££je]njtìa ROMA TIP. I^AZIOIS'ALE DI G. BERTERO E ( ELENCO del personale componente il Comitato e l'Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof. di. geologia, R. Università di Bologna, Presidente . Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Issel Arturo, prof, .di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Struver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramellu Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo , delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione'. Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj .-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi' operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Smanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA 1904. — Anno XXXV 1904. - Anno XXXV, BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA Volume Trentacinquesimo (5° della 4a Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE DI G. BERTERO e C. 1904 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1904 (Volume trentacinquesimo o quinto della 4a serie) Introduzione Pag. 1 NOTE ORIGINALI. S. Franchi. — Nuovi affioramenti di Trias e di Lias in Valsesia e nel Biellese Pag. 4 P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Yulsini (< Continuazione ; vedi N. 4, 1903 ) » 22 3. Franchi. — Ancora sull’età mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi Occidentali » 125 V. Sabatini. — Relazione sul lavoro eseguito nel periodo 1899-1903 su i vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti » 179 P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini (Continuasione e fine ) » 198 A. Stella. — Rilevamento geologico dei tagli alle cave Mazzanti fra Ponte Molle e Tor di Quinto presso Roma » 235 S. Franchi. — Antibolo secondario del gruppo della glaucofane deri- vato da orneblenda in una diorite di Val Sesia » 242 P. Moderni. — Osservazioni geologiche fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e l’Esino (Marche) » 247 Idem. — Bibliografia geologica ed idrologica dei Vulcani Vulsini. . » 253 D. Zaccagna. — Osservazioni circa la costituzione geologica della Pania della Croce (Alpi Apuane) » 331 M. Cassetti. — Da Avezzano a Sulmona. Osservazioni geologiche fatte l’anno 1903 nell’Abruzzo Aquilano » 347 Idem. — Sulla struttura geologica dei monti della Majella e del Morrone » 364 Cenno necrologico. — Gaetano Giorgio Gemmellaro » 72 Riunione annuale della Società geologica italiana a Catania .... » 263 — VI NOTIZIE BIBLIOGrRAFICHE. Bibliografia geologica italiana per l’anno 1902 (Continuazione e fine) . Pag. 76 Bibliografia geologica italiana per l’anno 1903 » 268 Id. id. id. (Continuazione) ... » 380 NOTIZIE DIVERSE. Pubblicazioni del regio Ufficio geologica Pag- 119 Id. id. » 231 Id. id. » 327 Id. id. » 438 Elenco del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico . . » 437 ILLUSTRAZIONI. Tav. I. — Annessa alla nota dell’Ing. S. Franchi . . Pag. 20 » F. — Veduta fotografica nei Vulcani Vulsini (P. Moderni) » 36 Figura schematica relativa ai medesimi (Id.) » 49 » II e III. — Sezioni geologiche nelle Alpi Occidentali (A Franchi) » 178 Figure nel testo {Id.) Pag. 141, 152, 154 » IV. — Carta geologica della parte orientale dei Vul- cani Vulsini (V. Sabatini) Pag. 192 Figure schematiche nel testo (Id.) . . Pag. 182, 184 » G, H. — Vedute nei Vulcani Vulsini (P. Moderni) . Pag. 230 Figura nel testo (Id.) » 221 » V, VI, VII e Vili. — Annesse alla nota Stella sulle cave Mazzanti » 242 Sezione attraverso la Pania della Croce (D. Zaccagna) » 333 Sezione dal bacino del Fucino al fiume Sa- gittario (M. Cassetti) » 349 Sezione dal Monte Prezza alla Serra Colle - Rufigno » 353 Sezione dal fiume Sagittario, presso Popoli, al Monte Amaro » 368 PARTE UFFICIALE. R. Decreto 18 febbraio 1904 relativo al personale del R. Comitato geo- logico Pag. 3 V orbale delle adunanze 6 e 7 giugno 1904 del R. Comitato geologico . » 5 VII Relazione dell’Ispettore-capo al R. Comitato geologico sui lavori ese- guiti per la Carta geologica nell’anno 1903 e proposte di quelli da eseguirsi nel 1904 Pag. 13 Tavola annessa alla suddetta Relazione » 24 R. Decreto 30 giugno 1904 relativo al personale del R. Comitato geo- logico » 57 INDICE DEI FASCICOLI. N. 1. — Primo trimestre 1904 da pag. 1 a pag. 124 » 2. — Secondo id. » 125 » 234 » 3. — Terzo id. » 235 » 330 » 4. — Quarto id. » 331 » 1142 Atti ufficiali » 1 » 60 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. V. Anno 1904. Fascicolo 1°. SOMMARIO. Introduzione. Note originali. — I. S. Franchi, Yuovi affioramenti di Trias e di Lias in Val- sesia e nel Biellese. — II. P. Moderni, Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Yulsini ( Continuazione , vedi n. 4 del 1903). Cenno necrologico. — Gaetano Giorgio Gemmellaro. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1902 (Conti- nuazione e fine). Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. — R. Decreto 18 febbraio 1904, relativo al personale del R. Comi- tato geologico. illustrazioni. — Tav. I, annessa alla nota dell’ing. S. Franchi, a pag. 20. — Tav. F, veduta fotografica nei Vulcani Vulsini, a pag. 36, e figura sche- matica (ibidem) a pag. 49. Nella campagna geologica del 1903 i lavori si svolsero se- condo il programma approvato dal R. Comitato geologico ed ebbero per campo le Alpi, la Liguria occidentale, Y Umbria, le Marche, l’Abruzzo, i Vulcani Cimini, la valle dell’ Amene sopra Ti- voli e le regioni limitrofe. Il lavoro nelle Alpi fu continuato dallo stesso personale degli anni precedenti; esso fu al principio della campagna alquanto contrariato dalla cattiva stagione, ma gli ultimi mesi sono stati assai favorevoli, di modo che il risultato complessivo può ritenersi abbastanza soddisfacente. Oltre ai nuovi rilevamenti, che ebbero per campo l’ alta Val Tournanche, compreso il gruppo del Cervino, la valle del- ì’Evangon, la Valsesia e la Valle dell’Ossola, furono praticate varie revisioni in vista della pubblicazione di una Cartina geologica delle Alpi occidentali, nella scala di 1 : 400,000. Per quest’ultimo — 2 — scopo si dovrà anche completare il rilevamento di alcune tavolette nelle Alpi liguri e marittime. Altre escursioni nelle Alpi occidentali furono eseguite spe- cialmente in Val Grana e nell’alta valle d’Aosta per studi sulla dibattuta questione circa l’età della zona delle pietre verdi. Una memoria dell’ing. Zaccagna relativa a questi studi è già da tempo in corso di pubblicazione nel Bollettino, ed è spe- rabile che dalla libera e ampia discussione che si va svolgendo si possa aver presto una soddisfacente soluzione dell’ importante problema. Col lavoro della decorsa campagna alpina, in cui vennero ri- levati ex novo circa 1000 kmq. di territorio e con quello che si conta di fare nella prossima campagna, si può avere fondata speranza di veder terminato in quest’anno il rilevamento di quel- l’ampio e diffìcile tratto della cerchia alpina, che va dal Mar ligure al Monte Bianco, al Sempione e al Lago Maggiore. Nell’Italia centrale fu proseguito il rilevamento nelle tavolette di Terni, Ferentillo e Leonessa con buon risultato in riguardo alla cronologia e alla complicata tectonica delle formazioni mesozoiche largamente sviluppate in quei monti; per l’opportunità di acce- lerare il lavoro in questa regione, destinandovi altro personale, nelle Marche non furono fatte che alcune ricognizioni, special- mente allo scopo di raccogliere nuovi elementi per stabilire l’età della vastissima e potente formazione di scisti argillosi interposti fra la Scaglia e il Miocene superiore, e furono raccolti e studiati varii fossili, in base ai quali tale formazione risulterebbe riferibile al Miocene medio. Nelle Marche fu pure iniziato e portato a buon punto lo studio del Monte Conero presso Ancona e della regione limitrofa. Nell’Abruzzo aquilano vennero esaminati i monti circostanti al bacino del Fucino, parte di quelli racchiudenti la valle del Sa- — 3 — gittario e fu incominciata dal lato occidentale la revisione del- l’estesissimo gruppo della Majella. Nella provincia romana, infine, furono proseguite e in parte ultimate le osservazioni e gli studi petrografìci nella zona dei Vulcani Cimini al Nord-Ovest di Roma, nonché le revisioni e le raccolte di fossili nei monti secondari e terziari a sud-est della stessa città, dove alcuni problemi sono ancora a risolvere, spe- cialmente di carattere paleontologico, ma dei quali si spera avere presto una soluzione definitiva. Nuove osservazioni in posto sono state fatte sui giacimenti bauxitici, i quali si estendono anche al Nord-Ovest del bacino del Fucino, in particolare nella regione dominata dal Monte Velino. Oltre al Bollettino (annata XXXIV) è stato pubblicato il vo- lume XII delle Memorie descrittive , contenente uno studio par- ticolareggiato sui giacimenti antracitiferi delle Alpi occidentali, col corredo di tavole e numerose figure nel testo, al quale hanno collaborato varii autori. Alla fine del 1903 poi altre pubblicazioni si trovavano in corso, le quali vennero in luce nei primi mesi del- l’anno corrente. Queste sono: Una appendice al Voi. IX delle Memorie suddette con nuove Osservazioni geologiche fatte in Ca- labria dal Dott. G. Di-Stefano; la Guida all' Ufficio Geologico e sue collezioni; e un primo nucleo di otto fogli della Carta geolo- gica delle Puglie alla scala di 1 per 100,000. Accenniamo infine alla dolorosa perdita subita dal nostro Comitato per la morte del prof. G. G. Gemmellaro, e della quale si parla in apposita Necrologia inserita nel presente fascicolo. Per maggiori particolari sull’andamento del Servizio nel 1903, rinviamo il lettore alla Relazione del Direttore del medesimo che sarà inserita nel fascicolo n. 2 dell’anno corrente, insieme con i Processi verbali della adunanza annuale del Comitato, che avrà luogo nel venturo giugno. NOTE ORIGINALI I. S. Franchi. — Nuovi affioramenti di Trias e di Lias in Yaìsesia e nel Biellese. (con tavola). Nel corso delle escursioni geologiche eseguite nel passato autunno nella bassa Valle Sesia e nei dintorni di Sostegno nel Biellese, nelle aree delle tavolette al 25,000 di Gozzano , Borgosesia e Masserano dell’I. G-. M., ebbi a rilevare alcuni fatti che sfuggirono ai precedenti osserva- tori, e di cui credo utile il dar subito un cenno, che valga a richia- mare su di essi l’attenzione degli studiosi. Il rilevamento in grande scala permetterà di rettificare i limiti di alcune delle formazioni comprese nelle regioni indicate sopra, quan- tunque esse siano state oggetto di importanti studi e carte geo- logiche. Queste inesattezze si spiegano facilmente quando si rifletta che nelle memorie di indole generale su estese regioni, difficilmente un autore può percorrere tutti i limiti, cosicché la sua carta è sovente il risultato delle osservazioni proprie completate coordinandole con os- servazioni anteriori. Per le memorie di indole speciale, riguardanti solo una o più for- mazioni l’attenzione dell’ autore si concentra su di quelle, e per il tracciamento della carta egli si adatta volentieri ad assumere pel rimanente i dati dei lavori antecedenti. Per queste ragioni a chiunque intraprenda lo studio particola- — -5 — reggiato di una regione, non riuscirà difficile il rilevare errori di limiti od anche di classificazione o di raggruppamenti di roccie, sem- pre quando i suoi itinerari siano stati più fitti od anche solo diversi da quelli dei predecessori. Questa breve notizia ha particolarmente per iscopo di segnalare la presenza di alcuni lembi di Trias e di Lias medio, che non furono finora osservati e che presentano un certo interesse o per la loro po- sizione in piccoli lembi in fondo a valli scavate in terreni molto più antichi, o per la loro estensione e singolare costituzione litologica. Approfitterò tuttavia della circostanza per accennare ad alcune delle principali correzioni che si dovranno introdurre nella Carta della regione. E notevole, ad esempio, l'estensione ad occidente della Sesia delle roccie micascistoso-gneissiche, le quali, con potenze di qualche cen- tinaio di metri, si interpongono fra graniti e porfidi al Colletto di Guardabosone, presso Pray e nella valle del T. Ponzone a Sud di Mu- cengo, mentre, si ha fra quelle due masse di roccie eruttive il con- tatto diretto fra G-abbio e Caprile, contatto diretto che riprende ad occidente di Cima la Guardia, e per Colma, San Bonomio, Bugellio, Santa Liberata e Mombello (Masserano) si mantiene fino a Nord del Castello di Lessona nel T. Osteria, dove il limite è ricoperto da ter- reni alluvionali antichi. Importante a notarsi è pure una zona di gneiss iniettati di filoni pegmatitici con splendide forme grafiche *, la quale si sviluppa nei colli di Bastia, Albergate, Lovario, Ferruta, ecc., in piena massa gra- nitica, la quale affiora tutto all’intorno, a Casaccia, a Poggio Masse - 1 Nelle trincee della nuova strada che sale da Caneto a Bastia affiorano in vari punti delle interessanti roccie dioritiche (pirosseniche, biotitiche ed olivi- niche) in piccoli dicchi, che sono a loro volta attraversati dalle pegmatiti. Se tali dioriti potessero considerarsi come manifestazioni filoniane nei cosidetti Gneiss-Strona contemporanee della grande massa, noi avremmo qui un criterio per giudicare dell’età relativa di quella massa rispetto a quella dei graniti che sarebbero posteriori. — 6 — rano, a Vanzone, nelle testate a Nord di Pianezza (segnate come morenico in una carta dal prof. Sacco *) a Rozzo ed a Botto. Pei terreni pliocenici in sinistra della Sesia noterò solo una mag- giore loro estensione sotto Lobbia superiore, e il loro limitarsi a Nord del poggio di Sant’Anna di Montrigone, il quale è di porfido. Assai più importanti sono le variazioni nei contorni di questi terreni nella bassa valle Sessera, principalmente nell’ unica massa Vardella-Guardabosone, divisa solo dall’alluvione del T. Venenza. Tale plaga pliocenica si estende fino presso al p. 597 sul crinale Strona-Ve* nenza; ed un’altra minore, staccata per un sottile affioramento di gra- nito, dal p. 606 si estende fino oltre le C. Bonda alla sella a N.E di 0. Cerei, con una lunghezza massima di 1 km. Ivi abbiamo adunque il pliocene a m. 600, massima altezza del pliocene valsesiano, superiore di m. 80 a quella indicata da altri osservatori. Un lembo di pliocene che restò finora inosservato è quello che costituisce due basse colline nell’ insenatura fra monti di porfido che sta a S.O di Bornate. I terreni quaternari, specie le alluvioni antiche hanno una distri- buzione altimetrica che merita di essere studiata. Ad esempio, oltre alle alluvioni antiche degli altipiani di Pia- nezza, Yalbusaga e Case Fenera, già notate dal prof. Sacco, e del pia- noro di Ara (villaggio e regione ad Ovest), comprese tra i livelli di m. 462 a monte e 400 a valle, corrispondenti con ogni probabilità alle alluvioni dei pianori delle colline porfiriche tagliate in trincea della strada fra il ponte di Romagnano e Vintebbio, di cui alcuni furono notati dal Sacco, esistono alluvioni ferretizzate jassai più alte, rico- prenti i culmini dei contrafforti porfirici che stanno fra Gattera e Bornate. Così è della costa con un punto quotato m. 472 a Sud di Serravalle e del cucuzzo segnato 482 a Sud di Bornate, elevato questo m. 50 sopra l’alluvione del terrazzo di Ara che è più a valle di essa. Esiste adunque una alluvione più antica di quelle degli altipiani di 1 F. Sacco, Il Pliocene entroalpino di Valsesia. (Boll. R. Com. geologico. Anno 1888, p. 288). Pianezza e di Yalbusaga, il cui dislivello coll’ alveo attuale supera 1 m. 160. Ad esse corrispondono probabilmente le alte alluvioni ferre- tizzate che si trovano presso Flecchia ad altitudini superiori ai 500 metri, lo studio delle quali in rapporto col Pliocene potrà riuscire interessante \ Non minore importanza hanno le alluvioni antiche nel bacino di Sostegno e lungo tutto il piede delle Alpi biellesi, dove formano, o da sole o sovrapposte al Pliocene, quella sfilata di amenissimi alti- piani collineschi. Nella conca suddetta le alluvioni antiche ferretizzate si osservano su tutta la depressa costa da Sostegno a C. Pratogrande ; sono tipiche con abbondanti argille rosse sotto Asei e Lo Chalet, presso San Fabiano e Ferracane e nell’alto dei contrafforti più meridionali, al Mazzucchetto, nelle coste di Corticella e Santa Maria, ecc. (v. fìg. 1). Il Pliocene di Masserano arriva fino alla testata m. 877 a Nord di Ciabella, e si sviluppa, con forme essenzialmente arenacee e lignitifère, nelle bassure tra Cacciano e Le Piane a Nord di Santa Liberata, con una estensione ben maggiore di quella indicata nelle carte pubblicate 1 2. Affioramenti di Trias. Lembo di Valduggia. — Ai due lati del valloncello di Orcarale, a circa 200 metri dal suo punto di confluenza nello Strona, a Nord del- l’abitato di Valduggia, sono aperte cave in un calcare dolomitico chiaro, che per tutti i caratteri si mostra identico a quello della base 1 II prof. Sacco, considerando le alluvioni di Pianezza e Yalbusaga come le più elevate, stima a circa m. 100 l’erosione avvenuta dall’ inizio del quater- nazio fino ai tempi attuali. Data resistenza di queste alluvioni molto più alte, e quindi molto più antiche delle suddette, sarà giuocoforza considerare le prime come dovuti} ad un primo grande terrazzamento, che corrisponderebbe al dilu- viale medio della classificazione data dall’ingegnere Stella. A meno che i de- positi ciottolosi suddetti non corrispondano a morene antiche, il che per ora non potrei escludere in modo assoluto. 2 F. Sacco, I terreni terziari e quaternari del Biellese . Torino, 1888. - 8 - del Monte Fenera e di Crevacuore. Nel letto del torrentello si vede il calcare a contatto coi micascisti a valle, ed a monte, sul fianco de- stro comparisce un piccolo affioramento di porfido quarzifero. Più a monte ancora ricompaiono i gneiss, che in tutta la regione sono as- sociati per alternanza ai micascisti. Questo lembo di Trias, ricoperto a S E dal pliocene di Lebbia, e addossatesi a N.E ai micascisti, non affiora che sull’estensione mas- sima di m. 150 a 180. Tale lembo, al pari del seguente, non era indicato in nessuna delle carte precedenti, sia in quella inedita di Q. Sella, GL Berruti e L. Bruno, che in quella posteriore pubblicata dal prof. Parona,. 1 non in quella del dottor Rasetti, 2 nè infine in quella recentissima di Max Kaech 3. Ne segno dimostrativamente la proiezione nella fìg. 3. Lembo del Sasso Bianco. — Interessante è il lembo di Trias del Poggio Sasso Bianco a N.O di Grignasco e dominante Isella. Esso occupa per un tratto di m. 500 il contrafforte tra la valle di Nespolo e quella di Isella, ed è costituito da puddinghe, anageniti, quarziti e calcari bianchi, dai quali certo venne il nome al poggio. Cosicché noi dobbiamo riconoscere in esso rappresentato il Trias inferiore e parte del medio, allo stesso modo che nel lembo che sta a Nord di Grignasco, dove, oltre ai calcari, figurano con discreto sviluppo are- narie quarzitiche. Lembo del Colletto di Guardabosone . — Per contro sono noti da lungo tempo i calcari dolomitici del Colletto di Guardabosone, indi- cati però assai imperfettamente sulle due prime di quelle carte in due lembi. Il dottor Rasetti osservò giustamente che si tratta di una sola massa ; la sua punta Sud-Est si estende però assai di più di 1 C. E. Parona, Valsesia e Lago d'Orta. (Atti della Soc. it. di Se. nat., Milano, 1886). 2 Gr. E. Rasetti, Il Monte Fenera di Valsesia. (Boll. Soc. Geol. it.. Anno XVI, p. 141). 3 M. Kaech, Porphyrgebiet swischen Lago Maggiore nnd Valsesia. (Eclogae Geologicae Helvetiae, Tome Vili. p. 47). — 9 - quanto egli abbia indicato nel fondo del valloncello che scende da C. Bellaria al Yenenza, incassatovi per faglie, in alcuni punti evidenti, frammezzo ai porfidi. Tra le cave per pietrisco in essa aperte presso 0. La Posa e la sua punta occidentale alla latitudine di 0. Vigiuli, tale massa calcarea ha circa m. 750 di lunghezza col massimo di lar- ghezza di circa m. 100. E notevole la presenza di una sottile zona di scisti sericitici in- terposta fra calcari e porfidi a S.E di C. Bellaria. Massa di Crevacuore. — Non meno imperfettamente è segnata in quella carta inedita, che non la comprendono le carte stampate poste- riori, la massa calcarea di Crevacuore, notevolmente più grande delle precedenti, e che pure è una unica massa, solo divisa in due dal- l’erosione del vallone di Piasca. Essa ha circa m. 925 di massima estensione NNO-S.SE e m. 400 di larghezza e poggia direttamente sui porfidi, le cui colline lo circon- dano da tre lati, N.E, N O e S.O. I calcari dolomitici appariscono per breve tratto sul versante del T. Strona verso C. Vignola, e verso Crevacuore vengono a contatto coll’alluvione recente, mostrando di avere avuto in epoche anteriori maggiori estensioni da questi due lati. Trias di Sostegno. — La carta inedita più volte citata avanti segna con una certa approssimazione una massa di calcari secondari tra So- stegno e Villa del Bosco poggiantesi da ogni lato, eccetto che verso l’apertura della valle, sui porfidi, ed i contorni di essa furono riportati nelle sole carte geologiche generali stampate, uscite dopo sulla re- gione, in quelle cioè del 1881 e del 1889 pubblicate dal ft. Ufficio geologico, e in quella di Noe, collocando tutta quella massa secondaria nel Trias. E mentre i terreni del Fenera per la bellezza singolare del monte erano presi di mira dagli studiosi, sicché su di esso si ebbero impor- tanti lavori, che ormai ne hanno fatto conoscere in modo soddisfacente la geologica costituzione, questo lembo di Sostegno, incassato fra monti porfìrici, costituente una regione piatta a basse colline, non ha finora richiamata particolarmente l’attenzione di nessun geologo. - 10 — Vediamo ora quanto lo studio di questo lembo di terreni secon- dari, che è la ragione prima di questa notizia, sia per riuscire interes- sante. La grande massa dei calcari dolomitici di Sostegno incomincia a punta circa m. 850 a Sud della Cappella di San Rocco, presso lo stra- dale Crevacuore-Sostegno ; ma a m. 250 da quella esiste un sottile lembo staccato, ed un altro ne esiste nel versante della Sessera, pochi metri sopra la strada suddetta, proprio alla latitudine del Massucco del Turlo. Tanto quel primo lembo che l’estremità a cuneo della grande massa presentano dei contatti meccanici coi porfidi, in modo analogo a quello notato per l’estremità occidentale della massa della Bocchetta di Guar- dabosone. Intanto questi testimoni calcari ai due lati della sella Crevacuore- Sostegno ci dimostrano chiaramente la primitiva continuità degli affio- ramenti di calcari triasici dall’insenatura di Sostegno alla Valle Ses- sera. Su questi calcari sono fondati l’abitato di Groppallo, e tutta la parte sud-orientale del lungo villaggio di Sostegno. Ad oriente di San Giacomo il limite di essi scende verso il R. della Valle, che at- traversa a S.O del p. 396, oltre il quale forma gli estremi di diversi contrafforti porfìrici del M. della Gallina. Verso Ovest lo stesso limite dei calcari sale alle falde della Cima Rubattini, si prolunga presso lo spiovente del Dosso di San Bernardo e va a formare i colli su cui stanno i villaggi di Asei e di Castelletto Villa. Più a Sud, separato dai por- fidi, da strati di arenarie ad elementi porfìrici costituenti il Trias in- feriore, i calcari dolomitici sono ricoperti dalle alluvioni antiche fer- retizzate presso ^ an Fabiano, e si mostrano nelle incisioni di diversi rigagnoli presso San Giorgio e a S.E del monte Pilone, associati a strati arenacei rossigni e scuri del Trias inferiore, al contatto coi porfidi. Nella cartina della figura 1 (vedi tavola) il Trias inferiore (t1) e medio (t2) sono distinti con rigati verticali, con interposizione di punti pel primo terreno. 11 — Affioramenti di Lias. Villa del Bosco . — Però presso la cappelletti che sta all’estremità Sud dell’abitato di Castelletto Villa sono banchi sottili alternanti di cal- care marnoso e di calcare arenaceo ; sullo stradale presso C. La Rana sono calcari marnosi alternanti con brecciole e banchi di calcari are- nacei, e lungo la strada che sale a Casa del Bosco e presso il nuovo cimitero circa m. 300 a Nord dell’abitato, dove poggiano sui calcari dolo- mitici rosei, sonvi calcari marnosi e arenacei bigi teneri. Tutte queste roccie indicano chiaramente trattarsi di un terreno distinto da quello dei calcari dolomitici, dai quali presenta un distacco stratigrafico e litologico spiccatissimo. Calcari marnosi si trovano nelle colline di Rivetto, di Ferracane, nel vallone del Molino di Villa del Bosco, associati a banchi di cal- cari selciosi, scavati per pietre da coti, e nelle colline più a Sud, e sulla strada carrozzabile circa m. 500 a valle di questo ultimo abitato, ivi associati con calcari selciosi, arenacei e brecciole. Presso C. Berone e presso il cimitero di Casa del Bosco si interca- lano nei calcari marnosi banchi e lenti di brecciole ad elementi di cal- cari dolomitici e di porfido con rare spicule di spugne e crinoidi, e banchi costituiti quasi esclusivamente da crinoidi e da briozoari con poche fo- raminifere, frammenti di gasteropodi e qualche raro dente di squalo. Negli stessi calcari marnosi sono impronte scure imperfette di fucoidi e si mostrano al microscopio frequenti minute spicule di spongiari spe- cialmente calcari, di cui sono talora zeppi. Ad esempio, un campione di calcare marnoso preso nella salita della carrozzabile a Casa del Bosco si può dire essenzialmente costituito da minutissime esili spi- cule calcaree e da poche silicee di maggiori dimensioni. In mezzo ai calcari marnosi a S.O di Casa del Bosco, a destra del T. Giara si osserva una estesa massa lenticolare di una interessante roccia eruttiva che non sembra esistere nel resto delle Alpi occiden- tali, una porfirite biotitica, della quale due spuntoni si mostrano presso — 12 — la strada carrozzabile alla salita di Ferracane e nello sperone colli- nesco che è più a Sud (vedi le masse segnate in nero nella cartina della tavola annessa). Della medesima roccia ho notato numerosi filoni nei porfidi della regione. Essi hanno talora potenze rispettabili come quello in cui era aperta l’antica cava di pietra di Rongio, un tempo tanto usata nel Vercellese, cava ora chiusa per la soverchia vicinanza all’abitato, o come quello a Nord di Cima Terla, o sono assai ridotti di estensione e poco potenti come quelli di Cima Granone, indicati nella cartina geologica. La stessa porfirite biotitica la si nota in rapporti poco chiari nelle arenarie del Trias inferiore ad occidente di Rivetto, e in filone di m. 3 nei calcari marnosi presso il cimitero di Casa del Bosco \ Sotto l’abitato di Casa del Bosco e nei contrafforti collineschi del Mazzucchetto, o associati a calcari marnosi o esclusivamente svilup- pati, sono strati di argille bigio-chiare, plastiche, quasi refrattarie, e forti depositi di argille variegate, gialle, rosee, con strisce rossigne e violacee, da qualche anno scavate da una ditta milanese. Nella cartina geologica della tavola annessa la formazione dei calcari marnosi e selciosi a spicule di spugne è distinta con un pun- teggiato fitto, mentre la formazione argillosa suddetta è indicata con un punteggiato più chiaro. 1 Queste porfiriti sono roccie a fondo bigio chiaro, a grana fina, sul quale spiccano le abbondanti lamelle larghe alcuni millimetri -di biotite nera o bron- zata, soventi a contorni esagonali perfetti, o presentante generalmente una certa orientazione che talora, massime ai contatti, è spiccatissima. Gli inclusi felspa- tici biancastri (plagioclasio e ortosio) nella massa microlitica, non sempre presenti, non oltrepassano 2 o 3 mm. Tali roccie sono distintissime dalle numerose porfiriti che si incontrano ab- bondanti nei gneiss dei massicci dell’ Argenterà (Mercantour) e del Monte Bianco, nella formazione dei micascisti eclogitici del Biellese e di Valle del Lys, e nella Catena Orobica (Lombardia) dove trattasi di roccie ad inclusi essenzialmente an- fibolici e certamente più basiche. Esse presentano maggiori rassomiglianze colle porfiriti in filoni nel Trias lombardo, quantunque nella collezione Curioni non ne abbia trovata alcuna di questo tipo. Alcune delle porfiriti micacee in filoni negli strati ad Halobia dell’Adamello descritti dal dott. Riva presentano invece colle nostre molte analogie. — 13 — Il prof. Sacco nel suo lavoro citato sui terreni del biellese accenna appunto a questo deposito quando parla dell’esistenza nelle colline ad Est di Villa del Bosco di banchi « sabbioso-argillosi, giallo -biancastri od a tinte variegate, cioè con quella stessa facies di deposito marem- mano (pliocenico) » già da lui osservata nelle colline di Castellamonte e che vengono utilizzati come argilla refrattaria. Ora, se pure i rapporti fra i suddetti banchi argillosi coi calcari marnosi non sono molto chiari, a causa delle particolari condizioni di basse colline con fìtte culture e piantagioni, non mancano però dei punti nei quali la stratificazione è molto chiaramente visibile, e ci permettono dalle sole osservazioni delle pendenze, di escludere che si possa trattare di depositi maremmani pliocenici. Ad esempio, in una trincea della strada a S.O di Casa del Bosco i banchi regolarmente alternati di argille bianche refrattarie e di argille policrome ivi scavati, permettono dì osservarne le pendenze prossime ai 45°, e pendenze in vario senso dai 20° ai 35° mostrano le stesse argille in molti punti attorno alla testata del Mazzucchetto, coperta da alluvioni E tali pen- denze corrispondono non meno che le direzioni (tra S.O e S.SO) a quelle medie dei calcari marnosi sottostanti, quantunque essi abbiano talora direzioni anormali e pendenze anche di 50° e 60°. Per queste ragioni io sono disposto, in attesa di ulteriori s tu dii e ricerche per completare il rilevamento geologico della regione, a le- gare in una sola formazione liasica gli strati marnosi e calcarei con spicule di spugne e i depositi argillosi, i quali potrebbero forse costituire così un terreno liasico, formatosi in particolari condizioni di deposito. Esaminati al microscopio alcuni campioni di quelle ar- gille non presentarono traccia di organismi. Tutto questo complesso litologico rende sommamente interessante questo lembo di terreno post-triasico che circonda il villaggio di Villa del Bosco, la cui estensione da Nord a Sud non è minore di due chilo- metri, e non inferiore in superfìcie a quello del Lias del M. Fenera. Le poche ricerche fatte sul terreno non condussero al ritrova- mento di fossili caratteristici. Però, se per la facies litologica, i cal- — 14 — cari marnosi, selciosi od arenacei e le brecciole ricordavano alcune forme dell’ Eocene, le brecciole ed i calcari selciosi mi ricordarono tosto quelli del M. Fenera; dove pure, presso la Sella sono banchi decal- cificati, ocracei, che hanno una lontana rassomiglianza con alcune parti della formazione argillosa di Casa del Bosco. Esaminando lamine sottili delle diverse rocce calcaree ora men- zionate e paragonandole con quelle delle diverse forme rocciose del Lias del Monte Fenera, trovai una tale identità di struttura e di orga- nismi inclusi che, vista la poca distanza da quelle mi convinsi doversi pure attribuire al Lias la formazione in discorso di Villa del Bosco. I calcari marnosi bigi contengono, come dissi, in maggiore o minore abbondanza delle spicule di spugne, specialmente calcari, le quali si trovano pare, quantunque poco numerose, nelle brecciole, e che sono poi sviluppatissime, con prevalenza delle torme silicee, nei calcari arenacei e selciosi, specialmente nei banchi scavati per pietre da coti , in vari punti del valloncello del Molino \ È anzi senza dubbio sovratutto alla silice di queste spicule di spugne, silice minuta- mente ed uniformemente distribuita (fig. 2) che quelle roccie debbono la loro proprietà industriale, poiché i grani di quarzo sono soventi scarsi o irregolarmente distribuiti. In alcuni casi le spicule silicee sono tanto abbondanti e fra loro intrecciate che dopo un prolungato attacco coll’acido cloridrico a caldo lo scheletro siliceo rimanente si mantiene coerente, presentando ancora una certa consistenza. Così è di alcuni dei banchi di pietra da coti del vallone succitato e di certi banchi di calcari selciosi presso la strada a S.E di Ferracane 1 2. 1 Le cave di pietra da coti di Villa del Bosco sono aperte da lungo tempo, e costituiscono una piccola industria discretamente rimuneratrice. Tagliate e dirozzate alle cave sono poi mandate a Borgosesia e ad Isolella dove sono fi- nite con ruote a smeriglio. Le coti si spediscono quasi tutte in Francia pel valore di lire 10,000 circa all’anno. 2 II dott. Zaffiro Pozzi ha pubblicato nel giornale 1’ « Industria chimica » (Anno V, n. 21, 22 e 23) uno studio sopra Le pietre da coti delle valli berga- masche, le quali sono pure scavate in strati del Lias medio e del Lias infe- riore e danno un prodotto di circa 1,000,000 di lire all’anno. In tale studio, es- — 15 — Le brecciole con crinoidi, briozoari e foraminifere si trovano pure al Monte Fenera non meno che i calcari selciosi ed arenacei con spicule di spugne calcari e silicee, di cui le prime o le seconde possono prevalere. Ed è possibile trovare preparati delle due località fra loro meno differenti che non quelli di due differenti banchi della stessa località. Il prof. Parona, che primo riconobbe l’abbondanza delle spicule di spugne nei calcari marnosi del Monte Fenera, avendo paragonato con questi qualche preparato di pietre da coti di Villa del Bosco, che io lo pregai di esaminare, vi trovò identiche forme di spi- cule e lo stesso modo di distribuzione. Non mi fu dato di riconoscere nella regione alcun punto in cui senzialmente chimico, sono riportate dodici analisi complete delle principali qua- lità di pietre bergamasche e di una detta di Borgosesia, ma che in realtà proviene dalle cave di Villa del Bosco, essendo solo Borgosesia il luogo dove se ne compie la finitura. Ecco l’analisi : Si02 CaO C02 MgO Fe203 FeO A1203 MnO Na^O K20 H20 N203 N203 Sost. organ. Totale D '23.30 38 30 0.60 1.30 1.05 1.80 0.17 0.45 1.25 1.00 0.30 0.20 0.35 99.77 2.716 Il campione analizzato è un tipo tenero, cioè poco ricco di silice; ma hav- vene certamente di molto più ricchi in silice. Un campione ricco in spicule di spugne (v. fig. 2, Tav. I), raccolto presso la strada a Sud di Villa del Bosco, analizzato dall’ ing. Aichino, mostrò un tenore in silice di 62,5 sensibilmente superiore a quello dei tipi bergamaschi. In un campione di calcare selcioso dell’Alpe Fenera il dott. Rizzetti trovò un tenore di 57,37 di Si02. Il dott. Pozzi dal suo diligente studio deduce giustamente che « la sem- plice analisi chimica non ci può dare un responso sul valore commerciale di una pietra da cote » (1. c., Anno V, n. 22, p. 340). Nel numero seguente dello stesso giornale il Pozzi riferisce brevemente sull’esame microscopico in sezione sottile delle pietre da coti eseguito dal dott. Peruzzi, di cui è a rimpiangere non siasi potuto pubblicare la relazione completa. Tuttavia è risultato chiaro come le buone coti di Pradalunga siano appunto di calcari selciosi zeppi di spicule di spugne, e che altre, come quelle di Foresto e di Schwarzbach, di composizione chimica molto simile, ma che sono arenarie, la cui silice è dovuta ad elementi quarzosi inclusi, hanno industrialmente assai minor pregio. Si deve perciò ritenere l’esame microscopico di quelle pietre da coti come in- dispensabile e quasi da solo sufficiente per farci un criterio concreto delle loro qualità industriali, e ne consiglieremmo l’uso come mezzo diagnostico assai più spiccio e praticamente più concludente, specialmente quando si tratti di met- tere a coltivazione dei nuovi giacimenti. — 16 — sia sviluppata la forma di arenarie rosse tanto caratteristiche, le quali al Monte Fenera, per analogia colle pietre di Viggiù e di Sai- trio, furono dal Parona collocate nel Lias inferiore (1. c.). Cosicché non abbiamo nessun dato per affermare resistenza di quel termine del Lias nel bacino di Sostegno. Ci sono anzi alcuni fatti che potrebbero far credere all’esistenza di una lacuna fra i calcari dolomitici del Trias e questa formazione basica Dal lato orientale, ad esempio, i calcari marnosi bigi si appoggiano presso Casa del Bosco da una parte sui calcari dolomitici e dall’altra direttamente sui porfidi, anche nel basso del Pio del Tagliato. La mancanza del Trias in questo tratto può essere spiegato o coll’avvenuta erosione di esso prima del deposito del Lias, o colla trasgressione di questo sui porfidi, o infine ancora con una faglia, secondo la quale i terreni secondari essendosi abbas- sati rispetto al porfido, il Lias sia stato portato a diretto contatto di questo, la cui coperta triasica sarebbe stata erosa. Questa ultima ipotesi sembrerebbe avvalorata dall'andamento di quel limite e dalla evidenza di tracci e di faglia tra porfido e calcari dolomitici a Nord di Casa del Bosco, ed a Nord di Sostegno, nonché dalla analogia che il fenomeno avrebbe con quello realmente accertato al lato occidentale del Monte Fenera, del quale avrò occasione di parlare fra poco. Noto ora per incidenza come a N.E di Ara, in destra del T. Ma- giaga, sui calcari dolomitici visibilmente erosi poggiano in masse a stratificazione imperfetta dei calcari a minute macchie rosse, zeppe di crinoidi, con frammenti di calcari dolomitici che sembrano tenere ivi il posto delle arenarie rosse. Malgrado questa mancanza di completa analogia nella serie e la presenza di forme particolari nella interessante formazione di Villa del Bosco, io credo, che pure riservando ogni più precisa attribuzione noi possiamo fin d’ora affermare, in genere, l’età basica di essa, basan- doci sulle analogie litologiche e microfaunistiche col Lias del Monte Fenera, distante solo otto chilometri. Nutro speranza che ulteriori ricerche possano condurre al ritro- vamento in questa località di qualcuno dei fossili caratteristici trovati — 17 — dapprima al Monte Fenera dal Pareto e dal venerando prof. Calderini, cioè di ammoniti. Lias di Val Cremosina. — Un lembo di Lias, determinato pure riferendomi alle analogie litologiche con quello del Monte Fenera, è quello ristrettissimo che affiora in mezzo a micascisti ed è in parte, visibile, sopra pochi mq., nella trincea della strada dalla Cremosina, al rapidissimo risvolto di essa che è a Sud di Romagnasco, a meno di un chilometro da Valduggia. Sono calcari arenacei e marnosi, con impronte indeterminabili e lenticole carboniose, in piccoli banchi vi- sibili anche sotto il vicino ponte, ma non estesi più di 50 metri. Gli strati arenacei con carbone ricordano perfettamente g’i analoghi che si osservano alla Sella di Fenera, e sono come quelli zeppi di spicule di spugne silicee e calcari. Linee di frattura . La posizione di questo lembo nel fondo di una valle incisa in roccie micascistoso -gneissiche è analoga a quella del lembo triasico di Val- duggia; sono due lembi di terreni secondari isolati in fondo a valli gneissiche. Ma mentre il calcare triasico presenta almeno da un lato un testimone della roccia che al Fenera serve di base al Trias, i cal- cari del Lias sono direttamente sovrapposti ai micascisti. Anche per questa masserella di Lias potrebbe supporsi che si tratti di un lembo trasgressivo, ma pel lembo di Trias non possiamo emettere la stessa ipotesi, a meno che non si supponga come casuale la vicinanza degli affioramenti di porfido quarzifero e di calcari do- lomitici, nel quale caso bisognerebbe supporre il porfido come iniet- tato in filone nei micascisti. La forma litologica stessa del Lias inferiore che a Monte Fenera, a Viggiù ed a Saltrio è costituita da arenarie, dimostra che anterior- mente a questo terreno fuvvi un importante cambiamento nelle con- dizioni del deposito, ossia nei rapporti fra mare e terraferma. Il quale — 18 — < cambiamento se pure non ha impedito la continuità del deposito dal Trias superiore al Lias inferiore in alcuni dei punti dianzi menzio- nati, ebbe invece per effetto di sommergere i porfidi di Gozzano, sopra cui si è depositato direttamente il Lias medio 1. Sembrami però che in ogni caso la posizione di questi lembi staccati di terreni più giovani incassati nei micascisti possa essere in relazione con qualche grande frattura, che forse il seguito del ri- levamento permetterà di riconoscere. Noto intanto che la linea congiungente i due lembi di Trias e di Lias corrisponde al fondo della Val Cremosina in quel tratto, e che il suo prolungamento verso oriente si mantiene prossimo a diversi tratti importanti del thalweg della stessa valle passando presso la bassura della Cremosina. Il prolungamento di quella stessa linea verso occidente taglia quasi nel suo mezzo il seno pliocenico di Yalduggia, senza incontrare roccie antiche a sinistra della Sesia, e a destra di essa cade nei pressi della Bocchetta di Guardabosone in corrispondenza delia massa triasica di C. Bellaria, che dicemmo pure in parte incassata nei porfidi per faglie, le quali hanno all’incirca la direzione di quella grande linea. Questa grande linea di frattura, avente all’incirca la direzione N-64°-E, sarebbe trasversale, quasi ad angolo retto (82°) alle linee di frattura notate tra Crevacuore, Sostegno e Casa del Bosco, legate forse ad una grande frattura, ed alla grande frattura realmente con- statata ad oriente del Monte Fenera. Il piano di questa ha direzione N-18°-0 e pendenza di circa 50° verso occidente. All’ incirca parallele e con pendenze analoghe sono le fratture di Sostegno. La frattura importante del Monte Fenera non venne riconosciuta dagli autori che prima si occuparono della geologia del monte; e 1 II prof. Parona, da me interpellato, gentilmente mi risponde sembrargli doversi escludere che il contatto del Lias medio di Gozzano coi porfidi sia un contatto meccanico. Si tratterebbe perciò di una trasgressione di questo terreno sui porfidi, per effetto di movimenti del suolo che si sarebbero protratti dalla fine del Trias fino all’inizio del Lias medio. - 19 — primo il dott. Rasetti, nel suo diligente lavoro, accompagnato da una carta geologica di esso monte, la quale segna notevoli progressi sulle precedenti, e da profili, accenna ad una frattura verticale nella parte meridionale di esso, in corrispondenza del torrente Magiaga, ma non lo indica più alla Colma; anzi egli segna ivi una sottile striscia di porfido come interposta fra la base del Trias ed i gneiss \ Ora a me sembra che il dott. Rasetti non abbia giustamente in- terpretati i frammenti porfirici che presso il Cimitero della Colma separano, associati con materiale argilloso varicolore e specialmente rosso, i calcari dolomitici dai gneiss, poiché non si tratta di roccia in posto ma di elementi di una zona melmosa e brecciosa di frizione 1 2. E d’altronde evidente che una frattura importante come quella indi- cata nel torrente Magiaga dal Rasetti e messa in evidenza dai con- torni geologici non possa cessare di botto. E infatti la frattura che a Sud separa prima il Trias, poi il Lias dai porfidi, ai due lati della Colma il Trias dai gneiss, ai due lati della Strona separa i porfidi dai gneiss, come pure alla falda orientale della montagnola che sta a Sud di Crabbia inferiore 3 * 5. Dal lato meridionale la frattura passa alla selletta sopra case Bertasacco e subito ad occidente della testata re- cante la quota m. 557, per scendere lungo il fondo del valloncello ad 1 Anche il dott. Kaech indica, in un suo profilo passante pel Monte Fonerà, una faglia con forte pendenza verso valle, mentre che, data la pen- denza a S.O di circa 50° della superficie di faglia, quale risulta geometricamente dal rilievo geologico, in quel profilo, che taglia assai obliquamente (a circa 56°) quella superficie, la linea di intersezione dovrebbe avere pendenza non supe- riore ai 35° verso monte. Per la stessa ragione la linea di faglia nel profilo del dott. Rasetti dovrebbe avere pendenza di non più di 40° verso monte. 2 II Gastaldi dice pure vedersi « una striscia di porfido segnare la base del Penerà » e aggiunge: « il porfido, alla Colma, contiene, ingloba frammenti e detriti di micascisti » deducendone l’età più antica di questi. Si tratta ap- punto di quella zona di frizione nelle cui parti argillose sono detriti e di por- fido e di micascisto. 5 È certamente da riferirsi a breccie di frizione di questa frattura il con- glomerato porfirico notato dal signor Neri fra i porfidi ed i gneiss nel tor- rentello di Crabbia. — 20 oriente del Colle della Piana, e va a tagliare i porfidi della collina sotto cui passa la galleria ferroviaria. Si tratta adunque di una frattura clie si può fin d’ora seguire per circa 4 chilometri. Il profilo della tavola unita attraverso la Sesia, il Monte Penerà e la Strona di Yalduggia mostra come il rigetto della faglia non sia inferiore a m. 300, pure supponendo che l’insieme del Trias si vada assottigliando dal lato della Colma, e che il movimento sia avvenuto con un abbassamento rispetto ai gneiss di tutta la massa del Monte Fenera, ovvero con un innalzamento rispetto a quest’ultima della massa dei gneiss. Ora se noi nel profilo immaginiamo, per un istante, risollevata di tanto questa massa del Monte Fenera, il dislivello fra il Lias di tale monte e quello del lembo di Val Cremosina diventa tanto più ine- splicabile, quando non si ricorra ad altre faglie che abbiano prodotto l’abbassamento di quest’ùltimo lembo rispetto alla massa gneissica della Colma. Del pari inesplicabile sarebbe, senza l’ipotesi di altri importanti fratture con forti rigetti, il dislivello fra il Trias del Monte Fenera e quello dei lembi di Yalduggia e di Crevacuore, imbasati rispettiva- mente sui micascisti e sui porfidi. La massa del Fenera, nell’ipotesi del suo abbassamento rispetto ai gneiss, doveva essere circoscritta da altre fratture, di cui una po- trebbe corrispondere al taglio della Valsesia. Queste fratture d’altronde, reali ed ipotetiche, non rappresento • rebbero che la prosecuzione verso occidente in questa zona prealpina della interessante rete di fratture longitudinali e trasversali osser- vate nelle regioni dei laghi, delle quali ha dato un chiaro schema il prof. Tarameli! nel suo lavoro : 1 tre laghi (Milano, 1903). La frattura ipotetica della Yal Cremosina avrebbe una direzione assai prossima a quella dei dicchi porfirici dei dintorni di Bolzano e non sarebbe gran che divergente dalla frattura Arona-Angera indi- cata dal Taramelli. 1 Boll, elei B- Comif. Geol. d’Italia Fig. 3a - Profilo fra la Valle Sesia e la Valle « "Bornafe C. F enspa Sella di Fenera 482 m F. Sesia 677 m. Cimitero d Anno 1904. 1 av. Iil ( S. Franchi ) Fig. 21‘ - Calcare selcioso a spìcule di spugne - Ingr. 30 t). ■emosina attraverso il M. Fenera. ma 'Raschetti Strona di Valduggia — 21 — Avvertenza. Le analogie tra la formazione dei calcari marnosi ed arenacei di Villa del Bosco e quelli del M. Fenera non sfuggirono alle osservazioni di L. Pareto, che disse fin dal 1858 doversi quella formazione collocare nel Lias (Sur les terrains dii pieci des Alpes dans les environs dii Lac Majeur ed du Lnc de Lugano. Bull. Soc. geol. fr., II Serie, Voi. XIV, p. 49). Il chiaro geologo notò pure la massa di porfirite biotitica a Xord di Castelletto Villa, che paragonò al porfido azzurro delFEsterel, ma non vide le masse di essa inserite nei terreni secon- dari, le quali permettono di affermare che la intrusione loro risale almeno al Lias medio. Di queste osservazioni non avendo visto traccia nei lavori posteriori, non ne avevo io stesso tenuto conto. Rendo grazie al Prof. Caramelli a cui debbo se posso in parte riparare a tale omissione. SPIEGAZIOXE DELLA TAVOLA. Fig. 1. — Abbozzo di carta geologica dei dintorni di Villa del Bosco, ad 1 : 25,000. Permiano , porfidi quarziferi (P, rigato orizzontale grasso) con dicchi di porfirite biotitica (nero pieno). Trias inferiore , arenarie ad elementi di porfido ( t 1 rigato verticale intra- mezzato da punti) con dicchi di porfirite biotitica (nero). Trias medio , calcari dolomitici (/2, rigato verticale). Lias medio , calcari marnosi con calcari selciosi ed arenacei a spicule di spugne ecc. (/, punteggiato fitto) con filoni di porfirite micacea (nero). Lias medio / formazione argilloso-ocracea (punteggiato meno fitto). Pliocene (PI, tratteggio orizzontale). Alluvioni antiche (crocette). Alluvioni recenti (bianco). Fig. 2. — Veduta microscopica in luce naturale di una lamina sottile di un calcare zeppo di spicule di spugne silicee con poche calcaree, di un banco presso lo stradale a S.E di Ferracane. Ingrandimento 30 D. Fig. 3. — Profilo fra la Valle Sesia e la Valle Cremosina attraverso il Monte Fenera. ms st gr - micascisti a due miche con staurotide, granato e tormalina; gn - gneiss; P ■ porfidi; T1, T2, 1 3 - Trias inferiore, medio e superiore; P1, L2 - Lias inferiore e medio; PI - Pliocene. I lembi di porfido (P) e di Trias medio (T1) segnati in punteggiato nella fig. 3 rappresentano la proiezione sul profilo dei lembi sopra indicati presso Valduggia. — 22 — IL P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vul- cani Vulsini. ( Continuazione , vedi N. 4 del 1903). Yulcano eli Bolsena. 1 Ed eccoci giunti al quarto gruppo, che prende il nome dalla città di Bolsena (l’antica Fokuna degli Etruschi, la Vulsinium dei Romani, la Volseno del medio- evo) la quale giace in riva al vasto lago omonimo ed offre un incantevole panorama. Il Yulcano di Bolsena è limitato a Nord dal fiume Paglia, ad Ovest dal Yulcano di Latera, a Sud da quello di Montefìascone e dal lago, ad Est dalla Valle Tiberina. Questo interessantissimo centro vulcanico, non ancora stato considerato come tale e che comprende tutta la parte N.E della regione Yulsinia, presentasi in un modo affatto diverso dagli altri, ed ha una fisonomia del tutto caratteristica : fa- cendo astrazione dal Yulcano di Capodimonte, il di cui edifìcio prin- cipale s’indovina ma non si vede, nei vulcani di Latera e Montefìa- scone abbiamo veduto una serie di bocche eruttive principali e secondarie, che si possono approssimativamente classificare secondo l’ordine cronologico della loro età rispettiva, seguirne le diverse fasi e riconoscerne spesso le colate di lava che ad ogni bocca apparten- gono. Qui nulla di tutto ciò ; invece di grandiosi edifici vulcanici con 1 Ho chiamato con il nome di Bolsena il gruppo vulcanico nel centro del quale è situata questa città, ed il piccolo cratere che pare esistesse vicino ad essa; ho poi distinto con il nome di cratere Yulsinio il grande cratere princi- pale del gruppo. — 23 — le relative loro bocche avventizie perfettamente riconoscibili, abbiamo un’infinità di piccole bocche eruttive adiacenti le une alle altre, disse- minate attorno a Bolsena sopra una zona che abbraccia più di una quarta parte dell’intero circuito del bacino lacustre, e la cui estre- mità S.E è segnata dal cono di Poggio Cerretella, quasi a metà di- stanza fra Bolsena e Montefiascone, e l’estremità N.O dal cono di Casale Truscione, nella Macchia di Lutinano. Dal lago si sale all’altipiano a Nord di Bolsena, per tre o quattro grandi scaglioni formati da colate di lave diverse: questa disposizione fa si che i punti eruttivi costituenti questo centro vulcanico, si mostrano ben diversamente a seconda che vengono osservati dal lago o dall’al- tipiano. Visti di sotto, cioè dalla parte del lago, l’osservatore vede una serie di coni vulcanici, che si sovrastano gli uni agli altri, ele- vandosi alcuni fino a 300 metri al disopra dello specchio dell’acqua, dando così al paesaggio un aspetto grandioso. Visti invece dall’alti- piano, essi formano una superficie ondulata od a piccole collinette ricoperte da materiali vulcanici, come in generale si presentano i dintorni di centri eruttivi, ma non si prenderebbero essi stessi per bocche eruttive. Tutto l’altipiano che si eleva di circa 250 metri sopra Bolsena e la circonda da Nord e da Est, è costituito quasi esclusivamente di lapilli sciolti, i di cui strati inclinano generalmente verso il lago: la regione si rivela subito a colpo d’occhio, come zona immediata- mente limitrofa ad un grandioso centro eruttivo ; ma nello stesso tempo si comprende facilmente che gli agenti atmosferici alle prese con ma- teriali tanto incoerenti, debbono^aver modificato dove più dove meno profondamente l’aspetto della regione. Da questa considerazione si è messi in guardia contro la possibile accidentalità di alcune forme co- niche, le quali potrebbero essere dovute soltanto all’erosione invece che all’esistenza di propri e veri coni vulcanici. Infatti, dato un po- tente accumulamento di lapilli, scorie, ceneri e sabbie, dove le acque abbiano tracciato profonde solcature e burroni in varie direzioni, isolando dei tratti di superficie, questi dovranno prendere a poco a — 24 — poco delle forme coniche, che per i materiali di cui sono costituiti, sarà impossibile distinguerli da un vero cono eruttivo, specialmente laddove folta boscaglia li riveste ed impedisce, come accade appunto nei dintorni di Bolsena, di verificare la condizione del caratteristico forte rialzamento degli strati da tutte le parti verso la sommità del cono Tutti i coni che si trovano situati fra S. Lorenzo e Bolsena, for- mano come tre gradini o scaglioni, e ad eccezione dei tre conetti dei Poggi del Giardino, conservano poco la loro forma caratteristica, anzitutto perche si svilupparono sul ciglio o nell’interno del recinto, quindi mentre da una parte avevano un abisso da ricolmare con le loro deiezioni, le quali per poco abbondanti che fossero dovevano as- sumere subito la forma conica, dalla parte opposta si distendeva l’al- tipiano, o si alzava la parete del recinto e da questa parte i coni prendevano una forma leggermente mammellonare o l’aspetto di gra- dini: perciò quelli sul ciglio emergono poco su l’altipiano e visti da questa parte sembrano collinette dovute all’erosione; quelli nell’interno, molti sono rimasti investiti dai franamenti avvenuti, che hanno livel- lato la superficie per larghi tratti. Il tempo con la sua opera demo- ' litrice ha portato il proprio contributo alla rovina parziale di queste bocche eruttive scavando fossi di scolo in tutte le direzioni, aspor- tando una parte dei materiali che costituiscono le bocche situate nella parte più alta del recinto, addosso a quelle situate più in basso : da ultimo la mano dell’uomo vi ha avuto pure la sua parte. Sappiamo infatti che Yulsinio era una città importante, situata appunto sopra un cono (Piazzano); su altri coni erano le necropoli (Yietena ed altre); la regione era molto abitata: vi esistevano ville, strade, eco., per cui molte bocche devono aver sofferto assai per i lavori dell’uomo. Oggi in mezzo ai boschi più folti, si presentano all’improvviso qua e là, dei tratti di strade consolari con i caratteristici lastroni poligonali, che davvero non si supporrebbero in certi luoghi, oggi affatto deserti ed im praticati. Fra Bolsena e Poggio Cerretella, dalla parte di Montefiascone, la 25 — disposizione delle bocche su tre scaglioni è meno regolare, ma anche da questa parte si sviluppa una quantità di bocche eruttive sul ciglio del recinto, a mezza costa ed al piede di esso. Le eruzioni di queste bocche, come del resto nella maggior parte anche di quelle a destra di Bolsena, dovettero essere accompagnate da piccolissimo sviluppo di vapore acqueo, e perciò le medesime non proiettarono molti materiali detritici, ma emisero invece abbondanti colate di lave. Da questo fatto derivarono piccoli coni schiacciati e poco riconosci- bili, che spesso stanno fra il vulcano omogeneo e quello stratificato , i di cui strati pendono verso il lago, ma in molte località si vedono sopra un versante solo del cono, poiché essendo stati totalmente asportati i materiali detritici, dall’altra affiorano i tufi del cratere Vulsinio la cui stratificazione, rialzata verso il centro del grande cra- tere, non corrisponde con quella dei materiali del cono, quindi diffi- coltà grandissime nel riconoscerli. E le difficoltà aumentano per le erosioni avvenute, poiché è pro- babile che qualche bocca possa essere stata divisa in due e mancano tutti gli elementi per accertarsene, principalissimo quello dell’inclina- zione dei tufi. Spesso unica guida rimane la presenza delle lave, ma queste neH’interno del recinto pendono tutte verso il lago, e quando si crede che un lembo di lava rappresenti una colata, per esempio di un cono situato a mezza costa del recinto, quel lembo di lava po- trebbe invece esser parte di una colata maggiore, separata dall’erosione o ricoperta in parte da franamenti, emessa da una bocca situata più in a’to, mentre la collinetta avente forma conica potrebbe -essere essa stessa il risultato dell’erosione. Quasi nessuna di queste bocche conserva bene il profilo di cono; per lo più sono colline che si elevano una su l’altra, e se verso il lago presentano il profilo conico, dalla parte opposta sono segnate sì e no da una vallecola o da una piccola ondulazione di terreno, perchè, come ho già notato, da questa parte vi era la parete del recinto o l’altipiano, e più tardi furono livellate dai franamenti. I conetti di Monterado, del Fontanile di Monterado e di Poggio Girella, sono gli unici che, per quanto schiacciati, conservano il profilo di coni, ma lo conservano perchè si trovano sul ciglio del grande cratere e non po- terono essere investiti dai materiali trasportati dall’alto. Il Monterado stesso con le sue grandi colate, se si fosse trovato a mezza costa del recinto, sarebbe stato facilmente ricoperto e reso irriconoscibile dalle frane. Questo stato speciale di cose nel Vulcano di Bolsena, rende diffìcilis- simo il riconoscimento delle bocche eruttive e potrà avvenire che si tralasci di comprendere fra di esse qualcheduna che lo è veramente, e vi si comprenda invece qualche collina che l’erosione ha isolato e messo in certo qual modo in evidenza. D’altra parte si comprende pure fa- cilmente come le bocche avventizie che ancora si riconoscono in questo grandioso centro vulcanico, non possono rappresentare che una parte soltanto di quelle che effettivamente dovevano esservi, poiché molte di esse saranno state di certo demolite interamente o ricoperte. Anche per la regione che si estende attorno al Vulcano di Boi- sena, manca ancora in gran parte, come ho già accennato, il rileva- mento geologico particolareggiato ed uno studio petrografico completo delle sue rocce, sicché neppure per questo potrò scendere a molti particolari nella descrizione delle singole bocche eruttive; di esse non sempre le figure riportate nella annessa Carta dimostrativa, rappre- sentano il vero perimetro, ma per molte indicano soltanto la posizione rispettiva, giacché, erose od alterate, mancava ogni elemento per rico- struirle. 46. Cratere Valsinio. — Ho detto che il Vulcano di Bolsena è costi- tuito da un grande numero di piccoli coni, e crateri assieme riuniti, e ad immediato contatto gli uni con gli altri, nelle parti Nord e N.E del recinto lacustre ; ho anche osservato che in questo gruppo non si riconoscono gli avanzi di grandi edifici principali che in proporzioni diverse si ammirano nei due vulcani di Latera e di Montefìascone, e facilmente s’indovinano in quello di Capodimonte, edifìci centrali o principali che troviamo sempre in tutti i vulcani spenti od attivi. Se ho negato o procurato di dimostrare, che nei vulcani Saba- tini e Vulsini i grandi recinti lacustri non rappresentano il cra- tere principale, in queste due regioni vulcaniche, ma sebbene un’acci- dentalità indirettamente provocata dal vulcanismo, ho pure dimostrato che in tutti i gruppi di bocche eruttive esistenti attorno a questi re- cinti lacustri, ve n’è sempre qualcuna che per la sua posizione e gran- dezza rispetto alle altre, rappresenta la bocca principale, che alle volte per diminuita energia si è venuta gradatamente rimpiccolendo, tal’al- tra per successivi spostamenti del canale eruttivo, ha formato diversi grandi edifici sopra una data linea di frattura, ma la bocca o le bocche principali esistono sempre in ogni gruppo e sono perfet- tamente riconoscibili dalle bocche secondarie od avventizie da esse dipendenti ; sicché non vi era bisogno di un edifìcio che dirò princi- palissimo o centro dei centri, quali sarebbero nella fantasia di alcuni i due laghi Sabatino e Vulsinio. Soltanto nel gruppo di Bolsena questa condizione non si verifica; nessuna delle bocche eruttive del gruppo può essere considerata come principale e se qualcuna presenta dimensioni maggiori delle altre boc- che avventizie sviluppatesi sopra di essa, non potrà mai essere ragio- nevolmente considerata come la bocca principale del gruppo, ma semplicemente come una bocca secondaria di maggiore importanza. Dunque tutte le bocche eruttive ancora riconoscibili nel Vulcano di Bolsena, si debbono ritenere come bocche secondarie ; ed è mai possibile che questo centro vulcanico il quale conta il maggior nu- mero di bocche secondarie (M), cioè da se solo quanto gli altri tre centri presi assieme, è possibile, dico, che facendo eccezione alla re- gola generale, non avesse anch’esso la sua bocca principale, e mentre le forze endogene costruivano poco lontano immensi apparati eruttivi, si limitassero in questa parte a formare soltanto dei piccoli edifizi, anzi i più piccoli edifizi dei Vulcani Vulsini? No, non è ammissibile ; il grande numero di bocche secondarie non può autorizzare a credere che qui in luogo di grandi edifizi se ne siano formati molti piccoli, perchè essi dimostrano invece la maggiore — 28 — intensità delle forze endogene che si svilupparono in questa zona anche nel periodo decrescente, e per conseguenza l’edificio principale doveva esistere anche nel Vulcano di Bolsena e non poteva per dimensioni essere inferiore a quelli degli altri centri vulsini. Che il grande edi- fìcio centrale dovesse esistere anche qui ce lo assicurano i potenti accumulamenti di tufi proiettati e le imponenti colate di lava eruttate, gli uni e le altre non inferiori a quelli di Latera e Capodimonte ; ma se le vicende di questo gruppo rea dono oggi più difficilmente ricono- scibili le rovine di questo sco sparso edifizio vulcanico, pur nondi- meno tenterò per via indiretta di dimostrarne la esistenza. E prima di tutto fermiamoci a considerare le colate di lava : in tutte le bocche secondarie dei Vulcani Vulsini abbiamo verificato talvolta delle colate imponenti emesse da modesti apparati eruttivi, ma quasi sempre essi si trovano ad una certa distanza dall’edilìzio centrale, e probabilmente si saranno attivati durante i periodi di calma di questo, per modo che tutta l’energia delle forze endogene dovette manifestarsi per quelle vie secondarie od eccentriche. Ovvero essendosi la bocca principale eccessivamente impiccolita rispetto all’in- tensità delle forze endogene ancora esistenti, come avvenne nel 3° periodo o andesitico del Vulcano di Latera, le bocche secondarie di Monte Becco, Semonte, Monte Marano e Monte di Cellere, emisero grosse colate di lava, quasi come succursali della bocca principale : in tutti gli altri casi, quando cioè si tratta di vere bocche avventizie, ossia di quei piccoli edilìzi vulcanici, esistenti per lo più sul ciglio dei crateri o dentro di essi che, dapprima semplici fumarole, si vennero man mano ingrandendo, dando luogo a piccole eruzioni, noi troviamo sempre che le colate da essi emesse sono assai modeste, e spesso non escono dai confini dell’edilìzio stesso. La grande maggioranza delle bocche eruttive del Vulcano di Boi- sena appartiene appunto a questa categoria, e le lave da loro emesse sono tutte contenute entro il bacino lacustre; per quelle poche bocche poi di maggiore importanza, che si trovano entro e fuori di questo bacino, come Torre Alfìna, Casale Truscione, Sterta, Monte Landro, Monte- rado, eco., le rispettive colate sono bene riconoscibili. Ma la grande colata di leucitite che sta sotto alla trachite della Macchia di Luti- nano, emessa dalla bocca di Casale Truscione, e raggiunge quasi Aoquapendente a Nord del lago, quella di tefrite ai Sassi del Diavolo presso Orvieto a N.E, distante circa 12 chilometri dal ciglio del recinto lacustre, e l’altra più antica, interamente ricoperta dai tufi, che vedesi ad Est dei Sassi dd Diavolo , soltanto in sezione tra il fosso Ceneroso e Castellucchio a S.E di Orvieto, quelle di leucitofiro di Lubriano e Bagnorea ad Est, da quali edifici vulcanici furono emesse? Dai piccoli coni avventizi che descriverò in seguito, no cer- tamente. D’altra parte queste colate di lava d’ignota provenienza, che af- fiorano al limite della regione Yulsinia, sono comprese appunto nel settore che si estende da Nord ad Est, che corrisponde perfettamente con la zona occupata nel recinto lacustre dalle numerose bocche del Vulcano di Bolsena. Dopo avere dimostrato che questo agglomera- mento di piccoli e piccolissimi edilìzi vulcanici, non può considerarsi altrimenti che come un complesso di bocche avventizie sviluppatesi sul recinto di un grande cratere, dopo aver detto che al difuori del re- cinto lacustre, ma nel raggio corrispondente alla zona occupata da queste piccole bocche, esistono imponenti colate di lava, non inferiori a quelle emesse dagli altri centri vulsini, mi pare emerga per con- seguenza logica, che la zona su la quale si sviluppò questo carat- teristico agglomeramento di bocche eruttive, deve grossolanamente se- gnare una parte del grande cratere o bocca principale del gruppo di Bolsena. Ricostruendo quindi teoricamente la curva segnata dalla corona di colline che si distendono a destra e a sinistra di Bolsena, su le quali sono raggruppate appunto tutte le bocche eruttive più volte accennate, colline che verso il lago sarebbero delimitate a S.E dal fosso Mal- tempo, fra Bolsena e Montefìascone, ed a N.O dal fosso detto Fiume, che scende dalle Grotte di Castro, si verrebbe a disegnare il perimetro d’un cratere di forma ellittica, con l’asse maggiore diretto N.O-S.E, 30 — avente all’incirca le dimensioni di quello di Latera e nel quale reste- rebbe compreso tutto l’angolo N.E del lago. Questa parte del recinto lacustre, al pari di tutto il restante, non presenta il profilo caratteristico d’un cratere, nè vi corrisponde in generale la stratificazione dei materiali ; però qui la ragione è mani- festa, poiché la grande quantità di bocche avventizie così vicine fra di loro, sviluppatesi in seguito, dovevano necessariamente non solo alterare ma distruggere affatto la prima forma craterica, e ricoprire con le nuove le antiche deiezioni. Tutti questi piccoli coni e crateri assieme riuniti, che segnereb- bero la metà circa del cratere Vulsinio, danno a questa parte del recinto lacustre un aspetto più accidentato, specialmente nei dintorni di Bolsena, a Nord della quale si trova il punto più elevato di tutta la regione Vulsinia; l’altra parte di cinta craterica sarebbe stata distrutta da uno sventramento avvenuto verso S.O, più o meno verso la stessa parte dove rimasero sventrati i crateri di Latera e di Yepe. I limiti di questo cratere sono del resto abbastanza nettamente segnati dalla topografia e dalla disposizione degli accumulamenti di materiali vulcanici : fra Bolsena e Montefiascone il Poggio Oerretella, a Nord del fosso Maltempo, segna il limite del cratere Vulsinio poiché tanto a Sud che ad Est di questo cono del Vulcano di Bolsena si vedono gli strati di tufi e lapilli rialzati verso Montefiascone. Su la strada orvietana, venendo da Orvieto, fino a Monterado i tufi ad Est sono orizzontali, mentre quelli ad Ovest sono rialzati verso il centro del cratere Vulsinio, e da questa parte la stessa via rappresenta ap- punto grossolanamente il limite del cratere ; discendendo da Monterado per Cecala e Monte Segnale al lago, nelle sezioni naturali che presen- tano le erosioni dei fossi, al disotto dei materiali eruttati dai coni avven- tizi, vi sono i tufi appartenenti al cratere Vulsinio caratteristicamente rialzati verso N.O, cioè verso il centro del medesimo. Questo fatto si può osservare specialmente nel fosso al disotto di Casale Tascionara, dove si vedono nella parte più bassa strati di lapilli scoriacei e ceneri for- temente rialzati verso il centro del cratere Vulsinio, ricoperti da 31 grossi banchi orizzontali di tufo incoerente probabilmente di trasporto ; soltanto in questa parte S.E del recinto del grande cratere Vulsinio, si distinguono ancora nettamente i materiali detritici che ad esso appartengono Dalla parte opposta, cioè fra San Lorenzo e Grotte di Castro, il limite del cratere V ulsinio è anche più nettamente segnato, poiché vi è nel profilo del recinto una depressione che segna sicuramente il confine del cono di Latera, e da questo punto s’innalzerebbe in senso opposto il recinto del cratere Vulsinio, come del resto è chiaramente dimostrato anche dalla disposizione dei materiali. L’esistenza di questo cratere spiegherebbe altresì quella del lago, il quale si sarebbe formato in seguito allo sventramento del cratere Vulsinio e di quello Martano, ed allo sprofondamento di quello Risen- tine, fatti che avrebbero provocato il franamento delle zone di su- perficie adiacenti alle tre grandi bocche eruttive, originando la conca che divenne poi il lago ; se di questo franamento occorresse una prova, la medesima ci viene fornita dall’isola Bisentina, la quale come ab- biamo visto è un relitto di superfìcie su la quale fluirono delle lave provenienti da una bocca eruttiva scomparsa. La posizione poi del cratere Vulsinio all’estremità settentrionale del bacino lacustre, e quella del cratere Bisentino che dal centro estendesi verso l’estremità meridionale, spiegano la forma ellittica del medesimo, come l’esistenza del cratere Martano nell’angolo S.O del lago spiega l’irregolarità che presenta da questa parte la linea perimetrale del lago. Inoltre, se da ponente il fondo del lago si abbassa dolcemente, mentre da levante scende rapidamente ed in qualche punto quasi a picco alla profon- dità di 100 metri, lo si deve al fatto che da quella parte s’eleva il grande cono del Vulcano di Latera, la di cui parte inferiore continua al disotto dello specchio dell’acqua, mentre in questa è la voragine lasciata dallo sventramento del cratere Vulsinio. Il cratere Vulsinio, come quello di Latera, deve avere avuto di- versi periodi eruttivi, che ci sono indicati