* I \b ero , Ajsnsro 1903 ROMA TIPOGRAFIA RAZIONALE DI G. BERTERO E C. R. l.° Trimestre Voi. 4 della 4a Serie Anno 1903 Vol.IXXlV della Raccolta 1903 ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di ‘Bologna, Presidente. Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Issel Arturo, prof. d[ geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strù ver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelo Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficiò geologico : Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Yenturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geològico è in Roma nel Museo agrarie-geologico, via òunta Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA 1903. — Anno XXXIV 1903. - Anno XXXIV BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA Volume Trentaquattresimo (4° della 4a Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE DI G. BERTERO e C. 1903 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1903 (Volume trentaquattresimo o quarto della 4a serie) Introduzione Pag. 1 NOTE ORIGINALI. B. Lotti. — I terreni secondari nei dintorni di Narni e di Terni. Re- lazione sulla campagna geologica del 1902 Pag. 4 C. Viola. — Osservazioni geologiche fatte nella Valle dell’Aniene nel 1902 . . , » 34 C. Crema. — Sul Pecten subclavatus Cantraine ed il Pecten Estheris Crema » 47 M. Cassetti. — Appunti geologici sui monti di Tagliacozzo e di Scur- cola nella Marsica » 113 P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini » 121 A. Verri. — Sulla divergenza di vedute circa le formazioni eoceniche e mioceniche dell’Umbria » 148 P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini (Continuazione) » 177 C. Crema. — Sul piano Siciliano nella Valle del Crati (Calabria) . . » 245 La Direzione. — Riunione annuale della Società geologica italiana a Siena » 271 D. Zaccagna. — Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geologici in- torno alle Alpi occidentali ( Continuazione ) » 297 P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini (Continuazione) » 333 V. Sabatini. — La pirossenite inelilitica di Coppaeli » 377 VI NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. Bibliografia geologica italiana per l’anno 1901 {continuazione e fine ) . Pag. 55 Bibliografia geologica italiana per l’anno 1902 » 79 Id. id. id. {continuazione) ... » 151 Id. id. id. {continuazione) ... » 277 Id. id. id. {continuazione) ... » 380 NOTIZIE DIVERSE. Pubblicazioni del regio Ufficio geologico Pag. Ili Id. id. » 175 Id. id. » 291 Id. id. » 105 Elenco del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico . . » 401 ILLUSTRAZIONI. Tav. I. — Sezioni geologiche nelle vicinanze di Terni e di Narni {B. Lotti) Pag. 82 » II. — Pecten subclavatus Cantraine e Pecten Estheris Crema {G. Crema) » 51 Sezione geologica dai monti di Tagliacozzo al fiume Salto {M. Cassetti) . » 118 » A , B. — Vedute fotografiche nei Vulcani Yulsini {P. Moderni). » 186 » C, D, E. — Id. id. {Id.) » 192 Figure schematiche relative ai medesimi. . Pag. 183 e 215 » III e IV. — Fossili del Siciliano della Valle del Orati {C. Crema) Pag. 270 Cartina geologica dei dintorni di Ciapoe (Alpi occi- dentali) {D. Zaccagna) » 308 Sezione geologica fra il Vallone dell’Arma e Prad- leves (Ibidem) {Id.) . » 312 Sezione attraverso la Valgrana (Ibidem) (Id.) . . . » 317 » V. — Carta geologica della zona paleozoica Demonte- Majola (Ibidem) {Id.) » 332 PARTE UFFICIALE. Verbale delle adunanze 8 e 9 giugno 1903 del R. Comitato geologico . Pag. 3 Relazione dell’Ispettore-capo al R. Comitato geologico sui lavori ese- guiti per la Carta geologica nel 1902 e proposta di quelli da ese- guirsi nel 1903 » 11 VII INDICE DEI FASCICOLI. N. 1. — Primo trimestre 1903 » 2. — Secondo id. » 3. — Terzo id. » 4. — Quarto id. da pag. 1 a pag. 112 » 113 » 176 » 177 » 296 » 297 » 408 Atti ufficiali 1 62 bollettino del r. comitato geologico D’ ITALIA. Serie IV. Voi. IV. Anno 1903. Fascicolo 1°. SOMMARIO. Introduzione. Note originali. — I. B. Lotti, I terreni secondari nei dintorni di Vaimi e di Terni. — II. C. Viola, Osservazioni geologici i e fatte nella valle dell’Aniene nel 1902. — III. C. Crema, Sul Pecten snbclavatus Cantraine ed il Pecten Estheris Crema. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1901 ( Conti - nuasione e fine). — Idem per Fanno 1902. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Illustrazioni. — Tav. I. Sezioni geologiche nelle vicinanze di Terni e di Vaimi, a pag. 32. — Tav. II. Pecten snbclavatus Cantraine e Pecten Estheris Crema, a pag. 54. I lavori di rilevamento e di revisione si svolsero attivamente durante la campagna del 1902 nelle regioni seguenti : 1° Alpi occidentali : fu, come al solito, il centro più im- portante ed esteso, come quello che tiene occupato il maggior numero di operatori. ì rilevamenti si svolsero principalmente nella Valle d’Aosta e nelle limitrofe, come la Valtournanche, la valle di Ollomont, quella dell’Evancon, quella di Gressoney, oltre alla Val Sessera nel Biellese. Fu pure iniziato il rilevamento particolareggiato della regione dell’ Ossola e precisamente nella valle Antigorio- Formazza. 2° Appennino ligure: si completò la tavoletta di Varese Ligure, estendendo il rilevamento anche alle limitrofe di Bedonia e di Rapallo. 3° Umbria meridionale: in continuazione degli studi pre- cedenti sull’interessante gruppo di Amelia, si rilevarono le due catene secondarie del Monte S. Pancrazio e dei Monti Sabini nelle tavolette di Magliano Sabino e di Terni, le quali furono pressoché ultimate. 4° Marche : furono rilevate completamente le tavolette li- toranee di Porto San Giorgio, Potenza Picena e Loreto, e in parte quelle più internate di San Severino e di Serra San Qui- rico, dove appariscono anche terreni secondari. 5° Provincia romana : fu intfapresa una revisione gene- rale dei Vulcani Cimini nel Viterbese e continuata quella della Valle dell’Aniene al disopra di Tivoli. Abruzzo aquilano: revisione generale dei monti che stanno fra l’alta valle del Turano e la conca di Sulmona, dove si rico- nobbero notevoli affioramenti di calcare basico finora sconosciuti. 7° Penisola salentina : vi fu fatta una revisione nella estrema parte verso il Capo di Leuca ed il Capo d’ Otranto, a rettifica dei fogli che si stanno pubblicando. 8° Calabria settentrionale : lo stesso si fece per la zona di confine tra la Calabria e la Basilicata sul versante jonico, in previsione della pubblicazione della Carta al 100m. In complesso sono stati rilevati a nuovo circa 3000 chilo- metri quadrati di territorio e altri 1000 circa riveduti. Nuovi elementi furono raccolti relativamente alle due qui- stioni dei calcescisti nelle Alpi occidentali e della zona are- naceo-marnosa delbUmbria, le quali sono ora avviate verso una soluzione. Uno studio importante fu eseguito in Ufficio sulla età degli strati a grandi Lucine del terziario italiano. Nuovi studi ed osservazioni in posto furono fatti sui gia- cimenti di bauxiti italiane e in particolare su quelli di Pescoso- lido presso Sora (vallata del Liri). Fra le pubblicazioni fatte, oltre al Bollettino (annata XXXIII), accenniamo a quella del Voi. XI delle Memorie descrittive con- — 3 — tenente la descrizione geognostico-agraria del Colle Montello, con Carta geologica e tavole diverse, e al Supplemento 4° al Cata- logo della Biblioteca (1900-1901) : alla fine dell’anno si trovavano inoltre in corso altre pubblicazioni, che vedranno la luce nel presente. Per più particolareggiate notizie sui lavori eseguiti tanto in campagna, quanto nell’Ufficio e nei laboratori annessi, vedasi la Relazione annuale della Direzione al R. Comitato Geologico, la quale sarà inserita nel prossimo numero insieme con i verbali di quest’ultimo. Accenniamo infine alla dolorosa perdita subita dal nostro Comitato con la morte del prof. A. Cossa, e la rinuncia di altri due membri, il senatore Scarabelli ed il prof. Omboni, sostituiti dai nuovi eletti professori Issel, Parona e Bassani. — 4 — NOTE ORIGINALI I. B. Lotti. — I terreni secondari nei dintorni di Narni e di Terni . Relazione sulla campagna geologica del 1902 . (Con tavola). Generalità. Il rilevamento geologico della regione umbra durante la cam- pagna estiva del 1902 si svolse nell’area compresa nelle tavolette to pografiche di Terni e di Magliano Sabino e la parte più importante di esso riflette la catena secondaria del Monte S. Pancrazio e quella che dai monti di Cesi, circuendo ad oriente il bacino pliocenico la- custre di Terni, spingesi con direzione meridiana fino in Sabina nei pressi di Poggio Mirteto e che per brevità chiamerò Catena sabina. Il gruppo dei monti che comprende il S. Pancrazio forma il se- guito immediato, verso S.E, di quello ellissoidale dei monti d’Amelia ed ambedue riuniti formano una catena, isolata in mezzo ai terreni terziari, della lunghezza di oltre 60 chilometri, diretta da N.O a S.E, che dal Monte Peglio in quel d’Orvieto giunge fino a Torri in Sabina. Il gruppo che comprende i monti di Cesi e quelli che fiancheg- giano dal lato orientale la valle del torrente Serra, sul fondo della quale corre il primo tratto di ferrovia Terni-Spoleto, non è che la zona di incontro della catena del Monte Martano con quella dei monti di Spoleto, presso la loro estremità meridionale. La catena dei Monti sabini, che sbarra ad Ovest la depressione reatina, rappresenta la prosecuzione verso Sud delle due catene pre- dette, fuse l’una nell’altra. La direzione N.O-S.E della catena del S. Pancrazio e quella me- ridiana della catena sabina portano per conseguenza che queste due catene tendano ad incontrarsi verso Sud ed effettivamente esse in- contransi fra Configni e Cottanello con un angolo di 45°, rimanendo ben distinte l’una dall’altra mediante una strettissima sinclinale oc- cupata dalle roccie più giovani del Cretaceo e da una striscia di Pliocene. È questa sinclinale che, slargandosi e approfondandosi verso N.O, va a formare la depressione ternana, occupata in gran parte da depositi pliocenici lacustri. La regione di cui ci occupiamo è stata minutamente ed anche in gran parte in modo esauriente descritta dal Verri *, sia in riguardo alla sua costituzione geognostica, sia in riguardo alla tettonica dei suoi monti; era però naturale e prevedibile che un rilevamento geo- logico particolareggiato e in grande scala, come quello che noi fac- ciamo, avrebbe potuto mettere in luce qualche nuovo fatto, tantoché non del tutto superflue e senza importanza appariranno le osservazioni che mi accingo ad esporre nella presente Relazione. Sotto il punto di vista paleontologico le roccie secondarie di questa contrada e segnatamente quelle del gruppo del S. Pancrazio furono studiate dal Meneghini % dal Panebianco 1 2 3, dal Terrenzi 4 e dal Parona 5 e le mie osservazioni poco aggiungeranno di nuovo in pro- posito. Prima d’intraprendere la descrizione geologica di questa regione conviene riassumere brevemente quanto fu esposto in relazioni pre- cedenti sulla serie dei terreni secondari di altri gruppi montuosi pure 1 A. Verri, Studi geologici sulle conche di Terni e di Rieti (Meni. II. Acc. dei Lincei, S.e 3a, Voi. XV, 1882-83). 2 G. Meneghini, Les fossiles du calcaire rouge ammoniti que, Milan, 1867-81. 3 R. Panebianco, Sui monti del comune eli Narni (Atti R. Acc. dei Lincei, Trans. IV, 1880). 4 G. Terrenzi, Il Lias superiore nel versante orientale della catena narnese (Atti R. Accad. dei Lincei, Trans. IV, 1880). 5 C. F. Parona, Contributo allo studio della fauna liasica dell Appennino centrale (Mem. R. Accad. dei Lincei, S.e 3a, Voi. XV, 1882-83). — 6 - appartenenti alla regione umbra, quali il Monte Acuto presso Uni- bertide, il Monte Tezio, il Monte Malbe presso Perugia, Parrano e Monte Peglia in quel d’Orvieto e i monti d’Amelia. Nel Monte Acuto, isolato in mezzo ai terreni eocenici, si osser- varono ben distinte le due formazioni del Senoniano, cioè gli scisti marnosi grigi e rossastri con traccie d’inocerami ( scaglia cinerea ), i calcari rossi e rosei talvolta con lenti di selce rossa, generalmente senza {scaglia rossa e calcare rosato ). A questa formazione calcarea fa seguito con perfetta continuità e passaggio graduato un’altra serie di calcari grigio-chiari con selce che furon da me riferiti dubitativa- mente al Neocomiano *, ma che ora per ragioni che diremo in seguito, dovranno essere attribuiti con maggior probabilità al Cretaceo medio o Cenomaniano. Succede in basso una sottile zona di scisti argillosi violetti, verdi, giallastri e neri con calcari verdastri e violetti a fu- coidi, e, come formazione più profonda, un’altra pila di calcari grigio- chiari con selce, imperfettamente stratificati e con venature spatiche. Ambedue queste formazioni vengono attribuite al Neocomiano. Nel gruppo del Monte Tezio, che fa seguito quasi senza interru- zione a S.E del Monte Acuto, si ripetono le stesse formazioni e nello stesso ordine; più vi si aggiungono in basso dei calcari grigi e rossi con ammoniti del Lias superiore. Nel Monte Malbe, ad Ovest di Perugia, alle formazioni preceden- temente notate altre se ne aggiungono che rendono la serie più com- plessa e più estesa in ordine discendente. Così fra i calcari grigi del Neocomiano e quelli rossi del Lias superiore interponesi una serie di strati sottili diasprini e marnosi che devono riferirsi, come vedremo per altre località, al Titoniano ; al calcare bianco del Lias superiore si associano alla base dei calcari grigio -cupi con traccie di Megalodus , e sotto a questo compariscono dei calcari cavernosi e compatti dolo- mitici grigio-cupi spettanti al Eetico. 1 B. Lotti, Rilevamento geologico nei dintorni del Trasimeno , di Perugia e d' Umbertide (Boll. Comit. geol., 1889.) — 7 — L’affioramento secondario di Parrano presso Ficulle, in quel di Orvieto, non è altro che un grande scoglio in mezzo agli strati eoce- nici, formato esclusivamente di calcare grigio con selce nera racchiu- dente aptici fra i quali YAptychus anguloco status Pet. del Neoco- miano \ Nel gruppo del Monte Peglia che, come dissi, forma l’estremità N.O della catena comprendente i monti d’Amelia e il S. Pancrazio, compariscono, come nel Monte Acuto e negli ‘altri gruppi suindicati, le due formazioni principali del Senoniano {scaglia cinerea e scaglia rossa), i calcari grigi con selce del Cretaceo medio, gli scisti varico- lori a fucoidi e i calcari con selce del Neocomiano 1 2. Nei monti d’Amelia si hanno le stesse formazioni senoniane nella parte settentrionale e soltanto una di esse, la scaglia rossa , in discor- danza sul Titoniano o su terreni più antichi nella parte meridionale. Il Titoniano è formato superiormente da calcari con selce, inferior- mente da diaspri, i quali passano poi con continuità ai calcari rossi ammonitici del Lias superiore. Questi invece riposano indiffe- rentemente sul calcare con selce del Lias medio, su quello massiccio a gasteropodi del Lias inferiore ed anche sul Retico che è il membro più basso della serie ed è formato da calcari neri o grigio-cupi con Avicula contorta e da scisti marnosi a bactrilli. Nella successiva catena del S. Pancrazio, dal Monte S. Croce al Monte Cosce o Monte di Confìgni, che è il più alto del gruppo (1114 m.), abbiamo la stessa serie d’ Amelia meno due membri di essa, e cioè i calcari grigi con selce del Cretaceo medio e gli scisti varicolori a fucoidi del Neocomiano superiore. Queste formazioni compariscono però all’estremo S.E della catena tra Vacone e le Rocchetto. La stessa serie si presenta poi completa nei monti di Cesi e di 1 B. Lotti, Rilevamento geologico eseguito nel 1889 nei dintorni del Trasi- meno e nella regione a Sud fino a Orvieto (Boll. Comit. geol., 1900). Idem, 1. c. I calcari grigi del Cretaceo medio furono attribuiti in questo scritto al Neocomiano, ma, come avvertimmo più sopra, sembra più giusto il loro riferimento al Cenomaniano. — 8 — Terni e nella loro prosecuzione a Sud fino al confine della Sabina; ma in questi monti, almeno in quella parte di essi che ha formato oggetto del rilevamento di quest’anno, non è stato riconosciuto alla base del Lias inferiore il terreno retico. La serie completa, in senso discendente, dei terreni di questa re- gione umbra, fatta astrazione dal Pliocene lacustre e dal Quaternario, è adunque la seguente : 3. Eocene. — Arenarie e marne alternanti, con banchi calcarei fossiliferi nella parte superiore. Le marne che prevalgono nella parte inferiore passano gradatamente al 2. Senoniano. — a) Scisti marnosi grigi e violetti con Taonurus (scaglia cinerea) fra i quali trovansi a luoghi dei letti sottili di cal- care screziato a foraminifere ; b) Calcari rossi e rosei (scaglia rossa e calcare rosato ) generalmente senza selce. 3. Cenomaniano. — Calcari grigio-chiari con selce che passano senza apparente discontinuità al 4. -Neocomiano. — a) Sottile zona di scisti argillosi e calcarei va- ricolori in letti sottili con strati di scisti neri bituminosi contenenti resti di pesci ; b) G-rossa pila di calcari bianchi o grigio-chiari, con noduli o lenti di selce grigia o nera. Alla base di questa pila di strati si os- servano qua e là degli aptici titoniani, e quindi è da ritenersi che la parte inferiore di questa formazione, benché litologicamente insepa- rabile dalla superiore, debba attribuirsi al Titoniano ; essa passa in- fatti con perfetta concordanza e continuità al 5. Titoniano. — Scisti marnosi rosso-cupi, diaspri e scisti argillosi verdastri o variegati con strati bianchi formati intieramente da aptici titoniani silicizzati. Questa zona scistoso-diasprina, generalmente di esiguo spessore, fa passaggio graduato al 6. Lias superiore. — a) Calcari bianchi o giallastri marnosi, sci- stosi, con ammoniti, aptici e Posidonomyae ; b) Calcari marnosi rossi con chiazze grigie essi pure ammonitiferi. Questa formazione carat- teristica, di piccola potenza, sovrapponesi con discordanza, o almeno — 9 — con discontinuità, indifferentemente sull’uno o sull’altro dei terreni più antichi sottostanti. 7. Lias medio. — Calcari grigi con selce aventi alla base pochi strati di calcare leggermente roseo pieno di crinoidi. 8. Lias inferiore. — Calcari massicci o imperfettamente stratifi- cati in grossi banchi, con gasteropodi e brachiopodi. 9. Retico. — Superiormente banchi di calcare dolomitico grigio con sezioni di Megaio dus ; inferiormente scisti marnosi a bactrilli e grossi banchi di calcare grigio-cupo o nero. Descrizione geologica. Nell’insieme dei terreni coiiiponenti la serie secondaria di questa contrada predominano di gran lung i calcari bianchi o grigi dei quali non è impresa facile la distinzione, basandosi sulle loro differenze lito- logiche, senza l’appoggio della stratigrafia e dei fossili. Pure all’occhio esperto tali differenze non sfuggono e possono anche rivelarsi a di- stanza. Così i calcari del Lias inferiore raramente si appalesano stra- tificati, e quando lo sono, costituiscono grossi banchi con rari noduli di selce. Generalmente invece sono massicci e attraversati da litoclasi in vari sensi. Sono a tessitura ceroide o subcristallina, bianchi o leg- germente colorati in grigio roseo e non vi mancano mai sezioni di fossili. I calcari del Lias medio sono generalmente in grossi banchi regolari, a tessitura ceroide, grigi tendenti al roseo, sempre con selce in noduli sparsi irregolarmente nello spessore del banco od anche di- sposta in strati sottili fra banco e banco. I calcari neocomiani, cioè quelli compresi fra la zona scistoso-diasprina titoniana e quella degli scisti varicolori a fucoidi del Neocomiano superiore, sono bianchi o, più raramente, giallo chiari a tessitura di maiolica, in strati di me- diocre spessore od anche a stratificazione confusa; contengono selce grigia o nera in lenti nella parte mediana dello strato. Qualche volta, e segnatamente al passaggio ai diaspri sottostanti, la selce è colorata in verde o in violetto e finisce per formare straterelli continui, alter- — 10 — nanti con quelli calcarei. I calcari compresi fra gli scisti a fucoidi e la scaglia rossa senoniana e che dissi doversi attribuire probabil- mente al Cenomaniano, sono in strati piuttosto piccoli a frattura con- coide, grigio-chiari, con selce in lenti, e nell’insieme poco diversi dai precedenti neocomiani, coi quali pur troppo può avvenir confusione quando manchi la zona degli scisti varicolori a fucoidi che separa ordinariamente le due formazioni calcaree. Di calcari colorati in rosso se ne hanno in tre piani distinti, nel Lias superiore, cioè, nel Titoniano e nel Senoniano ; non è però pos- sibile la loro confusione sia per la differentissima loro posizione strati- grafica, sia per la loro natura e struttura litologica. I calcari rossi del Lias superiore sono di una tinta rosso-cupa con macchie rotondeg- gianti di color grigio, ed inoltre non vi mancano mai traccio di am- moniti; quelli del Titoniano sono piuttosto di un colore violetto, ge- neralmente di esiguo spessore e sempre accompagnati da scisti argil- losi e da diaspri dello stesso colore e verdastri. Sulle superfìcie esposte alle intemperie si osservano costantemente dei frantumi di aptici ed anche aptici intieri. I calcari senoniani vanno da un roseo chiaro o roseo ( calcare rosato ) ad un rosso cupo intenso come quello dei cal- cari del Lias superiore; ma non è possibile la confusione con questi, sia per lo spessore enorme dei calcari senoniani in confronto di quello esiguo dei calcari liasici, sia per la mancanza nei primi di qualunque traccia di ammoniti che, come dissi, non mancano mai nei secondi. lietico. — Sullo stesso allineamento dei lembi di terreno retico del Monte Amata, nel gruppo d’Amelia, ricordati nella Relazione della campagna precedente ', comparisce un altro piccolo lembo di questo terreno presso la base del *Monte Santa Croce a N.E, sulla rotabile Narni-Amelia, regolarmente al disotto del calcare bianco del Lias in- feriore. Esso è costituito in prevalenza da scisti marnosi con bactrilli ed impronte di Leda cfr. percaudata Gilmo. Nessun altro affioramento 1 B. Lotti, Sulla costituzione geologica del gruppo montuoso d'Amelia {Um- bria) (Boll. Comit. geol., 1902). — li- di questo terreno si osserva sul lato orientale della catena che, con direzione N.O-S.E, dal Monte Santa Croce pei monti di Narni e pel Monte San Pancrazio giunge fin presso Vacone; ricomparisce però nel lato occidentale della catena stessa presso Poggio fra Narni e Calvi, ove forma una strettissima zona lunga circa cinque chilometri, alla base del Lias inferiore, in parte a contatto col Pliocene marino, in parte col Lias medio che sembra sottostare al Retico in conse- guenza d’una faglia (v. Fig. V, Tav. I). Esso comincia superiormente con un banco di calcare grigio dolomitico con sezioni di Megalodus che sfuma gradatamente nel calcare bianco a gasteropodi e brachio- podi del Lias inferiore; inferiormente è costituito da alternanze di scisti marnosi a bactrilli e grossi strati di 4 a 5 metri di spessore di calcare ceroide grigio-giallastro senza selce. Fra gii scisti a bactrilli si osservano straterelli di calcare scuro con gasteropodi apparente- mente del genere Cerithium. Lias inferiore. — Il calcare bianco, ceroide, massiccio od anche talvolta grossolanamente stratificato, del Lias inferiore forma la mas- sima parte della catena del San Pancrazio, come forma quella dei monti di Amelia cui si collega, e domina poi nella parte più elevata della Catena sabina, dirimpetto, verso Est. Nei dintorni di Cesi e di Terni e nella valle del Serra questo calcare comparisce in scogli iso- lati, emergenti dalle altre formazioni secondarie più giovani che li contornano e li avvolgono. Tali sono la Rocchetta sopra Cesi, il Colle Zannuto, la Rocca, il Monte Torricella, la scogliera dei Santi di Battiferro, il Monte Valle, la Rocca delle Marmore, il Colle di Mi- randa e quello di Predaro. Altri ne compariscono a N.O di Cesi, nella valle del Tescino e in quelle della Nera e del Velino; ma di questi, non ancora studiati, sarà detto dopo che nella futura campagna verrà esteso il rilevamento nel Monte Martano e nella regione reatina. La costituzione geologica di queste masse calcaree del Lias infe- riore è la solita caratteristica. Sono calcari generalmente ceroidi, bianchi, massicci o imperfettamente stratificati in grossi banchi, di- visi in poliedri irregolari da numerose litoclasi e quasi sempre fossili- 12 — feri. Può dirsi che non vi ha frammento di questi calcari che non presenti traccie di fossili i quali, sebbene difficilmente isolabili, si riconoscono appartenere nella massima parte alle classi dei gastero- podi e dei brachiopodi. Solo in una località, e cioè sopra alla Lecchia presso Poggio, sulla sinistra del torrente Aravecchia, nella catena del San Pancrazio, potei ottenere isolate alcune terebratule appartenenti alla specie Waldlieimia Ewaldi Opp. e W. cfr. stapìa Opp. ed una lima, la Lima Choffati Di St. \ Nel monte Macchialunga a Sud di Stroncone trovasi in questo calcare, presso il vertice della montagna, un piccolo giacimento di minerale di ferro. Trattasi d’una vena di circa 50 centimetri di spes- sore, incassata quasi verticalmente nei calcari, di limonite impura. Vi furono praticati dei saggi i quali dimostrarono la nessuna impor- tanza industriale del giacimento. Lias medio. — Come nei monti d’Amelia anche in questi di Narni e di Terni il Lias medio comparisce generalmente in lembi isolati di piccola estensione e perfettamente concordante col terreno preceden- temente descritto ; che anzi fra i due terreni interponesi quasi sempre uno strato di passaggio formato di calcare leggermente roseo pieno di crinoidi, che non si può dire con sicurezza se deve collegarsi al primo piuttostochè al secondo. Di questo strato di passaggio fu fatta menzione anche nella descrizione dei monti d’Amelia 1 2 e si accennò alla probabilità che esso rappresenti la zona di calcare rosso ad arie- titi dei monti della Toscana, precisamente racchiuso tra il calcare bianco massiccio del Lias inferiore e quello grigio-chiaro con selce stratificato del Lias medio. Questo calcare roseo acquista un certo sviluppo ed è notevolmente fossilifero presso Confìgni, nel fianco N.E della catena del San Pan- crazio. Insieme ai crinoidi raccolsi quivi una Rinconella che il Di Ste- fano ritenne riferibile alla Rhynchonella cfr. Briseis Gemm. 1 Determinazioni del dott. G. Di Stefano. 2 B. Lotti, 1. c. Il calcare grigio-chiaro con selce del Lias medio, oltreché in banchi isolati non ricoperti da altri terreni, sparsi qua e là, specialmente nella parte meridionale della catena del San Pancrazio, comparisce in serie tra il Lias inferiore ed il Lias superiore lungo quasi tutto il lato orientale della catena stessa, presso Vacone e nelle alture di San Benedetto alla sua estremità Sud, tra Spiazzo la Croce e Batti- ferro sulla sinistra del torrente Serra e presso Cesi. Lo spessore di questo terreno differisce notevolmente da un punto alfaltro, e ciò è senza dubbio in rapporto col fatto della esistenza d’una discontinuità di deposito fra esso e il successivo calcare rosso del Lias superiore. Lias superiore. — Di tale manifesta discontinuità fu fatto cenno nella mia descrizione geologica dei monti d’Amelia 1 e fu notato che il calcare rosso ammonitifero del Lias superiore riposava in quei din- torni indifferentemente sul Lias medio, sul Lias inferiore ed anche sul Retico. Questa discontinuità non costituisce un fenomeno nuovo nella geologia dellTtalia centrale e fu già avvertito da me all’ Elba e nella Cornata di Gerfalco in Toscana. Nella prima località il Lias superiore riposa con discordanza sul Lias inferiore, sul Retico, sul Permiano e fìnanco sugli scisti presiluriani; nella seconda, ora sul calcare bianco del Lias inferiore, ora sul rosso ad arietiti e raramente in serie continua sui calcari grigi del Lias medio 2. Nella regione di cui ci occupiamo il calcare rosso del Lias supe- riore oltreché in serie sul Lias medio, trovasi in più luoghi sul Lias inferiore direttamente, ciò che conferma la presenza della suaccennata discontinuità anche in questa parte dell’Umbria. Nel lato orientale della catena del San Pancrazio, una sottile zona continua di questo calcare rosso ammonitifero del Lias superiore trovasi in contatto in parte col Lias medio, in parte col Lias inferiore. 1 B.- Lotti, 1. c. 2 B. Lotti, Descr. geol. dell’Isola d^Elba (Mem. descr. della Carta geol. d' Italia, II, 1886) e Descr. geol. -mineraria dei dintorni di Massa Marittima (Ibidem, Vili, 1898). 14 — Questa formazione è ben caratterizzata dai fossili che racchiude, specialmente ammoni tidi, dei quali furon presentate liste di specie dal Meneghini, dal Parona, dal Panebianco e dal Terrenzi \ Lo scri- vente oltre alle ammoniti vi osservò numerose impronte di Posido- nomya Bronni e qualche aptico. Alcuni aptici di questo piano, raccolti dal Verri, furono determinati dal Parona 1 2. Sulle alture di San Benedetto, presso Stroncone, il Lias superiore è composto da alternanze di calcare rosso e di calcare grigio sfalda- bile a lastre, cui associansi straterelli di calcare screziato, frammen- tario-spatico, pieno zeppo di posidonomie ed aptici. Lo stesso avviene presso il cimitero di Miranda a S.E di Terni, dove il Lias superiore sovrapponesi direttamente al Lias inferiore, nei dintorni di Cecalocco e a San Bartolomeo presso Colle Licino, sulla destra del torrente Te- scino, nonché a Cesoia Piana presso Aspra al piede occidentale della Catena sabina. Dove il calcare ammonitifero è molto sviluppato, come presso Configni sul fianco orientale del San Pancrazio, esso dividesi in due parti, una superiore di calcare bianco o giallastro, una inferiore di calcare rosso e scisti rossi argillosi 3. La fauna ammonitica non pare però che presenti differenze apprezzabili. Dove presenta uno sviluppo anche maggiore, come nei dintorni di Miranda e della Bocca di Papigno, presso Terni, questo terreno è formato oltreché dai calcari bianchi e rossi ammonitiferi, da calcari a struttura frammentario-spatica pieni di posidonomie, scisti argillosi rossi e grigiastri, calcari verdastri scistosi ammonitiferi e straterelli di arenaria calcarea con aptici. Sebbene questi strati del Lias superiore e specialmente il calcare rosso siano quasi dappertutto fossiliferi, pure come località special- 1 Autori più sopra citati. 2 0. F. Parona, 1. c. 3 Come diremo in appresso, le due parti son qui invertite di posizione per la presenza d’un rovesciamento. — 15 -, mente ricche di fossili possono citarsi C. Moretti e San Niccolò, circa cinque chilometri a S.E di Narni, i dintorni immediati di Configni e la vallecola delle Schiglie presso Cesi. Titoniano. — Mentre riscontrasi una decisa discontinuità fra il Lias medio e il Lias inferiore, il passaggio da questo alla zona sci- stoso-diasprina del Titoniano apparisce graduale. Però in più luoghi questa zona diasprina sovrapponesi direttamente al Lias inferiore senza l’interposizione del calcare rosso del Lias superiore. Così intorno allo scoglio di calcare del Lias inferiore, sul quale è fabbricata la città di Narni, riposano direttamente i diaspri e i calcari con selce verdastra sottilmente stratificati, del Titoniano e lo stesso avviene per una lunga zona, di oltre 15 chilometri di questo stesso terreno sulla pendice oc- cidentale della Catena sabina. La sovrapposizione diretta del Titoniano al Lias inferiore fu os- servata anche dal Canavari nei dintorni di Camerino nelle Marche \ Malgrado l’apparente passaggio graduato di questa zona scistoso- diasprina ai calcari del Lias inferiore, potrebbe adunque sospettarsi l’esistenza d’una discontinuità anche fra questi due terreni, se pure l’assenza del calcare ammonitifero non sia da attribuirsi a mancato deposito locale. Il terreno titoniano è formato essenzialmente da strati scistosi e diasprini variamente colorati, alternante con zone di calcari scistosi rosso-cupi ad aptici o con calcari grigi e violetti selciosi sottilmente stratificati, fra i quali compariscono straterelli bianchi, silicei, costi- tuiti quasi esclusivalmente da aptici. Esemplari splendidi di questa lumachella silicea si raccolsero presso le Cimitelle nei monti ad Est di Stroncone presso Terni e presso il Monte Cecalocco. Il dott. Di Stefano vi riscontrò V Aptychus punctatus Woltz e VA. Beyrichi Opp. Nella vallecola del fosso delle Schiglie, presso Cesi, questo terreno è costituito inferiormente da calcari marnosi violetti e verdastri ad 1 M. Canavari, Un nuovo esempio di discordanza fra Titoniano e il Lias nell’ Appennino centrale (Proc. verb. Soc. tose. Se. naturali, YIII, 1891). — 16 — aptici, con letti di selce che superiormente passano a strati diasprini pure violetti e verdi. Il terreno titoniano dalla formazione scistoso-diasprina sembra prolungarsi alquanto in quella calcarea sovrapposta, poiché si osser- varono sulla superficie di stratificazione dei calcari che ne formano la base, alcune impronte di aptici titoniani ( Aptychus Bey vichi Opp.), come, ad esempio, presso le Yoltelle, sulla strada da Stroncone ai Prati, presso le Bocchette all’estremità S.E della catena del San Pancrazio e a San Bar- tolomeo presso Colle Licino in quel di Terni. In quest’ultima località il calcare bianco con selce contenente aptici alterna con scisti marnosi rossi che fanno poi passaggio alla sottostante zona scistoso-diasprina. Neocomiano. — La pila di strati calcarei di notevole potenza che sovrincombe direttamente alla zona scistoso-diasprina non può, adun- que, esser riferita in totalità al Neocomiano, ma deve esser repartita fra questo e il Titoniano. Sotto l’aspetto litologico però essa presenta tale uniformità di caratteri da rendere impossibile il tracciamento di una linea di divisione sulla Carta geologica. Il riferimento al Neocomiano di questa formazione calcarea nella contrada di cui è parola non si potè fare in base ai fossili, di cui finora nè a me, nè ad altri fu dato di rinvenir traccia, ma solo per analogia di condizioni sbratigrafiche con terreni fossiliferi di altre parti dei- fi Appennino centrale. Come dissi più sopra, questa pila di strati calcarei trovasi com- presa fra la zona detta degli scisti varicolori a fucoidi superiormente e quella degli scisti e diaspri ad aptici inferiormente. Ora, siccome gli scisti varicolori a fucoidi furono riconosciuti come spettanti all’Ap- tiano, ossia alla parte superiore del Neocomiano 1 e la zona scistoso- diasprina ad aptici è caratterizzata nel Camerinese da una ricca fauna di belemniti, aptici, ammoniti ed altri fossili titoniani 2, non vi ha 1 M. Cana vari, Gli scisti a fucoidi e gli scisti bituminosi dell' Appennino cen- trale (Proc. verb. Soc. tose. Se. naturali, III, 1881). 2 Idem, I terreni del Camerinese (Ibidem, I, 1879). — 17 — dubbio che la formazione calcarea compresa fra dette due zone scistose debba attribuirsi, in parte almeno, al Neocomiano ; oltredichè nei din- torni di Camerino questo calcare, chiamato rupestre , racchiude, secondo il Canavari 1 varie specie neocomiane, come Lytoceras quadrisulcatum d’Orb., L. subfimbriatum. d’Orb., Terebratula euganeensis Pict., ecc. Questi calcari, che si distinguono anche da lungi dagli altri cal- cari secondari per il loro accentuato color bianco candido, non man- cano mai al loro posto nella serie e sono di solito, come accennai, molto sviluppati in potenza. Essi compariscono nel lato Nord del Monte Croce, nel solco della Nera presso Narni e in tutto il lato orien- tale della catena del San Pancrazio, da Narni fin oltre Confìgni, in una zona alquanto ristretta compresa fra il Senoniano e gli strati ad aptici titoniani, mancando qui, come vedremo, gli scisti a fucoidi e i calcari cenomaniani. Con molto maggiore sviluppo si presenta poi nei monti di Cesi e in quelli circostanti alla valle del torrente Serra, co- stituendo una gran parte del monte Torre Maggiore, del monte Tor- ricella e dei monti di Battiferro e di Montebibico; forma inoltre una zona quasi continua, potente ed estesa, diretta da Nord a Sud, dai dintorni di Papigno presso Terni fino a Monta sola nel versante occidentale della Catena sabina. Un lembo di notevole estensione si osserva finalmente a S.O del Monte Croce presso l’estremità meri- dionale della catena de1 San Pancrazio, nella valle che scende alle Bocchette. In vari punti questo calcare, anziché sugli strati scistoso-diasprini titoniani, riposa direttamente su terreni più antichi. Così lo troviamo nei dintorni di Cesi sul Lias superiore ed anche sull’inferiore, nel monte Torricella sul Lias medio e sull’ inferiore, sotto le rupi di Bat- tiferro e in parte dei monti di Miranda e di Stroncone in contatto col Lias inferiore, e nelle stesse condizioni trovasi pure nelle colline a S.E di Narni e nella pendice S.O del Monte Croce, quivi forse in causa d’una faglia, come vedremo. 1 Idem, Gli scisti a fucoidi, ecc. 2 - 18 La zona degli scisti varicolori a fucoidi, che abbiamo veduto do- versi attribuire alla parte superiore del Neocomiano, ossia all’Aptiano, è costituita, come fu detto, da scisti argillosi e sottili letti calcarei di varie tinte, con fucoidi, ed è caratterizzata dalla presenza quasi co- stante, presso la base, di uno strato di scisto nero, bituminoso con resti di pesci \ Frammenti di ittioliti furon da me trovati in questo strato fra gli scisti varicolori di Capo dell’Acqua presso Rocca Carlea, a Sud di Stroncone. Queste roccie si trasformano talvolta in alter- nanze di strati di un calcare con selce, bianco tendente al grigio- verdastro ’ con strati di un calcare rosso -violetto con selce rossa. Tal- volta questi calcari colorati spariscono, ed allora la separazione esatta dei calcari neocomiani da quelli cenomaniani che ad essi succedono in serie ascendente, è quasi impossibile. La zona degli scisti varicolori possiede generalmente uno spessore di pochi metri e solo in qualche punto, come nei monti di Rocca Carlea presso Stroncone, nelle alture di Montebibico fra la valle del Serra e quella del Tescino e nella vallecola di Acquapalombo nei poggi d’Appecano, presenta uno sviluppo in potenza relativamente conside- revole. Essa forma una striscia ininterrotta di oltre 20 chilometri, compresa tra il calcare neocomiano e quello cenomaniano, da Colle, presso Terni, fino a Montasela, e nelle stesse condizioni stratigrafiche si presenta nei dintorni di Cesi, nei poggi d’Appecano e in quelli di Montebibico, sui due lati del Serra, non che nei pressi delle Rocchette all’estremità della catena del S. Pancrazio; manca però totalmente, insieme al calcare cenomaniano, lungo tutta quella zona continua di terreni secondari superiori che riveste il fianco orientale della catena stessa, dal Monte S. Croce a Configni, per cui in questa zona al calcare neocomiano succede immediatamente la scaglia senoniana. Ciò nonper- 1 II Bonarelli, riferendo sulla geologia dei monti del Furio nelle Marche, pone questo strato bituminoso ittiolitifero, tra la scaglia del Cretaceo superiore ed il calcare bianco del Cretaceo medio o Cenomaniano invece che nella zona degli scisti aptiani. — 19 — tanto non è escluso che una parte de] calcare con selce riferito al Neocomiano, debba ripartirsi fra questo e il Cenomaniano, dato che qui, come altrove, gli strati aptiani non siano rappresentati dai carat- teristici scisti a fucoidi, ma siano costituiti da calcari con selce, simili a quelli superiori ed inferiori, nel qual caso, come fu detto, è difficile od impossibile la separazione. Cenomaniano. — Dove comparisce la zona aptiana degli scisti a fucoidi, non manca mai di succedere ad essa in serie ascendente una pila di strati di calcare grigio -chiaro con selce, molto somigliante a quello sottostante neocomiano. Esso fa passaggio graduato tanto agli scisti a fucoidi, per mezzo d’alternanze di strati di calcare bianco e di calcare violetto, quanto alla scaglia senoniana per mezzo di strati alternanti di calcare bianco e roseo. Il suo riferimento al Cretaceo medio o Cenomaniano, oltreché sulla sua posizione stratigrafica fra il Neocomiano e il Senoniano, è basato sul ritrovamento, in esso calcare, d’una rudista del genere Radiolites in alcune località del Monte Sanvicino \ Il massimo sviluppo di questa formazione lo troviamo nei poggi d’Appecano e nelle alture di Montebibico, circostanti alla valle del torrente Serra presso Terni, nonché in una zona regolarissima di oltre 20 chilometri di lunghezza sulla pendice occidentale della Catena sabina. Dna striscia di questo terreno accompagna inoltre la zona degli scisti a fucoidi dell’estremità S.E del S. Pancrazio presso la Rocchetta. Senoniano. — Dove mancano i calcari con selce cenomaniani, ve- diamo il successivo senoniano riposare indistintamente su vari terreni più antichi della serie secondaria. Così nel Monte S. Croce presso Narni troviamo uno stesso lembo di sbaglia senoniana sul Neocomiano, sul Lias medio e sul Lias inferiore. Un altro lembo che da Narni giunge fino a C. Moretti, circa quattro chilometri a S.E della città, riposa sul calcare neocomiano, sui diaspri titoniani, sui calcari rossi ammonitici del Lias superiore e sul Lias inferiore. All’estremità S.E 1 M. Canavart, 1. c. 20 - della catena del S. Pancrazio la scaglia senoniana ricuopre diretta - mente in parte i calcari cenomaniani, in parte gli scisti a fucoidi aptiani, in parte il calcare del Lias medio. Nel lato orientale della catena del S. Pancrazio la scaglia senoniana succede direttamente ed esclusivamente sui calcari neocomiani e senza apparente discontinuità ; ma qui, come fu detto, restiamo incerti se una parte di questi calcari debba attribuirsi piuttosto al Cretaceo medio. In tutto il resto della contrada la troviamo costantemente sui calcari biancastri con selce cenomaniani, ai quali fa passaggio" graduato. Se ricordiamo pertanto che questo terreno senoniano riposa di- rettamente e indistintameute su formazioni appartenenti a vari piani del secondario, dal Neocomiano fino al Lias inferiore anche nei monti d’Amelia *, nel Monte fi ezio e nel Monte Acuto presso Umbertide, nonché sul Eetico a Migiano di Monte Malbe presso Perugia a, do- vremo concludere che nell’Umbria, almeno in quella parte finora stu- diata, alla stessa guisa di ciò che si verifica nei monti secondari di tutta la Toscana 1 2 3, apparisce manifesta la trasgressione dal Ceno- maniano, ossia la interruzione dei depositi in quest’epoca per una parziale emersione dei terreni secondari e conseguente loro denu- dazione. Potrebbe notarsi che, per ora almeno, questa trasgressione fu ri- conosciuta soltanto nelle piccole isole secondarie di Umbertide e di Perugia e nella catena secondaria, pure isolata, Monte Peg]ia-S. Pan- crazio che formano gli avamposti occidentali dell’ Appennino centrale ; mentre, a giudicarne dal poco osservato in quest’anno nelle montagne di Terni e dalle descrizioni di altri autori, non sembra che essa tra- sgressione abbia luogo nella vera catena appenninica: ma tale fatto, 1 B. Lotti, Sulla costituzione geologica del gruppo montuoso d’Amelia ( Umbria ) (Boll. Comit. geologico, 1902). 2 Idem, Rilevamento geologico nei dintorni del Lago Trasimeno , di Perugia e Umbertide (Ibidem, 1890). 3 Idem, Considerazioni sintetiche sulla orografia e sulla geologia della Catena Metallifera in Toscana (Ibidem, 1892). — 21 — che sarebbe di somma importanza per la sintesi orogenica dell’ Ap- pennino centrale, dovrà essere ancora dimostrato da studi successivi. Come fu già accennato, nel Cretaceo superiore si comprendono tre forme litologiche, una inferiore detta calcare rosato , perchè costi- tuita da un calcare roseo, stratificato con rare lenti di selce rossa; una intermedia di calcari marnosi rosso-mattone intenso, di solito senza selce, detta scaglia rossa, ed una superiore di calcari scistosi e scisti argillosi in zone alterne di color violetto e grigio-verdastro, nota col nome di scaglia cinerea per la prevalenza di scisti marnosi grigi nella parte più alta della formazione dove fa passaggio agli scisti marnosi grigi con selce nera dell’Eocene. Il calcare rosato non costituisce invero che una sfumatura di pas- saggio fra il calcare grigio chiaro cenomaniano sottostante e la so- vrapposta scaglia rossa. Essa ha generalmente in questa regione un esiguo spessore e più frequentemente manca affatto. La scaglia rossa presenta di solito una potenza ed uno sviluppo considerevole, ma non mancano dei punti dove essa è appena rappresentata da pochi strati, tantoché non si potè far figurare nella Carta geologica, come, ad esempio, lungo il fianco orientale della catena del S. Pancrazio. Nella Montagnola presso le Bocchette, all’estremità S.E della catena stessa, fra gli strati del calcare rosso senoniano compariscono grossi banchi di un calcare bianco cristallino e di un calcare giallo venato con sfumature in roseo, di bellissimo aspetto, che viene scavato per usi edilizi locali, come scavasi anche la scaglia rossa che è qui colo- rata in rosso cupo intenso e potrebbe scambiarsi col Lias superiore. La scaglia cinerea è pur essa in genere molto sviluppata ed ac- compagna costantemente in questa contrada la scaglia rossa. Nei din- torni di Finocchieto a Sud di Stroncone essa racchiude addirittura una foresta di T'aonurusì alcuni dei quali grandissimi con spire del diametro d’oltre un metro. Sotto il Colle Stroppare vi si osservano straterelli di un calcare screziato, grigio, con frammenti di scisti verdi, molto somigliante al calcare num malitico e come questo, in- fatti, pieno di foraminiferi dei gruppi delle Globigerinidae e delle Ro - 22 — talidae e qualche piccolo dente di pesce. Questa osservazione ricorda l’analoga del Canavari nelle montagne di Camerino, per la quale l’autore fu condotto ad attribuire la scaglia cinerea all’Eocene 1. Il Senoniano comparisce in lembi isolati nel Monte S. Croce, nel solco della Nera e a S.E di Narni; forma poi una zona continua, in gran parte di piccolo spessore, concomitante le altre formazioni se- condarie inferiori lungo il lato orientale della catena del S. Pancrazio, dal Monte Ippolito fin oltre Configni, ed un’altra zona di potenza no- tevole lungo la base occidentale della Catena sabina da Stroncone a Montasola. Un esteso e potente lembo di questo terreno, quasi com- pletamente formato di calcare rosso marnoso, comparisce all’estremità della catena del S. Pancrazio nei dintorni delle bocchette. Il mas- simo sviluppo è raggiunto però da queste formazioni senoniane nei monti di Cesi e nella valle del torrente Serra a Nord di Terni, dove costituiscono una gran parte delle montagne laterali. Eocene. — Sebbene il passaggio dal Cretaceo all’Eocene dap- pertutto, nella regione in parola e, per quanto si sa, in tutto l’ Ap- pennino centrale, abbia luogo gradatamente e presenti tutti i segni caratteristici della continuità di deposito, pure il limite fra i due terreni può esser tracciato con somma precisione. Non può asserirsi però che questo limite corrisponda esattamente alla linea di separa- zione fra le due grandi epoche, perchè occorrerebbe per questo il soccorso di maggiori dati paleontologici ; ma esso traccia in modo non dubbio la separazione fra due formazioni distintissime nel loro insieme, benché sfumanti luna nell’altra presso il limite. La zona di passaggio è, del resto, ristretta a qualche diecina di metri e consta di scisti marnosi grigio-azzurri che trovansi alla parte superiore delia scaglia cinerea e si convertono gradatamente in scisti marnosi con bande sottili, sfumate, di selce nera picea, parallele alla stratifica- zione. Questi scisti selciosi, che si ritengono già appartenenti all’Eo- 1 M. Canavari, I terreni del Terziario inferiore e quelli della Creta supe- riore nell'' Appennino centrale (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., YIII, 1892). — 23 — cene, costituiscono un orizzonte caratteristico per la divisione fra le due epoche, perchè, almeno nelle regioni finora rilevate, compariscono costantemente in tale posizione. Sugli scisti marnosi con selce fanno seguito degli scisti argillosi senza selce, poi delle arenarie e dei calcari con radioli d’echinidi, con briozoi e frammenti di bivalvi. Tali roccie fossilifere sono in special modo sviluppate presso Lugnola ad Est del Monte S. Pan- crazio e furono giudicate oligoceniche dal Taramelli *. Sono, del resto, come lo accenna anohe il Verri che allora le riteneva oligoceniche 1 2, le stesse roccie ritenute mioceniche in altre parti dell’Umbria e che io per ragioni stratigrafìche ho dovuto attribuire all’Eocene 3. Il terreno eocenico occupa, nella regione studiata, due vaste plaghe, una presso Terni, che stendesi fra le due catene, convergenti verso S.E, del S. Pancrazio e dei Monti sabini, l’altra nella parte superiore della valle del Serra, da dove, oltrepassando lo spartiacque, spingesi verso Nord nella valle della Maroggia. Tettonica. Della interna struttura dei monti di questa parte dell’Umbria e della contigua Sabina fu discorso ampiamente dal Verri 4 e le sue con- clusioni in proposito, tratte da un’analisi, accurata, sono state in gran parte confermate dalle mie osservazioni. Poco ho da dire sulla tettonica della catena che dai pressi di Terni spingesi in direzione meridiana verso la Sabina, essendo stato limitato per quest’anno il rilevamento geologico al solo versante occidentale di essa. La disposizione dei terreni in questa sua parte è in zone regolari 1 In Verri, Alcune note sui terreni terziari e quaternari del bacino del Te- vere (Atti Soc. Italiana Se. nat., XXII, 1897). 2 A-. Verri, Le conche, ecc., pag. 596. 3 B. Lotti, Sull'età della formazione marnoso- arenacea fossilifera dell Um- bria superiore (Boll. Comit. geol., 1900). 4 A. Verri, Le conche, ecc., 1. c. 24 — dirette da Nord a Sud ed inclinate verso Ovest, cioè verso la depres- sione sottostante, nel fondo della quale scorre il torrente Aja 1, tribu- tario della Nera. Presso San Benedetto, sopra Stroncone, la uniformità e la sem- plicità di questa tettonica viene alterata da una piccola faglia normale alla direzione della catena. La vallecola di S. Benedetto è scavata appunto sulla traccia di questa faglia lungo la quale vengono a con- tatto diretto il Neocomiano sulla sinistra e il Lias inferiore sulla destra. Presso il convento di S. Benedetto si osserva manifestamente il piano di scorrimento della faglia stessa, per circa 200 metri, in una parete liscia, inclinata verso Sud, del calcare liasico. Questa catena, alla sua estremità settentrionale, nei pressi di Terni dividesi in due rami, uno dei quali dirigesi a N.O e comprende i monti di Cesi e più oltre, ripiegando verso Nord, il Monte Martano ; l'altra prosegue in direzione meridiana e va a formare il gruppo montuoso di Somma verso Spoleto. Tra questi due rami di montagne, che grossolanamente rappre- sentano due anticlinali, resta compresa la valle del torrente Serra, nel cui fondo corre la ferrovia fra Terni e Spoleto e che è costituita da una sinclinale con asse diretto a N.O ed inclinato in verso con- trario al corso del torrente, dimodoché, mentre è angusta e schiacciata fra i due anticlinali presso il suo sbocco nei dintorni di Rocca S. Ze- none, slargasi in alto e varca il bacino del Serra, estendendosi in quello della Maroggia che scorre in direzione opposta verso Spoleto. Questa sinclinale presenta la sua ala S.O ribaltata verso N.E in tutto il tratto compreso fra Rocca S. Zenone e Giuncano, per cui le varie 1 Gli abitanti del paese dicono la Laia ed è questo un nome comune a vari corsi d’acqua di questi dintorni. Così nella L/aia principale, che scende alla l^era, immettesi la Laia di Yasciano che nasce presso Configui. Una terza Laia scorre in verso contrario alla prima partendo dagli stessi luoghi e scen- dendo al Tevere presso Stimigliano, ed in essa altra se ne immette proveniente da Rocchettine presso il Monte Cosce. Una quinta finalmente scende da Calvi direttamente al Tevere presso le Rocchette. — 25 — formazioni vi si succedono in ordine inverso come mostrano le fi- gure I e II della tavola annessa. Così presso Acquapalumbo vedesi nella pendice orientale del Poggio d’Appecano la scaglia rossa senoniana, il calcare grigio con selce ce- nomaniano e gli scisti varicolori aptiani col caratteristico strato bitumi- noso ad ittioliti in serie regolare, mentrechè queste stesse formazioni presentano una disposizione inversa sotto l’abitato stesso fin presso il torrente dove, poco sopra al suo letto, comparisce invertita puranco una sottile striscia di scaglia cinerea ; questa a sua volta riposa sulla scaglia rossa che, insieme a pochi strati cenomaniani e neocomiani, si attacca alla parete a picco della scogliera basica dei Santi di Bat- tiferro, formando l’ala N.E del sinclinale. La scaglia cinerea , che qui nella stretta di Battiferro è ridotta a minimi termini in un’angusta sinclinale, più a monte nei pressi di Giuncano e di Porzano sviluppasi considerevolmente e con essa l’Eo- cene formato dalle solite marne con bathisyphon e resti di crinoidi e da arenarie e calcari a briozoi. Fino a Giuncano, sulla destra della vaile, le formazioni, compreso l’Eocene, compariscono, come dicemmo, in serie inversa, mentre sulla sinistra, salendo il Monte Acetella verso Montebibico, si percorre la serie normale (Fig. I, Tav. I). La maggiore irregolarità nella tettonica e nella successione dei terreni si osserva, in questa parte della regione studiata, intorno alle masse del calcare massiccio del Lias inferiore, qua e là, a tratti, ri- coperto da lembi del calcare con selce del Lias medio. Queste masse, come accennai, spuntano a guisa di scogli dirupati, di mezzo alle formazioni secondarie più recenti che le avvolgono quasi a mantello ; tali sono la Rocchetta sopra Cesi, il Colle Zannuto, la Rocca, il di- rupo meridionale del Monte Torricella e la scogliera schiacciata e lunga di Battiferro. Esse non rappresentano quindi degli affioramenti d’un terreno antico dovuti a denudazione in tempi recenti, ma devono ritenersi quali residui d’una denudazione antichissima che ebbe luogo forse in tempi diversi dell’epoca secondaria e specialmente fra il Lias superiore e il Titoniano. Intorno ad esse infatti si verificano notevoli — 26 - discontinuità nelle serie, essendo ora il Lias superiore, ora il Titoniano ei anche il Senoniano i terreni che vi si appoggiano direttamente. Fra i due spuntoni liasici di Colle Zannuto e della Rocca, distanti fra loro appena un chilometro, insinuasi una lingua di scaglia seno- niana, conformata in sinclinale che lambisce il piede di quegli scogli con un dislivello di quasi 400 metri. Rapporti analoghi di posizione fra le masse di Lias inferiore e i terreni secondari superiori hanno luogo intorno agli scogli di Miranda, del Monte Rotondo e del Monte Macchialunga sulla pendice Ovest della Catena sabina, e intorno alla massa del Monte S. Croce, di Narni e del Montello all’estremità N.O della catena del S, Pancrazio. Anche alla estremità S E di questa catena verificasi un fenomeno analogo ; la massa calcarea del Lias inferiore, che termina quivi col Monte Cosce ad Est ed il S. Benedetto ad Ovest, sembra essere stata pro- fondamente incisa per erosione in epoca batoniana e riempita poste- riormente da depositi più giovani, tantoché oggi si vedono insinuati fra i due monti liasici i terreni titoniani e neocomiani in forma di sinclinale ad asse inclinato da Nord a Sud, che il Verri rileva col nome di sinclinale conica. Questa sinclinale si complica apparentemente con una faglia al contatto della massa basica del Monte Cosce, poiché da questo lato, sopra una linea retta di quasi quattro chilometri, contras- segnata topograficamente dalla giustaposizione d’un gradino dicontro alla ripida pendice del monte, vengono in contatto col Lias inferiore il calcare neocomiano, gli scisti aptiani e il calcare cenomaniano, mentre dal lato del S. Benedetto l’ala della sinclinale è formata da diaspri titoniani regolarmente sovrapposti al Lias superiore ed al Lias medio. Può dirsi pertanto che, in questa parte dell'Umbria, il periodo batoniano fu un periodo d’emersione, durante il quale la denudazione operatasi ridusse in scogli fra loro isolati i terreni del Lias, rima- nendo di preferenza il calcare del Lias inferiore. I terreni titoniani e i successivi si depositarono fra questi scogli ravvolgendoli. I movimenti orografici successivi stringendo i terreni superiori relativamente plastici tra le rigide masse degli scogli liasici 27 produssero in essi terreni delle anticlinali e delle sinclinali a strati compressi e ad ali rovesciate. La sezione Fig. Ili della tavola, ci rappre- senta due di tali sinclinali, una fra il Monte di Santa Croce e il Monte Bastione di Narni, l’altra fra questo e la collina depressa di Santa Lucia, che si collega più a Sud col Montello. Per entro alla prima sinclinale, schiacciata e rovesciata, fecesi strada il fiume Nera, for- mando la stretta, profonda e tortuosa gola di Narni. La tettonica del solco della Nera, fra Narni e Montoro, è del resto complicatissima ed il suo studio è reso oltremodo difficile dalle con- dizioni topografiche e dagli ammassi detritici che ne rivestono le pareti ripidissime, nonché dalla folta vegetazione; percorrendo però la linea ferroviaria si osserva che la serie si succede invertita tro- vandosi i diaspri titoniani sopra i calcari neocomiani e questi sopra la scaglia senoniana. Tutte queste roccie emergono poi di sotto ai calcari rossi ammonitici e al calcare bianco del Lias inferiore. Questa della Nera è la più profonda incisione verificatasi nella massa del calcare basico che è da riguardarsi come la formazione in maggior grado permeabile, ed è al tempo stesso quella che spingesi ad un più basso livello in questa regione montuosa. Si comprende quindi come da tale incisione sia stato intaccato il livello delle acque freatiche immagazzinate specialmente nel detto calcare, ed infatti sul fondo di questo solco scaturiscono varie poten- tissime sorgenti della portata complessiva di circa 10 me. a 1" l. Il rovesciamento dell’ala occidentale della seconda sinclinale della sezione, Fig. Ili, si osserva chiaramente percorrendo la strada rotabile che dal Ponte Romano conduce a Narni e sulla pendice N.E del Monte Bastione, ove notasi la sovrapposizione del Lias medio al Lias supe- riore e la successione in serie inversa del Titoniano, del Neocomiano e della scaglia senoniana. Sulla spiegazione di questi fenomeni di discordanza e di sconti- nuità il Verri espresse la sua opinione in due diverse memorie. 1 G. Zoppi, Nera e Velino (Carta idrografica d’Italia, 1892). - 28 — In un suo primo lavoro sulla geologia di questa regione \ egli dice che il letto dei mari mesozoici (nel territorio), dal. Lias inferiore al Cretaceo oscillò più volte e in diversi sensi, tantoché alla fine del Lias superiore esso potè trovarsi soggetto all’azione meccanica delle onde ; soggiunge però che in complesso si può ritenere che fu sempre coperto dalle acque, per cui dappertutto potè depositarsi la serie delle formazioni. Ma, poiché egli stesso riconobbe la esistenza di plaghe prive di talune formazioni e che appaiono rappresentare salti nella serie, cerca di dimostrare che esse non rappresentano isole attorno alle quali si siano depositati i sedimenti dei mari successivi, e che la ragione di tali anomalie è da ricercarsi in avvenimenti posteriori e precisamente in fenomeni di rotture, scorrimenti e increspamenti durante la formazione delle pieghe anticlinali e sinclinali. Le sezioni geologiche che accompagnano la memoria rappresentano infatti nu- merosi e stretti anticlinali di calcare del Lias inferiore, fra i quali son disposte delle sinclinali di terreni superiori le cui diverse forma- zioni appoggiansi saltuariamente sulle masse liasiche. In un lavoro sintetico più recente 1 2, pur confermando che dal Trias superiore a tutto l’Eocene la regione umbra fu coperta dal mare, i cui depositi dettero luogo ad una serie di alternanze di roccie rigide e plastiche posate su una platea di roccie rigide, grossa qualche mi- gliaio di metri, dice che le osservazioni mostrano oggi quella* platea spezzata ed i frammenti mossi con inclinazioni diverse. Ai movimenti della platea obbedirono, aggiunge, le masse sovrastanti, squarciate e poi prese, contorte, rovesciate, schiacciate fra quelle strette. Le sezioni unite alla memoria spiegano appunto col soccorso di numerose faglie i rapporti di posizione fra le masse del Lias inferiore e le formazioni secondarie più recenti. Col primo modo di vedere adunque, se ho ben compreso, il feno- 1 A. Yerri, Le conche , ecc., pag. 616 e 617. 2 A. Yerri, Un capitolo della geografìa fìsica dell' Umbria (Atti IY Con- gresso geografico italiano, 1901). meno delle discontinuità avrebbe la sua ragion d’essere nel modo diverso di comportarsi delle roccie nella formazione di pieghe anti- cimali e sinclinali; col secondo verrebbe attribuita a rotture o faglie una parte importante nell’assetto trasgressivo dei terreni. A me pare che nè l’una nè l’altra spiegazione trovi appoggio nei fatti e sia sufficiente. Tanto col primo come col secondo processo resta però inesplicabile il fatto che le due principali lacune della serie si verificano fra il Lias superiore e il Titoniano e fra il Neocomiano e il Senoniano, e son precisamente queste le lacune o trasgressioni ri- conosciute sopra una gran parte della superficie terrestre da vari osservatori e che furon messe in rilievo dal Suess nella sua opera Das Antlitz der Erde 1 colle denominazioni di trasgressione batoniana e trasgressione cenomaniana. I fenomeni tettonici invocati per spiegare i detti salti avrebbero dovuto portare a contatto diretto fra loro formazioni diverse, preci- samente come avviene nel caso di vere e proprie faglie. L’esistenza poi di una platea di roccie rigide, grossa qualche migliaio di metri, composta di calcari triasici o liasici, rotta in vari sensi, tra i fram- menti della quale reslarono compresse e schiacciate le formazioni su- periori, è molto problematica. Il vero Trias non esiste nella regione di cui è parola ed il Lias inferiore riposa, come abbiam visto, sugli strati prevalentemente scistosi del Retico. I calcari massicci, di natura coralligena, del Lias inferiore sono ben lungi dal costituire una platea uniforme della potenza suaccennata, e probabilmente qui, come in Toscana, essi formano delle masse amigdaloidi grosse e di estensione relativamente piccola, che vanno a finire rapidamente in cuneo. Io notai altrove 2 come intorno ad esse le roccie scistose od in genere sottilmente stratificate, fossero disposte a mantello, indipendentemente dall’andamento generale delle formazioni circostanti e che in esse era 1 E. Suess, Das Antlitz der Erde , II, 1888. 2 B. Lotti, Considerazioni sintetiche sulla orografia e sulla geologia della Catena Metallifera (Boll. Comit. geologico, 1892). — 30 da riconoscervi l’embrione della curvatura in cupola che doveva ten- dere ad accentuarsi sotto l’azione delle pressioni orogeniche. Le rotture o faglie ammesse dal Verri nella sua seconda memoria dovrebbero inoltre manifestarsi secondo linee di contatto rappresen- tanti l’intersezione di piani colla superficie del suolo, e ciò non av- viene in questa parte della regione che in soli tre casi, cioè : lungo il fosso di San Benedetto presso Stroncone, dove sulla sinistra si hanno i calcari neocomiani e sulla destra quelli del Lias inferiore, e dove presso il convento di San Benedetto si osserva manifestamente il piano di scorrimento della faglia, come dissi più sopra; tra Val Renaro e Ponte Arverino presso Poggio, sul lato occidentale del Monte San Pancrazio, dove il Lias inferiore e il medio sembrano sottostare al Retico; e finalmente sul lato Ovest del Monte Cosce fra il Monastero e Vacone. Generalmente invece si osservano le masse del Lias inferiore parzialmente ed anche totalmente contornate a man- tello dalle formazioni superiori, e tale condizione di cose è inconci- liabile coll’idea d’un contatto trasgressivo per faglie. Ritengo adunque che le masse calcaree del Lias inferiore ab- biano formato in origine delle protuberanze accentuate emergenti dal mare liasico, che tali protuberanze, forse scogliere madreporiche, le quali, come ammette pure il Verri *, alla fine del Lias superiore po- terono andar soggette all’azione meccanica delle onde, siano state in parte logorate ed intorno ad esse siansi depositati a mantello e in discordanza i sedimenti titoniani. Un fenomeno analogo potè riprodursi nel periodo di emersione compreso fra il Neocomiano e il Senoniano. Queste fasi di emersione non devono ritenersi come stati di de- cise condizioni continentali, ma solo come fasi insulari o lagunari, nelle quali potevano però verificarsi erosioni e denudazioni notevoli nelle masse emergenti dalle acque. Così spiegasi agevolmente il fatto della continuità della serie a breve distanza da una discontinuità. In 1 A. Verri, 1. c., png. 616. — ol — tale condizione di cose la mancanza di formazioni ciottolose ed are- nacee, invocata dal Verri 1 contro l’idea della denudazione di masse emerse nel corso di quei periodi corrispondenti alle accennate lacune della serie, perde di valore, perchè in un arcipelago di scogli o di isolotti, i ciottoli e le arene non potevano formarsi e depositarsi che intorno agli isolotti ed agli scogli stessi ed essendo gli elementi quasi esclusivamente calcarei, dovevano venire col tempo disciolti. Del resto tali formazioni clastiche non mancano del tutto ed è citata dallo stesso Verri una zona di brecciole sopra gli scisti ad aptici sulla strada della Val Nerina prima della Cascata 2. Alla categoria delle clastiche appartengono poi tutte quelle roccie della zona scistoso- diasprina del Titoniano e quelle della zona degli scisti varicolori del- l’Aptiano. Ad eccezione delle ora esposte anomalie, dovute principalmente, come abbiamo visto, alla fase di emersione batoniana, il grosso della catena del San Pancrazio forma tettonicamente un’ anticlinale com- plessa, rotta ed incompleta nel lato occidentale, lungo il contatto coi depositi pliocenici, e ribaltata su quasi tutto il fianco orientale. Di questo ribaltamento notevolissimo, che incomincia presso il piede orientale del Montello presso Narni e termina circa un chilo- metro a S.E di Confìgni, sopra una lunghezza di quasi 15 chilometri, non è fatta menzione da alcuno dei precedenti osservatori. L’anticli- naie ribaltata succede verso Est alle due piccole sinclinali pure ri- baltate, di cui ho fatto cenno più sopra, quella cioè del solco della Nera presso Narni e quella fra il Bastione e Santa Lucia, aventi presso a poco la stessa direzione N.O-S.E. Nella sezione, Fig. Ili della tavola, a questa anticlinale ribaltata, cor- risponde un’anticlinale regolare che rappresenta il taglio della cupola basica di Santa Lucia e del Montello. Presso Cerqueto, dove, contro questa cupola, le formazioni superiori deviano bruscamente dalla loro 1 A. Verri, 1. c., pag. 616. 2 Ibidem. — 32 - direzione normale N.O-S.E in quella N.E-S.O, sulla stradella del con- dotto dell’acqua potabile di Narni incomincia a notarsi il rovescia- mento di queste colla sovrapposizione del calcare del Lias medio al calcare rosso ammonitifero del Lias superiore e di questo ai diaspri titoniani. Un chilometro più a S.O la successione inversa è completa a cominciare dalla scaglia cinerea senoniana fino al calcare del Lias inferiore, come può vedersi salendo da Cardano fino alla strada che da Narni conduce a Itieli. L’inclinazione degli strati invertiti è all’in- circa di 45° verso S.O. Verso Itieli e Sant’Urbano, e più oltre fino a Vasciano, l’inversione della serie estendesi anche all’Eocene che com- parisce sottostante alla scaglia senoniana (Fig. IV, Tav. I). Uno dei punti dove più chiaramente e più comodamente può studiarsi questo rovesciamento è la vallecola che dalla Croce di San Valentino, sullo spartiacque della catena, scende a Sant’Urbano da S.O verso N.E, cioè perfettamente normale alla direzione degli strati. Tutti i terreni, cominciando dal Lias medio, che trovasi sullo spartiacque, fino all’Eocene su cui è fabbricato il villaggio di Santo Urbano, inclinano di 45°-50° verso la montagna. Presso il villaggio stesso si osservano prima gli scisti argillosi rossi e grigi della scaglia cinerea , che riposano sugli scisti grigio-giallastri marnosi con selce nera dell’Eocene; poi, risalendo la valle, successivamente, in serie ascendente, i calcari della scaglia rossa , in parte rossi, in parte grigi, disposti in zone alterne ; poi i calcari neocomiani ed in parte forse cenomaniani, non potendo ciò dirsi con certezza perchè mancano da questo lato gli scisti varicolari aptiani che dividono ordinariamente le due serie di calcari ; poi i diaspri titoniani con straterelli di cal- care con selce' colorata; poi il calcare rosso ammonitifero e final- mente il calcare del Lias medio quivi assai sviluppato. La sezione Fig. IV della tavola, che comprende questa serie rove- sciata, passa sulla sinistra della vallecola e ne rappresenta il taglio naturale come si osserva stando sulla destra. A 200 metri di distanza dalla Croce di San Valentino verso S.E torreggiano su questa serie gli scogli del calcare del Lias inferiore. Boll. del R. Com. geol . d Italia Anno 1903. Tav.I. (B. Lotti) Sezioni attraverso la valle del T.te Serra Sezioni attraverso il Monte S. Pancrazio Fig.lV o-ò -u / àU Depositi fluviahe detriti. ?J - Sabbie plioceniche . e -Arenarie e marne eoceniche, se - Scisti marnosi grigi e rossi (scogli*, cinerea) (Senoruana). ' sr -Gdearimarnosi rossi (scaglia rossa e calcare rosalo) (Senonlano). sb - (oleari, grigi con selce (Smaniano) sf - SeiM argillosi varicolori e scisti neri a. pesci (Aptiano ). n - Calcari bianchi con selce , optici alla base (,Veo cornicino), ds - Scisti rossi e diaspri con optici (Tito mano) . 1 s - Calcari rossi ammortitici (Lias sup) . Ira . Calcari bianchi con selse (Lias media), li - Calcari bianchi con gasteropodi e brachlopodi (lias in£). r _ Scisti a bactrilll e calcari nero (Relvco). Scala di 1-50.000 . lit 1 Salomone. Rom - 33 - Circa tre chilometri più a S.E, sotto il Monte San Pancrazio, per la via da Calvi a Lugnola nel piccolo Colle della Prata, formato dal calcare del Lias inferiore e del Lias medio, vedesi disegnata perfet- tamente la curva dell’anticlinale ribaltata. Presso a poco per questo punto passa la sezione Fig. V della tavola. La leggera incurvatura concava, accennata appena nella stessa sezione Fig. V, fra il Monte San Pancrazio e Colle Prata, due chilo- metri più a Sud in corrispondenza del Monte Sardone, formato da strati del Lias medio, diviene una vera sinclinale che, vieppiù accen- tuandosi, penetra, presso l’estremità Sud della catena, fra il Monte Coscio e il San Benedetto, con direzione N.N.O-S.S.E e con asse incli- nato verso S.S.E, coinvolgendo dentro la sua piega i terreni secondari superiori fino al Senoniano. Fra Monte Mandrione e il Monastero l’ala orientale della piega presentasi ribaltata verso Ovest. Questa sinclinale, detta conica dal Verri e giustamente da esso descritta come avente il vertice al Monte San Pancrazio \ si formò fra le due anticlinali del Monte Torre e del San Benedetto, la prima diretta quasi dà Nord a Sud, l’altra da N.N.O a S.S.E, le quali sulle alture del San Pancrazio vanno a confondersi nell’anticlinale princi- pale della catena. E degna di nota la divergenza di queste pieghe secondarie dalla direzione generale della catena e lo è ancor più il fatto che la dire- zione di queste pieghe tende a disporsi in conformità di quella della Catena sabina e che in questo punto le due catene vengono quasi a toccarsi. Si direbbe quasi che la Catena sabina avesse op- posto un ostacolo al libero svolgersi del piegamento normale, con di- rezione N.O-S.E, di quella del San Pancrazio. Roma, gennaio 1903. 1 A. Verri, 1. c., pag. 582. — 34 — IL C. Viola. — Osservazioni geologiche nella Yalle dell' Amene, eseguite neWanno 1902. Terzi a l'io. Il versante sinistro dell’Aniene, che si estende dalla cresta di Rocca di Mezzo, Canterano, Rocca S. Stefano, Beliegra, eco., fino a Guadagnolo, Castelmadama, S. Gregorio, eco., e abbraccia i versanti di Gerano, Sambuci, dell’Empiglione e del Rio di San Gregorio, è costituito, per quanto riguarda il terreno terziario, come il versante destro. Vi si notano delle grandi masse marnose, delle grosse lenti di calcare e delle arenarie E quindi interessante esaminare se le condi- zioni stratigrafìche si ripetano in questo versante come nel versante destro dell’Aniene, già studiato negli anni precedenti. Nelle escursioni di quest’anno io mi sono occupato di tali terreni, delle loro limitazioni e del loro modo di giacitura reciproca. Espo- nendo ora i risultati di queste osservazioni, ripartiremo questo esame nelle parti seguenti: 1. La massa calcareo-marnosa di Canterano, Saracinesco, Sam- buci, Castelmadama; 2. Le masse calcareo marnoso-arenacee di Rocca S. Stefano, Bel- legra e Olevano; 3. La massa di Guadagnolo, Capranica, S. Gregorio. 1. La massa calcareo marnosa di Canterano , Saracinesco , Sambuci , Castelmadama. — Questa massa è limitata dalla cresta di Canterano, Rocca Canterano, Rocca di Mezzo, Anticoli Corrado (ove si unisce alla massa calcareo-marnosa di Cineto Romano e Ro viano), dall’ Amene — 35 — verso Mandela e Vicovaro, dalla valle d’Empiglione e dalla cresta di Ciciliano. La cresta che da Canterano, passando per Rocca Canterano, si estende a Rocca di Mezzo, è costituita di calcari compatti, per lo più bianchi, ma anche melati, a grossi banchi, i cui strati hanno la pen- denza prevalente di 40° -50° verso Ovest. A ponente di questa cresta i calcari sono ricoperti concordantemente di argille grigie e marne in- durite, alle quali seguono in concordanza le arenarie grigie, e talvolta gialle. Queste ultime sono le arenarie, che con eguale pendenza, pro- seguono verso Grerano, e poi con pendenza opposta fino al muraglione formato dai calcari rialzati del Gruadagnolo. Mentre a Ovest di Canterano si osserva questa successione di ter- reni, cioè da sotto in su : calcari, marne, argille e in ultimo arenarie, si constata a Est di Canterano la serie invertita, cioè da sopra in giù : calcari, argille e arenarie. Le marne si trovano incluse fra calcari e argille, ma sono ridotte a una potenza piccolissima di pochi decimetri. Le arenarie sottostanti ai calcari di Canterano si estendono fino alla destra dell’Aniene ed hanno perciò una potenza considerevole. Trattandosi di una perfetta concordanza tanto riguardo ai terreni, che sono sottostanti ai calcari di Canterano, quanto ai terreni che ne sono sovrastanti, pare di avere in questo semplice e chiaro profilo geologico la prova di una anticlinale coricata, ove i calcari di Cante- rano rappresentano il piano più basso della serie. Ma vi sono dei tagli naturali di questo profilo, dai quali risulta che tale supposizione non corrisponde al vero stato delle cose. Si scenda infatti da Canterano verso la Mola, o verso Capo la Valle o anche più a Sud, ove i corsi di acqua hanno attraversato i detti terreni, e si vedrà che i calcari sono dovunque alternati con le marne, e queste ultime sono alternate con le arenarie talvolta in banchi grossi, tal- altra in banchi sottili. Talché bisogna concludere che i calcari di Can- terano con le marne che li racchiudono a Est e a Ovest, rappresentano una lente inclusa nelle arenarie. Io ho rinvenuto dei pettini e delle piccole nummuliti nel calcare 36 — di Canterano. Per l’aspetto litologico questo calcare non è diverso da quello a pettini e piccole nummuliti di Subiaco. I pettini vi sono male conservati; essi però sono riconoscibili per la specie P. Clarae Viola, da me già rinvenuta nel detto calcare di Subiaco e di cui già diedi i caratteri specifici. La lente calcareo -marnosa descritta prosegue con interruzione verso Ponte Murato e la regione Caputi, ove la successione dei terreni si ripete identicamente come a Canterano, salvo che quivi gli strati di marne e di argille divengono più sottili, e talvolta spariscono. La lente calcareo-marnosa di Canterano prosegue verso Rocca Canterano e Rocca di Mezzo, ove si innesta alla grande massa calcareo- marnosa di Anticoli Corrado e Saracinesco; vi si innesta perii fatto che le arenarie potenti sotto Canterano e le argille si assottigliano, e formano a loro volta lenti allungate nella massa calcareo-marnosa. Infatti, le argille e le marne nel vallone a Ovest di Rocca Canterano che sale fino a Rocca di Mezzo, stanno sopra alla massa calcarea di Rocca Canterano e sotto a quella di Monte Ceresolo. Quest’ultima massa calcarea con istrati intercalati di marne grigie, conserva la stessa pendenza e direzione dei calcari di Canterano, anche nel versante di Sambuci e di Cerneto; quivi gli strati di marne si fanno più potenti, e dànno origine a vallecole allungate nella direzione degli strati, racchiuse da dirupi calcarei. Il torrente Rio, p. e., che prende le acque di Grerano, Cerneto, Pisoniano, ecc., ha scavato il suo corso appunto in una lente di marne argillose o di argille, che pro- segue per Sambuci, sotto Saracinesco, e si apre verso Mandela. A sinistra del Rio si innalza la massa calcarea di Ciciliano e di Colle Cerrito (793 m.), i cui strati hanno la stessa direzione ma pen- denza opposta di quelli di Monte Ceresolo, cioè verso Est. Rimane dunque il fatto che il Rio ha tracciato il suo corso nel luogo di una lente di argille e di marne intercalate nei calcari, e per di più dentro a una sinclinale molto accentuata del terreno. Come dissi, questa sinclinale è molto evidente nella valle di Sam- buci; ma essa si esplica anche nelle arenarie fra Pisoniano e Grerano, — 37 — fra S. Vito Romano e Bellegra. In quest’ultima regione, le arenarie molto potenti appoggiano sui detti calcari. La gran massa di Rocca di Mezzo, Marano, Anticoli, Saracinesco e Sambuci risulta formata da una alternanza successiva di marne, calcari marnosi e calcari, con rare intercalazioni lenticolari di argille e arenarie, in tutto identica alla massa calcareo-marnosa di Licenza, Porcile, Cineto, Riofreddo, contenente orbitoidi e nummuliti. I suoi strati inclinano fortemente verso Ovest. La pendenza degli strati però si inverte passando il Rio di Sambuci e questa pendenza invertita (cioè verso Est) è propria di tutto il terreno, che dal Rio Sam- buci prosegue fino a Castelmadama, e da Oastelmadama fino all’ul- timo affioramento a destra del Fosso di S. Gregorio. I calcari di Colle Cerrito, di Monte Jobaco, di Colle Colubro, di Castelmadama, Colle Monitola a sinistra del? Anione non sono per nulla diversi dai calcari di Saracinesco, Canterano, Subiaco, eco. Anche quivi i calcari sono alter- nati da marne, argille e arenarie e talvolta da arenarie sgretolate in sabbie. A Castelmadama più che altrove predominano le sabbie e le ar- gille ; negli strati di calcare intercalati nelle sabbie, i quali sono pure sabbiosi, si raccolgono abbondantemente orbitoidi e nummuliti. Mag- giori quantità di nummuliti si rinvengono al colle Monitola e al colle Papese a Ovest di Castelmadama, ove si ripete la formazione di Li- cenza, cioè : calcari di color rosso-vinaccia a nummuliti alternanti con argille e scisti argillosi con orbitoidi. In queste località non si sono rinvenute le grandi bivalvi tanto caratteristiche delle marne di Por- cile, Licenza, Orvinio, Cineto, Mandela. La massa calcarea di Rocca di Mezzo, di Saracinesco, eco., la quale scende verso Marano e Anticoli, appoggia sulle arenarie di Ma- rano e Anticoli, che hanno quivi gli strati poco inclinati verso Ovest. Nella regione di Anticoli le arenarie si collegano visibilmente con quelle di Ro viano alla destra dell’Aniene, ove esse sono sottostanti ai calcari di Monte Sant’Elia. Le arenarie di Marano vanno a sovrapporsi alle argille e a un piccolo lembo di calcari nummulitici, i quali ap- 38 - poggiano direttamente e con concordanza sui calcari cretacei; talché le arenarie nella località di Marano rappresentano una lente o un grosso banco interposto fra i calcari nummulitici e i calcari marnosi di Rocca di Mezzo. 2. Affioramenti di Rocca S. Stefano , Beliegra e Olevano. — La lente di calcari intercalata nelle arenarie di Canterano, Ponte Murato e R. Caputi ha la direzione di N.N.O, che è anche la direzione degli strati delle arenarie e delle marne. Parallelamente a questa lente segue a S.O la lente di calcare di Rocca Santo Stefano, Bellegra e Ole- vano. I calcari di questa seconda lente, affiorante da una potente ed estesa massa di arenarie, non sono per nulla diversi da quelli di Canterano, Rocca Canterano, Rocca di Mezzo, ecc. Essi sono dap- prima bianchi e compatti, passano a calcari sabbiosi melati, e indi a marne grigie, con le quali alternano concordantemente. Questa se- conda lente incomincia ad affiorare poco a Nord di Rocca Santo Ste- fano e con direzione S.S.E oltrepassa la Spina; quindi essa si piega verso Ovest e in seguito riprende a Bellegra la direzione di S.S.E, passando per la R. Serpentara, fino all’ultima appendice meridionale di Olevano. In ogni fosso laterale di Olevano si ha agio di notare l’alternanza fra i calcari, le marne e le arenarie. A Beliegra e più ancora ad Ole- vano gli strati di questi terreni alternanti fra di loro sono quasi rad- drizzati. Murchison (trad. di Savi e Meneghini, 1851, p. 207) osservò esat- tamente le condizioni geologiche di Olevano. È prezzo dell’opera ri- portare per intero le sue parole, che hanno per noi una notevole importanza : « Traversando la catena da Palestrina a Subiaco, io osservava, « ch« il calcare ippuritico, mentre presenta un dirupo rotto e spesso « scosceso alla pianura della campagna, seguito trasversalmente alla « sua direzione verso l’ oriente, vedesi ben presto ripiegarsi al- « l’insù in rapide ondulazioni accompagnate da grandi fratture, e ad « Olevano è sormontato da un calcare sabbioso impuro carico di num- ù9 - « muliti e di pettini. In appresso l’intera serie calcarea s’immerge « sotto bacini ricolmi di arenaria-macigno precisamente simile a quello « di Toscana, ed il quale, benché soffra grande alterazione esteriore « per l’azione degli agenti atmosferici, acquistando colore giallastro « di ruggine, o cenerino sudicio, si riconosce nella spezzatura per la c( stessa psamite grigio-turchiniccia oscura con minuti grani di scisto « nero, tanto bene conosciuta come pietra da fabbriche di Firenze. Questi « strati di macigno sono talvolta verticali, e spesso tanto rotti e spinti « in alto tra i calcari più antichi (con una direzione da S.S.E a N.N.O), « che persone non avvezze alle correlazioni, che presentano altrove, « potrebbero essere indotte a supporre eh’ essi sottogiacessero alle « roccie più antiche. A Rojati, non pertanto, che sta su di un bel « macigno a strati potenti con letti alternanti di scisto argilloso, il « quale si approfonda allontanandosi ad un debole angolo (essendo « questo luogo vicino al centro di un bacino), la. roccia passa all’ingiù « negli stessi calcari sabbiosi e silicei, che formano la sommità del « pittoresco monte cretaceo di Olevano. A Subiaco poi la chiesa di « Santa Maria della Valle è fabbricata sugli strati inclinati di un « macigno grigio, noduloso, con interposti straterelli molli, il quale, « coperto da una massa di conglomerato terziario orizzontale e di- ce scordante, passa inferiormente nei letti superiori delle grandi masse « calcaree cretacee, delle quali sono formate tutte le montagne circo- « stanti, e nelle cui grotte San Benedetto stabiliva il suo Mona- « stero.. » Gli straterelli molli interposti nel macigno sono le argille e marne grigie. Il così detto calcare ippuritico di Olevano, su cui appoggiano i calcari sabbiosi con nurn muliti e pettini, non contiene ippuriti, ma pettini e piccole nummuliti, come il calcare bianco di Subiaco. Salvo questo punto, in cui le osservazioni di Murchison discordano dalle mie, Murchison ha delle osservazioni esatte che oggi possono servire di base. I calcari sono effettivamente interposti nel macigno, a tal punto che nessun osservatore li potrebbe collocare o assolutamente di sopra o assolutamente di sotto ad esso. — 40 — Se si trattasse di spiegare l’interposizione di una lente calcarea nelle arenarie e marne, come è la lente calcarea di Canterano, o di Rocca Santo Stefano, Beliegra e Olevano, nulla vi sarebbe di più na- turale che supporla come l’effetto di una sinclinale coricata, alla quale abbia preso parte il terreno arenaceo stesso. Ma quando si tratta di una successione di strati calcarei concatenati alternativamente con le arenarie, come fanno appunto vedere le condizioni di Olevano e di Bel- iegra, nonché delle località sopra descritte, è impossibile ammettere che ogni straterello di calcare intercalato nelle arenarie si presenti così per effetto di una piega o per effetto di una dislocazione, mentre le osservazioni non fanno vedere piega alcuna. 'à. La massa di Guadagnolo , Capranica , S. Gregorio. — Questa massa calcarea e calcareo-marnosa è limitata dalla cresta della Spina Santa, Guadagnolo, Capranica, Rocca di Cave ad Est, e dalla falda che scende verso S. Gregorio, Casape, Palestrina a Ovest. Essa si in- nesta alla prima massa calcarea presso Ciciliano, e ne è separata dalla valle di Empiglione. Verso oriente essa si attacca alla massa di arenarie, che occupa la regione di Gerano, Pisoniano, S. Vito Romano, Genazzano. Mentre le arenarie presso Canterano, Gerano, Bellegra e Olevano hanno gli strati inclinati verso occidente, esse si invertono sotto Ciciliano, presso Pisoniano e San Vito Romano, ossia i loro strati prendono l’inclina- zione opposta. Di guisa che la sinclinale avvertita nel fosso di Sam- buci è nettamente constatata fino sotto Genazzano. Andando verso occidente tanto da Pisoniano quanto da San Vito, oltrepassato il ci- glione, si ha un profilo naturale stupendo di arenarie e argille alter- nate, quindi di sole argille grigie, che predominano nella parte infe- riore del profilo. Sotto alle argille seguono le marne grigie, e finalmente vengono più in basso concordantemente i calcari e i calcari-marnosi della massa di cui qui è parola. La pendenza in questo punto di contatto fra la massa dei calcari e i calcari marnosi e la massa delle arenarie e arenarie argillose è forte, talvolta di 80° tanto sotto Ciciliano quanto tra Pisoniano- San Vito — 41 — .Romano e Guadagnolo-Capranica. Anche nella massa calcarea e cal- careo-marnosa, sono degli strati intercalati di argille grigie. Li troviamo dapprima a oriente di Guadagnolo e Capranica, Rocca di Cave, ecc., poscia anche ad occidente. I dirupi di calcare, quali quello della Roc- chetta, della Mentorella e altri con essi allineati, che sembrano distac- cati dai calcari della Spina, del Guadagnolo, eco., ne sono appunto separati per mezzo di una massa di argille e marne argillose, a strati egualmente inclinati o meglio egualmente rialzati, sulla quale la cor- rosione ha potuto agire, più che sui calcari laterali, in cui essa argilla è intercalata. Oltrepassata la cresta, e andando verso occidente, si os- serva che i calcari e le marne diminuiscono di inclinazione, e diven- gono talvolta anche orizzontali. Poi sul versante di S. Gregorio i cal- cari prendono inclinazione opposta, cioè verso ovest. Sulla cresta, che domina S. Gregorio, i calcari con abbondanti nummuliti sono fre- quenti, sotto e sopra alle argille, le quali pure vi sono intercalate. Grande quantità di nummuliti apparisce nei calcari della località detta La Macchia di faccia a Castelmadama nel versante dell’ Empiglione, calcari che corrispondono a quelli sotto Castelmadama. Conclusione relativamente al Terziario. — Da quello che io ho potuto osservare e che è qui esposto sommariamente, risulta che le marne, i calcari, le argille grigie e le arenarie, che si estendono e affiorano sulla sinistra deir Amene, non sono per nulla diverse dai corrispon- denti terreni che affiorano sulla destra. Ciò che fu dimostrato già per i terreni di Subiaco, Arsoli, Cineto Romano, Roviano, Riofreddo, Percile, Licenza, Mandela 1, riesce pure ora dimostrato anche per i terreni di Olevano, Bellegra, Rocca Santo Stefano, Canterano, Rocca Canterano, Rocca di Mezzo, Saracinesco, Sambuci, Ciciliano, Castelmadama, Pisoniano, S. Vito Romano, Gua- dagnolo, Capranica. Anche quivi i calcari, le marne, le argille e le arenarie sono fra di loro intercalate e sempre in concordanza. La suc- cessione di questi terreni, ora in grandi masse, ora in lenti, ora in 1 Vedasi Boll. R. Comitato geologico 1902. Parte ufficiale, pag. 42-43. istrati, ora in istraterelli sottili, esclude in modo assoluto che questo fenomeno sia dovuto a ripetute pieghe del terreno. Di più l’ipotesi delle pieghe non si accorderebbe nemmeno con il fatto della inclina- zione regolare, che ovunque si osserva. L’alternanza di questi singoli e vari terreni è dunque un fatto acquisito per la Valle dell’ Amene, nello stesso modo come l’identico fatto rimase acquisito, or sono parecchi anni, per i terreni corrispon- denti che affiorano nella Valle del Sacco. Da quante .ricerche che molti prima di me e anch’io abbiamo istituito sulle arenarie, non risultarono fino ad ora elementi sicuri per stabilire l’età delle medesime. Nemmeno le argille grigie hanno offerto elementi faunistici sicuri. Lo studio paleontologico, che è già inco- minciato ma non compiuto, deve quindi essere limitato alla fauna raccolta nelle marne, nei calcari marnosi e nei calcari della Valle del- l’Aniene. Le osservazioni stratigrafìche vengono ora a supplire quel molto che dal lato paleontologico viene a mancare; esse vengono a risolvere la questione che riguarda le arenarie e le argille prive di fossili. Fino ad ora si sono raccolte nelle marne, nei calcari marnosi e nei calcari in vari orizzonti, delle nummuliti, delle orbitoidi, delle grosse bivalve e pochi echinodermi. Quaternario. Il Quaternario antico nella Valle deW Amene. — L’alta Valle dei- fi Aniene si stende fra le sorgenti di Filettino e lo sbocco al ponte Mauro presso Subiaco. Il deposito quaternario in questo tratto del- l’ Aniene è poco rimarchevole ; vi si osserva qua e là qualche rudere di terrazzo antico (conglomerato) e qualche terrazzo di travertino poco più elevato del letto attuale del fiume. Travertino, sabbie, argille e conglomerati sono in generale fra di loro alternati. Dobbiamo poi notare dei depositi quaternari antichi notevolis- simi nella Valle dell’ Aniene dal ponte Mauro in giù fino a Tivoli; — 43 — depositi clie testimoniano le vicende subite da questa valle nell’epoca quaternaria o in un’epoca di poco anteriore a questa. Dal ponte Mauro, cioè dai piedi della collina, ove sorge il Mona- stero di San Benedetto, fino ai piedi di Subiaco il terrazzo è formato da travertino con alternanza di argille, sabbie e conglomerato. Esso ha una potenza non inferiore a 100 m. L’ Amene si è fatto strada attraverso a questo travertino, fino a raggiungere il Terziario sottostante. Talché, dato quest’ordine di cose, è facile osservare il profilo naturale del deposito quaternario e valu- tarne la potenza. A monte, e cioè sulla strada rotabile, che conduce ad Affile, il travertino passa in conglomerato. Riunendo i resti del terrazzo di qua e di là dell’Aniene, si può valutare che l’area del terrazzo abbia avuto in origine un chilometro quadrato circa di superficie. Ai Cappuccini di Subiaco fa capo un altro terrazzo quaternario, che si estende fino alla regione le Coste per una lunghezza di circa 5 chilometri e una larghezza media di circa 1 chilometro, abbracciando la Rocca di Subiaco. Esso è costituito di conglomerato, sabbie e ar- gille calcaree alternanti fra di loro in istrati orizzontali e per una po- tenza complessiva di circa 50 metri, e appoggia sopra le arenarie, che in questa località predominano nella Valle dell’Aniene. Dal punto più elevato di questo terrazzo fino al letto attuale dell’Aniene sotto Su- biaco, havvi un dislivello di quasi 300 metri Se si tien conto anche del conglomerato antico sotto Subiaco, che è lambito dal corso attuale del fiume, possiamo valutare la potenza complessiva di questo terrazzo quaternario antico ad oltre 200 metri. Lasciando Subiaco, e proseguendo il corso attuale dell’Aniene, si trova un altro resto quaternario di piccola estensione, ma di grande elevazione ; è il conglomerato antico di Colle Basile sotto la Madda- lena, situata a 340 metri sopra l’attuale letto dell’Aniene. Poscia bi- sogna arrivare fino nella vallata di Arsoli prima di incontrare altri avanzi di quaternario antico. Tra Marano Equo e Agosta la valle si restringe molto fra due — 44 — promontori di calcare cretaceo ; indi essa si allarga di nn tratto in un ampio bacino, il ricco fornitore di sorgenti, che alimentano l’Aniene e la condotta dell’Acqua Marcia. Sorgenti di acque potabili abbondan- tissime, sorgenti magnesiache, sodiche, ferruginose e solfuree, a destra e a sinistra e nel mezzo quivi scaturiscono. La vallata di Arsoli a destra dell’Aniene conserva delle ve- stigia evidenti della potenza del quaternario antico. I conglomerati fluviatili vanno dal piano dell’Aniene fino sotto la Eocca di Arsoli. Di più si notano dei conglomerati all’altezza di Eoviano, cioè a circa 200 m. sopra il piano attuale dell’Aniene. La falda sinistra della Valle dell’Aniene è invece assolutamente priva di conglomerati qua- ternari. Come si disse, la Valle dell’Aniene, appena passata la gola Ma- rano- Agosta, si allarga in un ampio bacino. Questo si estende fino sotto Eoviano, ove l’Aniene di nuovo si restringe notevolmente tra la falda che viene da Eoviano e quella che scende da Anticoli, Anche quivi varie sorgenti ferruginose, alcaline e sulfuree scaturiscono a pochi decimetri sopra il livello dell’Aniene. Passata la stretta gola Eoviano- Anticoli, press’a poco nella località « la Spiaggia », il letto e la valle stessa dell’Aniene subiscono un notevole allargamento. Il primo conglomerato, che si incontra seguendo il corso del fiume dopo quello di Arsoli, è il quaternario antico della stazione ferro- viaria di Cineto Eomano. Quivi esso è appoggiato sul promontorio di destra, che appartiene al colle « la Spiaggia » ; esso sale dal letto attuale fino a circa 60 m., con strati quasi orizzontali. » La falda sinistra è anche qui assolutamente priva di quaternario antico. In seguito, proseguendo verso valle, si incontra il conglomerato di Mandela, sul quale è costruito l’abitato di questo paese. Il punto più elevato di Mandela si trovava alla quota "di circa 500 metri, mentre l’Aniene sotto Mandela è alla quota di 800 metri. Il dislivello di circa 200 metri non è tutto di conglomerato quater- — 45 nario ; ma quello che copre la collina di Mandela ha una potenza non inferiore ai 100 metri. Lo stesso conglomerato quaternario forma pure terrazzo sotto Mandela, accosto al torrente Licenza, affluente dell’Aniene. Da questo punto ove la Licenza sbocca nell’Aniene, il quaternario antico è rappresentato da travertino misto a conglomerato, argille e sabbie Esso forma un terrazzo, che dalla stazione di Mandela si estende fino quasi a Vicovaro, o meglio fino allo sbocco del traforo ferroviario verso questo paese. Il convento di San Cosimato sorge su questo ter- razzo antico. L’Aniene scorre a sinistra di esso; e sulla falda sinistra della valle non si nota alcuna traccia di questo terrazzo, il quale certa- mente occupava in addietro tutta la stretta gola, per la quale oggi si fa strada il fiume. La valle del torrente Licenza è quivi pure fiancheggiata di con- glomerato quaternario, che si collega col terrazzo travertinoso antico della stazione di Mandela. Il terrazzo è di circa 40 metri sopra il letto attuale del fiume, e mostra nel suo profilo naturale la stessa potenza. Vico varo a destra dell’Aniene sorge su di un terrazzo travertinoso quaternario, che si può considerare come il proseguimento di quello di San Cosimato. Ancora più innanzi a valle dell’Aniene, il quaternario antico, composto di conglomerato, travertino, sabbie e argille diviene più frequente e anche di più considerevole potenza. Dapprima apparisce un importante deposito di quaternario, appena oltrepassato Vicovaro. Esso forma una collina di circa 100 metri, con strati orizzontali addossati alla falda dell’Eocene. Indi segue, verso valle, il conglome- rato quaternario di Colle Ottati, al cui piede sorge la Cappella di San Sepolcro, con una potenza di oltre 150 metri. Proseguendo verso valle il conglomerato prende un’estensione grandissima, e raggiunge una potenza di circa 250 metri, formando delle colline molto accidentate. — 46 — Mentre verso Subiaco, il deposito quaternario non ha molta com- pattezza (anzi a causa delle sabbie, dell’argilla e del travertino com- misti al conglomerato, esso si disgrega facilmente) nelle vicinanze di Vico varo, e specialmente più a valle di fronte a Castelmadama, il conglomerato è compattissimo e resistente, tanto che esso viene utilizzato come pietra da costruzione. Il piede di quest’ultimo conglo- merato scende sino al letto attuale dell’Aniene. La parte superiore di esso è alternata da strati di tufo vulcanico ; e i grandi depositi di tufo e di pozzolana di Castelmadama e di Vi- covaro, sono appunto intercalati o appoggiati ai vari terrazzi qua- ternari dell’Aniene. La Valle dell’Aniene si allarga poscia verso Tivoli unendosi alla Valle d’Empiglione, ma a causa dell’abbondante ma- teriale vulcanico, che copre questa parte della valle, il conglomerato quaternario non è più visibile. Conclusioni relativamente al Quaternario antico. — In seguito a questo complesso di osservazioni, dobbiamo ritenere, che il fiume Aniene da Subiaco fino a Tivoli scorreva, nell’epoca che precede a quella del deposito quaternario antico, sulla falda destra, ove i mag- giori depositi di quaternario sono ancora visibili, e che in seguito esso si sia accostato sempre più alla falda sinistra. Tn forza di questo spostamento di letto il fiume lasciò indietro il deposito di conglomerato, sabbie, argille e travertino. Siccome poi il corso del- l’Aniene è concavo dalla parte della falda sinistra e convesso dalla destra, ne viene che esso dovea essere più lungo nell’età del quater- nario antico che nell’epoca recente. Non vi è dubbio che nell’epoca del quaternario antico il fiume dovea essere più violento e impetuoso di ora; a questo risultato si viene non solo considerando la grande quantità di materiale, che esso portava, ma anche considerando la minore pendenza corrispondente al maggiore corso del fiume. Sola- mente ammettendo la maggiore forza delle acque, si può concepire il grande trasporto del materiale in rapporto alla pendenza relativa- mente tenue. Inoltre risulta dalle osservazioni che i depositi quaternari sono — 47 — posteriori ad una escavazione del letto quasi fino al livello attuale, poiché i detti depositi sono così potenti, da riempire tutto l’alveo at- tuale. Avvenuto il riempimento dell’alveo nell’ epoca quaternaria, l’ Anione riprese la escavazione nel deposito quaternario stesso, por- tandosi più a sinistra, e diminuendo così di pendenza. Roma, febbraio 1903. III. C. Crema. — Sul Pecten subelavatus Cantraine. ed il Peeten Estheris Crema . (Con una tavola). Fra i fossili raccolti dall’ ing. Sabatini e dal dott. Giovanni Di Stefano nelle formazioni plioceniche della valle della Yezza (Vi- terbo) e di parte di qudla del Tevere si trovano parecchie specie di pettini, abbondanti specialmente dove le argille plastiche azzurre passano ad argille sabbiose o sabbie argillose e più ancora in queste ultime. Le specie già state indicate 1 sono cinque: P. varius L. sp., P. ojoercularis L. sp., P. inftexus Poli sp., P. subelavatus Cantr., P. Ja- cobaeus L. sp. A queste è da aggiungersi una sesta specie già ricono- sciuta come nuova dal dott. Di Stefano, ma fin qui rimasta inedita. Dietro il cortese suggerimento dello stesso Di Stefano ne pub- blico ora la descrizione, perchè questo Pecten è forse il più ab- bondante tra quelli del Pliocene della regione suindicata ed anche perchè per la sua rassomiglianza con altre specie non è da esclu- dersi che, presente anche in altre località, sia stato fin qui indicato 1 V. Sabatini, Reiasione sul lavoro eseguito nel triennio 1896-97-98 sui Vulcani dell'Italia centrale ed i loro prodotti (Boll. d. R. Comit. geol. ital., Voi. XXX, p. 34 e seg. Roma, 1899). — 48 — sotto altri nomi come accadde per il P. subclavatus Cantr., che gli è affine. L’occasione mi parve poi propizia per occuparmi pure di questa ultima specie sovente associata alla precedente e finora poco cono- sciuta, malgrado le pregevoli notizie date su di esso dal marchese di Monterosato 1 e dal dott. Scalia 2. Tutto il materiale studiato fa parte delle collezioni del E,. Ufficio geologico. Pei confronti con individui di specie viventi potei valermi della privata raccolta del dott. Di Stefano. Pecten ( Platipecten ) subclavatus Cantr. 1835. Pecten subclavatus Cantr. 1841. Pecten subclavatus Cantr. 1864. Pecten polymorphns. 1885. Pecten peslutrae , y. moreosiculus De Greg. 1885. Pecten peslutrae , y. siculus De Greg. 1885. Pecten peslutrae , v. simplexa- rio sub- De Greg. 1891. Pecten peslutrae , D. F. Canteaine, Diagnoses de qnelqnes Espèces nouvelles de Mollnsqnes. Bull. Ac. r. d. Se., etc. Bruxelles, II, p. 396. F. Cantraine, Malacologie mèdi terra - néenne et litorale. Mém. Ac. r. d. Se., etc. Bruxelles, XIII, Tav. IX, fig. 1. C. Montagna, Generazione della Terra. Torino, p. 273, Tav. L, fig. 20. De Gregorio, Stud. su talune Condì, medit ., ecc. Boll, malac. it., X, pa- gina 188. De Gregorio, ibidem. De Gregorio, ibidem. Monterosato, Relas. fra i Moli. quat. di Montepellegrino e Ficarassi e le sp. viv., p. 2. Boll. Soc. Se. nat. ed econom. di Palermo. 1 A. T. di Monterosato, Révision de quelques Pecten des Mers d’ Europe (Journ. de Condì., 1899, n. 3, p. 10 dell’estr.). 2 S. Scalia, Revisione della fauna postpliocenica delV argilla- di Risse fi (Att. Acc. Grioenia di Se. nat., Yol. XIII, Ser. 4a, p. 10. Catania, 1900). - 49 — 1897. Peplum septemradiatnm (MiilL), v. triradiata (MiilL). 1897. Peplum septemradiatum , v. mio- pliocenica Sacc. 1897. Peplum septemradialum , v. alter- nicostata Sacc. 1899. Pecten ( Ghlamijs ) subclavatus Can- traine sp. 1899. Platipecten subclavatus Cantr. 1900. Pecten [Peplum) septemradiatus Miill. ,1900. Chlamijs subclavata Cantr. sp. 1901. Id. id. F. Sacco, Moli, ter z. Piemonte ree ., XXIY, p. 38, T. XII, f. 18 e 19. F. Sacco, Moli. terz. Piemonte ecc., XXIY, p. 39, T. XII, f. 20. F. Sacco, Moli. terz. Piemonte ecc., XXIY, p. 39, T. XII, f. 21. Y. Sabatini, Relaz. sul lavoro n. trien- nio 1896-98 , ecc. p. 35. Monterosato, Rév. d. quelq. Pecten , etc. p. 10. E. Philippi, Zur Stammesgesch. d. Pect . Z. d. g. GL, B. 52, p. 107, f. 21. S. Scalia, Rev. fauna argilla Nizze ti, p. 10. S. Scalia, Postpl. Poggio Cibali , ecc. Atti Acc. Gioenia, S. 4a, Y. XIY, p. 9. Questa specie fondata dal Oantraine su esemplari provenienti dalle sabbie grossolane dei dintorni di Messina è abbondante in molte località plioceniche e postplioceniche dell’Italia, ma venne per lo più confusa col P. septemradiatus Muli. Il prof. Racco dubitò per altro che la sua var. miopliocenica potesse anche costituire una specie in- dipendente. Alla stessa forma egli attribuì pure esemplari prove- nienti dal Piacenziano del Piacentino e di Albenga considerati come P. sejptemradiatus Muli, da Gocconi 1 e da Arduini 2, nonché quelli del Bolognese determinati dal Foresti 3 come Chlamys clavata (Poli) var. Damasi (Payr.). Il marchese di Monterosato ha assunto il P. subclavatus come tipo del suo sottogenere Platipecten distinto, come è noto, dal Pe - * G. Cocconi, Enumerazione sistematica dei Molluschi miocenici e plioce- nici delle provincie di Parma e Piacenza (Meni. Acc. Se. Ist. d. Bologna, S. 3°, T. Ili, p. 742. Bologna, 1873). * Y. Arduini, Conchiglie plioceniche del bacino di Albenga (Atti Soc. ligust. d. Se. nat. e geogr., YI, p. 207, Genova 1895). 8 L. Foresti, Enumerazione dei Brachiopodi e dei Molluschi pliocenici dei dintorni di Bologna (Boll. d. Soc. malac. it., Y. XYIII, p. 370, Pisa, 1893). 4 — 50 — plum B. D. D. per avere le due valve ugualmente e leggermente convesse. Diagnosi. — - Conchiglia subequivalve, suborbicolare, leggermente- obliqua, poco più alta che larga, a valve egualmente e leggermente convesse, con gli apici appuntiti e pochissimo sporgenti ed il margine esterno largamente ondulato. Valva sinistra più tenue, valva destra relativamente solida. Le due valve sono munite di 6 a 9 pieghe più o meno ben di- stinte, poco elevate, con una spiccata tendenza a suddividersi, ottuse sulla valva destra, acute sulla sinistra, le anteriori generalmente molto più piccole e più ravvicinate che non le posteriori. Tanto le pieghe quanto gli interstizii, che le separano, sono ornati da numerose e forti strie radiali, che, incontrandosi colle strie d’accrescimento, divengono finamente granulqse e talvolta anco leggerissimamente spinose, il qual fatto si osserva su esemplari di perfettissima conservazione. Queste strie meno forti sulla valva sinistra si trasformano sulla valva destra in vere costicine secondarie , specialmente sull’ orlo delle valve. Tutta la superficie della conchiglia è poi uniformemente coperta da altre strie radiali filiformi finissime, tanto da non essere sempre nettamente visibili senza l’aiuto delle lenti, e leggerissima- mente decussate per l’incontro con le strie d’accrescimento, che sono numerose, sottili, ma ben marcate. Sui due lati della regione apicale si osservano ancora sulle due valve delle strie, dirette obliquamente al- l’asse della conchiglia, sottili, ma nettamente impresse, carattere questo comune a molti altri Pecten , come il P. septemradiatus , il P. injiexus, ecc. Le orecchiette sono piccole e le anteriori leggermente più svilup- pate delle posteriori. Esse sono munite di strie radiali ben evidenti, specialmente nelle orecchiette anteriori, fortemente decussate all’in- contro colle strie d’accrescimento, le quali sono forti, ben marcate e rendono più o meno fortemente crenulato l’orlo cardinale delle due valve. Colla lente si osserva che le strie trasversali, che si scorgono ai lati della regione apicale, si continuano anche sulle orecchiette. La insenatura bissale è molto piccola. * — 51 — L’interno della conchiglia è lucente. Vi si riproducono in senso inverso le grandi costole, e lievissimamente anche quelle secondarie. Bordo cardinale rettilineo, stretto, eoa la fossetta del ligamento trian- golare e due lamine dentiformi obsolete, una per parte. Come si osserva negli esemplari di perfetta conservazione del ba- cino di Palermo e di Nizzeti, il colore è variabile. Vi sono esemplari biancastri, altri molto scuri ed altri, come quelli di Nizzeti, melati. Varietà. — Il marchese di Monterosato ha descritto due varietà di questa specie. La var. planata è affatto appiattita, con le strie ra- diali ben visibili e le pieghe principali cancellate o quasi. Il R. Ufficio geologico possiede buoni esemplari di tale varietà provenienti da Niz- zeti. La var. obliqua e molto obliqua e quasi senza coste. Le var. siculus e simplexariosus De Gregorio corrispondono a delle variazioni nella forma delle costole principali. Infine aggiungerò di aver osservato fra molti esemplari tipici di P. subclavatus provenienti dalle sabbie plioceniche di Orti sopra Reggio Calabria, dove erano stati raccolti dal dott. Giovanni Di Stefano e dall’ing. Cortese, alcuni individui, grandi, di forma molto obliqua, più alti che larghi e colle costicine egualmente sviluppate sulle due valve (vedi Tav. II, fìg. 2). Rapporti e differenze. — Il P. subclavatus Cantr. è intimamente legato al P. seiptemradiatus Muli. sp. ; fra queste due specie esiste però una spiccata differenza pel fatto che nella prima le strie radiali sono sempre assai più forti, anzi passano sulla valva destra a vere costi- cine secondarie, granulose per rincontro con le strie di accrescimento. Minori affinità presenta col P. inflexus Poli sp. Nel P. subclavatus infatti le costole sono più numerose e più basse, larghe sulla valva destra, acute sulla sinistra e mostrano una spiccata tendenza a sud- dividersi. Le due valve inoltre sono subeguali e non presentano al- cuna inflessione sull’orlo esterno. Pecten (Peplum) Esther is n. sp. Questa nuova specie, associata colle altre precedentemente indi- cate è particolarmente abbondante nelle seguenti località, appartenenti tutte al circondario di Viterbo: Bomarzo, lungo la valle della Vezza, fosso del Boccio, ponte sotto Celleno verso Roccalvecce e fosso di Casti- glione in Teverina. Si trova anche nel Pliocene dei dintorni di Orvieto. Diagnosi. — Conchiglia inequivalve, suborbicolare, per lo più un po’ più alta che larga, talora ugualmente alta e larga. Valva destra regolarmente convessa, valva sinistra generalmente appianata e mu- nita nella metà apicale di una depressione mediana più o meno larga, che giunge spesso fino al centro delia valva. Le valve posseggono da 5 a 8 pieghe più o meno ben distinte, poco elevate, con una spiccata tendenza a suddividersi : larghe, ottuse e basse sulla valva destra, più o meno acute, più strette e quindi separate da spazii più larghi sulla sinistra. Queste pieghe per altro non sono mai così acute come talvolta accade pel P. subclavatus Cantr. Tanto le pieghe quanto gli interstizii che le separano sono or- nati da numerose e forti costicine secondarie le quali sono sempre più evidenti sugli orli, dove incontrandosi colle linee d’accrescimento divengono alquanto squamose ; nella parte mediana divengono decus- sate e talvolta leggermente granulose. Queste costicine sono gene- ralmente un po’ più lievi sulla valva sinistra specialmente nella parte concava. Le costole grandi, le costicine e gli spazii intercostali sono uniformemente coperti da finissime strie radiali. Sui due lati della regione apicale, si notano, come nel P. subclavatus ed in molti altri Pecten , strie trasverse finissime. Il margine esterno della conchiglia è più o meno leggermente crenulato. Le orecchiette sono molto piccole, le anteriori un po’ più grandi delle posteriori. Esse sono crnate di costole radiali, squamose all’in- contro colle linee d’accrescimento e generalmente più forti e più nu- merose sulle orecchiette anteriori, più lievi sulle posteriori, dove 53 — anche si cancellano. Sulle orecchiette si notano pure le fine strie che ornano i due lati apicali delle valve. Orlo cardinale delle valve in generale poco o niente crenulato. Il seno bissale è leggiero. L’interno delle valve è lucente e riproduce in modo inverso le costole principali e secondarie. L’orlo cardinale è rettilineo, la fossetta ligamentare ben impressa e da ogni suo lato stanno due laminette dentiformi longitudinali. Tutti gli esemplari da me osservati sono di colore melato. Rapporti e differenze. — Questa specie presenta strette affinità col P. inflexus Poli sp.,' tuttavia importanti differenze permettono di net- tamente separarla. Nel P. Estheris la valva destra non è così convessa come in quello e la sua forma è ben diversa da quella pixoide del P. in - flexus ; il suo margine esterno ha tendenza ad inflettersi solo leggermente; affatto eccezionali sono gli esemplari chiaramente inflessi sull’orlo ed anche in questo caso lo sono meno del P. inflexus. Nel P. Estheris le co- stole sono più numerose ; i rari esemplari del P. inflexus con più di 5 co- stole (var. subseptemradiata Sacc.) presentano una regolare alternanza di costole grandi e piccine, ciò che non ha luogo nel P. Estheris, In questo le pieghe sono molto più basse, tendono a suddividersi e sulla valva sinistra sono per lo più alquanto più acute. Aggiungasi che nel P. Estheris non si osserva mai una così netta e marcata differenza di ornamentazione fra la porzione marginale ed il resto della conchiglia. Il P. Estheris ha affinità anche col P. subclavatus Cantr., ma se ne distingue per avere la valva sinistra appianata e munita di una depressione più o meno distinta sulla metà apicale. Tale depres- sione può anche divenire leggerissima, ma le sue traccie si osservano sempre e la valva rimane sempre appianata. Il P subclavatus ha in- vece le valve egualmente convesse, carattere pel quale il marchese di Monterosato credette di fondare il suo sottogenere Platipecten. I caratteri del P Estheris sono invece quelli dei Peplum. Inoltre l’orlo delle valve del P. Estheris è distintamente crenulato, più o meno ispessito ed ha una leggera tendenza ad inflettersi. Roma, marzo 1903. — 54 — SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. 1 Fio. 1. Pecten (. Platipecten ) subclavatus Cantr. (Eicarazzi presso Palermo). » 2. Id. Id. var. (Orti pr. Reggio Calabria). » 8. Pecten (Peplum) Estheris Crema (Fosso del Boccio). * 4-6. Id. Id. (Ponte di Celleno pr. Poccalvecce). » 7 e 8 Id. Id. (Bomarzo). 1 Tutte le figure sono in grandezza naturale. Avvertenza. — L’ing. Franchi desidera far rilevare che, nel suo lavoro Contribuzione allo studio delle roccie a glaucofane ecc., inserito nel fase. IV del volume XXXIII di questo Bollettino, egli omise involontariamente, fino alla revisione delle bozze degli estratti, la esplicita dichiarazione che le analisi ripor- tate a pag. 292 furono, dietro sua domanda, eseguite nel laboratorio chimico del R. Ufficio geologico dall’ing. Aichino. La Direzione. Boll, del R. Comit. Geol. d’ Italia Anno 1903. Tav. Il ( C. Crema CREMA FOT. ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO MILANO NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICI ITALIANA per l’anno 1901 1 (Contimi azione e fine , vedi n. 4 del 1902) Squinabol S. — Su alcune fillìtì eoceniche del Vicentino. (Rivista ital. di paleontologia. Anno VII, fase. Ili, pag. 68-72, con tavola). — Bo- logna, 1901. È un breve studio sulla flora seconda rinvenuta dal dott. Dal Lago, e di cui è cenno nella bibliografia precidente, con l’aggiunta di pochi esemplari trovati dal dott. Negri e conservati nel Museo di Padova. Sono pochi e mal conservati esemplari, provenienti da calcari della Croce di Massignan (dovale), su cui sono impronte di foglia che appartengono all’oriz- zonte di Spilecco. Sarebbe quindi questa la flora più antica del Vicentino nel- l’epoca terziaria, equivalente alle flore veronesi più antiche di quella del Bolca. Le specie descritte sono 4 e cioè : Caulinites Massignanensis n. sp., Nìpa • dites vicetinus n. sp., Drgophgllum palaeocastanea Sap., Proto ficus Dal Lagi n. sp. Nella tavola sono figurate le tre specie nuove. Tacconi E. — Sulla composizione mineralogica delle alluvioni costituenti il sottosuolo di Pavia e dintorni. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Voi. XXXIV, fase. XVI, pag. 873-881). — Milano, 1901. I campioni di sabbie esaminati, coll’aiuto del microscopio, provengono da pozzi affondati sia sull’ altipiano diluviale terrazzato, sia nell’area bassa ove scorre il Ticino presso Pavia; questi ultimi profondi fino a 80 m. Oltre a quarzo , felspati , granati, sono presenti diversi anfiboli, pirosseni ed epidoti ; poi s tauro lite, cianite, andalusite, si llimani te ; tormalina, zircone, rutilo, titanite , apatite', miche , cloriti , serpentino, pirite, magnetite. 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. L’autore fa osservare l’abbondanza di staur olite e cianite , quale caratteri- stica di queste sabbie come di quelle recenti ticinesi, e la scarsità della glauco- fané , che è invece abbondante nelle sabbie padane. Cosicché si avrebbe qui un materiale alluvionale antico di prevalente origine ticinese, con miscela di poco materiale padano. Taglierini F. P. — Sui nautili del Dogger inferiore di Monte San Giuliano. (Giornale Soc. di Scienze naturali ed economiche. Yol. 23. pag. 186-204, con 6 tavole). — Palermo, 1901. Della ricca fauna del Dogger inferiore di San Giuliano studiata dal Geru- mellaro sono finora esattamente descritti soltanto i brachiopodi. Di tutti gli altri tipi, benché studiati e determinati dal Gemmellaro e da suoi assistenti, non ne fu finora fatta la pubblicazione. L’autore si è proposto di studiare questa fauna, e come prima dispensa di questo lavoro presenta la monografia dei Xautili. Sono in questa descritte le seguenti speci e:JVaiitilus Zitteli Gemm.: A. Waageni Gemm. ; N. Catonis Gemm. ; N. cf. excavatus Sow. in Gemm. : N. Tukeryì Gemm. : N. Duilii Gemm.; N. drepanensis n. sp.; N. Marii Gemm.; N. Lntatii Gemm.: N. Zignoi Gemm.; N. Maszarensis n. sp. ; N. Ergcinus n. sp. ; N. Thgrrenns n. sp. INelle tavole unite al testo sono rappresentate le specie descritte. Tellini A. — Determinazione del calcare eli alcune terre coltivabili e sabbie fluviali principalmente friulane (estr. Boll. Ass. agraria friu- lana, Anno 1901, n. 8-9, pag. 22 in-8°). — Udine, 1901. L’autore ha fatto la determinazione calcimetrica, su 280 terre del Friuli, e in questa nota dà l’elenco delle medesime colla indicazione di provenienza, e coi risultati della determinazione sia in calcare rapidamente solubile, sia in calcare totale. Tellini A. — Le acque sotterranee del Friuli e la loro utilizzazione . Parte II. (Annali del E. Istituto tecn. A. Zanon, S. II, Anno XIX, pag. 103-200). — Udine, 1901. Questa nota è il seguito del lavoro già in gran parte pubblicato (vedi Bibl. 1900 ) sulle acque friulane. In essa l’autore dà un secondo elenco di dati riferentisi a un ottantina di comuni disposti in ordine alfabetico, dove per ciascun di essi con diligenza sono esposte le condizioni dei pozzi comuni o artesiani e delle sorgive. — 57 — Termier P. — Sur les micaschistes , les gneiss , les ampkibolites et les rocìies rertes des schistes lustrés des Alpes occìdentales . (Comptes rendus Acacl. des Sc.,T. CXXXIII, n. 21, pag. 841-844). — Paris, 1901. L’autore espone in poche pagine il risultato cui egli sarebbe pervenuto sulla genesi delle diverse roccie cristalline inserite nei calcescisti delle Alpi oc- cidentali. Xe distingue due categorie. Una prima comprendente eufotidi , diabasi , peridotiti , e loro corrispondenti roccie metamorfatizzate, anfìboliti speciali, pr asini ti, serpentine. Le roccie di questa categoria sarebbero roccie sicuramente eruttive Una seconda categoria comprenderebbe anfìboliti sonate , micascisti, corneane, quarziti e gneiss, fra loro alternanti. Circa la origine di queste roccie l’autore, notato il carattere detritico di alcune di esse, le ritiene sedimenti metamorfosati, ma nega che la causa della cristallinità risieda nel dinamometamorfismo. Escluso che esse corrispondano a tufi sottomarini, egli attribuisce la loro cristallinità alla azione metamorfosante delle roccie eruttive in esse iniettate, le quali invece di esplicare un metamorfismo di contatto diretto, avrebbero esplicato un meta- morfismo generale mediante l’azione di fluidi da esse emananti. Termier P. — Sur les troìs séries cristallophglliennes des Alpes occiden- tale s. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXXXIII, n. 23, pag. 964- 966). — Paris, 1901. L’autore richiama anzitutto lo stato attuale della nostra conoscenza degli scisti cristallini delle Alpi occidentali che egli distingue in tre serie : serie precarbonifera; serie probabilmente pernio-carbonifera ; e serie mesozoica risa- lente forse fino all’eocene. Dato un breve cenno sulla distribuzione e composizione che avrebbe cia- scuna di queste tre serie, pone il quesito della causa del profondo metamor- fismo che esse hanno subito. Esclude l’azione del dinamo-metamorfismo, e invece propende per una spie- gazione plutoniana, generalizzazione della idea di Michel Levy: filtrazione per ascensione di vapori e concentrazione di magma liquidi, interstratificati sì da produrre un metamorfismo generale profondo. Toldo Gr. — Sezioni geologiche riguardanti la coltre alluvionale padana. (Boll. Soc. G-eol. ital., Voi. XX, fase. 4°, pag. 579-615, con tavola). — Roma, 1901. È una raccolta di dati geologici relativi a parecchie trivellazioni o scavi eseguiti nelle alluvioni della vallata del Po, per assaggio, per ricerche di — 58 - acque potabili, per costruzione di ponti importanti. Essi hanno servito alTau- tore per comporre 240 sezioni, di cui dà notizia nella presente nota. Tali sezioni sono disposte a destra e a sinistra dèi Po secondo le linee di massima pendenza idrografica, e sono corredate da una carta della valle padana dove sono segnati i numeri corrispondenti alle varie sezioni, con la delimitazione dei terreni quaternari dai terzari. Seguono alcune considerazioni sulle roccie incontrate nelle trivellazioni, fra cui alcune, poco lontane dalle falde montuose, hanno incontrato terreno terziario sottostante ai terreni alluvionali, mentre le altre si mantengono co- stantemente in questi ultimi anche se molto profonde. La forma delle alluvioni padane è in generale a lenti di piccola estensione tanto in senso orizzontale che in senso verticale. Le variazioni volumetriche dei detriti alluvionali consistono in un generale assottigliamento in senso ver- ticale dal basso in alto, e in senso orizzontale da monte a valle: tale fatto è da attribuirsi alla progressiva diminuzione di pendenza, di portata e di forza dei fiumi. Infine un generale assottigliamento dei detriti alluvionali padani in senso orizzontale da monte a valle è constatato dal confronto delle sezioni in cui prevalgono le roccie sabbiose con quelle in cui le roccie argillose sono pre- valenti, trovandosi le prime in luoghi vicini alle falde montuose o agli assi idrografici, le altre negli spazi intermedi. Tommasi A. — Contribuzione alla paleontologia della valle del Dezzo. (Memorie R. Istituto lombardo, Yol. XIX, fase. IY, pag. 49-66, con 2 tavole). — Milano, 1901. Sunto in (Rend. R. Istituto lombardo, S. IL Yol. XXXIY, fase. XI-XII, pag. 668-670). — Milano, 1901. I fossili che formano oggetto di questo studio provengono da varie loca- lità della valle del Dezzo, e vengono distintamente descritti in ognuna di esse. Queste località sono Yal dei Gatti, Pradella, Epolo, Canale del Pézol, Pizzo Camino e Monte Zendola. Della Yalle dei Gatti sono descritte due specie: una Spiriferina nova for. indet. e un frammento di Balatonites cfr. Ottoni s (v. Buch) Mojs. caratte- ristico del Muschelkalk a Geratites binodosus. Quattro specie provengono da Pradella, note, ma nuove in Yal di Scalve. Epolo diede tre specie non prima note in quella vallata. Da Pizzo Camino X Avi cui op eden triaclicus Sai., noto finora solo nel cal- — 59 — care della Marmolala e inferiormente a detto Pizzo, sotto la Cornabusa, una Naticopsis sp. e il Ptychostoma Wdhneri Kittl. finora noto solo a S. Cassiano. La raccolta più abbondante proviene dal Canale del Pézol : sono 18 specie determinate dall’autore di cui una affatto nuova, il Dentalinm exile. Dal calcare dolomitico del Monte Zendola provengono otto specie delle quali sono nuove: Pecten crini tas, Omplialoptycha Donissettii, Waldheimia ( Crii - va tuia ?) pacheia. , Le specie fossili delle varie località, benché in gran parte note, sono in parte nuove per quelle località. Tutte appartengono al trias, ma, ad eccezione del Balatonites cfr. Ottonis del Muschelkalk, esse stanno a rappresentare i piani di Wengen e di S. Cassiano. La formazione di Wengen presenta due faccie diverse: quella di calcari nerastri marnosi od arenacei e quella di calcari dolomitici bianco-grigiastri. I calcari neri hanno dato la maggior copia dei fossili descritti, alcuni dei quali sono esclusivamente del S. Cassiano. La presenza di questi dimostra che la fauna di S. Cassiano è meno accantonata di quello che si supponeva dap- prima, analogamente alla supposizione fatta dal Taramelli in una sua nota del 1896. Alla memoria sono annesse due tavole in eliotipia nelle quali sono figu- rate alcune delle forme descritte in questo lavoro. Tornquist A. — Das Vorkommen von noclosen Ceratiteli auf Sar (linieri and ìiber die Besiehungen der mediterranen su den deutschen Nodosen. (Centralblatt ftir Min., Geol. nnd Pai., Jahrg. 1901, n. 13, pag. 385- 396). — Stuttgart, 1901. L’autore annuncia il ritrovamento di frammenti di un ceratite nodoso entro roccia del trias medio di Sardegna esistente nella collezione del prof. Lo- visato dell’Università di Cagliari: tale giacimento nuovo è il quarto scoperto nel bacino mediterraneo, dopo quelli di Tolone, del Vicentino (vedi Bibl. 1898 ) e della Dobrudscha, di forme analoghe a quelle note del Muschelkalk di Germania. La specie sarda proviene dal Monte Santa Giusta nella Xurra dove il Lovi- sato, sino dal 1884, aveva segnalato la presenza del permiano e del trias (vedi Boll. Coni. Geol. , Voi. XV), ed è affine al C. evolutns Phil. L’autore coglie l’occasione di questo rinvenimento per riassumere le os- servazioni sul trias di Sardegna fatte dal Lovisato stesso, dal Bornemann e dal De Stefani, nonché istituire un confronto fra le forme di C. nodosus del bacino mediterraneo e quelle di Germania ; e conchiude con un quadro comparativo dal quale risulta che la specie di Sardegna è comune oltr’Alpi ad un livello inferiore agli strati di Wengen. — 60 — Tornquist A. — Das vicentinische Triasgebirge. Eine geologische Mono- graphie (pag. 195, con 2 tavole, 2 carte al 25,000 e 11 vedute). — Stuttgart, 1901. In seguito alle precedenti pubblicazioni (v. Bibl. 1898-1899-1900) l’autore raccoglie in questo volume il risultato delle sue osservazioni sui terreni tri a- sici del Vicentino, segnatamente nella regione di Recoaro, Valli dei Signori. Posina e Schio, della quale egli ha rilevato la carta geologica. Premessa una descrizione orografica, egli espone in due capitoli la storia delle ricerche geologiche fatte nella regione, incominciando dalle ricerche di Arduino (1766) sulle fonti di Recoaro per venire a quelle recenti di Mojsisovics, di Bittner, di Foullon, attraverso quelle di Marzari-Pencati, di Faujas de S. Fond, di Humboldt, di von Buch, di Maraschini, di Schauroth, di Catullo, di Pirona, di Richthofen, di Benecke, di Griimbel, di von Lasaulx. Molto estesa è la trattazione stratigrafica, nella quale l'autore descrive la serie seguente: Arcaico (?) con filladi quarzifere; Permiano o conglomerato con ciottoli di quarzo e fillade, insieme con scisti argillosi ed arenarie passanti a calcari argillosi dolomitici (formazione a Bellerophon ) ; Trias inferiore, con are- narie, scisti e calcari argillosi; Muschelkalk inferiore , con calcare cavernoso, argille gessifere, argille variegate, calcari compatti fossiliferi e dolomie scure ; Musch. medio , con calcari grigi compatti a Sturici , scisti argillosi, arenarie e conglomerati; Musch. superiore , con calcari a scogliera, scisti argillosi, tufi ed estese colate porfiriche ; Trias superiore o dolomia principale ad Avicula exilis. Re roccie eruttive triasiche consistono in espandimenti lavici, in laccoliti che attraversano le formazioni sottostanti, in parecchi filoni e filoni-strati, tutti del Trias medio o di poco anteriori, con parziale sollevamento degli strati sovra- stanti e conseguenti rilievi e depressioni. Ai suddetti seguono terreni basici, giuresi, cretacei, terziari e quaternarii, i quali però non hanno parte importante nel lavoro. Chiude l’importante monografia la trattazione tettonica, nella quale è di- mostrato che la regione triasica del Vicentino appartiene in complesso al si- stema delle Alpi calcaree veneto-trentine, di cui presenta tutti i caratteri. Trabucco G-. — Fossili , stratigrafia ed età della Creta superiore del bacino di Firenze. (Boll. Soc. G-eol. ita!., Voi. XX, fase. 2°, pag. 271- 294, con tavola). — Roma, 1901. L’autore, proponendosi di precisare i limiti stratigrafici e litologici fra l’eocene inferiore e il cretaceo superiore del bacino di Firenze, dà prima un — 61 — riassunto storico delle vicende subite dalla stratigrafia di questo terreno, pas- sando a rassegna le opinioni espresse in proposito da vari geologi, dai Targioni Tozzetti (1827) ad oggi. Passa quindi ad esporre la serie stratigrafica del cretaceo superiore del bacino di Firenze, come venne da lui constatata, descrivendone i caratteri pa- leontologici, stratigrafici e geologici nei diversi affioramenti che ivi si presen- tano. Stabilisce quindi la serie stratigrafica dei terreni cretacei ed eocenici rappresentata dal basso all’alto dal Cenomaniano, Senoniano, Suessoniano e Parisiano, indicandone la natura litologica ed i fossili caratteristici. Intorno alla tettonica di questo bacino, ritiene la morfologia di esso affatto indipendente dalla tettonica e che l’erosione ha modellato il paesaggio. Xega in modo assoluto la promiscuità di inocerami in posto e di nummuliti entro strati eocenici. Dà infine l’elenco dei fossili rinvenuti in posto nel cretaceo di questo ba- cino, dandone anche alcune figure. La sezione da Monte Senario a Tavernuzze, litografata in una tavola annessa alla nota, mette in evidenza due anticlinali cretacei in parte abrasi, coperti in discordanza da terreni eocenici. Trabucco Gr. — Sulla posizione ed elee del Macigno dei monti di Cor- tona. (Boll. Soc. Greol. ital., Tol. XX, fase. 3°, pag. 476477). — Eoma, 1901. Prendendo argomento da una pubblicazione del Bonarèlli (vedi Bìbl. 1900), l’autore espone : « 1° Che non ritiene esatta, come il suddetto asserisce, la delimitazione tra l’eocene ed il cretaceo in Val di Scrivia ed in Val di Polcevera data dal Sacco e ne espone le ragioni. 2° Che basandosi sulla stratigrafia e sui fossili, non ritiene oligocenico il macigno dei monti cortonesi e della regione compresa fra il bordo orientale del Trasimeno ed i monti del Perugino, ma che invece appartenga alla base dell’eocene, cioè al suessoniano. 3° Che i castagni, come piante calcifughe, crescono rigogliosi nelle plaghe del macigno e cessano dove cominciano i calcari alberesi, segnando il limite tra i due terreni. — 62 — Traverso G. B. — Sulla scoperta della Scheelite alla Miniera di Su Suergiu ( Villasalto). (Resoconti riunioni Ass. mineraria sarda . Anno YI, n. 8, seduta 8 nov. 1901, pag. 8-9). — Iglesias. 1901. Questo minerale di tungsteno, di cui si conosceva già resistenza nelle ganghe che accompagnano il minerale di antimonio della miniera suindicata di Sardegna, venne ultimamente riconosciuto in piccole lenti entro il minerale stesso, ora puro, ora mescolato con calcare spatico e quarzo. L’analisi di un esemplare sciolto ha dato : acido tungstico 58. 