaiono accumu- lati dalle due sponde a guisa di argini e più abbondanti di contro alle valli laterali dei torrenti minori, mi fanno nascere il sospetto che ci rappresentino un deposito torrenziale; come nella scuola pisana da lungo tempo s’ insegna dal mio maestro, il prof. Me- neghini, doversi considerare quello di Borgo a Buggiano. Forse là si accumularono, mentre le stesse acque che ve li deposero — 14 — e quelle che scendevano dalle Alpi Apuane e dai Monti Pisani depositavano lungo la spiaggia marina le ghiaie minori e le sab- bie ; e forse devesi all’ abbassamento di questi stessi monti e conseguente avvicinarsi del mare e della foce dei fiumi V aver questi riescavati i proprii letti, sulle di cui sponde attuali si osservano per ciò a grande altezza i depositi ciottolosi; o più probabilmente questi medesimi effetti debbono riferirsi ad ana- loghe cagioni, ma posteriori. Un diligente studio abbisogna dunque per rintracciare la verità; quel poco che ho detto basti per mostrare V importanza di uno studio comparativo fra i vari depositi di simil fatta che esistono fra noi. IL Cenni sulla costituzione geologica del Piemonte. (Estratto da una Nota del prof. B. Gastaldi, pubblicata nella Enciclopedia A(jriiria Tudiana}) Capo Peimo. — Yalli Alpine. Le Alpi, dalla valle del Toce a quella del Tanaro che le separa dall’ Apennino, sono formate di due grandi zone di rocce cristalline. La prima o inferiore consta di gneiss antichi o granitici. Alla seconda o superiore daremo P appellativo di zona delle pietre verdi., perchè oltre a molte altre rocce di natura varia, contiene i serpentini, le eufotidi, le dioriti ed una quantità grandissima di altre pietre magnesiache, per lo più di tinta verde, le quali nettamente la caratterizzano e le dànno speciale suggello. La zona del gneiss inferiore o granitico forma P ossatura dei gruppi Monte Rosa, Gran Paradiso e si protende sin nelle valli della Riparia e del Sangone. Essa consta di gneiss per lo ' Ruccomamliamo ai nostri lettori questa importante pubblicazione redatta da egregi collaboratori sotto la direzione del dottor G. Cantoni direttore della lì. Scuola Supcriore di Agricoltura in Milano : editrice ne è la Unione Tipogra- lìco-editrice di Toiino, diretta dal Pojica. — La DirezioììC. 15 — più a grana grossa, ricchi di feldspato (Ortosio). Quantunque in generale, questi gneiss siano regolarmente stratificati, tuttavia accade sovente che perdendo ogni traccia di scistosità assumano od improvvisamente od insensibilmente una struttura prettamente granitica. Quella delle pietre verdi, di gran lunga più estesa, si adagia sulla prima e la ammanta. In alternanza colle pietre verdi sovra menzionate, essa contiene estesi banchi di calcare saccaroide, di calcescisti, nonché graniti, che chiameremo massicci perchè gene- ralmente a struttura più fitta di quelli cui si è superiormente accennato. Essa è inoltre tagliata da imponenti dicche di porfido or rosso, or grigio, or a tinte scure; quest’ultimo prende gene- ralmente il nome di melafiro. Se la prima zona forma 1’ ossatura di parecchi dei principali c più colossali gruppi delle Alpi nostre, nella seconda sono tagliate le punte più svelte, più acuminate, più difficilmente accessibili quali il Gran Cervino, la Grivola, 1’ Uia di Mondrone, la Ciama- rella, l’Uia di Bessans, il Monviso, ec. ec. Questa seconda zona taglia trasversalmente la maggior parte delle nostre valli alpine, in parecchie delle quali, venendo a sporgere altresì la zona inferiore dei gneiss antichi, ne segue che i detriti delle due zone, trascinati al basso dai torrenti, si mescolano assieme, e la sterilità degli uni riesce corretta dalla fertilità degli altri. La diversa natura delle rocce di cui sono formate le due zone ha, a quanto pare, diretta influenza sulla fertilità del suolo risultante dai detriti di tali rocce. Eccone un esempio. Tutta la parte superiore della Valle-grande di Lanzo è sca- vata nella zona dei gneiss antichi ; la parte inferiore in quella delle pietre verdi. È questa una valle di riempimento, vale a dire il cui fondo è regolare ed unito, non presentando quei gradini e salti che sovente si incontrano in molte delle valli alpine. Ne segue che non essendo interrotto da altri cangiamenti di rilievo, alT infuori di quelli prodotti dai coni di deiezione dei torrenti laterali, il fondo della valle è una serie continua di magnifiche praterie pur troppo frequentemente devastate dalle inondazioni. Ora quando lo straripamento delle acque riduce in un letto di ghiaia e di ciottoli la superficie prima occupata da un prato. — 16 - gli abitanti, per ridarle il primitivo manto di verdura non hanno che a regolarizzare grossamente il suolo togliendone i massi ed i ciottoli più voluminosi e quindi irrigarlo copiosamente colle acque della Stura, le quali, coprendo di finissimo e fertile limo il fondo di ghiaia e di ciottoli, rapidamente lo riducono di nuovo in prato. Ben diverse sono le condizioni della vicina valle di Ballile intieramente scavata nella zona delle pietre verdi. Essa è più stretta, profonda, irregolare, dirupata, le sue acque più crude, e meli fertile il limo da esse deposto, cose tutte ben note agli abitanti e da loro ammesse. Ed è forse alla natura delle acque anziché alla regolarità del fondo della valle che si deve la quan- tità di trote che si pesca nella Stura della Valle-grande a fronte di quella che dà la Stura della valle di Balme. Veniamo ora ad esaminare la zona delle pietre verdi onde vedere la influenza esercitata sulla vegetazione dalla natura delle rocce di cui quella zona è formata. Tutti sanno quanto siano sterili i serpentini, le eufotidi, le anfiboliti ed altre rocce ma- gnesiache, le quali, come già abbiam detto, formano parte cospicua della zona in discorso. Essa quindi sarebbe, in generale, poco atta allo sviluppo della vegetazione se colle rocce sovra indicate non alternassero calcari saccaroidi o compatti, calcescisti, mica- scisti, gneiss e talvolta graniti massicci e porfidi. Dallo sbocco della valle del Pellice sino a quello della valle della Stura di Danzo, corre al piede delle Alpi una serie di monti poco elevati, esclusivamente formati di rocce serpentinose, eufo- tiche ed anfiboliche; il Sangone, la Riparia, la Stura di Danzo sono costretti a tagliarla per farsi strada alla valle del Po. In generale tutta quella serie di monti è spoglia di vegetazione, non solo per la qualità della roccia, ma anche pel fatto del- P uomo. Egli è noto che natura col tempo e colla decomponente azione dell’ atmosfera copre di un manto di verdura anche il suolo men atto alla rigogliosa vegetazione; un secolo fa tutta quella catena di monti era ancora coperta di quercie, di castagni e di faggi, ed oggi, scomparsa la foresta, dato libero adito all’ ar- mento, quel suolo dilavato, riarso, privato di cotenna vegetale, fa penosa impressione a chi lo osserva, ed aumentando man mano la sua sterilità si fa deserto. Anzi, a chiunque per la prima volta lo veda, parrà impossibile che mai albero abbia potuto — 17 — vegetare su quel suolo, e per acquistare la certezza del con- trario conviene consultare i vecchi e visitare le frequenti piazze (la carbone od antiche carbonaie che su quei monti si incontrano. Prendiamo a percorrere una di queste valli ben nota ai tori- nesi, la valle di Usseglio. A partire da Lanzo sino a Viù, ove molta gente recasi in estate a villeggiare, V occhio non scorge che nudi e brulli ridossi di serpentino e di eufotide, nè può riposare su una macchia di verdura se non lungo il piccolo bacino di Germagnano ed in quelle ripiegature del monte ove 1’ acqua piovana non potè intieramente portar via la zolla; lungo tutta la strada invano si cercherebbe una fonte, un rigagnolo d’ acqua. Appena però si giunge a Viù il paese cangia di aspetto, il suolo si copre di folta verdura, e P acqua scaturisce da ogni parte. A che cosa è dovuto questo rapido cangiamento di scena? Alla pre- senza di una serie di banchi di calcare, di calcescisti e di gneiss recenti che attraversa la valle e produce gli stessi effetti anche nelle adiacenti valli di Palme e Grande. Fra le rocce di cui consta la zona delle pietre verdi ve ne ha una che ne occupa larga parte c vi forma estesi ed elevati gruppi di montagne, voglio parlare dei scisti anfìbolici, costituiti di feldspato granoso c di anfibolo acicolare. Questa roccia si rompe relativamente in minuti frammenti e la decomposizione loro dà luogo ad un terreno ubertoso se si paragona a quello che si forma coi detriti di serpentino, di eufotide, di diorite e di altre consimili rocce magnesiache. I graniti massicci che fanno altresì parte di questa zona si distinguono da quelli della zona inferiore perchè sono più ricchi in quarzo ed a struttura più fitta. Tali sono i graniti di Mon- torfano, di Baveno. di Alzo sui laghi Maggiore e di Orta, quelli del Biellese tra Masserano e Biella, quelli dell’ alto Piemonte tra la valle Chiusella e Cuorgnè, quelli della valle Varaita, ec. Le sieniti sono meno frequenti ed in masse meno estese ; esse fiancheggiano per lo più le rocce anfiboliche, ed il più so- vente presentano la composizione di graniti antìbolici anziché quella di vere sieniti. Le meglio conosciute delle nostre Alpi sono quelle della valle del Cervo e quelle che si incontrano tra la Chiusella e la Dora Baltea. I porfidi sono quarziferi o felsitici. Si mostrano in masse — 18 — considerevoli nelle nostre prealpi tra il Ticino ed il Cervo, for- mando la base dei monti dell’ alto Novarese, dell’ alto Vercellese e del Biellese. Il circondario di Biella offre una magnifica dicca di un porfido a tinte scure di violaceo, di rosso bruno e di nera- stro cui si dà il nome di melafiro. Essa si estende in lunghezza ben ventidue chilometri ed attraversa le valli dell’ Elvo, del- r Cremo, dell’ Oropa e del Cervo. Qualche striscia di roccia por- firica si incontra altresì nella valle della Chiusella. Ve ne ha in ultimo una considerevole massa nell’ alta valle del Tanaro, dalla quale proviene l’ ingente congerie di ciottoli che formano gli strati miocenici coprenti le ligniti del circondario di Mondovì. Questi ciottoli di porfido si alterano e si decompongono intiera- mente dando luogo alle argille così variamente tinte, come altresì alle argille plastiche che alimentano le fabbriche di stoviglie di quel paese. Alla esistenza dei porfidi è altresì dovuta la pre- senza delle finissime argille e dei caolini nell’ alto Vercellese e nell’ alto Novarese. I graniti massicci ed i porfidi si decompongono facilmente a contatto dell’ atmosfera e danno origine ad un suolo arenaceo, frammentario, mobile, ed in generale lì, sul luogo, poco fertile. Le già citate prealpi dell’ alto Novarese e dell’ alto Vercellese sono in questo caso. Anche quelle regioni erano una volta coperte di folta foresta, e 1’ averla distrutta su un suolo poco atto ad altre coltivazioni fu cosa più che altrove improvvida e sconsi- gliata, sempre quando alla foresta non si potè subito sostituire la vite, il prato od il frutteto. Per contro le rocce serpentinose, eufotiche, le anfiboliti resi- stono meglio all’ azione distruggente dell’ atmosfera, e quando tuttavia si sfasciano, si sconnettono e si rompono in grossi, colos- sali frammenti che formano enormi lavine. I rottami o dapei che ingombrano le basi del Civrario e dell’ Uia di Mondrone nella valle di Balme, della Rossa nella Valle-grande, del Monviso nelle valli del Po e di Varaita sono veri deserti di massi accatastati e r attraversarli è una fatica da alpinista. Lungo le costiere di questi monti di serpentino, di cufotide 0 di rocce anfiboliche vivono ancora: nelle valli di Lanzo il Vìnus undnata ridotto ormai a cespugli : nella valle della Varaita, nella parte superiore di quelle della Dora Riparia, il Finus ccmhra. — 19 IMa sgrazicatamente il suolo su cui vegetano è comunale e ciò vuol dire che uomini ed armenti vanno a gara per far scompa- rire quegli ultimi rappresentanti di essenze che due secoli fa coprivano di folte foreste le nostre valli sino all’ altezza di oltre 2000 metri. Tutte le rocce di cui sinora parlammo formano la catena delle Alpi a partire dalla valle del Toce sino a quella del Ta- naro; tuttavia fra la valle della Varaita e quella del Tanaro, ed anche più verso Est quella della Bormida, si fanno più frequenti i calcari saccaroidi, le quarziti, le puddinghe. Nelle parti supe- riori delle valli die solcano questo tratto di catena v’ erano altresì, non è gran tempo, magnifiche foreste di essenze verdi. Nei monti del circondario di Cuneo si incontravano tronchi di Juniperus sabina che avevano 30, 40 centimetri di diametro. Egli è nella parte superiore della valle della Corsaglia che nel 18G5, in mezzo a secolare foresta di abeti ne misurai uno il quale a r",50, dal suolo aveva 5'",30 di circonferenza. Oggidì tutte queste foreste scomparvero sotto 1’ ascia del boscaiuolo. Al colle di Tenda comincia a mostrarsi il terreno nummuli- tico e quindi al colle di Millesimo e di Cadibona il miocene inferiore. Questi terreni terziarii prendono quindi più verso Est una grande estensione e costituiscono parte cospicua del- r Apennino ligure da Genova verso la Spezia, da Genova verso Piacenza. Tuttavia P ossatura dell’ Apennino continua ad essere formata delle stesse rocce cristalline, che nelle Alpi costituiscono la zona delle pietre verdi e quelle rocce qua e là vi si mostrano talvolta in imponenti masse come vedesi verso Savona, tra Savona e Ge- nova, tra Genova e la Spezia, verso Bobbio, Ottone, ec. Lo stesso fatto si osserva in tutto 1’ Apennino dell’ Emilia, della Toscana, dell’ Italia centrale e meridionale, come altresì nei monti della Sicilia, della Sardegna, dell’ Elba e della Corsica. L’ Apennino adunque, come tutti i monti delle isole del Me- diterraneo, è un’ appendice delle Alpi, la quale, abbassandosi man mano che si inoltra nella Penisola, rimane coperta di ter- reni più recenti. Ritornando alle Alpi dobbiamo far cenno di un terreno, che si incontra lungo le pareti delle valli sino ad altezze che variano - 20 — tra i 500 ed i 1000 metri, ed in alcuni luoghi sin oltre i 1500. Voglio parlare del terreno erratico o delle morene laterali lasciate dagli antichi ghiacciai, le quali ci indicano i limiti ai quali quei ghiacciai si elevarono. Quelle morene là dove le pareti della valle sono verticali od hanno una sentita inclinazione sono poco sviluppate; per contro là ove sbocca lateralmente un vallone o dove le pareti presen- tano profonde ripiegature e vasti seni, esse vi formano estesi altipiani che 1’ occhio esercitato scorge e distingue da lontano a motivo della loro regolarità ed anche perchè il più sovente quegli altipiani sono coperti di più folta verdura. Il suolo morenico è infatti molto vario nella natura dei suoi elementi ed è fìsica- mente preparato in modo da presentare facile via alle radici delle piante, ed è in generale sul terreno morenico che meglio vegeta e cresce la foresta. Nella parte superiore di talune valli ove gli anfiteatri hanno una grande estensione, il terreno erratico copre vaste porzioni di suolo ; le combe della valle superiore del Po, i piani di Usse- glio e della Mussa sono antiche morene. Per la fisica loro costituzione e per la varietà degli elementi di cui sono formati, hanno stretta affinità colle antiche morene i coni di deiezione che occupano il thaliveg delle valli alpine allo sbocco dei valloni laterali. Capo Secondo. — Valle del Po. Gettando gli occhi sopra una carta topografica di questa ma- gnifica valle, una cosa immediatamente colpisce P osservatore, ed è che il corso del Po, da Revello alPAdriatico, va continuamente respinto dalla base delle Alpi verso quella dell’ Apennino. Que- sto fatto già si osserva a monte di Moncalieri, ove il fiume, prima di inoltrarsi fra le Alpi e la catena di colline che da quel paese si estende sino a Valenza, fa una piccola curva da Sud-est a Nord-ovest. Toccato poi il piede della collina, le acque del Po sono costrette a rasentarlo, sospinte che sono contro di esso dall’ alta, ripida, resistente sponda di sinistra. Quindi tra Moncalieri e Torino, tra Torino e Casale, tra Casale e Valenza, 21 noi vediamo il fiume incanalato in un alveo relativamente an- gusto, portare bensì i suoi sforzi verso la sinistra sponda per allargare il proprio letto, ma tuttavia costretto a non allonta- narsi mai dal margine delle colline, tanto è prevalente la forza che lo respinge dal piede delle Alpi. È questa una forza d’ inerzia opposta da un immenso piano inclinato, che dal piede delle Cozie si protende giù fino al- r Adriatico e forma tutta la zona di suolo compresa fra la si- nistra del fiume e la base delle Alpi. Nò quel piano inclinato si arresta là dove il fiume entra in mare, che da Vicenza all’ Isonzo largamente si protende respingendo lentamente, ma continua- mente, le acque dell’ Adriatico e va sensibilmente allargandosi coir allungarsi dei delta. Perciò volando colla mente ai tempi avvenire si vede che il golfo di Trieste e la parte superiore dell’ Adriatico saranno ri- dotti in suolo come già lo fu il fondo della valle del Po, il cui vano era una volta occupato dalle acque di quel mare. Portando la nostra attenzione particolarmente su questo piano inclinato che si estende dalle Cozie alle Giulie, facilmente ci persuaderemo che vai la pena di studiarne la formazione, la storia, anziché limitarci ad un superficiale esame delle varie rocce di cui è formato. Solcato da circa 30 grossi torrenti che discendono al Po o direttamente al mare, esso racchiude quella serie di laghi che tanto abbellano le nostre prealpi, ed interse- cato in ogni senso da una quantità di canali irrigatorii che sono P orgoglio della ingegneria piemontese, lombarda e veneta, quella zona di terreno è senza dubbio la regione agricola più ricca della penisola. Ovunque, lungo questo piano inclinato, a partire da Revello ove il Po cessa di essere torrente alpino ed entra nella larga e regolare sua valle, sino ad Udine, si approfondi un pozzo, al disotto di uno strato più o meno grosso di terreno argilloso, di suolo vegetale, si incontrerà un letto di ciottoli, di ghiaia e di sabbia, la cui grossezza, la cui potenza, il cui spessore general- mente è ignoto. A Torino i pozzi d’acqua potabile hanno da 14 a 19 metri al più di profondità, e tutti, senza eccezione sono aperti in quel letto di ciottoli. Se, partendo da Torino, per Col- legno^ Pianezza, Alpignano ci avviciniamo alle Alpi, troviamo che - 22 i pozzi hanno 30, 50 fin 60 e più metri di profondità, e sono sempre scavati in quel letto di ciottoli; egli è a più di 60 metri che in molte località del Friuli convien discendere in quello strato ciottoloso per trovare acqua. Nei vani dei fontanili della Lombardia e del Piemonte, sulle pareti delle cave che qua e là si aprono onde estrarne pietrizzo, lungo le sponde dei torrenti, noi costantemente vediamo ripe- tersi lo stesso fatto, che cioè il sotto suolo di tutto quel piano inclinato è formato di un letto potentissimo di ciottoli, di ghiaia e di sabbia. Se prendiamo ad esaminare con attenzione quel banco di de- triti, vedremo che tutti gli elementi, ciottoli, ghiaia e sabbia sono sfangati, od in altri termini lavati a segno, che in più di un luogo si adopera quella sabbia per le malte. Tutti quegli elementi poi non sono disposti in strati regolari, ma in larghe lenti che si succedono, si sovrappongono disordinatamente come suc- cede nell’alveo di un torrente. Quando ci rappresentiamo questa immensa congerie di ciot- toli e di ghiaia che da Kevello all’ Isonzo si estende per parec- chie centinaia di chilometri ed ha, là dove è più stretta (tra Torino e Rivoli) 12 chilometri in larghezza e dove è più larga ne ha intorno a 30, e la cui profondità, il piu sovente ignota, è però sempre notevolissima, il pensiero corre alla forza natu- rale, al fenomeno, all’ azione che ha potuto formarla e disporla lungo tutta la base delle Alpi, Molti naturalisti e più di un ingegnere cercarono sul serio spiegazione di quel fatto o la trovarono in una immane cor- rente di acqua, la quale superando Alpi ed Apennini, avesse abbandonata sul fondo della valle padana la incommensurabile quantità di detriti che seco trascinava. E la vieta teoria dei cataclismi per cui in date epoche tutta o gran parte della su- perficie terrestre veniva sconquassata per preparare un’altra èra di tranquillità, un altro ordine di cose. Fortunatamente oggidì la parola cataclisma in geologia risponde a quella di miracolo in un altro ordine di idee e di fatti. Invece adunque di pórci a discutere quella spiegazione, faremo meglio ad occuparci dello studio particolareggiato di quella ingente quantità di detriti di cui cerchiamo 1’ origine. — 23 — Poiiiainoci in un convoglio che da Torino per Milano si di- riga a Venezia, e preso posto vicino allo sportello, volgiamo at- tentamente r occhio al rilievo del suolo che la locomotiva ci fa rapidamente percorrere. Al punto di partenza la via è ad un li- vello inferiore a quello del suolo circostante, e tuttavia essa di- scende ancora verso il letto della Dora-riparia, attraversata la quale riascende su un altipiano ; dopo breve tratto di corsa a livello, essa ridiscende in trincea verso la Stura ed il Mallone e risale poscia per correre altro breve tratto orizzontalmente. Discende quindi verso V Orco per risalire di nuovo ; si inclina verso r alveo della Baltea per risalire ancora, e così di seguito per la Sesia, pel Ticino, ed oltre per TAdda, il Mincio, l’Adige ec. Certamente queste depressioni di livello lungo le quali corrono i torrenti, sono più apparenti quando si percorre pedestramente la strada, ed a Torino, per esempio, salta all’ occhio come il li- vello del suolo rimanga ad un dipresso lo stesso tra Porta Nuova, Piazza Castello e Porta Susa, mentre rapidamente discende verso Piazza Milano verso Borgo Dora ; come altresì la strada che pel ponte Mosca attraversa la Riparia, rapidamente risalga verso P opposto altipiano cui giunge ove è P osteria del Centauro. Se la corsa che abbiam fatto in ferrovia da Torino a Milano e oltre, noi la rifacciamo con qualche altro mezzo di locomo- zione, percorrendo una linea più elevata relativamente al Po, più prossima cioè al piede delle Alpi, quella, per esempio, che per- correre dovrebbe la progettata ferrovia subalpina, allora le dif- ferenze tra il livello della pianura e quello dell’ alveo dei torrenti riescirebbe ben marcata, ed in taluni punti relativamente enorme. Generalizzando diremo che i torrenti alpini arrivano al Po sol- cando profondamente il suolo che si estende alla sinistra del fiume, correndo cioè in letti di erosione. V alveo dei torrenti discende verso il Po meno rapidamente di quel che discenda il piano inclinato, ed è perciò profondis- simo là ove il torrente sbocca dalle Alpi e va man mano dive- nendo meno profondo a misura che si avvicina al fiume. Egli è lungo le sponde di questi letti di erosione che noi potremo facilmente osservare la natura del sotto suolo e vedere che quell’alternanza di ciottoli, di ghiaia e di sabbia, della quale parlammo qui sopra, trovasi con inalterabile costanza ovini- — 24 — que, sia che esaminiamo le sponde della Stura di Cuneo, quelle del Sangone, del Ticino, del Mincio, ec. Se oi-a camminando lungo gli alvei di questi torrenti noi esa- miniamo attentamente la natura dei ciottoli di cui son formate le sponde a partire dal piede delle Alpi sino al Po, vedremo chiaramente che tutti quei ciottoli sono detriti delle rocce nelle quali è scavato il bacino idrografico del torrente stesso, od in altre parole che quei ciottoli provengono dalla valle dalla quale discende il torrente. Così a Moncalieri e Trana il suolo è formato di ciottoli della Valle del Sangone, tra Torino e Sant’ Ambrogio di ciottoli della Valle di Susa, tra Bertolla e Lanzo di ciottoli della Valle della Stura e così di seguito. Tutti questi ciottoli, tutti questi detriti che costituiscono il suolo della Valle del Po, furono adunque trascinati al basso dalle Valli Alpine per opera degli stessi tor- renti Sangone, Ptiparia, Stura ec., in un’ epoca però nella quale le loro acque erano di gran lunga più grosse e quindi più rapide. Cercando adunque pacatamente e praticamente P origine, la causa di quella straordinaria congerie di detriti che copre il fondo della valle del Po, noi non vi troviamo un cataclisma ma semplicamente una maggiore quantità d’acqua negli stessi tor- renti che oggi discendono dalle Alpi per correre all’Adriatico. Questi banchi di ciottoli, ghiaia e sabbia il cui livello su- pera di parecchi metri quello dei fiumi e dei torrenti attuali ; questi testimoni d’ un’ epoca, relativamente recente, nella quale la massa delle acque correnti era di molto maggiore dell’ at- tuale non si trovano esclusivamente nella valle padana, ma si in- contrano nelle valli del Rodano e del Reno ai piedi dell’ altro versante delle Alpi; si incontrano in quella della Garonna alla base dei Pirenei, in quelle del Mississipì, delle Amazzoni, del Nilo, del Gange, ec. E generalizzando, ovunque sulla faccia della terra vi ha una valle aperta ai piedi di estesa, elevata catena di monti, il fondo di quella valle è coperto di banchi di detriti rotolati provenienti dalla corrispondente catena ; e quei banchi, per la grossezza dei loro componenti, per P elevazione che raggiungono relativamente ai torrenti moderni indicano una abbondanza di acque correnti di molto maggiore nei tempi trascorsi. Messo in rilievo questo fatto importantissimo, vuoi dal lato — 25 — geologico, vuoi dal lato orografico, come nelle sue correlazioni colla coltivazione del suolo, emerge chiaramente che non dob- biamo stupirci se in ogni angolo della terra troviamo la tradi- zione scritta od orale di un cataclisma acqueo, di un diluvio. Giacche abbiamo scritto la parola diluvio giova che su essa ci softermiamo alquanto, onde ben precisarne il significato. Quei banchi di detriti rotolati essendo un fatto, un fenomeno geolo- gico che incontriamo ovunque sulla siqxirficie della terra costi- tuiscono un terreno corrispondente ad un’ epoca. Con qual nome indicheremo sia 1’ uno che 1’ altra ? Molti geologi danno al ter- reno 1’ appellativo di alluvione antica; sempre quando mi occorse di parlarne, lo chiamai col nome di diluvium e chiamai la cor- rispondente epoca col nome di diluviale. Ed infatti il vocabolo alluvione o alluvinm esprime quell’ in- sensibile formarsi ed accrescersi di nuovi banchi di sabbia, di ghiaia e di ciottoli che si fa lungo le sponde dei torrenti c dei fiumi nelle piene. Ora se i moderni fiumi non hanno che una quantità relativamente piccola di acqua a paragone di quella che avevano all’ epoca in cui formarono quegli estesissimi banchi di ciottoli, egli è necessario che per dare un’ idea della origine di quegli antichi depositi ci serviamo di un vocabolo atto a richia- marci alla mente un maggior volume, una maggiore rapidità, una maggior forza dinamica nelle acque correnti che li forma- rono. Ci pare che la parola diluvium ciò esprima meglio che non quella di alluvium; in altre parole il terreno diluviale è un de- posito eminentemente torrenziale anziché alluviale. Ben inteso che alla parola diluvium non vuol andare annessa l’idea di una subitanea e violenta rivoluzione, di un cataclisma, ma bensì quella di correnti d’acqua, le quali quantunque fossero largamente com- prese nei limiti delle valli attualmente esistenti, erano tuttavia più grosse di quelle dei torrenti e dei fiumi d’ oggidì. Se in una bella giornata, noi ci l'echiamo a Superga, e por- tato lo sguardo verso lo sbocco della valle di Susa, esaminiamo attentamente il suolo sino a Torino, ci accorgeremo facilmente che quel suolo, anziché porzione di un perfetto piano inclinato, é a superficie conica ; lo stesso ci accadrà se dalle alture di Yerrua 0 di Lavriano noi gettiamo lo sguardo verso lo sbocco della valle di xVosta 0 meglio verso Caluso e Mazzé. Il suolo adunque che — 26 — si estende a destra ed a sinistra della Riparia a valle di Alpi- gnano, quello che per largo tratto fiancheggia la Baltea a valle di Mazzè rassomiglia per la disposizione della sua superficie ad una porzione di cono. Questi che s’ in d’ ora chiameremo coni antichi di deiezione^ hanno la base talmente estesa relativamente all’altezza loro, che r occhio non li distingue se non da un punto di vista posto a con- siderevole distanza ed altezza e sotto luce favorevole. Si può tuttavia indovinare la disposizione del suolo in superficie conica studiandola sopra carte topografiche a grande scala. Se ora ci poniamo davanti il foglio di Lanzo della Carta dello Stato Maggiore Sardo, vi troveremo raffigurato il più bel cono di deiezione che si possa topograficamente disegnare. Esso ha il suo vertice a Lanzo, discende a destra verso Mo- nasterolo, Fiano, La Cassa e Pralongo, quindi gira verso la Mandria e Venaria Reale, ove è tagliato dalla Stura. Una gran parte della sua base è già stata erosa, distrutta dal torrente e la erosione produsse quella vasta e piatta pianura su cui sorgono Caselle, Leynì, ec. A Lombardore rivedesi la base del cono che il Malone, da Barbanìa in giù profondamente corrode ; il peri- metro della base del cono si estende ancora da Barbanìa, a Ba- langero, a Lanzo. La sua massa è enorme e notevole la pendenza; tutti i rigagnoli che le acque piovane scavarono sulla sua super- ficie divergono dalla Stura invece di accorrervi, e sul disegno topografico fanno 1’ effetto delle aste di un ventaglio aperto. La Ceronda escendo dal suo vallone con direzione che andrebbe a raggiungere la Stura quasi ad angolo retto, è respinta dalla massa del cono e, costretta a piegarsi ad angolo acuto, rasenta il piede delle Alpi sino all’ incontro del Casternone, col quale percorre il basso fondo esistente fra il cono suddetto e quello della Riparia. La Stura si è scavato un ampio e profondo letto nel proprio cono; da prima essa correva verso la sua sinistra tra Balangero, Grosso e San Francesco al Campo e vi lasciò quella lunga regolare terrazza die si sale quando da San Mau- rizio si va al campo d’istruzione militare. Ora attacca pertina- cemente la sua destra sponda dopo di aver abbandonata la estesa regolare pianura di erosione su cui si trovano Mathi, Noie, Ciriè, San Maurizio, ec. — 27 — Consimili coni vedonsi allo sbocco delle valli dell’ Orco, del San- gone, del Cliisone, ec. ; 1’ acuto ed elevato cuneo su cui sorge la città che ne prende il nome, è formato dalla riunione dei due antichi coni di deiezione del Gesso e della Stura, profondamente erosi dai due torrenti al punto di loro confluenza. Generalizzando, allo sbocco di ogni valle alpina nella pia- nura del Po, vi è un antico cono di deiezione formato di detriti rotolati provenienti dalla valle ; questi coni si toccano lateral- mente r un r altro ; le loro basi si confondono mutuamente, e r assieme di essi costituisce il suolo della regione che si estende sulla sinistra del fiume e dalla spiaggia dell’ Adriatico sino al piede delle Alpi. I coni moderni, quelli che incontriamo allo sbocco delle valli di terz’ ordine si van formando coi detriti portati dal torrente quando ingrossa; quando poi è in magra, le sue acque solcano il cono, correndo in un letto di erosione, il quale è necessaria- mente tanto più profondo quanto più alto è il cono. Applicando gli stessi dati ai coni antichi che si trovano allo sbocco delle valli di second’ ordine nella gran pianura padana, riesce evidente che essi furono costrutti quando quei torrenti erano in piena e che oggidì sono profondamente solcati da acque, le quali anche nelle maggiori piene attuali trovansi sempre in magra compa- rativamente a quelle degli antichi torrenti. La formazione degli attuali coni di deiezione allo sbocco delle valli di terzo in quelle di secoud’ordine ha per causa principale la strettezza del canale di sbocco ; all’ epoca in cui si formarono gli antichi coni, il canale di sbocco delle valli di second’ ordine come quelle della Riparia, della Baltea, della Stura di Lanzo, della Stura di Cuneo, ec. ; iu quella di prim’ ordine, ossia del Po, era troppo angusto per la quantità di acqua che ne esciva, onde la formazione dei coni di deiezione. Ed ecco che progredendo nello studio del terreno che ab- biamo intrapreso a descrivere, noi arriviamo sempre a questa epoca di una molto maggiore quantità di acqua corrente negli alvei dei torrenti attuali. Non tutti gli antichi coni di deiezione sono intieri, perfetti come quelli della Stura di Lanzo, della Stura di Cuneo, del Gesso, ec., i quali hanno il loro vertice allo sbocco della cor- - 28 - rispondente valle ; quelli delle valli della Riparia, della Baltea, del Ticino, dell’ Adige, ec., non sono più intieri, compiuti, non hanno più il loro vertice allo sbocco della valle, sono anzi moz- zati, ed invece del vertice presentano un basso fondo in tutto od in parte occupato da laghi più o meno estesi. Di questi an- tichi coni non esiste adunque più che la parte inferiore, la base, coronata però dagli anfiteatri morenici. Nella gran valle del Po, quella della Riparia è la prima che abbia al suo sbocco un anfiteatro morenico. Esso si divide in due bacini, uno dei quali si apre tra Sant’ Ambrogio ed Avi- gliana e risalendo sin presso Trana contiene i due laghi di Avi- gliana e di Trana, oltre a due torbiere che una volta erano altresì laghi, giacche non solo occupano ben distinti e limitati bacini, ma sul fondo di questi, al disotto delio strato di torba si incontra un letto di fino bianchissimo calcare tutto gremito di conchigliette lacustri. L’ altro bacino, più largo e più lungo si estende fra Sant’ Ambrogio e Casellette. Aneli’ esso era un tempo lago, le cui acque, col successivo scavarsi del letto di erosione del torrente si abbassarono, ed il fondo andò man mano colmandosi per l’incessante arrivo delle alluvioni della Riparia. I due bacini sono circondati da una serie di regolari colline •la quale si raddoppia, si ripiega in due, tre, quattro serie in modo da presentare una successione di ondulazioni. Questa serie di colline o di antiche morene ha il suo punto di partenza alla Abadia di San Michele, discende dal convento di San Francesco verso il Sangone dal quale separa i due laghi, si piega quindi in arco verso Trana e risale ad Avigliana, formando in tal modo il primo bacino. Da Avigliana per Reano, Rosta, Buttigliera, Villarbasse pro- cede verso Rivoli e si ripiega quindi verso Pianezza ed Alpi- gnano, risale a Casellette, si estende lungo la base del Musine a Rivera ed Almese sino all’ incontro della Riparia in faccia al- r Abadia di San Michele e chiude il perimetro del secondo bacino. Sui ridossi delle colline che cingono questo anfiteatro e sul mar- gine di esse si incontrano a centinaia, a migliaia, i massi erratici di straordinaria mole. Quello che giace nel mezzo dell’ abitato di Pianezza ha 25 metri di lunghezza e 14 negli altri sensi ; nè hanno minori dimensioni tanti altri sparsi in giro ai laghi — 29 — e nei dintorni di Alpignano, Casellette, Rivoli, Reano, Rosta, Traila ec. Ben più vasto e corrispondente all’ ampiezza ed importanza orografica della valle è T anfiteatro morenico della Baltea; esso è altresì meno complicato nel suo rilievo, onde, da un punto elevato ben scelto, tutto si può comprendere con un sol colpo d’ occhio. xVnclie esso si divide in due bacini non però intiera- mente separati ; le colline che lo circondano sono disposte in due archi che hà ove si incontrano spingono verso l’ imboccatura della valle il lungo promontorio sul quale si eleva il castello di Masino ; all’ altra estremità i due archi vanno ad unirsi a due colline le quali partendo dallo sbocco della Baltea a destra ed a sinistra del torrente corrono, divergendo, in linea retta ; sono queste le estremità delle morene laterali ; quelle disposte in arco la morena frontale. Ammirabile per la regolarità della sua forma è la Serra o morena laterale sinistra, collina che staccandosi dalle Alpi ad Andrate a GOO e più metri sopra il livello della Baltea si protende per 28 chilometri nella valle del Po inclinandosi man mano si avanza nella pianura. Anche in questo anfiteatro abbiamo due laghi che occupano il vano dei due archi ; una volta l’ in- tiero bacino dell’ anfiteatro era occupato da un lago. Non meno popolati di massi giganteschi sono le colline che cingono questo anfiteatro. Verso Saluzzola e Cavaglià se ne incon- trano taluni di protogino che misurano parecchie centinaia di metri cubici ; essi provengono dal Monte Bianco ed lianno percorso sul dorso del ghiacciaio circa 100 chilometri, impiegando in quel loro viaggio non pochi secoli. In questo anfiteatro e particolarmente nelle vallette che si aprono in mezzo alle colline moreniche che lo circondano vi sono parecchie torbiere che una volta erano laghi ; ed ivi il fatto è tanto più certo in quanto che sotto a due o tre metri di torba, sul fondo del bacino si scoprirono in questi ultimi anni varie rozze piroghe scavate in grossi tronchi di albero, entro alle quali stavano le pale per vogare. Alcune di queste piroghe, utensili ed armi di pietra o di bronzo delle antiche razze che abitarono quelle regioni si vedono nel nostro Museo Civico mercè le cure e la generosità dei signori dottor Gatta e geometra Barbano. Non è qui il caso di descrivere, anche brevemente, gli altri — 30 — anfiteatri morenici, presentando tutti la ripetizione delle cose già osservate ; ci limiteremo a citarli. Dopo quello della Baltea troviamo T anfiteatro morenico della valle del Ticino nella quale si aprono le valli del Toce e del- r Anza ; il fondo di questo anfiteatro è intieramente occupato da un lago, il Verbano, ed entro il perimetro dell’ anfiteatro sono altresì compresi il lago d’ Orta, il Ceresio o lago di Lugano, quelli di Varese, di Comabbio, di Menale e di Biandrone. Notisi che quando entro la cerchia di uno stesso anfiteatro vi sono due o più laghi, tutti i secondari versano le loro acque nel lago principale o nel torrente che attraversa T anfiteatro ; il più sovente gli emissari di quelli paiono dover camminare a ri- troso. Così r emissario dei laghi di Trana e di Avigliana si versa nella Eiparia ; le acque dei laghi di Candia e di Piverone si scaricano nella Baltea; quelle dei laghi di Orta, di Lugano, di Varese, di Comabbio, di Moliate e di Biandrone nel Lago Mag- giore ; quelle del lago di Annone nel lago di Como. Viene quindi T anfiteatro morenico della valle dell’ Adda il quale racchiude il lago di Como e quello di Annone ; forse un tempo comprendeva altresì quelli di Pusiano e di Alserio. Allo sbocco della valle dell’ Oglio vi ha altresì un anfiteatro morenico clic serve di bacino al lago d’Iseo. Nell’ anfiteatro morenico della valle dell’ Adige sta racchiuso il più gran lago italiano, quello di Garda. E finalmente l’ anfiteatro morenico della valle del Tagliamento racchiude un lago che per la sua piccolezza fa simmetria a quelli di Trana e di Avigliana coi quali comincia la serie dei nostri laghi subalpini e degli anfiteatri morenici. Come ben si vede, fra le valli alpine che si aprono nella pianura del Po o direttamente nell’ Adriatico ve ne sono molte che hanno al loro sbocco un cono di deiezione, ve ne sono alcune che hanno per contro un anfiteatro morenico racchiudente uno 0 più laghi. E qui giova ricordare che anche là ove si trova un anfiteatro morenico, esso corona 1’ antico cono di deiezione ora mozzato e ridotto alla semplice base. La presenza di questi anfiteatri e dei laghi che sempre li accompagnano mentre singolarimuite abbella le nostre prealpi ha, per altra parte, una influenza grandissima sul regime delle acque -si- che giù dalle Alpi decorrono e quindi sulla nostra industria in generale e particolarmente sulla agricola. Non saiA quindi fuori proposito di’ io qui esponga 1’ elenco delle principali nostre valli alpine notando ciò che si trova al loro shocco, se un cono di deiezione od un anfiteatro morenico. Tanaro Cono di deiezione Ellero Pesio Gesso Stura di Cuneo. Grana Maira Varaita Po Pellice elusone Sangone id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. Dora Riparia — Anfiteatro morenico — Laghi di Trana e di Avigliana. Stura di Lanzo — Cono di deiezione. Orco — Vi sono allo sbocco di questa valle traode di mo- rena frontale; essa tiene perciò il mezzo tra le valli munite di anfiteatro morenico e quelle che hanno un cono di deiezione. Dora Baltea — Anfiteatro morenico — Laghi di Candia e di Piverone. Elvo Cono di deiezione. Cervo id. Sesia id. Ticino — Anfiteatro morenico — Laghi Maggiore, d’ Orta, di Lugano, di Varese, di Comahbio, di Menate e di Biandrone. Adda — Anfiteatro morenico — Laghi di Como e di Annone. Bremho Cono di deiezione. Serio id. Oglio — Anfiteatro morenico — Lago d’ Iseo. Adige — Anfiteatro morenico — Lago di Garda. Brenta Cono di deiezione. Piave id. Tacfliamento — Anfiteatro morenico Laghetto. — 32 — Molte di queste valli non discendono dalla linea più elevata delle Alpi per la quale passa la frontiera, tuttavia l’ elenco inette in rilievo l’ importanza orografica delle Cozie, delle Graie, delle Pennine, delle Leponzie, ec. a fronte delle Marittime. Comprendemmo in questo elenco 28 valli alpine, venti delle quali non offrono al loro sbocco che un cono di deiezione e sette sole hanno un anfiteatro morenico; per compiere il numero rimane quella dell’ Orco, la quale occupa un posto intermedio fra le prime e le seconde. Enumerando le prime, quelle che hanno semplicemente un cono di deiezione, abbiamo passato in rassegna le valli che per lunghezza, per estensione e per orografiche condizioni sono di minor importanza ; enumerando le altre, quelle cioè che hanno anfiteatri morenici e laghi, abbiamo indicato le valli più lunghe, più estese, più ricche di tributarii, le più importanti, per oro- grafiche condizioni, del nostro versante. Se delle ventisette nostre valli alpine (lasciando a parte quella dell’ Orco), venti hanno al loro sbocco un cono di deiezione senza traccia di lago e solo sette hanno anfiteatri morenici con uno o più laghi, non si può ragionevolmente negare che v’ha un’in- tima relazione fra questi e quelli. Egli è troppo evidente dia r esservi uno o più laghi solo allo sbocco di quelle sette valli che hanno anfiteatro morenico e sono in pari tempo le più lun- ghe, le più estese, le più ricche di tributarii, le più importanti per orografiche condizioni, ciò non può attribuirsi ad un fatto accidentale che spiegar si possa con supposti spostamenti od altri incidenti stratigrafici, i quali avrebbero dovuto riprodursi allo sbocco di una almeno delle altre venti valli meno lunghe, meno estese, meno importanti dal lato orografico. Non potendosi in modo alcuno negare questa intima rela- zione fra gli anfiteatri morenici ed i laghi, ne viene che essa deve altresì esistere tra i laghi e gli antichi ghiacciai ai quali è esclusivamente dovuta la costruzione degli anfiteatri morenici. Noi diremo adunque che i hacini dei laghi delle nostre prealpi sono vaili prodotti e lasciati dalla scarpa terminale degli anti- chi ghiacciai. (Continua.) — 33 — III. Intorno ai terreni terziarii del Vicentino. (Estratto da una Memoria del signor F. Bayan, inserita nel Bull, de la Soc. géol. de France, 2"'® serie, tome XXYII.) In questa parte della Italia Settentrionale così importante per lo studio della geologia, le molteplici eruzioni vulcaniche che ebbero luogo sul principio dell’ èra terziaria, hanno prodotto nella natura dei sedimenti tali modificazioni che servono be- nissimo a stabilirne la serie cronologica. Inoltre la gran quan- tità di resti organici che in essi depositi trovansi accumulati, interessa immensamente il paleontologo per la miscela di tipi speciali colle specie del bacino anglo-parigino. Bisogna però confessare che questi basalti sono talvolta di ostacolo per stabilire delle concordanze rigorose. Quasi dovunque gli strati fossiliferi sono assai più sottili dei non fossiliferi ; e quivi accade di sovente che a un deposito fossilifero corrisponda, anche a piccola distanza, uno strato di basalto o di brecciola senza fossili. I terreni più antichi dei terziarii, a partire dai triassici, si depositarono nel Veneto con regolare successione ‘ infino alla sca- glia, che quivi rappresenta il cretaceo superiore. Su questa si de- positarono i terreni terziarii in generale concordanti fra di loro, perchè le discordanze che appaiono in qualche luogo sembrano dipendere piuttosto da accidentalità locali. Questi terreni si tro- vano ad altezze molto diverse, e il loro andamento, prendendo per termine di confronto la scaglia su cui si adagiano costante- mente, sarebbe quello di una superficie curva a due inflessioni, che da Mossane (Colli Borici) s’ incurva verso nord formando la depressione tra Vicenza, Thiene e Schio, poi rimonta verso i Sette Comuni dove forma una nuova depressione parallela alla catena alpina, e infine si rialza ancora per arrivare alla frattura che co- stituisce la Valsugana. Il limite tra la creta e il terreno terziario ‘ Calcari bianchi dolomitici (Lios); calcari marnosi od oolitici a varii colori, calcari giallastri, calcare rosso ammonitico e calcare bianco compatto (Oolite.) 3 — 34 — è facile a riconoscersi, perchè negli strati della prima non tro- vansi mai intercalati i basalti, che cominciano immediatamente al di sopra della scaglia. L’ autore distingue nei depositi terziarii del Vicentino undici piani diversi, dei quali, partendo dal basso, ne attribuisce sei al- r eocene (A...F), due alP oligocene (G,H) e tre al miocene (I... K). Esso li descrive tutti partitamcnte, e noi ci limiteremo a darne i seguenti cenni: Piano A. — La località più favorevole per studiare i più an- tichi depositi terziarii del Veneto si trova nei dintorni del Polca (Veronese). Quivi al disopra della scaglia (creta superiore) seguono, per la prima volta, delle rocce vulcaniche, poi, per qualche metro di spessore, un banco di calcare fossilifero, massimamente alla base ; esso contiene avanzi {{'‘Oxigrliina di Bourgueticrinus e di Echini, e, nella sua parte superiore, molte Terebratule. Gli stessi depositi, — cui Suess denominò : V orissonte di Spi- lecco, — si trovano cogli stessi fossili sul fondo dello stretto vallone che separa il Monte Postale dal Monte Polca, al Zovo dei Crocchi sul Monte Magre, al Zovo di Castelvecchio sopra Valdagno e in molti altri punti del Veronese. A Castelvecchio i calcari non sono più regolarmente stratificati, ma trovansi allo stato di rognoni angolosi disseminati irregolarmente in mezzo a delle brecciuole ricche di noduli di calcare spatico. E pure a questo piano che deesi riferire il deposito senza fossili e color rosso oscuro, cui vedesi a Chiampo un poco al di sopra della scaglia., e un piccolo strato che occupa la posi- zione medesima alla Gichelina presso Malo. Finalmente, il barone De Zigno colloca su questo orizzonte anche quelli strati i quali si possono veder, per esempio, a Mos- sano nei Colli Perici, e che sono caratterizzati da un Pcìdacri- nus cui De Zigno riferisce al P. didaetylus, d’Orbigny. Si com- pongono essi di marne che riposano sulla scaglia, e sono con essa concordanti; negli strati più elevati esse contengono molti frammenti di Teredo. Seguono a questi altri strati più fossiliferi e spettanti a piani posteriori. La stessa serie di strati trovasi anche all’ Albettone, colle isolato tra i Monti Perici e gli Euganei. — 35 — Tale ò la composizione offerta nel Vicentino dagli strati tcrziarii più antichi. Questi strati furono ascritti dal Michelotti al Miocene infe- riore e dallo ScHAUROTii alla creta, ma entrambe queste propo- sizioni vanno combattute; la prima perchè questi depositi hanno una posizione che è decisamente quella della base dei terreni terziarii, la seconda per la separazione che tra la creta e i ter- reni terziarii è dalle eruzioni basaltiche stabilita. Piano V>. — Per la determinazione dei due piani che seguono al inano A, serve ottimamente lo spaccato tra Chiampo e Ronca. Ascendendo da Chiampo verso il colle detto la Croce-Grande per la catena che separa la valle di Chiampo da quella del- P Alpone, si trova la seguente serie dal basso in alto ; G° Pirecciuole giallastre con Ncrifa Schmiedeli e altri fossili, traversate da due o tre dicche verticali di basaltc. 50™ 7" Calcari a Conoclypeus conoideus che vedonsi coronare le brecciuole sulle colline che a destra e a sinistra sovrastano al poggio. Questi calcari si trovano al villaggio di Pozza sovrap- posti alla brecciuola tenera, quasi marna, contenente dei fram- menti rotolati del calcare a JRanina, Nenia Schnicdeli e altri fossili della Croce-Grande. Se da Pozza si va a Brentone lasciando a destra San Gio- vanni Ilarione, si arriva alla vai di Ciuppio dove i fianchi del torrente, ingombrati da basalto e da frammenti del calcare a Conoclypeus, mostrano dal basso all’ alto il seguente taglio : 1° Calcari con nummuliti e con nuclei delle specie della Croce-Grande. 2° Brecciuole verdi a cemento calcareo spatico abbondante, contenenti la Ncrita Schmiedeli. 3° Calcari a Conoclypeus. Dalla Val di Ciuppo a Ronca non si trova che del basalto . e della brecciuola senza fossili, superiori a tutto il sistema di cui si parla. Arrivati a un quarto d’ ora da RonCcà, nel torrente 1” Scaglia. 2° Basaltc c brecciuole senza fossili .... 3° Strati senza fossili riferibili al piano A 4“ Nuovamente brecciuole senza fossili. 5" Calcare con Ranina e Terehratula . . . G 36 che passa sotto la chiesa del villaggio si trova il famoso gia- cimento di fossili su cui conviene arrestarsi un momento. La stratificazione vi è patente; per meglio però comprenderla si prenda per punto di partenza quel banco di calcare rosso fos- silifero che può osservarsi dovunque nella valle di Ptoncà, spe- cialmente presso laCasa Vilardi e al punto detto Soglio di Zambon. La serie che può darsi di questi depositi, è, dal basso in alto, la seguente ; r Alla base, delle argille vulcaniche screziate, senza fossili. 2“ Un metro circa di brecciuola con fossili a gusci decom- posti. {Mytilus corrugatus, Melanopsis auriciilata, Cerithium pen- tagonatum, ec.) 3° Una colata di basalto dello spessore di 10 metri. 4° Un metro delle predette brecciuole. Esse costituiscono il deposito rinomato dei fossili di Ronca. 5°I calcari già indicati, caratterizzati da.\\diNerita Schmiedeli. 6° Strati ora bituminosi, con denti di squali e altri os- sami tra cui un omero d’ uccello, e ora calcarei con impronte di foglie di palma, ec. 7" Strati calcareo-marnosi con piccoli denti di pesci e nuclei di gasteropodi, coperti da basalti e brecciuole senza fossili. Dei depositi descritti sarebbero da assegnarsi al piano B quelli che trovansi al di sotto degli strati a Nerita Schniiedeli, cioè i calcari a Banina e le brecciole di Ronca. Si potrebbe collocare nel Piano ma con qualche dubbio, anche un complesso di strati assai sviluppati nel Vicentino, massime nei monti Dolca e Postale, e di cui P autore non potè determinare con sicurezza le relazioni. Eccone il taglio (dal basso all’alto) quale può vedersi nelle due località nominate: r Scaglia; 2“ Brecciuole racchiudenti uno strato calcareo con Bhyn- chonélla (Piano A)\ 3® Calcare; 4° Depositi di piante e pesci con banchi intercalati di nul- lipore e Alveolina suhpyrenaica; 5° Calcare ad A. suhpyrenaica e longa; G° Calcare con Cerithium gompJioccras^ Alveolina longa, ec. ; T Calcare formante il vertice del monte. 37 — Li strati a pesci del Monte Bolca; li strati a piante della Bucca dei Rosati, presso Novale, posti nel mezzo delle brecciiiole, abbondanti di ferro titanato e contenenti eziandio qualche zir- cone; le ligniti dei Pulì, presso Valdagno; e una parte dei calcari nummulitiferi del Monte Magré, si collegano a questo orizzonte. Piano C. — L’ autore colloca in questo piano tutti gli strati compresi tra quelli a Nerita Schniiedeli e P eruzione basaltica di Ronca e della Purga di Bolca. Essi si ponilo vedere a San Giovanni Barione, alla Giclie- lina, presso Malo, a Mossano e a Piederiva, presso Grancona (ne’ colli Belici), presso Zovenzedo, ove furono trovati nello sca- vare un pozzo, e forse a Gallio, nei Sette Comuni, ove trovansi la Nerita Schniiedeli e dei grandi Cerithium. Va pure riferito a questo orizzonte lo strato di lignite impura che si cava presso la Purga di Bolca ove trovasi il magnifico Crocodilus Vice- tinus Lioy, cui ammirasi nel Museo civico di Vicenza. Piano D. — In molti luoghi dei Colli Borici, nominatamente a Mossano, Grancona, Lonigo, ec., trovansi, sopra il Piano 6\ degli strati più o meno potenti di calcare, con fossili per lo più allo stato di nuclei. A Priabona, questo orizzonte contiene alla sua base un letto di brecciuola, e là, come pure a Mossano, Lo- nigo e dintorni di Ronca, verso Montecchia, vi si trovano delle ossa riferibili al genere llalitherium. Finalmente sembra vada pure ascritta a questo orizzonte una parte degli strati della valle della Laverda, particolarmente la lumachella compatta, composta esclusivamente da avanzi di una specie di Perna. Piano E. — La roccia a Serpida spirulcea, che P autore desi- gna col nome di Piano E, è forse, tra tutti i terreni osservati, quello che nel Vicentino occupa maggiore estensione. Sviluppa- tissimo a Priabona, a Granella, forma, pressoché da solo, i fian- chi dei Colli Borici specialmente a Mossano, Grancona, Lonigo (Val di Scaranto), Brendola (Bucca di Sciesa, San Vito), Alta- villa, ec., e si prolunga fino ai dintorni di Verona, ove è più compatto che non lo sia nel Vicentino. Questo piano si può osservare a Sant’ Orso, presso Schio, nella Val del Molino di Calvene, a San Bovo presso Bussano, sulla sponda destra del Brenta, a Costalunga, nella Valle Orga- gna, e al punto detto Via de’ Orti presso Cavaso. — 38 - A Priabona questo piano consta di marne calcaree grigiastre contenenti, sopratutto alla loro base, delle Orhitulites, e all’alto delle Operculina, dovunque poi Serpida spinilcea a profusione; quest’ultimo è il fossile caratteristico della zona. Alla Costalunga invece è un calcare glaucoiiioso solido, con fossili bellissimi. Le glauconie del Bellunese si rannodano probabilmente agli strati di Costalunga. Nella Valle Orgagna e alla Via de’ Orti, il piano è formato da marne azzurre con molti fossili. A San Bovo ed a Calvene il Piano E riposa direttamente sulla creta. Bisogna pure ascrivere a questo piano gii strati terziari dei Colli Euganei che osservansi a Rovolone e a Teoio, nella quale ultima località essi sono ricoperti da basalti. Piano P. — Esso è composto da marne con molti polipai, briozoarii, ostriche e terebratuline, ricoprenti la zona a Serpula spiridcea. Questo Piano è visibile alla Bocca di Sciesa presso Brendola, sotto il castello di Brendola, a Priabona, alla Galantiga di Mon- teccliio Maggiore, a Gambugliano, nella Val di Ponto, e special- mente fra Crosara e Laverda dove trovasi un banco molto interessante di polipi. In tutte queste giaciture si trova assai comune una Te- rehraftdina ; a Brendola e nella Val di Ponte si può raccogliere la Gvìjplicea columha, Brong. Piano G. — Le marne a briozoarii sono coperte, presso Bren- dola e in altri punti dei Colli Borici, da depositi calcarei a nul- lipore con qualche echino. Tali depositi trovansi dovunque sulle montagne al di sopra di Priabona. Eccone un taglio quale lo si ritrova partendo da San Da- niele, presso Sovizzo e andando verso Montecchio Maggiore pas- sando pel Monte Sgreve di Sant’ Urbano: 1“ Calcare a nullipore, cavato come pietra da costru- zione (12“ a 15"‘). 2“ Calcare a Cijphosoma crihrum (2“ a 3"‘). 3“ Pietra tenera conosciuta sotto il nome di pietra dolce 0 pietra di sega (G‘“ a 8“'). 39 — 4° Brecciuole fosilifere a Trochus Lucasi^ ec., talvolta con niariie variegate senza fossili (spessore variabile). 5“ Banco di calcare a nullipore. G“ Calcare a scutclle. 7“ Calcare a nullipore molto grosse. 8° Alternanza di marne c di calcari a Fecten^ con un banco intercalato di briozoarii. L’autore colloca nel G ì numeri 1 — 3 di questa serie, cioè tutto quanto si trova tra il piano F e gli strati a Trochus Lucasi. Questo piano è bene sviluppato sui fianchi della Val di Ezza, ove trovasi i due noti depositi del Monte Bivane e del Monte Cariote. Gli strati del num. 2 si trovano al Monte delle Cariole nella Val di Lente, come pure sulla prima delle colline del Monte Calda fra i colli Borici e gli Euganei. Nella valle di Laverda, al di sotto degli strati a polipi di Crosara, si incontra una potente serie di marne, di arenarie, e di calcari, e un po’ più sopra un livello contenente abbondanza di Fholadomya. Questo sistema che, come rimarcò anche Suess, contiene in- tercalati dei banchi di vero Fìysch, è coperto da una eruzione basaltica al di sopra della quale appariscono delle brecciuole azzurrognole. Queste ultime sono talvolta fossilifere come a Sal- beghi e Guata, presso Salcedo, e San Gonini presso Lugo. È tra i basalti e le brecciuole che 1’ autore rimarcò il giaci- mento di piante di Chiavone, cioè uno strato calcareo, duro, gra- nulare con fossili di palma, racchiuso tra due depositi di calcare a grana fine, a frattura concoidale, con foglie variate, con cro- stacei, ec. Le ligniti di Salcedo giacenti entro marne con fossili e piante, spettano parimente a questo sistema. Piano IL — Questo sistema è caratterizzato dal Trochus Lu- casi, Brong., e dalla Natica crassatma, Lk, sp.. Castel-Gomberto è il luogo migliore per studiarlo. Egli riposa dovunque sulla pietra di sega, e consta di brecciuole giallastre, tenere, piene di fossili, e particolarmente di polipai. I basalti del Monte Castel- lare di Castel-Gomberto terminano il sistema. — 40 ~ A Oastel-Gomberto, al Monte delle Cariole, nei dintorni di Montecchio Maggiore, al Monte Buso di Monte Galda, il piano II non è formato che di brecciuole : ma nei dintorni del Monte Viale esso contiene delle ligniti che si estraggono. Ecco la serie che si può osservare rimontando dalla cava di lignite al villaggio : 1° Pietra di sega. 2° Brecciuole fossilifere assai potenti. 3" Marne a Cerithmm; B“. 4° Lignite di 1“ di spessore, divisa in due strati dalle marne. 5° Calcari del piano superiore. Poco lungi di là, nel canale dei Perazzi, le brecciuole non hanno che 1‘" di potenza, mentre le marne ne misurano 6 almeno e contengono ciottoli calcarei. B 2>icino li è ancora bene sviluppato nei Colli Perici dove, presso Zovenzedo, contiene ossa numerose di Anthracotheriim magnimi. Si trova questo piano anche a Chiuppano nelle Bragonze ove abbonda la Natica crassatina e le ligniti con impronte di pesci e di piante. Di più a San Gonini, appena al di sopra delle brecciuole a Ebarne Caronis, si incontrano delle brecciuole gialle a TrocJius Lucasi. È con questo piano II che nel Vicentino spariscono le am- moniti. Piano I. — Esso consta di calcari a nullipore, di strati a scutelle, e di strati a Pecten e a briozoarii. Poco sparso nei Colli Borici, questo piano forma un cordone continuo all’ orlo del piano alluvionale che si stende da Vicenza a Schio; lo si può osservare a Creazzo, Castel Nuovo, Santa Li- bera di Malo, Schio. Nell’ interno del paese , le molasse a scutella trovansi ancora nel Monte Covolo, presso Santa Trinità, nel Monte Sgrevc, a Sant’ Urbano, a Sovizzo, e a Marostica. Questo sistema non olire che qualche nucleo d’univalve, di Pecten e di echini. Piano J. — Consta di marne azzurre assai solide, rilevate verso le Alpi e contenenti abbondanza di fossili a Fora Bosco, presso 41 — Asolo, 0 a Romano. Questi depositi miocenici non trovansi in nessun altro luogo del Vicentino. Piano K. — A quest’ ultimo piano apparterrebbero le sabbie di Asolo che ricoprono il 'piano J e che contengono il banco di lignite già segnalato da altri; da ultimo anche i conglomerati d’ acqua dolce di Maser. Riassumendo e concludendo si vede che la serie degli strati terziarii nel Vicentino è continua. Studiando la deposizione dei terreni in questo paese si riconosce eh’ egli subì un innalzamento graduale durante il periodo terziario, li strati del piano G non trovandosi più a N.O. di Castel-Gomberto mentre eh’ essi predo- minano all’ Est della Val d’ Agno, e li strati del piano I esistendo lungo tutta la depressione da Vicenza a Schio. Di più nel Bassanese non è che nella piccola catena prealpina d’ Asolo che compariscono i terreni più moderni. Altrove tutti (ILiesti depositi sono stati sollevati, e parteciparono al movimento che pare dasse alle Alpi il loro attuale rilievo. Quanto a limite tra il terreno eocenico e l’ oligocene, 1’ au- tore lo porrebbe tra il piano F e il pia>io G, e per esso gli strati di FUjsch di Laverda e i calcari a nullipore inferiori del Monte Rivolle sarebbero i primi depositi oligocenici ; come pure colloca nel miocene gli strati a scutelle di Schio. Il seguente quadro riassume il risultato di questa nota: {Segue la Tavola 8Ì7ioitica.) - 42 Tavola Sinottica dei depositi teeziarii del Vicentino. Terreni. l'iaiii dcliniti in i|Ues(a noia. Composizione dei piani. Depositi di pianto, pesci, oc. ligniti. Eruzioni liasalt ielle. K Conglomerato di acqua dol- ce di IMascr. Sabbie d’ Asolo Ligniti di Asolo. Miocene J Marne azzurre d’ Asolo, Romano, oc. 1 Calcari a nullipore, mo- lassa a Pecten e a scu- telle di Schio, Malo, Al- tavilla, ec. li Strati a Macropneusles di Monte Spiado Brecciuole di Castel-Gom- berto, ec Monte ATale , Zo- venzedo, Chiuppano. Basalti di Monte Ca- stcllaro, ec. Oligocene G Calcari a Cypftosoma di Sovizzo e (ìi Val di Ezza. Brecciuole di Sangonnini, Salcedo. Marne di Laverdacon depo- siti intercalati di Flyscli. Giacimen- ti di Cliia- rone. Ligniti di Salcedo. Basalti di Laverdaedi Bragonze. F Marne a Briozoarii di Bren- dola, ec. Strati a polipai di Gambii- gliano e di Crosara . . . E Marne a Scrpiila spiruln-’a; Prialiona, Colli Borici, ec. Monti Euganei. Calcare glancouioso di Ca- stelcies. Marne azzurre della valle Organa. Roccia ba- saltica dei Monti Euga- nei. D Calcari a Lecìopedina di Lonigo. Strati a HalUkevimn di Priabona, Mossano, ec. Eocene . 0 Calcari e brecciuole a Ne- lila Schmiedeh ; Ronca, San Giovanni Ilarionc. Calcare glauconioso di Gal- lio. Lignite del Bolca. Strati a piante e os- sa di Boncà. Basalti della Purga di Bolca e di Ronca. B Brecciolc aRostellariaFor- li^ di Itoncà. Calcare a lìaniiia. Sistema ad Alvcoline del Bolca e Postale. (?) Strati a Rani>m BoIccììsìs del Bolca. (?) Ligniti dei Puli.(?) Strati a piante e pe- sci del Po- stale. (?) Strati a p esci del Bolca (?), a piante di Novale. (?) Basalti iiiTeriori di Ronca. A Strati a Rliyiiclt. poIy»ìor- pha ili Spilocco. Strati alVuRtcr/nns di Mos- sano, oc. Basalti di Chiampo. — 43 — Come appendice daremo la lista delle specie fossili nuove de- scritte dall’ Autore nella sua nota, colla indicazione della loca- lità e del piano in cui si trovano. Io ccnujmatica^ llay. (Ronca — Piano C). — Fortisia Jlila- rionis (Croce Grande — P. C). — Delpltinula Snhhu'hinata (Croce Grande e Ciui)pio — P. C). — Turbo Zìgnoi (Monte Postale — P. B (?)). — Trochus Saemamii (Ronca — P. C). — Trochus sub- novatiis (Ronca — P. C). — Trochus Bolognai (Ronca — P. C). — Fusus pachyrhaphe (Ronca — P. C). — Cerifhium Vicctinum (Monte Postale — P. P) (?)). — CcrWiium Lachesis (Ronca — P, C). — Cerithinm gomphoccras (Monte Postale — P. B (?)). — Cerithium pulccochroma (Monte Postale — P. B (?) ). — Cerithium Chaperi (Monte Postale — P. B (?) ). — Cerithium rarefurcatum (Ronca — P. C). — Cerithium, Atropos (Ronca — P. C). — Cerithium tricorum (Ronca P. C). — lìapeUa delphinuloides (Croce Grande — P. C). - — Oniscia antiqua (Croce Grande e Ciuppio — P. C). — Strombus IJoreli (Ronca — P. C). — Str'ombiis Sucssi (Ronca — P. C). — Strombus (?) Fulcinella (Monte Postale — P. B(?)). — Strombus Tournoueri (Ronca — P. C). — lìostellaria Fostalensis (Monte Postale — P. B (?)). — lìostellaria (F) Crucis (Croce Grande e Ciuppio — P. C). — Tcrebellum pliciferum (Croce Grande, Ciuppio e Pozza — P. C). — Voluta Besanzoni (Ronca — P. C). — Cgprcca Froserpincc (Ronca — P. C), — Cijprcca JMoloni (Croce Grande — P. C). — Cijprcea Lioìji (Croce Grande e Pozza — P. C). — Natica Fasinii (Ronca — P. B; Ronca e Val di Ciuppio, P. C). — Ncdica ventroplana (Ronca — P. B). — Natica llortcnsis (Via degli Orti (presso Cavaso) — P. E). — Ncrita Thersites (Ronca — P. B). — Ncrita circumvallata (Monte Postale — P. B (?) ; Ronca, Croce Grande, Ciuppio e Pozza — P. C). — Ncritopsis Agassizi (Croce Grande — P. C). — Bul- Icca Meneghinii (Ciuppio — P. C). — llìjpponix colum (Monte Postale — P. B (?) ). — Fatclla detrita (Croce Grande — P. C). — Fatella Boreani (Pozza — P. C). — Emarginula camelus (Ciuppio — P. C). — Anomia gregaria (Ronca — P. B). — Ostrea Eon- cana (Ronca — P. B), — Flagiostoma eoccenicum (Ciuppio — P. C). — Lima papillifera (Gallio — P. C). — Fecten Me- 1 — u — negiizzoi (Ciuppio — P. C). — Lucina perornata (Ronca — P. C). — Cìjpricardia Brongniarti (Ronca — P. B). — Cardkim pólyptyctum (Ronca — P. C). — Cyrena Baylei (Ronca — P. B). — Cyrena Veronensis (Ronca — P. C). — EcMnocorys Beaumonti (Cliiainpo — Scaglia). — Pentacriniis diahoìis (Mossane — P. A). Riassumendo ora quanto fu esposto nelle pagine precedenti, la classificazione di questi terreni del Vicentino viene stabilita nel modo che segue : 1° Dall’ antico terreno eocenico o mmmmlitico del Vicen- tino viene distinta una intiera serie di strati superiori che rien- trano nel gruppo oligocenico dei Tedeschi. 2“ Inferiormente a questi strati succedono quei molteplici e variati depositi formanti P eocene propriamente detto, primi dei quali sono gli strati di Priabona o Serpida spindeea., a cui seguono inferiormente quelli di San Giovanni Barione contempo- ranei del tufo di Ciuppio. 3“ Alla base di questo sistema di Priabona sono segna- lati nel Vicentino degli strati a resti di llalitherium, importanti per la considerazione che questo genere di vertebrati marini non era stato peranco trovato ad un livello più basso del miocene. 4° Parimente sotto a questi depositi di Priabona havvi un deposito di ligniti, di scisti e di calcare a conchiglie terre- stri, come llélix, Cydostoma, ec., già segnalato da Suess: è in- feriormente a queste ligniti che incomincia nel Vicentino la serie degli strati corrispondenti al calcare grossolano del bacino di Parigi. — 45 NOTIZIE DIVERSE. Pubblicazione di una Appendice (dia Memoria delV infj. Se- bastiano Mottura (Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia; Memorie del li. Coinitcdo Geologico, Voi. I). Da una comunicazione dell’ ingegnere Mottura togliamo quanto segue intorno all’ Appendice al suo ultimo lavoro che sarà pubbli- cata nel 2° volume delle Memorie del R. Comitato Geologico. Scopo di questa Appendice è di trattare alcune questioni in- teressanti che hanno un vincolo stretto con quelle trattate nella Memoria e che, o non vi furono accennate, o ve lo furono solo in- cidentalmente, e di apportare inoltre ad alcune altre questioni quelle modificazioni e correzioni, che sono necessarie in seguito a nuove esperienze ed osservazioni in Sicilia. Una delle parti più interessanti della Memoria è quella in cui si cerca di dimostrare che il minerale di zolfo è un deposito lacustre prodotto da sorgenti contenenti in soluzione o monosol- furo di calcio oppure bicarbonato di calce ed acido solfidrico, elementi provenienti dalla riduzione per mezzo di sostanze orga- niche dei gessi esistenti nel miocene inferiore la cui origine è dovuta all’ evaporazione delle acque marine. Sull’ origine di queste sostanze organiche che allo stato di scisti bituminosi, di petrolio, di idrogeno carbonato, di idrogeno libero esistono o si sviluppano in tutta questa formazione, nessuna ipotesi si stabilisce nella Memoria. La risoluzione di tale questione è tuttavia un elemento im- portante, e si può dire necessario, sia per la risoluzione com- pleta della genesi dello zolfo, sia per spiegare i fenomeni delle maccalube o salse, le variazioni che queste presentano nelle loro emanazioni colle variazioni della loro temperatura, la presenza dell’ idrogeno carbonato nel salgemma ed in tutto il miocene in- feriore, ed infine 1’ origine del petrolio. 46 - Nell’appendice si procurerà di dimostrare che dalle erbe marine e specialmente dalle fucoidi hanno origine queste sostanze orga- niche, e che i carburi di idrogeno delle maccahihe e di tutta la formazione gessoso-salifera non sono che il prodotto della scom- posizione di quste sostanze organiche, che succede ancora at- tualmente. Il terreno che fu chiamato miocene inferiore (ma che più pro- priamente si dovrebbe forse chiamare eocene superiore, tuttoché queste espressioni sieno considerate come sinonime da varii geo- logi) rappresenta in larga scala i depositi tutti che si producono nelle saline, ed è in altri termini una salina naturale in larga scala. Nelle saline e specialmente nei bacini di epurazione delle acque del mare i depositi chimici originati dall’ evaporazione di queste acque sono generalmente associati a sostanze organiche provenienti principalmente dalla scomposizione delle alghe ma- rine. Alla temperatura ordinaria da questi bacini si ha una esa- lazione di idrogeno carbonato come nelle maccalube. Se si scava il fondo di questi bacini di purificazione e si porta la materia scavata ad una temperatura di 40° a 50" si ha uno sviluppo no- tevole di acido solfidrico, ed a una temperatura non molto supe- riore ai 100° si ha una produzione di solfuro di calcio. Ora nelle emanazioni delle maccalube, allorché la loro temperatura é di 40° a 50° si ha sempre uno sviluppo notevole di acido solfidrico. In tutti questi casi é 1’ elevazione di temperatura che faci- lita la riduzione del solfato di calce per mezzo delle sostanze orga- niche, e che é in conseguenza la causa della notevole produzione di acido solfidrico o di solfuro di calcio. Il miocene inferiore (od eocene superiore) e specialmente i centri delle maccalube furono durante 1’ epoca solfifera, e lo sono ancora qualche volta attual- mente, soggetti a questo aumento di temperatura dipendentemente dalle cause vulcaniche ; ed é appunto per questa ragione che eb- bero luogo durante 1’ epoca miocenica in larga scala, e che si manifestano nelle maccalube qualche volta, sebbene raramente, ema- nazioni di acido solfidrico. Lo svolgimento di questi principii nell’ appendice e negli scritti posteriori modificherà la parte della Memoria relativa alle mac- calube, ma non altererà quanto si disse sull’ analogia e sulle re- lazioni esistenti tra esse ed i fenomeni che presiedettero alla for- — il — inazione del terreno, relazioni che furono sempre più confermate dalle osservazioni posteriori. In quest’ appendice verranno pure corretti alcuni concetti relativi al lago di Pàlagonia, ed alcuni cenni sulle pietre da calce, specialmente sui tnibi o calcare marnoso a foraminiferi, che, avendo fatto nuove esperienze, fu trovato fornire in regola generale una calce molto idraulica che si potrebbe classificare tra i cementi. Si aggiungeranno alcune nozioni sull’ esplora- zione delle solfare e sul modo di determinare la struttura del terreno solfifero mediante 1’ esame dei cristalli e special- mente delle masse cristalline, norma importante, che in alcuni casi è r unica che possa dirigere l’ ingegnere nello studiare la struttura di una solfara e nel determinare le rotture e gli sconvolgimenti a cui fu soggetto il terreno solfifero. Si tocche- ranno di nuovo le questioni dell’ origine dei banchi di tripoli, delle formazioni gessose sia del miocene inferiore (eocene supe- riore) che del miocene superiore, sviluppando e correggendo in parte alcune nozioni precedenti su queste materie. Si citeranno in- fine alcuni fatti, dai quali si può dedurre che il monosolfuro di calcio prodotto dalla riduzione dei gessi del miocene inferiore (eocene superiore) venne scomposto in molti casi allo sfato na- scente, e che in molti casi in conseguenza le sorgenti solfuree del- r epoca solfifera contenevano in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico, ineontransi ancora in Sicilia alcune sorgenti, che non si debl)ono confondere colla numerosa serie delle sorgenti solfuree provenienti dal terreno solfifero, e che rappresentano an- cora (come per esempio la nota sorgente dei bagni Saraceni presso Villafrati che sgorga dal calcare eocenico ed altre varie) le sorgenti suddette dell’ epoca solfifera, contenendo in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico provenienti egualmente dalla riduzione dei gessi marini del miocene inferiore (eocene superiore). Nell’ appendice sarà seguito, nel trattare questi argomenti, lo stesso ordino che fu adottato per la Memoria suddetta, onde sia più facile confrontare insieme i due scritti e conoscere le inesat- ed i difetti della pidma pubblicazione. Debbesi tuttavia osservare che tutte queste modificazioni, cor- rezioni ed aggiunte, di cui si accennarono solo le principali, non - 48 — altereranno sostanzialmente le ipotesi esposte nella Memoria sulla genesi dello zolfo, dei gessi, del salgemma, del minerale di ferro, delle piriti ed in genere delle varie roccie dell’ epoca terziaria, che anzi queste ipotesi saranno sempre più confermate. Nella Gazzetta Ufficiale del Regno del 18 febbraio 1872 fu imbUicato il seguente avviso di Concorso per posti di Geologo-Operatore. È aperto il concorso a tre posti di Geologo-Operatore presso il K. Comitato Geologico. Sono ammessi a tale concorso gli ingegneri laureati nelle Scuole di Applicazione del Regno e nell’ Istituto Tecnico Supe- riore di Milano. Potranno anche essere ammessi allievi di altri stabilimenti tecnici quando giustifichino per mezzo di apposite prove di pos- sedere istruzione equivalente. L’ esame di concorso sarà scritto ed orale. Esso verserà in modo speciale intorno ai soggetti seguenti: 1° Topografia. — Nozioni speciali sul rilevamento topo- grafico — Altimetria — Usi dei diversi barometri, specialmente di montagna — Disegno topografico. NB. Si terrà conto dell’ abilità nel disegno di paesaggio. 2° Mineralogia e Geologia. — Conoscenza dei minerali e roccie principali — Carte e sezioni geologiche — Soluzione geo- metrica di jìroblemi relativi alla stratigrafia. 3° Paleontologia. — Nozioni generali sui resti fossili ^ani- mali e vegetali. Coloro i quali vorranno essere ammessi al concorso devono far pervenire alla Presidenza del R. Comitato Geologico (Firenze, Corso Vittorio Emanuele, N° 17) non più tardi del 15 marzo 1872 la domanda di ammessione corredata dai documenti relativi, cioè diploma di Ingegnere laureato in una delle Scuole sovraindicate, ovvero certificati degli studi fatti nei diversi istituti. Non sono ammessi al concorso coloro che non possono giu- - 49 — stificare di avere una costituzione fisica adeguata al servizio ad essi richiesto. Le condizioni fatte per ora ai Geologi-Operatori a tenore del Regolamento approvato con Decreto 30 agosto 18G8, sono di essere a disposizione del R. Comitato per i lavori sia di tavo- lino che di campagna: essi hanno un assegno anno di L. 1800 ed una indennità giornaliera durante i lavori di campagna. Con apposito avviso verrà indicato il giorno preciso nel quale avranno principio gli esami.' Firenze, li 15 febbraio 1872. Il Presidente I. Cocchi. Il Ministro S. Castagnola. Rettificazione. Nel Voi. 1° delle Memorie per servire alla descrizione della Carta fjeologica del lìegno, a pag. 214, lin. 8, e a pag. 255, lin. 35, dove è scritto per errore di copia Tantalite leggasi Titanite. a pag. 269 alla parola Grezzone (casella penultima della colonna seconda) aggiungasi la parola manca. AVVISO. A partire dal giorno 15 aprile 1872 la residenza del E. Comitato Geologico viene trasferita in Via della Scala, N" 22, primo piano, nel locale tuttora occupato dal Ministero dei Lavori Pubblici. ' Il tempo utile per la presentazione della domanda di ammessione fu poi prorogato a tutto marzo; e il concorso avrà luogo verso la metà di aprile. i 50 — CATALOGO DELLA BIBLIOTECA DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) Reuter (F.). Ohservations météorologiques faites à Luxemhourg. Luxemboiirg, 18G7. Un voi. in-8°. Dono. Reynaud (J.). Mémoire sur la consfitution géologìque de la Còrse. Paris, 1833. Un fase. in-4° con tavole. Ribeiro (C.). Descripgao de aìguns silex e qiiart^ites lascados encontrados nas camadas dos terrenos ter eiario e quaternario das hacias do Tejo e Bado. Lisboa, 1871. Un voi. in-8“ con tavole. Dono dell’ Autore. Ricci (L.). Corografia dei territorj di Modena., Reggio e de- gli altri Stati già aqjpartenenti alla casa d’ Este. Modena, 1788. Un voi, in-4°. Richard (G.). Sidle condizioni délV industria ceramica. Rela- zione della Esposizione di Londra del 1862. Torino, 1865. Un voi. in-8°. Dono del Ministero di Agricoltura Industria e Com- mercio. Richter (R.). Mìjophorien des tliiiringisclien Wellenliollis. Ber- lin, 1869.” Un fase. in-8“ con tavola. Dono dell’ Autore. Richthofen (F, von). Geognostische Resclireibung der Umge- gencl von Rredazzo, Sanct Cassian und der Seisser Alpe. Gotha 1860. Un voi. 111-4“ con tavole. (Id.) Zur geognostischen Karte der Umgegend von Predazzo, Sanct Cassian und der Seisser Alpe in Siid-Tyrol. Gotha. Un fase. in-4“ con tavole. Rio (^. Da) Orittologia Euganea. Padova, 1836, Un voi. in-4° con tavole. Rivista Sicula ih scienze, letteratuka ed arti. Palermo, 1871. Periodico mensile in-8“. Dono. Robert (E.), Voyage en Islande et en Groenland cxécuté pen- dant Ics ànnées 1835 et 1836 sur la corvette La Recherche : mi- ncralogie et geologie. Paris, 1840. Un voi. in-8“ ed un atlante. (Id.) Voyages en Scandinavie, en Laponie, au Spifzherg et aux Feroe, pendant les années 1838-39-40 sur la corvette La 51 — lleclierclie ; (jcologie, ììiinéralogie et métallurgie. Paris. Due voi. in-8° ed un atlante in-folio. Bocchetti (F.). Saggio di studi di storia naturale sulla col- lina di Chieti. Cliieti, 1865. Un voi. in-8“. Roehl (E. von). Fossile Flora der Steinlcolden-Formation Westphalens. Cassel, 1869. Un voi. in-4° con tavole. Roemer (F. A.). Beitriige sur geologisclien Kenntniss des nordwestliclien Har^gehirges. Cassel, 1850-66. Un voi. in-4° con tavole. (Id.) Beschreibung der norddeutsclien tertidren Poliparieu. Cassel, 1864. Un voi. in-4° con tavole. 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Un voi. in-4° con tavole e carta geologica. Riihlmann (R.). Bie ba romei riscJien Hdlienmessungen ìind ilire Bedeutung fiir die Pliijsih der Atmosplidre. Leipzig, 1870. Un voi. in-8° con tavole. Rusconi (C.). Rivista di agricoltura, industria e commercio. Firenze, 1870. Periodico mensile iu-8". Riitimeyer (L.). Ueber Thal-und Sce-Bildung : Beitrdge zum Verstdndniss der Oberfldclie der Scliwciz. Basel, 1869. Un voi. in-8° con tavola. Saemann (L.). Ueber die Nautiliden. Cassel, 1852. Un volu- me in-4° con tavole. Sainte-Claire Deville (Gli.). Onsieme lettre à M. Elie de Beaumont sur les pdiénomhies eruptifs de l’Italie meridionale. Pai’is, 1862. Un fase. in-4°. Sambuy (E. B. di). SulV industria dei vini in Italia. Rela- zione della Esposizione di Londra del 1862. Torino, 1865. Un voi. in-8°. Dono del Ministero di Agr., Ind. e Coinm. Sandberger (F.). Ueber die bisìierigen Funde ini Wiir^bur- ger Pfahlbau. Wiirzburg, 1870. Un opusc. in-8°. Dono del- r Autore. (Id.) Die Land-und Siissicasser-Conchjlien der Vorwelt. Wies- baden, 1870. in-4° (in corso di pubblicazione). Santi (G.). Viaggi per la Toscana. Pisa, 1795. Tre voi. in-8°. Sartorius von Waltershausen (W.). Carta geologica dell’ Etna nella scala di 1 a 50,000. 1843. Tredici fogli in colori. (Id.) AUas der Aetna. Berlin, 1845. Un voi. in-folio grande de un atlante di tavole. (Id.) Ueber die vidhanischen Gesteine in Sicilien und Island, und ilire submarine Umbildung. Gdttingen, 1853. Un voi. in-8°. (Id.) Untersucliungen iiber die Klimate der Gegemvart tmd der Vorwelt, mit besonderer BeruclcsicMigung der Gletscher- erscheinungen in der Diluviaheit. Haarlem, 1865. Un voi. in-4" con tavole. Saussure (IL B. De). Voìjages dans les Alpes, précédès cTun essai sur Vhistoire naturelle des environs de Genove. Neuf- cliàtel, 1779-96. Quattro voi. in-4° con tavole. Saussure (H. De). Etudes sur le metamorpliisme des roches, par M. Delesse. Genève, 1863. Un fase. in-8°. Dono. Sauveur. Végétaux fossiles des terrains liouiìlers de la Bel- gique. Bruxelles, 1848. Un Atl. di tavole. Savi (P.). Belatone dei fenomeni presentati dai terremoti di Toscana nell’ agosto 1846 e considerazioni teoretiche sopra i me- desimi. Pisa, 1846. Un voi. in-8“. Savi (P.) e Meneghini (G.). Considerazioni sulla geologia stratigrafbca della Toscana. Firenze, 1851. Un voi. in-8° con tavole. — 53 - Scarabelli (G.). Studi geologici sul territorio della Repuh- hlica di San Marino. Imola, 1851. Un opusc. in-8° con Carta geologica. Dono dell’ Autore. (Id.) Carta geologica della provincia di Bologna e descrizione della medesima. Imola, 1853. Un fase, in-d® con carta geologica. Dono deir Autore. (Id.) Sui gessi di una parte del versante N-E. delV Aptennino. Imola, 18G4. Un fase. in-8° con tavola. Dono dcU’xiutore. (Id.) Sulle eause dinamiche delle dislocazioni degli strati negli Apennini. Milano, 18GG. Un foglio. Dono dell’ Autore (Id.) Sulla prohalilità che il sollevamento delle Alpi siasi effettuato sopra una linea curva. Firenze, 18GG. Un opusc. in-8°. Dono dell’ Autore. (Id.) Guida del viaggiatore geologo nella regione apennina tra Bologna ed Ancona. Milano, 1870. Un foglio di sezioni geolo- giche. Dono dell’ Autore. Scarabelli (G.) e Massalongo (A.). Studii sulla flora fossile e geologia stratigrafica del Senigalliese. Imola, 1859. Un voi. in 4° con tavole e carta geologica. Dono. Schauroth (C. von). Verzeichniss der Versteincrungen im Uerzogl. Naturalicnhabinct zu Coburg. Stuttgart, 18G5. Un voi. in-8“ con tavole. Scheerer (Tli.). Gcognostische Bruchstiiclce aus dem Fassathal. Freiberg, 18G2. Un fase. in-8“. Sebenk (A.). Die fossile Flora der Grenzschichten des Keupers und Lias Franhens. Wiesbaden, 18G7. Un voi. in-4° ed un atlante di tavole. (Id.) Ueber die Pflanzenreste des MuscJiellmlJces von Eccoaro, Miinclien, 18G8. Un fase. in-8° con tavole. (Id.) Die fossilen Fflanzen der Wernsdorfer Schichten in den Norclkarpathen. Cassel, 18G9. Un voi. in-4“ con tavole. (Id.) Die Flora der nordwestdeutschen Wealdcnformation. Cassel, 1871. Un voi. in-4° con tavole. Schlicht (E. von). Die Foraminiferen des Septarientones von Fietzpuhl. Berlin, 1870. Un voi. in-4“ con tavole. Schloenbach (U.). Beitràge zur Fdldontologie der Jura-und Kreidc-Formation in nordivestlichen DeutscMand. Cassel, 18GG. Due fase. in-4° con tavole. 54 - Schlotheim (E. F. von). Ein Beitrag zur Fiora cìer Vorwcìt. Gotha, 1804. Un voi. in-4° con tavole. Schliitei’ (Gl.). Ceplialopoden der oheren deufscìien Kreide. Casse!, 1871, in-4° con tavole (in corso di pubblicazione). Selimidt. (J.). Neuè Ildhen-Bestimmungen am Vesuv, in den gddegrdischen Feldern, zìi Boccamonfina und in Alhaner-Gehirge. Olintitz 1856. Un fase. in-4°. Sehnur (J.). Zusamnienstellung und Beschreihung sàninitliclier im Vehergangsgebirge der Eifel vorlcommenden Brachiopoden nebst Abbildnng derseìben. Cassel, 1853. Un voi. in-4° con tavole. Schònlein (J. L.) und Schenk (A.). Abbildungen von fossilen F/lanzen ans dem Keuper FranJeens. Wiesbaden, 1865. Un voi. in-folio con tavole. Schrauf (A.). Lehrbuch der phìjsihalischen Mineralogie. Wien, 1866. Due voi. in-8°. (Id.). Alias der Krgstall-Formen des Mineralrciches. Wien, 1865 e seguenti. In folio (in corso di pubblicazione). Sehwager (C.). Fossile Forami niferen von Far NiJcobar. Wien, 1866. Un voi. in-4“ con tavole. Schwarzenberg (Ad.) und Reusse (H.). Geognostisclie Karte von Kurhessen und den angrenzenden Ldndern zwisclien Taunus- Harz und Weser-Gebirge, im Massatab ^/mooo. Cassel, 1853. Un foglio in colori. (Id.). Begleitivorte zu der geognostischen Karte von Kurhessen. Gotha, 1854. Un foglio. SCHWEIZERISCIIE NATURFORSCHENDE GeSELLSCHAFT. — Vei'liand- lungen Beni, 1868 e seguenti. Un voi. in-8° annuo. Dono della Società. Sciuto-Patti (C.). Carta geologica della città di Catania e dintorni, nella scala di 1 a 21270. Palermo 1871. Due fogli in colori. Dono dell’ Autore. Secchi (A.). Bollettino meteorologico dell’ Osservatorio del Col- legio Bomano. Koma. Periodico mensile. Dono. (Id.). Sur la deeouverte d’outils en pierre de silex pres Monticelli. Pome. Un foglio. (Continua.) rnìkmi lei R, COMITATO GEOLOGICO, {In Corso di Stampa.) V — Volume II delle Memorie per servire di descrizione alla Carta Geologica del Regno. — Questo volume verrà pubblicato in due parti, di formato, carta e stampa del tutto simile al volume V. La prima parte comprenderà : Descrizione geologica dell’ Isola d' Ischia., con la carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor Th. Fughs. — Esame Geologico della catena al- inna del San Gottardo, che deve essere attraversata dcdla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvctica con una carta geologica in fol, e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in- gegner F, Giordano. — Malacologia pliocenica itcdiana, fa- scicolo 2“, con N° 7 tavole di C. D’ Ancona. La parte seconda conterrà : La Geologia delle Alpi Apuane, con incisioni nel testo e una tavola, di I. Cocchi. 2“^ — Carta Geologica della Italia superiore e centrale, in G fogli, nella scala di ^óÌmo compilata sui migliori mate- riali esistenti da I. Cocchi, e pubblicata per cura del R. Comitato Geologico coll’ opera di eccellenti Artisti. Annunzi di pubblicazioni. MILANO. — A. Stoppani — Corso di teologìa. — L’opera si comporrà di tre grossi volumi in 8° di 600 e più pagine ciascuno, ornati di circa 250 incisioni in legno intercalate nel testo. Viene distribuita a dispense di 64 pagine, al prezzo di Lire 1, 20. — Prezzo di associazione anticipato Lire 10 per ogni volume, ovvero Lire 27 per V intiera opera formata da circa 30 fascicoli. — È pubblicato il fascicolo 14°, VP del 2° volume. BOLOGNA. — L. Bombicci — Corso di Mineralogia; se- conda edizione grandemente variata ed accresciuta con molte figure intercalate nel testo e tavole. (In corso di stampa). Oltime piiMcazioiil JeU’Etlltore T. FISCHER Ji Casse! (Hermaiiia). ScHLliTER (Cl.) — Ceplialopodeii der oberen deiitsclieu Kreide. — P fascicolo ; in 4° con 8 tavole. Geinitz — Das Elbtlialgebirge in Sacbsen. — P volume; in 4° con 23 tavole. ScHENK (A.) — Die fossile Flora der norwestdentsclien Wealdenforniation. — Un volume in 4° con 22 tavole. ZiTTEL — Palàontologisclie Mittlieilnngen ans deni Mnsenni des Kdn. B«ayer’schen Staates. — 2° volume, T parte ; in 8°, con atlante di 16 tavole in folio. I{. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 3 e 4. Marzo e Aprile 1872. -o-oj^oo FIRENZE, TIPOGRAFIA DI G. BARBÈRA 1872. PiMcazioiii flel R. COMITATO GEOLOGICO. ooj^oo Bollettino Geologico per l’anno 1870. — Un volume in-8“. » » PER l’anno 1871. » Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Volume 1° ; in-4“ di 404 pagine con 23 tavole, due carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi occidentali di B. Gastaldi. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Fiemon- tesi e sui minercdi delle valli di Lanzo di G. Strììver. — Sidla formazione terziaria nella zona sólfifera della Sicilia, di S. Motttjra. — Descrizione geologica delV Isola d' Elba, di I. Cocchi. — Maìacologia xMocenica italiana, Parte I'\ Gasteropodi sifonostomi, di C. D’ Ancona. Prezzo deir intero Volume, Lire 35. Brevi Cenni sui principali Istituti e Comitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-4® L. 1. 50 Carta Geologica della parte Orientale dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi L. 3. 50 I Bollettini arretrati si vendono al prezzo di 12. — II presente Bollettino per gli associati nel regno 8. — Per gli associati all’ estero 10. — Un fascicolo separato 2. 00 BOLLETTINO BEL B. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. iV .lei — Marzo c Aprile 1871 SOMMARIO. Note geologiche. — 1. Su di due scimmie fossili italiane, di I. Cocchi. — II. Su di un lavoro di E. Suess, di G. ^Ienegihni. — III. Cenni sulla costi- tuzione geologica del Piemonte, di 15. Gastaldi. (Continuazione e fine.) — IV. Cenni geologici sull’ Alto Trevigiano e strila Valle di Belluno nel Veneto, di T. Taiiamei.i.i (estratto). Note di fisica terrestre. — Sull’ attrazione delle montagne, di F. Keller. Notizie diverse. — Analisi ili prodotti vulcanici. — I prodotti dell’ ultima eruzione del Vesuvio. Catalogo della Biblioteca del R. Comitato. — (Continuazione.) Tavole ed Incisioni. — Figura teorica a pag. 101. — Tavola che accompagna la nota di I. Cocchi (sarà data nel prossimo numero). NOTE GEOLOGICHE. I. Su di due Scimmie fossili italiane^ Nota di I. Cocchi. Nella Collezione centrale italiana di Paleontologia esistente in questa città, si conservano le mascelle inferiori spettanti a due tipi distinti di Scimmie. Il primo di questi fossili lo ebbi alcuni anni fa dal signor Tito Nardi, che lo raccolse nella cessata miniera di lignite di Monte Bamboli in Maremma, celebre per i bei fossili che som- ministrò specialmente alle collezioni di Firenze, Pisa e Parigi. Nell’ ottobre dello scorso anno fui lieto di affidare questo fos- sile all’ illustre prof. P. Gervais, desideroso di farne lo studio ; e nei Comptes Rendus dell’ Accademia delle Scienze si trova la — 60 — comunicazione che Egli fece ultimamente a quello illustre con- sesso sulla interessante mascella. Lascio dunque la parola al celebre professore di Parigi. « » Considerata in sè stessa, la mascella della Scimmia di Monte Bamboli indica un animale, che, supposto adulto, doveva essere intermedio per la statura a Dryopithecus e a Pliopithecus, ben- ché più somigliante, in questo riguardo, al primo che al secondo di tali animali.^ La serie dei primi quattro molari, benché ser- rata, occupa una lunghezza di 0“* *,033 in luogo di 0“,039 come in Dryopithecus, o di 0“,022 come in Pliopithecus. L’ altezza del mascellare al di dietro del 4° molare é di 0“,019. Mancano i denti anteriori tranne V incisivo esterno di destra. Questo dente ha una proiezione in avanti, per effetto della fossilizzazione, maggiore di quella che fosse nell’ animale vivo. Ma doveva es- sere non pertanto più proclive che in Pliopithecus, e nel mede- simo tempo più schiacciato e più allargato nella sua corona. Questo dente é interamente visibile nella sua faccia superiore, corona e radice (Fig. 1, 2).^ » Per la forma generale, principalmente per le linee del suo margine inferiore, come per quelle della sua superficie, il ma- scellare inferiore trovato a Monte Bamboli denota un animale della serie delle Scimmie superiori dette Antropomorfe, e il mento in particolar modo ha molta rassomiglianza col mento di un gio- vane Orango. È questo mento subrotondo e poco declive. I suoi fori sono piccoli, uno per parte, posti sotto il primo dente mo- lare, a poca distanza dal secondo molare, ma meno vicini al margine inferiore che al superiore dell’ osso stesso, disposizione contraria a quella che si riscontra nello Scimpansé e nel Gorillo. La parte contigua della faccia esterna dell’ osso non presenta la molta depressione che é propria della corrispondente porzione mandibolare dei due Antropomorfi africani al di sopra del foro mentario ; ma la branca montante verso 1’ apofisi coronoide sem- bra solida e grossa come nel Gorillo. Quantunque più piccola, ‘ Due generi di scimmie della tribù dei Pilecini i quali, essendo ora estinti, furono proprii del periodo Miocene. * La tavola che accompagna la presente nota sarà data nel prossimo numero. 