dalla natura diversa delle lave che costituiscono le varie colate uscite da esso ; a Orvieto vi è la tefrite, a Lubriano e Bagnorea il leucitofìro, fra Torre Affina, Ac- quapendente e San Lorenzo vi è la trachite, landesite e la leucitite ; vi sono cioè tutte le qualità di lave die abbiamo trovato nel Vul- cano di Latera'; ma mentre in quel centro è possibile seguire, sia pure approssimativamente, le successive trasformazioni della bocca centrale e riconoscere le colate rispettivamente da essa emesse nei vari periodi, qui nulla di tutto ciò è possibile. Una metà del cratere Vulsinio è scomparsa ; l’altra metà ci si presenta deturpata ed irriconoscibile per la quantità di piccole bocche avventizie svilup- patesi, come enorme fungaia, su di esso; quindi è impossibile sapere quali e quante trasformazioni abbia subito questa bocca principale prima di sfasciarsi ed estinguersi"; chissà se lo sventramento del cra- tere sia stato l’ultimo atto delle sue grandiose manifestazioni, od in- vece questo fatto fa seguito alla formazione di bocche sempre minori che preludevano all’estinzione graduale del centro eruttivo ? Infatti, osservando minutamente la disposizione delle bocche av- ventizie, sul recinto del grande cratere Vulsinio, si vede che le me- desime formano, come fu già accennato, tre scaglioni i quali se sul terreno molto frastagliato ed in gran parte boschivo non sono abba- stanza appariscenti e facilmente distinguibili con un esame sommario, pure su la annessa Carta dimostrativa risultano abbastanza chiara- mente. Questi tre scaglioni rappresentano forse i frammenti di tre cinte concentriche del grande cratere, ristrettosi successivamente e su le quali svilupparonsi in grande quantità le bocche avventizie alte- randosi, distruggendosi a vicenda e ricoprendo con i loro edifizi quello principale. Nel Vulcano di Bolsena si sono riconosciute tutte le qualità di lave esistenti nel Vulcano di Latera, ma la mancanza del rileva- mento geologico particolareggato della parte orientale della Begione Vulsinia, e dello studio petrografico completo di tutte le lave esistenti da questa parte, impedisce di conoscere esattamente tutti gli affiora- menti loro, la natura di esse e la posizione rispettiva delle colate di lave diverse. — 33 — A Nord del cratere Vulsinio, nel tratto di superficie compreso fra Torre Alfina, Acquapendente e San Lorenzo, del quale esiste il rilevamento geologico, e le lave ivi rinvenute furono determinate dal Bucca, si verifica un fatto interessantissimo: su la valle del Paglia, fra Acquapendente e Torre Alfina, vi sono lave diverse sovrapposte le une alle altre nell’ ordine seguente, cominciando dal basso in alto: leucitofiro, leucitite, andesite e trachite. Lasciando da parte il leuci- tofìro il quale deve appartenere alle colate provenienti dal Vulcano di Latera, si ha che nel Vulcano di Bolsena le eruzioni sarebbero cominciate con l’emissioue di rocce basiche, ed avrebbero chiuso il loro ciclo con quella di rocce acide, cioè precisamente la scala in- versa di acidità verificata nelle lave del Vulcano di Latera. Ma la zona da me citata non è che una piccolissima parte della superfìcie su la quale si ammassarono i prodotti del Vulcano di Bolsena; resta quindi a sapersi se queste diverse lave vengono a contatto in qualche altra parte, e la successione ora esposta si mantiene costante ; inoltre qui manca la tefrite ed il leucitofiro e non sappiamo in quale rapporto con le altre lave si trovino queste ultime due. Da ultimo, la colata trachitica proveniente da Casale Truscione nella Macchia di Lutinano, sotto San Lorenzo, è ricoperta da una colata di leucitite dovuta alle eruzioni del Monte Landro, bocca se- condaria del Vulcano di Bolsena: ciò dimostra che dopo remissione di lava acida vi è stato un ultimo periodo con nuova emissione di lava basica. Dalla direzione che hanno le colate, ritengo che le due varietà -di leucitofiro, che affiorano a La Salava presso Acquapendente e che -stanno immediatamente sotto alia leucitite, appartengano alle colate provenienti dal Vulcano di Latera, ed infatti macroscopicamente esse si mostrano assai diverse da quelle di Bagnorea. D’altra parte mi sembra che la sovrapposizione delle lave da me accennata, non si possa mettere in dubbio ; giacche quando si volesse ritenere che queste lave che affiorano nella sezione naturale della valle del Paglia, in- vece d’essere sovrapposte fossero adiacenti, bisognerebbe ammettere 3 che l’attuale orografia della regione fosse identica quando si depo- sero le lave, e non fosse stata più alterata da allora in poi ; ciò che sarebbe assurdo, sapendo quali profondi burroni furono dagli agenti atmosferici scavati nei materiali vulcanici, in ogni parte della regione Vulsinia. Questo fatto adunque d’una successione di rocce assolutamente diversa nelle eruzioni del Vulcano di Bolsena, mentre è un’altra prova dell’esistenza di questo centro vulcanico e del suo edifizio principale, permette pure di stabilire l’età rispettiva dei quattro vulcani Vulsini. Infatti, abbiamo veduto che nel Vulcano di Latera e fors’anco in quello di Capodimonte, le eruzioni cominciarono con l’emissione di lave acide e terminarono con quelle di lave basiche ; ma la comparsa della leucitite eruttata in piccola quantità soltanto da bocche avven- tizie dei vulcani di Latera e Capodi monte, è collegata con le eru- zioni del Vulcano di Montefìascone che nel suo ultimo periodo emise grandi masse di leucitite. Ora mentre questa roccia basica è la più recente nei vulcani di Latera e Capodimonte, la troviamo come la lava più antica e la più recente nel Vulcano di Bolsena; quindi si deve concludere che i centri vulsini più antichi siano quelli di Capodimonte e Latera, ai quali sono forse contemporanee le eruzioni tefritiche di Montefìascone ; che ad essi fece seguito il Vulcano di Bolsena il quale avrebbe iniziate le sue eruzioni emettendo lave ba- siche, che poi per uno di quei fenomeni che si verificano spesso nei vulcani, sarebbero venute gradatamente aumentando di acidità fino a raggiungere, nelle ultime eruzioni di Bolsena, lo stesso grado che avevano nelle prime di Latera. Del resto un caso bellissimo di centri vulcanici vicinissimi ma che hanno emesso contemporaneamente lave essenzialmente diverse, ce lo offrono i Campi Flegrei ed il Somma. Da ultimo verrebbe il 2° periodo del Vulcano di Montefìascone, le di cui eruzioni, con abbondanti emissioni di leucitite, sarebbero collegate con quelle delle bocche secondarie ed avventizie degli altri- tre centri vulcanici, e questa cronologia spiegherebbe la sovrapposi- zione, nei dintorni di San Lorenzo, della leucitite proveniente da una bocca secondaria, alla trachite emessa da altra bocca secondaria più antica, fatto che probabilmente si sarà ripetuto anche in altri punti di questo gruppo. Le colate di leucitite a Nord del cratere Vulsinio sono imponenti e nella valle del Paglia presentano una fronte che va dai dintorni di Acquapendente a Castel Viscardo per una lunghezza in linea retta di circa 10 chilometri, ricoperte soltanto a Torre Alfìna dall’andesite, appartenente a questa bocca secondaria. Da Acquapendente a Torre Alfìna la leucitite è affatto scoperta e su la valle del Paglia termina in alta scogliera che riposa sul leucitofiro nei dintorni di Acquapen- dente, e su le rocce eoceniche nelle vicinanze di Torre Alfìna, ciò che dimostra come da questa parte essa sia la lava più antica della re- gione. Nel piano di Castel Giorgio e Castel Viscardo, le lave sono ricoperte da tufi incoerenti ed affiorano solo di tratto in tratto; ma presso Castel Viscardo, abbenchè assai diminuite di potenza, esse mo- stransi sempre a contatto con le rocce eoceniche. Ad Est del Vulcano di Bolsena non si conoscono grandi colate di leucitite e quelle pic- cole che si vedono, devono appartenere ai coni avventizi che sono sul ciglio del cratere Vulsinio ; anche nell’interno del recinto craterico sono parecchi affioramenti di leucitite, ma senza il rilevamento partico- lareggiato della regione è impossibile distinguere in mezzo a tante lave, che si sovrappongono e si confondono, le piccole colate provenienti dalle bocche avventizie, dalle sezioni di colate appartenenti al grande cratere, delle quali eventualmente si scoprisse qualche lembo. Un campione di leucitite proveniente dal fosso del Chiavone ad Est di Acquapendente, è una roccia quasi nera, dura, compatta, d'a- spetto resinoso, con rare leuciti semi- vetrose. A Casale Pecorone, presso la rotabile a Est di San Lorenzo, la lava è di color grigio- scuro, alquanto porosa ; la leucite vi è disseminata nella massa, nella quale si vedono pure rari cristallini di feldispato. Nel fosso di Ros sano a S.E di Acquapendente la leucitite è quasi nera, compatta con concrezioni ferruginose e rare leuciti caolinizzate. Su la strada rota- bile di Orvieto ad Est di San Lorenzo e di Casale Pecorone, la lava è grigio-scura, compatta, a frattura scagliosa, dura, con leuciti, alcune delle quali raggiungono mm. 25 di diametro. A Casale Scrocca nel fosso di Rossano, a S.E di Acquapendente, la lava è grigio-scura, compatta, a frattura scagliosa, dura, con leuciti e pochi cristallini di feldispato. Un campione proveniente dal fosso San Biagio, pure a S.E di Acqua- pendente, è una roccia come l’ultima descritta, ma assai più ricca in cri- stallini di feldispato. Alla cava presso San Lorenzo, su la rotabile per Acquapendente, la lava è di color grigio scuro, compatta, a frattura scagliosa, dura, con piccole leuciti e cristallini di augite. Nel fosso sotto Casale Greppe a Sud di Torre Alfìna, la leucitite è color grigio- scura, compatta, dura, con poche leuciti semi-vetrose. Presso San Lo- renzo, sul versante del lago, la lava è di color grigio-scuro, compatta, cristallina, con poche leuciti semi- vetrose. A Nord del Camposanto di Castel Giorgio la leucitite è grigio-scura, compatta, ruvida, con qualche rara leucite semi-vetrosa. A Castel Yiscardo la lava è di color grigio- cenere scura, compatta, minutamente punteggiata in bianco dalla leu- cite, la quale vi si trova pure in grossi cristalli vitrei. Di- andesite non si conosce altra colata che possa appartenere al cratere Yulsinio allinfuori di quella nascosta sotto alla trachite e che affiora nel fosso ad Est della Macchia di Lutinano ; nè si può credere che questo affioramento invece di essere la testata di una colata, ri- coperta quasi totalmente da quella trachitica più recente, possa essere un lembo staccato della colata andesitica emessa da Torre Affina, poiché non si potrebbe ammettere che questa colata che nel fosso suddetto mostra una potenza rimarchevole, avesse potuto essere total- mente erosa per più di due chilometri di lunghezza. Un campione di andesite proveniente dalla fontana del Bagnolo ad Est della Macchia di Lutinano, è una roccia giallo-scura, dura, a frattura scheggiosa, cavernosa, con le cavità disposte a zone e sti- rate nel senso della direzione della colata, disseminata di globuletti di ferro e da cristallini di feldispato. Colate di trachite che possano appartenere all’edificio principale di questo gruppo non se ne conoscono; forse potrebbe appartenere ì>. MODERNI - VULCANI VULS1NI TAV. F I Sassi del Diavolo presso Orvieto. Struttura basaltica a prismi orizzontali d’una colata di tefrite. — 37 — ad esso qualche colata di quelle che formano la grossa massa di lava della Macchia anzidetta, ma siccome sarebbero state ricoperte dalle colate di trachite della bocca secondaria di Casale Truscione, le me- desime non sarebbero più distinguibili. Pur tuttavia la differenza che si osserva nella facies di questa massa trachitica da un punto all’altro, potrebbe essere un indizio della loro diversa provenienza. Come ho già avvertito le colate di tefrite e di leucitofiro non sono intercalate ma tutto al più adiacenti ad altre lave, motivo per cui non essendo ancora stati studiati tutti gli affioramenti, non si co- nosce in che rapporti si trovano con le medesime. La tefrite di Monterado pare che ricopra il leucitofiro di Bagnorea, ma nel Vul- cano di Latera abbiamo trovato del leucitofiro sopra e sotto alla tefrite e dobbiamo perciò pensare che qui possa essere avvenuto al- trettanto; ma anche quando fosse accertata la cronologia di queste due lave, resterebbe sempre a sapersi in quali rapporti si trovano con la trachite, con l’andesite e con la leucitite, riversatesi verso Acqua- pendente. Le colate di tefrite si sono rovesciate dalla parte di N.E e se ne trovano gli affioramenti presso Orvieto, su la valle del Paglia, alla confluenza con il Tevere ; i Sassi del Diavolo alla Regione Culata che forma l’altipiano a S.E di Orvieto, rappresentano la fronte d’una grande colata di tefrite a prismi orizzontali di cui la Tav. F mostra la sezione. In un’altra sezione naturale di questa colata, sotto Villa Felici, si presenta un bel caso di struttura, prismatica raggiata ; i prismi irra- diano da un centro formando una figura circolare completa di circa 25 metri di diametro, d’effetto sorprendente ; i prismi non sono così nettamente separati come quelli dei Sassi lanciati di Bolsena, ma la 1 )ro disposizione è certamente più caratteristica. Anche in questa co- lata di tefrite, come in quella di leucitofiro di Acquapendente, i prismi non sono disposti uniformemente in tutte le parti della colata, poiché mentre su la fronte di essa, i medesimi sono, come abbiamo veduto, orizzontali, sul fianco si trova la struttura raggiata od a prismi verticali. — 38 — A Canonica ed al Casale Santa Trinità, su l’altipiano ad Ovest di Orvieto, affiorano altri lembi di colate tefritiche che probabilmente si riattaccano a quella dei Sassi del Diavolo ; le lave di queste due ultime località furono studiate dal Bicciardi e le analisi sono state riportate dal Verri nella sua Memoria su i crateri Vulsini. Le colate di leucitofiro si rinvengono ad Est del cratere Vul- sinio e sono assai conosciute quelle di Bagnorea per la specialissima loro proprietà di sfaldarsi facilmente in grandi lastre, che vengono adoperate per la pavimentazione dei marciapiedi ; lembi di colate di leucitofiro si riconoscono ad Est di Lubriano, frammenti delle quali si trovano fino nel fosso sotto Sermugnano: a Sud di Bagnorea questa lava ha dilagato in larghe colate che si vedono assai bene su la rotabile per Viterbo e scendono verso Est fin quasi a Castel Cel- lesi e San Michele in Teverina. Il leucitofiro si trova anche nell’in- terno del recinto e fra i diversi affioramenti è notevole la grossa massa che scopresi al fosso di Arlena ; credo però che la medesima debba attribuirsi alle eruzioni di bocche secondarie cui accennerò a suo luogo. Un campione di leucitofiro proveniente dalle cave di Bagnorea, è una roccia grigio cenere, alquanto porosa, disseminata di cristallini vitrei di feldispato e di una punteggiatura bianca che potrebbe essere anche leucite. Un altro campione proveniente dalle stesse cave è una lava più compatta ; contiene anche cristalli di augite ed è la varietà che meglio si sfalda in lastre. Un campione proveniente da Sambuco, località a S.E della diramazione della strada di Bolsena dalla or- vietana, affioramento che fa parte delle colate di Lubriano, è un leu- citofiro grigio-scuro, poroso, minutamente e fittamente punteggiato in bianco da feldispato. Un altro campione di leucitofiro proveniente dalle cave di Bagnorea è una roccia grigio-cenere chiara, minuta- mente vacuolare, con i meati stirati nel senso della direzione della colata e disposti come a zone che danno alla roccia un aspetto sci- stoso ; la leucite è diffusa nella pasta, ma vi si trova anche in cristalli caolinizzati. Questa lava costituisce una colata superiore all’altra, od 39 - è la parte superiore . della stessa colata ; si divide naturalmente in lastre, ma non può essere adoperata per la pavimentazione perchè non abbastanza resistente. 47. Cono di Poggio Cerretella. Questo cono, uno dei più grandi del Vulcano di Bolsena e la di cui base deve avere avuto un paio di chilometri di diametro, a giudicarne da quel che ne rimane, è si- tuato ai confini dei due vulcani di Montefiascone e Bolsena, e proprio su la parte meridionale del recinto del grande cratere Vulsinio. È delimitato a Nord dal fosso di Arlena che lo separa dal cono di Mon- tienzo e che con il profondo burrone da esso scavato nei materiali vulcanici dei due coni, ha messo in evidenza la caratteristica strati- ficazione dei materiali, rialzati fortemente dalle due parti, stratifica- zione che si osserva perciò molto bene percorrendo il letto del fosso. Ai piedi di Poggio Cerretella, dalla parte di N.E, sono situati i due conetti di Palombaro e Trebiano. Il fosso dei Prati che passa ad Est di questo cono, quello di Arlena che gli passa a Nord ed altri minori che si trovano su le sue falde a Sud e ad Ovest, hanno intaccato sensibilmente il profilo del* Tedifìzio vulcanico, ma la parte alta di Poggio Cerretella, il di cui punto culminante segna la quota di 567 metri sul mare, conserva spiccatamente il profilo conico ed è circondata da diversi altri mam- melloni pure conici, che forse rappresentano altrettante bocche secon- darie di questo edilizio. La parte superiore del cono è ricoperta da lapilli freschissimi Ad Ovest fra il fosso di Arlena ed il fossetto sotto al Casale La Guardata, si vedono gli strati di tufi e di lapilli fortemente rialzati verso la sommità della collina ; poco prima di giungere al Ponte della Regina a Sud del cono, su la strada Montefiascone- Bolsena, si co- minciano a vedere i tufi ed i lapilli rialzati verso Montefiascone, ed è per questa località che all’ingrosso si può far passare il limite dei due centri vulcanici. A Nord, poco prima di giungere al Molino di Bucine, vi sono potenti strati di scorie rosse rialzati verso la som- — 40 — mità del cono ; presso al detto molino vi sono invece potenti bandii di tufo rialzati pure verso la sommità dell’edifìzio vulcanico. Dalle bocche di questo cono è uscita una grossa massa di lava che si è rovesciata giù da tutte le parti del cono, ma la mancanza dello studio petrografìco completo di essa, non permette di distinguere s 3 le varie colate sono costituite da lave diverse. Appartengono sicu- ramente a questo cono, tutte le lave ad Ovest del medesimo, fra il fosso di Arlena ed il Ponte della Regina, quelle nei dintorni del Podere Montegallo ed una parte di quelle che sono nel fosso di Ar- lena. E ovvio aggiungere che tutte queste lave sono rialzate verso la sommità del cono, comprese anche quelle del Ponte della Regina ohe si vedono chiaramente inclinate verso Montefiascone. Dal Ponte di Arlena al Ponte della Regina, le lave sono bianche per alterazione prodotta da emanazioni di sorgenti solfìdriche, delle quali però non vi è più traccia, giacche nei dintorni non vi sono altre sorgenti all’infuori di una ferruginosa nel fosso di Arlena. Presso il Casale della Guardata, quasi alla sommità del cono, è uscita un’ab- bondante colata di lava scoriacea che si è rovesciata giù verso il Ponte della Regina. Un campione preso al fosso di Arlena, in riva al lago, su la Via Cassia fra Bolsena e Montefiascone, fu dal Bucca determinato per leu- citofìro, ed è una roccia di color grigio -scuro, con riflessi rossastri, compatto, a frattura scagliosa, con poche e piccole leuciti farinose; anche la lava che affiora nel fosso dei Prati presso il Podere Monte- gallo fu determinata per leucitofiro. Le altre lave di questo cono non furono ancora studiate, ma visto che i due campioni presi ad Est e ad Ovest del cono furono riconosciuti di leucitofiro; è molto probabile che tutte le lave di questa bocca eruttiva siano della stessa natura. Al Castellacelo a Sud del cono, vi è una colata di leucitite, ma questa deve certamente appartenere al Vulcano di Montefiascone. 48. Cono di Palombaro. — L’altura presso il Casale di Palombaro, situata a sinistra del fosso di Arlena, a N.E di Poggio Cerretella, — 41 — fra le due strade rotabili, che partendo da Montefiascone, la supe- riore conduce ad Orvieto (Orvietana) e la inferiore per la spiaggia del lago a Bolsena (Cassia), è una collina che, come tante altre bocche eruttive di questo gruppo, a bella prima sembrerebbe effetto dell’ero- sione, mentre è un piccolo cono vulcanico. Vicino al Casale Palombaro vi sono dei tufi che per la loro qua- lità ed inclinazione devono essere preesistenti al cono, ma il restante di esso è costituito da lapillo minuto a cui vedesi intercalato qualche banco di scoria, il tutto fortemente rialzato verso la sua sommità. Da questa sommità, che segna la quota di 501 metri sul mare, sono uscite una o più grosse colate di lava scoriacea che si sono rove- sciate giù per i versanti del cono, più specialmente per quello meri- dionale, dilagando poi ai suoi piedi dove si confonde con le lave di Trebiano e con quelle di Poggio Cerretella. Queste lave non furono ancora studiate e non si conosce quindi la loro natura. 49. Cono di Trebiano. — A differenza della maggior parte delle bocche eruttive di questo gruppo, la collina a cui ho. dato il nome del vicino Casale di Trebiano, per il suo caratteristico profilo conico, si distingue subito, anche ad una certa distanza, per una bocca eruttiva. Situata ad Est di Palombaro e ad Ovest di Casale Trebiano, su la cinta del grande cratere Vulsinio, essa nella sua parte occidentale è costituita da strati di lapillo minuto fortemente rialzati verso la sommità, che segna la quota di 568 metri sul mare, e tutta la su- perficie della collina è disseminata di grossi blocchi di lava. Questo cono ha due punte : da una è uscita una bella colata che ha raggiunto Capiano e forse è la stessa che vedesi al Podere Mor- ticini, poco più di un chilometro e mezzo a S.E di Capiano. Dal- l’altra punta è uscita una colata di lava scoriacea; su i fianchi vi è molta altra lava che scende giù e va a confondersi con quella di Pa- lombaro e Casale Omicidio. — 42 — Presso il Casale di Capiano vi è una sezione naturale del ter- reno nella quale al disotto della colata di lava si vedono i tufi la di cui stratificazione è rialzata verso Montefìascone, cioè con inclinazione affatto opposta .a quella della lava. Questo fatto prova che il conetto di Trebiano è una bocca avventizia di Bolsena, posteriore o contem- poranea del Vulcano di Montefìascone. 50. Cono del Fontanile di Monlerado. — Dove si stacca dalla Via Orvietana la rotabile per Bagnorea, vi è un mammellone che s’innalza dal piano stradale appena di una diecina di metri, e davvero non lo si prenderebbe per una bocca eruttiva. Una larga trincea scavata in esso, allo scopo di estrarvi mate- riale per l’imbrecciamento della strada, e che l’ha sventrato per metà, ha messo in evidenza la stratificazione uniformemente e fortemente rialzata da tutte le parti verso la sommità del mammellone. Questo piccolo conetto, la di cui base misura appena 700 metri di diametro, è interamente costituito da lapilli e scorie : dalla sua sommità si è rovesciata una colata di lava che ha dilagato attorno al cono e poi si è diretta a Nord e si vede dapprima su la Via Orvie- tana e più lontano nel piccolo fossetto che separa la collina di Mon- terado dalla via stessa. Questo microscopico edifizio vulcanico si trova all’estremità S.E dell’allineamento C (vedi la Carta) diretto appunto N.O-S.E, e sulla cinta del grande cratere Vulsinio 1. 51. Cono di Casale Omicidio. La collinetta a Nord di Casale Omicidio potrebbe essere anch’essa un piccolo conetto assai rovinato dalla azione demolitrice del tempo, al quale apparterrebbe la colata di lava che si vede sul fianco occidentale della collina ed attorno al ca- 1 Se da quando lo scrivente riconobbe questa bocca eruttiva, è rimasta attiva la cava in essa aperta, a quest’ora la superficie dev'essere stata livel- lata e forse sparito affatto il piccolo cono di lapilli. - 43 — sale stesso. È un punto eruttivo assai dubbio, poiché la lava citata po- trebbe pure provenire dal cono di Ceccorabbia, un chilometro a N.E di questa località ; ma nel gruppo di Bolsena dove vi sono ccllinette assai più piccole di quelle cui trattasi, che sono vere bocche eruttive, si rimane perple^i avanti a queste colline, dalle quali si dipartono colate di lava, e che anche senza conservare la forma caratteristica di coni potrebbero esserlo davvero. 52. Cono di Montienzo. — Anche questa bocca è uno dei mag- giori coni del Vulcano di Bolsena e doveva avere approssimativa- mente le dimensioni del Poggio Cerretella; però le deformazioni da esso subite per le erosioni dei fossi che lo delimitano da Nord, da Sud e da Est, se non impediscono di riconoscere in questa collina una bocca eruttiva, non permisero di tracciarne con esattezza le di- mensioni su la annessa Carta dimostrativa. La sommità di questo cono situato a mezza costa del recinto cra- terico Vulsinio, segna la quota di 506 metri sul livello del mare, ed è cosparsa di grossi blocchi e frammenti di lava, come più o meno tutte le altre bocche eruttive del gruppo: dalla parte di levante è costi- tuito di lapilli, e dalla parte di ponente principalmente di lava che al suo piede tramutasi in vera fiumana e va a confondersi a Nord con le lave di Monte Segnale e Poggio del Crocefisso, mentre a Sud si confondono con quelle di Poggio Cerretella. Anche la lava che affiora presso il Casale Perello ad Est del cono, deve appartenere alle eruzioni di Montienzo. Discendendo per il fosso di Arlena, presso il molino situato a valle di quello di Bucine, su la destra del fosso si vedono strati di grossi lapilli, con scorie e molte bombe (materiali caratteristici dei coni) fortemente rialzati verso Montienzo. In generale, come ho già notato, per tutto il fosso di Arlena si vede la stratificazione rialzata ora verso Montienzo, ora verso Poggio Cerretella, poiché il fosso con- torna appunto le basi dei due coni adiacenti. Circa la natura delle lave emesse da questa bocca eruttiva non — 44 — si hanno ancora elementi sufficienti per classificarle fra i leucitofìri o le leucititi, ovvero parte negli uni e parte nelle altre. Al fosso Melona a Nord del cono vi è la leucitite, ed al fosso di Arlena trovasi, come abbiamo veduto, il leucitofiro, ma vi è bisogno di studiare un’altra serie di campioni raccolti sul cono stesso, per sapere con precisione se da questo cono sono uscite due qualità di lava od una sola. 53. Podere del Marchese. — Ad Ovest di questa località, e presso la Via Cassia che costeggia il lago fra Montefìascone e Bolsena, s’in- nalza un piccolo cono che va classificato fra i meglio conservati del gruppo. Su la sinistra del fosso Melona si vedono i tufi e i materiali caratteristici dei coni rialzati fortemente verso S.E, cioè verso questo cono e quello di Montienzo. Dalla sommità di questo cono, situata a 389 metri sul livello del mare, è uscita una colata di leucitite che dopo avere in gran parte rivestito il piccolo edilìzio vulcanico, ha dilagato alla sua base occi- dentale; ed è appunto al fatto d’essere questo cono costituito per la massima parte di lava e scoria che il medesimo conserva ancora spic- catamente la sua forma caratteristica, abbenchè da Est, cioè dalla parte del recinto del grande cratere Vulsinio, il profilo conico sia meno accentuato. Dall’alto, altre lave, provenienti molto probabilmente dal cono di Montienzo, hanno investito il cono e ricoperto parzialmente le sue lave: del resto pare che questa bocca eruttiva la si debba ritenere come una bocca secondaria di Montienzo, sviluppatasi alle sue falde occidentali. Un campione di leucitite proveniente dal fosso Melona è una roccia quasi nera, compatta, pesante, con poche leuciti caolinizzate sparse nella massa e molti cristalli di augite. 54. Cono di Monterado. — Questa bocca eruttiva, abbenchè segni uno dei punti più elevati del recinto lacustre (625 metri sul livello del mare) perchè situata su la corona della parte orientale di cinta del grande — 45 — cratere Vulsinio, pure è un piccolissimo cono, anzi soltanto un mam- mellone di scoria e lapilli, che si eleva di pochi metri al disopra di un vasto altipiano di lava: però al contrario di tante altre collinette di forma conica che l’attorniano, davanti alle quali si resta assai per- plessi se debbano o no essere classificate fra le bocche eruttive, il Monterado si rivela subito indiscutibilmente per un cono vulcanico. Malgrado la sua piccolezza questo conetto è una delle bocche più importanti e più interessanti del Vulcano di Bolsena, e da esso è uscita una grossa massa di lava. La piccolezza dell’edifìzio che non è in rapporto con la grandiosità delle colate da esso uscite, fatto che si verifica anche in altre bocche di questo gruppo, credo debba attri- buirsi alla poca quantità di vapore acqueo emesso, il quale pei ciò nelle eruzioni proiettò soltanto piccole quantità di materiali detritici. Il piccolo cono di scoria trovasi poco lungi dalla diramazione della strada che si stacca dalla Via Orvietana per Bagnorea, e da questa bocca pare siano uscite le diverse colate di tefrite che formano l’al- tipiano e ricoprono quelle di leucitotiro dei dintorni di Bagnorea, nelle quali sono aperte le rinomate cave che forniscono le lastre per i marciapiedi delie vie di Roma. Che l’altipiano sia costituito da diverse colate sovrapposte si vede chiaramente nella sezione naturale che il medesimo presenta lungo la Via Orvietana: in una cava presso il fontanile di Monterado, su la rota- bile che si stacca dalla via stessa, si vede una potente colata a strut- tura basaltica, ricoperta da uno strato di tufo e lapilli, di mezzo metro di spessore ; su questi materiali incoerenti che ricoprono la colata in- feriore, si adagia una seconda colata di due metri o poco più di po- tenza, che non ha struttura basaltica. Le due colate assieme riu- nite formano un primo gradino, che si eleva più di 30 metri su la strada, e sono ricoperte da un sottile strato di lapilli scuri, fra i quali si rinvengono abbondantemente cristalli di pirosseno nero e verde. Finalmente un’ultima colata, che come le altre due si distende assai verso Nord, Sud ed Est, forma un secondo gradino sul quale si eleva il piccolo conetto di lava scoriacea. — 46 — Questa bocca eruttiva fu citata da quasi tutti gli autori che pub- blicarono memorie su i Vulcani Vulsini, ma spesso si diede ad essa importanza maggiore di quella che ha, descrivendola nientemeno che come uno dei centri o bocche principali della regione Vulsinia. Il suo conetto avrà un 300 metri di diametro, e quando nell’edifizio si volesse includere anche l’altipiano di lava, ne risulterebbe un mammellone di forma ellittica con l’asse maggiore disposto N-S, lungo due chilometri e uno e mezzo l’altro Come si vede siamo ben lontani dalle dimensioni dei grandiosi apparati di Latera e Montefìascone che sono veramente centri eruttivi, riconosciuti ed indiscutibili. Il Monterado quindi non può essere considerato che come una delle tante e piccole bocche se- condarie di questo gruppo, che per condizioni speciali si è meglio con- servata ed è più facilmente riconoscibile. La lava del Monterado è una tefrite vacuolare, di color grigio- cenere scuro : contiene la leucite allo stato di diffusione, e nella pasta si vedono cristallini di leldispato e qualche augite. Un altro campione di tefrite, proveniente da un lembo di colata che affiora su la Via Orvietana fra il Podere Selva e il Podere Tisbo a Sud di Monterado (e che forse potrebbe appartenere a questa bocca eruttiva), è una roccia di color grigio-cenere, compatta, macchiettata da nuclei di lava quasi nera, con poche leuciti. Il Verri ed il Washington 1 riportano le analisi del Ricciardi e del Klein in base alle quali la lava di Monterado dovrebbe essere classificata fra le andesiti augitiche anziché fra le tefriti leucitiche: come ho avvertito in altra parte della presente Memoria, io ho cre- duto di mantenere le determinazioni fatte dal Bucca per conservare una certa uniformità alla parte petrografia, riservando a più tardi, quando si avrà uno studio petrografico completo di tutte le lave vul- sinie, il correggere meglio e più sicuramente le possibili inesattezze di determinazione, le differenze di apprezzamento o di nomenclatura. 1 K. S. Washington, Itcìlian peti ologiCal sketches. I. The Bolsena regìon. (Journal of Geology, Yol. IY, ri. 5). Chicago, 1896. — 47 - 55. Cono di Ceccorabbia o Poggio Girella. — Il cono di Poggio Girella presso il Casale di Ceccorabbia, al disotto e ad Ovest di Mon- terado, è costituito di lapilli dei quali non vedesi in nessun punto la stratificazione: dalla sommità del conetto, che segna la quota di 562 metri sul mare, è uscita una colata che ha parzialmente rivestito il cono verso Est, verso Ovest e verso Sud; a questa bocca potrebbe forse appartenere anche il leucitofiro che trovasi fra essa ed il cono di Montienzo. La vallecola esistente fra i due casali è dovuta alla erosione. 56. Cono del Paggetto . — Ad Ovest di Poggio Cecala ed a metà distanza fra questa località e Monte Segnale, vi è una 'collii; etta che segna la quota di 503 metri sul mare, chiamata il Poggetto, la quale sembra essere stata essa pure una piccolissima bocca eruttiva. Infatti, a Sud di questo punto, dal Poggio del Crocefisso al Casale Tascionara, i tufi sono rialzati verso il centro del grande cratere Vul- sinio, ad eccezione che sul fianco meridionale del Poggetto, dove su questi materiali che appartengono al grande cratere, vi sono strati di lapilli fortemente rialzati verso la sommità del Poggetto stesso. Però su la strada che dal Casale Poggetto va a Monte Segnale e passa sul versante Nord della collina, i lapilli non si vedono più e si scoprono invece i tufi del cratere Yulsinio: probabilmente anche qui è avve- nuto lo stesso fatto che al cono di Cecala, della totale demolizione della parte settentrionale del cono. La sommità della collina è ricoperta di frantumi e blocchi di lava, della quale vi è pure una piccola colata alla sua base occi- dentale. 57. Poggio Cecala. — E situato ad occidente delia Via Orvietana, quasi di fronte alla vecchia strada per Bagnorea, e raggiunge 579 metri sul livello del mare ; è un cono assai depresso, in cattivo stato di conservazione e si alza di così poco dal livello del terreno circo- stante che sfugge facilmente all’occhio dell’osservatore. — 48 — Su la stradella che da Casale Tascionara sale a. Cecala, vedesi una colata di lava assai alterata che sembra scivolata giù dal vertice della collina, ed è questo l’unico dato che si ha su questa supposta becca eruttiva, poiché su la strada che passa a Nord della collina stessa, i tufi sono rialzati verso il centro del grande cratere Yulsinio. Ma è pur vero che in alcune di queste bocche sviluppatesi sul recinto di un altro grande edilìzio, i pochi materiali incoerenti da esse erut- tati, poterono essere facilmente asportati laddove non erano ricoperti da colate di lave, per cui spesso la posizione di queste colate è l’unico indizio che rimane di edifizi quasi totalmente distrutti. 58. Poggio del Crocejisso. — Questa collinetta che segna la quota di 486 metri sul mare, è situata sul fosso Melona poco distante ed a S.E del Monte Segnale; ritengo sia da comprendersi anch’essa fra le bocche eruttive, abbenchè per non esservi dati sufficienti, la cosa rimanga dubbia. Pur tuttavia percorrendo lo stradello che dal Poggio del Crocefìsso scende al fosso Melona si possono vedere i tufi rialzati ad Est, cioè inclinati verso il lago; nel versante Nord de] poggio i tufi sono rial- zati sicuramente verso la sua sommità. In altri punti della collina, sopra una base di tufi appartenenti al cratere Yulsinio, perchè i più bassi sono rialzati verso il centro del medesimo, vi sono strati di la- pilli dei quali non vedesi la stratificazione perchè il terreno è rico- perto da folto bosco; blocchi e rottami di lava ricoprono la super- fìcie, e la collina ha tutta l’apparenza di un piccolo cono, almeno come si presentano in questa regione. Quindi se questa località non fa parte del cono di Monte Segnale o di quello di Montienzo, dal quale potrebbe essere stato separato per l’erosione del fosso Melona, deve ritenersi un conetto separato, e forse in relazione con una di queste due bocche eruttive alle quali è adiacente. 59. Monte Segnale . — Questa bocca eruttiva è situata a S.E e poco distante da Bolsena, al disopra della Yia Cassia che costeggia il — 49 — lago; è un piccolo cono la di cui sommità raggiunge i 508 metri sul livello del mare ed è ricoperta dalla leucitite che scende poi giù per il versante occidentale, sul quale si può vedere che la parte superfi- ciale dei sottoposti tufi venne arrossata dal contatto delle lave ar- denti. Il versante orientale invece è sparso di scorie e lava scoriacea. Su la rotabile sotto Monte Segnale i tufi sono rialzati verso di esso : presso il Casale di Monte Segnale i tufi sotto alla lava sono orizzontali o quasi, quindi si debbono ritenere preesistenti alla for- mazione del piccolo cono ed appartenenti forse alla cinta del grande cratere; nel fosso Rossino, sono rialzati invece verso Monte Segnale, mentre sul versante Sud del cono, mostransi rialzati verso il centro del cratere Vulsinio, al quale sicuramente appartengono. Da questa bocca eruttiva è uscita la grande colata di leucitite a struttura basaltica raggiata che si ammira su la rotabile Cassia poco prima di giungere a Bolsena, conosciuta generalmente con il nome di Sassi lanciati , e della quale si sono occupati tutti quanti quelli che studiarono od anche semplicemente visitarono i Vulcani Vulsini. Fig 7. — I Sassi lanciati presso Bolsena. La lava è divisa naturalmente in prismi pentagoni irradianti da un centro, fortemente rialzati verso il lago, in modo che sembrano caduti obliquamente dall’alto e conficcatisi nel fianco della collina tagliata a picco, come dalla qui annessa figura, ricavata da una foto- grafìa. Però nella parte superiore della colata, questa struttura è in- terrotta bruscamente da un mantello informe di lava, nel quale 4 — 50 — non scorgesi più alcuna forma prismatica: questo fatto venne da alcuni spiegato, supponendo che la colata caduta nell’acqua, emer- gesse però nella sua parte superiore, e che il rapido raffreddamento della parte immersa, avesse provocato nella medesima la cristalliz- zazione in prismi; di modo che la zona prismatica, segnerebbe oggi il limite d’immersione della colata. Numerose verifiche fatte su colate di lave effettivamente cadute nel mare, fra le quali quella del Vesuvio a Torre del Greco, hanno dimostrato la poco attendibilità di questa interpretazione: la differenza di struttura nelle diverse zone di una colata, rivela spesso differenti condizioni di raffreddamento nelle quali la medesima si è trovata. La parte superficiale delle colate si raffredda subito e forma un involucro che non permette al calore d’irradiarsi esternamente, perchè la lava è cattiva conduttrice: quando la parte centrale della colata si cristallizza, perde calore che non può irra- diarsi al di fuori, per l’involucro superficiale occasionato dal repen- tino raffreddamento; quindi senza ricorrere all’ipotesi della parte sommersa e della parte emersa, si comprende facilmente come la parte superiore di una colata di lava, possa trovarsi in condizioni diverse da quella centrale e tali da rendere impossibile la ripetizione del fenomeno avvenuto in questa. Infatti abbiamo veduto nella colata di tefrite dei Sassi del Diavolo presso Orvieto ed in quella di leucitofìro presso Acquapendente, che questo fenomeno o non si estende a tutta la colata, od è diversa la disposizione dei prismi, come pure è più o meno accentuata la struttura prismatica da un punto all’altro della colata. Ma non credo che qui trattisi neppure di questo caso, ma sibbene di due colate sovrapposte, delle quali l’inferiore a struttura basaltica e la superiore no: sarebbe la ripetizione di quanto è avve- nuto a Monterado, con la differenza, che là i lavori di una cava ed il sottile strato di tufi fra le due colate, hanno messo in evidenza questo fatto semplicissimo, mentre qui esso è meno visibile. Il Verri ed il Washington riportano le analisi di Ricciardi e di Klein, in base alle quali la lava dei Sassi lanciati è determinata per leucitite. — 51 — 60. Cono dell* Apparita. — Questa località trovasi a un chilometro a Nord di Poggio Cecala presso la Via Orvietana ed è uno dei punti più elevati del gruppo ; la sua parte culminante raggiunge 599 metri sul livello del mare, ed assieme a Monte Landro, Monte Panaro, il Tor- rone e Monterado, appartiene alle alture maggiori che dominano tutte le altre ; il nome di questa località deriva appunto dal fatto che la si scopre a grande distanza. È un piccolo conetto situato su l’orlo del grande recinto craterico Yulsinio, costituito da lapilli e tufi che sembrano rialzati verso la sommità della collina, ma le condizioni del terreno non permettono di accertarsi di questo fatto : a Sud della collina vi è una colata di lava che potrebbe essere uscita da essa, ma ciò non pertanto questa bocca eruttiva resta un po’ dubbia. Per questa località passano due allineamenti dei quali uno di- retto N-S, l’altro N.O-S.E, che indicano probabilmente due fratture. 61. Cratere di Bolsena. — Su la strada rotabile da Bolsena per Orvieto, si vede presso Bolsena, a Sud della Madonna del Giglio, la stratificazione dei materiali vulcanici, tra i quali abbondano lapilli e bombe, fortemente rialzata verso Monte Piazzano : al di là del Pon- ticello fino alla sommità della costa, la stratificazione è orizzontale ed in qualche punto leggermente rialzata verso il lago, e questa parte deve appartenere forse al recinto del grande cratere Yulsinio. Su la mulattiera che dal Torrone a S.E di Bolsena (da non confon- dersi con la località omonima situata a Nord delia città) conduce a Bolsena, si vedono strati di pomici, lapilli, bombe, ed altri mate- riali caratteristici dei coni vulcanici, giacenti sotto alle lave (proba- bilmente uscite da Monte Segnale) fortemente rialzati verso la Chiesa del Giglio. Inoltre, fra queste due strade vi è una collina costituita interamente di scorie rosse ferruginose, e fra il Ponticello e la Ma- donna del Giglio, un avvallamento di suolo di forma circolare, attra- versato dal fosso Lachino, che ha tutto l’aspetto d’essere l’avanzo di un cratere assai mal ridotto. Riuniti assiemo questi fatti, dell’avvallamento esistente e della sua forma, dei materiali che costituiscono la superficie in questo punto, e del rialzamento d’una parte di essi verso l’avvallamento, mi pare che vi siano dati sufficienti a far sospettare che in questa loca- lità esistesse uno degli edifici \ulcanici più antichi del gruppo, de- formato dall’erosione e ricoperto quasi totalmente dai materiali erut- tati da Monte Piazzano, da Monte Segnale e da altre bocche. Una parte delle lave del fosso Lachino, e quelle fra questo ed il fosso Rossino, potrebbero forse appartenere a questa supposta bocca eruttiva : riconosco però nello stesso tempo che l'avvallamento circolare, attraversato da un fosso con forte pendenza, potrebbe anche essersi formato semplicemente per erosione; quindi questa lo- calità ha bisogno d’essere studiata un po’ più particolareggiatamente ch’io non abbia potuto fare, e costituisce un punto incerto che com- prendo con riserva Ira le bocche eruttive del Vulcano di Bolsena. Anche questo cratere si troverebbe situato su due linee di frat- tura dirette una N.O-S.E e l’altra N.NO-S.SE. A Bolsena vi sono colate di trachite e di leucitite: un campione di trachite proveniente da Bolsena, è una roccia di color grigio-ce- nere scuro, compatta, ricca di piccoli cristalli di fel dispato. Un campione di leucitite preso fuori la porta di Bolsena, su la rotabile per Montefiascono, è una lava quasi nera, uniforme, compat- tissima, con piccoli cristalli di augite. Il vom Rath ha un’analisi della trachite di Bolsena, riportata anche da Washington 1f alla quale egli per l’anormalità dei suoi ca- ratteri chimici ha dato il nome di Vulsinite. A proposito di questa trachite lo stesso vom Rath 2 riporta una curiosa osservazione : egli dice di aver veduto in una cava si- tuata al disopra della Chiesa del Giglio, la trachite riposare distin- tamente sopra al leucitofiro e ne conclude che questo ultimo deve 1 H. S. Washington (opera citata). 2 G. vom Rath (opera citata). — 53 — essere più recente della prima. Questa conclusione è un po’ oscura, giacche non si comprende la ragione per la quale il leucitofiro, che sta sotto la trachite, secondo il vom JEfcath, dovrebbe essere più re- cente di questa, mentre evidentemente si deve ritenere che sia pre- cisamente l’opposto. Probabilmente l’autore avrà creduto che il leu- citofiro invece d’una colata rappresentasse soltanto un dicco o filone formatosi quando la trachite erasi già deposta ; ad ogni modo è questa un’opinione non esplicitamente formulata e che andrebbe sempre accolta con riserva, poiché sta in fatto che fra San Lorenzo ed Acquapendente la trachite rappresenta la lava più recente e ri- copre l'andesite ed il leucitofiro, come ho dimostrato in altra parte di questa Memoria. 62. Cratere di Belvedere. — Un chilometro e mezzo in linea retta a N O di Bolsena e precisamente al di sotto del Casino denominato Belvedere, e dei Poggi del Giardino, vi è una bassura quasi circolare il di cui diametro misura approssimativamente dai 600 ai 700 metri, e che segna i resti di un cratere. Il fosso Brutto, sempre ricco di acqua e che durante le pioggie diventa torrente impetuoso, solca profondamente l’avvallamento craterico e con le sue continue erosioni 10 ha talmente guasto da ridurlo quasi irriconoscibile, perchè dell’an- tica bocca eruttiva resta ormai ben poca cosa. Quel che resta però di questo cratere è così caratteristico che la esistenza di esso non può essere messa in dubbio: la parte Nord del recinto non conserva più la sua forma, poiché su di essa si sviluppò 11 cono maggiore dei Poggi del Giardino, forse bocca avventizia del cratere medesimo ; il fondo di esso è, come ho detto, rovinato dalle ero- sioni, sicché rimane ancora in discreto stato di conservazione la parte meridionale dell’orlo craterico ed il settore di cono ad essa corrispon- dente, che si estende giù fino al Camposanto di Bolsena ed al Podere Madonna dell’Uccello, località poco distanti dalle rive del lago. Questa parte di cono e di cinta craterica, è costituita da lave, scorie, lapilli e bombe di tutte dimensioni, la di cui stratificazione è uniformemente rialzata di 45° a 50° gradi verso il cratere. La dispo- sizione di questi materiali la si può vedere facilmente nelle sezioni naturali nel letto del fosso Brutto e nell’incassamento delle varie strade mulattiere che solcano questo tratto di superfìcie; in questi tagli i materiali si mostrano così freschi, così recenti, che nel cono stesso del Vesuvio non si potrebbe sperare d’ottenere una sezione più caratteristica. A questa bocca eruttiva appartengono sicuramente le lave che affiorano a Sud di essa fra il fosso Brutto e il fosso Pantanesia, e fors’anco una parte di quelle esistenti fra Bolsena e il fosso Brutto. 63, 64 e 65. Poggi del Giardino. — Dietro Bolsena vi è una serie di colline, che si rivelano subito all’osservatore per altrettanti coni vulcanici : i Poggi del Giardino situati a Nord ed immediatamente al disopra di Bolsena sono tre piccoli coni isolati, ma vicinissimi l’uno all’altro : di essi quello più ad Ovest è il più grande ed il suo punto culminante, costituito di lava, è circondato da piccoli avvallamenti che potrebbero rappresentare il cratere di questo edifìcio vulcanico. I tre coni sono costituiti quasi interamente di lava (trachite e leucitite) di poche scorie e pochissimi lapilli, asportati e stratificati dalle acque ai piedi delle tre coìlinette: percorrendo la strada che da Bolsena con- duce alle tre piccole colline, si vedono distintamente le lave e i tufi fortemente inclinati verso il lago. Probabilmente i tre piccoli ceni dipendono o dal cratere di Belvedere o dagli edifìci maggiori che ad essi sovrastano a Nord e dei quali potrebbero rappresentare le bocche d’emissione per le quali sfuggirono le colate di lava. Sarebbe stato bene che di queste bocche che dirò accidentali come dei piccoli coni sviluppatisi su le colate, se ne fosse tenuto nota a parte, in seguito alla descrizione della bocca eruttiva dalla quale dipendono; ma la difficoltà grande di riconoscerli in mezzo a tanti avanzi di bocche eruttive di tutte le dimensioni, specialmente mancando ancora in gran parte il rilevamento geologico particolareggiato, mi ha obbligato di non fare distinzioni, del resto d’una importanza assai relativa, per non — 55 — cadere facilmente in numerose inesattezze, e limitarmi perciò ad ac- cennare soltanto che alcune bocche, che forse non sono edilìzi indipen- denti, ma fanno parte di altri edifìzi maggiori. 66 e 67. Coni di Piazzano. — Il Monte Piazzano o della Veduta, così chiamato per il bellissimo panorama del lago che di lassù s’offre allo sguardo, e dove si vuole che esistesse l’antica Fakuna degli Etruschi, trovasi anch’esso al disopra di Eolsena, ad Est e quasi a contatto dei tre conetti detti Poggi del Giardino. E un cono il di cui punto culmi- nanto segna la quota di 581 metri sul livello del mare, con il ver- sante meridionale a ripidissimo pendio, mentre dalla parte opposta il cono è appena accennato : i tufi sono caratteristicamente rialzati verso la sommità della collina, e la quantità dei materiali proiettati da questa importante bocca eruttiva, dev’essere stata considerevole poiché, come abbiamo veduto, potenti accumulamenti di essi si estendono fino a Bolsena, che segna perciò le falde occidentali del cono. Sul punto culminante di Piazzano vi sono come in uno dei Poggi del Giardino, diversi avvallamenti, qualcuno dei quali di forma cir- colare ed uno anche con vere pareti di lava a picco per circa 4 metri : questi avvallamenti sono sempre nella lava e non sembra si possano ritenere artificiali, poiché non si potrebbero comprendere scavi, ar- cheologici fatti nel vivo d’un massiccio di lava; d’altra parte le loca- lità dove si trovano non permettono di supporre che siano vecchie cave, perchè sarebbero state appunto le meno adatte per avere della pietra, nè detti avvallamenti sono abbastanza profondi per crederli neviere. Potrebbero considerarsi come piccoli crateri o sfogatoi risul- tati dall’ostruzione in parte del canale eruttivo, se il ricordo dell’an- tica città che quivi esisteva, non avvertisse delle possibili modifica- zioni che la superfìcie può avere subito per mano dell’uomo, e non consigliasse di riservare qualunque giudizio in proposito. Alle falde meridionali di Monte Piazzano, lambite da una delle colate di leucitite che termina alla potente massa dei Sassi lanciati , di cui ho già parlato, ed a formar la quale devono aver contribuito — 56 — anche le lave di Piazzano, vi è un conetto di lava dipendente sicu- ramente da questo edilizio vulcanico, del quale anzi potrebbe rappre- sentare la bocca d’emissione dalla quale fluirono le lave dovute alle eruzioni del cono maggiore. D’altra parte mentre i tufi da Bolsena a Monte Piazzano sono fortemente rialzati verso questo cono, quelli che si vedono sotto alle lave che costituiscono il conetto minore sono orizzontali e perciò molto probabilmente preesistenti al cono di Piaz- zano, quindi il piccolo (Sonetto di lava si potrebbe anche ritenere per uno di quei sfogatoi che si formano su le colate. Un campione di leucitite proveniente dalla rotabile, un chilometro sopra la Madonna del Griglio, è una roccia compatta, ruvida, quasi nera, minutamente punteggiata in bianco dalla leucite, con abbondanti ma piccolissimi cristalli di feldispato disseminati nella pasta. 68. Il Monte. — E una collina di forma conica, che raggiunge la quota di 621 metri sul livello del mare, addossata da S.O al Monte Panaro ed a N.E di Piazzano, con i quali forma quindi un allinea- mento diretto N.E-S.O che rasenta quasi anche il cratere di Bolsena. Sul versante occidentale di questa collina, dove sono delle lave assai alterate, pare che tanto le medesime quanto i tufi siano rialzati verso la sommità di essa : è dubbio però che rappresenti veramente una bocca eruttiva distinta, giacche potrebbe essere semplicemente una parte del cono di Monte Panaro che, separata dall’erosione, assunse accidentalmente una forma più o meno conica, che per i materiali di cui è costituita può farla credere una bocca eruttiva a sè. 69. Monte Panàro. — Questa collina è ricoperta da fìtto bosco che impedisce particolareggiate osservazioni su la disposizione dei materiali che la -costituiscono ; soltanto alle sue falde N.E presso il Podere Faina si può vedere la stratificazione dei tufi, la quale sembra rialzata verso la sommità del cono: trovasi su la diramazione della strada orvietana per Bolsena ed a N.E di questa città. È indiscutibilmente anch’essa un cono, e non dei meno importanti di questo gruppo, sviluppatosi sul — 57 ciglio del recinto lacustre che da questa parte corrisponde pure con il ciglio del supposto cratere Vulsinio: la sommità del cono raggiunge 645 metri sul livello del mare; supera quindi in altezza il cono di Montefìascone, ed è fra i punti più alti della regione. Diversamente da tutti gli altri coni della parte alta del recinto che hanno le loro colate di lava a ponente, esso invece le ha a levante; infatti alle falde orientali del poggio e su la strada che conduce ad Orvieto, affiora una bella colata di leucitofiro proveniente da questo cono, e su la medesima si può fare un’interessante osser- vazione: in vicinanza dell’Osteria di Biacio i tufi sono dolcemente rialzati verso il lago ed appartengono al grande cratere Vulsinio, ma su la collinetta a Nord dell’Osteria, su questi tufi riposa della lava in- clinata sensibilmente verso il lago, che non può essere uscita da altri punti che dal monte Panàro ; un poco più a Nord di questa località sopra un’altra collinetta vi è un altro lembo di leucitofiro che con- corda con l’inclinazione dei tufi, cioè è rialzata verso il lago. Eviden- temente i due lembi vicini di lava appartengono alla stessa colata di leucitofiro emessa da Monte Panàro e l’inclinazione di una parte di essa verso il lago, e dell’altra in senso opposto, dimostra chiaramente che la bocca trovavasi situata su l’orlo di un recinto. Il leucitofiro di Monte Panàro, come quello di Bagnorea, ha la proprietà caratteristica di fendersi facilmente in grandi lastre; però a Bagnorea vi sono due varietà di questo leucitofiro che si fende in lastre, una più darà, dalla quale si ricava il materiale per la pavi- mentazione dei marciapiedi di Roma, e l’altra più tenera che non può servire a quest’uso; il leucitofiro di Monte Panàro rassomiglierebbe a quest’ultima qualità, anche per gli altri suoi caratteri esterni. Del leucitofiro di Monte Panàro furono presi due campioni in due panti diversi della colata, ed i medesimi risultarono affatto identici: questo leucitofiro è una lava porosa, disseminata di cristallini di fel- dispato, con qualche rara leucite e minutamente punteggiata in bianco. Un altro campione proveniente dai dintorni dell’Osteria di Biacio, al bivio che fa la strada Orvieto-Montefiascone con quella di Acquapen- — 58 — dente, è un impasto di leucite allo stato di diffusione ei in cristalli di tutte le grandezze con un magma lavico compatto e di colore grigio- scuro. 70. Cono del Fattoraccio. — Ad Est di Poggio Pocatrabbio, mezzo chilometro a Nord del Casale di Fattoraccio pare di scorgere gli avanzi informi di un altro piccolo cono, che sarebbe situato su la parte esterna del grande recinto Vulsinio: quanto rimarrebbe di esso è così poco ed incerto che mi limito perciò soltanto ad accennarlo. Il Casale di Fattoraccio è costruito appunto sopra un lembo di lava che potrebbe rappresentare una colata uscita da questa supposta bocca eruttiva, ma che potrebbe pure appartenere alle lave del cono di Poggio Pocatrabbio. 71. Cratere di Lauscello. — A N.E della località chiamata il Fatto- raccio ed a S.E del piccolo cono poc’anzi accenna 'o, poco distante dalla rotabile che da San Lorenzo viene a raggiungere la Via Orvietana, vi è una leggera concavità di suolo di forma circolare tagliata da un fosso, distinta con il nome di Lauscello, il quale indica da per sè solo che quivi esisteva un piccolo laghetto; la stratificazione non si vede abbastanza bene, ma pure sembra che sia dolcemente rialzata verso l’avvallamento: si vede invece su la rotabile suddetta, nel tratto compreso fra Castel Giorgio e la Via Orvietana rialzata costantemente verso Sud, cioè verso l’avvallamento, ma siccome questa bocca avventizia si trove- rebbe all’esterno della parte Nord del grande recinto craterico Vulsinio, così è impossibile qui di distinguere i prodotti della bocca avventizia da quelli della principale. Però da questa località si distacca una co- lata di leucitite diretta verso N.E, ed il cui affioramento che attraversa la rotabile Orvieto-San Lorenzo, si può seguire per circa un chilo- metro e mezzo ; altri due lembi di lava si scoprono pure su la stessa rotabile a N.O del primo, ed anche questi potrebbero appartenere al Lauscello. Tutti questi fatti, uniti assieme, autorizzano a credere che il pie- — 59 — colo avvallamento rappresenti gli avanzi di un cratere in completo stato di sfasciamento, provocato principalmente dalle erosioni del tosso. Un campione di leucitite preso su la rotabile fra Lauscello e Fontana Selva, è una roccia finamente vacuolare, di color grigio-scuro, contenente molti cristallini di augite. 72. Poggio Pocatràbbio — Questa collina di forma allungata in di- rezione E-O, chiamata pure Sassara del Brizio , non è fra i minori coni del gruppo, ed il suo punto culminante raggiunge 671 metri sul livello del mare; è costituito tutto di lapillo ed in qualche punto vi è pure della scoria, mentre il versante meridionale è ricoperto da una potente colata di lava. Questa bocca è situata ad Ovest di Lauscello e Fattoraccio, sul ciglio del recinto lacustre e del grande cratere Yulsinio; questo fatto è dimostrato chiaramente dalla stratificazione dei lapilli, la quale mentre da Sud è fortemente inclinata verso il lago dove doveva esi- stere l’abisso del cratere Yulsinio, da Nord è inclinata in senso op- posto ma dolcemente, poiché da questa parte vi era già l’altipiano formato dalle deiezioni di quello. Per questo cono passano gli allineamenti di cinque serie di bocche eruttive, corrispondenti probabilmente ad altrettante fratture. 73. Cono di Macchia Vignava. — Trovasi a Sud di Poggio Poca- trabbio ed è una collina di forma conica, costituita di grosso lapillo incoerente, in mezzo al quale sul versante orientale vedesi della lava che poi s’incontra nuovamente più in basso verso il fosso Brutto; questa collina è circondata da tre parti da fossi profondi. Tale circo- stanza fa sorgere il sospetto che la sua forma conica possa essere accidentale e dovuta unicamente all’erosione dei fossi, i quali possono averla staccata da qualche altro edifizio vulcanico del quale faceva parte. Il folto bosco, di cui è rivestita la collina, impedisce di vedere la stratificazione dei lapilli. 60 — 74. Monte di Vietena. — Questa collina che prende il nome dal casale che le sta a Nord, è situata a S.E di Macchia Yignara, a N.O di Piazzano ed al disopra dei Poggi del Giardino: è un cono la di cui sommità segna la quota di 622 metri sul mare, costituito da strati di lapillo e scoria, rialzati verso la sommità del cono, disposi- zione che si vede abbastanza bene sul suo versante meridionale. La parte superiore della collina conserva ancora spiccatamente il profilo caratteristico di cono vulcanico, mentre la parte più bassa fu guasta dall’erosione \ 75. Poggio Gazzetta. — E situato a S.O del Monte di Yietena ed a N.O di Bolsena ; è un conetto di poco più grande dei vicini coni detti Poggi del Giardino, che gli stanno allineati ad Est, costituito quasi interamente di lava con poca scoria rossa e pochissimi lapilli, i quali asportati dalle acque si trovano stratificati più in basso. Nei dintorni vi sono affioramenti di leucitite e di trachite, ma sembra che la lava eruttata da questo- cono sia la leucitite, per quanto è dato giu- dicare, senza l’aiuto di uno studio petrografìco completo di tutti gli affioramenti, in mezzo al grande numero di bocche eruttile, vicinissime le une alle altre, le quali tutte hanno concorso a formare il potente ammasso di lave diverse, diviso in scaglioni, per i quali si sale dal lago all’altipiano, che circonda a Nord questo grande gruppo di piccole bocche eruttive. 76. Poggio Pianale. — A S.O di Poggio Pocatrabbio ed a Sud del Torrone è situata questa collina che sembra anch’essa un cono vulcanico, la di cui sommità bipartita, che raggiunge 657 metri sul livello del mare, la fa rassomigliare anzi a due piccoli conetti addossati l’uno all’altro. 1 Ai piedi di questa collina si fecero e si fanno continuamente ricerche archeologiche, che portarono alla scoperta di tombe nelle quali si rinvennero bellissimi vasi in terracotta (la maggior parte spezzati), oggetti d’oro e monete dell’epoche Etnisca e Romana. Si vuole che qui esistesse la necropoli di VuU sminuì. 61 — Meno ancora di Macchia Vignara, questa collina ha il profilo carat- teristico dei coni, abbenchè molto probabilmente lo sia: è costituita di lapillo e la sua superfìcie è sparsa di blocchi e frammenti di lava ; sul versante meridionale poi vi è una colata di lava che si confonde con quella del vicino cono del Torrone. 77. Poggio del Torrone. — Il nome di questa località deriva dalle rovine di un antico castello esistenti su la parte culminante della col- lina 1 : la sommità del cono raggiunge la quota di 702 metri sul livello del mare, ed è perciò il punto più elevato di tutta la regione Yulsinia; questa località è sicuramente un piccolo punto eruttivo costituito di lapillo e ricoperto in gran parte da una colata fortemente rialzata verso la sommità della collina, la quale si unisce con quella di Poggio Pocatrabbio giù nel fosso che separa questo cono dalla collina di Macchia Vignara, parte della quale potrebbe anche appartenere a questo piccolo edifìzio vulcanico. Anche qui, come al vicino Poggio Poca- trabbio, si osserva la forte inclinazione dei materiali che pendono verso Sud e la dolce inclinazione di quelli che pendono verso Nord, cioè dalla parte dove esisteva l’altipiano. 78. Cono di Montalfina. — Questo piccolo cono che segna la quòta di 603 metri sul livello del mare, è situato a N.O del Torrone e come esso e Poggio Pocatrabbio sul ciglio del recinto lacustre e del grande cratere Vulsinio ; è un bel conetto, assai depresso, costituito di lapilli, scorie, bombe, tufi e lave che sono fortemente rialzati da tutte le parti verso la sua sommità; e questa disposizione la si vede specialmente bene nei fossi a Sud del cono e percorrendo la mulattiera che sul ver- sante occidentale conduce alla fattoria esistente su la cima del piccolo poggio. I materiali, per i quali è rimarchevole la perfetta conservazione dei lapilli, eguali a quelli di Valentano e Montefiascone, che sembrano 1 In questo castello furono trovate delle armi antiche ; dai contadini dei dintorni potei avere un ferro di alabarda, due ferri di lancia ed una palla ovoidale da spingarda fatta di calcare eocenico. — 62 — recentissimi, come per la loro disposizione, fanno di questa località un conetto tipico. Questa bocca eruttiva venne riconosciuta e citata anche da altri che si occuparono dei Vulcani Vulsini. Una colata uscita dalla som- mità ha dilagato verso S.E dove la si può seguire per oltre un chilo- metro e mezzo ; un’altra minore si vede sul versante Ovest del cono, ed altre lave affiorano nei fossi a Sud di esso. Questo edificio vulcanico è allineato da Nord a Sud con Poggio del Troscio, Pian Cerasolo e l’Isola Martana, mentre per esso passano pure le supposte linee di frattura B ed 0 (vedi la Carta). 79. Poggio del Troscio . — Si trova a Sud ed adiacente a Montal- fina ; è un’alta collina con due cocuzzoli, la di cui sommità raggiunge 641 metri sul livello del mare, costituita di lapillo e ricoperta in parte da lave. La sua posizione sul ciglio d’un grande cratere in mezzo ad una quantità di piccole bocche avventizie, la sua forma, i materiali di cui è costituita, ma che però sono comuni in tutta la regione, le lave che si rinvengono sopra ed intorno ad essa, sono tutti elementi che consigliano di comprendere anche questa fra le bocche eruttive del gruppo. Però su la mulattiera che attraversa la collina si vedono lave e tufi rialzati verso il vicino cono di Sassara, quindi non è escluso che invece di essere un edificio indipendente, possa essere parte del- l’altro e da esso separato dall’erosione. La lava che trovasi presso Casale Lupa nelle vicinanze di questa località, potrebbe appartenere alle sue eruzioni : un campione di leuci- tite proveniente da essa è una roccia di color grigio -piombo uniforme, compattissima, a grana molto fina ed a frattura scagliosa. 80. Cratere di Sterta. — Uno dei più importanti punti eruttivi, anzi il più importante di tutti quelli di questo gruppo, è il cratere di Sterta, così chiamato dal podere e Casale Sterta situato nel bel mezzo del cratere; trovasi a N.O di Bolsena ed a S.E di San Lorenzo, vicino ad altri punti pure importanti, poiché sembra che alla estremità oc- — 63 - ci dentale della zona occupata dal gruppo delle bocche eruttive del Vulcano di Bolsena, siansi sviluppate appunto le maggiori. Sterta è un magnifico cratere perfettamente circolare, il di cui diametro misura poco meno di un chilometro; esso è sventrato a Sud ed il suo profilo venne alquanto alterato da due grandi coni avventizi sviluppatisi su la parte Nord del recinto, come il fondo è deformato dal fosso di scolo che lo attraversa. Però quanto resta di esso è così caratteristico che l’esistenza di questa bocca eruttiva non potrebbe in alcun modo essere messa in dubbio : le pareti del recinto si elevano ripidissime e dalla parte Nord misurano più di 100 metri di altezza ; nel mezzo del cratere sonvi grandi ammassi di lava in forma di cono che indicano ancora il canale eruttivo ; al di fuori i materiali sono fortemente rialzati verso il cretere; all’interno, in un punto della strada che scende da Podere Sassara, situato sul ciglio del cratere fra i coni di Monte Landro e Sassara, si vede la sezione dei lapilli e delle scorie con la stratificazione fortemente inclinata all’esterno, poi si entra nel perimetro del cono di Monte Landro ed i materiali sono rialzati verso la sommità del cono, cioè inclinano verso l’interno; lo stesso avviene dalla parte del cono di Sassara. Questo complesso edilìzio vulcanico, composto di diverse bocche è costituito da materiali caratteristici di cono, ossia da scorie rosse, lapilli freschissimi, bombe, lave scoriacee e compatte. Nel fondo del cratere vi è della tefrite leucitica, la quale però non si sa se appartenga o meno a Sterta ; abbenchè non si possa escludere assolutamente che questa tefrite appartenga al cratere entro al quale si trova, pure per la sua forma di colata che pare venuta dall’alto, per la compattezza della lava che non ha nulla di comune con le lave scoriacee e spugnose che si trovano ordinariamente solidificate in posto nell’interno dei crateri, sembrerebbe più probabile che questa lava appartenesse ad una colata scivolata dall’alto (forse da Sassara) nel- l’interno del cratere posteriormente alla sua estinzione. La tefrite si confonde verso N.O con la leucitite, appartenente al cono di Monte Landro, che da quella parte trovasi sul ciglio del cratere. — 64 — AH’infuori di questa lava, nei dintorni non vi è che la pìccola colata di leucitite che affiora poco distante dalla riva del lago presso Casale Rentice, che si possa ragionevolmente attribuire a Sterta ; d’altra parte la presenza costante delle lave anche nelle più piccole del gruppo, non permette di dubitare che anche Sterta, deve avere avuto le sue colate di lava, che ricoperte più tardi dalle deiezioni di altre bocche eruttive si trovano oggi nascoste sotto ai materiali proiet- tati, o sotto alle acque del lago, come lo dimostra chiaramente la forma del fondo del lago nella parte settentrionale di esso, dove le isobate tracciate dal De Agostini disegnano ancora assai bene, mal- grado le alterazioni provocate dai depositi alluvionali, i contorni di colate che dalla riva si spingono nel lago. Un campione di leucitite proveniente da Casale Rentice, è una roccia a zone compatte ed a zone vacuolari, di color grigio-cenere, con vari cristalli di leucite disseminati nella pasta lavica, la quale però è minutamente punteggiata in bianco forse da leucite allo stato di diffusione. 81 e 82. Coni di Pian Cerasolo e Poggio Finocchiara. — Sono due piccoli coni adiacenti situati a Sud di Poggio del Troscio e ad Est di Sterta a mezza costa del recinto lacustre, dei quali il secondo si avanza un poco più verso il lago. Li ho uniti assieme perchè sarebbe assai difficile il dire se trattasi veramente di due piccoli coni, ovvero di uno solo separato in due parti dal fosso che li divide. Ho accennato già ad altri casi consimili in cui due o più coni addossati, come questi, hanno l’aspetto di bocche avventizie affatto distinte, mentre in realtà potreb- bero essere un edificio separato in più parti dall’erosione. Anche queste due località sono costituite da lapillo e Poggio Finocchiara trovasi situato sul ciglio orientale del cratere di Sterta, del quale potrebbe essere forse una piccola bocca avventizia : a Sud di Pian Cerasolo vi sono delle lave rialzate verso questa collina. 83. Cono di Sassara. — A N.O ed a N.E del cratere di Sterta e sopra la sua cinta craterica stessa, si sono sviluppati i due coni di Monte — 65 — Landro e Sassara, come avviene generalmente in tutti i crateri ed a somiglianza di quanto abbiamo veduto essere avvenuto nei grandi cra- teri di Latera e Monte fiascone. Il cono di Sassara su la parte N.E della cinta craterica di Sterta, è il meno importante dei due per le sue dimensioni assai modeste e perchè assai deteriorato ; esso è costituito di scorie e di lava, però l’unica colata che si possa presumere uscita da questa bocca eruttiva è, come ho detto, quella di tefrite che vedesi entro il cratere di Sterta e che viene a confondersi su i fianchi del Sassara con la lava del cono. Alla sommità della collina vi è una buca profonda, nella quale gettando dei sassi non si sentono giungere al fondo : mi asserirono che nell’inverno, da questa buca esce dell’aria calda che fa sciogliere la neve appena caduta. 