500 ; acido silicico 18.650; acido carbonico 7.600; calce 22.680; ossido di ferro 0.100; magnesia 1.050; allumina 1 100; traccie di arsenico e di antimonio. Trattasi quindi di un silico-tungstato di calce unito a poco carbonato di calce. Trener Gr. B. — Bericht aus der Gegend von Borgo ( Valsugana ). (Yer- handl. k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1901, n. 10, pag. 252). — Wien, 1901. È un cenno dei principali risultati del rilevamento iniziato dall’autore sulla massa granitica di Cima d’Asta e suoi dintorni infino a Borgo. Anzitutto egli fa alcune correzioni ai limiti riportati sulle carte geologiche pubblicate da rilevatori precedenti, indi accenna ad apofisi di granito negli scisti; a lembi di scisti cristallini metamorfosati ricoprenti la massa granitica nel mezzo di essa ; e a frammenti di scisti metamorfici e di porfido nel verrucano : finalmente a filoni di porfiriti sia nel granito che nel conglomerato. Trener Gr. B. — Reisebericht aus der Cima d'Asta-Gruppe. (Yerhandl. k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1901, n. 11-12, pag. 278-280 e n. 15. pag. 817-322). — Wien, 1901. L’autore rende conto sommariamente dei risultati di ulteriori osservazioni sul gruppo della Cima d’Asta. E anzitutto, riguardo ai rapporti fra granito e scisti, osserva esservi complicazioni di contatti, ora con sovrapposizione del granito agli scisti, ora di questi a quello, e anche con apofisi dell’uno negli altri. Gli scisti comprendono filladi, filladi quarzose e micascisti, apparente- mente senza ordine reciproco. Yi sono anche gneiss occhiadini. Yuova riesce la scoperta di un complesso di masserelle e filoni di roccie dioritiche, disposte perifericamente alla massa granitica. Queste masse, sia gra- nitiche che dioritiche, vengono poi attraversate da filoni di porfiriti, che attra- versano anche il conglomerato del verrucano. — 63 — L’autore osserva infine che i giacimenti metalliferi degli scisti si trovano sempre nella zona di contatto degli scisti stessi con le roccie granitiche e dioritiche. Trentanove GL — Il miocene medio di Popogna e Cafaggio nei Monti Livornesi. (Boll. Soc. Gfeol. ital., Voi. XX, fase. 4°, pag. 507-550 con 2 tavole). — Roma, 1901. Le valli dell’Ardenza e della Chioma, nelle quali trovansi le due località sovraindicate, sone già state studiate dal Capellini e descritte sino dal 1878 nella memoria Sul Calcare di Leitha , il Sarmatiano, ecc. ecc. (Atti R. Acca- demia Lincei, Roma) e figurano nella Carta geologica dei monti di Livorno , ecc. ecc., pubblicata nel 1881. L’autore riprese ora lo studio delle due regioni, occupandosi in special modo della parte paleontologica, su materiale esistente nel Museo di Firenze o da lui stesso raccolto. Premesso un cenno sul terreno miocenico di Popogna e di Cafaggio, e sulla natura delle roccie che lo compongono e di quelle che ne circondano il giacimento, l’autore passa alla parte paleontologica, nella quale sono descritte 11 specie di gasteropodi, 2 di scafopodi, 38 di pelecipodi. Di esse 5 sono nuove e cioè: Turritella Capellina, Modiola Rosignani , Cardinm Labronicum, Venus pseudoscalaris, Corbnla birostrata. Xella valle inferiore di Cafaggio poi si tro- vano anche numerosi avanzi vegetali. Xelle due tavole sono riprodotte alcune delle specie descritte, fra cui tutte le nuove, comprese due varietà, pure nuove, la Venus pliocenica De. Stef., var. Popognae , e la Leda pella Lin., var. antecarinata. Ugolini R. — Di un resto fossile di Dioplodon del giacimento plio - cenico di Or ciano (dagli Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XVIII, pag. 6). — Pisa, 1901. In questo giacimento, ricco in modo speciale di resti di cetacei, furono negli ultimi anni raccolti avanzi scheletrici di alcuni di questi, che ora trovansi conservati nel Museo di Pisa. L’autore, in seguito a lungo e minuzioso esame di essi, riuscì a distinguervi quattro individui, dei quali tre appena in condi- zioni tali da permettere una determinazione generica alquanto approssimativa. Appartiene appunto a questi ultimi il cetaceo di cui trattasi nella presente nota e che va attribuito probabilmente al genere Dioplodon Glervais. Questo genere, riconosciuto per primo ad Orciano dal Lawley nel 1875, fu poi illustrato dal Capellini che, sino dal 1884, aveva preso a trattare di — 64 - questo gruppo di cetacei e pubblicava un primo lavoro sul zifioide di Fango- nero presso Siena (Y. Mem. R. Acc. Lincei, S. IY, Yol. 1°) e altro del 1885 sui resti fossili di Dioplodon raccolti in Italia (Y. Mem. Acc. Bologna, S. IY. Yol. YI). L’esemplare studiato dall’autore è rappresentato dai soli periotici dell'ap- parato uditivo, che l’autore descrive, facendone risaltare i caratteri, pei quali viene a conchiudere trattarsi con ogni probabilità di un Dioplodon. Ugolini R. — Nuovi iresti di cetacei fossili del giacimento pliocenico di Orciano (dagli Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Memorie, Yol. XYIII. pag. 6). — Pisa, 1901. Facendo seguito al lavoro precedente, l’autore descrive in questo i pochi avanzi di delfinoidi facenti parte della collezione di resti fossili di cetacei pro- veniente dal giacimento pliocenico di Orciano. Gli avanzi consistono in ossa uditive, mandibole e denti appartenenti al genere Delphinus e in una porzione di un mascellare superiore sinistro appar- tenenti al genere Steno. Yerri A. — Un capitolo della Geografia fisica delP Umbria (dagli Atti del IY Congresso geografico italiano, pag. 24 in-8°, con 8 tavole). — Milano, 1901. La orografia dell’Umbria è caratterizzata da vallate longitudinali, com- prese fra catene parallele all’ Appennino : le acque sboccano pertanto dall’in- terno per gole tagliate nella catena esterna. Le roccie sedimentarie mostrano che, dal trias superiore a tutto l’ eocene, la regione fu coperta dal mare ; un mare largo ed aperto sino all’eocene, poi da un mare più limitato, perchè la sedimentazione detritica acquistava a poco a poco prevalenza sulle altre formazioni. L’eocene poi si chiude con manifesta- zioni di attività endogena nelle profondità marine, poiché nell’Umbria e sue adiacenze si formano in questo periodo delle amigdali di roccie ofiolitiche. Forse in questo periodo ebbe luogo un principio di emersione delle terre umbre, ma nel miocene medio il mare di nuovo le ricoprì : sinora non vi sono stati scoperti depositi del miocene superiore. Infine i sedimenti pliocenici mo- strano l’Umbria quale una regione di laghi, col mare ai piedi della catena esterna occidentale. L’autore passa in rivista la successione delle roccie che furono composte — 65 — nel fondo dei mari, dal trias al miocene, e che sollevate costituiscono oggi lo montagne dell’Umbria e regioni limitrofe, in generale disposte a scaglioni con declività ad est e troncatura ad ovest : la disposizione complessiva delle masso fa poi supporre che vi sieno grandi linee di frattura secondo la direzione della penisola italica, cioè di WJST.O a S.S.E. Esistono però anche fratture trasver- sali, alcune delle quali ebbero gran parte nelle orogenesi della regione; ed in generale le formazioni presentano irregolarità e discordanze, dovute a stira- ture, strappi, scorrimenti. Durante l’eocene superiore il fratturamento delle roccie era già tanto pro- gredito da dare sfogo ai prodotti della vulcanicità sottomarina, i quali furono di natura magnesiaca (ofioliti). I depositi pliocenici tanto fluviali, quanto marini, sono composti in basso da argille, in alto da sabbie, con maggiore o minore abbondanza di banchi di ghiaia e ciottoli ; una zona di materiale grossolano separa le argille dalle pareti del bacino entro il quale si depositavano. Dall’idrografia pliocenica dell’Umbria, con laghi interni, consegue lo scavo di emissari che misero in comunicazione col mare le conche lacustri, attraver- sando la catena esterna con gole, delle quali abbiamo molti esempi, e lasciando allo sbocco depositi di materiali detritici. Tenne quindi la fase di riempimento delle conche lacustri, aiutato dal sol- levamento del territorio ; e mentre per effetto di questo il mare ritiravasi dal litorale, fra esso e la nuova spiaggia tirrena eruppero i vulcani dal monte Amiata al Laziale ; e questi lanciarono le loro ceneri, trasportate dai venti, sopra le montagne umbre, ai piedi delle quali, dove le hanno radunate le acque me- scolandole al detrito delle roccie locali, formano grossi depositi. Appartengono a questo periodo le roccie generate dalle manifestazioni di vulcanicità secon- daria, come i travertini, le concrezioni alabastrine e tutti i fenomeni di meta- morfismo dovuti a svolgimento straordinario di acido carbonico. Seguono cenni descrittivi delle parti più interessanti della provincia umbra, come: la Yaldichiana, la valle superiore del Tevere e la conca di Gubbio; la valle del Tevere da Perugia a Todi; la conca di Foligno e Spo- leto; le conche di Terni e di Rieti. Al lavoro è unito uno schizzo di carta geologica in piccola scala della intiera regione e sue adiacenze, corredato da sezioni che ne dimostrano la tettonica interna. 5 — 66 — Verri A. e De Angelis d’Ossat GL — Terso contributo allo studio del miocene nell' Umbria. (Boll. Soc. G-eol. ital., Voi. XX. fase. 1°, pag. 1—23). — Boma, 1901. In questo terzo contributo (V. per il secondo la Bibl. 1900 ) gli autori con- tinuano l’esposizione delle osservazioni fatte per ricercare il livello preciso cui appartengono le formazioni arenaceo-marnose dell’ Umbria, e sostenere con nuovi argomenti la loro miocenicità. Xella parte stratigrafica, dovuta al Verri, premesso un cenno tettonico sulle tre catene mesozoiche parallele della regione, la Xarnese, la Mar tana e la Perugina, l’autore si estende a parlare della formazione eocenica ad occi- dente di quest’ultima, disposta pure in zone parallele, con gli strati diretti da X.X.O a S.S.E. In essa egli distingue 5 zone, delle quali espone i particolari stratigrafici e litologici; e, riassumendo, dà le seguenti serie dal basso in alto: 1° zona marnosa con transizione dal cretaceo all’eocene; 2° zona marnoso-are- nacea con banchi di marne variegate, brecciuole contenenti briozoi e tritume di conchiglie di molluschi; 3° zona prevalentemente arenacea con banchi di fora- minifere, fra le quali predominano le orbitoidi; 4° zona marnoso -calcarea con banchi di foraminifere, fra le quali preponderano le nummuliti; 5° zona are- nacea; 6° argille scagliose con ofioliti. L’autore passa quindi ad esaminare il problema di quelle formazioni che stanno sui monti di destra della valle Ti- berina, presso Città di Castello, e sulle quali verte la questione dell’età mio- cenica da lui propugnata e la eocenica voluta dal Lotti (vedi più sopra). Segue la parte paleontologica del De-Angelis, il quale, in una escursione fatta col Verri nei dintorni di Città di Castello (Monte Cedrone), ebbe la for- tuna di trovarvi parecchie forme finora sconosciute, la presenza delle quali corrobora il loro apprezzamento circa l’età di quegli strati. Delle forme trovate egli dà un elenco generale, mettendo in evidenza il valore cronologico delle singole specie. Queste sono in numero di 46, di cui 39 bene determinate; di queste, 38 sono già state trovate nei terreni miocenici del bacino mediterraneo e la rimanente non ne è estranea. Delle 39 forme ben 15 furono finora solo citate in terreni miocenici e ben 34 non furono raccolte mai in terreni più antichi; le 5 rimanenti, fossili dal cretaceo in poi e tuttora viventi, non carat- terizzano terreno alcuno. Dai risultati sovraindicati viene quindi dagli autori confermata la mioce- nicità della formazione di Monte Cedrone. — 67 — Viola C. — Sulla genesi dei minerali di Monteponi. (Rassegna mineraria. Voi. XIV, n. 3, pag. 37-38). — Torino, 1901. Ferraris E. — Idem. (Ibidem, n. 1, pag. 53-54). — Torino, 1901. L’ing. Viola, trattando della genesi dei minerali dell’Iglesiente, si riferisce specialmente alla miniera di Monteponi, che egli ha potuto studiare e vedere più di frequente. Egli ricorda che i solfuri di piombo e di zinco possono essere tanto originali come le roccie eruttive, che ne contengono in piccole traccie, quanto anche essere minerali secondari accumulatisi per via di tras- porto. I minerali di zinco invece, non la blenda, sono certamente di tra- sporto per mezzo delle acque, che li hanno precipitati nelle cavità carsiche del calcare metallifero. Perciò i minerali di zinco sono puramente un fe- nomeno superficiale, mentre il solfuro di piombo si osserva pure a grandi pro- fondità. Questa breve nota ha dato occasione all’ing. E. Ferraris di esporre alcuni fatti importanti relativi ai giacimenti di Monteponi; e cioè che i minerali misti di galena, blenda e pirite sono intimamente connessi con le roccie erut- tive. Quindi, osserva il Ferraris, la blenda e la galena sono penetrate per su- blimazione nelle cavità carsiche delle dolomie, nella stessa guisa delle roccie eruttive di Cungiaus. I minerali derivati dalla blenda però sono in parte in posto, perchè collegati con essa, e in parte sono di trasporto, mentre il Viola ritiene che tutti i silicati e i carbonati di zinco abbiano tale derivazione. Viola C. — Sulle giaciture minerarie di Monteponi. (Rassegna mineraria, Voi. XIV, n. 18, pag. 277-278). — Torino, 1901. L’autore ha studiato parecchi campioni di minerali misti estratti dalla galleria Albasini nella miniera di Monteponi in Sardegna. Dalla struttura di questi campioni, che è concrezionale, l’autore conclude che l’origine di detti solfuri può essere secondaria; nulla dimostra che i giacimenti di Monteponi siano primari, come sono invece primarie le roccie eruttive, le quali interse- cano gli strati di Monteponi e si spingono fino a giorno. I giacimenti calaminari sono certo depositi secondari e provenienti non dalla blenda altorata in posto, ma da giacimenti solfurei misti più lontani; perciò l’autore crede che i giacimenti calaminari siano dovuti a fenomeni su- perficiali, come un deposito di acque, mentre la galena può bene essere un giacimento profondo endogeno. 68 - Viola C. — A proposito del calcare con pettini e piccole nummnliti eli Subiaco ( prov . di Roma). (Boll. R. Comitato Geol., Voi. XXXII, n. 3, pag. 223-226). — Roma, 1901. L’autore risponde ad alcune osservazioni fattegli dal Xelli nella sua nota sul langhiano (vedi più sopra) relativamente alle nuove specie di Pecten da lui istituite e dimostrate diverse da quelle finora conosciute. Il P. Clarae (Viola) si avvicina al P. quinquepartitus (Blanckenhorn) ed è diverso dal P. Haueri col quale il Xelli vuole identificarlo. Il P. de Angeli si (Viola) può essere avvi- cinato al P. adnncus (Eichw.) o al P. snbbenedictns (Font.), ma non può essere identico al P. Koheni col quale il Xelli pure vuole identificarlo; e così anche l’au- tore dimostra che il suo P. Clarae var. sublacensis non corrisponde al P. Ror- thamptoni (Micht.) come ritiene il Xelli. L’autore ha rese note alcune specie nuove appartenenti al calcare con piccole nummuliti di Subiaco, ma non ha determinato l’età di questo calcare, che il Xelli crede miocenico. Relativamente alla pietra di Subiaco poi l’autore osserva al Xelli che essa appartiene al cretaceo, come già molti autori hanno dimostrato, e che essa non può appartenere al miocene come egli vorrebbe. Viola C. — L’augitite anfibolica di Giumarra presso Rammacca (Sicilia). (Boll. R. Comitato aeoi., Voi. XXXII, n. 4, pag. 289-312, con tavola). — Roma, 1902. L'augitite anfibolica di Giumarra fu trovata e raccolta dal dottor Di Stefano; ma essa corrisponde esattamente a quella già trovata dal Marinelli nella stessa località e che da lui fu detta monchiquite, come roccia di filone. L’autore fa uno studio particolareggiato petrografico, chimico e comparativo di questa roccia con altre consimili. Deriva da questo studio che essa appar- tiene alle roccie di differenziazione basica (lave porfiriche) del genere della monchiquite e più specialmente affine alla varietà fourchite (Williams); ma essendo essa alquanto diversa da quest’ultima sia nella composizione chimica, sia nella costituzione mineralogica, l’autore propone per essa il nome di Gia- ni arri te. Essa contiene pirosseno, antibolo e magnetite (porfirici) con base vitrea impregnata di microliti pirossenici e anfibolici (massa fondamentale). I minerali accessori sono apatite, ilmenite, plagioclasio basico e olivina ; fra i minerali secondari, l’autore nota clorito, serpentino, calcite, aragonite, ossidi di ferro e zeoliti in forma pisolitica. La composizione chimica della giumarrite, determinata dall’autore, risulta come segue : Si 02 == 40. 70 ; Al2 03 = 20. 80 ; Fe2 03 -f Le 0 = 13. 40 ; M.0^6; Ca0 = 8. 15 ; Xa20 -J- K20 = 5. 25 ; P2 05 = 0. 65 : perdita al fuoco = 6. 40 ; peso specifico = 2. 94. Perciò la giumarrite si avvicina alle augititi delle isole del Capo Verde studiate e analizzate dal Doelter. Virgilio F. — Z/Ostrea Joannae Clìoffat in provincia di Bari. (Boll. Soc. G-eol. ital., Voi. XX, fase. 1°, pag. 31-32). — Poma, 1901. Questa forma fossile fu dall’autore rinvenuta, in vari esemplari, nelle vi- cinanze di Acquaviva, e precisamente sul versante destro dell’ampio solco della Lama (alveo fluviale) di Xoicattaro, che ha foce nell’Adriatico fra Bari e Mola, nel qual punto la Lama è scavata in un calcare compatto biancastro a strati quasi orizzontali. La scoperta di questo fossile ha una certa importanza in quanto, oltre a stabilire un parallelismo fra il cretaceo del Portogallo, il versante adriatico delle Murge baresi e le Alpi Venete (Col dei Schiosi ed altrove) dimostrerebbe la esistenza in provincia di Bari della serie cenomaniana. Resterebbero in tal modo determinate nella Murge la serie urgoniana (cretaceo antico) e le due serie cenomaniana e senoniana (cretaceo recente). Weber M. — Beitrdge sur Kenntniss des Monsonigebietes. (Centralblatt fiir Min., aeoi. und Pah, Jahrg. 1901, n. 22, pag. 673-678). — Stutt- gart, 1901. Romberg J. — Entgegiinng . (Centralblatt, etc., 1902, n. 1, pag. 13-15). — Stuttgart, 1902. Weber M. — Erwiderung . (Centralblatt, etc., 1902, n. 3, pag. 81-82). — Stuttgart, 1902. Il dott. Weber rende conto di osservazioni fatte nella regione dei Monzoni (Trentino). Circa la monzonite constata le varietà di struttura da granitica, gabbroidica a ofitica già definita da Brògger; nè mancano indizii di struttura porfirica. In certi luoghi, come sulla falda dal lago delle Selle, alla cresta, la struttura della monzonite è grossolana con pirosseni lunghi qualche decimetro, in altri, come sotto il lago suddetto, la struttura diviene finissima. — 70 - Era i minerali della monzonite sono da ricordare il pirosseno scuro, die al contatto prende l’aspetto della fedorowite (Viola) e la biotite. L’olivina è minerale accessorio che accompagna le varietà ricche di ortoclasio e non quelle ricche di plagioclasio. L’ortoclasio della monzonite non è sempre bianco come asserisce Rosen- busch, ma anche roseo come in certi filoni. Era le roccie filoniane e di differenziazione al seguito della monzonite l’autore rileva l’aplite monzonitica, che affiora in filoni potenti. Egli dichiara che la priorità di questa scoperta è dovuta a lui, perchè la fece già nel 1898 e la pubblicò nel 1899, mentre Romberg dimostra che la aplite monzonitica fu da lui prima constatata, cosa alla quale Weber non acconsente. Questa aplite affiora vicino alla cresta dei Monzoni, con struttura granitica finissima, miaro- litica ; l’augite è in piccola quantità, vi manca la biotite e l’olivina, e in quella vece vi entrano apatite, titanite e minerali metallici in abbondanza. Era le roccie di differenziazione basiche l’autore non ha da portare alcun’aggiunta alle notizie già date dal Brogger; solamente osserva che in luogo del feld- spato subentra la nefelina primaria, trasformata in zeoliti e in aggregati mi- cacei. Un’altra roccia filoniana, di cui l’autore riferisce, è il porfido monzoni- tico quarzifero con poco ortoclasio, con quarzo, biotite e grani di minerali me- tallici, il quale affiora nel burrone di Pesmeda. L’autore ha visitato il limite di contatto fra la monzonite e il calcare dal lago delle Selle fino al burrone di Allochet, e ha constatato che sopra 61 cam- pioni presi nel detto contatto, solo 17 sono privi di ortoclasio, 8 hanno poco ortoclasio, mentre 86 appartengono alla monzonite tipica di Brogger. L'autore non può dunque confermare le asserzioni di questi, che nella regione dei Monzoni siavi una vera e propria facies basica, da Brogger definita con la pre- senza delle pirosseniti, e in generale con le roccie senza ortoclasio e povere di plagioclasio. ISremmeno può convenire con altri osservatori, che il contatto abbia dato luogo a una rilevante varietà di struttura, tutta la risultante del contatto endo- geno consistendo solo nella presenza di certi minerali come granato, spinelli e wollastonite. Altre roccie di cui parla l’autore sono i filoni sienitici e granitici già noti, che nel contatto contengono corindone ; filoni camptonitici trovansi in una sola località; filoni porfirici a liebenerite; una porfirite a labrador con massa fondamentale lamprofirica; una porfirite augitica senza olivina; un’isola di melafiro già delimitata da Doelter. L’autore ha constatato nel terreno di contatto il metamorfismo già osser- rato da altri; rileva principalmente la zeolitizzazione, la fascia di granati, la perowskite, un minerale simile a dysanalite e una serpentina con potere assor- bente già descritta da Weinschenk. Zaccagista D. — Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geologici intorno alle Alpi occidentali. (Bollett. R. Comitato Gfeol., Yol. XXXII, fase. 1°, pag. 4-74 e fase. 2°, pag. 129-150). — Roma, 1901. È la prima parte di un esteso lavoro, colla quale l’autore ha inteso di con- fermare le sue vedute intorno all’età prepaleozoica dei calcescisti e delle altre roccie della zona delle pietre-verdi nelle Alpi, confutando le idee espresse negli ultimi lavori del Kilian, del Termier e del Bertrand, che le riportano al trias ed al paleozoico. Premettendo un confronto fra le conclusioni a cui Kilian era pervenuto in antecedenza descrivendo le sezioni geologiche dell’alta TJbaye e quelle risul- tanti dai suoi ultimi lavori, l’autore rileva che le sezioni del Queyras in cui il Kilian descrive un piccolo anticlinale di calcari triasici compreso fra i cal- cescisti, con apparizione delle quarziti nel nucleo delle pieghe, non implicano la necessità di considerare i calcescisti come più giovani del calcare triasico. I calcescisti e l’ intera formazione arcaica, secondo l’autore, costituiscono il terreno sul quale il paleozoico ed il trias vennero deponendosi; ed il corru- gamento prodotto dal sollevamento post-secondario può aver dato luogo tanto a ripiegamenti anticlinali, come quello di Chateau-Queyras, colle quarziti al centro, che a pieghe sinclinali colle quarziti all’esterno, come quelli di Savoulx e del Crammont; oppure ancora a pieghe composte in cui alternano sinclinali ed anticlinali, come quello delle roccie paleozoico-triasiche della Valle Stretta presso Bardonecchia, che l’autore figura. Egli corrobora quest’argomento anche con altri esempi tolti fuori della re- gione alpina, nell’ Appennino reggiano e nei monti della Spezia, dove anticli- nali di macigno sono compresi fra calcari del trias o si addossano al retico, senza che perciò possa inferirsene che la parte nucleare sia più antica di quei calcari. Replicando al Termier riguardo ad alcune osservazioni sulTestensione as- segnata alle fiditi permiane nel gruppo della Vanoise, tanto nel versante sud nel vallone d’Entre-deux-Eaux, che a nord nel Doron di Champagny, l’autore osserva che la propaggine arcaica costituente l’ossatura della Vanoise, avente forma di cupola, ha il nucleo formato di micascisti, su cui sono direttamente imbasati i calcescisti del Grand Mont, del Chatelard e del Méan Martin sulla destra dell’Aro ; e che tra i calcescisti ed i micascisti non sussiste la zona tria- — 72 — sica veduta dal Termier, perchè quella che sta al Bocher-du-Col fra micascisti, e calcescisti, anziché intercalata, vi è accollata passando essa interamente sui calcescisti nel suo prolungamento a sud. Mancherebbe in conseguenza la conti- nuità di successione fra i micascisti, gli strati triasici ed il calcescisto : nè i mi- cascisti potrebbero rappresentare gli scisti permiani, con cui non hanno del resto alcuna somiglianza. Quanto ai micascisti del Doron di Champagny, che secondo il Termier sarebbero da attribuirsi pure al permiano e dovrebbero, colla zona Charnpa- gnv-Fribuge, veramente permiana, far parte di un sinclinale includente il car- bonifero, l’autore ritiene che essi non possono esser considerati come permiani sia per il fatto inverosimile che a formare la stessa piega concorrerebbero su d’un lato, scisti colla facies abituale del permiano, e sull’altro, micascisti di tipo arcaico ; sia anche per altre ragioni stratigrafiche aventi rapporto colla vicina montagna dell’Aliet. Intorno al lavoro del Bertrand « Etudes sur les Alpes Francaises » dopo aver accennato alla teoria generale sotto la quale il Bertrand intravede la geo- logia alpina, che egli prestabilisce, applicandola alle sue « coupes demonstra • tives » l’autore passa in rassegna varie di queste sezioni confutando le ragioni, di cui il Bertrand si vale per ricondurre i calcescisti al trias, ed i gneiss-mi- cascisti al permiano ed al carbonifero. Tra la valle dell’ Are e la regione del Moncenisio l’autore si sofferma spe- cialmente svolgendo le ragioni statigrafiche per cui ritiene infondata l’ipotesi del Bertrand che gli gneiss del M. Malamot possano esser ritenuti come per- miani. Passa quindi all’esame della sezione tra il colle d’Etache e del colle d’Ambin, dove la massa triasica penetra nel versante italiano scendendo fino alla Dora, ivi ricoperta dai calcescisti; circostanza che, come è noto, dette al Bory l’idea della triasieità di essi. Però secondo l’autore la massa triasica fra Savoulx ed il M. Leguret forma un sinclinale coricato, compreso in parte fra i calcescisti ed in parte fra i calcescisti e micascisti del M. Ambin, e ri- sulta composta di calcari triasici al centro e di quarziti sui due lati; talché riesce tutta esterna e superiore ai calcescisti. Passando dalla valle dell’ Are a quella dell’Isère l’autore fa altre critiche considerazioni nei dintorni di Bonneval, al Col d’Iséran, al Mt. Charvet, al Mt. Pourri e nei dintorni di Tignes, dove il calcare e le quarziti del trias sovrastano ai calcescisti e micascisti arcaici; rilevando come il Bertrand con- sideri ivi i calcescisti compresi in un sinclinale che l’autore ritiene fittizio, perchè la piega avrebbe uno dei suoi rami formato dai micascisti e l’altro dalle -quarziti più caratteristiche. Egli nota inoltre dello differenze angolari assai — 73 marcate fra i calcescisti e le quarziti, che si ripeterebbero più a valle, alla Thuille, fra micascisti e scisti carboniferi. Infine con altre considerazioni stratigrafiche e litologiche l’autore intende confermare l’opinione altra volta espressa che l’altura del M. Jovet ritenuta basica dal Bertrand nella sua parte terminale e risultante da un sinclinale foggiato a cupola rovescia, sarebbe invece un lembo della zona dei calcescisti arcaici con pietre verdi, sia pei caratteri petrografici, sia per la conformazione stratigrafica, palesemente discordante colla zona triasica da cui resta attorniato. Zambonini F. — Su un pirosseno sodifero dei dintorni di Oropa nel Biel- lese. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Yol. X, fase. 7, 1° sem., pag. 240*244). — Roma, 1901. Il minerale proviene da una eclogite a grandi elementi, inclusa nei mica- scisti del versante meridionale della Cima Cucco ad est di Oropa, e fu raccolto dall’ing. S. Franchi. Esso si presenta in individui di varia grandezza, con co- lore molto chiaro : dai frammenti più omogenei non è difficile ottenere prismi di sfaldatura, con angolo vicino a 87° e con estinzione uguale fra 34° e 35°. Esso appartiene quindi al sistema monoclino. L’analisi chimica diede: Si 02 = 53,54; Al 2 03 = 14,79 ; Fe203 — 5,14: CaO = 14,83; MgO = 3,59; Xa20 = 7,73; K2O = 0,27. Da questa risulta che il minerale della eclogite di Cima Cucco appartiene a quel gruppo di piros- seni che, per il loro elevato tenore in elementi esavalenti ed in sodio, si pos- sono chiamare pirosseni giadeitoidi. Zambonini F. — Su alcuni minerali della Rocca Rossa e Monte Pian Reai ( Val di Suso). (Rend. R. Aec. dei Lincei, S. Y, Yol. X, fase. 2°. 2° sem., pag. 42-50). — Roma, 1901. Idem. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXVII, fase. I, II, III. pag. 35*46). — Padova, 1901. La Rocca Rossa (2288 m. sul mare) fa parte del gruppo di monti che circondano a sud l’estremità del bacino del Rio Gravio in Yal di Susa. Tanto questo che il vicino Monte Pian Reai appartengono ad una massa serpentinosa a conca. L’ingegnere Franchi, che ha fatto un’ esame geologico-petrografico di questi menti, ha affidato all’autore per lo studio varii campioni di minerali — 74 — ivi raccolti e questi descrive nella presente nota l’idocrasio e l'epidoto rinve- nuti nella serpentina della Rocca Rossa e la prehnite del Monte Pian Reai. L’unico campione raccolto di epidoto è composto di un intreccio di cristalli con poca albite. Il colore dei cristalli è per lo più verde chiaro, ma talora anche verde scuro e quasi nero. Alcuni di essi sono alterati, ma in maggior parte sono freschi. Le dimensioni variano da 1 1/2 a 20 mm. nella direzione dell’asse y „ I cristalli sono ben sviluppati soltanto nella zona (100 : 001) generalmente po- vera di faccie. L’autore espone tutte le forme da lui osservate nei cristalli e le varie par- ticolarità di essi. Descrive poi succintamente, dandone anche la figura, un cristallo interes- sante per il suo habitus asimmetrico e per la presenza di alcune forme rare. In una tabella sono dati gli spigoli misurati, gli angoli trovati e quelli calco- lati partendo dalle costanti di Kokscharow. L’autore fa quindi rilevare le importanti differenze fra quest’epidoto e quello della Comba di Compare Robert studiato dal Boeris (vedi Bibl. 1897 ) per cui esso, sia per la presenza, che per lo sviluppo di alcune forme impor- tanti, si discosta assai dai cristalli finora descritti di altri giacimenti piemontesi. L’idocrasio trovasi nella serpentina della Rocca Rossa, in lenti composte esclusivamente d’idocrasio cristallizzato, di color marrone chiaro, analogo al- ridocrasio manganesifero della Corbassera. I cristalli sono per la maggior parte aghiformi, ma alcuni di maggior dimensione sono più estesi nel senso degli assi orizzontali. Le dimensioni variano da 1 mm. a 5 cm. La prehnite di Monte Pian Reai fu rinvenuta in due campioni di eufotidi nelle falde detritiche di questo monte e sembrano provenire da piccole masse incluse nella serpentina. La prehnite tappezza delle geodi e si presenta pure in venuzze cristalline o in piccoli cristalli che di rado superano i B mm., molto allungati e prismatici: sono nivei nelle venuzze e leggermente bluastri in alcuni cristalli delle geodi, o in cristalli giallognoli opachi di maggiori dimen- sioni. Tutti questi cristalli hanno notevoli somiglianze con quelli di Striegau e di Jordansmuhl nella Slesia. La maggior parte si compone, di numero variabile di cristalli riuniti. Assai spesso hanno un aspetto piramidale, ma dalle osservazioni fatte dall’autore risulta che si ha sempre a fare col prisma (110). Tale aspetto pira- midale egli crede dovuto all’essere questi cristalli composti di tanti individui che hanno i loro assi verticali convergenti. L’autore ha infine potuto constatare anche in queste prehniti le anomalie ottiche constatate dal Des Cloizeaux e da altri per lo stesso minerale di altre località. 75 — Zambonini F. — Mineralogische Mittheilungen. (G-roth, Zeitschrift fiir Kryst. und Min., B. 34, H. Ili, pag. 225-260, con 2 tavole e H. Y-YI, pag. 549-562, con tavola). — Leipzig, 1901. Sono 13 comunicazioni, delle quali la 2% la 3a, la 6a, la 8a, la 9a, la 10a riguardano minerali italiani e cioè: 2a Olivina del Lazio. Fu già descritta dall’autore (v. Bibl. 1899 ) il quale aggiunge ora alcune nuove osservazioni cristallografiche. 3a Forsterite dei Monti Albani. L’analisi chimica fatta dall’autore diede : Si 02 = 42. 06 ; MgO = 55. 93 ; FeO = 1.15; OaO = 0. 28 ; (Xa2 , K2) O = : 0. 21. Da cui la formola Mg2 Si 04. 6a Epidoto di Colle del Faschietto ( Val d’ Ala). Sono osservazioni cristallo- grafiche su questo minerale già studiato dal La Falle (v. Bibl. 1890), dalle quali risultano tre forme nuove per la località. 8a Diopside di Val d'Aia. Descrive due cristalli nei quali riscontrò tre forme nuove, il che porta al numero di 68 il numero delle faccie finora conosciute di questo minerale. 9a Sanidina. Sono misure di angoli fatte su cristalli provenienti dalle se- guenti località italiane: dalla trachite dei Monti Cimini e del Quartuccio nei dintorni di Viterbo; dai tufi della Tomba dei Xasoni presso Eoma; dai Monti Albani; dai blocchi sanidinici dei dintorni di Viterbo; dal Vesuvio. Le nuove misure inducono l’autore a credere che i cristalli di sanidina sono deformati, come avviene per altri minerali vulcanici. t 10a Pirosseno del Lazio. In appendice a un suo lavoro su questo minerale (v. Bibl. 1900 ) l’autore descrive un cristallo di esso con habitus straordinario e di cui allora non era stato fatto cenno. Zambonini F. — XJeber ein merkwurdiges Minerai von Casal B rimori bei Rom. (Centralblatt fiir Min., Greol. und Pai., Jahrg. 1901, n. 13, pag. 397-401). — Stuttgart, 1901. Idem. (Rivista di min. e crist. ital., Voi. XXVII, fase. I-II-III, pag. 46-48). — Padova, 1901. In alcune cavità della lava di Casal Brunori, presso Roma l’autore ha trovato un minerale verde giallastro lanugginoso, in masserelle opache friabili, che tappezza con calcite, o da solo, le pareti di dette cavità, e talora trovasi anche in fascetti tra i cristalli di una zeolite e i globetti bianchi assai copiosi in queste lave. 76 — Dall’esame microscopico esso risulta di bastoncini piccoli e regolarissimi, quasi sempre diritti, di varia dimensione e senza alcuna forma cristallina. Nu- merosi vi sono gli individui accresciuti insieme in due o più, semitrasparenti o trasparenti in monobromon aftalina : estinzione parallela all’allungamento e forte potere rifrangente. D’autore dà poi conto dell’analisi chimica e ne presenta i risultati che confronta con quelli più completi ottenuti da Heddle per la clorofeìte della Scozia e della Irlanda. Da formola chimica, che secondo l’autore è da darsi al minerale da lui studiato, sarebbe RO. R2D3. 3 SiOs -}- 7 H20, mentre quella di Heddle per la clorofeite di Scuir Mohr e di Griant’s Causeway in Irlanda è R4 R4 Si7024 + 16 H20. Dal confronto egli rileva tra i due minerali uua notevole differenza; non la ritiene però essenziale e conferma l’identità chimica di questo minerale con la clorofeite della Scozia. Esclude infine l’ipotesi che il minerale di Casal Brunori possa essere una varietà della breislakite di Capo di Bove, sia per la diversità di colore, sia per il contenuto maggiore in ferro, almeno allo stato ferroso, nella breislakite, sia infine per l’assenza di sfaldabilità secondo la base che è essenziale nella breislakite, come risulta dalle osservazioni di Wickmann e dalle sue proprie. — 77 — APPENDICE1 Amsler A. — TJeber die interglaciale Flora von Pictnico ( Provincia di Bergamo). (Yerh. der schweiz. nat. Gres., 83 Jahresversammlung in Thusis, 1900, pag. 113-114). — Chur, 1901. Bacchini L. — L'acqua antiurica ed antilitiaca Fiuggi di Anticoli di Campagna. — Roma, 1901. Baratta M. — Sulle recenti manifestazioni sismiche di Palombara Sa- bina. — Yoghera, 1901. Bartolini Gl. — Studio cristallografico ed ottico sulVortose elbano. (Ac- cademia di Se. mediche e naturali di Ferrara, pag. 1-23). — Fer- rara, 1901. Bellini RJ — Poche parole sulla distribuzione del Lias superiore in Umbria ed ulteriori notizie sulle ammoniti del Monte Subasio. — Assisi, 1901. Bentivoglio Gf. — Le sorgenti solforose di Saldino in Dinazzano: ana- lisi chimica (pag. 10 in-8°, con tavola). — Modena, 1901. Brun A. — Excursion géologique au Stromboli. (Archives des Sciences phys. et nat., 4me période, T. XII, pag. 86-88). — Grenève, 1901. Casoria E. — Le acque carboniche delle falde orientali del Vulture, in relazione alla costituzione chimica dei materiali vulcanici (pag. 40 in-8°). — Portici, 1901. De Gtorgl C. — Le terme sulfuree di Santa Cesaria sull' Adriatico (pa- gine 30 in-4°, con carta). — Lecce, 1901. 1 Sono pubblicazioni non pervenute aH’ITfficio o pervenutevi troppo tardi per poterne inserire la bibliografia nel posto relativo. — 78 — De Giorgi C. — Note e ricerche sui materiali edilizi adoperati nella pro- vincia di Lecce. (La Puglia tecnica, 31 agosto 1901). — Bari, 1901. Fouqué F. — Etna. (Revue gén. des Se., 30 janv. 1901, pag. 65-81). — Paris, 1901. Goggia P. — La dernière phase d’activité dii Vesuve. (Cosmos, n. 348. pag. 525-529). — Paris, 1901. Grattarcela Gh — Prime note sulle lignite del Valdarno. (Atti R. Ac- cademia dei Georgofili, Yol. 24). — Firenze, 1901. Kaech M. — Vorlàufige Mittheilung iìber Untersuchungen in den Por- phgrgebieten zwischen Luganes See linci Val Sesia. (Eclogae geolog. Helvet., Yol. YII, n. 2, octobre 1901, pag. 129-135). — Lausanne, 1901. Menozzi A. e Grimaldi C. — L'acqua salso-bromo-jodica di Piancasale. (Annuario Soc. chimica di Milano, Yol. YII, fascicolo 3-4). — Mi- lano, 1901. Moebus Br. — Breitrdge zur Kenntniss des diluvialen Ogliogletschers . (Inaug. Diss., pag. 27, con carta e tavola di profili). — Bern, 1901. Morandi E. e Montasi»! S. — Relazione sui giacimenti di lignite nella montagna reggiana (pag. 24 in-8°). — Reggio-Emilia, 1901. Oppenheim P. — Die Priabonaschichten und ihre Fauna in Znsammen - hange mit gleichalterigen und analogen Ablagerungen vergleichend betrachtet (pag. 348, con 21 tavole). — Stuttgart, 1901. Pelloux A. — Scheelite e altri minerali della galleria del Sempione. (Boll, del Naturalista, 1901, n. 21, pag. 7). — Siena, 1901. B * ELIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER l’anno 1902 \ Aichino Gr. — La Bauxite (dalla Rassegna mineraria, Yol. XV, n. 15 a 18 ; pag. 46 in-8°). — Torino, 1902. In questo lavoro, d’indole generale, l’autore espone il risultato di alcune ricerche sulle bauxiti recentemente scoperte in Italia, e precisamente su cam- pioni provenienti dal noto giacimento di Lecce nei Marsi nell’Abruzzo aquilano. L’analisi di 5 di essi diede i risultati seguenti: A11 203, da 54. 46 a 58. 85; Fe203 da 18.62 a 30.68; SiO2 (con poco TiO2) da 8 65 a 7.91; H20, da 11.28 a 22.40. Per maggiori particolari su questo e su altri giacimenti italiani di bauxite, vedansi gli articoli su di essi pubblicati dal Mattirolo e dal Cassetti rispetti- vamente nei volumi XIV (pag. 229) e XV (pag. 17) della stessa « Rassegna mineraria » . Airaghi C. — Ecìiinofauna oligo miocenica della conca benacense. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXI, fase. 2°, pag. 371-388, con tavola). — Roma, 1902. Echinidi si trovano al Monte Brione, a Manerba, a Moniga (alveo del Chiese), al Monte Baldo, al Monte Moscalli e alla Rocca di Garda, dove in genere si hanno calcari arenacei bianchi, o vere arenarie giallo- grigie, che per la maggior parte sono considerati dell’oligocene, con l’aggiunta dubitativa di qualche lembo miocenico, come a Monte Moscalli. I pochi esemplari raccolti e dei quali l’autore dà l’elenco con la indica- zione di altre località in cui sono conosciuti, dinotano una fauna di mare lit- torale, poco profondo, come indica anche la natura della roccia. I depositi si dimostrano in generale come oligocenici, e tale riferimento è anche confermato da diverse specie di nummuliti trovate insieme con gli echinidi. In quanto al Monte Moscalli, pel quale havvi qualche discrepanza basata su caratteri ittio- logici, i depositi superiori vengono dall’autore sincronizzati con quelli di Schio 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 80 — e dal medesimo ritenuti dell’aquitaniano, cioè sottostanti al miocene medio, senza però toccare l’arduo problema della posizione precisa di questo piano ri- spetto all’oligocene. Segue la descrizione delle specie, in numero di 10, tutte conosciute per altre località. Yella tavola annessa è figurata la Saltella snbrotnndae formi s Schauroth di Monte Moscalli, con la Se. melitensis n. sp. di Malta per confronto. Airaghi C. — Nuovi cefalopodi del calcare di Esino. (Palaeontographia italica, Yol. YIII, pag. 21-41, con 2 tavole). — Pisa, 1902. L’importante materiale paleontologico di questa classica località, che si va continuamente raccogliendo nel Museo Civico di Milano e in quello della R. Università di Torino, rese necessaria una revisione delle specie fatte cono- scere dallo Stoppani prima (1858-60) e dal Mojsisovics poi (1882), in particolare per quanto riguarda i cefalopodi. Tale revisione, eseguita dall’autore, aumentò grandemente il numero delle specie note di cefalopodi, portandole a 54. di cui 32 conosciute in altre località e spettanti ad orizzonti di già fissati. Dal confronto di queste specie comuni risulta, come già da altri autori è stato affermato, che il calcare di Esino va riferito al piano ladinico, e che la fauna contenutavi è delle più complesse di questo piano e rappresenta, in un solo insieme, le diverse facies del piano medesimo. Resta quindi solo a decidere sul posto del ladinico nella serie triasica, se cioè alla base del trias superiore (Zittel) o alla parte superiore del medio (Bittner). Yella parte speciale l’autore descrive 26 specie, per la maggior parte nuove e appartenenti ai generi Orthoceras , Pleuron anti lus, Nauti lus, Proarcestes , Ceratites , Arpadites , Protrachyceras, Trachgceras , Tirolites, Pinacoceras, Leca- nites, Nannites, Meekoceras , Ptgchites, Sturia e Atractites: Esse sono in gran parte figurate nelle due tavole annesse alla memoria. Alippi T. — I « bonniti » del M. Nerone. (Boll. Soc. sismologica ital. , Yol. YIII, n. 6, pag. 229-236). — Modena, 1902. Con tal vocabolo sono indicati a Piobbico, al nord del Monte Verone (cir- condario di Urbino) i noti rumori che sembrano partire dal medesimo e cor- rispondono ai mist-poeffers del mare del nord, alla marina dell'Umbria, al miglio del Senese, al bombio dell’ Appennino centrale e ad altre denominazioni analoghe. — 81 — Yel presente articolo l’autore espone le poche notizie che ha potuto raccogliere su questi bonniti, accertate con cura e raccolte da persone meritevoli di ogni fiducia. Da esse risulterebbero nuovi argomenti per la origine endogena del fenomeno, in opposizione alla credenza popolare che li vorrebbe in rapporto con le condizioni meteoriche e in molti luoghi precursori di procelle o di ne- vicate: sarebbero in quella vece precursori e quasi avvisatori di terremoti; ma su questo riguardo non si posseggono ancora elementi sufficienti per decidere la questione. È questo un fenomeno che va studiato a lungo e con cura prima di potere addivenire ad una conclusione certa sulla sua natura. Artidi E. — Osservazioni sopra alcuni minerali del granito di Bareno. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Voi, 12°, 2° sem., pag. 362-367). — Roma, 1902. Sono minerali che si incontrano con estrema rarità, e quasi soltanto in via eccezionale, e fra questi l’apatite e la scheelite riconosciuti per la prima volta dallo Struever, la heulandite e la tormalina di nuovo rinvenimento. I cristallini di apatite, ultimamente trovati, a differenza di quelli descritti dallo Struever (1871) sono prismatici, allungati secondo l’asse verticale ; pre- sentano tutti la stessa forma e il maggiore di essi misura 3 mm, nel senso dell’asse e circa 1 mm. nel senso trasversale. La scheelite trovossi in cristallini di color giallo-chiaro, cristallografica- mente identici a quelli descritti dallo Struever, con faccio assai meno perfette, ma alquanto più grossi, misurando il maggiore di essi 5 mm. nel senso dell’asse. L’autore potè inoltre studiare due esemplari con heulandite del granito di Baveno : nel primo essa è in cristallini limpidi, grossi da 2 a 3 mm., piantati sul quarzo e sull’ortoclasio roseo, insieme a uno di quei gruppi raggiati di stilbite giallognola già descritti dallo Struever (1866) ; nell’altro i cristallini, più nu- merosi e più piccoli, spalmano un cristallo di ortoclasio. La forma e le proprietà del minerale nei due esemplari sono identiche. La tormalina, finalmente, è nelle druse di Baveno assai rara ed eccezio- nale. Sono ciuffetti di aghi sottilissimi, azzurrastri, che con estrema facilità si staccano dalla matrice: essi raggiungono la grossezza massima di 0. 2 mm., mentre la lunghezza può oltrepassare il centimetro ; hanno faccie assai brillanti e piane, benché alcun poco striate: al microscopio si constata il caratteristico intensis- simo pleocroismo. 6 Au de nino L. — Terreni terziari e quaternari elei dintorni di Chieri. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 78-92). — Roma, 1902. Il più antico di essi è il tortoniano, che si presenta molto sviluppato e generalmente rappresentato da sabbie ad est, e da marne più o meno sabbiose ad ovest. In queste si riscontrano talora numerosissimi fossili, in generale pic- cole conchiglie di gastropodi e lamellibranchi, formanti talvolta veri banchi conchigliari dello spessore da .5 a 50 centimetri, inclinati da 20° a 25°, e rap- presentanti indubbiamente la fauna tortoniana per la presenza di specie ca- ratteristiche. Questi strati, più o meno sabbiosi, sono importanti anche sotto l’aspetto mineralogico per la quantità e la varietà dei minerali che li compon- gono. In qualche punto poi si può osservare alla base il passaggio fra torto- niano inferiore ed elveziano superiore, per mezzo di strati sabbiosi, marnosi, arenacei, o di un conglomerato costituito quasi esclusivamente da ghiaia con detrito di conchiglie. Le colline tortoniane non superano in generale i 410 m. di altitudine, mentre le elveziane raggiungono i 716 metri (Colle della Madda- lena). I fossili tortoniani abbondano specialmente nei dintorni di Marentino e di Avuglione, e di essi l’autore dà un elenco. Il piano messiniano si può constatare solo nella parte orientale della re- gione, in cui presenta affioramenti calcarei e gessiferi, caratteristici, come presso Moncucco e Castelnuovo d’Asti. Il piacenziano invece è largamente rappresentato nella stessa parte orien- tale, dove affiorano le classiche marne azzurre, in numerose località, ricchis- sime di fossili, dei quali l’autore dà un ricco elenco. Segue l’astiano con le tipiche sabbie gialle, talora marnose, di rado fossi- lifere: importante è la località delle Bocchette, dove questo terreno assume la sua facies tipica di mare basso passante a littorale. Il villafranchiano credesi esista su grande estensione a sud di Chieri, sotto il quaternario, finché riesce visibile nei dintorni di Villafranca con marne sabbiose, sabbie grigie, arenarie e conglomerati durissimi, a stratificazione ir- regolare. Passando infine al quaternario, si hanno pochi lembi visibili di diluviano, rappresentato in generale da lenti ghiaiose e ricoperto ampiamente dal Loess , che talvolta maschera direttamente anche i terreni terziari. È un Loess tipico rappresentato da una marna sabbiosa, di colore variabilissimo dal rosso bruno al giallo, al grigio, specialmente sviluppata a sud-ovest di Chieri. Esso è fos- silifero solo presso Troffarello. — 83 - Balbi ano L. — Ricerche sui petroli italiani. (Grazz. chimica italiana, Anno XXXII, Parte la, fase. V, pag. 437-447). — Roma, 1902. In seguito ai saggi fatti su alcuni petroli italiani dal dott. E. Cecchi-Men- garini (vedi Bibl. 1899 ) l’autore intraprese lo studio degli olii volatili contenuti in quello di Yelleja (Piacenza) che se ne mostrò il più ricco, e nel presente lavoro riferisce i risultati ottenuti. Baldacci L. e Stella A. — - Sulle condizioni geognostiche del territorio di Salò ( prov . di Brescia) rispetto al terremoto del 30 ottobre 1901. (Boll. R. Comitato Greol., Yol. XXXIII, n. 1, pag. 4-25, con 3 ta- vole). — Roma, 1902. Serve di premessa un cenno geologico generale della regione circostante al golfo di Salò, costituita di terreni quaternarii diversi (alluviali, morenici, fluvio- glaciali, ecc.), con isole di terreni più antichi dal miocene al giurese. Segue un minuzioso studio geognostico del territorio del comune di Salò, con indica- zioni sulla idrografia sotterranea e le frane, e con speciale riguardo alle con- dizioni di stabilità del terreno. Indi si studiano le conseguenze del terremoto, sui fabbricati e sul terreno, nel quale si constatò una linea generale di frattura lungo il lago, e diversi smottamenti in collina. Se ne induce la grande influenza della franosità del terreno sulle conseguenze del terremoto; donde traggonsi i criterii per alcuni provvedimenti suggeriti. Pna carta geologica al 25,000, con una pianta del territorio e un profilo geognostico servono a illustrare il testo. Baltzer A. — Zar Entstehung des Iseosee - und Corner seebeckens. (Cen- tralblatt fiir Min., G-eol. und Pai., Jalirg. 1902, n. 11, pag. 323-331). — Stuttgart, 1902. In altra occasione l’autore ha emesso l’ipotesi che i bacini dei laghi al- pini siano dovuti a cause tettoniche, le quali erano ancora attive durante la deposizione delle morene più recenti del periodo quaternario, deposte lateral- mente alle valli dentro la massa montuosa. Egli ha ora cercato la conferma della sua teoria rilevando con somma cura le condizioni altimetriche di morene e di terazzi di erosione posti nei bacini del lago di Iseo e di Como. Escludendo le — 84 — morene deposte in angoli morti, ha trovato che il cordone morenico fra gli sproni del Redondone e dell’Orso (lago d’Iseo) ha una contropendenza (da valle a monte) di 21 metri sopra 3 3 '4 chilometri. Assai più sensibile è la contropen- denza delle terrazze di erosione, più alte ancora dei depositi glaciali. Anche nel ramo di Lecco del lago di Como si hanno tre ordini sovrap- posti di terrazzi di erosione da Lierna fino ad Abbadia, le quali mostrano molto chiaramente la contropendenza della pianura verso la montagna, e per ciò secondo l'autore provano l’attività dei processi tettonici che hanno dato origine alle conche lacuali in periodi geologici molto recenti. Le conche sarebbero quindi essenzialmente scavate nella roccia e razione dei ghiacciai in esse è molto limitata. Barvir H. — Ueber einige Verwachsungsarten des Augits von der Insel Stromboli. (Sitzungsber. kon. bohm. Gres, der Wìss., n. 40, pag. 11 con tav). — Prag, 1902. B una nota di puro carattere cristallografico, avendo l’autore riconosciuto nell’augite di Stromboli, oltre alle geminazioni solite secondo (100), altre va- rietà di tali forme in numero di 5. Nella tavola sono disegnate le nuove varietà. Beguinot A. — Condizioni geologiche e mineralogiche dell' Arcipelago Pon • siano , in «L’Arcipelago Ponziano e la sua flora ». (Boll. Soc. geo- grafica ital., S. 1Y, Yol. Ili, fase. 4, pag. 346-351, con Carta). — Roma, 1902. • È un capitolo di una monografia botanica sull’Arcipelago Ponziano, nel quale l’autore tratta brevemente delle condizioni geologiche e litologiche delle varie isole che lo costituiscono, ricavandole dalle opere degli autori che ne hanno trattato, e dei quali dà una estesa bibliografia. Riepilogando l’autore osserva che le roccie vulcaniche del gruppo occiden- tale (Ponza, Palmarola, Zannone) sono più acide di quelle del gruppo orientale (Yentotene, Santo Stefano); e che mentre nel primo predominano gli affiora- menti di roccie compatte, nel secondo queste sono coperte da uno spesso strato di materie tufacee. Sembragli poi, per molte ragioni, di potere ammettere che l’attività vulcanica si iniziasse nelle isole occidentali, seguisse in quelle orientali, passasse col tempo alllschia ed ai Campi Flegrei, per terminare al Yesuvio. 85 — Bellini R. — Alcuni appunti per la geologia dell' isola eli Capri. (Boll. Soc. GTeol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 7-14). — Roma, 1902. Premesse le opinioni dei diversi geologi sull’età dei calcare fondamentale dell’isola, con rudiste ed altri fossili cretacei, insieme con le ellipsactinie dap- prima ritenute come esclusive del titonico, l’autore, come i predecessori suoi, si dichiara per l'età urgoniana ; e ciò tanto più fondatamente in quanto il calcare di Capri ha la più grande analogia con quello delle stesse formazioni dell’Italia meridionale e della Sicilia. Sopra il calcare cretaceo si trovano lembi di arenarie ed argille eoceniche con esso discordanti e con fossili che le farebbero attribuire all’eocene supe- riore ed in parte al medio. In molti punti poi dell’isola vedonsi sopra il calcare depositi tufacei di trasporto, provenienti da antiche eruzioni del Vesuvio o dei Campi Plegrei, e infine depositi posteriori o recenti di altra natura, importanti per le conclusioni che l’autore ne trae, e cioè: 1° Che l’isola ha. subito almeno quattro solleva- menti, e che tra il primo ed il secondo (m. 80 di dislivello) occorse un tempo mag- giore degli altri : 2° Che le condizioni del mare ed il clima non hanno cambiato dalla fine del pliocene in poi, poiché la fauna fossile marina quaternaria è iden- tica all’attuale ; 8° Che l’isola faceva parte un tempo del vicino continente come già si pensava per altri argomenti; 4° Che l’uomo visse nell’isola quando erano ancora in azione i vulcani flegrei. Bellini R. — Ancora sulla geologia delVisola di Capri. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXI, fase. 8°, pag. 571-576). — Roma, 1902. In seguito a nuove osservazioni fatte sui terreni quaternari dell’isola, messi specialmente allo scoperto dai lavori di una strada dalla Marina piccola alla Certosa, l’autore addivenne alle conclusioni seguenti: 1° Ai quattro sollevamenti cui l’isola andò soggetta corrispondono quattro serie di caverne a livelli diversi, dalla Grotta di stalattiti sul Monte San Mi- chele alla Grotta azzurra a livello del mare; 2° La separazione dell’isola dalla prossima penisola sorrentina fu lenta e si compì in due o tre fasi e cioè, al chiudersi dell’epoca cretacea (dislocazione appenninica), dopo la deposizione dei sedimenti eocenici (dislocazione tirrenica) : ma una certa unione fra Capri ed il continente dovette esistere sino al grande cataclisma vulcanico- glaciale, dopo il quale la separazione continuò lenta e coin- cidette col terzo sollevamento dellisola, il quale fu obliquo, come lo dimostra - 86 — la inclinazione ad oriente dei depositi tufacei, e dovette determinare la completa separazione dal continente; 3° Avanzi di mammiferi fossili nel conglomerato quaternario confermano la accennata condizione di Capri in epoca remota, nella quale però l’isola era già abitata dall’uomo cavernicolo, spettatore delle conflagrazioni flegree. Bertolini Gr. L. — Ancora della lima delle sorgive in relazione alle la • girne e al territorio veneto. (Rivista geografica italiana, Annata IX, fase. X, pag. 619-630). — Roma, 1902. — Idem. (Annata X, fase. I e II, pag. 21-41). — Firenze, 1903. Facendo seguito agli studi precedenti sull’argomento (vedi Bibl. 1891, 1899 e 1900), l’autore, in quest’ultima parte, fa risaltare la grande influenza della linea delle resorgive nel Veneto, sulle denominazioni locali, sull’andamento e conformazione delle strade, sull’aspetto del paesaggio, sulla posizione e sul ca- rattere delle città, nonché sulla frequenza o scarsità delle medesime, ecc., ecc.; tutte circostanze che trovano spiegazione nella presenza o meno di acque scor- renti superficialmente e che concorrono a indicare l’andamento della linea stessa. Bettoni P. — Il terremoto del 30 ottobre 1901 (Salò). (Boll. Soc. sismo- logica ital., Voi. Vili, n. 4 e 5, pag. 162-180). — Modena, 1902. Questo violento moto tellurico che scosse una parte estesa della conca he- nacense, avvenne pochi minuti prima delle 4 poni, e fu dapprima sussultorio, quindi fortemente ondulatorio. Xumerose ed anche energiche furono le repliche che si verificarono nei giorni successivi al 30 ottobre, ed abbastanza frequenti i rombi isolati. La durata dell’intiero periodo sismico fu di 102 giorni, nei quali si ebbero in complesso 38 scosse. Di esso, e delle sue conseguenze, lautore sta pre- parando uno studio completo, del quale offre un cenno preliminare nel ^presente articolo. Da questo rileviamo che la regione benacense rappresenta una vera unità tettonica con caratteri sismologici suoi propri: che la Riviera di Salò fu ad intervalli soggetta a fenomeni sismici, dei quali si ha notizia sino dal terzo secolo dell’era volgare: che questi si possono raggruppare in periodi, or- dinariamente brevi e contraddistinti da un solo massimo incipiente. L’articolo termina con alcune brevi notizie sul fenomeno delle scosse del Benaco, di cui più volle si ebbe ad osservare la coincidenza con movimenti sismici, come appunto avvenne anche durante il terremoto del 30 ottobre 1901. — 87 — Blaas J. — Geologìscher Fuhr er durch die Tiroler und Vorarlberger Alpen. (Un volume di pag. 984, con tavole e una Carta geologica). - — Innsbruck, 1902. Il libro è diviso in 7 parti che costituiscono 7 fascicoli separati ed indi- pendenti. l^el primo sono contenute le generalità; sono descritte le roccie che contribuiscono alla struttura delle Alpi bavaresi, tirolesi e del Torarlberg. Segue indi la descrizione particolareggiata della regione specialmente considerata, in- cominciando dalle Prealpi settentrionali, a cui seguone le Alpi calcari settentrio- nali, le Alpi centrali e le Alpi calcari meridionali, dividendo ognuna di queste grandi sezioni nei gruppi orografici naturali. I quattro fascicoli seguenti formano la guida propriamente detta (II. Alpi bavaresi e del Torarlberg; III. Tirolo set- tentrionale ; IT. Tirolo centrale ; T. Tirolo meridionale). Il fascicolo YI contiene la bibliografia fino all'anno 1901, e comprende 1057 opere. Infine Tultimo fa- scicolo raccoglie 216 cartine geologiche e tettoniche e numerose sezioni geo- logiche. Accompagnano la guida una carta geografica nella scala da 1 a 300,000 ed una bellissima carta geologica nella scala da 1 a 500,000. Bodmer-Beder A. — Der Malencoserpentin und seine Asbeste auj Alp Quadrato bei Poschiavo , Graabìinden. (Centralblatt fiir Min., Geol. und Pai., Jahrg. 1902, n. 16, pag. 488-492). — - Stuttgart, 1902. La serpentina di Tal Malenco è composta dei seguenti minerali: Antigo- vite in masse di fibre lamellari fra di loro perpendicolari, la cui struttura ri- corda un pirosseno originale; Crisotilo , proveniente dall’olivina in aggregati dalle fibre sottili e compresse in strati paralleli; Amfìbolo secondario interposto fra le fibre delle due serpentine; Bronzite passante a Bcistite\ Diopside con estin- zione da 36° a 50°; Magnesite come prodotto secondario dalla disgregazione del pirosseno e specialmente della bronzite. Da questo studio microscopico risulta dunque che la serpentina di Tal Malenco è una serpentina scistosa harzburgitiea, proveniente dallT.arzburgite, quale roccia eruttiva composta originariamente di bronzite, olivina e poco diopside. L’ Asbesto di questo giacimento è formato da fibre bianco-argentee, brune o verde-chiaro, lunghe da cm. 10 a 60, ed è un composto di crisotilo, amfibolo e pirosseno; esso è incluso nella serpentina di Tal Malenco e la sua composizione varia secondo quella della serpentina stessa. 88 — Boehm G-. — Zur venetianischen Kreide. (Zeitschrift der Deut. geol. Gesell., B. LIY, H. II, Brifl. Mitt., pag. 72-73). — Berlin, 1902. L’autore combatte alcuni appunti fatti a due suoi precedenti lavori (vedi Bibì. 1897 e 1898) dai signori Oppenheim (vedi Bibl. 1899) e Schnarrenberger (vedi Bibl. 1901). Boeris G-. — Sulla ottaedrite di Scipsius ( San Gottardo). (Atti Soc. ita- liana di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XL, fase. 4°, pag. 339-341). — Milano, (902. — Idem. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXYIII, fase. Ili a Y, pag. 75-80). — Padova, 1902. Interessanti campioni di questo minerale, accompagnato da albite e clo- rito, furono di recente raccolti presso il laghetto di Scipsius, sopra Airolo e a m. 2450 sul mare. I cristalli sono molto piccoli, giacché al massimo raggiun- gono i mm. 2 nel senso dell’asse (001); il loro colore è giallo-miele, la lucen- tezza quasi adamantina. Essi hanno abito ottaedrico, con predominio delle faccie della bipiramide (111), spesso profondamente striate nella maniera solita. La presenza di alcune forme ad indici complicati, rende i cristalli di Scipsius assai interessanti: infatti essi mostrano ripetutamente la (5 1 19) e in diversi esemplari le faccie di una bipiramide ditetragonale cui spetterebbe il simbolo (li 3 45) : in un solo cristallo poi notò un’altra bipiramide a indici com- plessi, rispondente al simbolo (4 1 16). L’autore dà l’elenco dei valori ottenuti misurando queste ultime faccie fra loro e con le vicine, allo scopo di mostrare come l’accordo tra l’osservazione ed il calcolo sia in ogui caso abbastanza soddisfacente. Boeris GK — Sulla diffusione della titanolivina nelle Alpi piemontesi. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXYIII, fase. I-II, pag. 32). — Padova, 1902. In diverse escursioni nei dintorni di Sant’ Ambrogio in valle di Susa, l’autore ha potuto rilevare che la titanolivina, fin qui considerata come affatto rara, è assai frequente nelle serpentine che formano le balze sovrastanti al paese: la trovò pure più volte nelle serpentine del monte Pian Reai e della Rocca Rossa nel grappo del Rocciavrè sopra Giaveno nella valle del Sangone, e infine fu da altri raccolta alla Rocca Xera in Yal d’Aia. - 89 Siffatti rinvenimenti, in luoghi tra loro alquanto discosti, fanno pensare ad una probabile diffusione di questo minerale nelle Alpi piemontesi; e di ciò l’autore dà Pannunzio con questa breve nota, riservandosi di far conoscere fra breve i risultati dello studio che egli ha già intrapreso sul materiale prove- niente dalle nuove località. Boeris G. — Titanite del monte Pian Reai. (Atti Soc. ital. di Se. natu- rali e Museo civico di St. nat., Yol. XLI, fase. 3°, pag. 357-360). — Milano, 1902. I cristalli di titanite del Pian Beai (displuvio tra la Dora Riparia e il Sangone) raccolti ed esaminati dall’autore, sono di discreta grossezza, tinti leg- germente in rosso e accompagnati da idocrasio rosso-bruno, da clorito e da qualche prismetto molto allungato di apatite. Pra le forme solite in questo minerale havvene una la (201) trovata in due cristalli e che l’autore ritiene nuova: su entrambi si osservò una sola faccia della forma in questione, su- bordinata alle altre presenti, ma assai netta e splendente. Di uno di essi è data la figura. L’autore espone infine i risultati delle misurazioni fatte su tutte le faccio, in confronto ai valori calcolati. Bonarelli GL — Miscellanea di note geologiche e paleontologiche per Vanno 1901. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXI, fase. 3°, pag. 544- 570). — Roma, 1902. Sono cinque note relative a località italiane diverse e che riassumiamo come segue: I. — Sulla presenza dell’ Aleniano nelle Prealpi bresciane. — Questo piano (dogger inferiore) fu riconosciuto dall’autore nel colle occidentale di Molvine, dove è rappresentato da calcari mandorlati rossi, identici ai coetanei dell’ Ap- pennino centrale, e con facies ben diversa da quella del medolo circostante. In essi trovò un grosso modello interno di Hammatoceras appartenente al gruppo aleniano dell’iT. planinsigne Yac. II. — Roccie porfiritiche nei dintorni d'Ivrea. — Completando l’annuncio dato (vedi Bibl. 1901 ) del rinvenimento di tali roccie lungo la strada da Mon- talto Dora al castello, l’autore aggiunge che la roccia porfiritica di Montalto non è uno spuntone limitato, ma costituisce una formazione continua, cioè un — 90 — potente ed esteso banco intercalato alla serie degli scisti ftanitici costituenti la base del colle. III. — Nuove osservazioni geologiche sull' Appennino settentrionale. -- L’au- tore riassume alcune osservazioni da lui fatte nell’ Appennino nell'estate 1902 e le sue opinioni in merito. Esse sono: 1° Che gli scisti e diaspri varicolori, affioranti intorno alle Alpi Apuane, nel Monte Pisano, nei dintorni di Spezia e in vari punti dell’ Appennino set- tentrionale, e che gli autori in genere riferiscono al titonico, rappresentereb- bero tutta quanta la serie giurese, escluso forse il titonico. 2° Dovrebbesi riferire invece al titonico la parte inferiore dei calcari che stanno sopra a detti scisti, e che gli autori in genere attribuiscono al neo- comiano; per tal modo detti calcari verrebbero ad essere un equivalente della majolica di Lombardia. 3° Dovrebbero riferirsi all’albiano e non al senoniano i calcari e gli scisti va- riegati che succedono in alto ai calcari suddetti, ritenendoli identici alle marne va- riegate di Lombardia ed agli scisti policromi a fucoidi dell’ Appennino centrale. 4° Devesi riferire al cretaceo (cenomaniano, turoniano e senoniano in- feriore) l’arenaria associata a scisti marnosi sovrastanti ai precedenti, dai più riferiti all’eocene inferiore; e ciò in base alla presenza di una Schiere nbachia cfr. carinata d’Orb. di età certamente preterziaria, che la farebbe sincrona del calcare rosato dell’ Appennino centrale. 5° La scaglia a sua volta sarebbe rappresentata da una esile forma- zione di scisti marnosi policromi riposanti in concordanza sull’arenaria prece- dente, e che gli autori talvolta non distinguono dai galestri eocenici. 6° L’eocene inferiore e medio (suessoniano e luteziano) sarebbe rappre- sentato in quasi tutto l’ Appennino settentrionale dai calcari marnosi ad Hel- minthoida , da alcuni confusi col vero alberese, il quale sta più in alto. 7° Il bartoniano che vi succede sarebbe rappresentato dall’orizzonte dei galestri policromi con le argille scagliose, e vi appartiene anche il calcare marnoso detto alberese che ad essi sta sopra. 8° Sopra questo riposa in discordanza una formazione calcareo -arenacea, nummulitifera, che molti autori pongono alla base dell’eocene, mentre apparter- rebbe, per le nummuliti appunto, al priaboniano, piano dell’eocene alquanto più elevato. 9° Dove detta formazione nummulitica non esiste, sulle formazioni più antiche riposa il macigno , che secondo l’autore deve riferirsi all’oligocene, men- tre in genere lo si ritiene formare, insieme con i calcari nummulitici, la base dell’eocene: e qui egli confuta con molti argomenti tale idea che crede erronea. — 91 — 10° L’autore rifa infine brevemente la storia geologica dell’ Appennino settentrionale dal bartoniano medio insino all’elveziano. IY. — Affioramenti di serpentine preterziarie nell’ Appennino settentrionale. — L’autore espone alcune osservazioni fatte valicando l’Appennino ligure fra S. Stefano d’Aveto e Bedonia, dove il giacimento ofiolitico costituente la vetta del monte Tornarlo gli è sembrato uno spuntone di roccia antica emergente alla sommità di una anticlinale cretacea, mentre nelle vicinanze si intercalano alla serie dei conglomerati ofiolitici formati a spese di quello : da ciò la distinzione di ofioliti antiche (in posto) e di ofioliti recenti (di ricomposizione), in opposi- zione alle idee dominanti di una sola origine e della età terziaria di tutte quelle roccie. Y. — Sulla costituzione geologica del Casentino. — L’autore, data la sezione geologica trasversale alla valle dell’Arno nei dintorni di Memmenano, ritorna sulla nota questione provocata dal Lotti, della presenza cioè di inocerami in un terreno da questi riferito all’cocene superiore. Egli invece è di parere, per quanto è detto sopra, che quel terreno sia invece molto più antico e che’ essendo il più basso della serie, affiora nel fondo della valle conformata ad anticlinale, ricoperto da scisti marnosi varicolori identici a quelli del senoniano superiore dell’ Appennino centrale, sui quali riposa in concordanza la potente formazione dei calcari marnosi ad Helminthoida , con altre roccie intercalate, tutte tipiche dell’eocene inferiore dell’ Appennino : vengono quindi le argille scagliose, e da ultimo la potente formazione del macigno costituente le vette maggiori dell’ Appennino casentinese e da riferirsi, secondo l’autore, all’oli- gocene. Boxney Gr. — Alpine Valleys in relation to glaciers. (The Quarterly Journal of thè Greol. Soc., Yol. LYIII, n. 232, pag. 690-702, con tavola). — London, 1902. L’autore combatte l’opinione che i ghiacciai abbiano contribuito all’esca- vazione delle valli alpine: esamina una parte della catena alpina, ed in parti- colare il versante svizzero delle Pennine e conclude che l’azione delle nevi permanenti è piuttosto conservativa che distruttrice e che gli agenti che prin- cipalmente hanno scavato valli e circhi alpini sono le acque delle pioggie e dei torrenti. La scultura dell’attuale orografia alpina è incominciata dal grande sollevamento eocenico, e l’erosione raggiunse il suo massimo durante i depositi del Yagelfluhe (conglomerati). Yerso la fine del miocene si ebbero due nuovi — 92 — fattori: l’inizio di un secondo grande sollevamento alpino e l'aumento dell’area coperta da nevi permanenti colla conseguente formazione di ghiacciai. Questo secondo fatto ebbe per conseguenza di arrestare l’azione erosiva dei torrenti nelle parti più elevate della montagna, e rendere più intensa invece quella dei torrenti principali o dei grandi collettori. Quest’ultimo processo divenne anche più intenso durante il pliocene a causa del progressivo aumento dei ghiacciai, col quale però veniva accrescendosi la superficie protetta e sottratta dalla coperta nivale alle azioni distruttrici. Da ciò la formazione delle valli late- rali sopraelevate ( hanging valleys - valli pensili) che ora sboccano in cascata nella valle principale. Secondo l’autore le valli alpine sono per la maggior parte preglaciali. Xelle valli attuali le parti superiori più larghe — cioè quelle che sono in media a 800 piedi più o meno dai fondi attuali — sono preplioceniche; la. parte inferiore più stretta e foggiata a Y è pliocenica ; le strette gole cominciano dal pliocene superiore, mentre sono opera del periodo glaciale unicamente gli arro- tondamenti ed i raddolcimenti delle asperità maggiori. Xe 1 periodo attuale, all’infuori dell’approfondamento delle gole e della distruzione dei picchi e delle creste, la denudazione attraversa una sosta relativa, e molti torrenti colmano piuttosto che erodere le loro valli. Bosco C. — II Lophiodon Sardus (n. sp.) delle ligniti di Terras de Collii [Sardegna). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI. fase. 6°, 2° sem., pag. 178-182). — Roma, 1902. Questa nuova specie è basata sull’esame fatto dall’autore di alcuni resti trovati nel 1882 nel bacino di Gonnesa (Iglesias), entro uno strato di marna interposto fra le ligniti di Terras de Collu, e spediti al Museo geologico di Pisa. Primo ad esaminarli fu il Forsyth-Major, che nel 1891 ne diede un cenno sommario, riferendoli al Lophiodon isselensis Cuv. L’autore li riprese in esame di recente e, datine i caratteri, asserisce trattarsi indubbiamente di un Lophiodon che però differisce da tutte le specie descritte e lo riferisce ad una specie nuova che denomina L. sardus. Siccome poi questo genere è esclusivo, almeuo sin'ora, delle formazioni eoceniche, così a tale periodo debbono ascriversi in- dubbiamente le ligniti del bacino di Gonnesa. La nuova specie sarebbe adun- que il più antico mammifero terrestre d’Italia. Intercalate nel testo sono le figure dei resti studiati. — 93 — Bosco C. — II Castoro quaternario del Maspino. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 12°, 2° sem., pag. 367-371). — Roma, 1902. In vicinanza del Maspino, piccolo torrente che sbocca nella Chiana presso Arezzo, fu da tempo trovato entro delle ghiaie quaternarie, un cranio di ca- storo, che fu poi depositato nel Museo di Firenze. Fu già citato dal Forsyth- Major e dal Rùtimeyer, che lo riferirono al Ccistor fiber. L’autore istituisce un confronto fra il cranio del Maspino e quelli del ca- storo canadese ( C . canadensis ) o del castoro europeo ( C . fiber), e conclude che esso è molto più vicino a quest’ultimo, dal quale peraltro differisce per alcuni caratteri, mostrandosi come una forma intermedia fra i castori viventi ed il Castor plicidens Major del pliocene superiore di Yaldarno. Intercalate nel testo sono alcune figure del cranio in quistione. Botti U. — Osservazione del fenomeno dei Mistpoeffers in Italia. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 3°, pag. 436-439). — Roma, 1902. Trattasi di una osservazione fatta dall’autore a Taormina (Sicilia) negli ultimi di ottobre del 1896 (forse la prima in Italia) e che fu oggetto di una cor- rispondenza, fra lui e il prof. E. Yan den Broeek, che qui viene riprodotta. Xessuno dei due si pronunciava in quell’epoca circa la origine e la essenza del fenomeno, e conchiudevano che per arrivare a tanto occorrevano ancora molte e accurate osservazioni. A questo punto, aggiungiamo noi, siamo tuttora (1903). Brugnatelli L. — Bergli und andere Mineralien der Pegmatite von Sondalo ini Veltlin. (Groth, Zeitschrift fiir Krvst. und Min., B. 36, H. 2, pag. 97-101). — Leipzig, 1902. Questo lavoro è la traduzione della nota dello stesso autore « Berillo ed altri minerali delle pegmatiti di Sondalo in Valtellina », pubblicata nei Rend. del R. Istituto Lombardo, S. II, voi. XXXIV, fase. XYI, pag. 914-920, Mi- lano, 1901, e sulla quale si è riferito nella Bibliografia di quell’anno. Brugnatelli. L. — Sopra un giacimento di Titanolivina in Val M ateneo. (Rivista di min. e cris. ital., Yol. XXYIII, fase. I-II, pag. 3-4). — Padova, 1902. — Idem (in tedesco). (Groth, Zeitschrift fiir Kryst. nnd Min., B. 36, H. 2, pag. 151). — Leipzig, 1902. L’autore annuncia il ritrovamento da lui fatto di questo minerale nei din- torni di Chiesa in Yal Malenco (Yal tellina) lungo il sentiero che da Chiesa — 94 — sale a Primoio e in prossimità del torrentello Rovina. Esso vi si trova in no- duli grossi talvolta quanto una noce ed in vene entro una roccia cloritico* serpentinosa. Dopo la pubblicazione del Boeris relativa allo stesso minerale (vedi più sopra) la presente nota conferma ancora più la grande diffusione del titanio nelle Alpi. Brugnatelli L. — Sopra un nuovo minerale delle cave d'amianto della Valle Lanterna. (Rend. R. Istituto Lombardo, S. II, Voi. XXXV, fase. XVIII-XIX, pag. 869-874). — Milano, 1902. — Idem (in tedesco). (Centralblatt fiir Min., Greol. und Pai., Jalirg. 1903, n. 5, pag. 144-148). — Stuttgart, 1903. È questo un carbonato basico idrato di magnesio trovato nelle cave di amianto sovraindicate (Valtellina) e del quale l’autore pubblicò in addietro una breve nota (vedi Bibl. 1897 ) qualificandolo per probabilmente nuovo. Avendo in seguito potuto procurarsi nuovo materiale, istituì sopra di esso nuove ricerche, di cui dà ora i risultati. Il minerale si presenta in aggregati di minuti prismetti, di forma ten- dente alla mammellare ed a struttura distintamente fibroso-raggiata, ovvero allo stato amorfo in forma di patina bianca sulle roccie amiantifere. D’analisi chimica diede: MgO = 41.34; C02 = 22.37; H20 = 36.29; la quale com- posizione si accorda con la formola già addietro calcolata Mg C03, Mg (OH}2, 3HaO. Il peso specifico è 2. 02 ; la durezza fra 2 e 3 ; dai caratteri ottici i cri- stalli possono ritenersi come otticamente negativi, perciò la bisettrice che emerge dai prismetti in posizione di allungamento negativo è la bisettrice acuta. Il nuovo carbonato non può essere ritenuto identico ad alcuno di quelli finora riconosciuti come minerali : trattasi dunque di una specie a sè, cui l’autore dà il nome di Artinite. Esso rappresenta un prodotto ultimo di alterazione dei minerali delle roccie peridotiche, fino adesso non ancora conosciuto. Brun A. — Sur la constitntion dii basalte dii Stromboli. (Archives des Se. phys. et nat., 4me période, T. XIII, pag. 85-87). — Grenève, 1902. L’autore ha constatato 31 varietà di questo basalto, tanto antiche che mo- derne, poco diverse fra loro e che si riferiscono tutte al tipo labradorico, con — 95 — tenore più o meno grande di peridoto e mica nera. La composiziono della lava emessa in fusione il 4 marzo 1901 fu ritrovata la seguente : Si02 = 50. 18 ; Ala03 = 18. 86 ; CaO = 10. 81 ; EeO = 7.80; Eea03 = 0. 48 ; MgO = 3. 54 ; Ti02 = 1.10; P2Os = 0.30; X20 = 2.05; XaaO = 2.05. Alcune ricerche sulla temperatara della lava fusa nella parte superiore del camino vulcanico, condussero ad un massimo di 1230°, temperatura di fu- sione dell’augite. Bussagli A. — Le calcopiriti di Boccheggiano (pag. 13 in-8°). — Siena, 1902. w L’autore ha eseguito delle analisi chimiche su cinque campioni di mine- rale della miniera di Boccheggiano, frammischiato' alla ganga così da avere in essi rappresentate le condizioni generali delle diverse specie di minerali scavati. Quattro di essi sono di calcopirite ed uno di galena. Esposti i diversi metodi adottati nell’analisi, egli dà i risultati di quelle eseguite su i quattro campioni di calcopirite : da queste risulta in rame un massimo del 22. 21 °/0 e un minimo del 6. 93 % ; in ferro da 45. 36 a 15. 43 °/0. Mettendo a confronto questo risultato con quello di altre piriti cupriche, osserva che quantunque il minerale di Boccheggiano sia piuttosto povero in rame, può però reggere al confronto con le piriti lavorate in Inghilterra e a Rio Tinto. Espone quindi le ricerche fatte sulla presenza dell’acido solforico nei pro- dotti di rifiuto della miniera, spiegandone la provenienza. C acclamali G-. B. — Bradisismi e terremoti della Regione Benacense. (Boll. Soc. aeoi. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 181-196). — Roma, 1902. — Idem. (Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1902, pag. 112- 132, con tavola). — Brescia, 1902. L’argomento di questa nota fu suggerito all’autore dall’ultimo terremoto benacense del 30 ottobre 1901. Egli si è proposto di studiare: prima i bradi- sismi verificatisi in tempi terziarii e quaternarii nella zona prealpina e pede- montana della Riviera bresciana, messi in evidenza dalle condizioni geologiche di questa ; quindi di stabilire il coordinamento tra i terremoti e le linee tet- toniche della regione. Tali studi sono basati sui precedenti lavori dello stesso autore, del Cozzaglio e del Baratta, dei quali dà una bibliografia. — 96 — Da questo esame l’autore trae le seguenti conclusioni : 1° I bradisismi interessano vaste plaghe della superficie terrestre, mentre gli scotimenti rapidi (terremoti) sono affatto localizzati, per quanto Tonda di questi si estenda ad aree più ampie di quelle colpite da bradisismo (terremoti esocentrici). 2° I corrugamenti, le linee di frattura con salti e rigetti ed ogni altro dislivello tra formazioni della stessa età, dimostrano che i bradisismi si sono verificati in ogni epoca geologica. Le linee limiti dei bradisismi hanno anda- menti vari, spesso continue per lungo tratto, spesso interrotte, parallele o sub- parallele. 3° Le principali aree sismiche sono aggruppate in corrispondenza a dette linee ; i terremotTfeioè sono per lo più connessi alle accidentalità tettoniche del suolo ed in massima parte, quindi collegati ai bradisismi. 4° L’assettamento completo delle masse rocciose è la causa tanto dei bradisismi che dei terremoti ; questi sono però come i vulcani subordinati a quelli che sono i principali fattori dell’orogenesi. 5° L’assettamento completo o quasi delle masse rocciose di una regione opponendosi ad ulteriore movimento delle masse, fa sì che le aree bradisismiche tendono a localizzarsi sempre più fino a confondersi colle aree sismiche e a scomparire con queste. 6° Nella regione prealpina e pedemontana del territorio bresciano e be- nacense si riscontrano le prove di quattro periodi bradisismali succedutisi in tempi terziarii e quaternarii, su quattro linee principali di dislocazione con le quali sono connesse intimamente le aree sismiche attuali. 7° Le aree sismiche più importanti in questa regione sono quelle del Baldo, quella di Salò e quella di Brescia. La seconda è subordinata alla prima e sono entrambe da attribuirsi al bradisismo residuale della mole baldense : la terza, indipendente, sarebbe il bradisismo residuo di una plaga che si trova sulTinterruzione con spostamento di una linea tettonica. Nella tavola unita all’edizione di Brescia, è dato uno schizzo tettonico della regione Brescia-Salò. Cacciamali Gr. B. — Sulle sorgenti di Villa Cogozzo (Relazione alla Giunta municipale di Brescia, pag. 8 in-8°). — Brescia, 1902. Queste sorgenti sono alimentate da un bacino affatto privo di abitazioni. Esso risulta di banchi di calcare maiolica fratturato che assorbono le acque di pioggia. Queste attraversano successivamente il calcare selcifero sottostante e — 97 — sono poi sostenute da strati impermeabili di calcare del medolo che le fanno scaturire alla superficie. Tali sorgenti sono quindi, a parere dell’autore, in con- dizioni geologiche buone riguardo alla purezza bacteriologica. Cacciamali GL B. — Come si sarebbe originato l’Adamello. (Rivista ital. di se. nat., Anno XXII, n. 9 e 10, pag. 148-145). — Siena, 1902. — Idem. (Rivista mensile del Club alpino ital., Yol. XXI, n. 12, pa- gine 431-432). — Torino, 1902. L’autore riporta sommariamente le conclusioni alle quali è giunto il profes- sore Salomon in seguito a suoi studi nel gruppo dell’Adamello, del quale lo stesso professore sta compilando una completa monografia. Basandosi questi sulle osservazioni fatte sulla immensa massa - di questo gruppo e sulle molteplici roccie circostanti, sulle quali si manifesta l’esteso me- tamorfismo di contatto prodotto dalla massa eruttiva, ne deduce, che la tonalite dell’Adamello è una enorme laccolite e che le stratificazioni venute a contatto di essa si sono- spaccate, un labbro sprofondandovi sotto a guisa d’imbuto e l’altro distendendovi sopra a guisa di tetto. La forza che ha spinto in alto il magma tonalitico, del peso di 4860 mi- liardi di tonnellate, poteva benissimo rialzare di alcune migliaia di metri i sedi- menti sovrastanti, foggiandoli a montagne. La pressione che ha dato luogo a questa spinta è dovuta all’affondamento delle parti vicine della crosta solida che agiva sulla massa pastosa, che nel nostro caso era la regione periadriatica abbas- satasi nei primi tempi terziarii, ai quali risalirebbero, secondo il Salomon, le eruzioni dell’ Adamello, e delle roccie consimili disposte in cerchio a nord della regione adriatica. Cacci am ali GL B. — Nota preliminare sulla speleologia bresciana (pag. 37 in-8°). — Brescia, 1902. — Idem. (Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1902, pag. 183- 217). — Brescia, 1902. Questo lavoro, è diviso in quattro parti. La prima contiene un sunto storico degli studi e dei lavori pubblicati sulla speleologia. Xella seconda sono passate a rassegna per gruppi le cavità naturali del suolo bresciano, colla indicazione delle località e dei terreni geologici in cui esse si trovano. 7 - 98 — Nella terza, stabilito quali siano le cavità naturali delle quali la speleo- logia si occupa, espone la nomenclatura colla quale esse si distinguono ed il significato che ad ogni vocabolo si attribuisce. Ne dà quindi il nome dialettale bresciano, dovuto per lo più al nome della località in cui si trova, accennando anche alle leggende cui il nome di alcune si riferisce. La quarta parte è dedicata allo studio dell’origine, della evoluzione e della fine delle naturali cavità del suolo. Col nome di protofenomeni indica tutti i fatti che sono la causa prima delle cavità e con quello di epifenomeni quelli che tendono ad ingrandirle, a riempirle e ad espellerle direttamente o indiret- tamente dal suolo. •EVa le più importanti cause dell’origine delle cavità indica le tettoniche, che produssero dislocazioni e soluzioni di continuità fra strato e strato della crosta terrestre e subordinatamente a queste, od anche indipendenti dai fatti tettonici, le frane. Vengono quindi l’erosione operata da materiali convogliati dalle acque e la soluzione, alla quale si debbono la maggior parte dei fenomeni carsici. Le cause esterne di riempimento e di estinzione sono le frane, il convo-- gliamento di materiali solidi, quelle interne l’azione cementante, incrostante delle acque. Le erosioni e soluzioni meteoriche asportanti la superficie del suolo hanno per conseguenza la espulsione indiretta delle cavità, o esportazione della super- ficie del suolo. Canavari M. — Secondo Rapporto sulle condizioni geologiche in relazione al vincolo forestale del territorio calcesano (pag. 25, con tavola). — Pisa 1902. Facendo seguito ad un suo rapporto del 1898 contenente le generalità topo- grafiche, geologiche e boschive del Monte Pisano, l’autore riprende in esame la stratigrafia della regione, illustrandola con opportuni profili geologici, come base dello studio di cui fu incaricato dal comune di Calci. Le roccie che vi affiorano appartengono quasi tutte al tipo del verrncano, distinte in anageniti ed arenarie più o meno quarzifere e in scisti, intercalan* tisi vicendevolmente senza alcun ordine apparente. La tettonica, quale si mostra nella valle del torrente Zambra, è quella di una piega anticlinale col colmo sul fondo della valle in direzione di S.E e con pendenze degli strati verso N.E alla destra e verso S.O a sinistra. L’autore conchiude con la conferma delle idee espresse nel primo suo rapporto, — 99 — relative specialmente alla stabilità del suolo, dimostrando che non havvi ragiono di consigliare lo assoggettamento al vincolo forestale del territorio di Calci in provincia di Pisa. Capeder Gr. — Contribuzione allo studio degli Entomostraci Ostracodi dei terreni miocenici del Piemonte. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXVII, disp. ia, pag. 5-18, con tavola). — Torino, 1902. Pacendo seguito ad un suo precedente studio su questi piccoli fossili dei terreni pliocenici del Piemonte e della Liguria (vedi B ibl.1900), l’autore ne ha intrapreso e pubblicato un altro sugli stessi fossili rinvenuti nel miocene piemon- tese, nel quale ebbe modo di distinguere qualche forma nuova, veramente carat- teristica e di meglio apprezzare al loro valore alcune altre. Il numero delle specie descritte è di 38, fra le quali 14 nuove ; e ciò senza contare quelle comuni coi giacimenti pliocenici, in numero di 19, già state descritte nel lavoro precedente. Il materiale studiato proviene dalle sabbie elveziane dei colli torinesi e dalle marne tortoniane di Sant’Agata (Tortona) e di Stazzano (Novi) ; tutte le forme descritte sono rappresentate fotograficamente nella tavola annessa. Capellini Gr. — Balene fossili toscane. I. Balaena etnisca. (Memorie R. Acc. Se. dell’Istituto di Bologna, S. V, T. IX, pag. 22, con 3 ta- vole). — Bologna, 1902. In questa prima parte di una illustrazione generale delle balene fossili toscane, l’autore, premessi alcuni cenni sui caratteri osteologici delle vere balene rinve- nute in Italia e nel Belgio e la storia di tali rinvenimenti, descrive gli avanzi di Balaena etnisca sparsi nei musei di Bologna, di Firenze e di Siena, riepilo- gando quanto fu già pubblicato in proposito. Con una figura, a 1/1M del vero, egli dà una idea approssimativa della forma e delle dimensioni dello intiero scheletro di quel cetaceo, con la indicazione dei pezzi sinora conosciuti, i quali sono poi riprodotti nelle tavole annesse. Essi sono: Una cassa timpanica, porzione di mandibola, frammenti di rostro, fram- mento di radio e alcune vertebre conservati a Bologna; una cassa timpanica, porzione di osso petroso e un omero a Firenze ; frammento di mandibola e vertebre caudali a Siena. Tali avanzi appartengono a non meno di otto individui della specie. — 100 — Capellini GL — Note esplicative della Carta geologica dei dintorni del Golfo di Spezia e Val di Magra inferiore, 2 a edizione (1881) (pag. 46 in-8°, con Carta geologica). — Roma, 1902. In queste note, pubblicate in occasione della Riunione della Società geolo- gica italiana a Spezia nel settembre 1902, l’autore illustra la sua Carta geologica del Golfo di Spesi a e Val di Magra inferiore pubblicata sino dal 1881 in occa- sione del Congresso geologico internazionale tenuto in quell’anno a Bologna. In esse l’autore, premesso un cenno storico su quella carta, passa a descri- vere i vari terreni rappresentativi e cioè: Paleozoico (indeterminato), permo- carbonifero (dubbio), trias, retico, lias, titonico, neocomiano, cretaceo superiore, eocene, miocene, post-pliocene e recente. Al testo va unita la carta suddetta nella scala di 1 a 50,000. Capellini GL — Sulle ricerche ed osservazioni di Lazzaro Spallanzani a Porto Venere e nei dintorni della Spezia. (Boll. Soc. Gfeol. ita!.. Yol. XXI, fase. 3°, pag. lxxv-cxvi). — Roma, 1902. ,È il discorso inaugurale fatto come Presidente della Società geologica italiana in occasione della Riunione di Spezia nel settembre 1902. In esso l’autore riferisce intorno alle osservazioni ed agli studii fatti dallo Spallanzani durante la sua dimora a Porto Venere nel 1783, ricavate dalle copiose note lasciate dal grande naturalista e rimaste inedite in gran parte nella Biblioteca comunale di Reggio Emilia. In queste trovansi interessanti osservazioni geologiche sui dintorni del Grolfo della Spezia, non che sui monti di Massa e Carrara da lui visitati in seguito. In allegato sono diligentemente raccolte e riprodotte alcune notizie inedite sul viaggio fatto dallo Spallanzani nel Mediterraneo nell’anno 1783, e in parti- colare quelle relative alla sua dimora a Porto Venere. Casoria E. — Analisi qualitativa e quantitativa delle acque cloro-broniu- rate , sodkhe, magnesiache , joclate dei Molinelli , proprietà di Tommaso Friscia1 nel comune di Sciacca, (pag. 20 in-8°). — Sciacca, 1902. Quest’acqua è limpida ed incolora con sapore salino. La sua temperatura alla sorgente è di 28°. L’autore dà una dettagliata relazione delle analisi qua- litativa e quantitativa eseguite su di essa e le riassume in quadri numerici dai quali risulta che gli elementi salini disciolti in un litro d’acqua sono: - 101 - ClXa = gm. 8,66595; C1K = 0,39842; Cl2Mg = 1,07554; Cl2Ca = 1,27006 : S04Ca = 0,43601; Br2Mg = 0,08418; JXa = 0,00180; (CO3H)20a = 0,58420: C03HLi = traccie ; SiOa = 0,04450 ; Ossido di alluminio con traccie di ferro = 0,00500. Da queste analisi risulta clie l’acqua dei Molinelli è del tipo di acqua cloro- bromurata-sodico-magnesiaca e leggermente jodica. Cassetti M. — Dal Fucino alla valle del Liri. Rilevamento geologico fatto nel 1901. (Boll. R. Comitato G-eol., Yol. XXXIII, n. 3, pag. 168-177). — Roma, 1902. Tratta del gruppo di monti, che da Luco ed Avezzano (Abruzzo aquilano) si estendono alla valle del Liri, da Balsorano alle sorgenti di questo fiume. L’autore fa anzitutto conoscere la totale estensione del terreno basico, che affiora sulla sponda sinistra del Liri, rappresentato da calcari a Terebratula Re - nieri e a Megalodus ; e nel descriverne la giacitura indica un’anticlinale esi- stente nel colle di Morrea, illustrandola con apposita sezione. Incidentalmente passa a dimostrare la esistenza di altre due linee di frat- tura nei monti cretacei di Pescosolido, a X.E di Sora, indicandole con una se- conda sezione. Passa quindi a descrivere i calcari cretacei, che si sovrappongono diretta- mente a quelli liasici, mancando completamente la serie oolitica intermedia, e li distingue in urgoniani e turoniani. Parla poi di un'altra frattura osservata lungo il versante occidentale della catena di monti cretacei ad ovest presso Avezzano. In fine accenna al deposito eocenico di scisti di varia natura e a quelli quaternari di detriti di falda della valle del Liri, non che al deposito di allu- vione antica terrazzata che occupa la pianura sopra Capistrello. In ultimo nota diverse sorgenti di sfioramento, che scaturiscono * al con- tatto dei calcari secondari cogli scisti eocenici. Checchia GL — Intorno al lavoro del dott. C. Air aghi sull echino fauna terziaria del Piemonte e della Liguria. (Rivista ital. di paleontologia, Anno Vili, fase. 1°, pag. 16-19). — Bologna, 1902. Riferendosi all’ importante lavoro dell’Airaghi sugli echinidi terziarii del Piemonte e della Liguria (vedi Bibl. 1901 ) l’autore muove alcuni appunti alla istituzione dei due nuovi generi Mariania e Rovasendia ritenendoli non bastan- temente fondati. — 102 - Checchia Gr. — Gli echinidi eocenici del Monte Gargano. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXI, fase. 1°, pag. 50-76, con 2 tavole). — Roma, 1902. Le specie studiate provengono dal promontorio detto Monte Saraceno che. scendendo da Monte Sant’Angelo raggiunge il mare presso Mattinata sulla spiaggia meridionale del Gargano. Esso è costituito da calcare eocenico talora compatto, tal’ altra tenero e quasi pulverulento, con nummuliti e molti echinidi. La estremità del promontorio è in pieno sfacelo e i suoi detriti vanno esten- dendo sempre più la Piana di Mattinata che gli sta a levante. Premesso un breve cenno degli studi fatti su quella località dal Tchihat- cheff, dal Pilla e^dal personale dell’Ufficio geologico, Fautore passa alla de- scrizione delle specie in numero di 11, delle quali 3 nuove. Una di queste da origine al nuovo genere Distefanaster prossimo per forma ai generi Pericosmus Pomel e Linthia Mérian, e per caratteri anatomici ai generi Ditremaster Mu- rder-Chalmas e Opissaster Pomel. Quanto all’età del giacimento, il Teliini, che ne studiò i foraminiferi (vedi Bibl. 1890 ) rimase indeciso fra il Parisiano ed il Bartoniano: l’autore, dallo studio fatto, lo riferisce nettamente al primo anziché al secondo. Velie tavole, disegnate dallo stesso autore, sono riprodotte le specie nuove, insieme con altre già note, il tutto in grandezza naturale. Chelussi F. — Alcune osservazioni sulla memoria del doti. Schnarrenberger « Ueber die Kreideformation der Monte d’Ocre-Kette in den Aquilaner Abruzzen ». (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XL, fase. 4°, pag. 281-289). — Milano, 1902. Sono appunti e dubbi che l’autore espone a proposito della suindicata pub- blicazione dello Schnarrenberger sul cretaceo del Monte d’Ocre presso Aquila (vedi Bibl. 1901). Egli premette anzitutto che l’arenaria di Bagno non corrisponde al macigno eocenico toscano e va collocata, anziché nell’eocene, nel miocene medio come quella di Monte di Mezzo, Pizzo di Sevo, Anagni, Ferentino, Prosinone e di molte altre località dell’ Appennino centrale e meridionale. Arenarie analoghe a quelle di Bagno, e quindi, secondo l’autore, mioceniche, sono frequentissime in altre località dei dintorni di Aquila che egli indica. Allo stesso livello appar- terrebbero anche altre quattro formazioni, tre calcaree ed una marnoso-arenacea, che benché litologicamente diverse della precedente, ne sono paleontologica- mente identiche, e tutte si ritroverebbero nelle pieghe del calcare cretaceo. — 103 — Altre osservazioni si riferiscono alle differenze esistenti tra la forma cretacea descritta e quelle raccolte dall’autore, spiegabili peraltro per la maggior vastità del campo da questi esplorato, con località quasi tutte abbondantemente fossi- lifere, mentre lo Schnarrenberger si limitò quasi ad un solo punto, la fossa di Mezza Spada. Clerici E. — Ancora sulle polveri sciroccali e sulle pallottole dei tufi vulcanici. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXI, fase. I, pag, xxxix-xli). — Roma, 1902. Avendo Fautore fatte alcune osservazioni sulle polveri sciroccali cadute in Italia nel marzo 1901, e avendo posto in rilievo la loro aggregazione in seno all’atmosfera e la particolare conformazione in palline, supponendo che anche le polveri vulcaniche lanciate nell’atmosfera possano agglutinarsi e cadere con la stessa forma, richiama l’attenzione dei geologi sulle pallottole contenute nei nostri tufi vulcanici. Sarebbe pertanto utile ed interessante, per lo studio di questi ultimi, di potere determinare se dette pallottole abbiano un’origine analoga, ovvero sieno dovute a goccie d’acqua cadute sulle ceneri da poco deposte, oppure ad altre cause. Clerici E. — Una conifera fossile dell'Imolese. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 211-215). — Roma, 1902. L’autore descrive un frammento di legno silicizzato rinvenuto tra la ghiaia quaternaria dell’Imolese e proveniente, con molta probabilità, dalle argille sca- gliose della valle del Sillaro, dove fu trovato un altro frammento analogo e di identica costituzione. Il fossile, studiato, descritto e figurato nelle sue sezioni, meglio che con altri si accorda col tipo Araucarioxylon; e non potendosi identificare con alcuna specie conosciuta, viene dall’autore denominato A. Scar abelli i. Clerici E. — Resoconto sommario delle escursioni fatte nei dintorni di Spezia e di Carrara nel settembre 1902. (Boll. Soc. Greol. ital., Yo- lume XXI, fase. 3°, pag. clv-clxvi). — Roma, 1902. Queste escursioni della Società geologica italiana, dirette dal prof. Capel- lini, col concorso dell’ing. Zaccagna, riescirono assai interessanti e proficue. — 104 — Premessa la serie dei terreni dei dintorni di Spezia, quale risulta da una pubblicazione apposita del Capellini (vedi più sopra), l’autore dà conto delle singole escursioni, e cioè: 1° al Monte Parodi nel promontorio occidentale: 2° alla foce di Magra ed al promontorio orientale: 3° a Portovenere ed isolette vicine; 4° alle cave di marmo di Carrara- La relazione è corredata da vedute fotografiche, e cioè : della Punta Bianca allo estremità del promontorio orientale, delle isole Tino e Tinetto, della Punta di San Pietro presso Portovenere, del Poggio di R - vaccione presso Carrara. Colomba L. — Sulla presenza della dispersione nei pirosseni giadeitoidi in rapporto colla loro composizione chimica. (Bivista di min. e crist. ital., Yol. XXVIII, fase. YI, pag. 80-91). — Padova, 1902. È una replica alla seconda nota dell’ing. Franchi (vedi Bibl. 1901), il quale, in risposta alle obbiezioni mosse dall’autore alla prima sua nota sulle roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali (vedi Bibl. 1900), riaffermava la sua ipotesi intorno al potere dispersivo dei pirosseni giadeitoidi in relazione al tenore in ossido ferrico o più precisamente con una certa percentuale del silicato del- l’acmite che entra nella loro costituzione. L’autore in questa replica tende a dimostrare come dalle analisi chimiche die espone, non risultino i fatti invocati dall’ing. Franchi a sostegno della sua ipotesi. Ritiene che si possano spiegare i fatti citati in modo più semplice e generale, ammettendo che vi sieno pirosseni giadeitoidi e pirosseni acmitoidi nei quali cioè la soda, per quanto in piccola quantità, sarebbe essenzialmente combinata col sesquiossido di ferro nel silicato delFacmite e non coll’allumina della giadeite. Questi pirosseni presenterebbero la dispersione, mentre ne sarebbero privi quelli che conterrebbero solo il silicato della giadeite. In tal modo sarebbe pos- sibile di spiegare come due pirosseni ferrico-sodici affini, quali sono quelli di Mocchie e di Rivoli, possano avere un comportamento tanto differente, bastando supporre che l’uno sia un pirosseno acmitoide e l’altro un pirosseno giadeitoide. Con tal modo di vedere concorderebbe la forinola data dal Zambonini per il suo pirosseno d’Oropa (vedi Bibl. 1901). A spiegare poi la dispersione che apparisce nella giadeitite di Cassine, si potrebbe ammettere che in alcuni cristalli, per qualche causa, una parte del protossido di ferro sia passata allo stato di sesquiossido, dando così luogo a una piccola quantità del silicato delPacmite. — 105 — Colomba L. — Sulla Moksite della Beaume (alta valle della Dora Ri- paria). (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXVII, disp. 12!l e 13a, pag. 491-500). — Torino, 1902. Il nome di Mohsite venne dato da A. Devy fino dai 1827, ad alcuni cri- stallini neri lucenti, a frattura concoide, aderenti ad un gruppo di cristalli di quarzo cloritoso di incerta provenienza, e che malgrado le anologie da lui rico- nosciute con la crichtonite, egli ritenne costituisse una specie nuova. Accennato alle opinioni che su questo minerale emisero il Dufrenoy, il Miller e il Des Cloiseaux e all’esistenza di questo minerale a Piate Murato use, nella valle della Romanche scoperto recentemente dal Lacroix, l’autore si occupa in questa nota della Mohsite da lui scoperta alla Beaume presso Oulx, entro a piccoli filoni di albite che attraversano scisti e calcari soprastanti alle quarziti già da lui studiate (vedi Bibl. 1900). Essa è sempre associata all’ottaedrite ed alla sagenite: i suoi cristalli sono neri lucenti, con polvere pure nera, frattura concoide, durezza da 6 a 7. Dal lato chimico la Mohsite deve indubbiamente riferirsi all’ilmenite, ma dagli studi cristallografici fatti dall’autore e che vengono esposti in questa nota, egli ha potuto constatare un’assoluta mancanza di equivalenza delle sue forme cristalline con quella della comune ilmenite. Espone quindi i fatti dai quali a suo parere risulta possibile di considerare la Mohsite, come una specie indipendente dall’ilmenite ed appartenente ad un gruppo ben distinto, al quale pure apparterebbero cristallograficamente la senaite e la eudialite. Copp adoro A. — Su le antiche miniere di Timau. (« In Alto » Cro- naca della Soc. alpina friulana, Anno XIII, n. 5; pag. 51-53). — Udine, 1902. Esposte le notizie storiche sulle miniere, un tempo coltivate in questi monti della Carnia, dalle quali estraevasi rame, argento e combustibili fossili, l’au- tore accenna alle località dove ancora si possono riscontrare i resti delle gallerie scavate, dette grotte di Timau, dei fabbricati ad uso di fonderie e le scorie di fusione che ivi si trovano in grande abbondanza. Di queste l’autore rac- colse diversi campioni che fece esaminare microscopicamente dal prof. Squi- nabol, e di cui riferisce le osservazioni. Espone quindi il risultato dell’analisi chimica da lui eseguita sii queste scorie; da essa rilevasi che i componenti principali sono la silice, la calce ed il ferro. Dal che deduce che tale scoria fu prodotta nel trattamento della calcopirite per estrarne il rame. — 106 Cozzaglio A. — Studi di geologia continentale sui laghi di Garda e d’Iseo, con nota sul recente terremoto di Salò (pag. 15 in-8°, con 3 tavole). — Brescia, 1902. In questa pubblicazione si fa una esposizione, in parte riassuntiva, degli studi locali dell’autore, dedicati in prevalenza al lago di Ciarda. Dietro accu- rate osservazioni particolareggiate sulla tettonica delle formazioni (dall’infralias all’eocene) che coronano la concia benacense, illustrate con numerosi profili, e dietro rilievi speciali dei lembi quaternari, distinti in tre periodi glaciali, l’au- tore cerca di fissare la genesi del bacino attuale. Dalla disposizione delle masse rocciose con notevoli pieghe, faglie e ricoprimenti si induce la presenza di masse rocciose colmanti l’attuale bacino nel periodo preglaciale, ammettendo al più fino a tutta la la epoca glaciale, un primo bacino tettonico Arco-Riva ora interrato, mentre la conca lacustre costituiva un doppio bacino montuoso, cioè trentino e salodiano. JNel secondo periodo glaciale si sarebbe effettuata l’unifi- cazione dei due bacini con escavazione della porzione occidentale dell’attuale conca, e formazione dell’apparato morenico corrispondente alla cerchia esterna di Montichiari ; mentre soltanto nel terzo periodo glaciale, demolita la briglia Sirmione-San Vigilio, si sarebbe formata anche la porzione orientale della conca lacustre coll’anfiteatro morenico poggiante a Lonato-Solferino-Sommacampagna. Segue una nota sul recente terremoto di Salò, la cui genesi l’autore colle- gherebbe all’esistenza di una frattura pliocenica Salo-Soprazocco da lui supposta. Riguardo agli studi sul lago d’Iseo, l’autore espone soltanto alcuni risul- tati di ricerche preliminari, che debbono essere proseguite in prossima pub- blicazione. Egli per ora insiste sulla differenza rispetto al Garda, essendo la conca sebina trasversale rispetto agli andamenti tettonici; e rileva il fatto della mancanza delle dure masse di calcari triasici topograficamente sostituiti dal te- nero raibliano. Accenna pure all’importanza delle orientali masse paleozoiche nel corrugamento generale, e alla lacerazione che in corrispondenza dello sbocco del lago subisce la grande cascata stratigrafica prealpina, lacerazione che deve aver contribuito a iniziare la conca lacustre. Cozzaglio A. — Continuazione alle Ricerche sulla topografia preglaciale e neozoica del lago di Garda. (Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1902, pag. 38-64, con 3 tavole). — Brescia, 1902. Ea seguito alla prima parte inserita negli stessi Commentari per l’anno 1900 (vedi la Bibliografia corrispondente), e le due parti unite, con qualche aggiunta, formano il lavoro di cui sopra. — 107 - Crema C. Il petrolio nel territorio di Tr amutola [Potenza). (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. xxxv-xxxvm). — Roma, 1902. La zona petrolifera esplorata dall’autore occupa il fondo della parte set- tentrionale della valle del Rio Cavolo, scorrente a ovest di Tramutola e che si versa nell’ Agri. I terreni che ivi affiorano, come risulta dal rilevamento eseguito dall’Uf- ficio geologico, sono, oltre il quaternario, l’eocene, il cretaceo ed il trias supe- riore e medio. Il fondo della valle è quasi per intero scavato nei terreni eocenici costituiti da marne e da arenarie, e formanti un anticlinale, nel cui asse il Cavolo ha scavato il suo corso. Questo anticlinale è disturbato da spuntoni di terreni triasici che attraversano l’eocenel Là principale manifestazione petroleifera è in un valloncino presso la regione detta Acqua del Tasso e consiste in una piccola sorgente di acqua mista a petrolio che sgorga dagli strati eocenici a contatto col calcare triasico. L’acqua contiene tracce di cloruro di sodio. Il petrolio in forma di filaccie presenta un colore brunastro-scuro del peso specifico di 0. 9. L’autore, accennato ad altre meno importanti manifestazioni di petrolio in alcuni pozzi, ritiene dalle osservazioni fatte che la zona petroleifera appar- tenga all’eocene. La poca estensione però di tale zona, la scarsezza delle ma- nifestazioni petroleifere e la poca potenza dell’eocene in questa regione, non fanno nutrire molte speranze su di essa; non sarebbe però inopportuno di fare qualche saggio in profondità per conoscere con maggiore certezza la entità del giacimento. D’Achiardi G-. — Metamorfismo sul contatto fra calcare e granito al Posto dei Cavoli presso San Piero in Campo (Elba), (dagli Atti Soc. toscana di Se. nat., Memorie, Yol. XIX, pag. 42, con 3 tavole). — Pisa, 1902. Il calcare di Porto dei Cavoli appartiene alla formazione di roccie sedi- mentarie metamorfiche del Monte Capanne, descritta dal Lotti nella sua Me- moria geologica sull’isola d’Elba. Esso è sempre più o meno cristallino, più o meno scistoso, con straterelli di roccie di aspetto selcioso e ricorda alcune va- rietà del calcare presiluriano di Calamita. Granito e calcare alternano alla superficie per un gran tratto in masse più o meno considerevoli e sottili apo- fisi di granito attraversano le masse calcari, le quali si vanno riducendo diven- tando sempre più fogliettate, sostituite infine in alto dalla formazione scistosa. - 108 — L’autore ha raccolti numerosi esemplari di granito e di calcare nella zona di contatto, lo studio dei quali forma argomento della presente nota. Come risultato dello studio fisico e chimico di queste roccie vengono dal- l’autore esposte le seguenti conclusioni: La formazione calcarea e la scistosa sono collegate tra loro ed in contatto immediato in vari punti col granito, e presentano un evidente metamorfismo in tutta la regione. Il calcare è convertito in marmo saccaroide a grossa grana o in cipollino fogliettato e più ricco in minerali accessorii dove il calcare è ad immediato contatto col granito. Tra quello e questo si ha una zona di contatto verde -scura di pochi centimetri. Da una parte e dall’altra di questa zona il granito ed il marmo presentano specie minerali loro proprie. La granitite normale presso il contatto è attraversata da piccole vene bianche aplitiche e la mica è qùasi del tutto scomparsa. La gi/anitite si converte in un granito alcalino con grande prevalenza di felspati sodio -potassici, tendendo alla costituzione e struttura pegmatitica. Al contatto colla roccia calcare, il granito diminuendo negli elementi ortose. microclino, pertite, si arricchisce di felspati sodio -calcici ancora di tipo acido: mentre la mica nera va sparendo, compaiono titanite e malacolite. La zona sottile di contatto verde-bruna dalla parte granitica è costituita essenzialmente da una fitta granulazione di granuli pirossenici ed epidotici che sembrano sostituirsi alla titanite, che solo osservasi in tanto minor copia nella parte più esterna; il quarzo è scomparso ed i pochi grani sono di fel spato a termini molto basici, ricchi di calce. Dalla parte del marmo non vi ha più quarzo nè felspato, e sono sostituiti da wollastonite, dipiro e pirosseni ricchi di calce e di ferro e poveri di magnesio. Questi minerali continuano nel marmo oltre la zona verde-scura, ma vi diviene predominante la wollastonite. Presso il contatto appaiono anche grossularia, vesuviana, burnite, eec. ecc.. ’ che si trovano anche nel marmo a distanza dal contatto in lenti e straterelli di aspetto selcioso che formano il cipollino. Benché cambi la quantità e la proporzione dei minerali metamorfici con la distanza dal contatto, la metamorfosi interessa con la stessa intensità tutta la roccia calcare originaria convertita in marmo ; quindi, senza negare che altre cause mineralizzatrici possano essere intervenute posteriormente e indipenden- temente dalla conversione in marmo del calcare, l’autore ritiene che qui si tratti di metamorfismo normale che al contatto ha dato luogo a formazione di minerali diversi per la contiguità di due diverse roccie ; nè a tale concetto — 109 — si oppone la presenza di filoncelli di granito entro il marmo e l’alterazione anche di cipollino e granito presso il contatto, avvenendo ciò costantemente alla periferia delle grandi masse granitiche. La quantità maggiore dei minerali metamorfici sul contatto dipende dalla parte presa dalle roccie contigue alla produzione delle nuove specie, mentre a distanza avveniva solo la cristallizzazione degli elementi costituenti le roccie stesse. In nessun posto l’azione delle roccie a contatto ha dato segni di fusione o cottura. I minerali formatisi presso il contatto nelle due roccie contigue sono quelli stessi che caratterizzano i casi di metamorfismo normale; mancano invece com- pletamente, o quasi, quelli che controdistinguono il così detto metamorfismo pnoumatolitico. ideile tavole annesse sono rappresentate in eliotipia le sezioni sottili delle roccie analizzate. D vinelli GL — Sull1 attuale ritiro dei ghiacciai del versante italiano del Monte Rosa. (Boll. Soc. Gheol. ital., Yol. XXI, fase. 8°, pag. lxxii- lxxiv). — Roma, 1902. Accennato dapprima a precedenti lavori nei quali rese conto delle osserva- zioni metodiche eseguite sui movimenti di progresso e di ritiro dei ghiacciai del versante italiano, l’autore si occupa in questa nota del ghiacciaio del Lys che si protende assai in basso nella valle dello stesso nome e dove ha potuto con- statare un ritiro della bocca di circa 25 metri. A destra di essa, addossato alla fronte, ha osservato un alto cono morenico di nuova formazione, causato dal ritiro del ghiacciaio stesso avvenuto nell’ultimo anno. Siccome gli consta che anghe il ghiacciaio di Macugnaga si trova attual- mente nello stesso periodo di ritiro, così ritiene succeda delle altre vedrette e ghiacciai sospesi che si trovano nel versante italiano del Monte Rosa, dei quali, per la grande quantità di nevecaduta, non potè vedere quest’anno le fronti. (Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (31 marzo 1903) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Yol. I a XXXIII, dal 1870 al 1902. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem dell' abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero ...... » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Yol. I. Pirenze 1871. — Un volume in-4° di pag. 864 con ta- vole e carte geologiche » 85 — Yol. II, Parte la. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Yol. II, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 — Yol. Ili, Parte la. Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche » 10 — Yol. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — .Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 — Yol. IY, Parte la. Firenze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole » 8 — Yol. IY, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole • ^ » 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Yol. I. Roma 1886. — Li. Baldacci : Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 — Yol. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 — Yol. III. Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Yol. IY. Roma 1888. — GL Zoppi: Descrizione geologi co-mi- neraria dell’ Iglesiente (Sardegna). — Un volume in-8e di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 — Yol. Y. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico - mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico -mineraria » 8 — i — Ili — Yol. VI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa. L. 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-petrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1898. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese : Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 388 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica ...» 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte i& : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico - agraria del Colle Montello (provincia di Treviso). — Un volume in-8° di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 8 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2a edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio X. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 251 (Cefalù) . . . . » 3 — » 252 (Xaso) . . . . » 4 — » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 254 (Messina) . . . » 4 — » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 260 (Xicosia). . . . » 5 — » 261 (Bronte) . . . . » 5 — Foglio X. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 265 (Mazzara del Vallo) » 3 » 266 (Sciacca) ...» 4 » 267 (Canicattì) ...» 5 » 268 (Caltanissetta). . » 5 » 269 (Paterno) . » 270 (Catania) . » 271 (Girgenti) . » 272 (Terranova) . . » 4 » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 274 (Siracusa) ...» 4 » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 276 (Modica). ...» 3 » 277 (Xoto) . ...» 3 Tavola di sezioni X. I (annessa ai fogli 249 e 258 . . L. 4 — » » X. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » X. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » X. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » X. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — io co co — 112 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — N3. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IN”. 142 (Civitavecchia) L. 4 — j Foglio 1NT. 149 (Cerve teri) . . L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 150 (Roma) . . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — » 158 (Cori) .... » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — • L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Serravezza .... » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezióni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IL 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 222 (Amendolara) . » 3 — » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 229 (Paola) ...» 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 231 (Ciro) . ...» 3 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — 241 (Nicastro). . . » 4 — Tavola di sezioni IL I, IL II Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, fogli con sezioni. — Roma, 1884 Foglio IL 242 (Catanzaro) . . » 243 (Isola Capo Riz- zuto) . . . L. 4- » 3 — » 245 (Palmi) . . . » 3 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 247 (Badolato) . . » 3 — » 254 (Messina). . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . » 4 — » 263 (Bova) .... » 3 4 » 264 (Staiti) .... » 3- e IL Ili, ciascuna . . L. 4 la scala di 1 a 25 000, in due L. 10- Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 . » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treyes in Roma, Bologna, Milano e Hapoli. i Annunzi di pubblicazioni Airaghi C. — Nuovi cefalopodi del calcare di Esino (Palaeontographia italica, Voi. Vili, pag. 21-41, con 2 tavole). — Pisa, 1902. Alippi P. — I bonniti del Monte Nerone (Boll. Soc. sismologica ital., Voi. Vili, n. 6, pag. 229-248). — Modena, 1902. Fucini A. — Cefalopodl Passici del Monte di Cetona (Palaeontographia italica, Voi. Vili, pag. 131-217, con 15 tav.). — Pisa, 1902. Montessus de Ballore F. (De). — Considerazioni a proposito dei terremoti della vallata del Po (Boll. Soc. sismologica ital., Voi. VIII,n. 7, pag. 241-243). — • Modena, 1902. Osasoo E. — Contribuzione allo studio dei coralli cenozoici del Veneto (Pa- laèntographia italica, Voi. Vili, pag. 99-120). — Pisa, 1902. Pamp aloni L. — I resti organici nel disodile di Melilli in Sicilia (Ibidem, Voi. Vili, pag. 121-130, con 2 tav.). — Pisa, 1902. Regalia E. — Sette uccelli pliocenici del Pisano e del Valdarno superiore (Ibidem, Voi. Vili, pag. 219-238, con tavola). - Pisa, 1902. Ugolini R. — Il 31onachus albiventer Bodd. del pliocene di Orciano (Ibidem, Voi. Vili, pag. 1-20, con 3 tav.). — Pisa, 1902. Airaghi C. — Alcuni echinidi del terziario veneto (Atti Soc. ital. di Se. nat. e. Museo civico di St. nat., Voi. XLI, fase. 4°, pag. 415-424, con tavola). Milano, 1903. BÀssani F. — Sui pesci fossili della Pietra leccese (pag. 4 in-4°). — Lecce, 1903. Casoria E. — Studio analitico dei prodotti delle ultime eruzioni vesuviane (1891-94 e 1895-99) (Annali R. Scuola superiore di agricoltura di Portici, Ser. II, Voi. IV, pag. 1-44). — Portici, 1903. Coppadoro A. — Contributo allo studio dei fenomeni carsici dell’altipiano del Cansiglio(« In Alto » Cronaca della Soc. alpina friulana, Anno XIV, n. 2, pag. 19-23). — Udine, 1903. Cortese E. — Sopra alcune ricerche di acqua di sottosuolo presso Portofer- raio (Giornale di Geol. pratica, Voi. I, fase. 1°, pag. 21-31, con tavola). — Genova, 1903. D’Achiardi G. — Analisi di alcuni minerali bauxitici italiani (Atti Soc. to- scana di Se. nat. ; Processi verbali, Voi. XIII, pag. 93-98). — Pisa, 1903. Dainelli G. — Appunti di stratigrafia sulla valle del Mugnone (Ibidem, Voi. XIII, pag. 110-121). - Pisa, 1903. Dal Lago D. — Note illustrative alla Carta geologica della Provincia di Vicenza di Arturo Negri (pag. 140 in-8°). — Vicenza, 1903. De Alessandri G. — Note d’ittiologia fossile (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Voi. XLI, fase. 4°, pag. 443-461, con tavola). — Milano, 1903. De Angeli» d’Ossat G. — Considerazioni di geologia pratica intorno alla bonifica della Campagna Romana (Giornale di Geologia pratica, Voi. I, fase. 1°, pag. 50-55). — Genova, 1903. {Segue) ( Seguito : V. pagina precedente) De Giorgi C. — La serie geologica (lei terreni nella penisola Salentina (Me- morie Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Voi. XX, pag. 155-218). — Roma, 1908. Fornasini C. — Contributo a la conoscenza de le testilarine adriatiche (dalle Memorie R. Acc. Se. dell’ Istituto di Bologna, Ser. V, T. X, pag. 1-20, con tavola). — Bologna, 1903. Franco P. — L’attività vulcanica nella Campania secondo la tradizione e la storia (Boll. Soc. di Naturalisti, Ser. I, Voi. XVI, pag. 260-288). — Na- poli, 1903. Fucini A. — Sopra l’età del marmo giallo di Siena (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Voi. XIII, pag. 90-93). — Pisa, 1903. Lòtti B. — I depositi dei giacimenti metalliferi. - Guida allo studio e alla ricerca dei giacimenti metalliferi con speciali esemplificazioni di giaci- menti italiani (un volume in-8° di pag. 150). — Torino, 1903. Lovisato D. — Appunti ad una nota del sig. dott. Tornquist sulla geologia della Sardegna (Rend. R. Istituto lombardo, Ser. II, Voi. XXXVI, fase. 4°, pag. 216-228). — Milano, 1903. Mariani E. — Su alcune ittiodoruliti della Creta lombarda (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Voi. XLI, fase. 4°, pag. 437-441). — Milano, 1903. Mercalli GL — Contribuzione allo studio geologico dei vulcani viterbesi (Me- morie Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Voi. XX, pag. 301-334). — Roma, 1903. Idem. — La storia e i fenomeni sismo-vulcanici (dalla Rassegna nazionale, pag. 10 in-8°). — Firenze, 1903. Monaco E. — Su di una blenda cadmifera del Monte Somma e su di un solfuro arsenicale della Solfatara di Pozzuoli (Annali R. Scuola superiore di agri- coltura di Portici, Ser. II, Voi. IV, pag. 1-12). — Portici, 1903. Parona C. F. — Nuove osservazioni sui massi di calcare rosso a brachiopodi del Lias medio compresi nelle argille scagliose di Lauriano (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XXXVIII, disp. 4a e 5a, pag. 104-106). — To- rino, 1903. Sestini F. e Masoni GL — Ricerche analitiche sul calcare nero di Avane (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Voi. XIII, pag. 124-131). — ' Pisa, 1903. Silvestri A. — Alcune osservazioni sui protozoi fossili piemontesi (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XXXVIII, disp. 6a, pag. 206-217). — Torino, 1903. Spirek V. — La formazione cinabrifera del Monte Amiata (Rassegna mine- raria, Voi. XVIII, n. 6, pag. 83-85). — Torino, 1903. Taramelli T. — I tre laghi; studio geologico-orografico, con carta geologica (pag. 124 in-8a, con 2 tav. e Carta geologica). — Milano, 1903. Idem. — Di alcune sorgenti nella Ga-fagnana e presso Gorizia (Rend. R. Isti- tuto lombardo, Ser. II, Voi. XXXVI, fase. IV, pag. 244-251). — Milano, 1903. Ugolini R. — Altri resti di Monachns albiventer Bodd. del Pliocene di Orciano(Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Voi. XIII, pag. 87-88). — Pisa, 1903. Prezzo del presente fascicolo: L. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA A.3ST3STO 1903 N. 2. ROMA TIP. NAZIONALE DI G. BERTERO E C. 1903 ELENCO del personale componente il Comitato e l’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di BolognaJ Presidente - Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Issel Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Struver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : . .. ‘ ' Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato Ing. Sormani Claudio. Dott. Dì Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna , n. 1 . BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. IV. Anno 1903. Fascicolo 2°. SOMMARIO. Note originali. — I. M. Cassetti, Appunti geologici sui monti di Tagliacozzo e di Scurcola nella Marsica. — II. P. Moderni, Contribuzione allo studio geo- logico dei vulcani Yulsinii. — III. A. Verri, Sulla divergenza di vedute circa le formazioni eoceniche e mioceniche dell’ Umbria. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1902 {Conti- nuasi one). Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. — V erbale delle adunanze 8 e 9 giugno 1903 del R. Comitato geo- logico. — Relazione dell’ Ispettore-capo al R. Comitato geologico sui lavori eseguiti per la Carta geologica nell’anno 1902 e proposta di quelli da ese- guirsi nel 1903. Illustrazioni. — Sezione geologica dai monti di Tagliacozzo al fiume Salto (Cas- setti), a pag. 118. NOTE ORIGINALI I. M. Cassetti. — Appunti geologici sui monti di Taglia- cozzo e di Scurcola nella Marsica . L’abitato di Tagliacozzo è fabbricato in parte sull’erto declivio e in parte al piede orientale di una profonda gola, che, dall’uno al- l’altro lato incide quella stretta catena di monti, che fa parte dello spartiacque fra il bacino fucense e quello del Liri, e che s’innalza sulla sponda destra del fiume Imele, affluente dei Salto. Tale catena rappresenta il prolungamento di quell’importante gruppo di montagne che forma l’alta sponda sinistra del Liri a Nord- est di Sora, o più precisamente abbraccia quella serie di elevazioni che unisce il Monte Arunzo, situato a levante degli abitati dei pic- coli paesi di Pagliara e di Petrella, al gruppo così detto di Monte Bove, che è quello entro cui passa la grande galleria ferroviaria che — 114 — allaccia il comune di Colli ad Est di Carsòli, con quello di Sante Marie, sulla linea Roma-Avezzano, denominata appunto galleria di Monte Bove. Betta catena comprende i monti denominati Valumiera, Forte e La Difesa, le due alture laterali alla gola die sovrastano l’abitato di Tagliacozzo e il Colle di Papa ad Ovest sopra il paese di San Giovanni. Lungo il versante occidentale della catena suindicata e precisa- mente tra l’abitato di Petrella e quello di Cappadocia, si incontra la piccola sella che separa le acque del Liri da quelle che scendono nella gola di Tagliacozzo e si riversano nell’Imele. Nel fianco meridionale di questa sella, poco al disotto dell’abitato di Cappadocia, troviamo le prime e più importanti sorgenti del Liri, le quali sono vere e proprie sorgenti di sfioramento, perchè scaturi- scono al contatto delle roccie argillose della valle coi calcari che co- stituiscono l’ossatura dei monti adiacenti e sui quali si appoggiano in perfetta discordanza. L’abitato di Scurcola invece è fabbricato all’estrema punta meri- dionale della catena montuosa che sorge a Nord-Ovest del Fucino sulla sponda opposta dei fiume Imele, a levante di Tagliacozzo, e che è formata dai contigui monti San Nicola, Tagliata, Castiglione, Colle di Mezzo e Faito. Essa è disposta in senso quasi parallelo alla precedente, vale a dire è diretta da Nord-Ovest a Sud-Est ed il suo versante orientale scende nella valle del Salto dirimpetto al Monte Velino. Queste due catene di monti, che sono quelle di cui tratta la pre- sente nota, sono costituite di calcari di vario aspetto, appartenenti parte al periodo cretaceo e parte a quello eocenico, mentre la valle defilimele, che le separa, è riempita di un esteso e potente deposito eocenico di scisti argillosi, arenacei e marnosi posteriore ai detti calcari. Vediamo ora quali sono le condizioni geologiche nelle quali si presentano queste roccie nei monti suindicati, cominciando da quelli di Tagliacozzo. Nella mia Relazione geologica deiranno 1901 1 dissi che il calcare liasico, affiorante lungo la sponda sinistra del Liri a Nord di Sora, non si prolunga al di là della R. Pietra Pilozza, o più esattamente non oltrepassa le più basse pendici del Monte Arezzo, tra Capistrello e Castellafìume ; e feci rilevare che dal detto calcare si passa senz’altro a quello cretaceo, mancando del tutto la serie oolitica intermedia. Ora aggiungo che il superiore calcare cretaceo, che affiora nel detto Monte Arezzo, prosegue nei successivi monti Girifalco ed Arunzo abbrac- ciandone entrambi i versanti e più precisamente, dal lato orientale, scende fin quasi alla sponda destra delibimele, tra l’abitato di San Sebastiano e la Regione delle Pavoncelle, dove s’immerge sotto il de- posito quaternario della pianura adiacente a detto fiume ; e dal lato occidentale scende fin presso la sponda sinistra del Liri tra Pagliara e Petrella, inoltrandosi alle più basse pendici del successivo Monte Yalumiera, dove viene ricoperto dal posteriore deposito degli scisti eocenici della valle, che gli si appoggia in discordanza. Appena oltrepassata la lieve insenatura che separa il Monte Arunzo dal Monte Yalumiera, si osserva il fatto di un apparentemente gra- duale passaggio dal calcare cretaceo a quello eocenico, o meglio dal calcare ippuritico ad un calcare a crinoidi, con pecten, ostree e num- muliti microscopiche, il quale dal detto Monte Yalumiera si protrae nei successivi Monte Forte e Monte La Difesa, estendendosi dall’uno al- l’altro fianco di essi, in modo da ricoprire, a guisa di ampio mantello, il sottoposto calcare cretaceo. Ma ne1 la gola di Tagliacozzo la serie è profondamente incisa da un taglio con pareti quasi a picco, nelle quali si affaccia nuovamente il sottostante calcare cretaceo ed il supe- riore lembo eocenico lo si ritrova fino al di là dell’abitato di San Giovanni, dove va ad immergersi sotto gli scisti argillosi ed arenacei del territorio di Sante Marie. Ora appunto in questa gola di Tagliacozzo, la quale, geologica- 1 M. Cassetti, Dal Fucino alla valle del Liri. Rilev. geol. eseguito nell’anno 1900 (Boll. Com. Geol., Yol. XXXIII, n. 3, Roma, 1902). — 116 — mente parlando, non è clie una stretta e profonda valle di erosione, dove, esaminando le sue ripide sponde, può osservarsi con singolare evidenza il passaggio dell’uno all’altro dei detti calcari e la loro per- fetta analogia litologica, dappoiché ad un dato punto scorgesi una zona di calcare, di qualche metro di potenza, nella quale sono disse- minati numerosi avanzi di rudiste e specialmente d’ippuriti, mentre superiormente a detta zona, senza che si avverta un cambiamento di struttura della roccia, vediamo man mano sparire i suindicati resti organici del Cretaceo e dopo un certo tratto assolutamente privo di fossili, affacciarsi il superiore calcare eocenico con pecten e ostree. E però da notare che questo calcare eocenico non presenta in tutta la sua estensione lo stesso aspetto e la medesima struttura del sottostante calcare cretaceo, come si osserva al loro contatto ; e cioè con calcare biancastro compatto, a grana fina, con venature spatiche, ma in alcune zone e specialmente dove più abbondano i pecten e le ostree, esso offre sovente la struttura brecciforme ed una tinta ce- rulea o leggermente rosea. Oltre alla somiglianza litologica fra i due calcari su descritti, troviamo altresì che la loro stratificazione è perfettamente concor- dante, ciò che può rilevarsi in diversi punti della catena montuosa in esame, nei quali appariscono insieme i rispettivi affioramenti; ma dove tale constatazione si presenta molto evidente e quindi facile, si è appunto lungo le ripide sponde della gola di Tagliacozzo più volte citata. Ed infatti esaminando la giacitura dei due calcari noi troviamo che al Monte Yalumiera, dove affiorano entrambi, la loro stratifica- zione pende di pochi gradi verso N.E, vale a dire verso la valle del- l’Imele, e questa pendenza si mantiene costante fino al successivo Monte Forte; ma ai successivo Monte La Difesa, dove affiora solo il cacare eocenico, si vede la stratificazione disposta ad anticlinale e cioè pendere da una parte a S.O e dall’altra a N.E. Siffatto cambiamento di giacitura non è solo limitato agli strati del calcare eocenico, ma è bensì esteso a quelli del sottostante cal- — 117 — care cretaceo ; come appare chiaramente nei due fianchi della gola di Tagliacozzo, dove, come dissi, si affacciano le testate degli affiora- menti dell’uno e dell’altro di essi. Questa disposizione di strati ad anticlinale si protrae fin quasi al così detto Colle di Papa, ma al di là di questo colle e fino all’abi- tato di San Giovanni, gli strati tornano ad inclinare leggermente verso la valle dell’Imele, cioè a N.E, immergendosi sotto i posteriori depositi di scisti argillosi ed arenacei dei territori di Poggitello e di Sante Marie. I fenomeni geologici su descritti, esistenti nella catena dei monti in esame, e cioè somiglianza litologica, concordanza stratigrafìca e passaggio apparentemente graduale dal calcare cretaceo a quello eoce- nico, furono già osservati più volte da me in diversi punti dell’ Ap- pennino, e sono stati altresì constatati dal dottor Di Stefano e dal- l’ingegnere Viola nei vicini monti Affilani e Sublacensi \ Passando ora a parlare dell’altra catena montuosa che s’innalza sulla sponda destra dell’Imele a N.E di Scurcola, dirò anzitutto che di essa feci menzione nella mia citata relazione del 1901 1 2, dove par- lando della linea di frattura passante lungo il versante occidentale della piccola catena di monti adiacenti al Fucino ad Ovest e presso Avezzano, manifestai l’opinione che tale frattura proseguisse in quella di cui si tratta. Le ulteriori osservazioni da me fatte durante l’anno 1902, hanno pienamente confermato la esistenza della citata accidentalità strati- grafìca. Infatti, come appare dalla sezione geologica qui appresso ri- portata lungo il versante occidentale dei monti che compongono la detta catena, troviamo che gli strati calcarei di cui essi sono costi- 1 C. Viola, A proposito del calcare a pettini e piccoli nummuliti di Subiaco [Provincia di Roma). (Boll. Com. Greol., Voi. XXXII, n. 3. Roma, 1901). C. Viola, Osservazioni geologiche fatte sui monti Sublacensi nel 1897 (BolL Com. Geol., Voi. XXIX, n. 3. Roma, 1898). 