BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA A.3snsro 1901 N. I. r«3ÌX»>- ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1901 ELENCO del personale componente il Comitato e 1’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente. Cocchi Igino, prof, di geologia, à Firenze. CossA Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Padova. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, Imola. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufiìcioe Segretario del Comitato Ing. SoRMANi Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. A] .-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi o'peratori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrarie-geologico, via Santa Smanna, n. 1. BOLLETTINO K. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA 1901. — Anno XXXII 1901. - Anno XXX IL BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA ♦— Volume Trentaduesimo (2° della 4" Serie) N. 1 a 4 a -A j ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE DI G. BERTERO e C. 1901 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1901 (Volume trentaduesimo o secondo della 4^ serie) Introduzione ■ . . . , Pag. 1 NOTE OEiaiNALI D. Zaccagna. — Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geologici in- torno alle Alpi occidentali Pag. 4 V. Novarese. — L’origine dei giacimenti metalliferi di Brosso e Tra- versella in Piemonte » 75 D. Zaccagna. — Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geologici in- torno alle Alpi occidentali {continua sione) » 129 B. Lotti. — Ancora suH'età della formazione marnoso- arenacea fossi- lifera dell’Umbria superiore » 151 M. Cassetti. — Dalla valle del Diri a quella del Giovenco e del Sa- gittario. Rilevamento geologico eseguito nell’anno 1900 .... » 164 P. Moderni. — Osservazioni geologiche fatte in proAÙncia di Macerata nell’anno 1900 » 193 B. Lotti. — Sulla probabile esistenza di un giacimento cinabrifero nei calcari basici presso Abadia S. Salvatore (Monte Amiata) ... » 206 B. Lotti. — Inocerami nella scaglia cinerea senoniana presso Titignano (Orvieto) » 216 C. Viola. — A proposito del calcare con pettini e piccole nummuliti di Subiaco (prov. di Roma) » 223 C. Viola. — L’augitite anfibolica di Giumarra presso Rammacca (Sicilia) » 289 S. Franchi. — Sulla dispersione nei pirosseni cloromelanitici di alcune roccie cristalline delle Alpi occidentali » 313 La Diresione. — Riunione annuale della Società geologica italiana a Brescia » 319 — VI — NOTIZIE BIBLIOGEAFICHE Bibliografia geologica italiana per l’anno 1900 94 Idem idem {continuatone) » 179 Idem - idem {continuatone) » 227 Idem idem {continuatone e fine) » 324 NOTIZIE DIYEESE Pubblicazioni del E. Ufficio geologico Pag. 125 Idem idem » 190 Idem idem » 286 Idem idem • • » 404 Elenco del personale componente il Comitato e TUfficio geologico . . » 403 ILLUSTEAZIONI Figure relative alle Alpi occidentali (Zaccagna) Pag. 8, 9, 20, 21, 23, 55, 62, 64 Idem relative ai giacimenti di Brosso e Traversella (Novarese) 77, 81, 85 Idem relative alle Alpi occidentali (Zaccagna) . . . Pag. 131, 138, 139, 142 Tav. I. — Carta geologica e sezione nei dintorni di Monte Santa Ma- ria Tiberina (Lotti) Pag- 160 Sezione geologica dalla valle del Liri a quelle del Giovenco e del Sagittario (Cassetti) « 166 Sezione geologica del Monte Sasso Tetto al torrente Tennacola iP. Mo- derni) » 194 Sezione geologica dalla cima del Monte Amiata all’ Abadia San Sal- vatore (B. Lotti) » 210 Figure schematiche di cristalli Pag. 298, 299, 300, 303 Tav. II. — Sezioni microscopiche della Giumarrite (C. Viola). . , . Pag. 312 VII PAETE UFFICIALE E. Decreto 10 marzo 1901 relativo al personale del E. Comitato geo- logico Pag. 3 Verbale dell’adunanza 3 giugno 1901 del E. Comitato geologico . . » 7 Eelazione dell’Ispettore-capo al E. Comitato geologico sui lavori ese- guiti per la Carta geologica negli anni 1899 e 1900 e proposte di quelli da eseguirsi nel 1901 » 13 Appendice. — Vili Congresso geologico internazionale (Parigi, 1900) » 77 INDICE DEI FASCICOLI N. 1. — Primo trimestre 1901 N. 2. — Secondo idem N. 3. — Terzo idem N. 4. — Quarto idem Atti ufficiali da pag. 1 a pag. 128 » 129 » 192 » 193 » 288 » 289 » 408 » 1 » 92 HOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. II. Anno 1901. Fascicolo 1». SOMMARIO. Introduzione. Note originali. — I. D. Zaccagna, Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geo- logici intorno alle Alpi Occidentali. — II. Y. ìN’ovaiiese, L’origine dei giacimenti metalliferi di Brezzo e Traversella in Piemonte. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1900. Pubblicazioni del E. Ufficio geologico. Atti ufficiali. — E. Decreto 10 marzo 1901, relativo al personale del E. Comitato geologico. Illustrazioni. — Figure relative alle Alpi occidentali (Zaccagna) a pag. 8, 9, 20, 21, 23, 55, 62, 64. — Idem relative ai giacimenti di Brezzo e Traversella (Novarese) a pag. 77, 81, 85. Nella campagna estiva deH’anno ora decorso i lavori di rilevamento e di revisione, nonché quelli di Ufficio e di Labo- ratorio, furono in tutto informati ai concetti generali tracciati dal Comitato per gli anni precedenti; per altro alcune circo- stanze speciali contribuirono a ritardarli alquanto. Fra queste devesi ricordare il Congresso geologico internazionale tenutosi a Parigi, e le successive escursioni, cui presero parte alcuni dei nostri operatori, in particolare a quella nelle Alpi del Delfi- nato e al Monte Bianco. Ciò nonostante i rilevamenti ebbero un certo sviluppo nelle Alpi Occidentali sul versante meridionale del Monte Bianco e nelle valli laterali dell’alta Val d’Aosta sino quasi al Gran San Bernardo, secondo un programma prestabilito e avente per direttiva la prosecuzione dei lavori precedenti e la solu- zione di alcuni problemi tuttora pendenti. Infatti le ricerche di fossili e lo studio particolareggiato di alcune formazioni, diedero nuovi argomenti sicuri per fissare la posizione strati- grafica dei calcescisti e della zona delle pietre verdi, che tanta parte occupano nelle Alpi Occidentali. Va poi anche notato il fatto che nelle Alpi Cozie e Graje furono riconosciuti numerosi giacimenti di roccie giadeitiche e cloromelanitiche, con che è risolta la controversa questione della provenienza dei materiali di alcune stazioni neolitiche del Piemonte. NeirAppennino settentrionale si estesero i rilevamenti nella Liguria Orientale già iniziati nell’anno precedente, in prosecu- zione di quelli della Valle di Magra e del Golfo di Spezia; e ciò oltre ad uno studio dei dintorni di Acqui, dove ebbe luogo la riunione annuale della Società geologica italiana. Anche nell’Italia centrale i rilevamenti procedettero abba- stanza sollecitamente nell’ Umbria superiore e nelle Marche (provincia di Macerata), e importanti revisioni furono fatte nel- l’Appennino Aquilano e nei monti che circondano il Golfo di Gaeta, dove esistono importanti affioramenti basici, e dove fu constatata la esistenza di grandi linee di frattura: fu pure riconosciuta la esistenza di alcune lenti di una bauxite ferru- ginosa entro alcuni calcari cretacei dell’alta valle del Liri e di diverse località attorno al bacino del Fucino. Nella provincia romana fu infine ripreso e proseguito il nuovo rilevamento della parte orientale dei Vulcani Vulsinii e la raccolta dei materiali di studio per una descrizione di quel- r importante gruppo. In complesso furono rilevati a nuovo nella campagna del 1900 oltre a 2500 chilometri quadrati di territorio, e 350 circa ne furono riveduti. Nulla di speciale ebbe a verificarsi nei lavori ordinarli dei- fi Ufficio, nè in quelli del Laboratorio chimico-petrografico o del Gabinetto paleontologico, come pure riguardo alla Biblioteca ed alle collezioni che si accrebbero notevolmente di nuovi ma- — 3 — teriali, fra cui una interessante raccolta di filliti dei tufi della campagna romana. Nuove somme furono erogate per l’esecuzione di scaffala- ture e per l’acquisto di apparecchi da laboratorio, dei quali era sentito il bisogno. In quanto a pubblicazioni, oltre all’annata XXXI del Bollet- tino, si eseguirono nel corso del 1900, quelle della Memoria descrittiva del Vulcano Laziale (X volume della serie), del Supplemento 3® al Catalogo della Biblioteca (relativo al biennio 1898-99) e degli ultimi otto fogli, con annessa tavola di sezioni, della Carta geologica della Calabria nella scala di 1 a 100,000. Su quanto è esposto sopra, e su altri argomenti ancora riguardanti il lavoro della Carta geologica d’Italia, sarà trattato con maggiori particolari nella Relazione che la Direzione pre- senterà nella prossima adunanza del R. Comitato Geologico, e che sarà inserita nel fascicolo 2*^ del presente Bollettino. Tale Relazione si riferirà allo intiero biennio 1899-1900, in quanto, per circostanze imprescindibili, il Comitato suddetto non potè radunarsi nel corso del 1900. — 4 — NOTE ORIGINALI . I. 1). Zaccagna. — Alcune osservazioni sugli ìdtimi lavori geologici intorno alle Alpi occidentali, I geologi elle da qualche anno a questa parte vanno occupandosi dello studio delle Alpi occidentali sui due versanti, hanno ripetuta- mente richiamata l’attenzione su quella regione con varie memorie e carte geologiche. Sono noti al riguardo gli importanti lavori di M. Bertrand, Termier, Kilian, Haug, Grregory e Diener, fra i geologi stranieri; i quali con apprezzamenti diversi interpretarono le forma- zioni alpine ed i fatti stratigrafici che ad esse si connettono. In questi ultimi anni tuttavia i geologi incaricati del rilevamento dettagliato della Carta geologica francese, modificando le loro precedenti vedute personali, si accordarono sopra un nuovo ordinamento di quei terreni che non si discosta molto da quello risultante dalle teorie del Lory; secondo il quale ordinamento quella carta, riveduta in molte parti dai vari incaricati, viene ora definitivamente colorata e pubblicata. Dei nostri geologi, oltre a qualche Nota pubblicata tanto sul Bollettino del R. Comitato che su quello della Società geologica dagli ingegneri Franchi, Stella e Novarese, è da farsi speciale menzione di un particolareggiato lavoro del Franchi, recentemente comparso nei Bollettino del Comitato. Dall’esposizione degli studi fatti l’inge- gnere Franchi deduce una nuova ipotesi sull’età e sulla struttura dei terreni alpini, la quale, senza trovarsi in grande disaccordo con quella ultimamente adottata dai colleghi francesi, si avvicina alla vecchia teoria del Sismonda, intorno all’età relativamente recente degli scisti cristallini che formano la grande massa delle Alpi, e che — 5 — egli, come è noto, riteneva come degli strati giurassici metamor- fosati. La conoscenza della regione alpina, acquistata durante parecchi anni di studio e di rilevamento, i fatti raccolti e le conclusioni alle quali arrivai nei miei modesti lavori riguardanti la geologia delle Alpi, non potevano naturalmente tenermi del tutto estraneo alio svol- gersi delle teorie sorte in questi ultimi anni, malgrado che, applicato da tempo ad altre mansioni che la Direzione del Servizio geologico volle affidarmi, fossi impedito di prender parte al dibattito delle que- stioni a misura che esse venivano svolte dai vari osservatori; tanto più che nei primi loro lavori essi non fecero che confermare, salvo alcuni apprezzamenti di dettaglio, le cose quali furono da me vedute ed esposte nelle note suaccennate. Fu solo più tardi che fra i geologi francesi, il Bertrand, dietro nuovi studi fatti sulle Alpi savoiarde, ritornò sopra le conclusioni adottate al seguito di escursioni fatte in comune col Potier, col Mat- tirolo e collo scrivente. In questi studi egli ha creduto di raccogliere fatti in opposizione a quelli da me esposti, tendenti a dimostrare la triassicità dei calcescisti e la permicità dei micascisti, gneiss ed altri scisti cristallini ritenuti da me prepaleozoici; nel quale assunto fu poi seguito dagli altri collaboratori della Carta geologica di Francia. Per quanto però queste nuove teorie sieno esposte con diffuse descrizioni, con dettagli tettonici e col corredo di argomenti petro- grafici, parve a me che le ragioni addotte a sostegno di esse pecchino spesso per soverchio artifizio e che se alcuni fatti, nel modo con cui furono presentati, potevano fornire spiegazioni locali più o meno sod- disfacenti, non reggevano poi al confronto tra loro onde trarne logiche conclusioni dal punto di vista generale. Così quelle teorie non val- sero a scuotere menomamente le mie convirjzioni, che credo basate, anziché sopra questioni di dettaglio, nelle quali spesso le interpreta- zioni stratigrafiche immaginose possono facilmente venire in aiuto, data anche la circostanza del parallelismo quasi costante di tutte le formazioni alpine, ma sopra fatti generali ben altrimenti importanti — 6 — e già altra volta riferiti, dei quali, parve a me, non si tenne il debito conto ; e pei quali le osservazioni parziali non possono in alcun modo bastare a fornire una plausibile spiegazione. Le mie opinioni al riguardo restano quindi troppo discordi dalle nuove idee perchè possa rimanere chiuso nel silenzio finora serbato, che potrebbe far snppore la mia acquiscenza a quelle idee ; e per quanto non sia con lieto animo ohe imprendo a contraddire dei colleghi pei quali ho la maggiore considerazione, credo mio dovere di indicare le ragioni per le quali io ritengo non accettabili le nuove teorie. Sciogliendo adunque il riserbo nel quale mi sono indugiato, mi propongo colla presente Nota di esporre alcune contro osservazioni a quelle portate dai colleghi a sostegno delle loro interpretazioni. Lascierò per ora in disparte il lavoro delFing. Franchi, il quale per la sua estensione e per la speciale importanza che acquista per noi riferendosi al versante italiano delle Alpi e ad una regione che già fu oggetto dei miei studi, verrà esaminato in altra parte di questo scritto ; e mi arresterò in questa prima parte alla rassegna dei la vor i che comparvero in precedenza. Non potrò in questo mio assunto riandare estesamente i lavori apparsi fin qui nei loro dettagli, come sarebbe stato più ovvio e più opportuno farlo a misura che quei lavori venivano pubblicati. Dovrò quindi limitarmi all’esame di alcune parti più importanti di essi e delle ragioni addotte da alcuni degli autori citati a confutazione delle idee da me sostenute. La divergenza principale, quella che costituisce il perno della questione nello stadio a cui- è stata presentemente ricondotta, come lo era sino dal principio della memorabile controversia fra il Lory ed il Gastaldi, è sempre quella che concerne l’età dei calcescisti, gli schistes lustrés dei geologi francesi, che occupano una cosi vasta estensione sui due versanti delle Alpi occidentali. Sezioni in valle dell’ Ubaye. — In un suo primo lavoro sopra la struttura geologica della catena alpina della Moriana e del Brianzo- — 7 - nese e regioni limitrofe il Kilian ^ riconobbe nel modo più esplicito Tanteriorità dei calcescisti ai calcari ed alle quarziti triassiche ed agli strati paleozoici, col passo che, traducendo, qui riferisco: G-li scisti grigi lucenti e gli scisti calcareo-talcosi del Queyras sono dap- pertutto nettamente inferiori agli strati triassici ; ed a Combe Brémont (Ubaye) alle argiloliti che noi riferiamo al sistema permiano. Tra il lago Paroird ed il Longet, a Maurin (alta valle deirUbaye) e presso Chateau-Queyras, essi sono ricoperti direttamente dalle quarziti trias- siche, ma in molti casi la sparizione meccanica di queste ultime, ha condotto i calcari triassici alla sovrapposizione immediata di essi sugli scisti (Cima del Gondran presso Briancon, Bardonnecchia, lago Pa- roird, Péou-Boc, La Barge). » La relativa posizione dei calcescisti rispetto al Trias ed al Paleo- zoico non potrebbe esser più nettamente stabilita, e risponde piena- mente alle mie osservazioni. In appoggio alle sue conclusioni l’autore chiarisce i vari casi di sovrapposizione indicati con parecchie sezioni geologiche tolte dalla regione dell’ Ubaye, nelle quali, tranne in qualche dettaglio, trovasi d’accordo con quelle raccolte da me nell’escursione fattavi nel 1834. Da questi tagli geologici, (fig. i e 2), “ che io metto a riscontro con quelli ^ W. Kihw^, Structiire f/éolofiiqur des chaines alpines. (Bull, de la Soc. Géol. (le Franee. 3*'^ serie, T. 19, 1891, pag. .571). “ Gli scisti A^ariegati che troA'ansi nel vallone sottostante alla punta cal- care del Signal de Maurin (Fig. 2), nella mia Sezione generale delle Alpi Cozie pel IMonAÙso (Boll. R. Comit. 1887., taA\ IX, furono collocati in serie fra le quar- ziti-anageniti, epperciò ritenuti triassici. Ma altre considererazioni mi hanno dipoi persuaso che essi appartengano piuttosto al Permiano e sono piegati in anticlinale sotto alle quarziti. Oltre alla loro forma litologica, che è pure frequente nel Permiano, lo indicherebbero la massa calcare del Segnale, che verso r Ubaye non giunge sino alla Alalie e resta quindi compresa in un sin- clinale formato dalle quarziti; ed il seguito di questi scisti che dai laghi Ma- rine! passando alla forma gneissica e porfiroide, si prolungano nel A^ersante ita- liano disponendosi fra le quarziti ed il calcescisto. 8 del Kilian, aggiungendovi, per maggior chiarezza, la porzione di carta geologica rilevata in quella rapida traversata, risulta che la sola dif- ferenza fra essi sta nella interpretazione della tettonica dei calcescisti, i quali sono considerati dal Kilian come piegati in una serie di sin- - 9 Fìg. 3. — Schisso geologico dei dintorni di Maiirin {Ubagé), , }' ] Quaternario Calcari e scoili ! lassici aljth qrt triassici Quarziti Corniole L'.'.'.'l td anageniti Scisti variegati ■l'iVil e hesunaudiìe I Calcescisti I f roccie verdi . Scala 1 : 100,000. clinali ed anticlinali secondanti le pieghe degli strati pernio triassici soprastanti. Secondo me invece, questi strati rappresenterebbero dei lembi staccati, piegati o non, ma semplicemente impigliati fra altret- tante depressioni preesistenti nei calcescisti molto più antichi e quindi già erosi prima del deposito permo-triassico. Per le energiche pressioni laterali successive e per la laminazione generale che ne è conseguita, essi affettarono quel parallelismo che si osserva molto frequentemente, ed anzi quasi di regola, fra le roccie dei due sistemi ; quantunque non manchino in qualche punto gli esempi di una di- scordanza manifesta. - 10 — Uno di questi esempi venne già rappresentato sulla mia sezione generale pel Monte Viso, nella porzione traversante la valle del- l’Ubaye, ^ dove è indicata una discordanza fra le roccie permo-trias- siche da un lato, i calcescisti e roccie concomitanti dall’altro; discor- danza che fu fatta notare in seguito anche dal Diener ^ per altri luoghi. A proposito però di questa discordanza, il Kilian ® osserva che in vista della natura tormentata di quella sezione (in valle dell’Ubaye, a Combe-Brémont) e della parte meccanica avuta dalle masse dolo- mitiche del lago Paroird, non potrebbe affermarne l’esistenza. Ma non è sulle masse dolomitiche del lago Paroird e su gli scisti permiani di Combe-Brémont, che ho voluto richiamare l’attenzione per il fatto della discordanza di cui qui è parola; sebbene anche qui si avverta la mancanza di ogni nesso nella sovrapposizione ai calcescisti degli scisti permiani a Combe-Brémont, e dei calcari triassici al lago Pa- roird. Quegli strati non sono intersecati dalla mia sezione; la quale passa alquanto più a Sud della valle dell’ Uba}' e, attraversando il vallone di Mary poco sotto ai laghi di Marinet. Ivi le stratificazioni tanto dei calcescisti che delle roccie permò-triassiche che li sormon- tano non sono punto tormentate, inclinando costantemente a S-0 ; epperciò lasciano apparire colla maggiore evidenza la discordanza che la sezione pone in rilievo. Difatti, mentre sulla destra del rio che scende dai laghi i banchi dell’anagenite permiana si sovrappon- gono ad un alto ciglione di calcescisto troncato irregolarmente verso il no a guisa di scoglio, sull’altra sponda, vicinissima, la stessa massa di anagenite scende verso la base dello scoglio sino a battere col suo prolungamento contro le testate dei calcescisti, come è rap- presentato sulla sezione che riproduce il taglio naturale or^ descritto, age\olmente visibile sul luogo. ^ Sulla geologia delle Alpi occidentali. (Boll, del E. Comitato Geol., 1887. pag. 389 e tav. YIII). * Der Gebirgshaii der Wien, Teinpsky, 1891, pag. 193. * W. Kilian, loc. cit., pag. 585, in nota. — 11 - A dimostrare viemmeglio la discrepanza stratigrafica esistente fra i calcescisti e le roccie del sistema permo-triassico, altri lembi di anagenite, quarzite e dolomia compatta e cavernosa, sia isolati, sia in masse più estese, trovansi sparsi anche sulla pendice destra del vallone, dove formano la Pointe de Mary, appoggiandosi ai calcescisti, che appariscono largamente, tanto nel fondo che sulla cresta, sotto alle masse triassiche. Tali lembi trovansi in conseguenza stratigrafìcamente situati ad un livello molto più basso delle masse formanti le alture di sinistra teste esaminate; mentre, data la pendenza di tutte le formazioni verso S-0 e la sovrapposizione delle roccie permo-triassiche ai calce- scisti, queste dovrebbero mancare sulla falda destra, o tutP al più coronare le cime con lembi limitati, senza però discendere sul fondo del vallone urtando di necessità coi loro banchi le testate dei calce- scisti. Questi fatti lasciano scorgere chiaramente come i calcescisti al momento del deposito permo-triassico dovevano presentare delle forti ineguaglianze di rilievo prodotte da una erosione avvenuta in epoca anteriore al deposito paleozoico, e dimostrano la esistenza d’una grande distanza cronologica fra i due terreni. Malgrado adunque il parallelismo generale degli strati, abbiamo qui le prove della discordanza accennata. Essa è corroborata altresi dalla natura detritica del deposito permo-triassico che sta in brusco contatto coi calcescisti, indicante la grande diversità di condizioni sotto cui avvennero i sedimenti delle due formazioni. I casi in cui la discordanza fra queste formazioni riesce cosi evidente come nel vallone di Mary non sono certo molto frequenti, sebbene possano citarsene altri esempi, come vedremo a suo luogo. Ma per contro essi acquistano molta importanza in una regione nella quale i] motivo stratigrafico dominante è quello d’un seguito di for- mazioni uniclinali in apparente concordanza e continuità di serie; mentre non ne ha alcuna, come prova di tale concordanza, il paral- lelismo degli strati. Basterebbe a dimostrarlo Tesempio notissimo di - 1-2 — Petit-Coeur, che non è peraltro nelle Alpi un fatto isolato, ma con poche varianti assai più frequente di quanto si creda. Importa notare altresì un altro fatto assai significante: laddove le roccie permiane e triassiche si presentano in allineamenti ed in lembi staccati, come avviene appunto in valle dell’Ubaye ed in più luoghi della valle ‘dell’ Are, nei dintorni di Bardonnecchia e del Mon- cenisio, la serie viene ad appoggiarsi sui calcescisti e sulle roccie dello stesso sistema, ora cogli strati paleozoici cui fan seguito i membri del Trias (quarziti, scisti sericitici e calcari dolomitici), ora colle quarziti, ora direttamente coi calcari triassici; avendosi la più grande variabilità fra i contatti delle roccie dei due sistemi, anche in luoghi vicinissimi fra loro. Ma sia che la sovrapposizione inco- minci a partire dagli strati paleozoici, sia dalle roccie triassiche, essa risale regolarmente verso i piani superiori di questa serie, oltre ai quali manca quasi sempre la serie inversa, che dovrebbe ripetersi se si trattasse di pieghe sinclinali fra i calcescisti come suppone il Kilian nelle sue sezioni lungo l’ Ubaj^e ^ ; mentre in realtà non vi si scorge indizio alcuno di ripiegamento, non solo nei calcescisti, ma anche nelle roccie permo-triassiche che vi sono incluse. Tale è del resto il modo più frequente e normale dell’addossa- mento dei lembi paleozoici e secondari alle roccie del sistema arcaico nelle Alpi. Non voglio dire con questo che manchino le vere pieghe nei lembi paleozoici e triassici inclusi nell’Arcaico ; ma esse vi sono meno frequenti. Fra altre potrebbe citarsi quella grandiosa del Cram- mont nelle adiacenze del Monte Bianco che interessa gli strati car- boniferi, il permiano e tutta la serie triassica ; la quale fu già dallo scrivente messa in evidenza in un precedente lavoro ^ La variabilità dei contatti a cui si è accennato, si osserva comu- nemente per tutti i lembi triassici e paleozoici sparsi fra le roccie arcaiche; ma anche restando nella valle dell’Ubaye, tra la Barge ed ^ Loc. cit., pag. 574. ^ D. Zaccagna, Sulla fjeolofjia, ecc. — 13 — il lago Paroird, vale a dire in un percorso di forse 6 chilometri, ab- biamo dapprima calcari^triassici, quarziti ed anageniti sovrapponen- tisi ai calcescisti; indi a Combe-Brémont la serie discende fino agli scisti permiani; mentre poi a brevissima distanza, al lago Paroird, è il calcare triassico che poggia direttamente sui calcescisti. Il Kilian ^ vorrebbe spiegare questo diretto contatto fra il calcare del Muschelkalk e i calcescisti al lago Paroird come in tanti altri luoghi delle Alpi, con degli spostamenti meccanici che avrebbero av’uto per effetto l’espulsione delle quarziti ; le quali in realtà avreb - bero esistito sotto ai calcari prima che tali movimenti avessero luogo. Io ritengo però tale supposizione poco probabile, tanto più che l’ef- fetto avrebbe dovuto portarsi esclusivamente sulle quarziti, le quali per l’appunto fra le roccie della serie permo-triassica sono le meno plastiche e le più resistenti La loro sparizione riesce anzi tanto meno spiegabile pel fatto che, ammettendone col Kilian la continuità di se- dimentazione, la potenza delle quarziti sotto ai calcari del Péou-Roc al lago Paroird dovrebbe essere stata considerevole, a giudicarne dalle grandi masse quarzitiche che trovansi a breve distanza alla Blachière ed a Combe-Brémont, delle quali quella supposta al lago Paroird do- veva essere il prolungamento. La stessa osservazione potrebbe ripetersi per gli scisti permiani che pure esistono sotto le quarziti a Combe-Brémont, poggianti ad un lato della valle direttamente sui calcescisti, dall’altro coll’intermezzo d’una massa di oficalce. Quanto a me, io trovo assai più semplice e più razionale lo am- mettere che l’assenza delle quarziti come degli scisti permiani, sia piuttosto dovuta al mancato deposito, cagionato dalle condizioni ba- timetriche del fondo, costituito qui dai calcescisti, su cui avvenne la sedimentazione; nel modo istesso con cui comunemente avviene la sovrapposizione di due terreni discrepanti per età, più giovani di quelli che qui consideriamo. ^ Loc. (;it. pag. .589. — 14 — . Anche questi fatti concorrono ad avvalorare l’idea che i depositi del sistema paleozoico-triassico siano avvenuti in una serie di de- pressioni diversamente profonde, state poi costipate e richiuse per pressioni laterali, in modo da produrre il parallefsmo di tutte le stratificazioni, e talora anche il ricoprimento di quelle più giovani colle più antiche. Cosi e non altrimenti potrebbero venire spiegate le note inclusioni di strati liassici e carboniferi fra gli scisti cristallini dei dintorni di Cévins, della Chambre in Savoia e del Freney in Delfinato, rimaste pizzicate fra gli gneiss ed i micascisti in masse allungate, laminate e secondanti perfettamente colle stratificazioni la scistosità dei terreni prepaleozoici. Comunque del resto vogliano interpretarsi le accennate condi- zioni di successione delle roccie paleozoico-triassiche ai calcescisti, vale a dire con o senza ripiegamenti, esse dimostrano sempre l’ante- riorità di questi alle prime, ed il distacco che deve necessariamente esistere fra i due sistemi. L’ammetterne la continuità sta contro a tutta la serie dei fatti teste esaminati, e contro tanti altri che pos- sono raccogliersi nello studio stratigrafico di queste formazioni, già esposti dallo scrivente nei precedenti lavori, alcuni dei quali avremo occasione di riandare nel corso di questa Nota. La discontinuità di serie fra i calcescisti e le roccie soprastanti non risultando tuttavia al Kilian così evidente come a noi apparisce, nella sua Nota citata (pag. 579) passa ad esaminare le varie ipotesi ohe potrebbero affacciarsi intorno all’età dei calcescisti. Egli dimostra facilmente dapprima che essi « non potrebbero esser nummulitici, « perchè nella valle dell’Alta Ubaye, sono nettamente inferiori alle « quarziti, agli scisti verdi considerati come permiani e che si sovrap- « pongono (al Col Longet), sopra scisti micacei probabilmente molto antichi ^ ». ^ Il collega ing. Stella considera questi micascisti cloritici del Col Longet, che io pure incontrai nel 1884 e che mi parvero intimamente connessi ai calce- scisti, come permiani; mentre nessun passaggio è mai esistito fra i veri scisti 15 — Lungo la valle deirUbaye, gli strati nummulitici s’incontrano difatti in serie regolare piolto aì^disopra dei calcescisti, da cui sono separati non solo dagli strati permiani e triassici, ma anche dai cal- cari liassici e titoniani; come si vede nella mia sezione generale pel Monte Viso. Soggiunge che non potrebbero essere interpretati come riferibili al Trias o rappresentanti del Giurassico metamorfico per le stesse ragioni e perchè ammettendo quell’ipotesi « sarebbe impossibile di rendersi conto della struttura della regione dove essi affiorano. » « Potrebbero esser considerati come carboniferi » perchè, egli dice, non abbiamo potuto constatare in nessun punto la sovrapposi- zione del terreno carbonifero ai calcescisti. Quanto a me, anche l’ipotesi che i calcescisti possano essere gli equivalenti del carbonifero è da escludersi senza discussione; poiché gli strati carboniferi sono dovunque intimamente connessi alle besimauditi ed agli altri scisti filladici attribuibili al Permiano, che sono a loro volta collegati per alternanze alle quarziti del Trias in- feriore, come osserva lo stesso Kilian, riportandone alcuni esempi talché sulla perfetta continuità della serie degli strati che nelle Alpi comprendono il periodo dal Trias al Carbonifero, non può cadere dubbio veruno. Ciò può vedersi chiaramente in tutti i luoghi dove la serie discende fino a quel piano del paleozoico: in Valle Stretta (Bardonnecchia), a Modano e Bozel (Savoia), a Camino (alta valle del Tanaro), ecc. E pure innegabile d’altra parte l’intima connessione dei calce- scisti cogli altri scisti cristallini di varia natura che li accompagnano : gneissici del Permiano ed i calcescisti. Secondo me si tratta di una delle tante lenti di micascisto sparse nella massa del calcescisto, come esistono lenti di calcescisto fra i micascisti e gneiss superiori. La roccia del Col Longet è del resto identica a quella che trovasi alquanto più a IN'ord nel vallone del Guil (Francia) sotto il Pie de Ségure, alla base della balza formata da una massa di diabase e da una lente di quella roccia, inserite nei calcescisti. ^ Loc. cit., pag. 581, 582, .583. — 16 — micascisti, gneiss, scisti cristallini ed anfìbolici, distribuiti per alter- nanze in forme lenticolari, tanto in profondità che in estensione, formanti col loro insieme quel grandioso complesso di roccie che so- vrasta allo gneiss fondamentale e che fu già distinto col nome di zona delle pietre verdi. Nessuna lacuna, nessun brusco passaggio si osserva fra le roccie di questo sistema, che passano le une alle altre per graduale transa- zione, come nessuna lacuna esiste fra il Carbonifero ed il Trias; mentre è manifesta la saltuarietà, la variabilità dei contatti fra le roccie dei due sistemi, come notammo anche nei pochi esempi della valle dell’Ubaye, che potrebbero venir ripetuti per molti altri luoghi. A fil di logica dovrebbesi perciò inferirne che come gli strati carboniferi formanti serie continua con quelli permiani e triassici non possono staccarsi in alcun modo da essi per riportarsi alla serie sottostante, cosi quegli strati non possono venir considerati come gli equivalenti dei calcescisti. Questi scisti devono perciò essere considerati come più antichi del Trias e del Permiano, non solo, ma anche del Carbonifero; come del resto lo stesso Kilian finisce per convenire. ^ Il fatto della man- canza di sovrapposizione diretta del Carbonifero ai calcescisti, rimar- cato da questo geologo è dovuto a mera casualità ; perocché, anzitutto, nel vallone di Monfieis presso Demonte gli strati carboniferi, con tutta una serie di strati che rimonta sino all’Eocene passando al Permiano, al Trias ed al Giurassico (come ha luogo lungo l’Ubaye a partire dal Permiano) poggiano sopra le roccie verdi del Monte Pergo, le quali si associano ai calcescisti, sviluppatissimi lungo tutta una gran zona che dalla Stura risale verso Prazzo ed alla regione ^del Monviso, e si connette pure a quelli dell’Ubaye. Troviamo poi gli strati car- boniferi sovrapposti ai micascisti della Thuille (alta valle dell’Isère), a Peisey e nel vallone di Tillac in Val d’Aosta. Qui ed alla Thuille ^ Log. cit., pag. 580. — 17 — le due formazioni sonò anzi manifestamente discordanti, nel modo rap- presentato dalla Fig. 14 riportata più avanti e come già venne figurato sulla mia sezione pel Monte Bianco. * Ora questi micascisti sono gli esatti equivalenti dei calcescisti che vi si sovrappongono alla Sassière, vi si interpongono in Valgrisanche ed anche ad un livello assai più basso in Yalsavaranche colla zona che pel colle di Galisia penetra nella Valle dell'Aro ^ ; perchè le due forme eteropiche si sostituiscono, discendendo per successive alternanze e col corteggio delle roccie verdi sino allo gneiss fondamentale. Cosi nei dintorni di Ronco Oa- navese. In altri punti del gruppo del Gran Paradiso, a Locana, ‘sulla costa della Bellavarda, alla Ciamarella, ecc., le reciproche inser- zioni lenticolari e cuneiformi tra micascisti e calcescisti, sono cosi frequenti, le alternanze talmente fitte e numerose, i passaggi cosi graduali, che non è assolutamente possibile negare la loro contem- poraneità ed equivalenza. Analoghe associazioni di calcesciti, gneiss, micascisti e roccie verdi si potrebbero citare negli altri gruppi alpini, ad esempio, attorno al Monrosa, nel Monte Cervino, al Colle d’Ollen, ecc. ; le quali concorrono a dimostrare ad un tempo Tintimo legame delle roccie della zona di cui fanno parte e la grande antichità dei calcescisti. Essi sono certamente da considerarsi come precarboniferi; ed io li ritengo anzi prepaleozoici per ragioni ohe ora non m’indugio a svol- gere, poiché ciò non cambia la questione che qui viene agitata. Le conclusioni a cui perviene il Kilian colle sue osservazioni in valle dell’Ubaye, perfettamente logiche, da lui esposte con convin- zione e sostenute da esempi che io ho creduto di ampliare recando qualche schiarimento dedotto dalle mie personali osservazioni sia in ^ Sulla f/colof/ia delle Alpi occidentali. ^ In alto della Tallo di Rliémes, come risulta dai rilevamenti del collega ^lattirolo, dei lembi di calcare e di quarzite triassica trovansi sparsi ed impi- gliati indifferentemente tanto fra i micascisti che nei calcescisti, dimostrando una volta di pili l’assenza d’ogni legame fra queste e quelle roccie. ^2 — 18 ~ quella che in altre località, furono in seguito dà lui abbandonate per adottare le teorie sostenute dal Bertrand nei suoi ultimi lavori sulle Alpi Savoiarde, come egli dichiara in una Nota esplicativa sulle revi- sioni fatte al foglio di Aiguilles. " In essa egli conclude considerando « come acquisita la prova che i calcescisti deirUbaye, insieme a quelli del Queyras, del Monginevro, della Moriana e Tarantasia siano po- steriori al Trias inferiore e probabilmente per una gran parte lias- sici » ; la qual prova sarebbe però come vedremo, unicamente fondata sul difetto di cristallinità che egli riscontra negli gneiss e micascisti delle valli del Pellice sul versante italiano. A questo argomento, per verità troppo debole per servire di base a serie deduzioni, in altra Nota in collaborazione col Ziircher ^ egli aggiunge tuttavia alcune considerazioni stratigrafiche tendenti, come egli si esprime ^ a corro- borare le conclusioni del Bertrand che fissano la posizione stratigrafica dei calcescisti al di sopra degli strati liassici ». Esaminiamo brevemente le ragioni su cui il Kilian appoggia le sue nuove convinzioni. Inutile dire che egli non adduce argomenti paleontologici, come mancano completamente a tutti i propugnatori delle nuove teorie, per la ragione che i veri calcescisti^ quelli che racchiudono masse di serpentine, di roccie anfiboliche e cloritiche, e che si associano come forme eteropiche ai micascisti e gneiss supe- riori, sono quasi del tutto privi di fossili. Le considerazioni del Kilian sono adunque puramente d’ordine stratigrafico e litologico, come in causa del carattere dei calcescisti, negativo dal lato paleontologico, debbono necessariamente essere le mie. Sezioni a Chàteau- Queyras. — NelFordine stratigrafico, egli porta alcuni esempi tolti dalle nuove osservazioni fatte nel QueJ^ras; de- scrivendo dapprima la disposizione anticlinale del monticello di Chà- ^ Bull, (les Services de la Carte Gèologiqiie de France. Tomo X, 1898-99, pag. 187. ^ Ibidem, Nonveìles ohservations sur les schistes liisfre's, pag. 114. ~ 19 - teau-Qaeyras, dove i calcari triassici formerebbero un piccolo affiora- mento a cupola, interamente compreso fra i calcescisti. La disposizione anticlinale si troverebbe ripetuta ad Ovest di Obàteau Queyras nel Rocker de l’Ange Gardien, e poi più a Nord, presso il Col Tronchet, con apparizione delle quarziti nel nucleo delle pieghe. Questa piega di Col Tronchet si sdraia verso Est sui calcescisti della cresta di Rochebrune, dando luogo ad una sovrapposizione che il Kilian chiama « anormale » Egli dà di questi luoghi due Sezioni geologiche, per le quali chi legge può consultare le Note del citato Bollettino (pag. 145). Volendo ammettere, osserva il Kilian, che la sovrapposizione dei cal- cari del Muschelkalk ai calcescisti fosse normale, egli pone allora i due quesiti seguenti: i° Perchè non appariscono fra i calcescisti ed i calcari le quar- ziti triasiche, che pure affiorano nella rupe dell’ Ange Gardien, al Col Tronchet ed in altri punti vicinissimi al sottostrato? Sarebbe strano, egli soggiunge, che questa massa si resistente sia costantemente spa- rita fra i calcari e gli scisti ; " 2'’ In che modo la cupola calcare di Ohàteau-Queyras si trovo- rebbe da ogni parte attorniata dai calcescisti? Se questi fossero più antichi, sarebbe necessario ricorrere, per spiegare la loro presenza, a dislocazioni inverosimili. Farmi però che nè l’una nè l’altra delle condizioni accennate sia necessaria per spiegare i fatti surriferiti. Richiamerò all’uopo per un momento le idee che già esposi nella mia Nota più volte citata (pa- gina 216, fìg. 7‘). Se si suppone, come per tante ragioni sembra do- versi ammettere, che il deposito triassico sia avvenuto in epoca molto posteriore alla formazione dei calcescisti, ed in conseguenza, sopra un fondo già eroso, primi a deporsi su quel fondo cs saranno i banchi ^ Questa è appunto Fohbiezione che noi muoviamo al Kilian, laddove egli vorrebbe giustificare cogli scorrimenti la mancanza delle quarziti sotto ai cal- cari triassici del Lac del Paroird. — 20 di quarzite poscia quelli calcari k (fig. 4). Per la successiva costi- pazione degli strati, mentre i più antichi cs non possono risultarne che maggiormente compressi, laminati e raddrizzati, quelli più gio- vani dovranno necessariamente assumere una di queste tre confor- mazioni e posizioni stratigrafìche a seconda delle circostanze che ac- Fig. 4. Fig. 5. compagnano il movimento iniziale di sollevamento e di compressione: Possono cioè rimanere semplicemente impigliati fra gli strati antichi, senza ripiegarsi ; nel qual caso, il richiudersi di questi strati può dar luogo ad un vero ricoprimento anormale dei più giovani coi più antichi. Così avviene a Petit-Coeur, dove scisti ed arenarie carbonifere rico- prono gli scisti giurassici impigliati fra quelli e gli scisti cristallini. Oppure gli strati formanti il riempimento della depressione antica si ripiegano su se stessi, talora in sinclinale, nel modo espresso dalla fi- gura 5, caso che si verifica nella piega di Savoulx, che esamineremo più avanti. Talora invece il ripiegamento può dare luogo ad un anti- clinale, come rappresenta in q^ e kMa fig. 4, e come dev'essere avve- nuto nel Pocher de l’Ange Gardien, citato dal Kilian. ' Quest’ultimo modo sembra amzi il più naturale, se si rifletta che i lembi nuovamente deposti trovano in basso il posto già occupato, e che quindi, costretti dalle pressioni laterali a raccogliersi in minore estensione, devono aver maggiore libertà di sollevarsi nel mezzo che non ai due lati, strisciando contro la roccia incassante, come deve avvenire pel caso d’una piega sinclinale. — 21 - Esaminando le figure annesse, che rappresentano i due modi di ripiegamento, si capisce agevolmente come in entrambi i oasi pos- siamo darci ragione della mancanza delle quarziti tra il calcescisto ed il calcare triassico, per quanto le quar- ziti appariscano in località vicine ed anche nel nucleo d’una piega anticlinale, come è il caso di Chàteau-Queyras. In modo simile si spiega pure l’esistenza del Permiano e del Carbonifero alla base degli strati triassici e la man- canza di affioramenti di que- sti terreni all’orlo delle con- che prepaleozoiche in cui la serie fu depositata. Ciò av- viene in qualche gruppo tetto- nico più complesso ed esteso, come sarebbe quello della Valle Stretta presso Bardon- necchia (fig. 6), ove, oltre alla formazione triassica, incon- trasi pure la paleozoica. Ivi il Carbonifero, così svilup- pato nella cresta elevata che va dalla Punta del Char- donnet alla Gran Tempesta, riaffiora in varie pieghe an- ticlinali nel bacino di Valle Stretta soggiacente agli scisti permiani ed alle quarziti triassiche con- tenute fra i sinclinali, nei quali appariscono pure, come lembi staccati, O Xi O 1-2 ' é o P — 22 - i calcari del Monte Tabor e delle Rocche del Serù; mentre sull’orlo di questa serie di strati, lungo la valle della Rhò, i calcari triassici poten- tissimi vanno a poggiare direttamente sui calcescisti. Benché qui l’ incli- nazione dei banchi calcari e dei calcescisti sottostanti sia quasi la stessa, la discontinuità fra le due formazioni è manifesta, perchè il calcare triassico ritrovasi in lembi staccati ed anche in piccole masse sparpa- gliate sui calcescisti presso il colle della Rhò, al Piano dei Morti e lungo la stessa direzione nella Comba della Gorgia, sotto la Guglia del Mezzodì, al Col des Acles, eco , cioè a livelli disparatissimi ed in po- sizioni tali che sarebbe addirittura impossibile collegare, con una costruzione tettonica qualsiasi, alla massa dei calcescisti sottostanti. La sezione, sulla quale ritorneremo a suo luogo, spiega chiaramente la struttura geologica della conca di Valle Stretta ed il modo di suc- cessione delle varie formazioni, dai calcescisti agli strati carboniferi e permiani, e da questi alle quarziti ed ai calcari triassici, che appa- risce colla più grande evidenza a chi percorra questo estremo lembo delle Alpi occidentali. A dimostrare viemmeglio la ragionevolezza del mio modo di vedere rispetto alle sezioni di Chàteau-Queyras, sulle quali il Kilian richiama l’attenzione, presento qui due sezioni tolte da luoghi as^ai lontani ed in terreni molto diversi da quelli sui quali cade la di- scussione. La prima (fig. 7) attraversa il Monte Ventasse nell’appennino reggiano, dove, come è noto, gli strati eocenici vengono ad imbasarsi direttamente sopra i calcari del Muschelkalk, affioranti ampiamente lungo la Secchia. ^ Il gruppo del Monte Ventasse è formato da una massa di macigno ripiegata in vari anticlinali separati da galestri che, essendo soprastanti al macigno, occupano le conche sinclinali. Ora, stando all’ordine naturale di sovrapposizione delle tre roccie ^ ^ D. Zaccagna, Nuove osservazioni sui terreni costituenti la sona centrale dell’ Appennino adiacente all' Alpe Apuana. (Boll. R. Com. Geol., 1898, pag. 97). — 23 — .5 Co I jij ‘*3 si • • — 24 — sembrerebbe che ai calcari triassici dovesse necessariamente succedere il macigno, ed a questo i galestri. Invece sono i galestri che s’ inter- pongono fra il calcare triassico ed il macigno, tanto al principio che al termine deiranticlinale multiplo formante l’eminenza del Monte Ventasse, sia verso Vaibona che verso Busana, come rappresenta la nostra sezione. Anche negli altri affioramenti isolati di Trias, nella stessa regione, è sempre il galestro e non il macigno che attornia il calcare antico. Ciò trova la sua ragione nel fatto che le roccie terziarie formarono il riempimento di depressioni avvenute per erosione in terreni molto più antichi, e furono quindi insieme comprese e sollevate ; come deve essere avvenuto per il deposito degli strati paleozoici e triassici rispetto ai calcescisti e roccie concomitanti che ne costituiscono la base Se difatti al luogo del calcare triassico della valle della Secchia si ponga il calcescisto e si assimilino le quarziti al macigno ed i galestri al cal- care triassico, si riproduce il caso degli anticlinali dei dintorni di Ohateau-Queyras ; ma non per questo il macigno che forma il nucleo degli anticlinali di Monte Ventasse ed i galestri che lo ricoprono possono esser ritenuti come più antichi del calcare triassico perchè esso trovasi alla parte più esterna della serie ; come fanno talora i calcescisti rispetto alle roccie triassiche delle Alpi. Essi non sono che la roccia di base, la roccia abbracciante i lembi delle nuove forma- zioni, sopra quello deposte, insieme con tutte le loro accidentalità strati- grafiche da cui furono sconvolte durante i movimenti successivi. L’altra sezione (fig. 8) ci è offerta dal promontorio occidentale del Golfo di Spezia nel suo prolungamento settentrionale, un ^pOco più a Nord del Pignone. L’ossatura di questi monti è formata, come è noto, da un fascio di strati secondari, assai tormentati strati graficamente nella porzione meridionale della catena, ma quasi regolarmente disposti in anticlinale nel punto in cui è condotta la sezione, sebbene siano rimasti inegualmente erosi sui due lati della piega nelle epoche ante- riori al deposito terziario. Mentre sul ramo Ovest dell’ anticlinale si ha una serie quasi completa con strati retici, liassici, giuresi e ere- 25 — tacei, cui succede il macigno eocenico, verso Est si adagiano diret- tamente sul Retico i galestri eocenici con intercalazioni di masse di eufotidi e di serpentina ; a cui succede, per rovesciamento, il macigno che va poi sviluppandosi verso il torrente Vara, in un grande anti- clinale doppio, nuovamente rovesciato a guisa di ventaglio sui gale- stri e sopra la grande massa di serpentina di Cavanella. Anche in questa sezione adunque, mentre il macigno, che è qui la roccia più profonda delfEocene, dovrebbe poggiare direttamente sul Retico, abbiamo invece il contatto anormale dei galestri superiori al macigno come a tutte le roccie della serie, colla roccia più antica affiorante in questo luogo. Che poi questi galestri, siano veramente quelli che sovrastano abitualmente al macigno e non un interstrato, od un substrato di esso, non può esser messo in dubbio ; poiché poco più a Sud, la stessa piega a ventaglio modificandosi ed acquistando la forma d’un anticlinale regolare, ritroviamo il macigno che viene a frapporsi tra il Retico e questi galestri ; i quali restano per tal modo compresi in un sinclinale rovesciato, evidentissimo. Anche la presenza delle masse serpentinose attesta del resto della posizione stratigrafica dei galestri ; poiché nel nostro Eocene, esse sono, come è noto, esclusive del piano galestrino soprastante al macigno. In conclusione parmi di avere con questi esempi dimostrato a sufficienza che possono darsi degli anticlinali costituiti da roccie re- lativamente giovani, compresi nella massa di strati assai più antichi, senza che per questo si debba rovesciare la cronologia di quelle for- mazioni; e che quindi non é dimostrata la deduzione dei Kilian che i calcescisti abbraccianti gli anticlinali del Queyras debbano essere ne- cessariamente considerati come più giovani delle roccie triassiche ohe li costituiscono per la ragione che l’ordine di successione naturale di quelle roccie a partire dal nucleo (quarzite, cui succedono i calcari del Muschelkalk), porterebbe a giudicare i calcescisti come soprastanti a questi calcari, soltanto perché più esterni e più o meno apparente- mente concordanti con quegli strati. E neppure é necessario l’ammettere che le quarziti, le quali do- 20 — vrebbero trovarsi secondo il Kilian tra i calcari ed i calcescisti, vi manchino per inverosimili ragioni meccaniche, le quali avrebbero do- vuto costantemente disperderle lungo quel contatto, mentre poi affio- rano in punti vicinissimi a quelli considerati. La ragione di questa mancanza è tutt’ altra di quella immaginata dal Kilian, come lo pro- vano le due sezioni illustrate, dove il macigno manca tra i galestri e le roccie secondarie, benché a breve distanza trovisi sviluppatis- simo sotto ai galestri, cioè in serie normale. Veduto come possano e debbano a mio avviso, spiegarsi le se- zioni del Queyras, domando a mia volta al signor Kilian come egli spieghi, secondo le sue nuove vedute^ le sezioni delPUbaye da lui de- scritte e delle quali non fa cenno nei suoi ultimi lavori, probabil- mente perchè ivi le quarziti (Trias inferiore) vengono ad interporsi fra il calcare di Villanova (Muschelkalk) ed il calcescisto, epperciò è resa impossibile per quelle sezioni ogni altra interpretazione di- versa da quella già datane da lui e da me. Lo affermava egli stesso nella sua Nota ; aggiungendo che am- messa l’ipotesi d’una età triassica o giurassica pei calcescisti, come egli coi colleghi propende ora ad ammettere, sarebbe impossibile ren- dersi conto della struttura geologica della regione nella quale essi af- fiorano. Se infatti si pigliano le mosse dal lembo di calcare triassico fian- cheggiato direttamente dai calcescisti che costituisce le rupi del Peou- Eoc, soprastanti al lago Paroird, (vedi fig. 2 del Kilian) questo do- vrebbe, secondo le nuove idee, considerarsi come il nucleo d’un anti- clinàle formato dal calcare del Muschelkalk avviluppato dai calcescisti più giovani. Ma come spiegare allora la presenza delle quarziti pas- santi evidentemente sotto all’altro lembo di calcare, tipo Villanova., presso Combe-Brémont 1 E le filliti permiane che si frappongono fra questi quarziti ed i calcescisti ? Abbiamo qui evidentemente una serie, discendente dai calcari; di Villanova ai calcescisti, che non può accordarsi colla ipotesi di una nuova piega anticlinale dei calcari triassici, i quali trovandosi in — 27 — serie con rocoie indubbiamente più antiche (le quarziti e gli scisti permiani), dovrebbero occupare il centro d’una piega sinclinale, an- ziché formare il nucleo d’una anticlinale. Quindi i calcescisti, che sono più profondi degli scisti permiani, epperciò più antichi, lo sono a maggior ragione delle quarziti e dei calcari triassici. La conferma di questi fatti la troviamo chiaramente espressa nella sezione naturale che si offre sull’altra sponda della valle nelle rupi del Signal de Maurin (2663"^) che s’innalzano poco a Sud di questo abitato ; sezione già rappresentata nella fig. 2 di questa Nota. Ai calcescisti formanti la massa della Tote de Miejour, succedono in serie ascendente ana geniti e quarziti permo- triassiche che occupano gli avvallamenti da cui è fiancheggiata la costola dirupata che, dal Segnale, sulla pendice occidentale, discende con forte rilievo sin presso all’Ubaye. La cresta è formata di calcare triassico che resta compreso in una piega sinclinale delle quarziti-anageniti, figurata anche dal Kilian, ^ ed in modo cosi evidente, da escludere ogni altra interpreta- zione. I calcari triassici occupano qui adunque indubbiamente il sommo della serie, mentre i calcescisti ne costituiscono la base, al disotto delle anageniti permiane. Ho creduto soffermarmi alquanto nella discussione della costitu- zione geo-tectonica dell’alta valle dell’Ubaye, essendo quella una re- gione ricca di fatti stratigrafici chiari ed istruttivi, dell’importanza e della conseguenza dei quali non si tenne, parmi, finora il debito conto. Ma veniamo alle ragioni litologiche date dal Kilian a sostegno delle sue ultime idee. In altra parte dello stesso Bulletin de h Carte Géologique^ ^ egli osserva adunque che estendendo le sue ricerche alle parti vicine alle Alpi Piemontesi, e segnatamente alla valle del Pel- lice, potè assicurarsi che i calcescisti, tanto sviluppati nel Queyras, vanno appoggiandosi ad Est colFintermezzo di scisti serpentinosi e * Stnicture fieologìqiie, ecc., pag. 074, fig. 1. * Tome X. mars 1898, pag. IBÓ. — 28 — di intercalazioni eruttive di roccie basiche, sopra un insieme di scisti più o meno cristallini, riferiti dalla maggior parte dei geologi italiani al terreno prepaleozoico e di cui qualche zona fu descritta come dei veri gneiss e micascisti. Esaminando davvicino questi « scisti cri- stallini » e questi « gneiss » il Kilian li giudica molto lontani, come aspetto, dagli scisti e gneiss precarboniferi delle Alpi francesi (Bel- ledonne, Mont Blanc, ecc.j^ Secondo lui si tratterebbe di micascisti, di quarziti filladi che presentanti spesso (Bobbio) l’aspetto di vere arenarie metamorfiche analoghe ai grès carboniferi del versante fran- cese, ma alquanto più cristallini e più laminati. I gneiss di Luserna sarebbero delle quarziti feldspatiche laminate, micacee ; identiche a quelle che costituiscono certi banchi del Trias inferiore e del Per- miano nel Brianzonese. Nota infine che letti grafitiferi e traccie di conglomerati sono stati segnalati fra questi strati, deducendo dall’in- sieme di questi fatti che i calcescisti del Queyras hanno verso l’Ovest come sottostrato i calcari dolomitici e filladici del Trias, mentre ad Est vanno appoggiandosi sopra un sistema di quarziti e micascisti (gneiss e micascisti degli italiani) 'prohahilmente permo-carhoniferi e forse anche comprendenti le quarziti del Trias inferiore. Conclude emergere la necessità di riguardare i calcescisti come i rappresen- tanti del Trias superiore e del Lias, specialmente nella considerazione che in alcuni punti delle Alpi francesi (Bonneval-les-Bains, Mou- tiers, ecc.) degli strati incontestabilmente liassici prendono il facies « lustrò » e la struttura intima (microscopica) degli scisti del Queyras. La solidità degli argomenti sui quali queste deduzioni del Kilian sono fondate è assai discutibile. Certo non può escludersi che quelle roccie del versante italiano, benché metamorfosate più o meno pro- fondamente, abbiano esse stesse origine sedimentaria. Nessun geologo ha mai finora trovato e segnalato il limite inferiore della serie geologica a cui si arrestano le roccie che ripetono la loro natura da depositi subacquei detritici od organici ; e benché la scala ammessa per questi terreni non si spìnga oltre al Paleozoico, perchè soltanto a partire dagli strati cambriani la suddivisione è resa razionale e pos- — 29 — sibile dalla presenza dei fossili, non ancora cancellati dall’azione me- tamorfica, è ben certo che l’inizio dei depositi sedimentari risale ad epoca assai più remota ed indeterminata. Nessuna meraviglia quindi che nei terreni considerati come arcaici dalla maggior parte dei geo- logi italiani si possano incontrare dei banchi grafitiferi e delle traccie di conglomerati ^ ; ed anche possa constatarsi che la forma cristallina degh elementi di cui si compongono non sia cosi nettamente spiccata come vorrebbe il Kilian. Ma dall’ammettere ciò al desumerne cosi facilmente che quegli gneiss siano da riferirsi al Permo-carbonifero od anche al Trias per la deficienza di struttura cristallina, mi sembra spingersi un po’ troppo nell’ipotetico. Abbiano pure, quegli gneiss, l’intima struttura di .quarziti ; non è certo però l’esame microscopico di essi che potrà farne cambiare la posizione stratigrafica; la quale è troppo bene assodata da coloro che studiarono il versante italiano. E qui appena necessario ricordare qual parte abbiano i detti gneiss minuti e tabulari nella potentissima formazione che sovrasta quella dello gneiss fondamentale, e la loro intima associazione ai micascisti, ai calcescisti e roccie verdi diverse ; della quale non è possibile affer- rare l’indole con alcune rapide escursioni, come quelle fattevi dal Kilian. Tentare una separazione cronologica, sia pure limitata ad una qualsiasi costruzione tettonica che accenni a ripiegamenti in una tale congerie di roccie, cosi intimamente collegate, sarebbe opera vana ed irrazionale ; e da ciò la necessità di comprenderle in queU'unica ^ Come esempio di confronto farò notare a questo proposito che, nella serie delle roccie ci istalline dei dintorni di Annaberg (Erz-Gehirge). micascisti e gneiss non dh’ersi dai nostri, e ritenuti arcaici, si associano identicamente a lenti di anfiboliti, calcari cristallini, scisti quarzitici e grafitici : nè vi mancano le masse di conglomerato (Ober-Mittweida). Queste roccie passano superior- mente a fiditi micacee, feldspatiche e quarzose, formanti la zona superiore deir Arcaico, simili a quelle della Calabria, che io ritengo rispondenti ai nostri calcescisti. Ad ogni modo, interessa qui il notare che tutte queste roccie vanno a sottoporsi ai terreni paleozoici, i quali occupano una depressione sinclinale lungo la zona Zwikau-Chemnitz. (Tedi Geologischc Specialkarfe des Konigr. Sachsen alla scala di 1/25000 e note esplicative). — 30 — zona che fu detta molto felicemente dall’illustre Gastaldi delle pietre verdi. La quale, malgrado la enorme estensione e potenza, che acquista nel versante italiano delle Alpi, mai ha fornito elementi atti a di- mostrare un ritorno in serie per pieghe anticlinali e sinclinali, che il prof. Kilian prodiga invece nel piccolo tratto di forse 2 chilometri che va dal Eric Bouchet al Col di Malaure \ sulla cresta di confine al fondo della Val Peilice. Io vedo invece che queste roccie della zona delle pietre verdi, a partire dalle più profonde, lungi dal prestarsi ad interpretazioni tet- toniche complicate, mostrano di svilupparsi secondo una progressione uniclinale, continua ed ascendente, fino alle roccie della serie fossili- fera, nel modo già troppe volte ripetuto ; cioè con prevalenza degli gneiss minuti e dei micascisti nel basso e con intercalazioni di calce- scisto ; il quale finisce per converso ad avere il predominio in alto della serie, quantunque non cessino le intercalazioni di micascisti, gneiss cloritici diversi e roccie verdi, che compariscono a tutti i livelli. Ma riportandoci alle particolarità di quegli gneiss di Val Peilice a cui accenna il Kilian, neppure la loro forma litologica potrebbe venire in aiuto alla ipotesi della permicità di essi; poiché, non è as- solutamente possibile confondere questi gneiss tabulari, neppure lon- tanamente, cogli scisti gneissici riconosciuti veramente permiani, dei quali ho io stesso segnalato tanti esempi nelle Alpi liguri ed occiden- tali, che si mostrano in istretto collegamento cogli strati certamente carboniferi e triassici. Se quindi gli esempi di confronto attinti dal Kilian nel Brianzonese ed alla Vanoise sono veramente corrispon- denti ai caratteri degli gneiss di Val Peilice, vi è luogo a dubitare che anche quelle roccie siano state cronologicamente e stratigrafica- mente ben determinate. Contro l’opinione del Kilian, io trovo invece che quegli gneiss e ipicascisti hanno il loro esatto riscontro cogli scisti che nel gruppo di Belledonne, delle Grandes Kousses e del Monte Bianco, accompa- ^ Ibidem, pag. 138, fig. 1. - 31 gnano il nucleo gneissico-granitieo di quella zona occidentale di mas- simo sollevamento alpino, come può convincersi chiunque abbia potuto vederle anche di passaggio ; si associano alle stesse roccie verdi che esistono nella zona occidentale del versante italiano e furono del pari distinte dai geologi france’si nella categoria delle roccie meno cristal- line. Eppure questi scisti, anche nelle nuove Carte, furono ritenuti come più antichi del Carbonifero ; poiché questo terreno vi è infatti in più luoghi impigliato in inclusioni cuneiformi, nel modo che venne non ha guari accennato. Aggiungasi che fra quelle roccie della valle del Pellice, che fu- rono supposte riferibili al Permiano ed al Trias inferiore, ed i calce- scisti ritenuti del Trias superiore od anche del Lias, il Kilian non spiega il perchè venga appunto a mancare il Trias medio, cioè la zona dei Calcari compatti del Muschelkalk che pure non fa mai di- fMo laddove si mostra la serie bene autentica dal Permiano al Trias superiore. In conclusione, io non vedo le ragioni per cui questi gneiss deb- bano, nè qui nè in altri punti del versante italiano delle Alpi, rin- giovanirsi sino al Paleozoico. 11 loro intimo collegamento ai mica- scisti, ai calcescisti ed alle roccie anfiboliche, cloritiche e serpentinose, che li accompagnano per alternanze e sfumature in tutta la grande massa che sta tra lo gneiss fondamentale ed i calcescisti più alti della serie, ci dimostra che queste roccie formano una serie potentis- sima e continua, nella quale l’unico motivo stratigrafìco evidente è quello che risulta dalla loro distribuzione attorno ai vari nuclei dello gneiss centrale, nel modo tante volte descritto. Quando io vedo poi sopra questo insieme di roccie appoggiarsi il Paleozoico, cui fan se- guito colla più grande regolarità i membri del Trias, del Lias, eoe.; cioè tutta la serie alpina dei terreni fossiliferi, dal Permiano, come in valle dell’ Ubaye e dal Carbonifero, come nella valle della Stura di Cuneo (Monfieis), rimontante fino all’Eocene; e che anzi talvolta, oltre questa zona più esterna e continua della serie fos- silifera in parola, si ritrovano in lembi staccati i membri di essa. — 32 - sparpagliati disordinatamente fra le roccie sottostanti (Ubaye) ed in posizioni tali che non sono altrimenti spiegabili che con una discordanza od almeno una discontinuità di serie e di formazione, io mi credo autorizzato a ritenere che quelle roccie sottostanti alla serie fossilifera appartengano ad un altro sistema affatto distinto dalle prime; e che inoltre, per la loro posizione stratigrafica, per il loro aspetto e composizione e per tutte le particolarità delle loro associa- zioni con anfiboliti, serpentine, calcari saccaroidi, ecc., siamo in pre- senza di quelle roccie antichissime, prepaleozoiche, che vennero con- siderate tali da tutti i geologi, anche all’infuori delle Alpi, nelle re- gioni meglio studiate. Replicando ad alcune mie osservazioni concernenti l’estensione da esso assegnata alle filliti permiane nel gruppo della Vanois#, il Ter- M£ER, dopo una benevola analisi critica della mia Nota sulla geologia delle Alpi Graie, ^ rileva che il disaccordo esistente fra me e lui in- torno a quella regione si restringe sostanzialmente a due soli luoghi: l’alta valle del Doron di Champagny e Tanticlinale della Vanoise nel vallone d’Entre-deux-Eaux. Valle del Doron Entre-deux-Eaux. — Gli scisti micacei affioranti nel fondo di queste valli sotto al Trias e sotto al Paleozoico, che io attribuisco all’Arcaico, dovrebbero secondo il Termier riportarsi an- cora al Permiano. Egli mi fa appunto di astenermi dal discutere gli argomenti sui quali ha basato la sua interpretazione e di appoggiare la mia soltanto sopra argomenti tolti dall’aspetto litologico di quelle rocce. Mentre frattanto egli non ne produce altri d’indoìe diversa, l’osservazione del Termier non è del tutto esatta ; perchè insieme alle ragioni provenienti dall’esame dei caratteri litologici, da cui risulta l’identità di quei micascisti con quelli di Bonneval, indubbiamente ^ P. Termier, Sur le perni ien dii ina ssì f de la Vanoise. (Bull, de la Soc. géol. de Prance, T. 21, pag. 124). — 33 — arcaici, nella mia Nota è largamente discussa anche la loro posizione stratigrafica; avendo dimostrato ^ come la propaggine arcaica costi- tuente l’ossatura della Vanoise accenni alla forma d’una cupola, sulla quale evidentemente sono imbasati i calcescisti del Gran Vallon, del Chatelard e del Méan Martin. Ohe mentre il contatto fra questi due piani delle roccie arcaiche resta per gran tratto celato dalla massa dei calcari del Monte Lan- serlia, del Ture e del Rocher du Col, che sono accollati sopra gli scisti cristallini, i calcescisti arcaici ivi affioranti nella parte alta del vallone sotto la balza del Pié-du-Col, sono in discordanza col calcare triassico soprastante e si associano invece perfettamente ai micascisti e scisti anfibolici e cloritici sottostanti, nei quali è scavata la gola del Doron di Thermignon. Che fra questa cupola ed il gruppo principale della massa del Moncenisio, dove ricompaiono i micascisti, ha luogo una piega sin- clinale, la quale si manifesta nel tratto di catena suindicato, diretta sino al Chatelard pressapoco da 0 S-0 ad E-S-E; oltre il qual punto la piega volta a Nord, complicandosi ancora presso Bonneval, perchè il manto delle roccie arcaiche superiori deve adattarsi anche al nucleo cristallino del Gran Paradiso. I micascisti della Vanoise sono in una parola, un affioramento più a valle di quegli stessi che a Bonneval rivestono lo gneiss centrale ed appartengono quindi alla parte pro- fonda della zona delle pietre verdi. Il loro collegamento coi calcescisti non può d’altronde volgersi in dubbio da chi li osservi nella balza del Pié-du-Col, al Monte Malamot sull’altipiano del Moncenisio e nei pressi di Bonneval, dove li vediamo uniti con ripetute alternanze fra loro e colle roccie verdi. I calcari e le quarziti triassiche che si addossano indifferentemente tanto ai micascisti che ai calcescisti in lembi staccati ed a tutte le altezze, a cominciare da quelli che si trovano sul fondo della Valle ^ D. Zaccagna, Riassunto, ecc., pag. 242 e seg. 3 — 34 — dell’ Are sulla rotabile fra Thermignon e Lanslebourg, a quelli rimasti a mezza costa sovrastanti a Lans le-Villard ' ed alle masse del Pré- du-Coin, del Ture e del Rocber-du-Col che coronano le alture, oltre alla saltuarietà della loro posizione, hanno tutt’altro andamento e di- mostrano all’evidenza che questi depositi triassici, ora smembrati, for- marono già il riempimento dell’antica conca tettonica già erosa, a cui si è sopra accennato ; la quale divenne eziandio, ed è rimasta dappoi, una conca orografica, nella quale scorre attualmente il tratto supe- riore dell’Aro. È affatto insussistente quanto afferma il Termier che, cioè, tra i calcescisti ed i micascisti in questione sia costantemente frapposta una zona di Trias ; perchè la massa triassica del Rocher-du-Col è quella stessa che si prolunga al Ture ed ai Chalets de Chavière, e passa quindi interamente sui calcescisti, che ricopre dai casolari di Fonta- gneux al Pré-du-Coin sullo sperone di Thermignon; senza dire dei calcari sopra citati che vi fan seguito nella Valle dell’Aro, cadenti in piena massa dei calcescisti. Da tutto ciò emerge una volta di più, e molto nettamente, la man- canza di ogni nesso fra questa serie delle quarziti e calcari triassici e quella arcaica dei micascisti e calcescisti, malgrado il parallelismo locale che il Termier osserva al Rocher-du-Col fra i micascisti e gli strati triassici; i quali si deposero evidentemente sopra uno scaglione formatosi tra micascisto e calcescisto, come sovente accade per l’ineguale erosione, al contatto di due roccie di diversa natura. Quei micascisti non possono in conseguenza esser passati in serie colle roccie triassiche che vi sovrastano e neppure rappresentare stratigraficamente gli strati permiani, da cui verrebbero ad esser separati per lo meno da tutto l’enorme spessore dei calcescisti, quivi mancanti soltanto a causa di una denudazione che ha preceduto il deposito del Trias. Ciò è tanto vero che dove la formazione dei micascisti e calcescisti è spoglia di ^ Tedi la fig. della nota citata. — 35 — lembi triassici, come avviene, per non dipartirci dai luoghi or ora citati nelle vicinanze, al Pié-du-Col, al Monte Malamot ed a Bonneval, si ha il passaggio diretto dall’una all’altra delle due rocoie arcaiche senza il concorso della zona triassica osservata dal Termier al Rocher- du-Col. D’altra parte, si è visto in precedenza (in Valle dell’Ubaye) qual sia, rispetto ai calcescisti, la posizione dei veri scisti permiani e degli strati triassici ; la quale, per poco che si esamini, si troverebbe nel maggior disaccordo colla successione immaginata dal Termier in appoggio alla sua ipotesi della permicità dei micascisti della Vanoise. È quindi indubitato che l’interpretazione tettonica da lui data alle sue sezioni ed 8‘ deve essere profondamente modificata nel senso di restituire all’Arcaico i micascisti, portandoli a contatto coi calce- scisti sovraincumbenti e figurandovi il Trias come accollato sopra quelle roccie arcaiche. Alle ragioni strati grafiche dimostranti esuberantemente Timpossi- biiità di ordinare nel Permiano i micascisti della Vanoise, che già ri- sultavano in gran parte dalla mia nota citata, vengono ad aggiun- gersi le ragioni litologiche. Quegli scisti, mentre sono, non dirò ana- loghi, ma identici a quelli, appartenenti alla stessa zona, di Bonneval, del Moncenisio, del JMonte Ambin, della Val di Susa, di Valgrisanche, del Brévent, del Grand Mont e di tanti altri luoghi dei vari gruppi alpini, sia sul nostro che sul versante francese, sono invece diversis- simi come aspetto, da quelli da me segnalati e reputati permiani nelle Alpi liguri, nella Val d’Aosta, in Valle Stretta, a Modano, Champagny, Boze] e Moutiers in Savoia, aventi il tipo della besimaudite, ^ op- ^ A proposito della hesimaudite^ il Termier avverte in nota (l. c. pag. 132) che egli evitò di servirsi di tale denominazione, perchè alcuni campioni della roccia provenienti dalla località classica del Monte Besimauda, invece che degli scisti gneissici sarebbero risultati dei tufi eruttivi, secondo l’esame fattone dal Gilmbel. Ma è noto che forme porfiriche con tufi porfirici accompagnano abi- tualmente le forme gneissiche più o meno compatte e filladi che della besi- maudite, tanto al Monte Besimauda che negli altri luoghi in cui tale formazione si mostra. Così al giogo dello Spinga, dove la roccia in questione è pure molto — 3G — pure di scisti filladici granosi o rasati, rossi, violacei e verdastri, si- mili a quelli dell’alta valle della Roja, del Monte Chaberton di Combe Brémont, del Colle di Chavière, eco. Nè mai in nessuno di questi luoghi, le Alpi liguri comprese, dove il Permico, enormemente svilup- pato, presenta eziandio molte varietà litologiche, mi accadde di in- contrare delle forme analoghe a quei micascisti, che hanno tipo prettamente arcaico ; e tanto meno le intercalazioni di roccie cloritiche, anfiboliche e serpentinose che essi offrono costantemente qui alla Yanoise come in ogni altro punto, senza eccezione, sui due versanti delle Alpi. Il Termier tuttavia sostiene la permicità di quegli scisti, basan- dosi principalmente sopra i risultati dell’esame microscopico, fattone in confronto di quelli provenienti da altri punti incontestabilmente permiani. Egli ne trova 1 identità nei piccoli minerali di metamor- fismo che li accompagnano e nel modo di presentarsi dei feldspati in noduli posteriori alle filliti. ' Se non che riconosce egli stesso la forte differenza di cristallinità delle due roccie, soggiungendo che « negli scisti della Yanoise la struttura è più omogenea, i minerali accessori individualmente meglio formati e più voluminosi ; l’aspetto è affatto arcaico. ^ » sviluppata, trovasi egualmente associata a forme tufoidi scistose, che il Matti- rolo indica come scisti porfiroidi del Permiano (v. Boll. R. Comit., 1895, pag. 108). Anche dal Kilian si obbietta la variabile composizione di quella roccia, perchè se ne possa fare una specie litologica a parte. Ma è inteso che con quella denominazione, più che una specie litologica, si è voluto distinguere una forma- zione ben determinata. A me parve che quegli scisti talcoidi (sericitici) a noduli feldspatici e quarzosi, aventi forma gneissica più o meno spiccatamente cristallina, fossero abbastanza caratteristici per potersi chiaramente distinguere con una sola parola in luogo di ricorrere ogni volta ad una circonlocuzione. Anzi lo sono tanto, che chi li vide una volta, difficilmente potrebbe confonderli con altra roccia; ed è pressoché sicuro di poter fissare in un col tipo di essa anche il piano geologico a cui va riferita. La parola macigno, per esempio, non è adoperata comunemente da noi per indicare tipi variabilissimi di quella formazione arenacea che costituisce un piano determinato del nostro Eocene? ^ P. Termier, Sur le permien, ecc., pag. 130. ^ Id., Etiides sur la constitution géologiqne dn massif de la Yanoise (Bui. des Services de la carte géol. de Erance, ecc. n. 20), pag. 21. - 37 Altrove, ^ egli constata in questi scisti la sparizione degli ele- menti nettamente detritici e l’apparizione di scisti ad anfibolo ed a glaucofane che non si trovano negli altri sicuramente permiani. Ora, mentre i primi caratteri non bastano a provare la comunanza d’età delle due roccie poste a raffronto, questi ultimi militerebbero piuttosto in favore dell’arcaicità dei micascisti ; tantoché per ispiegarne la dif- ferenza di struttura e di composizione cogli scisti che io ritengo per- miani, egli ricorre alla ipotesi di un metamorfismo crescente da Ovest ad Est dove esistono scisti certamente permiani, nella regione della Yanoise; ipotesi però che includendo l’idea della contemporaneità delle roccie in questione, non verrebbe ad esser sorretta che da quegli stessi fatti che si tratterebbe di provare. E quando anche fosse tra esse, ciò che non è, identità di compo- sizione mineralogica, è egli logico giudicare dell’età di una roccia, fondandosi esclusivamente sopra l’analisi micrografica f Non può, ad esempio, un’arenaria eocenica risultare identica anche all’esame mi- croscopico ad un’altra riconosciuta triassica, come trovasi nelle Alpi Apuane; mentre, a parte la stratigrafia, giudicando delle due roccie semplicemente dall’ aspetto esterno , si troverebbero sensibilmente diverse? Quanto a me, sono convinto che, qualora in mancanza di dati più positivi, si dovesse fare assegnamento sui caratteri litologici, valga molto meglio ad orientare il geologo nelle sue ricerche, l’espe- rienza acquisita che resegli famigliare la fisonomia delle roccie d’una data regione per assegnarle ai piani abitualmente occupati da esse, che non i criteri attinti all’esame microscopico delle roccie medesime. Io vedo intanto, che per gli scisti permiani, abbiano essi la forma sia della besimaudite che delle argilloliti, per quanto siansi incontrati in luoghi fra loro lontani ed in masse staccate, mi venne fatto di rico- noscerli a primo aspetto, collocandoli senza esitare al posto che loro compete; nè mai questo primo giudizio risultò in opposizione colle ^ Sur le permien, ecc. pag. 130. — 38 — deduzioni stratigrafiche e paleontologiche successivamente avvenute; mentre l’ipotesi della permicità applicata a quegli scisti della Vanoise a facies arcaica trovasi, come si è veduto, immediatamente in disac- cordo colle altre argomentazioni tratte dalla stratigrafia e dall’asso- ciazione colle roccie concomitanti: circostanza questa che è troppo eloquente di per sè per arrestarci ad una più lunga dimostrazione della inammissibilità delle idee sostenute dal Termier cogli argomenti petrografie!, riguardo a quei micasciti. Valle del Doron di Champagny. — Dai micascisti del versante Sud passiamo all’esame di quelli del Doron di Champagny. Quei micascisti che oltre Fribuge fanno seguito alla massa di scisti indubbiamente permiani nella gola di Laisonnay e tra la Piagne ed i ghiacciai di Pramecou, sono dal Termier ascritti in parte ancora al Permiano, in parte al Carbonifero. Il Carbonifero, secondo questo autore, formerebbe una anticlinale tra le filliti permiane ; le quali sarebbero da un lato il prolungamento di quelle di Champagny passanti per le alture della Becca-Motta, del Grand Bec e del Vallonet. Quelle dell’altro lato sarebbero invece il prolungamento degli strati fra le Bois e Fribuge e formerebbero tutta la massa della Aiguille du Midi. Ambedue queste zone permiane reste- rebbero per tal modo comprese fra il terreno Carbonifero ed il Trias, nel modo rappresentato dalla Carta e dalle Sezioni date dallo stesso Termier. ^ Trattandosi di una località non visitata da me e descritta sulle indicazioni fornitemi dal collega Mattirolo, non mi è possibile impu- gnare l’esistenza di una massa di Ca.rbonifero tra Fribuge e Laisonnay, di cui, d’altronde è possibile la presenza fra il Permico e gli scisti prasinitici più a monte, secondo me arcaici, senza alterare in nulla la questione che qui ci occupa. Tanto meno potrei quindi entrare in particolari di limiti e di struttura tectonica. Mi saranno permesse tuttavia alcune considerazioni generali. Etiicles sur la constitutioii, ecc., pag. 104 e sez. 2^^ e 3*^, tav. I e II. — 39 — Anzitutto osservo che sebbene il Mattirolo abbia percorsa la valle rapidamente ed in condizioni assai sfavorevoli, le quali possono avergli rese difficili le osservazioni di dettaglio ed il tracciamento di limiti precisi, non è ammissibile però che esse fossero tali da impedirgli di distinguere le roccie permiane da quelle arcaiche; tanto è vero che sulla nostra Garba, tale distinzione fu fatta. Le zone incontestabil- mente permiane incontrate nella stessa valle al Villard di Champagny e tra le Bois e Fribuge, aventi il loro abito caratteristico di scisti gneissici e di fìlliti variegate, furono perfettamente riconosciute ; come ne vennero separati senza dubbiezze gli scisti più o meno cloritici ed anfibolici a facies molto antica situati a monte di Fribuge, presso Laisonnay, e descritti come micascisti schiettamente arcaici.- ^ Ora dovendo accettare l’ipotesi del Termier di un anticlinale car- bonifero racchiuso fra quei micascisti e gli scisti permiani di Cham- pagny-Fribuge, accadrebbe il fatto assai singolare, che a formare una stessa piega concorrerebbero sopra un ramo dell’ anticlinale degli scisti colla facies abituale del Permiano e sull’altro, cioè a brevissima distanza, degli scisti di tipo prettamente arcaico; cosa che invero si ritiene poco probabile. Quelle roccie, la cui profonda differenza colle altre del tipo solito del Permiano viene riconosciuta dallo stesso Termier % sono senza dubbio il prolungamento a Sud di quelle che nell’alta valle di Peisey formano la massa del monte Aliet e del monte Thuria o Mont Pourri ; cioè micascisti con frequenti intercalazioni di roccie verdi diverse, le quali ivi acquistano anzi tale sviluppo, da avere spesso il sopravvento sui micascisti che le accompagnano. Dipiù, nella valle di Peisey, la massa di calcare triassico che dall’ Aliet scende fino al lago della Piagne formandovi un costolone isolato, si applica direttamente sui mi- cascisti senza l’intervento della quarzite, ed anzi con marcata indi- * Riassunto di osservasioni ffeologiche, ecc., p;ig. 232. * Sur le permieUj ecc., pag. 126. — 40 — pendenza di stratificazione; poiché gli scisti sottostanti passano colla loro direzione e colle zone di roccie verdi intercalate, al di là della massa calcare, senza interrompere per nulla il loro andamento, ohe è affatto diverso da quello degli strati triassici. Queste circostanze dimostrano all’evidenza la mancanza d’ogni connessione tra la formazione dei micascisti e quella triassica sopra- stante ; poiché se quegli scisti appartenessero al Permiano, non dovrebbe mancarvi la zona delle quarziti, che pure sono sviluppatissime nelle vicinanze, od almeno l’accenno ad una transizione fra scisti e calcare e sopratutto la comunanza di andamento nelle stratificazioni. Ma non basta ; quei micascisti che dalla valle di Champagny sal- gono al monte Aliet ed al monte Thuria, sono la continuazione di quella zona arcaica che, attraversata la valle dell’Isére fra Tignes e la Thuille, scende in Yalgrisanche e viene a sottoporsi al Carbonifero passante tra la Thuille e Bourg-St. Maurice, e penetra poscia in vai d’Aosta per il piccolo San Bernardo. Tutte le esposte ragioni conducono alla conclusione che é impos- sibile convenire nell’idea del Termier di attribuire al Permiano, sia i micascisti del Doron di Thermignon, sia quelli dell’alta valle di Champagny. che sono, secondo me, indubbiamente arcaici, come già il Lory li aveva giustamente considerati. Concedo bensì che molte mende, specialmente di dettaglio, possano venir rilevate nella mia Nota e sopratutto nella Carta annessa, poi- ché ottenuta con mezzi impari all’entità del lavoro, come io stesso avvertivo presentandola quale un semplice abbozzo di Carta geologica della regione centrale delle Alpi Graje. Essa fu però in molte parti oggetto di minute osservazioni e di studi accurati; senza di che sa- rebbe stato impossibile afferrarne i tratti generali e desumerne quelle conseguenze sintetiche su cui si basa la stratigrafia della regione. Tra i luoghi studiati con minor dettaglio sono i dintorni di Mo- dano ; e potrebbero quindi essere probabilmente giustificati gli appunti che il Termier mi fa intorno all’ommissione sulla nostra Carta di lembi — 41 permiani in alto del vallone di Aussois ^ e sulla destra di esso fra le Eateau e l’Aiguille Doran, che dovrebbero, secondo lui, affiorare sotto alle quarziti. Ma qui oltre alle difficoltà di cui è cenno nella mia Nota, altre se ne opponevano di ordine militare, che in questa regione di con- fine riuscirono, per noi italiani, addirittura insormontabili. Può essere adunque, e risulta anzi probabile dalla descrizione fatta dal Termier, che degli scisti permiani autentici esistano infatti in quel vallone ; e che essi, assieme a quelli della zona Modane-Col de Chavière da me segnata chiudano in un sinclinale la zona triassica passante ad Est di quel colle fra Loutraz e la Pointe de l’Echelle; mentre una se- conda zona triassica rimontante da Aussois e Thermignon alla Dent Parrachée separerebbe quegli scisti del vallone di Aussois dai mica- scisti del Doron d’Entre-deux-Eaux. Ma ciò non implicherebbe il fatto che questi scisti della gola del Doron possano assimilarsi a quelli del vallone di Aussois ; notando anzi che i due tipi di roccie, cioè micascisti arcaici e scisti violacei, grigi e verdi a noduli quarzosi con facies veramente permiana, riesci- rebbero maggiormente avvicinati, e che la sola ultima zona di Trias dovrebbe nascondere il passaggio dall’uno all’altro tipo, cioè tutta la progressione del metamorfismo immaginata dal Termier. Probabilmente in questo tratto fra il Colle di Chavière e la re- gione d’Entre deux-Eaux si riproduce invece, pressapoco, il fatto stra- tigrafico che avviene fra la Valle Stretta ed il Colle della Rhò di cui ho dato la sezione schematica ; vale a dire, in seguito al riempimento di antiche depressioni, gli strati Carboniferi e permiani poggerebbero sopra un'ossatura arcaica e darebbero luogo a pieghe anticlinali, fra le quali rimasero le zone triassiche, di cui la più orientale viene a trovarsi in diretto contatto coi micascisti arcaici lungo il Doron d’Entre-deux-Eaux. ^ V. Sur le perniicn, ecc., p:ig. 129 in nota. * V. la Carta annessa alla mia Xota. — 42 Il Bertrand di cui sono noti gli studi generali sulla regione delle Alpi francesi, ed al quale è dovuto nella parte che qui ci interessa, insieme ad altri collaboratori, il rilevamento dettagliato dei fogli di Albertville, St. Jean de Maurienne e di Bonneval de] la nuova Carta geologica di Francia, espose le sue ultime idee intorno alla geologia alpina principalmente in una Nota intitolata « Études dans les Alpes francaises * ». Premesse alcune considerazioni sui motivi che lo indussero ad abbandonare le idee da esso adottate in conformità delle mie, con- cernenti l’età da assegnarsi ai calcescisti e roccie concomitanti, egli passa a svolgere un suo complesso sistema intorno al modo di rav- visare le formazioni alpine, applicandolo poscia a vari tagli geologici che egli viene interpretando secondo le sue nuove vedute. La se- zione di Maurin in valle dell’Ubaye e quella di Savoulx, in base alle quali egli aveva dapprima fondata la sua convinzione dell’arcaicità dei calcescisti, non potevano, secondo lui, accordarsi coi risultati delle suo ultime ricerche, specialmente con quanto egli vide in certe sezioni come sarebbe quella della Grande Sassière. Quelle sezioni non avreb- bero, secondo lui, potuto spiegarsi, se i calcescisti non fossero stati considerati come triassici. Bisognava adunque trovarne la spiegazione mediante una nuova teoria che permettesse di interpretare quelle sezioni in un unico modo. E parve al Bertrand di pervenire alla soluzione cercata imma- ginando di riunire tutte le formazioni alpine, siano esse appartenenti al periodo secondario, al paleozoico ed all’ arcaico iix una serie continua, di cui il termine più basso, il Permo-carbonifero, verrebbe a corrispondere alla parte più profonda dell’Arcaico, cioè allo gneiss fondamentale dei geologi che concordano col mio modo di vedere. Le altre roccie del sistema arcaico, gneiss, micascisti e calcescisti, dovrebbero essere distribuite, sia nella zona permiana, sia nelle varie ^ Y. Biilletin de la Société géologique de France, III serie, T. 22. — 43 — zone del Trias, che è il termine più alto in cui sarebbero riunite e confuse queste roccie colle altre note ed accertate ormai come trias- siche, cioè coi calcari e colle quarziti. A tale risultato egli giunge basandosi sui seguenti principi ge- nerali che egli prestabilisce ed applica alle sue sezioni : 1. La struttura a ventaglio delle Alpi francesi, il cui nucleo più antico, secondo il Bertrand, sarebbe costituito dalla zona carbonifera passante dalla Savoia al Delfinato. Le roccie che vi fan seguito, tanto le secondarie che quelle già considerate come arcaiche, si troverebbero sottostanti al Carbonifero a causa di rovesciamento sopra entrambi i lati della zona medesima. Sulla parte Est del nucleo, e passando anche al versante italiano, la pendenza uniclinale verso Ovest che si osserva in tutte le formazioni, sarebbe conseguenza di questo rove- sciamento. Essa però, secondo il Bertrand, risulterebbe da una strut- tura a pieghe isoclinali ripetute, anziché da una potentissima succes- sione di banchi regolarmente sovrapposti, come finora si è ritenuto dai geologi che studiarono quel versante orientale delle Alpi francesi ed il seguito della serie sul versante italiano ; oppìire come credeva il Lory da una ripetizione della serie causata da parecchie faglie verticali. 2. La triassicità dei calcescisti^ che egli considera come gli esatti equivalenti degli ordinari calcari triassici, sia cioè dei calcari com- patti del Muschelkalk, dei calcari filladici, delle camicie e dei gessi ; delle quali forme tipiche essi non sarebbero che una facies laterale, o come dicesi, una forma eteropica, che può sostituirli ad ogni livello. 3. Il metamorfismo crescente^ che da Ovest va accentuandosi verso Est, discendendo al tempo stesso di più in più profondamente nella serie, come avverrebbe ad esempio procedendo da Modano verso il Gran Paradiso e dal Mont Pourri verso il Ruitor. Questo principio già applicato, come si è visto, dal Termier ai micascisti della Va- Tioise, venne accettato dal Bertrand ed ampliato in modo da permet- tergli d'includere nel Permo-carbonifero persino lo gneiss centrale e di assimilare, come fa il Kilian nell’alta valle del Pellice, gli gneiss minuti alle quarziti triassiche. — 44 — È evidente che molti degli ostacoli che inceppano con troppo stridenti contraddizioni l’ipotesi d’una soluzione triassica pei calce- scisti, sopratutto in causa dei rapporti stratigrafìci colle roccie rico- nosciute indubbiamente come triassiche e paleozoiche e pei legami degli stessi calcescisti colle altre roccie della serie cristallina, me- diante le teorie adottate dal Bertrand, restano eliminati. L'enorme spessore di quella formazione calcareo-filladica colle sue numerose e svariate associazioni di roccie verdi che Taccompagnano, viene ridotto virtualmente ad uno spessore tanto esiguo, quanto si vuole, compa- rabile cioè a quello delle ordinarie formazioni in grazia delle pieghe ripetute (che però non sono visibili), supposte dal Bertrand, ada- giate le une alle altre in senso isoclinale. La difficoltà dipendente dalla sovrapposizione del Trias autentico ai calcescisti, che appa- risce con troppa evidenza in molte sezioni naturali, viene a spa- rire ; poiché gli elementi eterogenei di cui quel Trias si compone, cioè, calcari compatti dolomitici, breccie, camicie e gessi diventano gli equivalenti dei calcescisti ; i quali in conseguenza dovrebbero venir considerati non come una facies particolare, bensì la facies m nor-male del Trias alpino, in vista anche della grande estensione da essi occupata nelle Alpi, sia pure in dipendenza dei supposti molte- plici ripiegamenti. La sovrapposizione anormale di roccie innegabil- mente più antiche di questo Trias a facies calcare ai calcescisti, come le quarziti e gli scisti permiani, non sarebbe che apparente, secondo il Bertrand; potendo spiegarsi con pieghe anticlinali e sinclinali ac- compagnate, ove occorra, da scorrimenti che eliminarono, al momento opportuno, il ramo mancante della piega. Infine le evidenti differenze di composizione mineralogica e petrografìca tra le roccie considerate sinora come arcaiche e quelle considerate come triassiche o paleozoi- che, che tuttavia, secondo il Bertrand dovrebbero equivalere ; cioè fra micascisti e quarziti, fra veri gneiss e besimauditi, fra gneiss ghian- done e puddinga carbonifera, troverebbero la loro spiegazione nella idea del metamorfismo più o meno profondo, propagatosi nel modo sopra accennato. 45 — Non è quindi a meravigliare se con una teoria basata sopra questi principi, la quale permette di accomunare gli elementi più di- sparati, tanto in fatto di tettonica che di composizione ed aspetto litologico; che riduce, in una parola, enormemente i membri della serie dei terreni alpini, Tinterpretazione geo-tectonica resti cosi sem- plificata come la vede il Bertrand. Se non che, il metodo di dimostrazione da e so adottato, che racchiude troppo palesemente una petizione di principio, non po- trebbe accettarsi senza molte e giuste riserve ; poiché viene a stabilire a priori la meta a cui arrivare, facendo poscia convergere le argomen tazioni verso lo scopo prestabilito. Non ci avventureremo col Bertrand nelle dimostrazioni che egli ha escogitato a sostegno del suo assunto ; e solo seguendolo nella descrizione di alcune delle sezioni geologiche da lui illustrate, ci 'imi- teremo a quelle considerazioni più importanti sui dati di fatto, che varranno a sceverare ciò che, secondo me, vi ha di vero e di accetta- bile, da quanto credo sia invece il portato di immaginose teorie. Sezioni in Valle dell' Are. — Veniamo adunque alle sezioni. In una prima serie di esse, egli ci fa vedere la sezione generale della Valle dell’ Are, quale da lui viene interpretata, a cominciare da Modane, fino a Bonneval. La massa permiana di Modano, sulla natura ed età della quale non vi è contestazione veruna, è raffigurata in una prima sezione come affetta da una serie di pieghe bizzarre che io non seppi vedervi ; ma la cui esistenza non influendo sulla interpretazione geo- logica generale potremmo anche ammettere. ‘ Descrivendo però quegli scisti gneissici, che sono qui veramente caratteristici al pari di quelli delle Alpi marittime, dell’alta Val d’Aosta e dello Spinga, il Bertrand mi fa addebito di aver limitata l’estensione del Permiano a quel solo grado di metamorfismo rappresentato da questi gneiss nodulosi ; mentre, come è noto, egli vi include dei micacisti e gneiss assai più ^ . Efurìcs, eco., pag. 75, fig. 1. 46 — intensamente metamorfici, e stratigraficamente più profondi, che io reputo doversi attribuire all’Arcaico. Cadrebbe qui in acconcio di chiedere al Bertrand su quali fatti egli fonda la sua teoria del meta- morfismo crescente, che gli permette di aggiungere cosi facilmente al Permiano quei tipi di roccie, e che io non vedo sorretta da alcuna prova di fatto ; mentre per contro gravi ragioni vengono ad infir- marla. Ma restando alla questione posta dal Bertrand, la verità è che io comprendo nel Permiano alpino, oltreché le besimauditi, altre roccie diverse sia per intensità di metamorfismo che per composizione ; scisti filladici rossi, verdastri e grigi; le anageniti, porfiriti, e lenti di calcari più o meno cristallini, come quelle del Pio Secco alle falde del Cha- berton, della Saxe, del Col de la Seigne, ecc., che spesso vi sono in- tercalate ; senza tener conto degli scisti carboniosi e dei calcari scistosi e dolomitici che pure si uniscono agli scisti gneissici nelle Alpi Apuane. Quelle sono le roccie che io trovo inserite fra il Trias ed il Carbonifero autentico, legate con questi terreni da intimi rapporti stratigrafici ; mentre non so perchè dovrei includervi roccie, come gli gneiss ed i micascisti, che oltre ad essere profondamente diverse da quelle in questione ed identiche a quelle reputate dovunque come arcaiche, vedo invece sottostanti al Carbonifero ed a tutta una serie continua rimontante fino al Trias ed anche al Giurassico. Kon è dun- que senza fondata ragione che io ho reputato permiane le prime, sia pure come osserva il Bertrand, senza poter definire precisamente dove termina in alto il Trias inferiore e dove incomincia in basso il Car- bonifero, ciò che prova maggiormente l’armonia dei rapporti fra questi terreni, ed ho ritenuto più antiche le altre. Anzi il fatto che sopra queste vengono a poggiare variabilmente piani diversi di quella serie cioè l’uno o l’altro dei membri del Trias, sia il Permiano, od anche il Carbonifero, prova che quelle roccie più profonde sono e devono ritenersi non solo anteriori al Carbonifero, ma anche ammet- tersi un forte distacco tra esse e le sovraincombenti, come si è osser- vato in altra parte di questa Nota. Tornando alla zona permiana di Modano, il Bertrand accenna alla — 47 — continuità di quella zona intercalata fra Trias e Carbonifero per o’tre 40 chilometri. Sul foglio di St. Jean de Maurienne della nuova carta geologica francese, dove venne figurata, essa non apparisce che nel tratto fra Modano ed il liocher de la Lauze, s tuato a S O di Bozel, dove resta interrotta, per ripigliare oltre il Villard col lembo di Champagny. In quel percorso però essa può avere al più 25 chi- lometri di larghezza; ammenoché il Bertrand non voglia compren- dere in quella zona^ come sembra, anche quel permiano che il Termier suppone rappresentato dai micascisti e gneiss con roccie verdi della valle di Champagny, passanti in valle di Peisey ed al Mont Pourri. Ad ogni modo, gli scisti cristallini di cui è parola, assai diversi da quelli di Modano e di Champagny, sulla permicità dei quali anche secondo il Bertrand, non può cader dubbio, non possono ragionevol- mente comprendersi nella stessa zona ; tanto più che essi si trove- rebbero tutt’altro che intercalati fra il Carbonifero ed il Trias, come un semplice esame della Carta stessa può renderne edotti. La sola zona che risulta regolarmente fiancheggiata dal Trias e dal Carboni- fero, epperciò autenticamente permiana, è quella sopra indicata ; quasi esattamente corrispondente a quella già descritta nella mia Nota sulle Alpi Graie e figurata nella Carta annessavi. Consultando la nuova Carta geologica francese ^ non poche ed evidenti sono le inesattezze materiali che risultano dal confronto del foglio citato di St. Jean de Maurienne con quello contiguo di Al- bertville. A parte la questione di apprezzamento intorno all’età dei micascisti dell’alta valle di Champagny, che sul foglio di St. Jean vengono indicati colla tinta unita del Permiano normale, sul foglio ^ Riguardo a questa nuova edizione della Carta geologica si potrebbe osservare che tanto la base topografica adottata, che l’andamento del tracciato geologico non rispondono pienamente ad una soddisfacente rappresentazione delle forme orografiche, nè della struttura geologica del terreno e dei rapporti che devono necessariamente esistere fra di esse. — 48 — di Albertville, nel loro prolungamento aU’Aiguille du Midi ed al Mont Pourri sono invece segnati col tratteggio del Permiano più metamor- fico, un’altra inooerenza manifesta risulta, sullo stesso foglio, dal confronto dei micascisti della gola di Thermignon, identici a quelli di Champagny anche secondo il parere del Termier, che pur tut- tavia vengono rappresentati con tratteggio come quelli del Mont Pourri. Ma non basta. La massa del Trias che cade sopra Bozel al margine Nord del foglio di St. Jean de Maurienne, contornata da una zona permiana, non ha la sua continuazione sul foglio di Albert- ville nel quale trovasi notevolmente spostata, presenta maggior am- piezza e manca della zona permiana. Anzi lo stesso Trias che vi è rappresentato, apparterrò b^be ad un piano diverso da quelli che, fra i tanti piani triassici più convenzionali che reali stati distinti in queste Carte, furono segnati nel foglio vicino. Lasciando di rilevare le altre materiali inesattezze che possono osservarsi verso gli estremi Est ed Ovest lungo la linea d’attacco degli stessi fogli, non posso tuttavia dispensarmi dal fare un’ultima osservazione più importante, concernente circostanze di fatto, che non collimano con quelle da me constatate sul luogo. I.a zona permiana che scende dal Col de Chavière verso Bozel, e che secondo le mie osservazioni deve proseguire sino sotto St. Bon, nel foglio di St. Jean venne segnata soltanto fino al Pocher de la Lauze dove cessa, per essere sostituita fino al Doron interamente dal Carbonifero. Ora la besimaudite permiana, la cui presenza, per quanto sia spesso ma- scherata lungo quella zona sotto al detrito di falda ed al morenico, nel tratto in cui fu omessa apparisce invece nettamente in posto in vari luoghi ; cioè sulla mulattiera che scende dai Chalets di Verdon, dove lo scisto gneissico è verdastro, fettucciato, caratteristico; presso St. Bon dove ha struttura più minuta e scistosa ; ed affiora infine scendendo verso les Moulins con una bella varietà a grandi ele- menti, identica a quella dei dintorni di Modano, che in bei banchi viene ad imbasarsi sopra gli strati scistosi ed arenacei del Carboni- fero. Quest’ultimo lembo di Permiano è anzi particolarmente interes- - 49 — sante, perchè come feci rimarcare nella mia Nota, ' occupa evidente- mente il basso di una depressione sinclinale del Carbonifero ; confer- mata anche dalla presenza delle quarziti e calcari triassici, che sopra Villemartin, di contro a St. Bon, vengono a formare il fondo della piega, alla quale accennano pure le inclinazioni convergenti dei sot- tostanti scisti carboniferi. Non è certo mio intendimento quello di far qui l’esame critico delle Carte in parola ; ma il dubbio che le citate imperfezioni lasciano intorno all’esattezza dei rilevamenti da cui furono ricavate, non poteva passarsi del tutto sotto silenzio; tanto più che qualche altra volta sarò condotto ad istituire confronti fra queste Carte e quanto ho po- tuto attingere direttamente dalle mie osservaziani sul luogo. In una seconda sezione (fig. 2, pag. 75), presa sulla riva sinistra dell’Aro fra Modano e l’Esseillon, il Bertrand fa vedere le relazioni tra il Permiano, i vari piani del Trias di Avrieux e dell’Esseillon, ed i calcescisti che per breve tratto vi sono compresi. Senonchè tale sezione, condotta parallelamente all’orlo di quelle formazioni e presso al contatto dei calcescisti (sviluppatissimi sulla riva destra, in questo tratto della valle), riesce anche in massima parallela all’andamento delle stratificazioni; per cui non si presenta in condizioni molto pro- pizie’ per tale rappresentazione, che venne in conseguenza, a mio credere, poco fedelmente interpretata. Mentre più a valle nella Comba della Grande Montagne (Fourneaux) e più a monte nel vallone di Bramans, gli strati triassici ricoprenti il calcescisto risalgono fino alla giogaia franco-italiana (al colle della Bhò ed al Monte Tabor da un lato, aUa punta di Bellecombe ed al ripiano del Moncenisio dal- l’altro), nel tratto intermedio, parallelo e vicino alla nostra sezione, sono spogli di queste roccie, che s’ incontrano soltanto nel basso della valle a Villarodin, sopra St.-Antoine e sopra Fourneaux, dove, come è noto, furono per poco attraversate dalla galleria del Fréjus. " Vedi Bollett. E. Comit. Geol, 1892, pag. 360. 4 - 50 — Date queste condizioni di cose ne consegue la” relativa esiguità dello spessore della formazione triassica sul fondo della valle, che perciò non potrebbe dar luogo alle pieghe profonde e ripetute rappre- sentate nella sezione del Bertrand. Stante quindi la vicinanza del contatto, lo sviluppo di tali pieghe verrebbe necessariamente ad essere interrotto dalla massa dei calcescisti sottostanti, dei quali, in conse- guenza, dovrebbero esser messi in evidenza i rapporti stratigrafici col Trias e col Permiano, che furono invece nella sezione compieta- mente trascurati. Però, questi calcescisti passando ad un certo punto, per breve tratto, anche sulla sponda sinistra (presso il rio dAussois), vennero necessa- riamente tagliati dalla sezione, sulla quale dovrebbero figurare senza verun raccordo coi gessi, fra cui restano incassati con direzione e pen- denza affatto discordanti. Ora il Bertrand, nelF intento di far risultare sovrapposti al Trias i pochi calcescisti della sezione, ne incurva gli strati in sinclinale; ciò che è contro alla realtà delle cose, non solo perchè essi vanno ad urtare bruscamente contro alla massa dei gessi, ma eziandio perchè il motivo stratigrafico generale porta invece i calcescisti alla base di tutta la formazione. E questa loro posizione, dato anche e non concesso ohe avvenga per rovesciamento, è lumi- nosamente dimostrata in ogni punto che si osservi il loro rapporto colle roccie indiscutibilmente triassiche da Pourneaux a Bramans lungo tutta la sponda destra della valle, dove i calcescisti colla loro pendenza a S-0 vanno decisamente a sottoporsi alle roccie triassiche. Sezione Bramans- Piccolo Moncenisio. — Più importante di questa è la sezione 3^ (pag. 77) che forma della 2'^ quasi il prolungamento tra Bramans ed il colle del Piccolo Moncenisio, sulla quale il Bertrand si arresta appena, ma che merita invece per parte nostra una consi- derazione maggiore. Dalla massa dei gessi e calcari triassici che stanno sulla destra dell’Aro di fronte al Verney, la sezione si dirige alla punta Bellecombe, pure formata da una grande massa di calcari triassici tipici, di gessi e di camicie, sotto le quali, nelle balze della Rocca Carlina sovrastanti al passo del Piccolo Moncenisio, sono — 51 — abbondantemente sviluppate anche le quarziti. Esse si addossano ai micascisti cloritici e gneiss a glaucofane nei quali è praticato il passo, che seguitano, com’è noto, fino al M. Malamot ed alPAmbin. ^ La sezione del Bertrand interseca alle capanne del Jeu sul costo- lone proveniente dal M. Froid un affioramento di calcescisti che egli crede dovuto ad una piega sinclinale, come già quello di Aussois, poiché, egli osserva, la supposizione di un anticlinale, non andrebbe d’accordo col fatto che i calcescisti non discendono sino al fondo della valle. Lasciando da parte l’obbiezione, pure assai ovvia, che non sarebbe necessaria l’esistenza d’un anticlinale, nè d’un sinclinale per dar luogo a quel lembo isolato di calcescisto; ma, data la posizione stratigrafìca di questa roccia, basterebbe anche, ed è anzi più ragio- nevole l’ammettere, che una punta di essa venga ad affiorare fra il Trias, come quella che nel vallone di Mary apparisce fra le anageniti, potrebbe chiedersi a che vale fermare l’attenzione sopra quei pochi calcescisti figurati dal Bertrand come superiori alle roccie triassiche, mentre li abbiamo ivi presso lungo la valle, e sul Piano del Mence - nisio ben maggiormente sviluppati e chiaramente soggiacenti ai calcari del Muscbelkalk. Ed anche arrestandoci ai calcescisti che sulla sponda opposta dell’angusto vallone di Bramans fanno riscontro ai calcari triassici di Bellecombe, in che relazione starebbero essi con questi, se dovessero, secondo il Bertrand, ritenersi triassici ? Bisognerebbe ammettere che proprio il vallone abbia qui recisarhente divise le due facies eteropiche del Trias : la filladica dei calcescisti da una parte, e la compatta, dolomitica e carniolica dall’altra, senza dar luogo a transizione veruna, nè per via di passaggi laterali, nè per alternanze 0 per mutue inserzioni lentiformi. Queste dissonanze pertanto dimo- strano una volta di più la casualità dei contatti fra i vari piani del Trias e le roccie inferiori, e la nessuna corrispondenza dei calce- scisti colle varie roccie triassiche; come ne porgono nuovo esempio ^ Vedi la Carta annessa alla mia j^ota sulle Alpi Grraje. — 52 — i calcescisti ed i micascisti della conca del Moncenisio, ed i sovrap- posti lembi di calcari triassici che giacciono sparpagliati sopra la falda settentrionale del M. Malamot. Eppure, malgrado queste evidenti contraddizioni, dalla concor- danza locale delle quarziti del Trias inferiore cogli gneiss-mioascisti del Piccolo Moncenisio, il Bertrand trae argomento per inferirne la permicità di questi, invocando l’esempio del Termier pei micascisti della Vanoise. Ma le ragioni addotte dal Termier in appoggio alla sua teoria del metamorfismo crescente, ed il mio modo di vedere in- torno ad essa, già furono discussi in precedenza ; laonde, evitando inutili ripetizioni, non è più il caso d’insistere sopra l’argomento medesimo. Quanto alla pretesa concordanza fra micascisti e quarziti, sarebbe pure superfluo soffermarsi ancora a dimostrare che essa può venire simulata dall’abituale parallelismo di tutte le formazioni alpine, pro- dotto dalle azioni geodinamiche a cui andò soggetta la massa delle Alpi occidentali; notando che in una regione dove si hanno esempi di falsa concordanza, come è quello di Petit-Coeur, per non dire di tanti altri meno noti, si dovrebbe andare molto cauti nell’ammettere dalle vere concordanze ed inferirne la continuità di serie, non solo fra roccie diverse, ma anche quando le roccie a contatto hanno analogia litologica; ammenoché non vi concorrano altri criteri che lo dimostrino in mòdo irrefragabile. Ma qui la continuità è tosto smentita dalla interposizione della massa di calcescisti del M. Patta- crous fra i micascisti del M. Malamot ed i calcari triassici del Piano del Moncenisio; calcari che poi si ritrovano direttamente appoggiati sul micascisto alle Grangie Valoire e sulle quarziti alla Bocca Car- lina, con evidente dissonanza di successione. Lo stesso Bertrand avverte in nota ^ che i calcescisti succe- denti direttamente agli scisti cristallini che dal Monte Malamot si ^ Loc. cit., pag. 77. — 53 — stendono fino al lago del l^Ioncenisio sarebbero stati di grave ostacolo alla sua interpretazione se essi fossero riguardati come prepaleozoici ; ma ritenendoli egli come triassici costituiscono invece un nuovo ar- gomento in favore della permicità dei micascisti. Ma la triassicità dei calcescisti è lungi dall’essere dimostrata ed accettata finora; ammeno di doverla ammettere come un postulato insieme alla teoria del me- tamorfismo crescente. Sembra quindi a me che, affincbè quei calce- ‘ scisti potessero venire in appoggio alle sue idee, il Bertrand avrebbe dovuto incominciare dal provarne in qualche modo la triassicità ; al- trimenti questa non può invocarsi senza cadere in un circolo vizioso. Qui vedo intanto che calcescisti e micascisti sottostanno alle quarziti, perchè entrambe queste roccie si presentano ad un tempo sotto ai calcari triassici, i quali a loro volta sovraincombono alle quarziti; come altrove si trovano calcescisti sottostanti direttamente alle quar- ziti ed agli scisti permiani (Ubaye) e micascisti sottostanti al Carbo- nifero (la Thuille) ; e questi non sono fatti localizzati, ma che si ripe- tono normalmente e possono seguirsi sopra estensioni grandissime. Non mi sembrerebbe quindi sentito il bisogno di adottare nuove teorie non confortate da solidi argomenti ; anzi in opposizione a quelle che nascono spontanee da fatti che ognuno può vedere e constatare sopra esempi estesi indefinitamente, perchè essi formano, nelle Alpi, la norma costante della sovrapposizione di quelle roccie. Dalle cose dette risulta frattanto indubitato, che la massa trias- sica del Moncenisio riposa in modo casuale , in una depressione for- matasi per erosione tanto nei micascisti che nei calcescisti ; altrimenti essa non dovrebbe esser distribuita in lembi separati, cadenti saltua- riamente sull’una o sull’altra di quelle roccie ed interrotta brusca- mente dal vallone di Bramans ; e non già in continuazione con quella del vallone d’Etache, come risulterebbe dalla Carta francese. In questo vallone la massa triassica ripiglia bensì in un lungo lembo che tra il colle omonimo e quello d’Ambin, con preponderanza delle quarziti formanti le Rocche della Rognosa, penetra nuovamente nel versante italiano all’estremità del vallone di Rochemolles, da dove attraversa — 54 — la Valfroide e pel Monte Seguret scende fino alla Dora. Essa segue pressapoco il contatto fra calcescisti e micascisti, seguendo l’andamento probabile di un antico avvallamento, lungo il quale essa rimase cosi impigliata; ma mentre nel vallone d’Etaohe ha da un lato i calce- scisti e dall^ altro i micascisti, in altri punti, come sulla costa dei Fourneaux, poggia in parte sui micascisti ed in parte sui calcescisti, mentre poi fra Signols e Savoulx è interamente compresa fra i calce- scisti. E poiché adunque non serba un livello costante rispetto alle roccie nelle quali è compresa, lecito sarebbe inferirne senz’altra ra- gione che la massa triassica non può venir collocata in serie regolare e continua coi micascisti e calcescisti^ come suppose il Lor}' nella sua nota Sezione del Moncenisio se la assoluta indipendenza di questa massa dalle roccie includenti non fosse provata da altri e ben più importanti argomenti, come vedremo in appresso. La massa in questione è quella stessa visitata dal Bertrand collo scrivente e col collega Mattirolo nel vallone di Jean, dove egli stesso potè constatare che sotto ai calcescisti affiorano dellé quarziti trias- siche in banchi disposti lungo il vallone; e sotto queste, calcari, car- niole e gessi, che stanno perciò in serie regolare, ma rovesciata. Il seguito di questi calcari triassici ritrovasi nel vicino rio di Signols, dove si adagiano direttamente sopra altri calcescisti ; mentre un poco più a valle, sopra le C. Portetta, le carniole ohe ne formano la continuazione vengono a poggiare su nuove quarziti, sovrastanti a loro volta ai calcescisti. Sotto le C. Pournai questi si vedono impigliati coll’ estremità dei loro banchi nelle quarziti medesime , vuoi per una locale complicazione stratigrafìca dovuta ad una brusca piega od anche ad una frattura con scorrimento, vuoi per le condi- zioni orografiche del fondo su cui la quarzite si depose, come io ritengo più probabile. Da questo punto le quarziti, assai svilup- pate, passando dai calcescisti sopra i micascisti, accompagnano senza Y. Bull. Société Géol. de Frtiuce, III Serie. T. 1, pag. 264, tav. lY. 55 — interruzione la zona dei calcari compatti, carniolici e gessificati che si protende al rio della Baume, alle 0. Auberge ed al Monte Pra- mand, dipendenza del Monte Seguret. Chi pe- rò risalga dalla Baume alle C. Fournai e di qui rimonti lo sperone del Vin Yert, incontra le quarziti oltreché alla base, anche al disopra della zona calcare, ri- coperte dai calcescisti, come nel vallone di Jean, dei quali anzi sono evidentemente la continuazione. Abbiamo adunque la serie diretta e la serie inversa nella stes- sa massa triassica, in seno ai calcescisti dap- prima e fra calcescisti e micascisti sul pro- lungamento orientale della massa; ed è quindi indubitata 1’ esistenza d’una piega sinclinale, nel modo che rappre- senta la figura, annessa La piega presenta bensì le accidentalità a cui si accennava, cioè l’inserzione cuneiforme dei calcescisti nelle quarziti e forse anche fratture e spostamenti dipendenti dalle energiche pres- O o a a? ■H = s — 56 - sioni che hanno prodotta la piega e coricati, compressi e laminati i calcescisti sopra la massa triassica Ma questa circostanza non infirma punto il fatto importante quanto evidente dell’esistenza d’una zona di quarziti tipiche del Trias inferiore tanto al disotto che al disopra della massa dei calcari del Musohelkalk; ciò che non potrebbe altri- menti spiegarsi che coll’ammettere il ripiegamento accennato. E poiché si tratta necessariamente d’un sinclinale, sebbene inserito nella massa degli scisti cristallini, esso deve stratigrafìcamente considerarsi come tutto esterno e superiore alla formazione degli gneiss e calcescisti nella quale rimase impigliato. La sezione del Lory, ammessa ora anche dal Bertrand, che pone i calcescisti in serie regolare al disopra dei calcari triassici, delle quarziti e dei micascisti risulta quindi deh tutto insostenibile ^ Questa piega, di cui da tempo ho sospettata l’esistenza per le quarziti che si trovano tanto sopra ai calcari triassici nel vallone della Baume, che alla base del vicino Monte Pramand, venne poi messa in evidenza dal rilevamento di dettaglio iniziato da me e completato dal collega Mattirolo. Alle Grangie di Valfroide può anzi, come egli nota, osservarsene la cerniera nell’incurvamento sinclinale dei banchi di calcare triassico, che qui, privi delle quarziti, costituiscono il fondo della piega. In questo vallone di Valfroide, come più a Nord in quello du Fond, si ritrovano infatti i calcari e le quarziti formanti il pro- ^ Si noti che sul luogo, male si può rilevare la discordanza esistente fra il Trias e TArcaico che apparisce invece nettamente nella figura dedotta dal rilevamento dettagliato ; poiché, naturalmente, la differenza di pochi gradi nella inclinazione generale non può aA^vertirsi sopra estensioni limitate, tanto più che può contribuirvi lo schiacciamento subito dalle formazioni in contatto; mentre il disegno ci dà il complesso della piega, la quale, attraA^ersando la formazione arcàica per 5 a 6 chilometri, lascia apprezzare anche una leggera differenza d'inclinazione. Tale differenza anzi è resa AÙemmeglio manifesta dal fatto che le roccie triassiche, dapprima comprese fra micascisti e calcescisti, passano poi interamente nei calcescisti ; ciò che non potrebbe accadere se Finclinazione del Trias non fosse diA^ersa da quella della formazione arcaica che racchiude la piega. — 57 — lungamento della massa triassica rappresentata sulla sezione. In con- seguenza del forte ribaltamento della piega, quelle roccie discendono per un certo tratto lungo i valloni anzidetti, profondamente incise e messe a nudo dal ricopriniento dei calcescisti, che si protende note- volmente verso Est nella cresta di Yalfroide e del Vin Yert, adagian- dosi sulla massa triassica. Della stessa espansione triassica fanno parte evidentemente, ol- treché il lembo che ne fu disgiunto dall’erosione della Dora dei cal- cari fossiliferi di Gad, già segnalato dallo scrivente \ e compreso trasversalmente fra micascisti, gneiss e roccie verdi, il lembo total- mente calcare della lunga costola costituente la cima dei Quattro Denti, isolata e poggiante sui micascisti del fianco orientale delFAmbin, e quello della cima Mulatera a Nord di Molaretto. Quest’ultimo è particolarmente interessante per la varia bibtà dei contatti fra quar- ziti e calcari triassici, micascisti e calcescisti. La massa principale, che è di quarzite, poggia in parte sui micascisti, in parte sui calce- scisti in evidente discordanza anche per la diversa inclinazione. Il calcare triassico, compatto e carniolico, in piccoli lembi staccati, tro- vasi qui tanto sulle quarziti che sui micascisti ed anche sui pochi calcescisti residui, come quello che trovasi sotto alle Grangie Marzo. Queste masse, per mezzo della stretta zona qua e là interrotta, di carniole, gessi e calcari compatti, che resta invece inclusa compieta- mente fra i calcescisti, sotto alla cresta fra il Rocciamelone ed il Lamet, si ricongiungono a quella occupante il ripiano del Moncenisio dapprima esaminata. Benché possa apparire fuor di luogo ed anche prolissa la digres- sione fatta intorno alla distribuzione delle masse triassiche sparse nelle adiacenze di quelle del Moncenisio contemplate nella sezione del Bertrand, non ho creduto superfluo, anche a costo di ripetere delle cose già dette, lo accennare brevemente al modo di comportarsi di * A PoRTis. Xiiovr località fossilifere iti Val di Snsa. (Boll. B. Comit. Geol., 1889, pag. 141). - 58 — quell© masse che ne sono la dipendenza © la continuazione, rispetto ai calcescisti e micascisti con cui vengono a contatto ; poiché la uni- formità © la costanza dei fatti che si ripetono qui identicamente come negli altri luoghi passati precedentemente in rassegna, vale a direi© irregolarità di successione, accusano alf evidenza l’assoluta indipen- denza della formazione triassica da quella delle roccie cristalline sulle quali si appoggiano o entro cui stanno impigliate. Abbiamo, riassu- mendo, dapprima a Modano un completo rovesciamento della seri© dal Carbonifero al Trias sopra i calcescisti, che potrebbe dar© l’idea che i calcescisti, a loro volta rovesciati, potessero attribuirsi alla parte superiore del Trias, come opinava il Lory. A Savoulx li ab- biamo infatti sopra al Trias, ma senza dubbio in conseguenza di un reale rovesciamento, o piuttosto per ricoprimento, poiché la serie sot- tostante é ascendente; anzi qui essa non è soltanto rovesciata, ma è un intero sinclinale triassico ohe resta compreso fra i calcescisti, i quali per conseguenza riescono da ogni parte stratigrajicamente sotto- stanti al piano più basso del Trias (quarziti), © ciò in aperta contrad- dizione con quanto poteva ammettersi in ipotesi pei calcescisti della serie di Modane. Di più, la piega non serba stratigrafìcamente nep- pure un livello costante rispetto alle roccie che la includono ; poiché a volte i calcescisti come si vide, trovansi sui due lati della piega, a volte fra calcescisti e micascisti. Essa adunque attraversa la massa dell© roccie arcaiche nell© quali é inclusa, come fa la massa di Gad sulla destra della Dora, che da essa dipende. Altrove, ai Quattro Dentb lembi di calcare triassico si appoggiano direttamente sui mi- cascisti senza l’intervento della quarzite, nè dei calcescisti; oppure si hanno le quarziti ed i calcari poggianti simultaneamente in parte su calcescisti, in parte su micascisti, come alla Mulatera ed al Monce- nisio. In altri punti invece calcari © carni ole stanno impigliati inte- ramente entro la massa dei calcescisti, come nella zona triassica sot- tostante alla cresta del Lamet. Ora queste discrepanze continue nei rapporti stratigrafìci delle roccie in questione, questa variabilità di potenze © di contatti, non * — 59 -- possono venire in aiuto alla ipotesi del Bertrand; il quale trova in- vece delle sfumature, dei passaggi graduali inesistenti, tra i mioascisti del Piccolo Moncenisio e le quarziti triassiche della Bocca Carlina. Certo è che se egli, invece di localizzare le sue osservazioni, avesse tenuto nel debito conto gli esempi di saltuaria successione che si presentano cosi numerosi anche nella regione savoiarda, avrebbe dovuto concludere con me, che ove si voglia, sintetizzando, conciliare le considerazioni fatte, bisogna di necessità ammettere che le roccie triassiche sono stratigrafìcamente indipendenti dalle altre che io con- sidero come arcaiche ; giacche quelle si comportano come una for- mazione di riempimento rispetto a queste, colle quali furono in se- guito nuovamente sollevate, compresse, dislocate e rese parallele per una generale energica laminazione. Alla sezione dei Piccolo Moncenisio il Bertrand fa seguire due sezioni vicine e parallele, sulle quali ci arresteremo appena perchè naturalmente dipendenti da quella precedente, e fondate secondo me sullo stesso metodo d’interpretazione. Per la sezione I della Tav. Y, osserverò soltanto che lasciando da parte le complicazioni stratigrafiche che vi sono figurate nella sua porzione ad Ovest, perchè quella regione non fu da noi sufficiente- mente esplorata, ma che tuttavia ritengo improbabili, trovo la parte orientale di essa assolutamente immaginaria. La piega sinclinale com- plessa che egli figura nei calcescisti, certamente non esiste, perchè nel vallone di Bramane non appariscono le roccie triassiche tipiche ; le quali, data quella piega, dovrebbero costituirne il fondo ; mentre, come si vide, esso è invece formato dai calcescisti che vi occupano la parte più profonda e vengono bruscamente a sottoporsi a quelle roccie in una enorme massa di alcuni kilometri di lunghezza e di spessore. Non meno immaginaria è la sezione III della stessa tavola, pas- sante fra Fourneaux (Modano) ed il colle d’Etache. Ivi questa grande massa di calcescisti è figurata come compresa in una piega sinclinale multipla nell’intento evidente di assottigliarne l’enorme spessore onde — 60 — farla rimontare al disopra delle roccie triassiche che si trovano al- l’imbocco Nord del tunnel ed al colle d’Etache. Ma il ripiego strati- grafico della sestupla piega adottato dal Bertrand non sembra sufìfi- ciente per spiegare il fatto ben noto, che nel vicino tunnel del Fréjus, oltrepassata la massa triassica di Modane, sopra uno spessore di ben 9 kilometri, non s’incontrarono altro che calcescisti, mentre sarebbe stato inevitabile l’incontro delle altre roccie su cui i calcescisti do- vrebbero imbasarsi, dati i molteplici ripiegamenti ideati dal. Bertrand per la vicina sezione. Si può osservare bensì ohe la direzione del tunnel sebbene parta dallo stesso punto verso Ovest, diverge sensi- bilmente ad Est da quella della sezione in esame ; ma è troppo evi- dente che nulla di diverso deve accadere lungo le due direzioni, perchè entrambe attraversano molto davvicino la stessa potentissima massa dei calcescisti. Le pieghe numerose e bizzarre ammesse dal Bertrand nel gruppo del Moncenisio, avrebbero secondo questo autore il loro seguito nel versante italiano, interessandovi a Sud la Val di Susa, ad Est ed a Nord il gruppo del Gran Paradiso. La sommaria descrizione del pro- lungamento orientale di quelle pieghe data da lui accenna a forti complicazioni, che però dalla esposizione fattane non riescono di facile interpretazione neppure col sussidio della Carta e dello schema tet- tonico aggiunto alla sua Nota. Ad ogni modo, per la Val di Susa, attenendoci alla sezione che egli esibisce nel tratto fra il colle d’Etache ed Exilles (fìg. 5), si rileva che fra i micascisti d’Ambin ed i calce- scisti di Pierre Menue egli pone un sinclinale formato dalle quarziti triassiche del Gros Peyron situato ad Est del colle e dai calcari e carniole ad Ovest. Il sinclinale però sarebbe seguito da uno strettis- simo anticlinale in cui fa ricomparire le quarziti ed i micascisti, se- condo lui permiani, nel quale vorrebbe vedere la dimostrazione della equivalenza dei calcescisti di Pierre Menue ai lembi di calcari e car- niole del Colle d’Etache. Data l’esiguità estrema dell’ anticlinale da lui figurato, bisognerebbe però ammettere che a due passi di distanza e proprio sul ramo opposto dell’anticlinale le carniole ed i gessi si — 61 — fossero bruscamente cambiati in calcescisti; mentre non vi è il più leggiero accenno alla presenza di calcescisti fra queste roccie sopra l’uno, nè di calcari compatti nella massa dei calcescisti sopra l’altro ramo dell’anticlinale immaginato dal Bertrand. Oltre poi alla assoluta inverosimiglianza di tale brusco cambiamento di facies litologica che dovrebbe esattamente corrispondere al punto della piega, ed a quella ancora maggiore che le pochissime quarziti e i micascisti figurati in questo anticlinale possano equivalere alle masse enormi di quarziti del Gros Pevron, della Rognosa d’Etache ed ai micascisti dell’Ambin, l’ostacolo maggiore a tale interpretazione si è che l’anticlinale in que- stione risulta fittizio ; perocché le zone quarzitiche e micascistose immaginate dal Bertrand fra i calcari del colle ed i calcescisti non esistono. Anzi, oltre alla massa di camicia direttamente appog- giata alle quarziti, sul crinale, a ponente del colle, incontrasene un’altra più piccola separata dalla prima e poggiante interamente sui calcescisti (vedi fig. 10) ; ciò che dimostra viemmeglio 1’ insussistenza della struttura tettonica voluta dal Bertrand. E che tale anticlinale non possa esistere è provato dal fatto che nel basso della valle, alle Grangie du Fond, le camicie sono ancora direttamente a contatto coi calcescisti da un lato e colle quarziti dall’altro, come al colle ; poiché se veramente una zona anticlinale di scisti permiani passasse fra i calcescisti considerati come una roccia triassica e le camicie, essa dovrebbe apparire qui con maggiore evidenza. Invece nulla esiste che possa rappresentare il nucleo di quella piega ; mentre è provato che i calcescisti passano al disotto ed anche al di là della intera massa triassica, poiché proprio sulla costa dei Fourneaux all’ estremità di questo stesso vallone esiste il Trias poggiante in parte sopra i mica- scisti ed in parte sui calcescisti \ ^ E della lente di micascisti, simili a quelli delFAmbin che affiora a mezza costa lungo il vicino Rio di Almiane totalmente isolata ed inserita nei calce- scisti, che ne farebbe il Bertrand ? IS'on certo del Permiano, perchè neppure la risorsa dei più bizzarri ripiegamenti potrebbe venirgli in aiuto in tale in- — 62 — La sezione che si unisce in raffronto di quella del Bertrand di- mostra come si presentano le roccie triassiche rispetto ai micascisti e calcescisti lungo la cresta di confine fra Pierre Menue, il colle di Etache, la Rognosa e la cresta d’Ambin. Le quarziti, assai sviluppate, formano non soltanto la massa del Gros Peyron figurata nella sezione del Bertrand, ma si stendono alla Rognosa ed oltre, sino al monte Balme, tra le quali elevazioni è praticato il colle d’Ambin. L’enorme potenza che appare sulla sezione è tuttavia soltanto apparente, restando esagerata dalla direzione della sezione che quasi collima con quella dei banchi quarzitici, cioè NO-SE. È poi a notarsi che nei calcescisti Fig*« 10. — Sezione tra la cresta della Rognosa ed il Colle d'Etache. P.