84. Monte Landro. — Questo bel cono, sviluppatosi pure su la cinta craterica di Sterta, è rimasto invece, a differenza di quello di Sassara, quasi intatto: ha dimensioni rimarchevoli, e la sua parte culminante raggiunge la quota di 590 metri sul livello del mare: dopo Sterta è la bocca eruttiva meglio conservata del Vulcano di Bolsena. Il cono è costituito di lapillo rossastro e la sua parte superiore è rivestita di leucitite, mentre dalla base occidentale è uscita una colata della stessa lava che dilagando è giunta fino al paese di San Lo- renzo, dove ricopre la trachite che proviene dalla Macchia di Lu- tinano. Anche su la punta del cono di Monte Landro, come su quello di Sassara, vi è una buca profonda dalla quale nell’inverno esce del- l’aria calda che fa sciogliere le nevi: molto probabilmente queste fenditure rappresentano ancora gli antichi camini eruttivi. Un campione di leucitite proveniente dalla sommità di Monte Landro, è una roccia grigio-scura, compatta, dura, a frattura scagliosa, con rare e piccole leuciti e cristallini di augite. Un altro campione proveniente dal fosso Lagaccione a Nord di Monte Landro, è una o — 66 — lava di color grigio -scuro, compatta, dura, a frattura scagliosa con leuciti e molti cristallini di feldispato. Un ultimo campione di leucite preso ad Ovest di Monte Landro, è una roccia grigio-scura con ri- flessi violacei, compatta, cristallina, con poche leuciti semi vetrose. 85. Cratere Morichino. — L’esistenza di questo cratere, che sa- rebbe situato fra Monte Landro, Sassara e il Lagaccione, ed alla quale ho dato il nome del vicino Casale Morichino, è assai dubbia: vi è infatti fra le tre località suddette una pianura di forma semicircolare che potrebbe rappresentare gli avanzi di un cratere, del quale sa- rebbe discretamente conservata soltanto la parte Nord della cinta. Però siccome da Ovest e da Sud questo supposto cratere è addossato ai due coni di Sassara e Monte Landro, potrebbe anche darsi che la forma di questa località fosse semplicemente accidentale. A questa bocca eruttiva non si potrebbero assegnare altre lave, fra quelle che si conoscono, all’infuori delle due piccole colate di leucitite che si osservano nella parte Nord di essa. In definitiva le bocche eruttive di Sterta, Sassara, Monte Landro, il supposto cratere Morichino ed il Poggio Finocchiara, si devono considerare come un solo e complesso edifìcio vulcanico, del quale Sterta sarebbe stata la bocca principale; Sassara e Poggio Finoc- chiara due conetti avventizFdi Sterta ; il cratere Morichino forse una bocca laterale di Sterta, provocata da un piccolo spostamento del camino eruttivo, ed infine il Monte Landro, che dapprima cono av- ventizio di Sterta, venne man mano aumentando la sua attività in modo da occupare con la massa dell’edifizio formatosi con le sue deiezioni, una parte dei due crateri vicini e ricoprire con i suoi ma- teriali quelli eruttati dai due crateri. 86. Lagaccione (di San Lorenzo). — Questa località trovasi a Nord del gruppo delle quattro bocche ultime descritte, presso la strada ro- tabile San Lorenzo-Orvieto, di fronte al Casale Pecorone; è un leg- gero avvallamento di suolo di forma circolare, avente un diametro — 67 di circa 750 metri, nel quale esisteva un piccolo laghetto che venne prosciugato e lasciò alla località il nome. La regione è tutta costituita di lapilli, e questo avvallamento di forma cosi regolare e sicuramente l’avanzo di un cratere, pochissimo accentuato se si vuole, perchè il suo diametro non è proporzionato alla profondità, ma la sua forma caratteristica rivela indubbiamente Torigine sua, abbenchè non sia facile vedere la stratificazione nella poco sviluppata cinta craterica. Lave che possano appartenere al Lagaccione, sono le due piccole colate di leucitite che si vedono una a Sud e l’altra ad Ovest del pic- colo bacino lacustre; inoltre potrebbe pure appartenere a questa bocca eruttiva, una parte della grande massa di leucitite che dilaga a Nord e si estende fino ad Acquapendente. 87. Cono di San Lorenzo Nuovo. — Dalla collinetta dietro al Cam- posanto di San Lorenzo, è uscita una colata di lava trachitica, diretta verso Nord, ricoperta poi in parte presso la via Cassia da una colata di leucitite, fatto che si verifica anche nella sezione della grande co- lata trachitica che si riconosce sotto San Lorenzo dalla parte del lago. Questa collinetta, sia per la forma che per i materiali che la co- stituiscono, non la si direbbe davvero una bocca eruttiva, eppure è un piccolo cono fra i più schiacciati del gruppo, la di cui origine non può esser dubbia, poiché si vede chiaramente da tutte le parti la stratificazione dei materiali fortemente e caratteristicamente rialzata verso il culmine della collina. Il conetto non è costituito nè da scorie, nè da lapilli, ma soltanto da ceneri e sabbie che cementandosi debolmente hanno formato dei tufi incoerenti giallo-arancio e grigio-piombo. La lava uscita dalla sommità del conetto, pende da tre parti : un campione di trachite preso su la collina dietro al Camposanto di San Lorenzo, è una lava di color grigio attraversata da zone rossastre, compatta, a frattura scheggiosa : è un impasto di grossi cristalli di fel- dspato disposti a zone, nel quale vi sono pure cristalli di augite. - 68 — A Sud ed al disotto dell’abitato di San Lorenzo, la località chia- mata S. Loremo vecchio , perchè quivi si trovava anticamente il paese, tro- vasi nel centro di una valle irregolarmente circolare che a bella prima potrebbe scambiarsi con gli avanzi di un grande cratere assai rovi- nato dal tempo. Osservando bene la disposizione dei materiali che affiorano nella valle, si riconosce subito che la medesima è dovuta esclusivamente all’erosione: infatti nella parte più bassa di essa si vedono dei tufi pomicei leggermente inclinati verso il lago, e sopra a questi, tufi incoerenti dovuti alle eruzioni di Sterta e Monte Landro, fortemente rialzati verso quelle bocche eruttive. Da questa parte, al gruppo delle bocche eruttive del Vulcano di Bolsena, fanno seguito i due piccoli coni di Tarciano e Monte To- noco, stati compresi fra le bocche del Vulcano di Latera, abbenchè per le loro dimensioni e per la maggior vicinanza sarebbe stato forse più esatto unirli al gruppo di Bolsena. Ma d’altra parte essi si tro- vano ai piedi del cono di Latera, quindi possono appartenere anche a questo centro eruttivo, sicché sembrò indifferente unirli sì all’uno che all’altro dei due vulcani, tanto più trattandosi di piccolissime bocche di poca importanza. 88. Cono dì Torre Alfina. — Come il Vulcano di Latera, anche quello di Bolsena ha i suoi vulcanetti eccentrici; a Nord del lago Vulsinio ed alla distanza di circa 12 chilometri da esso, torreggia isolato il pic- colo edifizio vulcanico, allineato da Nord a Sud con Lagaccione, Monte Landro, Sterta e Monte di Marta, dall’altra parte del lago. Torre Affina è un conetto di lava, che si eleva a 602 metri sul livello del mare, formatosi alla sommità d’una collina di rocce sedi- mentarie appartenenti all’Eocene, e dal quale si è rovesciata, con di- rezione verso S.E, una grande colata di andesite che va a confondersi con le grandi colate di leucitite emesse dal cratere Vulsinio. A Sud e proprio al disotto di questo conetto, sul quale trovasi il villaggio ed il castello di Torre Affina, vi è una valletta di forma ellittica avente i diametri rispettivamente di 100 e 200 metri, dalla - 69 — quale si sprigionano numerose sorgenti di gas acido solfìdrico ed al- l’estremità meridionale di essa sgorga anche una sorgente di acqua solfurea; l’acqua che si raccoglie nelle pozze dalle quali esce ab- bondantemente il gas, acquista un sapore metallico (come di ferro). Questa valletta per la sua forma e per le emanazioni che da essa si sprigionano, la si direbbe un cratere, se tutta la parte occidentale del suo recinto non fosse costituita esclusivamente da rocce sedimentarie dell’Eocene, circostanza questa che impone di ritenerla formatasi per erosione o meglio ancora per avvallamento; in quest’ultimo caso po- trebbe servire di appoggio al tema da me trattato in questa memoria ed in quello su i Vulcani Sabatini, della differenza cioè che passa fra avvallamento vulcanico ed avvallamento craterico, che qui sarebbe più che in ogni altro luogo evidente. Il cono di Torre Alfìna sembra il prodotto di una sola eruzione, che cominciata con una pioggia limitatissima di ceneri e lapilli si è esaurita con il riversamento della grande colata di andesite che finì con l’ostruire il canale eruttivo. Che i materiali aerei proiettati siano stati pochissimi ne abbiamo una prova nel fatto che di essi non ri- mane più traccia in tutta la superficie della collina su la quale sorge il conetto, all’infuori d’un piccolo lembo di tufo terroso che rinviensi fra Le Caselle ed il fosso della Caduta a Sud del cono stesso. Nella colata di andesite si rinvengono inclusi nella pasta lavica, abbondanti frammenti di calcari e scisti eocenici, alcuni dei quali poco o nulla alterati dall’azione del fuoco, inclusi che, raccolti dall’autore, furono studiati e descritti dal Lacroix 1 Un campione di andesite proveniente dalla colata di Torre Alfìna, è una roccia scura a zone, ruvida, minutamente porosa, disseminata di piccolissimi cristalli di feldispato. Un altro campione proveniente dalla stessa colata, è una lava di color grigio- scuro, porosa, dura, con cristallini di feldispato vitreo e caolinizzato: contiene pure degli in- 1 A. Lacroix, Les enclaves (les roches volcaniques. (Annales de FAcadémie de Mà?on, T. X). Macon, 1893. - 70 - elusi di calcare alberese e delle concrezioni globulari a zone varico- lori, alcune delle quali presentano una struttura cristallina (vedi La- croix, op. cit.). 89. Cono dì Casale Truscione. — Nella Macchia di Lutinano, 7 chi- lometri in linea retta a Nord del lago di Bolsena, e precisamente nei dintorni di Casale Truscione, doveva esistere una bocca eruttiva ec- centrica, della quale non rimane traccia alcuna, ma però viene chia- ramente indicata dalla disposizione dei materiali che costituiscono la Macchia di Lutinano. A destra della Via Cassia che scende ad Acquapendente, vi è un altipiano delimitato da tutte le parti da un’alta scogliera di lava tra- chi tica; osservato quest’altipiano ad una certa distanza e specialmente dal camposanto di San Lorenzo, si vede eh’ esso pende sensibilmente verso Nord e verso Sud, mostrando il profilo di un cono assai schiac- ciato che avrebbe il suo vertice approssimativamente nei dintorni di Casale Truscione. La speciale configurazione di questo altipiano di trachite non può spiegarsi in altro modo che supponendo nella sua parte più aita, una bocca eruttiva, che nelle ultime eruzioni, per la poca quantità di vapore acqueo che da essa si sprigionava, ha funzionato come la bocca di un vulcano omogeneo , riversando tranquil- lamente alla superfìcie senza formare cono, una grossa massa di tra- chite che ha dilagato da tutte le parti in forma di mantello. Al di sotto delle lave però i tufi sono rialzati verso la Macchia di Lutinano, e questa disposizione la si vede assai bene dalla Via Cassia nel tratto anzidetto. In complesso questa bocca eruttiva è gemella di Monterado; come quella ha la forma di un altipiano la cui parte culminante segna la bocca di emissione, che a Monterado però è indicata da un vero conetto ; questo altipiano è circondato come quello da un’alta scogliera di lava ed in entrambe le bocche, al disopra delle lave non vi sono che po- chissimi materiali detritici i quali potrebbero anche provenire da altre bocche. — 71 — Questa grossa massa di trachite ha uno spessore costante di 50 metri, una larghezza massima di 3 chilometri ed una lunghezza di 6, misurati dalla valle del Paglia a Nord, al disotto dell’abitato di San Lorenzo a Sud, dove si vede la fronte della colata di trachite, sotto alla quale stanno dei tufi rialzati verso l'edifìcio di Sterta ed inclinati verso il lago, mentre al disopra è ricoperta da una colata di leucitite proveniente dal Monte Landro. Ad Est di San Lorenzo le deiezioni di Monte Landro hanno ricoperto un largo tratto della massa trachitica la quale perciò si vede soltanto in sezione, come ho già detto, al disotto dell’abitato di San Lorenzo ed a destra della Via Cassia verso Acquapendente. Questa grossa massa di lava trachitica, forma un alto gradino su l’altipiano di Acquapendeute, e segna grossolanamente il limite fra i materiali del Vulcano di Latera e quelli del Vulcano di Eolsena. È probabile che qui non si tratti di una sola colata, ma di più colate soprapposte, poiché la facies della roccia varia da un punto all’altro ; assai diversa macroscopicamente dalla trachite del Vulcano di Latera, qualche campione di essa si avvicina invece a quella del Monte Amiata. La colata di leucitite che a San Lorenzo ricopre la trachite, e che la sua inclinazione chiaramente visibile accusa proveniente dal Monte Landro, dimostra che la bocca eccentrica di Casale Truscione è ante- riore al cono di Monte Landro, ma i tufi che stanno sotto alla tra- chite rialzati verso il cratere di Sterta, ci dimostrano pure che questo cratere è anteriore alla bocca eccentrica. Contemporaneo al cono di Casale Truscione potrebbe essere il cratere del Lagaccione di Valen- tano, che ha pure emesso della trachite, e così si spiegherebbe la buona conservazione di quell’edificio vulcanico, il quale potrebbe essere be- nissimo un’altra bocca eccentrica del Vulcano di Eolsena, apertasi quando già erano cessate le grandi eruzioni di quello di Latera. Dal disotto dell’abitato di San Lorenzo provengono due campioni di trachite: il primo è una roccia grigia con riflessi giallastri, dura, compatta, oltremodo ricca di grossi cristalli vitrei di feldispato e di cristalli di augite; il secondo campione non è che una varietà meno compatta del primo e con minor quantità di cristalli di feldispato Un campione di trachite preso allo sbocco del fosso Canata, fra San Lo- renzo ed Acquapendente, presentasi come un impasto di cristalli di feldispato con qualche cristallo di augite, cementati da un magma lavico di color grigio-ferro. Al Casale Pecorone a N.E di San Lorenzo la trachite è grigio-scura attraversata da sottili zone giallastre, ruvida,, alquanto porosa, ricca di cristalli vitrei di feldispato; contiene pure dell’augite. Un campione proveniente dalla Macchia di Lutinano, è una roccia grigio- cenere, ricca in cristalli di feldispato allo stato vitreo e caolinizzato. ( Continua). CENNO N ECROLOGICO. GAETANO GIORGIO GEMI NIELLAR O. Il giorno 16 marzo, per causa di malattia rapida e violenta, si spegneva in Palermo GL GL Gemmellaro, professore di geologia e mineralogia presso quella Università, senatore del Regno e membro del Comitato geologico. La morte dell’ illustre paleontologo non è solamente lutto grave per la scienza italiana, che perde uno de’ suoi ornamenti, ma anche per i lavori della Carta geologica, che egli aiutò sino dall’ inizio con l’opera e col consiglio. G. G. Gemmellaro nacque in Catania il 25 febbraio del 1832 dal prof. Carlo e dalla signora Caterina Malerba, Egli si laureò in medicina nell’ Università di Catania nel 1852 ; ma non esercitò mai la sua professione, conquiso come fu dall’amore per le scienze geologiche, alle quali sin dalla prima gioventù consacrò tutta la sua attività. Non solamente il padre, valente geologo e profes- sore nell’ Università catanese, gli fu maestro; ma anche Carlo Lyell, che, per lo studio dell’Etna e dei terreni terziari dimorò a lungo in Sicilia, specialmente a Catania, dove spesso prese parte attiva alle riunioni dell’Accademia Gioenia di scienze naturali. Il giovane Gemmellaro lo seguì in tutte le escursioni e sotto la guida di quell’ uomo geniale, che lo amò di vivo affetto, perfezionò , la sua educazione scientifica ed apprese a studiare con quel rigore e con quella obbiettività di metodi dai quali ottenne più tardi così splendidi risultati. Nel 1850, a soli 18 anni, pubblicò una Nota intorno a un caso di terato- logia : ma nel 1853 iniziò la serie de’ suoi lavori geologici e paleontologici, che lo resero meritamente illustre. Le varie pubblicazioni giovanili sui minerali dei vulcani estinti di Palagonia (1853), sul ferro oligisto del M. Corno (1857), su taluni resti fossili del gruppo del M. Judica (1859), sui pesci fossili della Sicilia (1856), sul sollevamento graduale della costa di Sicilia tra la foce del Simeto e l’Onobola (1857), sui coni vulcanici di Paterno e di Motta Sant’Ana- stasia, i quali due ultimi furono tradotti in inglese dal Lyell ed inseriti nei Proceedings of thè Geol. Society of London , lo fecero favorevolmente conoscere. Così, quando il ministro Francesco De Sanctis ricostituì nel 1860 le Università italiane, egli fu nominato professore ordinario di geologia e mineralogia in quella di Palermo (22 ottobre 1860), ove rimase volontariamente sino alla morte. Il prof. Gemmellaro aveva allora 28 anni ; però la cattedra, così presto con- — 74 seguita, non fu per lui argomento cT inerzia. Egli la riguardò sempre come fo- colare di scienza, come spinta e incoraggiamento verso i più nobili ideali. Da quella cattedra uscirono quegli ammirevoli lavori che fecero della Sicilia una delle terre geologicamente meglio conosciute e del Museo geologico dell’Uni- versità di Palermo, da lui formato, la meta al pellegrinaggio di tanti dotti. GL G. Gemmellaro fu un grande lavoratore : egli non visse che per la scienza e per la famiglia. Yient’altro lo attrasse. Animato dal fuoco dell’inve- stigazione scientifica, volle essere, non parere. Questa frase, oramai tanto co- mune, va qui ripetuta, perchè risponde alla verità e dipinge l’ indole dell’uomo. In quarantaquattro anni di ricerche non interrotte egli fece l’anatomia dei ter- reni mesozoici di Sicilia, raccogliendo ed illustrando tale materiale scientifico, che non parrebbe esumato dall’opera di un solo studioso. Quando egli fu no- minato professore le conoscenze sulla serie stratigrafica di Sicilia erano molto manchevoli e quasi nulle e nell’ Università di Palermo non esisteva alcuna col- lezione geologica, per aiuto ; il Gemmellaro creò tutto dal nulla. In pochi decenni portò a grande altezza le conoscenze sulla storia geologica dell’isola e costituì quella collezione paleontologica che è l’ indice più sicuro del suo grande lavoro. Gli studi del prof. Gemmellaro mostrarono che in Sicilia si ripetevano quasi tutte le formazioni delle Alpi. Egli vi ritrovò i piani e le zone che avevano illustrati i lavori di Oppel, Zittel, von Hauer, Mojsisovics, Yeumayer, ecc., ma le sue monografie divennero alla loro volta classiche e fondamentali pel pro- gresso della stratigrafia in Italia e degli stessi territori alpini. De sue pubbli- cazioni sul Titonico (1868-1876), sulla serie cretacea di Sicilia (1865-1878), sugli strati con Aspidoceras acanthicum (1872-1877), su quelli con Peltoceras transver- sarinm (1874), sui calcari con Terebratula Aspasia (1874 e 1884), sulla zona con Posidonomya alpina (1876-1877), sul Lias inferiore (1878-1879), sul Trias della regione occidentale di Sicilia (1882), sugli strati con Leptaena del Dias supe- riore (1886), sulla fauna del calcare con Fusulina della Yalle del fiume Sosio, sono tutte ammirabili per l’ importanza del contenuto e per i metodi magistrali con i quali sono condotte. Egli metteva la più grande cura nell’esecuzione dei propri studii, ai quali attendeva per molti anni, con indefesso lavoro al tavolo e con ricerche reiterate sul terreno. Per questo i suoi studi hanno l’impronta della maturità e della completezza, sono e rimarranno parte integrante e incan- eellabile della scienza. L’opera massima di G. G. Gemmellaro è quella che illustra la fauna dei calcari con Fusulina della valle del fiume Sosio, iniziata nel 1887 e purtroppo rimasta incompiuta. La scoperta di quella fauna permiana di Sicilia è tra i fatti più importanti che si siano conosciuti in tempi recenti, sia in rapporto - 75 - alla stratigrafia dell’isola, sia in generale per quanto riguarda i progressi della geologia e della paleontologia. Accanto a questi bellissimi lavori sul Per- miano di Palazzo Adriano va messa la descrizione non ancora pubblicata dei Cefalopodi triasici della regione occidentale della Sicilia. Tale monografia, le cui bozze di stampa furono corrette dal Gemmellaro fino agli ultimi giorni della sua vita, vedrà tra poco la luce per cura della famiglia e degli allievi. Con essa l’esame del Trias di Sicilia è messo su basi nuove ed inconfutabili. GL G. Gemmellaro cominciò a collaborare direttamente alla Carta geolo- gica d’Italia sin dal 1861, quando, insieme al padre, fu chiamato nella Giunta consultiva che il Ministero di agricoltura aveva incaricata di stabilire le norme per la formazione della Carta, dell’aprile del 1874 fece parte di un congresso di geologi italiani riunito a Roma dallo stesso Ministero per sentirne il parere intorno al modo migliore di continuare i lavori di rilevamento e, nel 1879, fu nominato membro del Comitato geologico. Iniziatosi in quel tempo il rilevamento geologico della Sicilia egli ne ebbe l’alta direzione scientifica, mettendo a disposizione dei rilevatori le sue vaste cognizioni sulla geologia dell’isola e l’ingente materiale da lui raccolto in tanti anni di ricerche assidue e fortunate. Il Gemmellaro fu socio dell’Accademia dei Lincei, della Società detta dei XL, di molte altre accademie d’Italia, della Società geologica di Londra, della Società geologica italiana, della quale fu anche presidente, delle Acca- demie delle scienze di Yienna, Monaco, Berlino, ecc. Tenne vari uffici ammi- nistrativi pubblici e in tutti portò le sue doti spiccate d’integrità e di equani- mità. Uomini e governi lo onorarono; ma gli onori che ebbe egli non li sollecitò perchè convinto che la ricerca e l’assodamento di una verità scientifica è bene maggiore di qualunque altro passeggierò godimento umano. Il tempo determinerà quale sia l’alto posto che G. G. Gemmellaro occupa nella storia della stratigrafia e della paleontologia italiana; ma sin da ora si può affermare che egli fu uno dei maggiori paleontologi del tempo e di quanti l’Italia abbia mai avuti. La Direzione e il personale dell’Ufficio geologico italiano con queste poche parole rendono omaggio alla memoria dell’illustre scienziato, dell’affettuoso e sapiente consigliere, del perfetto gentiluomo. La Direzione. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA. GEOLOGICA ITALTATVA PER l’anno 1902 1 (i Continuazione e fine , vedi n. 4 del 1903). Pant anelli D. — L 'Appennino settentrionale dalla Trebbia al Reno (dagli Atti del IV Congresso geografico italiano, pag. 20 in-8°). — Milano, 1902. L’autore di questo lavoro prende in esame la regione appenninica com- presa fra la Trebbia ed il Beno. Egli comincia col determinare sulla Carta al 1:100.000 dell’Istituto geografico millitare la superficie dei singoli bacini flu- viali compresi in quest’area, dividendoli in zone, secondo le altitudini. Il risultato di queste misure viene esposto in un quadro ove sono segnate le superficie dei bacini del Reno, Panaro, Secchia, Parma, Taro, Trebbia e degli altri corsi intermedii, divisi secondo le isoipse superiori a 1000 metri, tra 1000 e 700. tra 700 e 400 e tra 400 e 100, non che le loro percentuali sulla superficie totale. Raggruppati in un secondo quadro questi numeri e le percentuali secondo le maggiori affinità morfologiche, egli viene ad esporre le considerazioni che ne derivano. Divide la regione in due zone rappresentate grossolanamente da due parallelogrammi contigui, di altezza diversa, aventi per base una retta che oscilla attorno alla curva di 100, e per lato contiguo lo spartiacque fra il Grottero e la Cisa, continuantesi in quello tra il Taro e la Baganza. Dopo avere esposto i diversi dati orografici nelle due parti e mostrato in un quadro le lunghezze e pendenze dei corsi d’acqua nelle diverse zone e le loro medie, passa all’esame dei vari terreni nei singoli bacini, con le stesse norme usate nello stabilire le zone, misurando cioè la superficie occupata dai terreni, secondo la classificazione geologica, nei bacini dalla Trebbia al Reno, limitata alla quota di 100 metri; il risultato di tali misure viene esposto in due quadri. L’autore passa quindi ad esaminare partitamente i diversi piani, venendo a stabilire la potenza, l’estensione e la loro diversa distribuzione nella regione 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 11 — studiata. Accenna ai pochi minerali che si possono raccogliere nell’ Appennino, e alla zona petroleifera, per occuparsi infine delle pieghe o fasci di pieghe che dalla valle padana si elevano alla cresta dell’ Appennino, passandole partita- mente in rassegna. Patrizi Pl. — Studio geologico delle colline di Chiuppano nel Vicentino. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Volume XXXV, fascicolo XVI, pag. 659-676). — Milano, 1902. L’autore, dopo avere passato in rassegna le opinioni dei diversi autori che si occuparono della costituzione geologica del Vicentino, e specialmente dell’ordi- namento dei diversi piani del terziario di quella regione, espone le osservazioni da lui fatte nei dintorni di Chiuppano e di Thiene, non che nel gruppo isolato di colline a destra dell’Astico a sud di Chiuppano. Mettendo quindi a confronto il risultato del suo rilevamento colle indicazioni date dalla Carta geologica del Xegri testé pubblicata, trova che esso vi coincide quasi esattamente. Osserva però che l’andamento della zona calcare fossilifera che da Chiuppano va al ponte di Lugo passando per Sangonini, riferita all’oligocene, è un poco meno regolare e che inoltre a Grumulo non vi è soltanto basalto ma anche l’arenaria calcare ad echinidi del piano miocenico di Schio. Questa osservazione fa meglio conoscere che l’antica alluvione dell’Astico corrisponde ad un bacino stratigrafico occupato dagli strati terziari più recenti del Vicentino, e che il miocene inferiore o aquitaniano di Schio è identico non solo ai lembi di Zugliano, di Grumulo, di Lugo e di Bassano, ma anche agli altri lembi che sono a ponente della classica frattura Schio-Vicenza ritenuti dal Suess di età diversa. Ritiene poi dalle osservazioni stratigrafiche fatte, che i terreni miocenico ed aquitaniano comprendenti gli strati di Schio, non abbiano preso parte alla prima fase d’ incurvamento che subirono gli strati terziarii alle falde dei Sette Comuni, non osservandosi essi nelle regioni più elevate. L’autore dà infine un Catalogo descrittivo dei fossili raccolti sia da lui che dal prof. Tarameli! Pellati N. — Sulla sona antracitifera alpina. (Rassegna mineraria, Voi. XVI, n. 18, pag. 299-300). — Torino, 1902. È la riproduzione di parte della Relazione che l’autore, quale direttore del Servizio geologico, ha fatto al R. Comitato per l’anno 1902. Avendo il Ministero d’agricoltura disposto che si facesse uno studio com- pleto sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali, l’autore incaricò gli in- gegneri-geologi addetti al rilevamento delle Alpi, che già si erano occupati di questo studio, di completarlo specialmente in riguardo alla natura e all’im- portanza degli affioramenti di quel combustibile. Di tale studio, del quale sarà pubblicata una estesa Relazione nelle Memorie descrittive della Carta geologica, è dato un breve sunto in questa Relazione. Il risultato di esso non è troppo favorevole a fronte degli apprezzamenti esagerati che si facevano sull’importanza e valore di tali giacimenti. Si è in- fatti riconosciuta la poca loro estensione, la irregolarità e che le condizioni stra- tigrafiche ne rendono difficile e costosa l’estrazione. Inoltre anche la qualità non è buona, avendo le migliori dei tenori in cenere tra il 15 e il 20 °/0. Da distanza dalle ferrovie non permette di eseguire economicamente impianti di estrazioni in grande scala, e quindi il combustibile è solo utilizzabile per gli usi domestici e per le industrie locali. Sono invece importanti i risultati di questo studio dal lato scientifico. Do studio infatti particolareggiato della zona antracitica, ha dimostrato fatti spe- ciali riguardanti la tettonica delle masse antracitiche. Ha pure procurato la raccolta di buon numero d’impronte di piante, la cui determinazione ha per- messo di precisare meglio l’orizzonte di questa zona. Ha dato inoltre modo di riconoscere un metamorfismo profondo nelle roccie che la costituiscono, e spe- cialmente nella valle d’Aosta ha giovato a meglio precisare i rapporti di questa zona coi terreni secondari coi quali si trova a contatto. Peola P. — Empreintes des vègetaux dans les travertins des environs d’ Aoste. (Bull. Soc. de la Flore Yaldòtaine, n. 1, pag. 1-14). — Aoste, 1902. Ricordate le filliti trovate fino dal 1888 dallo Squinabol nel travertino di Aosta insieme a molluschi di specie tuttora viventi, l’autore espone il risul- tato dello studio eseguito sullo stesso. Il travertino da lui esaminato è un grosso blocco di forma arrotondata che fa risalto nella località Cossan a sinistra del torrente Champollier. Esso sta sopra a scisti antichi, ed è mescolato con detriti morenici e con traccio di roccie decomposte ; il che dimostrerebbe essersi esso formato in mezzo a detrito lasciato da antichi ghiacciai e che la sua forma arro- tondata sia dovuta ad erosione e trasporto di abbondanti acque post-glaciali. D’autore vi ha determinato le seguenti specie : Pinns sylvestris D., P. mon- tana D., Jnylans regia D., Salix pentandra D., Popiilns nigra D., Betula alba D., Alnus viridis D. C., Fagus silvatica D. — 79 — In un blocco di travertino staccato da un muro dell’antica porta romana di Bramafam, e che si conserva in Aosta; si trovano molte impronte di vegetali. Questo travertino è più cavernoso del precedente e contiene molti elementi ocracei. L’autore vi ha riscontrate le seguenti specie: Populus tremula L., Quercus pedunculata Ehrb., Corylus avellana L. L’autore espone poi diverse con- siderazioni sull’età di questi travertini e, basandosi sulle essenze dei vegetali studiati, ritiene il travertino di Cossan appartenente all’alluviale antico e quelli del blocco romano all’alluviale recente. Piolti G-. — / manufatti litici del Riparo sotto roccia di Vayes ( Val di Susà). Osservazioni petrografiche. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXYII, disp. 12a e 13a, pag. 476-491, con tavola). — Torino, 1902. A sinistra dell’antica strada che dalla Chiusa di San Michele conduce a Yayes, si scorge un riparo sotto roccia presso le cave di gneiss di proprietà dei fratelli Pent. Ivi dall’autore, insieme al dott. A. Taramelli, furono fatti ese- guire degli scavi nello scopo di rintracciare manufatti litici, dei quali si era constatata la presenza dal dott. Rumiano. Risultato di tali scavi fu il rinveni- mento di sedici manufatti in questa stazione neolitica di Yayes, e le roccie da cui essi risultano ricavati vengono descritte in questa nota. Da tale studio risulta che undici di essi sono di pirossenite, il cui piros- seno in nove è di jadeite e in due di cloromelanite. Due sono di eclogite, due di anfibolite ed uno di quarzite. Tenendo conto dei ritrovamenti di jadeiti dovuti allo stesso autore in valle di Susa, di cloromelanite descritti dal Franchi presso Mocchie, di anfiboliti, eclogiti e quarziti nella valle, l’autore crede di potere confermare quanto già disse in una nota precedente (vedi Bibl. 1899), che cioè gli uomini neolitici della valle di Susa fabbricarono armi con materiali presi sul luogo. Piolti Gl. — Pirosseniti , glauco fanite, eclogiti ed anfiboliti dei dintorni di Mocchie ( Val di Susa ). (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXYII, disp. 15a, pag. 660-666). — Torino, 1902. L’autore descrive in questa nota diverse roccie raccolte nei dintorni di Mocchie; esse sono: 1. Pirosseniti. — Due grossi frammenti trovati sulla strada mulattiera che mette da Mocchie a Frassinere ; uno all’esame si appalesa una cloromelanite identica a quella descritta dal Franchi; l'altra è una pirossenite con molta zoisite. Queste roccie trovansi in posto più in alto. 2. Glauco fanite. — Proviene da un gruppo di rupi sporgenti sopra la strada mulattiera che da Mocchie mette a Ravoire. È una roccia costituita essenzial- mente da glaucofane, ma contiene anche sfeno, granato, attinoto, tremolite, ru- tilo, magnetite, pirite alterata e quarzo come minerali accessori. 3. Eclogiti. — Fra le rupi della località suddetta ve ne sono diverse di eclogite a grana finissima contenente glaucofane con minerali accessori, e si possono quindi chiamare eclogiti glaucofaniche. Altri tipi di eclogite trovansi nel torrente a monte di Mocchie. 4. Anfibolia. — Sul percorso Mocchie-Frassinere, oltrepassato il mulino, s’incontrano sulla sinistra della strada delle rupi sporgenti. Varie di esse sono costituite da anfiboliti compatte, il cui anfibolo è attinoto, con elementi acces- sori di epidoto, siderite, pirite, magnetite e zircone. Altre anfiboliti s’incontrano nello stesso percorso: trattasi di anfiboliti glaucofaniche con sfeno, epidoto, qualche granato e quarzo. Da questo studio rilevasi che nei dintorni di Mocchie trovasi in posto un complesso di roccie pirosseniche ed anfiboliche, in nesso tra loro e probabil- mente appartenenti alla stessa formazione. Tali materiali per la loro tenacità e compattezza hanno potuto servire a trarne manufatti, che possono quindi provenire dai dintorni di Mocchie. In appendice allo studio, l’autore fa notare l’incertezza che regna nella nomonclatura rispetto alle roccie granatifere e propone venga soppresso il nome di eclogite e kinsigite, e si chiami rispettivamente graniate anfibolica la roccia di granato e anfibolo, granitite pirossenica quella di granato e pirosseno, e gra- niate micacea quella di granato e mica. Pollacci E. — Analisi qualitativa e quantitativa del marmo saccaroide di Carrara. (Gazzetta chimica italiana, Anno XXXII, Parte I, fase. 1, pag. 83-87). — Roma, 1902. L’autore, riportate le analisi di Berthier e di Koeppel del marmo sacca- roide di Carrara, riferisce i risultati di quella da lui eseguita sullo stesso. Oltre il carbonato di calcio, prevalente, vi ha ritrovato ferro, alluminio, magnesio, potassio e sodio, silice, fosfati, nitrati, nitriti e materia organica. Le sostanze nuove (in specie quest’ ultime) rinvenute dall’autore nel marmo di Carrara, con- tribuiscono a mettere fuori di dubbio la origine organica della roccia in qui- stione. - 81 - Portis A. — Di un dente anomalo dì elefante fossile e della presenza ^//’Elephas primigenius in Italia. (Boll. Soc. Gfeol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 93-114, con tavola). — Eoma, 1902. Il dente descritto dall’autore proviene dalla cava di ghiaia detta di Ponte Molle, aperta nella via di allacciamento fra la via Flaminia e la Cassia. DalFesame minutissimo che ne viene fatto risulta che esso offre caratteri in evidente contrasto tra di loro, sicché non può attribuirsi nè all 'Elephas me • ridionalis Xesti, nè all’ El. trogontherii Pohlig, nè all PI. primigenius Blum., nè all’ El. africanns Linn. Rimane a considerarsi YEl. antiquus Falc. Prima però di addivenire alla determinazione specifica l’autore riassume brevemente la storia relativa alla specie di Falconer e agli studi che in proposito ne fece il Pohlig, il quale creò la specie trogontherii abolendo molte denominazioni di specie fittizie. Tenendo alla determinazione del dente anomalo egli ritiene di riferirlo all’ El. antiquus Falc. prendendo questa denominazione col concetto di carattere passeggero nella continua evoluzione, col suo punto di partenza nell’ El. meri- dionali.-} Xesti e che termina nelle specie viventi o da poco estinte. La deno- minazione e le caratteristiche di El. trogontherii si devono applicare con note- vole larghezza, come quelle che riuniscono l’ El. meridionalis alle altre specie. Per la determinazione materiale degli oggetti sono però da applicarsi le deno- minazioni con le loro note caratteristiche di El. meridionalis , El. antiquus , El. primigenius , El. indicus , El. africanus. Tenendo da ultimo alla questione della presenza o meno dell’ El. primi-gè ■ nius in Italia, afferma di nuovo che questa non è stata mai dimostrata e, dopo avere visitato diversi musei e studiate le opere pubblicate nel 1901 del Ricci, riferisce tutto il materiale studiato alla specie del Pohlig, e asserisce recisa- mente che YEl. primigenius manca in tutta l’Italia media e meridionale, mentre nella superiore non è finora rappresentato che dal dente di La Loggia presso Torino, da lui già illustrato (vedi Bibl. 1898). In una tavola in fototipia è rappresentato il dente di Ponte Molle. Prever P. — Le nummiiliti della Forca di Presta nell Appennino cen- trale e dei dintorni di Potenza nell Appennino meridionale (dalle Mem. de la Soc. Pai. suisse, Tol. XXIX, pag. 122 in-4°, con 8 tavole). — Grenève, 1902. Una parte del materiale, oggetto di questo studio, proviene dalle falde meridionali del Monte Tettore; l’altra fu raccolta nei dintorni di Potenza e due terzi di essa nelle due località di Spina di Potenza e Montocchio. 6 — 82 — L’autore con metodi speciali nello studio delle nummuliti è giunto a con- clusioni che collimano perfettamente con quelle di Douvillè, stabilendo che le prime nummuliti apparse nell’eocene più antico furono le subreticolate che ori- ginarono poi le striate, le granulato-striate e le reticolate propriamente dette. Adotta pure col Douvillè la divisione del genere Nummulìtes Lmk. in Cante- rina Brug. e in Lenticulina Lmk., conservando il genere Assilina d’Orb. Vi aggiunge quattro nuovi sottogeneri, Bruguieria per le Camerine sprovviste di granulazioni ; Laharpeia per le granulate ; Giimbelia per le lenticuline granulate e Hantkenia per quelle sprovviste di granulazioni. Trova pure opportuno il distinguere la forma megalosf erica dalla microsferica, facendo precedere alla prima la preposizione sub al nome specifico. Dato l’elenco dei lavori consultati, l’autore passa alla descrizione delle forme che sommano ad un centinaio, delle quali 13 sono di Brngnieria , 13 di Laharpeia , 24 di Giimbelia , 42 di Hantkenia e 9 di Assilina. Circa una metà di esse sono indicate con nome specifico nuovo. In un prospetto figurano tutte le forme descritte coll’indicazione della loro frequenza nelle singole località. È rappresentata infine la scala delle nummuliti di De La Harpe, modifi- cata secondo le ultime osservazioni. Da questo studio risulterebbero, nel giacimento di Potenza, rappresentati quattro piani: l’Ipresiano, il Luteziano inferiore, il medio e il superiore. Alla Forca di Presta invece si avrebbe soltanto il Bartoniano inferiore. La memoria è corredata da 8 tavole con oltre 200 figure ricavate da foto- grafie. Bagusa E. — Ritrovamento di fosforiti a Modica. (Boll. Acc. G-ioenia di Se. nat., fase. LXXI, pag. 4-8). — Catania, 1902. L’autore annunzia di aver scoperto nei calcari miocenici dei dintorni di Modica (Sicilia) degli strati a noduli fosfatici, identici ai nodale beds di Malta. Analizzando due di questi noduli vi si trovò rispettivamente il 20 ed il 25 % di Pg06. L’estensione di questi strati non è ancora conosciuta; tuttavia il loro tenue spessore di pochi centimetri, mentre a Malta raggiungono il metro, fa temere che essi difficilmente potranno acquistare un’importanza industriale. Potranno invece servire localmente per la concimazione, ed in ogni caso la presenza dei noduli nel sottosuolo e nelle pietre sparse alla superficie tornerà sempre utile all’agricoltura. — 83 Bagusa E. — Studi geologici sui calcari iblei. (Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. IV, Voi. XV, Mem. II, pag. 1-26, con tavola). — Ca- tania, 1902. Questi calcari, appartenenti a varie divisioni del miocene, formano un altipiano frastagliato (i Monti Iblei) nell’angolo S.E della Sicilia, divisi in due parti dal fiume Tellaro. Velia parte settentrionale essi sono associati con una potente formazione di basalti e tufi basaltici (vulcani della Val di Voto). L’autore fa da prima un breve cenno di questo Tavoliere siracusano e dagli studi su di esso eseguiti da Carlo Gemmellaro (1826), da F. Hoffmann (1831-32), da Waltershausen (1846), da Lyell (1867) e da altri ; tutti confermanti la miocenicità di quei calcari. Passa quindi alla descrizione particolareggiata della formazione calcarea, in cui distingue due serie, di ciascuna delle quali dà i caratteri stratigrafici e paleontologici. Da questi conchiude che la serie più elevata, quella di Voto, appartiene al 2° Piano mediterraneo o miocene superiore, quella media o di Bagusa, al 1° Piano mediterraneo o miocene medio, l’inferiore o di Chiaramente allo stesso piano o tutt’al più al miocene inferiore. Fa da ultimo un paragone fra questi calcari iblei e quelli di Malta, notan- done la equivalenza. Velia tavola sono disegnati diversi profili geologici attraverso l’altipiano degli Iblei rilevati dall’autore. Begàlia E. — Sette uccelli pliocenici del Pisano e del Valdarno superiore . (Palaeontographia italica, Voi. Vili, pag. 219-238, con tavola). — Pisa, 1902. I resti ornitici fossili che l’autore ha studiato per incarico del prof. C. De Stefani provengono: uno dal pliocene lacustre del Valdarno superiore e preci- samente dalla località detta Tasso presso Terranova (Aiezzo), gli altri dalle argille marine del pliocene superiore di Orciano Pisano nella valle della Fine (Prov. di Pisa), da dove provengono pure resti di mammiferi, rettili e pesci. Quello del Valdarno è una porzione di ulna destra già attribuita ad un Corvus pliocaenns (Portis)? dall’autore che espone i particolari morfologici sui quali è basata la sua diagnosi. I resti della seconda località sono classificati come segue : Falconida (Aquila Klein?); Phalacrocorax Briss. {De Stefanii n. sp. ?); Alcida ; Golijmbus Portisi n. sp. ; Pocliceps pisanus (Portis). Descritti minutamente tutti i resti studiati, l’autore aggiunge alcune consi- — 84 derazioni sulle induzioni che dalla presenza di tale specie si possono fare circa la geografia fisica delle regioni. In una tavola sono illustrati i resti descritti. Kepossi E. — Osservazioni strati grafiche sulla Val denteivi , la Val Solda e la Val Menaggio. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLI, fase. 2°, pag. 129-175, con Carta geologica). — Milano, 1902. Premesso un cenno orografico di questa regione montuosa situata a ponente del Lago di Como, parte media, e alcuni appunti bibliografici sugli autori che ne hanno trattato dall’ Amoretti (1794), allo Stoppani (1858), al Curioni (1877), al Taramelli (1880), per non citare che i principali, l’autore passa alla descrizione delle varie formazioni incominciando dalle pretriasiche nel loro complesso (scisti cristallini e porfidi) riferendo in proposito le opinioni dei diversi autori che ne trattarono. Seguono i terreni triasici rappresentati dal Buntsaudstein, dal Muschel- kalk, dal Raibliano e dalla Dolomia principale, dei quali indica i caratteri nei vari affioramenti. Passa quindi alla serie giuraliassica, rappresentata unicamente dal Retico, dalla dolomia infraliasica e dal Lias inferiore, tutti, e il primo specialmente, fossiliferi. Da questi si salta direttamente al quaternario, specialmente d’origine glaciale sviluppatissimo nella Valle d’Intelvi, e tanto importante da imprimere ad essa ima particolare fisionomia orografica ; nè mancano nella regione studiata i bacini lacustro-glaciali. La struttura dominante è quella a pieghe con direzione principale da E. SE ad OAO e una successione di anticlinali e sinclinali, delle quali si hanno esempi istruttivi in due sezioni intercalate nel testo. Questo sistema di pieghe e fratture è poi intersecato da altro, meno esteso e importante, diretto all’incirca da X.XO a S.SE, con una serie di salti nella stessa direzione. Xella carta geologica annessa, che oltre alla regione studiata comprende parte della penisola di Bellagio fra i due rami dal Lago di Como, trovatisi anche alcuni istruttivi profili geologici attraverso le tre valli suindicate. Repossi E. — Il Mixosauro degli strati triasici di B esano in Lombardia. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Voi. XLI, fase. 3°, pag. 361-372, con 2 tavole). — Milano, 1902. Questo importantissimo fossile, fatto conoscere per primo da GL Curioni (1847), riconosciuto più tardi, con l’esame di nuovo materiale, come nuovo dal Cornalia, fu infine studiato dal Bassani nel 1886 che lo denominava Ichthyosaurus Cornalianus e ne stabiliva la posizione alla base degli strati raibliani. Poco dopo G. Baur, osservando gli stessi avanzi si accorse trattarsi di un genere nuovo e ne fece un Mixosaurus Cornalianus Bass. come tipo di una nuova famiglia che segnerebbe il passaggio fra i sauri terrestri e quelli marini del mesozoico, avente grandi somiglianza col M. atavus var. minor della Svevia, del quale peraltro è alquanto più antico. Dai caratteri importantissimi riconosciuti dal Baur in questo fossile si ha una nuova prova dell’idea anteriormente emessa dall’Haeckel e dal Yoght che gli Ictiopterigi discendano da animali terrestri e non da pesci come voleva il Gegenbaur. Gli avanzi in discorso trovansi nel Museo civico di Milano e costituiscono ben cinque esemplari interi o quasi, oltre a numerosissimi frammenti di ogni parte del corpo. Essi provengono per la maggior parte da scavi fatti apposita- mente eseguire dalla Società italiana di Scienze naturali e dalla Direzione del Museo. Appartengono tutti ad una sola specie e rappresentano i più antichi resti conosciuti del gruppo degli Ictiosauri, non discendendo le altre specie oltre la base del lias. Premesse queste generalità, l’autore passa alla descrizione particolareggiata dal Mixosaurus Cornalianus Bass., corredandola con due tavole, nelle quali è dato il disegno delle singole parti dello scheletro, oltre a quello dell’intero corpo preso dall’esemplare più completo. Ricco A. e Arcidiacono S. — L'eruzione dell'Etna del 1892. — Parte P: L'Etna dal 1883 al 1892. (Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. IY, Yol. XY, Mem. Y, pag. 1-62). — Catania, 1902. — Sunto in (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. LXXII, pag. 6-7). — Catania, 1902. In questa prima parte del lavoro gli autori, per far bene comprendere l’importanza della eruzione etnea del 1892, danno la cronaca del vulcano dal marzo 1888 sino ai primi di luglio 1902, accennando agli avvenimenti più note- voli che sono andati svolgendosi durante quel periodo, nello scopo anche di mettere in evidenza i legami che passano fra le tre grandi eruzioni del 1883, del 1886 e del 1892. Questa cronaca si riattacca a quella già data del compianto Silvestri ante- riormente al 1883 (vedi: Atti Acc. Gioenia , S. 3a, Yol, XYII, 1883), per modo da avere una storia completa del grande vulcano per un lungo periodo di tempo. — 86 Rimatori C. — La Prehnite ed altre zeoliti nelle granuliti di Cala Francese (Isola della Maddalena, - Sardegna ). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 12, 1° sem., pag. 542-547). — Roma, 1902. Hella roccia sopraindicata si trovano, sebbene raramente, due varietà di prehnite , l’una verdognola e l’altra quasi bianca. L’autore ne descrive i carat- teri e ne dà per entrambi l’analisi chimica, indicante una composizione quasi identica e corrispondente a quella tipica di questa specie. Yella stessa roccia trovansi anche altre zooliti, quali la stilbite e la lanmon- tite , riconosciute tali da C. Riva (I felspati del granito di Cala Francese , ecc. ecc., Milano, 1901) in seguito allo studio delle proprietà ottiche. Di entrambe l’autore dà pure la composizione centesimale, in base ad analisi quantitativa da lui eseguita. Un’altra specie infine, nuova finora per la Sardegna, è di color giallo- chiaro, a cristalli aciculari raggiati, che a prima vista sembra stilbite: all’ana- lisi chimica però si manifesta essere una scolecite. Trovasi questa in piccoli nidi intercalati fra quarzo e felspato, talvolta impastata con epidoto, dal quale difficil- mente si può separare. Ristori G. — Il conglomerato miocenico ed il regime sotterraneo delle acque nel promontorio e monte Porto fino. - Studio idro-geologico. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Memorie, Yol. XYIII, pag. 49-67). — Pisa, 1902. Il promontorio di Portofino fra Recco e Rapallo (Liguria orientale), co- stituito da un conglomerato poli genico del miocene inferiore, riposante sulle formazioni calcareo-argillose dell’eocene, si eleva a m. 610 sul mare e forma tre distinti spartiacque, i quali presentano caratteri diversi e determinano tre distinti bacini imbriferi con variate condizioni orografiche. Tra questi la pen- dice di S.O ha, dal lato della idrografia sotterranea, importanza massima, dando luogo al più esteso e ricco bacino idrografico della regione ; e tal differenza è connessa con la tettonica della roccia i cui strati presentano una quasi costante pendenza verso sud. Patte quindi alcune osservazioni sulla genesi e sul carattere fisico e chi- mico del conglomerato, nonché sulle condizioni generali tettoniche, geologiche ed orografiche del medesimo, l’autore passa a trattare del regime sotterraneo delle acque e delle principali sorgenti nei diversi bacini, dando interessanti in- formazioni sulla loro portata, sulla temperatura e sulla loro altezza sul livello del mare. Ristori Gr. — Studio idrografico e geologico dei bacini imbriferi di Coltibono , Secc l'ano e Cafaggiolo nella Catena Chiantigiana ( Valdarno superiore) (dalle Mem. Soe. toscana di Se. nat., Voi. XIX, pag. 44 in-8°). — Pisa, 1902. La regione presa in esame dall’autore comprende porzione della catena del Chianti fra il classico bacino del Valdarno superiore ed il Chianti propria- mente detto. Egli descrive sommariamente le condizioni litologiche e tettoniche delle formazioni che lo compongono, particolarmente arenarie, scisti argillosi e cal- cari alternanti fra loro ma succedentisi con sufficiente regolarità per modo che il livello impermeabile su cui scorrono d’ordinario le acque è da ritenersi in generale sopra la formazione scistosa, mentre i bacini raccoglitori stanno sulle arenarie e nei calcari. Dal complesso poi delle condizioni tettoniche, complicate da fratture interessanti specialmente i banchi calcarei, si desume facilmente come il regime delle acque debba formare una rete oltremodo complessa, tanto più che vi sono tre tipi bene distinti di calcari aventi ciascuno un carattere proprio. Ciò premesso l’autore passa allo studio dei singoli bacini imbriferi; essi hanno caratteri orografici simili e sono in numero di tre, ciascuno dei quali presenta sorgive più o meno importanti. Di tali bacini egli fa un’accurata de- scrizione, come pure dà la portata e la temperatura delle varie sorgenti. Seguono in appendice alcune osservazioni sulle acque freatiche in rap- porto alla natura e alla disposizioni dei depositi fluviali nel Valdarno superiore. Romberò J. — Geologischpetrographische Studien ini Gebiete von Pre - dazzo. I. (Sitzungsb. der Kon. Preuss. Ak. der Wiss., Jahrg. 1902, H. XXIX-XXX, pag. 675-702). — Berlin, 1902. — Idem . II. (Ibidem, H. XXXI-XXXII-XXXIII, pag. 731-762). — Berlin, 1902. Facendo seguito alle notizie preliminari date lo scorso anno (vedi Bibl. 1901) l’autore pubblica ora uno studio particolareggiato di questa classica re- gione del Tirolo meridionale, sulla quale tanti hanno scritto a cominciare dal Mojsisovics e dal Doelter insino al Brògger (vedi Bibl. 1895) ed altri, i quali tutti hanno descritto nuovi tipi di roccie, che l’autore passa in rassegna, alcuni modificandoli, altri appoggiandoli con nuovi argomenti, tratti dall’esame dei luoghi e dall t studio di una collezione di ben 2800 esemplari di roccie di vari tipi. Le principali conclusioni cui egli giunse in queste prime parti del lavoro, sono le seguenti: 1° Le più antiche eruzioni constano di roccie basiche, mela- firo, porfirite augitica e plagioclasica, diabase amigdaloide e tufi; 2° Tengono più tardi le pirosseniti, le diabasi, la monzonite ed altre roccie alquanto acide ; 3° Queste ultime, come le monzoniti, sono roccie ortoclaso-plagioclasiche, tal- volta associate alla porfirite plagioclasica ; 4° Più recenti della monzonite sono la granitite passante a granito tormalinifero, ed eventualmente la aplite e i filoni di porfido quarzifero ; 5° Alle successive eruzioni appartengono i filoni di camptonite o di porfidi liebeneritici, i quali ultimi rappresentano dovunque le roccie più giovani della regione. Xuove analisi e descrizioni di importanti roccie si trovano in questo la- voro, insieme con interessanti e nuove considerazioni di petrografia sistematica. Rosati A. — Rocce a glauco fané di Val d'Aia nelle Alpi occidentali . (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 11°, 2° sem., pag. 312-315). — Roma, 1902. È la descrizione di due campioni trovati erratici, ma provenienti certa- mente dalla Yal d’Aia. Il primo consta di anfibolo azzurro, epidoto e zoisite, con granato, sma- ragdite, magnetite, clorite, moscovite, rutilo e quarzo. Esso appartiene ad una plaucofanite scistosa. Il secondo contiene anfibolo azzurro, granato ed epidoto, con zoisite, pi- rite, clorite, mica bianca, magnetite, rutilo e quarzo. Esso è una eclogite a glancofane. Entrambi sono simili alle eclogiti a gastaldite dell’Uja di Bellavarda e della Yaltournanche descritte dal Bucca (vedi Bibl. 1886 ) e debbono riferirsi alla zona delle pietre verdi del Gastaldi. Rovereto G. — Nuovi studi geologici sulle grandi gallerie transappen- niniche di recente progettate. (Atti Soc. Ligustica di Se. nat. e geogr., Yol. XIII, n. 3, pag. 176-180). — Genova, 1902. — Idem. (Giornale di Geol. pratica, Yol. I, fase. 1°, pag. 44-49). — Genova, 1903. L’autore esamina brevemente i tracciati di tre nuove linee ferroviarie per Genova, le quali attraversano tutto l’ Appennino con lunghe gallerie, e con- — 89 - chiude con lo sconsigliarle per le cattive condizioni dei terreni entro i quali queste dovrebbero essere perforate. Esse sono: 1° Linea Ronco -Voghera, con galleria di circa 9 chilometri in gran parte entro scisto argilloso e per meno nel calcare marnoso eocenico ; 2° Linea Genova -Rigoroso -Tortona, con galleria di quasi 19 chilometri divisa in due parti da breve trincea, di cui oltre 15 in roccia cattiva (in gene- rale scisti argillosi) e il rimanente in conglomerati; 8° Linea Genova-Gavi-Vovi, con galleria rettilinea di oltre 10 chilometri e due elicoidali di accesso, che dovrebbero attraversare terreni scistosi pessimi per la loro natura e per infiltrazioni d’acqua. Velia nota riprodotta dal Giornale di Geol. pratica l’autore aggiunge al- cune considerazioni su di un progetto modificato della Genova-Piacenza, con passaggio appenninico molto elevato e quindi con breve galleria (1 chilometro circa) entro scisto argilloso. Sabatini V. — Osservazioni sulla profondità dei focolari vulcanici. (Boll. R. Comitato Geol., Voi. XXXIII, n. 1, pag. 26-45). — Roma, 1902. È uno studio critico sui calcoli per determinare la profondità dei focolari vulcanici. Vi sono discusse alcune testimonianze dell’eruzione che produsse il Monte Vuovo e vi sono riepilogati alcuni dati importati sui diatremi (camini vulcanici) dell’Africa australe. La nota si chiude col riassumere le diverse opinioni sullo stato del nucleo terrestre. Sabatini V. — Il terremoto di Mignano ( giugno-luglio 1902). (Boll. R. Comitato Geol., Voi. XXXIII, n. 8, pag. 178-198, con tavola). — Roma, 1902. È la relazione dello studio fatto in posto dall’autore per incarico del Mi- nistero dell’interno. Dopo avere descritte le condizioni del paese in seguito al terremoto, l’au- tore, in base a testimonianze minuziose, traccia l’epicentro del moto sismico e approssimativamente il contorno dell’area colpita. Da ciò è messo ancora in .evidenza il fatto dell’influenza che roccie solide, come le colate di lava, e le catene di monti hanno sull’andamento delle curve sismiche. Velia tavola annessa è la carta geologica della regione, ricavata dai rile- y amenti dell’Ufficio geologico, sulla quale sono tracciate le curve sismiche del terremoto che ebbe centro in Mignano. Sabatini Y. — Il peperino dei Monti Cimini. (Boll. B. Comitato Geol., Yol. XXXIII, n. 4, pag. 245-254). — Roma, 1902. È una nota preliminare in cui l’autore espone gli argomenti pei quali ritiene che il peperino cimino propriamente detto sia piuttosto un tufo anziché una lava. La roccia che forma il nucleo di Monte Cimino e dei monti che lo circon- dano, è più antica, ha la stessa composizione, e l’autore la chiama perciò pepe- rino delle alture. Ha aspetto di lava, ma anch'esso ha spesso caratteri di tufo. Egli suppone si tratti di una breccia ignea, di cui le parti cadute più vicino al cratere si sono risaldate più o meno in roccia continua, mentre quelle ca- dute più lontano son rimaste allo stato detritico. I fenomeni secondari poi verificatisi nella roccia ne mascherano per lo più la vera natura. Sabatini Y. — Vulcani e terremoti (dalla Rivista d’Italia, Anno Y, fase. IY, pag. 28). — Roma, 1902. È una conferenza tenuta dall’autore alla sede della Società geografica in Roma. In una prima parte egli descrive i fenomeni vulcanici, accennando alle eruzioni più memorande del Yesuvio, del Krakatau, del Tambora. Xella se- conda parte riepiloga i fenomeni sismici, descrivendo i terremoti delle Calabrie e di Casamicciola. In una terza infine fa, nelle linee più generali, la teoria del vulcanismo. Sacco E. — I brachiopodi dei terreni ter ziarii del Piemonte e della Liguria (pag. 40 in-4°, con 6 tavole). — Torino, 1902. Dato termine alla monografia sui molluschi dei terreni terziarii del Pie- monte e della Liguria, che richiese un lavoro di oltre trent’anni, Fautore ha ora pubblicata la descrizione dei brachiopodi che si raccolgono in abbondanza negli stessi terreni. Benché il Seguenza nel 1866 ed il Davidson nel 1870 si siano occupati dei brachiopodi piemontesi, l’autore crede opportuna una revisione del ma- teriale sia perchè in questo trentennio esso e più che raddoppiato, sia perchè — 91 — gli studi stratigrafici erano allora appena delineati nella regione, e non bene stabilita e talora errata la posizione cronologica dei fossili. I fossili descritti in questo lavoro appartengono ai generi o sottogeneri se- guenti: Crania, Rhynchonella, Terebratula, Liothgrina, Terebratulina , Mtihlf elettici, Piattàia, Megathyris , Cistetla, T Iteci dea, Lacasella. Essi vengono illustrati con 6 tavole in eliotipia aventi in complesso 335 figure. Salmojraghi Fr. — Il posso detto glaciale di Tavernola bergamasca sul lago d’Iseo. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 221-256, con tavola e fase. 2°, pag. 257). — Roma, 1902. Questa grotta, scoperta daH’Amighetti nel 1889, si apre sulla sponda ber- gamasca del lago d’Iseo presso Tavernola. Essa è scavata nel dirupo detto Corno di Predone che fa parte di un contrafforte che si stacca dal monte Bronzone (1334 metri s. m.). La roccia nella quale si apre consta di grossi banchi di calcare compatto con qualche strato di dolomia che stanno tra il lias inferiore ed il retico superiore. La soglia trovasi a 8 metri sulla strada Sarnico-Tavernola e a 10 metri circa sili lago. Questa grotta si presenta come un pozzo a strapiombo a pareti rigonfie ed in parte abrase. Alla profondità di circa 3 metri si piega in cunicolo inclinato verso l’interno del monte per una lunghezza di oltre 10 metri. L’autore si propone di dimostrare che tale grotta non è un pozzo glaciale come generalmente si ritiene, ma un ramo di cavità carsica. Riassume prima lo studio fatto nell’estesa letteratura riguardante le cosi dette marmitte dei giganti , esponendo le varie spiegazioni che vengono date di questo fenomeno. Viene quindi ad applicarlo al pozzo di Tavernola e prendendo in accurato esame le dimensioni, la forma e la posizione di esso, quale risulta da un esatto rilevamento da lui fattone, l’autore giunge alla conclusione che esso non sia dovuto a fenomeno glaciale ma si tratti invece di una cavità carsica. In una tavola annessa sono date la sezione longitudinale e quelle trasver- sali del pozzo. Sangiorgi D. — Sopra un avanso fossile proveniente dalle argille sca- gliose. (Rivista ital. di paleontologia, Anno Vili, fase. IV, pag. 117- 119). — Bologna, 1902. Trattasi di una grossa vertebra di pesce trovata a Rubbiano, villaggio si- tuato sulla sinistra del Taro in vicinanza allo sbocco del Ceno (prov. di Parma). Essa misura m. 55 nel suo diametro verticale e m. 25 nell’asse longitudinale; — 92 — è coperta da una ganga nera, durissima, di ossido di manganese, che ne riempie anche la cavità. Il fossile, esaminato nei suoi caratteri esterni ed interni dalPautore, appar- tiene sicuramente ad un individuo del genere Otodus. Savornin J. — Feuille de Corte. (Bull, des Services de la Carte geol. de la France et des Top. sout., n. 85, T. XII, pag. 180-183). — Paris, 1902. L’autore esplorò nel 1901 in Corsica la depressione sedimentare del centro dell’isola da Soveria a Ponteleccia, dove a nord di Francardo, sotto la zona ad Aviaria, contorta , e in concordanza con essa, si osserva una potente serie formata da calcari neri, arenarie rosse e verdi, carniole gialle, marne violacee, quarziti rosate e conglomerati, presentante nel suo complesso l’aspetto delle roccie tria- siche della Provenza e riposante sugli scisti antichi. Studiò poi specialmente il bacino miocenico che si trova fra Francardo e Ponteleccia, costituito da conglomerati potenti con letti intercalati di arenarie e di argille sabbiose, estendentesi nel contiguo foglio di Bastia (v. più sopra Maury ) ; questi letti contengono fossili del miocene medio del Piemonte e anche del pliocene ; e l’autore, escludendo quest’ultimo per ragioni stratigrafiche, pro- pende a collocare il tutto nelTelveziano o tutt’al più nel miocene superiore. Questo terreno riposa sopra le testate di strati molto più antichi, appartenenti al paleozoico ed al trias (vedi c. s.). L’autore dà in fine una sezione sintetica sul limite del foglio di Corte e di Bastia nella scala di 1 a 80,000, nella quale appariscono tutti i terreni in- dicati nella nota, oltre a lembi di calcari e scisti eocenici, e masse di granii- lite, diabasi e gabbro con serpentina. Scalia S. — Sul pliocene e il post-pliocene di C anni zs aro. (Boll. Acc. Grioenia di Se. nat., fase. LXXII, pag. 2-6). — Catania, 1902. Xel deposito sub-etneo di Cannizzaro, presso Acicastello, in Sicilia, si di- stinguono i due membri seguenti: 1° Sabbie silicee e calcaree più o meno ce- mentate, con forme di coralli e bracbiopodi attestanti la fine del pliocene in una zona marina piuttosto profonda; 2° Sabbie grigie argillose ed argille sab- biose con fauna marina di molluschi quasi tutti viventi. Siccome questi terreni sono ricoperti da un manto di antiche lave, cosi è probabile che i fossili sieno stati raccolti dal materiale estratto per la escava- zione di un pozzo. — 93 — Una collezione di essi, appartenenti ai due livelli, già formata dall’Aradas e depositata nel Museo dell’Università di Catania, fu studiata dall’autore il quale dà in questa nota l’elenco di 10 forme del primo livello e di 46 del secondo, spettanti rispettivamente all’ Astiano ed al Siciliano inferiore. L’autore osserva infine die la distribuzione batimetrica delle faune indica chiaramente il graduale sollevamento del fondo del mare in questa regione durante tutto il post-pliocene. Schubert E. J. — Neue und interessante Foraminiferen aus dem siid- tiroler Alttertiàr. (Beitrage zur Pai. und Greol. Oesterr.-Ungarn und des Orients, B. XIV, II. I-II, pag. 9-26, con tavola). — Wien, 1902. In seguito alle notizie già date (vedi Bibl. 1900 ) sulla scoperta di un’inte- ressante microfauna nella marna oligocenica di Cologna presso Eiva e di Bo- lognano presso Arco, l’autore, confermando le conclusioni generali della sua nota preventiva, illustra col presente lav oro quelle faune di foraminifere e la descrizione delle specie più interessanti. Alcune di queste sono nuove, come la Hyperammina pellucida , la Cyclammina Uhligi , la Pavonina ayylutinans, e pure nuovi i generi Ammofrondicularia e Trigenerina. Xella tavola annessa, e intercalate nel testo, sono le figure di alcune delle specie descritte. Segré C. — Sulla struttura dei terreni considerata riguardo ai lavori ferroviari eseguiti dalla Società delle strade ferrate meridionali. (Boll. Soc. G-eol. Ital., Voi. XXI, fase. 3°, pag. cxxix-cliv, con ta- vola). — Roma, 1902. Sono considerazioni svolte dall’ing. Segrè nell’atto di presentare alla Soc. Geol. ital., nella sua adunanza di Spezia, il volume pubblicato dalla Società italiana per le strade ferrate meridionali , sulla struttura dei terreni in rapporto ai lavori ferroviari di cui abbiamo già fatto cenno (vedi Bibl. 1901). In esse l’autore fa un riassunto di detta opera, indicando i fatti più salienti risultati dall’esame geologico delle linee di cui trattasi, con l’aggiunta di ulteriori con- siderazioni e notizie, per meglio chiarire lo scopo di simili studi. Xella tavola annessa sono esemplificate le indicazioni relative alla natura dei terreni attraversati, alle acque, alle emanazioni gasose, ecc., ecc., in un tronco di galleria. — 94 — Sequenza L. — I vertebrati fossili della provincia di Messina. Parte II: Mammiferi e geologia del piano politico. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 115-175, con 3 tavole). — Poma, 1902. Dopo i pesci (vedi Bibl. 1900), l’autore tratta in questa seconda parte dei mammiferi della provincia di Messina, e particolarmente di quelli di Gravitelli nelle vicinanze della città, dove esiste un lembo di terreno sin ora inesatta- mente identificato e che egli riferisce al piano politico. È una formazione di argilla, con letti di lignite, che alcuni attribuirono al pliocene, altri al miocene : fu Gi. Seguenza che nel 1868 attribuì al piano sancleano le argille in discorso, e ne menzionò più tardi (1873) i mammiferi e la fauna malacologica. Ciò premesso, l’autore fa un esame geologico della località e ne conchiude che la zona fossilifera più bassa della serie, presenta una fauna simile a quella di Pikermi, di Samos e del Casino, presentandone un quadro comparativo. Yi si trovano pure denti di squali riferibili a tre specie, alcuni molluschi, qualche cirripedo e una importante fauna di foraminifere, di cui dà l’elenco, ad ecce- zione di queste ultime ; sono in complesso 35 specie, quasi tutte del pliocene inferiore e la metà circa del miocene superiore. Da questo e da altre circo- stanze l’autore conchiude che il piano politico si attacca piuttosto al pliocene che al miocene, e quindi risulta la opportunità del nome di prepliocene , proposto pur esso dal Renevier e dall’autore adottato. Segue la descrizione delle specie mammologiche in numero di il, di cia- scuna delle quali è indicata la sinonimia e sono descritti i vari pezzi trovati. Xelle tavole sono illustrati quasi tutti gli avanzi descritti, in buona parte denti. Sequenza L. — I vertebrati fossili della provincia di Messina. Parte III: Mammiferi pliocenici e quaternari. (Boll. Soc. Oeol. ital., Yol. XXI, fase. 3°, pag. 440-454). — Roma, 1902. Si tratta in gran parte di specie già note, di cui alcune poche non erano conosciute come rappresentate nella provincia di Messina. Rari aAranzi di delfino sono da riferirsi all’astiano, nè altro havvi di quell’epoca nella quale la regione era ancora sommersa, e rari denti di grosso mammifero terrestre nelle sabbie littorali del siciliano: tutto il resto proviene dalle caverne ossifere e dall’allu- vione del quaternario, compresevi due armi dell’epoca neolitica, trovate erra- tiche nell’alluvione antica dei dintorni di Messina. Premessi questi cenni generali, Fautore enumera i resti di tre specie di — 95 — Tursìops dell’astiano, di un Elephas del siciliano, di 16 mammiferi delle ca- verne e di 6 dell'alluvione quaternaria, oltre alle armi predette ed altri avanzi d’industria umana, con osservazioni relative. Sequenza L. — Molluschi poco noti dei terreni tersiarii di Messina . Trochidae e S olariidae. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI, fase. 3°, pag. 455-464, con tavola). — Roma, 1902. L’autore imprende con questa nota la illustrazione di specie e varietà nuove del pliocene dell’Italia meridionale, create da G. Seguenza e da lui appena accennate nelle sue ultime pubblicazioni, senza descrizione o figura. Incomincia dai Trochidi e Solaridi. Le specie o varietà nuove descritte sono in numero di 11 e di ciascuna di esse sono dati i caratteri differenziali, la sinonimia e le località. Sono pure nuovi e dovuti all’autore, il sottogenere Calliotropis ed il genere Trochosolarium. Xelle tavole sono figurate tutte le forme descritte. Seguenza L. — Nuovi lembi pliocenici della Provincia di Messina . (Ri- vista ital. di paleontologia, Anno Vili, fase. IV, pag. 120-123). — Bologna 1902. Questi lembi, riconosciuti dall’autore, si trovano nei territori comunali di Vizza e di Boccalumera : egli dà ora notizia del rinvenimento, con riserva di de- scriverli estesamente, non appena abbia raccolto sufficiente messe di fossili. Il pliocene si stendeva un tempo dal Faro a Taormina, in serie non inter- rotta; ma nel tratto Giampilieri-Taormina fu poi denudato dall’azione dei tor- renti quaternarii, i quali lasciarono nel rimanente, soli lembi isolati ed emer- genti dal mantello dell’alluvione antica. L’autore dà qualche cenno sul lembo di Vizza, di natura calcarea, e sui fossili in esso raccolti. Spica P. e Schiavon G. — SuU’acqua minerale di Poleo presso Schio. (Gazzetta chimica ital., Anno XXXII, Parte la, fase. 1, pag. 63-74). — Roma, 1902. Trovasi quest’acqua a due chilometri circa da Schio, in provincia di Vi- cenza, e sorge a m. 280 sul livello del mare, da terreno mesozoico. Le prime indagini chimiche su di essa non risalgono che a pochi anni (1899), S 96 - ed ora gli autori ne hanno fatto l’analisi quantitativa, dalla quale risulta un contenuto sufficiente in ferro, manganese e silicio per essere classificata fra le ferro-silico-manganifere. Il complesso delle sostanze fisse in 10 litri fu trovato di gm. 1. 