2 Op. cit. 5 N c o o a a CD O O O s a CD o a o — 118 — tuiti, si presentano rialzati dal lato di S.O e perciò con pendenza rivolta in senso opposto, mentre si osserva una linea di separazione assai netta, tra i detti calcari e quelli dei posteriori scisti eocenici della sottostante valle di Pra- tolungo, i quali vi si appoggiano in per- fetta contropendenza ; si osserva quindi chiaramente come le testate degli strati scistosi della valle vanno a battere con- tro quelle degli strati calcarei, che co- stituiscono la parte montuosa. Lungo tale linea e presso a poco al medesimo livello, si trovano sparsi a poca distanza fra di loro, gli abitati dei piccoli paesi di Sorbo, San Donato, Gallo, Scanzano e Santo Stefano. La catena di monti in discorso è costituita essenzialmente di calcari cre- tacei, e solo nella parte più alta del Monte Castiglione si incontrano alcuni lembi di calcare eocenico. I primi offrono due zone di calcari aventi differenti caratteri litologici e paleontologici, ma con passaggio gra- duale dall’una all’altra, e cioè la più bassa costituita di calcare biancastro compatto semi- cristallino, con impronte di turriculate indeterminabili e modelli di Requienie, e quella superiore formata di calcare bianco amorfo con avanzi di rudiste e specialmente d’ ippuriti. Per le ragioni esposte nelle mie note — 119 — precedenti \ continueremo provvisoriamente a riferire i calcari della prima al piano Urgoniano e quelli dell’altra al Turoniano. L’affioramento del calcare urgoniano presenta il suo massimo svi- luppo al Monte San Nicola sopra Scurcola, dove raggiunge i metri 300 di potenza e prosegue poscia lungo il versante occidentale dei contigui monti Tagliata e Castiglione e del Colle di Mezzo, svolgendosi a guisa di una stretta fettuccia, con uno spessore non superiore ai 100 metri. Passa quindi al successivo Monte Faito, dove acquista maggiore po- tenza, e accenna ad inoltrarsi nel contigno Monte della Neve, o più esattamente, l’affioramento del calcare urgoniano è limitato a valle da una linea che partendo da Scurcola, tocca gli abitati di Sorbo, San Donato, Gallo, Scanzano e Santo Stefano, e ch’è presso a poco quella che separa il detto calcare dagli scisti argillosi della valle del- l’Imele, e a monte da un’altra linea che dalla cima del monte San Ni- cola scende sotto l’abitato di Poggio Filippo, e sotto il castello diruto di San Donato e s’inoltra lungo le più basse falde dei monti succes- sivi fino al di là del Monte Faito. Il calcare turoniano abbraccia tutta la pila degli strati superiori e solo al Monte Castiglione è sormontato dal calcare eocenico, perfet- tamente analogo a quello dei monti di Tagliacozzo precedentemente descritto. Ed in questa regione si osservano altresì i medesimi feno- meni geologici esistenti in detti monti, vale a dire : analogia litologica nella zona di contatto, concordanza stratigratica e passaggio graduale dal calcare ippuritico a quello eocenico. Ma qui vi è un altro fatto che va specialmente notato, ed è il seguente: il calcare eocenico del Monte Castiglione non è disposto a strati continui, come a Tagliacozzo, in modo da ricoprire e mascherare completamente il sottostante calcare cretaceo, ma è formato a lembi di limitata estensione e di uno spessore molto variabile, e questi lembi sono irregolarmente disseminati sul calcare ippuritico ; per conseguenza 1 M. Cassetti, Dalla valle del Livi a quelle del Giovenco e del Sagittario. Rii. geol. eseguito nell’anno 1900 (Boll. Com. Geol., Yol. XXXII, n. 2, Roma, 1901). — 120 percorrendo un breve tratto di terreno, si passa quasi insensibilmente dall’uno all’altro calcare, e solo il cambiamento della fauna annunzia all’osservatore di trovarsi su l’uno o su l’altro di essi. Anche qui nella zona di contatto, la struttura dei due calcari è identica, ma a misura che ci scostiamo dal contatto ed entriamo in pieno calcare eocenico troviamo una roccia a pasta omogenea, mentre nella zona di contatto essa è generalmente traversata da vene spatiche ; di guisa che questa malamente si presta al taglio e alla pulitura ed è poco adatta alle costruzioni edilìzie, l’altra invece è molto ricercata per tale uso. Infatti nella località in parola sono state aperte diverse cave precisamente entro la massa del calcare eocenico ; anzi la ubica- zione di queste serve a dare un’idea del frastagliamento delle lenti di calcare eocenico sulla formazione cretacea. Gli scisti argillosi, arenacei e marnosi eocenici più sopra indicati formano un potente deposito che abbraccia tutta la valle dell’Imele, che separa le due catene di mónti calcarei sopradescritti; e solo la parte pianeggiante, adiacente al corso di detto fiume, è occupata da un deposito alluvionale recente, il quale nella sua continuazione a Sud-Est, va a congiungersi con quello molto esteso ed importante che abbraccia la vicina pianura del Fucino. Siffatto deposito eocenico acquista molta maggiore estensione e potenza a Nord-Ovest di detta valle, e cioè nel territorio di Sante Marie, fino alla opposta valle del torrente Varri, che scende al Salto verso Cittaducale. In questa formazione scistosa eocenica s’incontrano sovente alcuni estesi e potenti depositi di arenaria grossolana micacea giallastra, piut- tosto tenera, con inclusioni mammellonari di arenaria quarzosa e tenace. Tali depositi in certi punti farebbero supporre di essere sempli- cemente appoggiati agli scisti e quindi posteriori, ma esaminandone bene la giacitura si giunge alla convinzione che essi sono indubbia- mente a questi intercalati. Roma, marzo 1908. — 121 — IL P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vul sini. 1 (Con carta geologica). Generalità. La zona vulcanica romana, corre parallela alla catena appenninica e si estende dalia valle del Liri a quella del Paglia, che segna i con- fini meridionali della regione toscana; essa è costituita dai cinque gruppi vulcanici degli Ernici, dei Laziali, dei Sabatini, dei Oimini e dei Vulsini, nonché dai due gruppi vulcanici più antichi, segnati dai monti Ceriti e Tolfetani. Molto si è scritto e si scriverà ancora su questa regione classica del vulcanismo : sono numerose memorie scientifiche che trattano più o meno diffusamente ora dell’uno ora dell’altro gruppo vulcanico; ovvero si occupano delle rocce e dei minerali in genere da essi erut- tati, o speciali e caratteristici a questo o quel vulcano. Altre studiano complessivamente questa zona vulcanica, la sua età relativa, i rap- porti delle sue rocce e dei resti organici che contengono, con quelli delle epoche geologiche che precedettero, e le cause probabili che de- terminarono così grandi manifestazioni delle forze endogene. Manca però ancora una descrizione generale dettagliata di tutte le bocche eruttive ancora riconoscibili in ognuno dei cinque gruppi vulcanici più recenti, e delle diverse fasi alle quali i vari gruppi di 1 Questa Memoria, pronta sino dall’aprile 1898 e rimasta finora inedita, viene pubblicata nel suo testo originale, cioè senza tener conto dei lavori ap- parsi posteriormente a quell’epoca. La Carta annessa, a colori e nella scala di 1 a 100,000, sarà data con uno dei prossimi fascicoli. La Direzione. — 122 — bocche si riferiscono; manca uno studio completo petrografìa e chi- mico delle materie proiettate da ogni singolo vulcano e delle lave emesse da ciascuna bocca, onde poter stabilire con certezza se ogni fase ebbe veramente per caratteristica l’emissione di materiali diversi; manca un’analisi minuziosa comparativa di tutti quei fatti che possono condurre all’accertamento del sincronismo o meno delle eruzioni in alcuni di questi centri vulcanici, come pure se le diverse fasi carat- terizzate dalla emissione di materiali differenti, si ripeterono separa- tamente in ciascun vulcano, ma in ordine cronologicamente identico. y Specialmente i tre grandi gruppi eruttivi a N.O di Soma, dovreb- bero essere studiati parallelamente, poiché essendo vicinissimi, anzi adiacenti l’uno all’altro, ed apertisi contemporaneamente o quasi, la loro attività avendo avuto più o meno la stessa durata, le loro eru- zioni essendosi probabilmente alternate, i loro prodotti essendo per la maggior parte identici ed in grande quantità mescolatisi gli uni agli altri, i tre gruppi si possono considerare come un solo ed immane vulcano, lo studio del quale non può essere frazionato, se si vogliono ricavare i dati per stabilire le relazioni fra le diverse fasi dei diffe- renti centri, e l’influenza reciproca sul graduale sviluppo ed estinzione di ognuno d’essi. Uno studio però così complesso della grande zona vulcanica ro- mana e della svariata ed immensa quantità di materiali che la rico- prono, richiederebbe un lavoro assiduo di alcuni anni a parecchi ope- ratori i quali fondessero poi assieme in un’opera completa i risultati delle loro osservazioni e delle loro investigazioni, ma non si è trovato ancora chi a questo lavoro lungo, paziente, minuzioso, abbia voluto o potuto dedicarsi, ed è perciò che non possediamo ancora una de- scrizione completa di tutti i vulcani romani e dei prodotti da loro emessi. Ad ogni modo i dati contenuti nei lavori parziali, per quanto spesso in contraddizione, saranno sempre un materiale prezioso per chi un giorno volesse accingersi a questo lavoro complesso, e perciò con la presente descrizione dei vulcani Yulsini, come già con l’altra 123 — dei vulcani Sabatini *, io ho creduto far opera non del tutto inutile, portando il mio modesto contributo allo studio dei vulcani romani. La regione Vulsinia, o meglio l’area su la quale si ammassarono i prodotti delle eruzioni vulsinie, è limitata ad Ovest dal fiume Fiora ; ad Est dal fiume Paglia e dalla valle del Tevere; a Nord dal fiume Siele e dal Paglia; a Sud grossolanamente dal torrente Vezza, a par- tire dalla valle del Tevere alle rovine dell’antica Ferentum a Nord di Viterbo, quindi da questo punto, da una linea spezzata che in dire- zione N.E-S.O passa per il Bagnacelo e Monte Razzano presso Viterbo, scende alla regione Scorsone a Sud di Toscanella, per risalire poi a N.O verso il Monte di Canino e raggiungere il fiume Fiora presso il Monte Calvo ; linea che separa approssimativamente i depositi di ma- teriali vulcanici provenienti dai vulcani Vulsini, da quelli dovuti alle eruzioni dei Cimini. La superfìcie racchiusa. entro questi limiti si può ritenere di circa 2280 chilometri quadrati e perciò quasi doppia di quella occupata dai depositi di materiali vomitati dai vulcani Sabatini, che è di 1369 chilometri quadrati. Questo calcolo si riferisce naturalmente allo stato attuale della superficie, ma se si considerano le profonde valli e burroni scavati per erosione nella massa dei materiali vulcanici ad Or- vieto, Bagnorea, Acquapendente, Sorano e molte altre località, mentre si resta ammirati dinanzi all’immenso lavorìo di demolizione ed espor- tazione compiuto dagli agenti atmosferici, si ha una prova di quanto più potenti nelle parti centrali ed estesi nelle parti periferiche, doves- sero essere da principio questi accumulamenti di materiali vulcanici. Anche l’aspetto generale della regione assomiglia assai a quello dei vulcani Sabatini: il terreno sale dolcemente dalla periferia al centro, segnato dal lago di Bolsena, formando un cono assai schiac- ciato. rotto da innumerevoli fossi e burroni che irradiando dal centro alla periferia, chi per la linea più breve, chi con giri tortuosi, convo- gliano le acque di scolo ai diversi fiumi che delimitano la regione. 1 P. Moderni, Le bocche eruttive dei vulcani Sabatini (Boll. R. Com. Leolog. ita!., anno 1896r n. 1-2). Roma, 1896. — 1*24 — Attorno al lago sono disposte le alture maggiori segnate dal Poggio Evangelista, Monte San Magno e Poggio Montione, nelle vi- cinanze di Latera, che raggiungono rispettivamente metri 663, 639 e 612 sul livello del mare; Monte Starnino presso Valentano trovasi a metri 620 sul livello del mare; la città di Montefìascone è situata a metri 633; Monterado su la Via Cassia, fra Montefìascone e Bolsena, a metri 625; Monte Panàro, Poggio Pocatrabbio, Poggio del Torrone, Poggio Pianale e II Monte, che coronano l’orlo della conca Yulsinea al disopra di Bolsena, si trovano rispettivamente ad un’altitudine di metri 645, 655, 702, 657 e 621 sul livello del mare; da ultimo Mon- talfina fra Bolsena, Castel Giorgio e San Lorenzo Nuovo, raggiunge 603 metri di elevazione. Il gruppo dei vulcani V ulsini si trova all’estremità settentrionale di quel grandioso golfo che il Ponzi % il vom Rath 1 2 3 * ed altri suppon- gono esistesse laddove si svilupparono più tardi i vulcani romani, sicché le acque del mare avrebbero dovuto giungere fino ai piedi del- l’ Appennino. A proposito di questo golfo, che avrebbe avuto una larghezza media di 45 chilometri, il Ponzi 8 così ne descrive i limiti : all’aper- tura dei vulcani Cimini, il mare erasi già ristretto e formava un gran golfo fiancheggiato esternamente dai monti della Tolfa; esso com- prendeva le antiche province di Comarca, Viterbo e Orvieto. Nel medesimo avevano la loro foce il Paglia presso Acquapendente, il Tevere, rappresentato soltanto dalla parte superiore del suo sistema, vi terminava sotto Orvieto, il Nera presso Orte e l’ Anione a Tivoli. Nel centro di questo immenso seno, schierati in linea parallela 1 G. Ponzi, La Tuscia Romana e la Tolfa (Mem. R. Acc. dei Lincei, vo- lume I, sess. 3a). Roma, 1877. 2 G. vom Rath, Mineralogiscli-geognostiscìie Fragmente aus Italien. YI, Die Umgebungen des Bolsener See. (Zeitschr. Deuts. geolog. Gesell., 20). Ber- lin, 1868. 3 G. Ponzi, Storia fisica deir Italia centrale (Att. R. Acc. dei Lincei, sess, 4a). Roma, 1871. ** * - 125 — agli Appennini eran disposti i tre grandi centri eruttivi sottomarini, Vulsinio, Cimino e Sabatino; contemporanei ai vulcanetti degli Ernici nella valle Latina, di Roccamonfìna, e forse anche della valle del Bove, su la quale in seguito si accese l’Etna. I vulcani romani sarebbero stati preceduti dai vulcani dei Campi Flegrei, pure sottomarini, che il Ponzi classifica dell’epoca pliocenica e contemporanei al deposito delle sabbie gialle. I centri eruttivi a Nord di Roma apparterrebbero invece all’epoca diluviale situata da lui fra il Pliocene ed il Quaternario, e le loro eruzioni avrebbero continuato ad essere sottomarine anche nell’epoca quaternaria, fino a che per i materiali accumulatisi e per il sollevamento della superfìcie essi emer- sero, prima in isolotti e poi riempitosi il gran golfo si venne formando l’orografia attuale. Il Vulcano Laziale si sarebbe aperto in seguito all’ av- venuta estinzione dell’attività vulcanica nella regione a Nord di Roma. Altri invece, come il Pareto *, il vom Rath 1 2, lo Stoppani 3, il Verri 4, il De Stefani 5, il Portis 6, sostengono che i vulcani a N.O di Roma, appartengono al piano superiore del Pliocene ; altri, infine, li riferiscono tutti al Quaternario. Dopo le recenti osservazioni del Clerici io credo non sia più pos- sibile dubitare che i vulcani romani siano quaternari, però resta ad in- tendersi bene su questo vocabolo che ha un significato assai elastico: la divisione fra le due epoche è più convenzionale che sostanziale, 1 L. Pareto, Osservazioni geologiche dal Monte Amiata a Roma (Giornale Arcad. di Se. ecc., Voi. C). Roma, 1841. 2 G. vom Rath, Ein Besuch Radicofanis und cles Monte Amiata in Toscana (Zeitsch. Deuts. geol. Gesell., 17). Berlin, 1865. 3 A. Stoppani, Corso di Geologia , Voi. UL Milano, 1871-73. ' 4 A.‘ Verri, Sulla cronologia dei vulcani tirreni e sulla idrografia della Val di Chiana anteriormente al periodo pliocenico (Rend. R. Ist. Lomb., Serie II, Voi. XI, fase. 8°). Milano, 1878. 5 C. De Stefani, I vulcani spenti delV Appennino settentrionale (Boll, della Soc. Geolog. ital., Voi. X, fase. 3°). Roma, 1892. 8 A. Portis, Contribuzione alla storia fisica del bacino di Roma e studi sopra V estensione da darsi al Pliocene superiore. Torino, 1893-96. - 126 — poiché la loro separazione non è precisata da un cambiamento di fauna o di flora; quindi con ragione potrebbe dirsi che nel mare at- tuale si deposita ancora il Pliocene. A conferma di ciò, cito il caso del prof. Portis, il quale mi ha fatto l’onore di riportare, nelle sue Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Roma, un lungo brano d’un mio lavoro sul Teramano *, nel quale facevo rilevare che data la grande somiglianza in quei luoghi delle ghiaie ed argille del Quaternario con quelle del Pliocene, diffi- cilmente alla superficie si distinguerebbero le une dalle altre, se fra le due formazioni non s’incontrassero spesso dei depositi di tufo, che servono come di orizzonte geologico per facilitarne la separazione. Il prof. Portis si serve delle mie stesse parole, con le quali indi- cavo la linea di separazione fra Pliocene e Quaternario, per dimo- strare dal suo punto di vista, che tufi e materiali che li ricoprono sono anch’essi pliocenici. Per quanto interessante possa essere lo stabilire con precisione i limiti del Quaternario, pure a me non conviene d’entrare in una di- scussione teorica, che avrebbe poco valore per lo scopo cui mira la presente Memoria : sorvolando perciò su tale questione e senza ri- petere quanto ho detto a proposito del grande golfo, nella mia me- moria su i vulcani Sabatini, ricorderò brevemente che ammettendo la teoria del Ponzi e del vom Patii nelle sue linee generali, ed adat- tandola con le ultime scoperte fatte dal Clerici1 2, cioè di banchi di tri- 1 P. Moderni, Osservazioni geologiche fatte nelV Abruzzo Teramano durante Vanno 1894 (Boll. R. Com. Greol., anno 1895, n. 4). Roma, 1896. 2 E. Clerici, Sulla origine dei tufi vulcanici al nord di Roma (Rend. R. Acc. Lincei, S. Y, Yol. Ili, fase. 8°, 1° sem.). Roma, 1894. Id., Ancora sulla origine e sull’ età dei tufi vulcanici al nord di Roma (Rend. R. Acc. Lincei, S. Y, Yol. Ili, fase. 12°, 1° sem.). Roma, 1894. Id., Per la storia del sistema vulcanico Vulsinio (Rend. R. Acc. Lincei, Yol. IY, fase. 5°, 1° sem.). Roma 1895. Id., Sopra un nuovo giacimento diatomeifero presso Orvieto e sui blocchi di argilla marina contenuti nei materiali vulcanici sostenenti questa città (sunto) (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XIY). Roma, 1896. — 127 poli e fossili d’acqua dolce e salmastra interstratificati con i materiali vulcanici, procurai di dimostrare come queste non distruggessero necessariamente le ipotesi del Ponzi su l’esistenza del gran golfo, e sul primo periodo sub-acqueo, più o meno breve, dei vulcani ro- mani. Infatti, supponendo che in seguito ai sollevamenti miocenici dei monti Ceriti e Tolfetani, poterono formarsi dei cordoni litoranei, i quali restrinsero e trasformarono il primitivo golfo in una o più la- gune salmastre dapprima, d’acqua dolce dipoi, si avrebbe la spiega- zione del ritrovamento di materiali e fossili d’acqua dolce intercalati con i prodotti vulcanici senza essere obbligati per questo ad esclu- dere le eruzioni sub-acquee. La primitiva ipotesi viene naturalmente ad essere modificata in questo senso, che cioè le medesime, invece di essere avvenute al disotto d’uno specchio d’acqua marina, sarebbero avvenute al disotto d’uno specchio d’acqua dolce o salmastra di non molta profondità, e forse separato già in parecchi bacini. Anche ai vulcani Vulsini, apertisi contemporaneamente, o quasi, e nello stesso ambiente dei Sabatini, si riferiscono quindi le consi- derazioni già fatte per questi ultimi nella citata memoria, mentre i materiali di entrambi i gruppi vulcanici, come quelli dei Oimini, es- sendosi depositati nelle medesime condizioni, obbedirono evidente- mente alle stesse leggi e presentano oggi le stesse caratteristiche. Accettando la teoria del Ponzi so di aver contro l’opinione di alcuni valenti cultori di scienze naturali, i quali sono convinti e credono poter dimostrare che tutti i vulcani romani furono sub-aerei e per conseguenza che tutti i prodotti da essi vomitati si deposita- rono esclusivamente su terre già emerse. Ma d’altra parte comprendo pure che nell’intraprendere lo studio d’una regione, non bisogna la- sciarsi dominare da preconcetti ma esaminare tutto, il più attenta- mente possibile, e quindi esporre francamente i dati raccolti e le deduzioni che da essi si sono tratte : se poi questi dati e queste de- duzioni si troveranno in contrasto con quelle di altri, poco importa, giacché tendendo tutti ad uno scopo, cioè alla scoperta del vero, accadrà che con l’attrito delle idee si raggiungerà più facilmente la — 128 — mèta, ed alla fine potrà verificarsi che dati e fatti, i quali sembra- vano elidersi, invece si completano a vicenda. Il Ponzi ed il vom Ratti hanno sostenuto lhdea del gran golfo sbarrato in parte dai monti della Tolfa ; le scoperte del Clerici hanno suggerito a me l’ipotesi, enunciata del resto anche dal Pareto e dallo Stoppani, del cordone litoraneo che al momento delle prime eruzioni e forse in relazione con esse, doveva già aver trasformato il golfo in un estuario, ma sono d’avviso che difficilmente si arriverà a provare in modo esauriente, che uno specchio d’acqua più o meno grande più o meno suddiviso, non esistesse al posto oggi occupato dalla zona vulcanica, e più specialmente dai tre centri a N.O di Roma. Questa convinzione è basata sul fatto che nella regione, la forma- zione pliocenica è ricoperta in gran parte da ghiaie, sabbie e marne quaternarie in concordanza con essa, le quali rappresenterebbero i depositi formatisi nel fondo dell’estuario, depositi che il Clerici ha trovato interstratificati con i tufi, ed io stesso ho riconosciuto al disotto della zona tufacea, specialmente nei vulcani Vulsini. E basata, inoltre, su la giacitura di certi tufi che non si saprebbe come spiegare, quando fosse negata l’esistenza del bacino di acqua, entro al quale devono essersi stratificati. Nè ad escludere la presenza di questo ba- cino d’acqua dolce o salmastra, può efficacemente essere citato il ritrovamento di fossili terrestri entro i tufi, poiché se ad escludere la presenza del mare si disse, che i pochi fossili marini trovati nei tufi stessi si dovevano ritenere di trasporto, cosi con più forte ragione, tenendo presente che nell’estuario avevano la loro foce il Paglia, il Nera, l’Aniene ed il Tevere, si possono ritenere di trasporto gli orga- nismi terrestri trovati fossilizzati nei tufi, e che noi vediamo anche oggi per le stesse vie scendere al mare. Se dunque l’estuario esisteva, è indiscutibile che le prime eru- zioni dovettero essere sub-acquee ; quanto tempo sia durato questo primo periodo non è facile dire, ma sicuramente non può essersi pro- lungato molto, poiché giudicando dalla immensa quantità di mate- riali eruttati, i coni formati da essi devono aver presto sorpassato — 129 — l’altezza delle acque. Divenuti sub -aerei gli edifìci vulcanici, cominciò un secondo periodo nel quale i materiali proiettati da eruzioni sub- aeree, cadevano a stratificarsi nelle acque che ancora circondavano le bocche eruttive, e questo periodo dev’essere stato necessariamente alquanto più lungo del primo, ma graduale, giacche le parti vicine ad esse bocche dovranno essersi colmate prima e quelle lontane più tardi. Finalmente per il lento sollevamento del suolo, per l’interri- mento provocato dai fiumi e dalle deiezioni vulcaniche, essendo ri- masta asciutta la superficie, s’iniziò il terzo periodo durante il quale si depositarono esclusivamente tufi sub-aerei. Lago di Bolsena. — Questo grandioso lago è l’antico Lacus Vulsi- niensis degli antichi: il suo centro trovasi a 42° 36' di lat., a (P 3F di long. occ. da Roma (Monte Mario) e ad un’altitudine di metri 305 sul livello del mare; ha una lunghezza di chilom. 13. 925; il circuito delle sue rive sviluppa chilom. 43. 500 e la sua superficie è di chilom. quadrati 114. 53, ossia doppia della superficie del lago di Bracciano, che fra i laghi d’origine vulcanica, viene per grandezza subito dopo questo, ed ha uno specchio di acqua di chilom. quad. 57. 47. Il lago di Bolsena trovasi, come ho detto, nel centro della regione Vulsinia, che sale dolcemente dalla periferia verso il lago, in forma di cono assai schiacciato (dalla parte di Orvieto la conicità è così poco accentuata, che sarebbe più.giusto chiamarlo un’altipiano); giunta in prossimità del lago la superficie si abbassa repentinamente for- mando un bacino, nel fondo del quale trovasi il lago, circoscritto in una cinta a ripido pendio che s’innalza su le acque dai 250 ai 300 metri e più. Il profilo di questo recinto mostra la sua parte più alta nelle colline che si elevano a Nord di Bolsena, dove infatti trovasi il Poggio del Torrone alto 702 metri sul livello del mare, che è pure il punto più elevato di tutta la regione Vulsinia; di poco più bassa si man- tiene la cinta fra San Lorenzo e Monte San Magno, il quale è un piccolo cono avventizio su l’orlo di un cratere; oltrepassato questo cono, la cinta si abbassa dolcemente fino a Valentano, dove la mono- 9 — 130 — tonia della linea è rotta dalle due alture del Monte Starnino e di quella su la quale è situato il paese di Valentano. Da qui il profilo si abbassa rapidamente (abbencliè da lontano il Monte di Cellere, che è assai più indietro, sembri far parte della cinta) fino al Monte di Marta, oltrepassato il quale il recinto si riabbassa subito fino al livello del lago: presso il villaggio di Marta vi è l’emissario che porta pure il nome di fiume Marta; passa per Toscanella e Corneto Tarquinia e dopo un percorso di 50 chilometri ha la sua foce in mare a S.O di quest’ultima città. Dal fiume Marta la cinta si rialza fino al cono, su la cui sommità è situata la città di Montefiascone che dalla sua posizione dominante gode di uno dei più belli panorami che si pos- sano imaginare ; da questo punto il recinto del bacino lacustre si riabbassa un poco e si mantiene costante fino alle colline di Bolsena, alla stessa altezza circa del tratto di cinta della parte opposta, cioè di quello che corre fra San Lorenzo e Monte San Magno. Il lago ha forma elittica molto irregolare, specialmente nella sua parte occidentale: due isole, la Bisentina e la Martana, distanti una dal! altra poco meno di chilom. 4. 500 si trovano nella parte meridio- nale di esso, e distano dal punto più vicino della sponda, la prima chilom. 2, la seconda chilom. 1. 500. La maggior profondità del lago, quale risulta dagli scandagli eseguiti in numero di circa 3000 dal dott. Giovanni De Agostini 1 sarebbe di metri 146 e troverebbesi a N.E dell’isola Bisentina, 2400 metri distante da essa. Altre importanti profondità si trovano: tra l’isola Bisentina e l’isola Martana, metri 129. 70 ; tra Capodimonte e l’isola Bisentina, 116; tra Capodimonte e l’isola Martana, 79. 50 ; 1 Gr. Db Agostini, Alcune notizie batometriche sui laghi di Bolsena e di Mez- zano (Boll, della Soc. Geogr. ital., Ser. Ili, Voi. X, fase. VI). Roma, 1897. Idem, Esplorazioni idrografiche sui laghi vulcanici della prov. di Roma (Boll. Soc. Geogr. ital., Ser. Ili, Voi. XI, n. 2). Roma, 1898. — 131 - tra l’isola Martana ed il fosso dei Molini della Valle sotto Mon- tefiascone, 94; tra l’isola Martana ed il fosso Bronzino, 106; tra l’isola Martana ed il fosso Maltempo, 112. 50; tra l’isola Bisentina ed il Monte Bisenzo, 80; tra l’isola Bisentina ed i casali di S. Magno, 97 ; tra l’isola Bisentina ed il fosso della Valle delle Chiuse, 109 ;' tra l’isola Bisentina e la piantata Buccelli, 119. Ad un chilometro dalla massima profondità e verso la riva orien- tale, dalla depressione di 130 metri si eleva un’ isolotto che misura 48 metri di altezza e la di cui parte più elevata rimane 82 metri al disotto dello specchio d’acqua. Ad oriente e poco distante dall’isola Bisentina, vi è un’altro isolotto sub-acqueo la di cui parte più elevata resta a 73 metri di profondità dal livello del lago. Uno sperone sub- acqueo s’avanza fra l’isola Martana e la sponda orientale, ma più vicina a questa che a quella ed il punto più elevato di esso, misura 38 metri di profondità dal livello del lago. Dallo studio batometrico interessantissimo del De Agostini, si è potuto sapere che il fondo del lago è molto irregolare, ineguali gli avvallamenti delle rive le quali nella parte settentrionale ed orientale sono ripidissime e profonde. Le rive più ripide del lago sono quelle a levante dell’isola Bisentina dove scendono subito quasi a picco da 20 a 90 metri di profondità. Il lago ed i suoi dintorni sono artisticamente belli, ed offrono all’osservatore splendidi paesaggi, sia neirinterno del bacino lacustre, sia su l’altipiano che lo circonda, da dove l’occhio spazia per un vasto orizzonte che si distende dall’ Appennino al mare, dal Monte Amiata al Cimino. Folti boschi di castagni e di querce si alternano con vaste pra- terie, con vigneti e piantagioni di olivi che rendono belli i dintorni di Gradoli e Bolsena: dalla parte interna della conca, una zona col- 5 liva su la quale si gode l’amena vista del lago e delle sue beile iso- lette, i di cui profili caratteristici spiccano su le azzurre acque del lago ; all’esterno, un esteso altipiano rotto frequentemente da profondi e pittoreschi burroni, rivestiti di lussureggiante vegetazione, nei quali scorrono perennemente corsi d’acqua, qua placidamente,- più in là precipitantisi rumorosamente in caduta, mentre nelle valli zampillano numerose sorgenti d’acque minerali e termali, delle quali soltanto una piccola parte è conosciuta. Malgrado le bellezze naturali del lago, delle sue isole, delle sue rive e dei suoi dintorni, la regione è spopolata e poco coltivata, ed in certi periodi dell’ànno vi regna in alcuni punti la malaria: su le rive del lago sono situate soltanto la piccola città di Bolsena e le due borgate di Capodimonte e Marta. Il vom Rath nell’ attraversare questa regione, colpito anch’esso dalla sua bellezza e dalla sua solitudine, scrisse che invece di essere sul suolo italiano, civilizzato fin dalla più remota antichità, gli pareva di trovarsi davanti ad un paesaggio lacustre di un continente ancor vergine. Il silenzio di morte che maravigliò lo scienziato tedesco, regna ancora attorno al lago di Bolsena, come del resto in tutta la Campagna Romana, di cui è l’estremo lembo settentrionale ; eppure questa regione sotto gli Etruschi ed i Romani era fiorente e ricercata; ebbe grandi città, un numero infinito di terme, di ville e folta popolazione, che certo allora non era decimata dalla malaria ! Oggi aspetta dalla terza Italia che savie leggi, distruggendo lo stato infelice di cose create da un millennio di sventure, la ritornino al prisco splendore al quale ha diritto di aspirare per il suo passato, per la sua posizione, per le sue bellezze e la feracità delle sue terre. Se nella cinta che racchiude il lago Sabatino vi è qualche tratto di essa che potrebbe far credere di trovarsi in presenza degli avanzi di un grandioso cratere, nelle colline che racchiudono la conca Vul- sinia, nulla di simile si presenta che possa indurre in errore, ed al- l’occhio dell’osservatore che percorra la regione, si manifesta subito il vero carattere della conca, che è quello di una valle formatasi in mezzo a dei vulcani ed in seguito alle vicende da questi provocate. 133 — Il lago di Bolsena non è un cratere, e questa mia affermazione non potrà esser tacciata di leggerezza, poiché prima di arrischiarmi ad enunciarla, ho voluto aspettare di conoscere bene quasi tutti i vulcani tirreni, e soltanto dopo aver studiato dettagliatamente circa 200 bocche eruttive di tutte dimensioni, dalle più gran-di che si co- noscano, a dei minuscoli coni avventizi; dalla bocca in attività del Vesuvio, a quelle che s’indovinano appena per i materiali caratteri- stici che circondano le località dove dovevano esistere; dopo aver percorso palmo a palmo i bacini lacustri a N.O di Roma; avere esa- minato il più attentamente possibile i materiali di cui sono costituite le diverse parti, e la loro giacitura; dopo aver percorso tutti gli af- fioramenti di lava e procurato di ricostituire le colate a cui appar- tengono; dopo aver tentato di riconoscere le singole bocche eruttive che le avevano emesse, ed essermi convinto per una serie di fatti caratteristici che i recinti lacustri dei due laghi, Sabatino e Vulsinio, non rappresentavano l’apertura di due crateri; mi sono permesso di emettere la mia opinione, che di quella convinzione è il ris tato. Ed il lago di Bolsena non è un cratere, non già per le sue di- mensioni che lo farebbero forse il cratere più grande del mondo, ma perchè il suo recinto non presenta la forma caratteristica dei crateri. I tufi sono stratificati con pendenza più o meno forte verso il lago, e dall’orlo del recinto grosse colate di lava si sono rovesciate giù nella conca: la provenienza degli uni e delle altre è chiaramente indicata dai grandiosi edifici vulcanici che esistono appunto su l’orlo di questo recinto del quale, rompendo l’uniformità della linea, ne formano i punti culminanti verso i quali sono rialzati gli strati di tufo e dai quali sono scese le lave. Ad Ovest del lago, nel vulcano di Latera, la stratificazione è for- temente e costantemente inclinata verso il lago; procedendo verso Nord fra le Grotte e San Lorenzo, sul ciglio del recinto lacustre, la stratificazione è orizzontale o leggermente inclinata all’interno, e questa disposizione si comprende facilmente, poiché questi tufi appartengono alle ultime eruzioni del vulcano e probabilmente a qualche sua bocca avventizia ; fra le Grotte e Gradoli, i materiali, di cui fanno parte molte scorie nere, sono rialzati verso il cono diLatera; sotto Gradoli. presso il confine fra il vulcano di Latera e quello di Bolsena, i tufi tornano ad essere orizzontali o rialzati verso Monte Landro, e per un piccolo tratto verso il vicino conetto di Monte Tonoco. A San Lo- renzo Vecchio, nella profonda valle di erosione che le acque vi hanno scavato, sono venuti in luce materiali vulcanici assai antichi e fra questi dei tufi pomicei i quali sono dolcemente inclinati verso il lago ; la loro disposizione mostra chiaramente che appartengono al vulcano di Latera, ma non vi è traccia alcuna di materiali che per la loro natura e disposizione si possano ritenere facenti parte d’una cinta cra- terica. A nord, nel vulcano di Bolsena, nell’angolo N.E del lago, vi sono delle località dove al disotto dei tufi inclinati verso il lago, se ne scorgono degli altri più antichi che sono invece rialzati verso l’interno della conca lacustre, ma non però approssimativamente verso il centro del lago, sibbene spiccatamente verso la parte set- tentrionale ; e questa disposizione coincide con 1’ esistenza da questa parte di una grande bocca eruttiva, della quale parlerò in seguito; all’infuori di questi pochi punti, tutto il lato orientale mostra i ma- teriali inclinati dove fortemente, dove dolcemente verso P interno qualche volta anche orizzontalmente, ma rialzati verso il lago mai : presso Bolsena vi è un’altra profonda valle di erosione, che ha messo in luce materiali antichi, ma anche qui i tufi sono inclinati verso l’in- terno. Nell’angolo S.E è situato il vulcano di Montefìascone, con il suo cono che si alza ripido, e si comprende come la stratificazione debba essere caratteristicamente rialzata da tutte le parti verso la sommità di esso. A sud. in mezzo alle piccole bocche del vulcano di Capodi- monte, i materiali o sono rialzati verso i singoli edifici, od inclinano dolcemente vprso il lago o sono orizzontali o quasi, ma neanche da questa parte vi è neppure un sol punto dove la stratificazione indichi la sezione interna d’un cratere. Se il recinto lacustre di Bolsena non ha i caratteri d’una cinta craterica, lo schizzo batometrico del De Agostini, che riporto nella — 135 annessa Carta dimostrativa, ci rivela chiaramente che neppure il fondo del lago ha i caratteri d’un fondo di cratere : le irregolarità di questo fondo di lago, malgrado i depositi lacustri che da tanti secoli lo vengono livellando, ci hanno conservato ancora le rovine di pa- recchie bocche eruttive e gl’indizi di altre completamente distrutte. Basandosi su la inclinazione dei tufi verso il lago, qualcuno po- trebbe definirlo per un cratere di deiezione , ma tale definizione cadrebbe di per se stessa e non credo sia necessaria una lunga confutazione per dimostrare che il lago di Bolsena per le sue dimensioni avrebbe potuto essere forse un cratere di esplosione o di sprofondamento , mai un cra- tere di deiezione , i quali si mantengono sempre entro limiti assai più modesti. Volendo sostenere essere la conca Vulsinia l’apertura di un cra- tere, si potrebbe opporre che la primitiva forma craterigena potrebbe benissimo essere stata alterata dagli edifìci vulcanici sorti posterior- mente su le rovine del primo, come pure che i tufi inclinati verso il lago e le lave rovesciatesi dall’alto giù nella conca, provenendo da queste ultime manifestazioni vulcaniche, non possono escludere la cra- tericità del lago, poiché i più antichi materiali non sono più visibili essendo stati ricoperti da questi ultimi. Tale ipotesi avrebbe certa- mente il suo valore, ma ad escluderla basta il fatto che le più antiche colate di lava, quelle che si vedono riposare su le rocce sedimentarie, appartengono alle bocche eruttive principali, che descriverò in seguito, per cui sarebbe affatto arbitrario supporre un cratere anteriore a queste, e del quale non si possono indicare i materiali eruttati. Del resto questo argomento l’ho trattato abbastanza diffusamente nella descrizione Delle bocche eruttive dei Vulcani Sabatini 1 e non credo sia il caso di ripetere qui tutte le ragioni esposte in quella mia memoria, per escludere la cratericità del lago Sabatino, che sono le medesime le quali mi fanno e con più forte ragione ritenere non craterica la conca Vulsinia. 1 P. Moderni, Op. cit. Fra gli autori che hanno creduto di vedere nel lago di Bolsena un cratere citerò il Barbieri 1 il quale dice che il lago di Vico e quello di Bolsena sono due crateri. Anche Procaccini-Ricci 2 * definisce il lago per un cratere, anzi per il più grande cratere che si conosca, ma poi impressionato dalla sua estensione termina concludendo essere più probabile che entro il lago abbiano arso più crateri, fatto che cam- bierebbe radicalmente la questione. Il Pilla J considera il lago un cra- tere spento riempito dalle acque e le sue grandiose dimensioni gli strappano esclamazioni di stupore. De Stefani 4 5 ritiene anch’egli che il lago sia il principale cratere del gruppo Vulsinio, anzi quello dal quale sarebbero uscite le lave trachitiche: al De Stefani, come dei resto a tutti gli altri che hanno studiato la regione Vulsinia è avve- nuto d’essere attratto specialmente dalla parte occidentale e meridio- nale del lago, dove bellissimi edifici vulcanici, ancora ben conservati, fermano l’attenzione del geologo e lo invitano a trattenersi, mentre nessuno parla del grandioso centro eruttivo che appena s’indovina nei dintorni di Bolsena, o se ne parlano si è per citare dei piccoli coni avventizi di esso. Ed è appunto a questo centro eruttivo che appar- tiene la bocca dalla quale sono uscite le colate che vedonsi fra San Lo- renzo ed Acquapendente e che il De Stefani ha studiato e descritto minutamente. Fra quelli che non riconoscono nel bel lago Vulsinio la forma craterica vi è il Pareto y il quale anzi dice essere impossibile sostenere che il lago riempia un vero cratere spento nel senso stretto della pa- rola, sibbene che tutto all’intorno siano avvenute delle eruzioni vul- caniche : questa verità egli ha intuito piuttosto che constatato, poiché 1 G. Barbieri, I Vulcani Cimino e Vulsinio , 1877. 2 V. Procaccini-Ricci, Viaggi ai vulcani spenti d’Italia , 1814. 8 L. Pilla, Osservazioni geognostiche lungo la strada da Napoli a Vienna , 1884. 4 C. De Stefani, I vulcani spenti dell’ Appennino settentrionale (Boll, della Soc. Geol. ital., Yol. X, fase. 8°). Roma, 1891. 5 L. Pareto, Osservazioni geologiche dal Monte Amiata a Roma (Giornale Arcadico di se., ecc., Voi. C). Roma, 1841. 137 — non cita il vulcano di Bolsena che dev’essere sfuggito anche a lui. Il Ponzi 1 nega anch’egli che i due laghi Sabatino e Vulsinio siano craterici. Breislak 2 3 crede poco probabile che il lago possa essere lo avanzo di un cratere ed è più propenso ad ammettere che la conca Vulsinia sia dovuta ad una profondità marina rimasta rinchiusa fra edifici vulcanici 5. 11 vom Bath 4 non riconosce nel lago gli avanzi di un cratere, mentre poi nella sua descrizione come in quella della re- gione Sabatina, cade spesso nella contradizione di chiamare il recinto della conca lacustre, orlo craterico. Il gruppo dei vulcani Vulsini è formato da quattro centri erut- tivi ben distinti l’uno dall’altro, ognuno dei quali ha una fìsonomia speciale caratteristica, e corrispondono probabilmente a grandi epoche nella storia vulcanica della regione, come pure è ammissibile che i loro prodotti presentino delle differenze nella loro composizione. Essi sono il vulcano di Patera, quello di Montefiascone e quello di Bolsena, si- tuati rispettivamente ad Ovest, a N.E ed a S.E del lago, in modo da formare un triangolo quasi equilatero; quello di Capodimonte occupa la parte meridionale del lago, e la spiaggia corrispondente, incastrato fra il vulcano di Patera e l’altro di Montefiascone: ho detto già quali sono le ragioni che consigliano di ritenere questi grandiosi vulcani per i primi edifici costrutti dalle forze endogene nella regione Vul- sinia, principalissima quella che le lave più antiche che si conoscano in detta regione, e che riposano direttamente su le rocce sedimen- tarie, sembrano appartenere appunto a questi quattro centri eruttivi. Si potrebbe obiettare che alle primissime eruzioni possano essere mancate le emissioni di lave; ma allora si dovrebbe almeno ricono- 1 G. Ponzi, Storia fisica dell’ Italia centrale (Atti R. Acc. dei Lincei, Voi. XXIV). Roma, 1871. 2 S. Breislak, Opera citata. 3 Per spiegare questa opinione del Breislak bisogna ricordare che l’ima- ginazione popolare, nell’assoluta mancanza di dati batometrici, attribuiva tanto a questo lago che a quello di Bracciano una profondità di 300 a 400 metri. 4 G. vom Rath, Opera citata. scere al disotto delle lave più antiche, una formazione tufacea ad esse anteriore, condizione che non si verica affatto, o meglio si ve- rifica soltanto nel vulcano di Bolsena, dove si rinvengono dei tufi al disotto di lave che però non possono essere ritenute, come si vedrà in seguito, per le più antiche dei vulcani Vulsini. Ciascuno di questi quattro vulcani ha avuto diverse fasi o pe- riodi, durante i quali si son venuti modificando e rimpiccolendo : questo rimpiccolimento delle bocche principali e delle numerose bocche avventizie da cui sono circondate e spesso deformate, mette chiara- mente in evidenza il graduale decrescere dell’attività vulcanica che ha finito per spegnersi successivamente nei quattro centri eruttivi. Fra i geologi che si sono occupati dei vulcani Yulsini, alcuni hanno citato tre centri eruttivi, e cioè Balera, Lagaccione e Monte- fìascone ; altri quattro, aggiungendo ai tre primi il Monte Bisenzo, mentre quest’ultimo e il Lagaccione sono semplicemente bocche avven- tizie del vulcano di Latera; altri infine hanno citato cinque centri eruttivi, ossia Latera, Lagaccione, Montefìascone, Montalfìna e Torre Affina, i quali due ultimi sono bocche avventizie del vulcano di Boi- sena, come il Lagaccione lo è di Latera e il Monte Iugo di Monte- fìascone. Nessuno, che io mi sappia, ha fatto menzione dei piccoli coni che stanno attorno a Capodimonte, nè del vulcano di Bolsena, il quale è certamente non inferiore agli altri per la sua grandezza e per la quantità dei materiali eruttati. Se il lago Vulsinio non è un cratere, questo non significa però che sotto alle sue acque non vi possano essere nascoste delle bocche eruttive : tale ipotesi la enunciai anche per il lago Sabatino, abbenchè per quello non vi fossero dati di fatto, come se ne hanno per il Vul- sinio, e con i quali è facile dimostrare l’esistenza di bocche eruttive al disotto dello specchio d’acqua del lago. Infatti, nell’isola Martana noi abbiamo sicuramente gli avanzi di un piccolo cratere, e ad oriente di esso, la forma delle isobate trac- ciate dal De Agostini su la carta del lago che ne accompagna lo studio batometrico, rivela l’esistenza degli avanzi di un cratere mag- giore, del quale l’isola Martar^a sarebbe una bocca avventizia. Alcune delle numerose accidentalità constatate dal De Agostini sul fondo del lago, potrebbero benissimo indicare i ruderi di altre bocche erut- tive, mentre non può essere messa in dubbio l’esistenza di un grande cratere fra le due isole. Su la spiaggia meridionale del lago esistono diversi altri piccoli edifici vulcanici, simili a quello dell’isola Martana, che sembrano essere le bocche avventizie di. questo centro maggiore distrutto e nascosto dal lago : se poi si considera che le due maggiori profondità si trovano appunto in questa parte del lago, assieme a due sporgenze sub-acquee che per la loro disposizione possono rappresen- tare dei piccoli coni avventizi od anche dei tratti del recinto craterico, l’ipotesi d’un grande centro eruttivo nascosto in questa parte delle acque, sembrerà tutt’altro che infondata. Un altro fatto che viene ad avvalorare tale ipotesi, l’abbiamo nella lava dell’ isola Bisentina, la quale per essere distante km. 2. 500 dal Monte Bisenzo (che è il cono più vicino) ed allo stesso livello della lava da esso emessa, non può essere ritenuta come frammento di colata proveniente da quel punto eruttivo, perchè è inammissibile che detta lava abbia potuto scorrere per sì lungo tratto, su terreno perfettamente piano: e questo senza tener conto del fatto importan- tissimo che la lava dell’isola Bisentina è visibilmente inclinata verso la spiaggia del lago, e della diversa natura delle due lave, perchè su essa vi potrebbero essere dispareri; però non posso a meno di citare che il Bucca mentre classificava la lava di Monte Bisenzo fra le an- desiti riconosceva invece per tefrite quella dell’isola Bisentina. Dunque se questa lava non può appartenere alla colata di andesite di Monte Bisenzo, da quale altro punto vi potrebbe essere venuta se non da una bocca eruttiva situata nel lago stesso, com’è chiaramente indicato dalla stessa sua inclinazione ? Da ultimo, le lave che dalle sponde del lago presso Marta, si di- stendono in linea retta da Nord a Sud per 25 chilometri, non tutte si potrebbero razionalmente assegnare alle eruzioni di Latera e Monte- fìascone, ma una parte di esse la cui provenienza sembrerebbe incerta, — 140 — \ trovano invece il loro punto naturale d’emissione in questo centro eruttivo situato fra le due isole Vulsinie. E qui sono obbligato di ripetere quanto in proposito ebbi a dire per il lago Sabatino, ma lo farò il più brevemente possibile : il negare che il lago sia un cratere, e dire subito dopo, che vi è la certezza che sotto alle sue acque vi sono nascoste delle bocche eruttive più o meno grandi, poco importa, può sembrare una contradizione, mentre non lo è affatto. Io non credo che l’attuale conca Vulsinia sia la con- seguenza della esplosione o dello sprofondamento di un’edificio vul- canico, perchè nel suo recinto non riconosco i segni caratteristici che nell’uno e nell’altro caso avrebbero dovuto restarvi, e perciò non posso chiamarla craterica; credo invece che questa conca sia dovuta allo sfasciamento totale o parziale di più bocche eruttive e relativo inabissamento loro e dei tratti di superfìcie adiacenti alle medesime. Come si vede le cause che hanno provocato la conca, sono complesse, ed alla sua formazione devono certamente aver contribuito anche le bocche eruttive che si trovano scaglionate attorno ad essa, perciò ri- tengo che non si possa chiamare il lago di Bolsena un cratere , come non si possono chiamare crateri gli avvallamenti di suolo formatisi nei dintorni di Leprignano 1, per quanto presentino caratteristica- mente il profilo imbutiforme dei crateri: chiamando il lago di Bolsena un cratere, noi daremmo al tutto il nome che conviene ad una o più parti di esso, mentre il complesso, cioè la conca lacustre non si può definire in altro modo che con il nome di conca od avvallamento vul- canico. Il von Buch 2 osserva, che nei vulcani i quali ebbero un periodo relativamente breve di attività, troviamo ordinariamente un edificio centrale circondato da un certo numero di bocche succursali minori; 1 P. Moderni, Il nuovo lago e gli avvallamenti di suolo nei dintorni di Leprignano [Roma) (Boll. R. Com. Geol., Anno 1896, n. 1). Roma, 1896. 2 L. von Buch, Description phgsique des Iles Canaries , suivie d'ime indica - tioi\ des principanx volcans dii Globe (Tr. d. Fall.). Paris, 1886. — 141 — mentre in quelli la cui attività vulcanica si prolungò per una lunga serie di secoli, presentasi sempre una riunione di più edifici con nu- merose bocche, delle quali le più recenti distrussero o deformarono le precedenti spente, riducendole un gruppo disordinato di coni. Dei primi ci offrono .splendidi esempi nella nostra Italia, l’Etna, Rocca- monfina ed il Vulcano Laziale; dei secondi, i Campi Flegrei, i Saba- tini ed i Vulsini. Questa regola, dedotta da osservazioni giustissime, va nondimeno soggetta a delle eccezioni, una delle quali ce la presenta il Vesuvio. Di questo vulcano noi conosciamo due fasi distinte, quella del Somma e quella attuale; ma per essersi il Vesuvio sviluppato entro l’antico cratere del Somma, quando ingranditosi per le sue deiezioni avesse coinvolto, nel nuovo edificio, le rocce che ci restano dell’antico rap- presentate oggi ancora dalla parte orientale del cono e dai due relitti (la collina di Camaldoli e quella ove sorge l’Osservatorio vesuviano) della parte occidentale e settentrionale, quando ciò fosse avvenuto in epoca preistorica, si sarebbe potuto facilmente scambiare per un vul- cano del primo sistema cioè ad un solo edificio centrale, mentre effet- tivamente appartiene al secondo, essendo il Somma ed il Vesuvio due edifìci appartenenti per età e per alcuni prodotti emessi dal primo, a due fasi diverse dello stesso vulcano ; un piccolo spostamento del canale eruttivo avrebbe dato luogo anche qui alla formazione di due centri eruttivi adiacenti come nei Vulsini, nei Flegrei, ecc. Dall’osservazione del von Buch però si deduce ad ogni modo che i vulcani Vulsini, i quali hanno quattro grandi edifìci vulcanici, cor- rispondenti certamente ad altrettante fasi di attività, debbono avere avuto una lunga durata, cosa del resto confermata dalla grande quantità di prodotti emessi; che questi prodotti molto probabilmente devono presentare delle differenze nei diversi edifici ; ed infine che le bocche eruttive ancora riconoscibili non possono rappresentare che una parte soltanto delle bocche eruttive dei vulcani Vulsini, perchè delle più antiche, alcune devono essere state sicuramente distrutte, deformate o coinvolte dagli edifici più recenti. — 142 — I vulcani Vulsini si trovano come gli altri vulcani romani, e come il Monte Amiata, Roccamonfina ed il Vesuvio, su la grande linea di frattura, parallela alla catena dell’Appennino, frattura da essi segnata con le imponenti rovine di tanti edifici vulcanici. Nella descrizione dei vulcani Sabatini, ho accennato alle diver- genze che vi sono fra diversi autori, sul tracciato di questa linea di frattura, e su l’ipotesi molto verosimile di alcuni, che invece di una sola linea di frattura, ve ne siano diverse parallele fra di loro , come anche all’opinione del Ricciardi 1 che la linea cioè segnata dall’Isola d’Jschia, dal Vesuvio e dal Vulture segni una frattura secondaria, trasversale a quella parallela alla catena appenninica, fatto che si verificherebbe anche nei Sabatini e nei Vulsini, dove appunto i maggiori edifici vulcanici ancora riconoscibili, si trovano allineati in ognun d’essi su questa linea di frattura trasversale. Fra un grande numero di bocche eruttive ancora riconoscibili come nella regione Vulsinia, si potrebbero facilmente tracciare un numero grandissimo di linee, le quali però non tutte rappresentereb- bero certamente delle vere linee di frattura, speciali a questo gran- dioso centro vulcanico. Nella qui annessa carta dimostrativa, ho se- gnato quelle che a mio credere più probabilmente indicano vere frat- ture a di queste meritano maggiore attenzione quelle dirette N.O-S.E, cioè parallele all’ Appennino ed alla grande frattura longitudinale, e quelle dirette O.N.O-E.S.E, ossia trasversali alla medesima; le altre rappresentano forse piccole fratture nei diversi vulcani del gruppo, ed alcuni allineamenti di bocche eruttive, potrebbero essere anche semplici casualità. In totale le linee da me tracciate sono 20, delle quali 6 dirette N.O-S.E, 3 dirette O.N.O-E.S.E, 4 dirette più o meno N-S, 6 dirette N.E-S.O ed 1 diretta E.N.E-O.S.O. Delle fratture con direzione N.O-S.E: Quella A è segnata da ,5 edifici vulcanici e cioè, dal cono di 1 L. Ricciardi, Sull’ allineamento dei vulcani italiani. Reggio Emilia, 1887. ; 143 — Torre Alfìna, dal cono di Fattoraccio, dal cono di Monte Panaro, dal cono di Poggio Apparita e dal cono di Monterado, i quali appar- tengono tutti al vulcano di Bolsena. Quella B è segnata da 5 edifìci vulcanici e cioè, dal cono di Mon- talfina, dal cratere di Belvedere, dal cono di Montienzo, dal cono di Palombaro e da quello di Monte Yarecchia; tutti appartenenti al vulcano di Bolsena ad eccezione dell’ultimo che appartiene a] vul- cano di Montefìascone. Quella C è segnata da 5 edifìci vulcanici e cioè, dal cratere del Lagaccione di San Lorenzo, dal cono di Pian Cerasolo, dal cratere di Bolsena, dal cono di Monte Segnale e dal cono del Fontanile di Monterado ; anche questi situati tutti nel vulcano di Bolsena. Quella D è segnata da 6 edifìci vulcanici e cioè, dal cono di Ra- dicofani, dal cratere di Sterta, dal cratere Yulsinio, dai due crateri * di Montefìascone, dove passa proprio nel centro cioè per il piccolo cono di Montarono, dal cratere di Fiordine e dal cono e cratere di Monte Iugo; il primo dì questi edifìci è uno dei vulcanetti eccen- trici dei Yulsini, il secondo ed il terzo appartengono al vulcano di Bolsena, gli altri tre ài vulcano di Montefìascone ; inoltre questa linea prolungata passa pure per il vulcano di Yico. Quella E è segnata da 7 edifici vulcanici e cioè, dal cratere della Piana di Yepe, dal cono di Poggio Montione, dal cono di Poggio Paterno, dal cratere di Regione Prati, dal cratere di Latera, dal cratere Lagaccione di Yalentano e dal cono di Montecchio; tutti ap- partenenti al vulcano di Latera ad eccezione dell’ultimo che appar- tiene al vulcano di Capodimonte. Quella F è segnata da 12 edifìci vulcanici e cioè, dal cratere di Lagaccione di San Lorenzo, dal cono di Pian Cerasolo, dal cono di Poggio Gazzetta, dal cratere di Belvedere, dai tre coni di Poggio del Giardino, dai due coni di Piazzano, dal cono di Poggio Cecala e dal cono di Monterado, tutti appartenenti al vulcano di Bolsena. Delle fratture dirette O.N.O-E.S.E: Quella G è segnata da 8 edifìci vulcanici e cioè, dal cono di San — 144 — Lorenzo Nuovo, dal cono di Monte Landro, da quelli di Sassara, di Poggio del Troscio, di Poggio del Torrone, di Poggio Pocatrabbio, dal cono di Fattoraccio e dal cratere di Lauscello, tutti appartenenti al vulcano di Boi sena. Quella H , che sarebbe poi la frattura trasversale a quella paral- lela alla catena appenninica e su la quale sono allineati il maggior numero ed i più importanti vulcani della regione Yulsinia, è segnata da 13 edifìci vulcanici e cioè, dal cono di Monte Becco, dal cono di Monte Rosso, dal cratere di Latera, dal cratere II Piano, dal cono di Monte Bisenzo, dal cratere Bisentino e dai due crateri Martani, dal cratere dei Molini della Valle e dall’altro di Montefìascone, dal cono di Montefìascone, dal cratere e dal cono di Montisola e dal cono di Monte Varecchia. Appartengono ai tre vulcani di Latera. Capodi- monte e Montefìascone. Quella U, quasi parallela e poco distante dalla precedente, sarebbe indicata da 8 edifìci vulcanici e cioè dal cono di Monte Becco, dal cono di Poggio Murcie, dal cratere di Latera, dal cono di Valentano, dal cratere del Lagaccione di Valentano, dal conetto di Monte Fio- roni, dal cratere di Capodimonte e da quello di Fiordine, anche questi appartenenti ai tre vulcani di Latera, Capodimonte e Montefìascone. Delle fratture con direzione N-S: Quella I è segnata da 8 edifìci vulcanici e cioè: dal cono di Poggio Apparita, dal cono di Poggio Cecala, dal cono di Poggio Girella, dal cono di Casale Omicidio e da quello di Trebiano, dal cratere e dal cono di Montefìascone e dal cratere di Fiordine; appartengono in parte al vulcano di Bolsena ed in parte a quello di Montefìascone. Quella K è segnata da 8 edifici vulcanici e cioè, dal cono di Poggio Pocatrabbio, dal cono del Monte di Vietena, dal conetto più ad Est dei Poggi del Giardino, dal cratere di Bolsena, dal cono del Podere del Marchese, dal cono di Poggio Cerretella, dal cratere di Montefìascone, dove passa proprio per il conetto di Montarone che ne segna il centro, e dal cratere di Fiordine: i primi 6 appartengono al vulcano di Bolsena e gli ultimi 2 al vulcano di Montefìascone. — 145 — Quella L è segnata da 9 edifici vulcanici e cioè, dal cono di Torre Alfina, dal cratere del Lagaccione di San Lorenzo, dal cratere a Nord di Monte Landro, dal cono di Monte Landro, dal cratere di Sterfca, dal cratere Yulsinio, dal cratere Bisentino, da quello di Capodimonte e dal cono del Monte di Marta: i primi 6 appartengono al vulcano di Bolsena e gli ultimi 2 a quello di Capodimonte. Quella M è segnata da 7 edifici vulcanici e cioè, dal cono di Poggio Evangelista, dal cratere di Yepe, dal cono di Poggio Mon- tione, dal cratere di Regione Prati, dal cratere di Latera, dal cono del Monte Starnino e dal cono del Monte di Celierò, tutti apparte- nenti al vulcano di Latera. Delle fratture con direzione N.E-S.O: Quella N è segnata da 8 edifiici vulcanici e cioè, dal cono di Monte Panaro, dal cono del Monte, dai due coni di Monte Piazzano, dal cratere Yulsinio, dal cratere Bisentino, dal cono di Monte Bi- senzo, dal cratere del Lagaccione di Yalentano e dal cono del Monte di Cellere; i primi 3 appartenenti al vulcano di Bolsena e gli ul- timi 3 a quello di Latera. Quella 0 è segnata da 7 edifìci vulcanici e cioè, dal cono di Mon- talfìna, dal cono di Sassara, dal cratere di Sterta, dal cono di Monte San Magno, dal cratere di Latera, dal cratere di regione Prati e dal cratere II Piano; i primi 3 appartenenti al vulcano di Bolsena e gli altri 4 al vulcano di Latera. Quella P è segnata da 8 edifici vulcanici e cioè, dal cono di i Torre Alfìna, dal conetto di San Lorenzo, dal cono di Tarciano, dal cono di Monte Tonoco, dal cratere e cono di Latera, dal cono di Yalentano, dal cono di Monte Starnino e dal cono di Monte Marano; i primi 2 appartenenti al vulcano di Bolsena e gli altri 6 a quello di Latera. Quella Q è segnata da 8 edifici vulcanici e cioè, dal cono di Poggio Pocatrabbio, dal cono di Poggio del Torrone, dal cono di Poggio Pianale, dal cratere Yulsinio, dai coni di Montione, Monte Spignano, Monte Rosso e dal cono di Semonte: i primi 4 apparten- gono al vulcano di Bolsena e gli altri 4 a quello di Latera. 10 — 146 — Quella E è segnata da 6 edifici vulcanici e cioè dal cono di Torre Alfina, dal cono di Poggio Evangelista, dal cratere di Yepe, dal cono di Monte Calveglio, dal cono di Monte Becco e dal cono di Semonte; il primo appartenente al vulcano di Bolsena e gli altri 5 a quello di Latera. Quella S è segnata da 4 edifici vulcanici e cioè, dal cono di Ra- dicofani, dal cono di Monte Rosso, dal cratere di Vallecupa e dal cono di Monte Calvo. Quella T è segnata da 7 edifici vulcanici e cioè, dal cono di Fat- toraccio, dal cono di Poggio Pocatrabbio, dal cono di Poggio Pianale, dal cono di Pian Cerasolo, dal cono di Poggio Finocchiara, dal cra- tere di Sterta e dal cono del Molino di Torciano ; tutti appartenenti al vulcano di Bolsena, ad eccezione dell’ultimo che appartiene al vulcano di Latera. Inoltre su le 4 linee cbe con direzioni diverse attraversano il lago, è probabile si trovino allineate altre bocche secondarie che le acque del medesimo nascondono ai nostri occhi, ma delle quali le ir- regolarità del fondo, verificate dal De Agostini, potrebbero essere un indizio. «■ * «■ Il numero totale delle bocche eruttive dei vulcani Vulsini, com- prese pure tutte quelle località dubbie per le quali non si hanno che pochi dati ed incerti, sarebbe di 94, divise in 4 gruppi o vulcani af- fatto distinti l’uno dall’altro, e 8 bocche eccentriche, come appresso: Vulcano di Latera. 9. Cono di Poggio Evangelista. 10. Id. di Poggio Montione. 1. Cratere e cono di Latera. 11. Id. id. 2. ia. della Piana di Vepe. 12. Id. di Poggio Paterno. 8. Id. del Lago di Mezzano. 13. Id. di Monte Spignano. 4. Cono di Monte Rosso (Mezzano). 14. Id. di Poggio Pilato. 5. Id. di Monte S. Magno. 15. Id. di Poggio Murcie. 6. Id. di Talentano. 16. Id. di Monte Calveglio. 7. Id. di Monte Starnino. 17. Cratere di Regione Prati. 8. Id. di Monte Becco. 18. Id. di Regione II Piano. — 147 — 19. Cono di Tarciano. 20. Id. di Monte Tonoco. 21. Cratere di Lagaccione (Yalentano). 22. Cono di Monte Bisenzo. 23. Id. di Monte Marano. 24. Id. del Monte di Collere . 25. Id. di Semonte. 26. Id. di Monte Calvo. 27. Cratere di Yallecupa o Poggio Luccio. 28. Cono di Monte Bosso. Vulcano di Capodimonte. 29. Cratere Bisentino. 30. Cono del Monte di Marta. 31. Cratere di Capodimonte. 32. Cono di Poggio S. Maria. 33. Id. di Montecchio. 34. Id. di S. Antonio. 35. Id. di Monte Fioroni. Vulcano di Montefiascone. 36. Cratere minore di Montefiascone. 36 ’àis. Cono di Montarono. 37. Cratere maggiore di Montefiascone. 38. Cono di Montefiascone. 39. Cratere presso i Molini della Valle. ±0. Id. Martano. 40- W*. Id. dell’isola Martana. 41. Id. di Fiordine. 42. Id. di Montisola. 43. Cono di Montisola. 44. Id. di Monte Varecchia. 45. Id. e cratere di Monte Iugo. Vulcano di Bolsena. 46. Cratere Vulsinio. 47. Cono di Poggio Cerretella. 48. Id. di Palombaro. 49. Id. di Trebiano. 50. Id. del Fontanile di Monterado. 51. Id. di Casale Omicidio. 52. Cono di Montienzo. 53. Id. del Podere del Marchese. 54. Id. di Monterado. 55. Id. di Ceccorabbia o Poggio Girella. 56. Id. del Poggetto. 57. Id. di Poggio Cecala. 58. Id. del Poggio del Crocefisso. 59. Id. di Monte Segnale. 60. Id. dell’Apparita. 61. Cratere di Bolsena. 62. Id. di Belvedere. 63 a 65. Coni e cratere dei Poggi del Giardino. 66 e 67. Coni di Piazzano. 68. Cono Il Monte. 69. Id. di Monte Panaro. 70. Id. del Fattoraccio. 71. Cratere di Lauscello. 72. Cono di Poggio Pocatrabbio. 73. Id. di Macchia Vignara. 74. Id. del Monte di Vietena. 75. Id. di Poggio Gazzetta. 76. Id. di Poggio Pianale. 77. Id. del Torrone (Y.0 di Bolsena). 78. Id. di Montalfina. 79. Id. di Poggio del Troscio. 80. Cratere di Sterta. 81. Cono di Pian Cerasolo. 82. Id. di Poggio Finocchiara. 83. Id. di Sassara. 84. Id. di Monte L andrò. 85. Cratere Morichino. 86. Id. di Lagaccione (S. Lorenzo). 87. Cono di S. Lorenzo nuovo. 88. Id. di Torre Alfina. 89. Id. di Casale Truscione (nella macchia di Lutinano). Bocche eccentriche. 90. Cono di Badicofani. 91 e 92. Vulcanetti di S. Venanzo. ( Continua ). — 148 - III. A. Verri. — Sulla divergenza di vedute circa le forma - zioni eoceniche e mioceniche dell* Umbria. 1 L’ing. Lotti, avendo rilevate nell’Umbria superiore le tavolette Città di Castello e Perugia, in base alle conclusioni cui ha creduto venire riguardo alle formazioni della Toscana, ha considerata eoce- nica la formazione ad Est di Monte Santa Maria Tiberina; anzi, avendo riscontrati banchi litologicamente rassomiglianti nella forma- zione eocenica ad Ovest del Monte Acuto, ha emessa l’opinione che quella di Santa Maria appartenga al medesimo piano: tanto più che . quest’ ultima, per la declinazione degli strati ha l’apparenza di andare a sottoporsi ad una formazione eocenica con orbitoidi, egualmente come avviene in fatto nella serie ad Ovest del Monte Acuto per i banchi che le si rassomigliano. Quindi l’ing. Lotti pone la formazione ad Est di Monte Santa Maria Tiberina nell’eocene inferiore, od almeno in un piano inferiore dell’eocene medio. Il giudizio paleontologico del Foresti, del De Stefani, del De An- gelis, del Dì Stefano è stato ed è che la formazione fossilifera ad Est di Monte Santa Maria Tiberina sia decisamente miocenica. Prima io attribuiva la sua disposizione stratigrafica, rispetto alle vicine rocce eoceniche, ad effetto di ribaltamento; dopo le ultime gite fatte là la attribuisco a rottura con spostamento nel senso verticale. Pare che altri consideri quella formazione come un lembo di miocene sopra rocce eoceniche. Nell’Umbria, tra lo sfacelo che ha frazionate le formazioni, e per lo più rende difficilissimo riconoscere i rapporti stratigrafìci, abbiamo una piega dove la serie è meglio in posto. Questa plaga è nel foglio 1 Nota presentata nell’adunanza 8 giugno 1908 del R. Comitato geologico. 123 della Carta topografica al 1 100000 (Gualdo Tadino). Là, addos- sata alla massa mesozoica del Subasio, si spiega la serie terziaria: I. Calcari marnosi cinerei addossati alla scaglia rossa del Subasio. II. Zona marnoso-arenacea con nummuliti e banchi conchigli- feri contenenti piccoli pecten, ecc. III. Zona marnoso-arenacea con rocce ofiolitiche e banchi con- chigliferi contenenti pur essi piccoli pecten, ecc. IV. Zona marnoso-arenacea con banchi di lueine, ostree, pet- tini, ecc , ed abbondanza di pteropodi nelle marne intercalate. Poiché i fossili raccolti in quest’ultima zona sono stati riferiti al miocene dai paleontologi, ai quali li ho mostrati, vengo a queste conclusioni : a) se sono giuste le determinazioni paleontologiche, nell’Umbria sta sopra Teocene una estesa e potente formazione miocenica; b) quando i criteri paleontologici non siano giusti, la forma- zione che è ritenuta miocenica potrebbe venire, per posizione strati- grafica, al piano dell’eocene superiore, non mai al piano tra l’eocene inferiore e il medio, cui riferisce il Lotti quella ad Est di Monte Santa Maria Tiberina; c) che, per definire la questione, bisogna anzitutto risolvere il quesito: I fossili dei banchi con pettini, lueine, ostree, ecc., che posano distintamente sopra l’eocene superiore nei seguenti luoghi : C. La Ro- mita presso Casa Castalda; C. Col d'Orto presso Pieve di Compres- seto; Schitanoia, C. San Giorgio, C. Bagnole alla confluenza del fiume Rasina col fosso che scende da Casa Castalda; sul terreno a Nord di Collemincio pressa la confluenza del torrente Arone col torrente che passa sotto Collemincio, sono effettivamente miocenici? e le formazioni che li contengono sono equivalenti a quella di Monte Santa Maria Tiberina? Oltre alle località suindicate, ho veduto banchi fossiliferi di tipo analogo, e somigliantemente disposti, risalendo verso Nord la catena che separa l’altipiano di Gubbio dalla valle del Tevere: presso — 150 — C. Aquina a Nord di Carestello; a C. Monte Salatole presso la Cura di Monteanaldo; tra C. Valpiana e lo Spaccio presso Castiglione Aldobrandi; a Pieve de’ Saddi, a Candeggio. Altri banchi, o meglio frammenti di banchi si vedono a Busche presso Gualdo Tadino ; nella collina di Prepo presso Perugia; sotto Cerqueto nella valle del Te- vere tra Deruta e Marciano. Più v’è la formazione che si può dire classica del Monte Deruta. Ma nessuna di queste località presenta la disposizione stratigrafìca così nitida come la sezione indicata a Nord del Subasio. Roma, giugno 1903. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER l’anno 1902 1 (i Continuazione , vedi n. 1) Dal Lago D. — La trasgressione nel terziario antico , il piano Priabo- niano e le pubblicazioni del Dott. Paul Oppenheim . (Atti B. Istituto veneto, 8. 8a T. 4°, disp. 3a, pag. 273-279). — Yenezia, 1902. L’autore, dopo avere accennato alle molte pubblicazioni clie, sul terziario del Vicentino e specialmente sugli strati di Priabona, furono fatte da autori italiani e stranieri, riporta in succinto quanto fu pubblicato su questo argo- mento dairOppenheim nel suo lavoro sui Colli Berici (vedi Bibl. 189 6), e ulti- mamente nella sua monografia Die Priabonaschichten und ilice Fauna in zusam ■ menhange mit g lei cimiteri gen und analogen Ablagernngen vergleichend bete aditeli, Stuttgart, 1901. Da questi studi resta confermato che gli strati di Priabona appartengono alloligocene e debbono quindi essere esclusi dal Bartoniano; che la fauna di essi è formata dai tipi antichi del calcare grossolano e delle sabbie medie del Bacino di Parigi coi rispettivi equivalenti nell’Europa alpina, mescolata con tipi di formazioni più recenti, cioè strati di Pontainebleau, Weinheim, Castelgomberto e Gaas : e che nel V eneto come nelle Alpi occidentali esiste una trasgressione nei sedimenti marini fra le ultime deposizioni dell’eocene medio e gli strati di Priabona. Lo stesso Oppenheim fa conoscere gli equivalenti degli strati di Priabona e le trasgressioni rilevate in essi in gran parte dell’Europa, nell’ Africa, nelle Indie occidentali: risultando da queste che gli strati di Priabona sono pene- trati nella regione alpina prima che in quelle dell’Europa settentrionale e del- l'America e solo più tardi nei bacini di Parigi e di Magonza, in certi punti delle Alpi settentrionali e nelle Indie occidentali. 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 152 — Dal Piaz GL — Sulla geologìa del gruppo montuoso di Campotorondo. (Atti R. Istituto veneto, S. 8°, T. 4°, disp. 3a, pag. 193-201). — Venezia, 1902. L’autore, che già si occupò dello studio geologico del gruppo montuoso delle Vette a X.O di Feltre, espone in questo studio il risultato delle sue ricerche sull’altipiano di Campotorondo confinante col gruppo medesimo e pre- senta uno spaccato che taglia il gruppo in direzione X.O-S.E, dal monte Le Rosse e passando per monte Pizzocco e monte Piz discende nel vallone bei- lunense. Partendo dalla parte più elevata del monte Le Rosse, si passa dalla scaglia in strati ripiegati, a banchi di calcari marnosi di vario colore del cretaceo medio ed inferiore e successivamente al Titoniano, al Kimmeridgiano, al Maini e al Dogger. Agli ultimi pendìi di questo monte Le Rosse si trova una pianura alluvionale che forma il fondo della conca di Brendol, dopo la quale si incon- trano i calcari del Lias medio ora compatti, ora oolitici. Questi banchi poco in- clinati e molto erosi presentano fenomeni carsici. Successivamente si vedono » calcari compatti, scuri e quindi calcari dolomitici a coralli mal conservati che l’autore riferisce al Lias inferiore. Succedono a questi le dolomie forse del Trias che costituiscono la cima del Monte Pizzocco. Fra questo ed il Monte Piz si ha un brusco cambiamento nella inclinazione degli strati per la presenza di una piega assai risentita con frattura e per la quale, discendendo verso la valle, s’incontra tutta la serie dei terreni descritti in senso inverso. L’elenco dei fossili citati dall’autore conferma le determinazioni cronologiche dei terreni. Dal Piaz GL — Dì un incluso granitico nella trachite degli Euganei. (Rivista di min. e crist. ital., Voi. XXVIII, fase. Ili a V, pag. 41-49. con tavola). — Palermo, 1902. L’incluso granitico oggetto della presente nota fu dall’autore rinvenuto nella trachite porfirica di Monte Alto, parte orientale degli Euganei. Esso è costituito da una piccola massa irregolarmente ellissoidale, meno grossa di un pugno, ricoperta in gran parte da una specie di patina riolitica, come quella disseminata in segregazione e che passa lentamente alla trachite. Quest’incluso ha l’aspetto di un granito biotitico di tipo abissale. L’autore espone il risultato delle analisi, chimica e microscopica, tanto della roccia inclusa che della in- cludente. - 153 — La prima risulta costituita da un aggregato olocristallino di individui ir- regolarmente distribuiti di quarzo, mica e in prevalenza di feldspati. Di questi è poco frequente l’ortoclasio e più il plagioclasio, che va riferito all’oligoclasio. Il quarzo è sempre allotriomorfo con inclusioni numerose, specialmente di zircone. Le plaghe più grandi di biotite sono a contorno irregolare; solo gli in- dividui completamente inclusi nel quarzo e nel feldspato conservano la forma poliedrica. Questo granito presenta rapporti di somiglianza con quello di Cima d’Asta. La roccia includente appartiene al gruppo delle lipariti, ma corrisponde più precisamente alla trachite cornea di v. Rath o riolite litoide del Pirona. Sull’origine di quest’incluso, per la scarsezza del materiale raccolto e per la mancanza in questa località di altri esempi che possano fornire maggiori particolari, l’autore crede non si possa giungere a conclusioni definitive, non avendosi argomenti sufficienti per ammettere che si tratti di una roccia strap- pata da profondità e coinvolta dai materiali eruttivi, come fu constatato in altre località, ovvero si tratti di differenziazione strutturale prodottasi in un magma di effusione. Isella tavola sono rappresentate in fototipia le sezioni sottili tanto della roccia inclusa che della includente e della zona di contatto. Dal Piaz Gr. — Studio geologico del gruppo di Montegcilda. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXYIII, fase. Ili a Y, pag. 51-74, con carta geologica). — Padova, 1902. Il gruppo montuoso di Montegalda trovasi a nord dei Colli Euganei, nel tratto di pianura tra questi e l’estremo orientale dei Berici. Consta di sei pic- cole colline, cinque delle quali assai vicine tra loro e la sesta detta Ponzimaglio staccata dalle altre: la massima altezza di esse è di 77 metri e la più piccola non raggiunge che 44 metri. Questo gruppo di colline si trova nella direzione della frattura Schio-Yicenza. Esso è costituito alla base da tufi basaltici passanti a brecciole con frammenti di roccie basaltiche e di calcare. A questi succedono in perfetta concordanza calcari verdicci scagliosi o compatti sormontati da altri calcari arenacei o terrosi. Piloni di roccie basaltiche attraversano i calcari. Le formazioni calcaree sono sollevate nel centro ed inclinate dolcemente tutto all’intorno. Dallo studio dei fossili, dei quali dà un elenco, l’autore riconosce in essi due piani dell’oligocene: uno superiore a Trochus Lucasianus Brong. che corrisponde agli strati di Castelgomberto, l’altro inferiore a Cidaris striatogra - uosa d’Arch. che per analogia colle vicine formazioni viene sincronizzato col piano a Cyphosoma cribrimi delle classiche regioni vicentine. — 154 — Pochi sono i fossili nei tufi sottostanti: per analogia con quelli del Ti- centino si possono sincronizzare con le brecciole del tongriano inferiore di Montecchio Maggiore. Sono da ultimo prese in esame le roccie vulcaniche che affiorano in questo gruppo di colline; e dallo studio petrografico risulta che esse complessivamente sono da riferirsi al gruppo dei basalti doleritici, e coprendo esse in alcuni punti le formazioni oligoceniche, l'autore le ritiene coeve ai basalti di Monte Spiado nei Beri ci. Alla nota è unita una Carta geologica del gruppo. Dal Piaz Gh — Note sulla costituzione geologica eli Albettone (pag. 4 in-8°). — Padova, 1902. L’autore, mentre ha rilevato dalla Carta geologica del Vicentino del Xegri che la collina di Albettone che si eleva nella pianura tra gli Euganei ed i Borici risulta costituita di sola scaglia, osserva che il De Zigno vi citò dei fossili eo- cenici. Dalle ricerche da lui fatte risulta che al disopra della scaglia si trovano in alcune parti strati marnosi eocenici in concordanza, ed in altre tufi grossolani. Dal Piaz Gr. — Su alcune impronte vegetali nei mica scisti del Trentino. (Boll. Soc. Greol. ital., Voi. XXI, fase. 3°, pag. lxiv-lxvi). — Roma, 1902. L’autore dà comunicazione con lettera delle impronte vegetali da lui rac- colte nel micascisto dell’alto Trentino e precisamente presso Bresimo all’est di Rabbi, nei monti sulla sinistra della valle di Sole. Esse sono resti di calami - naree simili a quella dal Sismonda trovata nello gneiss, che il Brongniart giu- dicò prossima all’ Eqnisetum infnndibuli forme (Macrostachva infundibuliformis) del carbonifero. Dannenberg A. — Die Deckenbasalte Sardiniens. (Centralblatt fiir Min.. Geol. und Pai., Jahrg. 1902, n. 11, pag. 331-342). — Stuttgart, 1902. Le roccie basaltiche della Sardegna hanno tre aree di diffusione molto bene circoscritte: la prima comprende gli apparati vulcanici del X.O dell’isola, chia- mati dal Lamarmora l’Alvernia sarda; la seconda abbraccia il distretto del Monte Ferrò e del Monte Arci ; la terza, infine, una serie di piattaforme basal- tiche nella parte centrale dell’isola. Per queste ultime è caratteristica la man- canza di aperture crateriformi: non appare il centro di eruzione da cui è se- - 155 — gregata la massa eruttiva che doveva essere molto fluida, perchè ha coperto vaste superficie con potenza di rado superiore ai 5-10 m. Lo stesso Lamarmora si è preoccupato di questa mancanza di bocche di emissione ed ha detto enigmatica la provenienza di tali basalti. Invece, al pari di molti altri basalti analoghi delle Isole Britanniche e delle Fàròer, è stato emesso da numerose fessure. Queste piattaforme basaltiche costituiscono un elemento topografico carat- teristico che ha ricevuto il nome di « Giara » (p. es.: Giara di Gestudi). L’au- tore si era proposto di farne uno studio sistematico che però è stato interrotto, e non potrà essere ripreso da lui. Rende perciò conto soltanto delle osservazioni che ha potuto fare descrivendo successivamente le località studiate: 1° Pianoro di Orosei. Forma un bassopiano nella valle del Rio Mannu; giunge alla costa ed è circondato al sud dal calcare cretaceo, a nord da granito ; le sue formazioni appaiono pure sotto le colate basaltiche. Il Lamarmora indica come cono vulcanico una collinetta scoriacea (Sa Mortale) che l’autore ritiene invece come un piccolissimo cratere di esplosione; 2° La piattaforma di Dorgali è nelle stesse condizioni della precedente colla quale confina. Il granito sottostante è solcato da un reticolato di filoni basaltici ; 3° La piattaforma di Bari Sardo, nell’Ogliastra ; 4° Dintorni di Xurri, dove si trova il Monte Planu Murras, ritenuto dal Lamarmora come un cono vulcanico, ed il Monte Gussini che è certamente un prodotto del vulcanismo ma di singolarissima natura, che l’autore si ferma a descrivere. Tutti i basalti delle piattaforme sono basalti proprii e felspatici, con carattere doleritico e struttura ofitica. Xel Monte Gussini il felspato ha un tale predominio che la roccia non sembra più un basalto. Altri basalti a struttura porfirica com- paiono a Sa Mortale, a Dorgali, al Monte Gussini, presso cui pure si trovano le scorie costituite da un ialobasalto. I minerali componenti sono augite, olivina, ed un plagioclasio basico (labradorite), in più un minerale metallico (magnetite o ilmenite). De Angelis d’Ossat G. — Fauna liasica di Castel del Monte (Umbria). (Boll. Soc. G-eol. it'al., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 30-32). — Roma, 1902. In questa nota preventiva l'autore si limita a dare l’elenco di 15 forme a facies di brachiopodi della fauna raccolta dal Col. Verri a Castel del Monte presso Acquasparta, che la dimostrano appartenere al Lias medio. Accenna pure al rinvenimento di fossili in una località prossima a quella sopra indicata, nel rosso ammonitico. 156 — De Angelis d’Ossat GL — Un posso trivellato presso Napoli . — (Boll. Soc. Gt-eol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 33-35). — Roma. 1902. L’autore descrive alcuni saggi di un pozzo trivellato eseguito presso Na- poli che, quantunque di località sconosciuta, pure presenta qualche interesse anche per la profondità da esso raggiunta, che è di 150 metri. I saggi esaminati sono in ordine discendente: 1° Pomice bianca. — 2° Tufo vulcanico terroso cinereo con conchiglie ma- rine. — 3° Lava leucitica in piccoli frammenti. — 4° Tufo vulcanico cinereo con ciottoletti di pomici bianche e cristallini di augite. — 5° Cenere torbosa nera con pomici bianche e frammenti di conchiglie probabilmente d’acqua dolce. — 6° Conchiglie marine con colori naturali. . — 7° Argilla plastica, grigio-gial- lastra con frammenti di conchiglie marine e ciottoletti vulcanici. — - 8° Argilla giallastra con molti inclusi brecciformi piccolissimi di calcari, selce e di elementi vulcanici, e inoltre frammenti di conchiglie marine, spicole di spugne e fora- miniferi. De Angelis d’Ossat GL — Appunti sopra alcuni minerali eli Casal di Pari [comune di Campagnatico , provincia di Grosseto). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 12, 1° sem., pag. 548-555). — Roma, 1902. I giacimenti di minerali dei quali l’autore si occupa in questa nota sono : 1° quello di antimonio denominato Selva a 2 km. a nord dell’abitato di Casal di Pari; 2° quello di Sant’Antonio e Yal d’ Aspra (galena) a 3 km. dallo stesso caseggiato ; 3° quello detto Miniera di Casale (cinabro) a 2 km. dallo stesso paese verso X.O. II minerale di antimonio della Selva trovasi entro roccie molto alterate al contatto delle roccie triasiche ed eoceniche, poco lungi da quelle del pernio- carbonifero. Il minerale si presenta in noduli entro una massa silicea od in una argilla proveniente da scisti del paleozoico. La stibina è il minerale industrialmente importante e si presenta in ag- gruppamenti di cristalli a struttura fibroso-raggiata o in cristalli aciculari più o meno alterati. L’autore dà l’analisi di tre campioni a diverso grado di alte- razione per i quali la stibina passa a suoi derivati. Risulta da essa la mancanza di arsenico e di piombo. Altri minerali di questo giacimento sono cervantite, stibiconite o antimo- nocra, zolfo, pirite, ematite, gesso e quarzo. Il minerale scavato a Sant’Antonio e Val d Aspra è di galena. Esso trovasi in piccole vene entro un lembo di calcare magnesiaco sopra gli scisti permo- carboniferi in grossi blocchi e noduli spesso rivestiti di cinabro, entro cavità riempite di detriti e di argilla internamente alla massa ealcareo-dolomitica. Esso è in ammassi di cristalli cubici che l’analisi mostra privi di argento, antimonio, zinco e rame. Velia stessa miniera si trova cinabro, calcopirite, pirite, fluorite, quarzo, limonite, azzurrite, malachite, calcite e gesso. Velia miniera di Casale si trova il cinabro entro una diga di quarzo fra gli scisti permo-carboniferi : esso tappezza i frammenti silicei. La roccia è frat- turata dando luogo a vene di argilla nelle quali è frequente il cinabro. Oltre il quarzo havvi pirite e zolfo. Esposte le opinioni del DAchiardi, del Toso e del Lotti sull’origine di questi giacimenti, sembra all’autore che, tenuto conto che essi sono non lontani dal Monte Amiata, da Eadicofani ed altri giacimenti analoghi, e che prossima ad essi è la sorgente termale di Petriolo, si possa, con ogni riserva, attribuire l’origine dei giacimenti descritti a metasoma tism o , ritenendo il cinabro come impregnazione metallifera del filone quarzoso analogamente a quello di Almaden. De Angelis d?Ossat G. — Un nuovo giacimento di Cinabro presso Saturnia [provincia di Grosseto ). (Rassegna mineraria, Yol. XVII, disp. 16, pag. 273-275). — Torino, 1902. Questo giacimento trovasi nel comune di Manciano, presso la frazione Sa- turnia. Ivi il suolo è costituito da un banco di travertino su cui questa è edificata, e che si appoggia su roccie plioceniche, dalle quali affiora l’eocene che si sviluppa assai lungo l’Aibegna. Il terreno nel quale l’autore ha eseguito saggi di cinabro con buon esito, sta tra il fosso Gattaia ed il fiume Albegna a nord-est di Saturnia. Egli presenta due sezioni schematiche una, da Albegna al fosso Gattaia di- retta ovest-est, l’altra sulla riva destra del fosso suddetto in direzione sud-nord : da esse risulta la disposizione delle diverse roccie, ed i loro rapporti col cinabro. Vota pure la presenza di una sorgente sulfurea termale sotto il paese, detta Bagno di Saturnia e altre due acidulo -ferruginose poco lungi, dette le Caldine e la Pelagona, in relazione colle roccie vulcaniche del Monte Amiata. Il cinabro venne dall’autore rinvenuto in tre giacimenti : 1° Entro fratture del calcare marnoso e della arenaria dell’eocene non alterati, e nelle marne e argille provenienti da roccie eoceniche alterate, in- sieme a zolfo, gesso ed ossidi di ferro e manganese. — 158 - 2° Disseminato scarsamente nel calcare arenaceo pliocenico e nelle sabbie ed in mosche e venuzze nel conglomerato pliocenico del versante dell’Albegna. 3° In un terreno detritico di trasporto che ricopre le roccie eoceniche e plioceniche, disseminato irregolarmente. Mentre il cinabro sarebbe in posto nei due primi giacimenti, nel terzo sa- rebbe di trasporto, ma proveniente da località vicina, trovandosi in esso dei grossi blocchi di roccie eoceniche ricche di cinabro. Questi giacimenti presenterebbero molta analogia con quelli del Siele e dall’Abadia San Salvatore. Intorno alla loro origine, attendendo nuovi dati dalle escavazioni, sembra all’autore che in essi abbia avuto 'luogo lo stesso processo di precipitazione ammesso dal Dotti per il giacimento di Cortevecchia, e che in ogni modo il cinabro è ivi stato portato e deposto da sorgenti idro -termali. De Lorenzo GL — Considerazioni sull’origine superficiale dei vulcani . (Atti E. Acc. Se. fis. e mat., S. 2a, Yol. XI, n. 7, pag. 1-19, con ta- vola). — Napoli, 1902. D’autore riassume in questa memoria le osservazioni e le considerazioni da lui fatte sui vulcani, per convalidare l’opinione già da lui espressa che gii at- tuali fenomeni eruttivi sono limitati alla parte superficiale o corticale del nostro globo. I vulcani quindi, anziché estrusioni di un’unica massa centrale, sono da riguardarsi come sintomi esteriori e superficiali di un corpo planetario in via di avanzato consolidamento o raffreddamento e nella sua gran massa interna già quasi del tutto irrigidito. A tale conclusione l’autore giunge colle seguenti considerazioni tratte spe- cialmente dai vulcani dell’Italia meridionale. Distingue i vulcani in vulcani di tufo o materiale frammentario, in vulcani di lava ed in vulcani compositi in cui si alternano lave e tufi. Dalla qualità e dalla quantità del materiale, attraverso il quale il magma si è aperto il passaggio, può aversi un criterio della profondità da cui il magma è partito. Nei vulcani di tufo, ritenendo tutto il materiale eruttato come allogeno, cioè strappato dal magma alle pareti del camino per cui passa, il volume complessivo di esso in rapporto all’ampiezza dell’apertura che è nota, darebbe con un calcolo appros- simativo la profondità massima dalla quale l’eruzione è partita, ed applicandolo al Monte Nuovo l’autore troverebbe un massimo di 1248 metri. Nei vulcani di lava e nei compositi invece il criterio della profondità ver- rebbe dato dalla qualità degli inclusi o blocchi rigettati; e basandosi su questo — 159 — criterio l’autore troverebbe il limite massimo di profondità' per il Vesuvio non superiore a 3000 metri. Anche gli ammassi eruttivi consolidatisi plutonicamente si troverebbero a poca profondità, come lo indicano le masse granitiche periadriatiche formatesi durante il corrugamento eocenico a poche migliaia di metri sotto la superficie. L’ossidazione e l’idratazione dei metalli, degli alcali e delle terre, che è funzione dei vulcani, non può avvenire che superficialmente, dovendo trovarne gli elementi necessarii nelFidrosfera e nell’atmosfera. Risultando dal calcolo che la densità media della terra è di circa 5. 56 mentre quella delle roccie componenti la crosta terrestre è di 2. 65, ne consegue che l’interno della terra sia costituito da materiali più densi di quelli che si riscontrano alla superficie. Ora la densità che presentano le roccie eruttive anche più profonde è sempre minore di questa ; si può quindi supporre che le roccie eruttive stesse non provengano da grande profondità. I corrugamenti oro genici indubbiamente collegati coi fenomeni eruttivi, essendo per sè stessi fenomeni superficiali della crosta terrestre, indicano essi pure la poca profondità d’origine dell’azione eruttiva in generale. Finalmente dal paragone di quanto avviene nel sole, nel quale le parti più interne e leggere risalgono alla superficie con colossali eruzioni, l’autore ne deduce che nella terra i fenomeni eruttivi rappresentino gli ultimi processi di scambio superficiale e periferico della parte solida con la liquida e la gasosa del nostro pianeta. Ritiene quindi sia da rigettare l’ipotesi di un’unica massa centrale incan- descente fluida da cui avrebbero origine i nostri vulcani, e che i fenomeni eruttivi delle ultime epoche geologiche, e specialmente l’azione vulcanica attuale, abbiano un’origine molto superficiale rispetto alla massa intera della terra. Oltre a due figure nel testo è unita alla memoria una tavola in eliotipia con due vedute del Monte Nuovo e la topografia del medesimo alla scala di 1 : 12000. De Lorenzo G-. e Riva C. — Il cratere di Astroni nei Campì Flegrei. (Atti R. Acc. Se. fis. e mat., S. 2a, Voi. XI, n. 8, pag. 1-88 in-4°, con 7 tavole). — Napoli, 1902. Premesso un accurato resoconto bibliografico, la prima parte del lavoro è dedicata alla descrizione dei materiali eruttati ed accumulati per formare il gran cono compreso fra i fondi del lago di Agnano e di Pianura da un lato, e tra i coni della Solfatara, di Cigliano e di Campana dall’altra. — 160 — Il cono si eleva sino a 250 metri sul mare, occupando un’area di circa 7 chilometri quadrati. D’orlo superiore del cratere ha il suo asse maggiore di 2000 metri ed il minore di 1500 : l’area di fondo misura 1500 e 1000 metri nei due assi. Su questo fondo sorgono minori elevazioni separate da un vasto atrio pia- neggiante e annuliforme, dalla grande cinta esteriore, le cui pareti si inalzano tutto intorno a guisa di immenso anfiteatro. Di tutte queste parti dell’edificio gli autori descrivono ampiamente i sin- goli materiali, cominciando da quelli che costituiscono la grande cinta, unifor- memente formata da tufi, ceneri, lapilli, pozzolana, pomici, ossidiane e da altri materiali frammentari sottilmente stratificati, nei quali sono inclusi blocchi e scorie diverse. Ad eccezione di una grande massa di lava incastonata nella parete in- terna orientale, e di origine estranea, detta la rupe di Caprara non vi ha traccia nella cinta di colate laviche continue. Da massa lavica della Caprara cade a picco nel cratere mostrando una struttura grossolanamente colonnare. Essa si presenta come una porzione di una gran cupola lavica formatasi liberamente alla superficie per accumulazione graduale di sbocchi successivi di un magma eruttivo piuttosto denso. Ideila parte centrale del cratere stanno le suaccennate elevazioni. Una ad est col nome di Pagliaroni dell’altezza di 40 metri sul piano : a nord un pic- colo colle roccioso a forma tondeggiante, alto 60 metri, detto Toppo della Rotondella: infine una più importante collina si eleva a 70 metri nella parte occidentale ed è chiamata Toppo dellTmperatrioe. De insenature che si trovano fra queste elevazioni danno luogo a ristagni d’acqua. ISTei Pagliaroni predomina una lava scoriacea di color purpureo con nu- merosi interclusi di feldspati tabulari, come nella roccia della Caprara. Yi si osserva una plaga di roccia metamorfica di origine sedimentare calcarea, della quale gli autori riportano la descrizione datane dal Dacroix (vedi Les enclaves des roches volo ani ques). Il Toppo della Rotondella è una massa cupolare di lava trachitica gri- giastra, simile per struttura e composizione a quella dei Pagliaroni, e si può ritenere risultante dallo stesso magma, ma con sbocchi più densi e pastosi, che si accumularono a formare quel dosso. Il Toppo dellTmperatrice è formato invece da agglomerati e tufi, pomici, ossidiane, scorie e blocchi. Riassumendo lo studio sulla natura e distribuzione dei materiali descritti, risulta che il magma eruttivo degli Astroni ha assunto tutte le forme di con- solidazione, dalle ceneri minutissime alle lave massiccie ; vi sono però preva- — 181 — lenti le forme frammentarie, che costituiscono il gran recinto esterno e la collina dell’Imperatrice. La lava scoriacea in corrente formò la prominenza dei Pagliaroni e la lava massiccia la cupola della Rotondella. A queste è "'da aggiungersi la massa lavica di Caprara, che probabilmente è di formazione anteriore all’eruzione degli Astroni. La composizione chimica e mineralogica è uniforme nei diversi materiali, i quali rappresentano un tipo litologico ben definito, costante e caratteristico, che sta fra le trachiti acide sanidinico-biotitiche e le andesiti, con alcuUe va- rietà che stanno fra le trachiti e le tefriti. Chimicamente queste roccie sono caratterizzate da un tenore medio di SiO, inferiore a quello delle trachiti tipiche, con abbondante A1203, medio conte- nuto in ferro, poca MgO, mentre è sensibile il contenuto in CaO e notevole la proporzione degli alcali col potassio assai prevalente sul sodio. Da alcuni confronti risulta che le roccie degli Astroni corrispondono esat- tamente con quelle della regione Vulsinià distinte dal Washington col nome di vulsiniti. Per stabilire il posto che nelle recenti classificazioni occupano tali roccie, ne vengono esposte in tabelle le composizioni, secondo il sistema cente- simale di Osann e secondo le forinole magmatiche del Loewinson-Lessing, non che i diagrammi secondo il metodo di Brògger. La seconda parte della memoria è dedicata alla tettonica; e perciò prende in esame la costruzione di ogni parte componente l’edificio degli Astroni. Cominciando dalla massa lavica della Caprara, per i suoi rapporti cogli altri materiali, gli autori ritengono sia di formazione anteriore e rappresenti l’avanzo di una cupola traehitica appartenente al vulcano di Agnano, spezzata e lanciata dall’esplosione che formò la cerchia esterna degli Astroni: questa è costituita da una successione uniforme di strati che, per essersi accumulati a preferenza verso il lato occidentale, fa supporre che il camino eruttivo fosse in- clinato verso quella parte o che in quella direzione spirassero i venti dominanti. I rilievi che si elevano nell’interno del cratere rappresenterebbero una fase secondaria più limitata, colla quale si chiuse il ciclo di attività del vulcano. !Nbn è agevole stabilire l’ordine di successione delle tre masse principali; sembra però che la Rotondella rappresenti lo stadio di consolidazione degli sbocchi di lava che da prima si riversava in forma scoriacea nei Pagliaroni, e quella tufacea dell’Imperatrice l’atto finale : ma tale successione, se pure avvenuta, deve essersi verificata a brevi intervalli, e la lava della Rotondella, quella dei Pagliaroni ed i tufi dell’Imperatrice rappresenterebbero esplicazioni quasi con- temporanee di una stessa azione. 11 162 — La tettonica del complesso presenta un tipico vulcano a recinto quasi tutto costruito da materiale frammentario di origine esplosiva. La sua architettura semplice ed armonica fa supporre che pure semplice sia stata l’azione a cui deve l’origine e le esplosioni rapide e continue e tali da non turbare la regolare costruzione del grandioso edificio. Questo cratere, posto nel centro dei Campi Plegrei, presenta numerosi e complessi rapporti con gli altri vicini e dai confronti con questi, e cioè di Agnano e della Solfatara, di Cigliano e di Campana, gli autori conchiudono che il model- lamento del cono degli Astroni, sia dovuto essenzialmente alla forza eruttiva origi- naria, e sia stato modificato dai contatti coi vulcani fra i quali si trova. Per le intersecazioni e sovrapposizioni di essi si sono formate poi, nelle .falde coniche esterne, delle depressioni che produssero i diversi bacini di displuvio delle acque, segnando le prime traccie alla denudazione che gli agenti eterni vanno conti- nuando tuttora. Dall’esposto gli autori sono condotti ad indagare come e quando siasi for- mato questo vulcano, e concludono che ai tempi quaternarii quando, emersi dal mare, già erano quasi completamente modellati i Campi Flegrei, si aprì al centro di essi una vasta voragine dalla quale, come al Monte ILiovo, con esplo- sioni continue e rapide fu emessa gran copia di materiali frammentarii che for- marono il cono craterico degli Astroni. Dopo breve pausa, eruzioni meno violenti produssero sul fondo del cratere il cono tufaceo dell’Imperatrice, dal quale sgorgò contemporaneamente uria corrente di lava che produsse le prominenze dei Pagliaroni e si raggrumò nella Rotondella chiudendo il ciclo eruttivo del vulcano. I materiali allogeni rigettati sono di tipo trachidoleritico. Essi provengono da sottostanti depositi eruttivi e dimostrano che le esplosioni partirono da poca profondità. Panno eccezione alcuni noduli a humboldtilite , facellite e apatite che si osservano nelle lave scoriacee dei Pagliaroni e nelle scorie della cinta esterna, rappresentanti, probabilmente, calcari mesozoici metamorfosati dal magma e provenienti quindi da maggiore profondità. I materiali nel depositarsi si modellarono sui rilievi precedenti, ricoprendo specialmente la cinta di Agnano, e intorno ad essi si formarono i coni eruttivi minori di Cigliano, di Campana e parte della Solfatara. L’importante lavoro è illustrato, oltre che da figure intercalate nel testo, da sei tavole in eliotipia, di sezioni microscopiche di roccie e vedute delle di- verse parti degli Astroni, ed infine da una Carta con sezioni geologiche a colori, alla scala di 1 : 25000. - 163 - De Stefani C. — Molluschi pliocenici di Viterbo. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Memorie, Voi. XVIII, pag. 22-34, con tavola). — Pisa, 1902. Accennato ad un precedente lavoro pubblicato insieme ai prof. Fantappiè su alcuni fossili pliocenici trovati nei dintorni di Viterbo (vedi Bibl. 1899), l’au- tore in questa nota pubblica un elenco di detti fossili del calcare terroso di Arcionello, aggiungendo la descrizione di alcune specie nuove, o non riportate nel lavoro precedente, delle argille della mattonaia Falcioni. Riguardo alla po. izione stratigrafica del calcare di Arcionello rispetto alle argille, esposte le opinioni di De Stefani, Sabatini, Meli e Clerici, in mancanza di osservazioni più esatte non crede di pronunciarsi, ritenendo però probabile l’opihione del Procaccini-Ricci e del Clerici, che il calcare suddetto si trovi in lenti e nuclei nelle argille, non presentando i molluschi di esso una zona bati- metrica di molto diversa da quella delle argille. Velia tavola sono riprodotte in fototipia le specie seguenti della mattonaia Falcioni: Cardinm Fantappiei , n. ; Lucina Pecchi olii, Hornes, Orciano pisano; Crjjptodon nndulatus, n.: Tellina distorta, Poli; Pecten astensis , Sacco. De Stefani C. — I terreni terziari della Provincia di Roma. I. Eocene. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XI, fase. 12, 1° seni., pag. 508-513). — Roma, 1902. Accennato alla linea di divisione tra l’Appennino settentrionale ed il cen- trale da lui proposta fino dal 1881, secondo la quale i monti del circondario di Civitavecchia apparterrebbero al primo e gli altri della provincia romana al secondo, e indicati quali terreni in questa provincia stanno alla base del ter- ziario, l’autore passa in rassegna i terreni di questo cominciando dall’eocene. Veli’ eocene egli distingue due facies, una nord-appenninica costituita per lo più da depositi di mare profondo, in corrispondenza ai terreni cristal- lini delle Alpi occidentali e delle isole esistenti nell’area dell’ Appennino setten- trionale. Velia provincia di Roma questa facies è rappresentata nei monti della Tolfa, del Viterbese e di Trevinano al confine colla provincia di Siena. L’altra facies propria essenzialmente alle catene assiali dell’ Appennino cen- trale e meridionale, che chiama facies ausonia è in rapporto alle immense roccie calcaree che ne formano il substrato, alla mancanza di roccie cristalline circon- vicine, e forse alla profondità maggiore, alle quali cause è dovuta la mancanza dell’eocene in molti luoghi dell’ Appennino a sud. IN'ei monti della Tolfa non ha rinvenuto il calcare numniulitico delheocene inferiore : ivi il terreno più antico è il macigno che. come nell 'Appennino set- tentrionale forma la parte media dell’eocene. Yi succede, ed in parte vi equi- vale, un’alternanza di arenaria calcarifera (pietra forte) e di scisti argillosi, di calcare a fucoidi e screziati con nummuliti appartenenti alla parte superiore dell’eocene medio. A levante e a mezzogiorno della provincia romana non appariscono più i t3rreni dell’eocene medio di facies nord-appenninica ; anzi Teocene medio manca od è ridotto a pochi strati di facies ausonia: l’autore passa in rassegna quelli che si presentano nelle valli dell’Aniene e della Licenza, indicando i fossili che vi furono rinvenuti. De Stefani C. — I terreni terziari della Provincia di Roma. II. Mio- cene medio. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 2°, 2° sem., pag. 39-45). — Roma, 1902. Xel miocene medio l’autore distingue due zone, una inferiore calcarea or ganogenica ma multiforme, l’altra superiore arenacea, marnosa e argillosa. Della zona inferiore indica pochi lembi alla Pescia Romana e al Poggio Caprarecciolo nel versante nord dei monti della Tolfa. In maggiore estensione si trova nei dintorni di Subiaco nell’alta valle dell’Aniene e nel bacino del Sacco. Per i fossili trovati nella prima località, e specialmente per i pecten tanto frequenti in tutti gli strati calcarei grigio-chiari o grigio-rossastri, l'autore ri- tiene eh® tali calcari appartengano al miocene medio. Sarebbero pure da attri- buirsi al miocene medio i calcari di Perentino nel bacino del Sacco, soprastanti al cretaceo, quelli di Sgurgola, di Mordo e gli altri proseguendo in giù fino a Ceccano. La zona superiore del miocene medio occupa tutta la valle della Licenza e quasi per intero quella dell’Aniene. Essa è costituita inferiormente da marne bianche a globigerinidae ed ostracodi, che passano talora a un calcare compatto, come a Percile, Licenza, Castelmadama, ecc. Superiormentesono le stess e marne P a globigerine, talora con Cylìndrites , Helminthoida , Taonnrus ed arenarie con traccio di legno carbonizzato. Yi si intercalano strati di calcare, argille e pud- dinghe. Tali roccie si ripetono nella valle del Liri. L’autore conclude per ritenere questi terreni come depositi di mare assai profondo e appartenenti alla plaga langhiana del miocene medio, come aveva già indicato il De Angelis. - 173 — Forgienti CI — A1 disi di vere bauxiti italiane. (Gazzetta chimica ital., Anno XXXIJ "parte I, fase. Y, pag, 453461). — Roma, 1902. Idem. — Idem. (Annuario della Società chimica di Milano, Yol. II1; fase. 3, pag. 97439). — Milano, 1902. L’autore presenta in questa nota le analisi di 6 campioni di bauxite pro- venienti dall’ormai noto giacimento di Monte Turchio, facendole precedere da una minuta esposizione del metodo analitico da lui seguito. Il tenore in allumina di questi campioni varia da 51. 13 °/0 a 57. 52 °/0 ; quello di sesquiossido di ferro da 21. 68 °/Q a 27. 70 °/0 e quello di anidride titanica da 2. 14 °/0 a 3. 19 %. In tutte le analisi figura pure il corindone. Il peso specifico delle bauxiti, determinato col picnometro, oscilla fra 3. 15 e 3.30. {Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (SO giugno 1903) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXXIII, dal 1870 al 1902. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem dell’ abbonamento annuale in Italia * 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Yol. I. Firenze 1871. — Un volume in-4° di pag. 364 con ta- vole e carte geologiche . Yol. II, Parte la. Firenze 1873. — Un volume iu-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche Yol. II, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole Yol. Ili, Parte la. Firenze 1876. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche Yol. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole Yol. IY, Parte la. Firenze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole Yol. IY, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Yol. I. Roma 1886. — U. Baldacci : Descrizione geologica deir Isola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 cou tavole e una Carta geologica » 10 — Yol. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica ...» 10 — Yol. III. Roma 1887. — A. Fab.ri : Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 — Yol. IY. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geolog i co-mi- neraria dell’ Iglesiente (Sardegna). — Un volume in-8e di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 — Yol. Y. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico • mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » 8 — » 35 - » 25 — » 5 — » 10 — » 15 — » 8 — » 16 — — 175 — Voi. v i. Homa 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa L. 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione g eologico-pe.tr ografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 114 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese : Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta- geologica » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte 7a .* Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello ( provincia di Treviso). — Un volume in-8° di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 8 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2a edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio X. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio X. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del Vallo) » 3 » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) • .• » 4 » 250 (Bagheria) . . . » 3- » 267 (Canicattì) . . . » 5 » 251 (Cefalù) .... » 3 — » 268 (Caltanissetta] >. . » 5 » 252 (Xaso) .... » 4 — » 269 (Paterno) . . . » 5 » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . * 3 T> 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) . • . » 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) . . . » 4 » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » 3 1> 260 (Xicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . • • >y 3 X> 261 (Bronte) .... » 5 — » 277 (Xoto) . . • • » 3 Tavola di sezioni X. I (annessa ai fogli 249 e 258 . . L. 4 I|h| » » X. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » X. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) > 4 — » » X. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » X. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — — 176 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma. 1888 L. 25 — NS. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 17. 142 (Civitavecchia) L. 4 — Foglio IN". 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 150 (Roma) ... » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — » 158 (Cori) . . . . . » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 R. 30 NB. ì fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: . . . L. 5 Foglio Carrara. . . . . . L/. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — Foglio Stazzema Le tavole di sezioni, ciascuna Serravezza . . L. 5. 3 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 17. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — Foglio 17. 242 (Catanzaro) . . L. 4 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — zuto) . . . » 3 — » 228 (Cetraro) . . . » 3 — 245 (Palmi) . . . » 3- » 229 (Paola) . . . » 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 — » 231 (Ciro) . . . . » 3 — » 254 (Messina). . . » 4 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . » 4 — » 237 (S. Giovanni in F.)» 5 — » 263 (Bova) .... » 3 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 264 (Staiti) . . . . » 3 — » 241 (Yicastro). . . » 4 — Tavola di sezioni 17. I, 17. II e 17. Ili, ciascuna . . L. 4 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 . » 10 - o — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treyes in Roma, Bologna, Milano e T7apoli. — 165 — ? ' De Stefani C. — I terreni terziari della provincia di Roma. III. Mio- cene superiore. IV. Pliocene. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V. Vo- lume XI, fase. 3°, 2° sem., pag. 70-74). — Roma, 1902. Come rappresentante del miocene superiore l’autore indica solo le marne salmastre e i gessi sulla destra della Marta, rimpetto a Corneto, sulla spiaggia nel bacino del Mignone, presso Torre d’Orlando e nei dintorni della Tolfa. Il pliocene ha grande estensione nella provincia di Roma, rappresentato da strati littorali salmastri intercalati a marini nei dintorni di Palombari Sabina, più antichi di quelli di Monte Mario, al piede dei monti di Tivoli, nelle colline di Monterotondo, Monte Libretti e in alcuni lembi alla destra del Tevere a monte di Roma. Di facies littorale un po’ diversa è il Macco presso Corneto, a Palò, a Xettuno, ad Anzio e piccoli lembi nei dintorni di Viterbo. Poco estese sono le argille sub -littorali del tipo piacentino. Si osservano al confine con Grosseto al di là delle formazioni vulcaniche vulsinie e, sotto di queste, a nord di Proceno e a valle di Orte presso le due sponde del Tevere. Estesissime invece sono le marne bianche di mare profondo di facies che lautore chiama vaticana. Xella provincia si riscontrano per lo più sotto i cal- cari ad Amphistegina , ad es. sotto Corneto, sotto la trachite nei monti del Sasso, nel litorale da Anzio a Xettuno e in un piccolo lembo presso il Carroceto. Tro- vasi poi nei dintorni di Viterbo, della Manziana e ad ovest di Bracciano e specialmente nel classico colle del Vaticano. Il pliocene manca nella valle del Sacco e del Liri. L'autore presenta in fine un prospetto dei terreni terziari della provincia distinti nei tre gruppi : dei monti di Civitavecchia, delle valli dell’Aniene, delle valli del Sacco e del Liri, dal quale rilevasi la diversa estensione dei piani ctoi terziario in questa regione. De Stefano G. — I molluschi degli strati di Gallina ( Reggio Calabria) e la loro età. (Rivista italiana di paleontologia, Anno Vili. fase. I, pag. 27-32). — Bologna, 1902. Questi strati sabbioso -calcarei, studiati prima da G. Seguenza indi dal De Stefani, furono dal primo attribuiti all’astiano e dal secondo al post- pliocene inferiore. L’autore ha preso in esame la ricca fauna ivi da lui rac- colta e ne dà l'elenco, indicando con asterisco quelle specie che non furono de- terminate dal Seguenza. — 166 — Osservando che sopra 665 specie di molluschi negli strati di Gallina solo 126 non spetterebbero più alla fauna dei mari attuali, e tenuto conto che 89 di queste sono nuove e sulle quali non si può dire nulla di sicuro, Fautore ritiene che il deposito in parola debba considerarsi come post-pliocenico, e nella parte più antica sarebbe sincrono a quello di Sciacca studiato da G. Di Stefano (vedi Bibl. 1889), di Basilicata (vedi De Lorenzo, Bibl. 1893) e collima con i terreni del bacino mediterraneo inclusi dal De Stefani nel post-pliocene più antico (vedi Bibl. 1892). De Stefano G. — Probabile sollevamento attuale della costa Ionica cala- brese? (Boll. Soc. geogr. ital., S. IV, Yol. Ili, fase. 7, p. 579-597). — Soma, 1902. Descritte brevemente le condizioni orografiche e geologiche della costa della Calabria dal Golfo di Squillaci a Capo dell’Armi, l’autore espone alcuni fatti a dimostrare un recente sollevamento lungo il litorale ionico della pro- vincia di Reggio, e cioè: la presenza in alcuni punti di una panchina recente con gusci di molluschi identici a quelli viventi nel Ionio; la disposizione a terrazzi di cordoni littorali; la presenza di alghe in scogli emersi, e la tradi- zione che ricorda come molti scogli ora emersi fossero nel passato compieta- mente sommersi. Venendo alla Calabria occidentale egli cerca di dimostrare 1’esistenza di un abbassamento attuale dello stretto. Risulta dall’osservazione di vari geologi che nella Calabria occidentale, dalla punta del Pezzo fino all’isola di Dino, si ha il fenomeno più o meno accentuato di un bradisismo di sollevamento. Tale sollevamento va diminuendo man mano che si avvicina allo Stretto, e l’autore, oltre i fatti citati dal Carbone-Grio e dal Cortese, indica quelli da lui osser- vati, i quali dimostrano che dal promontorio di Cenide fino al Capo dell’ Armi è manifesto un abbassamento della costa, ed espone le ragioni per affermare che ciò non è l’effetto di depressione locale, come opina il De Stefani, ma un fenomeno bradisismico. Cerca infine di spiegare tanto l’immersione attuale litoranea dello Stretto e l’emersione della costa tirrena e ionica della Calabria, per concludere che il bradisismo calabrese è regionale, positivo o negativo: ad un sollevamento più esteso nel Ionio e nel Tirreno corrisponde un abbassamento nello Stretto. Fra Capo dell’Armi e Capo Sparavento si avrebbe una zona neutra in cui il lito- rale si trova in un periodo di sosta. L’immersione attuale lungo il litorale dello Stretto sarebbe la naturale conseguenza dell’inalzamento rapidissimo che in — 167 — questa regione si verificò durante l’epoca post-pliocenica e nei primissimi tempi quaternari. Il movimento bradisismico nell’ultima Calabria varia d’intensità e di rapidità da luogo a luogo. Di Franco S. — L’herschelite dei basalti siciliani. (Atti Acc. Grioenia di Se. nat., S. IV, Voi. XV, Mem. Ili, pag. 1-13, con tavola). - Ca- tania, 1902. L’autore, che già in un precedente lavoro sulle « Zeoliti di Palagonia » si occupò della generalità dell’herscb elite, aggiunge in questa memoria ‘notizie sui caratteri ottici e cristallografici del minerale di Aci Castello e Palagonia, le due sole località siciliane in cui sia finora noto, e nelle quali quei caratteri sono così diversi da potersi riconoscere la provenienza dei campioni. L’autore considera l’herschelite specificamente distinta dalla chabasite, sebbene le due sieno assai vicine fra loro per analogia di composizione e per vari caratteri. Egli dà i valori angolari dedotti dalla misura di cristalli di Palagonia, ed in una tavola presenta le forme cristalline proprie delle due località. Il peso specifico dell’herschelite di Aci Castello è di 2. 06 ; quello del mi- nerale di Palagonia 2. 05. Di Franco S. — Studio cristallografico sulVematite dell' Etna. (Boll. Acc. Grioenia di Se. nat., fase. LXXIV, pag. 18-19). — Catania, 1902. È questo un breve sunto di una memoria presentata all’ Accademia Grioenia. L'ematite, dice l’autore, è senza dubbio il minerale dell’Etna che merita in modo speciale di essere studiato, per gli splendidi suoi cristalli e per la sua genesi. In confronto all'ematite di molte altre località, e specialmente di quella dell'Elba, questa dell’Etna è povera di forme [base, romboedri (100) e (110), prisma (101) e piramide esagonale (311)] : però le sue lamelle, spesso in associa- zione parallela o in geminati, le danno un aspetto assai vario. Quanto alla genesi, piuttosto che alla trasformazione del cloruro ferrico in sesquiossido. ammessa da parecchi autori, e contro la quale si oppone che nei crateri in cui abbonda il cloruro di ferro è rara o manca l’ematite, il dottor Di Franco vorrebbe attribuirla al ferro delle roccie su cui l’ematite è impian- tata: per il modo, egli rimanda alla memoria originale, non ancora pubblicata. — 168 — Di Milia R. — Grotta elei Mori e sorgente termominerale « Saverio Fri- scia » nei dintorni di Sciacca . — Catania, 1902. Questa grotta trovasi ai piedi del Monte San Calogero di Sciacca a metri 70 sul livello del mare. È costituita da una galleria a forma di ferro di cavallo con l’ingresso dalla branca orientale, e riceve luce da un foro superiore che ha forma di dolina: essa è scavata in parte nel calcare marnoso nummulitico e in parte in un conglomerato dell’eocene medio. Per un pozzo si accede ad una galìeria inferiore più piccola e più bassa. L’autore ritiene che tale grotta sia stata prodotta dall’azione chimica di acque cariche di acido carbonico ed in modo secondario da azione meccanica. L’essere essa sempre asciutta fa ritenere che le acque meteoriche sieno estranee alla sua formazione, e che la medesima sia opera di una sorgente perenne della quale il livello si è abbassato. Questa sorgente sarebbe la stessa che ora affiora a 70 metri più in basso, entro una piccola grotta artificiale scavata nell’arenaria argillosa. Di essa, conosciuta col nome di acqua di Molinelli l’autore riporta l’analisi del Casoria già indicata precedentemente (vedi più sopra). Doelter C. — Chemische Zusammensetzung nnd Genesis des Monsoni- gesteine. (Tschermak’s Min. und Petr. Mittheil., B. XXI, H. I, pag. 65-76, H. II, pag. 97-106, H. Ili, pag. 191-225). — Wien, 1902. Dopo il lavoro dell’autore sulla Yal di Passa, pubblicato nel 1875, appar- vero altri lavori petrografici e geologici sui Monzoni, ma lo studio di questi tuttavia non diede ancora risultati definitivi : onde egli si accinse ad un nuovo lavoro chimico -petr ografico sulla regione, di cui egli rende conto nella pre- sente comunicazione. L’autore divide le roccie dei Monzoni in tre tipi, cioè : le vere monzoniti, la pirossenite e le roccie intermedie. Egli ne fa lo studio su nuovi campioni presi in posto, per evitare gli equivoci in cui sono caduti i petrografi che lo hanno preceduto. La monzonite fu raccolta fra la cima detta di Mal-Inverno e la Yallaccia a 80-10 metri dal contatto col calcare ; essa è a grana media e consiste essen- zialmente di feldspato, augite chiara, biotite, aegirina-augite, poco antibolo e magnetite, e subordinatamente di titanite e olivina. Il plagioclasio (labradorite) predomina per lo più sull’ortoclasio, ma le monzoniti presentano molte varietà a poca distanza. La composizione chimica di questa roccia non corrisponde perfettamente con i risultati delle analisi date da Schmelck, Mattesdorf, v. Hauer. Lemberg. Prendendo per il plagioclasio la formola Ab2 An3, risulta che questa — 169 — monzonite è composta di 16-20 per cento di ortoclasio, di 50-55 per cento di plagioclasio e di 25-35 per cento di pirosseno, biotite e magnetite. Il quarzo vi si trova sporadicamente sparso. Due campioni furono raccolti delle roccie basiche; l’una sul versante nord- est del Mal-Inverno verso il fosso Ricoletta, che consiste essenzialmente di anortite, pirosseno giallo con forte estinzione, pirosseno verde, biotite e ma- gnetite ; l’altra sul versante nord del Mal-Inverno sotto la località dove si trova la fassaite, ed è pirossenite pura. De roccie tipiche intermedie possono avvicinarsi alle esseciti, alle scion- chiniti e al gabbro olivinico. Una di esse fu raccolta sul versante nord della Ricoletta nella valle della traversellite (a 2250 metri) ; un’ altra della stessa località delle traversellite, ed è una labradorite. L’autore fa un confronto tra le sue analisi e quelle del Brogger sulla mon- zonite dei Monzoni, quella di Predazzo e quella della monzonite di Peak Montana studiata da Weed e Pirsson, e trova che vi è molta analogia; indi ricava le medie delle singole roccie analizzate, acide e basiche, dei Monzoni, e ne determina i fattori col metodo di Osann. I rimanenti capitoli riguardano le relazioni geologiche delle roccie massiccio con le filoniane, la genesi di quelle dei Monzoni, le relazioni tra i singoli minerali di contatto e la massa, e alcune considerazioni sulla differenziazione dei magma. Ad occidente del gruppo apparisce predominante la monzonite, ed anche la parte sud di esso è costituita dalla stessa. Al Mal-Inverno affiora una grande massa di pirossenite, che si estende verso la località della fassaite. Anche sul versante sud, in vicinanza di un banco di calcare triasico, si osserva la piros- senite. Ad oriente del monte predominano i tipi basici, gabbro, scionchiniti pirosseniti, ecc. Le pirosseniti non hanno caratteri di contatto, ma si trovano nel centro del massiccio. Le roccie filoniane non sono ancora state studiate sufficientemente per poter trarne dei risultati sicuri. Doelter C. — Ueber die chemische Zusammensetzung einiger Ganggesteine vom Monzoni. (Sitz-Ber. der K. Akad. der Wiss. in Wien, Jahrg. 1902, pag. 229-231). — Wien, 1902. — Ueber die geologiche Arbeiten am Monzoni in Siidtirol. (Ìbidem, pag. 285-286 e pag. 309-312). — Wien, 1902. Ideila prima comunicazione si trovano quattro nuove analisi chimiche ese- guite dall’autore sulle roccie filoniane dei Monzoni. La prima si riferisce al — 170 — melafiro, che attraversa la monzonite alle Palle rabbiose, e consiste di olivina, augite, labradorite e magnetite. La seconda è di una aplite che attraversa la monzonite presso Allochet, e consiste di ortoclasio e albite. La terza si rife- risce a un porfido monzonitico raccolto tra il Mal-Inverno e la Yallaccia, e che potrebbe prendere il nome di porfido sienitico perchè è molto più ricco di si- lice della monzonite. Quest’ultimo filone contiene delle parti più basiche, la cui composizione è pure data. La media delle due ultime corrisponde molto da vi- cino alla composizione della monzonite di Predazzo. Circa l’età dei singoli tipi l’autore, nella seconda comunicazione, crede che le roccie filoniane granitico-sienitiche, le camptoniti e i melafiri siano più gio- vani della monzonite, ma è dubbio se le grandi masse di melafiro siano del pari più giovani. È pero probabile che tutte le roccie eruttive siano più recenti dei calcari triasici. L’autore fa quindi menzione di una nuova roccia filoniana che egli chiama Allochetite costituita da plagioclasio, nefelina, augite, ortoclasio, antibola e ma- gnetite, e quindi prossima al porfido tefritico o teralitico. Altre analisi di roccie filoniane sono riportate nell’ultima parte. Interessanti sono due campioni, raccolti sulla cresta di Pesmeda e presso la Y allaccia, a grana finissima con tipo gabbroidico, contenente biotite, labradorite, augite, ortoclasio, magnetite (spinello) ; altra roccia analoga raccolta presso la Y allaccia, contiene biotite, labradorite, magnetite e ortoclasio. Tali roccie appariscono anche a sud di Allochet e a nord-est del Mal-Inverno. In tutto risultano 14 filoni di roccie basiche e 89 di acide. Da ciò viene che la regione dei Monzoni è oltremodo complicata ed è quindi lontana dal presentare quel carattere semplice che le attribuì il Brògger. Errerà C. — V incremento del delta della Toce nell' epoca storica. (Bol- lettino Soc. geografica ital., S. IY, Yol. Ili, fase. 9, pag. 780-798 e fase. 10, pag. 878-892). — Roma, 1902. Scopo di questo studio è di rintracciare nelle sue linee generali l’incre- mento successivo dell'alluvione deltizia della Toce dalle prime età storiche. A tale scopo l’autore passa in rassegna i dati e le notizie potute raccogliere su tale argomento, valendosi anche delle carte topografiche e catastali e delle osservazioni fatte nella regione. Da questi dati, per quanto scarsi ed incerti, rimarrebbe accertato che nell’età imperiale le acque delYerbano si spingevano forse fino alla confluenza I — 171 attuale della Strona nella Toce, che alla fine del secolo ix esse arriva- vano ancora a sud del Montorfano e che soltanto al principio del secolo xiv le acque del Yerbano erano completamente separate da quelle del laghetto di Mergozzo. Le molteplici variazioni che subirono gli aumenti superficiali dell’alluvione nei secoli scorsi, non meno saltuarie di quelle di cui dà esempio la storia re- cente, non rendono possibili altre deduzioni che offrano maggiore determinatezza. Fra le cause probabili che poterono contribuire a variare la rapidità di aumento della superficie alluvionale della Toce, 1” autore accenna alle vi- cende che la Strona ha subito nei secoli più recenti nel suo corso inferiore, le quali mostrano l’influenza da essa esercitata sull’accrescimento della super- ficie stessa. Anche più incerte ed infide sarebbero le ipotesi sull’incremento del delta della Toce nei secoli futuri e tanto meno quelle sull’avvenire del Lago Mag- giore, a proposito del quale l’autore espone alcune osservazioni critiche sul ten- tativo fatto da O. Marinelli per calcolare il tempo necessario al riempirsi di tutta la conca del Yerbano, in base a calcoli già istituiti sopra altri laghi della Svizzera. Sono esposte da ultimo alcune considerazioni per indagare quale sia stata la conformazione presumibile del fondo del lago nel tratto che, in un’epoca re- lativamente recente, è scomparso per dar luogo alla pianura che si stende dal Montorfano a Fondo Toce. Questo studio è corredato da una cartina della valle inferiore della Toce e di un’altra del delta, inserite nel testo, con un panorama in fototipia di quella regione. Flores E. — L’Ursus spelaeus Blum. del Buco del Piombo sopra Erba [prov. di Como). (Rivista ital. di paleontologia, Anno YIII, fase. I, pag. 26-27). — Bologna, 1902. Fra alcuni frammenti di ossa e di denti in possesso dell’autore, provenienti da questa grotta, egli cita e dà la figura in grandezza naturale di un canino intero ben conservato che presenta lo spigolo dello smalto e una buona smus- satura all’apice della corona. Le dimensioni sono : lunghezza mm. 110, grossezza massima mm. 27. Questo dente si accosta più di quelli studiati dal Mariani (vedi Bibl. 1896) ai denti di Ursus spnlaens della grotta di Laglio, le cui dimensioni arrivano, in alcuni, fino a 115 mm. di lunghezza e mm. 30 di grossezza. — 172 — Fornasini C. — Sopra tre specie di « Textilaria » elei pliocene italiano istituite da d’Orbigny nel 1826. (Rivista italiana di paleontologia, Anno Vili, fase. II e III, pag. 4447). — Bologna, 1902. Le tre specie di Textilaria citate nel « Tableau » che Fautore prende in esame in questa nota, sono : T. pnnetata « fossile a Castel Arquato (Plaisantin). » T. plana « fossile aux environs de Sienne » e T. troclioides « fossile a Castel Arquato ». Li esse riporta le figure inedite del d’Orbigny. Sul valore generico della prima specie l’autore esprime il dubbio che si tratti di una Gaudnjina anziché di Textilaria. Per riguardo alla seconda ritiene che gli elementi illustrativi forniti dal d’Orbigny sieno insufficienti a darne un’idea esatta, notando che vi sono forme di Bolivina dilatata che ricordano moltissimo la figura della T. plana. Quanto alla T. troclioides l’autore nota che la figura che lo rappresenta differisce notevolmente dalle forme recentemente illustrate dal Brady sotto il nome di T. trocJius. Aggiunge che fu già manifestato il sospetto che la T. trochus possa essere una Gaudnjina; e che del resto i recenti studi di R. J. Schubert sopra le Textilaria dimostrerebbero che questo vocabolo non designa un genere vero e proprio, ma uno degli stadii di sviluppo di forme che nel loro inizio sono triseriali, oppure trocospirali o anche pianospirali. Folgheraiter G. — Il vulcanetto di Coppaeli [Rieti). (Boll. Soc. sismo- logica ital., Voi. VII, n. 8, pag. 283-291). — Modena, 1902. A circa 8 chilometri da Rieti, presso il villaggio di Coppaeli, esiste una piccola colata di lava nettamente delimitata dal terreno calcare circostante. L’autore si è proposto di determinarne le proprietà magnetiche per rico- noscere fino a quale distanza giunga la sua influenza sulle condizioni normali del campo magnetico terrestre, e se esistano cause perturbatrici al disotto della superficie del suolo. In questa nota rende conto del modo seguito nelle misure e dei risultati ottenuti. Benché l’essere assai debole l’azione magnetica della roccia rendesse singolarmente difficile il valutarne l’influenza in presenza delle variazioni diurne del campo terrestre e degli errori d’osservazione, e sebbene le osservazioni fatte sieno ancora per numero insufficienti per una conclusione netta, pure l’autore (che si propone di proseguire lo studio) ha potuto riconoscere l’esistenza di un’azione locale anche ad una certa distanza dalla lava; la quale azione potrebbe essere dovuta alla presenza di lava al disotto del calcare che vedesi alla superficie » BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie IV. — Anno IV. 1903 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE R. Comitato geologico — Vertale ielle adunanze 8 e 9 ginpo 1903. 8 giugno 1908 — Seduta antimeridiana. La seduta è aperta alle ore 9. 