61 la mascella della Scimmia di Monte Bamboli non era meno so- lida ; ma le sue parti salienti hanno contorni più rotondi e ri- lievi più dolci. Questa conformazione peraltro deriva dall’età ancor fresca dell’ individuo al quale la mascella appartenne. La porzione angolare, il condilo e 1’ apofisi coronoide più non esi- stono ; e ciò che rimane subì forte depressione o fu piegato al- r infuori. Ma per contro la parte che sostiene i denti è appena deformata, e mostra soprattutto nella conformazione del mento trattarsi di Scimmia spettante alla serie delle Scimmie superiori. » I falsi molari hanno la loro parte anteriore rialzata sotto forma di una sporgenza divisa alla sommità in due punte, delle quali la esterna, che tende a inviluppare l’ interna, è la più forte! Nel Gorillo soltanto il secondo paio di questi denti è per cotal guisa bicuspidato ; altrettanto accado in Bn/opithecus e nella Bertuccia ; ma queste Scimmie, e più particolarmente Dryopi- thecus hanno i premolari del primo paio molto più forti di quelli del secondo, mentrechè non vi ha così notevole sproporzione fra i denti omonimi nella Scimmia di ]\Ionte Bamboli. In questa il tallone di que’ denti è più corto di quelli de’ medesimi denti dello Scimpansè, del Gorillo e del Bryopithccus. » Venendo ai veri molari, quelli del primo paio non hanno le prominenze o punte respettive basse e ottuse come son quelle degli Antropomorfi in generale. Sono invece tali prominenze più rilevate e in pari tempo disposte con più evidenza in forma di colline trasversali, con tendenza verso la struttura de’ denti del Gorillo, il quale si assomiglia sotto questo rapporto ai Man- drilli e ai Macachi. Il primo paio adunque di veri molari ha quattro prominenze principali pressoché riunite a due a due in due colline trasversali leggermente oblique ; il margine anteriore di questi denti è più sporgente del posteriore ; una cresta obli- qua si diparte dal tubercolo postero-interno, la qual cresta di- minuisce di altezza verso il mezzo della superficie coronale, e collega obliquamente il tubercolo dal quale essa si stacca, con il tubercolo antero-interno e col tubercolo antero-esterno, me- diante una diramazione latero-esterna. » I molari del secondo paio sono per forma poco diversi da quelli del primo paio. Hanno i tubercoli principali ugualmente sporgenti, come in forma di piramide e in numero di quattro. - G2 - Ma il loro tallone è più forte e la cresta che congiuuge il tu- bercolo postero-interno con i tubercoli anteriori è più apparente, e nel mezzo del dente essa forma come un tubercolo accessorio. » Queste disposizioni proprie alle due prime paia di molari non basterebbero per separare la Scimmia di Monte Bamboli dai INIacaclii e dai generi affini, i quali non appartengono alla se- zione delle Scimmie Antropomorfe ; ma i molari dell’ ultimo paio — i quali nell’ individuo cui la mascella appartenne non erano ancora usciti dall’ alveolo ed abilmente furono messi a nudo dallo stesso Prof. Gervais — risolvono, a nostro giudizio, questa questione e permettono di riconoscere i legami che uniscono la Scimmia di Monte Bamboli alle Antropomorfe, e fra queste in più particolar modo al Gorillo verso il quale sembra questa nostra formare un passaggio. » Il primo molare che misura 0“,008 in lunghezza, sorpassa di poco il secondo in volume (0“,007) ed è esso stesso minore del terzo (0*“,010) col quale comincia la serie de’ veri molari. Il quarto molare (0“,012) è a sua volta più poderoso del terzo; ed altrettanto è a dirsi del quinto, se lo si confronta con quello che lo precede. 11 quinto molare misura in lunghezza 0'“013 e in larghezza 0'“009. Adunque è il più grosso molare, mentre che è minore del quarto nell’ Orango, nello Scimpansè e ne’ Gib- boni, come avviene nell’ Uomo, o è tutt’ al più subeguale a quello. Sotto questo aspetto si mantengono le affinità della nuova specie col Gorillo, il quale ha ugualmente 1’ ultimo molare più grosso del penultimo. La superficie masticante del quinto dente della Scimmia fossile è tubercolosa ; e i tubercoli di essa come quelli degli altri molari, hanno un aspetto che ricorda meglio di quanto si osserva nelle Scimmie ordinarie, le piramidi dei denti di certi Porcini erbivori, gli Anthracothcriiim per esem- pio, senza che ciò escluda la loro somiglianza con le spor- genze delle quali la corona dei molari del Gorillo è sormon- tata. Ma nella Scimmia fossile d’ Italia cotali prominenze sono evidentemente più coniche che nel genere africano, col quale a noi sembra avere, anche rispetto a ciò, più somiglianza che con gli altri animali della stessa tribù. » Vi sono cinque tubercoli o prominenze all’ ultimo molare, ben distinte fra loro, ben separate e di forma particolare. Esse — 63 costituiscono altrettante piramidi, quattro delle quali sono dispo- ste a paia le une sull’ interno le altre sull’ esterno margine del dente. Le due anteriori sono collegate mercè di una cresta obli- qua con piccola sporgenza a guisa di piccolo tubercolo supple- mentare di forma piramidale posto sulla linea mediana nel mezzo della quattro piramidi anteriori. Il tubercolo posteriore princi- pale è più grosso e più forte degli altri, e come spinto all’ in- fuori ; ed ha presso di se un tubercolo accessorio posto sull’ in- terno margine del dente e più piccolo. » In una parola, è questa una disposizione più conforme a quella del Gorillo che a quella delle Scimmie inferiori. In queste r ultimo molare manca del quinto tubercolo (Cercopithecus)^ o ha questo tubercolo sporgente (Cynocephalus, Macacus^ Ccrcocebiis), oppure in fonna di una cresta trasversale {Scmnopithccus e Colohis). Questa disposizione propria del quinto ed ultimo molare rende facile la distinzione della nuova Scimmia fossile dalle altre. An- tropomorfe, Semnopitechi, ec., che sono state raccolte in Europa, non che dagli animali della stessa tribù che vivono attualmente in Asia c in Africa. Il quinto molare della Scimmia di Moiite Bamboli sorpassa il quarto in volume, più ancora di quello che accade ne’ corrispondenti denti del Gorillo. » Appartiene adunque questa mandibola ad una forma no- vella di Pitechi 0 Scimmie proprie dell’antico continente, e que- sto nuovo tipo allontanandosi dagli antropomorfi provvisti di molari con corone ottuse, cioè dagli Oranghi, Scimpansé, Gibboni e dai Dryopitheciis e Pliopithccus, più che dal Gorillo sembra avvicinarsi all’ ultimo, cioè al Gorillo, per le differenti peculia- rità di quella parte del sistema dentario che è conosciuta, e for- mare in pari tempo un passaggio tra il Gorillo e i Macachi. » L’ animale fattoci conoscere dalla mascella di Monte Bamboli era frugivoro come lo sono in generale le specie de’ quadrumani proprie dell’ antico continente; ma entrava nella sua alimentazione una proporzione di foglie, di fusti erbacei e di consimili altre parti tenere maggiore di quella di cui fa uso il Gorillo, il quale è frattanto il più erbivoro delle nostre scimmie antropomorfe. » Riassumendo ; la Scimmia fossile delle ligniti di Monte Bamboli sembra dover costituire un nuovo genere distinto, da prender posto alla fine de’ Pitechiui antropomorfi, dopo il Gorillo, - 64 — e avanti i Cinocefali ecl i Macachi. In allusione alla forma spor- gente dei tubercoli de’ suoi denti molari chiamerò questo nuovo genere Oreopithecus ; e desumendo il nome specifico dal luogo dove la specie che gli serve di tipo fu rinvenuta, chiamerò questa Oreopithecus Bambolii.‘ 0. Bamholii fu animale molto men forte del Gorillo ; nonostante non cederebbe per le dimensioni ai grandi Gibboni, e in parti- colar modo al Sindattilo (Hilobates syndactyliis)\ sorpassò note- volmente Tlyopitìiecus, senza peraltro uguagliare Dryopithecus. » (Comptes rendus des Séances de VAcad. des Sciences, toni. LXXIV. Séance du 6 mai 1872.) L’ altra mascella fu rinvenuta nello scorso mese di gennaio nei ben noti depositi lacustri pliocenici del Val d’ Arno di sopra. Questo bel fossile si trova in uno stato di buona conserva- zione ed è meno mutilato del precedente, quantunque manchino i due incisivi mediani, l’incisivo esterno di destra e il canino della stessa parte. Mancano altresì le apofisi coronali ed i condili ; e della porzione angolare della branca ascendente la meno mutilata è la sinistra. Le figure 3, 4, 5 rappresentando la mascella che vo a descri- vere in grandezza naturale, danno una idea della statura che doveva avere 1’ animale cui essa appartenne ; animale del quale ci renderemo facilmente conto ricordando la comune bertuccia. L’individuo perì nello stato di completo sviluppo e in età adulta inoltrata. Lo si dovrebbe anche supporre di sesso masco- lino giudicandolo dalla gagliardia de’ canini. La serie dentaria dal secondo incisivo alla estremità dell’ ul- timo molare, occupa nella mascella una lunghezza di 0,“ 055, ‘ Quando nel mese di febbraio scorso presentai alla Società di Antropologia il fossile che vo a descrivere or ora, feci parola anche della mascella di Mon- te Bamboli senza averla sott’ occhio, essendoché la medesima in queir epoca si trovava presso il Prof. Gervais a Parigi. .Solamente per dare ad intendere che è diversa dall’ altra pronunziai alcuni nomi generici fra i quali quello di Cerco- pithecus riportato nella Nazione di Firenze del 27 febbraio 1872. — 65 — nella quale lunghezza i molari occupano 0,'" 045. Inuiis ecauda- tus 0,"'043, Ccrcopithecus callitricJms 0 “036, Cynocephalus Fapio 0,“050. La forma generale della mascella, il movimento delle due ossa che la costituiscono, la linea del mento, la distanza interna tra branca e branca mostrano chiaramente che in questo caso si ha tra mani V avanzo di una delle scimmie inferiori, e più particolarmente del gruppo de’ Macachi. Il mento è fuggente all’ indietro, non così angusto come quello d’ Inuus ecaudafus, ma più dilatato ricordando di prefe- renza alcuni Macachi, quantunque ne abbia la base più spianata e più larga che in questi non sia. Alla base del primo molare sta una depressione circolare che si continua verso l’ alto in un solco parallelo alla linea del mento tino alla base dell’incisivo esterno. I fori del mento sono un poco più in addietro, due per parte, assai piccoli, sul margine inferiore ; il posteriore è il più piccolo, obliquo, oblungo anziché circolare, più alto dell’ altro e posto sul margine di una depres- sione profonda che occupa quasi tutta la faccia esterna della mascella, posteriormente al primo e anteriormente all’ ultimo molare. I due fori sono meno ravvicinati tra loro che nella Bertuccia e più che nel comune INIacaco e nel Micco, nel quale ultimo àvvi inoltre un terzo foro posto alla metà dell’ osso superiormente al primo de’ due. La infossatura è molto più estesa e profonda che in qualunque altro tipo vivente, ricordandola appena alcuni jMacachi, i quali però non hanno quella ripiegatura del bordo inferiore all’ infuori, come si vede negli Ililohatcs e altri consimili generi. La branca montante forma esternamente un ampio solco, fiancheggiato da una grossa prominenza come negli Imius. La porzione angolare sembra dover essere più acuminata che nel citato genere, e sembra in pari tempo più grossa e non ri- piegata verso l’interno. Venendo ai denti, l’incisivo esterno del lato sinistro somiglia molto il corrispondente dente di Inuus ecaudafus, quantunque un poco più voluminoso e più esteso dall’ avanti all’ indietro. Non sembra neppure sensibilmente spostato dalla fossilizzazione. — Ge- li canino è robusto e lungo ; nella faccia anteriore offre un solco profondo, largo alla base, poco meno di 0,“ 003 disposto e diretto come quello de’ canini superiori dei Cercopitechi. Ha forma conica con ingrossamento alla base dove si dilata consi- derevolmente nella parte posteriore ; mostra poi come due guan- cialetti sui lati ed alla base del solco antero-interno specialmente dal lato interno. Dalla dilatazione basilare posteriore che va a distendersi sulla gengiva giungendo fino all’ indietro del primo molare dal quale per un certo tratto resta coperta, sorge una piccola punta accessoria meno manifesta e più esterna di quella consimile che arma i canini dei Cercopitechi. Nel cono del dente, superiormente a questa punta ed un poco esternamente, notasi un solco leggero, tale parendo una piega dello smalto che si mo- stra assai acuto lungo l’ esterno margine e nulla o smussata molto lungo 1’ opposto. Il primo paio de’ molari offre delle peculiarità caratteristiche. Dall’ apice alla base ciascun de’ due misura anteriormente 0,“ 017, nel mezzo 0,“012, sul margine posteriore 0,’“007. Un grosso tallone corrugato lo fiancheggia internamente. Benché molto differente, pure ha analogia con il dente omonimo del Cercointlieciis Sabccus Erxl. del quale però è più lungo e più grosso; ha inoltre un’altra differenza nell’insieme e consiste nel- r essere smerlettato il margine inferiore dello smalto lungo la gingiva. Per questo carattere come per il suo volume si distingue molto bene dalle specie viventi del medesimo gruppo. I molari successivi sono i più piccoli. Nella corona misurano 0,“005 dall’ avanti all’ indietro e poco più di 0,“004 da destra a sinistra, con meno di 0,“006 di altezza. Hanno due prominenze acute sul davanti, opposte a guisa di colline riunite fra loro da una piega trasversale dello smalto.. Col terzo paio comincia la serie dei veri molari : ve ne hanno tre paia secondo il solito. I molari del primo paio sono più pic- coli di quelli del secondo, e questi più piccoli di quelli del terzo, ossia ultimi, essendo le respettive lunghezze 0,“007 ; 0,"’0010 e 0,“012. L’altezza dal lato esterno è 0,“005, 0,“006, ed un poco maggiore per l’ultimo paio. L’altezza del penultimo paio entra tre volte e mezzo nel sottostante osso mascellare, mentre c’ entra un po’ meno per Inuus ccaudatus, meno ancora per Ccrcopithecus — 67 — callitricìms: è quanto dire che la mascella ha una grande altezza rispetto air altezza dei denti, e che è quindi forte e pesante. La struttura de’ molari è quella del gruppo de’ Macachi e più esattamente quella del gen. Inuus. La faccia masticante è sormontata da quattro sporgenze disposte per paia, due a due a guisa di colline trasverse rispondenti a due lobi, men manifesti specialmente nella faccia esterna de’ denti. L’ ultimo molare ha un lobo o sporgenza impari posterior- mente, come nel gen. Macacus^ divisa in due parti ineguali da un solco poco profondo posto nella parte interna del tubercolo, con la divisione maggiore di esso posta all’ esterno, la minore all’ interno. La maggiore delle differenze che passano fra i veri molari di questa mascella e quelli dell’ Iniius col quale ha le più strette analogie per la struttura de’ medesimi, specialmente dell’ ultimo di essi, sta nel tubercolo impari posteriore diviso in due lobi an- ziché in tre. Esaminando la parte interna della mascella, si trova mancante di quella espansione ossea pianeggiante e larga che caratterizza tanto bene la parte anteriore della bocca del genere citato. L’ osso però è largo come in tutti i Macachi, ma ripete, in questa parte, piuttosto la forma del Cinomolgo e del ]\Iicco (Cercopithectcs callitricìms) anziché quella della Bertuccia. Per tutti questi caratteri la Scimmia di Val d’ Arno va posta nel gruppo dei Macachi ; e può definirsi siccome una nuova forma di Macaco con denti canini di Cercopithecus, coi primi falsi mo- lari di forma sua propria quantunque ricordino quelli dell’ ultimo genere, coi molari di Macaco, con 1’ ultimo molare di Inuus. Dando importanza alla forma de’ canini acuti, lunghi, solcati dalla base all’ apice e tallonati, la nostra specie dovrebb’ essere collocata fra i Cercopitechi accanto al Micco comune: attenen- doci alla forma de’ molari, andrebbe posta vicino al Cinomolgo ; e per P ultimo dente molare la sua affinità più stretta è con la Bertuccia. La forma poi della mascella e quella de’ primi due premolari indicano un tipo differente dai precedenti ; il quale può dirsi intermedio fra i Macachi veri e i Cercopitechi, affine ai Ccrcocebus e più distante ancora dai Cinocefali o Mandrilli. Quan- tunque fossi portato da principio a distinguerlo soltanto speci- — 68 — ficamente da Inuus ecaudatus, un più maturo esame mi ha per- suaso che le differenze tra la nuova specie italiana e la vivente specie di Gibilterra e Barberia siano più profonde di quelle che resultano dalla pura distinzione specifica. Infatti non è soltanto il tubercolo posteriore degli ultimi molari inferiori diviso in due, anziché in tre lobi, che la distingue specificamente dalla comune Bertuccia; ma la forma dei canini, quella dei due premolari an- teriori, la struttura della mascella, la quale, benché pesante presso a poco quanto quella di Imms ecaudahis, pure é più quadratica in base ed ha profonde depressioni laterali che ricordano quelle di alcune Scimmie superiori, quali i Gibboni, sono altrettanti ca- ratteri i quali hanno un valore incontestabile per separare anco genericamente la nostra specie da Inuus ecaudahis. Propongo quindi che questa specie del Val d’ Arno sia riguar- data come tipo di un nuovo genere che chiamerò pe’ due solchi ai canini Aulaxinuus. Questo genere forma parte del gruppo de’ Macachi, tra Cerco- inthecus., Cercocebus q Inuus ; e sarebbe caratterizzato per rapporto al sistema dentario inferiore (il solo che sia a me noto finora) : da Canini lunghi, acuti, solcati longitudinalmente sul lato intento, e rinforzati da una larga base diretta all’ indietro e nascosta in parte dietro il premolare anteriore ; dai primi premolari grossi e forti, più lunghi anteriormente che posteriormente, con la base dello smalto seghettata, con un tubercolo posteriore denticolato ; dal- V ultimo molare munito di un tubercolo posteriore bilobo ; dalla mascella forte e con profonde depressioni laterali. Le figure 3, 4, 5 della Tav. 1 daranno idea di questi carat- teri. La fig. 3 rappresenta la mascella veduta di fianco, per di- mostrare la proporzione dei denti rispetto all’ osso mascellare, la conformazione di questo, e la struttura de’ primi nel lato esterno. La figura 4 la rappresenta veduta dall’ alto al basso, per la struttura interna della bocca e la parte coronale dei denti. La figura 5 rappresenta la parte interna della branca sinistra princi- palmente per far vedere la forma del canino e la sua disposizione rispetto ai denti vicini. — G9 -- Dall’ essersi questa Scimmia ritrovata nella Provincia di Fi- renze principalmente, propongo di chiamarla Aulaxinuus Florentinus. ]\Iacachi e Sileni sono scimmie orientali che abitano da Ceylan al Nepal e si estendono ad oriente fino al Giappone {Mac. spe- ciosus Fred. Ciiv.) ; Cercopitechi, Cercocebi ed Inni sono Scimmie Africane. A questo secondo gruppo di Macachi va riferito più propriamente Aulaxinuus Florentinus, benché sia forma inter- media tra i due ; esso rappresenta un primo anello di relazione tra la fauna antica nostra e la Africana attuale, la quale ha tanto più strette affinità con la fauna, che previsse all’ attuale nel- r estrema Italia, cioè in Sicilia. Ed è probabile che avesse di questi tipi le abitudini ed il regime alimentario, e molte altre peculiarità di organizzazione, come borse alle gote, callosità alle natiche, breve o nulla la coda, corte e forti le estremità, andatura prevalentemente quadrupede. Questo esemplare bellissimo non è il solo avanzo di scim- mia nella formazione lacustre del Val d’ Arno. Nel 18G4 raccolsi negli stessi luoghi alcuni piccoli premolari che sembrano riferirsi a questo stesso tipo. * Il marchese Carlo Strozzi possiede alcuni altri denti. Nel Museo di Pisa si conserva un pezzo di lignite degli strati pliocenici del Mugello (provincia di Firenze) dove sono i due molari posteriori destro e sinistro, un altro molare un premolare ed un frammento di canino tutti della mascella inferiore. Secondo la opinione del professore G. Meneghini, che interpellai in propo- sito, sembra che tali denti a questo stesso nostro genere, ed a specie identica o da questa non molto dissimile dovessero appar- tenere. Sul che non ho modo di pronunziarmi, non avendo ancora ricevuto al momento in cui scrivo il disegno del fossile Mugellese, che il professore Meneghini ebbe la bontà di promettermi. Finalmente in una recente nota, il signor C. J. Forsyth Major ‘ descrive un fossile esistente nel Museo Civico di Milano, il quale consiste in un frammento di mascella superiore destra, conte- nente in posto i tre ultimi molari, e alcuni alveoli dei premolari- ‘ Note sur des siriges fossiles etc. negli .Atti della Società Italiana di Scienze naturali, tom. XV. Milano 1882. — 70 — Il signor Major opina che questo fossile appartenga ad un Iimiis affine ad 1. ecaudatus : e non è lontano dal supporre che siano della stessa specie che ho io ora descritto sul fossile fio- rentino. Nella leggenda che accompagnava il fossile del Museo milanese stava scritto Val d’Arno inferiore^ per equivoco senza dubbio, imperocché sappiasi che nel Val d’ Arno inferiore sono depositi marini e non lacustri quelli che ne colmano l’ acciden- tato bacino. Il signor Major poi mi recò un frammento della roccia, nella quale sta incluso il fossile di Milano, e mi domandò se potessi riconoscere da quel frammento quale fosse la pro- venienza di quel fossile, vale a dire, se potesse dedursene che fosse raccolto nella parte della Valle d’ Arno che è sotto Fi- renze (inferiore) o in quella che gli sta a monte (superiore), ed è a oriente della città. L’ abitudine giornaliera di vedere queste nostre terre e la pratica dei depositi del nostro Val d’ Arno tanto superiore quanto inferiore, non mi lasciarono esi- tare nel riconoscere la forma abituale dei depositi del Val d’Arno di sopra in quel pezzetto di arenaria, finissima, argillosa, ver- dastra e leggermente cementata. Crederei dietro ciò che il fos- sile in discorso fosse raccolto nei depositi inferiori di qualche località delle vicinanze di Figline o di San Giovanni, appunto come la mascella da me ora descritta, la quale proviene da quel di Terranuova nella fattoria del Barone Bettino Kicasoli, dove sono strati ricchi di Mastodon Arvernensis, Elepìias meridionalis, Bos Etniscus, Rhinoceros Etruscus, Equus Stenonis, Ilippopotamns maior e tante altre specie di quella fauna interessante.* * Nell’ Uomo fossile non citai altra specie di Mastodonte che quella detta Arvernensis, e fo ora altrettanto, perchè, dopo gli studii specialmente di Falconer, per i denti, tanto della Collezione del Museo Fiorentino che di altro Collezioni per lo passato notati col nome di angustidens, siamo d’accordo ormai tutti nel riconoscerli come spettanti aH’Aj’uernensis ; e quanto all’ altra citata specie di Borsonii o Pyrcnaicus, mentre è vero che un dente di esso esiste a Montevarchi, non è autentica la leggenda che lo accompagna secondo le più accurate infor- mazioni che presi dalle persone le più competenti quando ne feci lo studio per la pubblicazione della Memoria sull’ Uomo fossile. Scrivendo in questa Memoria le parole « Se Must. Arvernensis non diviso verosimilmente con altri congeneri il nostro suolo » intesi alludere a ciò colla parola verosimilmente. Non sarebbe in verità troppo strana una specie del Miocene medio che avesse trovato modo di protrarre la sua esistenza al Pliocene inferiore ; ma coloro i quali non si sanno risolvere a credere che Masladon Arvernensis ed Elcphas meridionalis si trovano noi medesimi depositi naturalmente sepolti, come ho facile opportunità di veri- — 71 — Qui mi si apre un vasto campo di discussione e di studio, sul quale mi astengo dall’entrare ora; lo tratterò estesamente in un articolo che sto preparando, la opportunità del quale mi è sembrata emergere naturalmente da alcune note pubblicate da diversi autori in questi ultimi anni. Concluderemo adunque che le faune mammologiche antiche deir Italia centrale si sono arricchite di due nuovi tipi importanti. Il primo tipo, appartenente alle Scimmie antropomorfe, fece parte della fauna miocenica più remota provenendo esso dalle ligniti di Monte Bamboli le quali, come ognuno sa, apparten- gono al piano inferiore del Miocene. Collettivamente prese le faune mioceniche europee, esse presentano ora tre tipi ben de- finiti di scimmie antropomorfe, i quali sono: Dn/opithecus, Plio- pithecns e Oreopithccus. 0. Bambola per dimensioni del corpo non arrivava Bnjopithecus, ma sorpassava di molto Pliopithccus : molto più piccolo del Gorillo, era però maggiore del Siamanga ed uguagliava i maggiori Gibboni. L’altro tipo, appartenente alle scimmie inferiori e più spe- cialmente ai Macachi, rappresentato da tre fossili, il maggiore dei quali esistente nel Museo di Firenze e gli altri due uno a Milano ed uno a Pisa, appartiene alla fauna fossile del Pliocene, i resti della quale si trovano nei depositi lacustri del Val d’Arno, del Val di Tevere, Val di Sieve o Mugello all’ est di Firenze, Val di Serchio, Val di ÌMagra e altri minori all’ ovest, per tutti i quali rimando il lettore ad un prossimo articolo. ‘ ficaro parecchie volte tutti gli anni, benché in fondo in fondo siano pliocenici entrambi e del primo abbiamo bellissimi esempi nel Pliocene Marino superiore, dove non manca neppure il secondo, mi vorranno tenere buon grado se non ammetto la evidenza della associazione di Masf. Pyrenaicus con Eìephas me- ridionalis — e forse con El. antiqmis se fosse vera la provenienza sua come viene supposta — fino a prove che non si possano in alcun modo oppugnare. ' Era già stampata la presente nota quando ricevetti dal sig. P. Gervais un buon modello frammento di destra mascella inferiore per il quale è cono- sciuto Semnopithecus Monspessuìanus Gerv. del Pliocene di Montpellier. La descrizione che ho fatta di Aulaxinuus florcntinus mostra abbastanza le diffe- renze che passano tra questa e quella specie. Noterò ora soltanto che la specie francese la quale ne differisce grandemente per il canino, per la forma del primo molare, per l’incisivo esterno, offre una notevole altezza dell’osso ma- scellare in confronto coll’altezza dei denti, senza avere peraltro le profonde de- pressioni esterne tanto caratteristiche della nostra specie. — 72 — II. Su di un lavoro di E. SuESS. Lettera del professore G. Meneghini a I. Goccili. Illustre Amico, Pisa, 20 maggio 1872. Mi affretto a mandarti, perchè sia inserita nel prossimo nu- mero del Bollettino, la traduzione della Nota comunicata dal professore E. Suess all’ imperiale Accademia delle Scienze in Vienna, nella seduta del 21 marzo prossimo passato, ieri sol- tanto pervenutami nel resoconto di detta Accademia. Conoscevo le idee del Suess, fino dal suo passaggio per Pisa nel ritorno dal viaggio in Calabria, ma non potevo parlarne prima che egli non le avesse pubblicate. Ora desidero che abbiano anche presso di noi sollecita pubblicità, e tu intenderai questa mia impazienza perchè sai con quanto amore io coltivi questi studii; ripetuta- mente tu stesso mi eccitasti ad intraprendere il lavoro desidera- tissimo sulla Orografia d’ Italia, e, nutrito a questa scuola del Savi, tu pure apprendesti da gran tempo a conoscere lo spro- fondamento occidentale delle nostre montagne littorali e ad ap- prezzare la importanza scientifica di questo principalissimo ele- mento orografico della penisola italiana che il Savi, con quel suo genio potente, distinse pel primo sotto al nome di Catena me- tallifera. Ogni qualvolta viene affacciata nella scienza un’ idea nuova che con ardita teoria abbracci i fatti conosciuti, è facile trovare nelle pubblicazioni precedenti qualche cenno che più o meno in- direttamente vi alludesse. Ma in questo caso le due teorie si completano a vicenda, senza che l’ una scemi pregio all’ altra ; ed, in quanto a me, associo volentieri il nome del simpatico pro- fessore di Vienna a quello venerato del nostro maestro. Il Savi, quando la scienza era ben più difficile di quello che ora non sia, riconobbe la individualità della Catena metallifera, benché smembrata nelle anella ellissoidali sparse per l’ Italia centrale. Il Savi dimostrò, con sapiente analisi di fatti incontra- 73 — stabili, clic tutta essa Catena aveva, in epoca comparativamente recente, subito uno scoscendimento, prevalentemente nella parte occidentale, la quale perciò s’ era subissata nel mare. Il Suess paragonò rApennino alle Alpi ed ai Carpazii, come- io aveva gicà fatto il Murcliison, allo scopo principale di ricono- scere la corrispondenza cronologica delle formazioni sedimentari nei tre sistemi. Il paragone del Suess si riferisce invece alla generale struttura stratigrafica o, come ora la chiamano, alla Tettonica di esse montagne, desumendone che all’asse orografico rappresentato dalla sprofondata catena metallifera, oltre alla zona esteriore orientale costituita dall’ attuale Apennino, doveva pur corrispondere analoga zona laterale occidentale, sussistente solo all’ ultima estremità meridionale, oltre lo Stretto, nei Peloritani della Sicilia. Tu che hai tanto studiato l’ isola dell’ Elba potrai decidere se rappresenti essa pure una piccola porzione della zona occi- dentale, 0 se la inclinazione ad occidente delle formazioni nel lato orientale dell’ isola appartenga ad una delle flessioni paral- lele dell’ asse centrale. E molte, molte altre questioni insorgono e si alfollano alla mente all’annunzio della nuova teorica. Amo pare sia questo il carattere delle idee importanti, e che, come si suol dire, fanno epoca nella scienza, perchè uniscono la gran- diosità alla semplicità del concetto; ed io di essa idea partico- larmente mi compiaccio, perchè armonizza colla venerazione sin- cera che professo alla memoria di Paolo Savi. G. Meneghini. SuUa struttura deità penìsola italiana. Conuiuicazione del professor Ed. Suess .all’ I. c R. Accadeiiii.a delle Scienze di Vienna nella seduta del 21 marzo 1872. Dopoché la esclusione dei porfidi rossi e di una gran parte dei graniti dalla serie delle vere masse centrali e la inclusione loro al relativo posto nella successione cronologica delle forma- zioni sedimentarie, modificarono così radicalmente le vedute dei geologi sulla struttura delle Alpi, io credetti mio còmpito P ap- 6 74 — plicare le vedute stesse a una catena di monti indipendente, diversa dalla alpina, e prescelsi a tale oggetto l’ Italia. L’ idea che i miei ripetuti viaggi mi lian fatta concepire di questa incomparabile penisola, differisce talmente da quella che che m’era figurata sul principio, che credo doverne comunicare un sunto prima di dare completa pubblicità a tutto l’ insieme del lavoro. In primo luogo è a notare che in tutto 1’ Apennino vero e proprio, cioè la catena del Gran Sasso, che è la linea orografica principale d’Italia, manca ogni roccia che possa paragonarsi alle più antiche delle Alpi e anche, per esempio, agli antichi schi- sti, che qua e là compariscono nelle Alpi meridionali, come a Recoaro. Anziché avere una struttura paragonabile a quella delle Alpi, r Apennino sembra costituire una zona laterale di ripiegature, ed in grazia della grande prevalenza dell’ arenaria, può dirsi rappresentare in proporzioni gigantesche la linea di dirupi {Klip- pen) dei Carpazi. Non mancano però le rocce paleozoiche. Nelle Alpi apuane, nell’ isole della costa occidentale, nella catena metallifera e fino oltre al mezzogiorno di Roma nel promontorio di Circe e nel- l’isola Zannone esse rimangono in minori o maggiori allineamenti, scogli (Riffen) e frammenti a rappresentare le sparse rovine di monti sconquassati. Or bene, questi resti formano essi realmente l’asse centrale delle montagne d’ Italia ? La risposta non può trovarsi che al mezzogiorno dove le formazioni cristalline compariscono in grande estensione nell’ estremità grecale della Sicilia e traverso le Ca- labrie. Nei monti Peloritani non lungi da Messina, affiora il Gneiss e verso libeccio si succedono formazioni sempre più giovani ; già prima di Taormina potei, guidato dal professor Seguenza, rico- noscere le formazioni dell’arenaria rossa (Rothliegend) del Trias, degli strati di Kossen, di Ilierlatz, di Adnet ec., in una parola di tutta la serie stratigrafica che vi fu poi esattamente descritta dal Seguenza ; la qual serie, sotto molti aspetti, somiglia anzi alle formazioni sedimentarie delle Alpi settentrionali più che a quelle delle meridionali. Qui dunque si trova la testa degli strati (SchicJitenìcojyf) di una zona collaterale occidentale. — 75 Un viaggio per le Calabrie mi convinse della costituzione alpina di quei monti e mi offrì anche la possibilitcà di distin- guerne più centri. r La massa dell’ Aspromonte insieme alla Serra San Bruno completa a oriente, interrotta nello stretto di Messina, che ab- braccia in Sicilia i monti Peloritani, dappertutto demolita {abge- hrochen) verso il Mare Tirreno con frammenti avanzati ad occi- dente nello scoglio di Scilla ed al Capo Vaticano. La linea di frattura è la linea principale dei terremoti di Calabria. 2'’ La massa della Sila con manto completo di schisti tutto all’ intorno. 3° La massa di Monte Cocuzze, parimente interrotta verso occidente, cioè verso il mare Tirreno. Quando il professor vom Rath ed io giungemmo nella valle del Crati sopra la città dell’ antica Sibari, ci apparì evidente nella bianca catena calcare della Basilicata che torreggiava dinanzi a noi coperta di neve, la testa degli strati {Schìchtcnliopf) della zona collaterale orientale. Al loro piede presso San Donato si escava il cinabro nella quarzite rossa precisamente come nella formazione dell’ arenaria rossa {liotUiegemì) delle Alpi meridio- nali. Fra Taormina e Sibari sussiste dunque realmente una no- tevole porzione di una catena centrale alpina, di cui rApennino forma la zona laterale a greco e la Sicilia una parte di quella a libeccio ; ed io non esito a riguardare le antiche formazioni della catena metallifera, che mineralogicamente corrispondono a quella dell’ asse della porzione meridionale, anche stratigra- fìcamente come rappresentanti la continuazione dell’asse me- desimo. Da ralermo a Messina, da questa a Spartivento e fino a Ca- pri, il ]\Iar Tirreno è limitato da una linea di frattura; e oltre pure a quello per il capo Circeo fino all’ Elba ed alla Spezia, le montagne sono frante e sprofondate. L’ asse d’ anticlinalc {teUonisclw) della penisola italiana giace sotto al Mar Tirreno, e r antica catena tirrenica è oggidì rappresentata dai frammenti rimasti delle sue rovine sporgenti dal mare o dai successivi de- positi. E come a buon diritto si distingue presso Vienna una depressione interalpina dalla estralpina, distinzione che ha acqui- stato capitale importanza per lo studio delle formazioni terziarie - 7G — più recenti, così in Italia la depressione toscana (ad esempio) è intertirrenica, quella di Bologna estratirrenica. Se ora da questo punto di vista consideriamo i fenomeni vulcanici nell’ Italia d’ oggidì, vediamo coincidere in generale la maggior parte dei luogìii d’ eruzione con le linee della frattura ; così nominatamente la grande zona che dalla Toscana per i monti Albani si distende a Rocca Monfina, ai Campi Flegrei ed al Ve- suvio ; mentre i vulcani s’ aggruppano in folla nel mezzo al campo di depressione (isole Ponza e Lipari). Solamente alcuni vulcani stanno fuori di questo campo, particolarmente da un lato l’Etna, dall’altro il Vulture, ambedue sorgenti dal Macigno; ma io non posso in questa breve nota mostrare la significazione di questi isolati punti di eruzione, al che sarebbe necessario ana- lizzare tutti i fenomeni sismici delle Calabrie e la loro presu- mibile connessione con la estensione del campo di sprofonda- mento. Mentre ciò è riservato a una futura pubblicazione, posso in- tanto solamente indicare che Pantellaria, con Giulia e Linosa mostrano un distinto parallelismo di questa parte del mare col tirreno sparso di tanti gruppi d’ eruzione, ma le notizie che si hanno sulle eruzioni sottomarine del mare Jonio in unione ai terremoti che ne provengono, lasciano anche colà presupporre ana- loghi fenomeni. Non solo i Basalti del Vicentino, ma anche le rocce eruttive degli Euganei son fuori di scena, dacché furono quest’ ultime ri- conosciute per molto più antiche di quello che da prima si cre- desse. Anche le Trachiti euganee scendono fino alle più antiche formazioni terziarie e, precisamente come i Basalti del Vi- centino, consentono con esattezza sufficiente la classificazione cronologica delle parti inferiori e tutto al più medie dell’ èra terziaria. È importante il fatto che nei tufi pomicosi del monte Sieva presso Battaglia, quindi in una delle più giovani di que- ste formazioni, si trovano i fossili della Marna a Briozoi della Val di Lente, la quale, per la sua posizione e per le ricerche paleontologiche del prof. Reuss, è noto che ha presso a poco r età dell’ Argilla a Settarie. La impressione generale lasciatami dai viaggi nelle Alpi e in Italia nel corso degli ultimi anni è quella della poca sfahi- — 77 — lità delle grandi catene montuose. Il ripetersi dei fenomeni col- pisce ; colpisce, per esempio, la conformità di struttura fra i Car- pazi e r Apennino. Anche nei Carpazi è visibile una sola delle zone laterali, cioè la settentionale; il Tatra e compagni for- mano i resti della zona media ; si mostrano soltanto delle tracce della zona laterale meridionale; nel campo di depressione com- pariscono, invece i vulcani del Lazio e di Napoli, le tracliiti deir Ungheria. È sempre una ripetizione in grandi proporzioni dello stesso fenomeno offerta dalla depressione interalpina di Vienna e dei suoi margini ricchi di terme. Anche circa alla connessione dell’ Apennino con le Alpi, si presenta ora una nuova veduta. Già da molti anni Studer ha mostrato che la parte occidentale delle Alpi meridionali scom- parisce gradatamente sotto la pianura dell’ Italia superiore e una parte di essa vi rimane sepolta. I nuovi lavori di Gastaldi e di altri lo confermano pienamente; e così il contorno del golfo di Genova mostra come si uniscano due potenti allineamenti mon- tuosi, e le masse centrali d’ ambedue, meno pochi rudimenti, si approfondino sotto al mare ed alla pianura. Potrebbe anche darsi che 1’ asse sprofondato tirrenico rappresentasse la vera continua- zione dell’ asse curvato in arco delle Alpi. I frammenti della formazione titonica e della creta dei monti Euganei, ne mani- festano già un legame, almeno dei piani sedimentarii superiori, mesozoici, fra Vicenza e P Apennino. III. Cenni sidla costituzione geologica del Piemonte. (Estratto da ima Nota del prof.B.GASTALoi, pubblicata nella Enckìopedm Agraria Italiana.) (Coutinuazioue e fine. — Vedi N. 1 e 2.) Capo Terzo. — Terreno Pliocenico. Il terreno pliocenico, che è parte notevole del suolo italiano, consta di due orizzonti; il superiore di sabbia, l’inferiore di argilla o di marna. Quantunque in alcune località alle rocce 78 — suaccennate vengano a sostituirsi banchi più o meno calcarei, la uniformità della sua composizione è grandissima, dimodoché i geologi parlando del terreno pliocenico dell’ Italia e delle iini- time regioni, usano di dire semplicemente le sabbie e le marne plioceniche, aggiungendo alle prime l’ epiteto di gialle, e di azzur- rognole alle seconde perché tale é il colore generale di quelle rocce nelle indicate regioni. Quei due orizzonti colle loro tinte spiccate colpiscono più d’ una volta 1’ occhio del viaggiatore tra Villafranca ed Asti, tra quest’ ultima città ed Alessandria, Questo terreno si estende lungo la spiaggia dell’ Adriatico tra Ilimini e Lecce formando una zona che, a partire dal livello del mare, si eleva gradatamente sulle falde dell’ Apennino ; da Lecce fa il giro del golfo di Taranto, si estende lungo la spiag- gia della Calabria nel mare Siculo, appare qua e là in lembi sulle rive del golfo di Salerno c presso Civitavecchia ; copre ampia porzione della Toscana, e, ridotta a minimi lembi, la si incontra ancora tra la Spezia c Genova, tra questa città e Nizza marit- tima. Essa mostrasi altresì nella Sicilia, trovasi in ristretti limiti nella Sardegna, ed é appena rappresentata in Corsica da qualche esiguo deposito. Da Rimiui risale lungo la valle del Po per Forlì, Imola, Bo- logna, Modena, San Donnino, Voghera, Tortona, Novi, Acqui; più oltre la zona si allarga, occupa 1’ Astigiana c parte del Monfer- rato estendendosi fin presso Mondovì. Alla base delle Alpi pare che quel terreno scompaia; tuttavia cercandolo attentamente, lo si discopre in microscopiche macchie presso Ivrea, Masserano, allo sbocco della Sesia c qua e là lungo la base delle Alpi lom- barde e venete. Esso si eleva e si mantiene ad un livello costante, e volendo con qualche approssimazione fissare quel livello, notiamo che il terreno risale sin presso a Tossano a 350 metri circa sul mare. A partire adunque dal livello marino noi lo vediamo, là ove non é coperto da depositi posteriori, più recenti, elevarsi lungo l’ Apennino c la base delle Alpi sino all’altezza di 350 metri circa, e formare perciò grandissima parte delle colline che si protendono lungo la base dell’ Apennino e parte esiguissima di quelle che formano le prealpi. Le sabbie sono generalmente silicee, il sottostante orizzonte • — 79 — varia dalla marna molto calcarea alla molto argillosa, ed in alcuni luoghi lo è tanto, che viene adoperata alla fabbricazione delle stoviglie e dei laterizi. Ambedue gli orizzonti sono depositi marini, e ciò riesce evi- dente per poco che si esaminino da vicino; grandissima infatti è la quantitcà di corpi marini che in essi si incontrano, ma so- pratutto di molluschi, a segno che in taluni luoghi si vedono banchi di un metro ed anche più di grossezza, esclusivamente formati di conchiglie. Questi banchi porgerebbero agio ad emen- dare altre vicine terre troppo argillose e tenaci se i nostri con- tadini, se i proprietari stessi, meno ignoranti o men poveri, sapessero e potessero farne uso. Se poi a taluno non paresse sufficiente per ritenerli depositi marini il trovarsi nel loro interno quella quantità di conchiglie di mare cui abitiamo accennato, soggiungeremo che non di rado accade di scoprirvi intieri sche- letri di delfino e di altri cetacei, come sarebl)e a dire balenot- tere e balene. Il terreno pliocenico come generalmente è composto, e salvo i casi ove alle sabbie ed alle argille vengono a sostituirsi banchi calcarci, non porge naturali materiali di costruzione; in alcuni luoghi tuttavia e massime nell’ orizzonte superiore si trovano banchi nei quali la sabbia è riccamente cementata da sugo cal- careo e diviene solida a segno da fornire una pietra da taglio atta ai più delicati lavori. Sgraziatamente però quella pietra non resiste al gelo od ai rapidi cangiamenti di temperatura, onde in breve tempo si sgrana e si rompe. Non solo in questo terreno fanno difetto i banchi di roccia atta alle costruzioni, ma in ge- nerale esso va privo altresì di banchi di ciottoli onde quando una strada carreggiabile deve per lungo tratto attraversarlo si incontrano serie difficoltà a mantenervi il pietrizzo. In alcuni ■ luoghi però, al piede dell’ Apennino e delle Alpi, in corrispon- denza degli sbocchi delle valli, anche questo terreno presenta qua e là letti di ciottoli provenienti da più antichi terreni; e questo fatto ci dimostra che all’ epoca in cui il mare pliocenico occupava gran parte della valle del Po sino a notevole altezza, e di tanto conseguentemente si elevava al piede dell’ Apennino lungo le coste del Mediterrqneo, i torrenti che discendevano dai monti già vi portavano tributo di acque e di detriti. Giova tut- — 80 tavia osservare che i letti di ciottoli del pliocene sono, sia in ampiezza che in grossezza, come altresì pel volume dei detriti, di gran lunga inferiori ai banchi diluviali non solo ma a quelli altresì che odiernamente si formano in mare allo sbocco dei tor- renti attuali, ad esempio, del Varo, del Paglione, del Centa, ec., non che a quelli che si formano negli alvei dei torrenti, allo sbocco delle valli apeuniniche ed alpine. Questo fatto ci induce a credere che durante V epoca pliocenica regnava sul nostro paese un clima diverso dall’ attuale e simile forse a quello che regna oggidì nell’ America meridionale lungo buon tratto delle coste del Pacifico ove, non piovendo quasi mai, i torrenti che discendono dai monti, recano al mare lieve tributo di acque e di detriti. In molti luoghi le sabbie gialle plioceniche di origine marina sono ricoperte da banchi ora di sabbia e di ghiaia purissima con macchie di limonite e di idrossido di manganese, ora di esili banchi di ciottoli, ora di letti di finissima argilla. Ad eccezione di alcune speciali località questi banchi non hanno notevole gros- sezza, la quale non supera forse mai i dieci metri. L’ origine loro è fluviatile; sono cioè alluvioni di fiumi di gran portata che discendevano al mare quando sollevatasi in massa la penisola italiana e le adiacenti regioni, il mare pliocenico era stato co- stretto a ritirarsi. Egli è in questi banchi che si trova sepolta quella ricca fauna di grossi pachidermi, come mastodonti, ele- fanti, rinoceronti, ippopotami ec., i cui resti si ammirano nei Musei di Firenze, di Torino, di Roma, di Milano, ec. Non v’ ha dubbio che questi animali vissero ai piedi dell’ Apemiino e delle colline nostre sul finire dell’ epoca pliocenica. Ed infatti non di rado succede di incontrare intiero o quasi lo scheletro di un elefante o di un mastodonte; in tal caso le ossa sono in parte sparse o trovansi a non grande distanza le une dalle altre, in parte sono ammucchiate assieme, ed esaminando attentamente la roccia che le circonda, si vede che essa fu lentamente ed in esili straticelli deposta; in molti casi poi si possono distinguere le parti delle ossa che, rimaste per maggior tempo esposte agli agenti atmosferici, prima di essere sepolte dalle alluvioni, pro- fondamente si alterarono e si corrosero. In certe località, come nel Valdarno superiore, nei dintorni — al- di Roma, iieir Astigiana, a Biittigliera, Dusino, San Paolo, Fer- rerò, Mongrosso, Incisa, ec., frequentissimi si incontrano tali scheletri, onde conviene ammettere che il suolo emerso fosse co- perto da lussureggiante vegetazione. Varia moltissimo la grossezza, la potenza, lo spessore del terreno pliocenico, sia che lo si consideri nel suo assieme, sia che 10 si consideri partitamente nei due suoi orizzonti. Non è infatti da supporsi che, quando il mare pliocenico occupava la valle del Po, il fondo suo fosse perfettamente piano e regolare ; facilmente quindi si capisce che là ove trovavansi bassi fondi, i depositi si accumularono in maggior quantità, e riescirono meno grossi ove 11 fondo era più elevato. In alcuni luoghi 1’ orizzonte superiore, quello di sabbia, non ha guari più di 30 a 35 metri di grossezza, mentre in altri, esso raggiunge i CO ed anche gli 80 ; forse meno costante nel suo spessore è l’orizzonte inferiore. Nell’ alta valle del Po la potenza complessiva può ritenersi di oltre i 100 metri; onde ben si vede che una gran parte delle collinette dell’Astigiana e del Monfer- rato constano intieramente di questo terreno, non essendo la loro altezza, misurata dal fondo delle interposte vailette, superiore ai 40 od ai 50 metri. Per lo più sul fondo di queste ultime ed al piede delle collinette aftiorano le marne, sulle pendici le sabbie marine, nella parte superiore le sabbie e le argille fluviatili ; d’ or- dinario poi il culmine del poggio è coperto da un banco più o men grosso di argilla tenacissima d’ un giallo carico, cui si dà il nome di Uhm o di loess. La zona delle sabbie costituisce un terreno, se non sterile, arido molto per la facilità grandissima colla quale le acque pio- vane le attraversano per giungere sulle sottostanti marne od ar- gille. È poi da attribuirsi alla stessa causa se questo suolo, per la cui coltivazione richiedesi una quantità notevole di concime, lo digerisce e lo consuma rapidamente. In questo suolo sabbioso vegeta la maggior parte della immensa quantità di viti coltivate nell’ Astigiana ; lo stesso ha luogo nei dintorni di Bordeaux, con questa differenza che le sabbie di quella regione sono di un’ epoca geologica più antica, vale a dire del Miocene. Il suolo sabbioso dell’ Astigiana non è però sempre costituito di pura sabbia, giacché le acque trascinano giù e mescolano con — 82 ~ quella lo strato eli argilla tenace che, in generale, copre il cul- mine delle collinette ; la miscela poi dell’ argilla e delle sabbie colle marne sulle quali esse giacciono rende fertilissimo il fondo dei valloncelli scavati nel terreno pliocenico. Diremo più sotto come molte delle collinette plioceniche presentino pendici o pa- reti rapidissime e sovente quasi tagliate a picco; in tal caso la rigogliosa vegetazione del fondo del valloncello fa singolare con- trasto colla aridità e ben sovente colla sterilità delle pendici che lo fiancheggiano. Se per la natura sua la zona di sabbia è arida, essa ha per contro il vantaggio di costituire terreni che non scivolano, non lavinano, non fanno spinta anche quando si trovano per lunghe pioggie perfettamente inzuppati. E proprietà della sabbia di es- sere incompressibile ; se a ciò si aggiunga la scoerenza degli elementi di cui è formata la roccia, la facilità colla quale l’ acqua la attraversa, si capirà il perchè nelle collinette dell’ Astigiana e generalmente nei poggi risultanti dalla erosione dell’orizzonte superiore del pliocene, si incontrino pareti di IO, 15, 20 ni. di altezza tagliate quasi a picco, le quali conservano per lunghis- simo tempo la loro quasi verticalità. Citerò ad esempio quelle che fiancheggiano la strada tra Castelnuovo d’Asti ed Albugnano; quelle della profonda trincea aperta presso il tunnel di Mon- donio, ec. Che se tuttavia gli agenti atmosferici esercitano su quelle pareti la loro azione distruggente, ciò ha luogo a falde relativamente sottili e parallele al piano della parete. Per tale proprietà dei terreni sabbiosi ne venne che in generale il disso- damento dei boschi nelle collinette dell’ Astigiana c di parte del Monferrato ebbe men disastrosi effetti. Le acque piovane, attraversando rapidamente il banco sabbioso, si fermano a contatto delle sottostanti marne od argille e dànno luogo a sorgenti che nel tempo trascorso contribuivano a man- tenere la verdura sul fondo delle vallette e lungo le pendici là ove affiora il contatto delle due rocce. Oggidì però, distrutte le magnifiche macchie (i cedui) di castagno che vestivano i riversi di quei poggi, e ridotto il suolo a coltura od a gerbido, poco a poco scompaiono le sorgenti perchè l’ acqua piovana che cade ad inzuppare il suolo, non più protetta dal folto fogliame del bosco, rapidamente si evapora. La mancanza delle sorgenti nelle colli- - 83 — nette dell’ Aistigiana ed in generale nei poggi pliocenici, ove il dissodamento si è fatto in grande scala, arreca, massime in questi anni di ripetuta e pertinace siccità, un danno considerevole alle colture, poiché, se alla mancanza di acqua potabile si può in qualche modo rimediare colle cisterne, non è dato all’ uomo di andare al riparo delle funeste conseguenze dell’ aridità del suolo. Il terreno pliocenico largamente si estende lungo tutto l’ A- pennino sul versante adriatico dalla estremità meridionale d’Italia sino alla base delle Alpi marittime, onde quel terreno viene al- tresì chiamato siibapennino non solo in Italia ma all’estero, dopo la pubblicazione della celebre opera nella quale il Brocchi, geo- logo lombardo, descrisse le conchiglie fossili di quel terreno. Al piede delle Alpi, per contro, quel terreno non è rappre- sentato che da rari, disgiunti, piccoli lembi, i quali però a guisa ili capi saldi ci permettono di tracciarvi approssimativamente i limiti del mare pliocenico. Questo mare occupava gran parte della valle del Po formando un vasto golfo ; le sue acque penetravano entro alcune delle valli alpine dando luogo a stretti, lunghi, pro- fondi seni simili a quelli della costa della Norvegia chiamati fyord. Che tale fosse l’estensione e la distribuzione delle acque di quel mare lo si deduce dal trovare depositi pliocenici, molto stretti è vero, ma ricchissimi di conchiglie marine al piede delle Cozie, allo sbocco della valle della Chiusella presso Ivrea, a Mas- serano presso Biella, a Crevacuore nell’interno della valle della Sessera, ultimo tributario di destra della Sesia, presso Boca e Maggiora, ec,, ec. L’ altitudine cui troviamo tali depositi al piede delle Cozie ci dimostra che, se i bacini dei nostri grandi laghi, quelli di Garda, di Como,' Maggiore, ec., già erano sca- vati, ciò che è molto improbabile, essi dovettero andar ricolmi di depositi pliocenici, come coperto degli stessi depositi andava il fondo della valle padana. Notiamo qui ancora che nei lembi plio- cenici posti al piede delle Alpi, manca generalmente l’orizzonte superiore, quello delle sabbie, e quindi possiamo domandarci perchè questa differenza tra i depositi sub-apennini ed i sub-alpini ; perchè oggidì al piede della catena alpina quel terreno non è più rappresentato che da rari e staccati lembi, i quali sono inoltre estremamente esigui se si paragonano alla estensione e conti- nuità della opposta zona apenninica. — 84 - La risposta sarà pronta se ricordiamo ciò che abbiamo più sopra esposto. Quando la valle del Po era un golfo dell’ Adriatico, regnava nel nostro paese un clima secco e ciò lo deduciamo dalla esi- guità dei depositi di ciottoli che troviamo nel pliocene in corri- spondenza agli sbocchi delle valli apenniniche ed alpine. Il sol- levamento, die fece emergere gli strati marini del pliocene, ebbe altresì per conseguenza un cangiamento nel clima, poiché gli strati di origine fluviatile, che coprono in molti luoghi le sabbie marine, hanno un’ estensione molto notevole ; e d’ altronde la ve- getazione doveva essere molto rigogliosa per sopperire ai bisogni di tanti grossi pachidermi che allora abitavano nel nostro paese. Ed infatti non v’ ha regione della terra in cui vivano oggidì as- sieme, come allora vivevano, quattro specie di proboscidei, due mastodonti, VArvernensis cioè ed il Borsonii, due elefanti, Van- tiqiius ed il meridionalis^ oltre ad una quantità grandissima di rinoceronti, di ippopotami, di sus, ec. ec. Il clima andava intanto facendosi più freddo e più umido e tro- viamo infatti che a quella di pachidermi succedeva una fauna di ruminanti e di solipedi ; venne quindi P epoca delle grandi piogge e delle grandi nevi, nella quale si formarono allo sbocco delle valli alpine gli antichi coni di deiezione da prima e quindi gli anfiteatri morenici. Parlando degli antichi coni di deiezione o del terreno diluviale abbiamo veduto : 1° che esso copre il fondo della valle del Po; 2" che è formato di ciottoli, ghiaia e sabbia e che ha una potenza, uno spessore a noi non noto ma sempre molto grande. Ciò posto riescirà evidente che i torrenti dilu- viali, i quali poterono trascinare sino a 15, 20 ed anche 30 chilometri dal piede delle Alpi ciottoli che hanno 30, 40 e tal volta anche 50 centimetri di diametro, non hanno potuto la- sciare in posto gli strati di sabbia, di marna e di argilla del pliocene, ma li distrussero e ne trasportarono gli elementi nel mare ove rideponendosi contribuirono all’ allungamento del fondo della valle padana ; solo perciò rimasero a testimonio dell’ esi- stenza del terreno pliocenico quei lembi che o per essere di roccia più tenace (conglomerato cementato dal calcare come ve- desi al Ponte dei preti sulla Chiusella) resistettero all’ azione dei torrenti, o si trovarono situati in luoghi ove P impeto delle acque - 85 — non potò raggiungerli. Ed ecco come procedendo nello studio dei terreni che formano il suolo del nostro paese, noi incontriamo nuovi fatti a riprova di quella maggior quantità d’acqua cor- rente che tante volte invocammo nel precedente capo per spie- gare la formazione del terreno torrenziale o diluviale. Riportandoci colla mente all’ epoca in cui emerse il terreno pliocenico, noi vediamo come esso formar dovesse un piano lie- vemente inclinato che copriva la valle del Po, e si elevava lungo la base delle Alpi e dell’ Apeimino. Quasi intieramente distrutto ed esportato dal piede della catena alpina durante il periodo delle grandi acque torrenziali, quel terreno fu nello stesso tempo profondamente eroso in corrispondenza delle valli che discendono dall’ Apennino. Ogni torrente apenninico si ò aperto un largo alveo in quel terreno il quale perciò, perdendo la forma di piano in- clinato continuo ed unito, si suddivise in una serie di profondi, larghi e lunghi solchi alternanti con rialzi, la sommità dei quali non oltrepassa mai, ben inteso, il livello dell’ altipiano da cui derivano. Si capirà facilmente poi come i rivi discendenti dagli sparti-acque di quei rialzi, li abbiano suddivisi in tante collinette allineate nella direzione che essi avevano. Tali sono le collinette plioceniche ; sono cioè rialzi prodotti esclusivamente dalla erosione. Abbiamo messa in rilievo la forza di erosione e di distru- zione delle acque correnti a danno del terreno pliocenico ; ecco un altro fatto il quale, se non ha le proporzioni del primo, eser- citò ed esercita una non lieve influenza sulle condizioni idrogra- fiche dell’ alta valle del Po. Questo fiume, cui i nostri padri diedero il nome di Re, se, giunto a Revello, ove si inoltra nella sua gran valle, cessa di essere torrente alpino, non ha però ancora gli attributi di un fiume, nè aspetto e portamento regale. Esso va tuttavia man mano acquistandoli poiché sulla sua sinistra riceve i torrenti che discendono dalle Cozie, dalle Graie, dalle Perniine, dalle Lepon- zie, ec., i quali a brevi intervalli versano nel di lui alveo le loro acque e vi perdono il nome. Sulla sua destra per contro non riceve, al suo entrare nella valle, che la Varaita e la Maira, torrenti delle Alpi marittime ; quindi per un tratto di 90 chilo- metri circa (tra Casalgrasso e Sale), misurati in linea retta, non riceve più alcun tributario di qualche importanza se non a Sale 86 ove il Tanaro gli porta il tributo delle acque della Stura, del Pesio, dell’ Ellero e della Bormida. Ad eccezione della Maira e della Varaita, tutti i predetti torrenti di destra discendenti dalle Alpi marittime, invece di correre nella loro valle naturale, vale a dire in quella del Po e di versare le loro acque in quel fiume a monte di Moncalieri, attraversano la bassa Langa e vengono a confluire nel Po al disotto di Alessandria. Perchè questo gruppo di torrenti, od in altre parole il Tanaro percorre tale via men naturale e più lunga? Un accurato studio della regione tagliata dal Tanaro tra Cherasco, Bra, Alba, Asti ed Alessandria, pone in sodo che una volta il suo corso era infatti più breve e terminavasi nel Po a monte di Moncalieri ; conviene quindi ammettere che quel tor- rente trovando alla sua destra depositi di facile erosione (plio- cenici) si aperse un solco attraverso ad essi e riuscì a prolun- gare il suo corso sino a valle di Alessandria. Che tale fosse il corso di quel torrente si arguisce dallo seguenti osservazioni. Gettando P occhio sulla carta topografica del Piemonte alla scala di uno al 50 mila, vediamo come tra Cuneo, Bra e Car- magnola s’ apre una depressione la quale si fa man mano larga e profonda ed assume patentemente l’aspetto di un antico alveo, la cui sponda sinistra scorgesi evidentemente raffigurata tra i Ronchi, Possano, Grinzano e Caramagna. Il tronco di ferrovia che da Cavallermaggiore tende a Bra, sale da prima lungo un piano lievemente inclinato sino alla cappella della Madonna del Pilone, la quale trovasi appunto su quella antica sponda, e quindi scende nell’antico alveo tagliandolo normalmente al di lui asse prima di giungere a Bra. Ivi giunta la ferrovia, per dirigersi verso Alba, fa una ben più lunga e rapida discesa lungo la riva sinistra dell’ attuale letto del Tanaro, le cui acque trovansi ad un livello di oltre 90 metri inferiore a quello di Bra. Il suolo superficiale di quell’ antico alveo è formato di un letto più 0 meno grosso, non però grossissimo, di ciottoli od in altre parole di diluvium; al disotto trovansi le marne plioceni- che le quali, obbligando le acque di filtrazione a fermarsi, dànno luogo a sorgenti e polle, onde non infrequenti incontransi in — 87 - quelUi zona di torrono le estrazioni d’ acQua col sistema Calan- dra. Se coll’occhio si segua, sulla carta, il corso della Stura e la direzione dell’ antica sponda che si protende sulla sinistra, si scorge come quel torrente abbia potuto una volta occupare quel- r antico alveo tenendosi ad un livello ben più alto di quello cui ora corre. Però un attento esame di tutti i dati che la geologia può fornire, ci mostra come la Stura non solo, ma anche il Ta- naro abbia seguito quella via. Il Tanaro discende per la valle di Orniea a Garessio, Cova, Cherasco e riceve le acque della Corsaglia, dell’ Ellero e del Pesio. Questi torrenti hanno la loro origine nel gruppo di Mongioic ove trovasi una gran massa di roccia a struttura porfiroide che prolungasi poi sino ad Orinea. Consta questa roccia di una pasta feldspatica a tinta di rosso or più or meno scuro ma sempre viva, nella quale sono racchiusi noccioli e cristalli di feldspato a tinta rossa meno intensa ed arnioni di una sostanza verde molto tenera che potremo chiamare clorite. Sarebbe inopportuno indagare qui se quella roccia sia un vero porfido od una di quelle locce a struttura cristallina che i geologi chiamano col nome di metamorfiche per non sapere come altrimenti chiamarle, solo diremo che essa, ridotta in ciottoli, facilmente si fa distin- guere anche dai meno osservatori per la vivezza delle sue tinte, e che caratterizza colla sua presenza, in detriti, i depositi tor- renziali ed alluvionali del Tanaro, giacche non trovasi in posto che nelle valli di Ormea, della Corsaglia, dell’ Ellero e del Pesio. Ora accadde che lavorando, in galleria da prima e quindi in trincea, al prolungamento della ferrovia da P>ra per Alba ad Ales- sandria, nel breve tratto tra la stazione di Bra e la discesa che conduce all’ attuale profondo letto del Tanaro, si scoperse un potente banco di ciottoli fra i quali frequentissimi e grossi tro- vansi quelli della roccia sovra descritta. Altri banchi di consi- mili ciottoli vennero poscia scoperti tra Sommariva e Carmagnola, onde pel geologo non v’ ha dubbio che una volta il Tanaro cor- reva lungo queir antico alveo tra Bra e Carmagnola ad un livello di oltre 90 metri superiore all’ attuale, e che 1’ odierno corso del Tanaro è dovuto esclusivamente alla erosione. A conferma di tale opinione viene ancora un altro fatto, ed è che la Mellea e la Maira, quando sono in piena, tendono ad erodere la loro destra — 88 — riva ed a portarsi verso la Stura ; mi venne anzi detto che si dovettero costrurre argini onde opporsi a tale tendenza. Onde ben si vede che nei torrenti che corrono nell’ alta valle del Po sulla destra del fiume v’ ha una naturale tendenza a portarsi sulla loro destra e forse non richiederebbesi un troppo lungo tempo nè spese troppo ingenti per aprire un nuovo alveo a questi torrenti, alla Varaita ed al Po e portarne le acque nel Tanaro servendosi dell’ alveo della Stura ; si verrebbe in tal modo a cangiare tutto il regime idrografico dell’alta valle padana. La profondità cui corre il Tanaro tra Cherasco, Era, ec., è maggiore di quella degli alvei di tutti i torrentelli che erosero P altipiano tra Villanova, Asti ed Alessandria e produssero le collinette plioceniche; nè poteva essere altrimenti poiché il Ta- naro è il raccoglitore di tutte le loro acque. Ne avviene quindi che il Tanaro dovette erodere più profondamente il suolo, ed infatti nell’ alveo di quel torrente, oltre al terreno pliocenico, af- fiora la parte superiore del miocenico del quale parleremo al capo seguente. Diremo fin d’ ora però che quel terreno consta di rocce relativamente tenere, come marne ed argille, fra le quali vengono or qua or là ad interporsi banchi di puddinga e di ghiaia, di calcare e di gesso i quali oppongono maggior resistenza alla forza erosiva delle acque. Masse di tali rocce sporgono in forma di rupi dalle pareti del letto di erosione del Tanaro, alla Morra, a Santa Vittoria, a San Marzanotto, ec. Capo Quarto. — Terreni miocenico ed eocenico. Divideremo il terreno miocenico in tre orizzonti, non tanto per attenerci alla pretta classificazione geologica quanto per de- scrivere separatamente le rocce di cui essi constano, le quali presentano particolarità degne di nota, e per la natura loro mi- neralogica variamente influiscono sulla vegetazione. Miocene superiore. — Abbiamo detto come il miocene superiore sia formato di marne e di argille con banchi di gesso e di cal- care, e più raramente di puddinga e di ghiaia. La roccia la più caratteristica di questo orizzonte è il gesso. Noi lo troviamo in grossi banchi a Pollenzo nella valle del Tanaro, i quali si prò- - 89 - lungano quasi senza discontinuità per Alba, Acqui, Novi, Tortona, Voghera, Piacenza, Modena, Bologna, Sinigaglia, ec., sino alla estremità meridionale d’ Italia, sin nella Sicilia. In Piemonte, ' oltre al trovarlo ai piedi delle Alpi marittime e dell’ Apennino, lo incontriamo altresì al piede meridionale della catena di col- line che da Moncalieri, per Superga, Albugnano, Cocconato, Yil- ladeati, si estendono sino a Valenza. Queste colline riproducono in piccola scala la costituzione geologica di una parte dell’ Apen- nino; esse constano infatti di eocenico, di miocenico e di plioce- nico, e presso a Casale lasciano altresì vedere il serpentino in posto; sono in altre parole, una ripiegatura del suolo parallela a quella che diede luogo alla catena apenninica. Bitroviamo il gesso in alcuni luoghi anche sul versante medi- terraneo, e sopratutto a Volterra, a Castellina INIarittima in To- scana, località già ben note per la quantità e bellezza dei loro alabastri gessosi. In altre parole, il terreno miocenico superiore, servendo di I base al pliocenico, viene ad affiorare là ove era la spiaggia di ! quel mare, là ove cessano i depositi di quell’ epoca; onde il gesso e le concomitanti marne, argilhi e ghiaie servono, per così espri- mermi, di cornice alle marne ed argille plioceniche. Tant’ è che noi lo incontriamo attorno al Mediterraneo c lungo le spiaggie dell’ Atlantico in quei luoghi ove affiora altresì il pliocene, vale a dire sulla costa settentrionale dell’ Africa, ai piedi dell’ Atlante ove, a quanto pare, costituisce altresì il suolo del deserto, nei dintorni di Cadice, nella Provenza, ec. L’ affioramento di banchi gessosi a Pollenzo, la Morra, Santa Vittoria, San Marzano da una parte; a IMoncucco, Castelnuovo d’ Asti, ec., dall’ altra, ci mostra che quei banchi si estendono al disotto della interposta pianura e delle interposte collinette plioceniche. Le argille e le marne che accompagnano il gesso hanno, in molti luoghi, grande rassomiglianza con quelle del pliocene infe- riore, colle quali sono d’ altronde in stratificazione concordante e di poco più inclinata, onde in molti casi riescirebbe difficile distinguere il pliocene inferiore dal miocene superiore, se non si prendesse per orizzonte di separazione il banco di gesso. La presenza di questa roccia e la sua abbondanza favorisce 90 — nei paesi che essa attraversa la economica costruzione delle case coloniche (volte, pareti di divisione, arricciatura e persino pietra da taglio) e favorirebbe maggiormente una più abbondante pro- duzione di molte coltivazioni se all’ uso del gesso, massime nei terreni sabbiosi del pliocene ed in quelli del Uhm, non venissero ad opporsi le stesse cause cui già accennammo per 1’ uso delle marne plioceniche. La zona dei gessi che qui prendiamo per sinonimo del mio- cene superiore è una zona importantissima come quella che per la prima nella serie geologica dei terreni del nostro paese ci offre calcari atti a dare malte. Ad essa appartengono i calcari della Morra, di Arignano, di Passerano, di Stradella, ec., ado- perati in larga scala nella regione che si estende tra il Tanaro ed il Po. Nella stessa zona incontransi non infrequenti le sorgenti salate e solforose, ad esempio quelle di Castelnuovo d’ Asti, di Mon- tafìa, di Murisengo, del Vogherese, di Tabiano, ec. In alcuni luoghi, come a Salsomaggiore, queste sorgenti sono copiose e le acque si sottopongono alla evaporazione per ottenerne il sale ; la stessa operazione si fa a Volterra in Toscana, ove la trivella ha svelato, a non grande profondità, la presenza di grosse masse di salgemma in forma di lenti: sono nella stessa zona i famosi banchi di salgemma della Sicilia. È noto poi come molte delle sorgenti salate di questo orizzonte contengono non lievi quantità di iodio e di bromo, e portano seco idrocarburi allo stato liquido 0 gasoso. La stessa zona racchiude altresì il solfo allo stato libero. È noto come questo minerale abbia due giacimenti ben distinti ; si trovi cioè allo stato di sublimazione nei crateri dei vulcani, ed allo stato concrezionato e di cristalli nelle rocce sedimentarie. Limitandoci a considerare il solfo che ha quest’ ultimo giacimento diremo che non vi ha massa gessosa la quale non contenga solfo libero, come per contro non vi ha solfo all’ infuori delle masse gessose; onde se ricordiamo che il gesso è un solfato, verremo naturalmente a conchiudere che il solfo proviene dalla decompo- sizione di quel solfato il quale ne contiene circa il 20 7o- Il gesso del miocene superiore non si trova quasi mai allo stato compatto; il più sovente è in masse a forma di lenti con 91 perfetta struttura cristallina, le quali hanno talvolta, in pari tempo, . stratificazione regolare, corrispondente a quella delle argille e delle marne che le racchiudono. A Stradella ed in altri luoghi deir Italia centrale, la stratificazione del gesso a strut- tura cristallina è talmente regolare che quella roccia si estrae in grandi lastre quasi come fosse gneiss, e queste lastre offrono impronte di una notevole quantità di foglie, di frutti, di insetti ed anche di rettili, conservate a segno che si possono con faci- lità studiare e classificare. Lo studio di quei fossili ci induce a credere che le rocce appartenenti alla zona gessosa ed in par- ticolare i calcari, le argille, il salgemma, il gesso si formarono sul fondo di una serie di lagune fiancheggianti il mare ed in comunicazione con esso, le acque delle quali per conseguenza potevano essere ora salate, ora salinasti’e, or quasi dolci. Pare poi che si depositassero simultaneamente, che cioè mentre in alcuni punti il calcare, il gesso ed il salgemma si precipitavano per via chimica, in altri si andavano accumulando per via mec- canica le argille. Nelle marne per contro e negli strati di sabbia e di ghiaia che colle rocce sovra nominate costituiscono P oriz- zonte del miocene superiore, si trova una ricca fauna di con- chiglie, di polipai e di altri animali marini. Dal lato agronomico i terreni del miocene superiore sono in generale molto ubertosi; essi tuttavia facilmente si ammollano, ritengono P acqua e divengono più o meno colanti. 31iocene medio. — 11 miocene medio consta di marne più o meno calcaree, ma in generale più dure e più resistenti di quelle dell’ orizzonte superiore, di argille fissili e dure, di calcare, e finalmente di banchi di ghiaia e ciottoli con massi talora di gran mole. Tutte le rocce di questo orizzonte sono in stratificazione concordante, ma di alcun poco più inclinata, con quelle del mio- cene superiore; in alcuni luoghi però la loro inclinazione si fa maggiore ed in altri raggiunge quasi la verticale. Se la zona dei gessi traccia nettamente il limite superiore di questo terreno, men nettamente esso si separa, si distingue dall’ orizzonte infe- riore col quale anzi gradatamente si confonde. La collina che si estende tra Moncalieri e Valenza, è in gran parte formata di terreni miocenici, ma sopratutto di miocene medio, il quale si mostra quindi in larga zona tra Mondovì e Ceva, nei dintorni 92 — di Acqui e di Gavi, e si protende oltre lungo il piede dell’ Apen- nino della Liguria, dell’ Emilia, della Calabria e della Sicilia. Nella Savoia e nella Svizzera il terreno miocenico racchiude potenti banchi di sabbia compatta, i quali forniscono eccellenti pietre da taglio di facile lavorazione che prendono nome di mol- lassa, appellativo che si diede quindi anche al terreno dal quale provengono. I geologi savoiardi e svizzeri chiamano adunque il miocene col nome di terreno della melassa; alcuni geologi ita- liani adottarono quell’ appellativo e lo applicano particolarmente a denotare 1’ orizzonte medio del nostro miocene. Le marne e le argille di questo terreno sono generalmente chiamate tufo, nome volgare che nelle varie provincie si impiega ad indicare rocce per natura ed origine affatto differenti. Quan- tunque quelle marne e quelle argille siano notevolmente dure e resistenti a segno da richiedere talvolta 1’ uso dei cunei e delle masse di ferro per affossarle, se rotte e smosse, vengono nel- r invernata intieramente scompaginate e disfatte dal gelo e dal disgelo e si trasformano in eccellente suolo coltivabile. Anche questo terreno ci offre potenti banchi di calcare a Gas- sino, Acqui, Visone, Ponzone, i quali danno per cottura calce molto grassa. Sin dall’ epoca romana essi furono adoperati per pietra da taglio, ma sgraziatamente non resistono alle variazioni di temperatura del nostro clima; ad esempio la basilica di Su- perga, il porticato della Università, ec. : come marmo venne par- ticolarmente messo in opera nel secolo scorso, ma ben tosto se ne smise 1’ uso, la tinta della pietra essendo sbiadita, monotona, senza brio. Nei terreni di questo orizzonte si incontrano talvolta zone quasi sterili ; sono gli affioramenti dei banchi di conglomerato e di ghiaia, i quali per la fisica loro costituzione non possono som- ministrare sufficiente alimento alla vegetazione. Questi banchi hanno in alcuni luoghi la straordinaria potenza di 30, GO e fin 100 metri come a Portofino sulla riviera orientale di Genova. Li incontriamo sul ridosso delle colline Moncalieri-Valenza, all’ Eremo, al Brio della ghiaia, al Mongiovet, al Brio palone ove la incli- nazione loro non è molto notevole; li ritroviamo a Villadeati e più oltre con posizione quasi verticale, perchè ivi si avvicinano maggiormente ad una linea di sollevamento, e infatti a breve — 93 — distanza da Villadeati trovai la roccia cristallina sotto forma di una testata di serpentino. Sulla destra del Tanaro, ai piedi delle Alpi marittime e dell’ Apennino, si mostrano enormemente svil- luppati tra Mondovi e Garessio nelle valli della Bormida, del Corsente, e del Lemmo, a Piana, Mornese, Fiaccone, Voltaggio, e poscia nelle valli della Scrivia, della Stalfora, del Currone, a Portofino, ec. ; e finalmente essi affiorano in molti luoghi del- P Apennino nell’ Italia centrale, nella Calabria e nella Sicilia. Se, generalmente parlando, questi conglomerati sono terreni poveri e quasi sterili, in alcuni casi la loro presenza diviene utilissima poiché forniscono materiali da costruzione, pietrizzo, ec., a regioni nelle quali le rocce dure e resistenti fanno difetto. La strada che da Casalborgone conduce a Asti passando al piede della collina di Cocconato, taglia una serie di rocce inatte a for- nire pietrizzo ; per assodarla bisognava adunque condurre la ghiaia dal Po 0 dal Tanaro. Questo trasporto poteva convenientemente farsi sino ad una data distanza, ma sarebbe divenuto troppo co- stoso se si fosse esteso sino alla parte centrale della strada. Fortunatamente si scopersero al piede della collina di Cocconato e nei dintorni alcuni banchi di conglomerato che vennero utiliz- zati colla cura stessa colla quale altrove si estraggono materie minerali di ben maggior valore. Dal lato geologico questi conglomerati sono interessantissimi e degni della più seria attenzione. È oggi dimostrato che molti dei detriti, di cui sono formati, provengono da distanze di 100 e 200 chilometri e che di altri non si conosce la provenienza. Quando poi si misura colla mente quella immensa congerie di detriti d’ ogni grossezza, il volume dei massi che quei conglo- merati racchiudono, la enorme estensione che hanno, non si può a meno di ammettere che il trasporto di quei detriti e di quei massi debbe esser stato fatto da agenti del genere di quelli che operarono il trasporto del terreno erratico-diluviale. Trattandosi però qui di depositi marini, ed essendo noto che natura ha un solo mezzo di trasportare al largo nel mare massi e detriti di gran mole, quello delle zattere galleggianti di ghiaccio, conviene supporre che collo stesso mezzo operossi il trasporto degli ele- menti che compongono quei conglomerati. Si viene in tal modo ad ammettere che anche nell’epoca miocenica vi fu un periodo — 94 — di grande estensione di ghiacciai e conseguentemente un gran volume di acqua corrente. Nè ciò deve stupire, essendo ormai dimostrato che in ogni grand’ epoca geologica vi fu, come oggidì ha luogo, una porzione della terra sottoposta a regime glaciale. Miocene inferiore. — Coi conglomerati si ha il graduato pas- saggio al miocene inferiore che è 1’ orizzonte delle ligniti. Oltre ai conglomerati, concorrono a formare il terreno in discorso marne ed argille che chiameremo frammentarie, perchè quando sono esposte air azione atmosferica si disfanno e si riducono in mi- nutissimi detriti per lo più poliedrici, e finalmente le ligniti. Questo terreno si trova in zone notevolmente estese nella valle del Tanaro ed in quella della Bormida ove si eleva sino alla sommità dell’ Apennino per ridiscendere quindi sul versante del Mediterraneo, mostrando ad evidenza che durante l’ epoca del miocene inferiore vi era comunicazione diretta tra i due bacini dell’ Adriatico e del Mediterraneo. Lo ritroviamo nella valle del Taro, lungo l’ Apennino toscano sul versante mediterraneo a Sarzana, Monte-Bamboli, ec.; ad Agnana in Calabria, in molti luoghi del Vicentino e nella Sardegna. In generale i banchi di combustibile fossile che questo ter- reno ci offre sono di origine lacustre o di estuario, vale a dire che si formarono entro lagune poste in comunicazione col mare ; i conglomerati, le marne, le argille, sono in generale di origine marina. Le ligniti di quest’ orizzonte sono il migliore ed il più abbondante combustibile fossile che l’Italia possegga; finora non se ne trovò nei terreni di epoca più antica e sgraziatamente non si hanno grandi speranze di scoprirne. L’ assieme delle rocce del miocene inferiore, forma una delle zone meno fertili dell’ Apennino ; in alcuni luoghi sui conglome- rati vedesi ancora qualche foresta, qualche macchia, unica ve- getazione cui siano atti ; in molti altri, distrutto il bosco, il suolo fu per lo più ridotto a gerbido qua e là squarciato da enormi frane. Eocene. — Questo terreno consta di calcari, di argille e di macigni. Il calcare è generalmente argilloso ed alla cottura dà con- seguentemente calce forte, e più o meno idraulica. Nella maggior parte dei casi ha tinte molto chiare e per ciò forse i Toscani, — 95 — nel cui paese esso è frequentissimo, gli diedero il nome di calcare alberese ; va poi parimenti conosciuto col nome di calcare a fn- coidi, a motivo di una sterminata quantità di impronte di fucus 0 di alghe marine che esso racchiude. Questo calcare vedesi in strati alternanti colle argille alle quali si dà l’ appellativo di scagliose^ a motivo della loro struttura a frammenti appiattiti, lisci, e rilucenti alla superficie come se spalmati fossero di vernice. L’ argilla scagliosa ha tutte le cattive qualità possibili ; essa c sterile o poco manco ; se bagnata si ammolla, rigonfia, cola talvolta come lo farebbe una lava, ed in ultimo essendo priva di plasticità, non è atta neppure alla fabbricazione dei laterizi. E la roccia la più pericolosa che incontrar si possa nel tracciato di una strada, di un canale, ec. Il macigno che alterna colle rocce precedenti è una specie di arenaria cementata da sugo calcareo o siliceo; molto svilup- pata in alcune regioni dell’ Apennino, fornisce generalmente una buona pietra da taglio, ad esempio quella di cui si fa uso a Firenze, ma nei nostri climi essa non resiste all’ azione atmosfe- rica. In Piemonte P eocene mostrasi qua e là al piede della catena di colline Moncalieri-Valenza, a cominciare da Monteu da Po sin oltre Casale ; la calce forte di cui si fa tanto uso da noi e nota col nome di calce di Casale, quella stessa detta di Superga si ottengono colla cottura del calcare eocenico. Questo terreno si trova molto sviluppato lungo le valli della Scrivia, della Stafferà e del Currone. Devo qui terminare questa rapida rivista dei terreni che for- mano il suolo del Piemonte, poiché panni superfluo dedicare speciale capitolo ai terreni secondari, i quali non sono rappre- sentati nel nostro paese che da quei pochi e stretti lembi di roccia per lo più calcarea che incontransi presso Arona, Invorio, al Monte Penerà, nella valle Sesia, a Roasio e Sostegno nella valle della Roasenda. I terreni secondari sono per contro larga- mente estesi nelle prealpi lombarde e formano cospicua parte dell’ Apennino centrale e meridionale ove si elevano a grande altezza, come ad esempio al Gran Sasso d’ Italia o Monte Corno. Là dove le rocce calcaree assumono vaste dimensioni, hanno so- vente nell’ interno della loro massa grandi vani o caverne, nelle quali va a riunirsi buona parte dell’ acqua piovana caduta sulla — 96 — esterna loro superficie. L’ acqua poi iii tal modo posta al riparo della evaporazione, lentamente esce all’ esterno e discendendo al tJialiveg delle valli perennemente fluisce nell’ alveo dei torrenti. A questa proprietà delle masse calcaree, cui già accennammo quando parlammo del contrasto die presenta il territorio di Viù paragonato alla zona ser/peiitinosa che separa quel paese da Lanzo, è dovuta la quantità d’ acqua che il Tevere porta andie nella stagione estiva quantunque esso discenda da una parte dell’ Apen- nino ormai aftàtto sboscata. Nè maggiormente meritano di essere descritti i lembi di ter- reno probabilmente paleozoico nei quali sono aperte le cave di calcare di Montaldo Dora, di Lessolo, di Rivara e di Levone. IV. Cenni geologici sull’ Alto Trevigiano e sulla Valle di Belluno nel Veneto. (Estratto da una nota del Prof. T. TaranielH inserita negli Annali del li. Ivtituio Tecnico di Udine, 1871.) La valle di Belluno costituisce nel suo complesso ciò che in termine orografico dicesi un vallone, essendo essa formata da una sinclinale delle formazioni terziarie innestata in una dislocazione delle sottostanti rocce cretacee e giuresi: quest’ ultime formano verso S. E. la catena che corre dal M. Cesen al M. Favagbera, e verso S. T altra catena, quasi muraglia verticale, interrotta so- lamente dalle valli confluenti, e fra le altre da quella del fiume Piave che è la più orientale di tutte. Alla base della iutiera formazione che forma la valle di Bel- luno, bavvi un calcare marnoso, assai ferruginoso, detto scaglia rossa, che si riferisce in generale all’orizzonte del cretaceo supe- riore, ma che T autore inclina a collocare nell’ eocene : questo dubbio resta maggiormente avvalorato dall’ assoluta mancanza di fossili. La scaglia rossa ricuopre l’ intiera formazione cretacea, colla quale però discorda stratigraficamente, essendo la prima in generale molto più inclinata della seconda. Tutta questa for- mazione consta per intiero di calcari bianchi, giallognoli o grigi. — 07 - sovente colitici, con abbondanza di Acteoneìle, di Budìste e di foraininiferi. Superiorniente alla scaglia rossa stanno delle arenarie gialle 0 turchine, compatte, abbondanti di fucoidi, alternanti superior- mente con piccoli banchi calcareo-marnosi a foraminiferi, special- mente Numnmliti. Cotale terreno ha una potenza complessiva di circa 70 metri, e ricorda perfettamente le consimili rocce che nel Friuli e nell’ Illiria chiudono al basso la serie degli strati eocenici corrispondenti ai depositi del Vicentino. Verso mezzodì, e precisamente nella cresta più settentrionale delle colline di Tarzo e di Vittorio, a tali rocce si associano dei calcari arenaceo-marnosi che si scavano per ottenerne calci idrau- liche : gli stessi calcari osservansi al medesimo livello in moltis- sime località del Friuli-, segnatamente nei colli di Maniago, Me- dun, Clauzetto ed Auduins. Sopra queste rocce eoceniche riposa un’ arenaria verde o gial- lognola con molti granelli d’ augite e di clorite appartenente al miocene inferiore, conosciuta sotto il nome di glauconia di Bel- luno, importante per la copia e per la bella conservazione dei fossili. Fra questi si distinguono i generi Balanus, Pgrula, Vo- luta, Coìvus, Turritella, Pìwladomija, Panopcea, Astarte, Cythcrea, Crassatella, Arca, Janira, Ecliinolampus, Clypcaster, Scutella, Tercbratula, Trochus, Fusus, Pecten, Mytilus ec. ec. I dintorni di Belluno offrono preziose località per la raccolta di questi fos- sili. La stessa roccia glauconiosa, con prevalenza di echinidi ed acefali, ricompare nel trevigiano ai colli di Senego, di Tarzo e di Foliina. Nella sua parte superiore questa arenaria va sempre più per- dendo gli elementi eterogenei eh’ essa contiene, e le glauconie passano lentamente a delle arenarie meno colorate e più scarse di fossili, solo conservandosi frequenti gli echinidi. Colla totale scomparsa dei granuli augitici, la roccia diventa assolutamente calcarea, assai compatta, con abbondanti frammenti di echinidi, con Orhikdites e denti di squalo. Quest’ ultima roccia osservasi al di sopra dell’ arenaria nel- l’Alpago e nei dintorni di Tarzo, ma manca nei dintorni di Belluno, dove le glauconie sono ricoperte da una arenaria quar- zosa di colore giallastro o grigio della complessiva potenza di — 98 - circa 70 metri, mentre quella delle glauconie può valutarsi ap- prossimativamente a 100 metri. In questa arenaria trovansi nu- merosi banchi di origine marina con fucoidi, Bcdamis, denti di Carcharodon megalodon e di Oxyrina hastalis, e frammenti di delfini. L’ arenaria quarzosa ricopre pure la formazione glauconiosa nelle colline di Ceneda, di Foliina e di Farra; ma quivi è di tenue potenza e sostiene una potente formazione di arenarie cal- caree azurrognole con frequenti TiirriteUa, Congeria, Isocardia e Venus: formazione questa che è appena accennata nei dintorni di Belluno, mentre nelle località ora citate raggiunge almeno 200 metri di potenza. Cotale ammasso di arenarie calcaree si eleva a quasi 600 metri sul livello del mare e costituisce le colline di Cordignano, di Sarmede, di Fregona,. di Ceneda, di Corba- nese, di Refrondolo, di Foliina e di Farra. Le arenarie presen- tano impronte di vegetali e piccoli banchi lignitici lavorati in alcune di dette località. Questa formazione, che è l’ ultima quivi depositata dal mare, corrisponde perfettamente a quella del miocene superiore assai sviluppata nell’ Asolano, nel Vicentino e nel Friuli occidentale. Superiormente a questi terreni havvi un’ alluvione pliocenica, quella stessa che allo sbocco della valle del Tagliamento forma una serie di colline da Susans insino ad Udine, emergenti dalle posteriori alluvioni con inclinazione verso S.E. dal lato destro della valle, e di S.O. dal sinistro. Questi strati pliocenici for- mano piuttosto degli altipiani ondulati che delle creste, ed ac- cennano ovunque ad una origine continentale, come può vedersi chiaramente percorrendo i colli di Conegliano e di Soligo sino all’incontro degli strati miocenici di Refrondolo e di Corbanese. Finalmente sono in queste regioni rappresentati riccamente i depositi dell’epoca glaciale, i quali nella disposizione loro pro- vano come il ghiacciaio del Piave scendesse direttamente al mare, il quale in quell’ epoca doveva certamente essere più prossimo alle colline del trevigiano di quello che ora non sia. Lungo tutto il lato sinistro della vallata del Piave i massi erratici che abbon- dano a maggiore elevazione sulla valle, sono di granito e di gneis granitico, roccie queste che affiorano nella regione paleozoica del Tirolo orientale all’origine del ghiacciaio del Piave; le morene - 99 ~ meno elevate presentano su questo stesso versante le puddinghe rosse quarzose, le pietre verdi e le arenarie micacee del trias inferiore, e le roccie paleozoiche scistose o calcaree. Queste roc- cie trovansi tutte insieme commiste e rotolate nel talus allu- vionale che, alle falde dei colli trevigiani, scende di 30 a 50 metri per raggiungere P altitudine di 20 metri sul livello del mare, alla quale ha principio la pianura che con sempre minor pendio lentamente discende all’Adriatico. NOTE DI FISICA TERRESTRE. SidV attradone delle montagne di Filippo Keller, assistente nella B, Università di Boma. 11 signor Faye propose nell’ Accademia di Parigi, di ser- virsi del grande traforo del Frejus, onde determinare P attra- zione del monte che gli sovrasta e sembra che questa proposta sarà fra poco realizzata. Per tale fine basta determinare il tempo di oscillazione di un pendolo tanto alla sommità del monte, quanto nel punto del traforo verticalmente al di sotto. Questa idea in fondo non è nuova: l’astronomo Airy ’ già fece ricerche di simile natura in una profonda miniera dell’ Inghilterra, e si servì dei risultati ottenuti per dedurre la densità media del globo terrestre ; e le osservazioni del celebre Carlini ^ sulla cima del Monte Cenisio, confrontate con quelle eseguite sotto la medesima latitudine ed in poca altezza sul livello del mare, ebbero il me- desimo scopo. Nondimeno mi sembra, che la proposta del signor Faye sia felicissima, atteso che P altezza disponibile nel caso del Frejus è circa quattro volte maggiore di quella della miniera in cui esperimentò Airy. L’ azione attrattiva del Frejus è quindi molto più considerevole, ed i resultati ottenuti avranno perciò un’esattezza molto maggiore. Essendomi da qualche tempo occupato delle attrazioni delle ' Bibliothéque universellc de Gcìiève, année 1857, tome XXXV, pag. 29. ’ ED'emeride di Milano, anno 1824. Appendice, pag. 28. — 100 - montagne, ho compilato un piccolo lavoro su questo argomento. La sua prima parte, del tutto analitica, trovasi presentemente sotto il torchio; ma siccome la seconda, che tratta di vari casi numerici non può essere terminata in sì breve tempo e ciò prin- cipalmente per mancanza di una serie di dati numerici, così credo utile di dare qui un breve sunto di alcuni argomenti, che ven- gono trattati in tale lavoro e che sono in relazione colla pro- posta del signor Faye. r — L’attrazione delle montagne può studiarsi specialmente in due modi, secondo che questa forza agisca prossimamente nella direzione della gravità, ovvero sotto un angolo retto alla mede- sima. Nel primo caso viene questa forza principalmente modifi- cata nella sua intensità, e questo è appunto il caso del Frejus ; lo stromento per osservare questa modificazione è il pendolo. Nel secondo caso si manifesta F azione perturbatrice in ispecie nella direzione della gravità, essa produce la deviazione del filo a piombo. Ambedue queste azioni sono di un interesse partico- lare per la geologia, perchè esse fanno in ultima analisi cono- scere il rapporto fra la massa del globo terrestre e quella del monte che attrae e quindi anche il rapporto delle densità medie di questi due corpi. La deviazione del filo a piombo poi interessa ancora in maggior grado la geodesia, perchè avendo luogo que- sta deviazione in un certo sito, allora la sua verticale effettiva non coincide più colla normale della superficie generale dell’ ellis- soide terrestre ; la posizione di questo luogo determinata per mezzo dell’ astronomia necessita di una correzione più o meno grande. Così per ogni luogo della terra debbonsi, rigorosamente parlando, distinguere due diverse latitudini : una astronomica che è affètta della deviazione del filo a piombo (perchè lo zero delle gradua- zioni dei circoli verticali degli stromenti astronomici non può regolarsi fuorché col filo a piombo o con livello), 1’ altra geo- detica la quale non dipende da questa circostanza. Un caso as- sai rimarchevole di attrazione locale esiste nei contorni di Mo- sca, ove in alcuni punti la differenza fra le due indicate latitudini giunge fino a 7 in 8 secondi, sebbene il terreno sia quasi piano ; ‘ vi debbono quindi nel suolo esistere delle forti eterogeneità. ' Relazione intorno alle attrazioni locali risultanti nei contorni di Mosca ilei prof. Santini. Venezia, 1805. 