631. Spica P. e Schiavon Gf. — Sull’acqua minerale della Fonte Jolanda presso Staro. (Gazzetta chimica ital., Anno XXXII, Parte la, fa- scicolo 1, pag. 75-83). — Roma, 1902. Questo villaggio, già noto per altra fonte d’acqua minerale, trovasi all’al- tezza di m. 632 sul mare ed equidistante da Y alli e Recoaro in provincia di Yicenza. L’acqua della nuova fonte zampilla da un masso di micascisto con cristalli di pirite alterati, a temperatura costante di 13°.4. Dall’analisi fatta dagli autori risulta che la nuova fonte è della stessa na- tura dell’antica, benché meno mineralizzata, che essa contiene in 10 litri gr. 6.422 di sostanze fisse, ed è da collocarsi frale più importanti acque ferro- silico-manganifere-arsenicali. Spirek Y. — Das Zinnobervorkommen am Monte Amiata , Toskana. (Zeit- schrift fiir praktische Geologie, Jahrg. 1902, H. 9, pag. 297-299). — Berlin, 1902. Questa nota dell’ing. Spirek, direttore delle miniere di mercurio del Siele nel Monte Amiata, fa seguito ad altra già pubblicata nella stessa Zeitschrift e sulla quale fu già riferito (vedi Bibl. 1877). L’autore ripete che il deposito del cinabro avviene nel modo seguente. Una soluzione solforica di mercurio, ferro ed altri metalli, incontrando calcari argillosi dà luogo a dei solfati di calce e di alcali e a deposito di cinabro cri- stallino. Il residuo argilloso della dissoluzione del calcare copre e protegge il cinabro da un’ulteriore dissoluzione che avverrebbe per opera di solfuro di calcio prodottosi, e si deposita insieme al cinabro stesso, con pirite e con lami- nette di gesso entro le cavità formatesi nei calcari. Le laminette trasparenti di gesso son veramente caratteristiche di questo processo. Per opera delle acque caricatesi di acido carbonico nella precedente reazione e di quelle ordinarie sotterranee, il deposito cinabrifero subisce vari cambiamenti. Il cinabro vien trasportato, ridepositato e questa volta insieme con calcite e separato, per ragione di peso specifico, da altre sostanze dando luogo a ricche concen- trazioni. — 97 - Quanto alla provenienza delle soluzioni solforiche cinabrifere, dovendo «ssere il primo apportatore di solfuri metallici un magma eruttivo, l’autore trova che due sole poterono essere nel Monte Amiata le roccie apportatrici del cinabro; le roccie serpentinose e la trachite. Nelle vicinanze immediate dei giacimenti cinabriferi non si hanno che le prime, fatta eccezione dell’ Ab- badia San Salvatore dove il cinabro trovasi anche nelle trachiti, però come deposito secondario e associato a calcite. Ritiene quindi che le prime soluzioni cinabrifere provengono dall’alterazione di minerali di mercurio esistenti nelle roccie serpentinose. Squinabol S. — Venti giorni sui Monti Bellunesi (pag. 52 in-8°). — Livorno, 1902. Sono osservazioni di geografia fisica su parte delle prealpi di Belluno e Peltre distinte in quattro studii. Il primo si riferisce al grandioso scoscendimento detto Bovina di Vedano presso Sospirolo fra il fiume Mis ed il Cordevole, coprente ben 7 chilometri quadrati sui fianchi del Monte Peron. È opinione dell’autore che questo movi- mento sia avvenuto in una fase dell’epoca glaciale, quando il ghiacciaio del Cordevole non era ancora arrivato a Landris. Nel secondo si tratta dei così detti calderoni della valle del Brenton sca- vati dalla forza del torrente e delle marmitte dei giganti della valle del Mis, la maggiore delle quali, quella di Santa Giuliana, è ritenuta d’origine glaciale. Nel terzo studio sono descritti due circhi carsici in vai Cane va e la così detta cavare sul pendio meridionale del gruppo di Monte Pavione presso Poltre. L’ultimo poi si riferisce ad una grande caverna glaciale che trovasi a m. 1500 di altitudine sul Monte Ramezza pure a nord di Peltro. Squinabol S. — Alcune osservazioni sul pozzo artesiano di Villafranca Padovana (dagli Atti e Memorie della R. Acc. di Scienze, lettere ed arti in Padova, Yol. XYIII, disp. la, pag. 37-47). — Padova, 1902. L’autore espone le osservazioni che ha potuto fare durante la perfora- zione di un pozzo Northon eseguito a Yillafranca Padovana per ricerca di acqua potabile. 7 Furono attraversate fino a 29 metri sabbie in parte argillose e quindi 2 metri di uno strato torboso con sviluppo di gas. Sabbia più o meno grosso- lana con piccole conchiglie di acqua dolce, frammenti di legno fossilizzato sino a 50 metri, indi sabbia pure grossolana con frammenti di torba e getto di gas combustibili che continua fra i 70 e i 78 metri. A questa profondità con forte esplo- sione si ebbe un getto ricchissimo d’acqua che si eleva oltre a 20 metri. La perforazione fu proseguita fino a 108 metri. Alla quota di 99,20 si presentò il terreno marino costituito da sabbie con moltissimi frammenti di conchiglie appartenenti a depositi molto recenti di facies costiera. Altro violento getto di gas si ebbe a 87 metri ed altri successivi ma meno violenti. L’acqua saliente era di 70 litri al minuto primo ma non costante. Essa non è limpida, nè è potabile contenendo sostanze organiche ed ammoniacali. Si sono constatate almeno tre zone acquifere che danno acqua a livello del suolo. L’autore crede che oltrepassando lo strato argilloso che serve di letto alla falda acquifera che alimenta il pozzo si potrebbe avere acqua saliente migliore. L’autore ha fatto pure alcune ricerche sull’aumento di temperatura colla profondità ed ha potuto stabilire che la temperatura costante si trova a circa 22 metri ed è data da 18°. 3 con aumento di 8° per la profondità di 86. 37, il che darebbe come misura del grado geotermico la cifra di m. 28. 79. Il gas raccolto è costituito principalmente di metano e idrocarburi su- periori, con traccio di idrogeno solforato, anidride carbonica e forse di ossido di carbonio. Squinabol S. — Osservazioni sopra un filone a geodi di quarzo presso Torreglia ( Euganei ) (dagli Atti della E. Acc. di Scienze, lettere ed arti in Padova, Voi. XVIII, disp. Ili, pag. 10). — Padova, 1902. Ad ovest di Torreglia nei Colli Euganei l’autore ha osservato un piccolo filone di roccia vulcanica che attraversa la scaglia e che dall’esame micro- scopico e chimico risulta appartenere al gruppo delle doleriti, che secondo la classificazione di Eouquè e M. Levy sono riferite alle labradoriti. Questa roccia include numerose e grandi geodi di cristalli di calcite e principalmente di quarzo. In questi ultimi l’autore ha riconosciuta la presenza di inclusioni di rutilo che al microscopio si manifestano come druse di minutissimi cristalli aghiformi e ne dà la figura. La calcite è ora in vene disseminata entro la roccia, ora in croste tap- — 99 — pezzanti alcune geodi, ora in romboedri molto acuti nelle geodi stesse o in gruppi fitti romboedrici ricoperti da materia cloritica. Osserva infine l’inclusione nella roccia del filone di corpi speciali di so- stanza calcarea che l’autore dubita possano essere residui di organismi stati trascinati ed impigliati nel filone. Questi corpi hanno forma simile a quella di sezioni longitudinali di nummuliti, ma troncate nei due vertici come vedesi nelle figure che ne presenta con ingrandimenti di 80 e di 250 diametri. Squinabol S. — Resti di coccodrillo fossile a Comedo nel Vicentino. (Atti E. Istituto veneto, S. 8a, T. 4°, disp. 3a, pag. 183487, con tavola). — Venezia, 1902. L’autore descrive brevemente uu esemplare di giovanissimo coccodrillo fossile, proveniente dalle cave di piroscisti eocenici di Comedo e comunicatogli dal dott. Dal Lago. Esso ha una lunghezza di 18 cent., manca di una parte della regione caudale e di porzione degli arti. Conserva quattro serie di piastre cutanee che sono assai rugose; il cranio lungo 72 mm. è coperto completamente dal tessuto epidermico. Dall’esame fattone l’autore crede di potere riferire questo fossile al Crocodilus Vicetinus Lioy delle ligniti del Bolca già descritto dal Sacco nel 1865. In una tavola annessa questo coccodrillo è riprodotto in eliotipia a gran- dezza naturale e con ingrandimenti per i particolari. Squinabol S. - Di una specie fossile di Acetabularia (dagli Atti della E. Acc. di Se., lett. ed arti in Padova, Voi. XVIII, disp. Ili, pa- gine 8). — Padova, 1902. In due campioni di filliti degli strati oligocenici di Chiavon appartenenti al Museo geologico di Firenze, l’autore ha osservato due impronte calcificate appartenenti ad una Dasijcladiacea e precisamente al genere Acetabularia Lam. Esse sono associate alla Cijstoseira communis (Ung.) Schimp. L’autore le descrive in questa nota rilevando l’importanza di questa sco- perta, essendo questo il primo individuo fossile appartenente a tal genere, poiché l’ Acetabularia miocenica descritta da Andrussow nel 1887 del miocene della Ciimea è stata riferita dal Solms-Laubach al genere Acicularia col nome di A. Anclrussowi. Tra le specie viventi quella che più si avvicina all’ Acetabularia descritta è la A. crenulata Lam. e l’autore l’ha denominata A. Chiavonica. — 100 — In tre figure nel testo sono riprodotte da fotografia le impronte di questo fossile in scala naturale e con ingrandimenti. Stella A. - Descrizione geologico-agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). (Meni, descr. della Carta geol. d’Italia. Voi. XI, pag. 82, con 16 tavole). — Roma, 1902. Questo antico bosco demaniale, dalla estensione di 6000 ettari, ora ridotto a cultura agraria, ha dato motivo al presente studio per opera del R. Ufficio geologico, che potrà servire di guida ad altri del genere. Il Montello è un colle isolato sorgente nell’alta pianura trevigiana, formato di antichissime alluvioni cementate, geologicamente intermedie fra il pliocene e il quaternario, con uno strato profondamente alterato ( ferretto ) alla super- ficie. Un capitolo è dedicato allo studio geognostico particolareggiato di questo suolo agrario, corredato da una Carta geognostico -agraria nella scala di 1 a 25,000. In altro capitolo sono le analisi litologico-meccanico-chimiche dei terreni anzi- detto, le quali vengono poi discusse. Seguono cenni descrittivi particolari per ciascuna delle cinque regioni in cui si può dividere il Montello, con profili generali al 1 : 25,000 e molti altri par- ziali in scala maggiore, sui quali sono indicati la natura e lo spessore del suolo e del sottosuolo. Altri capitoli trattano dei materiali utili del colle e della sua idrografia sotterranea, la quale si manifesta all’esterno con numerose sorgenti, segnate su apposita carta portante pure la divisione parcellare. L’ultimo capitolo del volume è dedicato al fenomeno carsico che si mani- festa in grado eminente su tutta la superficie del colle; la genesi probabile del quale in rapporto con quella del conglomerato e del ferretto, è da un'unica formazione alluvionale. Xelle tavole trovansi anche una Carta geologica del Montello e regione circostante nella scala di 1 : 100,000 e diverse vedute prospettiche. Stella A. — Sul giacimento piombo-baritico di regione Trou des Ro- mains presso Courmayeur. (Rassegna mineraria, Yol. XYI, n. 17, pag. 281-284). — Torino, 1902. 11 giacimento trovasi a nord di Courmayeur sulla destra del vallone Chapy o Sapin. Esso consta di un sistema di lenti intercalate in scisti calcareo- micacei e arenacei (Trias) presso al contatto della massa porfirica della Saxe — 101 (Permiano). La ganga è essenzialmente quarzosa con baritina, fluorite e calcite; la mineralizzazione è data da arnioni di galena, con mosche di blenda e pirite. Anticamente, forse al tempo dei romani, si fece una piccola coltivazione della galena : recentemente si tentò di sfruttare la baritina di lenti poco o nulla mineralizzate. Dalle relazioni di questo giacimento con le roccie includenti, e dalla qua- lità del medesimo l’autore lo classificherebbe fra i filoni-strati piombo-baritici, e ne riferirebbe l’origine ad agenti mineralizzatori concominanti alle azioni di metamorfismo generale che si svolse in questa zona scistosa alpina. Sturli Gr. — Di una trachite del Monte Amiata in Toscana e del preteso elemento X contenutovi. (Gazzetta chimica italiana, Anno XXXII, Parte II, fase. Ili, pag. 208-210). — Roma, 1902. Le analisi eseguite dall’autore dei campioni di trachite del Monte Amiata, diedero in media i seguenti risultati : Si02 = 61. 04 ; A1203 = 18.84 ; Pe203 =8.43; FeO = 1.42; CaO = 3.32; MgO = 0.94; K20 = 5.91; Xa20 = 2.73; H2S04 = 0.13; H20 —1.92; oltre a traccio di TiOa, MnO, Li20, Cl, P205. In quanto all’elemento X, si tratta di questione puramente chimica nella quale noi non dobbiamo entrare. Taramelli T. — Alcune osservazioni stratigrafiche nei dintorni di Varzo. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Voi. XXXY, fase. II-III, pa- gine 114-123). — Milano, 1902. Sono osservazioni fatte a Yarzo nel gruppo del Sempione riguardanti le relazioni fra quei calcescisti e il gneiss d’Antigorio, a rettifica del concetto che fino dal 1882 si era formato nello studio geologico della grande galleria allora ia progetto. Premesse e discusse le opinioni in proposito dei vari autori, che si occu- parono di quella regione dal Gerlach in poi, conchiude col ritenere probabile che la zona gneissica ticinese, sottostante ai Banfnerschiefer , non sia coetanea con quelle dell’Aar e del Gottardo, ma corrisponda a terreni paleozoici sotto- stanti ai mesozoici più o meno alterati, conforme alla ipotesi del Bertrand pel massiccio del Gran Paradiso, ipotesi che, per molti argomenti, si potrebbe estendere alle Alpi Cozie e al gruppo del Monte Rosa. Dopo altre considerazioni circa l’origine probabile dei gessi di Yal Cai- - 102 — rasca, l’autore conchiude con la necessità di un rilevamento geologico accurato della regione, essendo questo l’unico mezzo per risolvere definitivamente i mol- teplici problemi che vi sono connessi. Taramelli T. — Sulla probabile tectonica del gruppo del Sempione. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 11°, 1° semestre, pag. 462463). — Roma, 1902. A conferma della supposizione fatta dall’autore nel 1882, quando faceva parte della Commissione per il progetto preliminare del tunnel del Sempione, le ulteriori osservazioni all’esterno delle montagne vicine ed i dati forniti dal traforo sino ad ora compiuto, hanno dimostrato che l’affioramento calcare lungo la destra del torrente Cairasca è sicuramente la continuazione della zona cal- carea trovata dopo il gneiss di Antigorio dal lato sud a circa 4 chilometri dal- rimbocco. Per conseguenza la serie nel versante meridionale del Monte Leone sarebbe completamente ribaltata presso a poco come aveva supposto il Gterlach per l’alta Yalle Cairasca. Per ulteriori dettagli l’autore si riporta ad altra sua recente pubblicazione (vedi sopra). Taramelli T. — Di alcune condizioni tectoniche nella Lombardia occi- dentale. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXI, fase. 3°, p. cxyh-cxxyiii). — Roma, 1902. Xel presentare ai colleghi della Società geologica copia della Carta geolo- gica della regione dei Tre Laghi di prossima pubblicazione, l’autore richiama l’attenzione degli studiosi sul problema interessante la tectonica della Lom- bardia, esprimendo il desiderio che esso fosse trattato dai geologi italiani. Il problema è di cercare perchè alcune regioni sono corrugate e nello stesso tempo infrante con accavallamento e salti grandiosi come nelle prealpi sino al lago di Como, mentre altre come le Alpi Apuane, le Alpi occidentali, le liguri e le stesse prealpi svizzere sono piegate morbidissimamente e, tranne lo scivola- mento, secondo l’ipotesi dello Schardt, vi si trovano difficilmente fratture o piani di accavallamento. La ragione secondo l’autore, deve consistere nelle condizioni diverse nelle quali si è compiuto il corrugamento orogenico e nei fatti endogeni che inter- vennero dopo nel terziario recente e nel quaternario prima dell’ultima gla- ciazione. — 103 — Osserva che nelle Alpi occidentali, nelle liguri e nelle apuane, le curve sono tanto pigiate da non lasciar luogo a scorrimenti estesi; se vi sono minute fratturazioni, non vi esistono però fratture e piani di scorrimento paragonabili a quelli che si verificano dove le due catene delle Alpi e dell’ Appennino set- tentrionale cominciano ad allontanarsi. Partendo da Como, $ove termina un allineamento di terreno bormidiano che parte dai dintorni di Torino, l'allargarsi dell’arco tra le due catene per- mise che alla curvatura si unisse la fratturazione, la quale andò sempre più accentuandosi e arrivando forse al suo massimo nel Vicentino. Nei Sette comuni comincia a comparire il tipo carsico e si ha la formazione di tavolieri a gra- dinate più o meno corrugati e corrosi. Secondo questa diversa natura nei rapporti tectonici del versante meri- dionale delle Alpi, nella regione dei Tre Laghi, deve aversi la zona di pas- saggio fra i due tipi : ed è quanto si verifica secondo l’autore. Tra il Yerbano ed il Lario si hanno numerose fratture, ma non molto continue. Dal Lario verso est si tro.vano sempre più accentuati gli accavallamenti. L’autore indica le principali sinclinali, anticlinali e fratture della regione da lui esaminata, esponendo varie considerazioni importanti sull’epoca di loro formazione. Dà infine vari dati raccolti sulla posizione degli strati sedimentari, sui piani di fessurazione delle roccie massiccie e sui più grandi massi erratici, a cui aggiunge i dati osservati dal Salmojraghi nei dintorni di Comabbio, di- stribuiti per terreni. Taramelli T. — Dell- antico corso naturale del fiume Olona (dal Bollet- tino Soc. Pavese di Storia patria, Anno II, fase. III-IV, pag. 1-8). — Pavia, 1902. Valendosi delle particolarità della superficie, dell’andamento di canali na- turali di scolo, della toponomastica locale, l’autore ha cercato di ricostituire l’ultimo corso storico dell’Olona, prima cioè che il fiume fosse deviato e artifi- cialmente condotto a Milano verso l’anno 140 dell’era volgare. Fra 1 antico corso dell’Olona e quello del Lambro è un’ampia distesa di diluvium , che va ripartito in antico, medio e recente, anteriore alla incisione dei terrazzi. Esso è composto di elementi che si possono dire della valle del- 1 Olona, quando si comprendano fra questi non solo quelli provenienti dalle roccie in posto, dal permiano al miocene inferiore, ma altresì gli elementi alpini provenienti dallo sfacelo delle morene frontali e laterali dei ghiacciai del Ticino © del ramo occidentale di quello dell’ Adda. — 104 — Tarnuzzer Chr. — Die Asbestlager der Alp Quadrata bei Poschiavo (i Graubiinden ). (Jahresb. der Naturforsch. G-esell. Grraubundens, Xeue Folge, B. XLV, pag. 133446, con tavola). - Chur, 1902. — Idem. (Zeit. fiir praktische (reologie, Jahrg. X, H. VII, p. 217-223). — Berlin, 1902. ♦ Questo esteso giacimento si trova a ponente della valle di Poschiavo, con- fluente della Valtellina, fra la Val Quadrata e la Val Canciano, a notevole altezza sul livello del mare, e oltre 1000 metri sulla valle anzidetta, da cui dista ben 3 ore e mezza di cammino, in direzione del Passo di Canciano, dal quale si scende a Lanzada, Caspoggio e Chiesa in Val Malenco. La regione è eminentemente cristallina e consta di gneiss, micascisti, scisti verdi cloritici e talcosi, steatiti e altre roccie serpentinose ad essi associate. Il complesso delle roccie asbestifere, compreso fra le due vallecole anzi- dette, misura una larghezza di 1100 a 1600 metri e ad esse sono collegati tutti i giacimenti d’asbesto dei dintorni: le cave attive dell’Alpe Quadrata si esten- dono per oltre 500 metri di larghezza, e delle principali di esse l’autore dà una succinta descrizione. Seguono osservazioni petrograf ielle sulla roccia madre dell’asbesto, eseguite, dietro richiesta dell’autore, da A. Bodmer-Beder di Zurigo : essa consta essen- zialmente di bronzite, olivina e diopside, e va collocata fra le harzburgiti, ana- logamente alla serpentina di Rio Alto nell’Elba analizzata da A. Cossa nel 1880 (vedi Mem. Acc. Lincei , III). Unito al testo è un abbozzo di cartina geologica della regione tra la valle di Poschiavo e la catena di Canciano, e nel medesimo è data la sezione microscopica di una roccia serpentino -lherzolitica scistosa ivi rappresentata. Termier P. — Quatre coupes à travers des Alpes franco-italiennes. (Bull. Soc. Gieol. de Er., 4.me S., T. II, n. 4, pag. 411-433, con 2 tav.). — Paris, 1902. Queste sezioni, che interessano anche il versante italiano delle Alpi occi- dentali, sono il riassunto di una serie di anni di lavoro dell’autore, con rag- giunta delle osservazioni, in parte ancora inedite, dei suoi collaboratori del servizio geologico francese e dei colleghi italiani. Stante il grande sviluppo avuto negli ultimi tempi dagli studi geologici d’ambo le parti dello spartiacque, e che l’autore ritiene quasi come definitivi, queste grandi sezioni rappresen- tano la sintesi più sicura della costituzione geologica di quella parte delie Alpi. — 105 — Esse sono nella scala uniforme di 1:320,000 e si stendono nel versante italiano dalla valle di Ala a quella del Pellice. Xel testo che le accompagna, e che ne costituisce in certo qual modo la leggenda, è data ampia spiegazione della serie dei terreni e si discutono le ipo- tesi tettoniche proposte. Tommasi A. — Due nuovi Dinarites nel Trias inferiore della Val del Dezzo. [ Boll. Soc. aeoi. ital.. Voi. XXI, fase. 2°, pag. 344-348, con tavola). — Roma, 1902. Il signor Mai Marino di Scliilpario ha rinvenuto un buon numero di fos- sili del piano dei Werfener Schiefer nella località di Monte Rena nella Valle del Dezzo (Lombardia). Ivi uno spaccato naturale mette a nudo una serie di strati dai banchi più profondi delle arenarie variegate fino alla dolomia cariata, con uno spessore di circa m. 500. Vi sono arenarie rosse, argilloscisti e scisti bluastri con are- narie bianchiccie, fra le quali sono intercalati banchi di siderite di vario spes- sore. I fossili provengono dagli argilloscisti e dalle arenarie soprastanti. L’autore, che già descrisse i fossili del Trias inferiore di varie località di questa valle (vedi Bibl. 1901), dà in questa nota l’elenco di quelli comunica- tigli dal signor Mai, facendo notare la presenza del Dinarites muchianus, del D . dalmatinus e del Tirolites illijriciis che finora non erano ancora conosciuti nel trias inferiore della Lombardia e del Veneto. Dà inoltre la descrizione di due specie non riferibili a nessuna di quelle già note e che l’autore ritiene nuove; esse sono: un Dinarites Dezzoanus , pros- simo al D. liccanus, e un Dinarites laevis , delle quali sono date le figure nella tavola annessa. Torxquist A. — Ergebnisse einer Bereisung der Insel Sardinien. (Sitz- ungsb. der Kon. Preuss. Ak. der Wiss., Jalirg. 1902, H. XXXV, pag. 808-829). — Berlin, 1902. L'autore espone i risultati geologici di un suo viaggio in Sardegna, fatto nella primavera del 1902, rimandando a più tardi quelli paleontologici. Suo scopo era specialmente lo studio del trias sardo in confronto con quello dei paesi estraalpini e dei mediterranei; ma ebbe anche opportunità di esaminare altri terreni, in particolare quelli più antichi dell’ Iglesiente e gli altri mesozoici. La memoria è divisa in 4 parti, o cioè: 1. L’Iglesiente con l’altipiano di — 106 — Campomà e il massiccio triasico di Gennamari; 2. La Barbargia meridionale con mesozoico fra Lanusei e Laconi ; 3. La IN" urrà coi monti triasici di Santa Giusta ; 4. Riassunto generale. Dall’ultima rileviamo quanto segue : il trias manca nella parte orientale dell’isola e trovasi nella occidentale con carat- tere estraalpino (germanico) : questa inoltre presenta un ripiegamento di età cretacea superiore, il che non ha luogo nè al centro, nè all’est, e fra le due regioni vi furono sprofondamenti con eruzioni vulcaniche. Yel centro ed a levante il giurese riposa in trasgressione sugli scisti carboniferi raddrizzati. Il trias a facies mediterranea non si incontra che sul continente italiano, del pari che sulla costa orientale della Corsica, e la soglia che separava le due provincie triasiche segue l’asse longitudinale della Sardegna e raggiunge il centro e la costa occidentale della Corsica. Gli sprofondamenti avvenuti in epoca miocenica lungo quest’asse, hanno originati vulcani contemporanei sul fianco occidentale del massiccio granitico centrale. La stessa linea continua dai tempi paleozoici, in poi a fare da limite fra le due regioni, nelle quali evoluzioni geologiche distinte seguono il loro corso. Ulteriori ricerche potranno indicare come questa linea di separazione sia in rapporto con la analoga che nel centro d’Europa separa le due facies del trias. Tornquist A. — Geologischer Fukrer durcli Ober-Italien. I : Das Gebirge der ober-iialìenìschen Seen (pag. 312 in-12°, con tavole). — Berlin, 1902. La presente Guida, redatta col concorso del prof. Baltzer e del dottor Porro, conduce il viaggiatore, con itinerari bene stabiliti, attraverso la zona prealpina meridionale che si estende dal Lago di Lugano sino ai dintorni di Schio. Precedono alcune utili istruzioni pratiche e un cenno sommario sulla geo- logia alpina; tratta quindi più estesamente della orografia delle Alpi calcaree italiane, della serie dei terreni che in esse sono rappresentati e della tettonica di questi: viene infine dato un cenno speciale sui laghi maggiori dell’Alta Italia dal Yerbano al Benaco. La zona di cui sopra è divisa in 5 parti, per ciascuna delle quali vengono indicate le più interessanti particolarità geologiche; esse sono: 1° i monti che circondano i laghi di Lugano e di Como; 2° i monti fra i laghi di Como e di Iseo (C. Porro) ; 3° il lago d’Iseo e suoi dintorni (A. Baltzer) ; 4° La regione del Garda meridionale; 5° le Alpi del Vicentino. L’opera è corredata da numerose carte, sezioni geologiche e vedute pro- spettiche. — 107 — Trabucco Gt. — Sulla questione della stratigrafia dei terreni del bacino di Firenze. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXI, fase. 1°, pag. 15-24). — Roma, 1902. L’autore, replicando alla nota dell’ing. Lotti sui terreni dei dintorni di Firenze (vedi Bibl. 1902 ) osserva anzitutto elle il Lotti evidentemente stabi- liva la posizione del macigno di Mosciano rispetto al calcare nummulitico fino dal 1885. Ma l’autore asseriva il vero riferendo al 1894 lo avere stabilito la posizione delle roccie eoceniche rispetto al secondario, e riporta in proposito le conclusioni dello stesso Lotti contenute in quella prima nota. Circa ai terreni poi dei dintorni di Barigazzo l’autore cita quanto in una sua nota scriveva sulla stratigrafia dei terreni della provincia di Firenze (1898), sulla pretesa promiscuità di inocerami e di nummuliti negli strati eocenici di quella località. Afferma infine che la sua sezione del Casentino è non solo geologicamente possibile, non solo rappresenta esattamente la disposizione della serie dei ter- reni di quella regione, ma si accorda pienamente colle osservazioni del Sacco. Trabucco G-. — Studio geo-idrologico per provvedere di acqua potabile le frazioni Impruneta e Desco ( Comune di Galluzzo ) presso Firenze. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIII, pag. 48-60). — Pisa, 1902. Esposti i quesiti che si propone di svolgere nello studio per provvedere di acqua potabile gli abitati di Impruneta e Desco, l’autore dà un cenno sulla costituzione geologica di quel territorio. Esso è costituito in parte da arenarie, calcari alberesi, galestri ed argille dell’eocene, ed in parte da roccie eruttive basiche, cioè : diabasi talora alterate in gabbro rosso ; serpentina diallagica, soventi attraversata da vene di crisotilo e di steatite, ed eufotide o granitone. Queste roccie formano poggi ó scogli isolati, come al Monte Sant’Antonio, al Poggio alle Carraie, al Santuario, ai Sassi neri, ecc. ecc. Il Monte Sant’Antonio, che più interessa, come qnello nel quale è prati- cata una galleria, dalla quale scaturisce l’acqua che prende in esame, è costi- tuito da eufotide con intrusioni rare di diabase e di serpentina. L’autore dopo averne esposto l’analisi chimica, prende in esame i caratteri fisico-idrologici di questa roccia che è giudicata poco permeabile e non atta perciò ad alimentare per filtrazione falde acquifere abbondanti. Sono poi date le misure eseguite sulle acque raccolte iu un pozzetto della galleria già da tempo scavata in questo monte, sia per stillicidio clie da una piccola vena acquifera, dal febbraio al novembre del 1901. Da queste mi- sure si ha un minimo di me. 8 circa ed un massimo di 14 al giorno. L’autore passa quindi all’esame dei caratteri fisici, chimici e batteriologici di quest’acqua e ne risulta che essa è potabile buona. A determinare la quantità d’acqua che si può estrarre da questo monte vengono esposti i dati forniti dalla scienza e dalla pratica, dai quali ricavasi che da questo poggio, mediante lavori di gallerie ben dirette, si potrà avere una quantità d’acqua dai 40 ai 50 metri cubi. L’autore non crede possibile aumentare la portata della piccola sorgente dell’ Ellero. Per fornire acqua potabile alla frazione Desco sarà opportuno sca- vare un pozzo nella posizione che segna il contatto fra la massa rocciosa e gli strati sedimentari. Trener Gr. B. — Vorlage der geologischen Karte des Lag or ai and Cima d’Asta-Gebirges. (Verhandl. k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1902, n. 6. pag. 180-184). - Wien, 1902. Sono osservazioni preliminari sul rilevamento geologico, intrapreso dal- l’autore in questo gruppo delle Alpi trentine, facente parte del foglio Borgo di Yalsugana della Carta dello Stato maggiore austriaco: in esse discorre della serie dei terreni incontrati, in particolare degli scisti cristallini e delle roccie eruttive con questi collegate, cioè graniti, dioriti, porfiriti. Al di sopra degli scisti cristallini trovasi poi un conglomerato simile a Yerrucano, in cui si distinguono tre formazioni diverse per natura ed età, at- traversate talvolta da filoni di porfido quarzifero. Ugolini R. — Resti di Ursus spelaeus Blumb. nelle brecce ossifere di Uliveto. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi Aderbali, Yol. XIII, pag. 26-27). — Pisa, 1902. Si tratta di una porzione di cranio di un giovane Ursus spelaeus raccolto nei dintorni di Uliveto (Monte Pisano). Questa specie, stata sino dal 1872 se- gnalata dal Major (vedi Remar ques sur quelques mammifères post-tertiaires de V Italie, ecc. ecc., Atti Soc. it. di Se. nat., Yol. XY, pag. 378, Milano) nelle brecce ossifere di San Giuliano presso Pisa, non era stata ancora citata per quelle di Uliveto. — 109 — Ugolini E. — Resti di Sus Erymanthius della lignite di Corvarola di Bagnone ( Val di Magra). (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIII, pag. 27-29). — Pisa, 1902. Da questa località del circondario di Pontremoli provengono i resti rico- nosciuti dall’autore come appartenenti alla specie sovraindicata : trattasi di una porzione di testa con ambedue i mascellari e gran numero di denti, che l’autore descrive, corrispondenti a quelli della specie analoga di Pikermi de- scritta dal Gaudry sino dal 1863. Facendo poi un confronto fra questo e altri noti depositi lignitiferi ter- ziari, l’autore ritiene non rimanere dubbio alcuno sulla corrispondente crono- logia fra le ligniti di Corvarola e quelle di Sarzanello e del Casino riferite al miocene inferiore. Ugolini B. — Vertebrati fossili del bacino ligniti fero di Barga ( Val di Serchio). (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIII, pag. 32-36). — Pisa, 1902. Questi avanzi, provenienti dalle argille a ligniti che affiorano presso alla foce della Loppora nel Serchio appartengono alle due specie : Tapivus arver • nensis Croiz. et Job. e Cervns pardinensis Croiz. et Job., caratteristiche dei ter- reni pliocenici, hanno il particolare interesse di confermare l’orizzonte cronolo- gico al quale era già stato riferito il bacino d’onde provengono. Essi furono trovati alla Cava delle Fornaci e consistono in un dente isolato del primo e in una mandibola con dente e vari frammenti di corna per il secondo. Di entrambe le specie e dei resti che le rappresentano l’autore fa la de- scrizione con relativa sinonimia. Ugolini R. — Studio chimico-microscopico della Serpentina di Castiglion- cello. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XYIII, pa- gine 150-155). — Pisa, 1902. La roccia che forma oggetto di questa nota proviene dal gruppo ofiolitico dei Monti livornesi e fu raccolta in parte lungo il litorale di Castiglioncello e in parte sulle pendici occidentali di Monte Pelato a quattro chilometri da quel villaggio. Il suo peso specifico medio è di 2. 57 e, oltre al serpentino contiene pirosseno, crisotile, magnetite, cromite, ematite e ferro titanato. Alla analisi chimica diede : 38. 27 di silice, 39. 05 di magnesia, 9. 04 di ossidi di ferro e 11. 74 di materie volatili, oltre a traccie di altri elementi. — 110 — m Ugolini E. — Appunti sulla costituzione geologica dell'isola di Gorgona. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XYIII, pag. 197-213, con tavola). — Pisa, 1902. Premessi alcuni cenni geografici di quest’isola dell’Arcipelago toscano, l'autore tratta delle sue diverse formazioni litologiche che enumera come ap- presso, secondo l’ordine di successione ascendente: a) gneiss leggermente anfibolico ; b) scisti calcarei e micacei irregolarmente alternati, talvolta associati a lenti calcaree di variabile spessore, fortemente contorti, normalmente attraver- sati da considerevoli vene di quarzo; c ) scisti verdi anfibolici e cloritici (scisti prasinitici) ; d) -serpentine non pirosseniche, peridotiche, passanti a talcoscisti e in- tercalate da straterelli di calcare ; e) eufotidi e diabasi prasinitizzate. È questa la serie già riconosciuta e descritta dal Lotti e di cui la no- menclatura fu meglio stabilita e precisata dagli studi petrografici recenti del dott. Manasse. Nonostante l’assoluta mancanza di resti organici fossili in queste roccie, tutte le formazioni della Gorgona furono ascritte fino a prova in contrario al gruppo, chiamato con termine generico presiluriano, per analogia con forma- zioni presiluriane dell’ Elba, della Sardegna e delle Alpi. Nella tavola annessa è la Carta geologica dell’isola, con tre sezioni tra- sversali, il tutto nella scala di 1 a 25.000. Ugolini K. — Il Monachus albi ven ter Bodd. del pliocene di Or ciano. (Palaeontographia italica, Yol. YIII, pag. 1-20, con 3 tavole). — Pisa, 1902. È la descrizione particolareggiata di uno scheletro fossile di foca prove- niente dai dintorni di Orciano, di cui l’autore già si occupò in una nota preli- minare (vedi Bibl. 1900). Ulteriori studi e confronti con scheletri di foche an- cora viventi lo hanno indotto a ritenere che i resti di Orciano anziché al ge- nere Palaeophoca si debbono attribuire al genere Monachus. Esposte alcune notizie sui resti di pinnipedi fossili italiani, l’autore passa alla descrizione dello scheletro d’Orciano per concludere che l’esemplare stu- diato è uno dei più completi fra le foche fossili e che esso appartiene certa- mente alla famiglia delle Phocidae e per le particolarità scheletriche trova la — Ili — più spiccata somiglianza col Monete ìms albiventer Bodd., benché abbia notevole affinità colla Palaeophoca Nysti v. Ben. Stando a questa determinazione, questa specie che vive oggi nel Medi- terraneo e che si spinge lungo le coste occidentali dell’ Africa e forse anche lungo quelle orientali, cominciò a manifestarsi da noi sino dai tempi plio- cenici. Tre tavole illustrano tutti gli avanzi descritti. Ugolini R. — Resti di foche fossili italiane. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XIX, pag. 13, con tavola). — Pisa, 1902. In occasione dello studio dello scheletro di cui sopra, l’autore ebbe l’op- portunità di conoscere altri avanzi analoghi conservati in diversi musei ita- liani, e in particolare in quelli di Firenze, di Genova e di Torino. Avendo potuto avere a disposizione alcuni di questi esemplari, egli accertò che uno solo, proveniente dal miocene di Vignale nel Basso Monferrato, appartiene alla Phoca Gaudini Guise., mentre gli altri, tutti pliocenici, sono riferibili al Mo • nacìnis albiventer Bodd.; questi provengono dalle Saline di Volterra, da Orciano e dai colli di Volterra. L’autore fa una descrizione particolareggiata di tali resti, dandone i di- segni nella tavola annessa. Verri A. — Studio geologico delle sorgenti del Sarno (in Sorgenti , estuario e canale del fiume Sarno, pag. 119-151 in-4°, con tavola). — Roma, 1902. La parte terza della Memoria qui sopra indicata è dedicata allo esame geologico del bacino del Sarno. Esso è costituito da terreni vulcanici che dal mare raggiungono le falde del Vesuvio ed il piede dei monti calcarei che si elevano tra Palma, Xooera e Castellammare di Stabia. Dai materiali estratti da fori artesiani eseguiti presso Marigliano e ai Pon- ticelli, l’autore deduce la composiziono del terreno dell’estuario del Sarno. Si avrebbero così dal livello del suolo a quello del mare materie vulcaniche con indizi di intercalazioni di depositi d’acqua stagnante in basso, e materie vulca- niche miste a detriti di roccie calcaree dal livello del mare in giù. Prima che sorgesse il Vesuvio il mare lambiva il piede dei monti: il Ve- suvio formò dapprima un’isola, che poi divenne monte elevato su una cam- pagna pianeggiante. — 112 — Ai tempi di Straberne sembra che Acerra, Xola e Xocera fossero colle- gate da canali navigabili comunicanti col fiume Sarno ; ora vi si interpone una zona pianeggiante elevata di una trentina di metri. Dall’eruzione del 79 si avrebbe un rialzamento del suolo per sovrapposi- zione di materie pari ad un interrimento annuo medio di 20 a 30 centimetri. Lo sperone sopra il quale sorgeva Pompei presenta diversi banchi di lava proveniente dal Vesuvio e l’autore riporta una sezione dedotta da scavi fatti nel 1689, dalla quale risulta infatti alternanza di detrito vulcanico con lava. Questo scavo raggiungeva 26 metri di profondità sotto il piano di campagna e a questa profondità si trovò una falda acquifera. L’esistenza di questa falda è confermata da pozzi con acqua sorgiva alla profondità di 30 metri nella re- gione Vili di Pompei. Le sorgenti principali del Sarno scaturiscono al piede della catena calcarea e sono quattro : sorgente di San Mauro, di Santa Marina, del Palazzo e della Foce. Quella di San Mauro esce da cavernosità di un calcare scuro di odore fetido sotto la strada di Xocera ; non se ne conosce la portata. Quella di Santa Marina nasce da roccie calcaree come la precedente ed ha la portata media di me. 3. 031. Derivano da questa sorgente le acque potabili per Xocera dei Pagani. Ideila campagna fra le due sorgenti si cava un tufo leggero bianchiccio con scorie nere. Dentro l’abitato di Sarno si hanno le sorgenti dette del Palazzo che escono da grossi banchi dolomitici con portata media di me. 3. 118. Tra Santa Marina e Sarno si estrae un tufo calcareo con incrostazioni vegetali che serve come il precedente per costruzioni. Le sorgenti della Foce infine hanno una portata media di me. 3. 877 e scaturiscono al piede di una scogliera calcarea con piccoli letti di marne in basso. Da ultimo l’autore si occupa della circolazione delle acque nell’estuario, dividendo il bacino in quattro zone delle quali determina le falde acquifere. Tra le diverse tavole che corredano questa Memoria evvi un abbozzo di carta geognostica ed una carta idrografica dell’estuario del fiume Sarno. Verri A. — Sul Vesuvio e sul Vulcano Laziale. (Boll. Soc. Greol. ita!., Voi. XXI, fase. 1°, pag. xxxi-xxxv). — Roma 1902. Xell’attendere allo studio anzidetto, l’autore trovò la indicazione di due sezioni del terreno ai piedi del Vesuvio, che comunicò alla Società geologica, nella sua adunanza in Roma del 2 febbraio 1902. Lima è antica e riportata — 113 — la una pubblicazione del 1697 ; l’altra, più recente e inedita, l’ebbe dal Genio nilitare di Napoli. La comunicazione circa il Vulcano Laziale si riferisce alla nota trivella- tone di Capo di Bove e ad alcune osservazioni dell’ing. Sabatini, inserite negli Itti dell’VIII Congresso geologico internazionale. Vinassa de Regyy P. — I calcari da cemento dei dintorni dì Modigliana. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXI, fase. 1°, pag. 1-6). — Roma, 1902. Xei dintorni di Modigliana (Romagna), il terreno più antico è il cretaceo, -appresentato dalla pietraforte , che con ampie anticlinali parallele all’ Appennino, ;orma il nucleo su cui si appoggiano gli strati più recenti. Primo fra questi è 1 macigno eocenico con la cosiddetta pietra colombina. * Segue una imponente serie di strati alternanti di conglomerati, molasse, arenarie, marne arenacee e 3alcari marnosi compatti, che l’autore ascrive all’oligocene. Il miocene è rap- presentato da scisti, molasse, marne a gesso ; il pliocene dalle alluvioni antiche. I calcari da cemento sono quelli marnosi di cui sopra, e formano banchi sino a 2 metri di spessore, quasi sempre interposti a due strati di arenaria, tiretti approssimativamente X-S e con inclinazione assai piccola. Il loro peso specifico sta fra 2. 40 e 2. 50, e all’analisi chimica diedero da 68 a 72 per cento li carbonato calcare, e da 20 a 25 per cento di residuo insolubile in acido cloridrico, prevalentemente silice; il rimanente, ossido di ferro, allumina e perdite. In confronto con quelli di Casale e dell’Incisa contengono una minore quantità di calce e una maggiore di silice, ossido di ferro ed allumina, nè per questo essi sono meno buoni pel loro impiego. Viola C. — I principali tipi di lave dei Vulcani Ernici ( prov . di Roma). (Boll. R. Comitato Geol., Voi. XXXIII, n. 2, pag. 104-124, con 2 ta- vole). — Roma, 1902. Da quando il Ponzi nel 1858 richiamò l’attenzione degli studiosi su questo centro eruttivo, posto nella parte sud-est della provincia di Roma, ben pochi se ne sono occupati, e fra questi l’autore, che ai suoi precedenti lavori (vedi Bibl. 1896 e 1899 ) aggiunge ora questo importante contributo. La classificazione dei vari tipi di lava è fatta secondo il criterio chimico e quindi basata intieramente, sulle analisi che di esse furono fatte nel labora- torio chimico dell’ Ufficio geologico: con queste analisi, condotte con gli stessi 8 — 114 — metodi e quindi presentanti tutte lo stesso grado di fiducia, l’autore ha formato i tipi di confronto, seguendo il metodo di Osann (vedi T seller mah' s Min. and petr. Mittheil. , Yol. 19 e 20, 1900-901). Le analisi si riferiscono alle roccie seguenti : 1° Leucotefrite di Ticchiena : 2° Leucitite trovata erratica ad Anticoli di Campagna: 3° Basalto leucitico di Morolo ; 4° Basalto feldspatico di San Marco presso Ceccano ; 5° Basalto leu- citico di Sant’Arcangelo presso Ceccano ; 6° Leucotefrite di Pofi : 7° Leucitite di Callame presso Ceccano ; 8° Basalto leucitico di Giuliano di Roma : 9° Leu- citite di Patrica; 10° Basalto leucitico di Yilla Santo Stefano; 11° Basanite leucitica di San Francesco presso Ceccano. In tutte queste lave il tenore in silice varia da 45,55 a 49,57 per cento, quello in allumina da 12,60 a 19,05, quello in ossido di ferro da 8.51 a 12,02, quello in calce da 7,53 a 12,94; il rimanente è dato da magnesia, potassa, soda, con traccio di acido fosforico. Il peso specifico varia da 2,57 a 2,92. Di ciascuna lava l’autore calcola il numero molecolare e la forinola secondo il sistema di Osann. Nella prima tavola havvi il diagramma delle 11 lave, e nella seconda le sezioni microscopiche delle 10 prese in posto, raggruppate in 7 tipi distinti, dei quali 6 nuovi, cioè Pofì-Ticchiena , Morolo -Giuli ano, Callame-Ceccano, SaiifAr - congelo- Ceccano , Patrica e Villa Santo Stefano. Yiola C. — Beitrag sur Sgmmetrie des Ggpses. (Groth, Zeitschrift fili* Kryst. uncl Min., B. XXXY, H. Ili, pag. 220-228, con tavola). — Leipzig, 1902. È uno studio teorico di cristallografia basato sull’esame di cristalli di gesso delle miniere solfuree di Romagna e delle Cotine in Toscana. Zaccagna D. — Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geologici inforno alle Alpi occidentali. (Boll. R. Comitato Geol., Yol. XXXIII, n. 3, pag. 150-160). — Roma, 1902. In continuazione al suo lavoro (vedi Bibl. 1901), l’autore fa vari rilievi critici sulla interpretazione geologica dei dintorni di Moutiers, e particolarmente sul contrafforte di Hautecour che immediatamente vi sovrasta. In questo con- trafforte non esisterebbero nè micascisti, nè scisti carboniferi, nè serpentine, quali vennero rappresentati nel foglio di Albertville della Carta francese di recente pubblicazione; la roccia più profonda sarebbero gli scisti permiani nelle — 115 - loro varietà più caratteristiche di scisti gneissici e scisti variegati, sviluppati specialmente sotto la prima forma alla Croce di Plainvillard, nelle vicinanze immediate di Moutiers. Quanto agli scisti grigi che da Moutiers risalgono al Monte Quermo e sono in quella Carta ascritti totalmente al giurassico, essi dovrebbero essere in gran parte, secondo l’autore, riportati al Trias; dappoiché anche sotto le vicine balze del Crest esiste una serie triasica formata di banchi di quarzite, di calcari marmorei e calcari del tipo di Villanova, con scisti calcari grigi tanto fra le quarziti che fra i calcari compatti. Gli scisti grigi trovansi poi associati ai gessi ed essi stessi gessificati in altri punti delle vicinanze : per cui egli opina che degli scisti calcari, quelli almeno associati alle roccie di tipo triasico, dovrebbero esser mantenuti nel Trias, come già ritenne il Lory nella sua Carta della Savoia. Passando all’esame della seconda parte del lavoro del Bertrand (. Etudes sur les Alpes franpaises) l’autore sorvola sulle sezioni che egli sotto il nome di Coupes démonstratives descrive allo scopo di confermare la triasicità dei calce- scisti; perocché molte di quelle sezioni furono già discusse e confutate in ad- dietro. L'autore tuttavia si sofferma ancora sulla sezione dell’Ubaye, già esa- minata, alla quale il Bertrand, contro le conclusioni del Kilian e dello Zaccagna, applica le sue teorie. Rilevando gli artifizi tectonici a cui il Bertrand ricorre per ricondurre in quelle sezioni i calcescisti al livello del Trias, l’autore os- serva che nella interpretazione stratigrafica di esse l’ambiguità non è possibile; poiché rimontando la valle dell’Ubaye da Saint Paul a Maurin, fra Serenne e la Berge si ha una successione uniclinale progressiva e discendente dei terreni intercedenti fra l’eoeene ed il permiano; col quale terreno (ivi costituito da scisti variegati e besimaudite micacea) la serie viene a poggiare per la prima volta sulla formazione dei calcescisti e roccie concomitanti. I calcescisti risul- terebbero adunque non solo per la posizione stratigrafica, ma anche cronolo- gicamente sottostanti a tutti i piani geologici di quella zona periferica delle Alpi a partire dal permiano. Passando poi dalla valle principale dell’Ubaye alla regione dei laghi di Marinet sul versante sinistro, gli stessi scisti permiani sottostanti alle quarziti- anageniti del Trias e sovrastanti ai calcescisti pervengono al colle di Mary, e di qui nel versante italiano, formando una zona non interrotta che si prolunga sino in Valle Stura, dove la serie paleozoica, sempre sovrastante al calcescisto, discende fino al carbonifero. La zona dei calcescisti e roccie concominanti nelle Alpi occidentali dovrebbe quindi riferirsi all’epoca prepaleozoica, o per lo meno al precarbonifero. — 116 — Zambonini F. — Wavellite di Mansiana ( Provìncia di Roma). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Voi. XI, fase. 3°. 1° sem.. pag. 123-125). — Roma, 1902. Questo minerale, trovato sopra un pezzo della trachite conosciuta a Roma col nome di pietra della Manziana e che serve per costruzioni, presentasi in sfere e semisfere a struttura fibro-raggiata perfettissima, e a primo aspetto può prendersi per la prehnite globulare della Yal di Fassa o per la phillipsite fibro-raggiata di Yallerano sotto il Monte Cimino. Le proprietà ottiche e cri- stallografiche, nonché l’analisi chimica dimostrarono all’autore trattarsi di wavellite , minerale questo assai raro in Italia. Zambonini F. — Sul glauco fané di Cliateijroiuc ( valle di Gressoneg ). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XI, fase. 5°, 1° sem., pag. 204-208). . — Roma, 1902. Questo minerale è in cristalli tappezzanti una piccola cavità entro un masso di eclogite povera in granato, ma abbondante in pirosseno verde-chiaro, par- zialmente uralitizzato e cloritizzato, trovato erratico nei pressi di Chatevroux nella valle di Gressoney (Yal d’Aosta). I cristalli di glaucofane sono accompagnati da muscovite in laminette, da qualche grosso granulo di quarzo e da- alcuni rari cristallini di sfeno. Essi sono neri, splendenti, talvolta allungati secondo l’asse delle z , nel qual senso il più lungo misurava mm. 12. L’autore ne dà i caratteri cristallografici e il risultato dell’analisi chimica. Questi ultimi differiscono notevolmente da quelli che il Cossa ottenne per la gastaldite di St. Marcel, ma sono invece quasi identici a quelli che il Colomba ottenne per i cristalli della Beaume. È notevole in questi cristalli la notevole percentuale di acqua (2.87), la quale, secondo gli studi di Berwerth e Haefcke, dovrebbe considerarsi come costituente essenziale degli anfiboli e non come elemento accidentale. Zambonini F. — Notiseli ìiber den Guavinit. (Centralblatt fiir Min., Greol. nnd Pah, Jahrg. 3 902, n. 17, pag. 524-529). — Stuttgart, 1902. L’autore fa la storia di questo minerale scoperto da Guiscardi nel Monte Somma l’anno 1857, e che egli dapprima ritenne per tetragonale, ma che più tardi fu riconosciuto rombico: dai risultati dell’analisi chimica poi lo scopritore lo credette una modificazione isomera della titanite. Una nuova analisi fatta — 117 — nel 1891 nella Scuola d’applicazione per gli ingegneri in Napoli non diede traccia di titanio, mentre il Guiscardi dava il 34 per cento di acido titanico. La guarinite adunque non è che un silicato di allumina, calce e soda, che, studiato nuovamente dall’autore, appartiene al sistema rombico, con forme molto simili a quella della gehlenite: essa è però intieramente legata alla danburite, in quanto che le proprietà ottiche e cristallografiche dei due minerali concor- dano perfettamente. Zambonini F. — Kurser Beitrag sur chemischen Kenntnìss eìniger Zeo- lithe der Umgegend Roms. (Neues Jahrb. fiir Min., Geol. nnd Pai., Jalirg. 1902, B. II, H. II, pag. 63-96). — Stuttgart, 1902. È uno studio particolareggiato di alcune zeoliti che si trovano entro le cavità delle lave dei dintorni di Roma, e cioè : 1° Phillipsite di Capo di Bove, Yallerano, Casale Brunori e Mostacciano. Per spiegare la composizione di questo minerale l’autore lo considera come una miscela di due silicati. 2° Gismondina a Yallérano, Capo di Bove e Mostacciano, con analisi chi- miche relative che dànno la formola Ca Al2 Si2 Og, 4 H20. 3° F eie olite a Yallérano e Casale Brunori, di cui sono pure date le analisi chimiche e gli altri caratteri. 4° Infine una zeolite nuova, che l’autore chiama pseudo-phillipsite e che trovasi in cristallini ottaedrici sopra i cristalli di gismondina entro la leuciti te di Casale Brunori e Mostacciano. Questi cristallini erano già stati descritti dal vom Rath che li giudicava appartenenti alla phillipsite. La formula della pseudo- phillipsite ricavata dall’autore dalla analisi chimica, è la seguente : Ca2 AQ Si5 018, 9 H20, per il che la sua posizione nella serie delle zeoliti è fra la phillipsite e la gismondina. Zanolli Y. — Di un nuovo giacimento di zeoliti nel gruppo montuoso degli Euganei. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXYIII, fase. YI, pag. 91-94). — Padova, 1902. Il giacimento trovasi nella parte meridionale del gruppo e presenta grande analogia con quello della parte settentrionale già studiato dal dott. Dal Piaz (vedi Bibl. 1900). La roccia che lo contiene è di tipo basaltico ed affiora come filone nelle roccie trachitiche tra Monte Rusta e Gemola: le cavità di esse 8* — 118 — sono talvolta riempite da geodi di analcime, natrolite, calcite e più raramente di clorite. L’analcime si rinviene in individui della grossezza di 1/3 a 1/2 centimetro, ora splendenti, ora opachi e corrosi per infiltrazioni, in gran parte colorati leg- germente in violaceo. La natrolite, meno abbondante del precedente, è da ritenersi di origine posteriore e si presenta in piccoli individui aghiformi e trasparenti. L’autore dà le caratteristiche cristalligrafiche dell’uno e dell’altro minerale. APPENDICE 1 Bellini R. — I molluschi di aleniti depositi elveziani presso S. Genesio ( Torino ) (opusc. in-8°). — Siena, 1902. Bettoni A. — Sugli affioramenti di lignite e di scisto bituminoso nel Comune di Fossato di Vico. Relazione (pag. 10 in-8°). — Perugia, 1902. Cozzaglio A. — Sulla costituzione geologica del sottosuolo di Salò. (La Prov. di Brescia, 6 gennaio). — Brescia, 1902. Idem. — Martinica e Monte Baldo. (Ibidem, 31 maggio). — Brescia. 1902. De Giorgi C. — Intorno alle relazioni fra le Murgie pugliesi e V Appennino del- l’Italia meridionale (dagli Atti del IV Congr. geogr. ital., pag. 11 in-8°). — Milano, 1902. Froment A,. — Rapport sur les mines de Borgofranco ( òr , argent, arsente, plomb) (pag. 32 in-4°, con tavola). — Ivrea, 1902. Parrozzani A. — Analisi chimica di un calcare della provincia di Aquila, uti- lizzabile come marna e materiale per calce idraulica (pag. 22 in-8°). — Aquila, 1902. Stanèk E. — Ueber des Kohlenvorkommen in der toskanischen Maremma , Pro- viti z Grosseto. (Montan-Zeitung, Jahrg. 1902, pag. 418-421). — Wien, 1902. Zanolli V. — Sulla fauna d’ Acquafredda di Sangonini nel Vicentino (pag. 18 in-8°). — Padova, 1902. 1 Sono pubblicazioni non pervenute all’Ufficio o pervenutevi troppo tardi per poterne inserire la bibliografia nel posto relativo. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (31 marzo 1904) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Yol. I a XXXIY, dal 1870 al 1908. Prezzo di ciascun volume B. 10 Idem dell abbonamento annuale in Italia » 8 Idem idem all’estero » 10 Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Y ol. I. Pirenze 1872. — Introduzione. — B. Gastaldi : Studii geologici sulle Alpi Occidentali , con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrizione geologica delV Isola d'Elba. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Iln volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche . » 35 Yol. II, Parte la. Pirenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Puchs: Monografia geologica dell' Isola d' Ischia. — P. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche . » 25 Yol. II, Parte 2a. Pirenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 Yol. Ili, Parte la. Pirenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponza. — C. De Stefani: Geologia del Monte Pisano. — Un vdlume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche ! » 10 Yol. Ili, Parte 2a. Pirenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia del! Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spezia. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole Yol. IY, Parte la. Pirenze 1891. — A. Scacchi : La regione vulcanica fluorifera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole 8 — 120 — Yol. IY, Parte 2a. Firenze 1893. — C. A. Weithofer: Pro- boscidiani fossili di Valdarno in Toscana. — M. Canavari: Idrosoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — Un volume in-4° di pag. 214 con tavole . . . L. 16 — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Yol. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrisione geologica dell’Isola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica Yol. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrisione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica Yol. III. Roma 1887. — A. Fabri: Reiasione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni Yol. IY. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrisione geologico-mi- neraria deir Iglesiente [Sardegna). — Un volume in-8e di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica . . . ... . Yol. Y. Roma 1890. — C. De Castro: Descrisione geologico- mineraria della sona argentifera del Sarrabus [Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria Yol. YI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservasioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa Yol. YII. Roma 1892. — E. Cortese e Y. Sabatini: De- scrisione geologico-petrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche . . Yol. YIII. Roma 1893. — B. Lotti: Descrisione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica Yol. IX. Roma 1895. — E. Cortese : Descrisione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica Yol. X. Roma 1900. — Y. Sabatini: I vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte P : Vulcano Lasiale. — Un vo- lume in-8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica Yol. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrisione geognostico- agraria del Colle Montello [provincia di Treviso). — Un volume in-8° di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico-agraria . Yol. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologi co- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8° di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » 10 - » 10 — » 20 — » 15 — » 8 - » 6 — » 8 - » 8 — » 12 — » 12- » 8 - » 10 — — 121 — CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2a edizione. — Roma 1889 . . Prezzo L. 10 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 — NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio V. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio V. 262 (Monte Etna) . . L. 5- » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del Vallo) » 3 — » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) . . . » 4 - » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicattì) . . . » 5 — » 251 (Cefalù) .... » 3 — , » 268 (Caltanissetta). . » 5 — » 252 (Vaso) .... » 4 — » 269 (Paterno) . . . » 5 — » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . » 3 — » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) . . . » 3 — » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 — » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 — » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) . . . » 4 — » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » 3 — » 260 (Vicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . . . » 3- * 261 (Bronte) .... » 5 — » 277 (Voto) . . . . » 3- Tavola di sezioni V. I (annessa ai fogli 249 e 258 . . L. 4 — » » IN". II (annessa ai fogli 252, 260 e 26i) » 4 — » » V. Ili (annessa ai fogli 258, 254 e 262) » 4 — » » V. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » V. V (annessa ai fogli 278 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . R. 60 — NB. I fogli e le tavole di Foglio V. 220 (Verbicaro) . » 221 (Castrovillari) » 222 (Amendolara) » 228 (Cetraro) . . » 229 (Paola) . . » 230 (Rossano). . . » 4 — » 231 (Ciro) . ...» 3 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 241 (Vicastro). . . » 4 — come segue : Foglio V. 242 (Catanzaro) . . L. 4 » 243 (Isola Capo Riz zuto) . . » 245 (Palmi) . . » 246 (Cittanova) . » 247 (Badolato) . , » 254 (Messina). . . » 4 » 255 (Gerace) ...» 4 » 263 (Bova) . . . . »3 » 264 (Staiti) . ...» 3 questa Carta si vendono anche separatamente L. 3 — » 5 — » 3 — » 3 — Tavola di sezioni IR I, V. II e V. Ili, ciascuna . . L. 4 co co io co — 122 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IN". 142 (Civitavecchia) R. 4 — » 148 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio jNT. 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . L. 4- » 5 — » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara. . . » Castelnuovo . L. 5 — Foglio Stazzema . » 5 — » Serravezza L. 5 — » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrafous (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e [Napoli. presented I2JUL.19Q4 Di recente pubblicazione Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia. — Ap- pendice al Voi. IX. — Osservazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di dios- sano, del Dott. G. Di-Stefano. — Un volume in-8° di pag. 120, con tavola di sezioni L. 3. 00 Guida all’Ufficio Geologico con Appendice sulle collezioni di pietre decorative antiche. — Un volume in-8° di pag. 100, con piante e vedute fotografiche . . . L. 3. 00 Carta geologica d’ Italia nella scala di 1 a 100,000 , fogli : 201 (Matera). . . . L. 3.00 213 (Maruggio). . . L. 1.00 202 (Taranto) . . . ». 2. 00 214 (Gallipoli) . . . » 2. 00 203 (Brindisi) . . . » 3. 00 215 (Otranto) . . . » 1. 00 204 (Lecce) . . . . » 2. 00 223 (Tricase) . . . » 2. 00 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie IV. — Anno V. 1904 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA. Visto il Regio Decreto del 25 gennaio 1894, V. 39; Sulla proposta del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio : Abbiamo decretato e decretiamo : Art. 1°. Sono confermati componenti del R. Comitato geologico per il biennio 1904-905: Cocchi prof. Igino, Gemmellaro prof. Gaetano Giorgio, Issel prof. Arturo, Parona prof. Carlo Fabrizio. Art. 2°. Il prof. Giovanni Capellini è confermato presidente del Comitato stesso per l’anno 1904. Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del presente Decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti. Dato a Roma, addì 18 febbraio 1904. Finnato : VITTORIO EMANITELE. Controfirmato : Rava. Visto, Il Capo Ragioniere - Firmato: Marinucci. Registrato alla Corte dei Conti addi 3 marzo 1904. Registro 51 - Personale civile, foglio 140. Firmalo: G. Maggiore. Annunzi di pubblicazioni Arcidiacono Sui recenti terremoti etnei (dal Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. LXXIX, pag. 8). — Catania, 1903. Canavari ivi. — La fauna degli strati con Aspidoceras acanthicum di Monte Serra presso Camerino. Parte 5a. Cephalopoda : Aspidoceras (con- tinuazione). (Palaeontographia italica, Yol. XX, pag. 1-18, con 9 tav.). — Pisa, 1908. Dal Piaz G. — Sugli avanzi di Cyrtodelphis sulcatus dell’arenaria di Belluno. Parte la. (Ibidem, Yol. IX, pag. 187-220, con 4 tav.). — Pisa, 1903. Fucini A. — Cefalopodi liassici del Monte di Cetona. Parte 3a. (Ibidem, Yol. IX, pag. 125-180, con 9 tav.). — Pisa, 1908. Seguenza L. — Rissoidi neogenici della provincia di Messina. (Ibidem, Yol. IX, pag. 35-60, con tavola). — Pisa, 1903. Squinabol S. — Le radiolarie dei noduli selciosi nella scaglia degli Euganei. ■ Contribuzione la. (Rivista ital. di Paleontologia, Anno IX, fase. IY, pa- gina 105-144, con 3 tav.). Bologna, 1903. Tommasi A. — Revisione della fauna a molluschi della Dolomia principale di Lombardia. (Palaeontographia italica, Yol. IX, pag. 95-124, con 4 tav.). — | Pisa, 1903. Artini E. — Intorno a una roccia lamprofirica della Val Flesch (Val Seriana). (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nàt., Yol. XLIII, fase. 1°, pag. 20-32, con 2 tav.). — Milano, 1904. Bellini R. — Cycloseris Taronae Bellini, nuovo corallario del Lias medio, ì (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 3°, pag. 418-420). — Roma, 1904. Idem. — Notizie sulle formazioni fossilifere neogeniche recenti della regione vulcanica napoletana e malacofauna del Monte Somma. (Boll. Soc. di Na- turalisti, S. I, Yol. XYII, pag. 1-16). — Napoli, 1904. Billows E. — Su d’uua roccia di filone di Torreglia (Euganei) con geodi di calcite e quarzo ametista e rutilifero. (Riv. di min. e crist. ital., Yol. XXX, fase. IY-YI, pag. 84-97). — Padova, 1904. Bonarelli G. — Miscellanea di note geologiche e paleontologiche per Panno 1902. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 3°, pag. 429-445). — Roma, 1904. Brugnatelli L. — Sulla titanolivina dei dintorni di Chiesa in Val Malenco. (Riv. di min. e crist. ital., Yol. XXX, fase. IY-YI, pag. 69-83). -v- Pa- dova, 1904. Cacciamali G. B. — L’ infragiura bresciano. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 3°, pag. 385-389). — Roma, 1904. ■ Checchia-Rispoli G. — Sopra un crostaceo dei tufi calcarei post-pliocenici dei dintorni di Palermo. (Ibidem, Yol. XXII, fase. 3°, pag. 488-492). — Roma, 1904. | Chelussi I. — Alcune osservazioni preliminari sul gruppo del Monte Velino e sulla conca del Fucino. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 1°, pag. 34-53). — Milano, 1904. Clerici E. — Sui resti di conifere del Monte Amiata. (Boll. Soc. geol. ital., Yol. XXII, fase. 3°, pag. 523-534>. — Roma, 1904. (Segue) f Seguito : V. pagina precedente) Dervieux E. — La formazione geologica di Moncalieri ed il Loess (Colli torinesi). (Atti Acc. pont. dei Nuovi Lincei, Anno LVII, Sess. la, pag. 28-32). — Roma, 1904. Issel A. — Note spiccate. II. Yalle di Calizzano. (Atti Soc. Lignstica di Se. nat. e geogr., Voi. XV, n. 1°, pag. 8-30). — Genova, 1904. Meli R. — Sulla costituzione geologica del Monte Palatino in Roma. Soc. Geol. ital., Voi. XXII, fase. 3°, pag. 498-522). — Roma, 1904. Mercalli G. — Ancora intorno al modo di formazione di una cupola lavica (Boll. vesuviana. (Ibidem, Voi. XXII, fase. 3°, pag. 421-428). — Roma, 1904. Idem. — Sulla forma di alcuni prodotti delle esplosioni vesuviane recenti. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Voi. XLII, fase. 4°, pag. 419-424, con tavola). — Milano, 1904. Millosevich F. — Danburite di S. Barthèlemy in Tal d’Aosta. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XIII, fase. 4°, 1° sem., pag. 197-199). — Roma, 1904. Novarese V. — I giacimenti di asfalto di San Talentino (Chieti). (Rassegna mineraria, n.° 1, pag. 1-4). — Torino, 1904. Pampaloni L. ■— - Sopra alcuni legni silicizzati del Piemonte. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXII, fase. 3°, pag. 535-548). — Roma, 1904. Parona C. F. — Una rudista della scaglia veneta (dagli Atti R. Acc, delle Se. di Torino, Voi. XXXIX, pag. 8 in-8°, con tavola). — Torino, 1904. Idem. — Sulla presenza dei calcari e Toucasia carinata nell’isola di Capri. XIII, fase. IV, 1° sem., pag. 165-167). (Rend. R. Acc. dei Lincei, — Roma, 1904. Pasquale M. — Su di un Palaeorhynchns dell’arenaria eocenica di Ponte Nuovo presso Barberino di Mugello (prov. di Firenze) (dagli Atti R. Acc. Se. fis. e mat., S. 2a, Voi. XII, in-8°, pag. 1-6, con tav.). — Napoli, 1904. Portis A. — Ancora e sempre delle specie elefantine fossili in Italia. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXII, fase. 3°, pag. 446-448). — Roma, 1904. Repossi E. — Appunti mineralogici sulla pegmatite di Olgiasca (Lago di Como). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XIII, fase. 4°, 1° seni., pa- gina 186-190). — Roma, 1904. Rovereto G. — Sull’età del macigno dell’ Appennino ligure. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXII, fase. 3°, pag. 390-394). — Roma, 1904. Idem. — Escursioni geologiche nel gruppo del Marguarese. (Ibidem, Voi. XXII, fase. 3°, pag. 399-417). — Roma, 1904. Spezia G. — Sulle inclusioni di anidride carbonica liquida nella anidrite associata al quarzo trovata nel traforo del Sempione (dagli Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XXXIX, pag. 14, con tavola). — Torino, 1904. Ugolini R. — Talus di franamento del Monte di Avane. (Boll. Soc. Geol. ital. Voi. XXII, fase. 3°, pag. 493-497). — Roma, 1904. Verri A. — Problemi orogenici nell’Umbria. '(Ibidem, Voi. XXII, fase. 3°, pag. 449-460). — Roma, 1904. Zambonini F. — Su alcuni notevoli cristalli di celestite di Boratella (R< magna). (Rend. R. Acc. dei Lincei,. S. V, Voi. XIII, fase. 1°, 1° sem., pag. 37*38). — Roma, 1904. Prezzo del presente fascicolo: IL. 3. N. 2. ROMA TIP. 2T AZIONALE DI G. BERTERO E C. 1904 c. «jL.r. AJST3STO 1904 Anno 1904 Voi. XXXV della Raccolta ELENCO del persohale componente il Comitato e l’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna, Prendente. Bassani Francesco, prof; di geologia, R. Università di Napoli. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Issel Arturo, prof, di geologia,, R. Università di G-enova. Parona Carlo Fabriziò, ptfof. di geologia, R.* Università di Torino. Strììver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo- del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Uapo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing., Sormani Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aìchino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing.'- Gremì Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico * ~ Susanna, n. 1, BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. V. Anno 1904. Fascicolo 2°. SOMMARIO. Note originali. — I. S. Franchi, Ancora sulla età mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali. — II. V. Sabatini, Relazione sul lavoro eseguito nel periodo 1899-903 su i vulcani dell’Italia centrale e i loro pro- dotti. — III. P. Moderni, Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini ( Continuazione , vedi n. 1, e fine). Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. — Verbale delle adunanze 6 e 7 giugno 1904 del R. Comitato geo- logico. — Relazione dell’ Ispettore-capo al R. Comitato geologico sui lavori eseguiti per la Carta geologica nell’anno 1903 e proposte di quelli da ese- guirsi nel 1904. Illustrazioni. — Tav. II e III: Sezioni geologiche nelle Alpi occidentali (S. Fran- chi) a pag. 178. — Tav. IV: Carta geologica della parte orientale dei Vul- cani Vulsini (V. Sabatini) a pag. 192. — Tav. Gr e H, vedute nei Vulcani Vulsini (P. Moderni) a pag. 230. — Figure nel testo: S. Franchi a pag. 141, 152 e 154 : V. Sabatini a pag. 182 e 184 ; P. Moderni a pag. 221. — Parte ufficiale, Tavola a pag. 24. NOTE ORIGINALI I. S. Franchi. — Ancora sull'età mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali . (Con due tavole). Se nel 1879 Bartolomeo Gastaldi, anziché trapassato, lasciando vivo compianto fra colleghi e discepoli, fosse partito per un lungo viaggio in remote terre, dal quale fosse solo tornato di questi giorni, certo fra i primi suoi pensieri sarebbe stato quello di chiedere a che punto fossero gli studi geologici sulle Alpi occidentali, ai quali egli aveva per tanti anni consacrate le sue energie fisiche ed intellettuali, 9 — 126 — e al cui compimento egli aveva ripetutamente incoraggiato i giovani, certo come era che l’opera sua fosse lungi dall’essere completa. Gli si sarebbero allora mostrate le carte dei recenti rilievi in grande scala ; si sarebbero indicate le numerose località fossilifere a diplopore, a pleurotomarie e ad encrini in quella grande massa cal- carea attraversante le valli Grana, Maira e Varaita, da lui ritenuta, colle pietre verdi, arcaica; lo si sarebbe informato che fossili triasici sono pure stati trovati nei calcari di Piasco, di Chianoc e del Gad d’Oulx e che oramai era indiscussa l’età triasica delle masse quarzi- tiche con calcari, carniole e gessi, addossantesi al piccolo massiccio d’Ambin, che bisognava staccare dalla zona delle pietre verdi ; gli si sarebbero mostrati campioni di calcescisti fossiliferi di C. Dojetto (pentacrini e terebratule) di Valle Grana (arietiti e belemniti) e del Piccolo San Bernardo (belemniti). Con opportuni profili gli si sarebbe poscia mostrato come, pur ritenendo effettive le concordanze fra le diverse forme litologiche da lui incluse nella zona delle pietre verdi, e così pure le concordanze ai limiti di tale zona da un lato coi gneiss dei diversi massicci (Dora- Val Maira, d’Ambin, del Gran Paradiso) e dall’altro col Permo-carbonifero, da lui intuito in uno degli ultimi suoi scritti, il rilevamento in grande scala avesse rivelata l’esistenza di piccole e grandiose pieghe (anticlinali di Bernezzo, di Pradleves, di Elva, del Grand Roc ; sinclinali del Monviso, di Bardonecchia, di Cour- mayeur, della Grivola, ecc.). Si sarebbero inoltre rapidamente accennate le idee che per mezzo degli studi petrografìci si sono in questi ultimi anni acquisite sull’origine e sulla natura delle più comuni e diffuse fra le pietre verdi. Io credo che il venerando professore, dopo di aver riflettuto sulla portata di tanti fatti nuovi e per lui inattesi, rievocati i suoi ricordi, sempre freschi, sulla costituzione della zona delle pietre verdi e della indissolubilità nel suo complesso di quarziti, calcari, calcescisti, ecc., colle varie forme di pietre verdi, ricordando inoltre avere egli appunto riconosciuta una zona quasi continua di calcari alla base di quella formazione, zona di cui fanno parte i calcari in cui furono ora tro- — 127 — vati i fossili triasici, non avrebbe esitato ad accettare l’età secondaria di quella zona. Poiché nei suoi scritti il Gastaldi ha espresso due concetti distinti riguardanti la zona delle pietre verdi: l’uno basato sulle lunghe, ripe- tute e tante volte controllate osservazioni, ed è quello del tutto uni- tario, come formazione unica, del complesso cui egli intese costituire la zona delle pietre verdi, in cui comprendeva gneiss minuti, mica- scisti, quarziti, calcari, calcescisti e le pietre verdi; l’altro cronologico, il quale non è, a differenza del precedente, il risultato di osservazioni sue, ma derivato solo da analogie con formazioni di altri paesi. Perciò il Gastaldi, davanti al dilemma : o di sconfessare le affermate concor- danze e l’intimo legame, con struttura isoclinale, delle diverse forme litologiche costituenti la famosa zona, o di accettare l’età secondaria di essa, si sarebbe certamente deciso ad abbandonare quel suo secondo concetto cronologico, purché i risultati di quelle osservazioni, che co- stituiscono tutto il merito dell’opera sua, fossero rispettati. E questi risultati sarebbero stati sconvolti se ogni lembo di calcari o di calce- scisti con fossili secondari, già da lui ritenuto arcaico, avesse dovuto essere considerato come un lembo trasgressivo, estraneo alla zona delle pietre verdi, ed in questa pizzicato per costipamento o per piega. Da quanto ho creduto opportuno di esporre sinteticamente, rie- vocando la memoria di B. Gastaldi, parmi risulti chiaro come quelli che si potrebbero da taluno credere i rappresentanti ed i sostenitori delle idee dell’illustre geologo torinese, siano invece i meno rispettosi delle più importanti ed essenziali sue osservazioni di fatto. Non aderendo i colleghi Zaccagna e Mattirolo alle conclusioni del mio lavoro del 1898 1 affermanti l’età secondaria della zona delle pietre verdi, in seguito ad analoga deliberazione del Regio Comitato geolo- gico, si eseguirono nel luglio dello stesso anno delle gite in comune 1 Sull'età mesozoica, della sona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali. (Boll. Com. geol., 1898, pag. 173). — 128 — nelle regioni che a mio parere erano più probanti in favore del mio ordine d’idee. Si visitarono così i dintorni di Bernezzo, di Yalgrana e di Pradleves e si percorse l’alta Valle Grana, visitandone le principali località fossilifere. Da Pradleves si fece una traversata per San Da- miano Macra e quindi si percorse la Valle Maira fino ad Acceglio. - visitando particolarmente il Trias, costituito da calcari dolomitici con numerose intercalazioni di micaliti e calcescisti tra San Damiano e Lotulo, L contatti tra Permo-carbonifero e calcescisti e l’anticlinale di calcari del Trias superiore del vallone di Elva. Durante queste escursioni era mia cura di far rilevare gli argo- menti di ordine stratigrafìco o litologico, che nei singoli punti io deducevo a favore dell’età secondaria delle pietre verdi, invitando i colleghi a farvi le loro obbiezioni. E debbo qui ad onor del vero di- chiarare che la minima obbiezione non mi fu mossa o sulla affer- mata concordanza e sfumatura dei calcari e calcescisti con fossili del Lias inferiore con quelli ad essi associati contenenti le pietre verdi, o sulla concordanza e sul passaggio graduale tra calcari fossiliferi del Trias superiore e calcescisti, o sulla concordanza assoluta in alcuni punti fra calcescisti, quarziti e scisti permiani. Non uno quindi dei fatti che io faceva constatare venne impugnato sui luoghi, rendendo così frustraneo lo scopo di quelle gite, che, io sono certo, avrebbero fin d’allora condotto ad un accordo, se una discussione fosse stata accettata per ogni singolo fatto da me illustrato. Resa così impossibile la discussione e quindi l’accordo sui luoghi, l’ ing. Zaccagna, con una lunga nota, che va pubblicando, imprese a ribattere le idee espresse nei lavori di W. Kilian, P. Termier e M. Ber- trand 1 sull'argomento, e nell’ultima parte del suo scritto, da poco ap- parsa 2, prese a discutere una piccola parte delle mie osservazioni per quanto riguarda la Valle Grana, mentre ad alcune altre sull’alta Valle 1 Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geologici intorno alle Alpi occiden- tali. (Boll. R. Com. geol., Anno 1901, pag. 4 e pag. 149 e Anno 1902, pag. 149). 2 Idem. (Ibid., Anno 1903, pag. 297). - 129 — di Susa egli aveva risposto indirettamente, senza nominarmi, nel com- battere i concetti di Marcel Bertrand. Lo Zaccagna in questa sua replica reca alcune osservazioni, a mio avviso non esatte o non esattamente interpretate, fa alcune assegna- zioni litologiche o di gruppo per me non giuste, ed afferma l’esistenza di certe distinzioni per me sotto nessun rapporto giustificate, mentre riporta in campo il suo noto concetto delle pizzicature di lembi tra- sgressivi con concordanze meccaniche, il quale concetto, in tutti i casi che riguardano le osservazioni mie, io trovo non corrispondere o al- meno non essere appoggiato dai dati di osservazione. Io mi trovo quindi nella dolorosa necessità di riprendere la penna su questo argomento, a difesa della esattezza delle mie osservazioni e dell’integrità delle conclusioni dedotte, conclusioni che furono dai susseguenti rilevamenti miei e di alcuni colleghi nella Valle d’Aosta, luminosamente, ed oltre ogni nostra speranza, confermate *. Nel ribattere le osservazioni dello Zaccagna io sono mosso non tanto dalla speranza di indurre il mio egregio collega ad accettare le mie idee, il che, per esperienza di casi analoghi, non può presentare grandi probabilità di successo, quanto dal desiderio che sopra di una questione di tanta importanza per la geologia alpina gli studiosi che se ne interessano, ma che non visitarono i luoghi, non rimangano a lungo sotto l’impressione di dubbio che l’enunciazione fatta, con tanta sicurezza, degli argomenti addotti dall’ing. Zaccagna, potrebbe lasciare nel loro animo. Chi scrive, confortato dai risultati concordi delle osservazioni di alcuni suoi colleghi e dall’armonica sintesi sotto cui, colle nuove ve- dute, si presentano alcune zone di terreni nei due versanti alpini, ha la visione così chiara di alcuni fra gli argomenti, per lui perentorii, quali si traggono dalle anticlinali di Bernezzo, di Monte Chialmo, del 1 S. Franchi, Nuove località con fossili mesosoici nella sona delle pietre verdi presso il Colle del Piccolo San Bernardo. (Boll. R. Com. geol., Anno 1899, pag. 303). — 130 — vallone di Elva, del Grand Eoe e dalle zone sinclinali di calcescisti di Bardonecchia e di Courmayeur, che le sottili ipotetiche differenze litologiche, differenze non mai definite oltre che non provate , fra sup- posti calcescisti arcaici e calcescisti secondari, o le ingegnose ipotesi, teoricamente possibili ma nei casi attuali non provate , di pizzicatile di terreni trasgressivi con concordanze meccaniche non valgono a tur- barla menomamente. In una disputa di questa importanza, che dura da tanto tempo e che deve decidere della posizione, in punti così lontani della scala cronologica, di una formazione costituente nel suo insieme forse più di una mela delle Alpi occidentali italiane, occorre mettere da parte gli argomenti che per prova hanno mostrato di prestarsi finora alle contrarie interpretazioni, e che per loro natura non possono essere de- cisivi ; e concentrare la nostra attenzione sui punti che per la chiara disposizione stratigrafica e per la sicurezza della cronologia, basata sui fossili, debbono necessariamente condurre ad una soluzione com- pleta, definitiva, inoppugnabile. 11 ricorrere, allo stato attuale della questione, a sottigliezze poco definibili ed afferrabili od a piccoli fatti locali, e trascurare gli argomenti perentori che abbondano, equivar- rebbe a volere deliberatamente mantenere l’incertezza o l’equivoco. Non è quindi senza qualche meraviglia che io vedo l’ing. Zac- cagna convinto di aver risposto esaurientemente a’ miei argomenti, (Boll. 1903, pag. 332) senza neppure aver tentato: o di darci, a pa- role o cartograficamente, i limiti di quel suo ipotetico lembo di Lias, pizzicato nei calcescisti antichi, al quale apparterebbero secondo lui gli strati a helemnites ed arietites del vallone di Narbona, o senza sentire l’obbligo di darci in una figura una diversa interpretazione, sia pure di una sola di quelle da me date delle anticlinali triasiche suddette, ricoperte concordantemente tutto attorno dai calcescisti , con pietre verdi, in gualche punto fossiliferi (0. Dojetto). Il non rispondere a questi argomenti miei, perentori, decisivi, è un confessarsi implicitamente impotente a combatterli, e tale fatto mi darebbe diritto a non curare le altre argomentazioni. E si noti che — 131 — ciò non è per economia di fatica o di tempo, poiché lo Zaccagna ci dà un lungo profilo passante presso Monte Chialmo, senza però toc- carlo, ed una carta geologica a colori di una regione, che certo ha per la questione che si dibatte una importanza affatto secondaria, mentre era indispensabile, per dimostrare la consistenza delle sue obbiezioni, un abbozzo del suddetto lembo di Lias. Nemmeno so spiegarmi perchè l’ing. Zaccagna abbia assoluta- mente taciuto delle modificazioni che nei suoi profili attraverso il Monviso (1887) ed al Rocciamelone (1892) egli dovrebbe necessaria- mente introdurre, per non rimanere in una imbarazzante contrad- dizione ; perchè dopo il ritrovamento di fossili secondari nei calcari della grande massa calcarea che si estende da Bernezzo al Colle Ra- scias e in quella di Chianoc, quei 'profili costituiscono due belle prove dell'età secondaria delle pietre verdi. E qui non posso passar sotto silenzio il fatto che lo Zaccagna, tanto nella Carta geologica delle Riviere liguri, pubblicata nel 1887, che nella cartina al 1.030.000 annessa al suo lavoro del 1887, abbia incluso nel Trias inferiore una larga zona di terreni che si estende dalla Yermenagna ai dintorni di Villanova Mondovì; zona che è la conti- nuazione evidente della zona di calcescisti con breccie dei monti Tagliare e Croce di Bai, e che comprende una potente pila di roccie calcaree cristalline con calcescisti, numerosi banchi di breccie dolo- mitiche, e rare lenti di pietre verdi (vedi i profili datine nel mio lavoro del 1898, fìg. 9, pag. 333 e fig. 10, pag. 334). Ciò proverebbe che nelle sue osservazioni anteriori al 1887 non sia parso possibile allo Zaccagna, come a me non lo sembra neppure ora, il segnare un distacco stratigrafico fra quei calcari dolomitici ed i calcescisti con breccie e pietre verdi. E quando egli dice : « Appare infatti inesplicabile il fatto che mentre tutti gli esempi tratti dalle mie osservazioni attestano della nes- suna continuità fra la serie delle roccie della zona delle pietre verdi colla soprastante serie paleozoico-triassica, eccezione debba esser fatta per la regione Valmaira-Valgrana studiata dal Franchi, che fu pure — 132 — da me percorsa e diversamente interpretrata » (1. c. pag. 300), io posso a buon diritto domandargli di gitali esempi tratti dalle sue osservazioni intende parlare, perchè alcuni, e fra i più importanti, attestano ap- punto la continuità che ora egli vorrebbe negare. Come potrà l’ing. Zàccagna mantenere l’età arcaica della zona delle pietre verdi, senza modificare radicalmente la disposizione stratigrafica indicata pei calcari di Chianoc e di Oncino, ora riconosciuti secondari, ne’ suoi profili passanti pel Rocciamelone e pel Monviso ? Vorrà ricor- rere qui pure alle pizzicature con contatti meccanici concordanti ì Questa premessa servirà, se non altro, a darci una misura del valore che si possa attribuire al criterio delle discordanze simulate o delle concordanze meccaniche , alle quali vedremo fare frequente e quasi esclusivo appello lo Zaccagna, nel combattere la interposizione in serie regolare del Trias tra micascisti e gneiss ed i calcescisti o fra Permo- carbonifero e calcescisti, interposizione, dai sostenitori dell’età secon- daria delle pietre verdi, dal Lory in poi ripetutamente affermata. Passo adunque all’esame di alcune osservazioni dell’ing. Zac- cagna, riferenti si a regioni da me toccate nel precedente mio scritto, cercando di mettere in rilievo talune non esatte assegnazioni litolo- giche ed il contrasto esistente fra alcuni profili dello Zaccagna ed i risultati dei suoi stessi rilievi cartografici, e sopratutto la veramente troppo uniforme ed artificiosa sua interpretazione stratigrafìca, ripe- tuta per la maggior parte delle zone di Trias e di Lias fossiliferi, in- serite in mezzo ai calcescisti od alle altre roccie cristalline. Alte valli della Dora Riparia e dell’Aro. Nel mio lavoro del 1898 facevo rilevare come la costante posi- zione delle masse di Trias inferiore e medio fra Permo carbonifero e calcescisti e fra questi ed i gneiss, quale risultava dalla cartina geo- logica delle Alpi Graje di Zaccagna e Mattirolo 1 fosse molto sugge* 1 Boll. R. Com. geol., Anno 1892. stiva e parlasse chiaramente in favore dell’età post-triasica dei calce- scisti ; ed ora nn nuovo esame di quella carta mi consiglia di ricorrere proprio ad essa per mostrare inesatti i profili che dallo Zaccagna sono stati contrapposti ad alcuni di M. Bertrand ed all’altro mio (1. c. fìg. 29) con cui esprimevo la mia interpretazione della stratigrafia e della tettonica del bacino di Bardonecchia \ Anzitutto mi domando perchè mai l’ing. Zaccagna non abbia riuniti in un solo profilo i suoi due delle figure 6 e 10, tanto più dovendo ri- spondere ai profili d’insieme di M. Bertrand e mio. Se egli avesse così fatto, come io indico nella fig. 1 della Tav. II annessa, riunendo quei due profili in uno solo, e completandolo con un profilo rettilineo fra la Costa Punta Nera e la Punta San Michele, non gli sarebbe forse sfuggita la poca naturalezza della interpretazione non solo, ma il suo disaccordo colla carta geologica suddetta, che la smentisce nel modo più formale. In detta carta, di fatto, noi vediamo da un lato una zona triasica di quarziti e di calcari, ecc., interporsi fra Permo- carbonifero e calce- scisti per tutta la profondità della immane incisione dell’Aro, restando le quarziti, quando non mancano, a contatto col Permo -carbonifero ed i calcari a contatto coi calcescisti ; cosicché Carbonifero, Permiano, Trias inferiore, Trias medio e calcescisti formano una successione se- riale ascendente indiscutibile. E la stessa successione, come affermai in quel mio lavoro, si è verificata nel traforo del Frójus, dei cui dati preziosi non tenne conto l’ing. Zaccagna nel redigere il suo profilo della figura 6, Ciò è veramente a rammaricarsi, perchè l’esame di quelle risultanze e del profilo che se ne ricava lo avrebbe certo indotto ad accettare la inter- 1 Se si pon mente alla data del lavoro di Marcel Bertrand, col quale volle dimostrare l’età secondaria degli schistes lustrés ed alla regione donde trae i suoi argomenti, che è appunto l’area della cartina delle Alpi Graje di Zaccagna e Mattirolo, non parrà senza fondamento la supposizione che appunto sn questa cartina, molto chiara e dimostrativa, abbia il Bertrand concepito la prima trama di quel suo lavoro, che segnò il ritorno ad una giusta interpretazione della posizione dei calcescisti nelle Alpi occidentali. — 134 — pretazione di quella importante regione, data prima da Marcel Ber- trand e da me confermata. Non sarà pertanto inutile che di quei dati si tenga ora parola, riportando il profilo che ne dedusse Felice Gior- dano (Tav. II, fìg. 3). Da esso appare che il tunnel dopo la grande massa di calcescisti attraversò per 356 metri i calcari e per 388 metri le quarziti del Trias, quindi per m. 2095 il terreno antracitifero, in cui sono compresi il Permiano ed il Carbonifero \ Quindi accordo completo 'fra questo profilo reale constatato dal traforo colla disposizione del profilo più volte accennato (Tav. IL prof. Y) da M. Bertrand e col mio fìg. 29 (1. c. pag. 419) e coll’attuale della fìg. 1 (Tav. II), e disaccordo palese ed evidente con quello suddetto della fìg. 6, il quale, è pur d’uopo dirlo, anziché dei dati dell’osserva- zione, si può considerare come la espressione grafica di un concetto personale dell’ing. Zaccagna. Lungo tutta la cresta di confine, fra il Chaberton e il Col des Acles, attraverso alla Valle Stretta, nel vallone della J&ho, nell’alto del colle omonimo, nei due versanti dell’Aro e nel basso di questa valle, nonché nella galleria del Frejus sempre il Trias medio si interpone fra calcescisti e P ermo -carbonifero, il cui contatto diretto non è mai osservabile. Perciò da quali dati sia partito lo Zaccagna per stabilire la disposi- zione dei calcescisti, supposti estendersi in forte discordanza sotto il Carbonifero in corrispondenza della Valle Stretta, non riesco proprio ad immaginare. E questa una interpretazione contraddetta dalla carta dello Zaccagna stesso e di Mattirolo e quindi dal loro punto di vista non sospetta di assimilazioni o raggruppamenti erronei. *• ISTel profilo la stratificazione dei calcari fu erroneamente indicata diver- gente dall’andamento della zona da essi costituita; però nel testo è detto elio la pendenza dei calcari è all’ incirca quella dei calcescisti. I calcari doA'rebbero perciò, nel loro insieme, essere rovesciati sui calcescisti lungo la galleria, il che pure concorda perfettamente coll’andamento del Trias indicato nella mia inter- pretazione della figura 1, nella quale ho indicato dimostrativamente la posizione della stessa galleria. — 135 — Non meno contraddetto dalla stessa carta e dai rilievi del Matti- rolo nel foglio di Oulx è il profilo della figura 10 pel Col d’Ètache (1. c. 1901, p. 62). In questo lo Zaccagna suppone il Trias medio, rap- presentato da due lembi di carniole, discordanti dal calcescisto, ed il Trias inferiore, che si appoggia in concordanza sui gneiss al M. Ealme, poggiare su di essi con discordanza in profondità, fino a venire a disporsi con forte discordanza angolare sui calcescisti. La quale rappresentazione è qui pure all’evidenza smentita dalia suddetta carta geologica, nella quale una doppia zona continua di calcari e quarziti del Trias si inter- pone esattamente fra gneiss e calcescisti in tutto il versante, dalle alture di confine al fondo di valle a Planais, nel vallone di Ambin. Per di più il Trias medio è abbondantemente rappresentato alle Granges du Fond e nel basso del rio omonimo, dove si interpone chiaramente tra le quarziti e i calcescisti con pietre verdi, come pure si mostra nella stessa posizione nel vallone di Yalfroide, al Monte Yallonet, al Monte Sèguret, al Monte Pramand ed alla Beaume, secondochè deduco dalle carte geologiche rilevate dall’ing. Mattirolo e da alcune osservazioni mie, di cui già ebbi a tener parola (1. c. 1898, p. 425), per questo ul- timo punto. Nel mio precedente lavoro ho già fatto notare come non sia accet- tabile il riferimento al Trias inferiore di certi scisti micaceo-quarzitici dei pressi di Signols e del vallone di Joans, e come si tratti di forme micascistose, soventi calcarifere, che trovai pure in vari punti inserite nei calcescisti (1. c. p. 422) e di cui vedo dal Mattirolo indicata una grossa lente nei calcescisti della Costa del Becco. Da Planais adunque al Col d’Etàche e in tutto il crinale Monte Balme-Monte Yallonet-Séguret-Pramand ed alla Dora presso Beaume le quarziti, quando non mancano, si sovrappongono ai gneiss d’Ambin e sopra vengono i calcari del Trias, che sono a loro volta ricoperti in concordanza dai calcescisti, di cui presentano anche intercalazioni. Anche qui come altre volte dissi si ha la serie : gneiss e mica- scisti d’Ambin, quarziti e calcari del Trias, calcescisti ; serie inversa alla precedente, che mostra chiaramente i calcescisti presi in una sin- clinale triasica, come indico nella fìg. i, interpretazione Franchi, della Tav. IL Così il profilo 10 dello Zaccagna, per l’artificioso ripiego di rap- presentare le quarziti in discordanza sui micascisti e calcescisti in profondità, si mostra smentito dall’osservazione dei fatti in tutta la regione circostante. Lo stesso si deve dire del profilo 9 (1. c. p. 55); ie quarziti proprie poggiano direttamente sui micascisti e gneiss d’Ambin, e la loro disposizione in discordanza a profondità sui calcescisti, come la cerniera della completa piega triasica e la distinzione di una zona di quarziti, sottostante ai calcescisti, non sono sostenute da chiari dati di osservazione; e debbono considerarsi, qui pure, come conse- guenza dell’assiomatico concetto dell’età arcaica della zona delle pietre verdi. Nella nota a pag. 56 (1. c. 1901) lo Zaccagna confessa infatti egli pure che « sul luogo male si può rilevare la discordanza esistente fra il Trias e l’Arcaico » ma egli aggiunge che essa « apparisce invece nettamente (ed è spiegabile) nella figura , dedotta dal rilevamento det- tagliato », confessione questa che non bisogna dimenticare. Certo non riesce difficile, con un ben studiato disegno, di rappre- sentare quelle disposizioni che meglio corrispondono ai nostri concetti, ma bisogna badare che esse non siano contradette da fatti palesi in tutte le regioni circostanti. A viemeglio dimostrare il giusto fondamento del profilo II della Tavola V del lavoro di Marcel Bertrand e del mio suddetto della fi- gura 29 e quello attuale della fig. 1 (Tav. II) sta la complessiva osser- vazione del taglio naturale dei versanti di sinistra del vallone d’Ambin e successivamente dell’Aro, dal crinale di confine al fondo di valle fra Planais e Fourneaux. Se noi supponiamo per un istante projettati sopra un piano ver- ticale normale alla direzione media degli andamenti delle zone rocciose in quel versante, cioè diretto Nord 70° Ovest, il profilo della catena ed i limiti del Permo- carbonifero, del Trias, dei calcescisti e dei gneiss d’Ambin, avremo una figura che per la sua disposizione e successione — 137 — rappresenterà un profilo naturale, quantunque per varie cause sia ri- spetto a questo grandemente deformato. Tale projezione è schematicamente rappresentata nella figura 2 (Tav. Il), ed i limiti dei terreni sono dedotti, naturalmente in modo grossolanamente approssimato e dimostrativo, dalla carta di Zaccagna e Mattirolo. Da essa si vede nel modo più chiaro la grande massa di calcescisti essere completamente contornata dal Trias a facies ordi- naria che ne li separa dal Permiano da un lato e dai gneiss d’Ambin dall’altro, il che è conforme a quanto affermarono C. Lory ad A. Favre. La grande analogia della figura così risultante col profilo Ber- trand e coi miei suddetti prova ad esuberanza la bontà di quella nostra interpretazione, la quale è come dissi esattamente confermata dai ter- reni incontrati nel traforo del Fréjus fi E vero che lo Zaccagna suppone il Trias del fondo di valle a monte di Modane come deposto in un’antica valle incisa nei calcescisti (L. c. 1903, nota a pag. 310), ma tale ipotesi appare tosto insostenibile quando si osservi che nel fondo di valle il Trias termina proprio al limite superiore del Permiano, la cui zona attraversa la valleì ed a monte al limite dei gneiss d’Ambin. Il Permiano , il Trias ed i calcescisti nelle loro masse sono trasversali alla valle , la cui erosione , dopo avere inciso completamente la zona sinclinale di calcescisti , raggiunse ed intaccò il substratum di Trias , lasciando ai due lati sollevato il limite inferiore dei calcescisti stessi, che si sviluppano, sempre sovrapposti al Trias, nelle masse di Punta Clairy, del Grand Poe Noir, della Punta Mean Martin, ecc., come apparisce dalla carta suddetta. L’evidenza di questi fatti che si ripetono con disposizioni ana- 1 !N"on avendo io visitata la regione del Col d’ Etache, non posso pronun- ciarmi se ivi esistano ancora traccio della doppia piega in quei pressi ricono- sciuta nel versante francese da M. Bertrand (Bull. Soc. géol. de Franco, Troi- sième Serie, T. 22, p. 150). Al mio scopo basta di prendere come punto di par- tenza i dati di osservazione registrati dallo Zaccagna, e mostrare che è con essi possibile una più naturale interpretazione, e più consona coi fatti accertati nella regione, di quella da lui proposta. — 138 — loghe in altri punti nella valle del Doron 1 e al Monte Jovet, ad Est di Moutiers, del quale monte però non abbiamo forse ancora una interpretazione completamente soddisfacente, è palese, e dimostra l’età secondaria triasica e liasica dei calcescisti. Le pieghe sinclinali di Trias ad Est di Moutiers hanno il loro proseguimento nella sinclinale di Courmayeur, dove, o per un cambia- mento laterale di facies , o perchè vi sono rappresentati terreni più giovani (Lias con belemniti), prendono grande importanza le forme cilcescistose con pietre verdi, come si vedrà in seguito. La presenza di calcescisti con pietre verdi al Monte Jovet dimostra che il cam- biamento di facies o la rappresentanza di quei terreni liasici avviene pure lateralmente, in senso trasversale all’andamento delle pieghe. Per quanto concerne l’alta valle della Dora torno ad accennare ora di passaggio alle radiolarie con affinità giuresi , trovate dal Parona negli scisti diasprigni accompagnanti le diabasi inserite nei calcescisti sopra Cesana (1. c. 1898, pag. 457), ed alla massa di calcari del Trias del Grand Roc, affiorante ad ellissoide in mezzo ai calcescisti, argo- menti già da me svolti nel precedente lavoro. E bensì vero che lo Zaccagna riteneva gli scisti suddetti come permiani, ma io credo di avere esaurientemente dimostrato la perti- nenza di tali scisti alla formazione dei calcescisti, non meno che quella degli altri analoghi, associati a varioliti alla salita del Monginevro (1. c. pag. 418) 2. 1 Specialmente la massa triasica che, sulla sinistra del Doron, nella carta suddetta, è indicata fra i gneiss, in cui il torrente incide il suo letto, ed i calcescisti, costituenti le alte cime, e che si estende da Thermignon al Yord di Entre-deux-eaux, per la sua configurazione si presenta come una massa sotto- posta ai calcescisti, e la interpretazione datane dallo Zaccagna nel suo profilo IL (Tav. Y — Monte Lansleria) non può persuadere nessuno. A questo proposito ho già fatto notare come una bella prova della reale sottoposizione dei calcari del Trias ai calcescisti si avesse nel fatto che P. Termier nel suo lavoro sulla Yanoise, convinto dell’età arcaica, immagina per spiegarla straordinari ricopri- menti (profili 8 e 9, Bull, dii Service de la Carte geol. de F rance, etc., n. 20). 2 II prof. Carlo Schmidt gentilmente mi comunica una sua noticina scritta nel 1901, dopo visitati i dintorni di Cesana, e che poi per varie ragioni non ha — 139 — Si noti ancora che gli scisti còn radi otarie, come quelli di Cesana dei pressi di Case delle Isole, presso Montenotte *, sono ivi pure inclusi in una formazione di scisti plumbei lucenti, con calcari cri- stallini e lenti di roccie verdi, il cui complesso, alle falde S.E di Brio del Giogo, sembra riposare su calcari dolomitici con Loxonema , siccome è riferito nella relazione al Comitato geologico per l’ anno 1899 (Boll. R>. Comit. geol. 1901, Parte ufficiale, p. 86). Nella stessa relazione sono accennati i passaggi fra i calcari do- lomitici di M. Pra e delle falde S.E di M. Gos e gli scisti plumbei lucenti suddetti che loro stanno a contatto, e che nella regione rap- presentano i calcescisti, includendo numerose masse di pietre verdi (dia- basi ed eufotidi metamorfosate in roccie a glaucofane, a lawsonite, eco.). pubblicata, ma di cui le conclusioni furono inserite nello studio del dott. Th. Lo- renz sul Rkaticon meridionale {Ber. nat. Ges. Freiburg i. B. 1901, pag. 30). In questa sua nota lo Sclimidt darebbe notizia di qualche altro punto presso la strada di Brousson in cui affiorerebbero scisti silicei a radiolarie, nettamente intercalati nei calcescisti ed associati alle pietre verdi. Lo Schmidt è dunque d’accordo con Parona, con Bertrand e collo scrivente nel ritenere quegli scisti coetanei dei calcescisti, di cui sarebbero una facies laterale. Lo Schmidt ritenendo secondo il sospetto del dott. Riist (v. Parona), gli scisti a radiolarie come giurassici superiori, corrispondenti agli scisti ad Aptycus, opina essere negli schistes lustrès compreso il giurese superiore. Chi scrive ha già discusso (1. c. 1898, pag. 457) un tale modo di vedere, che nasceva spontaneo, date le affinità ginresi affermate dal dott. Riist sulla microfauna di Monte Cruzeau, comunicatagli dal Parona, e dalle analogie da questi constatate colle radiolarie dei noduli selciosi di Cittiglio. Solamente io obbiettai la nessuna traccia di trasgressione dei calcescisti, che potesse rappresentare la trasgressione del Giurese superiore, così generale nelle Alpi occidentali. Per ammettere che i calcescisti potessero pur rappre- sentare il Giurese superiore, bisognerebbe supporre che nel bacino in cui si depositarono i calcescisti non ci sia stata lacuna dal Lias al Giurese superiore compreso, e che durante tutto quel periodo sianvi state emissioni di colate di pietre verdi ; il che, se non è impossibile, nè inverosimile, parmi finora, dato il non grande valore, sotto il punto di vista cronologico, che si possa attribuire alle faune di radiolarie, non sufficientemente dimostrato. 1 C. F. Parona e G. Rovereto, Diaspri permiani a radiolarie di Montenotte. (Atti R. Acc. d. Se. di Torino, Yol. XXXI, 1895). — 140 — Anche in Liguria, quindi, si vanno trovando argomenti in favore dell’età secondaria delle pietre verdi. Quanto all’ellissoide triasico del Grand B.oc, di cui lo Zaccagna tace, egli potrebbe cercare di spiegarlo in modo analogo a quello adot- tato per spiegare l’anticlinale del Trias sotto i calcescisti di Queyras, notata da Kilian, applicandovi i concetti espressi colle sue figure 4 e 5 (1. c.; anno 1901, pag. 20). Ma il modo in cui egli suppone avvenire il deposito delle quarziti e dei calcari in una insenatura di calcescisti ed il susseguente disporsi dei calcari ad antielinale sotto i calcescisti stessi non parmi meritare seria considerazione, nè rappresentare nem- meno lontanamente la realtà dei fatti osservati al Grand Eoe. Ivi, come nelle anticlinali di Be mezzo, di Pradleves e di Elva i calcari passano per sfumature, chiaramente visibili, e per successive ripetute alternanze di calcari e calcescisti, ai calcescisti che li amman- tano da ogni lato, presentando inoltre delle forme litologiche particolari alla zona di passaggio , cioè i calcari da noi detti macchiati. Nessun artificio tettonico più o meno ingegnoso potrà indurre ad accettare una diversa interpretazione. Nel mio lavoro del 1898 ho portato come argomenti sussidiari alcuni risultati del rilevamento dell’ing. Mattirolo nell’alto del piccolo massiccio d’Ambin, fra cui il fatto che nel crestone Cima del Vallone - Quattro Denti un’importante massa di calcari triasici poggia diretta- mente sugli gneiss e micascisti, sopportando a sua volta una pila di calcescisti. Credo utile indicare in un profilo, intermedio fra quelli 9 e 10. dello Zaccagna, che taglia la Valfroide in due punti, e passa per il M. Vallonet, Cima del Vallone e Quattro Denti, la disposizione dei calcari e dei calcescisti, disposizione che mostra vieppiù inam- missibili quelle date dallo Zaccagna nei suddetti profili (fìg. 9 e 10). Dallo sviluppo dei calcari del Trias indicati nel rilevamento del- l’ing. Mattirolo nei valloni di Fond e di Valfroide, noi possiamo de- durre facilmente l’andamento di essi sotto la massa del M. Valfroide. Dallo stesso rilevamento risultano, nella costa dei Fourneaux ed a — 141 — M. Vallonet, delle intercalazioni di calcescisti nei calcari del Trias che poggiano direttamente sui gneiss e micascisti ; sicché, se ne ricava la disposizione indicata nel profilo della figura 1. •■§ Si potrà obbiettare che quelli del M. V allonet e di Cima Vallone non sono veri calcescisti, ma la determinazione oggettiva fattane dal Mattirolo risponde nel modo più chiaro a tale possibile obbiezione. Certo si potranno immaginare fenomeni di ripiegamento tali che si passano ancora considerare i calcescisti come arcaici anche colla disposizione del suddetto profilo, ma si cadrebbe più che mai nell’inverosimile e nel fantastico. Dallo stesso accurato rilevamento del Mattirolo risulta che l’alto crestone a coltello tra Monte Vallonet ed il punto quotato 2802 è costituito in tutta la parte media e bassa da calcari triasici, poggianti direttamente sui gneiss e micascisti, mentre la linea di vetta è costituita da calcescisti. Nel gruppo del Monte Nibbè a N.O di Cima Vallone una grande massa di calcescisti, estesa 4 chilometri, riposa sui gneiss suddetti presentando alla sua base una zona non po- tente nè continua di calcari, in parte netta- mente di tipo triasico (rilevamento dell’ing. Mattirolo). 11 Trias poggia adunque direttamente o colle sue quarziti o quando queste mancano, coi suoi calcari, sui gneiss e micascisti dei Monti d’Ambin, e sopporta i calcescisti con pietre verdi, che sono quindi ad esso posteriori. Uno sguardo alla cartina suddetta mostra all’evidenza le zone o J .ftp 5 ^ cs © 2 S «g .1 I a «s © 10 — 142 — sottili di Trias in affioramento quasi continuo attorno ai gneiss d’Ambin o in lembi ad essi sovrapposti, rispettivamente come V affioramento peri- ferico, o come i resti del ricoprimento, della callotta ricoprente i gneiss , che il Trias costituiva , prima che la denudazione producesse la plastica attuale , colV esportare i calcescisti e il Trias sottoposto e incidendo pro- fondamente i gneiss stessi. Assai parlante è la medesima cartina nel mostrarci il massiccio d’Ambin come completamente distinto dai calcescisti dai quali è quasi tutto attorno separato da zone più o meno potenti di Trios ; lo stesso dicasi dell’affioramento di gneiss in tale carta indicato nella valle del Doron a monte di Ther mignon. Come potè la chiara eloquenza di tali disposizioni cartografiche, da loro stessi rilevate e disegnate, le quali implicano necessariamente V anteriorità dei gneiss e la posteriorità dei calcescisti rispetto al Trias , non influire sulle idee de’ miei valenti colleghi ? Dopo questi esempi credo inutile insistere sulle altre affermate prove dell’anteriorità dei calcescisti rispetto al Trias attorno ai monti d’Ambin, e passo ai dintorni del Pocciamelone, attraverso il quale ci diede un profilo lo Zaccagna nel 1892, profilo di cui riproduco una parte nella figura 1. Come da esso si vede, la grande massa di calcari di Chianoc, potente 700 metri, si intercalerebbe , secondo Zaccagna, fra gneiss e micascisti, alla base della potentissima formazione di calce- scisti con pietre verdi ed altre intercalazioni calcari, che costituisce le falde del Rocciamelone. Ora io ho annunziato fin dal 1898 la scoperta di numerosi cri- noidi in vari punti di quella grande massa di calcari dolomitici : negli scogli calcarei lambiti dal torrente Prabec nell’interno del villaggio di Chianoc, nelle cave per pietra da calce che stanno poco ad Est di esso sulla strada di Colombaro, e sulla mulattiera che conduce a Com- bette, poco lungi da questi casolari. Quei fossili, congiunti con l’aspetto del calcare, non lasciano dubbio sulla sua età secondaria. Ma se i calcari sono ivi inseriti per intercalazione, come indica — 143 — chiaramente il profilo saddetto, bisogna di necessità dedurre che tutte le masse dì. 'pietre verdi sono ad essi posteriori. Eccoci adunque provata, come meglio non si potrebbe desiderare, da un profilo delPing. Zac- cagna stesso l’età secondaria della zona delle pietre verdi. Profilo del Monte Viso. Credo opportuno ritornare per un momento sulla contraddizione dianzi accennata, che sembrami manifesta, fra il modo di intendere la stratigrafia della regione circondante il Monte Viso, espresso dallo Zaccagna nel suo profilo del 1887, e quello che egli dovrebbe ora in- dicare, volendo conservare l’età antica della zona delle pietre verdi. Al fine di mostrare come quella sua interpretazione strati grafica debba tuttora ritenersi corrispondente al vero, riproduco qui i tre pro- fili, dati per la zona tra la vetta del Monviso ed i gneiss del Monte Bracco, dal Gastaldi prima (1876), dallo Zaccagna dopo (1887) e poscia dallo Stella e da me (1898). Questo ultimo profilo e quello dello Zaccagna differiscono sostan- zialmente nel tratto dal Monviso al confine, ma nelle parti che ri- produco sono assai simili fra loro, come pure concordano quanto alla disposizione stratigrafìca, astrazione fatta da alcune denominazioni litologiche e dallo sviluppo di ciascun membro, con quello del Gastaldi. Questa grande concordanza fra diversi osservatori a distanze di periodi di 11 anni deve considerarsi come una prova che la inter- pretazione complessiva sia giusta. Ma il Gastaldi e lo Zaccagna ritenevano come arcaici i calcari di Oncino (fig. 2, Tav. Ili) e di Costa Contesse (fìg. 3, Tav. Ili) mentre lo Stella ed io per fossili trovati in masse calcari di AalMaira, di cui questi sono la evidente prosecuzione, li abbiamo ritenuti secondari. Se adunque la serie rocciosa ascendente è quella indicata concor- dantemente dai tre profili, essendo i gneiss le roccie più profonde, i calcescisti e le pietre verdi soprastanti ai calcari debbono ritenersi sicuramente secondari , come tutta la massa sinclinale da me detta del — 144 — Monviso, sulla quale si rovescia ad Ovest l’anticlinale permiana Pelvo d’Elva-Col Longet (1. c. 1898, Tav. IX, prof. VII). Che se lo Zaccagna volesse ora qui pure ritenere le masse cal- cari come pizzicate, egli dovrebbe sconfessare il profilo del Gastaldi e quello suo, col quale intese confermare la disposizione stratigrafica e la serie rocciosa ascendente in tutte le Alpi Cozie. Parlerò in seguito di altre complicate pizzicature che nella parte occidentale dello stesso profilo lo Zaccagna dovrebbe supporre, se vi applicasse alcuni concetti espressi per qualche profilo della Valle Grana, colle quali la struttura delle Alpi Cozie verrebbe ad assumere una forma che è in troppo stridente contrasto col profilo del 1887. E qui il caso di far rilevare la grande analogia tra il profilo dello Zaccagna della figura 3 pel Monviso con quello della figura 1 pel Rocciamelone ; la stessa serie rocciosa e le stesse ripetute inter- calazioni ed alternanze : i gneiss delle Balze Selassa e quelli di Vil- larfocchiardo, i calcari di Costa Contesse e quelli di Chianoc, le roccie verdi del Viso e quelle della Boccia tre Cresti, e infine la grande massa di calcescisti della Costa Savaresch e quella del Rocciamelone ! Questa analoga posizione delle masse calcari in quei due lontani profili dimostra chiaramente la loro posizione in entrambi in serie rego- lare e naturale, ed esclude l’ ipotesi che possa trattarsi di lembi pizzicati. Basterebbero le prove fin qui recate per togliere ogni dubbio sull’età secondaria delle pietre verdi, ma non sarà inutile confutare gli argomenti addotti in favore della tesi contraria nelle Alpi Cozie meridionali. Regione tra Varaita e Stura di Cuneo. Passo ora ad enunciare alcune brevi osservazioni sulle incomplete e certo insufficienti repliche fatte dallo Zaccagna a’ miei argomenti, per quanto concerne la parte meridionale delle Alpi Cozie, nella ul- tima parte del suo scritto, argomenti il cui complesso il mio collega onora del nome di teoria. — 145 — Ho detto insufficienti perchè, quando si rifletta che, nelle valli Yaraita, Maira, Grana e nei dintorni di Bernezzo, furono in nume- rosissimi punti scoperti fossili del Trias superiore e in diversi punti fossili del Lias, in masse rocciose dal Gastaldi e dallo Zaccagna stesso fino a qualche anno fa considerate come facienti parte della serie arcaica, si capisce che in questa regione dovessero particolarmente convergere le sue controsservazioni, per cercare con nuovi profili di spiegare altrimenti quelli da me pubblicati ; invece questa necessità non venne riconosciuta dallo Zaccagna, il quale non intraprese la di- scussione dei principali miei argomenti, mentre si è dilungato su quelli sussidiari ed accessori o sulle deduzioni ipotetiche. Nel mio lavoro io consideravo quali prove dell’età secondaria della zona delle pietre verdi i fatti seguenti : 1° La presenza di una zona quasi continua di quarziti identiche a quelle del Trias inferiore, al contatto fra il Permo -carbonifero e la zona delle pietre verdi, notata dalle falde di M. Bram verso N.O fin oltre Yaraita. 2° La concordanza generale perfetta di tali quarziti ai suoi con- tatti, sopra grandissime estensioni, tanto con quel terreno che coi cal- cescisti con pietre verdi. 3° La intercalazione nei calcescisti, presso il loro contatto col Permo -carbonifero, di masse lenticolari di calcari dolomitici di scogliera identici a quelli del Trias a facies brianzonese, e presentanti in di- versi punti traccie di fossili. 4° La intercalazione pure nei calcescisti, in tutta la loro massa, ma particolarmente nella parte più vicina al Permo -carbonifero, di piccoli e grossi banchi o grosse masse lenticolari di breccie ad elementi angolosi, talora di grandi dimensioni, di calcari dolomitici di tipo pret- tamente triasico. 5° I passaggi laterali, constatati in molti punti e specialmente nei dintorni di Monte Chialmo, del Trias calcare fossilifero a delle formazioni miste costituite da calcari dolomitici e da calcescisti alter- nanti od anche essenzialmente da calcescisti e filladi. — 146 — 6’ I passaggi per sfumature litologiche dalla parte superiore delle anticlinali calcari del Trias superiore a Loxonema a calcescisti con pietre verdi (Bernezzo, Monte Chialmo, vallone di Elva). 7° La presenza di Arietites , Belemnites e Corallari del Lias inferiore nei calcescisti del vallone di Comba Grande, di Foresto, del vallone di Narbona e in più punti e lungo il torrente Grana stesso, i quali calcescisti non sono sotto nessun rispetto nel loro insieme separabili dalla rimanente grande massa dei calcescisti con pietre verdi. Come pure la presenza di strati con terebratule e con pentacrini alla base dei calcescisti che ricoprono i calcari a diplopore presso C. Dojetto (Bernezzo). 8 5 In linea subordinata, indipendente dalle asserzioni precedenti e dalla questione che si discute, affermavo la concordanza delle quar- ziti del Trias inferiore o dei micascisti, che lateralmente rappresenta- vano tali quarziti, coi micascisti e gneiss del massiccio Dora-Yal Maira, e di quelli minori di Ambin e di Pradleves, facendo notare l’analogo fenomeno fra i Bundnerschiefern ed i micascisti e gneiss dell’Aar e dell’ Adula. Lo Zaccagna, che naturalmente non può presentare dell’antichità dei calcescisti nessuna prova patente, si vale della loro locale sotto- posizione al Carbonifero per affermare il suo asserto, salvo a conside- rarli in ricoprimento quando essi si trovano invece sovrapposti al Trias ; e naturalmente nega che esistano nei due casi le concordanze ed i passaggi da me affermati, per dedurne nel primo caso un hiatus nel deposito fra i due terreni, e nel secondo l’esistenza di un con- tatto meccanico. Per di più egli chiama calcescisti quelli in cui si intercalano le pietre verdi e calcari bardigliacei quelli o che presen- tano fossili secondari o che gli risultarono sovrapporsi al Trias o fare ad esso passaggio in modo troppo evidente ed indiscutibile \ 1 Lo Zaccagna in una nota (pag. 20) dice che « per chiarezza seguiterà a chiamare calcescisti soltanto quelli a voccie verdi » che egli ritiene arcaici , « riconducendo la parola al suo antico e vero significato ». Ma nelle regioni 147 Per dimostrare la concordanza fra calcescisti, le quarziti del Trias inferiore ed il Permo- carbonifero, nel mio scritto, oltre ai grandi pro- fili ho riportato numerosi profili di dettaglio miei e dello Stella, di punti estendentisi dalla Valle Grana alla Valle Varaita, profili nei quali si vede soventi il passaggio graduale, per minute intercalazioni e sfumature litologiche, dai calcescisti alle quarziti ed alle anageniti dove per chilometri e chilometri non affiorano nei calcescisti roccie verdi si de- ciderà egli a porli nel Lias ed a considerarli cosa diversa da quelli con pietre verdi, come fece per quelli di Eorest, distanti poco più di un chilometro dalle diabasi di Rocca di Bars e per quelli del vallone di Varbona a poco più di un chilometro dalle prasiniti di Monte Ploum ? A me sembra pericoloso l’attribuire un valore cronologico alle denomina- zioni litologiche: e se io pure ho adottato di chiamare anche col nome di for- mazione dei calcescisti la zona delle pietre verdi appunto pel grande sviluppo che i calcescisti vi hanno, non è men vero per noi e per tutti che la parola ha pure sempre un semplice valore litologico, indicante quelle roccie calcari scistose che per metamorfismo subito presentano un certo sviluppo di minerali micacei, che loro impartiscono un aspetto speciale. Ma naturalmente analoghi depositi di calcari marnosi di qualunque età anteriore al Miocene, che si siano trovati in condizioni di subire un alto grado di metamorfismo, possono dar luogo a calcescisti fra loro analoghi, i quali perciò possono essere arcaici, pa- leozoici, secondari ed anche eocenici. Ad esempio, nella Valle Corsa glia, nelle Alpi Liguri, numerosi tipi di calce- scisti con abbondante sviluppo di miche, di sericite, di clorite, si osservano, e pure li vide lo Zaccagna, intercalati particolarmente alla base del Trias medio ; altri calcescisti, pure svariatissimi di tipi, si trovano nella sinclinale del Mondolè, in una formazione superiore a certi banchi a Verinee, Itierie e Corallarì, con ogni probabilità di età giurese; ed altre roccie scistose lucenti, per sviluppo abbondante di minerali idromicacei, figurano in quei ristretti lembi di Eocene che, come quello a V.O di Cima Brignola, si mostrano nel versante padano. Per contro, masse lenticolari di veri calcescisti sono in molti punti inserite nei cosidetti gneiss della Sesia a Sud del Monte Rosa, gneiss che io ritengo certamente anteriori al Trias. Velia stessa zona delle pietre verdi i calcescisti presentano grande varietà di forme, cosicché non è possibile parlare di una forma tipica di essi, forma, si noti bene, che nemmeno lo Zaccagna riesce a definire. Von è adunque assolutamente possibile il restringere, come vorrebbe lo Zaccagna, il significato litologico di quella parola alle roccie calcareo-micacee di un determinato tipo o di un determinato terreno. — 148 — del Trias inferiore, e i quali mostrano le frequenti inserzioni nei cal- cescisti di banchi di breccie, di calcari tabulari e di lenti di calcari dolomitici (1. c. 1898, fìg. 3, 4, 5, 6, 7, 23 e 24). Di questi punti ne visitammo uno nelle escursioni con Mattirolo e Zaccagna, dirimpetto a Chiappi in Valle Grana, però di tali profili l’ing. Zaccagna non discute affatto, considerandoli come argomenti di nessun valore, ma prende invece a discutere un punto della Valle Valloriate. Premetto che io e il collega Stella, affermando quella concordanza e quei passaggi e la presenza quasi continua della zona di quarziti su grandi estensioni e in punti citati, non intendevamo affermare che i calcescisti o per una faglia o per una trasgressione locale non po- tessero in altri punti trovarsi discordanti con strati permiani o car- boniferi. Naturalmente, provati secondo noi le concordanze ed i passaggi in diversi punti A, B , (7, D, ecc., non poteva una discordanza o tra- sgressione in un altro punto Z permettere di negare la continuità di deposito constatata per quei primi punti fra i due terreni. Vorrebbe dire al più che una parte di uno dei due terreni manca nel punto Z. È ovvio che il Trias a facies di calcescisti possa, allo stesso modo che quello ordinario, trovarsi completo nella sua serie sul Permiano o trovarsi invece anche incompleto sul Carbonifero o superiore o medio, come è il caso di molti punti nel Delfmato, in Savoia e nella Valle d’Aosta; dove appunto le quarziti, i calcari dolomitici, i gessi od anche i calcescisti del Trias si trovano, secondo i casi, direttamente a contatto degli strati antracitiferi, presentanti una flora del Carbo- nifero medio. Io potrei perciò esimermi dal prendere in considerazione il fatto al quale lo Zaccagna pare dia tanta importanza, da considerarlo da solo come capace di annientare tutte le altre osservazioni di vario ordine, fatte in regioni e valli diverse dai miei colleghi e da me; tuttavia credo necessario mostrare come, prima che nell’interpreta- zione io sia in disaccordo collo Zaccagna nelle osservazioni dei fatti. — 149 - Esaminiamo brevemente la Carta geologica annessa al lavoro dell’ingegnere Zaccagna. Noto anzitutto per non tornarvi più, non costituendo i terreni a Sud della zona paleozoica oggetto del presente dibattito, come lo Zaccagna, non avendo viste forse le copie dei miei rilievi del foglio di Demonte al 50,000, depositate nell’arcliivio dell’Ufficio, o non avendo letto quello che scrissi nel 1894, sull’attribuzione al giurese 1 dei cal- cari marnosi in straterelli presentanti in molti punti esemplari di be- lemniti e, dubitativamente, di una parte di essi al Cretaceo, abbia, certo erroneamente, messi nel Trias i calcari del Castello di Demonte, quelli delle sponde dell’affluente torrente Canto e quelli del versante meri- dionale delle E-uere di San Pons e di Rouvel. Un po’ più ad occidente, su pel vallone dell’Arma (T. Canto) al Colletto di Sale, esiste un affioramento di Infralias fossilifero (con Ger - villeici contorta , Miojohoria posterà Quenst. e M. inflata Emm.) interposto fra il Giurese ed il Trias di Monte Omo. Per contro sono invece certamente più antichi dell’Eocene, e pro- babilmente giuresi, i calcari tabulari o cristallini, che collegandosi coi precedenti, ricoprono un grande affioramento di Trias a Sud di Monte Moura e si estendono verso il Colle di Yalloriate; essi ini offrirono belemniti in qualche punto fra la Cappella del Sapè ed il colle sud- detto, dove lo Zaccagna segna Eocene. La formazione in parola di calcari marnosi in straterelli è la evi- ' dente prosecuzione di quella tanto sviluppata nell’alta Yal Roja e nei dintorni di Entraque, già dallo Zaccagna (1. c. 1887) considerata rai- bliana; e che io, pure nel 1894, col mostrare che anziché di Phragmo- teutis bisinuata trattavasi di Belemnites , avevo assai ringiovanita, at- tribuendone una piccola parte al Giurese ed il resto al Cretaceo. E questa stessa formazione che affiora su estese plaghe nella zona 1 Tedi Memorie descrittive, ecc., Yol. XII: I giacimenti di antracite nelle Alpi occidentali italiane , Tav. XII. In questa tavola sono pure indicati i limiti del Trias inferiore e medio e dei terreni giuresi, secondo i miei rilevamenti. — .150 — di confine fra la Maira e l’Ubaye, e che i geologi francesi distinguono * colle lettere E-J (Eocène- Jurassique), in grande accordo colle asse- gnazioni da me latte. L’ Eocene è certamente presente tra Rocca Rorea e Mojola, presen- tando nummuliti a quella Rocca, ed alla Madonna dell’ Assunta, però tale terreno ha sviluppo assai minore di quanto indichi la cartina dello Zaccagna. Inoltre Tassimilazione da questi fatta degli scisti De- monte-Aisone coi suddetti calcari a belemniti non è certamente esatta, se i fossili delle lenti calcaree della pietra di Aisone sono triasici, come vorrebbe il prof. Portis \ Ma veniamo alla parte della carta che interessa la questione ver- tente, cioè alla zona paleozoica ed ai rapporti di essa coi calcescisti con roccie verdi, banchi di breccie dolomitiche e lenti di calcari do- lomitici. Lo Zaccagna mi fa un appunto di non aver distinto nella mia cartina geologica e nei miei profili del 1898, il Permiano dal Carbo- nifero, che secondo lui sono facilmente separabili. Ciò dipende dal fatto che io non annetto forse a certi tipi litologici il valore crono- logico che egli loro attribuisce, cosicché malgrado la grande proba- bilità che gli strati contenenti l’antracite siano da riferirsi al Carbo- nifero, io non oserei certo affermare che questo terreno abbia lo ' sviluppo indicato in quella sua cartina. D’altronde anche lo Zaccagna ammette che il Carbonifero scompaia presso il Monte Gfrum, dove vi sarebbe il contatto diretto fra Permiano e calcescisti, senza però 1 Due località fossilifere delle Alpi Marittime. (Boll. Soc. G-eol. italiana, Yol. XYII, 1898). Io ho cercato in numerose lenticciuole di calcare nero, potenti al più qualche decimetro, da me raccolte entro all’arenaria scavata ad Aisone, ma non mi fu possibile rinvenirvi traccia di fossili; nè, avendo fatto eseguire alcune lamine di un frammento di quei calcari gentilmente regalato, come fossilifero, dal pro- fessore Portis al professore Di-Stefano, fu a noi possibile rinvenire traccia delle diplopore che quegli vi avrebbe trovato. Così per me Fetà della pietra di Aisone e della formazione scistosa nella quale essa si trova in lenti e banchi, rimane tuttora incerta. — 151 — discutere se non vi fosse un altro modo, oltre quello da lui indicato, secondo il quale il Carbonifero potrebbe venire a contatto diretto coi calcescisti: ad esempio venendo a finire a cuneo in mezzo al Permiano, come indico schematicamente nella fig. 2, e senza esaminare attenta- mente la natura e l’età delle quarziti che fra le due formazioni si interpongono e che sono identiche a quelle, da lui pure ammesse come triasiche, dei pressi di Case Follia, presso Pradleves. La presenza di tali quarziti, indicate nei miei profili II, III e IV, la massa del Trias di Cima Yiriblanc (profilo IY) e le due zone di cal- cari triasici inclusi in sinclinali nel Permiano a Rocca Parvo tra G-ias Borgis e Cima Fauniera, nell’altissima Yalle Grana, mi hanno con- dotto necessariamente ad ammettere la struttura a ventaglio della zona Permo-carbonifera, a cui d’altra parte era pure condotto dalla dimo- strazione da me fatta dell’età triasica dei calcescisti con banchi di breccie e lenti di calcari dolomitici. Tale struttura a ventaglio era d’altronde resa verosimile per la regione in discorso dal fatto delle tre diramazioni per zone anticlinali che il Permo-carbonifero presenta più a N.O, cioè quelle della bassura Bandia-Gardetta e le due del val- lone di Chiapera e del Pelvo d’Elva. Per di più la struttura a ven- taglio verificandosi pure nelle vicine Alpi Liguri, quindi ai due lati della regione in esame, appariva ovvio che una struttura monoclinale ascen- dente semplice non fosse probabile nella regione interposta dei din- torni di Demonte. Nel mio profilo I anziché la struttura a ventaglio ho indicato una sola anticlinale fra Monte Moura ed il vallone Yalloriate; e voglio anche ammettere che trattisi ivi di un’anticlinale dissimmetrica ed incompleta, con sparizione totale o quasi del Permiano dal lato del vallone suddetto. Io però al contatto coi calcescisti, proprio presso Ciapoe, ho notato scisti sericitici, violacei e verdicci e quarziti seri- citiche, che sono appunto frequenti nel Trias inferiore. Ecco perchè in quel mio profilo ho separato una parte degli scisti per porli in questo ultimo terreno. Ma pure ammettendo che manchino da questo lato il Permiano — 152 — ed il Trias inferiore, ohe non sarebbe, come più a Nord, caratteriz- zato da belle quarziti simili alle bargioline , sarà facile rilevare come tale fatto non possa deporre piuttosto in favore della maggiore anti- chità dei calcescisti rispetto al Carbonifero, che di quella del Carboni- fero rispetto ai calcescisti. Rappresentiamo qui schematicamente (fig. 2), la disposizione delle masse dei terreni come io la intenderei possibile, pure ammettendo che il Carbonifero venga a contatto coi calcescisti per un certo tratto, come Fig1. 2. — Schema della disposinone del Carbonifero , del Permiano e dei calcescisti colle roccie associate , fra Ciapoe ed il Monte Brani. C - Carbonifero; P - Permiano; qz - quarziti tabulari sericitiche; pv - masse di pietre verdi, eufotidi, diabasi, prasiniti, serpentine; cd - calcari dolomitici; br - breccie ad elementi angolosi di calcari dolomitici; et - calcari tabulari; cs - calcescisti e filladi, N.B. — I calcescisti e le roccie concomitanti hanno un’immersione sotto il Permiano ed il Car- bonifero di 30°-10°. indica lo Zaccagna. Io suppongo cioè il Carbonifero terminante a cuneo fra il Permiano, e per un momento, che anche il Permiano anziché concordante, come io ho affermato, presenti sopra una certa estensione una discordanza angolare coi calcescisti. Supponiamo ancora che la concordanza dei banchi di calcescisti e di breccie col limite loro verso il Permiano ed il Carbonifero non sia assoluto ma solo approssimato. Questa disposizione potrà essere verificata nei tre casi seguenti: 1° Che il Carbonifero ed il Permiano siano trasgressivi sui cal- cescisti, i quali però per circostanze speciali avrebbero subito una debole erosione. In seguito ai ripiegamenti ed all’erosione una parte del Carbonifero venne ad affiorare per anticlinale dissimetrica in mezzo al Permiano. 2 3 Che i calcescisti e le roccie concomitanti si siano deposti contro il Permiano ed il Carbonifero fortemente erosi, i quali dopo si rovesciarono sopra di quelli. 31 Che esista una faglia locale in corrispondenza del limite delle due formazioni. Ora la quasi perfetta concordanza dei banchi di breccie e di cal- cari tabulari col limite dei calcescisti sembra rendere più probabile la 2a ipotesi che la ia, e sembra pure poco favorevole alla 3a; e in nessun caso la disposizione generale suddetta potrebbe essere certo invocata come indizio e tanto meno come argomento decisivo in favore dell’età antica dei calcescisti. Sarebbe infatti poco concepibile che un terreno di tanto più an- tico del Carbonifero potesse presentare la disposizione dei calcescisti e delle roccie concomitanti, che è quella da me indicata nella fig. 2; la quale disposizione apparirà invece naturalissima per un terreno più giovane, che si sia deposto in serie ordinata contro un terreno più antico, parzialmente ripiegato ed eroso, come il -Pernio-carbonifero. ♦ Ma l’ing. Zaccagna troverebbe un nuovo argomento in favore del- 1 età antica dalla disposizione del limite fra calcescisti e Carbonifero nei pressi immediati di Ciapoe (Tallonate), dove il Carbonifero sem- brerebbe essere penetrato in una anfrattuosità di erosione attraverso i calcescisti, come indica nella Carta geologica ed in uno schizzo in maggior scala (fig. 16, pag. 303). Debbo anzitutto notare che gli stessi limiti da me segnati con cura e pubblicati in una recente cartina geologica 1 sono alquanto diversi da quelli dello Zaccagna. Io li riproduco nella figura 3, dalla quale risulterebbe che la punta di Carbonifero insinuato fra calcescisti non esiste. Ma anche ammettendo che la mia attenzione nel rilevare in quel punto quel limite sia stata distolta e che i limiti siano quelli I giacimenti di antracite , ece., Tav. XII. — 154 — dello Zaccagna, posta l’inclinazione degli strati, quale egli la indica nella cartina, si capirebbe come l’erosione del torrente abbia potuto portare allo scoperto un lembo di Carbonifero ivi in contro-pendenza sotto i calcescisti , nei quali sembra penetrare, mentre così non è, quando se ne guardi il contorno indipendentemente dalla topografìa del luogo e dalle pendenze. Oltre che con tali considerazioni, il fatto può essere spiegato con qualche accidente locale, e non può certo avere l’importanza che vor- Fig". 