‘®S. Michele Colle d’Etache Rocche della Rognosa M. Balme 3209 2787 3385 Colle d’Ambin 3321 c^, Carniole e breccie triassiohe - qz, Quarziti - cs, Calcescisti - <75, Gneiss e micascisti. Scala 1 : 75,000. e micascisti, si hanno andamenti assai diversi da quelli degli strati triassici, essendo invece diretti per lo più N-S, spesso anche NNE-SSO, come può vedersi sul crinale di Pierre Menue, nei pressi di Roche- molles, ed alle Grangie du Fond nei calcescisti, e sulle alture del Yallonet nei micascisti. La differenza colla direzione dei banchi trias- sici a contatto tocca spesso i 90'’ ; il che indica una forte discordanza terpretazione ; ma neanclie del Trias, perchè di questa lente, come di quelle del vallone di Ribon è evidente la perfetta equivalenza coi ctdcescisti, i quali, contro Topinione del Bertrand ci risultano affatto indipendenti dalla formazione triassica (Y. BiassnntOj ecc.^ e la Carta geologica annessa). in senso orizzontale fra quelle roccie, che secondo il Bertrand dovreb- bero equivalersi od almeno appartenere alla stessa formazione con- tinua permo-triassica L’estremità Est della sezione del Bertrand è illustrata con una breve sezione presa nelle vicinanze di Exilles sul fondo della Dora Bi- paria, dove una massa di calcare triassico resta totalmente impigliata fra i calcescisti della sponda destra, presso al loro contatto coi micascisti che vanno sviluppandosi sulla sponda sinistra. E noto infatti da tempo, come le gallerie ferroviarie che si svolgono qui sulla destra della Dora attraversano in parte questi lembi triassici, in parte i calcescisti ed anche il detrito di falda \ Tali masse calcari fanno parte eviden- temente del ricoprimento triassico che si espandeva una volta irrego- larmente sopra la falda Sud-Ovest dell’Ambin sormontando i mica- scisti ed i calcescisti che ancora qua e là li rivestivano prima che il Trias si depositasse. Come lembi residui rimangono ora in alto il Monte Seguret ed il Pramand, la cresta dei Quattro Denti e la costa della Mulatera di cui già abbiamo fatto cenno; nel basso il lembo di Gad ed i calcari di Exilles, di Chiomonte e dei dintorni di Susa ohe ne sono la continuazione. Orbene, a Exilles il Bertrand colloca i cal- cari triassici in un sinclinale fiancheggiato da quarziti, che egli fa immediatamente ripiegare su se stesse col ramo superiore ed immer- gersi nella massa della montagna, come nella sezione d’Etache. Questa soluzione fu evidentemente suggerita al Bertrand dal fatto che ammettendo il sinclinale, come esiste realmente, i calcescisti in- cludenti sarebbero risultati totalmente inferiori alle quarziti ; mentre coll’aggiunta dell’anticlinale, essi restano ancora inclusi nel Trias. Ma l’artificio è troppo palese; perchè a prescindere dalle altre consi- derazioni, bisognerebbe anche qui venire alla illogica transazione di considerare i calcescisti immediatamente soprastanti alla esigua zona quarzitica come equivalenti ai calcari triassici, come egli già ammise per ^ V. Pellati e G. Salvini, Sulle condizioni di stabilità e di sicurezza di alcuni tratti della ferrovia Bussoteno-Bardonnecchia. Roma, tip. Irrazionale, 1891. - 64 — il colle d’Etache. Ma allora quei calcescisti che trovansi al disotto del ramo inferiore delle quarziti che cosa dovrebbero rappresentare ? Non certo le quarziti, come nella sua sezione egli sembra abbia voluto significare; con ciò ogni più arbitraria sostituzione diverrebbe ammis- sibile e mancando ogni base di confronto riuscirebbe impossibile qual- siasi tentativo di ordinamento geologico d’una data regione. In con- clusione, oltre alle incongruenze accennate, questa interpretazione del Bertrand porterebbe ad un risultato paradossale : ad ammettere cioè che appunto laddove esiste un netto sinclinale, esso debba ritenersi invece come una speciale manifestazione della struttura anticlinale- Fi^. 11. — Sezione lungo il vallone Crosa. Ruinas Galleria 975 F. Dora ferroviaria dt, Detrito - et, Calcare triassico - qz. Quarzite - cs, Calcescisto ms, Micascisto con sa, svisto anfìbolico. Scala 1 : 50,000. La sezione naturale che si offre nel rio di Valle Crosa di fronte all’abitato di Ruinas, cioè in contiguità del luogo in questione, mostra però chiaramente che le relazioni stratigrafiche fra quei calcari trias- sici ed i calcescisti sono ben diverse da quelle volute dal J ertrand. I calcari ivi appariscono nettamente piegati in un breve sinclinale totalmente visibile, perchè si addentra pochissimo nella massa dei calcescisti; e sono nel fondo della piega rivestiti da una sottil zona di quarziti del Trias inferiore, senza però il minimo accenno al regresso in anticlinale, come è rappresentato dalla figura 11. Questa è del - 65 — resto la ripetizione e la continuazione del motivo stratigrafico della massa di G-ad dove, di fronte ad Oulx (Salbertrand) appaiono egual- mente delle quarziti segnanti il limite di penetrazione di quei calcari fra i calcescisti e micascisti Come vedesi, i rffpporti tettonici dei lembi triassici che incon- transi sul fondo della Dora, in prosecuzione della massa sinclinale Savoulx-Seguret, rispetto alle roccie includenti, risultano perfetta- mente in opposizione colla interpretazione datane dal Bertrand, perchè mentre questa tende ad includere i calcescisti nella serie triassica, quella dimostra invece la perfetta indipendenza del Trias dai calce- scisti e dalle roccie concomitanti. Descritte nella sezione Colle d’Etache-Exilles della sua fìg. 5 le due pieghe inclinate l’una verso l’altra e ribaltate contro al massiccio cristallino dell’Ambin, il Bertrand la osservare che la straordinaria somiglianza delle due pieghe sarebbe un argomento per dimostrare che esse formano un’unica e stessa piega localmente deviata, rove- sciantesi sulla stessa sinclinale. E come potrebbero non essere somi- glianti quelle pieghe, se, come abbiamo visto, furono dallo stesso Ber- trand foggiate secondo lo stesso motivo stratigrafìco ? Noi sappiamo invece che i due stretti anticlinali fra calcescisti e Trias che egli ag- giunge nelle sezioni in parola non esistono affatto ; e dei sinclinali può ammettersi soltanto quello della zona di Exilles, perchè nella massa triassica del Colle d’Etache non esiste un vero sinclinale pel quale mancano gli elementi, ma una semplice inclusione fra i calcescisti di Pierre Menue ed i micascisti dell’Ambin. La piega si sviluppa e si completa soltanto più in basso, verso la Valfroide, e meglio ancora fra Savoulx ed il monte Pramand, come si ebbe luogo di dimostrare. Sezione di Bonneval. — Sopra lo gneiss ghiandone che affiora alle falde occidentali della Levanna, nel vallone di Bonneval si stende, come è noto, ben caratteristica e molto sviluppata la zona delle 'pietre verdi ; formata qui come altrove di micascisti, di gneiss minuti, calce- scisti, calcari saccaroidi e roccie verdi, che l’Arc taglia profondamente in un angusto solco, mettendo in evidenza la successione di queste o — 66 — roccie. La serie, clie si ripete quasi identicamente sulle due sponde, si addossa allo gneiss fondamentale con moderata pendenza, oscillante da S-0 a S-E in causa della curvatura delPelissoide di cui fa parte. La tettonica è in conseguenza cosi semplice, che ognuno può rendersene conto immediatamente, percorrendo la valle, da Bessans a Bonneval. Di questa località ho dato, nella mia Nota sulle Alpi Graje, tre diverse sezioni (Sezioni D e della Tav. Y e testo p. 206) di cui una taglia il massiccio cristallino del Gran Paradiso all’altezza di Boh- ueval, le altre più a valle. In esse ho cercato di riprodurre con fedeltà di dettaglio la serie che si osserva sulle due sponde del torrente; le quali offrono delle sezioni naturali evidentissime. Siamo qui all’estremo Sud-Ovest del nucleo elissoidale, epperciò le roccie sovrastanti parte- cipano della curvatura anticlinale del nucleo; ma tranne quella cur- vatura e la debole pendenza, nessuna complicazione stragratifica viene a disturbare il loro regolare andamento. Il Bertrand, invece, fondando la sua interpretazione tettonica sulle locali alternanze dei calcescisti coi micascisti, sulla inserzione di lenti di calcare saccaroide e sulla presenza di lembi di calcare triassico che, sulla sponda sinistra dell’ Are si addossano a quelle roccie cristalline, sostituisce all’idea cosi semplice e così evidente della piega anticlinale un sistema assai complicato di pieghe, quale rappresenta in una sezione tra Bonneval e la cresta del Pelaou-Blanc situata verso NO. In questa sezione, che fra le altre inesattezze parmi non corri- sponda debitamente alla Carta geologica, ’ egli viene ad ammettere che lo gneiss ghiandone affiorante a monte-di Bonneval equivalga agli gneiss e micascisti della zona superiore che sono i corrispon- denti di quelli della Vanoise e del Moncenisio; e che come questi debbano esser riportati al Permo-carbonifero. E,itornerem.o sul fatto delle pieghe ; ma intanto credo inevitabili alcune osservazioni intorno allo gneiss di Bonneval. Il Bertrand è in ^ V. Loc. cit. fig. 7 a pag. 87 e foglio di Bonneval della Carta geologica di Francia. - 67 - errore anzitutto ammettendo che la posizione di questi gneiss sia esattamente la stessa di quella degli scisti cristallini del Piccolo Mon- cenisio A parte la grande differenza di struttura, di aspetto e di com- posizione, questi appartengono alla zona delle pietre verdi, quelli sono stratigrafìcamente più profondi. Non ci arresteremo qui a dimostrare, ritornando su cose già tante volte ripetute, come quegli gneiss costi- tuiscano il nucleo del gruppo del G-ran Paradiso ; sieno cioè la roccia più profonda di questo gruppo, come di tutte le formazioni alpine sulla quale sovraincombe, in continuità e con pendenze radiali, la serie potentissima degli altri gneiss, micascisti © calcescisti e roccie verdi, fra loro alternanti e collegati in modo cosi intimo ohe riescirebbe assurda ogni interpretazione per pieghe. Difficilmente anzi si trove- rebbe, anche fuori delle Alpi, un altro esempio più evidente di asso- ciazioni tra forme eteropiche e di struttura elissoidale, più chiara e più completa. Non è quindi possibile confondere la posizione strati- grafica dello gneiss fondamentale con quella degli gneiss superiori, i quali per l'indole stessa della associazione a cui appartengono hanno posizione che può oscillare ed anche ripetersi ad altezze varie nella serie potentissima delle pietre verdi (gneiss minuti di Pessinetto, di Chialamberto, di Luserna, di Bobbio Pollice, ecc.). Sostenendo nonpertanto la sua idea della permicità dello gneiss fondamentale di Bonneval, il Bertrand osserva che l’obbiezione tratta dalla > trattura eminentemente cristallina di questo gneiss sarebbe un rifiuto opposto a priori ad ogni modificazione alle idee sinora accet- tate al riguardo. D’accordo col Bertrand sulla maggiore o minore somiglianza di certi tipi di besimaudite colio gneiss in questione, che egli trova anche in certi banchi del Permiano di Modano; vi sono certamente delle besimauditi a grandi elementi e forse altrettanto cristalline quanto può esserlo lo gneiss ghiandone più caratteristico. Egli ne cita a Modane; io ne citerò alcune varietà a cristalli anche maggiormente sviluppati alla Costa Bardella in valle di Casotto ed al Pizzo d’Ormea (Alpi Marittime). Ve ne hanno altre per contro a struttura più minuta che ricordano gli gneiss di Pessinetto e di Lu- — 68 — sema ed anche talora i micascisti. Ma non è solo il fatto del meta- morfismo pili o meno sviluppato che le fa di^tinguere dalle roccie cristalline arcaiche. Si capisce facilmente che in epoche diverse e per cause che possono essersi ripetute dopo un grande intervallo di tempo, quelle roccie possono essersi trasformate ed essere arrivate anzi a si alto grado di metamorfismo da conseguire la somiglianza che il Ber- trand pone in rilievo. Non si hanno eglino degli scisti e dei calcari cristallini appartenenti alle più disparate e ben determinate epoche geologiche ? Conviene però notare che anche le besimauditi più profondamente metamorfosate non abbandonano mai quella loro fisonomia partico- lare che le fa distinguere immediatamente dalle roccie arcaiche. I geologi che prima di noi studiarono le Alpi, sebbene non disponessero dei modermi mezzi di osservazione e di analisi, riconobbero tuttavia che quegli gneiss tanto sviluppati nelle Alpi Marittime, erano note- volmente diversi dagli altri delle Alpi Occidentali e che meritavano perciò di esserne distinti con un nome particolare; e li chiamarono perciò Appenniniti, La differenza adunque esiste, malgrado che il microscopio possa forse rivelarvi gli stessi componenti e la stessa intima struttura. Più tardi quegli gneiss risultarono difatti più recenti degli gneiss arcaici; poiché, come è noto, si trovarono soprastanti al Carbonifero fossilifero. ^ Ecco il fatto saliente ohe stabilisce la grande differenza delle besimauditi o falsi gneiss^ dagli gneiss propriamente detti. Esse sono collegate e stanno in serie da una parte col terreno carbonifero e colla serie triassica ben definita dall’altra; serie normalmente composta di quarziti, oarniole, gessi e calcari compatti dolomitici fossiliferi. Ora, i nostri gneiss del Gran Paradiso sono ben lungi dal trovarsi in tali rapporti: essi sono alla base di una serie di altre roccie cri- ^ D. Zaccaona, Sulla costit. geol. delle Alpi Marittime. (R. Accad. dei Lincei. Transunti, 1883-84, pag. 224). — 69 — stalline che non ha alcuna analogia coll’altra ben nota e caratteristica. La serie cristallina anzi si mostra sottostante con tutti i suoi membri^ come abbiamo veduto e sostenuto con vari esempi, a tutti i membri dell’altra serie Carbonifero-triassica, offrendo volta a volta i casi di sovrapposizione diretta i più saltuari e disparati. Sempre a proposito dell’ipotesi sulla permicità degli gneiss di Bonneval affacciata dal Bertrand, è strana l’osser v^azione che egli fa* contro l’obbiezione della presenza incontestabile in altre zone alpine, ad esempio, nella catena di Belledonne e presso Lugano, di gneiss e micascisti anteriori al Carbonifero, che questo terreno sormonta in discordanza. Secondo lui quella sovrapposizione e quella discordanza sarebbero invece un argomento di più in favore della sua tesi; e do- manda perchè, se le roccie cristalline si dovessero considerare della stessa età sui due lati ed al centro delle Alpi, queste roccie sarebbero lateralmente discordanti col Carbonifero e nella parte centrale con- cordanti col Trias. Ma io osservo che questo fatto non esorbita per nulla dall’ordine dei casi possibili. Non abbiamo, nella stessa catena di Belledonne, a Petit-Coeur, l’apparente concordanza di terreni fra loro distantissiihi per età, quali il Carbonifero, il Giurassico e gli Scisti cristallini ? Farmi anzi naturale che il parallelismo fra forma- zioni diverse possa prodursi più facilmente laddove le roccie furono più energicamente costipate e laminate ; epperciò più che altrove nella zona centrale delie Alpi (M. Bianco, Catena di Belledonne, Pelvoux), che è quella maggiormente sollevata, e che in conseguenza subì più intensamente l’azione delle pressioni laterali. Ma si può chiamare vera concordanza quella che è prodotta da queste pressioni ed ac- compagnata dalla saltuarietà dei contatti a cui abbiamo tante volte accennato? Vi può essere parallelismo locale nelle stratificazioni; ma ciò è diverso dalla vera concordanza, perchè questa implica una continuità nelle formazioni, che pei fatti descritti non è e non può esi- stere fra le roccie cristalline e le altre della serie Carbonifero-triassica. ^ ^ M. Bertrand, Etiides sur les Alpes Frangaises, pag. 82. — 70 — Esempi della sovrapposizione diretta degli strati paleozoici agli gneiss ed alle altre rocoie della serie cristallina, ci si offrono di fre- quente del resto in tutte le zone alpine indistintemente. Abbiamo già citato oltre agli esempi di cui sopra, quelli del Carbonifero di Peisey e della Thuille posanti sugli gneiss e micascisti della zona del Mont Pourri. Presso al Col de la Porclaz sopra Trient, agli strati carboniferi che rivestono gli gneiss antichi, si vedono succedere gli scisti gneissici permiani; e la serie continua poi superiormente coi calcari triassici. ^ Nelle Alpi Marittime abbiamo gli scisti permiani sui calcescisti a Maurin in valle delFUbaye; e tale sovrapposizione si ripete in Val Maira presso Acceglio nella Rocca Coulour e sulla Roccia Corna, e si protende anzi al Monte Pergo dove affiora pure il Carbonifero, seguitando ancora per parecchi chilometri lungo tutta una zona paleozoico-triassica che dall’alta Valmaira giunge fino alla Stura. Nella zona antica della Liguria occidentale la sovrapposizione della besimaudite ai calcescisti, micascisti e roccie verdi, che lungo il Riobasco scendono fino ad Albissola Superiore, si vede nettissima presso all’abitato di Piazza San Giambattista. La parte inferiore della roccia permiana, tuttoché gneissforme conserva ancora inclusi gli elementi arrotondati delle roccie arcaiche su cui si appoggia. Analo- gamente in valle della Gordolasca sulla cima Caplet, alla base degli scisti permiani, si ha una breccia contenente i frammenti dello gneiss ghiandone su cui essa è direttamente appoggiata. Anche lo gneiss dello Spinga (Suretta-gneiss, Rofna-gneiss) si appoggia sui micascisti di Campodolcino, sulle roccie verdi di Prestone e sullo gneiss di Chiavenna; i quali, secondo il Bertrand, coerente- mente a quanto egli sostiene riguardo agli gneiss, micascisti e roccie verdi del Moncenisio e di Bonneval, dovrebbero esser riferiti al Permo- carbonitero ; della qual cosa, meglio che altri possono giudicare i geo- logi svizzeri. ^ D. Zaccagna, Sulla geologìa delle Alpi Occideufali, pag. 370. — 71 — Abbiamo infine in vari punti delle Alpi orientali e segnatamente nelle Gamiche, anche sul nostro versante (valli del Piave e del Taglia- mento), lembi dei più antichi piani paleozoici (Cambriano e Siluriano) imbasati sopra gneiss e micascisti appartenenti alla stessa zona di quelli del gruppo del Gran Paradiso, dei quali sono anche la diretta continuazione. Ora questi fatti raccolti sopra tanti e diversi punti del sistema alpino, sono a mio credere abbastanza importanti e nettamente deli- neati per costituire delle prove; essi stabiliscono ad un tempo in modo indiscutibile, sia la perfetta indipendenza della serie triassica e paleozoica dalla serie cristallina sottostante; sia che questa formazione di gneiss, micascisti, calcescisti e roccie ccncomitanti deve ritenersi non soltanto come precarbonifera, ma addirittura come prepaleozoica od arcaica, come io l’ho sempre considerata. Ma anche attenendosi alle sole considerazioni tettoniche, la se- zione di Bonneval quale fu interpretata dal Bertrand risulta inam- missibile. Certo è che, se egli avesse avuto modo di conoscer meglio la regione dei Gran Paradiso ed apprezzare la portata della sua interpretazione, si sarebbe facilmente persuaso che essa è insostenibile; perchè gli anticlinali da lui immaginati nella zona degli gneiss su- periori del vallone di Lenta dovrebbero trasmettersi perifericamente, in modo poco verosimile, anche alle zone gneissiche corrispondenti del versante italiano, la cui potenza non solo, ma anche la posizione rispetto ai calcescisti ed alle altre roccie concomitanti, a causa delle sostituzioni eteropiche, è assai incostante. Ora l’enorme massa dei micascisti, gneiss, calcescisti e roccie verdi della parte orientale richiama ragionevolmente una corrispondente potenza nella occiden- tale ; nella quale, benché predomini la forma dei calcescisti, non man- cano gli gneiss, i micascisti e le roccie verdi, tanto alla base che in alternanze come si hanno nel versante Est del gruppo; d’altronde la loro perfetta equivalenza è esuberantemente dimostrata. E quindi logico e naturale il concludere che neppure nella valle dell’ Are si possa dividere la zona delle pietre verdi in una serie di pieghe successive; — 72 - © ohe tutta la grande massa di micascisti, gneiss, serpentine, anfìboliti e calcescisti, a partire da Bonneval sino alla cresta del Méan Martin e del Ohatelard formino una serie continua della stessa zona pre- paleozoica. Ma l’apprezzamento tettonico del Bertrand diviene addirittura inconcepibile se si considera che le pieghe svolgentisi nel vallone di Bonneval da lui rappresentate, dovrebbero di necessità ripetersi con analogo motivo stratigrafìco anche sulla sponda opposta, dove si ripetono pressapoco gli stessi affioramenti ; con quanta verità e natu- ralezza ognuno può giudicare, riflettendo come quella valle altro non sia che uno squarcio casuale avvenuto per erosione attraverso la serie delle roccie che si sovrappongono allo gneiss fondamentale. Nella soluzione tettonica che dà il Bertrand della sezione di Bonneval ©gli considera come sincroni i calcari cristallini che trovansi associati ai micascisti presso le Granges du Cueigne, sopra Bonneval 0 sulla sinistra del vallone di Lenta, coi lembi triassici di calcari compatti e carniolici che trovansi in vari punti distribuiti indistinta- mente fra i calcescisti, micascisti ed altre roccie della zona delle pietre verdi. I primi sono dei calcari marmorei contemporanei delle roccie cristalline, come quelli che trovansi in più punti delle Alpi e, ad esempio, in Valpellina, nell’alta Val Sesia al Sempione, ad Ornavasso, a Bellinzona, ecc., che nessuno ha mai pensato a collocare nel Trias in base soltanto alla loro forma litologica, come fa il Bertrand. I secondi sono quei lembi già segnalati da me come triassici nei luoghi sopra menzionati ^ e che sono giustaijosti e non inseriti fra le roccie cri- stalline come pretende il nostro autore. Entrambe queste masse, come quella di Lanslebourg, sono perciò ben lungi dal presentare la forma di lenti loro assegnata dal Bertrand ; tanto la forma che la posizione di esse dimostrano invece nel modo più chiaro la posteriorità del deposito triassico alle roccie cristalline su cui si appoggiano. La prima ^ Y. Riassunto, ecc., pag. 203. 78 — è una crosta calcare con carniole alla base, che si sovrappone aduna alternanza di lenti di micascisto, calcescisto, gneiss e calcare cristal- lino arcaico, che colla sua ampiezza, per quanto limitata (5 a 600 metri di lato) ricopre ed interrompe all’esterno l’andamento dei banchi su cui è imbasata, come risulta dalla Carta geologica annessa alla mia Nota, dedotta in questa parte da un rilevamento di dettaglio assai accurato b Quanto all’altra massa, quella delle Granges, il Bertrand mi fa dire ch’io la considero come arcaica; ma anche qui le masse calcari sono due, e bisogna distinguere la lente di calcare cristallino che sta fra i micascisti e gli scisti anfibolici sulla strada di Villaron, da quella vicinissima che evidentemente ne è indipendente e si sovrappone a questa lente ed alle roccie associate, come la mia sezione d'*, già citata, chiaramente rappresenta. Si tratta di un piccolo lembo trias- sico, isolato, di forse 100 metri di lunghezza, che può facilmente essere ispezionato tutto attorno, completamente indipendente dalle roccie che lo sopportano. Chi lo portò in quel luogo e come potrebbe spiegarsi tale posizione casuale rispetto alle roccie su cui si appoggia, se non appartenesse ad una formazione ben diversa e molto meno antica? Non meno chiara è la posizione della massa di Lanslebourg figu- rata da me (pag. 202) come discordante coi calcescisti che hanno palesemente diversa inclinazione; e, malgrado il diniego del Bertrand, insisto nello affermare che sopra Les Champs uno spuntone dei calce- scisti sottostanti viene bruscamente ad interrompere la continuità della massa delle carniole, come rappresenta la mia sezione. La indipendenza di questi lembi triassici dalle roccie sottostanti è dimostrata non solo partitamente da ciascuna massa nei modi che ^ Questo rilevamento è molto discorde dalla Carta geologica francese (foglio di Bonneval) testé pubblicata. Tra altre discrepanze noto che la massa di cui cpii si parla, forma il culmine segnato colla quota 2321m sulla destra del Lenta: mentre in (piesta Carta tale eminenza è segnata colla tinta del calcescisto e la massa calcare è trasportata sulla sponda sinistra. — 74 — abbiamo veduto, ma viene eziandio confermata considerandola sotto l’aspetto generale del loro insieme; perocché, mentre questi lembi staccati si trovano pressapcco allo stesso livello rispetto al fondo della valle, non lo sono affatto invece dal punto di vista stratigrafico ri- spetto alle roccie su cui si appoggiano. Una prima massa sopra Bon- neval resta difatti accollata in parte sullo gneiss centrale, cioè sulla roccia più profonda della serie, ed in parte sulla zona di passaggio al micascisto ed alle pietri verdi; poi abbiamo alle G-ranges, sopra Villaron, il piccolo lembo interamente imbasato su questa stessa zona; e finalmente più a valle, a Lanslebourg, altre masse giacenti intera- mente nei calcescisti. Ora, per quanto sia debole lungo la valle l’in- clinazione degli strati della serie arcaica fra Bonneval e Lanslebourg, si tratta di banchi rocciosi formanti una serie continua ed ascendente che sul percorso di 20 chilometri, devono tuttavia presentare fra di loro un dislivello stratigrafìco enorme, forse oltre i 2000 metri. Il deposito triassico, coi suoi lembi appartenenti allo stesso piano (quello del Muschelkalk), sparpagliati lungo la valle dell’ Are, attraversa adunque tutta questa serie, malgrado possa anche osservarsi nei vari lembi presi isolatamente un locale ed apparente parallelismo fra i banchi dei due sistemi. Veda adunque il Bertrand se è possibile ammettere una relazione di continuità fra questi lembi triassici e le roccie su cui essi stanno appoggiati. {Continua). — /o II. V. Novarese. — L'origine dei giacinienfi mefcdliferi di Brosso e Traversella in Pientonfe, La miniera di Brosso è nominata in un gran numero di scritti relativi alla geologia o mineralogia del Piemonte, e cenni più o meno estesi ne furono dati dal Robilant, dal D’Aubuisson, dai Barelli, dallo Striiver, da S. Traverso, dal Baretti, nonché in parecchie pubblicazioni del Corpo Reale delle miniere di varie epoche. Però della sola miniera piemontese che sia in esercizio quasi non interotto dall’epoca romana fino ad oggi mancava finora una monografia completa. A colmare questa lacuna ha recentemente pensato il proprietario stesso della miniera, ing. V. Sclopis, in collaborazione coU’ing. A. Ho- nacossa professore di arte mineraria presso il E.. Museo industriale di Torino, pubblicando in occasione dell’Esposizione canavesana tenuta in Ivrea l’anno scorso, un elegantissimo volume di 90 pagine corredato da 8 tavole litografate b Nella prima parte l’ing. Sclopis ha narrato le vicende della mi- niera dai suoi primordi, le lotte di cui il suo possesso fu causa, e la sua trasformazione, avvenuta nella seconda metà del secolo xviii, da miniera di ferro in miniera di pirite con annessa fabbrica di vetriolo verde. Solo nel secolo xix Brosso diventò miniera di pirite propria- mente detta, vendendo il suo minerale alle fabbriche di acido solforico dell’Alta Italia ed esportandone anche all’estero senza più trattarlo sul posto. La parte seconda del libro è una raccolta di documenti relativi alla storia della miniera. * Ing. Y. Sclopis e Ing. A. Bonacossa, Monografia sulle miniere di Brosso {circondario d' Ivrea). Torino, Stamperin Reale di G. B. Paravia. 1900. (La coper- tina porta stampato per eri-ore « con 7 tavole in litografia »|. — 76 — La terza parte dell’ opera, dovuta al prof. Eonacossa e nella quale con molta accuratezza e copia di fatti nuovi ed inediti è descritto il giacimento e sono esposte le idee dell’autore sulla sua genesi, è un contributo notevole alla scienza dei giacimenti metalliferi e merita di essere conosciuto più che non l’abbia permesso la ristretta diffusione data al libro. Mi soffermo sopra questo esame tanto più volentieri in quanto da qualche tempo ho intrapreso il rilevamento geologico della regione mineraria Brosso-Traversella per cui la conoscenza dei luoghi e del- l’argomento mi pone in grado di apprezzare maggiormente il valore dell’opera del Bonacossa, anche se in qualche punto le mie vedute non concordano colle sue. Dirò subito ohe questa diversità di pareri riguarda unicamente l’interpretazione della costituzione litologica e geologica della regione (Parte III, Gap. I), mentre nelle idee sulla genesi del giacimento, sono in massima d’accordo coll’egregio autore. La descrizione del giacimento di Brosso è fatta con molta chia- rezza e rara oggettività dal Bonacossa, che da molti anni segue lo svolgersi dei lavori nelle miniere. Egli definisce con grande precisione i giacimenti di Brosso come « deposizioni di pirite e di ematite^ ora distinte ora miste, che si trovano distribuite entro le masse amigda- loidi calcaree di vario spessore é forma, ma sempre molto estese, che si trovano interstratificate ai micasciti e preferibilmente lungo le su- perficie di contatto delle due roccie » (pag. 68). Il giacimento è fatto conoscere nel modo più efficace mediante una i rappresentazione grafica in varie tavole da cui appare che i calcari sono cosi estesi e continui in direzione e in profondità da meritare il nome di banchi con rigonfiamenti amigdaloidi (fig. 1). Questi banchi sono, come i micascisti, diretti N 70^-80^ O ed inclinano verso S di 30°-40® circa. Siccome la direzione generale media della formazione dei mica- scisti è di N.E circa, come vedremo, conviene ammettere nella ristretta regione mineraria di Brosso una deviazione locale di circa 45'’ nella direzione. — 77 — Il numero dei banchi finora riconosciuto è di 6, a cui converebbe aggiungerne un altro di cui si riconobbe di recente la mineralizzazione, incontrato nella galleria attraverso banco delle Fortune ^ Fig. 1 — Miniera di pirite di Brosso. n,nrinìenìc/Mon?e Fiorili^ C///f reni* %rhip-^ Sctivere Brosso 0 L lOOrr. 200m 300m 4-OOm SOOmelri _! Sezione orizzontale al piano di 200 m. sopra la laveria di Vaicava. Scala da 1 a 12000. (Secondo Sclopis e Bonacossa Mon. della Min. di Brosso, tav. II, e Rivista del Serv. Min. 1899, tav. II, pag. 346), — 78 — Il campo minerario di Brosso è ancora attraversato da un sistema di 7-8 fratture, dirette N E ed inclinate verso N.O, cioè in di- rezione opposta al giacimento, le quali se non hanno importanza eco- nomica perchè assai scarsa è la loro metallizzazione, ne hanno invece una grandissima per la genesi del giacimento ; il loro rigetto è sempre assai piccolo e non supera mai i 10 o 12 metri, sicché propriamente meglio che faglie potrebbero chiamarsi fessure. Il Bonacossa si preoccupa della questione se queste faglie siano anteriori o posteriori alla deposizione del giacimento ed accoglie la prima ipotesi in forza dei tre fatti seguenti, osservati nella miniera ed assolutamente decisivi (pag. 80-81). « 1. Non si verificano mai nei piani di faglia, dove queste attra- versano il giacimento con apparente rigetto, nè levigature, nè strie o rigatura nelle rocce mineralizzate e tanto meno nella pirite (anche dove questa occupa grandi spessori) che addimostrino il fatto mecca- nico di scorrimento. « 2. Gli spessori di giacimento ai due lati della faglia non si ri- scontrano di uguali dimensioni e non verrebbero a combaciarsi se si mettessero a riscontro le due faccie apparentemente spostate. « 3. Sovente le superfìcie conterminanti il giacimento, cioè di tetto e di muro, all’incontro del piano di faglia non veggonsi tagliate nette, ma bensì in queste intersezioni di faglia, od in vicinanza di esse le superfici di muro e di tetto del giacimento presentano delle indeterminazioni e compenetrazioni piritose e silicifere per farsi poi regolari e ben delineate a certa distanza più o meno grande dalla faglia. » Messo così fuori dubbio che le fratture sono anteriori alla depo- sizione del minerale, ed ammesso che per la loro estensione esse sono ^ Questo nuovo banco metallifero, che all’affioramento sembrava sterile, non figura nelle tavole del Bonacossa, ma è invece rappresentato sotto il nome di lente delle Fortune, nelle tavole relative al giacimento di Brosso, comparse nella Bivista del servigio minerario nel 1899, Relazioni speciali sul servizio dei di- stretti, Distretto di Torino, pag. 346. — 79 - certamente dovute ad un importante movimento orogenico, il Eona- cossa conclude che « le faglie N.E, sono le vie di arrivo delle soluzioni minerali che apportarono la pirite e Toligisto e tutti gli altri minerali accidentali che si trovano nei giacimenti che ora colti vansi (pag. 81) ». I giacimenti quindi, sebbene interstratificati, sono posteriori alle roccie incassanti; sono prodotti dalhazione sui banchi calcarei per- meabili ed attaccabili, rinchiusi nei micascisti impermeabili ed inat- taccabili, di acque termo -minerali metallifere circolanti lungo il sistema di fessure N.E ; cioè si ha un esempio da aggiungere ai nume- rosi già noti, dell’ influenza esercitata sulle manifestazioni metallifere dalla presenza di calcari inclusi dentro ad una formazione di roccie di altro genere. Difatti le masse metallifere non soltanto sono distri- buite lungo le lenti calcari, ma presentano zone d’arricchimento lungo le faglie, da cui queste sono intersecate e dove più diretto ed immediato era il contatto fra la roccia calcarea e le soluzioni circolanti. Non è stato possibile al Bonacossa di stabilire se e quale dei due minerali principali del giacimento siasi deposto pel primo, tanto più che sembra vi siano anche deposizioni secondarie tanto di pirite, quanto di ematite; tuttavia, sebbene ritenga che il fenomeno che ha dato luogo ai due minerali sia unico in origine, inclina a credere che la deposizione della pirite abbia avuto la precedenza. In una mia nota scritta circa un anno fa \ discorrendo della ge- nesi probabile di un altro giacimento piritifero, ho per incidenza, e quasi come dandone comunicazione preventiva, affermato che ritenevo applicabile la genesi per pneumatolisi ai giacimenti di Traversella e di Brosso, posti presso il contatto di una potente massa intrusiva. Avevo tratto tale convinzione dallo studio, intrapreso da qualche anno, ^ La miniera del Betìi e dUinivert (Rassegna mineraria, Yol. XII, n. 7, 8 e 9: 1, 11 e 21 marzo 1900). — so - della costituzione geologica della valle deirOrco e della CMusella e dal rilevamento dei dintorni di Traversella, non avendo ancora in quel tempo esteso le mie osservazioni fino alla miniera di Brosso, che però avevo già visitato qualche anno prima. Il lavoro del Bonacossa è venuto a confermare con larghissimo sussidio di osservazioni affatto indipendenti dalle mie, le conclusioni a cui ero giunto, precisandole e completandole: il giacimento è da attribuirsi all’azione di un feno- meno idrotermale sopra roccie preesistenti (pneumatolisi). Il Bonacossa però non ha trovato che questi fenomeni idroter- mali dipendessero da qualche altra manifestazione endogena ; sebbene affermi che una roccia eruttiva appare presso il giacimento, la esclude come vedremo, fin da principio dalle sue considerazioni genetiche. Eppure, siccome i giacimenti metalliferi sono limitati ad una porzione molto ristretta di una formaziune che mantiene inalterati tutti gli altri suoi caratteri sopra un’estensione assai maggiore, si è portati necessariamente a ricercare se i fenomeni idrotermali che li hanno deposti non siano connessi a qualche altro fenomeno locale. E la so- luzione del dubbio si presenta immediatamente quando invece di li- mitare le osservazioni a Brosso si prenda a considerare tutta la zona mineralizzata Brosso-Traversella, in cui i giacimenti metalliferi sono costantemente associati ad una massa eruttiva. E noto che il giacimento di Traversella è separato da quello di Brosso da un potente dicco di roccia massiccia (fig. 2) che è stata sempre denominata finora « sienite » o « granito anfibolico » ; l’hanno ricordata il D’Aubuisson, A. Sismonda, Barelli, Sella, Burci, Gastaldi, Striiver, Baretti e l’ha descritta petrograficamente s. Traverso. Dalle diagnosi di quest’ultimo appare, come ha fatto osservare il Bosenbusch che alla roccia converrebbe meglio il nome di diorite, essendo un plagioclasio il felspato in essa predominante. Per evitare però confu- ^ Mikr. Phjfsiographie der Min. n. Gesteinc ; 3^ ed., Yol. Il, pag. 236. 81 — sioni ed equivoci continuerò a chiamarla « sienite » nel corso del pre- sente scritto ^ Fi^. 2. — Schizzo dì carta geolor/ica di Brosso e Traveiyeìla. Scala da 1 a 75000. m.v) Micascisti - Sieniti - ~) Porfidi in filoni - c) Calcari cristallini - qr) Roccia granatifera - fe) Masse metallifere - q) Quaternario (morene, alluvioni antiche e recenti, ecc.) - I) Oiaci- mento Brosso - II) Giacimento Traversella - III) Giacimento Montajeu - IV) Giacimento Tem- pia - V) Giacimento Ajello. Importa mettere fuori questione, prima di ogni altra cosa, la na- tura dei rapporti di questa sienite » colla roccia incassante e stabilire se essa è intrusiva od edusiva, o in altre parole se essa sia contempo- * Mi riservo di ritornare in una prossima occasione sopra questo argomento della « sienite » di Traversella e delle sue relazioni colle roccie massiccie filo- niane concomitanti. Intanto, a conferma dell’osservazione del Rosenbuscli, riporto i principali risidtati dell’analisi in corso nel Laboratorio chimico deH’Ufficio geologico, di un campione raccolto da me a Traversella. Il campione rappresenta la varietà .piti acida della roccia, che venne chiamata granito anfibolico perchè 6 — 82 — ranea o posteriore alle roccie che la contengono perchè da ciò dipende la spiegazione naturale di tutti i fatti che si osservano nei giacimenti metalliferi di Brosso e Traversella. Mentre i vari autori che abbiamo nominati o non hanno parlato delle condizioni di giacitura della « sienite o l’hanno ritenuta in- terstratificata e contemporanea delle roccie includenti, il Traverso ne ha affermato e ne ha documentato con prove di vario genere la na- tura intrusiva, aggiungendo ancora che essa ha metamorfosato le roccie con cui venne a contatto. Il Bonacossa invece nel primo capitolo del suo scritto, pure am- mettendo la natura eruttiva della sienite la ritiene perfettamente in- terstratificata e per ciò contemporanea delle rocce stratiformi che la contengono. Questa supposizione però è cosi contraria alla realtà che il Bonacossa stesso nella rappresentazione dei fatti osservati si di- mostra nel modo più chiaro di tutt’altra opinione, e nelle tavole II e lY le testate dei banchi di micascisto e di calcare incontrano sotto un angolo più o meno acuto, con discordanza indubitabile, la linea di contatto della sienite. Questa perciò, anche per consenso di un tal teste, certamente non sospetto, taglia gli strati anziché essere paral- lela ad essi ; sarebbe quindi intrusiva e posteriore ai micascisti. contiene una quantità relativamente forte di quarzo libero, visibile macrosco- picamente; è costituita essenzialmente oltre che dal quarzo, da ortose, plagio- clasio, biotite ed anfibolo verde bruno ; accessorio lo sfeno ed il minerale metal- lico. Manca il pirosseno, che si ritrova generalmente nelle varietà più basiche. Si 0, 60.02 Ca 0 5. 84 Ti Og .... ? JSTa, 0 . . .4.16 ^3 .... 18.32 K, 0 .... 3.77 Fe, O3 5. 22 0 .... 0.53 Mg 0 .... .... 2.59 P, 0*^ ... 0.17 Somma 100.62; P. S. 2.75 L’analisi non è completa perchè rimane a determinarsi il titanio e la pro- porzione dell’ossido ferroso al ferrico. Come si vede, anche la varietà più acida della roccia ha una composizione tale da non lasciare alcun dubbio sulla sua natura dioritica. — 83 — Un esame anche sommario dei rapporti stratigrafici fra la sienite ed i micascisti che la contengono conferma l’opinione del Traverso ; anzi lo studio della formazione dei micascisti giova anche a darci quegli altri elementi che sono indispensabili a risolvere la questione dell’origine dei minerali metallici. Se la « sienite » ha attratto l’attenzione di molti geologi, minor fortuna hanno avuto le rocce incassanti che sono pur quelle includenti i giacimenti metalliferi ; alcune loro varietà ed accidentalità sono state descritte da parecchi, fra gli altri con una certa accuratezza dal Ba- retti ^ e dal Traverso, ma nessuno ha descritto le caratteristiche e soprattutto ha messo in rilievo l’importanza e l’estensione di tutta la formazione complessivamente. I giacimenti di Traversella e di Brosso si trovano in una zona di micascisti, posta immediatamente a N.O della zona anfibolitica d’Ivrea e che corre diretta da S.O a N.E al- l’incirca parallelamente a questa; incomincia nella bassa valle delfOrco, attraversa la media Val Chiusella, la bassa valle d’Aosta, penetra nella valle inferiore della Lys, allargandosi e giungendo a mezzo- giorno fino all’Oropa; il rilevamento geologico non ha ancora deter- minato il suo limite estremo verso levante. A giudicare dalla recente carta di Artini e Melzi “ la formazione penetrerebbe in Valsesia for- mando la parte superiore delle valli Sorba e Vogna. Caratteristica per questa zona è la presenza nei micascisti di lenti più o meno potenti di roccie gastalditiche, e la frequenza di nuclei eclogitici di ogni dimensiono, associati intimamente ai mica- scisti stessi, fatto cosi generale e frequente da farla denominare la zona dei micascisti eclogitici. Noterò di passaggio che il pirosseno (omfacite) di queste eclogiti è spesso sodico e come ha recentemente dimostrato il Franchi, ha la composizione ed i caratteri fisici della giadeite. Gli è perciò che le eclogiti impoverendosi di granato e di ^ M. Baretti, Geologia della Provincia di Torino. Torino, 1893.; pag. 215. * E. Artini e n. Melzi, Ricerche petrofjra fiche e (jeologiche sulla Valsesia. Sfilano, 1900. — 84 anfibolo, passano a vere giadeititi che compaiono in ciottoli in tatti i torrenti che attraversano la zona. I minerali delle eclogiti sono poi spesso diffusi nei micascisti dando luogo ai micascisti pirossenici, ga- stalditici, granatiferi, ecc. Infine, e ciò è per la genesi dei giacimenti metalliferi della massima importanza, questa zona di micascisti con- tiene delle lenti di calcare cristallino ora puro, ora più o meno mi- caceo e quindi simile al calcescisto. Queste lenti sono distribuite piut- tosto irregolarmente nella zona ; in qualche profilo trasversale mancano affatto; in altri ricorrono in più orizzonti; in parecchie località for- mano allineamenti molto estesi e persistenti. A.ccennerò al calcare di Pont Canavese ben noto ai geologi piemontesi ; all’allineamento di lenti calcaree che parte dal colle della Bossola fra le valli della Savenca e della Chiusella, e che passando per Traversella e Brosso si protende fino al Monte Buono o Montabone presso Borgofranco, ecc. L’andamento generale dei limiti della formazione e più ancora questi allineamenti di lenti calcaree continui per decine di chilometri, pongono in evidenza la regolarità della sua tettonica, e dimostrano a colpo d’occhio la natura intrusiva del massiccio sienitico, che come risulta già dalle stesse carte di Gastaldi, e come ha detto Traverso ( è orien- tato normalmente agli strati gneissico-scistosi, la cui direzione media è approssimativamente N.E-S.O ». Ed aggiungerò: questo massiccio il cui asse maggiore è diretto S.E-N.O taglia pure una serie di alli- neamenti di lenti e banchi di calcari cristallini contenuti nella for- mazione dei micascisti, e viene con ciò a creare una delle condizioni necessarie per la deposizione dei minerali metallici. Nei giacimenti metalliferi stessi s’incontrano prove evidenti della natura intrusiva della sienite. A Traversella si hanno due gruppi di giacimenti: quello di Traversella propriamente detto e quello di Montajeu; in entrambi il minerale principale è la magnetite, e ad essa sono subordinate la pirite e la calcopirite. Il giacimento di Traversella si trova a contatto diretto della stessa massa « sienitica » che si estende fino a Brosso. Mentre a Brosso fi- 85 — n^'ra non si conosce che cosa diventi il giacimento a contatto della sienite, qui invece tale contatto è non solo esplorato, ma addirittura messo allo scoperto: anzi in vicinanza di tal contatto aveva il gia- cimento la sua massima potenza. Il minerale però è interstratificato, e presenta anzi a causa di alternanze di magnetite e calcare dolomi- tico una zonatura parallela alla roccia incassante che è anche qui il micascisto. La massa principale del giacimento, cioè i filoni Princi- pale, Morello e True (fig. 3), ha una direzione S.E-N.O sensibil- Fig". 3. — Miniera di Traversella. ms 2 gr 1 Pi:int;i al livello flelTacqua, e sezione trasversale (secondo G. Burci, 1860). ms) Micascisto - ', ) Sienite - gr) Roicia a granati {porta del Jerro) - 1. 2. 3. A. Massa metallifera; 1 Filone principale - 2 Filone Morello - 3 Kil15 — Tol. IT, Parte 1^. Firenze 1891. — Un volume in-I*^ di pag. 136 con tavole » 8 — Tol. IT, Parte 2‘\ Firenze 1893. — Un volume in-4^ di pag. 214 con taAmle » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Tol. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica dell' Isola di Sicilia. — Un A'olume in-8*^ di pag. 436 con taA^ole e una Carta geologica » 10 — Tol. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- usola d'Elba. — LTn A'olume in-8® di pag. 266 con taA’^ole e una Carta geologica » 10 — Tol. III. Roma 1887. — A. Fauri: Delazione sulle miniere di ferro dell Isola d'Elba. — Un A'olume in*8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Tol. IT. Roma 1888. — G. Zoppi; Descrizione geologico-mi- neraria delUglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con taA'ole, un atlante ed un Carta geologica » 15 — Tol. T. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- inineraria della zona argentifera del Sarrabus {Sardegna). — Un A'olume in-8® di pag. 78 con taAmle e una Carta geologico-mineraria » 8 — — 126 — Voi. VI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa L. 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Coetese e V. Sabatini: De- scrizione (jeologico-pdrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese : Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8'^ di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: / vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in 8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2‘^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Poma 1886 . » 100 NB. 1 ragli e le tavole di questa Carla si vendono anche separatamente come segue : Foglio X. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio X. 262 (Monte Etna) . . L. » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del Vallo) » » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) . . . » » 250 (Bagheria) . . . » 3- » 267 (Canicattì) . . . » » 251 (Cefalù) . . . . » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » » 252 (Xaso) . . . . » 4 — » 269 (Paterno) . . . » » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . » » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) . . . » » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » » 257 (Castelvetrano) . » 4 — > 273 (Caltagirone) . « » » 258 (Corleone) . . » 5 — » 274 (Siracusa) . . • > » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » » 260 (Xicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . . • » » 261 (Brente) . . . . » 5 — » 277 (Xoto) . . . . » Tavola di sezioni X. I (annessa ai fogli 249 e 258 . . L. 4 — » » X. II (annessa ai fogli i 252, 260 e 261) » 4 — » X. Ili (annessa ai fogli 253, 254 o 262) » 4 — » X. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » X. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — 5 3 4 5 5 5 3 3 4 5 4 3 3 3 127 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 . . ’ L. 2.5 — NB. / fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 142 (Civitavecchia) L. 4 — Foglio » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 149 (Cerveteri) . . L. 4 150 (Roma) ... » 5 158 (Cori) .... » 4 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 n 50 000, in quattro fogli e tre tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897. L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — Foglio Stazzema . » Serravezza L. 5 — » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna Carta geologica della Calabria, fogli seguenti: Foglio 220 (Verbicaro) . . L. 3 — » 221 (CastroA'illariI . » 5 — » 222 (Amendolara) . » 3 — » 228 (Cetraro) . . . » 3 — . 229 (Paola) ...» 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 231 (Ciro) . ...» 3 — » 230 (Cosenza). . . » 4 — » 217 (S. triovanni in F.)» 5 — 238 ((’otrone) . . . » 3 — > 241 (Xicastro). . . >4 — . L. 5. nella scala dì 1 a 100 000; SI compone dei Foglio ]Sr. 242 (Catanzaro) . » 243 (Isola Capo Riz zuto) . . » 245 (Palmi) . . » 246 (Cittanova) v » 247 (Badolato) . » 254 (Messina). . » 255 (Gerace) . . » 283 (Beva) . . . » 264 (Staiti) . . . L. 4 3 — 3 — 5 — 3 — 4 — 4 — 3 — 3 — Tavola di sezioni X. l, X. Il e X. Ili, ciascuna . L. 4 Carta geologica dell’Isola d’Elba, nella scaladi 1 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-miiieraria dell’ Iglesieute (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 OCX), in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-miiieraria del Sarrabiis (Isola di Sardegna), nella sra’a di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Per le cominissioni riroU/ersì alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano o Xapoli. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie 1V.“ — Anno II " 1901 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE B. Decreto 10 mar so 1901^ relativo al personale del R. Comitato geologico, VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA. Visto il R. Decreto del 25 gennaio 1894, n. 39; Sulla proposta del ISTostro Ministro, Segretario di Stato per l’Agricoltura, l’Industria e il Commercio: Abbiamo decretato e decretiamo : Art. Sono confermati a componenti del R. Comitato Geologico, pel biennio I9C 1-1902, i signori: Capellini prof. Giovanni; Omboni prof. Giovanni; Strùver prof. Giovanni; Taramelli prof. Torquato. Art. 2”. Il professore Giovanni Capellini è confermato Presidente del Comitato predetto per l’anno corrente. Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del presente Decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti. Dato a Roma, addi IO marzo 1901. Firviaio: VITTORIO EMAVUELE. Controfirmato : Picardi. Vi; Xf: Annunzi di pubblicazioni L. Sequenza. — I yertebrati fossili della proYincia di Messina. Parte 1^: Pesci (Boll. Soc. Geol. it., Tol. XIX. fase. 3*^ , pag. 443-520. con 2 tavole. — Roma. 19, ^ The Srfif. o/ JTonn* Joref S'irojf . iQuarterly .Journal of tlie G-Kilozical So^?ietv. FeCniary — 142 — Il Bertrand attribuisce questa diversità di apprezzamenti alla rapidità forzata della nostra visita ed in parte anche alla nostra idea preconcetta che le roccie verdi da cui va accompagnato il calcescisto della vetta, appartengano necessariamente alF Arcaico. Per quanto le Fig. 15. — Schiuso geologico del Moni Jovet [Isève). nostre osservazioni siano state incomplete, sembrami però ohe egli pigli in parola un po^ troppo rigorosamente le dichiarazioni fatte nella mia Nota ; poiché se infatti rapide ed incomplete possano dirsi^ se dovessero servire alla preparazione di una Carta dettagliata e defi- nitiva, tuttavia per lo scopo prefissoci, che era quello (J^una ricognizione generale dei terreni e della loro tettonica, i dati raccolti furono più che bastevoli a fornirci un’idea sufficientemente esatta della costitu- zione geologica della regione. Nè può affacciarsi il dubbio della pre- venzione per le roccie arcaiche del Mont Jovet, poiché se vi è caso ^ 143 - in cui il preconcefeto non era possibile, è quello che qui si presentava» La massa arcaica del Mont Jovet sorge infatti inopinatamente fra roccie di diversa natura, e nulla poteva condurre ad ammettere a 'priori la presenza di quel nucleo antico, attorno al quale esse si appog- giano. E invece la profonda differenza con queste roccie attornianti, rimpossibilità di raccordarle statigrafìcamente in qualsiasi modo a quesce formazioni e la identità assoluta dei caratteri di quel nucleo coi calcescisti già incontrati in masse enormi in valle dell’ Are e del- risère ed in condizioni stratigrafiche non equivoche rispetto alle roccie paleozoico-triassiche, che non permisero di esitare menomamente in- torno al posto che compete a quei calcescisti. Vediamo, del resto, quanto la sezione del Bertrand sia in armonia coi fatti osservati. Egli incomincia col dire che basta percorrere i fianchi del Mont Jovet per convincersi che il Trias attorniante la parte elevata del monte passa dappertutto sotto al calcescisto. La cintura più o meno completa di Trias attorno al calcescisto della vetta esiste difatti, come del resto risulta anche dalla nostra Carta e dall’abbozzo di rilevamento che qui si riporta; però per giustificare la conformazione tettonica da lui immaginata, tanto più trattandosi di una struttura delle più insolite, se non impossibili a verificarsi nella pratica, è necessario che in un colla cintura concorrano all’ap- poggio anche le osservazioni stratigrafiche. Ora la conformazione tet- tonica che egli figura a pieghe cosi recisamente rientranti tutto attorno in forma di cercine, sotto ai calcescisti, è impossibile a vedersi nella zona triassica, almeno negli immediati contatti col calcescisto, per la natura gessosa e carniolica della roccia, che non permette di seguire l’andamento delle stratificazioni. Essa però si vede benissimo nel cal- cescisto, il quale, lungi dal presentarsi con inclinazioni tranquille e convergenti come richiede la forma del sinclinale a cupola rovescia supposta dal Bertrand, offre invece inclinazioni variabilissime, ma per lo più molto accentuate, toccando anche la verticale, come vedesi presso l’orlo orientale della cintura triassica, nel rio della Lovetière. Le stratificazioni del calcescisto sono del resto molto tormentate come — 144 - sogliono essere queste roccie filladiche antiche. Si può tuttavia nel complesso osservare che malgrado le' frequenti contorsioni, le incli- nazioni prevalenti sono verso Sud e S-E ; ed è appunto in questo modo che venne figurata sulla nostra sezione la massa dei calcescisti del Mont Jovet. Anche la direzione del calcescisto che pure dovrebbe secondare il margine della conca sinclinale è per contro molto discorde dall’an- damento periferico che dovrebbe risultare dalla forma a bacino, ammessa dal Bertrand. Risulta invece che, sebbene molto varia- bile, essa non accenna affatto a tale incurvamento e che la di- rezione dominante essendo quella verso Nord o verso N-E, in alcuni punti, come ai Chalets de Prajourdan, viene necessariamente ad ur- tare contro l’anello triassico, anziché secondarne l’andamento. Si tratta adunque di una discordanza vera e propria, che dimostra senza am- biguità possibile l’insussistenza della forma a bacino nei calcescisti, e l’assoluta indipendenza di questa roccia della cima da quella trias- sica che la circoscrive. Se poi veniamo ad esaminare l’anello triassico attorniante, noi troviamo in vari luoghi sul lato Ovest, sopra Mongesin, al Mont des Arrhets e poco sopra N. D. du Pré, fra le carniole ed i gessi, dei banchi di calcare non alterato aventi inclinazioni che variano tra S-0 e N-0; inclinazioni che per quanto variabili non accennano punto ad una rientranza degli strati nel fianco del monte, ma secondano invece l’andamento della falda e denotano che le roccie triassiche si appli- cano semplicemente sopra un nucleo più antico sottostante. Soltanto più in basso, nella zona carbonifera passante sotto N. D. du Pré, le inclinazioni sono rivolte ad Est e divengono poi verticali presso al torrente anche nell’altra zona di Trias nella quale scorre l’Isère, presso a poco secondo la direzione degli strati, dalle gole della Villette fino a Moutiers. Resta quindi pienamente giustificata la piega sinclinale nel Trias, ampia ed aperta, come venne figurata nella nostra sezione sul fianco N-0 del Mont Jovet, adagiantesi in alto sui calcescisti e nel 145 — basso sulla zona del Carbonifero ohe da Montfort si dirige verso Lon- gefoy. Non comprendo peraltro quale criterio abbia guidato il Bertrand a suddividere questa massa triassica in tre distinti sinclinali separati da altrettanti anticlinali con nuclei paleozoici, che ritengo non affio- rino, e che negli strati visibili mostra una inclinazione ben diversa da quella rappresentata. I soli ripiegamenti anticlinali ben distinti che si hanno su questo fianco Ovest del Mont Jovet, sono quelli già segnalati nella mia Nota (pag. 362) che interessano specialmente i calcari, camicie e gessi del Crest e sono rappresentati anche sui frammento di Carta qui annesso. Il più basso ha per nucleo degli scisti permiani, fiancheggiati da quarziti in banchi verticali che vanno a terminare sull’ Isère ; l’altro affiora a mezza costa sotto Montfort con quarziti, scisti rossi e verdi, forse permiani, ed ha per nucleo le are- narie e gli scisti fossiliferi del Carbonifero, sviluppandosi verso N. D. du Pré e Longefoy, come già abbiamo accennato. Quest’ultima sola giunge sino al fianco Ovest del Mont Jovet, richiamando come ne- cessaria conseguenza il sinclinale lievemente incurvato rappresentato nella nostra sezione, che si incontra sotto N. D. du Pré. Una analoga disposizione tettonica, cioè' molto semplice, esiste sul lato Est dove il Carbonifero colle quarziti, calcari, camicie e ^ È da notare che mentre il Bertrand segna al disopra di questa le altre tre pieghe che io non trovo giustificate, e che si riducono, secondo me, al solo sinclinale triàssico rappresentato nella mia Sezione, riunisce invece questi due anticlinali distintissimi e situati a differenti livelli in uno solo (V. foglio di Albertville), prolungando il nucleo carbonifero del più elevato, da Montfort sin poco sopra Salins sul Doron. Ora, data la direzione IN'.IS'.E dei banchi, la loro forte inclinazione, la forma estremamente compressa delle pieghe in parola e la nettezza con cui si disegnano tra la massa calcare col loro con- torno di quarziti, risulta evidente Terrore in cui è caduto il Bertrand. E Ter- rore risulterebbe con maggior chiarezza dalla Carta stessa se il rilevamento geologico fosse stato eseguito sopra Carte a curv^e orizzontali, dalle quali po- trebbero emergere facilmente le incongruenze di interpretazione tettonica e di delimitazione che spesso si notano nella nuova Carta geologica, malgrado che ha Carta di base sia ancora l’antica Carta a tratteggio. 10 146 — gessi del Trias, che si succedono in ampie masse una sola volta, e le loro inclinazioni chiaramente dimostrano, che le complicazioni strati- grafiche figurate dal Bertrand simmetricamente alle altre del fianco occidentale non possono aver luogo. Che anzi, sotto al Roc de Verdon, dove nel calcescisto si hanno stratificazioni verticali, si vedono chia- ramente le camicie appoggiarsi sulle testate di esso \ Soltanto sul fianco Sud del Mont Jovet all’estremità del Rio della Charmette si osserva che il calcescisto, solitamente molto contorto, piglia una pendenza più decisa a S-0 e ricopre il calcare triassico in parte ges- sificato e carniolico ; ma si tratta di un rovesciamento affatto locale, come avviene di frequente in roccie cotanto tormentate. Le zone di scisti Lassici che il Bertrand segna sul fianco Ovest del Mont Jovet e che in sezione figurano come nuclei dei vari sin- clinali da lui ammessi, corrispondono probabilmente a certi strati scistosi grigio-scuri, che quivi, come in altri punti della valle del- F Isère, e segnatamente lungo la zona che da Moutiers si dirige verso Villette, si associano ai calcari triassici. E vero bensì che questi scisti sono assai somiglianti a quelli che costituiscono il terreno giuralias- sico delle vicinanze, e dei quali è formata quasi tutta la massa pro- veniente dalla valle dell’ Are, che attraversa l’Isère a Petit -Coeur; ed a quelli che nei pressi di Brides, dove si rinvennero fossili infralias- sici, potrebbero dubbiosamente essere ascritti allo stesso piano. Non pertanto ciò non basta a giustificare la attribuzione al Lias degli scisti in parola, perchè sono siffattamente uniti ai calcari di Villa- nova tipici, alle breccie ed ai calcari marmorei che li accompagnano, coi quali alternano ripetutamente, da non potersene assolutamento operare la separazione che in modo affatto arbitrario. La presenza di scisti grigi fra i calcari del Trias non è del resto un fatto localizzato ai dintorni di Moutiers. Nei miei lavori sullo Alpi io stesso li ho citati in vari punti delle Alpi Marittime, nel gruppo della Vanoise, al Col de la Seigne e nei pressi di Courmayeur ^ V. Riassunto, ecc. pag. 231. — 147 — nell’alta Val d’Aosta; nelle quali località essi si presentano pure in rapporti di intima unione colle altre roccie triassiche. Crii strati fos- siliferi di cui parla il Bertrand si riferiscono senza dubbio a quelli delle zone liassiche a tutti note di Petit Coeur^ del Col du Nielard e du Gralet; ma per gli scisti del Mont Jovet, le traccie di fossili infraliassici di Brides ed i caratteri litologici, non possono autoriz- zarci a scinderli dalle roccie indubbiamente triassiche colle quali essi trovansi associati. A proposito delle assimilazioni litologiche sulle quali si basa il Bertrand, volendo pur concedere che qualche stretta zona di scisti liassici possa qui penetrare fra la massa dei calcari e confondersi con quelli triassici, data la estrema somiglianza di essi, mi sia lecito di chiedere a qual forma di Lias egli assimila i calcescisti della cima del Mont Jovet, perchè cogli scisti grigi di cui abbiamo tenuto pa- rola non hanno comune che la scistosità ed il colore, mentre poi ne differiscono profondamente per gli altri caratteri loro particolari molto spiccati, che tutti conosciamo. Per contro, non saprei quale differenza egli possa trovare fra i calcescisti del Mont Jovet e quelli delie masse grandissime delie valli dell’Aro e deU’Isère e del Mont Iséran che sono al pari di questi ora molto calcariferi, ora invece sovracca- richi di mica e sericite, zigrinati e contorti e contengono inclusioni di roccie anfiboliche e serpentinose. In una parola essi collimano perfet- tamente nelle particolarità dei loro caratteri con quelli che io consi- dero come appartenenti al sistema arcaico, e sui quali nelle sue di- scussioni il Bertrand si è lungamente soffermato per provarne la trias- sicità. Eppure questi calcescisti triassici al Mont Iséran, sono innega- bilmente quegli stessi che passando dal Mont Iséran alle Brevières, furono, come si è veduto, dallo stesso Bertrand collocati nel Carbonifero e che poi divengono, secondo lui, liassici sulla cima del Mont Jovet. Ora, la coerenza negli apprezzamenti dovendo essere, sembrami, la più indi- spensabile delle condizioni su cui fondare le premesse e le deduzioni, ove essa faccia difetto, viene a mancare la base ad ogni seria discus- sione intorno alle questioni controverse. — 148 — Il Bertrand vorrebbe attribuire a cause di metamorlismo locale la profonda differenza d’aspetto e composizione fra i calcescisti della cima del Mont Jovet e gli scisti della cintura che dovrebbero equi- valervi. Non si saprebbe trovare però una ragione plausibile per cui un metamorfismo cosi profondo si debba essere portato esclusivamente sugli scisti della vetta, che secondo la conformazione tettonica am- messa dal Bertrand, trovansi in un sinclinale culminante epperciò meno soggetti agli sforzi dinamici ; e non siasi egualmente propagato alle zone sottostanti, vicinissime, che si troverebbero in sinclinali ri- petuti e compressi e quindi in condizioni da dover risentire più profon- damente l’azione del metamorfismo. Resta pure a spiegarsi qui, come avviene di consueto nelle interpretazioni tettoniche del Bertrand, perchè il cambiamento di facies litologica (qui dalla facies metamorfica degli scisti alla non metamorfica) viene a coincidere per l’appunto col pas- saggio dall’uno all’altro ramo di una stessa piega Infine il perchè della presenza di masse serpentinose e di altre roccie verdi nei calce- scisti liassici della cima, appunto come in quelli che egli ha sempre collocato nel Trias; e la mancanza assoluta invece di queste masse di roccie verdi, tanto negli scisti vicinissimi della cintura del Mont Jovet (coi quali egli li raccorda sulla sezione), come in quelli vera- mente liassici che pure sono cotanto sviluppati negli stessi dintorni di Moutiers, nella valle dell’ Are, nel Delfinato e nella valle del- rUbaye. Intanto è a notarsi che le masse serpentinose inserite nei calce- scisti del Mont Jovet, sono dal Bertrand rappresentate in modo assai convenzionale, come una sola grande massa continua e regolarmente interposta fra i calcescisti e la cintura triassica, tendente a dimostrare il raccordo perfetto esistente fra le due formazioni. La verità è che quelle masse, che hanno natura diversa (serpentine, oficalci, eufotidi e scisti cloritico-anfibolici) sono invece fra loro disgiunte e distribuite comunque in parecchi punti del calcescisto, di cui secondano la stra- tificazione che è tutt’alcro che periferica, come abbiamo veduto. Per lo più sono allungate e dirette N-S e di esse una sola tocca la chi- — 149 - tura triassica per la sua estremità Nord sullo sperone di* Prajaurdan, mentre ve ne hanno altre, come quella che fu già lavorata per l’estra- zione del marmo detto di Longefoy, che trovasi in alto del vallone des Frasses, cioè presso al centro dell’isola di calcescisto. La Carta unita può dare una sufficiente idea del modo di distribuzione di queste masse ; e benché già numerose, certo alcune ne mancano nei luoghi che rima- sero meno esplorati da noi, cioè verso Sud, dove una massa di eufotide deve trovarsi sotto la cima quotata 2384 metri, ed un’altra in alto del vallone d’ Armène, come risulterebbe dagli erratici incontrati nelle nostre escursioni (v. pag. 361). Però quelle segnate furono riportate dai rilevamenti fatti sulla carta all’l 80009 a curve orizzontali, la quale ne dà con maggiore precisione, la grandezza, la posizione e l’altezza relativa. Che la massa dei calcescisti sia sottostante e non sovrapposta ai gessi, carniole e calcari triassici che la attorniano è dimostrato in modo ineccepibile anche indipendentemente dalla stratigrafia, dalle forme e dai contorni risultanti dal rilevamento accurato fattone sopra questa stessa Carta a curve orizzontali. Il semplice esame di essa basta a porre in evidenza la relativa posizione stratigrafica di questi terreni; poiché non vi ha chi non veda come, se i calcescisti fossero soprastanti al Trias, il loro limite dovrebbe rientrare nei valloni che incidono abbastanza profondamente la massa del Mont Jovet. Ora, è invece il fatto opposto che si verifica; cioè laddove esistono inci- sioni profonde, il limite dei calcescisti, nel mentre si abbassa, pre- senta planimetricamente degli angoli sporgenti. Viceversa, sugli speroni maggiormente rilevati, separanti i valloni che scendono dalla vetta, come accade in quello vicino a Prajourdan e presso al Mont des Ar- rhets, il Trias, appoggiandosi sui calcescisti, rimonta verso la vetta per ben 200 e 500 metri rispettivamente dal fondo del vallone des Fras- ses e del Nant Gélé, nei quali avviene la più profonda incisione della cintura triassica. E un di più il dire che questi fatti sono in aperta contraddizione colla conformazione tettonica ammessa dal Bertrand; poiché tali profonde incisioni dovrebbero dar luogo ad una diminu- 150 zione, anziché determinare un ampliamento dell’area apparente occu- pata dai calcescisti, dato il caso che veramente essi fossero sovrap- posti alle roccie triassiche \ Come vedesi, le discrepanze fra noi ed il Bertrand, riguardanti la costituzione geologica del Mont Jovet, sono molte ed assai rile- vanti; e, ciò che più importa, in gran parte attinenti a circostanze di fatto, contro le quali non potrebbero invocarsi che le risultanze di una constatazione in contradditorio sul luogo. — Intanto, da quanto ho esposto al riguardo, e dai fatti generali osservati, io credo di poter conchiudere: 1“ che i calcescisti della vetta del Mont Jovet non possono essere liassici, perchè troppo evidentemente sottostanti alle roccie triassiche; 2^" che neppure -potrebbero essi riferirsi al Trias, perchè quegli scisti non si raccordano in verun modo con questo ter- reno; anzi in più punti si mostrano palesemente discordanti; 3® che essi, mentre sono diversissimi dalle roccie triassiche immediatamente vicine, sono non solo analoghi, ma una cosa istessa con quelli a roccie verdi, sviluppatissimi nella valle dell’ Are e sopratutto nel ver- sante italiano delle Alpi; epperciò rappresentano uno scoglio prepa- leozoico attorniato dalle roccie paleozoiche e triassiche nel modo che venne rappresentato colla nostra Sezione generale 2®, attraverso alle Alpi Graje. ( Continua) ^ Questi fatti, che mal potrebbero risultare dal rilevamento eseguito sopra una Carta a tratteggio, sono posti in piena evidenza dalle Carte a curve oriz- zontali, le sole ammissibili per conseguire l’esattezza in un rilevamento detta- gliato. È evidente difatti che, per quanta cura si ponga nel rilevamento sopra una Carta a tratteggio, esso non potrà considerarsi tuttavia che come mi ab- bozzo; poiché solo colle Carte a curve possono essere definite la posizione, la forma e la grandezza delle masse, e fino ad nn certo punto F inclinazione e le relazioni stratigrafiche: ed anche studiare e discutere le questioni tettoniche che hanno oggidì assunta tanta importanza, specialmente per i terreni più tor- mentati, come sono quelli appunto delle regioni alpine. B. Lotti. — Ancora sidPetà cMla formazione marnoso- arenacea fossilifera cleirVmhia superiore, (con tavola). Quasi contemporaneamente alla mia Nota su questo stesso ar- gomento, pubblicata nel Bollettino del R. Comitato geologico, nu- mero 3, del 1900, comparve ne] Bollettino della Società geologica ita- liana, fase. 1, I trim. del 1901, il 111 Contributo allo studio del Miocene nelV Umbria dei signori Verri e De Angelis, nel quale, mentre que- st’ultimo apporta nuovi elementi paleontologici sul riferimento di quella formazione al Miocene, il primo espone le osservazioni strati- grafiche in appoggio del medesimo. Senza entrare nel merito delle osservazioni paleontologiche, e delle conseguenze che se ne sono tratte, mi propongo colla presente nota di combattere queste osservazioni stratigrafiche del Verri, al quale del resto esprimo di buon grado la mia sodisfazione per avere egli posto il problema in termini netti e precisi, la qual cosa facilita di molto il mio compito. Incomincio col constatare che il Verri conferma, nelle sue linee generali, la sezione da me tracciata fra Monte Acuto e Monte Murlo, presso Umbertide \ dalla quale risultava che quella formazione mar- noso-arenacea, con strati calcarei fossiliferi, sta sotto all’Eocene ben determinato e fa passaggio alla scaglia cinerea senoniana. Egli dice infatti * * che la zona inferiore dei sedimenti eocenici, costituita di I marne, scisti cinerei e roccie arenacee, « si sovrappone con continuità I ^ Boll. Comit. ireol.. 3, 1899, pag. 213. * III Coiifribnto. eoe., pag. 2. di sedimentazione alla Creta superiore, » e clie a questa zona un’altra se ne sovrappone, marnoso-arenacea, nella quale \ « nel tratto tra il Monte Filoncio e S. Bartolomeo dei Fossi, il Lotti notò pure alcune falde d’una brecciola contenente briozoi, piccole ostriche, pezzetti di piccoli pettini, particelle d’una roccia verde. Le quali falde abbiamo riscontrate, egli dice, nei luoghi da lui indicati. » Poche linee più sotto aggiunge che questa zona fossilifera è ricoperta sul Monte Murlo da una terza zona caratterizzata da grossi strati arenacei, da calcari screziati e da grossi banchi formati da impasto d’orbitoidi Vedesi dunque che su questo punto l’accordo col Verri è completo ‘ ; soltanto egli crede che questa formazione marnoso- arenacea fossilifera dei Moute Murlo non sia quella stessa che, nei pressi di Monte Santa Maria Tiberina, ha offerto fossili di tipo miocenico, pure ammet- tendo ® « che la composizione della panchina conchigliare di Trevine, Monte Santa Maria, San Lorenzo in Val d’Erchi, si presenta rasso- migliante a quella delle brecciole conchiglifere che si intromettono nella zona B (formazione marnoso-arenacea) dell’Eocene, tra Monte Acuto e Monte Murlo. I campioni di ambedue le roccie, egli dice, contengono frammenti di piccoli pettini, pezzetti di conchiglie in- crostati di briozoi, frammentini sparsi d’una roccia verde. •> Basterebbe potere stabilire la continuità fra la formazione mar- noso-arenacea del Monte Acuto e quella di Monte Santa Maria per risolvere la questione ; ma ciò non può farsi materialmente, perchè tra le due formazioni interponesi una coperta di Pliocene lacustre. E un fatto però ohe la formazione del Monte Acuto, eocenica anche pel Verri, la quale pel Monte Bastiola prosegue verso Nord fino a Cal- zolaro sulla destra del Nestòre, è separata per un tratto di soli sei ^ Ibid.^ pag. 3. ^ Risulta quindi non conforme fosservazione del De Angelis [III Contri- bìito, ecc., in nota a pag. 27), che in quella sezione « i rapporti stratigrafici apparvero differenti da quelli che descrisse e disegnò V ing. Lotti. » ® III Contributo, pag. 10. i j \ 15 SmVAZ/0M7M/SI'éW7 Bollett. del R . Comi!. Ceol'. d’ Itniia Anno 1901, Tav. I (B. Lotti). Carta ^eoto^ìccc òexioni nei dintorni diAlon^ S.Mcu'ia.7?6erin(c, Sca/a -i: SO. 000. Sezione irdAfon/e S.AIttricc eJt. Cedrone : SO OOOj pl Pliocene iacuotre a -Arenarie con codcoorò co iztzm . mutiti ed oròitoidi. mi>-Marne con -itiferi. Spirati orizzontati .>^idinelina/i^ Fotosìg ra Hi S. Ca/n ! -A \ 3 t — 153 — chilometri da quella di Monte Santa Maria; che comincia al molino di Paterno sulla destra delF Aggio, ed ambedue trovansi sopra una stessa zona diretta, come tutte le formazioni di questa contrada, da N.N.O a S.S.E. Indipendentemente da questa constatazione, esaminiamo ora i rapporti stratigrafìci fra la formazione marnoso-arenacea fossilifera di Monte Santa Maria colle roccie indubbiamente eoceniche. « E un fatto, dice il Verri che le rocce eoceniche, colle quali la panchina conchigliare (a fossili di tipo miocenico) viene a contatto ad ovest (nei dintorni di Monte Santa Maria), appartengono alla zona C (Eocene ben caratterizzato anche pel Verri ^), immediata- mente soprastante a quella nella quale si intromettono le brecciole conchiglifere eoceniche del Monte Filoncio. E un fatto, egli prosegue, che nello sperone tra l’Erchi e la Scarzola il fascio dei banchi della panchina conchigliare è inclinato in modo che pare si sottoponga alla zona C\ la quale contiene banchi di Orbitoidi. » Egli però vuol dimostrare che il contatto fra la formazione marnoso-arenacea con fossili ritenuti miocenici e la zona C, indubbiamente eocenica, av- viene non per successione stratigrafìca, ma per giustapposizione ; esisterebbe, cioè, lungo il contatto fra i due terreni una frattura con faglia ^ Egli prende in esame a questo scopo tre località poco distanti l’una dall’altra e poste lungo la detta linea di contatto, cioè Trovine sulla destra del torrente Aggia, Monte Santa Maria tra FAggia e il torrente Èrebi, e il Poggio di Montriolo tra F Èrebi e il torrente Scarzola (v. la Carta geologica nella tavola annessa). « A Trovine, egli dice \ un fascio di banchi della panchina de- clinanti verso N.E, viene a contatto con un fascio di scisti selciosi, ^ Ibid., pag. 11. ^ Ibid., pag. 3 o 4. ® Ibid., pag. 8, 9 e 11. * Ibid., pag. 9. — 154 — sopra 1 quali stanno banchi di arenarie e di Orbitoidi declivi verso ovest. » Ecco le mie osservazioni sui dintorni di Trovine: Presso lo sbocco nelFAggia del fosso del Distretto, che scende da Trovine, dove esso attraversa la collina, vedesi sulla destra il calcare fossilifero (panchina del Verri) formare un anticlinale ed im- mergere verso S.O sotto le marne con selce e queste sotto l’arenaria di Paterno (v. Carta geo!.); più in alto, nel circo della vallecola, del fosso stesso, fino a Trovine, si osserva soltanto la gamba N.E di questo anticlinale calcareo, di cui vedonsi le testate nella dirupata pendice della collina del cimitero locale. L’anticlinale però è formato dalle marne sottostanti al calcare, e può vedersi chiaramente salendo per la vallecola verso Trovine (v. le indicazioni stratigrafìche sulla Carta). Le marne ordinarie sono coperte da marne con selce (scisti selciosi del Verri), e queste, a breve distanza, dalle arenarie eoce- niche; manca quindi, nella gamba S.O dell’anticlinale, il calcare fra le marne senza selce che dovrebbero essere mioceniche e quelle con selce eoceniche, e ciò è dovuto senza dubbio alla forma amigdalare di queste masse calcaree Infatti, già sotto Paterno, dove anche la gamba S O dell’ anticlinale racchiude iJ calcare, questo è ridotto ai : minimi termini. Fra Trevine e il cimitero esiste effettivamente una piccola frat- • tura che pone in contatto i calcari e le marne con selce. Queste, lungo la strada che da Trevine scende a Gioiello, vedonsi rovesciate sotto i calcari nel modo indicato dalla Fig. i della Tavola, e questo fatto, che probabilmente suggerì al Verri l’idea della faglia, non ha alcuna t portata tettonica; infatti, un po’ più in alto, presso 0. Sorbi, a circa = 500 m. di distanza, si, riscontra ancora la stessa rottura (v. Fig. 2), ■ ma qui essa taglia anche il calcare, il quale, salvo un piccolo rigetto dovuto alla detta rottura, forma di nuovo anticlinale, come lo ab- = biamo veduto formare in fondo alla vallecola del Distretto, e va a ' sottoporsi alle marne con selce dell’Eocene dietro a Poggio Sorbi. ' Tali strati selciosi trovansh sopra il calcare anche nell’altra gamba I — 155 dell’anticlinale e costituiscono il poggetto a N.E di C. Sorbi. Abbiamo qui pertanto il taglio indicato dalla Fig. 2 in corrispondenza di quello fra Trovine e il cimitero. Passiamo ora ad esaminare la seconda località, cioè lo sperone di Monte Santa Maria tra l’Aggia e V Erchi. « In questo sperone, dice il Verri \ da una parte marne dure di tipo eocenico declivi ad ovest, alle quali si sovrappongono arenarie e banchi ad Orbitoidi; dall’altra banchi della panchina conohigliare che, raddrizzati a Monte Santa Maria, si piegano nell’insellatura ad est, eppoi salgono a costruire la gibbosità del Monte Cedrone. » L’autore non dice dei rapporti stratigrafìci fra le roccie che egli pure ritiene eoceniche e i banchi di calcare fossilifero, ma siccome qui, per la natura e per la conformazione del terreno, tali rapporti sono al massimo grado manifesti, credo che egli ammetterà la perfetta concordanza e la sovrapposizione delle marne dure eoceniche ai banchi di calcare, i quali, infatti, come egli dice, sono raddrizzati presso Monte Santa Maria e si piegano poi nella sella fra Monte Santa Maria e la Dogana, per rialzarsi presso Monte Cedrone. Queste con- dizioni sono espresse nella sezione Fig. 3, alla scala unica di 1 : 50000, e passo ora ad illustrarle. Noto intanto che il piano della faglia supposta dal Verri dovrebbe trovarsi, sebbene egli non lo dica esplicitamente, lungo la superfìcie superiore del banco di Monte Santa Maria. Questo banco o gruppo di banchi calcarei corre, attraversando le svolte della strada rotabile, dalla Gasacela, presso il letto del torrente Aggia, fìn poco sotto allo abitato di Monte Santa Maria ad Est ed è manifestamente la conti- nuazione verso Nord del gruppo di banchi che formano la gamba S.O delfanticlinale di Poggio Sorbi (v. la Carta geologica). Gli strati, quasi verticali alla Casaccia, inclinano fortemente verso Ovest in prossimità di Monte Santa Maria, dopo di che, girando a N.E e disponendosi con leggera inclinazione verso N.O, vanno a co- ^ Ibifl., pag. 9. 7 } — 156 — stituire la sella tra Monte Santa Maria e la Dogana nella quale tro- vasi io strato a fossili sciolti che in sezione apparisce quasi orizzon- tale essendo tagliato nel senso della direzione [Y. Fig. 3). Non può dirsi con sicurezza che questo strato sia quello stesso che passa sotto Monte Santa Maria, perchè fra i due non vi è continuità, ma la sua posizione topografica, quale risulta anche dalla sezione, lo farebbe ritenere piuttosto inferiore ; esso però è certamente superiore a quello , del Monte Cedrone dal quale è separato da pochi letti di marne con qualche pteropodo. Il facile rinvenimento di fossili nello strato della sella si deve alla sua speciale posizione topografica e stratigrafica, poiché essendo in gran parte scoperto e quasi orizzontale, le azioni atmosferiche po- terono disgregare il calcare e i fossili, resi liberi, poterono rimanere ■ sul posto unitamente al detrito del calcare stesso; ciò che non potè . verificarsi pel calcare di Monte Santa Maria e della Gasacela, sia per la sua posizione fortemente inclinata, sia per essere incassato fra roc- , ( eie marnose. E certo però ohe uno dei banchi tagliati dalla strada presso la Gasacela è zeppo di fossili, specialmente di Pecten^ da far , , pensare che possa esser proprio il corrispondente di quello a fossili j sciolti della sella. I Le marne immediatamente sottostanti al banco calcareo di Monte ] Santa Maria sono identiche d’aspetto a quelle che stanno immediata- i ; mente sopra e queste ultime, presso la fonte tra Palazzetto e Monte Santa Maria, racchiudono, come i calcari, granelli di glauconia e qualche piccolo radiolo d’echinide ; le marne selciose sono in esse com- i prese a guisa di lenti contorte, come può vedersi nei tagli delle ris- j|) volte superiori della strada rotabile e come è indicato nella sezione®^ Fig. 3. La concordanza di tutti questi strati è perfetta e non si os- T ■Hp serva la minima traccia di rottura o faglia al contatto col banco cal- careo, tantoché dove esso manca od è appena rappresentato, come ad m esempio presso l’abitato di Monte Santa Maria a Sud, dalle marne] inferiori si passa inavvertitamente a quelle superiori. ! m Dalla sezione Fig. 3 risulta, e lo dimostrano anche le indica» zioni stratigraficlie delia Carta geologica, che rinsieme del terreno marnoso-arenaceo con calcari fossiliferi, tra Monte Santa Maria e Città di Castello passando pel Monte Cedrone, forma un anticlinale con un’ampia ondulazione presso la gamba O.S.O. La sezione Fig. 4 tracciata sullo sperone del Poggio di Mon- triolo tra l’Erchi e la Scarzola immediatamente a Nord di quello di Monte Santa Maria è in perfetto accordo colla precedente e non ha bisogno di illustrazione speciale perchè semplicissima. In conformità del cambiamento di direzione che abbiamo veduto verificarsi negli strati della sella tra Monte Santa Maria e Monte Cedrone, in questo sperone di Montriolo i banchi calcarei e le roccie marnoso-arenacee associate si dirigono verso N.E con forte inclinazione costante verso N.O. Ad occidente del Poggio di Montriolo, dove questo terreno vien ricoperto dalle marne, in parte con selce in parte senza, eoceniche anche pel Verri, la direzione si raccorda gradatamente con quella primitiva e diviene N.N.O-S S.E e la inclinazione 45® verso Ovest (v. la Carta geologica). La sottoposizione e il passaggio graduato del terreno marnoso- arenaceo fossilifero a quello indubbiamente eocenico si osserva nel modo il più manifesto sulla sinistra del torrente Erchi, fra Bandole e la Dogana. Il Verri stesso del resto, come fu notato più sopra, am- mette ’ che gli strati calcari fossiliferi son qui inclinati in modo che pare vadano a sottoporsi alle roccie eoceniche ^ Ibid.. pas. 11. ’ A propo.sito di questa sezione pare che io sia stato frainteso dal Verri. Egli osserva in nota, a pagina 12 del III Contributo che neanche a me la for- mazione fossilifera in questione va sempre bene al posto ad essa assegnato, perchè dovetti ricorrere ad una inversione di strati « per spiegare come quella formazione si trovi sopra a rocce con Orbitoidi e grosse Nummuliti » . Io invece ricorsi, dubitativamente però, ad un rovesciamento per spiegare come essa for- mazione si trovasse sotto e non sopra alle roccie ad orbitoidi (v. Boll. Comit. geol., 1898, pag. 70) e ciò feci perchè allora pensavo che queste roccie ad or- bitoidi potessero essere più antiche della formazione a fossili di tipo miocenico, mentre io le trovavo ad essa sovrapposte. - 158 — Se tracciassimo un’altra sezione sullo sperone successivo più a Nord, tra la Scarzola e il Cerfone, vedremmo l’arenaria con strati ad orbitoidi ricuoprire la formazione marnoso-arenacea con inclinazione leggerissima (v. Carta geologica) presso Celle. I rapporti di posizione fra l’Eocene indiscusso e il terreno in questione, in tutta la regione esaminata, conducono adunque concor- demente alla conclusione che questo terreno, supposto miocenico dal Verri e dal De Angelis, è stratigraficamente sottostante al più carat- teristico Eocene. Nessuna traccia di faglia si osserva al contatto fra i due terreni, salvo la piccola frattura locale di Trevine la quale, come vedemmo, non impedisce che, a brevissima distanza dal punto dove ha luogo, gli strati supposti miocenici formino anticlinale sotto quelli eocenici. La comparsa dappertutto lungo il contatto, dei mede- simi strati di marne con selce non si concilia colla presenza d’una faglia ordinaria, nè tanto meno con quella d’una faglia inversa con ricuoprimento che sarebbe necessario d’invocare per spiegare la sovrap- posizione d’un terreno più antico ad un anticlinale di strati più re- centi. Avvertasi poi che un tale fenomeno di stratigrafia alpina dovrebbe essersi verificato verso la fine del Miocene. Devesi notare inoltre che il terreno marnoso-arenaceo in questione, nell’area presa in esame, forma, sotto il punto di vista tettonico, come deducesi anche dalla Carta geologica e dai segni stratigrafici relativi, una cupola grossolanamente ellissoidale, con qualche ondulazione nella parte centrale e un po’ smangiata nella sua parte N.E ; la sovrappo- sizione quindi del terreno eocenico indiscusso a questa massa cupo- lare marnoso-arenacea non ha luogo lungo una linea retta, ma lungo una, quasi intiera, semiellissi. Questo fatto, unitamente all’altro della concordanza perfetta delle marne, con e senza selce, dell’Eocene con quelle associate ai banchi calcarei e coi banchi calcari stessi della formazione creduta miocenica, non lascia dubbio di sorta sui veri rapporti di successione cronologica dei due terreni. I fatti precisi, da me esposti e sintetizzati nella Carta geologica e nelle sezioni, difficilmente potevano essere constatati dai miei con- — 159 — traditbori, occorrendo per metterli in evidenza il lavoro paziente ri- chiesto per un rilevamento geologico in grande scala; ed a me, che ho avuto agio di dedicare allo studio di quest’area ristretta oltre un mese d’escursioni, sarebbesi invero potu o fare grave addebito se non li avessi riconosciuti e ben stabiliti. I miei colleghi, ing. L. Baldacci e dott. G. Di-Stefano, che ai primi di maggio visitarono i dintorni di Città di Castello, di Monte S. Maria e di Trevine, sono pienamente d’accordo con me sulla non esistenza della frattura invocata dal Verri per spiegare i rapporti tra l’Eocene e il supposto Miocene: però essi si fecero del fatto una opinione che differisce non solo da quella dei due prelodati autori, ma anche dalla mia. Essi sono convinti che la formazione fossilifera interposta tra Monte S. Maria e la cima del Monte Cedrone, adagiata in con- cordanza sulla sella ivi formata dal terreno marnoso-arenaceo e dai banchi calcarei in esso racchiusi, è miocenica. Gli strati di tale formazione, relativamente poco estesa e di piccolo spessore, non sono, pei citati miei colleghi, la continuazione di quelli, eocenici anche per loro, di Monte S. Maria, ma sono ad essi superiori; e, malgrado le non poche somiglianze di aspetto, trovano che il banco fossili- fero di questo lembo superiore differisce dai banchi sottostanti prima di tutto per la fauna, composta di briozoari, corallari, echini di, molluschi e denti di pesce, da loro raccolta e ritenuta indubbia- mente miocenica, poi per la natura litologica, essendo questo banco superiore costituito da un calcare sabbioso, disgregato e racchiu- dente frammenti arrotondati, grandi e piccoli, di un calcare che essi credono appartenere agli strati eocenici sottostanti. Subordinata - mente parve agli stessi che il piccolo gruppo di marne cenerine e arenarie fogliettate predominanti alla parte superiore, per la loro ripetuta alternanza in piccoli strati, più frequente di quello che non si verifichi nel terreno sottostante, dia anche un aspetto di- stinto a tale formazione da loro ritenuta miocenica. In riassunto l’ing. Baldacci . e il dott. Di-Stefano credono, che — 160 — il lembo fossilifero posto tra Monte S. Maria, Monte Cedrone, Poggio Bota e Ciciliano (vedi Carta geologica) sia superiore alla formazione marnoso-arenacea eocenica, sulla quale verte la questione generale coi signori Verri e De Angelis, e da essa distinto per posizione stratigra- £ca, fauna ed aspetto, benché concordanti. Io sarei stato entusiasta d’una tale soluzione che mi avrebbe risparmiato d’insistere sopra un increscioso conflitto ed al tempo stesso avrebbe soddisfatto il mio amor proprio dandomi ragione sul riferimento generale del terreno in questione ; ma, per amore della verità, riesce a me assolutamente impossibile di acconten- tarmene. La differenza fra il calcare del lembo ritenuto miocenico e quello dei banchi di Monte S. Maria, del Monte Cedrone e di tutte le altre località descritte è più apparente che reale, e dipende dallo stato di alterazione della roccia, della quale alterazione, intervenuta nello strato a fossili sciolti, accennai più sopra le ragioni. Cosi anche non può dirsi che i due calcari differiscano fra loro per la fauna, perchè i calcari circostanti al lembo supposto miocenico, sebbene tal- volta zeppi di fossili, per il loro stato di compattezza non ne hanno offerto, per ora, di determinabili. Quanto alle inclusioni di roccie sot- tostanti e che io direi piuttosto concomitanti, noto esser questo un fenomeno comunissimo nei calcari brecciformi nummulitici di tutto l’Appennino ed oltre a ciò non è esclusivo del calcare a tossili sciolti, ma si veriflca anche per quello sottostante, come può vedersi a S. Lo- renzo presso Lerchi e altrove. Diminuito il valore agli argomenti favorevoli, vediamo quali argomenti stanno contro l’ipotesi suesposta. Poiché questo lembo di terreno creduto miocenico è in perfetta concordanza col sottostante eocenico, devesi ammettere che nella loca- lità in parola il deposito del Miocene sarebbesi fatto accidentalmente in concordanza cogli strati eocenici sottostanti, pur avendo avuto luogo dopo che l’Eocene era già stato emerso, dislocato, denudato e di nuovo sommerso. Ricordiamo a questo proposito che la formazione — 161 — marnoso-arenacea, sulla quale si depositò il supposto Miocene, rappre- senta la parte più profonda del terreno eocenico e che è ricoperta ad Ovest da un’enorme pila di strati arenacei ed arenaceo -calcarei aventi varie centinaia di metri di potenza, i quali strati dovettero essere de- moliti prima del deposito miocenico suddetto, perchè non è ammissi- bile la supposizione che nell’area oggi occupata dal supposto Miocene, non avesse avuto luogo il deposito superiore dell’Eocene, mentre a meno d’un chilometro di distanza ad Ovest (vedi Carta geologica) esso comparisce in tutta la sua pienezza. Se strano è il fatto della concordanza, non lo è meno l’altro della mancanza assoluta di altri lembi residuali di Miocene sulle varie for- mazioni eoceniche più giovani, in tutta la vasta zona montuosa, con- tigua, compresa fra il Tevere e la Yaldichiana. Tutti gli altri nume- rosi punti fossiliferi di questa parte dell’Umbria, come Colle Raso, Pieve de’ Saddi, Val Fabbrica, Prepo, Torgiano, Deruta, Bevagna, costa orientale del Monte Martano, ecc., son sempre, costantemente, associati a questa stessa formazione marnoso-arenacea inferiore e mai alle altre formazioni superiori ed oltracciò la posizione stratigra- tìca di queste roccia non si presta sempre, come a Monte S. Maria, per farle ritenere altrettanti rimasugli di Miocene, checche ne dica il Bonarelli il quale vorrebbe inoltre vedere dappertutto la discordanza di esse su quelle eoceniche. ' Ma sorvolando anche su queste difficoltà resterebbe pur sempre un problema il fatto, generale e di molto maggior peso, che fossili di tipo miocenico trovansi in vari punti dell’ Appennino settentrionale in roccia ben riconosciute come eoceniche e nella Val di Sieve stanno racchiusi in una formazione analoga a questa dell’Umbria e nella ^ G. Bc'Xarelli. Alcune formazioni terziarie fossilifere deir Umbria (Boll. Soc. geol. italiana, XVIII. 1899, pag. 187} e Miscellanea di note (feologiche e 1 paleontologiche (Boll. Soc. geol. ital.. XX. 1901. pag. 225|. 11 — 16-2 — stessa posizione stratigrafica, cioè sotto ad arenarie con calcari ad orbitoidi e nummuliti. ^ Io non posso adunque condividere Topinione de’ miei egregi col- leglli, pur riconoscendo ohe, se la questione fosse stata circoscritta alla località di Monte S. Maria Tiberina, la proposta soluzione, ad onta delle speciali obiezioni sopra affacciate, avrebbe offerto la miglior via d’uscita da una tale imbarazzante difficoltà. Sulla questione generale, circa il riferimento cronologico della formazione marnoso-arenacea dell’Umbria, devo insistere pertanto sui seguenti fatti, richiamando sopra di essi l’attenzione dei miei egregi contradittori e di quanti altri tengono dietro all’interessante dibattito : 1. Nella vallecola della Bisolla, sotto Castelnuovo in Val Tiberina toscana, la formazione marnoso-arenacea, con traccio di pteropodi e globigerine e con strati di calcare fossilifero a glaucoma, vedesi sotto- stare alla formazione calcareo -argillosa racchiudente roccie serpen- tinose e questa ai calcari marnosi con Helminthoida lahyrinthica. 2. Tra Monterchi e Trovine, nell’ area che ha formato oggetto speciale del presente lavoro, questa formazione sta costantemente sotto alle arenarie con orbitoidi e nummuliti ed in modo tale da escludere l’ipotesi di qualsiasi disturbo stratigrafico. 3. Presso Monte Murlo (Umbertide), oltreché star sotto alle arenarie con nummuliti ed orbitoidi, essa fa passaggio graduato agli scisti senoniani del Monte Acuto, e ciò è ammesso pure da’ miei con- tradittori. Essi però si sottraggono a questa difficoltà ammettendo che si tratti in questo caso d’una formazione litologicamente uguale a quella in questione, ma d’età eocenica. Questo passaggio però si riscontra anche, per citare solo le località da me conosciute, tra S. Sisto e S. Manno a S.E del Monte Malbe, presso Monte Civitella a S.E del Monte Tezio, tra Nocera Umbra e la stazione ferroviaria omonima ^ B. Lotti, Studi sull’Eocene delV Appennino Toscano. (Boll. Comitato geo- logico, XXX, 1, 1898). — 163 — e nella pendice orientale del Monte Martano, nei quali luoghi la for- mazione marnoso-arenacea contiene fossili riferiti al Miocene, 4. Uno dei punti più importanti per la risoluzione della que- stione è il Monte di Civitella de’ Conti presso Marsciano, ove questa formazione marnoso-arenacea, fossilifera, vien coperta da una zona di scisti variegati cui sovraincombono strati ad orbitoidi ed arenarie con banchi d’una brecciola contenente Nummulites striata d’Orb. ed Orbi- toides papiracea Boubée b Le condizioni topografiche e geologiche di questa località son tali, com’ebbi a dire altra vota ^ da non lasciare il minino dubbio sulla successione stratigrafica ora esposta. Roma, giugno 1901. ^ Determinate dal Dott. Di-Stefano. * B. Lotti, Sn/la età della formazione marnoso-arenacea fossilifera deU’ Umbria superiore. (Boll. Comit. geol,, n. 8, 1900, pag. 2.38 e seg). — 164 — III. M. Cassetti. — Balla valle del Livi a quelle del Oioven co e del Sagittario, Rilevameìito geologico eseguito nel- tanno 1900, La disposizione tettonica predominate nei terreni mesozoici del- l’Appennino centrale e meridionale è caratterizzata da una serie di fratture con rigetti, piuttosto che da grandi pieghe, ciò che è facil- mente spiegabile riflettendo agli effetti delle azioni orogenetiche su potentissime pile di strati calcarei offrenti grande resistenza ai pie- gamenti. Questa disposizione a fratture successive, già notata dal prof Cacciamali in una escursione fatta nel 1888 \ appare in modo evidente nel gruppo di montagne di cui trattasi, compreso tra la valle del Liri (del tratto cioè Sora-Civitella Roveto) e la valle del Sagittario sopra Anversa (circ. di Solmona). Infatti partendo dalla valle del Liri sotto il Monte Pizzodeta e dirigendosi ai monti di Bugnara presso Solmona, attraversando prima la catena di monti dell’alta sponda sinistra di detto fiume, per scen- dere nell’ampia valle di Villa vallelonga, poscia quella immediatamente successiva, appartenente al gruppo della Marsica e che si protende al Fucino in quel di Trasacco non che la opposta valle del Fiume Giovenco sotto Bisegna, quindi la catena formata dalla Montagna Grande, dal Monte Miglio e dal Monte Mezzana e la sottoposta valle del Sagittario sotto Anversa, e finalmente la Serra della Difesa, inoltrandosi verso Bugnara, non possiamo fare a meno di riconoscere ^ G-. B. Cacciamali, I// valle del Livi - Osservazioni orografiche e geologiche e indicazioni turistiche. (Boll, del Club alpino ital, per l’anno 1888, Yol. XXII, n. 55). Torino 1889. — 165 — la esistenza di quattro successivi piani di trattura passanti lungo le valli suddette. Per quelle fratture la formazione secondaria di quella vasta re- gione montuosa, si suddivide in altrettante catene di monti, separate da valli più o meno larghe e profonde, lungo le quali si vedono affiorare gli strati dei diversi terreni con pendenza uniclinale verso N.E, e nella successione che verrà in seguito descritta. Queste quattro grandi fratture, presso a poco parallele, conservano la direzione delle valli lungo le quali passano e cioè da N.O a S.E. Quella della valle del Liri ne segue la sponda sinistra, a partire presso a poco da sotto il Colle Carovensi a N.O di Pescosolido, e si prolunga fin quasi allo sbocco dell’emissario del Fucino sopra Civitella Roveto; l’altra della valle di Villa vallelonga passa lungo il suo lato destro e si inoltra verso il bacino dèi Fucino; quella del Fiume Giovenco ne segue la sponda destra e si protrae nell’opposta valle del Sangro sopra Pescassero!!, e la quarta infine dal Fiume Sangro presso Villetta va al Sagittario, sotto Anversa, passando per l’alta sponda destra della valle di Scanno. Quest’ ultima è quella già descritta nella mia relazione del 1899 ^ La sezione geologica alla pagina seguente, che taglia nel senso dell’inclinazione degli strati le quattro catene di monti suddetti, se- guendo precisamente l'andamento indicato in principio della presente nota, rappresenta la anormale successione di quei terreni, passando dall’una all’altra valle, e dimostra che tale disposizione non può esser dovuta che a una serie di faglie. Per dare una esatta idea del fenomeno faccio qui una dettagliata descrizione dei terreni che costituiscono la regione, e della loro na- tura e tettonica, procedendo per ordine di età dal più antico per finire a quello più recente. ^ M. Cassetti, Rilevamenti (jeolofjici eseguiti ranno 1899 nelValta valle del Siiigro e in (jnelle dql Sagittario, del Gisio e del Melfa. (Boll. Com. geol., vo- lume XXXI, n. 3). Roma, 1900. Sesione dalla valla del Livi a quelle del Giovenco e del Sagittario. i, Alluvione recente - qd, Detriti di falda ± cementati (Quaternario) - ma, Argille cerulee con gessi (Miocene medio) - me, Calcari marnosi con pecten, oslree, (Miocene medio) - es, Scisti argillosi, calcarei e marnosi (Eocene) - ec. Calcari nummulitici (Eocene) - Tur, Calcari ippuritioi (Turoniano) - Urq, Calcari Tniicasie e Nerime (Urgoniano) Livello della Bauxite - Dq, Cahjari bianchi graniilosi con piccole lihqnckoiieUe e Terebratule (Dogger) - Lm, Calcari cn'istallini Meffulodus e Terebratule (làas medio) - Li, Dolomie e calcari dolomitici con PhiiUocaraif e Lytoceras (Inns inf. ‘■). — 167 - Lias. — Il terreno liasico è il più antico e basale della regione, ed è rappresentato da un limitato affioramento di una roccia dolomi- tica, compatta, cristallina, leggermente bituminosa e da un altro soprastante, molto più esteso e potente, di calcari cristallini bianchi, rosati e grigi, talvolta bituminosi con brachiopodi; questi affiora- menti in perfetta concordanza fra di loro s’incontrano lungo il ripido versante dei monti che s’innalzano sulla sinistra del Liri e precisa- mente tra Pescosolido e Capistrello. Il primo si limita alle più basse pendici dei monti che sovrastano l’abitato di San Vincenzo Valle Roveto, mentre l’altro comincia a mostrarsi alle falde del Monte Macerone, e precisamente nella Val Para, sotto il Colle Carovensi a N.O di Pescosolido, da dove, aumentando sempre di potenza, prosegue nelle successive falde del Monte Cornacchia, Monte Breccioso, Colle Pizzuto e Colle Mattone, che sovrastano gli abitati di Balsorano, San Griovanni e San Vin- cenzo VaUe Roveto; s’inoltra quindi lungo la costa su cui sorge l’abitato di Morrea e in quella adiacente al paese di Civita d’ Antimo e di là accenna a proseguire fin sotto il Monte Romanella di fronte a Civitella Roveto. Nella roccia dolomitica non mi è riuscito di trovare fossili, ma in quella calcarea ho raccolto diversi esemplari molto ben conservati di Terehratula Renieri Cat., di guisa che è fuor di dubbio che si tratti di calcari lisiaci, tenuto anche conto che essi, sia per l’aspetto litologico, sia per la loro posizione stratigrafica, sono perfettamente analoghi a quelli delle valli del Sangro, del Sagittario e del Gizio, già riconosciuti come appartenenti alla parte superiore del Lias medio \ Il dott. Di-Stefano dell’Ufficio geologico, vi ha pure riconosciuto una valva di Gervilleia di specie dubbia. In quanto alla roccia dolomitica sottostante, per la ragione ohe ^ ^r. Cassetti, Rilevanientì f/eologici eseguiti Vanno 1899 nelValtu valle del Sangro e in quelle del Sagittario, del Gizio e del Mei fa. (Boll. Com. geol., vo- Inmo XXXI, n. 6). Roma, 1900. — 168 — essa oltre a presentare il medesimo aspetto, occupa lo stesso posto di quella della non lontana Serra della Difesa sulla sponda destra del Sagittario sopra Anversa, già riconosciuta del Lias inferiore per la presenza di alcune piccole ammoniti del genere Phylloceras e Lytoceras^ parmi giustificata la supposizione che questa del Diri sia a quella contemporanea. Il terreno liasico suddetto ha la stratificazione diretta da N.O a S.E con una inclinazione di 50^ circa a N.E, ed è sormontato da una potente pila di strati di calcari cretacei, i quali s’innalzano fino alle più alte cime dei monti suaccennati. Tra questi due terreni, lungo tutta la fronte della ripida costa, non appare discordanza di stratificazione, solo si osserva che pas- sando dagli strati del Lias a quelli del soprastante Cretaceo, la pen- denza va gradatamente diminuendo di modo ohe mentre gli strati liasici nel punto più basso misurano, come ho detto, una inclinazione di 50'^ circa, salendo sulla cima della catena, dove ci troviamo in pieno calcare cretaceo, gli strati di questo scendono solo di 30°. Non è possibile constatare stante la ripidezza e impraticabilità della costa nella quale si affacciano le testate degli affioramenti dei terreni suddetti, se un tal fatto dipenda da una discordanza di stra- tificazione tra il Lias ed il Cretaceo, oppure da un graduale cambia- mento d’inclinazione, ma è assai probabile che come fu verificato in molti altri casi, si sia qui in presenza di una vera discordanza per- fettamente spiegabile con la mancanza di tutta o gran parte della serie colitica. Il fatto che ha un notevole interesse geologico e che serve a dimo- strare la esistenza della prima delle suindicate linee di frattura, quella cioè che passa lungo la valle del Liri, e che esclude la supposizione che lungo la valle stessa gli strati delle due sponde fossero uniti da una anticlinale, distrutta per effetto di erosione, è il seguente : mentre nella sponda sinistra troviamo gli strati dolomitici e calcarei del Lias rialzati sull’orizzonte di 50°, nella sponda opposta, non solo non affiora il pre- detto terreno, ma gli strati dei calcari cretacei che si presentano in — 169 — quella ripida costa di fronte a quelli del Lias, mostrano una legge- rissima pendenza, cosi che, come rilevasi dalla suindicata sezione, se noi supponiamo prolungate le testate di questi ultimi, esse andreb- bero a battere contro quelle degli strati basici della sponda opposta, piuttostochè trovarsi in corrispondenza colle testate degli strati cre- tacei soprastanti. Lungo la sponda destra del Fiume Giovenco e precisamente a Sud di Bisegna, troviamo un altro affioramento basico, rappresentato però di sob calcari a brachiopodi. Esso abbraccia la maggior parte del versante occidentale dei successivi monti denominati Tagliareccia, Pietra Gentile e L’ Atessa e quindi, oltrepassando il YaUone di Terra - degna, va a cobegarsi con l’affioramento basico dei monti Palombo e Marsicano dell’alta valle sinistra del Sangro, descritto nella citata relazione del 1899. Nei calcari basici deba vabe del Giovenco non è raro d’incontrare debe zone contenenti dei Megalodiis e delle Terehratule, e fra queste non è difficile riconoscere la Terebratula Eenieri Cat. ; però detti fos- sbi sono in generale completamente spatizzati e cosi fortemente ce- mentati coba roccia da riuscire impossibile il loro isolamento, neces- sario per procedere ad un’esatta determinazione. , Non mancano altresì i calcari marnosi a piccoli banchi interca- lati con quelli a brachiopodi, del tutto simili a quelli ammonitiferi del Cobe Rufigno, specialmente nella locabtà denominata Vabone di Fonte d’Appia e nel contiguo Colle Laniera a S.E presso Bisegna; ma in questi calcari non ho potuto trovare traccia alcuna di fossbi. Oolite. — Sovrapposto e concordante col descritto affioramento basico deba vabe del Giovenco, ne troviamo uno sufficientemente esteso e potente appartenente al Dogger, rappresentato da calcari bianchi, granulosi, compatti, talvolta cristallini, i quali formano la continuazione e sono perfettamente analoghi con quelli dell’opposta valle del Sangro, che, come fu già detto nella mia relazione del 1899, abbracciano la parte più alta del Monte Marsicano e deba Serra della Terratta, non che il versante occidentale deba Montagna Grande, e — 170 — mostrano, benché raramente, esemplari di braohiopodi, fra i quali ne abbonda uno di piccolissime dimensioni, già determinato dal dottore Di Stefano per la Rhynchonella sacharoidea De Greg. var. Partendo dalle dette località il Dogger della valle del Giovenco si protende fin sotto al Monte Mezzana di fronte ad Ortona dei Marsi. La sua stratificazione, che, come abbiamo accennato, è concor- dante con quella dei sottostanti calcari liasici, è presso a poco di- retta da N.O a S.E con un’inclinazione di 10 a 20 gradi verso N.E, epperciò gli strati liasici e colitici in discorso presentano la medesima disposizione di quelli liasici della valle del Liri già descritti. Osservando poi ohe lungo la sponda sinistra della detta valle del Giovenco, affiorano esclusivamente strati di calcare cretaceo, aventi la medesima direzione e pendenza degli strati della sponda opposta, ne nasce di conseguenza che qui esiste lo stesso fenomeno rilevato nella valle del Liri, vale a diré la non corrispondenza degli strati della medesima età nelle due sponde o più propriamente si vede che gli strati dei calcari liasici ed colitici di un lato sono notevolmente rialzati rispetto a quelli dei calcari cretacei del lato opposto, ciò che ci* dà la conferma della esistenza della linea di frattura più sopra indicata. Nella valle intermedia alle due precedenti, quella cioè di Villa- vallelonga, non affiorano calcari liasici, nè colitici, ma solo calcari cretacei; ivi la presenza della suindicata linea di frattura si desume dal fatto che mentre lungo le falde dei monti che s’innalzano sulla sponda destra affiorano i calcari a Toucasia^ con una stratificazione pendente a N.E, nelle falde dei monti, che stanno sulla sponda op- posta, affiorano solo i superiori calcari a rudiste con strati pendenti nel medesimo senso, di modo che sembra che questi vadano a sotto- porsi a quelli, e perciò troviamo lo stesso fenomeno geologico, osser- vato nelle due valli del Liri e del Giovenco, il rialzamento cioè di un terreno più antico rispetto ad un altro più recente, come è indi- cato nella sezione annessa. - 171 — Cretaceo. — La serie cretacea, che abbraccia la maggiore esten- sione del territorio in esame, è rappresentata da una potente pila di strati, costituiti nella parte più bassa da calcari semi -cristallini bian- chi e grigi molto tenaci con numerose vene epatiche, talvolta dolo- mitici, dai quali si passa gradatamente ad altri calcari quasi amorfi a struttura uniforme e meno tenaci. I primi presentano una zona in cui s’incontrano racchiusi molto sovente degli esemplari di Toucasia e di Nerinee ed in alcuni punti anche di ellipsactinidi ; gli altri offrono in più o meno abbondanza, soltanto modelli di rudiste, non che rari gasteropodi generalmente mal conservati o completamente spatizzati. Si tratta perciò di un deposito calcareo-dolomitico perfettamente analogo a molti altri da me osservati in diversi punti della catena appenninica e che ho descritti nelle relazioni geologiche relative e fra i quali ve ne sono alcuni che presentano una potenza di parecchie centinaia di metri. Prima di passare oltre debbo qui notare come in molti punti del 'a regione montuosa calcarea in discorso si osservano fenomeni carsici dello stesso genere di quelli indicati dal Cacciamali nei vicini territori di Alvito, di Fontana Liri e di Arpino b Stante la scarsità di sicuri elementi paleontologici a vari livelli del potente deposito calcareo-dolomitico in esame, non è ancora pos- sibile stabilire con certezza quali piani del Cretaceo vi sieno rappre- sentati ed è prudente limitarsi per ora a dividerne la massa in parte inferiore e parte superiore riferendo: alla prima la zona di calcari inferiori, a partire dal contatto col terreno liasico fino al punto in cui cessa la presenza della Toucasia o delle requienie, e alla seconda ^ G. B. Cacciamali, Gli anticrateri delV Appennino Sorano. (Boll, del Club alp. ital. per l’anno 1891, Voi. XXV). Torino, 1892. — Il fenomeno del Carso in Fontana Liri. (Riv. it. di se. naturali, Anno IX, n. 21). Siena, 1889. — In valle del Liri. Osservazioni orografiche e geologiche e indicazioni turistiche. (Boll, del Club. alp. it. per Tanno 1888, Voi. XXII, n. 55). Torino, 1889. — 172 -- tubta la zona superiore, cioè tanto quella con rudiste {Spherulites e Hippurites), come quella priva di fossili, fino al punto in cui s’incon- trano i calcari nummulitici, qualora questi vi si sovrappongano, e ciò analogamente a quanto ho praticato fin oggi per gli altri depositi cretacei dell’ Appennino, dove la mancanza di altri dati paleontologici, non permette ancora una più dettagliata suddivisione. Su tale proposito però è necessario far notare: l*’ che, partendo dal piano liasico, prima di giungere alla zona a Toucasia^ si attraversa un certo spessore di strati di roccia affatto priva di resti organici; 2’ che oltrepassate le Toucasiae, si giunge alle rudiste, solo gra- dualmente; 3” che dopo la sparizione di queste, si attraversa un’altra zona priva di fossili, sulla quale in diverse località accade di incontrare il calcare nummulitico, sempre con passaggio graduale e senza la me- noma discordanza di stratificazione. Posto ciò parmi abbastanza giustificata la supposizione che nella potente pila di strati, interposta tra il Lias e l’Eocene, possano essere rappresentati oltre all’Urgoniano e al Turoniano, tanto in basso che in alto, altri piani del Cretaceo non determinabili per mancanza di dati paleontologici Il citato affioramento calcareo-dolomitico del Cretaceo, occupa la maggiore estensione del territorio montuoso di cui trattasi, dappoiché tra la valle del Liri e quella di Villa vallelonga, esso si estende da Campoli Appennino e da Pescosolido a tutta la catena montuosa di- retta a N.O, che si protrae sul lato occidentale del Fucino, collegan- dosi a S.E coi monti cretacei di Alvito, o più precisamente com- prende la Punta Mazza, il Montagnone, la Balza di Giotto, la Punta Cardicola, la Brecciosa, le Scalelle, il Macerone, il Monte Cornacchia, il IVlonte Tre Confini, il Monte Brecci oso, la Serra Lunga e prosegue in tutto il versante dei monti che sovrastano gli abitati di Villa- vallelonga, Collelongo e Luco. Questo esteso deposito cretaceo, ohe si appoggia su quello liasico, affiorante nella sponda sinistra del Liri, presenta generalmente una stratificazione diretta da N.O a S.E con pendenza variabile verso N.l*'. È costituito in gran parte di calcari a Toucasia e solo i monti cal- carei che scendono a Villa vallelonga, Collelongo e Luco, offrono in- vece di quando in quando esemplari di rudiste. Entro i calcari urgoniani a Toucasia non è raro incontrare in- tercalazioni lenticolari, in apparenza di limitata estensione e potenza, di un materiale ferruginoso, clie però fu riconosciuto, da analisi fatte dall’ing. E. Mattirolo nel Laboratorio del R. Ufficio geologico di alcuni campioni da me raccolti in una escursione fatta nel giugno 1900, come minerale contenente forti proporzioni di idrato di allumina e che passa anche a vera Bauxite. I giacimenti di questo minerale riconosciuti e che ora non erano stati ancora accertati in Italia, potrebbero avere una certa importanza dal punto di vista industriale. Essi sono situati nei monti sulla sinistra del Liri tra Pescosolido e Balsorano, e cioè al Colle Rotondo, al Colle Carovensi, tra la Punta Cardicela e la Brecciosa e molto probabilmente altri affioramenti potranno trovarsi in simile giacitura in quelle estese e potenti pile di banchi urgoniani. Al contatto di queste intercalazioni lenticolari, i calcari che le racchiudono presentano per un dato spessore una più o meno leggiera colorazione rossastra, dove in modo uniforme, dove a semplici mac- chie sfumate, di guisa che in quei punti la roccia calcarea ha l’aspetto di un vero marmo colorato, da potersi convenientemente impiegare per lavori edilizi ornamentali. La schiena di monti compresa tra la valle di Villa vallelonga e quella del Giiovenco e che scende al Fucino tra Gioja nei Marsi -e Trasacco è pure costituita di calcari cretacei simili ai sopradescritti, non essendo che la continuazione di quelli dell’alta valle del Sangro a N.O sopra Pescasseroli, descritta nella citata relazione del 1899. Anche in questa catena montuosa la massima estensione è occu- pata dai calcari a Toucasia mentre quelli a rudiste si limitano sol- tanto a quel piccolo promontorio che sovrasta l’abitato di Trasacco, estendendosi per poco dal lato di Ortucchio, o più precisamente, par- tendo dai monti Marcolano e Turcbio, che segnano il displuvio tra il Sangro e il Fucino, i calcari a Toucasia s’inoltrano fino alla Forca Troella a N.O della Punta Ara dei Merli e poscia al territorio di Lecce nei Marsi, gli altri invece abbracciano i monti Alto, Labrone, Merla e Pietrascritta, e scendono ai cosi detti Balzi Latiana presso Ortucchio. Non sembra superfluo qui ripetere che in questo territorio, dai calcari a Toucasia si giunge a quelli a r udiste passando attraverso una certa zona di calcari senza fossili, in modo che la sparizione della Toucasia non è immediatamente succeduta dalla comparsa delle r adiste. Altro deposito di minerale alluminoso (Bauxite) esiste entro gli strati calcarei della regione in discorso, nella falda occidentale del Monte Turchie nelle vicinanze di Lecce vecchia nei Marsi: ^ ivi, all’epoca del Governo Borbonico, furono eseguiti dei lavori di colti- vazione a cielo aperto ; il minerale estratto, considerato allora come minerale di ferro, veniva trasportato pel trattamento in apposito sta- bilimento costruito a San Sebastiano sotto Bisogna, venendo all’uopo utilizzata come forza motrice una delle principali sorgenti del flume ^Giovenco che scaturisce appunto in quella valle. Si osservano tutt’ora in quella località, i ruderi di detto stabilimento. Da lavori di esplorazione eseguiti di recente in quei luoghi, in seguito all’accertamento della vera natura del minerale, è risultato che il deposito di bauxite è di grande estensione e i suoi affioramenti vennero riconosciuti nei dintorni, e in diversi punti furono quasi del tutto denudati. La sopracitata sorgente sotto Bisogna, denominata di San Seba- stiano, è assai copiosa e le sue acque sono potabilissime e sempre fresche; il giorno 2 luglio 1900, mentre la temperatura dell’aria era di 16" quella dell’acqua era appena di 7. Finalmente tra la valle del Giovenco e quella del Sagittario, ^ Y. Rassegna mineraria, Yol. XI Y, n. 15. Torino, 21 maggio 1901. 