101 — Ora, per venire sulle ricerche da farsi sul Frejus, sia B questo monte, A V ellissoide terrestre propriamente detto, tOt la sua superficie, 0^ la stazione superiore corrispondente alla sommità del monte e 0 la stazione interiore entro il traforo. Guidisi per il punto 0 un piano tangente MN all’ ellissoide terrestre, il quale rappresenta quindi l’ orizzonte apparente di questo punto. Nel punto O consiste la gravità di due parti, proveniente l’ una dalla terra, la quale agisce dall’ alto in basso, e l’ altra dalla massa del monte posta al di sopra del piano I\IN, e questa agisce in senso opposto ; la risultante è quindi rappresentata dalla differenza di queste forze. Nella stazione superiore 0' consiste la gravità pure di due parti, proveniente l’una dalla terra e l’altra dalla massa del monte superiore alla MN, ma queste due forze si sommano nel caso presente, perchè ambedue agiscono dall’ alto in basso. Egli è utile di considerare la massa posta al di sotto del piano tangente MN composta di due parti distinte, una A, l’ altra CC', le quali vengono fra loro separate dalla superfìcie dell’ el- lissoide terrestre tt, in guisa che le forze agenti sopra ciascuna stazione siano in numero di tre cioè : 1° 1’ attrazione dell’ellissoide terrestre ; 2° V azione del monte B superiore all’ orizzonte appa- rente della stazione inferiore ; 3° l’ azione dei monti circonvicini CC' compresi fra l’orizzonte MN e la superficie terrestre. Siano per la stazione inferiore queste forze rispettivamente Z, P e Q e per la superiore Z', P', Q' e le gravità totali in questi due punti saranno espresse da — 102 — 2.° — Per dedurre V attrazione della massa B sul punto 0 0 piuttosto la sua componente verticale, si divide la massa me- desima per tanti piani paralleli alla MN in elementi, i quali si possono considerare come piani materiali omogenei; e per deter- minare V azione di uno qualsiasi di questi strati tanto sul punto 0, quanto sull’ altro 0' si rifletta che in pratica tale piano saivà limitato da un poligono, il quale si accosta più che è possibile al suo vero perimetro. Si collochi ora un sistema ortogonale a tre assi in guisa, che la sua origine si confonda col punto 0, e V asse delle z colla verticale ascendente; il piano delle xy si trova quindi nell’ oriz- zonte apparente MN del punto 0, mentre del resto la direzione dell’ asse delle x rimane arbitraria. Sia RS il piano ovvero strato di cui si cerca 1’ attrazione, il quale dista dal punto 0 per l’ in- tervallo = h, avendo il medesimo l’ ertezza dh e la densità y la quale, come già si disse, viene supposta uniforme. Essendo inol- tre (x^y^) (xjj). . . . (x,„ym) i vertici di questo poligono, presi nell’ ordine dell’ andamento positivo del suo perimetro e dZ 1’ at- trazione verticale che esso esercita sul punto 0, si avrà la se- guente formula: Il sommatorio comprende qui successivamente tutti i valori interni di n da 1 fino m, confondendosi inoltre m -f- 1 con 1, e i simboli are. tang. debbonsi sempre intendere compresi fra — ^ e Circa i doppi segni è da notare che i medesimi si riferiscono fra loro e, per quanto spetta finalmente alla scelta del segno, si ri- fletta, che so non ambedue almeno una delle quantità sotto i simboli are. tang. dev’ essere positiva : la scelta del segno è quindi assicurata quando si rende positivo quello dei due are. tang. il quale possiede il valore numerico maggiore. L’unità di attrazione di questa formula è la forza con cui si attraggono due punti ma- teriali ciascuno della massa r= i e posti nella distanza = 1. Mediante la precedente equazione, che esprime il difteren- dZ = 2y7:dh — ydhlS 11 vf , ±h[x„(x„— x„4-i)-f-y„(yn— y.,+i)] rdli2 are. tang.; ^ . r~2 (_ (x„y„ + i— x„^iy„) VX,! -hy^ h + h [Xn + I (x„— Xn + l) H- yiH-l(y„ — ynH-l)]d 103 — ziale della attrazione del monte sul punto 0, si possono in ogni caso della pratica trovare le attrazioni di tanti strati (come RS) quanti occorrono per una determinata approssimazione della forza in proposito, valendosi del resto del metodo delle quadrature comunemente adottate per tale fine. Per ciò che spetta al trac- ciamento degli strati, questo si potrebbe eseguire con una livel- lazione barometrica, servendosi di poi della nota tavola espri- mente la differenza fra i due orizzonti, uno apparente l’altro vero. 3°. — Col metodo ora esposto si deducono le attrazioni del monte B sopra i punti 0 e 0' e queste due forze, generalmente parlando, non saranno fra loro uguali, dipendendo il loro rapporto dalla forma del monte. Per delucidare questo punto con un caso pratico, si rifletta che Carlini nelle sue ricerche sull’ attrazione del Monte Cenisio considerò questo monte come una calotta sfe- rica di base orizzontale, assegnando al raggio della base il va- lore di miglia italiane 5 h ed all’ altezza un miglio. Ora le at- trazioni di una calotta sferica, la quale possiede il raggio della base = r, l’altezza h e la densità 7, sopra due punti posto il primo nel centro della base ed il secondo al suo vertice ven- gono espresse dalle formule ‘ L’ unità di forza ò qui la medesima di quella stabilita di sopra (2). Prendendo per unità di lunghezza l’ ettometro si ha h = 18,52 ed essendo di più r — 5,5h, si ottengono mediante le precedenti formule i seguenti valori delle attrazioni Da questi risultati apparisce, che la differenza delle due forze in proposito è tale da non poterla trascurare in pratica. 40 — Venendo a determinare le attrazioni delle masse C, C' poste al di sotto della MN, sopra le due stazioni 0 e 0' è da notare, che queste si trovano in un modo del tutto simile a quello espo- ' Plana, Sur la distribiUioìi de l’électricité ù la surface de deux sphères conduclrices. Estratto dalle Memorie dell’ Accademia di Torino, 1810, pag. 25 e 20. P — 2nhy 3r^ + lP_4rqi 3(r^— 110=“ P = 94, 33r P' = 88, Gir. — 104 sto antecedentemente per la massa B. L’unica differenza che passa fra i due casi consiste in ciò, che nel presente avrà ciascun poligono nel suo interno uno spazio vuoto corrispondente alla intersezione del suo piano coll’ ellissoide terrestre. Parlando in astratto tale vuoto dovrebbe considerarsi come un ellisse, ma ognuno vedrà, che nella attuale ricerca basterà di riguardare la terra come sferica ed allora si riduce l’ indicato ellisse in un circolo e l’azione di questo si deve togliere da quella del po- ligono espressa dalla formula del § 2. Essendo r il raggio del circolo e h la distanza del suo piano dal punto attratto, l’ indi- cata attrazione del circolo sarà espressa da I calcoli numerici in proposito si possono poi ancora alquanto abbreviare. Essendo in fatti R" S" 1’ ultimo degli strati da con- siderarsi, si calcoli prima le azioni dei rispettivi strati senza tenere conto dei circoli, che si debbono togliere. Fatto ciò si determina il valore approssimato della massa R" 0 S" del tutto conforme a quanto fu esposto in occasione della massa B ; alla fine poi si toglie 1’ azione complessiva degli strati circolari, ri- flettendo che il loro insieme forma una calotta sferica, la di cui attrazione viene espressa dalla seconda formula del § 3. Circa il numero degli strati R' S', R" S" ec. che si debbono guidare parallelamente alla MN è da notare, che questo dipende dalle condizioni particolari del caso di cui si tratta, come anche dal grado di esattezza che si vuole raggiungere. Ragionando sugli strati inferiori al piano MN si può ancora osservare, che quello contiguo a questo piano non può esercitare alcuna azione sul punto 0; considerando però successivamente strati in mag- gior profondità sotto questo punto, la loro azione si farà sentire e diverrà per una certa profondità un massimo, dopo il quale r azione medesima andrà diminuendo. La precedente esposizione suppose che lo strato considerato sia omogeneo; quando ciò non avesse luogo si dovrebbe il me- desimo spezzare in due o più parti, considerando separatamente le loro azioni, e per tal fine sarebbe ancora applicabile la for- mula del § 2. — 105 — 5° — Dopo trovato le attrazioni delle masse B e C sopra i due punti 0 e 0' conviene determinare quella dell’ ellissoide ter- restre. Adottando per le dimensioni di questo i valori numerici dati da Bessel, allora la gravità effettiva per un punto nel li- vello del mare e nella latitudine 0 sarà espressa da Z = 265441 (1 -f- 0,005G89seiff^) q denotando con q la densità media della Terra. Tale è V attra- zione che subisce un punto materiale da parte della Terra, tolta r intluenza della forza centrifuga ; e siccome si prese nella me- desima per r unità di lunghezza 1’ ettometro, così si deve per unità di attrazione intendere la forza con cui agisce sul punto in proposito un punto materiale, posto nella distanza di un et- tometro, ed il quale possiede la massa contenuta in un ettome- tro cubico di acqua nelle condizioni normali. Sostituendo per o la latitudine del Frejus si ottiene la gravità effettiva di questa stazione nell’ ipotesi che essa si trova nel livello del mare. Qui potrebbe porsi il quesito : Ommettendo di ridurre la sta- zione 0 sul livello del mare, la quale si trova per un dipresso 1300 metri sul medesimo, vi sarà da temere qualche errore sen- sibile nei risultati finali? Per farsi un’ idea chiara di questo ar- gomento si ridetta, che ragionando nei paragrafi precedenti del- r ellissoide terrestre si doveva per questa voce Intendere l’ ellis- soide simile a quello rappresentato dalla superficie del mare, il quale passa per il punto 0. Quando si confondessero nel caso attuale queste due ellissoidi si supporrebbe in sostanza, che la massa della terra al di sotto della superficie ellissoidica guidata pel punto 0, sia un ellissoide perfetto, il quale possiede la me- desima massa della terra. Questa ipotesi non è del tutto esatta, e ciò per due ragioni. Primieramente deve riflettersi che i due ellissoidi in proposito, sebbene di eguali masse, non agiscono in rigore paiiando con forze uguali sul punto 0, ma la differenza di queste due forze ò piccolissima, e la medesima sparisce af- fatto quando si trascura lo schiacciamento della Terra. In se- condo luogo poi difteriscono le due forze in proposito, perchè uno dei due corpi attraenti differisce nella sua forma alquanto dalla forma ellissoidica. Quale sia il valore numerico di questa differenza non è facile a dire: in generale essa dipende princi- s 106 — palmente dalla configurazione del suolo nella vicinanza della sta- zione 0 e dalla sua densità ; avvi però ragione a credere che essa non possa influire in un modo essenziale ai risultati finali. Del resto, per tener conto della circostanza in proposito, non occorrerebbe nei precedenti paragrafi altro cambiamento fuorché abbassare la superficie ellissoidica t, t fino al livello del mare, rimanendo intatto il metodo ivi tenuto. Tale modificazione però aumenterebbe di molto tanto le operazioni geodetiche, quanto i calcoli numerici, senza condurre a risultati del tutto esatti, perchè r ellissoide terrestre in questo modo presenta nei suoi strati superficiali, composti di terra ed acqua, delle forti diftérenze di densità, della quale circostanza non si può tener conto. Facendo pertanto V ipotesi indicata di sopra, si applica 1’ ultima forinola immediatamente alla stazione inferiore del Frejus. 6° — Quanto spetta alla forza che esercita V ellissoide ter- restre, concepito nel modo ora esposto, sulla stazione superiore, si può senza errore sensibile supporre che la diminuzione della gravità dalla stazione inferiore alla superiore accada in ragione inversa del quadrato della distanza dal centro della Terra. Chia- mando quindi H il dislivello delle due stazioni e R il raggio medio terrestre si avrà Z' = 265541 (1 -1- O,OO5689sen®0) q — Dopo trovate le espressioni analitiche delle sei forze P, Q, Z, P', Q', Z' si sostituiscono le medesime nelle formule del § 1. Ciascuna di queste forze è proporzionale alla densità media della rispettiva massa attraente, mettendo quindi in evidenza queste densità e denotando da ora in poi con P, Q, Z, P', Q', Z' le sei forze in proposito nel caso ipotetico che le densità uguagliano all’ unità, le equazioni del § 1 assumono la forma g — qZ — rP + 7'Q g' = qZ' -h yV 4-7 'Q'. Dividendo queste due formule fra loro si avrà nel primo mem- bro il rapporto |r delle gravità osservate mediante il pendolo alle due stazioni del Frejus e risolvendo poscia P equazione per q 107 si ottiene la densità inedia della Terra espressa per le densità re/ dei monti B e C. La determinazione di c[ dovrebbe formare uno degli scopi principali delle ricerche da istituirsi sul Frejus : infatti quale vantaggio recherebbe alla scienza il semplice fatto di aver messo in evidenza 1’ attrazione del monte, senza dedurre un elemento così importante come quello delle densità della Terra? Non è qui il luogo di parlare estesamente delle ricerche fatte finora intorno a questo elemento. Il primo tentativo alla sua determi- nazione fecero Maskelyne e Hutton al monte Shehallien in Iscozia, valendosi dell’attrazione di questo monte sul filo a piombo,' Car- lini si servì, come già si disse, dell’attrazione del Monte Cenisio ed Airy istituì le sue ricerche in una profonda miniera di car- bon fossile presso South Sliields in Inghilterra. CavendislC final- mente si valeva di un corpo artificiale come massa attrattiva, cioè di una pesante palla di piombo, la quale agiva sopra una piccola pallina fissata alla leva di una bilancia di torsione; Baily * * e Reich * praticarono lo stesso metodo. I risultati che ottennero questi tre ultimi autori sono 5. 48 (Cavendish), 5. G7 (Baily) e 5. 44 (Reich), il loro medio è 5. 53. Airy trovò col suo metodo un valore molto più grande, cioè G. G, mentre Carlini e Maske- lyne assegnarono invece valori minori, cioè 4. 39 (Carlini) e 4, 7 1 (Maskelyne); è però da osservare che il vero valore che segue dalle osservazioni di Carlini sia 4. 84.® La coincidenza che regna fra questi valori è poco soddisfa- cente, ma è rimarchevole la concordanza che ha luogo fra i tre valori trovati mediante la bilancia di torsione, mentre il numero dato da Airy, il più moderno di tutti, dedotto da una serie di osservazioni eseguita colla più gran precisione si scosta così sensibilmente da quelli. Sarebbe quindi da desiderare, che le proposte ricerche sul Frejus fossero eseguite colla maggior esattezza possibile, onde dare luce sopra questo argomento interessantissimo della fisica terrestre. ‘ Philosophical Transactions ; year 1775. pag. 500. ’ Idem, tomo LXXXVIII, N. 490. — Gilbert, Annalen der Phijsik, voi. II, pag. 10. ' POGGENDORFF, Annalen der Physik, voi. LVII, pag. 453. * Versuche uber die mittlere Dichtigkeit der Erde; Freiberg, 1838. ® Mathemalische Geographie von Sc/imidf; Gottingen, 18'29, voi. II, pag. 481. — 108 — 7° — Venendo a considerare l’azione attrattiva di un monte sopra il filo a piombo è utile distinguere più casi. Trovandosi pri- mieramente il filo a piombo in sì gran distanza di un monte isolato, che le dimensioni di quest’ultimo sono trascurabili in paragone della distanza, allora dimostra la meccanica che il monte me- desimo agisce come un punto materiale collocato nel suo centro di gravità in cui è concentrata la sua massa. Tale supposizione però produce un errore più o meno grande, quando la distanza in discorso non è sufficientemente grande; e nella precedente ana- lisi sul Frejus, la medesima non è più affatto applicabile. Tro- vandosi quindi la massa deviatrice vicina assai alla stazione ove si cerca la deviazione del filo a piombo, deve procedersi in un modo più rigoroso. Nel determinare questa deviazione al termine orientale della base trigonometrica della Via Appia presso le Frattocchie, presi in primo luogo in considerazione il cratere Laziale il quale si trova vicino assai a questa stazione, e quindi deve esercitare una intìuenza predominante. Non è qui il luogo di dare una descri- zione di questo interessante gruppo di colline, perchè già vari autori si occuparono di tale argomento e fra questi principal- mente il distintissimo professor Ponzi Senatore del Pegno in un suo opuscolo intitolato Storia Naturale del Lazio ed in altre pub- blicazioni. In questa ricerca feci uso dello spezzamento della massa de- viatrice in strati orizzontali, cercando 1’ azione dei singoli strati sul punto in proposito; questo metodo presenta quindi molta analogia con quello proposto di sopra per le ricerche sul Frejus. Gli strati orizzontali finora tracciati sono in numero di quattro i quali contengono in tutto 78 punti livellati, e questi for- mano altrettanti vertici dei quattro poligoni presi in considera- zione. Considerai in questa ricerca la densità della massa devia- trice per uniforme, adottando per tale elemento provvisoriamente il valore = 2 ; riservandomi di fare ulteriori ricerche su questo argomento. Ho trovato, che in tale ipotesi, la deviazione in pro- posito, lungo il parallelo superi i due minuti secondi,’ mentre quella lungo il meridiano è molto minore. * Sulla deviazione del [do a piombo. Lettera al prof. IL Volpicelli, estratto degli Atti (iella Reale Accadèmia dei Lincei, sessione del 7 gennaio 1S7!2. — 109 — Per dedurre la deviazione totale del filo a piombo a questa stazione, bisognerebbe trovare P azione del rimanente del terreno circostante a questo punto, e per tale operazione lo spezzamento in strati orizzontali non si presta con ugual vantaggio per la pratica. Mi sono proposto di servirmi per questo fine anche del metodo dello spezzamento in prismi verticali, come fu praticato da altri autori. 8° — Anche colline di poca altezza producono un effetto sensibile sulla direzione del filo a piombo come si può vedere dal seguente esempio. Fra tutte le località dei contorni di Pioma, non esiste forse altra, ove il suolo ha un declivio più regolare, che nella parte della tenuta di Castel Porziano rivolta verso il mare, formata dal ritiro successivo del mare. Il terreno è anche qui ondeggiato, come in tutta la campagna llomana, ma le valli, che si sono formate per dare scolo alle acque, sono di poca entità; quindi ho creduto, che si potrebbe il terreno per una prima ap- prossimazione considerare come un piano, ed in questa ipotesi de- terminai la deviazione del filo a piombo sulla spiaggia del mare presso Torre Paterno. Per evitare le irregolarità del suolo alquanto più pronunciate, che si trovano al S. E, di questa località verso la Capocotta e al N. 0. verso la Casetta dell’ Inferno, limitai la massa deviatrice presa in considerazione in modo di avere per projezione orizzontale un rettangolo determinato nel seguente modo: Un lato si confonde colla spiaggia del mare (la quale è quasi esattamente rettilinea), due altri lati perpendicolari al primo si trovano uno nella distanza di 4000 metri a S.E. di Torre Paterno e P altro nella distanza di 3000 metri al N. 0. ; il quarto lato finalmente parallelo alla spiaggia, passa prossimamente per Monte di Leva c Castel Porziano, e segue per un dipresso P an- damento della cresta della collina ; questo lato dista metri 6500 dalla spiaggia. La massa deviatrice rappresenta quindi un prisma la di cui base ò un triangolo rettangolare, il quale prisma giace con una delle sue facce laterali nell’ orizzonte, e il punto attratto si trova in uno degli spigoli laterali. Circa la sua costituzione geognostica è da osservare, che il terreno consiste principalmente di rena silicea, nella quale si trovano in più punti frammischiati dei piccolissimi cristalli neri di origine vulcanica, i quali ven- gono attratti dalla calamita. Tali cristalli si vedono sparsi in — no — tutta la campagna Romana e perfino sopra i monti calcarei, dai quali viene limitata verso Est; così alla sommità del Monte Gen- naro circa 1300 metri sul livello del mare. Il peso specifico di questa rena silicea trovai in media = 1, 5. Ora appoggiandosi sopra i dati precedenti ed assumendo per l’altezza della collina il valore di 58 metri, si trova per la deviazione del filo a piombo che essa produce presso Torre Paterno nella direzione perpen- dicolare alla spiaggia il valore di 0,"18. Ma la vera deviazione dev’ essere molto maggiore tanto per 1’ effetto della sinuosità del suolo, al di fuori della zona presa in considerazione, quanto per il mare, il quale avendo una densità minore della terraferma deve necessariamente produrre un effetto simile a quello della collina in discorso. Limitandosi a una zona del mare eguale e simmetricamente disposta riguardo a quella presa in considerazione sulla terra e supponendo inoltre che il fondo del mare sia un piano inclinato che formi il prolungamento del suolo a terra (la quale ipotesi non si dovrebbe allontanare di molto dal vero) si trova per 1’ effetto di questa zona il valore di 0",06. Segue dall’ insieme del fin qui esposto, che a Torre Paterno si deve verificare non deviazione del filo a piombo di 0,"24 per effetto di una zona rettangolare intorno a questa stazione, la di cui arca non supera i 91 chilometri quadrati. NOTIZIE DIVERSE. Analisi (li prodotti vulcanici. — Riportiamo dal Bollettino dell’ I. E. Istituto Geologico di Vienna (1872, N" 8) i seguenti risultati analitici ottenuti nel laboratorio chimico di quella Scuola Politecnica sopra alcuni prodotti dell’ eruzione del Vesuvio av- venuta nell’ aprile 1871 e sopra un campione della roccia formante il suolo della solfatura di Pozzuoli. 1. — Analisi di due campioni di lava. — Il primo di essi ap- partiene alla massa di lava stata emessa dal piccolo cratere, ed — Ili — è poroso, fragile, di color nero piceo, e racchiude piccoli nuclei di leucite del diametro di un millimetro all’ incirca : il secondo è compatto, difficile a rompersi, di color grigio-chiaro con debole tendenza al giallo-verdognolo, con piccoli nuclei leucitici meno distinti che nel primo. Dopo essere stati riscaldati sino a 100°, i due campioni die- dero all’ analisi i seguenti risultati : P IP Silice 47,17 48,68 Allumina 18,87 18,74 Ossido di ferro 5,31 2,67 Ossidalo di ferro 5,66 7,18 Ossidalo di maganese traccie • traccie Calce 10,30 10,24 Magnesia 3,86 3,04 Potassa 6,60 6,46 Soda 2,69 2,47 Cloro — 0,17 Totale 100,46 99,65 2. — Analisi di un sale. — Questa sostanza fu trovata entro una spaccatura nelle vicinanze del piccolo cratere ricoprente la lava a guisa di sublimazione; è di color bianco e si scioglie completamente nell’ acqua. Essa contiene : Cloruro di sodio 89,24 Solfato di soda 9,80 Solfato di Magnesia 0,42 Acido fosforico traccio Acqua 0,39 Totale 99,85 3. — Analisi di un lapillo. — Esso proveniva dal cratere prin- cipale ; era di un color rossiccio, molto duro e conteneva sparse nella massa delle particelle di ferro magnetico. Ad occhio nudo vedevansi distintamente piccoli nuclei di Leucite e di Augite e la superficie della roccia era rivestita di un leggiero strato di una sostanza bianca perfettamente solubile nell’ acqua ed indi- cante una reazione acida. — 112 — L’ analisi di questo lapillo diede : Silice 30,67 Allumina 19,51 Ossido di ferro 5,54 Ferro magnetico 1,45 Ossidalo di manganese 0,23 Acido solforico 15,80 Cloro 2,14 Acido fosforico 0,26 Calce 7,25 Magnesia 1,41 Potassa 6,11 Soda 3,32 Acqua 6,65 Totale 100,34 4. — Analisi di un campione del suolo della solfatara di Poz- zuoli. — Era questa una massa porosa di color bianco, la quale componevasi essenzialmente di silice libera come mostra la se- guente analisi : Silice 90,19 Allumina 1,84 Ossido di ferro traccie Ossidalo di manganese id. Calce 0,62 Alcali 0,40 Acqua e sostanze organiche 7,28 Totale 100,33 1 prodotti dell’ ultima eruzione del Vesuvio. — Le ma- terie eruttate dal Vesuvio in questo periodo di sua attività vul- canica possono essere classificate in tre categorie, e cioè : cor- renti di lava pirossenica; frammenti di lava caduti sotto forma di scorie e di lapilli ; e ceneri. A queste possono aggiungersi i sali di soda e di ammoniaca che in taluni punti hanno coperto con sublimazioni le lave, e le emanazioni di vapore acqueo, di acido solforoso e cloridrico. La lava, di un colore grigio tendente al turchiniccio, è assai — 113 — aspra al tatto e presenta una frattura irregolare ; in generale è molto porosa e contiene sparsi nella massa piccoli cristalli di leucite, di pirosseno e di olivina. Trovasi sovente impregnata di acido solforoso e cloridrico, c ricoperta da sublimazioni di cloruro di sodio e di sale ammoniaco. La emissione di cenere fu in questa eruzione veramente straordinaria in confronto di quanto avvenne in altre simili cir- costanze ; esse ceneri hanno ricoperto tutta la superficie occupata dalla città di Napoli, dai paesi sottostanti al Vesuvio e dal golfo per lo spessore medio di un centimetro. Quella caduta in mare era in parte respinta sul lido dove formava uno strato alto più centimetri ; altra cenere galleggiava sulle acque del golfo e se- gnava con striscio facilmente visibili il corso delle correnti marine. Questa cenere è assai sottile ed aspra al tatto ; nell’ acqua disciogliesi in piccolissima parte senza farvi pasta. Al microsco- pio si presenta come un ammasso di minutissimi cristalli fra cui primeggiano quelli di augite, leucite, olivina e mica, insieme con frammenti piccolissimi di scoria e di lava. L’ analisi qualitativa della cenere, oltre agli elementi di detti minerali, vi trovò dei sali di potassa, soda ed animoiliaca, e traccio di sostanze organiche: quest’ ultima circostanza riesce assai interessante se si ha riguardo alla provenienza vulcanica della cenere. Dall’ analisi risultò altresì provato che la cenere compo- nesi degli stessi elementi delle lave del Vesuvio, per cui la dif- ferenza tra questi due prodotti dipende unicamente dal diverso stato di aggregazione. CATALOGO DELLA BIBLIOTECA DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) Seebach (K. von). JJéber den Vuìkan von Santonn und die Eruption von 1866. Gòttingen 1867. Un voi. in-4° con tavole. (Id.) Ueher die Eruption hei Methana in driften Jahrhundert von Gli. Gel). Un fase. in-8°. 114 — Seguonsa (G.). Dii genre Verticordia, Searles Wood. Paris, Un fase. in-8° con tavola. Dono dell’Autore. (Id.) Da Reggio a Terreti. Un foglio. Idem. (Id.) Intorno alla geologia di Rometta esaminata dal lato 2}etrografico, stratigrafico e geogenico in rapporto alV origine delle acque potabili di quel monte. Un fase. in-4° con tavola. Idem. (Id.) Ricerche mineralogiche sui fdoni metalliferi di Fiume- dinisi e suoi dintorni in Sicilia. Messina, 1856. Un fase. in-8°. Idem. (Id.) Studio chimico di un' accpia sulfurea di Messina. Pa- lermo 1858. Un fase. iu-8°. Idem. (Id.) Dei terreni terziarii del distretto di Messina e dei fo- raminiferi monotalamici delle marne mioceniche messinesi. Mes- sina, 1862. Un voi. in-folio con tavole. Idem. (Id.) Rritne ricerche intorno ai Rizoqiodi fossili delle argille pleistoceniche dei dintorni di Catania. Catania, 1862. Un voi. in-4® con tavole. Idem. (Id.) Sidla formazione miocenica di Sicilia. Messina, 1862. Un fase. in-4°. Idem. (Id.) Disquisizioni paleontologiche intorno ai Corallarii delle roccie terziarie del distretto di Messina. Torino, 1863-64. Due voi. in-4'’ con tavole. Idem. (Id.) Intorno alla Fluorina siciliana. Milano, 1864. Un fase. in-8°. Idem. (Id.) Paleontologia malacologica dei terreni terziarii del di- stretto di Messina: Brachiopodi. Milano, 1865. Un voi. in-4® con tavole. Idem. (Id.) Description d' un Pedicularia fossile. Paris, 1865. Un foglio con tavola. Id. (Id.) Ricerche geognostiche ed organografiche intorno ai bra- chiopodi terziarii delle roccie messinesi. Napoli, 1868. Un fase. in-8°. (Id.) Paleontologia malacologica elei terreni terziarii del di- stretto di Messina: Fissurellidi. Napoli, 1862-66. Due fase, in-8® con tavola. Idem. (Id.) Intorno ai brachiopodi miocenici delle provinde pie- montesi. Napoli, 1866. Un fase. in-8° con tavole. Idem. (Id.) Sulle importanti relazioni paleontologiche di talune zone — 115 — ideila Calabria con alcuni terreni di Sicilia e deW Affrica setten- trionale. Milano 1866. Un fase. in-4°. Idem. Seguenza (G.) Brevi cenni sidla Geologia della provincia di Messina. 1867. Manoscritto. Idem. (Id.) 1 fossili deir epoca Zancleana alla Esposizione univer- sale di Parigi. Messina, 1867. Un foglio. Idem. (Id.) Sul cretaceo medio delV itedia meridionale, Messina, 1867. Un foglio. Idem. (Id.) Paleontologia malacologica dei terreni ter ziarii del di- stretto di Messina : Pteropodi ed Eteropodi. Milano 1867. Un fase, in-4" con tavola. Idem. (Id.) Discorso intorno Agostino Scilla. Messina, 1868. Un fase. in-8°. Idem. (Id.) La formation Zancléenne, ou recherches sur ime nou- velle formation tertiaire. Paris, 1868. Un fase. in-8. Idem. (Id.) Una passeggiata a Peggio di Calabria. Messina, 1867. Un fase. in-8°. Idem, (Id.) Scoperta di un lembo di terreno cretaceo assai fos- silifero nella provincia di Glossina. Milano, 1869. Un foglio. Idem. (Id.) Intorno la posizione stratigrafica del Clypeaster altus, Lk. Milano, 1869. Un foglio. Idem. (Id.) SulV antica distribuzione geografica di talune specie ma- lacologiche viventi. Pisa, 1870. Un fase. in-8°. Idem. Sella (Q.). Una salita al 3Ionviso. Torino, 1863. Un opusc. in- 16°. Dono del Club Alpino Italiano. (Id.) Stdle condizioni dell industria mineraria nélV Isola di Sardegna. Relazione alla Commissione parlamentare d’ inchiesta. Firenze, 1871. Un voi. in-4° ed un atlante di tavole. Dono del Ministero di agric., ind. e comni. Selwyn (A. R. C.). Geological notes of a journey in South- Australia from Cape Jervis to Mount Serie. Adelaide, 1859. Un fase. in-4° con tavole. Dono del Governo del South-Australia. Senckenbergische naturforschende Gesellschaft. Abhand- lungen. Due voi. in-4° con tavole. Frankfurt a. M., 1870-71. Dono della Società. (Id.) Bericht (1869-70) und (1870-71). Frankfurt a. M., 1870-71. Due voi. in-8°. Idem. — 116 - Sorgent, Strambio e Tassi. Grande Dizionario italiano-fran- cese e francese-italiano. Milano. Quattro voi. in-4°. Sickler (Ch. L.). Dlan topographique de la campagne de Rome considérée sous le rapport de la geologie et des antiquités. Koinè, 1821. Un voi. in-8°. Silliman (B.) and Dana (J.). The American Journal of Scien- ces and arts. New-Haven, 1870-72. Periodico liimensile, in-8°. Dono degli Autori. Silvestri (C.). Isterica e geografica descrizione delle antiche paludi Adriane. Venezia, 1736. Un voi. 111-8° con tavola. Silvestri (0.). Sidla illustrazione della fauna microscopica fossile del terreno pliocenico Catania, 1862. Un fase. in-8°. Dono dell’ Autore. (Id.) I fenomeni vidcanici presentati dall’ Etna nel 1863-64- 65-66, considerati in rappoìlo alla grande eruzione del 1865. Ca- tania, 1867. Un voi. in-4° con tavole. Idem. (Id.) Sulla eruzione del Vesuvio incominciata il 12 novem- bre 1867. Catania, 1868. Un fase. in-4° con tavola. Idem. Sismonda (A.). Osservazioni geologiche stdla Valle di Susa e sul Montecenisio. Torino, 1834. Un fase. in-4° con tavole. (Id.) Osservazioni mineralogiche e geologiche per servire alla formazione della Carta geologica del Piemonte. Torino, 1838. Un voi. in-4° con tavole. (Id.) Notizie intorno a due fossili trovati nei colli di Santo Stefano Boero. Torino, 1869. Un fase. in-4“ con tavola. (Id.) Osservazioni geologiche sulle Alpi marittime e sugli Apennini liguri. Torino, 1841. Un fase. in-4° con tavole. (Id.) Notizie e schiarimenti sulla costituzione delle Alpi pie- montesi. Torino, 1865. Un voi. in-4° con Carta geologica. (W.) Nouvélles observations géologiques sur les roches anthra- citifères des Alpes. (Traduction de l’Abbé Moigno). Paris, 1871. Un voi. in-8°. Sismonda (E.). Appendice alla descrizione dei pesci e dei crostacei fossili nel Piemonte. Torino, 1857. Un fase. in-4° con tavola. (Id.) Prodrome d’une tlore tertiaire dii Picmont. Turili, 1859. Un fase. in-4° con tavole. Sivering (J.). De Véquilihre et de la stabilité des corps flot- tants. Luxembourg, 1867. Un fase. in-8° con tavola. Dono. 117 — Smyth (R. Brougii). Minerai statistics of Victoria for thè year 1870. Melbourne, 1871. Un fase. in-4°. Dono dell’ Ufficio geologico della Victoria (Australia). (Id.) Beports of thè mining surweyors and registrars ; quarter ending 31st Blarch 1871. Melbourne, 1871. Un fase. in-4° con tavole. Idem. Smithsonian Institution. An account of thè Smithsonian Institiition, its founder, building, operations, ec. ec. Pliiladel- phia, 1869. Un fase. in-8°. Dono. (Id.) Anmial rcport of thè Board of regents of thè Institution, showing thè operations, expeditures, and condition of thè Institu- tion for thè year 1809. Washington, 1871. Un voi. in-8°. Idem. (Id.) Sniithsonian contributions to Knowledge. Voi. XVII. Washington, 1871. Un voi. in-4“ con tavole. Idem. Snellen von Vollenhoven (S. C.). Laatste lijst van Nederìand- sche schUdvlengelige Insecten (Insecta Goìeoptera). Haarlem, 1870. Un voi. in-4°. Dono della Società Olandese di Scienze in Haarlem. Sobrero (A.). Vetri e cristalli. Relazione della Esposizione di Londra del 1862. Torino, 1865. Un voi. in-8°. Dono del Mini- stero di Agricoltura, Industria e Commercio. Sobrero (C.). Siderurgia. Relazione della Esposizione di Lon- dra del 1862. Torino, 1864. Un voi in-8'’. Dono idem. SOCIEDAD DE ClENCIAS ElSICAS Y NaTUKALES DE CaRACAS. Frtr- gasia, Bollctin de la Sociedad. Caracas, 1869-70. Un voi. 111-8". Dono della Società. Società Economica di Salerno. Il Picentino, periodico men- sile. Salerno. Dono della Società. (Id.) Annuario statistico della Provincia di Salerno per V an- no 1866. Salerno, 1866. Un voi. in-8" con tavola. Dono. Società Entomologica Italiana. Bollettino. Periodico trime- strale in-8° con tavole. Firenze, 1869-72. Dono della Società. Società Italiana di Scienze Naturali. Atti. Pubblicazione pe- riodica in-8° con tavole. Milano, 1870-71. Dono della Società. Società di lettere e conversazioni scientifiche. Effemeridi. Genova, 1870-72. Un volume annuale in-8". Dono della Società. Società dei Naturalisti in àIodena. Amiuario. Mode- na, 1870-71. Un volume annuale in-8° con tavole. Dono della Società. - 118 - SoCIÉTÉ d’ Agriculture, Histoire Naturelle, et arts utiles DE LyoN. Annales. Lyon, 1866-67-68. Un volume annuo in-8“ con tavole. Dono della Società. SociÉTÉ de la Carte Géologique de Frange. Annales. Pa- ris, 1870. Periodico mensile in-8°. Dono della Società. SociÉTÉ Géologique de Frange. Memoires. Paris, 1833 in avanti. Volumi biennali in-4° con tavole e Carte geologiche. (Id.) Bulletin. Paris, 1830 in avanti. Volumi annuali in-8‘“ con tavole e Carte geologiche. SociÉTÉ Hollandaise des Sciences a Harlem. ArcMves Neer- landaises des Sciences exactes et naturelles. Harlem, 1870-71. Due voi. in-8° con tavole. Dono della Società. (Id.) Progr anime de la Société pour les années 1869-70-71. Harlem, 1872. Un fase. in-4°. Idem. Société Imperiale des Naturalistes de Moscou. Bulletin. Moscou, 1870-71.Unvol.in-8° annuo con tavole. Dono della Società. (Id.) Noiweaiix Memoires. Moscou, 1861. Un voi. in-4“ con tavole. Dono della Società. Société Imperiale des Sciences Naturelles de Cherbourg. Memoires. Cherbourg, 1869-70. Un voi. in-8° con tavole. Dono della Società. Société Industrielle de Lyon. Annales. Lyon, 1872. Un fasci- colo in-8°. Dono della Società. Société Malacologique de Belgique. Statuts de la Société. Bruxelles, 1863. Un fase. in-8°. Dono della Società. (Id.) Catedogue de V éxposition d’animaux invertehrés ouverte à Bruxelles par la Société Malacologique avec le concours de la Société Entomologique de Belgique. Bruxelles, 1866. Un fase. 111-8°. Idem. (Id.) Annales. Bruxelles, 1863-70. Cinque voi. in-4° con ta- vole. Idem. (Id.) Bulletins. Bruxelles, 1872. Un fase, mensile in-4°. Idem. Société de Physique et d’Histoire Naturelle de Genève. Ménioires, T. XXL Genève, 1871. Un voi. in-4° con tavole. Dono della Società. -(Id.) Table des Memoires contenus dans les toms I a XX. Genève, 1871. Un fase. in-4°. Idem. (Continua.) Mììmmì M 1 COMITATO &E0L0GIC0. {In Corso di Stampa.) r — Volume II delle Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Questo volume verrà pubblicato in due parti, di formato, carta e stampa del tutto simili al volume 1°. La prima parte comprenderà : Descrizione geologica deW Isola d’ Ischia, con la carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame Geologico della catena al- lìina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica con una carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in- gegner F. Giordano. — Malacologia pliocenica italiana, fa- scicolo 2°, con N° 7 tavole di C. D’ Ancona. La parte seconda conterrà : La Geologia delle Alpi Apuane, con incisioni nel testo e una tavola, di I. Cocchi. 2* — Carta Geologica della Italia superiore e centrale, in G fogli, nella scala di compilata sui migliori mate- riali esistenti da I. Cocchi, e pubblicata per cura del R. Comitato Geologico coll’ opera di eccellenti Artisti. Annunzi di pubblicazioni. A. Stoppani — Corso ili Geologia; Milano. — L’opera si com- porrà di tre grossi volumi in-8° con numerose incisioni in- tercalate nel testo, e viene distribuita a dispense di 64 pa- gine.— Prezzo di associazione anticipato L. 10 per volume, ovvero L. 27 per l’intiera opera; prezzo di una dispen- sa L. 1, 20. {In corso di stampa). L. Bombicci — Corso di Mineralogia; Bologna. — Seconda edi- zione grandemente variata ed accresciuta con molte figure intercalate nel testo e tavole. {In corso di stampa). G. G. Gemmellaro — Studii paleontologici sulla fauna del cal- care a Terebratula janitor del Nord di Sicilia; Palermo. — E pubblicato: Parte r {Fesci^ Crostacei., Molluschi Cefalo- podi) fase. 1°, 2“, 3” e 4°; Parte 2“ (Molluschi Gasteropodi) fase. 1°, 2°, 3°, 4° e 5°; Parte 3° {Molluschi Brachiopodi) fase, r e 2“. — Ogni parte forma un volume in-4° con tavole. G. Capellini — Sul Felsìnoterio, sirenoide Halicorefornie dei depositi littorali pliocenici dell’antico bacino del Me- diterraneo e del Mar Nero; Bologna 1872. — Pag. 50 in-4“ con otto tavole. A. D’Achiardi — Mineralogia della Toscana; Voi. 1° Pisa 1872. M. S. De Rossi — Le scoperte e gli studi paleoetnologici del- l’ Italia Centrale al Congresso ed alla Esposizione di Bo- logna; Roma 1872. — Pag. 48 in-4° con due tavole. P. Gorini — Sull’origine dei vulcani; studio sperimentale. — Lodi 1871. Un volume in-8° G. Brezzo — Legislazione e industria mineraria; Parte U Le- gislazione mineraria attualmente in vigore in Italia. — Firenze 1871. Pag. 58 in-8“ grande. B. Studer — Index der Petrograpliie und Stratigrapliie der Sebweiz und ilirer Uingebuugeu; Bern 1872. — Un vo- lume in-8“ di pag. 272. Delesse et De Lapparent — Revue de Géologie pour les an- uées 1868 et 1869; Paris 1872. — Un volume in-8“ di pag. 267. Delesse — Lithologie du foud des luers; Paris 1872. — Due volumi in-8° di pag. GIG complessivamente ed un atlante di 5 tavole in-folio. 'o// (/(>/ /f, ri)///. Ot>()/, ('ocelli - Srinnn le fo>,s. Ilal. /;//•/ ^'f// ^ , Talli Grrv. Z(/ ///r/.sK /A/ /rf//f/{^ f// so/j/'(/ '///f/rna ///o/f//r sro/M'/'/o t/n (•Vriais, ? A /a ///< (/c,s i//ì(/ rcf/zf/rf (// //a/tro /'’f//. ,1 '/ ,j.. /y/^/.y ///////, V /7/f/r////////s\ ( occhi ///>/, <,rc//// ir/A/A/ Z/ av/j/u, '/' /1 t D’ ITALIA. Bollettino N? 5 e 6. Maggio e Giugno 1872. FIRENZE, TIPOGRAFIA DI G. BARBÈRA 1872. PiiMilicaziii flel R, COMITATO GEOLOGICO, Bollettino Geologico per l’anno 1870. — Un volume in-8°. » » PER l’anno 1871. » Memorie per servire alla tlescrizioiie della Carta Geologica d’Italia. — Volume P; in-4° di 404 pagine con 23 tavole, due carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi occidentali di B. Gastaldi. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemon- tesi e sui minerali delle vcdli di Lanzo di G. Struver. — &ulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura. — Descrizione geologica cidi’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi. — Malacologia pliocenica italiana, Parte P, Gasteropodi sifonostomi, di C. D’ Ancona. Prezzo deir intero Volume, Lire 35. Brevi Cenili sui principali Istituti e Comitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° L. 1. 50 Carta Geologica della parte Orientale dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi L. 3. 50 I Bollettini arretrati si vendono al prezzo di 12. — II presente Bollettino per gli associati nel regno 8. — Per gli associati all’ estero 10. — Un fascicolo separato 2. 00 BOLLiyniNO DEL II. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. 5 c 0. — Maygio e Giubilo IH 71 SOMMARIO. Note geologiche. — !■ Cenni intorno alla Orografìa ed alla Litologia del Me- flitoiraneo, di A. Dklesse. — li. Osservazioni intorno alla Geologia del grappo ilei ^lolite Bianco, di T. Steruy llu.vr (estratto). — Ut. Intorno ai gaz infiam- mabili dogli Apennini e dei Lagoni della 'toscana, dei sigg. Foi’CHÉ e Gokceix (estratto). Note mineralogiche. — Elenco di specie minerali recentemente trovate (estratto da diversi autori). Notizie bibliografiche. — G. Capei. i.iNt, Sul Feluìnoterio. sìrenoide halico- refnrme dei deposili lacush'i pliocenici dell’ antico bacino del Mediterraneo e del Mar Nero. — A. Dei.esse, Lithoìoijie da fonddes mers. — F. Mauuy, Geografia fìsica del mare e sua ìneleorologia (prima versione italiana di L. Gatta). Notizie diverse. — Lavori eseguiti dal H. Corpo di Stato Maggiore nell an- no 1871. — Pioggia di sabbia rossa in Sicilia. — Idtime ricerclie sulla tem- peratura e la salsedine delle acipie dell’ .Atlantico e del Mediterraneo. — Scoperte preistoriclie fatte recentemente in Europa e in Ameilca. — Le sorgenti petroleifere dell’ Indiana (Stati Uniti). Catalogo della Biblioteca del R. Comitato. — (Continuazione.) NOTE GEOLOGICHE. I. Cenni inforno alla Orografia ed alla Litologia del Mediterraneo. (Dall’opera del professore A. Delesse, intitolata : Lithologìe dii fonda dea mera: Paris.) Il Mediterraneo, propriamente detto, presentasi come un gran mare interno, che si divide alla sua volta in molti altri. Desso è un mare profondo, T orografia del quale è ancora poco conosciuta; quantunque i sondaggi eseguiti in quest’ ultimi anni e le ricer- che degli uomini di mare e dei geografi, permettano a quest’ ora di abbozzarla. - 124 — Orografìa. — Avendo di mira nello stesso tempo il rilievo su- perficiale ed il sottomarino, si possono col dottore Petermann distinguere in esso due regioni ; una orientale, occidentale V altra. Queste due regioni vengono assai nettamente divise P una dal- r altra, dall’ Italia, dalla Sicilia e dagli alti fondi che sotto il mare riuniscono quest’ isola al promontorio formato dalla Tunisia. La regione orientale comprende l’Arcipelago, il vasto mare nel quale si trovano le isole di Cipro, di Candia, il Mar di Sirte e 1’ Adriatico. La regione occidentale è divisa in due grandi bacini dalle isole di Corsica e di Sardegna. Il primo ha preso il nome di Mar Tirreno, e s’ estende dall’ isola d’ Elba alla Sicilia. Il secondo nel quale si trovano le Baleari si stende dalle coste della Fran- cia all’ Africa, e da Gibilterra alla Sardegna ; desso comprende i tre grandi golfi di Genova, del Leone e di Valenza. L’ Arcipelago è più profondo di quello che il gran numero d’ isole in esso disseminate avrebbe potuto far credere. Queste isole sono sommità di montagne dirupate che fan seguito a quelle della Grecia e dell’ Asia Minore. Al N.O. dell’ isola di Samo la profondità può arrivare a 1200 metri. Il mare ove si trovano le isole di Cipro e di Candia è pro- fondissimo. Infatti i sondaggi accennano ad altezze d’ acqua rile- vantissime a pochissima distanza di queste isole, nella stessa guisa che sulle coste dell’ Asia Minore, della Siria e specialmente dell’ Africa. Al S.E. di Candia si sono trovate profondità che raggiungono 3200 metri, e vicino alla sua punta S.O. oltrepas- sano i 3500. Il fondo del bacino si rialza assai verso le bocche del Nilo; ma ciò va attribuito a questo stesso fiume il quale, indipendentemente dal suo delta terrestre, forma pure un delta sottomarino di grande importanza. Convogliando le sue sabbie sino al mare, esso produce in prossimità delle sue bocche un insabbiamento che è specialmente assai ben distinto verso Da- mietta e al N.E. del fiume. Il mare di Sirte forma due larghe incavature nel nord del- r Africa. Desso bagna le coste S.E. della Sicilia e dell’ Italia, le isole Jonie e tutto il sud-ovest della Grecia. La distesa delle sue acque è la più vasta e la più continua del Mediterraneo; le isole mancano pur esse completamente verso il suo mezzo, di 125 — guisa che potrebbe attendersi di trovarlo assai profondo. Ed è quello che infatti si è constatato : poiché all’ est di Malta (verso 10“ longitudine 36“ latitudine) i sondaggi sono i più grandi di tutto il Mediterraneo, e non vanno lungi dai 4000 metri. D’altra parte il fondo del Mar di Sirte si rialza assai sensibilmente dal lato di ponente e specialmente verso la reggenza di Tunisi e verso il Golfo di Cabes. L’ Adriatico è un mare assai poco profondo specialmente nella sua parte a nord, nella quale si accumulano i sedimenti portati dal Po e dagli altri fiumi che discendono dalle Alpi. Egli è sol- tanto in prossimità del parallelo di Ancona che i sondaggi rag- giungono i 100 metri. Però la sua parte a sud, verso il parallelo di Traili, presenta una depressione che si allunga parallelamente alle sue due rive e nella quale le sonde hanno oltrepassato 1000 metri. Veniamo ora alla regione occidentale del Mediterraneo. Il Mar Tirreno che s’ incontra dapprima fu sinora poco esplo- rato. Però tutto indica che desso è profondo, poiché le sonde aumentano rapidamente a piccole distanze dalle sue coste. Di più il suo bacino é formato da erte montagne appartenenti alla Sicilia, alla Sardegna, alla Corsica, agli Apennini. Tuttavia al sud-est verso le isole Eolie e la Sicilia il suo fondo si rialza in modo assai sensibile. Quella parte di Mediterraneo che si stende da Genova ad Algeri e da Gibilterra al sud della Sardegna, potrebbe essere chiamato Mare delle Baleari. Quantunque non presentino una grande superficie, queste isole, hanno tuttavia una parte impor- tantissima nella sua orografia sottomarina. Esse costituiscono la sommità di ammassi di montagne che posano su di larga base, e fanno seguito al Capo San Martino nella provincia di Valenza. Al loro piede le sonde indicano più che 2000 metri di profon- dità. Queste montagne si ricongiungono visibilmente colla Spagna. Le coste bagnate dal Mare delle Baleari s’ inclinano quasi ovunque con rapido pendio; lo si constata facilmente coi son- daggi fatti nel Golfo di Genova, ai piedi delle Alpi e dei Pire- nei, lungo la Corsica e la Sardegna, al sud della Spagna e sopra- tutto sulle coste dell’ Algeria. Parallelamente a queste coste e alle montagne dell’ Atlante esiste, del resto, una grande depres- sione che é ben marcata e che raggiunge 2900 metri al N.E. — 126 — eli Algeri. Tale depressione si accosta maggiormente alT Atlante e alle sponde dell’ Algeria, e la sua lunghezza supera 250 chi- lometri. Sembra che essa continui verso il nord e all’ est verso il Mar Tirreno, poiché fra il sud della Sardegna e V Africa la sonda accenna ad una profondità di 3000 metri. All’ovest e verso lo Stretto di Gibilterra tale depressione va diminuendo; ma il mare che bagna il sud della Spagna ed il Marocco resta tuttavia profondo; inoltre i sondaggi fatti in prossimità dello Stretto di Gibilterra arrivano ancora a quasi 1400 metri. Litologia. — Lo studio orografico del Mediterraneo viene a dimostrarci che esso è un mare profondo il cui perimetro pre- senta molte coste montuose ; così esso è pure generalmente cir- condato da rocce sottomarine. Tali rocce sono ancora assai sviluppate intorno alle sue numerose isole, e di più fra la Tunisia e la Sicilia, nel Golfo di Cabes, non che sull’ altipiano che porta le isole Baleari. In differenti punti del Mediterraneo esistono delle superficie estesissime occupate dall’ argilla. Segnaliamo quelle che sono all’ est dell’ Eubea e nell’ Arcipelago presso l’isola di Cipro; quelle che si trovano nell’Adriatico ed anche intorno all’ Italia, e che appartengono verosimilmente alle marne sub-apennine; quelle delle Baleari; quelle che rasentano la costa orientale della Spagna, e che sembrano provenire da una con- tinuazione sottomarina del Keuper : ricordiamo infine più par- ticolarmente le vaste superficie che si distendono nel Mar di Sirte fra la Tunisia, l’ isola di Malta e la Cirenaica (Libia su- periore). Essendo il Mediterraneo un gran mare interno, si comprende che i depositi marini dell’ epoca attuale devono esservi ripartiti come nei mari delle epoche precedenti ed offrire anche gli stessi caratteri. Notiamo a tutta prima che la melma è il deposito dominante del Mediterraneo, e di leggeri lo si comprende, perchè questo mare non è soggetto alle maree e il suo bacino è profondissimo. La melma resta sospesa nelle acque fintanto che queste sono agitate; ma si depone alloraquando il loro movimento si ral- lenta, come accade quando esse arrivano a grandi profondità. Per la mescolanza col carbonato di calce, sempre abbondantemente fornito dalle conchiglie, dessa fornisce una marna di composi- — 127 — zioiiG variabile. Quando il carbonato calcare vi predomina gran- demente passa ad un limo calcareo: essa può d’altronde venire paragonata alla marna del Lias che probabilmente si depose nelle stesse condizioni. La sabbia forma un bordo lungo le sponde del Mediterra- neo. Su certi punti dessa scompare o diviene rudimentale; è ciò che specialmente ha luogo sul littorale dell’ Algeria e del Ma- rocco, della Palestina, della Siria, nel sud dell’ Asia Minore, sulla costa orientale della Grecia, nella Romelia, nell’ Arcipelago, nel Golfo di Genova ed in generale al piede delle coste erte e montuose. All’ imboccatura dei principali humi del Mediterraneo, come il Rodano, 1’ Ebro, il Nilo ed anche il Po, si producono dei cu- muli assai estesi di sabbia. Piccole accumulazioni di sabbia o di ghiaia s’ incontrano talora in alto mare, e sono isolate in mezzo al limo: ve ne ha, ad esempio, al nord di Tunisi, di Melilla ed in qualche altro punto. Le zone di sabbia sono in particolar modo ben caratte- rizzate intorno alle isole, quando i loro contorni sottomarini non sono ricoperti da una grande altezza d’ acqua: citiamo, ad esempio Cipro, le Baleari, la Corsica e la Sardegna. Attorno alla Corsica e alla Sardegna le zone di sabbia si uniscono, e si confondono in una sola, di guisa che contrassegnano assai bene la relazione intima che passa tra queste due isole. Si osserva inoltre che zone di sabbia riuniscono la Sicilia all’Italia, e quasi all’ Africa : desse congiungono egualmente il Peloponeso e le isole .Ionie alla Grecia, non che le numerose isole dell’Adriatico alla sua costa orientale. All’ intorno di alcune spiaggie del Mediter- raneo le sabbie occupano ancora grandi estensioni sottomarine : desse si trovano ad esempio all’ entrata dei Dardanelli, come pure nel Mare Adriatico, specialmente sulle coste della Dalma- zia, dell’ Italia e presso Venezia ed Ancona. Si osservano pure zone di sabbia assai estese vicino a Napoli ed a Gaeta, intorno alla Corsica e alla Sardegna, e divengono vastissime attorno all’ isola Majorca come pure sulla costa est e sud della Spagna. Nè prive d’ importanza sono quelle al nord e all’ ovest della Sicilia, dove il fondo del mare si trova rialzato dalle isole Lipari — 128 — e dalle isole Ecatì. Esse però raggiungono uno sviluppo rimar- chevole ed eccezionale sulla costa dell’Africa lungo le reggenze di Tunisi e di Tripoli. Questa costa si prolunga effettivamente nel mare, formando una specie di terrapieno ricoperto di sabbia e che occupa una grande distesa. Nel Golfo di Cabes special- mente la sabbia si estende sino a 200 chilometri dalla riva. Della sabbia riscontrasi generalmente negli stretti anche allora che sono profondissimi : ve ne ha particolarmente nei Dar- danelli, a Messina, a Bonifacio, a Gibilterra. Questo fatto dimo- stra, che gli stretti sono attraversati da correnti sottomarine animate da una velocità superiore a quella che permette il depo- sito della melma. Quanto alla sabbia melmosa, essa si osserva sovente lungo le coste nel limite tra le sabbie e le melme; ed allora risulta sem- plicemente dalla loro mescolanza. Ma la sabbia melmosa forma eziandio delle zone che giungono fino a profondità grandissime, e che sono d’ ordinario circondate dalla melma ; in tal caso essa proviene probabilmente dall’ affioramento degli strati sottomarini. Simili zone s’ incontrano, ad esempio, nel mare che bagna le Ba- leari, nel Golfo del Leone, nell’Adriatico ed al sud-est dell’ isola di Sardegna. È evidente che nel Mediterraneo l’agitazione delle acque esercita sempre una gradissima influenza sulla natura dei depo- siti. La sabbia si mostra sopratutto lungo le spiagge e sulle coste poco profonde ; dessa disegna in qualche modo il loro rilievo sottomarino. Dessa segna la riunione delle isole alla ter- raferma che le avvicina. Talora essa indica il prolungamento delle catene di montagne sotto il mare; è ciò che ha luogo presso Tunisi, nel Golfo di Cabes, ove essa s’ allinea colla catena dell’ Atlante dirigendosi verso la Sicilia e verso l’ isola di Malta. La fauna quaternaria della Sicilia comprende, del resto, degli animali appartenenti all’ Africa ; quali sono la jena macchiata, r ippopotamo, r elefante, e per conseguenza essa indica egual- mente un’ antica unione di quest’ isola al continente africano. Se la sabbia si fa abbondante nell’ Adriatico, bisogna attri- buirlo a ciò che questa è la parte meno profonda del Mediter- raneo, ed all’ essere stato colmato dalle acque torrenziali discen- denti dalle montagne scoscese che lo circondano. Al nord — 129 particolarmente riceve il Po, l’Adige e i numerosi torrenti, che vengono dalle alte sommità delle Alpi. La presenza delle sabbie negli stretti si spiega d’ altronde assai bene, poiché dessi sono attraversati da rapide correnti che agiscono alla loro superfìcie e tino sul loro fondo. Così per lo Stretto di Gibilterra si sa che una corrente superiore introduce le acque dell’ Oceano nel Mediterraneo, mentre che una corrente inferiore riconduce le acque del Mediterraneo nell’ Oceano. D’ altra parte la composizione mineralogica delle pareti sot- tomarine esercita dell’ influenza sulla natura del deposito, anche in un mare interno quale è il Mediterraneo; particolarmente, le melme che si osservano presso le spiaggie, e che sono associate alle sabbie, o completamente circondate da queste, provengono senza dubbio dall’ affioramento di fondi argillosi. Fondi sabbiosi potranno al contrario dare sabbie ed anche sabbie melmose, come quelle che si trovano ad una grande profondità e nelle parti del Mediterraneo che non sono spazzate dalle correnti. 11 Mediterraneo è popolato da una moltitudine di molluschi e d’ invertebrati ; tuttavia i depositi ricchissimi di conchiglie sono eccezionali, e non hanno nemmeno 1’ estensione di quelli dell’Ocea- no. Un tale risultato non deve essere attribuito a un debole eccesso di salsedine del Mediterraneo, ma dipende verosimilmente dall’ orografia di questo mare le cui coste non presentano come nell’ Oceano dei terrapieni che formano sponda, e che sono emi- nentemente proprii a ricevere dei molluschi. Dipende anche dal- r essere la melma essenzialmente il deposito che il suo fondo riceve, e questa naturalmente è poco favorevole ad un grande sviluppo di molluschi che segregano un inviluppo calcareo. Fra i paraggi del Mediterraneo più ricchi di detriti di con- chiglie, citiamo alcune parti dell’Arcipelago greco, il braccio di mare fra la Sicilia, Malta e la Tunisia, 1’ ovest del Golfo del Leone, le Baleari, Gibilterra. Il corallo abbonda negli stessi paraggi non che sulle coste dell’ Asia Minore, di Cipro, di Grecia e sopratutto fra la Sicilia e la Tunisia. Lo si pesca altresì nel Mar di Mannara. Nello Stretto di Gibilterra un deposito conchiglifero si trova alla profondità di 900 metri e, al sud-est della Sardegna, una sabbia conchiglifera s’ incontra anche a più di 1000 metri. Tali 180 — depositi così profondi non sono più al livello al (jiiale si sono formati, e per conseguenza accusano un abbassamento locale del fondo del mare. L’ abbassamento che si è prodotto a Gibilterra è senza dubbio contemporaneo all’ apertura dello Stretto. 11 deposito marino che si forma sulle coste del Me- diterraneo è stato frequentemente emerso in seguito al loro sollevamento. Consiste generalmente di sabbia quarzosa a ce- mento calcare, nel quale vi hanno molte conchiglie viventi: la di Livorno ne offre il tipo, ed è sufticientemente . consolidata per fornire una buona pietra da taglio che si presta assai bene alla decorazione. Questa specie di arenaria moderna giace sovente in stratiticazione discordante sugli strati terziarii; può esserne separata da detriti provenienti da rocce che costituiscono le vicine coste. Vi si trovano dei ciottoli di calcare e di basalte vicino alle coste formate di tali rocce. Co- late di rocce basaltiche o vulcaniche, e tuli risultanti dai loro detriti, vi ponno essere interposte ; come lo si osserva, ad esempio, nelle coste della Sicilia e della Sardegna. Finalmente su certi punti il deposito marino emerso non è stato cementato, c si mostra tuttora allo stato di sabbia o di ciottoli. 11 generale A. La Marmora ha fatto uno studio assai completo dell’ arenaria . quaternaria che presenta il deposito del IMeditcrraneo al princi- pio dell’ epoca attuale. Egli 1’ ha anche rappresentato sopra una carta speciale. Questa arenaria è ben caratterizzata in Italia e sulla costa vicina dell’Africa; così essa copre vaste estensioni di spiaggie presso Catania, Siracusa, Napoli, Civitavecchia, Li- vorno, Orano, Algeri e nel Golfo di Tunisi. Circonda sovente le isole, specialmente quelle di Cipro e di Sardegna; quest’ ultima è anche attraversata da una striscia di arenaria quaternaria, che j segue una linea condotta da Cagliari a Capo Manno. I\icoi)re ' egualmente una gran parte dell’ isola lìrajorca. Si mostra infine a Cadice, a Gibilterra e sino a Trafalgar sulle coste del- r Oceano. — ni IL intorno alta Ge^A^x/ia del /gruppo del Monte Bianco. da u* Mta iti pnf. 1. brttMr Um, pvkMxaU Iteli' Ameritam Jf/mrwil r,f ntA «rt», Fido riai tempi rii I>e-Sai»stire le Alpi sono «tate l’oggetto di rrostanti studi, e diffirrile impresa sarebbe dare un elenco dei vari investigatori : su questo argrmiento richiamiamo l’ attenzione del lettore sul dotto lavoro del professor Alfonso Favre di Gi- mevra’ nel quale egli ha riassunti i resultati di più di 25 anni ‘«pesi nrdlo studio della geologia alpina. I>e roccie cristalline delle .\lpi, come pel primo mostro Studer, '.non formano una catena continua, ma appaiono in distinte masse 'fra loro .separate da depositi di sedimento non cristallini, gene- •^ralmente fossiliferi. Secondo Ilesor, vi sono fra Nizza e le pia- mure deir L'ngheria non meno di trentaquattro di tali masse ^emergenti quali isole dalle roccie sedimentarie, e presentanti per la maggior parte una disposizione a ventaglio. LH queste masse idi roccie cristalline il .Monte Bianco è la più rimarchevole, ed ^Elie de Beaumont lo descrisse come « sorgente attraverso una -soluzione di continuità negli strati secondarii paragonabile ad un ^grandioso occhiello. » I.a lunghezza di questo ammas.so di roccie Tristalline misurato dal Col du Bonhomme al S.O. fino a Saxon ■nel Vailese al N.E. è di cinquantanove chilometri, e la sua lar- 4^hezza. da Chamounix al N.O. fino ad Entrèves, presso Cour- nnayeur al S.E. è di quattordici. La lunghezza della mas.sa centrale di protogino è tuttavia di soli ventisette chilometri. I>e roccie cristalline di queste regioni presentano due tipi: 1* i proto^ni che formano il centro, e 2* gli scisti cristallini che rivestono i fianchi e formano le Ai^jiUes rmgea; tali scisti si trovano anche a grande altezza sulle montagne: ai Grands-Mu- lets le roccie sono scisti talcosi e quarzosi con grafite, * /tsc/umc/us* tjécifMpqme* daru tet partiee de la Savove, du Piememl et de La Suitte vovrìnet du Moni Blanc. Gen^e, if¥Té. — 132 — orniblenda, epidoto, talco ed asbesto, e simili roccie e minerali rinvengonsi fino alla sommità. Gli stessi protogini sarebbero roccie stratificate di struttura gneissica passanti a varietà più scistose, e potrebbero riguar- darsi come anello di congiunzione fra queste e gli scisti cri- stallini, I contorni presentati dalle masse del protogino sono molto dissimili dalle forme arrotondate assunte dalle roccie di vero granito. Il protogino è un granito o gueis talcoso-micaceo con- tenente quarzo generalmente più o meno grigiastro ed affumicato nella tinta, con ortoclasio di colore rossastro o grigio, ed un bianco o verdastro oligoclasio con strie caratteristiche, spesso compenetrato da talco verdiccio. La mica (biotite) che sul prin- cipio era stata presa per clorite, è di color verde cupo e diviene rossastra bronzata quando sia esposta all’ aria. Essa è quasi anidra, e contiene una grande proporzione di ferro. La compo- sizione del protogino differisce da quella dell’ ordinario granito solo per la presenza di uno o due centesimi di ossido di ferro e magnesia. Le altre roccie cristalline delle Alpi sono varii scisti talcosi e cloritici con steatiti, serpentini, roccie di diallagio, dioriti ed eufotidi, associate con letti di eurite spesso porfirica : fra le roccie delle Alpi vanno contati ancora scisti eminentemente micacei, spesso quarzosi, con granati, staurotite e distene. Una gran cin- tura di serpentino e scisti-cloritici, tracciata per una lunga esten- sione, si osserva alla base del Montanvert coperta da porfidi euritici, fra i quali essi compaiono grado a grado ; l’ intiera serie, supposta rovesciata, inclina a circa 60° dalla vallata di Cha- mounix verso il Monte Bianco, ed è coperta dal più massiccio gneis e protogino. I talcoscisti e cloritescisti delle Alpi rassomigliano a quelli degli Urali, ed hanno di comune con questi una gran quantità di minerali. Havvi pure molta somiglianza fra i cloritescisti, i tal- coscisti e i micascisti con staurotite dell’ Alpi occidentali, con quelli trovati in Inghilterra. II granito, benché non abbondante in vicinanza del Monte Bianco, si presenta in parecchie località di cui la più conosciuta è la Vallorsina, dove un granito porfiroide con mica nero forma considerevoli masse e larghe vene negli gneis adiacenti. Questi, — 133 — con altri trovati al Col de IScdme e alle Aiguilles rouges, sem- brano veri graniti eruttivi. Gli strati non cristallini delle vicinanze del Monte Bianco includono i rappresentanti del carbonifero, triassico, giurassico, neocoiniano, cretaceo e terziario. La esistenza di una apparente flora carbonifera e la sua intima connessione con una fauna Mas- sica è da lungo tempo un fatto perfettamente noto nella geologia alpina. I terreni triassici vi sono rappresentati da una zona di scisti rossi e verdi con arenarie, gesso e carinole. La loro po- sizione è intermedia fra gli strati carboniferi e quelli ad Avicida contorta od infraliassici. A queste, al N.O. del Monte Bianco, succedono i terreni giurassici, seguiti dai neocomiani, cretacei e nummulitici con arenarie e scisti. Poche questioni in geologia sono state più vivamente discusse ed esaminate quanto quella dell’ associazione di una flora carbo- nifera con le belemniti Massiche nella Moriana e nella Tarantasia. Gli scisti, con impressioni di felci e letti di antracite, erano fino dal 1828 descritti da Elie di Beaumont come apparentemente intercalati nel sistema giurassico. Scipione Gras e Sismonda si combinarono riguardando queste roccie come costituenti un gran sistema che, secondo Gras, appartiene al periodo carbo- nifero, ma con una fauna giurassica, mentre De Beaumont e Sis- monda lo considerarono come appartenente all’ epoca giurassica ma con una flora carbonifera; e per varii indizi immaginarono esistere in questa regione una sopravvivenza locale della vege- tazione del periodo paleozoico. Lo spessore del sistema antracitifero delle Alpi, secondo Gras, è stato da lui valutato di 25,000 a 30,000 piedi e racchiude oltre le dolomiti e i gessi riferiti al triassico, piante carbonifere e letti d’ antracite, unitamente a calcari racchiudenti belemniti dell’ epoca giurassica. Incluse in questo gran sistema erano inoltre le roccie gneissiche, micacee e talcose con grafite, serpentino, eufotide ec., le quali tutte erano riguardate da Gras come for- mate da una locale alterazione di parte del sistema antracitifero. A questo si aggiunse nel 1860 la scoperta fatta da Pillet presso S. Julien de Maurienne di strati nummulitici intercalati nella stessa serie. Tal controversia ha un interesse più che locale, poiché ri- - 134 — guarda le stesse basi della paleontologia, pretendendo che nelle Alpi le leggi di successione, che altrove prevalgono, sieno state sospese, e che lo stesso tipo di vegetazione sia continuato inva- riabile dal periodo paleozoico al terziario. Già fin dal 1841 Favre ha portata innanzi la ipotesi di Voltz che queste apparenti anomalie sieno prodotte dall’ inversione degli strati, ma tal’ idea era rigettata da De Mortillet e Murchison e riuscì inammissibile dopo la sezione di Petit-Cceur. La recognizione di Favre nel 1861 della età e posizione delle carinole e roccie che le accompagnano, dette tuttavia nuova luce alla questione, perchè essa mostrò che queste roccie triassiche erano a Petit-Coeur in- terposte fra i calcari contenenti belemniti e gli scisti colle piante carbonifere. Nel 1861 la Società Geologica di Francia tenne una sessione straordinaria a S. Jean de Maurienne ed ivi la succes- sione fu coll’evidenza stabilita come segue: nummulitico, liassico, infraliassico, triassico e carbonifero; P ultimo riposante sugli scisti cristallini. Heer pubblicò nel 1863 un ulteriore studio sulla flora fossile della Svizzera e della Savoia, in cui mostra che di sessanta specie quattordici sono particolari a queste regioni, quarantasei appar- tengono alla flora carbonifera d’ Europa e ventisette sono iden- tiche con quelle dell’ America del Nord. Una sola specie è stata identificata come appartenente all’ epoca liassica, cioè la Odon- topteris cycadea, Brongn. ed è stata ritrovata in una località presso le belemniti giurassiche, ma non associata ad alcun’ al- tra pianta. Queste conclusioni non erano tuttavia ammesse da Sismonda che presentava nel 1866 alla R. Accademia delle Scienze di To- rino un’ elaborata memoria sul sistema antracitifero delle Alpi. In queste, anche ammettendo a Petit-Coeur la evidente esi- stenza di più 0 meno grandi contorsioni, rotture e sovrapposi- zioni di strati, egli sostenne inoltre che il sistema antracitifero di Moriana e Tarantasia è una gran serie continua dell’ epoca giurassica, partendo dal gneis e protogino fondamentali su cui esso immediatamente riposa, fino alle parti superiori in cui s’ in- contrano grossi letti di antracite con un’ abbondante flora car- bonifera, che egli assegna tuttavia alla Oolite media (Oxfordiano). La gran massa di strati fu da lui riferita al Lias. Egli indica — 135 — piirticoliirnientc la linea del gran tunnel del Moncenisio, che co- ininciando dalle parti antraciticlie superiori, passerebbe attraverso le quarziti e i gessi, e di là attraverso i talcoscisti e i calcari fino a Bardoneccliia. Questi scisti e calcari, secondo lui, sono in uno stato molto avanzato di metamorfismo, e racchiudono serpentini eruttivi con eufotide, steatite ed altre roccie ma- gnesiache. Fino dal compimento della Galleria i signori Sismonda e De Beaumont presentarono all’ Accademia delle scienze di Parigi un esteso rapporto sui resultati geologici ottenuti in questo gran lavoro. Esso è accompagnato da una descrizione di 134 esem- plari delle roccie, raccolti a diversi intervalli per tutta la lun- ghezza della galleria. La direzione della galleria è N. 14° 0. e quella degli strati attraversati di N. 55° ()., con una pendenza di circa 50°. Da questo deduciamo col calcolo che lo spessore assoluto degli strati è circa il CO per 7o hella distanza tra- versata 0 in numero rotondo circa 7000™. Di questi non meno di 5831“, cominciando dalla estremità Sud, sono occupati da scisti talcosi più o meno lucenti, con cal- cari cristallini micacei, spesso interrotti da vene di quarzo con clorite e calcite. Vengono quindi per 515“ di spessore alterna- tive di solfato anidro di calce (Karstenite) con talcoscisti e calcari cristallini. L’ anidrite racchiude talco lamellare in noduli irregolari con dolomite, quarzo cristallizzato, zolfo e masse di salgemma. Questi sono coperti da 220“ di quarzite occasional- mente alternante con talcoscisti verdastri e includente vene e masse di anidrite. Una considerevole interruzione si presenta nelle serie di esemplari superiori a queste, ma per la distanza di 1707 metri dall’ imbocco Nord della galleria, corrispondente a uno spessore assoluto di 1024“, troviamo specialmente arenarie, conglomerati ed arginiti occasionalmente con antracite. Sismonda ed Elie di Beaumont non riconoscono nella intera sezione traccie evidenti di inversione, dislocazione o ripetizione in questa serie di 7000“ di strati, e sostengono la loro deduzione con conclu- denti argomenti. I serpentini e relative roccie di questa serie sono state da De Beaumont, Sismonda e Lory, considerate come eruttive. Se- condo Favre, esse sono chiaramente alternate con scisti argille- - 136 - talcosi lucenti, calcari micacei e quarziti della gran serie, e sono da lui state poste nel Trias. Egli ha particolarmente descritte quelle del Mont Joret e quelle della Val de Brugliè, presso il piccolo San Bernardo, dove sono immediatamente alternate con scisti verdastri accompagnati da steatite, strati orneblendici e gneissici. I serpentini di Ta- ninge nel Chablais al N.O. del Monte Bianco, sono da lui an- cora classificati con questi nel Trias. Se ammettiamo che l’intera sezione della galleria rappresenti una serie non invertita e che la superiore e non cristallina parte di Modane sia veramente deir epoca carbonifera, è chiaro che la gran massa di scisti cri- stallini che sta sotto, dovrebbe corrispondere più o meno com- pletamente agli strati cristallini pre-carboniferi del N.O. del Monte Bianco. Ed infatti s’ incontrano a Col doli e Taninge, cal- cari cristallini e talcoscisti simili a quelli di Moriana. Seguendo questo modo di vedere, che armonizza le contrarie opinioni e riguarda come pre-carboniferi gli scisti e i calcari cristallini del S.E., le anidriti coi calcari, talcoscisti e quarziti incontrate nella galleria del Monte Cenisio non sono gli equivalenti del gesso e della carinola del Trias, ma possono corrispondere alle anidriti che col gesso, dolomite, serpentino e cloritescisto s’ incontrano negli scisti primitivi di Fahlun in Svezia. L’ esistenza di grandi inversioni di strati in varie parti delle Alpi è molto nota: uno dei più importanti casi si incontra al passo di Martinsloch, nel cantone di Glarus, 8000 piedi sul li- vello del mare. Quivi dei letti nummulitici disposti verso S.S.E. sono regolarmente coperti da successiva arenaria {flysclì) ; essi riposano in diversi modi ed in una posizione quasi orizzontale e sul loro margine sono 150 piedi di duro calcare giurassico, co- perto alla sua volta da scisti micacei e talcosi, che sono da Escher riguardati come simili a quelli che stanno sotto a tali calcari nelle vallate inferiori. Questa massa di flysch appare come di- stesa sotto questi calcari, che a loro volta son coperti dagli strati neocomiani e cretacei. Molti esempli di inversione esistono pure nelle vicinanze del Monte Bianco. La montagna dei Voirons presso Ginevra, mostra alla sua base il terziario ricoperto dalle roccie cretacee sopra cui sono collocati gli strati giurassici. Simili fenomeni si osser- — 137 — vano lungo il versante Nord delle Alpi da Ginevra fino in Au- stria ed in varie localitcà del versante Sud in Lombardia. Nella valle di Clianiounix i calcari secondarii scendono con forte inclinazione verso il Monte Bianco e s’ immergono sotto gli scisti cristallini. Altri esempi della sovrapposizione degli scisti cristallini ai sedimenti fossiliferi sono stati osservati da Elie de Beaumont nelle montagne dell’ Oisans, e simili casi sono stati riconosciuti ancora nelle Alpi orientali e nei Pirenei. Numerose sezioni nelle vicinanze del Monte Bianco mostrano gli strati sedimentarii nella loro attitudine normale riposanti sugli scisti cristallini, mentre in parecchie località s’ incontra la in- tera successione dal carbonifero all’ eocene inclusive. In parecchie parti tuttavia il carbonifero è mancante ed il Trias forma la base della serie, mentre i letti infraliassici riposano sugli scisti cri- stallini, e nelle Alpi Bernesi si osservano strati non fossiliferi inferiormente all’ Oolite. Al carbonifero appartengono i notissimi conglomerati di Ya- lorsina che includono noccioli di gneis, quarzite, scisti micacei e talcosi e vene di quarzo contenente tormalina. La pasta che è rossastra, talcosa e micacea rassomiglia perfettamente a quella dei diversi noccioli, tanto che è talvolta assai difficile il distin- guere questi dalla matrice. Sottili fibre inviluppano spesso at- torno tali noccioli. Benché 1’ alternarsi di questi strati con altri contenenti piante, mostri appartenere essi al periodo carbonifero, egli è spesso difficile di fissare i limiti inferiori di questa for- mazione avuto riguardo alla gran somiglianza fra certe arenarie carbonifere e porzione degli scisti cristallini più antichi, e dove la formazione è priva di noccioli diventa impossibile di distin- guere 1’ una’ dall’ altra. Quindi è accaduto che diversi osservatori ponessero le antraciti delle Alpi nella formazione di mica-scisto e che altri descrivessero come « granito venato » la Aiguille des Posettes, che consta di strati quasi verticali di sedimento car- bonifero. La pasta di questo conglomerato di Valor sina, sembra avere subito una certa nuova disposizione, sì che gli strati di questi pretesi scisti cristallini del carbonifero sono con difficoltà distin- guibili dai veri scisti cristallini, sui quali essi riposano. Questa illusoria rassomiglianza alle roccie più antiche nelle 10 138 Alpi, non si limita al carbonifero. Simili casi si incontrano nel Trias, in cui ai colli dii Bonhomme e des Fours, si trovano roccie si- mili alle più antiche cristalline, e che mostrano per strati inter- posti fossiliferi di appartenere all’ epoca infraliassica. La parte rappresentata nelle Alpi di Savoia da questa misteriosa forza chiamata metamorfismo, a cui è spesso attribuita la formazione degli scisti cristallini, è stata grandemente esagerata. L’ origine della disposizione a ventaglio attribuita alle Alpi da quasi tutti gli osservatori fino dal tempo di De Saussure, sa- rebbe spiegata colle vedute messe avanti da Lory’ nel 1860. Egli suppone che le predette roccie cristalline forzate dalla gran pressione laterale, formino un elevato arco anticlinale che rom- pendosi al vertice per V eccessiva curvatura mostra le roccie più basse nel centro della rottura, fiancheggiata ai lati dagli strati superiori. Questi nelle loro parti superiori sono soggetti a una relativamente debole pressione laterale, mentre le parti più pro- fonde vengono fortemente compresse dalle più piccole ripiegature dei fianchi, donde risulta la disposizione a ventaglio degli strati. Gli strati più recenti nei sinclinali sono per questo processo disposti a forma di conca, e sono più o meno coperti dalle roccie più antiche. Cosi un sinclinale esiste nella valle di Chamounix fra i due anticlinali frastagliati e corrosi rappresentati dal Monte Bianco e dal Brevent. La sezione che comincia a N.O. della montagna detta Les Fiz, che, dominando il Col d’ Anterne, rag- giunge un’altezza di 3180“, mostra tutte le formazioni alpine dalle arenarie di Taviglionaz cuoprenti i letti nummulitici fino al carbonifero che si è visto riposare sugli scisti cristallini. Questi appaiono nelle alture di Pormenaz e nel Brevent, alla base N.O. del quale le roccie carbonifere dopo una brusca ri- piegatura s’ immergono sotto gli scisti cristallini. Questi ultimi a loro volta compaiono a N.E. nelle Aiguilles Rouges, che sono ripide alture a strati verticali racchiudenti roccie orneblendiche, talcose, cloritiche, con petroselce, eclogite e serpentino. La più alta delle Aiguilles giunge a 2944“ sul livello del mare e quindi 1892“ sul fondo della valle di Chamounix: questa montagna, è coperta sulla sommità da strati orizzontali consistenti in circa Lory, Dcscriplion (jcoìofjiquc du Banphinc, pag. 180. 1 1B9 — 37™ (li terreno giurassico, con belemniti ed ammoniti, con sot- toposti strati infraliassici con carniole, sorretto il tutto sopra strati verticali di scisti micaceo-talcosi che racchiudono un letto di calcare saccaroide. Di qui noi passiamo sulla vallata di Cha- mounix che si apre negli scisti cristallini e negli strati giuras- sici e triassici, e sulla sommità del Monte Bianco, per trovare la stessa inversione ripetuta fra la sua base e i protogini del Mont-Chetif. La disposizione a ventaglio attribuita a questo ul- timo è messa in dubbio da Lory, secondo il quale gli strati di questa montagna inclinano uniformemente verso il S.E, e sono coperti dalla gran massa di scisti cristallini talcosi e calcari micacei riferiti da lui al Trias, ma apparentemente facienti parte degli scisti cristallini precarboniferi. Queste roccie sono bene distinte nella montagna di Cramont e sono riguardate come identiche con quelle del Monte Cenisio. Noi possiamo, appoggiandoci a questi fatti, tracciare la storia del Monte Bianco fino dal tempo in cui sopra ad una regione di gneis e scisti cristallini, furono depositati gli strati carboniferi coi loro letti di carbone e i loro resti di piante: parecchi strati sono formati in parte da scisti cristallini disaggregati, e sono da questi difficilmente distinguibili. Dopo alcuni sconvolgimenti le formazioni secondarie furono deposte sopra gli strati carboniferi ed i più antichi, seguite poi dai letti nummulitici e dalle arenarie che li ricuoprono; il tutto avendo, dalla base del Trias, una potenza complessiva di circa 1250™. In seguito accaddero i grandi sconvolgimenti che ripiegarono tutti questi strati racchiu- denti, come in Tarantasia, le nummuliti con fossili giurassici e carboniferi fra le ripiegature degli scisti cristallini. Ciò fu seguito da una grande denudazione che remosse dagli anticlinali spezzati le roccie secondarie, lasciando tuttavia negli strati orizzontali giurassici che ancora cuoprono la punta delle Aigìiilles Bouges, una prova evidente dell’ estendersi di queste formazioni che una volta arrivavano fin dove è adesso il vertice del Monte Bianco. È degno di osservazione, che le parti più elevate di quest’ ultimo non mostrano lo gneis, ma sono coperte da scisti cristallini che si possono supporre riposanti su esso, come fanno gli strati secondari sopragli scisti delle Queste vette sono prove evidenti della enorme erosione in - 140 — queste regioni, i prodotti della quale hanno contribuito a for- mare nelle Alpi e nel Giura le grandi masse di sedimenti mio- cenici detti molasse^ formazione in parte marina, in parte lacu- stre che raggiunge in taluni punti una potenza di circa 2000“. Questo periodo è seguito da altri movimenti che hanno dato ai letti di melassa una disposizione verticale e li hanno in alcuni casi capovolti, cosicché essi sembrano distendersi sotto le for- mazioni nummulitiche. È degno di nota che la melassa dei pressi di Ginevra racchiude nelle sue parti superiori un calcare lacustre seguito da marne con gesso e da ligniti. III. Intorno ai gaz infiammàbili degli Apennini e dei lagoni di Toscana. (Estratto da una Memoria dei sigg. Fouquè e Goeceix, inserita negli Annales dea Sciences Géologiques, tomo 2°, N“ 1.) Gaz infiammabile degli Apennini. — Sotto il nome di ter- reni ardenti, fontane ardenti, vulcani fangosi, salse ec., sono cono- sciuti comunemente i luoghi dove avviene lo sviluppo di gaz infiammabile. I primi osservatori che esaminarono questi fuochi naturali pensarono che tali fiamme fossero dovute alla combu- stione di materie bituminose o solforose, solide o liquide. Gl’il- lustri Volta e Spallanzani furono i primi ad attribuire alla presenza di un gaz le emanazioni dei terreni ardenti e affer- marono che questo era il gaz delle paludi. Poche regioni in Europa presentano tanta abbondanza di sviluppi di gaz combustibili, quanto quella parte degli Apen- nini che traversa il Parmigiano, il Modenese e il Bolognese; questa offre interesse non solo per le sue emanazioni gassose, ma anche per l’alterazione indotta nelle roccie adiacenti da agenti aventi probabilmente una intima relazione colle emana- zioni suddette. Ad ogni passo si osservano grandi eruzioni di serpentino e grandi dislocazioni nei terreni sedimentari in cui esso è comparso. Ciò, oltre 1’ assenza dei fossili, rende difficile il riconoscere a che epoca tali terreni appartengano. 141 — Questa parte d’ Italia è formata da una lunga zona di cre- taceo, su cui poggiano a destra e a sinistra le marne azzurre subapennine sormontate dalle sabbie gialle micacee. È in mezzo di questi terreni differentissimi per età e composizione che si trovano gli sviluppi gassosi in notevole quantità. Barigazzo. — Barigazzo è un villaggio a 70 o 72 chilometri da Modena sulla strada che, traversando l’Apennino, conduce a Firenze; la sua altitudine è di 1177 metri, e si trova esso si- tuato quasi al vertice di questa regione montuosa. Vicino a Ba- rigazzo si trovano due abbondantissime sorgenti di gaz. La più considerevole è a 100 o 150 m. ad 0. della strada. Il gaz sfugge per numerosi getti dalle pareti di un forno a calce dalla sua combustione riscaldato. Da lungi si sente un leggiero odore di petrolio e le fiamme si inalzano a più di un metro sopra la bocca del forno. Spallanzani paragonava questo gaz al gaz idrogeno ed altresì al gaz estratto dal fango delle paludi e conclude che non è identico nè coll’ uno, nè coll’altro. Però egli lo riguarda a torto come idrogeno libero inquinato da vapori di petrolio ed attri- buisce alla presenza di questo vapore la quantità di acido car- bonico posseduta dal gaz dopo la sua combustione in presenza dell’ossigeno. Il secondo sviluppo di gaz dei dintorni di Barigazzo si trova ad Orto dell’ Inferno, che è un ruscelletto ad oriente e ad un miglio e mezzo di distanza dal paese ; viene descritto da Spallan- zani nel suo lavoro: egli dice che i fuochi dell’ Orto dell’Inferno inon sono meno antichi di quelli di Barigazzo e rimontano ad lun epoca remotissima; egli giunse anche a determinare la per- itata di ogni getto: così quella del più grosso era di 115 pol- llici e y, per minuto e quella di tutti gli altri presi insieme idi 132 ecc. Il gaz raccolto da uno di questi numerosi getti ha dato al- 1’ analisi la seguente composizione: Acido carbonico 1,57 Ossigeno 0,19 Azoto 2,51 Gaz delle paludi 95,73 100,00 - 142 — Supponendo che l’ossigeno provenga da aria atmosferica in- trodotta accidentalmente e risultante dal vuoto imperfetto dei tubi impiegati per raccogliere il gaz, la composizione sarebbe: Acido carbonico 1,58 Azoto 1,81 Gaz delle paludi 9G,G1 100,00 Il gaz combustibile contenuto nel gaz naturale è realmente gaz delle paludi quasi puro e non un miscuglio d’ idrogeno con uno 0 più carburi di idrogeno. Il gaz dell’ Orto dell’ Inferno scevro preventivamente d’ os- sigeno e d’ acido carbonico si è trovato composto come segue : Azoto 3,G Gaz delle paludi 9G,4 100,0 Monte-Creto. — A poche miglia ad oriente di Barigazzo esiste nella comunità di Sestola uno sviluppo di gaz nel mezzo del terreno accidentato che separa questi due paesi : detti fuochi trovansi a circa due chilometri ad oriente dell’ abitato di Monte- Creto. Una di queste sorgenti gassose trovasi in una località deno- minata Sponda del Gatto; il gaz raccolto in questo punto ha la seguente composizione: Acido carbonico 0,53 Ossigeno 0,20 Azoto 1,97 Gaz delle paludi 97,30 100,00 Astrazion fatta dall’ ossigeno e azoto provenienti da acci- dentali introduzioni d’ aria atmosferica, si trova per la vera composizione del gaz: Acido carbonico 0,74 Azoto 0,41 Gaz delle paludi 98,85 100,00 Bocca-Suolo. — Un altro contro di sviluppo gassoso si trova a G 0 7 chilometri ad 0. di Barigazzo, presso Bocca-Suolo ; i — 143 — fuochi sono sulla destra del torrente Dragone e sembrano di- sposti su una stessa linea diretta da E. ad 0. ; il suolo è tutto all’ intorno alterato e composto di marne argillose, di alberese e di macigno. I getti di gaz escono da quattro aperture distinte situate a differenti livelli. Composizione del gaz all’ orifizio più elevato : Acido carbonico 2,26 Ossigeno 1,23 Azoto 5,91 Gaz delle paludi 90,60 KKbOO Composizione effettiva del gaz privo dell’ aria : Acido carbonico 2,32 Azoto 1,52 Gaz delle paludi 96,16 100,00 Il gaz che sorte dall’ apertura più bassa, circa 100 metri sotto le altre, è così composto : Acido carbonico 2,33 Ossigeno 0,43 Azoto 1,89 Gaz delle paludi 95,35 100,00 Ed astrazion fatta dall’ aria atmosferica : Acido carbonico 2,38 Azoto 0,30 Gaz delle paludi 97,32 100,00 Il gaz del Campo di Vetta, sempre nel comune di Bocca- Suolo, ha presentata la composizione seguente : Acido carbonico 2,10 Ossigeno 0,44 Azoto 3,11 Gaz delle paludi 94,35 100,00 144 — Togliendo al solito Paria atmosferica: Acido carbonico 2,14 Azoto 1,51 Gaz delle paludi 96,35 100,00 San Venanzio. — Presso il villaggio di S. Venanzio scorre il torrente Tupido, vicino al quale si trova un piccolo stagno collocato sopra un terreno argilloso appartenente alle marne subapennine. E da questo stagno, sfuggono cinque o sei getti gassosi intermittenti. La composizione di questo gaz si è trovata essere : Acido carbonico 0,52 Ossigeno 0,19 Azoto 10,77 Gaz delle paludi 88,52 100,00 E astrazion fatta dall’ ossigeno e azoto dell’ aria : Acido carbonico ....... 0,52 Azoto 10,16 Gaz delle paludi 89,32 100,00 Dall’ altro lato del torrente Tupido, Spallanzani cita una salsa composta d’ un cono fangoso di 80 piedi di circonferenza eli a 12 piedi d’altezza, circondata da coni minori che tutti lascia- vano sfuggire il gaz infiammabile: l’argilla che li formava era impregnata di petrolio. Sassuolo. — La salsa di Sassuolo ha fino dai tempi di Plinio attirata P attenzione dei naturalisti : Frassoni, Vallisnieri, Spal- lanzani e De Brignoli si sono occupati dei fenomeni che in essa si osservano. Essa si trova al sud di Sassuolo sulla sommità di una collina che costeggia il torrente Secchia, ed è collocata in un suolo argilloso appartenente alle marne subapennine. Il gaz della salsa di Sassuolo è composto come segue: Acido carbonico 0,55 Ossigeno 0,32 Azoto 2,54 Gaz delle paludi 96,59 100,00 — 145 — E senza contare 1’ ossigeno e V azoto dell’ aria : Acido carbonico 0,56 Azoto 1,38 Gaz delle paludi 98,06 100,00 Salvarola. — Sorgenti gassose assai ricche trovansi ad un chi- lometro circa dalla salsa di Sassuolo in vicinanza dell’ abitato di Salvarola : questo gaz si sviluppa da una sorgente di acqua salata che si trova in mezzo ai campi coltivati. Questo gaz ha la seguente composizione: Acido carbonico 0,78 Ossigeno 0,21 Azoto 4,39 Gaz delle paludi 94,62 100,00 Fatta astrazione dall’ ossigeno e azoto dell’ aria : Acido carbonico 0,79 Azoto 3,63 Gaz delle paludi 95,58 100,00 Pietra Mala. — Pietra Mala è sul versante orientale del- l’ Apennino a non grande distanza da Covigliajo, e i suoi fuochi sono stati 1’ oggetto di frequenti visite dei naturalisti fra i quali citeremo soltanto il celebre Volta, che diede una dettagliata descrizione di questa località.' Il suolo di Pietra Mala è formato d’ argilla scagliosa con frammenti di macigno e di alberese e con abbondanti cristalli di dolomite. Il gaz del fuoco principale di Pietra Mala (Vulcano) ha presentato la seguente composizione: Acido carbonico 1,50 Ossigeno 0,58 Azoto 4,35 Gaz delle paludi 93,57 100,00 * Volta, Mémoire sur les feux des terrahis ardents, toni. III. — 146 - Fatta astrazione dall’ aria si ha invece : Acido carbonico 1,54 Azoto 2,27 Gaz delle paludi 96,19 100,00 Al fuoco di Vulcano (Pietra Mala) si sentiva un forte odore di petrolio e l’ argilla circostante trattata con etere ha dato un liquido nero viscoso di odore pronunziato, combustibile e pre- sentante i caratteri del bitume. Dunque è fuor di dubbio che questi gaz trascinano una piccola quantità di carburi volatili. Il gaz del secondo fuoco di Pietra Mala (Vulcanello) ha presentata la seguente composizione: Acido carbonico 1,69 Ossigeno 0,68 Azoto 3,27 Gaz delle paludi 94,36 100.00 Astrazion fatta dall’ aria si ha : Acido carbonico 1,75 Azoto 0,77 Gaz delle paludi 97,48 100,00 Dall’ altro lato del villaggio di Pietra Mala, a un chilometro dalla chiesa, si hanno in mezzo ad una prateria gli sviluppi gas- sosi dell’Acqua Buja. La composizione di tal gaz è: Acido carbonico 0,73 Ossigeno 0,27 Azoto 1,43 Gaz delle paludi 97,57 100,00 Tolto 1’ ossigeno e 1’ azoto dell’ aria, è : Acido carbonico 0,74 Azoto 0,41 Gaz delle paludi 98,85 100,00 - 147 Bergiillo. — È questa una salsa situata nelle vicinanze di Imola sui limiti dei terreni miocene ed eocene e della lunga zona di marne subapennine die si estende da Piacenza fino all’ estre- mità meridionale d’ Italia. L’ analisi lia dato pel gaz di Bergullo la seguente compo- sizione ; Acido carbonico 0,47 Ossigeno 0,54 Azoto 2,62 Gaz delle paludi 96,37 100,00 ed astrazion fatta dall’aria accidentalmente introdotta nel tubo per raccogliere il gaz: Acido carbonico 0,48 Azoto 0,59 Gaz delle paludi 98,93 100,00 Riolo. — A poca distanza da Imola, ma più internato che il precedente nei contrafforti dell’ Apennino, giace il villaggio di Riolo, già conosciuto per le sue acque minerali sorgenti a circa un chilometro dal villaggio, presso un piccolo rivo dal letto del quale si sviluppano numerose bolle di gaz infiammabile. Il gaz di Riolo ha dato : Acido carbonico 1,00 Ossigeno 0,13 Azoto , , 2,19 Gaz delle paludi 96,68 100,00 Astrazion fatta dall’ aria introdotta : Acido carbonico 1,01 Azoto 1,64 Gaz delle paludi 97,35 100,00 San Martino. — Questo villaggio giace a pochi chilometri al sud di Castel San Pietro (Imola), ed ha nelle sue vicinanze un pozzo d’ acqua salata dalla quale si emettono numerose bolle di gaz infiammabile. Altre piccole sorgenti gassose trovansi pure a poca distanza associate a piccole sorgenti d’acqua solforosa. — 148 — Il gaz del pozzo di San Martino ha la seguente composizione ; Acido carbonico 1,08 Ossigeno 0,84 Azoto 9,14 Gaz delle paludi 88,94 100,00 Non contando Varia atmosferica: Acido carbonico 1,12 Azoto 6,20 Gaz delle paludi 92,68 100,00 Sassuno. — A 6 chilometri da San Martino e presso la casa denominata Cabrerà, non lontano dal torrente Silaro, si trova una piccola fontana d’ acqua dolce alla cui superficie appare un leg- gierissimo velo di una sostanza bituminosa analoga al petrolio. A poca distanza di là seguendo il torrente Dragone, si in- contra al di sotto della chiesa di Sassuno una piccola spianata circondata da un affluente del torrente e composta di una marna molto argillosa: al centro è un ammasso di un metro circa d’al- tezza, attorno al quale avviene uno sviluppo di gaz traverso un fango semi-fluido. Il gaz di Sassuno ha presentato la composizione seguente: Acido carbonico 1,09 Ossigeno 0,89 Azoto 3,75 Gaz delle paludi 77,16 Idruro d’ etile 17,11 100,00 Non contando l’ossigeno e l’azoto dell’aria: Acido carbonico 1,14 Azoto 0,39 Gaz delle paludi 80,60 Idruro d’ etile 17,87 100,00 Porretta. — A Porretta abbondano le acque solforose e salate, calde e fredde. I terreni circostanti, per gli sconvolgimenti che — 149 1 hanno subito e per le azioni potenti chimiche e meccaniche che Ili hanno alterati, presentano al geologo soggetto di utili studi. Ili terreno è essenzialmente formato d’argilla scagliosa impa- : stante frammenti d’ alberese, di calcare a fucoidi e di macigno. I gaz che accompagnano le acque minerali seguono i con- dotti che portano queste ultime, trovando cosi una facile uscita. Fra le numerose sorgenti, quattro solamente danno luogo a jsprigiouamenti di gaz piuttosto considerevoli. L’ acqua della sorgente del Leone, ai piedi del monte Sas- :socardo è leggermente sulfurea e di un sapore salato: il condotto .che la porta dalla montagna è traversato da una abbondante corrente di gaz della seguente composizione : Acido carbonico 4,37 Ossigeno 5,78 Azoto 24,36 Gaz delle paludi . 