3. — Abbozzo di carta geologica dei dintorni di Valloriate e di Jfojolti. rebbe attribuirgli lo Zaccagna. A questo potrei ricordare che l’analoga disposizione dei calcescisti sotto gli strati con antracite fra il Piccolo San Bernardo e La Thuile non gl’impedì di ritenere giustamente i calcescisti come secondari, come pure la quasi completa sparizione del Permiano dalla grande zona paleozoica della Tarantasia e del D elfi- nato non fu di impedimento al concetto della disposizione a ventaglio, ormai riconosciuta da tutti. Da ciò si vede come l’antichità relativa dei calcescisti non possa ritenersi menomamente provata, nemmeno ammettendo in parte le divi- sioni del Permo-carbonifero e le disposizioni affermate dallo Zaccagna ; cosicché viene a mancare il più importante argomento di fatto che egli credette opporre a tutte le mie osservazioni. — 155 — Passiamo ora a discorrere dei calcescisti contenenti fossili del Lias. Lo Zaccagna afferma che i banchi « con traode di fossili del Lias » (e vi si raccolsero 3 campioni di Arietites e centinaia di esem- plari di Belemnites , e in vari punti dei corallari) non sono assimila- bili ai calcescisti con pietre verdi, ma non definisce in che cosa con- sistano le differenze essenziali litologiche, che permettano di consen- tire con lui nella divisione che vuol fare. Di calcescisti o di roccie associate, nei termini di passaggio da veri calcescisti a calcari, si hanno centinaia di tipi; nè l’uno ha più diritto dell’altro ad essere conside- rato come il rappresentante del tipico calcescisto arcaico. Io ho detto per scrupolo di osservatore che la zona dei banchi a belemniti è in generale più compatta del rimanente, ma ho anche ripetutamente aggiunto che vi si intercalano veri calcescisti e lenti di breccie nel vallone di Narbona, in quello di Comba Grande e nella stessa valle principale, dove le colonie di corallari sono in sottili masse calcari spatiche incluse in veri calcescisti, riccamente micacei. D’altra parte a S.O di Monte Chialmo una ripida parete costituita da tali calcari arenacei separa le prasiniti di Monte Ploum dalle sottostanti serpentine ed eufotidi, come indicai nella fìg. 26 del mio lavoro. E adunque una differenza nel complesso, per un maggiore e pre- ponderante sviluppo dei banchi di calcare arenaceo, quasi sempre mi- caceo però, rispetto ai calcescisti che vi sono frequentemente inter- calati; poiché banchi di calcari arenacei come questi del Lias sono sparsi a tutti i livelli ed in tutte le regioni nella massa dei calcescisti. Ne vidi precisamente di frequente nei calcescisti del vallone della Rho presso Bardonecchia, dove i ciottoli del torrente per la maggior resi- stenza di essi, ne erano particolarmente ricchi. Anche nel Lias a facies ordinaria di Yal Stura d’altronde, sopra i banchi di calcari compatti ad Arietites , si sviluppano potentissimi gli scisti calcari scuri degli altri piani del Lias, da quelli litologica- mente diversissimi ; non dobbiamo quindi stupirci se anche negli strati ad Arietites del Lias metamorfico di Valle Grana si presentano forme litologiche un po’ diverse e meno scistose. — 156 — A questo proposito credo opportuno citare due fatti interessan- tissimi. Alla sommità delle alte rupi scoscese, soprastanti a Nord ai casali di Lavoira, presso Demonte, in valle Stura di Cuneo, e assai presso al punto 1280, indicato nel profilo della figura 17 (pag. 812) dello Zaccagna, i calcari nummulitici soprastanti a dei calcari marmorei cristallini, talora micacei ed albitiferi, del Cretaceo o del Giurese, sono bigi, scistosi, con abbondante sviluppo di lamine micacee, sicché si possono dire dei veri calcescisti. Le nummuliti vi sono quasi compie- • tamente obliterate, ed al loro posto rimasero delle macchie bigio- scure i cui contorni ricordano talora quelli del fossile primitivo, ma nelle quali solo eccezionalmente se ne riconoscono ancora i giri ca- ratteristici. L’altro fatto è l’esistenza nel vallone Infernotto, presso Yaldieri, e precisamente sotto i Tetti Scolo, in strati cretacei o al più giuresi superiori, di albitofiri molto simili a quelli del Roc Tour né. aventi solo i cristalli con dimensioni alquanto minori. Queste forme calcescistose nell’Eocene e gli albitofiri in terreni secondari della zona di terreni esterna alla grande zona paleozoica stanno a significare, oltre alla possibilità di calcescisti terziari, che il distacco, sotto il punto di vista della cristallinità, esistente fra i terreni secondari ai due lati dell’anticlinale paleozoica sia essenzialmente meno grande di quanto sembri a prima vista, e come anche nella zona del brianzonese. pre- sentante a Sambuco ed al Colle di Pourriac il Lias non metamorfico, per cause locali abbiano potuto svilupparsi dalle roccie non essenzial- mente differenti dai calcescisti. Non è quindi possibile una distinzione fra i calcari arenacei con calcescisti fossiliferi da quelli soprastanti con pietre verdi; sarebbe come voler scindere nel flysch eocenico le parti dove predominano le cosiddette 'pietre forti od i calcari screziati sui galestri, da quelle dove questi prevalgono su quelli. Nessun criterio litologico o strati- grafico può giustificare la distinzione voluta dallo Zaccagna, sotto il rispetto cronologico. D’altronde io ho per altra via dimostrati secon- dari anche i calcescisti con pietre verdi. — 157 — Così pure i calcescisti che si sovrappongono al Trias superiore a Monte Chialmo sono arcaici per lo Zaccagna, mentre quelli che ne sono la continuazione indiscutibile (vedi 1. c., prof. II, Tav. Vili) e che allo sperone di Cauri si sovrappongono allo stesso Trias sono calcari grigi bardigliacei liasici. Se il mio egregio collega avesse fatta la salita di Monte Chialmo, da me tanto raccomandata come istruttiva sull’argomento che si di- scute, passando per Cauri o all’andata od al ritorno, l’identità delle, forme litologiche che succedono • ai calcari, superiormente ad essi, e della successione loro a Monte Chialmo, a Cauri e nel fondo della Valle Grana non gli sarebbe forse sfuggita, e non sarebbe caduto in tali inesattezze. Ciò basterebbe per dimostrare la insussistenza di un lembo liasico pizzicato nei calcescisti, lembo di cui nemmeno lo Zaccagna ci seppe indicare i limiti o sia pure solo l’approssimativo andamento : tuttavia ritornerò fra poco sull’argomento. Il passaggio laterale dei calcari dolomitici del Trias a delle forme laterali tabulari scistoso-arenacee con intercalazioni di calcescisti (nome però ivi da lui non usato) ò ammesso dallo Zaccagna, il quale invece nega la continuità stratigrafìca di quelle roccie di Monte Cucuja colle filladi da cui sono ricoperte alle falde di Monte Ribè. Qui pure le osservazioni incomplete dello Zaccagna lo traggono in errore; se egli avesse, come noi, meglio percorsa la regione, le fre- quenti ripetute alternanze di calcari tabulari, calcescisti e filladi in tutte le Alpi Cozie, e indicate in tutti i nostri profili, gli avrebbero mostrata inammissibile la separazione che egli vuol fare tra le fìlladi di Monte R.ibè ed i calcescisti e calcari tabulari arenacei della Rocca Cucuja (v. fig. 17, pag. 313). Anche qui è il caso di accennare alla contraddizione patente fra le attuali idee dello Zaccagna e quelle da lui espresse anteriormente . Per esempio nel suo profilo del Monviso egli ammise che i calcescisti, le filladi ed i calcari tabulari, con micascisti, quarziti e gneiss, distinti dallo Stella nel profilo della figura 22 (1. c. 1898, p. 338) costituissero 11 — 158 — un insieme unico, cioè una pila monoclinale ascendente di un unico terreno. Quale complessa ed inverosimile struttura a pieghe dovrebbe invece risultare in quel profilo quando egli vi applicasse le idee che ora sostiene per la Valle Grana! Lo Zaccagna tace sull’argomento importantissimo del passaggio, da me affermato, per sfumature litologiche e ripetute piccole alter- nanze dei due tipi litologici, colla presenza costante di quelli da me detti calcari macchiati , dagli strati di calcari con Loxonema alla for- mazione di calcescisti con pietre verdi ; quale lo si osserva nei pressi di Bernezzo, ai due lati del vallone del Cugino (fig. 11, p. 326), dove i calcescisti, oltre alle pietre verdi, contengono fossili (pentacrini e te- rebratule), e sulle anticlinali di Monte Chialmo e del vallone di Elva. Bastava che lo Zaccagna dimostrasse erronea tale affermata con- tinuità o a Bernezzo o a Monte Chialmo o nel vallone di Elva e sostituisse alla mia una soluzione accettabile, provante le sue idee, perchè la causa fosse per lui vinta senz’altro. Ma il suo silenzio su questo, che posso dire argomento sovrano della mia tesi, col quale dimostravo la continuità di sedimentazione fra Trias superiore fossili- fero e la zona delle pietre verdi, è significativo, e deve voler dire che lo Zaccagna, pure non ammettendolo, in causa delle sue convinzioni contrarie, non ha trovato argomenti per dimostrarlo insussistente. Io potrei perciò senz’altro risparmiarmi di rispondere agli altri argomenti suoi, ma pure vediamo che valore essi possano avere. Evitata la discussione dell’argomento per me capitale e più de- cisivo, lo Zaccagna si appiglia invece ad un argomento, per me di importanza secondaria, e su di esso insiste a lungo, nel dimostrare cioè che lo spuntone di roccie cristalline affiorante a Pradleves sotto le quarziti del Trias, è discordante rispetto a queste. Ho detto che il fatto sarebbe di secondaria importanza rispetto al quesito dell’età dei calcescisti, a meno che egli provasse che quel- l’affioramento faccia parte della zona delle pietre verdi. E veramente - 159 lo Zaccagna, malgrado la presenza in tale affioramento di gneiss occhiadini e di gneiss porfiroidi, vorrebbe dedurne la comune essenza con quella zona dalla presenza di calcescisti intercalati in quei gneiss. Io voglio anche ammettere che questo fatto sussista, quantunque a me, che io ricordi, non risulti. Ma forse che un banco di calcescisto ha per lo Zaccagna il valore di un fossile o che io abbia negato che possano sussistere calcescisti in formazioni anteriori al Trias ? Ben più vasto e grandioso è il problema che abbiamo dinanzi pel momento che quello di vedere tutti i terreni in cui si possono trovare calcescisti. In uno stesso mio profilo presso San Damiano ho mostrato la presenza di calcescisti e fìlladi sottostanti alle quarziti del Trias (1. c. fìg. 15, pag. 355) e posso ora affermare che sono a me noti nella sin- clinale del Mondolè nelle Alpi Liguri numerosi e bei tipi di calcescisti, certo non più antichi del Giurese superiore e probabilmente cretacei, mentre nella stessa località bellissimi calcescisti si intercalano ai banchi ed encrinus del Trias medio (vedi la nota a pag. 146). Inoltre lo Zaccagna afferma di aver trovato in vari punti nel vallone di Teile ed in quello di Tetti degli spuntoni di calcescisti sotto i calcari triasici e con questi discordanti, calcescisti che egli pensa mi siano sfuggiti. Sarebbe in forza di questi spuntoni che egli avrebbe dedotta la disposizione del suo profilo della figura 18 (pag. 317), profilo che io debbo dichiarare, e il mio collega me lo vorrà perdonare, in palese contrasto coi fatti osservabili attorno a Pradleves, pel modo in cui le quarziti ed i calcari si disporrebbero sugli scisti cristallini sottostanti. In quei due valloni io ho per l’appunto osservato, non meno che negli adiacenti contrafforti, delle roccie scisto so -micacee che mi compiaccio sentire chiamare calcescisti dallo Zaccagna; solamente esse sono ap- punto evidentemente intercalate là come in altri punti, come ad esempio nel taglio del Grana sotto Pradleves, e in tutta la costa montuosa fino a Montemale, ai calcari dolomitici del Trias. Alcune di tali intercalazioni indicai, sotto l’alluvione di Pradleves, con tratti fini come quelli segnati a Rocca Cucuja nella fìg. 27 del mio lavoro, — 160 - nella cui leggenda omisi di aggiungere alla dicitura calcari dolomitici le parole con intercalazioni di calcescisti. E altre intercalazioni ho pure indicate nel mio profilo II (Tav. Vili) al ramo destro dell’anticlinale di Monte Chialmo, profilo riprodotto in parte nella fìg. 5 della Tav; III. Presso l’abitato di Montemale e presso San Damiano Macra, alle falde del Monte Vallone, sono in diversi luoghi intimamente associati banchi di calcari dolomitici con Encvinus e calcescisti; così si alter- nano i due tipi rocciosi nei pressi di Caraglio alla salita del San- tuario, costituendo il tipo di Trias a facies mista come fu detto nel mio lavoro, di cui indicai la presenza e lo sviluppo in numerosi punti. E l’ ing. Zaccagna non avrà forse dimenticata la serie rocciosa esaminata nella trincea della strada carrozzabile, tra Reboissino e Lotulo, a monte di San Damiano Macra, nelle gite fattevi col Mat- tirolo e con me nel 1898. In quella gita io feci notare ai miei colleghi le numerosissime sottili intercalazioni di micaliti e di calcescisti fra i calcari dolomitici, che qua e là presentarono encrinus , come le feci notare in gite successive al prof. T. Taramelli, all’ing. L. Mazzuoli, che ne riportò diversi campioni e li presentò al R. Comitato geolo- gico, ed a C. Schmidt e H. Preiswerk. A tutti questi geologi, che vol- lero rendersi conto dell’attuale questione, io ho fatto visitare quella serie perchè, come scrissi nel mio lavoro del 1898, io credo quella visita suffi- ciente per persuadersi che calcescisti e calcari triasici formano nella re- gione un tutto inseparabile. Ma l’ing. Zaccagna non dà la voluta impor- tanza a tutti quei fatti, quindi interpreta non giustamente i calcescisti in mezzo ai calcari dolomitici nei pressi di Pradleves, dove per locali accidenti stratigrafìci, possono forse mostrare in qualche punto delle di • scordarne meccaniche ; le quali, il mio collega, tanto proclive ad ammet- tere le concordanze meccaniche , vorrà pure ammettere come possibili. Delle roccie ad elementi angolosi di micascisti impigliati nei cal- cari triasici sotto la Madonna degli Angeli (1. c., p. 398) lo Zaccagna non riportò alcun campione a documento del fatto che dice di aver os- servato, cosicché io non posso controllare tale sua osservazione. To credo però poco verosimile tale fatto nel modo in cui fu inteso dallo Zaccagna, e credo assai probabile che si tratti, se non di calcari tufacei quaternari, di quei calcari tufacei con lenticciuole di micaliti che lo Stella ed io trovammo in diversi punti fra i calcari, che ap- punto presso Pradleves si osservano associati con scisti micacei im- mediatamente soprastanti alle quarziti del Trias, e che nel mio pro- filo della fig. 26 (1 c. p. 398) ho indicati come calcari cavernosi e tufacei con mica , con filar etti di micascisti e di quarziti. Quei filaretti e quelle lenticciuole micacee sono autigene e risul- tanti dal metamorfismo di straterelli o noduli argillosi inclusi nel de- posito calcare primitivo, al modo stesso in cui nei calcari si vedono i sottili letti micalitici o micascistosi, che sono il prodotto della meta- morfosi di interstrati argillosi o marnosi. A questo proposito è bene ricordare come la tendenza dell’inge- gnere Zaccagna a considerare le masse di calcari dolomitici quale cosa completamente distinta dalle masse dei calcescisti, di filladi o di micascisti, sia semplicemente il portato della insufficiente conoscenza di tutta la regione, dove ad ogni piè sospinto quelle diverse forme litologiche sono intimamente associate per intercalazione, non meno che del concetto incompleto che forse egli ha dei risultati che il me- tamorfismo regionale può produrre esercitandosi su banchi di calcari dolomitici, o su calcari puri, o sopra banchi di roccie calcaree più o meno argillose od anche in parte arenacee. Poiché è ovvio che il me- tamorfismo di calcari dolomitici o di calcari puri non ci darà altro che dolomiti o calcari più o meno cristallini, mentre una minore o maggiore quantità di argilla e di parti arenacee in essi contenute può permettere in minore o maggior grado lo sviluppo di elementi micacei, anfibolici, ecc., dando luogo così alle diverse forme di calcescisti o calcomicascisti anfibolici, granatiferi, sismondiniferi, ecc. 1 1 Vedasi a proposito di metamorfismo il mio lavoro: Contribuzione allo studio delle roccie a glancofane e del metamorfismo onde ebbero origine nella regione ligure-alpina occidentale. (Boll. R. Com. geol. 1902, p. 255). La discordanza nel basso del vallone di Riosecco, che avevo anche esaminato cogli ingegneri N. Pellati e L. Baldacci e col prof. Tara- melli, fu da me citata, e la riferii ad un salto locale, che pure indicai nel mio profilo fìg. 27. Si deve però notare che in quel profilo naturale la linea di con- tatto anormale è molto chiara, e che essa non separa già quarziti e calcari dal rimanente, come è indicato nel suddetto profilo della figura 18 dello Zaccagna, ma i calcari cavernosi dagli scisti quarzitici ed anage- netici , i quali sono 'perfettamente concordanti e presentano passaggi alle altre roccie, quali micascisti. anfiboliti zonate, gneiss, ecc. Non è dunque possibile da questo profilo del Riosecco dedurre l’esistenza dello hiatus voluto dallo Zaccagna. Si badi poi che i profili Zaccagna delle fìg. 17 e 18 nei dintorni di Pradleves non corrispondono al vero , oltre che nell’interpretazione anche per quello che si può osservare, essendo il letto del Grana e l’affluente rio di Teile che attraversa quel villaggio, in corrispondenza di quei profili, completamente incisi nei calcari dolomitici carniolici con inter- calazioni di calcescisti. Tali profili esprimono adunque un concetto ideale dell’ing. Zaccagna, non quello che realmente e senza difficoltà si può osservare. Ma la concordanza delle quarziti del Trias inferiore coi sotto- stanti micascisti non è da revocarsi in dubbio; tanto è vero che al disopra delle quarziti, pure da Zaccagna ammesse come triasiche, vi è un ritorno di micascisti in sottile striscia, nella quale sono appunto in- seriti in lente i suddetti calcari cavernosi tufacei con micaliti (v. leg- genda della mia fig. 26). Fatto questo atto a dimostrare la continuità del deposito dei micascisti e gneiss inferiori alle quarziti ed ai calcari del Trias, analogamente a quanto avviene attorno al piccolo massiccio d’Ambin ed a quello maggiore di Dora- Val Maira. D’altronde, come dissi, anche nell’ ipotesi in cui questo affiora- mento di Pradleves giacesse in discordanza sotto il Trias inferiore, la presenza a Monte Chialmo dei calcescisti con pietre verdi in concor- dante sfumatura sul Trias superiore dimostrerebbe, ad ogni modo, che — 163 — quell’affioramento e la zona delle pietre verdi sono due cose assolu- tamente distinte e non assimilabili cronologicamente. A me sembra che lo Zaccagna ripeta qui lo stesso errore che nel- l’alta Valle di Susa, dove tutti i suoi profili tendevano a dimostrare che i gneiss e micascisti d’Ambin costituissero una sola formazione coi calcescisti della sinclinale di Bardonecchia. La confutazione da me precedentemente data di tale modo di vedere, basandomi semplice- mente sui dati cartografici raccolti dai miei colleghi, viene natural- mente ad avvalorare quanto ora dissi rispetto al piccolo affioramento pretriasico di Pradleves. Siccome dissi, lo Zaccagna non ci indica i contorni di quel suo ipotetico lembo di Lias, nè ci dà alcun profilo che permetta di ren- derci conto della disposizione tettonica che, secondo il suo concetto, si dovrebbe avere nella Vaile Grana. Non credo inutile di tentare di rappresentare io stesso quel suo concetto, deducendo da quanto ne dice nelle pagine 322 e 323 un pro- filo da sostituirsi ad uno dei miei, che riproduco nella fig. 5 della Tav. II. Dal limite che lo Zaccagna assegna all’arcaico fra Neirone Su- periore e Neirone Inferiore deduco facilmente tale limite lungo detto profilo ; e congiungendo esso limite con quello inferiore della callotta di calcescisti ricoprente l’anticlinale di Monte Chialmo si giunge ad avere un’ idea del ricoprimento che dovrebbe essere costituito dai cal- cescisti arcaici nel concetto dal mio collega espresso. Per semplicità di esecuzione nel profilo della fig. 5 ho tratteggiato verticalmente le masse di calcescisti che solamente sono arcaiche secondo Zaccagna, e gli scisti cristallini che sottostanno alle quarziti presso Pradleves, che egli vorrebbe ai calcescisti assimilati (fig. 6, Tav. II). Stando a questo profilo il Trias di Monte Chialmo ed il Lias della Valle Grana sarebbero sottoposti ad una falda di ricoprimento, di 7 a 8 km. di estensione, di calcescisti arcaici con pietre verdi. Tale falda avrebbe dovuto costituire uno dei versanti della anfrat- tuosità o del seno aperto nell’arcaico, nel quale si sarebbero deposti il Trias in tutta la sua serie ed il Lias. — 164 A parte l’inverosimiglianza di questa sottile e lunghissima falda di ricoprimento, a parte la nessuna possibilità di segnare fra le due borgate di Neirone un limite fra due formazioni diverse, basato su fatti di qualche importanza o chiarezza \ sta il fatto che i calcescisti, i quali a Cauri ricoprono i calcari seno la visibile 'prosecuzione di quelli della sommità di Monte Chialmo, siccome è facile constatare salendo da Cauri allo stesso monte, lungo una strada un po’ laterale al nostro profilo. Ed i calcescisti di Cauri (che veramente io non posso chiamare collo Zaccagna calcari bardigliacei ) sono pure visibilmente la continua- zione di quelli che nel fondo della Yalle Grana, e proprio presso il profilo, offrono in diversi punti lenti di calcare spatico con corollari. Se l’ing. Zaccagna avesse visitato attentamente le falde di Monte Chialmo verso Cauri ed il vallone omonimo, e da questo casale avesse fatta una traversata verso Campo Molino, passando per i casali di Yalliera, traversata che chi scrive fece ripetutamente da solo e col dott. Di-Stefano, non avrebbe potuto fare a meno di osservare la con- tinuità di cui ho detto sopra, e si sarebbe convinto che in quella falda non esiste alcun limite osservabile fra due terreni diversi , quale dovrebbe essere quello inferiore della falda di ricoprimento da lui ideata. Poiché se i calcescisti, ipoteticamente arcaici, nel loro limite inferiore presso Neirone, possono ritenersi concordanti perfettamente con quelli del Lias, e per ipotesi essi si possono pure ritenere concordanti coi cal- cari del Trias a Monte Chialmo, invece lungo le falde di questo monte e lungo quelle di Monte Ploum essi debbono necessariamente tagliare sotto un certo angolo di incidenza gli strati del Lias , che sotto ad essi terminerebbe a cuneo ; e quindi il loro limite dovrebbe essere visibile. Il 1 JSTè lungo la strada nè alla falda opposta del Grana, dove la stratifica- zione di tutta la serie rocciosa è nettamente visibile dalla borgata Neirone, fu dato a me che ho rilevato la regione, od ai geologi che, dopo, meco la visita- rono (L. Baldacci, G. Di-Stefano, N. Pellati, T. Taramelli, L. Mazzuoli, C. Schmidt e H. Preiswerk) di scoprire sia pure un accenno del contatto che vi volle ve- dere lo Zaccagna. che certamente non è. E allora, non avendo trovato di questo alcuna traccia, riesaminando la serie fra Campo Molino e Chiappi o lungo il contrafforte di Forest, risalendo da questo abitato verso la Rocca di Bars, l’ing. Zaccagna avrebbe pure riconosciuto come non sia possi- bile segnare la divisione da lui indicata in quella grande pila di roccie calcaree metamorfiche. Naturalmente lo Zaccagna avrebbe dovuto sentire l’obbligo di controllare, nel modo ora accennato, quel suo concetto del ricopri- mento, di cercarne il limite inferiore e di indicarcelo. Invece egli, partendo dall’ anteriorità, che crede di aver dimostrata, dei calcescisti rispetto al paleozoico, a forza di semplici ragionamenti, senza recare altri fatti in appoggio, e senza definirlo o graficamente od a parole, lancia il concetto del ricoprimento, cercando di dargli valore colla analogia che il fenomeno stratigrafico avrebbe con quelli dell’alta valle di Susa. Di questi ho già dimostrata la insussistenza ; e per quello della Valle Grana, dopo averne mostrata la inverosimiglianza e come la sua esistenza non sia affatto provata, io tenterò ora di riconfermare in modo diretto Vetà secon laria della zona di calcescisti che dovrebbe co- stituire il ricoprimento stesso. Questa zona è quella, che, oltre alle pietre verdi, contiene numerosi banchi di breccie, nonché lenti di calcari dolomitici. Non è intanto però fuor di luogo osservare come per l’ing. Zac- cagna i fenomeni più complessi ed inverosimili, quali numerose ripe- tute pizzicature di terreni più giovani, e ricoprimenti di chilometri e chilometri di terreni arcaici sui secondari senza traccie visibili dei loro contatti anormali , siano più fàcilmente ammissibili che l’età secondaria di una zona di calcescisti con masse di pietre verdi, il che « sconvolge- rebbe, egli dice, tutto l’ordinamento geologico delle Alpi occidentali » (1. c., 1903, pag. 331). Ma questo ordinamento sembra a me che sia proprio sconvolto dalle inverosimili e non dimostrate pizzicature e ricoprimenti, da tempo ammessi per la Valle di Susa, e, solo dopo il ritrovamento dei — 166 — tossili di Valgrana, accampati dallo Zaccagna anche per le Alpi Cozie meridionali, in evidente opposizione ai suoi concetti del 1887. D’altronde è destino che nella scienza di osservazione, qual’è la Geologia, dati di fatto nuovi e nuove scoperte sconvolgano le idee antecedenti su determinati argomenti ; questo però è uno sconvolgi- mento benefico, che prepara il terreno per un nuovo, più verosimile e più stabile ordinamento, che segna quindi un progresso. Ma ritorniamo all’esame dei fatti, per discutere la posizione e la origine dei numerosi banchi di breccia intercalati nei calcescisti, la cui presenza e la cui importanza, pari alla presenza di fossili, era sfug- gita a tutti i precedenti osservatori. A proposito dei banchi di breccie, ad elementi angolosi di calcari dolomitici di tipo triasico, che sono in tutta la regione fra Castel- magno e Boves, cioè sopra un’estensione di trenta chilometri, ripe- tutamente e « nettamente interposte a vari livelli fra i banchi di calce- scisti » come ammette e dice pure lo Zaccagna (1. c. p. 331), egli crede possa « trattarsi di una formazione giurassica... della quale lembi residui rimasti impigliati fra le ineguaglianze di queste o dei terreni più an- tichi, furono poscia compressi e laminati insieme a tutte le altre roccie preesistenti. » Qui lo Zaccagna rinuncia all’osservazione diretta per fare una ipotesi, dove proprio non ne è il caso. Mentre presso Ciapoe, da una leggiera discordanza che avrebbe osservato, vuole dedurre l’esistenza di un gran hiatus nel deposito, non sospettando nemmeno per un momento che si possa trattare di discordanza meccanica, nell’adiacente Monte Tagliare le ripetute perfette intercalazioni dei banchi di breccie non le vorrebbe ammettere come naturali, ma dovute ad azioni mec- caniche. Queste azioni, perciò, non potrebbero, secondo lui, che pro- durre concordanze e mai discordanze. A Monte Tagliare ed alla Croce di Bai appunto, presso T. Tasso in sinistra del Gesso, come in destra di Vermenagna tra Roccavione e Robilante (formando essi una zona estesa una trentina di chilo- metri), sono a diecine i banchi di breccia che, con potenze di qualche 167 — metro, si vedono, intercalati parallelamente fra calcescisti, scendere dalle sommità di quei monti o dei contrafforti al fondo di valle; e, nessuno certo può esitare nell’affermare che si tratti di vere interca- lazioni. Altrimenti la struttura tectonica di quella estesa zona po- trebbe considerarsi rappresentata dalla figura di due pettini i cui denti si compenetrino mutuamente. Di questo passo bisognerebbe escludere dalla geologia alpina le espressioni concordanti , intercalati , alternanti , eco., che non avrebbero più nessun significato sicuro. Nell’abbozzo della fig. 3 ho segnati i principali banchi di breccie che avevo incontrati durante il rilevamento; dei quali non meno di otto sono visibili su breve spazio in una traversata a N.O di Mojola, siccome li indico, con brevi estensioni, non avendone seguito l’anda- mento. Ora io credo che se l’ing. Zaccagna, avesse fatta quella tra- versata, avrebbe certo esitato ad ammettere otto pizzicature parallele di breccie giuresi nei calcescisti. E lo Zaccagna, da quell’osservatore che è, non poteva a meno di intravedere la insostenibilità di quella ipotesi, e ne suggerisce un’altra, quantunque non gli sembri altrettanto soddisfacente. In questa egli am- mette la reale intercalazione delle breccie nei calcescisti, ma suppone gli elementi loro forniti da masse calcari di cui, si noti bene, non è conosciuta l’esistenza nelle Alpi occidentali; da calcari arcaici cioè, ma identici a quelli tanto caratteristici del Trias medio. Infatti egli così dice : « Ma non vedrei seria difficoltà neppure ad ammettere che possa trattarsi di una formazione contemporanea a quella dei calcescisti, risultante cioè dall’ impasto di elementi di origine più antica ; ipotesi questa che sebbene non sembri altrettanto soddisfacente dell’altra ora accennata, sarebbe in ogni modo meno arrischiata di quella che conduce a ritenere liassici i calcescisti in un colle roccie verdi che li accompagnano. Si potrà obbiettare che ritenendo i calcescisti più antichi del Trias, non si conoscono le formazioni che possono aver somministrato il materiale dolomitico di queste breccie. Ma chi po- trebbe, ad esempio, indicare il luogo di provenienza delle grandi masse di sabbia e ghiaia esclusivamente quarzosa che compongono le quarziti — 168 — e anageniti del Trias inferiore in tutta la regione delle Alpi occi- dentali? » Però questo paragone non regge. E bensì vero che la enorme quantità di elementi quarzosi, costituenti le grandi masse di quarziti ed anageniti delle Alpi, repde alquanto perplessi sulla loro origine ; ma la finezza di una gran parte di quegli elementi quarzosi a cui, piu soventi che non si creda, si associano elementi felspatici, può fino ad un certo punto far presumere la loro origine dalle roccie cri- stalline dei massicci gneissici o granitici, tanto estesi nelle Alpi. Crii elementi quarzosi più grossi delle anageniti, non raggiungenti però che raramente i dieci centimetri, sono poi perfettamente rotolati, sicché non è nemmeno inammissibile la loro origine o da filoni di quarzo o da banchi di quarziti dei massicci suddetti, dopo una lunga prepara- zione e concentrazione meccanica. Nel caso nostro invece gli elementi delle breccie oltre che esclu- sivamente calcari, quantunque di tinte e grana diversa, sono sempre angolosi e soventi con dimensioni raggiungenti i. 30 o i 40 centimetri, come quelli dei grandi blocchi caduti presso Neirone dalla grande massa di M. Castelar. I quali fatti mostrano all’evidenza che essi fu- rono staccati da masse calcari emerse poco distanti dai punti di loro deposito, le quali non possono essere, data la identità litologica, che di calcari del Trias medio, tanto sviluppati a poca distanza. E qui è opportuno ricordare che i banchi di queste breccie, come già avvertii, si trovano pure intercalati nei calcescisti del vallone della Eho sopra Bardonecchia, come pure alla salita del Moncenisio, ivi raccoltevi dal Mattirolo, e che esse sono sviluppatissime nei calce- scisti presso La Thuile, nella zona sinclinale di Courmayeur ; presen- tando sempre fra loro, quantunque di così distanti località, rassomi- glianze sorprendenti, malgrado il grado diverso di laminazione o di metamorfismo, che si manifesta talora collo sviluppo di larghi veli micacei nel loro cemento. Ma anche qui lo Zaccagna evita di andare a fondo della que- stione. Io ho fatto notare che oltre ai banchi di breccie sono in molti — 169 — punti intercalati nella stessa zona di calcescisti delle lenti di calcari dolomitici, che si indicarono in diversi profili dello Stella e miei (1. c. fig. 3, 7, 23 e 24), A questa serie di lenti di calcari dolomitici appartengono appunto quelle di Rabas e di Ruà di Mojola (fig. 3) ai due lati della Stura di Cuneo, le quali presentarono come altri calcari dei pressi di Boves, tracci© di piccoli gasteropodi simili ai Loxonema , trovati nei calcari di Elva, di Pradleves e della Madonna di Mon- serrato h L’ultima delle due suddette masse, certo per causa d’osservazioni affrettate, fu erroneamente dallo Zaccagna considerata come un lembo di Trias sovrapposto ai calcescisti, mentre si tratta in questo caso come in quello della prospiciente massa di Rabas e come in quelli delle altre lenti citate dei pressi di Boves, di Chiappi, del vallone di La Marmora e di Val Varaita, di lenti nettamente intercalate, e sempre a poca distanza dalla zona di quarziti che separano i calcescisti dal Paleozoico o dal limite 8. E di questo. Tutto questo insieme di fatti dimostra che la zona di calcescisti con breccie ad elementi calcari del tipo di Trias medio e con lenti di calcari dolomitici, probabilmente di scogliera, intercalate, rappre- senta certamente un deposito secondario, e con ogni probabilità tria- sico, comprendente piani del Trias medio- superiore e più probabilmente del Trias superiore. Perciò io fui necessariamente tratto, malgrado le 1 Ricordo qui i passaggi da me affermati da questi calcari dei pressi di Borgo San Dalmazzo ai calcescisti della costa tra Gesso e Stura, passaggi cor- rispondenti a quell’altro dei calcari di Roccavione ai calcescisti con filladi, calcari cristallini e breccie del contrafforte di destra della Vermenagna (vedi profilo delle figure 9 e 10, 1. c., 1898, pag. 983 e 334). Passaggi analoghi si os- servano dai calcari a diplopore di Torre Mondovì a scisti sericitici, a calcari tabulari ed a calcescisti con anfiboliti a mezzodì ed a levante dell’abitato di Piazza; e calcescisti con masserelle di serpentine si vedono a contatto cogli stessi calcari lungo le sponde del Corsaglia, non lungi dalla C. Quarelli. Questi calcescisti con serpentine sono la prosecuzione degli scisti plumbei con serpen- tine e calcari dei pressi di Villano va Mondovì, che io ho già affermato costi- tuire un solo terrenoTriasico con quei calcari a diplopore (1. c. 1898, fig. 6, p. 327). — 170 — ' intercalazioni di pietre verdi che essa presenta, a sincronizzare nei miei profili tale zona coi calcari dell’anticlinale di Monte Chialmo. Le lenti suddette di calcari dolomitici sono talora, come presso Chiappi (vedi prof. IV, Tav. VII e lo schema della fig. 2) in prosecu- sione di un banco di breccie o si trovano isolate in pieni calcescisti come quello di calcari a diplopore di Bedale presso Stroppo, presen- tandosi quindi come masse di calcare di scogliera in mezzo agli scisti più o meno metamorfici, in modo analogo a quanto accade in altre regioni (Alpi orientali, Calabria, ecc.). D’altronde lo Zaccagna coll’ammettere il passaggio laterale dei calcari dolomitici di Monte Chialmo ai calcari tabulari cristallini con calcescisti di Rocca Cucuja, si è messo sulla buona strada per ammet- tere dei passaggi laterali a formazioni di complessi litologici meno semplici. Che se poi il grande ostacolo ad ammettere come triasica la zona suddetta contenente le breccie è costituito dalla presenza delle pietre verdi, la cosa sarà un po’ inconcepibile per chi conosca come il mio collega abbia appunto nelle Apuane riconosciuto il passaggio laterale dal Trias essenzialmente calcareo ad un Trias quasi comple- tamente scistoso; che questo è costituito da roccie metamorfiche cri- stalline di cui alcuni tipi sono veri micascisti e calcescisti, e che nel Trias superiore di Bedizzano e di Capo Corvo, pure cristallino, esi- stono numerose masse di roccie diabasiche più o meno metamorfo- sate (vedi carte e leggende dei fogli di Carrara e di Seravezza). Se per un momento noi supponiamo che nelle Apuane le ripie- gature più importanti fossero state più vicine alla direzione N.O, e che una anticlinale permiana si fosse manifestata fra Miseglia ed il M. Brugiana, in modo che la zona di passaggio del Trias calcareo al Trias scistoso fosse stata erosa, ai due lati di quell’ anticlinale si avreb- bero le due forme di Trias, analogamente a quanto ora osserviamo ai due lati della zona paleozoica di Demonte. E forse qualche geologo avrebbe là pure sostenuto trattarsi di terreni molto diversi di età, e considerate le masse marmoree della Brugiana come lembi di Trias pizzicati in un terreno cristallino antico (vedi il foglio Carrara). — 171 - Quelle analogie ho ricordafe nel mio lavoro del 1898 allo stesso tempo di altre col Trias superiore della Calabria, e non so affatto spiegarmi l’avversione dello Zaccagna ad ammettere per le Alpi dei fatti di tanto eloquente analogia con quelli da lui osservati nelle Alpi Apuane. Senza dubbio egli, dopo lo studio delle Apuane, meglio di qualunque altro geologo avrebbe dovuto essere preparato ad accogliere la giovane età della zona delle pietre verdi. D’altra parte abbiamo nella Liguria orientale l’Eocene con molti dei tipi delle pietre verdi alpine, ed abbiamo in quella occidentale e nelle Alpi marittime l’Eocene senza traccia di pietre verdi ; e naturai- mente in qualche punto sotto il mare ligure queste due forme di Eo- cene verranno a contatto, analogamente a quello che accade pel Trias e pel Lias nella regione di cui trattiamo. Non ho disconosciuto tuttavia come la distribuzione di queste due forme di terreni possa lasciare un po’ dubbiosi e non fosse compieta- mente spiegabile ; non per questo io potevo rinunciare a trarre dai fatti osservati, semplici e chiari, le conseguenze che ne derivavano sul- l’età della formazione tanto discussa, tanto più quando le osservazioni dei colleghi e le mie protratte in altre regioni erano pienamente con- cordi e coniucevano allo stesso risultato. Valla d’Aosta. Nel mio lavoro del 1898 oltre alla zona sinclinale di Courmayeur, costituita da calcescisti con pietre verdi e da tutta la serie delle roccie particolari alla zona che da queste prende il nome, indicavo pure come comprovante l’età secondaria di essa la disposizione stratigrafìca che si nota attorno al gruppo della Grande Sassière, confermando in mas- sima dal lato italiano i concetti espressi su di essa da M. Bertrand, mentre annunciavo il ritrovamento di banchi calcari a crinoidi in mezzo ai calcescisti sopra Fornet (1. c. 1838, p. 437). In un lavoro susseguente (1. c.) in cui annunciavo il ritrovamento di belemniti nei calcescisti dei dintorni del Piccolo San Bernardo, credo di aver dimostrato con sufficienti particolari la identità delle roccie di quella zona con quelle costituenti la zona delle pietre verdi delle Alpi Oozie, riconfermando così l’opinione espressa da tutti i geologi illustri che dallo Studer al Gastaldi studiarono quella regione. Cosicché non credo nemmeno sia il caso di ripetere alcuno dei miei argomenti sopra una questione di fatto che deve considerarsi come risoluta. Aggiungo solo come, avendo io raccolto due serie di una cin- quantina di campioni di roccie verdi, prasiniti, eufotidi, ecc., mica- scisti, filladi, calcescisti, calcari tabulari arenacei, come quelli a be- lemniti, calcari macchiati , breccie dolomitiche, ecc., provenienti gli uni dalla zona delle pietre verdi delle Alpi Cozie, V altra da quella di Courmayeur, non uno solo fra i geologi e petrografi, colleghi dell’ Uf- ficio geologico ed altri, italiani ed esteri, che visitarono quelle collezioni, potè trovare nei singoli campioni o nel loro complesso qualche diffe- renza, che permettesse di considerarli come provenienti da due for- mazioni diverse. Così allo Zaccagna, che riconfermava efficacemente la struttura sinclinale della zona di Courmayeur, già affermata da A. Favre, che la riteneva « triasica o giurassica », per la non giusta assegnazione litologica che egli fece della maggior parte di essa, sfuggiva l’occa- sione propizia di risolvere fin dal 1887 il quesito dell’età della zona delle pietre verdi ! Questa soluzione fu poi di tanto ritardata per essere il rileva- mento in grande scala iniziato nelle valli del Sangone, nella bassa valle di Susa, nelle valli di Lanzo ed in quella dell’Orco, dove non esistono fossili e disposizioni stratigrafìche propizie ad una qualsiasi attribuzione cronologica. È tuttavia lecito affermare che da chiunque piuttosto che dal mio egregio collega dovremmo ora aspettarci una opposizione al concetto dell’età secondaria della zona delle pietre verdi. — 173 — Riesaminiamo ora per un momento la Carta geologica delle Alpi Graje di Zaccagna e Mattirolo (BolL 1892). La grande massa di cal- cescisti di Bardonecchia, il cui affioramento vedemmo interrotto dal Trias, che per l’avanzata erosione dei torrenti, affiora sotto di quelli nel vallone d’ Ambin e nella valle dell’ Are, ripigliano alla punta Clairy e si espandono nell’alta valle dell’Aro, dove si dividono in due rami, di cui uno amplissimo s’ intromette verso S.E tra il Gran Pa- radiso ed i Monti d’ Ambin, l’altro minore assottigliandosi va a cingere verso N.O. e Nord il primo di quei massicci. Il piu grande di quei due rami, a levante della linea di confine, si arricchisce straordinariamente di pietre verdi, dandoci un esempio singolarissimo di cambiaménto laterale di costituzione litologica ; cambiamento che pare ancora mag- giore dalla carta, per causa dell’ attribuzione erronea all’ arcaico dei calcari di Chianoc. Il minore dei due rami della zona di calcescisti, il quale possiamo supporre incominciare tra Lanslebourg e Bonneval, è orlato, sebbene interrottamenta, da calcari e da quarziti, che separano i calcescisti dai gneiss ; senònchè mentre nella carta sono sempre segnati come triasici i calcari dal lato occidentale fin oltre il Colle di Rhème, dal lato orientale, eccetto la piccola massa di Bonneval, sono invece segnati come arcaici. Nel contrafforte Rhème- Yalsavaranche la zona di calce- scisti si assottiglia ancora, e nella 'suddetta carta, oltre alle masse dell’orlatura orientale, vediamo segnate come arcaiche anche le masse calcari del limite occidentale, segnatura che continua poi fino al limite della carta nella massa della Grivola. Già M. Bertrand (1. c. p. 126) aveva espresso dubbi su tale in- giustificato cambiamento di età, attribuito ai calcari ai due lati dei calcescisti, e più ancora su quello che nell’alta Valle di Rhème sarebbe indicato in una stessa striscia di calcari; e considerò tutti quei calcari come secondari, limitanti una sinclinale di calcescisti con pietre verdi. I rilevamenti in grande scala eseguiti in seguito dallo Stella in Val di Rhème e dal Novarese in Val Savaranche hanno pienamente confermato quel modo di vedere di M. Bertrand. Nella relazione del 12 — 174 Direttore del servizio al R. Comitato geologico sai lavori esegaiti nel 1897, sui rapporti stratigrafìci dei calcari e quarziti colle roccie della serie cristallina ecco come si esprime ring. Stella: « sono assai im- portanti le concordanze stratigrafiche fra i calcari e le quarziti della Valle di Rhème cogli scisti che le racchiudono, in modo che le quar- ziti e i calcari , che non sono che diramazioni delle grandi masse triasiche della Tarantasia , si trovano in fitte e sottili alternanze coi calcescisti, mi- cascisti e gneis minuti: sono anche notevoli le pieghe sinclinali com- plicate sempre con perfetta concordanza ai contatti, sia nelle masse calcaree presso il confine, sia in alto più a Nord, con sottili interca- lazioni di micascisti, calcescisti, carniole e breccie fra i loro banchi. » (Boll. R. Com. geol. 1899, Atti ufficiali, p. 33). Dal che si deve dedurre l’inseparabilità cronologica dei micascisti e calcescisti dai calcari e quarziti triasici. L’ing. Novarese nella stessa Relazione, a pag. 30, osserva che la fascia scistoso-calcarea di Valsavaranche verso i gneiss presenta « quasi sempre un banco di calcari cristallini e di carniole, sia ad immediato contatto coi gneiss, sia da questi separati da una zona poco potente di calcescisti ». « La fascia scistoso-calcarea termina in alto con un banco di calcari e carniole affatto analogo a quello inferiore ». « Questa ripartizione dei banchi calcarei alla base ed al sommo della serie suggerisce Videa che si sia in 'presenza di una grande sinclinale- molto stretta , ribaltata contro la massa del Gran Paradiso , e questa idea viene avvalorata da molte altre osservazioni, dalle quali pure risulterebbe la evidenza di una anti cimale contigua ». Si avrebbe quindi nella massa della Gfrivola una sinclinale se- condaria comprendente il Trias con calcari, carniole e gessi (Colle di Mesoncles) ed i calcescisti con pietre verdi, il tutto analogamente a quanto si osserva nella sinclinale di Courmayeur. Mi limito a questi soli esempi, i più belli che la valle d’Aosta pre- senti, di cui uno solo basterebbe a dimostrarci nel modo più chiaro l’età secondaria delia zona delle pietre verdi, la quale deve oramai ritenersi come uno dei fatti meglio provati nella geologia alpina. Conclusioni. Riassumendo i risultaci di questo scritto per quanto concerne le osservazioni dello Zaccagna finora pubblicate sulle regioni a me note mi sembra d’aver dimostrato: A. Per la regione Val di Susa- Valle deir Are: 1° Ohe i profili dello Zaccagna per il Colle di Val Stretta (fig. 6) pel Colle d’Etàche (fig. 10) e pel Monte Séguret (fig. 9) non corri- spondono ai fatti osservabili nel tunnel del Fréjus, nel versante di sini- stra dell’ Are e nella cresta M. Balme-M. Yallonet-M. Séguret-Beaume, registrati in parte nella stessa carta stampata di Zaccagna e Matti- rolo e nelle carte inedite di questi, e sono quindi inaccettabili. 2° Che il profilo del tunnel, l’esame delle carte geologiche e dei rilievi inediti della regione dimostrano i calcescisti presi in sin- clinale nel Trias, come è accennato nei profili di M. Bertrand e miei (fig. 29, 1898) e attuale fig. 1 della Tav. II. 3° Che l’ing. Zaccagna non discusse la struttura ad elissoide anticlinale della massa triasica del Grand Hoc sotto i calcescisti, nè sminuì il valore del criterio fornito dalle radiolarie degli scisti di Cesana. 4° Che la disposizione dallo stesso Zaccagna data ai calcari fos- siliferi di Chianoc nel suo profilo del Rocciamelone (1892), unitamente ai resti fossili in essi trovati da chi scrive, dimostra evidentemente secondaria tutta la zona di pietre verdi ad essi sovrapposta. B Per le Aljpi Cozie meridionali: 1° Che la disposizione dallo Zaccagna data ai calcari di Oncino nel suo profilo del Monviso, analoga alla nostra ed a quella del Ga- staldi, data l’età secondaria di quei calcari, conduce inevitabilmente all’età secondaria delle pietre verdi. 2° Che egli non ha in nessun modo provata l’anteriorità dei calcescisti al Carbonifero nella Valle Valloriate. 3° Che non ha menomamente combattuto le affermate concor- danze e continuità di deposito fra calcescisti e Permiano da noi chia- rite con numerosi profili di molti punti delle valli Grana, Maira e Varaita. 4° Non ha specificate nè dimostrate le differenze litologiche che secondo lui esisterebbero nel loro complesso e nei singoli tipi fra i calcescisti e i calcari arenacei associati, contenenti in molti punti fossili del Lias e quelli da lui ritenuti invece arcaici. 5° Non ha tampoco abbozzato, sia pure solo a parole, l’anda- mento dell’ipotetico lembo di Lias, secondo lui ricoperto dai calcescisti arcaici; e nemmeno ha dato un solo profilo che di questo astruso concetto tettonico permetta di farsi una idea. La inesistenza di quella sua ipotetica falda di ricoprimento si riconosce anche solo con un esame sommario della regione nella quale essa dovrebbe svilupparsi. 6° Non ha nemmeno discusso le anticlinali triasiche ricoperte dai calcescisti con pietre verdi, nè il passaggio per sfumature da questi al Trias superiore fossilifero, che ricoprono; argomenti questi della massima importanza, il cui valore non può essere menomato da alcuna considerazione di altro ordine. 1° Gli spuntoni discordanti di calcescisti affioranti, secondo Zac cagna, presso Pradleves sotto il calcare triasico nei valloni Teile e dei Tetti non esistono, trattandosi evidentemente di intercalazioni. 8° Le sue ipotesi infine per spiegare Torigine dei banchi di breccie o le disposizioni loro in lembi pizzicati non reggono alla critica. C. Per la valle d’Aosta: 1° La disposizione stratigrafìca della Grande Sassière nel ver- sante della Yalgrisanche conferma pienamente il fatto affermato da M. Bertrand, che quella grande pila di calcescisti con pietre verdi riposa sopra una base di Trias. 2° Le sinclinali di Courmayeur, ammesse dallo Zaccagna e quella della Grivola riconosciuta da M. Bertrand e confermata da Novarese, nelle quali il Trias con forme ordinarie e riconoscibili com- prende masse più o meno importanti di calcescisti con pietre verdi, e nella prima delle quali furono trovati fossili del Lias, palesano indi- scutibilmente l’età secondaria della zona delle pietre verdi. Rimangono adunque finora invulnerati tutti, e non discussi i più importanti argomenti addotti nel mio lavoro del 1898 a sostegno del- l’età secondaria di quella zona, la quale età secondaria non potrebbe avere migliore conferma, se ne fosse d’uopo, che quella fornita dalla insufficienza, ora dimostrata, degli argomenti addotti per combatterla da parte dell’ing. Zaccagna. I risultati concordi di tante osservazioni in regioni così diverse e lontane, eseguite da alcuni miei colleghi e da me nel versante ita- liano delle Alpi occidentali, essendo pienamente avvalorati dalle os- servazioni dei geologi francesi e svizzeri, noi possiamo ritenere 'per certa l'età secondaria della zona delle pietre verdi \ in tutta la sua estensione dall' Appennino alle Alpi Liguri , alle Cozie, alle Graje ed alle Pennine , dove essa si immedesima coi Bundnerschiefern — e in tutto il suo sviluppo , attorno ai nuclei gneissici del Savonese , delle Alpi Cozie, dei Monti d’ Ambin, del Gran Paradiso e del Monte Posa — nonché nella zona staccata della sinclinale di Courmayeur. Nè questa affermazione dell’età secondaria di una così estesa for- mazione cristallina alpina deve meravigliare alcuno, poiché essa cor- risponde a fatti accertati in altre regioni d’ Europa e d’America, dove delle formazioni di età cretacea presentano molti dei tipi litologici proprii della zona delle pietre verdi 1 2. 1 Yaturalmente non bisogna comprendere in detta zona la zona dioritica d’Ivrea, nè i porfidi del Biellese e della Yalle Sesia, che il Gastaldi in qualche suo scritto aveva in essa incluso. 2 R. Lepsius, Geologie von Attica. — In una piccola collezione de’ suoi Athener-schie ferii di età cretacea , che il prof. Lepsius ebbe la cortesia di man- darmi, trovo, fra altre roccie cristalline, quarziti a glaucofane e sericitiche , cal- cescisti, prasiniti e scisti cloritico-anfibolici con o senza glaucofane. C. F. Becker, The Cnjstalline Schists of thè Coast Ranges of California. Congrès geologi que international, 4ième session, Londres, 1888. — 178 — SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. TAVOLA II. PiG. 1. — Due interpretazioni del profilo fra la Gran Tempesta e il Monte Salme presso il crinale di confine nel bacino di Bardonecchia, secondo D. Zaccagna e secondo S. Franchi (Scala di 1 a 100,000). gn ms = gs - gneiss minuti e micascisti ; C - Carbonifero ; P - Permiano : qz - quarziti del Trias inferiore Ti] Tm - Trias medio; cg - carniole del Trias medio; cs - calcescisti; br ■ banchi di breccie ad elementi dolomitici: pr. • prasinite. Pig. 2. — Veduta panoramica dimostrativa dei terreni dei versanti di sinistra del vallone cV Ambili e della valle deir Are fra Le Planais e Fourneanx, sup- posti proiettati sopra un piano verticale trasversale agli andamenti della zona di calcescisti (Scala di 1 a 100,000). Gneiss e micascisti d’Ambin - pc - Permo-carbonifero; qz - quarziti del Trias inferiore; c - calcari dolomitici e cristallini, carniole, anidriti, ecc., del Trias medio; cs - calcescisti; eu - eufotide (Villarodin). Pig. 3. — Profilo della galleria del Frejus pubblicato da F. Giordano nel 1871 (Scala di 1 a 80,000). a - Permo-carbonifero (m. 2096) ; b - quarziti del Trias inferiore (m. 388) : c - calcari, carniole, anidrite, ecc., del Trias medio (m. 356) ; d - calcescisti (m. 9394). TAVOLA III. Pig. 1. — Profilo fra il Monte Rocciamelone e la Dora Piparia presso Villar- focchiardo (Zaccagna e Mattirolo, 1892 ■ Scala da 1 a 100,000). Gc • gneiss centrale; gst - gneiss tormalinifero ; gs - gneiss tabulari: ms • micascisti; cs - calcescisti e scisti filladici; c - calcare marmoreo con vene micacee e cloritiche ; s - serpentine; anf • anfiboliti; mo - morenico: al - alluvioni ; dt - detrito di falda. Pig. 2. — Profilo tra il Monte Viso e Paesana lungo la valle del Po (B. Ga- staldi, 1876) (v. la leggenda unita allo stesso profilo). Pig. 3. — Profilo fra il Monte Viso e le Balze Selassa (D. Zaccagna, 1887 - Scala di 1 a 100,000). Gc - gneiss centrale; cs ms - calcescisto, micascisto; ms - micascisto: msg • micascisto granatifero; qz - quarzite; m - calcare marmoreo; s - ser- pentina; ss ■ serpentinoscisto; ef - eufotide; anf • anfibolite e anfiboloscisto ; ino • morenico. Boll. T{. Comit. geol. d’Italia Fig. 1 - Bue interpretazioni del profilo fra la Costa lempesta e il IV . Cima della Gran Bagna Gran I empesfa 2751 Rocche Seru 3070 Costa Punta Nera 2534 Fig. 2 -Veduta panoramica dimostrativa dei terreni dei versanti di sinistra del vallone cf _ Bocca Bernaude M. labor Colle Val Stretta -Gran Bagna- Punta Nera Punta Bagnà Fig. 3 - Profilo della galleria del Frejus, pubbicato da F. Giordancii Bocca Nord Osservatorio M. Frejus F. Are Grand Vallon Bionda T. Merdo fi Anno 1904. 1 av - Il ( S. Franchi). alme, presso il crinale di confine nel bacino eli Bardonecchia. Cima Gardiora 3091 M. Salme Punta S Michele Rocche della Rognosa 3209 Colle d’Efache 3385 2787 ibin e della ^alle dell’Arc, fino al crinale di confine fra Modane e Bardonecchia. Rocche della "Rognosa >rre Menue Colle d’Efache ivi. Salme M. Nibbè ! 1871 ( Scala di 1 80000 ). Socca Sud T. Rochenoolles Boll. R. Comit. geo!. d’Italia Fig. 2 - Profilo tra il M. Viso e Paesana lungo la valle del Po ( B. Gastaldi, 1876 ). Fig. 3 - Profilo fra il M. Viso e le Balze Selassa ( t). Zaccagna, 1887 ). Balze Savaresch (Scala di 1: 100 000) Monte Viso Visomouf R. Rasfour S. Chiaffredo Costa Contesse Balze Selassa Costa Servion Fig. 4- Profilo fra la Costa delle Forciolline e il Colle Selassa ( S. Franchi e J\. Stella, 1898 ) . ( Scala di 1: 100 000 ) M. Viso Anno 1904 - Tav. Ili ( S. Franchi). Fig. 1 • Profilo t» il M. Hocciamelone e lo Bor, Pip.rt. po„o Vill.rfooohi.rdo ( B. Z.oc.gn. ed E. M.ttirolo, ,902 ). (Scala di i: lOOOOO). ■Rocca tre Cresti R. Mulutta Ferrovia F. Bora R.* Villarfoochtardo I ! i Fig. 5 - Profilo fra Testa Gardon e M. Chialmo, ritenendo la zona delle pietre verdi secondaria ( S. Franchi, 1898 ) . M. Chialmo M. ('ollalunga Fig. 6-11 profilo della fig. 5 interpretato secondo i concetti espressi dall’ log. “D. Zaccagna nel 1903. M Bram Court M Oùalmo M. Collalunga Afta irò m — 179 — Pia. 4. — Profilo tra la Costa delle Forciolline e il Colle Selassa (Franchi o Stella, 1898 • Scala di 1 a 100,000). gng ■ gneiss ghiandoni; gn ■ gneiss occhiadini e tabulari; ms - mica- scisti; Ti • Trias inferiore; Tm ■ Trias medio ; Li • Trias inferiore; cs - cal- cescisti; c ■ calcari cristallini e dolomitici; cg - carniole; s - serpentine; ss - serpentinoscisti ; en - eufotide ; a - anfiboliti ; pr • prasiniti ; pf - porfiriti ; di - detrito di falda; et - calcari tabulari. Fio, 5. — Profilo fra Testa Gardon e Monte Chialmo , ritenendo la sona delle pietre verdi secondaria (S. Franchi, 1898). gn - gneiss ; ms - micascisti ; a - anfiboliti ; pr • prasiniti ; qs - quarziti ; cd - calcari dolomiiici (N - con natiche; P Av - con pleurotomarie ed avi- cule ; L - con loxonema ; E - con encrinus) ; Cor - corallari nei calcescisti ; cs - calcescisti; cs a - calcescisti arenacei; fi - filladi; et - calcari tabulari cristallini; nero - serpentina; br - breccie ad elementi angolosi di calcari dolomitici ; Ti - Trias inferiore ; Tm = tm - Trias medio ; Li - Lias infe- riore ; gl ■ Giurese : cr - Cretaceo ; fi - flysch eocenico. Fig. 6. — Il profilo della figura 5 interpretato secondo i concetti espressi dallo Zaccagna nel suo ultimo scritto (1903). (Alle parti con tratteggio verticale sarebbe limitata la zona delle pietre verdi, per lui arcaica). IL Y. Sabatini. — Relazione sul lavoro eseguito nel periodo 1899-1903 su i vulcani deW Italia centrale e i loro prodotti . (Con Carta geologica). Dall’anno 1899, in cui pubblicai la terza Relazione sullo stato delle mie ricerche nei vulcani dell’Italia centrale \ esse furono continuate nei Vulsini e nei Cimini. In quest’intervallo di tempo pubblicai al- tresì il primo volume delle Memorie, nelle quali la regione viene descritta una comunicazione fatta al Congresso internazionale di 1 Boll. Com. geol. ,1899, n. 1. 2 Mem. descritt. Carta geol. d’Italia, Yol. X, Vulcano Lasiale. — 180 — Parigi 1 e una nota sul peperino di Viterbo 2. Finalmente, altra comu- nicazione da me fatta nell’agosto 1903 al Congresso di Vienna, è in corso di stampa. Al momento in cui sto mettendo in ordine le mie note sui Monti Cimini, di cui il rilevamento è finito e lo studio di laboratorio molto avanzato; e mentre già comincio a redigere la Memoria relativa, che formerà il secondo volume del mio lavoro, io non credo opportuno fermarmi a dare, su questa parte, maggiori particolari di quelli già pubblicati. Numerose osservazioni sono state eseguite sul peperino viterbese , roccia di difficile interpretazione, e intorno alla quale si sono avuti i pareri più discordi. Il tufo litoide a scorie nere ha anch’esso richiesto delle osservazioni minuziose pei dubbi che quelle scorie possono sollevare. La serie delle eruzioni dei due vulcani Ci- mini, dopo il primo abbozzo del 1899, è stata corretta e portata a quel grado di maggiore esattezza che era lecito sperare, dopo gli studi più particolareggiati eseguiti negli ultimi anni. Alcune ricerche paleontologiche furono affidate al dottor Di- Stefano, che venne più volte in campagna con me, altre ricerche chimiche furono assunte dall’ingegnere Aichino, al quale si aggiunse, con grande cortesia, il professore Casoria della Scuola di agricoltura in Portici. Lasciando dunque da parte i Cimini, io mi fermerò sui Vulsini, dei quali ho già studiata, sul terreno, la parte orientale, così che il mio rilevamento, completamente inedito, è già pronto, e nella presente pubblicazione lo riassumo in una piccola cartina. Sulla parte occiden- tale, invece, non ho fatto che delle ricognizioni molto sommarie e quindi solo fra qualche anno potrò averla finita. Contando anche il tempo necessario all’esecuzione del lavoro di laboratorio, s’intende l’opportunità di riassumere qualcuno de’ più notevoli risultati finora ottenuti. 1 Compte-rendu du VIIIme Congrès géol., Paris, 1904:. 2 Boll. Coni. geol. 1902, n. 4. — 181 — I recinti multipli del cratere di Bolsena. È a Nord, a Sud e specialmente ad Est del lago di Bolsena che questi recinti sono ancora visibili, bene accentuati e numerosi, come risulta dalla cartina annessa a questa nota. Senza dubbio tali recinti sono in numero minore dei frammenti segnati, poiché ognuno dei crateri ancora riconoscibili, ha potuto comprendere parecchi di questi frammenti. Ma anche con tale restrizione la molteplicità delle bocche sovrapposte salta all’occhio dell’osservatore. E certo che noi siamo già lontani dall’epoca in cui vom Rath, tra’ motivi per combattere la natura craterica della conca di Bolsena, metteva anche l’osservazione errata che la forma interna del circo è a pendìo piuttosto che a pareti verticali. Lo Stoppani, che, senza ad- durre argomenti positivi, combatte con grande lucidezza gli argomenti negativi del naturalista tedesco, non conosceva la regione di Bolsena abbastanza bene per negare l’asserzione della mancanza di pareti ri- pide. Ma chi andasse ad osservare gli archi da me segnati sulla carta troverebbe che la loro maggioranza mostra pareti ripidissime verso il lago. Da Monte Rado, dall’Apparita, da Monte Panaro si scende al lago per una serie di scaglioni a fianchi crateriformi molto bruschi, spesso addirittura a picco. Dal Casino dell’Apparita, guardando a Sud si abbracciano diversi di questi cordoni . Sono bellissimi, quello che limita l’ultima piattaforma su cui sta Monte Rado, e l’altro, al disotto del precedente, che, tra la Capraccia e Campolungo, si segue benis- simo dalla rotabile Montefiascone-Orvieto. I cordoni che formano le sfoglie del cratere di Bolsena sono a doppia pendenza o a pendenza unica. Dal Nord e dall’Est si discende al lago generalmente per terrazzi successivi, il cui profilo ha le forme indicate dalla fig. la, ovvero una forma mista tra le due rappresentate nella detta figura. E evidente che gli atrii tra’ successivi recinti sono stati più o meno colmati, onde molte volte sono interamente ripieni e si ha una — 182 — serio di terrazzi degradanti verso il lago, come sono quelli sotto Monte Rado. Altre volte i cigli dei cordoni emergono più o meno e si osserva la seconda pendenza, ripida all’interno verso il lago, dolce all’esterno. Così ne’ tre cordoni : 1° dei Morticini, 2° di Montegallo - Casino, 3° del Castellacelo, che si sollevano al disopra di due bellis- simi terrazzi tra essi compresi. Io non negherò che l’azione terrazzante, evidente tra cordone e cordone, sia dovuta in parte alle acque ; ma non vedo come e perchè, se queste avessero agito da sole si sarebbe svolta parallelamente al lago. Se inoltre le acque fossero state il solo fattore di tali terrazza- menti, vedremmo i fossi correre concentricamente tra cordone e cor- done, mentre (almeno i principali) sono radiali rispetto al lago. E dunque ovvio l’ammettere che i cordoni (frammenti di recinti) pre- pararono le aree terrazzabili ; le eruzioni posteriori, mentre demoli- Se vano da un lato, dall’altro ricolmavano gli atrii. L’erosione livellò poi queste parti ricolmate. L’ipotesi di sprofondamenti successivi, al modo della caldaia del Rilauea potrebbe prendersi in discussione nel caso che il giro dei fianchi del lago presentasse il secondo dei profili della fig. la, ma è inammissibile pel fatto che il maggior numero dei cordoni mostra invece l’altro profilo, quello a doppia pendenza, e spesso, quando l’osservazione è possibile, la costituzione di coni vulcanici. Del resto è meccanicamente poco sostenibile una cintura di bocche intorno ad — 183 - una certa area, senza ammettere elle sieno bocche secondarie di un cono principale esistito su quell ’area. E la conca di Bolsena non può quindi non riguardarsi come la risultante della distruzione di questo cono, al pari del cratere dell’ Artemisio, di quello del Somma, di quello di Vico, ecc., in Italia; non che di tanti altri di altri paesi. Molti si spaventano davanti alle grandi dimensioni delle conca bolsenese, ma non ricordano che il cratere dell’Artemisio ha circa 12 km. di dia- metro, la baia di Santorino 11 km., l’A dell’Asayama ha ben 2) km., e 24 per 10 ne ha il cratere prodottosi in una sola volta con la distru- zione del Papandajan, avvenuta nel 1772, e rimasto allo stato di solfatara. I orateri di Monte Rado e di Montefiascone. Fra le bocche secondarie ho già parlato 1 di quella del Monte Bi - senzo. Sul Monte Rado, a cui accennai altresì, nella citata relazione, sarà bene ritornare. In seguito a più attento esame devo ammettere che questa elevazione circolare di 150 metri di diametro, e che si solleva di 5 o 6 metri sulla più elevata piattaforma di alcuni terrazzi sovrapposti, possa essere stata una bocca eruttiva completamente riempita e livellata. Piccoli lapilli e scorie sono nei dintorni ed ali- mentano alcune cave. Però, per quanto a più riprese avessi cercato la lava che parecchi autori, tra cui vom Rath e Stoppani, dicono scesa dall’alto di questo craterino, non ne ho visto traccia veruna. I sottostanti scaglioni mostrano delle lave, ma a banchi sovrapposti e facenti parte evidentemente di edilìzi assai più estesi che non sia il frammento che ne rimane, e a cui si dà il nome di M. Rado. Se dunque un cratere si deve qui ancora riconoscere esso deve vedersi solamente nella piccola elevazione che corona la penultima piatta- forma del M. Rado. Alla parte S.E del lago è notevole il cratere di Montefiascone detto 1 Boll. Com. geo!., 1899, n. 1. — 184 — «la Valle o le Valli». È un ampio imbuto sventrato alla parte occi- dentale. Il punto più elevato dell’ orlò trovasi ad Est : è l’altura su cui sta Montefìascone e che si eleva a 683 metri sul mare e a circa 250 sul fondo del cratere. Di lì il circuito si va abbassando fino a non avere più che pochi metri sopra la vicina spiaggia del lago. L’ osser- var. 2. — Vulcano di Montefìascone. vatore, che segue il giro di questo imbuto, si avvede che ad occidente, dove è più basso, è chiuso da una diga, costituita di due pezzi, ed evi- dentemente addossata posteriormente alla formazione delle roccie che costituiscono i fianchi della Valle a Nord e a Sud. Queste roccie sono quasi esclusivamente dei tufi terrosi e granulari, meno alle Coste a Nord e a Monte d’Oro a Sud, ove trovasi del tufo litoide. Dal lato di Mon- tefiascone una gran massa di lapilli covre queste formazioni scendendo dalla cima fino giù per 200 metri verso la Valle, a Nord fin presso le Grazie , a Sud fino a Fiordine, e, sebbene in assai minor quantità, se ne ritrovano ancora fin presso la stazione ferroviaria. Della diga che chiude la Valle ad Ovest, il pezzo più setten- trionale non continua il giro dell’imbuto, ma lo tronca bruscamente addossandosi al monte delle Coste e restando in (a) molto più bassa. Evidentemente il contorno dell’imbuto si è formato per demolizione nel terreno preesistente, e le stesse eruzioni che han prodotto la ca- — 185 vita, sventrandola ad Ovest, l’hanno rinchiusa da quel lato con la diga di cui si vedono gli avanzi. Invece l’addossamento del pezzo meridionale della diga alle roccie preesistenti a Sud non è visibile, perchè f eruzione ha fatto sparire il punto singolare che ivi dovrebbe trovarsi. E a provare la giovane età di questa bocca, apertasi nelle roccie preesistenti, sta anche il fatto che immediatamenie a Nord e ad Ovest di essa sei cordoni del grande cratere del lago sono troncati più o meno bruscamente. Ed ora fermiamoci alquanto sull’altura di Montefìascone, che al- cuni credono un cono eruttivo ed altri, come il vom B.ath ed io, nella precedente Relazione, credemmo niente altro che la parte più elevata del cratere della Valle. È certo che da questo lato trovasi una gran massa di lapilli e di scorie, che mancano nel resto del detto cratere, meno sulla via che va alle Coste, ove presso la fontana, ad Est di San Pancrazio se ne trova dell’altro. E si noti che l’osservazione può esser seguita dovunque, meno che dal lato occidentale, il quale è com- pletamente imboschito. Il resto è coltivato benissimo, sopratutto a vigna, salvo alle Coste ove si vedono alcuni appicchi, nudi di vege- tazione. Il vedere ai due lati di Montefìascone il ciglio dell’imbuto della Valle abbassarsi gradatamente, può far pensare che l’erosione abbia asportato i lapilli del resto dal circuito. Nè alcun indizio di cratere sulla detta altura di Montefìascone induce a mutar d’avviso. Però una più attenta osservazione mette in rilievo questi fatti. Sotto Montefìascone il giro della Valle è interrotto da una sporgenza rotonda, una specie di sperone, sporgenza che par si continui all’esterno dell’imbuto verso Fiordine, quasi a completare il giro. Si direbbe che v’ha qui un cono sovrapposto al cratere. Anche l’erosione potrebbe aver prodotto questa forma. Ma v’ha un altro fatto ed è che gli strati di lapilli presentano a Montefìascone, fino a San Flaviano, Fiordine e per 200 metri scendendo nella Valle una struttura a mantello, che, insieme alla localizzazione di questo materiale intorno all’altura di Montefìascone, rendono assai probabile l’ ipotesi che ivi passò l’asse eruttivo della Valle, posteriormente all’epoca in cui l’imbuto fu scavato. L’osservazione, scendendo dalla borgata giu nella Valle, può farsi benissimo in un suolo abbastanza sconvolto, ove le rupi di lapillo si succedono frequenti e mostrano assai bene l’ossatura del cratere con strati pendenti di 35°. I primi 100 metri in alto sono di lapilli e scorie rossastre. Spesso le scorie sono vere bombe di 1-2 decimetri di diametro. All’interno hanno struttura porosa pomicea, esternamente una crosta più compatta con vernice verde-nocciuola alla superfìcie, la quale mo- stra una struttura di stiramento. Queste bombe sono fragilissime, e rendono conto del perchè i lapilli, frammenti di 1-2 cm., sono ad orli netti, taglienti. Evidentemente sotto l’urto nella caduta e sotto l’azione posteriore del peso sovrincombente, le piccole bombe si frantumarono nel massimo numero. Nei 100 metri più in basso, ai lapilli prece- denti s’intercalano banchi di ceneri grigie o biancastre, sottilmente stratificate, piene di frammenti di lave e di bombe di cm. 50 di dia- metro, con struttura sfogliacea sottilissima. Nei tufi con frammenti di lave di Ponte Roiano vi è una di tali bombe, il di cui asse maggiore raggiunge m. 2. 50. La parte sfogliacea, con sfoglie di qualche millimetro, ha 35 cm. di spessore. La sostanza che forma questa bomba è una lava leucitica, più intatta nel nucleo, molto alterata nelle sfoglie. Negli stessi tufi ho trovato un frammento d’arenaria gialla, probabilmente dell’Eocene sottostante, e contenente quarzo, mica bianca e un po’ di felspato triclino a geminazioni sot- tilissime. Va pure notato, e forse questo è l’elemento più serio per ammet- tere che l’altura di Montefiascone sia un cono eruttivo, che intorno ad essa sul suolo vi è abbondanza di blocchi e di bombe da 3-6 metri cubi, e che si vanno impiccolendo allontanandosi da quel centro. - 187 I fenomeni erosivi dei territori di Bagnorea e d’Orvieto. Io ho più volte accennato a questi notevoli fenomeni, che da tempo attirarono l’attenzione dello Stoppani. Però il sapiente geologo lombardo non ebbe agio di osservarli completamente, e su qualche punto, come al Cavon Grande, o non si fermò, o a causa della topografìa di queste regioni, che muta continuamente, non potette notare al- cune forme bellissime che al suo tempo non erano così accentuate come lo sono oggi. Questi fenomeni sono così importanti, oltre che pel geologo, anche per l’esistenza minacciata di terreni coltivati e di diversi abitati, che io credo opportuno svolgerli qui, con una certa larghezza, anticipando uno dei capitoli del volume in cui descriverò il Vulcano di Bolsena. Nelle indicate regioni, una piattaforma di tufo copriva le sotto- stanti argille turchine del Pliocene. Il suolo imboschito era stato per lunghi secoli difeso contro l’azione demolitrice delle acque. Ma venne l’uomo sapiens , più tardi, e cominciò la distruzione delle foreste. Sul tufo scoverto, le acque correnti impresero ad incidere dei solchi, che rapidamente approfondendosi, in un materiale così tenero, ne oltre- passarono facilmente lo spessore, che da cifre minime di pochi centi- metri arriva talora ad un centinaio di metri, e raggiunsero l’argilla, un materiale cioè non permeabile, ma che si dilava e si lascia aspor- tare dalle superficie con grande facilità. A poco per volta, il suolo è stato talmente sconvolto da produrre un panorama selvaggio e deso- lato d’una grande imponenza. I burroni profondi, se non sono del tutto impraticabili, come disse lo Stoppani, obbligano spesso a per- correre lunghi giri per poterli attraversare. Sul grigio -azzurrognolo di quel paesaggio accidentato, spicca in giallo qualche crosta di tufo, rimasta qua come un’isoletta, là come una sottile cresta allungata. L’occhio, abbracciando quegli sparsi frammenti gialli, ricostruisce l’an- tica piattaforma per sempre distrutta. Alcuni di questi frammenti, la G-uadagliona, Sant’Antonio, Campogrande, mostrano ancora un po’ di — 188 — macchia a difesa dei pochi tufi sottostanti, ed è ciò che rimane delle antiche foreste. Quando l’ultima cresta, l’ultimo obelisco è scomparso, l’argilla assume le forme più capricciose, dovute alle irregolarità di composizione che in essa produce il miscuglio con le sabbie alla parte superiore. Quando il suolo è stato bagnato dalle pioggie, e quindi si dissecca ai raggi del sole di luglio e d’agosto, si screpola, fendendosi secondo le direzioni più irregolari e più intrecciate, preparando così le demolizioni che le pioggie e i geli successivi produrranno. Tra burrone e burrone può restare qualche cresta sottile, vera muraglia verticale, larga qualche metro e anche meno e lunga fino ad alcuni chilometri. Tali sono i Ponticelli , che visti dai pressi di Civita di Bagnorea si direbbero un enorme viadotto a doppia curva, di metri 250 di lunghezza e di solo metro 1. 50 di larghezza, con un’altezza di 15 o 20 metri. Il passarvi sopra dà le vertigini. Ma v’ha di peggio: lo stretto schienale che dai Ponticelli va a Sant’Antonio, e quello che prosegue da Sant’Antonio a Case Sodano, con un percorso totale di quattro chilometri, non è che una lamina verticale, detta gli sboccatovi su cui corre uno stretto sentiero, che si riduce spesso a meno di cin- quanta centimetri, di cui i frammenti franano continuamente. Ma la formazione delle lamine si osserva anche trasversalmente in uno stesso burrone. Dove il fenomeno è accentuatissimo è al Cavon Grande, che è attraversato da gran numero di tali tavoloni ad orlo seghettata, simili ad una decorazione da teatro, con dimensioni colossali. E ciò che ho chiamato valle a tavoloni o vallèe à coulisses. Una buona foto- grafìa di questo fenomeno si troverà nella mia comunicazione al Con- gresso di Vienna (Compte-rendu), onde non è il caso di ripeterla qui. Dopo quanto precede, si capisce come siano minacciati tutti i paesi situati sopra massi isolati di tufo, quando di sotto havvi l’ar- gilla scoperta o in procinto di scoprirsi. Le acque s’infiltrano dapprima nel tufo e lo demoliscono : se è poco coerente, asportandone meccani- camente le particelle; se è litoide, riempiendone le fessure e agendo aiutate dalle alternative di caldo e di freddo. Così, mentre i tufi in- coerenti presentano dolci pendii, quelli più o meno litoidi mostrano - 189 — appicchi prodotti dalle continue frane. D’altro lato, le acque asportano l’argilla sottostante, dividendosi in due parti : quelle che arrivano di- rettamente sui fianchi scoperti, grattano il basamento e lo impicco- liscono, così che il tufo superiore, mancando di sostegno, strapiomba e cade per frane successive; e le altre che filtrano attraverso i tufi, arrivano alla superfìcie dell’argilla e la lubrificano o l’ammollano. Nel secondo caso avvengono degli avvallamenti, nel primo il tufo supe- riore può muoversi in massa, producendosi frane assai più estese. Si vede quindi che vi sono due azioni demolitrici, dovute alla stessa causa. L’una lenta, ma continua; l’altra a intervalli molto irregolari, ma assai più intensa e in relazione con le pioggie più abondanti. Mentre dunque la distruzione è continua, fatale, può essere accele- rata e in pochi secondi avvenire completa. Dall’unica piattaforma, che riuniva Bagnorea, Civita, il Montione, il Pianale, Sant’Antonio, eco., le incisioni del suolo staccarono i primi massi rimanendone altri circondati per tre lati da burroni. Si ebbe così un primo stadio ( stato peninsulare). E il caso di Bagnorea, Cel- leno, Ci vitella d’Agliano, Civitella Cesi, Gallese eco. A poco per volta l’istmo si restringe, si assottiglia, fino a sparire, arrivandosi così ad un secondo stadio {stato insulare). E il caso di Orte *, Orvieto, Civita di Bagnorea. A questo punto la distruzione si rallenta di al- quanto; quantunque siavi ora un quarto lato scoverto, sul quale si esercita direttamente l’azione delle acque, la lamina freatica che ar- rivava, nello stadio precedente, dal suolo a monte, passando tra tufo e argilla, ora si trova interrotta, e non può continuare il suo cam- mino nell’interno del masso isolato, le cui acque freatiche sono ri- dotte a quelle poche che cadono direttamente sulla sua superfìcie e che sono anche diminuite dalle abitazioni e dai lastricati delle vie. Vice- 1 Orte e G-allese non sono nei Yulsini, ma nei Cimini. Sono però nella continuazione di una stessa regione geologica. Del resto il fenomeno che qui descrivo è generale nella Yalle del Tevere e dovunque si trovano realizzate le stesse condizioni del suolo di Bagnorea e d’Orvieto. 