30. Sono presenti il presidente Capellini, i membri Bassani, Cocchi, Issel, Mazzuoli, Parona., Pellati, Striiver, Taramelli, Verri ed il segretario Zezi. Ha scusato la sua assenza il prof. Gemmellaro. Il Presidente ricorda i molti meriti dal compianto prof. Cossa, ed accenna con vivo rincrescimento alla rinunzia di due illustri e benemeriti membri del Comitato, senatore Scarabelli e prof. Omboni, l’uno per tarda età, l’altro per salute. Propone che le loro fotografie vengano collocate nell’apposito quadro nella sala delle adunanze, e che alla famiglia dell’ illustre estinto vengano fatti conoscere per lettera i sentimenti del Comitato. Il Comitato approva. Il Presidente presenta quindi i nuovi colleghi, professori Issel, Bassani e Parona, la cui autorità nelle discipline geologiche varrà a compensare il Co- mitato delle perdite sofferte. Si compiace poi di vedere qui rappresentata la Società geologica dal suo presidente colonnello Verri. Pellati si associa alle parole del presidente, e rivolge anch’egli un saluto ai nuovi colleghi, dai quali il Comitato è certo di potersi ripromettere il più valido aiuto. Issel , Bassani e Parona ringraziano, animati dal più vivo buon volere a favore di un’istituzione che tanto fa per l’incremento della geologia italiana. Il Presidente dà quindi la parola al Direttore del servizio, Pellati, per la sua consueta Relazione annuale. Pellati, premesso che il lavoro compiuto nella decorsa campagna risulto soddisfacente e superiore per estensione di territorio alla media degli ultimi anni, benché il personale sia stato sovente distratto da incarichi straordinari, incomincia la sua esposizione, ed accenna innanzi tutto alla questione della — 4 — controversa età dei calcescisti e delle pietre verdi delle Alpi occidentali. Rias- sunta la nota questione, e ricordate le deliberazioni prese a questo proposito dal Comitato e l’incarico affidato al prof. Taramelli, prega lo stesso Taramelli di voler riferire in proposito. Taramelli conosce le opinioni sostenute da una parte dagli ingegneri No- varese, Franchi e Stella, dall’altra dagli ingegneri Zaccagna e Mattirolo, e gli argomenti addotti in appoggio. Egli accenna ai vantaggi scientifici di questo discrepanza di vedute, la quale è la miglior garanzia della serietà delle ricerche e delle osservazioni. Ritiene difficile, almeno per ora, un accordo fra le due opinioni. Del resto la differenza di vedute non riguarda affatto i limiti delle formazioni, ma solo l’interpretazione tettonica. Egli crede quindi che non sia il caso di intralciare in alcun modo la libera discussione, ma che la Carta debba naturalmente rappresentare le idee di chi 1’ ha rilevata. Occorre intanto molti- plicare i fatti ben accertati ed in campagna continuare le osservazioni sul ter- reno e non precipitare un giudizio. Pellati dichiara che il concetto espresso dal prof. Taramelli fu costante- mente di guida alla Direzione del servizio, la quale lasciò sempre ai geologi dell’ Ufficio la più ampia libertà di discussione sotto la loro responsabilità. Ma in questo caso, siccome le divergenze non esistono che per determinate località, crede sia meglio rinnovare l’ incarico al prof. Taramelli, nella speranza che nuove ricerche permettano di ridurre sempre più la materia controversa. Capellini conviene in massima col prof. Taramelli, ma crede col direttore Pellati all’opportunità di un altro tentativo. Propone quindi che i professori Issel e Parona si associno al prof. Taramelli in questo lavoro, studiando insieme la questione ed esaminando sul luogo i punti controversi, dove avranno i ne- cessari schiarimenti dai rilevatori. Mazzuoli si preoccupa della cartina d’insieme stata richiesta dal Servizio geologico francese, e vorrebbe che essa non subisse un eccessivo ritardo. Pellati dice che l’anno scorso la Direzione del Servizio francese scrisse a lui che essa stava preparando una nuova edizione della Carta geologica di Francia al milionesimo, e gli chiese in comunicazione, per l’autunno 1903, i dati che le occorressero per la zona italiana di confine. Allora già si stava pensando alla pubblicazione di una cartina d’insieme al 400,000 delle Alpi occidentali ; ma per non precipitare le cose, si dispose per la preparazione, nella scala richiesta, di una cartina, ormai quasi finita, e che sarà presto inviata. In quanto alla carta al 400,000 conviene procedere con pon- derazione, tanto più che occorre ancora la revisione sul terreno di qualche punto. Issel , a proposito della nota controversia, pur ringraziando della fiducia, o si mostra esitante nell’accettare l’ incarico e chiede se non sia il caso di girare le difficoltà con qualcuno degli artif izii usati in tali casi ; ad esempio designando la zona controversa con una denominazione che non implichi nulla, od indi- cando tra parentesi l’interpretazione dei singoli rilevatori, ecc. Parona, confidando nella collaborazione dei colleghi, concorrerà ben volen- tieri alla soluzione dell’ importante questione. Capellini insiste sull’opportunità della sua proposta. Mazzuoli dichiara di non essere contrario alla proposta Commissione; solo raccomanda la maggior sollecitudine onde si giunga ad una conclusione, qua- lunque essa possa essere. Il Comitato approva la proposta del prof. Capellini, il quale ringrazia i tre colleghi della loro collaborazione. Pellati passa quindi all’altra questione sorta circa la zona arenaceo -marnosa dell’Umbria e dice che sono già state date disposizioni affinchè l’ ing. Baldacci, il dott. Di-Stefano e l’ ing. Lotti possano compiere, come era stato deliberato lo scorso anno e senz’altri ritardi, la loro visita alle località di maggiore inte- resse, con invito al colonnello Verri di partecipare alle escursioni e di indicare eventualmente altri punti da visitare, se ne sarà il caso. Spera che potranno così eliminarsi le divergenze di vedute circa l’età di alcune formazioni di dette zone. Verri ringrazia i colleghi del cortese invito, ma con dispiacere deve signi- ficare che circostanze di famiglia gli impediscono, per ora, di prender parte a tali escursioni. Prega perciò di acconsentire che siano rimandate, anche in considerazione che il ritardo può essere utile alla discussione. Egli fa infatti osservare che nell’Umbria lo sfacelo che ha frazionato le formazioni, rende difficilissimo riconoscere i rapporti stratigrafici, e cita in proposito numerosi esempi. Vi è però una larga plaga compresa nel foglio 123 della Carta al 1/100,000 dove la serie è meglio in posto. Gli sembrerebbe quindi opportuno che fosse eseguito intanto il rilevamento di detta plaga adiacente a regioni già rilevate (foglio 122) e l’ing. Lotti vedrà poi a quali conclusioni creda venire pel com- plesso di queste e delle osservazioni precedenti. Dopo di ciò si potrà fare una più proficua discussione. Pellati riconosce il valore delle osservazioni del collega Verri e dice che l’ing. Lotti andrà subito ad esaminare le località testé indicate, poi la Commis- sione potrà riunirsi e stabilire il da farsi. Von ritiene conveniente di sospendere il rilevamento attualmente in corso per opera dell’ing. Lotti nei monti di Terni e di Rieti, che è bene avviato e vicino al suo compimento, per portarsi in altra zona. Capellini appoggia la proposta Pellati, e nessuno facendo osservazioni in contrario, la proposta è approvata. - 6 — Pellati passa a parlare delle carte agronomiche, e dà comunicazione anzi- tutto di quanto si è detto in proposito nell’ultimo Congresso internazionale di agricoltura. In ordine alla proposta Taramelli di fare qualche saggio di carta agronomica nelle provincie meridionali col concorso del personale catastale, dice di aver avuto conferenze colla Direzione generale del Catasto e di essersi persuaso che 1’ indirizzo dei lavori di stima che si compiono dalle Giunte pro- vinciali, non si presta al nostro scopo e che la cooperazione del personale cata- stale, mentre riuscirebbe di poca efficacia per noi, recherebbe grave disturbo ai lavori di classificazione che il Catasto fa secondo i proprii criterii. Ritiene pertanto che serebbe opportuno di assicurarsi piuttosto il concorso delle Scuole e delle Stazioni agrarie. Taramelli ringrazia che sia stata accolta la sua idea, ed è anch’esso del parere che la geologia non debba dare che la base geognostica, il resto essendo di esclusiva competenza degli agronomi. Pellati viene a parlare quindi del prossimo Congresso geologico di Yienna, e richiama l’attenzione del Comitato sull’opportunità di far seguire a qualcuno dei geologi dell’Ufficio le escursioni che, sotto condotta di illustri specialisti, saranno fatte nelle Alpi. Il Presidente si associa, anzi crede conveniente che, in questa circostanza, sia usata al personale ogni possibile agevolazione, anche dal lato finanziario. Il Comitato approva. Pellati , riprendendo la sua Relazione, dice che l’Ufficio non ha mancato di prestarsi, nel miglior modo possibile, per la buona riuscita delle prossime escursioni della Società geologica nella Montagnola Senese e al Monte Amiata; è poi lieto di aggiungere che se l’annuo assegno per la Carta geologica sarà portato a lire 50,000, si, potrà ripristinare il sussidio a favore di detta Società. Verri ringrazia. Pellati informa il Comitato intorno al risultato di alcune analisi fatte dal nostro Laboratorio su campioni minerali provenienti dal Ce-Kiang e dal Monte Guin-Sen (Monte dell’argento) in Cina, donati al nostro Ufficio geologico dal Ministero degli affari esteri. Tali campioni furono raccolti da alcuni nostri studiosi ufficiali di marina, nell’occasione di una esplorazione mineralogica fatta in quelle regioni nel 1901. Essi comprendono principalmente minerali di rame, di piombo argentifero, di ferro ed un carbone antracitico di notevole purezza. Haturalmente non potè dedursi alcuna conclusione sulla loro importanza industriale, per la mancanza di sufficienti notizie sulle condizioni e sulla entità dei giacimenti che li contengono, a motivo della scarsità dei mezzi con cui do - vettero essere eseguite le esplorazioni. Pellati accenna a vari lavori incidentalmente compiuti dal personale del R. Corpo delle miniere, non privi d’importanza dal punto di vista della geo- logia. Ricorda, fra gli altri, numerosi studi su frane, quelli sulle sabbie silicee, così fondamentali per l’industria dei cementi, e quelli sulle acque potabili, ecc. Tutti i dati ottenuti vengono gelosamente conservati per eventuali monografie o lavori d’insieme. Taramelli , lieto di queste disposizioni, raccomanda particolarmente lo studio delle fonti, e desidera che speciali istruzioni sieno date in proposito ai rilevatori. Pellati dice che istruzioni in tal senso vennero già date ab-antiquo ; ne riconosce l’importanza e non mancherà di raccomandarne di nuovo la stretta osservanza. Il Presidente ricorda la recente nomina a professore di geologia nell’Uni- versità di Catania del dott. Di-Stefano, che da 13 anni occupa, con piena sod- disfazione del Comitato, il posto di paleontologo dell’Ufficio geologico. Egli ri- tiene che l’uscita del dott. Di-Stefano ritornerebbe di danno gravissimo per l’Ufficio, e perciò propone che il Comitato emetta il seguente voto : « Essendo stato il dott. Giovanni Di-Stefano, paleontologo del R. Ufficio, nominato professore straordinario di geologia presso l’Università di Catania, in considerazione del danno che verrebbe ai lavori della Carta geologica dal suo allontanamento dal posto che occupa da 13 anni, con tanta competenza e nel modo più lodevole, il Comitato fa voti a S. E. il Ministro di agricoltura, indu- stria e commercio perchè voglia provvedere a migliorare la condizione del dott. Di-Stefano ». Pellati , come direttore del Servizio geologico, si associa alla proposta del %- presidente, comunica al Comitato che uguali sentimenti gli furono recente- mente manifestati anche dal personale dell’Ufficio, e rende noto inoltre che il professore Gemmellaro, assente, ha fatto analoga dichiarazione al presidente ed a lui. Il voto proposto viene approvato all’unanimità. La seduta è tolta alle ore 12. Il Presidente G. Capellini. Seduta pomeridiana. La seduta è aperta alle ore 15. 15, essendo presenti il presidente Capellini, i membri Bassani, Cocchi, Issel, Mazzuoli, Parona, Pellati, Striiver, Taramelli, Verri ed il segretario Zezi. Dietro invito del presidente, il Direttore del servizio geologico riprende la sua esposizione, riassumendo la parte della sua Relazione relativa ai varii la- vori compiuti dal personale dell’Ufficio. Egli passa così in rassegna i nuovi rilevamenti eseguiti nelle Alpi occi- dentali, nella Liguria orientale, nell’ Appennino ligure-emiliano, nell’ Umbria, nelle Marche; le revisioni compiute nella regione vulcanica a nord di Roma, nell’alto Anione, nell’Abruzzo, nella Penisola Salentina e nell’ estremo tratto settentrionale della Calabria; i lavori varii compiuti in Ufficio, le pubblicazioni in corso, e infine espone il programma dei lavori per la prossima campagna. Taramelli raccomanda che il rilevamento delle Alpi orientali, oramai sin- golarmente facilitato dagli importanti lavori già pubblicati da valenti geologi, venga intrapreso appena sia possibile. Pellati condivide il desiderio espresso dal collega Taramelli, e dice che le escursioni in dette regioni, che saranno compiute subito dopo il Congresso inter- nazionale di Vienna, forniranno un’eccellente occasione di fare qualche cosa in questo senso. Ringrazia anzi il Comitato che, col suo voto di stamane, ha così unanimemente appoggiata la sua proposta di far seguire dette escursioni da qualcuno dei geologi dell’Ufficio. Verri comunica che nell’adunanza invernale della Società geologica, egli venne incaricato di presentare al Comitato il voto che venga al più presto pubblicata, anche in una edizione economica, ed occorrendo in scala ridotta la Carta geologica della parte occidentale della regione Vulsinia, rilevata dall’Uf- ficio e tuttora inedita. Per suo conto si sente in dovere di richiamare l'atten- zione dei colleghi sui vantaggi che apporterebbe una tale pubblicazione, in attesa che venga ultimato lo studio più completo dei vulcani tirreni già deliberato dal Comitato. Pellati risponde che effettivamente accurati rilevamenti vennero compiuti in detto territorio per opera dell’ aiutante -ing. Moderni, ma che la classificazione fatta allora delle roccie, non si può considerare come definitiva. Siccome poi la Carta in questione non coincide con alcun foglio della Carta geologica normale, è di parere di ridurla alla scala di 1 : 100,000 e che più oppor- tunamente possa essere pubblicata in edizione economica, con un breve testo esplicativo da inserirsi nel Bollettino. Spera che il Comitato accoglierà la proposta. Verri ringrazia. Mazzuoli fa rimarcare l’importanza, specialmente dal punto di vista mine- rario, di molte parti della Toscana e per conseguenza l’opportunità che la pub- blicazione di quei fogli della Carta geologica e della relativa Memoria illustra- tiva, già da qualche tempo compiuta, non venga più oltre ritardata. Propone perciò che qualora, come si spera, lo stanziamento per la Carta geologica venga portato a lire 50,000, si approfitti della maggior somma disponibile per por mano senz’altro a detta pubblicazione. — 9 — Taramelli ed Issel accennano all’importanza didattica della Carta geologica della Toscana. Pellati desidera non meno dei preopinanti la sollecita pubblicazione di tutte le regioni rilevate, delle quali parecchie, come per esempio la Sardegna, la Campania, il quaternario della Valle Padana, ecc., hanno non meno della To- scana importanza di prim’ordine sotto il punto di vista minerario ed economico ; dichiara però che gli impegni attualmente in corso sono tali da assorbire anche lo sperato aumento di stanziamento, e fornisce alcune spiegazioni in proposito. Capellini e Striiver propongono che il Comitato prenda questa occasione per far notare al Ministero l’insufficienza dei mezzi di cui dispone il servizio della Carta geologica e che, in base ad un accurato preventivo, si chieda la somma necessaria per la pubblicazione in questione. Pellati non dissente dalle idee espresse dal Presidente e dal prof. Striiver, ma fa notare che potrebbe nuocere alla buona riuscita delle pubblicazioni in corso, l’intraprendere subito quella dei fogli della Toscana, i quali richiederebbero certamente revisioni non lievi. Ad ogni modo acconsente che, esauriti gli im- pegni attuali, si prenda in considerazione la pubblicazione raccomandata. Dopo alcune altre osservazioni fatte su questo argomento, principalmente da Capellini, Mazzuoli, Taramelli e Cocchi, e dopo breve discussione, alla quale prende parte principalmente il Direttore del servizio, Cocchi formula la seguente proposta, che cioè : « Esauriti gli impegni in corso, quali risultano dalla Rela- zione del Direttore del servizio, si porrà mano alla pubblicazione della Carta della Toscana, e ad ogni modo, segnalandone al Ministero la particolare im- portanza, si domandi uno speciale stanziamento per iniziarla al più presto. » Il Comitato approva. Da seduta è tolta alle ore 17. 30. Il Presidente GL Capellini. Seduta del 0 giugno. Da seduta è aperta alle ore 10. Sono presenti, oltre al Presidente, i membri Bassani, Cocchi, Issel, Mazzuoli, Pàrona, Pellati, Striiver, Taramelli, Verri ed il segretario Zezi. In seguito ad invito dèi Presidente, il segretario dà lettura dei verbali delle due sedute precedenti. Vessuno facendo osservazioni in contrario, detti verbali restano approvati. Il Presidente G. Capellini. . ' ■ Relazione al R. Comitato Geologico SUI LAVORI ESEGUITI PER LA CARTA GEOLOGICA NEL 1902 E PROPOSTE DI QUELLI DA ESEGUIRSI NEL 1903. Questioni generali e comunicazioni. Prima di accingermi a render conto dei lavori eseguiti nello scorso anno per la Carta geologica, permettete che io rivolga un mesto pensiero alla me- moria del compianto nostro collega prof. Alfonso Cossa, morto in Torino nello scorso mese di ottobre. IS’on mi arresterò a tesserne la biografia, la quale fu già inserita nel n. 4 del nostro Bollettino il 1902; non posso però omettere di ac- cennare qui alle particolari sue benemerenze verso il nostro Istituto, specialmente per la parte eh’ egli ebbe nella prima organizzazione e nello sviluppo successivo del Laboratorio chimico-petrografico. Ricorderò anche l’ importante lavoro da lui eseguito dell’interessante raccolta delle principali roccie italiane, delle quali preparò, colla collaborazione di alcuni dei nostri ingegneri e mediante sussidi fornitigli dal nostro Ufficio, quasi un migliaio di sezioni sottili, di grande for- mato, e parecchie migliaia di sezioni di piccolo formato per il microscopio. Tale collezione figurò splendidamente al Congresso internazionale geologico di Bologna nel 1881, e fu successivamente presentata anche in qualche altra Esposizione nazionale, riscuotendo ovunque il plauso delle persone competenti. Il Cossa fece, come sapete, parte del nostro Comitato per ben 23 anni, sino al giorno della sua morte, apportando sempre il prezioso contributo del suo ingegno e della sua coltura, specialmente per le questioni di chimica e di petrografia. Oltre che a quella del compianto prof. Cossa, il nostro Comitato ha nello scorso anno dovuto rinunziare alla valida ed autorevole collaborazione di altri due illustri suoi membri: del senatore Scarabelli e del prof. Omboni, ai quali sentiamo pure il dovere di rivolgere un pensiero di viva riconoscenza e l’au- gurio che siano per lunghi anni ancora conservati al nostro affetto ed alla scienza. Ci compensa peraltro delle perdite sofferte la presenza dei nuovi colleghi, chiarissimi professori Issel, Bassani e Parona, i quali hanno conseguita nelle discipline geologiche tale autorità che possiamo con sicurezza riprometterci da loro il più valido ausilio. — 12 — B così pure siamo lieti di poter oggi qui salutare il solerte presidente della Società Geologica italiana, colonnello Verri, bene augurandoci dalla sua dot- trina ed operosità. Dopo ciò, entriamo senz’altro in argomento, premettendo alcune notizie ge- nerali sull’ entità dei lavori eseguiti. Nuovi rilevamenti e revisioni. — L’area rilevata a nuovo fu nel 1902 di 2995 chilometri quadrati, cioè poco minore di quella rilevata nell’anno precedente: le revisioni, per contro, si estesero a chilometri quadrati 1255, cioè ad un'area di 385 chilometri quadrati maggiore di quella riveduta nello scorso anno: si studiarono dunque in complesso oltre a 4200 chilometri quadrati, cioè una su- perficie superiore di 350 chilometri circa alla media del precedente quinquennio, quale risulta dalla tabella riportata in principio della Relazione dell’ anno decorso. La spesa fatta per indennità di campagna fu di L. 17,551. 68, cioè di L. 147. 85 minore di quella fatta nello scorso anno. Veramente l’andamento piuttosto favorevole della stagione avrebbe permesso di rilevare a nuovo e rivedere qualche centinaio di chilometri di più se quasi tutti i nostri operatori non fossero stati distratti, come si vedrà a suo luogo, dal loro lavoro principale per studi speciali di cui furono incaricati da vari Mini- steri, amministrazioni pubbliche e private, per studi di tracciati di ferrovie o di strade ordinarie, di gallerie e manufatti ferroviari, di frane e scoscendimenti, terremoti, pozzi artesiani e sorgenti di acque potabili e termali, arginature, bo- nifiche, ecc. L’ ing. Zaccagna poi dovette coadiuvare il nostro Presidente per la prepa- razione delle escursioni che la Società Geologica fece lo scorso autunno nei monti della Spezia ed accompagnare, di ritorno dall’adunanza di Spezia, il dot- tore Di Stefano e l’ ingegnere Crema in alcune traversate delle Alpi Apuane per rivedere insieme talune parti di quell’ interessante gruppo montuoso. Zona dei calcescisti e delle pietre verdi nelle Alpi. — Lo stesso ing. Zaccagna si recò, nel mese di ottobre, nelle Alpi Cozie, a V adoriate, a Pradleves ed al monte Chaberton, per alcune verificazioni che ancora gli occorrevano in relazione alla questione dell’età dei calcescisti e delle pietre verdi delle Alpi occidentali, intorno alla quale il Comitato Geologico diede, nell’adunanza dello scorso giugno, incarico a.1 prof. Taramelli di raccogliere ulteriori notizie per poterne poi riferire in altra adunanza. Come il Comitato ricorderà, per l’esecuzione di questo incarico, il prof. Ta- ramelli aveva giustamente richiesto che i geologi dissidenti fossero invitati a presentare una compendiosa esposizione delle loro idee e degli argomenti su cui si fondano, riferendosi a regioni note ad ambedue le parti. Io aveva allora os- servato che l’opinione sostenuta principalmente dagli ingegneri Franchi, Stella — 13 — T e Novarese si trovava ampiamente discussa ed illustrata in una nota del Franchi, inserta nel Bollettino geologico del 1898, a conferma di altra nota preliminare, dello stesso ing. Franchi e del dott. Di Stefano, pubblicata nel Bollettino dell’anno precedente, mentre l’ing. Zaccagna stava allora redigendo un altro articolo per il Bollettino a confutazione dell’opinione espressa dai suoi colleghi sunnominati, e soggiungevo che appena fosse pubblicato questo articolo dell’ ing. Zaccagna si sarebbe comunicato al prof. Taramelli coi riassunti che a ragione egli richiedeva. A tale uopo l’ ing. Zaccagna fu, nello scorso settembre, invitato a presentare al più presto il suo articolo. Se non chè trovò che per poterlo ultimare gli occor- reva visitare alcune delle località indicate nelle note dei suoi contraddittori, spe- cialmente i dintorni di Pradleves, Y adoriate e monte Chaberton, il che gli fu concesso: ma recatosi sui luoghi nel mese di ottobre fu sorpreso dal cattivo tempo e non potè fare le verificazioni che lo interessavano. Altro simile tenta- tivo fece l ing. Zaccagna nell’aprile ora scorso, e fu egualmente sfortunato. Tuttavia egli ha concretato egualmente le sue conclusioni in modo da poter for- nire sufficiente copia di argomenti in una nota che fu già da qualche settimana comunicata al prof. Taramelli, il quale potrà riferire le sue impressioni, salvo il giudizio definitivo che egli potrà esprimere dopo la visita dei luoghi, da farsi in contraddittorio dalle parti dissenzienti. Per parte mia non posso che confermare quanto ho già riferito a questo proposito nelle Relazioni precedenti, cioè che i calcescisti e le pietre verdi non si debbano considerare come caratteristiche di particolari orizzonti geologici, essendo innegabile la loro presenza nel secondario, specialmente nel Lias, mentre non è escluso che se ne trovino anche nei terreni sottostanti, nel Permo-carbo- nifero ed anche in terreni più antichi: ciò che risulterebbe tanto più probabile dopo alcune osservazioni fatte nella campagna di cui si rende ora conto. L’ in- gegnere Novarese, per es., ha osservato, come si vedrà meglio più avanti, nella alta valle di Ayaz ed in quella di Gressoney al disotto delle quarziti e dei calcari delle Cime Bianche (di tipo schiettamente triasico) masse considerevoli di serpen- tine con roccie prasinitiche e calcescisti, le quali poggiano regolarmente sugli gneiss del Monte Rosa. Ma con ciò non intendo per nulla di prevenire il giu- dizio che a suo tempo sarà per dare il Comitato in base alle autorevoli osser- vazioni del professore Taramelli. Zona arenaceo-marnosa dell’Umbria. — De proposte che erano state dame fatte lo scorso anno ed approvate dal Comitato intorno a questo argomento, che è pure interessantissimo per noi, non poterono ancora essere tradotte in atto a motivo dei numerosi incarichi estranei al servizio ordinario affidati nella decorsa campagna geologica a taluno degli ingegneri che dovevano occuparsene. Posso però assicurare il Comitato che furono ormai date disposizioni precise perchè, come era stato deliberato, l’ ing. Baldacci ed il dott Di Stefano si re- chino quanto prima, in unione all’ ing. Lotti, alle principali località che il Lotti stesso troverà di designare, con invito al colonnello Verri, ora presidente della Società Geologica, di prender parte alle escursioni e di indicare egli stesso altri punti ai quali credesse utile si estendessero le visite per lo studio dell’ interes- sante problema. Delle osservazioni che la Commissione sarà per fare, dovrà tenersi esatto conto in una Relazione da presentarsi al Comitato medesimo onde esso possa, in base a fatti bene accertati e controllati, dare il suo giudizio. Trattasi invero di una questione di grande importanza da cui dipende la classificazione cronolo- gica di una formazione che non si estende solo a larga parte dell’ Umbria e delle Marche, ma costituisce, per così dire, il tratto caratteristico della geologia dell’ Appennino tosco-umbro e riappare con un certo sviluppo nell’ Appennino meridionale e sino nella penisola Salentina. In attesa dei risultati di simili constatazioni di fatti, che dovranno natu- ralmente essere di carattere essenzialmente stratigrafico, comunico al Comitato le conclusioni alle quali il dott. Di Stefano è giunto studiando alcuni lati della questione sotto l’aspetto paleontologico. Età degli strati a grandi Lucine. — Il dott. Di Stefano dunque compì durante l’anno 1902 il primo dei suoi studi sulla questione dell’età degli strati a grandi Lucine del terziario italiano, illustrando il calcare a grandi bivalvi di Centuripe (prov. di Catania). Per causa della incompleta conoscenza e della caotica nomenclatura delle Lucine di simili depositi, egli fu costretto a studiare contemporaneamente buona parte di quelle dell’ Appennino, servendosi del materiale raccolto dagli operatori, da lui e di quello comunicatogli gentilmente dai professori Capel- lini, Vinassa, Pantanelli, Scarabelli, De Angelis, Issel, Rovereto e Sacco. I ri- sultati di tale studio non possono riassumersi in questa Relazione; solo ne accenneremo qui i principali : del resto la monografia è ormai pubblicata \ In essa si discutono le controverse questioni riguardanti la nomenclatura delle grosse Lucine, cercando di eliminare il grande numero di denominazioni usate da molti autori in senso vaghissimo e tentando di stabilire quali si deb- bano accettare; sono descritte e figurate parecchie specie per determinarne chiaramente il valore, sinora incerto, ed è fatto un esame quasi completo della bibliografia che le riguarda. Così il lavoro serve per il riordinamento 1 La pubblicazione è fatta negli Atti dell’Accademia Gioenia, perchè a motivo dello sciopero dei tipografi romani, si era costrètti a rimandarne la stampa a tempo lontano. 15 — dei materiali scientifici e potrà servire da punto di partenza per gli studi ulteriori. IN’elle conclusioni geologiche, si stabilisce che tutti quei sedimenti a co- lonie di grosse Lucine sulla età dei quali non vi può essere, nè vi è contro- versia, sono in gran parte del Miocene medio e superiore e in minor porzione dell’inferiore (Oligocene), mentre manca sinora una sicura dimostrazione che si trovino nell’ Appennino strati a grandi Lucine in sedimenti terziari inferiori all’Oligocene. Il Di Stefano non esclude tuttavia che ve ne possano essere, come avviene in Egitto ; anzi crede che ve ne siano nell’Italia centrale ; ma ancora non sono bene conosciute nè illustrate, nè sono state sufficientemente esposte le ragioni che provano la loro età. Sono certamente miocenici gli strati a Lucine della provincia di Palermo, come già il prof. Capellini e l’ing. Baldacci hanno scritto, quelli della pro- vincia di Catania, di Siracusa, di Tocerano (Città di Castello), ove invero le Lucine sono rare, dei dintorni di Brisighella (Faenza), di Rovereti Yal di Pondo, dei dintorni di Bologna, della provincia di Modena, di quella di Reggio-Emilia e del Piemonte; oligocenici quelli della Liguria, come è stato riconosciuto di già dai professori Issel e Rovereto. Per quanto riguarda gli strati della Yal di Sieve, il dott. Di Stefano esprime il dubbio che appartengano in parte al Miocene medio e in parte all’inferiore (Oligocene', e per quelli dell’alto Appennino bolognese dice che la fauna, che è stata indicata dagli autori, specialmente dal prof. Capellini, come associata alle Lucine, non può che essere miocenica. Bauxiti deir Appennino meridionale. — Come si vedrà da quanto diremo a suo luogo intorno al lavoro di revisione dell’ Appennino meridionale e spe- cialmente intorno alle ricerche analitiche fatte nel nostro Laboratorio chimico, furono continuati gli studi e le osservazioni sui giacimenti e sui minerali bauxitici. IS’uove analisi fatte dalbing. Mattirolo di campioni provenienti da Pescosolido hanno dato da 55 a 59 per cento di allumina con 24 a 26 per cento di ossido di ferro, ossia un discreto tenore in allumina, con forti proporzioni di ossido di ferro. Simili bauxiti potrebbero quindi servire per la fabbricazione dell’allu- minio metallico, ma sarebbero poco atte alla preparazione dei sali di alluminio, cioè dell’idrato puro e dei solfati che tanta applicazione trovano nell’industria. Lo studio chimico completo di cui si parlò nella Relazione dello scorso anno, non potrà farsi in modo esauriente sino a che non si disponga di una serie sistematica di campioni scelti possibilmente dal chimico stesso, al quale sarà dato l’incarico delle analisi. Flora fossile della Campagna Romana. — Per dar modo aH'ing. Clerici di sollecitare il compimento del suo lavoro sulla flora fossile della Campagna Romana non ho mancato di rivolgere fin dal giugno dello scorso anno al Mi- nistero di agricoltura, industria e commercio da cui dipende l’Ufficio delle Privative industriali (al quale il Clerici' è addetto), la preghiera di concedergli una qualche latitudine nel suo servizio onde gli fosse possibile attendere con sufficiente assiduità ad un lavoro che si connette al Servizio geologico posto alla dipendenza del Ministero medesimo. ISTon fu però praticamente possibile di ottenere le desiderate facilitazioni e perciò l’ing. Clerici non potè nello scorso anno far avanzare sensibilmente lo studio del copioso materiale già raccolto, nè la preparazione delle sezioni sottili di cui si tenne parola nella Relazione dello scorso anno. Tuttavia con escursioni che l’ing. Clerici fece nei giorni festivi e durante le sue ferie annuali, egli potè compiere la esplorazione della zona litoranea, pochissimo conosciuta, che si estende dal Tevere ad Anzio, la quale gli fornì in abbondanza un interessante materiale di studio. Ad illustrazione di tale zona litoranea l’ing. Clerici sta ultimando una Re- lazione che sarà pubblicata fra non molto nel nostro Bollettino , in anticipazione della Memoria che presenterà a suo tempo, in seguito all’incarico conferitogli dal Ministero su proposta del Comitato. Memoria geologica sulle Alpi Apuane. — A questa memoria da tanto tempo attesa e per la quale già da alcuni anni è pronta la carta d’insieme alla scala di 1 a 250 000, fatta incidere espressamente, si spera che finalmente l’ingegnere Zaccagna potrà dare nell’anno venturo l’ultima mano, avendo il prof. Canavari compiuto lo studio dei fossili che ancora occorrevano ed essendo ormai anche a buon punto l’esame petrografie© delle roccie stato affidato all’ing. Franchi e quello chimico del quale fu dato incarico all’ing. Mattirolo. Sarebbe vera- mente da desiderarsi che non sorgessero nuove difficoltà all’esecuzione di questo importante lavoro, che ancora manca per dare completo lo studio del tipico massiccio che fu oggetto della bella Carta al 50 000, la pubblicazione della quale risale ormai a 6 anni addietro. Traforo del Sempione. — Come è accennato nella relazione dello scorso anno, al 31 dicembre 1901 l’avanzamento del traforo dal lato svizzero aveva raggiunto il km. 6 -{-335 dall’imbocco Briga, mentre dal lato italiano, per causa specialmente delle forti venute d’acqua fra i km. 3 -{-830 e 4 -{-325 e del ter- reno calcescistoso decomposto, la perforazione fu molto ritardata, e non rag- giunse alla fine del 1901 che il km. 4 -{- 428 dall’imbocco Iselle. Superate coi più energici mezzi costruttivi le gravi difficoltà, da questo lato il lavoro potè poi procedere nei primi mesi del 1902 molto regolarmente ed efficacemente dai due imbocchi, in modo che alla fine del 1902 l’avanzata — 17 — dal lato Briga raggiungeva il km. 8-)- 469, ottenendosi in 12 mesi 2134 metri di aAranzamento, e dal lato Iselle il km. 5 + 859, con 1431 metri di avanza- mento. A quella data rimaneva dunque da perforarsi un nucleo di 5401 metri. Indichiamo qui in modo sommario la serie e disposizione dei terreni attra- versati nel 1902. Imbocco Briga. — Lo gneiss scistoso del Monte Leone riscontrato già fin dal km. 5 + 725 continua con grande unifomità, con qualche intercalazione di scisto cloritico e anfibolico, traversato da piani di laminazione e di rottura fino al km. 7 + 240, con inclinazione dei banchi sempre a ILO e variabile fra 25° e 50°. Fu in seguito attraversata per circa 12 m. una zona di micascisti e scisti cloritici granatiferi, rientrando al km. 7 + 252 nello gneiss, che continuò con qualche variazione di struttura fino al km. 8 + 145. Da qui venne incon- trato un banco di 10 m. di quarzite calcarifera bianca, screpolata, con infiltra- zioni d’acqua, passante in basso a un vero marmo granuloso micaceo con alter- nanza di calcari scistosi, micacei. Dal km. 7 + 965 fino al km. 8 circa gli strati si presentarono orizzontali, indi dopo un tratto energicamente ripiegato e sconvolto con pendenza predo- minante a S.E, gli strati si rialzano in senso opposto descrivendo una conca. Dal km. 8 + 179 in poi l’inclinazione si mantiene fra 25° e 35° a ILO. Al di là del banco di quarzite e marmo si trovava fino al km. 8 + 469 (avanzata al 31 dicembre) una serie micascistosa, con qualche piccola alter- nanza di quarzite, e particolarmente dei micascisti teneri bianco -argento, per- lacei o verdognoli, identici a quelli riscontrati dal lato Iselle dal km. 4 + 436 al 4 + 500 in prossimità dei banchi di anidrite e dolomite. Col procedere dei lavori nel 1903 questa serie micascistosa e calcarifera venne interamente attraversata, ritrovandosi al km. 8 + 587 lo gneiss del Monte Leone. Nessuna difficoltà si ebbe da questo lato per incontro di sorgenti interne, essendosi anzi la roccia trovata quasi sempre molto asciutta; qualche ostacolo presentarono brevi zone di terreni decomposti e spingenti, e notevole fu l’enorme aumento della temperatura, che si trovò molto superiore a quella corrispon- dente al grado geotermico, e che raggiungeva nella roccia appena perforata fino a 54°. 2. Tali eccessive temperature furono vinte con una ventilazione estremamente energica, in modo che le condizioni di lavoro nella galleria non erano molto più gravose delle normali. Imbocco Iselle. — L’avanzamento al 31 dicembre 1901 si trovava al km. 4 + 428 in uno scisto calcarifero, micaceo, triturato e impregnato d’acqua che continuò fino al km. 4 445. Qui dopo un banco di 5 m. di calcare mar- 2 0 — 18 - moreo si incontrò di nuovo lo scisto fino al km. 4 + 461, dove si presentava un piano di scorrimento nettissimo, oltre il quale ricominciava il terreno sci- stoso con inclinazione regolare di 30° S.E. Il terreno scistoso, più o meno calcarifero con qualche banco di calcare, di anidrite bianca e violacea e di dolomia, con inclinazioni variabili e con fitte pieghe a zig-zag, continuò fino al km. 4 + 610, dove fu riscontrato e tra- versato poi fino al km. 4 + 786 un grosso banco di anidrite bianca, inclinato 10° a 20° S.E. Si traversarono poi alternanze di scisto calcareo-micaceo bianco, di anidrite e di marmo e di scisto più scuro fittamente pieghettato fino al km. 5 + 328, dove fu incontrato uno gneiss fogliettato a grana finissima, affatto differente dallo gneiss tipico del Monte Leone e contenente numerosissimi ciot- toli di gneiss, simile a quello d’Antigorio, intimamente collegati con la pasta. In questa puddinga a cemento gneissico si trovava ancora l’avanzata alla fine del 1902, raggiungendo il km. 5 + 859, e nella stessa roccia, pochissimo inclinata, anzi quasi orizzontale si manteneva ancora sino alla fine del marzo 1903 (km. 6 + 330). Era i km. 4 + 793 e 5 + 326 sono frequenti le fessure, i piani di scorrimento e le faglie, coincidenti quasi sempre con l’apparizione di sorgenti, tutte seleni- tose e indicanti la presenza di grandi masse gessose al disopra del traforo. Le temperature della roccia si mantengono, da questo lato, normali, con un mas- simo di 35°. 3. Dai dati che si posseggono finora sulle roccie attraversate sarebbe prema- turo volere stabilire una sezione generale geologica traverso il Sempione, tanto più che i rilevamenti geologici che si possiedono per l’esterno non corrispon- dono per esattezza e dettaglio a quelli fatti nell’interno, gradualmente col pro- cedere dei lavori. Da ciò nascono le forti discrepanze fra i geologi che vollero fin d’ora fare induzioni sulla intima struttura e disposizione tettonica della montagna, e forse, anche a traforo finito, le interpretazioni tettoniche non sa- ranno concordi. Per ciò che riguarda il regime delle sorgenti nella zona fortemente acqui- fera dal lato italiano, esse si mantennero per tutto il 1902 nella stessa misura di circa 1000 litri per 1" : solamente nei primi mesi del 1903 si notava, secondo i geologi della Commissione svizzera, una diminuzione di circa 80 litri al 1". la quale tuttavia potrebbe ragionevolmente attribuirsi al minor contributo for- nito alle sorgenti stesse dalle acque esterne, in epoca in cui non avviene la fusione delle nevi. Congresso internazionale di scienze storiche. — Coinè avvertii nella Rela- zione dello scorso anno, mi parve opportuno e doveroso preparare per la Se- zione VI del Congresso storico (storia della geografia e geografia della storia) — 19 - in seguito a speciale invito rivoltomi dal Comitato ordinatore, un cenno sulla storia della cartografia geologica in Italia e pertanto nell’adunanza del 6 aprile ultimo feci la mia comunicazione (la quale verrà a suo tempo pubblicata fra gli Atti del Congresso) riferendomi specialmente al risultato delle ricerche fatte al riguardo nel nostro Ufficio geologico, riassunte in un elenco cronologico delle carte edite ed in parte anche inedite a tutto il 1902. Tale elenco com- posto per cura specialmente dell’ingegnere-capo cav. Sormani, comprende 480 la- vori cartografici dei quali alcuni soltanto anteriori al 1800. Rella comunicazione è fatta speciale menzione dei lavori più importanti di data anteriore al secolo xix, che sono principalmente le carte dei giacimenti minerali della regione romana del padre Cermelli e la carta mineralogica del Piemonte, Liguria e Savoia del cav. Ricolis di Robilant. Le prime carte geologiche a colori citate nell’elenco sono quelle del Brei- slack (1801), del Brocchi (1820), ecc., colorate a mano. Dopo il 1830 si progredì più rapidamente e vennero i lavori di Collegno, Pareto, Sismonda, Savi, Hoffmann, Lamarmora, ecc. Verso il 1865 cominciò a funzionare il Comitato geologico e se ne ebbero successivamente i lavori del Capellini, del Cocchi, del Meneghini, del Gastaldi, del Mottura, del Curioni, ecc. E finalmente nel 1881 fu tenuto il memorabile Congresso geologico interna- zionale di Bologna nel quale Sella, Giordano e Capellini, i quali avevano avuto gran parte nell’organizzazione del Servizio della carta geologica del Pegno, posero le basi della Società geologica italiana. Viene ricordato che alTEsposizione universale del 1900 a Parigi le carte esposte dal nostro Ufficio furono molto apprezzate dai geologi di ogni paese colà convenuti, avendo il R. Ufficio geologico e la Società geologica italiana conse- guito le più alte onorificenze. La comunicazione fu illustrata colla presentazione dei principali tipi di carte geologiche dalle più antiche alle più recenti a dimostrazione anche dei progressi fatti in corrispondenza ai graduali perfezionamenti ottenuti nei pro- cessi litografici, cromolitografici e fotomeccanici di riproduzione e dei metodi di rappresentazione sempre meglio atti ad agevolare le svariate applicazioni della geologia. Sarebbe stato nostro desiderio di poter fare omaggio al Congresso storico internazionale della Guida delle collezioni dell’Ufficio geologico della quale si parlò anche nella Relazione dello scorso anno ; ma tal© Guida, benché ultimata, quale oggi ho l’onore di presentare al Comitato, non potè ancora essere rive- duta e completata in tutte le sue parti, e abbiamo creduto meglio ritardarne la pubblicazione onde possa raggiungere anche nel materiale suo ordinamento quella precisione che è specialmente raccomandabile in tale genere di pubblicazioni. Carte agronomiche. — Hella sezione III (agronomia) del Congresso interna- zionale di agricoltura tenuto qui in Roma nello scorso mese di aprile, fu ri- presa in esame la questione delle carte agronomiche sulla quale, come è noto, molto fu detto anche in passato in parecchie consimili riunioni e molto fu scritto nei periodici agronomici e geologici di ogni paese, ISel Congresso inter- nazionale di Roma furono fatte intorno a tale argomento diverse comunicazioni : dal prof. Trabucco, sull’ importanza e modo di applicazione della geologia all’ agri- coltura; dal prof. Remondini, sulle carte agronomiche e loro utilità nell’agricol- tura nazionale ; dal prof. Schreiber (belga), sull ’ analisi fisiologica dei terreni nei suoi rapporti colle carte agronomiche ; dal signor Jules Bénard sulle cortes agro- nomiques de V arrondissement de Meaux [Seine-et-Marne) . Il prof. Liagatu di Montpellier presentò a sua volta l’importante suo Elude cles terres et les cortes agronomiqnes e comunicò un lavoro manoscritto fatto da lui in collaborazione con L. Sicard sopra 1 ’utilisation pratique de l’analgse des terres arables. Ideilo svolgimento di simili comunicazioni furono tenute interessanti di- scussioni alle quali presero parte, oltre agli autori delle medesime, parecchie altre persone autorevoli e competenti, come il vice-presidente Wittmack, profes- sore all’ Università di Berlino, ed i professori Rayer, Zecchini, I. Griglioli, ecc. Io stesso mi credetti in dovere di dare alcune spiegazioni che furono apprezzate, intorno a ciò che fu fatto sin qui in Italia ed intorno alle disposizioni in pro- posito adottate dal nostro Comitato. È risultato dalle discussioni tenute : non essere razionale nè pratico pensare alla formazione ed alla pubblicazione, in modo generale ed uniforme, di carte geologico-agronomiche la cui portata ed importanza varia grandemente per le diverse regioni e località, e che, lo scopo essenziale al quale tali carte de- vono mirare essendo la conoscenza del suolo nei suoi rapporti colle colture agrarie, non può richiedersi alla geologia altro che la base così detta geo- gnostica in iscala mediocre di 1 a 25,000 od al massimo di 1 a 10,000, ed alla stratigrafia quanto basta per rendersi conto delle condizioni idrologiche su- perficiali e sotterranee del terreno ; tutto il resto, che è di gran lunga il prin- cipale, deve lasciarsi alla chimica agraria, alla fisica, alla meteorologia, e sopra- tutto all’agronomia propriamente detta, alla fisiologia vegetale ed alla stati- stica dei campi. Ciò fu espresso dal prof. Lagatu, nell’opera citata, con queste parole : « Bn definitive, ce qu’il j a de moins important dans une carte agro- nomique, ce qui est, pour ainsi dire, irréalisable sans une organisation très puissante, c’est la carte; mais ce qui est accessible, vraiment utile, ce qui est éminemment préeieux, c’est l’étude agrologique d’un certain nombre d’échan- tillons types dont la position est marquée avec soin sur une carte quelconque, — 21 — de préférence géologique, parcequ’elle perinet mieux aux agronomes de géné- raliser la portée des analyses types. » Queste idee sono, del resto, quelle stesse che già il Comitato nostro aveva implicitamente ammesso ed approvato su mia proposta, nell’adunanza del 3 giugno 1901, facendo avanzare di un altro passo la soluzione razionale del problema. Il massimo che possa farsi in questa direzione da un Istituto geologico è di dare la base geognostica delle località delle quali voglia farsi la carta agro- nomica od -anche soltanto agrologica, corredandola di quelle speciali indicazioni di indole mineraria e idrografica che possono essere di particolare interesse a seconda delle varie località, aggiungendo tutt’al più opportune indicazioni per la raccolta dei campioni relativi alle principali zone del terreno da rappre- sentarsi. Tutto il resto è di esclusiva competenza dell’agronomia e delle altre scienze affini. Il nostro Istituto si è prestato a dirigere in questo senso, per estensioni li- mitate di natura uniforme, la formazione di qualche cartina speciale come, per esempio, della regione del Montello, per quanto potè consentire la scarsità dei mezzi posti a nostra disposizione, ed entro tali limiti siamo disposti a conti- nuare la nostra collaborazione anche per l’avvenire. Devo intanto informare che il nostro collega prof. Taramelli, il quale si è sempre con speciale predilezione interessato agli studi di geologia applicata, e tanto ha contribuito e contribuisce al buono indirizzo scientifico dei nostri la- vori, ha già da alcuni mesi richiamato la mia attenzione sulla opportunità di intraprendere lo studio geognostico-agrologico di qualche altra località, conve- nientemente scelta, preferibilmente nelle provincie meridionali, come esempio di studi consimili che potrebbero essere in seguito compiuti per iniziativa privata o di amministrazioni locali. A tal uopo egli suggeriva di richiedere il concorso della Direzione generale del Catasto per la raccolta dei campioni delle terre da analizzare. Xon ho mancato di occuparmi (Iella cosa in varie conferenze che ebbi sul- l’argomento colla Direzione generale del Catasto, ma dovetti persuadermi che l’indirizzo dei lavori di stima che si compiono dalle Giunte provinciali non si presta allo scopo che noi dovremmo raggiungere e che la cooperazione del per- sonale catastale, mentre riuscirebbe di poca efficacia per noi, recherebbe grave disturbo ai lavori di classificazione che il catasto fa secondo i propri criteri. Ciò noD di meno il pensiero del prof. Taramelli sarà ripreso in esame, quanto prima, coll’intento di valerci per gli studi agronomici e per le analisi chimiche e meccaniche, le quali costituiscono la maggior difficoltà, date le in- certezze che per le medesime ancora si hanno fra gli specialisti della materia, di elementi che praticamente potrebbero meglio giovarci, procurandoci possibil- — 22 — mente la contribuzione della Scuola superiore di agricoltura di Portici o di altri istituti competenti opportunamente situati. Per concludere su questo argomento, riteniamo convenga ribadire il con- cetto che ormai tende a prevalere fra gli agronomi, che una buona carta geo- logica debba precedere ogni studio diretto alla conoscenza del suolo agrario, e che la parte da aggiungersi, per riuscire alla rappresentazione delle condizioni agronomiche e delle attitudini speciali dei vari terreni alle svariate colture agrarie, debbano fare oggetto di studi e ricerche indipendenti dalle discipline geologiche. In questo senso deve essere interpretato il voto espresso dalla Commissione belga la quale ritenne non essere assolutamente opportuno che l’elaborazione delle carte agronomiche dovesse menomamente disturbare i lavori in corso per la formazione e la pubblicazione della carta geologica di quel paese, in ragione della capitale importanza che lo studio geologico del territorio ha per sè, non solo come fondamento indispensabile degli studi agronomici, ma anche come base delle svariate altre applicazioni che ne possono derivare per la eco- nomia della nazione. Fiera mondiale di St.-Lonis. — Fin dallo scorso mese di marzo il signor GL A. Holmes, capo del dipartimento delle miniere e della metallurgia per la Fiera mondiale che deve tenersi in St.-Louis nel venturo anno 1904, mi fece invito di far allestire per quella mostra una collezione di carte e disegni, foto- grafie e pubblicazioni geologiche e quanto altro possa contribuire a mettere in rilievo l’organizzazione del nostro Servizio geologico e dare un’idea della sua operosità. A tale invito si associò il signor Walcott, direttore del Servizio geo- logico degli Stati Uniti d’America, il quale con una sua lettera particolare, della stessa data, mi rivolse speciali raccomandazioni al riguardo. La cosa è certo desiderabile, tanto più che a senso delle idee espresse tanto dal signor Holmes, quanto dal Walcott, la nostra mostra dovrebbe esten- dersi anche al servizio minerario, il che potrebbe presentare non poco inte- resse dal lato industriale. Se non che, in pendenza delle pratiche del nostro Governo per la ufficiale partecipazione a quella Esposizione e per lo stanzia- mento della somma all’uopo necessaria, non si potè ancora concretare il pro- gramma di quanto potrà farsi. Il Ministero si è in ogni modo dichiarato favorevole alla proposta fattagli anzi ha stabilito in massima che l’Ufficio geologico ed il Corpo delle miniere concorrano nel miglior modo possibile predisponendo le cose per dar mano sen- z’altro agli occorrenti preparativi, appena si saprà quale estensione potrà darsi al nostro concorso in proporzione dei mezzi che potranno essere posti a nostra disposizione. - 23 Congresso internazionale geologico di Vienna. — Per questo Congresso, che deve tenersi dal 20 al 27 agosto p. v., crediamo convenga proporre al Ministero di accordare a quelli fra i nostri ingegneri, che desiderassero prendervi parte, un permesso straordinario della durata strettamente necessaria, in seguito a do- manda formale che ciascuno credesse di presentare all’uopo, e di acconsentire anche, qualora ne sia dimostrata l’opportunità, di partecipare a qualcuna delle escursioni che, a seconda del programma già diramato, devono farsi dopo il Congresso alle Alpi tirolesi, carniche o giulie, le quali presentano speciale in- teresse per i nostri lavori. In nessun caso l’interruzione che potrebbe derivarne per i lavori normali di campagna di ciascun operatore dovrebbe eccedere venti giorni complessivamente. Sarà poi anche opportuno che, in conformità di quanto si praticò in pas- sato, tanto il Comitato, quanto l’Ufficio, siano rappresentati a quel Congresso ed alle riunioni che in tale occasione saranno tenute dalla Commissione interna- zionale della Carta geologica d’Europa, dal Presidente del Comitato stesso e dal Direttore della nostra Carta geologica, che all’uopo dovranno essere muniti dal Ministero di speciale delegazione. Società geologica italiana. — Per le interessanti escursioni fatte nello scorso autunno nei monti della Spezia dalla Società geologica sotto la presidenza del benemerito nostro presidente, l’Ufficio geologico ha messo a disposizione gli esemplari che ancora teneva in deposito della bella cartina geologica che era stata pubblicata sotto la direzione dello stesso prof. Capellini sin dal 1881 nel- l’occasione del Congresso internazionale di Bologna. La distribuzione ne fu fatta, come molti di noi ben ricorderanno, ai membri della Società geologica convenuti all’adunanza di Spezia, con un fascicolo di note esplicative di detta carta redatte per la circostanza dall’ autore stesso. Le escursioni annuali di quest’anno devono farsi sotto la presidenza del collega colonnello Verri nella Montagnola Senese e nel Monte Amiata. Il nostro Ufficio non ha mancato di comunicare all’uopo tutte le notizie di cui dispone, e non mancherà di prestarsi nel miglior modo possibile per la buona riuscita delle escursioni e del Congresso sociale che nel prossimo mese di settembre sarà tenuto in Siena. I documenti inediti comunicati per le escursioni sono i fogli di Siena e di Santa Fiora alla scala di 1 a 100,000 colorati geologicamente e ricavati dalle tavolette al 50,000. A proposito della Società geologica devo informare il Comitato che l’at- tuale presidente colonnello Verri avendo ripresentata al Ministero la" domanda per il ripristinamento del sussidio che sino al 1806 si soleva accordare alla Società stessa sul fondo della Carta geologica, il Ministero dovette rispondere come agli altri presidenti che in precedenza avevano fatta la stessa domanda (compreso il prof. Capellini nel 1902 e lo scrivente nel 1900), elle i fondi asse- gnati in bilancio per la Carta geologica non permettevano assolutamente simile distrazione. Tuttavia tenendo conto dei voti ripetutamente manifestati dal Co- mitato per un aumento di dotazione, caldamente raccomandato dal nostro presidente nella sua lettera di presentazione dei verbali dell’adunanza del p. p. giugno, il Ministero ha aderito alla mia proposta, rinnovata nel febbraio ultimo, di portare l’assegno per la Carta geologica a L. 50,000 annue, il quale permetterà di ripristinare il sussidio a favore della Società geologica, secondo gli intendimenti dei fondatori di essa ed in riconoscimento della collaborazione che essa presta indirettamente ai nostri lavori. Locali dell’Ufficio geologico. — L’adattamento di una delle soffitte per ca- mere ad uso d’ufficio è stato compiuto in tempo perchè il nostro personale abbia potuto profittarne già da parecchi mesi. Sono cinque ambienti che po- terono guadagnarsi, dei quali uno si adatterà ad uso di gabinetto di assaggio delle roccie per gli operatori nell’esame del loro materiale di campagna. Benché l’area aggiunta non sia che di circa 100 mq. in tutto, il nostro personale già ne sente i vantaggi per la maggior libertà di movimento che essa permette. Il Ministero avendoci poi anche conceduto l’uso temporaneo di una parte dell’altra soffitta che era sinora adibita a deposito di materiali, in massima parte inservibili, del Museo agrario, potremo meglio provvedere alla cernita e classificazione dei materiali di studio al loro arrivo, ed alla collocazione del laboratorio di preparazione delle sezioni sottili di roccie. La spesa fatta per l’adattamento suddetto, ammontante a 7,000 lire circa, già venne in parte pagata sul bilancio corrente e su quello dell’anno prece- dente ed una parte graverà ancora sul fondo che verrà assegnato per l’anno entrante. Lo sgombero di parte del materiale di imballaggio e di scaffalature fuori d’uso ed inservibili appartenenti al Museo agrario che si trovavano depo- sitate nell’altra soffitta della quale, come si disse, il Ministero ci concedette l’uso promiscuo, fu determinato da un principio d’incendio in essa manifestatosi nella scorsa estate. Questo fatto ci indusse ad esaminare accuratamente se il contratto di assicurazione desse sufficiente garanzia contro i danni di possibili incendi. In conseguenza dell’esame fatto abbiamo quindi provveduto a me- glio garantirci mediante un nuovo contratto di assicurazione colla Società Beale di Torino, regolarmente approvato dal Ministero, e che ci reca un maggior dispendio annuo di L. 120. Dono del clott. Bornemann. — j^on possiamo porre termine a queste comu- nicazioni di indole generale senza registrare il gradito dono ricevuto dal dot- tore Bornemann di Eisenach, figlio del compianto ingegnere Giorgio Bornemann — 25 — che tante benemerenze ha acquistate in Sardegna nel lungo soggiorno fattovi e come coltivatore ed esploratore dell’importante miniera di Ingortosu ó come studioso acuto e diligente di quelle formazioni paleozoiche. Il dono fattoci consiste in una serie di fogli disegnati a mano dall’ing. Bornemann suddetto, rappresentanti lo stato del Vesuvio e delle Isole Eolie nel 1856, col ritratto di lui in fotografia. I disegni saranno conservati nel nostro Ufficio a disposi- zione degli studiosi che desiderassero esaminarle e riusciranno utili all’Ufficio stesso per la ricostruzione della storia di quelle classiche regioni e del vulca- nismo italiano. Il ritratto poi venne esposto nella sala delle nostre collezioni dove figurano i materiali della Sardegna. Fu ringraziato il donatore a nome del Comitato e dell’Ufficio e fu informato il Ministero del dono ricevuto. Rilevamenti. I lavori geologici di campagna durante l’anno 1902 (da gennaio a dicembre) ebbero regolare svolgimento, attenendosi al programma già presentato al Comi- tato e da questo approvato. Come negli anni precedenti i lavori di campagna ebbero per iscopo nuovi rilevamenti e revisioni. I nuovi rilevamenti vennero proseguiti nelle regioni delle quali era già incominciato lo studio e cioè: 1° Ideile Alpi occidentali; 2° Nella Liguria orientale e nell’ Appennino ligure • emiliano ; 3° Nell’Umbria; 4° Nelle Marche; Accurate revisioni vennero fatte inoltre nella regione vulcanica viterbese, nell’ Appennino romano, nell’Abruzzo, nella penisola Salentina e. nell’estremo angolo nord-est della Calabria. Ai nuovi rilevamenti delle Alpi attese il consueto personale e cioè gli ingegneri Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella, al rilevamento della Liguria orientale l’ing. Zaccagna, a quello delhUmbria l’ing.-capo Lotti col concorso dell’aiut.-ing. Moderni, al rilevamento delle Marche lo stesso Moderni. Le revisioni nella regione vulcanica a nord di Roma furono fatte dal- l’ing. Sabatini; nell’alto Aniene furono continuate dall’ing Yiola; nella penisola Salentina daH’aiut.-ing. Cassetti col concorso dell’ing. Baldacci e del dott. Di Stefano ; nell’Abruzzo dallo stesso Cassetti ; nella Calabria settentrionale dal- l’ing. Crema. — 26 — La direzione dei lavori di rilevamento e revisione nella provincia di Roma fu anche in quest’anno affidata all’ingegnere-capo P. Zezi e quella dei lavori per le Alpi, Liguria, Italia centrale e meridionale, alT ingegnere-capo L. Baldacci. Direzione dei rilevamenti , ingegnere-capo Baldacci. — In occasione della pubblicazione, alla quale P Ufficio geologico sta attualmente attendendo, della carta geologica a 1 : 100,000 dell’Italia meridionale, in continuazione di quella già fatta della Calabria, venne riconosciuta la necessità di rivedere intanto una parte dei rilevamenti della penisola Salentina, poiché quel lavoro era stato eseguito più che dieci anni or sono, e nel frattempo vari studiosi ave- vano percorsa e visitata la regione pubblicando le loro osservazioni. Una delle questioni più importanti da risolvere era quella della presenza o meno di affio- ramenti eocenici, dei quali si erano trovate tracce non evidenti nel corso dei rilevamenti, tanto che non si credè opportuno di tenerne conto nel fornire gli elementi per la Carta generale d’Europa, raggruppandoli invece con le forma- zioni indubbiamente mioceniche che sono con loro a contatto nella stessa regione e nelle quali già nel corso dei rilevamenti si erano fatte ricche raccolte di fos- sili, deposti presso l’Ufficio geologico. Oltre a questo scopo una revisione di quelle regioni era più che opportuna per raccogliere nuovi e più sicuri ele- menti paleontologici per la classificazione dei terreni cretacei e per assicurarsi che altri terreni più antichi non affiorassero in qualche tratto al disotto di questi. La revisione venne affidata al signor Cassetti e alla medesima presero parte il dott. Di Stefano e Fing. Baldacci. Hel riferire sul lavoro del Cassetti verranno date speciali notizie sulle regioni da lui rivedute e sulle particolari osservazioni sue e del dott. Di Stefano. L’ing. Baldacci prese parte alla revi- sione dei dintorni di Tricase, G-agliano del Capo e Capo di Leuea, ed in queste gite concorse anche il dott. Di Stefano, e si potè accertare sia lungo la spiaggia di Tricase, sia nei dintorni di Gagliano e del Capo di Leuca la presenza di affio- ramenti di calcari bianchi cristallini con gasteropodi e coralli, gremiti di num- muliti ed orbitoidi. Su questi calcari riposano qua e là lembi interrotti di calcare rossastro, vera lumachella con brachiopodi, aturie ed altri fossili indub- biamente miocenici. Anche alla costa orientale del Capo di Leuca (R.ne Foresta forte, ecc.) affiora estesamente il suddetto calcare eocenico a nummuliti ed orbitoidi, e per la sua inclinazione di 20° circa verso Est, cioè verso mare, è escluso che lungo la costa possano presentarsi terreni più antichi. Aelle Alpi occidentali l’ing. Baldacci fece nella seconda metà di luglio escursioni in Valtournanche fino a Breuil e al Gran Tournalin con l'inge- gnere Mattirolo, incaricato del rilevamento di quella valle, e nelFagosto per- corse, insieme all’ing. Franchi e più tardi con lo scrivente, l’alta valle di — 27 — Gressoney fino al Colle d’Ollen, Colle di Bettolina, Colle di Bettafurca, Monte Grau Haupt, eco. Yel settembre fece con l’ing. Stella alcune gite nella alta Yal d’Ossola, raggiungendo dalla Frua il passo del Gries e il Yufenen Stock, dove si pre- sentano scisti cristallini di aspetto molto antico, contenenti belemniti. Yello stesso mese visitò coll’ing. Novarese la valle di Brusson fino al colle di Loux e ad Ayas, e alla fine del mese accompagnò il sottoscritto a visitare i lavori della grande galleria del Sempione dal lato italiano, facendo poi ritorno a Roma ai primi di ottobre. In queste varie gite nell’Italia meridionale e nelle Alpi, l’ing. Baldacci im- piegò 59 giorni, ivi compresi quelli di soggiorno presso l’Ufficio geologico di Torino e percorse 1058 km., con una spesa totale di lire 903. 14. Alle precedenti cifre devono unirsi 13 giorni e 47 km. per due incarichi speciali relativi al terremoto di Salò e alle frane di Loreto, di cui sarà parlato in seguito, e la cui spesa totale in lire 150. 02 fu a carico del bilancio dell’Uf- ficio geologico. Alpi occidentali. — Ingegnere Mattirolo. — Il rilevamento eseguito dall’in- gegnere Mattirolo durante la campagna del 1902 si svolse nella Y altournancke ed in regioni ad essa limitrofe, riattaccandosi a quello della valle di St-Barthélemy da esso compiuto l’anno precedente. La Yaltournanche, compresa nella tavoletta omonima e per la sua parte inferiore in quella di Chàtillon, fu geologicamente tutta riconosciuta ; fu compiuto il rilievo particolareggiato del suo versante sinistro ed a terminare quello del destro, manca ancora il rilevamento del bacino di Torgnon e quello di un tratto dell’ elevata catena che chiude l’alta valle verso ponente e tramontana, e che comprende il Cervino. Le formazioni che s’incontrano nella Yaltournanche sono quelle stesse del- l’attigua valle di St-Barthélemy di cui sono il prolungamento, e si presentano all'incirca cogli stessi caratteri, cogli stessi tipi e varietà litologiche, analoga- mente disposte, e del pari il loro andamento è tormentato, la loro tettonica è complessa. La potente serie delle roccie gneissico-micascistose appartenenti al gran massiccio gneissico della Yalpellina, e che costituiscono il tratto di catena sopra accennato, come nella valle di St-Barthélemy, sono rovesciate sulle forma- zioni dei calcescisti e roccie verdi che cingono il massiccio, e formano il rima- nente della Yaltournanche, assumendo enorme sviluppo. Anche in questa valle alle molte varietà di roccie gneissico-micascistose più o meno fortemente laminate, soventi con anfibolo, clorite o sostanza talcoide, attraversate talora da venature aplitiche e quarzose, trovansi associati gneiss - 28 — glandulari affatto simili a quello del Gran Paradiso, ma raramente a struttura porfiroide o granitoide ben marcata. Queste alternanze di varietà litologiche nella serie, si possono soventi distinguere da lungi e si può seguire per certo tratto il loro andamento sinuoso, le ripiegature dei banchi e le diverse lenti, così come si può seguire una stretta zona di un micascisto molto laminato di color grigio, o ferruginoso per alterazione che, declinando dalla Testa del Leone al colle del Turggen, cinge alla base la piramide del Cervino. La formazione delle pietre verdi presenta il solito caratteristico intreccio di tipi litologicamente diversissimi, nè mancano eclogiti, pirosseniti, roccie a glau- cofane e ad omfacite. In una delle numerose masse serpentinose l’ ingegnere Mattirolo osservò una breccia formata da frammenti angolosi di serpentina rilegati dallo stesso materiale con colore leggermente più chiaro, ciò che stabilisce come le serpen- tine, a somiglianza delle roccie calcaree, possano essere accompagnate dalle loro breccie costituite da un solo elemento litoide. Nella serpentina incontrò pure vari ammassi di dolomia simili a quello ricordato l’anno scorso presso Yerrayes. La stretta zona dolomitica di carattere triasico rilevata l’anno scorso dal No- varese nella Yalpellina e dal Mattirolo in corrispondenza della valle di St-Barthé- lemy, interrotta qua e là, continua pure nella Yaltournanche. Caratteristiche di questa zona sono anche qui la costanza di composizione e di facies delle roccie che la costituiscono, il mostrarsi generalmente superficiale o poca profonda, ed il tro- varsi indifferentemente associata alle varie formazioni che s’incontrano nella valle. Essa si mostra come residuo di un’ampia e forse non potente copertura preesistente agli ultimi complessi movimenti orotettonici cui andò soggetta la regione e di essa rimangono ora i lembi, che, implicati nelle diverse roccie, fu- rono risparmiati dall’erosione. Fra i minerali rinvenuti dall’ing. Mattirolo, ricorderò soltanto: la piemonti te? l’onkosina che trovasi pure nei calcescisti di questa valle ed una tetraedrite antimonifera osservata in vari punti della zona triasica anzidetta. Sebbene sieno numerose le manifestazioni di minerale cuprifero, la Yal- tournanche è povera di minerali utili. Non vi si estrae che amianto di me- diocre qualità ed attualmente si sta, presso Yorpilles, lavorando ad una ricerca per pirite, seguendo un filoncello di variabilissimo spessore che affiora per una lunghezza di oltre 100 metri. L’azione glaciale è manifesta quasi ovunque nella Yaltournanche dove, nel- l’alta valle, il morenico recente si confonde coll’antico d’origine locale molto sparso, e specialmente in corrispondenza dei più vasti bacini secondati. — 29 — L’area rilevata dall’ing. Mattirolo durante la campagna del 1902, fu in com- plesso di 210 kmq., impiegandovi giorni 75 con percorso di 1144 km. su via or- dinaria, con spesa di lire 206. 36 in ferrovia e in complesso di lire 1112. 08. Ingegnere Novarese. — Dal giugno all’ottobre del 1902 l’ing. Novarese ha ter- minato il rilevamento dell’alta valle di Ollomont, ha continuato quello del gruppo del Mont Mary, sopra Aosta, e compiuta una breve gita complementare all’e- stremità del contrafforte fra le valli delle Savara e della Grand’Eyva. In seguito, secondo il programma, ha iniziato il rilevamento della valle delTEvanpon, portandolo quasi a compimento nella sua parte più alta (valloni di Ventina e delle Cime Bianche), e giungendo anche a segnare le principali linee della struttura nella parte media della valle intorno a Brusson. In principio ed in fine di campagna ha continuato il rilevamento dei monti a destra dello sbocco della Dora Baltea nella pianura padana. Vallone di Ollomont (tavoletta di Ollomont, quadranti S.E e S.O). La parte più alta della valle di Ollomont, circondata dalla cresta che corre dal monte Clapier al monte V elan (3747m) non si era potuta rilevare per mancanza di tempo e di opportune condizioni atmosferiche nelle due campagne precedenti. Come fu accennato nella relazione del 1900 la valle di Ollomont corrisponde essenzialmente ad una sinclinale di calcescisti ribaltata verso JST.O, sopra cui si appoggiano a S.E le arkesine e gli gneiss di tipo Arolla del monte Clapier e del monte Góle, e che a sua volta si appoggia sopra i micascisti del monte Velan. Sulla cresta di confine il Col Fénètre de Balme segna il contatto fra la forma- zione degli gneiss (ellissoide della Dent Bianche) e quella dei calcescisti, con- tatto che è forse complicato da qualche disturbo stratigrafico. Il Col de Val- sorey segna invece il contatto fra i calcescisti ed i micascisti del monte Velali, per modo che tutto il tratto di cresta, compreso fra i due colli sovra indicati, e che si eleva fino a 3600 m. circa nella Gran Testa di By, è costituito da roccie della formazione dei calcescisti, ed essenzialmente da quest’ultima forma lito- logica, con piccole intercalazioni di prasiniti, serpentine e scisti cloritici. Solo verso il contatto inferiore, alla base della serie dei calcescisti e poggiante sui micascisti del Col di Valsorey sta una potente massa di calcare dolomitico, che forma l'irta cresta denominata Monte Cordina (3298 m.) sulla carta dell’I. G. M. e Tre Fratelli sulle carte svizzere. Ai piedi dell’alta parete dolomitica sono stati trovati numerosi frammenti di calcari micacei grigiastri, con macohie spatiche nere, e nuclei spatici bianchi, analoghi a quelli che a Foresto (Susa) ed in Val Grana si sono trovati asso- ciati ai calcari con fossili determinabili. Traccio di questa zona dolomitica alla base della formazione dei calcescisti s’incontrano ancora in parecchi punti lungo il contatto che si dirige verso sud e che al Col di Champollion passa nel vallone di Menouve. — 30 — Presso alla linea di contatto della zona di calcescisti con gli gneiss della ellissoide della Dent Bianche, al piede della cresta orientale del monte Berio, si è trovata nei calcescisti una lente di giadeitite in posto, in tale vicinanza dello spartiacque da far supporre che roccie analoghe si presentino anche sul versante svizzero. Gruppo del Mont Mary (quadrante di Aosta). Hel gruppo del Mont Mary fu ricercata la prosecuzione della sinclinale triasica nei valloni dell’Arpisson e di Yerzignola, ritrovandone una serie di lembi costituiti ora da calcari ceroidi, ora da carniole, che riuniscono, senza dubbio possibile gli affioramenti del Col di St.-Barthélemy con quelli che stanno sopra Roissan, e le cave lungo la carrozzabile Aosta-Yalpelline, passando sulla faccia settentrionale della Becca di Roails. Di più, a sud della striscia calcarea si ripete in ordine inverso la stessa serie che si riscontra a nord nell’ellissoide della Dent Bianche, con roccie gra- natifere, calcari e dioriti che formano la Becca d’Arpisson. Inoltre, nel bacino dell’Arpisson, sopra le Alpi di Yerney, Vennero nel detrito di falda ritrovati frammenti della roccia incontrata dall’ing. Mattirolo (vedi Relazione del 1901) nella valle di St.-Barthélemy, e da lui paragonata ad una retinite scura, amigdaloide, ciò che conferma trattarsi di una roccia associata alla serie so- praddetta e non di una scoria o di materia fusa accidentalmente. Si tratta forse di una varietà di hdlleflinta , di cui è notevole l’apparenza vitrea, piuttosto unica che rara nelle Alpi occidentali. Valle di Challant e di Ayas (quadranti di Chàtillon, Yaltournanche, Gressoney e Monte Rosa), In questa valle il maggior interesse è presentato dalla tetto- nica complicatissima ; le formazioni che la costituiscono sono quelle già note nel resto della Yalle d’Aosta e nelle valli secondarie finitime. Da testata della valle è formata dall’ampio bacino glaciale di Yerra, circo- scritto dal tratto di cresta spartiacque, che corre dalla Gobba di Rollin (3906 m.) per le cime del Breithorn, dei Gemelli e del Polluce fino al Castore (1222 m.). Queste due ultime vette appartengono già al gruppo orografico del Monte Rosa, e geologicamente, certo in gran parte e forse totalmente, all’omonimo ellissoide di gneiss e micascisti. Le difficoltà veramente straordinarie di esaminare da vi- cino gli spuntoni rocciosi emergenti dalla vasta superficie di ghiaccio e nevi. % che copre tutto l’alto bacino di Yerra, lasciano sempre adito a qualche dubbio, specialmente per quanto riguarda la faccia occidentale e meridionale del Pol- luce. Ad ogni modo è certo che la porzione di ellissoide del Monte Rosa che penetra nella valle di Ayas è relativamente piccola. Sulla cresta spartiacque il limite occidentale dell’ellissoide sembra passare per il passo di Schwartzthor occupato dal ghiacciaio; la cresta meridionale del Castore è formata da gneiss e micascisti, che si spingono ancora a sud, formando il crinale divisorio fra le — 31 — valli di Ayas e di Gressoney, fino all’ insellatura a 2*f.E del Monte Rosso, che chiamasi passo della Bettolina ~N. (3157 m.), ed è senza nome sulla carta dell’ I. G. M. la quale registra soltanto il passo della Bettolina S. (2898 m.) posto a S.E del monte citato. Gli gneiss e micascisti, anzi essenzialmente questi ul- timi, dalla cresta citata scendendo fino al thalweg del vallone di Terra, scom- parendo sotto il ghiacciaio. Proprio nella parte più bassa del ghiacciaio, poco sotto agli Alpi superiori di Terra, la morena di sinistra è sostenuta da un pie- destallo roccioso formato da un magnifico gneiss ghiandone con cristalli felspa- tici di 10 cm. di lunghezza, solcato da vene di pegmatite tormalinifera. Questo gneiss forma tuttavia un affioramento piuttosto ristretto, e il resto dell’ellis- soide del Monte Rosa nella valle di Ayas è rappresentato essenzialmente da mi- cascisti granatiferi a mica bianca, talora felspatici, e quindi passanti a gneiss muscovitici, ricchi di molti minerali accessori. Alla porzione di cupola gneissica testé descritta si sovrappone regolarmente ed immediatamente un’immensa massa di serpentina e di peridotite che forma i Gemelli, il Breithorn, la Rocca di T erra, e scompare verso ovest sotto i ghiac- ciai della Tentina e di Rollin. A questa massa fa seguito una potente serie di roccie verdi con rare intercalazioni di calcescisto a cui si sovrappone regolar- mente (in apparenza almeno) una zona costituita da quarziti, calcari e carniole di tipo assolutamente triasico, che appare fra i ghiacci alla punta di Pian Rosé (quarziti), si sviluppa potentemente nelle Cime Bianche (calcari con quarziti alla base), e prosegue lungo il fianco del vallone omonimo perdendosi sotto la mo- rena di fronte a San Giacomo di Ayas. Sull’altro lato della valle (sponda si- nistra) le quarziti, accompagnate da calcescisti, compaiono soltanto al Col di Bettaforca. Invece, sul versante destro i calcari riappaiono nella cresta divi- soria della Taltournanche al Col di Hana, molto contorti però e visibilmente disturbati. Le roccie della zona delle pietre verdi formano il resto della valle di Ayas fino poco sotto a Brusson, dove bruscamente appare una piccola cupola di gneiss ghiandone da esse regolarmente ammantata. Questa cupola gneissica, che diremo di Arceza dal nome del villaggio che vi sorge sopra, è incisa profondamente dall’ Evancon, talché compare nei due lati della valle: la sua massima lunghezza diretta da sud a nord è di circa 3 km., la sua larghezza è molto minore perchè diretta in senso normale alla valle e quindi meno scoperta dall’erosione. La cupola di gneiss è solcata da filoni di quarzo aurifero (miniera della Bechaz). Sempre all’altezza di Brusson, verso est, nel vallone che sale al Col della Ranzola, sembra sovrapporsi ai calcescisti ed alle pietre verdi la potente forma- zione di gneiss e micascisti in cui è aperta per la massima parte la valle di Gressoney. Qui tuttavia sono evidentissimi dei grandiosi disturbi stratigrafici nello studio dei quali non si ebbe tempo di addentrarsi nella campagna del 1902. Bassa valle d’Aosta (tavolette di Settimo Vittone, Traversella, Ivrea ed Aosta). Alcuni giorni del giugno poterono essere dedicati a compiere il rile- vamento della lunga e stretta zona di graniti e roccie sedimentarie associate, che corre al piede delle Alpi nel Canavese. A ella parte compresa fra Muriaglio, Vi- dracco ed Issiglio, dove per l’assenza di formazioni quaternarie di trasporto più agevoli riescono le osservazioni, si riuscì a delimitare a N.E della cresta grani- tica monte Combrere-Bric di Muriaglio-Bric del Tossico un esteso affioramento di porfidi e tufi porfirici, formanti il fianco destro della valle del Rio Casciner, con una lunghezza di oltre 3 km. per 500 m. di larghezza media. Non consta che alcun autore abbia fatto cenno di tale ingente massa porfirica; solamente dall’Issel e dal Traverso sono stati segnalati dei tufi porfirici presso Vidracco, i quali formano effettivamente, uniti a porfidi, una lunga e stretta zona al piede S.E della citata cresta granitica, ma da questa separati per mezzo di una fascia parallela di scisti, ftaniti, arenarie e calcari. Nella tavoletta di Traversella a IVO della grande massa dioritica e sul prolungamento del suo asse maggiore, l’aureola metamorfica di contatto della roccia eruttiva si estende grandemente, molto al di là degli affioramenti visi- bili della diorite. Ciò, insieme con alcuni filoncelli di porfirite che solcano tali micascisti metamorfosati, può riguardarsi come sicuro indizio di una notevole massa eruttiva non affiorante, di cui i due piccoli dicchi dioritici di Montajeu sarebbero apofisi laterali. In quest’area di contatto è notevole la presenza di micascisti biotitici ad andalusite, i primi di tal genere che si rinvengono nelle Alpi piemontesi. [Nelle parti periferiche della più meridionale delle due masse suaccennate di Montajeu si è potuto notare che la roccia diventa una porfirite con massa fondamentale vetrosa, altra prova del carattere di apofisi che tali masse ri- vestono. Indizi della notevole estensione in profondità della grande massa Brosso- Traversella, che del resto verso sud si perde sotto il morenico, si hanno pure verso est sopra Bajo. Laddove si scorge, sul fianco del Monte Cavalleria, la grande frana nota col nome di Rovina di Bajo, nella parte di roccia messa a nudo appare un altro affioramento di porfirite anfibolica con aureola di contatto ed apofisi porfiriche ; filoni di quarzo con solfuri metallici denotano anche qui, come a Brosso ed a Traversella la potenza mineralizzatrice di cui il magma era dotato. L’area totale rilevata, riconosciuta o riveduta dall’ ingegnere [Novarese fu di 250 kmq. — 33 — Per questo lavoro furono impiegati 88 giorni, con un percorso di 1649 km. su strade ordinarie, una spesa ferroviaria di lire 224. 05 e una spesa totale di lire 1378. 75. lng. Franchi. — L’ing. Franchi intraprese il rilevamento nella terza de- cade di giugno nei dintorni di Coggiola, in Y al Sessera, per proseguire lo studio della regione biellese, incominciato negli autunni dei due anni precedenti. Al principio di luglio accompagnò in alcune escursioni nell’alta valle della Stura di Cuneo l’ing. Ziircher, il quale desiderava di riconoscere al di qua del confine il proseguimento di certe zone di terreni e di alcuni fenomeni di rico- primento, osservati nell’alta valle dell’Ubaye dallo Ziircher stesso, da W. Kilian e da E. Haug. I/ing. Ziircher potè constatare che presso il Colle di Pourriac, la serie è regolare dai gneiss, al Trias, al Lias inferiore fossilifero, al Giurese con qualche ammonite, al Cretaceo con rudiste ed echinidi, ed infine al Yum- mulitico. Forse con fenomeni di ricoprimento finora non determinabili si potrà spiegare la presenza di un lembo di Giurese in pieno eocene nel vallone di Pourriac rilevato e fatto noto dall’ ing. Franchi in un suo lavoro fin dal 1894. Il resto del mese di luglio fu impiegato dall’ing. Franchi nel rilevare la bassa valle di Gressoney, che fu poi esplorata nella sua parte media ed alta nell’agosto e nei primi giorni di settembre, spingendosi un po’ nelle adiacenti valli dell’Evanc^on e Yogna, e raggiungendo alcune delle vette del Monte Rosa, la Punta Gnifetti (4559 metri) e la Punta Castore (4222 metri). Per indisposizione l’ing. Franchi non potè attendere al rilevamento dal 6 al 18 settembre, sicché dovette in seguito limitarsi a rilevare in regioni di non grandi altitudini. Così egli riprese il rilevamento nella regione tra Cervo e Sesia, specialmente nelle tavolette di Bioglio, Masserano, Serravalle-Sesia, Goz- zano, Cossato, Gattinara e Roasenda. ideila valle di Gressoney potè constatare che i micascisti prendono una parte importante nella costituzione del gruppo del Monte Rosa; e per la fre- quenza in essi di lenti di eclogiti e pirosseniti l’ing. Franchi opina non impro- babile la equivalenza di tale formazione con quella dei micascisti eclogitici del Biellese e della parte inferiore della valle del Lys. La zona di pietre verdi addossantesi al Monte Rosa ed attraversante la valle del Lys a monte di Gressoney Saint Jean, già indicata con una certa approssimazione nella carta del Gerlach, si mostrò costituita da gneiss minuti, micascisti, quarziti, calcescisti semplici ed a sismondina, calcari cristallini e carniolici (sporadicamente rappresentati). In questo complesso roccioso sono in- tercalate masse, talora enormi di peridotiti e di serpentine, di eufotidi più o meno completamente metamorfosate in anfiboliti, di anfiboliti, di prasiniti, ge- — 34 — neralmente cloritiche, di pietre ollari, ecc., con associazioni e forme litologiche identiche a quelle delle Alpi Cozie. La formazione gneissica che si sovrappone, per rovesciamento, su questa zona di pietre verdi, ripiegata in sinclinale, non però osservabile, comporta numerosi tipi di gneiss occhiadini a mica bianca e di gneiss con aspetto are- naceo, con passaggi a quarziti, presso il contatto colla zona suddetta. Dal complesso delle osservazioni e delle intercalazioni di roccie caratte- ristiche, l’ ing. Franchi non sarebbe alieno dal sincronizzare la parte superiore della formazione gneissico-micascistosa del Monte Rosa con i gneiss suddetti e coi micascisti eclogitici del Biellese. [Nuovi ritrovamenti di roccie giadeitoidi fatti da lui nella valle di Gres- soney e nella valle del Gorzente (dove fece qualche escursione a proprie spese) e dai suoi colleghi [Novarese e Stella in altri punti, ed il paragone dei mate- riali raccolti coi manufatti litici di molte stazioni dell’Italia settentrionale e centrale, convinsero il Franchi dell’origine indigena dei materiali giadeitici delle stazioni neolitiche europee, ed in questo senso credette opportuno fare una comunicazione alla Sezione di archeologia del recente Congresso di scienze storiche. [Nella regione tra Cervo e Sesia, l’ing. Franchi notò particolarmente una potente massa (finora da nessuno segnalata) di kinzigiti grafitiche con cordierite e sillimanite, nella quale sono i noti piccoli giacimenti di bella grafite di Cog- giola; e fra i porfidi, che come si sa hanno colà grande sviluppo, presso Curino, notò la presenza di forme variolari (piromeridi) come quelle già cono- sciute di Crevacuore. Dei terreni secondari non ha compiuto il rilevamento, ma ha potuto rac- cogliere dati comprovanti l’esistenza di lembi di terreni post-triasici e anteriori al Pliocene presso Villa del Bosco, a sud del lembo triasico di Sostegno. Iniziò quindi lo studio dei rapporti fra pliocene ed i membri più antichi dei depositi alluvionali, rapporti che presentano nella regione un interesse tutto particolare dal punto di vista della estensione maggiore o minore da darsi a quel membro superiore dei terreni terziari. Le aree rilevate dall’ing. Franchi ammontano complessivamente a 405 kmq. I giorni impiegati furono 111, i chilometri percorsi su via ordinaria 2413, le spese di ferrovia lire 216. 36, la spesa totale lire 1772. 26. Ing. Stella. — L’ing. Stella ha intrapreso nella decorsa campagna il rile- vamento geologico particolareggiato della regione dell’Ossola, dove aveva già avuto occasione di fare diverse escursioni, specialmente nel gruppo del Sem- pione (V. Relazione 1898), quando si incominciavano i lavori della grande gal- leria. Quest’ anno egli svolse il rilevamento nella regione con quello confinante, - 35 - specialmente nella valle Antigorio-Formazza, oltre che lungo l’ area percorsa dalla linea in costruzione Domodossola-Iselle (tavolette al 50,000 di Domodossola, Crodo, Tal Formazza). Isella fascia gneissica, che attraversa lo slargo di Valle Toce a Domo- dossola, non fece un rilevamento sistematico, ma compiè una serie di escur- sioni specialmente allo scopo di studiare alcune zone di micascisti con scisti grafitici, dai quali si presumeva potesse provenire un campione di scisto con impronta di lepidodendron , trovato erratico nella vallecola del rio di Andosso sopra Domo, e ora conservato nel gabinetto di scienze naturali di quel collegio Rosmini. I micascisti intercalati nella multiforme massa dei gneiss di questa regione ossolana assumono una certa importanza in due zone corrispondenti l’una allo sbocco di Val Bognanco e Val Vigezzo, l’altra alla parte inferiore di Valle Antrona. E ambedue queste zone contengono ripetute intercalazioni di scisti gra- fitici (oggetto di ricerche minerarie in Val Antrona) nei quali la parte grafi- tica o grafitoidica presentasi in spalmature e in straterelli, con rapidi passaggi a micascisti schietti e a quarziti. .Ma per quanto attentamente si sia cercato, non fu purtroppo possibile rinvenire traccia di filliti, e neppure tipi litologici di scisti grafitici, che si assomigliassero al campione con lepidodendron sopra citato. Il quale invece presentasi come uno scisto plumbeo ardesiaco affatto diffe- rente da quelli, ma molto somigliante a certi scisti tegolari importati nell’Os- sola per lo più dalla Svizzera, dove nella zona carbonifera ne sono attive diverse cave. Di tali ardesie si faceva per lo addietro un certo uso a Domo per coper- tura di chiese e di ville ; tantoché pure in regione Zungalina sopra Domo vedesi coperta di tali ardesie una villa, che sorge a mezza costa e precisamente poco a monte del punto dove fu trovato erratico lo scisto ardesiaco a lepidodendron portato all’egregio prof. Malladra del liceo rosminiano. Certamente sarebbe stato desiderabile di poter affermare la provenienza di quell’ erratico dalla zona dei micascisti grafitici dell’ Ossola, la quale divente- rebbe cosi un prezioso orizzonte carbonifero ; ma allo stato attuale delle nostre conoscenze ciò non è dato, ed è anzi molto probabile e quasi certa la prove- nienza esotica di quel campione. Passando al bacino della Toce a monte di Domo, va subito notato, come il rilevamento non sia ancora abbastanza avanzato da formulare delle conclu- sioni generali ; tanto più trattandosi di una regione, come questa, interessantis- sima, ma complicata, il cui studio generale, magistralmente iniziato da Gerlach e di poi parzialmente ripreso da altri geologi, ha condotto a conclusioni fra loro discordanti; sicché qui basterà per ora accennare ai risultati e alle questioni più importanti. ISTel che fare conviene per brevità riferirsi alla carta e alle deno- — 36 - minazioni del Gerlach, il quale è noto come avesse già distinto dalle masse gneissiche (dette di Crodo, di Antigorio, di Lebendun e di Monte Leone) diverse zone di scisti (di Baceno e Varzo, di Devero, di Binnenthal e del Vufenen) con quelle apparentemente alternanti. Il rilevamento particolareggiato ha mostrato, come nello insieme le suddette masse scistose sieno molto complesse litologicamente, comprendendo nell’area rilevata quattro gruppi litologici, cioè: 1° calcescisti con filladi e corneane ; 2° calcari dolomitici con carniole e gessi; 3° quarziti; 4° micascisti e gneiss minuti. Il primo gruppo è il più importante: la denominazione però di calcescisti data al tipo litologico in esso prevalente va intesa in senso molto lato, rispetto alle analoghe roccie delle Alpi occidentali fin qui da noi rilevate. Sono scisti calcareo-arenacei biotitici spesso divenuti altamente cristallini, per la presenza di abbondanti minerali autigeni a marcata struttura elicitica (a spugna) ; e oscillanti da un lato verso scisti e breccie calcareo-micacee (in più punti rilevate), dall’altra verso filladi, micascisti, gneiss minuti, quarziti e cor- neane (hornfels). Queste ultime sono roccie singolari, caratterizzate dalla prevalenza di al- cuni dei minerali autigeni, e specialmente : granati, accompagnati da staurolite, distene, tormalina; epidoto e zoisite con biotite ; tremolite o anche antibolo attinotico, pure spesso accompagnato da epidoti. In quest’ultimo caso si passa a vere anfiboliti più o meno epidotiche, che meritano nome di paraanfiboliti: da tenersi distinte dalle ortoanfiboliti e scisti anfibolico-prasinitici legati alle pietre verdi qua e là intercalate anche in questi calcescisti (Binnenthal). Il secondo gruppo è quello, che già dai geologi precedenti si tenne distinto al contatto di ciascuna zona scistosa colle masse dei gneiss ; e ciò suole avvenire, sebbene non costantemente, in ispecie per i calcari marmorei, i quali si trovano anche intercalati in pieni calcescisti, di cui certi banchi meritano talora il nome di calcefiri, per l’abbondanza di minerali (solfuri e silicati) che contengono. Molto notevole è l’importanza, fin qui ignota, del terzo gruppo, cioè delle quar- ziti, che accompagnano o sostituiscono anche totalmente il gruppo calcareo-dolo- mitico, specialmente nella zona Devero-Formazza ; mentre costituiscono soventi, mediante roccie quarzitico-calcaree, transizione al primo gruppo di calcescisti, coi quali anche alternano fittamente. Anche i micascisti assumono importanza inaspettata in ciascuna zona, cosicché non solo nella zona di Baceno e di Marzo (micascisti per lo più granatiferi a due miche, talora anfibolici), ma anche nella zona scistosa della alta Valle Formazza (micascisti felspatici) costituiscono sotto- zone che meritano di essere cartograficamente rilevate; mentre poi si trovano micascisti passanti e fittamente intercalati a filladi e a calcescisti. Quanto ai — 37 - gneiss minuti essi pure presentansi in due modi di giacitura, cioè come passaggi laterali e alternanze sottili dei micascisti e calcescisti e quarziti (paragneiss) e come sottozone abbastanza individuate e continue, separabili dal resto delle masse scistose. E in quest’ultimo caso riesce molto difficile il tenerli distinti da altre zone di gneiss che si rattaccano alle masse gneissiche principali. In queste masse gneissiche principali le distinzioni e i raggruppamenti sono ancora più difficili che negli scisti, specialmente nello stato attuale del rileva- mento e dello studio, che non si è ancora esteso alle confinanti masse gneissiche a ovest e ad est della valle Antigorio-Formazza. Ciò che risulta confermato nell’area fin qui rilevata è la grande uniformità litologica delle masse che il Gerlach chiamò gneiss di Antigorio, uniformità interrotta sola da rare zonarelle di gneiss più minuti e scistosi, da filari e filoncelli aplitici e da filaretti e lenti fortemente biotitiche o anfibolico-biotitiche ; il che conferma la classificazione di questo fra gli ortogneiss, indotta già dalla sua composizione e microstruttura. Invece caratteristica opposta presentano le altre masse gneissiche rilevate ; alternanze continue di tipi più o meno felspatici, più o meno micaceo- quarzosi passanti a micascisti, con abbastanza frequenti tipi anfibolici, o gi^tnatiferi, o inoltre epidotici, calcitici, brecciati e conglomeratici. A questi ultimi tipi, finora non menzionati da alcuno, spetta certamente il nome di paragneiss, frequenti in quella zona che il Gerlach chiamò gneiss di Lebendun, corrente da Monte Giove al Basodino ; nella quale però non è a dire che manchino tipi di ortogneiss, simili a certi gneiss di Antigorio, e ancora più di Crodo e Domodossola. Come ho detto in principio, il rilevamento geologico particolareggiato non consente ancora all’ ing. Stella di formulare conclusioni abbastanza sicure sulla stratigrafia e ancor meno sulla tettonica della regione chè anzi lo studio par- ticolareggiato di questa porzione rilevata fece nascere in lui parecchi dubbi sulle conclusioni dei geologi precedenti e alcune nuove idee : dubbi e idee che saranno vagliati nella prossima campagna, e che egli riassume intanto come segue : « 1) La massa del gneiss d’ Antigorio, che è un ortogneiss di natura gra- nito-dioritica, potrebbe, considerata come massa eruttiva, non rappresentare il termine più profondo della serie, ma una massa intrusiva relativamente re- cente, laccolitica negli scisti ; nel quale caso i numerosi minerali autigeni di questi sarebbero, in parte almeno, da attribuirsi a metamorfismo di contatto ; e certi banchi di gneiss più minuti interposti fra il tipico gneiss d’Antigorio e gli scisti starebbero a indicare una facies periferica della massa laccolitica. « Il contatto fra gneiss d’Antigorio e scisti finora minuziosamente rilevato ha mostrato bensì dei fenomeni molto singolari, ma di ancor dubbia interpreta- — 38 H zione. Sono lingue del gneiss d’Antigorio insinuantisi fra gli scisti (Formazza. Tamier), e reciproche compenetrazioni di gneiss e calcari marmorei (Agaro). « 2) Nella multiforme massa degli altri gneiss (Crodo, Lebendun, Monte Leone, Domodossola) non si vede finora un fondamento sicuro per il loro paral- lelismo ; e non si vede ragione per escludere, che una parte di essi (almeno gli indicati paragneiss) possano essere ad essi scisti anche strettamente legati senza lacuna geologica, « 3) La continuità rilevata dal Gerlach fra la zona scistosa di Baceno e quella di Devero, l’una apparentemente sottostante e l’altra soprastante allo gneiss d’Antigorio è da ritenersi confermata dai rilievi particolareggiati. Nel profilo degli scisti di Baceno però è da distinguere una parte scistoso-calcarea mediana, dai micascisti granatiferi in parte anfibolici e felspatici, che con po- tenza disforme la accompagnano al riposo e al tetto; i quali ultimi forse potreb- bero, insieme con quelli analoghi, ma molto ridotti, di Yarzo, essere paralleliz- zabili coi micascisti, che coronano la parte superiore dei gneiss scistosi del mas- siccio ticinese. t « 4) Nelle restanti masse scistose fin qui rilevate è parso opportuno per ora attenersi al riporto oggettivo delle zone e sottozone litologiche senza prevenire un ordinamento o raggruppamento stratigrafico o cronologico troppo assoluto ; tenuto conto della variabilità di ciascuna zona e del ripetersi dei medesimi tipi litologici in ciascuna di esse. Tuttavia la presenza dei noti fossili giuresi al Nufenen, al Gries e di traccio al Zum Stock (belemniti?), e la costanza di asso- ciazione litologica e di allineamento delle sottozone dolomitico-gessose lascia in- travedere un ordinamento di questi scisti, probabilmente in gran parte meso- zoici. « 5) I dubbi che impediscono per ora di stabilire una anche sommaria serie stratigrafica, obbligano alla massima prudenza nel tentare una in- terpretazione tettonica. Tuttavia, se si ammette che l’insieme degli scisti (in senso lato, cioè di Baceno e Yarzo, Crevola e Pontemaglio, Devero-Formazza,etc.) sia geologicamente più giovane dei gneiss in cui si trovano apparentemente intercalati ; per spiegare l’attuale struttura imbricata, nasce abbastanza naturale dal complesso delle osservazioni fin qui fatte l’idea di svolgere il motivo tet- tonico della sinclinale deformata del Gerlach. « Se questa sinclinale ripiegata a C la si consideri come il fondo di una più lunga sinclinale che si continui in alto a forma di S rovesciata ed even- tualmente di doppio S ; e se si immagini molto schiacciata dall’alto al basso e stirata orizzontalmente questa sinclinale serpeggiante di scisti insieme coi gneiss che originariamente la comprendevano, si arriva ad uno schema tettonico, che applicato alla nostra regione ne può forse spiegare la complicata architettura. Si — 30 avrebbe così una struttura imbricata a pieghe coricate con ricoprimenti, risul- tante da una o più pieghe sinclinali, costipate e novellamente ripiegate a zig- zag. Il che si procurerà di meglio verificare nel corso della prossima campagna in questa interessantissima regione alpina. » L’area rilevata dall’ ing. Stella nell’Ossola fu di circa 180 kmq.; in questo lavoro egli impiegò 126 giorni, con percorso di 2455 kmq. Spesa ferroviaria di L. 195,24 e totale di L. 1876,24. Liguria. — Ingegnere Zaccagna. — La campagna geologica dello scorso anno, iniziata verso la metà di aprile, fu in un primo periodo dedicata al completamento della tavoletta di Varese Ligure nella sua metà occidentale, estendendo il rile- vamento anche ai margini delle tavolette contigue di Bedonia e di Rapallo. La regione, assai accidentata orograficamente, comprende a nord il gruppo di elevate e scoscese montagne che attorniano la parte terminale del bacino del Taro, fra cui il Monte Orocco, il Monte Penna, il Monte Cantomoro, la Scaletta ed il Monte Zatta; a Sud le alture che staccandosi dal Monte Zatta si seguono fra loro a breve distanza nel Monte Chiappozzo, Monte Biscia, Monte Verruga, Monte Porcile, Monte Capra, ecc., i quali stanno a cavaliere fra il versante del torrente Vara e quello dell’Entella nel Chiavarese. Benché completamente costituita da roccie eoceniche, la regione riesce estremamente accidentata anche dal lato geologico per la presenza di numerose e svariate masse di roccie verdi, che sono la continuazione della zona serpen- tinosa della sottostante tavoletta di Levanto; e per le pieghe ripetute in cui queste roccie restano comprese. Generalmente, nella parte meridionale, le alture più eleArate sono costituite dalle masse di roccie verdi, interrotte fra loro dalle depressioni che dipendono in parte dall’erosione, ed in parte dalle pieghe, nelle quali si alternano colle sementine le diabasi, le eufotidi, le oficalci, ftaniti, galestri ed alberesi. Masse di roccie verdi anche più importanti di queste, specialmente diba- siche, e da esse separate dalla valle del Taro, sono quelle che costituiscono a nord il gruppo del Monte Penna, che dalla giogaja separante il bacino del Taro da quelli del Ceno e del Vure si estendono a tutta la pendice della valle, sovrastante all’abitato di Santa Maria. Queste masse, a differenza di quelle a sud formanti nuclei isolati e separate da profonde incisioni, sono invece distri- buite in zone contigue, con andamento presso a poco parallelo ed orientale da S.E a V.O. Una prima zona di queste roccie diabasiche ed altresì la più impor- tante è quella che costituisce il Monte di Setterone, la grande piramide del Monte Penna, il Monte Cantomoro e va a terminare ad ovest sotto il Monte delhAjona che, come è noto, è invece formato da una grande massa di ser- pentina più o meno lherzolitica. Vicina e parallela a questa fa seguito l’altra — 40 — massa diabasica dei monti Quatese e Cavallone ; indi quelle della Scaletta e Monte Carignone, separate l’una dall’altra da strette zone di scisti galestrini in cui sono sparse in banchi ed in masse amigdalari le breccie diabasiche e ser- pentinose. Ma le masse maggiori di siffatte breccie sono quelle che fanno corteggio alla grande zona diabasica del Monte Penna sul versante nord, dove le interca- lazioni ripetute dei banchi brecciosi formano grandi scaglioni sporgenti dai galestri che scendono ad Amborzasca. Verso sud se ne hanno pure importanti masse a Morgallo ed al Monte della Crocetta presso Santa Maria del Taro. Il modo di presentarsi delle masse diabasiche nel gruppo del Monte Penna e le loro alternanze coi galestri e colle breccie è assai interessante: poiché la- scia apparire con tutta evidenza le colate successive della roccia diabasica, separate da brevi periodi di tranquillità, durante i quali poterono depoi^i i ga- lestri e si adunarono e cementarono i frammenti delle roccie verdi formanti le breccie, che rappresentano in certa guisa i tufi e le scorie delle successive eruzioni. La zona galestrina che qui consideriamo appartiene alla parte occidentale delle ultime grandi pieghe del sistema eocenico attorniante l’Alpe Apuana, che si manifestano cogli anticlinali di macigno del monte di Tomolo e del monte Pintardo a nord di V arese Ligure. Questi sono separati dai galestri in parola da un’altra zona di galestri, e quindi da una grande massa di alberese, che dalla valle del Ceno, dove occupa il fondo d’un ampio sinclinale, viene restringen- dosi a sud nella massa del monte Orocco, per terminare alla Ventarola, sulla destra del Taro, in seno ai galestri. Tanto il sinclinale di alberese che le pieghe formate dai galestri e dalle roccie verdi delle alte valli del Taro e della Vara, si presentano in posizione ribaltata verso est, secondo quanto già l’ingegnere Zaccagna osservò in una delle precedenti relazioni per gli anticlinali di macigno a cui abbiamo accen- nato. Questo rovesciamento, come dimostrano tante ragioni che qui non è il luogo di analizzare, sarebbe dipendente da una spinta proveniente dalla costa ligure e diretta verso i monti di Spezia e l’Alpe Apuana; i quali opponendo resistenza allo spostamento, come punti fissi (horse), costrinsero le roccie ter- ziarie a raccogliersi in pieghe ripetute e decise, ribaltate verso est. In vari punti di questa regione affiorano, come è noto, vari giacimenti di minerale piritoso e manganesifero, di cui alcuni trovansi in attività di lavoro, altri furono soltanto esplorati. Fra i giacimenti di pirite più o meno cuprifera sono a citarsi quelli di Monte Bianco e Monte Bardeneto presso fascio: le ricerche di Arbaro e di Monte Chiappozzo gei dintorni di Reppia; poi quelle — 41 - del Pianazzo presso Santa Maria del Taro nella massa serpentinosa che fa parte del gruppo del Monte Penna. I giacimenti di manganese, che sono a Monte Porcile, a Cassagna ed a G-ambatesa, trovansi in lenti od in banchi di varia potenza tra le ftaniti accompagnanti le masse ofiolitiche, ripetendo mani- festamente la loro origine da deposito. La pirite invece sta abitualmente, ma irregolarmente distribuita, al contatto della serpentina colla diabase, l’eufotide o l’oficalce. In qualche caso però le concentrazioni piritose s’ incontrano altresì tra le fratture delle masse stesse di serpentina, come avviene appunto al Pia- nazzo ; ma trattasi per solito di giacimenti più irregolari e di poca entità. L’area rilevata in questo primo periodo di lavoro, che si protrasse sino alla fine di giugno, e che fu dovuto interrompere per oltre un mese in con- seguenza di una caduta dell’ing. Zaccagna, fu di kmq. 150, dei quali 120 nella tavoletta di Yarese Ligure, 20 in quella di Rapallo, e 10 in quella di Be- donia, coll’impiego di giorni 60. Ripresi i lavori di campagna al principio di settembre l’ing. Zaccagna venne incaricato, come già si disse, di alcune gite di ricognizione nei monti di Spezia, onde preparare le escursioni da farsi in quei dintorni dai membri della Società geologica italiana colà riunitasi sotto la presidenza del prof. Capellini. Poscia nella seconda metà di settembre, dietro autorizzazione del sottoscritto, fece alcune traversate nelle Alpi Apuane insieme al paleontologo dott. Di Stefano ed al- l’ing. Crema, i quali, cogliendo occasione dalla vicinanza, avevano espresso il desiderio di prender cognizione della struttura geologica di quell’interessante gruppo montuoso. Infine nell’ottobre si recò in Piemonte per alcune gite di ricognizione al Monte Chaberton, a Pradleves e Valloriate, state però interrotte per rincal- zare della stagione invernale, e dirette allo scopo di attingere alcune dilucida- zioni in ordine alla controversa età della zona delle pietre verdi, che egli ritiene arcaica : i risultati delle quali osservazioni verranno da lui esposti in apposita nota. I giorni di escursione, di questo secondo periodo, furono complessiva- mente 50. Per le escursioni di cui sopra l’ing. Zaccagna impiegò in tutto 110 giorni, percorse 2231 chilometri su via ordinaria, con una spesa per ferrovia di lire 376. 79 e una spesa totale di lire 1871. 09. Umbria. — Ing.-capo Lotti. — L’ing.-- capo Lotti attese al rilevamento dei quadranti di Magliano Sabino e di Terni, iniziando anche quello dei quadranti contigui di Rieti e di Ferentillo. La maggiore attenzione fu rivolta allo studio delle due catene secondarie del Monte S. Pancrazio e dei Monti Sabini, che occupano la massima parte — 42 — dell’area rappresentata nei due quadranti su accennati, tantoché, riferendosi anche agli studi eseguiti nelle campagne precedenti nei monti di Amelia, Pe- rugia ed Umbertide, fu possibile stabilire con sufficiente esattezza la succes- sione dei vari terreni della serie secondaria, e di ritrarne, le caratteristiche principali. Questi elementi saranno di grande utilità per procedere successiva- mente senza gravi difficoltà al rilevamento dei gruppi mesozoici dell’ Appen- nino centrale. Come nei monti d’Amelia, anche nel gruppo del S. Pancrazio, che ne co- stituisce la prosecuzione verso sud, si riconobbe, sotto il calcare prevalente del Lias inferiore, l’affioramento del Retico, rappresentato da scisti marnosi a Bactrilli e da calcari grigio-cupi ad Avicula contorta , che possono seguirsi per più di tre chilometri sulla strada di Calvi presso Poggio. Uno strato di do- lomia interposto fra questi e il Lias inferiore presenta traccie di Megalodus. Il fenomeno più importante messo in evidenza durante il rilevamento di questa regione fu il rovesciamento della serie secondaria dal Lias inferiore fino all’ Eocene, questo incluso, in tutto il lato orientale della catena del S. Pancrazio da Narni fino a Configni. Tale inversione dipende dal ribalta- mento verso oriente dell’anticlinale del S. Pancrazio, ed è in armonia con ribaltamenti già notati dal Yerri nella catena fra Yarni e Todi, nei monti Martani, fra la Vaitopina e Spoleto e nella valle del torrente Serra. L’ing. Lotti darà conto dei risultati del suo lavoro in una nota da pubbli- carsi nel nostro Bollettino. In questo lavoro l’ing. Lotti impiegò 80 giorni di campagna, percorse 2034 chilometri su via ordinaria, con lire 95. 86 di spese ferroviarie e con una spesa totale di lire 1426. 06. L’area rilevata fu di circa 700 chilometri quadrati. Aiutante-in g. Moderni. — Durante i mesi di maggio, giugno e luglio rilevò vari lembi, costituiti da terreni pliocenici e quaternari, nei quadranti di Orte, Amelia e Magliano Sabino. Una osservazione abbastanza importante è quella della esistenza constatata di banchi di travertino pliocenico intercalati con le argille azzurre, che si può osservare facilmente a Villa Santa Maria nei dintorni di Calvi. R’el rilevamento del Pliocene quaternario dell’Umbria, l’aiutante Moderni impiegò 61 giorni, con percorso di km. 1434, spese ferroviarie di lire 51. 31 e una spesa totale di lire 775. 81. L’area da lui rilevata è di circa 400 chilometri quadrati, dei quali 67 uel quadrante di Orte, 133 in quello di Amelia, 200 in quello di Magliano. Così l’area totale rilevata nell’ Umbria nella campagna del 1902 risulta di kmq. 1100. — 43 — Marche. — Aiut.-ing. Moderni . — Una parte del rilevamento nelle Marche per opera dell’aiutante Moderni si svolse nella zona litoranea compresa nelle tavolette di Porto S. Giorgio, Potenza Picena e Loreto, tutta costituita da terreni pliocenici (sabbie e argille subappenniniche intercalate), fra cui nel versante orientale di Montemarino fra Porto S. Giorgio e la foce del Tenna fu incontrato fra le argille un banco di calcare conchigliare, simile al macco del litorale romano. Un’altra parte del rilevamento fu quella eseguita nella zona subappennina delle tavolette di S. Severino Marche e di Serra S. Quirico, ove affiora largamente il Senoniano, su cui si appoggia il terziario, rappre- sentato da scisti argillosi, da arenarie e argille e da gessi, che specialmente si sviluppano nei dintorni di S. Severino. Aei pressi di Castel S. Angelo e di Apiro si trovano arenarie intercalate a scisti argillosi e al di sotto di questa serie spuntano qua e là banchi di tripoli, come p. es. al di sotto di Cupra- montana. il che mostra che quella serie rappresenta un lembo della zona sol- fifera orientale dell’ Appennino. L’area rilevata daH’aiutante Moderni nelle Marche ammontò a kmq. 500 circa. Per questo lavoro vennero impiegati 58 giorni, percorsi 1345 chilometri e spese per ferrovia lire 68. 81, con spesa totale di lire 753. 05. Revisioni. "Vulcani Romani. — Ingegnere Sabatini. — La decorsa campagna fu dedi- cata specialmente alla revisione dei Cimini ed alla soluzione di alcuni problemi rimasti insoluti, in particolare quello della natura ed origine del peperino viterbese. Egli infatti cominciò col fare alcune escursioni nei dintorni di Aapoli, a Pianura e a Soccavo, onde studiarvi il piperno per le relazioni di struttura che in apparenza quella roccia presenta col peperino di Viterbo. Tali relazioni erano interessanti poiché la prima roccia è oramai definita come lava, malgrado le opinioni in contrario, mentre sulla seconda i fatti osservati apparivano così contraddittori da farla ritenere lava da alcuni, tufo da altri. Alcuni avevano creduto di girare la difficoltà ritenendo che sotto l’appellativo di peperino si includessero tufi e lave. Era un modo di conciliare le contraddizioni e ad esso si accostò egli pure. Se non che uno studio accurato eseguito in appresso gli permise di riunire fatti numerosi — che ha riepilogati in una nota, compi- lata dopo la campagna — e in base ai quali ha potuto emettere un’ opinione più sicura. Il peperino è una roccia d’origine detritica, forse una breccia ignea. Dopo le visite al piperno, altre ne fece il Sabatini ai tufi di Eiano (Nocera), — 44 — di Sorrento, ecc., che hanno rapporti con la prima roccia, secondo qualche autore. E quindi assai rapidamente in un paio di giorni si occupò di lave vesuviane. È qualche tempo che egli pensa alle variazioni che può presentare una stessa colata, quistione importante nel rilevamento geologico d’ogni regione vulcanica. Spesso si trovano frammenti di colate pòco diverse e non si sa se riunirle in una stessa emissione o tenerle staccate, poiché non si sa se vennero fuori durante una stessa eruzione (o stesso periodo eruttivo), o se furono ori- ginate da eruzioni (o periodi) diversi. Sopra un vulcano attivo, con colate ben delimitate si possono studiare tali variazioni e la loro conoscenza potrebbe essere poi guida e consiglio nei rilevamenti di vulcani estinti. Su queste varia- zioni non si hanno che vaghi accenni, ed il Sabatini avrebbe voluto occuparsene di proposito : ma in un paio di gite la cosa evidentemente non era possibile. Vei mesi estivi passò ai Cimini ove si dedicò allo studio del peperino da Soriano e da Canepina, e alle separazioni di diverse lave, meno per otto giorni (dal 29 luglio al 5 d’agosto) in cui il Sabatini fu incaricato dal Ministero dell’ interno di andare a studiare il terremoto che aveva allarmata la popola- zione di Mignano in provincia di Caserta. Su questo studio egli pubblicò una relazione nel Bollettino. ]ST eli’ autunno continuò le escursioni da Viterbo e da Bagnaia, da San Mar- . tino e da Bomarzo, da Vetralla e da Ronciglione, sempre a scopo di revisione. ISTel novembre fu anche per qualche giorno al Monte Amiata, la cui trachite era stata assimilata dal Brocchi al peperino di Viterbo. E difatti tra certi campioni la somiglianza è abbastanza forte. In questa campagna dunque la quistione più grave, l’origine del peperino, è quasi risoluta, dopo che tutti i predecessori, da vom Rath a Washington e Deecke, erano venuti ai risultati più contraddittori. Von può dirsi lo stesso sulla ricostruzione dell’apparecchio vulcanico, principale e secondario, che aveva bisogno del corredo di uno studio completo di roccie al microscopio. Tale studio, è stato portato avanti nella stagione invernale e con la nuova campagna il Sabatini potrà coi dati necessari curare l’ultima parté del lavoro — la sua sintesi definitiva — con la ricostruzione dell’apparecchio vulcanico e quindi con la storia della regione. Ee giornate di lavoro in campagna furono in tutto 157, delle quali 130 circa per i monti Cimini, con un percorso totale di chilometri 3438 su vie ordi- narie e una spesa ferroviaria di lire 248. 97. La spesa totale fu di lire 2024. 09. Appennino Romano. — Ing. Viola. — Avendo esaminato negli anni precedenti il terziario nella valle dell’ Ani ene sul versante destro, l’ing. Viola spinse in quest’anno (1902) le indagini ai terreni, che affiorano nel versante sinistro : e cioè egli esaminò le masse calcareo-marnoso-argilloso-arenacee di Canterano, 45 — Rocca di Mezzo, Saracinesco, Sambuci, Ciciliano, Castelmadama, Rocca S. Ste- fano, Bellegra, Olevano, Guadagnolo, S. Vito, fino a Capranica e S. Gregorio. I risultati di queste osservazioni si possono riassumere nel modo seguente : 1. I calcari, le marne, le argille e le arenarie del versante destro si esten- dono al versante sinistro con la stessa facies litologica e faunistica ; 2. I calcari, le marne, le argille e le arenarie sono fra di loro alternanti e sempre concordanti esattamente come nel versante destro dell’Aniene ; 3. In nessun luogo di questi affioramenti lia potuto constatare delle pieghe e dei salti, che spieghino questa alternanza. La fauna raccolta, che è ancora in corso di studio, si riferisce per la mas- sima parte ai terreni che affiorano sul versante destro dell’Aniene. Fu fatta speciale attenzione in quest’anno anche al quaternario, che è molto sviluppato nella valle dell’Aniene, specialmente da Mandela verso Ti- voli. I risultati di queste osservazioni saranno esposti in apposita Relazione. In questa campagna furono riveduti kmq. 330 di terreno, con l’impiego di giorni 87 e il percorso di km. 1977 : la spesa fu dì lire 1301.16, di cui lire 50.50 per biglietti ferroviarii. Abruzzo Aquilano. — Aiut.-ing. Cassetti. — Queste revisioni, le quali hanno per le ragioni più volte esposte in precedenti relazioni, in gran parte carattere di nuovo rilevamento, specialmente per ciò che riguarda le suddivisioni dei ter- reni mesozoici, ebbero per campo : 1. La catena montuosa sovrastante all’abitato di Tagliacozzo, estenden- dovi le escursioni da un lato fino ai pressi di Capistrello per collegarsi col precedente rilevamento dei monti dalla sponda sinistra del Liri, e dall’altro fino al di là di Monte Bove, sotto cui passa la galleria omonima della linea Roma- Avezzano-Solmona. 2. Il versante occidentale di una parte del gruppo montuoso che s’innalza a V.O sopra Scurcola, presso Tagliacozzo, e che forma l’alta sponda sinistra del fiume Imele o Salto. 3. Le falde orientali e meridionali del monte di, Prezza, che si eleva sulla sponda sinistra del Sagittario presso Solmona. Velia catena montuosa sopra Tagliacozzo fu constatato che il suo nucleo è costituito da calcare ippuritico, sul quale, a guisa di mantello, si appoggia una zona più o meno potente di calcare eocenico con crinoidi, pecten ed ostree. Tra i due calcari vi è grande somiglianza litologica ed il passaggio dall’uno all’altro avviene quasi gradualmente e senza sensibile discordanza. Vei monti a V.O di Scurcola, e specialmente nel monte detto Costiglione, si ritrova lo stesso calcare eocenico di Tagliacozzo, distribuito in lembi di limi- tata estensione e potenza irregolarmente disseminati sul sottostante calcare ippu- ritico, con passaggi difficilmente avvertibili dall’una all’altra formazione. — 46 — Al monte di Prezza presso Solmona il Cassetti non potè fare che poche escursioni preliminari, ma in queste potè tuttavia stabilire che nella potente pila di strati calcarei di cui il monte è costituito, si presenta un notevole affio- ramento di Lias. Gli strati più bassi del monte di Prezza sono formati da calcare dolomitico bianco e grigio -chiaro, talvolta leggermente bituminoso, con intercalazioni di calcare oolitico, e quelli superiori da una alternanza di calcare ora bianco cri- stallino, saccaroide, ora grigio con noduli di selce, ora marnoso. Nel calcare dolomitico il Cassetti trovò esemplari di ammoniti spatizzate, riconosciute come basiche dal dott. Di Stefano, e nei calcari sovrastanti un modello di Terebratula che lo stesso riconobbe analoga alla Terebratnla Tauro - menitana di Taormina. I banchi di calcare dell’alto del monte contengono avanzi di turricolate indeterminabili. Questo affioramento di Lias è in perfetta continuazione con quello che si presenta sulla sponda destra del Sagittario, nella regione La Defensa, nonché nella contigua Serra Colle Rufigno. Esso presenta un notevole interesse e sarà necessario farne uno studio accurato, anche in vista della sua probabile esten- sione, che fin d’ora sembrerebbe raggiungere i monti Urano e Mentino al di là di Goriano Sicoli, tra i quali passa la linea ferroviaria Aquila- Solmona : e perchè fino a questi ultimi lavori del Cassetti non si riteneva che nella re- gione si presentassero terreni più antichi del Cretaceo. L’area riveduta dal Cassetti nelle regioni ora indicate, può ritenersi appros- simativamente di kmq. 200, con 25 giorni di campagna, un percorso di 538 km. su via ordinaria, una spesa di ferrovia di lire 68.81 e una spesa totale di lire 353.31. Penisola Salentina. — Aint.-ing. Cassetti. — Come venne già accennato, in occasione della pubblicazione ora in corso della carta geologica al 100 m del- l’Italia meridionale, fu riconosciuta la necessità di rivedere e mettere al cor- rente alcune parti della penisola Salentina, il cui rilevamento datava da più che dieci anni addietro, e tale lavoro venne eseguito in gran parte dal Cas- setti, con la partecipazione dell’ing.-capo Baldacci e del dott. Di Stefano. Le escursioni del Cassetti nella penisola Salentina si svolsero in gran parte nel territorio che comprende la costa adriatica fra il Capo di Leuca e il Capo d’Otranto, e come fu già detto, in seguito a questi lavori venne effettivamente constatata la esistenza di vasti affioramenti di calcari eocenici, che era stata recentemente messa in dubbio, e la presenza su questi di lembi interrotti di un calcare lumachella di aspetto speciale, ricco di aturie, brachiopodi, co- ralli, ecc., appartenente al Miocene. L’area riveduta dal Cassetti, col concorso dell’ing. Baldacci e del dottor Di Stefano, è compresa nei quadranti di Galatina, Maglie, Otranto, Tricase e Castrignano del Capo, ed è di circa 325 kmq. 47 — Per questo lavoro occorsero al Cassetti 41 giorni di campagna, col percorso di 994 km., spesa ferroviaria di lire 272.69 e spesa totale di lire 767.19 In totale l’area riveduta dal Cassetti nell’Abruzzo e nell’Italia meridionale ammonta a kmq. 525, con una spesa di lire 1120.50. Calabria settentrionale. — Ingegnere Crema. — Per il tratto di Calabria settentrionale compreso nei fogli 211 e 212 della Carta a 1 : 100,000, non ancora pubblicati si ritenne opportuno di incaricare l’ing. Crema di fare particolareg- giate ricerche stratigrafiche e paleontologiche per una sicura determinazione dei terreni terziari di quella regione, specialmente perchè non parevano sufficien- temente documentate la classificazione e delimitazione dell’Eocene e dell’Oli- gocene, stabilite già dall’ing. Cortese A tale scopo l’ing. Crema eseguì fra il 10 ot- tobre e il principio di novembre varie escursioni su circa 200 chil. q. di esten- sione, spingendosi anche per i necessari raccordi verso sud fino al vallone Stroface. Queste escursioni, benché in parte contrariate dal cattivo tempo, oltre al* l’aver permesso per alcuni punti una più sicura delimitazione delle varie for- mazioni, fruttarono un buon materiale paleontologico, attualmente in corso di studio, e sul quale sarà prossimamente riferito dall’ing. Crema stesso. Sembra però fin d’ora che una parte della formazione riferita dal Cortese all’Oligocene debba ritenersi appartenente al Miocene medio. Inoltre per un razionale coordinamento fra la parte già pubblicata e quella tuttora inedita sarebbe risultata l’opportunità di estendere ancora alquanto verso sud l’intrapresa revisione, fino a raggiungere la parte inferiore della serie terziaria sotto Cerchiava. Per le gite suddette l’ing. Crema impiegò 86 giorni, percorse su vie ordi- narie chilometri 783, spese per ferrovia lire 152. 68, con una spesa totale di lire 547. 91. Ricerche paleontologiche sul terreno. Dottor Di Stefano. — Hel mese di giugno visitò insieme con l’ing. Baldacci e con l’aiutante signor Cassetti i dintorni di Castro, Tricase, Gagliano, Santa Maria di Eeuca, IJgento e Eequile (presso Lecce). Sopra il Porto di Tricase furono raccolti numerosi fossili pliocenici in un calcare bianco, che per la sua struttura litologica si dubitava potesse apparte- nere all’Eocene, che del resto è rappresentato insieme col Miocene nella regione. Furono raccolte nummoliti e orbitoidi nella regione fra Gagliano e la marina del Capo di Leuca, e gran quantità di fossili mioceni nei lembi di calcare — 48 rossastro brecciforme con Aturia Aturi , che copre qua e là a lembi interrotti le formazioni più antiche. In un lembo di calcare cretaceo che affiora dietro il santuario di Santa Maria furono raccolte varie rudiste; altri fossili cretacei, specialmente Apricardia e Sphaerulites si trovarono in una dolomia affiorante nel tratto più basso della Montagna dell’Alto presso Ugento, dolomia che per il suo aspetto e per la sua posizione al basso della serie si poteva ritenere di età più antica. Finalmente fu raccolta una piccola fauna cenomaniana con Apricardia ed Actaeonella in una cava di calcare presso Lequile. Kegli ultimi di agosto il dott. Di Stefano fu con l’ing. Viola nella valle dell’ An iene e particolarmente nei dintorni di Subiaco, fino a Ponza ed Affile da un lato e fino al Monte Autore dall’altro, e si recò inoltre a Rocca Cante- rano. Fu ancora una volta constatata la generale alternanza dei calcari a Pecten ritenuti eocenici, con le arenarie e le marne credute mioceniche, e fu fatta una buona raccolta di fossili cretacei nel Monte Affilano e nel Monte Autore. Finalmente nel settembre, terminata la riunione della Società Geologica, fece, sotto la guida dell’ing. Zaccagna e con l’ing. Crema, una escursione per istruzione e raccolta di fossili nelle Alpi Apuane, e particolarmente nei dintorni di Carrara, Stazzema, Forno Volasco, Vagli, Monte Tambura, Forno di Massa. In questa gita furono raccolti cefalopodi basici e un buon numero di fossili dell’Infralias. Per queste varie escursioni il dott. Di Stefano impiegò 24 giorni, percorse 561 chilometri su via ordinaria, con spesa per ferrovia di lire 195. 03 e una spesa totale di lire 543. 33. RIEPILOGO. In conformità di quanto venne più sopra esposto, le aree rilevate a nuovo e quelle rivedute nella campagna geologica del 1902, sono le seguenti: Nuovi rilevamenti : Alpi occidentali (Mattirolo, Novarese, Franchi) . Kmq. 865 O ssola (Stella) » 380 Liguria (Zaccagna) » 150 Umbria (Lotti, Moderni) » 1100 Marche (Moderni) » 500 Totale . . . Kmq. 2995 — 49 ~ Revisioni : Vulcani romani (Sabatini) Kmq. 200 Valle dell’Aniene (Viola) » 330 Abruzzo (Cassetti) » 200 Puglie (Baldacci, Cassetti) ........ » 325 Calabria settentrionale (Crema) » 200 Totale . . . Kmq. 1255 4 Quadro riassuntivo della Campagna geologica nel 1902, OPERATORI Giorni impiegati Chilometri per- corsi su via or- dinaria Spese di ferrovia Decimi sul pre- cedente Spesa totale Area rilevata o riveduta L. G. L. C. L. C. K.q. Direzione rilevamenti - Ing. Bai- dacci. 52 910 )) 37.44 778.44 » Nuovi rilevamenti . Alpi - Ing. Mattirolo 75 1,144 187.60 18.76 1,112. 06 210 Ing. Novarese 88 1,649 203.70 20.35 1,378.75 250 Ing. Franchi 111 2,413 196.70 19.66 1,772.76 405 Ing. Stella 126 2,450 177.50 17.74 1,875. 24 380 Liguria - Ing. Zaccagna 110 2,231 342.55 34.24 1,871.09 150 Umbria - Ing. Lotti 80 2,034 87.15 8.71 1,426. 06 700 Aiutante-ing. Moderni. . 61 1,434 46.65 4 66 775.81 400 Marche - Aiutante-ing. Moderni. . 58 1,345 62. 55 6 26 753.05 500 2,995 Revisioni. Vulcani Romani - Ing. Sabatini. . 157 3,438 226. 30 22. 64 2,024. 09 200 Valle dell’Aniene - Ing. Viola . . . 87 1,977 50. 50 5.06 1,301. 16 330 Abruzzo - Aiutante-ing. Cassetti . . 25 538 62.15 6.22 352.87 200 Puglie - Ing.-capo Baldacci . . . 7 148 » 17.30 124. 70 » Aiutante-ing. Cassetti . . 41 994 247. 90 24.79 767. 19 325 Calabria - Ing. Crema 36 552 101.95 10.19 547.91 200 1,255 Ricerche paleontologiche. Dott. Di Stefano (Puglie, Alpi A- puane, Provincia di Roma). . . 24 561 177. 30 17. 73 543 33 Ing. Crema (Alpi Apuane) 7 181 36.85 3.68 148,17 17,551.68 — 51 — Ispezioni ed incarichi speciali. Rei mese di agosto lo scrivente visitò la valle di Gressoney, accompagnato dall’ing.-capo Baldacci e dall’ing. Franchi, che ne stava ultimando il rileva- mento. Ecco il riassunto delle osservazioni fattevi: La profonda e strettissima valle del Lys è aperta nei micascisti eclogitici fra Pont Saint Martin ed Issime ; fra questo abitato e Dresal sopra Gressoney Saint Jean essa taglia trasversalmente gli gneiss, i quali si rovesciano sopra una zona di pietre verdi, che ne è tagliata pure trasversalmente, fra JDresal e Cortlis, ai piedi del grande ghiacciaio del Lys, laddove quella zona si addossa regolarmente ai micascisti eclogitici che costituiscono la parte superficiale del grande massiccio del Monte Rosa. Quella zona di pietre verdi presenta la costituzione e le associazioni lito- logiche ben note e caratteristiche della zona stessa nelle Alpi occidentali, il che ho potuto constatare in due escursioni, l’una da Gressoney la Trinité al ghiacciaio del Lys, V altra da Gressoney al Colle d’Ollen, aperto appunto in corrispon- denza di una zona di calcescisti, interposta fra la grande massa serpentinosa del Corno Rosso e la zona di anfiboliti del Corno del Camoscio. Rei ritorno per il lago Gabiet non potei a meno di notare la plastica caratteristica del paesaggio, identica a quella di alcune regioni di pietre verdi delle Alpi Cozie. Rei settembre fui ad esaminare insieme all’ing. Baldacci e all’ing. Stella i rilevamenti in questa campagna iniziati nella Yal d’Ossola, visitando in tale occasione anche i lavori interni del grande traforo del Sempione dal lato italiano. Le constatazioni fatte in questa visita risultano ampiamente dal pa- ragrafo che precede sul traforo del Sempione e dal capitolo sui rilevamenti eseguiti nell’Ossola dall’ ingegnere Stella. Ingegnere-capo Baldacci . — Rei gennaio ebbe Tincarico di fare studi speciali sul terremoto, che aveva funestato nel precedente anno le sponde del Lago di Garda e particolarmente Salò e territorio, ed adempiè all’incarico col concorso dell’ing. Stella. Una nota relativa a quel terremoto, alle sue probabili cause, alle varie conseguenze ed effetti sugli abitati in relazione alla natura geologica dei terreni, ed ai mezzi per difendere in avvenire la città di Salò da disastrose conseguenze in consimili occasioni, non infrequenti in quella regione, fu dai detti due ingegneri pubblicata nel Bollettino del Comitato geologico. Essa è accompagnata da una carta geologica, da profili e da figure nel testo. Rei luglio fu incaricato di studiare le frane che mettono in pericolo una parte della città di Loreto, specialmente in vista della conservazione degli in- — 52 — signi monumenti che la rendono cospicua, e presentò sull'argomento una Re- lazione. Per questi due incarichi l’ing. Baldacci impiegò 18 giorni e la spesa totale, in lire 151.02, venne pagata sul bilancio dell’Ufficio geologico. Per il R. Ispettorato generale delle Strade ferrate l’ing. Baldacci ebbe a visitare nel febbraio la costa sovrastante alla stazione di Yietri (linea Rapoli- Eboli) dalla quale vari distacchi di massi rendevano pericoloso Teseremo della linea ferroviaria, il transito sulla sottostante strada provinciale e minacciavano anche la sicurezza di vari edifizi del Comune di Yietri. La visita fu fatta insieme a funzionari del detto Ispettorato generale, e vi presero parte il Prefetto di Salerno, l’Avvocato erariale, gli ingegneri-capi del Genio Civile e della Provincia, i rappresentanti del Comune di Yietri e dei proprietari minacciati. Rei marzo, insieme all’Ispettore superiore comm. Crosa. a funzionari del- l’Ispettorato delle Strade ferrate (Circolo di Milano) e a funzionari della Rete Adriatica, visitò la costa di Tanno sulla linea Colico- Chiavenna, sulla quale la esistenza di grandi spaccature nelle roccie serpentinose ivi sviluppate, produ- ceva frequenti cadute di massi sulla linea ferroviaria con grave pericolo del- l’esercizio; dalla visita risultò la necessità di abbandonare quel tratto di linea e sottopassarlo in galleria. Sempre per incarico del R. Ispettorato delle Strade ferrate visitò nel maggio i lavori del traforo del Sempione, accompagnandovi il citato comm. Crosa, specialmente per cercare di stabilire approssimativamente quale ritardo alla apertura della galleria (che avrebbe dovuto aver luogo nella prima metà del 1904) potevano arrecare le gravissime difficoltà incontrate dal lato italiano per la affluenza delle acque interne e per l’incontro di terreni spingenti e franosi. Rollo stesso mese fece una seconda visita alla costa di Yietri, dove erano già iniziati i preparativi per eseguire lo sgombro di vari massi pericolanti. Rei luglio coll’Ispettore superiore comm. Crosa visitò la galleria di Tercy (linea Ivrea- Aosta), nella quale, per la instabilità del terreno morenico in cui è scavata, si verificano da lungo tempo gravi lesioni con pericolo di maggiori disastrose conseguenze. In questa occasione fu stabilito di accertare meglio la natura del terreno e la probabile esistenza di piani di scivolamento per mezzo di pozzetti di assaggio. Rei mese di agosto dovè visitare coi funzionari dell’Ispettorato ferroviario del Circolo di Firenze e coi rappresentanti della Società mediterranea un tratto della linea Asciano -Grosseto, presso Torroni eri, la cui stabilità era messa in continuo pericolo dalla esistenza di vaste frane nelle falde di argille mioceniche su cui la linea scorre, e fu riconosciuta la necessità di abbandonare quel tratto di linea, portando la ferrovia sulla opposta sponda. Una terza visita alla costa franosa di Vietri, dove era oramai in corso il lavoro di sgombro dei massi pericolanti, reso difficile e delicato dalla necessità di procedere senza mine e senza far cadere detriti sulle sottostanti opere stra- dali ed edifizi, ed al quale erano impiegati alcuni cavatori apuani, fu fatta nel settembre. L’ing. Baldacci fu richiesto dalla Deputazione provinciale di Bologna per ese- guire alcuni studi sulle sorgenti termali della Porretta specialmente in vista della possibilità di aumentarne mediante nuovi allacciamenti la potenzialità, ed accettò l’incarico, dopo ottenuta la necessaria autorizzazione del Ministero di agricoltura. Per i vari incarichi del R. Ispettorato generale delle Strade ferrate l’inge- gnere Baldacci impiegò 27 giorni di campagna col percorso di km. 84 e con una spesa totale di lire 357. 62, che venne pagata sul bilancio di quell’ufficio. Finalmente l'ing. Baldacci con decreto del Ministero dei lavori pubblici fu nominato membro della Commissione presieduta dal senatore on. Colombo per lo studio di una ferrovia direttissima fra Firenze e Bologna, e prese parte alle adunanze preliminari tenute presso il R. Ispettorato generale delle Strade fer- rate, venendo poi assegnato alla Sottocommissione tecnica che dovrà eseguire l’esame comparativo dei vari tracciati progettati per quella linea dal punto di vista tecnico e geologico. Ingegnere-capo Lotti. — Fece parte della Commissione per l’esame di con- corso ad ingegnere-allievo nel R. Corpo delle miniere. Fu poi incaricato di studiare insieme all Ispettore del Genio civile com- mendatore Rocco le frane manifestatesi sulle due sponde del torrente Savio, presso Bagno di Romagna e di proporre i lavori da eseguirsi per i danni even- tuali da quelle minacciati. Per questo incarico fece 5 giorni di trasferta e per- corse km. 133 su via ordinaria, e la relativa spesa fu pagata a carico del bi- lancio dei Lavori pubblici. Ing. Zaccagna. — Una parte delle sue escursioni fu impiegata per prepa- rare insieme al presidente della Società geologica, senatore Capellini, gli ele- menti per la gita nei dintorni di Spezia e alle Alpi Apuane, che la Società fece nel mese di settembre. Ing. Mattinolo. — L’ing. Mattirolo fu membro delle Commissioni esamina- trici per concorso di allievi-ingegneri nel R. Corpo delle miniere e per allievi chimici presso il Laboratorio centrale delle Gabelle. Fu poi chiamato per tre volte nel corso dell’anno a far parte della Com- missione per l’accertamento del minerale di 2a categoria (quarzoso e di scarto) nelle RR. miniere dell’Elba, impiegando 19 giorni. 54 — Le spesr relative a quest’ultimo incarico furono pagate dal Ministero delle finanze. Ing. Aichino. — Fu incaricato di rappresentare il Ministero di agricoltura, industria e commercio nella Commissione consultiva per le sostanze esplosive, istituita presso il Ministero dell’interno con decreto del 21 ottobre 1901 Ing. Novarese. — Xel mese di aprile visitò la frana di Piobbico (provincia di Pesaro-Urbino) nell’interesse del comune di Piobbico, ma la relativa spesa in lire 126. 94, corrispondente a giorni 5 di trasferta, 38 km. di percorso e lire 70. 95 di spesa ferroviaria fu pagata sul fondo del servizio geologico. Xei mesi di luglio, agosto e settembre, nell’interesse del Ministero dei la- vori pubblici fece ripetute visite alle frane della nazionale Pinerolo-Col di Sestrières-Cesana, e della nazionale Aosta-Piccolo S. Bernardo, impiegando 14 giorni di trasferta, col percorso di km. 214 e spesa ferroviaria di lire 47.05. La spesa totale relativa a questi incarichi in lire 220. 75 fu sostenuta dal Mini- stero dei lavori pubblici. Ing. Stella. — In seguito a richiesta del Ministero degli interni l’ing. Stella fece nel gennaio 1902 in unione all’ing. Baldacci, come fu già accennato, uno studio sul terremoto dell’ottobre 1901 nel territorio di Salò, e insieme a detto ingegnere presentò una relazione in proposito, la quale venne pubblicata nel nostro Bollettino. Per tale studio furono impiegati dall’ing. Stella 14 giorni, percorsi 74 km. su via ordinaria, spese per ferrovia lire 126.94; la spesa totale in lire 254.14 venne pagata col fondo del servizio geologico. Ing. Crema. — Sul finire di luglio, con speciale autorizzazione del Mini- stero, si recava per richiesta dell’on. deputato Spada in alcune località della valle del Orati (Cosenza) per studiarne la costituzione geognostica in rapporto alla probabilità di riuscita di pozzi artesiani per i bisogni delle fiorenti colonie agricole di quei territori, e riferì in proposito agli interessati. Aint.