65,40 100,09 Fatta astrazione dall’ aria atmosferica si ha : Acido carbonico 5,97 Azoto 4,61 Gaz delle paludi 89,42 100,00 Il gaz che serve all’ illuminazione dello Stabilimento Balneario ^proviene quasi dallo stesso punto della montagna ed è meno ricco (di acido carbonico che il precedente. Ecco la sua composizione : Acido carbonico 2,48 Ossigeno 0,37 Azoto 2,90 Gaz delle paludi 94,24 100,00 E facendo la solita astrazione dell’aria introdotta acciden- ttalmente, si trova : Acido carbonico 2,52 Azoto 1,57 Gaz delle paludi 95,91 100,00 - 150 La sorgente dei Bovi proviene come la precedente dai piedi della montagna di Sassocardo. Il gaz die si sprigiona di mezzo all’ acqua ha la seguente composizione : Acido carbonico 5,37 Ossigeno 0,14 Azoto 2,G5 Gaz delle paludi 91,84 100,00 Riguardando l’ ossigeno e corrispondente azoto come prove- nienti dall’ aria atmosferica, la composizione diventa : Acido carbonico 5,72 Azoto 2,06 Gaz delle paludi 92,22 100,00 Le sorgenti note sotto i nomi di Marte, Donzelle, Reale, Tromba provengono dalla montagna della Croce situata di fronte al Sassocardo dall’ altro lato del Rio Maggiore. Il gaz che ac- compagna r acqua di Marte ha la seguente composizione : Acido carbonico 4,81 Ossigeno 1,05 Azoto 0,52 Gaz delle paludi 87,62 100,00 Senza l’ ossigeno e azoto dell’ aria ; Acido carbonico 5,06 Azoto 2,78 Gaz delle paludi 92,16 100,00 Lo sprigionamento di gaz che avviene traverso la sorgente della Puzzola è poco abbondante e presenta la seguente compo- sizione : Acido carbonico 1,82 Ossigeno 0,15 Azoto 7,28 Gaz delle paludi 90,75 100,00 — 151 — Eliminando l’aria atmosferica: Acido carbonico 1,84 Azoto 6,68 Gaz delle paludi 91,48 100,00 La sorgente di Porretta Vecchia è accompagnata da uno svi- luppo piuttosto abbondante di gaz che ha la siiguente compo- sizione : Acido carbonico 1,98 Ossigeno 0,39 Azoto 8,51 Gaz delle paludi 89,12 100,00 Riguardando V ossigeno come accidentale resta : Acido carbonico 2,02 Azoto 7,23 Gaz delle paludi 90,75 100,00 Sassocardo. — Al di sopra di Porretta quasi alla cima del Sassocardo si osservano, su uno spazio di pochi metri quadrati, cinque getti di gaz, che non è accompagnato da acqua al suo sprigionarsi: esso è così composto: Acido carbonico 1,74 Ossigeno 0,16 Azoto 10,07 Gaz delle paludi 88,03 100,00 Considerando P ossigeno e P azoto come accidentali si trova per la composizione: Acido carbonico 1,75 Azoto 9,55 Gaz delle paludi 88,70 100,00 Fosso dei Bagni. — A tre chilometri circa da Porretta, risa- lendo il corso del Reno, s’ incontra sulla riva destra il ruscel- letto Fosso dei Bagni, nel quale a 200“ circa dalla bocca si trova — 152 — un abbondante sviluppo di gaz ; questo sfugge con una pressione considerevole traverso gli spacchi del macigno, dando luogo ad un odore sulfureo intermittente. Il gaz ha presentata la seguente composizione : Acido carbonico 0,60 Ossigeno 0,40 Azoto 9,37 Gaz delle paludi 89,63 100,00 Fatta astrazione dall’aria introdotta: Acido Carbonico 0,61 Azoto 8,04 Gaz delle paludi 91,35 100,00 Gaggio Montano. — È un piccolo villaggio situato a 7 chilo- metri a N. 0. di Torretta, ad una altitudine di 530™, Le ema- nazioni gassose provengono dall’ argilla scagliosa che forma il suolo di tutte queste località. Il gaz di Gaggio Montano è così composto: Acido carbonico 1,19 Ossigeno 0,64 Azoto 4,32 Gaz delle paludi 93,85 100,00 Fatta astrazione dall’ aria atmosferica : Acido carbonico 1,23 Azoto 2,01 Gaz delle paludi 96,76 100,00 Lagoni della Toscana. — I Soffioni si presentano in ogni loca- lità in file lineari sensibilmente rettilinee dirette da N.N.O, al S.S.E., e 1’ acido borico è estratto in 5 punti principali che sono : Larderello, Castelnuovo, Sasso, Monte Rotondo, Serrazzano, Lago, Lustignano. — 153 — Il gaz analizzato ai Soffioni di Larderello ha presentata la seguente composizione : Acido solfidrico 4,20 Acido carbonico 90,47 Azoto 1,90 Gaz delle paludi 2,00 Idrogeno 1,43 100,00 Il rapporto dell’ idrogeno al gaz delle paludi uguaglia 0,71. I Soffioni di Castelnuovo sono situati nella vallata della Pa- vona; la fessura a cui essi corrispondono sembra essere un pro- lungamento di quella di Larderello, I gaz di uno dei Soffioni di Castelnuovo, trattato come il precedente presenta la seguente composizione ; Acido carbonico 92,63 Acido solfidrico 3,76 Azoto 1,08 Gaz delle paludi 1,63 Idrogeno 0,90 100,00 Il rapporto fra P idrogeno e il gaz delle paludi è di 0,55. Al Sud-Ovest di Larderello è situato Sasso : la spaccatura su cui sono disposti i Lagoni ha la direzione dal N.N.O. al S.S.E. Il gaz di uno dei Lagoni di Sasso ha presentata la seguente composizione : Acido solfidrico 5,43 Acido carbonico 88,33 Ossigeno 0,13 Azoto 1,55 Gaz delle paludi 2,55 Idrogeno 2,01 100,00 11 rapporto dell’idrogeno al gaz delle paludi uguaglia 0,78. Serrazzano è situato nella vallata della Corina a qualche chi- lometro da Castelnuovo. La spaccatura è diretta dal S.S.E. al N.N.O. Le emanazioni gazose vi si presentano cogli stessi caratteri che negli altri lagoni. Il - 154 - Il gaz di uno dei Soffioni di Serrazzano ha presentata la se- guente composizione ; Acido solfidrico 6,10 Acido carbonico 87,90 Azoto 2,93 Gaz delle paludi 0,97 Idrogeno 2,10 100,00 Il rapporto fra l’ idrogeno e il gaz delle paludi è uguale a 2,77. Riassumendo, i gaz esaminati nell’ Italia centrale sono 28, e di questi 24 appartengono alla regione degli Apennini, 4 ai La- goni di Toscana. Soltanto questi racchiudono idrogeno libero, e fra gli altri, composti in gran parte di gaz delle paludi, un solo, quello di Sassuno, racchiude idruro di etile. Il quadro seguente rappresenta la composizione dei 24 gaz degli Apennini, riguar- dandovi r ossigeno come accidentale. Acido Azoto. Gaz Idruro carbonico. delle paludi. di etile. Baeigazzo. Orto deir Inferno 1,58 1,81 96,61 y> Monte Greto 0,53 1,22 98,25 » Bocca Suolo 1° 2,32 1,52 96,16 » Bocca Suolo 2° 2,38 0,30 97,32 » Bocca Suolo 3° 1,51 2,14 96,35 » San Venanzio 0,52 10,16 89,32 » Sassuolo 0,5G 1,38 98,06 » Salvarola 0,79 3,63 95,58 » /Vulcano 1,54 2,27 96,19 » Pietea Mala IVulcanello 1,75 0,77 97,48 » V Acqua Buja 0,74 0,41 98,85 » Imola Bergullo 0,48 0,59 98,93 » Riolo 1,01 1,64 97,35 » San Martino 1,12 6,20 92,68 » Sassuno 1,14 0,39 80,60 17,87 PoEEETTA Leone 5,97 4,61 89,42 » Gazonietro 2,52 1,57 95,91 » Bovi 5,72 2,06 92,22 » Marte 5,06 2,78 92,16 > Puzzola 1,84 6,68 91,48 » Porretta Vecchia 2,02 7,23 90,75 » Sasso Cardo 2,05 3,13 94,82 > Fosso dei Bagni 0,61 8,01 91,35 » Gaggio Montano 1,23 2,01 96,76 » i — 155 — Composizione dei quattro gaz dei Lagoni : Idrogeno Acido Azoto. Idrogeno. Gaz sul fu rato. carbonico. delle paludi. Larderello 4,20 90,47 1,90 1,43 2,00 Castel Nuovo 3,76 92,63 1,08 0,90 1,63 Sasso 5,43 88,33 1,55 2,01 2,55 Sei’razzaiio 6,10 87,90 2,93 2,10 0,97 I gaz (lei Lagoni si distinguono da quelli deH’Apennino per Ila loro temperatura elevata al momento dell’ emissione (circa 100°), iper r idrogeno libero che racchiudono e per le quantità no- ttevoli d’ acido carbonico e di idrogeno solforato che entrano a comporli, I 24 gaz degli Apennini si possono classificare in 4 gruppi. II r comprende il gaz di Sassuno, caratterizzato dall’ idruro d’ etile. Il 2° comprende tutti i gaz che contengono più di 1,80 per 100 di acido carbonico, e in questo troviamo il gaz di Porretta sol- tanto. Anzi tali gaz sono i soli che si svolgono a temperatura ? superiore all’ ordinaria e quelli più ricchi in acido carbonico sono anche quelli accompagnati dall’ acqua più calda. Un 3° gruppo riunisce i gaz ricchi in azoto e comprende i ;gaz dell’ Apennino che ne contengono più di 5 per 100; vi tro- viamo due dei gaz di Porretta, cioè quelli meno ricclii di acido carbonico; poi il gaz di Fosso dei Bagni, quelli di San ]\Iartino e di San Venanzio, che ne contiene più di 10 per 100. Infine in un 4° gruppo, in cui il gaz delle paludi è predo- 1 minante si osservano i gaz di Barigazzo, Bocca Suolo, àlonte Ureto, Sassuolo, Salvarola, Bergullo, Bioio, Pietra Mala e Gag- gio. È rimarchevole il vedere il gaz di Gaggio che sotto ogni .aspetto si allontana da quello di Porretta, malgrado la grande 'vicinanza delle due località. Ad onta di queste differenze tutti i gaz infiammabili degli Apennini appartengono a una stessa famiglia caratterizzata dalla ipredominanza del meno carburato dei gaz della serie C-“ il gaz delle paludi. Spesso ancora sono impregnati di vapori di carburi liquidi della serie C'^'' Gli sviluppi di gaz com- Ibustibili degli Apennini sono analoghi a quelli dei pozzi pctroli- 1 feri d’ America ed offrono come questi le più intime relazioni coi — 15G - giacimenti di petrolio e colle sorgenti salate che li accompagnano. Stridii sui gaz dei pozzi petroliferi d’ America hanno mostrato, che le sorgenti di petrolio più abbondanti sono quelle che danno adito ai gaz più carburati della serie ; in modo che alla inspezione dei gaz provenienti da una sorgente naturale 0 da un foro artesiano, si potrebbe predire con una certa pro- babilità, la ricchezza in petrolio del giacimento. Ora i gaz degli Apennini sono poveri di carbonio e, su 24, 23 non rac- chiudono altro elemento combustibile che il gaz delle paludi. È dunque probabile che 1’ estrazione del petrolio negli Apennini non sarà mai sorgente di una ricchezza di prodotti paragonabile a quella dell’ America del Nord. Soltanto a Sassuno probabilmente la ricerca del petrolio potrà esser coronata di successo, perchè ivi si è trovato l’ idruro di etile misto al gaz delle paludi. Richiamiamo ancora 1’ attenzione sopra 1’ allineamento rego- lare degli sviluppi di gaz infiammabile degli Apennini. Questi svi- luppi occupano due linee sensibilmente parallele alla vicina cresta deir Apennino. La più vicina a tal cresta comprende i fuochi di Bocca Suolo, di Barigazzo, di Monte Greto, Gaggio Montano, Por- retta, Fosso dei Bagni e Pietra Mala: la sua direzione media è S.S.O. Lungo tutta questa linea il suolo è formato d’ argilla scagliosa o di macigno. L’ altitudine è piuttosto elevata, sorpas- sando i 1000“ a Barigazzo e a Pietra Mala e presentando il mi- nimo a Porretta, ove discende a 375.“ La seconda linea, lontana circa 30 chilometri dall’ Apennino, verso il nord e diretta a 17° N., si estende fino a Piacenza e forse fino a Voghera. E tutta situata nelle marne subapennine ad un’ altitudine pochissimo superiore a quella della pianura Lom- barda, e comprende i giacimenti di Sassuolo, San Venanzio, Sal- varola. San Martino, Sassuno, Bergullo e Riolo. La natura argil- losa del suolo è favorevole alla produzione dei coni di fango e delle salse e quindi la più parte dei suesposti giacimenti si pre- sentano sotto questo aspetto. Così la distribuzione degli sviluppi di gaz combustibili nell’ Apennino, P aspetto fisico delle bocche che danno loro adito, sono intimamente collegati all’ oro- grafia ed alla costituzione geologica della regione in cui si osservano. — 157 — Riguardo ai Soffioni della Toscana rammentiamo solo che la ] lloro direzione è N.N.O. a S.S.E. parallelamente alla linea delle i Alpi Apuane, c che il prolungamento di questa direzione passa Il per i vulcani romani e per il Vesuvio. NOTE MINERALOGICHE. Elenco di specie minerali recentemente trovate. (Estratto da diverse pubblicazioni estere.) Crediamo possa riescile utile di dare una lista dei nuovi mi- nerali scoperti negli ultimi tempi, insieme coi principali loro ca- ratteri, dividendoli in gruppi a norma della chimica composi- zione. Siffatte notizie, come quelle che trovansi sparse nei 1 periodici specialmente dell’ estero, sfuggirebbero facilmente se non fossero in tal guisa raccolte e compendiate. Minerali a base alcalina o terrosa. Milarite. — Nuovo minerale della Svizzera. Questo minerale fu trovato nel terreno granitico della valle di Milar insieme con quarzo, ortose, apatite, cabasite, titanite e clorite: esso è in cristalli prismatici esagonali combinati con piramidi pure esa- gonali : limpido, semitrasparente, con una leggera tendenza al co- lore verde, durezza da 5 Va a 6. È questo un minerale di na- tura zeolitica cioè un silicato idrato di soda, calce ed allumina. Simonite. — Nuovo minerale trovato da Simony presso Hall- stadt nelle Alpi austriache. Forma piccoli giacimenti fra il sal- gemma ed altri sali di varia natura, e trovasi più sovente for- mare coi suoi piccoli cristalli lucenti delle piccole druse di una tinta leggermente verdastra o giallo-bruna. La sua durezza è 2,5; peso specifico 2,244. L’analisi diede: S = 47,17; MgO = 12,65; NaO = 18,86; HO = 2 1,82: da cui la formula: MgO, SO^ + 2NaO, SO^ + 8HO Cendeolactina. — Nuovo minerale della miniera di Rindsberg presso Katzenellenbogen in Germania (Nassau). Forma piccole vene di colore latteo tendente alP azzurro per entro uno scisto ^ siliceo che contiene giacimenti limonitici. La sua durezza è 5 ; i peso specifico 2, 59. Consta essenzialmente di un fosfato idrato di allumina, con piccole quantità accidentali di fosfati di rame, di calce e di magnesia. La sua formula è : 3APO^ 2PhO' 4- 10 HO. Ltmeburgite. — Nuovo minerale trovato nelle miniere di Sal- gemma di Luneburgo (Germania). Dall’analisi si ebbe la formula: (2Mgo, rio) riio^’ -4 Mgo, bo* + tho. Winkivortife. — Nuovo minerale trovato a Winkwort nella Nuova Scozia. E un borato die si trova in noduli per entro un giacimento di gesso ; durezza 3, incoloro ; riscaldato in tubo chiuso dà acqua e diviene opaco; a forte calore fonde sugli orli. Analisi; SO^— 30, 10; SiO^ = 3, 31; BoO^ = 10, 13 ; CaO = 31,66; HO= 18,80: da cui la formula: 9SO^ Sio^ 3Bo^ llCaO, 20HO. Baìstonite. — Nuovo minerale trovato in Groenlandia. Si trova in piccoli cristalli ettaedrici impiantati sopra cristalli di Tomse- lonite. Sono incolori, con lucentezza vitrea, durezza più grande che la tìuorite, peso specifico 2, 40. E un fluoruro molto analogo alla Tomselonite, ma riesce quasi impossibile separarlo da que- st’ ultima per farne una accurata analisi. Decomposto con SO’ dà vapori di HFl, il che prova trattarsi di un fluoruro; all’ana- lisi spettrale dimostra pure contenere CaO e NaO ; sembra sia un fluoruro idrato di alluminio con piccole quantità di CaO e NaO. Burangite. — Nuovo minerale del Messico. Trovato presso Durango nel terreno diluviale già conosciuto per i bei cristalli di Cassiterite e Topazzo. Esso cristallizza in forme derivate dal romboedro; peso specifico circa 4; colore giallo scuro, lu- centezza vitrea. vVnalisi: AsO’ = 55, 10; APO’= 20, 68; FeO 4, 78 ; MnO = 1, 30 ; NaO = 1 1, 66 ; Li + FI = 0, 81. For- i mula : 2 (NaFl) -t- AFO’, As' 0’ - 159 - Vcmadiolite. — Minerale nuovo della valle di Gladauka, presso il lago Baikal (Siberia). Forma piccoli cristalli tanto isolati quanto agglomerati in druse; colore verde-scuro, qualche volta nero; la polvere è di un bel colore verde grigio ; la scalfittura è molto brillante; peso specifico 7, 36. A forte calore fonde sugli spigoli e si annerisce. Analisi SiO"=15, 50; AFO'’=l, 10; FeO = l, 40; CaO == 34, 43; CaO, 00^ = 2, 61; acido ipovanadico = 44, 85. Tale minerale componesi adunque di tre atomi d’augite e di un atomo di sotto vanadato di calce. Gumbelitc. — Nuovo minerale dell’Alta Franconia (Germania). Trovasi esso in sottili straterelli sopra gli scisti argillosi; di color bianco tendente al verdastro, con splendore madreperlaceo ; esposto al calore emana vapore acqueo. Analisi: Si0" = 50, 52; APO’=:31,04;FeO = 3; MgO=l,88; KaO = 3,18; 110 = 7, 00. Montebrasite. — Fu trovato nei giacimenti di minerale di stagno di Montebras in Francia. Bassomiglia al feldispato bianco ed ha delle vene di vavellite con qualche macchia di turchese; ha frattura scagliosa, struttura lamellare e due distinti piani di sfaldatura. Si fonde quando sia ridotto in polvere, consolidan- dosi poi in uno smalto opaco. L’analasi chimica diede: Fl=: 26,05; Pii = 9,52; Al = 20,40; Na=4,97; Lt = 3,03; Ca=l,43; 0 = (calcolato 26,42); Quarzo = 2,25 ; no = 0,60. Questa composizione conduce alla formula: 2 (aI-FP, 3F1 (Na -P Lt + Ca)) + 4A1’ 0^ 3lTiO'’ Pattersonite. — Minerale trovato nella Pensilvania (a Karund). Aspetto metallico, colore grigio azzurrognolo, frattura grigia : al calore dà vapore acqueo, ma non fonde. Analisi : SiO- = 30, 20 ; APO^ = 20, 25; MgO=l, 28; KaO =11, 35; FeO = 14, 88; H0= li, 73. Mmei\ali a base metallica. Amblistegite. — Nuovo minerale del lago Laacher (Germania). Cristallizza nel sistema romboedrico e forma dei cristalli a molte facce ed assai lucenti ; per gli angoli questi cristalli si rassomi- gliano a quelli dell’ augite. Color bianco rossiccio, durezza quasi come il quarzo, peso specifico 3,45. Analisi SiO^ = 49,8; FeO — 160 - = 25,6; MgO=17,7; CaO = 0,15; AW = 5,05. Per la com- posizione si avvicina molto all’ iperstene. Glaiicopirite. — Nuovo minerale delle cave di Guadalcanal in Andalusia. Trovato entro un calcare leggermente scistoso, ^ in- sieme con tetraedrite cristallizzata, solfuro d’argento e stibina; è generalmente un agglomeramento di cristallini microscopici; apparenza metallica, lucente, colore bianco tra piombo e stagno, durezza 4 Y21 peso specifico 7, 18. Analisi S = 2,36; As = 66,90; Sb = 3,59; Fe=21,38; Co = 4,07; Cu = l,14. Appartiene dunque al gruppo dei ferri arsenicali. Jakobsite. — Nuovo minerale della Svezia. Esso viene dal Jakobsberg nella Svezia settentrionale; giace entro un calcare cristallino insieme con foglietto di mica bianco e nuclei di pirite cuprica; è in cristalli ettaedrici, ha l’aspetto di vetro nero, è assai lucente e magnetico e pesa 4, 75; la polvere ne è bruno- nerastra. Questo minerale appartiene al gruppo dello spinello ; l’analisi ne è: FeO = 0,682; MnO— 3,243; MgO = 0,064; ZnO = tracce. Litioforite. — Minerale delle miniere di Scheeberg in Sassonia. Trovasi sparso in piccole pagliette nella ganga dei filoni ferriferi della Sassonia. Durezza 3, peso specifico 3, 14 a 3, 76; colore nero azzurrognolo, frattura color nero bruno; al fuoco emana vapore acqueo; infusibile. Componesi essenzialmente di ossido di manganese ricco in rame e cobalto e, cosa caratteristica, contiene 1, 5 per 100 di Litio. Giulianite. — Nuovo minerale rinvenuto nelle miniere argen- tifere di Rudolstadt nella Slesia. Esso forma piccole cristallizza- zioni assai ramificate entro lo spato calcareo, e talvolta anche piccole druse di cristalli cubici. Il colore ne è grigio di piombo; ma esposto all’ aria si annerisce facilmente per ossidazione. Ha piccola durezza, e peso specifico 5, 12. L’analisi diede: S = 26,50; As= 18,45; Sb=l,42; Fe = 0,79; Ag = 0,54; Cu = 52,30. Cianocaìcite. — Nuovo minerale di Nischny Tagilsk (Siberia), trovato entro una diorite insieme con ossido di rame e apatite. Analisi SiO' = 26,90; PhO^ = 6,95; CuO =::: 49,63 ; HO = 16,52. Struttura compatta, colore celeste, durezza 4 72 , peso specifico 2,79. Al fuoco perde molta acqua e diviene nero. — IGl Fosf or ocromite. — Nuovo minerale trovato presso Beresowsk (Siberia) insieme colla sistwanite e galena. Esso forma delle masse aggregate con piccoli cristalli alla superficie e nell’ interno in parte cristalline e in parte compatte; colore verde nerastro; polvere verde ; durezza 3, peso specifico 5, 80. Ad elevato ca- lore sviluppa del vapore acqueo. Analisi : PbO = 68,83 ; CuO^ = 7,36; Fe0 = 2,80; CrO^= 10,13; 1W = 9,94; HO =1,16. Laxmannite. — Nuovo minerale trovato da Nordenskidld in- sieme ai cristalli di Vauquelinite ; consta essenzialmente di una mescolanza di fosfato di rame con cromato basico di piombo. Forma piccoli cristalli prismatici monoclini e trovasi in pezzi in parte cristallini e in parte compatti; colore verde oliva e polvere verde più chiaro; durezza 3, peso specifico 5, 77. Ana- lisi; PBO = 61,16; CuO'= 11,64; Fe0=l,06; CrO'= 15,91; PhO" = l,31; 110=1,10. Da ciò la formula; 2(CuO^ PhO-') 4- 5 (PbO)^ Cr0''-4 2 HO. Nadorite. — Fu trovato in Algeria nella miniera di Carbonato di zinco che sta presso il villaggio di Duvivier, insieme con altri minerali, come sarebbe il carbonato di piombo, P antimoniato di ferro, P arseniato di piombo ed altri carbonati multipli. La Na- dorite è di color bruno nerastro, con frattura resinosa e durezza di circa 3, cristallizza nel sistema trimetrico. All’ analisi chimica diede Pb = 51,60; Sb = 31,55; 0 = 8; CI = 8,55; da cui la formula ; Sb-O^Cl, 2PbO. Epihnlangerite. — Nuovo minerale trovato presso Altenberg nella Slesia. Si rinvenne in un filone di Mispickel, Galena, Blenda, Pirite cuprica e Stibina posto al contatto del porfido con argille scistose. Esso contiene S, Pb, Sb con poco Ni e Fe; compo- sizione analoga a quella della Bulangerite, salvo il maggior tenore in solfo. Peso specifico 6,309 ; colore grigio piombo quasi nero, poca durezza. Cristallizza in prismi rombici molto allungati e terminati con piccoli ottaedri. La formula è ; (Sb^ S* -+- 3 PbS) 4- 3 (Sb^ S® 4- 3 PbS.) Metacmabrite. — Nuovo solfuro di mercurio trovato in Cali- fornia sparso in piccole spaccature di una speciale roccia quar- — 162 zosa, insieme con piriti di ferro e rame e piccolissimi cristalli di cinabro. Frattura semiconcoidale e superficie di rottura brillante; polverizzato in un mortaio di agata da una polvere lucente come grafite; colore grigio nerastro; lucentezza metallica. Durezza circa 3; peso specifico 7, 70 a 7, 75. In un tubo chiuso si su- blima prontamente, lasciando un piccolo residuo di quarzo e ossido di ferro. Analisi S = 13, 82; Hg=: 85, 79; Fe = 0, 39; Si0‘^ = 0, 25 per cui la formula: HgS 4- Fe S^-t- Quarzo. Minerali diversi. Trincherite. — Nuovo minerale trovato a Carpano nell’ Istria, in masse compatte nelle ligniti eoceniche ; durezza 1 7-2 a 2 ; colore variabile dal rosso al bruno rossiccio ; frattura angolosa ; peso specifico 1, 025; fortemente elettrico per strofinamento. Fonde fra 168° e 180° C. ; insolubile nell’ acqua, un poco nel- r alcool. Analisi : 0 = 81,1; H=ll,2; S = 4,7;0=3. La composizione è molto analoga a quella della Tasmanite, colla differenza che questa non è solubile nella benzoina, mentre la prima lo è. Wóllongtite. — Nuovo minerale del distretto di Wollongong nella Nuova Galles del Sud (Australia). Trovasi in masse cubiche senza sfaldatura, durezza 2 72, peso specifico 1, 04 a 1, 43; colore verdastro fino al nero-bruno; lucentezza grassa. Abbrucia con fiamma lucente e molto fumo. Contiene 85, 5 di sostanza gazosa, 6,5 di carbonio e 11 di cenere. Tale sostanza (organica probabilmente) non fu ancora analizzata. Simìaite. — Nuovo minerale trovato presso Simla nell’ India, in mezzo a scisti allumiferi ; ha l’ aspetto di una schiuma di mare impura. Riscaldato in contatto dell’ aria annerisce, dcà fumo, quindi abbrucia ed emana un odore empireumatico lasciando uno scheletro di silice. Il colore è bianco giallastro, frattura di color bianco; durezza 2, peso specifico 1, 5 a 2. Cristallizza in forme simili a quelle della Mellite. Manca 1’ analisi. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. G. Capellini. — Sul Felslnoterio, sirenoicle halicoreforme del depositi lacustri pliocenici dell’ antico bacino del Me- diterraneo e del Mar Nero. — Bologna, 1872. Annunciamo con piacere la recente pubblicazione avvenuta in Bologna di un dotto lavoro del prof. Capellini sotto il titolo ora indicato. 1 resti di felsinoterio, su cui il prof. Capellini ha potuto stu- diare, vennero ritrovati in una molassa giallastra a Biosto nella provincia di Bologna, e consistono in un teschio e altri non meno interessanti avanzi; TAutore parla nella sua Memoria delle dif- ficoltà superate per spogliare tali fragilissime ossa dalla roccia piuttosto dura che vi aderiva; la quale consisteva di sabbie mar- nose cementate in modo da costituire una specie di molassa che riposava su marne indubbiamente mioceniche. 11 dotto profes- sore dedusse che le sabbie di lliosto formassero parte della po- tente ed estesa zona che rappresenta il littorale dell’ antico mare pliocenico lungo 1’ Apennino. xV questa formazione appartengono nei dintorni di Bologna, lo sabbie marnose di Pieve del Pino e di Ancognano, quelle dei dintorni del Sasso, delle Lagune e di Mongardino, di Rasiglio, Montepolo e Monte Biancano: la for- mazione attraversa il Modenese, il Parmense e il Piacentino, ed i resti del sirenoide trovato a Montiglio provano che si estende fino in Piemonte: nel versante mediterraneo pure tale piano geo- logico è rappresentato dalle sabbie del Senese e trova il suo corrispondente in Francia nelle sabbie marine di Montpellier. L’Autore seguita il suo lavoro col dimostrare che le sabbie marnose sopra indicate devonsi riguardare come parte inferiore del terreno pliocenico, quindi non tutte le sabbie gialle plioce- niche spettano al piano superiore di questa formazione. Precisato così P orizzonte geologico in cui si trovarono i resti del sirenoide di cui è parola, l’Autore continua con alcuni cenni intorno all’ ordine dei Sirenoidi e ai caratteri del genere Felsi- — 164 — notherium : T ordine dei Sirenoidi si compone di mammiferi ma- rini da alcuni riuniti ai cetacei, da altri agli elefanti, da altri considerati come intermedii fra le foche e i veri cetacei : essi comparvero verso la fine dell’aurora del terziario e giunsero fino all’ epoca attuale. Il cranio di simili animali è molto allun- gato, essendo la porzione sinfisaria delle ossa intermascellari a forma di rostro ; la fossa nasale è ovale ellittica allungata, 1’ arco zigomatico e 1’ apparato auditivo hanno la forma di quelli del Du- gongo e del vero HalitJierium. La sua formula dentaria sarebbe : T . . . 1 ^ . 0 . S-4-3-2 1““^™ Ti:r’ T’ Particolarità caratteristica delle ossa di questo animale è che esse mancano di cavità spongiosa, il che li rende molto pesanti, fragili e facilmente riconoscibili. Viene in seguito la accurata descrizione degli avanzi del Felsinotherium scoperto a Riosto, descrizione che comprende sì il cranio che le vertebre Atlante, Asse, cervicale, dorsali, ec. Otto tavole, con grande accuratezza disegnate e litografate, mostrano il cranio del Felsinotherium di Riosto, e tutti gli altri avanzi di esso animale rinvenuti; fra i quali noteremo un frammento di costola trovato a Mongardino, altri resti dei dintorni di Siena, ec., tutti illustrati daH’Autore nella sua pregevolissima Memoria. A. Delesse. — Lithologie du fond des Mers. — Paris. Un’ opera del più grande interesse per la geologia è quella che ha visto la luce a Parigi sotto il titolo : Lithologie du Fond des Mers, dell’ illustre Delesse. Come il suo titolo lo indica, in essa il chiaro Autore si è proposto di fare uno studio litologico del fondo dei mari e le sue deduzioni sono basate sui resultati di una quantità di scandagli eseguiti in tutti i paesi. Si compren- derà agevolmente la grande difficoltà che doveva presentare la riunione e il classamento di tal collezione di dati; eppure il si- gnor Delesse a forza di studi lunghi ed indefessi è riuscito a presentare una raccolta che rappresenta il più completamente che — 165 - si può l’ insieme dei depositi delle coste marine, specialmente di Francia. Per giudicare dell’ importanza di tal lavoro si pensi che il fondo dei mari riceve senza posa dei depositi che costituiscono essenzialmente il terreno di formazione attuale: tali depositi si accumulano largamente nei bacini e nelle parti pianeggianti, man- cando affatto 0 quasi nelle pareti inclinate; e qui si scorge su- bito una causa che rende difficile e complicato il loro studio. L’ opera si compone di due volumi, il primo dei quali con- tiene, oltre la esposizione del metodo usato dall’Autore nel suo lavoro, 1’ orografia della Francia e sue coste sottomarine, lo studio degli agenti dei depositi marini distinti in organici ed inorganici ; passa quindi a parlare dei depositi marini delle coste di Francia e della litologia generale dei mari del globo, terminando con uno studio della configurazione della Francia alle diverse epoche geo- logiche. Il secondo volume è consacrato a quadri numerici, con- tenenti gran numero di dati relativi alla più perfetta cognizione delle coste marine, quali sarebbero i dati sulla frequenza relativa dei venti, sui depositi formanti le dune, sulla distribuzione delle pioggie ec. ec. L’illustre Autore si è servito delle carte idrografiche compi- late dagli uomini di mare e dagli ingegneri idrografi di tutti i paesi ; queste carte fanno conoscere la profondità del mare e la natura del fondo e spesso danno altresì la direzione dei venti e delle correnti che esercitano una grande influenza sui depositi marittimi. Tali depositi provenendo da detriti delle rive e rocce emerse, si vede T utilità di esaminare sulle carte geologiche quali sono le rocce costituenti i diversi bacini per paragonarle con quelle trovate dallo scandaglio sul fondo dei mari. Sulle carte idrografiche la natura del fondo è inscritta ac- canto ai dati dello scandaglio ; ma essendo il loro numero gran- dissimo ciò tende a produrre una certa confusione, quindi TAu- tore ha stimato fosse preferibile di cercare a riunire e a delimitare i fondi presentanti lo stesso carattere: di più ad ognuno di essi, affine di meglio distinguerli, è stato attribuito un colore speciale : così diventa facile apprezzare immediatamente le relazioni di essi sia fra loro, sia colle rocce emerse e di vedere come sono re- partiti sotto le acque del mare. Applicando questo metodo ai mari esplorati da un sufficiente numero di scandagli, il signor Delesse ha potuto compilare delle Carte marine litologiche; a proposito delle quali si osservi che esse differiscono dalle carte geologiche ordinarie inquantochè i colori non vi denotano età relative, ma solo caratteri mineralogici delle rocce sottomarine. I due volumi del testo sono per tal modo corredati ed illu- strati da un atlante contenente 5 grandi tavole, eseguite con inappuntabile precisione : le prime tre delle quali compilate dietro i principii su esposti, pongono avanti agli occhi i fondi dei mari del globo, la quarta mostra la Francia nelle differenti epoche geologiche, essendo l’ ultima carta destinata a dare un’ idea della distribuzione della pioggia nelle Isole Britanniche. Con tale importantissima opera condotta a termine con quella chiarezza e bontà di metodo che distinguono i lavori dell’ illustre geologo, egli si è acquistato un titolo di più alla stima ed al- r ammirazione di tutti coloro che coltivano le scienze geologiche. F. Maury. — Geografia fisica del mare e sua meteorologia; prima versione italiana di L. Gatta. — Torino 1872. Annunziamo con piacere la pubblicazione recentemente fatta per cura del solerte editore Ermanno Loescher di Torino della traduzione, eseguita dal distinto luogotenente Luigi Gatta, del- r interessantissimo libro del capitano M. F. Maury intitolato : Geografia fisica del Mare e sua Meteorologia. Nessun altro libro che tratta di scienze fisiche ha ottenuto nel corso di pochi anni tanto favore nel paese in cui vide la luce; basti il dire che per r arditezza delle teorie emesse dall’Autore sulla circolazione delle correnti marine ed aeree, per i dati veramente preziosi che esso fornisce ai cultori delle scienze fisiche e particolarmente della Meteorologia, ha avuto in inglese 14 edizioni; la traduzione ita- liana del luogotenente Gatta è la prima completa che abbia vista la luce in Italia. L’ esimio traduttore ha sempre e fedelmente conservata l’ idea dell’Autore, riuscendo nell’ intendimento da lui manifestato nella — 1G7 — prelazione, di dare sempre alla frase forma italiana, neppur tra- lasciando di dare con acconcie postille notizie dei più interessanti lavori che sull’ argomento trattato vennero in questi ultimi tempi eseguiti. La traduzione forma un bel volume in 8° di più che 500 pa- gine con IG tavole accuratamente disegnate : 1’ edizione è nitida, corretta ed elegante e fa onore al suo editore. NOTIZIE DIVERSE. Lavori eseguiti dal II. Corpo di Stato Maggiore nell’ an- no 1871. — Lavori geodetici. — Dall’ aprile ai primi di luglio fu misurata una base geodetica lunga 2900 metri presso la foce del Grati. Contemporaneamente fu proceduto alla triangolazione di tutti gli ordini della Calabria Citeriore, Terra di Bari e parte della provincia di Terra d’ Otranto, di guisa che, a tutta la metà di novembre, è stato preparato pel rilevamento topografico il ter- reno compreso in 2G fogli della carta delle provincie Meridio- nali, cioè: 49 (Traili), 50 (Bari), 58 (Palo), 59 (Mola), GO (Mo- nopoli), G7 (Altamura), G8 (Gioja del Colle), G9 (Martina), 77 (Montescaglioso), 78 (Massafra), 79 (Taranto), 8G (Bisticci), 87 (Torremare), 88 (Pulsano), 9G (Oriolo), 99 (Scalea) 100 (Castro- villari), 101 (Cassano), 104 (Belvedere), 105 (San Marco), lOG (Rossano), lOG bis (Calopezzati), 107 (Paola), 108 (Longobucco), 109 (Campana), 109 bis (C. dell’ Alice). Le speciali condizioni topografiche dei dintorni di Napoli avevano fatto riconoscere la convenienza di rilevarli alla scala di 1 ; 25,000 e la zona vesuviana a quella di 1 ; 10,000. Fu incominciato il lavoro di detta zona triangolando il terreno compreso nel foglio N. G2 (Castellammare), da servire per primo lavoro di rilevamento degli allievi topografi reclutati nel cor- rente anno. Fu eseguita la triangolazione del terreno dei dintorni di Roma per rilevarlo alla scala di 1 ! 25,000, ad un raggio di circa 20 ciiilometri dall’ Osservatorio Romano. Si presentò con - 168 — ciò r opportunità di far partire la triangolazione dalla lunga base misurata dal P. Secchi sulla via Appia, e svilupparla rica- dendo sopra uno dei lati della triangolazione del Marieni. Il lavoro eseguito abbraccia una superficie di 1800 chilometri qua- drati divisi in 24 tavolette di ampiezza 0, “40 per 0, “30 ; delle quali 20 saranno nel venturo anno rilevate alla scala di 1 ! 25,000, e le quattro centrali, che saranno suddivise in 25, comprendenti la città di Roma, saranno rilevate alla scala di 1 ! 10,000. Fu continuata la triangolazione nel Veronese, la quale ab- braccia una parte dei monti Lessini, la parte della valle del- P Adige intercetta fra il confine austriaco e Verona, e la valle del Mincio da Peschiera fino a Volta. Pei bisogni militari si è pure triangolato il terreno intorno a Rocca d’ Anfo ad un raggio di circa 5 chilometri. I punti di dettaglio delle anzi accennate triangolazioni sono stati determinati in guisa da poter rilevare il terreno, parte alla scala di 1 I 25,000 e parte alla scala di 1 10,000. Da ultimo si è dato opera ad estendere, per altri 10 chilo- metri verso il nord, la triangolazione dei dintorni di Firenze fino a comprendervi Monte Senario e le alture dell’ alta valle del Sieve. Nella sezione tecnica del Corpo stabilita in Napoli, fu ese- guito il calcolo di compensazione della triangolazione della Sicilia, e nel mese di settembre è stato presentato dal Direttore della sezione alla Commissione internazionale per la misurazione del grado europeo, riunita in sessione plenaria a Vienna, il calcolo di compensazione della rete di passaggio o di congiunzione fra le reti italiane di Puglia e quelle austriache di Dalmazia. Lavori topografici. — Fino alla metà di novembre, in cui ebbero termine i lavori di campagna, sono stati rilevati 10,849 chilometri quadrati di terreno alla scala di 1 ! 50,000 nelle pro- vincie di Salerno e Basilicata e 564 chilometri quadrati alla medesima scala nelle provincie di Teramo e Chieti. Gli allievi topografi nella campagna d’ istruzione hanno rile- vato alla scala di 1 10,000 210 chilometri quadrati del ter- reno compreso nel foglio 62 (Castellammare) e 35 chilometri quadrati alla scala di 1 ! 25,000 del terreno compreso nel fo- glio 52 (Capua). — IfiO — Finalmente sono stati rilevati 21G chilometri quadrati del terreno dei dintorni di Firenze, di guisa che col lavoro esegui- tovi nello scorso anno si è completato il rilevamento di un qua- drato di circa IG chilometri di lato, e coi rilevamenti successivi fino air alta valle del Sieve si avrà una carta di Firenze e dei dintorni alla scala di 1 ; 25,000 compresa in due fogli di 0,'“G0 per 0,“50. Dagli ufficiali allievi della Scuola Superiore di guerra furono rilevati 250 chilometri quadrati alla scala di 1 ; 20,000 nella valle di Susa, cosicché a tutt’ oggi sono stati rilevati in totale 942 chilometri quadrati di quella regione. Il totale dei rilevamenti topografici eseguiti nel 1871 abbrac- cia una superficie di 12,124 chilometri quadrati, e comprende i fogli seguenti, 55 (S. Ang. de’ Lomb.), 5G (Melfi), 57 (Spinaz- zola), G4 (Laviano), G5 (Avigliano), GG (M. Peloso), 73 (Eboli), 74 (Campagna), 75 (Potenza), 7G (Tricarico), 82 (Castellabate), 83 (Vallo), 84 (Sala), 85 (Corleto), 92 (Pollica), 93 (Lanrito) 94 (Lagonegro), 95 (Chiaromonte). Lavori di disegno e di riproduzione. — Sono stati continuati tutti i lavori in corso nell’ anno 1870. Di più sono stati ripro- dotti colla foto-incisione (metodo Avet) due fogli della carta del Napolitano alla scala di 1 ! 250,000, cioè i fogli 2 (Chieti) e 3 (Sora), e sono già pronti per la riproduzione altri sei fogli della carta medesima. Pio ggia (lì sabbia rossa in Sicilia. — Il 10 marzo di que- st’ anno, dopo una fiera burrasca che durò tre giorni, si ebbe a Modica (in Sicilia) una pioggia di sabbia asciutta. Tale sabbia proseguì a cadere anche il giorno successivo ma accompagnata da pioggia. Il vento era di S.E. Le foglie degli alberi si tro- varono coperte da una polvere rosso-giallastra aderente assai ed osservavasi che queste si avvizzivano e s’ increspavano. Per cura del Sig. Mangiui professor di chimica dell’Istituto tecnico di Modica venne raccolta di questa sabbia per analiz- zarla. Sottoposta al microscopio presentava una forma pisolitica con laminette di mica e cristallini neri che ricordavano Tanfi- bolo e la sienite. All’ attenta e più minuta osservazione appar- vero pure delle forme particolari simili a piccole conchiglie di 12 170 — Diatoniee; non die del polline e delle forami nifere, forse espor- tate dal vento dalle sponde dei mari per ove passava. La sua gravità specifica rispetto all’acqua era di 1,875. Riscaldata su lamina di platino anneriva ripigliando il suo colore col raffreddamento : sotto 1’ azione del cannello presentava punti brillanti, indizio di materia organica che si accendeva: infatti non si ripeteva il fenomeno ripetendo 1’ esperienza sulla stessa polvere. L’ analisi ha dato questo resultato : Materia organica 0,085 Silice 0,122 Carbonato di Calce 0,207 Fosfato di Calce 0,032 Allumina — Ferro ] Solfato di Calce f 0,196 Magnesia — Cloruro di sodio ) Sabbia feldispaticae sienitica. 0,333 Totale 0,975 La materia organica in così piccola quantità è indizio che quella sabbia non conteneva infusorii viventi come trovò il Sil- vestri a Catania. ‘ La presenza però degl’ infusorii in questa può essere provenuta direttamente dalla pioggia che accompagnava la caduta della sabbia colà raccolta. E diversa 1’ opinione degli scienziati sull’ origine di tale sab- bia. La maggior parte ne ammettono la provenienza dal deserto di Sahara ; alcuni però la pensano altrimenti. Le ragioni che spin- gono questi ultimi a non ammettere che la sabbia meteorica sia totalmente del deserto di Sahara sono le seguenti: 1° La direzione del vento che in questa pioggia fu di S.E. renderebbe più probabile la provenienza dall’ Asia anziché dal- l’Africa : d’ altronde nella prima supposizione T Isola di Malta doveva essere colpita dallo stesso fenomeno e prima della Si- cilia; per lo contrario tale fenomeno non vi fu punto osservato. 2° La sabbia del deserto di Sahara è diversa sia per la tinta che per la dimensione de’ suoi elementi da quella caduta * Nella sabbia catiutn il ‘23 niaiv.o I8(!i). 171 — a Modica, essendo quella giallastra e grossolana, questa d’ un I rosso mattone e minutissima. 3“ L’ analisi chimica istituita sulle due sabbie dcà resultati diversi. Eccone un prospetto per 1000 parti di ciascuna; Sabbia meteorica di Modica Sabbia del Saliara Materie organiche . 85 ... . . . . . 0 Materie solubili nell’ acqua. . . 15 ... . . ... 230 Materie solubili negli acidi . . 372 ... . . ... 170 Materie insolubili . 528 ... . . . . . GOO Inoltre nella sabbia del Saliara non si riscontra la mica, mancano i fosfati c non si trovano le Diatomee. La mancanza di materie organiche, se contribuisce a far co- noscere la diversa provenienza della sabbia caduta, non è però una prova palmare, potendo la presenza di quelle materie nella sabbia meteorica provenire da corpuscoli organici che sempre si trovano sospesi nell’ aria. Nella sabbia infatti caduta nel 20 aprile successivo nella stessa locai iteà non venne riscontrata la presenza di tali materie. La provenienza dall’ Egitto o dall’ Asia è pure indicata da clementi feldispatici e sienitici che trovatisi nella sabbia analiz- zata. 11 suo color rosso è da attribuirsi in parte alla sienite ed in parte alle Phitolitarie di color rosso mattone, come trovò Ehrenberg per il primo. La teoria della circolazione atmosferica di Maury spieghe- rebbe la presenza delle Diatomee. I cicloni dell’ Atlantico possono portare una parte di quelle sabbie dal sud dell’ America : il rapporto tra i cicloni dell’ Atlan- tico e le burrasche del Mediterraneo è d’ altronde confermato dagli studi recente di Davy ; e la caduta della sabbia in Sicilia fu preceduta da violenta burrasca. Il ciclone passando per l’ Egitto 0 per r Asia mescola le sabbie che porta dall’ America con quella di quei deserti e quest’ ultima vi predomina, avendo l’altra pel più lungo cammino subito una diminuzione. Osservasi pure che mentre i venti di S.E. e S.O. sono umidi in Sicilia, non potreb- bero essere tali quelli provenienti dalle infocate regioni del Sahara atteso la piccola distanza tra la Sicilia e quel deserto. Un fatto singolare osservato è la periodicità del fenomeno della caduta della sabbia che accade sempre tra gli ultimi di febbraio ed il mese di marzo, come si è constatato dall’ osser- vazione di tutte le date in cui avvenne tale caduta. Ultime ricerche sulla temperatura e la salsedine delle aeque dell’ Atlantico e del Mediterraneo. — Le acque del- r Atlantico fra Falmoutli e Lisbona sono molto salate e dense alla superficie, come pel primo osservò Forchliammer. La gravità specifica varia da 1,0269 alla superficie fino ad 1,0265 al fondo. La quantità in peso di sale contenuto in un litro d’ acqua, determinata per analisi volumetrica, raggiunge alla superficie grammi 19, 94, al fondo 19,*^ 75, e 18,® 95 nelle regioni intermedie. Il massimo alla superficie è di 20®, 19. Per le acque prese su una stessa linea verticale, le sostanze saline erano alla superficie 20®, 01 3, fra 20 e 100 metri 19®, 909, a 180 m. 19®, 805. Questa sovrab- bondanza di sale alla superficie è attribuita all’ evaporazione, ma la conseguente maggior densità viene neutralizzata dagli effetti della più bassa temperatura delle parti inferiori. La salsedine nel Mediterraneo è massima sotto la superficie, e nelle acque poco profonde è massima al fondo. Nelle parti meno profonde del bacino dell’ Ovest, bacino che include tutta la parte che sta ad occidente di Malta (dove una lunga scogliera sottomarina attra- versa il mare, che ha in gran parte una profondità di 2800’“, mentre ad Est essa raggiunge quasi i 3600'" ed in un punto i 4500'") la gravità specifica media ed il sale alla superficie erano 1, 0278 e 20®, 87 ; al fondo 1, 0285 e 21®, 38. La salsedine però non aumenta colla profondità: una media dei resultati ot- tenuti mostra che fra 350 e 700 metri la gravità specifica ed il sale erano 1,0287 e 21®, 53; fra 800 e 1800,'" 1,085 e 21®, 38; da 2500*" a 3000"', 1, 0283 e 21, 21®. Tale incremento di salinità dall’ alto in basso si attribuisce ad un affondamento degli strati della superficie resi più densi per la evaporazione, effetto questo non apparente neH’Atlantico essendo la differenza di salinità sopra e sotto molto leggiera. La temperatura delle acque dell’ Atlantico Nord verso i mar- gini del bacino decresce dall’ alto al basso, ma con un brusco abbassamento a 1500'" all’ altezza della Manica, a 49” lat. Es- sendo la temperatura alla superficie fra 17”, 0 e 17”, 8 C, essa I. — 173 — Il era a 140™ 9,“ 8; a 175™ 10," 7; a 450™ 10," 1; a 540” 9," 8; ,1 a 630™ 9," 5; a 820™ 8," 7; a 1000™ 8," 3 ; a 1100™ 7," 5 ; a 1325™ 6,"6; a 1370™ 5," 8; a 1460™ 5," 6; e, con un brusco ab- Ibassamento, la temperatura a 1575™ diviene 4," 3; a 1830™ 3," 5; .a 2300™, 3,"1. i Sulle coste di Spagna e Portogallo verso 39“ lat. la tempera- tura a 165™ era 12", di qui essa scende gradualmente a 10," 8 .a 550 metri; 10," 3 a 1100™; 9," 6 a 1500™: allora passa brusca- mente a 4," 6 a 1575™; 4," 3 a 1830“; la stessa a 2300 metri. Evidentemente appare che noi abbiamo nelle latitudini di Lisbona la stessa distinta separazione fra lo strato superiore caldo e lo strato inferiore freddo, che si presenta nelle regioni setten- trionali dell’ iVtlantico ; ma mentre lo strato interposto è nel- 1’ ultima località fra 275 e 550 metri, nella precedente esso sta fra i 1500™ e i 1830™. Sembra perfettamente chiaro che lo strato più basso debba avere avuta un’ origine polare : ma non è evi- j dente che lo strato superiore sia derivato da qualche causa di- I 1 pendente dall’ Equatore. La loro temperatura è invero più bassa di 2" a 3° che quella del Mediterraneo allo stesso parallelo ed .alle corrispondenti profondità; e siccome la temperatura del- l’ultimo può essere considerata come normale per quelle latitu- dini, essendo questo gran mare interno escluso dal partecipare alla circolazione generale oceanica, sembrerà che l’ effetto di quella circolazione sia piuttosto V abbassamento che V inalzamento della temperatura dello strato superiore di questa parte del- r Atlantico. La temperatura superficiale deH’Atlantico durante l’estate è certamente più bassa di quella del Mediterraneo sotto lo stesso parallelo ; e il limite del sopra riscaldamento degli strati superficiali è intieramente d’ accordo colle osservazioni nel Mediterraneo su questo punto. Secondo i dati più sicuri, la temperatura superficiale invernale di questa porzione dell’ Atlantico, è poco più elevata di quella del Mediterraneo sotto gli stessi paralleli : sembra per con- seguenza giusta la conclusione che, nè lo strato superficiale, nè qualche porzione dello strato superiore dell’ acqua dell’ Atlantico i che bagna le coste della Spagna e del Portogallo, ricevono alcuna j aggiunta di calore dall’ estendersi del Gulf-Sfream nella loro massa. La temperatura delle acque più profonde del Mediterraneo è 174 — quasi affatto uniforme, variando fra 12,° 2, e 13,° 6; ed in nes- suna parte abbassandosi sotto i 12,° 2, temperatura minima che si trova a una profondità di circa 200 metri. Si ottennero per questo mare i seguenti resultati : la temperatura alla superficie essendo di 25°; a 10 metri era di 24,°3; a 18“ di 21,° G; a 36“ di 1G,° 1; a 55“ di 15,° 5 ; a 75“ di 14,° 1 ; a 90“ di 13,° G ; a 180“ di 13,° 1 ; i 12,° 2 si trovarono in un caso a profondità di 1450“; in altro caso 13,° 3 a 3190“; 12,° 8 a 2700“. Quindi la temperatura che si riscontra ad una profondità di 200 metri circa è pure la tem- peratura deir intera massa di acqua sotto le più grandi profon- dità esplorate. Fra Gibilterra e la Sardegna la temperatura del fondo è compresa fra 12,° 2 e 13,° 0; in media 12,° 6: presso la Sicilia fra 12,8° e 13, G°. Ninno aumento di calore superficiale ha facoltà di cambiare direttamente la temperatura dell’ acqua marina a profondità maggiori di 200 metri e molto leggiera è r elevazione di temperatura che ciò produce sotto i 50 metri : sembra di più evidente che la temperatura uniforme di 12,° 2 a 13,° 8 incontrata sotto lo strato di 200 metri rappresenti la temperatura permanente della gran massa d’ acqua che occupa il bacino del Mediterraneo. Ora questa massa è intieramente sot- tratta all’ influenza della circolazione oceanica generale; avendo la comunicazione traverso lo Stretto di Gibilterra il solo effetto di abbassare leggermente la temperatura all’ estremità occiden- tale del bacino. Inoltre la temperatura uniforme e permanente dell’ acqua del Mediterraneo può considerarsi come rappresentante la stessa temperatura della terra in questa regione, debolmente inalzata, forse per un aumento del calore partendo dalla su- perficie. Ciò corrisponde strettamente coi risultati della stessa tempe- ratura della crosta terrestre in Europa, fatta con termometri af- fondati a tal profondità da difenderli dalle influenze della tem- peratura esteriore. La temperatura degli scavi profondi fornisce una serie di dati dello stesso genere che strettamente si accorda coi precedenti. Così, il signor Pengelly stabilisce che la tempera- tura della Caverna di Kent, a Torquay, nella parte più lontana dall’ingresso, differisce pochissimo da 11° per tutto l’anno. Vi è una caverna nell’ Isola di Pantellaria che ò reputata essere di una freddezza glaciale ; ma il signor Millard, che ha ultimamente I ( ! fatta nell’ isola un’ accurata ispezione, informa che, benché egli la trovasse freddissima passando in essa da un sole cocente, pure la sua temperatura, data dal termometro era di 12,“ 2. Questa è la temperatura del fondo delle più profonde cisterne di Malta, purché queste sieno, come d’ ordinario, scavate sotto le case o in altri modi difese dai raggi diretti del sole. Le acque del Mediterraneo contengono materie in sospensione 1 ad uno stato di grandissima divisione provenienti dai suoi fiumi I e, pel bacino occidentale, in gran parte dal Rodano e per l’ orien- tale dal Nilo. Le acque più profonde sono quasi per tutto tor- bide ed il fondo fangoso. Poca vita si riscontra su tal fondo fan- goso e ciò si può attribuire al fatto che la vita non può esistere quando vi é una costante deposizione di simili particelle tendente a ricuoprire la superficie dell’ animale e contraria all’ aerazione. Quindi i letti d’ ostriche non fioriranno nei dintorni dei depositi fluviatili. Ciò corrisponde colle osservazioni di Tyndal che scuoprì I colla luce elettrica tali particelle nell’ acqua della superficie e at- ' tribui alla loro presenza il colore azzurro profondo delle acque sì del Mediterraneo che del Lago di Ginevra. Altra ragione dell’ assenza della vita sul fondo del Mediter- raneo, sembra sia il ristagno delle acque, dovuto alla quasi to- tale mancanza di circolazione verticale. Se quest’ ultima causa é vera, ciò annullerebbe la vita nel fondo, tanto dove questo é roccioso, quanto dove é coperto di fango. Scoperte preistoriche fatte receiiteineiite in Europa e ' in America. — Una serie di scoperte archeologiche d’ una grande importanza sono state fatte di recente nelle provincie della Vistola in Polonia. Le più rimarchevoli ebbero luogo nel luglio dell’ anno decorso nelle caverne ossifere di Oìtsow, e con- fermarono P opinione degli scienziati, secondo la quale queste caverne avrebbero servito di abitazione agli uomini dei più anti- chi periodi preistorici, cioè della pietra rozza e della pietra pulita. Furon trovate in queste caverne moltissime armi in selce, ossa fossili, vasi d’ argilla e scheletri di animali di specie estinte. In altra località si è creduto scuoprire traccio di vere fab- 176 briche di armi e si può seguire il progresso di questa industria dai lavori più rozzi ed imperfetti, fino a quelli di una finitezza straordinaria. Presso il villaggio di Ossina furon trovate traccie di una di queste fabbriche ed un sarcofago in pietra. Tra Novogéorgniévsk e Suchozine, si scoprirono pure dei sarcofagi di un modello tutto particolare; presso Vichgorod, una specie di forma che aveva servito allo abbruciamento dei cadaveri e presso il villaggio di Vilkanovo un intiero cimitero preistorico. Furono esplorate anche le torbiere del paese, e vi furon fatte scoperte curiosissime, fra le quali una punta di lancia in osso, simile a quelle trovate nella Scandinavia. Infine nel giugno dello stesso anno furono scoperte nei dintorni di Varsavia traccie di un cimitero, un sontuoso sarcofago e molte urne con ceneri ed oggetti in bronzo. Anche in America sono state fatte interessanti ricerche sopra degli scheletri trovati in antichi tumuli del Kentuky, che sono attribuiti a popolazioni preistoriche. Notasi come carattere rimarchevolissimo di questi scheletri, lo schiaccia- mento notevole della tibia; ed oggi sappiamo che questo ca- rattere, di cui non si conosce ancora il significato, è fra gl’in- diani molto più frequente di quello che non era stato supposto. Fra gli altri furono segnalati degli esempi rimarchevolissimi e numerosi nel Michigan, e sembra che ivi lo schiacciamento sia assai più pronunciato che altrove. Si scopersero pure nei tumuli del Ténessée una quantità considerevole di conchiglie lavorate, tutte marine e provenienti dal Golfo del Messico : da ciò con- chiudesi, che in un’ epoca remota si è fatto un traffico immenso di conchiglie fra gli abitanti del Golfo del Messico, e quelli della vallata del Mississipì e suoi tributarii, e questo commercio si sarebbe esteso fino ai grandi laghi del Canada. Probabilmente il rame nativo del Lago Superiore servì di cambio, perchè seguì una direzione opposta, e si ritrova a grandi distanze dai giaci- menti attuali. Le sorgenti petroleifere dell’ Indiana (Stati Uniti). — Fu espressa da autorevoli scienziati l’opinione che le sorgenti del petrolio al S.O. del Lago Ontario (Stati Uniti) e, probabil- 177 — niente anche in altre località, fossero da cercarsi nei calcari oleiferi delle lormazioni del Cornifero e del Niagara, che ambedue ab- bondano di petrolio. Si è anche creduto che le arenarie supe- riori di Pensilvania fossero veramente oleifere, e fu di più mo- strato che il calcare del Niagara a Chicago contiene racchiusa nelle sue cavità un’ enorme quantità d’ olio e che i serbatoi che alimentano i pozzi in altri distretti sono fessure lungo anticli- nali, le quali, benché talvolta si presentino nell’ Ontario al di sopra degli strati oleiferi, pure frequentemente occorrono nel calcare Cornifero stesso : quindi è falsa l’ opinione che la sor- gente dell’ olio in quella regione fosse da cercarsi negli strati superiori. Nell’ Ontario è interposta fra le formazioni del Cornifero e del Niagara la gran serie salifera nota sotto il nome di formazione di Onondaga o Salina : questa, tuttavia, manca a ponente dove le prime due formazioni sono riunito e dove, dalla parte di North- Yernon (Indiana), sono ambedue oleifere. Un pozzo ultimamente perforato a Terre Haute (Indiana) in cerca di acqua dolce, ha mostrato la esistenza in tal regione di una produttiva sorgente d’olio: esso fu spinto fino a 570 m. e produce due barili d’ olio circa per giorno ; un altro pozzo a 400 m. circa a N.E. del primo, ha dato fino a 25 barili d’ olio per giorno. Passati 45 metri di arenarie e ghiaie superficiali, la trivella ha perforati circa 490 metri, alla qual profondità fu incontrato P olio. Gli strati traversati sono i seguenti : strati a carbon fossile 2 10. “00; calcare carbonifero con sottoposte are- narie e scisti 210.“00; scisti neri bituminosi 15“. Sotto questi, a 7.'"50 di profondità, è stata incontrata nel calcare Cornifero la vena d’ olio. Un terzo pozzo a circa 1600“ ad E. si è perforato per una profondità di 600 metri, ma non si sono trovate traccie d’olio. Questa località sul fiume Wabash, è sulla linea di una poco sentita anticlinale o rialzo di strati, tracciato per gran distanza con direzione S.O. Altri lavori mostrano esservi luogo a supporre che molto del petrolio della Pensilvania, Ohio e regioni adiacenti, sia pro- prio di certe arenarie appartenenti alle serie Carbonifera e De- vonica. Alcuni hanno affermato che l’ olio in queste roccie si — 178 — presenta entro sottili fessure corrispondenti a resti di piante che sono scomparse, essendo state convertite in petrolio ; in con- trapposto ad altri che osservarono abbondare tali roccie in molte parti di piante fossili, che nulla contengono da cui possa deri- vare il petrolio. Si vuol trovare nei fatti accertati a Terre Haute una con- ferma dell’opinione che il petrolio in essa regione non provenga dalla arenaria e nemmeno dagli scisti bituminosi inferiori, ma dai calcari ancora più bassi delle formazioni del Niagara e del Cornifero. CATALOGO DELLA BIBLIOTECA DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) SociÉTÉ DES Sciences, des Arts et des Lettres du Hainaut. Memoires et puhlications ; annèe 1870-71. Mons, 1871. Un voi. in-8“. Dono della Società. SociÉTÉ des Sciences natureli.es du Grand-duchè du Luxem- bourCt. Bulletin. Un volume annuo in-8" con tavole. Luxem- bourg, 18G7-70. Dono della Società. SociÉTÉ des Sciences natureli.es de Neuchatel. Bulletin. Neuchatel, 1868 e seg. Un volume annuo in-8° con tavole. Dono della Società. SociÉTÉ Vaudoise des Sciences naturelles. Bulletin. Lau- sanne, 1871. Un voi. in-8° con tavole. Dono della Società. Society (Royal) of London. Catalogne of Scientifìc papers (1800- 1863). London, 1867-72. Sei voi. in U. Soldani (A.). Saggio orittografico ovvero osservazioni sulle terre naulitiche ed ammonitiche della Toscana. Siena, 1870. Un voi. in-4° con tavole. (Id.) Sopra una pioggetta di sassi accaduta nel giugno 1794 in Lucignano d'Asso nel Sanese. Siena, 1794. Un voi. in-8° con tavola. (Id.) Eelazione del terremoto accaduto in Siena nel maggio 1798. Siena, 1798. Un voi. in-8° con tavola. — 179 — Sonklar (Iv.). Die Dchirgscjnippc der IIohen-Taucrn, mit he- soìiderer Riiclcsicht ciuf Oroyniphie^ Gletschcrlamde, Geologie timi Meteorologie. Wien, 18GG. Un voi. iii-8“ con tavole e Carta geo- logica. (Id.) Karte der holien Taucrn. Wien, 18G7. Un foglio in colori. Soulié et Haiidouin. Le Fetrole. Paris, 18G5. Un voi. in-8°. Sozzi-Vimercati. Sidle helemniti di Entratico. Pergamo, 184G. Un fase. in-4° con tavole. Spada-Lavìni (A.) et Orsini (A.). Quelqucs obscrvations géolo- gicqiics sur les Aqyennins de Vltalie Centrale. Paris, 1855. Un fase. in-8“ con tavola. ( Id.) Osservazioni geologiche su cquella parte del versante Adria- tico che e compreso fra il Monte Corno e VEsino, 18G7. Mano- scritto con una tavola di sezioni. Spadoni (P.). Lettere odeporiche sulle montagne ligustiche. Do- logna, 1793. Un voi. in-8°. Spallanzani (L.). Viaggi alle due Sicilie c in alcune parti dell’ Apennino. IVIilano, 1825. Tre voi. in-8° con tavole. Speyer (0.). Die Tertidrfauna von Sbllingen bei Jcrxhcim im I lerzogthum Draunschweig. Cassel, 18G4. Un voi. in-4° con tavola. (Id.) Die ober-oligocdnen Tcrtidrgebilde und dcren Fauna im Furstemthum Lipjìe-Dctìnold. Cassel, 18GG. Un voi. in-4° con tavole. (Id.) Die Conckglicn der Casscler Tertidrbiìdungcn. Cas- sel, 18G2-G7. Un voi. in-4° con tavole. Stache (G.). Die neogenen Tertidrbildungen in Unter-Krain. Wien, 1858. Un fase, in-8'’ con tavola. Dono dell’Autore. (Id.) Die Eocengebiete in Lnner-Krain timi Lstrien.Vden, 1859- G7. Tre fase. in-4° con tavole. Idem. (Id.) Bericht ueber die geologischen Aufnahmen im Gcbiefe des oberen Neutra-Flusses und der lìòniglichcn Bergstadt Kremnitz im Sommer 1864. Wien, 18G5. Un fase. in-4°. Idem. (Id.) Die geologischen Verhdltnisse der Umgebungen von Wai- tzen in Ungarn. Wien, 18GG. Un fase. in-4°. Idem. (Id.) Die geologischen Verhdltnisse der Umgebungen von Un- ghvdr in Ungarn. Wien, 1871. Un fase. in-4° con Carta geolo- gica. Idem. Statistica della Provincia di Pisa. Pisa, 18G3. Un voi. in-4° con tavole e Carte geologiche. 180 — Steiainger (J.). OhservatioHS sur les fossiles clu calcaire in- termecliaire de VEifel. Paiis, 1834. Un fa.sc. in-4° con tavole. Sterry Hunt (Th.j. A geographical, agricuUural and minera- logical SlietcJi of Canada. Quebec, 1865. Un fase. in-8". Dono deir Autore. (Id.) Petroleum, its geolog ical relations considered ivith espe- cial reference to its oecurrence in Caspe. Quebec, 1865. Un fase, in-8'’ con Carta geologica. Dono idem'. (Id.) Peport on thè gold region of Nova Scotia. Ottawa. 1868. Un voi. in-8. Dono idem, (Id.) Notes on iron and iron ores. Montreal, 1870. Un voi. in-8“. Dono idem. (Id.j Beport on thè Coderich salt region. Montreal, 1870. Un voi. in-8°. Dono idem. (Id.) Notes on granitic Bochs: first and second parts. New Haven, 1871. Un fase. in-8“. Dono idem. (Id.) Laurentian limestones of North America. Albany, 1871. Un voi. in-8“. Dono idem, (Id.) Beport on thè chemistrg of thè earfh. Washington, 1871. Un voi. in-8°. Dono idem. (Id.) Address to thè american association for thè advance- ment of Science. Salem, 1871. Un voi, in-8. Dono idem. (Id.) The geognosy of thè Appalachians and thè origin of cristalline rochs. Salem, 1871. Un fase. in-8°. Dono idem. (Id.) On alpine geology. New Haven, 1872. Un fase. in-8". Dono idem. Stiehler (A. W.). Beitràge zur Kenmtniss der voriveltlichen Flora des Kreidegehirges imilarze. Cassel, 1857. Un voi. in-4° con tavole. Stieler (A.). Hand-Atlas ilber cdle Theile der Erde iind iiher das Weltgebdude. Gotha, 1872. Un Atlante di 84 tavole in folio. Stòhr (E.). Schiarimenti intorno alla carta delle salse e delle località oleifere di Montegibio. Modena, 1867. Un fase. in-8". Dono deir Autore. (Id.) Ilmdcano Tenggher della dava orientale. Modena, 1867. Un fase, in-8" con tavola. Dono idem. (Id.) Das Pyropissit- Vorhommen in den Brannkohlen bei Weis- senfels und Zeitz. Stuttgart, 1867. Un fase, in-8" con tavola. Dono idem. — 181 — Stòhr (E.). Alcune osservazioni intorno alla storia naturale delle argille scagliose. Modena, 1808. Un fase. 111-8“. Dono deirAutore. (Id.) Intorno agli strati terziarii superiori di Montegihio e vieinanze. Modena, 1869. Un fase. in-8“ eon tavole. Dono idem. (Id.) Intorno ai depositi di lignite che si trovano in Vaici Arno superiore ed intorno cdla loro posizione geologica. Modena, 1870. Un fase. in-8° eon tavola. Dono idem. Stoliczka (E.). Ohservations on some Indian and Malagan Amphihia and lìcptilia. Caleutta, 1870. Un voi. in-8° eon tavole. Dono idem. Stopparli (A.) Studi geologici e pcdeontologici sulla Lombar- dia. Milano, 1857. Un voi. in-8" eon tavole. (Id.) lìivista geologica della Lombardia in rapporto colla Carta geologica di questo paese pubblicata ded cav. Fr. De llauer. Mi- lano, 1859. Un voi. in-8“ eon tavola. (Id.) Les petrifications d’Esino, ou description des fossiles ap- partenant aux depots triassiques superieurs des environs d’Esino en Lombardie. Milan 1858-60. Un voi. in-4“ eon tavole. (Id.) Introduciion a Vetude des fossiles appartenant aux cou- ches a Avieula eontorta en Lombardie. Milan, 1858-60. Un fase. in-4°. (Id.) Alonograpliie des fossiles de VAzzarola appartenant a la zone superieure des couches a Avieula eontorta en Lombardie. Milan, 1858-60. Un fase, eon tavole. (Id.) Note ad un corso annuale di geologia. Milano, 1866-70. Tre voi. in-8°. (Id.) Corso di geologia. Milano (in eorso di piibblieazione.) Tre voi. in -8°. Strobel (P.) Traode dell uomo dell età della pietra nel Tren- tino. Verona, 1867. (Dal giornale E Adige.) (Id.) Materiali di Paletnologia comparata raccolti in Sud Ame- rica. Parma, 1868. In-8° eon tavole (in eorso di stampa). Dono dell’ Autore. (Id.) Die Wissenscliaft, die Steuerptlichtigen mid die Gelehrten- Versammlungen. Wien, 1872. Un op. in-8“ Dono dell’Autore. Striiver (G.) Studi sulla mineralogia ; pirite del Piemonte e dell Elba. Torino, 1869. Un voi. in-4° eon tavole. (Id.) Note mineralogiche. Torino, 1871. Un fase. in-8“ eon tavola. Dono dell’ Autore. — 182 — Studer(B.). Memoire sur la carte geoìogique (Ics cliaines cal- caires arenacées entre ics lacs de Thun et de Lucerne. Paris, 1839. Un fase. in-4° con Carta geologica. (Id.) Memoire geoìogique sur la masse de rnontagnes entre la 7'oute du Simplon et celle du Saint-Gothard . Paris, 1846. Un fase. in-4° con Carta geologica. (Id.) Index der Petrographie und Stratigraphie der Scliiveis und ilirer Umgebungen. Bern, 1872. Un voi. in-8'’. Studei’ (B.) et Escher de la Linth (A.). Carte geoìogique de la Suisse, aree wn Index contenant la Ilypsometrie de la Suisse. Winterthur, 1866. Un foglio in colori ed un fascicolo. Stur (D.). Die geologisclie Beschaffenheit des Enns-Thales. Wien, 1853. Un fase. 111-4°. Dono dell’ Autore. (Id.) Das Isonzo-Tìial von Flitsch abtvdrts bis Gbrz, die Umgebungen von Wippach, Adelsberg, Planina und die Wochein. Wien, 1858. Un fase. in-4° con tavola. Dono idem. (Id.) Die Umgebungen von Tabor {WotiU., Tabor., Jung- Woscliits, PaUau, Pilgram und Cechtits)- Wien, 1858. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id .) Ueber das Niveau der Halobia Haueri. Fin Beitrag zur Kenntniss der alpinen TWas.Wien, 1860. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Die neogen-tertidren Ablagerungen von West-Slavonien. Wien, 1862. Un fase. in-8°. Dono idem. (Id.) Die intermittirende Quelle von SJìacend in Ober-Ungarn . Wien, 1863. Un fase. in-8°. Dono idem. (Id.) Bericht iiber die geologisclie Ucbersichts-Aufnahne des sudivetstlichen Siebenbiirgen ini Sommer 1800. Wien, 1863. Un voi. in-4°. Dono idem. (Id.) Bemerhungen iiber die Geologie von Unter-Steiermarb. Wien, 1864. Un fase. in-4“. Dono idem. (Id.) Finige BemerJcungen iiber die an der Grenze des Keu- pers gegen den Lias vorlcommenden Ablagerungen. Wien, 1864. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Die neogenen Ablagerungen im Gebiete der Milrz und Alur in Ober-Steiermarh^N\m^ 1864. Un fase. in-4°. Dono idem. {Continua.) PiMicaztai M 1 COMITATO GEOLOGICO. {In Corso di Stampa.) r — Volume II delle Memorie per servire alla descrizioue (Iella Carta Geologica d’Italia. — Questo volume verrà pubblicato in due parti, di formato, carta e stampa del tutto simili al volume 1°. La prima parte comprenderà : Descrizione geologica dell’ Isola d’ Ischia, con la carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. àV. C. Fucns. — Esame Geologico della catena al- pina del San Gottardo, che deve essere cUtraversata dalla grande Gcdleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in- gegnere F. Giordano. — Malacologia pliocenica italiana, fa- scicolo 2°, con N° 7 tavole di C. D’ Ancona. La parte seconda conterrà : La Geologia delle Alpi Apuane, con incisioni nel testo e una tavola, di I. Cocchi. 2» — Carta Geologica della Italia superiore e centrale, in 6 fogli, nella scala di 500V00, compilata sui migliori mate- riali esistenti da I. Cocchi, e pubblicata per cura del R. Comitato Geologico coll’ opera di eccellenti Artisti. Annunzi di pubblicazioni. A. Stoppani — Corso di Geologia; Milano. — L’opera si com- porrà di tre grossi volumi in-8" con numerose incisioni in- tercalate nel testo, e viene distribuita a fascicoli di 64 pa- gine.— È uscito il fascicolo 16. — {In corso di stampa.) L. Bombicci — Corso di Mineralogia; Bologna. — Seconda edi- zione grandemente variata ed accresciuta con molte figure intercalate nel testo e tavole. (In corso di stampa). G. G. Gemmellaro — Studi! paleontologici sulla fauna del cal- care a Terebratula janitor del Nord di Sicilia; Palermo. — | È pubblicato: Parte B (Pesci., Crostacei, Molluschi Cefalo- 1 podi) fase. 1°, 2“, 3°, 4" e 5°; Parte T (Molluschi Gasteropodi) i fase. 1°, 2°, 3°, 4° e 5°; Parte 3“ (ISIolluschi Brachiopodi) fase. 1" e 2°. — Ogni parte forma un volume in-4“ con tavole. G. Capellini — Sul Felsinoterio, sirenoide lialicorefornie dei depositi littorali pliocenici dell’antico bacino del Me- diterraneo e del Mar Nero; Bologna 1872. — Pag. óO in-4° con otto tavole. A. D’Achiardi — Mineralogia della Toscana. — Pisa 1872. — Voi. 1°, pag. 276 in-8”. B. Gastaldi — Denx inots sur la Geologie des Alpes Cot- tiennes. — Turin 1872. — Pag. 24 in-8”. Maury — Geografia fisica del mare e sua meteorologia. — Prima versione italiana di L. Gatta. — Torino 1872. — Pag. 524 in-8” e 16 tavole. A. Waltenberger — Orograpliie der Algàuer Alpen. — Aug- sburg 1872; pag. 20 in-4” con Carta ipsometrica ed una ! tavola di sezioni. H. Gerlach — Das siidwestliclie Wallis mit den angrenzenden Landestlieilen VOI! Savoien und Piemoiit. — Beni 1872. — Pag. 176 in-4“ con due tavole di sezioni in nero, una terza idem colorata ed un foglio in cromolitografia della Carta geologica svizzera. B. Studer — Index der Petrographie und Stratigraphie der Scliweiz und ilirer Umgebungeu; Beni 1872. — Un vo- lume in-8” di pag. 272. Delesse et De Lapparent — Itevue de Geologie ponr les an- nées 1868 et 1869; Paris 1872. — Un volume in-8” di pag. 267. Delesse — Litliologie du fond des mers; Paris 1872. — Due volumi in-8” di pag. 616 complessivamente ed un atlante di 5 tavole in-folio. « R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. ^ì£lENTfA INDVST^^ Bollettino N? 7 e 8. 1 Luglio e Agosto 1872. ■oojdioo- FIEENZE, TIPOGRAFIA DI G. BARBÈRA 187 2. PDlicazloii del R. COMITATO GEOLOGICO. {In Corso di Stamim.) r — Volume II delle Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Questo volume verrà pubblicato in due parti, di formato, carta e stampa del tutto simili al volume 1°. La prima parte comprenderà : Descrizione geologica dell’ Isola d’ Ischia, con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C, Fuchs. — Esame Geologico della catena al- pina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Gcdleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in- gegnere r. Giordano. ■ — Malacologia pliocenica italiana, fa- scicolo 2°, con N° 7 tavole di C. D’ Ancona. La parte seconda conterrà : La Geologia delle Alpi Apuane, con incisioni nel testo e una tavola, di I. Cocchi. 2* — Carta Geologica della Italia superiore e centrale, in 6 fogli, nella scala di 5^^, compilata sui migliori mate- riali esistenti da I. Cocchi, e pubblicata per cura del R. Comitato Geologico coll’ opera di eccellenti Artisti. ■ BOLLETTINO DEL B. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. 7 e S. — Liijjlio e Agosto 1871 SOMMARIO. Note geologiche. — 1. Del terreno glaciale delle Alpi Apuane, di I. Cocchi.— IL Cenni intorno alla geologia del gruppo dell' .Adamello, del dott. Baltzek (estratto). — III. Cenni geologici sulle valli di Kaccolana, di Doglia e di M al borgl ietto nell’Alto Friuli, di T. Tara.meu.i (estratto). — IV. Cenno oro- grafico sul gruppo della Roche d'Ambin, di M. Bahetti (estratto). — V. Il giacimento a pesci di Licata, di E. Sauvage (estratto). — VI. Su di una caverna con avanzi preistorici dell’ Apennino di Romagna, di Ci. Scaiìabelli (estratto). — VII. Di alcuni nuovi uccelli fossili scoperti recentemente nel Nord-Ainerica, del prof. Marsh (estratto). Notizie bibliografiche. — A. D’ Achiardi, Mincruloijia della Toscana ; voi. l, Pisa IH?^. — 0. Silvestri, Le Nodosarie fossili nel terreno sub- apennino italiano e viventi nei mari d’Italia; Catania 187'2. — Fu. Coppi, Stìidii di Paleontologia iconografica del Modenese; Parte I ', Modena 1872. — A. Dei.esse, Lcs oscillalions des cùtes de F rance ; Paris 1872. Notizie diverse. — Sulla variazione della gravità in Russia. — Le Correnti marine.— Analisi di alcune rocce ed altri materiali pescati nel Gulf-Stream. — Ferri meteorici trovati in Groenlandia ed in America. — I giacimenti petro- leifcri del Nord-America. — Il petrolio nell' Isola di San Domingo. — Scoperta di una foresta fossile nel terreno terziario di California. — Scoperta del Diamante nella Xantofillite. — Sulla mineralogia dell’i7oroon Canadoìse. Rettificazione. I Catalogo della Biblioteca del R. Comitato. — (Continuazione.) NOTE GEOLOGICHE. I. Bel terreno gìacìaìe delle Alpi Apuane. Nota di I. Cocchi. Il prof. A. Stoppani, 'nella occasione di un suo recente viaggio nelle Alpi Apuane, osservava in Val d’Arni una an- tica morena frontale e tornato a casa la descriveva alla So- cietà di Scienze naturali in Milano e nei rendiconti del R. Isti- tuto Lombardo (voi. Y, fase. XIV). La scoperta di «n indizio ISS — COSI irrecusabile della esistenza di un antico ghiacciaio fu da esso giustamente considerata come pronostico sicuro della scoperta del terreno glaciale in tutte le Alpi Apuane. Perchè si avverasse al più presto il pronostico del dotto geo- logo, e perchè leggendo la nota mi parve che non fosse più opportuno un indugio maggiore a far noto qualche cosa di più sulle antiche ghiacciaie apuane, mi sono deciso di raccogliere fra le mie note di viaggio di questi ultimi anni alcune notizie su quei depositi morenici, per anticiparne in modo sommario la conoscenza ai let- tori del Bollettino. Ho detto anticipare perchè mio divisamento era di parlarne brevemente in un articolo sui nostri terreni su- perficiali promesso nella breve Nota su due scimmie fossili ita- liane (Boll. N° 3-4), e di svolgere latamente questo soggetto nella Geologia delle Alpi Apuane che verrà pubblicata nell’ anno venturo. Come ebbi occasione di scrivere al prof. Stoppani, in data del 22 giugno, il fatto da esso veduto lungi dall’ essere isolato è anzi frequente, ripetendosi in tutte le vallate prineipali delle no- stre Panie. Volendo indicare brevemente i più importanti tra questi depo- siti morenici a me noti in queste montagne, comincerò da quello veduto nel 13 giugno di quest’anno dallo Stoppani e poco dopo da esso descritto. La morena d’ AVni è forse un poco più estesa di quello che sembra apparire dalla Relazione dell’Autore, trovando registrato nelle mie note di viaggio che quel deposito si può seguire a valle fin presso il Campacelo a levante, e a monte fra il Castellacelo e l’Altissimo verso il Vestito a Ovest; distintissimo essendo, per esempio, ai Campaniletti e più su ancora. Le ghiacciaie le quali fornirono i detriti che compongono la morena discendevano dalle alture che circondano il canale del Vestito e quelle che chiudono il canale del Sella ossia d’Arni, non che quelle delle Penne Fiocca e Sumbra. Lasciando la Valle d’Arni e andando verso ponente si in- contra, al di là del Vestito, la valle del Frigido. Belle morene scesero alle falde della Tambura nel suo significato più lato, e quindi si incontrano a Ruara, Gronda, Resceta, sopra il Forno ec. Degni di nota sono alcuni massi erratici enormi distesi oriz- zontalmente sulle testate di strati calcarei verticali. Di uno di — 189 (luesti presi mi bozzetto, qualche anno fa, per la sua mole e il pittoresco effetto. Si trova nel canale del Bifolco, che è il ramo più occidentale del Frigido, al di sopra dello sdrucciolo de’ marmi; è formato di roccia scistosa e proviene verosimilmente dai monti di Navola e della Foce di Vinca, da cui scende il canale di Nu- vola, dove appunto appaiono gli scisti antichi che escon fuori di sotto la massa marmorea del Pizzo di Sagro e vanno a sor- reggere, verso il Nord, sulle loro testate gli strati marmorei del Guarnerone e del Giogo dalle quali creste scende, a Sud, il ca- nale propriamente detto del Bifolco. Più ad occidente troviamo depositi morenici nella valle del Car- ' rione dove scesero dalle alte cime del Pizzo di Sagro e dalle propag- I gini di esso che chiudono ai suoi lati P alto Carrione, giungendosi a levante allaTambura per Grondilice e le altre sommità. Prendendo le mosse dalla valle di Colonnata, il deposito morenico comincia dove si vede la Calcarea cavernosa (Cargneiile) sovrapposta alle quarziti e quindi più a valle del punto dove emerge la formazione dei marmi saccaroidi ; si unisce a deposito consimile che viene dalla valle di Codena e si continua verso Miseglia. A Torano si uniscono i depositi delle altre vallette laterali e così riuniti vanno a Mi- seglia, dove quelli della valle di Torano si uniscono a quelli di Colonnata e si prolungano fin presso Carrara. B deposito more- nico suol essere coperto da ciottoli più recenti ed è formato di frammenti e di blocchi d’ogni dimensione, talvolta voluminosis- simi e fortemente agglutinati. Lungo la strada sono grandi tccchie 0 tettoie naturali assai pericolose per i massi che staccandosi a quando a quando cascano sui lati ed anco nel mezzo della strada. IMorenico è probabilmente anche il deposito caotico di ciot- toli angolosi che ingombra P ultimo tronco della valle di Gragnana tra questo villaggio e Carrara, e che forma tecchie più o meno pericolose lungo la strada provinciale, specialmente verso Gra- gnana. àlerita qui di essere notata la circostanza che la valle di Gragnana è chiusa da monti di arenaria macigno (eoc-ene) a S.O. e da monti di calcarie antiche nell’ opposto fianco. I massi e blocchi che formano questo deposito spettano esclu- sivamente alle ultime e la stessa disposizione loro mostra che provennero dal Nord. — 190 — Da questo luogo proseguendo la nostra rassegna si lascia il fianco volto al mare e si prende quello di N.O. e N., cioè quello che guarda T ampio bacino della Magra. È questo il fianco dove si aggruppano in stupenda famiglia i picchi più acuti ed elevati della elissoide apuana, primeggiando sugli altri il Pizzo Maggiore, detto anche Pisanino dal nome di uno de’ suoi pinnacoli laterali, e il Pizzo d’ Uccello. Il Repetti dice che P altezza del Pizzo d’ Uccello è di 3285 braccia, pari a 1918“,44, e che quella del Pizzo Maggiore è di 3503 braccia, pari a 2035'“,75. Egli riguarda P ultimo de’ due come « il più eccelso monte della Toscana e di tutto PApennino set- » tentrionale dell’Italia, meno il Cimone che lo supera di 56 tese.’ » Nella Statistica Botanica Toscana, eccellente opera del Carnei, si vede un Panorama de’ monti della Toscana nel quale l’Autore figura il Pizzo d’ Uccello come poco inferiore a 1900“ e al Pizzo Maggiore assegna una elevatezza di quasi 2100™. Secondo altri calcoli, però approssimativi, ai quali ho preso parte io medesimo, P altezza del Pizzo d’ Uccello sarebbe d’ al- quanto superiore ai 2000 metri, e quella del Pizzo Maggiore sa- rebbe di circa 2200 metri. Dalle falde dei monti di Tcnerano sotto Monzone fin contra il monte di Ugliancaldo, il deposito morenico si osserva dapprima friabile e sciolto e poi generalmente agglutinato e resistente. Allo sbocco della valle di Vinca sotto Monzone ed Aiolà il deposito che sbocca da quella si unisce a quello che scende per Equi dalla valle di Sigliole altrimenti nota col nome di Solco d’ Equi. Nello stesso solco d’ Equi, uno de’ tratti caratteristici di quelle belle montagne, il masso rimasto a cavalcioni della strettissima valle fra le due verticali pareti di essa, a guisa di ponte sospeso, conosciuto dagli abitanti col nome di Paiolo, è probabilmente un masso erratico quivi rimasto abbandonato. Valicato il monte di Ugliancaldo e scesi per Minucciano nella valle del torrente di Gramolazzo, detto anche Serchio di Minuc- ciano, si incontra la più grande delle antiche morene apuane. È questa la più occidentale delle valli del versante settentrionale ‘ Nella carta austriaca 1’ altezza Jcl Gimonc è ragguagliata a G855 piedi viennesi, ossia GOTI piedi parigini. — 191 — (Iella Catena, e scende dal Pizzo Maggiore a Est, dal Pizzo d’Uccello a Ovest, dai pizzi delle Forbici, dell’Altare, della Neve a Sud. Il Piano e il Poggio di Mandria sono formati di un deposito caotico incoerente dove primeggiano per frequenza e mole i massi delle rocce che formano P altissimo circo dal quale scende il Gra- molazzo, nè vi manca il macigno eocenico del quale sono formati i monti di Minucciano che chiudono la valle al Nord. Molti dei blocchi hanno incavature e solchi e strie longitudinali. L’ esame delle rocce può insegnarci da quali cime essi provennero, e questo conosciuto, possiamo intendere in qual modo essi giunsero nel luogo dove sono attualmente. I più non vi possono essere stati rotolati perchè non sono for- mati di rocce che costituiscono quel lato del Pizzo lUaggiore che domina il Pian di Mandria; le acque non potevano trascinarli dove ora sono a tanta altezza dai più lontani pinnacoli e dalle più recondite vallecole. Non restano che le ghiacciaie le quali riempiendo le depressioni, superando con la loro alta massa gli ostacoli de’ molti contrafforti e speroni, possono spiegare la natura e la disposizione di quel singolare deposito. Per importanza e numero predominano grandi massi staccati nel piano di stratifi- cazione, di scisti calcariferi, di rocce scistose o a strati sottili, generalmente distesi come grandi lastre sul suolo. I maggiori, quando sono inclinati su di un fianco e coperti di terra e di de- trito, si potrebbero prendere per rocce in posto affioranti sotto la vegetazione, se non si vedessero frammenti è massi di macigno confusamente mescolati con essi. La natura litologica delle rocce delle Forbici, dell’Altare e dell’ alte cime del Pizzo ^laggiore dal lato da cui questo si unisce al precedente, il modo di fendersi e di distaccarsi di parti di esse, non permettono di dubitare sulla provenienza di que’ massi, essendo tali rocce esclusive di quelle cime. Una grande ghiacciaia adunque partendo dall’0>Yo della Donna, che sta alle falde della cerchia montuosa poco sopra descritta, scendeva giù per il torrente Gramolazzo fin presso la sua giun- zione con il torrente dell’ Acquabiauca sotto Corfigliano e rice- veva una minore ghiacciaia laterale che scendeva dai monti di Minucciano, formati di terreni basici ed eocenici i quali sbar- rano r andamento del Gramolazzo e lo fanno piegare da N. a — 192 — E. e S.E. Ma soltanto dalle parti superiori del Pian di Man- dria potevano alcuni materiali detritici essere forniti alla mo- rena ; più in basso erano dati soltanto dai monti die la chiu- dono dal lato meridionale. I massi che si trovano a quando a quando sul fianco opposto, ossia sinistro della valle, sono veri massi erratici, e formano la più bella pruova della antica esi- stenza di ghiacciaie in queste montagne. Quando scrissi nell’ Uo- mo fossile (Milano 1867) a pag. 36: « Vidi infatti in questo stesso anno 1866 la presenza di » grandi massi erratici di volume enorme, staccati dalle rocce » metamorfiche proprie delle maggiori elevazioni della parte set- » tentrionale della Catena (Apuana) e giacenti a considerevol » distanza dal luogo di originaria provenienza, a notevole al- » tezza ne’ fianchi di colline ove per forza di torrenti mai non « potrebbero essere nelle condizioni presenti travolti. Allo sbocco » di alcuna di quelle nordiche valli e sui fianchi de’ monti che » ne prospettano lo sbocco (tale sarebbe il Poggio di Mandria) » vi sono accumulazioni di massi di vario volume e di detriti » delle rocce che formano la parte più alta della opposta valle » con r apparenza di vere morene ; » per ciò che si riferisce ai massi erratici, intendevo di parlare appunto di quelli che si trovano sparsi lungo le sponde del Gra- molazzo e di altre valli limitrofe a questa. Uno di questi massi, e credo sia l’ ultimo discendendo il corso del Graniolazzo, misurato da me nel 1866, ofiriva le se- guenti dimensioni : Lunghezza metri 5 00 Larghezza 3 00 Altezza 2 00 Quella massa tabulare di scisto calcarifero antico giace a oltre 10“ di altezza dall’ alveo del torrente, sul fianco sinistro della valle nelle belle praterie del basso Monte di Gramolazzo, e fu qui depositato senza che se ne smussassero gli angoli e gli spigoli, benché provenga dalla parte più alta e recondita dell’ Orto della Donna, o alta valle del Gramolazzo, e sia giunto qui superando le strette della valle e i numerosi speroni che scendono dalle alture a inflettere 1’ andamento del torrente. — 193 Lasciando la valle del Grainolazzo laddove a questa si coii- giunge quella dell’ Acquabianca ossia di Corfigliano, e prendendo a risalire quest’ ultima, si incontra un deposito morenico analogo al precedente. Gli elementi detritici e i massi erratici qui scen- devano dal fianco orientale del Pizzo Maggiore che è marmoreo, da Grondilice e dal fianco settentrionale della Tambura; in altri termini P anfiteatro superiore dal quale scendevano i ghiacci es- sendo marmoreo, sono marmorei di preferenza i detriti : quindi il deposito morenico, come quello di Arni, è prevalentemente agglutinato e cementato. Sulla sinistra di questa valle ove comincia ad allargarsi in un altipiano coperto di grandissimi castagni (uno ha 36 passi di circonferenza), giace un masso erratico di scisto calcarifero della sommità del Pizzo Maggiore, avente forma tabulare; lo misurai nel 1866 e lo trovai avere le seguenti dimonsioni: Lunghezza metri 7 00 Larghezza 6 00 Altezza 3 50 Superata laTombaccia, che è lo spartiacque che divide l’alta valle delPAcquabianca da quella di Arnetola, si incontra una estesa mo- rena, la quale da Campocatino per Vagli di Sopra va ad arre- starsi contro le Faete ed Orticaiola. Il bacino superiore dell’an- fiteatro è formato dai fianchi marmorei della Tambura, della Penna di Sella e delle Faete, sui quali si addossano gli scisti superiori ai marmi coperti da quarziti, e queste a lor volta da calcarie triasiche. Le piccole morene laterali che confluiscono nella frontale hanno quindi alcuni caratteri propri. La calcarea ceroide, = Marmolino de’ paesani, ad esempio, non è estraneo ai depositi in questione a Campocatino, dove proviene dalla Tom- baccia, come può vedersi per la strada che scende a Vagli di Sopra e segnatamente al ponticello nuovo su di una fossaccia dove il monte par rovinato tanto è formato da un ammasso caotico di macerie. Il che prova che anche in questo caso i ghiacci non scendevano soltanto dalle cime più alte dell’anfiteatro, ma ancora dalle laterali minori. Lasciamo questa valle e procediamo oltre verso levante. Non panni di avere incontrato depositi di questa natura dalla — 194 — parte delle Capanne di Careggine, cioè alle falde del versante orientale della Penna di Sumbra ; ma i ghiacci che dalla mede- sima scendevano a Nord, lasciarono tracce di loro nel canale di Vagli, che si unisce a Vagli di Sotto colle valli di Arnetola e di Campocatino già descritte ; mentre dalla parte d’ Arni se ne ri- trovano le tracce al Campacelo. Le scoscese e dirupate giogaie della Pania della Croce, Pania Secca, Pania Vestita e Paniella che guardano il Nord e formano un insieme di balzi e di precipizi pressoché impraticabili e dif- ficilissimi allo studio, offrono alle loro falde dei depositi agglu- tinati analoghi a quelli di Arni. Nel fianco orientale della Pania non sono ben sicuro se si trovano depositi morenici nella valle della Torrite di Gallicano o del Trassilico sopra Forno Volasco, ma non posso escluderli. E di qui rivolgendoci al fianco meridionale della Catena, per Mosceta e per la Cerchia ritorniamo in Arni donde siamo partiti. Questi sono succintamente i principali depositi glaciali delle Alpi Apuane, omettendo, come è naturale, di indicare i minori. Tutte le valli pricipali che si staccano dal gruppo montuoso centrale erano campi di ghiaccio. Le prove dirette che non aveva quando scrissi la Memoria Sulla Geologia dell’ Alta Val di Magra, non mancandomi quando scriveva sull’ Uomo fossile nella Italia Centrale, mi permisero di far seguitare il passo precedentemente citato dalle seguenti parole : (( Io penso che la catena metallifera avesse ghiacciaie nelle » valli più elevate del suo gruppo delle Alpi Apuane appunto » nel tempo che corse fra il riempimento dei laghi apuani per » mezzo delle ghiaie che loro appartengono e la formazione del » diluviale apenninico ; o se si voglia supporle (le ghiacciaie) più » antiche, penserei che fossero in parte contemporanee al riem- » pimento suddetto quando le rammentate montagne avevano » altezza maggiore dell’ attuale. ‘ » — {Uomo foss., pag. 3G-37.) Queste parole mi conducono ad aggiungere alcune considerazioni. Primieramente la scoperta annunziata nel 18G7 e la scoperta ‘ Questo io scriveva per le Alpi Apuane ; ora avrei qualche argomento pel- credere che di qualche ghiacciaia non fosso neinmen priva 1’ Isola d’Elha. — 195 - del 1872, si confermano reciprocamente, per guisa die dell’an- tica esistenza delle ghiacciaie apuane non panni si possa più dubitare dopo la testimonianza tanto autorevole dello Stoppani. Ma come nel redigere i passi citati, avendo io allora uno scopo assai vasto, qual’ era quello di stabilire un concetto fondamentale atto a spiegare gli avvenimenti più recenti della geologia ita- liana, e consistenti essenzialmente nelle mutate condizioni olo- grafiche e idrografiche d’ Italia, doveva limitarmi ad annunziare il fatto della esistenza delle antiche morene, mentre sarebbe i stato intempestivo e prolisso lo scendere a descriverne le fattezze e i luoghi; così ora in una noticina d’occasione quale è questa, non [)OSSo impegnarmi a condurre il lettore per tutte quelle di- samine che si richiedcrebhero per provare l’ asserta tesi che le ghiacciaie esistessero nelle Alpi Apuane nel tempo che sorge fra il riempimento dei laghi apuani e la formazione del diluviale apenninico. In ordine a questo argomento, mi limito a rimandare il lettore alle considerazioni svolte nell’ Uomo fossile, ec. ; mentre poi mi riservo di sviluppare nuovamente questi concetti fra non molto, come sopra ho detto. Ma due parole dirò dell’ altezza maggiore che attribuisco alle antiche Alpi Apuane in confronto dell’ attuale loro eleva- zione. L’altezza di queste montagne, maggiore per lo passato che nel presente, fu un grande concetto del Savi ; io non feci che sottoporre questo concetto ad esame, e trovatolo conforme al vero, cercai di applicarlo e di svolgerlo largamente. Non si dice però che le Alpi Apuane fossero più alte d’ora perchè vi erano o vi potevano essere esistite ghiacciaie che ora più non sono. Anche non tenendo conto di talune naturali spac- cature perpetuamente ripiene di ghiaccio secolare (Pania, Tam- bura. Pizzo d’ Uccello ec.), talvolta avviene che, in annate ecce- zionali, al sopraggiungere delle nuove nevi non sono ancora del tutto scomparse quelle dell’ anno precedente ammonticchiate in qualche recondito luogo ombreggiato da rupi e volto a bacìo. S’ intende pertanto che un leggero cambiamento nelle condizioni fisiche generali della contrada potrebbe dar luogo nuovamente alla presenza di ghiacciaie, ferma stando P altezza attuale delle medesime. In certi fenomeni termici non è tanto P altezza asso- luta quanto P altezza relativa che conta ; e un picco isolato di f 1 — 196 — 2000 metri offre caratteri botanici e meteorologici più alpestri die uno di uguale o di maggiore altezza che sorge alle falde di elevazioni maggiori. Dopo gli studii e le ricerche di Tyndall non si potrebbe più dire che basta una temperatura molto bassa per produrre le ghiacciaie. Perchè queste si formino, si richiede una superficie evaporante che dia la quantitcà d’ umidità necessaria e un con- densatore che obblighi il vapore acqueo a condensarsi ed a ca- dere in forma di neve : dunque nemmeno il solo freddo baste- rebbe a produrre le masse di ghiaccio delle ghiacciaie. La questione adunque non è là. La prima volta che sommariamente formulai le deduzioni alle quali mi conducevano gli studii fin d’ allora iniziati, fu nella Introdimone al Corso di Geologia del 1860' e dopo in più occasioni. Le considerazioni principali che inducono a credere che il sistema montuoso al quale le Alpi Apuane appartengono fosse r asse orografico principale di questa nostra Italia centrale sono : la posizione di alcuni bacini lacustri inferiori all’ attuale livello del mare, non potendo coesistere « lagld di acqua dolce di ca- rattere alpino e mare nel medesimo luogo contemporaneamente. » {Uomo fossile ec. pag. 36); la idrografia pliocenica — che ho ri- costrutto in gran parte pei‘ le Alpi Apuane, e per altri tratti della Catena; — la importanza di alcuni di quei fiumi antichi e il loro andamento ; la continuità o almeno la minore disconti- nuità della Catena metallifera o Litoranea come conseguenza necessaria del sistema idrografico di allora : — la diversa posi- zione in altezza a cui ora si trovano i depositi pliocenici e post- pliocenici in diversi luoghi ; i fenomeni di dislocazione e di rot- tura che si possono, in più luoghi vedere e che furono indicati da me e precipuamente poi dal Savi. Queste sono le principali circostanze di fatto che, impongono come certezza la ipotesi di una maggiore elevazione delle Alpi Apuane. Ma l’altezza maggiore di queste montagne trasse seco un’al- tra conseguenza. In un’ epoca, quale fu la glaciale, di massima ’ Annuario del R. Museo di fisica e storia naturale per Vanno 1800, pag. 109. — 197 — umidità pel nostro continente, quella maggiore altezza ne faceva di esse un più perfetto condensatore: questo doveva produrre il suo effetto, e lo produsse senza che vi partecipasse rApehnino (non parlo di quello al di là de’ confini meridionali della Toscana, perchè non è quel semplice sistema orografico che può a prima vista parere, ed escludo T Apennino circumapuano perchè questo è geologi- camente connesso con le Alpi Apuane stesse, è come chi dicesse 1 una piega esterna di quella elissoide, ed ha comuni con quelle molti caratteri e gran parte della sua storia passata), perchè Esso non fu vera e propria catena montuosa che allorquando la Catena metallifera, il suo gruppo delle Alpi Apuane principalmente, di- ventò il rimasuglio della grande Catena dei tempi passati ; ed allora le condizioni favorevoli al condensamento di molta umidità nella nostra latitudine eran cessate e V Apennino non vi aveva preso quelle proporzioni che potevano farlo diventare un con- densatore adattato alla formazione delle nevi perenni. IL Cenni intorno alla geologia del gruppo dell’ Adamello. (Estratto da una nota del dottor Baltzer, inserita nel Bollettino del Club Alpino Italiano, voi. V, N. 18.) Alla stessa guisa delle masse onde è formato il sistema delle Alpi, il gruppo dell’ Adamello è una massa centrale, poiché desso resulta da un nocciolo centrale compatto di rocce primitive sul quale si appoggiano rocce scistose, come si osserva nei gruppi del Monte Bianco, del Gottardo, della Bernina ecc. Esso è formato da uno speciale granito ornehlendico detto Tonante dal vom Eath che pel primo lo osservò al passo del Tonale, ' ricoperto regolarmente da gneis, micascisto e scisti ‘ Questa roccia minutamente descritta dal vom Rath è composta di feldispato, quarzo, mica e orneblenda: è un granito orneblendico che si accosta alla diorite per un lato e al porfido per l’altro; la mica è bruno-oscura, lucente, in lamelle 0 prismi esaedri larghi sino 6 mm. e se ne staccano facilmente delle fogliette. I cri- stalli di orneblenda sono piii duri, di color verde scuro. È una pietra adattatis- sima per fabbriche ed ornati. Vom Rath dice che ne furono trasportati a Trento argillosi. Le creste aspre e dentellate sono di granito, i gneis e micascisti scendono nelle valli rivestite da pascoli ubertosi e da selve. Il confine geologico di questo gruppo viene segnato come segue : A tramontana la valle di Pelo e la valle del Monte. A ponente il corso dell’ Oglio sino all’ imboccatura della valle di Poja, poscia il torrente Sarca e la profonda Val Genova che divide la massa della Presanella da quella dell’ Adamello. Dal lato di Val del Sole non è ben precisato il suo confine. Compreso Monte Castello, il gruppo presenta una forma quasi ovale avente l’asse principale nella direzione diN. — S. AH’estremità settentrionale è posto il bagno di Pelo. La lunghezza da Posine a Pieve è di 45 chilom., la maggior larghezza tra Edolo e Strem- bo 34 chilom. Il gru})po dell’ Adamello appartiene alle masse centrali com- patte, di forma non allungata ne molto intersecata. Un altipiano grandioso ed un po’ più ripido verso ponente gli fa corona, incorniciato e traversato da creste frastagliate. La niassa principale è di Tonalite, che si dirama in ogni senso, formando valli alla cui sommità si vedono i ghiacciai scendenti dall’ altipiano. A ponente queste valli sono incassate profonda- mente, sicché in alcune le vedrette vi scendono precipitosamente; mentre però al N.E. si avvallano lentamente e maestosamente, tale ò il ghiacciaio di Mandrone. Le valli, conformate a guisa di terrazze, presentano traccie di antiche vedrette. La mole della Presanella, benché non segua la regolarità del gruppo principale, vi appartiene geologicamente, congiungendosi, al passo di Pi- scanna, la tonalite dell’ Adamello con quella della Presanella. Questa, in senso orografico, é analoga a Monte Castello. Venendo ora in Val Camonica, vediamo la Valle di Poja prin- cipiare con una profonda incavatura prodotta probabilmente dalla Poja stessa. Seguendo la sponda destra, risalita una terrazza co- perta di boschi e ottimi pascoli, si raggiunge la regione dei gneis e dei micascisti. Superiormente alla chiesa di San Lazzaro s’ in- cili Val del Sole molti massi erratici e trasformati in pilastri ; in Val Remleno se no costrussero chiese e case. Le intemperie prolungate fanno sfogliare le lamelle scure di mica, che ingialliscono pel ferro. La tonalite non contiene altre sostanze accidentali. — 199 — contrano i gneis : fra Covo e Saviore massi erratici, dei quali uno enorme ed angoloso di Tonalite. Dietro Saviore cominciano i micascisti con vene di quarzo. Venendo poscia in Val di Bratto, parte inferiore di quella di Salarne, al di là del ponte, si pre- sentano tre fatti rimarchevoli. La forma a terrazze della valle, le traccio di ghiacciai antichi ed il passaggio delle rocce scistose alla tonalite. Il profilo di questa valle presenta marcatissima la forma a terrazze. Ecco le altitudini dei diversi gradini : Cedegolo 417"'; Covo 1050'"; Saviore 1237'"; Alpe di Mas- sissio 1789"; Lago di Massissio 198G"; Lago di Salarilo 2059"; Malga Salarilo 2108"; sommità del Piccolo Salarilo 81GG"; piede del Corno dell’ Adamello 3280"; vetta dell’ Adamello 3547". La sommità della valle è a 1G90" sopra Cedegolo a circa 12 chilom. di distanza in linea retta : P altezza assoluta è quindi poco rilevante. Dalla sommità della valle sorgono ertissimi i fian- chi dell’ Adamello per 1058" sino all’ altipiano della vedretta, d’ onde il corno non s’ eleva più che di 381". Quei gradini sono da 5 a 7, fra cui due con laghi. Sul pendio orientale superiormente al Lago di Salarilo rimarcasi sopra una terrazza laterale un an- tico bacino lacustre. Nella valle Salarilo si manifestano chiaramente indizi di an- tichi ghiacciai ; tali sono la presenza di molti massi erratici di tonalite angolosi e P esistenza di lastroni lisciati o solcati lungo la soglia della valle ed in alto sui fianchi della stessa. Le traccie di antichi ghiacciai si scorgono in tutte queste convalli, come lo si vede chiaramente nelle rocce incassanti la vedretta di àlandrone, che in altri tempi si spingeva sino verso Lagoscuro. Tali rocce si mostrano pure al N.E. in Val Campiglio. Da Pin- zolo a Campiglio s’ incontrano gneis e micascisti e sparsi massi erratici di tonalite e di dolomite della Brenta, quantunque que- sta sia separata da Val Campiglio da una ragguardevole altura. Dietro Campiglio si presenta ora il granito, ora la dolomite ed anche della roccia calcarea. Presso Malga Giuevria, a sinistra della via di Pelizzano, giacciono molti trovanti di tonalite e, al deflusso del lago di Malghetto, del granito verdastro. Là cessa la dolomite: sulla sommità del passo appare il granito dell’ Ada- mello, e, scendendo all’ Alpe Pelizzano, trovasi di nuovo il gneis : — 200 — tutto prova quindi che questa zona appartiene alle rocce sci- stose del gruppo dell’ Adamello. In vicinanza del paese di Ponte, salendo per tre terrazze, si giunge all’Alpe Massissio; in quelle si trovano massi erratici di tonante: ma soltanto al lato di quella Malga se ne incontrano di numerosi e grossi. Rimontando la valle i micascisti si vanno subordinando al gneis, ma poi scompare anche questo e più non si trova che la tonalite. Tale roccia appare nella valle di Avio ad un’ ora di salita, mentre dal lato opposto in quella di Breguzzo non s’ incontra che al sommo della valle. Vicino al lago di Mas- sissio il terreno è sottominato dai deflussi sotterranei del lago: la tonalite non regge completamente alla corrosione delle acque. La regione granitica si estende ancora sull’ altipiano del ghiacciaio dell’ Adamello e di là a Malga Bedole. Più in giù al lato settentrionale della vedretta, la tonalite si fa marcatamente rossiccia per la scomposizione della mica. La inclinazione degli strati sul fianco sinistro di Val Salarno in direzione opposta a quella degli strati presso i Corni del Con- fine, farebbe presumere che il gruppo dell’ Adamello assuma la struttura a ventaglio. I lati del gruppo, tanto verso Val Salarno che verso Val Ge- nova, presentano condizioni caratteristiche. Il primo è più erto e quindi il ramo destro del ghiacciaio vi scende a precipizio : le masse di nevischio precipitano da oltre 600 metri in una specie di bacino, ove si trasformano in ghiaccio, formando cogli altri rami la vedretta di Salarno. Quella di Mandrone è ancora più in- teressante pe’ suoi scoscendimenti, per la sua forma bizzarra e pel modo con cui termina nella valle. Respinta dalla rupe, denominata Lobbia bassa, che vi si erge verticale, deve la vedretta defluire da una stretta formata da due rupi, quindi è che deviata e poi compressa, si presenta in onde regolari a guisa di un torrente che urta negli scogli; mentre dal lato ove l’ azione della Lobbia non si fa più sentire, pre- senta una superficie tranquilla e senza onde come un fiume che scorre nel seno che precede una cascata. Il fatto che si pre- senta al Mandrone riprova la grande plasticità del ghiaccio dei ghiacciai. — 201 — HI. Cenni geologici sulle valli di Raccolana, di Dogna e di Malborglietto nell’Alto Friuli. (Estratto ila una nota del prof. T. Taramelli, inserita negli Annali del li. Intituto Tecnico di Udine, 1871.) Rimontata la valle del Fella sino all’ altezza di Chiusa, vil- laggio posto a 374“ sul letto del fiume, si penetra nella valle di Raccolana, la quale è totalmente incavata nella dolomia prin- cipale che vi si presenta inclinata verso il S.E.E. ed infranta da ponente a levante normalmente alla chiusa principale del Canale del Ferro : essa valle è ampia e pittoresca per la varietà d’ aspetto e di profili dei monti Sarte, Prestellcnik, Frevala che la limitano a Sud, e dei monti Usez, Cimone, àlontasio, Roins e Cragnedul che la separano a Nord dalla valle di Dogna. I vei’santi più bassi sono qua e là coronati da terrazzi mo- renici elevati sul fondo della valle di 180“ al più, i quali de- vonsi considerare come avanzi delle morene frontali di un piccolo ghiacciaio scendente dai monti Canino (2G50“) e Montasio (2400“). La pendenza della valle varia fra circa 18 e 30 per 1000. L’altipiano presso la Casera di Neve (1295“) è in taluni punti rivestito con lembi di conglomerato calcareo-dolomitico ; da detta località allo spartiacque fra la Raccolana ed il Rio del Lago, si va attraversando un laberinto di avvallamenti tra ingenti cumuli di massi dolomitici e calcarei: parecchi massi ap- partenenti a questi cumuli presentano belle sezioni del Conchodon caratteristico del calcare infraliassico. L’ altezza del citato spar- tiacque sul livello del mare è di 1322“. Scendendo di qua al lago di Raibl in Carinzia (987“), si incontrano all’ estremità settentrionale del lago gli strati a Corhula chiudenti la serie fossilifera del deposito di Raibl. La successione degli strati di questa importantissima serie è la seguente : r Dolomite finamente stratificata. 