13 — 190 — versa, se qualche lavoro può fare l’uomo nello stadio precedente per frenare la distruzione, nessuno può più farne ora. Il masso si restringe e case, monumenti, intere vie cadono a fette successive, come sta av- venendo a Civita, come avverrà ad Orvieto, ove il ciglio del masso è a pochissima distanza da uno dei più importanti monumenti d’Italia, il Duomo d’Orvieto. Finalmente si arriva all’ultima tappa. Non resta più che un obe- lisco di pochi metri, come il Montione. Fra breve, sparito anch’esso, il sottostante mammellone d’argilla si andrà spianando, e delle antiche città non rimarrà nemmeno un testimone del suolo su cui sorgevano. Fermiamoci alquanto su Bagnorea. E evidente che i siti ove sor- gono questa borgata e l’altra di Civita, non è forse molto, formavano un sol poggio. I dilavamenti e le frane affinarono ed abbassarono sempre più la congiunzione, fino a scovrire le sabbie argillose sullo stretto passaggio. Negli ultimi tempi si è verificato questo fatto che avrebbe dovuto dar a riflettere ai bagnoresi: la frana risale verso la loro borgata. Le prime frane avvenute sotto Civita sono antichissime e l’abitato era più esteso in tutti i versi. Del municipio si vedono ancora i resti a Mercatello, accanto a poche case posteriori, a mezza via tra Bagnorea e Civita. Questa fu successivamente limata. Negli ultimi quarantanni credo non sia caduto che l’ospedale. Il vescovado e il seminario annesso si dovettero trasportare a Lagnorea, ove esu- larono anche le famiglie più agiate. Per quanto i bagnoresi che in- terrogai ricordano: a) 29 anni fa si produsse una frana immediatamente accanto a Mercatello, dal lato Nord dell’istmo. b) 24 anni fa avvennero altre frane più verso Bagnorea. c) 11-12 anni fa altra frana, poco distante da quella prodottasi 29 anni fa a Mercatello, si produsse dal lato di Bagnorea, lasciando un’incisione profonda molti metri, dalla stessa parte Nord. d) 7 anni fa all’ingresso di Bagnorea si produsse altra frana. e) 4 anni fa altra frana poco più giù della precedente, verso Mercatello. — 191 — Sulla frana (d) di 7 anni fa ebbi queste notizie. Da tre o quattro anni il suolo dell’istmo si era fessurato longitudinaln ente. Una di tali fessure da un anno si era allargata fino ad entrarvi un bastone. Una notte, nell’inverno di sette anni fa, si sentì una forte detona- zione che fece tremare le case e svegliò tutti. Un blocco di tufo (li- toide sopra, incoerente stratificato sotto) era crollato sopra 60 metri di lunghezza per 11 di larghezza massima e 6 di larghezza media, con almeno 30 metri di spessore. Totale 11,800 metri cubi, ossia oltre a 23,000 tonnellate. In quel sito era un largo prato, un tempo occu- pato da una chiesa, i cui resti attestano che la via doveva passare molto più a Nord, ove ora c’è il vuoto del burrone allargatosi. La chiesa era caduta da molti anni, il prato è franato dopo, e sullo stretto passaggio rimasto, non c’è che la stredella di Civita accanto ai resti della chiesa suddetta, i quali si addossano ad un masso più elevato e largo da 70 ad 80 metri. Una delle spaccature prodottesi prima del franamento di sette anni fa è ancora visibile, e ne prepara altri, poiché tra il 1899 e 1900 essa si era continuata verso Mercatello. Le mie notizie si fermano all’ultima mia visita del luglio 1901. Mi si disse che una nuova frana era avvenuta pochi metri più giù di quella di 7 anni fa. Ad occhio l’ho valutata di m. 50, lungo la via di Civita, per 3 di larghezza media, sopra una trentina di metri di pro- fondità. Totale 900 tonnellate. La via di Civita fu distrutta, e il pas- saggio ridotto a 2 o 3 decm., sotto i quali sono larghe fenditure. Si volle costruire nuovamente la strada, intagliandola a Sud del masso largo, come si disse, da m. 70 ad 80, e a Nord del quale passava la strada franata. E evidente quanto sia stata imprudente questa costru- zione in un suolo che non ha bisogno di essere maggiormente rifi- lato, perchè purtroppo si rifila da sè. Mi si disse difatti che le fen- diture verso Mercatello si erano allargate. Il poggio tra Bagnorea e Civita, che qualche secolo fa dovette avere una larghezza minima superiore a m. 50, ora è ridotta a m. 1.50 nel punto più depresso, ove le pareti quasi verticali sono state sostenute da due muri. A Mercatello, che trovasi poco più su di questo punto più de- 192 — presso, verso Bagnorea, si vedono i resti del municipio di Civita, come già si disse, e di un mulino. Gli archi delle porte sono di poco sollevati sul suolo, gli stipiti sono sepolti sotto Ja via. Ivi il suolo si è dovuto abbassare, più che oggi non appaia, e si dovette rialzarlo seppellendo parte delle rovine dei due edifìzi. Ciò nondimeno l’istmo conservò la forma incurvata, o si abbassò nuovamente dipoi, prima che sorgessero le 5 o 6 povere case attuali. Civita è condannata, ma le valli che fiancheggiano Bagnorea sono ancora discretamente imboschite e si potrebbe tentare, quan- tunque con ingenti spese, d’impedire una rovina maggiore. Invece qua e là si è cercato di aprire qualche cava, altrove di seminare il grano o piantare la vigna, o in ogni caso è sempre la folle demolizione degli alberi. E le frane sono subito apparse, e di fronte alla borgata, sui fianchi opposti delle due valli, le gialle pareti a picco, per ora nel tufo, interrompono il verde della macchia con larghe chiazze, su cui la rovina è continua. £ terreni sedimentari sotto le formazioni vulcaniche. Nei Yulsini, come nei Cimini, i terreni più antichi che finora ho riconosciuti, almeno sulla parte orientale del Lago di Bolsena, ap- partengono all’Eocene. Mentre al confine con la regione, costituiscono strati di calcare, qui sono straterelli di arenarie di alcuni centimetri di spessore, intercalati con scisti marnosi. Appariscono sotto l’Intavo- lato, presso la ferrovia, a N.N.E di Castiglione in Teverina, ed hanno pendenza fino a 20°-30°, diretta in generale a N.E. In questa località, al disopra delIEocene si vede l’argilla pliocenica e quindi, ancora più su, sono ghiaie (contenenti poche augiti nella sabbia commista), sabbie e calcari fossiliferi \ Finalmente il quaternario, con tufi, lave, are- 1 Questi calcari si ritrovano 700 metri più a Sud a Cacciavabbe e sono si- mili a quelli di Villa Ravicini, presso Viterbo, descritti da Di-Stefano e da me (Boll. Com. geol., 1899, n. 4). Anno 1904. Tav. IV. (V. Sabatini) Il r. Comit. geol. d’Italia. CARTA GEOLOGICA RIASSUNTIVA DELLA PARTE ORIENTALE DELLA REGIONE VULSINIA XjZEGa-ZEISriDJL r \Sabbie Inai stri, alluvioni inviali recenti . I Lave. ÌTvfo litoide. ^Travertino. ' \ Alluvioni e detriti dei monti. J | | | Argilla. Calcari e scisti argillosi. H Calcari. « Frammenti di recinti craterici (sfoglie) ancora riconoscibili. — 193 — narie con elementi vulcanici corona la serie. Lembi di travertino, po- steriori allo scavamento della valle del Tevere, si vedono poggiare sui fianchi dell’argilla pliocenica. A Castellunchio, presso Orvieto, sull’argilla pliocenica, trovasi poca sabbia pliocenica del pari, e quindi le ghiaie, cementate parzial- mente, con ciottoli lavici e strati di tufo intercalati e sottostanti. Il travertino copre ogni cosa. Nelle parti più alte e più sabbiose delle ghiaie suddette resti di Vermetics intortus , Pectenì Ostrea indicano la spiaggia. Queste, ed altre sezioni che darò a suo tempo, mostrano che nei Vulsini, come nei Cimini, si arriva alla stessa conclusione che dette 10 studio del Vulcano Laziale, e cioè che le prime eruzioni avvennero quando il mare non si era completamente ritirato nei limiti attuali, ma risaliva le valli del Tevere e del Paglia fin presso Orvieto. In quell’epoca però, la regione Cimina, al pari delle altre regioni vulca- niche, a Sud e a Nord, doveva essere già /emersa, perchè in essa, escluse le parti periferiche, come quelle verso il Tèvere e qualche suo affluente, non si trovano conglomerati con elementi vulcanici, ma, nelle parti centrali, dall’argilla e dalla sabbia del Pliocene, si passa direttamente ai tufi e alle lave. Sulla Carta geologica riassuntiva della parte orientale della Re- gione Vulsinia, che qui presento, e dove si vedono rappresentate le grandi divisioni delle varie formazioni, appare che dopo le vulca- niche quelle che hanno maggiore estensione sono, prima di tutte, l’argilla pliocenica, quindi le alluvioni quaternarie e il travertino. L’argilla dai pressi di Bagnorea, di Celleno, di Santa Maria di Ma- gugnano si estende fino al Tevere, continuando sulla parte opposta della valle. I conglomerati quaternari contornano spesso le penisole di tufo. Il travertino si associa frequentemente a tali conglomerati o 11 sostituisce, come del resto avviene anche in molti altri luoghi della valle tiberina, a Orte, Gallese, Borghetto, ecc. Il basso quater- nario della stessa valle, invece* che di conglomerato è generalmente costituito da terra e da detriti posteriori dei monti che la fiancheggiano. 194 - A poco più di chilometri 1. 5 di distanza a S.E di Civitella di Agliano, nel travertino del fianco destro del fosso della Calcinara, tro- vasi una caverna scavata dalle acque dentro il calcare, e che all’in- terno mostra il solito aspetto delle grotte stalattitiche. Le sue di- mensioni non sono grandi, ma l’esplorazione vi è alquanto disagiata, sia per l’apertura bassissima d’ingresso, che obbliga ad entrare car- poni, sia pel franamento continuo della volta. Determinazioni di fossili eseguite dal dott. G. Di-Stef&no. Nei primi tufi grigi sabbiosi, al di sopra del conglomerato di Bo marzo, una difesa di Eleplias; altre difese simili e corna di cervi nei tufi dei dintorni di Grotte Santo Stefano. Un femore di Eleplias si rinvenne nelle ghiaie presso Civitella d’Agliano e un dente di Equus nel basso corso della Vezza, eco. Molti giacimenti di diatomee si tro- vano nella regione, specialmente intercalati ai tufi delle località al confine tra la regione stessa e quella dei Cimini. Notevoli sono i giacimenti di tripoli presso Magugnano, per la bontà e la purezza del materiale. Do qui l’elenco dei fossili da me rinvenuti nelle argille più o meno sabbiose del Pliocene, secondo le determinazioni fatte dal dottor Di-Stefano, meno poche, dovute al dott. S. Scalìa. Specie. Ceratotrochus dnode cinico status Goldf. sp. Terebratula ampnlla Br. sp. Rhynchonella bipartita Br. sp. Ostrea lanellosa Br. » cochlear Poli Anomia ephippium L., Località. Orvieto (Camorena) , Castiglione in Teverina (Cacciavabbe). Orvieto (Boccaccia), Castiglione in T. (Cacciavabbe). Castiglione in T. (Cacciavabbe). Orvieto (Camorena e sotto San Gre- gorio, sulla strada di Perugia). Castiglione in T. (Cacciavabbe). Orvieto (Camorena), Castiglione in T. (Cacciavabbe). Orvieto (sotto S. Gregorio). Hinnites cri s pus Br. sp. 195 ffinnites bifrons Sim. Pecten Jacobaens L. sp. » flabelliformi s Br. sp. » Alessii Ph. Chlamis opercularis L. sp. » scabrella Link. sp. » inflexa Poli sp. » (Peplum) Estlieris Crema » snbclavata Cantr. sp. Ammiissium cristallini Br. sp. Pinna tetragona Br. sp. Arca (. Anadara ) dilnvii Lmk. » (Barbatià) lactea L. Limopsis anrita Br. sp. Elidila piacentina Lmk. sp. Cardila cicnleata Poli sp. Pectnnculns pilosns L. sp. » violacescens Lmk. Veneri cardi a rhomboidea Br. sp. » silicata Brug. sp. » intermedia Br. sp. Chama griphoides Lmk. Meretrix' Chione Lmk. sp. Venns mnltilamella Lmk. sp. » plicata Gml. , var. pliocenica De Stef. Corbula gibba 01. Mactra snbtrttncata Da Costa sp. Caduliis ovnlnni Ph. sp. Dentalium sexangulnm Lmk. » recta L. sp. Orvieto (sotto S. Gregorio). Orvieto {Camorena e Tordimonte), Castiglione in T. (Cacciavabbe). Orvieto (sotto S. Gregorio). Orvieto (Camorena e sotto S. Gregorio). Orvieto (Camorena, Tordimonte, sotto S. Gregorio). Orvieto (Camorena), Castiglione in T. (Cacciavabbe). Orvieto (Camorena), fosso di Casti- glione in T. Bomarzo (fosso del Boccio), ponte Cel- leno (verso Roccal vecce), fosso di Castiglione in T., dintorni di Orvieto, Civita di Bagnorea (Cavon grande). Dintorni di Celleno. Orvieto (Boccaccia). Orvieto (Camorena). Orvieto (Camorena, Tordimonte). Castiglione in T. (Cacciavabbe). Orvieto (Camorena, Boccaccia), fosso eli Castiglione. Orvieto (Camorena, Tordimonte, sotto S. Gregorio). Orvieto (Boccaccia). Orvieto (Camorena, Boccaccia, Tordi- monte, sotto S. Gregorio). Orvieto (Camorena). Orvieto (Tordimonte). Orvieto (Camorena). Orvieto (Camorena), Castiglione in T. (Cacciavabbe). Castiglione in T. (Cacciavabbe). Orvieto (Camorena, Tordimonte, Boc- caccia). Orvieto (Camorena). Dint. di Celleno, Castiglione in T. (Cacciavabbe). Dintorni di Celleno. Fosso di Castiglione in T. Dint. di Celleno, Orvieto (Camorena, Tordimonte, Boccaccia), fosso di Castiglione in T. Dintorni di Celleno. — 196 — Dentalium Philippii Montrs. sp, Astralinm ( Bolma ) viigosnm L. sp. Turritella vermicularis Br. sp. » tornata Br. sp. » subangulata Br. sp. e var. » tricarinata Br. sp. » communis Risso » triplicata Br. sp. Verinetus intortas Lmk. » Deshayesi Mayer Natica [Neverita] Josephinia Risso » (Nacca) millepunctata Lmk. >> helicina Br. sp. Ceritìiinm vnlgatnm Brug. » vari cosum Br. sp. » crenatum Br. sp. Strombus coronatus Defr. Triton ( Simpulum ) apenninimm Sassi Ranella {Aspa) marginata Mort. Nassa serrata Br. sp. » clathrata Br. sp. » reticulata L. sp. » semistriata Br. sp. » italica Mayer Eutimia cornea L. sp. Mitra ( Turricula ) pliccitula Br. sp. » scrobiculata Br. sp. Dintorni di Celleno, Orvieto (Camo- rena, Tordimonte), fosso di Casti- glione in T. Orvieto (Roccaccia). Castiglione in T. ( Cacciavate e). Orvieto (Tordimonte, Camorena, San Gregorio), Castiglione in T. (Caccia- vabbe). Orvieto (Tordimonte, Camorena, San Gregorio). Dintorni di Celleno, Castiglione in T. (fosso omonimo e Cacciavabbe), Ci- vita di Bagnorea (Cavon grande), Orvieto (Roccaccia). Dintorni di Celleno. Orvieto (Roccaccia). ;> » Orvieto (Camorena), Castiglione in T. (Cacciavabbe). Castiglione in T. (Cacciavabbe). Orvieto (Camorena). Orvieto (Camorena, Tordimonte, Roc- caccia, S. Gregorio), Castiglione in T. (Cacciavabbe). Dintorni di Celleno, fosso di Casti- glione, Civita di Bagnorea (Cavon grande). Orvieto (Camorena, Tordimonte, San Gregorio). Orvieto (Camorena, Tordimonte). Orvieto (S. Gregorio). Orvieto (Camorena, S. Gregorio). Orvieto (S. Gregorio). Orvieto (Camorena, Tordimonte, San Gregorio). Orvieto (Camorena). Dintorni di Celleno, fosso di Casti- glione in T., Civita di Bagnorea (Cavon grande). Idem, idem, idem, e Orvieto (Camo- rena, Tordimonte, Roccaccia). Orvieto (Camorena, Tordimonte). Orvieto (Camorena}. » » — 197 — Cancellarla cancellata L. sp. Tenebra (. My tirella ) Basteroti Vyst Conns ponderosns Br. sp. Genotia {Dolichotoma) cataphracta Br. sp. Clavatula interrnpta Br. sp. » romana Defr. sp. » rugata Bell. Pleurotoma turricula Br. sp. Drillia seiuncta Bell. » obeliscns Desm. Surcula intermedia Brónn sp. Bingicula conformis Montrs. Orvieto (Camorena, Tordimonte, San Gregorio). Orvieto (Camorena). Orvieto (Camorena, San Gregorio). Orvieto (San Gregorio). Orvieto (Camorena). Orvieto (Camorena, Tordimonte). Orvieto (Camorena, San Gregorio). Orvieto (Camorena). Orvieto (Boccaccia). Ad Orvieto e a Cacciavabbe (Castiglione) si trovano calcari sab- biosi con ghiaie di Pliocene littorale. Invece nel fosso di Castiglione e a Civita di Bagnorea sono argille di mare più profondo. Anche a Castel Viscardo facemmo col dott. Di-Stefano raccolta di fossili, che poi lo stesso Di-Stefano determinò come segue: Balanus sp. . , Chlamgs scabrella Lmk. sp. / Pecten flabelli formis Br. sp. i Modiola adriatica Lmk. Ostrea sp. Pecten Jacobaens L. sp. » flabelliformis Br. sp. Chlamgs scabrella Lmk. sp. » opercularis L. sp. Pectiincnlus pilosns L. sp. ) Nncula piacentina Lmk. I Venericardia intermedia Br. sp. \ Dentalium sexangulum Sdir. Turritella subangulata Br. sp. » tornata Br. sp. j Dentalium sexangulum Sdir. » striatimi Pii. 1 Turritella subangulata Br. sp. I Natica sp. Pecten ( Amnssinm ) cristatus Br. Arca {An ad ara) diluvii Lmk. I Nucula piacentina Lmk. j Corbula gibba 01. Vei tufi calcarei fossiliferi al podere Santa Maria, a Sud di Castel Vi- scardo e ad Ovest di Viceno. Velie sabbie argillose, a livello più alto del cimitero occidentale di Monte Bubbiaglio (il quale ha due cimiteri). Velie argille plioceniche presso il po- dere San Giovanni (a S.O di M. Bubbiaglio). — 198 Nelle argille a Nord di Bardano (Orvieto), a livello della C. Bassa, trovansi altri pettini. Altra argilla marina gremita di Modiola (forse la M. adriatica Lmk.) si trova sulla rotabile, sotto il cimitero di Castel Yiscardo. Si è qui in alto della formazione pliocenica, a livello dei conglomerati superiori; sopra vengono pochi tufi e quindi la lava. Marzo, 1904. ILI. P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vul- cani Vulsini . ( Continuazione e fine; vedi N. 1). Bocche eccentriche. Ho lasciato per ultimo il vulcanetto di Radicofani e gli altri due che seguono perchè essi, per la loro distanza, non si possono ritenere appartenenti piuttosto all’uno che all’altro dei quattro centri eruttivi descritti, ma sembra che siano manifestazioni vulcaniche eccentriche della Regione Vulsinia in generale. 90. Cono di Radicofani. — Questo importantissimo vulcanetto ec- centrico è situato in linea retta a circa 26 chilometri a N.NO del lago, su l’intersezione di due linee di frattura dei Vulcani Vulsini; la prima è quella segnata dai tre vulcanetti eccentrici del Vulcano di Latera: Monte Calvo, Vallecupa e Monte Rosso; la seconda, assai più impor- tante, è quella segnata dal Monte Jugo, dal cratere di Fiordine, dai crateri di Montefìascone, dal cratere Vulsinio e da Radicofani. Però l’opinione che Radicofani appartenga ai Vulsini è combattuta dal De Stefani 1 e dal Mercalli 2, il quale ultimo ritiene Radicofani ap- partenente al gruppo del Monte Amiata, che nella la fase avrebbe emesso lave acide (65. 89 per cento di silice) ossia trachitiche ; nella 2a fase, l’asse essendosi spostato di qualche chilometro, sarebbero venuti fuori materiali meno acidi (53 a 55 per cento di silice) ossia doleriti ed andesiti oliviniche, e con l’ eruzioni di Radicofani si sarebbe estinta l’attività vulcanica nella regione amiatina. Il Savi crede invece che questa bocca eruttiva isolata si debba unire ai Vulcani Vulsini, ed anch’io sono di questa opinione, abbenchè riconosca che fra le tante ragioni che si possono addurre prò e contro questa tesi, non ve n’è alcuna che risolva definitivamente la questione nell’uno o nell’altro senso. E vero che il vulcanetto di Radicofani appartiene alla categoria dei vulcani stratificati come i Vulsini, mentre il Monte Amiata ap- partiene a quella dei vulcani omogenei; ma sappiamo quanta piccola sia la differenza fra le due forme vulcaniche, e come essa dipenda unicamente da una causa accidentale che, esistente oggi, può essere- rimossa domani. L’intervento o meno d’una massa d’acqua conside- revole determina l’una o l’altra forma vulcanica. Da qui l’esistenza di vulcani misti, stratificati ed omogenei, dei quali anche in Italia ab- biamo bellissimi esempi. Nel gruppo dei Campi Flegrei, ad es., in mezzo al cratere degli Astroni, costituito di tufi stratificati, si è elevato un cono omogeneo di trachite alto 66 metri. Nel centro del vulcano stra- tificato di Roccamonfina, si eleva la cupola andesitica del Monte Santa Croce. Su una punta dell’Isola Capraia, in mezzo ad un vulcano omo- geneo, esiste un piccolo vulcanetto stratificato. Che più, nei Vulsini stessi abbiamo veduto delle bocche eruttive che si avvicinano più ai vulcani omogenei che non a quelli stratificati, sviluppatesi sopra a 1 C. De Stefani, I vulcani spenti dell’ Appennino settentrionale. (Boll, della Soc. Geologica ital., Yol. X, fase. 3°). Roma, 1902. 2 G. Mercalli, Le lave di Radicofani. (Atti Soc. ital. di Se. nat., Voi. XXX). Milano, 1887. — 200 — grandi edifìci vulcanici stratificati. Quindi anche il vulcano omogeneo del Monte Andata, potrebbe avere il suo vulcanetto eccentrico stra- tificato. Nè la diversità delle lave nelle due manifestazioni vulcaniche, può servire di base alla separazione dei due punti eruttivi, poiché negli esempi citati abbiamo visto che la lava del vulcano omogeneo è sempre diversa da quella del vulcano stratificato, e nei Vulsini stessi, che da un medesimo centro eruttivo sono uscite lave differenti e con una cronologia affatto opposta a quella d’un altro centro immediata- mente vicino. La maggior vicinanza poi di Radicofani all’Andata che non ai Vulsini, è assolutamente favorevole all’unione del vulcanetto stratifi- cato al vicino grande vulcano omogeneo. Però tutte queste ragioni non escludono neppure che Radicofani possa far parte del sistema vulcanico Vulsinio, mentre ve n’è qualche altra che consiglia di unirlo a questo: come ho già notato, questo punto eruttivo si trova su l’intersezione di due allineamenti di edifizi vulcanici Vulsini che segnano forse due fratture; circostanza che va tenuta nel debito conto, poiché quand’anche non si volesse dare im- portanza all’allineamento dei tre vulcanetti eccentrici del Vulcano di Latera, perchè quella probabile frattura potrebbe non estendersi fino a Radicofani, resta sempre la frattura segnata dalle bocche del Vul- cano di Montefìascone allineate con Radicofani. D’altra parte, nella Regione Vulsinia abbiamo riconosciuto altri cinque vulcanetti isolati ed eccentrici più o meno distanti dalle bocche principali, dei quali tre specialmente si presentano nelle identiche condizioni di Radicofani; quindi non vi è nessuna ragione per non comprendere anche questa bocca eruttiva fra le manifestazioni eccen- triche dei Vulcani Vulsini, sol perchè si trova distante dalie bocche principali qualche chilometro più delle altre. E poi, che ne sappiamo noi se il Monte Amiata è più antico o più recente dei Vulcani Vulsini? E mancando questo dato importan- tissimo, come si fa a stabilire un ordine cronologico fra le eruzioni - 201 — dei due centri eruttivi? Con i dati che si hanno finora non è possi- bile stabilire quale dei due centri sia il più antico, perciò in queste condizioni ogni discussione sarebbe oziosa, poiché non potendosi sa- pere se i due centri sono contemporanei o quale dei due siasi estinto prima, tanto meno si potrà dire a quale dei due centri appartenga la bocca secondaria di Radicofani. Se preferisco l’opinione del Savi, l’ho già detto, si è perchè trovo Radicofani su la direzione di linee di frattura dei Vulcani Vulsini, e perchè questi ultimi hanno altre bocche eccentriche simili a quella di Radicofani, per cui mi sembra logico che anche questa debba esser compresa con quelle, dalle quali differisce soltanto, per qualche chi- lometro di maggiore distanza dalle bocche principali. Di questo piccolo cono, elevantesi a 897 metri sul livello del mare, in mezzo alle argille del Pliocene superiore, a quasi 7 chilo- metri in linea retta dalla falda orientale del Monte Amiata ed a 26 dal lago Vulsinio, resta ben poco: è costituito di lava che rovescia- tasi dalla sommità del cono ha dilagato tutt’attorno. Diverse sono le colate emesse da questa bocca eruttiva, le quali sovrapposte formano un potente strato di basalto e di andesite: alcune di queste lave hanno un’apparenza recentissima, altre sembrano più antiche ; alcune altre più acide sono alquanto alterate, e nell’insieme della massa la- vica predomina la forma scoriacea, specialmente dalla parte della grande frana ad Est. Tanto nella lava che nella scoria, rinviensi ab- bondantemente del quarzo allo stato vetroso, trasparente, incolore, leggermente affumicato od ametistino; sono pezzi informi alle volte abbastanza grandi, a frattura concoide, nei quali però non si ravvisa neppure lontanamente una qualsiasi forma geometrica, racchiusi entro cavità della lava. Le colate riposano, come ho detto, su le argille plioceniche, che scivolando continuamente per la incessante erosione prodotta nelle valli che attorniano la collina di Radicofani, hanno dislocato, frantu- mato e trasportato a grandi distanze i frammenti delle colate sopra- stanti ; ora resta soltanto attorno al cratere una relativamente piccola parte delle colate, che formano uno strato d’una potenza rimarche- vole, parte destinata anch’essa poco a poco a franaree sperdersi. Per questo fatto l’argilla pliocenica della collina di Radicofani è dissemi- nata di blocchi e ciottoli di lava che da un aggio meramento, massimo in prossimità del cono, irradiano da esso con diradamento uniforme in ragione della distanza. Questa zona di materiali detritici vulcanici si estende da Radicofani per 6 chilometri a Nord, 3 a Sud, 2 e mezzo ad Est, 3 ad Ovest, e per legge fisica dovrà seguitare finche non abbia raggiunto le valli sottostanti. In tutta la regione non vi è traccia nè di tufi nè di lapilli, ed è questo un fatto caratteristico, comune a tutti i vulcanetti eccentrici dei Vulsini: se negli altri più prossimi al centro ed al contatto con depositi di materiali provenienti da altri punti eruttivi, s’indovina soltanto mercè deduzioni logiche, qui a Radicofani resta invece sicu- ramente provato dalle osservazioni dirette. Il piccolo cratere che doveva esistere su la sommità del conetto non è più visibile perchè al suo posto ^ venne anticamente costrutto un grandioso castello feudale del quale ancora si ammirano i ruderi ; l’esistenza però del cratere in questo punto è rivelata dalla presenza di scoria rossa che trovasi al disotto del castello, entro la quale ap- punto furono scavati i sotterranei del medesimo. La storia di questo interessante castello, anticamente chiamato Castrum de Radico f ano, il quale appartenne successivamente all’ Ab- badia di San Salvatore del Monte Amiata, ai Papi, al famoso Gfhino di Tacco ed alla Repubblica di Siena, meritererebbe un apposito capitolo se ciò non fosse contrario affatto all’indole del presente scritto. Dal castello di Radicofani provengono tre tipi di scoria, uno dei quali è di color rosso-mattone intenso, bollosa e leggerissima ; un altro è identico a questo ma di colore più chiaro ; l’ultimo è di una scoria basaltica, color grigio-ferro con riflessi rossastri. Dalla massa andesitica furono presi i seguenti campioni: della lava color grigio-rossastro con molti e piccoli cristallini di sanidino, la di cui pasta è minutamente punteggiata in nero; questa varietà è — 203 vacuolare ma con poche cavità e fortemente stirate nel senso della direzione della colata, che spesso sono rivestite da quarzo vitreo, tra- sparente, leggermente affumicato od ametistino. Un altro campione di andesite pure grigio-rossastra, è minutamente punteggiato in nero, compatto, pesante, contiene anch’esso delle geodi con quarzo. Un campione di lava vacuolare di color grigio-cenere scura, minutamente punteggiata in bianco, contiene geodi con quarzo incoloro. Altro campione color grigio-cenere chiara, compatto, ma nella pasta lavica minutamente punteggiato in bianco vi sono delle geodi con quarzo vitreo leggermente affumicato od ametistino. Un campione di ande- site rosso-scuro con macchie nero-verdastre, compatta, pesante, pun- teggiata in nero, contiene delle geodi con quarzo leggermente colorato come sopra. Un campione di color rosso-violaceo, compatta, dura, pesante, a frattura scagliosa, è abbondantemente disseminata di pic- coli cristalli di augite e di una punteggiatura minutissima di feldi- spato vitreo. Un altro campione è simile al precedente, ma di colore più chiaro e con assai meno augite. Altro campione di lava è grigio- chiara, compatta, a frattura scheggiosa, con rari cristalli di feldispato. Altro campione simile al precedente è di colore più scuro. Un altro campione è di andesite nera, cavernosa, nella quale alcune delle cavità sono tappezzate di quarzo vitreo, leggermente colorato come sopra. Altro campione di lava vacuolare, color grigio-scuro quasi nero, che fa passaggio alla scoria rossa, nella quale le cavità sono tappezzate da sostanza grigio-chiara o giallastra. Altro campione simile al pre- cedente è di color nero ed ha i meati più piccoli. Un ultimo campione è di lava vacuolare scura quasi nera attraversata da zone bianche e grigie. Un campione di basalto, è una lava vacuolare grigia con dei pezzetti di quarzo vitreo, probabilmente diffuso pure nella pasta. Altro campione è di color grigio-scuro, compattissimo con piccolissimi cristallini vitrei, forse di quarzo. Un altro campione è simile al pre- cedente ma a grana finissima e di color nero-piceo. Un campione di basalto è di color nero, compatto, ruvido, disseminato di punteggia- tura bianca e grigia. Un campione di basalto olivinico, è una roccia nera compatta, pesante, cristallina, a frattura scagliosa. Un campione di basalto do- leritico, è una lava simile alla precedente, ma contiene concentrazioni di una sostanza grigio verdastra. Un campione di basalto peridotifero, è una lava scoriacea, di color grigio-piombo, con punteggiatura car- nicina. 91 e 92. I vulcanettì di San Venanzo. — Il villaggio di San Ve- nanzo, situato su la strada Orvieto-Perugia a circa 45 chilometri in linea retta a N.E del lago Vulsinio, è situato sopra un piccolo cono vulcanico di forma irregolarmente ellittica, il di cui asse maggiore misura circa 1000 ed il minore 500 metri: a Sud del cono ed alla di- stanza di un chilometro da esso, havvi l’altro craterino di Pian di Celle. Le due piccole bocche eruttive sono costituite da lapilli cemen- tati, e su la parte occidentale della cinta craterica di Pian di Celle, osservasi una colata di melilite leucitica con olivina. A me è mancata l’opportunità di visitare questa località come ne avevo vivissimo desiderio, ed i dati qui sopra citati li tolgo dalla descrizione che ne ha fatto l’ing. Sabatini 1 : pure non dubito affatto che le due piccole bocche eruttive siano manifestazioni eccentriche dei Vulcani Vulsini non solo, ma sono d’opinione che molto proba- bilmente ve ne possano essere altre ancora sconosciute. Nel fare lo studio dei Vulcani Vulsini, avevo notato come sol- tanto da Est era interrotta la corona di vulcanetti eccentrici che circondano questo grandioso gruppo vulcanico, e questa interruzione non mi pareva logica e non sapevo a che cosa si potesse o si dovesse attribuire, sicché quando l’ing. Clerici con le sue comunicazioni alla Società geologica, mise in evidenza queste due bocche eruttive e richiamò l’attenzione su di esse, non esitai a dichiarare che le mede- sime dovevano evidentemente appartenere al sistema Vulsinio: oggi 1 V. Sabatini, I vulcani eli San Venanso. Roma, 1899. — 205 — Tyy dopo la descrizione che ne ha fatto il Sabatini, sono convinto più che mai di questa verità. Infatti, la descrizione che esso fa dei vul- cani di San Venanzo e quelle contenute nella presente memoria dei vulcanetti eccentrici di Torre Alfina e Monte Rosso, rivelano la loro identità di caratteri, e perciò la loro origine comune. La scoperta dei vulcani di San Venanzo ha colmato una lacuna, ma l’anello non è chiuso ancora ed io credo che il piccolo vulcanetto dì Santa Rufina, villaggio situato ai piedi del Terminillo nel circon- dario di Cittaducale (provincia di Aquila) a S.E dei Vulcani Vulsini, malgrado la sua maggior distanza, possa appartenere alla corona di vulcanetti eccentrici che circonda il grandioso gruppo vulcanico Vul- sinio. Non mi dilungo di più su la descrizione di queste bocche erut- tive, e su la lava speciale ivi rinvenuta perchè dovrei copiare la descrizione fattane dall’ing. Sabatini, alla quale perciò rimando il lettore. Nel Vulcano di Bolsena le ultime tracce di attività vulcanica sarebbero segnate dalle diverse sorgenti di acque acidule e ferrugi- nose che si trovano nei dintorni di Bagnorea; dalla sorgente salata che trovasi nel fosso appunto detto dell’Acqua Salata, fra Sermugnano e Castiglione in Teverina; dalla sorgente ferruginosa nel fosso di Ar- lena presso Bolsena ; dalle sorgenti di gas solfidrici e dalie sorgenti di acqua ferruginoso-magnesiaco-solfurea di Torre Alfina; e da ultimo dalle acque termali di Acquapendente: probabilmente ve ne saranno altre ignorate, ma lo studio dettagliato della regione le farà scoprire. Nei dintorni di Radicofani, giù nella valle dell’Orcia vi è la sor- gente termale solfurea dei Bagni di San Filippo, che ha formato attorno a sè un piccolo giacimento travertinoso. Altro piccolo gia- cimento di travertino trovasi attorno al Bagnacelo nella pianura di Viterbo; un altro piccolo deposito rinviensi nella località dove esi- steva l’antica Ferentum , ed altro maggiore al vicino Pian di Mugu- gnano, a S.O di Grotte Santo Stefano ; altro assai più importante per 14 206 — la sua estensione rinviensi lungo il tracciato della ferrovia Montefìa- scone Attigliano, fra la Regione Fornaciaccia e il Pian della Colonna ; finalmente altri più piccoli a Castiglione in Teverina, a Castellucchio ed a Tordimonte, quest’ultimo però ricoperto da tufi e lave per cui vedesi soltanto in sezione su i fianchi della collina. I tufi dei Vulcani Vulsini. Nella mia memoria su i Vulcani Sabatini 1, trattando dei tufi fa- cevo osservare come non essendovi ancora uno studio completo ge- nerale dei tufi della Campagna Romana, riesce assai difficile parlare di essi, dei loro rapporti e della loro genesi in modo preciso ed esau- riente, poiché il ragionamento non può avere per base che delle ipotesi o degli studi parziali fatti per scopi diversi. Su la genesi dei tufi riassumevo i pareri assai disparati di Ponzi, Mantovani, Brocchi, Pa- reto, Rusconi, Degli Abbati, Stoppani, Verri, Meli, Giordano e Clerici. Abbenchè la mia Memoria dati soltanto dal 1896, pure in così breve tempo, le scoperte sempre più interessanti che il Clerici ha continuato a fare di depositi tripolacei e diatomeiferi in tutti i tufi della Cam- pagna Romana, irradiano nuova luce su la genesi di questi materiali e permettono di fare un passo avanti nello studio dei medesimi. L’alternarsi di materiali vulcànici con banchi contenenti fossili d’acqua dolce o salmastra, ma prevalentemente dolce, prova che la maggior parte di questi tufi debbono essere sub -acquei: però anche questa espressione non ha più il significato che le si voleva dare una volta, poiché non si tratta più di materiali proiettati in mare, ma caduti invece entro uno o più grandi laghi, ridotti poi assai presto in tanti piccoli stagni, paludi od anche semplici pantani, separati da tratti di superfìcie emersa, cosicché i prodotti della stessa eruzione 1 P. Moderni, Le bocche eruttive dei Vulcani Sabatini. (Boll. R. Coni, geo!., Voi. XXYII). Roma, 1896. — 207 — deponendosi a poca distanza gli uni dagli altri, formavano contem- poraneamente tufi sub-aerei e tufi sub -acquei. D’altra parte le osservazioni da me fatte su i tufi dei Vulcani Vulsini, dimostrano che spesso gli aerei sono facilmente riconoscibili per la stratificazione caratteristica che presentano, dovuta alle ero- sioni verificatesi nei loro strati fra un’eruzione e l’altra ; i tufi che costituiscono il ciglio del grande cratere di Latera, ci offrono uno splendido esempio di questo fatto, il quale si osserva pure quasi così caratteristico su la rotabile che da Civitella d’Agliano, passando fra Castel Cellese e Celleno, viene a raggiungere la strada per Viterbo, e meno distintamente in altre località. Non sempre però i tufi aerei, sia per la località ove si erano deposti, sia perchè la loro deposizione non fu accompagnata o seguita da conflagrazioni violente, poterono essere profondamente intaccati nella loro giacitura dalle pioggie eru- zionali, e perciò non da per tutto si può avere quest’elemento delle irregolarità stratigrafiche, per distinguere i tufi sub -aerei dai sub- acquei. Lo stato di cementazione maggiore o minore dei tufi, serviva una volta quasi esclusivamente di guida per stabilire se questi erano sub- acquei o sub-aerei, e per un pezzo si ritenne che i tufi così detti litoidi dovessero la loro forte coesione all’essere caduti appunto in seno alle acque. Ma dopo essere stato accertato che i peperini di Al- bano, dei Sabatini, quello specialissimo del Cimino e l’altro di Mon- tefiascone, sono rocce sicuramente sub- aeree, malgrado la loro non comune compattezza e coesione, questo criterio fu scartato comple- tamente e di esso non si può più tener conto quando si vuol sapere se un tufo si è deposto all’asciutto o nell’acqua. Ed infatti nei numerosi, profondi e pittoreschi burroni che sol- cano tutta la regione vulcanica, dai confini della Toscana a Roma, è facile vedere come in ogni parte, a strati di tufo litoide siano in- differentemente intercalati sopra e sotto tufi terrosi , con replicate ri- petizioni delle serie. Se i tufi litoidi si fossero veramente cementati in seno alle acque, a spiegare questo intercalamento di tufi terrosi fra i litoidi, si dovrebbe supporre che ogni singolo punto di tutta la grande zona vulcanica romana, si fosse sollevato ed abbassato tante volte, quanti sono gli strati di materiali sciolti o lapidei intercalati in quel punto. E badisi che qui non si tratterebbe del fenomeno del tempio di Serapide a Pozzuoli, ma di una specie di ballo generale di San Vito da cui sarebbe stata afflitta tutta la superfìcie della grande zona, poiché questi intercalamenti di materiali compatti ed incoerenti, si riscontrano ad altezze diverse e con disposizioni che variano spesso fra punti vicinissimi ; sicché si dovrebbe ritenere che a brevissima di- stanza di un punto che si elevava, l’altro si abbassava e viceversa. "Unendo assieme i rinvenimenti di diatomee tatti dal Clerici e le mie osservazioni su la tettonica dei materiali vulcanici nella zona ro- mana, si viene invece alla conclusione che vi sono tufi aerei terrosi e litoidi, come delle due qualità ve ne sono pure di sub-acquei : in- fatti, nelle numerose sezioni naturali studiate dal Clerici, egli trovò i suoi depositi diatomeiferi interposti indifferentemente a tufi terrosi ed a tufi litoidi ; mentre dal canto mio nei burroni di Monte San Magno, che è la parte orientale di cono del grande cratere di Pa- tera, ho trovato fra banchi di scorie fortemente rialzati verso la som- mità deìl’edifizio, e con essi concordanti, anche strati abbastanza po- tenti di quel tufo litoide giallognolo, con piccole pomicine dello stesso colore e frammentini di lava, così comune nei Vulcani romani e na- poletani. A Monte San Magno questo tufo è evidentemente aereo, ma la stessa qualità si trova in altre località, nelle quali il Clerici rinvenne i giacimenti tripolacei e diatomeiferi. Non vi è quindi nes- suna regola per distinguere a colpo d’occhio le due qualità di tufo e questo lo si potrà facilmente soltanto laddove la forte inclinazione degli strati o le loro irregolarità statigrafìche riveleranno i tufi aerei, o quando nelle sezioni naturali, le sottili zone bianche dei depositi lacustri, accuseranno l’origine sub acquea dei materiali in mezzo ai quali si trovano. Come nei tufi del Vesuvio e del Vulcano Laziale, si rinvengono frammenti di calcare cretaceo, nei tufi dei Sabatini frammenti di — 209 — calcari cristallini eocenici, che rivelano approssimativamente in mezzo a quali rocce si è formato il focolare vulcanico, così, come ebbi già a notare, nei tufi dei Yulsini, e specialmente nella parte occidentale della regione, si rinvengono abbondanti frammenti di arenaria eocenica, più raramente frammenti di serpentino e di cal- cari marnosi pure dell’ Eocene. Nenfro. — - Il tufo litoide più antico dei Vulcani Vulsini è un tufo trachitico di colore assai scuro, spesso con riflessi rossastri, com- pattissimo, sonoro e resistente agli agenti atmosferici, entro la pasta tufacea del quale si vedono disseminati molti pezzi di scoria, abbon- danti frammenti di fel dispato vitreo e qualche volta anche dei pez- zetti di olivina e di augite. Dal tutto insieme, e specialmente per la compattezza ed il colore, questo tufo rassomiglia assai ad una lava \ Nella parte settentrionale della Regione Vulsinia il nome di nenfro viene dato pure per analogia a certe lave alquanto alterate, appunto perchè nel colore e nella durezza rassomigliano a questo tufo tra- chitico: ho verificato anzi in qualche località che nelle cave aperte su la stessa colata di lava e secondo una linea trasversale alla sua direzione, chiamano selce il materiale proveniente dalla sua parte centrale, e nenfro quello proveniente dalle parti laterali perchè meno duro dell’altro, sicché devesi ritenere che questo nome speciale sia dovuto principalmente alla durezza della roccia che sul posto è con- siderata come una lava poco dura. Che questo materiale sia veramente un tufo trachitico, è provato da diverse analisi alle quali fu sottoposto, prima di tutti dal Klein % poi dal Ricciardi che fece un’analisi chimico-petrografica del nenfro , che qui riporto dal Verri 3 e dalla quale risulta che il medesimo è un 1 II Brocchi, nel suo Catalogo* * ragionato (Milano, 1817) lo chiama appunto Lava nenfro. 2 C., Klein, Keues Jahrbuch f. Min., Oteol. und Palaeont., VI Beilage-Band (le Heft). Stuttgart, 1888. * A. Verri, Osservazioni geologiche sui crateri Vulsinii. (Boll, della Soc. Geol. ital., Voi. VII, fase. 1°). Roma, 1888. tufo trachitico : SiO2 = 59. 36 ; A1203 = 27 27; FeO = 3. 16; MnO = 0. 14: CaO — 3.99; K20 = 1.65; Na20 = 1.11; Perdita al fuoco = 3.88. Da ultimo viene il Bucca, del quale trascrivo qui i risultati ana- litici, riportati pure in una mia nota 1 scritta contemporaneamente alla citata memoria del Verri. « La roccia è formata da una pasta minutissima, granulare, che tra i nicol incrociati resta perfettamente isotropa e racchiude segre- gazioni diverse. Queste sono o di semplici minerali (sanidino, augite, biotite) o di frammenti di rocce. Alcuni di questi ultimi si presentano come una massa vetrósa, incolora, cosparsa di granuli neri di magne- tite ed a struttura vacuolare, onde sono riferibili a dei veri lapilli. Altri invece hanno una massa microcristallina feldspatica, e perciò debbonsi riferire a dei frammenti di alcune trachiti frequentissime nel territorio di Bolsena. Infine sono notevoli dei frammenti di una roccia a fondo molto oscuro, principalmente vetroso, ma assai carico di granelli opachi (probabilmente magnetite), che contiene delle se- gregazioni di augite e delle numerose leuciti riconoscibili non solo per la forma delle sezioni, ma anche per la disposizione caratteri- stica delle inclusioni ora distribuite a raggi, ora a corona nelfinterno dei cristallini. Queste leuciti però non interferiscono alla luce pola- rizzata e ciò perchè in avanzato stato di decomposizione. « La roccia è dunque un tufo trachitico, e la presenza di ele- menti leucitici è riferibile allo stesso periodo eruttivo e non a trasporto superficiale; infatti in molte trachiti (o andesiti) del lago di Bolsena potei constatare delle leuciti che nulla hanno da vedere colla natura della roccia che le racchiude ». Questo tufo è rimarchevole per la sua struttura basaltica o pri- smatica raggiata, e la località ove meglio può osservarsi questa forma è sotto il Casale della Bocca presso Bespampani, prima di passare il ponte a destra della strada che dal detto casale conduce a Monte , 1 P. Moderni, La trachite e il tufo di Respampani presso Toscanella. (Boll. R. Com. geol., Anno 1889, n. 1-2). Roma, 1889. Romano. I prismi sono disposti a fasci che irradiano da un centro, formando dei ventagli di tufo d’un effetto sorprendente, ovvero in prismi disposti orizzontalmente invece che verticalmente e divisi in colonne da fenditure verticali come vedesi nella Tav. G. Rinvenni questo tufo trachitico speciale soltanto nella parte S.O della Regione Vulsinia, a Sud del supposto Vulcano di Capodimonte cioè nei fossi Leja e Catenaccio nei dintorni di Respampani, dove riposa sul Pliocene e su la trachite ed è ricoperto dal tufo pomiceo ; nel letto del Marta pure al disotto dei tufi pomicei e su la trachite che a sua volta si adagia su l’Eocene; nella Val Vidone presso To- scanella, al disotto sempre dei tufi pomicei 1, nei dintorni del Casale San Giuliano, nel fosso del Timone a Sud di Canino e presso il Mo- lino di Pianiano, ancora sotto ai tufi pomicei, ed in queste due ultime località si vede riposare su ghiaie plioceniche costituite da ciottoli e detriti di rocce esclusivamente eoceniche, prevalentemente macigno, scisti galestrini e calcari marnosi. Questa sua giacitura costante a contatto di rocce sedimentarie e al disotto dei tufi pomicei, permette di affermare che il nenfro è il tufo litoide più antico dei Vulcani Vulsini, e si potrebbe conside- rare come la varietà più antica di tufo pomiceo, giacche se i caratteri esterni di questo materiale sono in qualche località assai diversi da quelli del predetto tufo, in altri punti i due tufi sovrapposti fanno un così graduale e lento passaggio da una varietà all’altra, che sarebbe assai difficile separarli con una linea. D’altra parte la sua presenza limitata, come ho detto, soltanto alla parte S.O della Regione Vulsinia, esclude che il medesimo possa appartenere alle eruzioni del Vulcano di Latera, poiché non si po- trebbe trovare la ragione per la quale il medesimo manca affatto in tutta la parte N.O ed Ovest della Regione Vulsinia, nella quale tro- vansi accumulati i materiali appartenenti quasi esclusivamente a 1 Ad un campione proveniente da questa località si riferisce l’analisi ri- portata più sopra. questo grandioso centro eruttivo. Nè si può neppure lontanamente ammettere ch’esso possa far parte dei materiali appartenenti alle eru- zioni del Cimino, giacché fra questi tufi e quelli, i caratteri esterni sono affatto diversi, per quanto il peperino del Cimino sia anch’esso niente altro che un tufo trachi tico. L’ipotesi quindi che questo tufo appartenga alle eruzioni del Vulcano di Capodimonte, e ne costituisca anzi una caratteristica, si presenta come la più logica e naturale ; nè la lontananza dei suoi depositi dal centro eruttivo può meravigliare: 1° perchè sarebbero sempre ugualmente lontani a qualunque altro centro si- volessero attribuire; 2° perchè sappiamo che anche i tufi pomicei si trovano quasi esclusivamente alla periferia delle zone vulcaniche romane, e lontani dalle bocche eruttive che li hanno proiettati. Un campione di nenfro proveniente da Casale La Rocca fra To- scanella e Monte Romano, in una pasta grossolana di color grigio - violaceo contiene frammenti di scoria nera, pezzetti di lava, qualche leucite e molti cristallini di feldispato ; sembra una varietà del tufo pomiceo grigio, ma in questa stessa località si possono avere dei cam- pioni che per il colore, per la compattezza, per la durezza e anche per il peso, mal si distinguerebbero da una lava fi Un altro campione preso nei dintorni di Casale Cerugia (Tosca- nella) è un tufo di color grigio -violaceo, oltre modo ricco di cristalli di feldispato, frammenti di scoria, pezzetti di lava e forse qualche pezzetto di calcare alberese. All’incontro del fosso Pantacciano con il Marta, questo tufo trachitico è di colore grigio-violaceo, più chiaro del precedente, e contiene pezzi di lava, cristalli di augite e qualche leucite. Un campione raccolto a Guado Pescarolo (Toscanella) è un nenfro grigio-scuro, compatto, uniforme, con pochi cristalli di feldispato e piccoli pezzetti di lava. A Fontanile Pocci presso Toscanella il nenfro è di colore grigio assai scuro, compattissimo, contiene molti 1 Ad un campione di questa località si riferisce lo studio sovraindicato del Bucca. 213 — cristallini di feldispato e pezzetti di lava Un campione di questo tufo proveniente dalla Mola di Pianiano, è perfettamente identico a quello preso all’incontro del fosso Pantacciano con il Marta. Su la destra del Marta e precisamente sotto San Giusto (Toscanella) vi è il nenfro di co- lor grigio -cenere scuro, omogeneo, disseminato da punteggiatura bianca di leucite, nera di augite, e contiene incastrato nella pasta qualche raro pezzetto di scoria nera. Un altro campione preso su la destra del Marta, sotto alla Banditella di San Giusto presso le sorgenti sol- furee, si presenta con una pasta grigio cenere chiara, contenente grossi pezzi di scoria ricca in feldispato ma con poca leucite. Dal fosso Timone (Canino) proviene un campione di questo tufo, color grigio con riflessi violacei, oltremodo ricco in cristalli di feldispato, fram- menti di lava, di scoria nera, cristallini di leucite e squamette di mica. Al fosso Masciolo sotto Villa Paoletti presso Toscanella, questo tufo è a pasta grigio-violaceo chiara, ricchissima di cristalli di feldi- spato, squamette di mica e pomici nere ; questa varietà fa passaggio al tufo pomiceo e poco differisce da esso. Alla Regione Quartaccio (Toscanella) nel fosso Mignattaro vi è del nenfro color grigio-terra con riflessi violacei, compatto, uniforme, con augite ed altri piccoli inclusi non ben distinguibili. Tufo pomiceo. — E questo il tufo caratteristico dei tre vulcani a Nord di Roma, nei quali forma estesi altipiani adiacenti uno all’altro, in modo che quasi senza interruzione dalle rive del Paglia, ai confini con la Toscana, si estendono fino alle porte di Roma. Sono potenti accumulamenti di un tufo ordinariamente a pasta giallastro -scura nella quale sono incluse pomici nere, alle volte grossissime : questa varietà principale è spesso accompagnata da altre varietà o giallo- mattone con pomici dello stesso colore, o rossa con pomici rosse, o grigia come il peperino con pomici nere, o grigio-cenere chiara con pomici bianche, ed in questo caso il suo colore è quasi sempre il ri- sultato dell’alterazione prodotta nel tufo da emanazioni solfìdriche. Vi sono poi le infinite varietà dei tufi che fanno passaggio da uno ad un altro di questi tipi e li uniscono tra loro. m su — Affiora più specialmente alla periferia delle rispettive zone vulca- niche, in banchi di 30 e più metri di potenza, a struttura basaltica o colonnare, od anche in strati assai meno potenti, intercalati con altri tufi litoidi ed incoerenti : di tufo pomiceo ve n’è pure qualche varietà incoerente, ma io credo che queste provengano dal disgregamento della varietà litoide, in qualche punto ove per l’abbondanza delle po- mici ed altri inclusi, la cementazione della pasta tufacea era meno perfetta. Parlando di questi tufi nella mia descrizione delle bocche eruttive dei Vulcani Sabatini, impressionato dalla orizzontalità costante della stratificazione, della potenza ed estensione dei suoi depositi, formanti sempre vasti altipiani, dall’esistenza dei giacimenti diatomeiferi che il Clerici aveva già cominciato a rinvenire, dicevo che questi fatti meglio si spiegavano ritenendo sub-acquea l’origine di questo tufo, che non supponendolo un prodotto sub-aereo trasformato dalle pioggie eruzionali in colate di fanghiglie. In questa conclusione credo si contenga un’inesattezza e mi correggo. Che i tufi pomicei siano se non tutti, certo per la massima parte sub-acquei, dopo gli studi del Clerici non è .da mettere in dubbio; però da recenti mie osservazioni credo si debba ritenere che questi tufi non si formarono con materiali piovuti direttamente entro bacini d’acqua, ma sono invece vere' correnti di dense fanghiglie rovesciatesi entro bacini d’acqua. Infatti noi vediamo che nella pasta di questo tufo le numerose pomici di tutte dimensioni sono distribuite irrego- larmente nella massa, cosa che non dovrebbe verificarsi se i materiali fossero caduti liberi nell’acqua, poiché in questo caso le pomici sareb- bero rimaste a galla ed oggi dovremmo trovarle soltanto nella parte superiore degli accumulamenti tufacei, nei quali segnerebbero il punto in cui il bacino era stato interamente colmato, ed ai tufi sub-acquei succedevano i sub-aerei. La grande differenza di peso specifico fra elementi indifferente- mente amalgamati assieme nella stessa pasta, non permette assoluta- mente di poterli supporre caduti nell’acqua, e conduce forzatamente — 215 ad ammettere le colate di fanghiglie dovute alle pioggie eruzionali, andate poi a depositarsi entro laghi, stagni, paludi, ecc. Prevengo un obiezione che mi si potrebbe fare e cioè che essen- dovi altre varietà di tufo, le quali contengono delle pomici, anche queste si dovrebbero riguardare come colate di fanghiglie : dopo l’accer- tamento che i peperini, tufi litoidi per eccellenza, non sono altro che colate di fanghiglie occasionate dalle pioggie eruzionali, dopo aver dimostrato che i tufi aventi pomici confusamente distribuite nella massa, non possono essere giunti nell’acqua che sotto la forma di dense fanghiglie, io credo che non si possa a meno di ammettere logicamente che i tufi litoidi per la massima parte sono correnti di fanghi più o meno densi che hanno ricoperto grandi zone o colmato dei bacini. Questa ipotesi delle fanghiglie spiega poi specialmente bene raccumulamento dei tufi pomicei alla periferia delle zone vulcaniche : infatti ai piedi del cono la grande massa delle acque rovesciantesi torrenzialmente per il ripido pendìo del cono, doveva avere una velo- cità rimarchevole per trascinare assai lontano i materiali, che traspor- tava ; man mano però che la fiumana si allontanava dal cono, la sua velocità doveva necessariamente diminuire gradatamente, mentre la fanghiglia diveniva più densa per i nuovi materiali che agglomerava nel suo cammino e per la parte d’acqua che perdeva per assorbimento nel suo percorso, finché si arrestava e consolidava all’asciutto o cemen- tava entro i bacini d’acqua dove era caduta. Nelle parti più vicine al centro eruttivo queste correnti di fanghiglie venivano facilmente ri- coperte dalle proiezioni di materiali detritici, ed oggi le medesime si scoprono soltanto per erosione nel fondo dei burroni, mentre nelle parti più lontane non poterono essere ricoperte che da pochi mate- riali detritici e presto rimasero completamente denudate. Nei Vulcani Vulsini la potenza maggiore dell’accumulamento tufaceo in generale trovasi a Nord e N.O del Vulcano di Latera, dove in qualche località raggiunge 100 metri di altezza: anche i tufi po- micei sono maggiormente sviluppati da questa parte e come abbiamo — 216 — veduto, per la loro disposizione al disopra del leucitofiro a Nord (Ac- quapendente) ed al disotto ad Ovest (Pitigliano) indica nettamente due periodi d’emissione della stessa qualità di lava uscita dallo stesso centro eruttivo, e nel medesimo tempo anche che tufi pomicei vici- nissimi possono appartenere ad eruzioni, anzi a periodi diversi. Se la presenza del nenfro esclusivamente nella zona che irradia dal Vul- cano di Capodimonte, devesi riguardare come una caratteristica di quel centro eruttivo, nel Vulcano di Latera la grande varietà di tufi litoidi ed incoerenti alternantisi fra di loro, e l’enorme loro potenza, sono una caratteristica di quest’altro centro. Tutta la parte Nord e N.O della Regione Vulsinia è limitata da una larga e potente zona di tufi pomicei, alternati con altre varietà di tufi. Nei dintorni di Pitigliano la serie delle roccie è la seguente : Nel fosso Lente (Pitigliano) fra il tufo a pomici nere e quello incoerente a grosse pomici bianche, è intercalata un’altra varietà litoide di tufo bianco con piccole pomici pure bianche, il quale deve rappresentare semplicemente un’accidentalità del banco di tufo bianco incoerente. Nel fosso di Castel Sereno, sotto Sorano, la serie dei tufi dall’alto in basso è la seguente: 1° tufo gialletto con pomicine pure giallette, pezzetti di lava e cristallini di feldispato ; 2° tufo giallo-mattone con pomici pure giallo mattone e qual- cuna nera; 3° tufo grigio-cenere a pomici nere; 4° nuovamente il tufo N. 2 ; 5° tufo giallo con grosse pomici nere; 6° tufo grigio-cenere incoerente (senza pomici); 7° tufo bianco incoerente con pomici bianche; 8° nuovamente il tufo N. 2 ; 9° tufo bianco incoerente con pomici bianche; 10° nuovamente il tufo N. 2 ; 217 — 11° tufo bianco incoerente con frammenti di lava e di macigno; 12° seguono alcune varietà di tufi incoerenti ; 13° lava; 14° sabbia vulcanica; 15° tufo grigio-chiaro con pomici dello stesso colore; 16 7 nuovamente il tufo N. 2; 17° tufo giallo senza pomici; 18° nuovamente il N. 2 ; 19° tufo grigio scuro molto leucitico a pomici nere. La differenza di colore nei tufi spesso dipende soltanto da par- ziali alterazioni della stessa varietà, ed infatti lo strato dell’ultimo tufo succitato mostrasi a poca distanza, grigio scuro, grigio-ferro, quasi nero è giallo. Nei dintorni di Acquapendente vi sono due qualità di tufi po- micei ; uno superiore litoide, rosso, a pomici nere, sotto al quale stanno strati di ceneri e lapilli, ai quali fa seguito un tufo pomiceo terroso, di color grigio, a pomici bianche: questa varietà di tufo la si rinviene pure fra Toscanella e Canino. Nei dii) torni delle Grotte di Castro i tufi pomicei sono alternati con il tufo gialletto a pomicine giallo chiare, in modo che sarebbe impossibile graficamente rappresentarli separati sopra una carta. Anche qui come in altre località, il tufo a pomici nere è superiore a quello con pomici bianche. Nell’abitato delle Grotte, sotto al tufo a pomici nere vi è un grosso strato di sole pomici identiche a quelle contenute nei tufi, le quali però credo che sarebbe più esatto chia- mare scorie, per quanto piccola sia la differenza fra una cosa e l’altra. Questo stesso strato di pomici o scorie nere, intercalato ai tufi po- micei, lo si vede anche ad Onano: questo strato, che pare la disca- rica di una fucina, deve avere una grande estensione poiché la si ri- trova sempre allo stesso posto, rispetto agli altri materiali, ogni volta che l’erosione di un fosso lo mette in evidenza. Nel Vulcano di Capodimonte i tufi pomicei si trovano in assai minor quantità, avuto riguardo tanto all’estensione degli affioramenti — 218 — che alla potenza: mentre nel Vulcano di Latera sotto ai tufi pomicei più antichi non vi sono mai altre rocce vulcaniche, nel Vulcano di Capodimonte abbiamo veduto trovarsi il nenfro. La massa maggiore di tufo pomiceo, in questa regione, scopresi nei dintorni di Tosca- nella e precisamente nella valle del Marta, nel fosso Sugareto e nel fosso Capecchio giù giù fino a Respampani e Piano della Selva. Un’altra zona di questo tufo che riposa su le sabbie del Pliocene, scopresi fra San Giuliano e Guado Pescarolo a S.O di Toscanella. Un’estesa e potente zona di tufo pomiceo affiora ad Est di Respam- pani alla Regione del Morgano e al Piano del Cavaliere; ma è da os- servare che qui ci troviamo al limite delle due zone vulcaniche Vul- sinia e Cimina, ed è quindi più probabile e verosimile che questi ultimi tufi appartengano al Cimino, riattaccandosi i medesimi, quasi senza soluzione di continuità, con i tufi pomicei della pianura di Viterbo. Al Vulcano di Montefiascone non pare si possano attribuire tufi pomicei, poiché non se ne vedono affatto nè nell’ossatura del cono, nè nei dintorni del medesimo: se il Vulcano di Capodimonte è po- vero di tufi pomicei, quello di Montefiascone ne è privo affatto. Anche nel Vulcano di Bolsena i tufi pomicei non sono molto estesi, ma qui la cagione ne è evidente: le isole tufacee di Orvieto, Bardano e Rocca Ripescena, a Nord della regione Vulsinia, indicano chiaramente che da questa parte una larga e potente zona di tufo pomiceo venne quasi completamente demolita ed asportata dal fiume Paglia e dai numerosi torrenti che da questa parte solcano l’altipiano vulcanico, portando al Paglia il contributo delle loro acque, e conti- nuando la loro opera demolitrice. Ad Est si può fare la stessa osservazione nei dintorni di Ba- gnorea e Lubriano, che oggi segnano il limite dei potenti depositi tufacei, nei quali giornalmente avvengono delle frane provocate dal- l’erosione delle sottoposte argille plioceniche nei profondi valloni che scendono al Tevere, fra i quali i tufi pomicei costituiscono alte e sot- tili creste: gli affioramenti isolati di tufo pomiceo fra Graffignano e — 219 — Civitella di Agliano su la valle del Tevere, che molto probabilmente si attaccavano con quelli di Bagnorea, c’indicano che anche da questa parte un’immensa e potente zona di tufo pomiceo, la quale doveva estendersi fino alla valle del Tevere, venne completamente demolita. A Porano, su l’altipiano a Sud di Orvieto, vi è un altro affiora- mento di tufo pomiceo, il quale però non si riattacca con la massa tufacea di Orvieto, giacche al disotto delle lave che costituiscono il ciglio dell’altipiano di fronte ad Orvieto, non vi sono tufi pomicei, ma tufi incoerenti; soltanto a Casale Guerriana presso Benano, ad Ovest di Orvieto, si trovano i tufi pomicei al disotto delle lave, co- sicché bisognerebbe dedurne che le colate di fanghiglie giunte ad Orvieto son venute da quella parte, mentre i tufi di Porano rappre- sentano un deposito posteriore. A '.Capraccia, dove dalla via Orvieto-Montefiascone si distacca la vecchia strada di Bagnorea, proprio sul ciglio del grande cratere Vul- sinio, vi è un altro affioramento di tufo pomiceo il quale evidente- mente fa parte delle stesse colate di fanghiglie che formarono i tufi di Bagnorea e Lubriano. Ad Ovest i tufi pomicei di San Lorenzo vecchio, su la linea che da questa parte segna approssimativamente il limite del grande cra- tere Vulsinio, provengono dal Vulcano di Latera ed appartengono alle grandi fiumane di fanghi che si sono rovesciate da questa parte e corsero fino al Paglia. A San Lorenzo vecchio questi tufi sono oriz- zontali o leggermente inclinati verso il lago, o rialzati verso il cono di Latera. Se nel Vulcano di Bolsena il tufo pomiceo è poco esteso, questo fatto è dovuto, come abbiamo visto, alla demolizione avvenuta della parte maggiore dei depositi di questo materiale: ad ogni modo anche tenendo conto di queste parti demolite, la massa totale dei tufi po- micei del Vulcano di Bolsena, doveva essere di gran lunga inferiore a quella del Vulcano di Latera, ma però sicuramente superiore a quella del Vulcano di Capodimonte. Fra i giacimenti di tufo pomiceo del Vulcano di Latera e quelli del Vulcano di Bolsena si osservano — 220 - delle differenze che costituiscono una caratteristica per quelli di questo ultimo centro eruttivo. Abbiamo veduto che nel Vulcano di Latera vi sono diversi banchi di tufi pomicei sovrapposti, i più antichi dei quali sono costituiti da tufi bianchi o grigi a pomici bianche e riposano direttamente su le rocce sedimentarie, mentre nel Vulcano di Bolsena sono enormi banchi costituiti esclusivamente o quasi dalla varietà di tufo giallo-mattone a pomici nere, e questi banchi non riposano quasi mai direttamente su le rocce sedimentarie, ma bensì su depositi di tufi incoerenti, la di cui potenza sorpassa talvolta quella dei tufi po- micei stessi. Inoltre nel Vulcano di Latera ed in quello di Capodi- monte, .ai tufi pomicei più recenti sono intercalati banchi di tufo leu- citico giallo-chiaro con piccole pomicine dello stesso colore, pezzetti di lava e cristallini di feldispato, mentre nel Vulcano di Bolsena questa varietà di tufo è rarissima. L’isola tufàcea su la quale è fabbricata Orvieto, ed è rappresene tata dalla annessa Tav. H, ricavata da una fotografìa che ho presa dal Camposanto, presenta la seguente sezione dal basso all’alto : alla base le argille plioceniche; su queste riposano dei tufi incoerenti aventi una potenza di circa 5 metri, i quali dalla parte di N.E mostrano essersi depositati su terreno stato già eroso perchè la loro stratifica- zione da questa parte non è orizzontale, ma inclina improvvisamente e fortemente come se si fossero deposti sul pendio d’una collina. Su questi tufi osservasi a S.E uno strato di circa 2 metri di ciottoli flu- viatili, fra i quali si riconoscono numerosi frammenti di calcare eo- cenico, e rappresentano il letto d’un torrente, forse l’antico Paglia. Al di sopra vi è il potente accumulamento dei tufi pomicei, che s’innalza a picco e recinge Orvieto di un’alta e formidabile muraglia naturale; sopra a questi tufi e ad Est della città vi è un sottile banco di traver- tino, che vedesi so] tanto in sezione nella strada di Rocca San Martino e nel famoso Pozzo di San Patrizio, perchè a sua volta è ricoperto da 4 a 5 metri di tufi incoerenti. Sotto Bagnorea i tufi pomicei hanno una potenza di circa 20 metri e riposano sopra un potente accumulamento di tufi incoerenti, costituiti — 221 — da numerosi sfcraterelli alternanti di lapilli e pomici bianche, aventi ciascuno lo spessore da 20 a 50 centimetri con una potenza comples- siva di circa 30 metri. Nella sezione naturale sotto Lubriano, in mezzo ai tufi incoerenti, si vede la sezione di una colata di lava, che è forse quella stessa di leucitofiro che affiora nel fosso di Castiglione. La successione delle roccie nella detta sezione, come dalla unita fìg. 8 (in scala da 1 : 2000) è Figv 8. — Sezione sotto Lubriano. la seguente cominciando dal basso in alto: a) argille plioceniche che costituiscono il fondo della valle ; b) tufi incoerenti diversi in banchi sottili che complessivamente hanno una potenza di circa 30 metri ; c) Sezione trasversale di una colata di lava avente la potenza di 5 metri; d) tufo pomiceo avente circa 20 metri di potenza ; e) tufo incoerente e terriccio superficiale con una potenza media di 5 metri. I tufi pomicei, quasi sempre ricoperti da un sottile mantello di tufi incoerenti, sono generalmente rialzati verso Monterado, cioè verso il cratere Vulsinio, ed è rimarchevole che da questa parte i tufi pomicei sono meno potenti che ad Orvieto, situato più distante dal centro erut- tivo. Questo fatto conferma l’ipotesi che i tufi litoidi siano stati formati da correnti di fanghiglie, le quali evidentemente dovevano ammassarsi maggiormente nel punto in cui si arrestavano : Orvieto rappresenta a Nord forse ancora approssimativamente questo punto di fermata, | mentre abbiamo veduto che dalla parte di Bagnorea i tufi pomicei 15 _ 22 2 dovevano spingersi fin presso la Valle del Tevere, ed è là eh.’ essi pro- babilmente avevano una potenza eguale al deposito di Orvieto. Un campione raccolto presso Montorio nel fosso che viene da Castell’Ottieri, è. un tufo pomiceo grigio-cenere chiaro con pomici assai più scure, disposte in un dato senso, quasi fossero inclusi di una lava stirati secondo la direzione della colata ; contiene pure impastato qualche frammento di scoria, qualche leucite e molti cristallini di feldispato. La disposizione speciale delle pomici nella pasta di questo tufo, lo fa rassomigliare ad una roccia scistosa, ed è probabile che tale disposizione sia dovuta all’essere i materiali caduti in questo punto, direttamente entro bacini d’acqua poco profonda, specie di paludi o pantani. A Proceno ed alla confluenza del fosso Pantacciano col Marta (Toscanella) trovasi un tufo affatto identico a quello ora descritto. Un campione di tufo pomiceo proveniente da Sovana, nella pasta giallo- mattone contiene incastrate delle pomici un poco più scure e qualcuna anche colore nero -fumo; contiene pure delle leuciti e cristallini di fel- dispato. Su la destra del Marta, sotto San Giusto presso Toscanella, trovasi un tufo eguale a quello ora descritto. Su la strada rotabile per Mandano, presso il Piano della Concezione (Pitigliano), si trova un tufo pomiceo grigio-cenere con pomici nere e molti piccoli cristalli di leucite. Da questa stessa località viene pure un campione di tufo a pasta grigio-cenere con pomici giallo-legno, poche leuciti e qualche rara augite. Dalla Regione Tufarelle presso Canino proviene un cam- pione di tufo pomiceo color giallo-terra con pomici dello stesso colore e qualcuna nera, pezzetti di lava, molti cristallini di augite e qualche rara e piccola leucite. A Nord di Valle Cupa (Arlena) raccolsi un campione di tufo pomiceo giallo con grosse pomici gialle, pezzi di lava, qualche grosso cristallo di augite e qualche rara leucite. Dal fosso Meschiolo per andare al fontanile di Montefìascone presso Tosca- nella, incontrasi un tufo pomiceo rosso con pomici di un rosso più intenso ; contiene pure pezzi di lava, cristalli di augite e qualche leu- cite. Al fontanile di Montefìascone il tufo è di color giallo-mattone, con pomici dello stesso colore, frammenti di lava e piccole augiti. Al — 223 ponte dell’ Acquarella su la rotabile Toscanella-Marta il tufo è di color giallo-mattone con pomici nere, pezzetti di lava e qualche leucite. A Musignano presso Canino, il tufo pomiceo è simile a quello ora descritto, ma di colore più chiaro e con molti cristalli di feldispato. Da Guado Pescarolo (Toscanella) proviene un campione di tufo pomiceo rosso a grosse pomici dello stesso colore, ricco di cristalli di feldispato : questo tufo riposa sopra al nenfro. Nel fosso Lente sotto Sorano vi è un tufo grigio-cenere con grosse scorie nere, ricco oltremodo di leuciti caoli- nizzate di varia grandezza, qualche cristallo di augite, qualche pez- zetto di lava e s qua mette di mica nera ; questo tufo pomiceo rasso- miglia molto al nenfro ed è il passaggio da uno all’altro dei due tufi. Da Ponte San Biagio (Acquapendente) viene un campione di tufo pomiceo giallo-mattone intenso con pomici d’un colore un poco più scuro, frammenti di lava e cristalli di feldispato. Su la strada di Casale Cipollara (Toscanella), il tufo pomiceo è a pasta grigio-cenere chiara, con pomici bianche, piccole leuciti e pezzetti di lava. Nel fosso Lente sotto Sorano, il tufo pomiceo ha una pasta grigio-verdastro-chiara con grande quantità di piccole pomici di colore più intenso; la pasta è dura, vetrosa, con cristallini di feldispato e squamette di mica bianca. Presso il Molino dTschia raccolsi un campione di tufo a pasta grigio- cenere con molte pomici giallo-ocra ed alcune nere, pochi e piccali cristalli di leucite Tufo giallo-chiaro. — La varietà caratteristica di questo tufo è costituita da una pasta giallo -chiara, sparsa di piccolissime pomicine dello stesso colore, pezzettini di lava e cristallini di feldispato (forse sanidino) in quantità variabile da un campione all’altro, cosicché potrà avvenire che per la maggior quantità di feldispato un campione di questo tufo 'potrà essere classificato per trachitico, mentre altro cam- pione della stessa varietà non lo sarà affatto. A questa varietà tipica se ne accompagnano molti altre ad elementi più fini o più grossi, di colore più chiaro o più scuro, contenenti concrezioni pisolitiche, eoe., in modo da formare una scala graduata che passa insensibilmente ai peperini, ai tufi pomicei neri, a quelli a pomici giallo-mattone od a — 224 — quelli bianchi a pomici bianche. Questo tufo lo si trova nel maggior numero dei vulcani italiani: ai Yulsini, ai Oimini, ai Sabatini, a Roc- camonfina ed ai Campi Flegrei. Nella descrizione dei Vulcani Sabatini li ho chiamati tufi antichi perchè in quella regione stanno pure sotto ai tufi pomicei, ma qui nei Vulsini si trovano sempre al disopra dei pomicei od intercalati ai banchi più recenti di essi. Di questi tufi nei Vulcani Vulsini ve ne sono depositi sicuramente sub- aerei, quali sarebbero quelli che entrano nella costituzione dei coni di Latera, Montefìascone e Bolsena ed altri sicuramente sub- acquei, che sono quelli che riposano sopra ai tufi pomicei e fra i quali il Clerici ha trovato i giacimenti diatomeiferi, ma dai caratteri esterni è impossibile distinguere questo diverso modo di loro formazione. Un altro fatto caratteristico che si verifica nei Vulcani Vulsini si è che questa qualità di tufo trovasi, ed abbondantemente, quasi sol- tanto nel raggio dei due centri eruttivi di Latera e Capodimonte, mentre a Montefìascone e Boi sena ve ne sono quantità insignificanti. Nei dintorni di San Lorenzo questo tufo passa insensibilmente a quello pomiceo, per modo che riesce impossibile separare netta- mente su la carta le due qualità. Presso le Coste, nella parte Nord del recinto craterico di Montefìascone, si vede questo tufo ricoperto da un conglomerato vulcanico identico a quello di cui è costituita l’I- sola Martana. Un campione di questo tufo proveniente dal Casale del Grifo (Onano) è di colore giallo-chiaro ad elementi minutissimi, compatto, uniforme, con qualche pomicina dello stesso colore e molte concre- zioni pisolitiche. Un altro campione preso sotto al Podere del Medico (Grotte di Castro) è un tufo giallo a pomicine gialle con- molti pez- zettini di lava, da formare quasi un conglomerato, piccole leuciti, squamette di mica ed augiti. Su la strada Capodimonte-Piansano e presso il Ponte (Piansano) raccolsi un campione di questo tufo a pasta giallo-chiara, uniforme, ad elementi finissimi e contenente delle concrezioni pisolitiche, Il Monte Tabor nell’Isola Bisentina è costi- — 225 — tuito da questo tufo di color giallo-chiaro ad elementi minutis- simi (ceneri finissime), compatto, uniforme, senza inclusi ad ecce- zione di una quasi invisibile punteggiatura nera probabilmente di pirosseno. A Nord di Valle Cupa presso Arlena questo tufo è di color giallo, compatto, con piccolissime pomicine dello stesso colore, piccoli pezzettini di lava, qualche rara leucite e qualche rara augite. Un campione proveniente da Madonna delle Grazie (Pitigliano) è un tufo giallognolo che contiene impastate una quantità di pomicine gialle di colore più chiaro della pasta tufacea, molti pezzetti di lava, qualche leucite, dei cristalli di augite e squamette di mica. Un altro campione proveniente dalla stessa località, è una varietà del campione suddescritto, ma gli elementi sono tutti più minuti e danno alla roccia un aspetto diverso : appartiene alla parte più bassa del giacimento. Su la strada che conduce a Madonna delle Grazie (Pitigliano) si os- serva un’altra varietà di questo tufo color grigio-cenere chiaro, con squamette di mica, piccole leuciti e pezzettini di lava. Peperino. — Questa forma di tufo litoide nei Vulcani Vulsini la si trova in diverse località, ma in piccoli giacimenti che