-ing. Moderni. — Ottenuta la debita autorizzazione ministeriale, eseguì per conto della Società Italiana di elettrochimica lo studio delle condizioni geolo- giche per una derivazione di acque lungo la valle del Pescara dal Tirino all’Orte. Lavori d’ufficio. Pubbli cagioni. — Oltre alla stampa del Bollettino (annata XXXIII), conte- nente le Relazioni annuali ed altri lavori dei nostri operatori, nonché la con- sueta Bibliografia annuale e gli Atti del Comitato, venne eseguita quella del vo- lume XI delle Memorie descrittive , contenente la Descrizione geognostico-agraria — 55 — del Colle Montello (Treviso) preparata dell’ing. A. Stella, e corredata da carta geologica, da parecchie tavole di sezioni e da vedute fotografiche. Fu pure pubblicato il 4° supplemento del Catalogo della Biblioteca relativo al biennio 1900-901. Dopo la pubblicazione della Carta geologica della Calabria al 100,000 (20 fogli e 3 tavole di sezioni) si doveva provvedere a quella della Puglia meridionale, comprendente la penisola Salentina in 7 fogli, più quello di Matera in Basili- cata, pei quali, stante la poca accidentalità del terreno, non occorreva la edi- zione senza tratteggio. In corso di lavoro venne però riconosciuta la opportu- nità di nuove revisioni, specialmente nell’estrema penisola leccese, e così fu di alquanto ritardato il lavoro. Ora però, tolta ogni difficoltà, questo è in corso e si spera che gli otto fogli potranno essere pronti per la distribuzione entro l’anno. Per le stesse ragioni venne sospesa la preparazione di altri 7 fogli della attigua Lucania, confinanti coi predetti e con quelli della Calabria settentrio- nale, e dei quali l’Istituto geografico militare ha già eseguita, in seguito a ri- chiesta, la edizione senza tratteggio alla scala di 1 : 100,000. Queste ultime revisioni saranno eseguite nel corso della prossima campagna, dopo di che si passerà immediatamente alla stampa dei fogli predetti. Biblioteca. — ]N"eH’anno 1902 proseguì come di solito l’incremento dei libri e delle carte della nostra Biblioteca, nella massima parte ricevuti in dono o in cambio delle nostre pubblicazioni. Limitato quindi fu il numero delle pubblicazioni acquistate e queste anche in gran parte sono semplici continuazioni di opere periodiche od in corso, in minor parte quelle nuove indispensabili specialmente per gli studi paleontolo- gici e petrografie^ Tra volumi ed opuscoli ne entrarono nel 1902 numero 1354, oltre a 130 fogli di carte geologiche, topografiche e diverse. Di tutto questo materiale venne, come di consueto, redatto l’ Inventario, fatto lo schedario e eseguito l’ordinamento, nel miglior modo possibile compatibilmente colla ristrettezza dello spazio disponibile, reso ormai insufficiente per il pro- gressivo aumento delle pubblicazioni stesse. La spt sa per acquisto di libri ammontò nell’anno a circa lire 1400, in mas- sima parte per continuazioni di opere in corso e per periodici. Collezioni. — La collezione delle roccie e dei fossili continuò ad aumentare in relazione col procedere del rilevamento geologico. Quella mineralogica si arricchì di vari campioni cristallini dell’isola d’Elba e di splendidi cristalli e gruppi cristallini di solfo di Romagna e di Sicilia, donati dall’ispettore L. Mazzuoli. — 56 — Alla raccolta speciale dei giacimenti di minerali utili furono aggiunti i cam- pioni delle miniere di pirite di Zavorrano, quelli del giacimento di bauxite scoperto a Pescosolido presso Sora e quelli dei filoni di solfuri misti della Tolfa. È stata infine continuata la sistemazione delle raccolte dei fossili caratteri- stici dei terreni italiani. Laboratorio chimico-petrografico. — Come negli anni scorsi gli ingegneri Mattirolo ed Aiehino, eseguirono nel Laboratorio chimico saggi ed analisi ri- guardanti in gran parte i campioni raccolti dai geologi operatori, attendendo anche all’esame di materiali utili per le industrie. Oltre a parecchie analisi di roccie silicate, sono da ricordare : un esame chimico delle antraciti della Liguria e dell’ alta valle di Aosta, che verrà quanto prima pubblicato collo studio geologico-minerario di quei giacimenti an- tracitiferi ; le determinazioni riferentisi alla ricerca di materiali bauxitici nel- F Appennino ed alcune analisi di minerali delle Regie miniere elbane. eseguite in riguardo al loro contenuto in fosforo. Riguardo alla petrografia la preparazione delle sezioni sottili procedette ad un dipresso come negli anni decorsi. Nel laboratorio ne furono eseguite 700 al* rincirca e 220 delle più difficili furono fatte tagliare all’estero. L’ing. Viola si occupò specialmente dello studio di minerali e roccie della Sardegna, intrapreso l’anno scorso. L’ing. Sabatini portò avanti, almeno per le parti più importanti, lo studio delle roccie dei Monti Cimini. L’ing. Novarese attese allo studio delle roccie raccolte durante il suo ri- levamento in Valpellina, Valsavaranche e Val Chiusella. L’ing. Franchi esaminò i preparati delle roccie della parte meridionale della zona antracitica della valle di Aosta, di micascisti eclogitici della bassa valle di Gressoney e del Biellese, della sienite di Biella e delle sue roccie di contatto. Iniziò quindi l’esame delle roccie della zona dioritica di Ivrea e delle formazioni cristalline che stanno a Sud di essa. L’ing. Stella attese specialmente allo studio della zona antracitica valdo- stana, preparando anche delle micro- fotografie per la memoria in corso di stampa su quella zona. Continuò lo studio petrografico della zona a quella contigua ed incominciò anche a studiare il materiale raccolto nel rilevamento dell’Ossola. Gabinetto paleontologico. — Nel gabinetto paleontologico furono determinati fossili del Trias superiore, del Lias, del Cretaceo e dell’Eocene della Calabria settentrionale ; del Cretaceo, dell’Eocene, del Miocene, del Pliocene e del Post- pliocene della provincia di Lecce; del Lias medio di Morrea nella valle del Liri (calcari del Lias a facies di Dachsteinkalk ) ; del Lias inferiore del monte — 57 — Prezza (valle del Sagittario) ; del Lias medio e superiore del monte San Pan- crazio in Sabina; del Lias inferiore di Gualdo Tadino nell’Umbria; del Tito- nico di Stroncone (Monti Sabini) ; del Cretaceo della valle dell’Aniene, del Pliocene e del Quaternario di varie località del circondario di Viterbo, ecc. Inoltre l’ing. C. Crema vi compì lo studio dei molluschi del post-pliocene della valle del Crati e il dott. G. Checchia, col permesso della Direzione, quello dei foraminiferi eocenici del gruppo del monte Judica (Sicilia) e delle alveoline eoceniche di alcune regioni della Sicilia e della Calabria. Ideile varie escursioni fatte dal dott. Di Stefano e dall’ing. Crema, delle quali già si è detto sopra, le ricerche paleontologiche diedero buona copia di materiale, specialmente nella valle dell’Aniene dove furono raccolti importanti fossili del Cre- taceo, mentre altri se ne ebbero in dono dall’Impresa Piatti (ferrovia Mandela - Subiaco), alla quale porgiamo qui vivi ringraziamenti. Lavori diversi. — Oltre i lavori di copiatura e riduzione delle tavolette rilevate durante la campagna dei geologi rilevatori, la preparazione di tavole per il Bollettino e di fogli da pubblicarsi (Puglia e Lucania), furono pure ese- guite copie di carte geologiche a richiesta di Società, di amministrazioni pub- bliche e di privati, previa autorizzazione del Ministero. Venne inoltre intrapresa la riduzione alle scale di 1 : 500,000 e di 1 : 1,000,000 della parte già rilevata delle Alpi occidentali in confine colla Francia, sia per ade- rire a domanda fattane dalla Direzione del Servizio geologico francese, sia per pre- parare una cartina di detta regione da pubblicare in seguito alla scala di 1:100,000. Si eseguirono anche le sezioni a corredo della Appendice alla Me- moria della Calabria del Cortese, scritta dal dott. Di Stefano, come era annunziato nell’ultima Relazione. Fu pure compilata una cartina geologica dell’Italia alla scala di 1 : 3,000,000 da unire ad una pubblicazione del prof. Parona, dietro sua richiesta. Per il Congresso storico che si tenne in Roma nell’anno in corso venne preparato, come è stato accennato nell’ultima Relazione, un cenno sulla carto- grafia geologica italiana, corredato da un elenco in ordine cronologico e per regioni, di tutte le carte geologiche e mineralogiche edite ed inedite, riguar- danti regioni italiane a tutto il 1902. Si è infine preparata, come già si disse, una Guida all’Ufficio e sue colle- zioni, analogamente a quanto si pratica negli Istituti analoghi dell’estero per comodo dei visitatori. 58 Resoconto delie spese per l’anno 1902. I. Assegni al personale straordinario: Due disegnatori (a L. 150 mensili ciascuno) L. 3,600.00 Uno scrivano (a L. 120 mensili) » 1,440.00 Un usciere (a L. 100) » 1,200.00 Un inserviente (a L. 100) » 1,200. 00 Totale . . . L. 7,440.00 L. 7,440.00 li. Indennità di campagna e trasferte diverse: Alpi occidentali L. 6,138.81 1 Appennino ligure > 1,871.09 ,, 1 Umbria Rilevamenti 1 » 2,201.87 1 Marche » 753.05 ... \ Vulcani romani » 2,024.09 ! Appennino romano » 1,301. 16 [ Appennino meridionale » 1,244.76 Calabria settentrionale » 547. 91 Totale . . . L. 16,082. 74 L. 16,082. 74 ( Direzione dei rilevamenti L. 778.44 Diverse . . . < Ricerche di fossili » 69C. 50 ( Altri scopi » 1,356.45 Totale . . . L. 2,825. 39 L. 2,825.39 Adunanza del Comitato » 395.80 Totale . . L. 3,221. 19 L. 3,221.19 III. Spese d’Ufficio, Biblioteca e Collezioni : Cancelleria, riscaldamento, posta, trasporti, ecc L. 2,297. 00 Spese di campagna (guide, imballaggi, trasporto campioni, ecc.) .... » 1,330.62 Consumo di carte topografiche » 61.90 Biblioteca * » 1,409.50 Collezioni > 384 47 Totale . . . L. 5,483. 49 L 5,483. 49 IV. Pubblicazioni : ( Testo Bollettino 1902 . ) L. 1,375. 00 ( Tavole > 596. 25 l Testo > 301.40 Memoria sul Montello ... f Tavole » 220. 00 Supplemento al Catalogo della Biblioteca * 225.00 Nota esplicativa sul Golfo di Spezia » 205. 00 N. 6 fogli al 100m senza tratteggio » 4,854. 00 Totale . . . L. 7,776. 65 L. 7,776. 65 * 59 — V. Laboratorio chimico-petrografico : Consumo di materiale L. 276. 35 Riparazioni ad apparecchi > 112.40 Sezioni microscopiche di roccie » 61i.50 Totale . L. 1,000.25 L. 1,000.25 Vi. Manutenzione deirufficio : Acquisto di nuovi mobili L. 255. 00 Riparazioni diverse » 540.97 Riattazione del locale e costruzioni nuove » 2,767.86 Totale . L. 3,563.83 L. 3,563.83 VII. Spese diverse: Compenso al portiere dell’Ufficio di Torino L. 100.00 Sussidi straordinari al personale » 350. 00 Assicurazione incendio pel materiale mobile > 132.00 Totale . . . L. 582.00 h. 582.00 Totale speso nel 1902 ... L. 45,150. 15 NB. — Di questa somma L. 19,876.06 avanzavano dall’esercizio 1601-902 e le rimanenti L. 25,274.09 furono pagate sul 1902-903. Proposte per l’anno 1903. JS/uovi rilevamenti. Alpi. — Al rilevamento delle regioni alpine potrà continuare ad essere de- stinato il consueto personale. L’ing. Mattirolo ha da completare il rilevamento della Val Tournanche o particolarmente quello del bacino laterale di Torgnon, e possibilmente dovrebbe inoltre rilevare il gruppo principale del Cervino. Oltre a ciò egli ha da termi- nare il rilevamento della regione della bassa valle di Cogne presso la sua con- fluenza con la Dora, quello del bacino di Verrayes e la Comba Dèche (Aosta ILE), e qualche lembo del quadrante ILO del Gran Paradiso. All’ing. Novarese resta ancora qualche lavoro di rilevamento nella valle dell’Evan^on, specialmente nella parte media della valle, territorio di Brusson e limitrofi. L’ing. Franchi, che ha oramai terminato il rilevamento della valle di Gres- soney fino alla più alta cresta di confine, avrebbe da continuare il rilevamento già intrapreso nell’alta Val Sesia e nel Biellese. L’ing. Stella continuerebbe il lavoro inlrapreso l’anno precedente nell'alta Tal d’Ossola, e a questo lavoro potrebbe concorrere l’ing. Baldacci nel tempo che gli rimane occasionalmente libero da altri impegni di servizio. In vista poi della pubblicazione, cui attende ora l’Ufficio geologico, di una cartina geologica delle Alpi occidentali alla scala di 1 : 400,000, si ritengono necessarie alcune revisioni e coordinamenti nelle parti già rilevate, come per esempio nelle tavolette di Frabosa, Boves e Demonte, in qualche punto della Val Pellice, ecc. ; e a questo lavoro potrebbero dedicarsi gli ingegneri Novarese, Franchi e Stella al principio della campagna, per avere al più presto tutti gli elementi occorrenti, affinchè quella pubblicazione riassuma e rispecchi nel modo il più fedele le conoscenze acquisite in tanti anni di assiduo e faticoso lavoro sulla geologia delle nostre Alpi. Liguria. — In occasione dello studio fatto negli anni decorsi sui giacimenti antracitiferi dell’Alta Italia, l’ing. Zaccagna ebbe ad iniziare dei rilevamenti particolareggiati nelle tavolette di Garessio, Finalmarina e Varazze, e sarebbe desiderabile che il rilevamento di quelle tavolette venisse dall’ing. Zaccagna stesso completato. Lo stesso ingegnere ha poi da continuare il rilevamento della Liguria orien- tale nella tavoletta di Rapallo già avviata, e in quelle limitrofe verso Genova. Riguardo ai rilevamenti nella Liguria occidentale è da osservare che tanto l’ing. Zaccagna che l’ing. Franchi già ebbero occasione di eseguire studi più o meno dettagliati in varie di quelle tavolette, e allo scopo di utilizzarli il meglio possibile occorrerà che i detti due ingegneri presentino all’Ufficio le minute dei lavori rispettivamente eseguiti, allo scopo di ripartire nel modo più conveniente il lavoro che ancora resta da farsi nella regione. Umbria. — L’ing. -capo Lotti continuerebbe il rilevamento già bene avviato della tavoletta di Terni per estenderlo poi in quelle limitrofe di Rieti e Feren- tillo, col concorso dell’aiutante Moderni, che già vi ha lavorato. Marcite. — L’aiutante Moderni, oltre a ciò, avrebbe da continuare il rile- vamento del terziario superiore nelle Marche e precisamente nelle tavolette a 1 : 25,000 di Santa Maria Nuova, Filottrano, Osimo, Recanati, per terminare possibilmente la zona littorale al sud di Monte Conero. L’aiutante Cassetti potrà, verso la fine della campagna, essere incaricato di un esame preliminare del monte predetto per studiarne i rapporti col pro- montorio garganico che egli già conosce. Sarà poi indispensabile che l’ing.-capo dei rilevamenti o l’ing.-capo Lotti visitino col Moderni qualche tratto della regione finora da lui rilevata, special - mente per lo studio speciale degli scisti argillosi e delle arenarie di età incerta fra l’Eocene e il Miocene, e per sincronizzarli possibilmente con analoghe for- mazioni di altre regioni dell’ Appennino. — 61 — Revisioni. Vulcani romani. — L’ing. Sabatini, che ha oramai ultimato il rilevamento della parte orientale dei Yulsinii, e bene avviata la revisione dei Cimini, dovrà por fine a questa onde raccogliere tutti i dati necessarii alla redazione della Memoria relativa. Potrà quindi passare alla parte occidentale dei Yulsinii, già da tempo rilevata, onde intraprenderne la revisione e la raccolta dei materiali necessarii allo studio di quell’importante gruppo vulcanico, la cui descrizione succederebbe a quella dei Cimini. Appennino romano. — L’ing. Yiola dovrà continuare e completare il lavoro di revisione nella valle dell’Aniene e regioni limitrofe, con lo studio dei monti che stanno a sinistra della valle stessa fra Poli e Tivoli, dove sono ancora alcuni problemi da risolvere. Contemporaneamente, e col concorso del dott. Di Stefano, potrà procedere al coordinamento delle molte osservazioni fatte nell’ Appennino romano, per poi iniziare il lavoro descrittivo che da lui si attende. Abrusso. — Le revisioni nell’Abruzzo, specialmente per la suddivisione è delimitazione dei potenti affioramenti di calcari secondari, potranno essere con- tinuate dall’aiutante Cassetti, ma occorrerà che anche l’ing. Baldacci e il paleon- tologo visitino occasionalmente qualche parte della regione, nella quale è oramai accertato che la serie mesozoica dal Trias superiore a tutto il Cretaceo si pre- senta quasi completa. Puglia e Lucania. — Essendo ora, per cura dell’ Ufficio, in corso la pub- blicazione di vari fogli della Carta geologica a 1 : 100,000 di quelle regioni, in continuazione ai fogli già pubblicati della Calabria settentrionale, non si può trascurare il fatto che le minute relative a quel rilevamento datano ormai da più di 10 anni, e che in questo lungo periodo di tempo, non solo molti studiosi fecero oggetto delle loro ricerche geologiche e pubblicazioni varie parti di quella regione, ma altresì che in questa vennero eseguiti importanti lavori stradali, dai quali la costituzione geologica della regione venne meglio posta in evidenza. Per queste ragioni ritengo necessario che nel prossimo autunno gli inge- gneri Baldacci, Yiola e Sabatini, che già rilevarono la regione, procedano ognuno per la sua parte a qualche gita a scopo di revisione, di aggiornamento e di coor- dinamento con le parti già pubblicate. Pubbli casioni. — Le pubblicazioni da farsi entro l’anno corrente, oltre al Bollettino, sono: 1. La Memoria sui giacimenti antracitiferi delle Alpi occidentali; 2. La Appendice del dott. Di Stefano alla descrizione geologica della Ca- labria; — 62 — 3. La preparazione della Carta delle Alpi occidentali al 400,000 da colo- rarsi e pubblicarsi in seguito; 4. La stampa di otto fogli della Carta geologica al 100,000, compren denti la penisola Salentina col foglio Matera. A questi lavori, che già sono in corso, si potrà aggiungere la stampa della Guida airUfficio e sue collezioni, completata come sopra è stato detto. Ciò ammesso, la ripartizione della spesa fra i vari articoli risulterebbe come segue: Ripartizione delia spesa per il 1903. Lavori di campagna ed escursioni diverse L. 18,000 Spese di ufficio, laboratorio, biblioteca, collezioni, ecc., eec » 14,000 Bollettino » 2,000 Memoria sui giacimenti antracitiferi » 2,500 Appendice alla Memoria sulla Calabria » 500 Preparazione della Carta delle Alpi occidentali » 1,000 Stampa di otto fogli della Puglia » 2,500 Guida all’Ufficio » 1,000 Spese impreviste » 500 Arretrato per la costruzione del nuovo locale » 3,000 Totale . . . L. 45,000 Qualora lo stanziamento per la Carta geologica venisse, come si spera, portato a L. 50,000, la maggior somma disponibile sarebbe impiegata per accelerare la pubblicazione in corso di Carte geo- logiche e per altri lavori di carattere urgente. 'N. Pellati. Annunzi di pubblicazioni Bertolio S. — Sui filoni pegmatitici di Piona e sulla presenza in essi del Berillo (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYI, fase. YII-YIII, pag. 368-374). — Milano, 1903. p Boeri s Gl. — Idocrasio del monte Pian Reai (Atti Soc. ital. di É3c. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLII, fase. 1°, pag. 45-53). — Milano, 1903. Bortolotti C. — intorno ad alcuni resti di Rinoceronte dei dintorni di Pe- rugia (Rivista ital. di paleontologia, Anno IX, fase. I e II, pag. 50-53, i con tav.). — Bologna, 1903. | Capellini GL — Avanzi di spualodonte nelle arenarie di Grumi dei Frati presso Schio (dalle Memorie R. Acc. Se. dell’ Istituto di Bologna, S. Y, T. X, pag. 12 in-4°, con tav.). — Bologna, 1903. I Casoria E. — Sui processi di mineralizzazione delle acque in rapporto con la natura geologica dei terreni e delle roccie (Annali R. Scuola superiore di agricoltura di Portici, S. II, Yol. IY, pag. 1-198). — Portici, 1903. | Checchia-Rispoli G. — Nuova contribuzione alla echinofauna eocenica del Monte Gargano (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XII, fase. 1°, pag. 101-114, con tav.). — Roma, 1903. Chelussi I. — Sulla geologia della conca aquilana (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLII, fase. 1°, pag. 58-87). — Milano, 1903. I Consiglio Ponte S. — Studio mineralogico dei blocchi eruttati dal cratere centrale nelPeruzione etnea del 1879 (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. LXXYI, pag. 17-30). — Catania, 1903. ’ D’Achiardi G. — Alcune osservazioni sopra i quarzi di Palombaia (Elba) (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIII, pag. 132-138). — Pisa, 1903. Idem. — Analisi di alcuni minerali bauxitici italiani (Rassegna mineraria, Yol. XYIII, n.° 14, pag. 214-216). — Torino, 1903. Dainelli G. — Appunti di stratigrafia sulla valle del Mugnonfe (Atti Soc. to- scana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIII, pag. 110-121). — Pisa, 1903. De Angelis d’Ossat G. — Il giacimento di cinabro presso Saturnia (Pro- vincia di Grosseto) (Rassegna mineraria, Yol. XYIII, n.° 18, pag. 275-277). — Torino, 1903. De Franchis F. — Molluschi della creta media del Leccese (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 1°, pag. 147-164, con tav.). — Roma, 1903. Dervieux E. — Sulla posizione geologica di un tripoli piemontese (Rivista di fis., mat. e se. nat., Anno IY, n.° 40, pag. 379-383). — Pavia, 1903. Di-Stefano G. — Il calcare con grandi lueine dei dintorni di Centuripe in provincia di Catania (dagli Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. IY, Yol. XYI, pag. 72 in-4°, con 4 tav.). — Catania, 1903. Fabiani R. — La fauna fossile della grotta di S. Bernardino nei Colli Serici (Atti R. Istituto veneto, S. YIII, T. Y, disp. YI, pag. 657-671). — Yenezia, 1903. Flores E. — Nuovi avanzi di TJrsus spelaeus Slum, del Buco del Piombo sopra Erba (Como) (Rivista ital. di paleontologia, Anno IX, fase. I e II, pag. 10-11). — Bologna, 1903. (Segue) f Seguito : V. pagina precedente ) Fornasini C. — Distribuzione delle Testilariue negli strati preneogenici d’Italia (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 1°, pag. 85-96). — Roma, 1903. I Franchi S. — Sul rinvenimento di nuovi giacimenti di roccie giadeitiche nelle |! Alpi occidentali e nell’ Appennino ligure (Ibidem, Yol. XXII, fase. 1°, pa- | gino 130-131). — Roma, 1903. Fucini A. — Il Litoceras crebricosta Mgh. (dagli Atti Soc. toscana di Se. nat.; I Memorie, Yol. XIX, pag. 4, con tav.). — Pisa, 1903. Gortani M. — Fossili rinvenuti in un primo saggio del calcare a Fusuline di Forni Avoltri (alta Carnia occidentale) (Riv. ital. di paleontologia, Anno IX, fase, I e li, pag. 35-50, con 2 tav.). — Bologna, 1903. Bonghi P. — Contribuzione alla conoscenza della fauna del calcare cretaceo di Calloneghe presso il Lago di Santa Croce nelle Alpi venete (Ibidem, Anno IX, fase. I e II, pag. 22-23, con 2 tav.). — Bologna, 1903. Lotti B. — Sul giacimento di Bauxite di Colie Carovenzi presso Pescosolido (circ. di Sora) nella valle del Liri (Rassegna mineraria, Yol. XYIII, n.° 11, pag. 163-165). — Torino, 1903. Idem. — Il Casentino è una valle d’anticlinale? (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 1°, pag. 97-100). — Roma, 1903. ___ Novarese, Y. — Nuovi giacimenti piemontesi di giadeititi e roccie giadeitoidi (Ibidem, Yol. XXII, fase, 1°, pag. 135-140). — Roma, 1903. Portis A. — Ancora delle specie elefantine fossili in Italia (Ibidem, Yol. XXII, j fase. 1°, pag. 143-146). — Roma, 1903. Ricco A. — Rilevamento topografico della lava dell’eruzione etnea del 189*2 (Boll. Acc. Gioenia dii Se. nat., fase. LXXY? pag. 5-8). — Catania, 1903. Rimatori C. — La galena bismutffera di Rosas (Sulcis) e blende di diverse località di Sardegna (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XII, fase. 7°, pag. 263-269). — Roma, 1903. Salmojraghi F. — Osservazioni mineralogiche sul calcare miocenico di San Marino (monte Titano) con riferimento all’ipotesi dell’Adria ed alla pro- venienza delle sabbie adriatiche (dai Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYI, fase. XII, pag. 24 in-8°). — Milano, 1903. Scalìa S. — Sopra alcune nuove specie di fossili del calcare bianco cristal- lino della Montagna del Casale in provincia di Palermo (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. LXXYI, pag. 33-37). — Catania, 1903. Stella A. — A proposito delle roccie a giadeite nelle Alpi occidentali (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 1°, pag. 141-142). — Roma, 1903. Tacconi E. — Sopra alcuni minerali del granito di Montorfano (Rend. R. Acc. v dei Lincei, S. Y, Yol. XII, fase. 9°, 1° sem., pag. 355-359). — Roma, 1903. j Tommasi A. — Sulla estensione laterale dei calcari rossi e grigi a cefalopodi del monte Clapsavon (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYI, fase. IX, pag. 431-439), — Milano. 1903. Yerri A. — La Montagnola Senese (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 1°, pag. 1-8, con carta). — Roma, 1903. Idem. — Il Monte Amiata (Ibidem, Yol. XXII, fase. 1°, pag. 9-39, con carta). — Roma, 1903. Prezzo dLel presente fascicolo : L. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA A.3srnsro 1903 N. 3. ROMA TIP. NAZIONALE DI G. BERTERO E C. 1903 ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna;, Presidente, Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Issel Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Struver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo dèlie Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Dott. Dì Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. * Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. IV. Anno 1903. Fascicolo 3°. SOMMARIO. Note originali. — I. P. Moderni, Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini ( Continuazione ). — II. C. Crema. Sul piano Siciliano nella Valle del Crati (Calabria). — Riunione annuale della Società geologica italiana a Siena. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1902 (Conti- nuasioné). Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Illustrazioni. — Tavole A, B, C, D, E (vedute fotografiche nei Vulcani Vulsini) a pag. 186 (A e B) e 192 (C, D , E). — Figure schematiche relative ai me- desimi, a pag. 183 e 215. — Tav. Ili e IV : Fossili del Siciliano della Valle del Crati (C. Crema) a pag. 270. NOTE. ORIGINALI I. P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vul- cani Vulsini . (Cont., vedi n. 2). Vulcano di Latera. Questo importante centro eruttivo, del quale il tempo ci lia con- servato ancora quasi intatte le grandiose rovine, die furono la mèta di scientifici pellegrinaggi a tanti insigni cultori della geologia, tro- vasi ad occidente del lago di Bolsena. La piccola ma antichissima città da cui questo vulcano prende il nome, conta 1500 abitanti e trovasi entro uno dei suoi crateri. Il Vulcano di Latera, che con i suoi edifici secondari occupa una superficie maggiore di quella occupata dal Somma e dal Vesuvio 12 — 178 — presi insieme, è costituito da tre crateri concentrici e da 25 boccile secondarie, sviluppatesi attorno e su Torlo delle cinte crateriche: la riunione di questi crateri uno dentro Taltro, corrisponde evidente- mente con altrettanti periodi o fasi di attività vulcanica, che si sus- seguirono nella medesima località. E difficile assai tessere la storia di un vulcano che ebbe diversi periodi, perocché le ultime manifestazioni distruggono quasi sempre gli apparati, e ricoprono i prodotti delle manifestazioni antecedenti, cosicché spesso non è possibile ricostruire il passato che per via d’in- duzioni. Da quanto dunque è permesso di giudicare dalle rovine del Vul- cano di Latera, dai materiali che ha emesso, e dalla giacitura di essi in rapporto con quella di altri centri, si può dedurre che questo centro eruttivo appartiene ad una delle più antiche manifestazioni vulcaniche della regione. 1.‘ Cratere e cono di Latera. — E il più grande dei tre concentrici e segna indubitatamente la prima fase di questo vulcano : si presenta come un avvallamento di suolo di forma irregolare che si avvicina all’ellittica, avente il suo asse maggiore disposto N.E-S.O, lungo 9 chilometri e mezzo, misurato da Poggio Evangelista a Monte Ca- rognone, mentre il minore sarebbe lungo chilometri 8, misurato da Monte Becco alla strada rotabile, che corre sul ciglio del cratere fra Valentano e Monte San Magno. Della primitiva grande cinta craterica ne resta ben conservata soltanto una metà, cioè la parte settentrionale e la orientale : quella meridionale è in cattivo stato di conservazione, tanto che assai diffi- cilmente si riconosce in essa la forma craterica; manca affatto la parte occidentale, distrutta forse da uno sventramento, ed il suo posto è occupato in parte dal Monte Becco, il quale è un cono ap- partenente ad una fase posteriore. 1 II numero d’ordine di ogni singola bocca eruttiva serve per rintracciarla più facilmente su la Carta dimostrativa. Il fondo del cratere, deformato nella sua parte settentrionale dagli edifici sorti più tardi, è segnato dalla bella e fertile pianura al disotto di Talentano, attraversata longitudinalmente dal fiume Olpeta, emissario del lago di Mezzano: trovasi a circa 400 metri di eleva- zione sul livello del mare, e perciò 100 metri più in alto delle acque del lago di Bolsena. Anche la pianura di Yalentano dovette essere un lago, poiché all’estremità meridionale del Poggio Murcie i materiali vulcanici sono ricoperti da argille quaternarie, contenenti straterelli di lignite, le quali alternano con banchi di travertino. L’alternanza delle argille con il travertino si spiega facilmente, quando si consideri che il ver- sante meridionale del Poggio Murcie, doveva segnare un tratto della riva occidentale di questo lago; perciò il travertino poteva essere de- posto sopra alle argille, da qualche sorgente situata entro o poco lungi dal lago, nei periodi di magra del medesimo. Di questo cratere ci resta ben conservata anche una gran parte del suo cono. E qui debbo necessariamente ripetere un’osservazione fatta nella descrizione dei Vulcani Sabatini: un edifìcio vulcanico consta, come si sa, di due parti distinte; quella interna, il cratere , quella esterna il cono. Nei vulcani spenti, assai raramente le due parti sono in uno stesso edifìcio conservate e riconoscibili, sia perchè inegualmente sviluppate o perchè guaste dal tempo; avviene quindi che si hanno più comunemente coni o crateri e quando le due parti sono accoppiate, una delle due forme predomina su l’altra, in modo che ci si presentano dei grandi crateri senza più traccia dei coni o così depressi da essere pressoché irriconoscibili, o grandi coni con piccolissime concavità alla parte superiore, nelle quali s’indovina piut- tosto che si riconosca la forma craterica. In questo ultimo caso, nel descrivere un edificio vulcanico ordinariamente si dà ad esso sempli- cemente il nome della parte che predomina e si trascura l’altra. Nella presente descrizione, come già in quella dei Sabatini, il nome di cono o cratere non si riferisce mai a tutto l’edifìcio vulcanico, ma soltanto a quella parte di esso cui spetta, qualunque siano le sue dimensioni - 180 — od il suo stato di conservazione, purché ne siano rimaste almeno delle tracce. Il cono di questo grande cratere, che non è certo la parte meno interessante del Vulcano di Latera, si presenta ancora in buono stato nel suo versante orientale, meno bene nel versante settentrionale, manca affatto quello occidentale, ed è poco riconoscibile il versante meridionale, dove varie bocche secondarie ne hanno alterato la forma: al di là delle quali la superficie va digradando insensibilmente verso il litorale. Su la rotabile Valentano- Ischia di Castro e precisamente su le colline a Nord di detta strada, fra Madonna dell’Eschia e Poggio della Spina, che apparterrebbero appunto al versante meridionale del cono, la superficie è cosparsa d’innumerevoli frammenti di arenaria eocenica, che d’altronde rinviensi pure in altri punti del Vulcano di Latera. Questo fatto, di frammenti di rocce sedimentarie proiettate da bocche eruttive e che oggi si trovano contenute entro tufi e lave, è comune a tutti i nostri vulcani: furono già da tempo oggetto di studio i frammenti di calcare cretaceo proiettati dal Somma; cono- sciuti sono pure i frammenti di calcare, cretaceo anch’esso, contenuti nei peperini ed altri tufi del Vulcano Laziale ; dallo Struever, da Santos Podriguez 1 e recentemente anche da me, vennero segnalati i grossi e numerosi blocchi di calcare bianco cristallino nummulitico, che si trovano nei Vulcani Sabatini, e specialmente nelle bocche eruttive comprese nei due gruppi di Malignano e Campagnano; nei Vulsini sono invece frammenti di arenarie eoceniche (più raramente calcari marmosi o galestri) che vennero proiettate, ed oggi si rin- vengono, più o meno abbondantemente, in vicinanza delle bocche eruttive. Il tratto di cono meglio conservato è quello Ira Valentano e Gradoli, abbenchè solcato profondamente da numerosi burroni : il suo 1 Santos Rodriguez, Nota sulle rocce vulcaniche e principalmente su i tufi dei dintorni immediati di Roma. Roma, 1893. — 181 — perimetro è segnato ad Est dalle rive del lago; a Nord da una linea ohe passa un paio di chilometri a Sud di Onano, a Podere Mattei, a Grotte di Castro e girando attorno alla collina del Molino di Tar- mano ed a Monte Tonoco scende al lago. L’orlo craterico sul quale passa la strada rotabile, trovasi in media a 250 metri sul livello del lago, nel quale il cono va ad immergersi con il naturale declivio dei coni vulcanici, mentre dalla parte opposta, la cinta craterica si spro- fonda quasi a picco per circa 140 metri. Se i burroni da una parte deturpano il profilo teorico del cono, dall’altra, con le sezioni naturali che presentano, permettono di stu- diarne l’interna struttura: nella parte orientale di cinta craterica, come nei burroni del cono, più specialmente alla Selva San Magno e * nei dintorni di Gradoli, al disotto di ceneri e lapilli, l’erosione ha messo allo scoperto dei banchi di tufo litoide leucitico giallo-chiaro, comune ai tre gruppi vulcanici a N.O di Poma e ad altri, la cui pasta è sparsa di po «deine gialle e frammenti di lava. Nei Vulcani Sabatini questo tufo non fa parte dei materiali che ordinariamente costituiscono i coni, ma lo si rinviene stratificato più o meno orizzontalmente sempre ad una certa distanza dai centri eruttivi: nel Vulcano di Poccamonfina 1 e nei Vulcani Vulsini, esso invece contribuisce pure a formare l'ossatura dei coni. Che nelle cinte crateriche potessero esservi dei tufi litoidi cementati dalle pioggie eruzionali, lo avevano già provato lo Struever 2 ed il Meli 3 a propo- sito del peperino Laziale e Sabatino ; ma è bene intanto tener nota anche di questo fatto, poiché in seguito mi propongo di dimostrare 1 P. Moderni, Note geologiche sul gruppo vulcanico di Roccamonfina (Boll. R. Com. Greol., Anno 1887, n. 3-4). Roma, 1887. * G-. Struever, Contribuzione alla mineralogia dei Vulcani Sabatini. Parte I: Sui prodotti minerali vulcanici trovati ad Est del lago di Bracciano (Memorie R. Acc. dei Lincei, Voi. I, serie 4a). Roma, 1885. 3 R. Meli, Sui resti fossili di un avvoltoio del genere « Gyps » rinvenuti nel peperino laziale (Boll. Soc. Romana per gli studi zoologici, Voi. I, fase. la e 2°). Roma, 1892. — 182 — che l’origine di questo tufo, così largamente rappresentato fra i ma- teriali dei vulcani Tirreni, può essere diversa come è diversa la sua giacitura nelle diverse località. Inoltre percorrendo un giorno il fondo del fosso del Cotone a N.E di Monte San Magno, osservai in esso uno strato di scorie rosse, eguali a quelle di cui è costituito il cono di Monte Starnino, presso Yalentano, avente una potenza di circa due metri, racchiuso fra due strati del tufo litoide suddetto. Quest’alternanza netta di prodotti di- versi nella struttura del cono, indica il rinnovellarsi di parossismi e di calme relative nell’attività del vulcano, il quale durante i primi, emetteva scorie e lave, e durante le seconde, soltanto ceneri e lapilli che cementati dalle pioggie formarono i tufi. Se il burrone si appro- fondisse maggiormente e si potesse vedere tutta intera la sezione del cono, probabilmente l’alternanza di questi materiali, ci permetterebbe di contare, con una certa approssimazione, il numero delle forti eru- zioni, e dalla potenza degli strati, l’intensità delle medesime. Altre interessanti osservazioni si possono fare lungo la ricordata strada rotabile, che corre tutto intorno sul ciglio craterico di questo cono, e conduce da Yalentano a Pitigliano, e dalla quale si distac- cano le altre strade per Gradoli, per Acquapendente, per Oliano, per Sorano. Fra Yalentano e Monte San Magno, vedonsi gli strati di ceneri e sabbie vulcaniche spezzati e fortemente rialzati verso il centro del grande cratere, dimostranti con questa loro disposizione l’esistenza di un cono altissimo che doveva esistere una volta, ed il di cui crolla- mento, che originò l’immane cratere di Latera, si collega forse con il grande sventramento che distrusse tutta la parte occidentale della cinta craterica. Anche la stratificazione dei materiali, tanto su l’orlo craterico che sul pendìo del cono, presenta nella sua parte settentrionale, e più specialmente nel tratto di superficie compreso fra Monte San Magno, Gradoli, Onano, Poggio Evangelista, una disposizione caratteristica forse senza riscontri in altri vulcani; e questo non già perchè nei vulcani d’altre regioni mancarono le cause per produrre effetti simili, 183 — ma perchè gli effetti si presentano meno caratteristici e perciò meno rimarchevoli. In qualche sezione naturale del terreno, si vedono strati incoerenti o quasi, di materiali vulcanici, contorti regolarmente e concordemente in modo da formare una lunga serie di piccolissime sinclinali ed an- ticlinali alternate (vedi Fig. 1) come s’incontrano spesso nelle forma- zioni sedimentarie, quando ebbero a subire forti pressioni laterali. Altra volta in piccolo spazio si trovano strati rotti e discordanti in mille modi (vedi Fig. 2). Assai comunemente osservarsi strati inclinati riposare su altri orizzontali, ma quello che più difficilmente a bella prima riesce a spiegarsi, è la disposizione degli strati nei tre casi seguenti: su strati orizzontali, tagliati in forma di cono, riposano strati ripiegati for- manti cupola che li rivestono interamente (vedi Fig. 3). Entro strati orizzontali, si vede alle volte incastrato un solido irregolare formato da più strati di tufo diverso da quello incassante, incurvato a conca (vedi Fig. 4). Altra volta gli strati prendono l’aspetto come se fossero intrecciati fra loro (vedi Fig. 5) ed in questo caso gli strati orizzon- Fig1. 5. tali delle due parti non si corrispondono, ma formano invece due serie di strati affatto separate che nulla hanno di comune. Man mano che ci si allontana dal ciglio del cratere queste — 184 — accidentalità nella stratificazione vanno diminuendo, ed al di là di Gradoli, Grotte di Castro ed Onano si vedono i tufi riprendere la loro disposizione ordinaria. Come spiegare questa stranezza ? Il vom Rath 1 ammette l’ipotesi che ciò sia stato cagionato da frequenti e violente commozioni ter- restri che abbiano scosso e dislocato questo recinto nelle sue singole parti, muovendo però dalla premessa, che il tufo originariamente do- vesse formare una massa fangosa solida ! Ma questa premessa essendo inesatta doveva, necessariamente, essere inesatta anche la conse- guenza. Prima di tutto bisogna tener presente che ci occupiamo non di un solo strato ma di più strati, di spessore diverso, di costituzione diversa e nettamente separati l’uno dall’altro: abbiamo quindi alter- nanti fra di loro con potenza diversa, che oscilla dai 0.05 ad un metro, strati di ceneri finissime, di lapilli, di sabbie, di pomici, ecc. ; la diversa natura dei materiali che costituiscono i vari strati accu- mulati uno su l’altro, basta a dimostrare che essi si sono formati suc- cessivamente in tempi diversi; la differente loro resistenza indica che se per qualcuno di essi, più fortemente cementato, è ammissibile l’i- potesi che in origine si trovassero allo stato di fanghiglie, per molti altri tale ipotesi non è accettabile perchè la poca o nessuna coerenza dei materiali che li compongono, chiaramente ci dice che se furono bagnati dalle pioggie che accompagnano le eruzioni, non lo furono però in modo da diventare proprie e vere correnti di fanghi. Un’altra prova che non tutti quegli strati erano fanghi, l’abbiamo nella omo- * geneità dei materiali per ogni singolo strato, e perciò si hanno alter- nanze di straterelli di pomici con straterelli di sabbie, di lapilli, ecc., cosa che non dovrebbe verificarsi qualora fossero stati fanghi, nel qual caso, invece, i diversi materiali si troverebbero confusi e cemen- tati assieme. 1 G. vom Rath, Die Umgebungén des Bolsener See (Zeitschr. Deuts. geol. Gesell., 20). Berlin, 1868. — 183 — Se dunque non erano fanghi ma un’alternanza di materiali affatto incoerenti o quasi, in qual modo le forze endogene avrebbero dovuto agire su di essi, per obbligarli a disporsi secondo le figure 1, 3, 5? E quando anche fossero state fanghiglie, queste forze endogene come potevano contorcere ad arco od a biscia uno o più straterelli di tufo, lasciando orizzontali quelli compresi sotto l’arco od intrecciati nello strato contorto a biscia? A me pare che l’unico disturbo stratigrafico che ' ragionevolmente potrebbesi attribuire alle forze endogene sarebbe quello accennato dalla Fig. 2, dovuto a sollevamenti ed abbassamenti di suolo. Però tanto questa irregolarità stratigrafìca come tutte le altre ac- cennate dal vom JEtath, ed incontrate anche da me, sono puramente apparenti: da un’ accurata osservazione si acquista la convinzione che esse sono dovute soltanto ad erosioni della superficie avvenute fra un’eruzione e l’altra. Se si pone mente che trattasi, come ho già fatto rilevare, di materiali assolutamente incoerenti, si troverà naturalissimo che gli agenti atmosferici abbiano fra un’eruzione e l’altra, in ispecie se ad una certa distanza di tempo fra loro, così profondamente sol- cato la superficie, dandoci in pari tempo nettamente delimitati i ma- teriali appartenenti ad eruzioni diverse. Il caso apparentemente più difficile a spiegarsi, è quello accennato dalla Fig. 4: anch’io nelle vicinanze di Onano ho trovato un caso simile a quello indicato dal vom Rath, anzi forse più bello come si può giudicare dalla Tav. A, presa fotograficamente. Il solido irregolare incastrato negli strati orizzontali, diverso da essi per i materiali che lo compongono e per l’ inclinazione, sembra essere stato strappato ad un altro punto della superfìcie e quivi slanciato ; senonchè, composto com’è di elementi affatto incoerenti, avrebbe dovuto nella caduta sgre- tolarsi completamente. Però anche questo caso è effetto soltanto del- l’erosione e la dimostrazione è facilissima ; la figura rappresenta la sezione naturale d’una collina a forte pendìo, rivolta verso la som- mità di essa; girando posteriormente alla sezione, cioè sul pendìo della collina, si vede la continuazione degli straterelli del solido, che — 186 — in sezione sembra isolato, e che invece fa parte di nn mantello di materiali appartenenti ad altra eruzione, che hanno ricoperto quelli già depositativi dalle eruzioni antecedenti, colmando in pari tempo le erosioni che nel mentre vi si erano prodotte. La figura riportata nella Tav. B, presa pure fotograficamente in un punto della strada Valentano-Pitigliano, fra Poggio Evangelista e la Cantoniera, rappresenta un caso che si avvicina alquanto a quello della Fig. 5 riportato dal vom Bath; ma questo è più complesso e riu- nisce insieme accidenti diversi ; in basso, entro le due cavità, abbiamo strati orizzontali di pozzolana che presentano delle discontinuità da una cavità all’altra; al disopra pochi e sottili straterelli di tufo ad elementi minutissimi e debolmente cementato, ripiegati a biscia; su questi sono stratificati orizzontalmente esili straterelli di altri tufi incoerenti. Lateralmente, dalle due parti della sezione naturale rap- presentata da questa figura, si vedono altri strati inclinati degli stessi materiali, che si appoggiano su i primi e li ricoprono più o meno come nella Fig. 3, abbenchè nella figura riportata a Tav. B, quest’ ul- tima accidentalità non sia troppo chiaramente visibile, essendo stata distrutta la parte culminante dell’arco formato da questi ultimi strati. E superfluo ripetere che anche queste apparenti irregolarità stra- tigrafiche, sono dovute esclusivamente alle erosioni prodottesi su la superficie fra una eruzione e l’altra; per conseguenza i materiali che costituiscono le varie serie di strati, rappresentano i prodotti di eru- zioni diverse che si sono susseguite appunto secondo l’ordine di loro stratificazione. Intorno al Vulcano di Latera si distendono da tutte le parti impo- nenti colate di lave diverse, sovrapposte le une alle altre, che a Nord hanno corso per 15 chilometri fino al Paglia, ad Ovest per 10, a Sud per ben 25 chilometri; ad Est, ai piedi del cono, esse si nascondono sotto alle acque del vicino lago. Non è però facile in questo intreccio di colate che si sovrappongono, si tagliano o si congiungono, di riconoscere con esattezza, per molte di esse, l’edificio vulcanico dal quale provengono o le diverse fasi dello stesso edificio alle quali ap- MODERNI - VULCANI VULSINI Apparenti irregolarità di stratificazione nei tufi. - Dintorni di Oliano P. MODERNI - VULCANI VULSINI Apparenti irregolarità di stratificazione nei tufi. - Dintorni di Valentano f — 187 — partengono; poiché ricoperte a loro volta dai materiali proiettati, spesso non si mostrano che qua e là per erosione nel fondo dei fossi, non permettendo che assai imperfettamente, di studiare la loro gia- citura e le relazioni vicendevoli. Evidentemente le lave emesse nelle prime eruzioni di qualsiasi vulcano che ebbe diversi periodi di attività saranno sempre quelle più difficili a scoprirsi, perchè rimaste sepolte sotto al cumulo dei materiali caduti nelle eruzioni successive, quando circostanze speciali non ne abbiano tornate in luce almeno una parte o come al Somma non le abbiano in parte preservate dal ricoprimento. Tali sono appunto le condizioni del cratere maggiore c7el Vulcano di Latera; esso nelle sue prime eruzioni ha emesso lava trachitica, la quale si vede nel fosso ad Ovest del Molino di Tarciano (Gradoli), nel fondo del fosso Vena dei Preti, fra Monte San Magno e Gradoli, ed un altro lembo maggiore alla Regione II Piano a S.E di Marta. La lava nel fosso ad Ovest del Molino di Tarciano, è una roccia di color grigio cenere con punteggiatura fittissima bianca di feldispato e cristallini di augite alterata, compattissima, dura, ha delle sottili venature scure che s’intersecano. Quella del fosso Vena dei Preti è di color rosso-feccia di botte, contiene vari cristalli di leucite che rag- giungono qualche volta la grossezza di una piccola nocciuola ; se non fosse la minor quantità di leucite, per il colore e per gli altri carat- teri esterni sarebbe affatto identica al leucitofìro che rinviensi nei dintorni. La lava di Regione II Piano, della quale ne furono studiati due campioni presi ad una certa distanza, è una roccia bruna tendente al rosso-feccia, compatta, ruvida, disseminata di cristallini vitrei di feldispato e da una punteggiatura minutissima bianca. La trachite si riferisce alle primissime eruzioni del Vulcano di Latera, ma i piccoli affioramenti citati, i quali ad eccezione di quello di Regiojre II Piano, si trovano sul versante orientale del cono, sono troppo poca cosa paragonati con la grandiosità delfedifìcio dal quale provengono, per cui sorge spontaneo il dubbio che altre e maggiori colate delia stessa lava, siano nascoste sotto quelle più superficiali che — 188 — si estendono tutto attorno al vulcano. D’altronde di alcune di queste colate più recenti, si scopre soltanto qualche lembo nel fondo dei fiumi e dei torrenti, i quali scavando i loro letti le ritornarono in luce, quindi è probabilissimo che altre colate più antiche si trovino interamente sepolte. Ma qui si rende necessaria una digressione su la definizione della trachite e del leucitofiro : le mie deduzioni si fondano su le risultanze delle analisi pefcrografiche fornitemi dal Bucca, in base alle quali fu- rono classificati i campioni e venne compilata una Carta dimostrativa di tutte le colate di lava, che affiorano nella parte occidentale della Regione Vulsinia. Con il vocabolo trachite s’intende di chiamare la roccia che il Bucca riconobbe per trachite e non contenente leuciti, mentre con il vocabolo leucitofiro , si volle designare una roccia avente più o meno lo stesso grado di acidità, ma nella cui pasta entra la leucite allo stato di diffusione od in cristalli macroscopici. Nelle pubblicazioni fatte poi dal Bucca su le rocce dei Vulcani Vulsini *, ho osservato che questa primitiva classificazione venne da lui modificata e le due suddivisioni diventarono tre e cioè: trachiti leuciticfie , trachiti leucitiche che passano a leucitofiri e leucitofiri. Se il Bucca avesse pubblicato uno studio completo di tutte le lave vulsinie da me raccolte e da lui studiate (circa 300 campioni) io avrei potuto modificare la mia Carta e tener conto della nuova classificazione da lui adottata; ma egli finora ha pubblicato soltanto i risultati di una piccola parte dei suoi studi, cosicché mi è giuocoforza attenermi alla prima classificazione. Questo difetto però nella suddivisione delle rocce più acide della Regione Vulsinia non è di grande importanza, perchè si ristringe alle lave del primo periodo del Vulcano di Latera: ora, che questo pe- riodo abbia avuto due fasi caratterizzate, la prima dalla emissione di 1 L. Bucca, Studio petrografia sulle trachiti leucitiche del lago eli Bolsena (Atti Acc. Bioenia, Ser. 4a, Voi. V). Catania, 1892. — Idem (Riv. di min. e di- stali. ital., Yol. XII, fase. 1° - 3°). Padova, 1893. — 189 — trachite senza leucite, e la seconda da trachite con leucite; ovvero tutte e due od anche una sola con emissione di lava contenente sempre leucite ma in maggiore o minore quantità è una distinzione, come avverte lo stesso Bucca, più di parole che di sostanza, e non distrugge il fatto della emissione, cioè, di trachite, durante il primo periodo del Vulcano di Latera, che ne forma appunto la caratteristica. Piuttosto vi è da osservare una cosa veramente importante, ed è che spesso, nei risultati di questi studi petrografìa, gli operatori non si trovano d’accordo fra di loro, per cui si rimane perplessi quale delle analisi dev’essere ritenuta tipica; per esempio, il Verri1 ed il De Stefani 2 riportano un’analisi del Ricciardi, nella quale è chiamata trachite andesitica quella delle Selva di San Magno, dove il Bucca 3 non ha trovato che leucitofiro ; dei dintorni di Montalto di Castro il Ric- ciardi ha pure l’analisi di una basanìte leucitica , mentre lo stesso Bucca, in diversi campioni provenienti da quella località, ha ricono- sciuto soltanto dell’andesite ; altre discordanze esistono per altre lave e le verrò accennando man mano. Debbo però attenermi, special- mente per la parte occidentale della Regione Vulsinia, ai risultati otte- nuti dal Bucca, sia per la unicità del criterio, sia perchè l’abbondante materiale da esso sottoposto ad esame è quello stesso da me raccolto, e del quale perciò conosco esattamente la provenienza. Se il cratere di Latera avesse emesso trachite senza e con leu- citi, sarebbe stato facile dividere il primo periodo in due fasi, che la presenza o meno della leucite avrebbe permesso di riconoscere e separare; ma la sua presenza microscopica o macroscopica nel magma lavico, come pure l’abbondanza maggiore o minore di questo minerale nella stessa qualità di lava, non è caratteristica e non si presta per fare una simile distinzione. In tutte le lave leucitiche, noi troviamo 1 A. Verri, Osservazioni geologiche sui crateri Vnlsinii (Boll. Soc. Greol. ital., Voi. VII, fase. 1°). Roma, 1888. 2 C. De Stefani, I vulcani spenti dell’ Appennino settentrionale (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. X, fase. 3°). Roma, 1892. 3 L. Bucca, Studio petrografìco , ecc. 190 - delle parti di colata dove a preferenza si verifica una maggiore con- centrazione di leucite, ed un esempio lo abbiamo già veduto nella lava del fosso Vena dei Preti, che differisce da quella dei burroni vicini solo per una minor quantità di leucite contenuta nella massa; quindi ne viene l’impossibilità, con questo solo elemento, di poter fare delle suddivisioni nelle lave trachitiche leucitiche e nei leucito fri appartenenti al cratere di Latera, tanto più che molti campioni classificati dal Bucca prima per leucitofìri, nella pubblicazione dei risultati analitici, vennero poi compresi nella serie delle lave trachi- tiche leucitiche. Le colate dunque ch’io continuo a chiamare di leucitofìro, sono quelle che dapprima parvero differire nettamente dalla trachite per la presenza ed abbondanza della leucite ; le medesime furono in gran parte ricoperte, ma se ne vedono però numerosi lembi in fondo ai burroni che solcano la parte orientale del cono, nel fondo dei fossi fra Onano e Grotte di Castro che scendono al Paglia, nei dintorni di Acquapendente; a S.E, nei fossi che circondano il Monte della Pieve ad Est di Piansano, ed altro piccolo affioramento se ne scopre a Sud del Monte di Marta ; i quali tutti, ad eccezione forse di quest’ul- timo, riuniti assieme rappresentano probabilmente gli avanzi di una altra grande colata di leucitofìro, uscita da questa parte del' cratere di Latera. Tutta la lava che affiora nei burroni che hanno intaccato la superfìcie del cono, fra Valentano e Gradoli, è leucitofìro, all’infuori di quella già descritta e che trovasi nel fosso ad Ovest del Molino di Tarciano ed in quello di Vena dei Preti, classificata nella trachite perchè non conteneva che pochissima leucite, e della tefrite del fosso Guta. L’analisi della trachite riportata dal Verri con l’indicazione di Monte San Magno versante di Latera , non corrisponde con le osserva- zioni del Bucca, il quale in una mezza dozzina di campioni prove- nienti appunto dall’interno della cinta craterica sotto San Magno e dai dintorni di Latera, riconobbe sempre la leucitite: l’analisi della tefrite pure riportata dal Verri con l’indicazione generica di Monte — 191 - San Magno , potrebbe riferirsi forse alla tefrite del fosso di Gufa, che infatti si può ritenere far parte del Monte San Magno. Questo leucitofìro appartiene sicuramente alle eruzioni del grande cratere: un campione dei dintorni di Gradoli è di color rosso-feccia, la leucite è disseminata nella massa, ma si vede anche macroscopi- camente; assai ruvida al tatto essa si avvicina alla forma scoriacea. Altro campione proveniente da Valle Maria, pure nei dintorni di Gradoli, è simile alla precedente, meno dura, contiene più leuciti macroscopiche ed anche cristallini vitrei di feldispato. Nel fosso della Scopia a N.E di Gradoli, vi è una lava grigio-scura, d’aspetto tufaceo, con piccolissime leuciti farinose e molti frammenti di scoria: nella citata pubblicazione del Bucca venne compresa nella categoria delle trachiti leucitiche che passano a leucitofiri. Nel fosso del Cotone sotto Monte San Magno, si vede un’altra varietà di leuci- tofiro color grigio-cenere scuro, minutamente bucherellato e con poche leuciti. Un altro campione di lava identica ma con maggiore abbon- danza di leuciti, proviene dalla riva del lago ai piedi del cono ed a Sud della chiesa di San Magno. Vicino a detta chiesa raccolsi altro campione di lava alquanto scoriacea, di color rosso -feccia, con leucite diffusa nella massa ed in cristalli macroscopici. In fondo alla Regione Sassone a Nord del fosso Falchette, presso Valentano, vi è una lava d’un rosso-feccia chiaro, dura, vetrosa, contenente cristallini visibili di feldispato, frammenti di scoria e poche leuciti. In queste lave predomina la forma semi-scoriacea, ed è naturale perchè si trovano tutte su i fianchi del cono. La lava che s’incontra nei dintorni di Acquapendente è assai diversa e si distingue in due varietà, che il Bucca classificò poi fra | le trachiti leucitiche, e che pare costituiscano due colate sovrapposte: | un campione preso sotto il Casale Gallicella ad Est di Acquapendente, i ì ha il magma lavico color grigio-chiaro con piccoli cristalli visibili di | feldispato e contiene impastate numerosissime leuciti vitree ; in un altro campione preso poco distante, le leuciti sono farinose. L’altra I varietà che costituirebbe la colata superiore, e della quale raccolsi ' — 192 — campioni a Porta Fiorentina di Acquapendente, nel fosso Quintaluna sotto al Seminario fra Acquapendente ed Onano, nel fosso sotto il Podere Sopano a Nord di Onano, ha una pasta color grigio-cenere chiaro, contiene cristallini visibili di feldispato, di augite e grossi cristalli vitrei di leucite che non di rado hanno fino a 0. 03 di dia- metro; uno di questi campioni è minutamente forato, gli altri sono compattissimi: non è difficile isolare i cristalli di leucite, specialmente quando per la decomposizione cominciano a diventare farinosi. Se caratteristica del leucitofiro è l’abbondanza delle leuciti, contenute in un magma acido, non saprei a quale altra lava meglio che a questa possa convenire tal nome, poiché in certi punti la roccia presentasi come un impasto di grosse leuciti, nel quale il magma lavico im- pastante non rappresenta la parte maggiore della massa. Questi leucitofiri devono appartenere al primo periodo eruttivo, poiché li troviamo nel fondo dei burroni che solcano il cono, ovvero riposano direttamente su le argille plioceniche, e perciò sono riferibili necessariamente alle più antiche eruzioni del vulcano. La colata che affiora a S.E del cratere di Latera, nei dintorni di Piansano, si trova in condizioni più difficili, poiché erosa o ricoperta in gran parte, negli affioramenti che presenta non si può indovinare con certezza la sua direzione, nè si vede il letto, su cui riposa : ciò nonostante, considerato che da questa parte non vi sono altre colate di leucitofiro, questo di Piansano assai probabilmente appartiene anch’esso alle eruzioni del primo periodo. Nel fosso di Marano la lava è di color grigio-cenere chiaro, dura, con leuciti vitree. Nel fosso della Rocchetta, ad Ovest di Monte della Pieve, la lava è grigio-chiara, alquanto alterata, sfaldatura semi-sci- stosa, contiene impastate numerose leuciti, dalle piccolissime a quelle grosse come nocciuole, e qualche raro cristallino di augite:] nella ricordata pubblicazione del Bucca, egli ha messo anche questa roccia nella categoria delle trachiti leucitiche. Nel fosso che passa ad Est di Monte della Pieve, il leucitofiro si mostra invece un po’ diverso ; ! la roccia è di color grigio-scuro, compatta, dura, disseminata di cri- i . MODERNI - VULCANI VULSINI TAV. Divisione prismatica nella lava di Acquapendente. - Prismi verticali . MODERNI - VULCANI VULSINI TAV. Divisione prismatica nella lava di Acquapendente. - Prismi orizzontali — 193 — stallini vitrei di feldispato e da minuta punteggiatura bianca pure di feldispato; contiene la leucite in cristalli meno grossi che nella precedente, alcuni vitrei ed altri semi-farinosi, come pure molti piccoli cristalli di pirosseno. Nei dintorni di Acquapendente, in qualche punto, si osservano al disopra delle lave depositi di ghiaie quaternarie, come se ne vedono anche nei dintorni di Montalto di Castro, ma che però hanno una facies spiccatamente pliocenica. La struttura della colata superiore di Acquapendente, mostra delle accidentalità che meritano di essere accennate: a Porta Fiorentina, appena fuori della città, vi è una cava, aperta nella lava, dalla quale si estrae il materiale per la pavimentazione delle vie urbane ed il pietrisco per la manutenzione della strada rotabile; in essa cava, la struttura colonnare o basaltica della lava, è messa maggiormente in evidenza dai tagli fatti per l’estrazione del materiale. In questa loca- lità i prismi pentagoni ed esagoni sono verticali o leggermente incli- nati (vedi Tav. C), ma qualcuno di essi è ripiegato in forma di gra- dino : proseguendo per la rotabile che scende al Paglia, a circa mezzo chilometro dalla città, ed a fianco della strada stessa, scopresi la superficie della colata di leucitofìro i di cui bellissimi prismi sono inclinati di almeno 30° (vedi Tav. D): continuando a scendere verso il fiume s’incontra, poco distante, un altro affioramento della mede- sima colata, ma qui i prismi sono orizzontali, come è dimostrato da quest’ultima figura, nella quale vedesi la sezione trasversale dei prismi (vedi Tav. E). La ragione per la quale la massa lavica suddividendosi in poliedri, questi non siano risultati tutti disposti con una certa uniformità, va ricercata nelle differenti condizioni di raffreddamento nelle quali per la diversa potenza delle varie parti della colata, e per la diversa incli- nazione della superfìcie su la quale scorreva, essa si è trovata. Su detta strada che scende al Paglia, e nei terreni a destra del fosso Quintaluna, la massa di leucitofìro, che qui segna la fronte della colata uscita dal cratere di Latera, sembra divisa in diverse colate 13 194 — sovrapposte ed apparentemente intercalate alle argille plioceniche, che costituiscono il versante della collina scendente al Paglia: questa curiosa impressione è prodotta da un fatto semplicissimo. Le lave sono limitate da un’ alta scogliera a picco e riposano, come ho detto, su le argille plioceniche ; l’erosione continua del fiume al piede della collina, obbliga continuamente le argille a scivolare in basso per ricostituire la scarpata naturale ; per conseguenza alla colate, di lava sovraincom- bente venendo a mancare V appoggio, si rompe, ed il frammento di colata staccatosi, scivola assieme alle argille fermando tanti scaglioni sul fianco della collina, che per l’assestamento delle argille che li rico- prono in parte, rassomigliano a diverse colate intercalate con le argille plioceniche. Del resto questo fatto è comune a tutta la zona periferica della regione vulcanica romana, dove sono valli scavate nelle argille plio- ceniche: i materiali vulcanici, dai più compatti come le lave, ai più friabili come i tufi incoerenti, nelle valli di erosione non si adagiano in scarpate ma rimangono sempre tagliati a picco o quasi, anche per altezze considerevoli. Se nelle valli, al disotto degli strati di rocce vulcaniche, affiorano le argille, per la facile erosione di queste, avviene sempre il succedersi di repentini dislocamenti e scivolamenti d’una parte degli altipiani formati dai sedimenti orizzontali delle rocce vul- caniche. Il peggio si è che questi altipiani grandi e piccoli, circon- dati da alte muraglie naturali e da profondi burroni, si presentavano nei tempi trascorsi come luoghi fortificati e facilmente difendibili, e perciò a preferenza su l’orlo di questi precipizi si rifugiarono le popolazioni, costruendovi città e borgate che sono fatalmente de- stinate a sparire. Recentemente Celleno credette giunta la sua ultima ora ; ma prima o poi è inevitabile che dovrà franare, e nelle condi- zioni di Celleno si trovano nei Yulsini, Orvieto, Bagnorea, 1 e molte altre località, se con briglie e piantagioni non si tenta di frenare l’a- zione corroditrice delle acque. 1 Civita di Bagnorea è già a metà distrutta. - 195 — 2. Cratere della Piana di Vepe. — Lo sventramento della parte occidentale della grande cinta craterica, dev’essere stato seguito da una lunga calma, come si verifica sempre nei vulcani, dopo, le grandi conflagrazioni ; calma relativa, s’ intende, poiché il succedersi dei diversi edifici nel Vulcano di Latera non significa già che il pri- mitivo siasi mai completamente spento, ma soltanto che divenute meno intense le manifestazioni delle forze endogene, il focolare prin- cipale si è ripetutamente spostato formando nel primo distrutto, edifìci sempre più piccoli, mentre nel grande l’attività si restringeva a delle bocche secondarie od avventizie, che nei diversi periodi si venivano formando sul suo cono, e che descriverò in seguito. Al primo periodo di attività vulcanica, segnato come abbiamo visto, dal grande cratere di Latera e caratterizzato dall’emissione della trachite con più o meno leucite, ne succedette un secondo durante il quale, nella parte settentrionale del grande, se ne formò un altro assai più piccolo, ma pur tuttavia sempre imponente, il di cui fondo ci è indicato oggi dalla bella Piana di Vepe. Anche questo cratere ha la forma di un’ellissi, con l’asse mag- giore disposto pure N.E-S.O e quasi parallelo a quello del grande; il medesimo è lungo poco più di chilometri 5 e mezzo, misurato dalla sommità di Monte Rosso alla rotabile fra Poggio Evangelista e Poggio Pinzo: l’asse minore è lungo poco più di 3 chilometri, misurato da Poggio Montione alla stessa rotabile fra Poggio Evangelista e Poggio Sant’Anna. Il fondo del cratere è lungo 3 chilometri e largo 2 ; trovasi a 450 metri d’altitudine sul livello del mare, quindi 50 metri più in alto di quello di Latera. A somiglianza del primo, sventratosi, anche questo ad occidente, ci rimane ben conservata la parte settentrionale della sua cinta cra- terica, da Poggio Sant’Anna a Macchia le Piagge presso Latera, la quale a Poggio Evangelista si confonde per un piccolo tratto con la cinta del grande cratere; è pure abbastanza ben conservata la parte meri- dionale, da Monte Rosso a Poggio Spignano. La parte orientale è stata deformata da tre coni sviluppatisi su di essa, e la mancante parte — 196 — occidentale è occupata dagli edifìci più recenti di Monte Calveglio e Lago di Mezzano. Del cono di questo secondo cratere poco può dirsi giacche nella parte settentrionale, ben conservata, si confonde con quello del grande cratere; vi è soltanto da osservare che da questa parte il cono non ha la forte inclinazione come nella parte orientale corrispondente al cratere di Latera, ma scende con più dolce declivio verso San Quirico, Onano e Grotte di Castro, che segnano la periferia di esso e da dove comincia l’altipiano; tutto il restante del cono è occupato da bocche avventizie che lo hanno più o meno deformato. Del cratere di Yepe nessuno ha fatto mai parola ad eccezione del Verri, il quale però lo unisce al lago craterico di Mezzano ; tutti lo hanno sempre considerato come la parte settentrionale del cratere di Latera, rimasta separata per i coni avventizi sviluppatisi nel mezzo di questo. Eppure anche lasciando in disparte la differenza di livello fra i due crateri, che, presa isolatamente, non avrebbe alcun valore, da un esame accurato della località, dei materiali che in essa si trovano, della disposizione loro, come pure delle lave che circondano questa parte del vulcano, si acquista la certezza che le forze endogene con- centrata, in un dato momento, tutta la loro energia in questo punto, vi edificarono un apparato vulcanico che ebbe caratteristiche sue proprie. Infatti, la Piana di Vepe è ricoperta da colate di lava che si sono rovesciate su di essa, durante il terzo periodo, ma che non hanno potuto dilagare verso mezzogiorno, perchè evidentemente fra la parte meridionale e la settentrionale, vi era già il recinto craterico del se- condo periodo che loro sbarrava il passo. Inoltre, a Nord del supposto cratere di Vepe, su la sponda destra del profondo burrone che passa sotto Proceno, affiora l’estremità di una o più grandi colate di tefrite leucitica, sottoposta ai tufi pomicei, la quale a sua volta, nella valle del Paglia, si vede poggiare su le argille plioceniche, come i vicini leucitofiri di Acquapendente. Ad Ovest affiorano altre imponenti colate di tefrite leucitica, ma superiori ai tufi 197 — pomìcei, le quali da Poderetto e Poggio Picco, per Santa Maria dell’A- quila e la Regione Cunatelle passano di fianco a Pitigliano e si scoprono ad Ovest di questo paese a Piano Conati, Podere dell’ Annunziata, Po- dere San Pietro, Porcile, Crocignano e Crocignanello. Di un’altra colata di tefrite sottoposta ai tufi, si vedono le tracce nei dintorni di Far- nese, nel fosso fra questo paese e la selva del Lamone ed a Nord di Casale Madonnella, a S.O del cratere di Yepe. D’altra parte, più vicino al cratere abbiamo un’immensa colata di leucitofìro che mostra essersi rovesciata dall’orlo craterico; quella appunto che pesando con la sua grossa massa ne produsse lo sven- tramento, con il quale si chiuse il secondo periodo di attività del vul- cano. Questo fatto ci viene dimostrato dalla posizione stessa del leu- citofiro, il quale costituisce tutta la cinta del cratere da Poggio Evangelista a Costa dei Preti, e riversatosi giù per il cono e per lo squarcio fatto nella cinta craterica, ha dilagato fino a Pitigliano, Poggio Santa Lucia e Bottinello, correndo per circa 12 chilometri in linea retta, con una fronte che all’estremità misura quasi 5 chilometri ed in qualche punto intermedio li sorpassa. Risulta quindi che il leucitofìro essendo stata l’ultima lava emessa in questo secondo periodo, la tefrite deve essere necessariamente più antica, e ciò ci è dimostrato oltreché dal suo contatto con le argille plioceniche, anche dagli affioramenti della tefrite stessa che si sco- prono sempre ad una certa distanza dal centro eruttivo; perchè in vicinanza le colate furono ricoperte dai materiali proiettati, e dal leu- citofiro emesso più tardi, la colata del quale è interamente scoperta in tutta la sua estensione : del resto la sovrapposizione del leucitofìro alla tefrite, la si vede assai bene nei dintorni di Fontana Vaglico presso Pitigliano. Il cratere di Yepe dunque avrebbe avuto due fasi, caratterizzate la prima dall’emissione della tefrite, e la seconda da quella del leu- citofìro ; inoltre la prima fase sarebbe stata assai più lunga della se- conda, poiché come abbiamo veduto, fra gli affioramenti di tefrite che si scoprono a Nord e quelli che si vedono ad Ovest, vi è di mezzo 198 — la potente formazione dei tufi. So benissimo che i tufi non essendosi formati tutti in una volta, il trovare la stessa lava sópra e sotto i medesimi, potrebbe anche significare che una parte dei tufi si era formata prima e la lava vi è corsa sopra, mentre altri tufi proiettati più tardi, sono caduti su la lava che da quella parte aveva dilagato su terreni non ancora ricoperti dai materiali vulcanici. Ma questa obiezione non avrebbe fondamento nel caso nostro, 1° perchè la di- stanza del fosso di Proceno dal centro eruttivo essendo poco maggiore di quella di Pitigliano e di Farnese dallo stesso centro, non si po- trebbe spiegare come ad Ovest vi fosse una formazione tufacea che supera i 100 metri di potenza, della quale a Nord non se ne scopre traccia al disotto delle lave, su circa 7 chilometri di affioramento; 2° per la stessa ragione non si può ammettere che mentre a Nord ed a S.O si deponeva su le lave un grosso deposito di materiali proiet- tati, ad Ovest, su le stesse lave, non cadesse neppure un po’ di cenere ; 3° perchè le lave delle due parti, hanno direzione nettamente diver- gente, quindi è più logico lo ammettere che abbiano fluito da due fenditure diverse apertesi in eruzioni che si sono susseguite. La diminuzione di acidità nelle lave emesse nella prima , fase eruttiva del cratere di Vepe, seguita da un aumento della seconda fase, che ha riportato le lave allo stesso grado di acidità ed alla stessa forma di quelle ultime uscite dal cratere di Latera, è cosa che non può sorprendere; nelle eruzioni di tutti i vulcani si è constatata questa oscillazione nella maggiore o minore acidità delle rocce, durante una determinata serie di eruzioni. La diminuzione od aumento costante, dell’acidità delle rocce emesse da un vulcano, va osservata in linea generale non parzialmente da un’eruzione ad un’altra ; ed infatti per il Vulcano di Latera abbiamo, che malgrado questo ritorno del cra- tere di Vepe, all’emissione di rocce aventi la stessa acidità di quelle eruttate dal cratere di Latera, la diminuzione dell’acidità è stata co- stante, cerne emergerà dal seguito della presente descrizione. Piuttosto, l’esistenza del cratere di Vepe potrebbe essere messa in dubbio dal fatto che anche a Sud del cratere di Latera, si vedono - 199 — estesissime colate di tefrite, la quale essendo disposta tu tt’ intorno all’edifìcio vulcanico di Latera, potrebbe dimostrare che essa si è ri- versata ora da una parte ora dall’altra del grande cratere. A questo proposito farò osservare che una parte della tefrite che si trova a Sui del cratere di Latera proviene sicuramente da bocche secondarie perfettamente riconoscibili ; l’altra parte per la quale sembra più diffì- cile indovinarne la provenienza, sono d’opinione che sia dovuta alla eruzione del supposto Vulcano di Gapodimonte. Però vi sono delle colate di tefrite anche nell’ interno del cratere di Latera, che con la loro giacitura dimostrano di esservisi riversate da un’altra bocca, la quale non può essere che quella del cratere di Vepe: tali sarebbero la colata che ricopre in gran parte il versante meridionale del Poggio Pilato, é l’altra che si trova fra il Molino di Valentano e quello di Ischia, la quale, forse si rilega con la prima e con gli affioramenti di tefrite che si scoprono nei dintorni d’ Ischia e Farnese. Secondo il mio modo di vedere, la presenza della tefrite anche a Sud del cratere di Latera, ma emessa da bocche secondarie, conferma anziché distruggere l’ipotesi di questo secondo cratere, rimpiccoli- mento del primo: infatti le bocche secondarie situate a Sud del Vul- cano di Latera, come quella di Monte Rosso posta a N.O, con le loro colate di tefrite ci dimostrano che mentre l’edificio principale ristrettosi al cratere di Vepe, eruttava la lava di Proceno e di Piti- gliano, da bocche secondarie avvenivano pure eruzioni eccentriche della stessa lava, ciò che si verifica in tutti i vulcani, ed in quello di Latera specialmente si è ripetuto costantemente in tutti e tre i suoi periodi principali. La tefrite del fosso Guta, presso Gradoli, è una roccia a pasta color grigio -chiaro con riflessi azzurrastri, alquanto decomposta, con- tiene la leucite allo stato farinoso e pezzettini di scoria ; si distingue pure qualche cristallino di pirosseno e di sanidino: la presenza di quest’ultimo minerale, secondo il Ricciardi, la farebbe classificare per leucitofiro. Al Bosco di San Magno, nel fosso che sale dalla chiesa, vi è una tefrite a pasta grigio-cenere un po’ alterata, la leucite è dii- — 200 — fusa nella massa e non si distingue ad occhio nudo, ma si vedono invece numerosi cristalli di augite verde: questi sono i soli affiora- menti di tefrite che si trovano sul cono. A Nord del cratere di Vepe, nel fosso sotto Casale Vitello, affiora una lava color cenere senza leuciti visibili, compatta a frattura scheg- ì giosa. Nel fosso del Mattarello presso Proceno, vi è una bellissima va- rietà di tefrite compattissima, di color grigio-scuro, zonata da venature bianche che la fanno rassomigliare ad un bardiglio; contiene leuciti vitree, alcune delle quali raggiungono un centimetro di diametro. La lava di Proceno è classificata dal Ricciardi fra le lave leucitiche di abito tefritico e dice che vi si trova pure del sanidino. Ad Ovest del cratere, un campione di lava preso nel fosso del Paradiso ha la pasta color cenere, molto porosa e quasi scoriacea ; non contiene leucite macroscopica. Un altro campione proveniente dalla Regione Cunatelle è di color rossastro, un po’ scoriacea, assai decom- posta, contiene delle leuciti pure completamente alterate. A Sud di Santa Maria dell’Aquila la lava è di color grigio-ferro, compatta ma un po’ decomposta, ha quasi l’aspetto di un tufo; contiene piccolis- sime leuciti appena visibili e qualche altra più grossa. Ad Ovest di Santa Maria dell’Aquila, la lava è di colore rossastro come di scoria, assai decomposta, si polverizza sotto la pressione delle dita, ed al- l’aspetto sembra un tufo; contiene leuciti farinose affatto decomposte. A N.E di Santa Maria dell’Aquila la roccia è di color grigio-rossastro, decomposta; contiene molti frammenti grossi e piccoli di scorie ros- sastre alle quali deve la colorazione generale della massa; contiene pure piccoli cristallini di sanidino, ma la leucite non si vede macro- scopicamente: ha l’aspetto di un tufo o meglio di un conglomerato vulcanico. Una caratteristica di questa lava ad Ovest del cratere di Vepe è di essere molto alterata; vi sono dei punti nei quali essa è ridotta allo stato polverulento, e solo un occhio ’ molto esercitato può distin- guerla dai tufi. Specialmente nei dintorni di Pitigliano, vi sono delle località nelle quaii la parte superficiale della colata di tefrite, si pre- — 201 — senta con l’aspetto di un tufo granulare giallo-arancio chiaro, ma scavando si trova subito al disotto qualche frammento di lava meno alterata e perciò perfettamente riconoscibile, e così man mano pro- cedendo in basso, si riconosce la massa della colata, che per quanto alterata conserva sempre la forma speciale della sua roccia. A Sud del cratere di Vepe, un campione di tefrite, preso sul ver- sante meridionale di Poggio Pilato a Nord di Poggio Murcie, è di colore grigio-scuro, compatto, la leucite vi si trova allo stato di dif- fusione ma è visibile macroscopicamente. Al Molino di Valentano la roccia è grigio scura, porosa. La tefrite al fosso del Marabo, sotto la Regione Botte, è grigia con riflessi verdastri, disseminata di cristalli di leucite semi-vetrosa ed augite compatta ed alquanto alterata. Nel fosso tra il paese di Farnese e la Selva del Lamone, la lava, un po’ alterata, ha una pasta grigio-chiara minutamente bucherellata da forellini stirati nel senso della direzione della colata; contiene piccolis- simi cristalli di leucite. Nel burrone a Nord di Casale Madonnella, presso Farnese, la tefrite si presenta di color grigio-cenere chiaro, assai alterata e perciò pochissimo coerente, contiene la leucite in piccoli cristalli ed allo stato di diffusione nella massa. Dalla grande massa di leucitofiro rovesciatasi dal cratere di Yepe raccolsi cinque campioni, dei quali uno a Poggio Evangelista, ed è una roccia grigio-scura con riflessi rossastri; contiene impastati nume- rosi e grossi frammenti di scorie, cristalli vitrei di, feldispato e poche leuciti semi-farinose. Altro campione identico proviene dalla strada di Pitigliano presso Casale Sconfitta. Nel fosso Malvoneta ad Est del Casale Sconfitta, la lava è di un grigio molto scuro, compatta, duris- sima, contiene molti cristalli di feldispato, poche leuciti vitree e cri- stalli di pirosseno: questi tre campioni, nella pubblicazione del Bucca vennero compresi fra le trachiti leucitiche che 'passano a leucitofiri. Un campione proveniente da Costa dei Preti presso Piana di Yepe, pre- senta gli stessi caratteri esterni di quello del fosso Malvoneta, ma contiene più leucite. Un campione preso ad Ovest di Monte Calveglio, ha la pasta lavica di color grigio-scuro con riflessi verdastri ; contiene — 202 pezzettini di scoria nera distribuiti nella massa come in zone, si ve- dono pure cristallini di feldispato e poche leuciti semi-vetrose : questi due ultimi campioni furono dal Bucca lasciati nella classe dei leuci- tofiri, per modo che se non appartengono a colate diverse da quelle da cui furono staccati gli altri tre, cosa impossibile a verificarsi, in- dicherebbero una certa differenza fra le parti d’una stessa colata. 3 e 4. Cratere del Lago di Mezzano e Cono di Monte Rosso. — Con lo sventramento della parte occidentale del cratere di Vepe, si chiuse il secondo periodo d’attività del Vulcano di Latera; ed è ri- marchevole, e fu già segnalato da altri, il fenomeno che presentano i crateri Vulsini, d’essere, cioè, per la massima parte rotti verso Ovest. Dei terzo periodo di attività del vulcano, ci rimane il lago crate- ; rico di Mezzano, detto anche Statomene dalla città di Statonia che ivi sorgeva e che fu distrutta dai Vandali: il lago è quasi perfetta- mente circolare, situato a 455 metri sul livello del mare, trovasi a ; 5 chilometri ad occidente di Latera, ed il suo punto centrale è alla la- j titudine di 42° 37' ed alla longitudine di 0° 41' occidentale da Soma: misura 775 metri di diametro, circa due chilometri e mezzo di circon- ! ferenza, 47 ettari di superficie ed una profondità massima nella sua parte centrale di metri 31 1 ; ha per emissario il fìumicello Olpeta, come fu già accennato, il quale dopo avere attraversato la Piana di Vepe con direzione E-O, gira attorno al Poggio Montione, con dire- zione N-S attraversa in tutta la sua lunghezza il fondo del grande cratere di Latera, ma sotto Valentano piega ancora a S.O e prose- guendo il suo corso in questa direzione, va a gettarsi nella Fiora presso le rovine di Castro. Attorno al lago la spiaggia è piana e bassa, ad eccezione che da S.O ove ergesi il Monte Rosso. Il cratere di Mezzano dev’essere rimasto lungamente nascosto sotto i le acque di un lago maggiore, poiché è certo che lago o stagno, le acque devono aver ricoperto per un certo tempo anche la Piana di 1 G-. Db Agostini, opera citata. — 203 — Vepe, che rimase asciutta sol quando esse poterono con il loro inces- sante lavorìo, aprirsi un'uscita attraverso la stretta gola che separa il Poggio Montione dalle colline di Latera. Il lago di Mezzano si riconosce facilmente per un cratere, ed in- fatti, oltre al Verri, lo citano anche altri, fra i quali il De Stefani e lo Stoppani, quest'ultimo anzi afferma, che Mezzano deve appartenere alle ultime eruzioni del Vulcano di Latera. Le isobate tracciate dal De Agostini, mercè i numerosi scandagli da esso fatti anche in questo lago, ci rivelano che le pareti lacuali, a breve distanza dalle rive, scen- dono subito con forte pendenza, e che il profilo del bacino conserva spiccatamente la sua forma ad imbuto. Dopo lo sventramento del cratere di Vepe una nuova sosta più 0 meno lunga deve essersi verificata nelle eruzioni del vulcano; quindi cominciarono le manifestazioni del terzo periodo, con lo spostamento del canale principale d’emissione verso l'angolo S.O del cratere di Vepe, dove si formò un cono di proporzioni assai più modeste dei due primi che lo avevano preceduto. A testimonianza di questo terzo periodo, oltre al cratere di Mezzano già descritto, ci resta pure la parte occidentale del suo cono, formata dalle due colline di Monte Rosso e Poggio Pilato, le quali però sembrano nello stesso tempo due conetti staccati e parte della cinta craterica del lago di Mezzano. Po- trebbe anche darsi che le due ipotesi si conciliassero e si completas- sero: al cominciare del terzo periodo, il Monte Rosso ed il Poggio Pilato esistevano certamente, formando la parte meridionale della cinta craterica di Vepe; addossati ad essa si svilupparono nell’interno 1 fenomeni eruttivi del terzo periodo, i quali compresero tutto il Monte Rosso ed una parte del Poggio Pilato nella costituzione del terzo cono. Oggi il Monte Rosso rappresenterebbe la parte non demolita di que- st’ultimo cono, mentre tanto esso che il Poggio Pilato rappresente- rebbero forse anche due conetti avventizi d’epoca diversa, come dirò poi descrivendo il Poggio Pilato. Il lago di Mezzano, per le sue modeste dimensioni e per la sua posizione, che corrisponde precisamente con la cinta craterica di Vepe, — 204 — avrebbe potuto essere considerato come una bocca secondaria od av- I ventizia di questo edificio vulcanico, senonchè il terzo peri • do è ca- I ratterizzato dall’emissione dell’andesite, la quale mostra d’avere avuto nel Vulcano di Latera il suo centro eruttivo principale, appunto nel | cratere di Mezzano. Abbondantissima fu l’emissione della lava durante il terzo pe- riodo, ma l’andesite che si può ragionevolmente attribuire diretta- mente alle eruzioni di Mezzano, è quella soltanto che ricopre il Monte Rosso e la parte centrale della zona di lava che attraversa la Piana di Vepe in tutta la sua lunghezza. Si comprenderà che questa , delimitazione è molto approssimativa, quando si consideri che attorno a Mezzano vi sono altre cinque bocche secondarie, adiacenti l’una all’altra, che hanno emesso pure dell’andesite, le di cui colate devono necessariamente essersi congiunte e sovrapposte, per cui riesce quasi impossibile il riconoscerle e separarle. Un campione di andesite proveniente dall’interno del cratere sul lago di Mezzano sotto Monte Rosso, è una lava grigio-cenere, com- patta ma granulosa per modo che rassomiglia assai ad un’arenaria ad elementi minutissimi ; contiene qualche cristallo di augite. Un cani- ; pione proveniente dalla Piana di Vepe, è una roccia grigio-giallastra, porosa ma dura. Un altro campione pure della lava che copre la Piana di Vepe, è una roccia grigio-cenere scura, ruvida, compattis- f sima, abbondantemente disseminata di cristalli di augite verde e da cristallini appena visibili di feldispato. Un ultimo campione prove- niente da un piccolo affioramento di andesite a N.O di Casale Rosati, : su i fianchi del Poggio Pilato, è una roccia grigio-piombo, alquanto ; alterata ma compatta; contiene delle leuciti farinose. Il Verri riporta l’analisi di una tefrite presa al lago di Mezzano, ma avverte di aver staccato il campione da un grosso masso erratico e che nei dintorni non ha trovato altra lava simile: ciò è esatto poiché la tefrite del Verri appartiene probabilmente ad un masso lanciato da Poggio Montione. — 205 - * * * Le eruzioni del Vulcano diLatera sarebbero quindi distinte in tre periodi diversi, caratterizzati dalle emissioni di lave diverse : le prime eruzioni ci diedero lave eminentemente acide, cioè le trachiti leuci- tiehe; nella prima fase del secondo periodo, con l’emissione della te- frite, avemmo una notevole diminuzione nell’acidità delle rocce, ma nella seconda fase l’acidità delle medesime ritornò quasi allo stesso grado cbe avevano nel primo periodo. Finalmente con l’emissione del- l’andesite nel terzo periodo, l’acidità delle lave decrebbe nuovamente, ma in modo meno sensibile di quello verificatosi fra i] primo ed il secondo periodo. Ad ognuno di questi periodi corrisponde pure, come credo di aver dimostrato, una modificazione ed un rimpiccolimento della bocca prin- cipale del vulcano che dal grandioso cratere di Latera, passando a quello assai più piccolo di Vepe si era ridotto alle modeste propor- zioni del cratere di Mezzano, formando tre distinti edifici vulcanici concentrici e perfettamente riconoscibili. Le eruzioni di queste bocche principali furono rispettivamente accompagnate e seguite da quelle di altre bocche avventizie o secon- darie che si aprirono su i fianchi dei coni, su gli orli craterici od anche eccentricamente alla periferia della Regione Vulsinia, costituendo alle volte dei veri vulcanetti che sembrano indipendenti gli uni dagli altri, ma che per la qualità delle lave emesse, si rilegano all’uno od all’altro dei tre periodi accennati. Non è possibile però fare la descri- zione di esse nell’ordine cronologico seguito per la descrizione delle bocche centrali, poiché un certo numero di bocche avventizie sono rimaste attive durante due dei tre periodi descritti; tenendo quindi conto soltanto della loro ubicazione, farò la descrizione di quelle che si trovano su le diverse cinte crateriche, eppoi delle altre eccentriche. Di queste bocche secondarie ve ne sono alcune in perfetto stato di conservazione, altre sono appena riconoscibili, e ve ne saranno — 206 — certamente delle altre che furono totalmente distrutte o che per la loro posizione eccentrica rimasero confuse con le bocche di altri centri j eruttivi. Su la grande cinta craterica di Latera si trovano i coni di Monte I San Magno, di Valentano e Monte Starnino riuniti assieme, e quello | di Monte Becco, situati ai vertici di un triangolo quasi equilatero ; vi è pure il Poggio Evangelista che 'però è dubbio se possa considerarsi I esso pure come una bocca eruttiva. 5. Monte San Magno. — Questa località che ho già più volte no- j minata trovasi al disopra ed a S.E dell’abitato di Latera, una diecina di chilometri a Nord di Valentano, proprio sul ciglio orientale del grande cratere. E un piccolo conetto la di cui sommità raggiunge la quota di 689 metri sul livello del mare, poco al disotto della quale passa la strada provinciale che conduce ad Acquapendente ed a Pi- tigliano : il piccolo edificio non ha alterato affatto la linea di con- torno del grande cratere e perciò si confonderebbe facilmente con : esso, se le colate uscite da questo punto non richiamassero su di i lui l’attenzione, e lo facessero facilmente riconoscere per una bocca avventizia. Il cono è costituito da ceneri e sabbie senza traccia di scorie; quelle che, come già feci notare, rinvengonsi sotto tufi litoidi nel fondo dei burroni che scendono al lago, appartengono alle deiezioni del I grande cratere e perciò non hanno nessuna relazione con le eruzioni 1 molto posteriori del Monte San Magno. Le lave appartenenti a questo conetto si riconoscono assai bene : I una o più colate di leucitite sono uscite dal vertice del cono e dopo I un percorso di poco più che un chilometro verso Sud, hanno piegato jt ad Est scivolando sul declivio dell’antico primitivo cono per un altro I mezzo chilometro e con una larghezza di circa 800 metri. La massa j maggiore però si è diretta a Nord e dopo aver percorso il ciglio della , cinta craterica per un paio di chilometri, si è precipitata nell’interno di essa, riempiendone una parte nella sua estremità Nord e pre- - 207 — cisamente al punto di unione della grande cinta craterica con la mediana. Il cono di Monte San Magno appartiene alle ultime manifesta- zioni del Vulcano di Latera, come lo dimostra la sua lava sovrap- posta a tutte le altre ed alle due cinte cratericlie maggiori; anzi la comparsa di questa lava basica, segna per il Vulcano di Latera un quarto periodo, il di cui centro eruttivo principale però deve ricer- carsi fuori di esso, negli altri Vulcani Vulsini. Mentre l’attività vul- canica era ancora imponente in altri punti della regione, ed immense colate di leucitite si rovesciavano dai fianchi squarciati degli edifici vulcanici, nel Vulcano di Latera andava estinguendosi e si manife- stava soltanto per mezzo di piccoli coni avventizi e piccole emis- sioni di lava, delle quali la maggiore è appunto quella di Monte San Magno. Un campione di leucitite proveniente dalla sommità del Monte San Magno, è di color, grigio-scuro, compatta, con rare leuciti semi- vetrose, ma nella massa si vede la leucite allo stato di diffusione. Dalla Macchia Le Piagge, nell’interno del cratere, ne tolsi un altro campione di color grigio -cenere uniforme, compatta, leggera perchè un po’ alterata, d’aspetto quasi tufaceo; contiene leuciti caolinizzate, qualche cristallo di pirosseno e qualche pezzetto di scoria. Al Cam- posanto di Latera la lava è di color grigio-scuro, compattissima, a frattura scagliosa, contiene poche leuciti semi -vetrose e molti cristalli di pirosseno. A San Rocco presso Latera vi è una lava alquanto de- composta di color grigio-cenere, contenente impastati una quantità di frammenti di scoria di un grigio più scuro, i quali sembrano stirati nel senso della direzione della colata; contiene pure delle leuciti cao- linizzate. Di questa località ho pure un altro campione simile di lava alterata, la di cui pasta grigio chiara contiene incastrati frammenti di scoria grigio-cenere scura; ha l’aspetto quasi identico del tufo co- nosciuto nella regione con il nome di nenfro. Da ultimo, un altro cam- pione di lava assai decomposta, proveniente dalla stessa località, rassomiglia ad una sabbia vulcanica cementata, di color cenere, ru- — 208 — vida, si disgrega sotto la pressione della mano, contiene delle leuciti farinose grosse come piselli e dei pezzettini di scoria quasi nera. 4 6. Cono di Valentano. — Il piccolo paese di Talentano, die se- condo il Cluverio sarebbe l’antica Verentum , è fabbricato sul vertice di un bel cono di lapillo scoriaceo, situato all’estremità S.E della cinta del grande cratere, sul di cui fondo si eleva di IcO metri Al contrario del cono di San Magno, questo di Valentano, con i due adiacenti, dei quali parlerò fra poco, hanno alterato profondamente i contorni del primitivo cono principale con le deiezioni di lapillo, le quali formarono i due piccoli edifici avventizi. Il cono di Valentano è costituito, come ho già- accennato, esclu- sivamente di lapillo o meglio scoria minuta e sciolta, senza traccia di lave o tufi di nessuna specie: malgrado la nessuna coerenza dei j materiali che lo compongono esso si trova relativamente in buono | stato di conservazione. Però tormentato come è dalle diverse strade i mulattiere che lo solcano da più parti per scendere dal paese alla sottoposta pianura, in questi ultimi tempi ha cominciato ad essere intaccato profondamente, e più ancora lo sarà in avvenire, poiché le strade diventate veri burroni, in essi, le acque piovane e di rifiuto j del paese, lavorando attivamente e facilmente, minacceranno seria- j mente la stabilità stessa delle case, qualora con dighe e piantagioni 1 non si provveda in tempo ad arrestare l’opera demolitrice delle ! acque. Questo cono appartiene anch’esso alle ultime manifestazioni del | Vulcano di Latera, poiché le lave che gli si possono attribuire sono 1 quelle soltanto che costituiscono le due piccole colate di leucitite che si trovano nel fondo del grande cratere, una a N.O e l’altra a Ovest di Valentano. Un campione di leucitite proveniente dalla colata che trovasi su la strada che da Valentano conduce al molino omonimo, è una roccia grigio-scura, porosa, con cristallini di pirosseno. 11 Verri riporta un’analisi di lava dei dintorni di Valentano, - 209 - w-' classificata fra le rocce leucitiche di abito doleritico , ma l’indicazione di Valentano S. 0 del lago , è troppo vaga per poter riconoscere a quale dei diversi affioramenti delle lave di Talentano si riferisce, poiché si trovano tutti più o meno a S.O del lago di Bolsena. 7. Monte Starnino, -r- Addossato al cono di Valentano si erge quello maggiore di Monte Starnino (che però in paese è conosciuto comune- mente con il nome di Monte Nero) il cui vertice raggiunge la quota di 602 metri sul livello del mare e perciò di 228 sul fondo del grande cratere. Il cono è costituito, come quello di Valentano, esclusiva- mente di lapillo scoriaceo sciolto, di color grigio-scuro o rosso-mat- tone ; anzi il colore scuro predomina al Monte Starnino (da ciò forse il nome di Monte Mero) e quello rosso nel cono di Valentano: questo lapillo conserva nella sua massa e nella sua stratificazione caratteri- sticamente rialzata a cono, una tale freschezza da sembrare uscito appena da poco tempo dalle viscere della terra. Non posso tralasciare di osservare che i due coni addossati di Valentano e Monte Starnino, potrebbero anche essere un solo ed unico cono, dall’erosione ridotto alla forma di due coni gemelli. A Sud del Monte Starnino, e da esso diviso dalla Valle dell’Aja, vi è un altro conetto staccato, cosicché questa bocca avventizia consta di due coni distinti; a meno che la Valle dell’Aja non fosse essa stessa l’avanzo di un piccolo cratere, nel qual caso la seconda colli- netta a Sud del Monte Starnino, sarebbe un frammento di cinta cra- terica ; aggiungo subito però che questa ipotesi mi pare poco proba- bile e che la piccola collina più facilmente potrebbe rappresentare la- bocca d’emissione, dalla quale, durante le eruzioni del Monte Star- nino, sono uscite le lave che si vedono a Sud di essa. Infine questi due coni uniti a quello di Valentano, si possono considerare ancora come un solo edificio che abbia avuto tre periodi : il Monte Starnino si riferirebbe probabilmente al periodo della tefrite, la piccola collina a Sud di esso, a quello dell’andesite, ed il cono di Valentano a quello della leu citi te. II — 210 — Il cono di Monte Starnino trovasi in perfetto stato di conserva- zione, e così si conserverà finché non verrà distrutto il folto casta- gneto che gli serve di mantello e lo difende dalle erosioni : il mede- I simo sembra più antico del vicino cono di Valentano, e dalle lave j da esso emesse si deduce che fu attivo nel secondo e terzo periodo, poiché da esso uscirono colate di tefrite e di andesite. La colata mag- giore è di tefrite; trovasi ad oriente del cono e sembra uscita dalla | base di esso : un’altra colata assai più piccola, di tefrite, scopresi ad occidente del cono al trivio delle strade rotabili, e questa pure deve essere uscita dalla base del cono: nella Regione Vitozzo, a mezzogiorno di questa bocca avventizia, vi è un’altra colata di tefrite ricoperta in parte da una colata di andesite, ed entrambe pare siano uscite dalla collinetta a Sud di Monte Starnino. Un’altra piccola colata di ande- site si vede ad Ovest della Regione Sassone al disotto della strada rotabile. che corre sul ciglio del cratere fra Valentano e Monte San i Magno : anche questa, malgrado la sua distanza dal cono, deve pro- babilmente appartenere alle eruzioni del Monte Starnino, poiché nelle vicinanze non vi sono altri edifìci ai quali poterla attribuire, ma è impossibile riconoscere il punto da cui è uscita. Dalla colata di tefrite ad Est di Monte Starnino, furono presi due campioni : uno al lembo superiore della colata, al disotto ed a N.E del Monte Starnino stesso, ed è una roccia grigio-cenere scura, compatta, disseminata da punteggiatura nera di augite ; 1 altro al lembo inferiore della colata presso il Lagaccione, su la rotabile che da Valentano conduce a Capodimonte, ed è una lava scura quasi nera, ! compatta, ove la leucite si vede macroscopicamente diffusa nella massa. Un altro campione di tefrite proviene dalla colata della Regione Vitozzo a Sud del cono : la roccia è grigio-scura, compatta e la leucite, come nella precedente, si vede macroscopicamente diffusa nella jj massa. Dalla piccola colata ad Ovest di Monte Starnino, si ha un campione di tefrite preso presso la Madonna dell’ Eschio : è una lava ricca di plagioclasio, di un bel color piombo, compatta, assai ruvida, ed a frattura scagliosa. Dalla colata di andesite a Sud del cono, si presero pure due campioni : è una lava di color grigio-cenere scuro, cavernosa e con i vuoti stirati nel senso della direzione della colata ; in uno » dei cam- pioni si vede la massa disseminata da una punteggiatura bianca di feldispato. Un campione di andesite proveniente dalla piccola colata o frammento di colata, che trovasi al disotto della rotabile fra Ta- lentano e Monte San Magno, è una roccia a pasta grigio -verdastra, compattissima, dura, a frattura scheggiosa ; contiene molti e grossi cristalli di feldispato e piccoli cristalli di augite. 8. Monte Becco. — - Questo bellissimo conetto caratteristico per la sua forma, per i materiali da cui è costituito e per la disposizione loro è il più piccolo degli edifici secondari sviluppatisi su la cinta del primitivo grandioso cratere di Latera. Trovasi a S.O del lago di Mezzano nel centro della parte occidentale della suddetta cinta, sul tratto appunto che venne totalmente demolito dal primo sventra- mento : è costituito da lapillo ferruginoso rosso -mattone ed il suo punto culminante segna la quota di 556 metri sul livello del mare ; dall’altipiano circostante può elevarsi appena di una settantina di metri ed il diametro della sua base misura soltanto dai 700 ai 750 metri. A S.O di Monte Becco e da esso distante circa 250 metri, vi è un altro conetto o piccolo mammellone, che rappresenta la bocca laterale del Monte Becco, dalla quale sono fluite le lave : è costituito anch’esso di lapillo e la sua sommità si eleva a 501 metri sul mare, mentre a Nord e a Sud dei due coni si distende un altipiano che mi- sura due chilometri e mezzo di lunghezza ed è pure ricoperto dallo stesso lapillo. Questo piccolo edificio vulcanico, assai ben conservato, apparter- rebbe al terzo periodo, perocché intorno ad esso non si trova che dell’ andesite : è assai difficile però separare le sue colate da quelle degli edifici vicini, che pure emisero andesite, sicché da oriente si confondono con quelle provenienti da Mezzano e da occidente furono ricoperte dall’ andesite speciale vomitata dal cono di Semonte, la quale — 212 — deve aver nascosta gran parte della lava appartenente a Monte Becco : a settentrione le colate di questo cono vanno ad appoggiarsi alla grande fiumana di leucitofiro uscita da Vepe, e con direzione N.E-S.O la fiancheggiano fino alla sua estremità, per una lunghezza di 6 chi- lometri; a mezzogiorno la lava si estende per un paio di chilometri, giù per la Regione Botte, e con la larghezza di un chilometro. Un campione di andesite proveniente dal mammellone a S.O di Monte Becco, è una lava grigio-cenere scura, porosa anzi quasi ca- vernosa, dura, con punteggiatura bianca di feldispato e cristallini vitrei pure di feldispato. Un altro campione preso alla Regione Botte a Sud di Monte Becco, ha la pasta di color grigio-cenere chiaro, porosa, con le cavità stirate nel senso della direzione della colata, dura ma alquanto alterata, contiene piccoli cristalli di augite. Un campione pro- veniente da Castellaccio a Sud della Regione Botte, cioè all’estremità meridionale della colata, è una lava grigio-scura, compatta, pure con cristalli di augite. Un ultimo campione raccolto presso il Voltone ad Ovest di Monte Becco, è una roccia grigio-scura, porosa, dura ; con- tiene qualche rara augite. Al Monte Fiore, località poco distante ed a S.O dalla 'fattoria del Yoltone, trovai dei piccoli blocchi erratici di idocrasia : sono aggre- gati di grossi cristalli di color giallo-scuro, tenuti assieme da una . |; pasta tufacea bianco-giallognola. ■ 9. Poggio Evangelista. — Questo poggio, che raggiunge i 663 metri di elevazione sul livello del mare, è il punto più alto del Vulcano -di Patera; però è assai dubbio eh’ esso possa classificarsi fra le bocche eruttive, perchè i tufi da cui è costituito non sono caratteristici dei coni. Al disotto di esso la cinta craterica è costituita esclusivamente di leucitofiro, come pure da questo punto si parte la grande fiumana della stessa lava che ha dilagato verso occidente al di là di [Pi fi- gliano ; ma abbiamo visto che questa grossa massa di lava, è dovuta allo sventramento del cratere di Vepe: ora se una parte della mede- sima, appartenga a qualche colata emessa prima o poi dal Poggio — 213 — Evangelista, non havvi alcun mezzo onde poterlo accertare, e la stessa cosa avviene per le lave situate a settentrione di questa lo- calità. Esaminando i materiali che costituiscono questa altura, ho tro- vato un tufo litoide speciale, che ricorda quello del Vulcano Laziale, e che s’ incontra pure sul Poggio Murcie ; però all’ infuori di queste due località non si trova in nessun’ altra parte dei Vulcani Vulsini. Il Poggio Evangelista è situato nel tratto comune alle due cinte cra- teriche maggiori, ma il Poggio Murcie appartiene esclusivamente alla cinta craterica mediana, sicché si deve ammettere che questo tufo rappresenta un prodotto specialissimo del secondo periodo. * * * Su la cinta craterica mediana si svilupparono 6 bocche avven- tizie, e cioè il cono di Poggio Montione, quello di Poggio Paterno, il cono di Monte Spignano, quello di Poggio Pilato, quello di Poggio Murcie ed il piccolo conetto di Monte Caìveglio. Il Poggio Evangelista potrebbe essere compreso indifferentemente tanto su la maggiore cinta craterica che su la mediana, perchè come ho detto, trovasi nel punto d’incontro delle due cinte ; però avendolo descritto nel precedente paragrafò non se ne terrà conto fra le bocche avventizie della cinta mediana. 10 e 11. Poggio Montione. — Questo edificio vulcanico sviluppa- tosi su la cinta craterica mediana o di Vepe, è costituito da due coni adiacenti, ossia dal Poggio Montione propriamente detto e da una collinetta attaccata ad esso dalla parte di N.E. 11 Poggio Montione ha la sua base quasi perfettamente circolare, la quale misura in media circa 1500 metri di diametro, e la sommità del cono, assai caratteristico, si eleva a 612 metri sul livello del mare : la collinetta a N.E che forma un’ appendice del cono, è assai più bassa ed ha una base ellittica, il cui asse maggiore misura un chilo- metro e quello minore 500 metri. — 214 — Da questo cono è uscita esclusivamente della tefrite leucitica, ed anzi, a volere essere più esatti, bisogna dire che il cono stesso è un ammasso di tefrite; essa però è scoperta soltanto su la sommità del cono e tutto attorno nella parte più bassa di esso, recingendolo con una zona rocciosa, mentre la maggior parte della sua superfìcie è ri- coperta da lapillo rosso. In questo punto e dintorni, l’attività vulcanica non è del tutto spenta, ma ridotta allo stato di solfatara molto attiva, che rivelasi dalle abbondanti emanazioni di gas solfidrici e carbonici. Nella collinetta a N.E di Poggio Montione, venne aperta una miniera per l’estrazione del solfo, nella quale non mi fu possibile di entrare perchè a quel tempo la mofeta vi regnava assoluta padrona e ne impediva l’accesso. Da una pubblicazione dell'ing. Demarchi 1 si hanno però delle interessanti notizie su l’interno di questa miniera : i lavori fatti per l’estrazione del solfo hanno permesso di vedere che il giacimento è costituito da banchi disposti a cupola, nell’ordine se- guente a partire dall’esterno: I, colate di tefrite che ricoprono gran parte della superficie e la di cui potenza è indeterminata; II, ceneri e scorie, senza traccia di solfo, per circa 40 metri di spessore ; III, lava grigio-scura (leucitofiro) scevra anch’essa di solfo e con una potenza di circa 15 metri; IY, minerale di solfo biancastro, poroso e leggero, distinto sul posto con il nome di marmarone , il quale non è altro che una lava alterata da emanazioni d’acido solfìdrico, nella quale sono riconoscibili ancora dei cristalli di leucite più o meno ben conser- vati; ha una potenza di 25 metri; Y, sotto al marmarone viene, un banco di lapilli e pomici dell’altezza di metri 1. SO, anch’essi solfiferi e fra loro strettamente cementati in modo da formare un solido im- pasto; YI, da ultimo una cenere nera, alquanto argillosa2. | i 1 L. Demarchi, I prodotti minerali della Provincia di Poma (Ann. di Stilistica, Yol. II, serio 3a). Roma, 1882. 2 II marmarone si è trovato maggiormente ricco nella parte interna della cupola; contiene il solfo come riempimento nelle fessure e negli interstizi d’ogni sorta, od in forma di stalattiti e stalagmiti entro grotte naturali di varia di- — 215 — . La disposizione dei diversi materiali nella miniera di Latera è rappresentata dalla qui unita figura schematica (vedi Fig. 6) e tale disposizione corrisponde perfettamente oon la sezione di un cono e studiando bene la posizione rispettiva delle grotte naturali incontrate nei diversi livelli della miniera, sarà forse possibile di riconoscere pure il canale o camino eruttivo, segnato probabilmente da queste grotte, delle quali non si hanno dati sufficienti per indicarle con Fig. G. precisione nella annessa figura. D’altra parte non volendo ammettere che la collina della miniera di Latera sia un cono vulcanico, non si spiegherebbe la giacitura dei materiali che la costituiscono, non potendo neppure ricorrere all’ipotesi che qui si tratti di frammenti di cinta d’un cratere di deiezione, perchè in questo caso la disposizione dei materiali dovrebbe essere quella di una volta a botte e non di una volta a cupola. Questa collina deve ritenersi quindi un conetto acces- sorio del cono di Poggio Montione, e nel quale l’attività vulcanica perdura ancora allo stato di solfatara. La disposizione dei materiali nell’interno della miniera, è inte- mensione, ma non eccedenti mai una diecina di metri cubi : una di queste grotte diede da sola 10 tonnellata di solfo purissimo. • Alcune analisi eseguite nel Laboratorio chimico della R. Stazione agraria di Roma, hanno dato i seguenti tenori in solfo : 8 campioni di marmarone: 74.319 °/Q — 71.472 °/0 — 67.496 °/0. 3 campioni di lapilli solfiferi: 39. 476 °/0 — 38. 805 °/0 — 26. 063 %. — 216 — ressante per la cronologia delle eruzioni, rivelataci della sovrapposi- zione di lave diverse: dissi già e credo di averlo anche dimostrato, che dalle eruzioni del cratere di Vepe si ebbe prima la tefrite eppoi il leucitofiro, ed in seguito addurrò anche altre prove a questo ri- guardo ; ma nella miniera di Latera troviamo il leucitofiro al disotto della tefrite e se l’analisi petrografia è esatta, questo fatto per quanto verificato in un solo punto, potrebbe consigliare d’introdurre qual- che modificazione nell’ordine cronologico delle eruzioni. Due sole ipotesi si presentano per spiegare questo fatto : la prima che l’edifìcio di Poggio Montione esistesse già nel grande cratere e segnasse il limite di separazione fra la parte meridionale e quella settentrionale di esso, nella quale ultima si concentrò l’attività prin- cipale durante il secondo periodo; in tal raso il leucitofiro della mi- niera di Latera apparterrebbe al primo periodo e la sovrapposizione della tefrite sarebbe affatto naturale. Ma con questa ipotesi riesce difficile lo spiegarsi come nello sventramento del grande cratere, il cono di Poggio Montione avrebbe potuto restare inalterato o quasi. La seconda ipotesi, che pare più verosimile, è quella di supporre che dopo lo sventramento del grande cratere di Latera, il primo periodo abbia continuato ancora per mezzo del Poggio Montione, formatosi prima del cratere di Vepe, emettendo piccole colate di leucitofiro che poi restarono completamente ricoperte dalle grandi colate di tefrite. Forse in relazione con le eruzioni di Montione vi furono quelle di altre bocche secondarie eccentriche, ma il leucitofiro da esse emesso, perchè non è visibile, o perchè non è a contatto con la tefrite, non permette di distinguere se è più antico o più recente della tefrite, fatto che si è potuto constatare soltanto alla miniera di Latera per la speciale circostanza dei lavori di escavazione. Un campione di leucitofiro proveniente dalla miniera di Latera, e precisamente dalla colata che ricopre il giacimento solfifero, è una i roccia a pasta nera, compattissima, disseminata di cristalli caoliniz- i zati di leucite e di cristalli vitrei di feldispato. Il marmarone , che dev’essere anch’esso un leucitofiro alterato, è una roccia bianca, leg — 217 — gera, compatta, ruvida; si distinguono ancora in esso le leuciti e .le augiti alterate ; alle volte è impregnata di solfo ed allora viene sca- vata come minerale utile. 12. Poggio Paterno. — È un piccolo conetto situato alla base orientale del Poggio Montione, al quale è strettamente legato, poiché non è altro che una bocca avventizia del Poggio Montione stesso ; questo edificio vulcanico consterebbe di un cono principale e due conetti accessori. La base del conetto ha la forma quasi ellittica con gli assi ri- spettivamente di 500 e 350 metri; la sua parte culminante resta ICO metri più bassa di quella del Poggio Montione. Il conetto è tutto di lapillo rosso, ma attorno alla sua base dilaga una colata di tefrite che si estende poi verso S.O e va ad unirsi alla lava scesa da Poggio Pilato : questa anzi è l’unica colata che si distacca dalla periferia dell’edificio vulcanico di Poggio Montione, le altre essendo rimaste circoscritte nella periferia stessa, ovvero ricoperte forse ad Ovest dai depositi alluvionali e dalle colare andesitiche della Piana di Yepe, non sono visibili. Un campione di tefrite preso dalla colata a Sud di Poggio Pa- terno, è una roccia grigio-cenere, porosa, disseminata di piccole leu- citi caolinizzate e lamelle di mica bruna. 13. Monte Svignano. — Il Monte Spignano è una collina quasi perfettamente conica che elevasi fino a 565 metri sui livello del mare; trovasi incastrata fra il Poggio Montione a N. E ed il Poggio Pilato a S.O, ed è separata da entrambi da due vallecole parallele, delle quali una scende verso Nord e l’altra verso Sud. E costituito inte- ramente di andesite, che dilagando poi verso Nord in forma di co- lata è andata a confondersi con l’altra andesite proveniente dal lago di Mezzano. La mancanza assoluta su la sua superficie di scorie, lapilli, ceneri ed altri materiali, che per sè stessi e per la loro giacitura caratte- — 218 — rizzano le bocche eruttive, rende perplessi se si debba o meno classi- ficare questa collina, fra le bocche eruttive, poiché la sua forma, unico elemento che si abbia in favore, potrebbe essere accidentale. Pur tut- tavia considerato che se la vallecola che separa il Monte Spignano dal Poggio Pilato potrebbe essere attribuita alle erosioni del piccolo fosso che vi corre dentro, difficilmente si potrebbe spiegare con l’e- rosione l’esistenza dell’altra vallecola cne lo separa dal Poggio Mon- tione: d’altra parte se questa collina non fosse un cono, dovrebbe necessariamente essere un frammento della cinta craterica di Yepe; ora essendo essa costituita interamente di andesite, non si compren- derebbe come questa lava non avesse ricoperto neppure in piccola parte la tefrite dell’attiguo Poggio Montione. Per queste ragioni io ritengo che il Monte Spignano si debba preferibilmente considerare come un cono avventizio del secondo periodo. Al Pian del Pazzo, presso Monte Spignano, si scorge il primo tratto di una galleria discendente, detta la Cava del cantinone , le di cui pareti sono gialle per il solfo depositatovisi dopo la sua apertura ; però la galleria è inaccessibile a causa della grande quantità di acido carbonico che vi si trova permanentemente. Una breve fermata a qualche metro dall’ingresso, basta per produrre alle gambe la nota sensazione di calore che è uno degli effetti di quel gas ; un lume av- vicinato a terra si spegne immediatamente. Anche in altri punti del territorio di Latera, appaiono indizi di ! giacimenti di solfo, come a Monte Leschio, Puzzola , e Cercone. 14. Poggio Pilato. — Questa località presenta poco la forma ca- ratteristica dei coni, perchè come ho detto descrivendo il cratere di Mezzano, essa deve avere appartenuto alla cinta craterica di Yepe, poi dev’esservisi sviluppato un conetto avventizio, che più tardi in- cluso nella cinta craterica di Mezzano, rimase perciò deformato. Tanto per il Poggio Pilato che per il vicino Monte Rosso, man- cano elementi onde potere asserire o negare che siano veramente bocche eruttive distinte dal cratere di Mezzano ; per il Poggio Pilato — 219 - vi è qualche ragione di più che induce a ritenerlo un vero punto eruttivo, oltre che frammento di bocche maggiori, in parte demolite. Infatti noi abbiamo che la parte Nord di questa collina, quella cioè che rappresenta un tratto della cinta craterica di Mezzano è intera- mente costituita di andesiti e la parte Sud, ossia il versante esterno, di tefrite, mentre la parte culminante della collina, che raggiunge la quota di 576 metri sul livello del mare, è ricoperta da una colata di leucitofìro, che si rilega forse con l’altro affioramento di leucitofiro a Ponte di Sala e nel fosso a Sud della Regione Botte. Ora, la presenza e la posizione dell’andesite è naturale perchè è il prodotto delle eru- zioni di Mezzano le cui lave pare si siano limitate a scorrere per la Piana di Vepe, o giù per le spalle del Monte Rosso, che è più basso di Poggio filato; anche la presenza e la posizione della tefrite si spiega facilmente, poiché rappresenta una o più colate riversatesi al- l’esterno, da questo punto dell’orlo craterico di Yepe, ma l’esistenza del leucitofiro ricoprente una parte soltanto della superfìcie di Poggio Pilato, non è affatto naturale. Questa lava non può appartenere alle grandi eruzioni della se- conda fase del cratere di Vepe, giacché noi vediamo che al Poggio Evangelista, la grande massa di leucitofiro si è rovesciata all’esterno da un punto massimo che segua la quota di 650 metri sul mare; quindi se anche il leucitofìro di Poggio Pilato appartenesse a quella immensa fiumana di lava, avrebbe straripato prima da questa parte, dove l’orlo craterico doveva essere più basso. E vero che ho compreso, abbenchè in modo assai incerto, il Poggio Evangelista, fra le bocche eruttive; quindi si potrebbe ritenere che la lava più prossima ad esso appartenesse a piccole colate uscite da questo punto : ma se scendiamo fino a Poggio Sant’Anna, tutto costituito di leucitofiro, dovuto indiscu- tibilmente alle eruzioni di V epe, noi ci troviamo sempre alla quota di 620 metri sul mare e perciò assai più in alto della sommità di Poggio Pilato. Per tale ragione io ritengo che il leucitofiro di questa località e forse anche quello di Ponte di Sala, si debba ritenere come il prodotto del- l’eruzione di un cono avventizio, formatosi dopo 'lo sventramento di — 220 — Vepe, e questa ipotesi sarebbe confermata anche dalla forma speciale della superficie in un punto al disotto ed a Nord della sommità di Poggio Pilato, dove sembra vi siano gli avanzi di un piccolo cratere. Riconosciuto il Poggio Pilato come bocca eruttiva, nasce il dubbio se la tefrite che ricopre tutta la parte meridionale di esso, sia da at- tribuirsi alle sue eruzioni, piuttosto che a quelle del cratere di Vepe : i a questo proposito mancano elementi per poter dire alcunché di pre- ciso ; però se si tien conto che a Sud di Poggio Pilato, fra il Molino di Valentano e quello d’Ischia vi è una grande colata di tefrite; che nei dintorni d’Ischia e Farnese affiorano altri numerosi lembi di te- frite, frammenti di grandi colate, si ammetterà più facilmente che la medesime provengano dal centro principale di Vepe e rovesciatesi jj dall’orlo meridionale della sua cinta, come altre se ne rovesciarono dalla parte settentrionale, che non dal piccolo conetto avventizio di | Poggio Pilato ; ed è perciò che i campioni provenienti da queste colate o lembi di colate, li ho uniti a quelli delle lave emesse dal cratere ! di Vepe. A Nord di Casale Rosati, alle falde di Poggio Pilato, vi è fra le tefrite una sottile zona di andesite; la medesima appartiene forse a , qualche rigagnolo di questa lava, rovesciatasi durante le eruzioni di Mezzano, da qualche punto più basso della parte meridionale di quella ■ cinta craterica. Un campione di leucitofìro proveniente dalla sommità del piccolo cono è una roccia grigio-cenere, compatta, ricca di cristalli di feldi- ) spato ; contiene disseminate nella massa delle leuciti che raggiungono la grossezza di un pisello, e cristallini di augite: questo campione è uno di quelli ai quali il Bucca conservò il nome di leucitofìro. Un altro campione preso su la parte culminante della collina a Nord di Casale Rosati è una lava a pasta grigio-cenere scura, compatta, disseminata da una minuta punteggiatura bianca di cristallini di feldispato, parte vitrei e parte caoljinizzati, e da belli cristalli vitrei di leucite. Un cam- pione proveniente da Ponte di Sala nel Rio del Marabo, ha la pasta lavica di color grigio scuro, assai ruvida, con rari cristallini di leucite — 221 — e cristallini alterati di augite : il Bucca lo ha compreso fra le trachiti leucitiche passanti a leucitofiro e la distinzione fra questo campione e quelli raccolti su la parte culminante del Poggio Pilato potrebbe avere un valore ed indicare forse due colate diverse appartenenti ad eruzioni differenti. 15. Poggio Murcie. — È una località questa situata alle falde me- ridionali di Poggio Pilato; limitata ed Est e ad Ovest da due fossi di scolo, si presenta quasi staccata dalla collina di Poggio Pilato, alla quale però appartiene veramente. La sua forma irregolare, che nep- pure si avvicina a quella di un cono, la si direbbe effetto dell’erosione, se alla sommità della collinetta non vi fosse una piccola colata di leucitite, della quale non sarebbe possibile spiegare l’esistenza, senza ammettere che la medesima sia dovuta ad un’eruzione del Poggio Murcie stesso. Questa coliinetta rappresenta dunque probabilmente una bocca avventizia del cono di Poggio Pilato, che si sarebbe aperta durante il quarto periodo ; sicché in definitiva questo piccolo edificio vulcanico consterebbe di due bocche eruttive, una delle quali sarebbe stata at- tiva nella seconda fase del secondo periodo, e l’altra nel quarto, as- sieme ai coni di Monte San Magno e Yalentano. La leucitite di Poggio Murcie è una lava grigio-scura, compatta, nella quale si vede macroscopicamente la leucitite diffusa nella massa. 16. Monte Calveglio. — E una collinetta a forma di cono situata sul perimetro della parte sventrata del cratere di Yepe; ma resta dubbio se sia veramente un punto eruttivo ovvero se la sua forma conica sia effetto dell’erosione. Però considerando che la cinta crate- rica di Vepe a Nord e quella di Mezzano ad Ovest e Sud, sono ri- spettivamente ricoperte per intero da leucitofiro ed andesite, mentre questa collina è costituita da materiali sciolti, sembra più probabile ch’essa possa essere una piccola bocca avventizia, sviluppatasi poste- riormente allo sventramento del cratere di Yepe. — 222 — La base orientale del conetto è attraversata da una piccola co- lata di andesite, con direzione N-S, che va dal piede della Costa dei Preti al lago di Mezzano, al quale pure potrebbe appartenere. Dalla base occidentale del cono si distende, in direzione N.E-S 0, un’altra piccola colata di leucitofìro, ma anche questa invece d’una colata do- vuta al piccolo conetto, potrebbe essere un lembo della grande massa di lava rovesciatasi da Vepe al momento dello sventramento, sepa- rata poi apparentemente da quella, per l’erosione provocata dal fosso di scolo, che infatti esiste fra questo lembo di leucitofìro e la massa maggiore che dilaga a Nord. Per questa ragione, un campione prò- , veniente dal lembo di leucitofìro di Monte Calveglio, fu compreso assieme agli altri di leucitofìro dovuti alle eruzioni di Yepe. Il Bucca ha classificato questo campione similmente all’altro pro- veniente dalla Costa dei Preti, mentre tutti gli altri presi su la grande massa di lave, che si estendono ad Ovest del cratere di Yepe, li ha compresi fra le tmchiti che passano a leucitofiri : la piccola diffe- renza sarebbe stata importante in questo caso, poiché avrebbe potuto caratterizzare la piccola colata di Monte Calveglio, se però non si ! fosse estesa anche al campione di Costa dei Preti, la cui lava appar- tiene sicuramente al cratere di Vepe. 17 e 18. Regione Prati e Regione II Piano. — Esternamente ed j alla base della parte orientale della cinta craterica di Yepe, corri- spondente all’incirca al centro del grande cratere di Patera, vi sono due piccoli crateri adiacenti, segnati dalle collinette situate ad Ovest di Regione Prati e Regione II Piano. Queste colline descriverebbero rispettivamente per entrambi, il lato orientale delle loro cinte crate- riche, mentre ad Ovest di esse si trovano due piccole pianure dalle quali svolgonsi abbondanti sorgenti di gas acido solfìdrico ed acido carbonico, che fanno seguito alle vicine mofete di Poggio Montione j e Monte Spignano, e dimostrano non soltanto che l’attività vulca- nica non è ancora del tutto spenta nelle due località, ma ancora che — 223 — essa, malgrado i molteplici spostamenti subiti, continua a manife- starsi per quello stesso punto, nel quale forse si manifestò primissi- mamente. Dei due crateri resta assai poco ed in cosi cattivo stato di con - servazione, che l’esistenza di essi sfuggirebbe assai facilmente, se l’attenzione non tosse richiamata dalla loro posizione isolata nel mezzo della pianura che forma oggi il fondo del grande cratere, e dalle due piccole colate di lava che si partono dalle due cinte cra- teriche. Si comprende facilmente che è impossibile precisare se questi due punti eruttivi siano anteriori o posteriori alla formazione della cinta craterica mediana, tanto più che disgraziatamente manca lo studio petrografìa delle lave da essi uscite ; pur tuttavia conside- rando che se fossero stati anteriori, le deiezioni del cratere di Yepe avrebbero dovuto far scomparire ogni loro vestigio, ed inoltre osser- vando nei medesimi un resto di attività che è comune anche al vi- cino Poggio Montione, sarei inclinato a ritenerli posteriori al cratere mediano. Ad ogni modo la loro vita dev’essere stata brevissima a giudicarne dai pochi residui lasciati e dalle piccolissime colate che da essi ebbero origine. * * * All’esterno e tutt’attorno al grande edificio vulcanico di Latera, esistono altre bocche secondarie situate su i fianchi del cono: sul versante orientale vi sono i coni di Tarciano e Monte Tonoco, il cra- tere di Lagaccione e l’altro cono di Monte Bisenzo. 19. Cono di Tarciano. — Questo piccolissimo punto eruttivo è un conetto di scorie rosse, che trovasi presso al Molino di Tarciano a N.E del paese di Grotte ; il medesimo venne assai deformato dalle ero- sioni dei fossi che lo circondano interamente, ma la parte culminante 224 con i suoi materiali caratteristici resta ancora a testimoniare l’esistenza di questa bocca secondaria che avrebbe appartenuto al quarto periodo. Nel fosso che circonda da Nord questa località, si scopre il lembo di una colata di trachite, che però non si può ammettere appartenga a questo punto eruttivo poiché la si vede scendere dall’alto e fu perciò compresa fra quelle emesse nel primo periodo dal grande cra- tere di Latera: la lava, che sembra più probabile possa essere uscita dal conetto di Tarciano, è la colata di leucitite che a tratti si vede nella Valle Maria, al disotto delle Grotte di Castro, e l’altra che tro- vasi a Sud del cono presso il Molino delle Chiuse. Un campione preso nel fosso a Sud delle Grotte di Castro, è una lava grigio-scura, compatta, pesante con qualche raro cristallo vitreo di leucite. Un altro campione proveniente da un altro lembo della co- lata a Nord del Molino di Tarciano, ha la pasta lavica grigio-cenere, spugnosa, leggera, con grossi cristalli semi-vetrosi di leucite e squa- mette di mica. Un ultimo campione di leucitite proveniente da un punto presso il Molino delle Chiuse, a Sud del cono, è una lava di color grigio-scuro, compatta, dura, scagliosa, pesante, con poche leu- citi semi-vetrose e vari cristalli di feldispato. 20. Monte Tonoco. — Questo cono, un poco più grande di quello di Tarciano, si trova come quello ai piedi del grande cono di La- ! tera, all’estremità settentrionale del suo versante orientale: è costi- tuito da lapillo rossastro e la sua forma, benché - alterata dai fossi di scolo, pure lo è assai meno del conetto di Tarciano e si riconosce meglio. Anche qui, nei fossi vicini al cono, si vedono lembi di colate di leucitofìro che però devono appartenere sicuramente alle eruzioni del cratere di Latera, perchè gli affioramenti delle medesime cominciano a vedersi in punti assai più elevati della sommità di Monte Tonoco, il quale raggiunge appena 461 metri sul livello del mare. L’unica lava che appartiene a questa bocca è quella della piccola colata di andesite che mostrasi sul suo versante orientale. — 225 — Questa lava è di color grigio-cenere chiaro, compatta, alquanto alterata, contiene cristallini di sanidina e piccoli cristalli di augite. 21. Lagaccione (di ValentanoJ. — All’estremità del versante orien- tale del grande cono ed a mezza costa su di esso, trovasi il cratere di Lagaccione, su la parte settentrionale di cinta craterica del quale corre la strada che da Valentano scende a Capodimonte e conduce a Montefiascone. Il nome gli deriva da un piccolo laghetto che esi- steva nel suo fondo e che venne da pochi anni prosciugato artifi- cialmente con un canale che convoglia al lago di Bolsena le acque di scolo. E un bel cratere tipico, in perfetto stato di conservazione, che misura circa 1309 metri di diametro al ciglio della cinta craterica e circa 700 al fondo del cratere: il punto culminante della sua cinta, segnato dal Monte Cigliano, trovasi alla quota di metri 491 sul livello del mare, mentre la parte più depressa del fondo è indicara dalla quota 342; dalla parte meridionale la cinta craterica ha 159 metri di dislivello, ma essa si abbassa gradatamente verso oriente dove si ri- duce a soli 30 o 40 metri. Questo cratere non ha cono, perchè apertosi come ho detto su i fianchi di quello di Latera, non ha innalzato ma scavato il suo edificio nell’altro maggiore : ad occidente è dominato da un altipiano formato dalla lava proveniente dai coni di Valentano ; ad oriente la super- ficie si abbassa in dolce declivio fino al lago e non presenta affatto forma di cono. A settentrione si estende il ripido versante orientale del cono di Latera ed a mezzogiorno quello meridionale assai defor- mato dello stesso edificio. Nell’ossatura di questo cratere mancano affatto le lave ed è costi- tuita soltanto di ceneri, sabbie e poche scorie: nella parte più bassa nell’ interno del cratere, scopresi però del tufo leucitico giallo a pomi- cine gialle e pezzettini di lava, uguale a quello già citato nel fosso del Cotone e che rinviensi pure nel fondo dei valloni a Nord e Sud del Lagaccione. Tale fatto prova evidentemente che il Lagaccione ha 15 seguito, non accompagnato, le eruzioni del grande cratere, alle di cui deiezioni e non alle sue, quel tufo è dovuto * 1 ; ma questo fatto con- duce naturalmente ad un'altra considerazione: se l’attività del Lagac- cione si estinse su la fine del primo periodo, come farebbe credere la | mancanza in esso di lave appartenenti ai periodi susseguenti, come I poteva esso rimanere intatto ? Perchè non fu colmato dalle deiezioni degli edifici sviluppatisi posteriormente, e specialmente dai coni di Yalentano che gli stanno sopra, le colate di lava dei quali sonosi arre- state proprio al ciglio del cratere senza rovesciarsi in esso? Bisogna quindi ammettere o che il Lagaccione si è riattivato anche negli altri due periodi del Vulcano di Patera, o che esso invece di appartenere a questo centro eruttivo sia una bocca eccentrica di qualche altro dei quattro centri Vulsini, il quale abbia avuto un periodo trachitico posteriore a quello del Vulcano di Latera. Tutte e due le ipotesi sono ammissibili e vedremo poi quale di esse presenti maggiori pro- babilità. Appartiene a questo cratere la colata di trachite che è stata emessa da un punto situato ad Est del Lagaccione, fra questo cratere ed il cono di Monte Bisenzo: la colata, che ha direzione N.O-S.E, si può seguire per oltre un chilometro e mezzo fino alla riva del lago di Bolsena, sotto alle acque del quale si nasconde. Un campione proveniente dai dintorni del Casale Crociata, è una roccia di color grigio-cenere scuro, compattissima e dura, ricca di pie- ’ coli cristalli di feldispato. 22. Monte Bisenzo. — Un poco più in basso del Lagaccione, su le rive del magnifico lago Vulsinio, s’alza bruscamente a picco su le 1 Originale è l’applicazione che questo tufo ebbe anticamente: mentre per- correvo la Regione Vulsinia, a Aord della rotabile Valentano-Capodimonte, fra il Lagaccione e Monte Bisenzo, fu rinvenuta una vasta necropoli, nella quale i cadaveri erano chiusi entro quattro lastre di questo tufo, disposte precisa- mente ed aventi la stessa forma delle ordinarie casse mortuarie usate presen- temente nella provincia romana. — 227 — acque il Monte Bisenzo, che ha forma di cono eccetto che dalla parte del lago, e fra le scorie da cui è costituito e fra le lave che lo rico- prono per metà, mostra le rovine di Bisenzo, l’antico Visentium o Ve - sento come lo chiama Plutarco. Dalla sommità del piccolo cono si pre- cipita a N.E, cioè nel lago una colata di andesite che serve al cono di antemurale e lo difende dalla furia delle onde. Fra il cono di Monte Bisenzo ed il vicino cratere di Lagaccione è probabile vi sia stato un intimo legame e che i due punti eruttivi insieme riuniti abbiano formato un solo edificio vulcanico: osservai già come il Lagaccione, che per le sue lave apparterrebbe alla prima fase del primo periodo, si trovi in perfetto stato di conservazione, malgrado che attorno ad esso siansi sviluppate altre bocche secon- darie senza danneggiarlo affatto, cosa che ragionevolmente sorprende e spinge a ricercarne la causa. La vicinanza del cono di Monte Bi- senzo situato in un punto più basso del Lagaccione potrebbe spiegare questo fatto, quando il conetto si considerasse come un’appendice del cratere. Il Monte Bisenzo per la sua colata di andesite, appartiene alle bocche avventizie del terzo periodo: ora, supponendo che contempo- raneamente o successivamente alle eruzioni di Mezzano siasi riattivato il cratere di Lagaccione, si avrebbe una facile spiegazione del suo buono stato attuale; poiché riapertosi nell’ultimo grande periodo del Vulcano di Latera, esso si liberava, slanciandoli al cielo insieme alle ceneri, ai lapilli ed alle bombe, dei materiali di cui le deiezioni delle bocche vicine potevano averlo ingombrato, mentre dal Monte Bisenzo fluivano le lave. Nè ad escludere questa ipotesi potrebbe opporsi l’al- tezza, la forma ed i materiali che costituiscono la collinetta di Monte Bisenzo, giacche avviene spesso nei vulcani, e lo si osserva anche oggi al Vesuvio, che le bocche d’ emissione a squarciature laterali dalle quali più comunemente si fanno strada le lave, si formino attorno un conetto di scorie e lapilli. Un campione staccato su le rive del lago, è un’andesite augitica a pasta grigio-cenere scura, compatta, dura, a frattura concoide, dis- — 228 — seminata di piccoli cristalli di augite e cristallini di feldispato. Il Verri riporta invece l’analisi di un campione della lava del Monte Bisenzo contenente il 52, 16 % di SiO2 e la classifica fra le tefriti leuciticlie. Mi è impossibile accertarmi quale delle due determinazioni sia più esatta, perchè queste frequenti differenze che s’incontrano fra le osservazioni di operatori diversi, obbligherebbero a ricorrere ad una terza analisi di tutto l’abbondante materiale raccolto, studio infatti che sarà eseguito a suo tempo. Intanto però ammesso pure che la lava di Monte Bisenzo avesse ad essere tefrite in luogo di andesite, le dedu- zioni fatte circa il riattivamento del cratere di Lagaccione, in linea generale non cambiano, poiché il medesimo invece d’essersi riaperto contemporaneamente alle eruzioni di Mezzano, sarebbe invece con- temporaneo a Vepe e Monte Starnino, il quale ultimo è appunto la bocca eruttiva che poteva maggiormente danneggiare il cratere di Lagaccione. Vedremo in seguito come si possa anche in altro modo conciliare la buona conservazione di questa bocca eruttiva, e la lava da essa emessa, che apparterebbe alle più antiche eruzioni del Vul- cano di Latera. * * A mezzogiorno del grande edifìcio vulcanico di Latera ed un paio di chilometri a Sud del cono di Monte Starnino trovansi i due coni di Monte Marano e del Monte di Cellere, distanti un chilometro l’uno dall’altro: le due bocche, accoppiate come quelle di Valentano, sono state attive contemporaneamente durante la fase tefritica del primo periodo e durante il terzo. La sovrapposizione dell’andesite alla tefrite vi è così evidente che le due qualità di lave si possono delimitare quasi esattamente: più difficile riesce il distinguere i prodotti che appartengono rispettivamente ai due coni, i quali essendo vicinissimi ed avendo emesso le stesse qualità di lave, le colate delle medesime si sono unite in modo che solo approssimativamente se ne possono segnare i limiti rispettivi. 