2“ Strati a Corhula. 3° Calcari e dolomiti a Megalodon. 14 — 202 — 4° Marne a Solen. 5° Calcari marnosi a Myophoria. 6° Marne e calcari marnosi finamente stratificati. « 7“ Calcare nero bituminoso. 8° Scisti di Weìigen con avanzi di pesci, insetti, crosta- cei, gasteropodi ec. Hanno tali strati una potenza complessiva di 200“ : una simile serie deve costituire la culmina fra il Wicliberg e lo Ileiligenberg. Dalle origini della valletta di Luscliàri e dalla Vai- bruna, provengono i porfidi rossi delle morene di sinistra del- r antico ghiacciaio del Tagliamento. Una culmina conduce da Vaibruna nella valle di Doglia pel passo di Somdogna (1508“). Sì la culmina che la valle, in cui essa si continua, sono dovute alla erosione del calcare marnoso della formazione Raibliana; per la irregolarità della stratifica- zione è difficile seguire lungo la valle i diversi piani della for- mazione; ma i terreni più fossiliferi prevalgono a destra della valle, mentre a sinistra sotto la Dolomia principale sono quasi esclusivi i calcari a 3Iegalodon. A Somdogna, a Plecbizza ec. si trovano esemplari di Solen elongafus^ di 3Iyophoria, di Osfrea montiscaprilis, di Pachicardium rngosum^ ec. ec. Presso lo sbocco della valle, la formazione va gradatamente ripiegandosi verso N.O., presentando un bello scoscendimento di una zona di strati calcareo-marnosi alle falde occidentali del Clap-Forat, e rimon- tando la valle sino al Ponte-di-muro. , A Somdogna la formazione Raibliana ha 80“ di spessore, prevalendo gli strati, 4, 5 e G della serie suddescritta. Mancano gli strati a Corlnda, essendo invece sviluppati quelli a 3Legalodon, separati dalla sovrastante dolomite per mezzo di scisti neri al- ternanti con strati dolomitici, come si vede a Vidali lungo la strada postale. Sono particolnri alle vicinanze di Doglia gli strati a grosse Clienmitzia^ che mancano a Somdogna e Raibl: vi ab- bondano pure calcari marnosi alquanto bituminosi. Il calcare infraraibliano entra nel Friuli a Mittagskofel e con- tinua pel Bieliga, pel Gosadon ec. sino al Clap-Forat. Nello spartiacque fra la valle di Doglia c quella di Malborghetto va sfumandosi da levante a ponente anche la formazione tufacea, che viene sostituita fra Ponte-di-muro e Pontebba dai calcari — 203 — brecciati di Flysclil e di Pietra Tagliata, dalle marne e cal- cari bianco-venati e da alcuni calcescisti a Naticdla e Tere- hratiila. Le arenarie variegate che formano le falde settentrionali della catena del Mittagskofel (183G'") sono forse più marnose e meno colorate che nel resto della Gamia, ma contengono gli stessi fossili. I gessi che stanno fra le arenarie variegate e quelle più scistose e non fossilifere del Servino non si rinvengono più per alcuni tratti; ma probabilmente gli strati gessosi sono sepolti a più 0 men grande profondità, come danno a pensare le sorgenti sulfuree di Lusnitz, di Pontebba e di Studena inferiore. Non è a ritenersi che quivi le arenarie variegate rappresentino la base del Trias ; anzi fu constatato che esse regolarmente e senza dislo- cazioni ricuoprono le masse calcareo-dolomitiche formanti la sponda destra della comba di àlalborghetto e che si osservano anche nella valle pontehhana. Queste masse calcaree, alternate con scisti neri e rossi, con arenarie rosse e conglomerati calcareo- marnosi, formano alla sella di Yercella (87 P”) la base della serie triassica. L’ ampia vallata da Camporosso a Pontebba (5G3'“) è piana, regolare, e soltanto presso Malborghetto alquanto accidentata dal passaggio del calcare del Servino dalla sponda destra alla sini- stra ove forma il Monte Nebria e la collinetta a Nord di Vaibruna, IV. Cenno orografico sul gruppo della Iloche d' Amhin {Alpi Cozie. — Versante Italiano). (Estratto da una Nota del Prof. JI. Baretti, inserita nel Boll, del eiuh Alpino Itnliano, voi. V, N’ 18.) Il gruppo di montagne detto della Poche d’ Ambili fiancheg- gia ad Ovest la 'valle della Dora Riparia da Susa a Oulx : la parte culminante è formata dal clinale alpino spartiacque fra la valle della Dora e quella dell’ Are. Dalla cima del Ciusalet sopra Hard la linea divisoria dei versanti è diretta per 12 chilometri — 204 — a S.O. e alla Punta Sommeiller ' si inflette di un angolo di 120° aperto a Nord e procede per circa 9 chilometri ad 0.15°N. verso la cima della Cardiora, di fronte al Fréjus. Numerosi sono i contrafforti che si staccano normalmente alla catena principale, specialmente dalla parte d’ Italia, ma il più cospicuo è quello che partendosi dalla Punta Sommeiller, si dirige a Sud per circa 10 chilometri e raggiunge la pianura d’ Oulx. Il picco della Roche d’ Ambili ha dato il nome a questo gruppo per la sua elevazione e per esser molto conosciuto, ma forse meglio appro- priato sarebbe il nome di gruppo della Punta Sommeiller perchè è questa appunto che determina la configurazione dell’ intiero gruppo e la direzione dei corsi d’acqua. Questa massa montuosa sul versante italiano è compresa tra 0°, 41', 25" e 0°, 58', -20" di long. 0. dall’ Osservatorio di Torino e tra 45°, 1', 5" e 45°, 8', 30" di lat. boreale. La linea di massima lunghezza, 23 chi- lometri, è compresa fra Giaglione e Bardonecchia ; e quella di massima larghezza, 14 chilometri, dal colle di Pelouse al con- fluente delle due Dorè. Il punto di massima elevazione sembra la cima della Roche d’ Ambin di 3,375 metri. L’angolo formato alla Punta Sommeiller dal clinale alpino e dal contrafforte scendente ad Oulx, si divide a S.E. in cinque valloni, di cui due più grandi raggiungono il clinale delle Alpi e tre secondarii scendono dal versante di un contrafforte. Il vallone della Clarea o di Giaglione sbocca nella valle della Dora a Sud della stretta gola fra Susa e Chiomonte, ed è limitato a N.E. dal contrafforte che dal Ciusalet scende sul villaggio di Giaglione. Questo contrafforte si presenta a Sud quasi a picco, povero di vegetazione, e comincia presso Giaglione con una stu- penda morena antica profondamente erosa e minacciante rovina: più in alto vedonsi le bianche quarziti e dolomiti del Toasso bianco, che raggiungono P altezza di circa 2500 metri ; termina poi col Ciusalet sul cui versante di Nord poggia il bel ghiacciaio di Bard. Dal Ciusalet fino alla Punta Ferrant il clinale alpino corre a S.O. per 7 chilometri e questo tratto è il più interessante pe’suoi picchi e ‘ Questa punta, situata alla estremità superiore del vallone della Galambra a N.O. di Exillcs, fu fino ad ora denominata Punta della Rognosa: per distin- guerla da altra egualmente appellata, PAutore volle opportunamente battezzarla Punta Sommeiller. 205 — ghiacciai. Si incontra prima una depressione al colle di Clapier di 2,471 metri; più a S.O. la catena diviene orrida ed imponente, rincliò per balze cupe e vertiginose si giunge alle inaccessibili agiiglie dei Tre denti d’Ainbin, la cui base dalla parte d’Italia è fasciata dal ghiacciaio dei Tre denti. Più innanzi la cresta si fa meno malagevole ed, oltrepassate alcune punte, si giunge alla Roche d’Ainbin (3,382 metri) che ha i fianchi ripidissimi rive- stiti di lunghi e sottili ghiacciai dalla parte di Ambin, e quasi del tutto coperti dal ghiacciaio del Gros-Mottet sul versante italiano. Tra questo picco e la Punta Ferrant trovasi una costiera di quarzite, il Gran Toasso, poi il Passo dell’Agnel che conduce in Ambin. La Punta Ferrant, anche essa rivestita d’un ghiacciaio, è in 'elevazione di poco inferiore alla Roche d’ Ambin, e da essa si staccano due contrafforti ; uno breve e ripidissimo sotto il nome di Costa Ferrant, P altro assai più lungo che giunge fino alla Cappella Bianca allo sbocco del vallone della Carea. La Punta Ferrant si abbassa repentinamente sul colle d’Am- bin di circa 2,700 metri, da dove una ripida salita raggiunge la vetta della Punta d’ Ambin (da non confondersi colla Roche d’ Ambin). Le rupi della Rudelagnera fanno seguito alla Punta d’ Ambin, e da quelle si giunge alla Punta Sommeiller, alta circa 3,200 metri e rivestita d’ una callotta nevosa che forma la parte superiore del ghiacciaio che si stende verso la Savoia. A Sud essa scende quasi a picco sul ghiacciaio di Fourneaux e ad Est con dolce declivio sul bacino glaciale della Galambra. Dalla Punta Sommeiller, dirigendosi sul contrafforte maggiore che scende a sud verso Oulx, si giunge fino ad un bel picco di rocce rosso-giallastre listate di neve detto Roc Peirous di oltre 3,100 metri di elevazione. Dal Roc Peirous si stacca in dire- zione E.S.E. la selvaggia costiera del Crest Chabrière che giunge sino al Fortino della Guardia ; una seconda scende a Salber- trand, ed una terza si dirama dal Yallonet a S.S.E. sopra POrme tra Salbertrand e Pont- Ventoux, formando così tre valloncini, che poco offrono di notevole salvo pochi minerali di rame e ferro. La maggior parte dell’ angolo a S.O. formato dal contraf- forte di cui è stato parlato e il clinale alpino dalla Punta Som- ineiller alla Cima della Cardiora, è occupata dal grande vallone di Rochemolles. Esso sbocca nel piano di Bardonecchia in cor- — 206 — rispondenza dello imbocco della grande galleria. Corre fino al borgo di Rochemolles in direzione N.N.E. ove si divide in tre rami formanti la Valfroide a Sud e il vallone di Malmiane al Nord. Il ramo principale del gran vallone ha la sua origine al ghiacciaio dei Fourneaux, fra la Punta Sommeiller e il Ptoc Pei- rous. Le montagne divisorie di questi tre rami del vallone nulla hanno di notevole e sono tristi e prive di pascoli. Dalla Punta Sommeiller procedendo verso la cima della Car- diora in direzione approssimativa di Est-Ovest, si incontra da prima un taglio profondo che è stato di recente chiamato Colle Sommeiller (anticamente Colle Anibin), che inalzandosi improv- visamente forma le acuminate rocce di quarziti denominate i Rochers Cornus, che declinano poi sul colle d’ Etiache di 2,835 me- tri, mettendo così in comunicazione il vallone di Rochemolles con quello d’ Etiache in Savoia. Il clinale si inalza nuovamente formando una lunga serie di rocce rossastre nude a Sud e ri- coperte di ghiaccio a Nord, alle quali non è stato per anche assegnato un nome ben determinato. A queste sussegue, un picco di oltre 3000 metri di bella apparenza e che scende sul colle di Pelouse ; quest’ ultimo poi mette nel vallone di Sainte-Anne in Savoia. A S.O. di questo colle viene ultima la Cima della Cardiora, da cui si stacca il contrafforte divisorio fra Roche- molles e il vallone di Merdovine, che scende fino al piano di P)ardonecchia ; ed è nella ultima pendice di questo contrafforte che è praticato P imbocco Sud della galleria del Fréjus. Il ver- sante Nord del vallone di Rochemolles, per quanto ripido sia, è coperto di una ricca vegetazione. V. Il Giacimento a pesci dì Licata (Sicilia). ^Da una nota del signor E. Saovage inserita nel BuUetin de la Société Gcol. de France, Serie T. XXVIII.) 11 monte di Licata (P Ecnome degli antichi) si suddivide in tre piani i quali dall’ alto in basso sono : 1“ Una massa di calcare duro, talvolta compatto, talvolfa poroso 0 cavernoso con interposizione di gesso. — 2U7 — T Numerosi strati di marne scistose, bianche, tenere che si appropriano 1’ acqua con grande avidità e fanno fortissima ef- fervescenza cogli acidi (livello dei pesci). 3° Marne argillose con grossi arnioni silicei. Già da molti anni questi terreni sono riconosciuti pliocenici ed ora seml)ra debbansi attribuire più precisamente all’ epoca denominata Zancleana dal professore Seguenza. Gli strati dei dintorni di Messina, i quali costituiscono questa formazione, son composti di marne sabbiose, ricchissime in bra- chiopodi e sopratutto in foraminifere, alternanti con dei banchi calcari; essi corrisponderebbero a quelli di Licata. È vero che a Messina il professore Seguenza non cita che due squali, il Carcharodon productiis e 1’ Odontaspis dulia, che non son punto conosciuti a Licata, e che in quest’ ultima località non sono stati trovati i polipaj e i brachiopodi sì numerosi a Glossina: ma sap- piamo che recentemente vennero raccolti a Licata un dente di squalo e diverse conchiglie : in questo caso sarebbe possibile di riferir questi strati a pesci al terreno Zancleano, e ciò con tanta maggior ragione giacché contengono dei detriti di foraminifere. L' Orhidina universa trovasi in ambidiie le loca- lità ; più della metà della roccia è formata di detriti di rizo- podi silicei, quasi tutti riferibili a un Cosciuodiscus affine al radiatus. Questo ultimo fossile ravvicina le marne di Licata a quelle a pesci di Orano, in Algeria : queste due località racchiudono infatti la stessa Aiosa cìongafa. Questo piano a pesci esisterebbe in altri punti della costa meridionale della Sicilia, dove il signor Gaudry ha osservato in- sieme alle marne turchine con Natica fiisca, Corhula gihha, Nassa semistriata, delle marne biancastre a foraminifere con detriti di pesci. Il piano a pesci dello Zancleano, avrebbe dunque una esten- sione assai grande; occupando una parte della costa Sud della Sicilia, ed estendendosi fino in Algeria. La fauna ittiologica di Licata, sebbene nella maggior parte sia analoga alla vivente, nondimeno presenta delle forme speciali che non permettono di considerarla come più recente del Plio- cene inferiore. — 208 I pesci più numerosi di Licata sono dei Singnati; e con questi trovansi pesci essenzialmente marini, come Gimnodonti, Scomhridi, Scopeìidi, ec. Non di meno vi sono dei Ciprinidi perfettamente caratterizzati, e dei generi prossimi al Leucisco : 1’ esame della struttura delle scaglie e lo studio attento dello scheletro non lasciano nessun dubbio a questo riguardo; e nonostante molti esemplari di questo Leucisco racchiudono dei rizopodi silicei caratterizzanti i depositi marini. E probabile quindi che il gia- cimento di Licata siasi prodotto in un estuario. È da rimarcarsi che i pesci d’ acqua dolce vi sono in gran numero. L’ Aiosa elongata solamente è una specie già descritta, le altre son nuove, ed eccone la lista: 1° Lofobranchi: Syngnathiis Albyi; 2° Plettognati: Famiglia dei Gimnodonti; Diodoti acan- ihodes ; 3° Pleuronettidi ; Bhombus ahropterys; 4“ Acantopterigi : Famiglia delle Trichiiiridce : Lepidopus Albyi, L. anguis. Famiglia degli Scomhridi: Tliymms angustus, T. proximus, Zeus Licatce. Famiglia dei Carangidi: Argyreiosus miìiutus. Famiglia degli Xiphidi: Xiphias acutirostris. Famiglia dei Trigìidi: Trigla Licatce. 5° Malacopterigi. Famiglia dei Cyprinidi: Leuciscus dor- salis, L. Lartcti, L. Dumerilii, L. Licatce, Aspius vexUlifer, Asp)ius Ecnomii, Bhodeus Edwardsi. Famiglia degli llalecoidi: Osmerus Lartcti, 0. proptcrygius, 0. Aìhyi, 0. stilpnos, Clupea Ecnomi, C. microsoma, C. saidos. Sardinella caudata. Famiglia degli Scopelidi: Scopelus laccrtosus. A questa famiglia appartiene il genere nuovo Tydeus, ana- logo agii Scopeli, dal quale si distingue per la posizione poste- riore della pinna dorsale, per la forma allungata del corpo, per la dentizione ec. Comprende quattro specie T. SpheJcodcs. T. Al- hyi, T. Elongatus, T. Megistosoma. II genere Acantlionotos (A. Armatus, 0. Alatus, 0. Licatce) ritiene dei Trigìidi, degli Scomhridi e dei Cirritidi. È oblungo, regolare, dorsali contigui; dorsale spinoso subito dopo la nuca esteso quanto il dorsale molle ; P anale sviluppato quasi quanto la porzione molle del dorsale, incominciando con 3 o 4 raggi spinosi : false pinne dietro il dorsale e P anale, estendendosi fino — 209 — alla caudale: ventrali addominali, ma nondimeno avanzati; denti forti, conici, puntati; scaglie sottilissime e piccole. Tale è in breve la natura del giacimento ittiolitico di Licata, intorno al quale 1’ Autore promette di pubblicare fra breve una Monografia. VI. Su di una Caverna con avanzi j^^eistorìci dclV Apennino di Romagna {Gircoìidario dì Faenza). (Estratto da una nota del senatore G. Scarabei.li, inserita negli Atti della Soc. It. di Se. Nat., voi. XV, 1.) La zona dei gessi (miocenica supcriore) del versante adria- tico dell’ Apennino raggiunge il massimo spessore nel punto ove sorge il Monte Mauro fra la valle del Senio e quella della Sintria in provincia di Ravenna. Ivi la roccia forma una massa ben cristallizzata, abbondante di cristalli detti ferro di lancia, e a strati potenti, l’ inclinazione dei quali è volta a X. 10° E. e la direzione è N. 80° 0. Queste masse presentano, specialmente dalla parte della Sintria, inflessioni più o meno sentite e frat- ture profonde: quindi è che sul fianco N.E. del monte sovrain- dicato esistono nel suolo molte depressioni imbutiformi, e può udirsi talvolta rimbombare sotto i piedi la vòlta di qualche ca- vità sotterranea. A Rivola sul fiume Senio, a quattro miglia a monte di Riolo, gli strati del gesso profondamente solcati dal corso del fiume presentano un taglio naturale, nel quale trovasi l’ ingresso alla caverna detta del Re Tiberio. La sezione presenta di basso in alto questa successione di strati : marne sabbiose (miocene medio) ; strati a gesso (miocene superiore) per entro i quali resta aperta la caverna; marne plio- ceniche. La bocca della caverna trovasi a circa 90 metri al di- sopra del livello del fiume, e misura 3™, 20 di larghezza per 2'”, 75 di altezza. La forma assai regolare dell’ apertura, alcune •sporgenze a guisa di gradini sul davanti di essa ed alcuni in- icavi nella parete destra, forse per riporvi utensili domestici, di- — 210 ~ mostrano a sufficienza che ivi l’uomo esercitò l’opera sua. L’an- damento della caverna è serpeggiante e la direzione media di essa coincide con quella degli strati. Ha la lunghezza di 70 metri circa, e verso la fine presenta un improvviso allargamento in forma quasi di cupola gotica con un diametro di lo metri ed un’ altezza assai considerevole. Alcune sorgenti d’ acqua che si manifestano in molti punti dell’ ampia cavità, si perdono poi in profondi crepacci dando luogo a forti corrosioni. Un deposito di ciottoli calcarei di aspetto fluviatile trovasi alla base della parete sinistra della caverna. Queste ed altre considerazioni fanno sospettare che l’ origine della cavità terminale sia do- vuta alle acque scorrenti entro a fenditure avvenute negli strati del gesso; ma per il tratto vicino all’ imbocco e quasi rettan- golare è impossibile non riconoscervi ad evidenza la mano del- r uomo. Le prime ricerche in questa caverna furono eseguite dal Tassinari, quindi dallo Zauli, e furono poscia proseguite dal sena- tore G. Scarabelli, il quale fece scavare in essa un pozzo di circa 3 metri di diametro e 4“, 96 di profondità; a questo punto trovossi lo strato di gesso che formava il piano primitivo della caverna. Lo strato di terriccio attraversato conteneva, oltre il detrito della roccia circostante, carboni, ceneri e guano di pi- pistrelli. Però 1’ uniformità di questo terriccio era interrotta per quattro volte da straterelli di solo carbone e cenere, il primo dei quali alla profondità di 1’“, 75 dalla superficie del suolo, il secondo succedeva alla distanza di 1“, 16, il terzo più basso del secondo di 0“, 35 ed il quarto inferiore al terzo di 1“, 44. In ciascuno di questi piani di terriccio alternati con carboni, la presenza dell’ uomo si scorge luminosamente, e la natura e la forma degli avanzi umani che vi si riscontrano alle diverse pro- fondità sta in perfetta armonia colla civiltà degli abitatori. In- fatti a 0'", 26 dal fondo della escavazione, venendo in alto, furon trovate solo ossa umane; a l*", 70, oggetti in terra cruda o poco cotta non torniti; a 2“, 05, cocci di vasi in terra cotta non tor- niti; a 3“, 20, ossa lavorate, mandibole di animali, cocci di terra cotta torniti, neri; a 4™, 95, frammenti di vasi di maio- lica e residui di fusione, frammenti di bronzo, rame c ferro. L’ esame dei resti umani rinvenuti in questa caverna accenna — 211 ad un progressivo avanzamento di civiltà negli uomini che l’abi- tarono successivamente; e lo spessore del detrito in cui si tro- vano attesta il lungo lasso di tempo per il quale essa dette ri- covero all’ uomo. I residui di fusione che trovansi nel piano più elevato provano che questa caverna servì un tempo di officina metallurgica. Però troppo limitate sono state fino ad oggi le ri- cerche nella caverna del Me Tiberio^ e indubbiamente potrebbe avvantaggiarsi la scienza se queste si estendessero a tutta la sua superficie. VII. Di (deuni nuovi uccelli fossili scoperti recentemente nel Nord- America. (Estratto da una nota del prof. Marsh, inserita nell’ -Imcrfcnn .Journal, New Ilavcn, 187'i.) E poco tempo che nel Kansas Occidentale si rinvemm nel cre- taceo superiore, gran parte dello scheletro di un grande uccello fossile di circa 1“,50 di altezza. Questo importante esemplare, ben- ché sia un vero uccello (come è chiaramente mostrato dalle vertebre e varie altre parti dello scheletro) ditferisce evidentemente da al- cune delle forme conosciute attuali od estinte di tal classe, e presenta nn bell’ esempio di tipo comprensivo : le ossa sono be- nissimo conservate, il femore e molto coi’to, ma l’ altra porzione delle gambe è allungata: le ossa del metatarso sembrano essere state separate. Venne chiamato TIesperornis regalis. Altre specie furono rinvenute nello stesso terreno e sono abbastanza interes- santi come quelle che aggiungono nuove forme alla limitata fauna degli uccelli finora ritrovati nei giacimenti cretacei delle coste dell’ Atlantico. Hesperornis regalis, Marsh. — I resti finora conosciuti consi- stono in una porzione di scheletro includente quasi interamente le membra posteriori, dal femore alle falangi terminali, parte della pelvi, parecchie vertebre cervicali e caudali e numerose costole, il tutto eccellentemente conservato. Il femore è straordinariamente corto e robusto, molto ap- piattito dall’ avanti all’ indietro; esso rassomiglia nella forma al - 212 — femore del Cohjmhus torquatiis, BrUn., ma il gran trocantere è proporzionalmente molto meno sviluppato dall’ avanti all’ indietro e l’asta è molto più appiattita: la tibia è diritta ed allungata, e porta al suo termine un prolungamento moderatamente svi- luppato con un apice ottuso. La cresta epi-cnemiale è promi- nente e seguita fino a metà lunghezza del fusto. La estremità distale della tibia ha nella sua faccia anteriore un rialzo sopra- tendinale non ossificato, differendo per questo rapporto da tutti gli uccelli aquatici conosciuti. La fibula è bene sviluppata e ras- somiglia quella dello Smergo (Diver). L’ osso tarso-metatarsale è transversalmente molto compresso e rassomiglia quello del Cohjnibus : ha nella sua faccia anteriore un solco profondo fra il terzo ed il quarto elemento metatarsale, terminato al suo orlo esterno da una cresta prominente ed arro- tondata che continua fino all’ articolazione del quarto metatar- sale. Questa estremità articolare si prolunga al di là delle altre due essendo di grossezza doppia, mostrando così una marcata differenza dai tipi di uccelli conosciuti recenti o fossili. È in essa un solco poco profondo compreso fra il secondo ed il terzo me- tatarsale in relazione con uno più profondo. Il secondo metatar- sale è molto più corto del terzo o quarto, e la sua parte ter- minale somiglia in forma e grandezza quella del primo. L’ esi- stenza di un’alluce è indicata da un’ addentellatura ovale allun- gata sul margine interno della faccia articolare del secondo metatarsale; le estremità libere del metatarsale hanno la stessa disposizione obliqua particolare alle ColymhicJce per facilitare il movimento del piede nell’ acqua. .Mancano sì canali che solchi per i tendini nella faccia posteriore della estremità prossimale come negli Smerghi e molti altri uccelli: ma sotto questa è una depressione larga e poco profonda che si estende fino a più della metà della estremità distale. Le falangi del dito grosso sono affatto speciali, benché un rav- vicinamento a questa struttura si noti nel genere Podiccps; nel margine inferiore esterno infatti esse sono profondamente inca- vate. La prima, seconda e terza hanno alla loro estremità distale una faccia articolare obliqua sulla metà interna della estremità, e la parte esterna è prodotta da un prolungamento ottuso che entra nella corrispondente cavità della falange seguente. 21B — Questa particolare articolazione non permette la flessione che in una direzione c accresce grandemente la rigidezza delle giun- ture; la falange terminale di questo dito è molto compressa. Il dito medio o terzo è di molto inferiore in grandezza al quarto ed ha le falangi compresse essenzialmente simili a quelle del moderno Smergo. ^Mancano in questo esemplare le falangi del primo e secondo dito. Parti della pelvi trovate cogli arti posteriori in tre esem- plari, mostrano che l’illio non era fermamente saldato alle ver- tebre sacre ; l’ acetabolo era coperto da un grosso strato di cartilagini come nello Aptcrix e nel suo margine superiore i prolungamenti anteriore e posteriore dell’ illio erano sconnessi, se esistevano ambedue, od inossificati alla loro unione. Le ver- tebre caudali sono numerose, ma non molto più numeroso che negli uccelli moderni : disgraziatamente non si è trovata alcuna traccia del cranio; iLfemore e la tibia hanno pareti spesse e compatte. Dimensioni Lunghezza del femore diritto Millim. 98, 0 Diametro transversalo della estremità prossimale 53, 0 Id. del capo articolare 18, 5 Id. transversale dell’ asta al mezzo 22, 0 Id. antero-posteriore 19, 2 Id. transversale della estremità distale 53, 5 Lunghezza della tibia diritta 316,0 Diametro transversale dell’ articolazione prossimale. ... 38, 0 Lunghezza del prolungamento cnemiale 22,0 Diametro transversale del fusto al mezzo 29, 0 Id. della estremità distale 32, 0 Estensione dall’ avanti all’ indietro del condilo esterno. . 32,0 Id. id. del condilo interno. . 22,0 Lunghezza del tarso metatarsale diritto 137,0 Id. alla estremità distale del terzo metatarsale. . 130,0 Id. id. del secondo metatarsale. 116,0 Diametro transversale dell’ articolazione prossimale .... 36,0 ÌNIinimo diametro transversale dell’asta 15,0 Diametro transversale della estremità distale del quarto metatarsale 16, 0 — 214 — Dimensioni Diametro transversale del terzo metatarsale. . . Millim. 8, 5 Id. del secondo metatarsale 8, 0 Lunghezza della falange prossimale del quarto dito ... 45, 0 Id. della seconda falange 39, 5 Id. della terza falange 40, 0 Id. della falange prossimale del terzo dito .... 41,0 Preso come termine di comparazione il grande Smergo del Nord {Colìjmhiis torquatus, Brììn.) per le porzioni mancanti, lo scheletro dell’ Hesperornis regalis misurerebbe circa 1“, 80 dalla punta del becco fino all’ estremità delle dita. Benché molto af- fine alle Colymbicìce, esso differisce da tal gruppo per la strut- tura della pelvi e degli arti posteriori, e vuol esser messo in una famiglia separata che fu chiamata delle Hesperornidce. Tutti i resti di questa specie vennero trovati nel cretaceo superiore, presso Smoky Hill Ptiver nel Kansas Occidentale. Graculavus veìox, Marsh. — Fra i resti di vertebrati del Museo Yale, provenienti dalle sabbie verdi del cretaceo di New- Jersey, vi sono alcuni frammenti degli scheletri di due uccelli aquatici appartenenti in apparenza allo stesso genere ma a specie di- stinte. Ambedue differiscono da alcuni uccelli attuali ma sono evidentemente molto affini ai Cormorani. Il più grosso di questi uccelli, cui fu dato il nome specifico suindicato, è rappresentato dalla metà prossimale dell’ omero sinistro in perfetta conserva- zione. Nelle sue forme generali quest’ omero somiglia quello del Cormorano comune (Gracnlus cario, Linn.). Il processo articolare è molto più compresso transversabnente, la sua punta è più pro- minente, e il suo margine anconiale è fortemente inflesso. La cresta mediana, sul lato anconiale sotto il capo, è arrotondata, e la cresta ulnare è molto meno prolungata. Dimensioni Mass. diam. della estremità prossimale dell’ omero . Millim. 23, 8 Diametro verticale del capo articolare 13,0 Id. transversale G, 0 Estensione prossimale del capo al di là della cresta ulnare. 4, G Minimo diametro dell’asta sotto l’estremità prossimale . G, 0 Gli esemplari di questa specie furono trovati nel New-Jersey, a Ilornerstown nelle sabbie verdi del cretaceo superiore. — 215 — Graculavus puniilus, Marsh. — La specie presente, di forse un terzo maggiore in grandezza della precedente, è rappresentata dalla estremità prossimale di un omero e da altri avanzi carat- teristici. Il capo articolare in questo esemplare è equabilmente compresso e mostra la stessa punta prominente, ma è privo di deflessione anconiale che distingue le specie maggiori. La metà inferiore del capo è stretta transversalmente e separata dal tro- cantere interno da una larga intaccatura. La cresta mediana, inoltre, sulla faccia anconiale è molto più acuta. Diniensioiii Mass. diam. della estremità prossimale dell’ omero . Millim. 13,2 Diametro verticale del capo articolare 8, 0 Id. transversale 4, 0 Minimo diametro dell’asta sotto la estremità prossimale . 3,1 lUassimo diametro del metacarpale alla estremità distale. 5, 5 ^linimo diametro id. id. 3, 8 Questi resti provengono dalla stessa località e dallo stesso orizzonte geologico dei precedenti. Graculavus anceps, Marsh. — Gli unici resti di questo uccello fossile consistono nella estremità distale del metacarpale sinistro, parte benissimo conservata c caratteristica dello scheletro, e che fa riguardare tale uccello come prossimamente affine ai Cormo- rani. L’ esemplare indica una specie della grandezza del Cormo- rano verde-violetto (Graculiis viólaceus, Gray) delle coste del Pacifico, ed è un poco più grande del Graculavus vclox sopra descritto. Dift'erisce essenzialmente dal metacarpale di questo, avendo la faccia articolare esterna più larga ed appiattita e la faccia interna considerevolmente più piccola e di contorno ovale con un tubercolo molto più prominente. Dimeiisioui IMassiino diametro della estremità distale Millim. 6, 8 Minimo diametro id. 5, 0 Diametro transversale della faccia articolare esterna. ... 5, 0 Id. verticale 2,2 Questo esemplare fu rinvenuto nel cretaceo superiore del Kansas Occidentale. — 216 Palaeofringa vagans, Marsh. — È questo un nuovo uccello aquatico scoperto nelle sabbie verdi di New-Jersey. L’ esemplare consta della maggior parte dell’asta ed estremità distale della tibia sinistra, alquanto deteriorata, ma con le porzioni caratteristiche ancora conservate. Essa indica un uccello un poco più piccolo del Palaeotringa littoralis; il presente esemplare si distingue dalla tibia di detta specie per il canale tendinale proporzionalmente più stretto e schiacciato sulla faccia anteriore della fine distale, e per un rialzo sopratendinale più depresso. La superficie trocleare inoltre sui fianchi posteriori si restringe più rapidamente, ed al suo margine superiore si confonde direttamente e dolcemente coir asta. Dimensioni Lunghezza della porzione conservata Millim. 62, 0 Larghezza approssimata dei condili, di fronte 8, 0 Id. del rialzo al centro 2, 2 Diametro transversale dell’ apertura inferiore 1, 5 Id. del fusto dove è rotto 5, 0 Diametro antero -posteriore 4, 0 Fu ritrovato questo unico esemplare a Hornerstown, New- Jersey. Aquila Danamts, Marsh. — Non se ne conosce che la parte distale della tibia sinistra : l’ esemplare mostra all’ estremità un particolare schiacciamento dall’ avanti all’ indietro. Si distingue agevolmente dall’ Aquila Canadensis, Gay, per le superficie tro- cleari posteriori-inferiori meno concave e per un più prominente tubercolo al centro della superficie ento-condiloide. Fu scoperta nel pliocene del Loup Fork River. Dimensioni Ampiezza dei condili di fronte Millim. 18,0 Diametro antero-posteriore del condilo interno 11,6 Id. fra i condili 7, 3 Estensione transversale dell’ uscita del canale dopo il rialzo. 4, 5 Meleagris antiquus, Marsh. — Questo grande uccello gallinaceo appartiene ai depositi lacustri miocenici all’ Est delle Montagne Rocciose ; fra i resti di esso vi è una terminazione distale del- r omero destro, che coincide in qualche parte con quello del il/e- — 217 — leagris gallopavo, Linn., mancandovi però la larga cresta longi- tudinale alla superficie interna della estremità distale opposta al condilo radiale. Dimensioni Massimo diametro dell’ omero alla estremità distale. Millim. 26, 4 Diametro transversale del condilo ulnare 7, 5 Id. verticale del medesimo 9, 0 Id. transversale del condilo radiale 9,4 È stato trovato nell’ argilla miocenica del Colorado del Nord. Bnl)o leptosteus, Maesh. — È stato determinato dalla metà di- stale di una tibia sinistra e mostra che questa, intera, constava di un osso sottile e diritto molto compresso nella direzione an- tere-posteriore alla estremità distale, e con proporzioni simili a quelle della famiglia delle Strigidcc. Questo fossile era in gran- dezza circa i due terzi del Btibo Virgiuianus, Don., e fu ritro- vato presso il forte Bridger nel Wyoming. Dimensioni Lunghezza della parte di tibia conservata .... Millim. 33. 9 Ampiezza dei condili in fronte 14.3 Diametro transversale anteriore del condilo interno .... 5. 5 Id. id. del condilo esterno .... 3. 9 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. A. D’ Achiakdi. — Mineralogia della Toscana. Voi. I. — Pisa, 1872. L’ egregio Autore di quest’ opera, già noto per molti inte- ressanti lavori che riguardano specialmente la Toscana, si è pro- posto di riempire una lacuna esistente su questo argomento ; ed il volume testò pubblicato è il risultato dei suoi lunghi e pa- zienti studii diretti alla conoscenza, sotto ogni aspetto completa, delle principali specie minerali della Toscana. Argomento essenziale del suo lavoro furono i minerali delle provincie di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa- Ducale, Pisa e Siena, posseduti dal INIuseo di Pisa. 15 — 218 — Le forme cristalline furono dall’ egregio Autore determinate con tal cura da essere in grado di rettificare inesattezze ed er- rori in cui antecedenti osservatori erano caduti : quanto alla notazione cristallografica, ha prescelto il sistema del Miller e del Wliewell seguito anche in Italia dal Sella e dallo Striiver. Quanto all’ ordine sistematico della parte descrittiva del suo lavoro, si è l’ Autore attenuto agl’ insegnamenti della Chimica moderna, tenendo grandissimo conto dell’ equivalenza atomica : in ciò che riguarda le formule, egli ha per ciascuna fatto il com- puto delle varie analisi, senza, come si fa di ordinario, ritenere per esatto tutto ciò che viene dagli altri asserito, e la sua clas- sazione è fondata sulla maggiore o minore elettronegatività dei corpi componenti i minerali. I gruppi in cui ò divisa la serie dei minerali di Toscana sono due : Corpi semplici, divisi a loro volta in Metalloidi e Me- talli, e Corpi composti, suddivisi in Minerali a elemento elettro- negativo monoatomico, come Cloruri e Fluoruri, e Minerali a ele- mento elettronegativo biatomico, come Ossidi ed Ossisali. Fra le accuratissime determinazioni goniometriche delle forme cristalline basti fra le altre citare quelle dei cristalli di Quarzo del Bottino, presso Serravezza, quelle del Quarzo dell’ Elba, le 40 forme cristalline del Quarzo di Carrara in cui i valori degli angoli direttamente misurati dall’ Autore sono confrontati con quelli calcolati da Des-Cloizeaux ; la determinazione dei cristalli di Ematite dell’ Elba, ec. In una parola, questa importantissima opera contribuisce ef- ficacemente a dare una conoscenza il più che si possa completa della ricchezza mineraria di Toscana, e desideriamo per l’inte- resse della scienza che 1’ egregio Dottore di Pisa possa portare sollecitamente a compimento il suo lavoro, augurandoci che egli abbia a trovare in Italia molti imitatori. — 219 — Le Nodosane fossili nel terreno suhapennino italiano e vi- venti nei mari d’ Italia. Monografia del Prof. OilAZiO Silvestri. — Catania, 1872. Con questa pubblicazione, sulla quale richiamiamo V atten- zione (lei lettori del nostro Bollettino e più particolarmente quella dei cultori della paleontologia italiana, il prof. Silvestri intende di dar principio ad una serie di monografie che com- prendano la illustrazione dei vari generi che compongono la intera classe dei Rizopodi. In questa maniera, mercè gli stndii del prof. Silvestri, gli Italiani continueranno ad avere il merito di aver recato il maggior contributo alla conoscenza di esseri tanto belli, tanto copiosi e tanto interessanti come sono i Ri- zopodi, che abbondantemente ritrovansi nelle formazioni dei pe- riodi geologici passati e nei mari attuali. Infatti cominciando dal principio del secolo scorso, allorcliè il dotto fisico bolognese dacobo Beccar!, pel primo scuoprì nelle sabbie gialle del terreno subapennino presso Bologna, e fece conoscere ai naturalisti, quei minuti ed eleganti organismi, noi vediamo la serie continuarsi coi nomi di Jano Planco (Giovanni Bianchi), di Gualtieri, di Gnianni, di Bartalini, di Soldani, di Michclotti, di Sismonda, di Costa, di Segnenza, ai quali va aggiunto ora quello del Silvestri, che giovandosi degli studi! dei suoi predecessori e completando le pubblicazioni a cui ha posto mano, faivà chiara testimonianza di quanto geologia e paleontologia debbano ai naturalisti Italiani. La Monografia delle Nodosaric fossili nel terreno subapen- nino Italiano, e viventi nei mari d’ Italia, inserita dal Silvestri negli Atti della Accademia Gioenia di Sciente Naturedi, e stam- pata a parte coi tipi nitidi ed eleganti del Galatola di Catania, contiene in 108 pagine di testo ed in 11 bellissime tavole lito- grafiche, la descrizione di 23 specie di Nodosaria, delle quali 11 tuttora viventi. È da notarsi che tutte le specie viventi fu- rono rinvenute fossili, mentre 12 specie fossili finora non si incontrarono allo stato vivente. Le fossili studiate con ogni cura dal Silvestri provengono dalle formazioni plioceniche dei due fianchi dell’ Apennino e della Sicilia : le viventi dai fanghi e dai minuti detriti dell’ xVdriatico, del Tirreno e dell’ Jonio. — 220 — Quanta confusione regnasse intorno a questo soggetto, con quanta poca critica i paleontologi avessero esaminato gli avanzi dei Rizopodi, lo si rileverà dall’ apprendere che delle numero- sissime specie di Nodosaria ammesse fin qui come esistenti nel terreno subapennino italiano, a detta del Silvestri 45 debbono sparire dai cataloghi, essendo determinazioni male fondate, men- tre delle 23 specie ascritte al genere dal dotto Professore, 14 ven- gono per la prima volta descritte e disegnate come nuove. Le nuove specie sono le seguenti : N. acute-costata, N. mar- gimdoides, N. proxima, N. pupoides, N. gemina, N. palliata, N. fiisiformis, N. interrupta, N. monilis, N. aspera, N. papil- losa, N. calamus, N. incerta, N. simplex. Il lavoro di epurazione, lo studio coscienzioso intrapreso dal prof. Silvestri per il genere Nodosaria, saranno in breve estesi, vogliamo sperarlo, anche agli altri generi di cui è ricca la classe dei Rizopodi, e ci auguriamo nell’ interesse della scienza e pel decoro del nome Italiano di poter ben presto annunziare la comparsa di altre monografie le quali, ne abbiam fede, con- fermeranno la bella fama che già si è acquistato il dotto pro- fessore di Catania. Sfiidii di Paleontologia Iconografica del Modenese pel prof. Francesco Coppi. — Parte Prima. — Modena, 1872. Benemerito della paleontologia Italiana è il prof. Francesco Coppi, infaticabile indagatore dei fossili pliocenici e miocenici delle colline terziarie modenesi, celebri ormai per la loro dovi- zia in avanzi dei molluschi che vivevano nei mari delle più re- centi età geologiche. Al Catalogo dei molluschi fossili miocenici e pliocenici del 3Iodencse, pubblicato nel 18G9, e nel quale figurano più di 600 specie, il prof. Coppi ha fatto ora succedere gli studii dei quali accenniamo qui sopra il titolo, e che non sono altro che un saggio descrittivo ed iconografico dei modelli interni dei mol- luschi da lui raccolti nella suddetta località. Questo saggio si limita per ora alla sola classe dei Gaste- ropodi, dei quali vengono descritte e figurate 83 specie, ma noi — 221 — vogliamo sperare che l’Autore sarà in grado sollecitamente di compire 1’ opera sua, che riuscirà gradita a tutti i cultori della scienza paleontologica, i quali ben sanno quanta differenza esi- sta fra la forma esterna di una conchiglia ed il suo modello interno. Le descrizioni e le osservazioni critiche sono redatte con molta esattezza, e rivelano nell’ autore una speciale attitudine allo studio che ha intrapreso. Ci duole non poter pronunziare consimili elogi per le tavole litografiche, le quali avrebbero do- vuto costituire la parte più curata di questo saggio. Mentre i disegni sono, meno poche eccezioni, lodevoli per esattezza e ve- rità di contorni, la tiratura e la stampa di essi è così male eseguita, da toglier loro ogni pregio e renderli quasi inutili. A. Delesse. — Les osciìlations des cótes de France. Paris 1872. È cosa ormai ammessa da tutti che le coste sono soggette ad oscillazioni lente e molto complesse, per cui esse ora tendono ad emergere ed ora ad inabissarsi nel mare. Tali oscillazioni che ora sono affatto locali, ora si estendono su di una grande su- perficie, possono essere facilmente constatate. Allorché le coste s’ innalzano, appariscono naturalmente i depositi marini attuali, (ammassi di conchiglie, tufi, sabbie ec.), quando invece esse si abbassano, le acque marine vengono a coprire i depositi terre- stri e lacustri e talora anche edifizii che una volta sorgevano in riva al mare. Talvolta riesce cosa difficile il distinguere se T inabissamento avvenne per semplice erosione del mare o per un vero abbassa- mento delle coste. Ecco quali sono le oscillazioni meglio constatate sulle coste della Francia. Imialzamenti. — Fra le coste della Francia che emersero dopo r epoca attuale, si può citare nel Mediterraneo : Grimaldi presso Montone, dove si trovano le perforazioni delle foladi a più di 25 metri sul livello del mare; Monaco e la penisola del Santo — 222 — Ospizio presso Nizza, ove banchi d’ arenaria marina, contenenti molluschi ancora viventi attualmente, furono sollevati a 20 metri ; Fréjus ed Aigues-Mortes, in altri tempi collocate sulla spiaggia, ne sono attualmente allontanate; il golfo di Fos, sulla spiaggia del quale si trovano degli antichi cordoni littorali. A tale innal- zamento è dovuta certo la decadenza di Narbonne, tanto florida nell’ epoca romana, poiché ad esso viene attribuito l’ interrimento del porto che Narbonne possedeva sulla riva d’ un gran lago al- lora in comunicazione col Mediterraneo. Air Isola dello Stagno di Diana (all’ Est della Corsica) un banco d’ ostriche emerge per 2 metri dal mare. Sulle coste bagnate dall’ Oceano si vedono a Saint-Michel-en- Lherm delle accumulazioni confuse d’ ostriche e di molluschi ma- rini d’ origine assai problematica, che sono alte 10 metri sul mare e distanti 6 chilometri dalla riva. Si verificano pure no- tevoli innalzamenti all’Est di Marans, tra La Rochelle, Angoulin, Chatelaillon e Fouras: e sulla Manica a Boulogne, a Dunkerque, a Gravelines ecc. Ahhassamenti. — Molte depressioni furono osservate in diversi punti del littorale di Francia. Presso Biarritz depositi di legno con argilla si prolungano sotto r Oceano ed accusano un abbassamento della riva e de’ suoi dintorni. Al sud del bacino d’ Arcachon, tronchi d’ albeià ancora in posto furono osservati sotto il livello del mare. Una foresta sotto-marina si estende nella baia di Fresnaye. Ne esistono an- che nell’ ansa di Saint-Aime, a Saint-Pierre-Quilbignon, al Nord di Lesneven, a Rodeven, a Dol, Saint-lMalò, su tutta la costa occidentale del Cotentin e su diversi punti della bassa Normandia. La storia e l’ archeologia possono anche fornirci prove delle oscillazioni e specialmente delle depressioni delle coste francesi. Formazione del passo di Calais. — Si cercò di spiegare per mezzo delle oscillazioni lenti delle coste la rottura dell’ istmo, che altra volta univa la Francia all’ Inghilterra. Difatti le foreste sottomarine che si riscontrano sulle rive della Manica, accusano delle depressioni avvenute sul fondo di questo mare. Pare però che la scomparsa dell’ istmo sia dovuta a terremoti, a dislocamenti subitanei, o meglio ancora all’ erosione del mare, le cui acque in quelle località hanno soventi una straordinaria forza distruttiva. — 223 — Cause delle oscillazioni. — Se si considera l’ insieme delle coste della Francia si vede die dopo l’epoca attuale esse provano delle oscillazioni assai complesse, tanto cliè, mentre si innalzano nel Mediterraneo e nel Nord del Golfo di Guascogna, s’ abbassano invece nella Manica e nel Mare del Nord. Queste lente oscillazioni delle coste, sono attribuite ai movi- menti che la scorza terrestre subisce sotto l’ influenza del calore interno. Difatti i terremoti e in genere la vulcanicitcà produce spesso dei veri dislivelli. Queste elevazioni e depressioni sono piuttosto locali che generali, e spesso si succedono sopra una stessa spiaggia a brevi distanze; e però sembrerebbe più con- sentaneo all’ Autore di attribuirne la causa all’ accumulazione dei sedimenti e sovratutto all’ erosione del mare sulle coste stesse. Difatti coir accumularsi dei sedimenti sul fondo del mare s’ au- menta la compressione sul fondo medesimo, ed è naturale che esso tenda ad abbassarsi; e questo effetto sarà tanto più mar- cato, quando il fondo sarà formato di rocce più plastiche e so- pratutto di rocce argillose. E siccome i sedimenti sono ripartiti inegualmente, così la depressione in un punto può essere accom- pagnata dall’ innalzamento in un punto vicino. Di più, per l’erosione l’acqua penetra dentro le coste, ne im- pregna le rocce, epperciò ne aumenta il volume e ne disturba naturalmente 1’ equilibrio. L’ Autore ha corredato la sua breve memoria d’ una impor- tantissima Carta alla scala di ’/i.ooo.ooo nella quale ha indicate tutte le oscillazioni meglio constatate sulle coste della Francia. La Carta fa pure conoscere a colpo d’ occhio, a mezzo di tinte graduate, la distribuzione delle pioggie sul continente francese; dà il ri- lievo col metodo delle curve orizzontali del fondo del mare che bagna la Francia, e ci offre la ripartizione degli animali inver- tebrati (ostriche, echinodermi, foraminiferi, briozoari ec.) che popolano il fondo marino. Da ultimo questa Carta indica approssimativamente la propor- zione di carbonato di calce esistente nei depositi littorali, pro- porzione che dipende sovratutto da quella degli invertebrati marini viventi nelle vicinanze. — 224 — } NOTIZIE DIVERSE. Sulla variazione della gravità in Russia. — Essendo stato misurato in Russia con tutta la precisione dei metodi moderni un grande arco di meridiano, è interessante l’esaminare le variazioni della intensità della gravità nelle regioni da quest’ arco traver- sate, e paragonare il processo di queste variazioni con quelle os- servate nella direzione in parecchie stazioni con operazioni geo- detiche ed astronomiche. L’ Accademia delle Scienze di Pietro- burgo ha disposto un quadro delle osservazioni del pendolo fatte fra Tornea in Finlandia e Ismail in Moldavia, scegliendo solo quei punti la cui posizione geografica ed altitudine furono de- terminate nella misura del grand’ arco di meridiano. Le os- servazioni fra Tornea e Pietroburgo furono fatte nell’ estate del 1865, e quelle fra Pietroburgo e Ismail nel 1866 e 1868. A Pietroburgo la lunghezza del pendolo a secondi data dal- r osservazione diretta è di 994,8012 millimetri, essendo la lati- tudine 59°, 56', 30": calcolando la stessa lunghezza con adatte formule si è invece trovato 994““, 9769. Analogamente operando si è trovata coll’ osservazione diretta e col calcolo la lunghezza del pendolo per le altre località, e si sono ottenuti risultati molto prossimi in ambedue i modi, aven- dosi per somma degli errori positivi 0““, 0992, e per quella degli errori negativi — 0““, 0954. Riguardo ai singoli errori, essi dipendono sì da errori d’ osservazione che da anomalie nell’ in- tensità della gravità terrestre, ma è ben difficile scuoprire tali anomalie o le’ cause locali che le producono. Nella determinazione dell’ arco di meridiano fra il Danubio e il Mare Artico, le differenze fra le latitudini dedotte da osser- vazioni astronomiche e quelle date dalla geodesia, non sono che di l", 75; però tali differenze non sono così grandi come quelle trovate in altre contrade. Per questo riguardo interessantissime sono le differenze nella latitudine osservate nella triangolazione intorno a Mosca eseguita per cura dello Stato Maggiore Russo. Fu in questa triangolazione — 225 — fissata la latitudine della torre di Iwan AVeliki nell’ interno di T^Iosca a 55°, 44', 51", 56, e furono astronomicamente determi- nate le latitudini di altri 7 punti; da queste fu 'possibile, per mezzo dei triangoli e delle formule relative agli elementi dello sferoide terrestre, dedurre altrettanti valori per la latitudine di Mosca; ma invece di trovare la coincidenza fra la latitudine astronomica di questo punto e quelle dedotte geodeticamente dai sette punti suddetti, fu trovata una differenza quasi costante che oscilla attoimo a 11", 30. Tal differenza è così grande che non può attribuirsi ad errori d’ osservazione, ma che accenna a er- rori nella triangolazione od a qualche causa ignota perturbatrice. Simili risultati si trovarono per punti appartenenti ad altre triangolazioni come quella di Twer e Xowogorod: da tre punti di questa si deduce, con processo analogo a quello usato per INIosca, una latitudine geodetica maggiore in media di 10", 1 della . astronomica. Tale differenza in più si osservò anche per latitudini dello stesso luogo dedotte da quelle di altri punti, come Smo- lensk e Pietroburgo. Sono degne di attenzione la costanza e la grandezza del valore di tali differenze, specialmente di quelle date dai sette punti attorno a Mosca già indicati ; esse mostrano che, qualunque sia la causa che per Mosca produce tali anomalie, essa cessa di agire per i sette punti suddetti. Si è provato non dipendere ciò da errori d’ osservazione, quindi la causa va ri- cercata altrove, ed è d’ uopo ricorrere prima all’ esistenza di una forte attrazione locale, fenomeno strano e singolare in un paese piano e poco accidentato come quello in questione: dai risultati delle esatte osservazioni dirette allo studio di tal fatto, fu de- dotto esistere una zona, che fu chiamata e:oììci centrale, nella quale le differenze fra la latitudine astronomica e la geodetica sono nulle : a N. di questa zona tutte le differenze sono posi- tive, a S. sono negative. A partire dalla zona centrale le difle- i-enze crescono rapidamente nei due casi fino a 8", raggiunto il qual limite il valore assoluto di queste differenze decresce a N. per diventar nullo a 40 chilometri circa dalla zona suddetta. I luoghi del massimo positivo hanno in media una latitudine di 55°, 45', O"; quelli del massimo negativo di 55°, 31', 0: e poi- ché il massimo delle deviazioni è a X. di -f- 7", 5, e a S. di 8, così per un arco meridiano di 786" si ha una devia- zione totale straordinaria del filo a piombo dalla normale di ^ circa 17". La sede della causa di questa deviazione va natural- mente cercata nella zona intermedia fra quelle dei massimi po- sitivi e dei negativi sotto il meridiano di Mosca a 55°, 38', 4" lat. : però questo paese non presenta alla superficie grandi eie- ^ vazioni nè grandi depressioni di terreno che possano darci ra- gione del fatto; quindi la causa deve esistere negli strati sot- toposti, e di più consistere in un eccesso o difetto di massa nel- r interno della terra. Quantunque siasi concluso che la causa perturbatrice derivi da difetto di massa, pure la questione non può dirsi interamente risoluta. I fenomeni suesposti hanno grande analogia coi fatti osser- vati fra Milano e Parma, i quali dovrebbero essere nello stesso modo studiati, osservando però che colle sole ricerche geodeti- che ed astronomiche non si giungerà alla soluzione del problema, ove questo non si studii anche sotto il punto di vista geologico. Altre amomalie furono osservate pure vicino a Mosca nella direzione dell’ ago magnetico, anomalie che forse, bene studiate, ;| varranno ad illuminare il problema così complesso delle attra-, |i zioni locali. j t Le Correnti marine. — La già espressa P opinione che le j correnti marine, il Gulf-Stream compreso, fossero dovute al- r azione dei venti alisei; però scandagli profondi mostrarono che r oceano è solcato da tali correnti fino presso il suo fondo e se ! f ne concluse che P azione superficiale dei venti non era causa ade- ' guata a tal movimento. Togliamo da un’elaborata memoria del : dottor Charpenter* le seguenti conclusioni. Una cii’colazione verticale è mantenuta nello stretto di Gi- bilterra. dall’ eccesso di evaporazione nel Mediterraneo sopra la quantità dell’ acqua dolce che immette nel suo bacino, che allo stesso tempo abbassa di livello e cresce di densità. Cosicché la corrente superficiale diretta all’ interno di acqua salata che * ristabilisce la uguaglianza di livello (eccedendo per la quantità i di sale che contiene il peso di acqua dolce scomparsa per • ‘ On thè GibraUar Current, thè Guìf'-Slrcam a»d ihc generai Oceanie i Circulation. ' — 227 — evaporazione) disturba 1’ equilibrio e produce una corrente pro- fonda air esterno, che alla sua volta abbassa il livello del Medi- terraneo. Lo stesso caso può considerarsi accadere nello stretto I di Bab-el-Mandeb in riguardo al Mar Rosso. Una circolazione verticale è mantenuta nel Sound del Baltico da un eccesso nell’ afflusso dell’ accpia dolce entro detto mare : esso allo stesso tempo ne incdza il livello e ne diminuisce la talché produce una corrente superfìcicde diretta all’ esterno; ma essendo il Baltico meno denso del mare esterno, una fonda corrente cdV indentro viene a ristabilire V equilibrio. Lo stesso caso accade anche per il Bosforo e per i Dardanelli. Una circolazione verticale può, secondo gli stessi principii, esser mantenuta fra le acque equatoriali e polari per la ditìe- renza delle loro temperature, venendo il livello delle acque po- lari diminuito, ed aumentata la loro densità, pel freddo super- ficiale cui esse sono sottoposte, il che produce un moto d’ alto in basso impartito ad ogni strato successivamente ad esso espo- sto ; essendo il livello dello acque equatoriali inalzato e dimi- ) nuita la loro densità pel calore superficiale cui sono esposte (la prima di queste azioni è di gran lunga la più potente, esten- idendo la sua influenza alla intera profondità dell’ acqua, mentre la seconda si limita allo strato superficialé). Così un movimento sarebbe impartito allo strato superiore dell’ acque oceaniche dal- r equatore verso i poli, mentre un movimento inverso viene dato allo strato più profondo dai poli verso 1’ equatore. Da tal circolazione verticede nella massa delle acque oceani- che evidentemente si scorge, da un dato movimento, verso il Nord dello strato superiore, di parecchie centinaia di metri di pro- fondità, che reca la temperatura delle zone più calde nelle re- gioni Artiche; d’altra parte è evidente esistere presso il fondo del mare una temperatura di pochi gradi superiore a quella del- l’acqua che si congela, il che non può spiegarsi che per l’azione di una corrente dai poli verso 1’ equatore. Quindi, sotto circo- stanze speciali, una gran quantità di freddo è portata dalle cor- renti glaciali nella zona temperata. Segue dalle cose precedenti, che la circolazione oceanica ver- ticale è di un grande effetto nel moderare 1’ estremo freddo delle regioni artiche ; l’ acqua che vi è diretta non è portata dal — 223 — Giilf-Stream, essendo che lo spazio in cui agisce questa cor- rente è di una temperatura media poco superiore alla normale: d’ altra parte il Gidf-Stream forma parte di una circolazione superficiale od orizzontale nel Nord dell’ Atlantico, di cui i venti alisei sono il primo movente e gran parte di questa corrente torna direttamente nella Corrente equatoriale. Però, secondo teorie da lungo tempo ammesse, il Gulf-Stream e tutte le altre correnti, fanno parte di un sistema generale modificato dalla prossimità dei continenti, e V azione dei venti etesii in ogni caso non dà loro origine, benché possa servire come mezzo di accelerazione. D’ altra parte le conclusioni del dottor Charpenter sono sostenute da fatti relativi alla tem- peratura dell’ Oceano osservata nel corso delle spedizioni d’ esplo- razione, e da altri fatti di varia natura esposti in una Carta isotermica preparata allo scopo di illustrare la distribuzione geo- grafica della vita nelle acque marine. Analisi di alcune rocce ed altri materiali pescati nel Gulf-Streani. — Le sostanze analizzate consistono in alcuni esemplari di ossa, rocce, fanghi e coralli raccolti nel letto del Guìf-Stream fra la Florida e Cuba. L’osso fu riconosciuto per compa- razione come un pezzo di costola di un Lamantino, e fu analizzato pel primo; era esso di colore molto cupo, e quasi del tutto privo di materia organica, benché mostrasse distintamente tracce di strut- tura fibrosa. Era molto più duro e più denso di un osso recente. Fu pescato il 9 maggio 1868 a circa 200 metri di profondità. A lato dell’ analisi di questo è collocata l’ analisi di un osso recente, calcolata anche come se questo fosse privo di sostanze organiche. Osso antico. Osso recente. Id. privo di Peso specifico 1 . 2, 83 2, 07 sost. org. Fosfato di calce . 62,40 58, 16 92, 79 Fosfato di ferro . 7, 60 • • • • • • • • Carbonato di calce . . . . 26,47 4, 52 7, 21 Silice . 0, 34 • • • • • • • • Acqua e sost. organiche . 2, 67 36, 69 .... 99, 48 99, 37 100, 00 229 — Il secondo esemplare era una dura roccia colorata in bruno pescata a Sand-Ivcy (Florida) a circa 100 metri, essa pure quasi libera da sostanze organiche. Il terzo esemplare conteneva più del precedente di materia organica, era frammischiato a conchiglie e coralli in frammenti, e sembrava di più recente formazione: venne pescato a circa 230 metri. Consisteva il quarto in una roccia sciolta di fram- menti di corallo apparentemente cementati dal carbonato di calce : era quasi bianca e conteneva poca materia organica e solo tracce di ferro: fu raccolta alla profondità di circa 360 metri. Il fango somiglia nei caratteri esterni a quello dell’ Atlantico, ma ne dif- ferisce essendo quasi privo di silice e di ossido di ferro. 2 3 4 Faiij Peso specifico .....* 2, 81 2, 79 0 •^9 61 Carbonato di calce . . 36, 50 47, 11 96, 96 85, 62 Fosfato di calce .... 35, 54 13, 15 1, 20 0, 18 Silice 0, 40 1, 92 2, 12 1, 52 Sesquioss. di ferro. . . 14, 77 20, 23 • • • • 0, 31 Carbonato di magnesia. 10, 56 12, 39 • • • • 4, 26 Acqua e sost. organiche 1,46 5, 89 • • • - 8, 15 99, 32 100, 69 100, 28 100, 04 Queste analisi sono interessanti sotto parecchi punti di vista : nel caso dell’ osso si osserva la sostituzione del carbonato di calce al fosfato : l’ ammontare della quantità di calce è diminuito, mentre il ferro che esisteva solo in tracce nell’ osso originale, vi si trova in quantità considerevole. La sostituzione suddetta potrebbe spiegarsi per 1’ azione del carbonato ammonico che si forma nella decomposizione della gelatina dell’ osso ; esso decom- pone il fosfato calcico più o meno completamente dando luogo al carbonato di calce. Riguardo alla quantità di ferro, è difficile dirne la provenienza non avendo dati sull’ ammontare di questa sostanza nelle acque del Golfo del Messico e del GuJf-Stream. L’ analisi della roccia N. 2 dà pure un esempio di tal sosti- tuzione essendo la quantità d’ acido fosforico molto ridotta per r azione dissolvente della materia organica e del carbonato ammonico. La roccia N. 3 ha in alcune parti la stessa composizione — 230 — della precedente, e deriva da frammenti d’ ossa, di conchiglie e coralli. Il ferro sembra in questo caso avere in gran parte ser- vito come cemento. Il N. 4 è più recente e consta quasi inte- ramente di frammenti di conchiglie e coralli ; la magnesia dei N. 2 e 3 deriva evidentemente dalle acque del mare e sosti- tuisce parte della calce. Tutti questi esemplari vennero scelti fra un gran numero, come i più caratteristici dei differenti depositi messi in luce con gli scandagli, e possono avere relazione molto stretta coi giaci- menti ossiferi della Carolina del Sud. Ferri meteorici trovati in Oroeiilaiiclia ed in America. — Una spedizione scientifica svedese, tornando V anno passato dalle coste della Groenlandia, ha portato seco una quantità di ammassi di ferro meteorico trovati alla superficie del suolo. Queste masse sono di diverse grandezze : la più grossa dicesi pesare 25 tonnellate. Anche la spedizione di quest’anno ha por- tati seco più di venti esemplari, due fra i quali di enorme grandezza; il più grosso che pesa circa 21,000 chilogrammi, colla sezione massima di circa 4. 50 metri quadrati, è ora col- locato presso la Reale Accademia di Stocolma ; mentre V altro è stato presentato al Museo di Copenaghen. Parecchi di tali esemplari furono sottoposti all’analisi chimica che vi trovò circa il 5 7o di nichelio, con 1 a 2 °/o di carbonio, dimostrandoli così identici per composizione con parecchi aeroliti di nota origine meteorica. Levigando e bagnando con un acido uno di tali pezzi, la superficie di queste masse di ferro metallico mostra i ben conosciuti segni ordinariamente considerati come caratteri- stici del ferro nativo meteorico. Le masse stesse furono scoperte giacenti in prossimità del lido e riposanti immediatamente su rocce basaltiche (probabilmente mioceniche), in cui esse sembrano essere state in origine incassate; e non solo frammenti di simil ferro sono stati trovati riuniti nel basalto, ma il basalto stesso si è trovato contenere minute particelle di ferro metallico, iden- tico in composizione chimica con quello delle grandi masse medesime, alcune delle quali racchiudono anche frammenti di basalto. Siccome la composizione chimica e i caratteri minera- logici di queste masse di ferro nativo difteriscono essenzialmente da quelli dei ferri d’ origine terrestre, e sono d’ altronde identici con quelli del ferro indubbiamente meteorico, furono esse riguar- date come aeroliti, e si spiegò la loro presenza nel basalto sup- ponendo che esse provenissero da uno sfacelo delle meteoriti ca- dute e incastratesi in detta roccia durante un’eruzione del periodo miocenico. Nonostante che tali masse di ferro meteorico sieno state trovate sul lido esposte al flusso e riflusso della marea, si è provato dopo il loro trasporto a Stocolma, che esse deperiscono con straordinaria rapidità, stritolandosi e cadendo presto in finis- sima polvere. L’ espediente di cuoprirle con uno strato di ver- nice venne trovato insufficiente a preservarle ed ora si pensa a conservarle immergendole in una vasca di alcool. Anche il Museo Britannico già possedeva un esemplare di questo ferro nativo, e fu attribuita la sua pronta distruzione all’ assorbimento di cloruri di origine terrestre promuoventi la formazione del cloruro di ferro : questo fu particolamente osservato nel caso della gran meteorite di Melbourne, conservata nel Museo Britannico, la quale venne protetta col rivestirla esternamente, previo dolce riscaldamento, di una vernice composta di resina disciolta in alcool quasi assoluto. Un’ altra massa di simile ferro meteorico è stata ultimamente trovata nella contea di E1 Dorado in California; questa massa viene descritta come avente la forma e la grossezza di una te- sta d’ uomo. Essa venne trovata in un campo e, come di solito, venne da principio portata in una bottega di maniscalco dove fu trovata difficile a lavorarsi e cadde, fortunatamente, in seguito nelle mani di uno scienziato : la sua superficie possiede le in- taccature particolari a simili corpi e la crosta e parzialmente ossidata. Essa pesa 29 chilogrammi circa ed ha un peso specifico poco minore di 7. 80; i frammenti esaminati sono scevri da qual- siasi traccia di solfo ed un’ analisi sopra un grammo di materia ha fornito i seguenti risultati: Ferro 88. 02 Nichelio 8. 88 Parte insolubile, consistente in un miscuglio di Fe-0'’ ed FeO con minute particelle di argento 3. 50 100. 40 — 232 — La quantità esaminata era troppo piccola per potervi ricer- care gli altri metalli ordinariamente contenuti nei ferri me- teorici. Alcune considerevoli masse di ferro meteorico del Messico sono note ai viaggiatori da diversi anni ; non si è però fino al 1854 avuta alcuna precisa informazione sopra di esse. Una di queste è ora nello SmitJisoman 3Iusciim a Washington (Stati Uniti), pesa circa 114 chilogrammi eil è descritta wqW ximer. Journ. of Scien., aprile 1854. Esistevano nel Nord del Messico altre due meteoriti ; la prima chiamata Meteorite Tucson è adesso nell’Istituto Smithsoniano e pesa qualche migliaio di chilogrammi ; la seconda è chiamata Ferro di Chihuahua, ed è ancora alla Hacienda de Conception, ove fu scoperta. Altre otto masse simili, provenienti dalla stessa regione del Messico, sono ora a Fila- delfia e variano in peso da 135 a 360 chilogrammi circa. Una meteorite più grande di tutte le precedenti è quella detta Ferro Meteorico di San Gregorio ; questa immensa massa è situata al lato occidentale del Deserto messicano ; essa raggiunge 2 metri nella sua maggior lunghezza, l.“ 60 di altezza e l.“ 20 di gros- sezza alla base ; in una parte della sua superficie è incisa, in- sieme a una iscrizione, la data 1821; giace vicino ad una hacienda ed ha servito per lungo tempo come ferro da fucina. Credesi che sia caduta proprio vicino al luogo ove si trova attualmente, perchè, pel suo peso di circa 5000 chilogrammi non era agevole il trasportarlo lontano. L’ analisi ha fornito la seguente composizione ; Ferro. . . . . ... 95. 01 Nichelio . . .... 4. 22 Cobalto . . .... 0. 51 Rame. . . . tracce Fosforo. . . .... 0. 08 Oltre il ferro di San Gregorio, diverse altre masse furono descritte nel giornale succitato ed in altri, tutte provenienti dal Deserto messicano (o BoJson de Mapini) che occupa la parte oc- cidentale della provincia di Cohahuila e 1’ orientale di quella di Chihuahua, limitate al Nord dal fiume Rio Grande. Sorge naturalmente la questione : qual può essere la causa — 233 — di un tal numero di masse meteoriche in una regione circoscritta, e se ognuna di esse è caduta separatamente. Studii su tale soggetto hanno portato a concludere che esse sono il resultato di due cadute; alcune, che si accordano sia nella composizione che negli altri caratteri, sembrano provenire dalla caduta di una unica meteorite con direzione dal Nord-Est al Sud-Ovest. Tre masse di ferro meteorico della Virginia presentano la stessa apparenza generale : esse avevano una forma irregolare a guisa di pera ; la più grossa era più massiccia e arrotondata die le altre, la intermedia più schiacciata. Le dimensioni delle tre masse erano le seguenti : 1 2 3 Massima lunghezza 28 centiin. 27 Id. largii, alla parte più grossa 21 10 » alla parte più piccola 17 19 Spessore alla parte più grossa. ... 13 13 Id. alla parte più piccola. ... 11 5 11 9 5 8 3 I pesi esatti, avanti che fossero tagliate, erano : N» 1 chilog. 25,429 N» 2 16,441 N» 3 1,644. La loro superficie era rugosa ed irregolare: in alcuni punti che furono sfregati, il ferro presenta il suo splendore metallico e tracce di struttura cristallina ; ma quasi tutta la superficie è coperta di una crosta bruna di ossido di ferro idrato di spes- sore variabile, dura ed aderente. Le meteoriti mostrano chiara- mente una debole potenza magnetica con poli multipli. La gravità specifica a 15° C. era : No 1 No 2 . No 3 7,853 7,855 7,839. La struttura interna era compatta ed eminentemente cristal- lina con sottili fessure traverso parecchie parti della massa. La generale apparenza è grandemente concordante con quella del ferro di Lenarto in Ungheria e cogli esemplari messicani. 16 ~ 234 - Il metallo irrugginisce con gran prestezza sulle superficie tagliate. Seguono i resultati delle analisi chimiche : N» 1 NO 2 No 3 Ferro . . . . 88,706 88,365 89,007 Nichelio. . . 10,163 10,242 9,964 Cobalto . . . 0,396 0,428 0,387 Eame .... 0,003 0,004 0,003 Stagno . . . 0,002 0,002 0,003 Manganese . tracce « • • • tracce Fosforo . . . 0,341 0,362 0,375 Solfo .... 0,019 0,008 0,026 Cloro .... 0,003 0,002 0,004 Carbonio . . 0,172 0,185 0,122 Silice .... 0,067 0,061 0,056 99,872 99,659 99,947 Le località ove le meteoriti suddette furono rinvenute sono le seguenti : N° 1. A circa 8 chilometri al N. di Staunton a 38° 14 lat. N. e 79° 01 long. 0. N° 2. A 2 chilometri circa al S.E. della località precedente. N° 3. Sulla linea che va da N.O. a S.E. traverso i due punti suindicati. I giacimenti i)etroleiferi del Nord- America. — Fu già espressa 1’ opinione che il petrolio fosse un prodotto veramente indigeno delle formazioni calcaree del Cornifero e del Trenton, mentre altri geologi sostennero che la presenza del petrolio in tali calcari fosse dovuta all’ infiltrazione, e che la sua origine dovesse attribuirsi ad un non ancora spiegato processo di distil- lazione degli scisti bituminosi o piroscisti. Questi si presentano in tre distinti orizzonti nel sistema di New-York, e son noti col nome di scisti d’ Etica, immediata- mente superiori al calcare di Trenton, e scisti di Marcello e Ge- nesee disposti sopra e sotto gli scisti di Hamilton ; questi ultimi essendo separati dal sopradetto calcare Cornifero per gli scisti di Marcello. Però in primo luogo questi diversi piroscisti non conten- — 235 — gono, eccetto in qualche rara circostanza, nè petrolio nè altra forma di bitume ; la loro proprietà di sviluppare ad alte tempe- rature per distillazione degli idrocarburi liquidi analoghi al pe- trolio è da essi posseduta in comune col legno, torba, lignite, litantrace e molte sostanze di origine organica, ed è quella che li ha fatti chiamare scisti bituminosi, benché non lo siano nel vero senso della parola, non essendo essi altro che rocce argil- lose contenenti allo stato di miscuglio una materia brunastra, infusibile ed insolubile idrocarbonacea, analoga alla lignite o al litantrace. In secondo luogo i piroscisti delle suddette formazioni, sia superficiali che profonde, non mostrano di aver subito la distil- lazione, conservando essi il loro colore brunastro e dando luogo a sviluppo di idrocarburi volatili quando sieno sottoposti a suf- ficiente calore. D’ altra parte la condizione sotto cui il petrolio si presenta nei calcari, esclude V idea che vi sia stato introdotto per distil- lazione; il processo di distillazione dovrebbe essere avvenuto dal basso in alto, e così il petrolio del Silurico superiore e del De- vonico inferiore dovrebbe provenire dagli scisti d’ Utica sotto- posti, rocce queste che si rinvengono inalterate, mentre poi gli scisti ed arenarie intermedie sono privi di petrolio che dovrebbe, in questa ipotesi, esservi passato a traverso per andare a con- densarsi nei calcari Cornifero e del Niagara. Inoltre le rocce petroleifere sono non solo separate le ime dalle altre da grande spessore di strati porosi privi di petrolio, ma la distribuzione di questa sostanza è localizzata. Da tutti questi fatti sembrerebbe potersi asserire con ragione che il petrolio, o piuttosto le sostanze da cui ebbe origine, esi- stessero in queste rocce calcari fino dall’ epoca della loro depo- sizione, e si è supposto che il petrolio e simili bitumi proven- gano da una particolare trasformazione di sostanze vegetabili o in qualche caso di tessuti animali analoghi ad esse in composizione. Il calcare petroleifero di Chicago, che si estrae vicino a que- sta città, è talmente imbevuto di questa sostanza, che pezzi di esso usati per fabbricare si sono scolorati per le trasudazioni, che poi miste colla polvere formano un intonaco bituminoso sulle superficie esposte. La potenza dei giacimenti oleiferi, che sono - 236 — massicci ed orizzontali è di 11 a 13 metri, ed occupano una posizione nel mezzo della formazione del Niagara che ha in que- ste località una potenza di 60 a 75 metri. Tutta la roccia sem- bra uniformemente saturata di petrolio che trasuda dai piani di giunzione e dalle superficie fratturate, e racchiude piccole sor- genti d’ acqua nelle depressioni della cava ; questa roccia benché porosa e scolorata dal petrolio, quando venga liberata da questa sostanza, consta di una dolomite purissima, quasi bianca, granu- lare e cristallina, contenente il 54. 6 per “/o di carbonato di calce. Eidotti in polvere in un mortaio di ferro varii frammenti di tal roccia oleifera, fu la polvere disciolta a caldo in acido cloridrico diluito; la parte insolubile fu trattata coll’etere, in cui si sciolse lasciando un piccolo residuo : questo fu di 0. 40 per di cui 0. 13 si volatilizzarono pel calore producendo un vapore combustibile di odore bituminoso: il rimanente era silice: la soluzione bruna nell’ etere evaporata, e liberata dall’ acqua pe- sava 1. 537 per 7o di roccia, e consisteva in un olio viscido rosso bruno, che quantunque privo delle sue parti più volatili, conser- vava ancora alquanto odore di petrolio: il peso specifico a 16° C. era di 0. 935, e calcolando il peso specifico della dolomite a 2. 600, il volume del petrolio equivarrebbe a 4. 26 per 7o della roccia : però questo numero è troppo basso, sia perchè la roccia analizzata aveva già perduto una parte d’ olio, sia perchè le parti più vola- tili si sono evaporate nella distillazione. Considerando un’ estensione di questa dolomite di un miglio quadrato e 30 centimetri di altezza, essa conterrebbe secondo i dati precedenti 1,184,832 piedi cubici di petrolio eguali a 221,247 barili di 40 galloni, di litri 151. 40 ognuno, ossia un totale di litri 33,497,511. Prendendo come spessore minimo 11”, noi ab- biamo in ogni miglio quadrato di roccia oleifera circa 7,743,745 barili, ovvero litri 1,169,205,993. La total produzione della gran regione oleifera di Pensilvania è calcolata dal 1860 al 1870 a 28 milioni di barili di petrolio, ossia meno di quel che sia conte- nuto in quattro miglia quadrate del calcare a petrolio di Chicago. Dietro simili fatti sembra potersi dichiarare infondata l’ ipotesi di cercare altrove che nelle rocce suddette 1’ origine del petrolio facendolo provenire per un incognito processo da roccie che sono affatto prive di tale sostanza. -• 237 — 11 petrolio dell’ Isola di Sau Domingo. — Pochi al certo conosceranno una località petroleifera, una delle poche esistenti nelle Indie Occidentali, situata nella Repubblica di San Domingo, a tre miglia circa al Nord della città di Azua, presso una cor- rente chiamata « El agua Jiecìicnte » (acqua puzzolente). La lo- calità richiama singolarmente alla memoria le sorgenti di petrolio della California, non tanto per V esistenza dell’ olio, bitume e gaz, quanto per gli avanzi giacenti confusamente all’ intorno di mac- chine a vapore e ordigni per i pozzi artesiani. La sorgente ha una apparenza quasi stagnante, e trasuda lentamente traverso un deposito ghiaioso. Un piccolissimo spazio circonvicino e co- perto di incrostazioni di bitume; per un mezzo miglio lungo il letto di un torrente quasi perennemente asciutto, la ghiaia e la sabbia sono più o meno cementate da un impuro bitume, tal- volta plastico, spesso duro come l’ asfalto. Le sorgenti e le esca- vazioni all’ intorno contengono dell’ acqua resa bruna per il con- tatto coir olio, ed avente alla superficie una leggiera pellicola di petrolio liquido, verde bruniccio per riflessione e rossastro scuro per trasparenza. Strofinandone una gocciola nel palmo della mano, essa non svanisce così prontamente come 1’ olio della Ca- lifornia e r odore ne è piuttosto fetido. Un tentativo di perforamento fu fatto durante il 18G5 e 1866, nell’ epoca appunto in cui questa industria era in grandissima voga. Gli strumenti ordinarii furono portati sul luogo ed even- tualmente abbandonati; nel pezzo di tubo rimasto fino ad oggi si osserva una piccola accumulazione di olio traverso la quale gorgoglia un gaz inodoro e non infiammabile. A distanza di pochi metri vi ò una depressione, dove si manifestano parecchi sviluppi di gaz e dove non esiste traccia di vegetazione. Questa località vien considerata come specialmente interessante, perchè in tutta la repubblica di Sau Domingo è 1’ unico sito ove si trovino pro- dotti bituminosi e perchè ha somiglianza sotto molti punti di vista colle località analoghe di California non solo, ma eziandio per la sua apparenza e modi di presentarsi colle sorgenti del- r Isola della Trinità. Scoperta di una foresta fossile nel terreno terziario di California. — Durante un’escursione scientifica lungo le coste del — 238 — Pacifico, fu visitata da alcuni membri della spedizione una loca- lità non lungi dalla strada fra San Francisco e i Geyser^ in in cui erano di recente stati scoperti parecchi tronchi d’ alberi fossili. La località è situata su un’ alta cresta rocciosa nella contea di Napa (California) a cinque miglia a S.O. delle sor- genti calde di Calistoga e a forse dieci miglia al Sud della cima del Monte Sant’ Elena. La cresta che forma la divisione fra le vallate di Napa e di Santa Rosa ha circa 700 metri di elevazione, ed è composta di rocce metamorfiche cretacee ricoperte irregolar- mente dagli strati terziari consistenti in rozze arenarie e letti di ceneri vulcaniche stratificate. Un accurato esame della località ove furono scoperti i primi tronchi d’ alberi, mostrò evidentemente che essi sorgevano tutti al di sopra del tufo vulcanic,o ed are- narie formanti la sommità di questa parte della cresta. Esten- dendo le ricerche ai luoghi montuosi per varie miglia all’ intorno, si rinvennero in molti altri punti dei tronchi fossili, il che mostra che questi depositi terziari contengono i resti di un’ estesa fore- sta di grandissimi alberi, probabilmente rovesciati ericoperti da qualche eruzione vulcanica. I tronchi estratti dal tufo vulcanico erano di considerevole grossezza ed apparentemente in stretta connessione con alcuni alberi delle attuali foreste delle coste del Pacifico, specialmente colle gigantesche Conifere. La parte acces- sibile di uno di questi misurava 22 metri di lunghezza, e benché privo di scorza e molto deteriorato, aveva più di 2“, 20 di dia- metro all’ estremità più piccola. Sopra un’ alta cima a circa mezzo miglio ad Est del precedente, furono trovati altri due grandi tronchi, fra cui uno di circa 1“, 60 di diametro disposto da Est a Ovest con 10'" di lunghezza alla superficie. I frammenti dell’ altro mostrano che esso non aveva meno di 4™ di diame- tro. Apparentemente questi non caddero lontano dal luogo ove sono ora, essendone la corteccia ben conservata ed avendo vicino numerosi frammenti di rami più piccoli. Tutti gli alberi scoperti erano distesi, e molti dopo la loro petrificazione furono rotti trasversalmente, in apparenza per il dislocamento degli strati che li racchiudevano. La maggior parte hanno direzione da Nord a Sud, probabilmente pel corso della corrente che li cuoprì con materiali vulcanici: tutti i legni fos- sili osservati erano silicizzati, il che forse accadde per mezzo di — 239 — acque ad alta temperatura, alcaline e contenenti silice in solu- zione. Questi alberi sembrano tutti essere stati Conifere, e pei loro caratteri esterni somigliano alla flora che vegeta tuttora in quelle regioni. Accurate osservazioni microscopiche mostrano non esservi differenza fra la struttura dei legni fossili e quella delle conifere del genere Sequoia. I letti includenti tali tronchi sembrano non con- tenere altri fossili eccetto qua e là piccoli frammenti di carbone, e quindi la loro età è alquanto dubbiosa; siccome però essi giac- ciono confusamente su strati contorti e metamorfici del cretaceo, pare che sieno probabilmente del Pliocene. È probabile anche che P azione sia provenuta dal Monte Sant’ Elena, la cima vul- canica più prossima. Scoperta del Diamante nella Xantofìllite. — Nella Xanto- fillite' delle Montagne di Schischimskian, presso Statoust, negli Tirali, sono stati recentemente osservati diamanti di varia gros- sezza irregolarmente distribuiti traverso alle lamine del minerale. Coir ingrandimento di 30 diametri sono facilmente riconoscibili, ed a 200 diametri si vede che la loro forma cristallina è quella di un esatetraedro combinato col tetraedro, essendo le faccio del primo solido distintamente convesse, quelle dell’ ultimo piane (Vedi Dana, ilifwer., pag. 21, fig. 59). Molti di questi cristalli sono incolori ed affatto trasparenti ; alcuni hanno una debole tinta bruna. Essi sono simmetricamente disposti nella matrice, essendo i loro assi trigonali intermedii normali alla sfaldatura della Xantofìllite. Le lamine di questo minerale, più vicine alle masse arrotondate di talcoscisto e serpentino, racchiudono, non però ordinariamente, gran numero di diamanti, i quali parimente si trovano nelle due rocce ora mentovate. ‘ XanlolUlite — Alluminosilicato idrato di magnesia e calce, in lamine di colore bruno rossastro di splendore madreperlaceo. Il clivaggio conduce a un prisma regolare a 6 faccio, ha un peso specifico di 3, 16 e si riga colla punta d’acciaio e debolmente coll’ apatite. Infusibile al cannello e appena attaccato dall’ acido cloridrico bollente. La sua formula è 2 (Cà, Mg) Al -4- (Mg, Ca) sV HO ove la silice e 1’ allumina agiscono come acidi. — 240 - Sulla mineralogia tlelPEozoon Canadense. — Il dottor R. Hoffmann di Praga sottopose all’ investigazione cliiinica e mine- ralogica r Eozoon Canadense trovato a Raspenau in Boemia. Esso ha una superficiale somiglianza con quello del Canada, e si mostra in zone ondulate o concentriche, sotto forma ovale. Nella porzione ovale striata il guscio dell’ Eozoon, di calcite pura e finamente granulare, può esser separato dal minerale I, riguar- dato da Hoffinann come l’ impronta delle parti molli dell’ Eozoon, formate per mezzo di infiltrazione di soluzioni acquose o durante lo sviluppo 0 immediatamente dopo la morte dell’ animale. E desso un silicato particolare, finamente granulare, bianco grigia- stro ed alquanto traslucido. E associata con questo una dolomite granulare, priva di ogni traccia di struttura organica, che talvolta appare come centro o punto d’ attacco dell’ Eozoon crescente. Questi materiali sono associati ad altri due silicati minerali; uno di questi analogo alla falunite, ha un peso specifico di 2,G87, è di colore bruno-grigiastro o nero-verdastro talvolta lucente e quasi opaco: la sua analisi è al N. IL Esso forma strie quasi parallele nella parte centrale del gruppo dell’ Eozoon : è in alcuni punti in lamine commiste a quelle di altro minerale lucido, verde, trasparente, con una lucentezza alquanto vitrea e densità di 2,56. E quest’ ultimo un silicato idrato (III) analogo al picrosmino ed è più 0 meno compenetrato dalla magnesite: I. II. III. Silice . . 