175 — troviamo la continuazione dei calcari ad Itieria e ad Ellipsactinia, descritti nella mia più volte citata relazione del 1899, di quelli cioè che abbracciano le pendici orientali della catena montuosa formata dal Monte Marsicano, dalla Serra della Terratta e dalla Montagna Grande e che scendono a formare le due erte sponde della Valle della Foce. Detti calcari, che si appoggiano in perfetta concordanza di strati- ficazione sui descritti calcari del Dogger della sponda destra del Gio- venco, proseguono nei monti Preziosi, Miglio, Mezzana e Lingotti, i quali si collegano alla suindicata catena e rimangono interposti tra l’abitato di Ortona nei Marsi e quello di Anversa. Sono generalmente bianchi a struttura compatta, talvolta sacca- roide e contengono, oltre ai suaccennati fossili, numerosi esemplari di coralli e di crinoidi. Eoctne. — Le due valli del Liri e del Giovenco sono in gran parte riempite di materiale eocenico, formante un deposito dove più dove meno potente, che si appoggia con evidente discordanza, sui calcari basici, colitici e cretacei, che, come abbiamo visto, costitui- scono le due alte sponde delle valli stesse. Il terreno eocenico è generalmente rappresentato da un’alter- nanza di scisti argillosi, scisti arenacei e scisti marnosi, la cui stra- tificazione si mostra dovunque notevolmente ripiegata e contorta in modo da renderne, come sempre accade in queste formazioni, assai complicata la tettonica. In alcuni punti della valle del Liri, tra Balsorano e Civitella, come ben osserva il prof. Cacciamali \ gli strati eocenici si mostrano senz’altro rovesciati o ribaltati. Analoghi depositi di scisti eocenici vediamo affiorare in alcune valh e bassure più o meno larghe e profonde, appoggiati indifferen- temente ora sul terreno basico, ora sull’oobtico ed ora sul cretaceo. In Valle del Livi (op. cit.). — 176 — Non è raro il caso che le dette roccie scistose racchiudano delle intercalazioni di scisti lignitiferi, fra i quali talora si trova della vera lignite compatta, lucente e resinosa, avente cioè tutte le qualità ne- cessarie per essere impiegata come combustibile. Ma, per quanto permette di vedere lo stato presente del terreno, nessuna delle vene di lignite da me osservate, presenta all’esame esterno le condizioni indispensabili per intraprenderne una proficua coltivazione. Alcune lenti di scisti eocenici con intercalazioni di lignite si in- contrano sulla estesa formazione di calcari a Toucasia che costitui- scono i monti a S.E del Fucino e precisamente nelle pendici del Monte Turchie in territorio di Lecce nei Mar si. Siffatte intercalazioni sono assai comuni e si vedono ripetute in molti affioramenti di scisti eocenici della catena appenninica. Questi giacimenti che racchiudono la lignite, appartenenti ad un deposito terziario, sono semplicemente addossati ai calcari secon- dari; epperò in uno dei citati affioramenti delle falde del Monte Tiirchio, e precisamente in quello esistente nelle vicinanze dell’af- fioramento^di bauxite, in seguito a recenti lavori di sbancamento eseguiti, è stata messa allo scoperto una fronte di roccia lignitifera di circa mq. iOO di superficie, apparentemente inclusa nei calcari urgoniani. Questo fatto non porta per conseguenza di ammettere la inter- calazione della lignite nel calcare cretaceo, ma è evidentemente | dovuto soltanto ad un’accidentalità stratigrafica locale, potendosi | agevolmente spiegare colla ipotesi che, per una frattura avvenuta nella formazione secondaria per effetto del sollevamento posteocenico, un lembo di strati calcarei del Cretaceo sia stato spinto sopra quelli eocenici, ricoprendoli in parte ed in modo da salvarli dalle successive erosioni. i Posto ciò, non si può per ora, senza uno studio tettonico assai 1 accurato, e accompagnato da appositi lavori di esplorazione, stabilire s quale sia l’estensione e l’entità di tale deposito lignitifero. ii l — 177 — Quello che si può affermare con sicurezza si è che esso non può assolutamente oltrepassare la verticale segnata dalFaffioramento di bauxite, intercalato nei calcari urgoniani, e che sta poco a monte di quello di lignite. In dati punti, al contatto di questi depositi eocenici (specialmente quando vi predomina l’elemento argilloso, epperciò impermeabile) coi calcari secondarii, generalmente molto permeabili, s’incontrano delle sorgenti di acqua potabile più o meno abbondanti, che scaturiscono per effetto di sfioramento; tali sono quelle che troviamo nelle vici- nanze di Pescosolido, di Balsorano e di S. Vincenzo Valle Eoveto nella valle del Liri, quella adiacente all’abitato di Villa vallelonga nella valle omonima, non che quella che sgorga alle falde del Monte Ta- gliareccia, quella di San Sebastiano sopraccennata e quella delle vi- cinanze di Ortona nei Marsi nella valle del Giovenco. Quaternario, — Nella regione in discorso questo terreno è rap- presentato specialmente da depositi detritici o detriti di falda, i quali in alcuni punti formano delle masse notevolmente estese e potenti. Gli elementi che li compongono sono prevalentemente di natura cal- carea, di varia grossezza e quasi tutti argillosi, e provengono dal disgregamento delie roccie liasiche, cretacee ed eoceniche. Generalmente le citate masse sono poco coerenti, ma in alcuni punti la relativa roccia è cosi fortemente cementata da formare un materiale compatto e resistente, in modo da prestarsi al taglio e alla pulitura, epperciò viene estratto ed impiegato nelle costruzioni edi- lizie. Nella valle del Liri è assai importante il deposito detritico, che occupa gran parte della sua bassa sponda sinistra a partire dalla I borgata di Vagnoli, frazione di Pescosolido, fino al di là dell’abitato di j Balsorano. Nelle vicinanze di questo paese tale deposito, oltre ad avere una notevole potenza, si estende a valle scendendo fin quasi a lambire la corrente del fiume, ricoprendo, dove più dove meno, i sottostanti scisti eocenici, mentre a monte sale l’erta costa fino a mascherare per iuna data altezza le testate dell’affioramento liasico, raggiungendo 12 — 178 — perciò una quota di parecchie centinaia di metri sul livello del fiume e con una larghezza in pendio di tre chilometri circa. Nella stessa valle del Liri sotto Balsorano troviamo altresi alcuni limitati depositi travertinosi, ma questi in generale sono costituiti di una roccia poco consistente e talvolta del tutto friabile. Un esteso deposito di detriti di falda lo troviamo a ridosso della bassa sponda sinistra della valle di Villavallelonga, per una lunghezza di parecchi chilometri, ma quivi la massa è generalmente poco cemen- tata e in alcuni punti quasi affatto sciolta; altro analogo deposito contorna il promontorio dirupato prospiciente il bacino del Fucine nelle adiacenze di Trasacco. Roma, maggio 1901. — 179 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE OEOLOGH0^4. IXAEX^IV.4. PER L'a^’TN'O 1900 ^ {Contiiinazioiie, vedi n. 1). Colomba L. — Ricerche microscopiche e chimiche sn alcune quarziti dei dintorni di Oiilx (alta valle della Dora Riparia) e su alcune roccie associate. (Boll. Soc. Greci, ital., Yol. XIX, fase. 1^, pag. 111-131). — Eoma, 1900. Passate a rassegna le varie località dell’alta valle della Dora Riparia dove sono sviluppate le quarziti, e indicate in generale le roccie concomitanti. Fau- tore espone il risultato delle sue osseivazioni e delle analisi istituite su varie quarziti che si osservano alla Beaume e sulla strada di Bardonecchia, prendendo in esame anche le roccie intercalate. Dal complesso dei fatti osservati egli è indotto a concludere che nei ca- ratteri petrografici non vi è tale differenza essenziale da potere distinguere due o più tipi caratteristici, sia nelle quarziti della Beaume, sia fra queste e quelle di Bardonecchia. Gli stessi elementi si notano in tutte : solo vi è differenza nella quantità : la loro struttura è pure poco diversa e dovuta a cause che si manifestano re- golarmente e sono indipendenti dalla loro posizione cronologica. Ritiene quindi che manchi nel criterio petrografico e mineralogico ogni ragione per separare quelle serie di quarziti nei due gruppi permo-carbonifero e triasico, come ritiene Fing. Franchi. Tenendo conto poi della completa con- cordanza di queste roccie, si potrebbero spiegare tanto le analogie di struttura quanto quelle di composizione ammettendo, secondo le idee del Franchi, che esse costituiscano una formazione il cui deposito, qualunque sia il modo in cui avvenne, si sia iniziato sul finire del permiano continuando anche durante il Trias più antico. ^ Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d'Italia od hanno rapporto con essa. i — 180 — Colomba L. — Sul deposito d’’ ima fumarola silìcea alla Fossa delle Rocche Rosse (Lipari). (Boll. Soc. Gleol. ital., Tol. XIX, fase. 3®, pag. 521-534). — Eoma, 1900. Xella escursione fatta dalla Società geologica italiana durante la primavera del 1900 alle Isole Eolie, l’autore ebbe occasione di osservare nella Fossa delle Rocche Rosse di Lipari dei piccoli coni di natura prevalentemente silicea, e rende conto in questa nota dello studio eseguito sul materiale raccolto in uno di essi che gli pareva più tipico. Questo cono ha una altezza di un metro e pari diametro alla base; presenta un foro all’estremità superiore che si va al- largando internamente a foggia di imbuto. L’interno è rivestito di una sostanza biancastra simile a smalto, che si presenta anche in piccole masse mammillonari e in stalattiti : il materiale del cono risulta da frammenti di ossidiana e di pomice cementati da detta sostanza biancastra. L’autore espone dettagliatamente le osservazioni fatte e il risultato delle analisi chimiche del materiale raccolto. Da queste è indotto a concludere che tali coni sono dovuti all’azione di fumarole sviluppanti fluoruro di silicio e va- pore acqueo. Ricorda che lo Scacchi già dimostrò la presenza dell’acido fluoridilco nelle emanazioni vulcaniche : quindi Torigine del fluoruro di silicio si può spie- gare, ammettendo una reazione avvenuta a profondità fra l’acido fluoridrico e le roccie circostanti. Ammesso tal modo di formazione si avrebbe in questo deposito siliceo di Lipari un nuovo caso accertato di formazioni derivanti essen- zialmente dall’azione di prodotti gassosi. L’azione di tali composti volatili, se- condo l’autore, avrebbe una grande importanza, come agente di deposito nelle formazioni filoniane dove sono abbondanti il quarzo e la fluorite nella ganga. Colonna E. — Le miniere di asfalto in provincia di Chieti. (La chi- mica industriale. Anno II, n. 20, pag. 308-310). — Torino, 1900. Sono brevi notizie sulle lavorazioni minerarie asfaltifere di Mauoppello Lettomanoppello e Roccamorice nell’Abruzzo chietino, attinte in gran parte da pubblicazioni del R. Corpo delle Miniere, con lo cifre statistiche relative al quinquennio 1894-98. CozzAGLio A. — Ricerche sulla topografia preglaciale e neozoica del lago di Garda. (Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1900, pag. 179-193). — Brescia, 1900. L’autore di questa comunicazione, in base agli studi in parte pubblicati, cerca di fissare la storia geologica della regione del Garda dal retico al preglaciale. — 181 — Accettando l’idea della sinclinale in corrispondenza del bacino del lago attuale, fa notare Teteropismo delle formazioni passando dall’una aH’altra sponda del lago ; e lo illustra con alcuni esempi dall’infralias all’eocene. Cerca di coordinare il complicato meccanismo di pieghe e faglie, attorno al concetto generale dell’influenza delle masse dolomitiche e degli scogli di calcare bloccoso liasico, contro cui andavano a costiparsi gli strati ginra-liasici durante il corrugamento. Passa poi in rivista le principali linee di questa tettonica, dividendo il bacino in tre regioni, cioè : a monte di Riva ; da Riva a Limone ; da Limone a Oargnano. Tentando di ricostruire le masse rocciose prima dell’abrasione che ora si osserva, troverebbe il baratro lacuale non ancora scavato, e al suo posto la massa montuosa già accennante alla divisione in due bacini, settentrionale e meridionale, e alcune valli antiche, di cui sarebbero rappresentanti la valle di Ballino, quella di ISTa^p-Mori e le valli di Brasa e -di S. Michele. D'Achiardi Gr. — I quarzi delle gessaje toscane. (Atti Soc. toscana di StJ. nat.; Memorie, Voi. XVII, pag. 53-78, con 2 tavole). — Pisa, 1900. L’autore, avendo a sua disposizione un grande numero di cristalli di quarzo, isolati e completi alle due estremità, provenienti da Soraggio nelle Alpi Apuane, da Sovicille, da Chianciano e da Campiglia d’Orcia nel Senese, ne ha intrapreso lo studio nell’intento di mettere in evidenza i rapporti loro eolie sostanze incluse e il loro modo di origine, non che quello della roccia gessosa che li contiene. Tutti questi cristalli sono costituiti dalle sole faccio romboedriche j 100 [ € I 221 I insieme talora, colle faccio del prisma | 211 | in generale però assai subordinate. Xon presentano faccio di altro romboedro ne traccio di plagiedria. L'autore descrive dettagliatamente tutte le accidentalità che presentano i cristalli esaminati ed i loro caratteri fisici e chimici ; non che le inclusioni che vi si osservano, tra le quali principale quella dell’anidrite, e probabilmente I un nuovo solfato di magnesia poco idrato. j Quanto al loro giacimento questi quarzi si trovano tutti nei gessi meta- I mDrfici derivati da gessificazione del calcare dolomitico o anche dalla dolomia 1 appartenente al Lias à Soraggio e al retico nelle altre località del Senese. I Esposte le opinioni dei vari autori sull’origine di questi gessi quarziferi j l’autore, basandosi sugli studi da lui fatti, per la presenza degli inclusi di ani- — 182 - drite troverebbe confermata la supposizione dello Zscbimmer che si sia for- mata prima l’anidrite e quindi i gessi quarziferi per idratazione di quella. Ri- sulterebbe in ogni modo la concomitanza della presenza dei quarzi con una origine metamorfica dei gessi che li contengono e la possibilità di ammettere una azione geyseriana per la presenza di acque silicifere soprariscaldate, e solfa- tarica di fumarole per la presenza di solfuro idrico. La formazione dei cri- stalli di quarzo sarebbe poi stata favorita dalla presenza di un solfato alcalino. giudicare di tali fenomeni si deve pure tener conto della pressione e temperatura che si possono verificare a profondità. Due tavole con figure di quarzi e la riproduzione di sezioni sottili illu- strano questa memoria. D’Achiardi Gr. — Pleocroismo e policromismo delle tormaline elhane. (Atti Soc. toscana di Se. nat., Processi verbali, Yol. XII, pag. 33-37). — Pisa, 1900. Sono qui esposte alcune considerazioni sul pleocroismo e policromismo delle tormaline dell’Elba, suggerite da opinioni di altri che non concordano colle osservazioni fatte dall’autore stesso sopra un grandissimo numero di cristalli. Egli riporta dapprima un brano del lavoro di Agafanow sull’assorbimento della luce nei cristalli, nel quale asserisce che il pleocroismo non si riscontra che nei cristalli a colorazione accidentale, e lo ritiene dovuto aU’orientazione della materia colorante penetrata nell’edifizio cristallino mentre si formava. L’autore dimostra che nelle tormaline la colorazione non è accidentale, ma insita nella costituzione stessa della sostanza specifica, risultando la specie da un complesso di molecole diverse, quali acroi che, quali variamente colo- rate, ma sempre idiocromatiche e fra loro isomorficamente associate. Le diffe- renze di assorbimento non sono quindi dovute all’esclusiva presenza e speciale orientazione di materie pigmentizie, ma sono in relazione col modo di costi- tuzione molecolare. Quanto al policromismo, contrariamente all’opinione del Rombicci, che cioè nelle tormaline policrome elbane i colori si succedano in zone trasversali tutte perpendicolari all’asse di simmetria o di figura del cristallo, l’autore, richia- mando quanto già espose su questo argomento (vedi Bibl. 1896), osserva che Y. Tschermak’s Mitt. etc., B. XY, 457. Wien, 1896. — 183 — l'accrescimento delle tormaline elbane avrlene tanto perpendicolarmente cbe parallelamente all'asse, e che nelle sezioni sottili, fatte parallelamente a questo, si può riscontrare la struttura a strati concentrici o a cartoccio, benché nei cristalli elbani l'accrescimento in altezza sia di gran lunga superiore a quello in larghezza, meutre accade il conti’ario nelle tormaline del Giglio. Tale ac- crescimento, in un senso piuttosto che in un altro, è dovuto principalmente alla tendenza delle molecole di diversa costituzione a dare origine piuttosto ad una che ad altra forma, sempre però della stessa classe, influendovi forse anche le condizioni diverse dell'ambiente cristallogenico. D’Achiardi G. — La cordierite dei filoni tormaliniferi nel granito di S. Piero in Campo [Elha). (Atti Soc. toscana di Se. nat., Processi verbali. Voi. XIT. p>ag. 3847). — Pisa, 1900. In una gita all Elba, l’autore raccolse alcuni pezzi della roccia bianca dei filoni tormaliniferi di Grotta d'Oggi. contenenti deUe macchie giallo-ver- dastre con lucentezza grassa, e in alcuni punti submetallica, a contorno irre- golare, e costituite da una sostanza cristallina eterogenea. Tali macchie ri- scontrò pure in alcuni campioni esistenti nel Museo di Pisa, provenienti dalla stessa località e da Fonte del Prete, presso S. Piero in Campo. L'autore, du- bitando si trattasse di sostanza analoga al minerale descritto come pinite dal Grattarola. e proveniente dalla località detta Stabbiali, intraprese lo studio completo dell’aggregato cristallino che costituisce le macchie suddette, e ne dà estesa relazione in questa nota. La struttura degli aggregati è per solito granulare, talvolta anche deci- samente lamellare, come accade nei primi stadii di alterazione della cordierite. In qualche raro caso si è potuto misurare al microscopio nelle lamelle angoli che conducono alla combinazione |110| |010| j09l| e forse anche all’altra jiio; ;iooj ;oio; jooi|- Xelle sezioni sottili, fatte tanto sulle lamelle cristalline, quanto sugli ag- gregati eterogenei, l'autore ha riconosciuto nella massa limpida delle lamelle, e nella sostanza incolora delle masse granulari, la cordierite associata al quarzo e la malacolite e. quali prodotti di alterazione, ossido di ferro e man- ganese, spinello, mica o talco, clorito e silice calcedoniosa od opalina. Tali fatti indicano un'alterazione molto avanzata dei noduli cristallini che, coi cristalli di cordierite alterata, costituiscono le macchie giallo -verdastre sporche esaminate. Tale alterazione è maggiore negli aggregati granulari che nei cristalli, dipendentemente dalla costituzione eterogenea dei noduli stessi. Quanto alla loro origine, non si può dire nulla, se prima non sia spiegata Forigine dei filoni nel granito. L’autore spera, dallo studio intrapreso sulle roccie granitiche del Monte Capanne, o roccie a contatto, di potere stabilire qualche cosa di preciso e determinato sulle ipotesi della segregazione magmatica o dell’origine idrotermale. jN'el testo sono inserite figure di sezioni sottili del minerale esaminato. D’Achiardi Gt. — Larderellite dei soffioni della Toscana. (Eend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 11, 1^ sem., pag. 342-315). — Roma, 1900. I borati che coi nomi di Larderellite, Lagonite, Bechite., Borace^ furono analizzati dal Bechi come prodotti dei soffioni boraciferi della Toscana, sono ancora d’incerta costituzione e l’autore ne ha ripreso lo studio allo scopo di otte- nerne un’esatta determinazione. Dall’esame chimico e microscopico degli esemplari, che nelle collezioni del Museo di Pisa sono indicati con questi nomi, risulta essere essi mescolanze di più cose ed in gran parte di acido borico. In questa nota si occupa della larderellite, che sola appare ben definita. Essa è costituita da piccolissime lamelle rombiche scorniciate ai margini, che potrebbero appartenere al sistema monoclino o al trimetrico, più probabilmente, secondo l’autore, a quest’ultimo. Dall’analisi di questo materiale completamente cristallino, risulta la composizione centesimale seguente : Og = 71. 10, (XBEJj O = 10. 60, HoO = 18. 30, corrispon- dente alla formola (XHJg BjgOjg + òHgO. Essa differisce solo per la dose del- l’acqua di cristallizzazione dal pentaborato ammonico descritto dal Rammelsberg con la formola (XHJg ^10^1, + 8 HgO. Se si scioglie la larderellite neH’acqua e si fa di nuovo cristallizzare la soluzione, non si forma più lo stesso minerale, ma il pentaborato ammonico. I tentativi diversi fatti dall’autore per riprodurre i cristalli di larderellite per soluzione riuscirono negativi; solo ottenne acido borico ed il pentaborato ammonico in nitidi cristalli caratteristici, che vengono descritti ed illustrati nella memoria seguente. D’Achiardi Gr. — Acido borico e borati dei soffioni e lagoni bori feri della Toscana. (Annali Università toscane, T. XXIII, estratto di pag. 34 in-4^, con 2 tavole). — Pisa, 1900. in questo lavoro sono esposti estesamente i risultati degli studi fatti dal- l’autore su questi prodotti dei soffioni e lagoni boriferi della Toscana. Essi si — 185 — presentano in masse informi, in croste o in riempimenti di fessure nel terreno mineralizzato dai vapori e dalle acque borifere. La massa minutamente cristal- lina è ora candida, ora più o meno giallastra: si dice lagonite se gialla, bechi- lite se bianca e compatta, larderellite se minutamente granulare farinosa e ru- vida al tatto, mentre, se liscia e quasi talcosa, viene detta sassolino. Tali pro- dotti sono però sempre associati fra loro. L’autore ha preso in esame gli esemplari determinati dal Bechi, esistenti nei Musei (geologico e mineralogico) di Pisa, allo scopo di constatare la reale esistenza delle diverse specie deter- minate dal Bechi, e aggiungendo all’esame chimico quello cristallografico ed ottico. Egli si occupa dapprima dell’acido borico allo stato naturale, che si presenta assai di frequente nelle croste borifere in cristalli bacillari del sistema trimetrico; ne descrive i caratteri cristallografici ed ottici, mostrando essere esso isomorfo j alla gibsite. Uno studio esteso, specialmente cristallografico, è fatto della lar- derellite e di altri borati ammonici. Accanto alla bechilite, esposta l’analisi datane dal Bechi, osserva che nei campioni esaminati non ha riscontrato nulla che corrisponda al borato di calcio e che l’esame microscopico mostra che le I concrezioni gialle e grigiastre sono costantemente costituite da sassolino e lar- I derellite. Anche i saggi fatti sui campioni di lagonite non hanno mostrato una I esatta determinazione specifica: senza quindi negare l’esistenza della lagonite, I dice che gli esemplari studiati non sono che mescolanze di acido borico e j limonite ocracea in predominio, e subordinatamente di larderellite, solfati, ecc. I In fine, quanto al borato di soda ricordato dal Bechi come di composi- zione diversa da quello tipico per minore quantità d’acqua, non fu dato aU’aii- tore di trovarlo nel materiale esaminato, j Le ricerche quindi deH’autore riguardo alle specie mineralogiche bechi- lite, lagonite e borato di soda, anziché a stabilire la loro esatta determinazione contribuiscono ad avvalorarne la indeterminatezza e a metterne in dubbio resistenza come specie distinte. 1 Questo lavoro, oltre a molte figure di cristalli inserite nel testo, è corre- I dato da due tavole con figure di lamelle di sassolino, larderellite e pentaborato j ammonico, ottenute fotograficamente al microscopio. j D' Aghi ARDI Gr. — Minerali del Sarrahiis [Sardegna). (Atti Spc. toscana di Se. nat. ; Memorie, Yol. XYII, pag. 243-251). — Pisa, 1900. Dei diversi minerali della Sardegna inviati dairingegnere G. B. Traverso al Museo di Pisa, Tautore in questo lavoro descrive alcune specie poco note Il — 186 — o solo sommariamente descritte. Esse sono : Pìrargirife e Proustife. Baritina e Armo toma. I cristalli di pirargirite trovansi impiantati nella roccia da GioTanni Bonn e Baccu Arrodas, di dove probabilmente provengono quelli isolati di argento rosso ad abito prevalentemente scalenoedrico e di color rosso vivo. Da Masaloni deve provenire invece un gruppo di cristalli di color grigio scuro e di abito cristallino, conforme alla descrizione data dal Traverso per la pirargirite di questa miniera. Dai saggi eseguiti sui cristalli rossi scalenoedrici l'autore ba riconosciuto essere essi di proustite come aveva supposto il Traverso, e ne dà le misure approssimate che si poterono effettuare sui cristalli, misure rese difficili per le condizioni delle faccie. Predomina in essi lo scaleuoedro |201| e vi si asso- ciano quasi sempre le faccie spesso lineari di ed in alcuni cristalli anche di |llO| e benché meno" evidenti e rare anche di |100|. I campioni di baritina limpidi e trasparenti sono di Tuviois: l'autore ne dà le misure dei cristalli; le forme in quasi tutti sono ■OOlj. L’abito in generale è tabulare per grande sviluppo delle faccie basali: in alcuni si mostrano altre piccole faccie mal determinabili e talora vi hanno unioni parallele di due cristalli per la faccia basale. L’armotoma, insieme a fluorina cubica, calcite laminare, baritina, ecc., si mostra in incrostazioni di minuti cristalli che rispetto agli altri minerali sem- brano di più recente formazione. Gli esemplari provengono da Giovanni Bonn. Essi presentano tutti la costituzione multipla per la compenetrazione abituale dell’armotoma di Andreasberg. Le forme riscontrate dalT autore sai’ebbero jllO|, |710|, joiol, jOOll, di cui la seconda nuova, e ne sono determinati gli angoli con la misura e col calcolo. Con l'esame chimico ha pure accertato che il minerale è armotoma e non fillipsite, sia per la presenza del bario, sia per la silice non gelatinosa ma granellosa. Dal Lago D. — Fauna eocenica nei tufi basaltici di Rivagna in Novale. (Rivista ital. di paleontologia. Anno YI, fase. Ili, pag. 142-146). — Bologna, 1900. Rivagna di Yovale è una spianata tenuta a pascolo, leggermente inclinata, estesa un mezzo chilometro circa e posta a Y.O del Grande 3Iucchione ed a S.O del Barco, due monti totalmente basaltici. Essa confina ad ovest colle — 187 roccie sedimentarie che si elevano quasi verticali presso la contrada Covoli sopra le roccie cretacee (Damano). Il terreno è costituito da tufo basaltico rossastro con molti ciottoli calcari giallastri a foraminifere e pezzi di basalto, e contiene fossili in parte fram- mentati, in parte ben conservati. Di questo giacimento fossilifero non conosciuto finora si occupa l’autore nella presente nota. Egli dà prima la descrizione dei sedimenti sottostanti a questo, quali si osservano nei dintorni di Trovale, indicandone i fossili caratteristici. Da questi risulta che Teocene medio è ivi rappresentato dal basso all’alto : dagh strati del Monte Postale, 2° dai tufi e dalle marne calcari a flora di IJ^^ovale, dagli strati calcari di San Giovanni Ilarione, 4® dai tufi di Ronca. In questa fauna di Rivagna, oltre ad abbondanti nummuliti (xV. Brou- gniarfi e X. spira) e ai polipai, sono specialmente rappresentati i gasteropodi tra i quali assai interessanti Coptocliììns (Megalostoma) imbrìcafiis Sand., Helix cf. amhlìjti'opis Sand., Aperosfoma Masmnornm Oppenh. Dalla conoscenza di questa fauna raccolta nel tnfo di Rivagna e in parto determinata dairOppenheim, Tautore ritiene che questa località di IN’ovale in- dubbiamente appartenga alborizzonte di Roncà e quindi alla parte superiore del- l’eocene medio. È dato in fine di questa nota un quadro sincronico delle specie di Riva- gna in rapporto con altre specie delleocene medio del Vicentino dal Monte Postale in su. Dal Piaz G. — Sopra raiialcime ed altri minerali di Pendìsetta negli Eu- ganei. (Rivista di min. e crist. ital.. Voi. XXIII, fase. IV a VI, pag. 90-92). — Padova, 1900. I minerali descritti in questa nota furono raccolti fra Rocca Pendise ed il cimitero di Teoio e più precisamente dove il giacimento affiora al piano della strada che mette a Castelnuovo. La roccia includente i vari minerali è una brecciuola basaltica grigio- verdastra, talora di aspetto tufaceo, accompagnata da filoni di basalto compatto. I minerali descritti sono i seguenti: Olivina in noduli di varie dimensioni fra i quali uno grosso come una noce, formato di un aggregato di granuli di peridoto poco colorato, alterato all’esterno e fresco nelTinterno. Grafite in piccole laminette, alla superficie dei noduli olivinici. Analcime in vene, in noduli e in bei cristalli talora perfettamente limpidi. — 188 — In essi predomina Ficositetraedro a cui frequentemente si unisce la faccia del cubo, in forma rettangolare allungata. Dai risultati delle misure eseguite su di essi risulta la combinazione j 2Ì1 j | lOQ j monometrica. Il peso specifico è 2.195. Natrolite molto rara, in noduli bianchi fibroso-raggiati. L’autore nota pure la presenza di un’altra zeolite di cui non potè precisare la specie, ma che dalle osservazioni fatte suppone sia o armotoma. Tutti questi minerali sono accompagnati da abbondante calcite in rom- boedri e scaienoedri, ma imperfetti e mal conservati. Dal Piaz Gt. — Sulla fauna fossile della grotta di 8, Dona di Lamon. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XXXIX, fase. 1®, pag. 51-64, con tavola). — Milano, 1900. Ricordate le notizie precedenti sui fossili di questa grotta, l’autore rende conto nella presente nota del materiale fossilifero in essa raccolto a diverse ri- prese e riferibile alle specie seguenti: Ursiis spelaens Blumb., Ursns arctos Din., Canìs vulpes Din.-, Mustela faina Briss., Arctomis marmotta Sebreb., Lepns timidiis ? Din., Bos tanriis Lin., Capra hirciis Din., Ovis aries Din. , Questi avanzi non sono da riferirsi ad un unico giacimento. XelFultima camera, nella parte più interna della grotta, ricoperta da grossa crosta sta- lagmitica si trovarono i numerosi resti di Ursiis spelaeus e U. arctos, mentre negli scavi eseguiti nella prima camera nella parete esterna, dove manca affatto tale crosta, furono rinvenuti gli avanzi degli altri animali succitati misti a cocci e numerosi carboni. Xon si possono quindi stabilire rapporti fra i due giacimenti, tanto più che ove fu raccolto quest’ultimo materiale ebbe luogo per una fenditura nella roccia una circolazione di acqua sotterranea che accumulò, grande quantità di argilla producendo confusione. I due giacimenti ossiferi appartengono, in ogni modo, a due periodi di- versi. Xel primo deposito più interno si ha la solita formazione delle caverne contenente spesso avanzi di Ursns; esso appartiene al Diluvium: nel seconde havAÙ un cumulo di argilla molto posteriore, che ha ricoperti avanzi di pasti <; di industrie umane attestati dai cocci, dai carboni e da ossa spaccate coi impressioni di tagli e da altre particolarità, il tutto riferibile al periodo neo litico. Segue la descrizione delle specie trovate nei due giacimenti, illustrati da una tavola in eliotipia. — 189 - Dayis W. M. — Glacial erosion in thè Valley of Ticino. (Appalachia, IX, 2, pag. 136-156, con 2 tavole). — Boston, 1900. Una delle prove evidenti della forza di erosione esercitata dai ghiacciai sulla superficie del suolo, fu riscontrata dall’autore risalendo la valle del Ticino nei pressi di Biasca, dove si hanno indicazioni che permettono di ricostruire la conformazione preglaciale della valle stessa. L’autore ha osserA'ato che le valli tributarie che immettono nell’arteria principale non si congiungono a questa a livello, ma si trovano molto più elevate e sono separate da essa da dirupi alti da 400 a 600 metri. Superiormente a queste pareti dirupate il profilo delle falde si raddolcisce e dà luogo a piatta- forme debolmente inclinate che sembrano essere i testimoni! dei versanti di un’antica valle ampiamente aperta, nel thalveg della quale fu scavata la valle Attuale più profonda. In un'epoca anteriore dovevano quindi le valli laterali sboccare allo stesso livello della valle principale. Si deve escludere che tale erosione sia dovuta all’azione dell’acqua, poiché in un fiume arrivato a maturità tutti gli sbocchi dei suoi rami concordano eoi livello della valle principale. Ora ciò non accade n?l Ticino e si deve quindi ammettere un altro agente. Questo è il ghiaccio che copriva la regione nell’epoca quaternaria. Esso deve avere raggiunto un livello assai elevato, e per la sua massa più potente doveva scorrere più rapidamente nella valle principale arrestando o rendendo più lento il movimento delle masse di ghiaccio nelle valli laterali che non potevano avere una forza erosiva considerevole come il ghiacciaio principale; veniva quindi il loro letto meno ijitaccato, dando così origine alla discordanza rilevata nella valle del Ticino, fatto questo che deve verificarsi in ogni regione sotto- posta alla azione potente dei ghiacciai. Questo lavoro è illustrato da vedute fotografiche della valle principale ' e di alcune laterali dei dintorni di Biasca, nonché da figure esplicative nel I testo. Davis AV. M. — Fcmlt scarp in thè Lepini monntains Italy. (Bull. Geol. i Soc. of America, 11, pag. 207-216). — Eochester, 1900. In questa nota é trattato lo stesso argomento del quale fu dato un cenno nella Bibliografia dello scorso anno (1899). (Continua). I I i PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (^30 giugno 1901) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXXI, dal 1870 al 1900. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Pirenze 1871. — Un volume in-4® di pag. 364 con ta- vole e carte geologiche » 35 - Voi. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Un volume in-4® di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 -- Voi. II, Parte 2^. Firenze 1874. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. Ili, Parte 1^. Firenze 1876. — Un volume in-4® di pag. 174 con tavole e carte geologiche . . . ' » 10 — Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — Un volume in-4® di pag. 230 con tavole .» 15 — Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole » 8 — Voi. IV, Parte 2^. Firenze 1893. — Un volume in-4® di pag. 214 con tavole » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica (leir Isola (li Sicilia. — Un A^olume in-8® di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 — Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- risola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 266 con tavole e ima Carta geologica ...» 10 — Voi. HI. Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’ Isola cVElha. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria dell Ig le si ente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 — Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabiis {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » 8 — — 191 — Voi. VI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-S® di pag. 110 con Carta geologica annessa L. 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Coetese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-pefrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. Ili con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e ima Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed ima Carta geologica » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: I vulcani dell' Italia centrale e i loro prodotti. Parte P: Vnlcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio X. 214 (Isole Eolie) . . L. 3 — » 218 (Trapani) . . . * 3 — > 249 (Palermo) . . . » 4 — > 250 (Bagheria) . . . » 3 — * 251 (Cefali!) .... >3 — * 252 (Xaso) . . . . » 4 — » 253 (Castro reale) . . » 4 — * 254 (Messina) . . . » 4 — * 256 (Isole Egadi) . . » 3 — * 257 (Castelvetrano) . » 4 — * 2.5S (Corleone) . . . * 5 — » 2.59 (Termini Imerese) > .5 — » 260 (Xicosia). . . . » .5 — » 2<11 (Brente). . . . >5 — Foglio X. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 265 (Mazzara del Vallo) » 3 » 266 (Sciacca) ...» 4 » 267 (Canicattì) . » 268 (Caltanissetta) > 269 (Paterno) . * 270 (Catania) . » 271 (Girgenti) . » 272 (Terranova) » 273 (Caltagirone) » 274 (Siracusa) . » 275 (Scoglitti) . » 276 (Modica). . . » 277 (Xoto) . ...» 3 Tavola di sezioni X. I (annessa ai fogli 249 e 258 . . L. 4 — » - X. II (annessa ai fogli 2.52, 260 e 261) » 4 — » » X. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » -> X. IV (annessa ai fogli 2*57 e 266) . . » 4 — * » X. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — »0 »0 co co IO co co - 192 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe iieìl)licazione della Carta geologica dell’Europa, che sembra abbia dovuto subire qualche ulteriore ritardo. — 8 Il presidente comunica che i fogli comprendenti la Russia e la ScandinaTia sono oramai pronti por la pubblicazione, cosicché si spera che la Carta possa essere pressoché ultimata per il prossimo Congresso di Vienna. L’editore, per deficienza di elementi, anche topografici, aveva chiesto é vero che, mantenendo invariata la spesa, si sopprimessero i sette fogli inferiori, che non riguardano l’Europa ; ma una tale cosa non potè essere concessa per non guastare il quadro del lavoro. Venne invece espresso un voto per Taumento delle copie d’acquisto da parte di varii Stati, seguendo il lodevole esempio dell’Italia che, obbliga- tasi solo per 100 fogli, ne acquista invece 300. IN'ella Commissione direttiva della Carta predetta il compianto Hauche- come fu sostituito dall’ attuale secondo direttore Beyschlag. Pellati riprendendo la sua esposizione dice che procurò sempre di raffer- mare i buoni rapporti dell’Ufficio colla Società geologica, che si compiace di vedere oggi qui rappresentata dal suo degno presidente prof. Parona, essendo queste due istituzioni destinate ad aiutarsi scambievolmente. Aggiunge che trovandosi ultimamente l’Ingegnere Zaccagna a Brescia, per incarico del Mi- nistero dei lavori pubblici, ebbe occasione di fare in quei dintorni alcune esclu- sioni, che riusciranno di molta utilità in occasione della prossima riunione estiva della Società. Parona, lieto di queste disposizioni, rivolge al direttore Pellati vivi rin- graziamenti a nome suo e della Società geologica. Pellati continuando dichiara di essere dolente che la scarsità dei mezzi non permetta di valersi in più larga misura dell’opera di geologi estranei al- l’Ufficio per la formazione della Carta; in quest’ordine di idee accenna intanto alle ricerche sulla flora fossile della Campagna romana, che si stanno com- piendo, per incarico del Comitato, dall’ingegnere Clerici e per le quali il pro- fessor Pirotta ebbe a manifestargli il suo compiacimento. Riguardo all’antica e sempre più urgente questione dei locali dell’Ufficio dopo breve discussione, il Comitato approva la proposta del Dmettore di fare un’ultimo passo presso il Ministero per ottenere i fondi necessarii, ed ove questo tentativo non riuscisse, di dare esecuzione all’antico progetto di adat- tamenti, facendo gravare sul fondo ordinario la spesa relativa opportunamente ripartita in diversi esercizi finanziari, in base all’autorizzazione che il Mini- stero già diede a tale scopo. Accennando quindi alla riconosciuta necessità ed alla richiesta di studii geognostico-agrarii, e ricordato che nei limiti del possibile questi studii non ! furono mai trascurati dall’Ufficio, dichiara che questo é disposto a fare del suo meglio per agevolare sempre più la formazione delle carte agronomiche i - 9 - col fornire la base geognostica, fondamento necessario di esse, lasciando ai Comizi agrarii, Istituti e Consorzii delle singole regioni la parte veramente agronomica ed essenziale di simili lavori, i quali devono, secondo le particolari esigenze dei luoghi, variare nelle loro indicazioni, essendo bene spesso conve- niente adottare scale grandissime, anche maggiori di 1 a 5000. Dopo alcune osservazioni dei professori Cossa e Taramelli e del direttore Pellati, il Comitato conviene in quest’ordine di idee, e si stabilisce di infor- marne il Ministero pregandolo a comunicare a quegli istituti od enti, che si interessano dell’importante argomento, che essi potranno avere daH’Ufficio geologico tutti quegli elementi di base, che esso potrà fornire entro i limiti dei mezzi di cui dispone. Si ricorda con soddisfazione che anche la Società geo- logica ha mostrato recentemente di interessarsi della questione. Parona aggiunge che un'importante comunicazione ebbe luogo in proposito nell’ultima adunanza della Società e che l’argomento delle carte agronomiche venne già posto aH'ordine del giorno per la prossima adunanza generale. Pellatì presenta una proposta del prof. Lovisato di cedere al nostro Uf- ficio, dietro pagamento di una data somma, la sua collezione di fossili della Sardegna, fornita di abbondante materiale duplicato e suscettibile di formare diverse raccolte, e formula in un rapporto scritto le sue conclusioni in proposito. Dopo breve discussione alla (piale prendono parte i professori Capellini, Cossa, Striiver, rieminellaro e Taramelli, ritenuto che l’Ufficio forma le sue collezioni col materiale -raccolto a corredo e controllo dei lavori di rilevamento, ma che esso non deve impegnarsi in acquisti d’altro materiale; che la spesa anche divisa in paivcchi esercizi sarebbe sempre troppo grave ed infine che non si saprebbe ove collocare detta collezione per la ristrettezza dei locali, il Comitato si pronunzia nel senso delle conclusioni del rapporto del direttore del servizio, cioè che detto acquisto, anche ammettendo che potesse essere di qualche utilità per l'Ufficio geologico, sarebbe possibile soltanto nel caso che il Mini- stero fornisse iioii solo la somma occorrente ma anche un locale per il collo- camento. Pellati proseguendo viene a parlare dei lavori compiuti nello scorso biennio. Come nelle precedenti campagne i centri di rilevamento furono le Alpi occi- dentali per opera degli ingegneri Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella; l’Ap- pennino ligure-emiliano affidato all’ingegnere Zaccagna; la regione Umbra al- l’ingegnere Lotti; le Marche all’aiutante Moderni; le revisioni nell’ Abruzzo aquilano e nella provincia di Caserta furono continuate dall’aiutante Cassetti. La direzione dei suddetti lavori fu anche nelle decorse campagne tenuta dall’ingegnere Baldacci. Nella provincia di Eoma Tingegnere Sabatini si occupò del rilevamento dei vulcani Cimini e Vulsinl, dipendendo direttamente dall’ingegnere Zezi per la direzione e per l’andamento dei lavori, e l’ingegnere Yiola continuò lo studio di revisione nell’alta valle dell’Aniene. Pellati espone quindi succintamente i lavori eseguiti da ciascun operatore, cominciando dalle Alpi e parlando pure di una gita fatta dal prof. Scbmidt in Val Grana, accompagnato dall’ingegnere Franchi e nelle valli del Chisone e del Pellice coll’ingegnere Novarese. Il prof. Schmid! confermò in genere le vedute dei nostri geologi, quali lo stesso Pellati, direttore del servizio, ebbe già ad esporre nella relazione del 1899, riferendo i risultati di una ispezione da lui fatta l’anno precedente nella valle della Dora Riparia, nel bacino del Tabor, in Val Grana ed in Val Maira, ulteriormente confermati nell’ispezione fatta nell’agosto 1899 nella valle della Thuile sino al Piccolo S. Bernardo ed al versante meridionale del Monte Bianco. Massuolì, avendo egli pure fatta nell’estate del 1899 qualche gita in alcune valli delle Alpi Cozie e più specialmente nelle valli Grana e Maira in com- pagnia dell’ingegnere Franchi, autore del rilevamento delle valli medesime, conferma le osservazioni precedenti, e dichiara di avere riportato il convinci- mento che le grandi masse di calcari dolomitici, entro cui ad ogni tratto s’in- tercalano filari sottili di calcescisti, debbano considerarsi come costituenti una serie stratigrafica non interrotta con quelle altre masse rocciose, dove i calce- scisti predominano, e ciò sia per la perfetta analogia litologica, sia per la piena concordanza stratigrafica esistente fra le dette due masse. La posizione cronologica di tali formazioni deve ritenersi quale risulta dalle osservazioni dei nostri geologi-operatori che rinvennero fossili caratte- ristici dei terreni secondari, cioè pleurotomarie, giropelle e crinoidi incontrati nei calcari dolomitici, belemniti, arietiti e corallari rinvenuti nei calce- scisti. A conferma di simili deduzioni sta il fatto che la citata formazione cal- careo-dolomitica e calcescistosa si trova in chiari rapporti di concordanza con una serie rocciosa costituita da scisti sericitici e cloritici, da quarziti, da anageniti, ecc., la quale si connette verso sud e verso sud-est con quella ana- loga, accertata come pernio-carbonifera, tanto nelle Alpi marittime, che nel- l’Appennino ligure occidentale. Nota per ultimo che colla nuova interpretazione data alla geologia della cerchia alpina piemontese, questa viene a trovarsi in più armonico rapporto non solo colle Alpi marittime e coll’ Appennino ligure già citati, ma anche coi versanti alpini francesi e svizzeri e colle Alpi lombarde e venete, dove, per gli studi ed i rilievi di geologi di molto valore, si riconobbe che i terreni se- condari ed il permo-carbonifero hanno grandissimo sviluppo. Taramelli conferma queste conclusioni colle sue osservazioni fatte nelle stesse località ed anche in Yal di Scalve, devo ha riscontrato fatti analoghi in formazioni coetanee. Pellati ^ parlando del rilievo ormai compiuto delle Alpi Apuane, dice che ring. Zaccagna ha dichiarato di non potere ultimare la Memoria descrittiva se prima non si procederà alla determinazione dei fossili raccolti e che si trovano in gran parte depositati presso il Museo geologico di Pisa, allo studio petrogi*afico di alcune roccie ed infine all’analisi chimica di certi calcari. Sog- giunge di aver già disposto affinchè gli studi petrografici e chimici richiesti siano compiuti per il termine della campagna in corso. In quanto ai fossili, non avendo avuto alcun esito le pratiche fatte a questo scopo col direttore del Museo di Pisa, ne diede incarico al dott. Di-Stefano, autorizzandolo a re- carsi a Pisa per prendere visione di una parte dei fossili ancora colà depo- sitati ed a fare qualche escursione sul terreno, se la crederà necessaria, per rendersi conto di alcuno dei giacimenti fossiliferi già riconosciuti. In seguito a breve discussione sulFargomento, il Comitato approva l’ope- rato della Direzione, insistendo perchè questo lavoro illustrativo delle Alpi Apuane non abbia a subire ulteriori ritardi. Pellati, accennando ai lavori dell’ing. Lotti in Toscana e nelFUmbria, ri- corda la nota questione suH’età di certe formazioni marnoso-arenacee con fossili di tipo miocenico e riferisce sopra una gita di recente fatta apposita- mente dall'ing. Lotti coll’ing. Baldacci e col dott. Di-Stefano. Pellati riassume da ultimo i risultati più notevoli delle due ultime cam- pagne, quali sono specificati nella Relazione e passa a parlare degli incarichi sti*aordinari stati affidati al personale, fra i quali quello cui attende l’inge- giiore Baldacci per i lavori della galleria del Sempione. Parla poi dei lavori d’ufficio ed infine delle pubblicazioni fatte, e cioè la Memoria descrittiva del Vulcano Laziale dcll’ing. Sabatini, la Carta geologica a colori, in scala di 1 a 2.ó0,(J00, destinata a corredare la Memoria descrittiva delle Alpi Apuane e gli ultimi otto fogli della carta della Calabria settentrionale, in parte stati ri- veduti dal dott. Di-Stefano che sta preparandp un’apposita Appendice alla Memoria descrittiva dell’ing. Cortese. Espone quindi le sue proposte per l’anno corrente. Per il rilevamento non si può pensare che alla normale prosecuzione dei lavori in corso. In quanto alle pubblicazioni, oltre all’Appendice anzidetta, propone la stampa di una ^Memoria di carattere geognostico-agrario sul colle del Montello, preparata dal- ring, stella, ed eventualmente della Memoria anzidetta sulle Alpi Apuane dell’ing. Zaccagna. Propone pure di continuare la pubblicazione della Carta al 100,000 pre- parando la stampa di 15 fogli immediatamente susseguenti alla Calabria, com- prendenti la Basilicata meridionale e la penisola salentina, per alcuni dei quali sarà necessario di fare eseguire appositamente dall’Istituto geografico le carte senza tratteggio. Quest’ultimo lavoro importerà una spesa di circa 10,000 lire, elle potrà essere ripartita in tre esercizi finanziari. Il Comitato approva senza discussione le fatte proposte. Taramelli infine esprime il desiderio che, senza interrompere il lavoro at- tualmente in corso nelle Alpi occidentali, lo si sospenda quando sia raggiunto il gruppo del Monte Uosa (Valle del Bys), essendosi oramai ottenuti i mi- gliori risultati scientifici desiderati ; e che senza completare tutta la zona azoica, cioè che esigerebbe un periodo di tempo assai lungo, si incominciasse lo studio delle formazioni sedimentarie prealpine dal Lago Maggiore al confine orientale del Friuli, in un punto da scegliersi convenientemente^ dove esiste l’intiera serie sedimentaria e dove sono stati compiuti e pubblicati da stranieri impor- tanti lavori geologici. Il presidente condivide questo parere. Pellati consente volentieri col prof. Taramelli e col presidente. Fa però osservare che converrà ancora fermarsi alquanto nella zona del Sempione a causa di precedenti impegni col Comitato Svizzero, che desidera qualche visita dei nostri ingegneri allo scopo di accorciarsi su varie questioni e poi procedere di comune accordo. Resta quindi inteso che la proposta Taramelli è ammessa come delibera- zione di massima. IN^on essendovi altre osservazioni in proposito, nè altre questioni da discu- tersi, la seduta è tolta alle ore 11. 50, autorizzando il presidente a firmare il verbale. Il Presidente Ct. Capellini. Relazione al R. Comitato Geologico Sri LAVORI ESEGUITI PER LA CARTA GEOLOGICA NEGLI ANNI 1899 E 19<30 E PROPOSTE DI QUELLI DA ESEGUIRSI NEL 1901. I lavori (li rilevamento, di laboratorio e di tavolo attinenti alla Carta geo- logica e le altre incombenze devolute al personale deirUfficio si esplicarono negli idtimi due anni in condizioni non dissimili da cpielle degli anni precedenti. La stagione fu abbastanza favorevole alle escursioni di campagna specialmente nelle Alpi occidentali, dove aATebbe potuto rilevarsi a nuovo un'estensione media non minore di quelle rilevate nelle precedenti campagne, se alcune cii'- costanze speciali non aA'essero contribuito a ritardare alquanto il lavoro mate- riale. Fra queste voglionsi principalmente menzionare le ricerche di fossili e lo studio accurato di alcune formazioni che specialmente in Valsavaranche e nelle regioni del Piccolo S. Bernardo e di Coimnayeur potevano dare, come diedero infatti, nuovi argomenti sicuri per fissare definitivamente la posizione stratigrafica dei calcescisti e della zona delle pieti-e verdi, che tanta parte occupa della vasta estensione sinora rilevata nelle Alpi occidentali. Altra circostanza che pure si oppose, segnatamente verso la fine della campagna del 1899 ed al principio di quella del 1900, ad un maggiore avanzamento dei lavori fui-ono le in- combenze di cui ebbero incarico parecchi dei nostri operatori a cagione dell'Espo- sizione universale di Parigi, per la quale dovettero prepararsi carte speciali, riordi- nare collezioni e r digere note illustrative. Anche il Congresso geologico interna- zionale diede luogo successivamente, come si dirà in appresso, a qualche parziale interruzione nei lavori di campagna. Ciò non ostante i rilevamenti a nuovo ebbero un discreto sviluppo. ISTelle Alpi occidentali essi furono spinti sino al Piccolo S. Bernardo, al massiccio del Monte Bianco ed al Gran S. Bernardo. r^'eir Italia centrale si rilevò parte dell’Embria e deUe Marche e si proseguì lo studio dei vulcani Viterbesi: nell’ Appennino centrale si fecero interessanti — 14 — revisioni, che, a vero dire, potrebbero considerarsi come nuovi rilevamenti, specialmente nelle alte valli del Sangro e del Sagittario e nel Piano delle Cinque Migli , ed anche nelle masse calcaree dei Monti Simbr nini e Snblacensi. AUe determinazioni paleontologiche fu dato pure, in ossequio ai desideri a varie riprese manifestati dal Comitato, largo sviluppo non solo coi lavori di laboratorio, ma anche con apposite verificazioni sopra luogo che il solerte dott. Di-Stefano fece ai diversi centri di rilevamento dove se ne manifestò il bisogno. Di tutto ciò e dei lavori compiuti in ufficio e nei laboratori per la conti- nuazione delle pubblicazioni in proporzione degli scarzi mezzi di cui possiamo disporre, renderemo conto particolareggiato nel seguito di questa Relazione, essendo opportuno far precedere intanto alcune notizie di indole più generica intorno a questioni che si connettono ad argomenti accennati anche nelle rela- zioni degli anni decorsi. Esposisione Universale di Parigi. — Il programma tracciato nella relazione del 1899 potè essere attuato senza notevoli modificazioni, grazie al concorso volonteroso di tutti gli ingegneri del Corpo delle Miniere che di buon grado si adoperarono per porgere un saggio sufficiente delle varie parti del loro servizio, il quale ha per lo più, anche per la parte mineraria, stretta attinenza colla geologia. Ogni cosa essendo giunta in tempo ed avendo trovato posto conveniente nei locali della Esposizione, occorre ora fare qui un cenno della definitiva loro scelta e consistenza. Come si disse nella relazione precedente il nostro scopo era principalmente di illustrare i giacimenti italiani di minerali utili per dare una idea della po- tenzialità mineraria del paese. I prodotti delle miniere e delle cave erano rappresentati da una collezione di 1053 campioni, di cui 661 riguardavano i minerali metallici, i combustibili fossili, ed i prodotti dei soffioni boraciferi, delle saline e delle allumiere; i rimanenti 392 rappresentavano le sostanze lapidee estratte dalle cave principali del Regno. A corredo di questa collezione, composta con criteri scientifici ed in cui, in- sieme coi minerali utilizzabili, erano rappresentate le roccie incassanti ed i mine- rali concomitanti, anche se non utilizzabili, era stata compilata una carta dei giacimenti minerari italiani in 170 fogli nella scala da 1 a 25000, a 50000, a 100000, a cui era unito un testo illustrativo, che è rimasto manoscritto, ma che ha servito a compilare i cenni descrittivi dei giacimenti italiani di mi- nerali utili che furono poi stampati insieme al Catalogo. Questa esposizione dei prodotti dello industrie estrattive italiane fu illu- strata con una carta mineraria dell’ Italia nella scala da 1 a 500000 in cui è — 15 — indicata la posizione delle miniere, cave ed officine relative di tutto il Regno. L’esposizione per quanto riguardava il servizio minerario fu completata colla raccolta delle pubblicazioni e coi diagrammi murali della produzione delle miniere. L’Ufficio geologico in particolare espose le sue pubblicazioni complete: Bollettino, Memorie del Comitato geologico. Memorie descrittive e Catalogo della biblioteca ; in quanto a carte espose le carte geologiche della Calabria in 12 fogli 2 con tavole di sezioni e delle Alpi Apuane in 4 fogli con 3 tavole di sezioni, presentata questa in due esemplari, uno in cartella e l’altro su tela. Rappresentavano i lavori in corso: a) La carta delle Alpi occidentali in 10 fogli (Ivrea, Susa, Gran Para- diso, Torino, Oulx, Cesana, Pinerolo, Demonte, .Argenterà, Dronero) nella scala di 1 a 100000; b) La Carta della Toscana occidentale nella scala da 1 a 100000 (su tela) ; r) La carta dei terroni quaternari della Lombardia centrale in 6 fogli; (1) Una cartella di carte manoscritte dimostranti il modo di lavoro e di rilevamento nelle varie scale da 1 a 25000, 50000, 100000 e 500000. liifiiio un ])lastico del Vulcano Laziale nella scala da 1 a 25000, colorato secondo gli ultimi stilili potrogi*afici deH’ing. Sabatini. Il Horvizio idrografico era rapiirosentato dallo sue pubblicazioni complete (Carta idi’ografica d’Italia e volumi illustrativi) e da un diagramma murale dello forze idrauliche utilizzato. Accanto alla mostra del Corpo delle Miniere e quasi facente parte di essa vi ora quella della Società geologica che neiranno passato ebbi l’onore di ])i esiedero. Essendo stato deliberato che la Società geologica, oltre a dare colla sua mostra un saggio della sua attività scientifica e del suo funzionamento organico, presentasse una scelta di oggetti interessanti dei principali musei e collezioni geologiche pnbldiche e private del nostro paese, fu richiesto il concorso di parecchi lienemeriti soci che di buon grado inviarono oggetti del più gi-ande intei-esse, come si può vedere dall’eleneo che ne fu pubblicato nei bollettini della Società*, talché il complesso dogli oggetti in tal modo esposti raggiunse lo sco])o di intei'essai’o altameifte il pubblico intelligente ed in parti- colar modo gli specialisti che ebbero ad esaminarli neH’occasione del Congresso geologico internazionale tenuto contemporaneamente aH’Esposizioiie uidversale, Boll. Soc. Geol. it., Voi. XIX, p. XXI, XXII, XCIII e XCIV. - 16 — È nota ormai la buona accoglienza che le mostre del nostro Corpo delle Miniere e della nostra Società geologica ebbero a Parigi. Esse furono dalla Giurìa internazionale giudicate, benché non occupassero che uno spazio molto limitato, le più complete e le più interessanti di tutte quante si trovavano esposte da altri simili istituti e sodalizi ed ottennero entrambe per vera accla- mazione la più alta distinzione che fosse possibile aggiudicare. Congresso geologico intevnasionale, — Xon avevo mancato di fare in tempo al Ministero le proposte che erano state neU’anno precedente vivamente racco- mandate dal Comitato per la rappresentanza e partecipazione al Congresso del Comitato e dell’Ufficio geologico; tanto più che in tale occasione doveva riunirsi anche la Commissione della Carta geologica d’Europa per intendersi sulla prose- cuzione del lavoro e specialmente per addivenire alla nomina del direttore dopo la morte del compianto Hauchecorne ed alla conferma del Tornebohm come rap- presentante della Svezia per l’avvenuto ritiro del Torell, del quale si ebbe poi, come è noto, a deplorare la morte avvenuta l’il settembre 1900 a Li- lijenholm presso Stoccolma in età di 73 anni. Avevo pure fatto pratiche per l’incarico che si era proposto di dare al prof. Cossa di prendere parte nel settembre del 1899 aU’adunanza preparatoria che la Commissione della Petrografia doveva tenere a Parigi, le quali non ebbero poi seguito per mancanza di altre notizie. E finalmente chiesi ed ottenni dal Ministero che l’Ispettorato fosse autorizzato ad accordare al personale dell’Ufficio geologico dei permessi spe- ciali di prendere parte al Congresso medesimo ed alle relative escursioni te- nendo conto delle esigenze del nostro servizio e dei lavori ai quali ciascimo è applicato, con riserva di proporre a suo tempo, qualora ne fosse il caso, qualche compenso a favore di chi avrebbe preso parte alle escui’sioni e dimostrato di aver approfittato di quelle particolarmente utili per il buono e sollecito com- pimento dei lavori della nostra Carta geologica. Il Comitato fu, come al solito, ottimamente rappresentato al Congresso dal benemerito ed illustre nostro Presidente. A me fu impossibile intervenire perchè avevo già dovuto passare in Parigi più di due mesi come membro della Giurìa internazionale deH’Esposizione e per assistere nella qualità di delegato del Governo italiano al Congresso internazionale delle Miniere e della Metallurgia. Aon mancarono tuttavia al Congresso geologico alcuni rappresen- tanti del nostro Ufficio, e. precisamente vi presero parte gl’ ingegneri Mattirolo e Sabatini, nonché il dott. Di-Stefano ; il ]3rimo dei quali fu anzi nominato, col prof. Cocchi, altro rappresentante del nostro Comitato, vice-presidente per l’Italia. Essi, poterono, con altri dei nostri operatori recatisi appositamente in Francia, prendere parte in seguito all’autorizzazione ministeriale ottenuta, ad — 17 — alcuna delle grandi escursioni per noi più interessanti che tennero dietro al Congresso Carta geologica cV Europa. — Ritornando a parlare di questo lavoro, sen- tiamo anzitutto il bisogno di esprimere qui il nostro vivo rammarico per la perdita del direttore di esso, benemerito dott. Hauchecorne, morto in Berlino il 15 gennaio 1900 per paralisi cardiaca. Alla notizia che me ne venne subito data dalla Direzione di quell’ Acca- demia montanistica ed Istituto geologico, mi feci premiua di rispondere col telegramma seguente : « Addolorato improvvisa perdita illustre direttore Hauchecorne, porgo famiglia, colleglli sentite condoglianze facendomi anche interprete sentimenti Comitato geologico e Corpo miniere. » La famiglia ed il prof. Berendt, a nome deU’Istituto, risposero, ringra- ziando. Il prof. Scheibe comunicò in seguito alcune notizie sidla vita e suUa carriera del compianto collega, dalle quali ci limitiamo a ricavare le seguenti date; Aato il 13 agosto 1828, in Aquisgrana; entrato a 19 anni nel servizio minerario, fu nel 1862 nominato assessore minerario, e successivamente ispet- tore presso la Direzione delle miniere di Sarrebruck, donde nel 1866 fu chia- mato a Berlino presso il Ministero del commercio e industria coll’incarico di coadiuvare il direttore di quell’ Accademia montanistica. Poco dopo ebbe la nomina di consigliere minerario con quella di direttore titolare dell’Accademia medesima. Consigliere minerario* superiore dal 1873, fu nel 1875 nominato primo direttore dell’Istituto geologico di nuoA'a fondazione. Fu decorato dell’Ordine dell’ Aquila rossa di 3^ classe e di quello della Corona di 2^ classe e consegui il titolo di consigliere intimo superiore minerario (Geheimer Obér-Bergrath). Fu presidente della Società geologica tedesca, membro deU’Ufficio centrale metrico e primo direttore della Commissione internazionale della Carta geolo- gica d’Europa. Aella relazione del 1899 abbiamo accennato ad imprevedute circostanze per le quali la pubblicazione di alcune parti della Carta geologica d'Europa doveva subire qualche ritardo. Aulla infatti fu più pubblicato di tale Carta dopo la terza dispensa, la cui distribuzione era stata fatta al principio dell’anno stesso. Intanto a termini dei nostri impegni colla Commissione e coireditore ' Per Tescurgione del Delflnato e M. Bianco vedasi in appendice la relazione delPing. Baldacci. L’ing. Sabatini prese parte invece a quella d’Alvernia, e ne diede conto nel nostro Bollettino n. 4 del 1900. - 18 - Dietrich Reimer^ fu a suo tempo provveduto al pagamento dei fogli già rice- vuti e nel mese di marzo 1900 a quello di marchi 1500, ammontare della 1^ rata della nostra contribuzione per i primi 100 fogli. Società geologica italiana. — Ideile precedenti relazioni abbiamo più volte insistito sulla importanza e convenienza per il nostro servizio di mantenere buoni rapporti colla Società geologica per la reciproca utilità che può deri- varne alle due istituzioni. Simile risultato credo d’avere per parte mia suffi- cientemente raggiunto, sovratutto nell’anno decorso nel quale mi trovai, per la benevolenza dei colleghi della Società, investito della qualità di presi- dente della medesima. Una nuova prova dei vantaggi che alle due istituzioni possono derivare, procedendo di pieno accordo, l’abbiamo avuta nelle ultime due adunanze generali tenute dalla Società stessa. !N^ell’ adunanza di Ascoli Piceno (anno 1899) le escursioni sociali furono fatte in località che erano ap- punto in corso di rilevamento per parte del nostro ufficio. L’aiutante Mo- derni che a tale uopo si trovava colà, si prestò molto opportunamente per la direzione di tali escursioni. Egli potè a sua volta, come gli altri membri del- l’Ufficio geologico che vi presero parte, sentire sul terreno e far tesoro delle osservazioni dei geologi appartenenti alla Società che ad esse intervennero, fra i quali due autorevoli nostri colleghi del Comitato, il Cocchi ed il Tara- nielli, su di una questione che si presentava allora, come si presenta troppo ancora, di dubbia risoluzione. Alludiamo all’età degli strati arenaceo-mar- nosi con fauna di aspetto miocenico, che ivi bene si Osservano alle falde della Montagna dei Fiori, nettamente sovrapposti alla scaglia rossa e grigia del Senoniano e dell’Eocene, mentre poi nella regione stessa ed in altre ben note località che alla medesima si raccordano, si vedono sottostare al calcare gros- solano contenente nummuliti decisamente eoceniche. IMeanche in tale occasione potè pervenirsi ad un completo accordo, ma non fu piccolo vantaggio quello di poter sentire le opinioni dei più competenti e discutere con essi sul terreno gli argomenti che militano a favore dell’eocenicità di quegli strati, malgrado la presenza in essi di una fauna a tipo miocenico, contenente però anche num- muliti, orbitoidi ed alveoline che il nostro Di- Stefano non esclude siano eoce- niche, com^into com’è, però, che solo una parte di quella formazione sia eoce- nica, mentre una parte è miocenica perchè certamente di questa età è la fauna raccolta da lui e dal Moderni in terreni analoghi dell’Ascolano. Su tale questione che si ripresenta in iscala più vasta nell’Urabria (al Trasimeno, al Monte Murlo, ecc.) dovrà però il nostro ufficio prendere un par- tito, dopo alcune verificazioni, che furono fatte ultimamente dagli ingegneri Baldacci e Lotti in compagnia del paleontologo dott. Di-Stefano, per la scelta, I — 19 ~ fosse anche soltanto prov^nsoria, del figurato per la nostra Carta della Toscana, delFEniilia, delle Marche e delFUmbria. Di analoga utilità riiiscii’ono le escursioni eseguite da alcuni membri della Società geologica nel marzo dello scorso amio, nei dintorni di CiTitaveechia ed ai Monti della Tolfa. e quella anche più interessante che, grazie a cortese con- cessione di S. E. il Ministro della Marina, potè essere fatta nell'aprile del 1900 con mezzi e favori eccezionali, da ben B3 membri della Società stessa alle Isole Eolie, nella quale occasione si poterono sentire sul terreno le impressioni di diverse persone competenti sul lavoro eseguito alcimi amii fa dai nostri inge- gneri Cortese e Sabatini le quali furono generalmente soddisfacenti. L’adunanza tenuta in Acqui sotto la mia presidenza, nello scorso settem- bre, riuscì oltremodo soddisfacente non solo per il numero dei soci intervenuti, ma anche per l’importanza degli argomenti trattati. Fu onorata dalla presenza dell’allora presidente del Consiglio dei ministri, Oli. Saracco, il quale si compiacque aderire alla nostra preghiera di trasmettere a S. M. il Re la partecipazione della nomina a socio onorario di S. A. R. il Duca degli Abruzzi fatta per acclamazione su proposta del benemerito socio, sonatore Capellini, prevenendo così simili manifestazioni di altri sodalizi. Il campo delle escursioni fu pure molto interessante perchè esteso alla re- golare e tipica serie pliocenica, miocenica ed oligocenica, che in modo conti- nuo si svolge neH'alto ^lonferrato, direttamente sovrapponendosi ai terreni antichi della zona delle pietre verdi dell’ Appennino ligure-piemontese. In tale serie che presenta una facies così caratteristica si poterono fare osservazioni e confronti che agevoleranno non poco ai nostri operatori il riconoscimento di alcuni piani discussi dell' Appennino centrale. Destarono pure vivo interesse nei congressisti le meravigliose sorgenti termo-minerali del luogo, l'origine e la derivazione delle quali si connettono tanto intimamente cogli studi dell'idrologo non meno che del geologo. La presidenza della Società geologica essendo quest’anno affidata al chia- rissimo prof. Parona, che abbiamo il piacere di vedere oggi fra noi, non pos- siamo dubitare che siano per rallentarsi i vincoli di solidarietà che legano le due istituzioni. Per il venturo anno poi la Società avendo con felice pensiero provveduto a richiamare per la quinta volta alla presidenza lo stesso illustre uomo che da tanti anni tiene quella del nostro Comitato, non potrebbe il suac- cennato proposito essere attuato in modo più diretto ed efficace. Flora fossile (Iella Campagna Romana. — Tutte le escursioni, a suo tempo inrlicate nel programma delle ricerche, sono state dall’ing. Clerici eseguite, ad eccezione di quella alla importante località di Tor San Lorenzo presso Ardea. L’abbondante materiale raccolto, che ormai può considerarsi completo, venne già collocato in apposito armadio. Il taglio delle sezioni subi, per causa imprevista, ritardo ed arresto : ora è stato ripreso e procederà senza interruzione. Il preparatore deU’ufficio è stato istruito ed istradato, sembra con buon successo, all’allestimento di sezioni per inclusione, cominciando colle conifere raccolte al Piano del Cavaliere presso Arsoli. Resta tuttavia a superare una difficoltà non lieve per la preparazione dei fossili di talune località, che sono allo stato di fragilissimo carbone. Le ricerche fatte nell’ultimo biennio condussero, fra l’altro, alla scoperta nei tufi di Cave, presso Palestrina, di una interessante specie il cui genere sarebbe perfino estraneo all’attuale Plora italica, conclusione basata su di una serie di sceltissimi campioni. È altresì da notarsi l’accertata presenza dei muschi nei tufi e più preci- samente nel tufo grigio della galleria di Ponte Fratta sulla via Ostiense colla caratteristica specie Nekera crispa. Il prof. Pirotta, largo come sempre di consigli nella consultazione degli erbari, ha gentilmente seguito l’andamento del lavoro, mostrandosi soddisfatto del materiale raccolto, nonché delle preparazioni. In una lettera scrittami ulti- mamente al riguardo egli esprime anzi il pensiero che le ricerche del Clerici possano prendere estensione sufficiente per mettere bene in rilievo i rapporti fra la flora attuale e quella dei tempi nei quali andarono formandosi i tufi e che la pubblicazione che sarà fatta a suo tempo del lavoro del Clerici, sia largamente illustrata coi disegni delle sezioni. Riscontrando sulla carta le località fossilifere riconosciute a Proceno, Pi- tigliano. Bagnorea e Canino nei dintorni del lago di Bolsena e più a sud nelle valli del Tevere, dell’Aniene e del Sacco, da Palombara a Prossedi e da Ar- soli ad Ardea, si vede che la flora fossile si estende a tutta la zona dei tufi della Campagna Romana, salva una grande lacuna nei monti vulcanici Cimini e Sabatini ed in quelli della Tolfa. T^ell’anno corrente si continua la preparazione delle sezioni sottili e lo . studio dei campioni per mettere poi mano definitivamente alla redazione della memoria. Locali deir Ufficio Geologico. — L’antica e vessata questione del locale del- l’Ufficio centrale in Roma non ha fatto alcun passo notevole verso la sua soluzione, la quale è più che mai divenuta urgènte, imponendosi sempre più le necessità del servizio. Quanto si diceva nella relazione precedente, riguardo al locale adibito alla sezione delle Alpi occidentali in Torino, potè fortunatamente tradursi in atto. 21 — Si cellette quello del palazzo Madama e dallo scorso autunno abbiamo potuto occupare il locale nuovo messo a nostra disposizione nelFex-Convento di San Francesco di Paola, composto di sette ambienti, situati in parte al pianterreno ed in parte al primo piano dell’antico chiostro. Oltre al materiale ed al mobilio per uso di quella sezione, abbiamo potuto collocare provvisoriamente in esso alcune collezioni, mobili e casse provenienti dalle ultime esposizioni di Torino c di Parigi, le (£uali non avrebbero trovato posto in Roma, a motivo della nota del'icenza del locale dell’Ufficio centrale. Essendo quest’ultimo, com’è noto, tutto situato ai piani superiori del Museo agrario, abbiamo, anche per ragioni di sicurezza, fatto ultimamente pra- tiche, ed ottenuto, di 2)otorei valere, in mancanza di meglio, di un locale sot- terraneo, per depositarvi i pesanti camj^ioni di minerali e roccie al loro arrivo in Roma, togliendoli dalle casse e per collocarvi altri materiali di scarto. La questiono j^rincijiale però, cioè quella della mancanza di spazio per il lavoro utile del personale, non potè ancora essere risolta. Ci proponiamo per- tanto di fare nuove pratiche per profittare delle favorevoli disposizioni del Ministero e qualora esse non conducano allo scopo desiderato, sarà necessario appigliarsi al 2)artito dal Ministero stesso accennato nella lettera ricordata nella relaziono del 1899, cioè dare esecuzione all’antico 23rogetto dell’adatta- mento della soffitta, facendo gravare la spesa relativa sul fondo stanziato pel- li servizio ordinario, ripartita in diversi esercizi finanziari. Carle nfiroiióiiiiclip. — Prima di glassare all’esposizione jiarticolareggiata dei lavori relativi alle camiiagne dello quali devo rendere specialmente conto nella presente Relaziono, devo aggiungere alcuno iiarole intorno all’argomento degli studi googuostico-agrarii e delle carte agronomiche, che da qualche tempo richiama l’attenzione dei e degli studiosi. LI collega prof. Taramelli, facendosi interprete anche del desiderio di al- cuni agronomi c direttori di Stazioni agrarie, mi dirigeva a tale riguardo, or fa circa un mese, una lettera nella quale manifestava il desiderio che la an- nuale riunione di detti direttori, che il Ministero suole convocare qui in Roma, coincidesse quest’anno colla nostra riunione del Comitato geologico, allo scopo ili promuovere un affiatamento su tale soggetto. Mi duole che la desiderata coincidenza di riunioni non abbia per ora ])otuto aver luogo : non di meno vorrei pregare il Comitato ad esprimere il suo autorevole parere su alcuni concetti che io passo ad esporgli, onde facili- tfire una intesa sulFargomento. 11 quesito che ci si presenta, è quello della partecipazione che il nostro Ufficio geologico può prendere alla esecuzione di carte e studi geognostico -agrarii. 2 — 22 Benché il nostro UlTicio geologico abbia per suo scopo essenziale la for-= niazione e pubblicazione della Carta geologica d’Italia in grande scala, abbiamo pur sempre cercato e cerchiamo ancora, per quanto i mezzi posti a nostra di- sposizione ce lo consentono, di occuparci di tutto quanto può avere attinenza colla geologia applicata del nostro paese. In tal senso dobbiamo riconoscere, che al pari degli altri studi speciali di giacimenti minerari, di idrografia sotterranea, di frane, di sistemazioni idrau- liche, di gallerie e tracciati ferroviari, ecc., anche lo studio del suolo agrario, in quanto è studio di geologia e geogno.sia applicata, può domandare la nostra cooperazione. È noto però al Comitato che la organizzazione e i mezzi nostri non sono, come già si accennò, tali da permettere, in tutti questi rami di applicazione geologica, una sistematica azione del nostro Ufficio ; al quale è appena possi- bile di occuparsi di questi speciali- argomenti, mano mano che se ne presenta l’occasione e viene richiesto dai bisogni della pratica. Le relazioni annuali del servizio geologico stanno a provare che non ab- biamo trascurato questo compito secondario per quanto riguarda specialmente gli studi del suolo agrario. Ricorderò il rileA^amento, con sondaggi ed analisi, della porzione di Cam- pagna romana circostante alla capitale ; gli studi e rilievi geognostici nella pianura del Po, in alcune parti abbastanza particolareggiata da servire a base di carte agronomiche, come per esempio nel circondario di Pavia ; finalmente lo studio geognostico-agrario dettagliato del Colle Montello, che oggi stesso presento al Comitato. Ora è d’uopo riconoscere che da qualche tempo anche in Italia si sente sempre maggiore il bisogno di tali carte e studi geognostico-agrari ; ma nel comune proposito di promuovere un maggiore sviluppo di questi studi, si notano due correnti riguardo alla loro esecuzione. Da un lato ci sono le iniziative iso- late, le quali, facendo tesoro dell’opera volonterosa di studiosi e istituti locali, si accingono da sè, ciascuna con indirizzo proprio, a studi e carte agronomi- che. Da un altro lato ci sarebbe invece la tendenza a una organizzazione unica accentrata, dalla quale tutto dovrebbe partire per la esecuzione sistematica di tali studi e carte nelle diverse regioni . italiane. Ora io sono convinto, che si possa riuscire a un pratico risultato prendendo contemporaneamente il buono di ciascuna di queste tendenze. Se è vero che gli studi e le carte agronomiche si possono e si debbono innestare sugli studi e sulle carte geologiche, come rami al tronco, io credo che l’Ufficio geologico, pur non potendo neppure lontanamente pensare a so- - 23 - stnirsi alle iniziative locali, nella completa esecuzione di simili studi e carte speciali, può però aiutare a indirizzare quelle iniziative col preparare caso per caso la base geognostica, indispensabile fondamento a qualunque studio agro- nomico. L’Ufficio potrebbe cioè ogni volta che sorga una iniziativa di tal genere in una data regione, comunicare agli interessati i dati geognostici già acquisiti, e i rilievi geologici originali, cercando alFoccorrenza di completare questi mediante eventuali rilievi geognostici suppletori ; lavoro tutto questo, che è Imne sia fatto con unità di concetti e senza inutile dispersione di forze. Fatto questo lavoro projiaratorio col concorso doll’Ufficio geologico, spet- terebbe secondo me agli studiosi e agli istituti delle singole regioni, dove si vuole avere fatto lo speciale studio agronomico, la parte complementare di la- voro di campagna, o lo studio fisico-chimico di laboratorio, da condursi con unità di metodi, ma con quella maggiore o minore estensione, che sia sugge- rita dalle speciali condizioni del territorio, e dallo scopo più o meno partico- lareggiato cui in ciascun caso si mira. Solo in tal senso crederei di poter affermare, che, anche colla sua orga- nizzazione attualo, il nostro TU'ficio geologico, purché non manchino i mezzi indispensabili, potrà riuscire utile caso per caso in questa preliminare elabo- razione, mentre alia esecuzione definithui dello studio geognostico-agrario e delle carte agronomiche, dovrebl)ero pur sempre provvedere quegli enti locali che ne avessero proso la iniziativa. Se il Comitato conviene in quest’ordine di idee, si potrebbe informarne il Ministero pregandolo di fare in proposito opportune comunicazioni a quegli istituti od enti, che, come le Stazioni agrario. Scuole d’agricoltura, Comizi e Società agrario, ecc., si interessano all’importante argomento. Rilevamenti. 11 programma per i lavori tli campagna presentato alla approvazione del R. Comitato nellhulunanza del giugno 1899, venne regolarmente svolto. Esso comprendeva: 1. La prosecuzione del rilevamento geologico nelle Alpi occidentali, affi- dato agli ingegneri ^Lattirolo, Novarese, Franchi e Stella. 2. Rilevamento, revisioni od esecuzione di fotografie nel gruppo delle Alpi Apuano e regioni limitrofe, per opera deH’ingegnere Zaccagna. 3. La continuazione del rilevamento deH’Umbria per cura dell’ingegnere - capo Lotti. - 24 4. Quella del rilevamento dei terreni terziari e quaternari nelle Marche affidato all’aiutante Moderni. 5. Le revisioni del rilevamento dei monti secondari nella provincia di Caserta fino al confine con quella di Roma per cura dell’aiutante Cassetti. La direzione dei lavori precedenti era, come di solito, affidata all’ inge- gnere-capo L. Baldacci, e la parte paleontologica al dott. Di-Stefano. 6. Sotto la direzione dell’ingegnere-capo P. Zezi e con la cooperazione del paleontologo dott. Di-Stefano, l’ingegnere Viola doveva continuare e com- piere lo studio dei Monti Sublacensi e di altri gruppi della valle delFAniene. cominciando da quello del Monte Autore, mentre l’ingegenere Sabatini doveAui portare a compimento il rilèvamento dei Vulcani Cimini e proseguire quello dei V ulsini. ]N^el laAmro di campagna si svolse nel 1900 un programma che era stato, secondo le norme finora seguite, preparato per sottoporlo aU’approA’a- zione del R. Comitato geologico, ma che per la mancata adunanza di questo non potè venire preso in esame. TuttaA^ia, il concetto direttiAm di tale pro- gramma che si riduceAm alla pura e semplice continuazione dei laA^ori geologici già incominciati negli anni precedenti nelle Alpi occidentali, nell’ Appennino ligure, nell’Italia centrale e meridionale, permise di dare SAÙluppo ai laAmri, sia di rileA’'amento sia di revisione, senza pregiudizio per la ulteriore prosecu- zione o per qualche modificazione che si volesse introdurre neU’indirizzo dei lavori medesimi. Come nelle precedenti campagne ì centri di rileAmmento furono le Alpi occidentali, per opera degli ingegneri Mattirolo, IN'ovarese, Franchi e Stella. l’Appennino ligure-emiliano affidato all’ingegnere Zaccagna, la regione umbra airingegnere Lotti, le Marche all’aiutante Moderni; le reAÙsioni nell’Abruzzo aquilano e nei monti della provincia di Caserta furono continuate dall’aiutante Cassetti. La direzione dei suddetti lavori di campagna fu anche nella decorsa cam- pagna tenuta dall’ingegnere Baldacci. IMella provincia di Roma l’ingegnere Sabatini si occupò del rileAmmento dei Amlcani Vulsini, dipendendo direttamente dall’ingegnere Zezi per la direziono e andamento dei suoi laAmri, essendosi dovuto sospendere temporaneamente lo studio dei monti Sublacensi e Tiburtini per un incarico d’indole straordinaria che do Alette affidarsi, come si vedrà, aU’ing. Viola. Anche in questa campagna i laAmri poterono SAmlgersi in ifaAmrevoli cir- costanze e portarono a risultati soddisfacenti. Si esporranno ora succintamente gli elementi del lavoro eseguito da ogni operatoi’e. ~ 25 — Alpi occidentali. - Ing. E. Alattivolo. — Per terminare il rilevamento della tavoletta di Champorcher, già portata a buon punto per la valle omonima nella campagna del 1898, Fingegnere Mattirolo si occupò nei primi giorni della cam- pagna 1899 della parte di territorio compresa fra il corso della Dora Baltea e il crinale che limita a sinistra la valle suddetta e che si estende anche alle tavolette di Bard e di Chàtillon. In (piesta regione continuano le formazioni della zona delle pietre verdi già riscontrate nella valle di Champorcher, ma con notevoli mutamenti riguardo allo sAÙluppo relativo delle varie roccie. Si man- tengono ])ure i rapporti tettonici generali, u pur avendosi sempre il predominio di un tipo litologico, è ben marcato il fatto dello intrecciarsi dei vari altri tipi e del sostituirsi delFuno all'altro. iS’umerosi e làpidi ma brevi valloni scendono dall’ accennato crinale sino alla vallo della Dora, e fra essi si ergono scoscesi contrafforti che danno alla regione un aspetto assai frastagliato. Le roccie gneissico-micascistoso si presentano identiche a quelle della valle di Champorcher, e scendono alla Doi’a in ripide falde non ricoperte che da poco detrito, con forte inclinazione a S.E e lungo il vallone di Fontanelle, fra il Colle di Pian Fenestre e Issogne, si appoggiano contro la massa serpen- tinosa ed anfibolica, la (juale poi si estende a formare tutta la parte alta della regione fino al vallone di iSavonoy e Mezove, dove va a sottoporsi alle roccie gneissico-micascistoso che foianano Torta o dirupata costiera del Eafrè. Nella massa serpentinosa predominano le serpentine, con le solite varietà e minerali, fra cui la magnetite. Questa por Faddietro veniva scavata alle mi- niere di Prato Delato e si presenta nelle identiche condizioni di giacimento e di struttura di quelle di Mont Ross, di Cogne, ecc. S’incontrano qua e là anche i granati e altri minerali, del tipo di quelli del Piano della Mussa. Insieme alle roccie serpen linose si hanno prasiniti varie, anliboliti, eclogiti, eufotidi uralitizzate, ecc. L’erosione mette anche qui a nudo sotto le serpentine la massa dei calce- scisti e ciò specialmente nel tratto fra Issogne e Champ de Praz, dove si ha in alto quasi un altipiano che comprende i contigui bacini di Pana e di Ave- nille, nei quali è pai ticolarmente sviluppato il morenico. Questo terreno è anche molto potente nella conca di Mezove, dove il morenico più antico si confondo con Fattuale scendente dai piccoli ghiacciai del Monte Dlacier. Le tracce di erosione glaciale sono specialmente visibili nelle masse ser- pontinose e un bell’esempio di tali fenomeni si ha nell’ampia conca del Gran Lago. Per utilizzare la buona stagione in regioni più elevate, Fingegnere Matti- rolo interruppe il lavoro in questa valle, ed essendosi poi dovuto recare in ottobre al Fréjus restò ancora qualche piccolo tratto a ovest della costiera del Eafré e nel versante occidentale della catena Tersiva- Grand Avert, verso il vallone di S. Marcel, per terminare la tavoletta di Champorcher. N’eU’agosto Tingegnore Mattirolo si recò a Cogne per proseguire i lavori iniziati nella campagna precedente nella tavoletta del Gran Paradiso. In essa riconobbe che l’area sulla quale, nel massiccio gneissico si manifesta il tipo ghiandone, caratteristico dello gneiss detto centrale, va sempre più restringen- dosi nei versanti di Cogne, e si vanno sostituendo a questo tipo svariati gneiss minuti a struttura più o meno fina. Lo gneiss ghiandone forma la parte più elevata del massiccio montuoso ed una stretta zona al contatto della massa gneissica con le pietre verdi variate che vi si sovrappongono; lungo questo contatto corre anche una stretta striscia di dolomite cristallina, non di rado affatto bianca. Una analoga striscia si riscontra anche lungo il contatto della sienite sfe- nica della valle Grand’Eiva insieme alle stesse roccie della parte superiore delle pietre verdi. La massa del Gran Paradiso propriamente detto è tutta costituita da gneiss ghiandone. Salendo direttamente dal ghiacciaio della Tribolazione alla vetta principale per la ripidissima parete ad alti scaglioni, rivolta verso est, in una specie di stretta litoclase o vena che l’ingegnere Mattirolo seguì per alcune centinaia di metri fin sotto la vetta, che è formata da gneiss ghiandone tabu- lare, egli trovò dei bellissimi cristalli di quarzo, sovente affumicato, di fluorina rosea e di adularia, per lo più ricoperti da una fina spolveratura di clorito. Quelli di adularia si presentano non lo stesso abito e geminazioni di quelli ben noti del Gottardo e raggiungono lunghezze di poco meno di un decimetro. Con le masse dei monti Tour Granson e Garin hanno principio verso sud le varie roccie gneissico-anfiboliche-gastalditifere che, com’è noto, sono poi svi- luppatissime nel vallone di S. Marcel. Al termine della campagna l’ingegnere Mattirolo fu incaricato di studiare geologicamente la sezione della Galleria del Préjus e speciahnente di racco- gliere i principali tipi di roccie attraversate dal traforo por dotarne le collezioni dell’Ufficio geologico. La galleria del Fréjus per circa nove chilometri e mezzo a partire da Bar- donecchia è praticata nei calcescisti, attraversa poi, per poco meno di un chilo- metro, gessi, dolomie e quarziti del Trias, indi per circa duo chilometri arenarie e scisti del Carbonifero della valle dell’ Are. Per ben stabilire l’andamento di detto roccie e specialmente delle dolomie e quarziti, che cadono nel versante francese, occorreva AÙsitaro i loro affiora- menti esterni, ma per le speciali condizioni di quel tratto prossimo al confine e fortificato, malgrado lunghe pratiche con le autorità francesi, ciò non venne sinora conc*esso. Essendo la galleria rivestita, i campioni non si poterono raccogliere che nelle nicchie e in alcuni punti dove si lavorava al cambio di rotaie : essi am- montano a una cincpiantina, e figurano ora nelle collezioni delPUfficio geologico. A Bardonecchia Ting. Xattirolo notò come l’oficalce, che egli aveva anni sono segnalata, inclusa nei calcescisti del Rio Merdovine, sia ora attivamente scavata e fornisca grandi saldezze di marmo detto verf drs Alpes, che viene quasi tutto esportato in Francia. ^ Di una curiosa e interessante piega nei calcari secondari della catena dei Tre Re, che l'ing. Mattirolo aveva da vari anni osservata, egli eseguì in questa occasione una fotografia della quale offrì airUfficio geologico un ben riuscito ingrandimento. L'area rilevata dairing. ^Mattirolo nel 1899 (tavolette di Champorcher, Gran Paradiso. Chàtillon, Bard ed Aosta) fu complessivamente di 171 kmq. Ael 1900 ringegnore Mattirolo incominciò i lavori di campagna solo alla metà di luglio, avendo dovuto prima adempiere un incarico per conto del Mi- nistero delle finanze alle miniere cibane, recandosi subito alla parte superiore del vallone di Fénis per continuare il rilevamento della regione che dalla destra della Dora Baltea risale rapidamente ai crinali che separano la valle principale da quelle di Cogne e di Champorcher. Terminato il rilievo dal val- lone di Fénis e suoi tributari passò neiragostf» nella valle di S. Marcel a ovest del precedente e rilevò questa pure per intiero, lavorando poi nei mesi successivi nella parte bassa della regione, nei valloucelli secondari che scen- dono direttamente alla Dora, passando quindi al tratto di territorio sulla sinistra del fiume, compreso nella tavoletta a 1/25000 Chàtillon S.O. Così l’ingegnere 5[attirolo ha oramai interamente rilevata la tavoletta di Champorcher (1/50000) e gran parte di quelle a 1 25000 di Chàtillon S.O e Gran Paradiso IN'.E, fa- cendo in pari tempo progredire le tavolette a 1,-25000 di Aosta S.E, nella quale cade quasi tutto il vallone di S. Marcel e quella di Chàtillon TiT.O. La regione rilevata è totalmente costituita dalle svariate roccie della zona dello pietre verdi ricoperte qua e là dal quaternario, e al riguardo della loro natura, del loro andamento e dei rapporti tettonici generali ben poco vi è da aggiungere a quanto fu già esposto negli anni precedenti su questa zona di roccie formante corona attorno alla massa gneissica del Gran Paradiso. Lfi massa gneissico-micascistosa dei monti Glacier e Rafré, già delimitata Tanno scorso verso il vallone di Mezove, termina al piano di Clavalité e nella parte superiore del vallone di Fénis, presso la Comba di Grand Art, si im- merge’ sotto le roccie preAmlentemente calcescistose e prasinitiche della catena che, partendo dalla Tersiva, quasi in rettifilo, scende alla Dora sulla sinisti*a del vallone di Fénis. Le roccie gneissico-micascistose, soventi anfibolitiche e granatifere, della Tour Granson fanno parte di quelle della massa del Monte Emilius, che attra- versando la Valle d’Aosta si estende verso nord e costituisce la parte supe- riore del versante sinistro del vallone di S. Marcel. Le ben note eclogiti e roccie varie anfiboliche e cloritiche, granatifere e a gastaldite del vallone di S. Marcel non si presentano molto sviluppate, e spe- cialmente si rim^engono nella parte bassa del vallone sotto l’antica miniera di S. Marcel, presso la quale si riscontrano roccie cloritose e granatifere, con cristalli di granato molto sviluppati. La grande massa serpentinosa dei monti Avic e Chemontant, si riattacca alla manifestazione serpentinosa che, con grande sviluppo, traversa la valle di Champorcher e che limita in parte sulla destra il vallone di Fénis. Essa però non si protende fino alla Dora, essendo in basso contornata da una zona calcescistosa e prasinitica. Vi si riscontrano le solite varietà della serpentina alpina, e sono in essa più rare e meno sviluppate le inserzioni di altre roccie verdi di quel che era risultato per la parte della massa compresa nella tavo- letta di Champorcher. In qualche punto della massa serpentinosa si trova sviluppata la magnefilc, come quella delle miniere di Cogne, della valle di Champorcher e del Lago gelato, e l’ingegnere Mattirolo ne incontrò presso l’Alpe Piccola Bella Lana e sotto Monte Rouvi nella parte alta del vallone di Ponton, però in masse poco estese. Attorno alla grande massa serpentinosa, in una zona prevalentemente cal- cescistosa, l’ingegnere Mattirolo ritrovò e seguì per vari chilometri quelle mescolanze irregolari di minerali carbonati frammisti a quarzo, colorati spesso in verde vivo da minime quantità di cromo, che già accennò aver incontrato nella valle di Champorcher, e che rinvenne pure nel vallone delle Marmore poco a nord di Verrès. Alla miniera di braunite di Praborna sulla sinistra del vallone di S. Marcel, che si sta ora riattivando, potè trovare nelle antiche discariche, bei campioni dei noti e variati minerali manganesiferi, speciali a detta miniera, e rinvenne anche roccie a piemontite, aventi lo stesso aspetto di quelle di questa miniera, nel detrito che sembra provenire dalle vicinanze, presso Ca Fontanella, dal lato opposto del vallone e ad oltre tre chilometri in linea retta dalla miniera. — 29 — Più lontano poi, poco sopra la borgata di S. Barthelémy sul versante destro della valle della Dora, rinvenne della brannite, per l’addietro stata sca- vata, identica a quella di Praborna e accompagnata da ^analoghi minerali manganesiferi. La miniera di Praborna e le due località ora citate si trovano nella stessa direzione, ed è probabile che i banchi di Praborna, ora più ora meno mineralizzati, si prolunghino d’assai attraversando la Yalle d’Aosta, e forse potranno esistere altri punti in cui l’estrazione della brannite possa riu- scire proficua. L'antica miniera di S. Marcel non potè esser visitata per le frane che ingombrano le gallerie. A quanto pare allo stesso giacimento che diede luogo a questa miniera deve riferirsi quelllo in ciii è aperta la miniera, pure inattiva, di pirite in alcuni punti un po' cuprifera, detta del Sue, che si trova quasi di contro alla miniera di S. Marcel, in basso, dal lato opposto del vallone. In vari punti furono incontrate minime manifestazioni di minerali pi- ritosi. Aella carta rilevata dall'ingegnere Mattirolo sono stati indicati i vari de- positi di antiche scorie, contenenti fino a qualche unità di rame, e che forse potranno un giorno venire utilizzate altrimenti che per breccia stradale, come pel passato furono e in ristretta scala sono tuttora, quelle di Miseraigne. L'area rilevata dairingegnere Mattirolo nel 1900 (tavolette di Champorcher, Cliatillon, Gran Paradiso e Aosta) fu in complesso di 154 chilometri quadrati. Iiifl, V. Xovarcse. — Dal giugno all’ottobre 1899 l’ing. Novarese terminò il rilevamento della Valsavaranche, fece escursioni preparatorie per lo studio delle valli del Buthier e della Valpelline, e nei periodi meno favorevoli per il lavoro nella alta montagna si occupò del rilevamento della Val Chiusella. l. Vnhnvaranchr {tavolette Gran Paradiso e Valf/risanche). — Fu studiata det- tagliatamente la serie di strati sovrapposta alla sinclinale calcareo-scistosa della Grivola, trovando la conferma di quanto l’ing. Novarese aveva già esposto fin dal 1892 in una nota sulla diorite sfenica della Valsavaranche e nella sua Relazione sul rilevamento del 1898 (V. Boll. Coni. geol.). Lungo una zona che traversa la valle dal Colle di Mésoncles al Col du Sort stanno appoggiati sulle carniole e calcari della base del mesozoico, ribal- tati vei’so il Gran Paradiso, scisti filladici neri e grigi e roccie psammitiche affatto analoghe ai tipi litologici che costituiscono il Carbonifero dell’alta Valle d'Aosta. 11 complesso, molto sottile al Colle di Mésoncles, è invece jDotentis- simo sul crinale occidentale della valle e vi forma il Monte Boletta (3384 m.) <■ la Punta Bianca (3370 m.). Su (piesta prima zona si adagia una grande massa di diorite sfenica che 30 — pure attraversa la valle, comportandosi però rispetto alla potenza in modo op- posto a quello del soA^radescritto complesso di scisti e psammiti su cui riposa. Infatti sul crinale orientale della valle la diorite, con una potenza di 2000 m, almeno, forma le due punte del Gran I^omenon (^3488 m.) e del Olente Favret (3173), attraA^ersa la valle, già molto assottigliata fra Molère e Bois du Clin, e sembra cessare senza raggiungere il crinale occidentale fra i dirupi della base orientale della Pnnta Bianca. Sulla strada reale di caccia che conduce fin sulla punta Bioula (3414 m.) se ne incontrano ancora due banchi, separati da una po- tenza di oltre 200 m. di scisti e psammiti, entro i quali si trovano pure delle apofisi dioritiche. Precisamente alla base della Punta Bioula sul secondo banco dioritico s’incontra una serie composta di gneiss Avariati, micascisti e quarziti che continua sino alla vetta: il membro principale di questa serie è uno gneiss ghiandone identico a quello del Gran Paradiso, di circa 150 m. di potenza che prosegue Aderse OA^'est e passa nella Alalie di Rhèmes, dove ne in- contrò traccio ring. Stella nel 1898. Questo complesso non si osserA^a nel fianco orientale della Amile. Sopra la successione sovra descritta sta appoggiato in concordansa un po- tente complesso in cui si ritroAmno gli scisti e psammiti della zona inferiore associati a gneiss grafitici ed a scisti grafitici con noduli, analoghi a quelli della formazione grafitica della valle del Chisone, in cui si incontra anche qualehe banco di scisto molto grafitoso a nord della Punta YaUetta. Tutta la serie ora descritta, la cui stratificazione è regolarissima, s'immerge sotto una grande fascia di carniole e di calcari che attraversa la Amile dalla cresta di Poignon ad est fino al Monte Bianco e Monte Pagliaz ad OA^est, e che forma la base della potente zona di calcescisti di VilleneuA^e e di Introd, identica litologicamente a quella della Grivola. In tali circostanze, questa potente successione di strati, compresa fra due sinclinali mesozoiche e con struttura simmetrica abbastanza evidente, potrebbe interpretarsi come una anticlinale di terreni più antichi, ribaltata essa pure, come la sinclinale della Grivola, Amrso la cupola gneissica del Gran Paradiso. I terreni componenti questa anticlinale devono, per una parte almeno, ri- ferirsi quasi certamente al Permo-carbonifero e ciò per la loro assoluta iden- ; tità col Carbonifero fossilifero della Thuile. La presenza della piccola massa di gneiss ghiandone della Bioula sembrerebbe accennare all’equiAmlenza dei terreni di questa anticlinale con la cupola gneissica del Gran Paradiso. Un’altra cir- costanza conferma questa equivalenza: infatti lungo il contatto della zona cal- careo-scistosa della Grh^ola con gli gneiss del Gran Paradiso, in pai’ecchi punti quali Pian Borgno, Costa Chandelly, fra Croton e Maisonnasse nel basso’ della — 31 valle principale ed in alto della valle dell’Inferno, stanno intercalati fra lo gneiss e i calcari degli scisti grigi molto simili agli scisti filladici dell’anticli- naie permo-carbonifera. Infine è da notarsi la frequenza, lungo il contatto dello gneiss del G-ran Paradiso, di piccoli disturbi locali, per i quali porzioni più o meno importanti della formazione mesozoica superiore sono rimaste implicate nel sottostante gneiss. Talora sono i soli calcari e camicie, come al ISTivolet, qualche volta anche i calcescisti, e nella valle deirinferno coi calcari e calcescisti anche una potente massa prasmitica. Un disturbo locale analogo è osservabile pure al contatto opposto della sinclinale della Grivola, al Colle di Mésoncles, dove le camicie sono rimaste impigliate dentro agli scisti del Permo-carbonifero. I calcari mesozoici della Yalsavaranche hanno dato luogo ad un deposito travertinoso fra Cròton ed Eau Rousse, dovuto a sorgenti provenienti dalla morena deposta sui calcari del fianco sinistro della valle. Pei* completare il rilevamento della valle venne dall’ingegnere IN’ovarese esplorata una caverna scoperta da due aimi sulla sinistra della valle stessa, di fronte a Bois du Clin e vicina al Burrone del Ran (a circa 1750 m.), aperta entro a un banco di camicia che chiude la serie mesozoica, e che per rovescia- mento viene a trovarsi sottostante agli strati psammitici e scistosi dell’an- ticlinale permo-carbonifera. II terreno morenico è abbondantissimo in Yalsavaranche ed è quasi total- mente di origine locale. È degna di nota la presenza di una morena costituita da blocchi di gneiss del Gran Paradiso a 1850 m., sul crinale divisorio fra la Yal di Cogne e la Yalsavaranche, sulla estremità più lontana dal Gran Para- diso deiracuta cresta che divide le due valli. Si tratta evidentemente di una morena incidente, prova che i due ghiacciai hanno scavalcata la cresta che li divi- deva, e si sono riuniti prima di confluire nel grande ghiacciaio della Yalle d’Aosta. II. Valle del Buthiei‘ e Valpelliiie (tavolette Gran San Bernardo, Ollomonf, Aosla). — Le gito fatte in queste valli ebbero il carattere di ricognizioni pre- liminari. Fu percorsa la valle fino al Gran San Bernardo e fu visitata la Coniba di Bosses dove si incontrano il Trias e il Carbonifero in continuazione della zona di Courmayeur nella valle principale; altre escursioni furono fatte nella Yalpellino o nella bassa valle del Buthier presso Aosta. I La zona dei calcescisti e pietre verdi s’incontra più volte nella valle del I Buthier ed è sviluppatissinia nel vallone di Ollomont; essa presenta i caratteri j noti, e può ritenersi oqiiivalonto della analoga formazione delle Graje, con la j quale del resto è visibilmente collegata. La serie sottostante, essenzialmente — 32 — o'neissica, è molto svariata e complessa e sembra presentare notevoli differenze litologiche in confronto della zona inferiore delle Cozie. III. Val CJiiiisella (tavolette Calteli am onte, Vìstrorìo, Traversella, Champor- cher, Cnoi'f/nè, Ivrea). — La Yal Chiiisella presenta un grande interesse geologico per la varietà delle formazioni che vi compaiono, per l’importanza dei de- positi glaciali nella bassa valle, per le variazioni idrografiche in essa av-s^eniite e per la sua ricchezza mineraria. Yella parte più bassa della valle i terreni formano la continuazione della complicatissima zona dei dintorni di Castellamonte, che affiorano in più punti traverso il morenico sulla sinistra della Chiusella. Così presso Yistrorio affio- rano scisti e granito molto alterato, scisti e calcari s’ incontrano presso le Case Buracco e Verna vicino a Lugnacco; una roccia bellissima che il Traverso ha segnalato e ritenuto dubitativamente come diorite, ma che sembra piuttosto un granito, si incontra presso le Case Bagasse, ecc. Il granito infine compare ancora nei monticelli a ovest di Lessolo, fatto questo non ancora indicato in alcuna delle carte pubblicate della località. A Y.O di questa formazione e con la stessa direzione generale da Y.E a S.O sta una potente serie di micascisti che forma i monti della Savenca. a destra della Chiusella media, ed i monti della valle superiore di questa fra la Parrocchia di Val Chiusella e Vico Canavese, continuando sul Monte Gregorio fino a Quincinetto e Tavagnasco nella valle della Dora Baltea. Entro questa formazione di micascisti si incontrano, come nella valle dell’Orco, svariatissime roccie a gastaldite, omfacite, granati, ora in semplici nuclei nei micascisti, ora in masse autonome. A N.E di una linea passante per Brosso, Vico e Traversella la formazione dei micascisti è traversata quasi normalmente alla sira direzione da un potente dicco di roccia, nota sotto il nome di sienite di Traversella, ma che dovrebbe piuttosto chiamarsi diorite essendo essenzialmente una roccia a felspato sodico- calcareo. Il dicco è lungo da IN'.O a S.E poco meno di 5 chilometri e raggiunge nel suo punto più largo una potenza di circa 1500 metri. Esso ha grande importanza perchè vi si trovano attorno i due potenti giacimenti metalliferi di Traversella e di Brosso, situati precisamente all’ intersezione del dicco dioritico con due estesi allineamenti di lenti di calcare cristallino inglobate nei micascisti. Intorno alla massa dioritica sono state riconosciute numerose apofisi porfiriche nei micascisti, che presentano anche traccie di metamorfismo di contatto. Infine è notevole la presenza, entro ai micascisti e molto vicino al contatto con la diorite, di una piccola massa di gneiss ghiandone, pure già segnalata dal Ti-a- verso (gneiss glanduloso della regione Vara). — 33 — A monte di Traversella presso la frazione di Fondo, nel detrito del lianco sinistro si sono incontrati molti frammenti dello stesso porfido filoniano (por- firite?) trovato dall’ ingegnere Mattirolo nella Valle di Champorcher nel 1898, e di cui dette conto nella relazione snl rilevamento pubblicata nel Bollettino. Alla formazione dei micascisti succede in perfetta concordanza verso V.E la formazione degli gneiss minuti, che costituisce il M. Giavino, il M. Marzo, ed in genere il crinale divisorio dall’alta valle Soana e dalla Comba della Legna (Champorcher); nella Val Chinsella il contatto fra gneiss e micascisti taglia il torrente alquanto a monte dei Casolari di Tallorno. L'area rilevata dall’ingegnere Novarese nel 1899 in Valsavaranche o in Val Chinsella ammonta a 220 chilometri quadrati circa. Le regioni dove egli ebbe a rilevare nel 1900 sono state due distinte, runa presso lo sbocco della Valle d’Aosta nella pianura fra la Chinsella e la Dora, l’altra nella Valpelline, nel cuore delle Alpi Pennine, dove le condi- zioni altimetriche permettono le escursioni solo nei mesi estivi. La Valpelline, compresa nelle tavolette di Gran S. Bernardo, Ollomont, Valtoiirnanche ed Aosta, è stata completamente riconosciuta a monte della confluenza del Biithier di Valpelline col Buthier del Gran S. Bernardo. Si è (piasi terminato il rilevamento del vallone di Ollomont, aperto in calcescisti con potenti amigdale di prasiniti e serpentine ; per contro rimane ancora molto da fare nella Valpelline propriamente detta. Agallata lunghissima, circondata da monti elevatissimi, aspri e difficili e ricca di ghiacciai. Con ima lunga gita di i-icognizione fatta attraA^erso il colle di Val Cornerà (3147 metri), si collegarono le ossei-A-azicJni fatte in Valpelline con quelle dell’alta Valtournanche. La regione studiata è l’estremità S.E del massiccio gneissico, detto della Uent Bianche dal Gerlach e di Valpelline dal Baretti, che è circondato da una cintura di calcescisti e roccie A^erdi. La composizione litologica del massiccio è assai più complessa che quella del Gran Paradiso e del Monte Bianco, par- tecipando alla sua costituzione tipi di roccie molto svariati. Le parti periferiche dell’ellissoide (Valpelline, Col Fénètre de Balme, alto vallone di Verdona, eec.), sono costituite da uno gneiss A^erde, fortemente laminato e a^ stratificazione tormentatissima. È il Talkgneiss del Gerlach, più correttamente denominato sulla carta Svizzera a 1/500000 Sericif-Chlorit-Talkgneiss. A questo gneiss subentrano nelle parti interne dell’ellissoide grandi masse isolate di roccie granitoidi o protoginiche, contenenti anche anfibolo {Arkesiìia del Gerlach), alle quali gli gneiss precedenti probabilmente si collegano. Si incontrano anche Amrietà granitiche profiroidi con grossi felspati porfirici. Lungo l’asse dell’ellissoide, che conoide col thalweg della valle a monte — 34 di Valpelline, è poi Rviliij)patissima una singolare associazione di gneiss gra- natil'eri, dioriti propriamente detto, con potenti lenti di calcari e calcefiri cristallini, che ricorda la zona delle kinzigiti di Calabria (Sila, Serre). L’ellissoide ha una spicatissima struttura a ventaglio, gli gneiss verdi si presentano lungo tutto il contorno ribaltati sui calcescisti. Fa eccezione sol- tanto l’estremità S.O dell’ellissoide dove gli strati sono verticali. A IM.O la fascia di calcescisti è disposta in forma di potente sinclinale ribaltata verso IN'.O, corrispondente alla valle di Ollomont. La sinclinale è coperta dagli gneiss dell’ellissoide, come si può ben osservare al colle di Fé- nètre de Balmo, aperto appunto lungo il contatto fra calcescisti o gneiss, e si adagia dal lato apposto sui micascisti e gneiss del Monte Yelan, non ancora studiato. A S.E l’ellissoide è pure limitata da una sinclinale di calcari e calcescisti di tipo spiccatamente triasico (carniole, calcari dolomitici grigi brecciati, cal- cari nerastri con venature spatiche, calcescisti, scisti filladicij^ecc.), essa pure ribaltata, ma verso S.E, la quale s’incontra sulla strada carrozzabile di Yal- pelline, fra V ariney e il primo ponte sul Buthier, e prosegue verso Y.O, sempre molto stretta, con una potenza di poche centinaia di metri al massimo. Questa zona sinclinale, nonostante la sua esiguità, non presenta che poche e brevi interruzioni, e può seguirsi dalla Yalpelline fino alla Yaltournanche, ed è molto bene osservabile al colle di S. Barthelémy fra la valle omonima e la Yalpelline. Yella bassa Yalle d’Aosta e nella Yalehiusella (tav. di Traversella, Settimo Yittone, Ivrea, Bard) dove l’ingegnere Novarese lavorò nell’ultimó scorcio di i stagione, fu da lui riscontrato che il fianco destro della Yalle d’Aosta inferiore ^ da Lessolo fino oltre Quincinetto è costituito da roccie appartenenti alla zona i dei micascisti eclogitici, con gastaldite, pirossenici, ecc., già rilevata nella i campagna precedente in Yalehiusella (vedi relazione del 1899) con potenti ed 1 estese masse calcaree inglobate. Entro i micascisti si trovano in vari punti i nuclei di varia dimensione, ora eclogitici, ora di gastaldite, e più raramente > di quella omfagite, che per i recenti studi si sa avere la composizione e i ca- ratteri della giadeite, e non differisce da questa forse in altro che nel mag- ; giore sviluppo dei cristalli. Dentro a queste roccie, in vicinanza della massa eruttiva Brosso-Traver- i*: sella, sono state incontrate numerose apofisi porfiriche a struttura molto ) svariata. Yel vallone di Bersella sopra Traversella si trovano inoltre due pie- f cole masse della così detta sienite, in relazione con apofisi a struttura porfi- j roide e collegate ess() pure a giacimenti metalliferi (magnetite), inclusi nelle >i 35 — lenti calcaree ed associato a masse granatico-epidoticlie. Lo manifestazioni metallifere di Traversella (magnetite e calcopirite) e di Brosso (ematite o pirite) appaiono nel modo più evidente come il risultato deiraziono metamorfica prodotta sui calcari cristallini dalle suddette roccie eruttive, le quali hanno parzialmente metamorfosati i micascisti, trasformando i calcari in masse di granato, di epidoto e di altri minerali, e li hanno in molti punti sostituiti con minerali metallici di vario genere. Da ciò può anche provenire rabbondanza di minerali rari (scheelite, ecc.) nel giacimento di Traversella. Finalmente l’ingegnere ISTovarese fece nei primi giorni di ottobre una escursione col prof. Schmid! di Basilea, appositamente incaricato dalla Com- missione geologica federale svizzera, nelle valli del Chisone e della Germa- nasca, con lo scopo di visitare i piu importanti affioramenti della formazione grafi- tica 0 di studiare i suoi contatti con le roccie superiori ed inferiori. Le aree rilevate o riconosciute daH’ingegnere IN'ovarese nel 1900, risultano in complesso di circa kmq. 180. Infj. 8. Franchi. — Fece nel giugno e luglio 1899 alcune escursioni nei din- torni di Cairo-Montenotte, Montenotte, Stella, Cogoleto ed Arenzano per studiare i rapporti stratigrafici fra le masse di calcari dolomitici riferite al Trias da tutti i geologi e gli scisti cristallini in contatto con essi. Alcuni fatti, quali l’ identità litologica di questi terreni con la zona delle pietre verdi delle Alpi occidentali, la quale identità nelle roccie ofiolitiche si estende ai più minuti particolari di struttura e di costituzione mineralogica, tanto nelle roccie originarie quanto in quelle più o meno metamorfosate, e la conti- nuità di affioramento stabilito da molti lembi, che spuntano traverso il Miocene nel versante padano delle Alpi liguri, fornivano già argomento per considerare *pm'e come possibilmente mesozoic i le grande massa di roccie cristalline còn pietre «verdi di questa parte dell' Appennino ligure. Occorreva tuttavia cercare nella regione altri argomenti per confermare la ipotesi, non contentandoci di estendere semplicemente alle formazioni liguri i risul- tati ai quali si giungeva a volta a volta per la formazione analoga delle Alpi occidentali. I suddetti calcari dolomitici avevano offerti in più punti dei fossili carat- teristici, o anche l' ingegnere Franchi trovò nella massa tagliata dal Rio Loppa presso S. Carlo abbondanti diplopqre e crinoidi, e a sud di Bric del Giogo rari LoxoiiPma (?) ciò che conferma la loro non dubbia pertinenza al Trias. Tali masse erano state già dal Franchi stesso e da altri geologi considerate come posate in discordanza sugli scisti cristallini, ma in queste escursioni, pur riconoscendo assai difficile di trovare argomenti convincenti, egli venne condotto a una — 36 — intnrproiazioiio differente sulla natura del contatto. In rpialche caso non è assolutamente possibile, per le condizioni altimetriclie e per la vegetazione riconoscere se esista o no concordanza fra i calcari dolomitici e gli scisti lucenti grigio-plumbei che sono con loro in contatto, ma in altri casi, come p. es. sotto alla massa di Monte Pra e sotto l’altra che si trova a S.E di Monte Gos. nn attento esame mostra dei veri passaggi fra i calcari dolomitici e i sottostanti scisti, ciò che proverebbe la loro immediata successione nella serie cronologica. IMella falda S.E di Eric del Giogo i calcari dolomitici, che con pendenza di circa verso IN'.IN'.E si appoggiano sopra scisti qnarzitici ed anagenitici con anfiboliti che li separano dai sottostanti graniti, sono immediatamente rico- | porti dalle enfotidi e dalle serpentine, le quali poi si collegano con le grandi ' masse di roccie analoghe di Contrada e di Corona. Sembra quindi che ivi esista i una serie regolare di sovrapposizione dalle quarziti e scisti del Trias inferiore ai calcari dolomitici con Loxonema (?) ed alle pietre verdi suddette, le quali, ricoperte qua e là dal Miocene, si sviluppano verso nord traverso il Pio di Montenotte. Gli scisti silicei con radiolarie, che in quel AUillone furono raccolti dal Ro- vereto e studiati da lui e dal Parona, malgrado i non chiari rapporti stratigrafici, devono considerarsi come della stessa età degli scisti bigio-plumbei con calcari cristallini, identici a quelli che in tutta la regione includono le masse di roccie j verdi fra cui le serpentine e le enfotidi. Al contatto di dÌA^erse masse di queste : ultime roccie con gli scisti a Case Grinda, a Case dell’ Amore e a Menje del- l’Amore, esistono delle sottili zone di roccie diasprigne, talora identiche a quelle j a radiolarie di Case delle Isole, come giustamente afferma il RoA^ereto. Esse i non offrirono finora resti fossili, ma la loro identità di quelle con queste ultime, | alla struttura microscopica ed alla costituzione mineralogica abbastanza singolare, 1 mostra chiaramente che si tratta di scisti silicei di uguale origine e natura, e , quindi con la più grande probabilità, data la loro vicinanza e la ristrettezza della I regione, di identica età. Gli scisti diasprigni di Case Grinda e di Menje dell’ Amore contengono ciuffetti e aghi di nn antibolo azzurro (crocidolite) come | alcuni di Case delle Isole, che sono però più ricchi in oligisto e contengono i talora sericite, epidoto e granati ; tutti indistintamente sono trasformati in quarziti 1 a mosaico minutissimo per effetto del metamorfismo. È quindi sperabile che si ! arriA^i fra non molto a troA^are delle radiolarie negli scisti diasprigni del contatto i con qualche massa d’eufotide. 1 Di queste escursioni preliminari Ting. Franchi darà conto particolareggiato | nel Bollettino e da esse risulta che finora, nei punti da lui visitati, nessun fatto contrario alla ipotesi della mesozoicità delle pietre A^erdi e della for- ~ 37 — inazione cristallina che le racchiude si è palesato, e che invece diversi A^alidi argomenti sarebbero favorevoli a quel riferimento. Una parte del luglio fu destinata a terminare il rilevamento dell’alta Valle Pesio, che era stato interrotto dalle pioggie nell’autunno precedente. Vei mesi di agosto e settembre fu rilevata la valle della Dora della Thuile fino al massiccio del Euitor e Grand Assaly da un lato ed al Piccolo S. Ber- nardo dall’ altro, e i dintorni di Courmayeur e di Morgex a sud della Dora. Dei risultati più importanti, fra cui il ritrovamento di belemniti nei calcescisti dei pressi delle Alpi Verney, venne già reso conto in una nota del Franchi pubblicata nell’ultimo fascicolo del Bollettino del 1899. Finalmente parte dell’ottobre venne dedicata al rilevamento della regione fra la valle grande di Vernante, il Gesso e la Vermenagna. L’area rilevata dal Franchi l’anno 1899 nelle varie regioni (tav. di Cairo- Montenotte, Varazze, Boves, Frabosa Soprana, Demonte, Monte Bianco, Val- grisanche, Morgex) ascese a kmq. 242. Eiguardo al lavoro che fu iniziato nelle tavolette di Morgex, Aosta, Monte Bianco e Gran S. Bernardo e che dovrà venir proseguito e compiuto nelle prossime campagne, è bene notare che per quelle tavolette esistono già molti dati di ricognizioni preliminari e anche qualche tratto rilevato dettaglia- tamente por opera degringegneri Zaccagna e Mattirolo; tali dati potranno ve- nire certamente in parte utilizzati per il nuovo rilevamento. Vel 1900 ring. Frfinchi dedicò alcuni giorni del giugno e una parte del luglio al rileA^amento del bacino di Oropa nel Biellose, gli ultimi giorni di lu- glio, l’agosto e il settembre al rilevamento della parte S.O del gruppo del Monte Bianco e di tutta la Val Veni, essendo stata la prima metà di questo mese occupata nelle escursioni del Congresso geologico internazionale nel Del- finato ed in Savoia. Al ritorno da questa escursione, che si chiuse a St. Ger- vaìs, per l’alta valle delkArc, per Martigny e le valli Ferrei svizzera ed ita- liana compiè con Ting. Stella e il dott. Di-Stefano il giro del gruppo del Monte Bianco, per farsi un concetto dei rapporti delle diverse formazioni anche nelle parti di quel massiccio, dove non giungono i nostri rilevamenti, ma che sono a questi limitrofo. Aei primi giorni di ottobre accompagnò il prof. C. Schmid! di Basilea in alcune escursioni nelle valli Maira, Grana e Vermenagna, special- monte nelle formazioni cristallino riconosciute fossilifere. JN^el rimanente del mese d\ ottobre Ting. Franchi riprese il rilevamento dei dintorni di Biella, nelle valli Oropa, Elvo, Cremo, Graglia e Ingagna, e fece anche qualche gita nei din- torni di Mocchie, di Casellette e di Saint Marcel per studiarvi alcuni giacimenti di roccie giadeitiche, sulle quali pubblicò un breve studio nel Bollettino del 1900, B - 38 IS'el gruppo del Monto Bianco riconobbe di noteA*ole : 1'^ Un sottile banco di calcarei marmorei bianchi con crinoidi [Peiìtacri- nus ?), intercalato fra scisti micacei con porfidi quarziferi e roccie verdi dori- fiche, che affiora a circa 40 metri sotto il Colle del Miage nel versante italiano, con direzione IN'.E-S.O e pendenza a S.E ; 2® Una zona di permo-carbonifero (arenarie e scisti lucenti neri con ini- jn-onte di felci), la quale scende dal Colle Infranchissable, attraversa il vallone del Miage, e risale verso l’Arète du Miage ad est delle Aiguille omonima, con direzione e pendenza concordante con quella del banco di calcare sud- detto ; la zona di pernio -carbonifero è indicata nella carta di Duparc e Mrazec : 3° Un affioramento di roccie secondarie (arenarie, calcari dolomitici con traccio di diplopore indeterminabili e scisti calcarei) ai piedi dei contrafforti della Aiguille Aoire de Penteret, la quale con i suoi contrafforti è costituita da granito e non da scisti cristallini, come fu indicato da qualche autore (Du- parc ecc.) ; 4® Il limite fra le roccie granitiche e le roccie cristalline della estre- mità S.E del massiccio, costituita da gneiss, scisti micacei ed anfibolici con piccole masse di serpentina e con numerosi filoni di apliti e di ortofiri, si mantiene a ]?I,E del vallone del Miage, salendo dalla destra del ghiacciaio del Brouillard alla cresta più alta di questo nome, quindi alle rupi della sommità del Monte Bianco, che dominano verso ovest il ghiacciaio che ne prende il nome ; 5*^ È confermata resistenza di una calotta di scisti cristallini ricoprenti la massa granitica presso la cupola più elevata del gruppo ; 0o p^ui-ono trovate numerose belemnitì entro agli scisti calcarei scuri nei i valloni a Sud di C. L’Hognan, e qualche rara belemnite nel banco di breccie calcaree associate con calcescisti arenacei, che forma un forte risalto nel pro- filo del Colle della Seigne, dal lato sud della massima depressione di questo. Inoltre numerosi crinoidi nei calcari sopra e sottostanti ai porfidi del M. Chétif. 