23. Monte Marano . — È un piccolo cono con la base quasi per- fettamente circolare, avente un chilometro e mezzo di diametro; la sua superfìcie è tutta ricoperta di scorie e la sua parte culminante si eleva a 538 metri sul livello del mare ed una settantina sopra l’altipiano che lo circonda. Le colate di tefrite devono essere uscite ai piedi del versante me- ridionale del cono, ma ricoperte più tardi dalle colate di andesite, non si vedono più che nel fondo dei fossi che da questa parte passano sotto Cellere e sotto Canino, ed avrebbero corso in linea retta per circa 11 chilometri; un piccolo lembo se ne vede pure ai piedi del cono presso il Casale Marano. Nel fondo dei fossi la tefrite riposa spesso su le sabbie plioceniche ed è ricoperta dai tufi, pomicei, precisamente come nei dintorni di Acquapendente e Proceno. L’andesite è uscita da un punto intermedio fra il Monte Marano e quello di Cellere; un lembo di lava lungo un chilometro ed avente una larghezza massima di 20J metri, è diretto verso Nord, ma esso potrebbe anche appartenere alla colata del Monte Starnino ; la massa maggiore ha dilagato verso Sud per una lunghezza di circa 6 chilo- metri, e con una larghezza che varia da un chilometro ad un chilo- metro e mezzo. La divisione delle colate appartenenti ai due coni, sarebbe segnata al bordo inferiore dell’andesite, dai terreni pliocenici rimasti scoperti e che s’insinuano a guisa di cuneo fra la fiumana di andesite, separandola in due parti. Un campione di tefrite proveniente dal fosso sotto la Regione Fiteuti è una lava grigio-scura, alquanto alterata che contiene piccole leuciti caolinizzate e qualche piccolissimo cristallo di augite. La tefrite che si trova ai piedi del cono presso Casale Marano è una roccia grigio- cenere chiara, porosa ed alquanto alterata ; la pasta lavica è abbon- dantemente disseminata di pirosseni ed in essa si vede macroscopi- camente diffusa la leucite. Un campione preso alla Mola di Pianiano al disotto del tufo pomiceo, è una lava vacuolare grigio-cenere, disse- minata di piccoli cristalli caolinizzati di leucite. Al lavatoio di Cellere la lava è di color grigio assai scuro, uniforme, compatta ; contiene la — 230 — leucite allo stato di diffusione e nella pasta si vedono pure cristallini di sanidina. Un campione proveniente da un lembo di lava situato nel fosso Timone ed a Sud di Canino, è identico alla precedente ma a frattura scagliosa. Un ultimo campione proveniente pure dal fosso Timone, ma da un piccolissimo lembo di lava situato a Nord di Ca- nino, è una roccia grigio-cenere chiara, compatta, ma poco dura, la leucite vi si trova allo stato di diffusione assieme a molti cristallini di augite. Un campione di andesite proveniente dalla Regione Yitozzo, dalla lava cioè che potrebbe essere un lembo della colata dovuta al cono di Monte Starnino, è una roccia grigio-cenere scura, disseminata da punteggiatura bianca, cavernosa e con i meati stirati nel senso della direzione della colata. Un campione di andesite augitica preso in un punto della strada fra Canino e Collere, è una roccia grigio-cenere, porosa, disseminata di cristalli di augite e di feldispato. Al Molino di San Moro, fra il fosso del Timone e quello del Bot- tino a N.E del Monte di Canino, dove termina la colata di tefrite ricoperta dai tufi pomicei, havvi al disopra di questi un piccolissimo affioramento di leucitite di cui è impossibile riconoscere la prove- nienza: è una lava grigio-scura, compatta ed a frattura scagliosa. 24. Monte di Cellere. — Il cono del Monte di Cellere è situato ad un chilometro a S.E di quello di Monte Marano, ed è costituito inte- ramente da scorie ferruginose rosse: la sua massa è doppia di quella di quest’ultimo, ma la sua forma, allungata nel senso di N.E-S.O, è meno caratteristica perchè formata da due collinette coniche unite assieme. A quella più a Nord, che raggiunge la quota di 566 metri sul livello del mare, spetta propriamente il nome di Monte di Cellere, ed è il vero cono eruttivo ; l’altra a Sud, poco più bassa (549 metri) chiamasi Poggio Rosso, ed è la bocca d’emissione dalla quale fluirono le colate d’andesite nella eruzione di questo cono avventizio. Intorno al Monte di Cellere non vi è tefrite che nel fosso di Piansano, ad Est del cono, la quale però neppure potrebbe essere at- — 231 — tribuita tutta a questo edifìcio vulcanico ; alla Regione Macchione nei dintorni di Tessennano, la superficie è ricoperta da una o più colate riunite, che hanno una larghezza massima di due chilometri e mezzo e che certamente appartengono al Monte di Celierei in tutti i fossi a Sud di Tessennano affiorano lembi di colate di tefrite che misure- rebbero una lunghezza di oltre 13 chilometri, misurata dalla loro estre- mità fra San Giuliano e Guado Pescarolo, ai piedi del cono, le quali in più luoghi si vedono riposare su le sabbie plioceniche, al disotto dei tufi pomicei. Però non si può affermare con certezza che tutta la tefrite a Sud di Tessennano appartenga al piccolo cono del Monte di Celierò, perchè la medesima potrebbe essere stata emessa da qualche altra bocca eruttiva totalmente distrutta. A Nord di questo edificio vulcanico e precisamente alla Regione Yitozzo, vi è un’altra piccola massa di tefrite ricoperta in parte dal- l’andesite, la quale abbenchè più vicina al Monte di Cellere, pure fu compresa fra le lave emesse dal Monte Starnino: la ragione di ciò sta nell’osservazione che tutte le lave che si trovano a Sud del cratere di Latera, mostrano chiaramente che le colate alle quali appartengono, hanno corso in direzione N-S o N.E-S.O, perchè la superficie su la quale scorrevano doveva sicuramente essere inclinata in questo senso. E quindi naturale che la tefrite della Regione Yitozzo sia discesa dal Monte Starnino, situato a Nord di essa, mentre se fosse stata emessa dal Monte di Cellere, che si trova a Sud di detta lava, avrebbe do- vuto risalire. Le colate di andesite sono uscite dalla sommità e dai fianchi del Poggio Rosso e si sono in parte mescolate con l’andesite di Monte Marano: le medesime hanno una lunghezza di 3 chilometri e mezzo ed una larghezza massima di circa 3 chilometri. A San Giuliano vecchio, dove terminano gli affioramenti di tefrite, questa è ricoperta da un lembo di leucitite con olivina, isolato come quello di Canino, ma assai più grande, del quale è impossibile rico- noscere la bocca di emissione. Un campione di tefrite proveniente dalla località detta la Fonte presso Piansano, è una roccia grigio-scura, compatta, pesante ; con- tiene qualche rara e piccola leucite caolinizzata e qualche augite ab- bastanza sviluppata. Un altro campione preso poco distante dalla fontana di Piansano, è una lava vacuolare, grigio-scura, disseminata di cristalli di leucite caolinizzata, con i meati stirati nel senso della direzione della colata. La tefrite del fosso che viene dalla Regione Mac- chione e passa al fontanile Linaro presso Tessennano, è una roccia grigio scura, compatta, disseminata di cristallini semi- vetrosi di leu- cite. Un campione preso all’ incontro del fosso Asciutto con l’Arrone, macroscopicamente si mostra identico a quello della località la Fonte presso Piansano. All’incontro della mulattiera fra Toscanella e Canino con il fosso Arrone, la tefrite è a pasta vacuolare, di color grigio- scuro, con la leucite allo stato di diffusione ma anche in cristalli caolinizzati abbastanza sviluppati. Nel fosso ad Ovest di Arlena la lava è grigio-scura, compatta, contiene qualche rara augite e la leu- cite vi si trova allo stato di diffusione. Nel fosso di Arlena, la tefrite è vacuolare, di color grigio- cenere scuro ; la leucite è diffusa nella massa, dove si vedono pure dei cristalli di augite. Un campione pro- veniente da Poggio Bricca, ad oriente della Regione Macchione, è una tefrite grigio-scura, compatta, minutamente disseminata di leucite ed augite. Alla Regione Macchione, a Nord di Tessennano, la lava mostrasi di color grigio-cenere, porosa, disseminata di cristallini di augite e da qualche rara e piccola leucite. Un campione preso a Tessennano, ha la pasta vacuolare grigio scura, dura, scagliosa, punteggiata in bianco da piccolissimi cristalli di leucite. Un campione di andesite proveniente dalla strada che da Pian- sano conduce a Sant’Anna, è una roccia grigio-cenere scura, compatta, dura, abbondantemente disseminata di cristalli di pirosseno. Un altro campione preso nel fosso Arroncino, verso il Casale San Nicola, è una lava di color grigio-cenere chiaro, porosa, con le cavità stirate nel senso della direzione della colata; si vedono in essa rari e piccolis- simi cristalli di feldispato. La leucitite di San Giuliano vecchio, della quale non si conosce la — 233 bocca d’emissione, è una lava vacuolare grigio-cenere scura, minuta- mente punteggiata in bianco dalla leucite e da piccoli cristalli di feldispato. 25. Cono di Semonte. — Ad occidente del Vulcano di Latera havvi soltanto il piccolo conetto di Semonte, distante un paio di chilometri a S.O dal cono di Monte Becco; esso misura alla sua base non più di 700 metri di diametro, e la sua cima trovasi alla quota di 424 metri sul mare: tsso è costituito interamente di scoria e lapillo rosso, ma piuttosto che un’edifìcio vulcanico indipendente, va considerato come bocca sussidiaria d’un altro edifìcio maggiore. Appartiene al terzo periodo e potrebbe essere legato tanto con le eruzioni di Mezzano quanto con quelle del Monte Becco, ma più pro- babilmente con quelle di quest’ultimo, vista la sua vicinanza con il medesimo. Il piccolo cono trovasi in perfetto stato di conservazione e per forma, dimensioni e materiali, rassomiglia alle bocche del Ve- suvio apertesi nel 1861 e situate al disopra di Torre del Greco, ma è di esse più ben conservato, tanto che lo si crederebbe recentissimo. Non vi è dubbio che da Semonte siano usciti i fiotti di andesite parte dei quali si sono diretti verso Monte Becco arrestandosi ai piedi del cono, ma la parte maggiore ha dilagato in direzione opposta, formando la caratteristica colata del Lamone, lunga da N.E a S O circa 9 chilometri, con una larghezza media di due e mezzo. Il conetto di Semonte è sicuramente posteriore al cono di Monte Becco, poiché le lave di questo, dove vengono a contatto con quelle del primo, sono da esse ricoperte; tale sovrapposizione è evidentis- sima malgrado la stessa natura delle lave delle due bocche, per la forma specialissima che ha quella di Semonte, e della quale potrà farsene una lontana idea chi conosce la colata emessa dal Vesuvio nel 1872. Si tratta qui di una lava che doveva essere estremamente liquida, la quale nel consolidarsi, ha preso le forme più bizzarre e fantastiche che si possano imaginare : la colata, invece d’una superficie uniforme 234 più o meno ondulata, si presenta irta di punte e di accidentalità d’ogni genere ; alle volte forma degli enormi funghi, talora si trovano una quan- tità di piccoli cipressi e di guglie ; qui sembrano getti d’acqua improvvi- samente congelatasi, là un’accumulamento di rottami rassomigliante ad una costruzione rovinata; più oltre grossi blocchi di lava sovrapposti gli uni agli altri, vi fanno ricordare le pietre druidiche della foresta di Karnak descritte dal Sue; altrove la lava di qualche rigagnolo, raffreddatasi esternamente ha seguitato a scorrere nell’interno, lasciando da ultimo degli enormi tubi, alcuni dei quali si possono percorrere per più diecine di metri. La fotografìa di alcune parti di questa colata, potrebbe essere scambiata, salvo le proporzioni, per quella dei ghiacci d’una regione polare al momento del disgelo. Se a questo si aggiunge che su la colata del Lamone è cresciuta una foresta di querce legate fra loro da liane, da spini, ed altre piante arrampicanti, si avrà un’idea del panorama orridamente bello ed attraente ch’essa presenta al touristey al pittore ed al naturalista; ma si comprenderà altresì assai facilmente la difficoltà grandissima se j non la impossibilità assoluta, di percorrere questa regione fuori dei I due o tre viottoli che i carbonai ed i taglialegna vi hanno tracciato j con il loro continuo passaggio. Avventurarsi anche per breve tratto | fuori di detti sentieri, si è certi di tornare indietro con gli abiti e le calzature a brandelli, con il viso e le mani sanguinanti. Presso il conetto di Semonte, che la lava circonda da tutte le parti, ho trovato degli aggregati di minerali, in ciottoli erratici, che hanno l’aspetto del granito: in una pasta d’un grigio assai chiaro, si distinguono abbondanti e grossi cristalli di feldispato, qualche raro cristallo verde-chiaro di hauyna, piccoli cristallini di augite, ed altri che macroscopicamente non si possono riconoscere. Un campione di andesite proveniente da un punto a Nord di Semonte è una roccia grigio-scura, porosa, che rassomiglia ad una spugna a fori minuti; è punteggiata in bianco forse dalla leucite e contiene pure cristallini di feldispato. Altro campione preso alla Selva del Lamone presso Campo della Villa, è una lava scura, quasi nera, — 235 — cavernosa con i meati stirati nel senso della direzione della colata, minutamente punteggiata in bianco dalla leucite o dal feldispato ; con- tiene dei grossi inclusi d’una sostanza bianca. Nel tosso San Paolo sotto Poggio Vallecupa a Sud di Campo della Villa, Pandesite ha la pasta lavica grigio-cenere chiara, compatta, abbondantemente disse- minata di cristalli vitrei di feldispato. * * * Al confine occidentale della regione vulcanica Vulsinia, presso il fiume Fiora, vi è una serie di punti eruttivi che per la loro lontananza sembrano quasi vulcanetti indipendenti, ma che però non sono altro che manifestazioni eccentriche del grande vulcano. Queste bocche eruttive eccentriche sono il Monte Calvo, Vallecupa, Monte Rosso disposti sopra una linea di frattura diretta approssimativamente N-S e collegati molto probabilmente con il Vulcano di Latera. A questi si può aggiungere Radicofani, che si trova a Nord della regione vulcanica Vulsinia, assai più distante degli altri dalla medesima, e situato pure su una linea di frattura che passa per i centri di Monte- fìascone e di Bolsena; potrebbe quindi appartenere ugualmente bene e forse con maggiore probabilità a quest’ultimo, e perciò la descri- zione di esso troverà posto fra quelle delle bocche eccentriche del Vulcano di Bolsena. 26. Monte Calvo. — Questo cono, del quale nessuno ha mai fatto cenno, è situato all’estremità S.O della regione Vulsinia, a contatto con le rocce scistose antiche del Monte Bellini, su la destra del fiume Fiora; alla base misura un diametro di circa 750 metri e si eleva di 160 sul letto del fiume, mentre da Ovest gli sovrastano le pendici dal monte suddetto. Il cono assai deformato è costituito in gran parte da lava e ricoperto da poca scoria rossa e da lapilli, che ricoprono pure il piccolo piano che si osserva un poco al disotto ed à S.O della sommità, piano che potrebbe rappresentare gli avanzi di un piccolo cratere. — 236 — Dalla sommità del cono di Monte Calvo si rovesciò un’imponente colata di andesite diretta verso Sud, la quale ricoperta a sua volta da una potente formazione travertinosa, oggi si scopre soltanto nel •letto della Fiora ed in quello del fosso Timone per una lunghezza di circa 15 chilometri. Dai piedi del cono però fino alla confluenza di Forma Sprofondata (che fa seguito alla Forma di Montauto) con la Fiora, la lava fu completamente erosa nel letto di detto fiume; ma da questo punto fino all’incontro del fosso Timone, cioè per una lunghezza di 6 chilometri in linea retta, la si vede sempre senza interruzione; qui fu nuovamente erosa e se ne riscontra soltanto prima un piccolo lembo, fra la confluenza del Timone con la Fiora e Poggio Corno, poi un’altro lembo maggiore sotto Poggio Lupo, rico- perto da sabbie quaternarie antiche che per essersi formate esclusi- vamente a spese di quelle plioceniche ad esse rassomigliano assai. Questa lava è quella che il Verri 1 cita nei dintorni di Montalto di Castro, alla confluenza dei torrenti di Campo Morto e Vacchereccia nella Fiora, al Ponte Sodo e nel torrente più a Sud ; lava feldispatica ora compatta ed ora bollosa con cristallini di sanidino rosso e bigio che trova intereressantissima, ma della quale non potè scoprire la provenienza. Più bardi, in una pubblicazione successiva dello stesso autore 2 egli crede le lave di Montalto dovute ad un centro eruttivo completamente distrutto, esistente nella conca interposta fra i monti di Castro, le colline di Canino e Toscanella. Nei dintorni di Montalto di Castro e precisamente nel fosso Sanguinaro, trovai due grossi blocchi erratici di lava, dei quali, stando sempre alle osservazioni del Bucca, quello più a Sud sarebbe di andesite e l’altro di trachite; situati in mezzo a terreni allu- vionali, alla distanza di 20 chilometri dal Monte Calvo devono esservi stati trasportati, molto verosimilmente, da qualche grossa fiumana. 1 A. Verri, Appunti per la geologia deir Italia centrale (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. IV, 1885). Roma, 1886. 2 A. Verri, Osservazioni geologiche sui crateri Vulsinii (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. VII, fase. 1°)- Roma, 1888. - 237 — I campioni provenienti da questa bocca eruttiva furono dal Bucca classificati parte nelle andesiti e parte nelle trachiti, ma questi ultimi esaminati più tardi dal Viola furono riconosciuti appartenere anche essi alle andesiti. Anche il Verri nella sua memoria su i crateri Vulsini, più volte ricordata, riporta 4 analisi di lave dei dintorni di Montalto, aventi un minimo di 55. 08 ed un massimo di 56. 32 in SiO2, due delle quali vennero definite per andesiti augitiche e le altre due lasciate indeterminate, ma che per il loro grado di acidità non potrebbero certamente essere classificate fra le trachiti. Su la sinistra della Fiora da Monte Calvo a Monte Rosso, che tro- vasi una ventina di chilometri in linea retta a Nord del primo, vi è una potente formazione di tufo pomiceo che però non si può ritenere dovuta alle deiezioni del Monte Calvo, giacche se queste fossero state così abbondanti da costituire soltanto una parte del potente strato che si osserva su la sinistra del fiume, anche le colline ad occidente di Monte Calvo ne avrebbero dovuto rimanere coperte, e tenuto pur conto della denudazione naturale, qualche lembo di tufo pomiceo avrebbe pur dovuto restarvi, il che non si verifica. Devesi quindi ammettere necessariamente che i tufi pomicei dei dintorni di questo edificio vul- canico, appartengono alle eruzioni dei coni centrali e così pure quelli che s’ incontrano fra la Fattoria di Montauto e la Pescia Fiorentina, nonché il tufo granulare leucitico che ricoprì tutta la Regione Pi- scina di Botte, qualche lembo della Regione Sughereto Torto, fra Mon- talto ed il fiume Arrone, ed altre collinette a sinistra delPArrone stesso. Un campione di andesite preso nel letto della Fiora al disotto del Monte Calvo, è una roccia grigio scura con riflessi rossastri, compatta, dura, disseminata di una punteggiatura bianca e da cristallini di fel- dspato : questo campione osservato al microscopio dal Viola, fu riconosciuto anche da lui per un’andesite. Un altro campione prove- niente dal blocco erratico che trovasi nel fosso Sanguinaro, è una lava scoriacea, quasi nera, contenente abbondanti cristalli di feldi- spato. Un altro campione proveniente dal Monte Calvo è una roccia — 238 — nera, compatta, disseminata minutamente da una punteggiatura bianca e da cristallini di feldispato. Un campione preso presso gli archi del- l’acquedotto (Montalto) è una lava di color nero, cavernosa, con le cavità stirate regolarissimamente nel senso della direzione della colata; le cavità sono tappezzate alle volte da una sostanza giallastra o grigio- turchiniccia ed alle volte sono riempite da zeoliti ; nella massa si ve- dono disseminati piccoli cristallini di feldispato. 27. Vallecu'pa o Poggio Luccio. — E un piccolo cratere appena riconoscibile, segnato da un avvallamento circolare poco profondo avente un diametro di circa 400 metri, nel quale fino a poco tempo fa era vi un laghetto ora prosciugato; trovasi una diecina di chilo- metri in linea retta a Nord di Monte Calvo e 5 chilometri in linea retta a S.O di Pitigliano. I dintorni del cratere sono sparsi di grossi blocchi di lava, certa- mente provenienti da esso e che dovevano formare una piccola colata, di quelle che nel raffreddarsi si dividono in tanti blocchi isolati, come se ne hanno molti esempi nei Vulcani Sabatini. II terreno circostante è quasi perfettamente piano e costituito da tufi leucitici gialli con pezzettini di scoria e pomicine pure gialle, che riposano sopra ai tufi pomicei, i quali, come si è già detto, si estendono lungo la Fiora da Monte Calvo a Monte Rosso. Evidente- mente nè i tufi leucitici gialli superiori, nè i pomicei sottostanti si possono attribuire a questa piccola bocca secondaria, poiché nella sua durata effimera, che ci viene rivelata 'dalla mancanza di cono, dalla piccolezza del cratere, dalle pochissime lave, non si può ammettere da esso siano stati eruttati materiali in quantità tale, da formare po- tenti strati di tufo. Le sue poche ceneri e sabbie proiettate, furono certamente presto lavate dalle acque e questo fatto conferma ancora che le due qualità di tufi litoidi sovrapposti, esistenti nei dintorni, debbono provenire dalle deiezioni delle bocche centrali. Vallecupa, oltre a far parte dell’allineamento N-S segnato da questi quattro vulcanetti eccentrici, si trova pure allineato verso N.E con il cono di Monto Becco, con il cratere di Mezzano e con l’altro cono di Poggio Montione. Manca un esame petrografico della lava di questo cratere, per cui non si sa a quale periodo d’attività del Vulcano di Latera, si debba riferire. 28. Monte Rosso. — Quest’ altro vulcanetto staccato trovasi al- l’estremo lembo N.O della zona vulcanica Vulsinia, a circa 5 chilo- metri in linea retta a N.O di Pitigliano, anch’esso come il Monte Calvo, in prossimità del fiume Fiora, delimitato ad Est dal fosso Pic- ciolana. E un conetto di scorie rossastre, alle quali deve appunto il suo nome, di forma allungata nel senso N.NE-S.SO, che presenta tre punte allineate, delle quali quella più a Sud trovasi alla quota di 436 metri sul livello del mare, e si erge di un’ ottantina di metri dalla pianura sottostante: dalla sua base occidentale è uscita un’abbon- dante colata di tefrite, che ha formato appunto la pianura suddetta, lunga poco più di due chilometri e larga due e mezzo, distinta con il nome di Pianetto So vana. La superfìcie del terreno, prima che fosse ricoperta dalla lava, doveva inclinare dolcemente a Nord, verso il fosso del Segno, e perciò la corrente prese da principio quella direzione ; non potendo però cor- rere nè molto nè presto, perchè poco fluida, livellò facilmente il suolo e poi dilagò tutb’attorno, formando da ultimo un altipiano quasi cir- colare, con insensibile inclinazione ad Ovest, cioè verso la Fiora. Questa supposizione della primitiva direzione della colata, cambiata in seguito al livellamento del suolo, è dimostrata dalla scogliera di lava esistente a Nord, nel fosso del Segno, dove prima essa corse e si pre- cipitò, mentre ad Ovest dalla parte della Fiora, raggiunse appena il ciglio dell’altipiano e dalla parte Sud non arrivò neppure da per tutto a raggiungere questo ciglio, come puossi vedere nel fosso sotto il Podere Volpi. Circa la poca fluidità delle lave, basta a dimostrarla la loro struttura sferoidale (a bombe) propria delle lave pastose, e che — 240 — qui si può osservare bene sopra Le Grotte verso la Fiora, e nel frammento di colata giù nel fosso del Segno, presso il casale fabbri- cato su la collinetta di lava. Oltre alla colata anzidescritta un’altra piccola quantità di lava si è rovesciata dalla sommità stessa del cono, ricoprendo una parte del versante orientale del Monte Rosso : su questa lava rinvengonsi grossi blocchi di serpentino, poco o nulla alterati dall’azione del fuoco, che appartengono ai terreni eocenici in mezzo ai quali avvenne la eruzione. La struttura sferoidale delle colate di lava, della quale ho parlato più sopra, rimarcata anche da C. Darwin nelle lave delle Isole dell’Ar- cipelago Gallapagos \ è assai comune nei Vulcani Yulsini, ma più spe- cialmente è conosciuta nelle lave di Montefìascone : le colate o parti di colate sono costituite da sfere di lava di tutte grandezze, che rag- giungono alle volte anche m. 0. 50 di diametro, cementate assieme dalla pasta lavica e distribuite in essa assai irregolarmente; alle volte le sfere sono a contatto fra di loro e la pasta lavica si trova nelle proporzioni della malta in un muro di mattoni; altre volte le sfere sono disseminate per entro la colata a distanze diverse. Le sfere hanno struttura fogliacea concentrica, non sempre di spessore uniforme, e con l’alterazione della parte superficiale si sfogliano assai facilmente ; tale forma è dovuta probabilmente alla densità della lava ed a spe- ciali condizioni di raffreddamento della medesima. 11 Franco parlando di questa struttura sferoidale, osservata pure nella lava vesuviana del luglio 1895 1 2, crede che la medesima debba attribuirsi piuttosto alla fluidità della pasta, favorita dalle incessanti ondate di lava, che davano luogo ad un movimento di rotolamento, e dai vapori che producevano in essa dei rigonfiamenti. A mia volta non credo esatta questa definizione, poiché al Vesuvio stesso dove 1 C. Darwin, Geological Observations on thè Volcaniclslands, ecc. London, 1876. 2 P. Franco, La lava vesuviana di luglio 1895 (Boll. Soc. di Naturalisti in Napoli, Ser. I, Yol. XI). Napoli, 1897. — 241 — abbiamo gli estremi di lave fluide e lave dense, vediamo che le prime sono rappresentate dalia colata del 1872, la quale nel raffreddarsi ha preso l’aspetto di lava molto scoriacea, al punto che riesce difficile e faticoso il camminarvi sopra, come su la colata della Selva del La- mone nei Vulsini alla quale rassomiglia; mentre le seconde sono rappre- sentate dalla bellissima colata del 1858, che ha preso la forma di enormi cumuli di cordami incatramati. Come vedesi la struttura sferoidale si avvicina più a quest’ultima, ed infatti se essa non rappresentasse una lava molto densa, nel raffreddarsi, non avrebbe potuto conservare in tutte le parti della colata la compatezza che le caratterizza. In quanto ai rigonfiamenti prodotti dai vapori, se ne incontrano, è vero, assai di frequente nelle lave, ma nell’ interno lasciano sempre dei vuoti, spesso tappezzati da cristalli di minerali diversi. Del resto questa struttura sferoidale si trova spesso anche nelle rocce cristalline: il D’Achiardi nel suo corso di litologia 1 a pag. 310 parla della diorite quarzifera orbicolare o a sferoidi , e dice che questa struttura caratteristica si riscontra specialmente nelle parti interne di alcune masse filoniane, ed è dovuta al disporsi in strati alterni e concentrici di materiali bianchi siliceo-feldispatici e verde-scuri anfì- bolico-pirossenico-micacei. A pag. 379 cita pure la corsite o granito napoleonico , che trovasi in Corsica dove forma dei filoni nel granito fra Sartene e Santa Lucia di Tallano; appartiene al gruppo delle rocce basiche anortitico-anfiboliche, ma per chi non fa distinzione di plagioclasio è anch’essa una diorite orbicolare. In uno di questi filoni di corsite sferoidale, le sfere hanno d’ ordinario da 3 a fi centi- metri di diametro, e sono costituite da zone alternanti di anortite radiata e orneblenda, cui secondo Rosenbusch si associerebbe anche Piperstene. L’Issel 2 ha trovato in Liguria la struttura sferoidale nella dia- 1 A. D’Achiardi, Guida al corso di litologia. Pisa, 1888. 2 A. Issel, Liguria geologica e preistorica (Volume I, pag. 323-325). Ge- nova, 1892. 16 — 242 - base e più spesso nel gabbro rosso : cita gli arnioni o sfere di Monte Loreto che hanno un diametro di 10 a 15 centimetri; quelle di Reppia nella località denominata Prete Michele , raggiungono fino un metro di diametro. Le sfere sono alle volte appena accennate alla superfìcie da rilievi, all’interno da zone concentriche di tinta diversa e di varia durezza, le quali si distaccano facilmente l’una dall’altra; alle volte invece le sfere sono distinte fra loro come elementi di una puddinga, saldati assieme da una pasta epidotica. Il Lotti ha osservato che la struttura sferoidale è comunissima anche nelle diabasi della Toscana e dell’Emilia. L’attività vulcanica dev’essere stata anche a Monte Rosso di breve durata, perchè la base orientale della piccola collina, su la quale si è sviluppato il conetto vulcanico, è costituita da rocce eoceniche che poterono rimanere scoperte, appunto per l’insignificante quantità di materiali proiettati : sarebbe però arrischiato asserire che tutta la lava di questo cono appartiene ad una sola od a più colate emesse suc- cessivamente ; certo si è che qualche campione mostrasi esternamente così diverso dagli altri, che l’ipotesi della pluralità delle emissioni si affaccia spontaneamente, e potrebbero anche essere indicate dalla grande colata occidentale e dalla piccola orientale, che essendo però entrambe costituite di tefrite, fanno classificare questo edificio vul- canico fra quelli appartenenti alla prima fase del secondo periodo. In quanto al potente deposito di tufi pomicei su i quali, a somi- glianza delle altre colate di tefrite del versante occidentale del Vul- cano di Latera, riposa quasi totalmente la grande colata, deve rite- nersi come fu già detto, formato con le deiezioni delle bocche centrali, mentre da queste piccole bocche eccentriche furono proiettate sol- tanto poche ceneri e sabbie presto asportate dalle acque. Una prova di ciò, se ve ne fosse bisogno, ce l’offre appunto il Monte Rosso: su le rive della Fiora, sotto le lave della grande colata, si osserva una potenza di tufo pomiceo che varia dai 40 ai 50 metri; ora, se anche una parte soltanto di questa grossa quantità di materiali fosse stata proiettata dal Monte Rosso a due chilometri e mezzo di distanza, evidentemente i medesimi in maggiore o minore quantità avrebbero dovuto depositarsi pure su i fianchi della collina dove sorge il cono. Dalla sommità del Monte Rosso presi un campione di scoria rossa, minutamente spugnosa, leggera, la di cui colorazione non è uniforme ma a zone più o meno intense. Dalla base meridionale del Monte Rosso proviene un campione di lava scura quasi nera, com- patta, a frattura scagliosa, pesante, disseminata di cristallini di augite e da qualche rara e piccola leucite. Dalla base occidentale del cono proviene un campione di lava grigio-cenere scura, porosa, dissemi- nata di cristalli di augite verde; la leucite è diffusa nella massa e non si vede macroscopicamente. Un campione di tefrite preso nel fosso del Segno è una roccia, scura, compatta, vetrosa, che mostrasi come un impasto di cristallini di feldispato dove la leucite diffusa nella massa non si vede macroscopicamente. All’estremità Nord di Pianetta e della colata sopra Le Grotte, la tefrite è grigio-scura, compatta, con qualche piccola augite nel magma lavico dove si vede pure qualche piccola leucite.^Nella parte Sud della colata la tefrite è scura, quasi nera, compatta, disseminata da cristallini di augite verde. Della colata che si trova sul fianco orientale furono presi due campioni; il primo è una roccia quasi nera con riflessi rossastri, che pare quasi un minerale di ferro, compatta, d’aspetto cristallino, con- tiene piccole leuciti caolinizzate ; il secondo, è di una roccia nera, porosa, vetrosa, nella quale la leucite diffusa nella massa non si vede macroscopicamente. Un ultimo campione proveniente dal piccolo lembo di tefrite situata su la collinetta ad Est di Monte Rosso ed al di là del fosso, è una lava anfìbolica di color nero, compattissima, pesan- tissima che mostrasi come un impasto di grossi cristalli di feldispato in un magma lavico nero piceo. Per stabilire la cronologia delle eruzioni del Vulcano di Latera, mi sono basato principalmente su la sovrapposizione di colate rico- nosciute diverse dall’analisi petrografia e dalla posizione rispettiva delle bocche eruttive da cui quelle colate provengono; non mi na- scondo però, che se tali dati sono di grande ausilio, e del resto i soli ai quali poter ricorrere, per conoscere la cronologia delle eruzioni di un vulcano, ai medesimi non si può dare un valore assoluto, ma sol- tanto relativo. Prescindendo dalle possibili inesattezze nelle osservazioni anali- tiche o nel registrare i campioni delle varie località, come anche dalle differenze di apprezzamento fra diversi osservatori, inesattezze e dif- ferenze alle quali si può sempre rimediare con nuove osservazioni, resta tuttavia in un vulcano dove sonvi molte bocche eruttive ad- dossate e sovrapposte le une alle altre, la difficoltà di riconoscere con precisione la provenienza di molte colate; e siccome nello stesso periodo una bocca eruttiva può avere emesso lave diverse, così è fa- cile essere tratti in inganno davanti a due lave sostanzialmente dif- ferenti, ma che invece di rappresentare due periodi successivi non rappresentano altro che i prodotti di due eruzioni dello stesso pe- riodo. D’altra parte se le grandi modificazioni della bocca centrale, assieme alla sovrapposizione delle colate di lave diverse che l’attor- niano, sono buoni elementi per fissare dei periodi e la loro cronologia, questi elementi mancano affatto in gran parte delle bocche secon- darie, dove non si ha che un piccolo edificio vulcanico con una o più colate eguali che non sono o non si vedono a contatto con altre lave. In questo caso la sola natura delle lave, non è un elemento suffi- ciente per stabilire a quale periodo dell’edifìcio centrale si riferisce la bocca secondaria, specialmente nei Vulcani Vulsini dove ognuno dei grandi centri avendo una successione speciale nell’emissione delle sue lave, quella che per la sua posizione sembra la bocca secondaria d’un edificio, potrebbe essere invece la bocca eccentrica d’un altro, che ha avuto una successione tutta diversa. {Continua), — 245 — IL C. Crema. — Sul piano Siciliano nella Valle del Orati (Calabria). (Con due tavole). Nell’agosto del 1898, accompagnando il dott. Giovanni JDi-Ste- fano, che stava allora eseguendo una revisione geologica di parte della provincia di Cosenza, aveva occasione di constatare con lui l’e- sistenza presso Castro villari, nella Valle del Crati, di un interessante lembo fossilifero del piano Siciliano. Nel settembre successivo lo stesso dott. Di-Stefano ne dava brevemente notizia all’adunanza generale della Società geologica a Lagonegro 1 2 e posteriormente mi incaricava di studiare i fossili insieme raccolti. A questi potei aggiungerne un discreto numero di altre località postplioceniche dello stesso bacino e cioè alcuni provenienti dai dintorni di San Demetrio Corone, quivi rinvenuti fin dal 1890 dall’ing. Cortese, ed altri da me rac- colti nel territorio di Castrolibero durante una mia rapida gita com- piutavi l’estate scorsa. In questa breve nota presento ora i risultati del mio studio. Esso non sarà forse privo di ogni interesse poiché sul Postpliocene della Valle del Crati non si avevano altre notizie, si può dire, all’in- fuori di quelle d’indole generale date dall’ing. Cortese. Il prof. Taramelli in un suo rapporto scritto per incarico della Provincia di Cosenza in relazione ai progetti di bonifiche per la Valle del Crati * , attribuì al Pliocene tipico tutte le sabbie ed i conglo- merati postmiocenici. Egli accennò però 3 all’esistenza presso Castro- 1 Boll. Soc. geol. it., Yol. XVII, p. cxxxix. Roma, 1898. 2 T. Taramelli, Descrizione orografica e geologica del Bacino del Fiume Crati. Cosenza, 1880. 8 L. c., p. 41. - 246 — villari di una formazione lacustre di marne e di conglomerati, i quali ultimi, secondo quanto scrive, sarebbero un pò più recenti di quelli pliocenici del vicino Monte di Cassano. Il dott. Bozzi pubblicò 1 in seguito un elenco di molluschi raccolti nelle sabbie e nei conglomerati del Vallo Cosentino, attribuendoli al Pliocene. Mancando ogni indicazione delle località che li fornirono, anzi non essendo detto nemmeno se essi provengono da uno solo o da parecchi depositi, non è possibile sottoporre a critica le sue conclusioni. L’ing. Cortese segnala 2 il piano Siciliano come presente in Ca- labria in tutti gli antichi golfi e stretti pliocenici e rappresentato da sabbie giallastre ad elementi minuti o micacei e da argille molto sabbiose. Nella sua Carta geologica nella scala di 1 : 100,000 egli riunì però tutte queste formazioni e quindi anche quelle della Valle del Crati nel Pliocene superiore, come per tanti altri casi si è fatto nella nostra Carta geologica. Per il bacino del Crati egli indica le cinque specie seguenti : Tritoni nodiferum Lmk., Pectunculus pilosus L. sp., P. insubricus Br. sp., Lutraria ellittica var. Lmk., Pecten Jacobaeus L. sp. e come abbondantissima presso Tarsia la Cladocora caespi- tosa L. Intanto devo qui vivamente ringraziare il dott. Di-Stefano ed il marchese di Monterosato per gli aiuti ed i consigli di cui mi furono larghi nel corso del presente studio. * * * I sedimenti postpliocenici del territorio di Castrovillari sono messi bene in evidenza per un paio di chilometri dalla profonda in- cisione del torrente Fiumicello che si trova ad Est della città. Essi sono prevalentemente costituiti da argille molto sabbiose con una 1 L. Bozzi, I Molluschi pliocenici del Vallo Cosentino. Pavia, 1891. 2 E. Cortese, Descrizione geologica della Calabria (Mem. descrit. d. Carta geol. d’Italia, Yol. IX, pag. 175 e 176). Roma, 1895. — 247 — tinta grigio-azzurrognola, più o meno chiara, e contengono fossili in abbondanza. Queste argille presentano una debole inclinazione verso Sud e raggiungono un’altezza di circa 250 metri sul livello del mare poco a valle dal Ponte di Virtù. Nella parte superiore di queste ar- gille vi sono lembi di sabbie grossolane, di ghiaie e di conglomerati, i quali finiscono col predominare alla parte superiore. Essi, mentre da un lato sottostanno all’alluvione rossiccia, che ha colmato la Valle Piana, dall’altro scendono verso il Orati, acquistando molta estensione. Presso il Ponte di Virtù i conglomerati sono sostituiti da marne gialliccio che, mentre stanno sulle argille a fauna marina a pochi metri a valle del ponte, dall’altro lato le sostituiscono e spariscono sotto l’alluvione della Valle Piana. Queste marne si sono formate proprio sulla spiaggia postpliocenica, là dove sboccavano, come del resto anche ora sboccano dei corsi d’acqua dolce. Esse, un poco più a Sud del Ponte di Virtù, contengono una fauna che nell’insieme ha carattere salmastro ( Cardium , Scrobicularia , Dreissensia , eco.); più su dei fossili d’acqua dolce: Dreissensia , Limnaea) Planorbis ( P . umbilicatus Muli.), Paludina , Hydrobia , ecc. Le altre località postplioceniche della Valle del Orati, delle quali dobbiamo occuparci, sono la Serra Cogliano e la Serra San Nicola a Nord di San Demetrio Corone e la regione Valle di Campo sulla si- nistra del torrente Campagnano ad Est di Castrolibero. In tutte e tre queste località i fossili si raccolgono in un complesso di argille mar- nose e sabbiose azzurrognole, concordemente sottoposte a delle sabbie giallastre con minuti elementi micacei, a volte un po’ argillose. In esse si nota una corrispondenza quasi completa della fauna, salvo quelle piccole differenze che possono provenire dalle diverse profon- dità e dalla natura dei sedimenti ; si tratta dunque di due termini di una stessa formazione. La sua altezza sul livello del mare è poco di- versa da quella delle argille marine di Castrovillari ; ad essa sopra- stanno, presso Castrolibero, piccoli lembi di alluvione antica, formati da conglomerati sabbiosi rossicci. — 248 — Le faune racchiuse sulle formazioni marine sulla sinistra e sulla destra della valle del Orati, si considerino esse separatamente o nell’in- sieme, presentano sempre gli stessi caratteri, sicché non formano in realtà che una sola fauna. Questa è principalmente composta da numerose specie di molluschi ottimamente conservati; vi si osser- vano inoltre abbondanti la Cladocora caespitosa L. sp., la Ditrupa cornea L. sp , scarsi frammenti di placche e di radioli di echinidi, qualche chela di decapodo, oltre numerosi forami nif eri, briozoi 1 ed ostracodi. Quasi tutte le specie rappresentate in questa fauna vivono attual- mente nella zona delle Laminarie ed in quella delle Coralline ; poche sono di maggior profondità o strettamente littorali. I molluschi, dei quali esclusivamente ci occuperemo, sono rappre- sentati, come risulta dall’elenco dato più sotto da 191 specie, delle quali 190 sono determinabili con sicurezza. Fra queste soltanto 16 non sono conosciute viventi, e con criteri specifici più larghi questo nu- mero potrebbe forse leggermente ridursi. Queste specie sono: Pinna tetragona Br., P. Brocchìi d’Orb., Plicatula mytilina Ph., Nucula 'piacen- tina Lmk., Cardium obliquatimi Aradas non Micht., Gibbuta Di-Stefanoi n. sp., Xenophora Trinacria Fischer, Pissoia puella Montrs., Scalaria Sormanii n. sp., Turritella tr icarinata Br. sp., Pyramidella aprustica n. sp., Cerithium crenaium Br. sp., C. Di Blasii Montrs., Nassa gigan - tuia Bon. sp., N musivum Br. sp., Daphnella Columnae Se. sp. Le specie ancora viventi si trovano tutte nel Mediterraneo salvo 5. Di queste 4 vivono nell’Atlantico: Pectunculus glycymeris L. sp., Do- 1 I briozoi, gentilmente determinati dal prof. JNeviani, sono rappresentati dalle seguenti specie: A Castro villari : Cupulai'ia canariensis Bk., Hippoporina adpressa Bk., Schi- soporella unicornis Josth., v. ansata , Smittia cervicornis Pali., Cellepora sp., Entalophora proboscidea M. Edw. A Castrolibero: Cribrilina radiata Moli., Schisoporella squamoidea Rss., Sch . unicornis Johnst., Smittia cervicornis Pali., Sin. variolosa Johnst., Cellepora runulosa Linn. A San Demetrio Corone: Hippoporina adpressa Bk. — 249 — sinici linda Paltn. sp., Rissoia lilacina Ree., Mangilia costata Donov. sp.; una, la Cyprina islandica L. sp., è dei mari settentrionali e glaciali. Possiamo adunque ritenere come caratteri di questi depositi la presenza di una fauna quasi tutta vivente nel Mediterraneo ed una esigua proporzione di specie estinte o di mari settentrionali e glaciali. Si deve aggiungere inoltre, come per tanti altri depositi simili, la mancanza di ogni contrassegno del Pliocene tipico. Essi quindi de- vono trovar posto nel piano Siciliano di Doderlein, piano di corta durata ma relativamente ben determinato, che alcuni aggregano al Pliocene come terza divisione, altri al Postpliocene, con che non re- stano alterati i limiti del Pliocene classico e vengono tenuti nel debito conto gli intimi rapporti della fauna siciliana colla mediterranea attuale. Fra i vari strati del bacino mediterraneo che costituiscono i di- versi livelli del piano Siciliano essi corrispondono certamente a quelli elevati e fra questi parmi possano essere paragonati agli altri depo- siti postpliocenici superiori della Calabria (Rosarno, Sant’Angelo, San Costantino, Musala) al Mazzaro di Taranto, alle sabbie di Matera e di Gravina, ai sedimenti marini del bacino di Palermo e di Sciacca. Esso sarebbe appena più antico delle sabbie grigie di Archi e del vallone Cacariaci presso Monteleone Calabro, delle sabbie di Morrocu presso Reggio Calabria, dei tufi calcarei di Gallipoli, del Carparo di Taranto, delle panchine di Livorno, delle argille di Nizzeti, Catira e Cibali, ecc. Non sarà inutile il notare che nella fauna esaminata si può dire che manchino quasi completamente specie veramente glaciali, giacché queste non sono rappresentate che da una sola valva di un piccolo individuo di Cyprina islandica L. sp. Il nostro costituirebbe quindi un nuovo esempio di sedimento postpliocenico privo o quasi di specie boreali ed anche sotto questo aspetto dovrebbe essere avvicinato a quelli già indicati della Basilicata, della Sicilia, ecc. Del resto che la presenza di specie dei mari freddi non possa essere ritenuta come carattere distintivo necessario ed assoluto del Pleistocene, venne già ripetutamente fatto osservare da vari autori (Di-Stefano e Viola, De Lorenzo, Scalia). — 250 - Riassumendo, ci pare quindi che tanto le argille azurrognole e le sabbie gialle di Castrolibero e di San Demetrio Corone, quanto le argille sabbiose marine dei dintorni di Castrovillari debbano essere ascritte al piano Siciliano. I conglomerati che cominciano coll’essere associati a dette argille e poi predominano più in alto, rappresente- rebbero la porzione più elevata del Pleistocene della Valle del Orati. Questi conglomerati furono dall’ing. Cortese riferiti al Quaternario, mentre le argille sottostanti e le altre formazioni su descritte, che noi riferiamo al piano Siciliano, vennero comprese, come fu già detto, nel Pliocene superiore ed anche nel Pliocene medio. Le argille postplioceniche scendono da Castrovillari, molto a valle lungo il versante sinistro del Crati; argille e sabbie postplioceniche si incontrano, come abbiamo visto, presso San Demetrio Corone, più a Sud sul versante opposto della valle e nel territorio di Castrolibero, a poca distanza da Cosenza. Tuttociò porta a credere che la massima parte delle argille e delle sabbie della Valle del Crati debba riferirsi al Pleistocene, pur non escludendo che in parte possano appartenere al Pliocene tipico. Non essendosi fatta una revisione di tali formazioni dopo il rile- vamento del Cortese, e quindi non essendosi determinati i limiti fra gli strati postpliocenici e quelli eventualmente pliocenici, si è dovuto lasciare sui fogli della, Carta geologica al 100,000 pubblicati ultima- mente (221, 222, 229, 230) la stessa notazione postavi dall’ingegner Cortese, il quale comprendeva per lo più tali sedimenti nel Pliocene medio e superiore. Si consideri però il Siciliano come divisione molto elevata del Pliocene, o come Pleistocene, oppure come termine di transizione, è certo che esso non è una facies , ma un piano distinto dai sedimenti detti piacenziani e astiani, e che nell’ Italia meridionale presenta una grande estensione e caratteri faunistici ben determinati. Finora per varie ragioni non sempre è riuscita possibile sulle carte la sua sepa- razione dal Pliocene classico, ma ci pare che questa, nell’avvenire, non tarderà ad imporsi come una necessità. ELENCO DELLE SPECIE \ 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. Lamellibranchiata. Pecten jacobaeus L. sp. (C, Ca, D). Chlamgs flexuosa Poli sp. (C, Ca, D). » inflexa Poli sp. (Ca). » varia L. sp. (C). » nivea Macgill. sp. (C). » opercularis L. sp. (C, Ca, D). » multistriata Poli sp. (C, D). » hij alina Poli sp. (C). Lima (. Mantellum ) hians Grnelin sp. (C). Pinna tetragona Br. f (C). » Brocchii d’Orb. f (C). Plicatula mgtilina Ph. f (C). Spondglus gaederopus L. (C). Anomia ephippium L. (C, Ca). Placnnanomia patelliformis L. sp. (C). Ostrea lamellosa Br. (C, Ca). » ( Grgphaea ) cochlear Poli (C). Mgtilus herculeus Montrs. 1 2 (C). Questa forma così spiccata che, seguendo il Locard 3, può ben ele- varsi al grado di specie, è attualmente abbondante sulle spiaggie di 1 Le specie seguite da una crocetta non sono conosciute viventi; quelle contrasegnate da un asterisco emigrarono in mari settentrionali e mancano at- tualmente nel Mediterraneo. Per ciascuna specie, il territorio in cui fu rinvenuta viene indicato con C per Castrovillari, Ca per Castrolibero e D per S. Demetrio Corone. a Di Monterosato, Nomenclatura generica e specifica di alcune Conchiglie mediterranee. Palermo, 1884; p. 9. 3 A. Locard, Révision des espèces francai se s appartenant au Genre Mgtilus (Bull. Soc. malac. d. Franco, T. VI, Paris, 1889, p. 88, Tav. Ili, f. 1). — 252 — Sciacca 0 di Porto Empedocle, dove costituisce banchi numerosi; si trova a Marsiglia, ecc. Differisce dal M. galloprovincialis Lmk. princi- palmente per gli umboni più acuti e più ricurvi, per il lato anteriore delle valve appiattito od anche concavo, la carena più forte, il lato legamentare più lungo, nonché per le dimensioni molto maggiori (fino a 17 cm). 19. Nucula piacentina Lmk. -f (Ca, D). 20. » nucleus L. sp. (C, Ca). 21. » silicata Bronn (C. Ca). 22. Leda ( Lembulus ) pella L. sp. (C). 23. Arca Noae L. (C). 24. » tetragona Poli (C). 25. » [Anadara] Polii Mayer (C, Ca, D). 26. » (Barbatia) barbata L. (C). 27. » » lactea L. (C). 28. Pectunculus pilosus L. sp. (Ca). 29. » insubricus Br. sp. 30. » bimaculatus Poli sp. (D). 31. » glgcgmeris L. sp. * (Tav. Ili, f. 1) (C). Questa specie vive attualmente nell’Atlantico, dallo stretto di Gi- bilterra alla Manica. Alcuni autori citano pure parecchie località me- diterranee, ma ciò dipende dal criterio che questo ed il P. bimaculatus Poli sp. siano una stessa specie; ma in vero la presenza nel Mediterra- neo del P. glgcgmeris L. sp. finora non può dirsi provata. Gli individui di questa specie, anche se giovani, si distinguono bene da quelli del P. bimaculatus per la conchiglia depressa, arrotondata ma più obliqua, meno spessa, e di minori dimensioni. I miei esemplari confrontano bene con alcuni individui delle coste atlantiche della Francia, appar- tenenti al vero P. glgcgmeris , che potei avere fra le mani \ 1 È noto che il P. glgcgmeris venne stabilito da Linneo su l’isola Guernesey. individui del- Come appare dal nostro elenco, per noi il P. glycymeris L. sp., il P. bimaculatus Poli sp. ed il P. pilosus L. sp. sono tre specie ben diffe- renti. 32. Cìiama sinistrorsa Br. (C). 33. » gryphoides L. (C). 34. Cardita aculeata Poli sp. (D). 35. Astarte fusca Poli sp. (C, D). 36. » silicata Da Costa sp. (C, D). 37. Diplodonta rotondata Mtg. sp. (C). 38. Lucina fragilis Ph. (C). 39. » ( Dentilucina ) borealis L. sp. (C, Ca). 40. » [Loripes) leucoma Turt. (D). 41. » ( Mgrtea ) spini fera Mtg. sp. (C, Ca, D). 42. » {J agonici) reticulata Poli sp. (C). 43. Cardimi (. Eucardium ) aculeatum L. (C). 44. » » mucronatum Poli (C, Ca). 45. » » tuberculatum L. (C, Ca, D). 46. » » paucicostatum Sow. (C). 47. » » Lamarcldi Keeve (C, Ca). Questo Cardium venne talora considerato come una spiccata va- rietà del C. edule L. ; ma è miglior partito il ritenerlo come una spe- cie distinta, giacché per avere la conchiglia assai più inequilaterale, prodotta e quasi rostrata posteriormente, gli umboni più nettamente prosogiri e poco sviluppate le squamule delle costole anteriori, subito si distingue dal tipico C. edule dell’Atlantico e dei mari settentrionali, il quale non si trova nel Mediterraneo. 48. Cardium ( Eucardium ) obliquatimi Aradas non Micht. 1 (Tav. Ili, f. 2 e 3) (C, D). 1 A. Aradas, Descrizione di varie Specie nuove malacologiche della Sicilia. Memoria II (Att. Acc. Grioenia di Catania, 1846, S. 2a, Yol. Ili, p. 244, Tay. in, f. 2.) - 254 — Questa specie, affine al C. papillosum Poli, ma da esso distinta per diversi caratteri, principalmente per la forma più obliqua e più inequila- terale, venne fondata nel 1846 dal dott. Aradas su esemplari fossili del tufo calcareo di M. Pellegrino (Palermo); però, sei anni prima il Mi- chelotti 1 già aveva impiegato il nome di obliquatimi per un’altra specie di Cardium del Piacenziano di Villalvernia (Tortona). La forma di Michelotti non è altro probabilmente che la var. incerta Brn. del C. edule L. ; tuttavia, la specie di Aradas non potrebbe a rigore con- servare il suo nome; proporrei quindi di chiamarla C. Aradasi in onore del naturalista siciliano che per il primo la fece conoscere. 49. Cardium (. Eiicardìum ) papillosum Poli (C). 50. » » exiguum Grml. (C). 51. » (. Laevicardium ) norvegicum Spengi. (G). 52. » » oblongum Chemnitz (C, Ca). 53. Isocardia cor L. sp. (Ca). 54. Cgprina islandica L. sp. * (C). Iln solo piccolo esemplare. 55. Dosinia linda Pultn. sp. * (C). 56. » exoleta L. sp. (C). 57. Circe minima Mtg. sp. (C). 58. Venus ( Chione ) verrucosa L. (C). 59. » » ovata Penn. (Ca, D). 60. » (. Anaitis ) fasciata Donov. (D). 61. » ( Ventricolo ) multilamella Lmk. sp. (C, D). 62. Meretrix chione L. sp. (Ca, D). 63. » rudis Poli sp. (C, D). 64. Tapes edulis Chemnitz sp. (C). 65. Tellina (Eutellinà) distorta Poli (C). 66. » » nitida Poli (C). 67. » » serrata Renier (C). 1 L. Michelotti, Brevi Cenni di alcuni Resti delle ■ Classi Brachiopodi ed Ace- fali trovati fossili in Italia (Ann. d. Se. d. Regno Lombardo- Veneto, Voi. IX, p. 135). Venezia, 1839. — 255 — 68. Gastrana fragilìs L. sp. (C). 69. Solenocartas strigìllatus L. sp. (C). 70. » antiquatus Pultn. sp. (C, Ca). 71. Sgndesmia Renieri Pii. sp. (0, Ca). .72. Mesodesma cornea Poli sp. (C). 73. Mactra sub francata Mtg. (D). 74. Lutraria ellittica Lmk. (C, Ca, D). 75. » oblonga Chemnitz sp. (C). 76. Panopaea glgcimeris Bora. sp. (C). 77. Corbnla gibba Olivi sp. (C, Ca, D). Scaphopoda. 78. Dentalium [Alitale) dentale L. (C, Ca). 79. » » vul gare Da Costa (Ca). 80. » » arguticosta Brugn. (Ca). 81. » ( Fìssìdentalium ) rectum L. (Ca, D). Amphineura. 82. Acantochiton cliscrepans Brown (C). G-astropoda. 83. Acmaea unicolor Porbes sp. (C). 84. Emarginala Hazardii Payr. (C). 85. Fissarella gibberala Lmk., var. elongata Montrs. (C). 86. » graeca L. sp. (C). 87. Astraliam [Bolma] rngosam L. sp. (C). 88. Phasianella speciosa Miihlf. sp. (C). 89. Calliostoma Laagieri Payr. sp. (C). 90. » violaceas Bisso sp. (C, D). 91. » tricolor Bisso sp. (C). 92. » exigaas Pultn. sp. (C). 93. » exasperatas Penn. sp. (C). 256 — 94. Callìosioma elenchoides (Montrs.) Issel 1 (C). 95. » suturalis Ph. sp. (Tav. Ili, f. 4) (D). Questa specie vivente attualmente in vari punti del Mediterraneo e nel Golfo di Guascogna trovasi indicata dal Philippi nel Postplio- cene di Sciacca e dal Seguenza nel Pliocene superiore di Messina, Valle dell’Amato, Siderno e Monasterace, sempre però come assai rara. Io ne possiedo un solo esemplare, colla bocca spezzata, ma assai ben conservato per il resto e ben rispondente in tutto alla diagnosi del Philippi stesso. 96. Calliostoma igneus (Montrs.) Sturany (C). Mantengo collo Sturany 2 questa forma al grado di specie senza per altro nascondermi le grandi affinità fra essa ed il C. exasperatus Penn. sp. del quale non dovrebbe forse considerarsi che come una varietà. Il C. exasperatus Penn. sp. differisce da questa forma principal- mente per la presenza del cordoncino suturale che sostituisce la quinta stria tubercolosa e per avere molto meno sviluppati i tubercoli delle altre quattro strie spirali. 97. Gibbuta magus L. sp. (D). 98. » fanulum Gml. sp, (0). 99. » Adansonì Payr. sp. (C). 100. » Di-Stefanoi n. sp. f (Tav. Ili, f. 5-7) (C). Conchiglia solida, a forma di cono depresso; anfratti pochissimo convessi e rapidamente crescenti sotto un angolo convesso. L’ultimo giro occupa i due terzi della conchiglia ed è ottusamente carenato. Su- tura leggermente canaliculata. Ombelico di discreta grandezza, infun- : 1 Crociera del « Violante » durante Vanno 1876 (Ann. d. Mus. civ. d. Se. nat. d. Genova, Voi. XI, 1877-1878, p. 486, f. 6). * R. Sturany, Prosobranchier und Opisthobranchier , Scaphopoden, Lamelli • branchie r gesammelt von S. M. Schiff « Pola » 1890-1894 , p. 28, T&v. II, f. 45 (Denkschr. d. k. Ak. d. Wissenscli., B. XXXVI). Wien, 1896. — 257 dibuliforme e circoscritto da uno spigolo ben netto, che negli individui adulti è leggermente crenulato. Bocca subquadrangolare, columella semplice ed obliqua ; labbro interno applicato, labbro esterno tagliente. Tutta la superficie della conchiglia è coperta da numerose strie spi- rali subeguali, fine ma nette, le quali s’incrociano colle linee d’accre- scimento, numerose, oblique, sottili. Queste ultime coprono pure tutta la superficie dell’ombelico. I miei esemplari hanno in gran parte conservato la colorazione primitiva, la quale consiste in una tinta violaceo-rosea pressoché uni- forme, appena più sbiadita sui filetti spirali, con un cingolo di fiam- mule bianche sulla carena dell’ultimo giro e sulla sutura inferiore d’ogni giro, separate da altre che presentano in modo più intenso la colorazione generale della conchiglia. Le flammule sulla sutura infe- riore dei giri vanno gradatamente ingrandendo col crescere della spira. Aree bianche si trovano pure radialmente disposte attorno al- l’ombelico. Le strie basali più evidenti presentano sovente per tutta la loro lunghezza una regolare successione di tratti bianchi e colorati. Questa specie è ben differenziata dalla G. obliquata G-ml. sp. per la spira schiacciata, la base più depressa, l’ultimo giro più angoloso, la bocca più obliqua, ma sopratutto per l’ombelico che è sempre molto più grande e limitato da uno spigolo ben netto, che lascia vedere tutti i giri e tende ad allargarsi, mentre nella G. obliquata è stretto, non lascia osservare i giri e tende invece a chiudersi. Questa specie presenta anche qualche rassomiglianza con la G. um- bilicaris L. sp. la quale però, oltre alla diversa colorazione e ad altre differenze di minor conto, ha la spira acuminata e non convessa, i giri più appianati, la sutura ben canaliculata, i filetti spirali meno forti e non tutti egualmente pronunziati. 101. Clanculus corallimis Grml. sp. (C). 102. Monoclonta ( Trocìiococìilea ) turbinata Born. sp. (D). 103. Xenopìiora * Trìnacrìa Fischer f (Ca, D). 101. Caljjptraea chinensis L. sp. (C, D). 17 258 — 105. Crepidala unguiformis Link. (C). 106. Natica (. Nacca ) millepunctata Lmk. (C, Ca, D). 107. » ( Naticina ) pulchella Risso = N. intermedia Ph. nec Desk. (Cj. 108. » » fnsca Blainv. (C, Ca, D). 109. » » macilenta Ph. (C). 110. » ( Neverita :) Josephinia Risso (C). 111. Rissoia ventricosa Desm. (C). 112. » lilacina Recluz * (C). 113. » ( Turbella ) puella Montrs. f, (Tay. Ili, f. 8) (C). I miei esemplari presentano i seguenti caratteri : Conchiglia piccola, ovato-conoidea, spira conica discretamente acuminata, composta di 5 o 6 giri convessi. Giri embrionali lisci, gli altri provvisti di numerose costole assiali leggerissimamente inflesse, arrotondate, un po’ meno larghe degli intervalli che le separano, me- diocremente elevate e che sull’ultimo giro svaniscono verso la base. Negli spazi intercostali sono visibili, specialmente nella porzione me- diana dell’ultimo giro, molte fine strie spirali, bene impresse e ser- rate fra di loro. L’ultimo giro è molto grande ed a base convessa. Suture profonde. Apertura intera, ovale, più ristretta alla parte poste- riore. Sulla columella e sul lato interno è applicato l’orlo del peri- stoma ; il labbro è ispessito. Essi corrispondono alla R. puella creata dal Marchese di Monte - rosato su esemplari fossili di S. Flavia 1, specie che presenta affinità assai strette colla tipica R. pulchella Ph. fossile di Militello e dalla quale si differenzierebbe essenzialmente, secondo il Monterosato, per la presenza delle numerose strie spirali. Il Philippi 2 infatti non parla di tali strie, nè queste si vedono sulla figura. 1 Di Monterosato, Molluschi fossili quaternarii di S. Flavia (Hat. Sic., Anno X, n. 5, pag. 103). Palermo, 1891. 2 R. Philippi, Enumeratio Molluscorum Siciliae (Yol. I, p. 155, Tav. X, f. 12). Berlin, 1836. — 259 Devo dire però che sopra un esemplare fossile proveniente da Militello, comunicatomi gentilmente dal Marchese di Monterosato, potei riscontrare delle sottili strie spirali nella base. La differenza dunque fra la tipica R. pulchella Ph. e la R. puella Montrs. starebbe nella mancanza di strie sulla parte mediana dell’ultimo giro della R. pulchella , se pure gli esemplari tipici del Philippi erano ben con- servati. Se convenga o no tenere divisa la R. puella dalla tipica R. pulchella è una questione che dovrà ancora essere discussa sul- l’osservazione di molto materiale di Militello. 114. Rìssoia (Turò ella) inconspicua Aid. (C). 115. » (Alvania) cimex L. sp. (C). 116. » » Brocchìì Weink. =. A. Geryonìa Brus. (C). 117. Odostomia conoidea Br. sp. (C). 118. » clathrata Jeffr. (C). 119. Scalarla Sormanii n. sp. f (Tav. Ili, f. 9) (C). Ecco la diagnosi di questa nuova specie : Conchiglia di piccole dimensioni, solida, turriculata, a spira acuta. Giri convessi, ornati di costole trasversali forti, elevate special- mente alla loro parte posteriore, leggermente arcuate e cosi disposte sui diversi giri da formare delle serie oblique, regolari. L’ultimo giro occupa un terzo circa della lunghezza totale della conchiglia e pre- senta 9 costole. Tanto le costole quanto gli intervalli che le sepa- rano sono lisci ; le strie d’accrescimento, finissime, non sono visibili che con un forte ingrandimento e sulle costole soltanto. Sutura così profonda che gli anfratti sembrano staccati e riuniti soltanto me- diante le costole. Apertura ovale a peristoma continuo, leggermente angoloso alla sommità ed alla base. Columella lievemente arcuata. Gli esemplari studiati non superano i 7 millimetri di altezza e mo- strano 8 giri. Somiglia alla Se. communis Link., ma ne diversifica perchè la con- chiglia è più acuminata, ad accrescimento spirale più rapido ed ornata da costole meno taglienti e relativamente più sviluppate. Dalla 260 — Se. subtrevelyana Prugnone differisce perchè più accorciata, meno regolarmente conica, e per le costole più taglienti ed in minor nu- mero. In confronto alla S. Gregorioi De Bourry, oltre ad essere meno regolarmente conica, più rigonfia nell’ultimo giro, ed a spira più acuminata, ha un numero minore di costole, le quali sono inoltre più fine e più taglienti. La forma meno turricolata e più larga al- l’ultimo giro, e le costole fine ma meno taglienti, più numerose ed in serie molto più oblique la differenziano dalla S. commutata Montrs. 120. Turritella communis Bisso et var. pseudocarinata Sacc. (C, Ca). 121. » tricarinata Br. sp. f et v. pliorecens (Montrs.) Scalia 1 2 3 (Tav. Ili, f. 10-12) (C, Ca). La var. pliorecens fu fondata dal Monterosato su esemplari del Post-pliocene del bacino di Palermo. Essa pare attualmente estinta e sostituita nel Mediterraneo dalla T. communis Bisso, nell’Atlantico dalla T. britannica Montrs. (= T. cornea , T. ungulina , T. terebra) degli autori inglesi). In confronto alla T. tricarinata Br. la conchiglia è più robusta e più grande, ha l’accrescimento più lento e sopratutto le strie spirali secondarie molto più sviluppate. La presenza dei tre cingoli principali, costantemente ben sviluppati, la differenziano dalla T. communis e dalla T. britannica. 122. Turritella deviata Brugn. (Tav. Ili, f. 13-11) et v. abystronica n. v. (Tav. Ili, f. 15 e 16) (C, Ca). La T. breviata Brugn. 2 ’ = T. mediterranea Montrs. 3 assai co- mune nel Postpliocene della Sicilia e tuttora vivente nel Mediterraneo, 1 S. Se a lia, Revisione della fauna post-pliocenica dell’ argilla di Nisseti presso Acicastello (Atti d. Acc. Grioenia d. Se. nat. in Catania, 1900, Voi. XIII, S. 4a, p. 20). 2 Gr. Brugnone, Le Conchiglie plioceniche delle Vicinanze di Caltanissetta (Bull. Soc. malac. it., 1880, Voi. VI, pag. 122). 3 S. Scalia, 1. c., pag. 21. è stata fin qui quasi sempre confusa dagli autori o colla T. triplicata Br. sp. o colla T. incrassata Sow. le quali forse non formano che una sola specie. Essa costituisce per altro una specie ben caratterizzata e facil- mente distinguibile da queste due per le più piccole dimensioni, il minore spessore della conchiglia, la spira più appuntita, V accrescimento meno rapido, i giri più appianati e separati da suture meno profonde, i cin- goli molto più sottili, specialmente l’inferiore che spesso quasi si con- fonde con le finissime strie spirali. L’ultimo giro inoltre è più ango- loso e più escavato alla base, la quale è coperta da fine strie e non da veri solchi, come nella T. triplicata. Gli esemplari della T. breviata viventi hanno la conchiglia più sottile che quelli fossili. Degl’individui studiati, una parte corrisponde bene al tipo della T. breviata Brugn. ; un’ altra non presenta esattamente la forma tipica. La conchiglia è assai più gracile, slanciata ed acuminata, i giri sono più appiattiti ed assai più lentamente crescenti ; i cingoli spirali assai più attenuati, sopratutto l’inferiore, che specialmente negli ultimi anfratti si confonde quasi sempre colle fine strie spirali. La base è più escavata. L’aspetto così a prima vista differisce notevolmente dalla T. breviata ; però vi è legata da tanti passaggi che non credo di dovernela separare. Essendo la T breviata una specie poco conosciuta ne figuro qui (Tav. Ili) due esemplari, l’uno fossile del M. Pellegrino, l’altro vivente del Golfo di Palermo ; figuro inoltre due esemplari della nuova varietà che chiamo abystronica. 123. Vermetus subcancellatus Biv. (C). 124. Pijramidella ( A ctaeopijram is) Humboldti Bisso sp. (C). 125. » » aprustica n. sp. f (Tav. Ili, f. 17) (C). Creo questa forma per due esemplari, i quali hanno entrambi spezzata disgraziatamente l’estremità della spira, ma mostrano ben evidenti i seguenti caratteri: Conchiglia solida, allungata, subcilin- drica; anfratti regolarmente crescenti, pianeggianti, intieramente co- — 262 — perti da forti strie spirali, che, incontrandosi colle linee d’accresci- mento, ben impresse, e con qualche rudimento di costola, danno alla superfìcie un aspetto subreticolato. Suture profonde. Apertura ovale, arrotondata in avanti, acuta posteriormente. Labbro semplice, arro- tondato. Columella arcuata, munita inferiormente di una piega ben evidente. Si tratta adunque di una Pyramidella del sottogenere Actaeopyramis, che presenta grandi analogie con la A. striata Gray ( Monoptygma ) e coll’ A. striata Br. {Turbo). Da queste due specie si distingue princi- palmente per la forma più allungata e subcilindrica e per l’apertura più stretta. "Resta però a vedersi se realmente la specie del Brocchi sia una Actaeopyramis poiché nella diagnosi l’autore non parla di piega columellare, nè questa si scorge sulla figura. 1 2 126. Tnrbonilla strìatula L. sp. (C). 127. » pusilla Ph. sp. (C). 128. Eulimella acicula Ph. sp. (C). 129. Triforìs perversa L. sp. (C). 130. Cerithìum vulgatum Brug. sp. (0, Ca). 131. » intermedium Beq. 2 (C). Grazie alla gentilezza del March, di Monterosato ho potuto con- frontare i miei esemplari con altri viventi di Augusta. Essi differiscono dalla forma tipica per avere leggermente più obesa e più pupoide la conchiglia e più sviluppati i tubercoli suturali. Il Locard riunisce il C. intermedium Beq. al suo C. subvulgatum 3 di cui prende per tipo il C. vulgatum var. spinosa Blain. ed invero 1 Gk Brocchi, Concliiologia fossile subappennina. Milano, 1814; pag. 383, Tav. YI, f. 7. 2 E. Bequien, Catalogue des Coquilles de Vile de Corse. Avignon, 1848; pag. 71. 3 A. Locard, Prodrome de Malacologie fran^aise (Ann. de la Soc. d’Agr., Hist. nat., etc., de Lyon., T. Vili, 1885, pag. 185). — Les Cerithinm et les Ceri- thidae des Mers d' Europe (Ibidem, 1902; pag. 5 dell’estr.). — 263 — queste forme sono molto prossime, però gli esemplari viventi del C. intermedium che ho potuto osservare hanno i giri meno convessi, meno carenati e meno escavati alla parte inferiore che non quelli della v. spinosa Blain. (non Ph ). Inoltre i tubercoli mediani di ogni giro non sono così spinosi. Tale specie, e qualcuna delle seguenti sono state ed in parte potranno ancora essere considerate dagli autori come varietà secondo i vari criteri personali; io ritengo, però, che hanno un buon numero di caratteri differenziali, per i quali possono essere separate specifi- camente. Ciò porta un maggior ordine nella loro distinzione essendo le loro differenze in molti casi spiccatissime. 132. Cerithium tortuosum (Montrs.) Locard et Caziot 1 (Tav. IY, f. 1) (D). Questa specie, comune attualmente nel Mediterraneo nella zona delle laminarie, non era stata fin qui rinvenuta fossile. Eccone la de- scrizione : Conchiglia relativamente grande, conica, allungata, a spira acu- minata. Crii anfratti in numero di 10 o 11, appena convessi nella loro parte anteriore e depressi in quella posteriore, sono ornati da strie spi- rali, più o meno forti e da pieghe assiali, che portano ognuna alla loro parte mediana un tubercolo arrotondato, e da un cingolo nodu- loso sopra la sutura. Le pieghe assiali sono generalmente poco visi- bili nell’ultimo giro, dove vanno gradatamente obliterandosi sino a ridursi talvolta ad una serie moniliforme, situata nella metà inferiore del giro. La base presenta da 3 a 5 cordoni spirali, finamente tuberco- lati. L’ultimo giro, uguale al terzo dell’altezza totale della conchiglia, è ben appiattito dalla parte dell’apertura e presenta dal lato opposto al labbro una grossa varice ; non poche altre varici si incontrano sulla spira. Sutura tortuosa. Apertura ampia, ovale, fornita di doccia alla parte posteriore; labbro dilatato e subvaricoso. Columella arcuata. 1 A. Locard et E. Caziot, Les Coquilles marines des Còtes de Corse . Paris, 1930 ; pag. 105. — A. Locard, Les Cerithium etc 1902; pag. 5. — 264 — labbro columellare applicato per tutta la sua lunghezza, talvolta al- quanto ispessito e provvisto alla sua estremità di una callosità den- tiforme più o meno forte, che limita la doccia suturale. Canale aperto, largo, corto e leggermente incurvato. Questa conchiglia ha una colorazione fulva, facile ad osservarsi anche sugli esemplari fossili. Le varici presentano delle flammule trasversali biancastre e quasi affatto bianche sono le parti più spor- genti della scoltura. Questa specie differisce dal C. vulgatum Brug. principalmente per la forma meno pupoide, più strettamente allungata e più acuta, per la grossezza ed il numero delle varici, per le costole meno acute e meno spinose, per i giri meno convessi e per la sutura tortuosa. Si differenzia dal C. alucastrum perchè la conchiglia non raggiunge così grandi dimensioni, non è così strettamente allungata e regolar- mente conica, ha un accrescimento più irregolare, i giri più alti, molto meno convessi, meno carenati, l’ultimo più ventricoso, la sutura tor- tuosa ed infine le costole meno acute e meno spinose. 133. Cerithium alucastrum Br. sp. (C). 134. » protractum Bivona f. 1 (Tav. IY, fig. 2 e 3) (C) = C. vulgatum v. gracilis Ph. (non C. gracile Link, nec Socv.). = .C. vulgatum v. angustissima Weinkf. non Porbes. — C. stenodeum Loc. Questa forma venne spesso ritenuta come una varietà del Ceri - thium vulgatum Brug. ed è assai poco nota sotto il suo vero nome, forse perchè il lavoro del Bivona è diventato eccessivamente raro. Eccone la descrizione tratta non solo dallo studio dei miei esemplari fossili, ma anche da quello d’individui viventi gentilmente comuni- catimi dal March, di Monterosato. 1 A. Bivona, Generi e Specie di Molluschi descritti dal barone Antonino Bi- vona- Bernardi. Lavori postumi pubblicati dal figlio Andrea con note ed ag- giunte. Palermo, 1838 ; p. 15. Conchiglia di mediocri dimensioni, molto allungata, cilindro-conica, ad apice acuminato, talvolta leggermente pupoide per avere l’ultimo giro coartato alla sua parte inferiore, formata da 14 a 15 anfratti legge- rissimamente convessi, ornati da sottili strie spirali ben impresse, da 8 a 9 pieghe assiali, leggermente oblique, le quali presentano un grosso tubercolo alla loro parte mediana e da un cingolo noduloso più piccolo sopra la sutura. I tubercoli delle pieghe sono aguzzi e pendenti verso l’apice, ma sugli ultimi giri vanno man mano smussandosi. Il cin- golo noduloso nei primi giri si confonde con la parte inferiore della piega assiale. L’ultimo giro, molto più piccolo del terzo dell’altezza totale della conchiglia, è leggermente carenato per effetto dei tuber- coli mediani. Sulla sua parte superiore ci sono tre condoncini spirali più o meno finamente tubercolati. La conchiglia è qua e là varicosa. Non si contano più di 4 o 5 varici in tutto; l’ultimo giro ne ha sempre una. Sutura ondulata, apertura obliqua, ovale, con una piccola doccia alla parte inferiore ; labbro variciforme e columella arcuata, lato columellare applicato per tutta la sua lunghezza e provvisto di una callosità dentiforme che limita la doccia suturale. Canale aperto, largo, corto e leggermente curvo. Questa specie presenta non poche affinità col C. alucastrum Br. sp., ma la forma cilindro-conica della conchiglia, le sue dimensioni generalmente assai minori, la diversità della scoltura bastano a sepa- ramela nettamente. 135. Cerithium haustellum Montrs. ms. (Tav. IY, fig. 4 e 5) (C). Con questo nome, tuttora inedito, il Marchese di Monterosato notò nella sua collezione un certo numero di esemplari di Cerithium stret- tamente legati al C. protractum Biv. f., ma non tanto da poterglisi riunire. Se ne differenziano principalmente per i giri più convessi e più fortemente carenati nel mezzo e più escavati fra la carena ed il cingolo tubercoloso suturale ; per il maggior numero di pieghe assiali, per avere più aguzzi e sporgenti i tubercoli delle pieghe e più forti, infine, i cordoncini basali. — 266 - Confrontata col C. alucastrum Br. sp , al qual© è certamente af- fine, questa specie si mostra più gracile, più acuta, più cilindrica e meno piramidata, a giri meno convessi ed a costole più oblique. Nella collezione del Marchese di Monterosato la specie descritta è rappresentata anche da esemplari fossili provenienti dalle falde del Monte Pellegrino e da Taranto. Il C. haustellum vive attualmente nell’Adriatico. 136. Cerithium Dì-Blasii Montrs. *f* (Tav. IY, fig. 6 e 7) v. scabra n. v. (Tav. IY, fig. 8) (C). I Sotto questo nome si trovano nel Museo geologico della E,. Uni- versità di Palermo, nelle collezioni del Marchese di Monterosato ed in quelle del R. Ufficio geologico in Roma un certo numero di esem- plari provenienti dalle falde del Monte Pellegrino. L’esistenza di que- sto Cerithium in detta località venne già annunziata dal Monterosato *, ma non ne venne finora data la descrizione. I suoi caratteri sono i seguenti: Conchiglia di discrete dimensioni, allungata, gracile, cilindro co- nica, acuminata, composta di giri numerosi, quasi piani, poco varicosa. Ultimo giro molto minore del terzo della lunghezza totale. I giri sono coperti da numerose strie spirali ed ornati da pieghe assiali, un po’ obliquate, numerose, larghe, ma non molto elevate, lievemente ed ottusamente tubercolose nel mezzo e talvolta varicose. Cordone sutu- rale poco distinto e confusamente tubercolato. Sulla base stanno molti sottili cordoni finamente tubercolosi. Columella arcuata ; labbro colu- mellare applicato e leggermente calloso, alla sua estremità presso la doccia suturale. Questa specie è vicina al C. protractum Biv. fi, ma se ne distingue 1 Di Monterosato, Conchiglie delle Profondità del Mare di Palermo (Na- turalista Siciliano, Palermo, 1890; p. 18). — Reiasione fra i Molluschi del Qua - ternario di Monte Pellegrino e di Ficarassi e le Specie viventi (estr. dal Bull, d. Soc. d. Se. nat. ed econom. d. Palermo, 1891; p. 4). — 267 - per la forma più allungata e più cilindrica, per i giri più appianati e più alti, per le pieghe assiali, le quali sono più numerose, molto ottusamente tubercolate o anche prive di tubercoli, per il numero maggiore dei cingoli finamente tubercolosi dell’ultimo giro. Essa è anche vicina al C. haustellum , il quale è però più pupoide, ha i giri più bassi e più convessi, la forma meno allungata, le pieghe acuta- mente tubercolate ed un minor numero di cingoli tubercolosi sulla base dell’ultimo giro. Riferisco a questa specie un solo esemplare, il quale però pre- senta qualche differenza in confronto a quelli di Monte Pellegrino, avendo le dimensioni alquanto maggiori, la forma un po’ più obesa e i tubercoli mediani un po’ più appariscenti. Queste differenze per altro potrebbero, a mio parere, individuare al massimo una varietà scabra. Siccome il C. Di-Blasii tipico non è stato mai figurato, ne rap- presento qui due esemplari dei tufi calcarei delle falde di Monte Pel- legrino presso Palermo il che servirà anche pel paragone con l’indi- viduo di C astro villari. 137. Cerithium crenatnm Br. sp. f (C). 138. » lividulum Risso (C). 139. Cerithium f ( Cerithidium ) pusillum Jeffr. sp. (C). 110. Bittium jadertinum Brus. sp. (C). 141. » reticulatum Da Costa sp. (C). 142. » paliidosum B. D. D. (C). 143. Cerithiopsis acicula Brus. (C). 144. Chenopus pes-pelecani L. et. v. alterutra Montrs. 1 (Tav. IV, fi- gure 9 e 10). La var. alterutra venne fondata dal Monterosato su individui fossili del Monte Pellegrino. Si distingue facilmente per avere in confronto della specie tipica le digitazioni brevi e poco acute ma 1 Di Monterosato, Conchiglie delle Profondità del Mare di Palermo (Il Nat. Sic., IX). Palermo, 1890; p. 162. — 268 — ben distinte fin dalla base, il labbro molto incrassato e più o meno folioso. La conchiglia è generalmente di dimensioni medie e di forma poco svelta. Il Marchese di Monterosato mi ha gentilmente comunicato alcuni esemplari di Prevesa, i quali sembrano intermedii fra questa forma e la var. Conemenosi Montrs. del Golfo di Palermo. Nella stessa occa- sione egli mi comunicò pure che, contrariamente a quanto egli aveva altre volte annunziato 1, la forma fossile affine del Pliocene di Alta- villa sembra diversa dalla v. Conemenosi. 145. Chenopns Macandrewi Jeffr. (Ca). 146. Cgpraea pgrum Gml. (C). 147. » achatidea Gray (D). 148. » {Trivio) europaea Montg. (C). 149. Cassis sulcosa Brug. (D). 150. Morio ( Galeodea ) echinophora L. sp. (0, Ca, D). 151. Triton corrugatimi Lmk. (C). 152. » [Argobuccinom) giganteum Lmk. sp. (D). 153. Colombella (Mitrella) scripta L. sp. (C). 154. Pisania plicata Br. (Ca). 155. Nassa Edwardsi Fischer (Ca, D). 156. » gigantula Bon. sp. f (Ca, D)., 157. » italica Mayer sp. (D). 158. » costolata Ben. sp. non Br. sp. (C). 159. » mosivom Br. sp. f (C). 160. » asperola Br. sp. (C). 161. » pggmaea Lmk. sp. (C). 162. » limata Chemnitz sp. (C, Ca, D). 163 » (Zeojcis) reticolata L. sp. (C). 164. » » incrassata Stròm. sp. (C). 165. Mar g inetta clandestina Br. sp. (C). 166. Mitra lotescens Lmk. (C). 1 Di Monterosato, 1. c. — 269 — 167. Murex ( Bolìnus ) brandaris L. (C, D). 168. » (Muricopsis) cristatus Br. (C). 169. » (Muricanthà) trunculus L. (C; Ca). 170. Coralliopliila lamellosa Jan sp. (Ca). 171. Ocinebra acìcalata Lmk. sp. = Murex corallìnus Se. (C). 172. Pagodula carinata Biy. sp. = Murex vaginatus Cristf. et Jan (Ca). 173. Fiisus rostratus Olivi sp. v. latìroides (Di Blasi) Montrs. (Tav. Ili, fig. 18) (C). F orma intermedia fra la var. raricostata Del Prete e la var. stri- gosa (= F.strigosus Lmk.), a suture profonde ed anfratti convessi; ca- nale più lungo che nella raricostata , più breve che nella strigo sa. 174. 175. 176. 177. 178. 179. 180. 181. 182. 183. 184. 185. 186. 187. 188. 189. 190. 191. Fusus pulchellus Pii. (C). Eutliria cornea L. sp. (C). Cancellarla coronata Se. (D). » cancellata L. sp. (D). Mangilìa costata Donov. sp. * (C). » ( Clathurella ) retìculata de Crist. et Jan (C). » » ìnflata Mich. (C). » » Philberti Mich. (C). » » concinna Se. sp. (C). » » contigua Montrs. (C). Bela (Haeclropleura) secalina Ph. sp. (Ca). Drillia (Crcissispira) Maravignae Biv. sp. (C). Daphnella ( Bellardiella ) gracilis Montg. sp. (C). » (Raphitomà) Columnae Se. sp. f (D). Volvula acuminata Brug. sp. (C). Cglichna strigella Lov. (C). Utriculus minutissimus (Martin) Montrs. 1 (C). Ringicula sp. (C). 1 Di Monterosato, Note sur quelques Coqnilles draguées dans les Eaux de Paierme (Journal d. Conchyl., 1878, p. 159). Due soli esemplari molto affini alla R. conformis Montrs. ma striati spiralmente come quelli osservati a Ficarazzi dal Brugnone 1 e quindi inter medii fra detta specie e la R. auriculata Ménard sp. Roma, luglio 1903. 1 G. Brugnone, Osservazioni critiche sul Catalogo delle Conchiglie fossili di M. Pellegrino e Ficarazzi del Marchese di Monterosato (Bull. d. Soc. malac., Voi. III). Pisa, 1878; p. 37. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. Tavola III. Figura 1. » 2 e » 4. » 5-7. 8. » 9. * 10. » IL » 12. » 13. » 14. » 15 e 16. » 17. 18. Pectunculus glgcgmeris L. sp. v. (Castrovillari). 3. Cardium obliquatum Aradas non Micht. (Castrovillari). Calliostoma suturalis Ph. sp. (S. Demetrio Corone). Gibbula Di-Stefanoi Crema (Castrovillari). Bissoia ( Turbella ) puella Montrs. (Castrovillari). Scalaria Sormanii Crema (Castrovillari). Turritella Incannata v.pliorecens (Montrs.) Scalia (Castrovillari). » » » » (Archi). » » » » (Ficarazzi). » breviata Brugnone (M. Pellegrino). » » » (vivente del Golfo di Palermo). » » v. abys ironica Crema (Castrovillari). Pgramidella (Actaeopgramis) aprustica Crema (Castrovillari). Fusus rostratus Olivi sp. v. latiroides (Di Blasi) Montrs. (M. Pellegrino). Tavola IV. Figura 1. 0. Cerithium tortnosum (Montrs.) Loc. et Caz. (vivente del Golfo di Palermo). Cerithium protractum Bivona Andr. (Castrovillari). » » » (vivente di Marsiglia). » haiistellum Montrs. ms. (Castrovillari). » » » (vivente dell’ Ad viatico). Boll, del R. Comit. Geol. d’Italia Anno 1903. Tav. Ili ( C. Crema ) COZZOLI NO DISt ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO MILANO Boll, del R. Comit. Geol. d’Italia Anno 1903. Tav. IV ( C. Crema ) cozzolino ots. ELIOT. CALZOLARf Se FERRARI0 MILANO — 271 — Figura 6 e 7. Cerithium Di-Blasii Montrs. (M. Pellegrino). » 8. » « y. scabra Crema (Castrovillari). » 9. Chenopus pes-pelecani Li. sp. y. alterati' a Montrs. (Castrovillari). » 10. » » » » » (S. Demetrio Corone). Degli esemplari figurati quelli fossili appartengono alle Collezioni del R. Ufficio geologico in Roma, quelli viventi, alla privata raccolta del Marchese di Monterosato a Palermo. Le figure sono tutte in grandezza naturale, salvo indicazione contraria. III. Riunione annuale della Società geologica italiana a Siena . La riunione generale della nostra Società geologica ebbe luogo il set- tembre di quest’anno nella città di Siena. Per le regioni da visitarsi in questa occasione il presidente Verri pubblicò una compendiosa Guida geologica, corredata di’ carte tratte dai rilievi inediti comunicatigli dal R. Ufficio geologico. Le escursioni vennero dirette dallo stesso presidente e dall’ing. Lotti; di esse diremo qui brevemente. * ^ * Il giorno 11 fu dedicato ad un’escursione nella parte meridionale della Montagnola la quale, come è noto, può considerarsi come un grande frammento di terreni secondari e paleozoici troncato ad Ovest, declive verso Vord e verso Est. Da Siena i congressisti si recarono in vettura fino a Rosìa e di là risali- rono a piedi la piccola valle omonima. Si poterono così osservare gli scisti permiani, base dell’intera serie locale e le soprastanti formazioni secondarie, tutte triasiche secondo il Lotti, in parte retiche e in parte triasiche secondo altri. Fra queste» merita speciale menzione la formazione marmifera costituita da calcari cristallini, calcescisti, calcari compatti o subcristallini con selce, scisti argillosi, scisti silicei, la quale fornisce il rinomato marmo giallo di Siena e si — 272 — estende da Montarrenti fino a Gallena. I congressisti visitarono la cava di Montarrenti che è quella di maggior importanza, appartenente al R. Conser- j vatorio femminile di Siena. Prevale in essa il calcare cristallino bianco (perla j chiaro ), ma molte altre varietà alternano con esso e sfumano l’una nell’altra. Il marmo più pregiato è il brecciato giallo con vene di ematite ( broccatello ); esso trovasi associato al giallo uniforme {giallo unito) che passa talvolta al roseo ! e ad una breccia di marmo giallo e bianco [giallo chiaro). Detti marmi, rinomati anche all’estero, danno luogo ad una attiva esportazione; attualmente è in 1 istudio rimpianto di una segheria. Visitata la cava di Montarrenti i congressisti si recarono alla miniera delle j Cetine di Cotorniano nel territorio del vicino comune di Chiusdino ed appar- i tenente alla « Società anonima delle miniere e fonderie di antimonio ». Il già- I cimento è costituito da un potente ammasso lenticolare quarzoso- antimonifero, racchiuso fra una formazione calcarea del Retico (che appare aver sostituito j in parte) ed una di scisti permiani. Il minerale è in prevalenza stibina puris- j sima, a struttura eminentemente cristallina, si trova sparso nel quarzo nerastro in forma di geodi, noduli, piccole lenti ; forma anche vene ed incrostazioni nelle . spaccature della roccia calcarea ed allora spesso è ossidato. La chermesite ac- compagna la stibina in tenuissimi rivestimenti, specialmente, in prossimità delle j spaccature, rivestendo le geodi di cristalli di calcite e di gesso che vi abbondano* i Accompagna pure Tantimonio lo zolfo in arnioni e rivestimenti. La mineraliz- zazione è avvenuta principalmente secondo una serie di spaccature con dire- zione media O.hTO e con una pendenza di 70° a JN"ord. Il minerale viene diviso in tre classi: quarzitico con più del 70 per cento di quarzo, calcitico con meno del 30 per cento di quarzo e terroso, formato dalla mescolanza di ciò che rimane. La prima va ai forni di ossidazione, i quali permettono di trattare anche minerale all’8 per cento ; se ne ottiene l’ossido bianco SbaOs quasi puro, che vien messo in commercio e l’ossido Sb204 che è trattato per metallo alla fonderia d’antimonio di Livorno. La seconda va ai forni a vento i quali producono l’ossisolfuro che costituisce la base della ma- teria colorante detta stibium , di cui la Società ha da poco iniziata la fabbri- cazione a Livorno. La produzione del minerale è di 500 a 600 tonnellate mensili, con tenore medio del 10 per cento. Lo speciale trattamento mediante conver- titori e forni a vento per ricavare dal minerale materie atte all’industria dei colori permetterà, si spera, di riparare alla durezza eccessiva della matrice ed all’irregolarità con cui il minerale è in questa distribuito, circostanze queste che hanno reso finora difficile la regolare ed economica coltivazione di questo giacimento. — 273 — * * * Il mattino del giorno 12 una parte dei congressisti, accompagnati dall’in- gegnere Lotti, si recò a visitare le formazioni mio-plioceniche a Monte Arioso. Yi si potè constatare la serie seguente solo parzialmente nota prima della vi- sita : conglomerato miocenico con elementi a spigoli poco smussati, formatosi a spese del Retico immediatamente sottostante ; argille cenerognole a Dreis- s etisia ; Pliocene marino. Il resto dei congressisti visitò il Museo della R. Accademia dei Pisiocritici, dove venne distribuito ai visitatori un bel Catalogo delle più importanti colle- zioni mineralogiche, geologiche e paleontologiche della provincia, pubblicato per la circostanza. * * * Il 13 i congressisti lasciarono Siena recandosi per ferrovia alla stazione di Monte Amiata e di là in vettura a Castel del Piano, dove visitarono la cava di farina fossile appartenente alla « Société du Kieselguhr toscan » {Hammeler, Tournier et C.). Si tratta di un bacino poco esteso, scavato nella trachite o nel quale, sotto il terreno vegetale di trasporto, la farina fossile si presenta in strati orizzontali nel mezzo, assecondanti la forma del bacino alla periferia con una potenza complessiva di circa m. 4. 50. Superiormente è af- fatto bianca e più grossolana indi, discendendo, più scura e quasi impalpabile. Pra il fondo trachitico e la farina scura si trova qua e là uno straterello. di silice gelatinosa che all’aria indurisce rapidamente. La farina fossile dopo escavata viene sottoposta ad una essiccazione naturale sotto lunghe tettoie a ri- piani, quindi macinata, compressa in sacchi e messa in commercio. Essa trova impiego specialmente come materiale coibente. Notevole la grande leggerezza della farina di color bianco in confronto con gli analoghi prodotti stranieri. A Castel del Piano si visitò pure la cava di terre coloranti della località Mazzorella. * * * Il 14 i Congressisti si divisero in due ‘squadre : la prima col presidente Yerri si recò al Piano delle Macinaie per constatarvi la presenza di andesite au- gitica ; indi compiè l’escursione del Monte Amiata, dalla cui cima potè ammi- rare, malgrado Finclemenza del tempo, uno splendido panorama; l’altra col- l’ing. Lotti contornò le falde meridionali del monte ricongiungendosi poi alla prima ad Abbadia San Salvatore. 18 — 274 Ad Arcidosso si visitò, poco sotto al lanificio, la cava di terre coloranti del signor Torraca. Si tratta anche qui di un bacino di limitata superficie, dove quelle miscele di limonite ed argilla note volgarmente sotto il nome di terre di Siena (ipoxantite di Rowney) si depositarono in strati perfettamente oriz- zontali, talvolta frammisti a straterelli di lignite o masse di caolino e di limo- nite quasi pura. Esse presentano diverse gradazioni di tinte che passano dal giallo chiaro ( terre gialle ) al giallo cupo ( boli o terre d'ombra). Le terre gialle però sono prevalenti, e presso la cava vi è uno stabilimento per la loro pre- parazione meccanica ; esse vengono lavate, essiccate, calcinate, vagliate ed in- fine macinate in modo da ridurle in polvere impalpabile. L’esercizio di questa cava si fa solo in estate. I prodotti, consistenti in terra gialla e boli di la. 2a e 3a qualità vengono spediti a Livorno. TTna piccola parte soltanto della pro- duzione si esporta e si smercia grezza. A Bagnolo, presso Santa Fiora, i congressisti visitarono un’altra cava di farina fossile: inoltre lungo il tragitto poterono ben esaminare la trachite del Monte. Amiata nelle numerose cave di questa roccia, la quale viene impiegata come materiale da costruzione sotto l’impropria denominazione di peperino. All’ Abbadia San Salvatore si visitarono le miniere cinabrifere della « So- cietà anonima delle miniere di mercurio del Monte Amiata ». Qnesta coltiva- zione, iniziata in una formazione caotica costituita da detriti trachitici, da roccie eoceniche, cretacee e basiche impregnate di cinabro, ed originatasi pel riempi- mento di un bacino di sbarramento dovuto al franamento della massa trachi- tica, ha attualmente raggiunto il giacimento in posto situato, come prevedeva l’ing. Lotti, sotto alla trachite ed in alto rispetto alla massa caotica. Degna di nota nel piano della galleria 20 è l’esistenza di una sorgente acidulo-ferrugi- nosa a 30° che scaturisce nella massa metallifera da una linea di frattura, re- siduo delle fratture che permisero il passaggio degli agenti mineralizzatori. Il minerale escavato viene trattato sul posto mediante due forni Cermak- Spirek da 24 tonnellate al giorno, due da 2 tonnellate e sei a torre da 7,5 ton- * neilate. * :Jc :}: Lasciando l’ Abbadia San Salvatore il giorno 15 i congressisti si diressero a Pian Castagnaio, ove fecero una breve sosta per esaminarvi il Pliocene ma- rino, rappresentato da vari piccoli lembi di argille e sabbie cementate fossilifere. Questa formazione è assolutamente priva di elementi trachitici e sotto l’abitato sembra essere ricoperta dalla colata trachitica; essa permette quindi di stabilire con sicurezza l’età postpliocenica della trachite amiatina. — 275 Da Pian Castagnaio, ripassando per Santa Fiora, essi giunsero alla mi- niera del Siele della Ditta Rosselli. I congressisti visitarono dapprimn le putizze ed i lavori esterni alle Sol- forate, indi le gallerie e lo stabilimento del Siele. Questo giacimento è il più importante di quelli coltivati al Monte Amiata, se non per estensione, certo per ricchezza del minerale. Entro potenti banchi [banconi] di calcare alberese, intercalati a scisti galestrini ed attraversati da due sistemi di fenditure, trovasi dell’argilla scura, alquanto plastica ( biocca ) impregnata di cinabro, disposta sotto forma di colonne a sezione quasi circo- lare, variamente inclinate, scavate interamente nel calcare [trombe] oppure di- sposte nel calcare ma al .contatto coi galestri [fossonì]. Le soluzioni cinabrifere acide che hanno intaccato il calcare marnoso non si limitarono ad arricchire l’argilla prodottasi dalla decomposizione del calcare marnoso, ma si infiltrarono entro le esili vene del calcare e depositarono il cinabro unitamente alla calcite. Si hanno così due qualità di minerale : il cal- careo generalmente povero, l’argilloso più ricco. Per il trattamento del minerale vi sono: un forno Cermak-Spirek da 24 tonnellate ; uno da 12, uno da 2 e tre forni a torre Spirek da 4-6 tonnellate. Alle miniere del Siele ebbero termine le escursioni del Congresso la mat- tina del 16 settembre. La Direzione. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER l’anno 1902 1 (Continuasioney vedi n. 1) Fischer T. — La Penisola italiana. Saggio di corografia scientifica. Prima traduzione italiana sopra un testo interamente rifuso ed ampliato dall’autore, arricchita di note ed aggiunte a cura dell’ing. T. No- varese, dott. F. M. Pasanisi e prof. F. Rodizza (pag. 500 in-8° con 29 tavole). — Torino, 1902. Com’è indicato nel titolo l’opera è d'indole essenzialmente geografica, ma pel concetto che l’autore ha della corografia scientifica, nella descrizione del paese è fatta larga parte alla geologia ; di fatti nei primi sette dei dieci capi- toli di cui consta l’intiero libro sono copiose le notizie geologiche, talune anche inedite e comunicate all’autore stesso, od ai traduttori; numerosi profili geolo- gici illustrano l’esposizione, e figurano fra le carte un’abbozzo di Carta geolo- gica generale dell’Italia, una Carta geologica della pianura lombardo -piemontese dovuta all’ing. Stella, due carte sismiche, una dell’Italia (Baratta), l’altra della Liguria, tratta dall’opera dell’Issel (Il terremoto del 1887 in Liguria ), una carta schematica della distribuzione delle rocce eruttive recenti, dei vulcani e delle salse in Italia, ecc. ecc. Sono originali italiane e dovute esclusivamente ai collaboratori alcune parti del libro ; così le Alpi piemontesi , il Preappennino tirrenico , e la Rassegna delle miniere e cave italiane dovute all’ing. Novarese. Franchi S. — Ueber Feldspath-Uralitisirung der N atron-Thonerde-Pyroxene ans den eklogitischen Glimmerschiefern der Gebirge von Biella (Graiische Alpen). (Neues Jahrb. ftir Min., Oeol. und Pai., Jahrg. 1902, B. II, II H., pag. 112-126, con 3 tavole). — Stuttgart, 1902. L’autore descrive interessanti fenomeni di metamorfismo scoperti nei pi- rosseni sodici giadeitoidi che in questi ultimi anni si riconobbero essere costi- 1 Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 277 - tuenti talora importanti dei micascisti eclogitici (pirossenici e granatieri) svi- luppati in larghissima zona fra la valle dell’Orco e quella della Sesia. Il feno- meno è detto felspato-uralitiszasione. I pirosseni giadeitoidi sono in tutto od in parte trasformati in albite, attinoto, glaucofane, sericite, epidoto, zoisite, clorito. Le molecole giadeitiche le quali entrano nella costituzione del pirosseno, assu- mendo ciascuna due molecole di Si02 formano altrettante molecole di albite, la quale costituisce come il fondo in cui sono immersi, talora orientati e talaltra no, gli elementi risultanti dalla ordinaria uralitizzazione, cioè attinoto, epidoti, miche bianche, ecc. In taluni casi parte delle molecole giadeitiche del pirosseno entra nella costituzione di un antibolo sodico secondario, sicché invece di solo attinoto si ha attinoto e glaucofane od anche solo glaucofane. Lo sviluppo completo di tali processi metamorfici può trasformare i mica- scisti eclogitici in speciali gneiss albitìci ricchi in elementi ferro-magnesiaci se- condari, cioè in gneiss minuti prasinitici distinti dalle prasiniti pel loro tenore in • quarzo. In alcuni tipi di eclogiti a pirosseni giadeitoidi, analoghi processi meta- morfici possono dare come roccie secondarie roccie ricche in albite (prasiniti) o roccie ricche in glaucofane (anfiboliti sodiche) analogamente a quanto l’autore ha notato nella metamorfosi delle roccie diabasiche. Franchi S. — Contribuzione alio studio delle roccie a glaucofane e del metamorfismo onde ebbero origine nelle regione ligure-alpina occiden- tale. (Boll. B. Comitato Greol., Yol. XXXIII, n. 4, pag. 255-318, con 2 tavole). — Roma, 1902. In un primo capitolo di questa memoria Fautore richiama alcuni dei risul- tati ottenuti, da lui e da suoi colleghi del B. Ufficio geologico, dallo studio di roccie alpine italiane: così egli ricorda di aver dimostrato (fondandosi sullo studio sul terreno e sull’esame petrografico e chimico) che tanto le prasiniti quanto le anfiboliti sodiche possono provenire dalla metamorfosi di eufotidi e diabasi; conclusione che confermò con l’esame di roccie di altre regioni ita- liane: e, inoltre, ricorda essersi notata una serie di fenomeni metamorfici ana- loghi a quelli presentati dalle diabasi, nelle dioriti che in molte regioni alpine si riconobbero passare per gradi a tipi speciali di roccie prasinitiche. Esaminati alcuni scritti recenti di Bosenbusch e di Washington sulle roccie a glaucofane, e rilevato in quali punti essi si accordino con le osservazioni e conclusioni sue ed in quali se ne scostino, l’autore descrive alcuni tipi di roccie alpine italiane, fra cui taluni sono belli esempi di forme metamorfiche — 278 — di roccie diabasiche, interessanti sopratutto per, aver conservato, malgrado la metamorfosi completa, un aspetto esterno ricordante in modo sicuro la loro ori- gine. Da questa descrizione, corredata di analisi chimiche, l’autore deduce, fra I altro che : roccie diabasiche dei vari tipi possono essere trasformate compieta- mente in roccie aventi la costituzione mineralogica e la struttura microscopica delle prasiniti e delle anfiboliti sodiche: che questa metamorfosi può avvenire senza scambio a distanza di elementi chimici, potendo così conservarsi l’aspetto macroscopico della roccia: e che l’esempio delle varioliti metamorfosate, fre- quentemente associate alle diabasi ed alle porfiriti diabasiche, in cui le variole si trasformarono in prasiniti e il magma in anfibolite sodica, mostra esaurien- temente che i due tipi di roccia possono prodursi per metamorfosi, sotto iden- tiche condizioni fisiche, di roccie o parti di roccie aventi costituzione minera- logica e chimica alquanto diversa. L’ing. Franchi passa quindi alla discussione della natura del metamor- fismo di cui ha studiato gli effetti. Dice anzitutto che si tratta di metamorfismo generale (regionale) che dovrebbe cancellare completamente le traccio del meta- morfismo di contatto preesistente ; vuol dimostrare che l’acqua dovette essere presente durante il metamorfismo, agendo come solvente dei silicati primitivi, come veicolo per la formazione dei minerali secondari e come costituente della maggior parte di questi, e ricerca in quali condizioni essa dovette operare. In ultimo, egli si occupa di ricercare come si possa dalla metamorfosi delle diabasi avere tanto prasiniti quanto anfiboliti sodiche. Ideile tavole sono figurate superficie levigate e sezioni sottili di alcune delle roccie di cui si tratta nella memoria. Fucini A. — Cefalopodi liassici del Monte dì Cetona. Parte seconda. (Pa- laeontographia italica, Yol. Vili, pag. 131-217, con 15 tavole). — Pisa, 1902. ■ ■ In questa seconda parte del lavoro (vedi per la parte la la Bibl. 1901) vengono dall’autore descritte le specie appartenenti ai generi Vermiceras , Co- roniceras e Arnioceras. ISTel gènere Vermiceras , proposto da Hyatt in sostituzione di Discoceras, x l’autore ha riunito parecchie specie che in parte sono d’ordinario riferite ai ge- neri Caloceras ed Echioceras , parendogli che i due generi abbiano a tipo due specie A. spiratissimus Quenst. e A. raricostatus Ziet. troppo prossime fra di loro perchè si possano esattamente limitare, assegnando a ciascuna una giusta estensione. — 279 Il genere Coroniceras Hyatt, per il quale alcuni vorrebbero mantenuto il nome di Arietites s. str. e che altri assegnerebbero al gruppo dell’ Ar. {Ast.) Tonrnoueri Sow. è poco frequente nel Monte di Cetona. Le specie che l’autore riferisce ad esso sono rappresentate da pochi e non buoni esemplari ; ma è in- teressante la sua presenza, essendo un genere proprio di zone un poco inferiori a quelle delle formazioni ammonitiche da cui proviene la fauna descritta in questo lavoro. Il genere Arnioceras Hyatt nella fauna di Cetona è rappresentato da un numero grandissimo di specie e di forme, delle quali l’autore fissa una certa quantità di caratteri esponendone i più essenziali, osservando che la variabilità di tali caratteri ha reso laborioso raggruppamento delle specie e delle diverse forme del materiale esaminato. Le specie appartenenti a questi tre generi, delle quali molte nuove, sono illustrate nelle tavole in eliotipia, e da 35 figure intercalate nel testo. Halli I. — Fenomeni sismici a Velletri nel giugno 1902. (Atti Acc. pont. dei Nuovi Lincei, Anno LV, Sess. VII, pag. 153-154). — Roma, 1902. È una breve comunicazione su due fenomeni sismici avvenuti il 4 e 14 giu- gno 1902 a Velletri, ove l’autore dirige l’Osservatorio meteorico e geodinamico. Nel primo degli indicati giorni si ebbe una scossa ondulatoria, della durata di 2"; nell’altro, la scossa fu sussultoria ed ondulatoria, e durò almeno 3". Le due scosse si manifestarono in un’area assai ristretta, cioè da Velletri a Rocca di Papa, nel quale ultimo paese furono più deboli che a Velletri; l’epicentro dovette quindi essere prossimo a quest’ultima città. L’autore dà qualche cenno sul modo con cui funzionarono gli strumenti sismici, diverso dall’ordinario. • G-arwood E. J. — On thè 0 rigin of some Hanging Vallegs in thè Alps and Himalagas. (The Quarterly Journal of the.G-eol. Soc., Voi. LVIII, n. 232, pag. 703-718, con 5 tavole). — London, 1902. Il prof. Davis (vedi Bibl. 1900 ) ha indicato la sopraelevazione dello sbocco delle valli laterali sul fondo della valle principale del Ticino come una conse- guenza dell’erosione glaciale, che ha avuto maggior energia in questa che in quelle. L’autore fondandosi sopra osservazioni compiute nelle Alpi e nell Hima- laya combatte la teoria dell’erosione glaciale affermando invece che l’azione dei ghiacciai è preservativa. Per ciò appunto, mentre le valli laterali più elevate — 280 — erano occupate ancora da ghiacciai, l’erosione acquea ha esercitato con maggior energia la sua azione nella valle di primo ordine, energia che si è esplicata anche perchè l’autore crede poter ammettere un aumento della pendenza media generale della valle dovuta al sollevamento della sua parte più a monte, avve- nuta prima dell’ultima espansione glaciale, come ultimo stadio del sollevamento orogenico del pliocene recente. Ideile tavole havvi uno schizzo topografico- altimetrico della Valle Leven* tina (Ticino) da Airolo a Biasca, con una sezione longitudinale della medesima e vedute di alcune località della stessa valle, come pure della Engadina (Inn) superiore. G-emmellaro Gt. Gf. — Sul rinvenimento di un teschio di Squalodontidi nel calcare bituminoso di Ragusa in Sicilia. (Read. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XI, fase. 1°, 2° sem., pag. 3). — Roma, 1902. i La scoperta di questo teschio è interessante perchè i suoi molari si allon- tanano per la forma da quella dei veri Squalodon , mentre invece si avvicinano a quelli dello Sq. ( Phocodon ) Scillcie Agas. del miocene medio di Malta. L’autore ne dà l’annuncio alla Accademia, osservando cha la illustrazione del teschio di Ragusa toglierà ogni dubbio sulla posizione sistematica dei denti provenienti da Malta e figurati dallo Scilla più di due secoli addietro. GtORTAni M. — Nuovi fossili raibliani della Carnia. (Rivista ital. di pa- leontologia, Anno Vili, fase. II e III, pag. 76-94, con 2 tavole). — Bologna, 1902. In varie escursioni eseguite nella parte orientale dell’altipiano a H.W di Tolmezzo, limitato dal But, dal Tagliamento e dalla depressione della Vallecalda, l’autore ha potuto constatare che il Raibliano è ivi assai più esteso di quanto è indicato nella Carta geologica del Eriuli di Taramelli. Questo piano sarebbe largamente rappresentato da potenti strati calcarei e calcareo-marnosi ricchi di fossili e costantemente soprapposti a calcari com- patti di tipo talora dolomitico. I fossili più numerosi, più abbondanti e caratteristici si trovano nelle vi- cinanze di Sezza a V e S.W del paese, che sta in parte sui calcari a Myophoria Kefersteini , e specialmente nella località del Rio Mar^elin dove si ha un'alter- nanza di calcari e scisti neri marnosi soprastanti al calcare compatto del Trias medio e inferiore. Il maggior numero delle specie elencate e descritte in questa — 281 — memoria fa raccolta negli scisti neri dove predominano la Pleuromya set ina n. f. e la PI. carnica n. f. Questo lembo ignorato di trias superiore, notevole per la ricchezza della fauna, si estende per un’area di parecchi chilometri quadrati. Alla descrizione di un primo saggio di questa fauna l’autore fa seguire ur. quadro riassuntivo che mostra i rapporti della fauna raibliana di Sezza con quelle più affini. Dall’esame di esso emerge una grande diversità di fauna fra gli scisti e i calcari, benché da ritenersi contemporanei per la comunanza di forme caratteristiche. Dna differenza assai rilevante esiste pure con quella degli altri ‘ depositi raibliani del Friuli, della Lombardia, di Raibl e Kaltwasser. La massima affinità con il deposito di Sezza è presentata dagli scisti di San Cas- siano, nei quali si ritrova quasi la metà delle sue specie. l’elle due tavole, in eliotipia, sono rappresentate le forme nuove e le altre più importanti. (xOrtani M. — Sul rinvenimento del calcare a Fusuline presso Forni Avoltri nell’ alta Carnia occidentale. (Rend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 11, 2° sem., pag. 316-318). — Eoma, 1902. In questa nota preventiva l’autore, accennato alla conoscenza che finora si ha della serie paleozoica dell’alta Carnia e come gli studii paleontologici non si sieno finora estesi che alla catena principale delle Alpi Carniche, dal Coglians alle Giulie e alle Karavanche, rende conto della scoperta fatta di un giacimento di calcare a fusuline, alle falde del Tuglia sopra Forni Avoltri e precisamente sul fianco N.E del Colle di Mezzodì. Il calcare è compatto, duro, talora brecciforme, grigio, ma più spesso ros- sastro, ricchissimo di fusuline, ma che per la natura della roccia non si pos- sono isolare e la cui determinazione fu quindi fatta sulle sezioni sottili. L’autore dà l’elenco di una quindicina di forme ben determinate, riser- bandosi di descriverle in una prossima memoria. Intanto per la frequenza di specie caratteristiche, per la mancanza di altre e per la concordanza dei pochi molluschi e della Rhynchonella sosiensis con quelli del permo-carbonifero siciliano, l’autore può fissare con esattezza che il giacimento della parte N.E del Colle di Mezzodì appartiene al più alto piano del carbonifero superiore carnico, al livello cioè degli strati di calcare rossastro del Trogkofel, di Neumarcktl e di Groggau. Nota quindi l’importanza di tale scoperta per la molto maggiore estensione che acquista la formazione carbonifera delle Carniche, e per essere questa la prima località italiana in cui si trovi rappresentato il permo-carbonifero alpino. - 282 — Guidoni G. — Nota sulla Lavina di Corniglia (pag. 6 in-8°). — Spezia. 1902. È una nota rimasta finora inedita e pubblicata in occasione della Riunione della Società geologica italiana a Spezia nel settembre del 1902. Essa porta la data del 1865 e tratta della cosidetta Lavina o frana di Corniglia in rapporto alla in allora progettata linea ferroviaria fra Genova e Spezia e dà consigli sul modo di attraversarla. Hammer W. — Mittheilung ììber Studien in der Val Furva und Val Zebra bei Bormio ( Veltlin ). (Verhandl. k. k. geol. Reichs., Jabrg. 1902. n. 13. pag. 320-330). — Wien, 1902. Lo studio si riferisce allo sviluppo della formazione delle filladi (Phyllit- formation) e alla tettonica del distretto di confine fra l’alta Valtellina ed il Ti- rolo. La massa triasica dell’Ortler è limitata a mezzogiorno, nella Tal Zebrù. da una linea di frattura, presso la quale sono raddrizzati tanto gli strati del trias quanto quelli delle filladi. Presso Bormio le filladi, con stratificazione pressoché orizzontale terminano bruscamente contro i calcari dell’Ortler. La formazione delle filladi consta di filladi calcari e quarzitiche ( Kalk e Quarsphglliten ), di scisti sericitici, di filladi felspatiche, e contiene intercalazioni di carniole ( Rauchwacke ) e di gesso, nonché scisti quarzitici. Notevoli sono pure le intercalazioni di prasiniti ( Griinschiefer ). Notevole è la presenza nella serie di porfiriti e dioriti che hanno attra- versato le filladi metamorfosandole, e che s’incontrano pure nel calcare triasico dell’Ortler (Cima della Miniera). Due sezioni geologiche sono intercalate nel testo. Hlaavatscit C. — - Bestimmung der Doppelbrechung fiir verschiedene Farben an einigen Mineralien. (Tschermak’s Min. und Petr. Mittheil., B. XXI, H. II, pag. 107-156, con 2 tavole). Wien, 1902. L’autore determina con vari metodi la doppia rifrazione della luce per vari colori dello spettro e per alcuni minerali. Era i minerali esaminati alcuni sono di località italiane e cioè la idocrasia verde e la vesuviana bruna di Ala, la ido- crasia di Sforzella presso Predazzo, una vesuviana oscura del Vesuvio, una gialla dei Monzoni, ed una manganesifera di Aosta. K Le analisi chimiche riportate dall’autore sono già note, essendo quelle della idocrasia di Ala, state pubblicate da Vogel (1887), da Ludwig e Renard (1882), e da Scheerer negli Annali di Poggendorf, Voi. 95 ; la vesuviana del Vesuvio fu già analizzata da Jannasch nel 1883 ( Nenes Jahrb., ecc.). — 283 Ippen J. A. — Ueber einìge Ganggesteìne von Preclasso. (Sitz.-Ber. der X. Akad. der Wiss., B. CXI, Abth. I, pag. 219-276, con tavola). — Wien, 1902. L’autore suddivide le roccie filoniane in roccie mela orati che e in roccie leucocratiche (Brògger), ossia in lamprofiriche e aplitiche. Nelle prime sono comprese le camptoniti, le filoniane melafiriche (melafiri e porfiriti anfiboliclie), le porfiriti pirosseniche e le porfiriti plagioclasiche. I tipi principali di queste roccie vi sono descritti parzialmente e il tipo delle camptoniti viene basato sopra l’analisi di una camptonite del M. Mulatto. È inoltre dimostrato che come roccie filoniane appariscono anche i veri melafiri. Fra le roccie filoniane leucocratiche sono compresi i porfidi monzonitici, ■ le apliti granitiche, come pure le roccie contenenti nefelina. L’autore descrive con tutti i particolari le sieniti nefeliniche, i porfidi sienito-nefelinici (inclusi i por- fidi libeneritici) e i porfidi sienito-nefelinici con carattere fonolitico. Infine egli presenta le analisi chimiche di una aplite granitica che attraversa il melafiro, e di un porfido sienito-nefelinico contenente cancrinite. Nella tavola sono disegnate le sezioni microscopiche di alcune delle roccie studiate. Ippen J. A. — Ueber einìge aplitische Gangesteine von Predasso. (Central- blatt fili* Min., Greol. und Pai., Jahrg. 1902, n. 12, pag. 369-375). — Stuttgart, 1902. L’autore entra qui in maggiori particolari, dopo altre ricerche eseguite, sulle roccie di cui nella precedente bibliografia. Esse sono in filone nella monzonite, epperò appartengono certo al suo gruppo : inoltre la forma aplitica della mon- zonite non è limitata ai soli filoni, ma è anche estesa alla roccia incassante. Roccia aplitica di Boscampo. — Vi predomina l’ortose con inclusioni di augite e magnetite; oltre di ciò vi è il plagioclasio Ab4 Anr Inoltre vi è l’augite passante ad anfibolo. La titanite vi è solo in grani. L’apatite vi apparisce in due forme. La tormalina è accessoria. L’analisi di questa roccia dimostra che la medesima non può essere paragonata a una vera aplite monzonitica, ma piuttosto alla pulaschite di Fourche-Mountain o alla Laurvikite. Aplite della vetta del Mulatto. — Questa roccia è a grana finissima, ed è a struttura panidiomorfa ; vi manca il quarzo come nella precedente. L’ortoclasio vi predomina. Il pirossene è verde chiaro ed è incluso nell’ortoclasio. La titanite è pure inclusa nell’ortoclasio. Oltre di ciò vi è la magnetite. Il plagioclasio è minore dell’ ortoclasio, il quale sta fra Ab* An3 e Abt An8. 284 — Keyserlixg (GTraf) H. — Ueber ein Kohlenvorkommen in den Wengener Schichten der Siidtiroler Trias . (Yerhandl. k. k. geol. Reichs., ; Jahrg. 1902, n. 2, pag. 57-61). — Wien, 1902. Xella valle del Corde vole, nel versante S.E del Monte Coldai, sono stati da qualche tempo scoperti alcuni straterelli di carbone dentro agli strati di Wengen con facies tufacea, che stanno ad immediato contatto colle dolomiti di Wengen. 11 carbone, in poca quantità, e pieno del resto di pirite, non ha alcuna importanza industriale, ma ne ha moltissima scientificamente perchè, | ‘ sebbene la linea di contatto fra dolomite e tufi tagli la stratificazione, qualche straterello di carbone continua per breve tratto dentro la dolomite ; ciò che I prova che la suddetta linea è un confine o limite di facies e non uno-spo- ! stamento. Del resto, anche a distanza dalc ambiamento di facies, la dolomite S contiene piccole vene di carbone e diventa scura per materia organica che la j impregna. Questo prova la contemporaneità assoluta della facies « marnoso- Il arenacea » e della facies « dolomitica » nel senso di Mojsisovics. Johnsen A. — Eisenkies von Traversella. (Centralblatt fiir Min., Greol. j' und Pai., Jahrg. 1902, n. 18, pag. 566-67). — Stuttgart, 1902. È la descrizione di un geminato di pirite secondo (110), proveniente, stando i all’etichetta, da Traversella. Le faccie (111) presentano delle striature che formano tramoggie in forma di triangoli equilateri, dovuti alle facce della forma tz (210), ! e rendono evidente la geminazione, non indicata dalla forma esterna del cam- |j pione, composto da quattro facce dell’ottaedro. Levi Gf. — Fauna del Lias inferiore di Cima alla Foce nell1 Alpe di ! Corfino. (Boll. Soc. Gfeol. ital., Yol. XXI, fase. 2°, pag. 398-410). — Roma, 1902. È descritta in questa nota la fauna liasica raccolta dal prof. I. Cocchi in questa località di Garfagnana, e sulla quale l’autore già pubblicò una nota pre* ' venti va nello stesso Bollettino (vedi Bibl. 1898), dimostrando in essa che i fossili j corrispondono esattamente alla zona ad ungulati del lias inferiore del prornon- [ torio occidentale della Spezia. Le specie qui descritte sono 23, delle quali nuove le seguenti: Gardinm , j n. sp., Neaera liasica, Natica Cor finii , Pleur otomaria, n. sp., Caloceras , n. sp., ; Rhacophyllites apenninicus. Di alcune di esse sono pure date le figure, e cioè : Neaera, Natica, Caloceras e Rhacophyllites. — 285 — Bonghi P. — Cefalopodi della fauna triassica di Val di Pena presso Lorenzago. (Rivista ital. di paleontologia, Anno Vili, fase. II e III, pag. 53-61, con 2 tavole). — Bologna, 1902. In una nota preventiva (vedi Bibl. 1900 ) nella quale descriveva cinque nuove specie di Gijmnites , l’autore prometteva di pubblicare una memoria unica sulla fauna triasica di Val di Pena da lui raccolta. È ora per varie ragioni costretto a dividerla in piccole note; e in questa prima sono descritte le se- guenti specie nuove: Proarcestes caminensis , Pr. Calbonicii , Pr. Alvianii , Pr. valdipennensis , Pr. amicus, Pr. Tivaronii, Gymnites sp., G. trinodosus. Esse sono figurate nelle due tavole in eliotipia. Longhi P. — Contribuzione alla conoscenza della Fauna del calcare ere - taceo di Calloneghe presso il Lago di Santa Croce nelle Alpi venete. Nota la. (Rivista ital. di paleontologia, Anno Vili, fase. 1°, pa- gine 23-26, con tavola). — Bologna, 1902. L’autore crede opportuno di pubblicare in note successive la descrizione di una serie di fossili da lui raccolta nelle cave del cretaceo di Calloneghe, sulla posizione cronologica del quale è sorta controversia fra il Boehm ed il Fiitterer. In questa prima nota sono descritte le seguenti specie : Natica catione- ghensis n. sp., Natica (Pciosia) De-Stefanii n. sp., Psendomelania ( Oonia) Paosi, Boehm, var. flexuosa, Acteonella sp. Esse vengono rappresentate nella annessa tavola in eliotipia. Bonghi P. — Appunti per uno studio geologico e petrografico sopra Costa ■ Lovertino ed Albettone nel gruppo dei Colli Euganei (con una tavola e Carta geologica). — Sunto dell’autore negli (Atti Soc. Veneto- Trentina di Se. nat., S. II, Voi. IV, fase. 2°, pag. 37-38). — Pa- dova, 1902. Avendo osservato che riguardo alle località suindicate vi è discrepanza fra la carta geologica di E. Reyer dei Colli Euganei (Wien, 1877) e quella della provincia di Vicenza di A. Negri, pubblicata per cura della sezione di Vicenza del Club alpino italiano nel 1901, l’autore si è accinto ad un nuovo — 286 — studio dal quale risulta che, quanto a Lovertino, la massa di basalto si mostra in diversi punti interrompente qualche lembo della scaglia e che si eleva verso il Monte Santo, o 1/overtino, senza discontinuità. Presso la vetta di detto monte vedesi poi un piccolo filone di trachite lateralmente sovrastante a strati di un calcare bianchissimo con noduli di selce. Accenna anche al basalte di Monticello sopra Volpara, qui pure a contatto col calcare bianco sumenzionato. Accanto alPAlbettone l’autore ha constatato, oltre alla scaglia, il basalte e j dei tufi basaltici con marne in stratificazione orizzontale. Dall’esame petrografico risulta che il basalte di Lovertino appartiene ai j tipi normali con abbondanza di olivina, e che la trachite contiene abbondanti elementi ortoclasici e, in minore quantità, quelli oligoclasici e della mica. Lorenzi A. — Intorno ad alcune salse del Modenese. (Rivista geografica italiana, Annata IX, fase. VII, pag. 437445; fase. Vili, pag. 499- 506; fase. IX, pag. 565-581). — Roma, 1902. Le salse di cui si occupa l’autore sono quelle di Cintora, Virano e Sas- suolo, di ciascuna delle quali espone le condizioni al! epoca della sua visita, ricordando osservazioni di precedenti studiosi e ricercando la ragion d’essere delle varie parti dalle salse stesse. Dopo alcune osservazioni sull’analogia fra le salse e le « mare » (questo essendo il nome dato da Marinelli all’insieme del bacino o circo di ricevimento in cui formansi nelle Alpi orientali certo colate di fango, del canale di sfogo per cui scendono e del cono di dejezione su cui si espandono), l’autore distingue varie fasi di vita delle salse, ed espone l’affinità di queste con le sorgenti. Le fasi sono quattro, e cioè: la stato di eruzione , in cui la salsa erutta violentemente sassi e fango, e terremoti locali accompagnano il fenomeno ; 2a sfato di colata fangosa , in cui la salsa emette fango che mantiene i coni formati nello stadio precedente o ne costruisce di propri, e discende in colate ; 3a stato cro- noide, in cui la salsa consiste in una o più pozze d’acqua lutulenta, dalle quali si sprigionano bolle di gas; 4a, infine, stato di emanazione gassosa. L’autore ricorda che per Griimbel le salse debbono designarsi piuttosto come sorgenti fangose gorgoglianti anziché come vulcani di fango ; trattandosi di fenomeno ben distinto dal vero vulcanismo : ciò è, a parer suo, indubbio per le piccole salse emiliane, dovute alla tensione di gas che formasi a piccola profondità per decomposizione di sostanze organiche, e penetra le argille im- bevute d’acqua; ma, tenuto conto delle grandi salse, il fenomeno mostra nel- — 287 — Finsieme caratteri di transizione fra i vulcani e le sorgenti. Lo salse dell’E- milia andrebbero classificato fra quelle sorgenti che vengono a giorno non per pressione idrostatica, ma per forza espansiva di gas. Lorevzi A. — Fenomeni analoghi a quelli carsici nei conglomerati messi- niani di Ragogna e Susans nel Friuli. (« In Alto », Cronaca .della Società alpina friulana, Anno XIII, n. 6, pag. 69-70). — Udine, 1902. — Idem. (Ibidem, Anno XIY, n. 1, pag. 13-14). — Udine, 1903. I colli di Ragogna e Susans si elevano presso il Tagliamento a X.O di San Daniele del Friuli, sono costituiti da conglomerato messiniano con marne in- tercalate, e si appoggiano sulle sabbie azzurrognole con banchi di conglomerati, ligniti ed ostree del tortoniano. Xel conglomerato messiniano, formato da ciottoli calcarei non molto grossi, più o meno tenacemente cementati, si aprono delle cavità simili alle carsiche, che sono dall’autore dettagliatamente descritte in questa nota. Siffatti fenomeni, che si manifestano negli altipiani di Ragogna e Susans, sono in relazione con diaclasi del conglomerato, che talora in direzione paral- lela danno adito alle acque meteoriche, le quali, agendo sia meccanicamente, sia chimicamente, sulla superficie, si infiltrano nei crepacci modellando delle cavità di carattere carsico. Si tratta però soltanto di analogia coi fenomeni carsici, poiché la poca fessurazione e la debole tenacità della roccia non può dar luogo a quelle pro- fonde cavernosità che si verificano negli altipiani calcari. I fenomeni sono superficiali e manca una propria idrografia sotterranea, poiché da questi altipiani discendono ruscelli che non hanno carattere carsico. L’autore accenna infine a fenomeni analoghi che si verificano nei conglo- merati di Socchieve nella Carnia, nelle conche scodelliformi di Buttrio, nelle cavità, entro alluvioni, a Bolzano e nel rilievo del Montello nel Trevisano. Lotti B. — Sulla costituzione geologica del gruppo montuoso d'Amelia [Umbria). (Boll. R. Comitato G-eol., Voi. XXXIII, n. 2, pag. 89-103, con tavola). — Roma, 1902. Il gruppo secondario di Amelia, descritto in questa nota, presenta in proie- zione orizzontale una forma elittica con un diametro massimo di '27 chil. e un minimo di 10 in corrispondenza alla struttura del gruppo stesso, che può con- siderarsi come una cupola elissoidale. — 288 — Il terreno più profondo ivi rappresentato è il retico, che comparisce sempre alla base delle masse calcaree del Lias inferiore e risulta da calcare grigio- cupo compatto alternante con scisti a bactrilli e contenente gasteropodi e bi- valvi fra cui Avicula contorta e Modiola. L’abbondanza dei fossili, in alcuni punti ne fa una vera lumachella. La formazione ’ principale è quella dei calcari del Lias inferiore, di cui sono costituiti gran parte dei monti di questo gruppo. È predominante un cal- care bianco massiccio a struttura ceroide con gasteropodi, bivalvi e coralli ; a luoghi prende struttura alabastrina e talora anche prettamente cristallina. A contatto col pliocene marino mostra molti fori di litofagi. In esso sono scavate molte grotte naturali in gran parte inesplorate. A questo calcare succede, in serie ascendente, il tipico calcare grigio- chiaro con crinoidi e traccio di altri fossili, con letti di selce, nettamente stra- tificato, riferibile al Lias medio. Questa formazione si presenta in lembi isolati sul Lias inferiore, specialmente alla periferia del gruppo. Hella successione stratigrafica qui si presenta una trasgressione per la quale il Lias superiore, i, anziché concordante col Lias medio, si trova sposso direttamente sovrapposto j al Lias inferiore e talora anche al retico. Questo fatto fu pure osservato all’Elba e in altre parti della Toscana. Il Lias superiore si presenta in plaghe piccolissime e di esiguo spessore j di calcare rosso, in cui predominano i cefalopodi, fra i quali Phylloceras Nilssoni Héb., Ph. Doderleini Cat., Hildoceras Levisoni Simp., H. bifrons e impronte di Posidonomya Bronni. Questi lembi sono in gran parte coperti in concordanza da una formazione j diasprina, talora invece da calcare con selce grigio o verdastro con letti scistosi interposti. Fanno seguito a questi in concordanza dei calcari senza selce, gial- I lastri, che insieme coi precedenti fanno parte del titoniano. Susseguono degli scisti argillosi grigio-nerastri e calcari con selce probabilmente neocomiani. Qui si presenta un’altra trasgressione, per la quale il cretaceo superiore, j o senoniano, riposa ora sul neocomiano, ora sui calcari o su i diaspri del tito- niano. Il senoniano è rappresentato da scaglia rossa e cinerea con lnoceramns umbrius Di Stef. L’eocene non appare in alcun punto del gruppo. Il pliocene si presenta con facies marina e lacustre, e su di esso in certi punti si hanno distese di tufo vulcanico leucitico e lembi di travertino. Hella tavola annessa sono disegnate quattro sezioni pressoché parallele, ! che mettono in evidenza la struttura a cupola elissoidale del gruppo descritto e mostrano la successione dei terreni dal retico al quaternario. — 289 - Lotti B. — Condizioni geologiche e genesi del giacimento cinabrifero di Cortevecchia nel M. Amiata. (Rassegna mineraria, Yol. XVII, n. 10, pag. 165-168). — Torino, 1902. — Idem (in tedesco). (Zeitschrift fiir praktische (reologie, Jahrg. 1903, n. 11, pag. 423-427). — Berlin, 1903. Questa miniera, della anche dei Mandrioli o dei Ripacci, trovasi a circa ‘ 17 chilometri a sud della vetta del Monte Amiata a mezza costa del versante destro della Fiora. Il giacimento cinabrifero è collegato ad una massa lenticolare di calcare nummulitico, alla quale è sovrapposta una zona predominante di roccie calcaree ed argillose alternantisi e sono sottoposti dei calcari bianchi con letti inter- calati di scisti argillosi rossi, calcari grigi con selce e scisti marnosi, in parte almeno del Senoniano. Questa massa lenticolare è messa a nudo da due faglie per le quali si presenta con superficie piana e dirupata nei lati S.O e S.E. La parte minera- lizzata di questo giacimento è strettamente collegata a due zone di strati mar- nosi, uno al passaggio superiore della formazione calcareo- argillosa al mum- mulitico, l’altra al passaggio inferiore dal nummulitico agli strati del Senoniano. DaH’esame fatto dall’autore in questi giacimenti, risulta che la mineralizza- zione interessa le zone di passaggio suddette, perchè presentansi in esse da un lato le condizioni favorevoli di permeabilità, partecipando le sue roccie della struttura del calcare nummulitico, dall’altra le condizioni favorevoli del depo- sito, avendo esso la natura marnosa delle roccie incassanti. La massa del cal- care nummulitico non sembra sia mineralizzata. La mineralizzazione consiste principalmente nella sostituzione del cinabro al carbonato di calce e in una impregnazione generale delle roccie marnose alternanti in letti con gli strati di calcare o con quelli del calcare nummulitico. Il deposito di cinabro è quasi sempre accompagnato da pirite di ferro e da cristalli di selenite. L’autore ritiene l’origine di questo deposito dovuta a soluzioni cinabrifere solforiche ascendenti penetrate da profonda frattura nel calcare nummulitico, circolanti nelle fessure, senza deporre il cinabro, per la mancanza di elementi argillosi atti alla precipitazione del medesimo; giunte a contatto con la zona superiore calcareo-argillosa quasi impermeabile, quivi le soluzioni si espansero e vi operarono la precipitazione del minerale. Lo stesso processo ebbe luogo negli strati calcareo-marnosi alla base del nummulitico. A delucidare meglio le condizioni di giacitura nei vari campi di esplorazione, l’autore presenta diverse sezioni geologiche intercalate nel testo. 19 — 290 - Lovisato D. — Le specie fossili finora trovate nel calcare compatto di Bonaria e di San Bartolomeo (pag. 22, in-8°). — Cagliari, 1902. L’autore, volendo far conoscere la ricchezza delle collezioni paleontologiche possedute dal Museo di geologia dell’ Università di Cagliari, e non ancora illu- strate, dà in questa nota l’elenco delle specie fossili dei celebri calcari di Bo- naria e di San Bartolomeo. Fra i mammiferi sono indicati i sirenoidi (. Halitherium , Metaxitherìum e Fel- sinotherium ) e due cetacei ( Rhinostodes e Schisodelphis). Dei rettili il Tomistoma calaritanus Cap. Dei pesci, 4 della famiglia Lamnidae; 2 della Carcliaridae ; 2 della Mgliobatidae ; 1 Balistes sp. dell’ordine dei Plectognathi ; 6 della famiglia Sparidae; degli artropodi, classe crostacei, 2 Callianassa e un frammento di Pagurus sp. del sottordine dei Macruri. Dei molluschi oltre una Sepia , forse della specie Lovisatoi Parona, è dato l’elenco di 36 gasteropodi e 47 lamellibranchi, in gran parte determinati. Sono citati anche alcuni briozoi e 2 vermi. È quindi dato l’elenco degli echinodermi, fra cui moltissimi Clgpeaster, dei quali l’autore indica le specie, in parte nuove. Sono infine indicati vari celenterati e foraminiferi, molte specie indetermi- nate di Lithothamnium ed una Cglindrites. Lovisato D. — La bournonite nella miniera della Argentiera della Narra (Portotorres, Sardegna ). (Rend. R. Acc. dei Lincei. S. Y, Yol. XI. fase. 12°, 2° sem., pag. 357-361). — Roma, 1902. L’autore, accennato al giacimento di minerale che si trova negli scisti quarziferi dell’ Argentiera e agli autori che si occuparono di questa miniera, dimostra che il minerale principale, ritenuto da tutti come Fahlers, è invece Bournonite , come già aveva sospettato fino dal 1885. A tale scopo egli si è procurato alcuni piccoli campioni più caratteristici del minerale fornitigli dal Direttore di quella miniera, e dallo studio fatto su di essi e dai risultati di un’analisi quantitativa eseguita dal suo assistente C. Rimatori, ha potuto stabilire che si tratta propriamente di una Bournonite. L’analisi infatti eseguita sopra g.mi 1,1116 ha dato: S = 19.14: Sb = 20.70; As traccio; Pb = 40.73; Cu = 12.22; Fe = 4.59; Mn = 1.35; CaO e MgO traccio. Da un’analisi fatta dallo stesso Direttore della miniera risulta che la Boni'- nonite dell’Argentiera contiene in piccolissima quantità anche dell’oro (2 gr. per — 291 — tonn.). Sarebbe questa la seconda miniera in Sardegna contenente dell’oro, essendo il medesimo già stato trovato in un mispikel di Conca Sa Pi vera in territorio di Gonosfanadiga (4 gr. per tonn.). L’autore accenna da ultimo ad un minerale trovato in uno dei campioni suddetti che gli sembra un solfo-antimoniuro di piombo senza rame, e ad un altro campione inviatogli dallo stesso Direttore, che si riserva di studiare e determinare. Lttgeon M. — Sur la coupé géologique du massi ’f dii Simplon. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXXXIY, n. 12, pag. 726-727). — Paris, 1902. — Idem. (Bull. Soc. Yaudoise des Se. nat,, 4me S., Yol. XXXYIII, Pro- cès-verbaux, pag. xxxix-xli). — Lausanne, 1902. Le sezioni del massiccio del Sempione pubblicate da Schardt e Golliez e quelle disegnate da Scbmidt attraverso il prolungamento orientale del massiccio, presentano un intreccio molto singolare di pieghe. Gerlach ha segnalato resi- stenza nelle valli profonde che convergono a Crevola di una piega coricata verso nord, il cui nocciuolo è formato dal gneiss d’Antigorio. Su questa piega le se- zioni finora pubblicate disegnano anticlinali coricate o rigettate, in senso inverso : i loro nocciuoli sono formati dagli gneiss di Monte Leone e del Lebendun. Queste sezioni non sarebbero spiegabili che mediante due spinte in senso opposto, e l’autore propone un’altra ipotesi per render ragione degli gneiss anzidetti. La zona di gneiss che si estende da Seehorn a Crevola, per la catena del Pizzo d’Albione, e più oltre nel massiccio ticinese, rappresenta la radice di un’enorme piega coricata verso nord, la cui testa forma il massiccio di gneiss che da Monte Leone si estende all’Ofenhorn. Il massiccio del Lebendun rappre- senta, sia la testa d’una piega indipendente, sia quella d’un ripiegamento della zona così ricostruita. Maxasse E. — Rocce trachìtiche del cratere di Fondo Riccio nei Campi Ilegrei. I. Jalotrachite nera ad cingile ed egirina. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 2°, 1° sem., pag. 85-90). — Roma, 1902. L'autore rende conto dello studio microscopico e chimico intrapreso su di- versi tipi di roccie raccolte dal dott. De Stefani nel cratere scoriaceo di Pondo Riccio. Esse sono scorie trachitiche di vario colore, tufi trachitici giallastri ed infine trachiti non scoriacee a struttura ipocristallina incluse sia nelle scorie sia nei tufi. — 292 — In questa prima parte egli si occupa della jalotrachite nera ad augite ed egerina della Concola e di quella di Moscaglione, di ciascuna delle quali dà una dettagliata descrizione. Queste due roccie, molto simili tra di loro, sono essenzialmente scoriacee ; vi si scorgono a occhio nudo o colla lente cristalli porfirici vetrosi di feldispato, lamelle di biotite e prismi verdi pirossenici ; ma questi minerali di prima se- gregazione sono rarissimi. Al microscopio si presenta il sanidino in cristalli tabulari di dimensioni variabilissime, alcuni così piccoli da ritenerli di seconda formazione. Più abbondanti sono i cristalli di plagioclasio : seguono la biotite, l’augite e l’egirina. Il plagioclasio è spesso associato all’ augite e all’egirina : l’augite verde è circondata da magnetite ; l’egirina è pleocroica dal verde al giallastro, essa pure circondata e attraversata da magnetite. Difficilmente vi si scorgono Fhauina, l’ematite e la limonite, e sono affatto invisibili l’anfibolo e la sodalite. Oltre i risultati delFesame microscopico l’autore espone pure quelli dell’ana- lisi chimica dalla quale, seguendo il metodo di Loewinson-Lessing, ricava la formula magmatica, il coefficente di acidità a (dato dal rapporto fra il numero degli atomi di ossigeno ritenuti dalla silice e quello degli altri ossidi) e (3 (nu- mero delle molecole basiche che si hanno per 100 molecole di silice). Manasse E. — Rocce trachi lìcite del cratere dì Fondo Riccio nei Campi Flegrei. II. Jalotrachite rossa e grigio-cinerea ad augite ed egirina e tufo giallo. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 3°. 1° sem., pag. 125-130). — Roma, 1902. La jalotrachite rossa, come le scorie nere sudescritte, appare formata quasi esclusivamente da un vetro rosso, porosissimo, povero di microliti augitici e feldspatici e di trachiti. Le segregazioni porfiriche sono qui pure dovute al plagioclasio nelle sue diverse modalità, al sanidino, alla biotite, all’ augite, al- l’egirina. Xon vi si scorge nè l’orneblenda, nè l’hauina, nè la sodalite. Yi esiste la magnetite sostituita in parte da ematite e da limonite. Anche di questa roccia viene data l’analisi, dalla quale si deducono la formula magmatica e i coeffi- centi a e (3. È pure data la composizione chimica di un’ altra scoria della stessa loca- lità, di color grigio-cinereo, friabilissima, che corrisponde assai bene all’analisi delle altre; solo vi è un aumento nell’ossido ferrico e diminuzione relativa nel- l’ossido ferroso. — 293 — Da questo esame rilevasi che le scorie diversamente colorate sono simili fra loro e per i caratteri mineralogici sono riferibili al tipo delle roccie trachitiche ad augite ed egirina, con marcato carattere alcalino; ma dando importanza mag- giore ai caratteri chimici, differirebbero dalle comuni trachiti e così pure dalle andesiti e si avvicinerebbero invece alle roccie intermedie, come è dimostrato dai prospetti che l’autore presenta, coi quali si possono confrontare i risultati delle forinole magmatiche delle rocce studiate con quelle date da Loewinson- Lessing per le trachiti-andesiti e le andesiti. Queste roccie risultano in ogni modo del tutto simili a quelle del cratere degli Astroni, dal Pampaioni riferite al tipo delle trachiti augitiche e dal Ro* senbusch riportate al tipo delle trachiti ad augite ed egirina. L’autore prende da ultimo in esame il tufo giallo pisolitico di Fondo Riccio costituito da vetro giallo-grigiastro compatto, che cementa delle piccole pisoliti nerastre picee da uno a due centimetri di diametro. Dall’analisi qualitativa fatta su questa roccia e dall’ esame delle sezioni sottili, risulta essere essa costituita dello stesso materiale dei vetrofiri e anzi delle roccie ipocristalline, e pure di natura trachitica, che vi sono incluse e le quali sono argomento della nota seguente. Magasse E. — Rocce trachitiche del cratere di Fondo Riccio nei Campi Flegrei. III. Inclusi nel tufo e nelle scorie. (Rend. R. Acc. dei Lin- cei, S. Y, Yol. XI, fase. 5°, 1° sem., pag. 208-212). - Roma, 1902. Le roccie che vengono esaminate in questa terza nota sono inclusi trovati entro le scorie ed entro il tufo dello stesso cratere di Fondo Riccio. Dall’esame microscopico eseguito risulta che esse sono da riferirsi ai se- guenti tipi : 1° Trachite sanidino-augitica con una percentuale di silice di 62. 60 ; 2° Trachite biotitica con 52.74; 3° Trachite andesitica con 58. 60. Sono tutte roccie a struttura ipocristallina con pochissima base vetrosa, e tutte rientrano, seguendo il concetto del Lacroix ( Les enclaves des roches voi- caniqnes, Macon, 1893) fra le roccie incluse omogenee, fra quelle roccie cioè che devono la loro origine allo stesso magma che formò la roccia includente. (Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (30 settembre 4 903) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXXIII, dal 1870 al 1902. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem dell abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — ITn volume in-4° di pag. 864 con ta- vole e carte geologiche . . . Voi. II, Parte la. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche . Voi. II, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole Voi. Ili, Parte la. Firenze 1876. — Un y olume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geologiche . . . Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — Un volume in-4° di pag. 280 con tavole Voi. IV, Parte la. Firenze 1891. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica deir Isola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del l’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica ^ . . Voi. III. Roma 1887. — A. Fabui: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria dell’ Iglesiente (Sardegna). — Un volume in-8e di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Sardegna). — Un volume in*8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria 35 — 5 — 10 — 15 — 8 — 16 — 10 - 10 - 20 - 15 — 8 — — 295 — Yol. VI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea . — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa L. 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-pdrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico • mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese : Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte P : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello ( provincia di Treviso ). — Un volume in-8° di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 8 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2a edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 MB. 1 fogli e le tavole dì questa Carta si vendono anche separatamente come segue : 5 3 4 5 5 Foglio X. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio X. 262 (Monte Etna) . . L. .» 248 (Trapani) . . . » 3-4 » 265 (Mazzara del Vallo) » » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) ...» » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicattì) . . . ». » 251 (Cefalù) . . . . » 3- » 268 (Caltanissetta). . . » » 252 (Xaso) . . . . » 4 — » 269 (Paterno) ...» » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) ...» » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 ((Urgenti) ...» » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » J> 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) ...» » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» » 260 (Xicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» 9 261 (Bronte) . . . Tavola di sezioni X. . » 5 — I (annessa » 277 (Xoto) .... » ai fogli 249 e 258 . . L. 4 — X. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 X. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 X. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 X. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 IO CO co iO -h — 296 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Soma, 1888 li. 25 — N3. I fogli e la tavola di questa Cariasi vendono anche separatamente come segue Foglio IL 142 (Civitavecchia) » 148 (Bracciano) . , » 144 (Palombara) . li. 4 — » 5 — » 5 — Foglio IL 149 (Cerveteri) » 150 (Roma) . » 158 (Cori) . . L. 4 — » 5 — » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . li. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio Carrara. . . . . . L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 » Castelnuovo .... » 5 — » Serravezza .... » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni. , con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IL 220 (Verbicaro) . . 1 co hj Foglio V. 242 (Catanzaro) . . L. 4 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — znto) ...» 3 — ! » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 245 (Palmi) ...» 8 — » 229 (Paola) . . . » 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 — » 231 (Ciro) .... »■ 3 — I » 254 (Messina) . . . » 4 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Grerace) . . . » 4 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 283 (Bova) . . . , » 3 — • » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 264 (Staiti) . . . . » 3 — » 241 (Nicastro). . . » 4 — Tavola di sezioni V. I, V. II e IL III, ciascuna . . L. 4 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886. . • » 5 — Carta geologico-inineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 >> 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma. Bologna, Milano e Napoli. t Annunzi di pubblicazioni Airaghi C. — Ecliinidi della Scaglia cretacea veueta (dalle Memorie R. Acc. delle Se. di Torino, S. II, Yol. LIII, pag. 315-329, con 2 tavole). — To- rino, 1903. Artini E. — I sedimenti attuali del Lago di Como. Osservazioni mineralogiche £ (Rend. R. Istituto lombardo, S; II, Yol. XXXYI, fase. XIY, pag. 796-802). — Milano, 1903. Idem. — Note mineralogiche sulla Yalsassina (Atti Soc. Ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XL1I, fase. 2°, pag. 101-117, con 2 tav.). — Milano, 1903. Baldacchini Gl. — Contributo alla storia fìsica della valle spoletaua e foli- gnate (pianura umbra) in rapporto alla irrigazione (pag. 50 in-8°). — £ Eoligno, 1903. Boeris Gl. — Appunti di mineralogia piemontese (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXYIII, Disp. 13a, pag. 685-694). — Torino, 1903. Brugnatelli L. — Idromagnesite ed artini te di Emarese (Yalle d’Aosta) (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYI, fase. XY-XYI, pag. 824- 828). — Milano, 1903. Cacciamali Gl. B. — Studio geologico dei dintorni di Collio (dai Commentari dell’Ateneo di Brescia per l'anno 1903, pag. 14, con Carta geologica). — Brescia, 1903. Capobianco G. — Contributo alla compilazione della Carta geognostico- agraria della Yecchia Campania o Campania Nocerina (Boll, tecnico della coltivazione dei tabacchi del R. Istituto sperimentale di Scafati, Anno II, n. 2, pag. 91-99 e n. 3-4, pag. 167-176). — Torre Annunziata, 1903. tlHECCHiA-RispoLi Gl. — I forauiiniferi eocenici del gruppo del Monte Judica e dei dintorni di Catenanuova in provincia di Catania. Nota preventiva (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. LXXYII, pag. 13-15). — Catania, 1903. Chelussi I. — Sulla natura e sulla origine del conglomerato di Como (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLII, fase. 2°, pa- gine 118-135). — Milano, 1903. De Alessandri G. — Sopra alcuni avanzi di Cervidi pliocenici del Piemonte (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXYIII, disp. 15a, pag. 845-858, con tav.). — Torino, 1903. De Magistrts L. F. — Le torbide del Tevere ed il valore medio annuo della denudazione nel bacino tiberino a monte di Roma (dalla Rivista geogra- fica italiana, Anno X, pag. 42 in-8°). — Firenze, 1903. Fant appiè L. — Contribuzioni allo studio dei Cimini (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XII, fase. 11°, 1° sem., pag. 443-451, fase. 12°, 1° sem.. pag. 522-529 e fase. 1°, 2° sem., pag. 33-39). — Roma, 1903. Lojacono M. — Su di alcuni fossili miocenici dei dintorni di Tropea (Ca- labria) (Mem. Acc. Se., lett. ed arti degli Zelanti, S. 3a, Yol. I, pag. 1-20). ■ — Acireale, 1903. Lovisato D. — Il crisocolla e la vanadinite nella miniera cuprifera di Bena (de) Padru presso Ozieri (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XII, fase. 2°, 2° sem., pag. 81-87). — Roma. 1903. (Segue) eseguito: V. vagina precedente) Mercalli G. — ' Notizie vesuviane (anno 1902) (Boll. Soc. sismologica it Voi. Vili, n. 10, pag. 277-285, con tavola). — Napoli, 1903. ÌMeschinelli L. — Un nuovo chirottero fossile (Archaeopteropus transie Mescli.) delle ligniti di Monteviale (dagli Atti R. Istituto Veneto. S. V] T. V, pag. 1330-1344, con tavola). — Venezia, 1903. Pasquale M. — Revisione dei selaciani fossili dell’Italia meridionale (da Atti R. Acc. Se. fis. e mat., S. 2a, Voi. XII, n. 2, pag. 1-32 con tav.|. Napoli, 1903., Patrini P. — Rinvenimento di fossili pliocenici nell’escavazione della ga' leria di Gattico presso Borgomanero (Rend. R. Istituto Lombardo, S. Voi. XXXVI, fase. Xlf-XIII, pag. 733-749). — Milano, 1903. Paola P. — La première végétation des Alpes (Bull. Soc. de la « Flore Valdostaine », n.° 2, Graies. Flore carboni® pag. 1-29). — Aosta, 11 Pieroni G. — I moti sismici del 1902 nella valle del Sercliio (Rivista di fi pag. 242-248). — Pavia, 1903. Carta geologica rilevata dal 1895 al 1 mat. e se. nat., Anno IV, n. 45, Porro C. — Le Alpi Bergamasche. (una carta a colori in scala di 1 a 100,000, una tavola di sezioni, e un fas' colo di Note illustrative). — Milano, 1903. Roccati A. — Ricerche petro grafiche sulle valli del Gesso (Valle del bione) (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XXXVIII, disp. pag. 429-447, con tavola). — Torino, 1903. Idem. — Ricerche petrograficlie sulle valli del Gesso (Valle della Meris Rocca Val Miana) (Ibidem, Voi. XXXVIII, disp. 15% pag. 929-940). - Torino, 1903. Spezia Gr. — Sulla anidrite micaceo-dolomitica e sulle rocce decompos dalla frana del traforo del Sempione (Ibidem, Voi. XXXVIII, disp. 1! pag. 921-928, con tavola). — Torino, 1903. Squinabol S. — Piante fossili di Contrà Cantone (Novale) (Atti R. Acc. d Se., lett. ed arti di Padova, Voi. XIX, disp. 1% pag. 51-56). — Padova, 19C Idem. — Radiolarie fossili di Teoio (Euganei) (Ibidem, Voi. XIX, disp. V pag. 127-180). — Padova, 1903. Tacconi E. — Di un interessante giacimento di minerali presso Leffe provincia di Bergamo (Rend. R. Istituto Lombardo, S. II, Voi. XXXV fascicolo XV XVI, pag. 899-902). — Milano, 1903. Taramelli T. — Studio geo-idrologico del bacino della Turrite di Gallican (pag. 76 in-8°, con carta geologica). — Lucca, 1903. Idem. — Di alcuni giacimenti lignitiferi del Vicentino (Giornale di Geoloj pratica, Voi. I, fase. Ili, pag. 141-144). — Genova, 1903. Idem. — Di uno straterello carbonioso nella formazione porfirica tra Aro e Meina (Rend. R. Istituto Lombardo, S. II, Voi. XXXVI, fase. XV-X^ pag. 884-886); — Milano, 1903. Ugolini R. — Pettinidi nuovi o poco noti di terreni terziari italiani (1 vista ital. di paleontologia, Anno IX, fase. Ili, pag. 77-94, con 2 tav.). Bologna, 1903. Idem. — Resti di foche fossili italiane (dagli Atti Soc. toscana di Se. na‘ Memorie, Voi. XIX, pag. 13, con tavola). — Pisa, 1902. Prezzo Gel presente fascicolo : L. g. - • «»“> ‘ ' " ' Alino 1903 Vol.XXXlV della Raccolta 4.° Trimestre 4 della 4a Serie BOLLETTINO COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA Ajsnxro 1903 N. 4. o4SK» ROMA TIP. NAZIONALE DI G. BERTERO E ('. 1903 Ffi ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof. di geologia, R. Università di Bologna, Presidente. Bassani Francesco, prof. di geologia, R. Università di Napoli. Cocchi Igìno, prof, di geologia, a Firenze. Qemmellaro ' Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermi. ’ Issel Arturo, prof, di geologia,, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino, Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. ' Taramelli Torquato, prof, dì geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. * ’ fE Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. - . Pellati Niccolò, ispettore-capo deFR. Corpo delle Miniere, Roma.- Mazzuoli LuCio, i'spettore nel R. • Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. ...... Direzione: . • Ing. Pellati Niccolò, Direttore, . .. , I Jng.- M^zuoEi Lucio'. < .v ? Ufficio geologico : ’ Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e’ Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. • Dott. Dì Stefano Giovanni; paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. . Ing. Sabatini Venturino. . ; Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. teologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. .Viola Carlo. Ing. Novarese . Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agraric'geologieo, via Santa Susanna , n. 1. BOL LETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. IV. Anno 1903. Fascicolo 4°. SOMMARIO. Note originali. — I. D. Zaccagna, Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geoio- logici intorno alle Alpi occidentali ( Continuazione , vedi n. 3 del 1902), con carta geologica. — II. P. Moderni, Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini ( Continuazione , vedi n.-3). — III. V. Sabatini, La pirosse- nite melilitica di Coppaeli (Cittaducale). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1902 (Conti- lutazione). Elenco del personale componente il Comitato e l’ Ufficio Geologico alla fine del 1908. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Illustrazioni. — Cartina e sezioni geologiche annesse alla nota sulle Alpi occiden- tali (D. Zaccagna) a pag. 308, 312 e 317. — Tav. V: Carta geologica della zona paleozoica Demonte-Mojola (D. Zaccagna) a pag. 332. NOTE ORIGINALI I. 1). Zaccagna. — Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geologici intorno alle Alpi occidentali . (Continuazione, vedi n. 3 del 1902). Le masse calcari che s’ interpongono ai calcescisti ed agli altri scisti cristallini della Valgrana e della Valmaira offrirono, come è noto, all’ ing. Franchi alcuni fossili triassici e liassici, che furono segnalati in una nota in collaborazione col dott. Di Stefano *. In quella nota, ammessa la continuità di deposito fra la zona permo- carbonifera, ricorrente dal Colle di Maurin alla Stura, ed i calcescisti con lenti 1 Sull' età di alcuni calcari e calcescisti fossiliferi delle valli Grana e Maira nelle Alpi Cozie (Boll. R. Comit. Geol. 1896, pag. 171). 20 — 298 — di pietre verdi che essa ricopre, viene espressa l’opinione che questi medesimi calcescisti possano far parte degli strati fossiliferi con cui stanno in contatto ; deducendone, sebbene con qualche riserva, che la zona delle pietre verdi in generale, debba riferirsi all’epoca secondaria. Queste idee vennero poi svolte con maggior ampiezza in un secondo lavoro 1 corredato da una cartina geologica e da sezioni generali riguardanti in ispecial modo la stessa regione delle Alpi e da profili di dettaglio tolti anche da altri punti delle Alpi occiden- tali a schiarimento dei rapporti che egli ammette fra il Paleozoico, i calcescisti ed i calcari triassici. Anche in questa nota si considera come dimostrata la continuità del deposito fra i terreni paleozoici ed i calcescisti non solo; ma si ritiene accertata anche quella fra i calcescisti con pietre verdi e gli strati Passici e triassici su cui quella zona viene a poggiare. Le prove che il Franchi offre a sostegno di questa sua interpre- tazione, consisterebbero appunto nel parallelismo delle stratificazioni fra il terreno paleozoico ed i calcescisti, e fra questi e gli strati fossiliferi sottostanti ; nei passaggi laterali che egli trova fra i calcari triassici del tipo Villano va ed i calcari a lastre della Valgrana (dintorni di Pradleves) in confronto dei calcari a lastre che pure si presentano in vari punti fra i calcescisti con pietre verdi (dintorni di Valloriate, ecc.); ed in certi banchi di breccia ad elementi dolomitici che s’ intercalano agli stessi calcescisti. Queste ragioni varrebbero, secondo il Franchi, a dimostrare l’età a cui i calcescisti devono venire assegnati; il cui deposito dovrebbe comprendere tutto il periodo in- tercedente fra il Lias ed il Paleozoico. La questione dell’ordinamento della zona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali si ridurrebbe quindi, secondo lui, a dividere, sebbene un po’ arbitrariamente a causa della costanza di forma litologica, lo spessore dei calcescisti fra il Lias ed i vari piani triassici; e nell’ estendere poscia l’interpretazione 1 Sull’età mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali (Boll. R. Comit. Greol. 1898, n. 3 e 1). 299 — stratigrafica al rimanente delle roccie componenti questa vasta for- mazione delle pietre verdi , che ha così larga parte nella costituzione delle Alpi occidentali. Egli non si dissimula però la grave difficoltà della ripartizione di quei piani in una massa unielinale assai potente (quella costituente la zona delle pietre verdi ) che ha tutti i caratteri di un sedimen o progressivo e continuo nel quale le varie roccie si succedono, alter- nandosi, con passaggi graduali, senza offrire traccia di pieghe : e di far accettare nel Trias e nel Paleozoico accanto alle forme litologiche conosciute ed ammesse come autentiche, tanto all’ infuori della regione alpina, che nelle Alpi stesse, altre forme, quali i micascisti, gli gneiss minuti, le serpentine, le anfìboliti, ecc., che sono state sempre riferite al Prepaleozoico, ed anzi considerate fra le più caratteristiche di questo sistema. Tuttavia, ammessa, secondo il Franchi, la continuità fra il Pa- leozoico ed i calcescisti con roccie verdi, e tra questi calcescisti ed il Trias, data l’evidente indissolubilità tra i calcescisti, micascisti, gneiss minuti e gli altri scisti cristallini solitamente riferiti all’Arcaico, ogni esitazione dovrebbe cessare, e si dovrebbe concludere che queste roccie fanno veramente parte della serie paleozoico-triassica. Che anzi, non po- trebbero escludersi neppure le forme occhiadine dello gneiss della zona più interna della cerchia alpina tra il Monte Posa ed il massiccio Dora-Valmaira note sotto il nome di gneiss centrale , che evidente- mente sono collegate alle altre forme cristalline della serie. Farebbe solo eccezione lo gneiss del massiccio dell’Argentiera (Mercantour) che per il Franchi potrebbe ancora rappresentare il nucleo prepaleo- zoico, attorno al quale incominciarono a disporsi le roccie permo- carbonifere colle quali si iniziò il vero deposito delle Alpi marittime (pag. 64). Ma per il massiccio Dora-Valmaira di cui qui è partico- larmente questione, come per tutti i gruppi appartenenti alla zona del Monte Posa (pag. 160 e seg.), anche lo gneiss ghiandone dovrebbe appartenere al Permo-carbonifero, come già concluse il Dertrand per lo gneiss del Gfran Paradiso. — 300 — Quanto è detto in precedenza dovrebbe essere più che sufficiente non soltanto a revocare in dubbio, ma anche a dimostrare l’ inam- missibilità delle conclusioni a cui arriva il Franchi nel suo lavoro ; al par di quelle a cui arrivano gli altri autori che abbiamo fin qui presi in esame, partigiani dell’età triassica dei calcescisti. Appare infatti inesplicabile il fatto, che mentre tutti gli esempi tratti dalle mie osservazioni attestano della nessuna continuità fra la serie delle roccie della zona delle pietre verdi colla soprastante serie paleozoico-triassica, potendosi avere casualmente i contatti più dispa- rati fra tutti i membri della serie dal Carbonifero al Lias e tutti i membri della serie arcaica, accompagnati anche talvolta da manifesta discordanza stratigrafica, eccezione debba esser fatta per la regione Valmaira-Valgrana studiata dal Franchi, che fu pure da me percorsa e diversamente interpretata. Per tacere delle tante ragioni già addotte a confutazione delle idee ultimamente espresse dagli autori francesi intorno ai calcescisti ed alla zona delle 'pietre verdi in generale, e valendoci soltanto delle ultime esposte a proposito della sezione dell’ Ubaye, che è la più prossima e meglio in correlazione a quella del campo di studi del Franchi, osservo che risultando impossibile accettare la soluzione tectonica data dal Bertrand per i lembi di Trias inclusi nei calce- scisti presso Maurin, risulta eziandio impossibile che quei lembi di calcare triassico con quarziti e scisti paleozoici alla base possano esser considerati come triassici per la sola ragione del parallelismo di stratificazione. Come potrebbero infatti i calcescisti divenire gli equi- valenti del calcare triassico ed essere ad un tempo più antichi del Paleozoico, giacche li troviamo come si è visto anche direttamente sottoposti agli scisti permiani ? Il fatto poi che i calcescisti includenti, che dovrebbero essere triassici secondo il Bertrand, od anche liassici secondo il Franchi, sono poco a valle di Maurin definitivamente rico- perti dalle anageniti, quarziti, calcari triassici e da tutta la serie alpina superiore al Trias, conferma ineccepibilmente la maggior anti- chità di essi ; senza dire delle isole di calcescisto che in qualche luogo 30 1 — appariscono sotto al Trias, come accade presso Tignes lungo l’Isère (dove presentano direzione e pendenza diversa dal Trias soprastante) ed anche, secondo il Lory, nella vicina regione del Quevras *. Dunque i calcescisti devono necessariamente appartenere ad una formazione indipendente e più antica del Trias e del Permo- carboni- fero ; costituendo essi il fondo su cui s’ imbasarono successivamente quegli scisti paleozoici, il Trias e le altre roccie meno antiche che vi fanno seguito in serie ascendente. La deduzione è di per sè così semplice ed evidente, che non abbisogna di lunghe dilucidazioni per essere apprezzata. Ora, i calcescisti dell’alta Ubave sono palesemente la continua- zione diretta di quelli della Valmaira; e questi non sono che una ristretta parte della stessa vastissima formazione che si estende dalle Alpi Pennine alle Marittime, dalla quale abbiamo tratte le più evidenti prove della sua indipendenza dalla formazione paleozoico- triassica. La regione Yalgrana-Valmaira non potrebbe quindi sottrarsi alle leggi stratigrafìche generali; ed i fatti esposti dal Franchi ten- denti a dimostrare la triassicità o liassicità dei calcescisti non possono esser basati che sopra apprezzamenti inesatti. E tuttavia necessario che esaminiamo partitamente anche il lavoro del Franchi vagliando gli argomenti che egli produce, se non in dettaglio, trattandosi di un lavoro assai esteso, almeno nella sua parte più essenziale. Egli fonda la sua teoria sostanzialmente sopra i fatti seguenti, ai quali abbiamo precedentemente accennato 1 2 : 1° Il parallelismo e la continuità di deposito fra la zona permo-carbonifera Acceglio-Valloriate ed i sottostanti calcescisti con lenti di pietre verdi; 2° La continuità di deposito fra questi calcescisti, i calcari scistosi liassici e le masse triassiche della Valmaira e della Valgrana ; 1 Vedi Ch. Lory, Carte géologiqne chi Briànpoimais, 1863. 2 \edansi la Cartina geologica del Franchi, Tav. VI e le sue Sezioni nelle Tav. VII ed Viti. - 302 — 3° La conformazione a cupola di queste masse, sulle quali si appoggiano i calcescisti della zona predetta, la quale rimarrebbe con- seguentemente esterna e superiore, almeno in parte, alle masse trias- siche. È evidente che ammettendo dimostrata la prima e la seconda di queste condizioni, il Franchi viene a considerare la zona permo- carbonifera come il nucleo di una piega anticlinale, regolarmente rivestito dalle quarziti e dai calcari triassici a facies normale verso il lato esterno della cerchia alpina (S e S.O della piega) e dai calce- scisti verso V interno (ramo N e N.E). Stando a questa interpretazione i calcescisti, che secondo- il Franchisi troverebbero in quella supposta piega soggiacenti alla zona paleozoica per rovesciamento, dovrebbero quindi esser considerati come una forma eteropica dei vari piani del Trias ed anche del Lias nella zona più vicina alle masse triassiche di Yalmaira e Val Varaita, come dalle sue sezioni apparisce. Ma esiste realmente questo parallelismo di stratificazione e la continuità di deposito fra il Paleozoico ed i calcescisti, fra calcescisti e calcare triassico, di cui il Franchi si mostra così convinto ? Già in alcune escursioni fatte nella regione in parola col Mattirolo e col Franchi stesso fino dal 1898, dietro il voto allora espresso dal Comitato geologico, ebbi ad esprimere il mio parere, che mi conduceva a con- clusioni stratigrafiche assai diverse da quelle ammesse dal Franchi. 1 Convinto della giustezza delle mie vedute nell’ottobre 1902 feci ancora una rapida corsa in Vaigrana ed a Vallonate onde ren- dermi conto delle cause che potevano avere indotto il collega nei suoi apprezzamenti; nè tardai a constatare che le cose si presentano realmente, nei due luoghi, in modo diverso da quello da lui descritto; e che il più evidente distacco stratigrafico separa anche qui la for- mazione paleozoica da quella dei calcescisti e la triassica da quella delle roccie cristalline sottostanti. Devo anzitutto rilevare che la zona paleozoica sovrapposta ai 1 V. Boll. R. Comit. Geol. 1899. Parte ufficiale. — 303 — calcescisti in direzione tras versa alla cerchia alpina tra la Valmaira e la Stura, indicata dal Franchi colla denominazione generica di zona permo-carbonifera, 1 quasi risultasse da un complesso di roccie diverse bensì, ma confusamente disposte ed inseparabili, in realtà si compone dei due terreni: il Permiano ed il Carbonifero, fra loro ben distinti e caratteristici, come appare dalla Carta geologica an- nessa (Tav. Y). Il primo, che è rappresentato dalle note forme 1 La denominazione di Permo- carbonifero è usata costantemente dal Franchi per indicare indifferentemente il Permiano ed il Carbonifero, od anche l’in- sieme di questi terreni, come se essi non avessero caratteri distintivi o fossero equivalenti. Dalla descrizione fattane nei miei lavori risulta come nelle nostre Alpi i due piani paleozoici siano invece, tanto per la posizione stratigrafica che per le forme litologiche, assai caratteristici e perfettamente separabili. Il Permiano rappresentato dalle besimauditi, dagli scisti gneissici, anageniti, mi- cascisti e sdisti variegati sericitici: il Carbonifero dalle sue arenarie, dai con- glomerati, micascisti chiazzati biancastri e grigi, e dagli scisti carboniosi ed ar- desiaci con fossili appartenenti ai più alti piani di questo periodo ; ciò che fissa ad un tempo il limite superiore del Carbonifero e l’estensione del Per- miano, risalendo da questo limite sino alle quarziti del Trias inferiore. La confusione che si fa dei due terreni è adunque ingiustificata ; oltreché può anche ingenerare dei concetti molto erronei intorno alla distribuzione di essi ed alla tectonica delle Alpi occidentali. Dna carta geologica tracciata se- condo quel sistema (come è quella annessa al lavoro del Franchi) nell’arco formato dalla zona paleozoica che dal Gran San Bernardo passa in Savoia e nel Delfinato e si estende alla Liguria, potrebbe dare l’idea di un grande svi- luppo del Carbonifero nella regione delle Alpi marittime; mentre sappiamo che l'affioramento di questo terreno vi è molto ristretto, limitandosi alla parte nu- cleare delle formazioni paleozoico -triassiche di cui la regione essenzialmente si compone; e che vi è amplissima invece la permiana, principalmente sotto forma di besimaudite. L’opposto accade nelle regioni della Moriana, Tarantasia ed alta Tal d'Aosta, dove la zona permiana tracciata dallo scrivente affiora appena iir lembi ristretti e discontinui a Modane, a Bozel, a Moutiers, al Monte Chétif ed alla Saxe e presso Testa d’Arpi nel sinclinale del Crammont. Il rimanente della zona paleozoica è invece costituito dal Carbonifero ; ciò che rivela condizioni di sollevamento diverse fra la parte Sud e Tord, ed erosione profonda verso quest’ultima, prima che nelle Alpi occidentali avvenisse generalmente il depo- sito triassico. — 304 — litologiche (besimauditi, scisti nodulosi e variegati sericitici) affioranti lungo la zona in questione, ed anche più a Sud, verso il basso dei valloni della Costa, di Monfieis, del Saut, ecc., scendenti sulla valle dell’ Arma, dove un brusco ripiegamento riconduce a giorno la parte superiore della serie paleozoica; il secondo dalle roccie abituali del Carbonifero alpino (scisti sericitici grigi e biancastri, scisti ottrelitici, scisti ardesiaci e carboniosi, arenarie e puddinghe), localizzato invece alla parte più profonda della zona a contatto coi calcescisti; presso la quale, in più punti, presenta eziandio affioramenti di antracite, come alla Cappella di San Rocco (Yalloriate), nel vallone della Costa ed in alto del vallone di Monfieis. Orbene, i due terreni non si accompagnano costantemente lungo il contatto col calcescisto sottostante alla zona paleozoici, perchè il Carbonifero passando dalla valle della Stura (Mojola) a Valloriate ed al colle dell’Ortiga, viene a terminare alquanto più ad Ovest, nelle vicinanze di Monte Grum; al qual punto subentra il contatto diretto fra roccie permiane e calcescisto, che seguita fino all’estremità della Valmaira; dove, sotto Monte Boulliagna, si offre pure la sovrapposi- zione diretta delle quarziti ai calcescisti. Come adunque è possibile ammettere il parallelismo e la conti- nuità di formazione stabilita dal Franchi fra questi calcescisti ed i soprastanti terreni? Come può sussistervi una concordanza, dal mo- mento che lungo la stessa zona i calcescisti passano successivamente dal contatto col Carbonifero a quello coi Permiano e col Trias infe- riore ? Convengo che, se si considerano gli strati nella limitata esten- sione che può dare l’osservazione locale , su ciascun punto del contatto si può constatare un sensibile parallelismo fra i calcescisti e le so- prastanti roccie paleozoico -triassiche ; ma nel complesso è chiaro che il parallelismo in senso assoluto non può esistere e che vi occorre soltanto quello simulato, dipendente dallo schiacciamento degli strati paleozoico-triassici contro ai banchi del calcescisto. Frattanto risulta evidente che se si ammettesse la continuità di — 305 - formazione fra questi strati ed i calcescisti sottostanti, date le con- dizioni in cui si presenta la serie delle roccie paleozoico-triassiche, che è dissimmetrica ed ascendente a partire dai calcescisti, volendo se- guire il Franchi nella sua interpretazione, non basterebbe più che questi venissero considerati come forme laterali degli scisti triassici e del calcare compatto dolomitico triassico come egli ritiene ; ma l’asse di simmetria dovendo partire dalla zona carbonifera, i calce- scisti dovrebbero rappresentare eziandio gli scisti gneissici permiani e le quarziti del Trias inferiore. Anzi, a volere essere esatti, si do- vrebbe trovare nei calcescisti anche l’equivalente degli strati carbo- niferi, perchè la serie di questi strati è progressiva e non presenta ripetizioni che accennino ad un ripiegamento anticlinale nella loro massa. Bisognerebbe inoltre ammettere che la linea di contatto coi calcescisti segnasse appunto il vertice della piega anticlinale ipotetica e che il cambiamento di ciascuno di quei piani geologici, sì distanti fra loro per età e per forme litologiche, negli equivalenti strati di calcescisto avvenisse in coincidenza di quella linea di contatto. Si verrebbe, in una parola, a ripetere il ripiego inverosimile che più volte rilevammo nelle soluzioni stratigrafiche date dal Bertrand per spiegare la posizione dei calcescisti rispetto alla serie paleozoico- triassica, il quale nelle sue sezioni geologiche fa abitualmente coin- cidere i cambiamenti litologici col vertice delle pieghe da lui sup- poste ; ripiego di cui qui è reso più evidente l’artifizio pel necessario concorso di tutte le circostanze che abbiamo enumerate. L’ipotesi d’una piega anticlinale nella zona paleozoica adunque non è ammissibile. Intanto, poiché le quarziti del Trias inferiore, scisti permiani e scisti ed arenarie del Carbonifero, tre terreni assai distanti fra loro in ordine cronologico, vengono lungo la stessa zona suc- cessivamente a sovrapporsi ai banchi del calcescisto, bisogna ammettere che una sensibile obliquità esista fra i banchi del calcescisto e quelli del complesso di roccie paleozoico-triassiche che vi sovrasta; nel modo che accade anche nel sinclinale SavouLx-Salbertrand fra calcescisti e mi- cascisti rispetto al Trias; come anche nella massa di G-ad, e come in — 306 — generale in tutte le masse triassiche incluse fra le roccie arcaiche in cui viene più o meno simulata la concordanza dalle azioni dina- miche; obliquità dalla quale risulta evidente quella discordanza late- rale che ho avuto più volte occasione di far rilevare nella parte pre- cedente di questa nota. Taluno, sostenendo tuttavia l’idea della triassicità dei calcescisti, potrebbe in via di ripiego cercare la spiegazione di questo fatto nel- l’ipotesi di una faglia lungo la linea del contatto anormale che qui si verifica ; ma allora non vi sarebbe ragione di non adottare la stessa ipotesi per tutti i contatti anormali che nelle Alpi s'incontrano, si può dire, ad ogni passo, nei rapporti stratigrafìci fra le roccie del sistema paleozoico triassico e quelle della zona delle 'pietre verdi , ri- tornando alla teoria delle fratture sistematiche ammessa dal Lory; 1 se non fosse ormai dimostrato che quella ipotesi non può essere ac- cettata e che le discontinuità di stratificazione nella regione alpina sono dipendenti dalle grandi differenze d’età fra le roccie in contatto; trattandosi nel caso più frequente di lembi semplicemente interposti, talora di pieghe dissimmetriche e talora anche di pieghe complete anticlinali o sinclinali comprese fra le roccie di quella zona. Si aggiunga che l’ipotesi di questa faglia verrebbe egualmente a distruggere per altra via il principale argomento che il Franchi produce come prova della triassicità dei calcescisti ; vale a dire la con- tinuità di deposito fra i calcescisti stessi e gli scisti paleozoici ; mentre invece egli ha creduto di trovare lungo il contatto non solo il paral- lelismo, ma anche il graduale passaggio aall’una all’altra formazione. Ad ammettere l’esistenza della faglia si oppone d’altra parte il fatto, della biforcazione delia zona paleozoica di cui parla il Franchi 1 II Lory avvertì benissimo la discordanza, troppo evidente del resto in certi casi, fra la serie del suo Lias competete (calcare triassico), quarziti, car- niole e gessi, coi calcescisti, come risulta dalla sua sezione geologica del Monte Fréjus; discordanza che secondo il suo modo di vedere attribuisce ad una faglia anziché a discontinuità di deposito. Vedi Stratigraphie des Alpes Graies et Cottiennes (Bull. Soc. Géol. de Franco, 3a Serie, Tom. I, pag. 273-275). stesso x, presso Acceglio, dove uno dei rami si dirige verso la punta Ruisias ed il Pelvo d’ Elva, e l’altro risale la valle della Maira ed il vallone di Marin; talché la linea dì faglia considerata sopra una direzione del contatto fra la zona paleozoica ed i calcescisti verrebbe intercettata dal passaggio dell’altra zona. Ma l’ ipotesi della faglia ed insieme quella della continuità di deposito fra i calcescisti e gli scisti paleozoici viene distrutta nel modo più irrefragabile da un altro fatto che cadde sotto le mie osservazioni nelle vicinanze di Vaporiate. Grli scisti carboniferi che sopra Mojola si applicano direttamente sui calcescisti del monte Croce di Bai (vedi in proposito la Carta geologica), invece di dirigersi con una linea più o meno eguale e continua verso O.NO secondo l’andamento generale della zona paleozoico -triassica, pervengono in valle Valloria discendendo lungo il vallone delle Combe, che sta di fronte a Ciapoe, attorniando le rupi del Bric, l’ultima altura di calce- scisti sulla destra della valle, ad Ovest della Croce di Bai; cosicché chi discende questo vallone, lasciando alla sua destra le balze calcari del Bric, trova sul fondo e sulla sinistra, nello sperone del poggio Cucet, delie roccie profondamente diverse, cioè scisti quarzitici bianco- verdicci, scisti talcoidi fogliettati e scisti grigio-scuri del Carbonifero, contro ai quali bruscamente si arrestano le testate del calcescisto '. Che anzi gli scisti carboniferi lungi dal fermarsi allo sbocco del vallone ridiscendono alquanto anche lungo la Valloria sotto le balze di Roccabruna, insinuandosi nel fondo della valle fra i calcescisti di questa balza e quelli della falda sinistra soprastante a Sonvilla. I banchi del calcescisto del Bric e di Roccabruna, che sono la conti- nuazione di quelli della Croce di Bai, restano quindi attorniati su tre lati dagli scisti carboniferi che vi formano un’ appendice a guisa di 1 L. cit. pag. 227. 2 Ael Poggio Cucet fra gli scisti carboniferi esiste una piccola massa di porfirite verdastra, come trovansene in proporzioni maggiori nel Carbonifero delle Alpi Liguri, ad esempio nel vallone di Massimino sul TanarOj, ed al Bric delle Forche in valle della Bormida. 308 — uncino come mostra il frammento di Carta geologica (Fig. 16) che qui si riporta, per chiarezza, in scala maggiore. La linea di contatto taglia adunque inevitabilmente la direzione O.NO degli strati di calcescisto abbracciandoli con una linea spezzata Fig1. 16. — Schizzo geologico elei dintorni di Ciapoe ( V allori ate ). Scala 1 : 25,000. ed involuta che devia dapprima per quasi un chilometro verso Nord/ cioè in direzione presso a poco normale a quegli strati, lungo la destra del vallone delle Combe; poi da Ovest ad Est discendendo la valle principale e rimontandola quindi da Ciapoe verso i Bussoni \ 1 In alto della valle dei Bussoni dove avviene il contatto fra i calcescisti con roccie verdi e gli scisti carboniferi si ha una nuova prova della disconti- nuità fra i due terreni, che presentano direzioni assai diverse nelle loro stra- tificazioni ; ciò che può rilevarsi anche dal Pesa me della Carta geologica. — 309 - Ora tale conformazione che rende impossibile l’ ipotesi di una faglia e quindi l’esistenza di un piano di scorrimento, esclude altresì ogni idea di parallelismo nelle stratificazioni, e dimostra in modo non dubbio la trasgressione originaria tra la formazione paleozoico- triassica e quella dei calcescisti; trasgressione che non ha potuto venir dissimulata neppure dal laminaggio proveniente dalle energiche pressioni che spinsero l’una contro l’altra queste formazioni. Intanto le conseguenze derivanti da questi fatti sono assai chiare e concludenti. Esclusa l’ ipotesi della faglia, escluso il parallelismo e la continuità di deposito fra le roccie dei due sistemi e risultando prò - vata la loro discordanza, evidentemente devesi conchiudere che si tratta di due formazioni indipendenti, di cui la più antica, cioè quella dei calcescisti, era già stata sollevata e profondamente erosa quando si effettuò il deposito carbonifero. Questo deposito difatti ha attorniato la massa dei calcescisti insinuandosi nelle bassure preesistenti, come avviene a Valloriate fra i calcescisti formanti gli scogli di Bocca- bruna da un lato della valle, e quelli della falda opposta sovrastante a Sonvilla \ 1 Mi è occorso ormai più volte di far notare questo fatto, che è generale nelle Alpi, ma che nella regione del Monte Bianco risulta d’una particolare evidenza ; poiché oltre alle roccie del Trias, del Permiano e del Carbonifero, ridotte talora in lembi discontinui ed impigliate in zone fra le roccie arcaiche, gli scisti giurassici attornianti il nucleo cristallino si mostrano a loro volta come una formazione di riempimento, tanto fra le ineguaglianze delle roccie arcaiche, quanto fra queste e quelle paleozoico-triassiche; sebbene in tutte queste roccie si avverta un andamento pressapoco parallelo prodotto dall’energico laminaggio avvenuto in quel gruppo montuoso. In terreni più recenti, le Alpi Apuane ci offrono, come sappiamo, esempi continui di erosione e successivo riempimento operato dai depositi giurassici ed eocenici sulle roccie paleozoiche, triassiche, retiche e liassiche. Ma uno dei più chiari e grandiosi esempi di erosione profonda e riempimento successivo si osserva nella valle del Liri a monte di Sora. Fra questo luogo e l’origine del fiume, vale a dire per un tratto di oltre 50 chilometri, la parte centrale della valle è costituita da una lunga ed angusta zona di scisti e calcari eocenici, talora rad- drizzati e contorti per l’azione del sollevamento, entro ai quali il torrente incise # — 310 — Le conclusioni intorno ai rapporti tectonici fra calcescisti e scisti paleozoici, a cui perveniamo, sono adunque in flagrante contraddi- zione con quelle su cui il Franchi appoggia la soluzione stratigrafica delle sue sezioni. Quanto alle altre ragioni da esso dedotte in favore della sua tesi, cioè : la sovrapposizione diretta dei calcescisti nella zona Valmaira- Valle Stura agli strati liassici e triassici dell’alta Valgrana ; la con- formazione ad anticlinale di questi strati e la somiglianza litologica fra i calcescisti e gli strati fossiliferi del Lias, e fra certe forme dei calcescisti con quelle che alcune volte rivestono gli strati triassici, noi ci troviamo di fronte a questi fatti: La un lato abbiamo la zona il suo letto. La falda interna delle alture incassanti la zona eocenica, è invece formata, secondo le osservazioni del Cassetti, da calcari urgoniani e turoniani. sotto ai quali affiorano anche lembi di calcari e dolomie liassiche. La dissime- tria e le pendenze di queste formazioni più antiche, totalmente in disaccordo con quella degli scisti eocenici, non lasciano dubbio alcuno che si tratti di una valle di erosione preterziaria stata poi sommersa e riempita coi depositi delFEo- cene, in cui attualmente il Liri ha riescavato il suo corso tortuoso. Aon altrimenti, in epoca più antica, dev’essere avvenuto fra le roecie del sistema arcaico delle Alpi e quelle del sistema paleozoico-triassico, che ne riem- pirono le valli e le depressioni. Se poi s’immagina che quella regione campano- abruzzese venisse a subire le pressioni che così energicamente agirono sulle roccie alpine, si avrebbe la ripetizione di quanto osservasi nelle Alpi fra le roccie arcaiche e le formazioni paleozoiche e secondarie che in esse rimasero impigliate con andamento quasi parallelo, talora in lembi, talora in lunghe zone : ma tuttavia conservanti le traccie della originaria trasgressione colle roccie di fondo sulle quali il riempimento ebbe luogo. Di queste zone alpine, quella di Valmaira-Valgrana e Valmaira- Valle Stura qui considerate, che sono particolarmente importanti per ampiezza e continuità, restano dissimetricamente comprese fra i calcescisti e le altre roccie arcaiche, ma disposte trasversalmente alle valli attuali. Velia valle dell’ Are in Savoia abbiamo invece la ripetizione esatta di quanto osservasi in valle del Liri : cioè una depressione preesistente al deposito triassico che una volta riempiva la valle, come in questa l’Eocene, ed ora riescavata dal torrente ; il quale per erosione profonda smembrandola, ha però lasciato nei vari lembi sparsi lungo il corso dell’ Are fra Bonneval e Modane sullo gneiss centrale, sui micascisti, i calcescisti e le altre roccie arcaiche, le traccie evidenti della primitiva conti- nuità di questo deposito. 311 dei calcescisti soggiacente al Paleozoico che risulta nettamente indi- pendente e più antica di esso : dall'altra la stessa zona, che, secondo il Franchi, dovrebbe far seguito agli strati liassici dell’anticlinale secondario di Pradleves; la qual cosa riesce inconciliabile colla solu- zione tectonica che egli immagina, implicante necessariamente la continuità della serie sopra entrambi i lati della zona medesima. E poiché la trasgressione dei calcescisti col Paleozoico è indiscutibile, essendo questo un argomento di molto maggior rilievo di quello che il Franchi annette alla somiglianza litologica fra il calcescisto e gli scisti liassici su cui s’appoggia, ne consegue pur quella fra i calce- scisti e l’anticlinale secondario, stante la coesistenza necessaria di questi fatti. E quindi giocoforza l’ammettere il ribaltamento verso Est degli strati di calcescisto sulla massa triassica che ne rimase ricoperta su tutta la sua estensione dalla Yalmaira alla Valgrana ed alle adiacenze di Bernezzo. Tale accidentalità stratigrafìca è abituale del resto nella tectonica delia regione, che consideriamo fra le roccie paleozoico- triassiche e le arcaiche includenti. Ne abbiamo veduti parecchi esempi lungo l’Ubaye; dei quali questo della Yalmaira non è che la conti- nuazione lungo la stessa zona. Lo stesso fatto, sebbene in sen-o opposto, si riproduce a Savoulx, dove invece di un anticlinale, i calce- scisti presentano il ricoprimento d’un sinclinale triassico; dimostrando al tempo stesso che la piegatura anticlinale assunta dalla massa triassica della Yalmaira è puramente accidentale. Potremmo quindi a rigore ritenere superflua una ulteriore confu- tazione degli argomenti prodotti dal Franchi ; ma non riescirà fuor di luogo pigliare in esame, per quanto brevemente, le sezioni e le altre sue deduzioni ; tanto più che questo esame ci condurrà ad aggiungere nuove ragioni a quelle già svolte, nel dimostrare la verità delle mie vedute intorno all’età della zona delle pietre verdi. Sezioni fra la Valle Stura e la Valgrana. — Il fatto della sovrap- posizione dei calcescisti alle roccie secondarie dalla Yalmaira alla Fig. 17. — Sezione geologica tra il Vallone asm Arma e Pradleues. Passo S. Anna (1341) 1 1 4 ili II- . .5 .1 'I '■§ | % S svi & 63 S ^ 11 s s § -C 1 3 i ! 'I - | i-. Il | I 8,-S 'E ® -2 ?.. - o 00!0Z09|Ed 'u S ~ | B =5 J •r, E 5 •n ^ -, 1 "1 s - ~ 1 1l III E H S S 2 o or ~ £ S 1 ^ e — 313 - Yalgrana è rappresentato nelle varie sezioni del Franchi, che ripetono pressapoco lo stesso motivo sbratigrafico. L’anticlinale formato dai calcari triassici nell7 alta Valmaira è però più propriamente figurato nelle sezioni I a IV, di cui la II è quella che per noi ha maggior interesse, essendovi indicati anche i rapporti stratigrafici col nucleo delle roccie crisi alline che vengono a giorno al disotto dei calcari a Pradleves; sebbene la sezione passi alquanto più a monte di questo luogo. Le particolarità di quel lembo sono del resto date a parte dal Franchi nella sua figura 27. La sezione che qui riporto, ricavata dalle mie osservazioni precedenti e recenti tagliando l’affioramento cristal- lino in parola a Pradleves, non si estende molto verso la sinistra della valle, che per noi ha un interesse subordinato. Sulla destra si dirige al Monte Ribé ed alla Rocca Pergo, e perviene sino alla Stura scendendo nella valle dell’Arma sulla destra del vallone di Monfieis. Tra la Stura e la valle dell’Arma la sezione taglia nel contrafforte di Demonte la nota zona di arenarie e scisti eocenici, calcari, scisti marnosi grigi e calcari zonati, riferiti al Cretaceo ed al Giurese e scisti grigi, violetti e verdicci già da me ritenuti triassici, che più a monte racchiudono le lenti di calcare arenaceo di Aisone. 1 Rimontando il vallone di Monfieis, la sezione interseca pochi calcari stratiformi grigi zonati, forse giurassici, 2 fortemente inclinati, che si applicano e si rovesciano contro ai banchi del calcare triassico 1 II calcare di Aisone fu recentemente dimostrato triassico dal prof. Portis nella sua Xota: Due località fossilifere delle Alpi marittime. Boll. Soc. geol. ital., Voi. XVII, 1898. 2 Questi calcari sono indicati come giurassici anche nella Sezione del Franchi. Osservo però che calcari simili a questi si mostrano nei dintorni di Demonte associati agli scisti fogliettati che includono le lenti di calcare arenaceo di Aisone, come alle C. Baros; a scisti e calcare tufaceo alla Madonna del Pino; a scisti, calcari biancastri, carniole e calcari di tipo triassico alle C. Saret, ecc. Altri calcari zonati e scisti grigi si trovano poi fra il Xummulitico alla Bocca Borea e verso il valloncello di Mojola; talché resta assai dubbioso se i calcari strali- formi zonati rappresentati sulla Sezione debbano esser veramente assegnati al Giurese. 21 grigio subcristallino, con portoro e calcare del tipo Villano va. 1 Questi banchi, assai raddrizzati nel basso del vallone si incurvano più in alto adagiandosi su quelli di quarzite del Trias inferiore, che chiudono in un breve, ma deciso anticlinale degli scisti verdicci, duri, compatti, scisti nodulosi anagenitici e scisti variegati verdi e rossastri con vene di epidoto (simili a quelli che appariscono alla base del Monte Chaberton) e la cui associazione e posizione strati- grafica fanno con fondamento ritenere permiani. L’ anticlinale delle quarziti è seguito da un sinclinale con altri calcari triassici nel nucleo e nuove quarziti in banchi verticali nel ramo più a monte della piega; a cui subentrano, poco sotto al rio Biolè, e sempre fortemente inclinate, le roccie permiane con scisti verdastri, scisti anagenitici e besimauditi. Seguono le roccie caratte- ristiche della serie carbonifera: scisti sericitici biancastri e verdo- gnoli, scisti nodulosi grigi chiazzati, scisti ottrelitici, arenarie e scisti carboniosi, nei quali sono le note ricerche di antracite. La serie, mo- derando la sua inclinazione, seguita per un complesso di circa 800 metri con alternanze di scisti sericitici e micascisti quarzosi verdicci laminati, come se ne vedono nel Carbonifero delle valli della Bor- mida e di Bialto in Liguria, sino all’incontro dei calcescisti; cioè presso al culmine del contrafforte che declina a Nord, verso la Vai- grana. Il culmine, nel punto in cui è tagliato dalla nostra sezione, è formato da calcescisti zonati bigi e biancastri racchiudenti una pic- cola massa di diabase laminata a gastaldite, ed una maggiore di eu- fotide, diabase massiccia ed a sferoidi, costituente l’altura dirupata della Bocca Pergo. Queste roccie verdi fanno parte d’un seguito di altre masse inserite ai calcescisti lungo il crinale da Monte Grum al colle dell’Ortiga, rilevate a mo’ di scogli sui calcescisti, in ragione della loro resistenza maggiore. 1 jShl contiguo vallone del Saut, presso le C. Bourel, vi ha un banco di dolomia fossilifera in cui ho raccolto esemplari di Myophoria Kefersteìni e Ter. vulgaris. — 315 — Al disotto di Rocca Pergo, verso Nord, i calcescisti presentando qualche altra inserzione delle roccie verdi abituali di questa zona, seguitano in una serie potente, che conserva rinclinazione a Sud, variando talora dal tipo normale, sia per l’eccedenza dell’elemento calcare che li cambia in calcari cristallini a lastre, qua e là sporgenti colle loro testate dalla falda montuosa; oppure cambiandosi, per de- ficienza di esso, in una sorta di micascisti fìlladici, come fra il colle di Pra Castello ed il Monte Ribó, dove vengono addossandosi agli strati triassici (vedi la fìg. 17). Le pieghe descritte che si osservano nel vallone di Monfìeis, si osservano eziandio nei valloni paralleli del Saut, di San Giacomo, ecc. essendo dipendenti da un corrugamento più generale che si estende a tutte le alture a sinistra della valle dell’Arma; e sono la evidente conseguenza dell’energica spinta subita dalle roccie paleozoico- trias- siche contro la zona arcaica ; la quale produsse eziandio il laminaggio di queste roccie ed il parallelismo simulato fra esse ed i calcescisti. Mentre però queste pieghe sono evidentissime, nulla giustifica, come vedesi, l’esistenza e la possibilità dell’anticlinale complesso a ventaglio figurato dal Franchi tendente a stabilire la continuità di serie fra la zona paleozoica e la zona arcaica dei calcescisti. I descritti rapporti stratigrafici la escludono anzi nel modo più assoluto, come la escludono anche le altre regioni svolte in precedenza; dimostrando anzi che l’ anticlinale ideato dal Franchi non esiste. Dalle forti incli- nazioni del Trias al Permiano ed al Carbonifero, le stratificazioni pre- sentano bensì una pendenza decrescente che offre l’idea della conforma- zione a ventaglio, come apparisce anche dalla nostra sezione ; ma ciò è puramente l’effetto della eccessiva pressione subita nel basso degli strati, contro la zona arcaica. La serie è progressiva, non offre in- dizio di pieghe e viene a terminare direttamente col Carbonifero contro ai calcescisti; tantoché presso Valloriate, sotto la cappella di San Rocco, abbiamo arenarie, puddinghe e scisti carboniosi con an- tracite, roccie fra le più tipiche del Carbonifero, ad immediato con- tatto coi calcescisti. - 316 — Esaminiamo ora le roccie cristalline di Pradleves, che stanno al contatto inferiore col Trias. Anche qui le mie osservazioni trovansi in completo disaccordo con quelle del Franchi. Il ripiegamento an- ticlinale dei calcari triassici al disopra del lembo cristallino appare evidente a chi risalga la Valmaira da Pradleves verso Castelmagno da un lato e la valle del Gerbido dall’altro, constatando la opposta inclinazione degli strati ; e meglio ancora a chi salendo sopra qualche altura dei dintorni possa abbracciare a colpo d’occhio la massa cal- care del Monte Chialmo, nella quale è evidente la forte curvatura delle stratificazioni. Il disaccordo col Franchi sta però nell’interpre- tazione tettonica del nucleo cristallino sottostante ai calcari, che egli figura ancora piegato concentricamente agli strati triassici; ciò che non è evidentemente. Questo nucleo si presenta invece come un lembo residuo di roccie della zona delle 'pietre verdi , che si succedono in serie progressiva e dissimmetrica e con pendenza uniclinale. La serie di tali roccie si attraversa quasi tutta rimontando la valle da Pra- dleves alle C. Follia, dove subentrano le roccie triassiche; e si com- pone essenzialmente d’un’aiternanza di micascisti, gneiss minuti e pochi calcescisti con intercalazioni di scisti anfibolici e cloritici; tutte roccie del più schietto tipo arcaico Però la serie delle roccie cristalline, che stando alla fig. 27 del Franchi passante a Pradleves, rimarrebbe interamente sulla destra del Grana, seguita invece sulla sinistra, dietro l’abitato, con calce- scisti affioranti copiosamente in più punti: allo sbocco della valle del Gerbido; nel basso del vallone del Tiliè; ricompaiono poi in un burroncello tra la prima e la seconda borgata e formano una breve isola attorniata dalle carniole triassiche nel vallone dei Tetti. Questi affioramenti, sfuggiti forse all’osservazione del Franchi, sono molto interessanti, poiché il loro modo di presentarsi dimostra all’evidenza il disaccordo col deposito triassico, che viene irregolarmente a rico- prirli sulle testate. Tra il vallone dei Tetti, i casolari del Tiliè ed il poggio della Madonna degli Angeli, sono carniole e breccie che si addossano ai calcescisti accusando la discontinuità del deposito (vedi la fig. 18); tra la base di quel poggio ed il vallone del Gerbido sono - 317 — invece calcari triassici in strati pendenti aNE che si mostrano in discordanza con quelli dei calcescisti aventi una forte inclinazione a S.O con direzione a N.O, che è quella abituale a tutte le roccie del lembo cristallino. E tale forte pendenza con direzione a N.O si ri- trova ancora nel seguito degli scisti cristallini che sta sulla destra del vallone del Gerbido sotto la Costa di Cauri corrispondente all’asse dell’ anti cimale triassico, dove gli strati calcari passanti sulle testate degli scisti, sono invece diretti a N.E, cioè normalmente all’anda- Fig'. 18. — Sezione attraverso la Valgrana , passante sulla destra del Eio del Tiliè ( Pradleves ). Via di Riosecco Pradleves Mad.a degli Angeli ' T. Grana Rio del Tiliè (1128) Scala 1 : 25,000. , Arcaico: cs Calcescisti - ms Micascisti - gs Gneiss - A. Anfibolite. Trias: cd Calcare dolomitico - cg Breccie e carniole - qz Quarziti. mento dell’Arcaico; mentre se esistesse la continuità del deposito, il cambiamento nella direzione degli strati dipendente dalla curvatura anticlinale dovrebbe evidentemente trasmettersi anche alle roccie cri- stalline sottostanti. Nel punto di curvatura il prolungamento della loro direzione, che resta invariata, viene in conseguenza a ferire la direzione dei banchi calcari, come è facile convincersi con semplici considerazioni geometriche, ed anche esaminando la nostra sezione; sebbene essa rappresenti quegli stessi fatti e rapporti tectonici in un piano passante alquanto più a valle di quella del Franchi, cioè sulla sinistra del vallone del Gerbido. Ma una prova palmare dello hiatus fra le roccie cristalline ed il calcare triassico sovrastante l’abbiamo nelle breccie a frammenti di roccie cristalline impastate nel calcare carniolico, ebe si osservano alla base del deposito triassico nel poggio della Madonna degli Angeli sopra ricordato, specialmente verso il vallone del G-erbido. Nè si creda che si tratti di quel calcare tufaceo di origine recente che ricopre talora superficialmente i calcari triassici, impastando frammenti di roccie eterogenee. Quei frammenti sono veramente compresi nella massa dei calcari carniolici che si sono sviluppati sul versante Sud del poggio, presentanti la divisione in banchi, ei intermezzati da calcari compatti a struttura stratificata. Un fatto analogo fu già segnalato dal Gregory al Mont .Tovet in Savoja, dove, presso Notre Dame du Pré, alla base delle dolomie triassiche ha osservato strati di breccia contenente ciottoli dello stesso calcescisto prepaleozoico di cui è costituito il Mont Jovet, sul quale il Trias resta addossato \ Le mie osservazioni avevano stabilito del resto fino dal 1889 che le roccie della zona delle pietre verdi possono incontrarsi allo stato frammentario anche nella massa delle roccie permiane * ; dap- poiché nei dintorni di Finalborgo, ad Orco-Feglino, si osservano frequenti i ciottoli più o meno arrotondati, spesso anche discreta- mente voluminosi, di roccie serpentinose ed anfìboliche, impigliati nella massa scistosa della besimaudite gneissica meglio caratteristica. E quindi naturale che a più forte ragione, tutte le roccie della zona delle pietre verdi, i calcescisti compresi, possano entrare altresì nella composizione degli strati triassici. A Pradleves sono frammenti di micascisto, di calcescisto, e più spesso di scisti filladi ci grigi e verdastri, fra cui si notano perfino dei pezzi angolosi di 12 a 15 centimetri di lunghezza, strappati evidentemente alle roccie cristalline delle vicinanze immediate, che- 1 J. AV. Greoory, The « Schistes lustrès » of Monili Jovet {Savoij). (Quart. Journ. Géol. Soc. 1896, Yol. LII, n. 205, pag. 8). 2 Boll. R. Coni. G-eol. 1890, pag. 25 (Parte ufficiale). — 319 — fanno parte della breccia triassica ; prova non dubbia che questa isola cristallina di Pradleves, tornata ora allo scoperto a causa della ero- sione della massa calcare, già affiorava a guisa di scoglio all’epoca del deposito triassico. Porse anche la presenza di quel nucleo antico fra la massa calcare, interrompendo la continuità delle stratificazioni, fu poi la causa determinante della piegatura anticlinale degli strati triassici, che ora sormontano a guisa di volta il nucleo medesimo. Ragioni diverse, ma non meno evidenti di quelle già vedute in precedenza, ci conducono adunque alla stessa conclusione confermante l’ indipendenza fra le roccie appartenenti alla zona delle pietre verdi ed il deposito paleozoico -triassico. Eppure malgrado l’evidente disaccordo fra le due formazioni, il Franchi, ammettendone il parallelismo e la continuità di successione, che anche a Pradleves risulta troppo palesemente insostenibile, nella sua Sezione II colloca quel lembo di roccie cristalline nel Paleozoico, assegnandolo ' alla zona dei terreni stratificati a facies cristallina della sua scala geologica (vedi Tav. VII e Vili). Epperò sarebbe inutile insistere sull’ argomento, se non fosse per rilevare il fatto che oltre agli gneiss e micascisti ritenuti dal Franchi come gli equiva- lenti del Paleozoico più cristallino, in questo lembo di Pradleves dovrebbero inevitabilmente esservi compresi non solo i pochi calce- scisti alternanti con quelle roccie, ma anche quelli, forse dal Franchi non avvertiti, che alla loro base hanno un notevole sviluppo. Cosicché, secondo l’ interpretazione data dal Franchi alla sezione di Pradleves, dovrebbe accettarsi V ipotesi che quella roccia (il calcescisto) colla stessa facies e colle stesse associazioni di roccie verdi, eco., abbia seguitato a riprodursi, non solo fra il Trias ed il Lias, come egli am- mette, ma addirittura in tutti i piani della scala geologica che in- tercedono fra il Lias ed il Carbonifero ! 1. 1 A provare altrimenti la discontinuità del deposito paleozoico e triassico col calcescisto, richiamo l’attenzione sopra un fatto altrove più volte notato, che però ha qui particolare importanza perchè cade nel campo della annessa Carta e quindi nelle adiacenze dei luoghi in esame; voglio dire la saltua- 320 - Il lembo cristallino termina alle 0. Follia con micascisti e gneiss a grossi elementi, sui quali vengono a poggiare gli strati di quarzite e scisti verdicci sericito - quarzitici del Trias inferiore, che salgono da un lato, verso l’abitato della Cialancia, e dall’altro verso Roccia rietà dei contatti fra quei terreni. In tutto il lungo contrafforte che scende dal Colle dell’Ortiga verso Mojola, il calcare triassico si mostra alla parte esterna, verso la Stura, al seguito delle quarziti, degli scisti permiani e dei carboniferi, formanti una serie regolare sovrapposta ai calcescisti. Però, alla Ruà di Mojola, nell’estrema punta Est del contrafforte che la valletta dei Colli biforca a partire dal monte Croce di Bai, un lembo staccato di calcare triassico viene direttamente a sovrapporsi in discordanza al calcescisto : per modo che sulla falda Sud dello stesso poggio, e sugli stessi calcescisti, si hanno a bre- vissima distanza scisti carboniferi e calcari dolomitici del Trias medio. Ora. come è possibile ammettere (a parte la discordanza manifesta), che i calcescisti, i quali secondo il Franchi dovrebbero far serie continua cogli scisti paleozoici, possano ad un tempo trovarsi in diretta continuità col calcare triassico ? È evidente che, per logica deduzione, fra il calcescisto ed il calcare triassico dovrà ammettersi almeno un hiatus corrispondente a tutto il periodo fra il Carbonifero ed il Trias inferiore. La stessa località di Mojola ci offre l’opportunità di fare un'altra osserva- zione d’ordine stratigrafico intorno al valore che può assegnarsi in questa regione al parallelismo delle varie formazioni per inferirne la continuità di deposito. Come apparisce dalla Carta, a partire dal Monte Moura sulle forma- zioni paleozoico-triassiche si stendono banchi di un calcare bianco-bruniccio subcristallino o grigio scheggioso, zonato, selcifero, con scisti marnosi a spal- mature nerastre, riferibili al Nummulitico. Alcuni banchi ricordano però i calcari di formazioni più antiche, come avviene in generale per le altre roccie eoce- niche della regione. Alla Cappella dell’ Annunziata, sopra Mojola, le stratifica- zioni di quei calcari, che scendono a Nord verso la valletta dei Colli, stanno in perfetto accordo coi banchi di quarziti, scisti variegati e calcari dolomitici del Trias formanti l’ossatura del ramo Sud del contrafforte; talché, dato anche l'aspetto di quei calcari, si ha l’apparenza di una formazione in continuità col Trias. Anche il piccolo scaglione roccioso che dal Pianetto a San Lorenzo costeggia la strada rotabile è formato dai .calcari eocenici che secondano colla pendenza quella del calcare triassico, soprastante per rovesciamento. Si ha qui adunque fra le roccie eoceniche e triassiche un caso di parallelismo e di rove- sciamento che ricorda, in proporzioni più ristrette, quanto avviene a Pradleves rispetto ai calcescisti, al Paleozoico ed al Mesozoico ; ma da ciò non potrebbe inferirsene, come appunto colà fa il Franchi, la continuità fra queste formazioni. Cucuja sopra Riosecco. Lungo la valle si osserva la sovrapposizione apparentemente concordante del Trias agli scisti cristallini aventi presso a poco la stessa pendenza e direzione; che è del resto quella dipendente dall’orientamento assunto da tutte le roccie della regione, a partire dall’ Eocene sino all’Arcaico, a causa della spinta subita verso Est e dell’energico laminaggio conseguitone. Sulle quarziti la serie continua coi soliti calcari grigi dolomitici brecciformi e compatti del Trias medio e superiore, che serbano presso a poco gli stessi caratteri in sotto lo sperone di Cauri. Qui il calcare triassico fa passaggio a quella zona di calcari grigi arenacei e bardi- gliacei attribuiti al Lias, che si prolunga nel basso della valle fin sotto Sant’Ambrogio, dove le inflessioni degli strati riconducono a giorno, per breve tratto, i calcari dolomitici del Trias, tanto sul fondo del Grana che nel vallone laterale di Narbona, sempre ricoperti dalla zona di calcare scistoso e bardigliaceo. Appunto nel vallone di Nar- bona e nella parte scistosa di questi strati più vicini al Trias si osservano le traccie di fossili che indussero il Franchi a riferire al Lias anche i calcescisti propriamente detti che vi sovrastano per ribaltamento. Gli strati liassici non occupano infatti tutta l’altezza delle ripide pareti incassanti questo vallone, come potrebbe credersi esaminando la sua Sezione III; essendo in gran parte formate dai calcescisti che sopra Castelmagno e sul dorso dello sperone di Sant’Am- brogio vengono a sovrapporvisi per dirigersi al Monte Ploum ed al Monte Chialmo sul crinale 1. Questi calcescisti sono il prolungamento di quelli di Forest e di Costa Selleria che sulla sinistra della valle pure si addossano al lembo secondario ed appartengono alla stessa falda di ricoprimento che continua al Monte Ribè, al Monte Ruera, Monte Rosetta, eoe., dove può seguirsene il contatto cogli strati triassici. 1 INùn potendo produrre una Carta geologica del luogo sufficientemente dettagliata e tracciata secondo le mie vedute, ciò che avrebbe richiesto mag- gior tempo di quanto ho potuto disporre, credo necessario per l’ intelligenza aver sott’ occhio almeno la Carta topografica al 1 : 50,000. Rimontando la valle gli scisti e calcari Massici terminano all’abi- tato di Neirone inferiore sotto al detrito di breccia poligenica, pre- valentemente dolomitica, proveniente dalla sovrastante Punta Castellar. I calcescisti s’ incontrano coi loro caratteri, spiccatamente diversi da quelli degli strati Massici, salendo alla borgata superiore, appena lasciato il detrito. Sono grigi, lucenti, molto micacei, zigrinati, con- torti, e colle solite inserzioni di roccie verdi che mancano agli strati liassici. Qui nella valle una piccola massa di eufotide affiora sotto la cappella di Sant’Anna, ed una di serpentina nelle rupi di fronte a Neirone; senza dire di quelle più lontane verso Monte Bram suMa destra, e del Monte Ploum e Monte Chialmo sulla sinistra apparte- nenti alla stessa zona. Gli strati liassici sono invece, come dissi, per 10 più a strati regolari, grigi, arenacei, separati da scisto nerastro, con banchi bardi gliacei traversati da vene e nodi di calcite bianca; e sotto questa forma ricordano i banchi di calcare grigio-cupo a vene bianche, pure Massici, di Aigue bianche in Savoja e della Giandola in valle della Roja, stati talvolta scavati come marmi. Poco più a monte, ai Chiappi, la zona paleozoica che vedemmo a Yalloriate e nel vallone di Monfìeis, traversa la valle con ' scisti nodulo si e besimauditi permiane poggianti direttamente sul calce- scisto ; mancando qui, come già avvertii, fra le due zone, il piano del Carbonifero. La sovrapposizione è assai netta sul rivo di San Magno; 11 Santuario è sulla besimaudite che appare energicamente laminata, nodulosa, talcoide, come può vedersi meglio nella sottostante cava delle lose. Tornando agli strati Massici, essi devono adunque limitarsi ad un lembo localizzato e di piccola potenza ricoprente nel basso della valle le dolomie triassiche fra Neirone e lo sperone di Cauri ; e la cui importanza appare anzi esagerata in conseguenza dei ritorni prodotti dalle ondulazioni anticlinali di cui si è parlato. Perocché quegli strati non possono elevarsi ed espandersi come ammette il Franchi verso le alture del Monte Ploum e del Monte Chialmo, confondendosi coi veri calcescisti; non essendo possibile, in forza delle ragioni stratigrafiche già vedute, più che per le differenze litologiche, accomunare gli strati liassici coi calcescisti a roccie verdi della Costa di Cauri e del Monte Chialmo, dove il Trias spoglio degli strati liassici, viene in diretto contatto col calcescisto arcaico \ Se così non fosse, bisognerebbe ammettere una cosa impossibile ; che cioè, quella stessa zona di calcescisti, la quale a Monfieis, verso la valle dell’Arma ed a Valloriate risulta certamente, più antica del Car- bonifero, fosse qui equivalente ed in continuità degli strati liassici con cui viene a contatto. È quindi giocoforza concludere che si ha qui una falda di rico- primento costituita dalla zona arcaica dei calcescisti e scisti fìlladici ricorrente dall’alta Valmaira alla Stura, la quale sta in contatto ora col Trias ed ora col Paleozoico sulla sua faccia esterna, cioè verso la Stura; e viene addossandosi per ribaltamento ai terreni secondarii della zona Valmaira- Valgrana, trovandosi a contatto cogli strati triassici del Monte Ribè nelle vicinanze di Pradleves ; poscia col lembo liassico di Castelmagno sul fondo della Valgrana, per ritornare a sovrapporsi direttamente al Trias nel Monte Chialmo e nel seguito della stessa zona verso la Maira. Questo addossamento della serie paleozoico-triassica ai calcescisti dapprima, poscia dei calcescisti alle roccie secondarie, si è già potuto notare anche nella mia sezione (Fig. 1) in valle dell’Ubaye, dove si riscontrano gli stessi fatti accom- pagnati dalle stesse circostanze; di cui, questi della Valmaira non sono del resto che la continuazione sul versante italiano. La presenza di un lembo di calcari e scisti liassici sul fondo della Valgrana è d’altra parte spiegabilissima, poiché da quanto si vide, assai frequente nelle Alpi occidentali è il caso di masse d’ogni grandezza di scisti paleozoici, di quarziti e di calcari del Trias infe- riore e medio, inclusi fra i calcescisti e le altre roccie arcaiche, come 1 Per chiarezza seguiterò a chiamare calcescisti soltanto quelli a roccie verdi che io ritengo arcaici, riconducendo la parola al suo antico e vero significato. — 324 — in valle dell’ Ubaye, sia associati ed ordinati fra loro in serie, sia separati e dispersi; ed anche di masse calcari staccate riferibili al Trias superiore, come accade di quella di Gfad nei pressi di Oulx. Si tratta evidentemente di lembi residui del deposito paleozoico- secondario sfuggiti alla erosione prima ohe la spinta potentissima ed il sollevamento post-eocenico avesse richiuse le depressioni e lami- nate le roccie in esse comprese. Non abbiamo qui tra la vicina valle dell’Arma e la Stura tutta una serie di roccie rappresentanti i terreni dal Paleozoico all’Eocene, costipate e rese parallele per laminazione, fra la massa arcaica del gruppo del Mercantour e quella dei calce- scisti ora in esame ? Non dovrebbe adunque recar meraviglia se sopra la massa triassica della Valgrana, pure compresa fra due zone arcaiche, possa esser rimasto anche qualche strato del Lias inferiore; tanto più che trattasi di due piani geologici succedutisi in continua- zione immediata. E questa l’interpretazione più semplice e più naturale che possa darsi alla presenza dei pochi strati liassici della Yalgrana interposti fra i calcescisti ed il Trias superiore ; anzi la sola ammissibile dopo gli argomenti stratigrafici già ventilati. Non vi è quindi bisogno di ricorrere a ripieghi tettonici fittizi ed insostenibili, come quello che ammette la possibilità di un anticlinale coi rami formati da roccie di diversa natura ed età 1 per stabilire la continuità di deposito fra il paleozoico ed il calcescisto; e ad ipotesi arrischiate, come quella che ammette un Lias con serpentine ed anfìboliti, tanto più che questa specialità geo-litologica dovrebbe poi, secondo il Franchi, esser limitata nelle stesse Alpi ad una certa plaga ben definita, coni - presa nell’interno della zona segnata dal Paleozoico e dal Trias, cosi- detto a facies brianzonese. 2 A parte le risultanze stratigrafìche che negano recisamente la 1 V. ]e Sezioni dell’ing. Franchi in confronto con quella della fig. 17 da me prodotta. 2 V. la Carta geologica annessa alla Nota dell’ing. Franchi. t possibilità di questa continuità di formazione fra Lias e calcescisti, vi ha luogo qui a domandare perchè il Lias a facies di calcescisto dovrebbe essere esclusivo di questa plaga interna, circoscritta da quella zona paleozoica ; mentre, ad esempio, nel vallone di Pouriac ed in valle deirUbaye, cioè nelle vicinanze immediate della zona in parola, e poi più lontano, ma sempre vicinissimo od anche in con- tatto ad altre roccie della zona delle pietre verdi, nel D elfinato ed in Savoja, si abbia il Lias autentico e fossilifero, a strati calcari e sci- stosi grigi, cioè a facies normale, che è assai diversa da quella dei calcescisti. Dovrebbe pure spiegarsi perchè tutte le masse di serpentina ed altre roccie verdi che accompagnano solitamente i calcescisti si siano limitate ad associarsi a questo preteso Lias rappresentato da calce- scisti, mancando costantemente nel Lias ordinario anche se scistoso, come in Delfinato; e quindi restino esse pure strettamente circo- scritte entro la cerchia sopraccennata. Se i calcescisti fossero vera- mente gli equivalenti del Lias o del calcare triassico, data la natura eruttiva di quelle roccie, che se può esser legata al periodo della formazione è però evidentemente indipendente dalla forma litologica del deposito sul quale si sono espanse, dovrebbero esse trovarsi in- differentemente entro e fuori al limite sopra indicato, invadendo anche la zona del Lias a facies normale. Un’altra domanda nasce pure spontanea da quelle conclusioni del Franchi: perchè cioè i fossili liassici si siano limitati ad inva- dere quella piccola zona di calcari della Valgrana che sta ad imme- diato contatto col Trias, e non siano mai apparsi in quelli a facies antica contenenti le roccie verdi. Non è certo la presenza di queste roccie che può avere impedito lo sviluppo degli organismi e la ma- nifestazione delle loro traccie; poiché nella zona delle pietre verdi abbiamo masse di calcescisto che raggiungono spesso potenze gran- dissime e che rappresentano un lasso di tempo enorme, senza nes- suna intercalazione di roccie verdi, eppure anche senza nessuna traccia — 326 — di fossili. 1 Alla costa di Savaresch in Val Varaita, alla Roccia Clary ed alla Punta Ronda presso il Moncenisio al Monte del Grand Yallon e del Chatelard in valle dell’Aro, si hanno pile di strati di oltre LOOO metri interamente formate da calcescisti privi di fossili ; mentre poi stando alle idee del Franchi, gli strati fossiliferi della Vaigran a sarebbero, pressapoco, stratigrafìcamente equivalenti ai cal- cescisti con roccie verdi del Monte Chialmo; ammettendo quindi egli stesso che la vicinanza di queste roccie non dovrebbe esser d’impedimento alla presenza dei fossili. E pure inutile accampare la ragione del metamorfismo dei cal- cescisti ; perchè, dipendendo qui più che altro da cause dinamiche, ha dovuto influire egualmente su tutte le roccie, siano esse appartenenti alla zona esterna od interna al limite sovra indicato; tanto è vero che sulla costa del contrafforte Aisone-Demonte, cioè fuori di quella zona, si hanno calcari eocenici quasi marmorei biancastri e bardi- gli acei, divenuti anche scheggiosi per laminazione, con nummuliti benissimo conservate. Comunque sia, e pur limitando le nostre con- siderazioni alla zona interna (secondo il Franchi più metamorfica) il metamorfismo avrebbe dovuto portare egualmente la sua azione tanto sugli scisti a belemniti che sugli altri strati sovraincumbenti, cioè sui calcescisti. Non vi sarebbe perciò ragione alcuna che le traccio di fossili fossero sparite soltanto dai calcesciti, che io ritengo arcaici, se essi appartenessero alla stessa formazione degli strati liassici o triassici che dir si voglia. Si è quindi indotti a credere che, se traccio di organismi esistevano nei calcescisti, come è probabile, data la loro ori- gine indubbiamente sedimentare, la sparizione debba imputarsi piut- tosto a cause anteriori all’epoca dei depositi secondari, che alle vicende subite in seguito al sollevamento post-eocenico; le quali portarono in contatto, per ribaltamento, i calcescisti cogli strati liassico-triassici. 1 Sappiamo elei resto che nei galestri del nostro Eocene, le elmnitoidi, le fucoidi e le nummuliti, i pochi organismi insomma che la zona serpentinosa può offrire, si trovano indifferentemente nella massa dei galestri, come negli strati attornianti immediatamente le roccie verdi associate. Anche il Franchi ammette però che esista una marcata diffe- renza fra gli strati fossiliferi del Lias della Yalgrana ed i soprastanti calcescisti a roccie verdi; 1 sebbene egli vi trovi un collegamento con sfumature, passaggi, alternanze, che per verità io non saprei ve- dervi. Nella sua fig. 28 della Costa di Cauri, fra calcescisti con roccie verdi ricoprenti i calcari triassici egli distingue infatti alcuni banchi di calcare cristallino, talora anche cariato, che vi si mostrano inse- riti; ma si tratta evidentemente di quegli strati più calcariferi che si osservano con più o meno frequenza in tutte le masse dei calce- scisti, assumenti qualche volta anche l’aspetto carniolico per la na- tura dolomitica di qualcuno fra gli strati più spiccatamente cristal- lini di questa antica formazione filladico-calcare. E quanto alle inter- stratificazioni di scisti grigi e serici ti ci nella massa degli stessi cal- cari triassici citati dal Franchi in valle del G-erbido a sostegno della comunanza di formazione coi calcescisti in parola, esse non sono certo una novità; poiché, come è noto, quegli scisti si presentano a tutti i livelli del Trias in tanti luoghi, nelle Alpi Liguri ad esempio, nelle Alpi Apuane ed in tutte le dipendenze della cosidetta Catena metallifera. Nella fig 27 altra volta citata, rappresentante la serie dello spe- rone di Riosecco, egli nota invece un rapido e radicale passaggio fra i calcari triassici della stessa massa anti cimale e la zona dei calce- scisti soprastanti. Al Monte Ribè (vedi la Sezione della fìg. 17) av- viene infatti la sovrapposizione brusca dei calcescisti, o piuttosto, localmente, dei micascisti filladici di cui abbiamo tenuto parola, ai calcari triassici di Rocca Cucuja, succedenti pure bruscamente ai micascisti e gneiss del lembo cristallino di Pradleves, senza neppure l’intermezzo delle quarziti che si arrestano, per interruzione di depo- sito, sul fianco Ovest dello sperone, sopra i casolari di Garazzi. 2 I 1 V. loc. cit., pag. 113. 2 TJn lembo di quarzite coi calcari carniolici del Trias sovrapposti si ri- trova nel basso dello sperone salendo da Pradleves all’abitato di Riosecco. Esso segna la base del deposito triassico, appoggiandosi in discordanza sulle testate dei calcescisti e micascisti del lembo cristallino di Pradleves, come può vedersi nella fig. 18. — 328 — limiti del Trias, compreso fra le due zone arcaiche, sono adunque nettissimi, malgrado che esso presenti qui la forma peculiare di cal- cari grigi a lastre, che ha tuttavia riscontro negli strati triassici di altri luoghi; ma che può presentare eziandio analogia coi calcescisti, quando invece di difettarvi come al Monte Ribé, predomini la parte calcare sulla filladica, come alla Croce di Bai ed a Rocca Stella, nel vicino contrafforte di Monterosso. Calcari scistosi ed a lastre del Trias e calcescisti grigi tabulari sono adunque modalità assai simili di diverse formazioni che possono trovarsi in contatto e dar luogo anche a qualche incertezza locale nella esatta separazione delle due for- mazioni. Ma non sono queste delle difficoltà insuperabili. L’identità non è mai assoluta, poiché solitamente la fìsonomia complessiva è diversa da quella che può risultare da osservazioni localizzate, e d’altronde le associazioni, i passaggi laterali e sopratutto le relazioni stratigrafìche possono quasi sempre condurre ad una soddisfacente soluzione. Non è questo del resto il caso di roccie simili per aspetto e di- verse per età sovrapponentisi con apparente concordanza. Le Alpi Apuane ce ne offrono molti esempi colla loro serie svariatissima di roccie tormentate anche da gravi complicazioni stratigrafiche ben più frequenti che nella regione delle grandi Alpi di cui parliamo; dove, infine, i membri della serie fondamentale sono pochi e le forme lito- logiche che possono avere fra loro qualche analogia, assai limitate. I noti calcari marmorei bianchi e bardigliacei delle Alpi Apuane non sono esclusivi della formazione triassica, ma trovansi eziandio nel Retico e nel Lias inferiore; arenarie grigie con scisti ardesiaci in- contransi nel Trias simili a quelli dell’Eocene ; diaspri, ftaniti e scisti rossi e verdicci si ripetono nel Trias, nel Titonico e nell’Eocene; calcari stratiformi grigi a liste e nodi di selce nel Trias, nel Lias medio e nel Titonico; calcari marnosi e scisti rossi nel Lias infe- riore, nel Lias superiore, nel' Titonico e nella Scaglia, ecc. Ora tranne il caso di quelle roccie che sono aggruppate in continuità di serie e fra le quali non è possibile lo scambio anche se vi è ripetizione di forma litologica, laddove invece esiste un hiatus , come fra la serie 1 329 — liassica ed il Giurassico e fra questo ed il Senoniano, possono darsi, e si danno infatti, i casi più svariati di sovrapposizione e coinci- denza di terreni diversi, aventi la stessa forma litologica. Si può ci- tare come esempio il Monte Bovajo a Nord della Pania, dove si hanno calcari a lastre grigi e biancastri zonati, titonici, poggianti su analoghi calcari del Lias medio. Sotto questo calcare a lastre stanno poi calcari marmorei massicci del Lias inferiore, come appunto avviene nel Trias fra i marmi ed i sovrastanti calcari grigi, zonati ed a lastre del Raibliano. Come vedesi, le difficoltà dipendenti dalle analogie litologiche non mancano in questo gruppo montuoso; ed a togliere le incer- tezze, non sempre si può neppur qui invocare il sussidio dei fossili, che già scarsi in tutta la regione, mancano poi per lo più laddove tornerebbero di maggior aiuto; nei quali casi, soltanto un paziente e rigoroso studio tectonico di confronto potè permettere di venire a capo dell’ordinamento stratigrafico in quell’avviluppata congerie di strati e di formazioni. 1 Ma le stesse Alpi Apuane ci porgono esempi prestantissimi anche intorno alle discrepanze di apprezzamento che possono derivare dal parallelismo e dalla inclusione di lembi estranei in formazioni pre- sentanti somiglianza di forme litologiche. E noto che in vari punti del versante Nord di quell’ interessante gruppo di monti, e segnata- mente alla Costa dei Cerri, in quel di Minucciano, fra gli scisti rossi e verdastri più o meno sericitici del Trias superiore, trovansi delle intercalazioni di strati calcari a nummuliti allineati secondo l’anda- mento degli scisti e con essi alternanti. Chi visita la località non può a meno di riportarne V impressione che essi costituiscono un 1 Appunto per la insufficienza degli studi stratigrafici e la somiglianza delle roccie, qualche geologo ha attribuito al Lias medio i calcari con selce triassici di Ajola in valle del Lucido (Alpi Apuane); al Lias inferiore rosso i calcari della Scaglia di Gragnana presso Carrara; e la stessa Scaglia nei monti della Spezia, nell’Alpe Apuana ed al Monsummano, fu lungamente considerata come una sola formazione coi sottostanti scisti e diaspri del Titoniano. 99 — 330 — tutto inseparabile col Trias; talché tanto allo scrivente che trovò quegli strati alla Costa dei Cerri, che al Lotti, il quale li osservò a Corfìgliano, nacque l’ idea che potesse trattarsi di calcari con fora- minifere triassiche \ Il sospetto era dei più legittimi anche perchè il fatto non è isolato, ma si ripete in tre località abbastanza distanti fra loro, cioè a Minucciano, Corfìgliano e Vagli, e sempre allo stesso livello geologico, vale a dire poco sotto al Retico, ed in concordanza, almeno apparente, col Trias. Eppure il Capellini ed il Cocchi che visitarono la località della Costa dei Cerri allo scopo di rendersi conto dell’interessante questione, non ritennero accettabile l’idea che quegli strati a nummuliti potessero far parte del Trias ; mentre d’altra parte non potendosi ammettere le gravi conseguenze provenienti dallo attribuire all’ Eocene gli scisti includenti, che risultavano evidente- mente triassici pei tante altre ragioni, si è dovuto concludere per una inserzione ripetuta di banchi nummulitici nel Trias superiore Data però questa interpretazione è necessario ammettere altresì che gli scisti verdastri separanti i- banchi nummulitici siano pure ritenuti come eocenici, ed abbiano in seguito a metamorfismo dina- mico assunto l’aspetto di scisti più o meno rasati che li rende simili a quelli del Trias. Ora, se non si è creduto di poter riconoscere come triassici quegli strati a nummuliti, malgrado le tante ragioni che potrebbero venirvi in appoggio : cioè le alternanze ripetute, l’associazione con scisti che hanno tutti i caratteri di quelli del Trias superiore, il parallelismo e la costanza di livello geologico : la presenza di calcari screziati che si ripetono nello stesso orizzonte, tanto nei luoghi indi- cati che altrove (al Monte Pisanino, al Solco d’ Equi, all’Ajola, al Monte Boria, eco.), è lecito chiedere perchè dovrebbe ammettersi con tanta facilità, malgrado le più evidenti prove in contrario, la comu- nanza di formazione fra i calcescisti ed il lembo liassico della 1 M. Canavari. Di alcuni tipi di foraminifere appartenenti alla famiglia delle Nummulitidae raccolti nel Trias delle Alpi Apuane (Proc. veri). Soc. tose., Voi. V, pag. 184, 1887). 331 Valgrana; tanto più essendo questo un fatto di tale gravità che varrebbe a sconvolgere tutto l’ordinamento geologico delle Alpi occi- dentali. Aggiungasi che quel lembo di Lias trovasi bensì a contatto coi calcescisti, ma in continuità colla massa triassica sottostante; epperciò in una posizione molto più facile a spiegarsi che non quella degli strati a nummuliti rispetto agli scisti triassici di cui abbiamo tenuto parola. Un altro argomento, sempre di ordine litologico, che secondo il Franchi deporrebbe in favore dell’età secondaria dei calcescisti, sareb- bero i banchi di breccia di natura poligenica, ma con elementi pre- valentemente dolomitici, che trovansi inclusi nei calcescisti medesimi in vari punti delle Alpi occidentali. Queste breccie trovansi infatti nettamente interposte a vari livelli fra i banchi dei calcescisti, segna- tamente in Valmaira, in Valgrana e nei dintorni di Valloriate, dove se ne hanno inserzioni ripetute e talora anche importanti, alla Punta Castellar già menzionata, sopra Neirone, nelle pendici del Monte Tagliare verso la Valloria, alla Croce di Bai, ecc. Ammettendo che quei frammenti dolomitici possano provenire dallo spoglio delle masse triassiche, la presenza di quei banchi di breccia potrebbe spiegarsi come una formazione detritica posteriore al Trias, ed anzi anche al Lias inferiore, essendosi queste formazioni secondarie succedute in continuità immediata. Potrebbe quindi trattarsi di una formazione giurassica, che, come è noto, è abitualmente separata da un hiatus dal Lias propriamente detto, corrispondendo ad un periodo di parziale emersione delle formazioni anteriori ; e delle quali lembi residui rimasti impigliati fra le ineguaglianze di queste e dei terreni più antichi, furono poscia compressi e laminati insieme a tutte le altre roccie preesistenti. Tali fatti d’indole generale, sono anche nella regione che qui ci occupa di una evidenza indiscutibile \ 1 II Kilian ha da tempo fatto notare la presenza di una breccia analoga a questa nelle Alpi del Delfinato e della Savoja, da lui indicata col nome di brache du Téléyraphe , perchè specialmente sviluppata presso il tunnel del Tele- grafo sopra Saint -Jean de Maurienne e ritenuta come giurassica (v. Bull. Soc. Gréol. de France, 3e serie, T. 19, 1890-91). Queste breccie possono eviden- temente essersi deposte tanto sugli strati secondari che sulle roccie più antiche. — 332 — Fra le lenti di breccia in parola ed i calcescisti si ripeterebbe insomma un fatto analogo a quello risultante dalla presenza dei banchi di brecciola e calcare nummulitico fra gli scisti del Trias apuano, di cui poc’ anzi abbiamo parlato. Ma non vedrei seria difficoltà neppure ad ammettere che possa trattarsi di una formazione contemporanea a quella dei calcescisti, risultante cioè dall’impasto di elementi di origine più antica; ipotesi questa che sebbene non sembri altrettanto soddisfacente dell’altra ora accennata, sarebbe ad Ogni modo meno arrischiata di quella che conduce a ritenere liassici i calcescisti in un colle roccie verdi che li accompagnano per il solo fatto del parallelismo locale. Si potrà obbiettare che ritenendo i calcescisti più antichi del Trias, non si conoscono le formazioni che possono aver somministrato il materiale dolomitico di queste breccie. Ma chi potrebbe, ad esempio, indicare la provenienza delle grandi masse di sabbia e ghiaia esclusivamente quarzosa che compongono le quarziti-anageniti del Trias inferiore in tutta la regione delle Alpi occidentali ? Comunque sia, non sono queste circostanze della maggiore o minor somiglianza litologica fra scisti liassici e calcescisti, nè della presenza delle breccie fra i calcescisti, per le quali non è difficile trovare una spiegazione accettabile, tali fatti che possano offrire un solido appoggio alla teoria dell’ ing. Franchi. Essi sono argomenti troppo tenui di fronte a quelli d’ordine stratigrafìco che abbiamo analizzati; dai quali sembrami emerga troppo chiaramente la inam- missibilità delle sue interpretazioni tectoniche e la posteriorità della formazione paleozoico-triassica rispetto a quella dei calcescisti e delle altre roccie che vi si associano ed appartengono alla stessa zona delle 'pietre verdi. ( Continua). I. del R. Coinit. Geol. d' Italia Anno 1903. T*t. V (D. Zaccaria) CARTA DELLA ZONA PALEOZOICA DEMONTE -MOJOLA Alluvione - Detrito. Lembi morenici. Beeiimwdite. sosti anogeni/icr e teisti variegati. Sosti goarsiSei scisti sericihci. sosti con miniate. Calcescisti Banchi di trecciatimi calcescisti Diabase. Eufohdc Jerftentina Arenarie e scisti associati. Calcari munmutiDa grigi compatti ed a /astri e scisti. Calcari compatti e dolomitici . calcari a lastre, corniole e scirri escisfi variegati — 333 IL P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vidsini. (Cont. vedi n. 3). Vulcano di Capodimonte. Questo centro vulcanico prende il nome dal piccolo e ridente pae- sello, chiamato anticamente Castrum, Capitis Montis , situato sopra un promontorio di lava nella parte S.O del lago di Bolsena, di fronte alle due isole Bisentina e Martana. Il complesso delle bocche eruttive le quali costituiscono il Vulcano di Capodimonte, si trovano presso l’emissario del lago, incastrate fra il Vulcano di Latera a N.O e quello di Montefiascone ad Est, e per la loro posizione ad egual distanza da essi, potrebbero essere consi- derate come bocche eccentriche parte dell’ uno e parte dell’ altro dei due grandi centri suddetti. Se ho creduto dover fare un gruppo se- parato di questi pochi e piccoli punti eruttivi, si è perchè molte cir- costanze facevano sospettare fra l’Isola Bisentina e la Martana, l’esi- stenza di un altro grande centro con il quale allora i medesimi sa- rebbero stati più verosimilmente collegati. L’ esistenza di questo centro, che io avevo già indovinato dalla disposizione, ubicazione e qualità di certi materiali, dopo la pubbli- cazione del dettagliato studio batometrico del De Agostini *, difficil- mente potrebbe essere messa in dubbio e solo si potrebbero discutere la forma e le dimensioni approssimative da me date a questa grande bocca eruttiva, con la scorta dei dati fornitimi da detto studio. 1 A. De Agostini, Opera citata. — 334 — 29. Cratere Bisentino. — L’ Isola Bisentina, recinta per metà da un’alta parete di tufo a picco su le acque, indica abbastanza chiara- mente che la sua piccala superficie emergente dal lago, non è che il relitto di un’area maggiore inabissatasi : il rilevamento batometrico del De Agostini ce ne ha fornito la prova diretta, poiché a levante dell’Isola si hanno appunto le rive più ripide, ossia il taglio a picco continua anche al disotto delle acque, e dimostra chiaramente che da questa parte dovette avvenire uno sprofondamento. D’altronde la lava dell’ Isola Bisentina non può provenire dalle bocche eruttive che si trovano su la spiaggia del Iago, per la ragione già esposta, che la medesima non avrebbe potuto scorrere per due chi- lometri e mezzo su terreno perfettamente piano, ed anche perchè la lava di Punta Zingara inclina verso Ovest,, mentre se provenisse dalla spiaggia dovrebbe essere invece rialzata da questa parte ; nè si può ammettere che 1’ orografia della parte occidentale del recinto Yulsinio sia stata poi radicalmente modificata, quando su quella sponda ricono- sciamo, ed in perfetto stato di conservazione, le due bocche eruttive del Lagaccione e di Monte Bisenzo. Anzi, stando alle analisi petrogra- fìche del Ricciardi e del Klein, che hanno riconosciuto per tefrite la lava del Monte Bisenzo, ed a quelle del Bucca che ha classificato fra le tefriti anche quelle dell’ Isola Bisentina, è precisamente da questo punto eruttivo che la medesima avrebbe dovuto essere stata emessa, ciò che è inammissibile. Scartata dunque la possibilità che la lava dell’ Isola Bisentina possa appartenere ad una colata proveniente dai dintorni del lago, perchè ciò obbligherebbe a ricorrere ad ipotesi molto ardite, l’ammis- sibilità dell’esistenza del cratere Bisentino s’impone naturalmente onde trovare la spiegazione della presenza di questa lava nell’isola. La debole inclinazione dei materiali che costituiscono l’Iso] a Bi- sentina, indicano eh’ essa doveva far parte non delia superficie di un cono, ma d’ una parte di superficie pianeggiante alla base del cono stesso ; lo sprofondamento esistente a levante dell’isola ci dice che il cono si elevava da questa parte, dove oggi per lo appunto esistono le — 335 — maggiori profondità del lago. Però malgrado i dettagli del rilevamento batometrico e la loro accuratezza, essi non sono sufficienti a darci con esattezza la forma e le dimensioni di questa grande bocca eruttiva, dati quindi che bisognerà tentare di ottenere indirettamente ed in modo affatto approssimativo. A levante dell’Isola Bisentina e poco distante da essa vi è, come fu già accennato, una sporgenza sub-acquea, in forma d’ isolotto ; a 2400 metri a N.E dell’isola vi è la massima profondità del lago, e ad un chilometro ad oriente di questo punto elevasi un altro isolotto sub- acqueo. Se per questi due isolotti noi facciamo passare una circon ferenza, il punto di maggiore depressione del bacino lacustre verrà a trovarsi quasi nel centro di questa circonferenza, la quale potrebbe benissimo rappresentare un cratere avente circa 3 chilometri di dia- metro di cui i due isolotti segnerebbero frammenti del recinto, o co- netti avventizi sviluppatisi sul medesimo. Da Capodimonte la spiaggia scende dolcemente e ad un chilometro dal paese raggiunge appena 20 metri di profondità, ma da questo punto il fondo del lago si ab- bassa rapidamente e presto raggiunge i 100 metri : se per questo punto, dove il fondo del lago comincia ad abbassarsi rapidamente, e che potrebbe rappresentare un orlo craterico, facciamo passare una circon- ferenza tangente all’altra già segnata, questa verrà ad avere all’ incirca la grandezza della prima e nel suo centro si troverebbe situata 1’ altra forte depressione di 129 metri, che esiste appunto fra le due isole. I grandi crateri presentano spesso la forma ellittica, dovuta allo spostamento del canale eruttivo ; ora nel supposto cratere Bisentino le due circonferenze adiacenti, che racchiudono le due maggiori de- pressioni del bacino, potrebbero rappresentare molto verosimilmente uno di questi spostamenti del canale eruttivo, e prese insieme ci da- rebbero la forma del cratere Bisentino, la quale sarebbe appunto el- littica, con l’asse maggiore diretto N-S, lungo dai 5 ai 6 chilometri, ed il limite occidentale del cratere coinciderebbe con la costa orientale dell’Isola Bisentina. L’ipotesi dei due crateri tangenti racchiusi in uno maggiore, ver- — 336 — rebbe in certo qual modo confermata dall’inclinazione dei tufi dell'Isola Bisentina : infatti i tufi del Monte Tabor sono inclinati verso Sud e S.O, cioè rialzati verso il cratere più settentrionale, mentre quelli di Punta la Rocchetta inclinano verso Nord e N.O, rialzati cioè verso l’altro supposto cratere più meridionale. La ristrettezza della super- ficie su la quale puossi fare questa osservazione e la debole inclina- zione dei tufi, non permettono di pronunciarsi in modo assoluto : pur tuttavia se il fatto non è caratteristico, va tenuta in debito conto l’in- clinazione diversa dei materiali delle due vicine collinette, che assieme all’inclinazione delle lave, del tratto di superficie pianeggiante che le se- para, agli abissi che si spalancano sotto di esse ed ai punti di maggior depressione del lago esistenti poco lontano dalle medesime e verso i quali sono appunto rialzati questi materiali, danno ragione dell’ enun- ciata ipotesi. L’ anzidetto cratere si troverebbe allineato a Sud con il cratere di Capodimonte e con il cono del Monte di Marta; a Nord con l’interes- sante cratere di Sterta, con il cono di Monte Landro, con il cratere del Lagaccione e con il cono di Torre Alfina. Ed è precisamente su questa linea di frattura che si sarebbe spostato il canale eruttivo di questo grande edificio totalmente distrutto e nascosto dalle acque del lago. Le lave che si possono assegnare a questa bocca eruttiva, sono specialmente le colate di tefrite che per Toscanella giungono fino al Piano della Selva, 24 chilometri circa dalla sponda del lago: queste imponenti colate ci dicono già da per sè che l’edifizio vulcanico, il quale le ha emesse, doveva essere corrispondente alla loro grandiosità. Il Verri ha creduto di riconoscere nell’Isola Bisentina gli avanzi di un cratere, probabilmente perchè avrà osservato che i tufi del Monte Tabor, nella parte settentrionale dell’isola, inclinano verso Sud, mentre quelli della Rocchetta, nella parte meridionale, inclinano verso Nord ; io sono invece d’opinione ch’essa sia, come ho detto, il residuo d’un cono, anzi della base di un cono; ma la differenza è poca, poiché in sostanza siamo entrambi d’accordo nell’ ammettere che si tratti di un frammento di bocca eruttiva. Esaminiamo ora i materiali che si trovano nella zona vulcanica adiacente a questa bocca eruttiva, una parte dei quali le potrebbero perciò appartenere: qui abbiamo come nel Vulcano di Latera, trachite, leucitofìro, andesite, tefrite e leucitite con e senza olivina; impossibile però potere stabilire neppure approssimativamente una cronologia delle loro emissioni, perchè le medesime trovandosi raramente a con- tatto le une con le altre, non permettono di vedere la loro posizione rispettiva. La trachite si presenta in due soli affioramenti e cioè quello di Regione II Piano, un paio di chilometri a Sud di Marta, e quello di Rocca Respampani all’incontro del fosso Pantacciano con il fiume Marta, all’estremo lembo meridionale della zona vulcanica Vulsinia. Il primo fa parte di un esteso giacimento di lava, situato su l’altipiano di Castello Araldo, che inclina dolcemente a Nord verso il lago ed a Sud verso il mare: l'analisi petrografìca rivelò che questa massa di lava è costituita da colate di trachite, di tefrite e di leucitite, ma la loro separazione su la carta, non si potè fare che in modo approssi- mativo, perchè in questo punto le colate non si sono soprapposte ma sono soltanto adiacenti. Questa trachite è quella di cui ho parlato fra le trachiti appartenenti al grande cratere di Latera, ma non posso nascondere che per la sua vicinanza al cratere Bisentino e per la sua posizione rispetto alle altre lave, potrebbe forse appartenere meglio alle eruzioni di quest’ultimo. Il secondo affioramento, quello cioè di Rocca Respampani, fu già da me descritto quando cominciai la studio dei Vulcani Vulsini 1 : si vede per erosione alla confluenza dei fossi Leja e Catenaccio a Sud di Toscanella; la trachite riposa su calcari eocenici che mi sembra- rono rialzati a cupola, ed è ricoperta da una potente formazione tu- facea. Questo piccolo affioramento di trachite che dista una ventina di chilometri dal vulcano di Vico, altrettanto dal cratere Bisentino, e 22 da 1 P. Moderni, La trachite e il tufo di Respampani presso Toscanella (Boll. R. Com. Geol., Anno 1889, n. 1-2). Roma, 1889. — 338 - quello di Latera, per la sua ubicazione potrebbe appartenere indifferen- temente ad ognuno di questi tre grandi centri eruttivi; però la trachite trovandosi qui associata al nenfro , che è un tufo speciale del Vulcano di Capodimonte, al disotto del quale riposa, credo più probabile che la trachite di Respampani sia dovuta alle eruzioni del cratere Bisentino o di qualche sua bocca sussidiaria, e che debba ritenersi forse per la più antica lava dei Vulcani Vulsini. Piuttosto che forma di colata mi parve che avesse quella di espandimento a. ; cupola, come le masse tra- chitiche del Monte Amiata e della Tolfa, perchè la trachite non si vede più in nessun altro punto del Marta nè dei fossi circonvicini, che pure si trovano allo stesso livello di questo affioramento ; ma non insisto molto su questa mia prima impressione poiché la località avrebbe bisogno di essere meglio e più particolareggiatamente studiata, onde verificare se la mancanza della trachite nei fossi vicini non debba attribuirsi ad altre cause. Un campione di trachite proveniente dall’incontro del fosso Pan- tacciano con il fiume Marta, è una roccia nero-picea disseminata da cristalli bianchi caolinizzati di feldispato, compatta, durissima a frat- tura scheggiosa. Alla Solforata presso Respampani presi tre campioni, uno dei quali è una roccia parte gialla e parte rossa, d’aspetto terroso, perchè alterata dalle emanazioni solfidriche, ricca di cristalli di feldi- spato disposti a zone ed in parte alterati : un altro è una roccia com- patta a pasta di color grigio-cenere chiara, un poco alterata, dissemi- nata di cristallini di feldispato disposti a zone ed in parte alterati anch’essi dalle emanazioni solfidriche: l’ultimo campione è di una trachite completamente alterata, bianca come il marmarone della mi- niera di Latera, compatta, leggera, sparsa di macchiette grigie di fel- dispato alterato. 11 leucitofìro affiora soltanto nei fossi che circondano il Monte della Pieve e Poggio Cerboni a S.E di Piansano, salvo un piccolo affiora- mento che trovasi nei dintorni del Monte di Marta e del quale parlerò a suo luogo : questo leucitofìro del quale non si vede il letto, fu du- bitativamente classificato fra i prodotti del cratere di Latera, abbenchè - 339 — non risulti chiara la relazione di esso con le vicine colate di tefrite. Ad ogni modo siccome almeno una parte, e non piccola, della tefrite che affiora in questa regione, è dovuta assai probabilmente alle eru- zioni del cratere Bisentino, così quand’anche fosse provato che gli accennati lembi di leucitofiro riposassero su la tefrite, non sarebbe una ragione questa per escludere che il medesimo appartenga al primo periodo, essendo impossibile, almeno per ora, di stabilire le relazioni dei due centri vulcanici. Da ultimo, non vi sono ragioni per escludere neppure, che la colata di leucitofiro rappresentata dai lembi che si scoprono nei fossi a S.E di Piansano possa appartenere alle eruzioni del cratere Bisentino, situato 5 chilometri a N.E dai suddetti affio- ramenti h La tefrite è la qualità di lava che più abbondantemente s’incontri in tutta la regione che si estende da Capodimonte e Marta, per To- scanella, al Piano della Selva su una lunghezza da Nord a Sud di circa 22 chilometri : anche questa lava si potrebbe assegnare alle eruzioni del secondo periodo del Vulcano di Latera, abbenchè non sarebbe possibile indicare il punto od i punti d’emissione, che biso- gnerebbe ritenere completamente distrutti. Però tenuto conto della direzione quasi N-S delle colate di queste lave, che è evidente non solo negli affioramenti esistenti nell’alveo dei fossi e torrenti, ma più specialmente su gli altipiani dove le medesime hanno dilagato sopra una superficie inclinata appunto verso Sud, lambendo soltanto da Est e da Ovest il piede delle colline di terreni sedimentari che incon- travano sul loro passaggio, si viene a riconoscere che la bocca eruttiva che le ha emesse doveva più probabilmente trovarsi nei dintorni di Capodimonte e Marta, e corrisponderebbe assai bene con- il cratere Bisentino. Si sa che le colate di lava possono nel loro cammino cam- biare ripetutamente direzione ; ma se queste lave provenissero real- mente dal Vulcano di Latera, situato a N O di esse, questo fatto si sarebbe dovuto riconoscere in qualche punto su 22 chilometri di 1 Per la descrizione delle lave, vedi Cratere di Latera. — 340 — affioramento, quando invece si osserva da per tutto la stessa unifor- mità di direzione N-S che piega un pochino ad Ovest, cioè appunto dalla parte opposta verso la quale teoricamente avrebbero dovuto essere diretto se fossero state emesse dal Vulcano di Latera. Oltre alla tefrite dell’Isola Bisentina, che come si è dimostrato non può essere stata emessa che da una bocca situata nel lago stesso, appartengono forse al cratere Bisentino, almeno in parte, anche le lave che affiorano nei fossi fra Arlena e Tessennano a Sud del cono di Monte Cellere, al quale furono già dubitativamente assegnate. Un campione di tefrite proveniente dalla Punta Zingara nell’Isola Bisentina, è una lava vacuolare, grigio-cenere, nella di cui massa la leucite trovasi allo stato di diffusione. A Castello Araldo (Reg. Il Pianoi la tefrite è di color grigio-cenere, minutamente porosa, disseminata di piccole leuciti caolinizzate, cristallini di feldispato e qualche squa- metta di mica. A S.O di Poggio Perazzeta, su la mulattiera che viene da Capodimonte e Poggio Santa Maria, la tefrite è assai scura quasi nera, compatta, ruvida ; contiene rari cristalli vitrei di leucite e cri- stallini di augite. Sopra fontanile Pocci a Sud di Toscanella, la lava è vacuolare, di color grigio -cenere, con qualche rara leucite caoliniz* zata, che però si vede macroscopicamente diffusa pure nella pasta. Un campione proveniente da San Pietro (Toscanella) è una roccia porosa, grigio-cenere con poche leuciti caolinizzate. Sul colle a Sud di Casale Serpepe la tefrite è grigio-scura, compatta, durissima, ab- bondantemente disseminata di cristalli vitrei e caolinizzati di leucite e di cristalli di augite. Un campione preso nel fosso sotto Casale Quaglia a Nord di Mandria Mignati, è una roccia grigio-cenere scura, porosa, che contiene la leucite allo stato di diffusione. Lungo la mulattiera che dalla rotabile conduce al Casale di San Savino, vi è una tefrite vacuolare grigio-scura, con i meati accentuatamente stirati nella direzione della colata. A 'la Regione Comunella la lava è vacuolare, di color grigio-cenere. A sinistra del fosso Masciolo di fronte a Villa Paoletti, si ha una lava identica a quest’ultima ma di colore più scuro. A Castel Bronco la lava è grigio-scura, compatta — 341 — ma poco alterata; contiene qualche rara augite e la leucite allo stato di diffusione. A sinistra di Poggio Malorto la lava è grigio-cenere, porosa, disseminata di piccoli cristalli di leucite e da qualche raro cristallino di feldispato. Su la strada fra la Madonna del Cerro ed Arlena, vi è una tefrite grigio-cenere, compatta con la leucite diffusa nella massa, ma ne contiene pure qualche cristallo caMinizzato as- sieme a molti e piccoli cristalli di augite. Presso il ponte sul Marta, della rotabile fra Toscanella e Marta, la lava è vacuolare, di color grigio-cenere, disseminata abbondantemente da piccoli cristalli di leucite, di cristalli di feldispato, qualcuno dei quali abbastanza svi- luppato, e da qualche cristallo di augite. Un campione proveniente dal Fontanile Secco, presso Tosca- nella, è di una lava alterata ma compatta, rossa, d’aspetto tufaceo, con cristalli caolinizzati di leucite e pezzi di scoria. Su la strada per Viteibo sotto la Regione Le G-uinze, vi è una lava compatta ma poco resistente, di color grigio-cenere chiara e d’aspetto tufaceo, mi- nutamente punteggiata in bianco da piccolissimi cristalli di leucite; contiene pure qualche piccolo cristallo di augite. Al Casale Lucenti presso Poggio Cerboni, la tefrite è a pasta vacuolare di color grigio- scuro ; dura, scagliosa, disseminata di cristalli vitrei di leucite e di piccolissimi cristallini di feldispato. Su la mulattiera presso Picarilla (Toseanella) la tefrite è grigio cenere chiara, compatta ma poco resi- stente, contiene la leucite allo stato di diffusione ma anche in cri- stalli caolinizzati assieme a molti cristallini di augite. Su la rotabile di Arlena in direzione del Casale del Pino, trovasi una lava come la precedente ma vacuolare. Su la strada di Casale Laurenti, la lava è come quella di Picarilla ma vacuolare, di colore più scuro e senza augite. Un campione proveniente dalle cave nel fosso ad Est di Mandria Mignati è una roccia grigio-scura uniforme, compatta, con la leucite allo stato di diffusione. Al Pian di Giunco, la tefrite è si- mile a quella di Picarilla ma di colore più scuro e con qualche cri- stallino di augite. Su la rotabile, a Regione San Lazzaro, la tefrite è a pasta grigio-cenere chiara, compatta, la leucite trovasi allo stato di diffusione e sotto forma di punteggiatura bianca. — 342 Due soli affioramenti di andesite si riscontrano nella regione su la quale si possono essere distese le colate del cratere Bisentino : il maggiore scopresi per erosione nel fosso delle Tufare ad Ovest della Regione Pantalla, e poco più di 5 chilometri a Nord di Toscanella : l’altro presso Madonna del Cerro, sopra un lembo di rocce eoceniche, a 4 chilometri a N O di Toscanella. Nessuno dei due affioramenti si trova a contatto con tefrite, per cui manca qui la prova certa della posteriorità dell’emissione andesitica. E dubbio che l’andesite appartenga alle eruzioni del Vulcano di Capodimonte, poiché i due affioramenti sono isolati e lontani da ogni bocca eruttiva di questo centro vulcanico, e bisognerebbe perciò ri- correre all’ipotesi che fossero uscite da qualche piccola bocca, rimasta poi completamente distrutta, ed in rapporto con maggiori emissioni andesitiche dell’edificio principale, che dovrebbero trovarsi nascoste sotto alle acque del lago. Sembrerebbe più probabile quindi che quest’ andesite dovesse appartenere al cono del Monte di Celierò, ma i due affioramenti suddetti si trovano a S.O del medesimo, distanti in linea retta il primo 6 ed il secondo 8 chilometri dai piedi del cono, sicché bisognerebbe ricorrere, anche in questo caso, all’ipotesi che i due lembi di andesite siano usciti da piccole bocche rimaste totalmente distrutte. Infatti le colate di andesite del Monte di Cel- ierò si sono distese a Sud ed in prossimità del cono, fino alla di- stanza massima di due chilometri e mezzo dalla base di esso, quindi l’esistenza di andesite affatto isolata ed a tanta distanza dal Monte di Cellere non si potrebbe spiegare diversamente, giacché se i due affioramenti fossero lembi di colate di questo edificio vulcanico, qual- che altro affioramento intermedio che collegasse i due descritti al centro eruttivo avrebbe pur dovuto scoprirsi. La lava del fosso delle Tufare è una andesite augitica grigio- scura, dura, porosa, con i meati stirati nel senso della direzione della colata. Quella presso Madonna del Cerro ha una pasta grigio-cenere ed è alquanto alterata per modo da somigliare più ad un tufo che ad una lava; contiene pezzetti di scoria color cenere ed è dissemi- — 343 — nata da una punteggiatura bianca (forse di feldispato) e da cristallini pure di feldispato. Anche la leucitite si mostra in colate grandiose nella regione che sta a Sud del Vulcano di Capodimonte, ma all’ infuori delle piccole colate che si trovano nelle vicinanze dei singoli edifici vul- canici del gruppo, le altre si debbono ritenere provenienti dal Vulcano di Montefiascone situato ad Est di quello di Capodimonte; ciò è chiaramente indicato dalla direzione stessa delle colate che è appunto da N.E a S.O. Vi è però un affioramento isolato di leucitite nel fosso fra Arlena e Mandria Mignati, come quelli di Canino, fosso di Pian di Vico e San Giuliano vecchio, che difficilmente si potrebbe attribuire alle eruzioni di Montefiascone, mentre d’altra parte è impos- sibile indicare neppure approssimativamente da quale punto potrebbe essere stato emesso. Questa lava è una leucitite . con olivina, di color grigio-scuro, compatta, dura. Quella del fosso di Pian di Vico è una leucitite scura quasi nera , compatta ; contiene anche piccole concrezioni limonitiche. 30. Monte di Marta. — Il più importante di tutti, in questo gruppo di piccole bocche eruttive, è il cono del Monte di Marta che raggiunge la quota di 431 metri, cioè 126 metri sul livello delle acque del lago: esso è situato un poco a S.O del paese di Marta ed è costituito di scoria rossa e ceneri. Ho det'o più importante degli altri, riferendomi alle dimensioni dell’edifìcio, ma per ciò che riguarda la quantità di lava emessa, probabilmente non ha maggior importanza delle altre bocche secon- darie del suo gruppo. Questa bocca eruttiva consta di due colline, delle quali quella a Sud è il Monte di Marta propriamente detto, e l’altra più piccola a Nord, chiamasi la Madonna del Monte; le due colline così unite danno all’edifìcio una figura allungata o ellissoidale con l’asse maggiore disposto N-S, e che alla base misura all’ incirca un chilometro e mezzo, mentre quello minore è lungo soltanto 600 metri: la collina della Madonna del Monte essendo assai più bassa 344 — del Monte di Marta, questi conserva e fa campeggiare la sua forma conica caratteristica. La lava che appartiene sicuramente al Monte di Marta, è quella della piccolissima colata di leucitite, uscita fuori fra le due colline che costituiscono l’edifìcio vulcanico; meno certa è la piccola colata di leucitofiro che trovasi ai piedi ed a Sud di esso, perchè potrebbe anche essere un lembo staccato della colata analoga che si scopre nei dintorni di Monte della Pieve, e che, come abbiamo visto, è di incerta provenienza. Appartengono pure probabilmente al Monte di Marta le colate di leucitite che affiorano alla Regione Pian di Palazzi e alla Regione Cornosso su le rive del lago, ma siccome queste si con- fondono con le colate scese dal Vulcano di Montefiascone, così non è possibile precisare se e fin dove si estendono le colate del Monte di Marta, che come si vede potrebbe avere avuto due fasi, caratterizzate l’una dall’emissione del leucitofiro e. l’altra dalla leucitite. Un campione di leucitofiro proveniente dalla Regione Sassara su la mulattiara a Sud del Monte di Marta, è di color grigio-cenere chiaro, roccia assai dura e minutamente bucherellata ; contiene molti cristalli vitrei di feldispato abbastanza sviluppati e molte piccole leuciti vitree ; è pure disseminata da una minutissima punteggiatura bianca (forse leucite) che gli fa assumere il colore chiaro. La leucitite proveniente dalla colata della Madonna del Monte, è una roccia quasi nera, punteggiata di grigio (forse feldispato) con rare leuciti semi-vetrose, compattissima, sonora ed a frattura scagliosa. Altro campione preso nelle vicinanze del Camposanto di Marta, è una lava grigio-scura, vacuolare, con poche leuciti semi-vetrose. 31. Cratere di Capodimonte. — Assai poco resta, di questa bocca eruttiva: il paese di Capodimonte è fabbricato sopra una colata di lava, che si spinge fuori nel lago a guisa di promontorio, come fu già accennato, il quale rappresenta una parte del cono che racchiudeva il cratere ; ad Est del paese vi è un’ insenatura, specie di porto na- turale, dove per i materiali che vi si trovano e per la loro disposizione, mi è sembrato riconoscere i resti d’un cratere. — 345 — Scendendo da questa parte al lago e costeggiandolo in direzione di Marta, si può osservare una bella sezione naturale del terreno, poiché la collina è tagliata a picco e sotto di essa non vi è che un metro di spiaggia su cui malamente si passa. Nella parte più bassa vi sono sabbie e lapilli con entro una quantità di bombe e frammenti di lava di tutte dimensioni ; su questi materiali poggia uno strato di scoria nera dello spessore d’un metro circa; quindi vengono altre sabbie con lapilli, bombe e frammenti di lava, come nella parte inferiore, e da ultimo altro strato di scoria nera, d’una potenza doppia del primo. La stratificazione di questi depositi, e dei materiali della zona adiacente, certamente appartenenti ad un cono vulcanico, è rialzata verso il centro dell' insenatura accennata, ed è precisamente questa circostanza che mi ha fatto riconoscere in questa località gli avanzi d’una bocca eruttiva, anteriore forse al vicino Monte di Marta, dalle deiezioni del quale potrebbe essere stata in gran parte ricoperta. Nella parte più alta dell’abitato, per cura del Municipio, venne scavato un fosso onde fornire d’acqua il paese, ed a quanto mi si disse venne spinto alla profondità di 100 metri : se ne ebbe dell’acqua tiepida, ed il pozzo si dovette richiudere perchè quell’acqua, per la sua temperatura, non era buona neppure per abbeverare il bestiame. Questo fatto è abbastanza strano, quando si consideri che la località ove fu scavato il pozzo, trovasi a pochi metri di distanza dal lago; però nella stessa località vi sono dei crepacci nel terreno, dai quali nell’inverno esce dell’aria molto calda e quasi scottante. Quindi l’acqua calda rinvenuta nel pozzo, probabilmente non apparteneva ad una sorgente termale, ma era semplicemente l’acqua del lago riscaldata forse dai vapori d’una fumarola ancora non del tutto spenta. I dati che si hanno se non sono tutto quel che occorre per poter classificare fondatamente anche questa località fra le bocche eruttive, sono però sufficienti a fame ammettere la probabile esistenza ; inoltre su la spiaggia ad Ovest di Marta, cioè alla distanza di un chilometro dal punto descritto, vi è nel lago un’altra piccola sporgenza di scoria 23 — 346 — rossa decisamente rialzata verso il Monte di Marta, al quale sicura- mente appartiene : questo fatto è una conferma che i due materiali, abbenchè tanto vicini, pure alquanto diversi uno dall’altro ed incli- nati gli uni a N.O e l’altro a Nord, debbono provenire da due bocche diverse. Da questo cratere sarebbe uscita la colata di leucitite che forma il promontorio di Capodimonte, ed è l’unica lava visibile che si possa attribuire a questa probabile bocca eruttiva. Un campione di leucitite della colata di Capodimonte, è una roccia grigio-scura, minutamente porosa, nella quale si vede la leu- cite diffusa nella massa. Da Capodimonte proviene pure un campione di scoria nera, minutamente porosa, leggera, disseminata di squa- mette di mica nero. 32. Poggio Santa Maria. — Questo piccolo cono è situato ad un chilometro e mezzo a Sud di Capodimonte, sopra ad una collina di tufi incoerenti d’una trentina di metri d’altezza. Il cono, alto appena una ventina di metri, è costituito di scoria ed alla sua parte culmi- nante vi si trova della lava quasi ad indicare con precisione il posto dell’antico camino eruttivo. Un centinaio di metri a Sud di questa bocca eruttiva si osserva una piccolissima colata che misura in lunghezza non più di 250 metri. Un campione proveniente da questa colata, è una lava alterata, d’aspetto tufaceo, di color grigio-terra e contiene qualche raro e pic- colo cristallo di augite. Dev’essere una leucitite, ma la varietà della lava è di quelle conosciute con il nome di lava sperone per il suo colore speciale, dovuto all’augite gialla diffusa nella massa ed alla sua ruvidezza caratteristica. 38. Montecchio. — A S.O di Poggio Santa Maria, ed alla distanza d’un chilometro, vi è quest’altro cono di dimensioni alquanto mag- giori di quello ora descritto, attraversato dalla strada mulattiera che - 347 — da Yalentano scende a Capodimonte. Anche questa è una collinetta di scoria rossa e lapilli, priva però affatto di lave, che non si rin- vengono tutto all’intorno ad una distanza minore di un chilometro e mezzo: queste lave più vicine e che forse poss mo provenire dalle eruzioni di Montecchio, sono quelle della colata di tefrite che affiora nel fosso di Prato dell’Orto su la via mulattiera che da Capodimonte va a Piansano. Un campione di questa lava preso nel fosso sotto la Regione Sas- sara, è una tefrite grigio -cenere scura, minutamente porosa, punteg- giata in bianco da leucite caolinizzata ; contiene pure della leucite in cristalli semi vetrosi e dei cristallini di feldispato. 34. Cono di Sant' Antonio. — La collina su cui è fabbricato il casale di Sant’Antonio, situata un chilometro ad Ovest di Capodimonte ed a pochi metri dalla strada rotabile per Yalentano, è anch’essa un cono vulcanico. Questa collinetta che si eleva di appena una ventina di metri sul piano stradale, ha la sua base perfettamente circolare, con un diametro che misura alfincirca 300 metri; in complesso le sue dimensioni stanno fra quelle di Montecchio e di Poggio Santa Maria. Il piccolo cono è formato di scoria rossa e sul suo versante occiden- tale mostra una piccola colata, probabilmente di leucitite, uscita dalla sommità di esso. 35. Monte Fioroni. — Questa collina situata a metà distanza fra Capodimonte ed il Monte Bisenzo, poco discosta ed a Sud della strada rotabile, non presenta alcuna delle proprietà caratteristiche dei coni vulcanici: è una collina di forma irregolare come tutte le altre che la circondano, ed è costituita da tufo incoerente biancastro, formato dalle ceneri e sabbie piovute dalle eruzioni del Lagaccione che si trova poco discosto ed a N.O di questa località. Se non per- tanto ho classificato il Monte Fioroni fra le bocche eruttive, si è perchè nelle trincee fatte dalle strade mulattiere che lo solcano e lo rasentano, mi fu dato verificare l’ esistenza di giacimenti di scorie, — 348 — eguali a quelle rinvenute a Monte San Magno, a Valentano ed in tanti altri coni; credetti perciò poter ritenere queste scorie come gli avanzi d’un cono rimasto poi totalmente ricoperto dalle deiezioni di qualche altra bocca eruttiva e molto probabilmente da quelle del vi- cino Lagaccione. Un campione di scoria proveniente da Casale San Lazzaro sotto Monte Fioroni, è di color bianco per alterazione, ma a frattura fresca è grigia, e rassomiglia alla lava sperone. Le piccole bocche secondarie che ho descritto, non saranno cer- tamente le sole di questo centro vulcanico, e come esse lo riattac- cano ad Ovest con il Vulcano di Latera, ed i crateri Martani, ad Est a quello di Montefìascone, così a Nord, nascoste sotto alle acque del lago, vi possono essere altre bocche secondarie e relative colate di lave, che Io riattacchino al Vulcano di Bolsena; bocche e colate forse indicate dalle irregolarità del fondo verificate nel rilevamento batometrico del De Agostini, più volte citato. Come abbiamo veduto, nel centro vulcanico di Capodimonte vi sarebbero, come nel Vulcano di Latera, delle grandiose colate di te- frite, la di cui relazione con quelle di trachite, di leucitofiro e di an- desite, ab benché nel Vulcano di Capodimonte non sia così manifesta come nell’altro, pure si deve ritenere che sia identica, specialmente se si tien conto che anche qui la serie delle eruzioni si è chiusa con remissione della leuciti te dai piccoli coni avventizi. È probabile quindi che i periodi eruttivi dei due centri vicini, siano stati sin- croni od alternanti ma contemporanei. * * I due centri vulcanici descritti (Latera e Capodimonte) occupano tutta la parte occidentale della regione Vulsinia, nella quale sono ancora manifeste le tracce di un residuo d’attività vulcanica che si rivela per mezzo di numerose sorgenti di gas, e di acque minerali e termali, alcune delle quali hanno formato importanti depositi di travertino. — 349 — Nell’interno dell’edificio centrale abbiamo anzitutto la solfatara di Poggio Montione, quella del Pian del Pazzo ed altre pure esi- stenti nel territorio di Latera : inoltre presso questo paese vi è anche una sorgente termale solforosa acidula, ed altre sorgenti acidule sgorgano nei dintorni, fra cui una salso-solfurea a Monte Calveglio. A regione II Piano ed a regione Prati, che corrispondono all’incirca al centro del grande cratere di Latera, si svolgono abbondanti emana- zioni di gas acido-solfidrico ed acido carbonico. Nella pianura sotto Valentano vi sono due sorgenti, una acidula e l’altra ferruginosa, ed un’ultima sorgente solfo-ferruginosa si trova pure presso il Molino d’Ischia, all’angolo S.O del detto cratere, oltre ai piccoli giacimenti travertinosi accennati. A N.O del medesimo, presso la diruta chiesa di Santa Maria dell’Aquila, nei dintorni di Sorano, vi sono due sorgenti termali, delle quali una intermittente che ha la temperatura di 37° 0. e si asciuga durante l’inverno; da questa presi un campione d’acqua sul quale dall’ing. Mattirolo del R. Ufficio geologico furono eseguiti alcuni saggi da cui risultò trattarsi di un’acqua fortemente selenitosa: altra simile caldissima trovasi poco distante al disotto della Buca dei Fiori , ed un’ultima termale ferruginosa, chiamata il Bagnò di ferro , sgorga nel fosso del Lorentino all’ angolo N.O della tavoletta di Valen- tano (1 : l 0,000). Queste sorgenti formano depositi travertinosi e cam- biano di posto lasciando dei piccoli coni perfetti di travertino a strati inclinati, che hanno nel mezzo una bocca circolare di una certa profon- dità : di questi coni ve ne sono diversi allineati N-S, come il Pozzo delFOrchio, la Buca dei Fiori, le due di Santa Maria dell’Aquila, e forse qualche altra che può essermi sfuggita. Anche il vom Rath ha visitato la Buca dei f iori e cita il curioso fenomeno di questo cono di travertino, del quale però dichiara di non aver potuto scoprire la causa, che, come ho detto, è dovuta allo spostamento della sorgente. Sempre a N.O di questi due centri vulcanici, vi è pure la sor- gente termale solforosa di Saturnia, che ha formato un importante deposito di travertino estendentesi fin sotto Montemerano. — 350 — Ad Ovest vi sono due sorgenti ferruginose nei dintorni del paese di Farnese, poi il giacimento travertinoso di Poggio Marmare presso la confluenza del fosso Bianco e del fosso Oatoriano con la Fiora; un poco più in basso vi è l’altro assai maggiore che da regione Chiusa del Vescovo sulla Fiora si estende a regione Pianetti, lungo circa sei chilometri e largo uno; e tralascio quelli minori. A Sud abbiamo anzitutto un piccolo deposito travertinoso su la destra della Fiora fra la fattoria di Montauto e la miniera di anti- monio; su la sinistra la grande formazione travertinosa di Montai to di Castro, che si estende dal Ponte Sodo alla Regione Pietrafitta per ben 13 chilometri, e dalla Fiora al Monte di Canino per circa 6 a 7. In questo vasto giacimento si osservano dei coni di travertino, che indicano il luogo delle antiche sorgenti che lo hanno formato : il Monte Fumajolo, a N.O di Canino, dove da buche circolari sfugge una corrente di vapore acqueo alle volte fischiando acutamente, è appunto uno di questi coni nel quale si son formate delle stufe naturali. Un altro conetto di travertino si trova alla Regione Selvacciola, due chilometri e mezzo a N.E del primo, ed il più grande di tutti è il Monte Rozzi 1 che ha un diametro di 600 metri con una trentina di altezza, situato poco lontano dal famoso Ponte dell’ Abbadia. Nei dintorni di Canino, alle Murane vi è una sorgente termale solforosa, contenente pure fluoro e potassio. Alla Regione Solforata presso Respampani vi è una solfatara e nel letto del Marta, sotto la Regione Banditella, vi sono diverse sorgenti di gas solfidrico : in alcune delle buche dalle quali si sprigiona il gas, l’acqua che vi si raccoglie diviene nera ed acquista sapore metallico. Alla Regione Banditella ed alla Regione Puntone su la sinistra del Marta, vi è un giacimento di travertino, lungo 3 chilometri e largo uno e mezzo: interessante specialmente la parte della Regione Puntone, 1 Questo nome di Monte Rozzi che si trova su la Carta dell’Istituto Geo- grafico Militare, è una erronea trascrizione del vero nome datogli dalla gente del paese che è quello di Montar ossi, che nel dialetto locale significa piccoli ri ahi di terreno. — 351 — dove il giacimento è formato nella parte più bassa da sottili banchi di travertino alternanti con tufi terrosi e strati di materiali biancastri di origine lacustre, il tutto ricoperto da un banco più potente di traver- tino, il che prova come in questo punto i tufi siansi deposti nell’acqua. A N.E di Toscanella, nella tenuta San Savino, e nella località detta le .Buche, scaturisce una sorgente solfurea limpidissima. Altra sorgente solfurea scaturisce nel fosso sotto Castel Bronco presso Toscanella. Nei dintorni di Corneto, al confine fra la zona vulcanica Yulsinia e quella Cimina, vi è una sorgente minerale, contenente cloro, sodio, bromo, iodio ed arsenico. Yulcano di Montefiascone. La città di Montefiascone è fabbricata su la parte culminante di un gruppo di bocche eruttive, che raggiunge la quota di 633 metri sul mare, e dove oggi sono case, monumenti, giardini e vigneti, in tempi geologicamente a noi vicini, le forze endogene si sprigionavano con potenti manifestazioni vulcaniche. Per quanto spento il vulcano sul quale la città fu costrutta, le forze endogene fecero ripetutamente sentire ad essa la loro energia latente, desolandola con i terremoti. Nella parte più alta di Montefiascone, s’offre allo sguardo un panorama splendido e l’occhio spazia per tutta la estesa pianura dell’antica Etruria: a Nord la veduta è chiusa dalla giogaia del Monte Amiata, al di là dell’ampio lago di Bolsena ; ad Est si allarga verso i monti dell’ Umbria, a Sud è limitata dai Cimini e ad Ovest si apre fino al mare. Il Yulcano di Montefiascone situato all’angolo S.E del lago Yulsinio, si compone di un edificio principale, nel quale a somiglianza degli altri centri eruttivi Yulsini, sarebbesi più volte spostato il canale o camino principale, originando 5 crateri dei quali, ad ecce- zione del cratere maggiore o più antico di Montefiascone (del resto assai incerto) gli altri 4 hanno tutti più o meno le stesse dimensioni ; su questi ed attorno a questi, si riconoscono ancora 7 bocche secon- darie, tutte assai ben conservate. Non tenendo conto del Vulcano di Capodimonte, perchè non si hanno dati sufficienti per giudicare del numero e grandezza delle bocche che possono esser nascoste sotto alle acque del lago, questo di Montefiascone è il più piccolo fra tutti ed è quello che chiuse la serie delle grandi eruzioni Vulsinie, poiché come fu già accennato questo centro appartiene al quarto periodo o della leucitite, comparsa soltanto nell’ultima fase degli altri due centri descritti, eruttata da piccole bocche avventizie, i di cui prodotti si trovano al disopra di tutti gli altri. Non debbo tralasciare di accennare che fra le lave più antiche di Montefiascone, vi sono anche dei lembi di tefrite, per cui è probabile che questo Vulcano abbia avuto un periodo anteriore o tefritico, i di cui materiali sarebbero stati poi quasi totalmente ricoperti da quelli emessi nel periodo leucititico. La zona che appartiene a questo Vulcano si estende poco a Nord, perchè i suoi prodotti vanno a mescolarsi con quelli del Vulcano di Bolsena assai più vasto ; ad Ovest è limitata dal lago ; a Sud giunge fino al mare, ma si confonde con quelle dei vulcani di Capodimonte e Latera; ad Est e S.E termina alla pianura di Viterbo, dove si unisce con la zona vulcanica dei Cimini. Di questa regione non ho potuto fare un rilevamento geologico particolareggiato ed uno studio completo di tutte le sue lave, per cui dovrò limitarmi ad una descrizione assai sommaria delle diverse bocche eruttive, onde evitare di cadere in inesattezze e fare apprezzamenti non appoggiati a dati di fatto. 