53. 388 36. 425 • 52. 677 Allumina .... . . 10.521 32. 944 1. 260 Ossido di ferro . . . 10.091 20. 140 1. Oli Magnesia .... . . 11. 127 30. 414 Calce . . 1. 048 0. 678 Potassa . . 1.378 2. 721 1. 900 Soda . . 2. 094 0. 233 Acqua . . 10.991 7. 092 11. 865 100. 638 100. 000 99. 360 La zona di rocce ad Eozoon giace a Raspenau fra rocce silicee scistose al di sopra, e ricopre letti di calcare granulare bianco-grigiastro, talvolta nerastro per miscuglio di materie car- houacee. Uno di questi calcari dette all’analisi 1.100 di car- 241 bone, 2.332 di materie insolubili, 4.708 di carbonato di magne- sia, essendo il restante carbonato di calce. La composizione del guscio dell’ Eozoon è data al N. lY, quella della dolomite al V, e quella della magnesite die com- penetra il silicato III al N. VI. Carbonato di calce . . IV. 97. 711 V. 53. 815 VI. 5. 581 Carbonato di magnesia. tracce 40. 420 84. 651 Carbonato di ferro . . 1. 660 • * • • 1. 001 Allumina 0. 629 • • • • 8. 767 Parte insolubile . (tracce di fosforo) 1. 260 .... 100. 000 95. 495 100. 000 Rettitìciizione. Nella nota che ha per titolo : SulV attrazione delle montagne, inserita nel fascicolo del marzo e aprile di questo Bollettino Geologico, feci rimarcare che le due attrazioni di una calotta sferica, una sul centro della base 1’ altra sul suo vertice, sono fra loro differenti, basandomi per tale fine sulle formule date da Plana nella sua opera : Sur la distribution de VéUctricité à la surface de deiix sphères eonductrices, estratto dalle Memorie deir Accademia di Torino, 1846. Devo però osservare, che la se- conda formula (pag. 103 del citato Bollettino) è da modificarsi in questo modo ; P‘ = 2Trhr(^l - L’ origine di questa modificazione consiste in ciò, che la for- mula di Plana, su cui mi appoggiai, contiene una piccola inesat- tezza. Tale formula è la (17) a pag. 25 della citata opera di Plana, (2 /2~II \ — j deve can- giarsi nella P'==27rH^l — ) ■ Veggasi del resto su questo punto la Nota comunicata da me alla R. Accademia dei Lincei nella sesta sessione di quest’ anno. — 242 — Calcolando pertanto l’ attrazione del Monte Cenisio nell’ ipo- tesi di Carlini, mediante la formula indicata di sopra si ottiene per r attrazione di questo monte sul suo vertice il seguente valore : P'= 102, 49 r e confrontando questo numero col valore di P riportato a pag. 103 del Bollettino il quale si riferisce sul centro della base, si rile- va, che la differenza di questi due valori è tale da non poterla trascurare in pratica. Rimane quindi confermato quanto espo- nevo nel § 3 della mia nota, cioè che, generalmente parlando, non si possono confondere le due attrazioni di un monte, una sulla sua sommità, P altra sul punto della base verticalmente al di sotto. F. Keller. CATALOGO DELLA BIBLIOTECA DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) Stur (D.). Bericlit iiber die geologisclie TJébersicMs-Aufndhme im mittler.en Tìieile Croatiens ansgefuhrt im Sommer 1862. Wien, 1864. Un fase, in-4°. Dono dell’Autore. (Id.) Die geologisclie Karte dernordostlichen Alpen.'S^\e,\\ 1865. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Fossilien aus den neogenen Ahlagerungen von Holubiea bei Pienialìg, siidlich von Brody im ostlichen Gcdi^ien.V^lien, 1865. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Vorlcommen ober-silurischer Petrefacte am Erzberg und in dessen Umgebungen bei Eiseners in Steiermarlc. Wien, 1865. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Bine Excursion in die Dachscliieferbriiclie Mahrens tmd Schlesiens und in die ScJialsteinhugel zivischen Benniscli und Barn. Wien, 1866. un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Fossile Pflanzenreste aus dem Schiefergebirge von Ter- gove in Croatien. Wien, 1867. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Beitrdge zur Kenntniss der geologischen Verhdltnisse der Umgegend von Baibl und Kaltivasser. Wien, 1868. Un fase. iu-4“ con tavole. Dono idem. — 243 — Stur (D.). SericM ìihcr die gcólogiscJie Aufnahme ini oberen Waag—und Gran-TJicde. Wien, 1868. Un fase. in-4°. Dono clel- r Autore. (Id.) Eine Excursion in die Umgegend von St. Cassian. Wien, 1868. Un fase. in-4° eon tavole. Dono idem. (Id.) Die geologisclie Deschaffenheit der Herrschaft Hàlmdgg ini Zarimder Comitale im JJngarn. Wien, 1868. Un fase. in-4° eon Carta geologiea. Dono idem. (Id.) Eenclit iiher die geologische Aufnahme der Umgebungen von SchmdUnitz und Gbllnitz. Wien, 1869. Un fase. in-4°. Dono idem. ilA)Die DraunJcohlen — Vorliommnisse im Gehiete der Herrschaft Budafa in JJngarn. Wien, 1869. Un fase. in-4° eon tavola. Dono idem. (Id.) Die Bodenbeschaffenheit der Gegenden sudostlich bei Wien. Wien, 1869. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Ueber die VerhiUtnisse der Wasserfilhrenden Schichten im Ostgehdnge des Tafelberges bei Olmiits. Wien, 1869. Un fase. in-4° eon tavola. Dono idem. (Id.) JTeber zwei neue Tarne aus den SotHca-Schichten von Mottnig in Krain. Wien 1869. Un fase. in-4° eon tavole. Dono idem. (Id.) Beitrdge zur Kenntniss der Dgas-und SteinJìohìcn — for- mation im Banale. Wien 1870. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Beitrdge zur Kenntniss der Stratigraphischen Verhdìt- nisse der marincn Stufen des Wiener Bcchens. Wien, 1870. Un fase, in-d" Dono idem. Suckow (G.). Tabèlle iiber die mineralischen Krgstallfornicn. Jena, 1866. Una tavola. Suess (Ed.). Sur le Wcddheimia Stoppami des pétrifications eVEsino. Wienne, 1859. Un foglio eon tavola. Dono dell’ autore. (Id.) Einige Bemerkungen iiber die secunddren Brachiopoden Portugals. Wien, 1860. Un faseieolo eon tavola. Dono idem. (Id.) Note sur le gisement des térébratules du groupe de la Diphya dans VEmpire d’ AutricJie. Wien, 1861. Un fase. iu-4°. Dono idem. (Id.) Beferat der Wasserversorgungs-Commission in der Sitzung des Gemei nderathes der Stadi Wien. Wien, 1864. Un opuseolo. Dono idem. — 244 - Suess {¥i()i.).Bemerkungen iiber dieLagerung des Sahgebirges bei Widic^ha. Wien, 1868. Un fascicolo con tavola. Dono deH’Autore. (id.) Neue Beste von Squaìodon aus Linz. Wien, 1868. Un fascicolo con tavola. Dono idem. (Id.) Sur la structure des dépots tertiaires du Vicentin. Mi- lan, 1868. Un opuscolo. Dono idem. (Id.) Sidla struttura dei sedimenti terziariì del Vicentino. Vi- cenza, 1868. Un opus. in-8°. Dono idem. (Id.) TJeber die Aequivalente des Botldiegenden in den Siid- alpen. Wien, 1868. Due fase. in-8° con tavole. Dono idem. (Id.) Ueber das Botldiegende im Val Trompia. Wien, 1869. Un fascicolo con tavole. Dono idem. Suess (Ed.) imd Mojsìsovics (Ed. von). Studien iiher die Glie- derung der Trias-und Jurabildungen in den òstlichen Alpen. Wien, 1868. Due fase. in-8° con tavole. Dono idem. Szadrowsky (H.), Coaz (J.), Theobald (G.) und Am Stein (G.). Excursion der Section Bhatia auf die Sidzflidi ini Bhdtiìwngebirge. Cimi”, 1865. Un voi. in-8° con tavole. Dono della Società di scienze naturali dei Grigioni. Tabani (G.). Bel terremoto accaduto in Toscana il là ago- sto 1846. Pisa, 1846. Un voi. in-8°. Taramelli (T.). Cenni geologici sul Friuli. Udine, 1867. Ma- noscritto con Carta geologica. (Id.) Sopra alcuni echinidi cretacei e ter ziarii del Friuli. Ve- nezia, 1869. Un fase. in-8° con tavola. Dono dell’ Autore. (Id.) Sulla formazione eocenica del Friuli. Udine, 1870. Un fase. in-8° con tavola. Dono idem. (Id.) Sugli antichi ghiacciai della Brava, della Sava e dél- V Isonzo. Milano, 1870. Un fase. in-8°. Dono idem. (Id .) Osservazioni stratigrafiche sidle valli del Flit c del Chiarsb in Gamia. Udine, 1870. Un fase. in-8° con tavola. Dono idem. (Id.) Una passeggiata geologica da Belluno a Concgliano. Belluno, 1871. Un fase. in-8°. Dono idem. (Id.) BelV esistenza di una alluvione preglaciale nel versante meridionale delle Alpi, in relazione coi bacini lacustri e della ori- gine dei terrazzi alluvionali. Venezia, 1871. Un voi. in-8° con tavole. Dono idem. — 245 Targioni Tozzetti (A.). Belle sostante alimentari. Kelazione della Esposizione di Londra del 1862. Firenze, 1867. Un voi. in-8°. Dono del Ministro di agricoltura, industria ec. Targioni Tozzetti (J.). Voyage minéralogique, pliilosopliigue et liistorique en Toscane. Paris, 1792. Due voi. in-8°. Tata (D.). Catalogo di una raccolta di pietre dure native di Sicilia. Napoli, 1772. Un voi. in-8°. Tchihatcheff (P. de). Coup d’ceil sur la constitution géolo- gique des provinces méridioncdes du Eoyaume de Naples. Ber- lin, 1842. Un voi. in-8° con Carta geologica. (Id.) Voyage scientifigue dans V Aitai Orientai. Paris, 1845. Due voi. in-4° e atlante. (Id.) Bescription physique de VAsie Mineure. Paris, 1866. Un voi. in-4“ e atlante. Tenore (G.). Osservazioni geologiche da servire di dichiara- zione alla Carta geologica della catena dei monti compresa tra Montecassino ed il fiume Melfa in provincia di Terra di Lavoro. Napoli, 1852. Opuscolo con tavola. Dono dell’Autore. (Id.) Ragguaglio sidle Miniere di ferro nel distretto di Sora e sui lavori della commissione destinata a ricercarle. Napoli, 1863. Un fase. in-8. Dono idem. (Id.) Carta geologica della Terra di Lavoro. Colorata a mano con foglio separato di spaccati, 1867. Tenore (M.). Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore. Napoli, 1827. Un voi. in-8°. (Id.) Relazione d’ un viaggio nelV Abruzzo Citeriore. Na- poli, 1832. Un voi. in-8° con Carta. (Id.) 3'lineralogia sopra qucdtro sostanze fossili della Majella. Napoli, 1838. Un fase. in-8°. Terquem (0.). Paléontologie du système du Lias inférieur du Grand-Buclié du Liixemburg et de Hettange du département de la Moselle. Paris, 1855. Un voi. in-4° con tavole. Terquem (0.) et Jourdy (E.). Monographie de Vétage Batho- nien dans le département de la Moselle. Paris, 1869. Un voi. in-4° con tavole. Terquem (0.) et Flette (Ed.). Le Lias inférieur de VEst de la France. Paris, 1868. Un voi. in-4° con tavole. Terzaghi (C.). Bell uomo preistorico in Europa; dell ori- — 246 - giìie e del progresso della sua industria. Brescia 1869. Un fase. in-8°. Theobald (G.). Geologische Besclireibung der nordóstliclien Gébirge von Graiibiinden. Neuenburg, 1863. Un voi. in-4° con ta- vole e Carta geologica. (Id.) Geologische Besclireibung der in Blatt XX des eidg. Aflasses enthaltenen Gébirge von Graubiinden. Beni, 1866. Un voi. in-4° con tavole e Carta geologica. Theobald (G.) uiid Weilenmann (J. J.). Dìe Bdder von Bor- mio und die sie umgebende Gebirgsivelt — Erster Theil. Cliur., 1869. Un voi. in-8°. Dono della Società di Scienze Naturali dei Grigioni. Thermes (les) de Bormio dans la Valtelline Supérieure. Stras- bourg, 1870. Un fase. in-8° Dono idem. Thorent. Mémoire sur la constitution géologigue de la partie nord du département de VAisne touchant au Boyaume de la Bél- gigue, et de Vestrémité sud du département du Nord. Paris, 1839. Un fase. in-4“ con tavole. (Id.) Mémoire sur la constitution géologique des environs de Bayonne. Paris, 1845. Un fascicolo in-4° con tavole. Tietze (E.). TJéber die devonischen Schichten von Ebersdorf imiveit Neurode in der Grafschaft Glatz. Cassel, 1870. Un vo- lume in-4° con tavole. Dono dell’ Autore. (Id.) Geologische Notizen aus dem nordóstlichen Serbien. Wien, 187Ò. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Beitrdge zur Kenntniss der dlteren Schichtgebilde Kcirn- thens. Wien, 1870. Un fase. in-4°. Dono idem. (Id.) Zur Erinnerung an TJrban Schloenbach. Wien, 1871. Un fase, in- 4°. Dono idem. (Id.) Geologische und palàontologische Mittheilungen aus dem sudlichen Theil des Banater Gebirgsstoches. Wien, 1872. Un voi. in-4“ con tavole. Dono idem. (Id.) Das Gebirgsland sudlich Glina in Croatien. Wien, 1872. Un fase. in-4°. Dono idem. Torre (G. M. della). Storia e fenomeni del Vesuvio. Na- poli, 1855. Un voi. in-4“ con tavole. Torre (N. della). Guida del Viaggiatore alla cava dèlie La- vagne, Chiavari, 1840. Un voi. in-8°. '{Continua.) Piilicaziflil k\ R. COMITATO GEOLO&ICO. I o-o^^oo- Bollettino Geologico per l’ anno 1870. — Un volume in-8°. » » PER l’anno 1871. » Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Volume 1°; 404 pagine in-4° con 23 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi occidentali di B. Gastaldi. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemon- tesi e sui minerali delle valli di Lanzo di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura. — Descrizione geologica dell Isola d’ Elba, di I. Cocchi. — Malacologia pliocenica italiana, Parte F, Gasteropodi sifonostomi, di C. D’ Ancona. Prezzo dell’ intero Volume, Lire 35. Brevi Cenni sui principali Istituti e Comitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° L. 1. 50 Carta Geologica della parte Orientale dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi L. 3. 50 I Bollettini arretrati si vendono al prezzo di » 12. — II presente Bollettino per gli associati nel Regno . . » 8. — Per gli associati all’ Estero » 10. — Un fascicolo separato » 2. 00 Annunzi di pubblicazioni. A. Stoppini — Corso di Geologia; Milano. — L’ opera si com- porrà di tre grossi volumi in-8° con numerose incisioni in- tercalate^ nel testo, e viene distribuita a fascicoli di 64 pa- gine. — È uscito il fascicolo 20. — {In corso di stampa.) L. Bombicci — Corso di Mineralogia; Bologna. — Seconda edi- zione grandemente variata ed accresciuta con molte figure intercalate nel testo e tavole. {In corso di stampa). G. G. Gemmellaeo — Studii paleontologici sulla fauna del cal- care a Tekebratula janitor del Nord'di Sicilia; Palermo. — È pubblicato: Parte 1“ {Pesci, Crostacei, Molluschi Cefalo- podi) fase. 1°, 2", 3°, 4° e 5°; Parte 2“ {Molluschi Gasteropodi) fase. 1°, 2“, 3°, 4° e 5°; Parte 3° (JMolìuschi Prachiopodi) fase. 1° e 2°. — Ogni parte forma un volume in-4° con tavole. G. Ponzi — Del Bacino di Roma e sua natura, per servire d’ illustrazione alla Carta Geologica dell’Agro Romano ; Roma 1872. — Pag. 50 in-8° con Carta Geologica del Bacino di Roma. G. Capellini — Sul Felsinoterio, sirenoide lialicorefornie dei depositi littorali pliocenici dell’antico bacino del Me- diterraneo e del Mar Nero; Bologna 1872. — Pag. 50 in-4° con otto tavole. 0. Silvestri — Le Nodosarie fossili del terreno subapennino italiano e viventi nei mari d’Italia; Catania 1872. Fr. Coppi — Studii di Paleontologia iconografica del Mode- nese.— Parte P; Modena 1872. G. Negri. — Descrizione dei terreni componenti il suolo d’ Italia ; Milano {in corso di stampa.) — È uscita la 5'‘ di- spensa. A. D’ Achiardi — Mineralogia della Toscana. — Pisa 1872. — Voi. 1°, pag. 276 in-8°. H. Gerlach — Das sildTvestliclie Wallis niit den angrenzenden Landestbeilen VOI! Savoien nnd Pieniont. — Beni 1872. — Pag. 176 in-4" con due tavole di sezioni in nero, una terza idem colorata ed un foglio in cromolitografia della Carta geologica svizzera. B. Studer — Index der Petrograpliie und Stratigraphie der Sebweiz und ibrer ITingebungen; Beni 1872. — Un vo- lume in-8° di pag. 272. Delesse et De Lapparent — Revue de Geologie poiir les an- nées 1869 et 1870; Paris 1872. — Un volume iu-8° di pag. 188. R, f rj i; j D’ ITxVLIA. Bollettino N? 9 E IO. Settembre e Ottobre 1872. o- FIRENZE, TIPOGRAFIA DI G. BARBÈRA 187 2. PolillicazioDi ael E. COMITATO dEOLOOICO. ■o«rO=IO®' Bollettino Geologico per l’ anno 1870. — Un volume in-8°. » » PER l’anno 1871. » Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Volume 1°; 404 pagine in-4° con 23 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Sfudii geologici sulle Alpi oceidentali di B. Gastaldi. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemon- tesi e sui minerali delle valli di Lanzo di G. StrIìver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi. — Malacologia pliocenica italiana, Parte P’, Gasteropodi sifonostomi, di C. D’ Ancona. Prezzo deir intero Volume, Lire 35. Brevi Cenni sui principali Istituti e Comitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-4“ L. 1. 50 Carta Geologica della parte Orientale dell’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi * . . L. 3. 50 I Bollettini arretrati si vendono al j)rezzo di » 12. — II presente Bollettino per gli associati nel Regno . . » 8. — Per gli associati all’ Estero » 10. — Un fascicolo separato » 2. 00 lU)LLi;mNO DEI. I{. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. 9 e 10. — Setleiiibre e Ollobre 1871 SOMMARIO. Note geologiche. — 1. Costituzione geologica della Campagna romana, del prof. G. Ponzi (estratto). — IL Osservazioni geologiche fatte in Carnia(Alpi venete), del prof. T. Taiì.\melli (estratto). — III. Sulla geologia del distretto di Agordo nel Veneto, dell’ing. Peli.ati (estratto). — IV. Di alcuni Rettili e ^Mammiferi fossili recentemente scoperti nel Nord-America, del prof. Mahsh (estratto). Note mineralogiche. — L So]ira alcuni minerali dell’ Isola d’ Elba non ancoia descritti 0 accennati, dell’ ing. G. Giiattaiìola. — II. I combustibili fossili della Toscana, del dott. A. D'Aciiiaiìdi (estratto). ' Notizie bibliografiche. — L. Pai.mieiu, Relazione dell’incendio vesuviano del SO aprile iSIS; Lipsia 1872. — .\. Scacciu, Contribìizioni mineralnrjicìic per servire alla storia dell’ incendio vesuviano del mese di aprile ÌH1S; Napoli 1872. — E. Keli.eh, Ricerche sull’ attrazione delle montaijne, con applicazioni numeriche : parte L’ ; Roma 1872. — IL Stuuek. Index dcr Petro- rjraphie und Stralifjraphie der Schìveiz nnd ihrer Umijcbunijen ; Rem 1872. Notizie diverse. — Composizione delle lave del Vesuvio. — L’Ambra siciliana. — L’ uomo preistorico in Italia. — Il Troglodite di Montone. Catalogo della Biblioteca del R. Comitato. — (Continuazione.) NOTE GEOLOGICHE. I. Costituzione geologica della Campagna romana. (Estratto da uno scritto del Prof. G. Ponzi, inserito negli Annali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. ISI'2) La Campagna romana o Agro romano è situata sul versante tirreno dell’ Italia centrale fra i gradi 41“ e 42“ di latitudine boreale e sotto il IO" di longitudine dal meridiano di Parigi. I monti che la circondano e che gli danno il carattere di un vero bacino, sono di natura e forma variata ed appartengono a diverse - 252 - epoche geologiche ; si distinguono in tre gruppi, uno di fronte alle coste del Tirreno, gli altri due occupanti gli spazi laterali fra il primo e il mare. Ad oriente di Roma si trova il gruppo più alto che è una massa avanzata degli Apennini centrali divisa in due dall’ Aniene. Il primo a destra dell’ Aniene porta il nome di Monti Lucani e ne è punto culminante il Monte Gennaro (3907” sul livellodel mare). La montagna è dirupata dalla parte della Campagna romana e verso le sue basi sorgono tre isolette, dette dagli antichi Monti Cornicolani su cui posano i paesetti di Monticelli e di Sant’An- gelo. A Sud si trovano il Monte Andrea, la Morra presso San Polo dei Cavalieri, il Peschiavatore e il Catillo sopra Tivoli attorno cui gira 1’ Aniene che segna i confini dell’ intero gruppo. Al Nord sorgono il Monte Flavio e Molitorio romano, che per la monta- gna di Stazzano declinano fino a Nerola, ove sembrano arrestarsi per ricomparire nei monti della Fara che servono di antemurale alla catena di Sabina; dal lato di tramontana s’inalza il Soratte 0 Monte Sant’ Oreste che domina l’ ingresso del Tevere nel ba- cino di Roma. Il gruppo a sinistra dell’ Aniene costituisce le giogaie Pre- nestine ed offre una cresta rilevata che gira a modo di una curva aperta ad Ovest e si compone del Monte Pagliaro che si inalza colla punta Vulturella o Mcntorella sino a metri 3752 sul mare ; poi la cresta declina col Monte Scalandrone e termina coi colli di Castel San Pietro e Rocca di Cave. Dietro queste due masse si stende un’ altra catena apen- ninica pure divisa in due dall’ Aniene ; la parte settentrionale è separata dalla massa del Monte Gennaro dal fiumicello Licenza (ant. Digentia) che per la valle Cistica sbocca nell’ Aniene. La parte meridionale è separata dai Monti Prenestini per la valle di Gerano ; sono punti culminanti il Monte Ruffo o la Costa (3803™) e la punta di Civitella di Subiaco (250G™). Al N.O. di Roma il bacino è fiancheggiato dal largo cono Sabatino che forma un rilievo posto tra 1’ estremità Nord degli Apennini e il mare. È di natura vulcanica e molto depresso, e sulla sua cima si apre il lago di Bracciano o Sabatino dominato a Ovest dalla eminenza trachitica del IMonte Virginio, a Nord da quella di Rocca Romana; nei monti con questo collegati si trovano — 253 — vari crateri del tutto spenti e fra questi quelli che contengono i laghetti di Marignaiio e di Stracciacappe. I versanti Est e Sud del gran cono mettono nel Tevere, e quelli Ovest vanno sino al mare. A settentrione il bacino è chiuso dalla catena del Sasso, propag- gine dei Monti Ceriti o della Tolfa. A S.E. di Roma è un altro gran cono depresso fra i Monti Prenestini e il mare ; questo abbraccia tutta la regione del La- zio, nelle cui parti più eminenti s’incontrano i laghi Nemorense, di Albano e di Giulianello, I pioventi del cono latino si stendono parte nell’ Aniene, parte nel Tevere, mentre altri si conducono al mare, fondendosi colle pianure littorali e chiudendo così il bacino romano. Il Tevere e l’ Aniene dividono il suolo circoscritto largamente ondulato in tre parti corrispondenti alle masse mon- tane suddette. Il Tevere girato attorno al Soratte, entra nel bacino c con- torna il cono Sabatino, ricevendo a destra le acque di questo, a sinistra quelle del Monte Gennaro. L’ Aniene invece in direzione opposta dopo il salto tiburtino circoscrive a sinistra il cono latino, a destra i colli Tiburtini e la Morra, e vicino a Roma scarica le sue acque nel Tevere, che traversata Roma passa tra i due coni vulcanici Sabatino e Laziale, raggiunge il Tirreno e vi si scarica per doppia foce. Sì T uno che 1’ altro fiume sono compresi in un immenso alveo quaternario. Delle tre parti integrali del bacino di Roma, una sola appar- tiene alla formazione degli Apennini ed è quella di fronte al mar Tirreno ; le altre sono comprese nelle depresse gibbosità dei subapennini. Le rocce della prima parte constano di stratifica- zioni non più orizzontali ma dovunque spostate, inclinate e ritorte; differiscono per tale aspetto dai depositi subapennini che con- servano la loro orizzontalità con sole piccole soluzioni di conti- nuità prodotte da semplici oscillazioni del suolo. Le masse dei Monti Lucani e le sommità Prenestine appar- tengono a due diverse formazioni, sollevate in tempi successivi I e distinti ; la prima è giurese, V altra cretacea, quindi i Monti Lucani devono aver rappresentata un’isola in quel lungo arcipe- llago che diede il primo abbozzo della nostra penisola. La composizione sì del gruppo del Monte Gennaro che dei Monti Cornicolani che .gli sorgono a’ piedi, risulta di una serie — 254 — numerosissima di strati, mentre i fossili indicano un passaggio di climi diversi in quei remotissimi tempi che dominarono nell’ epo- che del Lias, della oolite e del neocoraiano ; il suo sollevamento successe immediatamente alla sua deposizione a cui nell’ epoca della Creta, tenne dietro una tregua in cui le acque depositarono i sedimenti che si riferiscono a questa ultima parte del periodo secondario. Queste rocce pure per un secondo sollevamento vennero frat- turate e i loro brani emersero dalle acque dando origine ai Monti Prenestini a fianco dei Lucani, quindi le rocce dei Monti Prenestini devono considerarsi come più giovani di quelle dei Lucani, e portano tutti i caratteri e fossili distintivi del periodo cretaceo. Compito il secondo sollevamento successe un periodo di tre- gua, mentre incominciava l’epoca terziaria e il mare deponeva i sedimenti eocenici ; ma sul declinare dell’ epoca eocenica un terzo sollevamento fece inalzare nuove montagne che formano la catena estesa dietro ai Monti Lucani e con essa i monti del Sasso e della Tolfa ; quindi le rocce di questo gruppo sono di una data più recente e i fossili le dimostrano eoceniche. Dopo ciò ebbe luogo un altro ordine di fenomeni precisamente nell’ epoca in cui si manifestò nell’ Italia centrale e meridionale quel gran vulcanismo che tanto ne alterò la forma geografica, e che dura tuttavia. Dopo r ultima comparsa degli Apenninì nelle epoche mioce- nica e pliocenica, le acque ricuoprendo le estensioni subapennine rendevano ancora sommerse le campagne romane, e così forma- vano le stratificazioni marine di cui constano le più dolci colline; se oggi troviamo a questi sedimenti sovrapposti quelli dei fiumi e dei laghi è chiaro che nell’ epoca subapennina vi fu un altro sollevamento che messe allo scoperto fra gli altri il bacino romano. Ciò fa distinguere la storia subapennina in due sezioni : una anteriore in cui si compirono i sedimenti marini, 1’ altra in cui le acque dolci dominarono i terreni scoperti dal sollevamento ; tal sollevamento fu lento e prolungato, il che ò dimostrato dalla orizzontalità dei depositi, solo interrotti in alcuni punti da spac- cature di origine sismica, che servono a far conoscere l’ ordine J — 255 — di sovrapposizione degli strati come si osserva nei monti Mario, Vaticano e Gianicolo, ma particolarmente nel primo. La scala sottomarina del subapennino si arresta coi depositi di tufi vulcanici le cui assise costituiscono il soprasuolo delle campagne romane e viterbesi. Da questo momento le acque dolci presero una preponderanza sul suolo emerso ; il Tevere si pro- lungò e r Anione corse ad incontrarlo mentre, spenta V attività vulcanica, i vasti crateri cimini si riempirono d’ acque come al lago di Bracciano ; si vede che i moderni fiumi non sono che miseri avanzi di quelli che già passarono per gli alvei immensi, che danno tutti i segni di essere stati scavati da gigantesche correnti ; ciò è mostrato altresì dai loro stessi depositi, distesi in lunghi banchi di conglomerati di trasporto e dai larghi ad- dossamenti alle sponde di travertini che segnano T antico livello delle acque. Tanto materiale trasportato in mare veniva intanto gettato sulle coste e disteso in banchi sulle emerse formazioni subapennine per rappresentare l’epoca quaternaria. In questa V attività vulcanica si trasferì nel Lazio già emerso, spiegandovi tre periodi distinti eruttivi e forse quattro. Spetta al primo la formazione del gran cono depresso, sulla cui som- mità si apre V immenso cratere disegnato dall’ Artemisio, dai monti di Bocca Priora e del Tuscolo abbraccianti i piani della iNIolara. Attorno a questo immenso bacino si distribuirono le bocche di Nemi, Vallericcia, Laghetto ec. che colle lave, scorie, lapilli e ceneri da loro eruttate inalzarono tutta la contrada ; queste rocce hanno tutte la particolarità di essere augitiche o pirosseniche. Dopo un certo tempo di tregua si riaccese il gran cratere centrale e a questo secondo periodo è da attribuirsi 1’ elevazione del Monte Cavo che rappresenta un sistema vulca- nico più piccolo compreso nel principale. Le lave di questo pe- riodo sono leucitiche, contenendo esse sovrabbondante quantità di anfigeno. Dopo una seconda tregua tornò a mostrarsi l’attività vulca- nica coll’ apertura del cratere del Lago Albano che sembra non avere eruttato che ceneri, accompagnatate però da grandi ura- gani vulcanici che impastandole coll’ acqua fecero scorrere in basso vaste correnti di fango vulcanico, formanti quegli strati di peperini litoidi diftìisi intorno alla bocca del cratere albano ; 256 — sembra che a quei tempi esistesse già la città di Alba Longa, e che il Lazio fosse abitato dai prischi Latini. Si attribuisce ad una quarta manifestazione vulcanica il cra- tere del Monte Pila, a cui sembra doversi ascrivere la lunga corrente della lava di Capo di Bove su cui corre la via Appia, e quelle di Acquacetosa e Vallerano che si mostrano più recenti di tutte. Il periodo glaciale, la cui causa è tuttora dibattuta fra i geo- logi, è mostrato con chiarezza dalla scala stratigrafica delle nostre rocce: il graduato passaggio da una temperatura tropicale indi- cata dai fossili delle marne inferiori mioceniche, ad una più fredda e rigorosa mostrata da quelli delle sabbie gialle plioce- niche, è bastantemente dimostrato. Al di sopra delle sabbie gialle si stendono banchi di ghiaie e breccie accennanti a tempi bur- rascosi distinti col nome di periodo diluviale; giunto il fine del periodo glaciale la temperie cominciò ad elevarsi, principiarono le funzioni delle nevi e dei ghiacci e le acque scorsero impe- tuose sulle pianure, originando quella enorme quantità di conglo- merati che le ricuopre. Passando a parlare delle terre vegetali e prodotti naturali del suolo romano, si offrono prime le rocce dei Monti Lucani e Prenestini per la più parte calcari, benché ve ne sieno delle si- licee ed argillose tutte miste a ferro idrato: i loro detriti det- tero origine a una terra vegetale composta principalmente di silice, allumina, calce e ossidi di ferro e manganese. Tolto il lato N.E. occupato dalle succitate catene suba- pennine, tutto il resto può dirsi vulcanico, perchè ricoperto di tufi e pozzolane uscite dai vulcani sottomarini Sabatini, e di lave, ceneri e scorie vomitate dai vulcani del Lazio ; i minerali che entrano nella composizione di tali rocce sono: iVlbite, Leu- cite, Augite, Mica, Olivina, Melanite, Wollastonite, Idocrasio, Auina e Lazulite. Le grandi vallate in cui serpeggiano il Tevere e P Aniene hanno raccolti nel loro fondo detriti d’ ogni specie, specialmente i ciottoli delle calcarle apenniniche rimescolati dalle acque e le terre vegetali contengono in proporzione maggiore delle prece- denti calce ed allumina. Ricchissimo è il paese di materiali da costruzione, come — 257 — calci, pozzolane, argille per terre cotte, pietre da taglio e da intaglio, breccie, sabbie e manni decorativi. La calce ordinaria si fabbrica colla pietra dei Monti Tiburtini, che appartiene al Lias; la calce idraulica proviene dalla formazione eocenica di Castel Madama nella Valle degli Arci, sopra Tivoli: la sua ana- lisi ha dato sopra 576 parti in peso ; Allumina 180. 00 Carbonato di calce 178. 24 Carbon. di ferro e manganese . 1. 76 Silice 110. 00 Acqua 106.00 576. 00 I materiali per le terre cotte sono forniti dalle marne su- bapennine, le pietre da taglio sono i tufi vulcanici lapidei dei vulcani Cimini e i travertini die provengono dai depositi del- T Anione e del Tevere presso Monte Rotondo e Fiano. Per sel- ciare le strade si adoperano le lave vulcanidie ; si trovano pure diversi marmi ornamentali come quelli di Monticelli, il marmo maiolica, quello di Rocca di Cave ec. Indizii di gesso vengono dati dai cristalli di selenite sparsi nelle marne subapennine e lo stesso può dirsi delle ligniti che si incontrano di discreta qualità nella Valle di Cerano. Concludiamo col dare la serie dei terreni e rocce costi- tuenti Pagro romano dai più antichi ai più recenti. I. — Terreni Apenniiiici. Epoca liassica. Calcarie inferiori del gruppo dei monti Lu- cani e Cornicolani. (Ammonitiche.) 1. Calcaria cristallina bianca, compatta, saccaroide, con arnioni di pietra focaia ferruginosa. Ammoniti, Belemniti, Tcrebrafule, Spiriferi, ec. 2. Calcaria grigio-giallastra o rossastra con venature spati- che, a frattura scagliosa o concoide. Ammoniti, Terchratule, Binconeìle, Pettini, ec. — 258 — 3. Calcarie argillose con letti di argille scistose rosse di mattone , talvolta giallastre o bigie (calcare rosso ainmoni- tifero). Nautili, Ammoniti, Trococere, Belemniti, ec. Per la prima volta compaiono Fholadomie, Cidariti, denti di pesci placoidi, ec. Epoca oolitica. Calcarie superiori del gruppo suddetto. 4. Arenarie calcaree, bigio-scure, giallastre con macchie nere ferruginose, a straterelli tabulari. Ammoniti, Attici, pesci, insetti e crostacei. 5. Calcarie cristalline giallastre con venature spaticlie e mac- chie lineari gialle serpeggianti, associate a calcarie verdastre, granulari compatte a frattura scagliosa, con pietre focaie. Belemniti, Terehratide, Attici, Echini, Encriniti, ec. 6. Calcarie compatte bianche latte a frattura concoide in pic- coli strati, con focaie e breccie policrome {marmo maiolica). Ammoniti, Belemniti, Terebratule, un dente di Sauriano. Epoca cretacea. Calcarie de’ monti Prenestini e Lepiui (ippuritiche). 7. Una serie di stratificazioni composte di calcarie bianche, piò 0 meno cristalline, tenaci e compatte. 8. Calcarie bianche, dure, cristalline, in grossi banchi, talvolta colorate in rosso e passanti a calcarie argillose. Ippiiriti, Radioliti, Caprotine, Nerinee, ec. 9. Scisti argillosi intercalati da calcarie argillose a frattura scagliosa, bigie o rossastre per manganese. Elicoidi, Nemertiliti, pesci cicloidi, ec. Epoca eocenica. Calcarie argillose dei Monti Simbruini. (Nummulitiche.) 10. Calcarie grossolane, a frattura scagliosa, variabili, granu- lari, tenaci, cristalline, bianche, grigie, brune o di colore palom- bino (alberese). Nummuliti, Pettini, altre conchiglie e zoofiti. 11. Scisti argillosi bruni. Eucoidi. 12. Potenti letti di arenarie compatte, bigie e giallastre, al- ternanti con grossi letti di marne indurite. Non vi si conoscono fossili. — 259 13. Arenarie bigie, verdastre o giallastre, intercalate da letti di argille scistose (Molasse) luccicanti per laminette di mica argentina. Ligniti con impressioni di foglie, tronchi e frutti. II. — Terreni Siibapeniiiiii. Epoca miocenica. Marne dei monti Mario e Vaticano (Tor- toniane). 14. Potenti letti di marne bigio-tiirchine, o i primi sedimenti subapennini (Mattaione). Argonauti, Lettini, Ostriche, FUibélli, ec. Epoca pliocenica. Macco di Capo d’ Anzio, Palo ec. (Astiano) e sabbie gialle subapennine (Piacentino). 15. Calcarie grossolane bianche o giallastre, compatte, tal- volta incoerenti e farinose {Macco). Buccini, Pettini, Candii, Ostriche, Balani, ec. 16. Sabbie gialle siliceo-calcaree risultanti da fini detriti delle rocce apenniniche, sciolti o conglutinati in massa di arenarie di forma variabilissima. Buccini, 3Iacfra, Corhula, ossa defantine, ec. Epoca diluviale. Breccie marine sovrapposte alle sabbie gialle. 17. Breccie e ciottoli siliceo-calcarei in banchi più potenti quanto più vicini ai monti da cui provennero. Ossa di grandi mammiferi e vestigia umane. Epoca glaciale. Tufi sottomarini dei vulcani Sabatini del- P Agro romano. 18. Tufi vulcanici compatti e litoidi, risultanti da un impasto di materie eruttate dai vulcani Cimini con pomici, formato dalle acque marine. Legni e foglie di piante terrestri. Epoca alluvionale. Breccie e travertini dei grandi alvei e del littorale. 19. Sabbie e breccie fluviali formate da detriti di tutte le rocce precedenti ristrette in banchi lungo il fondo dei grandi alvei. Ossa di pachidermi, uccelli, rettili, ec. — 260 — 20. Travertini in grossi banchi depositati lungo le sponde dei fiumi. Resti di vegetali terrestri e lacustri, con gualche selce tagliata. 21. Sabbie e ghiaie marine, con ciottoli di ferro idrato lungo i littorali. Resti di conchiglie quasi hdte viventi nel Tirreno. 22. 1“ periodo eruttivo : Scorie, lapilli, ceneri e lave piros- seniche del gran cono Laziale. 23. 2° periodo: Scorie, lapilli, ceneri e lave anfigeniche del sistema del Monte Cavo. 24. 3° periodo: Peperini alternanti con ceneri e pozzolane, eruttate dal cratere di Albano. Resti di vegetcdi terrestri, ossa di mammiferi e reliquie umane. 25. 4° periodo : Scorie, ceneri e lave eruttate dal Monte Pila nelle epoche storiche. 26. 5° periodo lacustre : Depositi di acque dolci raccolte entro i crateri spenti. Fossili lacustri. Epoca moderna. Depositi in via di formazione. 27. Sabbie e ghiaie dei moderni fiumi, composte di detriti di tutte le rocce precedenti miste ad argille, limo, torbe e sabbie calcaree. Resti di animali e piante terrestri e d’ acqua dolce. 28. Sabbie marine delle spiaggie sottili, in via di continuato deposito dei rigetti del mare, risultanti dai materiali recatigli dai fiumi, costituenti i tumuleti e il delta del Tevere. Pesci, conchiglie, zoofiti, piante marine. 29. Emanazioni gassose, residui degli estinti vulcani: solfo- rose e di acido carbonico. 30. Acque termali e minerali, sulfuree, acide, saline, magne- siache, ferruginose, ec., sparse in sorgenti distinte. — 2G1 — II. Osservazioni geologiche fatte in Carnia (Alpi venete). (Estratto da due Note del prof. T. Taramelli inserite negli Annali del lì. Istituto Tecnico di Udine, anno V, e nel Bollettino del Club Alpino Italiano, fase. V, pag. 18.) Chi per recarsi in Carnia volesse risalire da Pinzano alla destra del Tagliamento (ove s’ incontrano le prime colline more- niche e terziarie) per la valle dell’ Arzino, avrebbe agio di fare uno dei più interessanti studii sulla stratigrafia che qui presenta il Friuli. — E dapprima se, anziché internarsi nella stretta gola tra il Sasso Zuccolo e Lamonte, prende la strada che conduce a Vito d’Asio e da questo, valicando il Monte Forcina o girandolo a ponente, discende ancora pel canale di Vito verso l’ Arzino, avrà campo di fare le seguenti osservazioni. Il dosso del l\Ionte Forcina appartiene al calcare turoniano (cretaceo medio). Il Sasso Zuccolo ne forma la continuazione benché separatone dal torrente Arzino ; esso si appoggia alla massa dolomitica di Monte Corno e a S.O. si estende sino sopra Orton. Emerge di 300 metri dai ter- reni eocenici che formano P altipiano di Vito c Clauzetto, nonché il bacino idrografico del torrente Cosa. Questi terreni si fanno strada anche nel canale di Vito, ma qui si appoggiano alla Do- lomia triassica dei monti Rossa, Fajet e Flagello. Dessi resul- tano d’ arenarie a elementi quarzosi, calcari marnosi a fucoidi e banchi nummulitici con copiosi frantumi di echinodermi. Sono concordanti colle rocce mioceniche e discordano invece dalla Do- lomia triassica e dal turoniano. Ciò si scorge tanto al rio Parquet quanto al rio Zuita ed in diversi affioramenti cretacei che si mostrano tra gli avanzi della formazione eocenica nella valle del Cosa. In questa come nel canale di Vito, tale discor- danza si manifesta ad onta della presenza della marna o scaglia rossa che per tale circostanza sarebbe da ritenersi eocenica an- ziché cretacea. La precedenza del calcare turoniano rispetto ai terreni eo- cenici é comprovata dal fatto che il lembo eocenico si adagia, nel canale di Vito, indifferentemente sulle testate della Dolomia triassica come su quelle del calcare cretaceo. — 262 — È pure importante osservare che quivi il calcare turoniano è discordante, anzi oppostaniente inclinato, rispetto alla Dolomia triassica. Tale discordanza è evidente lungo la gola di Saettola, come pure nella discesa da Lamonte al canale di Yito e da questo salendo al colle di Rep. Nel versante Sud del Forchia, alle origini del torrente Bar- quet, sgorga una fonte solforosa tra le macerie del cretaceo che copre il contatto discordante delle marne eoceniche col calcare turoniano. L’ essere questa stata trovata dietro analisi chimica più ricca di sali magnesiaci che non quella di Arta, indurrebbe a credere che questa fonte derivasse dalla Dolomia triassica che forma il versante opposto del Monte Forchia. Varcato il ponte sull’Arzino si entra per la via che conduce alle Pozzis nella regione della dolomite. Quivi si ha perciò poca varietà di fenomeni e di formazione : gli strati prima volgenti a tramontana si fanno gradatamente verticali, indi inclinano a Sud. Più oltre a Fiore di Verzegnis ed alla breve salita alla sella del Chiampon, la dolomite si fa di nuovo incurvata in una stretta sinclinale, e al disopra delle Pozzis s’ incontrano strati infralias- sici a grosse bivalvi. Al passo del Chiampon (743™) si osserva sulla Dolomia triassica riposare discordante la massa calcarea che forma la vetta del Monte Verzegnis, con una stratificazione quasi orizzontale. Poco al disotto della sella del Chiampon s’ incontrano massi di granito e di Verrucano che caratterizzano le morene più elevate dell’ antico ghiacciaio del Tagliamento, deposte allora che questo comunicava con quello del Piave per la culmina della Mau- ria (1308™). Quindi si vede la dolomite posare su strati carboniosi finamente stratificati. Più sotto presso Preone si attraversa una morena appoggiata ad un lembo di alluvione terziaria, e rappre- sentante nel suo complesso P antico fondo alluvionale della valle di Socchieve o del Tagliamento, elevato da 90 a 60 metri sul fondo attuale. L’ orografia della valle di Socchieve o del Tagliamento è assai accidentata. Ripida, tortuosa ed alpestre dalla sua origine (972™) al Ponte di Poasso sino al Preone, si fa più larga, retta e meno acclive da questa località sino allo sbocco del Fella (245™). In complesso è una valle formata dall’ erosione della serie arenaceo-marnosa del Keuper che sta tra la Dolomia principale — 2G3 - ed il calcare infraraibliano che scorre quasi senza interruzione dallo Strahut sopra Tolmezzo, sino al Clapsavon ed al Tierzine. ]\Ia il rovesciamento del calcare stesso tra lo sbocco del torrente llftt sino al Passo della Morte ed il consecutivo isolamento delle masse montuose del Ciancili e del Pelois, hanno alterata la forma tipica della valle e resane complicatissima la stratigrafia. Le forme bizzarre ed irregolari di stratificazione nella formazione di questa valle, ora a sinclinali, ora a ventaglio ed ora a vallone, sono dovute alla diversa erodibilità che la serie Keuperiana pre- senta nei suoi varii membri, risultando essa di marne, di arena- rie gessifere, di dolomiti cariate, di calcari marnosi e di calcari compatti. Tali irregolarità vennero fatte minori dalle vaste allu- vioni del periodo postglaciale e dalle morene sviluppatissime specialmente presso la Mauria ed alla sella di Pignarossa. Non è gran tempo anzi che ivi esisteva un laghetto morenico. Il Monte Amariana ad oriente di Tolmezzo, che visto da Socchieve sembra chiudere la valle del Tagliamento, si eleva a piramide sugli enormi talus di Amaro e del Rio di Tolmezzo; la sua massa è totalmente dolomitica, non però tutta triassica, poi- ché gli strati superiori meno magnesiaci e di un bianco più can- dido contengono dei voluminosi Concliodon. La sua massa consta essenzialmente di una cresta dolomitica assai inclinata a Sud, e appoggia sopra un contorcimento di strati un poco più antichi inclinati aN.E.. La cresta è stranamente scoscesa verso Tolmezzo; di guisa che agli strati inclinati a Sud se ne appoggiano altri che ne rappresentano la continuazione inclinati a N.N.O. con pari anzi maggiore pendenza ; tra le due creste si sprofonda un burrone ove ha origine il Rio Tolmezzo. Quivi le frane coprono una tenue zona di raibliano che separa la dolomite principale della base del monte dal calcare infraraibliano dello Strahut. Il paese di Tolmezzo si appoggia alle falde occidentali e me- ridionali di questo monte. Dalla base deirAinariana la Dolomia principale passa il Ta- gliamento, formando delle collinette tra il letto del fiume ed il lago di Gavazzo. Forma pure V ossatura dell’ altipiano di Yer- zegnis che nel resto è miocenico. Sono pure dolomitici alla loro base il Monte Festa, il Faroppo, il Bottai ed il Verzegnis; essi de- vono però contenere strati più recenti. Continua la Dolomia prin- — 264 - cipale verso ponente nei monti Eesto, Najarda, Premaggiore (2477“) e Monfalcone sino nel Cadore, sempre inclinata forte- mente a mezzogiorno. Alla sua base la Dolomia ricopre strati pure dolomitici ma assai sottili e coloriti ora in giallognolo per marna, ora in bruno 0 nero per sostanze carboniose e bituminose. Questi sono ultimi avanzi della formazione calcareo-marnosa del raibliano, la quale scorre essa pure da levante a ponente lungo la valle di Soccliieve. Come nella valle delPAupa e nel versante sinistro del canale d’In- carojo, essa è di tenue potenza ed appena si distingue dalle forma- zioni calcaree inferiori che la separano dalle arenarie porfiroidi contemporanee alle emersioni di Vaibruna e di Kaltwasser. Manca aifatto da Raveo al Passo della Morte sul versante settentrionale della valle; forma parte dei monti Ciancul e Pelois sul versante destro. Si ripiglia più a monte presso Forni di sopra e ne affiora qualche lembo fra la morena del passo della Mauria. Si trova presso Santigo con qualche bivalva poco conservata, ma dessa è più continua e regolare sulla sponda destra del canale di Soc- chieve. La presenza del Raibliano venne constatata anche nel Cadore presso la sella Forada. Le arenarie che si alternano e sostengono la serie raibliana nella valle di Socchieve, si alternano anche cogli strati del cal- care infraraibliano e sono in tal caso generalmente gessifere. Da Eseinon alla Mauria il gesso affiora in molte località; ivi sono frequenti anche le acque solforose, tra le quali più note sono quelle di R. Pieria, di R. Grasia e di R. Chiarais sulla destra del Tagliamento. Il calcare infraraibliano che come le altre formazioni va da levante a ponente, non accorda perfettamente colle formazioni Keuperiane, specialmente nelle sue masse più compatte. I fos- sili che si rinvengono in questo calcare sono Ammonites, Halohia {H. Moussoni), dei Trochoceras sp. V Orthoceras alveolare, la Tere- hratiila mdgaris ed il Ceratites nodosiis. La catena che va dal M. Tiersine al Veltri, costituita dalla cresta del calcare infraraibliano, alta quasi 2500™, separa la valle di Socchieve da quella di Sauris che è percorsa dal tor- rente Lumiei confluente della valle principale. Il bacino idro- grafico della parte superiore della valle di Sauris, è generalmente — 2G5 — scavato nelle arenarie variegate e nella sottoposta formazione ges- sifera del Servino. E percorso da due torrenti, il Cliialada ed il Luniiei, che si riuniscono poscia formando un’ incisione triangolare nel calcare infraraibliano che limita la vallata a mezzodì. Il torrente poi unito sotto il nome di Luiniei percorre una gola incisa quasi a perpendicolo nella massa calcarea. Lo spartiacque tra la valle del Liimiei e le valli finitime del Piova, della Pesarina e del Legano è formato di arenarie varie- gate. Il passaggio da Sauris in Comelico si fa per il colle di Razzo a 1676™, nella Pesarina pel Morgenleit a 1853™, e nel canal di Corto per Losa e per Valinia alquanto più elevati. Per andare a Forni di sopra conviene passare il varco di Mediana a 1917™, Questo è tagliato in alcuni calcescisti micacei e mar- nosi che passano tosto alle sottoposte arenarie micacee a iNa- ticella costata. A tale formazione appartiene il Monte Priva tra il Clapsa- von ed il Tinizza; quivi le arenarie affiorano per 1’ erosione del calcare infraraibliano che compone quelle due montagne. I fos- sili caratteristici di questa formazione si raccolgono nelle allu- vioni del torrente Anza che origina dal Monte Priva, e sono pure comunissimi alla salita sul Morgenleit, sul Pieltinis, sul Losa e al colle di Razzo. Le arenarie micacee ricoperte dalle masse calcaree si alternano con calcoscisti micacei e cloritici, e si ap- poggiano a banchi di dolomite cariata che quivi come in tutta la Gamia comprende la formazione gessifera del Servino. Questa formazione nella valle di Sauris ha una potenza di circa 200 metri e riposa sopra arenarie rosse e verdi alternate con marne varie- gate e tenue deposito di gesso, analoghe a quelle del Keuper. La puddinga quarzoso-micacea del Yerrucano non si trova in posto nella valle di Sauris o nel canale di Socchieve. Affiora invece più ad Ovest nella valle del Piova e nel Comelico ed a N.E. nell’ alto canale di Corto, e sempre discordante dalla sot- toposta serie permica. x\lle origini del Rio Telempechte nella formazione gessifera del Servino, si trovano geodi di zolfo associato col gesso e con un calcare nero bianco-venato. Non si trovano in questa regione giacimenti minerarii tali da meritare una regolare coltivazione; non mancano però filoucelli 13 1 — 266 — di galena nel calcare infraraibliano vicino a Forni di sotto. Am- massi e banchi di ematite s’ incontrano nel contatto del calcare suddetto colle arenarie Keiiperiane. Passando ora ai terreni paleozoici delle Alpi carniclie, V au- tore parla brevemente di quelli che si trovano dall’ Anziei fino alla sella di Camporosso. Le Alpi carniche si possono distinguere in triassiche ed in pa- leozoiche tanto geologicamente che orograficamente ; le triassiche si allineano con diramazioni molteplici a Sud delle paleozoiche. Queste più elevate costituiscono lo spartiacque tra la valle del Gail e i tributarli del Piave e del Tagliamento. Le regioni triassiche sono coronate da guglie dolomitiche, mentre le masse calcaree torreggiano, sui terreni arenacei e scistosi del paleozoico. Pel massimo decorso delle Carniche si presenta alla base del Trias una fonnazione più o meno potente di argillo-scisti rossi, micacei, associati quasi ovunque a puddinghe quarzose e separati dagli scisti di Werfen (Trias inferiore) per una zona ora calcarea, ora dolomitica, ma più spesso di marne e di dolomiti cariate gessifere. In questa roccia è tagliata una serie di combe e di culmine paralella alla direzione della catena, che rende più visi- bile il distacco tra la regione triassica e la paleozoica. Gli scisti marno-micacei del Trias inferiore associati colla formazione gessifera della Gamia, e riuniti per concordanza stratigrafica alle arenarie, agli argillo-scisti e alle puddinghe quarzose del Servino^ segnano col loro affioramento il limite meridionale dell’ area in cui si sviluppano i terreni paleozoici delle Alpi carniche. Le formazioni triassiche più basse seguono una linea che dalle falde del Sasso Lungherino in Comelico si dirige alla base meridionale del Paralba : si ripiega poscia a Sud fino a Come- glians nel canale di Corto, continua verso oriente per Cercivento, Paluzza, Costa Robbia, Force di Pizzul e va sino a Tarvis pa- rallelamente alla valle del Fella superiore. A monte di questa linea, eccettuatone un limitatissimo deposito di Servino a Me- ledis di Paularo, tutta la catena delle carniche è paleozoica. Il tratto in parte mesozoico che resta tra il fiume Gail e la Prava da Sillian a Villacco, appartiene piuttosto alle Alpi noriche. Numerose specie di fossili si trovano nelle diverse località fossilifere o sulle vette dello spartiacque o sul versante Nord. — 2G7 — Prcsentcano in complesso molta analogia colla fauna devonica, ma un Evomphaliis, le Fusuline, i Conocardium e le specie vegetali appartengono al periodo subcarbonifero : rari ed incompleti si trovano i pigidi di trilobite che accennano al genere Asaplius. Tali fossili si raccolgono in una zona di argillo-scisti micacei ed ocracei, di arenarie e di puddinghe quarzose, e di calcescisti micacei passanti gradatamente ad un calcare rosso ad Ortlioceras c quindi ad una massa talora potentissima di calcare roseo o grigio che costituisce le vette principali. Dai dati stratigrafici parrebbe si dovesse riferire la zona fossi- lifera al Devonico superiore; le puddinghe quarzose, le arenarie e gli scisti sottoposti al Devonico inferiore; ed al Silurico i cal- cari saccaroidi, i calcescisti, le grauvacche e anche più sicuramente i micascisti che sopportano l’ intiera formazione paleozoica della potenza di duemila metri almeno. La formazione calcarea che ricopre la zona fossilifera com- prendente i calcari rossi ad Ortlioceras^ ha una potenza assai ir- regolare, ed è piuttosto come un intreccio di formazioni lentico- lari di calcari che separano la zona fossilifera dagli Scisti di Casanna sviluppati più a Sud. La serie inferiore alla zona fossilifera tutta si dispiega quasi esclusivamente nel versante Nord. La formazione calcarea che la ricopre forma le vette principali dello spartiacque. Alcune di queste costituiscono una cresta dovuta all’ affioramento della for- mazione, inclinata fortemente a mezzogiorno; tali sono il Qua- terna (2402 metri), il Konigswaiid (2449), il Monte Palumbino (2383), il Monte Antola (2631), il Monte Paralba (2690), il Creda Bianca (2260), il Cogliaus, il Monte Crocè (2405), il Pizzo di Timau (2325) ed il Pizzo xV vestano. Altre invece, che sono calca- ree generalmente scistose, coronano gli spartiacque tra i confluenti di destra del Gail; tra le principali abbiamo: il Sonnenstein (2282), il Gemshofel (2124), P Hoheck, lo Stallenkofel, il Pleugo (2368), l’Alpe di Mantheu (1775), il Polling (2325), lo Zollnerhohe (1924), l’ Hohertrieb (2194), l’Ochwipfel (2182), il Gartnerkefel (2190), il Polndnig (1995), P Osternik (2027) ed il Monte di Gòriach (1587). I valichi più praticabili che dal Comelico mettono al Tirolo e dal Friuli nella Carinzia, furono stabiliti là ove la formazione calcarea venne ad infrangersi o fu erosa sì che i terreni scistosi — 268 — poterono affiorare. Tali sono il passo eli Padola (1634), il Giogo Evler (2200), il Giogo Veranis (2292), i passi difficili della Vo- lala e dello Indenkefel (aperti a circa 2300), il passo di Monte- croce di Timau (1322), il passo di Primosio (1835), il Pecol di Cliiaula (1776), il Lodicut (1953), il Nassfeld (1534), il Canal- alpe 0 Kernitza (1394) ed il passo di Uggebacli (1419). Il più basso di questo, il Timau, fu scelto dagli antichi ro- mani per passare in Germania da Aquileja. Il passaggio attraverso questi vari punti presenta una certa uniformità di formazioni, per essere la direzione dei terreni ge- neralmente normale alle selle ed alle valli che si percorrono; ond’è che uno di questi passaggi rappresenta in modo sintetico le condizioni stratigrafiche di tutta la regione paleozoica delle Alpi carniche. Dal limite delle più basse formazioni triassiche poc’ anzi in- dicate movendo verso tramontana, si percorre un tratto più o meno lungo in una regione scistosa formata da rocce più recenti delle masse calcaree allineate alle creste dello spartiacque. Sono scisti argillo-micacei, arenarie e quarzoscisti, attraversati ed al- ternati con dicche e colate di diabasi, di dioriti, di iperiti e di porfidi quarzosi. Non havvi traccia di fossili; ma dalle relazioni stratigrafiche, anche senza le caratteristiche emersioni di por- fido quarzoso nei dintorni di Paluzza, si può riconoscere la as- soluta indipendenza di questa serie da quella che comprende la zona fossilifera e la sua equivalenza al Permico inferiore. Attra- versata nel risalire questa prima serie di scisti e di arenarie si incontra la cresta calcarea del carbonifero al di cui contatto colle rocce scistose si allinea la formazione metallifera delle Alpi car- niche, colle vene di cinabro di Valle Visdende e del Paralba, coi filoni di fahlerz, di galena e di calcopirite di Monte Avanza, con quelli di fahler^ e di siderose a Sissanis e cogli ultimi affiora- menti di solfuri cupriferi ed argentiferi dei dintorni di Timau. Traversando per uno dei valichi summentovati, che incidono a distanze quasi eguali la cresta calcare, si discende sul versante Nord. In questo, discendendo le valli confluenti del Gali o attra- versando le montuosità che le dividono, si attraversano gli scisti del subcarbonifei'o e del devonico. Si trovano di nuovo i calcari carboniferi e finalmente i micascisti, le grauvacchc ed i calcari sac- — 269 — caroidi del silurico entro a profondi burroni. Abbandonando queste rocce a circa 400 metri sul fondo della valle del Gail, si ponno attraversare i magnifici terrazzi morenici che sono le vestigia del ritirarsi dell’ antico ghiacciaio che occupò un tempo la vallata. Traccio di questo si scorgono specialmente nel tratto da Wald- schich ad Arnoldstein, ove si scorgono le testate del calcare sac- caroide silurico meravigliosamente arrotondate o striate. Le de- pressioni longitudinali dovute all’ erosione degli scisti, accolgono una grande varietà di massi erratici che danno la litologia di tutta la serie paleozoica del versante meridionale della valle del Gail. Le formazioni scistose sono prevalenti nella parte superiore della vallata detta valle di Lessech, abbondano i calcari nella parte inferiore, ma si conservano sempre le condizioni stratigrafi- che menzionate. La formazione permica pare si arresti alla valle pontebbana, lasciando luogo più ad oriente alle formazioni triassiche che con potente sviluppo si continuano nelle Alpi giube. Il permico ricom- pare poscia, nelle Caravanche che rappresentano geologicamente la continuazione delle Alpi carniche. Ad occidente della Gamia e del Comelico 1’ ultima epoca del paleozoico sembra rappresen- tata dalla formazione porfirico-metallifera di Agordo e della valle del Gismone. III. SiiUa geologìa del distretto di Agordo nel Veneto. (^Estratto da una nota dell’ ing. Pellati, inserita nel Boll, del Club Alp., N. 18.) Il gruppo di montagne del distretto alpino di Agordo è com- preso in un triangolo rettangolo isoscele, di cui un cateto è co- stituito dalla valle dell’ Adige da Verona a Bolzano e dalla valle dell’ Eisach da Bolzano a ÌMìililbach ; l’ altro cateto è formato dalla valle della Pusteria da Miiblbach a Sillian e dalla valle del Gail da Sillian a Villaco. L’ ipotenusa di questo triangolo passa per Tarvis e la valle del Fella, e prosegue in linea ondulata pel confine dei monti colle pianure friulana, trevigiana e vicentina. - 270 Una curva leggermente convessa verso V angolo retto del triangolo, avente una delle estremità alla Cima di Posta sopra Recoaro e 1’ altra alla Peralba, forma lo spartiacque fra i bacini del Piave, del Tagliamento e del Brenta, e quelli dell’ Eisach, dell’ Adige, del Gail e della Brava. Su questa linea si trovano di conseguenza le più alte elevazioni, quali sono la Cima d’ Asta, il Cimon della Pala, la Marmolata, la Tofana, il Cristallo, la Silvella, il Kollingkofel, e costituisce presso a poco il confine fra il Veneto e il Tirolo italiano e tedesco. La Civetta, il Pelino, l’Antelao, l’Agner, le Marmarole e la Gridola dalla parte ita- liana, il Rosengarten, il Langkofel, lo Schlern, il Gaisl, il Drei- scliusterspitz e il Burken dalla parte tedesca, sono altrettante elevazioni considerevoli di questa regione. La Marmolata rag- giunge in altezza 3380 metri, il Cimon della Pala 3320”, la Creda Malcora 3291”, l’Antelao 3255”, il Cristallo 3244”, la Civetta 3188”, il Pelino 3163”, il Dreiscbusterspitz 3162”, il Perdei 3154”, la Creda Rossa 3130”, il Rosengarten 3100”. Dei 13,000 chilometri quadrati che misurano 1’ area del trian- golo in discorso, quasi 3000 sono ricoperti di rocce eruttive e specialmente di porfidi quarziferi ed augitiferi, 2000 constano di arenarie e scisti di varia natura ed età, e gli altri 8000 di calcari più o meno magnesiaci, triassici e giuresi. Andando in linea retta da Primiero a Trento, si attraversa una importante massa granitica che si projetta orizzontalmente in una ellisse allungata, coll’ asse maggiore nella direzione anzi- detta fra Cauria e Borgo di Valsugana avente 22 chilometri in lunghezza e l’asse minore circa 8 chilometri. Verso N.E. tale massa si solleva ad un’ altezza di circa 2800“ formando la » Cima d’ Asta. Oltre questa massa di granito, che è la più im- portante in questa regione, un’ altra assai considerevole si mostra sulle pendici della destra del Rienz da Brunecco a Miihlbach e dilatandosi prosegue verso Ovest fino alla sponda destra del- r Eisach. Non compresa in questo campo, ma meritevole di esser menzionata, è la massa granitica di Merano a circa 40 chilometri a O.S.O. da Miihlbach. Queste masse per la loro orientazione e per analoghi caratteri mostrano avere stretta relazione colla grande formazione dell’ Adamello e colle altre minori delle Alpi lombarde. — 271 — Larghe zone di scisti antichi micacei, argillosi, talcosi o cloritici avvolgono più o meno completamente le citate masse granitiche. La zona che si addossa alla Cima d’ Asta si estende specialmente nel senso dell’ asse maggiore dell’ disse e giunge lino alla valle del Cimone: una striscia prosegue verso Est lino ad Agordo, la cui miniera è incassata appunto in tale terreno, e verso Ovest arriva fino alle vicinanze di Trento. Una vasta for- mazione di micascisti e scisti argillosi, si addossa pure ai gra- niti di Mùhlbach e si estende verso Sud nel nostro triangolo da Waidbruck fino a San Candido. Lo spazio compreso fra queste due zone di micascisti è coperto da una grande massa di por- fido rosso quarzifero, forse la più vasta di tutta 1’ Europa. I primi depositi sedimentari che si trovano sui porfidi appar- tengono al Trias inferiore. Alle prime eruzioni porfiriche, che la natura della roccia dimostra essere state subaeree, succedette un periodo di calma e di depressione durante il quale si deposita- rono; 1° le arenarie rosso-chiare non fossilifere che si riscon- trano nel Colle di Foglia presso Agordo; 2“ le arenarie grigie a posidonie, le arenarie bianche e grigie e le marne a naticelle {3Iuschdhaìli) che trovansi sugli scisti argillosi in Valle Impe- rimi e sotto le dolomiti triassiche sulla strada da xigordo a Ca- prile; 3° i calcari neri bituminosi a terehratule, le dolomiti bian- che e grigie, cristalline e cellulari con ammoniti e crinoidi che si riscontrano nella valle di San Lucano nelle vicinanze di Pont. Dopo la deposizione di queste rocce sulla destra della valle di Fassa fra Penia e Vigo, una potente eruzione di porfidi augi- tiferi scoppiò nel fondo del mare che allora ricuopriva tutta la parte meridionale della regione dolomitica, aprendosi il passag- gio fra le citate rocce sedimentari. Quasi contemporaneamente altre eruzioni simili incominciarono a Nord e a Sud della prece- dente. Queste eruzioni continuarono per lunghissimo tempo con intervalli di calma ed il mare che, malgrado i notevoli solleva- menti conseguiti, continuava ad occupare la maggior parte della zona di eruzione, servì a trasportare le ceneri vulcaniche e rico- prire di tufi ed arenarie doleritiche quella grande superficie che costituisce il così detto altipiano tufaceo, che si estende fino alla base del iNIonte Tofana sotto cui scom])are e, passando sotto il Monte Civetta, giunge fino ai piedi dell’xVntelao. Nelle vicinanze di Caprile, e segnatamente al Colle di Santa Lucia, questi tufi assumono una struttura sferoidale che valse loro V impropria denominazione di palle hasaltinc. Contemporaneamente a queste eruzioni si depositarono nel mare calcari con noduli di silice, conglomerati di calcare e di ceneri vulcaniche, calcari fetidi con coralli, encrini e terebratule, calcari marnosi grigi ed oolitici. Questi depositi si ravvisano incorporati o connessi coi tufi nei dintorni di Caprile. Sugli ul- timi depositi citati stavano formandosi le dolomiti dello Schieri! quando ebbero principio le eruzioni subaeree nei dintorni di Pre- dazzo, che cominciarono dal rigettare una specie di sienite che si dilatò sugli strati circostanti del Trias inferiore. Più tardi produssero un granito tormalinifero, poi un porfido uralitifero, quindi un melafiro bruno, e finalmente un porfido sienitico con grandi cristalli di ortose. Si chiusero in questa regione le vio- lenti manifestazioni plutoniche con una grande eruzione di sienite intersecata da iperstene nella località detta i Monzoui fra Pre- dazzo e il Monte Bufaure. Cessate le eruzioni cominciò un periodo di lenta depressione del terreno, durante il quale si formarono le grandi masse dolo- mitiche che furono ricoperte da altre dolomiti di carattere di- verso che formano gli strati di Raibl coi quali si cliiude P epoca triassica. Lo Schlern, il Langkofel, il Guardenazza, il Monte Sella, la Marmolata e i monti fra Caprile, San Cassiano e Cor- tina d’ Ampezzo sono tutti dolomitici. Così pure i monti fra il canale di Socchieve ed il Comelico. Sopra gli strati di Ptaibl si trovano altre dolomiti basiche poco diverse dalle precedenti, che formano la parte superiore del Monte Sella, del Guardenazza, dello Schlern e i monti di San Martino, il Civetta, P Antelao, il Pelmo, quelli dal Peron fino alla Valle Impenna e quelli delle valli d’Ampezzo e di Socchieve. Più tardi si depositarono, specialmente su di una zona interna alla ipotenusa del nostro triangolo, i terreni più recenti, cioè il giurese superiore, il cretaceo e P eocenico, senza nessuna mani- festazione vulcanica. Fu solo nel periodo miocenico che questo sistema orografico fu completato mediante le eruzioni trachitiche degli Euganei e le basaltiche del vicentino e del veronese. Oltre i terreni sopracitati devesi far menzione del terreno — 273 — carl)onifero die occupa considerevole estensione parallelamente alla valle del Gali da Tarvis fin presso Sillian. Esso comprende tanto la formazione del Calcare di montagna quanto quella degli Scisti carboniferi, ma non contiene che scarsi depositi di com- bustibile. IV. Di alcuni Dettili e Mammiferi fossili recentemente scoperti nel Nord- America. (Estratto da vari articoli inseriti nellMmer. Journ. of Scien. and Artn, New-IIaveii. 1871.) nettili. • Fra i Flettili fossili scoperti durante un’esplorazione del Green Diver nel bacino terziario ad occidente delle Montagne Rocciose, si annoverano i resti di parecchie specie di serpenti interessanti specialmente per essere i primi Ofidiani estinti, ritrovati nel- r interno del continente americano, e gli unici rappresentanti del- r ordine in questa contrada. Consistono tali resti in varie vertebre di grandezze diverse, alcune più o meno deteriorate, ma in generale colle parti carat- teristiche ben conservate. Quasi tutti gli esemplari appartengono evidentemente a serpenti costrittori, che si collegano ai moderni Boa del Sud-America, benché considerevolmente più piccoli e genericamente distinti. Paragonando le vertebre fossili, specialmente quelle prossime al mezzo del tronco, colle corrispondenti dei Boa viventi, si trova una notevole somiglianza nei più importanti caratteri ; special- mente nel contorno ellittico della coppa e processo articolare, nella ottusa elevazione laterale estendentesi dalle diapofisi lino al processo articolare, e nel rialzo prolungato sulla superficie inferiore del centro. Le differenze fra essi sono tuttavia impor- tanti, ed indicano chiaramente che gli esemplari fossili rappre- sentano un genere a parte per cui fu proposto il nome di Doa- vus, allusivo alla non improbabile relazione fra i due tipi. Nel — 274 — genere estinto il processo articolare e la coppa sono più prossi- mamente verticali, e il loro contorno forma un’ ellisse più schiac- ciata. L’ arco nevrale è proporzionalmente più elevato, ed ha da ogni lato un rialzo che si estende dalla faccia articolare del zigosfeno fino alle cavità zigantrali. Queste ultime sono più pro- fondamente scavate che nel Boa. La spina dorsale è più corta. La elevazione laterale estesa dalle diapofisi fino all’ articolazione, è nel Boaviis più bassa e meno arrotondata; la cresta ipapofi- siale è più affilata, e si estende più vicino all’ orlo inferiore del- r articolazione. Le vertebre del Boavus somigliano quelle dei Baìaeophis e Dbwphis, e differiscono da quelle del Boa, Crotalus ed altri ser- penti moderni, per avere i lati del canale nevrale estesi vicino all’ orlo della cavità articolare. Boavus occidentalis, Marsh. Questa specie è determinata da otto vertebre quasi tutte verso il mezzo della regione dorsale. Esse appartengono evidentemente a parecchi individui, differiscono fra loro in grandezza, e furono trovate in tre differenti località : indicano serpenti constrittori fra sei ed otto piedi di lunghezza: r arco nevrale è in questa specie elevato e massiccio ; la spina nevrale è breve e triangolare alla base. Il zigosfeno è convesso superiormente, leggermente scavato di fronte e privo di tuber- colo mediano. Il canale nevrale ha nel suo corso una distinta ipapofisi mediana, e le acute creste laterali gli danno un con- torno sub-trifoliato. L’ ipapofisi è una cresta acuta che comincia al margine della coppa e termina estendendosi fino al processo in un prolungamento ottuso. Le dimensioni principali di una delle più grandi vertebre di questa specie sono le seguenti: Lunghezza di centro dall’ orlo della coppa alla convessità del processo Millim. 10. 1 Diametro trasversale della coppa 6.2 Id. verticale id. id fx 6 Id. trasversale del zigosfeno alla base 7. 9 Distanza dal vertice del zigosfeno al margine inferiore della coppa 11.2 275 — Diametro verticale del processo articolare .... Millim. 5. 2 Larghezza del canale nevrale in fronte 4. 5 Altezza del canale nevrale in fronte 2. 4 L’ orizzonte geologico è probabilmente 1’ Eocene. JBoavus agilis, Marsh. — Questa specie, della stessa lunghezza della precedente, benché apparentemente molto più svelta, è rap- presentata da cinque vertebre, tutte della regione dorsale e appar- tenenti a due 0 più individui. Si distinguono agevolmente dalle corrispondenti vertebre del B. occidentalis per il centro in pro- porzione più allungato; per la coppa più rotonda e piu inclinata; e per la cresta ipapofisiale che è più ottusa, e nella sua por- zione anteriore si espande rapidamente fino a confondersi col margine della coppa. La più gran vertebra di questa serie ha le seguenti dimensioni ; Lunghezza del centro dall’ orlo della coppa alla convessità del processo . . . • Millim. 9. 2 Diametro trasversale della coppa articolare 5. fi Id. verticale id. id. id. 5. 4 Id. verticale del processo 5. 1 Larghezza di fronte del canale nevrale 4. 5 I resti di questa specie furono trovati presso Forte Bridger nella stessa formazione del suddescritto. Boavus brevis, Marsh. — I rappresentativi di questa specie sono considerevolmente più piccoli dei suddescritti ed evidente- mente molto più brevi in proporzione alla loro grossezza, essendo lunghi non più di 4 o 5 piedi. Gli unici avanzi trovati consi- stono in tre vertebre dorsali, in buono stato di conservazione ed evidentemente appartenenti a due diversi individui. Queste ver- tebre hanno il centro insolitamente corto, e la sua estensione misurata alla superficie inferiore di poco eccede il diametro tra- sversale del zigosfeno. L’ arco nevrale è basso, e sopporta poste- riormente per due terzi della sua lunghezza la spina nevrale che è breve e troncata. Il zigosfeno è meno massiccio che nelle specie precedenti, e porta un leggiero rigonfiamento mediano nel margine anteriore della sua base. — 276 — . Le dimensioni della più perfetta di queste vertebre sono le seguenti : Lunghezza del centro dall’ orlo della coppa alla convessità del processo ùlillim. 4. 9 Diametro trasversale della coppa articolare 3. G Id. verticale id. id. id 2. 8 Id. trasversale del zigosfeno alla base 4. 2 Distanza dal vertice del zigosfeno all’ orlo più basso della coppa 6. 3 Larghezza di fronte del canale nevrale 2. 3 Altezza del canale nevrale in fronte 2. 0 Furono trovati tali resti vicino alla località dei precedenti. Lithophis Sargenti, Marsh. — Questo genere e specie sono rappresentati da tre vertebre del tronco, una delle quali è ba- stantemente conservata per mostrare tutti i caratteri principali : gli esemplari indicano un piccolo serpente di circa quattro piedi di lunghezza e probabilmente riferentesi, come i precedenti, ai costrittori: si distinguono agevolmente dalle vertebre del Boa- vus ec., per il centro più compresso e specialmente per la coppa e processo articolare, che sono circolari nella sezione trasversale come nell’ Ergx. Le zigapofisi anteriori sono più estese, e le loro faccio articolari hanno una più grande espansione antero-posteriore che nelle specie sopra descritte. Le diapofisi hanno le loro superfìcie articolari separate da una scanalatura orizzontale, avente superior- mente un tubercolo arrotondato. Mancano poi di creste laterali esten- dentesi dalle diapofìsi all’ articolazione, come nel Boa e nel Boavus, essendo i lati convergenti del centro quasi piatti. Le ipapofìsi sono ridotte a un rialzo cuneiforme estendentesi per l’ intera lunghezza del centro ed avente le sue sommità taglienti sotto il margine inferiore della coppa: lungo il canale nevrale si osserva un’ ottusa prominenza mediana, ma le creste laterali non sono apparenti. Le principali dimensioni della vertebra meglio conservata sono le seguenti: Lunghezza del centro dall’ orlo della coppa alla convessità del processo Millini. 6. 3 Diametro trasversale della coppa 3. 0 Diametro verticale della coppa Millim. 3. 0 Id. verticale del processo 2. 9 Lunghezza di fronte del canale nevrale 2. 0 Distanza dal termine della zigapofisi anteriore alla ipapofisi. 6. 8 Distanza; fra i termini delle zigapofisi anteriori 10. 1 Venne scoperto nell’ Eocene presso il Forte Bridger, LhmwpMs Crassus, Marsh. — Uno dei più interessanti avanzi di Ofidiani rinvenuti nel Wyoming è una vertebra dorsale ante- riore benissimo conservata ed aftatto dissimile dalle finora de- scritte: essa indica un serpente constrittore di moderata gros- sezza, di circa sei piedi di lunghezza. Paragonandola colle corrispondenti vertebre del Boavus e del Litophis, si osserva una notevole differenza nelle dimensioni della coppa articolare, che eccede considerevolmente in larghezza il diametro parallelo della base del zigosfeno ; struttura solo osservata fin qui in pochi ser- penti fossili deir eocene, ed affatto incognita nelle specie mo- derne. La coppa e processo hanno una sezione subtriangolare, ovata; esse sono inoltre collocate quasi ad angolo retto sugli assi del centro : un’ altra singolarità di questa vertebra è un’ in- solita estensione posteriore delle nevroapofisi, che si prolungano a una certa distanza al di là della prominenza articolare.. La spina nevrale non si è disgraziatamente conservata, ma essa era evidentemente breve e limitata ai due terzi posteriori dell’ arco nevrale. Le zigapofisi anteriori hanno solo una moderata espan- sione; le diapofisi portano all’attacco della costola un tubercolo arrotondato e prominente coi suoi orli inferiori al di sotto del margine della coppa: neppure in questo si osserva la cresta estesa dalle diapofisi al processo articolare. La ipapofisi consta di un unico tubercolo compresso ed ottuso, la cui base occupa più della metà della linea mediana. Le più importanti dimensioni sono: Lunghezza del centro dal margine della coppa alla con- vessità del processo Millim. 7. 1 Diametro trasversale della coppa 5. 1 Id. verticale id. id 4. 1 Id. verticale del processo articolare 3. 7 — 278 — Distanza dalla sommità posteriore delle nevrapofisi al margine inferiore del processo IMillim. 7. 8 Lunghezza dell’ ipapofisi sotto il margine inferiore della coppa 2. 0 Questa interessante vertebra per le sue singolarità giustifica di aver dato origine a un genere a parte, che fu chiamato Limno- plds (serpente del lago): la specie venne chiamata LimnojJÌiis crassus per le probabili proporzioni dell’ estinto serpente sopra descritto. Fu ritrovato nei depositi eocenici presso Marsh’s Fork a quindici miglia dal Forte Bridger nel Wyoming. I resti che verremo a descrivere, furono raccolti parimenti in una esplorazione della regione delle Montagne Rocciose : alcuni di essi appartengono all’ epoca terziaria ed altri alla cretacea; questi ultimi sono di un grande interesse, mostrando essi il considere- vole sviluppo in questa contrada dei Mettili 3Iososauroidi che sembrano essere stati comparativamente rari nelle altre parti del globo. Inoltre, e fortunatamente, alcuni di questi resti servono a dar luce a parecchi punti oscuri della struttura di questi rettili, e provano che essi avevano un bene sviluppato arco pelvico ed arti posteriori, I fossili del terziario sono anche di importanza, mostrando che tipi di rettili quasi incogniti fin qui in questa for- mazione, erano in uno degli antichi bacini lacustri, almeno, abbon- dantemente rappresentati durante quel periodo. Rettili cretacei. Edestosaurus dispar, Marsh. — Questo genere, che per quanto ora si conosce, non include che due specie di piccoli Mososau- roidi, è specialmente distinto dal Cìidastes, suo più prossimo alleato, per l’ inserzione dei denti pterigoidi che sono pleurodonti nella metà anteriore della serie, e nella porzione posteriore hanno un margine dentale esterno protetto da un basso parapetto osseo : questo genere differisce dal Mlatecarpus per 1’ articolazione zigo- sfene delle vertebre: l’arco pelvico e le membra posteriori sono bene sviluppate. La presente specie è determinata dalle più importanti parti dello scheletro, quali sono la maggior parte del cranio, ambedue — 279 — i quadrati, circa settanta vertebre, parte degli archi scapolare e pelvico e fi’anmienti degli arti: sembrano appartenere a un ret- tile mososauroide di circa IO metri di lunghezza, e della gros- sezza del Clidasfes iguanavus, Cope. Le vertebre possiedono la completa articolazione del zigosfeno. Nelle cervicali e dorsali an- teriori la coppa e il processo articolare sono alquanto inclinati ; un poco meno nelle posteriori dorsali e lombari, e nelle caudali an- teriori sono prossimamente ma non del tutto verticali. Le faccie articolari nelle vertebre cervicali sono larghe, ovali, trasversali, debolmente smarginate al di sotto per il canale nevrale. Nelle dor- sali e lombari la coppa continua ad essere transversa e l’ emar- ginazione è più profonda, ma nelle caudali anteriori il contorno diviene un’ ovale verticale. Le lombari posteriori hanno le faccie esagonali coi due bordi superiore ed inferiore scavati. Il cerchio del processo articolare è circondato da un distinto ma non pro- fondo doppio solco. Il quadrato ha la stessa forma generale che nel CUdasfcs propytlion, ma V angolo esterno è situato più indietro ed ha una tacca nel suo margine posteriore. I prolungamenti postero-supe- riori sono più brevi, con una terminazione schiacciata. I denti sono curvi e alquanto compressi con uno smalto liscio che mostra indizii di larghe faccette alla metà basale: si osservano tredici denti mandibolari con alveoli per altri due. Lo spleniale si estende dall’ esterno della base del settimo dente fino alla fronte. Le ossa pterigoidi sono separate, eccetto forse al loro margine anteriore interno. Vi erano almeno quindici denti pterigoidi : le corone sono lisce con distinti orli posteriori taglienti. Si osserva una rimarchevole ditferenza di grandezza fra le vertebre cervicali e quelle della regione lombare, dove i centri raggiungono il loro massimo. La scapola e le ossa coracoidi sono simili a quelle del Moso- saurus: il coracoide è traversato da un foro presso il suo mar- gine anteriore. L’arco pelvico somiglia a quello dell’Ittiosauro, e come in questo genere è considerevolmente più piccolo che r arco anteriore. L’ acetabolo somiglia a quello del Trijonix : esso è formato dalla unione dell’ ilio, pube ed ischio, dando il primo la più grande, 1’ ultimo la più piccola porzione della superficie articolare. Il corpo dell’ ilio è considerevolmente sottile, e la ter- — 280 — minazione prossimale era probabilmente attaccata alla vertebra mediante una cartilagine. La estremità distale è molto espansa, sub-rombica di contorno, ed lia tre faccette quasi eguali sulla sua superficie articolare. La estremità prossimale del pube è più compressa di quella dello ilio, ed ha tre faccette articolari cor- rispondenti, essendo 1’ acetabolare quasi piatta e le altre concave. La parte inferiore è schiacciata, ed ha un foro presso il suo mar- gine anteriore. La terminazione prossimale dell’ ischio è triedrale e qualche poco più piccola di quella del pube. Le superficie arti- colari di tutti questi ossi erano coperte di spesse cartilagini : le poche falangi trovate con quésti resti sono depresse e molto ristrette al mezzo ; le terminazioni sono transversali, e furono già coperte con cartilagini. Dimensioni Lunghezza dell’ asse Milliin. 58, 7 Id. dell’asse col prolungamento odontoide. ... 72,0 Larghezza fra le diapofisi 60, 2 Id. del processo articolare 25, 4 Altezza del processo articolare 20, 9 Lunghezza dall’orlo della coppa alla fine del processo nella ir vertebra 56,4 Larghezza del processo 31,6 Altezza id. id 27, 1 Lunghezza del primo caudale alla superficie inferiore. . 36, 1 Larghezza della coppa articolare 32, 8 Profondità id. id 33, 9 Lunghezza del quadrato 69, 2 Estensione trasversale della estremità distale 42, 1 Lunghezza del pterigoide portante i 5 denti anteriori. . 75, 6 Id. della porzione coi 5 denti posteriori 51,9 Diametro antero-posteriore della estremità distale dell’ ilio. 32, 8 Id. trasversale 25, 4 Id. dell’ asta 10, 6 Massimo diametro della estremità prossimale del pube. 36, 6 Diametro trasversale 22, 6 Massimo diametro della terminazione prossimale dell’ ischio. 31, 6 Diametro trasversale 20, 3 Fu trovato negli scisti cretacei presso Sinoky Iliver nel Kansas. — 281 — Edcstosaurus vclox, Marsh. — Questa specie è molto simile alla precedente e la sua grandezza raggiunge circa i due terzi di essa. È adesso rappresentata da una serie di esemplari includenti la maggior parte del cranio, coi quadrati e parecchie vertebre; si hanno anche alcune vertebre anteriori dorsali, trovate nella stessa località. Il muso termina in punta ottusa. Il premascellare è semplice ed unito ai mascellari con una sutura differente da quella delle • specie conosciute del Clidastes: vi sono quattro denti premascel- lari lisci e subcompressi. Le ossa pterigoidi sono molto simili a quelle della specie precedente. Il quadrato ha la stessa forma generale, ma presenta diverse differenze ben marcate. La gran- d’ ala è meno curvata verticalmente ed è concava su ambedue le superficie. Il processo alare ha la sua superficie articolare molto stretta : manca l’ intaccatura nel margine posteriore del- r angolo esterno. Sulla cresta che sta sotto questo angolo vi è una rugosità prominente, che è rudinientaria o manca affatto nelle specie più grandi. Nelle vertebre cervicali e dorsali le fac- cie articolari sono trasversali, colla emarginazione superiore più profonda che nelle specie precedenti. Nella regione anteriore dor- sale le vertebre hanno la cavità c il capo articolare più in traverso. Dimensioni Lunghezza della vertebra anteriore dorsale dal margine della coppa alla terminazione del processo . . Millim. 49, 5 Larghezza del processo 27, 0 Altezza id. id. 22, 5 Lunghezza del pterigoide portante cinque denti anteriori. 56, 2 Id. del pterigoide coi cinque denti posteriori. . . 42, 7 Id. del quadrato 61, 1 Diametro trasversale della estremità inferiore 31, 6 Questa specie è circa della grandezza del Clidastes interme- dius, Leidy, ma facilmente se ne distingue per i suoi denti lisci e per le faccie articolari delle vertebre più vicine alla verticale. Proviene dal Kansas occidentale. Clidastes Wymam, Marsh. — I resti coi quali fu determinata questa specie consistono in una serie di vertebre cervicali e 19 — 282 — dorsali anteriori, con porzioni del cranio e quadrati dello stesso individuo, includendo quasi completa la serie vertebrale dalle lombari posteriori all’ estremità della coda. Indicano tali avanzi un piccolo rettile di grandezza molto prossima a quella del CU- dastes propytlion, ma da questa specie per varie particolarità differente. Una delle principali è la forma del muso che è corto ed ottuso. Il basioccipitale ha il condilo verticalmente profondo e solo un poco profondo solco nella sua faccia superiore per il canale nevrale. Il quadrato ha alla sua estremità più bassa una prominenza rugosa, che ha sotto una profonda cavità incomin- ciante dal bordo esterno. I centri delle anteriori dorsali sono prolungati e molto ristretti dietro le diapofisi, la cavità è larga e 1’ emarginazione profonda. Nelle caudali anteriori le faccie articolari hanno un’ ovale larga e verticale: le vertebre hanno in questa regione fianchi profon- damente concavi. Nella ventesimaquinta caudale, dove l’ ultimo rudimento di diapofisi è scomparso, i diametri trasversale e ver- ticale della cavità e la lunghezza del centro sono prossimamente eguali. Nelle vertebre caudali mediane i centri divengono compressi, la cavità molto poco sentita; le caudali posteriori sono molto compresse colla coppa molto profonda, la spina nevrale inclinata: le vertebre terminali hanno meno di ^/i2 di pollice di diametro trasversale. La specie di cui è parola, raggiungeva probabilmente circa sei metri di lunghezza. Dirnensioui Lunghezza dell’asse col prolungamento odontoide. Millim. 22, 5 Larghezza fra le diapofisi 37, 4 Id. del processo articolare 17, 6 Altezza id. id. 15, 4 Lunghezza del centro colle ipapofisi attaccate 22, 7 Id. della sesta cervicale senza processo 28, 6 Id. dell’ arco nevrale 22, 5 Larghezza al punto meno profondo 14, 3 Id. della cavità 20, 3 Distanza dalla fine del muso al centro del primo dente. 12, 1 Lunghezza della caudale su cui prima scompaiono le diapofisi 20, 4 283 — Larghezza della cavitcà Millim. 20, 3 Sua profondità 20, 3 Lunghezza della caudale probabilmente contigua al- r ultima 1 Suo diametro trasversale 2,0 Questi avanzi sono stati scoperti negli scisti grigi cretacei del Kansas occidentale. Clidastcs piimilus, Marsh. — Questo piccolissimo rettile Mo- sosauroide è determinato dalla parte anteriore dello scheletro, che si riferisce prossimamente alle specie precedentemente descritte. Però oltre la grandezza scemata vi sono altre ben caratteristi- che differenze. Nella specie presente il terzo interno della super- fìcie articolare distale del quadrato, è molto più largo e meno separato per restringimento dalla superficie condilare. Il colilo dell’ osso articolare ha una larghezza relativamente maggiore. Il nocciolo rugóso presso la fine distale del quadrato è simile a quello della specie precedente, ma non ha incavo sotto di sè. Il basioccipitale è più lungo, profondamente scavato per il canale nevrale e il suo condilo è molto meno elevato. I denti sono quasi rotondi alla base, alcun poco curvati e con smalto liscio. Le faccie articolari delle vertebre cervicali sono quasi verticali, e hanno una larga sezione trasversale ovale con un’ emargina- zione superiore. Le ipapofisi libere finora conservate sono corte e hanno sezione triangolare. Dimensioni Lunghezza dell’asse senza prolungara. odontoide. àlillim. 26, 6 Larghezza del processo articolare 16, 2 Sua altezza 12, 7 Estens. trasversale della estremità distale del quadrato. 22, 5 Lunghezza del basioccipitale 29, 6' Questa specie raggiunse probabilmente circa 4 metri di lun- ghezza, e proviene dal calcare giallo cretaceo del Kansas occi- dentale. (Continua.) — 284 — NOTE MINERALOGICHE. I. * ^'ote mineralogiche dell’ ing. Giuseppe Grattarola, aiido del Professore di geologia e mineralogia nel B. Museo di Storia Naturale di Firenze. 