7® Isella massa del Monte Chétif fu riconfermata l’esistenza di numerosi ' tipi di porfidi e di roccie detritiche (tufacee) laminate e metamorfosate più o meno profondamente, nelle quali sono inserite in lenti concordanti numerose e | non grandi masse di roccie granitiche, anziché una unica massa granitica sot- tostante alle roccie porfiriche, come è indicato da qualche autore (Duparc ecc.). Per la regione del Biellese si possono fin d’ ora segnalare i seguenti fatti : L’esistenza nella estesissima formazione di micascisti a minerali, la quale si sviluppa a IN^.O della zona porfirico-dioritica detta di Ivrea fino oltre * — 39 — il versante colla valle di Gressonev, di numerosissime masse di roccie eclogi- tiche, giadeitiche e cloromelanitiche. La scoperta di questi ultimi due tipi di roccie, geneticamente collegate alle eclogiti, ha interesse dal punto di vista della paletnologia oltreché da quello geologico. In quei micascisti è inclusa la grande massa di sienite del Biellese, e vi si trovano pure numerosi filoni di roccie melafiriche, i cui i-apporti con le sieniti non furono sinora studiati ; 2° L’esistenza al contatto fra la detta formazione di micascisti e la zona di porfiriti e melafiri potente da 200 a 300 metri, nell’area rilevata dall’inge- gnere Franchi, di una formaziene detritica costituita da massi angolosi di mi- cascisto con elementi tufacei delle roccie melafiriche. I tufi, che sono pure in masse importanti intercalati con le colate di quelle roccie, includono sovente massi di micascisto di 60 a 70 cm. di grossezza. Questi fatti dimostrano chiaramente la posteriorità delle roccie porfiriche rispetto ai micascisti, contrariamente a quanto venne di recente affermato per lo stesso contatto nella Val Sesia. La presenza di una zona discontinua, ma taloru potente fino a 200 metri, di serpentina fra le roccie porfiriche suddette e la grande zonìi dioritica del Biellese. Allo serpentine sono associato in vari punti piccole masse di micascisti e di prasiniti od in altri punti filoni di porfiriti anfiboliche ; 4'’ È notevole nella grande ni.assa dioritica del Biellese, che è larga in alcuni punti presso a 6 chilometri e che affiora nella città stessa a sud della Stazione, la (piale si devo ritenere geologicamente come unica massa, la grande varietà di tipi litologici che presenta, essendo questi estesi dal granito alla tonalite, alla diorite micacea, a quelle essenzialmente o riccamente anfiho- lidie od anfibolico-pirossoniche. La distribuzione di questi diversi tipi rocciosi è assai capricciosa o irregolare, o ciò rondo assai difficile il tracciare i limiti dello aree in cui si sviluppano quei tipi svariati in una regione a ricca vege- tazione. Le aree rilevato nelle suddette regioni daH’ing. Franchi nella campagna del 1000 {tavolette di Monte Bianco, Biella, Fontainemore, Andorno Cacciorna, Sol timo Vittone, Fossato), ammontano a kmq. 235. /«//. A. Strllfi. — L'iiig. Stella avendo ricevuto nel 1899 uno speciale inca- rico per resocuziono di una Carta goognostico-agraria ed idrologica del terri- torio deirex-Bosco del Montollo (Treviso), incarico di cui sarà parlato in seguito, non poti'' dedicare che circa due mesi al lavoro nell’alta Valle d’Aosta. Il suo lavoro si svolse in quelTanno a monte della regione rilevata prece- dentemente nelle tavolette di Morgex, Gran S. Bernardo, Monte Bianco. Fu ri- levata dettagliatamente l’area dei monti che si elevano a sinistra della valle — 40 — da A viso a Courmayeur fino al crinale fra Monte Fallères e Testa Bernarda, e fu iniziato il rilevamento al di là di detto crinale verso il vallone di S. Rhémy. Furono inoltre fatte escursioni di ricognizione a monte di Courmayeur fino al Colle del Gigante da un lato e al Lago di Combai dall’altro ed altre escursioni con ring. Franchi nella valle della Tliuile. Le formazioni incontrate sono quelle interposte fra i calcescisti della re- gione Aosta-Yilleneuve e la massa protoginica a sud delle Grandes Jorasses. L’asse di queste formazioni più o meno raddrizzate, ma a contatti concordanti, è costituito dalla fascia permo-carbonifei*a (anageniti, gneiss minuti, micascisti, filladi, scisti carboniosi) che attraversa la valle fra Villaret e Morgex, mentre fra essa e i calcescisti della zona Aosta-Yilleneuve si interpone la zona micascistosa del Monte Fallères, cni l’ing. Stella accennò già nella relazione siilla precedente campagna, e la quale prosegue a nord verso il Gran S. Bernardo. A monte poi di detta zona pernio-carbonifera si sviluppa un’altra grandiosa massa di calcescisti con scarse roccie verdi, analoghi a quelli fra Yilleneuve ed Aosta, e che sale al crinale Col Serena-Testa Bernarda per attraversare poi la Combe des Bosses. Presso al contatto fra questi calcescisti e il Pernio-carbonifero s* intercalano in quest’ultimo banchi di calcari e di quarziti, spesso micacee ed anche fel- spatiche. I calcescisti vanno poi ad appoggiarsi alla nota briglia porfirica (della quale dovrà essere studiato il materiale) costituente il Monte della Saxe e il Monte Chétif, presentando poco sopra al contatto delle inserzioni di calcari e carniole, gessi micacei, quarziti, gneiss minuti e scisti cai’boniosi. Finalmente al di là di questa briglia rocciosa fu incominciato il rileAuimento di quella com- plessa massa scistosa, contenente filladi, calcescisti, e filari di calcari in cui si apre la Yal Ferret, come pure fu fatta qualche ricognizione nella massa pro- toginica della cresta del Gigante. Sia su questa che sulle altre formazioni è d’nopo completare lo studio in- cominciato prima di entrare in una proficua discussione sulla loro interpreta- zione tettonica e cronologica. L’area rilevata dall’ing. Stella nella alta Yalle d’Aosta, nelle già indicate tavolette fu di 150 km*. Riassumendo, si ha per il rileAmmento compiuto in queste aspre e difficili regioni nella campagna del 1899 un totale di kmq. 783. Il tempo che l’ing. Stella potè dedicare al rileAmmento fu nel 1900 note- Amlmente abbreAÙato, sopratntto per l’incarico straordinario di una ispezione alle solfare di Sicilia e per la interruzione richiesta dalla partecipazione alla escursione del Congresso geologico internazionale nel Delfinato e SaAmia, non- ché alla riunione ed escursioni della Società geologica in Acqui. - 41 - La durata del lavoro di campagna fra la metà di luglio e la fine di ot- tobre di detto anno comprende per l’ing. Stella i seguenti periodi. Poco più di un mese dedicato al rilevamento della Val Ferret sopra Cour- mayeur con qualche escursione oltre il confine. Circa mezzo mese nei monti fra la Valle d’Aosta e la Valle di Etroubles e oltre, sino al confine. Una settimana circa nei dintorni di Ivrea sulla sinistra della Dora. Velia Val Ferret (tavolette Monte Bianco, Gran San Bernardo, Morgex) il lavoro si riattacca a quello di cui fu parlato nelFultima relazione (1899) e che si era spinto a sinistra della alta Valle d’Aosta sino a Courmayeur, cioè al limite fra la zona (m sozoica) dei calcescisti Morgex- Courmayeur e la fascia (triasica) dei gessi e camicie. A monte di questa fascia una sottile striscia di scisti ardesiaci chiari e scuri, in stretta relazione con quarziti e scisti anagenitici (permo-carbonifero?) si interpone fra essa e la nota briglia porfirico-granitica Saxe-Testa Bernarda, oltre la quale la zona calcareo-filladica (Giura-lias), incisa in direzione dalla Dora di Val Ferret, viene a contatto con la imponente massa granitico-proto- ginica che forma la parte settentrionale della catena del Monte Bianco. Questa massa, culminante alla Grande dorasse (4205 metri), fu esplorata abbastanza minutamente approfittando dei diversi rifugi alpini; ma aU’infuori dei già noti filoncelli aplitici, degli inclusi basici e di alcune parti localmente laminate, fu trovata di una sorprendente omogeneità dal Colle del Gigante al Mont Dolent. Qui soltanto, alla cresta di confine svizzero, incominciano alcune masserelle di scisti micaceo-gneissici e di roccie dioritico-anfiboliche, che sono il principio di masse sviluppai! tisi più ampiamente nella Val Ferret svizzera. Votevole è la divisibilità che la roccia massiccia presenta secondo due versi principali, uno dei quali più marcato e regolare, correndo parallelamente al contatto con la formazione calcareo-filladica, mette in evidenza una disposi- zione a grossi banchi paralleli agli strati calcareo-filladici, che le si adattano variamente. Questi strati della formazione giiira-liasica A^anno visibilmente ad immer- gersi sotto alla massa granitica negli speroni a monte di Entrè^ms fino a La- A'achey : ma son già raddrizzati e ad essa sovrapposti al Colle Grapillon, della cresta di confine svizzero. Veri e propri fenomeni di contatto non furono os- servati, se si toglie il descritto parallelismo dei banchi e certe locali altera- zioni delle roccie in contatto, così differenti fra loro, e qualche fatto locale di adattamento complicato delle roccie scistose a spuntoni isolati o a promontori della roccia massiccia. — 42 - I filari di banchi calcarei alternano con quelli filladici, talora passanti a veri calcescisti, senza mostrare di appartenere ad nn unico livello. Notevole è la presenza di banchi calcarei sia lungo il contatto con la massa protogi- nica, sia specialmente lungo il contatto colla massa granitico -porfirica delle Saxe, alla quale pure essi vanno a sottostare, in senso inverso del prece- dente. Tanto negli uni quanto negli altri furono rinvenuti, calcari a crtnoidi con traccio di altri fossili visibili al microscopio. La ora nominata massa granitico-porfirica si presenta alla Saxe preva- lentemente laminata, ed essa pure con disposizione di banchi abbastanza visi- bilmente paralleli a quelli delle formazioni scistose che, con disposizione iso- clinale, la includono. Interrotta, riaffiora poi alla Testa Bernarda, dove termina e dove ha luogo un complicato intreccio, a pieghe ripetute, sia con calcescisti e calcari, sia con le roccie quarzitico-ardesiache più sopra citate. Queste roccie quarzitico-ardesiache affiorano con una certa continuità limgo una zona sottile, che comincia alla Saxe (dove un banco quarzoso è impregnato di solfuri metallici e dette luogo ad antiche escavazioni) e per i contrafforti di sinistra della Val Ferret passa alla cresta del confine svizzero fra il Colle Ferret e il Colle di Banderrèy, per proseguire nel versante svizzero dove fu pure osservata. La zona suddetta è più o meno regolarmente accompagnat ;i da roccie cal- careo-carnioliche che forse rappresentano la continuazione, verso nord, della massa triasica di carniole e gessi di Courmayeur, e che infatti nella Valle Ferret svizzera furono vedute presentare anche parti gessose. Quanto alla massa dei calcescisti, che con disposizione uniforme isoclinale si sviluppano oltre la zona precedente, essi pure furono minutamente esplorati, ma all’infuori di un incerto belemnite (?) non si trovarono fossili che ne permet- tano distinzione di piani, certamente mesozoici. L’uniformità litologica è sol- tanto complessiva, ma in dettaglio si avvertono fitte alternanze di tipi più calcariferi e di tipi più micacei e filladici. Fra i primi sono notevoli delle zone calcaree a breccie calcareo-micacee (p. es. sotto la cresta separante Val Ferret dalla Comba di Bosses); fra gli altri sono da osservare certi scisti fortemente carboniosi (ricerche d’antracite). Infine sotto Monte Cormet si notano dei banchi gneissici. Monti Aosta-Etvonhle^ (Tav. al 50^ Aosta, Morgex, Ollomont, Gran S. Ber- nardo). Le escursioni furono fatte a valle della zona pernio-carbonifera propria- mente detta, e particolarmente in quella zona micascistoso-gneissica di M. Fallères, il cui rilevamento fu incominciato nei due ultimi anni (V. Relazioni del 1898 e 1899), ma che anche in questa campagna non potè ossei* terminato a causa della stagione avanzata. Rimettendo quindi nn riassunto dei risultati alla pros- sima Relazione, dove si poti’anno meglio chiarire i complessi rapporti con le zone a contatto di questa (permo-carbonifero a monte, calcescisti a valle) ^ ring. Stella segnala fin d’ora vari fatti notevoli e cioè: La presenza di nuove masserelle anfibolico-prasinitiche inserite a vari livelli (Monti di S. Oyen-Etroubles, versante S.E del gruppo del Eallères) ; la frequenza di micascisti a minerali (granati, sismondina, glaucofane); e, più di tutto importante, il rinvenimento di micascisti anagenitici in filari intercalati entro micascisti quarzitici e comuni, lungo una zona che rimonta ambedue i ver- santi della valle del Gran S. Bernardo aH'altezza di S. Oyen. La presenza di queste roccie clastiche simili a quelle del Permo-carbonifero propriamente detto in questa zona micascisto-gneissica, coordinata alla presenza di breccie calcaree, già Fanno scorso segnalate, e di calcari macchiati (crinoidi ?) trovati erratici quest’anno nelle zone di calcescisti a quelle collegati, fanno intravedere un possibile riferimento di queste diverse zone a orizzonti paleo- zoici e mesozoici. Diìitonii di h'vea (tav. a l/25!)0n di Ivrea, Settimo Vittone, Azeglio). L’ing. Stella cominciò il rilevamento della regione sulla sinistra della Dora, nell’area semicircolare che va da Ivrea per Montalto, Aiidrate, Torrazzo al Lago di Viverone. Essa comprende la singolare porzione rocciosa dioritica, lito- logicamente uniforme ma plasticamente varia, a spuntoni arrotondati e a laghi incassati, ed inoltre l’area occupata dal (piaternario, del quale furono seguiti in dettaglio i diversi membri, già distinti per lo studio sommario fatto negli anni decorsi, e cioè Alluvionalo, Diluviale terrazzato. Morenico e Ferretto. Senza entrare in particolari, si può qui notare anche in questo quater- nario la notevole abbondanza di ciottoli e massi di roccie pirosseniche (eclogiti e pirosseniti anche a giadeite) provenienti dalla zona di micascisti della Valle d’Aosta. L’area rilevata durante la campagna 1900 dall’ ing. Stella (Yal Ferret, Monti Aosta-Etroubles, dintorni d’Ivrea) ammonta a kmq. 255. Appennino lifinì-e-^emiliano. - Inff. D. Zacraf)na. — I lavori nel 1899 furono dall’ing. Zaccagna cominciati nel mese di maggio col rilevamento di una zona complementare al margine orientale della cartina geologica delle Alpi Apuane e regioni limitrofe in una zona eocenica di galestri e roccie serpentinose. In seguito furono fatte revisioni nelle tavolette di Pavullo, Pievepelago e Fanano, 0 così fu completata detta carta, la quale venne poi stampata dall’Istituto geo- grafico militare. Il rimanente della canq)agna era specialmente destinato alla raccolta di fotografie di alcune località più caratteristiche delle Apuane, da unirsi alla Memoria descrittiva delle medesime. Ma la stagione eccezionalmente piovosa e nebbiosa nelle alte regioni del territorio impedì che il lavoro venisse con- dotto a termine, malgrado ripetuti e pazienti tentativi. Per utilizzare il tempo, senza troppo allontanarsi dalla regione in cui si dovevano eseguire le fotografie, l’ing. Zaccagna proseguì interpolatamente il rilevamento geologico delle tavolette già avviate in vicinanza delle Alpi Apuane e specialmente di quella di Pontremoli che venne completata, rilevandone la metà settentrionale, estendendosi a quelle limitrofe di Bardi, Bedonia e Cor- niglio, come in quelle di Chiavari, Levante e Y arese ligure. Oltre alle accennate revisioni nelle tavolette di Pavullo, Pievepelago. e Pa- nano, ring. Zaccagna rilevò a nuovo, nel 1899, 333 kmq. La campagna geologica del 1900 fu iniziata dallo stesso ingegnere nella seconda metà di giugno, nel quale periodo eseguì degli studi e rilevamenti nei dintorni di Acqui, tanto nelle formazioni terziarie che si sviluppano verso nord che in quelle antiche costituenti verso sud FAppennino ligure-piemontese, nella zona estendentesi fra le valli della Bormida di Spigno e del Gorzente. Ael luglio ring. Zaccagna fece alcune gite nel versante settentrionale delle Apuane per raccogliervi le vedute fotografiche delle località più caratteristiche, lavoro che però non potè condurre a compimento per il sopraggiungere d*una serie di giornate incostanti e piovose. La prima metà di agosto, che seguitò piovosa nella regione Apuana, fu utilizzata dalFing. Zaccagna nella redazione di una nota geologica per ser- vire di guida alle escursioni della Società geologica italiana neiradunanza estiva tenuta in Acqui, e ciò per incarico avutone dal direttore del servizio geologico. I lavori di campagna rimasero poi nuovamente sospesi, avendo l’ ingegnere i Zaccagna preso parte,, insieme agli altri colleghi che s’ interessano della geologia .1 alpina, alla riunione di Grenoble e alle escursioni che ebbero luogo nelle Alpi ■] del Delfinato, e nel versante S.O del M. Bianco. Fecero seguito a queste gite I la riunione della Società geologica in Acqui, e le escursioni in quei dintorni i che si eseguirono sotto la guida dell’ing. Zaccagna. Tornato ai rilevamenti di campagna verso la fine di settembre, ed essendo oramai troppo avanzata la stagione per spingersi nella parte centrale delle i Apuane e terminarvi la raccolta delle vedute fotografiche, per il rimanente della 3 campagna, cioè sino agli ultimi di ottobre, egli si applicò al rilevamento geo- ^ logico della Liguria orientale, già iniziato fin dallo scorso anno ; venne così rilevata l’intera tavoletta di Chiavari (kmq. 78), terminata nell’angolo A.O . quella di Levante (kmq. 48), ed iniziata la tavoletta di Rapallo (kmq. 32). ! — 45 — In complesso in quesfiiltimo periodo della campagna furono rilevati kmq. 158, cui devono aggiungersi per lo studio compiuto nei dintorni di Acqui circa kmq. 300. Toscana e Umbria. - Ine/. B. Lotti. — L’area rilevata dairing. Lotti, nella campagna 1899, comprende la parte meridionale della tavoletta di Ca- stiglione del Lago e quasi tutta quella di Città della Pieve ad eccezione della parte sulla destra del torrente Paglia, che forma raltipiano vulcanico di Orvieto. Le roccie più antiche della regione rilevata, a sud del Lago Trasimeno, spettano al Titoniano e al IN^oocomiano e compaiono nel gruppo del Monte Peglia e in un piccolo affioramento presso Parrano sul Chiaiii. Aei calcari neocomiani di Parrano furono raccolti esemplari di Aptijctiiis anf/nlicostatns. ^lentre la massa neocomiana di Pari*ano è ricoperta bruscamente dai ter- reni eocenici, nel INIonte Peglia al Titoniano e al INTeocomiano succedono gli strati del Senoniano rappresentati dalla scaglia rossa o cinerea, e da questa si fa passaggio graduato alla formazione niarnoso-arenacea deU’Eocene. Anche in questa regione, come in quella a nord e ad est del Trasimeno la })otonte pila dogli strati eocenici è divisa in due da una zona di roccie cal- ca i-oo o scistoso nummulitifore ; la parto inferiore è prevalentemente niarnoso- arenacea, la parto superiore è quasi esclusivamente arenacea. 1 torroni pliocenici copi*onti una buona metà doll’area rilevata si deposi- tarono in ])arto sul fondo marino, in parto su fondi lacustri o fluviali. In essi comj)aiono qua o là lembi isolati di tufo vidcanico, di cui le primo traccio ap- paiàscoiio nei dintorni di Città della Piovo, e si fanno più frequenti nei dintorni di Fienile o San Faustino sulla sinistra del Paglia. Essi sono sottilmente stra- tificati, ondulati e discordanti sid Pliocene, o sono costituiti in massima parte di granuli di olivina, d’augite e di sanidina e più raramente di piccoli fram- menti poniicei. Le osservazioni fatto sui depositi quaternari, che fiancheggiano il torrente Cliiani o la parte occidentale del Trasimeno, conducono l’ing. Lotti ad alcune considerazioni sulla origino di questo lago. Avendo riconosciuto che i depOwSiti (piatornari del lago pi-osentano come quelli pliocenici, lacustri o marini, dei «lintorni un’incliriaziono verso est, egli ritiene che un primo bacino lacustre si sia formato sul finire del Pliocene tra i monti di Cortona, rimasti fermi, e il terreno pliocenico marino che andava elevandosi in misura sempre maggiore ])iogì-edendo da A. E verso S.t). Qu sto grande lago che comprendeva la mas- sima parte della Valdichiana e l’attuale Trasimeno, nel successivo periodo posti)liocenico, incidendo profondamente una briglia di terreno pliocenico ma- — 46 — rino, potè crearsi un emissario nel quale corre ora il torrente Tresa, e si sarebbe forse vuotato per intero se, continuando ad accentuarsi il sollevamento più nella regione amiatina cbe in quella dei dintorni del bacino, le condizioni idrografiche di questa non si fossero cambiate. In conseguenza di ciò, le sue acque non trovando più sfogo per la via primitiva, ristagnarono nella porzione più depressa, costituendo il lago attuale. L’area rilevata dall’ing. Lotti nel 1899 (tavolette di Castiglione del Lago. Città della Pieve ed Orvieto) ammontò a 730 chilometri quadrati. Lo stesso operatore proseguì nella campagna 1900 il rilevamento geologico della regione umbra, e rilevò le due tavolette a 1/25000 di Agello e di Torgiano e quella a 1/50000 di Marsciano, facendo inoltre aldini ulteriori studi e revi- sioni nella tavoletta di Magione, già rilevata nella precedente campagna, Ilei lavoro di questa campagna l’ing. Lotti trovò nuovi argomenti per convalidare la sua determinazione dell’età eocenica della formazione marnoso- arenacea racchiudente fossili di tipo miocenico. Presso Marsciano infatti, nel Monte di Ci vitella dei Conti, egli trovò riassunti in un’area ristrettissima e nelle più favorevoli condizioni per l’osservazione quei fatti che, riscontrati in vaste estensioni nella Yal di Sieve, nel Casentino e nella Yal Tiberina toscana e tifernate, aA^evano indotto l’ing. Lotti nella conAÙnzione che questa formazione marnoso-arenacea sia più [antica del terreno a nummiiliti il più caratteri- stico. Yel Monte di CiAÙtella la formazione marnoso-arenacea fossilifera sottostà a calcari ad orbitoidi, e questi al nummulitico tipico con calcari a selci e scisti a fucoidi, il tutto essendo ricoperto da un’arenaria con banchi di puddinga a grosse num mutiti del gruppo , delle striate. L’ing. Lotti sostiene non esser possibile il sospetto che questa formazione marnoso-arenacea non sia quella in questione con fossili ritenuti miocenici, perchè oltre alla completa analogia litologica e alla perfetta corrispondenza, sia nelle diverse roccie associate, sia nella loro successione stratigrafica, fra questa località e quelle vicinissime di Cerqueto e di Deruta con fossili di tipo miocenico, si verifica il fatto che qui nel Monte di Civitella gli strati fossiliferi racchiudono, benché in frammenti, briozoarì, ostriche, orbitoidi, radioli e gusci di echinidi come negli strati di Monte S. Maria Tiberina, Monte Cedrone, Prepo, ecc., che sono le più note località deH’Umbria ritenute mioceniche. Risulta da quanto sopra che l’importantissimo problema della età precisa di quella formazione richiede ancora da parte di tutti uno studio particolareg- giato e spassionato, e che alla sua soluzione potranno essere utilissime escur- sioni fatte in comune dai sostenitori delle Avarie opinioni. - 47 - In questa campagna l’ing. Lotti rilevò circa 600 kmq. Marche. - Ahifante P. Moderni. — Questi eseguì nella campagna del 1899 il rilevamento delle tavolette di Amandola e Ai-quata del Tronto ed iniziò quello delle tavolette di San Grinesio e torcia, facendo anche alcune escursioni al gruppo del Vettore e qualche gita di collegamento coi precedenti lavori e di revisione nella tavoletta di Civitella del Tronto. Il rilevamento delle due tavolette di Arquata e di Amandola ebbe per iscopo soltanto, secondo il programma approvato dal Comitato, l’area coperta dai terreni sub-appenninici, quindi la regione deve ancora essere rilevata nella parte montuosa che comprende gran parte della catena dei Monti Sibillini, benché le prime ricognizioni ne sieno oramai state fatte, accertando nel gruppo del Vettore resistenza di dolomie, analoghe a quelle inferiori della Montagna dei Fiori e quindi probabilmente appartenenti al Lias inferiore, di calcari del Lias medio che con pendenza verso ovest raggiungono la cima del Vettore e di altri più giovani terreni mesozoici, fra cui sviluppatissimo il Senoniano con notevoli perturbazioni stratigrafiche. Ai piedi della catena appenninica si riscontra una stretta zona di scisti marnosi e marne intercalate con banchi di calcare grossolano e compatto e con calcare bianco; il primo contiene talvolta nummuliti microscopiche, il secondo è ricco di pecten, ostree, ecc. Velia parte più alta di questa formazione fu tro- vata la Pìioladoinìja Canavarii insieme a una forma di tipo miocenico, e basan- dosi su questi dati paleontologici essa venne dal Moderni segnata sulla carta come miocenica. Ma su questa formazione i pateri sono discordi, e non man- cano valenti geologi che, malgrado il suo tipo faunistico, inclinerebbero a rife- rirla airEocene, e altri che vorrebbero suddividerla per farle rappresentare il Miocene e parte deH'Eocene. Dalle osservazioni dettagliate del Moderni ri- sulterebbe tuttavia che non vi sono sufficienti elementi per suddividere la formazione, la quale dietro lo studio definitivo paleontologico dovrà essere at- tribuita tutta al Miocene o tutta all’Eocene. Al di sopra di questi scisti e calcari si trova direttamente la potente for- mazione delle arenarie, la quale occupa la maggior parte delle tavolette di Amandola e di Arquata, e sulle arenarie poggia il Pliocene, costituito in basso da sabbie giallo cementate passanti a vere arenarie, in modo da essere talvolta difficile la loro delimitazione dalle sottostanti arenarie mioceniche. Velie argille plioceniche dei dintorni di San Martino sono numerosissimo le sorgenti salate e sulfui-ee, formanti una zona di sorgenti salato che si estendo verso Macei-ata. 11 quaternario è rappresentato dal deposito lacustre (sotto il quale esiste - 48 — forse una torbiera) del Piano di Castellnccio, dai coni antichi di defezione ai piedi dei monti e dai depositi degli antichi alvei dell’Aso e del Tenna. L’area rilevata dal Moderni nel 1899 (tavolette di Arqnata del Tronto, Amandola, San Ginesio e I^orcia) fu di 535 chilometri quadrati. IN’ella campagna 1900 il Moderni si occupò del rilevamento geologico della provincia di Macerata, rilevando completamente le tavolette di S. Elpidio a mare e S. Ginesio, e incominciando quello delle tavolette di Porto S. Giorgio e di Macerata oltre a qualche revisione nella tavoletta di Amandola. La intiera tavoletta di S. Elpidio a mare, gran parte di quella di S. Ginesio e quelle di Porto S. Giorgio e di Macerata, sono costituite da Pliocene rappre- sentato da sabbie, argille turchine, poche ghiaie e nelle parti più profonde da arenarie. Tutte queste formazioni sono in generale poA^ere di fossili. Sotto al Pliocene e in concordanza con esso nella parte occidentale della tavoletta di S. Ginesio, spunta in qualche regione una zona di arenarie intera- mente analoghe a quelle del Teramano, ma la cui potenza visibile è qui ridotta a pochi metri. Alle arenarie sottosta una zona (di potenza quasi uguale) di scisti argillosi con banchi intercalati di calcari, e sotto questi affiora il secondario con una potente zona di scaglia grigia e rossa alla quale fanno seguito i calcari rossi, rosati e bianchi (maiolica), intercalati con scisti rossi e grigi. Anche qui è degno di osservazione il numero grandissimo di sorgenti sa- late esistente nella provincia di Macerata, e che sgorgano in mezzo ai terreni pliocenici. L’area rilevata dal Moderni in questa campagna del 1900 fu di kmq. 800 circa. Vnlcanì delV Italia centrale. - Ing. V. Sabatini. — Ael primo periodo della campagna del 1899, l’ing. Sabatini potè ultimare il rilevamento dei Vulcani Cimini e completare la raccolta del materiale da studiarsi per la redazione della Memoria descrittiva. Piprese quindi il rilevamento dèi Vulsinii nei dintorni di Celleno dove, sebbene appariscano per la lontananza dalle bocche crateriche i facili terreni pliocenici, pure il lavoro materiale di delimitazione riesci alquanto difficoltoso per le accidentalità del terreno. Anche i dintorni di Orvieto obbligarono ad | un lavoro dello stesso genere, specialmente per lo studio delle vicine balze di lava che spesso si raggiungono con qualche difficoltà. Sui conglomerati di quei ! dintorni sorse qualche divergenza di vedute fra il Sabatini e l’ing. Lotti che rilevava nelle vicinanze, onde fu necessario l’intervento del paleontologo dot- tore Di-Stefano, e ne risultò che i medesimi sono in parte pliocenici, in parte } quaternari. | Passò quindi ai dintorni di Montefiascone, dove ebbe nuova conferma Tipo- j tesi dei crateri a sfof/Iie fatta dallo stesso Sabatini per spiegare rorigiiio della conca di Bolsena : ina la ricerca di ciò che resta di tali sfoglie è resa difficile dalle condizioni del terreno molto accidentato. Le osservazioni in proposito sono perciò appena incominciate e dovranno essere continuate, non solo nei dintorni di Moutefiascone, ma anche nelle altre parti del contorno del lago. L’area rilevata l’anno 1899 nei Ynlsinii, tavolette di Orvieto e Moutefiascone, calcolasi a chil.q. 110 circa. La campagna del 1900 fu per iutiero destinata al rilevamento dei vulcani Tulsinii, parte orientale, e alla raccolta del materiale da studiarsi in seguito per la descrizione di queirimportante centro del vulcanismo nell’Italia centrale. Il lavoro ebbe principio da Bagnorea nel mese di giugno e si protrasse per tutto luglio e parte dell’agosto, rilevandosi per intiero la intricata zona attorno a quel paese. Fu poi interrotto per dar agio al Sabatini di prendere parte al Congresso geologico internazionale che ebbe luogo a Parigi, e succes- sivamente ad una interessante escursione che fu fatta in alcuni gruppi vulca- nici dell’Alvernia, e della quale è dato conto nel I® fascicolo del Bollettino 1900. Ripreso in settembre, il rilevamento fu proseguito intorno a Castiglione, Sermugnano e Va] ano, collegandolo con quelli di Bagnorea e di Orvieto, e più tardi a Civitella d’Agliano e Castel Giorgio, chiudendosi la campagna verso la fine di novembre a causa del tempo cattivo, mentre poco restava ancora al completo rilevamento della zona vulcanica orientale. I primi risultati scientifici di tale lavoro saranno poi pubblicati nelle consuete relazioni annuali. L’area rilevata nel 1900 dall’ing. Sabatini (tavolette Moutefiascone e Or- vieto) ammonta a circa 130 kmq. Revisioni. Appriuiiiio Roìiiano. - Iiuj. C. Viola. — Questo importante lavoro di revisione ebbe nel 1899 per campo principale l’alta valle dell’Aniene ed i monti circo- stanti, in particolare l’altipiano Jenne-Cervara-Monte Autore, dove furono esa- minati i vari piani del Cretaceo e dell’Eocene inferiore; e fu in gran parte de- limitata l'estensione della dolomia infracretacea verso Subiaco. Il Viola passò quindi alla regione Arsoli-Riofreddo-Oricola-Cineto Ro- mano, dove pure studiò i calcari cretacei ed i vari piani dell’Eocene, fra cui le arenarie grigie di posizione ancora incerta, che rappresentano probabilmente il membro superiore della serie eocenica. Per alcune parti di questa regione sarà — 50 — però necessario l’intervento del paleontologo, pel quale soltanto riescirà possibile 10 studio della cronologia dei piani secondari e terziari ivi rappresentati. L’area così riveduta e studiata nel 1899 può valutarsi a cbil.q. 300 circa. 11 lavoro di revisione dell’ Appennino romano è rimasto durante il 1900 sospeso, essendo stato l’ing. Viola adibito ad altri incarichi, come si dirà in seguito. Italia ineiàdioiialc (Provincie di Caserta e di Aquila). - Aia tali te IL Cassetti. — Kel mese di marzo 1899 raintante Cassetti fece ima escursione di alcuni giorni col l’ing. Viola nei monti di Gaeta e Terracina allo scopo di determinare Tetà delle dolomie e calcari dolomitici della base di quei monti mesozoici, che per analogia con simili formazioni di altre prossime località jiotevano forse appar- tenere al Trias superiore. In queste escursioni fu constatata la esistenza di zone dolomitiche direttamente sottostanti al Lias medio fossilifero e di altre sotto al Cretaceo, ma non furono trovati elementi paleontologici per stabilirne con si- curezza l’età, e rimane sempre il dubbio se e quali di esse debbano riferirsi al Lias, quali al Cretaceo e se esista o no una zona triasica. Ad analoghi risul- tati si giunse in una gita posteriormente fatta in questi monti coll’Ingegnere-capo dei rilevamenti e si riconobbe la necessità di ulteriori studi in queste lo- calità. In seguito raintante Cassetti studiò i monti di Cassino, Atina e S. Donato per delimitare i calcari a turricolate e a reqnienie deU’Urgoniano da quelli a r udiste del Tnroniano. Velia valle Forca d’ Acero sopra S. Donato egli riscontrò la presenza di banchi dolomitici, analoghi a quelli della vicina Valle di Can- neto e che come questi potrebbero ritenersi in parte o in tutto liasici. | Il Cassetti passò poi nei monti dell’Abruzzo Aquilano che si elevano tra la valle del Sangro, quella del Sagittario e il Piano delle Cinquemiglia per ; continuarvi il lavoro di revisione e suddivisione dei terreni mesozoici incomin- ciato negli anni scorsi nei finitimi monti del gruppo della Meta, di Castel di Sangro e di Eoccaraso. ; Ad alcune di queste gite presero jiarte l’Ingegnere-capo dei rilevamenti e 11 paleontologo dott. Di-Stefano. Questo lavoro che, più che di revisione, può considerarsi come mi rilevamento * definitivo, viene basato principalmente su sicuri dati paleontologici che prima i mancavano. i La struttura geologica del gruppo montuoso indicato più sopra è degna di i grande studio, sia per la A^arietà dei terreni che vi affiorano, sia per impor- j tanti fenomeni tettonici, e fortunatamente con pazienti ricerche si incontrano | giacimenti fossiliferi sufficienti per la determinazione cronologica di quei terreni. =- 51 — I fatti che si poterono principalmente esaniinare e constatare sono i sejjiienti : 1. iS’ella regione La Difesa (presso Anversa) affiora una massa calcareo- dolomitica con piccole ammoniti che il dott. Di-Stefano, che le trovò col Cas- setti, ritiene possano appartenere al Lias inferiore, essendo paragonabili a quelle della caratteristica formazione del Monte Casale in provincia di Palermo. Un analogo affioramento, ma non fossilifero, si trova alle falde del M. Marsi- cano e del M. Palumbo a JN'.O presso Pescasseroli. 2. Sui calcari dolomitici di Anversa riposa in concordanza una potente 2)ila di calcari arenacei a brachiopodi, alternanti con calcari marnosi ad am- moniti che appartiene probabilmente al Lias superiore o alla parte più alta del Lias medio. Al M. Marsicano e al M. Palumbo la roccia dolomitica è solo sor- montata da calcari a brachiopodi, i quali si estendono pure nella contigua Serra della Terratta. d. Al M. Marsicano esiste una zona di calcari bianchi semicristallini con numerose piccole Ehynchonelle (che il dott. Di-Stefano ritiene di specie nuove) od altri brachiopodi che fanno supporre trattarsi del Dogger. d. I calcari a Rlujìicìionella della valle della Serra Monte Paradiso, adia- cente al Piano delle Cinqueniiglia, che vennero incontrati nelle revisioni degli anni precedenti, sembra sieno da inferirsi, secondo il parere del dott. Di-Ste- fano, al Aeocomifino, come il Cassetti aveva già supposto ed accennato nelle relazioni già pubblicate nel Bollettino. 5. Il versante orientale del M. Marsicano o della successiva Serra della Terratta sino alla valle di Scanno è costituito da calcari semicristallini con grosse e piccole turricolate (forse Aerinee), coralli, crinoidi ed Ellipsactinie. I calcari sono identici per struttura e posizione stratigrafica a quelli del M. Pra- tella presso Roccaraso, contenenti Itieria Scillae e quindi riferibili alFUrgo- niano. b. Aella sponda orientale della valle di Scanno poggiano in discordanza sui calcari basici e cretacei delle falde del Monte Genzana, Serra Fonte Ga- lardi e Serra della Sparviera dei calcari semicristallini con crinoidi, frammenti di rndiste e nummuliti, appartenenti alFEocene, cui si sovrappongono in per- fetta concordanza dei calcari marnosi con Pecten, Ostree ed altri fossili che, secondo il dott. Di-Stefano dovrebbero riferirsi al Miocene, benché per ragioni stratigrafiche sia difficile dividerli dai sottostanti calcari nummulitici. 7. Finalmente nella valle del Sangro e in quella di Scanno, fino a no- tevoli altitudini, s’incontrano potenti ed estesi banchi di conglomerati cementati e di depositi detritici del quaternario. II Cassetti e il dott. Di-Stefano fecero abbondanti raccolte in tutte le 4 52 località fossilifere incontrate e il secondo si occupa del loro studio, dopo il ‘ quale si potranno risolvere con sicurezza molte questioni cronologiche. Questo lavoro di revisione, ricerche di fossili e suddivisione dei terreni mesozoici fu esteso nella campagna 1899 dal Cassetti a circa 520 kmq. Kel 1900 il Cassetti incominciò i suoi lavori nel mese di maggio, recan- dosi dapprima nei monti che chrcondano il golfo di Gaeta. Scopo principale di queste prime escursioni era di riprendere lo studio di estesi affioramenti dolomitici, che si aveva qualche ragione di supporre potessero rappresentare il Trias superiore, come nel vicino gruppo del M. Massico, essendosi incontrato un lembo di dolomia sottostante nettamente ai calcari basici, mentre in generale quella roccia si presenta in stretta relazione coi calcari cretacei. Sui risultati di questa escnrsiene Faiutante Cassetti riferì già in una nota pub- blicata nel Bollettino del 1900. IN'ei mesi di giugno, luglio e agosto Faiutante Cassetti si occupò della re- i gione montuosa compresa tra la valle del Liri a nord di Sora, il Bucino e la valle del Sagittario, collegandosi in tal modo col rilevamento fatto nell’anno precedente dei monti tra la valle del Sangro e quella del Sagittario. I più importanti fatti osservati in questa occasione sono i seguenti: 1. La presenza di affioramenti basici nella valle del Liri, lungo la sponda j sinistra tra Pescosobdo e San Vincenzo Valle Roveto, rappresentati da potenti I calcari a brachiopodi, i quali si sovrappongono in concordanza a dolomie cri- j stalline, leggermente bituminose. Queste roccie sono perfettamente analoghe a 1 quelle delle valli del Sangro, del Gizio e del Sagittario, già riconosciute come : appartenenti al Lias medio e al Lias inferiore rispettivamente. j 2. I calcari del Lias e quelli già riconosciuti del Dogger, che affiorano i al monte Marsicano, al Monte Palombo e alla Serra della Terratta nella valle j del Sangro, continuano lungo la sponda destra della valle del Giovenco e si | inoltrano fin sotto il Monte Mezzana di fronte alF abitato di Ortona dei Marsi. ! 3. Fu constatata la esistenza di tre grandi linee di frattura, aA^enti ap- j prossimatiA^amente la direzione di quella che corre lungo la sponda destra ^ della valle di Scanno, già descritta nella relazione per il 1899, per effetto delle j quali la disposizione tettonica presenta nel gruppo montuoso una serie di salti. I lina di dette linee di frattura segue la Ambe del GioAmnco e si estende a i quella del Sangro sopra Pescasserob; un’altra passa lungo il fianco destro ) della ampia A’^alle di VillaAmllelonga e si prolunga A^erso il Fucino; la terza, i che è la più importante, segue la sponda sinistra della Alalie del Liri, partendo i dai pressi di Pescosobdo e si protrae fin quasi allo sbocco dell’emissario del j Fucino sopra CiAÙtella RoA^eto. — 53 ~ 4. Tennero studiati alcuni giacimenti di una sostanza pesante di aspetto fer- ruginoso, che era stato per Faddietro estratta come minerale di ferro. 1 campioni di quei minerali, analizzati dalFing. Mattirolo nel laboratorio dell’ Ufficio, dimo- strarono che si tratta invece di una bauxite ferruginosa, la quale esiste in quelle regioni in notevoli quantità. Le Agalli del GioA^enco e del Liri sono in gran parte riempite di scisti eocenici di Avaria natura, che si appoggiano ai due lati contro i terreni secondari. Altri depositi di scisti eocenici, generalmente di poca estensione, s’incon- trano qua e là nella regione e fra questi sono degni di nota quelli che pog- giano sui calcari cretacei formanti il territorio montuoso fra Lecce nei Marsi 0 Gioia Tecchio perchè contengono qualche intercalazione di lignite scistosa. Alcune di queste intercalazioni furono recentemente considerate come indizi di grandi giacimenti, partendo dal concetto che tali lenti lignitifere fossero in- tercalate nei calcari cretacei anziché semplicemente a questi appoggiate e da essi limitate, come sono effettivamente. Lo studio fatto dal Cassetti in località per le quali si erano concepite grandi speranze, mostrò che tali giacimenti non presentano per ora indizi di importanza industriale. Facendo astrazione dai citati affioramenti basici ed colitici e dalla for- mazione eocenica, che riempie le Agalli o è qua e là sparsa in lembi residuali, la regione AÙsitata dal Cassetti è generalmente costituita da calcari cretacei di varia struttura, i (piali A^ennero suddiAÙsi proA^visoriamente, e finché uno spe- ciale studio paleontologico non permetterà ulteriori distinzioni di piani, in parte alFUrgoniano quando contengono IS'erinee, Toucasie ed Ellipsactinie, in parte al Turoniano quando racchiudono rudislie. Questa reA'isione, che per lo studio accurato che occorre fare di potenti pile calcareo apparentemente uniformi ha il carattere di un A^ero riloA^amento, fu estesa dui Cassetti nel 1900 a kmq. .355 circa. 4 54 1 Bl ASSUNTO. Si riassumono in due quadri gli elementi relativi ai rilevamenti, revisione, ricognizione e direzione del lavoro nel biennio. Anno 1899. REGIONI Area rilevata in chilometri quadrati Giorni impiegati Chilometri percorsi su via ordinaria Spese di ferrovia aumentate di Vio Lire Spesa totale Lire Operatori Rilevamenti. Alpi occidentali 783 284 5718 918. 15 4750.64 Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella. Appennino settentrionale. . 333 96 2520 416. 83 1892.83 Zaccagna. Umbria 730 89 2421 289. 12 1816. 42 Lotti. Marche 535 106 2671 238. 64 1542.39 Moderni. Vulcani viterbesi no 101 2731 84. 20 1661.00 Sabatini. Revisioni. Appennino romano 300 78 2068 54.34 1259.75 Viola. Appennino meridionale. . . 520 106 2059 241.02 1591. 77 Cassetti. Ricognizioni. Sardegna - 12 66 153.23 281.03 Baldacci. Sempione » 13 264 13.50 209. 70 Idem. Altri incarichi. Studio del Montello .... » 72 1349 292. 82 1237. 47 Stella. Ricerche paleontologiche. . .» 31 831 155. 32 :637. 11 Di-Stefano. Direzione . » 45 1076 183. 23 911.03 Baldacci. Ispezioni » 8 118 21.60 188. 80 Isp, capo Pellati. Idem 10 200 230. 00 460. 00 Isp. Mazzuoli. — 55 ~ Anno 1900. REGIONI Area rilevata in chilometri quadrati Giorni impiegati Chilometri percorsi su via ordinaria Spese di ferrovia aumentate di Vio Lire Spesa totale Lire Operatori Rilevamenti. Alpi occidentali 824 3>5 5922 865.07 5072. 47 Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella. Appennino settentrionale. . 300 82 1530 321.68 1395. 68 Zaccagna. Umbria 600 60 1598 121.60 1141.00 Lotti. Marche 800 85 1971 181.94 1184.69 Moderni. Appennino abruzzese. . , . 355 60 1609 125. 90 888. 15 Cassetti. Vulcani viterbesi 130 ! 111 3027 114.75 1864. 10 Sabatini. Altri incarichi. Direzione * 37 724 92. 30 642. 50 Baldacci. Ricerche paleontologiche. » 7 166 24.86 127. 16 Di-Stefano. Riceiìchp: paleontologiche sul terreno. Doli. a. Di-Slefdiio. — 11 dott. Di-8tefaiio ebbe a fare nel 1899 varie escur- sioni })er ricerca di fossili e determinazioni cronologiche di terreni; e dapprima fn con ring. Sabatini nei dintorni di Barbarano, Bieda e Vetralla (provincia di Roma) per esaminare sid posto la discussa questione della esistenza o meno del Pliocene, in quelle località, però con risultati negativi. Fece poi, con raiiitante iVIoderni, escursioni nei dintorni di Ascoli Piceno, Ac(piasanta e Civitella del Tronto per la questione dell’età di quelle marne. Furono trovati fossili miocenici presso Mozzano (Ascoli Piceno) e calcari num- ninlitici presso Ripa. Passò poi neirUmbria nei dintorni di Umbertide, Città di Castello e S. rfinstino insieme con Ting. Lotti per studiarvi la età delle marne con calcari, contenenti una fauna di tipo miocenico, ma che per alcuni altri argomenti il Lotti vorrebbe assegnare all’Eocene. Il dott. Di-Stefano ~ 56 — verificò con piena, certezza che, poggiate sulla formazione marnoso-arenacea a M. Minio stanno, come già aveva constatato il Lotti, dello arenarie calcari- fere o dei calcari con nnmmuliti (M. Tcliihatcheffi^ d’Arch. e H., X Guetfarrli. d’Arch. e H), orbitoidi {0. papuracea Baub.), ecc. e frammenti di Alveoliiia, di- mostranti che la roccia che le contiene appartiene alFEocene superiore. In questa località non si ha traccia di alcun fenomeno di rovesciamento stratigra- fico, ma il dott. Di-Stefano, prima di trarre conclusioni definitive dal fatto della sovrapposizione, asserita dal Lotti, di strati certamente eocenici sulle marne a fauna miocenica, riterrebbe necessario di studiare attentamente la regione fra M. Murlo e il Trasimeno e i dintorni di Città di Castello, per stabilii’e se sia vera- mente da escludere qualsiasi accidentalità stratigrafica oppure se, come crede possibile, le marne e i calcari con fauna miocenica siano distinti dal gruppo eocenico. È però da osservare che, secondo gli studi accurati delFing. Lotti, nessun disturbo tettonico esiste nella regione indicata. Nella seconda metà dello stesso anno il Di-Stefano visitò insieme alF aiutante Cassetti alcune località dell’ Abruzzo Aquilano e del Molise per studiarvi varie questioni stratigrafiche rimaste in dubbio, come sarebbero l’età dei calcari a Rhijnchonella Clesiana dei dintorni di Pettorano, Bugnara, Frattura, di quelli con Megalodon e Terehratìila Renieri degli stessi luoghi e di Roccaraso, di quelli zeppi di grosse Rhijnrhonellae della Serra Paradiso (Piano delle Cinquemiglia), dei calcari dolomitici con piccole ammoniti di Bugnara, dei calcari bituminosi con Congeida, Melanopsis e Pofamides di Scontrone, ecc. Sui risultati di questi studi si parlerà nelle relazioni speciali che d dott. Di-Stefano e l’aiutante Cassetti faranno sui rispettivi lavori. Lo studio paleontologico-stratigrafico fatto in Abruzzo sulle formazioni pre- cedenti dovrà estendersi in seguito anche al Cretaceo, ivi sviluppatissimo e per il quale finora non si hanno elementi che per suddividerlo in due piani, cioè in Urgoniano e Turoniano. Finalmente il dott. Di-Stefano fu nei dintorni di Orvieto, insieme con Fin- gegnere Sabatini, per qualche controversia sull’età di alcuni membri di quel Pliocene e di quel Quaternario, concludendo che la massima parte dei potenti conglomerati dei dintorni di Orvieto, Yiceno, ecc., appartengono al Pliocene e soltanto una piccola parte al Quaternario. Nel 1900 andò con lo stesso Sabatini a visitare altri terreni dubbiosamente pliocenici o quaternari nella Valle del Paglia e a raccogliere fossili nei din- torni di Castiglione in Teverina, Bagnorea ed Orvieto nella regione Vulsinia. Fece anche, di ritorno dal suo viaggio in Francia, una escursione nella Valle d’Aosta insieme con gli ingegneri Franchi e Stella, - 57 - Direzione dei rilevamenti. Questo incarico fu disimpegnato dall’ ingegnere -capo Baldacci che vi dedicò il tempo lasciatogli libero dai A^ari altri laA^ori che gli furono affidati. Egli studiò nel 1899 coll’aiutante Cassetti le formazioni secondarie dei dintorni di Gaeta per le questioni già accennate, relative alla presenza o meno di affioramenti triasici in quelle località e alla età da assegnarsi a certe dolomie in’quei monti, sottostanti ora al Trias mèdio ora direttamente al Cretaceo. Fi- nora non si sono troA'ati argomenti paleontologici sufficienti a provare l’esi- stenza del Trias, ma ciò non esclude che con altre ricerche si possa rim^enire qualche caratteristico giacimento fossilifero di quel terreno. Solamente si posr sono fare delle ipotesi più o meno fondate sulla assegnazione di alcune di quelle dolomie, in parte al Lias ed iii parte al Cretaceo, per gli argomenti già. SA^olti parlando del lavoro eseguito dairaiutante Cassetti. Xelle Alpi occidentali ringeguere Baldacci fece dapprima A’^arie escursioni nei monti che circondajio il bacino di Courmayeur e quindi A'isitò coll’inge- gnere Franchi la valle della Thuile fino al Piccolo San Bernardo e in vari sensi sino agli spartiacque con le limitrofe Agalli, osseivandoAÙ importanti e grandiosi fenomeni di roA'escianiento delle serie di terreni permo-carboniferi su quelli triasici. In seguito prese parte coU'ingegnere IS^OA-arese ad escursioni di ricognizione nella valle del Buthier e fino al Gran San Bernardo e passò poi con lui nella A'alsavaranche, per osserA^arvi le iioteA'oli accidentalità stratigra- fiche, alle quali fu già accennato parlando del rileA'amento relathm, e la cui esatta interpretazione contribuirà a rischiarare la controA'ersa questione della età dei calcescisti con pietre verdi e delle loro relazioni con la massa gneis- sica del Gran Paradiso. ; Verso la fine di agosto 1899 lo scrivente AÙsitò, cogli ingegneri Baldacci, Fran- ! chi e Stella i dintorni dì Couimayeur e la a alle della Thuile, e l’ispettore Maz- j zuoli percorse col Franchi parte delle Agalli Grana e Maira, doA’^e si hanno i noti I giacimenti fossiliferi mesozoici; egli aA'eA^a già fatto dapprima con l’ingegnere I Mattirolo una aita sino al Piano della Mussa i)er Ardervi le formazioni ... ! serpentinose di quella regione. I Xello stesso anno l’ingegnere Baldacci fece anche escursioni coll’aiutante i Cassetti nell’ Abruzzo Aquilano e particolarmente nei monti che circondano la ' conca di Scanno, nei dintorni di AnA^ersa e di Alfedena, per lo studio delle [ già accennate quìstioni sulla classificazione e suddivisione di quelle masse I mesozoiche. 1 58 — IN'eir agosto 1900 infine il medesimo capo dei rilevamenti fece esc arsioni nella Yalpelline con l’ing. Novarese, visitando la valle principale e quella di Ollomont, indi fu con l’ing. Stella nella Yal Ferrei sino al confine svizzero e con ring. Franchi al Colle del Gigante, Aiguilles Marbrées, Tour Ronde, eoe., nel gruppo centrale del Monte Bianco. I risultati di queste escursioni furono in parte esposti nel riferire sui lavori dei citati ingegneri. Riepilogo e risultati principali dei lavori geologici DI CAMPAGNA. Riassumendo quanto venne più sopra esposto sul lavoro eseguito nelle campagne geologiche del biennio scorso, si hanno le seguenti cifre complessive per l’area rilevata a nuovo e per quelle rivedute. Nuovo rilevamento. Alpi occidentali (ingegneri Mattirolo, 1899 1900 Novarese, Franchi e Stella, Kmq. 783 824 Appennino Ligure-emiliano (Zaccagna) » 333 300 Toscana e Umbria (Lotti) » 730 600 Marche (Moderni) » 535 800 Yulcani Cimini e Yulsini (Sabatini) » 110 130 2491 2654 Revisioni. Alta valle dell’ Amene (Yiola) Kmq. 300 — Abruzzo Aquilano (Cassetti) » 520 355 Fra i risultati più notevoli della campagna del 1899 sono da citarsi il rinvenimento di fossili mesozoici (belemniti) per opera dell’ingegnere Franchi i presso l’Alpe Yerney (Piccolo San Bernardo) nella massa di calcescisti con lenti di pietre verdi che dal Gastaldi e più tardi dal Baretti erano stati ascritti [ all’Arcaico ; la interpretazione della complicata struttura stratigrafica nei mouti | racchiudenti la Yalsavaranche e la constatazione della esistenza di grandi , pieghe ribaltate verso il massiccio del Gran Paradiso; il rinveiiimeuto fatto j dall’ingegnere Mattirolo di interessanti minerali (adularla, fluorina, ecc.), nel- l’aspra parete orientale del Gran Paradiso; il ritrovamento di crinoidi nei { calcari associati ai calcescisti sottostanti alle roccie del Monte della Saxe, fatto | dagli ingegneri Stella e Franchi. ^ I Nell’ Appellino Emiliano ringegnere Zaccagna incontrò in mezzo a terreni | — 59 — eocenici un affioramento isolato di granito, che egli ritiene arcaico e in rela« zione con le masse, secondo lui arcaiche, di Monte Acuto. iS’eirUmbria e nel Piceno si raccolsero dal Lotti, dal Di-Stefano e dal Mo- derni molti elementi per risolvere la questione della età delle formazioni maraoso-arenacee con faune di tipo miocenico, alcune delle quali tuttavia sono sottostanti in più località finora studiate, senza potervi riconoscere acci- dentalità stratigrafiche, a calcari con nummuliti eoc niche. Aeir Abruzzo Aquilano è interessante la constatazione della esistenza del IN’eocomiano fossilifero, identico a quello di Mattinata nel Gargano, quella della probabile presenza di nuovi membri della serie oolitica (Legger) già sospettata da Baldacci e Cassetti nei monti di Scanno, di cui il dott. Di-Stefano studia ora una interessante fauna, e la classificazione di vari affioramenti dolomitici che fanno da base ora al Lias medio e superiore, ora al Cretaceo. Ael riferire sui lavori dei singoli operatori vennero più sopra esposti i risultati principali ottenuti nel rilevamento geologico durante la campagna del 1900: accenniamo qui soltanto al fatto che nelle Alpi Cozie e Graje furono ricono- sciuti in posto numerosi giacimenti di roccie giadeitiche e cloromelanitiche, iden- tiche al materiale di alcune stazioni neolitiche del Piemonte, con che è risolta la controversa questione della provenienza di quei materiali. Occorre pure far menzione del rinvenimento fatto dall’Aj. Cassetti di vari giacimenti di minerale di aspetto ferruginoso nei calcari urgoniani dell’Abruzzo Marsicano e di altre località : i campioni di detto minerale, raccolti dal Cassetti e analizzati nel laboratorio dell’Ufficio geologico, mostrarono che esso è una vera Bauxite, di cui si sosjmttava l’esistenza nel nostro paese ma che non era. stata ancora riconosciuta. IXPARICHI STRAORDINARII AL RRRSÓNALE. Anno 1899. — In(fe(fnp.re-capo Baldacci. — Egli ebbe ad occuparsi dapprima dello studio di una grande frana sulla linea Battipaglia-Reggio presso Pisciotta. 0 dei pi'ovvedimenti ad essa relativi per incarico del R. Ispettorato generale delle strade ferrate : quindi ebbe a fare, per incarico del Ministero dei Lavori pubblici, varie gite a Caposele e al tracciato del grande Acquedotto Pugliese, di cui si stava redigendo il progetto, per studiare le condizioni geologiche e di stabilità delle sorgenti e del territorio su cui si svolge il tracciato, con particolare riguardo alla grande galleria che traverserebbe l’ Appennino con lunghezza superiore a 12 chilometri. ~ 60 - Si recò poi in Sardegna per concretare, d’accordo con l’ingegnere -capo del Genio civile di Cagliari e l’Ufficio minerario di Iglesias, le modalità per il concorso del Corpo delle Miniere nella esecuzione dei progetti di sistemazione dei corsi d’acqua dell’Isola, secondo la legge sui provvedimenti per la Sardegna, del 1897. In tale occasione egli visitò per incarico privato la miniera di anti- monio di Su Suergiu (Yillasalto) e fece escursioni nei dintorni di Iglesias, a IN'ebida, ecc. Yel mese di luglio fu per vari giorni a Iselle e a Briga (Vailese) per visitarvi, secondo l’incarico ricevuto, i lavori della grande galleria del Sempione e per raccogliere gli elementi utili per la geologia di quel tratto di catena alpina che saranno messi in luce dal traforo. L’ingegnere Baldacci, che dovrà tornare anche in seguito nella regione nella quale fece già varie escursioni, farà a suo tempo una Relazione sul risul- tato dei suoi studi : intanto nel parlare dei suoi lavori nella campagna del 1900 si darà più avanti qualche cenno sulle osservazioni da lui finora eseguite. Ing. Mattirolo. — Ebbe incarico dal Ministero delle Finanze di recarsi alle Miniere dell’Isola d’Elba per questioni relative alla classificazione ed ag- giudicazione delle differenti qualità di quei minerali, e fece anche parte di una Commissione per. esami di concorso a posti di aiutante nel R. Corpo delle Miniere, nonché di un’altra Commissione per esami di concorso a posti di allievi ìlei Laboratori chimici delle Gabelle. Ing. Viola. — Fu incaricato della esecuzione dei progetti di massima per la sistemazione del Rio Mannu in Sardegna, e ne presentò a suo tempo la relazione al R. Ministero di Agricoltura. Ing. Novarese. — Eseguì, debitamente autorizzato, degli studi alla mi- niera di pirite del Beth (Alpi Cozie) per incarico privato. Ing. Stella. — Fu incaricato dal Ministero di Agricoltura di rilevare la carta geognostico-agraria del territorio deU’ex-Bosco del Montello nel Veneto, estendendo, d’accordo col professore Taramelli, che aveva l’alta direzione del la- voro e che aveva iniziati gli studi relativi, i suoi rilievi alla regione circostante. In quel territorio si hanno dall’alto al basso i seguenti terreni : 1° alluvioni recenti, sciolte ; 2® alluvioni antiche, terrazzate, in parte cementate ; 3*^ alluvioni più antiche, sopraelevate, cementate e ferrettizzate ; 4® argille, marne, arenarie, puddinghe e calcari del terziàrio ; 5® calcari e scisti del secondario. Per lo studio di questo territorio, comprendente un’area di circa 480 chilometri quadrati l’in- gegnere Stella rilevò una cartina geologica d’insieme alla scala di 1/100000, di cui fu data copia alla Ispezione forestale di Montebelluna, e i risultati del rilevamento geognostico-agrario saranno oggetto di speciale memoria in corso — 61 — di lavoro, nella quale verranno esposti anche i risultati delle analisi di quelle terre, cui attende il laboratorio della R. Scuola di enologia e viticoltura di Conegliano. Il rilevamento geognostico -agrario del territorio propriamente detto del Montello fu fatto alla scala di 1/25,000, e di questo pure fu data copia alla citata Ispezione forestale di 3Iontebellnna. Suirargomento delle acque sotterranee del Montello e della loro migliore utilizzazione ringegnere Stella elaborò una breve relazione, che fu consegnata alla Ispezione forestale sopra indicata. Tutti questi lavori hanno figurato aU’Esposizione universale di Parigi. Anno 1900. — Ing.-capo Baldacci. — Incominciò le escursioni per la campagna geologica nella seconda metà di luglio, recandosi dapprima al Sempione per visitarvi i lavori del grande traforo, e fece in tale occasione alcune gite nelle valli Diveria e Cairasca e lungo Tasse della galleria fino al Monte Leone. Al 31 dicembre 1900 la galleria d’avanzamento dal lato svizzero (Briga) raggiungeva il km. 1. 119 dalTimbocco, e dal lato italiano (Iselle) il km. 3. 148. Dal lato svizzero erano stati attraversati dapprima degli scisti argillosi con sottili intercalazioni di quarzo, quasi verticali, con qualche intercalazione di ani- drite e gesso, indi fra i km. 1. 394 e 1. 529 un potente banco di anidrite ora compatta e granulosa, ora micacea. Si traversò in seguito una potente zona di calcescisti a mica sericite (km. 1. 529 a 3. 831) con vene di quarzo e calcite, con banchi di calcare granuloso, con numerose vene e iniezioni di quarzo bianco. L’inclinazione generale era di 7(P a 80® A.O o IN’.jN'.O ma si traversarono plaghe estremamente sconvolte con piani di strisciamento, accartocciamenti e pieghe a zig-zag. V enne poi incontrata la zona dolomitica e gessosa, affiorante presso Eisten, che avrebbe dovuto esser toccata al km. 3. 660, sotto forma di alternanze di calcari cristallini e scisti. In piena formazione calcareo-scistosa e dòpo un piano di rottura con do- lomia pnh'orulenta fu incontrato un sottile banco di gneiss ghiandone molto laminato con piani di strisciamento, poi fino al km. 3. 911 alternanze di scisti % e calcari. Fra 3. 911 e 3. 991 gneiss tubnlare e scistoso, grigio a due miche, o bianco passante a niicascisto, poi di nuovo fino al km. 4. 081 scisti e calcari. S'incontrò in seguito uno gneiss, dapprima scistoso poi occhiadino e tabulare, a due miche, che continuò fino al km. 4. 410. Ael versante italiano (Iselle) fu sempre attraversato fino alla fine del 1900 lo gneiss d'Antigorio, talvolta compatto e granitoide, talvolta scistoso. La dispo- sizione stratigrafica era dapprima quella di una cupola fortemente ribassata e ieggermente ondulata, della quale però in causa della debole curvatura non si raggiunse il nucleo. La cupola venne interamente attraversata verso il km. 2. 5.50 o al di là si ritrovò una debolissima pendenza dei banchi di gneiss. Lo gneiss di Antigorio è traversato da lembi aplitici e pegmatitici, e vi si incontrano zone ricche di biotite. Al km. 1. 682 fu trovata una spaccatura riempita di galena e blenda. La roccia da questo lato fu quasi sempre asciuttissima, mentre dal lato svizzero s’incontrarono frequentemente sorgenti, alcune delle quali assai note- voli, che però dopo lo scavo diminuirono fortemente di portata. IN’ella temperatura della roccia (che superò talvolta i 33^^) si nota sempre una forte diminuzione fra i dati delle prime osservazioni e quelli delle susse- guenti, quando la attivissima ventilazione produce il suo effetto di raffredda- mento. Così mentre a 1000 metri le prime osservazioni davano per la roccia uni> temperatura di 27^. 6, circa tre mesi dopo si trovavano soltanto 19°. 6. A 2000 metri le prime osservazioni, diedero 33° e circa due mesi dopo 28°. 1. Il problema della ventilazione è oggetto di cure speciali ed assidue per parte della Direzione dei lavori, e nonostante la elevata temperatura della roccia, ben superiore a quella che dovrebbe verificarsi in relazione alla pro- fondità sotto la superficie del terreno nell’imbocco italiano, la temperatura deirambiente agli avanzamenti non è affatto penosa per gli operai ; negli al- largamenti in callotta però Fattiva ventilazione non arriva ancora a rendere la temperatura sopportabile e il lavoro degli operai riesce assai più gra- voso. In occasione di questa visita e di altre fatte precedentemente l’ing. Bal- dacci raccolse diversi campioni delle roccie attraversate nei due attacchi ita- liano e svizzero, ed un’altra raccolta si ebbe dal R. Ispettorato delle strade ferrate. L’Ufficio geologico è poi inscritto per avere una collezione completa delle roccie del traforo, che si sta ora mettendo insieme sistematicamente per cura della Commissione geologica svizzera, la quale si occupa di questa gal- leria. Come già sì disse, questa Commissione, nominata dalla Società Jura-Sim- plon, concessionaria del traforo, e costituita dai professori Renevier, Heim e Schardt, ha istituita una serie completa di osservazioni geognostiche, petrogra- fiche, tettoniche, geotermiche e idrologiche, con speciale riguardo alla tempera- tura sia della roccia, dove vengono regolarmente misurate con stazioni fisse e con osservazioni sistematiche a misura degli avanzamenti, sia del terreno all’e- sterno della galleria su stazioni collocate lungo l’asse di questa. Di tutta questa serie di osservazioni, impossibili a farsi per chi non risiede in vicinanza — 63 — dei lavori e non ha a disposizione l’occorrente materiale, una apposita orga- nizzazione e la facilità di accedere in qualunque momento sui lavori stessi, la Commissione dà sommario conto in capitoli speciali del « Rapport trimestriel an Conseil Federai Suisse sur l’état des travanx dii Percement du Simplon », del quale l’Ufficio geologico riceve regolarmente una copia. Per cura di detta Commissione, cui furono aggiunti altri geologi svizzeri, si sta ora eseguendo un rilievo geologico particolareggiato del terreno fino a 15 km. dai due lati dell’asse della galleria. L’Ing. Baldacci ebbe a fare anche varie escursioni nel decorso anno per i seguenti incarichi del Ministero dei Lavori pubblici: Visita alle frane che devastano Tabitato di Cai30sele da lungo tempo, e che diventarono disastrose dopo le grandi pioggie deirautuuno 1899 ; 2'’ Tre successive visite al grande scoscendimento avA^enuto nella costa amalfitana il 22 dicembre 1899, con distruzione di abitati, graAÙ danni al porto e perdita di a ite umane. Oltre allo studio delle cause dello scoscendimento e dèlia stal)ilità di quel tratto di costa in relazione alla sicurezza degli abitati e delle opere pubbliche, fece anche la perizia per rabbattimento di un grosso masso di roccia perico- lante. Questo luA’oi’o che preseiitaA'a graAÙ pericoli e difficoltà Alenilo poi ese- guito sotto la direzione del Oenio ciAule di Salerno da una squadra di operai caA'atori apuani, appositamente chiamati : 3*^ Per incarico del R. Ispettorato generalo delle strade ferrate visitò una località presso Trascpiera (Sempione) ove doAU’à perforarsi una grande galleria elicoidale sulla linea, ora in costruzione, Iselle-Domodossola : 4^^ Per lo stesso L^fficio studiò anche il territorio fra Borgomanero e Romagnano Sesia por la scelta di un tracciato per la progettata linea Santhià- Borgomanero di collegamento del Piemonte col A'alico del Sempione : 5*^ Fece parte di una Commissione di ispettori e altri funzionari del Cenio ciA'ile per studiare i proA'Aedimenti relatiAÙ alle frane di OrAÙeto e alla sicurezza degli abitati ed edifizi di quella città. Su tutti questi argomenti l’ing. Baldacci riferì con speciali relazioni agli uffici competenti. Finalmente per incarico speciale del Ministero di Agricoltura visitò alcune località nei dintorni di San Menna (Salerno! doA^e si riscontrano indizi della presenza di idrocarburi e anche su questo soggetto presentò apposita relazione. Come lavoro speciale di ufficio l'ing. Baldacci si occupò della prepara- zione della Carta dei giacimenti minerari del Regno su dati forniti dai dÌAXu*si uffici minerari. (Quella Carta, che Amnne allestita nell’Ufficio geologico e cori*e- (lata delle occorrenti indicazioni, fn poi presentata alla Esposizione universale di Parigi. Iiifj.’Capo Lotti. — Pece parte di una Commissione per lo studio di alcime sorgenti di acqua potabile per la fornitura della città di Modigliana in Romagna. Fu inoltre incaricato, previa autorizzazione ministeriale^ di uno studio partico- lareggiato sui giacimenti di cinabro dell’Abbadia San Salvatore, spettanti alla Società anonima per le miniere di mercurio del Monte Amiata, ed uno dei ri- sultati di questo studio fu di avere intraveduta la presenza di un nucleo di roccie basiche sotto la potente massa detritica cinabrifera attualmente scavata e trattata con profitto dalla Società, nelle quali roccie e specialmente nel cal- care marnoso del Lias superiore, come nella miniera del Cornacchine, potrebbe forse rinvenirsi il ricercato giacimento in posto. Infj. Zaccagna. — Ebbe incarico di visitare, insieme a due ispettori del Genio civile, la grande frana manifestatasi lungo la strada nazionale deUa Garfagnana in provincia di Massa, allo scopo di indagarne la natura e di pro- porre i provvedimenti opportuni al consolidamento del tratto franato, e pre- sentò di questa sua visita la relazione al Ministero dei Lavori pubblici. Ing. Mattirolo. — Fu incaricato altre due volte della missione di cui è detto sopra alle miniere dell’Isola d’Elba. Ing. Viola. — Fu in missione aH’Ufficio distrettuale delle miniere d’Igle- sias con l’incarico di dirigere quella scuola mineraria, in sostituzione del tito- lare ing. E. Camerana in missione temporanea a Torino. Questo incarico dm*ò dal 1® maggio alla metà di agosto 1900. Fu nel frattempo inviato dal Mini- stero d’agricoltura a visitare la colonia penale d’ Alghero (provincia di Sassari) per dare un giudizio circa l’acqua esistente negli strati inferiori del sottosuolo per scopo industriale. Ing. Novarese. — Previa autorizzazione ministeriale, ebbe ad occuparsi dei lavori relativi ad una ricerca mineraria per rame nelle roccie ofiolitiche deir Appennino bolognese. Fu anche incaricato della compilazione del Catalogo della mostra fatta dal Corpo Beale delle Miniere alV Esposi mone nniversale di Parigi. Ing. Stella. — Fu incaricato di coadiuvare l’ingegnere del Distretto mi- nerario di Caltanissetta in una ispezione straordinaria alle solfare di Sicilia, ordinata dal Ministero, j^er constatare lo stato di sicurezza di quelle miniere. L’ispezione durò dalla metà di febbraio alla metà di maggio 1900, ed in quella occasione non vennero trascurati gli studi geologici, avendo l’ing. Stella sco- 'perta e studiata una interessante fauna microscopica nei minerali solfiferi; e del risultato del suo studio diede conto in una Comunicazione alla Società geologica nell’ultima sua adunanza. Lavori d’ufficio, iViente di sjKjciale ahhiamo a dire intorno ai lavori dell’ Ufficio, i quali furono eseguiti regolarmente come di solito, in paiticolare la tenuta in corrente delle tavolette di campagna a misura che venivano rilevate, la loro riduzione in scale diverse a seconda del bisogno, la esecuzione di copie delle medesime per soddisfare, previo il consenso del Ministero, le varie richieste delle ammini- strazioni e dei privati, non che altri lavori occorrenti per il buon andamento del servizio. ' Un certo lavoro straordmario fn necessario per la preparazione di carte destinate alla pubblicazione, sia da sole, sia a corredo di Memorie descrittive. Fra queste si notano 8 fogli della Carta di Calabria al 100000, colorati geologi- camente insieme con una tavola di sezioni che si dovettero ridisegnare a nuovo sulla nuova edizione senza tratteggio, appositamente eseguita, con le modificazioni risultanti dalle revisioni eseguite l’anno precedente. Anche la preparazione di carte ed altri oggetti destinati alla Espo- sizione universale di Parigi portò un aumento di lavoro ; ma a quello scopo furono assunti in servizio straordinario, per gli ultimi mesi del 1899 ed i primi del 1900, due disègnatori speciali ; con Taiuto di questi si potè tutto ultimare in tempo debito per la spedizione a Parigi. La spesa relativa gravò su di un capitolo apposito del bilancio del Ministero di agricoltura. Pìihhlicfi.^ioiii. — Coiranno 1899 non si è pubblicato che il Bollettino trime- strale, anno XXX, con le consuete relazioni sui lavori di rilevamento e con la Bibliografia animale, della quale viene fatto anche un estratto che si tiene a disposiziono degli studiosi. Furono però prejiarate pubblicazioni future, cioè: 1® Gli anzidetti 8 fogli della Carta geologica della Calabria, con una tavola di sezioni, che ancora restavano per completare quella interessante regione; 2® Le tavole e le incisioni intercalate nel testo che dovevano corredare la Memoria descrittiva det Vulcano Laziale dell’ing. Sabatini, parimenti in corso di stampa, e specialmente la Carta geologica al 75000 stampata nel R. Istituto geografico militare in Firenze, ed altre 10 tavole eseguite nello stesso e in stabilimenti privati; 3^ Una Carta geologica a colori, in scala di 1 a 2.50000, destinata a corredare la Memoria descrittiva delle Alpi Apuane, eseguita dal medesimo R. Istituto. Xel 1900, oltre all’annata XXXI del Bollettino, fu pubblicata l’anzi- detta memoria sul Vulcano Laziale, formante un volume di circa 400 pagine, - 66 — con tavolo, carta geologica e numerose figure intercalate. Esso costituisce il volume X delle Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia. Fu pure pubblicato nello stesso anno il Siìpplemento 3° al Catalogo della Biblio- teca dell’Ufficio, con l’elenco delle pubblicazioni pervenutevi nel biennio 1898-99. Alla fine dell’anno erano ancora in corso di stampa gli ultimi fogli della carta geologica della Calabria nella scala di 1 a 100000, che ora sono compie- tamente tirati e saranno distribuiti fra breve ; Biblioteca. — Questa ebbe nel biennio un sensibilissimo aumento, special- mente per cambi e doni, senza peraltro trascurare gli acquisti fatti per tenersi al corrente delle nuove e più importanti pubblicazioni, nel miglior modo conci- liabile con le ristrettezze del nostro bilancio. Si è così verificato un incre- mento non disprezzabile di ben 1800 fra volumi od opuscoli e di oltre a 250 fogli di carte geologiche e topografiche. Fra i doni vanno segnalati quelli che vengono inviati al nostro Ufficio dalle istituzioni analoghe e in particolare da quelle degli Stati Uniti: ed è anche dove- roso l’accennare che l’Istituto geografico militare, per deliberazione del Mini- ' j stero dolla Gruerra, fornì gratuitamente all’archivio dell’ Ufficio un esemplare dei fogli e delle tavolette di nuova pubblicazione. ' Di tutto questo materiale si è proseguito l’ordinamento già in addietro iniziato e per facilitarlo si sono ridotte convenientemente, adibendole a questo uso, alcune scaffalature già occupate dalle pubblicazioni dell’Ufficio ora de- positate presso l’Economato del Ministero. La spesa totale sopportata per la Biblioteca nel corso del biennio, cioè per * acquisto di libri e carte, adattamento di scaffalature, ed altre minori, ammontò ! a circa lire 3000. Collezioni. — Si ebbe come al solito un incremento notevole per il materiale ■ | inviato dagli operatori, in ispecie delle Alpi, per roccie, minerali e fossili rac- colti. Si formò anche una collezione sistematica delle roccie attraversate nel Tra- i foro del Sempione, in parte raccolte dalllng. Baldacci e in parte inviata dal B. Ispettorato delle strade ferrate. Per collocare questo nuovo materiale ed altro già esistente in Ufficio, o ii tuttora in corso di studio, si è dovuto provvedere con la costruzione di nuovi scaffali del modello a tiretti, riconosciuto il meglio adatto allo scopo, questi, come già si accennò, uno scaffale speciale è stato destinato al colloca-^, mento dei campioni di filliti dei tufi della Campagna Boniana raccolti dairin-S gegnere Clerici in seguito allo incarico avuito. à.Mzio Dall’ing. Viola poi fu dato un ordine sistematico alla collezione minerà- ||||j)i|j logica seguendo la classificazione del Dana. ^ "r — 67 - La spesa per scaffali nuovi, insieme con altri minori accessori nelle colle- zioni, ammontò nel biennio a lire 1500 circa. Laboratorio cJiiinico-pefrof/rafico. — iN'el corso del 1899 il Laboratorio chi- mico si occupò di determinazioni, saggi ed analisi di varia natura riflettenti principalmente il servizio geologico e diede n. 32 rapporti, concernenti circa n. 50 campioni. Parecchie furono le analisi complete di roccie silicato eseguite principal- mente dalFing. Aichiuo e relativamente numerose furono le ricerche relative a roccie calcareo-dolomitiche, essendosi anche iniziato lo studio dei calcari non marmoi’ei delle Alpi Apuane. Fra i calcari esaminati va ricordato il Lapis ìiifier del Comitium {Foro Eomano), del quale si eseguì uno studio chiniico- petrografico su campioni inviati dal Ministero dell’istruzione pubblica, allo scopo di conoscere le caratteristiche della struttura e composizione della roccia e poter ])oi, ])er confronto con altri marmi neri di nota provenienza, identifi- carne Torigiuo. Ael nostro Bollettino fu ripoitata la i-elazione di un lavoro eseguito nel Laboratorio chimico in appendice ad una memoria delFing. Stella sui calcari fossiliferi e scisti cristallini dei monti del Saluzzese. Fu pure eseguito uno studio analitico della diorite che forma l’estrema vetta del Olente Sant'Elia iieH’Alaska, .sopra campioni raccolti dalla spedi- zione di S. A. R. il Duca degli Abruzzi: questo studio fu inserito nella pub- blicazione del dottor F. De Filip])i, che rende conto della spedizione e fu com- preso neirappendice deiriiig. Xovarose, sulle roccie e minerali dell’ Alaska me- ridionale. Anche nel Laboratorio petrografico si lavorò regolarmente e la sua dota- zione venne in quest'anno aumentata di un apparecchio micro-fotografico completo del Koristka di Milano, ed altre somme furono spese per riparazioni d'istrumenti che ne abbisognavano. Ini preparazione delle sezioni sottili in L^fficio, procedette ad un di- presso come nello scorso anno. Furono eseguite circa 700 sezioni e altre 105 furono fatte eseguire all'estero. Sul registro del Laboratorio alla fine del 1899 erano annotate in complesso 5921 sezioni. L’ing. Xovarese, oltre alle roccie dell’Alaska già menzionate, stndiò n. 32 sezioni sottili riferentisi al rilevamento alpino. L'ingegnere Sabatini si occupò dello studio delle lave vesuviane delle eru- zioni storiche e preparò micro-fotografie di sezioni sottili di esse; incominciò pure lo studio delle roccie dei Vulcani Cimini. L'ing. Franchi studiò petrograficamente una serie di roccie porfiriche — 68 --- più o meno metamorfosate del Monte Besimaiida, le roccie cristalline da Ini ritenute secondarie della Yalgrisanclie e di Courmayeur e le permo-carbonifere di detta valle. In complesso esaminò 150 sezioni sottili. L’ing. Stella, infine, nelFinverno 1899, ebbe a occuparsi in Lal)oratorio spe- cialmente dello studio del materiale della « zona fossilifera di Fiasco » (Alpi Cozie), facendo parecchi saggi qualitativi di quei calcari dolomitici, ed esami- nando al microscopio buon numero di sezioni sottili, sia di essi calcari, sia delle altre roccie scistose e niassiccie della zona. Continuò poi lo studio di roccie raccolte nel rileAmmento delFànfiteatro morenico del Garda. Esaminò pure, a titolo di confronto, ime serie di sezioni sottili di roccie ofiolitiche appenniniche. Durante Fanno 1900 il Laboratorio chimico rispose a 35 domande di saggi ed analisi, riguardanti un numero circa doppio di campioni di Avaria natura, fra cui però primeggiano roccie Auilcaniche ed altre roccie silicate. Alcune analisi furono pubblicate nel Bollettino del R. Comitato geologico e nella Rivista del servizio minerario per Fanno 1899. Il numero delle sezioni sottili eseguite in Laboratorio fu di 720 e sul re- gistro di queste, in fin d’anno, se ne troAmA^ano annotate n. 6700, di cui alcune diecine di natura speciale furono nel corso dell’anno fatte eseguire all’estero. L’ing. Viola si occupò in quest’anno principalmente dello studio petro- grafico di Aurie roccie cristalline della Sardegna, da lui raccolte quando a’ì andò in missione come è detto sopra. L’ing. Sabatini ha ripreso lo studio microscopico delle roccie dei Monti Cimini per la preparazione della Memoria descritth^a di quel gruppo Auilcanico. L’ing. Franchi esaminò numerose roccie del Fermo-carbonifero della Thuile e delle masse di roccie Amrdi del Ficcolo San Bernardo. Studiò poscia una serie di roccie a pirosseno sodico delle Alpi Cozie, paragonandole al materiale litico della stazione preistorica di Alba. Quest’ultimo studio fu corredato da due analisi chimiche complete fatte dall’ing. Aichino. L’ing. Stella cominciò lo studio del materiale raccolto nel rileA^amento dell’alta Valle d’Aosta. Esaminò buon numero di roccie a solfo, specialmente siciliane, per lo studio preliminare di quel materiale. Fece anche parecchi saggi preliminari e diagnosi litologiche dei campioni di terre e roccie del Colle ' Montello. Infine il nostro Laboratorio petrografico è stato fornito di un apparecchio Wallerant per la determinazione degli assi ottici nelle sezioni microscopiche. ^ Gabinetto paleontologico. — Il dott. Di-Stefano eseguì nel 1899 come negli altri « anni, la determinazione dei fossili richiesta dai laA^ori della Carta. Fra le col- i lezioni studiate indicheremo quelle dei A^ari piani del Lias dei dintorni di Bu- i — 69 - gnara, Pettorano, Scanno e Eoccaraso nell’Abruzzo solnionese; del Giurese medio di Pescasseroli neiralto Sangro, del ISTeocomiano dei dintorni di Eoeca- raso, dell’Eocene dei dintorni di Solmona, del Miocene di Anversa e Castro- valve, di Scontrone, ecc., nello stesso Abruzzo; quelle degli strati con fauna a tipo miocenico dei dintorni di Umbertide e Città di Castello nell’Umbria, e dei calcari eocenici colle arenarie calcarifere; del Pliocene di Viterbo e di Orvieto, infine dell’Eocene salmastro della Sardegna per richiesta dell’Ufficio mine- rario di Iglesias. Egli ha inoltre tenuti in Ufficio, due volte la settimana, degli esercizi paleontologici sui lamellibranchi di tutti i terreni, in continuazione di quelli dell’anno passato sui brachiopodi. Infine il dott. Di-Stefano nel febbraio del 1900, su richiesta del senatore Scarabelli, si recò ad Imola per visitare la importantissima collezione geolo- gica e paleontologica dal medesimo formata e scegliere quei fossili del piano a Lncina pomiim, il cui studio potrà dare utili risultati per fissare l’esatta po- sizione cronologica di questo piano controverso. Vel corso deU'anno 1900 lo stesso dott. Di-Stefano determinò, come al solito, varie collezioni di fossili, fra le quali citeremo quelle del Pliocene di Celleno, di OrA’ieto e di Castiglione in Teverina, di vari terreni degli Abruzzi, del Monte Vettore, vari gruppi di IS’unimuliti, ecc. Egli prese parte, in seguito, al Congresso geologico di Parigi, alle escur- sioni nel Delfinato e al piede sud del Monte Bianco; ne riportò una ricca collezione di fossili del Miocene, del Titonico e di vari piani del Cretaceo. Questi fossili sono stati pure determinati dal Di-Stefano e formano un ele- mento molto importante per la comparazione coi fossili italiani. In continuazione degli esercizi paleontologici cominciati due anni addietro, egli ha tenute in ufficio, due volte la settimana, delle conferenze sui gastero- podi dei A'ari terreni. Resoconto delle spese per l’anno 1899 I. Assegni al personale straordinario: Due disegnatori (a L. 150 mensili ciascuno) L. 3,600.00 Uno scrivano (a \j. 120 mensili) » 1,440.00 Un usciere (a L. 100) » 1,200.00 Un inserviente (a L. 100) •. . » 1,200.00 Totale . . . L. 7,440.00 L. 7,440.00 Da riportarti ... L. 7,440.00 O 70 — Iliporto ... L. 7,440.00 II. Indennità di campagna e trasferte diverse : I Alpi occidentali \ Appennino settentrionale Toscana e Umbria Vulcani Cimini e Vulsinii . . . . , Marche Rilevamenti Totale . Revisioni . ^ Appennino romano L. 1,259.75 I Appennino meridionale Ricognizioni , Diverse . . Totale \ Sardegna .... L Totale , . Ricerche di fossili Totale . . Adunanza del Comitato , III. Spese d'ulficio, Biblioteca e Collezioni : Consumo di carte topografiche Biblioteca Collezioni IV. Pubblicazioni : ( Testo . Bollettino 1898 (N. 4) Tavole e incisioni Estratti, indice, copertina, ecc. Bollettino 1899 < Tavole e incisioni L. 4,750, 64 » 1,892.83 » 1,816. 42 » 1,661.00 » 1,542.39 L. 11,663.28 L. 11,663.28 L. 1,259. 75 » 1^591.77 . L. 2,851. 52 L. 2,851.52 L. 281.03 » 209. 70 L. 490. 73 L. 490.73 L. 1,237,47 » 637.11 1,559. 83 L. 3,434. 41 L. 3,434.41 » 565. 80 Totale ... L. 19,005. 74 L. 2,629. 78 ì, ecc.) .... » 875. 00 » 62. 16 n 1,062,90 D 100.50 Totale . . . L. 4,730. 34 L. 338. 79 » 1,021.09 » 121.64 L. 1,036.97 » 325. 00 , » 265.07 L. 3,108. 56 L. 3,108.56 riportarsi . . , L. 3,108.56 71 Memoria descrittiva del Vulcano Laziale Carta geologica Altre tavole . . Zincotlpie . . . Riporto . . . L. 3,108.56 L. L. 580.20 » 1 ,102. 60 473. 73 Totale . . . L. 2,156.53 L. 2,156.53 Carta delle Alpi Apuane al 250 000, aggiunte al tipo » 83.00 Totale . . . L. 5,283.09 L. V. Laboratorio chimico-petrografico: Consumo di materiale e spese diverse L. 831.36 Acquisto di un apparecchio micro-fotografico » 1,022.00 Impianto del medesimo » 99. 45 Sezioni microscopiche » 365. 52 Riparazioni istrumenti » 43. 50 Totale . . . L. 2.364,83 L. VI. Manutenzione deirufficio : Riparazioni al locale L. 716,55 Scaffali nuovi per collezioni e biblioteca > 1,000.00 Totale. . . L. 1,716.55 L. VII. Spese diverse: Carta geologica d’Europa L. 3,100.00 Compensi straordinari al personale » 700.00 Compenso al dott. Bonarelli per studi! nell’Umbria » 200.00 Sussidio al dott. De Lorenzo per studi! in Basilicata » 500.00 Restauri al Palazzo Madama in Torino » 197.51 Totale ... L. 4,697.51 L. Totale speso nel 1899 ... L. Di questa somma L. I9,.541.79 furono pagate sull’Esercizio 1898-99, le rimanenti L. sul 189'D-900. Resoconto delle spese per l’anno 1900. I. Assegni al personale straordinario: ' Due disegnatori (a L. 150 mensili ciascuno) L. 3,600.00 1 Uno scrivano (a L. 120 mensili) » 1,440.00 I Un usciere (a L. 100) » 1,200.00 : Un inserviente (a L. 100) » 1,200.00 Totale . . . L. 7,440.00 L Da riportarsi ... L. 31,176.08 5,283.09 2,364.83 716. 55 4,697.51 45,303. 06 25,758. 27 7,440. 00 7,440. 00 1 — 73 Riporto ... L. 7,440.00 II. Indennità di campagna e trasferte diverse: I Alpi occidentali L. 5,072.47 i Appennino settentrionale » 1,395.68 ) Umbria » 1,141.00 Rilevamenti . j Vulcani Vulsinii >> 1,864.40 / Marche => 1,184.69 Abruzzo aquilano » 888.15 Totale . . . L. 11,546.39 L. 11,546.39 , Direzione dei rilevamenti . L. 642. 50 1 Ricerche di fossili » 127. 16 ' t Raccolta di vegetali fossili . 400. 00 \ Escursioni in Francia . » 1,853.85 Totale . . . L. 3,023. 51 L. 3,023.51 Totale . . L. 14,569. 90 III. Spese d’ufficio, Biblioteca e collezioni : Cancelleria, riscaldamento, posta, trasporti, ecc L. 2,353. 53 Spese di campagna (guide, imballaggi, trasporto campioni. ecc.) .... » 1,557.80 Consumo carte topografiche » 48.52 Biblioteca • . » 1,149. 25 Collezioni » 222.53 Totale . . . L. 5,331.63 L. 5,331.63 iV. Pubblicazioni : 1 Testo L. 1,141.50 Bollettino 1900 ' Tavole ed incisioni V 532. 00 ' Estratti ed accessorii » 287. 15 Totale . . . L. 2,010. 65 L. 2,010. 65 Memoria sul Vulcano Laziale - Testo L. 1,296. 55 i Carta delle Alpi Apuane al 250,000 - Stampa » 1,011.00 ' Catalogo della Biblioteca: Supplemento III ....... * 227. 82 ì Totale . . . L. 4,576. 02 L. 4,576. 02! V. Laboratorio chimico-petrografico : 1 Consumo di materiale e spese diverse L. 354. 98 1 Acquisto di un apparecchio Wallerant » 416.00 Riparazioni istrumenti . » 133. 50 i Sezioni microscopiche » 224. 70 i 1 Totale . . . L. 1,129.18 L. 1,129. 18 Da riportarsi . . , L. 33,046. 7ci 73 ^ Riporto . . . L. 33,046.73 VI. Manutenzione deU’ufficio : Acquisto di nuovi mobili (scaffalature, ecc.) L. 782.00 Riparazioni a mobili vecchi » 118.36 Totale ... L. 900.36 L. 900.36 VII. Spese diverse: Carta geologica d’Europa, rata di M. IDOO L. 2,000.00 Compensi straordinari al personale dell’ Ufficio > 680.00 Compenso al portiere dell’Ufficio di Torino » 100.00 Acquisto di macchine fotografiche » 435.50 Acquisto di barometri aneroidi » 360.00 Spese relative aH’Esposizioue di Parigi » 258. 55 Restauri al Palazzo Madama in Torino » 197.51 Spese varie » 283. 00 Somme prelevate o impegnate per scopi diversi » 6,291.90 Totale ... L. 10,605.95 L. 10,605.95 Totale speso nel ’900 . . . L. 44,553.04 Di questa somma L. 19,241 . 73 furono pagate sull’esercizio 1899-SOO, le rimanenti L. 25,311.82 sul 1900-901. Proposte per l’anno 1901. Lavori dì campaf/na. — Per la prossima campagna geologica i lavori di rilevamento e di revisione, per i quali dovrà seguirsi la norma di ricongiungersi ai lavori fatti negli anni precedenti, potranno essere distribuiti nel modo se- guente, secondo le regioni e gli operatori. Rilevamenti. Alpi Occidentali. — Lliuj. Mattirolo avrebbe da terminare il lavoro interrotto negli anni scorsi nella tavola a 1/25 m. di Chatillon I^.O, rile- vando particolarmente il Vallone di St-Barthélémy affluente di sinistra della Dora, nella quale sbocca presso IN^us, e incomincierebbe in seguito il rileva- mento della V al Toumanche, che lo occuperà certo per più di una campagna. Ulìiff. Novarese continuerà il rilevamento della lunga ed estesa Valpel- line, occupandosi in questa campagna specialmente del versante di sinistra della valle, giungendo fino ai crinali fra questa, la valle di St-Barthélémy e la Val Toumanche. Vegli scorci di stagione, quando le condizioni climatiche non permettono il lavoro nelle regioni molto elevate, continuerebbe il rileva- mento dei dintorni di Ivrea e particolarmente della Valchiusella, già iniziato ' negli anni precedenti. I I VIng. Franchi ha da completare le sue osservazioni nell’alto vallone del Miage (alta Yal Yeni) nel gruppo del Monte Bianco e, in seguito, potrebbe incominciare il rilevamento della valle di Gressoney. VIng. Stella terminerebbe il rilevamento nei dintorni del Gran San Ber- nardo (Combe des Bosses, etc.), e inizierebbe poi quello della Yalle di Chal- tant, lavorando nella buona stagione nelle parti più alte e riservando, per il fine della campagna, il rilevamento delle parti meno elevate e della regione già da lui incominciata nei dintorni di Ivrea, sulla sinistra della Bora. Tanto ring. Franchi quanto l’Ing. Stella sono ora incaricati di collaborare coiringegnere del Distretto minerario di Torino nello studio geognostico-indu- striale dei giacimenti di antracite della Yalle d’Aosta. Appennino Ligiire-Emiliano. — In questa regione l’Ing. Zaccagna pos- siede già molti dati per il rilevamento di varie tavolette, incominciate negli anni decorsi, e potrebbe quindi occuparsi nel terminare il rilevamento delle tavolette di Rapallo, Yarese Ligure, Bedonia, Bardi e inoltre di quelle di Yarazze e di Yoltaggio, quasi finite. Oltre a ciò, l’Ing. Zaccagna deve ancora fare pochissime escursioni nella regione centrale delle Apuane per eseguire alcune fotografie che, pol- la contrarietà della stagione, non potè, come fu detto, fare nella decorsa cam- pagna. L’Ing. Zaccagna è pure incaricato di collaborare con Flngegnere del Distretto minerario di Torino per lo studio dei giacimenti antracitici della Liguria. Umbria. — L’Ing. Lotti avrebbe da continuare il rilevamento delFUmbria, e particolarmente nelle tavolette contigue a quelle rilevate negli anni prece- denti,. cioè in quelle di Todi, Bevagna e Massa Martana. Particolare attenzione dovrà essere portata alla controversa questione della formazione marnosa con fossili di tipo miocenico, la quale, come fu esposto, per gli studi del Lotti ri- sulterebbe sottostante a formazioni contenenti nummuliti eoceniche. Lo studio { di tale questione richiederà l’intervento del dottor Di-Stofano, e sistematiche ricerche di fossili e, probabilmente, sarà utile alla sua risoluzione anche qualche escursione eseguita con altri operatori; intanto F Ingegnere-capo dei rilevamenti visitò già col Lotti e col Di-Stefano i dintorni di Città di Castello per lo studio della questione. Marche. — Il rilevamento delle formazioni terziarie delle Marche può venire proseguito dall’Aiutante Moderni, riattaccandosi ai lavori degli anni precedenti, terminando dapprima lo tavolette di Macerata o Porto San Giorgio, ed estendendosi in seguito in quelle di Cingoli, Montecassiano, Recanati, Po- ' tenza Picena (tutte al 25000). - 75 - Vulcani romani. — L’Ing. Sabatini potrà riprendere e completare il rile- vamento della metà orientale dei Yulsini, e quindi incominciare la revisione dei Cimini per la delimitazione definitiva delle varie qualità di lava, in se- guito al risultato dello studio petrografico fatto delle medesime. Revisioni. — Il lavoro di revisione nelle regioni dell’Italia Meridionale per le quali non si avevano studi definitivi, assume, come già fu detto, spesso il carattere di nuovo rilevamento e la necessità di suddividere specialmente le potenti pile di banchi calcarei che formano l’ossatura montuosa di quella parte della nostra penisola, richiede uno studio diligente e sistematico. Glià gran parte dell'Abruzzo Aquilano è stato attentamente studiato daH’ajutante Cassetti, sotto la diretta sorveglianza dell' Ingegnere-capo dei rilevamenti e col concorso attivo e continuo del dottor Di-Stefano ; conviene continuare questo si- stematico lavoro, nel quale si incontrano a ogni passo nuovi fatti e si stabilisce la presenza di membri della serie mesozoica, che non erano ancora conosciuti in quelle regioni: il lavoro potrà essere proseguito dallo stesso Cassetti, che ha già dimostrato di saperlo eseguire coscienziosamente. Fra le regioni più interessanti dal punto di vista geologico, per le quali il rilevamento non è ancora definitivo e che sarebbe utile ultimare essendo esse percorse annualmente da molti stranieri, è la penisola Sorrentina, col suo prolungamento dell’isola di Capri, per la quale si hanno solo lavori sommarii. Sarebbe perciò necessario di eseguire sopratutto un'accurata revisione di quelle pittoresca ma difficile regione, con speciale riguardo alla delimitazione delle dolomie del Trias superiore ivi dominanti, alla suddivisione della potente pila di calcari cretacei, a quella delle formazioni terziarie e quaternarie: tale lavoro potrà essere affidato al Cassetti, sotto la direzione dell’ Ingegnere-capo dei ri- levamenti. e interessandcf i geologi dell’ Università di Yapoli (prof. Bassani e dott. De Lorenzo) a collaborare colle loro osservazioni alla buona riuscita del lavoro medesimo. Oltre a questo lavoro, il Cassetti potrà continuare la revisione dei monti racchiudenti l'alta valle del Liri fino al confine della provincia di Boma, ri- congiungendosi all'analogo lavoro che, per questa provincia, compie l’Ing. Viola, e inoltre proseguire la revisione della parte occidentale dell’Abruzzo Aquilano nel circondario di Avezzano. Infine, l'Ing. Viola, libero da altri impegni, potrà riprendere il suo la- voro di delimitazione dei calcari secondarii e terziarii nell’alta valle dell’A* niene e, procedendo da Subiaco verso Tivoli, spingerlo per quanto è possibile sulla destra della vallata sino al bacino del Turano, cioè al limite della pro- vincia romana da quella parte. — 76 — Per questi lavori di revisione sarà necessario un largo concorso del pa- leontologo dell’Ufficio. Pubbli casioni. — Oltre al Bollettino annuale si propone la pubblicazione di una descrizione geognostico -agraria del Colle Montello dell’Ing. Stella, fatta in base agli studi colà eseguiti dal medesimo nel 1899-900, e quella di una Ap- pendice alla descrizione geologica della Calabria, contenente le osser^^azioni fatte dal dott. Di-Stefano nella parte nord di quella regione. Si incomincerebbe intanto la preparazione dei fogli senza tratteggio della contigna Basilicata, per continuare la pubblicazione della Carta al 100,000, intraprendendo contempora- neamente la stampa dei fogli della penisola Salentina che per la poca acciden- talità del terreno possono conservare senza inconveniente il tratteggio. In base a queste proposte, il riparto preventivo della spesa per Fanno corrente si potrebbe stabilire come segue : Rilevamenti ed escursioni diverse L. 18,000 Spese d’ufficio, assegni al personale straordinario, ecc » 15,000 Bollettino » 2,000 Stampa di otto fogli della Calabria » 3,000 Memoria sul Colle Montello » 1,500 Appendice alla Memoria sulla Calabria » 500 Carta al 100,000 senza tratteggio » 4,000 Spese diverse ed impreviste » i,000 Totale . . . L, 45,000 IS". Pellati. APPENDICE. VITI COT^GEESSO GEOLOGICO IRTEEN'AZIOKALE. (Parigi, 1900). Escursione nelle Alpi del Delfinato e al Monte Bianco. — A questa importante escursione presero parte, in seguito ad autorizzazione del Ministero, oltre al sottoscritto, gli ingegneri Zaccagna, Mattirolo, Franchi e Stella e il dottore Di-Stefano. Essa In eseguita dal 30 agosto al 9 settembre sotto la direzione dei professoi-i AV. Kilian e Marcel Bertrand. La scelta di questa escursione, a preferenza di altre proposte per regioni limitrofe, era determinata non solo daH’interesse che poteva presentare lo studio di una completa serie di terreni, dal cristallino antico e dal paleozoico al ter- ziario, per molti dei quali si hanno i rappresentanti nel nostro territorio, e del loro complicato assetto tettonico nel versante francese delle Alpi, ma altresì dal fatto che attualmente i nostri rilevamenti geologici hanno raggiunto il massiccio del Monte Bianco e conveniva non lasciar sfuggire una così propizia occasione per studiare sul posto nel versante francese la continuazione e il collegamento stratigrafico e tettonico dei terreni che circondano il massiccio del Olente Bianco con quelli del nostro versante, confrontando le nostre idee e le nostre vedute con quelle dei geologi francesi, che in questi ultimi anni illustra- rono così sapientemente la costituzione geologica della regione. La riunione degli inscritti alla escursione si tenne il 30 agosto nel gabi- netto di geologia della Facoltà delle Scienze di Grenoble, deve il prof. Kilian, che doveva dirigere la prima parte della escursione, e i suoi collaboratori M. Paul Lory, M. Pagnier, ecc., fecero visitare agli intervenuti le ricche col- lezioni di roccie e fossili delle località da percorrersi. Dall’alto del palazzo del- rUniversità, col favore di un tempo splendido, si potè acquistare un primo orientamento per la visita della regione, distinguendo nettamente l’aspetto di bianchi dirupi che le catene calcaree della Zona Subalpina (Oh. Lory) elevan- tesi a O. a V. e a V.E della città presentano in confronto di quello a creste dentellate e dirupate delle catene che si ergono a sud e ad est, dovuto alla presenza dello roccie cristalline più antiche, mentre fra queste elevazioni si — 78 - stendono le ampie e fertili vallate del Drac e dell’Isère, scavate qui in calcari marnosi e scisti giuresi e ammantate da potenti depositi alluvionali. Kel pomeriggio della stessa giornata i congressisti assistevano a una im- portante conferenza sulla industria dei cementi in Delfinato, che fu tenuta dal signor A. Primat, ingegnere governativo delle miniere. La sera stessa il Maire e la Municipalità di Grenoble invitarone i con- gressisti a un brillante ritrovo aH’Hòtel de Ville, e al mattino del 31 agosto cominciò, sotto la direzione del prof. Kilian, la prima parte della escursione. Prima però di descrivere particolarmente le escursioni sarà utile di rias- sumere dal Livret Guide, pubblicato per cura del Comitato ordinatore del Con- gresso, le principali caratteristiche geologiche delle regioni da visitare. Per la parte settentrionale delle Alpi francesi furono già da vari autori stabilito le seguenti suddivisioni in riguardo alla loro struttura geologica fonda - mentale. A. Lo catene calcaree della Zona Subalpina (Ch. Lory) costituite da ter- reni giuresi e cretacei, fra le cui pieghe sono racchiusi depositi, essi pure ripie- gati, di molasse marine mioceniche. La sona Subalpina comprende a nord di Grenoble il massiccio della Grande Chartreuse, cui fanno seguito verso S-0 le montagne di Lans, del Royans e del Yercors. B. Il limite interno delle catene calcaree della zona precedente, limite su • balpino, è marcato da una serie continua di depressioni, lungo affioramenti di strati marnosi e scistosi giuresi e basici, la quale separa le catene precedenti dalla sona cristallina del Delfinato (1^ sona alpina o sona del Monte Bianco di Ch. Lory), caratterizzata dalla presenza di elevati massicci in cui una profonda erosione ha messo a nudo l’ossatura cristallina. Questi massicci cristallini for- mano dal jS'.O al S.E due serie parallele, di cui la più esterna comprende le Aiguilles Rouges e il gruppo di Belledonne, mentre più indietro il Monte Bianco, il Rocheray, le Grandes Rousses e il Pelvoux costituiscono altrettante amicjdaloidi, o fasci di pieghe localmente sopraelevate in mezzo a una striscia sinclinale di depositi basici e giuresi. Caratteri comuni a tali massicci sono lo sviluppo che vi prendono gli scisti cristallini e le roccie granitiche, la esistenza di discordanze pre-carbonifere e pre-triasiche, la riduzione del Trias, il facies di depositi marnosi [vaseiix) del Giurese inferiore e medio, infine il fatto che le pieghe pre-triasiche {Erciniane) non coincidono sempre con le pieghe più recenti post-giuresi o post-eoceniche {pieghe alpine), essendo queste ultime in generale molto accentuate e spesso ribaltate verso l’esterno della catena. C. All’Est della zona precedente si ergono montagne a struttura più variata, costituenti la Zona del Briansonese (Diener). In esse le arenarie con antracite - 79 - del Carbonifero formano generalmente il terreno più antico, il Trias vi acquista im grande sviluppo con un facies speciale di quarziti bianche, di gessi, di car- niole e di dolomie, il Lias diviene roccioso e brecciforme, il Ginrese superiore prende l’aspetto di calcari marmorei o di scisti marnosi fogliettati, finalmente i potenti depositi detritici e scistosi del Fljsch raggiungono grande sviluppo specialmente nel tratto occidentale della zona (2^^^ Zona Alpina di Lory, sona (Ielle Aignilles (V Arves di Hang). La caratteristica tettonica della zona del Brian zonese è la disposizione delle pieghe a ventaglio composto, la cui parte assiale è data da una zona anticlinale di arenarie del Carbonifero ; a est di questa zona assiale le pieghe sono isoclinali e aporte Aderse Tltalia, ad oA^est sono ribaltate A^'erso la Francia e tormentate da numerose faglie con stiramenti, che danno alla regione la .s- Ira Un / v/ / m bri ca la . D. Finalmente la sona del Piemonte (Hang), {sona del M. Rosa o 4^ sona alpina del Lory) a struttura isoclinale, con pieghe ribaltate Aderse est, costi- tuita in parto dai calcescisti [scltisles Insfrés) con pietre A^erdi basiche interstra- tificate, cui fanno seguito A-orso est delle assise gneissiche, riferite dai geologi francesi al Permo-carbonifero. L'escursione doA^eA^a comprendere la AÙsita delle tre zone A, B, C, essendo i primi tre giorni destinati allo studio stratigrafico o tettonico delle catene sub- alpino, dapprima nella bella Stretta dell’Isère a Agallo di Grenoble poi traA^er- sando completamente la zona da S. Nazaire a Grenoble per il Royans, il Vercors, Yillard de Lans o Col de FArc. IMel quarto giorno si doA^eAm altra- A^ersaro la zona del Del finato coi suoi massicci centrali, risalendo le gole delle Romanclie, ed esaminando più specialmente Festremità meridionale del mas- siccio delle Rousses e il margine settentrionale del PeHoux. La 5^ e 6^ giornata erano destinato alla zona del Brianzonese ed rillo studio delle facies speciali dei suoi depositi, delle rocce intrusÌA"e e della struttura tettonica imbricata. A tpiesto punto il prof. Kilian doA^OAm lasciare la direzione delle gite al prof. ^Marcel Bertrand, col quale era proposto di AÙsitare la estremità meridio- nale del ^I. Bianco o i complicati fenomeni tettonici del Mont Joly e regioni circostanti, terminando la escursione a S. GerAmis les Bains, con escursione facoltatiA'a il 9 settembre a Chamounix. Il programma stabilito nel Livret (jnide si SAmlse, meno qualche insignifi- cante A'ariazione, con grande regolarità, ed ora Amrrà esposto partita mente quanto A'onne osserA^ato. Prima parte delV escursione. 31 agosto. — Partiti al mattino da Grenoble in carrozza venne percorsa la chiosa deirisère a valle della città, con lo scopo di studiarvi specialmente il Ginrese superiore (Titonico), che presenta nella regione due facies speciali, cioè quella di depositi marnosi {vasenx) a cefalopodi e quella di scogliere, e di esaminare inoltre la tettonica generale di queste catene più esterne del si- stema alpino. La presenza di due facies speciali del Titonico è analoga a quanto si verifica in Sicilia, dove pure quel terreno si presenta con due facies carat- teristiche, cioè quella a straterelli di calcari compattissimi o marnosi a cefalo- podi {latfimnsa) e quella di calcari cristallini a grandi banchi e a scogliera con coralli e brachiopodi {ciaca). La valle dell’Isère è tagliata qui quasi nel senso della direzione degli strati e perpendicolarmente al senso della piega principale, che vi ha 'disposi- zione anticlinale. Salendo a piedi dalla strada rotabile per il sentiero che conduce ad Aizy si osservarono bajichi di calcari marnosi cerulei con Hoplites callistoides Behr, ecc., del Berriasiano (IN’eocomiano inferiore) su cui riposano direttamente ijcalcari marnosi, così importanti nella regione per la floridissima industria dei cementi, detti della Porte de Prance. Nel continuare la salita verso l’altipiano di Aizy si trova il Titonico inferiore e superiore, a facies di marne con cefalopodi, con intercalazioni di una caratteristica breccia {hrèche d'’AÌ8ij). I banchi marnosi cambiano gradatamente di natura e formano continua- zione coi banchi a carattere di scogliera dell’Echaillon, che si vedranno più tardi. In un ricco giacimento fossilifero scoperto in questa località da M. Gevrey, consigliere d’appello a Grenoble, si poterono raccogliere in scavi appositamente preparati vari fossili caratteristici. Ridiscesi alla rotabile e riprese le vetture, si proseguì per l’Echaillon, dove una piega anticlinale fa ricomparire sotto potenti banchi cretacei le for- mazioni giuresi. All’Echaillon, come venne accennato, esse hanno carattere di scogliera che si estende in alto fino a comprendere parte del Neocomiano inferiore. Le for- mazioni giuresi e cretacee di queste località sono state minutamente studiate e illustrate con numerosi lavori dai geologi francesi, i quali grazie alla fre- quenza e ricchezza dei giacimenti fossiliferi e ad altre favorevoli circostanze, poterono stabilirvi una sicura e completa suddivisione delle serie fra il Tito- nico che forma all’Echaillon la base del promontorio e l’Urgoniano di cui è costituita la sommità a 993 metri sul mare. J^'el Lìvret Guide già citato e nel suo importante complemento Notices géologiqiies sur divers points des Alpes FrauQaises, etc., par W. Kilian et P. Lorj, Grenoble 1900, sono riassunte ed esposte con gi*ande copia di particolari e di sezioni tutte le cognizioni che si hanno attualmente su questa serie caratteristica. I calcari deU’Echaillon hamio speciali proprietà per l’edilizia e furono già largamente usati fino dal tempo dei romani e nel medio evo. Attualmente vi sono aperte due grandi cave (appartenenti ai signori Biron e Milly-Brionnet), i cui prodotti sono assai ricercati in tutta la Francia e vengono anche espor- tati. La pietra è a grana fina, non molto dura, ma di grande omogeneità, di colore bianco latteo, talvolta rosato, facile alla lavorazione e suscettibile di grande finezza di polimento, e può fornire massi di grandi dimensioni. I proprietari delle cave furono larghi di cortesie ai congressisti e li ac- compagnarono nella visita dei lavori, che sono condotti per sotterranei sboccanti a varie altezze (fino a 130 metri sul fondo della valle) nella ripidissima parete rocciosa. La lavorazione si fa per grandi gallerie e pilastri e gli scavi hanno spesso più di 20 metri di altezza per tutto lo spessore del banco utilizzabile. Xella cava Biron si potè vedere in azione anche un apparecchio a filo elicoi- dale per la suddivisione dei massi abbattuti con mine e cunei, dopo averli iso- lati con sottoscavi. II calcare bianco non forma un vei‘o strato ma bensì una intercalazione lenticolare di potenza variabile; esso è formato quasi per intero da frammenti di polipai, briozoi, echinodermi, ecc., in un cemento talvolta amorfo, talvolta ri cristallizzato, con frequenti foraminifere, e all’analisi si riconosce come un calcare assolutamente privo d’argilla, chimicamente puro o leggermente ma- gnesiaco. La sua fauna è riccliissima e caratteristica del facies a scogliera del Port- landiano superiore; essa è conosciuta per numerose monografie e il Museo del - riTniversità di Grenoble ne contiene ricche collezioni. Dopo la visita delle caA^e deirEchaillon e dopo un cordiale ricevimento in casa di M. Biron, si proseguì in carrozza lungo la valle dell’Isère, ferman- dosi poi la sera a S. Marcellin. settembre. — Aella escui*sione di questa giornata e delle susseguenti si doveva compiere la traversata del Royans e del Yercors, lungo una sezione trasversale della catena subalpina, parallela a quella visitata il giorno prece- dente lungo risère. Partiti in ferrovia alle 0 da S. Marcellin e raggiunta la stazione di Saint Aazaire si cominciò a percorrere in carrozza la bellissima strada che scorrendo — 82 - prima sulla sinclinale terziaria (mollasse mioceniche) della vallata e internan- dosi poi nelle tortuose e dirupate gole delle Bourne raggiunge, a m. 950 di altitudine, Yillard de Lans. Alla entrata nella gola presso d pittoresco villaggio di Pont en Royans, sotto le mollasse mioceniche a Ostrea crassissima affiorano, fortemente raddrizzati, dei banchi di arenarie bianche eoceniche e strati di arenarie quarzose e di calcari cristallini del Senoniano. Questi posano diretta- mente, talvolta con intercalazione di un sottile banco di calcare a glaucoma rappresentante il Gault, sui calcari cristallini delFUrgoniano, profondamente intagliati dal corso della Bourne. Più oltre s’incontrano banchi di calcari a Toxaster retiisiis (Barremiano) e si traversa la sommità di un’anticltnale, che forma continuazione con quella già precedentemente esaminata all’Echaillon. Il più basso terreno affiorante è qui il Berriasiano a Hoplites callistoides. Presso Choranche s’incontrò la serie del Cretaceo inferiore con tipo alquanto diverso da quello dei dintorni di Grenoble, e percorrendo poi l’altro ramo della anti- clinale si ritrovarono i banchi a Toxaster retnsus, indi i potenti calcari lU’go- niani, il Gault e il Senoniano che si vede immergersi, con inclinazione verso Est, sotto i conglomerati miocenici. Continuando a risalire la valle s’ incontra una grandiosa gola, chiusa fra altissime pareti di calcari urgoniani, simili per l’aspetto e per i fossili a quelli di analoga età, così sviluppati nel nostro Ap- pennino meridionale. La gola si allarga un poco dove l’Urgoniano s’immerge sotto i depositi del Gault, e la strada, dopo oltrepassato un affioramento di lumachella dell’Albiano, ricca di briozoi, echinidi, brachiopodi e osti'acee entra nel vasto bacino sinclinale di Yillard de Lans, colmato da depositi miocenici coperti a loro volta qua e là da formazioni glaciali. 2 settembre. — Una piccola parte dei congressisti, dopo visitato il giaci- mento fossilifero di La Eange, a breve distanza da Yillard de Lans, partì da questo paese in carrozza per scendere direttamente a Grenoble. La maggior parte invece preferì salire a piedi al Colle dell’ Are (m. 1743) per discendere poi di là a Pont de Claix. Con questo secondo itinerario si aveva il vantaggio di continuare a percorrere verso Est il profilo visto nella giornata precedente, fino oltre al margine Subalpino, e di studiare le interessanti pieghe aperte verso Est e ribaltate verso l’interno della catena. Partendo di buon’ora da Yillard de Lans si incontrò il ramo orientale della sinclinale coi terreni disposti nel loro ordine naturale e cioè dapprima il Senoniano immergentesi verso ovest sotto il Miocene del bacino di Yillard, indi il Cenomaniano, l’Albiano e l’Urgoniano a facies di scogliera nei monti che fiancheggiano la depressione del colle. Appena incominciata la discesa verso la valle del Drac si incontrarono sotto i calcari urgoniani gli affiora- menti del Barremiano a Toxaster retiisiis, ricco di fossili di cui si potè fare discreta raccolta, disposto a cerniera anticlinale fortemente ripiegata a strati- ficazione quasi verticale. Procedendo nella ripida discesa si incontrarono di nuovo i membri superiori della serie, cioè l’Urgoniano indi il Gault costituente il nucleo di una sinclinale aperta dal lato della valle, poi di nuovo TUrgoniano e i membri più antichi della serie cretacea fino allo Hauteriviano (IS'eocomiano inferiore), che affiora nelle più basse sponde della valle del Drac. I congressisti tornarono a Grenoble, secondo il programma, servendosi del tramv'ay che venne preso a Pont de Claix, e così ebbe termine lo studio assai particolareggiato della catena Subalpina, che ci venne reso agevole dalla pro- fonda e sicura conoscenza di quelle formazioni e del loro assetto tettonico pos- seduta dal prof. Kilian e dal prof. Paul Lory; nonché dairincontro di nume- rosi giacimenti di fossili caratteristici. Massicci centrali della sona del Delfìnato, Serie del Briansonese. 3 settembre. — Al mattino si partì in ferrovia per Jarrie-Vizille e di là in tramway per Bourg d’Oisans, percorrendo da Yizille fin qui la valle infe- riore della Romanche. Lungo il .rapido percorso ci vennero indicati dapprima dei banchi ondulati di calcari basici appartenenti al margine sedimentario della catena cristallina di Belledonne. i quali presso Yizille poggiano su gessi triasici con disposizione anticlinale. Presso Séchilienne si entra nella formazione cri- stallina, la quale viene attraversata iji una profonda gola, a pareti costituite da anfiboliti, gneiss aiifibolici, micascisti, scisti cloritici e sericitici, cipollini, eclo- giti, gabbri, ecc., in cui sono parecchi giacimenti metalliferi, soprattutto di siderite. La vallata si allarga in seguito, e le sponde ne sono formate da calcari e scisti neri basici (facies delfinese) che formano qui una ampia sinclinale fra b massiccio di Belledonne e quello delle Grandes Rousses. Presso Bourg d’Oisans (m. 729) ricompaiono sotto il Lias le roccie cri- stalline (graniti e micascisti), le quali fanno parte del massiccio delle Grandes Rousses ergentesi principalmente a nord della Romanche. Yi si contengono filoni di quarzo con pirite e oro nativo, alcuni dei quali furono già lavorati a La Gardette, sulla sponda sinistra della valle. Da Bourg d’Oisans si continua a risalire in vettura la valle della Ro- manche, osservando forti discordanze fra i terreni sedimentari (Lias) e il cri- stallino: al Pont S. Guillerme spunta un affioramento di granito del Pelvoux e degli gneiss con filoni di apbte. Si penetra quindi neUa pittoresca gola della -- 84 — Roiiiiiuche, che Aàene costeggiata lungo la sponda destra, entro banchi quasi verticali di scisti cristallini, sormontati qua e là da lembi discordanti di Trias e di Lias. Presso il villaggio di Le Preney è racchiusa nel cristallino una sinclinale di Carbonifero (scisti grigi e verdi e puddinghe con elementi di micascisti), la quale racchiude un nucleo di scisti basici e di Gliurese inferiore (Legger a Posidonomija alpina). In questa piega si osservarono tufi eruttivi e intrusioni di ortofiri. Si ritrovano poi gli scisti cristallini e quindi un’altra sinclinale con Carbonifero, e più oltre ove la valle si allarga, rimpetto a Mizoen, una vasta sinclinale basica e giurese con asse normale alla valle, e che separa il massiccio delle Grandes Rousses da quello del Pelvoux. Ivi si trovano il Lias inferiore rappresentato da calcari ad Arietiti, gli scisti basici e il Dogger. Ael ramo orientale della sinclinale appare anche il Trias, costituito da arenarie brune, dolomie e carniole. Dopo questa sinclinale la valle si restringe ancora, essendo incisa negli gneiss a banchi verticali della parte A.O del massiccio del Pelvoux, e la strada continua profondamente incassata nella gola finché si giunge a La Grave, in un’altra sinclinale basica aprentesi alle falde dell’imponente e dirupata massa della Mèije, una delle diramazioni più importanti e più ardue del gruppo del Pelvoux. 4 settembre. — Si parte da La Grave al mattino di buon’ora per la strada rotabile che conduce al Colle del Lautaret (m. 2075), percorrendo la quale si costeggia a sinistra e si ha sempre in vista il maestoso massiccio della Mèije coi suoi vasti e ripidi ghiacciai e con le sne aspre cime. La Mèije è costituita da granito laminato in massa formante apparente- mente un’anticbnale amigdaloide ribaltata su una sinclinale basica a strati quasi orizzontali, i cui scisti neri si debneano nettamente sotto b granito a piedi dei ghiacciai. Secondo gli importanti studi del Termier, il fianco supe- riore di questa sinclinale presenterebbe traccie di importanti stiramenti, in modo da sembrare che il granito riposi direttamente sugli scisti basici. La sinclinale basica ha il suo asse diretto S.O-!N.E presso il ghiacciaio della Mèije, ma più in basso al livello della Romanche l’asse si inflette e gli strati si raddrizzano con direzione iST.O-S.E. In questa stessa zona tettonica si ergono più a Hord, come già fu accennato, i massicci del Rocheray e del Monte Bianco. La strada corre sugli strati bsiaci e giuresi a pieghe ribaltate verso Ovest, in qualcuna delle quali spunta anche il nucleo triasico. Presso l’Ospizio del Lautaret dominano i depositi basici, rappresentati da calcari con belemniti: a ™ 85 — Est e a X.E del Colle si stende un deposito di Elyscli che segna il limite occidentale della Zona del Briansonese, e si nota un cambiamento graduale nell’aspetto delle formazioni sedimentarie più antiche a misura che si procede verso Est, in modo da raggiungere gradatamente il caratteristico facies di quella zona, la quale, secondo l’arditissima ipotesi messa avanti dal Termier, dovrebbe rappresentare, invece che una continuazione delle zone più occiden- tah con facies differente, una massa esotica o scaglia, proveniente da lontane regioni e ivi trasportata {cliarriéé) scorrendo sulle formazioni preesistenti. La discutibilità di questa teoria fu nel seguito della nostra escursione chiaramente dimostrata, soprattutto dopo aver viste le pile di strati del Monte Joly, appartenenti a una serie di pieghe complete, coricate fino all’orizzontale. Tale fenomeno, il cui ripetersi in altri punti e anche su più grande scala attorno ai grandi massicci alpini, non può revocarsi in dubbio, foruireblTe la spiegazione di molte complicazioni e sovrapposizioni stratigrafiche a prima ^dsta indeci- frabili. Arrivati alTOspizio del Lautaret (m. 2057) nelle ore antimeridiane, se ne ripartì poco dopo per la strada di Brian9on. che venne discesa in carrozza lungo la valle della Giiisane fino al Lauzet. Qui si lasciarono le carrozze e si cominciò a risalire il sentiero che conduce all’Alpe di Lauzet, con lo scopo di esaminare i terreni della zona del Brianzonese e la loro singolare disposizione tettonica. La serie di terreni ha in questa valle laterale disposizione isoclinale con pendenza generale degli strati verso A.E, e vi si nota una successione di pieghe anticlinali e sinclinali, alcune delle quali si sovrappongono l’ima all’altra lungo superficie di stiramento in modo da presentare la cosi detta struttura imhricata. La complicata tettonica si osserva lungo i due fianchi della valle, in cui si vede dapprima iin’anticlinale ribaltata di calcari lisiaci, riposanti su scisti eocenici e sormontati da ima stretta sinclinale, essa pm-e di scisti eocenici. Questi sono nettamente separati dai sovrastanti terreni da una superficie for- temente stirata, che era stata considerata dal Lory come una faglia (faille de Terre A'oire). Al disopra di questa superficie si presenta una sinclinale com- pleta, che si estende fino al Colle del Grand Galibier, in concordanza con la serie precedente, e nella qiiale si riconoscono dapprima i depositi arenacei e piiddingoidi del Carbonifero, indi le quarziti e dolomie del Trias, il Lias brec- cioide {Brèche da Télég rapite di M. Kilian), i calcari del Lias, il Maini, serie che si ripete fedelmente nell’altro ramo della sinclinale, e che venne seguita passo a passo fino a ritrovare in alto i banchi del Carbonifero con antracite {Lepidodendrou, Calamites, Sìgillarìe^ ecc.), lavorati al Col du Chardonnet. 6 86 ^ Qui si trovano intercalate in concordanza nei banchi del Carbonifero dello numerose intrusioni di microdioriti, già segnalate da Elie de Beaumont, che fece anche notare la trasformazione che in loro vicinanza subisce Fantracite in grafite. Dal Chardonnet si proseguì per il Col de la Ponsonnière e si discese fino al di là del laghetto omonimo per osservarvi un interessante affioramento di calcari con Aptici, Lytoceras, Phylloceras, ecc., del Malm, riprendendo in seguito la via già percorsa fino al Lauzet per ritrovarvi le carrozze, che a tarda ora ci ricondussero al Lautaret. ò settembre. — La giornata era destinata allo studio della parte occiden- tale della zona del Brianzonese, seguendone le modificazioni verso nord fino alle rive dell’ Are in Savoja. Prima però di lasciare la regione del Lautaret si visitarono alcuni impor- tanti depositi di tufi calcarei pleistocenici con Helix alpina e foglie e strobili di pimis uncinata^ pianta che non vegeta ora più nella regione. Si partì poi in carrozza per la bella strada rotabile che dal Colle del Lautaret si dirige a quello del Grand Galibier che viene sorpassato all’altezza di m. 2600 per discendere di là verso la valle dell’ Are. Diramandosi dalla strada percorsa il giorno precedente, quella del Galibier si svolge dapprima con numerose risvolte su una ripida costa di scisti argillosi eocenici inclinati verso IN'.E, in mezzo ai quali una serie di pieghe-faglie fa comparire zone an- ticlinali di terreni più antichi, dando luogo alla caratteristica struttura imhricata. Così, dopo una prima fascia di scisti eocenici, si vedono posare in concor- danza su questi dei calcari Basici formanti anticlinale ribaltata, al di là dei quali ricominciano e si seguono per lungo tratto della salita gli scisti eocenici. Una prima piega- faglia porta direttamente in contatto sugli scisti, e in concor- danza con questi, le quarziti e i gessi del Trias inferiore, su cui seguono i calcari lisiaci, gli scisti e marmi giuresi racchiudenti in una stretta piega gli scisti eocenici; al di là di questi la serie si ritrova ripetuta in senso inverso fino ai calcari Basici. Una seconda piega-faglia fa posare su questi i gessi del Trias, indi si trovano di nuovo le testate dei calcari Basici e giuresi, quindi una terza faglia che porta a giorno le arenarie carbonifere, le quarziti, car- •niole, gessi e calcari del Trias. La cima del Grand Galibier è in calcari tria- sici sempre inclinati verso IN’.O e al di là di questi s’incontra una piega sincli- nale, pure essa ribaltata in concordanza, racchiudente entro calcari lisiaci dei calcari rossi con Aptychus del Titonico. Al colle stesso il tunnel della rotabile traversa un’antictinale di gessi triasici, nei cui affioramenti sono frequenti le caratteristiche cavità imbutiformi, dovute a sprofondamenti sotterranei, j 'i j s I h i' La sinclinale del Grand Galibier, i cui affioramenti di calcari liasici spun- tano dai nevai del versante orientale, si estende poi verso S.E nella regione visitata nella precedente giornata. IN'ella lunga discesa verso la valle dell’ Are si videro vari depositi glaciali e si continuò ad osservare la disposizione tettonica della regione, nella quale ora compaiono, sopra i depositi carboniferi, anche quelli permiani in forma di conglomerati rosso-vinaccia, con scisti rossi e verdi contenenti ciottoletti di quarzo, presentanti grande analogia colle sincrone formazioni delle Alpi occi- cidentali (Colle di Tenda, ecc.). La strada fiancheggia le pendici orientali della Roche Olvera, indi passa e si svolge sul fianco destro del vallone di Yalloire, avendo a est l’elevato contrafforte della Grande Pare e della Setaz, ove i terreni sono disposti in una serie di pieghe coronate in alto da una sinclinale molto stretta di Lias breccifornie (brèche du Télégraphe) racchiudente anche strati giuresi. Dopo il villaggio di Bonnenuit le pendici inferiori di questo contrafforte son formate da scisti eocenici, su cui per lungo tratto si svolge la strada: i depositi terziari si sviluppano poi ad ovest della valle e formano gli acuti picchi, conosciuti sotto il nome di Aigiiìlles (VArves (puddinghe eoceniche), che si intravedono dai pressi di Bonnenuit. Si continua quindi a discendere la vallata di Yalloire aperta nel prolun- gamento settentrionale del fascio di pieghe del Galibier. La sua parte inferiore sotto Yalloire è profondamente incassata in una grande sinclinale di Trias, contenente scisti del Lias superiore, al di là della quale si trovano altri fasci di pieghe. Dopo Yalloire si passa in galleria il contrafforte del Telegrafo, dove si presenta la caratteristica breccia basica a banchi quasi verticali, indicata dap- prima per questa località dal prof. Kilian e riconosciuta poi in numerosi punti delle Alpi francesi, dove costituisce un importante orizzonte stratigrafico. Essa raggiunge talvolta una grande potenza e comprende tutta la serie fra il Trias e il Maini, ed è rappresentata secondo Steinmann anche nei Grigioni e secondo ring. Franchi pure nelle Alpi Marittime. La strada prosegue poi su strati rialzati di scisti infraliasici, di gessi e di arenarie carbonifere, in cui esistono anche alcune escavazioni di antracite, e continua su questo terreno spesso coperto di depositi glaciali fino a S. Michel de Maurienne. Lasciate a S. Michel le carrozze, si prese il treno che per S. Pierre d’ Al - bigny ci condusse a sera avanzata ad Albortville, terminando qui la prima parte della escursione. - 88 — ■TI 2» Parte delV escursione. Isella seconda parte deH’escursione si doveva visitare, guidati dalFemi- nente prof. M. Bertrand, Testremità meridionale del massiccio del Monte Bianco e le grandi pieghe coricate dei terreni sedimentari che da questo lato vi si addossano, e specialmente la pila di pieghe del Monte Joly, che secondo Fopi- nione del Bertrand non costituisce una eccezione ma si deve considerare come testimonio, lasciato sussistere dall’erosione, di altre pieghe analoghe più a Sud i ora completamente asportate. 6 settembre. — Si parti in carrozza da Albertville per la strada che, trac- ciata lungo la valle del Doron, affluente dell’lsère, conduce, risalendo poi la valle del Dorinet, a Haute Luce attraversando gli scisti cristallini del prolun- gamento principale della Catena di Belledonne, in sui sono pizzicate due sin- clinali di Carbonifero, Fima presso il Ponte di Rocheyers l’altra presso Haute Luce (m. 1553), dove si arrivò nelle ore antimeridiane. A Haute Luce la valle del Dorinet, che conduce al Col Joly, si allarga, e i due versanti hanno carattere differente presentandosi quello di destra a pendenze ripide coi terreni disposti a pieghe verticali stipate, mentre quello di sinistra ha pendenze più dolci ed è formato di strati poco ondulati, che sem- brano rappresentare una pila normale e regolare, mentre invece si è in pre- senza di una serie di pieghe sovrapposte orizzontalmente e delle quali si ritrovano nella opposta sponda i raccordanienti quasi verticali. Da Haute Luce dopo breve percorso in carrozza nella valle superiore del Dorinet si prese a destra il sentiero per il Lago della Girotte. Presso Annuit, dove si lasciarono le carrozze, affiorano delle quarziti con grossi nuclei di quarzo e poco oltre delle puddinghe carbonifere rappresentanti il nucleo di una prima anticlinale. Risalendo le pendici del versante a sinistra si passa prima su una potente fascia di Lias, poi su quarziti triasiche che vengono a giorno in una nuova anticlinale, nel cui nucleo compaiono il Carbonifero e gli _ l scisti cristallini. i Attraversata la cresta sui Chàlets de la Commanderie a 1934 metri si | i discende al lago della Girotte (m. 1730), che, allungato nel senso IN'.E-S.O e con. i| ' una profondità massima di 99 metri, venne da alcuni autori attribuito a uno spro- j a fondamento (fenomeno carsico) avvenuto nelle roccie triasiche. Però l’aspetto delle sue sponde e soprattutto del tratto H.O, dove si apre l’emissario, indica ' i chiaramente il risultato di una intensa erosione glaciale con caratteristici ar- | rotondamenti di roccie, in modo che, senza escludere assolutamente la possi- i ^ w -- 89 - bilità di un primo abbassamento del terreno avvenuto per fenomeni carsici, si può ragionevolmente attribuire la forma attuale del bacino a una successiva azione glaciale. Il bacino è scavato col suo asse quasi normale alle pieghe del terreno e percorrendone le sponde si osserva una serie di pieghe sinclinali e anticlinali stipate, nelle quali affiorano alternativamente scisti cristallini, pud- dinghe carbonifere, quarziti e carniole triasiche, calcari e scisti liasici ; nel ver- sante S.E le pieghe sono quasi verticali mentre dal lato opposto esse si vedono notevolmente ribaltate verso IN’.O. I banchi paralleli di questo fascio di pieghe si vedono continuare verso il Mont Joly. iS'el discendere dal lago verso la valle del Dorinet per tornare a Haute Luce si osservò un’antica escavazione di antracite e una cava di scisti arde- siaci, indi per la strada in parte percorsa al mattino rientrammo in quello abitato. 7 srffeinbre. — L’esame del fascio di pieghe coricate del Mont Joly era lo scopo della escursione. Partendo di buon’ora da Haute Luce si salì dapprima in direzione jNT.O verso Los Combes e quindi Les Moillés (m. 1766), oltre- passando una serio normale o regolare di strati inclinati verso S.E, costituiti da puddinghe carbonifero con ciottoli di granito, da scisti quarzosi rosso-vi- naccia del Permiano, da quarziti e carniole triasiche o da Lias calcareo e scistoso. Dirigendosi verso il Col Vory si trovano nettamente intercalate nel Lias tre zone anticlinali triasiche (carniole o gessi con numerose cavità imbutiformi), in lina delle quali affiora anche il nucleo carbonifero. Le pieghe sono cori- cate fin quasi aH’orizzontalo e i banchi sono leggermente ondulati e si vedono formare la continuazione, interrotta dalla erosione, delle pieghe quasi verticali della sponda ojiposta, esaminate il giorno innanzi. Venne raggiunto il Col Very (m. 1988) aperto entro banchi orizzontali di carniole triasiche, e percorrendo la falda meridionale delle Aiguilles di Mont Joly si arrivò al Col Joly (m. 1930), dove il fascio di pieghe viste il giorno precedente si stringe producendo una fitta alternanza di carniole, di gessi e di scisti liasici. Vel fianco meridionale delle Aiguilles di Mont Joly si riconoscono tre pieghe coricate, delle quali la piò occidentale mostra gli scisti lisiaci racchiusi nei calcari del Lias inferiore, su cui posano le carniole triasiche, indi di nuovo i calcari liasici, gli scisti e finalmente i calcari liasici formanti la cresta. La serie è orizzontale e si deve agli studi del Ritter e del Bertrand la esatta interpre- tazione di un fascio di pieghe coricate, le quali hanno le loro radici nel fianco sinistro della valle in pieghe verticali o ribaldate verso R’.O, e proseguono poi con disposizione orizzontale a V.O del Col do Very nella Créte du Calvairo. Dal Col Joly si cominciò quindi la discesa verso la valle di Nant-Borrant che ha le sue origini al Col ^du Bonhomme, incontrando un affioramento di scisti cristallini diramantisi dal Monte Bianco, quindi quarziti e carniole tria- siche e calcari e scisti del Lias, e si raggiunse alla sera l’Albergo alpino di IS'ant Borrant (m. 1457), posato su scisti cristallini della prossima catena di Roselette. 8 settembre. — Si doveva in questa giornata esaminare la estremità me- ridionale del Monte Bianco, risalendo la valle di R'ant Borrant fino al Col de la Croix du Bonhonime (m. 2483), e ridiscendendola poi fino a S. Gervais les Bains. Il cattivo tempo non permise di raggiungere il Col de la Croix e si toccò soltanto la cima del Col du Bonhomme. Salendo la valle si potè ricono- scere la disposizione delle pieghe uniformemente ribaltate verso A.O. traver- sata l’antica morena del ghiacciaio ai Trélatète si incontrano i banchi del Lias scistoso, poi quelli del Lias calcareo inclinati verso S.E e facenti parte del ramo inferiore delle sinclinali di Kant Borrant. Al di là di Pian Jovet si in- contra un’anticlinale, in cui in mezzo a strati calcarei basici affiorano con con- tatti nettissimi gli scisti cristallini. Oltrepassati i banchi calcarei affiorano di nuovo gli scisti cristallini racchiudenti una sinclinale di Carbonifero con nucleo triasico. Il sentiero sale rapidamente, traversando varie pieghe, in una delle quali al Pian des Dames è racchiusa una breccia, che richiama la breccia del Telegrafo e che contiene belemniti. Le pieghe sono molto stipate e i loro membri si presentano fittamente alternati, assottigliati e stirati. Sorpassato questo fascio laminato si trova un nuovo affioramento di scisti cristallini, co- perti da una calotta molto regolare e poco tormentata di terreni sedimentari, in, modo che al Rocher du Bonhomme, torreggiante presso il colle, si hanno strati quasi orizzontali. Al Col des Fours, che si doveva raggiungere secondo il programma, ciò che fu impedito dal cattivo tempo, si sarebbero trovati i grès singnliers di De Saussure, arenarie con fossili infraliasici e con ciottoli rotolati di protogino del Monte Bianco, ciò che proverebbe che una parte di questo massiccio cristallino era già emersa in quell’epoca geologica. Ritornati a Kant Borrant, dopo breve fermata si discese a Kòtre Dame des Gorges (La Condamine) dove si trovarono delle carrozze per condurci a S. Gervais. La strada percorre il fianco orientale del Mont Joly e si hanno quasi sempre in vista gli affioramenti alternati degli strati basici, calcari o scistosi, e di carniole triasiche, in mezzo allo quali spunta un affioramento carbonifero, dove furono fatti scavi per antracite e si trovano esemplari di Pecopteris e Anniitarìa, Sotto le carniole triasiche s’immergono gli strati cal- — 91 — m- ■'i carei del Lias, formando una volta ben delineata, e poco oltre sui banchi ba- sici si vedono posare quasi orizzontalmente dei calcari dolomitici (Trias), delle quarziti e del Carbonifero, quindi in senso inverso le quarziti, i calcari dolo- mitici e il Lias. Si ha qui come nella vallata di Haute Luce il raccordamento delle pieghe raddrizzate con quelle coricate. Arrivati di buon’ora a S. Gervais si potè ancora visitare la celebre gola del torrente scavata fra le alte rupi di quarziti triasiche. A S. Gervais ebbe termine l’escursione delle Alpi e il giorno vegnente alcuni dei nostri, cioè l’ing. Baldacci, il dott. Di-Stefano, gli ingegnei i Franchi e Stella si recarono per il Fayet a Chamonix. 