36, 36 bis e 37. Crateri di Montefiascone e cono di Montarono. — Affacciandosi dal diruto castello di Montefiascone, o percorrendo le due strade rotabili, laterali alla città, che conducono quella setten- trionale a Bolsena, e quella occidentale a Marta e Capodimonte, si — 353 resta ammirati alla vista della stupenda valle craterica che si spro- fonda ad Ovest della città e si estende fino a lambire il lago. La valle perfettamente circolare, coltivata come un giardino, è chiusa in un cerchio di colline a fortissima pendenza, di cui quelle a Sud rivestite di bosco e quelle a Nord vagamente sparse di casolari, le quali abbassandosi gradatamente verso Ovest, permettono di godere della vista del lago con le sue due belle isolette in lontananza. Questo cratere avente poco più di due chilometri e mezzo di diametro, al ciglio della cinta craterica, si è sventrato ad Ovest a somiglianza dei due maggiori del Vulcano di Latera; malgrado ciò e malgrado le soprapposizioni di materiali sciolti e di lave, dovuti alle eruzioni d’un cono formatosi posteriormente sul ciglio orientale della sua cinta, esso conserva ancora spiccatamente la forma craterica caratteristica. Il cratere è, come già ho avvertito, perfettamente circolare ; la sua cinta, disseminata da una grande quantità di blocchi di lava e quasi totalmente distrutta ad Ovest, si mantiene a Nord e Sud d’un’ altezza media di circa 150 metri dal fondo del cratere; il lato Ovest invece si abbassa rapidamente, tanto che le acque di scolo della valle hanno potuto facilmente aprirsi un passaggio attraverso questa parte della cinta, alta pochi metri dal fondo della valle. La collinetta di Montarono, di forma conica ed isolata nel bel mezzo della valle craterica di Montefìascone, rappresenta ancora il canale eruttivo di questo edificio vulcanico, che a somiglianza del Vesuvio nel Somma e del Monte Venere nel Vulcano di Vico, aveva cominciato a formare un cono entro al cratere. Sembra che tanto questo cratere quanto l’altro adiacente presso i Molini della Valle che descriverò in seguito, siansi formati dentro le rovine di altro cratere più grande, con il quale oggi avrebbero comuni alcune parti delle loro cinte. Nella parte Ovest di questo cra- tere maggiore si sarebbe formato dapprima il cratere che ho chia- mato dei Molini della Valle, e più tardi nella parte Est quello di Montefìascone. 354 — A sostegno di questa ipotesi sta il fatto che dall’altura di Mon- tefiascone si bipartono due serie di colline, che vanno abbassandosi insensibilmente verso il lago, sul quale si elevano quasi a picco ; esse fanno parte, come sembra, d’una cinta craterica rotta bruscamente ad Ovest, la quale nella sua parte Sud comprende pure il Poggio Scotta, che sarebbe un frammento della cinta del cratere dei Molini della Valle, gemello a quello di Montefìascone. Alla metà di queste due parti di cinta craterica maggiore, e cioè nella parte Nord presso Le Pelucche ed in quella Sud un poco ad Est di Monte d’Oro, si at- taccano le colline più basse che costituiscono la parte Ovest della cinta del cratere minore di Montefìascone. Questo edifìcio vulcanico più grande, malgrado la comunanza di un gran tratto di cinta craterica a Nord ed a Sud con i due più piccoli formatisi posteriormente entro di esso, mi pare abbastanza distinto da essi, da non potersene escludere l’esistenza. Del resto la formazione successiva di due crateri minori entro uno maggiore per lo spostamento del canale eruttivo, non sarebbe altro che la ripeti- zione del fatto che abbiamo veduto essere avvenuto nel Vulcano di Latera e probabilmente anche in quello di Capodimonte. La forma spiccatamente craterica della valle di Montefìascone era stata osservata anche dal vom Rath, ma più recentemente il Verri, nella sua memoria su i crateri Vulsini, la mette in dubbio perchè non gli parve che la disposizione dei materiali nell’interno della valle rispondesse a quella che avrebbero dovuto avere in un cratere, e perchè sul versante esterno delle colline che costituiscono la parte Ovest di questo cratere, ha trovato della lava che accenna a sprofondarsi sotto alla valle craterica, come se provenisse da un edificio vulcanico situato entro al lago, piuttosto che dal cratere di Montefìascone. Le due osservazioni sono giuste ma hanno una spie- gazione logica che non infirma adatto l’esistenza di questa bocca eruttiva: il cono sviluppatosi sul ciglio di questa cinta craterica do- veva necessariamente alterarne alquanto la forma, specialmente nella parte interna, ed i materiali da esso eruttati, mentre hanno ricoperto - 355 — quelli clie costituivano questa parte del recinto, si mostrano ora in- clinati verso l’interno del cratere; anche in altri punti del recinto craterico si vedono degli strati inclinare verso l’interno, ma ciò signi- fica che oltre al cono di Montefìascone, sul ciglio del cratere si erano formate altre piccole bocche avventizie, oggi non più riconoscibili, alle eruzioni delle quali appartengono probabilmente questi materiali. In quanto alla lava esistente all’esterno della parte Ovest del recinto ed inclinata verso linterno anziché verso l’esterno, ben si appone il Verri nel ritenere che provenga da qualche bocca eruttiva situata nel lago, e questa non può essere che quella adiacente da Ovest al cratere di Montefìascone, e da me chiamata dei Molini della Valle. Il Verri aveva intuito l’esistenza d’un altro centro eruttivo nei dintorni di Capodimonte, e nella sua memoria accenna ripetutamente a questa idea, specialmente quando parla della provenienza delle lave di Toscanella, che anch’egli aveva riconosciuto non poter appartenere tutte alle eruzioni dei due centri di Latera e Montefìascone; quindi egli crede che la lava situata ad Ovest del cratere di Montefìascone, provenga dal Vulcano di Capodimonte, e probabilmente dalla bocca da me chiamata cratere Bisentino, o da qualche bocca secondaria come il cratere avventizio dell’Isola Martana, od altra sparita: data l’esistenza del cratere dei Molini della Valle, questa lava apparter- rebbe sicuramente ad esso, e segnerebbe anzi un piccolo frammento del suo cono; ma quando si volesse mettere in dubbio l’esistenza di questo cratere, senza bisogno di supporre questa lava venuta fino dal cratere Bisentino, distante oltre 6 chilometri da questo punto, vi sarebbe ancora il grande cratere sub-acqueo Martano, al quale pure la medesima si potrebbe riferire. Entrambi questi crateri, come quello Bisentino, sono più antichi del cratere di Montefìascone, quindi l’in- clinazione della lava all’estremità Ovest del suo recinto craterico, non ha nulla di anormale, quando si rifletta che colate di lava potevano già esistere su la superfìcie, dove più tardi si sviluppò quest’altro vulcano, alla periferia del quale se oggi si scopre qualche lembo delle antiche colate, questo non può mettere in dubbio l’esistenza del — 356 — centro eruttivo più recente, ma è invece un fatto die prova l’esi- stenza di bocche più antiche situate da quella parte. Nel tratto Nord di recinto craterico, verso Le Coste, si scopre il tufo leucitico giallo con p:ccole pomicine gialle e pezzetti di lava, rinvenuto pure nell’ossatura del cono di Monte San Magno e del cratere del Lagaccione, sopra al quale si adagia un conglomerato vul- canico, composto di lapilli, pomicine e frammenti di lava, identico affatto a quello di cui è per intiero costituita l’Isola Mar tana; sopra ad esso stanno i tufi del cono di Montefiascone : nell’opposta parte Sud invece si trovano dei tufi che sembrano appartenere più proba- bilmente alle eruzioni del cono che non a quelle del cratere. In com- plesso la parte Nord di questa cinta craterica esaminata nelle rocce che la compongono, fa l’impressione d’essere più antica della parte Sud. La parte Nord del recinto è costituita quasi esclusivamente di materiali terrosi, mentre nella parte Sud predominano le lave: ap- partengono alle eruzioni di questi due crateri ed a quelle del cratere dei Molini della Valle e del cratere Martano, le lave che alla base Nord del cono che li recinge, appaiono su la rotabile presso il Ca- stellacelo e vanno a confondersi con quelle provenienti dal Vulcano di Eolsena, dalle quali non è facile distinguerle non essendovi an- cora uno studio petrografico completo di tutti gli affioramenti. Alla base Sud del cono, dove passa la rotabile per Marta, appartengono cer- tamente a questi crateri, una gran parte delle lave che si dirigono verso Toscanella, e più specialmente le colate di leucitite che con direzione N.O-S.E raggiungono ^an Giusto, a Sud di Toscanella, misurando una lunghezza di circa 20 chilometri. A S.E dell’edificio principale del Vulcano di Montefiascone, si trovano le sue bocche secondarie, per cui non si può precisare se fra le lave che affiorano da questa par (e alcune appartengono ad esso, o soltanto alle bocche secondarie. Su la rotabile ed a metà strada fra Montefiascone e Marta presi un campione di lava che sembra una tefrite senza che ciò sia an- cora definitivamente provato con altri campioni meglio determina- — 357 — bili; del resto però per la posizione della colata, la medesima potrebbe appartenere ugualmente al cratere Bisentino, a quello Martano od a quello dei Molini della Valle, cornea quello di Montefiascone : è una roccia vacuolare grigio-scura, nella quale i meati sono tappezzati da una sostanza grigio- verdastra che si vede pure disseminata nella massa. A Nord dei crateri vi è del leucitofìro presso il Fosso di Arlena e della tefrite nei dintorni del Podere Selva e del Podere Tisbo, ma la prima località trovasi in mezzo e le seconde poco distanti dalle bocche eruttive del Vulcano di Bolsena, per cui potrebbero anche ap- partenere alle medesime. Tutti i campioni, per la loro ubicazione si- curamente provenienti dal Vulcano di Montefiascone, furono con l’ana- lisi petrografia riconosciuti dal Bucca per leucitite, e siccome anche le analisi chimico-petrografiche del Ricciardi, riportate dal Verri, con- cordano con le determinazioni del Bucca, si sarebbe dovuto concludere che da questo centro vulcanico non fosse uscita che della leucitite. Senonchè due campioni più recentmente da me raccolti nei dintorni delle Capannaccie e di Porcareccia, a Sud di Monte d’Oro, esaminati al microscopio dall’ingegnere Viola, furono riconosciuti per tefrite leu- citica; quindi fino a tanto che non sia stato eseguito uno studio com- pleto di tutte le lave sarebbe arrischiato formulare un giudizio as- soluto. Un campione di leucitite proveniente da un punto della rotabile per Bolsena, poco prima di giungere al Castelluccio, è una roccia scura, quasi nera, compatta, scagliosa, con leuciti vitree, cristallini di feldispato ed augite. Al Molino presso il lago (che dev’essere la lava con inclinazione verso l’interno del cratere, citata dal Verri) la roccia è di un grigio assai scuro, ruvida ; nella pasta sono determinate leu- citi alterate di color giallo tufo chiaro e molti cristallini di augite: è una leucitite olivinica. Delle colate che si dirigono verso Toscanella, a Casale Serpepe la lava è grigio -scura, compatta, dura, pesante, contenente rari e pic- coli cristalli di leucite vetrosa e qualche cristallo di augite. Dalla col- lina ad Est di Casale Serpepe proviene una leucite grigio scura, com- — 358 — patta, disseminata abbondantemente di leuciti semi-vetrose che qua e là formano delle concentrazioni di cristalli di 0. 03 e più di diametro : contiene pure dei cristalli di pirosseno. A Grotte Caprine la lava è grigio -scura, compatta, dura, pesante, con rari e piccoli cristalli di leucite vetrosa e molti cristallini di augite. A Nord di S. Giusto la leucitite è quasi nera, compatta, ma con qualche piccola cavità. A Sud invece di questa località la roccia è vacuolare, grigio-scura, mi- nutamente punteggiata in bianco dalla leucite. Dal fontanile di Mon- tefìascone nei dintorni di Toscanella, proviene una lava grigio-scura, compatta. Su la strada di Casale Cipollara la roccia è grigio-scura con riflessi violacei; contiene piccoli globuletti di limonite. A N.E di Casale Trinità la lava è vacuolare, di color grigio-cenere scura, la leucite si vede diffusa nella pasta lavica. Da Casale Magliani proviene un campione di leucitite grigio cenere scura, alquanto porosa, ricca di cristallini di feldispato. Alla Regione San Savino la roccia è di color grigio-chiaro, compatta, con leucite vitrea e molti cristalli di augite. Alla .Regione Le Guinze vi è una lava simile, ma senza leucite visibile macroscopicamente. 38. Cono di Montefiascone. — Su la parte orientale della doppia cinta craterica ora descritta, ripetendosi il fatto più volte avvenuto nel Vulcano di Latera, si è sviluppato un cono, che si trova ancora in buonissime condizioni di conservazione e su la sommità del quale sorge appunto la città di Montefiascone. Il cono, la di cui base perfettamente circolare ha circa un chilo- metro di diametro, è a declivio ripidissimo specialmente ad occi- dente, dove ha deformato alquanto il profilo del cratere sottostante e con la sua base ricopre una terza parte delflantico fondo: il me- desimo è costituito essenzialmente di lapilli, come quello di Valen- tano al quale sembra dal tutto insieme coetaneo ; i lapilli però hanno un colore oscuro omogeneo, mentre quelli di Valentano sono dove rosso mattone, dove gialli, dove grigi. Fra i lapilli spuntano in qualche luogo delle lave e la sommità stessa del cono è formata di lava sco- — 359 — riacea. Assieme ai lapilli ed intercalati con essi, vi sono strati di scorie, abbastanza cementate da poterne ricavare materiali per muri a secco. La collina di Montefìascone ha pure un’altra somiglianza con quella di Valentano, mostrandosi come questa formata da due coni vulcanici addossati uno all’altro, che sarebbero rappresentati dalla collina di Montefìascone propriamente detta e dall’altra collina a Sud della città, ov’è il convento dei Cappuccini. In questo caso però la somiglianza non è che apparente e dovuta soltanto all’erosione, che di una sola collina ne ha fatto due. La collina dei Cappuccini fa parte sicuramente delle due cinte crateriche anzidescritte, e lo prova il fatto degli strati fortemente rialzati verso la valle, che si osservano su la rotabile per Marta in prossimità delle mura del convento : vi- cinissima alla nuova bocca eruttiva che si attivava sul ciglio del cra- tere, venne inclusa nel cono da questa formato; però essendo essa costituita quasi interamente di lava, mentre quella di Montefìascone è prevalentemente di lapilli, le acque poterono produrre una profonda solcatura nei materiali incoerenti, dando alla collina la forma di due coni adiacenti. Il cono di Montefìascone si distingue da tutte le altre bocche eruttive dei Vulcani Vulsini, per la diversità dei tufi che si sono for- mati con i materiali da esso eruttati e che non hanno nulla di co- mune con i tufi Vulsini, mentre rassomigliano assai a quel tufo o conglomerato vulcanico dei dintorni di Viterbo nei Cimini, ed al pe- perino dei Laziali, al quale ultimo rassomiglia pure per gl’inclusi cal- carei, che qui sono però di calcare marnoso eocenico. Ai piedi del cono di lapilli e per un raggio di 4 a 5 chilometri, si distende la forma- zione tufacea appartenente a questa bocca : il tufo di Montefìascone è un buon materiale da costruzione, abbenchè disgregandosi un poco alla superficie, abbia l’apparenza d’un tufo incoerente. Viene adoperato come pietrame da muri, come pietra da taglio ed anche in lastre per la pavimentazione: i contadini dei dintorni, di Montefìascone approfit- tando dei tagli naturali che offrono le molte vailette che solcano la regione, nuovi Trogloditi , vi si scavano dentro delle abitazioni, che alla ' — 360 — superficie delle collinette non si avvertirebbero affatto, senza i camini dei focolari, che come funghi spuntano fuori fra l’erba dei campi. Scendendo nell’interno del cratere, dalla parte Sud, da un viottolo che si diparte dalla rotabile, fra le case che s’incontrano poco prima di giungere a Monte d’Oro, si trova una roccia non ben determina- bile, che sta fra il tufo e la lava: di colore grigio-scuro, dura e com- patta come una lava, a frattura scagliosa disseminata di piccoli pez- zetti di lava nera disposti come a zone, vi si vede la leucite allo stato di diffusione intorno ai frammentini di lava nera ; contiene pure qualche rara augite gialla. Questa roccia la trovai soltanto in questa località, e probabilmente fa parte essa pure dei materiali eruttati dal cono di Montefiascone. A questo cono, che va classificato assieme a quello di Valentano, fra le più recenti manifestazioni vulcaniche Yulsinie, appartengono forse le lave che si vedono su la via Orvietana fin verso il punto ove incomincia il Fosso dei Prati, le piccole colate che si trovano nell’in- terno dei crateri ad Ovest e Sud del cono, e fors’anco la colata che affiora soltanto ad intervalli a Nord di Montisola passa per le Ama- relle e raggiunge Magugnano. Tutte queste colate sono di leucitite, ad eccezione di quella che affiora su la via Orvietana sopra Fosso dei Prati che sarebbe di te- frite leucitica ; non debbo però nascondere che questi campioni furono oggetto di un esame assai sommario, per cui vista da una parte la concordanza dei risultati fra il Ricciardi ed il JBucca su gli altri cam- pioni di Montefiascone, e dall’altra, la determinazione fatta dall’inge- gnere Viola di altri campioni di tefrite leucitica, provenienti da altre località di questo centro vulcanico, i suddetti campioni dovrebbero essere nuovamente e più accuratamente studiati, onde poter stabilire con precisione se, come sembra, anche il Vulcano di Montefiascone ha veramente emesso più qualità di lave, caratterizzanti anche qui periodi differenti. Un campione di leucitite proveniente dall’interno del cratere fra il lago e Le Coste, è una roccia grigio-scura con grosse concentra- — 361 — zioni di cristalli vetrosi di leucite in mezzo alle quali si vede alle volte una sostanza gialla e giallo-miele d’aspetto resinoso; la pasta è disseminata di piccole leuciti 0 da minutissimi cristallini di feldispato ed augite. Un altro campione ma di leucitite olivi nica, proveniente pure dairinterno del cratere fra il lago e Le Coste, è una lava grigia assai scura, d’ aspetto resinoso, compattissima ; la leucite non si vede macroscopicamente, la pasta lavica è ricca invece di cristalli neri di augite e verde-chiaro di olivina, qualcuno dei quali è assai sviluppato. Dall’interno del cratere, ma dalla parte opposta, cioè Monte d’Oro e Montefìascone, proviene un campione di lava quasi nera, uniforme, vacuolare e con i meati stirati nel senso della direzione della colata, Un campione di leucitite olivinica proviene da Valferone, ad Est di Montefìascone, è una lava grigio-scura, vacuolare, abbon- dantemente disseminata di cristalli semi-vetrosi di leucite, e da molti cristallini di augite. Nel fosso presso le Amarelle fra Montefìascone e le Girotte, vi è la leucitite olivinica identica all’ultima notata. Sul versante Sud delle collina dei Cappuccini, la lava è grigio- scura, compatta, ruvida, disseminata di piccoli e grossi cristalli vitrei di leucite e di cristallini di augite. 39. Cratere presso i Mollai della Valle. — Poco o nulla resta di questa supposta bocca eruttiva, situata ad Ovest ed adiacente al cra- tere di Montefìascone, ma pure vi sono dei fatti che pare non si pos- sano spiegare diversamente che ammettendone l’esistenza. Su la spiaggia del lago, presso i Molini della Valle e precisamente nella parte esterna delle collinette che costituiscono la cinta del cra- tere di Montefìascone, gli strati di lapillo e conglomerato vulcanico, sono fortemente rialzati verso il lago: il Verri in questa località ha veduto anche delle lave che invece d’essere inclinate Verso il lago, come dovrebbero se provenissero dal cratere di Montefìascone, incli- nano in senso opposto. Inoltre tutta la superficie compresa fra i Mo- lini della Valle ed il Poggio Scotta, ha spiccatamente la forma crate- rica imbutiforme, ed il Poggio Scotta stesso presso la rotabile che da 24 — 362 — Montefiascone conduce a Marta, sembra un frammento di orlo crate- rico. Riunendo assieme questi dati, a me pare non si possa fare a meno di ritenere che in questa località esistesse già un ediiicio ora assai guasto dal tempo, anzi quasi totalmente distrutto, ma che dal poco che rimane, ancora lo s’indovina. Riconosco che i fatti citati in appoggio dell’esistenza di questa bocca eruttiva, potrebbero riferirsi anche al cratere Martano, nascosto sotto alle acque del lago, senza bisogno di supporne un altro fra esso ed il cratere di Montefiascone. Infatti anche questa ipotesi è probabile, ma la parte di cinta crate- rica ancora esistente del cratere Martano, così bene accennata dalle isobate del De Agostini, è affatto staccata dal Poggio Scotta (il quale segna un tratto del recinto craterico dei Molini della Valle) e con esso non sembra si possa riattaccare in modo alcuno; onde è che a spiegare il forte rialzamento verso il lago degli strati di materiali situati su la spiaggia, della forma ad imbuto di una parte della su- perficie situata fra il lago ed il cratere di Montefiascone, e della inclinazione delle lave citate dal Verri, credetti più logico ammettere in questa località l’esistenza di una bocca eruttiva. Le condizioni nelle quali trovasi la medesima, non permettono di scendere a particolari senza pericolo d’incorrere in grosse inesattezze ; dall’insieme si vede però ch’essa sarebbe stata fra le più antiche del gruppo di Montefiascone. 40. Cratere Martano. — Fra l’Isola Martana e la sponda orientale del lago, ma più vicina à questa che a quella, vi è un’altra isola o sporgenza subacquea, il di cui punto più elevato corrisponde a 38 metri di profondità dal livello delle acque: questa sporgenza è colle- gata all’Isola Martana dalle isobate che segnano le quote da 20 ad 80 metri di profondità, e verso Sud sono piegate a ferro di cavallo, alle due estremità del quale si troverebbero l’Isola Martana e la sporgenza o rialzo subacqueo anzidetto. Tale disposizione rivela in questo punto del lago l’esistenza della metà d’un cratere sventratosi a Nord, che doveva avere circa 2 chi- — 363 — lometri e mezzo di diametrOj ed il cui recinto ripidissimo, special- mente presso l’Isola Martana, ha ancora 60 metri di profondità. Nascosto completamente dalle acque del lago, di esso non si co- nosce altro all’infuori di quanto ci fu rivelato dallo scandaglio, e se i dati avuti con questo mezzo, sono sufficienti a dimostrare con cer- tezza l’esistenza di questa bocca eruttiva, non ci dicono nulla circa le lave da esso emesse, e circa l’età sua. Ammesso il cratere dei Mo lini della Valle, questo dovrebbe essere più recente di quello, giacché altrimenti avrebbe dovuto essere totalmente distrutto, mentre sembra sia avvenuto precisamente il contrario. Anche questo cratere sub-acqueo, si troverebbe come quelli di Montefìascone e Molini della Valle, su la principale linea di frattura dei Vulcani Vulsini. 40 bis. Isola Martana. — L’Isola Martana consiste in una colli- netta, che elevasi a 377 metri sul livello del mare, ed a 72 dal pelo delle acque del lago, alla quale come appendice è unito a Sud un piccolo tratto di superficie pianeggiante : la collina è ripidissima tanto che bisogna aiutarsi con le mani per arrampicarsi; dalla parte Nord è tagliata a picco ed ha la figura di un semicerchio, rappresentante la metà di un cratere il quale serve di porto naturale alla piccola isola. Essa è costituita da un conglomerato vulcanico pochissimo ce- mentato, composto di pomici, frammenti di lava e lapilli, identico affatto a quello che trovasi nella parte settentrionale del cratere di Montefìascone. L’isola è del tutto sterile e su la sua parte culminante vi sono le rovine d’un castello celebre per la prigionìa e la morte di Amala- sunta figlia del gran Teodorico, regina degli Ostrogoti, che ivi sarebbe stata strangolata nel bagno. Il piccolo craterino sventrato, e relativa metà di cono, che costi- tuiscono l’Isola Martana, sono gli avanzi assai ben conservati d una bocca avventizia sviluppatasi, come abbiamo veduto, su l’orlo del cratere Martano. - 364 — Su l’ isolotto non vi è traccia di lave, ma questo non deve mara- vigliare, poiché il più delle volte le medesime si aprono un’uscita al piede degli edifici vulcanici, e così dev’essere avvenuto per il cratere dell’ Isola Martana ; le lave quindi provenienti dalle sue eruzioni, devono trovarsi nascoste sotto alle acque del lago. 41. Cratere di Fiordine. — A Sud di Montefìascone si sprofonda un’altra grande valle craterica, che ho chiamato di Fiordine dal nome di uno dei gruppi di case che si trovano entro di essa, e della quale nessuno ha mai fatto parola. Questa bocca eruttiva non è tanto facilmente riconoscibile, perchè assai rovinata dal tempo e dalle vi- cende posteriori, poiché anche essa va sicuramente annoverata fra le più antiche del gruppo. Il cratere, visto dall’alto dei paese, si presenta come una bassura divisa e suddivisa da vallecole e fossi che la solcano in tutti i sensi, e riunendosi poi in un fosso principale che passa sotto le Poggere , versa le sue acque nel Fòsso dell’Arena che scende da Monte d’Oro: il cratere di forma circolare, con un diametro di poco più che due chilometri e mezzo, nella parte Nord ha comune il recinto con i crateri di Montefìascone, mentre da Est, da Sud e da Ovest è segnato da una corona circolare di alture che di poco si eleva dal fondo della valle. Le colline che costituiscono la cinta di questo cratere, sono for- mate quasi esclusivamente di lapilli con poca scoria e pochissima lava scoriacea: la parte Sud della cinta (le Poggere) è benissimo conservata ed è costituita come quella di Montefìascone da peperino incoerente e litoide (quest’ultimo bellissimo) nel quale sono inclusi grossi blocchi di lava. Al fatto della mancanza di lave nell’ossatura del recinto, le quali potessero resistere all’azione demolitrice degli agenti atmosferici, è dovuto senza dubbio l’avanzato stato di distru- zione di questo edificio.: ciò nonpertanto quanto resta di esso, basta per chiaramente indicarne l’esistenza, poiché non può ritenersi acci- dentale la costanza con la quale la stratificazione di queste colline — 365 — (specialmente nella parte Sud) è rialzata verso il centro della valle, nè tampoco accidentale si può considerare la disposizione di esse su una curva circolare, nè la forma conica, per quanto sensibilmente alterata ma pur tuttavia riconoscibile, che conserva esternamente la parte Sud del recinto, ossia le colline che guardano Viterbo. il fondo della valle craterica è riempito da tufi terrosi (ceneri, sabbie, pomici e lapilli assieme debolmente cementati) stratificati orizzontalmente: tale stratificazione accusa questi materiali prove- nienti dalle eruzioni di altre bocche ed anche dallo sfasciamento della parte più alta del recinto che racchiudeva il cratere, recinto che, vista T inclinazione degli strati della parte che rimane, doveva elevarsi assai alto. Il fatto che nel fondo del cratere vi sono delle vere e proprie colate di lava, le quali evidentemente sono dovute alle eruzioni delle bocche limitrofe, prova che in esso devono essere caduti anche una certa quantità di materiali sciolti, i quali uniti a quelli provenienti dalla sua stessa demolizione lo hanno quasi interamente riempito. Malgrado le dimensioni del cratere, per le quali esso appartiene alle bocche eruttive più importanti non solo del gruppo di Monte- fiascone ma dei Vulsini in generale, pure nei dintorni non si vede una quantità tale di lava corrispondente alla grandezza dell’edifìcio vulcanico. Ma ciò non deve far maraviglia quando si consideri che in altri centri e più specialmente nei Vulcani Sabatini si vedono gruppi interi di bocche eruttive che non hanno dato lava in colate; d’altra parte alcune colate di questo edifìcio, le quali appartengono certamente ai materiali più antichi del Vulcano di Montefìascone, potrebbero essere rimaste sepolte sotto le deiezioni di lapilli e ceneri delle eruzioni di altre bocche, nonché dei materiali provenienti dallo sfasciamento parziale del recinto di Fiordine stesso. Questa ipotesi sarebbe confermata dal fatto che nel fondo di qualche fosso appaiono per erosione delle lave, le quali evidentemente appartengono a delle colate sepolte: del resto una parte delle lave che si dirigono verso Toscanella, come per esempio quelle di Campo Grande , possono appar- tenere anche a questo punto eruttivo, come vi appartengono sicura- — 366 — mente le colate di leucotefrite che affiorano nei fossi dell’Arena, del Boccio e di Fontana Gona, e fors’anco una parte di quelle che affio- rano fra Porcareccia e le Capannaccie. E certo però che ad ogni modo le lave non possono essersi estese molto verso Sud, poiché da questa parte si arriva presto ai terreni sedimentari. Può darsi anche che questo cratere avesse vomitato la maggior parte delle sue lave verso Nord, dove in seguito allo spostamento del canale eruttivo, essendosi formato un altro grandioso apparato vulcanico, segnato dalla valle di Montefìascone, questo fece scomparire le tracce delle eruzioni di quello. Fra questo cratere ed il Monte Jugo vi è un altro piccolo affio- ramento di lava che si può ritenere proveniente anche dalle eruzioni di Fiordine: è una roccia grigia assai scura, finamente vacuolare, punteggiata in bianco da cristallini di leucite ed abbondantemente disseminata da cristalli di augite. 42. Cratere di Montisola . — A N E del cratere ora descritto ed a S.E del cono di Montefìascone, a pochi passi dalla stazione ferro- viaria di questa città, sembra esservi un altro cratere, contemporaneo o di poco più giovane del precedente. Ad Ovest della collina di Montisola havvi un’avvallamento quasi circolare che si potrebbe prendere per un cratere, ma si troverebbe in così cattivo stato di conservazione, da non permettere un’affermazione decisa: un fosso che attraversa questo avvallamento da Nord a Sud, ha ridotto il fondo in una serie di piccole collinette, mentre su la cinta craterica, da una parte i materiali del cono di Montisola rialzati verso il me- desimo, quelli appartenenti al cono di Montefìascone e rialzati perciò verso di esso, e da ultimo quelli di Fiordine ad occidente rialzati da quella parte, impediscono di vedere la stratificazione dei materiali che dovrebbero appartenere a questa bocca eruttiva. Pur tuttavia su la parte orientale del recinto, su cui passa la strada che da Montefìascone conduce alla stazione ferroviaria, in un tratto fra il Camposanto e Montisola, si vede la stratificazione rial- — 367 — zata uniformemente e con forte pendenza verso il centro della sup- posta valle craterica; identica osservazione può farsi fra Montisola e la stazione: inoltre questo secondo tratto di cinta è sparso di grossi blocchi di lava che potrebbero appartenere a qualche colata già esi- stente su questo edificio e sfasciatasi assieme ad esso, ovvero ad una di quelle colate che si separano naturalmente in blocchi durante il loro raffreddamento. Questo cratere sarebbe assai povero di lave e forse la mancanza appunto di materiali solidi nella sua ossatura, può essere stata la causa principale del suo grande deperimento. Su la parte occidentale della cinta vi è una colata la quale però sembra più probabile che possa appartenere alle eruzioni del cono di Montefìascone che non a quelle di questo cratere; sopra alla galleria della ferrovia, presso Paoletti, si vede il lembo d’una colata che potrebbe appartenere a questo punto eruttivo, come potrebbe appartenergli pure fi altra grande che trovasi ed Est de]la rotabile per Viterbo, presso il Ponte Santa Maria, ma per quest’ultima specialmente non si può dir nulla di pre- ciso, potendo appartenere pure ad altre bocche che gli sono anche più vicine. Un campione di lava preso sopra alla galleria di Montefìascone di faccia a Paoletti, è una leucitite di color quasi nero, uniforme, compattissima, pesante, disseminata di piccolissimi cristallini di pi- rosseno. 43. Cono di Montisola. — La collina di Montisola, che domina la stazione di Montefìascone, è un bel cono che seguendo la regola già più volte accertata, si sarebbe formato su la parte orientale della cinta del cratere anzidesGritto, deformandolo. La strada che conduce alla stazione di Montefìascone, passa per un tratto su la costa di Montisola, e lungo questo tratto si vede la stratificazione rialzata verso la sommità della collina, allo stesso modo che nei due tratti la- terali situati su la cinta craterica, gli strati si vedono rialzati, come dissi, verso il centro della valle crateriforme. Queste due osservazioni sono quelle che mi hanno fatto credere all’esistenza in questa loca- lità, di due punti eruttivi, o meglio di un’edificio vulcanico con due bocche. Il cono non conserva più il suo profilo caratteristico, ma ha preso la forma d'una collina rotondeggiante che malgrado ciò si eleva sempre in modo rimarchevole su le colline circostanti, poiché nel suo punto culminante raggiunge la quota di 501 metri sul mare. E costituito da lapilli con poche scorie qua e là, e da lava scoriacea alla sommità : dal tutto insieme sembra assai più antico del cono di Montefiascone. Ad Est del cono è uscita una colata di lava diretta N.E-S.O che si estende fino al Monte Varecchia, ne lambe la base occidentale e si confonde con la lava uscita da questo cono: questa è l’unica lava che si può con certezza assegnare alle eruzioni di questo punto eruttivo. Con la stessa probabilità ammessa per il supposto cratere che gli sta sotto ad Ovest, anche ad esso potrebbero appartenere le lave che furono citate per quello e più specialmente la grossa colata presso il ponte Santa Maria. Un campione di ' leucitite proveniente dalla colata a S.E del cono di Montisola, è una roccia vacuolare grigio-scura, con cristal- lini di augite ed altri cristalli giallo- verdastri che potrebbero essere pure di augite. 44. Monte Varecchia. — A S.E dell’edificio vulcanico di Montisola e da questo distante due chilometri e mezzo, sorge isolato il piccolo cono di Monte Varecchia, su le di cui falde settentrionali passa la linea ferroviaria Viterbo-Montefiascone: è una collinetta assai de- pressa, il di cui punto culminante è segnato dalla quota di 402 metri sul livello del mare, e la sua base di forma circolare misura un chi- lometro di diametro; essa non presenta nulla di rimarchevole ed at- tira l’attenzione soltanto per il fatto di trovarsi isolata nel mezzo della pianura. Questo cono dev’essere più o meno contemporaneo all’edificio di Montisola, ma la sua attività deve avere avuto un periodo sicura- mente di meno lunga durata di quello: è costituito da lapillo e da poche scorie. Da un punto a S.O della sommità del cono è uscita una piccola colata di lava, ora assai alterata, che ha corso con direzione N.O-S E e si confonde, come abbiamo veduto, con la lava proveniente dal cono di Montisola : inoltre anche a questo cono potrebbe essere attribuita la colata maggiore che affiora al Ponte Santa Maria. Un campione dilava proveniente dalla colata di Monte Varecchia, appartiene alla varietà conosciuta comunemente col nome di lava spe- rone, ed è probabilmente una leucitite ; la roccia è molta ruvida, di color grigio-giallastro, dovuto all'augite gialla diffusa nella pasta la- vica, ma contiene pure qualche cristallo di augite nera. 45. Monte Jugo. — Il Monte Jugo che si erge isolato anch’esso in mezzo alla pianura, quasi a metà distanza fra Viterbo e Montefìa- scone è un bellissimo cono che va compreso pure fra le bocche erut- tive dei Vulcani Vulsini, abbenchè per la egual distanza da questi e dai Cimini, sembrerebbe potersi indifferentemente unire tanto agli uni che agli altri. Di poco più grande del Monte Varecchia, la som- mità di questo cono raggiunge 484 metri sul livello del mare, ed il diametro della sua base circolare misura circa un chilometro e mezzo ; però il suo profilo è più caratteristico ed accusa anche da lontano la sua origine vulcanica. Esso è costituito quasi totalmente di scorie rosse, ma si capisce facilmente che prima doveva essere ricoperto anche di grossi depositi di lapilli, che in qualche punto ricoprono ancora le scorie e sono poi stratificati tutto intorno alla base del cono: alla sommità vi è della lava scoriacea. Nel Monte Jugo ci si presenta uno dei rarissimi casi in cui uni- tamente al cono è conservato anche il relativo cratere : abbiamo ve- duto che ordinariamente o si hanno dei crateri il di cui cono quasi totalmente demolito, ed esternamente colmato da deiezioni vulcaniche, è poco o nulla visibile; ovvero si hanno dei coni, il di cui cratere — 370 — colmato o squarciato dalle eruzioni, od eroso dagli agenti atmosferici, non è più riconoscibile. Qui invece, alla sommità del cono, esiste anche il piccolo ma bellissimo cratere imbutiforme caratteristico, che sarebbe perfetto se le acque, o fors’anco la mano dell’uomo, non lo avessero alquanto rovinato a N.O, trasformandolo in un fosso di scolo, che andrà sempre più alterandone la forma. Ai piedi del cono, dalla parte di S.E, è uscita una piccola colata di lava, ed è l’unica che sembra possa sicuramente appartenere a questo cono; più incerta è la provenienza d’una colata maggiore che affiora al Piano di Giorgio e termina presso le rovine dell’antica Fe- rentum, la quale potrebbe pure appartenere alle eruzioni di questo edifìcio vulcanico. Montisola, Monte Varecchia e Monte Jugo sono tre coni che hanno tutti un tipo ed è singolare la loro rassomiglianza: modesti nelle dimensioni e quasi eguali, essendo il Monte Varecchia di poco più piccolo degli altri due, si trovano tutti e tre perfettamente isolati, con la sola differenza che il primo sarebbesi forse sviluppato sopra la cinta di un vecchio cratere: poveri ugualmente di lava, hanno ognuno un’unica colata accertata e diretta più o meno a Sud, cosicché si direbbe che questi tre coni siano rispettivamente il risultato di una sola eruzione. A S.E di Monte Varecchia, lungo la strada rotabile che conduce nella Valle Tiberina, havvi un gruppo di collinette distinte su la carta topografica con i nomi di Monte Rosso, il Vivaio e Montacciano (dove esisteva l’antica fabbrica del vitriolo di Montefiascone) che si ergono abbastanza alte su le bassure circostanti; esse potrebbero essere gli avanzi d’un altro punto eruttivo. Infatti queste collinette osservate dalla strada che da Grotte Santo Stefano raggiunge quella di Viterbo un poco a Nord di Monte Rosso, si vedono disposte in semicerchio precisamente come se fossero i residui d’un cratere di cui esse segne- rebbero una terza parte della cinta. Inoltre su la strada di Viterbo e lungo la linea ferroviaria, si vede pure la stratificazione rialzata rego- — 371 — larmente verso questo supposto punto eruttivo, ed infine la parte oc- cidentale del Monte Rosso è ricoperta di lapilli, mentre in qualche punto ho trovato pure traccia di scorie. L’insieme delle osservazioni che si possono fare in questa località se lasciano l’impressione che qui potesse esistere un’altra bocca eruttiva, quanto rimarrebbe di essa è così poco che non sarebbe serio comprenderla fra le bocche eruttive dei Vulsini; mi limito quindi ad accennare questa località come quella in cui vi è qualche indizio che potesse esistervi un centro eruttivo. Da questo punto con più ragione che non per il Monte Jugo. sa- rebbe potuta uscire la grande colata di Pian di Giorgio, nonché le lave dei dintorni di Magugnano e quelle che si spingono fino a Si- picciano. * * Le bocche eruttive del Vulcano di Montefìascone che ho descritte, sono disposte su due linee convergenti, probabilmente rappresentanti due fratture, le quali s'incontrano ad angolo acuto nel centro della valle craterica di Montefìascone. Su quella diretta N.O-S.E, sono alli- neati il Monte Jugo, il cratere di Fiordine, il cratere di Montefìascone (nel quale passa proprio per il piccolo conetto di Montarono, situato nel centro di esso) ; prolungata, questa linea attraversa il cratere prin- cipale di Bolsena, quello di Storta e si spinge fino a Radicofani. Su la linea diretta O.NO-E.SE, sono allineati il Monte Rosso, che ab- biamo veduto poter essere l’avanzo informe di una bocca eruttiva, il Monte Varecchia, Montisola ed il suo cratere, il cono ed il cratere di Montefìascone, il cratere dei Molini della Valle, i due crateri Martani ; prolungata incontra il cratere Bisentino, il Monte Bisenzo, il cratere di Latera, quello delle Regione II Piano, il cono di Monte Rosso presso Mezzano ed il cono di Monte Becco. Oltre i punti eruttivi già descritti, è probabile che il Vulcano di Montefìascone ne avesse degli altri; infatti al Fosso dei Prati a Nord di Montefìascone, fra le due strade rotabili di Orvieto e di Bolsena, — 372 — vi sono due piccole pianure contigue chiuse da collinette disposte quasi a circolo che farebbero credere essere anch’esse le rovine di due bocche eruttive, tanto più che da numerosi punti delle due località si sviluppa abbondantemente del gas solfidrico. Yi furono anzi fatti dei lavori di ricerca, nella speranza di trovarvi ricchi depositi di solfo, che non ebbero però esito soddisfacente: le pareti degli scavi eseguiti, sono oggi divenute gialle per il solfo che vi si è deposto in seguito. La stratificazione però non conferma l’ipotesi, che pianure e col- linette che le recingono, siano gli avanzi di bocche eruttive, e da quel che rimane sarebbe davvero assai arrischiato il volerlo asserire. Lave nelle vicinanze ve ne sono in grande quantità e provenienti da punti diversi, ma il rintracciare questi punti d’emissione come il separare e diverse colate è assolutamente impossibile qui ed in quasi tutta la parte orientale della Regione Vulsinia, fino a che non sia stato ese- guito il rilevamento geologico particolareggiato ed uno studio analitico completo delle lave ; la presenza quindi delle lave non è sufficiente ad indicare la bocca che le ha emesse, specialmente quando queste bocche sono molte e vicinissime od in stato di totale sfacelo. Le colline ad Est di Montefiascone segnano forse anch’esse gli avanzi di altri edifici vulcanici, distrutti poi dalle vicende posteriori, ma non presentano che indizi assai incerti da non poter servire di guida per emettere un giudizio concreto ; le medesime potrebbero pure essere semplicemente gli avanzi del grande cono del cratere maggiore, entro al quale si sarebbero formati quelli dei Molini della Valle e di Montefiascone. Anche su la via di Bolsena, a Nord di Montefiascone, sembra vedere qua e là degli avanzi di crateri; ma o queste vallette dallo aspetto craterico sono effetto dell’erosione, ovvero, se sono veramente dei crateri, essi si troverebbero in tale stato avanzato di sfasciamento che sarebbe affatto arbitrario il classificarli per tali. L’ordine cronologico dei punti eruttivi di questo centro vulcanico, per quanto è dato dedurre dall’insieme delle osservazioni fatte, sa- rebbe il seguente: se i due crateri dei Molini della Valle e di Mon- tefìascone si sono realmente formati entro un cratere maggiore, come pare debba ritenersi, questa bocca, che sarebbe la principale del Vul- cano di Montefiascone, avrebbe iniziate le eruzioni del gruppo ; più tardi il canale eruttivo sarebbesi spostato verso Ovest, formando il cratere da me distinto con il nome dei Molini della Valle: vengono in seguito i due crateri Martano e di Fiordine, ma è impossibile dire quale dei due abbia preceduto l’altro, essendo gli avanzi di uno di essi interamente nascosti sotto le acque del lago. Questi due crateri segnerebbero perciò altri due successivi spostamenti del canale eruttivo: a questo periodo pare debba appartenere la bocca secondaria del Monte Varecchia, abbenchè, se la lava da esso uscita fosse dall’analisi petro- grafia riconosciuta per leucitite, lo si dovrebbe classificare fra le bocche del secondo periodo che avrebbero avuto per centro principale il cratere di Montefiascone. Poi per un ultimo spostamento del canale eruttivo, si formò il suddetto cratere minore di Montefiascone, con- temporaneo dell’Isola Martana, bocca avventizia del cratere Martano ; anche il cratere di Montisola dev’essere una bocca secondaria del cra- tere di Montefiascone e più o meno ad esso contemporeneo ; vengono poi il cono di Montisola, quello di Monte Jugo e per ultimo il cono di Montefiascone con il quale si spense l’attività vulcanica di questo centro. Su gli edifici vulcanici di questo gruppo scarseggiano le colate di lave che si trovano invece disposte ai loro piedi ; verso Sud vi sono larghe colate di lava, però di poca potenza e molto alterate, ed è precisamente verso Sud e S.O che più specialmente si sono rove- sciate le lave di questo gruppo. Se il Vulcano di Montefiascone ha veramente emesso due varietà di lave, come dalle mie recenti osser- vazioni pare non si possa mettere in dubbio, la tefrite, che sarebbe la lava più antica, molto probabilmente potrebbe appartenere alle eru- zioni del grande e più antico cratere di Montefiascone, a quelle del cratere del Molini della Valle, del cratere di Fiordine e fors’anco a quelle del cratere Martano; tutte le altre bocche apparterrebbero al secondo periodo o leucititico che avrebbe avuto, come si è detto, il cratere minore di Montefiascone per bocca principale. — 374 - * * * Anche nel Vulcano di Montefìascone gli ultimi residui d’attività vulcanica si manifestano per mezzo di numerose sorgenti minerali e di gas solfridici e carbonici : entro il cratere di Montefìascone vi è la magnifica sorgente ferruginosa, dal sapore fortemente metallico e leg- germente gazosa, che sgorga nel fondo del cratere, presso il Molino di Mezzo. Sotto Monte d’Oro vi è una sorgente solfurea tepida assai abbondante, e poco distante trovasi la mofeta del famoso Buco del - V Imbroglino, rimasta celebre perchè vi perì miseramente un’intera fami- glia, il di cui capo aveva quel soprannome che poi restò alla pericolosa località. A Nord vi è la solfatara presso il Fosso dei Prati, da dove emanano le sorgenti di gas solfidrico poc’anzi accennate. Ad Est presso Celleno, a circa due chilometri a Sud del paese vi è la sorgente detta dell’ Acqua forte che è un’acqua acidulo-ferruginosa : contiene ferro, gas acido carbonico e copre il terreno intorno di depo- siti ocracei. Nei dintorni di Celleno vi è pure una emanazione di va- pore d’acqua. A Grotte Santo Stefano esistono acque minerali abbon- danti contenenti solfo, ferro e magnesia. A Sud e circa 3 chilometri al di là di Monte Jugo e a 6 da Vi- terbo, vi sono le sorgenti del Bagnacelo e quelle poco distanti dette Piscina del cane perfettamente identiche: in entrambe le località vi sono sorgenti e fanghi termo-minerali; le prime contengono ipo- solfiti e solfiti sodici, mentre i secondi sono ricchissimi di solfo, sol- fati e cloruri \ 1 Dell’acqua del Bagnacelo, le antiche Aquae Passeris dei Romani, riporto qui un’analisi importantissima di L. De Cesaris e V. Volpini, pubblicata nel 1888. Temperatura dell'acqua 32°.8. — Reazione leggermente acida. Densità presa alla sorgente 0. 9997 Azoto emc. 7. 25 Ossigeno » 5. 20 Da questa parte Je sorgenti minerali sono numerose in tutta la pianura del Viterbese (una sessantina) interposta fra i Vulcani Vul- sini ed i Cimini, e nella quale si riconoscono le rovine di 40 Terme romane che erano alimentate dalle più abbondanti di queste sorgenti ; una separazione \ ero delle medesime, per stabilire a quale dei due gruppi vulcanici appartengano, basandosi su la loro ubicazione, non avrebbe alcun valore, giacche alla superficie non si può indovinare da quale dei due gruppi vengano le diverse sorgenti. Se limito da questa parte l’enumerazione di esse a quelle del Bagnacelo, si è perchè per questa località passa più o meno la linea che separa grossolana- mente le due zone vulcaniche limitrofe. Evidentemente però nella de- scrizione dei due gruppi vulcanici, si dovrebbe per ognuno di essi tener conto di tutte le acque minerali della pianura di Viterbo, perchè le medesime possono indifferentemente appartenere tanto all’uno che all’altro gruppo. {Continua). Anidride carbonica totale, 62B chic, pari a. Id. combinata Silice Anidride solforica Id. solforosa . . . Acido iposolforoso Id. borico j Id. f nitroso Id. fosforico ^ Cloro , Ossido ferrico . . Allumina . . . . Ossido di stronzio . Id. di calcio. . Id. di magnesio Id. di sodio . . Id. di potassio . Ammoniaca . . . Ossido di litio . . Sostanze organiche Residuo fisso . . gr. 1.23282 » 0. 20460 » 0. 07520 » 1. 01588 * 0. 00248 » 0. 00248 tracce gr. 0. 03709 » 0. 00500 » 0. 00750 tracce gr. 0. 70000 » 0.27100 » 0. 02952 » 0. 10685 » 0. 00050 tracce gr. 0.02070 « 2. 60100 — 376 — III. Y. Sabatini. — La pirossenite melilìtica di Coppaeli. Dopo aver notato, in precedenti pubblicazioni \ che la lava di San Venanzo, nell’Umbria, era un tipo a parte, anzi un tipo nuovo, e quindi finora non riscontrato nei Vulcani Vulsinii, ne veniva di conseguenza che non v’ ha ragione per stabilire una relazione qual- siasi tra’ vulcani della prima località e quelli delle regioni limitrofe. Siccome anche la roccia di Coppaeli, presso Santa Rufina (Cittadu- cale), studiata dallo Zirkel, dal Rosenbusch e dal Brugnatelli, aveva mostrato tra’ suoi componenti la melilite, cercai averne un campione per paragonarla alla lava di San Venanzo. Mi rivolsi perciò al prof. Folgheraiter, che si era occupato delle proprietà magnetiche di questa roccia 1 2, e ne ottenni, con grande cortesia, dei campioni. Si tratta di una roccia verde-bottiglia-scuro, sulle di cui fratture, molto compatte, si vedono brillare in gran quantità le superfici di prismi esilissimi di pirossene, così esili che Tocchio arriva appena a vederli ai riflessi della luce. Come già il Brugnatelli ha indicato in una sua pubblicazione, che m’ era finora sfuggita 3, la lava di Coppaeli ha una pasta meli- litica, costituita in massima parte di una sostanza che, per trasparenza, si mostra giallo-paglia (e che dà la colorazione verde alla roccia); spstanza, in cui si veggono microliti bianchi di pirossene e di melilite, e che è intimamente frammista con alcune lamelle di mica, dalle forme irregolari, modellantisi sulle pareti degli interstizi. Numerosi 1 Rivista eli Min. e Crisi, XXII, Padova, 1899. Mem. Carta geol. d’It., X, pag. 171, Roma, 1900. 2 Boll. Soc. Sism., VII, n. 8, p. 283-291, Modena, 1902. Il prof. Folgheraiter crede che questa roccia, la quale affiora in fondo ad un torrente, si continui sotto il conglomerato calcare prodottosi co* detriti del Terminillo. 3 Boll. R, Com. Geol., 1883, p. 314. P — 377 — prismi e grani di augite bianca, di piccole dimensioni, costituiscono a prima vista il solo elemento di prima formazione. A questo elemento va però unita la peruschite, visibile con forti ingrandimenti, in ottaedri che si distinguono molto bene nello spessore della preparazione e che sono disseminati dovunque, nella pasta come in tutti gli elementi in essa inclusi: pirossene, melilite e mica. Nel pirossene però, almeno nei più grandi elementi, non la si vede generalmente altro che verso l’orlo, ciò che proverebbe trattarsi d’un minerale da situare al passaggio tra il primo e il secondo tempo. La composizione della roccia sarebbe quindi : Pe P4 h MFj = pirossenite mèlilitica. Il pirossene del primo tempo contiene sempre delle corone che, a prima vista, sembrano di diversa birifrangenza. Ma si vede subito che trattasi di abondanti inclusioni, nella parte periferica, costituite da so- stanza vetrosa con forme irregolari e rifrangenza inferiore a quella del minerale avvolgente. Queste inclusioni, facendo diminuire lo spessore del pirossene, ne abbassa i colori di polarizzazione. Il pirossene del secondo tempo è in prismi e grani, non numerosi, con le solite forme. La peruschite è giallo -rosata, a forte rilievo e debole birifran- genza. La constatazione del titanio fu fatta dal Brugnatelli \ La melilite è in prismi microlitici, non molto allungati, uniassi negativi, a debole birifrangenza e senza gl’ involucri notati a Monte- compatri e a San Venanzo. Contiene inclusioni opache estremamente piccole ed abondanti, meno lungo gli orli. Inoltre è spesso alterata in quel prodotto giallo-paglia a birifrangenza quasi nulla, o nulla addirittura, a seconda che l’alterazione è meno o più progredita, e di cui ho già parlato a proposito della melilite di Capo di Bove Si capisce subito, visto l’ identità d’aspetto tra questo prodotto d’altera- zione e ciò che costituisce la parte maggiore del magma amorfo, o quasi amorfo, che si tratta della stessa sostanza. 1 Loc. cit. 2 Mem. cit., p. 205. 25 — 378 — La mica è polieroica dal giallo-ceco chiaro al chiarissimo, qualche volta al bianco, con tinte slavate, limpide. Ve n’ha che non mostra colorazione di sorta, e che sfugge all’osservazione in LN perchè è inti- mamente commista alla pasta meliìitica, ma è subito rivelata dai colori elevati in LP, che si vedono comparire tra le parti nere della melilite alterata. La magnetite non è molta; ciò non di meno in un campione arro- ventato e quindi arrossato, dà in LN una colorazione rossastra a tutto il magma. La melilite non era stata alterata e si riconosceva come nei campioni precedenti. Sarà utile riportare qui le due analisi chimiche della Venanzite, fatta da Rosenbusch (2) e della pirossenite di Coppaeli (1), fatta da Brugnatelli : SÌ02* TiO2 A1203 Fe203 FeO CaO MgO K20 Na20 P203 H20 Totale P. S. (1). . 43. 36 9.37 8. 88 15.38 10.42 3.21 1.49 tr 6.66 9S. 77 2.65 (2) . • 41.43 0. 29 9.80 3 28 5.15 16. 62 13.40 7.40 1.64 1.11 100. 12 2.75S * Con piccolissima quantità di anidride titanica. La composizione della roccia di Coppaeli, che potrebbe chiamarsi coppaelite , mostra che non v’ha alcuna ragione per collegarla a quelle delle regioni eruttive dei dintorni, come si è conchiuso anche per la venanzite. Va inoltre notato che dall’orlo N.E del lago di JBolsena a San Venanzo sono poco più di trenta chilometri e dal cratere di Cam- porciano, nei Sabatini, a Coppaeli ve ne sono una cinquantina, mentre circa settanta ne corrono da Coppaeli a San Venanzo. Se una qualche relazione si potesse stabilire, dall’analogia di composizione delle due roccie melilitiche, essa starebbe in favore d’una frattura passante per le due ultime località, parallelamente al sistema di fratture dei grandi vulcani romani. Ma, allo stato delle cose, si tratta ancora d’ ipotesi alquanto arbitraria. Roma, dicembre 1903. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA. GEOLOGICA ITALIANA per L’Amo 1902 1 (Continuazione, vedi n. 3) Mariani M. — Osservazioni geologiche sui dintorni di Camerino. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 2°, pag. 305-328, con carta geolo- gica). — Roma, 1902. L’autore, premessa una descrizione topografica dei monti che circondano il bacino di Camerino e indicati gli autori che si occuparono della geologia di essi, dà un breve cenno di quei terreni secondari, indicandone le località fossilifere, per passare quindi allo studio del terziario che occupa il fondo della sinclinale formata dai precedenti. Ivi sono rappresentati l’eocene, l’oligocene, ed il mio- cene ; manca il pliocene. Questi terreni sono daH’autore passati a rassegna, fermandosi più diffu- samente sul miocene. Gli strati sottili di marne molto argillose, senza fossili, dall’autore ascritti all’oligocene, fanno graduale passaggio a strati più grossi di marne fossilifere molto più calcarifere, più dure e un poco arenacee, assumenti la facies lan- ghiana dello Schlier. Questo, insieme con le arenarie elveziane, forma quasi tutto l’interno del bacino di Camerino. Tanto le marne che le arenarie contengono numerose ma ristrette lenti di argilla pura, scistosa, molto fossilifera. Il colle di Camerino è costituito da are- narie azzurrognole e gialle, in banchi quasi orizzontali molto fossiliferi, special- mente alla parte superiore. L’autore indica pure la presenza del gesso in qual- che punto di questo territorio. Segue un elenco delle specie fossili raccolte nel miocene, dal quale risulta che nessuna forma è anteriore a quest’epoca ; ed in base a tale fatto, in ac- cordo colla tettonica e la stratigrafia, l’autore ritiene dimostrata la miocenicità dello Schlier anche nel bacino di Camerino. Alla nota è unita una cartina geologica in eliotipia di questo territorio. 1 Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. - 380 — Mariani M. — Alcuni f or amini feri delle argille mioceniche dei Ponti presso Camerino. (Rivista ital. di paleontologia, Anno YIII. fase. I Y, pa- gine 113-117). — Bologna, 1902. Xella località dei Ponti situata a circa un chilometro a E.XE di Camerino si hanno arenarie ed argille intercalate di facies langhiana ed elveziana, che si presentano con inclinazione di 20° verso ovest. Dove le argille sono più arenacee abbondano i molluschi e gli echinodermi, ma dove sono più pure si fanno frequenti le impronte di pesci ed i forami- niferi, dei quali l’autore appunto si occupa in questa nota. Ricordato che i pesci furono studiati dal Bosniaski, il quale vi riconobbe una nuova specie di Leuciscns e ritenne quelle argille rappresentanti il tripoli che pose nel tortoniano, l’autore descrive le forme seguenti di foraminifere : Bolivìna cfr. dilatata Reuss, B. aenariensis Costa, B. pane tata (d’Orb.) Seg., B. cfr. robusta Brady, Cristellavia gibba d’Orb., C. rotatala Lmk., C. arimi- nensis d’Orb., ' Discorbina rugosa d’Orb., Gaudrgina chilostoma Reuss, Globigerina balloides d’Orb., G. infinta d'Orb., Globigerina sp., Operculina complanata Bast.. Robnlina cfr. inornata d’Orb., Robnlina sp. Marinellt 0. — Una grotta nella valle dell’Esino. (« In Alto » Cronaca della Società alpina friulana, Anno XIII, n. I, pag. 36-37). — Udine, 1902. Questa grotta, ben nota col nome di grotta di Vernino , si apre a 531 metri sul mare nel fianco sinistro della valle delhEsino, fra il territorio di Serra San Quirico e quello di Oenga (prov. di Ancona). Essa, come rilevasi dalla pianta, che l’autore riproduce nel testo, ha una direzione quasi costante di S-X che coincide con quella stratigrafica della roccia, la quale è un calcare compatto, quasi marmoreo, a grossi banchi, formante il nucleo di un elissoide piatto che comprende le due masse contigue del monte della Rossa e del monte Revellone, divise dalla profonda forra dell’Esino. Il calcare, ritenuto basico, è coperto da formazione meno compatta di cal- care marnoso ad aptichi , che presso la grotta è in banchi sottili e presenta trac- eie di fratture e numerose superficie di scorrimento. L’autore ritiene questa grotta dovuta ad una diaclase disposta quasi nor- malmente ai banchi calcarei, successivamente allargata e modificata dalFazione delle acque. Presenta diverse stallattiti e stalagmiti, e il suolo, pianeggiante e quasi orizzontale, è formato da detriti della roccia e da depositi lasciati dalle acque. - 381 Marinelli O. — Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli. (Pubbl. del R. Ist. di studi sup. e di perf. in Firenze: sez. di se. fis. e nat. Pag. 238, con 5 tavole e carta geologica). — Firenze. 1902. In questa descrizione Fautore comprende non solo i dintorni di Tarcento, ma tutta la regione prealpina posta fra il Tagliamento ed il meridiano 0.52’ (Est di Monte Mario). Premessi alcuni cenni sugli studi precedenti e sulla bibliografia geologica friuliana, incomincia la prima parte della Memoria colla descrizione dei terreni. In un primo capitolo si occupa della serie triasica che è la più antica nel territorio preso in esame. Gli strati più bassi di essa sono di roccie marnose con vene e letti di gesso attribuiti al Raibliano. Poggiano su di essi i calcari della dolomia principale con una zona bituminosa e depositi di boghead. Questa dolomia passa superiormente a calcari pure magnesiaci con Megctlodon , Dicero - cardium e crinoidi che secondo l'autore rappresenterebbero il livello più recente del Trias e quello più antico del Lias. Ael secondo capitolo è presa in esame la serie dei terreni giuresi e cre- tacei. Una potènte zona di calcari di varia natura, caratterizzati dalla presenza di noduli di selce, si sovrappone ai calcari sopra indicati coi quali presenta per lo più un'apparente concordanza, ma, per le condizioni tettoniche e per la mancanza di elementi paleontologici, non si può stabilire la vera relazione fra le due formazioni. L’autore distingue in questa zona due serie: una a facies di cefalopodi, esclusiva di una zona a nord della linea Artegna-Lusevera-Monteaperta, ecc., nella quale sono rappresentati i calcari selciferi, che per i fossili sono ritenuti com- prendere il maini fino al cretaceo inferiore, e la scaglia in concordanza coi pre- cedenti, rappresentanti il cretaceo medio e superiore: l’altra serie a sud di detta linea, con facies a cartacee, è sviluppata nel gruppo di Monte Bernadia. Dallo studio della regione l'autore ha potuto distinguere in questa forma- zione sette orizzonti locali, ed in seguito ad un confronto colle isopiche del resto del Friuli e regioni adiacenti, ha potuto stabilire la posizione dei calcari a camacee nella serie generale dei terreni, concludendone che : 1° I più antichi calcari a camacee del Friuli spettano probabilmente al Titonico inferiore. 2° Ces- sini limite si può stabilire fra questi e il cretaceo. 3° Gli strati più antichi del cretaceo sarebbero caratterizzati da un orizzonte a caprinidi che compare solo nella valle del Torre. 4° Comune a tutto il Friuli è un orizzonte a scisti e cal- cari bituminosi che spetterebbe al Cenomaniano. 5° Diffusione in tutto il Friuli — 382 — dell’orizzonte a caprinidi di Col dei Scinosi, superiore al precedente, notevole per la ricca fauna che l’autore ritiene del Turoniano. 6° I giacimenti ippuri- tici superiori del Friuli e regioni limitrofe spettano probabilmente a diversi orizzonti del Turoniano superiore e del Senoniano inferiore. 7° Mancanza delle camacee nei calcari più recenti. 8° La scaglia superiore è sviluppata specialmente nel Friuli occidentale e sembra non sia sempre cretacea. Cercando di stabilire un parallelismo fra le due facies dei terreni giuresi e cretacei, l’autore emette l’ipotesi che queste si debbano attribuire all’esistenza nei mari secondari di un cordone di scogliere coralline e sub -coralline (ca- macee) intorno al quale si sarebbero deposti i sedimenti di mare profondo, cal- cari selciferi e scaglia. Tale scogliera sviluppatasi in qualche punto nel Giura, in altri solo nella Creta superiore, sarebbe cessata ovunque con il Senoniano. La serie eocenica è oggetto del terzo capitolo. Cercando di stabilire i limiti e la relazione fra questa e la precedente, l’autore osserva che mentre nella parte orientale del Friuli e nel resto del Veneto il passaggio fra cretaceo ed eocene si fa con la zona della scaglia rossa, nella parte meridionale della re- gione studiata manca il terreno intermedio e solo si può dire che in questa è certa una almeno parziale discordanza fra i due terreni, mentre è probabile la esistenza di una perfetta concordanza fra di essi nella porzione settentrionale della medesima. L’autore, malgrado la mancanza quasi completa di divisioni litologiche nette e la scarsità dei fossili, ha potuto stabilire nella regione studiata i se- guenti livelli stratigrafici locali dal basso all’alto : Strati di calcare brecciato con marne grigie compatte intercalate con nummuliti ed altri fossili ; Calcare brecciato (piasentina) ricchissimo di fossili, specialmente nummu- liti, orbitoidi o lithothamnium ; Marne gialle e grigie contenenti ciottoli di varia natura e dimensione con numerosissimi frammenti di polipai ; Calcari compatti con nummuliti ed assiline. Esposto l’elenco dei fossili raccolti, e istituiti i confronti di questa serie con quella del rimanente Friuli, e regioni limitrofe, non che con quella delle prin- cipali regioni mediterranee, crede di potere assegnare gli orizzonti indicati al Pari- siano e Luteziano, cioè all’eocene medio: mancherebbero i livelli più profondi del- l’eocene del bacino anglo-parigino ; e poiché tale mancanza si estende quasi a tutto il bacino mediterraneo, l’autore spiegherebbe questo fatto o coll’esistenza di una generale discordanza fra eocene e cretaceo in tutto od in parte del ba- cino mediterraneo, o colla trasmigrazione delle faune mediterranee nei bacini — 383 - delPEuropa settentrionale in seguito a mutazioni climatologiche ; in tal caso non potrebbero più applicarsi i comuni criteri paleontologici per sincronizzare esat- tamente i terreni delle due regioni. ]Nel quarto capitolo, sulle condizioni tettoniche, l’autore estende le sue osser- vazioni al territorio prealpino compreso fra il Tagliamento ed il iNhtisone, chi indica col nome di Prealpi Giulie occidentali o del Torre. Da queste osser- zioni risulta che si ha nella regione una successione di pieghe variamente mo- dificate che l’autore descrive a partire dalla più settentrionale, designandole col nome delle località principali per cui passano e distinguendole in anticlinali, sinclinali, pieghe-faglie ed elissoidi, notando particolarmente la zona di rove- sciamento pedemontano delle roccie eoceniche marnoso- arenacee, costituenti i colli meno elevati della parte esterna delle elissoidi calcaree. Il ripiegamento orogenico sarebbe avvenuto fra l’eocene medio ed il miocene medio, assegnando come posteriore al mio-pliocene il rovesciamento pedemontano. Le formazioni continentali formano argomento del quinto capitolo. È più specialmente descritto l’anfiteatro morenico fra il Torre ed il Tagliamento, dove l’autore accenna alla scoperta di traccie di una più antica glaciazione. Accenna quindi alle torbiere e prende in esame le aree adiacenti all’anfiteatro, i terrazzi presso Tarcento, il Campo di Osoppo, le aree moreniche esterne, i depositi lacustri, le alluvioni e i materiali di falda. L’ultimo capitolo della prima parte, riguarda l’orografia delle Prealpi Giulie occidentali in relazione alla loro struttura geologica. L’autore vi distingue tre zone, la montana, la sub-montana e la pedemontana; ed esternamente a queste la regione extralpina costituente l'anfiteatro morenico del Tagliamento e la pianura che distingue in primaria (regione di antichi mari), e secondaria (an- tichi letti di fiumi e di laghi). Di ciascuna di queste zone l’autore fa conoscere le caratteristiche tetto- niche, morfologiche e litologiche, non che la struttura dei rilievi e delle valli in relazione alla tettonica, e le presenta riassunte in un quadro. La seconda parte di questa Memoria contiene la descrizione per terreni del materiale paleontologico studiato dall’autore in appoggio alle conclusioni stra- tigrafiche esposte. Un elenco delle principali località fossifere e la bibliografia geologica e paleontologica del Friuli dal 1881 al 1901 pongono fine alla Memoria. Essa è corredata da una cartina geologica dei dintorni di Tarcento e Ge- mona nella scala di 1 a 100,000, da uno schizzo orotettonico delle Prealpi Giulie occidentali nella scala da 1 a 250.000, da una tavola di profili geologici e da quattro tavole di fossili. — 384 — Mattèucci R. Y. — Se al sollevamento endogeno di una cupola lavica al Vesuvio possa aver contribuito la solidificazione del magma. (Boll. Soc. Gleol. ital., Yol. XXI, fase. 3°, pag. 413-435). — Roma. 1902. Rispondendo ad un appunto fatto dal prof. Pinto alla sua teoria sul sol- levamento endogeno, di non avere cioè tenuto conto fra le cause di quel sol- levamento della variazione di volume conseguente alla solidificazione del magma, l’autore riporta prima la descrizione del fenomeno già pubblicata nei Rendiconti delVAccad. di Se. fis. e mat. di Napoli (vedi Bibl. 1898) ed aggiunge che non ha tenuto conto di tale variazione, perchè non poteva addurla a sostegno del sollevamento, ritenendo che i magmi vulcanici nel solidificarsi diminuiscano anziché crescere di volume, e perciò senza l’intervento di altre cause la super- ficie delle lave consolidandosi tenderebbe ad abbassarsi piuttosto che sollevarsi. Passa quindi a ribattere le ragioni addotte dal Mercalli nelle sue Notizie vesuviane (vedi Bibl. 1898 ) e successivamente in altro scritto (vedi più avanti), per porre in dubbio il sollevamento endogeno della cupola lavica. Quanto al primo scritto, osserva che il fenomeno di sollevamento fu da lui constatato in posto e può confermare che nel periodo indicato non vide mai sgorgare lava dalla sommità della cupola, senza però pretendere di fissare i momenti precisi in cui il sollevamento ebbe principio e termine. Le lave che sgorgarono dalla cupola ed interruppero il transito dall’Osser- vatorio alla funicolare sono anteriori al 19 febbraio ; infatti furono in questo giorno attraversate a piedi dai congressisti della Società Geologica perchè già rapprese. Aggiunge non essere necessario ammettere il sollevamento nel solo caso che la cupola sia chiusa da ogni parte, essendo ovvio che tale sollevamento possa avvenire anche se le aperture di sgorgo esistenti sieno insufficienti alla fuoruscita del magma. Cita in proposito le forme laccolitiehe del Colorado e delle Henry Mountains. Yenendo alFultimo lavoro del Mercalli, nota che la asserzione di Branco e Fraas nell’opera da lui citata, se erronea quanto alla durata del fenomeno, ha però valore riferendosi essa ad un sollevamento endogeno osservato nel suo formarsi. Quanto alle lave viste da Xapoli discendere in quel periodo dalla cima della cupola lungo il fianco occidentale, l’autore espone il dubbio che si trat- tasse invece di una serie di punti luminosi prodotti dallo correnti già ferme ed ancora incandescenti, visibili di notte, o dello sviluppo di gasiformi esalanti dalle lave stesse osservati durante il giorno. - 385 — All’osservazione che le lave indurite non possono sollevarsi per forza endo- gena senza fratturarsi, l’autore oppone i fatti ben noti in stratigrafia dove si hanno esempi di roccie più tenaci delle lave piegate in anticlinali e sinclinali risentite. Aggiunge che in un lento sollevamento la cupola non poteva fendersi radialmente, o tutto al più si sarebbero prodotte esili fenditure invisibili al- l’esterno di essa dovunque coperta di rottami di lave scoriacee. Quanto alla data 14 maggio, fa notare che il suo lavoro era scritto in aprile e che quella data, che è quella della presentazione della memoria all’Acca- demia, fu citata per indicare che dalla metà di marzo a quell’epoca l’altezza della cupola era rimasta invariata e quale fu determinata in 850 metri, mentre era verso la metà di febbraio di 835. Infine la dimostraziene del Mercalli per provare che dalla stazione infe- riore della funicolare non si poteva vedere la vera cima della cupola lavica, secondo l’autore cade da sè inquantochè dalla stazione non sarebbe stato visi- bile neppure l’accrescimento esogeno da lui contrapposto. Maubt E. -- Feuille de Bastia . (Bull, des Services de la Carte géol. de la France et des Top. sout., n. 85, T. XII, pag. 177-179). — Paris, 1902. L’autore studiò in Corsica nel 1901 specialmente i dintorni di Ponte-Leccia, fra i fiumi Golo e Asco, al centro della quale regione si trova una massa cre- tacea formante l'asse di un grande sinclinale, i cui strati in ambo i lati sono verticali o leggermente rovesciati ad ovest contro la massa granulitica di Pie- digriggio. La base di questo sinclinale è formata da scisti metamorfici, senza fossili e generalmente ritenuti più antichi del carbonifero: secondo l’autore la parte superiore di tali scisti, con intercalazioni di banchi calcarei, apparterrebbe al permiano, cui fa seguito in concordanza la serie degli strati triasici, con fossili del retico nella parte superiore. A quest’ultima appartiene il bellissimo marmo brecciato che si scava a Pietrabello. L’eocene (scisti e calcari) apparisce presso la stazione di- Piefralba e il miocene (conglomerati con sabbie e marne intercalate) a sud di Ponte-Leccia, in discordanza sugli scisti antichi. Una massa di diabase, formante la collina di Cima Debbione sulla destra del Golo, è di età intermedia ai due terreni, cioè fra l’eocene superiore e l’elveziano. In altra massa analoga sulla sinistra dell’ Asco trovansi filoni di rame, attualmente lavorati. - 386 — Melczer Oh — Pyrit vom Monsoni. (Foldtani Kozlony, XXXII K., 5-6 F., pag. 261-264). — Budapest, 1902. — Idem. (Groth, Zeitschrift fiir Krystall. und .Min., B. 37, H. 3, pag. 268-270). — Leipzig, 1903. I cristalli di pirite raccolti da F. Zeiske e studiati dall’autore provengono dalla falda settentrionale dei Monzoni, fra Selle e Malinverno, dove trovansi entro un filone calcare, insieme all’ematite. Le forme frequenti sono [100], [111],. [210], [421], [221]: vi manca la forma [140] trovata da Cathrein. L’abito dei cristalli è generalmente piritoedro (dodecaedro pentagonale), ma essi sono molto raccorciati nello spigolo [120] sicché acquistano l’abito rom- bico. Un unico cristallo mostrò la forma [332], [754] e [643], le quali ultime due sono nuove per la pirite in generale. L’autore dà infine la tabella degli angoli misurati e calcolati. Meli R. — Notizie scientifico-tecniche sui travertini e specialmente su quelli e sistenti' nella pianura sotto Tivoli ( pag. 14 in-4°). — Roma, 1902. Premesse alcune notizie sul travertino in genere e sul suo modo di for- mazione, l’autore si occupa di quello della pianura sotto Tivoli e specialmente del travertino delle cave delle Fosse. Le cave di travertino sono aperte nell’area già occupata nel quaternario dalle acque dell’Aniene che ivi formavano un lago, nel quale si deposero queste roccie di acqua dolce. Esse si trovano per la maggior parte sulla destra del- l’Aniene, dove i travertini si estendono da Ponte Lucano alla base dei Monti Cornicolani e alla tenuta di Martellona. Quelle aperte si denominano delle Fosse, del Bernini, delle Caprine e del Barco. Sulla sinistra del fiume si ha un giacimento più limitato che si spinge fino sotto il monte di Tivoli ed ivi è aperta la cava di Villa Adriana. Indicati alcuni dati storici relativi a queste cave, l’autore descrive quella delle Fosse. Il travertino è bianco, non molto bucherellato: ha un péso specifico medio di 2.463. La sua resistenza allo schiacciamento e di kg. 228.28 a 328.71 per cmq. Dall’analisi del prof. Del Torre risulta : calce 54.768 : magnesia 0.180 : allumina 0.535; ossidi di ferro 0.059; silice e silicati 0.675; anidride carbo- nica 43.008; anidride solforica 0.4473; anidride fosforica 0.005; altre sostanze e perdite 0.323. L’autore ha riscontrato in questa cava la seguente successione di strati dal basso in alto : — 387 — 1° Banco di travertino compatto poco poroso, del quale non si conosce la potenza nè il terreno su cui riposa, essendo quasi tutto sotto il livello delle acque sorgive o meteoriche. Se ne è accertato uno spessore di oltre 5 metri ; è detto sotto fondo di cava. 2° Straterello di argilla o marna grigio-verdastra con noduli calcarei, di circa 20 cm. di spessore. 3° Banco di travertino più bucherellato del precedente, della potenza media di m. 1.20, detto fondo di cava. 4° Altro banco più cariato dei precedenti della potenza di un metro, detto sopra fondo. 5° Serie di strati di travertino molto poroso con potenza di m. 0.90, detto cappellaccio. 6° Tartaro di m. 0.70 di potenza, detto testina. 7° Terreno vegetale, con m. 0.70 di spessore. Xei banchi superiori il travertino presenta delle litoclasi verticali dette dai cavatori sentine. Yi si notano strati di colore più scuro e straterelli di roccia meno coerente e talora friabile che chiamano gessivi e che risultano di calcare a struttura, terrosa. La compattezza del travertino è sempre maggiore negli strati inferiori. Mercalli GL — Sul modo di formazione di una cupola lavica vesuviana. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 197-210). — Roma, 1902. L'autore ritorna su questo argomento per esporre le ragioni per cui non ritiene dimostrato il parziale sollevamento endogeno della cupola lavica am- messo dal Matteucci. Osserva dapprima che i signori W. Branco ed E. Fraas in una pubblicazione recente {Das vulcani sche Ries bei Nórdlingen , ecc., Berlin, 1901) riferiscono erroneamente in appoggio alla teoria dei crateri di sollevamento, un sollevamento endogeno di circa 148 metri della cupola, mentre lo stesso Matteucci ammette solo quello di 15 metri, attribuendo il resto ad accumulamento esterno di lave. Riassunto quindi brevemente quanto pubblicò in altro lavoro (vedi Bibl. 1900), cerca di dimostrare che le misure prese dal Matteucci del sollevamento avve- nuto tra la metà di febbraio e la metà di marzo non hanno valore, perchè l’ultima misura fu presa nel 14 maggio e fra queste due date l’accrescimento continuò per sovrapposizione esterna di lave. Dubita poi che egli abbia potuto dalla stazione inferiore della funicolare nel febbraio 1898 prendere la misura della vera cima della cupola, essendosi questa dalla fine del 1897 al principio 388 — * del 1898 spostata verso nord di quasi 250 metri per accumulamento di nuove lave uscite da bocche apertesi tra la base della cupola ed il piede del gran cono, come dimostra con una figura schematica. Ritiene non dimostrato che dopo il 15 febbraio le lave sgorgassero solo dal fianco orientale della cupola, ritenendo che dalla stazione della funicolare non si potessero scorgere quelle che uscivano dalla sommità e scendevano verso ovest, nord-ovest, sud-ovest, che furono invece viste da Napoli e regi- strate giornalmente. Aggiunge che tra il 16 ed il 19 febbraio forti colate in- vasero là rotabile Cook ricoprendola per 214 metri, e questa strada si trova a sud-ovest della cima dalla quale provenivano. Osserva poi che se il mantello di lave irrigidite si fosse sollevato di 15 metri in un mese per spinta endogena, avrebbe dovuto manifestarsi alla super- ficie un sistema di fenditure radiali intorno al centro di massima spinta, il che non si è verificato. Pure ammettendo possibile il sollevamento di una cupola per effetto della espansione del magma, quando questa è chiusa da ogni parte, non saprebbe spiegarsi come ciò potesse avvenire nel Vesuvio dove la lava fluiva all’esterno abbondantemente da più parti della cupola. Che la forza espansiva delle materie gasose che accompagnano il magma eruttivo produca talvolta sollevamenti locali del suolo lo ammette, ma solo all’ inizio dell’eruzione, non mai durante il pieno vigore dell’efflusso lavico. Quanto alla causa del sollevamento dal Matteucci attribuito al dislivello dell’altezza della colonna lavica nel condotto centrale e quella della lava sgorgante dalle bocche d’efflusso, osserva che tale dislivello era molto maggiore nel maggio e nel luglio 1898, che nel febbraio e marzo, senza che si verificasse alcun sollevamento, ma bensì maggiore efflusso di lava. I fatti avvenuti al Vesuvio dal 1885 al 1899 non danno quindi alcun ap- poggio alla teoria dei crateri di sollevamento rievocata dai signori Branco e Fraas, Conclude infine che le sue osservazioni fatte durante quel prolungatissimo efflusso gli hanno dimostrato che le lave irrigidite e a superficie unita sospinte dalla forza espansiva del nuovo magma si spezzavano prima di curvarsi e sollevarsi, e solo i pezzi di lava fratturata venivano spostati e sollevati. Mercalli G-. — Notizie vesuviane ( anno 1901). (Boll. Soc. sismologica ital., Voi. VII, n. 7, pag. 229-238). - Modena, 1902. L’autore espone le osservazioni fatte sulle fasi di attività presentate dal Vesuvio dal 1° gennaio al 31 dicembre 1901. Da queste risulta che l’attività — 389 — esplosiva al cratere, benché di molto inferiore a quella del 1900, continuò con brevi interruzioni anche per tutto il 1901. Essa presentò una fase esplosiva forte dal 15 al 25 febbraio; due mediocri nel 6 e 23 settembre; e altre deboli dal 1° gennaio al 14 febbraio, dal 26 febbraio al 14 marzo, dal 30 maggio al 9 giugno, agosto 19 a 31, ottobre 4 a 23, e dal 23 novembre al 31 dicembre. In quest’ultimo periodo l’autore ha notato che le scorie proiettate erano flui- dissime, e, raffreddate, presentavano una superficie iridescente e una quantità di aghetti sottili di color giallognolo, indizio di un magma estremamente fluido e perciò producendosi con esplosioni molto deboli come avviene al Kilauea. Il dinamismo esplosivo ebbe un minimo tra il marzo e l’agosto, ma con emissione abbondantissima di vapore senza scorie fluide nè ceneri. Queste eru- zioni di vapori per la loro acidità produssero gravi danni nella vegetazione dei paesi sottostanti al vulcano. Eu constatata in esse la presenza di acido cloridrico, di molto sesquicloruro di ferro, poco cloruro di rame, dei quali erano incrostati i lapilli del piccolo cono terminale. Le fumarole invece sempre attive presso l’orlo del cratere del 1872 e spe- cialmente presso le parti più elevate delle spaccature del 1889, 1891 e del 1895 esalavano vapor acqueo, nel quale non si avvertiva la presenza di acidi o solo in quantità minima. L’autore ritiene quindi che questo vapore acqueo non prove- nisse solamente dal magma lavico del cratere centrale, ma anche da vie interne diverse da quelle per cui sale il magma. Osservò poi che mentre queste erano influenzate dalle acque meteoriche, esalando maggior quantità di vapore, nessuna variazione notò in quelle prove- nienti direttamente dal condotto centrale. Passando a indicare le modificazioni avvenute nel cratere, nota che questo si rinnovò completamente durante il 1901. L’autore presenta la ripro- duzione di due fotografie dell’interno di esso, una presa il 17 marzo e l’altra il 6 giugno del 1901. Dalla prima risulta il cratere diviso in due parti da una specie di muraglione diretto da nord a sud. La parte di ponente presentava una vo- ragine inattiva con poche fumarole; in quella di levante, più ampia e meno profonda, si aprivano 4 bocche attive che mandavano gas, vapori, lapilli e ceneri. In quella del 6 giugno rilevasi il muraglione in parte franato con una grotta che lo attraversava. Verso la fine di ottobre non ne sussisteva che un grosso frammento ed il cratere era convertito in una grande voragine imbuti- forme della profondità di circa 160 metri. La cima del Vesuvio, non ostante i parziali e intermittenti franamenti, dal giugno 1900 all’agosto 1901. guadagnò da 19 a 20 metri d’altezza e 40 metri dal novembre 1899. L’autore si occupa da ultimo del lentissimo raffreddamento della cupola - 390 — lavica, esponendo quanto già scrisse in proposito nel suo lavoro Escursioni al Vesuvio (vedi Bibl. 1901) e riportando la figura fotografica rappresentante quella parte della cupola lavica dove era manifesta l’incandescenza delle lave, con indicazioni delle pseudo-bocche di efflusso dell’agosto 1899. Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Cingoli in provincia di Macerata nel 1901. (Boll. R. Comitato G-eol., Tol. XXXIII, n. 3, pag. 161-167). — Roma, 1902. L’autore comincia col descrivere l’isola di terreni secondari (cretaceo superiore) sul versante orientale della quale è situata Cingoli: accenna agli scisti bituminosi rinvenuti fra le roccie del cretaceo, e ad alcune concrezioni calcaree assai pesanti che si trovano al Monte Cappella, le quali esaminate nel Labora- torio chimico del R. Ufficio geologico, rivelarono nella loro costituzione tracce di fosfato di calce. Alle roccie del secondario si appoggiano quelle del terziario e precisamente gli scisti argillosi del miocene ai quali sovrastano le molasse. Xelle vicinanze di Cingoli affiora l’estremo lembo sud della formazione solfifera di Romagna ed in questo lembo è aperta la miniera di Capo di Rio: di esso l’autore fa una descrizione sommaria. La formazione solfifera è ricoperta da arenarie che però all’autore sem* brano più recenti delle altre che più a sud ricoprono gli scisti argillosi, abbenchè le due arenarie non venendo a contatto non sia possibile per il momento stabi- lire se appartengono allo stesso piano od a piani diversi. La memoria è accompagnata da una sezione che attraversa l'isola di ter- reni secondarii e mostra la disposizione di questi e dei sovraineombenti terreni terziari. Montessus de Ballore (De). F. — Considerazioni a proposito dei terre- moti della vallata del Po. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. Vili, n. 7. pag. 241-243). — Modena, 1902. Se è facile il dare spiegazione dei terremoti li cui epicentro si trova all'e- stremo delle pianure che occupano le grandi vallate, potendo questo attribuirsi a dislocazioni che si incontrano ordinariamente al piede dei monti, più dif- ficile è dare una teoria di quei terremoti che hanno il loro epicentro nel cuore della pianura stessa. L’autore accenna in proposito alle recenti esperienze fatte nella valle del Grange, dove fu osservata una deviazione del filo a piombo di — 391 — senso contrario a nord e a sud di una linea che va da Calcutta al Rajspantema. A spiegare questo fatto egli ammetterebbe 1’esistenza sotto le spesse alluvioni, di roccie dure e dense, residuo di antiche catene di montagne. Queste potreb- bero dare spiegazione dei terremoti che avvengono in quella valle come dovuti a dislocazioni, faglie e pieghe esistenti nelle roccie. Suggerisce quindi di intraprendere misure di gravità lungo la vallata del Po, facendo ricerche che sarebbero utili per lo studio di quei terremoti. Moser L. K. — Minerai- Vorkommen des Karstgebìetes von Triest. (Tscher. mak’s Min. und Petr. Mittheil., B. XXI, H. Ili, pag. 251-254). — Wien, 1902. In questa breve nota l’autore dà notizie dei giacimenti minerali esistenti nel Carso triestino, esponendo le particolarità di ciascuno di essi. Essi consi- stono in ocre, limoniti, piriti, gesso, quarzo, serpentino e vivianite, sparsi in diverse località dell’altipiano. Xeviani A. — Sulla Terebripora Manzonii Rov. e sulla Protulophila Gestroi Rov. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 41-49). — Roma, 1902. L’autore espone in questa nota alcune osservazioni sulla monografia di G. Rovereto sui briozoi, anellidi, ecc., nel neogene ligure (vedi Bibl. 1901). Anzitutto ritiene prematuro il cambiamento di nome della Terebripora Archiaci Fisch. delle formazioni neogeniche italiane in Ter. Manzonii, e ne espone le ragioni. Fa quindi rilevare l’importanza speciale dellillustrazione che il Rovereto fa della Protulophila Gestroi ritenendo essere questa il primo briozoo ctenosto- mato fossile che si conosca. A proposito di questo fossile l’autore aggiunge che fino dal 1890 ebbe occasione a Firenze di osservare buon numero di tubi di anellidi provenienti dal pliocene della Coroncina presso Siena, ricoperti di maglie nerastre, che ora vennero illustrate dal Rovereto, e che fin d’allora il De Stefani attribuì a briozoi. In seguito a più recenti studi potè l’ autore giungere alla conclusione che le maglie nere disposte attorno a detti tubi di Pro tuia dovevano ritenersi per impronte lasciate da briozoarii ctenostomi nuovi in paleontologia, e ne voleva scrivere una monografia quando uscì la memoria del Rovereto. Neviani A. — Brìozoi ctenostomi fossili. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXI, fase. 1°, pag. 216*220). — Roma, 1902. Parlando dell’importante scoperta della Protulophila Gestroi fatta dal Ro- vereto (vedi Bibl. precedente) l’autore aveva asserito essere questa la prima volta che viene descritto un briozoo ctenostomato fossile. Avendo poi il pro- fessore S. P. Harmer scritto all’autore rammentandogli che il Vine aveva già descritti altri fossili ctenostomati, questi precisò meglio la sua affermazione dicendo essere la prima volta che viene descritto un briozoo ctenostoma fos- sile ben accertato. I generi paleozoici citati dal Vine, Ascodictyon , Rhopalonaria e Vinello, i cui zooeci sono sconosciuti, vanno accettati con molta riserva. Su questi organismi attribuiti dallo stesso Vine con qualche riserva a ctenostomi, Huxley, Brady, Hincks e Wright non avevano osato pronunziarsi e lo stesso Dollfus non abbracciò esplicitamente le conclusioni del Vine. Le osservazioni di questi perciò hanno un valore limitato. Neviani A. — Rhyncopora incurvata , n. sp. (Boll. Soc. Geol. ital.. Vo- lume XXI, fase. 2°, pag. 260-262). — Roma, 1902. La nuova specie illustrata e figurata in questa nota incrosta conchiglie di molluschi formandovi colonie discoidi di varia grandezza : essa si rinviene nel pliocene di Calabria e dell’isola di Pianosa (Toscana). Pu determinata prima dal Seguenza e dall’autore come Micropor ella ino- noceros Rss., ma dallo studio su di una colonia assai ben conservata del zancleano di Reggio Calabria, questi riconobbe che doveva riferirsi al genere Rhyncopora, nuovo per l’Italia. Questa nuova specie si avvicina nelle sue forme generali alla Lepralia ceratomorpha Rss. e L. monoceros Rss. Ma per i caratteri importanti che l’au- tore espone va inscritta al genere Rhyncopora Hincks e viene descritta col nome di Rh. incurvata n. sp. Ne vi ani A. — I brio so i pliocenici e miocenici di Pianosa, raccolti dal prof. V. Simonelli e studiati dal doti. G. Gioii. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXI. fase. 2°, pag. 329-343). — Roma, 1902. II materiale di questo studio raccolto dal Simonelli all’isola di Pianosa fu studiato dal dott. G. Gioii che ne pubblicò una monografia (vedi Bibl. 1889). — 393 — L’autore, incaricato dal prof. Canavari di fare una revisione dei briozoi con- servati nel Museo dell’Università di Pisa, compresivi quelli studiati dal Gioii, espone in questa nota il risultato di questo nuovo esame. Da esso risulta che 10 studio del Gioii non si riferisce che ad una parte dei briozoi fossili di Pia- nosa, e dà quindi un nuovo elenco che risulta quasi raddoppiato, rettificando in pari tempo le determinazioni riconosciute inesatte. Al succinto esame degli esemplari di Pianosa, che vanno dal n. 108 al n. 260, l’autore fa seguire l’e- lenco delle specie, nel quale vengono distinte le determinazioni sue , da quelle del Gioii. Da esso risulta che vanno corrette quasi tutte le determinazioni di questi, oltre ad un notevole aumento nel numero delle specie. Xicolis E. — Intorno al supposto Miocene medio tipico nelle vicinanze immediate di Verona. (Rivista ital. di paleontologia, Anno Vili, fase. I, pag. 19-22). — Bologna, 1902. Accennato alle pubblicazioni relative fatte dalFOppenheim (vedi Bibl. 1899 e 1900), che Fautore conobbe più tardi, e premesse alcune osservazioni sulla poca attendibilità delle deduzioni fattene, egli viene alla conclusione : 1° che il miocene non affiora nelle colline entro o presso Verona; 2° che al contrario 11 miocene marino è sviluppato nel sistema del Monte Ballo, formando ivi la sommità del Monte Moscai e della Rocca di Garda, come egli fece conoscere fino dal 1884. La tesi sostenuta dall’autore è corroborata da una sezione geologica da Monte Tondo a Verona, nella quale figurano i terreni dal Cretaceo superiore al Priaboniano. Novarese V. — La serpentina di Tràversella e la sua origine. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXI, fase. I, pag. 36-40). — Roma, 1902. Xei giacimenti di Castiglione, di Montajeu e di Gias del Gallo presso Tra- versella la ganga delle magnetiti è formata da una sostanza lapidea compatta verdognola di aspetto serpentinoso, che effettivamente consta essenzialmente di serpentina, a cui si associano talco, clorite, calcite ed un minerale isotropo coi caratteri del pleonasto. Questa serpentina che si trova associata costante- niente alla magnetite, ed esclusivamente dentro nell’aureola di contatto alla diorite, anziché una roccia contenuta originariamente nei micascisti, od iniet- tata posteriormente dall’eruzione, è invece anch’essa un prodotto del metamor- fismo di contatto sopra calcari o dolomiti preesistenti ed è di origine pneurna- 26 — 394 — tolitica. Si hanno del resto esempi di roceie analoghe ugualmente dovute alle azioni di eruzioni sienitiche o dioritiche nel Tirolo meridionale ai Monzoni. È però molto notevole il fatto che l’associazione di magnetite e serpentina si trova pure nelle serpentine alpine derivanti dalle peridotiti, a Cogne, all’Alpe Radisy nella valle d’Aia, ecc. La rassomiglianza però è esclusivamente mineralogica; le condizioni geologiche dei due giacimenti sono del tutto diverse. Novarese Y. — Die Erslagers tei tten von B rosso linci Tr aver sei la in Pie- mont. (Zeitscrift fiir praktische (reologie, Jahrg. 1902, H. 6, p. 179-187). — Berlin, 1902. Premessa una breve descrizione delle condizioni geologiche generali ed in special modo del grande dicco di diorite biotitico-anfibolica che. sta fra Brosso e Traversella, l’autore accenna all’esistenza intorno al citato dicco di una au- reola di contatto molto bene sviluppata entro alla quale si trovano i noti gia- cimenti metalliferi. Fra i giacimenti conosciuti i più vicini ai considerati sono quelli del Banato, tanto simili da sembrare quasi identici: analoghi sono pure i giacimenti del distretto di Cristiania in Norvegia. Il legame dei giacimenti colle masse calcaree intercalate ai micascisti ed interessate dall’eruzione diori- tica è evidente tanto da destar sorpresa che finora non siano state riconosciuto come metamorfosi di calcari, le granatiti e pirosseniti associate alla massa me- tallifera delle due località. I giacimenti dipendenti dalla eruzione dioritica si dividono nei tre gruppi seguenti : 1. I giacimenti di magnetite della valle di Bersella a ponente ed a set- tentrione del dicco eruttivo (Traversella e Montajeu). 2. I giacimenti di oligisto e di pirite di Brosso ad oriente del dicco. 3. I giacimenti filoniani con solfuri metallici varii, corrispondenti a linea di frattura diretta a N.E, con ganga quarzosa e sideritica. Al primo gruppo appartengono le miniere di Traversella di Montajeu e Grias del Gallo, ad immediato contatto della diorite o delle sue apofisi. Hanno per minerale principale la magnetite: a Traversella sono state trovate anche masse relativamente notevoli di calcopirite ; numerosissimi i minerali accessori. Ai giacimenti metalliferi sono indissolubilmente collegati calcari metamorfosati in una miscela di granato, pirosseno, antibolo, epidoto, ed altri silicati diversi. La ganga dei minerali è o talcoso-cloritica o dolomitica. Nei giacimenti del secondo gruppo (Brosso) l’oligisto e la pirite sono con- tenuti in una ganga calcarea ; il calcare primitivo è stato sostituito ma non metamorfosato ; tuttavia recentemente, nelle gallerie più vicine al contatto della diorite, è stata rinvenuta una roccia denominata dai minatori « Quarzite » e che è invece una pirossenite epidotica dovuta alla metamorfosi dei calcari. Il terzo gruppo di giacimenti ha poca importanza industriale, ma è impor- tantissimo per spiegare l’origine delle impregnazioni metallifere, e come indizio dell’estensione del fenomeno. I minerali sono esclusivamente solfurei, solfo-ar* seniuri e solfo-antimoniuri. Novarese GL — Il giacimento antimoni fero di Campiglia Soana nel cir- condario d1 Ivrea. (Boll. R. Comitato Geol., Yol. XXXIII, n. 4, pa- gine 319-332). — Roma, 1902. — Idem. (Rassegna mineraria, Yol. XYIII, n. 17, pag. 259-262 e n. 18, pag. 278-279). — Torino, 1903. Il giacimento trovasi nel grande vallone di Campiglia che concorre a for- mare la Soana, il maggiore affluente dell’Orco: esso è contenuto nella parte periferica dell’elissoide gneissico del Gran Paradiso, assai vicino al contatto colla zona di pietre verdi che lo avvolge. Le roccie però che contengono i filoni metalliferi differiscono dallo gneiss ghiandone normale componente dell’elissoide, per la loro struttura più minuta e per contenere nuclei o lenti anfiboliche e cloritiche. Il giacimento minerale è costituito da una serie di filoni a ganga di quarzo, potenti da 1 a 2 m., regolarmente interstratificati. Alcune piccole apofisi che tagliano la stratificazione rivelano però la vera natura filoniana del giacimento. I minerali finora accertati sono varie solfo-antimoniti e la pirite: è pure fatta probabile, da alcuni indizi offerti da materiale erratico, la presenza della galena. Fra le solfo-antimoniti meritano menzione principalmente due: un minerale in masse fibrose, di composizione prossima alla jamesonite ed una tetraedrite o fahlerz antimonioso, notevolmente argentifera. Il fahlerz è un minerale carat- teristico di altri giacimenti metalliferi dell’elissoide del Gran Paradiso, e l’au- tore riporta un’analisi inedita del fahlerz di Bellagarda presso Ceresole Reale, eseguita nel laboratorio della Stazione agraria di Torino. Questo minerale è notevole pel suo elevato tenore in mercurio (13. 71 per cento). II giacimento della Yal Soana si collega per molti suoi caratteri agli altri filoni metalliferi conosciuti nell’elissoide gneissico, e rientra probabilmente nella categoria dei filoni quarzosi aurifero-antimoniferi, avendo le analisi dimostrato un piccolo tenore in oro nei minerali, ed essendo d’altronde nota la presenza dell’oro nelle alluvioni della Soana e dell’Orco. — 396 — Oberti E. — Jl bacino dell' Arno. (Rivista geografica italiana. Ann. IX, fase. VI, pag. 368-374 e fase. VII, pag. 425-436). — Roma 1902. Dopo aver cercato di ricostruire la morfologia della Toscana nel periodo mio-pliocenico e specialmente quella della regione ora percorsa dall'Arno, l'au- tore espone i fenomeni che durante il pliocene ed il quaternario determinarono l'assetto definitivo del bacino dell’Arno e delle sue relazioni con quelli del Tevere e del Serchio. Accennato al moto orogenico al quale è dovuta l’emersione dell’ Appennino e del subappennino terziario della Toscana, manifestatosi con una specie di ribaltamento del terreno da S.E a V.O, l’autore dimostra in base ai fatti os- servati che durante il pliocene il movimento generale delle acque, seguendo la inclinazione del terreno, doveva verificarsi da X.O a S.E. L’Arno non esisteva e il bacino lagunare di Montevarchi riceveva le acque del lago di Mugello e le scaricava nel mare per la Valle d’ Ambra. Il lago che occupava il Casentino defluiva verso Arezzo e di là per la laguna di Val di Chiana nel golfo di Chiusi. Il bacino di Firenze mandava le acque provenienti dal subappennino al mare per le valli di Greve e di Pesa. Sul finire del pliocene resosi più intenso ed esteso il movimento orogenico, il mare si ritirava entro confini presso a poco simili agli attuali, lasciando allo scoperto vasti depositi pliocenici. Colle condizioni atmosferiche mutavano pure quelle idrografiche. Le acque dell’Arno non trovando più libero sfogo verso sud ne cercarono un altro verso ovest. I corsi d'acqua coi loro materiali detri- tici colmando i laghi pliocenici ne determinarono il vuotamente. Le acque del Val d’Arno superiore, non trovando più sfogo per la Val d’ Ambra, si vuotarono perla gola dell’Incisa. Velia parte più depressa del Casentino le acque dell’ Ap- pennino, raccolte in un lago, s’immettevano in quello dei dintorni di Arezzo, che per la gola di Chiani, comunicando col bacino lacustre della valle Chiana, confondentesi con quelli di Perugia, Chiusi e Montepulciano, si avviavano al Tevere. Sul finire del periodo allu vi ale avveniva l’inversione completa del corso dell’Arno e la parte più settentrionale della Chiana assorbita dall’Arno, che approfondiva sempre più il suo alveo, cominciò ad invertire il suo corso spo- stando verso sud il punto di separazione tra le acque defluenti al Tevere e quelle che vanno all’Arno. Dopo essersi specialmente occupato delle trasformazioni idrografiche avve- nute nella valle di Chiana durante i periodi fluvio-lacustri e fluvio-alluvionali, 1 autore passa in rassegna quelle accadute durante l’epoca storica, e basandosi - 397 sulla natura dei terreni, sui resti di monumenti antichi e su documenti storici, viene a ricostruire le relazioni idrografiche fra l’Arno ed il Tevere dai primi tempi sino all’epoca attuale. Ochsenius C. — Ueber den Untergrund von Venedig mit Besiehung auf deu E instar s des Markusturms . (Zeitschrift du Deut. geol. Gtesell., B. 54, H. 3, Protokolle, pag. 133436). — Berlin, 1902. L’autore prende occasione dalla caduta del campanile di San Marco per illustrare alcune sue osservazioni sopra certe masse d’acqua intercalate nella serie d’origine alluvionale, ed a cui egli dà il nome di guanciali o cuscini d’acqua (Wasserkissen). La formazione di tali strati d’acqua sarebbe la seguente : qualunque accolta di acqua superficiale non corrente, abbandonata a se stessa, si copre di uno strato natante di piante palustri, che in certe circostanze di- venta così denso e solido, da sostenere il peso della polvere e della sabbia che il vento vi accumula sopra. La conca finisce per coprirsi e spianarsi, mentre sotto la coperta rimane lo strato liquido sotto pressione, finche l’equilibrio così sta- bilito non viene disturbato in qualche modo. Tali serbatoi sotterranei d’acqua, a cui si associano spesso dei gas, sono stati osservati più volte nel bassopiano settentrionale tedesco, dove produssero la rovina di parecchi argini ferroviari, e da non poche trivellazioni nella valle del Po, principalmente lungo l’orlo lagunare, nonché nella stessa Y enezia fatte negli anni 1846-49 e nel 1866. I monu- menti veneziani sono minacciati precisamente da tale instabile equilibrio del sottosuolo, e non dal marcire delle palafitte da cui sono sopportati. Il suolo cede per il lento sfuggire dell’acqua dai cuscini intercalati fra gli strati imper- meabili, attraverso fessure o lacerazioni provocate da differenze di carico alla superficie, salvo il caso di fughe tumultuarie provocate da trivellazioni che forano lo strato elastico immediatamente sovrastante al serbatoio. L’autore descrive in appendice un fatto accaduto nel parco del castello di Glienicke presso Potsdam, il quale prova l’elasticità e l’impermeabilità della coperta vegetale che si era formata sopra uno stagno colà esistente. Ogiltie-Gordon M. — Monsoni and Upper Fassa. (The geological Ma- gazine, N. S., Decade IY, Yol. IX, n. 7, pag. 309-317). — Lon- don, 1902. L’autrice presenta alcuni dei risultati del rilevamento geologico da essa fatto del distretto di Passa, nelle Dolomiti, comprendenti i gruppi di Bufaure — 398 — e dei Monzoni in cui le roccie porfiritiche e monzonitiche sono molto svilup- pate ; scopo principale dello studio era di esaminare particolareggiatamente i rapporti fra le roccie ignee e le stratigrafiche e controllare i risultati previa- mente ottenuti nel massiccio del Sella, ecc. Una delle osservazioni contenute in questa nota molto condensata si è quella dell’esistenza di una molto importante zona di frattura che attraversa i Monzoni nella parte settentrionale da Allochet sin quasi a Malinverno e quindi piega a S.SE : questa linea di faglia è parallela a quelle che limitano a nord e ad est i Monzoni ; inoltre, parecchie faglie trasversali frazionano il massiccio dei Monzoni e sono più particolarmente la sede delle iniezioni più recenti. L’autrice mette in evidenza i rapporti delle masse intrusive con i succes- sivi movimenti che deformarono le formazioni nel terziario ; deducendo da quei rapporti un criterio per determinare l’età delle intrusioni stesse, età che non può essere anteriore al terziario. Tracciando la successione delle roccie ignee dei Monzoni è indicata la grande importanza tettonica di distinguere nelle varietà di monzonite quelle biotitiche ed augitiche, le quali furon sempre considerate come il tipo normale, da quelle più giovani, generalmente a grana fine, ricche di feldspato e con quarzo. Mentre le monzoniti, dette normali, furono nella zona principale di frattura molto alterate ed intercalate da copiose iniezioni di gabbro, dioriti e pi- rosseniti, le varietà « più giovani » furono iniettate molto più tardi nelle linee di faglia e di contatto, come vene o dicchi, tanto nella roccia gabbrica, diori- tica e pirossenitica, quanto nelle monzoniti più antiche. La nota termina con l’interpretazione della struttura del « block-porphyr » di Mojsisovics, diversa da quella degli autori precedenti che considerano la roccia come un conglomerato od agglomerato : tale struttura in qualche caso è dovuta a segregazione originaria, in altri risulta da alterazione lungo i giunti, o ancora da sforzi cui fu sottoposta la roccia, ed infine da successive iniezioni che hanno frantumato le precedenti seguendone lo stesso cammino. Omboni Gr. — Appendice alla nota sui denti di Lophiodon del Bolca. (Atti R. Istituto veneto, S. 8a, T. 4°, disp. 3a, pag. 189-192). — Venezia, 1902. Il paleontologo dott. G. Stehlin, avendo letto l’opuscolo sui denti di Lophiodon trovati negli strati eocenici del Monte Bolca (vedi Bibl. 1901) ed esaminatili nel Gabinetto di geologia della R. Università di Padova, ha scritto all’aatore una lettera, che questi riporta integralmente, nella quale espone le ragioni per le quali egli ritiene che i denti descritti e figurati, anziché a — 399 Lophiodon , si debbano riferire piuttosto al genere nord-americano, Hyrucodon, del gruppo dei Rinoceronti, notando intanto l’importanza della scoperta di un tipo di mammifero completamente nuovo per l’Europa. L’autore riporta pure l’opinione del Forsyth-Major, il quale dall’esame delle figure è indotto a ritenere che i denti descritti dall’autore non sono di Lophiodon. Per l’autorità dei due paleontologi l’autore ammette che i denti da lui descritti non sieno di Lophiodon , ma probabilmente del genere rinoceroide Hyracodon e che lo strato dal quale essi provengono sia oligocenico, secondo opina il dott. Stehlin, riserbandosi di studiare meglio i rapporti fra questo strato e gli altri ritenuti eocenici del Bolca. Oppenheim P. — Revision der tertidren Echiniden Venetìens und des Trentino, unter Mittheilung nener Formen. (Zeitschrift der Deut. geol. Gesell., B. LIY, pag. 159-283, con 3 tavole). — Berlin, 1902. Essendosi l’autore procurato di recente una intera serie di nuove e inte- ressanti forme di echinidi del terziario veneto, egli ne fa la descrizione nel presente lavoro, ad eccezione di quelle già illustrate in anteriori pubblicazioni e particolarmente in quella sul piano di Priabona inserita nella Palaeontographica Yol. 47 (vedi Bibl. 1900). Premesso intanto un cenno bibliografico sul! argomento, egli passa alla descrizione di 158 specie di echinidi, delle quali circa una trentina nuove, ap- partenenti a faune di otto livelli, e cioè, dal basso in alto : 1° Tufi di Spilecco; 2° Calcare inferiore di Yerona e del Bolca; 3° Tufi di San Giovanni Barione ; 4° Calcare superiore di Yerona; 5° Piano di Priabona ; 6° Piano di Laverda, Gnata e Sangonini; 7° Piano di Castelgomberto ; 8° Strati di Schio. Tra essi l’autore instituisce un confronto nelle conclusioni finali. In appendice sono poi indicati i crinoidi conosciuti del terziario veneto, con considerazioni relative. Le forme ftuove, oltre che in disegni intercalati nel testo, sono figurate nelle tavole annesse. — 400 — Oppenheim P. — Nachtrag su me inerii Aufsats « Revisìon der tertiaren Ecìiìniden Venetìens und des Trentino , unter Mitteilung neuer Formen » . (Zeitschrift der Deut;. geol. Oesell., B. LIV, H. II, Briefl. Mittk.. pag. 66-71). — Berlin. 1902. In questa aggiunta al lavoro precedente vengono descritte altre specie di echinidi del Veneto, che l’autore durante la revisione del medesimo trovò ac- cennate in lavori di Loriol (1890), di Mayer-Eymar (1897), di Airaghi (1901), di Lambert (1902), di Checchia (1902). Oppenheim P. — Zur venetìanischen Kreide. (Zeitschrift der Dent. geol. Oesell., B. LIV, H. Ili, pag. 94-99). — Berlin, 1902. È una breve nota nella quale Fautore ribatte le osservazioni fattegli dal Boehm (vedi più sopra) relativamente a suoi precedenti lavori sul cretaceo del 4 Veneto, basandosi specialmente su lavori di geologi italiani. . Oppenheim P. — Ueber e in iìberraschendes Auftreten von Exogyra co- lumba Lk. bei Crespano Veneto. (Centralblatt fili* Min., Oeol. und Pai., Jahrg. 1902, n. 16, pag. 500-503). — Stuttgart, 1902. È questa una forma trovata da Arturo Rossi più che venti anni addietro nelle marne e sabbie del torrente Lastico presso Crespano, appartenenti agli strati superiori di Schio, e dal medesimo attribuita dapprima alla Gryphaea Br originarti Bromi (1883) e poi alla Ostre.a coclilear Poli (1884). Il fossile trovasi attualmente nel Museo dell’ Università di Pavia e, nuova- mente studiato dall’autore, è stato riconosciuto per una Exogyra colli mba Lk. Oppenheim P. — Ancora il Miocene di Verona. (Rivista ital. di paleon- tologia, Anno Vili, fase. II e III, pag. 67-69). — Bologna, 1902. L’autore replica in questa nota alle conclusioni emesse dal Yicolis sul miocene dei dintorni di Verona (vedi più sopra). Per ciò che si riferisce al M. Moscai ed a Crespano egli dimostrerà, in una prossima monografia sugli strati di Schio, essere errate le conclusioni sulle faune ittiologiche di quelle località. Osserva intanto che nei luoghi indicati dal Yicolis a San Leonardo e a San Giovanni in Valle si sono trovati dei grandi pettini, che furono determinati come Pecten incrassatus Partsch ( P . Besseri auct.) e P. latissimus Br., specie - 401 — che non sono note in nessun punto del terziario antico., Nella roccia che le con- tiene non si trovano nè orbitoidi, nè nummuliti. Considerando che questi tipi mancano negli strati di Schio, conferma quanto già asserì, che, cioè, presso Verona si è conservato un calcare grossolano del mio- cene medio con P. incrasscitns e P. latissimus verosimilmente in fratture della costa formata dal Priaboniano. Osasco E. — Contribuzione allo studio dei coralli cenozoici del Veneto. (Palaeontogrriphia italica, Voi. Vili, pag. 99-120, con 2 tav.). — Pisa, 1902. L’autrice espone in questa memoria il risultato dello studio eseguito sul ricco materiale della collezione del Museo paleontologico della R. Università di Torino e di quello dell’ Università di Pavia. Le specie e varietà di coralli esaminati sono 117, appartenenti a 53 generi; esse vengono elencate in un quadro colle rispettive località e coll’indicazione speciale di quelle nuove. Tra le forme esaminate 12 appartengono all’eocene medio di San Giovanni Ilarione, delle quali 7 esclusive di questo piano; 5 sono comuni all’éocene ed all’ oligocene, a cui appartengono tutte le altre specie. Undici di queste, notate dagli autori come eoceniche di San Giovanni Ilarione o del Friuli o di Roncà, furono pure rinvenute nell'oligocene ; nell’oligocene poi è notata qualche specie miocenica. L’autrice descrive, oltre a 19 specie nuove, anche quelle che a lei non risul- tano ancora segnate come facenti passaggio ad un nuovo piano. Nelle due ta- vole in eliotipia sono figurate le nuove specie ed alcune altre. Pampaloni L. — Microflora e microfauna nel disodile di Melilli in Sicilia. Nota preventiva. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XI, fase. 9°, 2° sem., pag. 248-253). - Roma, 1902. Il disodile è una sostanza bituminosa elastica, sfaldabile in lamelle, la quale trovasi a N.E di Melilli (Siracusa) in un bacino del diametro di circa 500 metri chiuso dalle roccie vulcaniche circostanti e che rappresenta il residuo di uno stagno riferibile al miocene medio. Dall’esame chimico di questa sostanza si ha una percentuale di C = 36. 04, H = 9.98, N = 0.72, O = 53.26 e circa il 15 °/0 di silice, dovuta in parte a materie argillose collegate col disodile ed in parte a resti di organismi. — 402 — L'autore ha potuto esaminare al microscopio delle lamelle sottilissime di questo minerale ed i frammenti intercalati fra strato e strato del disodile : in questa nota preliminare egli espone succintamente il risultato delle sue osser- vazioni. Da queste risulta che la microfauna e la microflora del disodile di Melilli sono rappresentate da funghi, da briofiti, da aracnidi e da qualche in- setto dei quali l’autore dà in questa nota l’elenco e la diagnosi. Pampaloni L. — I iresti organici nel disodile di Melilli in Sicilia. (Pa- laeontographia italica, Yol. YIII, pag. 121-130, con 2 tavole). — Pisa, 1902. Come l’autore si proponeA-a nella precedente nota, espone in questa me- moria più estesamente, completandola, il resultato dello studio sul disodile di Melilli, descrivendo le specie in quella elencate e corredandola di due tavole in eliotipia. Grli organismi vegetali rinvenuti in questo deposito appartengono per la massima parte a funghi. Dei Picomiceti sono unici generi i Peronosporìtes ed i Pgthites. Abbondanti sono invece gli Ascomiceti e fra questi in particolar modo la famiglia delle Perisporiacee. La microfauna è costituita quasi essenzialmente da Aracnidi con predo- minio degli Acarii. Yi si sono pure riscontrati, una larva d’insetto simile a quella dei vi Adenti Libellulidi, una cocciniglia del genere Diaspis, un apparecchio masticatorio di un Carabice e degli esemplari di Anguillulidi probabilmente appartenenti al genere Heterodeva , tutti in perfetto stato di conseivazione. Pampaloni L. — Sopra alcuni tronchi silicizzati delVeocene superiore del - rimpruneta (prov. di Firenze). (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 25-29, con tavola). — Roma, 1902. Lungo il fosso detto Le Serretole, presso rimpruneta, furono rinvenuti alcuni tronchi che ora si consolano nel Museo paleontologico di Firenze e provengono dagli scisti galestrini eocenici da cui furono scavati per l’azione erosiva dell’acqua. Sono cinque campioni, dei quali quattro affatto simili e ben conservati : il quinto differisce assai dagli altri e non presenta, come i primi, traccia esterna di struttura legnosa. DaH’esame microscopico in sezioni sottili eseguite su tali campioni Fautore ha potuto stabilire che i primi quattro appartengono alla specie Cnpresso.xijlon — 403 — pencimim Goepp. e li descrive. Il quinto frammento appartiene alla famiglia delle Betnllinae e probabilmente al genere Alnus sp. ind. In una tavola sono rappresentate le sezioni sottili di questi tronchi. Pamp aloni L. — Sopra alcuni tronchi silicizzati di Oschiri, in Sardegna. (Boll. Soc. Gfeol. ital., Yol. XXI, fase. 3°, pag. 577-580). — Poma, 1902. Coi tronchi descritti nella nota precedente, trovansi nel Museo paleonto- logico di Pirenze, altri frammenti silicizzati, provenienti da altre località italiane. In questa nota l'autore si occupa di quelli provenienti dalla regione denominata Signora Pania , presso Oschiri, in Sardegna. In essi non apparisce la struttura legnosa, se non sezionati normalmente alla loro lunghezza. L'autore ne ha eseguite diverse sezioni sottili in varia direzione, che descrive e figura in questa nota. Dall’esame di esse e dal confronto con altri legni di conifere viventi, egli ascrive tutti questi campioni ad una sola specie di conifera appartenente al tipo Cedroxglon , che racchiude in sè i generi Abies, Larix , Cedrns. Xon potendo riferire quegli organismi a foime fossili già note, benché si accostino per i caratteri al genere Larix , ne ha fatta una specie nuova che denomina Cedroxglon laricinum. {Continua). ELENCO lei personale componente il Comitato e r Officio geologico alla line del 1903 R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna, Presidente . Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Issel Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico : Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori : Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (SI dicembre 1903) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Yol. I a XXXIII, dal 1870 al 1902. Prezzo di ciascun volume L. 10 Idem dell’ abbonamento annuale in Italia » 8 Idem idem all’estero » 10 Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — ITn volume in-4° di pag. 364 con ta- vole e carte geologiche. . 35 Voi. II, Parte la. Firenze 1873. — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche ...» 25 Voi. II, Parte 2a. Firenze 1874. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 Voi. Ili, Parte la. Firenze 1876. — Un Arolume in-4° di pag. 174 con taAmle e carte geologiche » 10 Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — Un Ambirne in-4° di pag. 230 con taAmle » 15 Voi. IV, Parte la. Firenze 1891. — Un Ambirne in-4° di pag. 136 con taAmle » 8 Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — Un Ambirne in-4° di pag. 214 con taAmle » 16 Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica delVIsola di Sicilia. — Un Ambirne in-8° di pag. 436 con taAmle e una Carta geologica » 10 Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- risola d’Elba. — Un Ambirne in-8° di pag. 266 con taAmle e una Carta geologica » 10 Voi. III. Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un Ambirne in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria clelV Ig le si ente [Sardegna). — Un volume in-8e di pag. 166 con taAmle, un atlante ed un Carta geologica ........ 15 Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabns [Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con taAmle e una Carta geologico-mineraria » 8 — 406 — Voi. YI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa L. Yol. VII. Roma 1892. — E. Cortese e Y. Sabatini: De- scrizione geologico-petrografica delle Isole Eolie.. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» Yol. Vili. Roma 1898. — B. Lotti: Descrizione geologico - mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » Yol. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 388 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica ...» Yol. X. Roma 1900. — Y. Sabatini: I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte P : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » Yol. XI. Roma 1902, — A. Stella: Descrizione geognostico - agraria del Colle Montello (provincia di Treviso). — Un volume in-8° di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 6 — 8 - 8 — 12 — 12 - 8 — CARTE Carta geologica' (l’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2a edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 — NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio X. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 251 (Cefalù) .... » 3 — » 252 (Xaso) .... » 4 — » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 254 (Messina) . . . » 4 — » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 257 (Castelvetrano) . » 4 — 3> 258 (Corleone) . . . » 5 — » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 260 (Xicosia). . . . » 5 — 3» 261 (Bronte) .... » 5 — Foglio X. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 265 (Mazzara del Vallo) » 3 » 266 (Sciacca) » 267 (Canicattì) . » 268 (Caltanissetta) » 269 (Paterno) . » 270 (Catania) . » 271 (Girgenti) . » 272 (Terranova) » 273 (Caltagirone) » 274 (Siracusa) . » 275 (Scoglitti) . » 276 (Modica). . 277 (Xoto) . . » 3 » 3 » 3 Tavola di sezioni X. I (annessa ai fogli 249 e 258 . . L. 4 — » » X. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » X. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » X. IY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » X. Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — O io CO CO TU IO -n — 407 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella s cala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — N3. I fogli e la tavola di questa Cariasi vendono anche separatamente come segue : Foglio IN". 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 148 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » '5 — Foglio jN". 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . L. 4 — » 5 — » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 148, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 8 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara. » Castelnuovo L. 5 — » 5 — Foglio Stazzeina . » Serravezza Le tavole di sezioni, ciascima . . L. 5. L. 5 — » 3 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio 'N. 220 (Verbicaro) . . L. 3 — Foglio JN". 242 (Catanzaro) . . L. 4 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Piz- » 222 (Amendolara) . » 3 — zuto) ...» 3 — » • 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 245 (Palmi) ...» 3 — » 229 (Paola) . . . » 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 — » 231 (Ciro) . . . . » 3 — » 254 (Messina) ...» 4- » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Gerace) ...» 4 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 263 (Bova) .... » 3 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 264 (Staiti) .... » 3 — 5> 241 (Nicastro). . . » 4 — Tavola di sezioni V. I, IN". II e IN". Ili, ciascuna . . L. 4 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 . » 5 — Carta geologico-mineraria dell' Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 . . » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e INapoli. Di prossima pubblicazione Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia. — Voi. XII. — I giacimenti di antracite delle Alpi occidentali italiane . — Un volume con 14 tavole e 31 figure intercalate nel testo. Idem. — Appendice al Voi. IX. — Osservazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano , del Dott. G. Di-Stefano. — Un volume con tavola di sezioni. Guida all’ Ufficio Geologico. — Un volume con otto tavole. Carta geologica dell’ Italia nella scala di 1 a 100,000. — Fogli : 201 (Matera). — 202 (Taranto). — 203 (Brindisi). — 204 (Lecce). — 213 (Maruggio). — 214 (Gallipoli). — 215 (Otranto). — 223 (Tricase), i Annunzi di pubblicazioni Aloìsi P. — Su di alcune rocce di Ripafratta (Monte Pisano). (Lavori ose- / guiti nell’Istituto di Mineralogia dell’Uniyersità di Pisa nel 1903, pag. 19-34). — Pisa, 1903; Baltz'er A. — .Sul pozzo glaciale di Tavernola (Lago d’Iseo). (’Commentarii Ateneo di Brescia, Anno 1903, pag.' 107-111). — Brescia, 1903. Clerici E. — Resoconto sommario delle e scursioni fatte nei dintorni di Siena ed al Monte Amiata nel settembre 19QS. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXII, fase. 2°, pag. cxxix-clviii). — Roma, 1903. D’AciiiÀrdi G. — La formazione della magnesite allMsola d’Elba. 1° Cd,v<\ di Grotta d'Of/gi. (Lavóri eseguiti nell’ Istituto di Mineralogia dell’ Università di Pisa nel 1903, pag. 107-153, con 3 tav.). Pisa, 1903. Dainelll G. — Fossili batoniani della Sardegna. (Boll. Soc. Geol. ital., Vo- - lume- XXII, fase.: 2°, pag. 253-346, con 2 tavole). — Roma, ,1903. Dal Pjaz G. — Sulla natura delle credute equisetacee del gneiss di Rezzano e dei' micascisfi del Trentino. (Ìbidem, Voi: XXII, fase. 2°, pag. lxvii-lxix). . ■ — ; Rtfrr a, 1903. - • ' * ' - ; • - ■ De Alessandri G. — H gruppo del -Mùnte Misma - (prealpi bergamasche). '(Atti So c.; ital.- di Se. nat. è -Museo (ùvico -di'St. nat., Voi. XLIÌ, fase. 3°, <-> . , pag.. 229^279, con Carta geologica):, -^Milano, 1903. . .. • . De Andelis d’Ossat-G, — Coralli triastei in quel di Forni di Sopra (Carnia). (Boll. , Som rGeòb ita].-, Voi. XXII, fase. 2°; pag-. 16.6-168). — -Roma, 1903. Idem. — Sui fossili deh jnarmo giallo di Siena. (Ibidem, -Voi. XXII, fase. 2°, pag. lix;-lx). —uRoma, 1903, . r. ; . Del Campana D. Fossili del Giura superiore nei Sette , Comuni. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XII, fase. 9°, 2° sem., pag. 382-387). — Roma, 1903. De Stefano G. — Sull’età delle arenarie lignitifere di Agnana in Calabria. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXII, fase. 2°, pag. 372-384). — Roma, 1903. Flores E. — L ’Élephas primigenias Bluin. nell’Italia meridionale conti- nentale. (Ibidem,. Voi. XXII, fase. 2°, pag. 348-360, coii tav.). — Roma, 1903. Gortani M. — Sugli strati a Fusulina di Forni Avoltri. (Ibidem, Voi. XXII, fase. 2°, png. cxxvn-cxxviii), — Roma, 1903. Lovisato D. — La Greenockite nelle Miniere di Montevecchio. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XII, fase. "12°, 2° sem., pag. 642-646). — Roma, 1903. Manasse E. — Le rocce della Gorgona. (Lavori eseguiti nell’ Istituto di Mine- ralogia dell’Università di Pisa nel 1903, pag. 35-74, con tav.). — Pisa, 1903* Meli R. — Breve relazione delle escursioni geologiche eseguite nell’anno scolastico 1902-1903 (pag. 24 in-8°). — Roma, 1903. Mercalli G. — Notizie vesuviane (Gennaio-Giugno 1903). (Boll. Soc. sismo- logica ital., Voi. IX, n. 5, pag. 41-65, con tavola). — Modena, 1903. Millosevich F. — Alcune osservazioni sopra l’anglesite verde di Montevecchio (Sardegna). (Rivista di Min. e Crisi ital., Voi. XXX, fase. 1° a 8°, pag. 28-33). — Padova, 1903. Nelli B; — Fossili miocenici del macigno di Porretta. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXII, fase. 2°, pag. 180-252, con 4 tav.). — Roma, 1903. (Segue) (Seguito: V. pagina precedente) Pantanelli D. — Di alcuni giacimenti solfìferi della proyincìa di Siena. (Ibidem, Voi. XXII, fase. 2°, pag. cxxiv-cxxvi). — Roma, 1903. Idem. (Ras- segna mineraria, Voi. XIX, n. 18, pag. 275-276). — Torino, 1903. Idem. ~ Andamento delle acque sotterranee nei dintorni di Modena (dalle Memorie R. Ace. di Se., Lett. ed Arti di Modena, S. Ili, Voi. V, pag. 45-97, con 5 tav.), — Modena, 1903. Passerini X. — Contributo allo studio della composizione cbimica delle rocce della Toscana. Seconda nota: Le sabbie gialle, volgarmente « tufi » (pag. 18 in-8°). — Firenze, 1903. Ragusa E. — Struttura tettonica dei calcari di Modica. (Atti Ace. Gioenia di Se. nat., S. IV, Voi. XVI, Mem. XV, pag. 16, con tav.). — Catania, 1903. Ricco A. — Fondo del cratere centrale dell’Etna. (Boll. Soc. sismologica ital.. Voi. IX, n. 2, pag. 9-12, con tavola). — Modena, 1903. Ricco A. e Arcidiacono S.— L’eruzione dell’Etna del 1902. Parte 2a: Diario dell eruzione. (Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. IV, Voi. XVI, Mem. Vili, pag.. 86, con 3 tav.}. — Catania, 1903. Rimatori C. — Il fahlerz nelle miniere di Palma vexi (Sardegna). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XII, fase. 10°, 2° sera., pag. 471-475). — Roma, 1903. Sacco F. — Il problema dell’acqua potabile di Mondovì in rapporto colla geologia. (Giornale di Geol. pratica, Voi. I, fase. IV -V, pag. 177-182). — Genova, 1903. Idem. — Osservazioni di geologia applicata sopra la progettata linea ferro- viaria di Torino-Cartosio-Sarona. (Ibidem, Voi. I, fase. IV-V, pag. 217-233). — Genova, 1903. Idem. — Considerazioni geologiche sopra un progetto di bacino artificiale per irrigazione in territorio di Carmagnola (d gli Annali R. Acc. di Agr., Voi. XLVI, pag. i2 in-8°). — Torino, 1903. Idem. — La frana di Sant’Antonio in territorio di Cherasco. (Idem. Voi. XLVI, pag. 8 in-8°). ' — Torino, 1903. Idem. — Esame geologico comparativo di due progetti di linee ferroviarie attraverso l’Appennino ligure (pag. 34 in-4°, con Carta geologica). — Ge- nova, 1903. Taramelli T. — Delle condizioni geologiche dei dintorni della città di Lecce, in vista della circolazione sotterranea delle acque. (Giornale di Geol. pra- tica, Voi. I, fase. IV ■ V, pag. 189-216), — Genova, 1903. Idem. — Condizioni geologiche della valletta del Torrente Tallone sopra Velate di Yarese. (Ibidem, Voi. I, fase. VI, pag. 252-261), — Genova, 1903. Trebbi G. — Ricerche speleologiche nei gessi del Bolognese (dalla Rivista ital. di Speleologia, Anno I, fase. 3-4, pag. 14 in-8°). — Bologna, 1903. Verri A. — Rapporti tra il Vulcano laziale e quello di Bracciano. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXII, fase. 2°, pag. 168-180). — Roma, 1903. Idem. — SulFandesite augitica del Piano delle Macinaje nel Monte Amiata. (Ibidem, Voi. XXII, fase. 2°, pag. 361-362). — Roma, 1903, Zambonini F. — Sull’epidoto del passo Bettolina, vallone di Verrà. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XII, fase. 11°, 2° sem., pag. 567-571). — Roma, 1903. Prezzo del presente fascicolo s L. S.