1. — Sopra alcuni minerali dell’ isola d’ Elba non ancora descritti o accennati. La questione della origine dei graniti e delle rocce affini ha rivolto le menti dei geologi e de’ mineralogisti allo studio ac- curato e minuzioso di tutto quanto avesse colle rocce granitiche una qualche relazione o dipendenza. È in questo modo che in- sieme alle ricerche istituite sull’ andamento generale di queste masse e sulle loro modificazioni parziali, sulle azioni esercitate, 0 non esercitate, sulle rocce di contatto, sulla mancanza o sulla presenza della stratificazione, sul loro passaggio immediato o graduato alle altre rocce indubbiamente d’ origine sedimentaria, come gli gneiss, i micascisti, gli argilloscisti, ec., nacque e pre- sto fiorì lo studio dei filoni granitici, e più specialmente lo stu- dio accurato dei diversi minerali che in quei filoni si ritrovavano. Vasto campo a questo studio non potevano a meno di offrire le Alpi e le loro dipendenze ; e se abbondanti mèssi furono da molti, in diverse località e in diversi tempi, raccolte, l’ immensa ricchezza nascosta nelle viscere di quelle montagne non fu esau- sta, nè lo sarà per molto tempo ancora. Ma una località speciale e veramente classica ebbe il merito e la fortuna di attrarre sopra di sè gli sguardi degli studiosi : r isola dell’ Elba. Lasciando ogni altra considerazione che sarebbe qui affatto fuor di proposito, mi limiterò soltanto ad accennare quanto sia divenuta interessante la formazione granitica, che si trova più specialmente nella parte occidentale di quell’ isola, do- poché fu illustrata dai lavori del Savi, del Delanoue, dello Studer, del Cocchi, del v. Ratli, del D’ Achiardi e degli altri. Quella — 285 — regione fu studiata in ogni senso, e fu allora che nelle oramai celebri druse o filoni che si ritrovano in quel granito, e più spe- cialmente in prossimità di San Piero in Campo, insieme alle ma- gnifiche cristallizzazioni dei minerali già tanto noti del granito cibano, si andarono man mano trovando, studiando e illustrando dei nuovi e importantissimi minerali, quali sono la Magnetite, la Titanite, la Braunite e il Granato Spessartina, nonché la Ca- storite e la Pollucite, la quale ultima forma finora una specia- lità propria ed esclusiva dell’ isola dell’ Elba. Quest’ ultimo minerale, il quale, quantunque classato fra i silicati anidri, pure contiene sempre quantità variabili di acqua,' faceva anche sospettare che successive e più accurate ricerche avrebbero condotto al ritrovamento di minerali decisamente idrati. Infatti il dott. A. D’ Achiardi del Museo di Pisa, in un suo opuscolo di quest’ anno accennava alla scoperta di alcune sostanze nuove per il menzionato giacimento, che confermavano le sopraddette razionali supposizioni. Le sostanze di cui 1’ egre- gio Autore accennava la presenza sono tre : tutte . e tre appar- tenenti alla famiglia dei silicati idrati; e più particolarmente, due di queste facienti parte della sezione delle zeoliti e la terza di quella delle margarofilliti. Una sola di queste sostanze fu con precisione determinata, dappoiché lo permetteva la forma cristallina ben distinta; essa era la Ileitlandite (sezione delle Zeoliti, genere della Stìlbite) ; delle altre due rimanenti, una si dovrebbe pure ascrivere, se- condo il citato Autore, alla specie o almeno al genere Stilbite ; 1’ altra dovrebbe riferirsi alla specie Coólieite che fa parte del genere 3Iargarocìite. Di queste due ultime sostanze il sullodato dott. D’ Achiardi promette una più estesa descrizione, appena il prof. Bechi, incaricato dell’ analisi chimica delle medesime, avrà posto fine al suo lavoro. ‘ L’analisi del Plattner [Aìmaloi cìer PJujsik ìtnd Chemie, editi da I. C. Poggendorf, Leipzig, LXIX, 4i3) portava: SiO’ = -16,20; APO’= 16,39; Fe’O’ = 0,86; KO (prima della scoperta del cesio) =16,51 ; NaO (con poco LiO) = 10,43; HO = 2,32: totale 92,75. Quella del Pisani {Compì. Rend., LVIII, 714) dava: SiO’ = -44,03; APO’ = 15,97; Fe’0’ = 0,68; Ca0 = 0,68; CsO = 34,07; NaO LiO = 3,88 : HO = 2,40 : totale = 104,71. - 286 — Per quanto io ricercassi fra i molti campioni, die possiede il Museo, di minerali provenienti da quel giacimento, pure non mi venne fatto di trovarvi traccio di nessuno di quei nuovi mine- rali di cui il dott. D’ Acliiardi aveva fatta menzione. In questi ultimi tempi, questo R. Museo di Fisica e Storia Naturale acquistava dal Gap. cav. G. Pisani (il cui nome è col- legato alla scoperta di molte specie e bellissime cristallizzazioni di minerali in quelle località) una preziosissima collezione di mi- nerali appartenenti a quel giacimento. In essa insieme alle so- lite, ma sempre ricercate Tormaline rosee, alla ricercatissima Pollucite (di cui il Museo possiede ora esemplari veramente sor- prendenti), framezzo a una quantità notevole di Castori te, insieme a magnifici Berilli leggermente rosei o incolori, spiccavano per la loro originalità alcuni minerali che al primo sguardo si ma- nifestavano come ben nuovi in quel posto alP osservatore abi- tuato ai colori e alle forme dei soliti minerali di quella giaci- tura. Mia prima cura si fu di vedere se quelle nuove sostanze corrispondessero a quelle che erano già state segnalate dall’ egre- gio D’ Achiardi ; ma se mi fu facile il riscontrare quella sostanza globuliforme riferita dal citato mineralogista a una specie del genere della Sfilhite, ^ non mi fu possibile di ritrovarvi nè la Heu- ìandite, nè la Coolidte (quest’ ultima almeno dubitativamente). Ma questo esame mi portò alla scoperta e alla determinazione di altre specie minerali non mai state finora segnalate in questo giacimento, nonché di una specie mineralogica affatto nuova. La maggior parte di queste specie sono silicati idrati, e il loro ri- trovamento si collega manifestamente con quello delle specie citate dal mineralogista di Pisa; delle altre però una, la Apatite, ha una grande importanza, essendo esso il primo minerale della sua classe che venga rinvenuto in questo giacimento ; P altra invece, (Calcite) quantunque nuova nel giacimento, non offre nulla di ' L’ esame mineralogico di questa sostanza porta realmente a credere che essa debba appartenere al genere (se non alla specie) StUbitc. La sua forma globulare, talvolta stalattitica ; la poca durezza; la lucentezza (interna) perlacea o sericea, la struttura lìbroso-radiata ; la quantità notevole d’ acqua che svolge quando scaldata nel tubo chiuso; il suo sfogliarsi e il suo ridursi in forme ver- micolari quando venga sottoposta alla fiamma del cannello; il suo fondersi in uno smalto bianco; il residuo gelalìnoso che dà cogli acidi, sono infatti caratteri che accennano alla specie Stilbilc e più particolarmente a quella va- rietà di Slilbile che Beudant ha denominato Sjjhcrostilbile. - 287 — notevole : e parrebbe anzi strano che non sia stata finora mai trovata e accennata. Di tutti questi nuovi minerali darò un breve cenno, sperando d’ altronde che la lista de’ minerali di quel celebre giacimento, che ben a ragione si potrebbe chiamare « Gabinetto Mineralo- gico, » non sia in alcun modo per chiudersi col nome di questi.’ Natrolite. Sist. crist. — Trimetrico. Formola : -+-4- AlJ Si' La Natrolite si ritrova nella solita pasta quasi infracidita che caratterizza tanto bene il giacimento della Pollucite, Castorite, Lepidolite e Tormalina rosea. I due esemplari che possiede il Museo, e che portano questa zeolite, la presentano in due di- versi modi ; in uno sotto forma di una masserella sferoidale a struttura fibro-bacillare, radiata, con superficie molto scabrosa, e formata da un infinito numero di faccette piane che non sono che le basi de’ bastoncelli costituenti la massa; nell’ altro sotto forma di piccoli peli diritti, sottilissimi, riuniti in modo da dare r idea di piccoli e delicati pennelli, talvolta bene isolati, tal al- tra intersecantisi 1’ uno coll’ altro sotto angoli diversi. La durezza di questa sostanza è di 5 5 (scala di Mohs) circa, perchè riga facilmente 1’ Apatite, ed è con eguale facilità, rigata dall’ Ortoclasio : la sua lucentezza è vitreo-perlacea ; è subtraspa- rente 0 translucida; il colore è bianco, e bianche sono pure la polvere e la scalfittura. Scaldata nel tubo chiuso, anche a non troppo elevata tem- peratura, svolge una quantità notevole di acqua e diventa opaca. Fonde al calore della fiamma d’ una stearica, e al cannello fonde facilissimamente in un vetro limpido e incoloro, colorando nello stesso tempo la fiamma in giallo intenso. Bagnata colla soluzione di nitrato roseo di cobalto, e scaldata quindi ad elevata tempe- ' I minerali stati finora trovati in questi filoni sono : Ortoclasio, Albite, Lepidolite, Biotite, Quarzo, Tormalina (rosea, incolora, policroma, nera ec.). Granato, Berillo, Cassiterite, Magnetite, Braunite, Pollucite, Petalite (Castorite), Pyrrhite; e ultimamente; Ileulandite, Siilbite e Castorite. — 288 — ratura, si colora intensamente in azzurro. È solubile nel sai bo- race, meno facilmente e completamente nel sale eli fosforo. Nell’ acido cloridrico si scioglie con facilità, e lascia un re- siduo gelatinoso. La soluzione acida trattata coi soliti reagenti offre una molto sensibile prova della presenza del ferro. La poca quantità che di questa sostanza possiede il Museo, non mi permette di farne la desiderabile analisi chimica ; i ca- ratteri fisici e chimici sono nullameno tali che non lasciano dub- bio sulla specie mineralogica a cui devesi riferire questa sostanza. Cabasite. Sist. crist. — Bomboedrico. Formola : (i [| Óa+ + T Al,) S’ + H Anche questa specie di zeolite mi fu dato di ritrovare fra- mezzo ai minerali di questo giacimento. Essa si presenta ad occhio nudo sotto forma di una incro- stazione confusamente cristallina, ma sotto un potente microsco- pio rivela ben presto la forma cristallina propria della specie, cioè il romboedro 100 che a prima giunta si distingue difficil- mente da un cubo perfetto, tanto i suoi angoli diedri sono vi- cini ai retto (100 A 010 = 04° 46'). Malgrado la piccolezza dei cristalli è pure abbastanza visibile 1’ emitropia comune ne’ cri- stalli di questa sostanza, quella cioè in cui il piano di gemina- zione è parallelo alla faccia 111. La durezza di questi cristalli è di circa 4, 5 (scala di Mohs); la densità loro non si potè determinare stante la poca quantità che teneva a mia disposizione. Hanno uno splendore vitreo, un colore bianco ; sono translucidi in genere e trasparenti solo negli spigoli. Scaldati in tubo chiuso, perdono molta acqua; al cannello fondono facilmente in un vetro incoloro,' bolloso. La fiamma ' I Trattati di mineralogia, specificando il modo con cui si comporta al can- nello la Cabasite, dicono che essa fonde in un vetro bolloso, quasi opaco. L’ averlo io ottenuto trasparente potrebbe quindi autorizzare un dubbio sulla retta determinazione di questa sostanza, se io non mi affrettassi ad avvertire il — 289 — acquista durante l’operazione un colore giallo intenso. Bagnati colla soluzione del nitrato roseo di cobalto acquistano dopo es- sere riscaldati un bellissimo colore azzurro. L’ acido cloridrico ne scioglie la polvere e lascia un residuo di silice gelatinosa. Al seguito dei due precedenti silicati idrati conviene pure fare un cenno di un’altra sostanza degna di osservazione, sostanza che secondo tutte le probabilità rappresenta una nuova specie mine- rale proveniente dall’ alterazione della Castorite. Essa si ritrova nel giacimento cibano quasi dovunque riscon- triamo la Castorite. Si presenta in masserelle terrose, quasi fa- rinose, con una struttura finamente fibro-radiata, di un colore bianchissimo, di una lucentezza perlacea o sericea o terrosa. Queste masserelle terrose, perfettamente opache, contengono qua e là disseminati nel loro interno bellissimi cristalli di Castorite, i quali per altro sono divisi dalla massa farinosa da piccole pareti di una sostanza più consistente, di colore carnicino all’ esterno, ma manifestante nella frattura la stessa struttura, colore e splen- dore della massa farinosa alla quale fa presto passaggio. È un minerale molto leggiero; scaldato nel tubo chiuso svolge una notevole quantità d’ acqua ; al cannello fonde non tanto fa- cilmente in uno smalto bianco appena translucido. Bagnato col nitrato roseo di cobalto e scaldato fortemente acquista una tinta azzurra molto carica. Il colore della fiamma dà indizio della pre- senza della soda e della litina. Trattato coll’acido cloridrico si discioglie non completamente producendo silice gelatinosa. La soluzione, filtrata e trattata col carbonato di potassa, si intorbida per un bianco precipitato che lettore che questa differenza si deve con ogni probabilità attribuire ad una modificazione da me adottata pel cannello ferruminatorio e anche alla qualità del combustibile ; cose queste che mi permettono di ottenere una temperatura più elevata che non le comuni ottenute. Notisi per altro che io qui parlo di risultati ottenuti col soffio della bocca e con combustibile che si può avere con sè dappertutto, e non già con fiamme di gas idrogeno o di gas illumi- nante, alimentate da getti di aria od ossigeno puro ottenuti con mezzi mec- canici ; condizioni queste, come ognun vede, non sempre possibili ad aversi in omii luogo. Della modificazione del cannello e della qualità del combustibile dirò qualchecosa quando avrò condotto a termine le esperienze a cui l’una e l’ altra ho sottoposto. — 290 — si produce ; precipitato parzialmente solubile in un eccesso d’acqua (litina). Il ferro-cianuro di potassio dà un debolissimo indizio della presenza del ferro. La ristrettezza del tempo non mi permette per ora di ricer- care la composizione quantitativa di questo nuovo silicato idrato : ‘ mi riservo per altro di darne una più completa descrizione, quando potrò corredarla di questi dati indispensabili per una nuova specie mineralogica. Apatite. Sist. crist. — Romboedrico (esagonale). Forinola; SCaT -f- Ca(Cl,F) Ho potuto osservare questa specie mineralogica in tre distinti esemplari, ed in ognuno di questi essa si presentava in diverso modo. In uno erano cristalli, i quali, per quanto piccolissimi (non sorpassando in media il millimetro o il millimetro e mezzo), pure essendo bene staccati 1’ uno dall’ altro, si potevano benis- simo riconoscere e determinare. Nell’ altro i cristalli erano ad- dossati r uno all’ altro in modo da formare delle masserelle tutte ricoperte da lucentissimi punti. Nel terzo finalmente i cristalli ancora meno distinti, formavano delle masserelle bacillari, molto friabili e a struttura radiata. In tutti e tre gli esemplari, la xVpatite era accompagnata da quei rari minerali che hanno reso importanti questi filoni. La estrema piccolezza e fragilità dei cristalli meglio definiti, e il grande numero delle faccie laterali del prisma (di guisa che i cristalli paiono piuttosto striati longitudinalmente che non for- mati da semplici faccie) non mi permisero di prenderne le esatte misure col goniometro a riflessione, e mi dovetti quindi limitare ad osservarli aderenti alla roccia. Sono assai visibili e distinte le faccie delle seguenti forme semplici fra loro combinate: Prisma esagono diretto 21 f; Prisma esagono inverso 101; Romboedro diretto 100; Romboedro inverso 221; Base 0 pinakoide 111 ' — 291 — per cui il cristallo sarebbe rappresentato dalle forme: 100, 22l, 2ll, lor, 111. La sfaldatura è molto indistinta e si manifesta in due sensi ; cioè secondo il pinakoide 111, e secondo le faccie del prisma esagono 211. In quasi tutti i cristalli è bene distinta la solita geminazione della Apatite, quella cioè in cui la faccia di geminazione è pa- rallela ad una delle faccie del prisma esagono 211. La durezza è molto differente, secondochè la si esperimenta alla superficie dei cristalli, oppure su una superficie di fresca frattura. In questo ultimo caso la durezza è quella comune del- r Apatite, cioè di 5 (scala di IMolis); nel primo caso invece la durezza è di molto minore, ed è compresa fra il 2, 5 e il 3. Que- sta differenza dipende da un principio di alterazione che si ma- nifesta sopra questi cristalli. Questo poi è reso anche evidente dalla diversità d’ aspetto che hanno i cristalli quando vengono os- servati alla superficie e nell’ interno : l’ interno è formato da una sostanza lucente, vetrosa, con tutti insomma gli esterni caratteri dell’Apatite; avvicinandoci alla superficie, sparisce la lucentezza vitrea e sottentra, per una grossezza di qualche decimo di mil- limetro, una sostanza con aspetto di smalto, opaca o legger- mente translucida, la quale forma come una specie di camicia al nucleo vetroso interno. Il colore 'dei cristalli è un roseo leggermente tendente al violetto ; la lucentezza è vitreo-resinosa, la scalfittura è bianca, trasparente, fragile. Al cannello fonde con bastante facilità e colora la fiamma in giallo rossiccio : — bagnato coll’ acido solforico e scaldato, colora rapidamente la fiamma in azzurro-verdastro : il cloro, se pure vi si ritrova, deve trovarvisi in quantità molto tenue, giacché non mi fu possibile ottenerne la reazione col sale di fosforo e col- r ossido di rame. Medesimamente non potei ottenere la reazione del fluorio. È solubile nell’acido cloridrico; coll’acido solforico un poco allungato produce un precipitato bianco di solfato di calcio. — Il ferro vi è presente in piccola quantità. — 292 — Calcite. Sist. crist. — Romboedrico. FormoLa: CaC Solo dubitativamente aggiungo alle specie nuove nell’ accen- nato giacimento elbano questo minerale, stantechè io l’Iio ri- scontrato soltanto in un cristallo isolato senza alcun indizio di roccia che mi provasse il suo vero giacimento, nè ancora ho ri- cevuto le informazioni che ho richieste. Riservandomi quindi di levare dalla lista questo minerale, qualora ulteriori informazioni me lo imponessero, oppure di ag- giungere altri particolari quando mi capitassero fra mani altri e più sicuri esemplari, darò intanto i seguenti cenni; La forma cristallina di questo pezzo isolato è il romboedro, le cui facce sono parallele al romboedro di sfaldatura 100: è pure visibile una faccia, della quale, per non essere nè lucente nè piana, non ho potuto misurare gli angoli con un’ altra faccia, e solo dubitativamente ho determinato come 211. Una delle cop- pie di facce parallele del romboedro è striata in due sensi pa- rallelamente ai lati del rombo ; una seconda coppia ha tre si- stemi di strie, due dei quali paralleli ai lati del rombo e il terzo parallelo alla diagonale maggiore del rombo. La terza cop- pia di faccio del romboedro non è visibile. La faccia visibile del supposto prisma esagono è pure essa striata parallelamente alla diagonale della faccia rombica adiacente. L’ osservazione al goniometro di riflessione ha dato per mi- sura dell’ angolo di due faccio del romboedro di sfaldatura (an- golo delle normali) 1’ angolo 105° 2', molto vicino al 105° 5' che è r angolo della Calcite tipo. Tutti gli altri caratteri di durezza, densità, colore, splen- dore, ec., il modo di comportarsi al cannello e sotto l’ azione degli acidi, corrispondono in tutto e per tutto ai caratteri spe- cifici della Calcite. Delle accennate sostanze sarebbe desiderabile una analisi chi- mica quantitativa. Nè io T avrei ommessa, se la quantità che di — 293 - ciascuna era a mia disposizione me lo avesse permesso. A que- sta lacuna cercherò di rimediare, quando avrò di ciascuna ra- dunate quantità sufficienti a questa operazione. {Continua.) II. I conibiistihili fossili della Toscana. (Estratto dall’opera del dott. D’ Aciiiardi: Mineraìorjia della Toscana, parte !•■'.) La Torba., la più recente varietà dei combustibili fossili, esi- ste in Toscana solo nel disseccato padule di Bientina e nelle vi- cinanze di Pisa e di Viareggio. Niun’ altra località torbifera si conosce in Toscana, se pure non vogliasi aggiungere a questa varietà anche il Filigno che consiste in legno appena carboniz- zato, e che trovasi nei terreni moderni dal pliocene fino allo at- tuale. Esso partecipa della lignite, e può ritenersi come la sua varietà più recente. Forma depositi assai estesi, nei quali i tron- chi dei vegetali conservano tuttora la struttura e il colore. In Toscana merita particolare menzione il deposito di Val d’ Arno superiore, ove forma un grande strato che affiora e si escava in più luoghi, e che in alcuni punti raggiunge la potenza di 18 metri. La quantità di combustibile di questo deposito è stata calcolata a 800,000,000 di metri cubi. Le seguenti analisi di al- cuni piligni della Toscana ne mostrano la composizione. La I del piligno di Pian-franzese in Val d’ Arno superiore, la II di Val Perino in Val di Castello, la III di Barberino di Mugello, la IV di Pomarance, la V di Volterra; I II III IV v Carbone 55,36. 53,59. 57,27. 50,18. 50,23 Idrogeno 5,66. 5,77. 5,23. 4,27. 5,68 Ossigeno 30,83 1 32,15. 17,13 ) Azoto 2,15 ) “ ’ • 2,15. 2,32 ) Ceneri 6,00. 12,40. 3,20. 26,10. 11,16 100,00. 100,00. 100,00. 100,00. 100,00 Potere calorifico . 5,093. 5,101. 5,047. 4,788. 4,427 Peso specifico. . . — — — — 1,36 — 294 — In ordine alla età geologica, e per conseguenza alla mag- giore carbonizzazione, dopo i piligni trovansi le Ligniti propria- mente dette, che in Toscana appartengono tutte al periodo mio- cenico. È questa per ora la sola specie di combustibili fossili dalla quale possano avvantaggiarsi le nostre industrie. Esistono in Toscana depositi di lignite, nella provincia di Massa, a Ca- niparola, Luscignano, Sarzanello, Castelnuovo presso Sarzana e in altri punti della bassa Val di Magra. Ecco T analisi delle li- gniti di Caniparola I e Sarzanello II: I li Carbonio 61,62 63,54 Idrogeno 5,87 5,16 Ossigeno 26,41 25,75 Azoto 2,40 2,40 Cenere 3,70 3,15 100,00 100,00 Potere calorifico. . . . 5,864 5,802 Peso specifico — 1,29 Nella provincia di Lucca esiste la lignite di Monte Gragno, vicino a Larga. Nella provincia di Pisa, a Monte Eufoli, a Laiatico, a Quer- ceto, ec., trovansi ligniti eccellenti. Per le ligniti di Monte Rufoli I e di Querceto II, è stata trovata la seguente composizione: Carbonio I 57,16 Il 65,50 Idrogeno 5,01 5,07 Ossigeno \ Azoto . . ; 26,68 28,38 Cenere 11,15 1,05 100,00 100,00 Potere calorifico .... 5,196 5,784 Peso specifico 1,35. — Molte altre località di questa provincia sono citate come lignitifere. — 295 — Nella provincia di Grosseto il vasto bacino lignitifero della Bruna offre una lignite di ottima qualità che viene escavata presso Casteani e Montemassi ; altra lignite trovasi pure a Bitigliano. Ecco r analisi della lignite di Montemassi I e di quella di Bitigliano II; I II Carbonio 60,10 69,54 Idrogeno 5,23 5,07 Ossigeno ) Azoto . . ) 26,62 23,80 Ceneri 8,05 1,59 100,00 100,00 Potere calorifico .... 5,514 6,347 La miniera abbandonata di Montebamboli produceva una li- gnite anche migliore della precedente. La Marsiliana, Perolla, Campagnatico, Paganico, Pietra, ec., sono altre località ligniti- fere di questa provincia. Nella provincia di Siena esistono depositi di lignite, presso Casole, Berignone, Spannocchia, Castelnuovo dell’ Abate, Fronti- gnano, ec. La lignite di Castelnuovo I e di Frontignano II hanno dato all’ analisi : I II Carbonio 61,56 59,34 Idrogeno 5,55 5,51 Ossigeno 30,62 1 31,98 Azoto 1,00 Ceneri 1,27 3,13 100,00 100,00 Potere calorifico. . . . 5,570 5,328 Peso specifico 1,40. — Nella medesima provincia abbiamo ancora la miniera di Murlo, posta a 20 chilometri da Siena. L’ analisi di questa lignite ha dato : - 296 — Carbonio \ Idrogeno Ossigeno Azoto. . Acqua 10,60 Cenere 5,30 100,00 Potere calorifico 4,453. Nella provincia cP Arezzo, a Paterno, e in quella di Firenze, presso Spiccliiaiola, poco lungi da Volterra, trovasi la lignite; e di quest’ ultima abbiamo la seguente analisi : Carbonio 54,20 Idrogeno 4,80 Ossigeno e Azoto 29,40 Ceneri 11,60 100,00 La varietcà più antica della lignite è conosciuta col nome di Stipite; trovasi sotto forma di tronchi carbonizzati nel ma- cigno, ed appartiene quindi al periodo eocenico. Trovasi presso Stia nel Casentino, nella Falterona, a Carnaggio presso Prato, ad Antignano presso Livorno, ma sempre in piccolissima quantità. Il migliore fra i combustibili fossili, il Litantrace, che trovasi generalmente nelle formazioni paleozoiche e specialmente nel pe- riodo carbonifero, manca affatto in Toscana. Per le proprietà fisi- che e chimiche della lignite di Montebamboli in provincia di Grosseto, quasi identiche a quelle dei litantraci paleozoici Inglesi e Americani, fu ritenuto da molti doversi ascrivere questo com- bustibile fra i litantraci; in ogni modo l’abbandono della mi- niera farebbe credere che questo deposito non sia di grande im- portanza. L’ ultima analisi di questo combustibile ha dato : Carbonio 73,44 Idrogeno 6, 15 Azoto .... 2 11 Ossigeno 13, 20 Cenere 5, 10 100, 00 84,10 — 297 — Però se nei pochi lembi di terreno paleozoico che esistono in Toscana manca il litantrace, così abbondante in altri paesi, si trova in sua vece V Antracite che non è altro che un litan- trace distillato per azioni metamorfiche. Essa trovasi a Jano presso Volterra sul Monte Torri. Ha un aspetto quasi metallico e una frattura cristallina. Gli scisti antracitiferi che la contengono con- servano le impronte di piante del periodo carbonifero, ciò che dimostra che questa antracite ha la stessa età dei litantraci d’ Inghilterra e d’ America. Straterelli d’ antracite sono stati tro- vati anche nelle rocce paleozoiche dell’ Elba. Come ultimo grado di metamorfismo dei combustibili fossili citeremo anche la Grafite la quale trovasi nei Monti Pisani, nel IMonte Annata, a Castel del Piano e in altre località toscane, ove affiorano i terreni paleozoici. Essa consiste in una massa cai- boniosa, compatta, che brucia con molta difficoltà ed incomple- tamente. Al Monte Amiata si citano le località di Arcidosso, Pian Castagnaio, Abbadia di San Salvadore e Santa Fiora. Grafitiferi sono pure gli scisti antichi di Levigliani in provincia di Lucca, di Asciano nei Monti Pisani, di Jano presso Volterra e di Ilio nell’ Elba. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. L. Palmieei. — Belatone clclV incendio vesuviano del 26 Aprile 1872. — Lipsia, 1872. Il paziente e coraggioso osservatore del Vesuvio, prof. Luigi Palmieri, ha data alla luce una relazione sull’ incendio vesuviano dell’aprile 1872. In essa dopo avere espressa la opinione che la conflagrazione del 1872 non sia stata che il termine di un periodo d’incendio cominciato nel gennaio 1871, l’illustre Au- tore passa in rassegna i fenomeni presentatisi in quella grande eruzione, dando in seguito particolari preziosi sulla natura delle lave e sul singolare fenomeno delle grandi fumarole eruttive for- matesi nelle correnti di lava; fumarole che furono visibili anche da Napoli e che facevano credere all’ apertura di nuovi coni in eru- zione. Parla in appresso della natura e struttura dei proietti 20 — 298 — del vulcano e della elettricità del fumo e della cenere, "ttaiido la descrizione e la teoria degli apparecchi elettroinetrici da esso adoperati. Le conclusioni tratte dall’ egregio professore sono in breve le seguenti : 1° che lo studio attento del cratere e degli apparecchi di variazioni e del sismografo possono palesare i segni precursori delle eruzioni; 2° che le fumarole delle lave sono comunicazioni fra la superficie esterna fredda e l’ interna fusa ; 3° che dalla lava fluente non emanano vapori acidi e nemmeno dalle fumarole di breve durata ; 4° apparisce prima 1’ acido clo- ridrico, poi il solforoso, quindi l’idrogeno solforato; 5° nelle lave vigorose si possono aver fumarole eruttive; 6” le sublimazioni si succedono con un ordine determinato; 7° gli acidi reagendo sulle scorie possono produrre cloruri e solfati; 8° il ferro oli- gisto è scarsissimo sulle lave se non vi sia trasportato da’ cra- teri; 9“ il cloruro di ferro, così ovvio sulle fumarole delle grandi lave, nelle piccole eruzioni figura solo presso le bocche ; 10° nelle lave delle grandi eruzioni la frequenza del cloruro di ferro ma- schera spesso bordine di successione degli altri prodotti; 11° al- cune fumarole sulla cima del Vesuvio danno acido carbonico o pure vapore acqueo; 12° il piombo scoperto dall’Autore sulle fumarole delle lave del 1855 è prodotto costante delle fumarole di una certa durata; 13° anche l’ossido di rame è un prodotto costante delle fumarole, e il cloruro e il solfato di rame deri- rivano da esso composto; 14° il cloruro di calcio probabilmente si trasforma in solfato; 15° il sale ammoniaco copioso e ben cristallizzato non si ha che sulle fumarole delle lave che hanno coperti terreni coltivati o boscosi; 1G° la scarsezza dell’ ossigeno nell’ aria delle fumarole deriva forse dalla formazione degli ossidi; 17° le lave, ancorché coperte di fumo, danno spettro continuo guardate con lo spettroscopio a visione diretta di Hoff- mann; 18° il fumo dà forte elettricità positiva e la cenere cadente elettricità negativa. La Memoria in discorso forma un bel volumetto in-8° ed è accompagnata da 7 tavole, che mostrano tanto lo stato del vul- cano avanti 1’ eruzione del 1872, quanto questa eruzione vista da diversi punti e in diversi periodi, come pure la disposizione degli apparecchi usati dall’ illustre professore per le sue deter- minazioni. — 299 — A. Scacchi. — Conirìbiizioni mineralogiche per servire alla storia dell’ incendio vesuviano del mese di aprile 1872. — Napoli, 1872. Un’altra Memoria della più alta importanza per la storia della ultima eruzione del Vesuvio si è quella del chiarissimo Arcangelo Scacchi, professore di mineralogia nella R. Università di Napoli: viene in essa data la descrizione di svariati esemplari di proietti o bombe vulcaniche venuti fuori nell’ ultima eruzione : questi proietti, fa notare 1’ Autore essere per molti caratteri analoghi a quelli della eruzione del 1822, e consistono quasi tutti in augitofiri o leucitoliri alcuni dei quali incrostati di lava per essere stati esposti all’ azione delle lave liquide nell’ interno del cratere, tutti poi trasportati a più o men grande distanza sul dorso delle cor- renti di lava. Le sostanze in essi riconosciute dal dotto minera- logo sono il pirosseno, 1’ antibolo, il granato, l’ idocrase, il feldi- spato vitreo, la leucite, la sodalite, la cavolinite, la microsommite e la mica, nonché altre specie che, sia per il loro stato di im- perfetta cristallizzazione, sia per la loro piccola quantità, non poterono esser pienamente determinate. Importanti e sagaci sono le osservazioni sul metamorfismo dei cristalli di leucite e di altre sostanze, e di un interesse afiàtto particolare sono le nuove ricerche sulla polisimmetria tra i cristalli di pirosseno e quelli di anfibolo e su quella dei cri- stalli di leucite. Questa Memoria, in una parola, mentre contribuisce alla co- noscenza più esatta del Vesuvio, onora grandemente il suo Au- tore ben noto alla scienza per numerosi e non meno importanti lavori. JRicerche sull’ attrazione delle montagne con applicazioni numeriche., per Filippo Keller assistente eli fisica alla R. Università di Roma. Prima Parte, con 2 ta- vole.— Roma, 1872. È questo il titolo di una Memoria recentemente pubblicata dal distinto assistente di Fisica nella Università di Roma, già — 300 — favorevolmente noto ai lettori del jBoìlettino per uno scritto in questo periodico inserito, nel quale poneva i primi fondamenti della teoria ora svolta con la più gran cura. Fino dalle prime pagine il lettore può rimarcare la importanza grandissima cui possono giungere gli studii dall’ egregio Autore con tanto suc- cesso professati. Newton per il primo fece la riflessione che la direzione di un pendolo in equilibrio, ovvero di un filo a piombo, dev’ essere deviata per l’ influenza di una montagna che gli stia vicina: gli mancavano però i dati più importanti per una profonda ricerca su questo argomento, e fra questi principalmente la cognizione della densità media del globo terrestre. Tale elemento determi- nato per la prima volta da Maskehme e ITutton al ]\I. Shehallien in Scozia, si conosce ora dopo le ricerche di Cavendish, Carlini, Baily, Reicli ed Airy con maggiore esattezza: ed essendo la co- gnizione della deviazione del filo a piombo, detta anche attra- zione locale, di somma importanza per la geodesia, vari autori si applicarono a determinarla in diverse località. Considerati tali studi sotto il punto di vista geologico, ognuno può immaginare il profitto che la geologia potrà trarne un giorno, perchè essendo V attrazione locale in prossimità di una montagna determinata dietro esatte osservazioni astronomiche e geodetiche, questa può giovare alla cognizione della densità delle rocce di cui è composto V interno del monte e quindi alla co- noscenza della natura e condizioni generali di queste rocce. La pregevole Memoria in questione ha per oggetto lo svi- luppo di varie formule e considerazioni che si riferiscono alla determinazione dell’ attrazione locale, le quali vengono in seguito applicate a casi particolari. Per non interrompere il corso della Memoria con ragionamenti e lunghi sviluppi analitici, P Autore stabilisce a ragione alcune formule fondamentali e generali su cui si basa nel seguito della Memoria. Sono anche inserite pa- recchie formule che non trovano la loro immediata applicazione nelle attrazioni locali, ma le quali essendo strettamente collegate colle altre presentano qualche interesse per la teorica delle attra- zioni in genere. Un metodo ottimo ed una chiarezza grandissima presiedono all’andamento del lavoro: d’altra parte l’importanza naturale 301 di simili studii, di cui si ò più sopra tentato dare un cenno, e la bontà dei risultati cui è giunto il distinto Autore, mentre hanno procurato nel mondo scientifico un gran favore alla prima parte della sua Memoria, fanno si che la seconda parte di essa sia attesa con ben giustificata impazienza. B. Studer. — Index der Fetrographie und Stratigrapliie der Scliwelz und ìlirer Umgebiingen. — Beni, 1872. Troppo noto è ormai a tutti i cultori delle scienze naturali, in particolare della Geologia, il nome del benemerito professore svizzero al quale deve la scienza la pubblicazione di cui è pa- rola, per non supporre in essa a prima vista una importanza grandissima sotto tutti i rapporti. L’Autore dichiara nella pre- fazione al suo lavoro che venti anni dopo la pubblicazione della sua Geologie der Sclnceiz non sarebbe inopportuno un nuovo la- voro sulla geologia di quel paese. Le Alpi svizzere sono infatti il gran centro delle Alpi Occidentali ed Orientali, diramantisi le prime all’ Apennino ed al Giura, le seconde ai Carpazi ^ed ai monti che si dirigono verso la Turchia: mentre venti anni addietro erano limitate le cognizioni sugli Apennini e sul resto dell’Italia, ne ancora erano venuti i lavori di Lory e di Favre a gettar luce sulla costituzione delle Alpi Occidentali; mentre lo studio del sistema giurassico non aveva ancora ricevuto una sistema- zione basata sulla paleontologia per parte di Oppel, mentre appena si parlava dello Istituto geologico di Vienna, nè le esplo- razioni dei suoi membri in Baviera ed in Lombardia erano note, (esplorazioni che fecero intravedere nelle Alpi Orientali una ric- chissima fauna, che le differenzia affatto dalle montagne al Nord ed all’ Ovest d’ Europa), si comprenderà facilmente come quella prima pubblicazione, la quale oltre che della geologia della Sviz- zera parlava ancora delle montagne dei paesi limitrofi connesse colle Alpi, avesse bisogno di aggiunte e di varianti. Nò peranco possono dirsi compiuti gli studii delle montagne svizzere, mentre sono tuttora in via di pubblicazione i lavori paleontologici di Heer, Fictet, De Loriol, Desor, Ooster, ec. Lo prova pure la pubblicazione ancora in corso dei fogli geologici 302 — pubblicati nell’ Atlante di Dufour, di cui sono usciti 9 sopra 23, occorrendo ancora molti anni al compimento dell’ Atlante. Dei 9 fogli pubblicati, 4 sono relativi a terreni privi di fossili, ossia primitivi, 5 al Giura, il decimo foglio rappresentando la Molassa; rimanendo quindi a pubblicare ciò che riguarda le Alpi cal- caree {KalTcaìpen) le cui formazioni sono molto complicate, essen- dovi rari e talvolta assenti i fossili che potrebbero determi- narne r età. Però chi si occupa della geologia svizzera, sì alpina che giu- rese, sente la necessità di conoscere lo stato attuale delle co- gnizioni su tale argomento, ed è a tal -uopo adatta una esposi- zione aforistica per ordine alfabetico, quale è quella presentata dal chiaro Autore nel suo dotto lavoro. D’ altra parte la sinonimia litologica e stratigrafica si fa ogni giorno più complicata e confusa e tale anche da impedire il progresso della scienza e la diffusione di essa nel pubblico. Le formazioni e le rocce si denominano da luoghi sconosciuti che invano si cercherebbero anche sulle migliori carte, od anche da fossili solo noti a pochi specialisti; ed esistendo la stessa roccia 0 formazione sotto diversi aspetti in luoghi diversi, ha ricevute tante denominazioni quante erano le apparenze da esse mostrate: di tali nomi deve la significazione ricercarsi in volu- minosi periodici, annuari e simili opere, non alla portata di tutti, conseguendone spreco di tempo e di lavoro. Anche a tale inconveniente ovvia il lavoro del professore Studer, che ci presenta un indice alfabetico delle suddette deno- minazioni colla concisa indicazione del loro significato e delle fonti a cui si deve ricorrere in proposito, aggiungendovi delle succinte notizie su tal particolare: però in quello che riguarda la Svizzera si entra in più ampii dettagli e dilucidazioni, cer- cando di esporre lo stato attuale delle nozioni su quel paese. Se ora si pensi alla vastissima quantità di opere da consul- tarsi per un lavoro di questo genere, se si pensi all’ infaticabile studio e pazienza da mettere in opera a quest’ uopo, la scienza non può che professare gratitudine pel celebre professore sviz- zero che r ha arricchita di un lavoro, che sotto ogni aspetto risponde completamente al fine propostosi dall’ Autore. 303 — NOTIZIE DIVERSE. (Joinposizioiie delle lave del Vesuvio. — Riassumendo le nu- merose esperienze fatte sulle lave del Vesuvio, si giunse ai risul- tati compresi nel quadro seguente che contiene i massimi e i minimi, non che le medie, degli elementi principali che le com- pongono ; al di sotto dei massimi e dei minimi sono indicati nel quadro gli anni corrispondenti, cioè quelli in cui ebbero luogo le eruzioni: A 1^0= FeO CaO MgO KO A'aO (liiozienle d’ ossigeoo Massimi. . . . .n0.17 14.01 11.54 G.Ol 7.27 5.10 0.773 Anni I7(i0 1781 17 i7 18G1 18G1 1754 io:iG 1848 Minimi .... 4(j. 1 1 IG.IG 7.S7 7.2.3 2.2G 3.25 1 .48 0.G28 Anni ig:u 1754 1731 1779 17G0 18GG 18G1 1834 Media 48.^2‘J 19.55 10.94 9.38 4.13 5.2G 3.29 0.701 La composizione media delle lave del Vesuvio nel periodo compreso dal 1036 fino ad oggi, è presso a poco quella delle lave eruttate nel 1737, come pure nel 1786, 1806 e 1779. La loro densità varia fra 2,70 e 2,87. Però, se la composizione chimica di queste lave resta quasi sempre la stessa, la composizione mineralogica è invece assai va- riata: esse appartengono alle lave dette basaltiche e contengono essenzialmente anfigenite, augite e magnetite, essendovi accessori il peridoto, la mica ferro-magnesiaca, 1’ orniblenda, il granato me- lanite, la nefelinite, la sodalite, 1’ ortose sanidina, 1’ apatite e la hauyna. Però può domandarsi se la lava originaria ci è conosciuta di fatto, poiché si capisce che avanti il solidificamento essa ha do- vuto subire modificazioni chimiche più o meno profonde. Si pensa che i grossi cristalli di anfigeno e di augite contenuti nelle lave del Vesuvio, sieno anteriori alla loro colata e sieno stati modi- ficati dal calore delle lave incandescenti : quanto ai cristalli mi- — 304 croscopici nella pasta della lava, avrebbero avuto origine nel- r ultimo periodo del consolidamento. In ogni caso, quando le lave furono eruttate, la loro tempe- ratura non era più abbastanza alta per fondere 1’ anfigeno. Si pensa infine che non vi sia un ordine determinato nella for- mazione dei differenti minerali delle lave, poiché uno stesso mi- nerale sembra essersi cristallizzato in differenti periodi ; pure r anfigeno deve essersi cristallizzato avanti gli altri minerali, in- fatti non se ne trova mai nelle druse, nelle fessure o nelle cel- lule, come succede della nefelinite, dell’ augite, del feldispato, ec. anzi questi ultimi minerali hanno visibilmente continuato a for- marsi anche dopo che la lava era già in parte consolidata. Si constata al microscopio che 1’ anfigeno può essere invilup- pato dalla augite e viceversa; d’ altra parte 1’ anfigeno inviluppa la nefelinite che si ritrova nelle fessure della lava : sembra quindi che non esista un ordine costante nella successione dei minerali che costituiscono le lave del Vesuvio. L’Ambra siciliana. — E strano che i riomani i quali tenevano in altissimo pregio 1’ ambra e se la procuravano da paesi lon- tanissimi e dalle coste della Prussia, non avessero cognizione della sua esistenza in Sicilia. Chi fosse il primo a scoprirvela, se un italiano od uno straniero, non puossi affermare. Per la prima volta se ne trovò fatta menzione nel Trattato delle pietre pre- ziose di Brard pubblicato in Parigi nel 1808. In Germania questi giacimenti succiniferi di Sicilia erano allora ancora sì sconosciuti, che John, un monografista valentissimo della succinite, nel 1812 non avevane ancora notizia. Brard riferisce che se ne trovò di gran pezzi alla foce della Giaretta presso Catania, come pure a Licata, a Girgenti, Capo d’ Orso e Terranuova. Secondo Fede- rico Hoffmann (1839) il succino vi si troverebbe misto a grani di quarzo della grossezza dei piselli, ad argilla e con legno ligni- tiforme, entro un’arenaria grigio-bruna che, secondo l’IIoffmann, sarebbe cretacea: dagli strati di essa, la Giaretta o fiume di San Paolo, esporterebbe il succino fluitandolo fino al mare verso Catania che poi lo rigetterebbe in prossimità della foce. Da ciò sarebbero cagionati quelli indizi di rotolamento che sempre offer- sero i pezzi d’ ambra siciliana. Il suo aspetto esterno sarebbe ab- l)astanza concordante col succino del Baltico, se si fa eccezione di certi colori, come quello dello zaffiro (a quest’ ultimo del tutto straniero), e quelli della crisolite e del giacinto, che da noi sono rarissimi. Più tardi se n’ occuparono anche Carlo Gemmellaro e Maravigna, allora professori a Catania, e indicarono come ter- ziario il terreno succinifero. Come corpi inchiusi essi non trova- ronvi che insetti, i quali, per quanto la incompleta loro conser- vazione permettesse di vedere, concorderebbero nei generi ma non nelle specie degli insetti attuali. Il dottore Hagen ebbe oc- casione di vedere 30 pezzi di succino di Sicilia conservati nel INIuseo di Oxford, e in essi trovò delle Termiti che nel succino di Prussia sarebbero rarissime, al punto che in 15,000 pezzi egli ne avrebbe trovate solo 150 : da ciò conchiuderebbe P esistenza d’ una fauna diversa e la provenienza da altre specie di piante, ciò che non pare adatto inverosimile se si tenga conto della grande di- stanza delle due località. Molti frammenti di piante sono contenuti nei succini di Si- cilia, e fra questi citeremo un magnifico esemplare che appar- tiene alla Collezione Mineralogica della Ilegia Università di Pa- lermo. Limpido, di color rosso-granato chiaro, di forma allungata, contiene una foglia a contorno integro, di una consistenza abba- stanza rilevante e perciò a nervature appena visibili. Nelle ambre di Prussia non furono peranco osservate simili foglie; sarebbe una pianta analoga al Laums frìstauiccfolia, Wfb. che si trova anche nella formazione lignitica del Beno, specie che i signori Menge e Zaddach trovarono poscia anche nel succino di Prussia presso Bixhòft. In seguito a ciò il professor Gòppeit di Breslavia, nel marzo 1871, studiato nuovamente questo inte- ressante fossile assegnavale il nome di Laums Gemdlariana, in onore dell’ illustre geologo siciliano. L’Uomo preistorico in Italia. — Gli Ariani non comincia- rono a penetrare nelle nostre contrade che sul finire dell’ epoca Neolitica e sono essi che per i primi vi introdussero P uso dei me- talli: trovarono in Europa una razza di uomini di cui la tradi- zione e la storia hanno conservata la memoria, e che gli antichi autori designano sotto il nome di Autoctoni o Aborigeni. Le prime traccie della presenza dell’ Uomo nell’ Italia cen- - 306 - trale sono contenute nei terreni di trasporto riferite da qualcuno al pliocene, ma più probabilmente appartenenti al primo periodo del quaternario. Sono queste le numerose selci delle antiche al- luvioni del Tevere, deirinviolatella e delle grotte di Sicilia, che non possono lasciar dubbio sull’ esistenza dell’ uomo in Italia fin dai primordi della epoca glaciale. Se ne sono trovati avanzi anche presso il Po fra Voghera e Pavia, nei travertini d’ Orvieto, nella Val dell’ Olmo, presso Arezzo e nell’ isola di Livi. La capacità interna dei crani di quest’ epoca, che sono indistintamente bra- chicefali e dolicocefali, è limitatissima; le ossa sono spesse, grosse e pesanti; la forma del cranio quasi sempre ogivale molto allar- gata alla parte posteriore; la fronte bassa, stretta, quasi sempre fuggente, le arcate sopracigliari più o meno prominenti e ravvi- cinate in guisa da confondersi sulla linea mediana. Un rudimento di cresta s’ inalza al mezzo della fronte prolungandosi fino alla metà della sutura sagittale, ove termina con una forte depres- sione circolare di 0“,02 a 0“,03 di diametro; una scanalatura corrisponde internamente a questa cresta esterna. Il foro occipi- tale è sempre più all’ indietro che nei crani italiani dell’ epoche posteriori. A giudicarne dai crani, la statura di tali uomini doveva esser bassa, ma considerevole doveva esserne la potenza muscolare. All’ epoca della pietra polita s’ incontrano già delle modifica- zioni : si è trovato 1’ uomo di questa età in una cripta sepolcrale a Cantalupo Mandela, presso Roma. La fronte è larga, elevata, meno fuggente : le metà anteriori e le posteriori meglio propor- zionate fra loro : la regione temporale più ampia, la testa più particolarmente curvata, il foro occipitale più centrale, le ossa meno tozze e meno spesse : aumenta la capacità interna del cranio e cresce la statura; vi sono sempre dei brachicefali e dei doli- cocefali e si osserva un leggero prognatismo mascellare corretto dall’ impianto verticale dei denti. Nell’ età del bronzo la testa continua il suo sviluppo in ogni parte: la fronte è ampia ed elevata; la proporzione fra le due metà ben stabilita; lo spessore delle ossa e la capacità della ca- vità craniense normale. All’ epoca del ferro il tipo del cranio è fissato nelle diverse provincie italiane e le variazioni subite in seguito non possono attribuirsi che all’ immigrazione di popoli stranieri. - 307 — I crani brachicefali s’ incontrarono in Piemonte, nel Modenese, nell’ Isola d’ Elba ed in una delle cripte di Cantalupo ; i dolico- cefali alla Isola d’ Elba, nell’ Umbria, a Cantalupo, all’ Isola di Livi. Ora le popolazioni dell’ Italia superiore sono ancora oggi brachicefale, quelle della Meridionale dolicocefale, quelle dell’Elba, della Umbria e della provincia di Ptoma sono miste. Si conclude da tutto ciò che 1’ uomo ha subito in Italia uno sviluppo gra- duale, fisico e intellettuale, a partire dall’ epoca quaternaria fino ai tempi storici. II Troglodite di Meiitoue. — Le grotte di Mentone, cono- sciute per l’ innanzi in numero di quattro di forma e dimen- sioni presso a poco eguali, sono escavazioni a guisa di finestre gotiche diritte o inclinate, che si aprono ad una ventina di metri le ime dalle altre presso i Sassi Ptossi non molto lungi dal Ponte San Luigi, che segna la frontiera attuale fra P Italia e la Erancia. La nuova strada ferrata ligure è incassata in una breccia calcarea, ossifera, che, a partire dal suolo di queste grotte sino al livello del mare, si è formata per la riunione di pietre franate e successivamente legate da un cemento ocraceo. La strada ferrata passa a circa IO metri al disotto del piano delle grotte e 20 metri sopra il mare, per entrare immediatamente in una galleria scavata nella parte inferiore di una massa cal- careo-doloniitica nrgoniana, la quale si eleva per 4000 piedi sul livello del mare formando la sommità del Berceau, avente nella sua parte esteriore alcuni strati del cretaceo superiore, e di un calcare marnoso nummulitico e terziario che costituiscono il ter- ritorio mentonese. Queste caverne furono esplorate fino dal 1853 e tutte rac- chiudevano selci lavorate, ossa di animali e conchiglie che ser- virono di nutrimento all’ uomo. Ultimamente ne fu scoperta una quinta, l’ ingresso della quale era occupato da una fornace a calce, aperta sulla scarpa della breccia ossifera. Enron trovate in questa caverna ossa lavorate e punte di freccia in selce gialla 0 rossastra, proveniente dai ciottoli di una puddinga di due metri di spessore, isolata in mezzo alla grande formazione del calcare grigio nummulitico, che corre parallelamente al cretaceo inferiore compatto. È fra queste due formazioni che trovasi l’ arenaria - 308 — verde a fossili piritosi e la potente formazione della creta mar- nosa sulla quale vegetano gli olivi e le vigne che formano la ricchezza del paese. Alla profondità di circa 2™, 50 al disotto del suolo di questa grotta fu scoperto il noto scheletro umano che con somma pre- cauzione fu messo a nudo e fu estratto con uno zoccolo di ter- reno di 25 centimetri di spessore senza che nessun osso ne sia stato spostato. Esso era orientato da Nord a Sud, parallelamente al- r asse della escavazione, e riposava sul fianco sinistro nell’ atti- tudine di un dormiente ; le coscie erano leggermente piegate sul bacino e le gambe sulle coscie; le braccia erano appoggiate al fianco e gli avambracci incrociati sul petto; la testa riposava su di una pietra. Tutto lo scheletro, che è del colore d’ ocra gialla, è perfettamente conservato, eccetto il torace che è sfondato. Le porzioni spugnose delle vertebre lombari, il sacro e le ossa ilia- che sono leggermente erose, i due avambracci hanno i due loro ossi rotti nella parte media; è rotto parimente uno degli omeri, ma osservandovi meglio, si vede che queste fratture, di cui una sembra presentare dei contorni callosi, sono anteriori alla inu- mazione. Il cranio è conformato perfettamente, dolicocefalo, coperto ancora da uno strato ocraceo che impasta delle piccole conchi- glie della grossezza di un pisello, perforate da un buco e che servirono evidentemente di ornamento alla testa del morto. Una punta d’ osso lunga sette pollici, piatta, coi bordi taglienti, trovata appoggiata alla fronte, dovevane aver traversato la capi- gliatura : un poco di perossido di manganese trovato accanto alla bocca, sembrava essere stato racchiuso dentro un sacco che più non esisteva e forse destinato al tatuaggio. Infine, cosa vera- mente strana, un astragalo di cervo perfettamente conservato, riposava sulle vertebre lombari e doveva essere stato deposto a fianco del morto prima della inumazione. Le mascelle avevano tutti i loro denti, ma logorati fino al bordo alveolare e il ma- scellare inferiore presentava un ramo orizzontale di grande di- mensione riunito ad angolo retto ad un ramo verticale molto largo. La lunghezza dello scheletro era di r",G0, ciò che di- mostra una statura superiore alla media. L’ antichità di questo scheletro deve essere straordinariamente — 309 — grande, se si pensa che fu trovato a quasi tre metri al disotto del suolo attuale della caverna, e che in tutto lo spessore del detrito furon trovate selci rozzamente lavorate e ossa di ani- mali ormai spariti dal paese, fra i quali probabilmente V orso delle caverne. Quanto alla sua antichità in secoli, le condizioni di giacimento non son tali da fare sperare un poco di luce su di una questione tanto controversa quanto interessante. L’ analisi della terra che forma il suolo della grotta, la sua secchezza e friabilità, fanno credere die essa abbia avuto ori- gine dall’ accumulazione e trasformazione in cenere dei licheni che tappezzano l’ interno della grotta. Da ciò si può arguire qual grande lasso di tempo sarà occorso perchè col processo suaccennato venisse formandosi quell’ ingente massa di detrito. L’ antichità veramente grande del Troglodite di Melitene prova ancora una volta che il periodo umano ha una durata im- mensamente più grande di quello che si era creduto fin qui, e che i perfezionamenti del tipo umano, al punto di vista dello sviluppo del cranio, già completo in questo Troglodite, risalgono ad un’ epoca di già eccessivamente lontana. Il signor lliviòre (autore di questa importante scoperta) si propone di pubblicare un lavoro illustrativo di essa, ornato di fotografie prese sul posto: questa pubblicazione ci fornirà senza dubbio dei dati preziosi intorno alla forma e dimensione del cranio di questo Troglodite, e permetteranno di ascriverne la razza a qualcuno dei tipi conosciuti. CATALOGO DELLA BIBLIOTECA DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) Toscani (C.). Bisposta all’ opuscolo di Campanie Gahielii sulla pioggia avvenuta in Siena nei dicembre 1860. Siena, 1861. Un fase. in-8°. Toulmouche. Note explicative de la gdanche VI de la carte géologupie da departement d’ lle-et-Vilaine. Paris, 1835. Un fasci- colo con Carta geologica. Touristen Karte dcr Ostrliaetischen Kurorte inshesondere der Baedcr von Bormio : scala ìoóJoóo- Dono del Club Alpino Italiano, Sede di Firenze. — 310 — Tournal. Observations sur les roclies volcaniques cìes Corhières. Paris, 1833. Un fase, in-i” con tavola. Tramontani (L.). Storia naturale del Casentino. Firenze, 1800. Due voi. in-8“. Trautsehold (H.). Zur Fauna desrussischen Jura. Moskau, 1866. Un fase. in-8“ con tavola. (Id.) Der ersten NatarforscJierversammlung in Eussland — Ei- nige Crinoiden und andere Tliierreste des jiingeren JBerglcalks in Gouvernement Moskau, Moskau, 1867. Un fase. in-8° con tavole. (Id.) Der sudòstUche Theil des Gouvernement Moskau. Pe- tersburg, 1867. Un fase. in-8° con Carta geologica. (Id.) TJeher saekidare Hehungen und Senkungen der Erdoher- flàclie. Moskau, 1869. Un fase. in-8°. Trenkner (W.). Paldontologisclie Novitàten von nordivestlichen Marze. Halle, 1867-68. Due fase. in-4“ con tavole. Troost (G.). Description d’tin nouveau geme de fossiles. Pa- ris, 1838. Un fase. in-4° con tavole. Tsehermak (G.). Die Dorphyrgesteine Oesterreichs aus der mit- tleren geologischen Epoche. Wien, 1869. Un voi. in-8° con tavole. (Id.) Mineralogische Mittheilungen. Wien, 1871-72. Tre fase. in-4“ con tavole (opera in corso). Dono dell’ Autore. Tscliudi (Iw.). Savoyen tmd das angrenzende Piemont und Dauphiné. S. Gallen, 1871. Un voi. in-16° con tavole. Uccelli (G.). Saggio sidle Terme Rosellane. Firenze, 1826. Un voi. in-8°. Veith (H.). Deutsches Dergivorterhuch mit Delegen. Eres- iali, 1870-71. Due voi. in-8°. Venturi (G,). Manoria intorno ad alcuni fenomeni geologici. Pavia, 1867. Un voi. in-4°. Venturolì (M.). D Uomo preistorico. Bologna, 1872. Un voi. in-8°. Verein nòrdlich der Elbe zur Verbreitung naturwissenschaf- tlieher Kenntnisse. Mittheilungen. Kiel, 1867-72. Quattordici fase. in-8° con tavole. Dono della Società. Verneuil (E. de). Mémoire géologique sur la Crimée. Pa- ris, 1838. Un fase. in-4. {Continua.) PiilililicaziOEi M R. COMITATO GEOLOGICO. {In Corso di Stamioa.) r — Volume II delle Memorie per servire «alla descrizione della Carta Geologica d’Italia. — Questo volume verrà pubblicato in due parti, di formato, carta e stampa del tutto simili al volume 1°. La prima parte comprenderà : 3Ionografia geologica dell’ Isola d’ Ischia, con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel testo, del professor C. W. C, Fuciis. — Esame geologico della catena al- pina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in- gegnere F. Giokt).\no. — Appendice alla Memoria sidla for- mazione terziaria nella zona solfìfera della Sicilia, con una tavola, deir ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica italiana, fascicolo 2°, con 7 tavole di C. D’ Ancona. La parte seconda conterrà : La Geologia delle Alpi Apuane, con incisioni nel testo e una tavola, di I. Cocchi. \ a F, Annunzi di pubblicazioni. G. G. Gemmellaeo — Stiuliì paleontologici sulla fauna del cal- care a Terebratula janitor del Nord di Sicilia; Palermo, — E pubblicato: Parte V (Fesci, Crostacei^ Molluschi Cefalo- 2)0(li) fase. 1°, 2°, 3", 4° e 5°; Parte 2“ {Molluschi Gasteropodi) fase. 1°, 2°, 3°, 4° e 5°; Parte 3° {Molluschi Frachiopodi) fase. 1° e 2°. — Ogni parte forma un volume iu-4° con tavole. G. Ponzi — Del Bacino di Roma e sua natura, per servire d’ illustrazione alla Carta Geologica dell’Agro Romano; Roma 1872. — Pag. 50 iii-8“ con Carta Geologica del Bacino di Roma, G. Capellini — Sul Felsinoterio, sirenoide lialicoreforme dei depositi littorali pliocenici dell’antico bacino del Me- diterraneo e del Mar Nero; Bologna 1872. — Pag. 50 in-4“ con otto tavole. 0. Silvestri — Le Nodosarie fossili del terreno siibapennino italiano e viventi nei mari d’Italia; Catania 1872. Fr. Coppi — Stiidii di Paleontologia iconografica del Mode- nese.— Parte P; Modena 1872. G. Negri. — Descrizione dei terreni componenti il suolo d’Italia; Milano {incorso di stampa). — È uscita la 5*^ di- spensa, A. D’Achiardi — Mineralogia della Toscana. — Volume T; Pisa 1872. — Pag. 276 in-8". L. Palmieri — L’ incendio vesuviano del 2(> aprile 1872 ; Lipsia 1872. — Pag, 52 in-8° con sette tavole. A. Scacchi — Contribuzioni mineralogiche per servire alla storia dell’incendio vesuviano del mese di aprile 1872; Napoli 1872. — Pag. 36 in-4° con una tavola. G. CuRioNi — Ricerche geologiche sull’ epoca dell’ emissione delle rocce sienitiche della catena dei monti dell’Ada- mello nella provincia di Rrescia; Milano 1872. — Pag. 20 in-4". C. Marinoni — Nuovi materiali di paleoetuologia Lombarda ; Milano 1872, — Pag, 8 iii-t" con una tavola. F. Keller — Ricerche sull’ attrazione delle montagne, con applicazioni numeriche. — Parte R ; Roma 1872. — Pag. 88 in-8° con due tavole. Aulio 1871 P 11 e 11 U. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° Il e 12. Novembre e Dicembre 1872. FIEENZE, TIPOGRAFIA DI G. BARBÈRA 187 2. Piiilicmiii flel R. COMITATO PtEOLO&ICO. 0-0^3yJ^CK>— Bollettino Oeologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324. » » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296. » » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376. Prezzo di ciascun volume L. 10. Il prezzo di associazione del Bollettino 1873, franco di porto, è di L. 8 per il Regno e di L. 10 per l’Estero; i fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia. — Volume P; 404 pagine in-4° con 23 tavole, due Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Comprende le seguenti Memorie : Introduzione — Studii geologici sulle Alpi occidentali di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine- rali delle valli di Lanzo di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica italiana. Parte U, Gasteropodi sifo- nostomi, di C. D’ Ancona ; fascicolo P, con sette tavole. Prezzo dell’ intero Volume, Lire 35. Brevi Cenni sui principali Istituti e Comitati Geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° L. 1. 50 Carta Geologica della parte Orientale dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Cocchi. — Un foglio in cromolitografia L. 3. 00 nOLLIiTTINO DEL D. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. N® Il e 11 — Novcnilire e Dicembre 1871 SOMMARIO. Note geologiche. — 1. Paragone della Montagnola Senese con gli altri monti della Catena Metallifera della Toscana, del dott. .A. D’Achi.ardi. — II. Sulla probabile esistenza di avanzi di antichissime industrie umane nella cosi detta Terra r/ialla di Siena, del dott. A. D’.Achiardi. — HI. Osservazioni geolo- giche fatte nel Carso, nel territorio di Monfalcone ed alle foci dell’ Isonzo, del prof. T. Tar.amet.li (estratto). — IV. Di alcuni nettili e Mammiferi fossili recentemente scoperti nel Nord-America, del prof. Marsh (estratto). Con- tinuazione e fine. — I giacimenti di rame nativo del Lago Superiore (Nord- America), del sig. R. PuMPELi.Y (estratto). Notizie bibliografiche. — C. Marino.ni, Nuovi materiali di palcoetììolorjia /(mihorrìa ; Milano 187‘2. — T. Tarameu.i, Pauorama geolorjico del Friuli da Moruzzo ; Udine 1872. Notizie diverse. — Composizione della lava vesuviana del 1872. — Le solfatare del Mar Rosso. — Il pozzo più profondo. Avviso. — Associazione al 4» Volume del Bollettino (1873).— Pubblicazione del Voi. 2» (Parte D) delle Memorie. Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1872. NOTE GEOLOGICHE. I. Paragone della Montagnola Senese con gli altri monti della Catena Metallifera della Toscana.— Nota di x^ntonio D’ Achiardi. Nei N.‘ 3 e 4 del Bollettino del nostro Comitato Geologico di questo medesimo anno (1872) il prof. Meneghini pubblicava, pre- ceduta da una sua lettera e volgarizzata in italiano, una comu- nicazione del prof. Edoardo Suess fatta all Accademia delle Scienze di Vienna nella seduta del 21 marzo 1872. Brevi quanto chiare, concise quanto importanti sono le parole del Suess, che — 316 — dalle Alpi occidentali fino ai monti di Reggio e Messina vede i resti di un antico asse orografico di questa nostra penisola, resti che ci appariscono nelle disgiunte anella dei Monti della Spezia, delle Alpi Apuane, dei Monti Pisani, delle isole dell’ Arcipelago toscano e giù giù lungo il lido e in mare e in terra fino agli estremi Monti Peloritani. E brevi quanto vere, concise quanto giuste sono le parole del Meneghini, che tendono a porre in armonia le teorie del Savi e del Suess, le quali, come egli dice, si completano a vicenda senza che V una scemi pregio all’ altra. Le parole del Suess e del Meneghini mi richiamarono alla mente il dubbio, se tutte le sparse membra della così detta dal Savi Catena Metallifera possano nel loro stato attuale, e consi- derate orograficamente, comprendersi fra i resti dell’ antico asse montuoso d’Italia, quale si suppone nella memoria del dotto geo- logo viennese; e su ciò intendo appunto discorrere brevemente. E noto come in generale si comprendano nella Catena Me- tallifera della Toscana le Alpi Apuane, i Monti Pisani, quelli di Campiglia, di Montepescali e Batignano, della Bella Marsilia, d’ Ansedonia e altri che costeggiano il lido tirreno a s’ alzano bruscamente dalla pianura maremmana, non che il Monte Ar- gentario e le isole di Monte Cristo, del Giglio e dell’Elba; ed è pur noto che come parti di questa stessa catena montuosa si comprendono la Montagnola Senese e i monti di Jano, di Cotona e altri analoghi. Difatti le stesse rocce costituiscono questi di- versi monti, salvo che talora ne manca alcuna delle più antiche ; ma calcarie dolomitiche e marmoree, quarziti, anageniti e schi- sti profondamente metamorfici si trovano non solo nelle Alpi Apuane, nei Monti Pisani e all’ Elba, ma sì bene nei monti gros- setani, che fra la Bruna e il Chiarone seguono la costa tirrena allontanandosene più o meno, compresovi il Monte Argentario di recente illustrato dal Cocchi, cui pur si debbono importantissime considerazioni sulla struttura orografica della Toscana nei tempi terziari ; ’ e si trovano pure nella Montagnola Senese, della quale intendo più particolarmente occuparmi. Anche a Jano sono gli schisti paleozoici, e per la illustrazione fattane dal Savi e dal * Stella Geologia dell’ Alta Val di Magra, 18()(i. — L' Uomo fossile nell’Ita- lia Centrale, 1807. — 317 — Meneghini ' ne sono noti gli strati antracitici e le impronte ve- getali dei tempi carboniferi in essi scolpite dalla natura; a Ce- tona si hanno calcarie ceroidi ammonitifere ; e qua e là compari- scono lembi di questi terreni, che hanno loro corrispondenti nei più distinti monti della Catena Metallifera. La fìsonomia litica è la stessa; e bene a ragione fra tutte queste sparse membra intravide il Savi così stretto legame, da poterle comprendere tutte con un sol nome ; nè si può mettere in dubbio che per la natura delle rocce, onde sono costituiti, tutti questi monti non abbiano avuto a comune non solo 1’ origine e la metamorfosi di quelle rocce, ma sì bene gran parte della loro istoria. Ma alla parola Catena Metallifera, con cui si denomina tutto questo insieme, qual significato si deve dare, litologico, geolo- gico od orografico ? Fu o non fu sempre a comune l’ istoria loro per tutti questi monti che si comprendono con quel nome solo? Ecco in più precisi termini la questione, che io mi sono propo- sto, se non di risolvere, almeno di accennare. L’ isole deir Elba, del Giglio, di Monte Cristo, e si aggiunga pure anche V Argentario, che come cime di monti sommersi, si alzano dall’ onde marine; le Alpi Apuane, i Monti Pisani, i monti di Campigiia e gli altri summentovati della provincia grossetana, che ora non sono separati dal mare se non per breve tratto di spiaggia, 0 sorgono da pianure alluviali, recenti queste e quella ; ma che un tempo essi pure scoscendevano al Mediterraneo dalla parte d’ occidente ; tutti, sia nella loro generale direzione, sia e più specialmente in quella delle formazioni diverse ci mo- strano un allineamento nel verso dell’ antico asse orografico d’ Ita- lia supposto dal Suess. E notisi tosto che io parlo sulle gene- rali senza negare che non si possa avere nelle singole parti una qualche eccezione per cagioni locali. Or bene, collegando 1’ un fatto all’ altro, cioè la direzione e la natura dei monti da una parte, la postura loro dall’ altra, il Savi giunse alla conclusione che tutte queste parti della così detta da lui Catena Metallifera altro non fossero che resti di maggiori montagne,® conclusione ‘ Considerazioni sulla Geologia stratigrafica della Toscana, ISSI. * Sui vari sollevamenti ed abbassamenti, che han dato alla Toscana la sua attuale configurazione. — Nuovo Giornale dei Letterati. — Pisa 1837. — 318 — confermata anche dagli studi del Cocchi, e che aprì la via alle più generali che dopo trentacinque anni dedusse il Suess per tutta Italia. In questi monti, marittimi o litorani, eccettuata la Val di Magra, non un lembo di terreno marino più recente dell’ eocene appare sollevato, nè dall’ eocene in poi altro terreno più antico dell’ alluvione postpliocenica si accosta loro ai fianchi diruti; non colline, non rialti, se non le dune, fra essi e il mare; i terreni miocenici e pliocenici sollevati sì, ma a più o meno grande di- stanza, e sempre indipendenti. E se all’ Elba alcuni recentissimi conglomerati si veggono sulla costa a considerevole altezza, come li descrive il Cocchi,’ conviene riflettere che in questa classica isola le cose sono, o almeno appariscono, più complesse che al- trove. In ogni modo non havvi eccezione per i terreni miocenici, e tanto meno per i pliocenici. A bene studiar ciò conviene guardare a occidente dei monti litorani, dalla parte cioè che guarda il mare, che dalla parte di terra le cose appariscono meno semplici per l’intervento del- l’Apennino e della Catena Ofiolitica, ma ciò non per tanto con- siderando r insieme di questi monti che costituiscono la Catena Metallifera, ci sembra logica la deduzione che quest’ ultima catena debba avere avuto per il passato maggiore altezza che adesso; e senza pregiudicare la questione se nei primi tempi terziarj o piuttosto nei secondarj ella raggiungesse la massima elevazione e avesse la sua più spiccata individualità di catena assiale ; fatto è che negli ultimi tempi eocenici deve pure avere avuto, almeno per quelle parti sulle quali appariscono sollevati i terreni eoce- nici, un massimo di elevazione di fronte a quella che attual- mente conserva. E fa pure mestieri ammettere un abbassamento successivo alla massima sua elevazione, abbassamento che dette luogo alla formazione dei terreni miocenici e pliocenici, che sol- levati poscia in colline, ora ci appariscono fra 1’ uno e 1’ altro membro di questa catena, là dove un tempo dovettero essere lo sue porzioni scomparse. 11 Savi voleva che l’ inabissamento della Catena Metallifera fosse avvenuto dopo al pliocene e forse contem- poraneamente al sollevarsi delle colline subapenniniche; ma am- * ' Descrizione geologica dell’isola d’Elba, 1871. — 319 — messa l’ esistenza dell’ antica catena occidentale d’ Italia, come sostiene il Siiess, e come fa credere, lo ripeto, 1’ allineamento uni- forme dei monti litorani summenzionati, o meglio delle formazioni loro, conviene ammettere anche che quell’ inabissamento comin- ciasse assai prima, certo prima del miocene, senza per questo negare 1’ ultima fase post-pliocenica così bene studiata dal Savi. Sono anzi incontrastabili gli argomenti addotti da lui a prova del doppio movimento, o d’ altalena, coni’ egli lo chiama, per il quale da una parte s’ abbassavano le Alpi Apuane e i Monti Pi- sani e dall’ altra si sollevavano le colline subapenniniche ; e di- scorrendo le ghiaie delle Colline Pisane in una nota stampata in questo stesso Bollettino,^ addussi io pure i risultati di questo studio come conferma alla bella teorica del Savi. Ma se tutto ciò prova che più alti e insieme anche più estesi d’oggi furono nei tempi pliocenici i Monti Pisani e le Alpi Apuane, e che si inabissarono, almeno dalla parte del mare, al sollevarsi delle colline plioceniche, onde si formò il baratro ripieno poi dalle alluvioni dell’ Arno e del Serchio ; con ciò non si vien per nulla a contradire gli abbassamenti anteriori, senza di che non s’ in- tenderebbe come si fossero potuti formare entro alle acque ma- rine i depositi miocenici e pliocenici, che oggi appariscono sol- levati fra gli sparsi resti di quell’ antica catena. Contemporanea- mente a questo grande ed ultimo (fino ad ora) abbassamento della Catena Metallifera, certo dopo la deposizione di tutto il pliocene o della maggior parte di esso, si sollevarono gli Apen- nini all’ altezza attuale, mentre essendo pure emersi per lo innanzi nella loro parte occidentale formavano un contrafforte alla grande catena assiale, oggi in gran parte sommersa, con- trafforte allora di lei meno alto, e divenuto oggi, orograficamente considerato, la catena principale. Per questo sollevamento post- pliocenico dell’ Apennino, del quale fanno fede i terreni terziari recenti sollevati a grande altezza sul suo fianco adriatico, e per r abbassamento occidentale della Catena j\Ietallifera, da una parte s’ inalzarono le sorgenti, dall’ altra si ravvicinarono loro le foci dei fiumi, ond’ essi vi scavarono i loro letti, pieni di depositi torrenziali o diluviali che sieno, come fra gli altri ne porge bel- * Bolìettino del Comitato geolofjico d’ Italia. iST-J. — 320 — lissima testimonianza la Lima; se pure non cambiarono corso (la oriente a occidente, come per alcuni sembra che accadesse 0 allora o prima; essendoché la natura di certi terreni che si veggono al di là dell’Apennino ce ne mostri la provenienza dalle rocce che stanno al di qua (vedi Cocchi, Mem. cit. e Lez. or., pag. 24 e 98); nè i frammenti di queste vi potessero arrivare se fosse allora esistito quel serraglio naturale. Due deduzioni emergono dunque da questo studio : r Che i cambiamenti di livello non furono sincroni fra i monti litorani della Catena Metallifera e 1’ Apennino, il quale da catena secondaria che prima era, è divenuto oggi la princi- pale dell’ Italia peninsulare ; anzi ei pare fuori di dubbio che procedessero in senso inverso negli ultimi tempi terziari. 2'’ Che per quei monti litorani e altri insulari della stessa natura, salvo eccezioni locali e di niun valore in uno studio ge- nerale, una volta cominciato 1’ abbassamento andò mano a mano progredendo, onde ora non si veggono che i resti delle loro più elevate cime. La loro istoria procede in una sola direzione dal finire dell’ eocene fino all’ attualità. Resta ora a istituire il paragone con gli altri monti della Catena Metallifera che si trovano assai dentro terra e segnata- mente con la Montagnola Senese. Osservando la carta geologica della provincia di Siena, che fu pubblicata dal Campani nel 1865, nel vedere come a diffe- renza delle Alpi Apuane, Monti Pisani, Monte Argentario, ec., si appoggino alla Montagnola Senese le sabbie e le argille plio- ceniche, e nel vedere com’ essa resti compresa nell’ asse, o per lo meno nel campo, del sollevamento subapenninico, che dai Monti Livornesi (senza contare la Meloria e altre piccole isole che quali sentinelle avanzate s’ alzano dal mare vicino) si pro- tende per Volterra e per la stessa Montagnola fino alla valle della Chiana, mi era subito fatta la domanda: ma questa Mon- tagnola Senese, quale ora ci apparisce, fa parte della Catena Metallifera o delle colline subapenniniche ? E la mia risposta inclinava sempre a questa ultima conclusione, alla quale m’ in- duceva anche un taglio geologico preso dal prof. Capellini nella Montagnola suddetta, nel qual taglio sulla calcaria cavernosa di Monte Luco apparisce un deposito pliocenico, prova evidente — 321 - della sommersione di questa catena durante i tempi pliocenici e del suo successivo sollevamento. Una visita fatta alla Montagnola Senese, o per dir meglio un colpo d’ occhio gettato su lei, mi confermarono viepiù nel- r opinione, che la storia ultima di questa montagna fosse ben diversa da quella di altre parti della Catena Metallifera. Di fatti, già dissi, come su lei si adagino i sedimenti plioce- nici sollevati, ed ecco una prima e sostanziale differenza. Il mare non la raggiunge da nessun lato, e se in taluni punti essa sem- bra scoscendere al piano in ben altri e per grande estensione si congiunge alle colline subapenniniche. Delle quali ha pur 1’ an- damento e le dolci pendenze, che in lei non ci è più dato ve- dére r aspetto alpino dei Monti Apuani ; non le cime alte ed acute, non i fianchi ripidi e talvolta scoscesi dei Monti Pisani, deir Argentario, ec. ; non P allineamento delle valli, non quello delle formazioni, che sono invece in mille guise rotte e scon- volte, onde suolsi dire dai paesani che il monte è rintronato. Sui monti litorani della Catena Metallifera ti sembra vedere la impronta della vecchiezza nelle cime flagellate dalla denudazione ; nella Montagnola Senese invece 1’ aspetto è di giovane montagna sollevata con dolci curve, quali si hanno in tutte le colline suba- penniniche. Inoltre, siccome mi fu assicurato, che le ghiaie della formazione subapeiininica, almeno in generale, sono di Alberese, Macigno e di altre rocce, ma non di Quarzo, Anagenite, Quar- zite coni’ è di quelle delle nostre colline pisane, così si avrebbe in ciò anche un nuovo argomento a conferma della differenza fra la Montagnola Senese e i Monti Pisani, le Alpi Apuane, ec. Lo studio delle ghiaie subapenniniche è interessantissimo sotto questo aspetto, e chi ricercasse con ogni diligenza la natura e la pro- venienza di quelle delle colline senesi potrebbe risolvere defini- tivamente la questione. Altro argomento importante a sostegno della mia tesi mi è dato dai travertini, che secondo il Campani ‘ si trovano a Fro- sini, al Poggio della Rosa e in vari altri siti sopra e attorno alla Montagnola Senese. Di fatti ove si mostrano i travertini? Là dove si hanno gli effetti di recenti sollevamenti, producen- Sulla Costituzione geologica della provincia di Siena, 18G5. 1 - 322 — dosi appunto mercè delle acque calcarìfere, che si fanno strada per le fessure prodottesi nei movimenti del suolo. Negli abbas- samenti e nei sollevamenti si hanno interruzioni di continuità, ma per i primi le parti sconnesse inabissandosi non possono che in rari casi offrire adito verso la superficie emersa alle acque circolanti nella terra; per i secondi invece, cioè per i solleva- menti, le parti rotte, discontinue, sollevate offrono tutta l’ op- portunità al prodursi delle sorgenti, che se calcarifere danno origine ai travertini; la di cui produzione va poi mano a mano diminuendo a misura che per le incrostazioni calcari si ostrui- scono le vie aperte nelle rocce dal loro sollevamento. Tale è V istoria di tutti i nostri travertini che si trovano là appunto, ove ne è dato intenderne la origine nel modo da me indicato. Nelle regioni vulcaniche, ove le fessure si producono frequentemente, e nelle due catene montuose apenninica e ofio- litica di recente sollevate ne abbiamo numerosissimi esempi. Su quel di Pitigliano, ove abbondano i tufi vulcanici, li cita il Savi ; nei terreni ofiolitico-subapenninici s’ incontrano a Casciana, nelle vicinanze di Volterra, a Colle di Val d’Elsa, presso Poggibonsi, alle Galleraje, nei dintorni di Montepulciano e in tanti altri luoghi, che lungo sarebbe P annoverare ; nell’ Apennino a Monte Catini di Val di Nievole ec. ; e da per tutto la produzione del travertino, se non sia cessata, è oggi ben piccola di fronte al passato per le ragioni soprallegate, chè apertesi le vie sotter- ranee per il sollevamento postpliocenico andarono e vanno grado a grado ostruendosi. I travertini ci offrono pertanto il mezzo di determinare la cronologia dei sollevamenti montuosi e pel caso nostro della Montagnola Senese ci svelano viemmaggiormente come essa abbia oggi più stretti legami orografici con i colli subapenninici che con le Alpi Apuane, i Monti Pisani, il Monte Argentario e altri monti litorani della così detta Catena Metallifera ; nei quali per quanto io sappia, non esistono travertini. Che se a Monsummano si tro- vano, e se il monte di questo nome è generalmente considerato come una piega, come un lembo esteriore dei Monti Pisani; io credo piuttosto che così quale ora ci apparisce connettasi invece all’ Apennino e abbia con esso nella storia dei sollevamenti la stessa correlazione che la Montagnola Senese ha coi colli subapenninici. — 323 - L’ eccezione dunque non è che apparente, rientra anzi essa pure nella regola generale; onde appar manifesto che i traver- tini, dandoci un mezzo per riconoscere quali dei monti dell’ an- tica Catena Metallifera siano stati risollevati dopo il pliocene e quali no, ci porgono nuova conferma alla conclusione da me de- dotta per la J\Iontagnola Senese da altri e non meno validi argomenti,' Parlili dunque si possa ritenere con ogni verosimiglianza che la ]\Iontagnola Senese dopo aver seguito le altre catene sorelle nelle loro fasi prima di emersione, indi di abbassa- mento, sopravvenuto il sollevamento postpliocenico nuovamente si risollevasse, mentre quelle coiitinuavano a discendere. Per lo che, mentre le Alpi Apuane, i Monti Pisani, P Argenta- rio, oc., tanto orograficamente che geologicamente non sono che resti di quell’ antico asse montuoso d’ Italia ammesso dal Suess ; la Montagnola Senese invece, quale ora ci apparisce e consi- derata orograficamente, appartiene alle colline di sabbia e d’ar- gilla comprese coni’ essa nella zona del sollevamento subapen- ninico. Con le altre montagne testò citate della Catena Metallifera non ha a comune, lo ripeto, che la storia antipliocenica; come catena montuosa è giovane, mentre quelle son vecchie. ’ Nei monti litoiani della Catena Metallifera, se non esistono tiavertini, s’in- contrano bensì le calcarie cavernose, die compariscono pure nella Montagnola Senese, a Massa Marittima ec. ; e mi piace far qui menzione di sì fatta roccia perchè se vero è che in molti casi almeno le calcarie cavernose si debbano consi- derare come travertini antichi metamorfosati, lo stadio loro ci apre un utile campo d’ investigazione. Se tali esse sieno, come fa anche credere il loro modo di presentarsi ora in forma di diga (che ci rappresenta l’ antica via delle acque calcarifere otturata da esse medesime), ora di masse più o meno irregolari, più 0 meno grandi, spesso isolate e ripetute a breve distanza sulla china del monte; se tali esse sieno, lo ripeto, conviene studiarle diligentemente in correlazione sì alle altre rocce, ma in special modo alle discordanze loro. Esse non occupano, nè possono occupare (e ciò s’intende facilmente ripensando all' origine loro) un posto ben definito nella serie stratigralìca essendosi formate sopra f una o l’altra, dentro questa o quella delle rocce che le precedettero; ma possono e debbono bensì essersi prodotto a seconda dei casi in uno o più tempi ben distinti, e darci lume a rintracciare la cronologia geologica. In tal modo considerate le c.alcarie cavernose se non si possono adunque ritenere come un termine della serie stratigrafica dei terreni, ci guiderebbero per altro a riconoscere le varie fasi di movimento delle catene montuose e al pari dei travertini ci porgerebbero un valido aiuto a stabilire la cronologia dei sollevamenti. 324 — Ma queste mie parole non debbono ritenersi come sentenze inappellabili; lungi da me anche il pensiero. Con esse piuttosto che aver la pretesa di definire sì fatta questione, ho inteso di richiamarvi su l’attenzione dei geologi, e in special modo se- nesi; e sarò ben lieto, anche a costo di venir contraddetto, se pur fossi riuscito a fare studiare diligentemente questo gruppo di monti, che a ninno è secondo per l’ importanza e varietà dei problemi geologici che c’ invita a risolvere. Nè a questa sola catena di monti converrebbe limitare lo studio e il paragone, che forse anche in altri ci sarebbe facile trovare conferma alle idee sopra enunciate. A Cetona sono cal- carie Massiche, e se ne trovano anche altrove su quel di Siena ; nelle vicinanze di Massa-Marittima compariscono in alcuni punti e calcarie cavernose e altre rocce proprie della Catena Metallifera ; a Jano, presso Volterra si veggono a giorno e in mezzo alle ofioliti e ai terreni terziari strati di pietre antiche, e perfino di schisti antracitosi dei tempi carboniferi; e qui mi piace notare come il Meneghini,* parlando di quest’ultimo luogo, dicesse: « La pre- senza delle rocce ofiolitiche esservi anche connessa al sollevamento dei terreni secondari più antichi e dei paleozoici. » E questi monti di Jano, di Massa-Marittima, di Cetona e altri sparsi qua e là nel campo del sollevamento postpliocenico, e sui quali si - hanno pure travertini più o meno copiosi, ci danno in piccolo l’ im- magine della Montagnola Senese; ei paiono lembi, brani dell’ an- tica Catena Metallifera inabissata risollevati, e questo solo dubbio basta a mostrare l’ importanza d’ istituire il paragone su dati certi e numerosi, senza trascurare lo studio dei terremoti, che anche in questi ultimi anni sono stati così frequenti appunto in questa zona di sollevamento, il cui asse passa per i monti di Livorno, Orciano, Castellina, Riparbella, Volterra, Montagnola Senese, Siena, ec., luoghi tutti tormentati sovente dal terribile flagello. ' Bella presenza del ferro Olujisto nei (jiacimenli ofiolitici di Toscana. Nuovo Cimento. Pisa, genn.-febbr. 1860, pag. 8. — 325 — IL Sulla probahile esistenza di avanzi di antichissime industrie umane nella così detta Terra gialla di Siena. — Cenni di Antonio D’ Achiardi. Agli ultimi del decorso settembre, iii occasione del Congresso dei Naturalisti italiani visitando le cave della così detta Terra gialla di Siena, situate presso al paese di Castel del Piano al luogo denominato Le Mazzcireìle, nel ripensare alla modernità del deposito limonitico e nel vedere come da cima a fondo sia tutto messo allo scoperto per levarne la terra suddetta, mi venne in mente che là dentro potessero rinvenirsi oggetti di antiche industrie. Difatti il deposito ocraceo è di origine recente, effet- tuatosi in un bacino ristretto e in seno alle acque, e perciò in condizioni opportune per accogliere e conservare gli oggetti che in tempi antichi potevano esservi caduti dentro. Inoltre la terra che si mette in commercio si scava per taglio e si leva tutta, onde ripensava fra me, che se giacimenti di oggetti preistorici deir industria umana vi abbiano in favorevoli condizioni per lo studio, ninno certo avrebbe potuto uguagliare o per lo meno superare questo delle Mazzarelle. Domandai pertanto a uno che mi stava vicino ed era del luogo, se fossero state mai rinvenute pietre focaie, punte di saette o altri oggetti dentro alla Terra gialla, e mi fu risposto di sì ; anzi di lì a poco venne e mi portò un frammento di coltello o raschiatoio in piromaca, che mi disse aver ritrovato in quella stessa cava, ove allora ci tro- vavamo. Altro non potei raccapezzare per il momento, ma ritor- nato a Castel del Piano e visitando la pubblica mostra che ci avevano preparata dei prodotti naturali del paese circostante, fra gli altri oggetti fermarono la mia attenzione alcune rozze scheg- gie di selce e diaspro, delle frecce meglio fatte in piromaca e degli oggetti in bronzo o in rame (che ben non ricordo), l’uno dei quali raffigurava una bestia e forse erano idoli. Domandai tosto di dove provenissero e da più d’ uno mi fu risposto dalle cave delle Mazzarelle, e domandato ancora se in- sieme confusi 0 separati vi si rinvenissei-o questi oggetti sì di- 326 — versi fra loro, mi fu risposto die gl’ idoletti di metallo erano stati trovati nella parte più superficiale del deposito limonitico, quelli in selce nella inferiore, lo che appunto sarebbe in armo- nia con la durata lunghissima e grande lentezza della deposi- zione limonitica e conseguente diversità nell’ età dei suoi strati. Io non ebbi la fortuna nel poco tempo che passai nella cava di rinvenire alcuno degli oggetti sia in selce, sia in metallo, nè ciò era facile non avendovi fatte speciali ricerche ; per lo che delle cose dette nuli’ altra malleveria posso dare che la fede nelle persone che me le asserirono. Ciò non pertanto, non sa- pendo che da altri ne sia stata fatta menzione, ho creduto bene di notare questi fatti, affinchè s’ intraprendano più diligenti ricer- che e per invitare i padroni delle cave, o chi le ha in affitto, a tener conto degli oggetti che ritrovassero per l’avvenire, no- tando scrupolosamente la profondità a cui giacciono e le reci- proche correlazioni di posizione ; poiché, lo ripeto, se la presenza degli oggetti summentovati sia vera, come mi venne asserito, nessun luogo meglio delle Mazzarelle potrebbe offrire le condi- zioni le più opportune per gli studi paleoetnologici. Là a simi- litudine delle Terremare il deposito si cava tutto da cima a fondo, e cavandosi per taglio tutte le varie età vi si possono vedere rappresentate al loro posto senza che vi sia il caso, coni’ è di alcune caverne, che gli oggetti testimoni di quelle diverse età siano stati confusi fra loro. III. Osservazioni geologiche fatte nel Carso, nel territorio di Monfalcone ed alle foci dell’ Isonzo. (Estratto da una nota del prof. T. Tabajielu, inserita negli Annali del R. Istituto Tecnico di Udine, Anno V.) La regione che prendiamo ad esaminare presenta i caratteri orografici più spiccati delle formazioni che ivi si manifestano. Ad oriente un altipiano calcareo limitato a mezzogiorno ed a Nord da due lembi di terreni arenaceo-marnosi, si mostra di contorni tondeggianti, cosparso di aspri macigni, corroso dalle acque e quasi nudo d’ ogni vegetazione. Ad occidente una pianura leg- germente inclinata verso il mare, che in parte la ricopre, si di- spiega a ventaglio ed è costituita dalle alluvioni postglaciali ed antropozoiche dell’ Isonzo. Dessa ha nella sua parte sommersa una pendenza media del 2,5 per mille. L’ altipiano calcareo è costi- tuito da una massa principale che ha un’ altezza massima di 270 metri al Monte San Michele a N.E. di Sagrado, ma in me- dia oscilla alla sua superficie fra 100 e 150 metri sul livello del mare. Da questa massa si stacca a Nord di Redipuglia un promon- torio che si eleva di 20 metri sul piano circostante. Un altro sprone calcareo si protende verso N.O. dal piccolo lago di Pie- trarossa, e si perde nelle alluvioni a Ronchi, comprendendo nelle falde dell’ altipiano la valletta di Sels : questa che or sono po- chi anni era occupata dal laghetto Mudile, ora non presenta che un campo d’ ocra rossa, che s’ incontra nelle depressioni del Carso fra i detriti ond’ è ingombra la superficie dell’ altipiano. Lo stesso altipiano presenta due depressioni le più profonde, occu- pate dai due laghetti di Pietrarossa (11"‘,2) e di Doberdò (13“). Dal primo esce il torrente Locavaz che si perde nelle paludi del Lissert : il secondo non presenta nè scaricatori nò affluenti vi- sibili : da aprile a giugno desso ha una profondità di cinque metri ed una lunghezza di quasi un chilometro, ma al finire della estate si riduce ad un fosso serpeggiante tra canneti e -giunchi che vengono poi sommersi al nuovo anno. Due collinette calcaree, 1’ una detta Sant’ Antonio, P altra La Punta, sporgono presso Monfalcone dalle recenti alluvioni del Timavo e del Locavaz. Erano ancora due isolette al secolo VII dell’ èra volgare, prima che fossero circondate dalle alluvioni suddette ; a’ tempi di Plinio dalla prima collina zampillavano le acque termali monfalconesi. La regione del Carso è limitata ad oriente dalla depressione detta II Vallone, che scorre per 9 chi- lometri verso N.E. dalla svolta della strada sotto Jamiano sino alla valle del Vipacco scavata nelle rocce eoceniche arenaceo- marnose. A ponente è questo lembo del Carso limitato dall’ Isonzo e dalle sue alluvioni. L’ Isonzo taglia la formazione eocenica che ricompare sulla destra formando le colline di Farra e le minori eminenze che affiorano dalle alluvioni terrazzate fra il Versa e - 328 — il Judrio a Monticello, a Longoris ed a N.O. di Borgnano. Questi affioramenti di rocce arenacee danno idea della cresta di strati eocenici, ora quasi erosa e sepolta dai tàlus posterziarii, che si appoggia sopra una continuazione verso ponente dell’ alti- piano cretaceo rappresentata dal colle di Medea. A Sistiana, posta al S.O. di Monfalcone, s’ incontra 1’ altro lembo di terreni eocenici che corre verso Trieste e limita a mezzodì 1’ altipiano cretaceo. La serie dei terreni costituenti l’ altipiano si studia assai bene percorrendo attentamente i versanti del Vallone e delle altre depressioni. Alla forma dell’ altipiano che contraddistingue qui come nel Friuli e nelle Alpi Giulie la formazione cretacea, corrisponde una stratificazione leggermente ondulata. In gene- rale, r inclinazione è assai debole ed ognora distinta e regolare ; la potenza degli strati assai varia, più grande nei superiori che negl’ inferiori. La base di questa porzione del Carso consta di calcari sot- tilmente stratificati, alcun poco arenacei, talora brecciati e di- stinti da una tinta più o meno oscura per materie bituminose. La presenza del bitume è sempre manifestata da forte odor di petrolio che manda il calcare percosso ; esso si raccoglie talora nelle fratture della roccia. Questi strati bituminosi affiorano dal Vallone ai laghi Doberdò e di Pietrarossa, passano dietro la col- lina di Monfalcone e seguono le falde dell’ altipiano cretaceo fino a Vermeano. Lo spessore di queste rocce e le relazioni strati- grafiche coi piani ad esse sottostanti, non si possono rilevare giacche questa è la formazione più antica del Carso. Se ne può però, per i caratteri litologici, assegnarle un orizzonte corri- spondente a quello degli strati di Comen come lo indica la Carta geologica dell’ Impero Austriaco. In questi strati bituminosi non fu possibile rinvenire gli it- tioliti di cui parla il Berini in una sua Memoria pubblicata nel 182G. Non si trovarono a questo livello altri fossili che dei piccoli e numerosi gasteropodi (Nerinee) sul versante occiden- tale della Punta di Castellazzo. Sono però così mal conservate, da non permetterne una sicura determinazione specifica ed ap- poggiare l’ ipotesi che gli strati di Comen, per la loro presenza, corrispondano al Cenomaniano. Lo stesso genere di fossili è pure — 329 — assai comune alla base della formazione cretacea del Monte Ca- vallo, al lembo occidentale del Friuli. Sugli strati bituminosi s’ innalza la formazione più caratteri- stica del Carso, cioè la Creta a Budisfe, con una potenza di circa 170 metri. La fauna di questo terreno fu pubblicata quasi per intero dal prof. Pirona allorché illustrò la fauna di Medea. Le specie comuni alla fauna di Medea trovate nel tratto tra Duino e Sagrado sono : Sphceridites Ponsiana. D’ Ardi. » Meneghiìiiana. Pir. » Visianica. Pir. » Pasiniana. Pir. liadiolitcs Zignoana. Pir. » Imnhricalis. D’ Orb. Altre due specie che sembrano nuove furono rinvenute. Una di Splicendites, provenienti dalle cave di Sdrausina, di Sagrado e di Fogliano ; P altra di Badiolites elegantissima, comune assai nei colli di Soleschiano e di Vermeano. Alle numerose ippuritidi che costituiscono talora quasi per intero la roccia, aggiungonsi delle foraniinifere politalamiche analoghe a quelle della creta svizzera, studiate dal prof. Heer. Desse si raccolgono per lo più in un deposito ocraceo di 5 o 6 metri di potenza, addossato alle falde settentrionali del colle verso Borgnano. Quest’ ocra rossa talora compatta e stratificata, presenta una composizione chimica tanto diversa da quella del calcare a Radioliti, che non si può ritenere che essa sia il pro- dotto dell’ erosione di questo. Essa ricopre tanto il calcare cre- taceo a Rudiste che il calcare eocenico ad Alveoline di Santa Fosca, che vi si adagia sopra alquanto discordante. Essa fu quindi de- posta negli ultimi periodi dell’ eocene. Nel tratto da Gabria a Devitaki e da San Martino a Do- bcrdò, si osservano sezioni di Hippurites in roccia analoga a quella di Nabresina. A Miceli di Vallone, sopra gli strati bitumi- nosi furono raccolti diversi esemplari di un’ Ostrea a coste ra- mificate eguali a quelle rinvenute nel calcare cretaceo di Toppo (Friuli occidentale). La formazione a Rudiste del Carso appartiene in complesso ai più antichi periodi della Creta Superiore. 