10 settembre. — Dopo una escursione lungo il fianco IN^.O. del Monte Bianco, alla Mer de Giace e al Montanvert, cui presero parte gli italiani pre- senti, ring. Baldacci ridiscese la sera al Fayet, prendendovi il treno per Aix- les-Bains e nella notte per Modane, rientrando a Torino al mattino del giorno seguente. 11 dott. Di-Stefano e gli ingegneri Franchi e Stella dopo la escursione precedente risalirono la valle dell’ Are, indi per il Col de Balnie, Martigny, Y al Ferret svizzera e Val Ferrei italiana, percorrendo tutto il versante settentrio- nale del Monte Bianco rientrarono in Italia a Courmayeur. * * La escursione sopra descritta riuscì particolarmente utile per lo studio che si potè fare in circostanze eccezionalmente favorevoli di regioni che ordina- riamente non possono essere facilmente percorse, essendo prossime al confine e in gran parte fortificate, mentre d’altra parte era assolutamente necessario che gli incaricati del rilevamento geologico delle Alpi si facessero una chiara idea della continuazione e disposizione nel versante francese delle formazioni che cadono sotto il loro studio nel nostro Paese. ‘Come risulta dal fin qui esposto, vennero studiate con molti particolari : 1. Le catene subalpine, dove le formazioni mesozoiche calcaree e sci- stose, oltre a presentare numerose analogie di facies e di fauna con quelle del nostro Appennino centrale e meridionale, mostrano pure gli analoghi passaggi dal facies marnoso (easeff.v) con cefalopodi a quello di scogliera {véci fai).) come avviene da noi per il Titonico, per l’Drgoniano e per altri terreni secondari. 2, La serie hriansonese che presenta identità completa colla analoga serie nel nostro versante. B. La sti-uttura tettonica di questa serie, in cui furono, per gli ultimi studi dei geologi francesi, decifrate numerose comj^licazioni (pieghe, pieghe- faglie, ribaltamenti parziali o completi, ecc.), che possono j)ortar luce su fatti analoghi nel nostro territorio. 4. La disposizione speciale 'delle pieghe a Sud del massiccio del Monte Bianco, per noi ora particolarmente interessante, STolgendosi appunto attorno a quel gruppo i nostri attuali rilevamenti. Tuttavia nella regione visitata non si potè fare alcuno studio relativo alla questione dell’età della grande formazione dei calcescisti con pietre verdi, così sviluppata nelle nostre Alpi, e per questo sarebbe stato necessario fare anche l’altra escursione del Brianzonese diretta dal prof. Termier, ciò che non potè effettuarsi per essere le due escursioni contemporanee. In ogni modo è grato dovere esprimere tutta la nostra riconoscenza agli egregi professori Kilian, Marcel Bertrand e ai loro collaboratori signori Paul Lory, Paquier, Blayac, che seppero così sapientemente organizzare e dirigere le escursioni in località dove a ogni passo sorgono problemi stratigrafici e tet- tonici di ardua soluzione, ma che grazie ai loro studi precedenti e alla chia- rezza delle loro illustrazioni fornite con infaticabile cortesia riuscì agevole di studiare in ogni particolare, trovando anche facilitato, spesso con appositi scavi, il modo di fare buone raccolte di roccie e di fossili caratteristici nelle località più interessanti. Ing. L. Baldacci. r Annunzi di pubblicazioni i t E; iS'icoLi.s. — Geologia ed idrologia della regione veronese (dalla « Pioviiieja di Verona »). — Verona. 1900; pag. 00 in-folio con H taA'ole. A. Verri e G. De Angelis d'Ossat. — Terzo contributo allo studio del miocene { nell’Umbria (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. 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(Seguito: V. pagina precedente) G. De Alessandri. — Appimti di geologìa e dì paleontologia sui dintorni Acqui (Atti soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Tol. XXXl3| fase. pag. 173-348, con tavola). — Milano, 1901. E. Manasse. — Studio cliiinico microscopico sul gabbro rosso del Romito Soc. toscana di Se. nat., Processi verbali. Voi. XII, pag. 160-167). — PisaVdB C. Riva. — I feldispati del granito di Cala Francese (Isola della Madda^fl - Sardegna) e alcuni minerali che Paccompagnano (Rend. R. lutijM lombardo, S. II, A"ol. XXXIV, fase. II, pag. 128-144). — Milano. 190ÌJ (t. De Alessandri. — Nuovi fossili del senoniano lombardo {Ibidem, S. M Voi. XXXIA^, fase. Ili, pag. 183-202). — Milano, 1901. - J A. Tommasi. — Contribuzione alla paleontologia della valle del Dezzo. Sn« (Ibidem, S. Il, Voi. XXXIV, fase. XI-XII, pag. 668-670). — Milano, i» E. Semmola. — ^ La pioggia ed il Yesuvio; nota 2^ (Rend. Acc. Se. fis. e mn S. 3% Voi. VII, fase. 3«, pag. 122-125). — Xapoli, 1901. , - J G. De Lorenzo. — La pioggia e il Vesuvio (Ibidem, S. 3^ Voi. VII, fase^H pag. 125^127). — Xapoli, 1901. M E. Semmola. — Il nuovo cono eruttivo vesuviano nell’aprile lOOl'^lIbid^ S. 3% Voi. VII, fase. 4^ pag. 143-144). — Xapoli, 1901. ^ P. Franco. ^ Il tufo della Campania (Boll. Soc. di Xaturalisti. S. I, Voi. XI% pag. 19-33, con tavola). — Xapoli, 1901. \ Idem — Il Piperno (Ibidem, S. I, Voi. XIV, pag. 34-52, con tavola). — ]5» poli, 1901. E. Clerici. — Contribuzione alla conoscenza dei capìsaldi per la geolon dei dintorni di Roma (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. X, fase. 3^, 1® sem., pag. 77-83). — Roma, 1901. L C. De Stefani. — La villa puteolana di Cicerone ed un fenomeno precursoisé all’eruzione, del Monte Nuovo (Ibidem, S. V, Voi. X, fase. 5®, 1® seni, pag. 128-131). — Roma, 1901. L. Pampaloni. — Scorie trachitiche dell’Averno nei Campi Flegreì (Ibide^, S. V, Voi. X, fase. 5®, 1^ sem., pag. 151-156). — Roma, 1901. . F. Millosevich. — Perowskite di Emarese in Val d’Aosta (Ibidem. S. y. Voi. X, fase. 6^ 1^^ sem., pag. 209-211). — Roma, 1901. | F. Zambonini. — Su un pìrosseno sodifero dei dintorni di Oropa nel Bielleici (Ibidem, S. V, Voi. X, fase. 7, 1® som., pag. 241-244). — Roma, 1901. | G. Ferranto. — Geologia dell’Iglesiente (in Bollettino Soc. dei Licenziai £PJE]MTIA BOLLETTINO DEL R l' ì- COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA ^ISriSTO 1901 f ' t'. N. 3. i ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1901 ELENCO del personale componente il Comitato e 1’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Gtiovànni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Prendente» Cocchi Igino, prof., di geologia, a Firenze. CossA Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. Uemmellaro G-aetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Gtio vanni, prof, di geologia, R. Università di Padova. ScARABELLi (jiuseppe. Senatore del Regno, Imola. Strùver G-iovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. SoRMANi Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino G-iovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Iog. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi o'peratori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. GOMITATO GEOLOG[CO F ITALIA. Serie IV. Voi. II. Anno 1901. Fascicolo 3®. SOMMAEIO. Note originali. — I. P. Moderni, Osservazioni geologiclie fatte in provincia di Alacerata nell’anno 1900. -- II. B. Lotti, Sulla probabile esistenza di un giacimento cinabrifero nei calcari basici presso Abbadia San Salvatore (Monte Amiata). — III. B. Lotti, Inocerami nella scaglia cinerea seno- niana presso Titignano (Orvieto). — lY. C. Viola, A proposito del calcare con pettini e piccole nummuliti di Subiaco (prov. di Roma). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per 1’ anno 1900 (Conti- nuazione). Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Illustrazioni. — Sezione geologica dal monte Sasso Tetto al torrente Tennacola (P. Aloderni), a pag. 191. — Sezione geologica dalla cima del Monte Amiata all’ Abbadia San Salvatore (B. Lotti) a pag. 210. NOTE ORIGINALI I. P. Moderni. — Osservazioni geologiche fatte in provincia di Macerata neUanno 1900, In detto anno il rilevamento geologico nelle Marcile si estese alle due tavolette topografiche di S. Elpidio a Mare e di S. Ginesio, tavo- lette che vengono a contatto, la prima con il suo angolo S.O e la secónda con l’angolo N.E. La maggior parte della superfìcie rilevata è occupata dal Pliocene, ad eccezione della parte occidentale della tavoletta di S. Ginesio, dove affiorano roccie di altri terreni terziari ed anche del secondario sul versante orientale della catena appen- ninica. La superfìcie rilevata è attraversata dalle valli del Tenna, della Tennacola, dell’Ete Morto, del Chienti e del Piastra affluente di que- — 194 — iO ^ co ; st’ultimo ; caratteristicamente accidentata nella tavoletta di S. Ginesio, la parte occidentale della quale si distende ai piedi dell’ Appennino. assai meno nella tavoletta di S. Elpidio che s’avanza fin quasi sul litorale adriatico. Terreno cretaceo. — Come nelle ta- 0 velette di Amandola ed Arquata, a sud 1 di quella di S. Ginesio, il versante orientale I deir Appennino è costituito dalla forma- zione cretacea, nella quale continua ad os- g servarsi il completo rovesciamento della 0 1 serie degli strati che la compongono, e ^ che fu già notato nella relazione dell’anno I scorso. La qui unita sezione tracciata dalla 0 1 sommità del Monte Sasso Tetto (ad ovest 9 < fra Sarnano ed Amandola) al torrente Ten- s nacola, mostra gli strati del secondario più 53 o meno fortemente inchnati verso ovest, §3 sul fianco della montagna, mentre più in « basso lo si rinviene nuovamente inclinato 0 Ù verso est. Yi sono località nelle quali, come g ( a nord di Stinco, nei dintorni di Sarnano, 1 sembra che anche gli scisti argillosi del fcc I terziario, sovrastanti alla scaglia, siano im- pegnati nel rovesciamento della serie. Procedendo dal basso in alto, a causa dell’accennato rovesciamento, si trova la scaglia grigia intercalata con scaglia rossa e rosea, poi scaglia rossa, quindi calcari rossi, calcare maiolica contenente interca- lati scisti grigi e rossi, visibili più spe- cialmente sul versante orientale del Pizzo di Meta ed a Fonte Trocca, situata a nord ed a poca distanza dalla sommità del Pizzo di Meta; seguono poi altri calcari ^maiolica con calcari cristallini e O — 195 — semi-cristallini, nei quali si riscontra sempre la caratteristica assenza di fossili. La scaglia, per i suoi rapporti stratigrafìci e litologici, mostrasi così intimamente legata alle altre roccie del Cretaceo da non lasciare il menomo dubbio cli’essa appartenga appunto a questa formazione e ne sia la parte più alta. Nella sezione naturale del Monte Zampa ripor- tata nella relazione dell’anno scorso ^ come nella sezione qui contro, vedesi chiaramente che la scagha segue costantemente tutte le acci- dentalità stratigrati che delle altre roccie cretacee con le quali costi- tuisce una serie continua: quanto alla sua struttura caratteristica, essa ha una importanza assai limitata poiché tanto la scaglia grigia che quella rossa fanno passaggio insensibilmente, lateralmente e ver- ticalmente, ai calcari compatti, grigi o rossi e questi a quella, dimo- strando che tale forma litologica è dovuta soltanto a condizioni locali di deposizione. Procedendo da sud a nord, cresce notevolmente la potenza della scaglia, poiché mentre nelle due tavolette di Arquata ed Amandola essa segna una zona ristretta di pochi metri, qui nella tavoletta di S. Ginesio si allarga al punto da comprendere i monti di Borzi, di Monte della Bocca e di Monastero, costituiti esclusivamente di scaglia. Ancora più a nord l’ Appennino si abbassa e tutto il suo fianco orientale vedesi anche da lontano fortemente colorato in rosso dalla scaglia e dai calcari con essa associati. Scisti argillosi {terziario). — Se nella tavoletta di S. Ginesio la potenza della scaglia aumenta, quella degli scisti argillosi diminuisce fino a diventare di pochi metri come alle falde dei monti Borzi e Bocca Colonnata. Anche qui essi riposano direttamente sulla scaglia e mostransi sempre in modo straordinario ricchi di fucoidi: inoltre in territorio di Morico vi dev’essere una località fossilifera poiché a San Ginesio mi furono mostrati diversi pecten provenienti da Morico., ma ^ Moderni P., Osservazioni geolofjiche fatte nel 1899 al piede orientale della Catena dei Sibillini (Boll, del R. Comitato Geo!., Anno 1900, n. 2). Roma, 1900. ~ 196 — rindicazione poco precisa della località non mi permise di rinvenirla. Ed a proposito dei 'pecten^ quelli contenuti nel calcare bianco intercalato agli scisti argillosi dei dintorni di Acquasanta (Ascoli), abbondante- mente da me raccolti Tanno scorso, il dott. Di- Stefano mi dichiarava che, pur non essendo determinabili, gli sono sembrati di facies eocenica; però siccome questo calcare bianco è situato nella parte più alta degli scisti argillosi, in cui trovansi fossili, dai paleontologi dichiarati come caratteristici del Miocene, così per conseguenza logica si dovrebbero ritenere come miocenici. Debbo però far osservare che i pettini rac- colti da me ad Acquasanta, sono del tipo stesso di quelli ohe il Lotti nell’Umbria ed il Viola nei Monti Sublacensi (Roma) trovano nel Nummulitico. Nella zona di scisti studiata in quest’anno, non ho trovato ad essi intercalato quel calcare speciale detto cerrogna contenente delle piccolissime nummuliti, e nemmeno il calcare bianco con pecten dei dintorni di Acquasanta, ma sibbene dei banchi di un calcare grigio semicristallino, che si vede più specialmente nelle trincee della nuova strada per Montalto, il quale non ha nulla di comune con gli altri due sopracitati. Dimostrato che la scaglia di questa regione dev’essere ritenuta come la parte più alta del Senoniano, ed ammettendo che questi scisti rappresentino un piano del Miocene, ne risulterebbe la man- canza assoluta dell’Eocene, così potentemente sviluppato invece più a sud negli Abruzzi. Arenarie. — Come gli scisti argillosi, anche le arenarie diminui- scono di potenza, la quale nella tavoletta di S. Ginesio non è mag- giore ohe in quelli. L’immenso mantello di arenarie che nel Teramano si spingeva fin sul crinale dell’ Appennino, e, rotto qua e là dalle erosioni, ridiscendeva giù per il versante Tirreno, qui in provincia di Macerata è ridotto ad una stretta zona di limitata grossezza che verso nord è in più parti ricoperta interamente dal Pliocene. Sensibilmente rialzata verso l’ Appennino, la sua stratificazione si presenta sempre più o meno accidentata da piccoli disturbi locali: — 197 — come sempre priva di resti organici risulta la sua massa, nella quale invece si trovano banchi di gesso, spesso potenti, che formano oggetto di piccole lavorazioni. In alcuni punti, come per esempio nei dintorni di Beiforte del Chienti, le arenarie di questa formazione e le argille ad esse inter- calate, hanno forte odore di petrolio. Pliocene. — Tutta la tavoletta di S. Elpidio a Mare e due terzi di quella di S. Ginesio sono una lunga, monotona distesa di argille plioceniche, intercalate qua e là con banchi di sabbie gialle sciolte o debolmente cementate. Nella parte superiore e più specialmente nei dintorni di Morrovalle e nella collina di Colbuccaro, le argille e le sabbie gialle sono ricoperte da ghiaie contenenti numerose concrezioni di una sostanza bianca, farinacea, calcarea (forse Litotkamnium): queste ghiaie ad elementi misti, appiattiti ed arrotondati, hanno aspetto re- centissimo e si direbbero quaternarie, ma non potendole in nessun modo separare dalle roccie plioceniche colle quali si mostrano unite, debbonsi ritenere come un passaggio fra le due formazioni, se pure cosi può chiamarsi l’anello che congiunge il Quaternario marino al Pliocene. Nella parte più bassa del Pliocene, compaiono delle vere arenarie che mal si distinguono dalle arenarie mioceniche : in tutta la regione che si estende fra S. Andrea, S. Ginesio, S. Angelo in Pontano, alle argille plioceniche sono intercalate queste arenarie, e si ripete il caso di F orce e di Montefalcone ^Appennino, con la differenza che in quelle località si trovano fossili e qui non ve ne sono affatto. Per conse- guenza la separazione delle due formazioni, quando esse vengono a contatto con le arenarie, riesce sempre difficilissima e richiede un lavoro lungo e paziente, le differenze litologiche delle due qualità di arenarie essendo cosi minime da lasciare perplessi sulla vera età del materiale da classificare. Nella mancanza assoluta di fossili, unica guida è in tal caso la presenza o mono di banchi di gesso, i quali caratterizzano in questa regione le arenarie mioceniche. Un fatto nuovo si è verificato nel rilevamento di quest’anno, e — 198 — cioè il rinvenimento di banchi di calcare brecciato a cemento arenaceo, intercalato alle argille e alle arenarie plioceniche, e composto di ele- menti che sembrano appartenere all’Eocene ed al Miocene. I banchi di questo calcare brecciato non sono molto abbondanti e spesso re- stano nascosti dalle argille, che con le loro continue frane ne ricoprono alla superfìcie le testate: ad ogni modo però sembra che questo ma- teriale lo si trovi nella parte più bassa della formazione, avendolo rinvenuto soltanto nei dintorni di Madonna del Poggio fra S. Angelo in Fontano e Loro Piceno (tav. di S. Ginesio) e sotto il villaggio di Pieca, al contatto proprio con le arenarie mioceniche; lo si tro- verebbe cioè in quella parte del Pliocene ove si trovano pure le arenarie. Questa parte più bassa della formazione pliocenica continua ad essere pure caratterizzata dalle stesse accidentalità stratigrafiche già notate altre volte, e cioè strati rotti, contorti, rialzati fino alla verti- cale e qualche volta rovesciati. Nella citata relazione dell’anno scorso la fìg. 3^ rappresentava una contorsione degli strati di argille turchine intercalate con sottili banchi di sabbie gialle, che si osserva sulla sponda sinistra del Tenna a S.O di Monte S. Martino (tav. di S. Gi- nesio) ; sulla destra della Tennacola, all’altezza del ponte sotto Bocca di Cane, della rotabile fra Sarnano e Gualdo di Macerata, sempre nella tav. di S. Ginesio, negli strati di sole argille plioceniche si vede un bellissimo caso di pieghe accentuatissime e complesse con rove- sciamenti degli strati medesimi, di cui mi spiace non poter ripro- durre il disegno che sarebbe riuscito sicuramente interessante. I dintorni di Penna S. Giovanni e specialmente il torrente Salino, sono straordinariamente ricchi di sorgenti solfuree e salate che sgor- gano in mezzo alle argille plioceniche, rivelando la vicinanza del Mio- cene dal quale certamente provengono; tale abbondanza di sorgenti non è però speciale a questa regione ma si estende a tutta la pro- vincia di Macerata ; ho creduto perciò che potesse riuscire interessante la tabella che unisco in fondo alla presente nota, e nella quale sono registrate le sorgenti e i po/zi di acqua salata esistenti in detta — 199 — r provincia, di cui la maggior parte sarebbe difficile rinvenire sul ter- reno, essendo stati chiusi per ragioni fiscali. Sono in totale 619 sor- genti e 137 pozzi che danno complessivamente 19116 litri d’acqua al giorno, contenente da un minimo di 10 ad un massimo di 35 chilo- grammi di sale per ogni ettolitro. Quaternario. — Le valli che attraversano la zona rilevata, sono riempite da depositi quaternari di origine assai diversa: vi sono qua e là dei lembi di Quaternario marino, costituiti da ghiaie, sabbie ed argille giallastre che mal si distinguono dal Pliocene di cui sono una continuazione; in altre parti, come al Pian di Pieca fra Sarnano e Cessapalombo, vi sono relitti di depositi lacustri; le valli poi sono occupate dai soliti depositi fluviali, ghiaie e detriti con fanghiglie, lasciativi dagli antichi corsi dei fiumi. Ai piedi dei monti, i coni di deiezione e la falda di detrito, alle volte d’una potenza rimarchevole, presentano un’altra forma di Quaternario e da ultimo vengono i de- positi degli attuali letti dei fiumi. Anche nelle valli rilevate in quest’anno, e più specialmente in quella del Chienti, si osserva che il versante sinistro di esse si eleva sempre dolcemente e su questo si trovano depositi quaternari, mentre il versante destro è quasi sempre scosceso e, salvo nei punti di confluenza dei torrenti, non vi sono rappresentati tali depositi. Siccome queste valli scendenti dall’ Appennino all’Adriatico hanno tutte approssimativamente la direzione 0-E, cosi il versante sgombro di depositi quaternari sarebbe quello sud: questo fatto obbliga ad ammettere che un leggero sollevamento verso nord spinga le acque di questi fiumi contro il versante meridionale delle loro vallate, esportan- done prima i materiali quaternari che a somiglianza del versante set- tentrionale dovevano osservisi depositati, ed ora corrodendone mag- giormente le colline che sono a picco su i letti dei fiumi per le continue frane da questi provocate. Roma, giugno 1901. KB. Segue: Elenco delle sorgenti salse esistenti nella provincia di Macerata. Èleuco delle sorgenti salse esistenti nella provincia di Macerata. - ■ -w — 200 — — 201 — — 202 - 204 — 206 — n. B. Lotti. — Sulla prohaòUe esistenza di un giacimento cinabrifero nei calcari liasici presso Abbadia S. Sai- valore [Monte Amiata), Fino da oltre mezzo secolo i -numerosi frammenti di cinabro, disse- minati in una massa detritica che occupava una lunga striscia di terreno tra l’Ermeta ed il torrente Fagliela, presso Abbadia S. Salva- tore nel Monte Amiata, avevano attirata l’attenzione di privati intra- prenditori, non tanto perchè a luoghi assumevano una certa impor- tanza industriale, quanto, e più specialmente, per rintracciarne la sede originaria, essendo manifesto cbe essi, insieme coi detriti rocciosi concomitanti, rappresentavano lo sfacelo di un giacimento cinabrifero ricoperto dalla trachite e dai prodotti d’una enorme frana della sovra- stante falda montuosa. Ma in una simile condizione di cose, gli sforzi individuali dove- vano necessariamente riuscire insufficienti, avendo da lottare di con- tinuo con un terreno sciolto, impregnato d’acqua, e quindi estrema- mente mobile e franoso. Solo una potente associazione, come l’attuale Società anonima ]^er le miniere di mercurio del Monte Amiata^ poteva proporsi il compito di rintracciare il giacimento cinabrifero in posto con probabilità di raggiungere lo scopo, e la presente nota, frutto di un lungo studio dei fatti geologici esterni e di quelli messi in evi- denza coi lavori interni, eseguiti da essa Società, oltre a render conto di quei fatti stessi, taluno dei quali di alto interesse scientifico, è altresì destinata a dimostrare come tale probabilità sia giunta ormai quasi ai grado di certezza. Per meglio comprendere quanto andrò esponendo, conviene pre- mettere un cenno sulla serie generale dei terreni che costituiscono la regione cinabrifera del Monte iùmiata e suoi dintorni. Sotto la trachite clie, salvo piccoli depositi più recenti^ forma il membro superiore della serie, fanno seguito dall’alto al basso i seguenti terreni : 1®. Pliocene marino. Vari piccoli lembi di argille e sabbie cemen- tate, conchiglifere, e di ciottoli forati dai litofagi. Immediatamente sotto l’abitato di Pian Castagnaio, potei constatare che questi ultimi sono ricoperti dalla colata trachitica, e cosi sparisce ogni dubbio sul- fetà postpliocenica della trachite amiatina. 2h Scisti argillosi e calcari marnosi dell’Eocene superiore. I calcari marnosi sono talvolta riuniti in grossi banchi (banconi) ed è in questi che, presso il Siele e alle Solforate, stanno racchiuse le argille cinabrifere. In prossimità delle putizze del fosso Rondinaio, presso il ùlonte Zoccolino, i calcari eocenici sono ridotti in gesso. In questo terreno trovansi presso Abbadia, varie masse d’eufotide ed altre roccie serpentinose, come, ad esempio, sopra l’Erosa, alla For- nacina e tra la Madonna del Colle e la Casella. Bh Arenaria eocenica, la quale, costituendo masse amigdalari, termina a luoghi in cuneo dentro le roccie calcaree n. 2, e per questa ragione, oltreché inferiore, com’è generalmente, presentasi anche sovrap- posta al terreno precedente. Ciò avviene, ad esempio, tra Pian Casta- gnaio e iJ Crocifisso, e nei pressi del Siele. Cosi l’arenaria del monte sopra Catarcione, sottostante alle roccie calcareo-argillose n. 2, presso Casa Tasso, incuneasi dentro di esse presso il podere Catarcione, e nel fosso Pagliola, poco sopra alla rotabile senese. 4®. Calcare nummulitico, in grossi banchi, alternanti con letti argillosi grigi e rossastri, e con strati di calcare con selce. Esso sembra sostituire in parte l’arenaria, ed infatti nel Monte Zoccolino e nel Monte Civitella, presso Castellazzara, le roccie calcareo-argillose n, 2 sovrappongonsi direttamente, tolta qualche locale eccezione, e con per- fetta concordanza e continuità al calcare nummulitico, il quale, in tal caso, ha sempre una potenza notevole. 5'-. Scisti argillosi e calcari rossi e grigi a fucoidi, alternanti con banchi di brecciole calcaree rossastre a denti di pesce, e con — 208 - scisti manganesiferi ; il tatto divisibile forse fra l’Èocene ed il Cretaceo superiore. 6". Scisti e calcari rossi, molto argillosi, del Senoniano. 7*^. Diaspri rosso-cupi manganesiferi, e scisti grigi e violetti, pure del Senoniano. 8®. Scisti argillosi varicolori, ardesiaci, spettanti alla parte supe- riore del Lias superiore. Mancano in più luoghi ed hanno piccolo spessore. 9”. Scisti bianchi foliacei con strati sottili calcarei; calcari grigi con Posidonomya Bronni (calcare cinabrifero del Cornacchino), scisti argillosi giallastri con P. Bronni ed Aptyclius pure del Lias superiore. 10". Diaspri verdi, violetti e giallastri, sottilmente stratificati (ftaniti cinabrifere del Cornacchino). Lias superiore 11". Calcari grigio-chiari con selce, parzialmente ridotti in gesso al Monte Zoccolino. Lias medio. 12 '. Calcare grigio-chiaro o bianco, massiccio, con vene di calcite, separato qua e là dal precedente per mezzo di pochi strati di calcare rosso. Osservasi al Monte Zoccolino, ove è, esso pure, in parte ges- sificato, e rappresenta il Lias inferiore. Nel Monte di Cetona, un po’ più ad est del Monte Amiata, sotto questo calcare n. 12, fanno seguito altri calcari in parte compatti, stratificati, in parte cavernosi non stratificati, spettanti al Detico. Nei dintorni dell’ Abbadia non si vedono affiorare terreni più antichi del calcare nummulitico n. 4, ma nella massa detritica, che occupa una gran parte della vallecola del fosso del Prato, tra l’ Ab- badia e l’Acqua Passante, si osservano frammenti delle altre forma- zioni dalla n. 4 alla n. 10 inclusive, e specialmente degli scisti e dei calcari cogli stessi Aptici e Posidonomie del Monte Zoccolino e del Cornacchino, non che dei diaspri (ftaniti) del Lias superiore. La sco- perta di tali fossili caratteristici, fatta dallo scrivente nella circo- stanza del presente studio, non lascia quindi dubbio alcuno che in quel tratto della pendice amiatina si debba trovare in posto tutta la serie dei terreni liasici, ed è inoltre, come vedremo in seguito, un — 209 — fatto di somma importanza dal punto di vista dell’ industria cina- brifera. Colla sezione qui appresso, in scala dii : 25000 per le orizzontali e per le verticali, che dal vertice del Monte Amiata giunge fin poco sotto l’ Ab- badia S. Salvatore, passando attraverso l’area cinabrifera, ho tentato di rappresentare la costituzione geologica e la tettonica di questi terreni nel modo più plausibile, valendomi delle escavazioni sotter- ranee in corso e di altri criteri dedotti dalla distribuzione dei fram- menti nelle varie parti della formazione detritica, sulla" quale spe- cialmente sono stati praticati i lavori di escavazione del materiale cinabrifero. La posizione del terreno lacustre l nel bacino delle Lame, è stata appunto messa in evidenza coi lavori d’escavazione a cielo aperto di quel deposito caotico cinabrifero ca, e la posizione di questo deposito sotto la colata trachitica T, è stata riconosciuta con varie gallerie, con un foro sopra il podere Lame e con altri lavori d’esplorazione La grossezza della coperta trachitica nell’area della miniera, fu rico- nosciuta in media di una cinquantina di metri, ed alla stessa misura si può calcolare che ascenda la potenza della massa caotica ca, la quale però varia notevolmente di spessore da un punto all’altro; il suo massimo fu riconosciuto presso l’estremità orientale del bacino delle Lame, dove fu raggiunta dalla galleria di ribasso n. II. La presenza e la disposizione del terreno calcareo -argilloso se nella parte della sezione ad est delle Lame, è dimostrata dalla stessa gal- leria n. II, e più ancora dalla sottostante n. Ili, che raggiungeva, all’epoca della mia visita, 500 metri di lunghezza; ad ovest, invece, la presenza di questo terreno è soltanto probabile, data l’ inclinazione verso N.O degli strati nummulitici n, constatata coi lavori di ricerca in quella zona più elevata dell’area cinabrifera; come è anche proba- bile la esistenza del cuneo d’arenaria a, fra il terreno se e il nummu- litico ?i, essendoché tali condizioni di giacitura si verificano a poca distanza, a nord della sezione, presso Catarcione. Del resto, che un po’ d’arenaria siasi trovata in questo campo della sezione, è dimo- li Scsioìic geologica dalla cima del Monte Amiata all’ Abbadia San Salvatore, » strato dal fatto che nella massa caotica ca, a monte delle Lame, si trovano frammenti d’arenaria ed anche mineralizzata. Il calcare nummnlitico gli scisti rossi e i diaspri sottostanti sr, compariscono effettivamente, e con quella disposizione, in una galleria di ricerca presso l’ Ermeta. I frammenti di queste roccie si ritrovano presso le due estremità orientale e occidentale della massa caotica ca^ mancano invece nella parte intermedia, dove compariscono soltanto frammenti dei terreni liasici sv, c & ds rappresentati rispettivamente da scisti argillosi varicolari e bianchi foliacei con Posidonomya Bronni, da calcari marnosi grigi pure con F. Bronni e da diaspri verdi, vio- letti 0 giallastri. Negli scavi eseguiti all’estremità orientale della massa caotica cot, si trovarono anche frammenti d’arenaria a, ed è quindi probabile che essa esista in posto com’è rappresentata in questo lato della sezione sotto al terreno se. Da tuttociò possiamo ritenerci autorizzati ad ammettere una dispo- sizione anticlinale delle varie formazioni eoceniche e fors’anche di quelle secondarie nell’area ricoperta dal terreno detritico cinabrifero delle Lame, come indica la sezione. Il deposito cinabrifero delle Lame occupa un’area depressa in cor- rispondenza del fosso del Prato ed è costituito superiormente da strati lacustri l di argille, sabbie cinabrifere, argille sabbiose trachitiche buone per mattoni refrattari, banchi di lignite con strobili di pino e d’abete e straterelli alternanti di argille caoliniche, farina fossile e letti di muschi] inferiormente da blocchi trachitici di svariate dimensioni, fra i quali insinuaronsi sabbie ed argille cinabrifere con frammenti di calcari, di scisti, di selce e, più raramente, di arenaria con vene ed efflorescenze di cinabro. Banchi di lignite si ritrovano anche un poco sopra al bacino delle Lame, tanto ad ovest che a nord, e da questo lato, fra le Lame e l’Acqua Passante, sopra la lignite vi è un deposito di terra gialla (terra di Siena). Il bacino delle Lame trova quindi perfetto ri- scontro nei piccoli bacini lacustri di Casteldelpiano, d’Arcidosso, delle Bagnore e del Bagnolo, essi pure scavati nella trachite presso la base del cono amiatino e racchiudenti lignite, farina fossile e terra gialla. — 212 — Contiguo a quello delle Lame e ad un livello di poco inferiore stendesi un altro piccolo bacino lacustre cbe occupa tutto il piano deir Abbadia. Il sottosuolo di questo piano è costituito dagli stessi strati che si osservano nel bacino delle Lame e, cioè, dall’alto al basso : 1. Trachite in blocchi e sabbia trachitica. 2. Argilla sabbiosa trachitica per mattoni refrattari, come qi', ella delle Lame. 3. Strati sottili d’argilla bianca caolinica, alternanti con strati carboniosi. 4. Strati di lignite terrosa con tronchi di conifere. Più in basso non si conosce la natura di questo deposito, ma è probabile che il suo fondo sia formato da trachite. Sembra che questi strati lacustri non siano menomamente mineralizzati e questo fatto è facilmente spiegabile se pensasi, che, per il loro peso specifico, le par ticelle minerali dovevano depositarsi prima, nel bacino superiore delle Lame. Se ora esaminiamo accuratamente la conformazione topografica dell’area metallifera dell’ Abbadia, si riconoscerà nel modo più evidente che nella coperta trachitica ebbe luogo un distacco ed un conseguente scorrimento in massa della coperta stessa da ovest verso est, lungo la pendice del monte. La linea di distacco che da Catarcione per l’Acqua Passante e per l’Ermeta giunge al podere Cipriana e che di qui, pel fosso di Fonte Risola, può seguirsi fino ai molini dell’Abbadia, è contrassegnata da un salto di alcune diecine di metri, con parete ver- ticale della trachite rimasta ferma su quella distaccata. Tra la Cipriana e le Diecine si manifesta inoltre con una fossa a foudo piano tra due pareti a picco e lungo una linea di livello. Lo spostamento della massa trachitica scorsa sulle roccie sedimentarie sottostanti può aver rag- giunto l’estensione d’un centinaio di metri. A questo distacco e successivo scorrimento in basso della massa trachitica è da attribuirsi in gran parte la formazione del terreno cao- tico cinabrifero delle Lame. Le abbondanti acque di contatto rammol- — 213 lirouo il terreno, in prevalenza argilloso^ sottostante alla trachite, la q-'ale allora, data la forte pendenza e la poca resistenza del suolo di base, staccossi pel suo pes3 dal resto della massa e discese in frana sconvolgendo e frantumando il terreno sottostante e trasportandone seco il detrito. Dissi « in gran parte » perchè non è escluso che una porzione del t-erreno caotico di cui è parola rappresenti il riempimento di una vallecola del monte, preesistente aU’eruzione trachitica ed una porzione anche il prodotto dello scorrimento della lava trachitica al tempo della sua eruzione. Tanto il t-erreno caotico ca, quanto il sovrastante deposito lacu- stre l sono, come fu accennato, cinabriferi e la loro mineralizzazione è evidentemente dovuta al tatto che essi rappresentano il prodotto dello sfacelo e del rimaneggiamento di giacimenti cinabriferi preesi- stenti nella trachite e nelle roccie sedimentarie sottostanti. Del giaci- mento nella trachite può tuttora osservarsi un residuo alle Diecine, dove le vene e le compenetrazioni di cinabro, comunemente dette sfa- mature, raggiungono una certa importanza industriale; traccio di sfa^ mature si osservano poi in molti altri punti lungo una zona di quasi due chilometri diretta da N.N.E a S.S.O. Del giacimento in posto nelle roccie sedimentarie si ebbe, cogli ultimi lavori di ricerca, un notevole indizio presso l’Acqua Passante, come vedremo più innanzi. E impossibile non riconoscere un intimo legame genetico fra la zona cinabrifera e le numerose emanazioni d’acido solfìdrico i^uiizze) e le sorgenti acidulo-solforose di questa parte del hlonte Amiata; presso gli orifìzi di alcune di esse furon trovate infatti traccie di ci- nabro. Questi fenomeni di attività sotterranea manifestansi sopra una zona di oltre un chilometro e mezzo di lunghezza, contigua al giaci- mento e diretta da N.N.E a S.S.O, avente cioè la direzione generale degli strati in questa parte della Catena Metallifera toscana. Prolun- gata questa linea verso N.N.E, essa passa in prossimità delle putizze, delle gessaie e delle sorgenti solfuree di S. Filippo ed esattamente in corrispondenza della faglia del Monte Zoccolino, lungo la quale gli strati eocenici vanno a battere contro i vari terreni secondari di quel — 214 — gruppo/ Evidentemente quindi il fenomeno delle putizze e delle sor- genti acidulo-solforose ha luogo in questa regione lungo una frattura di capitale importanza perchè diretta secondo una linea tettonica di prim’ordine e tali manifestazioni endogene costituiscono inoltre un sicuro indizio dell’interno lavorio di soluzioni solforiche cinabrifere sulle roccie calcaree, alle quali azioni, come giustamente è stato rico- nosciuto dall’ing. Spirek pei giacimenti del Siele e del Cornacchino, è da attribuirsi la precipitazione del cinabro. Seguendo la teoria esposta dall’egregio ingegnere nel suo erudito lavoro, Sulla formazione clnahrìfera del Monte Andata mine- raria n. 18, 1897) e splendidamente dimostrata coi lavori d’escavazione dei giacimenti del Siele, delle Solforate e del Cornacchino, le soluzioni di acido carbonico, prodotto colla trasformazione del carbonato di^ calce in solfato durante il lavorio delle soluzioni solforiche cinabrifere, con- tinuano la loro azione dissolvente sulle roccie calcaree e trasportano meccanicamente il cinabro in minutissime particelle, depositandolo nelle fratture delle roccie compatte, tra le lamine degli scisti e nei vacui interstiziali di quelle porose, come la trachite e l’arenaria. Tale è da ritenersi l’origine delle efflorescenze nei calcari nummulitici del- l’Acqua Passante, delle compenetrazioni nelle argille e negli scisti e delle sfumature nella trachite. Alle Diecine le vene cinabrifere sono accon:pagn'Ae da incrostazioni di marcassita e di silice opalina nera (resinile), i quali prodotti insieme a qualche venuzza di calcite sono da attribuirsi a soluzioni acquose e non a sublimazione. Fra i molti lavori eseguiti a scopo di ricerca in questo campo cinabrifero solo una galleria presso l’Acqua Passante sembra esser penetrata negli strati in posto o almeno poco dislocati. Oltrepassata la coperta trachi tica questa galleria prosegui nel calcare nummulitico compenetrato di vene cinabrifere e fortemente corroso da acque aci- ^ Sopra una linea parallela più orientale, distante circa 7 chilometri, com- pariscono le emanazioni d’acido carbonico misto a idrocarburi di ISTardelli, sulla destra del Paglia, i punti cinabriferi di C. Paolo e della Senna, le putizze e la miniera delle Solforate. 215 — dule. Tra i banchi calcarei si trovarono racchiuse masse irregolari di un’argilla scura bituminosa, piu ricca in mercurio, in cui stanno dis- seminati piccoli frammenti di scisti bianchi e giallastri, ciottolini di calcare e qualche frammento d’una roccia granulare tutta compene- trata di cinabro; masserelle frammentarie di cinabro sono pure disse- minate in questa massa argillosa insieme con marcassita concrezio- naria : minutissime goccio di mercurio nativo vedonsi sparse in tutta la massa e specialmente adese ai frammenti di scisti. Contuttoché in questo punto si abbiano tutte le apparenze d’un giacimento in posto, è però sommamente probabile, visto che i mate- riali della massa caotica cinabrifera sono in prevalenza costituiti dalle roccie del Lias superiore, che depositi cinabriferi più importanti siano concentrati in queste roccie come al Cornacchino e specialmente nel calcare, essendo questo marnoso e quindi più adatto alla mineralizza- zione di quello che il calcare nummulitico, quasi affatto privo d’argilla. Eoma, agosto 1901. — 21G — III. B. Lotti. — Inoceraini nella scaglia cinerea senoniana presso Titi guano (^Orvieto), Giàfìa dalTaprile 1900, riferendo sul rilevamento geologico eseguito nella precedente campagna nei dintorni del Trasimeno e nella regione immediatamente a sud di Orvieto, ^ accennai in poche parole al gruppo secondario del Monte Peglia che dissi costituire una piccola cupola ellissoidale completa coll’asse maggiore di poco più che due chilometri, diretto da N.O a S.E e formata da un nucleo di calcari grigi con selce, ritenuti allora con probabilità titoniani, ma che sono invece da riferirsi al Neocomiano, cui succedono in ordine ascendente una zona esigua di scisti argillosi violetti, gialli e neri pure neocomiani, altra serie di calcari bianchi e rosei con selce ed infine un mantello di scisti marnoso-calcarei rossi e grigi che rappresentano rispettivamente la scaglia rossa e la scaglia cinerea del Senoniano. La prosecuzione del rilevamento durante la campagna geologica di quest’anno nella tavoletta di Todi e poi in quella di Amelia, dimostrò che i terreni secondari non eran limitati al solo Monte Peglia, ma che da quest’altura stendevansi verso S.E formando una zona continua di oltre 20 chilometri, la quale andava ad unirsi colle già note forma- zioni secondarie del gruppo di Amelia. Mentre però resta confermato il fatto che il Monte Peglia, costituente l’altura più elevata fra la valle del Paglia e quella del Tevere, è formato da una piccola ellissoide con un nucleo di calcari neocomiani, il resto della zona secondaria che riunisce questo nucleo al gruppo d’Amelia è formato quasi intiera- mente dai terreni cretacei superiori, cioè da calcari grigio-chiari con selce che superiormente passano a rosei [calcare rosato) e da calcari marnosi rossi e grigio -giallastri [^scaglia rossa e scaglia cinerea Ho ^ Boll. B. Comit. Geol., n. 2, 1900. 2l7 - detto quasi intieramente» perchè in realtà vedonsi ricomparire i calcari con selce neocomiani ed anche gli scisti argillosi grigi, giallastri e violetti nel profondo ed angusto solco del Tevere, che attraversa quasi normalmente la zona secondaria presso la Roccaccia, fra Titignano e Civitella de’ Pazzi, e nella vallecola del fosso della Pasquarella, che dalle Morruzze scende al Tevere sulla sua sinistra. Questa zona di terreni secondari superiori è appunto quella che formò un tempo lo sbarramento del lago tiberino e segna anche oggi la separazione netta fra i depositi pliocenici lacustri che compariscono in lembi nel lato orientale, da quelli marini pure in lembi, del lato occidentale. Lo stretto passaggio del Tevere attraverso un’imponente massa di calcari rossi senoniani ed in parte grigi con selce neocomiani, deve essersi manifestamente formato in seguito ad una spaccatura tra- sversale, lungo la quale trovarono sfogo le acque dell’antico lago. I terreni secondari non compariscono solo lungo questa zona di congiunzione fra il Monte Peglia e il gruppo amorino, ma vari lembi spuntan fuori, specialmente nel fondo delle valli, tanto ad oriente quanto ad occidente di essa. Ad oriente un esteso lembo di scaglia rossa e cinerea, che spin- gesi più a nord dei terreni secondari del Monte Peglia, afiSora al disotto della formazione marnoso-arenacea eocenica fra il Poggio Castiglione e il Monte Calvello presso S. Venanzo ed un piccolo spuntone di queste roccie si osserva a poca distanza più a sud, nel fondo del fosso Faena delie Felcete presso S. Fele, senza tener conto dei lembi di Sismano, Dunarobba e Ficarella, situati più a S.E, che sono piuttosto da con- siderarsi come affioramenti laterali in connessione col gruppo secon- dario d’Amelia. Ad occidente di detta zona si ha un affioramento di scaglia rossa e cinerea, lungo quasi dieci chilometri in direzione N -S, che da Monacchiola, un poco a sud del Monte Peglia, passando pel Monte della Castellana giunge fin presso la Madonna del Fossatello poco sopra a Corbara. Un altro lembo è quello di Prodo il quale, piutto- stochè un affioramento laterale, può conside riarsi come up. ramo diver- gente verso sud della zona del Monte Peglia. I — 218 — I terreni secondari sono in tutta quest’area regolarmente ricoperti dalla formazione marnoso arenacea che rappresenta il membro più pro- fondo della serie eocenica, e quasi dappertutto può osservarsi il pas- saggio concordante e graduale dagli s isti marnosi, spesso listati di selce nera, di questa formazione eocenica agli scisti marnoso -calcarei o scaglia cinerea del Senoniano. Se da questa zona secondaria proce- diamo verso oriente nella direzione di Todi, troviamo la seguente re- golare successione dal basso all’alto: aj Scisti marnosi ed arenarie della formazione marnoso-arenacea; h) Calcari con banchi nummulitiferi ; c) Scisti argillosi variegati che non formano una zona continua, ma compariscono solo in brevi tratti fra il terreno precedente e quello successivo ; d) Arenaria di solito in grossi strati e non di rado con banchi intercalati di calcare e di puddinga con mummuliti. Fra Titignano e Morruzze, sul fianco orientale dell’antica sbarra secondaria del lago tiberino, manifestasi ben chiara una faglia sopra una linea di oltre dieci chilometri la quale produce i seguenti feno- meni : 1°, presso il Peggio AloccoealJa Torre delle Piagge, in quel di Titignano, la formazione marnoso-arenacea a) oltrecchè sulla scaglia cinerea riposa in discordanza, molto accentuata, sulla scaglia rossa e sul calcare rosato ; 2^ più a sud, allo sbocco del fosso della Contea nel Tevere, vengono a contatto con queste roccie senoniane i membri c) q d) della serie eocenica ; 3®, ancora più a sud, oltrepassato il Tevere, fra il molino del Forello e Torre Giannini, il calcare rosato e la scaglia rossa sono a contatto diretto coi calcari nummulitici h). Questa linea di contatto che rappresenta l’ intersezione del piano di faglia colla superficie del terreno, è quasi una linea retta, salvo leggere deviazioni dovute alle accidentalità topografiche; e fu proba- bilmen e lungo questa frattura del terreno che si fecero strada le sor- genti calcarifere alle quali è dovuto l’esteso deposito di travertino di Titignano. II riferimento della scaglia cinerea ed anche di quella rossa alla — 219 parte superiore del Cretaceo e precisamente al Senoniano, fu fatto, per la Toscana, per l’Umbria e in genere per f Appennino centrale, in base alla stratigrafia ed alle analogie litologiche col Senoniano di altre località e specialmente del Veneto e della Lombardia ^ ben caratte- rizzato dai fossili. In quelle regioni dell’ Appennino centrale non si rinvennero nella scaglia cinerea che impronte abbondantissime di Tao- nnrus e nell’ Umbria furono citate, soltanto dallo scrivente, ^ presso il Monte Acuto in quel d’ Umbertide, alcune traccie d’ inoceramo sulla cima del Monte Saldo. Che io sappia, solo il Canavari in un suo lavoro sui terreni del Terziario inferiore e della Creta superiore nell’ Appennino centrale ^ si trovò in disaccordo coll’opinione sostenuta dalla generalità degli osservatori circa il riferimento cronologico di questa formazione. Egli attribuì all’Eocene non solo la scaglia cinerea ma anche quella rossa ad essa strettamente collegata ed anche alternante, la quale sottostà « senza alcuna discordanza alle marne grigie con echinidi miocenici », avendo trovato tra la scaglia rossa, presso il Pizzo dell’Abbandonata in quel di Bolognola (Camerino) e in quella cinerea presso il villaggio di Casale sulle pendici orientali della Sibilla, sottilissimi e rarissimi strati di calcare compatto nummulitico. Tanto l’una che l’altra roccia erano ripiene delie stesse specie di Taonurus h L’autore concluse che nell’ Appennino centrale doveva esser molto diminuita l’estensione ^ Vedi fra i piu recenti scrittori: E. lsl.kViiA.1^1, Ammoniti del senoniano lom- bardo (]\rem. E. Ist. Loiiib. di scienze e lettere, 4, 1898). — Gì-. De Alessandri,, Fossili cretacei della Lombardia (Palaeontograpliia italica, lY, 1899) e Nuovi fossili del senoniano lombardo (Mem. E. Ist. Donib. di scienze e lettere, 1901). — E. Aicolls, Resti di Mosasauriano nella scaglia rossa di Valpantena {Verona^\ Tenezia, 1900. ^ B. Lotti, Rilevamento geologico nei dintorni del Lago Trasimeno, di Perugia e d' Umbertide (Boll. E. Comit. geologico, 1899, p. 216). ^ Proc. verb. Soc. tose, di Scienze naturali, YIII, p. 158. *’ Gli esemplari di queste roccie facenti parte della bella e copiosa colle- zione del Cainerinese fatta dal Canavari e conservata nel Museo dell’Ufficio geologico, non lasciano il minimo dubbio sulla perfetta corrispondenza litologica dei vari tipi di scaglia di quella regione con quelli dei dintorni di Titignano della Creta e andava invece aumentata quella deirEocene e che quindi non sussisteva l’immediata sovrapposizione del Miocene alla Creta superiore \ Ammesso infatti il riferimento della scaglia cinerea e -rossa al Senoniano, in una gran parte dell’ Umbria e delle Marche, dove questa formazione passa agli scisti marnosi e alle marne con fossili attribuiti al Miocene (e vi passa non solo senza discordanza, come ammette lo stesso Canavari, ma anche con gradazione litologica) non soltanto sarebbe mancato in tutta questa regione l’Eocene, pure sviluppatis- simo a poca distanza, ma si sarebbe verificato il fenomeno inammis- sibile del passaggio graduato e della continuità immediata del Mio- cene al Cretaceo. Io, sostenendo il riferimento della formazione marnosa con fossili di abito miocenico all’Eocene, in base a rigorose osservazioni strati- grafiche fatte nell’Umbria superiore dovetti ripetutamente accen- nare a questa strana conseguenza che sarebbe derivata dal riferimento al Miocene della formazione marnosa immediatamente sovrapposta e concordante colla scaglia cinerea senoniana e dicevo che forse per evi- tare questo assurdo si credè dal Canavari di potere attribuire all’Eo- cene una parte della scaglia stessa. Le osservazioni da me fatte nella scorsa estate presso Titignano, fra Todi e Orvieto, coronate dal rinvenimento di inocerami uella parte superiore della scaglia cinerea e precisamente al suo passaggio e specialmente fra la scaglia cinerea ad inocerami e Taonnriis di questa loca- lità e quella pure con Taoniirns del Camerinese, associata a strati nummulitici: meno ancora può rimanere il dubbio in chi scrive, avendo insieme col Cana- vari osservato e studiato sul posto le dette roccie. ^ M. Mariani in una nota sui fossili miocenici del Camerinese pubblicata nella Rivista Italiana di paleontologia (VI, 2, 1900) conferma le osservazioni del Canavari e riferisce all’Eocene una parte della scaglia rosata dei dintorni di Camerino e quegli strati calcarei, sviluppatissimi presso Crispiero e sul monte della Torre di Beregna, che contengono abbondanti avanzi di Taonnriis. ® B. Botti, Suiretà della formazione marnosO'arenacea fossilifera dellUni- bria superiore (Boll. Comit. Geol., 1900) e Ancora sull’ età della formazione mar- noso-arenacea fossilifera dell’Umbria superiore (Ibid., n. 2, 1901). 221 — alle marne eoceniche, tolgono alla soluzione adottata dal Canavari una gran parte del suo valore. Il punto fossilifero trovasi sulla cima d’una collinetta, posta a due chilometri di distanza a N.O della fattoria di TitignanO; fra Torre Vecchia ed il Laghetto. La scaglia cinerea^ facente parte della zona di congiunzione, sopra ricordata, fra il Monte Peglia e il gruppo secondario d’Amelia, forma qui, insieme con quella rossa, uno sperone montuoso, diretto verso S.E che va a terminare presso la Eoccaccia a picco sul Tevere, nel tratto più angusto ed incassato del suo corso. I fossili non si rivelavano in alcun modo alla superficie degli strati, ma solo in seguito ad un pertinace e faticoso lavoro di sfalda- tura di quei calcari marnosi potevano ottenersi, nettamente isolate, quelle importanti bivalvi. Sono molti e belli esemplari bivalvi di un hioceramus linguiforme, senza rughe concentriche, ma con forti strie d’accrescimento, ornato sui lati anteriore e posteriore di evidenti strie radiali e liscio nella parte mediana, il che lo fa rassomigliare ad una Lima. Finora non è stato possibile d’identificarlo con specie note. Il dott. Giov. Di-Ste- fano, a cui debbo queste osservazioni paleontologiche, lo ha nominato hioceramus umhrius. Egli crede anche che questa specie pel carattere degli ornamenti, insolito nel genere hioceramus, possa giustificare la separazione di una nuova divisione sottogenerica. E da escludere che si tratti di una Lima. La struttura dello strato esterno della conchiglia è prismatica. Insieme agli inocerami raccolsi un esemplare d’un’ Ostrea liscia, non ben determinabile, ma che per la forma rammenta VOsti^ea {Gry- phaea) vesicularis del Cretaceo. Gli strati fossiliferi leggermente inclinati verso N.E, sono formati dal caratteristico calcare marnoso grigio giallastro pieno di Taonurus^ conosciuto sotto il nome di scaglia cinerea e sono immediatamente ricoperti nella stessa collinetta, da strati di marne grigio azzurre molto più argillose, che potrebbero già ritenersi far parte della forma- zione marnoso-arenacea creduta miocenica. In queste marne raccolsi 222 varie foraminifere della famiglia delle Roialidae e frequentissimi radioli d’echinidi. Un chilometro più ad est, presso il Poggio Alocco, la stessa scaglia è ricoperta da un lembo isolato di queste marne, le quali qui sono inoltre associate a straterelli arenacei. Siamo dunque in questo punto in presenza della tipica formazione marnoso-arenacea che altrove, ed anche a brevissima distanza a N.E presso [Marsciano, racchiudono fossili di abito miocenico; ed infatti, a meno di cento metri di distanza verso est, questa formazione stendesi continua e regolare sulla scaglia cinerea, in una zona diretta da N.O a S.E, come quella dei terreni secondari, ed è ricoperta dai calcare nummulitico e dall’arenaria superiore. Dissi più sopra che questa scoperta di inocerami nella scaglia cinerea^ ed anzi presso il suo passaggio alla formazione marnoso-are- nacea, toglieva alle conclusioni del Canavari una gran parte del loro valore. Avrei potuto dire tutbo il loro valore se non avessi la convin- zione che la vita degli inocerami non fu limitata al Cretaceo, ma si prolungò nell’Eocene fino ai suoi periodi superiori, come ho dimostrato in vari miei precedenti lavori ^ li fatto della presenza nella scaglia cinerea ed anche in quella rossa degli strati con nummuliti citati dal Canavari, mentre sta a provare ancora una volta la contemporanea esistenza di nummuliti e di inocerami, può essere invocato in appoggio del riferimento di una parte della scaglia all’Eocene. Ad ogni modo però nel caso di Titignano la scaglia cinerea non potrebbe rappresen- tare che una minima parte dell’Eocene, essendoché i terreni di questo periodo geologico sono qui potentissimi e ben caratterizzati sopra la scaglia stessa, come fu detto. Se adunque la formazione marnoso- arenacea, con fossili di abito miocenico, dell’Umbria e delle Marche, si vorrà ancora mantenere nel Miocene in onta alla stratigrafia, non si potrà mai far ricorso alla scaglia per riempire la lacuna che inter- verrebbe, senza discontinuità e senza discordanza, fra il supposto Mio- cene e il Cretaceo in quelle contrade. Roma, settembre 1901. ^ B. Lotti, Strati eocenici fossiliferi presso Bar igeizzo, ecc. (Boll. Comit. Geol., n. 3, 1898) e Inocerami nell’ Eocene del Casentino (Ibid., n. 4, 1893). - 223 - IV. C. Viola. — A proposito del calcare con pettini e piccole ììuinmuliti di Subiaco {proi\ di Boma), Il doti. B. Nelli in una recente Nota ^5 dando la determinazione di alcuni fossili di Bocca di Mezzo, in provincia di Aquila, tocca in- cidentalmente delle due specie nuove di pettini, da me descritte % del calcare con nummuliti di Subiaco, dell’età di questo calcare e di quella della Pietra di Subiaco. Egli identifica il P. Clarae Viola al P. Haueri Micht., il P. De- Angelisi Viola al P. Kolieni Fuchs e avvicina intimamente il P. Clarae var. suhlacensis Viola al P. Kortliamptoni Micht. Egli crede di dover riferire al Miocene medio il calcare con num- muliti di Subiaco; ma per stabilire questo riferimento fa la supposi- zione che esistano dei rapporti intimi fra le specie di pettini da me descritte e altre già note, poiché dallo stesso scritto risulta che egli non possiede altri elementi per sostenere il suo giudizio. Per la verità della cosa dobbiamo dimostrare che i rapporti scorti dal Nelli fra le diverse specie non hanno serio fondamento. Il P. Haueri istituito dal Michelotti per una specie del Miocene medio della Collina di Torino, è orbicolare, convesso, ed ha 18 co- stole principali radiali grosse; ma le costole principali nel P. Haueri sono arrotondate, depresse e, negli esemplari accresciuti, appianate molto alla periferia, tanto da distinguersi appena dagli spazi interco- stali. Invece nel P. Clarae le costole sono quasi acute sopra come neU’eocenico P. guinquepartitus Blankenhorn, specie, con la quale ha davvero intime analogie. Inoltre le costi-cine secondarie nel P. Haueri ^ B. Nelli. Il Laughiano di Bocca di Mezzo (Boll, della Soc. Geol. ita- liana. 1901, XX, *219-350). = C. A^iol.a, Boll, del E. Com. Geol., 1900, XXXI, 217-2.55. 2^4 — sono più forti e spiccatamente granulose, mentre quelle del P. Clarae sono sempre più leggiere e non granulose, ma fornite di piccole squame, il che dà alla conchiglia un aspetto molto differente. Devo insistere su questo carattere differenziale e su quello della diversa forma delle costole principali. Inoltre le orecchiette del P. Haueri sono eguali, mentre quelle à.Q\ P. Clarae sono disuguali. Le differenze che ho notato sono tali da far separare nettamente il P. Clarae dal P. Haueriy del quale ho potuto studiare non solo le figure date dal Michelotti e dal Sacco, ma anche degli esemplari tipici provenienti dalle Isole Tremiti e l’esemplare originale del Michelotti conservato nelle collezioni della R. Università di Roma. Il P. De-Angelisi è riferito dal Nelli al P. Kolieni Fuchs. Ora fra questi due pettini esistono dei rapporti ancora più lon- tani che fra i pettini precedenti. 11 P. Kolieni, che appartiene al gruppo del P. Haueri^ ò bensì inequivalve; ma le due valve sono leggermente convesse. La destra è poco più convessa della sinistra; ma quest’ ultima non è mai concava, nè perfettamente piana e l’apice è piccolo e punto ricurvo. Il P. De- Ang elisia invece, ha la valva si- nistra all’esterno piano-concava e la destra assai fortemente convessa. Il suo apice è assai spesso e fortemente ricurvo. Non mi dilungo ad accennare le altre differenze che si notano nel numero delle costole principali e nella forma degli ornamenti; basta solo la forma piano- convessa della conchiglia e la robustezza e la forte curvatura dell’apice della valva destra nel P De- Ang elisi per mostrare la sua profonda differenza dal P. Kolieni. Capirei che la mia specie fosse avvicinata al P aduncus Eichw. e al P. subhenedictus Font., ma devo dichiarare del tutto ingiustificata la sua identificazione col notissimo P. Kolieni. Nelle collezioni del R. Ufficio geologico sono molti e bellissimi esemplari del P. Kolieni provenienti dal Miocene degli Abruzzi e dal Leccese, e altri di Malta, donati all’Ufficio stesso dal dott Giovanni Di- Stefano. Inoltre vi sono anche dei nuclei di queste località, non esclusa Malta. Ora ho dovuto osservare che nessun paragone è possi- bile tra il P. Kolieni e il P. De-Angelisi. L’esemplare di quest’ultimo, — 225 — invero, è male conservato ; ma ciò nonostante l’iio descritto perchè la sua forma è caratteristica. Il Nelli crede anche che la var. suhlacensis del mio P. Clarae possa corrispondere al P. Northamptoni Micht. Per quanto sia mal conservato l’esemplare figurato da me, tuttavia la porzione del guscio, che ancora mantiene, è cosi fresca, che basta un semplice sguardo per mostrare le grandi differenze tra essa e il P. Northamptoni^ di- stinto dalle costole cosi grosse e arrotondate e appianate alla peri- feria e dalla forma ovale-oblunga, del quale ho potuto studiare le fi- gure riprodotte dal Sacco e i vari esemplari del Michelotti conservati nelle collezioni della E. Università di Eoma. Se malgrado queste enormi differenze, si identificasse la var. suh’ lacensis del P. Clarae col P. Northamptoni^ potremmo riunire in unica specie tutti i pettini costati. La var. suhlacensis forse potrebbe costituire una specie distinta dal P. Clarae, ma io ho creduto di mantenervela unita, atteso i graduali passaggi di forma fra i due tipi e l’identità degli orna- menti. Il dott. Nelb mi rimprovera di aver descritto delle specie di cat- tiva conservazione. Devo rispondere che la prima specie e la sua va- rietà mostrano, oltre la forma, bene gli ornamenti e le orecchiette, e che la seconda specie è notevolissima per la sua forma; sicché, atteso questi soli caratteri, esse possono essere separate nettamente da tutte le specie note. Ma io credo che questo rimprovero possa rivolgersi con maggiore ragione al Nelli stesso, poiché egli fa identificazioni di fossili sopra nuclei e tira conseguenze relative ai calcari con num- muliti di Subiaco, a lui non noti, da dati cosi insufficienti. Ho già detto che i pettini di Subiaco fino ad ora conosciuti non forniscono argomenti bastevoli per determinare il posto del calcare con piccole nummuliti di Subiaco nel sistema nummulitico. Ora io credo risulti sufficientemente dimostrato che gli argomenti esposti dal Nelli per collocare i detti calcari nel Miocene medio non possono essere presi in seria considerazione. 15 — 226 — Sull’efcà precisa di quei calcari, sovrapposti immediatamente al Cretaceo e in generale in concordanza, discuteremo più tardi. Fatti nuovi basati su osservazioni esatte affretteranno questa importante soluzione. E degno di nota, infine, che il dott. Nelli riferisca, come avea già asserito in una sua precedente Nota al Miocene medio anche la Pietra di Suhiaco, nella quale, come si rileva dai lavori di Mur- chison* *. Ponzi®, Mantovani ^ Clerici®, De-Angelis Meli ^ e miei® si raccoglie, sempre in posto, una abbondante e bella fauna di rudiste. E orna, novembre 1901. ^ C. DB Stefani e B. ìSTelli, Fossili miocenici delV Appennino Aquilano (R. Accad. dei Lincei ; Rendiconti 1899, Voi. YIII, Y Serie, 2^ sem., pag. 46-Ó0. Vedi pag. 48l. * R. I. Murchison, Oli thè fjeological striictiive of thè Alps, Apennines and Carpathians. Traduzione di P. Savi e G. Meneghini. Firenze, 1852, p. 208. * G. Ponzi, in varie memorie. Vedi il Quadro geologico deW Italia centrale. Piano n. 9, Creta; ubicazioni: Monti di Affile, Tolfa, écc. (Accad. Pont, dei Lincei, Atti, Tomo XIX, n. 3). * P. Mantovani, Descrisione geologica della Campagna Romana. Torino, 1871: pag. 30, in nota. ® E. Clerici, La pietra di Snhiaco in provincia di Roma (Boll. delR. Com. Geologico, 1890, p. 29). ® G. De Angelis d’Ossat, L'alta valle dell’ Ani ene (Memorie della Soc. Geografica italiana, 1898, Yol. VII, p. II, pag. 201-207). ' R. Meli, Sulle Chamacèe e sulle Rudiste del Alonte Affilano presso Snhiaco. (Boll. Soc. Geol. italiana, 1901, Yol. XX, pag. 149-158). * C. Viola, Osservasioni geologiche fatte sui Monti Siiblacensi nel 1897. (Boll. Com. Geologico, 1898, Yol. XXIX, pag. 272-284). Errata-corrige. — L’ing. Y. Sabatini, rivedendo la prima parte del suo studio Sopra alcune roccie della Colonia Eritrea pubblicato nel 1895 in questo Bollettino, si avvide di nn errore incorso a pag. 474, ove al rigo 3®, invece di untasse positivo va letto untasse negativo. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOORAFrA. OEOLOGUO^ IXA.1L,X^1V.4. PER l’AKN'O 1900 ^ {Contimi asione^ Tedi n. 2). De Alessandri D. — Sopra alcuni fossili aquitaniani dei dintorni di Acqui. (Boll. Soc. Deol. ital., Yol. XIX, fase. pag. 549-554). — Roma, 1900. È ima nota preventiva sui fossili raccolti in numerose escursioni fatto lungo la valle della Bormida nei dintorni di Acqui, che l’autore crede interes- sante di pubblicare perchè in Italia le formazioni del miocene inferiore hanno dato finora uno scarso contributo di fossili. I fossili raccolti daU’autore provengono dal calcare e dalle arenarie che si osservano presso le terme di Acqui, dal calcare di V'isone e dal banco di arenaria alla base del miocene lungo la valle del Ravanasco presso C. Ferri e che costituisce la parte elevata del Monte Capriolo verso Casalone. Il calcare d’ Acqui sottostante alle marne langhiane a pteropodi rappresenta la parte supe- riore deir Aqui taniano, mentre quello di Visone e le arenarie di Ravanasco ne rappresentano la parte basale. L’esame di questa fauna, della quale è dato l’elenco, dimostra il carattere spiccato miocenico di essa e devesi quindi per i caratteri paleontologici tenere distinto il piano Aquitaniano dall’oligocene e collocarlo alla base del miocene. De Angelis d'Ossat D. — / ciottoli esotici nel Miocene del Monte De- ruta {Umbria). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 12^^, 1*^ sem., pag. 384-391). — Roma, 1900. Detti ciottoli, poligenici, si trovano nella formazione arenaceo-marnosa alle falde del Monte Deruta, sia sparsi, sia raccolti in lenti cohglomeratiche il cui cemento, di arenaria più o meno grossolana, risulta degli stessi elementi dei ‘ Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. / 228 ciottoli. Quelli descritti in questa nota provengono quasi esclusivamente dalla località presso il IMolino lungo l’Attone in quel di Bevagna. Aella descrizione petrografica che ne fa l’autore sono distinte le roccie in semplici: Calcari diversi, piromaca e quarzite. Composte massiccie: graniti, porfidi e porfiriti. Composte stratificate: gneiss micaceo. Boccio clastiche: arenarie e conglomerati. De A:N'aELis d’Ossat G-. — U origine elei ciottoli esotici nel Miocene del Monte Dernta [Umbria). (Rend, R. Acc. dei Lincei, S. Y. Tei. IX. fase. 2°, 2° Sem., pag. 1041). — Roma, 1900. Dei ciottoli descritti nella nota precedente l’autore si accinge in questa ad investigare, per quanto è possibile, la provenienza. Accennato agli studii fatti su materiale simile di diverse località italiane ed estere, e alle teorie addotto per spiegare questo fenomeno, osserva che queste non reggono alle obbiezioni che contro di esse si possono muovere ed indica i dati che sarebbe necessario di avere per venire ad una soluzione soddisfacente. Xel caso presente, benché le conclusioni finali sieno premature, l’autore crede poterne inferire alcune parziali, e cioè : 1® Gli aggregati di ciottoli si sono formati certamente nel miocene medio. — 2° Le roccie composte non presentano molte varietà. — 3° I ciottoli di formazione più recente sono dell’eocene supe- riore. — 1° Mancano affatto le roccie serpentinose. — 5“ La forma discoidale di alcuni ciottoli e i fori di molluschi marini indicano la provenienza dal lito- rale. — 6® Le dimensioni di alcuni ciottoli dimostrano non lontane tali spiaggie. ma la loro forma subangolosa, specialmente nelle roccie massiccie, indica non vicinissima la loro provenienza e, desumendolo da osservazioni fatte su ciottoli di fiumi alpini, si può ritenere la distanza di 60 chilometri almeno. — 7*^ Dalla irregolare disposizione dei ciottoli non si può desumere la direzione della trajet- toria da essi tracciata. — 8® Scarsità di roccie mesozoiche, e quelle poche di tipo più toscano che appenninico. — 9° Le roccie composte non hanno sicure analogie con quelle note della Toscana: presentano poco evidenti rapporti coi graniti di Campiglia ed i porfidi di Donoratico. — IO*’ Xon sembrare applicabile interamente al caso la teoria di Schardt per spiegare i Elippen della Svizzera. — 11° L’autore crede infine di ammettere come ipotesi più probabile che i ciottoli descritti provengano da regioni occidentali non lontanissime, emerse durante il miocene medio ed inferiore. La catena metallifera corrisponde abbastanza bene alle condizioni di distanza, e per la presenza delle roccie massiccie a Gavor- rano, a Campiglia, a Castagneto, ecc. per credere verosimile l’ipotesi della pro- venienza di tale materiale da quella regione. — 229 — De Ax&elis d’Ossat Gr. — Riunione straordinaria della Società geologica italiana tenuta alle Isole Eolie ed a Palermo nell aprile 1900. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. 2^, pag. xli-lxxiy). — Koma, 1900. A questa riunione, della quale l’autore dà una estesa Relazione, presero parte 36 soci sotto la guida del dott. Di-Stefano, e benché poco favorita dalla stagione, riuscì assai interessante specialmente per la vulcanologia. La prima escursione fu all’isola di Lipari dove nel breve tempo disponi- bile si poterono osservare le colate di pomici del Monte Pelato e delle Posse Rosse, le lipariti del Monte Guardia e del Monte Giardina, delle quali l’autore parla diffusamente. Da Lipari passarono all’isola Vulcano dove malgrado la pioggia poterono visitare il Vulcanello, la Possa di Vulcano ed il Monte Lentia facendo interessanti osservazioni sui prodotti di esplosione dei quali fecero co- piosa raccolta. A Stromboli ben poche osservazioni poterono fare a causa della fitta nebbia: malgrado ciò ne salirono la cima, raccolsero diversi campioni di roccie e pote- rono registrare le continue esplosioni. Purona successivamente visitate Panaria, Basiluzzo e Salina, ma il breve tempo concesso rese incompleto il risultato delle escursioni. Si raccolsero cam- pioni di andosite a Panaria, ove si notò la panchina travertinosa presso S. Pietro, incrostante la Posidonia Caulinii, specie monocotiledona marina tuttora vivente e si raccolse qualche manufatto di ossidiana mal conservato. A Basiluzzo si presero campioni di riolite che si presenta con distinta stratificazione simile a gneiss o a micascisto. A Salina si osservò la terrazza quaternaria tra S. Ma- rina ed il Capo, ed alla Punta Lunga gli strati di ciottoloni ed i salti e discor- danze nei tufi e nelle lave andesitiche, indizi di movimenti che non rispondono allo stato attuale di attività sismica dell’isola. Da Salina i geologi si recarono a Palermo dove molti visitarono i musei e le collezioni private, alcuni l’orto botanico, altri le falde del Monte Pellegrino. Tutti si recarono poi a Monreale ed il 16 aprile pailirono per Xapoli dove la riunione si sciolse. Oltre a una copiosa raccolta litologica riportata dalle isole, per diversi istituti scientifici che ne difettavano, si raccolse pure un’abbondante flora, che è ora conservata nelle Università di Roma e di Pavia e della quale è dato un elenco alla fine della relazione. Questa è poi illustrata da diverse figure nel testo, fra le quali una veduta del cratere di Vulcano, due sezioni schematiche dello stesso prese dal lavoro di Cortese e Sabatini sulle Isole Eolie (Roma, 1892), vedute generali delle isole Lipari, Vulcano, Stromboli, Panaria, Salina, ecc., ecc., riprodotte dallo stesso, non che sezioni naturali di terreni ed altro. — 230 — De Angelis d’Ossat Gr. — La geologìa agrìcola e la provincia di Roma. (dal Suppl. del Boll, della Soc. degli Agricoltori ital.. Anno Y, n. 22, pag. 32 in-8®). — Eoma, 1900. In questa compilazione l’autore raccoglie diligentemente compendiati molti dati sulla geologia agraria della provincia di Eoma. Una metà del lavoro è desti- nato alla geologia generale, delle formazioni della provincia dal trias al quater- nario, con un cenno sulla tettonica e sulla idrografia sotterranea. L’altra metà è una rassegna delle roccie e del terreno ad esse legato, con riporti delle ana- lisi sin qui note e di altre osservazioni, trattando successivamente dei calcari, marne, dolomie, molasse e arenarie, hreccie, detriti, argitle, sabbie, ghiaie e roccie vìilcaniche taviche e tiiflche. r Del Bue D. — Contributo alla conoscenza dei terreni miocenici di Castel- nuovo nei Monti. (Eivista ital. di paleontologia. Anno YI, fase. III. pag. 121-136). — Bologna, 1900. Esposti i giudizi disparati di Doderlein, Pantanelli, Malagoli, De Stefani, Sacco, Simonelli, ed ultimamente di Zaccagna, sull’età della famosa Pietra Bi- smantova e delle altre località fossilifere adiacenti, l’autore prende in esame le condizioni stratigrafiche delle formazioni da lui visitate. Le marne arenacee cineree indurite sottostanti al calcare arenaceo di Bismantova si osservano pure alla base del monte detto del Castello sulla via Castelnuovo-Yetto e passano più in alto ad una arenaria calcarifera simile al calcare di Bismantova. Proseguendo per la stessa via le marne arenacee si fanno predominanti e l’autore cita quelle fossilifere presso la Madonna del- r Acuto: ivi l’arenaria sta sopra in concordanza colle marne e l’autore ritiene che essa sia intercalata con quest’ultime. Procedendo si osservano le stesse marne fossilifere a Eosauo, a Cà del Grosso, a Campitello e a Monte Piano sempre associate con arenarie calcarifere, ricche di elementi serpentinosi. L'autore dà quindi l’elenco dei fossili raccolti da lui e dal Simonelli nelle suddette località. Da esso ‘risultano 32 specie caratteristiche del miocene medio : crede quindi di potere ascrivere quelle marne al Tortoniano, basandosi anche sui fossili che sono comuni colla formazione riconosciuta tortoniana dell’alta valle deiridice. Quanto alla Pietrq Bismantova, i pochi fossili di sicura determinazione ivi raccolti dimostrerebbero appartenere essa pure al Tortoniano: in appoggio l’au- — 231 - tore cita le arenarie calcarifere di Monte Rnsino, per rapporti stratigrafici e per natura litologica somigliantissime a quella di Bismantova, con fauna cer- tamente tortoniana. Quanto alle marne indurite sottostanti alla Pietra Bismantova crede non vi sia ragione, mancando i fossili del miocene inferiore, di separarla dal ,com- plesso della formazione, e del pari la ritiene del miocene medio. Del Campana D. — I cefalopodi del Medolo di Valtrompia. (Boll. Soc. &eol. ital., Yol. XIX, fase. 3^, pag. 555-644, con 2 tavole). — Eoma, 1900. Accennato ai lavori dell’Hauor e del Meneghini su alcune di queste forme del Medolo, lavori che quantunque ^pregevolissimi non soddisfano più all’ esi- genza della scienza progredita nella parte sistematica delle ammoniti e per la scoperta ‘di specie nuove, l’autore cita i lavori più recenti deU’IIaug, del Geyer, del Bonarolli, del Fucini e di altri ai quali egli ha attinto in questo studio. La posizione stratigrafica del Medolo è ora generalmente riferita alla parte superiore del lias medio, alla quale il Bonarelli diede il nome di Domeriano per essere questa formazione affine a quella di Monte Domare, di Val Cuvia e della Brianza. I fossili studiati daH’autore appartengono al Museo geologico di Firenze: essi sono fossilizzati in limonite e rinchiusi in un calcare dal quale si distac- cano per l’azione erosiva degli agenti esterni. L’autore ne dà l’elenco passando quindi alla descrizione delle specie che vengono figurate nelle due tavole in fo- totipia unite a questa memoria. Le specie nuove sono ; Phijlloceras subfrondosiim, Ph. Bettonii, Lyparo- ccras Neviaiiii, lIarpocer({,s Stoppanii, H. {Hildoceras) Canavarii, H. (ZT.) Fiicinii, H. {H.) Boìiarellii, II. {H.) Gcijcri, H. {H.) Medolense, Coeloceras Dnmorticri, C. striatìim. L’autore osserva che avendo potuto esaminare la memoria del dott. Lettoni sullo stesso argomento (vedi più sopra), alle specie riconosciute nuove tanto da questi che da lui ha conservato il nome dato dal primo. De Lorenzo G. — Studio geologico del Monte Vulture. (Atti B. Acc. Se. fis. e mat., S. 2^, Yol. X, n. 1, pag. 208 in-4^, con 8 tavole e Carta geologica). — Napoli, 1900. Premessa una estesa rassegna bibliografica sul Yulture, a cominciare dai più antichi scrittori,? nella prima parte di questa importante monografia l’autore — 232 — si occupa della base sedimentaria del vulcano, passando dapprima in rassegna i terreni rappresentati dal trias, cretaceo, eocene, miocene, pliocene e pleisto- cene marino, non che dai depositi quaternarii continentali. Xe descrive quindi la tettonica indicando i due movimenti, antitriasico e posteocenico, separati da lungo» periodo prevalentemente talassico, al quale ultimo movimento è dovuta la formazione della catena appenninica; descrive la disposizione stratigrafica dei vari terreni facendo notare la predominanza delle pieghe in quelli scistosi triasici e delle grandi fratture nei calcari elevati appenninici, mentre i terreni eo-miocenici dei fianchi sono sconvolti e fratturati in tutti i modi. I sedimenti pliocenici marini colmarono e riempirono le vallate depositandosi, quando TAp- pennino mesozoico e cenozoico antico aveva presso a poco assunta la configu- razione attuale. Il sollevamento postpliocenico non fece che accentuarne la in- clinazione verso il mare. L’autore, con sezioni geologiche e argomenti varii, dimostra non esservi alcuna relazione fra le dislocazioni dell’ Appennino meridionale e le manifesta- zioni eruttive del Vulture, e nemmeno fra questo vulcano e altri della peni- sola. Passa quindi a descrivere l’orografia della base sedimentaria del Vulture, la cui storia è identica a quella del resto dell’ Appennino. La seconda parte è dedicata specialmente al vulcano, il quale forma un cono alto 1330 metri sul mare, separato da una zona di terreni sedimentari da altri minori centri eruttivi, che stanno a V.E della massa principale. In un primo capitolo è esposto il risultato dell’esame petrografico e chimico delle roccie del Vulture, corredato da analisi e da fotografie di sezioni sottili. Esse sono costituite da una serie di numerose e continue variazioni, che dalle tra- chiti fonolitiche va ai basalti. Le roccie laviche descritte dalle più antiche alle più recenti sono: fonolite hauynica, fonolite anortoclasica, tefriti hauyniche, tefriti leuco-hauyniche, basaniti leuco-hauyniche, Basalti leucitici, nefeliniti, hauynofiro. In modo analogo sono descritte le roccie clastiche e gli inclusi, al- cuni dei quali provengono da roccie sedimentarie, altri sono parti di magma consolidatosi in profondità a struttura granitoide, altri infine di dubbia origine. Il secondo capitolo è dedicato alla tettonica del Vulture. Questo vulcano, schiettamente continentale, sorse nel fondo di una vallata pleistocenica molto accidentata ed ha quindi subito nel formarsi le condizioni di tale base. In seguito potè assumere la forma di cono quasi regolare, ora però alterata da spostamenti dell’asse eruttivo e da esplosioni eccentriche. L’ac- cumulamento dei prodotti nella parte settentrionale e la loro disposizione indi- cherebbero che l’asse del cratere fosse inclinato verso nord. I due laghi del Monticchio sono attribuiti a due distinti crateri dovuti ad esplosioni, non a sprofondamento. - 233 Esponendo le sne idee siiirassettamento di tutta la massa vulcanica, l’au- tore ritiene che essa, in un periodo già avanzato di attività, abbia subito un abbassamento per i vuoti prodotti dal trabocco del magma eruttivo. Egli si basa perciò non tanto nelFosservare la grande altezza dell’orlo della base se- dimentaria intorno alla massa del Vulture, ma anche sui seguenti fatti. L'antica valle occupata dal Vulture venne da questo sbarrata in modo da formare un gran lago i cui sedimenti formano il fondo della valle di Vitalba o di Atella. Le acque diluviali continuarono a defluire per l’antica depressione e passando a nord di Venosa correvano verso oriente, come lo dimostrano i conglomerati a grossi elementi vulcanici sovrapposti a quelli alluvionali lungo quella valle e che indicano il corso torrentizio delle acque. Ma al di sopra di questo conglomerato si trovano depositi di tufo finissimi a fossili lacustri, i quali indicano che ivi si formò posteriormente un lago: ora ciò non poteva ac- cadere che per sollevamento della parte della valle più lontana o per avvalla- mento della parte più prossima al vulcano. Escluso per ragioni tettoniche il sollevamento, devesi in conseguenza ammettere un abbassamento dalla parte del vulcano. Tale abbassamento continuando le acque furono costrette a river- sarsi in direzione contraria scaricandosi nell’Ofanto e, continuando l’erosione in tale direzione, si produsse lo svuotamento del lago, che tale si mantiene costi- tuendo la fiumara di Venosa che scorre da est ad ovest contrariamente all’anda- mento dell’antica valle. Dalla posizione dei conglomerati l’autore deduce che tale avvallamento, avvenuto in modo regolare e senza salti, sia superiore ai cento metri. Von ritiene che dislocazioni orogeniche abbiano direttamente influito sul- l'origine del vulcano, ma bensì contribuito a diminuire la resistenza all’uscita del magma. Quanto alla sismicità della regione, essa non è maggiore di quella delle re- gioni limitrofe, dovuta alla continuazione dei movimenti orogenici e senza re- lazione coll’azione vulcanica del Vulture. In un terzo capitolo viene presa in esame l’orografia del vulcano e ven- gono specialmente esaminati gli effetti della denudazione sul cono originale. Le acque meteoriche agirono più specialmente sulla parte più elevata di esso, incidendovi valloni radiali, mentre le sorgive ebbero azione principale nei j fianchi interni e alla periferia della montagna. Il cono, che si presenta quasi I completo a nord e ad est, è profondamente sventrato ad ovest e a sud-ovest I verso il Monticchio. Le sorgenti si manifestarono alla periferia del vulcano nel I versante di nord-est, mentre in quello opposto hanno numerose vie di uscita j per esserne aperta per grande altezza l’interna compagine. Indicate le molte sor- I genti che si presentano nella regione, l’autore si occupa di quelle minerali de- — 234 — scrivendone le principali, osservando che i grandi depositi linionitici e traver- tinosi dimostrano che le acque dovevano avere in antico maggior ricchezza di acido carbonico e di altri solventi. ]N"ella terza parte sono dettagliatamente descritti i laghi originatisi per il sorgere del vulcano nella valle in cui si sviluppò; cioè i laghi di Vitalba e di Venosa già sopra ricordati. La quarta ed ultima parte della memoria tratta del vulcanismo in genere ed in particolar modo dell’origine del Vulture. Ammessa la nessuna relaziono fra il Vulture ed i vulcani tirrenici, e negata l’esistenza di grandi fratture su- perficiali fra i medesimi, l’autore assegna come causa diretta della formazione delle fratture vulcaniche, la tensione e forza esplosiva dei vapori contenuti nel magma e prende ad esempio la formazione del Monto IS'uovo, per concludere che il vapore acqueo sia l’agente principale nella formazione dei vulcani. Esa- minata la questione se tale vapore acqueo sia contenuto ah initio nel magma eruttivo o se esso provenga dall’esterno, trova nella disposizione tettonica del- l’Appennino e nelle acque diluviali durante il periodo di sollevamento post- pliocenico, la possibilità che esse, agevolate nel loro cammino sotterraneo dalla disposizione a conca sinclinale delle roccie mesozoiche di quella regione, sieno discese fino sotto il Elysch eocenico ove, incontrando il magma formatosi du- rante quel sollevamento, ne provocarono l’estravasazione dopo avere squarciato il fondo della valle colla forza esplosiva dei loro vapori, formando così, con i magmi successivi di varia natura già descritti, la gran massa del vulcano. Il vulcano però non fu semplice ; vi si distinguono ancora due focolari distinti e indipendenti dal principale dei quali uno posteriore, l’altro anteriore alla for- mazione del cono principale, il quale alla sua volta fu squarciato dando luogo al duplice cratere occupato ora dai due laghetti di Monticchio. In un capitolo di conclusione sono riassunte le principali idee esposte nel corso di questa estesa memoria. Questa è poi corredata da una Carta geolo- gica a colori alla scala di 1 : 100000 del Vulture e dintorni, a cui va unita una carlina dei ghiacciai, vulcani e laghi quaternari della Basilicata, non che da una tavola di sezioni geologiche, da numerose fotografie e da sezioni sottili delle principali roccie dovute al doti. Carlo Riva. De Lorenzo G-. — Sulla probàbile causa dell' attuale aumentata attività del Vesuvio. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^, Voi. VI, fase. 5 a 7, pag. 127-130). — Napoli, 1900. Nella prima decade del maggio 1900 il Vesuvio presentò al cratere ter- minale un improvviso aumento di attività con grandi esplosioni, rombi e getto di blocchi di lava iiftcandescente lanciati a più di 300 metri di altezza. Tale aumento di attività stromboliana, dopo un periodo di dieci mesi di attività assai moderata, l’autore suppone sia dovuto in gran parte alla straordinaria preci- pitazione atmosferica verificatasi nell’inverno del 1899-900. L’acqua infatti, as- sorbita tanto più facilmente per la permeabilità delle lave e dei lapilli, deve esercitare un influsso sulla parte più elevata della colonna lavica colla quale viene a contatto e provocarvi delle esplosioni più o meno formidabili a se- conda della quantità dell’ acqua, della pressione, dello stato pastoso della lava e di altre circostanze fisiche. La breve durata del fenomeno di tre o quattro giorni confermerebbe che esso è dovuto ad una causa superficiale e tempo- ranea quale la pioggia di quell’inverno. L’autore riporta in proposito le osservazioni del Dana sul Kilauea, nel quale Tattività del cratere si mostra in rigorosa dipendenza della precipitazione atmosferica. IS’essuna meraviglia quindi che anche pel Vesuvio l’acqua di pioggia ])0ssa esercitare un certo influsso nella parte più alta della colonna lavica, alla quale certamente debbono pervenire le acque d’infiltrazione. La fugacità stessa del fenomeno dimostrerebbe una causa accidentale e limitata come quella sopmindicata. De Lorenzo Gr. — Influenza dell acqua atmosferica sul! attività de! Vesuvio. (Kend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^, Yol. YI, fase. 8° a 12^, pag. 217-223). — Napoli, 1900. A dimostrare T intima connessione esistente tra la precipitazione atmosfe- l'ica e le eruzioni vesuviane, della quale già si occupò nel precedente lavoro, nonché nello studio geologico sul Vulture, l’autore indica dapprima il nuovo riattivamento del fuoco vesuviano nella terza decade del novembre 1900, in seguito a tre settimane di precoci e strabocchevoli piogge. Nota poi chai della funzione dellacqua esterna, dell’idrosfera e deH'atmosfera sui vulcani si mostra convinto il De Stefani nel suo lavoro sulle fumarole di Vulcano e Stromboli {vedi più avanti) e che tale azione intravidero lo Spallanzani, v. Rath, Dana, Daubrée ed altri. Venendo al Vesuvio, l'autore ha potuto raccogliere gli elementi per un quadro sommario, che presenta, delle eruzioni più cospicue da esso distribuite per mesi dal 1631 al giorno d’oggi. Da questo risulta che le 102 maggiori eru- zioni laviche od esplosive sono ripartite fra le diverse stagioni in modo da far risultare che la precipitazione atmosferica deve costituire un fattore non trascu- rabile tra le cause efficenti dell’attività normale e straordinaria del Vesuvio. — 236 — De Lorenzo G-. e Eiya C. — Il cratere eli Vivara nelle Isole Flegree. (Atti E. Acc. Se. fis. e mat., S. 2% Yol. X, n. 8, pag. 60 in-4°, con 3 tavole). — Napoli, 1900. Il cratere di Yivara sorge tra l’isola d’ Ischia e quella di Precida. Esso è costituito attualmente dall’ isolotto di Yivara e dalla penisola di S. Marghe- rita congiunta a Precida per una bassa lingua di terra. Il suo punto più ele- vato a Yivara è di 169 metri sul mare: all’orlo superiore esso ha un diametro di circa 900 metri e di 500 circa all’inferiore. Citate le fonti storiche su questo vul- cano, gli autori ricordano le descrizioni geologiche di Abich, di Scacchi e di altri e specialmente un lavoro inedito del prof. Braucci del 1767 assai interes- sante per riguardo a quest’isola. Il materiale che costituisce il cratere è tutto di natura frammentaria, indi- cando che l’azione eruttiva non si estrinsecò con lave fluide, ma con esplosioni successive di materiale discontinuo, in parte proveniente direttamente dal magma proprio di Yivara (ceneri, pomici, lapilli, ecc.), in parte da frammenti strappati dall’esplosione alla base sottostante vulcanica, e fors’anche sedimentaria, e meta- morfosati. Tale materiale nen è quindi distinto secondo la sua origine, ma bensì disposto secondo la grossezza dei singoli elementi, costituendo banchi di grosse ; breccie, di conglomerati più minuti e di strati di pomici, tufi, ecc.; e gli autori nello studio geologico seguono appunto quest’ordine cominciando dalle breccie che sono divise in 4 categorie, di ciascuna delle quali prendono in esame le roccie, passando successivamente ai , tufi, ai lapilli, alle pomici che vengono dettagliatamente descritti con le analisi chimiche e petrografiche. Il magma proprio di Yivara non è di tipo esclusivamente trachitico come quello dei Campi Elegrei, ma presenta mescolanze di magmi trachitici e basaltici rappresentali da roccie variatissime, dalle sanidiniti quarzifere, passando per le trachiti augi- tiche, per le fonolitiche e per le andesitiche, fino ai normali basalti ad olivina. Cercando le relazioni tra questi materiali e quelli della restante regione j flegrea gli autori osservano che è difficile vedere una parentela fra quelli di Yivara e gli altri. Eitengono che i materiali costituenti il cratere di Yivara furono eruttati prima della formazione del tufo giallo dei Campi Elegrei e sieno i contemporanei, o di poco posteriori, alle grandi esplosioni che accompagnarono e seguirono l’ estravasazione del piperno. i Il cratere di Yivara rappresenterebbe quindi nello spazio e nel tempo un termine di passaggio tra l’attività e formazione eruttiva originaria dell’ Epomeo ; e quella complessiva posteriore dei Campi Elegrei. i Yenendo alla tettonica dell’isola si rileva chela disposizione dei materiali | è assai semplice e regolare. Gli strati sono tutti inclinati tutto attorno alle falde { I' — 237 — esterne ed interne del cratere in modo quaquaversale, mostrando che il vulcano si formò per accumulamento di materiale, in tutto od in parte sottomarino, in- torno ad una bocca che lo eruttò con una serie di esplosioni simili a quelle che diedero origine al Monte ISTuovo. Emerso in gran parte dal mare il cono venne in potere degli agenti este- riori, cioè le pioggie, i venti e le onde marine che ne cominciarono la demoli- zione che tuttora prosegue. La presenza dei canali radiali di erosione, prodotti dalle acque che dai fianchi del cono e dall’ interno del cratere scendono e si prolungano per più di dieci metri sotto il livello del mare, indica chiaramente un abbassamento forse avA^enuto in epoca storica e che è probabilmente in relazióne col lieve affondamento generale che ha subito tutto il bacino eruttivo di I^apoli, causato dal peso del materiale eruttato e dal vuoto prodotto dalla estravasazione del magma sgorgato da piccola profondità. Questa memoria è corredata da disegni nel testo e da tre tavole di sezioni sottili di roccie e fotografie. Del Prato A. — Balena fossile del Piacentino. (Rn^ista ital. di paleon- tologia, Anno TI, fase. Ili, pag. 136-142, con taA^ola). — Bologna, 1900. L’autore, premesse alcune notizie sui numerosi resti di Mistacoceti scoperti nelle colline del Piacentino e sui riferimenti di essi fatti da A^arii autori, si oc- cupa in questa nota dei resti rinA^enuti nel gennaio 1899 nelle marne azzurre plio- ceniche del Rio Stramonio, poco lungi dalla località OA^e egli rinvenne lo sche- letro di Tiirsiops Capellìniì già descritto (A'edi Bibl. 1898). I resti del Mistacoceto scoperti consistono in un ramo mandibolare sinistro, quattro coste quasi complete e una A^ertebra caudale. L’autore ne fa una detta- gliata descrizione e dai confronti con altri fossili e dalle descrizioni degli autori ritiene che questa Balaena dello Stramonio non possa identificarsi con altre già note, ma debba tenersi bene distinta anche da quelle colle quali pare avere maggiori rapporti di somiglianza; e nel caso che fosse dai competenti in ceto- logia confermata questa sua opinione, proporrebbe per questi resti il nome di Balaena Paronai n. sp. De Stefani C. — Il Miocene nell Appennino settentrionah a proposito di due recenti lavori di Oppenheim e di Sacco. (Atti Soc. toscana di Se. nat., Processi Aderbali, Tol. XII, pag. 56-60). — Pisa, 1900. In replica ad un lavoro di Oppenheim sulle grandi lueine e sull’età del ma- cigno dell’ Appennino (A'-edi più aA^anti) l’autore osserA^a dapprima che questi ha — 238 - riportato un lavoro del Gioii senza avere tenuto conto delle determinazioni già pubblicate daH’autore stesso. Questi infatti aveva distinti tra le grandi bivalvi del miocene appenninico due tipi, la Lncina Dicomani ed il Loripes globnlosus, mentre il Gioii attribuisce il nome di L. Dicomani al Loripes. L’autore conferma che tali specie sono considerate da lui e dai paleonto- logi appenninici proprie del miocene medio, e riporta la sezione di una località presso Montebaranzone nel Modenese, che prova stratigraficamente la posizione delle lueine nel Langhiano. E poiché l’Oppenheim, mettendo in dubbio l’età neogenica del macigno, cita un recente lavoro del Sacco (vedi più avanti) Fautore fa risaltare che le osser- vazioni di quest’ultimo derivano da preconcetti teorici errati relativi all’età di alcune formazioni appenniniche e ritiene che, da uno studio più accurato delle faune dei terreni da lui ascritti all’eocene, dovrà riconoscere che esse sono mioceniche. Aggiunge che le osservazioni statigrafiche del Lotti citate dal Sacco sono pure in parte basate su preconcetti errati. De Stefani C. — Notizie geologiche sulV isola del Giglio (in Sommier H., L’isola del Giglio e la sua flora) (pag. xlyi-lxvi in-4‘’, con carta geologica). — Torino, 1900. In quest’opera, di carattere botanico, trovasi una breve illustrazione geo- logica dell’isola scritta dal De Stefani, il quale vi rifuse le notizie che già si avevano da altri geologi, con l’aggiunta delle sue osservazioni personali. In essa l’autore, dopo di aA^ere accennato alla topografia dell’isola e indicati som- mariamente gli autori che ne scrissero, passa in rassegna i terreni e le roccie rappresentativi, cominciando dal granito che è esteso a tutta l’isola, ad ec- cezione del promontorio detto II Franco la cui costituzione geologica è affatto dwersa. Il granito è, secondo l’aatore, una granitite come quella del Monte Ca- panne, di Montecristo, di Gavorrano e di Campiglia. IN’e passa rapidamente in rassegna i dWersi minerali, indicando i filoni di granito tormalinifero e ri- tiene col Matteucci che in questo come nel porfido dell’ Elba e nel granito del Giglio la tormalina siasi formata per fenomeni idrici in età assai posteriore a quella della formazione del granito. Intorno alFetà di questo granito ritiene sia esso la roccia più antica della Toscana e paragonabile per età a quelli della Calabria, della Sicilia, della Sar- degna, della Corsica e delle Alpi occidentali. I terreni più recenti del granito, che costituiscono il promontorio del Franco, sono rappresentati da roccie verdi predevoniche che, come all’Elba, sembrano sovrastanti al granito. Esse risultano di serpentina, gabbri, dioriti, epidioriti che sembrano derivare da metamorfismo delle diabasi e che col Rosenbusch chiama glancanfìboliti per esserne il pirosseno trasformato in glaucofane. Queste roccie occupano la parte meridionale di questo promontorio. Ad esse succedono filladi e quarziti paleozoiche, costituite da scisti arenacei, argillosi (talora car- boniosi), da cloroscisti, micascisti, puddinghe, con filoni di quarzo al Campese, con oligisto, piriti e limonite. ETn ammasso di oligisto con limonite trovasi sopra il granito in cima al Poggio della Vena, dimostrando che il granito una volta era coperto dai materiali che costituiscono il Franco. L’autore indica pure nella Cala dell’ Allume la presenza dell’allumite, accompagnata da manganite. I calcari cavernosi coprono tutte le altre roccie ed appartengono per la massima parte al retico. Vi sono però calcescisti e calcari biancastri saccaroidi che potrebbero appartenere al trias. I terreni più recenti sono rappresentati dalla panchina, costituiti da sabbie marine e da breccie e sabbie alluvionali. In un ultimo capitolo l’autore parla dell’origine geologica, della microfauna e della flora dell’isola. Accennato al supposto sprofondamento della Tirrenide, di cui avrebbero fatto parte il Giglio e le altre isole, ed accennato ai suoi pre- cedenti lavori indica brevemente le condizioni in cui dall’eocene fino al post- pliocene si trovavano la Toscana, la Corsica, la Sardegna e le isole tirrene minori. Dal punto di vista geologico risulta per fatti accertati l’origine estremamente recente della penisola, e quindi essere assurdo l’asserire che le isole prima del post- pliocene, del pliocene, ecc. facessero parte d’un solo continente con l’odierna penisola che non esisteva. Quanto poi alla provenienza della fauna e della flora attuali delle isole tirrene e della vicina teri-aferma, l’autore conclude che esse, compreso il Giglio, hanno oggi fauna e flora provenienti dalla medesima terraferma nella massima parte, ed il fondo di esso è recentissimo rimontando ad età molto vicina l’esten- dimento della torraferma stessa. IS'ei tempi anteriori al post-pliocene probabil- mente il fondo principale delle microfaune e delle flore delle isole toscane allora esistenti, e forse di alcune di quelle oggi comprese nella terraferma, era dato I dalla Sardegna e dalla Corsica, isole allora maggiori e più prossime di ogni \ altro continente. Questo notizie sono corredato da una carta altimetrica e geologica dell’isola alla scala di 1 : 25000, nella quale sono distinte a colori le varie roccie ed i gia- cimenti miueiali. — 240 — De Stefani C. — Le acque atmosferiche nelle fumarole a proposito di Vulcano e di Stromboli. (Boll. Soc. Greol. ital., Tol. XIX, fase. 2®. pag. 295-320). — Eoma, 1900. L’autore espone in questa nota le idee che suH’origine dei vapori acquei che formano le fumarole, i soffioni ed i geysers gli furono suggerite dalle fumarole osservate a Vulcano e a Stromboli. Escluso che causa di tale fenomeno possano essere le acque diffuse fino dalle origini nella massa interna del globo, l’autore ammette fuori di dubbio che, almeno per le grandi eruzioni, i vapori possano provenire dall’acqua del mare o di grandi laghi penetrate in quantità neH’interno dei focolari vulcanici. Xon si può escludere però che le acque atmosferiche abbiano grande impor- tanza nei fenomeni concomitanti e susseguenti le grandi eruzioni, e che una parte e forse la totalità dei vapori che escono dalle fumarole, j)rovengano di- rettamente da queste acque. L’autore cita in proposito molti esempi nei quali lo acque penetrano o penetrarono nell’ interno del suolo per via ordinaria e non per diffusione molecolare o per capillarità. Passa quindi ad esaminare la condizione favorevole in cui si trovano i terreni vulcanici, se la superficie del suolo è fredda, per assorbire le acque atmosferiche e quelle dei vapori condensati alla loro superficie, e come queste una volta penetrate nell’interno, si accumulino e per le debite vie riescano in quei punti che le condizioni geologiche consentono, anche quando il terreno sia poroso ed internamente caldissimo. Tale fatto si verifica a Vulcano e a Strom- boli, come in tutti i vulcani nei quali cade, o direttamente si condensa una quantità di acqua atmosferica. Passa quindi a rassegna le sorgenti che si osser- vano nelle Isole Eolie ; nota la scarsità del cloro e del sodio nei prodotti aeri- formi e nelle sublimazioni di Vulcano e Stromboli, e dimostra che ! intervento dell’acqua marina nello stato attuale di questi crateri manca affatto. Xe conclude che a produrre le fumarole odierne di Vulcano e di altre località vulcaniche, basta una minima quantità d’acqua, e che, per Vulcano almeno, il vapore delle fumarole abbia origine prettamente terrestre e super- ficiale, senza intervento delle acque del mare. Xon esclude però che per le grandi eruzioni occorrano quantità d’acqua ragguardevoli che possono provenire dal mare o da profondi ed estesi bacini lacustri ; iron per assorbimento rrrolecolare, ma per azione di acqire che giungono per fessure, improvvisamente, in regioni dotate di altissimu tempe- ratura, e per la formazione subitanea di gas e vapori, e che a seconda della profondità e della maggiore o minore resistenza delle roccie, si prodircano ter- remoti od eruzioni esplosive vulcaniche. — 241 De Stefani C. — Le sorgenti delle valli di Ter solle e del Mugnone. (Atti B. Acc. dei aeorgofili, S. lY, Yol. 23, n. 2, pag. 312-325). — Fi- renze, 1900. Questo studio si riferisce a 27 sorgenti: 17 nella valle di Terzolle e 10 in quella del Mugnone. Per ogni sorgente vengono descritte l’ubicazione, le con- dizioni geologiche ed igieniche, i manufatti pel raccoglimento delle acque, ecc. Due tavole danno, infine, la portata delle sorgive misurate in diversi tempi daH’ing. P. Pini e da questi comunicate all’antore. Aeir introduzione egli esamina brevemente dal punto di vista idrologico i terreni dai quali escono queste sorgenti: calcari marnosi {colombino) e scisti galestrini appartenenti entrambi aH’eocene medio. De Stefano G. — Le argille a Coenopsammia Scillae Seg. e le sabbie marine della contrada Corvo in Reggio di Calabria. (Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. 4% Yol. XIII, Mem. Y, pag. 9 con tavola). — Catania, 1900. Secondo le osservazioni dell’autore nella contrada Corvo, presso Peggio Calabria, si ha la seguente serie: quaternario, costituito da una formazione superiore terrestre, e da una inferiore marina ; pliocene, rappresentato da argille azzu.re; miocene, rappresentato da marne giallognole. In questa nota il dott. De Stefano si occupa del quaternario marino e del pliocene. Il quaternario marino è formato da sabbie, silicee e fossilifere alla base, calcaree alla parte superiore. Da fauna, non ricca, ha frequenti le Anemie, le Citeree e i Doripes, e scarsi i gasteropodi; l’autore ne dà l’elenco specifico, dal quale egli ritiene potersi dedurne quasi con certezza l’età quaternaria. Le argille plioceniche (di cui l’autore dà anche alcune determinazioni analitiche) hanno abbondanti corallari riferibili al Coenopsammia Scillae Seg., specie frequente nella provincia di Messina, ma nuova per la Calabria; e l’ab- bondanza di essa a Corvo è tale, che l’autore indica la formazione col nome di argille a Coenopsammia. Fra le valve di lamellabranchi aderenti ai corallari, l’autore ha osservato •lo Spondyliis Gnssonì Da Costa; ciò che, insieme all’aspetto della roccia e ai corallari in essa contenuti, induce l’autore a riferire la formazione di quelle argille al periodo Astiano. Xella tavola sono disegnati alcuni frammenti della Coenopsammia. 16 — 242 — De Stefano G. — Fossili di un posso artesiano di Ravagnese. (Eivista ital. di paleontologia, Anno Yl, fase. I, pag. 28-24). — Bologna^ 1900. Yel lavoro di ripulitura di un pozzo artesiano scavato nella contrada Ba- vagnese, in quel di Reggio Calabria, sino alla profondità di circa m. 27 sotto la superficie del suolo, ed alla distanza di tre chilometri dal mare, si raccol- sero sul fondo numerosi fossili, che furono esaminati dal comm. Ulderigo Botti e dall’autore. Pubblicandone ora l’elenco, quest’ultimo osserva che la fauna da essi rap- presentata è quasi del tutto somigliante a quella attuale del Mediterraneo ed a quelle delle formazioni affioranti a Bovetto, Ravagnese, Carrubare, ecc.: la formazione è dunque quaternaria, ed il quaternario giunge quivi a profondità maggiore di quanto si credeva. De Stefano G. — Il Cenomaniano di Brancaleone Calabro. (Boll, del Naturalista, Anno XX, n. 1-2, pag. 1-15). — Siena, 1900. Ricordate le opinioni, intorno ai limiti del cenomaniano in Calabria, di Seguenza, De Stefani e Cortese, l’autore espone che il vei*o cenomaniano costi- tuisce un solo piccolo affioramento presso S. Giorgio (Brancaleone). I fossili che osservansi altrove, sono caduti per erosione delle acque, e le roccie su cui stanno sono terziarie. L’autore si riserva di descrivere ulteriormente i fossili interessanti o nuovi, che ora si limita ad enumerare. De Stefano G. — Sopra alcuni minerali di Calabria. (Boll, del Natu- ralista, Anno XX. n. 7, pag. 74-79). — Siena, 1900. È renumerazione di minerali di Calabria appartenenti alla collezione do- nata dal comm. Botti al Liceo di Reggio, o raccolti dall’autore, o a lui donati. Per ogni minerale è indicata la provenienza e, molto sommariamente, ne sono riferiti i caratteri principali. De Stefano G. — Gli avansi fossili dei Misticeti in Calabria. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XIX, fase. 2^ pag. 281-204). — Roma, 1900. L’autore descrive varie vertebre dorsali, lombari e caudali di cetacei mi- sticeti provenienti da depositi postpliocenici di varie località dei dintorni di Reggio Calabria, e notevoli per le loro dimensioni. Esse sono dall’autore rife- — 243 — rito al genere Heterocetiis, ed appartengono, per quanto è lecito argomentare nella mancanza di elementi di sicura determinazione, ad una specie nuova, per la quale Fautore proporrebbe il nome di H. major. Diener C. — Ueber den Eìnfluss der Erosìon aiif die Structur der siidost- tiroliscJien Dolomit-stócìce. (Mitth. geogr. G-eselL, Jahrg. 1900, pag. 25-30). — Wien, 1900. IN'el gruppo montuoso d’onde scendono le valli di Groden, Enneberg o Biichenstein, si trovano i massicci isolati calcareo-dolomitici (trias superiore) di Gardenazza, di Sella e di Sett Sass, mentre fra l’uno e l’altro di essi affiorano gli scisti argillo-marnoso-tufacei (trias medio) che vanno a formare la base delle anzidette masse calcareo-dolomitiche. Queste ultime sono disposto in leggiere sinclinali a catino, mentre le interposte masse scistose si trovano corrugate in anticlinali, con pieghettature complicate e rigetti e incuneamenti al contatto colle masse dolomitiche. Questa complicazione tettonica locale fu illustrata recentemente da Miss M. Ogilvie, la quale cercò di spiegarla con una « struttura di torsione. » All’autore pare invece che il fenomeno sia posteriore all’erosione che levò par- zialmente il grande ammanto calcareo-dolomitico, mettendo allo scoperto le masse scistose, le quali sotto l’ immane pressione delle isolate masse dolomitiche, subi- rono ivi quei fenomeni di spinte e di avvicinamento e di rigetti e incunea- menti che noi ora troviamo. Aggiunge l’autore che questi fenomeni proseguono tuttora sotto forma di scorrimenti e frane frequenti. Di Stefano G. — Il Malm in Calabria. (Eivista ital. di paleontologia. Anno VI, fase. I, pag. 39-47). — Bologna, 1900. L'autore comincia dall'osservare che l’indicazione del titonico in Calabria fatta da vari autori per varie località, lo fu in base a dati insufficienti, e par- ticolarmente fondandosi sulla presenza di Ellipsactinidi, fossili questi ch’egli brevemente dimostra non troAmrsi soltanto nel Titonico, ma anche in diversi piani cretacei. Il lembo di titonico ch’egli segnala ora nella valle del Cotognati (Rossano), è perciò il primo in modo sicuro stabilito in Calabria, non solo, ma nella parte meridionale della penisola, a sud del Gargano. Esso è costituito da un gruppo di strati (calcari marnosi ricchi di noduli e liste di selce, ed irregolarmente associati a diaspri) con caratteri litologici identici a quelli del Titonico infe- — 244 — riore di Taormina, e contenenti; Aptijchus\ punctatiis Woltz, A. Beijricìiì Opp., A. sp., Belemnites ensifer Opp., B. cfr. semìsiilcatns Miinst., B. sp., Spìienodns tìthoniiis Oemm., costituenti una piccola fauna che rappresenta certamente il Malm. Questi strati poggiano in trasgressione sulle roccie della serie cristallina, per lo più sul granito, ma anche sulle filladi; però in qualche punto stanno sopra calcari marmorei rossi macchiati di bianco, con crinoidi, in cui l’autore trovò abbondanti esemplari di Bliynchonella Clesiana e qualche gasteropodo mal conservato, e che egli riferisce, con riserva, al Dogger. Sul titonico sta l’eocene superiore, costituito da calcari nummulitici, con marne grigie o rosse e da arenarie con nummuliti. Di-Stefano Gt. — SulPetà degli scisti silicei della parte occidentale della Sicilia. (Boll. Soc. Q-eol. ital., Yol. XIX, fase. 1®, pag xxix-xxx). — Roma, 1900. È il sunto di una comunicazione fatta alla Società geologica e alla quale ha dato luogo una nota del dott. O. Marinelli {Osser emioni geologiche sopra i ierreni secondari del gruppo del Monte Jiidica in Sicilia, Eend. B-. Acc. Lincei, S. Y, Yol. YIII) in cui era detto che avendo fatto alcune osservazioni geolo- giche nei dintorni di Palermo, il Marinelli erasi convinto che i caratteristici scisti silicei di Gibilrossa, ritenuti liasici, debbono ritenersi equivalenti ai calcari con Halohiae e che alla stessa conclusione si giungerebbe studiando la posizione di molti degli scisti analoghi della Sicilia, attribuiti in generale al lias. Il dottor Di Stefano dice che gli studi del prof. Gemmellaro, e le osserva- zioni raccolte dall’ing. Baldacci nella sua memoria sulla Sicilia dimostrano in modo inconfutabile l’appartenenza alla parte inferiore del lias superiore degli scisti silicei della parte occidentale della Sicilia; e cita in appoggio varie regioni dalle quali risulta che quelli scisti stanno generalmente sul calcare a crinoidi con fauna del lias medio a facies di Hierlatz, e sotto il titonico, talora (Ma- rineo) con interposizione del Dogger. In qualche caso gli scisti trasgrediscono sul trias, ma nelle stesse regioni si mostrano sovrapposti ai calcari con cri- noidi del lias medio. Inoltre il prof. Gemmellaro ha dimostrato che gli scisti silicei a Termini Imerese e a Trabia contengono la piccola elegante fauna degli « Strati con Leptaena », che a Taormina, nel S.O d’Inghilterra, nella Xor- mandia, nel Wùrtemberg e nel Portogallo, stanno alla base del lias inferiore. L’autore si propone di ritornare sull’argomento, con maggiore sviluppo della quistione sulla età degli scisti di M. Judica. — 245 — Duparc L. et Mrazec L. — Carte géologiqiie dii massi f dii Mont-Blanc^ Uvee de 1890-96 à Vécìielle de 1 à 50000 (un foglio a colori). — Grenève, 1900. Questa carta geologica, stampata sulla ottima base topografica di Albert Barber alla scala di 1 : 50000 coll’aggiunta del Olente Catogne, è il necessario complemento del grande lavoro degli stessi autori sul IMonte Bianco, del quale si è data la notizia bibliografica nel Bollettino per l’anno 1899. Oltre al rileva- mento geologico compiuto dagli autori e dal loro collaboratore B. Pearce per la Tal Ferrei e i dintorni di Courmayeur, nella carta suddetta sono riportati i contorni di Micbel-Levy sulla regione Pormenaz-Prarion, e quelli del Bitter lungo la valle di S. Gervais, e nei pressi del Col dn BonliommeQ del Col des Foiirs. Si hanno quindi per la prima volta raccolti in una carta in grande scala i dati geologici più recenti tanto pel gruppo cristallino che per le regioni di terreni stratificati che lo circondano, colle interessanti pieghe della parto S.E del gruppo : fra queste è a notarsi la sottile zona sinclinale di pernio-car- bonifero che dal M. Tondu attraverso il ghiacciaio di Trelatéte arriva pel Col Infrancliissable nel vallone del Miage. Telia parte eruttiva sono distinti i porfidi ed il granito (protogino) con una speciale segnatura in questo, dove i filohi di aplite sarebbero più frequenti ; nella parte cristallina sono distinti i micascisti graniilitici e le anfiboliti, delle quali, sono indicate numerose nuove masse. Pel quaternario è data una sola segnatura. Per quanto concerne il versante italiano si notano le costituzioni litologiche diverse da quelle attribuito dai precedenti autori ai monti Chétif e de la Saxo, nella parte T.O dei quali ai porfidi si sottoporrebbero delle masse granitiche, mentre sulla vetta del Chétif figurerebbe un lembo di quarziti triasiche. Quanto ai terreni stratificati i limiti sono all’incirca quelli dalle carte precedenti, eccetto un cuneo di permo-carbonifero al lato sud del M. Fréty, ed un lembo isolato di lias sotto gli abitati di Pra Sec, i quali secondo gli ultimi dati deU’Ufficio geologico riposano completamente sul quaternario, potentemente sviluppato. Pure nel versante italiano la carta in parola differisce dalle precedenti quanto alla posizione del limite della massa di granito cogli scisti cristallini, colla tinta dei quali gli autori segnano l’Aiguille Toire de Peuteret ed i suoi contrafforti scendenti alla Dora, nonché l’Aiguille du Chàtelet, monti comple- tamente granitici, come sono pure secondo i recenti rilievi dell’Ufficio, le rupi del Mont Blanc de Courmayeur a non grande distanza dal crinale culminante, dove affiora il limite della calotta di scisti cristalhni, la quale giustamente, se- condo gli autori, ricopre il granito a non grande profondità. — 246 — Faggiotto a. — La separazione della Sicilia dalla Calabria. Studio sto- rico e geologico (pag. 76 in-8®, con taYola). — Eeggio di Calabria, 1900. È un lavoro di carattero letterario nel quale è riportato ciò che scrittori di ogni tempo hanno pubblicato sulla questione della separazione della Sicilia dal continente. Aella parte geologica riferiscesi a quanto ha detto il Cortese nel noto suo lavoro, e in particolare sulle oscillazioni della costa calabrese, senza aggiungervi nulla di nuovo. La tavola, compilata in parte dal prof. Arcovito, è relativa al grande ter- remoto di Reggio Calabria. Fittipaldi e. U. — Qastropodi del calcare tiironiano di S. Polo Ma- tese {Campobasso). (Atti E. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, S. 2^, Yol. X,' n. 5, pag. 1-14, con tavola). — Napoli, 1900. Il materiale che forma argomento di questo lavoro fa parte di una copiosa collezione di fossili raccolti dal prof. Bassani nei dintorni di S. Polo Mateso (prov. di Campobasso). Il monte di S. Polo è formato di strati di calcare ippu- litico, compatto, microcristallino, grigio-giallastro, su cui stanno altri di calcare spatico bianco, alquanto cavernoso, ricchissimo di rudiste. I gasteropodi studiati dall’autore e descritti in questa nota trovansi nella parte più alta della forma- zione superiore, nella quale il dottor Di-Stefano già riconobbe: Hippurites gì- ganteiis d’Hombre Firmas, H. Gosaviensis Douvillé, oltre a molti nuclei di ga- steropodi .e numerosi esemplari di una Nerinea vicina alla N. Stoppami Gremm. Fra i gasteropodi determinati dall’autore, parte sono di specie nuove; le specie già note, furono troA^te tutte in formazioni del cretaceo superiore, al Col dei Schiosi (Friuli), in istrati appartenenti, secondo i più recenti studi del Bohm, al turoniano. A quest’ultimo piano va quindi riferito il calcare bianco spatico di S. Polo Matese. Nella tavola annessa sono figurate le specie nuove. Flores E. — Z’Eleplias antiquus Pale e il Ehinoceros Merchi Jaeg. in provincia di Reggio Calabria. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. 3°, pag. cxxvi). — Roma, 1900. L’autore, che già aveva posto in dubbio la coesistenza, risultante da uno studio del dott. De Stefano, dell’ Elephas meridionalis Nesti e del Ehinoceros Merchi Jàg. in terreni postpliocenici di Reggio Calabria, avendo potuto esami- nare i resti dL^Y^Elephas in questione, ha potuto convincersi trattarsi realmente, come già aveva supposto, dell’A. antiquus. — 247 — Forxasls^i C. — Le polìmorfine e le nvigerine fossili cV Italia. (Boll. Soo. GeoL ital.. Voi. XIX, fase. pag. 132-172). — Eoma, 1900. L'autore, premesse alcune considerazioni sulla sistematica dei generi Poli)- morphina, Dimorphìna, Uvigeriiia e Sagrina, passa in rassegna tutte le forme ad essi spettanti citate fino ad oggi come fossili in terre geograficamente ita- liane. Eiunisce poi in due qu4di’i quelle che. sono, secondo lui, da considerarsi come generi o varietà : e negli stessi quadri ne è indicata la distribuzione negli strati terziari e post-terziari delle diverse regioni italiane. Sono 49 polimorfine, 3 dimorfine, 18 uvigerine e 4 sagrine. Xel testo sono intercalati i disegni di specie di D’Orbigny, da questi figu- rate nelle « Planches inédites », ma non descritte, e delle quali l’autore stabi- lisce ora il significato. Esse sono le seguenti: Polgmorphina acuta.; Ghttiiliiia caudata. Polgm. iuaecjualis, Poìgm. obtusa, Globulina ovata, Polgm. trnncata e rvigeriua nodosa. Forsyth-Ma.tor J. — RemaH'S on remains of Cvon sardiis. Studiati, frolli a cave at Capo Caccia (X. TF. Sardinia). (Proceed. Zool. Soc. London, 1900, pag. 833-835). — London, 1900. Trattasi di una mandibola di canide comunicata all’autore dal prof. Lo- visato insieme a resti di altri vertebrati pleistocenici della Sardegna. In man- canza della parte posteriore della mandibola, restando indeciso se era o no pre- sente un terzo vero molare, l’autore osserva che la determinazione non si può basare che sulla conformazione del talone del canino inferiore che è unicuspidale e tagliente, mentre nel Canis è per lo più composto di un tubercolo più ro- busto esterno ed uno meno, interno. L'autore cita i tre generi fra i canidi recenti che hanno la conformazione tagliente del talone del canino inferiore: Icticyoii del Sud America, Lgcaon del- l'Africa ed il Cgon dell'Asia centrale e sud-orientale; e riporta l’opinione di varii autori circa i rapporti fra questi generi tra loro ed il Canis, ritenendo assai stretti quelli fra Lgcaon e Cgon. Ricorda che il primo fossile pleistocenico del tipo canino fu il Cgnotherium sardonm Studiati, della breccia ossifera di Bonaria, nel quale l'autore già riconobbe le affinità col Cgon. In attesa di più completo materiale egli opina intanto che i due carnivori sardi debbono ri- tenersi come Cgon sardous Studiati, rimandando la discussione riguardo alle lievi differenze tra i fossili delle due località, che non possono rilevarsi senza l'aiuto di figure. — 248 — Franchi S. — Analisi microscopica di alcuni esemplari di tracliite dei Monti della Tolfa. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XIX, fase. 1^, pag. xxxtii- xl). — Eoma, 1900. Trattasi di tre campioni di roccia raccolti in occasione di una gita della Società geologica a CivitaTecchia e alla Tolfa, nel marzo 1900. Il primo, proTeniente da un ristrettissimo affioramento alla Montagnola, distante circa 8 km. dalla grande massa trachitica della Tolfa, è di una roccia bigio -chiara, compatta, con abbondanti inclusi di feldispato (essenzialmente sa- nidino) e di quarzo diesaedrico e più rare lamelle di biotite; la massa fonda- mentale non contiene più sostanza vetrosa; mostra frequenti microliti di sani- dina, più rari di andesina, e qua e là sforo -cristalli di feldispato a segno negativo, i quali la costituiscono probabilmente per buona parte. La roccia è una « riolite porfirica » secondo la classificazione di Michel-Lévy, od una « li- parile microfelsitica o felsofirica » secondo quella di Bosenbusch; astraendo dall’età terziaria, potrebbe dirsi una « microgranulite » o un « porfido quarzi- fero » rispettivamente secondo il primo e il secondo autore. È assai diversa dai tipi finora studiati della grande massa trachitica della Tolfa. Un altro campione è della roccia qhe cavasi ad Omomorto per farne selci. È a massa fondamentale vetrosa, scura, con abbondanti inclusi feldispatici por- firicamente distribuiti e frequenti masserelle granulari di pirite freschissima. La roccia, per la grande basicità degli inclusi feldispatici e la loro abbondanza, potrebbe forse essere più prossima alle andesiti che alle trachiti; perciò la si potrebbe dire una « retinite andesitica porfiroide ». La terza roccia è stata raccolta nelle gallerie delle miniere di Allumiere, a poca distanza dai filoni di allumite. Essa, di apparenza freschissima, è però pro- fondamente alterata: i grandi cristalli di feldispato sono completamente sostituiti da allumite, e sovente tutta, o quasi, la massa vetrosa fondamentale, nonché gli inclusi di biotite, è trasformata. L’allumite che occupa il posto dei grossi cristalli di feldispato è purissima. Xotevole il fatto della presenza in questo campione di abbondante pirite freschissima. Franchi S. — Sulla presenta di roccie giadeiticlie nelle Alpi occidentali e neir Appennino ligure. (Kend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 11°, 1° sem., pag. 349-854). — Eoma, 1900. È trattato lo stesso argomento che con maggiore estensione l’autore svi- luppa nella nota seguente. — 249 - Franchi S. — Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell’ Appennino ligure. (Boll. E. Comitato GreoL, Yol. XXXI, n. 2^ pag. 119-158). — Eoma, 1900. È noto come fino dal 1881 il Damour (Bull. Soc. Min. de Fr., T. lY, n. 6) constatava la composizione della giadeite in un campione di roccia che asserivasi raccolto in posto presso St. Marcel in Yal d’Aosta: nessuna ricerca però è poi stata fatta per confermare quell’asserzione. Gol presente lavoro l’autore mette fuori dubbio la presenza finora discussa di roccie giadeitiche nella catena alpino-appenninica. Lo studio petrografico di parte del materiale di scarto della Stazione neolitica di Alba, la quale ha fornito oltre 600 pezzi lavorati, conduce l’autore al riconoscimento di eclogiti e di pirosseniti presentanti fra loro termini di passaggio e nelle quali il piros- seno ha le proprietà della giadeite e della cloromelanite, e ad affermare resi- stenza di uno stretto nesso genetico o di giacimento fra questi due tipi di roccie. Lo stesso nesso egli riscontra fra eclogiti e pirosseniti delle Alpi occi- dentali, presentanti dei tipi identici ai precedenti, in tutti i caratteri fisici e petrografici, sicché è condotto ad affermare l’origine alpina e forse in parte appenninica del materiale della stazione di Alba. In tali idee lo confermano la presenza fra queste di manufatti in una porfirite di tipo specialissimo del gruppo del Monviso. Accennato ai numerosi giacimenti di roccie eclogitiche e giadeitiche nelle Alpi, l’autore fa la diagnosi di un certo numero di campioni raccolti da lui e dai colleghi Xovarese e Stella, e presenta due analisi eseguite dall’ing. Aichino di una cloromelanite di Mocchie (Yalle di Susa), e di una giadeite dei Laghi di Prato Fiorito (Monviso) aventi un tenore in soda di circa 7 ®/o* Eileva come la trasformazione, talora quasi completa, dei pirosseni delle roccie in questione in antiboli del gruppo della glaucofane stia a provare la natura sodica di quelli che in alcuni casi si trasformano in arfvedsonite. Dalle due analisi quasi iden- tiche, eccetto nei tenori degli ossidi di ferro e di allumina, è condotto ad attri- buire all’elevato tenore in ferro la forte dispersione del pirosseno nella cloro- melanite di Mocchie. Accenna come l’associazione intima delle roccie suddette con oufotidi, serpentine, ecc., parlerebbe in favore di un’ analoga origine eruttiva, la quale però non si può ammettere per le piccolissime lenti interca- late nei micascisti. Chiude il lavoro con alcune conclusioni di una certa importanza dal punto di vista paleoetnologico sulla probabile origine indigena della maggior parte del materiale roccioso delle stazioni neolitiche delle Alpi occidentali e dell’ Ap- pennino ligure. — 250 — Franco P. — Baritina nella provincia di Caserta. (Boll. Soc. G-eol. ital.. Yol. XIX, fase. pag. cxxvin-cxxx). — Eoma, 1900. Sono i risultati deiresame cristallografico fatto daH’autore di alcuni cri- stalli di baritina rinvenuti in una drusa di un calcare di località ignota della provincia di Caserta. La durezza ne è 3, il peso specifico 4. 333, e l’analisi chimica ha dato : SO® 34. 66 BaO 63. 33 «/o, SrO 2. 04 7^, CaO traccio. Franco P. e Friedlander E. — Contribiisione alla geologia delle Isole Pontine. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XIX, fase. 3°, pag. 672-676). — Koma, 1900. Il prof. Franco, premesse alcune spiegazioni in proposito, pubblica una lettera in cui il Friedlander gli comunica il risultato di osservazioni fatte in una visita alle Isole Pontine. All’isola di Santo Stefano l’autore ha osservato le cave sottostanti ai tufi e lapilli: vi debbono essere state molte eruzioni delle quali non pare però pos- sibile determinare i centri. Xelle parti alte si hanno depositi eolici con fram- menti di conchiglie marine. A Ventotene ha osservato vere dune, composte di frammenti di conchiglie, di foraminiferi e di materiale vulcanico, le quali, per essere ad elemento gros- solano dovrebbero essersi formate vicino alla marina, e, per la loro posizione attuale, indicherebbero un sollevamento recente. A Ponza, pare indiscutibile che il tufo tipico riolitico sia anteriore alla ri olite ; si hanno effetti di contatto evidenti. Xon può però escludersi che esi- stano tufi riolitici posteriori a certe rioliti. A Palmarola si hanno depositi fossiliferi sulla costa orientale; trattasi di vere dune e di vere spiaggie, che giungono sino a 140 metri sul livello del mare. A Zannone si trovano arenarie intercalate nel calcare e al disotto di questo un’argilla scura, che vedesi pure sotto la riolite. Fucini A. — Ammoniti del lias medio del! Appennino centrale esistenti nel Museo di Pisa. (Palaeontographia italica. Voi. V, pag. 145-186, con 6 tavole). — Pisa, 1900. L’autore ha intrapreso lo studio dello Ammoniti del lias medio dell’Ap- pennino centrale della ricca collezione esistente nel Museo di Pisa e dovuta — 251 — principalmente alle ricerche dello Spada e dell’Orsini. In questa prima parte egli descrive 34 fra specie e varietà appartenenti ai generi Amaltheus, Phyl- loceras, Bhacopliyllites, Lytoceras, Deroceras, Microderoceras, Agassisiceras, Cym- hites, Diimorfieria, Amphiceras, Tropidoceras, Cycloceras ed Arieticeras rappre- sentanti varie zone del lias medio^ le quali non potranno peraltro stabilirsi con esattezza se non in seguito ad ulteriori indagini nelle diverse località fossilifere. Fra le specie descritte una buona parte è nuova. Il lavoro è corredato di sei tavole e numerosi disegni intercalati nel testo rappresentanti la linea lobale di molte delle specie descritte. Fucini A. — Brevi notizie sulle Ammoniti del lias medio delV Appennino centrale esistenti nel Museo di Pisa. (Atti Soc. toscana di Se. nat., Processi verbali, Yol. XII, pag. 52-55). — Pisa, 1900. Mentre continua lo studio di cui il lavoro precedente costituisce la prima parte, il dottor Fucini dà qui la lista delle specie di Ammoniti del lias medio deir Appennino centrale, fin’ora da lui studiate, aggiungendo a quelle già con- tenute in quel lavoro le altre successivamente esaminate ed appartenenti ai generi Harpoceras, Grammoceras, Hildoceras, Leioceras e Coeloceras. La maggior parte delle ammoniti determinate dall’autore sono comuni col medolo bresciano ; sicché la massima parte del lias medio dell’ Appennino ap- partiene alle medesime zone sviluppate in Yal Trompia, con facies però molto diversa. Alcune delle specie illustrate dal dott. Fucini appartengono al lias assai profondo, per cui non è improbabile che nell’ Appennino centrale siano rappre- sentate tutte le zone del lias medio, le quali potranno distinguersi esattamente solo quando, come avverto lautore, si saranno fatte accurate raccolte sul posto ; poiché, giova ricordare, i fossili del Museo pisano furono in parte raccolti senza tener conto dell’esatta loro posizione. Fucini A. — Altre due nuove specie di Ammoniti dei calcari rossi ammo- nitiferi inferiori della Toscana. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Me- morie, Yol. XYIII, pag. 6, con tavola). — Pisa, 1900. Le due specie di Ammoniti descritte e figurate in questa nota provengono dai monti di oltre Serchio, località Sassi Grossi. L’una, il Lytoceras serorii- gatnm Stur é nel calcare rosso, tanto sviluppato nelle formazioni più alte del lias inferiore toscano ; l’altra, nuova e denominata Arietites {Asteroceras) pere- g?'iniis, è in un calcare grigio-chiaro, vicino a quello che forma il lias medio di tante località toscane. - 252 — Il L. sei'oi'iigatiim, noto finora solo nel classico deposito di Hierlatz, rende più intimi i rapporti fra questo e il lias inferiore toscano. UÀ. peregrìmis. sebbene nuovo, per la sua somiglianza con alcune specie di Asteroceras del Portogallo, illustrate da Pompecki, permette un interessante ravvicinamento fra le formazioni dei due paesi. Le due Ammoniti, che vengono ad aggiungersi alle altre assai numerose conosciute per la formazione dei calcari rossi ammonitiferi inferiori, non danno però nessuna luce nuova in relazione all’idea già espressa dall’autore che tali calcari appartengano alla parte superiore del lias medio. iS'ella tavola annessa sono figurate le due specie. G-abelli L. — Sopra lina interessante impronta mediisoide. (Il pensiero aristotelico. Anno I, fase. 2, pag. 74-78, con tavola). — Bologna, 1900. Trattasi di un curioso fossile trovato nelle argille scagliose presso Porretta. È un’impronta che pare di natura indubbiamente organica, e riferibile proba- bilmente ad una medusa. L’autore propone per esso il nome di Lorensìnia apenninìca, genere e specie nuovi. &ATTO M. — Accidentalità geologiche nei giacimenti solfiferi. (Boll. Soc. Licenziati della E. Scuola mineraria di Caltanissetta, Anno YIII, n. 4 e 5, pag. 9-16 e n. 6, pag. 1-10). — Caltanissetta, 1900. In questo, che è un discorso letto alla Società dei licenziati della Scuola mineraria di Caltanissetta, l’autore si propone di render ragione delle acciden- talità presentate dai giacimenti solfiferi siciliani, mediante una ipotesi intorno alla genesi dei giacimenti stessi. L’ipotesi è sostanzialmente quella dell’ing. Baldacci, modificata però in qualche punto; come, per esempio, nel supporre che gu idrocarburi, ai quali sarebbe dovuta la trasformazione del solfato di calce, sieno, anziché gassosi, come ammise il Baldacci, liquidi, provenienti da sorgenti esistenti non nei ba- cini stessi in cui formavasi lo solfo, ma fuori di essi. L’autore presenta interessanti notizie intorno al modo di presentarsi del minerale solfifero ed alle varie particolarità dei giacimenti, ma termina con l’ammettere che le nozioni che finora si hanno non consentono di trarre dedu- zioni utili alla pratica, dai tentativi del genere di quello da lui fatto in questo scritto. — 253 — &EYER Gr. — Kennhiis der Triasbildiingen von Sappada, 8an Stefano iind Aiironzo in Cadore. (Terhandl. k. k. geol. Keichs., Jahrg. 1900, n. 4 e 5, pag. 119-141). — Wien, 1900. Xel gruppo di Sappada i calcari e le dolomie bianche a diplopore del Monte Einaldo e del Scheiben Kofelstock sono coperti da un calcare bernoc- coluto della zona del Protrachycevas Carionii. Sopra questi due orizzonti infe- riori sono deposti irregolarmente strati di Wengen e di Buchenstein, in modo da lasciare supporre una denudazione anteriore. Verso la cima occidentale del Monte Pranza, dentro alle dette dolomiti compaiono strati marnosi con una fauna mal conservata della zona del Ceratites fìinodosns. 'PieWei valle di Sap- pada gli strati di Buchenstein, di IVengen, di S. Cassiano e di Eaibl sono forte- mente corrugati e coperti da potenti masse della dolomia principale. jN'ella gola del Piave dentro certi calcari marnosi neri corrispondenti alle marne di Wengen venne trovato per la prima volta nelle Alpi calcaree meridionali un esemplare di Tropites subbilli a tu s E. v. M. ; negli strati superiori anche una forma vicinis- sima a quella di S. Cassiano. Segue immediatamente al disopra la dolomia principale, mancando invece del tutto la dolomite dello Schlern. Sul versante meridionale del Monte Brentoni, e precisamente al colle Sar- nedo la serie triasica è completa dal Muschelkalk inferiore fino al calcare del Dachstein. Aei monti Marmaroli (Col dei Buoi) invece la serie incomincia cogli strati di AVengen per finire anche qui col Dachstein. Velie dolomiti di Sexten il Muschelkalk inferiore è rappresentato pure da dolomiti grigio-scure, che contengono i calcari e le dolomie bianche a diplopore coperti a loro volta da scisti marnosi della zona a frinoclosiis. In qualche punto sopra questi si elevano masse di dolomiti dello Schlern, e nelle cime più alte calcari ben stratificati del Dachstein, alla cui base si mostrano strati di Baibl con Megalodiis triqiiefer AVulf. Geter (jt. — Ueber die Yerhreitiing nnd stratigraphische Stelliing der schivar zen Tropites-Kalle bei San Stefano in Cadoi'e. (A'erhandl. k. k. geol. Eeichs., Jahrg. 1900, n. 15-16, pag. 355-370). — AVien, 1900. In questo scritto l’autore riprende in esame alcuni profili descritti nel lavoro precedente sul trias di Sappada, Santo Stefano ed Auronzo, per dimo- strare che i calcari neri con Tropites subbilli atiis E. v. M., Ampìiiclìna amoena Bittn. e Koninckina cf. Telleri Bittn., si trovano alla base della dolomia principale — 254 — e corrispondono parzialmente agli strati di San Cassiano, mentre stanno sulla dolomia dello Schlern. Ciò che è provato tanto con argomenti tanto stratigrafici quanto paleontologici. Greco B. — Fossili oolitici del Monte Foraporta presso Lagonegro in Basilicata. (Palaeontographia italica, Yol. Y, j)ag. 105-124, con tavola). — Pisa, 1900. Questa memoria contiene la descrizione particolareggiata dei fossili raccolti nei calcari neri del Monte Foraporta, dei quali già l’autore si occupò in una comunicazione alla Società geologica italiana (vedi Bihl. 1899). Alla descrizione è premesso un quadro comparativo delle specie descritte e di quelle note di altre regioni italiane e straniere. Esso pone in evidenza l’età oolitica inferiore di questi calcari, attribuiti dal De Lorenzo al lias inferiore parte superiore. Risulta infatti la maggiore analogia di questa fauna con quella dei calcari carnicini della zona con Leioceras opalinum di Pietro Malena presso Rossano e con quelli del Capo S. Vigilio. Questi calcari neri del Monte Foraporta riposano in discordanza sulle dolomie con Gervilleìa exilis Stopp. del trias superiore; mancherebbe quindi tutta la serie liasica. La fauna descritta si com- pone di 8 specie di brachiopodi; 8 di lamellibranchi e 4 di gasteropodi. Sono nuove due specie; Rhgnchonella lucana e Trigonia de Lorengoi\ le quali sono figu- rate insieme ad altre nella tavola unita alla Memoria ed appartenenti ai generi Rìiijnchonella, Waldheimìa, Placiinopsis, Lima, Hìnnites, Pecten, Modiola, Trocluis, Ferita, Feritopsis, Omisfus, oltre a cefalopodi di incerta identificazione. Greim — Fin Besncìi der Schlammsprudel von Sassuolo. (Globus, B. 77, n. 3, pag. 37-42). — Braunschweig, 1900. È una descrizione delle salse di Montegibbio e di Yirano presso Sassuolo. L’autore ammette la distinzione fatta dal Supan fra vulcani di fango freddi e vulcani di fango caldi. I primi, a cui appartengono le salse di Sassuolo, sono affatto indipendenti dal vulcanismo, mentre i secondi non sono altro che solfa- tare i cui vapori strappano frammenti del sottosuolo e li eruttano insieme con acque calde. Che le salse ordinarie o fredde non siano da considerarsi come fenomeni vulcanici è provato dalla bassa temperatura del fango eruttato, e dalla natura e composizione di esso. L’autóre conclude attribuendo l’origine di queste salse fredde alle emanazioni di idrocarburi provenienti da sostanze orga- niche contenute nelle argille del sottosuolo. Hasseet K. — Tracce glaciali negli Abrjizsi. (Boll. Soc. geografica ital.. S. IT. ToL I. fase. pag. 620-628. con 6 tavolel. — Boma. 1900. In tre viaggi compinti dall'antore negli Appennini centrali e meridionali, egli ha potato confermare la presenza di traccie glaciali alla Sibilla; al Gran Sasso, al iM^onte Serino già riconosciate dal Partsch. dal Canavari e dal De Lorenzo, e comprovare inoltre la glaciazione antica nella ISIaiella. al Telino, al Terminillo e nella massa della Meta. In qnesta nota preliminare lantore espone alcune considerazioni generali intorno all'antica fase glaciale abruzzese. La esistenza di varii ghiaccitji è manifestata dalla presenza di circhi, di antiche morene e dall'aspetto arrotondato delle roccie. Ciò appare colla massima gran- diosità sul Gran Sasso, dove oltre i cerchi principali riempiti da detrito more- nico vi sono circhi secondari più piccoli, che potrebbero derivare da una doppia glaciazione. In qnesta catena la glaciazione era limitata all'altitndine di 15(X) a 17()0 metri e la lunghezza dei ghiacciai era in media da 2 a 3 chilometri. L'autore crede riconoscervi una seconda fase di glaciazione limitata alla som- mità del Gran Sasso, ma molto meno potente della prima. La mancanza di laghi di circo è dovuta alla permeabilità della roccia. Poche traccie pure si hanno delle morene profonde, rappresentate da qualche pozza d'acqua, come quelle al piede del Tettore. Sono invece assai numerose le reliquie di bacini lacustri colmati nell'epoca glaciale e che dovevano confe- rire alla regione un aspetto diverso dall'attuale. 1 dintorni delle montagne abruzzesi sono ricchi di gole simili a cahoiis. assai ripide e profonde, scavate nella massa montuosa, e che si connettono in parte con i circhi, in parte con antichi bacini lacustri: la loro formazione è senza dubbio dovuta all'epoca glaciale quando le precipitazioni erano molto più abbondanti di ora. I testimoni di glaciazione nell' Appennino indicano che l'intensità del feno- meno fu molto diversa nei vari gruppi di montagne e che la glaciazione discese più in basso nell Appennino settentrionale e meridionale che non nel medio. Tegli Abruzzi il limite delle nevi risulterebbe di 1900 metri sul mare. IssEL A. — Supposto sprofondamento del Golfo di Santa Eufemia (dagli Annali idrografici. Tol. I. pag. 1-7. con tavolai. — Genova, 1900. L'autore riporta un brano della Istoria apologetica deli antica Xapizia. oggi detta Pizzo composta da D. Ilario Tranquillo (Tapoli 1725) nel quale sono indi- cate le condizioni di profondità e di natura del fondo di alcuni punti bene — 25G — individuati del golfo di Santa Eufemia e lungo la costa della Calabria quali si presentavano nel 1715, che confrontate con quelle somministrate per gli stessi punti dall’Istituto idrografico della Marina, mostrano essere avvenuto un muta- mento nelle condizioni batimetriche del fondo e cioè un avvallamento. Cercando di indagare le cause di tale fenomeno l’autore riporta i fatti che il Cortese espone nella sua Memoria geologica sulla Calabria a prova dei bradisismi ascendenti e discendenti avvenuti lungo le coste della medesima; ritiene però che il supposto sprofondamento del golfo di Santa Eufemia non sia dovuto ad oscillazioni lente della corteccia terrestre, ma piuttosto a terremoti che con grande frequenza ed intensità si manifestano in quella regione, e cita in pro- posito il lavoro del Mercalli sui terremoti della Calabria e del Messinese. IssEL A. — Note spiccate, I. Valle del Penna. (Atti Soc. Ligustica di Se. nat. e geogr., Yol. XI, n. 1, pag. 3-15). — G^enova, 1900. L’autore riporta in questa prima nota alcune osservazioni fatte nell’alta valle del Penna affluente della Sturla in Liguria. In questa valle sono molto sviluppati i conglomerati e le breccie, che si vedono in lembi più o meno estesi dal paese di Borzonasca fino all'origine del Penna, associati a calcescisti, scisti ardesiaci, ftaniti, diabasi e serpentine di epoca terziaria. Essi presentano tre varietà principali: nella prima gli elementi sono prevalentemente calcari e argilloso-calcarei con cemento della stessa natura: nella seconda, i ciottoli sono diabasici e nella terza, serpentinosi cementati gli uni e gli altri con materiale della stessa natura. In tutti questi conglomerati i ciottoli sono perfettamente arrotondati e talora sono ad angoli e spigoli poco o punto smussati, passando cosi a vere breccie. I conglomerati diabasici trovansi ben spesso in contatto colle serpen- tine e sono meno sviluppati dei conglomerati calcarei: la diabase è di solito assai alterata. I conglomerati serpentinosi sono rari nella regione osservata, sviluppatissimi invece nel Levantese e presso Bargone. Indicate le varie loca- lità ove sono sviluppati questi conglomerati, l’autore ritiene dimostrata la genesi delle breccie per opera di fenomeni idrotermali, chimici e meccanici; mentre secondo il De Stefani per la natura del cemento, per la loro giacitura in con- tatto delle masse ofiolitiche, rappresenterebbero i tufi delle serpentine e delle diabasi, e ne espone le ragioni. Tale modo di formazione dà ragione del grado diverso di sviluppo di questi aggregati e del diverso grado di metamorfismo degli elementi, dipendenti dal diminuire dell’effetto delle acque termo-minerali colla distanza dai punti di emissione e col raffreddamento. Le acque abbastanza r — 257 — copiose potevano travolgere i frammenti smussandoli e cementandoli. L’autore ritiene che il più delle volte tali conglomerati si formassero al disotto del livello marino. Ritiene probabile pure che nella regione vi sieno anche breccie di frizione, ma non ha potuto constatarlo. IN^on mette in dubbio che certe roccie clastiche serpentinose sieno dovute esclusivamente a fenomeni meccanici di fluitazione e sedimentazione; tali sarebbero i conglomerati tongriani di S. Giustina, Sas- sello, ecc., ma non a tale origine si possono attribuire quelli della regione stu- diata e di altre daH’autore ricordate. L’autore si occupa quindi della Iherzolite, indicando i varii punti in cui si presenta, e specialmente di quella già nota di Pietra Borghese e ne descrive i caratteri ed il modo di presentarsi ritenendola di origine ignea. La dispersione dei massi di questa roccia dai punti di emergenza ed il logoramento speciale subito dai medesimi, provano l’esistenza di piccoli ghiacciai nell’ Appennino ligure dell’epoca quaternaria. Ricorda i precedenti suoi lavori e quelli di altri su tale argomento, dimostrando che le traccie dell’azione glaciale si presentano anche nella regione da lui studiata con fatti assai evidenti. Tali ghiacciai consistevano in piccole vedrette limitate alle anfrattuosita situate al disopra dei mille metri, ma talora scendendo assai più in basso. IssEL A. — Osservazioni sul Tongriaiio di Santa Giustina e Sassella . (Atti R. L'niversità di Genova, Yol. XV, pag. 1-27, con carta geo- logica). — Genova, 1900. In questo lavoro, premesso all’illustrazione dei molluschi fossili tongriani di G. Rovereto (vedi più avanti), l’autore stabilisce dapprima la posizione topo- grafica e la stratigrafia dei due depositi di Santa Giustina e di Sassello, che somministrarono la maggior parte dei fossili suddetti posseduti dal Museo della R. TTniversità di Genova. La formazione tongriana, ora limitata a questi due lembi e ad alcuni altri minori, doveva occupare, prima che la denudazione ne eliminasse la maggior parte, una grande estensione del territorio fra le Alpi occidentali ed il golfo di Genova, come si desume dai lembi residui che l’autore passa in rassegna. Le formazioni neogeniche descritte sono adagiate, come vedesi dalla Carta, I sopra un suolo di roccie antiche, le più sviluppate delle quali sono le così dette pietre verdi, e specialmente la serpentina colle sue varietà, associata I sempre agli scisti cristallini sottostanti immediatamente ai calcari dolomitici del trias. 17 Il lembo di Santa Giustina comincia a valle del villaggio a 310 m. sul mare e raggiunge al passo del Giovo circa 665 m. di altitudine. Gli strati sono inclinati leggermente a S. e S.O da 15*^ a 20^, ma talora fino da 25'^ a 30°. La parte più bassa dei deposito è costituita da argilla in straterelli e arenarie con finiti, palme e felci, e conchiglie terrestri, e da conglomerati senza fossili: su- periormente si presentano mollasse e conglomerati marini alternantisi con mol- lasse a filliti e conchiglie d’acqua salmastra. L’orizzonte superiore è costituito da argille e mollasse assai ricche di fossili marini, scarse di coralli e nummuliti e con rare filliti. Le condizioni stratigrafiche nel lembo di Sassello sono meno manifeste che in quello di Santa Giustina: mancando la presenza di sezioni naturali e di fossili caratteristici dei singoli livelli non si può bene stabilire una scala stratigrafica ; è certo però che la zona inferiore del territorio di Sassello, tanto ricca di fossili al Rio dei Zimini, corrisponde alla superiore di Santa Giustina. La forma litologica predominante a Sassello e dintorni è la mollassa di color bruno; vi sono pure argille bigie sabbiose passanti in alcuni punti a mollasse e talora a conglomerati. Gli strati poco si scostano dall’orizzontale, con immer- sione dominante verso est. La formazione ha uno spessore di circa 180 metri. I fossili più abbondanti e vari si trovano adunati in depositi corrispondenti, sia a tipi propri di banchi madreporici, sia a golfi a fondo melmoso, sia a lagune; varianti quindi più per le condizioni del fondo che per il livello stratigrafico L’autore presenta un prospetto delle zone segnalate nel tongriano di Santa Giustina e Sassello messe in rapporto fra loro e con quelle di altre località, sia della Liguria che estranee. Seguono alcune considerazioni sul sistema tongriano in genere, nelle quali espone il significato datogli dai diversi autori e indicando il senso più largo dato da esso e dal Rovereto a tale vocabolo, quello cioè del d’Orbigny, che corrisponde al bormidianò di Pareto. È dato quindi un cenno storico delle osservazioni e studi fatti sui due depositi da vari autori. Sono infine indicati i fossili principali raccolti in questi due lembi, le collezioni che si hanno di essi e gli autori che li determinarono. IssEL A. e Rovereto G. — Carta geologica dei territori di Santa Giu- stina e Sassello^ nella scala di 1 a 50000 (un foglio). — Firenze, 1900. La Carta geologica unita al precedente lavoro fu rilevata dall’Issel per i terreni terziarii e dal Rovereto por quelli pretorziari. Essa fu eseguita su tra- — 253 — sporto della Carta del R. Istituto geografico militare, che ne curò pure la stampa della parte geologica in cromolitografia alla scala di 1 : 50000. Sono rappresentati in essa i diversi terreni che affiorano in questa re- gione con 12 tinte e segni convenzionali, ai quali corrispondono nella leggenda le indicazioni relative alla natura petrografica e all’età. Kiliax 55^. — La zone dii Brian^onnais. (Ass. fran^aise pour l’avance- ment des Sciences, p. 403-405, con una sezione). — Bonlogne sur Mer, 1900. L’autore oppone alla teoria dei charriages del Termier la propria conce- zione sulla struttura della zona del Brianzonese. I massicci centrali spesso non sono che le radici di pieghe molto acute, che talora sono state ribaltate ed ammonticchiate, interessando in certi casi tutta la serie sedimentaria. La zona del Brianzonese situata ad oriente della prima zona di nuclei centrali (zona del Monte Bianco) è costituita quasi del tutto da assise sedimen- tari di facies particolare, con rari affioramenti anticlinali di granito e di mi- cascisto; può perciò considerarsi come un nucleo centrale molto allungato, disposto a ventaglio molto complesso, e ancora dotato del suo ammanto sedi- mentare. L’asse della zona è limitato a levante e ponente da due profonde sincli- nali nelle quali sono adagiate delle pieghe multiple : a ponente la sinclinale è denominata dalle Aiguilles d’Arves (zona del flysch di Termier) che separa l’asse del Brianzonese dal massiccio del Pelvoux, la sinclinale di levante è for- mata dalla grande zona dei calcescisti delle Alpi piemontesi. Le pieghe secon- darie di queste due grandi sinclinali formano delle serie isoclinali: nella zona del flysch sono rovesciati tutti ad ovest, nella zona dei calcescisti invece tutti verso est. Kiliax — Note relative aiix chaìnes alpines. Zone cristalline daiiphi- noise et zone chi Brian^onnais. (Bull. Soc. statistique de l’Isère, 4“® S., T. Y, n. 6). — Grenoble, 1900. Differenze notevoli si rimarcano nella serie sedimentaria di queste due zone. Yel Delfinato il trias non presenta che una potenza dai 25 ai 50 metri; incomincia con dei conglomerati cristallini e delle arenarie brune, ma la sua parte principale è formata da calcari e da dolomie; e questo complesso sembra — 260 corrispondere solo alla parte superiore, o tutt’al più media del trias. I terreni gluresi, sino all’Oxfordiano, sono rappresentati essenzialmente da scisti e da calcari a cefalopodi. jN'el Brianzonese il trias invece incomincia con delle quarziti, cui sovra- stano calcari dolomitici massicci a giroporelle, coperte talvolta da dolomie Itene stratificate e spesso accompagnate da carniole e da gessi. Segue il retico con calcari neri a Aviciila contorta. Il giurese comprende; il lias calcareo-scistoso con intercalazioni di breccia e calcari coralligeni; il dogger con calcari ad entrochi ; il giura superiore, trasgressivo, di natura brecciforme alla base e con tinte rossastre ; il terziario con breccie poligeniche e strati arenacei, racchiudenti talora un calcare nummulitico cristallino. La Yalle G-. — Il museo dì mineralogia e geologia nella B. Università di Messina (pag. 22 iii-4°). — Messina, 1900. Commemorandosi il 350® anno della fondazione dell’ Università di Messina, Tautore ha creduto opportuno di pubblicare questa monografia illustrativa del Museo di mineralogia e geologia, istituito per deliberazione del Consiglio pro- vinciale nel 1873, e affidato alla direzione del prof. G. Seguenza, che ne fu il fondatore. Indicate le condizioni ristrette di spazio del locale adibito a museo, sono descritte dappresso dall’autore le collezioni mineralogiche e paleontologiche, gli strumenti, i libri e le carte di proprietà dello Stato destinate all’insegna- mento. Passa quindi a dare l’elenco delle collezioni del materiale della provincia, diviso per circondari e mandamenti. Accennato all’indirizzo scientifico dato alle collezioni, l’autore ne fa ri- saltare l’ importanza descrivendo cronologicamente le formazioni geologiche che costituiscono la provincia di Messina e indicandone la varia natura lito- logica. Levi T. — Osservasioni sulla distribuzione dei fossili negli strati plio- cenici di Castellar quato. (Eivista ital. di paleontologia, Anno lY, fase. II, pag. 59-78). — Bologna, 1900. Yalendosi di materiale raccolto negli strati pliocenici di CasteUarquato e determinato colla massima cura, l’autore presenta in questo lavoro gli elenchi dei fossili raccolti distinti per formazione e per località, e corredati di tutte le osservazioni che '^algono a mettere in evidenza il significato batimetrico e cro- nologico della fauna. Una bella sezione naturale nel fianco occidentale delle colline di Castel- larquato-Uiigagnano sidla sinistra dell’ Arda, le mostra costituite da potenti strati di marne cenerognole, alle quali soprastanno sabbie gialle assai meno potenti . Gli strati marnosi hanno nn' inclinazione generale di 6“ o 7° verso in concordanza colle sabbie gialle. Sotto il paese di Castellarquato le marne si mostrano appena sotto la pila di strati di sabbia, ma procedendo per la strada verso Ungagnano il loro spes- sore visibile va aumentando man mano, sicché ai burroni di Lugagnano rag- giungono un’altezza di circa 160 metri. Accennato ad altre marne plioceniche sulla destra dell’ Arda in relazione con quelle oggetto del presente studio, l’autore dà un elenco dei fossili ivi raccolti. Sono 103 specie, che divide secondo il significato batimetrico in zone; e ne deduce, anche per la presenza di coralli, che le marne hanno il carattere faunistico prevalente della zona coralligena. Aota l’abbondanza dei g andi pleurotomidi, delle cancellarle in queste marne, e la presenza di forme che mancano nei depositi superiori: ricorda poi il ritrovamento fatto in esse del bell’esemplare di Cetofheriiim Capellinii Brandt, esistente nel Museo par- mense. Presso Castellarquato si vede nettamente il limite fra le marne e le sabbie gialle sovrapposte. Sotto una serie di strati di sabbie cementate dette tufo, affio- rano, poco sopra al livello stradale, strati di sabbie marnose gialliccie nelle quali è abbontantissimo r crisfatnm, che qui pure, come nelle colline bolognesi, segna colla sua frequenza il limite superiore delle marne cenerognole. È a questo livello che furono ritrovati i resti di vertebrati ben noti. Una località classica per la ricchezza e conservazione dei fossili si presenta nella vallecola di Riorzo ad ovest di Castellarquato, dove una sezione naturale di circa 2) metri d’altezza, con la lunghezza di ben 500, si mostra tntta costi- tuita da sabbie gialle silicee ocracee talora agglutinate, con lenti marnose ricche di fossili. L’autore dà l’elenco delle specie raccolte in queste sabbie, dal quale risulterebbe, considerando solo i molluschi, una fauna postpliocenica inferiore; ma, per la presenza di coralli spettanti a 9 specie tutte estinte e delle quali alcuno avrebbero significato miocenico, l’autore ritiene senza dubbio che quelle sabbio si debbono ritenere non più recenti delle tipiche dell’Astigiano e della Toscana : però per il complesso della fauna le collocherebbe in una zona più profonda di quella a cui generalmente vengono riferite le sabbie gialle e non meno profonda della zona a laminarie. Simili, per condizioni batimetricho della fauna, a questo di Riorzo sono le — 2G2 — sabbie delle alture fra Castellarquato e Lugagnano che, per la proporzione delle specie estinte contenute, mostrano una più decisa pliocenicità. Che le sabbie gialle rappresentino un deposito meno antico delle marne lo dimostrano le condizioni stratigrafiche. Ma ciò è pure confermato dalla per- centuale delle specie estinte assai maggiore nelle seconde che nelle prime. Con questo però l’autore non intende mettere in discussione la questione sorta da tempo fra i geologi circa la possibilità o no di dividere il pliocene in generale in piani cronologicamente distinti. L’autore si occupa da ultimo della presenza in numerosi esemplari della Cjjprina islcindica entro certe sabbie grigie alternanti con letti sottili argillosi concordanti colle marne e colle sabbie, che si presentano presso il Eio Ber- tacchi e alla riva della Chiavenna nelle colline esaminate. La Cpprina è accom- pagnata da moltissimi avanzi di molluschi in gran parte a frammenti. La natura litologica ed i fossili indicano un deposito litorale. La mancanza delle specie artiche che trovnnsi nel postpliocene circummediterraneo, la presenza di specie comuni a tutti i giacimenti di pliocene litorale e le condizioni stratigrafiche dei depositi fanno ritenere che questi strati a Cijprina non debbano separarsi dal pliocene comune. In una sezione inserita nel testo e tracciata in direzione S.E-iS’.O dall’ Arda alla Chiavenna e passante per Castellarquato è rappresentata tutta la seria dei terreni che ivi si presentano. Lixck Gt. — Dìe Pegmcitìte des oheren Veltlin. (Naturwiss. Zeitsclir.,pag. 16, con 3 tavole). — Jena, 1900. L’autore ha esaminato la pegmatite della Yaltellina superiore fra Sondalo e Bormio, la quale è caratteristica per sovrabbondanza di terre alcaline rispetto agli alcali e per povertà di silice. Egli si limita in questa pubblicazione allo studio dei minerali che appariscono in detta pegmatite. Quest’ultima si presenta in filoni, vene, dicchi e strati e i suoi minerali essenziali sono : quarzo, plagio - clasio, moscovite, biotite, granato; gli accessori: apatite, dumortierite, crisobe- rillo e prenite ; i secondari derivati dai precedenti sono : clorito, zoizite, epidoto e anche prenite. Ecco ora alcuni dati sui minerali studiati. 11 plagioclasio sta fra l’albite e l’oligoclasio. Aella moscovite furono constatate delle superficie di scorrimento e così anche nella biotite (lepidomelano). Associazioni delle due miche sono frequenti, spe- cialmente secondo (HO) o (001), come pure inclusioni di tormalina nella mosco- vite con orientazione spesso costante; così l’asse ternario della tormalina è per- — 263 — pendicolare alla figura di pressione, ovvero gli assi di simmetria secondaria della tormalina stanno normalmente alla figura di percussione e altri alla figura di pressione. ]S'ella biotite trovansi inclusioni di prenite. La tormalina è nera, in scheggie, bruna e fortemente pleocroitica. La gran- dezza è 12 cm. di lunghezza per 6 di diametro. I prismi sono spesso radiali e in direzione normale alle sponde dei piccoli filoni; mai sono sviluppati alle due estremità ; specialmente esagonali con predominio di (1120) e secondari i trigonali. 11 granato è torbido, opaco, bruno-caffè, le sue forme: (211) e (110). Divi- sioni secondo (110). ^apatite verde-asparago è in cristalli male sviluppati di due cm. di lun- ghezza. Annidati nel quarzo e nel granato entro la pegmatite della Tal Donba- stone inferiore vedonsi cristalli torbidi di crisoberillo. Telia stessa roccia si trovano anche bastoncini e aggregati di dnmortierite colore pistacchio fino al celeste verdognolo, con sfaldatura prismatica e angolo 110° 51^ La clorite è verde scura in squame irregolari associata alla biotite, e quindi prodotto di quest'ullima. Le pegmatiti si trovano in uno stato anormale per effetto della pressione geodinamica; e dovunque è evidente la struttura cataclastica. Circa la forma- zione della pegmatite. rautore crede che sia dovuta alle acque, ma su questo punto egli vuole ritornare. Dopo la formazione è avvenuta la dinametamorfosi : in un tempo molto posteriore si separarono le miche e la zoizite dal feldispato, la clorite dalla biotite, e si formarono la prenite e l'epidoto. Longhi P. — Di aìcuiie Gvmnites della nuova fauna triassica di Tal di Pena presso Lorenzago in provincia di Belluno. (Atti Soc. veneto- trentina di Se. nat.. S. II, Tol. IT. fase. I. pag. 3-32, con I tavole). — Padova. 1900. In alcune escursioni fatte in Tal di Pena nel Bellunese l’antore ha rinve- nuto un abbondante deposito fossilifero nel calcare triasico, del qnale egli ritiene di avere la priorità di scoperta, quantunque l'IIarada in un suo lavoro sulla geologia del Comelico e della Carnia occidentale accennasse alla presenza in questa valle di calcari dolomitici degli strati di ITengen con un Traclujceras clapsavounm. senza però indicare il luogo nè avere trovato un deposito fos- silifero. Biserbandosi a dare un'illustrazione dettagliata stratigrafica e paleontologica - 264 — della fauna rinvenuta in Yal di Pena, l’autore si limita a dare in questa nota il risultato dello studio fatto sopra alcuni Gymnites del calcare rosso cinereo di quella località. Yella prima parte di questa nota si trattiene ad esporre brevemente quante specie sono ora note di queste forme di cefalopodi ammonoidei e quali i loro caratteri differenziali per poi confrontarle con quelle rinvenute in Yal di Pena. !Yella seconda parte passa alla descrizione di queste specie che per i ca- ratteri che presentano ascrive al genere Gymnites Mojs., antico gruppo di Psi- lonoti del Beyrich. Le specie descritte sono le 5 seguenti ritenute nuoA^e dall’autore: Gymnites hellunensis, G. Taramellii^ G. Canavarii, G. Paronae, G. siihacntiis. Esse sono disegnate, non troppo felicemente, in 4 taA^ole in litografia unite alla nota. Longhi P. — Di una varietà di Caprina schiosensis Boeìim. (Rivista ital. di paleontologia. Anno YI, fase. II, pag. 88-91, con tavola). — Bo- logna, 1900. L’autore descrive una forma di Caprina che aA^endo l’aspetto della C. Schio- sensis Boehm, presenta però alcuni caratteri un po’ differenti da quelli della forma tipica, non che delle A^arietà di essa finora conosciute. L’esemplare de- scritto in questa nota proviene dal Monte Candaglia (Bosco del Cansiglio): è una valva superiore di Caprina lunga mm. 200 un po’ distorta a spira, con l’estremità rivolta verso l’apertura; il suo maggior diametro all’apertura della Amlva superiore è di mm. 71 ed il minore di mm. 30; manca la Amlva inferiore. Dall’esame eseguito su sezioni traA^ersali e longitudinali l’autore, pure ricono- scendo che questo fossile appartiene al gruppo delle caprine di Col de’ Schiosi, per i canali periferici esterni e per la posizione delle cavità interne si crede autorizzato di separare tale esemplare dalle A^arietà di Caprina schiosensis finora note, col nome di sinuosa. Yella tavola in eliografia è data la figura del fossile. Lotti B. — I soffioni boraci feri della 7^(?5Ctì;/2rt^.(Rassegna mineraria, Y ol. XII, n. 13, pag. 193-194). — Torino, 1900. Passati in rassegna i diA^ersi gruppi di soffioni boraciferi che costituiscono una speciale manifestazione idrotermale di una parte della Toscana e indicati i diversi terreni dai quali essi sorgono, l’autore fa rileA^are come ciascun gruppo presenta degli allineamenti fra le bocche e come esse emergano da linee di i - 265 -- contatto dell’eocene coi terreni secondari inferiori ; o se emergono dall’eocene e dai terreni terziarii superiori, sono a non grande distanza da gruppi secondarii isolati della Catena metallifera. Accennato all’opinione del Bechi che l’acido borico dei soffioni sia dovuto al fatto di attraversare essi le roccie serpentinose che contengono traccio di borati solubili, osserva che molti si sprigionano da roccie basiche e quindi infe- riori alle serpentine, che non possono avere perciò attraversate. Aota che non tutti i soffioni sono boraciferi e sono più ricchi di acido borico quelli naturali anziché quelli ottenuti per traforazione artificiale del terreno. L'acido borico sarebbe nelle acque che escono coi vapori e non nei sof- fioni costituiti da solo vapore, i quali sono sterili. Indicate le alterazioni non molto profonde subite dalle roccie dove hanno luogo i soffioni, e che sono maggiori nelle roccie calcaree che nelle are- nacee e argillose, nota che nella regione boracifera si manifestano leggeri movi- menti del suolo che sarebbe bene formassero oggetto di osservazioni precise e sistematiche nello scopo di meglio indagare la natura e la genesi di questo fenomeno. L’autore dà infine alcuni cenni sulla lavorazione dell’acido borico. Lotti B. — / giacimenti metalliferi della Tolfa in provincia di Roma. (Rassegna mineraria. Voi. XIII, n. 17, pag. 257-260, estratto in-8°, pag. 14). — Torino, 1900. Accennato alla geologia del gruppo montuoso della Tolfa, l’autore prende in considerazione quella zona di roccie alterate che si osservano a sud e a sud-ovest della massa trachitica formante la parte più elevata del gruppo. La mineralizzazione delle roccie eoceniche si manifesta colla caolinizzazione e si- licizzazione degli scisti, colla trasformazione del calcare amorfo in calcare cristallino, ceroide e saccaroide e con la presenza di varii minerali. Tale alte- razione delle roccie e le manifestazioni raetallogeniche sono dall’autore attri- buite, anziché alla trachite, all’azione di roccie granitiche a profondità in cor- relazione colla trachite, come accade in quella contemporanea di Campiglia Marittima in Toscana. Xei dintorni della Tolfa, entro l’area delle roccie metamorfiche descritte dall’autore, si hanno depositi di minerali di ferro in grandi ammassi nei cal- cari e giacimenti di solfuri di vari metalli, specialmente di piombo, in filoni che attraversano i calcari e gli scisti sottostanti. L’autore passa a descrivere i più importanti depositi ferriferi e le traccie — 2G6 — di antiche escavazioni di solfuri metallici. Da tale descrizione e da considera- zioni geologiche e di analogia, gli risulta manifesto lo stretto legame tra i de- positi ferriferi della Tolfa e i giacimenti di solfuri metallici, sia per posizione topografica che per interna relazione genetica. Fa in proposito alcuni confronti fra questi e i giacimenti dell’Elba, di Campiglia e di Massa Marittima, i quali pure sono posteriori ai depositi eocenici e dove è indiscutibile la connessione fra i metalli ferriferi ed i solfuri metallici. Crede quindi che senza nulla togliere all’importanza industriale dei depo- siti ferriferi della Tolfa, non debba escludersi che essi costituiscono una ma- nifestazione superficiale di giacimenti solfurati in profondità e ne sarebbe un indizio il solfuro di ferro incontrato con saggi eseguiti a profondità su quei depositi. Alla nota è annessa una cartina geologico-mineraria alla scala di 1 : 25000 della regione descritta. Lotti B. — Rilevamento geologico eseguito nel 1899 nei dintorni del Tra- simeno e nella regione immediatamente a Sud fino a Orvieto. (Boll. E. Comitato Beo!., Yol. XXXI, n. 2®, pag. 159-174). — Eoma, 1900. La regione rilevata dall’autore in questa campagna è in continuazione di quella dello scorso anno (vedi Bibl. 1899) e comprende la parte meridionale della tavoletta di Castiglion del Lago, quasi per intero quella di Città della Pieve e quella di Orvieto, tranne l’altipiano vulcanico di ponente. Le roccie ]3iù antiche di questa regione spettano all’era secondaria e com- paiono in un piccolo affioramento presso Barrano di calcare neocomiano, e in una estesa piaga del versante orientale del Monte Peglia, formata da calcare probabilmente titoniano sul quale si adagiano degli scisti varicolori, dei calcari biancastri e rosei e degli scisti marnosi rossi e grigi appartenenti al cretaceo superiore. I terreni eocenici si sviluppano anche qui collo stesso ordine e cogli stessi caratteri della regione rilevata lo scorso anno. Mentre gli strati eocenici si addossano bruscamente al calcare neocomiano di Barrano, vi è invece passaggio graduato fra essi e quelli del cretaceo su- periore, mostrando l’intimo legame fra i terreni eocenici ed i secondari in questi dintorni. Alla zona marnoso-arenacea che forma la parte inferiore dell’eocene è soprapposta una zona estesa di calcari nummulitici, di calcari con selce e scisti marnosi e argillosi a fucoidi, che la separa dall’arenaria superiore come nella regione precedentemente descritta. — 237 — La zona nunimulitica non è però continua, ma si scinde in varie amigdale e l’autore indica le località ove esse si presentano, citando la maggiore di esso che dalle pendici orientali del Monterale si spinge fino a sud di Parrano sul Chianni, e la più piccola, quella di Pratalenza, sulla pendice nord del Monterale. Come già fu precedentemente osservato dall’autore (vedi Bibl. 1898) co- tali masse amigdalari nummulitiche con gli scisti variegati che le accompa- gnano, e che talora le sostituiscono, rappresentano la zona calcareo-argillosa o delle argille scagliose che in quasi tutto l’ Appennino trovasi inserita o fra calcari ed arenarie o fra arenaria ed arenaria. La presenza entro l’arenaria superiore di strati di calcare nummulitico, ed il passaggio graduato di quella al sottostante nummulitico, che si osserva in varie località, esclude che essa possa riguardarsi come miocenica e discordante coll’eocene. lina buona metà della regione studiata è coperta da terreno pliocenico, in parte marino, in parte lacustre o fluviale e l’autore descrive le varie località ove questi si presentano ed il passaggio dall’uno all’altro. Lembi isolati di tufo vulcanico riposano discoi danti qua e là sul plio- cene marino e raramente sull’eocene. Tali tufi si depositarono probabilmente in piccoli bacini d’acqua rimasti sul terreno pliocenico dopo la loro emersione, ivi caduti sotto forma di cenere che si depositarono in sottili letti ai primordi del quaternario. Il quaternario antico è rappresentato pure da depositi di ciottoli presso i corsi d’acqua e ai piedi di colline in lembi terrazzati sul pliocene. L’autore si occupa da ultimo dell’origine del Lago Trasimeno, origine che egli interpreta diversamente dal Verri, poiché mentre questo considera l’an- tico grande bacino lacustre come la conseguenza diretta di un movimento spe- ciale avvenuto in epoca quaternaria, l’autore invece lo ritiene una modificazione di un bacino preesistente formatosi nello scorcio del pliocene e dovuto a sol- levamento ineguale e progressivamente maggiore del terreno di Yaldichiana andando verso occidente. Ammettono però ambidue che esso sia il residuo di un bacino lacustre assai più esteso. Lotti B. — Suirefà della formazione marnoso-arenacea fossilifera del- r Umbria superiore. (Boll. E. Comitato Geol., Voi. XXXI, n. 3, pag. 231-247). — Boma, 1900. La formazione marnoso-arenacea dell’Umbria racchiudente calcari fossi- liferi è stata riferita da parecchi autori al miocene, basandosi quasi esclusiva- mente sullo studio dei fossili, mentre da alcuni altri fu riferita all’oligocene ed all’eocene. L’autore che, dietro i risultati ottenuti nel rilevamento geologico di questa regione, aveva già espresso in varie pubblicazioni la sua opinione che la massima parte del terreno fossilifero dell’Umbria debba rientrare nell’ec- cene, crede opportuno in questa nota di riassumere gli argomenti sui quali si fonda la sua convinzione. Passa perciò in rassegna i vari lembi del terreno in questione, indican- done le forme orografiche ed i caratteri specifici nelle località da lui studiate, esponendo in pari tempo i risultati del lavoro di verifica sulle osservazioni portate dai suoi contraddittori in appoggio alle loro veduto. Tali risultati l’autore riassume in diversi fatti specifici che espone e che servono di caposaldo alle sue conclusioni, essere cioè la formazione marnoso- arenacea fossilifera, sottostante quasi sempre ai calcari e alle arenarie num- muli ti che. j Per non ammettere quindi un disaccordo fra la stratigrafia e la paleonto- ■ logia, l’autore esprime il voto che ulteriori scoperte di fossili finiscano per con- ciliare le diverse opinioni. ! Lotti B. — Sulla genesi dei giacimenti metalliferi di Campiglia Marita j tima in Toscana. (Boll. B. Comitato GeoL, Voi. XXXI, n. I, - pag. 327-337). — Boma, 1900. j — Idem. (Bassegna mineraria, Voi. XY, n. 3, pag. 33-36). — Torino, 1901. Bichiamando quanto già espose in una precedente nota sui vari tipi di ! roccie eruttive che si presentano in questa regione (vedi Bihl. 1887) rautore i! conferma quanto già ritenne che cioè, per i fatti allora esposti, per passaggi | strutturali, per composizione mineralogica e per la vicinanza reciproca alle 1 varie masse eruttive, esista fra di esse un intimo legame genetico. Descrive quindi i giacimenti ferro-stanniferi che si osservano in vari punti del Monte Valerio e al Campo alle Buche presso Monte Bombolo, e particolar- | mente quelle più importanti delle Cento Camerelle e alla Gravina. ^ } Descrh’^e pure i filoni pirossenici metalliferi i quali stanno in intimo legamo ^ colla trachite porfirica che attraversa in filoni i calcari e gli scisti argillosi del i lias inferiore. I minorali utili di questi giacimenti sono in prevalenza solfuri di rame, piombo e zinco entro matrice formata di silicati ferro-calciferi, augite, ilvaite, epidoto e granato. * Venendo a discutere la età dei giacimenti, ammessa la intima relazione — 269 — genetica fra le roccie eruttive del Campigliese ed i giacimenti metalliferi con- comitanti, essa sarà la stessa delle roccie, cioè posteocenica, perchè la trachite ha interessato gli strati calcareo-argillosi dell’eocene ; ma un limito superiore di età non può stabilirsi, mancando anche qui come all’Elba i*depositi miocenici e pliocenici e solo può dirsi, per la stretta analogia fra questi giacimenti me- talliferi e quelli d&ll’Elba, che l’età loro è compresa fra la fine dell’eocene ed il miocene superiore. Intorno alla origine dei giacimenti, per quanto riguarda i solfuri metal- lici, si può pensare aU’in ter vento di soluzioni silicee metallifere in una fase immediatamente successiva all’intrusione e al consolidamento delle roccie gra- nitiche e porfiriche, soluzioni che mentre avrebbero prodotto i silicati ferro- calciferi, reagendo sui calcari, avrebbero alterato il porfido quarzifero trasfor- mandolo in una specie di porfido augitico. IN’on è però da escludersi che si tratti qui di uno di quei processi di differenziazione dei magmi eruttivi e di segregazioni minerali recentemente studiati dal Yogt e dal De Eaunay. Quanto alla genesi degli ammassi di ossido di ferro, essi sono probabil- mente da considerarsi come il risultato dell’alterazione dei solfuri giacenti a profondità, forse a contatto del granito coi calcari e le stesse considerazioni possono farsi per la cassiterite la cui formazione non può tenersi distinta da quella degli ossidi di ferro, nè per la giacitura nè per il modo di origine. Essa sarebbe cioè doA'uta a soluzioni idriche, probabilmente di carbonati alcalini, che avrebbero rimosso in movimento la cassiterite racchiusa nel granito, traspor- tandola nello fessure del calcare insieme al carbonato di ferro che successiva- mente si ridusse in ossido. « Lotisato D. — Faijaììte alterata delle granuliti di Villacidro. (Kend. E. Acc. dei Lincei, S. Y., Yol. IX, fase. 2® sem., pag. 10-13). — Eoma, 1900. Xelle granuliti di Yillacidro, e specialmente dove la granulile passa a pegmatite, si ossem^ano dei nodi che oltre a limonile e quarzo contengono ta- lora masserelle di un minerale molto scuro, sfaldabile nettamente in due dire- zioni ad angolo retto, di lucentezza piuttosto resinosa che metallica e un po’ iridescente. Qnesto minerale dà polvere color cioccolatte scuro ed è attirabile dalla calamita. La sua durezza è da 5 a 6 e la densità di circa 3,903. Dall’analisi fatta eseguire dall’autore si è avuto questo risultato: SiOg = 28,61; EeO = 17,55; Fe^O, = 43,09 ; MnO 8,83 ; CaO, MgO, Xa20 = 1,09. Per la composizione chimica e per molti dei caratteri fisici questo mine- rale può ritenersi una Favalite, quantunque nelle analisi che si conoscono l'os- sido di ferro, che va da 63,54 fino a 68,01, è tutto allo stato ferroso, mentre nel minerale in esame il ferro che arriva al 69,61 è per 13,09 allo stato fer- rico e solo per 17,55 allo stato ferroso. Tra questo minerale e la fayalite nor- male l’autore nota pure alcune altre differenze nei componenti, tenendo però conto solo dello stato dell’ossido di ferro che nel minerale di Tillacidro è per la massima parte allo stato ferrico, l’autore ha pensato che ciò fosse dovuto ad alterazione molto inoltrata di esso e ne ha avuta la conferma da una analisi rigorosa eseguita a questo scopo. Luchesi a. — Contrìbnsione allo studio del grande terremoto napoletano del dicembre 1857. (Boll. Soc. sismologica ital., Tol. YI, n. 3, pag. 67-70). — Modena, 1900. L’autore riporta una lettera del canonico Alessio Lupo di Caggiano (pro- vincia di Salerno), in data dell’S marzo 1858, nella quale è descritto il disa- stroso terremoto avvenuto nella notte del 16 al 17 dicembre 1857, che tanti danni e vittime produsse in quel paese e nei vicini di Pertosa e di Auletta. Questa lettera può servire di corredo alla monografia del Mallet sul grande terremoto napoletano di quell’anno. Malladra a. — Le antiche epoche geologiche nella Val d-Ossola. (In giro pel mondo, A. II, n. 1, pag. 3-5). — Bologna, 1900. È una breve e pittoresca descrizione delle trasformazioni subite da questa regione alpina dall’era paleozoica, durante la quale era già in parte emersa, alla cenozoica. Maxasse E. — Stilbite e Foresite del granito elbano. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XYII, pag. 203-227). — Pisa, 1900. Riassunto per sommi capi tutto quanto fu scritto sulle zeoliti elbane, l’au- tore nota che per la stilbite e la foresite esistono ancora diverse incertezze e sulla loro cristallizzazione e se sieno da considerarsi o meno come specie di- stinte. Giovandosi del materiale abbondante che trovasi nel Museo di Pisa pro- veniente dai dintorni di S. Piero in Campo, ne ha intrapreso nuovamente lo studio e ne espone in questa nota il risultato. La stilbite si trova nelle druse tormalinifere di Fonte del Prete in forma di rivestimento, o per lo meno sempre cristallizzata, sopra dei minerali origi- nari delle druse stesse insieme a foresite, heulandite ed altri silicati idrati che per la loro costituzione e per il modo di presentarsi attestano la loro origine secondaria. Si presenta abitualmente in minuti cristallini laminari bianco-giallognoli, geminati, costantemente associati in fasci disposti radialmente, dando luogo a modi diversi di aggruppamento, ora in sferule, fasci e covoni, ora in incrosta- zioni, dove, in foggia di setti, spesso paralleli fra loro, sembrano conservare la forma scheletrica dei cristalli di feldspato dalla cui alterazione in parte almeno derivano. Le esilissime laminette cristalline che si ottengono dal disfacimento di questi aggruppamenti deHhino o dell’altro tipo mostrano al microscopio di essere ge- minate con faccio (001) (010) (110) e (ÌOl). ISTessuna distinzione di forma si ri- leva fra le lamelle derivanti dagli aggruppamenti a sferide o a fasci e quelle delle incrostazioni, avendosi sempre le forme della stilbite con peso specifico pressoché eguale da 2,07 a 2,09. Per il minerale incrostante sono esposte quattro analisi; la media di esse e le proporzioni centesimali della composizione teorica danno la formola H, (^^a. Ca) AI2 Si, O,, + 4 H^O. Anche del minerale in sferule e altre forme fasciculate Fautore presenta quattro analisi, dalle quali risulta trattarsi di una stilbite con tenore in silice maggiore dell’ordinario, mentre da precedenti analisi fatte da Grattarola e da Sansoni su altra stilbite dell’Elba si era verificato una minore quantità di si- lice. Quindi le tre formule strutturali della stilbite tipica, di quella più ricca in silice dell’ordinario e di quella più povera, secondo le analisi suddette, rap- presentano tre termini gradatamente diversi della serie. La foresite, come la stilbite, è un minerale che incrosta quasi esclusiva- mente la tormalina e talora i cristalli di ortose e di quarzo ; si trova pure in lamine isolate assai esili. Al microscopio presenta gli stessi caratteri cristallo- grafici della stilbite, ma con una minuta osservazione si rilevano delle diffe- renze fra le due specie. La foresite è in elementi assai più minuti, ha un co- lore bìanco-niveo, mentre la stilbite lo ha bianco-giallognolo : la prima ha un peso specifico di 2,405, questa solo di 2,09. Tali caratteri distintivi si osservano bene quando le due specie sono riunite in uno stesso esemplare. L’analisi chi- mica fa meglio .conoscere la differenza e l’autore dà il risultato di quattro ana- lisi, dalle quali conclude che stilbite e foresite non sieno da confondersi, ma da mantenersi distinto fra loro considerandole l’ima come isomorfa all’altra. L'autore si occupa quindi del giacimento e dell’origine delle zooliti elbane, che specialmente si rinvengono alla Fonte del Prete sotto il paese di S. Piero — 212 in Campo, nelle geodi di bianclie vene tormalinifere d’apparenza pegmatitica nel granito normale biotitico. Sull’origine di tali vene e siiH’età di questo insieme di roccie molto si è discusso, ma all’autore interessava solo d’indagare come e quando si formarono le zeoliti per via di paragenesi. Studiò per tale scopo la composizione delle roccie incassanti tanto fresche che alterate ; e descritti i componenti del granito biotitico e del micro gran ilo che in noduli neri si mostra entro il granito normale, ne dà le analisi relative. Diversa invece è la struttura dei bianchi filoni a geodi tormalinifere, costituiti da pasta bianca pegmatitica in cui sono sparse scarsamente .lamine di mica nera e cristalli incompleti di tormalina. L’analisi di queste geodi riportata dall’autore svela pure una differenza nell’acidità assai maggiore che nel granito. La pasta di questi filoni ed i mi- nerali contenutivi si mostrano anche, benché in grado diverso, alterati. Le analisi fatte dall’autore su cristalli di ortose che si presentavano a diversi stadi di alterazione mostrano la trasformazione di essi talora in zeoliti, tal altra in caolino. Anche l’oligoclasio deve avere subito trasformazione analoga. Tale trasformazione non si può ammettere che per azione di acque acidule che, o contenevano per loro stesse più o meno bicarbonato calcico, o fu loro fornito dall’alterazione del silicato alluminio-sodico-calcico, quale è l’oligoclasio, operata dall’acido carbonico. Tale sarebbe l’origine dei minerali zeolitici ed in particolar modo delle stilbiti, talché ne resterebbe provata la genesi secondaria. Manasse E. — Di ima sabbia ferro-cromo4itanifera rinvenuta a Casti' glioncello. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Tol. XIT, pag. 153-155). — Pisa, 1900. Questa sabbia raccolta dal prof. Fucini nella spiaggia di Castiglioncello, 20 chilom. da Livorno, e data ad esaminare all’autore, é costituita da granuli neri lucenti arrotondati^ con un diametro medio di mezzo millimetro e che rara- mente raggiunge due millimetri e di granuli di color verde o giallo-verdastro. Essa é assai dura, con peso specifico rilevante (4,09 in media) ed ha azione, benché debole, sulla calamita. : Dietro i risultati dell’analisi l’autore ha potuto stabilire che essa é costi- tuita da ferro principalmente e in linea secondaria da titanio e ‘cromo, il primo i più abbondante del secondo ; vi sono pure relativamente abbondanti magnesia I C silice, poco calcio e meno ancora manganese e traccie di alluminio, sodio e i potassio. Da ciò l’autore viene a concludere che si tratta di una sabbia ferro- I - 273 — cromo-titanifera costituita probabilmente da magnetite, cromite, e ferro titanato. La magnetite è in grani ciottoliformi, mescolata talora intimamente a particelle di serpentina. I corpuscoli trasparenti verdi o giallo-verdastri al microscopio risultano di peridoto. Altri granuli pure trasparenti accompagnano molto rara- mente la sabbia, non riferibili al peridoto, e che l’autore non potè determinare. Circa l’origine di questa sabbia la ritiene proveniente da disfacimento delle roccie ofiolitiche che a Casti glioncello come in tutti i Monti livornesi sono svi- luppatissime. Mariani E. — Fossili del giura e delV in fracretaceo nella Lombardia. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XXXYIII, fase. 4°, pag. 367-447, con tavola). — Milano, 1900. Xella prima parte di questa memoria Tautore espone le condizioni strati- grafiche, litologiche e paleontologiche di una serie di formazioni che, riposando in concordanza sopra le marne ed i calcari rossastri e grigi del lias superiore, si estende fino alla creta propriamente detta. Tale serie, rappresentante in Lom- bardia il giurese e l’infracretaceo, risulta di roccie marnose spesso scistose e rossastre che succedono con graduale 'passaggio alle roccie del lias e che sono note col nomo di rosso ad aptici. Su queste appoggia una serie più potente di calcari compatti {ìnaiolica) che nella sua parte superiore rappresenta l’infracre- taceo. Tale regolare successione non si verifica però in tutta la Lombardia; in alcune località il giurese propriamente detto non è litologicamente rappre- sentato solo dalle marne rossastre ad aptici e dalla maiolica inferiore sovra- stante. ma ancora da strati di calcari compatti a diversi livelli nella serie mar- noso-selciosa. Pochi sono i fossili giuresi raccolti in Lombardia ; essi rappresentano il Maini. Il Dogffer non è paleontologicamente rappresentato. Il titonico è il più ricco di fossili : esso, mentre bene si distingue litologicamente dagli strati sot- tostanti, non dà possibilità di segnarne il limite superiore, ed in qualche loca- lità anche il suo limite inferiore non è ben distinto. Xel giurese lombardo, contrariamente a quanto si osserva in altre regioni italiane e straniere, mancano i calcavi a nerinee, come pure quelli a Diceras ed i calcari corallini. In esso i fossili sono quasi tutti cefalopodi. La fauna del titonico è assai più ricca di quella degli strati infratitonici e vi predominano i brachiopodi od i cefalopodi. Trattando deirinfracretaceo Fautore fa osservare Fimpossibilità di segnare in base a criteri litologici il limite inferiore del neocomiano, formato in gran 18 — 274 — parte di calcari maiolica, mentre è assai netto il limite superiore delFinfracre- taceo per la presenza di una serie di roccie clasticlie, arenarie, calcari marnosi puddingoidi, alternanti con marne variegate riferite alla creta inferiore. L’infracretaceo non ha dato finora che fossili spettanti al neocomiano e al harremiano. La fauna del neocomiano è formata quasi totalmente da brachio- podi e da cefalopodi. I fossili del harremiano non sono che poche ammoniti, mentre nella maiolica sono abbondantissimi gli aptici. ideila seconda parte, preceduta da copioso indice bibliografico, è data la de- scrizione della fauna studiata, divisa in tre capitoli. I7el primo sono descritti i fossili dal callo viano al titonico, che l’autore chiama infratitonico. Vi sono com- prese venti specie fra le quali nuovo il Perisphinctes Tarameìlii, di cui dà la figura nella tavola annessa : sono inoltre rappresentate nel testo le figure del Sowerhìjceras Sileniim Font., àQW Aspidoceras contemporanenm Favre, ed un fram- mento del Per. Airoldii Gemm. Il secondo capitolo tratta dei fossili titonici e ne sono descritte 29 specie. I^el terzo è data la descrizione di 22 specie infracretacee, di cui sono fi- gurate nel testo il Bhijnclioteiithis atonica Mgh. e un Griocevas sp. Velia tavola annessa sono rappresentati oltre il Per. Tarainellii, il Crio- ceras nf e il Bclemnites comensis Stopp. Mariani E. — Nuove osservmioni geologiche e paleontologiche sul gruppo della Presolana e sulla Cima di Camino. (Kend. R. Istituto Lombardo, S. II, Voi. XXXIII, fase. XYIII-XIX, pag. 1249-60). — Milano, 1900. Richiamando quanto già espose in una precedente nota sulla geologia e paleontologia del gruppo della Presolana (vedi Bihl. 1899), l’autore, in seguito ad altre escursioni nei due versanti di questo gruppo, e al rinvenimento di fossili importanti, ha potuto vieppiù convincersi della presenza di faglie e di strette pieghe che rendono complicata la tettonica della Presolana. Indica, oltre quelle già notate, una importante faglia, lungo la quale avvenne uno scorri- mento notevole verso nord di una potente massa rocciosa, per la quale alcuni i terreni del Miischelkalk superiore (piano di Wengen) vennero a sovrapporsi a terreni del Raibl. Lo stato di fratturazione dei banchi calcarei e la laminazione di alcuni di essi, sono prove evidenti delle energiche pressioni a cui andò sog- ' getto quel gruppo. L’autore descrive la serie dei terreni che dal basso all’alto s’incontrano | risalendo il versante settentrionale della Presolana, e ne determina l’età in base | ai fossili rinvenuti. DaH’esame della fauna, di cui dà reienco, vi riconosce una | — 275 — grandissima affinità con quella di Esine. Quindi le potenti masse calcari e dolo- mitiche che formano le parti basse e le alte del versante settentrionale di quel massiccio montuoso, fanno parte del ladinico o piano superiore del Muschelkalk. L'autore passa a descrivere il gruppo montuoso della Cima di Camino, che resta a sud di Schilpario, e la cui stratigrafia è meno complicata di quella della Presolana. La base di questo gruppo nel versante di Schilpario è costi- tuita da roccie calcaree e marnose spettanti al Muschelkalk propriamente detto, al piano di Biichensteiii, e a quello assai sviluppato di Wengen. Tutto il gruppo del calcare dolomitico della Cima di Camino, poggia sul Wengen^ d e ha una inclinazione che da S.O nella valle di Epolo, passa ad assumere quella di S.E andando verso ovest, accennando a larghe pieghe che vanno sotto la massa della Cima stessa. Anche qui i calcari e le dolomie che in alcuni punti sono nettamente stra- tificati, con strette pieghe, presentano qua e là diversi piani di scistosità, pro- dotti da pressioni che rendono difficile il distinguere i piani di stratificazione. Fra i diversi fossili raccolti in varie parti della Cima di Camino, e di cui l'autore dà l'elenco, sono notevoli i corallarii; vi sono pure frequenti steli di crinoidi. Le bivalve e i gasteropodi sono di forme piccole, e quindi non facil- mente determinabili. Ti hanno pure frammenti di cefalopodi. Da quest’elenco risulta che le masse calcari e dolomitiche di questo gruppo vanno riferite al piano di Esilio (ladinico). Mariani M. — Fossili miocenici del Ccimerinese. (Rivista ital. di pale- ontologia, Anno VI, fase. II, pag. 95-97). — Bologna, 1900. Per uno studio sui terreni miocenici del Camerinese, l’autore ha fatto una numerosa raccolta di fossili, dei quali dà l’elenco in questa nota. Premette un cenno sui terreni che affiorano in quella regione, e crede si debba riferire all’eocene una parte della scaglia rosata che in alcuni punti tiene intercalati strati nummulitici ; poi dei veri e propri calcari nummulitici, ed infine quegli strati calcarei sviluppatissimi presso Crispiero, alla Torre di Beregna, con abbondanti avanzi di Taonuriis. Sarebbero forse oligoceniche quelle marne scagliose con concrezioni vermicolari che seguono i calcari suddetti, e sono immediatamente sottostanti alla formazione miocenica. Il miocene è rappresentato da marne grigiastre o giallastre [Schlier) svi- luppate su grande estensione, da arenarie di varia durezza e colore, da argille azzurre e da pochi affioramenti di gesso. I fossili più numerosi provengono dallo Schlier, con forme simili a quelli dei terreni analoglii del Sanseverinate, dell’ Anconitano e del Bolognese. Le argille hanno dato una fauna importante di ecliinidi. L’arenaria contiene numerosi esemplari di Mactva triangiila. Di tutte le specie raccolte alcune sono di tipo miocenico, e quelle citate dall’autore come più importanti sono: Trocliocijatns ohesiis, Scalaria lamellosa, Cassidaria echi- nophora, Pholadomija Vaticani^ Ph. Canavarii, Limopsis aiirita, Pecten Jlalvinae, P. diiodecimlamellatiis, Oxijrhina Desori. MarineijLI O. — Cavità dì erosione nei terreni gessi feri di Fabriano. (RiTista geografica italiana, Annata YII, fase. I, pagine 1*8). — Roma, 1900. L’autore, che già si occupò dei fenomeni carsici nei gessi di Sicilia (vedi Biì)l. 189ff) espone in questa nota il risultato delle ricerche fatte nei terreni gessiferi dei dintorni di Fabriano. I giacimenti di gesso che osservansi alla base delle collinette che stanno a nord-ovest di Fabriano, sono disposti a lenti collegate fra loro in modo da formare uno strato foggiato a conca poco accen- tuata, con inclinazioni di circa 15*^, e convergenti presso a poco ad un centro comune. La parte interna della conca è occupata da argille più recenti dei gessi che affiorano perifericamente, e alla parte esterna vi hanno le argille più antiche, che con potenza molto superiore alle prime vanno a sovrapporsi alle marne scagliose langhiane. Questi affioramenti gessosi sono accompagnati da una corona di cavità molto analoghe agli siibbii di Sicilia. Queste conche, dette buche, hanno sfogo sotterraneo per mezzo di voragini o fessure nel fondo, detti possi Ili, i quali si trovano sempre scavati nel gesso, e quindi corrispondono al contatto fra questo e le argille. Le buche, o cavità esterne sono incise in entrambe le formazioni, ma mentre i gessi stanno per lo più a formare la parte ripida o dirupo superiore alla grotta di sfogo, il fondo della vallecola ed i loro fianchi sono nelle argille. Tali buche, varie di dimensioni, nel complesso si assomigliano, e sono scavate in parte nelle argille inferiori, in parte, ed è la maggiore, in quelle superiori. Questa condizione di cose, e l’essere tali cavità collegate solo coi gessi affioranti, indu- cono l’autore ad escludere la loro origine per sprofondamento ; ne ricerca quindi la causa nelle azioni fisiche esterne, e in particolare nel lavorìo delle acque superficiali. Rimandando ad altra occasione lo studio di confronto fra i fenomeni qui descritti e quelli di Sicilia, l’autore conclude insistendo che nei dintorni di Fabriano mancano traccio di veri fenomeni di sprofondamento. Ael testo è inserito uno schizzo dell’area gessifera ed un profilo geologico della regione. Marixelli O. — Conche lacustri dovute a siiberosioni nei gessi in Sicilia. (Eirista geografica italiana, Anno YIÌ. fase. Y, pag. 273-285). — Eoma, 1900. Eichiamato il precedente studio su alcune cavità esistenti presso S. An- gelo Mnxaro (vedi Bihl. 1899) in relazione genetica coi gessi, l’autore espone ora in questa nota alcuni appunti siiirorigine di certi laghi siciliani che, in seguito ad ulterióri studi in altre località, si è convinto essere dovuti ad avvallamenti di terreni sovrastanti ad erosioni entro ammassi gessosi. Passa quindi a rassegna diversi laghi della Sicilia, che descrive, aggiun- gendo lino schizzo dell’isola, nel quale è rappresentata la distribuzione dello cavità doAuite all’azione delFacqua sui gessi. Dall’esame di queste, l’autore, pur ritenendo lo studio incompleto, trae alcune conclusioni, dalle quali, considerato il fenomeno dal punto di AÙsta geografico, risulta che, negli altipiani centrali e sudorientali e nelle spianate subcostiere meridionali della Sicilia, costituiti da formazioni plioceniche soA-rap- poste ai terreni gessiferi, si riscontra un noteA^ole numero di caAÙtà, in gene- rale occupate da acque lacustri, ma distinte idrograficamente da altre cavità che si troA’ano nei terreni gessosi generalmente asciutti. De prime deAmno la loro origine ad erosioni sotterranee ed a conseguenti sprofondamenti delle sovra- stanti formazioni; le seconde, nella massima parte dei casi, ad erosione diretta nei gessi affioranti superficialmente. Tale distinzione fra caAÙtà di erosione e quelle di sprofondamento per suberosione dei gessi, troAui làscontro nella distribuzione topografica del feno- meno. Infatti i fenomeni di erosione superficiale sono specificamente diffusi in due aree, trapanese ed agrigentina, corrispondenti presso a poco a due delle regioni di massima diffusione dei gessi superficiali. I laghi di suberosione, iuA^ece, benché disposti in tre gruppi, formano in corto modo un’area unica esterna alla regione suaccennata, e che troA^a riscontro, almeno in parte, in quella della massima diffusione dei terreni superiori alle formazioni ge.ssose-solfifere. Marinelli O. — Traccie di una più antica glaciazione nelV anfiteatro morenico friulano. (« In Alto ». Cronaca della Soc. alpina friulana. Anno XI, n. 0, pag. 73-74). — Udine, 1900. AA'endo osserA’ato nelle trincee di una strada in costruzione tra Felettano e TaA'agnacco il materiale morenico molto decomposto, l’autore pensò che rappre- sentasse traccie di una glaciazione più antica di quella preA^alente nel resto — 278 - dell’anfiteatro morenico. Ciò lo indusse ad eseguire ulteriori osservazioni nelle colline circostanti verso Roana, Tricesimo e Qualso, dove riconobbe che si trovano a contatto due tipi di rilievi, gli uni interni più elevati, che farebbero parte integrale dell’arco maggiore morenico frontale dell’ anfiteatro del Taglia- | mento; gli altri esterni (quasi estranei all’anfiteatro) più bassi e superiormente spianati, quasi confondentisi colla pianura, isolati e dipartentisi in direzione ' normale dalle colline interne sopraindicate. I primi presentano il tipo morfo- ! logico di morene fresche, i secondi di forme vecchie quasi distrutte. Quantunque l’autore non abbia potuto trovare formazioni interglaciali che confermino la supposizione di due formazioni moreniche distinte, egli ritiene che j non si possano riunire insieme le morene esterne più basse e localmente decom- i poste dell’area fra Tavagnacco, Tricesimo e Qualso con le altre più interne, elevate e frasche, costituenti il vero anfiteatro. Osserva inoltre, che le prime formano colle alluvioni ferrettizzate della pianura, un complesso che probabil- mente spetta al Dilnvinm antico. Marinelli O. — A proposito di uno scritto del dott. Di-Stefano sulla geologia siciliana. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. 3®, pa- , ghie cxxvii-cxxYiii). — Roma, 1900. È una replica alla comunicazione fatta dal dott. Di-Stefano alla Societcà I geologica suU’età degli scisti silicei della parte occidentale della Sicilia, in seguito a precedente nota dell’autore sullo stesso argomento (vedi più sopra e j Bihl. 1899). Questi, benché conosca quanto si è scritto sui terreni secondari di Sicilia, nelle escursioni fatte si è persuaso che esistono in quella regione due zone di scisti silicei, fra loro litologicamente analoghe; una certamente liasica poco potente, l’altra di maggior potenza ed estensione del trias superiore. Ag- giunge di avere affermato nella sua nota, riguardo ai terreni del M. ludica, j che riteneva triasici, molti degli scisti silicei di Sicilia, ma non tutti come pare creda il dott. Di-Stefano, e persiste nella sua primitiva idea. ; Matteecci R. \ . — Sur la production simultanée de cleux sels azotés dans le cratère dii Vésuve. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXXXI, i n. 23, pag. 963-965). — Paris, 1900. Durante il periodo di violenta atthdtà verificatosi nel Vesuvio dal 21 aprile | al li maggio 1900, che ampiamente viene descritto nella relazione seguente, i l’autore potè raccogliere dei lapilli rivestiti di sale ammoniaco e delle scorie j ricoperte da una patina lucente d’aspetto metallico, formata di azoturo di ferro. Basandosi sulle esperienze eseguite da Sainte-Claire Deville e da O. Silvestri sulla lava dell’Etna, che diedero risultati soddisfacenti sulla genesi di certi composti azotati dei vulcani. Fautore, che ha potuto riscontrare un vero isocro- nismo per la produzione del cloruro ammonico e dell’azoturo di ferro nel cratere del Vesuvio, crede di potere ammettere che esiste un intimo nesso genetico fra questi due composti azotati di origine vulcanica. Matteucci e. V. — Sul periodo di forte attività esplosiva ojferto nei mesi di aprile-maggio 1900 dal Vesuvio. (Boll. Soc. sismologica ita!., Voi. TI, n. 7. pag. 207-238; n. 8, pag. 239-276; n. 9, pag. 277-312, con 6 tavole). — Modena, 1900. Dopo un breve riassunto delle vicende a cui andò soggetto il Vesuvio nel- Fultimo decennio, Fautore si occupa del periodo esplosivo iniziatosi il 24 aprile e terminato il 14 maggio 1900, descrivendo dettagliatamente i fenomeni dei quali fu testimonio oculare con gravissimo pericolo della vita. Premette che, parlando di eruzioni del Vesuvio, ritiene che il vulcano debba dirsi in eruzione solo quando si hanno afflussi lavici e che quindi il periodo di attività, argomento di questa memoria, non essendovi stata emissione di lave, si debba chiamare periodo di attività esplosiva. L'autore fa la cronologia di questo periodo indicandone i principali carat- teri ed i fenomeni principali, tra i quali Femissione d’immensi globi di fumo nero che, anziché la forma di pino tanto nota, veniva assumendo una forma che per la somiglianza con quella di un cavolfiore indica col nome greco di conopidii. col qual nome sono indicate a Santorino tali manifestazioni esplosive. Il periodo esj^losivo ebbe maggiore intensità dal 4 al 13 maggio con un massimo nel giorno 9; e Fautore presenta una viva e minuta descrizione dei fenomeni da lui osservati, quali il cambiamento della forma e delle dimensioni del cratere, lo sj^rigionarsi veemente dei gas nelle varie esplosioni e la presenza di fiamme. Dal 14 al 24 maggio Fattività decrebbe gradatamente, finché al 25 il vulcano era ritornato quasi allo stato normale di attività stromboliana. L'autore, basandosi sulle osservazioni fatte, rappresenta mediante una curva flessuosa l'andamento dell'attività nel periodo sopra indicato. Osserva che mal- grado la grande energia non si é verificata alcuna nuova lesione nel cono e solo si sono allargate quelle che rimontano al 1895. Dopo questo periodo esplo- sivo si verificarono altri incrementi di attività di più bceve durata o di minore entità, che Fautore riassume brevemente. Da questo riassunto si desume lo stato — 280 - del Vesuvio alla fine del 1900 e le condizioni magmastaticlie tali da far presa- gire qualche trabocco centrale od una eruzione lavica laterale con formazione' del solito cratere di sprofondamento. In un secondo capitolo è descritto il materiale emesso, cioè polvere, sabbia, lapilli, scorie, bombe e blocchi solidi, e si trattiene specialmente sulle bombe che furono lanciate in grandissimo numero, di volume variabilissimo e formo che rappresentano tutti i tipi che si verificano nelle fasi esplosive di tutti i vulcani di natura basica. Quanto ai blocchi solidi, ai quali le bombe con inclusi passano gradatamente, osserva che essi più spesso provengono da vecchie colate di regurgito centrale anziché da rottami di projetti precedentemente esplosi e caduti nella vasca lavica. Anche di questi blocchi la quantità lanciata fu im- mensa e di tutte le dimensioni ; il più grande raggiunge un peso approssimativo di 30000 kg. con un volume di 12 me. Seguono alcuni studii fatti dall’autoro sull’acidità del magma lavico, per dimostrare che a maggiori sviluppi di aeriformi e ad aumenti di attività corri- sponde una maggiore basicità nelle lave scoriacee. L’autore aggiunge alcune interessanti ricerche fatte dal Fiechter e da Vi- glino sopra l’altezza a cui furono spinti i proiettili in questo periodo esplosivo e sul calcolo della traiettoria descritta dal blocco più grosso e dall’energia del- l’esplosione dalla quale fu lanciato. La massima altezza raggiunta dai proietti fu di 537 metri calcolata dal fondo del cratere. In una figura nel testo è rap- presentata la traiettoria descritta dal più voluminoso di essi, che per salire avrebbe compiuto un lavoro di 1,140,000 kilogrammetri, consumando nel discen- dere al suolo nell’urto un lavoro di 9,810,000 kilogrammetri. Vell’ultimo capitolo l’autore espone alcune considerazioni generali sul vul- canismo. Ammette anzitutto che le eruzioni laviche laterali non sempre sieno dovute ad aumento di dinamismo, ma bensì a cause meccaniche dipendenti da condizioni statiche del magma, e lo dimostra con diversi esempii. Venendo alla causa deH’aumento di attività verificatasi ultimamente nel Vesuvio, l’autore premette di ritenere che i vulcani non sieno affatto indipen- denti fra di loro, e se in generale sembrano funzionare come tali, ciò dipenda che oltre da una causa comune essi sieno sollecitati da movimenti locali. Prendendo a considerare non solo i pochi vulcani attivi, ma tutti i massicci di consolidazione profonda di origine laccolitica o batolitica che affiorano e quelli non ancora messi a scoperto dalla denudazione e le masse filoniane che dira- mano dalle masse ipogee, si trovano in essi i documenti necessarii e sufficienti a comprovare che un magma attivo sottostante o intersecante o irrompente, ha disturbato e disturba la sedimentazione ed ha sconvolto e sconvolgo tutta la crosta terrestre. Xon può quindi ammettere la presenza di un nucleo solido e di bacini magmatici isolati interposti fra esso e la crosta terrestre. Ammette invece una unica ragione di essere del vulcanismo, che risiede nell’enorme focolare rac- chiuso sotto la crosta terrestre. Questa massa fluida deve avere temperature e composizioni chimiche differenti e contenere in varia proporzione sostanze gasi-, ficabili e dotate quindi di attività variabile. Queste differenziazioni magmatiche, a cui andrebbe soggetta quella massa, sarebbero il fattore primordiale della vul- canicità e ad esso sarebbe dovuto Faumento o la diminuzione del dinamismo. Contrariamente alle idee del De Stefani e del De Lorenzo, i quali ammet- tono che la maggior parte del vapore acqueo emesso dai vulcani provenga dalle acque superficiali. Fautore sostiene che tali vapori, come tutti i prodotti delle fumarole, abbiano origine profonda connessa intimamente col vulcanismo ter- restre ed estrinsecantisi dal magma, ed espone gli argomenti contro la teorica che attribuisce a quelle acque la principale se non esclusiva influenza sul vulcanismo. Questa importante memoria è accompagnata da 13 riproduzioni fotografiche in sei tavole e da tre figure intercalate nel testo, che illustrano i fenomeni più importanti verificatisi nel periodo di attività esplosiva descritto. Mattirolo e. — Gita della Società geologica italiana a Civitavecchia e alla Tolfa. (Kassegna mineraria, Yol. XII, n. 11, pag. 162-161). — Torino, 1900. È una breve relazione delle visite fatte alle cave di macigno per i lavori del porto di Civitavecchia, alla fabi)rica di calce e cemento presso quella città e a quella dei blocchi artificiali perle gettate del porto; quindi alle cave della così detta scaglia riccia e a quelle del gesso presso Torre Orlando. Segue la rela- zione della gita alla Tolfa e alle cave di caolino della Bianca e alle miniere di allumite presso il villaggio di Allumiere. In queste ultime il minerale, prodotto di alterazione della roccia alluminico- potassica, è per lo più biancastro e talora ferruginoso, a struttura più o meno saccaroide, concrezionaria, travertinosa o stallattitica zonata ; il più delle volte si mostra cristallizzato in aggruppamenti mammillonari, più di rado polverulento. È generalmente accompagnato da un po' di caolino, che si presenta in piccole vene diffuse nella trachite incassante i filoni di allumite. Minerali accidentali in quest’ultima sono la baritina e il quarzo in cristalli incolori, bipiramidati detti « diamanti della Tolfa ». La potenza normale dei filoni varia da 1 a I metri, ma nei rigonfiamenti può raggiungere persino i 10 metri. Mayr a. — Pantellaria. (Griobus, B. 77, n. 9, pag. 137-143). — Braim- schweig, 1900. È una descrizione dell’isola sotto il punto di Tista geologico, geografico e paleoetnografico. Benché essa sia intieramente vulcanica, le manifestazioni endogene vi sodo ora ridotte a fumarole ed a sorgenti saline calde. Tuttavia vi dev’essere stato ancora qualche parossismo vulcanico dopo la comparsa dell’ uomo nell’isola, perchè vi sono stati rinvenuti frammenti lavorati di ossidiana sotto strati di lapilli. Mercalli G^. — Sul Vesuvio e sui Campi Flegrei (dall’ Appennino meri- dionale, Boll, della Sez. di Napoli del Club alpino ital., Anno II, n. 1-2, pag. 6). — Napoli, 1900. L’autore dà relazione di alcune gite fatte al Vesuvio il 22 ottobre, l’il no- vembre, il 31 dicembre 1899 e il 26 febbraio 1900. Nella prima potè prendere una fotografia dell’ interno- del cratere al momento di nn’esplosione : la profon- dità di questo da 150 metri era ridotta a circa 100, ed era inoltre in via di riem- pimento per l’accumnlarsi di scorie della lava coeva. La bocca principale di 8 a 10 metri di diametro dava a brevissimi intervalli esplosioni, lanciando scorie incandescenti che formavano un piccolo cono dintorno; un’altra bocca secon- daria dava piccole esplosioni con poco fumo e detriti negli intervalli di riposo della bocca, principale. Esisteva pure una linea di grosse fumarole quasi tangente a questa bocca e indicante una spaccatura nel fondo del cratere. Le scorie fluide incandescenti lanciate rapidamente in alto con forte rumore denotavano la pre- j senza della colonna lavica a pochi metri di profondità. j Nella seconda gita trovò che le esplosioni erano più deboli ma più frago- rose. Visitò la spaccatura del 3 luglio 1895 lungo la quale esistevano molte j fumarole acide. i I Nella terza escursione visitò la nuova cupola lavica rilevando che la lava si manteneva ancora incandescente a poca profondità benché ferma da quattro mesi; osservò pure in essa una plaga occupata da numerose fumarole di due | categorie diverse: le ime secche e leucolitiche con gas quasi inodori; le altre j croicolitiche (Palmieri) con molto acido cloridrico : le prime, a temperatura più elevata, deponevano incrostazioni bianche, le altre deponevano incrostazioni verdi, rossastre e gialliccie. Nell’escnrsione del febbraio 1900 trovò il cratere poco attivo perchè la gola del vulcano era parzialmente ostruita. Le esplosioni avvenivano ad intervalli più — 283 lunghi. Ti furono due forti esplosioni con proiezione di numerose pietre e arena colle quali il vulcano cercava di liberarsi dai materiali franati: si avevano forti emanazioni di acido cloridrico. Il fondo del cratere era tutto cambiato e riempito sì da ridurne la profondità ad una sessantina di metri. Le esplosioni strombo- liane si fecero più forti e frequenti nei primi di marzo. In alcune gite fatte alla Solfatara nel 1899 l’autore osservò una nuova bocca sul fondo di essa coi caratteri di fumarola e di vulcano di fango. Essa è una cavità imbutiforme piena di una poltiglia calda che ribolle lanciando talora poco fango all’intorno. La sua temperatura è di poco inferiore a quella dell’ebollizione dell’acqua. Questa nuova bocca trovasi nella parte sud della Sol- fatara, cioè in quella più depressa del fondo pianeggiante di essa, costituito da tufo bianchiccio, e l’autore ritiene che questo piano sia l’area di un antico la- ghetto di acque calde fangose prosciugatosi a poco a poco superficialmente. Le piccole fumarole attive da molti anni nella parte sud-est del cratere segnavano una temjDeratura di 98*^ C. Totò pure uu cambiamento nella bocca principale della Solfatara, che rimase ostruita per franamento, ma dai materiali franati uscivano diverse fumarole che davano sfogo ai vapori. Tale ostruzione aumentò la temperatura delle piccole fumarole. Tel testo è riportata la fotografia dell’interno del cratere e della nuova bocca della Solfatara. Mercalli Gr. — Escursioni al Vesuvio (dall’ Appennino meridionale, Boll, della Sez. di Xapoli del Club alpino ital.. Anno II, n. 3-4, pag. 8). — Xajjoli, 1900. Queste escursioni si riferiscono specialmente al periodo delle grandi esplo- sioni avvenute al Vesuvio nel maggio e nel giugno del 1900. Già in una gita fatta nell’aprile l’autore osservò che le esplosioni dapprima deboli si fecero più forti, benché ad intervalli piuttosto lunghi, erano schiettamente stromboliane e non si avevano che proiezioni di scorie incandescenti che giungevano fino sopra Torlo del cratere. Al finire di aprile e ai primi di maggio, la forte attività strom- boliana cessava in coincidenza di grandi franamenti avvenuti nelle pareti del cratere, mentre il magma lavico si abbassava nella gola del vulcano. Ma in forza di tale ostruzione la sera del 4 maggio le esplosioni si fecero fortissime, raggiungendo il dinamismo del cratere dal 5 al 9 un grado di violenza che forse non aveva mai raggiunto dopo il 1872. L’autore descrive minutamente i fenomeni che accompagnarono queste esplosioni. — 284 — La A^olenza di queste, diminuita il giorno 9, ripreso il 13 ma con caratteri diversi: erano esplosioni non più continue, ma con intervalli di calma perfetta. Ora il cratere lanciava alte colonne di fumo quasi nere con grande copia di ce- nere e frammenti di lave solide calde, ma non incandescenti, e mancavano i brani di lava coeva. IMelle esplosioni invece del 4-9 maggio i proietti grandi e piccoli erano formati da brani di lava lanciati allo stato pastoso, di forme diverse, ora compatte, ora cellulose e a forme varie di bombe delle quali alcune regolari colle punte contorte in senso opposto. Le esplosioni vulcaniane cominciate il 13 continuarono più o meno forti sino ai primi di giugno. Il cratere, visitato il 10 giugno, era tranquillo e l’atti- vità esplosiva minima. I materiali dejettati in grande quantità avevano rialzato l’orlo del cratere, di cui erasi allargata la circonferenza per franamento. Il cra- tere stesso aveva assunto all’interno la forma di imbuto terrazzato, tranne cbe a ponente dove la parete scendeva a picco, dell’agosto l’autore trovò di poco cambiata la forma, interna del cratere che era abbastanza tranquillo. In una escursione fatta nell’ottobre l’autore verificò che in seguito alle forti esplosioni del settembre si era formato un nuoAm cono di eruzione, nell’ in- terno del cratere del 1895, il quale, nella sua parte nord e nord-ovest fu non solo colmato ma ne fu rialzato l’orlo per 15 metri, mentre a ovest e a sud-ovest è rimasto un vallone profondo fra il nuovo cono di lapilli e l’orlo del cratere. Alla cima di questo nuovo cono si apriva una voragine crateriforme con quattro bocche eruttive. del testo sono inserite tre figure riprodotte da fotografie che rappresentano l’esplosione vulcaniana del 13 maggio, quella del 10 giugno ed il nuovo cono d’eruzione del settembre. Mercalli Gt. — Notizie vesuviane [anno 1899). (Boll. Soc. sismologica ita!., Yol. YI, n. 1, pag. 9-31). — Modena, 1900. Continuando la cronaca dello stato del Yesuvio, l’autore dà in questa re- lazione le notizie mensili relative al 1899, tanto sull’attività stromboliana del cratere che sull’efflusso lavico. Descrive quindi la forma e lo stato del Yesuvio desunti da visite da lui fatte nello stesso anno, come in parte è riferito in altro lavoro. Richiamando quanto già espose precedentemente sull’efflusso lavico late- rale cessato nel settembre 1899, enumera i fenomeni che precedettero tale ces- sazione avvenuta gradatamente e lentamente, per i quali credette di potere annunciare la fine della fase eruttiva cominciata nel luglio 1895. - 285 — Aggiunge che i fatti allora previsti si sono verificati, cioè che il cratere centrale si sarebbe mantenuto attivo nel suo carattere stromboliano e che sarebbe cominciato il riempimento del cratere di sprofondamento del 1895-99. T enendo alla cupola lavica, della quale già si occupò in altre note, osserva che essa si accrebbe in altezza nel 1899 per sovrapposizione esterna di nuove lave che uscivano presso la cima, confermando quanto aveva già supposto fino dal 1896, e cioè resistenza di un condotto quasi centrale nell’interno della cu- pola, nel quale il magma si innalzava in corrispondenza delle bocche del 5 lu- glio 1895. Descrive quindi la forma della cupola, rappresentata da un cono schiac- ciato, con un diametro alla base 7 volte maggiore delFaltezza, ed elevantesi di 160 metri sul suolo primitivo che trovavasi alla quota di 740 metri^ Calcola il volume della lava sgorgata dal 1895 al 1899 a circa 100 milioni di metri cubi, * cinque volte maggiore cioè di quella sgorgata nell’eruzione del 1872. Ma mentre l’efflusso di questa fu rapidissimo, fu invece lentissimo quello dell’ultima eru- zione, e tale lentezza di emissione Fautore ritiene sia causa della ripresa delle esplosioni stromboliane. Quanto al supposto sollevamento endogeno della cupola lavica, che secondo Matteucci (vedi Bibl. 1898) sarebbe avvenuto tra il 13 febbraio ed il 15 marzo 1898, e per il quale essa si sarebbe inalzata di 15 metri dopo che le lave cessarono di ammassarsi sulla sommità della collina. Fautore, dalle osservazioni giorna- liere fatte in quell’epoca, ha rilevato che le lave fluirono sul fianco occidentale provenendo dalla cima, come risulta da uno schizzo da lui fatto il 22 febbraio, riprodotto in questa nota, e che quindi l’intera massa si formò per sovrappo- sizione esterna di nuove colate. Egli crede che il dott. Matteucci sia caduto in un equivoco dipendente da che nei mesi di febbraio e marzo 1898, dal piazzale della stazione funicolare dove egli ha fatti i suoi disegni, non era visibile la parte più alta della cupola da cui scendevano le lave verso ponente. Accenna da ultimo alle fumarole secche e neutre in corrispondenza delle ultime pseudo-bocche apertesi nel versante orientale della cupola lavica, pas- sato più tardi allo stadio fortemente acido, e a quelle lungo la parte più alta della spaccatura del 3 luglio 1895, ora molto attive, in parte acide ed in parte formate quasi esclusivamente di vapore acqueo. {Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (30 settemlire 1901) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXXI, dal 1870 al 1900. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Un Amlnme in-4® di pag. 364 con ta- Amle e carte geologiche » 35 _ Voi. II, Parte l'"^. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 - - Voi. II, Parte 2^. Firenze 1874. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. Ili, Parte l"'^. Firenze 1876. — Un Ambirne in-4® di pag. 174 con taA^ole e carte geologiche » 10 — Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — Un Amlume in-4° di pag. 230 con taA^ole ...» 15 — Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — Un Amlume in-4° di pag. 136 con taAmle » 8 — Voi. IV, Parte 2^. Firenze 1893. — Un A^olume in-4° di pag. 214 con tavole » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica (leir Isola di Sicilia. — Un Amlume in-8® di pag. 436 con taA^ole e una Carta geologica » 10 — Voi. II. Roma 1886. — B. Botti: Descrizione geologica del- risola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 266 con taAmle e una Carta geologica » 10 — Voi. HI. Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’ Isola d’Elba. — Un A^olume in-8‘^ di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un Ambirne in-8® di pag. 168 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 — Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologi co- mineraria della zona argentifera del Sarrabiis [Sardegna). — Un A^olume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico -mineraria » 8 - — 287 — Voi. TI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — IJn volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa L. 6 Tol. TU. Roma 1892. — E. Coetese e Y. Sabatini: De- scrizione geologico-petrograflca delle Isole Eolie. — IJn volume in-8® di pag. Ili con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Tol. TIII. Roma 1893. — B. Botti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Tol. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » 12 Tol. X. Roma 1900. — T. Sabatini: I vnlcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a lOOOOOO, in due fogli: 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio 244 (Isole Eolie) . . B. 3 — Foglio X. 262 (Monte Etna) . . B. 5 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del Tallo) » 3 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) ...» 4 250 (Bagheria) . . . » 3- » 267 (Canicattì) ...» 5 251 (Cefalù) .... » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 252 (Xaso) .... » 4 — » 269 (Paterno) ...» 5 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . » 3 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Gir genti) ...» 3 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 258 (Corleone) . . . 5 — » 274 (Siracusa) ...» 4 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 260 (Xicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» 3 261 (Brente) .... » 5 — » 277 (Xoto) . ...» 3 Tavola di sezioni X. I (annessa ai fogli 219 e 258 . . B. 4 — > » X. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » X. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » X. IT (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » X. T (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — — 288 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una taVola di sezioni, con copertina. — Eoma, 1888 L. 25 — N3. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 'N. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 150 (Boma) ... » 5 — » 158 (Cori) .... » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara B. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — Le tavole di sezioni, ciascuna Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 — NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Stazzema , » Serravezza . L. 5. L. 5 — » 3 — Foglio 17. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — Foglio 17. 242 (Catanzaro) . . L. 4 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — zuto) . . . » 3 — » 228 (Cetraro) ...» 3- » 245 (Palmi) . . . » 3 — » 229 (Paola) ...» 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 — » 231 (Ciro) . . . . » 3^ » 254 (Messina) . . . » 4 — » 236 (Cosenza) ...» 4 — » 255 (Gerace) . . . » 4 — » 237 (S. Griovanni in F.) » 5 — » 263 (Beva) .... » 3 — 5> 238 (Cotrone) ...» 3 — » 264 (Staiti) » 3 — » 241 (Meastro). . . » 4 — Tavola di sezioni 17. I, Y. II e 17. Ili, ciascuna . . L. 4 Carta geologica delP Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886. Carta geologico-mineraria dell' Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglie. o — 5 — 3 Per le commissioni rivolgersi alla dilla libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IN'apoli. Annunzi di pnbblicazioni Arcidiacono S. — Principali fenomeni eruttivi avvenuti in Sicilia e nelle isole adiacenti durante Panno 1900 (Boll, Soe. sismologica ital., Voi. VII, n. 2, pag. 82-91). — Modena, 1901. Idem. — Il terremoto di Nicosia del 26 marzo 1901 (Bpll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. l/XIX, pag. 3-9). — Catania, 1901. Artini e. — Calcite di Pradalunga (Val Seriana) (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XE, fase. 2®-3®, pag. 269-274). — Mi- lano, 1901. Idem. — Di una nuova specie minerale trovata nel granito di Baveno (Rend. E. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. X, fase. 6°, 2'* sein., pag. 139-145). — Roma, 1901. Baratta M. — Sul terremoto vogherese del 23 gennaio 1901 (Atti Soc. to- scana di Se. nat.; Processi verbali. Voi. XII, pag. 203-209). — Pisa^ 1901. Bassani Fr. — Il Notid^niis griseus Cuvier nel Pliocene della Basilicata e di altre regioni italiane e straniere (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^, Voi. VII, n. 5, pag. 175-180). — Xapoli, 1901. Idem. — Nuove osservazioni paleontologiche sul bacino stampiano di Ales in Sardegna (Ibidem, fase. 7°,. pag. 262-264^. — Xapoli, 1901. Bonarelli G. — Miscellanea di note geologiche e paleontologiche per Panno 1900 (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XX, fase. 2°, pag. 215-232). — Roma, 1901. BRUf.NATELLi L. — Berillo ed altri minerali delle pegmatiti di Sondalo in Valtellina (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Voi. XXXIV, fase. XVI, pag. 914-920). — Milano, 1901. Capellini G. — Balenottera miocenica del Monte Titano (Repubblica di S. Marino) (Memorie R. Acc. Se. dell’Istituto di Bologna, S. V, T. IX, pag. 26, con 2 tavole). — Bologna, 1901. Checchia G. — Una escursione alla grotta di Monte Nero nel Gargano (dalla « Vita » Rivista quindicinale anno 1®, n. 14-15, pag. 12). — Sansevero, 1901. Cheli ssi I. — Alcuni cenni sul pliocene dei dintorni di Lacedonia (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XL, fase. 1®, pag. 65-77). — Mibano, 1901. Idem. — Alcuni fenomeni carsici e glaciali delPAppennino aquilano (Ibi- dem, fase. 2*^ e 3®, pag. 95-109). — Milano, 1901. Ciarpi B. — La Cruziana (Bilobités) Sardoa Mgh. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali. Voi. XII, pag. 223-227). — Pisa, 1901. Colomba L. — Sopra alcune lave alterate di Vulcanello (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XX, fase. 2^, pag, 233-246). — Roma, 1901. D'Aciiiardi G. — Ligniti di Val di Sterza presso il Botro della Canonica e rocce che Paccompagnano (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali. Voi. XII, pag. 170-177). — Pisa, 1901. De Stefano G. — Ancora m\V Elephas meridienaUs Nesti ed il Rhino- ceros Merchi Jaeg. nel quaternario di Reggio Calabria (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XX, fase. 2®, pag. 339-342). — Roma, 1901. Idem. — VElephas (Euelephas) antiquus Pale, in Calabria e la sua con- temporaneità con VElephas rneridionalis Nesti, VElephas primige. niiis Blnm. ed il Rhinoceros Merchi Jaeg. nel post-pliocene dellTtalia e dell’estero (pag. 28 in-4° con tavola). — Reggio Calabria, 1901. {Segue) (Seguito: V. pagina precedente) Lovisato D. — Le calcaire grossier jannatre de Pizzi del Lamarmora ed i calcari di Cagliari come pietre da costruzione (pag. 82 iii-8°, con 3 ta- vole). — Cagliari, 1901. Manasse B. — Su di alcune rocce della Crocetta preso S. Piero in Campo (Isola d'Elba) (Atti Soc. toscana di Se. nàt.; Processi verbali, Tol. XII, pag. 214-223). — Pisa, 1901. Mariani E. — Su alcuni fossili del Trias medio dei dintorni di ^orto Tal- travaglia, e sulla fauna della dolomia del Monte San Salvatore presso Lugano (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Tol. XL. fase. 1®, pag. 39-63). — Milano, 1901, Millosbvich B. — Di alcuni giacimenti di alunogeno in provincia di Koma (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XX, fase. 2°, pag. 263-270). — Roma, 1901. Omboni Gr. — Denti di Lopbiodon degli strati eocenici del Monte Dolca (Atti R. Istituto veneto, S. TIII, T. Ili, disp. 8, pag. 631-638, con 2 tavole). — Venezia, 1901. Pelloux a. — Appunti sopra alcuni minerali delle Cetine di Cotoruiano presso Eosia in provincia di Siena (Rend. R. Acc. dei Bincei, S. V, Voi. X, fase. 1°, 2^ sem., pag. 10-14). — Roma, 1901. Peola P. — La vegetazione in Piemonte durante Pera terziaria (Rivista di fis., mat. e se. nat., anno 2®, n. 19, pag. 25-35 e n. 20, pag. 129-161). — Pavia, 190''. PoRTis A. — H Talaeopython Sardus Port., nuovo pitonide del Miocene medio della Sardegna (BoU. Soc. Geol. ital.. Voi. XX, fase. 2®, pag. 247-253). — Roma, 1901. Ricci A. — JJElephas tvogontherii Poblig di Montecatini in Val di fie- vole (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. X, fase. 4®, 2° sem., pag. 93-98). Roma, 1901. Ristori Gr. — I calcari marnosi ed i cementi idraulici della Ditta G. B. Xi- colini presso Incisa (Yaldarno) (pag. 38 in-4®). — Birenze, 1901. Rosati A. — Studio microscopico e chimico delle rocce vulcaniche dei din- torni di Vizzini (Val di Noto, Sicilia) (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. X, fase. 1°, 2® sem., pag. 18-23). — Roma, 1901. Salle e. — Di alcune rocce verdi dei dintorni del Golfo della Spezia (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Voi. XII, pag. ^9*213). — Pisa, 1901. Salmojraohi Br. — Steatite nella dolomia principale del Monte Degno (Lago d’Iseo) (Atti Soc. ital. di Se. nat., e Museo civico di St. nat.. Voi. XL, fase. 2®-8‘^, pag. 115-128). — Milano, 1901. ScALiA S. — D post>pliocene del Poggio di Cibali e di Catìra presso Catania (Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. 4% Voi. XIV, Mem. XI, pag. 1-16). — Catania, 1901. Sequenza L. — I pesci fossili della provincia di Reggio (Calabria) citati dal prof. G. Seguenza (Boll. Soc. Geol. ital., VoL XX, fase. 2°, pag. 254-262). Roma, 1901. Semmola e. — n Vesuvio nel maggio 1900 (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3‘^, Voi. VII, fase. 7^ pag. 222-227). — Xapoli, 1901. Silvestri A. — Intorno ad alcune nodosarine poco cc scinte del neogeue italiano (Atti Acc. pont. dei Xuovi Lincei, Anno LIV, ss. VI, pag. 103-109). Roma, 1901. F^x-ezzo d.el presente fescicolo L. A.2Sr2MO r 1 ROMA POGRAFIA NAZIONALE Aduo 1901 N. 4 ELENCO del personale componente il Comitato e 1’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini (jiovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente. Cocchi Iqino, prof, di geologia, a Firenze. CossA Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. Uemmellaro Uaetano Gtiorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Uiovanni, prof, di geologia, R-. Università di Padova. Scarabelli Gtiuseppe, senatore del Regno, Imola. Strììver Gtiovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : . Ing. Pellati Niccoi.ò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato Ing. SoRMANi Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. ^ Ing. Crema Camillo. . i Aj.-Ing. Cassetti Michèle. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. teologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. A|| Ing. Zaccagna Domenico. . Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. 'IV Ing. Franchi Secondo. ^ | Ing. Stella Augusto. ’ J '. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrarie-geologico, via Santa Smanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. II. Anno 1901. Fascicolo 4®. SOMMAEIO. Note originali. — I. C. Viola, L’augitite anfibolica di Giumarra presso Ram- macca {Sicilia). -- II. S. Franchi, Sulla dispersione nei pirosseni clorome- lanitici di alcune roccie cristalline delle Alpi occidentali. — III. Riunione animale della Società geologica italiana a Brescia. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica itaKana per 1’ anno 1900 (Conti- nuazione e fine). Elenco del personale componente il Comitato e Tllfficio geologico alla fine del 1901. Pubblicazioni del E. Ufficio geologico. Illustrazioni. — Figure schematiche di cristalli (C. Viola) a pag. 298, 299, 300 e 303. — Tav. II, Sezioni microscopiche della Giumarrite (C. Viola) a pag. 312. NOTE ORIGINALI I. C. Viola. — VaìigitHe anfibolica di Giumarra presso Barn- macca {Sicilia). (Con una tavola in fototipia). Fin dal 1875 è conosciuta l’esistenza in natura delle augititi, le quali roccie completarono in certo modo la serie di quelle eminen- temente basiche, per le quali Rosenbusch ^ creò nella sua sistematica chimica il magma quasi monotettico cl, capace d’essere assorbito da magma più acidi e di differenziarsi dai magma molto complessi. Tali roccie, conosciute dapprima col nome di basalti magmatici 0 meglio basalti vetrosi o tachilitici, furono portate da Erman dalle isole del Mare del Sud e studiate da Mòhl L Questa augitite è com- ^ H. Rosenbusch, Ueber die diemìschen Bemehiingen der Ernptivgesteine (Tschermak’s minerai, u. petrog. MittheiL, 1890, XI, pag. 171). * H. Mòhl. MilTominevalogische Mittheihingen (Xeues Jahrbuch fiir Miner. ctc.. 1875, p. 719). — 2C0 \ posta, secondo Mòhl, di hauyna, pirosseno e anfibolo monoclini, immersi in una massa fondamentale vitrea con circa 42 ® o di SiOg come le limburgiti. L’importante notizia data da Mohl sull’esistenza di roccie effusive non feldispatiche nè feldispatidiche, e senza olivina, fu seguita a breve distanza da altre scoperte di roccie consimili come le mon- cliiquiti, le fourchiti, le ouachiti, ecc.; sicché era da prevedersi che le roccie augitiche e anfiboliche basiche potessero essere più frequenti come seguito di porfìriti, tefriti, leucititi, basalti, basaniti da una parte, e foyaiti, teraliti, pirosseniti, esseniti, scionchiniti ecc., dall’altra. Intanto però questa previsione non si è avverata dovunque, sia per mancanza di esplorazioni sufficienti, sia per la non avvenuta diffe- renziazione. Se si tolgono le augititi di Cura nel Venezuela descritte da J. Jouyovitch \ le varie augititi delle isole del Capo Verde nell’Oceano Atlantico descritte e analizzate da C. Doelter una augitite associata alla limburgite filoniana di Fenestre al Mont Dorè accennata da Mi- chel Lévy le augititi della Boemia settentrionale descritte da J. M. Clements e finalmente le importanti augititi della Boemia centrale descritte e analizzate da J. E. Hibsch ", null’altro sappiamo intorno alle roccie eruttive basiche dei vulcani estinti e attivi d’Europa, se cioè siano o no accompagnate da augititi effusive. Più favorevole esito ebbero all’incontro le augititi e anfiboliti filoniane, che erano destinate a portare nuova luce in petrografia ; ^ J. JouYOViTCìi^ Isole sur les roclies éniptives et métamorpliiqnes des Audes. Belgrado, 1880. ^ C. Doelter, Verhandlungen d. k. k. geolog. Reichsanstalt, 1882,140-111. ^ A. Michel Lévy, Le Mont-Dore et ses alentoiirs (Bull. Soc. geol. de Fr., 1890 (.3) XYIII, 743-844). Vedi pag. 840. * 4. M. Clements, Die Gesteine des Doppaiier Gehirges in Nord B'ólimeii (Jakrl). k. k. geolog. Reiclisanstalt, 1890, XL, 317-350). ^ J. E. Hibsch, Beitrdge giir Geologie des bohmischeii Mittelgehirges (Tschermak’s miner. u. petrog. Mitth., 1894, XI Y, 95-113). Id., Erldiiteriingen gii der geolog. Specialkarte des hohmischen Mittelgehirges (Tschermak’s miner. u. petrog. Mitth., 1896, XY, 201-290). Id., Ibidem, 1899, XIX, pag. 1-101. — 291 ricordo le niODchiquiti del Portogallo quelle degli Stati Uniti di America, del Brasile (Serra de Tinguà) % della Norvegia meridionale, della monzonite nel Piroio, e persino i filoni augititici della Biemia centrale studiati da Hibsch ^ In Italia, per quanto io abbia esaminato in questi ultimi tempi la letteratura petrografica, non si conoscono roccie filoniane nè di effu- sione, elle possano essere avvicinate alle monchiquiti o fourebiti o alle augititi anfiboliclie ; sarà perciò, spero, accolta con interesse la notizia di questo nuovo giacimento di roccie filoniane basiche, tanto più che la località è facilmente accessibile, e quindi può attirare la curiosità degli esploratori per fornire nuovi materiali allo studio della petrografia. La località fu visitata ultimamente dal dott. Giovanni Di Stefano, che vi si trovava per altre ricerche geologiche. L’augitite anfibolica di Giumarra vi si presenta sotto forma di filone o dicco. Io riporto qui la comunicazione, che ricevo in proposito dal dott. Di Stefano ; « Il dicco affiora per circa 2!50 metri sul confine {« delle regioni Giumarra e Balconieri (territorio di Rammacca, frazione « di Giardinelli, in provincia di Catania), alla base del Monte Cap- « pezzano, precisamente sulla via mulattiera che dal Passo Ladrone « sale verso tale monte ». Giumarra e Balconieri sono più vicine ai vulcani del Val di Noto che a quelli di Motta-S. Anastasia e Paternò, situati ai piedi dell’Etna; e quindi si potrebbe supporre che l’intrusione dell’augitite anfibolica, che entra a guisa di filone o di colonna nelle roccie calcaree a num- muliti, stesse in relazione più con le eruzioni del Val di Noto an- ziché con quelle dell’Etna. Ma non è il caso di dare troppa impor- tanza a questa supposizione, perchè essa non può essere sostenuta da confronti: sembra infatti che nè nel Val di Noto, nè nelle eruzioni ^ L. vali AVerveke, Aeues .Jabrhucli fiirMiner., ecc. 1880, II, ^lag. 141-180. “ 31. Hunter 11. II. Rosenbusch, Ucher 3Ionchiqiiif, ein compfonitisches GaiKjrjestein aiis (lev (TefoUjscliaft (lev Elaolithsijenite (Tschermak’s ininer. ii. petr. Mitth., 1800, Xr, pag. 445-40f3). ® .1. E. Hibsch, 1891, op. cit. etnee e preetneo si siano finora trovate augiti o limburgiti anfiboliche. Nella letteratura geologica relativa alla Sicilia nessun autore fa menzione della roccia intrusiva di G-iumarra e Balconieri. Fr. Hoffmann ^ nei suoi viaggi geologici in Sicilia descrive suc- cintamente alcune formazioni di S. Filippo d’Argirò, Caltagirone e Rammacca, e dà un profilo geologico da Caltagirone a Rammacca e da qui al Monte ludica. Si comprende però che Hoffmann non passò per Giumarra, Balconieri o Monte Capezzano, che diversamente avrebbe parlato di quelle roccie eruttive. Sartorius von Waltershausen ^ in principio del V ol. II della sua opera sull’Etna, nei capitoli VI e VII, tratta dei vulcani al piede del- l’Etna, a pag. 47 dei tufi di Palagonia, e a pag. 48 e seguenti del basalto di Motta- 8. Anastasia e Paternò, ma non fa menzione della roccia filoniana di Giumarra. E così nemmeno Carlo Gemmellaro ® fa cenno di queste roccie eruttive. La descrizione geologica della Sicilia di L. Baldacci ^ tratta dei basalti di Val di Noto dei terreni d’origine vulcanica in genere ® e dell’Etna ^ in modo esteso, ma non poteva accennare naturalmente alle roccie eruttive di Giumarra, le quali infatti non hanno grande importanza rispetto alla geologia di una regione così estesa, come è la Sicilia. O. Marinelli b nelle sue osservazioni sui terreni secondari del Monte ludica, nota, a pag. 409, che nella più meridionale delle tre zone tria- ^ Pr. Hoffmann, Geognostische Beobachtiingen. Berlin, 1839, pag. 486* *490. ® W. Sartorius v. Waltershausen, Der Aetna. Leipzig, 1880. C. Gemmellaro, Sopra ì vulcani estinti del Val di Noto (Atti Accad. Gioenia di scienze nat., Voi. Ili, 211-230; Voi. X, 61-83. Catania, 1829 e 35). ^ L. Baldacci, Descrisione geologica dell’isola di Sicilia. Roma, 1886. ® Id., op. cit., pag. 299. ® Id., op. cit., pag. 122. Id., op. cit., pag. 314-323. * O. Marinelli, Osservasioni geologiche sopra i terreni secondari del gruppo del M. ludica in Sicilia (Rendiconti R. Accademia dei Lincei, 1899 ; Y ol. YIII, pag. 404-412). — 293 — siclie di quella regione compaiono fra le formazioni raibliane delle roccie eruttive disposte a guisa di tre filoni isolati, susseguentisi se- condo un unico allineamento. Un esame microscopico eseguito dal dott. Pampaioni mostra, secondo il Marinelli, che sono roccie non lon- tane dalle limburgiti e dalla monchiquite. In quanto all’età di queste roccie il Marinelli soggiunge (pag. 409) : « Queste roccie sono probabilmente triasiche, ma non posso escludere « si tratti di intrusioni più recenti, ed in tal caso probabilmente ter- « ziarie ». Il dott. Giov. Di Stefano, che ha percorso le regioni di Giumarra e Balconieri, talvolta insieme al dott. S. S calia, ha osservato questo solo affioramento di roccie eruttive. Ora confrontiamo queste asserzioni del Di Stefano con il brano sopra citato del Marinelli, e notiamo di più che questo autore segna nei profilo geologico, a pag. 408, le roccie eruttive filoniane sotto al Monte Capezzano, e, io credo, potremo con- cludere che l’augitite anfibolica di Giumarra osservata dal dott. Di Stefano e le roccie eruttive, di cui si ha il primo cenno nel lavoro di 0. Marinelli sopra citato, sono la stessa cosa. Questo giudizio è rafforzato anche dal fatto che il Marinelli crede, basandosi sull’esame microscopico eseguito dal dottor Pampaioni, che le dette roccie erut- tive siano non lontane dalle limburgiti e dalla monchiquite. Inoltre il filone osservato dal Di Stefano include frammenti di marne eoceniche, sicché sembra un insieme di più filoni; e il Mari- nelli parla infatti di tre filoni isolati. Per quanto riguarda l’età delle roccie eruttive di Giumarra e Bal- conieri si devono aggiungere alle osservazioni del Marinelli altre più recenti che mi comunica lo stesso dott. Di Stefano : « il dicco spunta « attraverso alle argille e alle marne variegate con arenarie^ pendenti « a S.E, associate con calcari nummulitici e orbitoidici: quindi può « essere più recente dell’Eocene, ina non triassico. L’esistenza di « molti fossili triassici {Halobia, Posidonomya) nel contiguo calcare « con -noduli di selce di Balconieri, e l’esistenza di nummuliti e un (( gran numero di orbitoidi nei calcari delle marne e delle argille — 294 — « escludono l’identità di età delle due formazioni. È evidente che il « Trias fossilifero è sovrapposto all’Eocene anch’esso fossilifero per « effetto di un accavallamento (Ueherscìuehung). Scendendo verso il « Passo Ladrone si ritrova infatti l’Eocene sul Trias v. Secondo questa comunicazione del dott. Di Stefano sarebbe dunque escluso che le roccie eruttive di Giumarra possano essere più antiche dell’Eocene. Per noi questo risultato ha una certa importanza^ poiché esso conferma il fatto ohe roccie basiche filoniane comparse in re- gioni lontane e in epoche differenti hanno su per giù lo stesso abito, la stessa struttura e analoga composizione chimica. Il dott. Di Stefano mi consegnò molti campioni dell’augitite an- fibolica di Giumarra raccolti da lui, parte insieme col dott. Scalia e parte da solo, in vari punti del filone ; sicché dall’ insieme di essi potei formarmi un’idea abbastanza esatta. di questa roccia eruttiva, senza il bisogno di osservarla sul posto. I campioni raccolti dal Di Stefano ci insegnano che l’afhora- mento del filone si trova in uno stato di alterazione avanzata, ma che nondimeno è possibile raccogliere pezzi di roccia bene conser- vati. Di. tutti i campioni si fecero preparare sezioni sottili, sicché da un esame preliminare col microscopio si potè accertare quale di essi presentasse la massima freschezza. Il miglior campione fu utiliz- zato per l’analisi chimica e per la determinazione del peso specifico. II filone di Giumarra è costituito da una unica massa eruttiva, presentante su per giù una composizione mineralogica uniforme, esente dunque dalla cosidetta liquazione^ tanto comune invece nei magma molto complessi, ed ha sempre la stessa struttura. La roccia è compatta, oscura, tendente al verde cupo, resistente o friabile; talora essa è bollosa, variolitica o pisolitica; le variole o i pisoli sono riempimenti secondari delle cavità bollose: vi si notano calcite, aragonite, silice amorfa e una lunga serie di zeoliti. La roccia, disgregandosi, lascia sciolti i pisoli e li deposita sulla superficie del suolo, sicché se ne possono raccogliere a manciate. Trattati questi pisoli con acido cloridrico diluito a freddo, dopo — 295 — breve tempo vi si sciolgono, essendo tutti costituiti di carbonato di calce; le zeoliti e la silice amorfa rimangono pel momento insolubili, ma infine, con leggiero riscaldamento, vi si sciolgono anche le prime rimanendo in fondo la silice. Disgraziatamente le zeoliti sono allo stato fibroso concentrico, sicché la loro determinazione, che deve essere limitata all’analisi col microscopio, riesce, almeno per ora, impossibile. La augitite anfibolica di Griumarra ha la seguente composizione mineralogica: 1. Separazione porfirica: pirosseno, anfìbolo e magnetite come minerali essenziali ; 2. Massa fondamentale : base vitrea con microliti di pirosseno e anfibolo; 3. Minerali accessori : apatite, ilmenite, plagioclasio basico e olivina ; 4. Minerali secondari: clorite, serpentina, calcite, aragonite, os- sidi di ferro e zeoliti. Minerali essenziali. — Il più importante e abbondante è il pi' rosseno monoclino^ che, a giudicare dalla composizione chimica della roccia e dai caratteri ottici, è una augite comune. Questo minerale è sviluppato sopratutto secondo la zona [001], nella quale appariscono le faccio 'ilO', )0i0[ e 'lOOj con le sfaldature nette quasi ad angolo retto JliO'. Le terminazioni possibili a determinarsi sono dei luoghi ^ ;01i:, ;Tii', {ili!, ;I02', IIOI', (201), (SOI), (lOl) e (30i), fra i quali è la divisione (T02). circa normale a [001] molto bene pronunciata nelle sezioni parallele a [001]. Le dimensioni del pirosseno variano molto, e si può anzi dire che esse vanno gradatamente da 0.007 mm. a circa 0.9 mm. Nel qui unito schema è indicata con linee oriz- zontali la frequenza dei pirosseni di varie dimensioni in millimetri, come si può giudicare grossolanamente nelle sezioni sottili. ^ Invece di faccie o forme dico luoghi. Vedasi a questo proposito la mia nota: Ueher Aushilduug und Sijmmetrie der Krgstalìe (Zeitsch. f. Krystall. XXXV. 229) e confrontisi con V. Goldschmidt, Ibidem, XXVIII, 1. — 296 — 1 c= 0.07— o.io' 0.10 — 0.20 Dimensioni . . \ 1 / a = 0.007 — 0.010 0.01 — 0.02 1 0. 20 — 0. 40 0.02 — 0.04 0.40 — 0.60 0.04 — 0.03 0.60 — 0.90 0. 06 — 0. 10 Pirosseno . . 1 ! 1 1 1 1 1 i Anfibolo . . . 1 i i 1 i 1 1 Una sola linea orizzontale indica che i pirosseni di quelle date dimensioni sono rari; due linee che i pirosseni delle rispettive di- mensioni sono meno rari; e a misura ohe la frequenza aumenta si sono sovrapposte tre, quattro linee orizzontali. E quanto si è fatto per il pirosseno, altrettanto si è ripetuto per l’anfibolo. Si è tenuto conto di due dimensioni principali: di quella della zona [031], che si è segnata con c, e di quella trasversalmente a essa, che si è segnata con a. Da questo schema, che ha un valore approssimativo e che delinea anche la struttura della roccia, è impossibile non rilevare che il pi- rosseno e Tanfibolo, benché abbiano tutte le dimensioni da 0.007 mm. a 0.9 mm., abbondano in due principali di esse. Esse sono per il pirosseno: 1° da 0.007 mm. a 0.010 secondo a, » 0.07 » a 0.10 » • c, ^ 2° » 0.06 » a 0.10 » a, » 0.6 » a 0.9 )) c; per l’anfibolo: 1“ da 0.008 mm. a 0.010 secondo a, » 0.08 » a 0.10 » c, 2” » 0.04 » a 0.05 >> a, » 0.40 » a 0.50 » c. Da qui io ritengo doversi concludere che la cristallizzazione del — 297 — pirosseno e dell’anfìbolo sia avvenuta in due generazioni distinte, se- parate l’una dall’altra, benché durante le due formazioni i cristalli abbiano subito accrescimento diverso. Vedremo in seguito che la for- mazione del pirosseno ha sempre preceduto quella dell’anfibolo in ogni generazione. Il colore del pirosseno per trasparenza è castagno-violaceo chiaro, con sensibile assorbimento nella direzione [010]. Il colore più o meno intenso, il diverso potere rifrangente lumi- noso e il diverso grado di assorbimento sono sufficienti per far rile- vare la più bella struttura zonata del pirosseno, la quale risulta ancora più spiccata fra i Nicols incrociati, stante il diverso angolo d’estin- zione delle singole zone. Le direzioni principali ottiche sono le seguenti: iim è parallelo a 1 010] Hq cade neirangolo ottuso [il lìp » » acuto [i. I cristalli semplici di pirosseno sono formati a guisa di clessidra a tubo strettissimo e lungo, riempiuti esternamente da una massa pirosse- nica diversa (hg. 1). Chiamando con ^ il pirosseno della clessidra e con n la parte esterna, gli angoli d’estinzione sono i seguenti (vedi fìg. 1 e 2) : ]:)er / r ; 7 = 49^ » il r ; 7 = 58 ^2 Ove invece i cristalli pirossenici sono più sviluppati, più compli- cata riesce la loro struttura zonata. Essi in generale sono formati nei modo seguente : 1. Nucleo interno iiliomorfo n formato da varie zonature con- centriche ; 2. Due calotte alle estremità i, corrispondenti alla clessidra dei pirosseni più giovani; 3. Le parti esterne di riempimento m. Ed ecco come stanno gli angoli d’estinzione media di queste tre parti: di r : 7 = 58° => i c : 7 = 4648 c : 7 = 50°. » m -- 298 - La fìg. 3 ' dà un esempio di questa struttura zonata, rappresen- tante una sezione parallela a [OOi] e presso a poco a una delle sfaldature [ 110 j. L’estinzione nel nucleo e all’esterno presso la zona [001] è quasi la stessa. Verso l’estremità corrispondenti alla clessidra l’estinzione è minima, e in uno strato intermedio l’estinzione è massima. Abbiamo » cosi che le callotte estreme sono formate da augite ordinaria basal- ^ Per la determinazione delle estinzioni nel piano di simmetria (010), date quelle in un piano qualsiasi della zona [001] si veda: C. Viola, Mine- ralogìsche n. petrographische Jlittheilniigen aus eleni Hernikerlande in dev Proi\ Boni (Veues Jahrb. f. Min., etc., 1899, J, pag’. 93 e seg.). 299 — tica, e che alcuni strati intermedi verticali passano verso l’egirina o meglio verso la fedorowite ^ . L’assorbimento per la luce del pirosseno in questione è rappre- sentato dalla annessa figura schematica (tìg. 4) e cioè: n-g marrone-viola iim marrone-giallo iig marrone-viola. Associazioni degli individui di pirosseno sono numerosissime ; le as- sociazioni parallele a [001] sono le più abbondanti, fra le quali anche la geminazione secondo il piano (100) con il ìpianOj d’ associazione (iiO). Meno frequenti sono le associazioni concentriche ; queste ultime si osser- vano specialmente nei pirosseni molto allungati secondo [COI] e giovani. Il pirosseno è molto bene con- servato, malgrado l’alterazione co- mune della roccia e malgrado le nu- merose divisioni secondo (102) del pirosseno. L’anfiholo monoclino è dopo il pirosseno il minerale essenziale più abbondante. Come il pirosseno esso è eminentemente idiomorfo ed è svi- luppato secondo la direzione [001]. Nelle sezioni trasversali si possono distinguere molto bene i luoghi |110| e ',010*,, fra i quali le sfaldature jll0| sono molto bene pronunciate. Nelle sezioni longitudinali parallele a (010) si hanno le terminazioni ^ C. Viola u. E. H. Kraus, Ueher Fedoroivit (Zeitschrift fiir Krystall., mn. XXXIII, pag. 86). — oOO - corrispondenti ai luoghi (OOi) e (101). Frequenti sono le divisioni (lOiK Le direzioni principali ottiche sono le seguenti: nm parallelo a [010] itg cade nell’angolo acuto ^ 11 p » » ottuso L’estinzione r : 7 = 12° (circa) cade nell’angolo acuto B, ossia nell’angolo ottuso formato dalla divi- sione (101) e da (lOO). oio marroTiB -viola, ■■■■■— f" Il 1 leocroismo dell’anfìbolo è quasi limitato ad un puro e sem- plice assorbimento luminoso dal bruno al bruno-paglia chiaro. L’assorbimento è intenso nelle sezioni perpendicolari a [001] ; esso è quasi zero nelle sezioni parallele a (010), ed è forte nelle sezioni parallele a (100). Talché si può concludere : iig bruno intenso rim bruno-giallo chiaro Tip bruno. Nella stessa guisa come i cri- stalli di pirosseno, cosi anche quelli di anfìbolo presentano numerose associazioni. Abbondanti e perciò anche più probabili sono quelle con la direzione [001] comune ; fra queste ultime ancora più frequenti sono le geminazioni secondo il Le associazioni concen- anfiboli allungati e pi marrone -gicJlo piano (100), ossia con la zona [001] comune, triche radiali, come quelle del pirosseno, negli giovani non sono rare. Notevoli sono le associazioni del pirosseno con l’anfibolo. Fra esse si osservano molto di frequente quelle, in cui la direzione [001] del pirosseno è parallela alla analoga direzione d’allungamento dell’an- fìbolo, che ancora oggi si suole scrivere con [001^, benché secondo vari autori le due zone abbiano un significato diverso. * * Quivi inoltre i due minerali si presentano con la faccia comune (010) ovvero (ilO) (vedifig. 