22 — 330 — Nel Carso manca la scaglia rossa, e resta quindi più palese e costante la discordanza tra il calcare a Rudiste e le forma- zioni eoceniche. Risulta dunque dallo studio di questa regione, che le rocce cretacee furono infrante e spostate prima del sedi- mentarsi delle rocce eoceniche. Lo conferma l’ indole lacustre di una gran parte dei depositi dell’ Eocene inferiore della penisola Istriana. Queste rocce formano la continuazione della serie eocenica cotanto sviluppata nelle colline tra il Tagliamento e l’ Isonzo. Sono nella maggior parte arenacee, come nelle colline di But- trio, di Rosazzo, di Cormons e di Gorizia ; ma negli strati più profondi sono calcaree, e solo distinguibili dal cretaceo per la di- scordanza e per la stratificazione più accidentata. Le arenarie con fucoidi 0 cosparse di avanzi carboniosi, si alternano con letti marnosi e sono fortemente contorte. Gli strati inferiori, che ancor più da vicino circondano gli affioramenti del calcare cretaceo, sono ancor più a questo so- miglianti. Ad iimnediato contatto degli strati a rudiste presen- tansi gli strati ad Alveolina, che si scavano a Sistiana e che ricompaiono a Merna, a Gabria, a Rubia, a Pitiano ed a Santa Fosca (Borgnano). A Sistiana si raccolsero begli esemplari di una Lucina: a Santa Fosca alle falde N.E. dell’ altipiano di Gradisca, frammenti di Echini di. Si presentano quindi strati nummolitici meno conti- nui di un calcare oscuro più del precedente, affioranti nel tratto da Merna a Sagrado. Queste rocce non si osservano in alcun luogo del Friuli alla base della formazione arenacea, che è separata dal calcare a Rudiste per i conglomerati pseudo-cretacei. Le escursioni quindi nei dintorni' di Gradisca e di Monfalcone permettono di stabi- lire le transizioni per le quali la serie eocenica friulana si con- nette alla serie isocrona dell’ Istria. La struttura litologica e la composizione dei calcari eocenici diversificano poco da quelle del calcare cretaceo : la vegetazione però è più robusta e rigogliosa su quelli. Da ciò dipende 1’ a- spetto che presenta la regione di colline die si stende dalla valle del Vipacco fino al mare ; ivi si osserva un lembo di folte boscaglie e di coltivi recingere un petroso deserto, che presenta — 331 solo qua e là qualche cespuglio e qualche forra di carpino o di quercia. Nelle depressioni ove si raccolse maggior quantità di ocra ferruginosa eocenica, si vede una più ricca verdura: tali depressioni imbutiformi, che gli Slavi chiamano Boline, imboc- cano in sotterranei condotti, col tempo interratisi. Taluni di questi presentano al centro delle aperture che si spingono a pro- fondità notevoli. Celebre assai è la Grotta del Carso, nella quale scompaiono dopo un corso più o meno breve i torrenti, e si rac- colgono le acque pluviali assorbite dalle fenditure degli strati, per poi ricomparire alla base dell’ altipiano presso il mare. Tanto questa che le sorgenti del Timavo e le Boline, che conservano tuttora il loro condotto, attestano il passaggio di corpi d’ acqua assai più considerevoli che gli attuali, e dimostrano la forza erosiva, sia chimica che meccanica, delle acque, esercitata per lungo volger di secoli nel formare, o per lo meno nell’ allargare tali cavità ; non che 1’ azione della chimica ricomposizione colla presenza di enormi stalagmiti che tendono ad otturarle. Le accennate soluzioni di continuità si spiegano colla pre- senza costante in quelle acque circolanti dell’ acido carbonico, in una proporzione molto maggiore dell’ attuale, ciò che non poteva accadere che nel caso che 1’ acqua stessa si trovasse sottoposta a pressione di molte atmosfere : poiché è noto che tanta è mag- giore la quantità d’ acido carbonico che 1’ acqua può tenere in dissoluzione, e quindi la sua facoltà a sciogliere i carbonati cal- carei, quanto maggiore è la pressione a cui essa è sottoposta. Ora tutto ciò non poteva avvenire che a condizione che 1’ alti- piano cretaceo-eocenico fosse tuttora sommerso a considerevoli profondità sotto il livello marino. La formazione quindi e T am- pliamento delle grotte perforanti T altipiano, avvenne durante r ultimo periodo della sua sommersione o durante la sua emer- sione dal mare. Venute le acque circolanti in più diretta comunicazione con l’atmosfera, in condizioni quindi favorevoli all’evaporazione e alla decomposizione dei carbonati, si ebbero i fenomeni d’ in- crostazione delle grotte, il riempimento delle geodi del Carso, non che 1’ esaurimento od impoverimento delle sorgenti. La fase d’ incrostazione cominciata coll’ emersione dell’ altipiano cretaceo- eocenico, continuò nei periodi più recenti e perdura nell’ epoca — 332 — attuale. La selva di gigantesche stalattiti colonnari e le stalag- miti della Grotta di Adelsberg rappresentano un lungo periodo di secoli, ed una prova se ne ha negli avanzi della fauna plio- stocenica che sono in quella grotta quasi superficiali. Ultimo avanzo della circolazione dissolvente delle acque nel distretto ora esaminato è la termale di Monfalcone, che sgorga a pochi decimetri sul livello marino, e da cui la salsedine e la temperatura variano colle maree. Il suo potere dissolvente è mantenuto per la grande profondità da cui sgorga (per lo meno due chilometri), mentre si è da tempo perduto dalle acque cir- colanti per la Grotta del Carso, provenienti in generale dalla su- perficie. Ciò spiega r esaurimento di alcune sorgenti esistenti in tempi storici nelle falde del Carso da Duino a Sels ; la poca ricchezza calcarea dell’ acqua del lago di Doherdò, del Limavo e dei pozzi scavati nella roccia cretacea ; ed infine 1’ ostruzione della massima parte delle bocche del Limavo descritte dagli antichi. Oltre la molta minore quantità d’ acqua sgorgante dalle boc- che del Limavo, è pure osservabile la diminuita altezza di ca- duta, che imponente e fragorosa diciannove secoli fa, ora sbocca umile e quieta a due metri sul livello medio del mare. Lale differenza potrebbe spiegarsi col fatto della formazione del bre- vissimo tratto di alluvioni che il fiume si è creato alla foce, alluvioni che nelle più alte maree rimangono quasi totalmente sommerse ; ma ancora meglio dall’ abbassamento cui andò sog- getto in epoca storica il Carso come tutto il littorale dell’ Istria e della Dalmazia. Lale abbassamento è da ritenersi come la continuazione di quello iniziato per lo meno sino dall’ epoca postpliocenica, estesosi, probabilmente all’ intera massa delle Alpi orientali e ad una gran parte del litorale adriatico italiano. A complemento dello studio della regione, veniamo a parlare delle alluvioni postglaciali dell’ Isonzo. Percorrendo il tratto da Sagrado a Gabria, si osservano delle masse di conglomerato terziario compatto, franato alla media at- terra di 35 metri sul livello del vicino Isonzo, il che prova che la re- gione emerse sino dall’ aurora del Miocene. La stessa alluvione osservasi sulla sponda opposta del fiume alle falde della collina 333 — di Farra e, nel tratto tra il torrente Torre ed il Carso, sotto le alluvioni incoerenti e più superficiali, trovasi sempre un conglo- merato più 0 meno profondamente inciso dal Natisone, dal Corno e dal Judrio, e che può pure ritenersi del periodo pliocenico. Le alluvioni pliostoceniclie formatesi nella prima fase delTepoca posterziaria, e terrazzate nella seconda che continua tuttora, di- scendono dalle falde dei monti di Gorizia e dai colli di Cormons e di Copriva, con una media pendenza del 7 per mille, sino al limite meridionale dei terrazzi. Tali terrazzi distinti e numerosi, accompagnano il corso dei torrenti suaccennati, allontanandosene man mano per confondersi colla superficie dei taìus postglaciali, innestati nelle incisioni fatte nei talus post-terziarii. Dessi conti- nuano lungo r Isonzo sino allo shocco di questo nella pianura presso a Salcano, sino a rtonians ed alla foce del Vipacco, che è pure incassato, al suo confluente, in terrazzi di circa 20 metri di altezza. Un alluvione ad elementi più minuti, passante ad un terreno sabbioso ed argilloso, scende con dolce declivio dal li- mite dei terrazzi e ricopre la base del talus glaciale. Tale al- luvione costituisce il territorio di Monfalcone ed il tratto di pianura da Loinans al mare. Su questo conoide di deiezione postglaciale si disegna il ri- lievo deir alveo dell’ Isonzo, che va man mano innalzandosi ri- spetto alle circostanti alluvioni da San Pietro al mare, dove si projetta colla Pulita della Sdobba. ' Dalle osservazioni fatte sulla superficie del talus postglaciale dell’ Isonzo, e da quelle sulla varia natura del suolo e sotto- suolo monfalconese, si può rilevare che questo fiume ha subito nel suo decorso diversi cambiamenti di letto. Nei primordi del periodo postglaciale, quando ricco d’ acque più del presente, ter- razzava le alluvioni del periodo precedente, il suo letto scen- deva diritto dallo sprone calcareo di Sant’ Elia sino a Begliano e San Canciano, come lo indica la grossezza dell’ alluvione che in tale direzione si osserva. Poi, fattesi le acque meno copiose, il fiume diramavasi a ponente ed a levante di questo corso, lam- bendo da una parte il Carso e dall’ altra preparandosi P at- tuale letto. Proseguendo la diminuzione delle acque, il fiume si stabilì gradatamente in un letto unico. La più certa ed ultima muta- — 334 — zione avvenuta più a valle, fu quando il fiume abbandonato il decorso dell’ Isonzatto tenuto nel medio evo, si gettò nel letto della Sdobba. Prima che il fiume avesse V attuale decorso per la Sdobba, deviando presso Fiumicello, corrispondeva all’ at- tuale Isonzatto, limite tra le paludi bonificate dell’ Isola Mo- rosina e le paludi e le barene del delta. Ora, dall’ osservare che r Isonzatto va col suo corso sino a poca distanza dalla foce attuale, ne resulta che da quando si stabilì 1’ attuale corso, la sua bocca si avanzò assai lentamente, e ritenendo vera 1’ epoca in cui il fiume prese il decorso per la Sdob- ba (1490), si avrebbe un avanzamento annuale di 7 metri. Il delta dell’ Isonzo si modificò all’ epoca dei terrazzi; si espanse alquanto dai lati, ma si avanzò di ben poco, come lo dimostra la posi- zione dell’ antico cordone litorale di Grado, anteriore all’ epoca storica ed un tempo assai più esteso che al presente. È probabile che il canale Cemole, la roggia di San Canciano, il fiume Cavana e gli scoli della palude di Monfalcone fossero gli avanzi di decorsi antichi dei varii rami di questo fiume. Mentre l’ Isonzo creava il vasto apparato di alluvioni postgla- ciali che ricopre da Fiumicello alle falde del Carso le alluvioni glaciali, il torrente Locavaz ed il Timavo formavano indipenden- temente da quello un breve tratto di depositi limacciosi finissimi che costituisce la palude del Lisert. Le alluvioni postglaciali ora esaminate, estese assai in superficie, sono poco profonde, special- mente a valle di Perteole, di San Canciano, di Steranzano e di Monfalcone, ove comunica la zona acquitrinosa. In fatti quivi la sonda si arresta a 1“,50 di profondità contro una sabbia agglo- merata da cemento argilloso, impermeabile alle acque d’ infiltra- zione che impregnano l’ alluvione superiore. Anche i pozzi del territorio monfalconese scendono nelle alluvioni suddette a poca profondità, variabile da monte a valle da 8 a 3 metri: analoga- mente sotto un non potente strato di limo nel porto di Mon- falcone, si estrae una fanghiglia argillosa, contenente ciottoli vo- luminosi ; tale alluvione ritiensi del periodo glaciale. Questi fatti collegati col ritrovamento d’ un grosso masso porfirico sull’ alti- piano calcareo a 50 metri sull’ alluvione dell’ Isonzo, farebbero ritenere che la formazione del sottostrato suddescritto non fosse estranea al trasporto d’ un ghiacciaio quivi scendente sino al — 335 — mare. L’ apparato litorale formatosi dopo il periodo di massima espansione dei ghiacciai e prima del periodo dei terrazzi, pre- senta degli avanzi nelle collinette arenacee e sabbiose di Belve- dere, di Centenara, di Isola Domine, di Villanova e di Volperà, elevate sino a 7 metri sulla bassa marea. Il cordone di Grado, come quelli di tutto il litorale Adriatico sino a Venezia, appar- tiene al periodo dei terrazzi. Al Sud di Aquileja, poco lungi dalla laguna, fu trovata una freccia di selce, che dimostra che la terraferma ha guadagnato in complesso pochissimo nel lasso di tempo decorso dall’ età della pietra in sino a noi. Dall’ osservazione di un periodo di 20 anni, il fiume depositò alla Cona 32 centim. di limo ; da ciò si potrebbe dedurre che le accumulazioni delle dejezioni del fiume in 380 anni da chel’Isonzo scorre nella Sdobba, dovrebbero raggiungere un’ altezza di 4 a 5 metri sul livello marino : invece non si ha che una media al- tezza di 1,“50, il che indicherebbe un abbassamento secolare delle alluvioni più recenti di circa 78 centim. Ma questi dati sarebbero per sè insufficienti a dar ragione d’ un fenomeno che può dipen- dere da cause molteplici e di varia indole. Accenneremo piuttosto ad alcuni fatti che comprovano l’ abbassamento avvenuto in epoca storica di questa parte del litorale adriatico. Gli scavi fatti ad Aquileja dimostrano che il suolo della città romana trovasi a 3”’, 50 sotto il piano attuale, che è a 4 metri sul livello del mare. Ai tempi di Strabene era invece una città salubre, circondata da fertili campagne, e vi si arrivava dal mare rimontando per quasi 10 chil. il Natisene; nè soffriva danni dalle maree, nè era infestata da miasmi paludosi che desolarono ne- gli ultimi secoli quella regione. Alcuni scavi eseguiti lungo il fiume Ansa hanno fatto scoprire uno strato torboso con tronchi lavorati, armi di ferro e bronzo, e corni di cervo, a 2 metri sotto 1’ attuale marea. A memoria d’ uomo, tra Aquileja e Grado, esisteva una comunicazione per terraferma. I canali serpeggianti fra le barene e nelle lagune, imboccano direttamente i corsi d’acqua discendenti da terraferma, sì da far credere essere quelli i letti antichi delle correnti stesse incisi in un’alluvione che prima emergeva normalmente dall’alta marea. La strada romana da Aitino a Concordia e da Concordia ad — 33C Aquileja, se diretta, come si costruiva da’ Romani, doveva scor- rere fra le paludi dei due delta dell’ Isonzo e del Tagliamento, mentre, secondo i geografi antichi, attraversava folte boscaglie crescenti in terra ferma. L’ alluvione dell’ Isonzo rappresenta naturalmente la sintesi della litologia del bacino in cui si raccolsero le acque, e donde scesero i ghiacciai che ne trasportarono i materiali. Sono pre- valenti gli elementi calcarei per lo sviluppo grandissimo delle rocce calcaree dall’ infralias all’ eocene medio. L’ analisi chimica svela nella sabbia del lido una quantità di magnesia doppia della massima contenuta nelle dette rocce: tale fatto corrisponde allo sviluppo non meno grande delle dolomiti triassiche nella Gori- tenza, nella Trenta e nel Rio Bianco di Uccea, non che alle prime origini del Torre, del Cornappo e del Natisene. Non man- cano le rocce argillose e micacee, le quali provengono dai limi- tati affioramenti degli scisti argillosi del Permiano inferiore della valle di Idria e delle arenarie micacee del Trias inferiore che vi sono associate. Le marne meno compatte, così comuni nelle regioni eoceniche, sono scarsissime nell’ alluvione per essere state sciolte, dilavate e condotte al mare, disperse dalle correnti ma- rine. I ciottoli quarzosi assai frequenti .nelle alluvioni sabbiose e ghiaiose, provengono dalle puddinghe quarzose dell’ eocene medio e dagli arnioni e straterelli silicei, frequenti nel Neocomiano dei dintorni di Tolmino e della zona giurese attraversante la valle dell’ Isonzo sopra Caporetto, e che si ripete nella vallata del- l’ Idria. Essi prevalgono nelle più minute alluvioni per la loro mi- nore tenacità e minor peso specifico degli elementi silicei, e per essere esportati dalle correnti in dimensioni assai piccole. Non sono infrequenti nelle alluvioni glaciali e postglaciali i ciottoli porfirici, i quali vennero dispersi dal ghiacciaio del- r Isonzo quando era in relazione con quello della valle di Raibl ; alla stessa guisa che quello del Piave disperse nel Bellunese e nel Trevigiano i graniti del Tirolo. La grossezza degli elementi alluvionali diminuisce general- mente colla pendenza dell’ alluvione da monte a valle. Si osser- vano però qua e là delle strisele ad elementi più grossi e delle aree sabbiose ed argillose. Confrontando poi le alluvioni del suolo con quelle del sottosuolo, si scorge che questo, in generale, è — 337 più ricco di terra sciolta. Ciò non si verifica però a Fogliano ed a Canciano : la prima è un’ area esposta alle più frequenti in- nondazioni del fiiiine, la seconda corrisponde alla zona di minor spessore delle alluvioni postglaciali. Le sabbie prevalgono nel suolo, le fanghiglie nel sottosuolo : ciò potrebbe dipendere dal lavaggio subito dalle alluvioni superficiali per le acque di piog- gia. Carattere generale delle alluvioni è la prevalenza dei car- bonati e della silice, e la deficienza dei silicati alcalini tanto nel suolo che nel sottosuolo. Dal complesso dei fatti qui sopra enunciati, e dalle conside- razioni che ne derivano, si deducono queste conclusioni : 1° L’ altipiano del Carso, di Gradisca e di Monfalcone, è formato di calcari cretacei (prevalentemente del Turoniano) con due strisele di calcare a JBorelis e Nimmidites (Eocene inferiore) : con queste si allineano due lembi di arenaria dell’ eocene medio, che coprono la continuazione verso ponente dell’ altipiano calcareo che affiora al colle di Medea. 2° Mancano assolutamente i terreni miocenici affioranti nel resto del Friuli a ponente del torrente Torre : 1’ ultimo deposito marino ivi lasciato è 1’ ocra rossa contemporanea all’ emersione posteocenica. Il pliocene è rappresentato da un’ alluvione cemen- tata, quasi sempre sepolta sotto le alluvioni pliostoceniche di- stinte per elementi litologici in quella mancanti. 3° La formazione e successiva ostruzione delle caverne e r esaurimento della idrografia sotterranea dell’ altipiano calcareo, concordano perfettamente coll’ idea di una lenta emersione po- steocenica della regione. A questa è probabile abbia susseguito un abbassamento cominciato nell’ epoca pliostocenica e continuato nell’ epoca storica, analogo a quello dell’ Istria e della Dalmazia. 4° L’ alluvione glaciale dell’ Isonzo è distintamente terraz- zata, quantunque la regione corrispondente non si sia innalzata sul livello marino nell’ epoca postglaciale. Il masso porfirico rin- venuto sulle falde del Carso, indica che il ghiacciaio dell’ Isonzo, come quello del Piave e forse del Tagliameiito, si estendeva sino al mare in un’ epoca di massima espansione. 5° L’ alluvione postglaciale non terrazzata del fiume Isonzo è prevalentemente calcarea se ghiajosa, più ricca di silice se sab- biosa, scarsa di principii argillosi. Sul falus di questa alluvione — 338 - il fiume andò gradatamente raccogliendosi in uno stabile alveo durante l’epoca storica. 6° Per la scarsità delle torbide nelle acque di rinascimento, per la corrente adriatica e per il progressivo abbassamento del delta, questo si è dopo P epoca arclieolitica di poco avanzata colla sua fronte litorale : si è avanzata invece la punta della Sdobba con una progressione di 7 metri all’ anno. La formazione degli attuali cordoni litorali rimonta al periodo dei terrazzi, e sono visibili gli avanzi del cordone litorale dell’ epoca glaciale. IV. Di alcuni Rettili e Mammiferi fossili recentemente scoperti nel Nord-America. (Estratto da rari articoli inseriti nell’^JHcr. Journ. of Scien. and Arts, New-Haveii. 1871.) — Continuazione e fine. Rettili terziarii. Crocodilus mphodon, Marsh. — Questa nuova specie di pic- cole dimensioni, presenta caratteri che la separano da quelle dei Crocodiliani conosciuti viventi od estinti. Tratti molto marcati si osservano nei denti che somigliano quelli di alcuni Dinosauri. Le corone sono molto compresse, alquanto incurvate specialmente nella parte anteriore della serie. I lati sono lisci, i margini molto taglienti con belle seghettature dalla base all’ apice; il cranio è rugoso e in qualche punto profondamente scavato. Il quadrato è robusto con la faccia inferiore liscia e coll’ estremità distale a sezione triangolare. Il dorso di questo rettile era coperto di spesse scaglie strettamente unite con suture e profondamente sol- cate. Il suo orizzonte geologico è P Eocene superiore. Dimensioni Lunghezza della corona del dente Millim. 17,6 Diametro transversale alla base 5, 7 Id. antero-posteriore alla base 10, 4 Id. trasversale della estremità distale del quadrato. 34, 8 Id. verticale sulla linea mediana 17,0 Fu ritrovato questo animale a Grizzly Buttes, presso Forte Bridger nel Wyoming. — 339 — Crocodilus liodon, Marsh. — Una seconda piccola specie di Coccodrillo è indicata dalle più importanti parti dello scheletro provenienti, come le precedenti, dai depositi terziarii. I denti sono lisci, quasi rotondi alla base, allungati con punti compressi. I margini taglienti sono prominenti ed affilati, ma non seghet- tati: le mascelle sono prolungate. Il quadrato è corto, concavo alla superficie superiore e molto piatto alla fine distale. L’ ordi- nario foro pneumatico sul margine superiore interno, è mancante 0 rudimentale : sulla superficie inferiore esiste una larga eleva- zione longitudinale: il basioccipitale è robusto e uniformemente convesso nel senso trasversale. Le ipapofisi delle cervicali sono semplici, compresse ed allungate; nelle cervicali anteriori, esse sono dirette all’ esterno, ma nella undicesima vertebra questo prolungamento è verticale; la cavità articolare ha una sezione ovale molto larga. Le scaglie dorsali erano articolate: Dimensioni Diametro trasver. del quadrato alla estremità distale, àlillim. 31,6 Diametro verticale sulla linea mediana 8, G Lunghezza dell’asse col processo odontoide 48,9 Lunghezza dell’ undecima vertebra dal margine della coppa all’ estremità del processo articolare 35, 2 Larghezza della cavità 19,8 Sua profondità 18, 9 Lunghezza dell’ ipapofisi 11,0 Fu scoperta presso Forte Bridger nel Wyoming. Crocodilus affìnis, Marsh. — I Coccodrilli fossili molto co- muni nei sedimenti terziarii del Wyoming occidentale, sono grandi rettili, con denti rugosi, conici, a margini taglienti e pro- minenti, ma un poco ottusi. In questa specie i premascellari sono nella proporzione approssimata di uno a quattro. La sinfisi è molto corta ed al margine posteriore superiore è incontrata dalla estremità anteriore dello spleniale: le ossa nasali guardano in- fuori e formano un setto nella narice esterna come nell’Alligatore. Le vertebre cervicali hanno ipapofisi che somigliano quelle di questo genere. Il quadrato inoltre è molto ristretto alla sua terminazione ar- — 340 — ticolare distale: la sua superficie più bassa è concava con una cresta longitudinale tagliente esternamente alla linea mediana. Dimensioni Lunghezza del cranio alla superficie superiore. . Millim. 344, 8 Lunghezza dei premascellari 88,2 Diametro trasversale del quadrato, alla estremità distale. 48, 5 Diametro verticale sulla linea mediana 15,4 Crocodilus Grinneìli, Marsh. — Questa specie, che era di me- dia grandezza, somiglia strettamente alla precedente per la forma e proporzioni del quadrato, ma ne differisce per le mascelle più allungate e per i denti più compressi, appuntati e solcati. La sinfisi è altresì più lunga e lo spleniale non la incontra. Il ba- sioccipitale è transverso ed allungato con un profondo solco ver- ticale sulla linea mediana. L’ asse è sottile ed ha due solchi al- lungati e profondi da ogni lato del canale nevrale, e due meno profondi e più distanti sulla superficie superiore del prolunga- mento odontoide. Tutte le vertebre hanno strie sui margini delle faccie articolari. Le scaglie erano libere e con poche intaccature : Dimensioni Lunghezza della sinfisi ... : Millim. 70,0 Massima profondità 20,3 Diametro trasversale del quadrato alla estremità distale . 3, 6 Diametro verticale sulla linea mediana 11,0 Lunghezza dell’asse col prolungamento odontoide 47,9 Crocodilus brevicollis, Marsh. — Fra le particolarità di questa specie è la relativa cortezza dell’ atlante e prolungamento odon- toide con esso collegato, e la presenza presso la linea mediana della superficie inferiore in tutte le vertebre conservate di una incavatura lunga e profonda, avente tendenza nel suo prolunga- mento esterno a produrre le ipapofisi spaccate. L’ undicesima ver- tebra ha il suo prolungamento così diviso. Le sue diapofisi sono inoltre molto allungate, e stanno totalmente sotto la linea della sutura dell’ arco nevrale. Le faccie articolari hanno forma di una larga ovale : Dimensioni Lunghezza dell’ asse con prolungamento odontoide. Millim. 45, 0 Altezza del prolungamento odontoide 20, 7 - 341 — Sua lunghezza Millim. 13,8 Lunghezza della undecima vertebra dal margine della coppa alla terminazione del processo articolare 3r5, 7 Massima distanza fra le diapofisi 4G, 3 Glyptosaiirus sylvcstris, Marsh. — Gli esemplari scoperti rap- presentano un genere particolare di lucertola di forma aifatto differente dalle ora conosciute, fossili o viventi. La testa è difesa da larghe piastre ossee, simmetricamente disposte, simili a quelle del moderno Heloderma. Anche altre parti, specialmente la regione ventrale, erano protette da piastre rettangolari, ornate, unite l’una all’ altra con suture. I denti sono pleurodonti, rotondi con punte ottuse. I frontali mostrano, specialmente in fronte, una sutura mediana distinta formante un angolo un poco ottuso col loro margine posteriore. Le ossa articolari sporgono dietro il cotilo all’ indietro ed in basso come nel Varaniis Niloticns. Le vertebre dorsali e caudali hanno la stessa forma generale che nel Vara- nus, ma mostrano traccie di un’ articolazione zigosfene, special- mente nelle loro rudimentali cavità zigantrali. La coda era lunga e in apparenza rotonda. Le specie ora conosciute di questo ge- nere si distinguono dal Saniva cnsidcns, Leidy, per i denti, che nell’ ultimo sono compressi, puntati, con margini taglienti affilati. La specie di cui è parola può esser caratterizzata dall’ avere sui frontali in mezzo alle orbite delle scaglie ossee di moderato spes- sore, poco elevate, essendo quelle della fila mediana su ogni fron- tale più larghe che lunghe. Ogni scaglia è coperta da piccoli e numerosi tubercoli lisci senza disposizione determinata; Dimensioni Larghezza di un frontale, al margine posteriore, àlillim. 17, 2 Id. di un frontale, fra le orbite 11,7 Lunghezza di cinque scaglie posteriori sulla linea me- diana del frontale 19, 8 Id. di un frammento di mascella portante tre denti. 9, 0 Id. delle scaglie ventrali, probabilmente apparte- nente a questa specie 19, 0 Ampiezza delle medesime 10, 5 Proviene dal Wyoming, negli stessi depositi dove furono ri- trovati gli avanzi di Coccodrilli. — 342 — Glyptosaurus nodosus, Marsh. — In questa specie, alquanto più piccola della precedente, i frontali sono più spessi alla sutura mediana, e le scaglie fra le orbite molto convesse. La linea me- diana di ogni frontale ha le scaglie più lunghe che larghe e quasi esagonali. I tubercoli sulle scaglie sono altresì proporzionalmente più larghi. Ogni scaglia ha la stessa ornamentazione di quelle del cranio. La specie raggiungeva circa 1“ di lunghezza: Dimensioui Ampiezza di un frontale, fra le orbite Millim. 9, 9 Lunghezza di quattro scaglie sul mezzo del frontale . . 19, 5 Id. delle scaglie ventrali 15, 6 Larghezza id. id 7, 5 Lunghezza della vertebra dorsale 12,3 Larghezza della coppa articolare 8, 2 Sua profondità 4, 3 Espansione delle zigapofisi posteriori 12,3 Glyptosaurus ocellatus, Marsh. — La presente specie è facil- mente distinguibile dalle due precedenti per il modo di orna- mentazione sulle scaglie craniensi, che sono molto spesse, unite con suture, ed hanno i tubercoli disposti in serie concentriche. La fila esterna dei tubercoli è la più grossa e le due o tre con- tigue successivamente più piccole: il centro poi è occupato da un gruppo di piccolissime escrescenze senza disposizione definita. L’ effetto di ciò è di produrre un simulacro di occhio in ogni piastra, il che ha suggerito il nome specifico. Glyptosaurus anceps, Marsh. — Una piccola specie di lucer- tola affatto distinta dalle suddescritte, è indicata da numerosi resti trovati in frammenti negli stessi depositi delle precedenti. Le vertebre hanno cavità e capo articolare transversali come quelle delle specie precedenti, ma sono molto meno inclinate rispetto alla verticale. L’ arco nevrale è inoltre meno elevato, e r intera vertebra più depressa. I denti sono pleurodonti : la specie raggiungeva una lunghezza di circa 0“,G0. Dimensioui Lunghezza della vertebra posteriore dorsale dal margine della coppa all’ estremità del processo articol. Millim. (5, 2 Ampiezza della cavità 4, 5 — 343 — Sua profonditcà Millim. 2, 2 Espansione delle zigapofisi anteriori 9, 5 Gli avanzi provengono dal Wyoming. Pterocìactjjlus Oiveni, Marsh. — Nella formazione del Cretaceo superiore, nel Kansas occidentale, furono pure ritrovati avanzi di un immenso rettile volante, in apparenza del genere Ptcro- dactyìus. I resti appartengono a due o più individui, sono fram- mentarii, ma affatto caratteristici. Le estremità distali di due lunghe ossa somiglianti alle tibie di un uccello, sono evidente- mente porzioni del metacarpale particolare del dito dell’ ala. I condili sono bene sviluppati ed hanno un’ estensione di due terzi di circolo. Il fusto, dove è rotto, ha forma quasi triedrale colla faccia posteriore concava. Le lunghe ossa sono pneumatiche, i denti lisci e compressi. La lunghezza del metacarpale colla parte conservata del fusto è di circa 0'“,20 : 1’ estensione ante- riore e posteriore dei condili 0“,032 ; 1’ estensione trasversale circa 0“,029, ciò indicherebbe un’apertura d’ali di più di G metri. Hadrosaurus sp. — Questa specie è inferiore in grandezza al- l’ Hadrosaurus minor, Marsh di New Jersey ; è di proporzioni più svelte colla coda più lunga. Le vertebre cervicali sono più corte che nell’ H. FoidJcei, e le caudali sono più compresse. Al- cune delle distali caudali, hanno una cresta longitudinale sulla superficie laterale. Il sacro composto di 6 vertebre confluenti è lungo 414““; la prima vertebra caudale è lunga 62““; i piedi sono più sottili che quelli delle altre specie. Il terzo metatarsale è lungo 235““ ed ha 77““ di diametro trasversale alla estremità distale. Mammiferi. Insieme ai precedenti rettili fossili vennero anche scoperti resti di Mammiferi, di cui segue la descrizione: Titanotherium? anceps, Marsh. — I resti scoperti non inclu- dono un sufficiente numero di denti ben conservati per stabilire i caratteri generali: essi appartengono a tre distinti individui, e constano di parecchie vertebre dorsali, della estremità distale dell’ omero, della massima parte della tibia e di alcune piccole ossa — 344 — delle estremità, ed indicano un pachidermo. Le vertebre dorsali anteriori hanno ambe le faccie leggermente concave. La tibia alla sua terminazione prossimale, ha le superficie articolari femorali contigue senza prominenza fra loro, e simile sotto questo aspetto a quella dei Proboscidiani. Dimensioni Lunghezza della vertebra anteriore dorsale sulla super- ficie inferiore Millim. 54, 5 Ampiezza della fascia posteriore fra le cavità costali. . 75, 0 Altezza della faccia posteriore 61,3 Diametro trasversale della tibia alla estremità prossimale. 123, 5 Id. antero-posteriore 107, 7 Id. trasversale alla estremità distale 99, 0 Id. antero-posteriore 71,7 Proviene dai depositi Miocenici inferiori, forse Eocenici, del Wyoming occidentale. Falceosyops minor, Marsh. — Questa specie è indicata da un dente molare della mascella inferiore destra e probabilmente da altri resti meno caratteristici. Il dente che è verso il mezzo della serie, è del tipo del Falceotlierium, e rassomiglia pei suoi caratteri al corrispondente molare del Palceosyops: la corona è composta di due lobi riuniti, dall’ avanti all’ indietro con sommità a mezzaluna: il lobo anteriore è più elevato e il posteriore ha maggiore estensione dall’ avanti all’ indietro. Questo animale sem- bra avere avuta la grandezza del Tapiro del Sud- America, e una metà meno del Falceosyops pcdudosus, Leidy, degli stessi gia- cimenti. Dimensioni Diametro antero-posteriore del molare più basso. Millim. 22, 6 Id. trasversale del lobo frontale alla sommità. . . 11,3 Id. id. del lobo posteriore alla sommità. . 12, 4 Fu trovato negli stessi depositi delle specie precedenti. Lopliiodon Bairdianus, Marsh. — Gli avanzi di questa specie consistono in porzioni di diversi scheletri, con numerosi denti considerevolmente differenti in grandezza. Si distingue dal Lo- pModon modestus, Leidy, di cui è più grande per lo smalto dei — 345 — ilcnti, quasi liscio o molto leggermente rigato con strie irre- golari. Dimensioni Lunghezza di parte della mascella superiore includente tre molari Millim. 56,2 Diametro antero-posteriore dell’ ultimo molare superiore. 20, 3 Id. trasversale del medesimo 22, 8 Lunghezza di un frammento della mascella inferiore con tre molari posteriori 56,0 I resti provengono dalle vicinanze di Forte Bridger e di White River nell’ Utah orientale. Lophiodon affinis, Marsh. — È questa specie, minore della precedente, indicata da varii frammenti includenti parecchi denti molari. Si osserva coi precedenti una notevole differenza, spe- cialmente nel contorno della corona, che ha una profonda tacca nel margine posteriore esterno della base fra i tubercoli esterni a cui terminano le creste trasversali. Nelle specie ora descritte il margine è quasi diritto: qui invece esso ha il piccolo tuber- colo anteriore esterno molto prominente e meno strettamente connesso colla cresta esterna. Lo smalto è simile a quello delle specie precedenti. Dimensioni Diametro antero-posteriore dell’ ultimo molare supe- riore Millim. 15, 8 Suo diametro trasversale 18, 6 Diametro antero-post. del penultimo molare superiore. 18, 0 Suo diametro trasversale 18, 0 Proviene dal Wyoming. Lophiodon nanus, ]\Iarsh. — Il più caratteristico degli esem- plari che vi si riferiscono è una mascella superiore destra con- tenente quattro premolari e tre molari, e parte della mascella sinistra con parecchi denti. I molari differiscono essenzialmente da quelli delle specie precedenti, per avere P infossatura fra le due creste trasversali molto meno profonda, e per avere una cresta 23 — 346 — basale robusta al lato posteriore esterno della corona. Lo smalto è molto liscio: la grandezza circa i 2/3 di quella del L. modestus. Dimensioni Lunghezza di parte della mascella superiore contenente 7 denti posteriori Millim. 57, 2 Lunghezza id. contenente i tre ultimi molari, 30, 1 Diametro antero-posteriore dell’ ultimo molare superiore. 11, 3 Id. trasversale del medesimo 11,8 Lophiodon puniilus, Marsh. — È indicato da diversi esem- plari includenti frammenti della mascella superiore sinistra con tre premolari e due molari successivi. La specie si distingue fa- cilmente per la presenza nel contorno del dente superiore, di una cresta basale robusta e continua, ma irregolare, che all’an- golo ésterno della corona sostituisce 1’ elevato tubercolo presente in tutti i molari delle specie precedenti. Dimensioni Lunghezza di porzione della mascella superiore, con tre premolari e due molari Millim. 30, 8 Diametro antero-posteriore del penultimo molare super. 7, 3 Id. trasversale del medesimo 9, 0 Fu rinvenuto nel Wyoming occidentale. Ancliifherium gracilis, Marsh. — Si sono rinvenuti fra gli avanzi di questa specie tre mascelle inferiori coi denti in buona conservazione. Eappresentano un animale metà più piccolo del- r AnchitJierium Bairdi, Leidy, e apparentemente dello stesso ge- nere. Si hanno sette denti premolari e molari: il primo premo- lare, non ha che una radice e fra esso e le sinfisi non vi sono denti. Sulla faccia interna di ogni ramo, vi è una poco profonda impressione a mo’ di falce, colla punta diretta all’ infuori e ter- minante sotto il primo premolare. Furono scoperti questi avanzi presso White River, nell’ Utah occidentale : appartengono al- r Eocene superiore o forse al Miocene. Dimensioni Lunghezza di parte della mascella inferiore con sei .denti posteriori Millim. 51, 9 Sua lunghezza con tre denti posteriori 27, 6 Diametro antero-posteriore del molare inferiore 11,3 Suo diametro trasversale 4^ 5 — 347 — Lophiotherium Ballardi, Maesh. — Un piccolo pacliidermo, apparentemente del genere Lophiotherium è indicato da iftì fram- mento della mascella inferiore destra, coi due ultimi molari e pochi meno importanti avanzi. I denti hanno la stessa forma di quelli del Lophiotherium silvaticum. Lo smalto, specialmente sui lati della corona è molto rugoso. Si è trovato nel Wyoming occidentale. Dimensioni Diametro antero-post. delPultimo molare inferiore. Millim. 9, 7 Id. trasversale del medesimo 4, 6 Id. antero-posteriore del penultimo molare inferiore. 6, 9 Suo diametro trasversale 5, 1 Elotherium lentiis^ Marsh. — È rappresentato da un fram- mento della mascella inferiore sinistra coll’ ultimo molare, indica esso un individuo di circa metà grandezza dello Elotherium Mor- ioni, Leidy. La superficie superiore di questo molare è composta di due paia trasversali di lobi conici, con uno posteriore sulla linea mediana. 11 cono anteriore interno è più grande dei se- guenti ed ha una punta bifide. Nel paio vicino che è molto meno elevato, il lobo esterno è maggiore: il cono posteriore è basso e mostra tendenza a suddividersi; vi è in fronte una cresta ba- sale e indizi! della sua continuazione sul bordo esterno. Lo smalto è finamente corrugato. Yi è un tubercolo rugoso permanente sul margine superiore interno della mascella inferiore. Dimensioni Diametro antero-post. dell’ ultimo molare infer. Millim. 20, 3 Massimo diametro trasversale del medesimo 11, 3 Diametro trasvers. fra il primo e il secondo paio di coni. 10, 1 Llattjgonus Ziegleri, Marsh. — Resti di un animale suino, grosso come il moderno Sus scrofa, furono trovati nei depositi terziari! colle specie precedenti. Sono questi un certo numero di denti superiori premolari e molari riferentisi al genere Fìa- tggonus. Un carattere saliente di questi denti, specialmente degli anteriori, è una robusta cresta basale. Le corone di tutti i premolavi superiori sono composte di un unico paio trasversale di coni strettamente uniti. Il secondo premolare in questo esem- - 348 - piare lia un diametro antero-posteriore maggiore del terzo. Lo smalto di tutti i denti è rugoso come nei moderni Peccali. Dimensioni Lunghezza di un frammento di mascella superiore con- tenente i 3 premolari Millim. 40, 7 Diametro antero-posteriore del primo premolare superiore. 13, 5 Suo diametro trasversale 13, 5 Diametro antero-posteriore del 2° premolare superiore. 14, 6 Id. trasversale del medesimo 15, 1 Id. antero-posteriore del 3° premolare superiore. 13, 8 Proviene dal Wyoming. Platygonus striatus, Marsh. — Un’ altra specie della stessa grandezza dell’ ultima è indicata da due porzioni di mascelle in- feriori con pochi denti anteriori, raccolti negli strati pliocenici del Nebraska settentrionale. La cresta posteriore basale è espansa in due tubercoli rudimentali ; lo smalto è rigato da strie irrego- lari e delicate parallelamente alla base della corona. Dimensioni Lunghezza di parte della mascella inferiore sinistra con quattro denti Millim, 55,0 Sua lunghezza coi primi tre denti 37, 4 Diametro antero-post. del secondo premolare inferiore. 13, 8 Suo diametro trasversale 12,4 Platygonus? Condoni, Marsh. — Questa specie è fondata su parte di una mascella superiore destra con tre molari posteriori. Una marcata differenza colle specie note consiste nelle inusitate proporzioni dall’ avanti all’ indietro dell’ ultimo molare superiore, che ha col diametro del penultimo dente la proporzione di 4re a due. La corona del molare posteriore è composta di due paia trasversali di coni principali, e d’ un lobo posteriore diviso in tre tubercoli. Lo smalto è liscio e manca la cresta basale sui lati del dente conservato. E stato trovato nei depositi pliocenici del- r Oregon. Dimensioni Lunghezza della mascella contenente i tre ultimi molari superiori Millim. 59, 4 — 349 — Estensione antero-posteriore dell’ ultimo molare. Millim. 26,4 Diametro trasversale del medesimo pei lobi anteriori. . 15, 8 Estensione antero-posteriore del penultimo molare. ... 18, 1 Dicotyìes Ilesperiiis, Maesh. — È rappresentato da una por- zione della mascella superiore destra coll’ ultimo premolare e i tre successivi molari. Le corone dei molari hanno un contorno rombico ed una incavatura fra il paio anteriore e posteriore dei coni. L’ ultimo premolare superiore differisce da quello dei Pec- cari moderni. La serie dei denti superiori è curvata un po’ al- l’ infuori. Dimensioni Lunghezza di parte della mascella superiore con tre denti posteriori Millim. 41, 8 Lunghezza della medesima con tre molari 33, 4 Diametro antero-posteriore dell’ ultimo molare superiore. 12, 5 Estensione trasversale del medesimo 9, 0 Diametro antero-post. del penultimo molare superiore. . 12, 3 Hipsodus gracilis, Marsh. — Si distingue facilmente dal- V Hipsodiis paidus^ Leidy, pel primo molare della mascella infe- riore che è relativamente più stretto di fronte e più largo al suo margine posteriore. Vi è anche su questo dente una robusta cresta esterna e nell’angolo anteriore interno un aggetto sentito che manca nell’ II. p>aulus. La mascella inferiore è inoltre più stretta e compressa nella regione dei premolari. Dimensioni Lunghezza di parte della mascella inferiore contenente il 1" molare e due premolari Millim. 11,3 Diametro antero-posteriore del primo molare inferiore. . 4, 5 Id. trasversale traverso il lobo posteriore 3, 5 Id. antero-post. dell’ ultimo premolare inferiore. . 3, 5 Limnotlierium fgrannus, Marsh. — Questo pachidermo più grande dei due precedenti, è rappresentato dalle porzioni ante- riori delle due mascelle inferiori con parecchi denti e pochi altri avanzi frammentarii. I denti delle mascelle inferiori sono venti, e formano una serie continua così divisa: incisivi 2-2; canini 1-1; premolari 4-4 ; molari 3-3 : gli incisivi sono piccoli e fitti ; i ca- — 350 - nini grandi, quasi rotondi alla base e formanti evidentemente delle armi potenti: il primo e secondo premolare hanno una sola radice : i due molari anteriori hanno le corone composte di quat- tro coni principali: ogni molare ha un doppio tubercolo rudi- mentale sul margine anteriore, e una moderata cresta basale, eccetto dal lato interno. Appartiene tale animale probabilmente all’ Eocene superiore. Dimensioni Lunghezza della serie dentale della mascella infer. Millim. 39, 6 Estensione antero-posteriore di tre molari 16, 5 Id. trasversale di quattro incisivi 6, 8 Lunghezza della sinfisi 18, 7 Profondità della mascella inferiore dopo P ultimo molare. 11, 3 Id. id. dopo r ultimo premolare. 13,5 Estensione antero-posteriore del primo molare inferiore. 5, 5 Diametro trasversale del medesimo 4, 5 Limnotherium elegans, Marsh. — Questo piccolo mammifero è rappresentato da parte di due mascelle inferiori, con parecchi denti colla disposizione dei precedenti. Nell’ ultimo molare i due coni anteriori formano un paio trasversale e non sono obliqui come nelle specie maggiori. Il paio posteriore di tubercoli è quasi su d’ una linea trasversale. Proviene dal Wyoming. Dimensioni Lunghezza di frammento di mascella inferiore col primo premolare e tre molari Millim. 16, 5 Diametro antero-posteriore del 2° molare inferiore. . . 4, 5 Id. trasversale del medesimo 3, 5 Arctomys vetus, Marsh. — I resti di Rosicanti sono molto rari nel bacino terziario del Fiume Verde. Ne fu scoperta una pic- cola specie del genere Arctomys, rappresentata da una mascella inferiore quasi completa .- i denti molari vi hanno la stessa forma generale che nelle specie più grandi. Dimensioni Lunghezza della mascella inferiore dal condilo alla base degl’ incisivi Millim. 39, 0 Estensione antero-posteriore di quattro molari inferiori. 14, 3 Altezza della mascella dietro il primo molare 9, 9 — 351 Gcomys hisulcatus, Marsh. — Gli incisivi della mascella infe- riore hanno in questa specie la faccia anteriore larga e piatta coll’angolo esterno acuto. Sulla faccia anteriore vi è un solco arrotondato e presso 1’ angolo interno di ogni incisivo ve n’ è un altro molto distinto ed acuto. L’ angolo esterno è arrotondato e la faccia laterale debolmente convessa : la sutura premascellare forma esternamente un angolo ottuso. Dimensioni Diametro trasversale degl’ incisivi superiori. . . Millim. 3, 5 Estensione antero-posteriore 4, 5 Profondità del cranio alla sutura premascellare 13, 5 Lunghezza dell’incisivo inferiore 33,0 Diametro trasversale all’apice 3, 3 Profondità della mascella inferiore dietro il primo molare. 12, 3 Estensione antero-poster. dei primi tre molari inferiori. 7, 7 Questi avanzi sono stati trovati nel Pliocene presso il fiume Loup Fork. Sciuravus nitidus, Marsh. — È indicato da una mascella su- periore sinistra coi tre ultimi molari, che rassomigliano a quelli delle Sciuridcc. I molari superiori constano essenzialmente di due paia di tubercoli con un piccolo cono intermedio al margine esterno. Fu scoperto nel Wyoming. Dimensioni Lunghezza di una parte di mascella superiore con tre molari posteriori Millim. 7, 5 Estensione antero-poster. del penultimo molare superiore. 2, 2 Sua estensione trasversale 2, 2 Sciuravus undans, Marsh. — Il fossile è rappresentato da parte della mascella inferiore destra cogli incisivi e i primi tre mo- lari : r incisivo si estende sotto l’ intera serie molare : la sua superficie anteriore è liscia e alquanto convessa, e la faccia interna è marcata da una serie di delicate impressioni ondulate. I tuber- coli dei molari sono più prominenti che quelli dell’ ultima specie. Dimensioni Lunghezza di una parte di mascella inferiore coi primi tre molari Millim. 7, 7 Diametro trasversale del terzo molare inferiore 2, 2 Id. trasversale dell’incisivo inferiore 1,4 — 352 - Triacodon fallax, M±vrsh. — È indicato da un dente premo- lare e da altri avanzi raccolti nei depositi terziarii del Wyoming. Sembra l’ultimo premolare della mascella superiore destra. La corona è triangolare alla base, essendo il lato esterno alquanto convesso e gli altri due quasi piani. La superficie superiore è composta di tre tubercoli triangolari, uno ad ogni angolo. La spe- cie presente raggiungeva probabilmente la metà della grandezza dell’ Oposso del Nord America. Dimensioni Diametro antero-poster. del premolare inferiore. Millim. 4, 9 Id. trasversale del medesimo 4, 3 Altezza del tubercolo anteriore 6, 2 Id. del tubercolo posteriore 3, 5 Id. del tubercolo interno 3, 7 Canis monfanus, Marsh. — È rappresentato da un ultimo dente premolare superiore, da un canino e da varie ossa dello scheletro. Questi svariati avanzi indicano un animale più grande del Canis occidentalis. L’ ultimo premolare superiore è robusto ed ha una corona corta e compressa: la cuspide principale è verticale, con margini quasi acuti. Dietro tal cuspide sta un gran tubercolo triangolare. Nel dente canino la base della corona forma una ovale più larga che nelle recenti Canidce. Dimensioni Diametro antero-posteriore dell’ ultimo premolare supe- riore Millim. 20, 3 Suo diametro trasversale massimo 9, 2 Altezza della cuspide mediana 13, 5 Id. del tubercolo posteriore 8, 2 Diametro antero-poster. del canino alla base della corona. 15, 8 Id. trasversale del medesimo 11,2 Vulpavus palustris, Marsh. — Un carnivoro molto più pic- colo del precedente è indicato da varii denti superiori molari ed altri avanzi frammentarii. Uno dei denti meglio conservati è il molare superiore secondo e destro che ha molta analogìa con quello della attuale Volpe rossa {Vulpis fuhus, Desm.), ma ne differisce pel contorno della corona che ha il lato posteriore più — 353 lungo, indicando così una maggiore espansione nella corrispon- dente parte del cranio. Dimensioni Lunghezza della parte di mascella contenente i tre mo- lari superiori Millim. 23, 1 Diametro antero-posteriore del secondo molare superiore. 5, 1 Id. trasversale del medesimo 9, 0 Ampìiicyon angustidens, Marsh. — Un altro carnivoro estinto, che forse si riferisce al gruppo del precedente, è rappresentato da parte di una mascella inferiore destra contenente i tre ultimi premolari ed un canino: i premolari sono bassi e straordinaria- mente compressi. Hanno tutti un distinto tubercolo in fronte alla cuspide mediana, ed il terzo e quarto hanno il margine poste- riore trifide, liaggiungeva in grandezza l’ Ampìiicyon graciììs, Leidy, ma 1’ ultimo premolare è meno elevato, più compresso ed ha un tubercolo mediano sull’ orlo posteriore molto meno svi- luppato che in quella specie. Dimensioni Lunghezza di parte della mascella inferiore contenente quattro premolari Millim. 20, 9 Lunghezza della mascella dopo 1’ ultimo premolare. . . 11,2 Ampiezza id. id. id. ... 4, 7 Diametro antero-poster. dell’ ultimo premolare inferiore. G, 7 » Id. trasversale del medesimo 2, 8 Altezza della corona 3, 9 Proviene dagli scisti miocenici di Nebraska. Bathmodon, n. gen. — Questo genere ha una lontana affinità col Palaeosyops e col Titanotherium ; però i caratteri dei denti molari indicano appartenere esso a una nuova famiglia. Due specie ne furono descritte, B. radians e B. semicinctus, e proviene dai depositi terziarii del gruppo di Wahsatch presso Evanston nel- r Utah. — 354 - V. I giacimenti di rame nativo del Lago Superiore {Nord- America). (Estratto da due note del signor R. Pumpelly, inserite nell’ ^mericaa Journal, New Haven, 1871-72.) Nelle vicinanze immediate del Lago Superiore la serie dei terreni contenenti i giacimenti di rame nativo è limitata da un deciso piano di demarcazione, generalmente verticale, che separa gli strati ramiferi molto inclinati ad O.S.O. dalle arenarie con debole pendenza verso S.E. Queste arenarie sono considerate co- me equivalenti del terreno di Potsdam (Cambriano inferiore) e sono regolarmente sovrapposte alla cosiddetta serie trappica. Que- st’ ultima è composta di letti di melafiro di potenza fra 7“ e 33“, essendo i medesimi delimitati per un carattere amigdaloide o epidotico della parte superiore di ogni strato : ad intervalli si intercalano nella serie letti di conglomerato. Questo carattere si mantiene per una distanza di circa tre miglia, e al di là verso O.N.O. le rocce sembrano principalmente composte di arenarie e conglomerati. La struttura delle rocce trappiche del Lago Superiore è se- condo i casi compatta o porfirica, ovvero finamente granulare sub- cristallina 0 terrosa, ossia anche grossamente granulare e distin- tamente cristallina : il verde di varie gradazioni ne è il colore dominante, e dopo questo vengono il bruno e il rosso sporco : co- lori usuali sono il verde scuro lucido macchiato di bruno, il verde sporco bruniccio, il grigio rossiccio e il verde cupo, quasi nero : appena scavate si lasciano queste rocce facilmente rigare dal coltello, ma sono tenacissime sotto il martello avendo frattura in generale disuguale o concoidale, e tramandano odore terroso : alcune varietà contengono del ferro magnetico. I componenti vi- sibili sotto la lente, e comuni in apparenza a tutte le varietà, sono un feldispato verde triclino lucente, che sembra labradorite, e un minerale cloritico di differenti gradazioni di verde, benché la calamita riveli differenti proporzioni di ferro magnetico : talvolta - 355 - vi si vedono cristalli di augite od orneblenda. I minerali acces- sori sono : Un minerale rosso foliaceo simile al riibellano, il ferro spe- culare in minute scaglie, la calcite in vene o noccioli, l’ epi- doto raramente cristallizzato, la prenite in amigdale e vene, un minerale tenero, compatto, amorfo, simile alla clorite, la co- siddetta terra verde, la laumontite e leonardite in noccioli e venule, 1’ analcite in noccioli, 1’ ortoclasio in piccoli cristalli, il rame nativo talvolta in fine impregnazioni nella roccia granulare 0 in noccioli e masse talvolta associato con argento nativo ; final- mente la datolite massiccia nella parte amigdaloide di ogni letto, e talvolta in piccole aggregazioni e cristalli microscopici. Una varietà di questa roccia grossamente granulare che for- ma letti di qualche centinaio di metri di potenza è principal- mente composta di un minerale cloritico, i cui grani raggiungono in diametro fino a 6“'" ; la calamita attrae dalla sua polvere piccole quantità di magnetite ; la densità è = 2,83 ; quando que- sta fu trattata con acido nitrico e poi con una soluzione di po- tassa caustica, se ne disciolse una quantità di 4G,3G 7o5 che aveva la seguente composizione : Silice 14,73 Allumina 7,17 Sesquiossido di ferro 14,87 Calce 4,47 Magnesia 2,03 Acqua 3,09 4G,3G Il residuo indecomposto trattato con acido cloridrico e con debole soluzione di potassa perde ancora 10,6 7o? che consiste- vano in Silice 3,48 Allumina 3,03 Sesquiossido di ferro 1,98 Calce 1,76 Magnesia 0,35 10,60 - 356 - La composizione del minerale cloritico calcolata per 100 parti, sarebbe : Silice 31,78 Allumina 15,47 Protossido di ferro 28,87 Calce 9,64 Magnesia 4,37 Acqua 9,87 100,00 La roccia sarebbe mineralogicamente composta nel seguente modo : Delessite . 46,36 Labradorite . 47,43 Pirosseno od orneblenda . . 5,26 àlagnetite . 0,95 100,00 Si è anche trovato che le rocce sottoposte ai giacimenti cu- priferi della miniera Quincy consistono in Delessite in noccioli e grani 38,00 Labradorite 62,00 100,00 Esaminate le rocce ricoprenti i conglomerati di Albany e Bo- ston alla miniera dello stesso nome, furono riconosciute essere mineralogicamente composte di Delessite 40,00 Mica 20,00 Labradorite 40,00 100,00 Esse possiedono una densità di 2,81 e solo piccolissima parte della loro polvere è attratta dalla calamita. Le rocce cui si riferiscono le precedenti analisi rappresen- tano i tre principali tipi del trappo del Lago Superiore ; le os- servazioni dimostrano sempre che il costituente normale ed es- senziale è un feldispato triclino, probabilmente labradorite ed una 357 — clorite ferruginosa strettamente analoga alla delessite. Quindi sono queste rocce da classificarsi fra i melafiri tipici, e tutte le rocce trappiclie ed ainigdaloidi associate del Lago Superiore sono varietcà di melafiro : le principali varietà di melafiro al Lago Su- periore sono : 1° La grossamente granulare, coi cristalli di feldispato e i grani di delessite più o meno distinti, color grigio verdiccio ; contiene un poco di magnetite o di ematite. 2° La finamente granulare, coi componenti di rado distingui- bili, di colore verde-bruniccio ; contiene talvolta del rubellano : talora, come nei letti cupriferi ad Est dell’ Isola Reale, la roccia è subcristallina, di un brillante verde-cupo e qualche volta por- porina : contiene molta magnetite, 3° Il melafiro porfmeo, verde-cupo, spesso quasi nero ; com- patto con perfetta frattura concoidale ; molto duro ; contiene mi- nuti cristalli di feldispato triclino. Le amigdaloidi al Lago Superiore formano la parte superiore dei letti di trappo in cui esse si confondono con transizione più 0 meno graduata : raramente si trova uno strato di trappo che non contenga minerali secondari come delessite e spesso calcite, laumontite, quarzo, prenite occupanti cavità spesso sferiche od ovoidali, altravolta irregolari. Vi si riconobbero le varietà seguenti : Melafiro amigclaloide. S’ incontrano qua e là nella pasta della roccia mandorle di delessite, calcite o quarzo coperto di deles- site e talora epidoto. In qualche letto la roccia è caratterizzata dalla presenza della laumontite in mandorle e vene sottili. Nella formazione occupante più di 330“ da ogni lato dei giacimenti cupriferi d’ Isola Reale, alcuni letti contengono verso la sommità mandorle di delessite e di un minerale verde translucido simile al crisopraso, ricoperto di delessite: dopo queste, più sopra stanno mandorle ovoidali, lenticolari od irregolari di prenite bianca ver- dastra talvolta debolmente impregnata di rame nativo : tali va- rietà formano le Amigdaloidi iiropriamente deite, che non sono che la forma più profondamente alterata di melafiro : i colori della matrice sono differenti gradazioni di bruno o rosso e di verde : la tessitura varia dalla finamente granulare alla compatta, e la sua durezza sta fra quelle del calcare e del quarzo. Due differenti varietà di - 358 - amigdaloide si presentano al Lago Superiore : la bruna, di strut- tura finamente granulare o subcristallina, che contiene minuti cristalli rossicci di feldispato, e fonde agevolmente in un vetro verde cupo talvolta magnetico ; ha le mandorle in generale sferiche, consistenti in laumontite, leonardite, calcite, quarzo, de- lessite, rame nativo, epidoto, prenite, analcite, ortoclasio ; e la verde da finamente granulare a compatta, molto dura, e che scintilla sotto 1’ acciarino : contiene molta silice libera e un mi- nerale verde molto disseminato, forse epidoto ; in piccoli pezzi fonde agevolmente sui margini in uno smalto cupo che divien gelatina negli acidi : le cavità vi sono meno regolari che nella specie bruna, e racchiudono quarzo, epidoto, calcite, delessite, prenite, laumontite, clorite, analcite, rame nativo, ortoclasio. Am- bedue le varietà si presentano spesso insieme senza marcate li- nee di separazione. Conglomerati. I conglomerati del Lago Superiore differiscono, benché poco, da tutti gli altri per i loro caratteri litologici : i ciottoli variano in grossezza da un pisello a 30 o più centime- tri di diametro, mggiungendo i depositi qualche centinaio di metri di potenza : i ciottoli consistono quasi tutti di porfido non quarzifero, e vi predominano due varietà. Una ha un colore cioccolatte cupo, è subcristallina o compatta, quasi vi- trea ; r altra, più rara, dello stesso colore, è compatta o fina- mente cristallina, e vi si trovano cristalli di feldispato triclino rosso lunghi da 3”“‘ a 13““. In parecchi letti appaiono ciottoli di feldispato granulare con un minerale nero, indeterminato : oc- corrono anche ciottoli di melafiro compatto od amigdaloide. Il cemento ordinario è un’ arenaria finamente granulare, spesso in poca quantità, toccandosi i ciottoli 1’ un l’ altro, mentre altre volte r arenaria forma letti di più metri di spessore : in qualche punto r arena è associata con ossido di ferro, clorite, un mine- rale bianco che sembra talco, carbonato di calce, od è intera- mente sostituita da calcite, clorite, epidoto o rame nativo : è da notarsi che questi conglomerati sono scevri di ciottoli di porfido quarzifero. Le rocce del Lago Superiore sono fornite di caratteri litolo- gici distintivi che servono a classificarle in diversi orizzonti : così a 300“ circa ad Est della vena d’ Isola Leale, vi è una ten- - 359 — (lenza fra i diversi frappi a una tessitura finamente granulare con colore verde cupo quasi nero : la frattura è brillante e con- tiene abbastanza magnetite da produrre l’ aderenza di pezzetti di roccia colla calamita. Di qui, inoltrandosi 500“ verso Est la parte superiore di ogni letto ha cavità amigdaloidi con prenite che forma il 10 a 40 7^, della roccia. In seguito per più di 700“ i trappi hanno filoncelli di feldi- spato triclino, delessite, prenite e ferro speculare, paralleli od obliqui al piano di stratificazione : altrove i letti tendono a strut- tura rozzamente granulare, cristallina che dà in distanza alla roccia un’ apparenza di granito cloritico ; e talvolta le amigda- loidi brune presentano spesso una apparenza scoriacea affatto caratteristica. Queste apparenze sono ben distinte per qualche miglio nelle zone in cui si presentano ; così 1’ arnigdaloide prenitica della se- rie deir Isola Reale s’ incontra nel prolungamento N.E. di questa zona a 7 miglia dal Lago Superiore ; il melafiro rozzamente granulare di Dacotah è estesamente sviluppato nella continua- zione della stessa zona verso South-Pewabic. Le amigdaloidi brune di South-Side riappaiono colla loro struttura scoriacea nei letti di South-reNvabic e Ilancoks, e furono considerate come equivalenti a quelle degli strati di Asli della contea di Keweenaw, cui esse somigliano. I minerali che nelle diverse vene cuprifere di tali regioni si riscontrano associati col rame sono in generale : Laumontite, Calcite, Epidoto, Aukerite,^ Prenite, Quarzo, De- lessite, Clorite, Analcite, Apofillite, Datolite, Ortodase, Feldi- spato e Argilla, ed il rame si presenta sia allo stato nativo, sia in quello di bornite o calcosite : lo si incontra in pellicole tra- verso la prenite, in filamenti cristallizzati, in grani, o cristalliz- zato colle forme della laumontite, conservandone spesso P acu- tezza degli spigoli e la levigatezza delle faccie, in brillanti pellicole sulla calcite, o in pezzi cavernosi portanti in qualche punto P impronta dei cristalli di calcite. Quando si trovano cristalli di calcite includenti del rame, è ' Viuiotù di dolomite. — 360 — talvolta impossibile il distinguere le età relative dei due mine- rali ; ma si è provato che è allora avvenuto uno dei seguenti casi : r il rame era presente quando la calcite cominciò a for- marsi e restò incluso nel cristallo in via d’ incremento ; 2° il cristallo di calcite era parzialmente formato quando venne in- crostato dal rame, e fu terminato da una nuova aggiunta di calcite sopra la pellicola metallica ; 3“ il rame entrò nel cri- stallo di calcite fin da quando il suo incremento era terminato. Tutte e tre queste ipotesi sono confermate da fatti che si rive- lano nell’ attento studio dei diversi cristalli di calcite includenti del rame. Nei depositi del Lago Superiore si presenta talora il rame in intimo contatto coll’ argento senza che i due metalli formino una lega, ma nulla finora si può dire sull’ età relativa dei due metalli. In alcuni luoghi è degno di nota il fatto che le amigdaloidi traversate dalle vene metallifere non contengono che rame na- tivo ; ma quando si passa nel conglomerato, il rame è combinato collo zolfo dando origine a purissima calcosite : in altri luoghi si riscontrano combinazioni coll’ arsenico, e la presenza dei sol- furi ed arseniuri isolati o in vene traversanti rocce più o meno impregnate di rame metallico, mostra una diversità di origine fra i solfuri e arseniuri da un lato e il rame nativo dall’ altro. La clorito nel melafiro, e quindi il carattere distintivo della roccia, è dovuta alla alterazione della orneblenda o pirosseno ; la laumontite sembra formata o contemporaneamente alla clorite o come un secondo stadio nella formazione del melafiro ; altro sta- dio sembra essere stata la separazione nelle cavità amigdaloidi dei silicati non alcalini, come laumontite, prenite ed epidoto. In seguito ebbe luogo la deposizione del quarzo nelle stesse ca- vità. Sembra inoltre certo che la concentrazione del rame nelle cavità non fosse ancor cominciata dopo la formazione del quarzo. I silicati alcalini rappresenterebbero il periodo di decompo- sizione della labradorite ingrediente della roccia originale; l’acido carbonico, che originò la calcite, fu generalmente presente du- rante r intero periodo di metamorfismo, e sembra uno dei prin- cipali agenti del processo, benché non in quantità sufficiente da prevenire la formazione dei silicati. La sostituzione del quarzo — 3G1 — e del porfido quarzoso in luogo della clorite nei ciottoli del con- glomerato, marca un importante argomento di studio per la chi- mica geologica, poiché sembra che 1’ alterazione dei ciottoli sia avvenuta o per mezzo della clorite o per un cambiamento in caolino. Il rame, ogni volta che lo si scorge ad occhio nudo, è già passato traverso una parziale concentrazione : il rame è più con- centrato nella parte più amigdaloide delle rocce, ossia in quei punti ove il cambiamento chimico è stato maggiore. Sempre però si trova che la deposizione del rame avvenne posteriormente alla deposizione della laumontite, epidoto, prenite e quarzo, dove tali minerali lo accompagnano : è pure evidente la trasforma- zione di una soluzione acquosa di qualche sale di rame, e la concentrazione del metallo depositantesi nei luoghi ove già esi- steva un agente per precipitarlo. 11 gruppo di Quebec, cui appartengono le rocce in discorso, è nettamente caratterizzato dalla presenza del rame, e la diftù- sione di questo metallo nelle svariate rocce, parla in favore della sua origine marina in tali trappi. Si è molto discusso se i trappi da cui si originarono i melafiri siano una formazione eruttiva o puramente metamorfica : se è eruttiva sarebbe sorta dal fondo dei mari in letti di una gran regolarità e ad inter- valli occupati dalla deposizione dei letti di conglomerato e arenarie. Riguardo all’ età della terra-verde e della varietà di clorite 0 delessite, intimamente associata col rame, si può dire che esse gli sono contemporanee, e possono esser originate sotto l’ in- fluenza della riduzione del rame dai suoi solfuri. Nei conglome- rati il rame è stabilito nel cemento, ed anzi in qualche caso lo sostituisce interamente formando esso il 20 a 50 ®/o P^so della roccia, L’ assenza di minerali di piombo, zinco, nichelio ec. nei de- positi della serie trappica, minerali che pur si presentano in altre rocce meno metamorfosate del gruppo di Quebec, può at- tribuirsi alla maggiore intensità dell’azione chimica cui i mela- firi andarono soggetti. Per ciò che riguarda l’età geologica delle rocce cuprifere del Lago Superiore, le osservazioni fatte nelle parti S.O. della penisola superiore del Michigan mostrarono una gran differenza 24 - 362 — di età fra le serie cuprifere di arenarie, conglomerati e mela- firi da un lato, e 1’ arenaria del Siluriano inferiore, di cui furono già giudicate contemporanee. Nella costa meridionale del Lago Superiore si osserva : una serie di arenarie rosse e scisti gia- centi quasi orizzontalmente, che limitano la spiaggia del Michigan fra Saul te Saint-Mary e la baja Béte-Grise sopra la punta di Keweenaw; da quest’ultimo punto sino all’Ovest dell’Isola Grande questa arenaria vien ricoperta verso il Sud da altre rocce silu- riche, e fra questa Isola e Marquette l’ intera serie si volge a S.O., per formare da questa parte il margine occidentale come poc’ anzi formava il settentrionale del gran bacino del Michigan. Dove incomincia questa piegatura verso S.O. la zona delle are- narie si divide, e da Marquette verso Ovest si trovano con brevi interruzioni i letti d’ arenarie fiancheggianti le falde settentrio- nali della catena montuosa dell’ Huron, e pendenti leggermente da 5° a 15° verso il bacino del Lago Superiore. Alla punta Ke- weenaw si osserva ancora una eminenza formata dai resti del calcare di Trenton : il bacino, occupato in parte dalla baja di Keweenaw, ha ad Ovest i depositi di arenaria del Siluriano infe- riore, e ad occidente s’incontra la serie cuprifera di melafiro e conglomerato che pende in senso opposto alle arenarie di 40° a 60°. Riguardo a quest’ ultima si è concluso : I. — La serie cuprifera fu formata avanti la deposizione dei letti Huroniani, su cui essa riposa uniformemente e conseguen- temente avanti il sollevamento della gran catena azoica, la cui esistenza durante il periodo di Potsdam determinava la forma- zione dei bacini silurici del Michigan e del Lago Superiore. IL — Dopo il sollevamento di queste rocce e dopo che esse ebbero assunti i loro caratteri litologici, venne la deposizione delle arenarie e scisti che le accompagnano, contenenti fossili che le mostrano appartenenti al Siluriano inferiore, benché sia incerto se debbano riferirsi al Potsdam od al Calcifero. Non è ancora risoluta la questione se la serie cuprifera sia, rapporto al tempo, più prossima all’ Huroniano che al Siluriano. Le osservazioni mostrano una mancanza di conformità fra il Laurenziano e P Huroniano in molti punti della penisola supe- riore, mentre in altri luoghi vi si riscontra una decisa con- cordanza. — 363 — I componenti della serie cuprifera si formarono, come si è già visto, avanti V elevazione delle rocce Huroniane. La deposizione delle rocce siluriche sul Lago Superiore parrebbe aver avuto luogo nel progresso di una graduale depressione, die fece sì che la costa di quella parte del mar silurico fosse rappresentata dalle ardite rupi dell’ interno della regione azoica. È probabilmente a questo processo di deposizione dell’ are- naria silurica sopra un’ area, che dopo aver subito un’ enorme erosione, andava gradatamente sommergendosi, che deve attri- buirsi r assenza di punte salienti della serie cuprifera al di so- pra dell’ arenaria come in molte località della spiaggia meridionale. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. C. Marinoni. — Nuovi materiali di paleoetnologia lombarda. Milano, 1872. Questa pubblicazione è destinata alla illustrazione di alcuni oggetti preistorici appartenenti ad un’ interessante collezione di armi di selce che provengono dalle Fornaci, località situata nel comune di San Nazaro a qualche chilometro verso S.O. da Bre- scia sulla sponda sinistra del Mella. La scoperta delle armi in pietra presso Brescia e precisa- mente nella località indicata, non è un fatto nuovo: alcune cu- spidi di treccie che furono rinvenute in diverse epoche, sono già state descritte dal professor Gastaldi ; a queste se ne aggiun- gono oggi delle nuove che tutte ritraggono per forma le altre già note. Tutti cotesti oggetti in pietra si trovarono rimovendo le ar- gille da mattoni che in detta località formano uno strato dello spessore di circa 4 metri, e che assai si estende all’ intorno. Sotto questo è un letto di marna calcarea friabile, giallastra per traccie di ferro disseminatovi, e le selci lavorate si trovano nella parte inferiore delle argille o in qualche caso sulle marne stesse. I depositi silicei poi che fornirono il materiale, forse potrebbero essere stati quelli delle ghiaje sparse di diaspri e di calcedonie - 364 — che si riscontrano in posto sui colli cretacei di Urago, Mella ec. prossimi a Brescia, ma più verso settentrione. Si ritiene che la località delle Fornaci sia un deposito alluvionale, ed infatti il fiume Mella quando è gonfio anche al presente qualche volta la inonda. Benché le selci illustrate dall’ Autore non presentino nulla di specialmente nuovo, pure potranno essere di grande utilità quando venga il tempo di fare un po’ di sintesi di tutto ciò che si è detto sulle età preistoriche in Lombardia. Esse sono per la mag- gior parte punte di freccia del tipo triangolare, acuminate, mu- nite di pedicello e con alette ben spiccate ; il più bel pezzo è una punta di lancia di selce variegata in bianco giallastro sporco, finissimamente ritoccata e con gran maestria. Tali pietre furono finora riferite all’ epoca archeolitica della età della pietra, ma la finezza con cui son lavorate accennerebbe piuttosto ad una in- dustria tutt’ altro che bambina e forse anche ai più bei tempi del periodo neolitico ; ma i dati sono ancor troppo scarsi per poter fondare un giudizio in proposito. Altra e non meno interessante notizia è quella fornita dal- r Autore intorno alla scoperta recentissima di traccie dell’ uomo nella caverna di Levrange, detta il Buco dell’ eremita^ che si api’e un po’ prima e sotto il paese dello stesso nome, quasi alla imboccatura della valle del Dignone, piccolo confluente del Chiese sulla destra della Val Sabbia : intorno a questa grotta e ai suoi depositi scrissero i professori Stoppani e Cornalia ; nello scorso giugno il dottor Forsyth Major trasse dal suolo di detta grotta buon numero di ossa aventi evidenti traccie della mano del- r uomo. Lo scritto è corredato di una tavola accuratamente dise- gnata che mostra le forme degli strumenti in selce illustrati dal T Autore. Panorama geologico del Friuli da Moruzzo, dipinto dal dott. T. Taramelli professore nel R. Istituto tecnico di Udine. — Udine 1872. Il prof. Taramelli, ben noto ai cultori delle scienze geologiche per varii ed importanti scritti da lui pubblicati sulla geologia 365 — del Friuli, ha testé dato alla luce un interessantissimo lavoro sotto il titolo di Panorama geologico del Prudi veduto da Moruzzo: i mezzi nuovi ed ingegnosi con cui l’Autore è riuscito a porre in rilievo le differenze di terreni e di formazioni e la conoscenza profonda del territorio da lui illustrato, meritarono a questa pubblicazione vari sinceri elogi, sì in Italia che all’ Estero e par- ticolarmente in Germania. Il castello di Moruzzo ha un’altitudine di 246 metri; si- tuato nel cuore del Friuli, presenta il punto di vista più oppor- tuno per scorgere le varie regioni geologiche in cui può divi- dersi quella provincia ed c per tal ragione che esso venne scelto dall’ Autore. Le formazioni predominanti nel Friuli sono per or- dine di antichità la dolomitica (formazione retica), la calcarea (giurassica e cretacea), la calcareo-marnosa (eocenica), quella della Melassa (miocenica), la pliocenica antica, la morenica e le allu- vioni terrazzate (epoca glaciale), e le alluvioni postglaciali. Tutte queste formazioni vennero rappresentate dall’ Autore con segni e tinte convenzionali che le rendono perfettamente di- stinte all’occhio dello spettatore. La formazione dolomitica occupa lo sfondo del paesaggio, elevandosi a un’ altezza media di 2200 metri con molte vette ap- partenenti tutte al Trias superiore e all’ Infralias. Il Monte Cavallo, verso ponente, si erge maestoso sull’ alti- piano dei monti cretacei di Polcenigo ed è esso pure costituito da calcari cretacei. I dorsi giuresi del San Simeone e del Quarnan e l’altipiano della Foresta dei Peri si confondono orograficamente colla re- gione cretacea che sporge con dorsi ed altipiani dove furono esportati gli strati terziarii. Nel Friuli orientale si sviluppano esclusivamente i terreni eocenici, mentre ad occidente le rocce eoceniche hanno uno sviluppo assai più limitato : fra il Taglia- mento e la Meduna si stende la regione miocenica i cui punti culminanti si elevano fino ai 600 metri e sono in continuo sfacelo. L’ alluvione terziaria è rappresentata dalle colline di Pinzano, di Kagogna, di Susans e di Udine mentre il davanti del paesaggio è costituito dalle colline moreniche formate dai de- triti abbandonati dallo scomparso ghiacciajo del Tagliamento. Questa pubblicazione, sia per la scienza con cui venne con- - 366 — dotta a termine, sia per la eleganza e nitidezza del paesaggio geologico, sia infine per la chiarezza della illustrazione che ac- compagna la tavola e da cui abbiamo tolti i pochi cenni che sopra, mostra quanto degnamente il suo Autore occupi il posto che egli si è conquistato fra i cultori della scienza geologica. NOTIZIE DIVERSE. Composizione delia lava vesuviana dell’Aprile 1872. — Sopra le lave precedentemente eruttate dal Vesuvio nel settem- bre 1871 e nel marzo 1872 si versava la più recente lava del- r aprile 1872, la quale sì per l’aspetto esterno che per l’esame microscopico della sua struttura interna si distingue facilmente da tutte le altre lave. Essa è di color grigio cinereo oscuro, poco porosa e somiglia moltissimo al basalto comune, somiglianza che viene poi giustificata dalla sua chimica composizione. Col- r ajuto della lente la lava appare come una massa omogenea in cui si può distinguere gran numero di cristalli di augite verde- scura, come pure piccole masse sparse di olivina ; in minore quantità cristalli di leucite e assai raramente piccole lamelle di mica magnesiaca. Il minerale predominante è la Leucite che vi si trova inca- stonata in piccoli e numerosi pezzi sì rotondi che angolosi, cia- scuno dei quali contiene una quantità di masse vitree di colore bruno nerastro. Quest’ ultima sostanza trovasi nella pasta leuci- tica per lo più in ammassi regolari talvolta radiati o circolari, oppure isolata in noduli regolarissimi. Insieme a questa si no- tano assai di rado masse vitree incolore, d’ ordinario assai piccole. La Belonite appare in queste leuciti in piccoli cristalli pri- smatici di colore scuro, disposti regolarmente presso i margini delle masse leucitiche. L’ Augite si presenta in grosse masse e forma talvolta dei cristalli completi, sparsi però in singoli punti della pasta: que- sti cristalli hanno in generale delle spaccature e cavità le quali sono ripiene sovente dal suddetto vetro di color bruno. — 367 L’ Olivina trovasi soltanto in grossi grani, talvolta arrotondati, tal’altra angolosi, i quali risaltano molto bene sul fondo della massa. Sotto il microscopio possono osservarsi molti frammenti, e sovente cristalli ben formati, di un minerale incoloro che dallo aspetto può giudicarsi per SanicUna : associati con quest’ ultima e in tenue quantità si trovano anche dei cristalli incolori di forma prismatica non ben determinati, appartenenti probabilmente a Feldispato triclino. La Mica s’ incontra assai raramente e non si distingue che per forte ingrandimento. La Magnetite è inclusa in gran copia in tutta la massa della lava e spesso sta anche racchiusa entro i noduli di augite : si presenta di ordinario in granelli neri senza forma cristallina ben determinata. La pasta fondamentale di questa lava è talmente ripiena di augite e magnetite che si esige un notevole ingrandimento per distinguervi le piccole masse vitree incolore. Dall’ esame dei piccoli cristalli sparsi nella massa, resulta gran differenza di composizione dalle lave precedenti e special- mente da quelle del 1868, 1871 e marzo 1872 molto analoghe fra loro. Così nella lava del 1868 si trova in gran quantità la mica magnesiaca e la nefelina, mentre nell’ ultima lava è scarsa la mica e totalmente assente la nefelina. Questa poi si distingue molto facilmente dalle tre precedenti per l’aspetto esterno, so- migliando essa molto più alle lave vesuviane antiche e ad alcuni basalti che alle suddette. Da ultimo grande analogia di struttura in- tima si nota con quella del 1767 e coi leucitofiri del Monte Somma. Le Solfatare del Mar Rosso* — Si conoscono attualmente sulle due coste del Mar Rosso tre giacimenti di solfo nativo, che hanno in questi ultimi tempi interessata la geologia e l’industria. Sono : 1° il più considerevole, sulla costa africana in faccia a Tor, alle falde del Sinai, si trova a 27°, 15 lat. N. e 31°, 15 long. E. 2° il secondo si trova sulla stessa costa, a 35 chilometri al N. delle rovine dell’antica Berenice ossia a 24°,18 lat. N. e 33° long. E. 3° sulla costa orientale si trova il terzo a 2 7°, 50 lat. N. e 32°,35 long. E. all’ ingresso del porto di Akaba. - 368 — Altre traode di solfo poco iiiiportanti si incontrano lungo le coste. Il primo giacimento coltivato a più riprese fino al principio di questo secolo ha fornito al governo egiziano abbastanza solfo per i bisogni dello Stato. Queste solfatare si trovano in un am- masso di rocce eruttive situato in mare a tre chilometri dalla costa e congiunto a questa per mezzo di una lingua di terra. Que- sta massa, conosciuta sotto il nome di Montagna di Djemseh, è divisa in tre gruppi perfettamente distinti e fra di loro separati da una specie di burrone di 500“ di larghezza. Due di questi gruppi sono bagnati dal mare ad Est e ad Ovest e corrono da N.O. a S.E. ; il terzo li ricongiunge verso il punto culminante di essi, cioè al Sud e sembra essere stato il principale focolare d’ eruzione. La penisola di Djemseh appartiene come le altre isole del- r arcipelago di Jubal, ai terreni terziarii medi : V altezza sul mare è in media di 170“; la roccia costituente è un calcare talvolta giallo e duro, tal’ altra bianco e friabile come la creta. I primi strati di solfo si trovano già al livello del mare in- sieme con pozzi di petrolio molto ricchi scoperti nel 1868 a mezzo di scandagli eseguiti dietro deduzioni geologiche. Il primo filone ha in certi punti più d’ un metro di altezza e scende a più di 30“ al di sotto del suo affioramento con direzione da N.E. a S.O. II secondo è a più di 30“ al di sopra in un terreno duro, giallastro e talvolta nerastro; esso aveva un’ altezza di 10“ e si dovè scavarlo a gradini. Gli altri si trovano al culmine della montagna e nel piccolo burrone che divide la massa come sopra si disse, e sono misti a del calcare bianco. Nell’ estrarre il minerale dagli strati posti presso le sorgenti di petrolio, si sono trovate in una grotta interna delle stalattiti mirabili di color nero-fumo, seminate di cristalli ettaedrici di un bel giallo, mentre in altri punti gli scavi hanno messo in luce delle concrezioni, dei fossili screziati e dei blocchi di sale misti a del calcare di un bianco perfetto. Gli strati più belli sono quelli che consistono in una crosta di gocciole compatte, giallo-paglia, aventi talvolta fino a 0,“20 di altezza: esse dettero fino a 75 por cento di solfo puro, ma s’in- contrano in poca quantità. — 369 — Per i lavori tP estrazione non s’ebbe bisogno che di poche gal- lerie sotterranee, e la fusione del minerale si operava per mezzo di forni simili a quelli adoperati in Sicilia. Ma oggi il giacimento di Djemseh non possiede più abbastanza solfo per rendere van- taggiosa una coltivazione industriale. Il secondo giacimento situato a Ranga si trova nelle stesse condizioni geologiche. Fu nella prima catena di montagne, a un chi- lometro dalla costa e a 100“ sul livello del mare, che si scuo- prirono i primi affioramenti. I terreni sono gli stessi, ma la posizione non promette una gran ricchezza di minerale ; e la lontananza da ogni centro abi- tato ne ha ritardata la coltivazione. II pozzo più profondo. — È questo pozzo situato nelle vici- nanze di San Luigi nel Missouri (Stati Uniti) e raggiunge una profondità di circa 1230 metri. Fu perforato all’ oggetto di ricer- care dell’ acqua, ma questa non si eleva che a 31 metri all’ incirca sotto la bocca del pozzo. Il foro comincia negli strati della for- mazione carbonifera, traversa il calcare di San Luigi, quindi i depositi di arenarie e di dolomiti del Silurico per raggiungere alla profondità di 1152 metri le rocce cristalline, nelle quali continua per tutto il rimanente tratto. L’ acqua è fresca e pura sino ad una profondità di 480 me- tri, ma dopo questo punto aumenta in essa la proporzione dei sali disciolti che raggiunge il suo massimo a 1078 metri circa dove misura 4° B. : a maggiori profondità diminuisce tal pro- porzione e non è che di 1° B. a 1095 metri. A questo ultimo punto s’ incontrano per la prima volta acque contenenti acido carbonico e solforoso e la temperatura vi fu trovata di 41°,7 C. ; tenendo a calcolo la temperatura media annua locale che è di 13* C., r inalzamento di temperatura è di 1° per ogni 37“,70 di aumento di profondità. Il diametro del fòro alla bocca è di 253 millimetri, e fino a 320 metri di profondità è rivestito di tubo ; dopo questo punto non ha che 100 millimetri di diametro. Il lavoro di perforazione ha durato circa tre anni senza che avvenisse alcun inconveniente ad interromperlo e 1’ opera costò circa la somma di 300,000 franchi. — 370 — AVVISO. Bollettino del R. Comitato Geologico per il 1873 (Anno 4“). — E aperta l’associazione al nostro per l’anno 1873, al prezzo solito di L. 8 per il Regno e L. IO per l’ estero , franco di porto. Esso si pubblica in fascicoli bimestrali di 3 a 4 fogli di stampa di pagine 16 ciascuno, per modo che la intiera annata viene a formare un volume di almeno 20 fogli, corredato da incisioni intercalate nel testo e da tavole in lito- grafia. Il frontespizio e la copertina del volume saranno dati gratuitamente ai signori Associati. Nel primo fascicolo del Bollettino 1873, che sarà pubblicato fra breve, si incomincierà la stampa di un importante lavoro originale dell’ egregio Prof. G. Sequenza, intitolato : La forma- zieme pliocenica nelV Italia Meridionale. Questo lavoro, corredato da tavole con sezioni geologiche, verrà poscia continuato rego- larmente nei successivi fascicoli. Si raccomanda ai signori Associati di rinnovare al più pre- sto il loro abbonamento, onde evitare ritardo nella spedizione del periodico, ed a quelli che non hanno pagato ancora il prezzo di abbonamento per il 1871, di volerlo fare con sollecitudine. È uscito il Voi. II, (Parte F) delle Memorie del R. Comitato Geologico,— Vedasi la 3“ pagina della copertina del presente fascicolo. Per le associazioni e per le commissioni, rivolgersi al Segretario del R. Comitato Geologico d’ Italia, in Firenze, Via della Scala, N. 22, p. piano. INDICE DELLE MATEKIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1872 (Volume Terzo). NOTE GEOLOGICHE. .4. D’ Achiardi, — Sulle ghiaie delle Colline Pisane e sulla prove- nienza loro e delle sabbie, che insieme costituiscono la parte superiore dei terreni pliocenici della Toscana Pag. 5 B. Gastaldi. — Cenni sulla costituzione geologica del Piemonte ... 14 F. Bayan. — Intorno ai terreni terziarii del Vicentino (estratto) . . 33 I. Cocchi. — Su di due Scimmie fossili italiano 59 G. Meneghini. — Su di un lavoro di E. Suess 72 B. Gastaldi. — Cenni sulla costituzione geologica del Piemonte (con- tinuazione e fine) 77 T. Taramelli. — Cenni geologici sull’Alto Trevigiano e sulla Valle di Belluno nel Veneto (estratto) 96 A. Delesse. — Cenni intorno alla Orografia ed alla Litologia del Me- diterraneo 123 T. Sterry Hunt. — Osservazioni intorno alla geologia del gruppo del Monte Bianco (estratto) 131 Fougué e Gorceix. — Intorno ai gaz infiammabili degli xipennini e dei Lagoni di Toscana (estratto) 140 I. Cocchi. — Del terreno glaciale delle Alpi Apuane 187 Baltzer. — Cenni intorno alla geologia del gruppo dell’ Adamello (estratto) 197 I. Taramelli. — Cenni geologici sulle valli di Raccolana, di Dogna e di Malborghetto nell’Alto Friuli (estratto) 201 M, Baretti. — Cenno orografico sul gruppo della Roche d’ Ambin (Alpi Cozie. — Versante Italiano) (estratto) 203 E. Sauvage. — Il giacimento a pesci di Licata (estratto) 206 G. Scarahelli. — Su di una Caverna con avanzi preistorici dell’ Apen- nino di Romagna (Circondario di Faenza) (estratto) 209 0. G. 31arsh. — Di alcuni nuovi uccelli fossili scoperti recentemente nel Nord-America (estratto) 211 G. Ponzi. — Costituzione geologica della Campagna romana (estratto). 251 - 372 - T. Taramelli. — Osservazioni geologiche fatte in Gamia (Alpi venete) (estratto) Pag. 2G1 N. ■Pellati. — Sulla geologia del distretto di Agordo nel Veneto (estratto) 269 O. G. Marsh. — Di alcuni rettili e mammiferi fossili recentemente sco- perti nel Nord-America (estratto) 273 A. D’ Achiardi. — Paragone della Montagnola Senese con gli altri monti della Catena Metallifera della Toscana 315 Idem. — Sulla probabile esistenza di avanzi di antichissime industrie umane nella così detta Terra gialla di Siena 325 T. Taramelli. — Osservazioni geologiche fatte nel Carso, nel territo- rio di Monfalcone ed alle foci dell’ Isonzo (estratto) 326 0. C. Marsh. — Di alcuni rettili e mammiferi fossili recentemente sco- perti nel Nord-America (estratto) (continuazione e fine) 338 B. Puvipelly. — I giacimenti di rame nativo del Lago Superiore (Nord- America) (estratto) 354 NOTE DI FISICA TERRESTRE. F. Keller. — Sull’ attrazione delle montagne 99 NOTE MINERALOGICHE. — Elenco di specie minerali recentemente trovate 157 G. Grattarola — Sopra alcuni minerali dell’ Isola d’ Elba non ancora descritti o accennati 284 A. D’ Achiardi. — I combustibili fossili della Toscana (estratto) . . . 293 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. G. Capellini. — Sul Felsinoterio, sirenoide halicoreforme dei depositi lacustri pliocenici dell’ antico bacino del Mediterraneo e del Mar Nero. — Bologna, 1872 163 A. Beiesse. — Lithologie du fond des Mers. — Paris 164 * F. Maury. — Geografia fisica del mare e sua meteorologia ; prima versione italiana di L. Gatta. — Torino, 1872 166 A. B’ Achiardi. — Mineralogia della Toscana; Voi. I. — Pisa, 1872. 217 0. Silvestri. — Le Nodosarie fossili nel terreno subapennino italiano e viventi nei mari d’ Italia. — Catania, 1872 219 F. Coppi. — Studii di Paleontologia Iconografica del Modenese ; Parte Prima. — Modena, 1872 220 A. Beiesse. — Les oscillations des cótes de Fx’ance. — Paris, 1872 . . 221 — 373 — L. Palmieri. — Relazione dell’ incendio vesuviano del 26 Aprile 1872. — Lipsia, 1872 Pag. 297 A. Scacchi. — Contribuzioni mineralogiche per sei’vire alla storia dell’incendio vesuviano del mese di Aprile 1872. — Napoli, 1872. 299 F. Keller. — Ricerche sull’ attrazione delle montagne con applicazioni numeriche. — Roma, 1872 299 B. Stucler. — Index der Petrographie und Stratigraphie dei* Schweiz und ihrer Umgebungen. — Bern, 1872 301 C. Marinoni. — Nuovi materiali di paleoetnologia lombarda. — Mi- lano, 1872 363 T. Taramelli. — Panorama geologico del Friuli da Moruzzo. — Udine, 1872 364 NOTIZIE DIVERSE. Pubblicazione di una Appendice alla Memoria dell’ Ing. Sebastiano Mottura : Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Si- cilia ; Firenze, 1871 45 Concorso per posti di Geologo-Operatore 48 Analisi di prodotti vulcanici 110 I prodotti dell’ultima eruzione del Vesuvio 112 Lavori eseguiti dal R. Corpo di Stato Maggiore nell’anno 1871 . . 167 Pioggia di sabbia rossa in Sicilia 169 Ultime ricerche sulla temperatura e la salsedine delle acque del- l’ Atlantico e dei Mediterraneo 172 Scoperte preistoriche fatte recentemente in Europa e in America. . 175 Le sorgenti petroleifere dell’ Indiana (Stati Uniti) 176 Sulla variazione della gravità in Russia 224 Le correnti marine 226 Analisi di alcune rocce ed altri materiali pescati nel Chdf-Stream. . 228 Ferri meteorici trovati in Groenlandia ed in America 230 I giacimenti petroleiferi del Nord-America 234 II petrolio dell’ Isola di San Domingo 237 Scoperta di una foresta fossile nel terreno terziario di California, ivi Scoperta del Diamante nella Xantofillite 239 Sulla mineralogia dell’Ebroon Canadense 240 Composizione delle lave del Vesuvio 303 L’ambra siciliana 304 L’ Uomo preistorico in Italia 305 Il Troglodite di Mentono 307 Composizione della lava vesuviana dell’ Aprile 1872 366 Le Solfatare del Mar Rosso 367 n pozzo più profondo 369 Rettificazione 241 Annunzi di pubblicazioni. L. Bombicci. — Corso di Miiieralo^^ia (seconda edizione grande- mente variata ed accresciuta); voi. 1°, Bologna 1873, — Pag. 564 in-8° con 4 tavole e molte incisioni intercalate nel testo. 0. Silvestri. — Sopra due sorgenti di acqua minerale salino- solfurea idrocarbonata dette di Santa Tenera alla base orientale dell’Etna; Catania 1872. — Pag. 101 in-4° con due tavole. 0, Silvestri — Le Nodosarie fossili del terreno subapennino italiano e viventi nei niaiù d’Italia; Catania 1872. Fr. Coppi — Studii di Paleontologia iconografica del Mode- nese.— Parte P; Modena 1872. G. Ponzi — Del Bacino di Boi: ? e sua natura, per servire d’ illustrazione alla Csirta 0' logica dell’Agro Romano; Roma 1872. — Pag. 50 in-8° Carta Geologica del Bacino di Roma. L. Palmieri — L’ incendio vesuviano del 26 aprile 1872 ; Lipsia 1872. — Pag. 52 in 8° con sette tavole. A. Scacchi — Contribuzioni vmineralogiche per servire alla storia dell’ incendio vesuviano del mese di aprile 1872 ; Napoli 1872. — Pag. 36 in-4° con una tavola. G. CuRioNi — Ricerche geologiche sull’ epoca dell’ emissione delle rocce sienitiche della catena dei monti dell’Ada- mello nella provincia di Brescia; Milano 1872. — Pag. 20 in-4°. C. Marinoni. — Rapport sur les travaux préhistoriques en Italie depuis le congrès de Bologne; Toulouse 1872. — Pag. 12 in-8°. C. Marinoni — Nuovi materiali di paleoetnologia Lombarda ; Milano 1872, — Pag. 8 in-4° con una tavola, T. Taramelli. — Pìinorama geologico del Friuli da Moruzzo; Udine 1872. — Un foglio in cromolitografia. 6 4 .1 «