1,2,3). Di più, l’angolo ottuso P del pirosseno cade dalla stessa parte dell’angolo ottuso P dell’anfibolo, ovvero dalla parte opposta; si ha cioè, o un parallelismo cosidetto coirpleto dei due minerali (vedi fìg. 1 e 3), ovvero una associazione parallela a guisa di geminazione secondo il piano di geminazione (100) (vedi fìg. 2). Questi fenomeni si scorgono facilmente, poiché nel parallelismo completo, l’estinzione secondo 7 del pirosseno e quella corrispondente 7 dell’an- fibolo sono situate dalla parte opposta della direzione [COI], e nel parallelismo incompleto le dette estinzioni cadono dalla stessa parte; cosa facile a constatarsi col microscopio con una lamina a V.i d’onda pel giallo. Le associazioni dell’anfibolo col pirosseno sono cosi intime e tanto molteplici, che si sarebbe tentati a credere, specialmente ove l’anfibolo si presenta come involucro del pirosseno, che l’anfibolo fosse un prodotto di metamorfismo del pirosseno, come è. per esempio, l’u ralite, ovvero che il pirosseno siasi formato per azione d’assorbimento a spese della materia anfibolica, interpretazione accolta da parecchi petrografi, tanto che sorse persino h\ regola che nelle roccie di profon- dità l’anfibolo si forma a spese del pirosseno, e nelle roccie effusive avviene l’inverso, salvo poche eccezioni. " Rohrbach, “ che fu spesse volte citato a sostegno di questa regola, ammette la detta trasforma- zione a spese deli’uno o dell’altro dei due minerali, sempre che ne sia ^ E. VON Fedorow, Beitrage sur sonalen Kristallographie (Zeitschrift filr Kristall., 1901, XXXT, pag. 25 e 75). * Fr. Becke, Die Gesteìne der Coliimì)retes (Tschermak’s miner. ii. petr. Mitth., 1896, XVI, pag. 308 e 329). ® C. Rohrbach, Ueher Ernptivgesfeiiie im Gehiefe der scìiles. mdìir. Kreide- formation (Tschemiak's miner. u. petr. Mitth., 1885, VII, pag. 1 e 25). — 302 — dimostrato il parallelismo completo ottico e morfologico: va perciò molto adagio nei tirare una legge da fatti non dimostrabili in modo assoluto col microscopio in sezioni sottili di roccie. E lo stesso si nota nei lavori precedenti, fra i quali possiamo citare quelli di Er. Becke, ^ di R. Kiich ^ e di Fr. Martin. Nel caso nostro concreto un parallelismo completo dei due mine- rali non è sempre constatabile; la direzione principale ottica 7 si fa ora da una ora dall’altra parte di [OOi] nelfanfibolo e nel pirosseno ; talvolta l’anfibolo si trova accresciuto nel prolungamento di un cristallo pirossenico e con orientazioni parallele od opposte; Tanfi bolo non si presenta mai nelle fessuré del pirosseno, che sono molte e anche aperte. Tutti questi fenomeni sono ben lontani dal confermare anche il sem- plice sospetto che esista una paramorfosi di uno dei due minerali a scapito dell’altro. * Ma non essendo possibile questa ipotesi relativa alla formazione I dei due minerali, ne segue che essi sono separazioni indipendenti l’ima dall’altra e che il pirosseno ha preceduto sempre l’anfibolo tanto nella prima quanto nella seconda generazione, poiché i fenomeni in entrambi i tempi sono assolutamente gli stessi. Meno abbondante, ma essenziale, abbiamo qui anche la magnetite. Essa si presenta in cristalli idiomorfi e grandi quanto le varie sezioni trasversali del pirosseno. Nella sezione sottile rappresentata in foto- tipia nella annessa tavola, le sezioni di magnetite del I tempo sono rare, ma sono invece numerose le piccole del II tempo. Massa fondamentale. — La massa fondamentale è formata da base vitrea e microliti di pirosseno e anfibolo allungati secondo [001] come ^ Fr. Becke, Die Gneissforination des ni e der-ó sterrei chi sclien 'SValdviertels (Tsctermak’s miner. u. petr. Mitili., 1881, lY, pag, 189 e 261). ^ Y". Reiss u. a. Stùbel, Geologische Stndien in der Bepnhlik Columbia. Ca- pitolo di B. Kilcli; Petrografia: Die vnlcanische Gesteine. Berlin, 1882, pag. 56. 3 Fr. Martin, Die Gabbro gesteine in der Unigebnng von Ronsperg in Boli- men (Tschermak’s miner. n. petr. Mitili., 1898, XYI, pag. 105). ^ H. S. YAshington, The magmatic alter ation of Hornblende and Biotite (The Journal of Geology, April-May 1893). - 303 — sopra si disse. La base vitrea, non in sovrabbondanza rispetto al pi- rosseno e aH’anfìbolo, è verde scura o verde-bottiglia con una tendeuza al bruno. Lasciando immersa una lamina sottile neiracido cloridrico a caldo, la base vitrea, che è leggiermente corrodibile, si decolora quasi completamente ovvero prende una tinta giallognola o giallo-sporca. Minerali accessori. — L’olivina è idiomorfa e si trova in picco- lissima quantità, quasi tutta alterata in serpentina. Su dieci sezioni sottili io ne potei trovare appena cinque cristalli, tutti decomposti. Feldispato basico fra Ab^ Ag e An, idiomorfo e molto alterato. In dieci sezioni sottili io ne trovai due soli cristalli Stante la sua rara presenza, ed anche perchè sempre alterato, non è determinabile nelle se- zioni sottili. Apatite in lunghi e sottili agili fra i cristalli di pirosseno e anhbolo e nella Lase ^htrea. Si scioglie completamente neU’acido cloridrico. llmenite analoga alla magnetite, ma assai meno abbondante; è de- composta in leucosseno. D’ordinario l’ilmenite si altera nelle roccie in una sostanza non bene definita, ^ conosciuta solo dal nome datole da Giimbel di leucosseno; anzi a causa di questa alterazione l’ilmenite è facilmente riconoscibile al microscopio. Questa trasformazione, come è noto, incomincia alla superfìcie esterna e nelle fessure del minerale. Nella nostra roccia l’alterazione dell’ ilmenite non pare proceda nel modo teste indicato, ma da centri interni, ove non sono visibili comuni- cazioni coll’esterno. Nella fìg. 5 sono riprodotte alcune sezioni di ilmenite alterata : lo stesso fatto si vede pure nella fìg. II della tavola annessa. Fi ir. 5 ^ J. Dana. Man. of. Miiier., 1802, pag. 219 e 712. 304 - Composizione chimica e peso specifico. — Per queste determinazioni, eseguite da me l’estate scorsa, ^ fu assunto il miglior materiale clie si aveva. Di oltre 20 grammi di materiale fu presa la media, e ^questa fu seccata a iiO"; cosicché la composizione chimica e il peso specifico si riferiscono alla roccia liberata dall’acqua igroscopica. La disgrega- zione fu fatta coll’ossido di bario; il ferro fu pesato allo stato di Fe^Oa e non fu determinata la quantità di FeO ^ ; gli alcali furono pesati allo stato di cloruro e non furono separati, sicché la quantità qui data di KgO e NagO é solo approssimativa. La perdita al fuoco è dovuta in parte a COj e in parte a H^O. Questa grande quantità di acqua combinata non deve sorprendere, se si pensa alla presenza del- l’anfibolo, il quale è componente essenziale della roccia, e se si pensa che la base vitrea contiene sempre delle bollicine di acqua, che non possono essere allontanate senza un forte riscaldamento. Nella tabella annessa ho messo accanto alla mia analisi relativa alla augitite anfibolica di Giumarra, le analisi di due augititi delle isole del Capo Verde eseguite da C. Doelter. Da queste analisi si scorge che l’augitite anfibolica di Giumarra e Balconieri va messa in parallelo, dal punto di vista chimico, con le augititi delle isole del Capo Verde, salvo nella perdita al fuoco. Il peso specifico dell’augitite della Boemia centrale determinato da Hibsch è di 2,974, mentre quello dei pirosseni analoghi ai nostri va da 3,3 a 3,4. ^ ISTella stazione chimico-agraria-sperimentale di Roma. ^ Il ferro è certamente in gran parte allo stato di ossido ferroso, fatta ec- cezione di quella piccola quantità inclusa nella magnetite. In questo senso credo debbasi interpretare l’analisi, ancorché da essa risultasse una quantità mag- giore diFegOg. Yedasiatale proposito: A. Osann, Tschermak’s min., etc. XIX, 1900, pag. 351 e seguenti. — 305 — Augitite anfibolica Augititi delle isole del Capo Verde di Giumarra Monte Penoso Mayo Madeiral S. Vicente SiO, 40. 70 44. 49 40. 95 AbOg 20. 80 22. 94 24.19 FegOg 7. 90 9. 51 FeO 13. 40 ' 1 1 1 6.14 MgO 6.00 1 2.96 j 5. 11 CaO 8. 15 ' 5.75 10. 99 Xa,0 ì ( , 5.36 5. 69 K,0 5. 25 ^ 1 2.10 1.89 PI] A 0 65 Perdita al fuoco . . 6.40 3.03 1.65 Somma . . . 101.35 100. 67 90.95 Peso specifico . . . 2-94 Discussione sui risultati delVanalisi chimica. — L’analisi chimica può servire alla interpretazione del nostro magma basico, qualora la sottoponiamo a una breve discussione. Togliamo dapprima dal- l’analisi il tenore di Ph^Oj, e la perdita al fuoco, e riduciamo tutto al peso di 100. Quindi dividiamo le parti percentuali di SiO^,, Al^Og, Fe^Og, ecc. per i rispettivi pesi molecolari, cioè rispettivamente per 60, 102, 160, ecc. Nella tabella seguente la prima colonna numerica dà le parti percentuali riferite a 100, la seconda il numero delle molecole conte- nute nelle dette parti, la terza colonna dà le stesse quantità ma rife- rite a 100 molecole della sostanza. La quarta colonna dà il numero degli atomi metallici contenuti nelle molecole della seconda colonna; nella quinta questi atomi sono ridotti a ICO parti, e finalmente 20 — 306 - nella sesta colonna sono scritti tutti gK atomi (dei metalli e dell’os- sigeno) contenuti nelle molecole della seconda. Con queste ridu- zioni si ha uno specchietto, ove leggesi il numero degli atomi che entrano in combinazione. SÌ02 _ 43.2 72.0 19.2 Si = 72. 0 40.0 SÌ02 = 216.0 A1205 = 22. 1 21.6 14.7 Al = 43.2 24.0 Al.Os = 112.0 Fe203 1 1 14.2 14.3 9.8 Fe = 18.7 10.4 1 - w f • 41.9 FeO ' 1 j FeO ' MgO = 6.3 15.7 10.7 Mg = 15.7 8.7 MgO = 31.4 CaO - 8.6 15.4 10.5 Ca = 15.4 8.6 CaO = 30.8 Na20 ; 1 Na ) NapO ' = 5. 6 7.5 5.1 { =15.0 8.3 22.5 KiO ' s K ^ IV2O * Somma. . 100 0 N. rz: 146.5 100 0 N.A.M.= 180.0 100. 0 N. A. j = 454. 6 Dapprima facciamo osservare che la quantità (numero atomico) N. A = 45f, 6 corrisponde al numero medio calcolato da Rosenbusch ^ per il magma d. Anche il numero N = 146,5 corrisponde più ai magma basici che agli acidi. In quanto agli atomi metallici contenuti in iOO atomi della sostanza, calcoliamo dalla quinta colonna i nuclei monotettici (Na K) Al Si,, Ca Al. Si„ (Na Kj Al Si e Ca Al, bi,. Il primo nucleo dà: K) Al Sig 33,2; e rimane come resto 23,4= Si, 14,7 = Al, 10,4= De, 8,7 = Mg e 8,6 = Ca. Come si vede non vi è nè sufficiente silice, nè sufficiente allumina per formare [il secondo nucleo, ammenoché non si supponga che un grande numero di minerali non silicati siano separati nella * Eosenbusch, op. cit., pag. 171. — 307 — roccia. Invece tenendo da conto i due ultimi nuclei sopradetti ? avremo : (Na K) Al Si = 24,9 ) Ca Alg SÌ2 = 39,2 ( e rimane: Si = 16,0 Fé = 10,4 Mg = 8,7 Ca -= 0,8 il quale corrisponde ad un nucleo monotettico Mg Fe Sig salvo una piccola parte isolata di Fe, clie può separarsi nel magma, senza che sia combinato colla silice. Ora dall’esame microscopico abbiamo precisamente un risultato, che combina abbastanza bene con l’ipotesi dei tre nuclei (Na K) Al Si, Ca AI2 Sig e (Fe Mg) Si^. Noi possiamo dunque considerare la nostra augitite anfibolLca come l’unione di un nucleo monotettico nefelino-leucitico con un nucleo anortitico e poi con un terzo nucleo peridotitico-pirossenico. E dunque da aspettarsi che esplorando il filone di Giumarra più di quanto si fece fino ad ora si possa scoprire una differenziazione o almeno una liquazione in questi tre nuclei, il che confermerebbe l’ ipo- tesi fatta. Devo peraltro far notare che una parte degli alcali del primo nucleo potrebbe passare neU’ultimo, atteso la qualità del pirosseno che è alcalino ; ma ciò non altererebbe l’ ipotesi ammessa, poiché le osser- vazioni hanno dimostrato che i pirosseni e gli anfiboli alcalini o alcalino- alluminiferi hanno nelle roccie basiche la stessa equivalenza come gli elementi bianchi, quali i feldispati e i feldispatidi."^ Rapporti cox altre roccie analoghe. — Dando uno sguardo alla composizione chimica dell’augitite anfibolica di Giumarra e Balco- nieri e a quella di roccie basiche conosciute, limitato può essere il nostro confronto. Intanto possiamo escluderne le roccie di profondità, quali i gabbri, le peridotiti e le pirosseniti, le esseciti, le scionchiniti ^ H. Rosenbuscpi, Elemente der Gesteinslelire. Stuttgart, 1901. Capitolo: Die Ernptivfjesteine. Vedasi pure A. Osann, Versiich einer chemischen Classi fication der Empii vfjesteine (Tschermack’s miner. u. petr. Mitth., 1900, XIX, pag. 367). 308 — e le teraliti, le ioliti e le missuriti; ci rimangono quindi solo i lam- profìri basici e alcune roccie effusive. L'augitite anfibolica di Giumarra e Ealconieri fu paragonata dal Marinelli, in base all’esame microscopico del dott. Pampaioni, alle lim- burgiti e alle monchiquiti. E infatti le limburgiti, le augititi, certe monchiquiti, le camptoniti, i basalti nefelinici e leucitici sono roccie chimicamente analoghe, aventi il coefficiente di basicità, che oscilla da i.l4 a 1.40, e il rapporto delle basi : R O, che oscilla fra 1.3 e 1.5; e con ragione perciò Loewinson-Lessing le aggrega tutte nelle ipobasiti a magma intermediario, e Rosenbusch ^ non fece diversamente ne] 1890 e Michel Levy” nel 1897. Ma intanto abbiamo da tenere in considerazione il momento geolo- gico, che si rispecchia anche nella struttura della roccia. L’augitite an fibolica di Giumarra e Balconieri ha la composizione chimica delle augi- titi di espandimento (vedi sopra le augititi delle isole del Capo Verde) e la struttura dei lamprofiri basici; non possiamo dunque avvicinarla alle limburgiti. Il solo posto, che convenga alla roccia di Giumarra, è fra le monchiquiti, al seguito delle roccie effusive. Ma anche quivi abbiamo da fare una piccola restrizione. Le monchiquiti senza olivina o con olivina accessoria, ossia le fourchiti (Williams),'^ sono povere di alcali, con solo 14 7o ® con 14 7o Ca 0 ; e cosi anche i loro nuclei monotettici sono diversi da quelli che devono spettare alla roccia di Giu- hiarra e Balconieri. Di più le fourchiti sono povere di amfìbolo e ric- che di augite. Con ciò io ritengo si possa concludere che la nostra roccia abbia la massima affinità con le fourchiti (Williams) nel gruppo delle monchiquiti (Rosenbusch) ; ma non essendo roccie perfettamente iden- tiche, io credo che alla roccia di Giumarra spetti una denominazione nuova. Seguendo l’uso invalso di servirsi nella nomenclatura pe- ^ H. Rosenbusch, Op. cit., pag. 171. ’ A. Michel Lévy, Bull. Soc. geolog. de Fr., 1897, XXY, pag. 326. * J. Eh. Williams, The igneoiis Eocks of Arkansas (Ann. rep. geol. Sur- vey of Arkansas for 1890, Yol. II, XY, 457). — Riferito nel Neiies Jaln'h. f. Miner. Geol., ètc., 1893, II, pag. 339-347. — 309 - trografica dei nomi locali dei giacimenti, io propongo per essa quello di Giumarrite. ^ Confronto della Giumarrite con altre roccie eruttive della Si- cilia. — Poche lave dell’Etna o precedenti all’epoca etnea hanno un abito prettamente andesito-augitico, secondo Waltershausen % con pre- valenza di plagi oclasio acido e con tenore di silice superiore al 55 %; le lave basiche, ricche di magnetite hanno un tenore di silice, che scende fino al 46 Vo* * l^^e basiche anteriori all’epoca etnea, povere di silice, sono le seguenti: il basalto di Motta Sant’ Anastasia con 47.63 % di SiO„ 14.74 % di Al.,03, 13.35 ° « di ^0^03 + EeO, 10.51 di MgO e 6.31 *^ 0 di alcali; il basalto di Paterno con 49.21 % di SiO^; la dolerite di Aci-Castello con 48.32. La lava etnea della Carvana ha 49.17 7o © ia lava del 1669 48.83 ° o di SiOo. Queste lave hanno poca base vitrea, e la loro massa fondamentale è inoltre costituita di augite e plagioclasio in maggiore 0 minore abbondanza. I basalti magmatici propriamente detti, e quindi corrispondenti alle limburgiti o alle augititi povere di olivina, non sono rappresen- tati all’ Etna h Pare però che la forma tachilitica con molta base vitrea e poca augitite sia un fenomeno localizzato, secondo Waltershausen, per esempio, al Teatro grande, e solo come roccia di sponda Una roccia di espandimento molto vetrosa è la lava del 1809 presso il bosco di Linguaglossa e quella del 1792 sopra Zaffarana®; ^ Eo.senbusch, [Elemente der GesteinsleJire, 1901, pag. 196) osserva che alcuni tipi di roccie benché filoniane sono inseparabili dalle roccie effusive ; essi sono le limburgiti e le augititi. Io pertanto ho creduto di separare la Giu- marrite dalle roccie effusive a causa della sua struttura più che a motivo del suo giacimento ; ammettendo così che la differenziazione non sia un fenomeno esclusivo delle roccie profonde. * Sartorius von Waltershausen e A. von Lasaulx, Der Aetna. Leip- zig. 1880, Tol. II, pag. 483. * Op. cit., pag. 459. * Op. cit., pag. 450 e 459. ‘ Op. cit., pag. 460. — 310 — però anche in queste lave la massa vitrea contiene microliti di plagioclasio e augiti con 48.17 7o eli SiOg. La lava più basica studiata dal Waltershausen ‘ è quella del 1614, con massa fondamentale formata da vetro, augite e plagioclasio ; essa ha il 46.25 ° di SiOg, 21.54 7o ALOg, 12.29 di Fe^Og + FeO, 10.20 °/o di CaO, 2.0B “/o di MgO e 6.59 7o eli alcali; il suo peso spe- cifico è 2.91. Fra tutte le roccie studiate dal Waltershausen è questa certamente quella che più si avvicina, per rispetto alla composizione chimica, alla roccia di Gium arra e Balconieri ; poca differenza infatti vi è nella quantità di SiOg e di MgO. Altre notizie di magma eruttivi basici della Sicilia apprendiamo da Ricciardi e Speciale. Il basalto più basico ohe si conosca è quello di Carmodo o Carmitu ^ contenente labradorite, augite e olivina. Esso ha 42,42 7o SiOg, 12,53 di Al^ Og, 18,73 7o di CaO ed è oltremodo po- vero di alcali : 2,28 7o di KgO e 0,82 7o di Na^O. A causa di quest’ultima circostanza e per il basso tenore di Al^Og, questo basalto si allontana dalla Giumarrite. Altri basalti sufficientemente basici sono quelli della trincea di Cannitello (varietà oscura) e di Lentini; il primo ha 44°;o^ d secondo 45,06 e il terzo 45,61 7o di SiOg. Tutti poi sono poveri di allu- mina e ricchi di calce ; nessuno è privo di plagioclasio, e a tutti manca l’anfibolo e quindi sono poveri di HgO combinata. * I basalti dell’estrema punta meridionale di Sicilia, Pachino, ® sono ricchi di silice e si avvi- cinano perciò alle andesiti augitiche. Le lave dei dintorni di Catania, ® siano ricche di labradorite o abbiano labradorite e augite in eguale misura, sono in generale ricche di silice come le andesiti basiche; ^ Op. cit., pag. 459. ^ L. Ricciardi e S. Speciale, / basalti della Sicilia. Ricerche chimiche (Atti Accademia Gioenia, Catania, 1881, III serie, Yol. XY, pag. 181-183 e 211-251). ® Id., op. cit. pag. 238. ^ Id., op. cit. pag. 216, 244, 245. ® Id., op. cit. pag. 248-249. Yedasi pure: A. Rosati, Le roccie vulcaniche dei dintorni di Pachino {Sicilia) (Rendiconti R. Accademia dei Lincei, 1900, II Semestre, Serie Y, Yol. IX, pag. 286-292). ® L. Ricciardi, Ricerche chimiche sulle lave dei dintorni di Catania (Atti Accademia Gioenia, Catania, 1881, III serie, Yol. XY, pag. 147-179). — 311 — quelle ricche di augiti e povere di labradoriti hanno un tenore di silice che scende al più fino al 47%. Da questo confronto delle roccie eruttive etnee e preetnee, di quelle presso Catania e di quelle conosciute del Val di Noto, compresi i ba- salti di Palagonia e di Pachino con la augitite anfibolica di Giumarra e Balconieri, si deve concludere che roccie analoghe, non solo in vicinanza della nostra regione, ma nemmeno in tutta la Sicilia non si conoscono ancora. Le note non sono analoghe nè per composizione chimica, nè in rapporto alla struttura, nè riguardo alla composizione mineralogica. Le roccie filoniane di cui fa cenno Waltershausen, possono rassomigliare alle fonoliti, ai vetri non basici, alle ossidiane nere con poca separazione augitica. La giumarrite invece è ricca di augite e anfibolo, povera di vetro con magnetite non abbondante, con olivina e plagioclasio accessori del primo tempo e con molti minerali secon- dari; haugite e l'anfibolo indipendenti, questo posteriore a quello, sono di due generazioni : carattere questo che è tipico delle roccie filoniane, lamprofiriche. Il prof. Paternò mise a mia disposizione nella stazione chimico- agraria-sperimentale di Roma tutto il necessario per l’analisi quan- titativa di questa roccia. Il sig. A. Aodmer-Beder di Zurigo si prestò gentilmente per l’esecuzione delle due fotografie microscopiche ripro- dotte nella tavola annessa. Ad entrambi i miei più sinceri e rispet- tosi ringraziamenti. Eoma, novembre 1901. — 312 — SPIEGAZIOI^E DELLA TAVOLA. Fig. I. Sezione microscopica della Giumarrite. Ingrandimento lineare, 37. I cristalli più chiari, sono del pirosseno, i più scuri delFanfiholo, entrambi in due generazioni. Si vedono cristalli di pirosseno con bordo di anti- bolo, cristalli di magnetite opachi e base vitrea trasparente. FiG. II. Sezione microscopica della Giumarrite. Ingrandimento lineare, 62. La roccia essendo alterata, la riproduzione è riuscita deficiente. Ti si distinguono tuttavia dei cristalli di magnetite e di ilmenite alterata nel centro in leucosseno, base vitrea, e grandi cristalli di pirosseno e an- tibolo. Boll, del R. Com, g-eoi. d'Italia, Anno 1901. Tav. Il (C. Viola) Fig. I Fig. Il Sezioni microscopiche dell’augitite anfibolica di Giumarra II. S. Fkanchi. — Sulla dispersione nei pirosseni clorome- lanitici di alcune roccie cristcdline delle Alpi occi- dentedi. Nel mio lavoro sojpra alcuni giacimenti di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nelV Appennino ligure dopo di avere osservato die alcuni dei pirosseni delle eclogiti e roccie affini più fortemente colo- rati presentavano fortissima dispersione, mentre in quelli più chiari tale fenomeno non era sensibile, avevo discusso brevemente a quali elementi chimici quella proprietà si dovesse attribuire. Presa in esame l’ipotesi emessa dal Mrazec, che attribuì al tenore in titanio la forte dispersione del pirosseno di una giadeitite del Museo di Bucarest pro- veniente dal Piemonte, fui condotto a scartarla per le mie roccie, poiché l’analisi eseguita dall’ing. Aichino sul pirosseno cloromelani- tico di Mocchie, presentante dispersione straordinariamente forte non aveva rivelate che traccie di titanio, spiegabili con inclusioni di cri- stalletti di rutilo. Paragonando poscia quell’analisi coll’altra del pirosseno verde- chiaro di Prato Fiorito, non presentante traccia di dispersione, pure eseguita nelle stesse condizioni e collo stesso intento dall’ing. Aichino, rilevai che la differenza più essenziale fra i risultati delle due analisi risiedeva nei tenori in AlgOg, Fe^Og e FeO (vedi analisi I e II), e scrissi sembrarmi « logico il cercare la causa della forte dispersione nell’importanza che prendevano i due ultimi ossidi rispetto all’al- lumina ». ^ Boll. E. Com. geol., Anno 1900, n. 2. — 314 — Il doti. Colomba nel suo stadio sopra una iadeitite di Cassine ‘ tocca la delicata (][uestione, e senza il sussidio di una ragione valida e senza accennare alla possibilità di una terza più attendibile, dichiara insuf- ficiente oltre l’ipotesi di Mrazec anche la mia. Egli scrive (1. c. pag. 20); « La dispersione può esistere o man- care, nè da quanto potei vedere, sembra che si abbiano delle diffe- renze nell’aspetto e nei caratteri tra gli individui che la presentano e quelli che ne sono privi; tale fatto potei notare in modo perfetto in una delle sezioni (lamine sottili) nella quale osservai due cristalli di pirosseno perfettamente simili nel colore e nell’aspetto e di cui l’uno presentava fortissima dispersione, mentre l’altro non ne aveva traccia; » il quale fatto gli sembra idoneo a dimostrare Tinsufifioienza della mia ipotesi cennata sopra. Confesso che non giungo a capire il valore dell’argomento che costituirebbe il fatto notato dal dott. Colomba, nè di quale natura siano i caratteri rispetto ai quali quei due individui cristallini non presentano differenza, oltre a quello del colore. E ovvio che la differenza nel carattere della dispersione, a meno che l’averla notata fosse solo ef- fetto della differente direzione in cui erano tagliati i due cristalli, di- mostrerebbe che la loro costituzione chimica deve essere diversa, quan- tunque potessero essere o solo parere di egual colore; ad esempio in causa della orientazione speciale del cristallo con forte dispersione in direzione prossima alla normale ad un asse ottico, nel qual caso è insensibile il policroismo ed è più sensibile la dispersione. Non lo discuto oltre perchè mi pare che non si possa con un tale argomento distruggere quanto risulta in modo palese dalla osserva- zione dei risultati delle analisi chimiche, alle quali do io pure tutta l’ importanza che nessuno può loro negare , ^ in rapporto colla osser- ^ Rivista di min. e cristall. italiana, fase. I, II e III, 1901. ^ ]^el mio lavoro citato sopra, nel trattare della natura sodica dei pirosseni delle roccie che andavo esaminando scrivevo; « M.Si a dimostrare che il pirosseno delle eclogiti alpine sia eminentemente sodico sta pure il fatto, così generalmente os- servato, della sua metamorfosi, sovente completa, in anfiboli sodici violetti del — 315 — vazione delle proprietà ottiche; le quali appunto sono, certo ne con- verrà il Colomba, a parità di condizioni fisiche, delle funzioni, per quanto complesse e sfuggenti in moltissimi casi alle nostre indagini, della costituzione chimica dei minerali. Per citare un solo esempio, sono ben note le ricerche di Wiik, Doelter e Flink sull’esistenza di rapporti diretti fra i valori degli an- goli di estinzione e la costituzione chimica dei pirosseni, dalle quali sembra risultare che un certo tenore in acmite abbia per effetto di aumentare l’angolo d’estinzione dei pirosseni. Ma il dott. Colomba aveva a sua disposizione ben più forti argo- menti, non contro però, ma in favore delle conclusioni mie, ed erano i risultati della sua analisi; i quali gli avrebbero anzi permesso di restringere i termini del quesito della causa della dispersione, e di mi- gliorare rendendo più semplice e precisa, se cosi vogliamo chiamarla, la mia ipotesi. Il che farò io ora brevemente. Biporte qui le analisi dell’ingegnere Aichino della giadeitite di Prato Fiorito in Valle Po (I) e della cloromelanitite di Mocchie in valle di Susa (II ò quella del dott. Colomba della giadeitite di Cassine (III) e quella di Damour di una cloromelanitite di Antiochia (IV) : I II III lY 8iO, 56,63 56,85 55,98 55,01 A],03 17,33 i j 19,07 8,42 ! 18,24 18,02 ] 1 18,02 9,99 i t 20,08 Fe,0, 1,74 ' 9,82 tr. < 10,09 ' FeO 0,22 ] 1,12 1 10,01 ] 1 — ] CaO 13,35 17,93 12,16 > 17,85 5,30 > 18,94 12,00 [ 17,23 MgO 4,36 ; 4,0 / ) ' 3,63 ! 1 5,23 1 ]N'a20 6,80 6,91 7,04 7,48 K.O — 0,28 tr. — tr. CrgOg tr. TiOgoMn — — Perdita al fuoco 0,10 0,59 0,29 — Totali 100,53 100,72 100,27 99,80 gruppo della glaucofane, fatto questo che può valere quanto e assai pili di qualche analisi chimica di campioni isolati ». Io esprimevo con ciò un concetto di valore relativo, in vista di un determinato scopo, quello di far conoscere la natura dei 316 - Il pirosseno di Prato Fiorito è di un bel verde brillante, do- vuto in parte alle traccie di cromo, ma non presenta traccia di disper- sione come non ne presenta, a detta del Colomba, il pirosseno della giadeitite di Cassine, al contrario dei pirosseni delie cloromelanititi di Mocchie e di Antiochia, della quale ultima debbo una scheggia alla squisita cortesia delF illustre Damour, i quali due pirosseni pre- sentano una dispersione veramente straordinaria, e come dissi (1. c.) paragonabile a quella di certe zoisiti ed ottreliti. Le quattro analisi, pure presentando notevoli differenze, mostrano fra loro grandi analogie; hanno tenori in silice ed in soda parago- nabili, come hanno quantità paragonabili di protossidi presi insieme, e sono pure molto vicine le somme dei sesquiossidi. Per questi però nelle analisi I e III è di gran lunga prevalente od esclusiva l’allumina, mentre nelle II e lY il sesquiossido di ferro supera di alquanto il tenore di quella. L’assenza di dispersione nel pirosseno della III, che ha tenore su- periore a 10 per cento in PeO, dimostra che quest’ossido non ha in- fluenza su quella proprietà ottica, la quale perciò sembra apparire come solo dovuta ad una considerevole quantità di sesquiossido di ferro che va a sostituire V allumina^ e manifestarsi perciò in relazione col rap- porto delle quantità di quei due sesquiossidi. Vi sono naturalmente delle analisi che si presentano più com- plesse di quelle da me riportate, e nelle quali è considerevole il te- nore in ossido ferrico, pure avendo l’allumina dei tenori prossimi pirosseni di un gruppo di roccie di tutta una vasta regione, al quale scopo credo insufficiente l’analisi di qualche campione isolato, che può essere ecce- zionale; e mi riferivo ad un fenomeno di metamorfosi frequente, notorio, evidente e caratteristico, come quello della trasformazione di pirosseni in anfi- boli. Credo perciò che il dott. Colomba abbia voluto mettermi senza una ra- gione fra « coloro che danno poca importanza ai caratteri chimici », e che col- l’esempio della metamorfosi in clorito che egli porta, cioè in un minerale che può derivare indifferentemente dalla metamorfosi di granati, pirosseni, anfiboli, miche, ecc., egli abbia divagato completamente dal senso e dalla portata di quanto io ho scritto. — 317 — alia somma dei due sesquiossidi delle analisi precedenti. Cosi è ad esempio delle analisi delle cloromelaniti del Messico e di Carcassona date da Damour le quali hanno rispettivamente 17,21 e 14,85 di allumina, 8,86 e 9,52 di ossido ferrico, e 10,70 ed 11,76 di soda. Del pirocseno di queste roccie, delle quali ho pure avuto due campioncini dal Damour, ho potuto esaminare ih comportamento rispetto alla di- spersione, la quale è forte in entrambi. Il risultato della discussione di queste analisi chimiche con- fermerebbe adunque, in gran parte, la ipotesi che io avevo emessa, e appunto l’analisi del Colomba permette di escludere, nella produ- zione del fenomeno di cui si discute, l’influenza del terrò allo stato di protossido. Queste conclusioni, quantunque tratte dalla discussione di un nu- mero limitato di analisi chimiche, hanno poi di molto accresciuto il grado di loro attendibilità dalla considerazione che nella serie dei pi- rosseni l’acmite, nella quale i sesquiossidi sono esclusivamente rap- presentati dall’ossido ferrico, presenta appunto una fortissima disper- sione; i caratteri della quale, descritti da Brògger e riportati in tutti i trattati, sono simili a quelli notati nella cloromelanite di Mocchie e in molti pirosseni verde-scuri delle roccie eclogitiche delle Alpi occidentali. Cosicché questa proprietà dei pirosseni cloromelaniti ci sembra potersi ritenere come dovuta ad una certa proporzione di molecole di acmite, che entrano nella loro costituzione. Nel pirosse no cloromelaniti co di Antiochia, supponendo che tutto l’ossido ferrico sia dato da molecole di acmite, questa vi entrerebbe per circa il 30 per cento e per poco meno in quello di Mocchie, per 25,7 7o quello del Messico, 27,70 in quello di Carcassona, 17,5 in quello di Mrazec e 32,5 in quello di Saint Marcel, analizzato da Penfield. Questi però non parla della dispersione, e nota solo che il tenore in sesquiossido di manganese ha per effetto di elidere la forte colorazione che dovrebbe avere il pirosseno, a norma del suo forte ^ Bull, (le la Société frang. de Minéralogìe. AYril 1893. — 318 — tenore in ossido ferrico. Il non averla notata potrebbe significare che quella dispersione non esiste, il quale fatto tuttavia, data la costitu- zione speciale di quel pirosseno manganesifero, non sarebbe un ar- gomento valevole contro il risultato di tutte le altre osservazioni favorevoli alla mia ipotesi. Debbo però notare che uno fra i pirosseni alpini, quello analiz- zato da F. Zambonini, malgrado la quasi insensibile dispersione avrebbe un tenore considerevole in ossido ferrico ; sicché non pos- siamo dire che i pirosseni presentanti forti tenori di questo ossido abbiano tutti forte dispersione. Rimarrebbe tuttavia vera la frase inversa, che, cioè, tutti i piros- seni allumino-sodici esaminati presentanti forte dispersione hanno un considerevole tenore in ossido ferrico. Pare adunque messo fuor di dubbio che in questo g'ru^ppo dei pi- rosseni sodici delle roccie eclogiticlie ed affini la forte dispersione ottica sia in rapporto diretto con ìin certo tenore in ossido ferrico, o in altri termini con una certa percentuale del silicato delV acmite^ che entra nella loro costituzione. Sarebbe desiderabile il poter stabilire per questi differenti piros- seni gli altri caratteri ottici, angolo d’estinzione, angolo assiale, biri- frangenza, per esaminarne i rapporti, forse interessanti, colla loro costituzione chimica ; ma in molti casi non è neppure possibile lo stabilirne con una certa approssimazione il più semplice, l’angolo di estinzione \ specialmente per quelli presentanti forte dispersione. Roma, dicembre 1901. ^ Il dott. Colomba dice di avere avuti spesso por questo angolo « valori superiori a 40® non essendo rari quelli che giungono fino a 44®, a 45® ed anche a 48® », parte dei quali certo furono misurati in sezioni molto oblique rispetto al piano di simmetria. In un pirosseno identico a quello analizzato dallo Zam- bonini, l’angolo 7 c misurato in sezioni esattamente parallele al piano di sim- metria è di circa 41®. In altri pirosseni sodici molto chiari dei micascisti eclogitici del Biellese, tale angolo diede valori fra 38® e 40®, e la birifrangenza si mostra come quella del pirosseno precedente eccezionalmente bassa e non superiore a 0,020. 319 — ITI. Riunione annuale della Società geologica italiana a Brescia, Per la consueta riunione estiva della Società fu quest’anno (1901) scelta la città di Brescia, di cui i dintorni e la parte alta della provincia presentano un particolare interesse geologico per varietà di terreni, per giacimenti minerali ed altre partico- larità, da renderla sotto ogni rapporto indicata per un ritrovo di tal genere La riunione ebbe luogo nella prima metà di settembre e le escursioni inter- calatevi ebbero due obbiettivi principali, la Yal Trompia cioè ed i dintorni di Salò : di ciascuna di esse diremo qui brevemente. - ^ * La Yal Trompia (come le vicine Camonica e Sabbia) taglia tutta la serie dei terreni mesozoici e nella sua parte settentrionale incide profondamente anche le roccie cristalline e gli strati permiani attraverso la frattura Collio-Bovegno, dovuta al distacco ed allo sprofondamento della parte meridionale di una grande vòlta stratigrafica, e per la quale le formazioni triasiche vengono ad urtare contro le roccie paleozoiche e prepaleozoiche. La serie secondaria ivi rappresentata è messa in evidenza nel quadro seguente: Calcare « Scaglia » con arenarie scistoidi. Scisti argillosi e marne policrome con straterelli calcarei alternanti. Calcari grigi compatti a strati sottili. Calcari bianchi in grossi banchi (Maiolica). Calcari marnosi rosso-vinati. Scisti selciferi varicolori. Calcari grigi marnosi (Médolo sup.). Calcari chiari marnosi con marne verdognole. Calcari marnosi plumbei o cerei in grossi banchi (Méd. tip.) — (Domeriano). Calcari grigi compatti (Bornatiano) ) - Médolo inf. Calcari grigi compatti (Eufemiano) ) Calcare bianco compatto talora dolomitico in grossi banchi (Corna). Calcari scuri compatti. ' sup. . Cretaceo . medio ( inf. .. Infracretaceo Malm . . . . i ( Dogger ? Slip medio Lias ! sup sinemur. I inf inf. hettangiano . . . ’ Una compendiosa guida-itinerario, corredata da cartine e sezioni, venne compilata per l’oc- casione dai professori Cacciamali, Bonarelli e Cozzaglio. — 320 - / Calcari nerastri e marne scistose (Eetico). I sup < Dolomia principale (Hauptdolomit). Marne policrome (Raibl). Dolomia metallifera (Wengen). Calcari stratificati e calcari marnosi (piano a Tra- chiceri). Dolomie cariate talora gessifere. sup Scisti marnosi ed arenacei policromi (Servino). inf Arenaria rossa (talora verde-chiara). IN'eiralta Tal Trompia il Trias inferiore, come già fu accennato, poggia a nord in discordanza contro una potente formazione di scisti cristallini (filladi tipiche prevalenti con roccie subordinate di aspetto micascistoso od anche gneissico) di età discussa, sottoposti a scisti arenacei permiani fillitiferi. Meri- tano poi menzione nelle varie formazioni triasiche di Yal Trompia le numerose intrusioni ed effusioni di roccie porfiriche, ed anche il fatto che dette formazioni non si trovano sempre al medesimo livello nei due lati della valle, nè sempre si corrispondono per la loro posizione sui due versanti; ciò che dimostrerebbe che alla formazione della valle, oltre all’erosione, avrebbero per qualche tratto concorso anche i movimenti orogenici. Un tal fatto si può specialmente osservare nella porzione compresa fra Marcheno ed Aiale. A tutti questi terreni occorre ancora aggiungere, oltre il quaternario, un piccolo lembo di Miocene continentale superiore (Messiniano ?) rappresentato da conglomerati e molasse ad Helix, Cijclostoma, filliti, ecc., ai colli della Badia allo sbocco della Yal Trompia nella pianura padana. Le escursioni in Yal Trompia richiesero tre giorni; il primo fu impiegato ad esaminare i rilievi collineschi e montuosi che si trovano al suo sbocco, gli altri due a percorrerla in tutta la sua lunghezza. Yel primo di detti giorni (il 9 settembre) i congressisti da Brescia si di- ressero a Gussago per Drago Molla e la Fantasma, esaminando il Lias a Sant’Emiliano ed il calcare lacustre miocenico al Carretto; attraversato Gus- sago, salirono al Santuario della Stella seguendo la serie cretacea e, ridiscesi alla Forcella, ri attraversarono il fiume Mella e visitarono a Costorio (Concesio) le cave di calcare Maiolica. Da Costorio si recarono nella valle del Garza per esaminarne l’interessante tettonica a Monteclana (Yave); indi ritorno a Brescia. Lasciata la città il giorno 10 i congressisti si recarono direttamente a Sarezzo, dove visitarono le cave aperte nella dolomia e la piccola grotta Cuel. Dopo breve sosta a Gardone risalirono la valle fino a Collio fermandosi nei pnnti geologicamente più interessanti, particolarmente a Ponte Zanano, a Trias medio — 321 Marcheno ed a Bovegno. I congressisti visitarono pure a Bovegno i due forni per la torrefazione del siderosio, presso la miniera Alfredo ed a Tavernole l’alto- forno Griisenti, assistendo ad una colata. Questo forno è ben situato per approv- vigionamenti e forza motrice e fu ripetutamente riformato nei profili e negli apparecchi dalla Ditta proprietaria, la quale da tempo non risparmia spese per combattere i due ostacoli che si oppongono al miglioramento nella qualità delle sue ghise ; la scarsità cioè del carbone e l’insufficiente varietà del minerale, proveniente quasi esclusivamente dalla vicina miniera Alfredo di sua proprietà. Le ghise prodotte sono affinate negli annessi forni di pudellazione ed i mas- selli ottenuti vengono poi impiegati nell’importante ferriera di Yobarno in Val Sabbia nella delicata fabbricazione dei tubi saldati a lembi sovrapposti. I congressisti pernottarono a Collio e l’ indomani 11 si divisero in due squadre : la prima risalì la valle fino a S. Colombano, dove ha luogo il con- tatto fra il Trias inferiore e gli scisti cristallini, l’altra si recò alla frazione Memmo per visitarvi l’Osservatorio meteorologico, quindi ridiscese e visitò le miniere di S. Aloisio e di S. Barbara allo scopo di formarsi un criterio dei due tipi di giacimenti metalliferi che s’incontrano nell’alta Val Trompia, a banchi cioè ed a filoni. Alla miniera di S. Aloisio si estrae il siderosio interstratificato nel Servino. Vi si contano 6 strati ferriferi (detti localmente casse) di cui 3 ricchi e colti- vabili ed altrettanti semisterili ; l’inclinazione degli strati è di 25® S e la dire- zione V8.VO. I tre strati ricchi sono separati rispettivamente da m. 6 ed 1,25 di Servino e sono potenti complessivamente m. 4,25 ; ma i passaggi a roccia sterile, che si osservano talvolta negli strati di siderosio e l’esistenza di nu- merosi rigetti, che spostano il giacimento in tutti i sensi, rendono relativamente costosa la coltivazione di tali banchi. Questa miniera appartiene alla Società degli altiforni di Terni, che se ne serve per alimentare il forno di Bovegno. I giacimenti filoniani dell’alta Val Trompia sono generalmente in relazione con dicchi porfirici e tagliano gli scisti cristallini. I filoni di solito sono bene determinati, con superficie di scorrimento e salbande argillose; essi si possono distinguere in due gruppi : i più antichi, diretti V 32® O, con ganga nella quale domina la fluorite e contenenti galena e blenda in spruzzi, venuzze, filoncelli o mandorle; ed i più recenti con direzione E 26® 1^, con ganga in cui predomina la calcite, contenenti principalmente siderosio associato od un po’ di pirite, cal- copirite e tetraedrite. II filone coltivato in Val Torgola appartiene al primo gruppo e, come gli altri dello stesso sistema è esercit(j dalla « Brescia mining and metallurgical Society ». Il filone, a pareti ben distinte dalla roccia incassante, è quasi ver- ticale e raggiunge fin 10 m. di spessore. Esso contiene galena, blenda e cal- 21 — 322 — copirite con un po’ di siderosio. La blenda è prevalente e la calcopmte vi è appena rappresentata. La galena contiene da 800 a 1000 gr. d'argento per ton- nellata. Una piccola laveria situata a poca distanza dalla miniera è adibita alla preparazione di questi minerali : la blenda viene poi spedita in Inghilterra, la galena a Pertusola, nel golfo di Spezia. * • La visita ai dintorni di Salò ebbe luogo il giorno 12, ma quest’escursione pur troppo non fu più favorita da un tempo propizio, come le precedenti in Tal Trompia. I congressisti partirono da Brescia con la tramvia a vapore, la quale per Rezzato entra nella valle del Chiese lambendo le interessanti formazioni se- condarie che formano la regione montuosa a destra del fiume, mentre l’altro lato della valle è costituito fin oltre ai Termini dagli altipiani e dalle colline dell’anfiteatro morenico del Giarda. Ai Termini poi la tramvia abbandona il corso del Chiese ed attraversando, sovente in interessanti trincee, il piccolo anfiteatro morenico insinuatosi nel golfo di Salò, tocca l’altipiano di Villa e scende infine a Salò. In quest’ultimo percorso i congressisti poterono ammirare la splendida veduta deH’insenatura di Salò e lungo Ja riviera il grande delta di Toscolano e quelli più piccoli di Fasano, Barbarano e Salò. Interessante pure fu la vista del colle di S. Bartolomeo che pel contrasto delle forme paesistiche e dei colori dello roccie rende evidente anche da lontano la sua struttura geologica, essendo costituito da strati miocenici (messiniani ?) arenaceo-conglomeratici, suborizzontali, le cui testate formano erte pareti, talora quasi a picco, cui sovrastano le sabbie plio- ceniche e lo alluvioni interglaciali, e nella parte inferiore, assai meno ripida, dalla scaglia rossa cretacea fortemente ripiegata, oltre ad una grande zona comprendente una mescolanza delle roccie superiori e che sembra dovuta ad un grandioso fenomeno di franamento A^erificatosi al momento del ritiro del ghiacciaio. Giunti a Salò i congressisti AÙsitarono dapprima l’Osservatorio meteorico- geodinamico, indi il limnografo installato tre anni or sono. Il prof. Bottoni ne spiegò il funzionamento mostrando alcuni dei diagrammi ottenuti e riassumendo le osservazioni da lui compiute sul fenomeno così interessante delle sesse, che così spesso si verificano sul lago di Garda e tahmlta in tali proporzioni da for- mare l’oggetto dell’attenzione e della meraviglia dei rivieraschi. Lasciando l’edifizio del limnografo i congressisti si recarono a bordo de^- piroscafo « A. Depretis » sul quale passarono presso l’isola di Garda e quella di - 323 - S. Biagio G quindi sotto la Bocca Manerba per esaminarne le roccie eoceniche (strati calcarei grigio-giallastri). Il piroscafo si diresse quindi alla volta di ]\Iaderno, ove i congressisti sbar- carono per recarsi a piedi a Toscolano. Di là salirono fino alla chiesa di Daino, paese situato sopra uno dei più bei colli della Biviera benacense, costituito da un evidentissimo corrugamento della scaglia cretacea a strati verticali, che può ritenersi come la successione di due anticlinali. Malgrado il tempo cattivo i congressisti discesero quindi nella valle delle Camerate, interessante per le belle pieghe presentate dai terreni cretacei e, ritornati a Maderno, ripresero il piroscafo per Salò, dove ebbe luogo la chiusura del Congresso. La Direzione. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE OEOLOGUO^ PER l’axxo 1900 ^ [Coiifiimasione e fine, Tedi n. 3). Mercalli G. — Notizie vesiivìane [gennaio-gingno 1900). (Boll. Soc. si- smologica ital., Yol. YI, n. 6, ]3ag. 147-167). — Modena, 1900. È il resoconto delle condizioni presentate dal YesuTio nel 1° semestre del 1900, dal quale si rileva che l’attività stromboliana di esso è stata in ge- nerale abbastanza forte nei primi mesi. Le esplosioni avevano riempito gran parte del cratere e si era formato un piccolo cono, che si sfasciò con uno spro- fondamento nel febbraio. Sul finire di questo mese si ebbero delle esplosioni vnlcaniane. Yel marzo e nell’aprile riprese l’attività stromboliana normale, che si fece più forte al finire di quest’ultimo, seguita dal parossismo del 5-9 maggio e dalle esplosioni vnlcaniane cominciate il 13 maggio, di cui già si parlò in altro lavoro. In questo sono aggiunti nuovi dettagli sui proietti e descritti i caratteri petrografici dei medesimi. Yel testo sono inserite delle vedute prese da fotografie dell’ interno del cratere fatte il 10 giugno, e la figura di ima bomba elissoidale delle esplosioni nel periodo 5-9 maggio. Mercalli &. — Parosismo sfromboliano ed esplosioni vnlcaniane al Ve- savio nel maggio 1900. (dalla Rassegna Nazionale, fase. 16 lu- glio 1900; pag. 8 in-8°). — Prato, 1900. Cessata l’eruzione lavica laterale nel settembre 1899, l’attività stromboliana del cratere terminale continuò moderatamente fino al 4 maggio 1900, in cui le esplosioni si fecero di una violenza straordinaria ; l’autore descrive i diversi fenomeni presentati in questo che egli chiama parosismo sfromboliano. Tali esplosioni, nelle quali erano lanciati, insieme a denso fumo, arene. ^ Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. - 325 — lapilli e pietre di ogni dimensione, sono chiamate dalle guide del Vesuvio pini dì basalto. L’autore ha proposto di chiamarle viilcaniane, perchè abitualmente si pre- sentano all’isola Vulcano nelle Eolie. Queste esplosioni continuarono più o meno forti per tutto il maggio e parte di giugno. Tali fatti dimostrano, secondo l’autore, che il magma lavico, benché non visibile al fondo del cratere, deve trovarsi a poca profondità nel condotto cen- trale, e quindi egli prevede che il Vesuvio si rimetterà fra non molto nell’at- tività stromboliaua ordinaria. L’autore aggiunge quindi che parosismi simili sono avvenuti spesse volte al Vesuvio, e ricorda quelli di cui narra Ignazio Sorrentino del 1682, 1707, 1726 e quello di cui dà relazione il Palmieri del 1865; osservando che se nel 1682 come nel 1865 e nel presente non vi fu sgorgo di lava, ciò dipende dalla profondità del cratere, perchè se fosse stato precedentemente colmato non po- teva mancare il versamento di lava dalla cima od un efflusso laterale. Accenna infine al cambiamento avvenuto nelTorografia del fianco occiden- tale della montagna per l’enorme massa di lava sgorgata nelle due fasi 1891-94 e 1895-99, la quale supera i 130 milioni di metri cubici. Anche il gran cono, benché soggetto alle degradazioni meteoriche, va guadagnando in altezza ed ingrandendo il suo diametro. Il Vesuvio è quindi in piena fase di ricostruzione che, se continuerà, l’attuale Vesuvio col tempo si fonderà col Somma in un solo monte vulcanico molto più grande e maestoso deirattuale. Al testo sono intercalate alcune riproduzioni di fotografie del Vesuvio prese nel corso di diverse eruzioni. Mercalli Gr. — Il Vesiirio. (dal « Napoli d’oggi », pag. 18 iii-8°). — Napoli, 1900. È una descrizione topografica e geologica del Vesuvio e del Somma, dei quali tesse la storia, ricordando le principali eruzioni e specialmente quella del 1631. Dopo di questa si ebbe un periodo di quiete che durò fino alla eru- zione del 1694. Da questa comincia per il Vesuvio un’epoca moderna caratte- rizzata da attività quasi continua, con un ritmo di eruzioni che non cangiò fino ad oggi e con un succedersi di periodi eruttivi vari di durata e di inten- sità, ma simili per ordine con cui le fasi si seguono e che si possono ridurre alle seguenti: — 326 — 1® Attività moderata esplosiva al cratere centrale ; 2° Efflussi terminali e laterali di lave, in generale molto pastose e poco scorrevoli, con ritorno all’attività moderata del cratere centrale; 3*^ Eruzione parosismica laterale o eccentrica, con emissione rapida di grande quantità di lava molto fluida e scorrevole, e conseguente sprofonda- mento del cratere centrale e ostruzione più o meno completa del condotto vul- canico ; 4® Riposo, o meglio fase solfatarica di semplice emanazione di materie gasose, durante la quale il vulcano si prepara e si rifornisce di energia per un successivo periodo eruttivo. La e la 2^ fase possono durare complessivamente molti anni; la terza è sempre brevissima, ossia di pochi giorni; la quarta, dopo il 1694, non durò mai più di 12 anni, e rultimo di questi periodi vesuviani è quello terminato col grande incendio del 1872 cessato dopo pochi giorni e che l’autore descrive. 'A questo, dopo tre anni, succedette un nuovo periodo eruttivo che cominciò nel dicembre 1875 e che ancora continua con molteplici decrementi e incre- menti nelle esplosioni di non grande importanza, eccettuate due fasi di recru- descenza nel 7 giugno 1891 e nel 3 luglio 1895 ; su queste l’autore si trattiene descrivendo i fenomeni più salienti sino alia cessazione della eruzione lavica laterale nel settembre 1899, ed indicando quelli che probabilmente si verifiche- ranno nei mesi venturi, poiché ritiene che le esplosioni moderate non cesseranno prima che awenga una forte e rapida eruzione lavica laterale che chiuda il pe- riodo eruttivo, il quale dura da oltre 24 anni. Millosevich e. — Minerali e pseudomorfosi della miniera di Malfidano {Sardegna). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 5°, 1® sem., pag. 153-159). — Roma, 1900. — Idem. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXIY, fase. I e' II, pa- gine 22-32). — Padova, 1900. Premessi alcuni cenni per completare le notizie intorno ai minerali cristal- lizzati già date in altro lavoro precedente (vedi Bihl. 1898)., e in particolare sulla cerussite, l’anglesite e il gesso, l’autore entra a parlare in questo più par- ticolarmente delle pseudomorfosi che gli fu dato di osservare in quei campioni di minerali, e precisamente : cerussite pseudomorfa di anglesite entro un cal- care completamente metamorfosato e impregnato di solfuri e specialmente di carbonati di piombo e di zinco, che si sono quasi completamente sostituiti al carbonato di calcio; cerussite pseudomorfa di fosgenite, minerale che non era — 327 — ancora stato descritto fra quelli cristallizzati della miniera di Malfidano ; smith- sonite pseiidomorfa di calcite, conosciuta già per molti giacimenti di minerali di zinco e anche per la miniera di Monteponi; la stessa, pseudomorfosata in anglesite, fatto nuoTO per la Sardegna e di una grande importanza, perchè mostra una formazione di smithsonite posteriore alla cristallizzazione del solfato di piombo. Questo studio delle metamorfosi ha un’ importanza speciale per la genesi dei minerali metalliferi di Sardegna ; e l’autore fa alcune considerazioni in pro- posito, facendo risaltare la nuova prova di fatto in favore della ipotesi che ammette la formazione ulteriore e secondaria dei giacimenti calaminari rispetto a quelli di blenda e di galena. Milloseyich F. — Appunti di mineralogia sarda. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 11% 1^^ sem., pag. 336-342). — Roma, 1900. Tratta anzitutto della baritina della miniera di manganese ed ocre di Capo Becco e Capo Rosso nell’isola di San Pietro, la cui presenza in abbon- danti cristalli fu già accennata dal Bertolio nei suoi Appunti geologici-minerari sull’ Isola di San Pietro (vedi Bibl. 1896). Gli esemplari migliori si trovano entro nno straterello di ocra gialla, con sufficiente ricchezza di forme, di colore gial- lognolo 0 rossastro e talora di dimensioni considerevoli. Sono di abito tabulare secondo la baso (001) e presentano la forma (152) nuova per la baritina, con faccettine che troncano lo spigolo fra (122) e (010). La presenza della baritina associata al minorale di manganese, in mezzo alle ocre e ai diaspri, depone in faAmre doll’origine di tutto il giacimento per sorgenti termali ; e già nel 1887 il Daubrée [Les eaux soiiterraines, ecc., T. II) citava parecchi esempi di depositi di sorgenti attuali che contengono solfato di bario. La pirolusite poi, che si trova prevalentissima in uno straterello sotto quello dei diaspri rossi e in rilevante quantità nelle ocre e noi diaspri stessi, si sarebbe deposta insieme con la silice e vi si è intimamente collegata. L'autore parla anche della valentinite che si trova in piccoli cristalli nella miniera di antimonio di Su Suergiu nel Gerrei sopra la stibina finamente gra- nulare e di un colore grigio lucente. Da una media di 10 misure l’autore ha ottenuto l'angolo 110 : lIO = 42® 44', dal quale risulta a : b = 0 39122 : 1 poco discosto dal rapporto generale dato dal Laspeyres per questo minerale in a ;b = 0 39136:1. — 328 — Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte nel 1899 al piede orientale della catena dei Sibillini. (Boll. E. Comitato Greol., Yol. XXXI, n. 2, pag. 181-188). — Eoma, 1900. L’autore, avendo fatto delle gite nel gruppo del Vettore, e specialmente sul suo versante meridionale, comincia constatando che la parte alta del gruppo è costituita da calcari appartenenti al lias medio ; questi calcari, nel versante orientale riposano su dolomie le quali rappresentano probabilmente il lias infe- riore, mentre nel versante meridionale ai calcari del lias medio si addossano calcari del giurese e del cretaceo. Il versante orientale dei Monti Sibillini, a nord e sud del Y ettore, è costi- tuito dal cretaceo, e la serie degli strati è completamente rovesciata, come dimostra con una figura schematica del Monte Zampa. Dopo aver descritto una piccola massa d’eocene alle falde del Yettoretto, accenna alle opinioni diverse e quindi alla difficoltà di classificare la zona di scisti argillosi contenenti banchi di calcare con nummuliti, sottostanti alle are- narie; zona che per le nummuliti dovrebbe essere assegnata all’eocene, e per altri fossili caratteristici contenuti nelle marne, dovrebbe invece essere com- presa nel miocene. Dna figura riproducente il profilo del Colle Porche, mostra un’accidentalità stratigrafica degli scisti argillosi, accidentalità sulle quali l’au- tore ha trattato più lungamente in un precedente lavoro. Da ultimo, un’altra figura schematica rappresenta le non comuni acciden- talità stratigrafiche che, in questa regione, s’incontrano anche nelle sabbie ed argille plioceniche. Moderni P. — Note geologiche preliminari su i dintorni di Leonessa in provincia di Aquila. (Boll. E. Comitato Greol., Yol. XXXI, n. 4, pag. 338-354, con tavola). — Eoma, 1900. Con un rapido cenno sull’orografia della regione, l’autore constata che i dintorni di Leonessa sono formati da tre gruppi di monti situati attorno ad un antico e ramificantesi bacino lacustre: dopo avere accennato alle più im- portanti sorgenti d’acqua potabile, ed avere descritto le principali fratture visi- bili, passa alla descrizione geologica dei tre gruppi montuosi che sono quelli del Terminillo (parte settentrionale), del Monte Tolentino e del Monte Boragine. Dai fossili raccolti risulta che la massa principale di questi tre gruppi di montagne, è costituita da roccie del lias medio ed inferiore, al disotto delle quali appaiono, in qualche località, le dolomie del trias: le roccie basiche sono ricoperte in parte da una potente formazione di calcari cretacei. — 329 - L’autore avverte clie la delimitazione delle formazioni e piani di esse non può dirsi definitiva, perchè, data la grande somiglianza dei calcari liasici e cretacei, nonché la mancanza assoluta di fossili in alcune località e le grandi accidentalità stratigrafiche della regione, è indispensabile fare altre osservazioni e ricercare altri fossili. T^^ella parte orientale della regione, al cretaceo si addossano i terreni ter- ziari, costituiti nella parte più bassa dagli scisti argillosi che alcuni credono eocenici ed altri invece vogliono miocenici, ricoperti a loro volta da una po- tente formazione di arenarie. Di scisti argillosi è il versante orientale del gruppo del Monte Boragine ed i monti di Cittareale ; le arenarie prevalgono nei din- torni di B orbona. [Xei terreni quaternari costituenti il bacino lacustre, che si estende avanti a Leonessa, l’autore ha rinvenuto un giacimento di lignite nero-bruna, simile ad alcune ligniti terziarie della Toscana. In questi terreni ha trovato pure una possolana di seconda formazione, che Fautore ritiene doversi riferire a proiezioni dei vulcani romani. La probabilità dell’esistenza di questi depositi di materiali vulcanici nelle valli dell’ Appennino abruzzese, era stata da lui accennata in altro lavoro nel quale si occupava delle pozzolane del litorale adriatico. Qui aggiunge che le pozzolane di Leo- nessa, per la qualità del materiale e per la forma lenticolare dei giacimenti, situati fra argille e ghiaie quaternarie, sono identiche a quelle del Teramano. La memoria è accompagnata da un abbozzo di Carta geologica della regione e dalle sezioni dei tre gruppi montuosi descritti, in scala di 1 a 100 000 Molinari Fr. — Acqua della Fontana della Regina presso V Albergo Pano- rama, sopra Stresa. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XXXIX, fase. 2^ pag. 85-91). — Milano, 1900. È questa un’acqua potabile eccellente, limpidissima, fresca, cui si attribui- scono prodigiose virtù terapeutiche, e che sgorga dal fianco del Motterone sulla sponda occidentale del Lago Maggiore. Secondo l’analisi fattane dall’autore, e della quale egli dà i particolari nel presente articolo, un litro di quest’acqua contiene gr. 0,0417 di sostanze mine- rali e cioè: carbonato di calcio 0,0080; idem di magnesio 0,0083; idem di sodio 0,01.j6; silice 0,0084; solfato di ferro 0,0014. È quindi un’acqua ferruginosa, alcalina, magnesiaca, ricca di anidride car- bonica, quindi indicatissima per le funzioni dello stomaco e come ricostituente. — 330 — Nasini B. e Anderlini F. — Relazione intorno alV analisi chimica delle acque delle RR. Saline e Bagni di Salsomaggiore. (G-azzetta chimica ital., Anno XXX, Parte I, fase. lY, pag. 305-333). — Boma, 1900. Quest’acqua, la quale zampilla spontaneamente o si estrae per mezzo di pompe da cinque pozzi tuhulari aventi profondità variabili da 191 a 717 metri, serve specialmente alla estrazione del sale comune, mettendosi poi le acque madri, ricchissime in bromuri, joduri e sah di litio, in commercio per usi tera- peutici: sono pure in commercio i sali jodo-bromici, contenenti per chilogramma 6 grammi di jodio e 9 di bromo allo stato di combinazione. Dalle analisi fatte risulta pienamente confermato che l’acqua di Salsomag- giore è una delle più ricche fra le conosciute in jodio e bromo; è altresì dimo- strato, ciò che non si sapeva, che essa è straordinariamente ricca in sah di litio e di stronzio, e puossi affermare che essa è, tra quelle conosciute, la più ricca in questi sali. Questa grande ricchezza in litio e stronzio, mentre mancano quasi del tutto i sali di potassio, è di grande importanza pel geologo che voglia indagare da quali giacimenti possano avere origine le acque di Salsomaggiore. Nasini E. e Salvadori E. — Relazione siilV analisi dei gaz combustibili di Salsomaggiore. (Grazzetta chimica ital.. Anno XXX, Parte I, fa- scicolo III, pag. 281-296). — Eoma, 1900. In occasione delle analisi di cui sopra gli autori prelevarono campioni dei vari gaz combustibili che, insieme coll’acqua e col petrolio, scaturiscono dai pozzi deUe Saline di Salsomaggiore : i risultati delle analisi eseguite sopra di essi si trovano riportati in tabelle, cui precede la descrizione dei metodi seguiti per ottenerle. Nelli B. — Fossili miocenici dell’ Appennino aquilano. (Boll. Soc. Gleol. ital., Yol. XIX, fase. 2®, pag. 381-418, con tavola). — Eoma, 1900. Alla descrizione delle specie precedono poche parole intorno alla posizione geologica dei terreni, della quale trattarono già il De Stefani, il Chelussi e lo stesso autore (vedi Bìhl. 1897 e 1899), riferendoli al primo piano mediterraneo, lo Schlier dei geologi austriaci, ed al langhiano di Pareto e Mayer, quindi ad una plaga profonda del miocene medio. Questo terreno è costituito inferiormente da un calcare compatto bianco equivalente a quello di Acqui, e superiormente da marne arenose o da calcari marnosi che loro equivalgono completamente: esso si ritrova in tutto l’ Appennino centrale ed è molto frequente nella regione aquilana. Segue la parte paleontologica con la descrizione delle specie, dove i lamel- libranchi, e in special modo i Pecten, sono in prevalenza per varietà di forme ed abbondanza .d’individui, tra cui caratteristici il P. Haueri ed il P. Malvinae. Le forme descritte sono 43, e fra esse quattro nuove, che l’autore denomina Pecten graniilato-scissiis, P. Cheliissianus, Lima oblonga e Arcopagia speciosa. Aelle tavole sono date le figure delle forme nuove, non che del Pecten Kolieni Fuchs, del P. Man3ouiiP\icAi.% della Pholadomga Fiichsi Schaffer. ^EviANi A. — Relazione delle gite fatte a Civitavecchia ed alla Tolfa nei giorni 26 e 27 marzo 1900. (Boll. Soc. Gfeol. ital., Yol. XIX, fase. 1®, pag. xxx-xxxvii). — Eoma 1900. Dopo la visita alle cave di arenaria eocenica del Marangone, con fucoidi e frammenti di vegetali, al cantiere dove si confezionano i grandi blocchi di calcestruzzo per i lavori del porto, allo stabilimento dove si fabbrica il cemento col calcare marnoso eocenico di Poggio Ombricolo, alle cave della cosidetta scaglia (formazione quaternaria o panchina) lungo la Yia Aurelia, alle cave di gesso mio-pliocenico della Torre di Orlando e infine alla collina trachitica detta la Montagnola (v. più sopra S. Franchi), la comitiva si diresse alla Tolfa per vedervi quelle formazioni trachitiche, gli annessi giacimenti di caolino e di allumite ed i laAmri minerarii cui danno luogo (v. più sopra E. Mattirolo). L'autore fa cenno da ultimo ad una visita fatea dal Lotti (v. più sopra) ai giacimenti di ferro della Roccaccia, di Pian Ceraso ed altri minori, non che alle antiche miniere di piombo, ed alle osservazioni fatte dallo stesso sulle roccie metamorfiche, cui già accennò il Ponzi, che le ritenne roccie eoceniche alterate dalla trachite. Sono infatti gli stessi calcari di Poggio Ombricolo che, presso la Roccaccia, alla Cava G-rande, all’Edificio del ferro e a Pian Ceraso sono trasformati in calcari cristallini, veri marmi a struttura variabile da quella del Parlo alla ceroide, passanti gradualmente agli ordinari calcari alberesi o a calcarei granulari nummulitiferi. Gli scisti sottostanti a questi calcari metamor- fici sono pur essi alterati e ridotti in scisti allumitici e caolinici, e gli straterelli calcarei intercalati sono silicizzati ed epidotiferi. Il Lotti però non crede che l’alterazione sia dovuta alla trachite, ma ritiene piuttosto che questa, come quella di Campiglia sia in correlazione con masse granitiche sotterranee, le quali sarebbero la vera causa del metamorfismo. A queste roccie metamorfiche sono intimamente collegati i giacimenti ferriferi e quelli dei vari solfuri metallici. — 332 — Neviani a. — Revisione generale dei hriozoi fossili italiani. I, Idmonee. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. 1”, pag. 10-25). — Eoma, 1900. Questo genere di briozoarii istituito nel 1821 da Bamouroux su pocM fram- menti trovati in un banco di calcare giurassico a polipai dei dintorni )li Caen, subì poi varia fortuna avendolo taluno aggregato alle Tiihiilipora, genere fon- dato da L/amarck nel 1816, mentre altri lo volle intieramente abolito. Da uno spoglio di opere fatto dall’autore risultò che oltre 150 sono le specie viventi e fossili attribuite al genere Idmonea, l’elenco delle quali egli spera col tempo di completare e quindi pubblicare. Per ora si limita alle specie fossili rinvenute in Italia entro terreni terziari e posterziari, in quanto che, come è noto, i nostri terreni secondari e i paleozoici non sono ricchi di briozoi come quelli di altri paesi. L’autore col presente studio dà principio ad una serie di lavori che rias- sumeranno quanto si conosce in Italia intorno a questi organismi fossili. Le specie indicate sono in numero di 35, ma si riducono a 24 perchè alcune debbono essere fra loro riunite. Esse provengono da varie località italiane e si trovano: 5 nell’eocene superiore, 10 nel miocene, 17 nel pliocene inferiore e medio, 9 nel pliocene superiore e 9 nel postpliocene ; 8 sono ancora viventi. Segue un quadro della disposizione cronologica e topografica delle idmonee fossili in Italia, ed un elenco di opere nelle quali esse sono direttamente ci- tate in numero di 25. Neyiani a. — Briosoi terziari e posterziari della Toscana. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. 2°, pag. 349-375) — Roma, 1900. È uno studio riassuntivo di tutto quanto si conosce sui briozoi fossili della Toscana, esistenti in varie collezioni, ma in particolare in quella del Museo di Pisa, formata da esemplari provenienti dal calcare lenticolare di Parlascio e S. Prediano, in gran parte determinati dal Meneghini ed in seguito riveduti e pubblicati dal De Amicis (1885). L’elenco complessivo di questi briozoi fossili ammonta a 112 specie, delle quali solo 16 si riferiscono all’eocene, mentre le altre sono tutte del pliocene e del postpliocene, mancando affatto nel miocene. Premessa la bibliografia ragionata comprendente 16 opere, l’autore passa alla enumerazione delle forme, distinte in 75 cheilostomi e 37 ciclostomi. Sono figurate nel testo e descritte alcune nuove varietà ed una specie nuova, Smittià Canavarii, proveniente dal calcare lenticolare suddetto e pubblicata dal De Amicis sotto la denominazione di Porina Reiissi Mngh. — 333 — Xeviaxi a. — Supplemento alla fauna a Radiolarì delle rocce mesozoiche del Bolognese. (Boll. Soc. Gleol. ital., Yol. XIX, fase. 3°, pag. 615-671, con 2 tavole). — Eoma, 1900. Prendendo occasione da uno studio del Tinassa sulle roccio e fossili dei dintorni di Grizzana e Lagàro nel Bolognese (vedi più avanti) nel quale sono illustrate 11 specie di radiolari osservate nelle sezioni sottilidi diaspri e ftaniti di quelle località, lautore, che già aveva studiate quelle preparazioni ed altre ancora, aggiunge la descrizione e la figura di altre 68 forme di località finitime e quindi non considerate nello studio anzidetto. La lista complessiva delle specie darebbe così 22 sferoidi, 7 prunoidi, 30 discoidi, 16 cirtoidi, 1 sferozoide e 1 ste- foide ; le descritte come nuove dall’autore sono in numero di 62, alcune delle quali appartenenti a 3 generi nuovi che egli denomina Trigonodìscns, Stanco- dfsens e X-asfrum. Le deduzioni cronologiche deH’autore confermano quelle del Tinassa, e cioè che le roccie silicifere del Bolognese appartengono tutte al giura supe- riore (Titonico). Termina il lavoro lelenco completo delle forme note sinora nelle roccie silicee del Bolognese. Xelle tavole annesse sono figurate tutte le specie descritte. Xeviani a. — Briozoi neozoici di alcune località d’Italia. Parte YI. (Boll. Soc. zool. ital., S. II. Yol. I. n. 1-2, pag. 58-68). — Eoma, 1900. Sono due capitoli nel primo dei quali, l’autore descrive i briozoi plioce- nici di Savignano sul Panaro, già elencati dal Crespellani sino dal 1875 [Annali Soc. Xaf. di Modena, Anno IX, fase. 1®) e ne dà un nuovo elenco di 19 specie, fra cui la Porina borealis assai rara allo stato fossile, e che prima del 1891 non era stata riconosciuta come tale. Questa specie fu rinvenuta dallo stesso autore per la prima volta nelle argille post-plioceniche del sottosuolo di Livorno e successivamente in altre località italiane Xel capitolo seguente lautore parla di alcuni briozoi fossili di Sicilia, e in particolare diFicarazzi, dì M. Pellegrino, di Cannamassa presso Altavilla Milicia e di Tallone Scoppo in provincia di Messina, riportandone gli elenchi dati da vari autori, riserbandosi di discuterli e di riunirli in uno solo in una memoria generale sui briozoi della Sicilia. Dà intanto un elenco di specie siciliane tro- vate nelle collezioni del Museo geologico di Torino, o procurategli dal doti Di- Stefano. — 334 — Nicolis B. — Geologia ed idrologia della Regione veronese, (dalla « Pro- vincia di Verona» Monografia statistica-economica-amministrativa, raccolta dal Conte Luigi Sormani-Moretti Senatore del Pegno, P. Prefetto di Verona. Pag. 60 in-folio, con 3 tavole). — Verona, 1900. Dato un cenno sull’orografia della regione, l’autore prende in esame le formazioni costituenti il territorio veronese cominciando dalle roccie vulcaniclie, delle quali descrive i rapporti coi terreni sedimentari, indagando quali possano essere i centri eruttivi; passa perciò in rassegna le località più tormentate dalle eruzioni, mostrando come queste agirono con maggiore intensità alla base del- l’eocene e fra l’eocene inferiore e medio senza però potere dare una cronologia particolareggiata delle di^^erse eruzioni. Soltanto empiricamente si possono stabi- lire delle divisioni, e l’autore indica le località dove esse si manifestano nel suessoniano e nel parisiano. In taluni casi si può pure precisare quando questi vulcani emersero coi loro coni dal livello del mare. Segue lo studio petrogra- fico assai esteso sui basalti fatto dal dott. Artini. Passa quindi a descrivere i sedimenti marini e le formazioni continentali nei loro rapporti cronologici, aggiungendo un breve studio sulle forme organiche giacenti nei depositi ad esse contemporanei. La successione di tali sedimenti affioranti nel territorio veronese è esposta in un prospetto nel quale figurano il quaternario, il miocene medio e inferiore, l’oligocene superiore e inferiore, l’eocene superiore, medio e inferiore, la creta superiore e media-inferiore, il giura superiore, il giura-lias {Bartoniano e Baiociano) ed il retico-carnico. E dato in seguito un breve cenno sulla tettonica del Monte Baldo, del gruppo della Posta e dei Lessini, mettendo in rilievo le pieghe prodotte da sollevamenti e le fratture in relazione col gruppo dell’Adamello il primo e dei porfidi quarzi- feri tirolesi il secondo. Osserva che alla serie mesozoica e cenozoica antica, soprastanno sedimenti marini oligocenici ed eocenici ad altezze rileAmnti: risulta quindi evidente che i sedimenti del mare oligocenico si deposero prima del sollevamento, anzi per la presenza di sedimenti ittiolitici del miocene medio al Monte Moscai e alla Rocca di Oarda, tale ultimo sollevamento deve essere avvenuto molto dopo la deposizione di questi sedimenti, che, nella serie strati- grafica, stanno immediatamente sopra l’oligocene che si riscontra a 1630 metri nel Monte Baldo. In un capitolo di geologia applicata sono illustrati i materiali litici da costruzione e decorativi che abbondano in questa regione, i depositi lignitiferi, le terre coloranti ed altri minerali utili. Un cenno è dato sull’agricoltura in rapporto coi terreni geologici, sull’igiene e sui lavori pubblici, sempre in rela- zione alle condizioni geologiche della regione. — 335 — Una parte di questa importante monografia è dedicata alla idrografia; in essa è dato prima un cenno sul regime attuale, nel quale sono indicati i diversi corsi d’acqua e le loro origini; quindi è discorso della idrografia antica e sono indicate le antiche immigrazioni e spostamenti subiti da fiumi e torrenti, e specialmente dall’Adige glaciale-terrazziano, in base a documenti storici antichi e a resti archeologici e preistorici. Parlando della idrografia sotterranea della regione montuosa sedimentare Fautore fa rilevare come l’economia delle acque sia in relazione colle condizioni orografiche, litologiche e tettoniche dell’area e collegata strettamente colla circo- lazione nell’alta pianura. Di qui prende argomento per parlare delle sorgenti e delle probabilità di avere acque salienti, venendo infine alle acque minerali. Una particolare relazione è pure data sull’idrologia delle colline moreniche e specialmente del bacino di Pastrengo come più importante, nella quale l’autore cerca di indagare l’origine di tutta l’acqua che appare in tale zona. Un esame del livello acquifero di molti pozzi e sorgive riuniti in gruppi secondo le forme dei terreni, dà modo all’autore di stabilire la legge idrostatica governante il bacino. Entra da ultimo a discorrere della idrologia dell’alta e bassa pianura veronese, indicando le norme da osservare da chi deve trarre acqua potabile dal sottosuolo di questa e della regione finitima. Oltre ad alcuni spaccati longitudinali dell’alta pianura, inseriti nel testo, che mostrano lo strato acquifero dalle falde alpine alla zona di rinascimento, l’opera è corredata da una tavola di sezioni sottili di alcuni basalti, da varii spaccati geologici e da una Carta geologica a colori della regione veronese alla scala di 1 ; 175000, con tutte le indicazioni riguardanti la circolazione delle acque, le principali cave, ecc. Nicolis e. — Terrazzi e formazioni diluviali in rapporto col bacino del Garda. (Atti E. Istituto veneto, S. Vili, T. II, disp. 5% pag. 381-387). — Venezia, 1900. In questo studio, l’autore prende in esame i più antichi fenomeni diluviali, e forse dello scorcio dell’epoca terziaria, che con differenti caratteri si presen- tano specialmente intorno e traversalmente alla catena del Baldo, collegati con movimenti di dislocazione e collo sprofondamento da esso subito a V.O, con Fintento di portare un contributo al difficile problema del riferimento cronolo- gico o di successione di tali fenomeni in concomitanza colle fasi genetiche del- l’attuale lago. — 336 - Indica dapprima, come notizia nuova, i residui di terrazzi fiancheggianti a qualche metro d’altezza a brevissima distanza la riviera veronese del Grarda, costituenti gradini di valli forse preesistenti al lago ; di tali residui, forse pregla- ciali, vi sono indizii anche nelle erte valli trasversali del Baldo. Si occupa quindi degli scorrimenti e frane che diedero origine al bacino, avvenuti nell’epoca diluviale o quaternaria antica. Accenna poi ai lembi del piano generale diluviale ferrettizzati fra le morene e alle intercalazioni nei terreni neo-morenici di alluvioni fluvio-glaciali, per le quali Tultima estensione glaciale lasciò nel piccolo anfiteatro morenico del Grarda traccie rilevanti delle singole sue soste. Senza venire a conclusioni definitive l’autore si limita a dimo- strare : 1® l’esistenza di una corrente fluviale, ora scomparsa, che terrazzava longitudinalmente i terreni di trasporto della valle, ora fiancheggianti la riviera veronese, e che non si possono attribuire all’ondeggiamento del lago: 2^ la vero- simile concomitanza dell’abbassamento della catena del Baldo con i franamenti, scoscendimenti e scorrimenti di parte della medesima avvenuti in buona parte durante i periodi interglaciali. Nicolis e. — Resti di Mosasaiiriano nella scaglia rossa {cretaceo supe- riore) di Y alpanteiia in provincia di Verona. (Atti E. Istituto veneto, S. YIII, T. II, disp. 7% pag. 197-503). — Venezia, 1900. In un masso che faceva parte dello stipite di un cancello demolito a jNIarzana in Valpantena furono osservati dei resti organici che, isolati con paziente lavoro dall’autore, vi fecero riconoscere un teschio che questi attribuì al genere Mosasaiirns, in ciò confermato dal parere dell’ing. L. Bollo illustra- tore dei mosasauriani di Merwin presso Mons. Il masso racchiudente il fossile proviene dalla scaglia rossa superiore (senoniano) che affiora appunto presso Marzana, ove esistono cave di tale mate- riale da costruzione. B’autore, enumerati i fossili che si rinvengono nel senoniano della regione, in prevalenza Inoceramiis, Ananchites, Cardìasfer e specialmente la Stenoiiia tiiì)erciilata Besm. ed innumerevoli ammoniti deformate, come pure resti di pesci e di rettili, e ricordati i resti di 3Iosasaiiriis rinvenuti nella creta di Maestricht, del Yord della Branda, dell’Inghilterra e in diversi luoghi del- l’America, descrive le parti conservate del teschio di Yalpantena, dal che risulta che esse appartengono probabilmente ad un individuo adulto il cui cranio completo misur ava circa 83 centimetri. lina figura inserita nel testo rappresenta i resti del fossile illustrato. - 337 — J^icoLis E. — Marmi, pietre e terre coloranti della provincia di Verona. (dalle Memorie delPAcc. di agr., lettere, scienze ed arti di Verona, S. IV, Voi. II, n. 1, pag. 62 in-8^, con tavola). — Verona, 1900. Premesse in un primo capitolo alcune nozioni generali sulle pietre vero- nesi, e data una scala stratigrafica dei vari materiali litoidi disposti dal mio- cene inferiore al retico, lantore in un secondo capitolo fa una descrizione geologica dettagliata dei terreni e dà la genesi dei diversi materiali litoidi, non che delle terre coloranti, passando quindi a rassegna i monumenti in cui furono adoperati fino dalla più remota antichità. In un terzo capitolo vengono esposti i dati relativi alle diverse lavorazioni di cui sono suscettibili i diversi materiali, alla loro resistenza allo schiaccia- mento, alla gelività, sulla grossezza dei blocchi e la loro varia divisibilità in lastre. Sono indicati i difetti che danneggiano i marmi e le altre pietre e date le indicazioni per la ricerca dei materiali stessi. Seguono dei profili naturali delle diverse cave di marmi e delle pietre tenere, con dati industriali, tecnici e statistici, e con indicazioni sulla loro nomenclatura e applicazione. Sono aggiunti infine varii prospetti illustrativi, ed una tavola in cromolitografia sulla quale sono rappresentati alcuni dei prin- cipali marmi decorativi. XoELLi A. — Contribuzione allo studio dei crinoidi terziari del Piemonte, (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XXXIX, fase. V\ pag. 19-19, con tavola). — Milano, 1900. I fossili studiati dall’autore, appartenenti al Museo geologico di ’ Torino, provengono dai terreni miocenici dei colli torinesi e precisamente da una spe- ciale zona sabbiosa che si trova nella parte più recente della serie elveziana, separata dalle assise tortoniane sovrastanti da una zona di marna compatta povera di fossili. Tale zona sabbiosa, d’ordinario ricca di elementi serpentinosi, corrisponde al sottopiano serravalliano di Mayer e giustamente puossi distin- guere col nome di zona a Pentacriniis Gastalclìi, essendovi copiosissimi gli arti- coli di questo crinoide. In generale i fossili vi sono male conservati, vi abbon- dano detriti di ostriche, di pettini, di balani e in qualche località è ricca spe- cialmente di piccoli coralli, di cidariti fra cui particolarmente notevole il Ci- darla avenìoneiisis, articoli di stelleridi, piccoli brachiopodi e briozoi. Xel lavoro sono descritte 15 specie di crinoidi, fra cui 8 nuove: queste specie appartengono ai generi Pentacrinns, Conocriniis, Antedon e Actinometra. — 338 — Delle 7 forme conosciute, tre erano già note per il Piemonte, ma ora ri- scontrate in località nuove, e quattro sono citate per la prima volta in giaci- menti italiani, e sono quelle scoperte presso Avignone in terreni verosimilmente coevi e descritte di recente dal De Loriol. Aella tavola annessa sono figurate tutte le forme descritte. Novarese Y. — La miniera del Belli e Gìiinivert. (Eassegna mineraria, Yol. XII, n. 7, pag. 97-99; n. 8, pag. 113-115; n. 9, pag. 131-133). — Torino, 1900. Nella catena che nelle Alpi Cozie divide l’alta valle della Germanasca dalla valle superiore del Chisone, presso le cime denominate Beth e Ghinivert, si vedono affiorare dentro ai calcescisti masse stratiformi di pirite cuprifera massiccia, col 40-50 di solfo e col 2-7 di rame. Una di queste masse esplo- rata con lavori minerari ha mostrato essere un banco perfettamente interstra- tificato e molto esteso. In evidente relazione colle piriti stanno intercalate ai calcescisti masse ingenti di eufotide alla punta del Beth e di prasinite al Ghi- nivert. D’autore classifica il giacimento fra gli ammassi piritosi stratificati del tipo Agordo, Eammelsberg, Huelva, Eoros eoe. ed insiste sull’evidenza della sua associazione colle roccie eruttive per stabilire che la sua origine non può spiegarsi senza tener conto di queste ultime, tanto più che vari altri giaci- menti piritosi analoghi delle Alpi occidentali, come Chlalamberto, Champ de Praz, Ollomont si trovano nello identiche condizioni. L’autore dopo aver accennato alle varie ipotesi proposte per spiegare Tori - gine dei giacimenti stranieri analoghi, si mostra inclinato ad accettare anche per questi l’ipotesi della separazione magmatica. Soltanto qui, forse per spe- ciali condizioni topografiche la massa dei solfuri si è separata più compieta- mente che altrove dal magma siliceo in modo da apparire ora incassata com- pletamente nella roccia sedimentaria, a differenza di altri giacimenti alpini dove invece i banchi piritosi sono rimasti entro le roccie verdi. Ogilvie-Gordon M. — Ueber die ohere Cassianer Zone an der Falsa- rego-Strasse [BUdtirol). (Yerhandl. k. k. geol. Eeichs., Jahrg. 1900, n. 11-12, pag. 306-322). — Wien, 1900. Nei tufi e nelle breccie di questa vailetta dell’alto bacino del Piave (fra i torrenti Boite e Cordevole) l’autrice riconobbe sin dal 1893, e studi ulteriori — 339 — hanno confermato, un complesso di caratteri paleontologici pei quali quegli strati triasici, già assegnati dal Loretz al raibliano e dal Mojsisovics al Wengen, vanno ascritti ad una zona intermedia fra il tipico San Cassiano e lo Schlern. Della fauna a lamellibranchi di questi strati, il 34 appartiene al San Cas- siano superiore, 25 °/o aH’inferiore, 16 al raibliano e il rimanente è comune ai due ultimi : trattasi quindi di una caratteristica fauna di transizione fra il San Cassiano ed il raibliano. La zona del San Cassiano superiore e tutte quelle del raibliano sono rappresentate nella regione da Enneberg (Tirolo) ad Ampezzo (Tagliamento) con caratteri diversi, ora con sedimenti marnoso-tufacei, ora con dolomiti ca- vernose {Schlerndolomit), ora con calcari coralligeni in banchi isolati, ovvero intercalati ai precedenti. Aella vailetta in quistione essi sono costituiti da tufi, arenarie, calcari compatti e coralligeni, dolomiti e marne, formanti il complesso seguente dal basso in alto: strati di Wengen con Daonella Lommeli ; San Cas- siano tipico con Koniiickiìia Leonliardi etc.; San Cassiano, zona superiore, con fauna mista tra il precedente e il seguente ; raibliano inferiore (Schlern) ; rai- bliano superiore, con Ostrea montis caprilis^ Megalodiis triqiieteVy ecc. Secondo l’autrice anche i tufi dell’Alpe di Seis (Tirolo), la cui fauna a Pachijcardiìiììi fu descritta dallo Zittel, sarebbero un equivalente della suddetta zona superiore del San Cassiano. Ogilvie-Gordox M. — Oii thè Fauna of thè upper Cassian Zone in FaU zarego Yallejj^ South Tijrol. (The geological Magazine, N. S., De- cade lY, Yol. YII, n. YIII, pag. 337-349). — London, 1900. È la riproduzione in lingua inglese dell’articolo di cui nella precedente bi- bliografia. Oppexheim P. — Ueber eiiie riesige Perna (Pachyperna n. sbg. laver- dana n. sp.) aiis eleni Alttertiar Venetiens iiiid die ìibrigen Perniden des Oebietes. (Zeitschrift der Deut. geol. Gresell., B. 52, H. 2, pa- gine 237-243, con 3 tavole). — Berlin, 1900. L’autore chiama Pachijperna laverdana una nuova specie di perna tro- vata alla base degli strati di Priabona, costituenti il tipo di un nuovo sotto- genere caratterizzato dalla grossezza della conchiglia e dalla mancanza dell’in- taglio del bisso. A questo sottogenere apparterrebbe pure la P. Defrancei Derv. del calcaire grossicr del Cotentin. ISTel terziario veneto compaiono pure altre 1 — 340 — perne quali la P. Reiissi Majer-Eymar, P. centralis Bayan, P. postalensis Opp., P. (Aviciiloperna) Cohellii n. sp. Egli descrive e illustra ampiamente la nuova specie, indicandone i rap- porti con le altre affini del genere Peni a. Oppenheim P. — Beitrage sur Kenntniss des Oligoccin iind seiiier Fauna in dell venetianischen Voralpen. (Zeitschrift der Deut. geol. G-eselL, B. 52, H. 2, pag. 243-326, con 3 tavole). — Berlin, 1900. L’autore ritiene, in seguito alle proprie osservazioni, che gli strati a brio- zoarii distinti dal Suess ed il banco di coralli di Crosara, sieno gli equivalenti delle marne e conglomerati di Laverda e dei tufi di Sangonini. Lo schema del- l'oligocene veneto, nel senso di Bayan sarebbe il seguente (dall’alto in basso) : 2. Gruppo di Castelgomberto, coperto dagli strati di Schio, attribuiti dal Bayan al miocene. 1. b) Tufi di Sangonini | Strati a briozoarii e banco a) Conglomerati e marne di Laverda j di coralli di Crosara. Gruppo di Priabona. Questi strati non possono essere posti in parallelo come vuole il Euchs con quelli dell’oligocene tedesco ; la fauna di Sangonini è coeva con quella del- l’oligocene inferiore della Germania settentrionale ; la fauna di Castelgomberto è invece comparabile coi depositi sabbiosi dei bacini di Parigi e di Magonza. Segue la parte paleontologica in cui insieme con molte specie note sono descritte- e figurate anche alcune nuove, appartenenti ai generi Corbis, Crassa- fella, Piscohelix, Turbo, Chnjsostoma, Litorina, Neritopsis, Bissoina, CeritJiium, Trivia, Sipìionalia e Acrostemma. Oppenheim P. — Ueher die grossen Lucinen und das Alter der « miocdnen » Macigno- Aler gel des Appennin, (Neues Jahrb. filr Min., Geol. und Pai., Jahrg. 1900, I B., 2 H., pag. 87-94). — Stuttgart, 1900. L’autore sottopone ad esame critico due importanti questioni ; 1° che cosa si debba intendere per Lucina pomnm Duj. e 2*^ se le determinazioni specifiche finora date di lueine rinvenute nell’ Appennino settentrionale, possano ritenersi definitive, e se le dette lueine siano sufficienti per stabilire con sicurezza l’età dei terreni nei quali si rinvengono. Egli fu indotto a questo esame da un lavoro del Gioii pubblicato fin dal 1887 (vedi Atti Società toscana, ecc.) e da uno studio da lui stesso fatto sulla Lucina globulosa Desh. — 341 — Circa il primo punto, l’autore, confrontando le citazioni del Mayer con quelle di Hebert e Renevier, stabilisce che la L. pomiim, Desmoulins e non Dujar- din, è da ritenersi sinonima della glohiilosa Deshayes, e ciò basandosi su di una dichiarazione dello stesso Desmoulins. Per ciò che riguarda la seconda questione l’autore osserva che le forme del macigno appenninico riferite dal Gioii L. pomiim Duj. e non alla glohiilosa Desh. non possono essere avvicinate alla L. pomiim, nè Dujardin nè Des- moulins. Dopo ciò, osserva l’autore, cade ogni relazione delle lueine appenniniche con una specie, la quale anch’essa con molti dubbi può essere citata come tipica del miocene. Infatti la L. pomiim Desm. o L. glohiilosa Desh. incomincia già nel priaboniano, mentre le vere specie mioceniche del bacino di Vienna, furono riferite dal Desmoulins alla L. Hoernesiana e tenute separate dalle precedenti. L’autore tenendosi strettamente ai fossili figurati dal Gioii e a quelli di Porretta figurati dal Capellini, non che a varie altre citazioni di autori italiani, viene nella conclusione che fra le lueine rinvenute in vari luoghi dell’ Ap- pennino e in Sicilia si trovano specie molto diverse fra loro. Così alcune (citate dal Manzoni e dal Calici) associate a bivalve tipicamente mioceniche sono senza dubbio specie neogeniche, vicine o identiche alla L. glohiilosa Desh. ; ma la questione è ben diversa per ciò che riguarda le lueine rinvenute nel macigno e nelle marne della Toscana e del Bolognese. L’autore dichiara che egli non conosce alcuna specie miocenica che possa essere avvicinata alle lueine figurate dal Gioii (Tav. I, fig. 1, 2, 8 e Tav. II, fig. 2 e 3), le quali sono molto diverse da quelle figurate dallo stesso autore (Tav. I, fig. 6 e Tav. II, fig. 1), e riferite alla L. Dicomani Meugh. Tutte queste specie figurate e descritte dal Gioii e dal Capellini hanno assolutamente un'impronta tipica del terziario antico, forse vicina alla L. corba- rica Leym. e alle grandi lueine descritte dall’autore e provenienti dai monti Postale e Pulii. L'autore couclude che occorrono altri studi e altro materiale per risolvere la questione paleontologica circa l’età del macigno e delle marne, in cui si rin- vengono lueine così poco note e male conservate. Oppenheim P. — Noch einmal ìiber die grossen Lncinen des Macigno im Ap- peiinin. (Centralblatt tur Min., Geol. und Pai., Jahrg. 1900. n. 12, pag. 375-379). — Stuttgart, 1900. L'autore, dopo aver ribattuta l’asserzione del De Stefani (vedi più sopra) che il precedente lavoro sia una relazione sopra un’antica memoria del Gioii — 342 ^ sulle lueine appenniniche, insiste sulla sua affermazione che le due grosse specie di lueina, la L. pomum Gioii = L. Dicomani De Stef. e la L. Dicomani Gioii = Loripes globiilosa Desh., ritenute come fossili caratteristici del macigno miocenico dell’ Appennino settentrionale, pei caratteri differenziali che presentano in con- fronto delle lueine mioceniche, non dimostrano l’età miocenica dei sedimenti, raddrizzati e dislocati, che le racchiudono, e che la loro posizione sistematica, come quella della formazione che le racchiude, rimane affatto incerta ed ancora da determinarsi. Egli dice che il suo lavoro è puramente paleontologico e quanto alla posi- zione degli strati a lucilia si rimette a qiianto fu osservato in proposito da Stur, il quale, in base ad osservazioni eseguite sul terreno, pone l’arenaria di Porretta sotto le argille scagliose eoceniche e la ritiene corrispondente ai calcari a Lucina di Hollingstein nella bassa Austria, sovrapposti al flisch ad inocerami e sotto- stante all’arenaria a nummuliti di Greifenstein. Oppenheim P. — Sopra due nuovi Pecten del Miocene di Bassano. (Ri- vista ital. di paleontologia. Anno YI, fase. I, pag. 25-30, con tavola). — Bologna, 1900. Provengono essi dai- pressi di Romano d’Ezzelino, paese a nord-est di Bas- sano, dove ha principio la catena dei colli asolani al margine interno delle Alpi venete, costituita da sabbie, arenarie, marne e conglomerati, riposanti sugli strati di Schio, che più ad occidente formano la curva alpina esterna ; essi fu- rono da prima considerati come pliocenici, . ma in seguito riconosciuti mioce- nici, ed in quel punto sono costituiti da una marna turchina ricchissima di fossili ; questa fauna fu descritta dal Manzoni sino dal 1869 (Y. Sitsiingsb. K. Acad. der Wiss. von Wien, B. I, pag. 475), che la assegnò all’epoca tortoniana. Le due specie sono descritte e figurate dall’autore, che le indica coi nomi di Pecten {Janira) bassanensis e Pecten Balestrai] la prima intimamente connessa alla serie miocenica del P. Bollei Hoernes, senza però rispondere esattamente ad alcuna di quelle forme, l’altra senza parentele prossime con forme conosciute. Oppenheim P. — Nuovi molluschi e vermi oligocenici del Veneto. (Rivista ital. di paleontologia. Anno YI, fase. I, pag. 80-39, con tavola). — Bologna, 1900. I nuovi fossili, raccolti dall’autore e da altri in diverse località oligoceniche del Yeneto, descritti e figurati in questa nota, ricevono i nomi ài Cardita praea- - 343 — cnta, Corbis pseiidolamellosa, Lncina sericata, Patella Garclinalei, Tvochiis mon- tnim, Yermetiis gombertiiiiis, Serpiila claviilina, Gerithiiim dissitiim, Cerithiiim Boae, Cerithiiim Gardinalei ^ Follia trinitensis e Bela oligocaena. Le idee dell’autore sulla età dei giacimenti relativi sono espresse nel sopra- riferito lavoro dello stesso Beitràge zur Kennlniss, ecc. OppEXHEm P. — Il miocene di Verona ed il Pecten Besseri degli autori. (Eivista ital. di paleontologia, Anno YI, fase. II, pag. 92-95). — Bologna, 1900. Facendo seguito al suo lavoro sul miocene veronese (vedi Bihl. 1899) l’au- tore aggiunge qualche particolare su questo terreno ed in pari tempo accenna ad un necessario cambiamento di nomenclatura; e cioè che per la specie Besseri M. Hoernes debbasi usare d’ora in avanti il nome di Pecten incrassatas Partsch, avendo quest’ultimo la priorità anche sul nome di P. Toiirnoiieri May. Eym. Pesta però la forma P. Besseri Andrz., alla quale va riunito il P. Ange- tiene Dub., descritto già dal Fuchs col nome di P. sivringensis. Oppenheim P. — Die Priabonaschicliten nnd ihre Fauna. (Palaeonto- graphica, B. 47, pag. 1-348, con 21 tavole). — Stuttgart, 1900-901. In questa estesa monografia, la quale forma l’intiero Yol. 47 della tograpìiica dello Zittel, l’autore tratta ampiamente del classico deposito fossili- fero di Priabona e ne descrive la fauna nel suo complesso e in rapporto con quelle di giacimenti analoghi, con materiale in parte raccolto da lui stesso, in parte fornito da altri o esistente in vari musei d’Italia e dell’estero, o presso privati cultori della paleontologia. Premessa una breve introduzione, l’autore tratta in un primo capitolo della costituzione e della estensione degli strati di Priabona, complesso che occupa una lunga zona nel Veneto e nel vicino Trentino, secondo le osservazioni fatte in principio dal Suess e proseguite da altri. Secondo questi il complesso in- comincia in basso con una potente massa calcarea, con numerosi esemplari di Schisaster rimosiis, passante in alto ad una marna a orbituline, contenente, oltre gli ScJiizaster delle Sismondia e modelli di conchiglie, specialmente turritelle; segue altra marna turchina con Operciilina ammonea in grande abbondanza, gasteropodi e bivalve, fra cui valve di Solen ria osus e grandi modelli di Pigìi- rotomaria e di Pijriila e in qualche luogo anche di grossi nautili. Questo com- plesso mostrasi con grande potenza nella Valle del Boro presso Priabona, a 344 — ponente di Malo (distretto di Schio nel Vicentino) e si prolunga nei Colli Bo- rici, dove è Adsibile da S. Yito di Brendola sino a Bonigo, a Barbarano, a Mos- sano e in molti altri luoghi. Esso si spinge poi a levante sino a Bassano, a po- nente oltre Verona e a settentrione nei dintorni di Rovereto, in Valsugana e nella valle di IN^on. La fauna fossile di questo complesso, ampiamente descritta e figurata dal- l’autore, comprende oltre a 500 specie tra foraminifere, alveoline, opercoline, heterostegine, nummuliti, orbitoidi, corallarii, polipai, crinoidi, echinidi, molluschi, crostacei e pesci, fra le quali alcune nuove. È , una fauna mista nello stretto senso della parola, nella quale si mantengono forme antiche caratteristiche del calcare grossolano, mentre ne compaiono in quantità altre più recenti, che poi acquistano il massimo sviluppo nell’oligocene (strati di Castelgomberto e altrove). Sono quindi passati in rivista, coi relativi confronti, i gruppi equivalenti a questo e noti nelle altre parti d’Italia, nei dintorni di ISTizza, nelle Alpi fran- cesi, svizzere, bavaresi, austriache, nei Carpazi, nella penisola balcanica, nella Russia, nell’Asia, nel Madagascar, nell’Egitto, ecc., ecc. Pagani U. — Su alcune sorgenti dì gas nel Bolognese. (Rivista geogra- fica italiana, Annata VII, fase. IV, pag. 187-195). — Roma, 1900. Trattasi di due nuove salse riconosciute daU’autore, l’una nel bacino del Santerno presso il punto d’incrocio della strada mulattiera Pieve S. Andrea- Ponticelli col Rio dei Ponticelli, piccolo affluente di sinistra del Santerno, Taltra nella vallata del Sillaro sotto il paese di Sassoleone, a circa 200 m. dal tor- rente e presso il limite fra l’argilla scagliosa e le marne e molasse del miocene medio. L’autore descrive anche le sorgenti gassose del Molinaccio alla confluenza del Rio Moro nel Sillaro e la salsa di Sassuno sul versante sinistro del Sillaro, tutte accompagnate da sorgenti di petrolio nelle vicinanze, finora trascurate ma che meriterebbero di essere meglio studiate ed utilizzate. Pagani II. — Sorgenti di petrolio nel Bolognese. (Rassegna mineraria. Voi. XII, n. 17, pag. 257-260 e n. 18, pag. 274-278). — Torino, 1900. In questo lavoro l’autore, fatto cenno della scoperta di sorgenti peti-oleifere nel Bolognese e delle molteplici ricerche fatte e che hanno condotto verso il 1890 a concessioni governative e conseguenti trivellazioni, ne fa la descrizione ag- — 345 — grappandole in tre zone, e cioè : Zona orientale o del Sillaro-Idice ; 2® Zona occidentale o di Savigno; 3® Zona meridionale o del Silla-Reno. Appartengono alla prima le sorgenti del Molinaccio, di cui è cenno nella nota precedente, e altre del bacino del Sillaro, specialmente nella vallata del Rio Canilio affluente di destra del Sillaro e in quella di Sassuno sulla sinistra come pure altre nelle valli dell’Idice e della Quaderna. Isella seconda trovasi il noto giacimento di ozocberite presso Monte Falò, disciolta nel petrolio, da cui si separa per emanazione di questo incrostando la superficie delle roccie. ISTella terza infine, appartenente per intero all’alto Bolognese, si ha tutta una serie di poderose sorgenti di gas, con indizi di petrolio verso Porretta e Yidi- ciatico. Discute quindi le due ipotesi avanzate dagli studiosi sulla genesi degli idrocarburi naturali, e cioè quella della attività endogena e quella organogenica, applicandole ai giacimenti del Bolognese e conchinde, senza escludere quest’ ul- tima in modo assoluto, per la prima di esse, osservando che nell’ Appennino tutte queste emanazioni seguono determinati allineamenti normali o paralleli alle direzioni del suo asse orogenico nelle varie regioni, e in generale si tro- vano lungo quelli allineamenti che sono segnati da anticlinali. Pamp ALONI L. — I terreni carbonìferi di Seni ed oolitici della Perda- liana in Sardegna. (Read. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 11®, 1® sem., pag. 345-349). — Roma, 1900. Il giacimento carbonifero di S. Sebastiano presso Seni (Lanusei), descritto per la prima volta dal La Marmora, consta di strati scistosi color nero conte- nenti una antracite facilmente sfaldabile, nero lucente e qualche volta giallastra per traccie di pirite limonitizzata : essi poggiano direttamente sugli scisti lu- centi del siluriano e presentano molte impronte di fusti e foglie che, secondo il parere dei paleontologi francesi, apparterrebbero al carbonifero superiore e secondo quello dei tedeschi al permiano inferiore. Alla Perdaliana, montagna che si erge a guisa di torre inaccessibile ed è costituita da strati quasi del tutto orizzontali, la successione dei terreni è, dal basso in alto; scisto lucente siluriano formante la base del monte; puddinga quarzosa ed arenaria contenenti piccoli straterelli di lignite ; infine calcare gri- giastro, ricchissimo di fossili passante in alto ad un calcare magnesiaco. Il Me- neghini, che studiò pel primo questi fossili, assegnò il calcare della Perdaliana alloolite ; dello stesso parere fu il Fucini nel 1894, mentre già il De Stefani nel 1891 lo aveva riferito all’oxfordiano. L’autore però crede che, in vista di — 3-16 — rarie specie nuove per questi terreni rinvenute nel materiale da lui raccolto, fra cui alcune esclusivamente batoniane, e per la mancanza di altre riportabili esclusivamente ad altri terreni, il calcare in parola debba ritenersi come ap- partenente al piano Batoniano e sia l’esatto equivalente degli strati a Mijtilns delle Alpi svizzere e francesi, la cui fauna fu studiata dal De Dorici, e dei quali non si conoscono equivalenti a sud dalle Alpi. Anche litologicamente i due gia- cimenti presentano una quasi completa identità. Pantanelli D. — Ricerche sulle sabbie fluviali e sotterranee eli Secchia e Panaro. (Atti della Soc. dei Naturalisti e Matematici di Modena, S. lY, Yol. I, pag. 1-8). — Modena, 1900. Scopo di queste ricerche è di stabilire l’origine dellle acque sotterranee della pianura bagnata da questi due fiumi ; attesa però la uniformità delle roccie dei due bacini e la loro povertà in minerali speciali facilmente riconoscibili, l’autore si è limitato a due sole, e cioè alla ricerca della parte solubile nell’acido cloridrico e a quella della parte separabile con un magnete, operando su 10 grammi di sabbia lavata e asciugata a 120*^. Egli eseguì dapprima ricerche su 25 campioni raccolti lungo la Secchia e 15 lungo il corso del Panaro: poca importanza hanno i risultati ottenuti nella prima, invece le differenze fra i due bacini ap- paiono spiccate nel quantitativo dei materiali magnetici. Questi ultimi consi- stono in granuli di magnetite, in grani serpentinosi, in grani di limonite ed altri materiali non facilmente definibili : dai risultati numerici ottenuti l’autore deduce che i detti materiali provengono da roccie serpentinose. In quanto alle sabbie sotterranee egli operò su 45 campioni provenienti da profondità diverse, talora considerevoli, da pozzi esistenti fra Modena e Por- tovecchio in comune di Mirandola. Da questo secondo esame risulta la dimi- nuzione dei materiali magnètici in profondità e come le sabbie sotterranee man- tengano la differenza esistente fra le attuali dei due fiumi. In quanto all’ultimo pozzo (Portovecchio) si rimarca una mescolanza con le sabbie del Po le quali, a partire dalla superficie vanno aumentando, talché oltre i cento metri di profon- dità queste ultime hanno predominio quasi esclusivo. Pantaxelli D. — Su alcuni errori di fatto circa le salse modenesi e il petrolio d'^ Egitto. (Boll. Soc. geografica ital., S. lY, Yol. I, fase. 11, pag. 1021-1026). — Roma, 1900. Ea cenno di alcuni errori di valutazione sulla quantità dei prodotti delle salse modenesi, e in particolare di quello inserito da Brignoli di Brunhof nella — 347 — sua relazione sulla eruzione della salsa di Sassuolo nel 1853, enormemente esa- gerato, e che, infiltratosi nella bibliografia scientifica, è da tutti ripetuto. Incidentalmente parla di altri errori analoghi e in particolare di quello enunciato da Fraas nel 1867 sulla formazione attuale del petrolio sulle rive del Mar Rosso. Il quale diede origine alla teoria della distillazione di organismi sepolti a piccola profondità, che fu da molti accettata senza discussione e senza indagarne la origine. Paxta:s'elli D. — Storia geologica delVArno. (Boll. Soc. Greol. ital., Tol. XIX, fase. 3®, pag. 419436). — Roma, 1900. Esposte le teorie dei suoi predecessori sull’antico corso dell’Arno, da tutti ritenuto diverso dall’attuale, l’autore è di parere che tale studio debbasi divi- dere nelle quattro sezioni del fiume e cioè : dalle origini di esso sino ai din- torni di Arezzo ; da questi all’incontro con la Sieve ; nella conca fiorentina ; nel tratto inferiore da Montelupo al mare. Sulla prima sezione tutti sono d’ac- cordo, ma alla foce della Chiana incominciano le divergenze, le quali si mani- festano anche nella conca di Firenze per cessare indi nel tratto inferiore, nel (^ualè la storia del fiume è posteriore al pliocene e presenta nulla di parti- colare. L'autore della presente nota, riassunte le argomentazioni dei suoi prede- cessori e discutendo le conclusioni a cui queste conducono, dopo una serie di considerazioni risolve il problema nel modo seguente : 1® Pliocene antico ; le acque dei monti circostanti alla conca fiorentina si raccolgono in essa e trovano una uscita al mare diversa dall’attuale; la Sieve raggiunge l’Arno superiore nella conca aretina e insieme versano in mare oltre Foiano, passando per la foce di Chiani e fra Arceno e Montalto per la Val d’ Ambra. 2® Pliocene recente e quaternario antico ; il mare ritirandosi nei confini attuali, la foce d’ Ambra è chiusa e l'Arno si protende sino al Tevere per il Paglia. 3° Quaternario re- cente : la Sieve superiore si apre una via nella conca fiorentina e questa trova il suo sfogo per la Gonfolina, correndo al mare secondo l’alveo attuale ; il corso inferiore della Sieve si inverte ed assorbe l’Arno superiore che abbandona il tratto a valle della foce di Chiani, il quale diventa la Chiana affluente del Te- vere. 4® Periodo attuale: la parte superiore della Chiana inverte il suo corso e sbocca in Arno, il quale con i propri detriti prolunga in basso il suo sino alla foce attuale nel Tirreno. Conchiudesi che gli avvallamenti nei quali l’Arno scorre attualmente, salvo l'ultimo tratto, erano già delineati prima del pliocene; ma il fiume nel tratto — 348 — Arezzo-Montelupo non scorse sempre nella stessa direzione, e che l’attuale as- setto idrografico del suo bacino è conseguenza di una serie di cambiamenti successivi dal principio del pliocene insino all’epoca attuale. Parona C. P. — Sopra alcune riidìste senoniane delV Appennino meridionale. (Memorie E. Acc. delle Se. di Torino, S. II, Yol. 50, pag. 22, con 2 tavole). — Torino, 1900. La esistenza di orizzonti senoniani nella serie cretacea dell’ Appennino me- ridionale, potente di oltre mille metri, era bensì ammessa da diversi autori ma finora non era stata da alcuno accertata con argomenti paleontologici. Ora l’au- tore del presente lavoro, avendo potuto esaminare le collezioni raccolte durante la costruzione della ferrovia Yapoli-Poggia dall’ing. Salmojraghi e altri e, più di recente, in diversi punti della provincia di Campobasso dal prof. Bassani,^ vi riconobbe molte forme appartenenti a piani pre-senoniani, delle quali ren- derà conto in altro lavoro, insieme ad altre decisamente senoniane e delle quali tratta nel presente, descrivendole e figurandole nelle tavole annesse. Esse sono: Hìppiirites cormicopiae Defr., H. Lapeironsei Gioldfuss, H. colliciatns S. P. IVood, H. radìosns Des Moni., Sphaeriilites cylindraceiis Des Moni., Spìi. Morioni (Mant.), Spìi. f. ind., Lapeiroiisia Joiianneti (Des Moni.), Bonrnonìa Boiirnoni (Des Moni), B. cfr. B. ingens (Des Moul.) e Biradiolites apnliis n. f. raccolta nelle Murgie baresi e figurata da E. Virgilio nella sua Geomorfogenia della provincia di Bari (Trani, 1900) di cui diremo in seguito. Pelloux a. — Sulla wulfenite di Oennamari in Sardegna. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. Y, 2® sem., pag. 13-17). — Eoma, 1900. Questo minerale, segnalato per la prima volta dal Bornemann (1898) nel filone di piombo di Sant’Antonio di Gennamari, ricordato più tardi dal dottor E. Tacconi insieme a quello del Sarrabus, da lui studiato, e a wulfeniti di al- tre località italiane (vedi più avanti), non era ancora stato studiato da alcuno, il che vien fatto ora dall’autore su campioni provenienti dal filone di Crabu- lazzu presso Gennamari, composto di galena e cerussite con ganga di quarzo ed ossidi di ferro. La v^ulfenite, ivi accompagnata alla piromorfite, è in cristalli che misu- rano da mm. 0,5 a mm. 2 di lato, di colore giallo e lucentezza adamantina. Le forme trovate dall’autore sono in numero di cinque e il maggiore sviluppo è 349 — della piramide (101). Il carattere più interessante di questi cristalli è quello della emimorfia, carattere che sino ad ora non venne riscontrato in wulfeniti italiane. iS'egli esemplari esaminati mancano completamente cristalli di aspetto si- mile a quelli del Sarrabus; le due località sarde vengono così insieme a for- nire una discreta quantità di tipi, pure presentando un numero limitato di forme semplici. Peola P. — Flora del Tongriano di Bagnasco, Nuceto, ecc. (Ei vista ital. di paleontologia, Anno YI, fase. II, pag. 79-88). — Bologna, 1900. L’autore, dopo avere ricordato gli autori che si occuparono delle filliti di Bagnasco, Yuceto. Ceva, Dego, Cosseria e Grognardo, località che formano il lato più meridionale del bacino terziario del Piemonte, in questa nota dà la de- scrizione delle filliti già descritte nel 1865 dal Sismonda nei Matériaiix polir servir à la paléontologie da Piémont, non che di quelle rinvenute posteriormente nelle località su accennate. Delle 40 specie riconosciute in questa plaga, che rappresentano il tongriano della parte meridionale del bacino, quattro sono proprie di queste località cioè; Caìamopsis Bruni Peola, Paluirns Sismondanns Heer, Phijllites reticiilatus Heer e Apeibopsis hexacarpelìis Peola. Delle altre 36 specie, 5 furono trovate nel- Teocene; 31 neH’oligocene, delle quali 5 sono esclusivamente oligoceniche; 28 nel miocene, delle quali 3 sole esclusivamente mioceniche, e 6 sole nel pliocene. Si ha così una flora decisamente oligocenica e che presenta molte analogie con le flore oligoceniche della Svizzera. Il clima vi appare temperato caldo, e il terreno è ritenuto anche dal Sismonda di origine fluvio-lacustre. Peola P. — Flora toiigriana di Pavone F Alessandria. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XIX, fase. 1”, pag. 36-62). — Eoma, 1900. Fra gli strati marnoso-arenacei che costituiscono la collinetta di Pavone d’Alossandria l’autore scoprì un giacimento di filliti, di cui fece ampia raccolta, enti-o un banco di calcare marnoso azzurrognolo che si trova fra una forma- zione di marne azzurre ed altro banco di conglomerato ben cementato. Gli uni e gli altri presentano rotture e spostamenti locali e l’autore per queste condi- zioni litologiche li riferisce al tongriano, del che trova la conferma nella na- tura delle filliti che passa a descrivere. Delle 78 specie raccolto 5 sole sono nuove cioè: Piniis quadri follata, Abies — 350 — Piccottii, Ahiesf, Bamhusa alexandrina, Weinmania tetrasepala e di esse sono date le figure nel testo. Delle specie note 11 appartengono all’eocene, delle quali 5 \i sono esclu- sive; 47 sono oligoceniche e di queste 12 pure esclusive di quel piano. Per il numero rilevante di queste specie più antiche l’autore non esita ad ascrivere questa flora al tongriano ; e lo confermano in questa determinazione i pesci trovati nelle filliti e studiati dal Bassani. Per il confronto coll’ habiiaf delle specie odierne corrispondenti, l’autore ritiene che si tratti di una flora di clima temperato, ben diversa da quella di Bagnasco, IN'uceto, ecc. ove primeggiano specie di clima piuttosto caldo. Peola P. — Flora dell’ eocene piemontese. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. 3^, pag. 535*548). — Roma, 1900. L’autore, notata la scarsità delle filliti eoceniche nel Piemonte, cita le lo- calità di Pietramarazzi presso Alessandria e di Gassino come quelle che ne diedero una discreta quantità e le descrive in questa nota. Accenna prima alle alghe indicate dal Sismonda e dal Sacco nei calcari e nelle argille eoceniche sulla cui determinazione sono ancora incerti gli scienziati, e passa a descrivere le filliti di Pietramarazzi che si riducono a 6 forme di Choiidrites e a 2 di Bos- tricophijtoH, che probabilmente appartengono al Liguriano. Passa poi alla de- scrizione delle filliti di Gassino raccolte dal Roasenda. Sono 17 forme, delle quali espone un quadro dal quale appare che le piante di Gassino, benché non presentino carattere spiccato per scopo cronologico, pure accennerebbero piut- tosto al miocene. Ma esclusa per lo studio dei pesci fatto dal Bassani (vedi Bihl. 1899) l’età miocenica, si ha una prevalenza nelle forme dell’eocene su quelle del miocene e l’autore si mostra propenso ad ammettere con altri l’età eocenica del calcare di Gassino. Il carattere della flora indica un clima temperato o temperato caldo. PiOLTi G. — Sopra una macina romana in lencofefrite trovata nei dintorni di Rivoli {Piemonte). (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXY, disp. 2% pag. 90-93). — Torino, 1900. Tra Rivoli e Yillarbasse fu rinvenuta una macina romana di leucotefrite, della quale l’autore descrive i caratteri petrografici, che collimano perfetta- mente con quelli della leucotefrite trovata nel sottosuolo di Torino e descritta dal Colomba (vedi Bihl. 1899). Lo stesso autore ha potuto esaminare alcuni — 351 — frammenti di ima macina proveniente dagli scavi di Roma ed esistente nel Museo archeologico di Torino ed ha potuto constatare che essa è dell’identica roccia della macina di Rivoli. La leucotefrite è una roccia caratteristica delle regioni circostanti ai Yul- cani Cimini e quindi l’autore crede si possa ammettere vi fossero fabbriche di macine in queste regioni dove anche ora esistono cave di leucotefriti, le quali probabilmente venivano esportate anche in lontani paesi. PoRTis A. -- Osservazioni stratigrafiche a proposito di alcune lave delle vi- cinanze di Roma. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. 1°, p. 65-110). — Roma, 1900. Sono osservazioni molto particolareggiate fatte dall’autore alcuni anni ad- dietro nella regione a Sud di Roma, specialmente lungo le vie di Castelpor- ziano, di Pratica e di Ostia, e che ora egli raccoglie e produce nello intento di stabilire la contemporaneità o la successività di colate di lava vicine e la relazione di esse coi depositi tufaceo-fossiliferi coi quali si vedono in contatto più o meno immediato. Di siffatti terreni egli dà una serie di sezioni, che descrive e discute ampiamente, e cioè : a) della collina di Decima Yecchia, con tufi diversi, argille con fossili marini, sabbie gialle e ghiaie ; h) del monte detto della Caccia, con argille con o senza fossili in basso, cui si sovrappone un tufo granulare nettamente stratificato; f) e ^/| alla Torre dei Cenci presso il Malpasso, con argille fossilifere e tufi; e) nella valle di Malafede, con tufi e argille diverse dalle precedenti; /) presso il Casale di Mezzavia, con ghiaie analoghe a quelle sopraindi- cate e sabbia gialliccia argillosa con foraminifere ; g) altra cava di fronte alla precedente, con tufi svariati stratificati e ghiaietto silicee; ed altre molte sezioni che qui sarebbe troppo lungo di enumerare, tutte dal più al meno con materiali uguali od analoghi fra di loro, e sui quali l’autore istituisce numerosi confronti, discutendo anche le opinioni espresse da altri os- servatori, con i quali egli non è intieramente d’accordo. L’autore conchiude per la contemporaneità di tutti quei terreni, che si sa- rebbero depositati in una zona costiera sommersa sotto un non alto strato di acqua, con interv'ento di azioni chimiche e vulcaniche assai intense, le quali spiegherebbero anche la scarsità degli organismi animali, limitati quasi unica- mente ai banchi argillosi formatisi in acque meno agitate. — 352 — In quanto alle lave di Mostacciano, di Casale Brunori e della Selcetta, esaminate pure dall’ autore, occuperebbero una posizione corrispondente a quella di un tufo argilloide stratificato ad impronte vegetali visibile nella valle di Berna, col quale sarebbero coetanee, e quindi immediatamente successive alle ghiaie o alle argille con fossili marini. iSTe viene, secondo l’autore, la con- seguenza che tutti i membri delle sezioni studiate, comprese le lave, sono con- temporanei ed appartengono al pliocene superiore, surrogantisi gli uni con gli altri nelle varie località, analogamente a quanto egli aveva già enunciato in altri lavori. PoRTis A. — Di una formazione presso la Basilica ostiense di Roma e degli avanzi fossili vertebrati in essa rinvenuti. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. pag. 179-240). — Eoma, 1900. Per la prosecuzione dei lavori per il grande collettore di sinistra del Te- vere a valle di Roma, si dovette eseguire un imponente scavo nel cosidetto Monte di San Paolo, dietro la basilica omonima, dove passa stentatamente la via per Ostia e dove, lateralmente ad essa, dovrà passare il detto collettore. Si ebbe così agio di vedere una sezione di ben 37 a 38 metri di altezza, in corrispondenza del piede di detto monte, dalla quale fu messo in evidenza che la parte profonda, cioè inferiore al livello del piano tiberino, constava degli stessi materiali di quella che era scoperta, cioè di strati variamente potenti di un tufo vulcanico giallo con scorie nere, concordantemente e orizzontalmente stratificati e sovrapposti sino al vertice del colle. Questi tufi sembrano riposare sopra delle sabbie gialle e si. può arguire che essi siano andati a depositarsi sovra una spiaggia sottile marina assai ricca in sabbia e ghiaia. Più in alto essi mutano di tinta e di coesione e contengono avanzi organici, specialmente di grandi mammiferi terrestri. Appena oltrepassato il campanile di San Paolo vedonsi, addossate e so- vrapposte al tufo, altre formazioni più giovani e sempre più elevate, sino a depositi di ben altra origine, natura e fossili. Incomincia la serie un deposito argilloso formatosi a spese del tufo sottostante, poi tufi vaili più o meno argilloidi, indi argille diverse, talora torbose, sino quasi alla superficie attuale del suolo ; il tutto disposto a forma di bacino, del quale l’autore dà una inte- ressante e particolareggiata sezione, insieme con lo studio dei fossili rinvenu- tivi. Questi importanti avanzi appartengono specialmente a tre gruppi, e cioè rettili, uccelli e mammiferi. I primi non sono rappresentati che da chelonii palustri, in sufficiente ab- — 353 — bondanza^ ma appartenenti ad una sola specie, Emys orhicularis Linn. Tra gli uccelli, i cui avanzi esigettero un lungo e paziente lavorp di spoglio e di ri- costruzione, predominano i palmipedi, ma vi sono rappresentati eziandio i tram- poli’eri, i conirostri, i rapaci notturni ; l’elenco delle ossa, più o meno sicura- mente attribuite a specie diverse di uccelli, ammonta a 145, rappresentanti ben 40 specie. I mammiferi infine appartengono ai carnivori, fissipedi, insettivori, proboscidei e artiodattili ruminanti, con 11 specie in totale. Dalla natura di questi avanzi, dalla costituzione e conformazione dei ter- reni attraversati dal collettore, o visibili nelle vicinanze, T autore concbiude trattarsi di una formazione palustre entro un bacino limitato dal tufo giallo sopradetto. Egli rifa quindi colla scorta degli indizi raccolti, la storia di questo bacino scoperto nei pressi della basilica di San Paolo, ma che si estende ampiamente verso sud, dove fu riconosciuto per oltre due chilometri di lunghezza, lungo la via Ostiense. In quanto poi al livello geologico di tutta questa formazione, basandosi specialmente suH’avifauna in essa contenuta. Fautore è di parere che si tratti del piano siciliano. Rexevier e. — Etiide géologiqiie dii tunnel dii Sùnplon. (Bclogae Greo- logicae Helvetiae, Tol. TI, n. 1, pag. 31-34). — Lausanne, 1900. L’autore, presidente della commissione consultiva incaricata di organizzare e dirigere gli studi geologici da farsi nel tunnel del Sempione e suoi dintorni, espone il programma degli studi progettati e già in via di esecuzione. Esso comprende : 1® Le osservazioni geotermiche, cioè temperatura dell’aria e umidità alFesterno e all’interno, le sorgenti, la temperatura del suolo esternamente ed internamente. 2® Osservazioni tettoniche. 3® Lo studio delle roccie del tunnel con analisi macroscopiche, micro- scopiche, chimiche e meccaniche. 4® Collezione di campioni di roccie destinati in dono agli Stati ed ai comuni che hanno sovvenzionato il traforo del Sempione, e alla vendita. 5® Publ)licazioni, che comprenderanno oltre i rapporti mensili, anche una monografia geologica del tunnel e della regione circostante, con carta geo- logica, per la quale si sta preparando dall’Ufficio topografico federale la base topografica alla scala di 1 : 25000 per gli studi geologici sul terreno. 23 - 354 — Richter E; — Geomorpliologische Untersuchnngen in den Hochalpen. (Erganz. 132 zu Petermaniis Mitteilungen, pag. 104, con 6 tavole). — G^otha, 1900. Il circo (Kahr) è la forma di erosione caratteristica per quelle porzioni del terreno che sono al disopra del limite delle nevi perpetue (dove piccola o nulla è l’azione delle acque correnti), dovuta all’azione erosiva delle nevi e dei ghiacci combinata colla loro azione di trasporto. Secondo l’autore però il circo presuppone una cavità od avvallamento iniziale del terreno che le nevi ed i ghiacci ingrandiscono e modellano ulteriormente. IS'elle Alpi tali cavità iniziali devono essere state create da un sistema idrografico preglaciale : un’oscillazione climatica ha portato il terreno così preparato al disopra dei limiti delle nevi perpetue, ed i circhi hanno potuto avere origine. Perchè un circo possa svi- lupparsi è pure necessario che il pendio non superi un certo limite che l’au- tore stabilisce in 31® sulla base di molti esempi. Stabilite con lunga e minuta discussione le condizioni ed il modo di for- mazione dei circhi, l’autore passa a dimostrare come questi siano la forma ele- mentare dell’alta montagna alpina e come servano a spiegare tutte le forme caratteristiche di quest’ultima : le creste, i picchi, i bacini lacustri di erosione, la forma longitudinale e trasversale delle valli ; come con esse si riesca a deter- minare il limite inferiore delle nevi perpetue durante le espansioni glaciali quaternarie nelle regioni marginali alpine ed in quelle interne. L’autore a questo scopo passa in rassegna le varie parti della catena alpina, e trova che il limite altimetrico delle nevi nelle Alpi orientali settentrionali doveva scen- dere nell’epoca glaciale fino a 1200 m., nelle centrali fino a 1500-1600 m., ma in quelle occidentali ritiene che superasse i 2000 m. Rimatori C. — Sulle C abasiti di Sardegna e della graniilite di Striegan nella Slesia. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 4®, 2® sem., pag. 146-151). — Roma, 1900. In uno studio sulla granulile della Maddalena l’autore, insieme con altri minerali accessori, rimarcò la presenza di una zeolite di colore giallo e splen- dore resinoso, della quale egli si occupò in modo speciale, incominciando col farne l’analisi chimica, che diede i risultati seguenti: SiOg == 48.66; AUOg = 18.32; = 2.18; CaO = 5.47; Xa^O = 4.64; K„0 = 1.56; H^O = 19. 17. Tale composizione è molto prossima a quella della cabasite tipica, cui corrispondono anche la densità ed i caratteri cristallografici del minerale. — 355 — Questa granulite di Sardegna presenta grandi analogie con quella di Strio- gai! nella Slesia, la quale pure contiene della cabasite cristallizzata in romboedri e avente composizione assai prossima alla precedente. L’autore esaminò pure la cabasite, che insieme con altri minerali il Lo- visato segnalò tempo addietro nel tufo vulcanico antico di Montresta (Oristano) ove si presenta in limpidi romboedri, grossi fino ad un centimetro cubo. L’ana- lisi chimica diede per essi : SiOg = 47. 93 ; AlgOg = 22. 51 ; CaO = 6. 27 ; =. tracce; K^O = 2.96; H^O = 19.68. Il medesimo minerale fu trovato dal prof. Lovisato nel basalto di Hurri (vedi Bibl. 1897) e posteriormente (ancora inedito) nella porfirite di Capo Marargiu. Eistori G. — Le formazioni ofioliticlie del Poggio dei Leccioni [Serraz- zaiió) ed il filone fra gabbro-rosso e serpentina presso il torrente San- clierino. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XIX, fase. 3°, pag. 677-694). — Eoma, 1900. Tra le masse ofiolitiche della Maremma toscana havvi il gruppo detto di Monte Bufoli, cui si uniscono Serrazzano, Lustignano, Libbiano, Micciano e Querceto, che già il Pilla, il Savi, il Meneghini considerarono come uno dei principali e dei più importanti dal lato geologico e minerario. Le notizie che si hanno intorno a questo gruppo, e in particolare sulla zona che ora si vuole esplorare per ricerche minerarie fra i ruscelli Secolo e Sancherino, permettono all'autore di fare qualche consilerazione comparativa fra questo e gli altri gruppi meglio studiati, e di prendere in esame sf)eciale le roccie costituenti la zona in parola. In linea generale questa regione presenta delle condizioni geologiche e tettoniche analoghe a quelle di Montecatini, con la differenza che vi ha minore sviluppo nei gabbri e aumento nella serpentina propriamente detta ; infatti i primi sono limitati a lenti incluse entro la seconda, o una di queste, forse la maggiore, occupa la regione del Sancherino, mentre un’altra meno estesa si sviluppa sul torrente Secolo, ove fu già aperta una miniera di rame. L’autore passa a studiare il filone cuprifero disposto lungo il contatto del gabbro rosso con la serpentina bastitica o enstatitica o diallagica, o talvolta anche con eufotide in piccoli ammassi lenticolari o dicchiformi, osservando che la mineralizzazione è più notevole là dove i gabbri sono più sviluppati e pre- sentano alterazioni più profonde, e in particolare al contatto fra gabbri amig- daloidi e gabbri basaltoidi, analogamente a quanto avviene a Montecatini. — 356 - Dalle osservazioni fatte deduce clie detti filoni sogliono divenire piu ricchi e potenti in profondità e ciò sino all’incontro colla roccia sedimentaria, il che sta in armonia con tutto quanto è stato detto circa l’origine dei filoni e delle diverse roccie ofiolitiche. Dai pochi saggi e dalle trivellazioni sino ad ora ese- guite, risulta òhe la massa gabbrica presso la sua periferia si adagia sulla ser- pentina da una parte e dall’altra sulle formazioni calcareo-argillose, le quali in apparenza ricoprono tutto il complesso delle roccie ofiolitiche. D’autore conchiude proponendo una serie di lavori di esplorazione allo scopo di rendersi esatto conto delle condizioni di questo giacimento cuprifero, il quale darebbe speranze fondate di poterne iniziare con profitto una regolare lavorazione. Riva C. — Sul metamorfismo subito dai gneiss a contatto coi porfidi quarziferi nelle vicinanze di Porto Ceresio {Lago di Lugano). (Eend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXIII, fase. II-III, pagina 146-151). — Milano, 1900. Ricordati parecchi degli autori che si occuparono della geologia e petro- grafia del bacino di Lugano, l’autore rileva che sono poche le notizie che si hanno sulla natura degli scisti cristallini a contatto dei porfidi, e perciò di essi appunto tratta in questa nota. Egli dapprima descrive le roccie massiccie dei dintorni di Porto Ceresio, che sono : granititi., porfidi quarziferi granofiri e porfidi quarziferi felsofiri. Le granititi affiorano specialmente a Brusimpiano e fanno passaggio gra- duale ai porfidi quarziferi granofiri, che a Porto Ceresio si presentano nella varietà a grana grossolana. I filoni che attraversano gli scisti cristallini sono a grana fina e si osservano lungo il lago. Era Boarezzo e il Tedesco, e all’alpe di Monte Casolo si incontrano i por- fidi quarziferi felsofirici. I così detti porfidi neri, che sono assai mono acidi dei rossi, furono erut- tati prima di questi. In essi non si può agevolmente stabilire con esattezza una suddivisione, specialmente in causa della loro grande alterazione. Yi si potrebbero poi distinguere vari periodi di effusione come opinò l’Harada. Accennato all’età attribuita da vari autori agli scisti cristallini del bacino luganese, l’autore si occupa solo di quelli arcaici che comprendono i filoni di porfido nelle adiacenze di Porto Ceresio dove si verificano i fenomeni di con- tatto. Essi sono gneiss minuti scuri, a due miche o gneiss filladici più o meno ricchi di felspato e che talora si avvicinano ai micascisti. — 357 -- L’autore vi distingue uno gneiss normale e uno gneiss di contatto. Egli si trattiene specialmente a descrivere le roccie presso Brusimpiano a immediato contatto coi tipici porfidi quarziferi. Il loro metamorfismo non è molto intenso; vi si riconosce ancora la natura scistosa della roccia normale e, secondo la nomenclatura proposta da Salomon, chiama questi scisti col nome di gneiss di contatto ad andaliisite. Essi sono gneiss minuti finamente scistosi, compatti, a straterelli pieghet- tati ora chiari, formati di quarzo e talora di felspato, ora oscuri con prevalenza di biotite e di andalusite. A questi minerali si aggiungono l’ortose, l’albite, Toligoclasio, il corindone, il rutilo, lo zircone, l’apatite, il pleonasto e la tormalina. I gneiss di contatto sfumano gradatamente nei gneiss normali, l’ andalusite si fa sempre più scarsa, scompaiono lo spinello ed il corindone ; solo la biotite appare ancora di nuova formazione fino a che la roccia assume a qualche di- stanza la struttura e composizione normale. L'autore paragona i fenomeni descritti a quelli prodotti da un massiccio granitico sugli scisti a contatto di esso, essendo assai probabile che .i porfidi granofirici passanti alle granititi che affiorano fra Porto Ceresio e Brusim- piccolo nella loro varietà a grana grossolana, siensi solidificati in profondità ; cosi spiega il metamorfismo esercitato da queste roccie sugli gneiss circostanti. Xella maggior parte dei casi gli scisti a contatto coi filoncelli di porfido non presentano fenomeni di metamorfismo e se presso alcuni di essi si osser- vano dei gneiss ad andalusite, non si può escludere che in questi casi la causa del metamorfismo sia da ricercarsi nella massa eruttiva sottostante non venuta a giorno. Piva C. — Sopra due sanidinìti delle isole Flegree, con alcune conside- razioni inforno alP impiego di liquidi a noto indice di rifrazione per la cleterniinazione dei minerali componenti le rocce. (Bend. B. Aco. dei Lincei, 8. A", A"ol. IX, fase. 5 e 6, 2° sem., pag. 170-176 e 206-200). — Berna, 1900. — Idem. (Bivista di min. e crist. ital., Yol. XXYI, fase. I a lY, pag. 21-34). — Padova, 1901. Per lo studio mineralogico degli elementi componenti alcune roccie della regione Elegrea, e specialmente per i felspati, avendo l’autore impiegato con vantaggio liquidi a rifrazione nota, espone i risultati delle ricerche fatte per stabilire il grado di attendibilità che è dato raggiungere con tali liquidi per la — 358 — determinazione degli indici di rifrazione dei minerali e le cautele da usarsi in tale procedimento. Su questo metodo è basata la determinazione dei felspati alcalini di al- cune trachiti della regione Flegrea, e l’autore presenta quella di roccie del- l’isola di Yivara e degli interclusi nel piperno di Pianura e di Soccavo. Da questo studio egli è indotto ad affermare che molte trachiti dei Tari centri eruttivi dei Campi e delle isole Flegree, sono caratterizzate dal contenere felspati alcalini della serie sanidino-sodico-anortose in relazione col carattere alcalino delle trachiti stesse. In seguito sono inoltro descritte la sanidinite di Punta della Lingua nel- l’isola di Procida e quella analoga del promontorio d’ Ischia. PoDRiGUEz F. — Genesi sul giacimento Mendoso del bacino della Niirra. (pag. 18 in-8®, con tavola). — Sassari, 1900. Premesse alcune notizie sulla geologia della regione della jN'urra in Sar- degna fra il Capo Falcone e il Capo Argenterà, l’autore tratta dei filoni me- talliferi della miniera dell’ Argenterà, descrivendo le diverse fratture e disloca- zioni che ivi si presentano negli scisti siluriani, indicando i diversi minerali che si presentano noi filoni ed il modo di comportarsi di essi in rapporto alle fratture stesse. Si occupa poi specialmente della blenda o della galena che costituiscono i minerali utili di quella miniera, esponendo il suo modo di ve- dere sull’origine dei giacimenti, dai quali deduce alcuni criteri sul probabile andamento e la ricchezza di quei filoni metalliferi. È annessa alla nota una tavola di sezioni geologiche. Rosati A. — Le rocce vulcaniche dei dintorni di Pachino (Sicilia). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fapc. 9^ 2° sem., pag. 286-292). — Roma, 1900. In questa nota sono descritti petrograficamente alcuni campioni di basalto raccolti dall’autore nei dintorni di Pachino e che egli distingue in non olivinici ed olivinici, in numero di quattro per ciascun gruppo. Dati i caratteri e le definizioni di ciascuna roccia, l’autore conclude che i basalti di Pachino mineralogicamente si distinguono, come è detto, in olivinici e non olivinici e per la struttura sono sempre completamente cristallini e, in generale, olocristallini porfirici dei due tipi del Siebengebirge e pilotassitico della classificazione di Rosenbusch. — 359 - Eothpletz a. nnd Weber M. — Exciirsion nacìi Sìid-Tirol vom 18 his 25 Septemher 1899. (Zeitschrift der Deut. geol. G-eselL, B. LI, H. lY, Protokolle, pag. 121-129). — Berlin, 1899. È la relazione di un’escursione compiuta da un gruppo di soci della Soc. Geol. tedesca nel Tirolo meridionale a partire dal Brennero, per studiare la serie triasica della Seiser Alp e dello Schlern ed il distretto eruttivo Monzoni- Predazzo. Yi sono indicate accuratamente molte località lungo l’itinerario percorso nelle cpiali si trovano fossili o roccie o minerali caratteristici. Eovereto G. — Illustrazione dei molluschi fossili tongriani posseduti dal Museo geologico della R. Università di Genova. (Atti E. Univer- sità di Genova. Yol. XY, pag. 29-210, con 9 tavole). — Ge- nova^ 1900. Oltre alla descrizione geologica della regione di Sassello e Santa Giustina premessa dal prof. Issel (vedi sopra), l’autore fa precedere all’illustrazione dei fossili di questa regione alcune importanti considerazioni sulle condizioni geo- grafiche e biologiche del litorale tongriano, che hanno conferito alla fauna una fisonomia sua ^^ropria. L'autore riconosce nei primi strati fossiliferi che si formarono la condizione òi invasione marina cominciata attorno ai diversi isolotti rappresentanti le parti più cdte dell’Appennino, con sviluppo di estese zone lagunari litoranee a fauna prettamente salmastra. Seguirono acque, non più lagunari ma poco profonde, ove si svilupparono la più gran parte dei molluschi di fisonomia costiera che l’autore cita in questa memoria. Lo strato a coralli nel bacino di Santa Giustina, e specialmente quelli costituenti i frangenti del Eio del Zimini nel bacino di Sassello, rivelano la formazione di un mare aperto con una tem- peratura media molto elevata, l’assenza di acque dolci e la purezza dell’acqua marina ; dovevano quindi essere spariti i cordoni lagunari litoranei. ^Mancando nell’ Appennino la facies speciale biologica della zona littorale propriamente detta e per esservi assai poco rappresentati i generi che nei mari caldi vivono nella zona delle maree, questa non vi è riconoscibile. Per la presenza di una specie di Lithodomus nel banco di coralli di Santa Giustina, l’autore ritiene che questi si sieno formati a poca profondità: crede quindi che prevalessero la coste rocciose alle spiaggie sottili e la facies litto- rale è rappresentata da conglomerati, da marne arenacee e da altre roccie allo- — 360 — tigene ad elementi grossolani. Tale zona littorale comprenderebbe la zona a laminarie e gran parte di quella a nullipore. A Sassello, contro ai frangenti corallini, scarsi di fossili, si presenta un’argilla marnosa indurita, cbe per la sua facies melmosa e per gli ecliinidi frequenti dimostra una profondità di mare superiore a 100 braccia, corrispondente alla zona archihenthale del Dall. L’autore ritiene appartengano al tongriano superiore i calcari a nullipore di Ponzone, di Spigno, di Visone e d’ Acqui, ma al Museo di Genova mancano di essi fossili determinabili. Allo stesso piano si collega una facies littorale marnosa in poche località fossilifera: fra le quali quella di Tagliolo, di cui vengono citate le specie. Questa facies di mare sottile del tongriano superiore preannunzia l’emersione verificatasi della parte centrale dell’ Appennino ligure durante l’aquitaniano e che porta alla mancanza di questo nella serie dei terreni terziari della Liguria. Tali condizioni di mare e di clima furono favorevoli allo sviluppo dei ge- neri che nei mari tropicali sono o costieri, o salmastri, o coralligeni, e l’autore espone il carattere di questa fauna e i suoi rapporti con quelle dei mari attuali. Da questi egli rileva che in complesso la fauna tongriana ligure, pure avendo uno spiccato carattere tropicale, non si può paragonare con alcuna di quelle attuali comprese in una data provincia o zona geografica tropicale; e ciò per diverse cause complesse, delle quali una delle più importanti è lo spostamento dei centri dei generi avvenuto in epoche geologiche diverse, per cui dovettero essere diverse le vie seguite nelle migrazioni che dovevano avvenire lungo le coste dei bacini marittimi, con comunicazioni cambiate fra un’epoca e l’altra. L’autore espone quindi le cause che possono avere influito sulle modifi- cazioni delle faune e la loro evoluzione dipendentemente da cambiamenti climatici alla superficie, da conformazione di coste, diversità di salsedine, da correnti, ecc. Le rapide modificazioni subite dalla fauna mediterranea nel postoligocene e nel postpliocene, si verificarono con minore intensità nell’Oceano indiano ; si può perciò fare qualche paragone fra la fauna tongriana e quella vivente nel detto oceano, dove l’evoluzione in parte si è continuata con eguale intensità dall’epoca eocenica all’attuale. Per il numero delle, forme speciali al bacino la fauna tongriana ligure, stando alle regole vigenti per le faune attuali, costituirebbe non solo una pro- vincia a parte da quella dell’Europa settentrionale, ma staccata pure da altre meridionali. Però avendo più di metà delle specie un’area sj)ecifica di diffusione che è minore di quella della provincia, l’autore ritiene appartengano ad una sola provincia meridionale. Rileva poi che in questa località è più profondo che in altre meridionali lo stacco con le faune oligoceniche settentrionali. — 361 — Tale stacco lo presenta pure per i caratteri della fauna con le faune set- tentrionali eoceniche. L'area dell’eocene superiore era emersa quando pullulava la fauna tongriana in Liguria : non poteva quindi questa provenire direttamente dalla fauna eocenica, come si verifica nel Ticentino. Si ha quindi una grande quantità di specie locali nella fauna ligure, la quale ha pure caratteri propri rispetto alle affinità che si verificano fra le sue specie e quelle di altri bacini contemporanei, al significato cronologico dei generi, alla presenza o deficienza di alcuni di questi. Questi fatti si rendono manifesti in un quadro sinottico dei molluschi del tongriano ligure citati da Sacco. Rovereto e Bellardi. che l'autore presenta. In esso sono nominate 443 specie del tongriano inferiore e 22 del superiore dell' Ap- pennino ligure, messe a coufronto con quelle dei bacini meridionali del Vicen- tino (73) e di Gaas (39) e con quelle dei bacini settentrionali di Etampes (26). Limbourg (22) e Cassel (21): e ne viene indicata l'estensione cronologica nel- l'eocene. nell'oligocene e nel miocene, risultando che 51 specie si estendono al- Teocene. 97 al miocene, che 17 si continuano nel pliocene e 10 sono viventi. Le specie descritte dall'autore in questa memoria sono 309 senza contare le varietà. Di queste 63 sono nuove ed 11 hanno nome cambiato. Alla memoria è pure annesso un elenco bibliografico e nove tavole dove sono assai bene rappresentate le specie nuove e le altre più importanti. SABATiyi V. — I rnìcaiìi dell Italia centrale e i loro prodotti. Parte I : Vulcano Laziale. (Memorie descrittive della Carta geologica d'Italia. Voi. X. pag. 392. con 10 tavole e Carta geologica). — Poma. 1900. Dopo un'introduzione, che riassum3 il modo di formazione degli apparecchi vulcanici, l'autore pissa alla descrizione topografica. Il Vulcano Laziale, come il Vesuvio, ha un doppio recinto. Il cratere T ascolano o dell'Ai-temisio forma il recinto esterno di 10 chilometri di diametro, col fondo a 500 m. sul mare. Al- l'interno di questo primo cratere si eleva il cono di 51. Albano, alto 450 m., col cratere dei Campi d' Annibaie, e del quale il punto culminante è a 9-56 m. sul mare. La parte occidentale del circuito esterno fu demolita per diverse cause, come la formazione di due bocche eccentriche, in un terzo periodo di attività: lo quali bocche sono attualmente occupate dai laghi di Castel Gan- dolfo (o d' Albano) e di Xemi. Una frattura eccentrica continuò la demoli- zione verso la località degli Squarciarelli. Su questa frattura che l'autore ri- tiene solo probabile, egli discorre in un capitolo a parte, basandosi sull' allinea- — 36:3 — mento di parecchi coni avventizi, su identità di lave lungo il supposto per- corso, ecc. I coni avventizi ancora riconoscibili sono 23 pel recinto esterno e 17 per l’interno, e si trovano situati sopra un certo numero di allineamenti, come ve- desi da una cartina annessa al volume. L’autore nota che al pari dei vulcani deir America centrale, così nel Vulcano Laziale come in quelli di Bracciano e di Bolsena, l’asse eruttivo si spostò verso il mare. Sommariamente sono esposte le varie opinioni sulla formazione di questo rilievo vulcanico. L’autore, colla maggioranza dei geologi, ammette che la serie vulcanica laziale sia quaternaria e continentale, cioè posteriore al ritiro del mare dalla regione, salvo qualche insignificante eccezione. L’ipotesi delle cor- renti fangose che avrebbero dato origine ai tufi litoidi gialli e al peperino di Marino, è combattuta con numerosi argomenti. Se impasto acqueo vi fu, esso fu posteriore all’emissione dal cratere, la quale avvenne in forma di pioggie di ceneri. Dopo una classificazione dei tufi, con considerazioni generali, ne sono riportate le analisi chimiche e riassunte le analisi microscopiche. Segue la descrizione di molte sezioni stratigrafiche, dovute all’autore stesso e ad altri geologi. I materiali eruttati dal vulcano, nella parte ancora esistente e riconoscibile, sono calcolati come superiori ai 200 chil. cubici in cifra tonda (il calcolo del rilievo attuale dette un minimo di 185 chil. c.). Le ultime mani- festazioni eruttive, molto indebolite, furono contemporanee della Roma Reale. Le lave laziali presentano grande uniformità. Salvo poche leucotefriti, esse son tutte leucititi, costituite da leucite, pirossene e magnetite. La melilite è pure abbondante tra le lave del primo periodo (Artemisio) e ad essa si associa la nefelina. La mica è frequentissima in lamelle del secondo tempo ; l’olivina vi è rara e in poca quantità. Le leucititi presentano due forme d’alterazione. L’una è dovuta alle fuma- role di cloruri volatili e si trova perciò predominante presso le bocche erut- tive. La roccia s’inverdisce in un primo stadio, s’ingiallisce dopo e dicesi spe- rone. Il pirossene passa successivamente ad augite-egirina e ad egirina. Qualche granato appare nello sperone. Con l’altra alterazione, posteriore all’eruzione, la leucite si trasforma in tutta la serie dei felspati calco-sodici. Molte leucotefriti non si distinguono ad occhio nudo dalle leucititi e sono termini di passaggio. Tipiche sono le leucotefriti erratiche del Tavolato. Le leuciti vi raggiungono 2 cmc. di grossezza e più. L’haùyna vi si scorge anche ad occhio nudo. Il felspato plagioclasio vi si trova nei due tempi. Yi è pure — 363 - angite, augite-egirina, granato, eco. Un banco di lencotefrite, anche con grosse leuciti, ma senza granato, trovasi sotto Iberni. Oltre le analisi note sulle lave laziali, l’autore ne riporta altre sei eseguite espressamente dall’ing. Aichino nell’Ufficio geologico. In alcune lave presso Civita Lavinia e al lago di Hemi fu rinvenuta la melilite in microliti come a San Yenanzo nell’Umbria. Lunghe discussioni si trovano nei capitoli seguenti sull’origine dei laghi di Castel Gandolfo e di Aemi e su quella del peperino. Le conche di quei laghi rappresenterebbero, ognuna, due crateri successivi intersecantisi. Il peperino fu emesso dal cratere di Castel Gandolfo. Oltre l’accennata cartina delle bocche avventizie, il volume è accompa- gnato da una tavola di sezioni microscopiche a colori, da una Carta geologica, da varie fotografie panoramiche e contiene gran numero di figure intercalate nel testo. Sabatini Y. — De Vétat actnel des recìierches sur les volcans de V Italie centrale. (Compte-rendu du YIII Congrès géol. intern., pag. 866-376). — Paris, 1900. L’autore dà una descrizione sommaria di questi vulcani, e riassume i prin- cipali risultati a cui egli e altri geologi sono giunti finora. Così il modo di emissione dei tufi litoidi, il mezzo in cui si deposero, le formazioni che si tro- vano sotto quelle vulcaniche, la natura delle lave finora studiate, alcune loro alterazioni (formazione dello sperone, trasformazione della leucite in felspato). L'origine dei laghi romani è anche accennata, sopratutto pel cratere di Bolsena (crateri a sfoglie, cratères enihoìtés). Inoltre egli indica nel Cavon grande presso Bagnorea il più bell’esempio finora noto di lamine di erosione (valli a tavoloni, vallées à coiilisses). Sacco F. — Sull'età di alcuni terreni terziari dell Appennino. (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXY, disp. pag. 74-83). — Torino, 1900. Accennato al disaccordo fra geologi e paleontologi intorno all’età della formazione marnoso-arenacea tanto estesa nell’Appennino dell’Emilia, della Toscana e dell’Umbria, l'autore espone in breve l’opinione dei varii autori che si occuparono nell’ultimo trentennio di tali formazioni, non che di quelle riguardanti i terreni marnoso-calcarei, tanto sviluppati specialmente nelle Mar- — 364 — che sotto il nome di bisciaro, schliei\ ganga, ecc. Posto qumdi il dilemma sé tali formazioni sieno da riferirsi al miocene o all’eocene, l’antore per lo studio fatto in varii anni di quelle formazioni è indotto a riconoscere : che le zone fossilifere in questione si trovano tra il cretaceo superiore^ in basso al quale passano gradatamente sia dal punto di vista litologico che tettonico senza salti nè hgatiis e sono talvolta coperti dalla potente formazione del macigno, ricoperto talora da placche di tongriano tipico e sembrano perciò riferibili all’eocene ; 2® Che nelle suddette zone fossilifere si incontrano nummnliti, orbitoidi é fucoidi di tipo eocenico ; 3® che i fossili di dette zone sono mal conservati ed incompleti e quindi spe- cificamente poco determinabili. Osserva poi che molte forme passano dall’eo- cene al miocene con poche mutazioni e talora, anzi, alcune forme inferiori man- tengono i loro caratteri specifici dall’eocene all’epoca attuale. Per queste ed altre considerazioni l’autore ritiene non ancora abbastanza convincenti i responsi della paleontologia sulla miocenicità delle formazioni sud- dette, e perciò fino a prova contraria le considera in generale come eoceniche. Sacco P. — Osservasioni di geologia applicata riguardanti un progetto di derivasione di acqua potabile dal Piano della Mussa a Torino (pag. 20 in-4®). — Torino 1900. Neirintento di potere ottenere dalle sorgenti della Mussa il maggior tri- buto possibile di acque era necessario conoscere bene le condizioni geologiche e idrologiche di quel bacino e l’autore, incaricato di tale studio, ne rende conto in questa relazione. Descrive quindi dapprima dettagliatamente la natura del terreno fluvio- glaciale che riempie il bacino* roccioso della Mussa, dovè si ese- guirono a tale scopo diverse trivellazioni. Da tale esame e da esperienze idrauliche eseguite egli ha potuto constatare che le sorgenti in parola provengono da una zona acquea sotterranea, situata fra i depositi che riempiono il fondo del bacino superiore od occidentale della Mussa ; che tale vena acquea è dotata della notevole velocità di circa 500 me- tri al giorno, ciò che è probabilmente dovuto al corso sotterraneo deH’acqua lungo il fianco sinistro nella zona permeabilissima costituita dagli accumuli franosi e di detrito di falda. L’autore prende quindi in esame la natura del terreno da attraversare col progettato canale di condottura delle acque potabili dal Piano della Mussa lungo la valle della Stura sino a Danzo sulla sinistra della vallata. Scopo pria- 365 - cipale essendo quello di determinare il costo della escavazione in rapporto alla natura, allo stato di conserTazione e alla stratificazione delle roccie, l’autore espone alcune considerazioni generali sulle roccie principali gneissiche, prasi- niticlie e serpentinose che s’incontrano nella regione, e passa quindi in rapido esame le zone rocciose da attraversarsi dal canale stesso. Sacco F. — La valle padana. Schema geologico, (dagli Annali della E. Acc. di Agric. di Torino, Yol. XLIII, pag. 252 in-8°, con Carta geologica). — Torino, 1900. Con questo volume l’autore chiude la lunga serie delle sue memorie sulla pianura padana, cercando di dare un riassunto della sua geologia Premesso un sunto bibliografico, egli divide la materia in due parti. Xella prima passa in rassegna i terreni della pianura dal terziario antico al quaternario attuale ; nella seconda tenta rifare la storia geologica della pia- nura stessa, con speciale riguardo al periodo quaternario. Xeirimpossibilità di dare un sunto dell’esteso lavoro, diremo soltanto che la nomenclatura delle divisioni geologiche è la solita adottata dall’autore. Il pliocene si chiude col Villa fraìichiano, cui segue il quaternario inferiore o Sahariano, diviso in dilnvium e morenico, e il superiore o Terrassiano, indiviso fino al periodo storico. L’autore chiude il lavoro con un cenno sulla comparsa deH’uomo preistorico, sulle vicende storiche dell’ estuario adriatico e sulla idrografia sotteranea. Aella esposizione della molta materia l’autore oltre al riassumere i suoi numerosi studii, li completa con dati di compilazione, modificandone in parte le conclusioni sulla scorta di studii pubblicati da altri. La Carta geologica nella scala di 1 : 800000 è la rappresentazione grafica di tale lavoro di coordinamento, in base alle sopradette divisioni dei terreni. Sacco F. — / molluschi dei terreni tersiari del Piemonte e della Liguria. Parte XXYIII : Lsocardiidae, Cgprinidae, Veneridae, Petricolidae, Cg- renidae e Sphaeridae (pag. 70 in-4°, con 14 tavole). — Torino, 1900. Continuando nella descrizione dei molluschi dei terreni terziari del Pie- monte e della Liguria Tautore descrive in questa parte le famiglie sovraindi- cate. Alla descrizione fa seguito un indice alfabetico, e 14 tavole di figure in eliotipia illustrano le specie descritte. — 366 — Salinas e. — Sopra alcuni mìlìohatidì fossili della Sicilia, (dal Griornale di Se. naturali ed economiche, Yol. XX, pag. 17, con 2 tavole). — Pa- lermo, 1900. L’autore illustra in questa nota due piastre dentarie ed un aculeo di JIij- lìohates e due denti di Ptycìiodns esistenti nel Museo di Palermo, ascrivendo, per i motivi esposti dal Woodward e per certi fatti di natura istologica da lui no- tati, quest’ultimo genere alla stessa famiglia dei miliohatidi. Xon sembrandogli poi che gli esemplari studiati si possano identificare con nessuna delle specie a lui note, l’autore propone in via provvisoria di asse- gnare loro nuovi nomi specifici. Questi nomi però, stante la scarsità del materiale e la mancanza dei ne- cessarii confronti, souo del tutto provvisori!, non credendo l’autore possibile, almeno per ora, una determinazione sicura. Le specie descritte sono le seguenti : Myliohates Gemmellaroi, specie fondata su di una piastra dentaria. Essa non presenta notevoli analogie con altre specie fossili, soltanto forma una specie assai vicina al M. bovina Geof. St. Hil., ma non può identificarsi con essa. Questa piastra fu rinvenuta nel calcare tufaceo di Monte Pellegrino considerato del piano Siciliano. 3Iyliohates erctensis, rappresentato da un frammento di aculeo : fu rinve- nuto a poca distanza dal precedente, ma non trovando analogia con altri acu- lei noti l’autore la propone come tipo di specie nuova. Myliohates siculus . Con tale nome descrive una piastra dentaria superiore della quale dà pure una sezione longitudinale ingrandita a 50 diametri: essa fu rinvenuta nel calcare del miocene medio di Pachino. Pfychodns Carapetiae e P. Cafiilloi. Sono due denti ben conservati che pro- vengono da terreni titonici, contrariamente a quanto si credeva, di considerare cioè questo genere proprio del cretaceo. L’autore li descrive ritenendoli come tipi di specie nuova, pure ammettendo che col progresso degli studii, e dispo- nendo di maggior materiale, possano riunirsi in un’unica specie o riferirsi ad altre già note. Il dente della prima specie proviene dalla contrada Javora presso Yillabate e fa parte della ricca fauna illustrata dal Gemmellaro. L’altro, rappresentato da un dente quasi completo, proviene insieme ad altre specie titoniche da Isnello, dove pure non esiste il cretaceo. Alla nota sono unite due tavmle nelle quali è rappresentato il materiale descritto e né sono dato alcune sezioni tanto in grandezza naturale quanto ingrandite. — 367 — Salle e. — Il caolino dei dintorni della Spesia. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol. XII, pag. 103-106). — Pisa, 1900. Questo materiale, creduto dapprima carbonato di calce terroso e ricono- sciuto come caolino nel 1898, deriva dalla decomposizione della eufotide e tro- vasi in diverse località dei dintorni di Spezia, segnatamente a Montenero, dove è estratto e a Corvara presso il Pignone. È su questo secondo giacimento che l’autore portò la sua attenzione e l’analisi del materiale raccolto gli diede; Si02 = 18,65; A1,03 = 35,20; CaO — 2,79; MgO=0,65; 11,30; il ri- manente (1,11) consiste in ossido di ferro ed alcali. Confrontando i risultati ottenuti con quelli rispondenti alla formola tipica H^SigAlgOg, l’autore conchiude che le impurità dovute ad un piccolo eccesso di silice, a calce, magnesia, ossido di ferro e alcali sono in quantità relativa- mente piccole e conchiude che il caolino di Corvara può considerarsi come un buon materiale industriale. Salle E. — Del calcare niimmulitico della Poggia^ località nei Monti livornesi. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol. XII, pag. 107-108). — Pisa, 1900. Questa località trovasi 8 chilometri ad est di Livorno, su di un colle alto 380 metri sul mare, nel quale sono praticate molte cave di pietra calcarea per la fabbricazione della calce: in essa soltanto l’autore constatò la presenza di calcare nummulitico, non ancora stato segnalato da altri. L'esame microscopico di questa roccia ha mostrato una certa abbondanza di Xiimniiìlites, in minor copia di individui del genere Orhnlina e, in una sola sezione, un unico e bellissimo esemplare di Rotalina. A causa delle piccole dimensioni dei fossili non ne è stata possibile la de- terminazione specifica. Salmojraghi F. — Esiste la Bauxite in Calabria? (Eend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXIII, fascicolo Y, pag. 252-261). - Mi- lano, 1900. Da gran tempo, quasi mezzo secolo, è detto e ripetuto nelle opere speciali che la bauxite trovasi in Calabria, da alcuno persino si asserisce che vi è coltivata, ma nessuno ne indica la località esatta. Ora l’autore si è prefisso di scoprire l’origine di questa persistente affermazione e riconobbe che fu primo — 368 — il Sainte-Claire-Deville, il quale pubblicaudo nel 1861 un lavoro sui minerali alluminosi del mezzodì della Francia (dipartimenti del Gard e del Taro), pre- sentò in un quadro le analisi di cinque di essi, fra i quali uno de la Calabre dove Meissonier, allora ingegnere delle miniere in Marsiglia, la scoperse in masse considerevoli: il fatto poi che quest’ultimo fu realmente in Calabria l’anno prima di quello nel quale trasmise i saggi di bauxite a Sainte-Claire- Deville (1858) e che quest’ultimo cita appunto fra i giacimenti europei del minerale la Calabre, fece pensare che non si trattasse di una località del mezzodì della Francia, ma invece della nostra Calabria. L’autore discute quest’ultima possibilità e conchiude con rescinderla, atte- soché dopo tutti gli studi e le osservazioni fatte e pubblicate sulla geologia della Calabria, ove egli stesso risiedette per qualche tempo, sembragli impossibile che un giacimento di qualche importanza abbia potuto sfuggire. Inclina quindi a credere si tratti della bauxite di Cabasse, località situata in quella zona della Francia meridionale completamente esplorata dal Meissonier, e dove il mine- rale presenta tutti i caratteri di composizione e di giacitura attribuiti a quello di Calabria. Infine lo stesso Meissonier, interpellato dall’autore, ha memoria di avere incontrato per caso la bauxite nell’Abruzzo, sul versante occidentale dell’ Ap- pennino, escludendo recisamente di averla trovata in Calabria. Sembra quindi anche probabile uno scambio di denominazione fra le due regioni italiane. Quest’ultima supposizione è la più verosimile, in quanto che il minerale in questione fu di recente riconosciuto esistere nei monti circostanti al bacino del Fucino. Savornin J. — Observation sur la feiiille de Corte. (Bull, des Services de la Carte géol. de la France, etc., n. 73, T. XI, pag. 131-132). — Paris, 1900. In una ricognizione generale fatta in questa parte interna della Corsica l’autore riconobbe, contrariamente a quanto in addietro aveva asserito l’.Eollande, che il cretaceo inferiore e forse anche il giurese superiore vi esistono in due punti dove finora si indicava l’infralias e l’eocene. Essi si trovano nelle vici- nanze di Omessa, dove il Masseur dieci anni addietro aveva rinvenuto un cal- care con nerinee ed altri fossili analoghi a quelli che in Provenza specificano il cretaceo inferiore. Siffatte osservazioni collimano con quelle fatte in Corsica dal De Stefani e pubblicate negli Atti della E. Accademia dei Lincei del 1892-93. — 369 — Scalza S. — Revisione della fauna postpliocenica delV argilla di Nisseti^ presso Acicastello [Catania). (Atti Acc. G^ioenia di Se. nat., S. 4^, Yol. XIII, Mem. XIX, pag. 26); sunto in (Boll. Acc. Gioenia di Se. naturali, fase. LXIII, pag. 16-17). — Catania, 1900. Le argille di Xizzeti, sottostanti ad antiche formazioni vulcaniche subaeree, furono successivamente studiate da numerosi autori e ritenute ora come plio- ceniche, ora come postplioceniche. Xel 1892 il Wallerant le attribuì al Piacen- ziano e ne dedusse che alle prime eruzioni dell’Etna bisogna assegnare un’età più antica di quanto generalmente non si creda; queste conclusioni furono senz’altro accettate dal Bergeat. L’autore potè studiare accuratamente il giacimento raccogliendo una grande quantità di fossili ed ebbe anche a sua disposizione le collezioni dei professori Aradas e Gravina. In questa memoria egli illustra ben 312 specie: Coralli, Echinodermi, Termi, Molluschi e Cirripedi, riservando per un prossimo lavoro i Eoraminiferi, i Briozoi e gli Ostracodi. Pei molluschi sono estinte solo 1,60 per 100 delle specie, cosicché questo giacimento è certamente più giovane che non quelli di Monte Mario, di Yal- lebiiìja, di Monte Pellegrino e di Eicarazzi: appartiene dunque ad un orizzonte molto elevato del postpliocene. Degna di nota è la mancanza di specie decisa- mente boreali. L’autore conchiude dicendo non essere quindi dimostrato che le prime eruzioni dell’Etna rimontino al tempo della deposizione delle marne subap- pennine. L'elenco delle forme comprende: 2 Antozoi, 4 Echinodermi, 6 Termi, 84 Lamellibranchi, 6 Scafopodi, 7 Anfinenri, 202 Gasteropodi ed 1 Cirripede. ScHAFFER F. — Die Fauna des glaiihonitischen Mergels von M. Brione bei Riva ani Gardasee. (Jahrbuch k. k. geol. Beichs., Jahrg. 1899, H. 4, pag. 659-662, con tavola). — Wien, 1900. I lavori di strade e fortificazioni eseguiti negli ultimi tempi dal Genio militare austriaco nelle vicinanze di Riva sul Garda, hanno permesso la rac- colta di buoni fossili nelle note marne glauconitiche di Monte Brione, e di essi tratta l'autore in questa nota. Promesso un riassunto della geologia del monte, che egli considera come la continuazione settentrionale delle formazioni terziarie di Manerba a sud di Salò, dell'isola di Garda, di Malcesine e di Xovazzo-Ariaso, l’autore dà l’elenco 24 — 370 - delle specie finora ritrovate nelle marne suddette, in numero di 33, e discorre delle quattro di esse che sono nuove, e cioè; Tìiracia Benacensis, Cardita Brio- nensìs e Pecten n. sp. Fra lo specie elencate havvi il Pecten Pasini Mgh. che l’autore dice co- mune ed erroneamente riferito al P. deletiis Micht., il quale, citato da alcuni paleontologi a Belluno, va riferito, almeno in parte, al P. Pasini. In quanto all’età della fauna crede che essa sia da ascriversi al miocene inferiore, analogamente a quanto ha conchiuso il Yinassa per le glauconie di Belluno (vedi Bihl. 1896). IN'ella tavola vedonsi le figure del Pecten Pasini, della Tìiracia Benacensis, della Cardita Brionensis. ScHUBERT B. J. — Der Clavulina-S^aboihorìsont ini oberen Val di Non {Sììd-Tirol). (Yerhandl. k. k. geol. Eeichs., Jahrg. 1900, n. 3^ pag. 79-85). — Wien, 1900. Sino dal 1896 Gtiimbel segnalava la presenza di una fauna a foraminiferi dell’orizzonte a Claviilina Ssahoi al Monte Bidone sul lago di Garda. L’autore ne rinvenne più di recente un’altra analoga nei terreni terziari di Eomallo nella Yalle di Yon in località detta Risolone. La roccia consiste in una marna grigio-azzurrognola e, dai molti fossili che contiene, la si può ritenere coetanea degli strati dell’orizzonte suddetto. L’autore studiò i foraminiferi facenti parte di questa fauna e nel presente lavoro fa noto il risultato dei suoi studi. Le forme esaminate e descritte sono in numero di 53, delle quali 31 già state raccolte negli strati analoghi d'Un- gheria e 7 in quelli contemporanei di Haering. Questa marna della Yalle di Yon sarebbe corrispondente a quella di Ofen in Ungheria ed apparterrebbe quindi alla parte inferiore degli strati a Cl. Szahoi, coetanei degli strati a briozoi di Priabona. ScHEBERT B. J. — Ueber Oligocclnbildimgen aiis dem sìidlichen Tirol. (Yerhandl. k. k. geol. Beichs., Jahrg. 1900, n. 15-16, pag. 370-37*2). — Wien, 1900. Due campioni di marna grigio-azzurrognola raccolti Funo a Cotogna presso Biva e Faltro a Bolognano presso Arco diedero, per lavaggio, 26 forme di foraminiferi il primo e 24 il secondo, le quali farebbero riferire tale oriz- zonte all’oligocene inferiore. L’autore dà l’elenco di tali forme, le quali dime- strano trattarsi di un sedimento di mare profondo per la presenza di specie arenacee imperforate e la assenza della Claviilina Ssaboi : parecchie di esse poi sono specialmente caratteristiche dell’oligocene inferiore d’Ungheria e delle regioni settentrionale e meridionale delle Alpi. Segltenza L. — A’Hippopotamus Pentlandi Falconerà di Taormina. (Atti e Eendiconti della Acc. di Se., Lett. ed Arti degli Zelanti e pp. dello studio, N. S., Yol. X, pag. 8 in-8°). — Acireale, 1900. Trattasi di alcuni avanzi di vertebrati trovati nel 1886 in una grotta situata alle falde della collina su cui ergesi il Castello di Taormina, consistenti in ossa e denti di ippopotamo giacenti nelle ghiaje cementate del quaternario e che fu- rono acquistate dal Museo di Geologia della R. Università di Messina, dove Tautore potè rintracciarli e farne lo studio, riconoscendoli appartenenti alla specie soprai Qdicata. Essi consistono in una vertebra, frammenti di ossa lunghe e di mascellari e molti denti incisivi, canini e molari, i quali vengono descritti in questo lavoro. Seguexza L. — Schizzo geologico del promontorio di Castelluccio presso Taormina (pag. 18 in-8®). — Messina, 1900. L'autore riconobbe la seguente serie stratigrafica in quella interessante località dèi dintorni di Taormina, in base ai molti fossili raccoltivi direttamente o ritrovati nel Museo della R. LLiUersità di Messina, e cioè: 1° Formazione della fillade, ritenuta arcaica ; 2° Sinemuriano, rappresentato da calcari cristal- lini, grigi, giallastri e rossicci con Pecten Helii d’Orb. e varie specie di bra- chiopodi; 3® Sciarmuziano, calcari di colore rosso intenso, finamente cristallini, con crinoidi, denti di pesco e una ricca fauna di brachiopodi che ricorda quella del lias medio dello Rocche Rosse presso Galati; U Batoniano, calcari risul- tanti daU'impasto di numerose pìccole ammoniti con gran numero di crinoidi e Posifloiiomia «//uV/r/ Gras; 5° Oxfordiano, calcari rossi, compatti, con trnnsvernariiis Quenst. e altri grossi cefalopodi; 6® Kimrneridgìano, calcare rosso come il precedente ma con fauna che corrisponde a quella della zona ad Aspidoccras acanthicuni Opp., sj)ecialmonte ammoniti, cui si associano belemniti, brachiopodi, lamellibranchi e pesci elasmobranchi ; Titonico, calcari saccaroidi di vario colore, con denti di Splieiiodiis, qualche rara ammonite e numersi bra- chiopodi; 8'^ Cretaceo superiore, calcare marnoso violetto con rari denti di pesce; 9*^ Eocene superiore, scisti e calcari marnosi, con straterelli di limonile e rari fossili della classe dei pesci che ne stabiliscono nettamente l’orizzonte ; 10° Qua- ternario, panchina costituita da ciottoli cementati con pochi lamellibranchi ri- feribili a quest’epoca; 11° Recente, pochissimo rappresentato. IN'uove specie, specialmente di pesci, furono rinvenute nello Sciarmuziano e nel Kimmeridgiano. Sequenza L. — Nuovo lembo del Lias inferiore nel Messinese. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XIX, fase. 1"^, pag. 62-64). — Roma, 1900. È rappresentato da un calcare nero, finamente cristallino e compatto nella contrada Grotto presso Santa Teresa di Riva in circondario di Castroreale, la quale da G. Seguenza (1885) e da L. Baldacci (1886) è stata indicata come lembo del lias medio il più distante dal centro giura-liasico di Taormina; ed infatti come tale la dimostravano i caratteri litologici della roccia costituente ed i pochi fossili ivi trovati e determinati. Scendendo però al piede della col- lina, al disotto degli strati del lias medio, sporge il calcare di cui sopra con Pecten, che l’autore riconobbe come P. Hehlìi d’Orb. e P. Di Blasii Di-Stef. caratteristici del lias inferiore messinese, con stratificazione concordante a quella del lias medio soprastante. Sequenza L. — I vertebrati fossili della provincia di Messina. Parte 1^: Pesci. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XIX, fase. 3^ pag. 443-520, con 2 tavole). — Roma, 1900. Tra i vertebrati fossili esistenti nei terreni del Messinese i pesci occupano per certo il primo posto, ed è appunto la loro descrizione che l’autore si pro- pone di fare in questa prima parte della sua monografia, a complemento e ret- tificazione di quanto ne pubblicarono i precedenti autori, in base alle moderne vedute paleoittiologiche che hanno variamente cambiato Tantica classificazione e nomenclatura. Premesso un copioso elenco bibliografico sull’argomento, l’autore tratta della distribuzione stratigrafica delle specie nei diversi terreni, dal carbonifero al pliocene: passa quindi alla descrizione delle forme studiate, esponendone la sinonimia, i caratteri principali, la località, il giacimento e l’età. Esse sono in numero di 40, delle quali tre nuove, appartenenti per 32 ai Selachii, 2 ai Ga- noidi e 6 ai Teleostei ; delle specie nuove 2 appartengono al lias medio, la terza al Kimmeridgiano. Delle forme plioceniche poi, in numero di dieci, l’autore ne riconobbe alcune tuttora viventi e che erano state già riferite a specie estinte. Inoltre, con un accurato studio sulle diverse forme di denti, egli ha potuto riunire in una sola specie individui che prima si ritenevano appartenenti a specie diverse. IS'elle tavole unite sono figurati i denti e qualche vertebra di 28 fra le specie descritte. Semmola e. -7 La pioggia ed il Vesuvio nel maggio 1900. (Rend. Acc. Sc.fis. e mat.,S. 3% Yol. yi,fasc.8«a 12*^, pag. 232-236). - Napoli, 1900. — Idem (Nota 2*'^) in (Boll. Soc. sismologica italiana, Yol. YII, n. 4, pag. 139-150). — Modena, 1901. È una confutazione alla opinione espressa dal dott. De-Lorenzo (vedi più sopra. Sulla probabile causa., ecc.) circa la causa del temporaneo ridestarsi del Yesuvio nella prima decade del maggio 1900, che questi attribuisce all’acqua di pioggia, adducendo a prova la fugacità del fenomeno e quindi la superficia- lità della causa stessa. L’autore combatte con argomenti diversi questa teoria, st ibilendo un confronto fra le epoche di maggiore o minore attività del vul- cano con la quantità di pioggia caduta nei mesi precedenti e dimostrando la nessuna correlazione fra i due fatti ; infirma pure l’idea che esista un rapporto qualsiasi fra il Yesuvio e le acque superficiali nei dintorni del vulcano, in (piantochè Tabbassamento di livello 0 la scomparsa delle acque nei pozzi sa- rebbero dovuto a fenditure causato da scuotimenti del suolo che d’ ordinario precedono le grandi eruzioni, per cui l’acqua si disperde nel sottosuolo. Nella nota seconda sopraindicata l’autore, dopo avere riprodotta integral- mente la 1% vi aggiunge altre considerazioni per ribattere un secondo lavoro del De-Lorenzo (vedi più sopra. Influenza dcir acqua, ecc.) sullo stesso argo- mento, scritto in seguito al nuovo risveglio momentaneo del Yesuvio verifica- tosi nel novembre 1900 e che egli attribuisce del pari alle pioggie autunnali. L’autore conchiude che l’acqua necessaria alla funzione vulcanica non dove provenire dalla superficie, ma bensì da grandi profondità dove, penetra- tavi per vie ignote, si troverebbe in condizioni assai più vantaggiose per lo sviluppo della sua atthdtà. Silvestri A. — Sull esistenza dello zancleano nell Alta Valle Tiberina. (Bend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. IX, fase. 1®, 2° sem., pag. 17-20). — Roma, 1900. Facendo seguito ad una sua nota sopra Una nuova località di Ellipsoidina ellipsoides dello vicinanze di Sansepolcro in Toscana (A^edi Bibl. 1899), l’autore — 374 — risponde con la presente ad una critica mossagli dal De Stefani (vedi Bihl. 1899, De Stefani e IN'elli) osservando che egli nelFattrihuire allo zancleano quel lembo di terreno, è stato guidato unicamente da elementi faunistici ed aggiungendo un fatto nuovo, di carattere paleontologico, relativo ad una forma di Glaiiclnìina che egli”latiene nuova e che chiana Ellipsoglandnlìna laevìgata, es'ernamente simile alla Gl. laevigata d’Orb., ma diversa nella struttura interna. Ora questo nuovo genere e specie della marna di Sansepolcro l’autore trovò soltanto nei truhi della formazione solfifera siciliana, rappresentanti dello zancleano, la cui esistenza nell’alta valle del Tevere sarebbe perciò confermata. Ribatte infine l’asserzione dello stesso De Stefani che questo livello ap- partenga ad una plaga di mare assai profondo del miocene medio, anziché al piano più antico del pliocene del pari formatosi in acque profonde. Silvestri A. — Biloculina (xuerrerii nuova specie fossile siciliana. (Boll. Acc. (jrioenia di Se. nat., fase. LXIY, pag. 19-29). — Catania, 1900. Questa nuova forma di foraminiferi trovasi frequente nello argille turchine del miocene medio della contrada S. Diovanni presso Caltagirone, la cui fauna protistologica apparisce per ora costituita da 71 specie, di cui l’autore dà l’e- lenco, delle quali 15 sono nuove o poco note. Xella presente nota è descritta e figurata la B. Giierrerii forma prossima, nei caratteri esterni, alla B. Milne-Edwurdsi Schlum. e alla B. hracligodontà Forn. Silvestri A. — Sul genere Ellipsoglandulina. (Atti Acc. Zelanti di Acireale, Yol. X, pag. 8, con tavola). — Acireale, 1900. Xuovo genere di foraminiferi del neogene italiano aventi la struttura in- terna delle ellipsoidine e l’aspetto esterno delle glanduline, con una sola specie, la E. laevigata. Questa fu rinvenuta dall’autore nel terreno zancleano dei din- torni di Caltagirone e di Termini Imerese in Sicilia, e in quelli di Sansepolcro in Toscana, insieme con la Ellìpsoidina ellìpsoides. La nuova specie è assai variabile nell’aspetto esterno ed ha spesso l’asse curvo anziché rettilineo. L’autore studia i rapporti di affinità del suo nuovo genere con altri già stabiliti, e cioè coi generi Gromìa^ Lagena, Nodosaria. Glandiilina ed Ellipsoidinà creando altri generi intermedii. Xelle tavole vedonsi le forme esterne e le strutture interne della Ellipsoi- dina ellipsoides e della Ellipsoglandulina laevigata, ricavate da esemplari pro- venienti dai truhi di Bonfornello presso Termini Imerese. - 375 — Silvestri A. — Intorno alla struttura di alcune glandulìne siciliane. (Atti Acc. Zelanti Acireale, Yol. X, pag. 12, con tavola). — Aci- reale, 1900. Sono forme raccolte dall’autore nell’argilla pliocenica dei dintorni di Cal- tagirone, nelle quali Ira trovato che mentre non differiscono esteriormente dalla Glandìilina laevigata d’Orh., presentano nell’interno particolarità interessanti; per cui egli ammette la esistenza di una intima relazione fra la lagene ento- soleniche globose con le vere glanduline e con le ellipsoidine, di quest’ultime con le ellipsoglanduline e di queste con le nodosarie. L’autore istituisce poi una Gl. laevigata var. calatliina, la quale si stacche- rebbe dalle altre per caratteri particolari. Xelle tavole sono date le figure delle varietà di Gl. laevigata rappresen- tate fossili nelle argille anzidette e raccolte in contrada La Croce. Silvestri A. — Fauna protistologica neoqenica dell alta valle tiberina. (Memorie Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Yol. XYII, pag. 233-306, con tavola). — Poma, 1900. È la descrizione particolareggiata dei Rizopodi reticolari i quali formano la parte integrante della fauna sovraindicata, raccolti in una marna giallastra messa allo scoperto in seguito a certi lavori nelle vicinanze di Sansepolcro e di cui è fatto cenno più sopra. La jDoca profondità dei lavori di scavo non per- mise la esatta valutazione della potenza dello strato marnoso, ma solo di ac- certarne la continuità oltre i 4 m. dalla superficie, con uno spessore visibile di un metro. Esso è ricojDerto da un banco sottile costituito da grossi fram- menti irregolari di arenaria e di calcare, confusamemente disposti, cui sovrasta immediatamente il terriccio vegetale. Detta marna va considerata come sedimento di un mare occupante l’at- tuale vallata del Tevere, e la sua fauna risulta decisamente zancleana per la grande l'assomiglianza con le faune omonime di Reggio Calabria (Seguenza) e di Termini Imerese (De Amicis) e la presenza in essa di due specie {Elli- psoidiua ellipsoides ed Ellipsoglaiidnlina laevigata) finora esclusive di quel piano. In quanto alla posizione precisa di esso i pareri sono ancora discordi, ma Fautore inclina a metterlo come termine di passaggio fra miocene e pliocene. Paragonando la fauna protistologica di Sansepolcro con quella dei depositi di mari attuali, trovasi che essa presenta la maggiore somiglianza con quella — 376 - del cosidetto green imid raccolto nei mari temperati a profondità variabili da 200 a 750 m. La fauna studiata, descritta e posta a confronto con quelle decisamente zancleane di cui sopra, consta di 110 forme aggruppate in 35 generi. Primeg- giano per abbondanza di individui le globigerine e le orbuline, quindi le no- dosarie con grande ricchezza di forme. Vi predominano la Globi geriiia hnlloides e la Gl. triloha, VOrhulina universa e, in seconda linea, la Nodosaria inonilis. Le specie nuove sono due, e cioè una Frondicnlaria loiigissima e una Fr. hi- tiirgensis. Le forme comuni con gli altri depositi coetanei di Sicilia e Calabria ammontano al 64 per cento circa, con due, sino a prova contraria, esclusive dello zancleano. Velia tavola annessa sono disegnate 107 figure a contorni, delle quali 95 di nodosaridi: esse rappresentano in complesso 48 specie di foraminiféri. Squinabol S. — Sulla vera natura delle Helmiiithoida. (Atti Soc. veneto- trentina di Se. nat., S. II, Voi. IV, fase. I, pag. 33-39). — Padova, 1900. Accenniamo a questo lavoro di indole teorica perchè in esso sono date le figure di una Helminthoida labgrinthica proveniente dalle vicinanze di Genova, e di una Hehninthopsis Medusa dei dintorni di Firenze, ammettendone l’origine animale e rilevando la differenza essenziale che passa fra le Helniinthoida e le Helminthopsis in genere. Squinabol S. — Revisione della florula fossile di Teoio. (Atti Soc. veneto- trentina di Se. nat., S. II, Voi. IV, fase. I, pag. 40-47). — Padova, 1900. In questa località dei Colli Euganei trovasi, al disopra del terreno eoce- nico, una serie di strati sottilissimi argillo- calcarei, entro i quali il De Zigno raccolse un centinaio di fiditi, che in parte determinò e che ora si trovano nel Museo di geologia della R. Dniversità di Padova. L’autore riprese, dopo circa 40 anni, in esame quei resti, in generale male conservati, rivedendone 19 cam- pioni fra quelli che erano già stati studiati dal De Zigno e modificando in parte la classificazione fattane da quest’ultimo. Le specie rappresentate negli esemplari studiati sono in numero di 10, il che è troppo poco per poterne dedurre con certezza l’orizzonte del giacimento; tuttavia la presenza di certe forme autorizzerebbe a collocare le argille di Teoio al livello dei gessi di Aix, eocenici secondo il Saporta, oligocenici (ton- griani) secoudo il Fontannes. - 377 - Sqitinabol S. — Sur Vaction de Veaii dans la scaglia de Bastia [monts Eiiganéens) et sur V evaliiation approximative de la corrosion. (Mémoires de la Soc. Friburgeoise des Se. Nat., Sèrie de Gréol. et Géogr., l*"© Année, fase. 3, pag. 37-44, con 4 tav.). — Fribourg (Suisse), 1900. Nella punta settentrionale degli Euganei, e specialmente nella collina di Frassenella presso Bastia, vedesi la scaglia senoniana tutta rotta e attraversata da grandi e piccole fenditure, con o senza rigetto, visibili facilmente nelle cave ivi apertevi e dovuto probabilmente in origine agli sforzi eruttivi delle vicine trachiti. Ne viene di conseguenza che tanto la scaglia quanto le roccio ad essa inferiori sono a tal punto permeabili alle acque, da costituire nel complesso una vera spugna e tale da dare luogo a importanti fenomeni di corrosione e di denudazione. Tali fenomeni, dovuti all’azione delle acque meteoriche, sono messi in evidenza specialmente nei lavori dello cave, e di essi l’autore espone alcune particolarità, illustrandole anche con vedute fotografiche. Dalla quantità di argilla o terra rossa rimasta nelle cavità, l’autore cal- cola la corrispondente di carbonato di calce disciolto e quindi il quantitativo della roccia asportata per soluzione dalle acque, e giunge alla conclusione che il lavorìo chimico di queste distrusse uno spessore di circa m. 20 di scaglia: a tale cifra si dovrebbe poi aggiungere la massa asportata per lavorìo mecca- nico delle acque superficiali, il cui calcolo però presenta troppa incertezza e non può condurre a risultati sicuri. S(^uiXABOL 8. e OxGARO C. — Osservasioni sulla cosidetta Civrania dei Colli Euganei (pag. 8 in-4®). — Livorno, 1900 È noto come, sino dal 1836, il Da Rio nella sua Orittologia enganea abbia descritto sotto questo nome un minerale da lui rinvenuto in posto presso la strada che da Battaglia va a Galzignano, precisamente di faccia alla villa della famiglia Civran, e ritenuto nuovo in base ad analisi fatta dal Beggiato. Gli autori, essendosi procurato nuovo materiale in quelle vicinanze ed avendo ritrovato nel Museo civico di Padova il campione studiato dal Da Rio, lo ripresero in esame e lo sottoposero ad accurata analisi fisica e chimica per conoscerne la vera natura. La Civrania appare inclusa in vene o str. terelli entro una riolite giallo- gnola a magma microfelsitico, con segregazioni cristalline e piccole aree vetrose. — 378 - Essa ha colore verde pallido, lucentezza ceroide, è translucida e ricorda la giadeite : ha durezza uguale all’ortose e peso specifico di 2.23: al cannello fonde difficilmente e produce uno smalto bianco. L’esame microscopico dimostra che non si tratta di un minerale, ma bensì di una roccia, con struttura fra la felsitica e la vetrosa, ed altro non è che riolite la quale ha subito una fusione più avanzata. L’analisi chimica diede il 75. 23 per cento di silice e una composizione che fa collocare la roccia nella categoria delle sanidino- quarzifere : trattasi quindi di una liparite o, più preci- samente, di quella varietà di esse conosciuta col nome di litoidiie. Stella A. — 8uUe condizioni geognosticìie della pianura piemontese rispetto alle acque di sottosuolo. (Boll. E. Comitato Gieol., Yol. XXXI, n. 1, pag. 4-82, con tavola). — Eoma, 1900. Scopo di questa nota è quello di riassumere i dati geo-idrologici riguar- danti la pianura fra la Dora Baltea e il Pollice; e di ricavarne qualche cri- terio per la soluzione del problema di estrazione di acqua dal sottosuolo per Torino. Premesse le divisioni geologiche dei terreni della pianura, ed esclusi dallo studio gli altipiani del diluvium antico e le alture moreniche, limitasi lo studio alla pianura propriamente detta {alliivinm e diluvium). Divisa questa in tre porzioni, cioè tavoliere torinese, pianura settentrio- nale e pianura meridionale, si riassumono di ciascuna i dati geognostici e di acque del sottosuolo, freatiche e profonde, cercando di dare un’idea della loro circolazione, per il che si viene a distinguere nelle ultime due porzioni, alta e bassa pianura. Per la estrazione di acque del sottosuolo per Torino si riconosce la conve- nienza di sistematiche ricerche, specialmente nella bassa pianura più prossima alla città. Stella A. — Sulla presenza di fossili microscopici nelle roccie a solfo della formazione gessoso-solfifera italiana. (Boll. Soc. Greol. ital., Yo- lume XIX, fase. 3°, pag. 694-698). — Eoma, 1900. — Idem. (Eassegna mineraria, Yol. XIY, n. 2, pag. 21-22). — To- rino, 1901. Xelloccasione di rij)etute visite ai giacimenti di solfo della regione solfi- fera occidentale della Sicilia, l’autore raccolse materiale di studio. Da un primo esame microscopico di questo risultò la presenza di abbondanti for amini feri, oltre che di radiolarie e diatomee, in pieno minerale di solfo ; pel quale (all’in- fuori di qualche spicula di radiolaria e di alcune diatomee citate dallo Spezia nel suo lavoro Sulla origine del solfo eco.), non si era prima d’ora segna- lata la presenza di organismi microscopici come costituenti della sua ganga calcare. Sterzel J. T. — Ueher Biveì itene Palmoxijlon-Arten aiis dem Olìgocdn der Iiisel Sardinien. (Bericht der naturw. G^esell. zu Chemnitz, n. 14, pag. 3-13, con 2 tavole). — Chemnitz, 1900. Sono due nuove specie di palme provenienti dalle arenarie grossolane oligoceniche e dai tufi vulcanici delle vicinanze di Zuri (Oristano) sulla destra del Tirso. Esse si fondano su due frammenti di tronco silicizzati, rinvenuti in una serie di legni fossili della Sardegna inviati per studio dal prof. Eovisato all’autore. Premesso un cenno generale sulla famiglia delle palme, l’autore passa alla descrizione particolareggiata delle due specie, col nome di Palmoxijlon Lovisatoi Sterzel e P. Cavallottii Lovisato et Sterzel, dandone alcune sezioni microsco- piche nelle tavole aggiunte. Altri esemplari di palme fossili della Sardegna sono in corso di esame presso Fautore, che ne farà poi noti i risultati. Tacconi E. — Sulla ^Yulfe1lite del Sarrahns. (Eend. B. Acc. dei Lincei, S. Y, A"ol. IX, fase. 2^, 1® sem., pag. 72-76). — Berna, 1900. — Idem. (BhTsta di min. e crist. ita!.. Tei. XXIT, fase. I e II, pag. 16-22). — Padova, 1900. — Idem, sunto in (Groth, Zeitschrift fiir Kryst. nnd Min., B. 32, H. Y, pag. 498-499). — Leipzig, 1900. • È uno studio cristallografico che sinora mancava, mentre esiste per le altre due località italiane dove fu riconosciuto questo minerale, cioè Gorno in Yal Soriana e Bovegno in Yal Trompia. Gli esemplari studiati provengono da miniere di piombo e sono in gran parte costituiti da galena più o meno alterata in cerussite, accompagnata e talvolta ricoperta da piromorfite, su cui si osserva la Wiilfenite in piccoli cri- stalli brillantissimi ; le forme in essi riscontrate sono nove, fra cui predomina la (010). Bimarchevole è la grande varietà dei tipi presentati e bene distinti — 380 — in tabulari, prismatici e piramidali. I cristallini hanno dimensioni Tariabili da mezzo millimetro ad un millimetro e mezzo ; il colore ne è giallo-citrino e talvolta quasi aranciato. Taramelli T. — Relazione sulle condizioni geologiche del Colle Montello in rapporto alla circolazione sotterranea delle acque (pag. 29 in-S®). — Montebelluna, 1900. L’autore dà anzitutto particolareggiate notizie bibliografiche sul Montello e sulla finitima regione, nello scopo di dare un’ idea della sua costituzione geognostica. Il Montello risulta avere un’ ossatura di conglomerato (pliocenico o quaternario?) ricoperto da un mantello di ferretto; e una marcatissima con- figurazione carsica della superficie, combinata con forma a terrazze. Il ferretto sarebbe il prodotto di decalcificazione del conglomerato ; e, più o meno rimaneggiato, dà luogo a una debole circolazione di acqua sotterranea, stillante da numerose piccole fonti, nelle incisioni di foibe (doline) e valloncelli. Idrografia sotterranea carsica invece si ha nel conglomerato, con parecchie grandi sorgenti, localizzate però in prevalenza alla periferia del colle. ]?Iella impossibilità di avere acque artesiane, l’autore consiglia una migliore sistemazione delle fonti esistenti e la eventuale creazione di cisternoni nelle foibe. Chiude l’opuscolo una lettera dell’ing. A. Stella sui risultati dei suoi studii sulla questione, in tutto analoghi a quelli dell’autore. Taramelli T. — Sulle bombe di Vulcano e sulla forma dello Stromboli. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXIII, fase. XIY, pag. 790-808). — Milano, 1900. Sono osservazioni fatte in occasione di una gita alle Isole Eolie eseguita nell’aprile 1900 dalla Società geologica italiana, e alla quale l’autore prese parte. Xella prima parte egli tratta di alcune bombe osservate a Yulcano, ap- partenenti al periodo eruttivo durato dal 3 agosto 1888 al principio del 1891, e notevoli per l’aspetto scoriaceo del loro interno e per screpolature e vetrifi- cazioni interne. Esse già richiamarono l’attenzione del dott. Johnston Lavis, il quale diede ad esse nel 1890 il nome di bombe a crosta di pane, ammettendo la loro provenienza da un magma vitreo vischioso, e quella del dott. Hobbs nel 1893, il quale volle dare il nome di vulcanite alla ossidiana che le costi- - 381 tuisce. L’autore ritiene che questi proietti anziché strappi di scorie solidificate, sieno porzioni di una schiuma ancora plastica, dilacerata e soffiata fuori del cratere nelle esplosioni; la quale schiuma doveva ricoprire una massa di lava vitrea, che non aveva potuto raggiungere l’apertura del camino vulcanico. Da questa spiegazione l’autore prende motivo per discutere sul meccanismo eruttivo di quel vulcano, osservando poi che bombe simili furono esplose anche nell’ultima eruzione dell’arcipelago di Santorino. In quanto al secondo argomento l’autore spiega come lo Stromboli non abbia la solita forma conica dei vulcani a un solo camino, ma sia invece quasi prismatico, col cratere non coincidente col punto culminante e coi fianchi profondamente incisi da harranchi, che egli crede semplici fratture radiali allargate dall’erosione meteorica. ISTon si può dire assolutamente quale fosse la posizione precisa dell’antico cratere, ma l’autore ritiene accertato che il cratere attualmente attivo non sia menomamente un nuovo centro di eruzione, ma solo risulti da un piccolo spostamento dell’apertura esterna verso quel lato dell’antico cono dove esiste la maggiore di dette incisioni, l’attuale Sci arra del fuoco. Esclude quindi l’ idea che l’attuale bocca, rispetto alla cima del monte, corrisponda al cratere del Vesuvio rispetto al Somma, considerando piuttosto lo Stromboli attuale come uno dei coni che si apersero nella Valle del Bove all’Etna, senonchè il cratere principale di questa mantenne la sua attività, mentre la bocca di emissione nel primo si è leggermente spostata. Taramelli T. — Una gita geologica in Istria. (Rassegna Nazionale, Anno XXII, dicembre 1900, ed estratto di pag. 24 in-8°). — Firenze, 1900. È un articolo di carattere popolare nel quale l’autore inserisce interes- santi ricordi di escursioni fatte molti anni addietro per la compilazione della Carta geologica dell’Istria e che ora riassume traendone un quadro delle con- dizioni naturali e civili di quella regione. In essa distingue le seguenti zone, che maestrevolmente descrive, e sono : 1® L’altipiano calcareo orientale con i suoi fenomeni carsici ; 2^ La regione mediana o arenaceo-marnosa dal golfo di Trieste al lago di Copie; 3*^ L’alti- piano calcareo occidentale e meridionale, caratterizzato dal noto potente deposito di terra rossa. Fna digressione sull’origine di quest’ultima, che l’autore ritiene provenire dalla soluzione avvenuta in tempi remotissimi di una ragguardevole potenza di roccio calcaree, pon fine al breve ma interessante lavoro. — 382 — Taramelli T. — Osservazioni stratigrafiche a proposito delle fonti di San Pellegrino in provincia di Bergamo. (Boll. Soc. Greol. italiana, Yol. XIX, fase. 3°, pag. 437442). — Boma, 1900. Sono osservazioni fatte dalPautore nei dintorni di S. Pellegrino e di S. Rocco nella valle del Brembo, nello scopo di raccogliere nuovi elementi tettonici per lo studio di quelle fonti termali e minerali. La prima di dette fonti, utilizzata nello stabilimento dei Bagni, ha tem- peratura quasi costante di 27*^ e nasce al contatto degli scisti e calcari marnosi dell’ infralias con la dolomia principale. Le altre invece, formanti gruppo at- torno a S. Rocco a distanza di un chilometro dalla prima, alquanto meno mineralizzate e con soli 22® di temperatura, escono al contatto della dolomia con alcuni scisti dolomitici e bituminosi da essa compresi, poco lungi dal con- tatto della dolomia stessa con le marne e le arenarie variegate del Keuper. Se il contatto della dolomia con gli scisti dell’ infralias è alquanto regolare, quello della stessa colle marne keuperiane deve avvenire secondo un piano di frattura, coordinato con un sistema di faglie che recenti studii hanno dimo- strato esistere nell’alto bacino del Brembo e che danno alla regione una caratteristica orografica tutta speciale. Sono esse che, meglio della stratifica- zione, determinano dei particolari orografici caratterizzanti quegli artistici dirupi. La nota è corredata da una sezione geologica, in direzione sud-nord, presa sulla destra del Brembo dalla chiesa di S. Pellegrino a quella di S. Rocco e passante per lo Stabilimento balneario. Tascone L. — Il Vesuvio e la sua ultima fase eruttiva. (Boll. Osserva- torio di Moncalieri, S. II, Yol. XX, nn. 1-2-3, pag. 8-9). — To- rino, 1900. Premessa la sua convinzione che la dinamica del Yesuvio sfugge ad ogni legge normale, l’autore passa a descrivere brevemente la fase eruttiva del vulcano, incominciata il 4 maggio 1900 e dovuta al violento sprigionarsi di gaz e vapori, allo stato di massima tensione, dal condotto vulcanico, e con tale veemenza da non ricordarsene Una eguale a memoria d'uomo. Il massimo dina- mico ebbe luogo nei giorni 5-7, in cui le detonazioni erano fortissime, le esplosioni terribili e continue. Il giorno 8, ad eruzione appena finita, l’autore potè recarsi pel primo dall’Osservatorio alla cima del monte insieme con altri, ed esplorò tutta la piattaforma del vecchio cratere del 1872, scomparsa del tutto sotto i grandi massi rigettati, taluni dei quali del volume di 5 a 6 me. — 383 Tellini a. — Descrizione geologica della tavoletta topografica di Udine. (in E. Stazione sperimentale agraria di Udine : Carta geologico- agraria del podere distruzione del R. Istituto tecnico di Udine e dintorni^ preceduta dalla descrizione geologica della tavoletta topo- grafica di Udine; pag. 7-61, con Carta geologica). — Udine, 1900. È un lavoro d’indole pratica e molto particolareggiato su quella plaga di pianura die si stende attorno ad Udine dal torrente Cormor al Torre ed oltre, e che l’autore, trattandosi intieramente di terreni quaternarii dovette rilevare per mezzo di sondaggi di poca profondità, ma in numero rilevante. Premesse alcune interessanti notizie sulla plastica del terreno, sulle acci- dentalità naturali, sulle modificazioni del suolo dovute all’uomo (strade, canali, cave, ecc.) e in particolare di quelle avvenute entro la città di Udine, Fautore tratta brevemente delle acque superficiali e sotterranee della regione, per passare alla descrizione dei vari livelli geologici, i quali sono dal basso in alto distinti come segue : Pliocene antico {Messiniano) visibile nel piccolo rialzo sul quale sta il Ca- stello di Udine, costituito da conglomerati alternanti con ghiaie sciolte. Pliocene recente {Villafranchiano) con conglomerati di varia tenacità e ad elementi diversi di provenienza alpina, formante l’antico sottosuolo della pianura. Diluviale antico e medio, due livelli di ghiaie ad elementi alpini, più o meno alterate e ridotte in basso ad argille sabbiose con ciottoli silicei (ferretto). Diluviale recente con quattro livelli, costituiti in basso da argille sabbiose talora con lembi di ghiaia, poi da ghiaie prevalentemente calcaree, talora misto a sabbie ed argille. Alluviate con tre divisioni e cioè : sabbia silicea finissima con poca ar- gilla (formazione eolica) ; alluvioni grossolane ; alluvioni minute e. limo. Attuale, con ghiaia e poca sabbia, nell’alveo dei torrenti invaso dalle piene ordinarie. L’autore dà infine l’elenco degli assaggi del suolo fatti per la compila- zione della Carta geologica annessa alla memoria, con la descrizione litologica dei campioni raccolti in numero di 307 noi punti indicati su di apposita cartina. Tellixi a. — Le acque sotterranee del Frinii e la loro utilizzazione (con- tinuazione). (Annali del E. Ist. tecn. A. Zanon, S. II, anno XVIII, pag. 27-155). — Udine, 1900. Facendo seguito al suo lavoro sulle acque sotterranee c^el Friuli (vedi Bibl. 1S99) l’autore continua la sua esposizione sui singoli comuni di quella — 384 — provincia da Ipj)lis a Zoppola, dando per ciascuno di essi i dati relativi al problema delle acque potabili ed i suggerimenti' per pro'^^A^edervi in modo sod- disfacente. Tommasi a. — La fauna dei calcari rossi e grigi del Monte Clapsavon nella Gamia occidentale. (Palaeontographia italica, Yol. Y, pag. 1-54, con 7 tavole). — Pisa, 1900. Benché lo Stur sino dal 1856 avesse data per primo la notizia della pre- senza di una ricca fauna a cefalopodi nel calcare rosso-grigio del Monte Clapsavon, fu solo nel 1880 che il Mojsisovics richiamava l’attenzione dei geo- logi su quella scoperta e lo stesso nel 1882 ne descriveva e figurava 23 specie. A queste nel 1893 il Mariani ne aggiungeva altre 37, tra le quali oltre ai cefalopodi comparvero gasteropodi, lamellibranchi e qualche brachiopodo. In seguito l’autore riprese in esame la interessante fauna, con materiale esi- stente nei musei di Pavia e di Udine, o direttamente raccolto, ed in questa memoria pubblica il risultato dei suoi studi. Premesso un cenno sulla topografia e sulla struttura geologica del Monte Clapsavon, corredato da una sezione geologica e dalla indicazione delle località fossilifere, egli passa alla descrizione delle 101 specie che ha potuto mettere insieme, due delle quali appartenenti a vegetali (alghe), con un aumento di oltre 40 forme su quelle precedentemente conosciute. Le 99 specie animali, ripartite in 45 generi, appartengono per 75 ai mol- luschi, di cui 61 con 19 generi ai cefalopodi. Le specie nuove sono in nu- mero di 13. Questa ricca fauna triasica è riferita alla parte superiore del piano no- vi co (Mojsisovics) o piano ladinico (Bittner). Chiudo la memoria un quadro corologico delle specie descritte e un ca- pitolo di conclusioni paleontologiche e cronologiche. Essa è corredata, oltre che da figure nel testo, da 7 tavole in fototipia rappresentanti le più importanti fra le forme descritte. Tornquist a. — Nelle Beitrage sur Geologie und Palnontologie der Umgehiing von Recoaro und Schio {im Vicentin). Parte lY. (Zeit- schrift des Deut. geol. Glesell., B. LII, H. I, pag. 118-153, con 3 tavole). — Berlin, 1900. Una serie variata di strati si presenta nel Yicentino sotto al calcare bianco dello Spitz, la cui fauna fu esaminata nella III parte del presente lavoro (vedi — 385 — Bibl. 1899). Ideila regione di Recoaro questa serie è povera o priva di fossili. Invece in quella di Scliio e di Tretto, ove i calcari scuri raggiungono una maggiore potenza, i fossili bene conservati non sono rari. L’autore dà un cenno della letteratura relativa a questo livello geologico, che è caratterizzato dalla presenza di im cefalopode, la Sfuria Sansovini già ricordata nelle prece- denti comunicazioni. Egli raccolse la maggiore parte dei fossili qui descritti a Tretto, nel livello inferiore allo Spitz, che l’autore chiama calcare itero a Sfuria. La fauna di questo livello è interessante sotto vari punti di vista. Dap- prima essa accenna a un certo avvicinamento del trias vicentino al germa- nico: carattere che non apparisce nel calcare dello Spitz e negli strati a snh- nodosus. perchè in essi solo il Cerafifes suhiiodosns fa ricordare il trias di Germania. L’analogia invece diviene più distinta nella parte più profonda del trias vicentino, e trovasi anche nel calcare nero a Sfuria. In secondo luogo appaiono gli sfromaioporidi^ fossili nuovi pel trias alpino ed estralpino. Il calcare nero anzidetto è limitato in basso da una dolomia scura a bra- chiopodi. I fossili descritti e in parte illustrati dall’autore sono i seguenti : Diplo- porci friasiiia v. Schaur. sp., Isasfraea serpeiifina n. sp., Margaropìiyllia capi' fafa Mùnst. sp., Cassiauasfrea quinqnesepfafa n. sp., Lifhopora Koeneni n. gen. e n. sp. (stromatoporide), Spiriferina fragilis Schl. sp., Terehrafiila vnlgaris Sebi, sp., Sfuria Sansovini v. Xojs, Pecfen discifes Schl. sp., Pleuronecfifes (?) Alberfi Goldf. sp.. Lima cosfafa Goldf., Gerrillia cosfcifa Schl. sp., Alyoconcìia Schaurofììi n. sp., Mijophoria elcgans Dunker, Cgpricardia Biffneri n. sp., Go- nodon (?) siniple.v n. sp., Phaenodesmia Beneckei n. sp., Worfhenia superba n, sp., WorfJienia sp. ind., Loxonema obsolefum Ziet., var. vicenfina, Undiilaria scalafa Schl. sp.. var alsatica Kok., Coelosfglina cf. gregaria Schl. sp., Eusfglus Konincki Mùnst. sp. Alla parte paleontologica seguono due altri capitoli, il primo dei quali tratta della estensione geologica del calcare nero a Sfuria. Le località in cui questo calcare è stato osservato, sono : Recoaro, ove detto orizzonte è rappre- sentato esclusivamente da scisti rossi sabbioso-micacei ; Tal Creme con cal- cari a Diplopora friasina ; Tretto con calcari neri pure a Diplopora, conglome- rati, marne, calcari a Isasfraea serpenfina, Dijilopora friasina, Loxonema obso- lefum, var. vicenfina, ecc.: Quartiere, valle dell’Orco, ecc. L’autore ritiene questo complesso di strati di mare basso, e trovò nel conglomerato dei blocchi che ap- partengono al calcare a Bellorophon e agli strati di lYerfen. Ael secondo capitolo l’autore discute la posizione stratigrafica del calcare a Sfuria. Eliminato il piano a Virgloria di Richthofen come non bene preci- sato, rimane la scelta fra gli strati a binodosus, il calcare a brachiopodi e gli 25 — 386 — ♦ strati a trinodosiis. Egli dimostra che il calcare nero anzidetto deve essere equivalente agli strati a trinodosiis, come già disse il Bittner. Circa poi l’equivalenza col trias germanico Tautore osserva che il cal- care dello Spitz e quello a siibnodosiis sono fra loro equivalenti, e questo è parallelo al calcare a trocìiites e agli scisti a nodosus ; e poiché il calcare a Sturi a è sotto a quello dello Spitz, ne risulta che esso deve appartenere al Miischelkalk medio o aU’inferiore. In una prossima comunicazione egli di- mostrerà che il Muschelkalk inferiore va escluso ; così conclude che il cal- care a Sfuria e il calcare a trinodosiis sono equivalenti del Muschelkalk medio extraalpino. In una tavola sinottica è indicata la frequenza relativa dei fossili sovrain- dicati nei diversi livelli del Muschelkalk e cioè: inferiore (calcare di Eecoaro, calcare a hrachiopodi) ; medio (strati a frinodosus)\ superiore (Buchenstein, strati a subnodosiis)'^ non che negli strati di Wengen e in quelli di San Cassiano. Trabucco Gr. — Relazione delle gite fatte nei giorni 16, 17 e 18 set- tenibre 1900 nei dintorni di Acqui. (Boll. Soc. Gfeol. ital., Yol. XIX, fase. 3®, pag. cxiv-cxxvi). — Eoma, 1900. La Società geologica italiana, in occasione della sua riunione in Acqui, fece tre gite nei dintorni, e di esse l’autore dà qui relazione. La prima fu lungo il Rio Ravanasco e anzitutto alle sorgenti termali dello Stabilimento balneario, nelle vicinanze del quale già affiorano gli strati del noto calcare grossolano compatto di Acqui, appartenente per caratteri stratigrafici e paleontologici alla parte inferiore del langhiano. I giacimenti calcarei mioce- nici sono abbondanti nell’Alto Monferrato e danno luogo ad utile estrazione per materiali edilizii di ottima qualità, e che per l’addietro erano maggiormente usati, specialmente in costruzioni monumentali e, mescolati con argilla, per la preparazione di calci idrauliche. Risalendo quindi la valle del Ravanasco si osservarono le testate degli strati della serie langhiana inferiore, sino ad un affioramento serpentinoso sul quale si appoggiano. La seconda escursione fu verso Alice Belcolle, Ricaldoue e Cassine: in essa si vide da prima la serie langhiana superiore, costituita da marne indu- rite, con straterelli intercalati di marne cineree e di sabbie gialle; più in alto cominciano a comparire le marne sabbiose azzurrognole, con straterelli di are- narie calcaree gialliccie dell’elveziano superiore; vengono in seguito le marne turchine del tortoniano e infine la serie completa del messiniano in prossimità dell’abitato di Alice, costituita da potenti banchi marnosi con gesso e traccio — 387 — di solfo, da sabbie gialle con filliti, intercalate con le tipiche marne bianche, in ultimo da banchi di sabbie, ghiaie e conglomerati, alternanti con strati mar- nosi. Il ritorno si fece per Strevi, paese situato sopra un poggio terrazzato di marne e di arenarie elveziane, ricoperte da conglomerati post-pliocenici e pas- santi poco più in alto ad una molassa calcarea caratteristica, quindi ad un cal- care brecciato rossastro corrispondente al calcare del Leitha. La terza ed ultima escursione fu in direzione di Spigno, con ritorno in ferrovia: in essa si rividero da prima nella valle dell’Erre i banchi marnosi langhiani già veduti in quella del Ravanasco ; a questi subentrano a San Felice le marne scistose tenere verdognole del bormidiano superiore, associate a stra- terelli di sabbie e di arenarie, e passanti talora a veri e proprii banchi cal- carei, e, salendo ancora, i conglomerati grossolani grigi e rubiginosi del bor- midiano inferiore, riposanti sopra Cartosio sulle roccie arcaiche, visibili sul fondo della valle e sul poggio di Malvicino. In seguito ritornano le roccie terziarie, rappresentate a Spigno da banchi di marne alternanti con strati di belle arenarie estratte in alcune cave delle vicinanze per materiale da co- struzione. Trabucco G^. — Fossili, stratigrafia ed età dei terreni del Casentino [Toscana). (Boll. Soc. Geol. ita!.. Voi. XIX, fase. 3®, pag. 699-721, con 2 tavole). — Roma, 1900. È il seguito della nota controversia col Lotti sulla presenza di inoce- rami neH'eocene deirAppennino toscano, applicata al Casentino, nella quale lo accusa di avere confuso tra loro alcune delle roccie più comuni della regione e di non avere distinti i tre tipi di arenaria (macigno, psammite, pietraforte) da tutti ammessi e consacrati dai più valenti geologi toscani per la loro impor- tanza non solo litologica, ma cronologica. Cerca quindi di dimostrare che il Lotti nel suo articolo sul Casentino (vedi Boll. 1899) ha interpretato erronea- mente la statigrafia di quei terreni, e che la età e la serie di questi va pro- fondamente modificata : secondo l’autore poi la mescolanza di inocerami e di nummuliti entro strati eocenici sarebbe dovuta ad una erronea interpretazione stratigrafica. Per giungere a dimostrare quanto sopra l’autore premette una rapida de- scrizione geologica della regione, della quale dà una sezione da Poggio Scopone a Chiusi in Casentino, descrivendo i vari terreni che in essa si incontrano e dimostrando che il Casentino è una valle di erosione. Cita i fossili in essi rin- venuti, e in particolare quelli della Verna, aggiungendo alle specie già note — 388 — alcune altre, fra le quali due nuove, Eiilithothamnion langhiannm ed E. Vernae, per venire alla conclusione che quel calcare appartiene al langhiano. IN’elle tavole annesse, oltre alla sezione anzidetta, sono figurati alcuni fra i fossili studiati e in particolare quelli appartenenti alle due specie nuove. Trabucco G. — Il carattere paleontologico nella cronologia del Miocene deir Appennino. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol XII, pag. 149-152). — Pisa, 1900. È una nota di carattere polemico nella quale l’autore, combattendo le de- duzioni tratte dal Sacco e dal Lotti da osservazioni stratigrafiche intorno alla età eocenica del macigno appenninico, insiste sulla miocenicità del medesimo in base ai caratteri paleontologici. Ugolini P. E- — Lo Steno Bellardii Portis del Pliocene di Or ciano Pi- sano. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XYII, pag. 132-143, con tavola). — Pisa, 1900. È lo studio di un cetaceo di specie non ancora conosciuta nel pliocene della Toscana ed i resti del quale giacevano sino dal 1884 nel Museo geolo- gico di Pisa per dono fattone da E. Lawley. Gli avanzi dello scheletro che l’autore potè esaminare e che egli descrive estesamente, sono numerosi pezzi della scatola cranica e del rostro, alcune vertebre, e moltissimi frammenti di coste e di altre ossa indeterminabili: i denti isolati e conservati per intero sono 32. Egli, nella parte descrittiva, pone in rilievo i rapporti fra questo esem- plare e le specie di Steno viventi e fossili, e conchiude dimostrando le nume- rose sue affinità con lo Steno Bellardii, specie istituita dal Portis sopra un delfino raccolto per la prima volta nelle colline astigiane nel 1876. Xella taAmla sono figurati i pezzi principali del fossile. Ugolini E. — Di uno scheletro fossile di foca trovato ad 0 retano, preventiva. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XII, pag. 147-148). — Pisa, 1900. L’autore annuncia il rinvenimento nelle argille marine plioceniche di Or- ciano Pisano di uno scheletro quasi completo, appartenente ad un animale del gruppo dei pinnipedi e dà l’elenco delle ossa che lo compongono. Dello studio — 389 — di questi avanzi egli sta appunto occupandosi, nella fiducia di poterne presen- tare presto una relazione iconografica particolareggiata con la più probabile determinazione generica e specifica deU’individuo. Verri A. — Sulla trivellazione di Capo di Bove. (Boll. Soc. Greol. ital., Voi. XIX, fase. 2°, pag. 376-380). — Boma, 1900. È una rettifica ad alcune osservazioni fatte daH’ing. Sabatini nella sua memoria sul Vulcano Laziale (vedi più sopra) circa la classificazione dei ma- teriali estratti nella trivellazione del noto pozzo di Capo di Bove, eseguita nel ISSI. In questa breve nota l’autore giustifica il suo operato, mantenendo le idee da lui esposte in proposito nelle sue Osservazioni sulla successione delle rocce vulcaniche nei dintorni di Fonia pubblicate nel 1898. Verri A. e De Axgelis d’Ossat Gr. — Secondo contributo allo studio del Miocene nelP Umbria. (Boll. Soc. Greol. ital., Voi. XIX, fase. 1°, pagine 240-279). — Boma, 1900. XelFautunno del 1899 gli autori fecero nuove ricerche per stabilire a quali piani geologici debbano riferirsi le formazioni arenaceo-marnose deU’Umbria, a conferma di quanto avevano sostenuto nel primo contributo (vedi Bibl. 1899) circa la miocenicità delle medesime, prendendo questa volta in esame special- mente la catena dei Monti Martani. Il Verri comincia con alcuni cenni stratigrafici della medesima, la cui ossatura consta di formazioni mesozoiche, e cioè del lias inferiore, dei calcari rosati e degli scisti scagliosi del cretaceo, passanti gradualmente a scisti bigi, a marne e calcari marnosi selciferi rappresentanti dell’eocene inferiore. Xelle basse pendici dei monti, e in particolare nel prolungamento della catena sino alla confluenza del Chiascio nel Tevere, si hanno altri terreni formati di alter- nanze di marno bigie, di calcari arenacei, di arenarie, fra i quali sbucano ta- lora degli spuntoni di marne policrome, probabilmente dell’eocene superiore. Con gran copia di dati stratigrafici e petrografici su questa ed altre località dell’Lmbria, messi in relazione coi dati paleontologici contenuti nella seconda parte del lavoro, il Verri conchiude per la miocenicità di quei terreni supe- riori non solo, ma forse anche delle marne bigie, nonostante la presenza di nummuliti microscopiche noi banchi calcarei intercalati. Velia parte paleontologica, dovuta al De Angelis, sono determinate le — 390 - numerose specie fossili dagli stessi autori raccolte in molte località dell’Umbrta entro i terreni contestati, quasi tutte decisamente mioceniche, con la indica- zione delle opere che servirono alla loro determinazione ed alcune ossei-vazioni da cui ne apparisce il valore cronologico. Dall’elenco delle specie apparisce che la maggioranza delle forme appartiene al miocene medio, con molte carat- teristiche di tale livello ; solo alcune poche fra le rimanenti sono dell’oligocene, dell’eocene, del cretaceo, mentre un numero considerevole di esse visse anche nei tempi pliocenici e quaternari, e taluna prospera perfino nei mari odierni. Entrambi gli autori concludono che i terreni contestati appartengono al miocene medio, con le tre zone batimetriche dell’elveziano, del tortoniano e del langhiano. Yinassa de Regny P. E. — La sorgente acidulo-alcalino-litiosa di Uliveto. Studio idrogeologico. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Memorie, Yo- lume XYII, pag. 18(v.202, con Carta geologica). — Pisa, 1900. Descritta la località di Uliveto al piede sud-ovest del Monte Pisano e ri- fatta brevemente la storia delle sue antichissime terme, l’autore riporta i ri- sultati delle analisi delle due sorgenti, la calda e la fredda, fatte da Tassinari e Marchetti nel 1874, e accenna a una recente del prof. Antony, dalla quale risulta la eliminazione assoluta delle sostanze organiche dovuta ai lavori ultima- mente fatti per rendere isolate le sorgenti e quindi immuni da inquinazioni; pel rimanente i caratteri di mineralizzazione e di temperatura sono rimasti gli stessi. Dà quindi un rapido sguardo alle rpccie che costituiscono il Monte Pi- sano e in particolare a quelle poste nella immediata vicinanza delle sorgenti, allo scopo di riconoscere la origine di queste. De roccie del Monte sono tre, cioè il verriicano^^ÌYO^v^x calcari Q'IììnacigiiO'. nelle vicinanze di Uliveto però quest’ultimo non apparisce, e la roccia che sovrasta alle sorgenti è un calcare cavernoso infraliasico che, a giudizio del- l’autore, è il deposito e il fornitore delle acque mineralizzate^ senza escludere del tutto l’intervento di acque circolanti nel sottostante verriicano alle quali sarebbero dovuti la potassa, il litio (proveniente dalla mica e dalla tormalina) e le traccie di fosfati (dall’apatite). D’anidride carbonica libera nelle acque proverrebbe da soffioni di questo gaz misto ad aria che si trovano nelle vicinanze e sboccano assai numerosi nelle stesse polle. In quanto alla elevata temperatura, 22*^ per la fredda e 33® per la calda, crede l’autore doversene ricercare la causa non tanto nella profondità della provenienza quanto nelle reazioni chimiche. — 391 — Il testo contiene una sezione ideale a traverso il Monte Pisano passante per la Verruca, e al medesimo è annesso ima cartina geologica dei dintorni di Uliveto, nella scala di 1 a 25000, rilevata dalFautore nel 1899. ViXASSA DE Eegxy P. E. — Roccs e fossili dei dintorni di GriBsana e di Lagaro nel Bolognese. (Boll. Soc. Greol. ital., Voi. XIX, fase. 2°, pag. 321-348, con 2 tavole). — Poma, 1900. La regione presa in esame dall’autore è costituita in prevalenza da ar- gille scagliose, con abbondanti frammenti di altre roccie, la cui massa princi- pale trovasi alla sinistra dei torrenti Setta e Brasimene. In esse abbondano gli affioramenti di roccie serpentinose e in prossimità vedonsi le varie roccie eoceniche (alberese, macigno, ecc.) e le arenarie del miocene medio. Presso Lagaro poi affiora fra le argille un calcare bianco cristallino, che l’autore ri- conobbe in cinque punti disposti quasi in linea retta da Xord a Sud: egli lo ritiene miocenico e più precisamente del livello della Pietra Bismantova, del Monte Titano e del Sasso di Simone. Questo calcare è costituito da una agglomerazione di briozoi e di litotamni, con qualche rara foraminifera; osso mostrasi come una formazione di scogliera, grandemente metamorfosata, talché somiglia talvolta ad un vero e proprio marmo saccaroide. Dopo una descrizione delle roccie anzicennate, l’autore passa alla parte paleontologica, nella quale sono enumerati e descritti i radiolari che si rinven- gono nei diaspri, nelle ftaniti e nei calcari rossi silicei che si trovano sparsi qua e là entro le argille scagliose, prevalentemente a Bissano, Grizzana, Prada e Savignano. Le forme descritte sommano a 41, fra cui due sole conosciute, le altre essendo tutte nuove ; vi ha pure un genere nnovo, Trìsphaera. Carattere di questa fauna è la preminenza dei discoidi, cui seguono immediatamente gli sferoidi, il che è in opposizione con quanto si rileva dagli studi sui radiolari eocenici e miocenici. Per questo e per altri caratteri l’autore crede si possa attribuire a dette roccie a radiolari una età assai più antica, forse titoniana o del cretaceo inferiore. È poi da notare la nessuna somiglianza con le forme titoniane di Carpena descritte dallo stesso autore (vedi Bihl. 1899) e la poca connessione con quelle giuresi di Cittiglio descritte dal Parona, con le quali ha in comune la sola Cniosphaera clathrata. Al lavoro va unita una cartina geologica al 50000 della regione in esame e una tavola éon le figure delle forme descritte. 392 — Yinassa de Eegny P. ^E. — Radiolarì miocenici italiani. (Memorie E. Acc. Se. deiristituto di Bologna, S. Y, T. YIII, fase. 3®, pa- gine 565-595, con 3 tavole). — Bologna, 1900. L’autore presenta in questa memoria il risultato dei suoi studi sili radio- lari miocenici di Montegibio (Modena) e di Arcevia (Ancona) ; nella prima lo- calità predominano gli sferoidi, nella seconda i cirtoidi. Le forme studiate sono 137, tutte nuove ad eccezione di una sola avvicinata al Porocliscns mìcro- poriis Stoehr di Grotte (Girgenti); nuovi pure sono due generi, Acerocaninm e Acer ahedr ina. Yelle tavole unite sono disegnate tutte le forme descritte. Yiola C. — Ueher optische Erscheinnngen am Tiirmalin von Elba. (Groth, Zeitschrift fiir Kryst. und Min., B. XXXII, H. YI, pag. 557-560. — Leipzig, 1900. L’autore riferisce alcune misure di precisione da lui eseguite sull’indice di rifrazione di alcune tormaline dell’Elba. Da uno stesso cristallo egli ha ricavato un prisma di cui uno spigolo è parallelo, l’altro perpendicolare all’asse, cosicché i raggi luminosi che venivane esaminati si riferivano a uno stesso luogo del cristallo. L’autore riscontrò grandi differenze del raggio ordinario parallelo e per- pendicolare all’asse trigonale, e avendo verificato che le tormaline nel luogo esaminato sono omogenee, per quanto l’esperienza può constatare, viene alla conclusione che i fenomeni ottici non seguono la legge di Fresnel. Egli pro- pone per questo minerale l’applicazione della teoria elettromagnetica della luce di Maxwell, e ne determina il rapporto delle permeabilità magnetiche. Yiola C. — Sopra alcuni pettini del calcare a piccole niimmnl iti dei din- torni di Snbiaco in provincia di Roma. (Boll. E. Comitato GeoL, Yol. XXXI, n. 3, pag. 247-255, con 2 tavole). — Eoma, 1900. Il calcare a pettini e piccole nummuliti di Subiaco sta in concordanza col cretaceo, conosciuto col nome di pietra di Snbiaco, e sta sotto alle marne grigie , che il De Angelis pone nel langhiano. Sotto ai Cappuccini di Subiaco detto calcare contiene in abbondanza delle bivalve, in specie pettini ; qui furono raccolti dall’autore molti di questi, che sembrano appartenere a specie nuove. Due esemplari di queste specie poterono essere isolate e studiate. Una di esse è la — 393 — Chlamijs Clarae n. sp., che l’autore avvicina al Pecten qiiìnqiiepartitus Blank., l’altra è il P. De-Angelisi che lo stesso avvicina al P. adiinciis Eichw. apud Fuchs. La prima specie presenta un gran numero di varietà, fra le quali una caratteristica che egli denomina var. siihlacensis. Con la conoscenza di queste due specie nuove l’autore non intende avere risoluto la questione dell’età dei calcari a pettini e piccole nummuliti di Su- biaco; ma le due specie potranno servire a fissare un orizzonte che nella pro- vincia romana ha un esteso sviluppo. ]S'elle tavole annesse sono figurate le specie descritte. Viola C. imd Kraus E. H. — Ueber Feclorowit [nuovo ìninerale della provincia di Roma). (G-roth, Zeitschrift flir Krvst. und Min., B. 33, H. L, pag. 36-38). — Leipzig, 1900. Già in una precedente comunicazione (vedi Veues Jahrb. flir Min. etc., 1899, I, 121 1 uno dei due autori (C. Viola) propose per uno dei pirosseni verdi molto diffusi nelle roccie eruttive della provincia romana il nome di Fedoroivite. Essendosi potuto isolare il detto pirosseno in discreta quantità, l’altro degli autori ne eseguì due analisi chimiche delle quali si riportano qui i risultati: I. II. SÌO2 = 52,35 52,37 Fe,03 2,21 j FeO = 1,91 ì 1,08 Al303= 2,38 2,16 CaO = 21,63 21,51 MgO = 11,10 11,66 Va20 = 2,51 2,05 100,18 100,13 Ecco ora le costanti della federo wite: a ; b . c = 1,0927 : 1 : 0,5189 .'i = 106« Sfaldatura (110). Piano degli assi ottici (010). Angolo degli assi ottici < 50® per luce Va. Bisettrice acuta nell’angolo Jj. c:^g^ 65^-75^ Indici di rifrazione approssimativi: = 1,680 — 1,687 = 1,709. Assorbimenti: = ’V = verde-oliva 5 ^g = giallo. - 394 — Si distingue la fedorowite dall’egirina perchè quest’ultima ha; ¥e,0, + FeO = 30-40 + ^«20 = 10-13 ^l^]c:ng = 94« L’augite-egirina di Rosenhusch ha per carattere c: = 60°. Sembra quindi che il grande angolo di estinzione su (010), c :^g = 75°, sia dovuto esclu- sivamente alla sostituzione della soda alFallumina; infatti un pirosseno dei Monti Laziali analizzato da A. Piccini è senza soda e diede c : f^g = 45-50°. Virgilio Fr. — Geomorfogenia della provincia di Bari. (dalPopera La Terra di Bari, Voi. Ili, pag. 148 in-4°, con 3 tavole). — Trani, 1900. L’opera consta di 12 capitoli, oltre ad una introduzione, alla bibliografia e a due indici alfabetici. Il I Gap. è consacrato alla topografia ed all’orografia. L’autore vi sostiene che le Murge baresi col Gargano e le Serre salentine sono geograficamente e geologicamente una diretta dipendenza dell’ Appennino meridionale e. genetica- mente, una dipendenza diretta della Dalmazia. Egli ritorna poi su questo punto nei Gap. VII, Vili e IX. I Gap. II, III, IV e V trattano rispettivamente dell’idrografia, del clima, del magnetismo e dei terremoti. Il Gap. VI è un riassunto storico dei principali studii geologici compiuti nella provincia (1814-1897) e serve d’introduzione al VII dedicato allo studio delle formazioni geologiche. Queste appartengono alla creta ed al neogene recente. La serie neocomiana manca od è molto scarsa ; l’urgoniana è assai svilup- pata coi calcari a Toiicasìa', la cenomaniana è poco evidente e la senoniana invece largamente sviluppata coi potenti calcari a rudiste turoniani e campaniani. Il piacenzìano inferiore è rappresentato da tufi calcarei, il superiore da marne e argille marnose, l’astiano col siciliano da sabbie gialle e argille sab- biose, il diluvium da alluvioni ciottolose e veri conglomerati, l’alluviale dal tufo carparo di S. Francesco e finalmente l’attuale da alluvioni, dune e dalla terra rossa. Il Gap. Vili è dedicato alla tettonica; l’autore ha riconosciuto nella re- gione dieci principali linee anticlinali e la frattura Xoicattaro-Fasano. Xel Gap. IX egli riassume la sua nota ipotesi sulla genesi dell’ Appennino e ne deduce l’origine della regione. Il Gap. X tratta della preistoria e l’XI dei bradisismi ; con notizie sto- , riche ed osservazioni dirette vi si dimostrano due oscillazioni della spiaggia di Bari, una negativa postpliocenica ed una positiva olocenica. Il Gap. XII, infine, contiene alcuni cenni sui materiali litoidi da costruzione della proTincia. Xelle tavole troviamo una Carta geotectonica della provincia (1 : 250000), 3 schizzi paleogeografici, I sezioni e alcune eliotipie di fossili. "VX.iSHiNGTOx H. S. — Some Analijses of Italian rolcanic Rocks. II. (The American Journal of Science, S. lY, Yol. IX, n. 49, pag. 44-54). — New Haven. 1900. Facendo seguito al precedente lavoro sulle trachiti dei Campi Flegrei e deirischia (vedi Bìhl. 1899) l'autore in questa seconda parte tratta dei tipi seguenti di roccie vulcaniche italiane: ciminite del Monte Cimino (Yiterbo), selagite di Montecatini (Toscana), andesite di Eadicofani (Toscana), leucitite di Capo di Bove (Eoma). La ciminite, così denominata dalFautore nel 1898, è una trachidolerite di media acidità e con forte tenore in magnesia, calce e potassa; essa componesi di felspato, augite ed olivina, la presenza della quale serve a distinguerla dalla vulsinife. Ambedue poi, sotto il punto di vista chimico e mineralogico sono in- termedio fra le trachiti ed i basalti. L'autore ne dà ora tre analisi di campioni provenienti dalle località La Colonnetta (Monte Cimino) e Fontana Fiescoli (Viterbo). La media composizione mineralogica di queste risulta come segue: ortoclasio, 37.9®/^; labradorite 26.5; diopside 16.5; olivina 17.3; magne- tite 1. 8. La trachite micacea o selagite di Montecatini in Val di Cecina non ha nulla a vedere con le ordinarie minette, ma si avvicina per composizione alla ciminite, in cui l'ortoclasio e l'olivina sono sostituite dalla mica, analogamente a quanto avviene per la A'ulsinite biotitica di Eoccamonfina. A prova di ciò l'autore presenta le ajialisi chimiche della selagite, della vulsinite biotitica ora detta, della vulsinite di Bolsena. della venanzite di San Yenanzo e di altre roccie affini dell'estero. jy&\\' andesite (già basalto) di Eadicofani sono riportate cinque analisi, due dell’autore, due di Eicciardi e la quinta di vom Eath. con un tenore medio di circa 54 per cento di silice, con oltre 5 per cento di alcali e predominio della potassa sulla soda. Sono date quindi due analisi della nota leucitite di Capo di Bove presso Eoma, l’una nuova deH’autore, l'altra fatta da Bunsen nel 4869 e pubblicata dal Eoth in Beitr. Bete. plut. Gest. Esse si corrispondono quasi interamente e sono caratterizzate dal tenore elevato in potassa, calce ed ossidi di ferro e per — 396 — quello relativamente basso di magnesia. Infatti la prima di esse diede : SiOs = 45.99: Ti = 0.37: Al^Og = 17.12: = 4.17: Fe O = 5.38: MgO = 5.30; CaO = 10.47; BaO = 0.25; = 2.18; KoO = 8.97; HoO =0.45; mentre la seconda aveva dato: Si Og = 45.93; AlgOg = 18.72: FeO = 10.68; 5IgO = 5.67; CaO = 10.57; Aa^O = 1.68: K,0 = 6.83; HgO = 0. 59. L'autore fa da ultimo un confronto di questa roccia con la venanzite an- zidetta e con la leucitite americana piontana) di cui riporta pure l’analisi, ri- marcandone le differenze essenziali. "W^EixscHEXK E. — Uebe?' eiiiìge bemer'keiisTV ertile Minerallagersfclften der Westalpen. (G-roth, Zeitschrift fiir Krystall. und Min.. B. XXXII. H. Ili, pag. 258-265). — Leipzig, 1900. I minerali che figurano nelle collezioni mineralogiche con provenienza dalle Alpi occidentali presentano nella loro associazione certi caratteri che l’autore aveva già posti in chiaro per certi aggruppamenti di minerali studiati nel gi’uppo del Gross Tenediger (Alpi orientali). Questi caratteri sono collegati nel modo pii intimo colla costituzione geologica dei territorii in cui tali mine- rali s'incontrano. Xelle Alpi occidentaK, a differenza dalle orientali, sono gran- demente sviluppati i massicci granitici, fra i quali il mantello scistoso è sovente ridotto a debole potenza. A ciò corrisponde per conseguenza un maggiore svi- luppo della paragenesi minerale che l’autore ha chiamato « formazione del titanio ». Siccome nelle Alpi occidentali, dice egli, le serpentine sebbene più potenti sono più rare che non nelle orientali, in quelle saranno più rare le formazioni minerali caratteristiche delle serpentine che non in queste, e vi avranno piuttosto il carattere di episodii. Così si spiega, secondo l’autore, come siano proprie delle Alpi occidentali le più belle varietà di quarzo affumicato, di cristallo di rocca, di adularia. rutilo, anatase, ecc., mentre vi sono scarsi l’epidoto, il diopside e gli altri mi- nerali dei filoni nelle zone di contatto delle Alpi orientali. Partendo da tali concetti l’autore esamina i giacimenti nella dolomite della valle di Binnen, il distene e la staurolite del San Gottardo, dove nella valle di Chironico indica una zona metamorfica di contatto come se ne trovano non di rado nei contorni dei massici granitici alpini occidentali. Finalmente prende pure a considerare il giacimento dell’Alpe della Mussa nella valle di Ala o di Balme, che, secondo l’autore, segnerebbe il limite delle Alpi Graje. Il giacimento di granato, diopside. vesuviana, ecc., ha tali caratteri da potersi ritenere con sufficiente certezza trattarsi di un pezzo di roccia incas- sante ravvolto nella serpentina intrusiva e metamorfosato da questa. 397 — Zaccagna D. — Guida per le escursioni geologiche nei dintorni di Acqui. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIX, fase. 3®, pag. lkxvii-lxxxv). — Boma, 1900. Per Foccasione della riunione annuale della Società geologica italiana in Acqui, Fautore preparò una breve Guida delle escursioni che si dovevano eseguire (vedi più sopra la relazione di G. Trabucco sulle escursioni fatte). In questa Guida è fatto cenno della costituzione geologica dei dintorni di Acqui e sono descritti i terreni che si sarebbero incontrati nel percorso dei diversi itinerarii. Le gite proposte sono in numero di tre, e cioè: 1° Dintorni di Acqui e valli del Ravanasco e del Visone; 2° Escursione per la valle del Medilo ad Alice Belcolle, Eicaldone e Cassine; 3*^ Escursione per la valle dell’Erre, passando in quella della Bormida. Oltre le gite anzidette. Fautore descrive anche gli itinerarii di altre tre facoltative di più lungo percorso, da farsi dopo la riunione, e cioè: 1® da Ovada alla valle del Gorzente e della Piota per Derma e le Capanne di Marcarolo, alle miniere aurifere della Lavagnina e della Tana; 2® da Prasco e Molare, Madonna delle Rocche ed Ostiglielo : salita alla C. Scajosa e discesa a Rossiglione, indi ad Ovada lungo la Stura; 3® escursione nella valle dell’Erre e del Riobasco per Sassello, Santa Giustina ed Albissola. Zamboxixi F. — Anortife di 8. Martino (Viterbo). (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXIY, fase. I e II, pag. 4-13). — Padova, 1900. È lo studio di alcuni cristalli di anortite provenienti da un blocco raccolto noi dintorni di San Martino al Cimino e composto essenzialmente di pirosseno verdognolo più o meno alterato, con cristallini di anortite e di pirosseno nerastro. Le forme semplici riscontrate sono 24, tutte già note per Fanortite e delle quali tre non riconosciute nello stesso minerale dei Monti Laziali, del quale lo Struever fece lo studio. Le combinazioni trovate, alcune abbastanza ricche di faccie, sono in numero di 11. Le dimensioni dei cristalli sono abbastanza grandi, poiché i più piccoli misurano non meno di mill. 5 nella dimensione maggiore. Essi hanno ìiahitiis talvolta prismatico, talaltra tabulare, e presentano due gemi)iazioni più fre- quenti, quella delFalbite e quella del periclino. L’analisi chimica dotte: Si02 = 46. 25; A]203 = 34. 62; Ee203 = l. 20; CaO = 17. 16; MgO = 0. 50; XagO = 0. 95. Si constatarono anche tracce sensibili di manganese. — 39S — Zambonini F. — Sair esistenza della Sodalite nei blocchi cintatici del Vi- terbese. (Eiyista di min. e crisi, ital., Yol. XXIY, fase. I e II, pag. 13-16). — Padova, 1900. Questo minerale che ancora non era con certezza stato constatato nei blocchi erratici della regione ciinina, fu riconosciuto indubbiamente dall’autore in un blocco trovato a San Sisto presso Yiterbo. I cristalli studiati mostrano tutti nettamente le faccie del rombododecaedro (110) con sfaldatura abbastanza netta. La media di due analisi chimiche fu: SiOg = 36. 60 ; Al^Og = 34. 26 ; ¥e^O^ -= 1. 85 ; Xa20 = 17. 75 ; CaO = 0. 90 ; CI = 4. 31 ; II2O = 5. 14. Questa composizione ricorda molto da vicino quella della sodalite tipica secondo la formola di Tschermak (3Xa Al Si -|- 2Xa Cl)^ oltre l’acqua già riscontrata in sodatiti di altre località. Zambonini F. — Sul sanidino [Viterbese^ Tombe dei Nasoni, Lazio, Ve- Silvio). (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXY, fase. Ili a YI, pag. 33-69, con 6 tavole). — Padova, 1900. L’autore, essendo riuscito a procurarsi dei cristalli di sanidino di varie località, ne ha fatto lo studio goniometrico e ne ha comparati poi i risultati ottenuti, per vedere se, come credevasi, il sanidino di ciascuna formi un gruppo a sè, o se si possano riunire alcune località in un unico gruppo, o se finalmente è possibile trovare delle costanti generali che diano un accordo soddisfacente tra l’esperienza ed il calcolo. I sanidini italiani presi in esame dall’autore provengono dalle località seguenti: Monte Cimino; Quartuccio, circa 8 chil. da Yiterbo sulla strada per Yetralla; San Sisto presso Yiterbo; Tombe dei Xasoni, circa 6 chil. da Roma sulla via Flaminia; fra Albano ed Ariccia sui Colli Laziali; Yesuvio. Sono annesse cinque tabelle di misure goniometriche trovate o calcolate e una tavola con figure di cristalli. Zambonini F. — Ueber den Pgroxen Latiiims. (G-roth, Zeitsclirift fiir Krystall. und Min., B. XXXIII, H. I, pag. 39-56, con tavola). — Leipzig, 1900. Fra tutti i minerali del Lazio il pirossene è indubbiamente quello più a lungo conosciuto, avendosene notizia sino dal 1773 negli scritti di Ferber sulla mineralogia d’Italia, di Rome de l’Isle nel 1783, di Faujas de Saint Fond — 399 — nel 1784, di Lapi nello stesso anno e di altri posteriori, in particolare di Fleu- riau de Bellevue nel 1800 e di Brocchi nel 1817 ; fra i recenti si annoverano i classici lavori di G. voni Bath e quelli di G. Struever. I cristalli di pirosseno del Lazio si distinguono in due categorie, i neri ed i verdi. I primi raggiungono talvolta gli 8 cent, di lunghezza secondo l’asse verticale, nella direzione del quale sono generalmente allungati. Fra le molte forme di essi, già conosciute, l’autore ne riconobbe tre nuove per questo minerale, e sono (1 6 1) (3 6 1) (8 12 1). La maggior parte di tali cristalli sono ta^ bulari e sovente presentano inclusi cristalli di leucite; in uno di essi si rin- vennero lamelle di mica. I cristalli verdi sono più rari e assai più piccoli dei precedenti, misu- rando al massimo mill. 5 di dimensione; sono abbastanza ricchi di faccio e diedero, su 258 esemplari, 18 forme, delle quali 14 comuni coi neri e due nuove (1 41) (6 2 1). Dalle molte misure fatte risultò che gli angoli sono quasi identici nelle due varietà. Con la scorta delle molte osservazioni fatte l’autore discute infine la que- stione della emiedria dei pirosseni ammessa da G. Williams, e conchiude per la oloedricità dei medesimi in conformità al parere di altri autori. Xella tavola annessa sono quattro figure di pirosseni, due neri e due verdi. ZiTTEL (von) K. A. — Ueher Vengenei\ 8t. Cassìaner-iind Raibler- Schicìiten anf der Seiser Alp in Tirol. (Sitzungsb. kon. bayer. Ak. der Wisst, Jahrg. 1899, H. Ili, pag. 341-359). -- Miinclien, 1900. Dopo che Brocchi nel 1811 e Marzari Pencati nel 1819 richiamarono l’at- tenzione dei geologi sui dintorni di Predazzo e sulla Yal di Fassa, e dopo che von Buch fece noti i suoi studi sulle dolomiti e pubblicò la sua Carta geologica del Tirolo meridionale, quella regione, comprendente anche i gruppi vicini di Seis e dello Schleru, divenne un classico campo di studi geologici, dapprima per le sue roccie eruttive, in seguito anche per le formazioni di sedimento con le medesime in contatto ; lo quali si mostrarono ben tosto di molto interesse per la geologia alpina, come quelle che diedero il modo di decifrare l’età e la successione di tutta la serie mesozoica di quella parte della catena, con l’aiuto delle ricche faune ivi scoperte e che le monografie di Miinster, di Wissmann e di Klipstein fecero per prime conoscere. L’autore fa quindi brevemente la storia degli studi fatti in quella classica regione al- pina da Emmerich (1844), da Richthofen (1860), da Gùmbel (1873), da Mojsi- ~ 400 sovics (1879), da von Wohrmann (1889) e dallo stesso con Koken (1892). Egli medesimo, in unione ai suoi allievi, \ i istituì ricerche nell’estate del 1898, aventi specialmente per scopo il ritrovamento di nuovi fossili e la prepara- zione di una particolareggiata carta geologica dell’Alpe Seis, dello Schlern e della regione circostante. Queste ricerche ebbero buon, esito e l’autore ne riferisce in questo lavoro i principali risultati, col corredo di copiose liste di fossili rinvenuti nei vari livelli rappresentati in quel complesso. Autori diversi. — Cenni descrittivi dei principali giacimenti italiani di minerali utili. (Catalogo della mostra fatta dal Corpo Reale delle Miniere all’Esposizione universale del 1900 a Parigi, Parte II, pag. 49-160, in-4®). — Roma, 1900. In occasione delIBsposizione universale di Parigi nel 1900, il R. Corpo delle Miniere presentava, riunite in un volume, alcune notizie sulle industrie minerarie e metallurgiche italiane e sui servizi che gli sono affidati, a corredo di una collezione di minerali utili e delle carte e pubblicazioni da lui esposte. In questo volume trovansi i Cenni descrittivi sopra indicati, coi prodotti delle miniere e delle cave, redatti dagli ingegneri del Corpo residenti nei vari di- stretti, e distinti per materia come segue: Minerali di ferro e manganese; 2® Minerali di piombo, zinco e argento ; 3® Minerali di antimonio e mercurio ; 4° Minerali di oro, rame, nichelio e cobalto, e piriti di ferro ; 5® Minerale di solfo; 6° Grafite e combustibili fossili; 7® Acido borico, salgemma e allumite. Aello stesso volume trovasi l’elenco dei campioni di minerali utili italiani presentati, in complesso 681, disposti secondo lo stesso aggruppamento e in ciascun gruppo distinti per distretto minerario e per miniera. Seguono i pro- dotti delle cave con 392 campioni, distinti in Pietre da taglio per uso edilizio e decorativo, in Materiali diversi per costruzioni edilizie e stradali e in Mate- riali diversi per uso industrialo. — 401 — APPENDICE W Aeppli a. — Alpen: Orographie^ Geologie, Klima, Lawinen und Olet. scher. (Knapp und Borei, aeogr. Lexikon der Schweiz, Lief. 2-3, pag. 38-57). — Neuenburg, 1900. AmbIthl Gr. — Ueber die Herstellmig von Kochgescìiirren aiis Lavesstein ani Siìdrande der Alpen. (Ber. der nat. Gres. St. dallen fiir 1898-99, p. 240-251). — St. aallen, 1900. Baratta M. — Materiali per iiH catalogo dei fenomeni sismici avvenuti in Italia. IL Notisie di terremoti sentiti in Reggio Emilia (pag. 10 in-8^). — Toglierà, 1900. Baratta M. — Nuove considerazioni sul terremoto di Rieti del 28 giu- gno 1898 (pag. 3 in-8^). — Vogherà, 1900. Battaxdier a. — Uéruption du Vésuve. (Cosmos, n. 800, p. 658). — Paris, 1900. Bellini B. — Les ammonites du calcaire rouge ammonitique de V Ombrie. (Journ. de ConchTliologie, T. XLYIII, n. 12, p. 122-165). — Paris, 1900. Bombicci L. — Sulle cave di alabastrite onice di Castelnuovo dell Abbate [Monte Amiata) (pag. 7 in-4°). — Livorno, 1900. Bosco C. — L’ossario pliocenico del Valdarno superiore. (Mem. Valdar- nesi dell’Acc. del Poggio, Voi. VII, pag. 47). — Montevarchi, 1900. Buchanan J. — Torsion-structure in thè Alps. (Phil. Mag., 50, pag. 261-265). — London, 1900. (1) Sono pubblicazioni non pervenute all’LTfficio o pervenutevi troppo tardi per poterne inserire la bibliografia nel posto relativo. 26 — 402 — Campoccia Gr. — Brevi cenni sulla paleontologia della Sicilia centrale (pag. 22 in-8^, con tavola). — Caltanissetta, 1900. Casoria e. — L'acqua carbonica bicarbonato-calcica^ ferruginosa e man- ganesifera della sorgente sul Orancano nella Valle dell’ Imo {Salerno) di proprietà di Stefano Gatti. Analisi chimica (pag. 7 in-8^). — Salerno, 1900. SoHMiDT C. — Geologisches Gutachten uber die Goldfuhrenden Gdnge bei Brusson {Val de lEvanQon) in Piémont (pag. 12 in4^, con Carta geologica). — Bern, 1900. Tommi C. — Minéraiix et roclies des provinces de Bienne et Grosseto {Toscana) (pag. 71 in-8®). — Sienne, 1900. Yecchioni P. e. — La salsa di Nirano. (In girofpel mondo, 1900, n. 3). — Bologna, 1900. ELENCO del personale componente il Comitato e 1’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini G-io vanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Preùdmte. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. CossA Alfonso, prof, di chimica, R. Scuola per gli ingegneri in Torino. G-emìiellapo Uaetano G-iorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Padova. ScARABELLi GIUSEPPE, Senatore del Regno, Imola. STRn\*ER Giovanni, prof, di mineralogia, R* Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati ATccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolo, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Soriani Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Yentudino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Ces.are. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. FpwAnchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrarie -geologico, via Santa Susanna, n. 1. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (^31 dicemlire 1901) LIBRI Bollettino del R. Comitato Greologico; Voi. I a XXXII, dal 1870 al 1901. Prezzo di ciascun Tolunie L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Tol. I. Pirenze 1871. — IJn Tolume in-4® di pag. 361 con ta- vole e carte geologiche » 35 — Yol. II, Parte 1^. Pirenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 cen tavole e carte geologiche » 25 — Tol. II, Parte 2^. Pirenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 — Tol. Ili, Parte 1^. Pirenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 — Tol. Ili, Parte 2'^^. Pirenze 1888. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 — Tol. IT, Parte 1^. Pirenze 1891. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole » 8 — Tol. IT, Parte 2^. Pirenze 1893. — Un volume in-4® di pag. 214 con tavole » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Tol. I. Poma 1886. — L. Baldacci ; Descrizione geologica dell'Isola di Sicilia. — Un volume in-8® di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 — Tol. II. Roma 1886. — B. Botti; Descrizione geologica del- risola d'’Ell)a. — Un volume in-8*^ di pag. 266 con tavole e ima Carta geologica » 10 — Tol. III. Roma 1887. — A. Pabri: Relazione sulle miniere di ferro dell Isola d^Elba. — Un volume in-8‘^ di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Tol. IT. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria delV Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 — Tol. T. Roma 1890. — C. De Castro; Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrahns {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-niineraria * 8 — — 405 — Tol. YI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Iln volume iii-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa L. 6 Tol. TU. Roma 1892. — E. Coetese e T. Sabatini: De- scrizione geologico-pefrografìca delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 114 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Tol. TIII. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Tol. IX. Roma 1895. — E. Coetese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » 12 Tol. X. Roma 1900. — T. Sabatini: / vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte M: Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di p^g. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio X, . 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio X. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del T allo) » 3 » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) . . . » 4 » 250 (Bagheria) . . . » 3- » 267 (Canicattì) . . • » 5 » 251 (Cefali!) .... » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 » 2.52 ( Xaso) .... » 4 — » 269 (Paterno) . . . » 5 * 2.53 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . » 3 » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Gir genti) . . • » 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 > 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) . . . » 4 » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » 3 » 260 (Xicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . . . » 3 » 261 (Brente). . . . » 5 — » 277 (Xoto) . . . . » 3 Tavola di sezioni X. I (annessa ai fogli 249 e 258 . . L. 4 — » » X. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » X. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — * » X. IT (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — > » X. T (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — — 406 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 . , L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 'N. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio jS". 149 (Cerveteri) » 150 (Roma) . » 158 (Cori) . . L. 4 — » 5 — 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema B. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Serravezza .... » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 — NB. / fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio ]Sr. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — Foglio Y. 242 (Catanzaro) . . L. 4 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — zato) ...» 3 — » 228 (Cetraro) ...» 3 — » 245 (Palmi) ...» 3 — > 229 (Paola) .. .» 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 — » 231 (Ciro) .... » 3 — » 254 (Messina) ...» 4 — > 236 (Cosenza) ...» 4 — » 255 (Gerace) ...» 4 — » 237 (S. Griovanni in F.) » 5 — » 263 (Beva) .... » 3 — > 238 (Cotrone) ...» 3 — » 264 (Staiti) .... » 3 — » 241 (Meastro). . . » 4 — Tavola di sezioni Y. I, 1— 1 1— 1 e 'N. Ili, ciascuna . . L. 4 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologico-mineraria delF Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglie. — Roma, 1894 » 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IN’apoli. In corso di stampa: MeiDorifi flescrittive iella Carta geologica fl’Italia - Voi. XI. A. Stella. — Descrizione geologieo-agraria del Colle Montello [provincia di Treviso). Con 16 tavole di carte., profili e vedute fotografiche. Carta geologica i’Italìa nella scala il 1 a 100 000. Fogli: 201 (Matera); 202 (Taranto); 203 (Brindisi); 204 (Lecce); 213 (Maruggio) ; 214 (Gallipoli); 215 (Otranto); 223 (Tricase). In preparazione : Carta geologica i’Italia nella scala il 1 a 100 000. Fogli : 198 (Campagna); 199 (Potenza); 200 (Laurenzana); 209 (Vallo della Lucania) ; 210 (Lagonegro); 211 (S. Arcangelo); 212 (Tursi). ^ Annunzi di pubblicazioni Arcidiacono S. — Il terremoto di Nicolosi dell ll magrgio 1901 e le sue repliche (Boll. Acc. Gioenia di So. nat., fase. BXX, 2^^»' 2-15). — Ca- tania, 1901. Bellini R. — La grotta dello zolfo nei Campi Flegrei (Boll. Soc. Geol. ital.y Voi. XX, fase. 3^, pag. 170-175). — Roma, 1901. Billows e. — Zeoliti, Prelmite, Rodoiiite ed altri minerali delRAgordino superiore (Rivista di min. e crist. ital., Voi. XXYII, fase, V e VI, pag. 19-90). — Padova, 1901. tlACCiAMALi G. B. — Osserrazìoni geologiche sulla regione tra Villa Cogozzo ed Urago Mella (Brescia) (Boll.iSoc. Geol. ital., Voi. XX, fase. 3*^, pag, 351-867, con Carta geologica). — Roma, 1901. Capeder G. — Appunti geologici sui dintorni di Potenza (Ibidem, fase. 8*^, pag. 178-187). — Roma, 1901. Clerici E. — Resoconto sommario delle escursioni fatte nei dintorni di Brescia nel settembre 1901 (Ibidem, fase. 1-’, pag. clxxix-clxxxvi). — Roma, 1901. CoLOMoA L. — Sopra una jadeitite di Cassine (Acqui) (Rivista di min. e crist. ital.. Voi. XXVII, fase. I, II, III, pag. 18-27). — Padova, 1991. Dainelli G. — Appunti geologici sulla parte meridionale del Capo di Letica (Boll. Soe. Geol. ita].. Voi. XX, fase. 1% pag. 016-690, con 3 tavole e una Carta). — Roma. 1901. De An(ìelis d’Gssat G. — Escursione geologica alla Miniera Marganai (Iglesias) (Rass(^gna mineraria. Voi. XV, n. 16, jJag- 241-242). — Torino, 1901. Idem e 51illosevicii P. — La miniera di antimonio a Montauto di Maremma e suoi dintorni (Il/idem, n. 13, pag. 193-196). — Torino, 1901. . De L(h:enzo G. — Un paragone tra il Vesuvio e il Vulture (Rend. Acc. Se. fis.-e maty, S. 3". Voi. VII, fase. 8*^ a 11^, pag. 315-320). — Xapoli, 1901. De Stei ano (>. — Osservazioni sul sopracretaceo della Sicilia nord-orientale (Rivista ital. di paleontologia, Anno VII, fasc.lll, pag. 55-61). — Bologna, 1901. Idem. — Alcuni pesci pliocenici di Calanna in Calabria (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XX, fase. 4", pag. 552-562, con ta^mla). — Roma, 1901. tiENTjLE G. — Su alcune nummuliti dell’Italia meridionale (dagli Atti della R. .\ec. Se. fis. e mat., S. 2‘'^, Voi. XI, n. 5, pag'. 14 in-4®, con tavola). — Xapoli, 1901. Mercalli G. — Escursioni al Vesuvio (L’ Appennino meridionale, Anno III, II. 1(. — Xapoli, 1901. Idem. — Notizie vesuviane. Luglio-dicembre 1900 (Boll. Soc. sismologica ital,. Voi. VII. n. 3, pag. 97-113). — Modena, 1901. Xelli B. - Il Langhiano di Rocca di Mezzo (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XX, fase. 3 ", pag. ‘346-350). — Roma, 1901. {Segue) (Seguito: V. pagina precedente J iS^icoLis E. — Successione stratigrafica della porzione orientale dell’anfiteatro morenico del Oarda (Ibitlem, fase. 4*^, pag. cxxxiV-vi). — Roma. 1901. Prever P. — Cenni preliminari sulle niimmnlitidi dei dintorni di Potenza (Ibidem, fase. 3*^, pag. 488-505). — Roma, 1901. Ricco A. — Cratere centrale dell’Etna (Boll. Soe. sismologiea ital.. Tol. TII. n. 8, pag. 124-136, con 4 tavole). — Modena, 1901. Sacco E. — I molluschi dei terreni terziari! del Piemonte e della Liguria. Parte XXIX (pag. 160 in-4®, con 29 tavole). — Torino, 1901. Idem. — Considerazioni geologiche sopra alcune ricerche di acqua potabile per la città di Cuneo (pag. 12 in-4®). — Cuneo, 1901. Idem. — Considerazioni geo-idrologiche sulle trivellazioni della Tenaria Reale (pag. 8 in-l*’). — Torino, 1901. Idem. — La frana di Mondovì (dagli Annali R. Acc. di Agr.. Tol. XLIT, pag. 4 in-8®). — Torino, 1901. Idem. — Sul valore stratigrafico delle grandi lucine dell’ Appennino (Boll. Soc. Geol. ital., Tol. XX, fase. 4®, pag. 563-574). — Roma, 1901. ScALiA S. — Sopra una nuova località fossilifera del Post-pliocene suh-etneo (Atti deir Acc. Gioenia di Se. nat. S. 4% Tol. XIT, pag. 10 in-l*^). — Ca- tania, 1901. Silvestri A. — Sulla struttura di certe polimorfine dei dintorni di Calta- girone (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. EXIX, pag. 14-18). — Ca- tania, 1901. Squinabol S. — La flore de dovale. Étude de paléontologie végétale (Mé- moires de la Soc. ' Priburgeoise des Se. nat.. Serie de Géol. et Géogr.. 2me année, fase. 1, pag. 1-97, con 5 tavole). — Eribourg (Siiisse), 1901. Idem. — Su alcune fllliti eoceniche del Ticentino (Rivista ital. di paleontologia. Anno TU, fase. Ili, pag. 68-72, con tavola). — Bologna, 1901. Tacconi E. — Sulla composizione mineralogica delle alluvioni costituenti il sottosuolo di Pavia e dintorni (Rend. R. Istituto lombardo. S. II, Tol. XXXIT, fase. XTI, pag. 873-881). — Milano, 1901. Toldo G. — Sezioni geologiche riguardanti la coltre alluvionale padana. (Boll. Soc. Geol. ital., Tol. XX, fase. 4*^ pag. 579-615, con tavola). — Roma, 1901. Tommasi a. — Contribuzione alla paleontologia della valle del Rezzo (Me- morie R. Istituto lombardo, Tol. XIX, fase. IT, pag. 49-66, con 2 tavole). — Milano, 1901. Trabucco G. — Fossili, stratigrafia ed età della Creta superiore del bacino di Firenze (Boll. Soc. Geol. ital., Tol. XX, fase. 2®, pag. 271-294, con ta- vola). — Roma, 1901. Trentanove G. — Il miocene medio di Popogna e Cafaggio nei Monti Li- vornesi (Ibidem, fase. 4°, pag. 507-550, con 2 tavole). — Roma, 1901. Zambonini e. — Su alcuni minerali della Rocca Rossa e Monte Pian Reai (Val di Susa) (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. IT, Tol. X, fase. 2*^, 2® pag. 42-50). — Roma, 1901. I*jrez;zo del presente fascicolo L. sem.. 1901. - Anno XXXII. BOLLETTINO DEL R COMITATO GEOLOGICO D'ITALIA Volume Trentaduesimo (2® della 4“ Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1901 ■ oc