sfuggono e si perdono facilmente in mezzo ai potenti accumulamenti di altri tufi e specialmente del tufo pomiceo ; però il Vulcano di Montefiascone presenta la specialità di avere emesso dei materiali con i quali si formò quasi esclusivamente del cosiddetto peperino . Infatti tutto il grande cono di Montefiascone, nel quale si sprofondano i diversi cra- teri già descritti, è costituito principalmente da questa roccia; all’in- fuori del cono terminale sul quale trovasi la città, che come si disse a suo luogo è costituito da lapillo sciolto e cementato, questo pro- dotto speciale è così nettamente delimitato che non è possibile ingan- narsi su la sua provenienza e costituisce una caratteristica del Vulcano di Montefiascone. A Nord, su la via per Orvieto, predomina il pe- perino, ma a circa 3 chilometri dalla città, esso sparisce per cedere il posto alle altre varietà di tufo; ad Ovest, cioè su la via per Marta, la formazione del peperino è torse anche più estesa che non a Nord, mentre a Sud e S.E è limitata dalla pianura che separa i Vulsini dai — 226 — Cimini. Nei dintorni di Montefìascone i contadini, come già dissi, si sono scavate nel peperino delle abitazioni, delle quali i camini spun- tano come funghi fra l’erba dei prati. Il peperino di Montefìascone è assai diverso da quello del Cimino e da quello Laziale; di color grigio - cenere o grigio-ferro, è costituito da sabbie vulcaniche alle volte finissime ma più spesso grossolane, e contiene incastrati nella pasta tufacea frammenti di lava, pezzi di scoria, lapilli, cristalli di augite, di leucite ed altri minerali vulcanici e talvolta anche frammenti di rocce eoceniche. Non tutto il peperino di Montefìascone ha lo stesso grado di cementazione ; a seconda della grossezza dei granelli di sabbia e cenere di cui è composta la sua pasta, la medesima è più o meno fortemente cementata, e perciò più o meno facilmente intaccata dagli agenti atmosferici: è ovvio aggiungere che la varietà ad elementi più grossolani è quella meno fortemente cementata e per una scala graduata si arriva fino a del peperino affatto incoerente, come se ne trova pure nei Sabatini e nei Cimini. Probabilmente la genesi del peperino di Montefìascone, è la stessa dei peperini degli altri vulcani romani; sono cioè materiali sub aerei cementati dalle pioggie eruzionali. Nel Vulcano di Latera ho raccolto un campione di peperino a Poggio Murcie (Valentano) la di cui pasta di color grigio, contiene pezzetti di scoria giallo chiara e giallo-mattone, pezzetti di lava, qualche frammento di calcare marnoso, molte piccole leuciti, augiti e squa- mette di mica nera. Presso Casale Rosati (Valentano) presi un altro campione di peperino a pasta grigio- cenere disseminata di augite e mica nere, piccoli cristalli di leucite bianca e qualche frammento di lava. Fra Arlena e Casale Piantato, su la strada di Piansano, raccolsi un altro campione di peperino, appartenente forse anche questo al Vulcano di Latera, la di cui pasta grigio-cenere contiene pezzetti di lava nera, qualche pezzetto di scoria e piccole leuciti. Oltre alle quattro principali varietà di tufo descritte, si trovano qua e là altri tufi speciali, localizzati a dati punti, e fra questi citerò un campione proveniente da Poggio Evangelista (Latera) che rasso- miglia assai al tufo litoide dei Laziali, generalmente adoperato nelle costruzioni di Roma ; è un tufo di color giallo-terra, compatto, pesante, con piccoli pezzetti di lava e molte squamette di mica nera e bianca : questo tufo trovasi soltanto a Poggio Evangelista e Poggio Murcie. Agli Archi presso Montalto di Castro, al di sopra della lava, vi è un tufo grigio-cenere scuro, compatto con delle zone ad elementi più minuti ed altre ad elementi più grossi e punteggiati minutamente in bianco dalla leucite; in qualche punto la pasta contiene molti pezzetti di lava e qualche frammento di scoria violacea : questo tufo dev’essere sicuramente sub-acqueo. Alle Grotte di Castro, fra la rotabile e il fosso Cunicchio, havvi un tufo grigio-scuro con impronte di piante, la di cui pasta è vacuolare ed in qualche punto addirittura cavernosa ; l’in- terno di alcune di queste cavità è tappezzato da una patina grigio - giallastra di colore uniforme : il tufo è duro, pesante e rassomiglia ad una lava; esso appartiene sicuramente a qualche corrente di fanghi, dei quali conserva spiccatamente i caratteri esterni. L’Isola Martana è costituita, come ho accennato più volte, interamente da un conglo- merato di lapilli e pezzi di scoria, non molto fortemente cementati. Presso San Giovanni (Gradoli) trovasi del tufo che per il suo colore e durezza mal si riesce a distinguerlo da una lava. Fra Montefiascone e Monte d’Oro, nell’interno del cratere, vi è una varietà di tufo sca- glioso durissimo. Mi resterebbe ancora a dire qualche cosa dei tufi incoerenti, ma la mancanza di qualsiasi analisi chimica e petrografia mi obbligano di riassumere in poche linee le mie osservazioni: infinite sono le varietà che presenta questo materiale, come svariati sono i rapporti suoi con i tufi litoidi e le lave. Lapilli di tutte dimensioni, scorie, ceneri, sabbie, disgregamenti di tufi litoidi e lave, alternanti in mille modi fra di loro, con i tufi litoidi, con le lave, con materiali d’origine palustre o lacustre, for- mano potenti accumulamenti alle volte fortemente rialzati verso la sommità dei coni, altra volta stratificati orizzontalmente o quasi, ov- 228 — vero ripetutamente modellantisi sopra delle superfìcie state già intac- cate più o meno profondamente dall’erosione. Fra punti vicinissimi varia in questi tufi la potenza degli strati, la giacitura, l’inclinazione, il colore, la grossezza degli elementi e la loro disposizione. Quando si potrà fare uno studio analitico di tutti questi materiali eterogenei che .costituiscono un insieme omogeneo, esso riescirà certamente assai interessante, ma per ora questo studio non esiste, e perciò mi limi- terò soltanto ad accennare le varietà più caratteristiche. A Casale Raggigli (Acquapendente) vi è un tufo grigio-cenere, abbastanza cementato, ad elementi finissimi, di colore uniforme, con qualche raro puntino bianco di leucite: questo tufo si avvicina ai tufi litoidi. A Castello Araldo (Marta) ho trovato pure un tufo grigio- cenere separato in due zone, nella superiore la pasta di colore uni- forme, è ad elementi finissimi ed in essa si vede la leucite allo stato di diffusione; nella zona inferiore il colere del tufo è più giallastro, gli elementi che costituiscono la pasta sono più grossolani ed in essa si vedono disseminate delle piccole leuciti e qualche pezzettino di scoria: la graduazione degli elementi nelle due zone, accusano questo materiale per un tufo sub-acqueo. Presso l’abitato di Latera vedesi un tufo giallo-mattone ad elementi finissimi, polverulenti, il quale contiene della mica nera e qualche pezzetto di lava. Vicino all’abitato di Latera vi è pure della pozzolana color rosso-ocra. Nella miniera di Latera, al disotto delle lave, trovasi del lapillo minuto, bianco per alterazione, debolmente cementato. Su la strada per Bolsena, presso San Giovanni (Gradoli) trovasi un tufo grigio-cenere scuro ad ele- menti finissimi, uniforme, contenente piccolissimi cristalli di feldispato. Su la destra del Marta, sotto Pian di Giunco (Toscanella) vi è un conglomerato giallo-verdastro che passa al bianco sporco per altera- zione; è costituito da lapillo minuto nel quale si vedono dei belli cristalli di feldispato, e trovasi stratificato fra la trachite e l’altra colata superiore di lava. Su la strada per le Guinze presso il Marta (Toscanella) vedesi un tufo rosso-mattone impastato con molte pic- cole leuciti e qualche squametta di mica; trovasi al di sotto di una — 229 — colata di lava all’azione della quale deve il suo colore rosso. Nella Regione Val Bajona presso Toscanella, vi è un tufo grigio-cenere ad elementi minutissimi: nella massa si vede macroscopicamente clie il colore generale della roccia è dato da ceneri grigie, da gran eliini di augite e laminette di mica nera, e da leucite bianca. Presso Casale Cerugia (Toscanella) raccolsi un campione di tufo giallo-mattone chiaro, ad elementi finissimi, uniforme, oltremodo ricco di cristallini di feldispato. A Tessennano trovasi un tufo grigio biancastro con qualche concrezione pisolitica, squamette di mica nera, e qualche rara leucite. Presso Casale Lucenti (Toscanella) vi è una pozzolana pomicea formata dal disgregamento di pomici bianche. Alla ^Regione Piscina di Botte (Montalto di Castro) vi è del tufo grigio-cenere ad elementi granulosi come di sabbia, disseminato da una punteggiatura bianca di leucite e da una nera di laminette di mica; è abbastanza cemen- tato e si avvicina ai tufi litoidi. Su la strada per Sovana presso il ponte sul Lente, presi un campione di tufo leucitico la di cui pasta bianco -giallognola contiene piccole po mici dello stesso colore, qualche rara leucite, delle piccole concrezioni ferruginose, squamette di mica e molti cristallini di sanidina disseminati nella massa : sul campione vi è una bella impronta di canna palustre ( carex ?). Dalla descrizione sommaria dei tufi dei Yulsini e specialmente da quella dei tufi litoidi, emerge che in questo grandioso gruppo di vul- cani, lo studio dei tufi, interessante sempre, qui lo è anche più poiché abbiamo \eduto che in ognuno dei -quattro centri essi presentano qualche cosa di speciale e caratteristico, che aiutano il geologo nello stabilire la cronologia dei centri eruttivi. Il nenfro lo si trova soltanto nel Vulcano di Capodimonte, e la sua posizione rispetto agli altri tufi, permette di affermare essere il medesimo il tufo più antico dei Vulsini. Il tufo pomiceo mostrasi in maggior quantità nel Vulcano di Latera e riposa direttamente su le rocce sedimentarie, mentre nel Vulcano di Capodimonte spesso fra le rocce sedimentarie ed il tufo pomiceo, trovasi il nenfro; nel Vulcano di Bolsena i tufi pomicei riposano sempre sopra una potente forma- zione di tufi incoerenti, mentre in quello di Montefiascone questa qualità di tufo non esiste affatto. Il tufo leucitico giallo- chiaro, vedesi molto sviluppato nei due vulcani di Latera e Capodimonte, pochis- simo in quelli di Bolsena e Montefiascone, e la sua giacitura indica chiaramente che nei Vulsini esso è posteriore ad una parte del po- miceo Infine il peperino costituisce quasi esclusivamente l’edificio vul- canico di Montefiascone, ed è una caratteristica di questo centro, mentre negli altri se ne trova soltanto qualche raro banco isolato. (Segue la Bibliografia geologica e idrologica dei Vulcani Vulsini che daremo nel prossimo numero). N.B. — Col presente fascicolo viene distribuita anche la Carta geologica a colori dei Vulcani Vulsini , nella scala di 1 a 100,000, rilevata da P. Moderni, in un foglio di cm. 68 per 68. — La stessa è messa in vendita isolatamente al prezzo di L. 2. P. MODERNI - VULCANI VULSINI TAV. G Divisione in prismi orizzontali e colonne verticali del Nenfro di Respampani (Toscanella). P. MODERNI - VULCANI VULSINI Orvieto fabbricata su i tufi pomicei che riposano su le argille plioceniche. Panorama visto dalle alture del Cimitero. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (SO giugno 1904) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Yol. I a XXXIV, dal 1870 al 1903. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem dell' abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero . » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1872. — Introduzione. — B. Gastaldi: Stndii geologici sulle Alpi Occidentali , con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrizione geologica deir Isola d'Elba. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Un volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche . Voi. II, Parte la. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografia geologica dell' Isola d' Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo- elvetica. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia ; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Un volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche * . . . Voi. II, Parte 2a. Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole Voi. Ili, Parte la. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponza. — C. De Stefani : Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche Voi. Ili, Parte 2a. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia dell’ Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spezia. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole . . Voi. IV, Parte la. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica fluorifera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole 35 25 — 5 — 10 — 15 — 8 — — 232 — Voi. IV, Parte 2a. Firenze 1893. — C. A. Weithofer: Pro - boscicliani fossili di Valdarno in Toscana. — M. Canavari: Idrozoi tifoni ani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — TTn volume in-4° di pag. 214 con tavole . . . L. 16 Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica deirisola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica 10 Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. III. Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’ Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologi co-mi- neraria dell’ Iglesiente [Sardegna). — Un volume in-8e di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologi co- mineraria della zona argentifera del Sarrabus [Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico -mineraria » ,8 Voi. VI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8° di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-petrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8° di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica . . » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: I vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte 1& : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico - agraria del Colle Montello [provincia di Treviso). — Un volume in-8° di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico-agraria . » 8 Voi. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8° di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » 10 Appendice al Voi. IX. Roma, 1904. — G. Di -Stefano : Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8° di pag. 120, con tavola di sezioni » 3 — 233 — CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2a edizione. — Roipa 1889 Prezzo E. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IN". 244 (Isole Eolie) . » 248 (Trapani) . . » 249 (Palermo) . . » 250 (Baglioria) . . 251 (Cefalù) . . . 252 (Naso) . . . » 253 (Castroreale) . » 254 (Messina) . . » 256 (Isole Egadi) . » . 257 (Castelvetrano) » 258 (Corleone) . . » 259 (Termini Imerese) » 260 (Nicosia). . » 261 (Bronte) . . Tavola di sezioni N. » » N » » N . E. 3 — 4 — 8 — 3 — 4 — 4 — 4 — 3 — 4 — 5 — 5 — Foglio N. 262 (Monte Etna) . . E. » 265 (Mazzara del Tallo) » » 266 (Sciacca) » 267 (Canicattì) » 268 (Caltanissetta) » 269 (Paterno) . » 270 (Catania) . » 271 ((Urgenti) . » 272 (Terranova) » 273 (Caltagirone) »• 274 (Siracusa) . » 275 (Scoglitti) . » 276 (Modica). . » 277 (Noto) . . I (annessa ai fogli 249 e 258 . . II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) III (annessa ai fogli 253, 254 e 262) E. 4 — N. IY (annessa ai fogli 257 e 266) N. Y (annessa ai fogli 273 e 274) Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . E. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio N. 220 (Yerbicaro) . . E. 3 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 222 (Amendolara) . » 3 — » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 229 (Paola) ...» 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 231 (Ciro) . . . . » 3 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 241 (Nicastro). . . » 4 — Tavola di sezioni N. I, N. II e N. Ili, ciascuna . Foglio N. 242 (Catanzaro) . . E. » 243 (Isola Capo Riz- zuto) » 245 (Palmi) » 246 (Cittanova) » 247 (Badolato) » 254 (Messina) . » 255 (Gerace) . » 263 (Bova) . . ». 264 (Staiti). . E. 4 io CO « IO ^ CO 05 co — 234 — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. 27e sono pubblicati fogli seguenti Foglio IN". 201 (Matera) . . . L. 3 — Foglio 27. 213 (Maruggio) . . L. 1- » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . » 2—| » 203 (Brindisi) . , . » 3 — » 215 (Otranto) . . . » 1- » 204 (Lecce) . . . . » 2 — » 223 (Tricase) . . » 2 — | Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma. 1888 L. 25 - N3. / fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IN*. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio N. 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . L. 4- » 5 — » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara li. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica dell’Isola d’Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 »3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma. Bologna, Milano e UNapoli. GEOLOGIA GEOLOGIA E BOCCHE ERUTTIVE MG 0/ ERUTTIVE ; BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie IV. — Anno V. 1904 ATTI UFFICIALI. PARTE UFFICIALE B, COMITATO G10L0GIC0, — Verbale delle adunanze 6 e 7 giugno 1904, 6 giugno 1904 — Seduta antimeridiana. La seduta è aperta alle 9.30'. Sono presenti il presidente Capellini, i membri Issel, Mazzuoli, Meli, Parona, Pellati, Striiver, Caramelli ed il segretario Zezi. Il Presidente comunica un telegramma del prof. Còcchi trattenuto a Genova da speciali circostanze di famiglia ed una lettera del prof. Bassani, il quale scusa la sua assenza causata da indisposizione. Propone venga espresso a questo ultimo il rincrescimento del Comitato. Il Comitato approva. Pellati partecipa che il Direttore del R. Istituto geografico militare di Fi- renze scrisse al Ministero per manifestargli il timore di non potere intervenire all’adunanza. Il Presidente esprime il suo vivo rincrescimento per il non avvenuto inter- vento, che ebbe a verificarsi anche negli anni scorsi, tanto più che la presenza del Direttore di detto Istituto in molti casi riuscirebbe utilissima, nelle discus- sioni e deliberazioni del Comitato. Propone perciò che si preghi il Ministero di raccomandare al Direttore suddetto di trovar modo che per le adunanze avve- nire il Comitato possa valersi della sua collaborazione. Il Comitato approva. Il Presidente accenna quindi alla gravissima perdita fatta dal Comitato di uno dei più antichi e dei più attivi fra i suoi componenti, colla morte del pro- fessore Gemmellaro di cui ricorda le molte benemerenze per la geologia, special- mente per i lavori riguardanti la Sicilia. Pellati si associa alle parole del Presidente ed aggiunge che la morte del prof. Gemmellaro fu vivamente sentita da tutto l’Ufficio geologico non solo, ma dall’intero Corpo delle Miniere. Rende conto delle disposizioni prese in quella luttuosa circostanza, fra le quali l’invio, d’accordo col Presidente Capellini, del prof. Di Stefano per rappresentare ai funerali, oltre al Comitato, anche l’Ufficio geologico. Soggiunge che la fotografia dell’illustre estinto è già stata collocata nell’apposito quadro della sala delle adunanze. 9 Il Presidente dà quindi la parola al Direttore del servizio. Pellati, per la sua consueta relazione annuale. Pellati incomincia la sua esposizione constatando che nell’anno decorso i lavori procedettero in modo soddisfacente e che se l’area rilevata a nuovo o riveduta fu sensibilmente inferiore alla media degli anni scorsi, tale differenza in meno fu dovuta esclusivamente ad alcune speciali circostanze indipendenti dall’attività del personale e fra le altre alla maggior difficoltà dei rilevamenti in alcune delle regioni in corso di studio. Venendo a parlare della controversia sull’età della zona dei calcescisti e delle pietre verdi nelle Alpi, conferma quanto accennò anche nella relazione dello scorso anno che, cioè, non è il caso di dare alla questione una portata di carattere generale nella classificazione dei terreni alpini, ma che essa si riduce ormai alla constatazione dello stato di fatto nella disposizione stratigrafica di alcune speciali località, il che, dopo le ultime comu- nicazioni dello Zaccagna, potrà essere effettuato dalla Commissione all’uopo incaricata. Prega intanto il prof. Taramelli di voler informare il Comitato di quanto detta Commissione ha fatto od ha divisato di fare. Taramelli prega di voler rimandare tale comunicazione alla seduta di do- mani per aver agio di concertarsi su alcuni punti coi colleghi della Com- missione. Il Comitato acconsente. Pellati passa a parlare della Carta d’insieme delle Alpi occidentali da pub- blicarsi alla scala di 1 : 400 000, ormai a buon punto, presenta anzi una prova di stampa del disegno topografico. Come lavoro in relazione con quest’argomento ricorda il figurato al milio- nesimo comunicato l’anno scorso, dietro richiesta, alla Direzione della Carta geologica di Francia, che ne rimase molto soddisfatta. Gli risulta però che fra lo carte francesi e la nostra si riscontrarono alcune discordanze topografiche. Osserva che lo schizzo geologico comunicato fu eseguito in base alla carta topografica al 1,000,000 del nostro Istituto geografico militare, la quale, come è noto, fu disegnata partendo da rilevamenti anteriori a quelli fatti da detto- istituto per i fogli al 100,000. Aggiunge che mancano ancora le carte al 1,000,000 ed al 500,000 fatte su questi ultimi rilevamenti. Osserva che sarebbe assolutamente necessaria una nuova edizione, corretta e riveduta in base agli elementi ultimamente raccolti, della Carta geologica di Italia nella scala di 1 a 1,000,000 edita nel 1889, ma che questa non sarà pos- sibile finché l’Istituto geografico non avrà provveduto alla formazione di una carta al 1,000,000 (e possibilmente anche al 500,000) ricavata dai rilievi topo- grafici fatti dall’Istituto medesimo. Converrebbe quindi segnalare alla Direzione - 7 - dell’Istituto geografico la convenienza di un tale lavoro, eccitandolo a compierlo nel minor tempo possibile. Della Carta geologica pubblicata dal nostro Ufficio nel 1889 in numero di 3000 esemplari, un migliaio di copie fu distribuito, lo altre rimangono tuttora in deposito. Per la nuova edizione suaccennata con- verrebbe ridurre la tiratura a 1500 copie. Issel propone, poiché vi è un fondo copioso di vecchie carte, che queste vengano distribuite in larga misura a Scuole, Comuni, Uffici pubblici per po- terle ancora in qualche modo utilizzare. Il Presidente e Pellati consentono col prof. Issel. Il Comitato approva. Pellati prende l’impegno di far compilare, tenuto conto delle distribuzioni già fatte, un elenco degli istituti ai quali maggiormente potrebbe interessare detta Carta per sottoporlo all’approvazione del Ministero. Pellati , ricordando che lo studio dei giacimenti di antracite oltre allo scopo industriale servì a precisare e definire nettamente il principale orizzonte geo- logico delle Alpi occidentali, viene a parlare di un altro studio di geologia ap- plicata testé approvato dal Ministero, quello dei giacimenti ferriferi della Valle d’Aosta, che servirà anche ad una migliore conoscenza della zona delle pietre verdi (alla quale tali giacimenti generalmente appartengono) adibendovi due fra i rilevatori delle Alpi. Issel propone che per la ricerca e la determinazione delle masse ferrifero venga anche applicato il sistema della gravità, sia pure limitandosi all’uso del solo pendolo e nei casi più favorevoli, vale a dire per masse ingenti situate a piccole profondità e coperte da roccie non metallifere. Taramelli ricordando le anomalie della gravità finora non spiegate, crederebbe preferibile per l’Ufficio di non impegnarsi troppo. Issel , pur non ritenendo definitivamente provato il sistema raccomandato, crede tuttavia che riuscirebbe a merito dell’Ufficio il fare qualche osservazione, colla cooperazione di persone che in questi ultimi tempi ebbero ad occuparsi in modo speciale di simile argomento, tanto più che ciò potrebbe farsi con lieve spesa. Pellati crede doversi consigliare gli operatori di adottare, se possibile, tali metodi, previi gli opportuni accordi fra l’Ufficio e la Direzione dell’Osservatorio geodinamico, che ha già fatto studi in proposito. Desidererebbe anzi che il prof. Issel potesse anche occuparsi per l’attua- zione di simile procedimento. Issel non mancherà di prestarsi, per quanto gli sarà possibile e ringrazia. Il Comitato approva. 8 - Pellati riferisce che la Commissione nominata dal Comitato, per lo studio della questione sugli strati marnoso-arenacei dell’Umbria, ha ora presentato la sua Relazione, dalla quale risulta con sufficiente documentazione che la detta zona consta veramente di due piani distinti, di facies non molto dissimile, . ma in molti punti separati da un banco di argille scagliose con roccie ofiolitiche, appartenenti il superiore al miocene e l’inferiore all’eocene. Lo stesso poi presenta una cartina dimostrativa delle località a fossili vegetali della zona del litorale romano, compresa fra il Tevere ed Anzio, compilata dal- l’ingegnere Clerici. Una nota relativa sarà pubblicata nel corso dell’estate. Rende conto, infine, delle pratiche espletate per tradurre in atto il voto formulato lo scorso anno dal Comitato circa l’opportunità di far seguire da qual- cuno dei geologi dell’Ufficio le escursioni, che sotto la condotta di illustri spe- cialisti dovevano aver luogo dopo il Congresso geologico dì Vienna nelle Alpi centrali ed orientali. L’Ispettorato non ha mancato di fare in tempo le oppor- tune proposte al Ministero e di insistere in seguito perchè la cosa potesse at- tuarsi; disgraziatamente le pratiche fatte rimasero infruttuose; solo il Presidente del Comitato ebbe incarico di rappresentare il nostro Governo al Congresso anche nella sua qualità di presidente anziano dei Congressi internazionali. Il Presidente riferisce che a Vienna fu vivamente deplorata la mancanza di rappresentanza italiana, specialmente nelle escursioni alpine, dove sarebbe stata tanto utile un’intesa per il futuro coordinamento dei lavori delle carte geolo- giche dei due Stati confinanti. Fornisce quindi alcuni schiarimenti sullo stato attuale della Carta geologica d’Europa in corso di pubblicazione. Su proposta del Presidente si stabilisce che i fogli già pubblicati di detta Carta vengano distribuiti ai membri del Comitato che ancora non li hanno ri- cevuti. Pellati ricorda il voto espresso lo scorso anno dalla Società geologica per la sollecita pubblicazione della Carta della regione Vulsinia e la deliberazione favorevole presa in proposito dal Comitato. Presenta le prove di detta Carta in corso di tiratura. Il testo esplicativo sta pubblicandosi a puntate nel Bollet- tino e se ne faranno a suo tempo anche degli estratti da distribuirsi colla Carta stessa. Annunzia pure che, assecondando il desiderio espresso dalla stessa Società nell’ultima sua adunanza, ha fatto compiere dall'ing. Stella il rilevamento della sezione naturale messa in evidenza nella cava di ghiaia aperta sulla destra del Tevere presso Ponte Molle. Ve sarà dato conto in uno dei prossimi fasci- coli del Bollettino. - 9 - Rammenta con piacere le ottime relazioni esistenti fra l’Ufficio geologico e detta Società ed è lieto del rinnovato sussidio da parte del Ministero. Assi- cura infine che non mancherà di adoperarsi nei limiti del possibile per la buona riuscita delle escursioni che essa farà quest’anno sotto la guida del suo degno presidente il prof. Meli. Meli ringrazia e prende occasione per ricordare l’angustia del locale messo sinora a disposizione della Società presso l’Ufficio geologico per il collocamento dell’archivio e della biblioteca. Pellati confida, come già ebbe altra volta a dichiarare, di poter quanto prima rimediare all’inconveniente lamentato. Lo stesso poi partecipa che per la Memoria descrittiva delle Alpi Apuane, da tanto tempo attesa, ha disposto, in seguito anche a sollecitazioni fatte dal Ministero, che la sua definitiva preparazione abbia luogo entro l’anno corrente, con precedenza su qualunque altro lavoro degli ingegneri che ne hanno l’in- carico, avendo il prof. Canavari già pronte le tavole e quasi ultimato il testo per l’immediata pubblicazione della sua Appendice paleontologica. Presenta al Comitato alcune di queste tavole col testo relativo, inviate in comunicazione dall’autore. Il Comitato manifesta il suo compiacimento per le disposizioni adottate, che trova giuste e convenienti sotto ogni riguardo. Pellati informa pure che, a norma del voto espresso dal Comitato nell’adu- nanza dello scorso anno, sono state date le disposizioni per la stampa di 5 fogli della Carta geologica della Toscana al 100,000, a mezzo di uno stabilimento di questa città, onde possa così eseguirsi sotto la diretta sorveglianza dell’Ufficio. Il Presidente comunica una lettera del prof. Sacco il quale, ricordati i buoni rapporti sempre esistiti fra la Scuola d’applicazione degl’ingegneri di Torino ed il Servizio della Carta geologica, e sperando che questi continueranno anche per l’avvenire, inette a disposizione dei rilevatori il materiale delle ricche ecl importanti collezioni del suo gabinetto. Il Comitato approva un voto di ringraziamento. La seduta è tolta alle ore 12. Il Segretario P. Zezi. Il Presidente GL Capellini. Seduta pomeridiana. Il presidente Capellini apre la seduta alle ore 15 15' essendo presenti oltre al predetto i membri Issel, Mazzuoli, Meli, Parona, Pellati, Striiver, Taramelli ed il segretario Zezi. Il Presidente partecipa che è in corso di stampa un lavoro del prof. Fucini sul Monte di Cetona, con molte tavole di fossili ed una carta geologica. Con tale lavoro il Fucini illustra un punto interessante dell’ Appennino centrale, nel quale è rappresentata la serie secondaria dal retico al titanico e ne fa il coor- dinamento coi terreni superiori della regione. Per la circostanza che ivi si tro- vano ricche faune caratteristiche, lo studio è oltremodo importante per l’inter- pretazione di altri punti di analoga costituzione e riuscirà quindi anche di notevole utilità per i lavori della Carta geologica. Trattandosi di una pubbli- cazione che cagionerebbe grave dispendio all’autore, crede che sarebbe giusto aderire ad una di lui richiesta proponendo al Ministero di accordargli un sus- sidio, che si potrebbe stabilire in lire 250. Il Comitato approva all’unanimità. Pellati , dietro invito del presidente, riprende la sua esposizione e riferisce intorno ai lavori di rilevamento e d’ufficio compiuti nello scorso anno. Egli passa così in rassegna i nuovi rilevamenti eseguiti nelle Alpi occidentali, nella Liguria occidentale, nelIUmbria e nelle Marche, le revisioni compiute nella provincia di Roma e nell’Abruzzo, nonché i vari lavori d’ufficio e le pubblica- zioni fatte. Questa esposizione non dà luogo ad alcuna osservazione o discussione. Pellati dà lettura del programma dei lavori per la prossima campagna, comprendente i nuovi rilevamenti nelle Alpi, nella Lignria, nell’Umbria e nelle Marche, le revisioni nella provincia di Roma, nell’Abruzzo, nella Basili- cata e nell’estremità H.E della Calabria, anche in vista dell’attacco fra queste due ultime regioni, nonché diverse ricerche paleontologiche. Enumera infine le pubblicazioni proposte per l’anno corrente fra le quali 5 fogli al 100,000 (con tavole di sezioni) della Toscana meridionale, 7 fogli pure al 100,000 (con una tavola di sezioni) della Basilicata, una cartina delle Alpi occidentali al 100,000, la Memoria descrittiva delle Alpi Apuane ed il 5° supplemento al Catalogo della Biblioteca. Il Comitato approva. Parona richiama l’attenzione del Comitato sull’importanza dal punto di vista paleontologico e geologico delle formazioni calcaree cretacee dei dintorni di Bagno nel territorio aquilano, alle controversie sulla loro età e chiede so non sarebbe il caso che l’Ufficio vi facesse compiere delle ricerche paleontolo- giche, allo scopo di procurarsi tutti gli elementi necessari alla sicura e defini- tiva determinazione cronologica delle medesime. Capellini si dichiara favorevole alla proposta del prof. Parona ; sarebbe lieto anzi se il medesimo, che già ebbe ad occuparsi di tale importante que- stione, acconsentisse a studiare anche il materiale che sarà ora raccolto. Pellati si compiace di una tale proposta che viene ad integrare quanto già si è deliberato relativamente allo studio del Monte di Cetona. La determina- zione cronologica dei terreni di Bagno sarà utilissima per lo studio della serie cretacica della intiera regione. Si associa quindi ben volentieri alla proposta del presidente. Parona ringrazia dell’ accoglienza fatta alla sua proposta e per la fiducia dimostratagli. Il Comitato approva. Il Presidente pone in rilievo l’importanza della presa deliberazione per la questione di massima che involge. Egli crede che il valersi il più largamente possibile dell’opera dei più valenti specialisti in paleontologia sia per arrecare i migliori risultati nei lavori dell’Ufficio geologico. Taramelli propone, se non di ultimare almeno di ulteriormente completare lo studio del quaternario della Valle Padana in relazione specialmente alle nuove vedute di alcuni geologi circa la pluralità dei periodi glaciali. Dopo brevi osservazioni dei membri Capellini , Strttver e Parona , Pellati fa osservare che l’alta direzione di tale studio era stata ed è tuttora affidata al professore Taramelli. Egli ritiene quindi che questi possa prendere senz’altro colla Direzione del servizio gli opportuni accordi per gli ulteriori perfeziona- menti da arrecarsi ai lavori già eseguiti sul quaternario della Valle del Po. Il Comitato approva. Taramelli ringrazia. La seduta viene tolta alle 16. 10'. Il Presidente Il Segretario G. Capellini. P. Zezi. Seduta del 7 giugno 1904. La seduta viene aperta alle ore 10,30' essendo presenti il presidente Ca- pellini, i membri Issel, Mazzuoli, Meli, Parona, Pellati, Striiver, Taramelli ed il segretario Zezi. — 12 — Tarumelli , dietro invito del Presidente, legge le seguenti conclusioni adottate dalla Commissione per la questione dell’età della zona dei calcescisti e delle pietre verdi. « La Commissione non lia potuto accedere alle località studiate dagli inge- « gneri Zaccagna e Franchi in attesa di conoscere le ulteriori osservazioni del « primo alle affermazioni del secondo. Dalla lettura delle memorie, dall'esame « delle sezioni e delle carte pubblicate dai due rilevatori, come pure per le « osservazioni fatte dai membri della Commissione in altri punti delle Alpi « occidentali, essi membri riportano l’impressione che la interpretazione del « Franchi non sia in opposizione coi più recenti risultati della stratigrafia « alpina, così in Italia come in Francia e nella Svizzera : ma essi uon credono « di potersi pronunciare pei singoli dettagli, di cui la interpretazione è discorde, « senza un attento esame sul terreno, coll’intervento di entrambi i suddetti rile- « vatori. Siccome poi l’uno e l’altro ammettono l’esistenza di calcescisti sotto- « stanti al Trias, così è da riconoscersi la possibilità che in alcuni casi sia « conforme al vero l’interpretazione dello Zaccagna ed in altri quella del Franchi, « così pei calcescisti come per le pietre verdi, distribuite a vario livello nella « serie delle roccie scistoso-cristalline delle Alpi occidentali ». Il Presidente propone un voto di ringraziameato alla Commissione che viene approvato. Mazzuoli propone che si prenda per ora atto delle conclusioni della Com- missione, rimandando ogni deliberazione a quando, terminate le visite sui luoghi, la Commissione stessa avrà formulato le sue conclusioni definitive. Pellati non dissente. Il Comitato approva. La seduta è tolta alle ore 11. 30'. Il Presidente G. Capellini. Il Segretario P. Zezi. Relazione al R. Comitato geologico SUI LAVORI ESEGUITI PER LA CARTA GEOLOGICA NEL 1908 E PROPOSTE DI QUELLI DA ESEGUIRSI NEL 1904. Questioni generali e comunicazioni. Duoimi di dovere finche quest’anno incominciare la mia esposizione con ricordi dolorosi. La grave perdita che ha colpito il nostro Comitato per la morte di Gaetano Giorgio Gemmellaro fu profondamente sentita da ciascuno di noi, anche per le simpatiche qualità dell’uomo che alla profondità della dot- trina accoppiava tanta bontà di animo, semplicità di modi e serenità di spirito. Egli apparteneva da oltre 24 anni al Comitato geologico, cioè dall’epoca in cui fu ricostituito sulle basi attuali col R. Decreto del 23 gennaio 1879 ; e nel lungo periodo di tempo trascorso apportò con grande amore alle nostre discussioni ed ai nostri lavori il prezioso contributo della sua vasta coltura e della sua esperienza. Egli fece parte delle varie Commissioni che hanno preparato e confermato il presente ordinamento del servizio della Carta geologica, cioè della Giunta consultiva convocata in Firenze nel 1861, della Riunione dei geologi italiani tenuta in Roma sotto la presidenza di Quintino Sella nel 1874, e della Commissione adunata in Roma dal Ministro Berti nel marzo 1882 e presieduta dal Meneghini. Ron è qui il luogo di tessere la biografia dell’esimio scienziato e del cit- tadino esemplare ; ricorderemo soltanto che l’opera sua come geologo si svolse essenzialmente sui terreni secondari della Sicilia dei quali fece l’anatomia ex- novo, quando mancavano ancora studi precedenti su basi veramente esatte e scientifiche. Il suo concorso diretto ai lavori per la Carta geologica del Regno si esplicò singolarmente nell’incarico che ebbe della alta direzione scientifica del rilevamento geologico della Sicilia, iniziato nel 1877. In tale occasione egli pose a disposizione dei nostri rilevatori le sue vaste cognizioni sulla geologia del- risola ed il ricchissimo materiale già da lui raccolto. Le sue illustrazioni dei terreni secondari di Sicilia, notevoli per rigore di metodo e per utilità scien- tifica, servirono di base al rilevamento stesso. — 14 — La sua salute, già affievolita per eccessivo lavoro, aveva da qualclie tempo posto in grave apprension3 i numerosi suoi amici : ma la sua morte avvenne in Palermo il 16 marzo ultimo, come conseguenza immediata di una breve e violenta cardiopatia. Il nostro Presidente non tardò a dare incarico al dottor Di-Stefano di rap- presentare il Comitato ai funerali ; il che fu fatto anche da noi per il Corpo delle miniere e per l’TTfficio geologico esprimendo telegraficamente alla famiglia le nostre sentite condoglianze ed aggiungendo al Di-Stefano nella rappresen- tanza l’ingegnere delle miniere Luigi Dompè. Benché non in diretta connessione col nostro Comitato, altre due persone vogliono essere qui mestamente ricordate le quali ebbero una qualche parte nei lavori attinenti alla nostra Carta geologica, cioè gli ingegneri Giacinto Berruti e Michele Anselmo. Il primo coadiuvò, come molti di noi ben ri- corderanno, il Sella ed il Gastaldi nella formazione della Carta geologica del Biellese che comparve nel 1864 in quattro fogli colorati a mano della Carta topografica degli Stati Sardi alla scala di 1 : 50,000 1. Egli appartenne fino al- l’anno 1881 al Corpo delle miniere, donde passò alla direzione del Museo indu- striale di Torino. Morì repentinamente in questa ultima città addì 11 dell’ultimo scorso febbraio. L’ing. Anselmo, morto in Napoli l’ll aprile p. p., colla qualità di inge- gnere-capo di quel Distretto minerario, era stato applicato, al principio della sua carriera nel Corpo delle miniere, ai lavori di rilevamento geologico della Sicilia dove aveva specialmente coadiuvato l’ing. Baldacci nel rilevamento della re- gione occidentale dell’isola, comprendente le provincie di Palermo e di Trapani con parte di quella di Girgenti. Eu occupato in questo rilevamento negli anni 1880 e 1881 ; fu poscia trasferito al distretto di Iglesias dove rimase sino alla fine del 1902, cioè per oltre 20 anni. Ivi pubblicò uno studio sulle miniere metal- lifere della Sardegna ed un’altro sulla ricerca delle acque sotterranee nell’isola mediante i pozzi Norton 2. Non possiamo chiudere questi melanconici ricordi senza far anche parola della prematura scomparsa di un ingegnere di miniere e geologo che quan- tunque straniero ebbe presso di noi molti amici affezionati : sir Clement Le 1 Q. Sella, Costit. geol. e industria del Biellese. Biella 1864. 2 Boll, di Notizie agrarie, 1895. — 15 — r 'Aeve Poster morto a Llandudno (Nortli Wales) il 19 aprile ultimo nella posi- zione eminente di Ispettore delle miniere, capo del Servizio minerario della Gran Bretagna. Egli aveva cominciato la sua carriera nel 1860 nel Geological Survey dove si occupò per 5 anni di rilevamenti geologici nel Kent, Sussex e Yorksliire sotto la direzione di sir Roderico Murcliison. Dedicatosi quindi al ramo minerario ebbe occasione di stare fra noi, occupato presso la Società delle miniere aurifere di Pestarena, per circa 3 anni e fu in quel tempo che abbiamo avuto occasione di stringere con lui vincoli di cordiale amicizia. Tornato in Inghilterra si applicò al servizio governativo delle miniere ed ebbe più tardi l’incarico dell’insegnamento dell’arte mineraria alla scuola di Londra lasciando fra i suoi scritti un pregevole Textbook of Ore and /Stone Mining. La bontà del suo servizio come Ispettore-capo delle miniere fu da quel Governo ultimamente riconosciuta e ricompensata elevandolo al grado di Baronetto come qualche volta si usa presso quella nazione. Conservo di sir Le Aeve Poster grato ri- cordo personale avendo egli molti anni addietro avuto la cortesia di tradurre in inglese una mia monografia sulle miniere e sullo stabilimento montanistico di Agordo « On Mine and smelting Works of Agordo » \ Per la morte del prof. Gemmellaro si è reso vacante un posto nella com- posizione del nostro Comitato, e non dubitiamo che il Ministero provvederà quanto prima alla nomina in conformità al disposto del R. Decreto del 23 gen- naio 1879. Procediamo ora senz’altro all’esame dei lavori eseguiti nello scorso anno dal nostro personale, incominciando da quelli di campagna. Nuovi rilevamenti e revisioni. — L’area rilevata a nuovo nel 1903 fu di kmq. 1970, cioè di circa 1000 minore di quella rilevata nell’anno precedente; l’area rive- duta fu di kmq. 800, anche inferiore di un terzo circa a quella della quale era stata fatta la revisione l’anno innanzi. Analizzando però il lavoro effettivamente compiuto in campagna dai nostri rilevatori si vedrà che fu presso a poco eguale a quello degli anni decorsi. Ed invero di poco inferiore fu l’estensione rilevata a nuovo nelle Alpi (1000 kmq.) ; la differenza in meno essendo dovuta essen- zialmente ad indisposizione dell’ing. Mattirolo, la quale gli impedì di attendere per qualche tempo alle operazioni di campagna. Lo stesso ingegnere fu poi anche distratto dal suo lavoro per l’incarico che, col consenso del Ministero, gli fu af- fidato di occuparsi, a richiesta del sindaco di Torino, dello studio delle sorgenti 1 The Miners’ Association of Cornwall and Devonsliire, Truro 1869. — 16 — -n del Piano della Mussa nelle valli di Lanzo, e dei progetti di derivazione dalle medesime di acqua potabile ad uso di quella città. Egli dovette oltre a ciò fare nella stagione estiva diverse gite alle miniere dell’Elba colla Commissione mi- nisteriale incaricata dell’accertamento del minerale di 2a categoria. Ma la ragione principale della considerevole differenza in meno nell'esten- sione dei rilevamenti nuovi eseguiti dal nostro personale sta nel fatto che l'in- gegnere Lotti dovette nello scorso anno occuparsi a rilevare l’intricato nodo appenninico dei dintorni di Eerentillo, Leonessa, Arrone e Piediluco, nel quale lavoro dovette valersi del concorso dell’aiutante Moderni. Ciò impedì a lui e all’altro di estendere, come negli anni precedenti, i loro rilevamenti a vaste superficie su terreni più facili. Mentre le zone litoranee delle Marche ed i terreni più facili dell’Umbria di cui essi si occuparono negli anni decorsi avevano permesso al Moderni di rilevare nel 1902 ben 900 kmq. ed all' inge- gnere Lotti kmq. 700, l’estrema complicazione della tectonica della regione a cui essi si dedicarono nel 1903 non permise a quello che lo studio di 180 kmq. ed al Lotti di soli kmq. 400. Aon parliamo delle altre ragioni di ordine più generale che contribuirono alla diminuzione dell’estensione complessiva dei nuovi rilevamenti e delle revi- sioni compiute, come la cattiva stagione che al principio della campagna ostacolò e fece ritardare i lavori specialmente nello Alpi ; le verificazioni che si dovettero fare in diverse località per la preparazione della carta di insieme delle Alpi occidentali in corso di pubblicazione e per lo studio delle questioni di cronologi;! alpina e apenninica ben note al Comitato. Anche gli incarichi straordinari conferiti al nostro personale furono que- st’anno molti e non poco laboriosi, come si vedrà dal relativo capitolo, special- mente per l’Ingegnere-capo dei rilevamenti, il quale dovette dedicare ad essi gran parte del suo tempo e della sua attività, con 54 giorni di escursione, specialmente per lo studio di nuovi tracciati ferroviari. La spesa totale fatta per le escursioni discese nel 1903 a lire 16,014. 63 da lire 17,551. 68 corrispondenti all’anno precedente, ed i giorni impiegati si ridussero da 1145 a 1018. La riduzione poi non poteva naturalmente, come risulta da quanto si è sin qui detto, essere in proporzione delle aree rispettivamente rilevate. Zona dei calcescisti e delle pietre verdi nelle Alpi . — Appena l’ing. Zaccagna ebbe terminata la sua nota su questo argomento \ nella quale tratta partico* 1 D. Zaccagna, Alcune osservazioni sugli ultimi lavori geologici intorno alle Alpi occidentali (Boll, del R. Com. geologico. Anno 1903, n. 4). Roma, 1904. — 17 lai-mente dei calcescisti e delle pietre verdi diValgrana e di Valmaira, in op- posizione a quanto ne disse il Franchi nelle sue note precedenti, se ne diede, in principio dello scorso aprile, comunicazione in bozze al prof. Taramelli perchè potesse riferire intorno ad essa, ed intorno alla questione in genere, le sue im- pressioni, e stabilire eventualmente il da farsi in esecuzione dell’incarico che gli fu confermato dal Comitato nell’ultima adunanza colla collaborazione dei professori Issel e Parona. Il prof. Taramelli rispose che per altri suoi impegni scientifici e didattici, ed anche per ragioni di salute e di famiglia, non poteva subito occuparsi della questione; ma che se ne sarebbe occupato il più presto possibile in modo da poterne fare un cenno nella presente adunanza del Comi- tato stesso. Egli vi dirà ora cosa ne pensi; ma intanto credo opportuno ricordarvi che ormai la questione ha perduto quel carattere generale che aveva in principio, riducendosi le discrepanze all’interpretazione tectonica di alcune località, specialmente di quelle cui si allude nell’ultima nota dello Zaccagnn. Può ritenersi ammesso quanto io diceva nell’ultima mia Relazione, che cioè i calcescisti e le pietre verdi non si debbono considerare come caratteristici di par- ticolari orizzonti geologici , essendo innegabile la loro presenza nel secondario , specialmente nel Lias , mentre non è escluso che se ne trovino anche nei terreni sottostanti , nel Pernio-carbonifero , ed anche in terreni più antichi. Ea loro rap- presentazione nella Carta geologica è subordinata allo studio accurato e coscien- zioso della tectonica locale, e ciascun operatore è libero di attenersi per lo aree rispettivamente assegnate a quell’ interpretazione che crede meglio corri ■ spondere alle sue osservazioni messe in rapporto colle norme generali adottate dalla Direzione in base alle vedute ed ai criteri stabiliti dal Comitato. La Commissione presieduta dal prof. Taramelli potrà dunque compiere il suo studio a tutto suo agio mediante quelle verificazioni locali che crederà di fare; ed in base ai risultati delle osservazioni che essa presenterà il Comi- tato potrà dare per le varie zone controverse, secondo i casi, il suo giudizio .nella definitiva approvazione del figurato. Carta generale delle Alpi occidentali. — IN'ella Carta d’insieme delle Alpi occidentali alla scala di 1 ; 400,000, in corso di esecuzione, non si mancherà di uniformarsi per la^ zona controversa alle vedute della Commissione all’uopo designata dal Comitato sotto la presidenza del prof. Taramelli, previe quelle ricognizioni locali che essa credesse ancora di fare; e prima di addivenire alla pubblicazione della Carta normale al 100,000, il Comitato potrà a suo tempo pronunciarsi in base a tutti gli elementi di giudizio che la detta Commissione e l’Ufficio potranno ancora raccogliere. — 18 — Quanto alla Carta suddotta al 400,000 faccio noto al Comitato che il dise- gno topografico, del quale si presenta un saggio, ne è oramai pressoché ulti- mato e che perciò si porrà mano senz’altro all’esecuzione del figurato geologico per il quale si terrà conto*delle suespresse avvertenze e di qualche ulteriore verificazione locale che potesse occorrere. Tuttavia essa potrà venire com- pletamente allestita entro l’anno in corso. Come lavoro avente relazione con questo argomento ricordiamo il figurato al milionesimo, comunicato lo scorso anno alla Direzione della Carta geologica di Francia, dietro sua richiesta, e ne presentiamo una copia al Comitato. La progettata nuova edizione della Carta francese, per la quale eravamo stati in- vitati a prestare la nostra collaborazione, non fu ancora pubblicata: sappiamo peraltro, che il direttore del Servizio della Carta geologicà di Francia fu molto soddisfatto del nostro lavoro, che trovò corrispondere e collegarsi assai bene ai lavori dei geologi francesi. Soltanto si riscontrarono notevoli discrepanze nella parte topografica, per la quale ci siamo serviti dei fogli al 1,000,000 della Carta del nostro Istituto geografico militare. Ma osserviamo che questa Carta non era stata formata in base ai più recenti rilevamenti eseguiti dall’Istituto medesimo, ma servendosi per quella regione dell’antica Carta al 50,000 dello Stato maggiore sardo. Studio geologico-minerario dei giacimenti ferriferi della valle d'Aosta. — Hella carta al 400,000 che verrà pubblicata colle norme anzidetto entro il ven- turo anno, sarà messa in evidenza l’entità del poderoso lavoro compiuto dai nostri operatori geologi nelle Alpi occidentali in questi ultimi anni e sarà indicata la risoluzione delle classiche questioni, che furono oggetto degli studi di eminenti geologi d’Europa e d’America. Dopo ciò si potrà procedere senz’altro, in relazione coi mezzi di cui potremo disporre, alla pubblicazione della carta normale al 100,000 facendo tesoro dalle osservazioni, cui darà luogo la pubblicazione della suddetta carta d’insieme al 400,000 e delle conclusioni della nostra Commissione sulla classificazione che spetta alle pietre verdi delle località ancora in discussione. Per il generale coordinamento delle formazioni nelle Alpi occidentali, non poteva non riuscire di grande utilità lo studio ultimamente pubblicato sulla zona antracitifera, il quale, anche astraendo dalla sua portata industriale, ha dato occasione di seguire a passo a passo in modo accurato e preciso nelle varie sue manifestazioni il più importante e più sicuro orizzonte geologico alpino. Un altro studio analogo di geologia applicata venne testé approvato dal - 19 Ministero per le Alpi occidentali e specialmente per la valle d'Aosta, o diremo meglio per il vasto bacino della Dora Baltea, ed è lo studio geologico-mine- rario dei giacimenti ferriferi. Nell’intendimento del Ministero lo scopo principale di tale studio deve essere quello di riconoscere, come meglio sarà possibile, il valore economico di quei giacimenti, dei quali alcuni industriali affermano, da qualche tempo, che si trovano in condizioni tali da poter estendere la loro influenza sul mer- cato siderurgico europeo, mentre altri li considerano di importanza industriale affatto secondaria. Comunque sia, lo studio di cui trattasi potrà contribuire non poco alla migliore conoscenza ed alla completa illustrazione della suddetta formazione delle pietre verdi, alla quale i giacimenti ferriferi di quella regione si rannodano ed in tale senso potrà servire di utile complemento alla Carta ‘delle Alpi occidentali. Fu disposto pertanto, come si vedrà dal programma dei lavori da com- piersi nell’anno corrente, che due dei nostri ingegneri che hanno avuto parte nei lavori di rilevamento di quella regione, cioè gli ingegneri Mattirolo e No- varese, si occupino di questo studio colla collaborazione dell’ingegnere Ema- nuele Ricci addetto all’Ufficio minerario di Torino, per la parte relativa specialmente alla coltivazione dei giacimenti stessi a scopo industriale, mettendo a contributo le notizie di cui dispone il detto Ufficio minerario, intorno ai tentativi di coltivazione già fatti ed ai risultati tecnico-industriali che se ne ottennero. La perfetta conoscenza che i nostri geologi devono avere della regione per le numerose e recenti investigazioni in essa compiute nell’occasione del rilevamento della Carta geologica in grande scala, li pone in grado di com- piere l’incarico loro affidato con rapidità e sicurezza, mettendo in rilievo, in modo analogo a quanto già si fece collo studio dei giacimenti antracitiferi, l’utilità pratica della carta geologica per una delle tante e svariante applica- zioni cui essa si presta nel campo tecnico, non meno che in quello econo- mico. Anche nel caso che lo studio da farsi conducesse alla constatazione di condizioni poco favorevoli all’economica coltivazione dei giacimenti di cui trat- tasi, la sua utilità pratica riuscirebbe egualmente apprezzabile col fornire argo- menti attendibili per distogliere il capitale ed il lavoro nazionale da impieghi problematici o meno profittevoli. Zona marnoso-arenacea dell' Umbria. — Per lo studio della questione sulla cronologia degli strati marnoso-arenacei dell’Umbria contenenti faune di tipo miocenico apparentemente frammiste ad altre di tipo eocenico, il Comitato geo- logico stabilì, come è noto, cbe una speciale Commissione, di cui avrebbe fatto parte l’Ingegnere- capo dei rilevamenti ed il Paleontologo, oltre all'ing. Lotti ed al colonnello Verri, visitasse le località più caratteristiche, per poter poi d’accordo addivenire ad una soddisfacente soluzione del problema e quindi alla determinazione sicura del posto di quelle roccie nella serie geologica. In seguito a conferenze fra i funzionari dell’Ufficio e il colonnello Verri, avendo questi indicate altre località favorevoli per lo studio della questione, l’ing. Lotti eseguì fin dalla scorsa estate un rilevamento dettagliato di quelle regioni cir- ; costanti al Monte Subasio, e vi poterono raccogliere nuovi ed importanti eie- I menti. Benché i dati raccolti, per quanto numerosi, non fossero ancora completi, si credette tuttavia opportuno che la Commissione suddetta visitasse nell'or de- corso maggio alcune località caratteristiche per poterne, anche solo provviso- j riamente, riferire al Comitato nelle adunanze di quest’anno, trattandosi di una questione la quale interessa non solo l’Umbria ma altre regioni de] nostro Ap- pennino. La Commissione tornata dalla sua visita ha ora presentato Ja sua relazione dalla quale risulta con sufficiente copia di osservazioni e di argomenti che la zona di cui trattasi si compone veramente di due piani distinti i quali, benché di facies non molto dissimile, devono indubbiamente riferirsi, in base al coni- | plesso dei loro caratteri stratigrafici e paleontologici, il superiore al Miocene e l’inferiore all’Eocene. Flora fossile della Campagna Romana. — L’ing. Clerici ha ultimata la re- lazione sulle ricerche da lui compiute nella interessante zona Litoranea che si estende dal Tevere ad Anzio, corredandola di una cartina dimostrativa delle molteplici località a vegetali fossili. La detta relazione sarà pubblicata nel corso j dell’estate. Per potere utilizzare nello studio al microscopio anche taluni fossili che sono allò stato di fragile , carbone, se ne inviò all’estero un campione per l'al- lestimento delle sezioni sottili le quali riuscirono soddisfacenti, e perciò si pensa di farne eseguire delle altre che a suo tempo verranno studiate e con- j venientemente illustrate per la pubblicazione della Memoria relativa. La cava Mazzanti a Tor di Quinto (presso Roma). — In seguito a voto espresso dalla Società geologica nella seduta del li febbraio scorso, il nostro Ufficio ha fatto eseguire lo studio della sezione messa a giorno dagli scavi eseguiti nella cava suddetta, per estrazione di ghiaja, sulla riva destra del Te- j — 21 — ' -vere fra Ponte Molle e il promontorio di Tor di Quinto, lungo l’antica via Flaminia. La cava visitata nello stesso febbraio, fu trovata in parte abbandonata ed invasa dall’acqua: fu quindi necessario l’attendere che questa scomparisse per potere accedere alla fronte di cava, il che avvenne soltanto verso la metà del maggio. Hel frattempo la fronte stessa era stata in parte coperta da materiali franati, e fu necessario farla ripulire per procedere al suo esame. Ripetute visite fatte in luogo rivelarono la presenza di tre livelli principali, uno di arenaria pliocenica in basso alternantesi con sabbie gialle, altro medio di ghiaje con elementi vulcanici, un terzo superiore di tufo vulcanico. FTelle ghiaje si trovarono sparsi blocchi di quest’ultimo e altri di una marna con fossili pliocenici marini, i quali sarebbero stati riconosciuti per blocchi isolati, trasportati o caduti dall’ alto durante la deposizione delle ghiaje. Ora lo studio in posto è finito ; si fece un rilevamento topografico della cava, se ne presero alcune fotografie e, il tutto, insieme con una breve rela- zione, verrà pubblicato prossimamente nel nostro Bollettino. Traforo del Sempione. — Alla fine del 1902, come venne esposto nella relazione dello scorso anno, l’avanzamento dal lato svizzero aveva raggiunti km. 8 -\- 169 dall’imbocco Briga, e quello dal lato italiano km. 5 -f- 859 dal- l’imbocco Iselle. Imbocco Briga. — Coi lavori eseguiti nel 1903, fino dal km. 8 -j- 587 era inte- ramente attraversata la grande zona micascistosa e calcarifera e l’avanzamento si trovava nello gneiss scistoso del Monte Leone che venne traversato, incon- trando qualche faglia con riempimento detritico e caolinizzato fino al km. 8 768, dove, al di là di una superficie di scorrimento assai netta, si penetrò di nuovo entro micascisti molto triturati che necessitarono a tratti forti armature. Questi scisti erano più o meno calcariferi, ricchi di granati e prendevano talvolta aspetto gneissico. In tutto questo tratto l’inclinazione generale si mantenne verso ILO, con valori variabili; i piani di scorrimento erano generalmente poco obliqui ri- spetto alla scistosità della’ roccia, qualcuno soltanto inclinando a S.E. I micascisti e gneiss micacei molto granatiferi, talvolta con aghi di anti- bolo, continuarono fino al km. 9 -f- 375, al qual punto la perforatrice penetrò in uno scisto quarzitico, micaceo, bianco e in micascisti grigi somiglianti e talora identici agli scisti triasici. Al km. 9 + 399. 5 la galleria entra nel cal- care dolomitico micaceo indubbiamente triasico, in cui s’intercalano vene di 9 O anidrite cristallina violacea. Si può ritenere elle queste dolomiti sieno la con- tinuazione di un banco affiorante sulle rive del lago di Avino e immergentesi sotto lo gneiss del Monte Leone. In questo tratto la dolomite contiene vari minerali, come calcopirite, moscovite, clorite, quarzo, calcite, tormalina. La inclinazione generale, meno qualche accidentalità, è sempre verso TLO. Al km. 9 -f- 460 compaiono nella dolomite delle intercalazioni di scisti e qualche banco di anidrite, con vene di anidrite cristallina violetta, indi di nuovo calcari fino al km. 9 -f- 645, dove s’incontrano scisti grigi, cal* cariferi, con mosche di mica bruna; tutta questa serie calcareo-dolomitica appartiene con grande probabilità al Trias, mentre i calcari che s’incontrano dal chilometro 9 -f- 680 in poi sembrano essere l’equivalente dei calcescisti giuresi. La galleria penetrò quindi in calcari silicei, grigi, marmorei, i quali con- tinuarono fino al km. 10 -f- 144, dove l’ incontro di una abbondante sorgente calda di circa litri 3000 al 1' con temperatura di 48° a 49°, in un punto ove la galleria si trovava già in contropendenza, obbligò a una lunga sospensione dei lavori. Al 31 dicembre 1903 l’avanzamento si trovava a questo punto. Le inclinazioni generali erano di 15° a 25° verso ILO con qualche ripie- gamento e arricciatura locale. , Impiantate nei primi mesi di quest’anno delle potenti pompe centrifughe, vennero ripresi il 20 marzo i lavori di scavo, i quali ora procedono regolar- mente e con grande attività. Le eccessive temperature incontrate nei tratti precedenti diminuirono rego- larmente, in modo da accostarsi al grado geotermico normale; nell’attraver- samento dei calcari dolomitici e delle anidriti si ebbero numerose venute di acqua carica di gesso, contenente talvolta solfato di soda, alcune delle quali, abbondanti al primo incontro, diminuirono poi rapidamente di portata, mentre generalmente molto asciutti si trovarono i terreni scistosi e gneissici. Imbocco Isèlle. — Come si disse nella relazione dello scorso anno, l’ avan- zamento dal lato italiano era alla fine del 1902 al km. 5 -f- 859 dall’imbocco Iselle. La così detta puddinga a cemento gneissico, nella quale si trovava an- cora l’avanzata alla fine di marzo 1903, al km. 6 -f- 330, fu riconosciuta, dopo più maturo esame, come una varietà dello gneiss di Antigorio, nel quale i ciot- toli di gneiss granitoide, apparentemente inglobati in uno gneiss più scistoso^ sono dovuti alla maggior resistenza che queste parti più solide opposero alle azioni di laminazione. La inclinazione dei banchi era di 10° a 20° a ILO, in modo da far presumere che presto si sarebbero raggiunti sia gli scisti calcarei giuresi, sia le dolomiti è anidriti triasiche. Infatti al km. 6 -J- 830 alla roccia, che era passata a micascisto, si sovrappone un banco di marmo di circa un metro inclinato 15° a ILO. Dopo pochi altri scisti micacei calcariferi si ritrova al km. 6 + 862 il calcare marmoreo, alquanto micaceo, con passaggi a cipollino che continua con la stessa pendenza fino al km. 7 + 115, dove succedono degli scisti grigi micacei, indubbiamente equivalenti ai calcescisti giuresi di Cro* palla fra Cembro e l’Alpe di Teglia. Fino al km. 7 4- 752, a cui era giunto l’avanzamento al 81 dicembre 1908, i terreni constano essenzialmente di questi scisti micacei, grigiastri, più o meno calcariferi fino al km. 7 + 440, indi quasi totalmente privi di calcare. La loro inclinazione è di 10° a 25° verso ILO. Le massime temperature incon- trate nella roccia in questo tratto raggiungono i 39°. Pochissimo acquiferi si mostrarono gli gneiss a noduli e gli gneiss scistosi ; una forte venuta d’acqua si manifestò nel calcare marmoreo, ma diminuì molto rapidamente, e dal km. 7 -{- 622 fino all’avanzamento raggiunto il 31 di- cembre la roccia è quasi completamente asciutta. Le grandi sorgenti fra il km. 3 -f- 800 e 4 + 400, che alla fine di marzo 1903 erano diminuite fino a 766 litri, ebbero, come nell’anno precedente, un fortissimo aumento di portata all’epoca della fusione delle nevi e raggiunsero al fine di giugno litri 1011 al secondo. Un interessante rapporto del prof. Schardt fornisce molti particolari sul regime di queste vene acquee, sui risultati delle prove di colorazione della Cairasca, ecc., e in esso viene stabilito che la portata ne è alimentata, oltre- ché dalla penetrazione normale di acque meteoriche in un bacino imbrifero, che non potrebbe fornire che il 50 a 60 per cento dell’acqua penetrante nella galleria, anche da infiltrazioni della Cairasca e da sorgenti invisibili sgorganti sotto il riempimento alluvionale e morenico del piano di Hernbro, o dal bacino di Gebbo. Il prof. Schardt conclude che in seguito alle osservazioni fatte sinora, si può stabilire che il regime delle grandi sorgenti fredde della galleria non si modificherà più sensibilmente, e che la loro portata varierà fra i 700 e 1150 litri per 1". Anche dal lato italiano i lavori procedono regolarmente e attivamente fino al giorno d’oggi ed è sperabile che nell’ultimo chilometro, che oramai solo resta a perforare, non si abbiano tali difficoltà da ritardare il compi- mento dell’opera grandiosa, che secondo le previsioni dovrebbe avvenire nel- l’autunno di quest’anno. 24 — Fiera mondiale di Saint Louis. — Ebbi già occasione di accennare nella relazione dello scorso anno alle cortesi premnre fattemi dal signor G. A. Holmes, capo del Dipartimento delle miniere e della metallurgia per la Eiera mondiale testé inaugurata a Saint Louis, e dal sig. Walcott, direttore del Servizio geolo- gico degli Stati Uniti, perchè il Corpo reale delle Miniere prendesse parte a detta Esposizione. Aggiunsi anzi che anche il Ministero si era già favorevolmente pronunziato in proposito e che appena fossero terminate le pratiche del Go- verno per la sua ufficiale partecipazione e fosse stanziata la somma necessaria, si sarebbe senz’altro dato mano ai preparativi occorrenti per il nostro concorso. Ho ora il piacere di annunziare che un tale progetto potè a suo tempo rego- larmente realizzarsi secondo un programma consono al particolare carattere di detta Esposizione, alle speciali circostanze di luogo e di ambiente in cui essa si svolge ed agli scopi che doveva necessariamente proporsi il Corpo delle miniere. Diversamente da quanto si era fatto a Parigi nel 1900, si rinunziò ad illu- strare mediante speciali collezioni tutta la nostra industria mineraria limitan- dosi invece alle produzioni essenzialmente italiane dei solfi e dei materiali de- corativi ; poiché, come è noto, si è appunto il mercato nord-americano che tiene il primo posto per lo smercio, dei nostri solfi e che assorbe pure la parte più notevole della nostra esportazione di marmi greggi. L'organizzazione e le varie attribuzioni del Corpo delle miniere vennero poi messe in rilievo mediante la serie delle pubblicazioni e numerose carte stampate e manoscritte le quali varranno pure a dare un’idea della sua operosità. La nostra mostra, alla quale venne assegnato uno spazio di 150 mq., com- prende quindi quattro parti ben distinte, destinate rispettivamente ad illustrare il servizio geologico, il servizio minerario, i marmi e gli altri materiali decora- tivi italiani e l’industria solfifera italiana, colla disposizione indicata nell’unita pianta schematica. Il servizio geologico espose tutte le sue pubblicazioni: Bollettino, Memorie del Comitato geologico, Memorie descrittive, Catalogo della biblioteca, Guida delle collezioni, in tutto 52 volumi, nonché tutte le carte già pubblicate e, come saggio dei lavori in corso, i fogli seguenti manoscritti: t Foglio 41, Quadrante II . . al 1 Alpi occidentali \ ( » 4L Tavoletta II, S.E, » 1 Alpi Apuane . | » 96, n II, S.O, » 1 112, » I, S.E, » 1 Italia centrale . < 138, Quadrante III . . » 1 120 ...» 1 1 » 18 (in corso) . . . . » 1 50.000 - Chialamberto. 25.000 - )) 25,000 - Monte Altissimo. 25.000 - Montaione. 50.000 - Magliano Sabino. (E O Xs -ò 'Ir a Si aggiunsero, come esempio di applicazione dei nostri lavori geologici, tutte le pubblicazioni del servizio idrografico (Carta idrografica d’Italia e vo- lumi illustrativi) ed un diagramma murale delle forze idrauliche utilizzate. Isella mostra del servizio minerario tiene il primo posto una Carta dei gia- cimenti minerari italiani in 210 fogli, nelle scale da 1 a 25,000, 1 a 50,000, 1 a 100,000 a seconda dei vari territori ed un quadro d’insieme. In essa sono indicati per ciascuno dei principali giacimenti il suo andamento pianimetrico ed altimetrico e, per quanto è possibile, la sua forma e le sue particolarità, geognostiche e minerarie, rappresentando con colori e segni diversi le parti coltivate o constatate o semplicemente presunte. Un saggio di questa carta figurò già all’Esposizione di Parigi, dove fu assai favorevolmente apprezzato; ora essa è stata completata e non è d’uopo insistere sulla sua grande impor- tanza per tutti gli elementi che può fornire sia per agevolare nuove ricerche, sia per meglio dirigere i lavori di coltivazione. Come già il saggio del 1900, questa carta venne allestita nell’Ufficio geologico sui dati forniti dai diversi distretti minerari sotto la direzione dell’ingegnere Baldacci. Panno pure parte di questa mostra 32 volumi di pubblicazioni, una Carta mineraria d’Italia nella scala dai 1 a 500,000, diagrammi statistici murali, foto- grafie, disegni, monografie varie ed infine la perforatrice Sommeiller che servì a praticare il 25 settembre 1870 l’ultimo foro di mina nella galleria del Fréjus, cimelio questo di grande interesse storico che viene conservato in Torino a cura del Museo industriale italiano. La mostra dei materiali decorativi comprende i marmi, i graniti, i traver- tini e gli alabastri. Essa consta essenzialmente di un campionario sistematico ricco di quasi 300 esemplari, i quali si può ritenere rappresentino tutte le cave in oggi aperte, e di una collezione complementare affatto nuova di circa 150 pezzi (colonne, lastre, capitelli, cornici, vasi, statuette, ecc. ecc.) atti a mostrare il genere di lavorazione cui i vari materiali meglio si prestano e l’effetto che se ne può ottenere. Alcuni di questi provengono da antichi edifici romani e presentano quindi anche un interesse storico ed archeologico. La mostra dei solfi si compone analogamente di una copiosa collezione di cam- pioni illustranti i principali giacimenti italiani, comprendente per ognuno di essi, in un coi minerali utilizzabili, anche le roccie incassanti, le ganghe ed i minerali con- comitanti, nonché saggi di prodotti finiti e semifiniti e delle marche commerciali. Entrambe queste collezioni sono poi illustrate da carte, diagrammi dimo- strativi, disegni, fotografie, plastici, ecc., che permettono di farsi una chiara idea dello stato presente di queste due industrie e della loro potenzialità. Ideila formazione di questi campionarii hanno prestato un efficace concorso — 26 — ai nostri ingegneri la Camera di commercio di Carrara e molti industriali i cui nomi figurano nell’elenco degli oggetti esposti. Yon altrimenti di quanto si fece in occasione delle altre esposizioni alle quali partecipammo negli anni scorsi, fu anche per questa pubblicato un cata- logo speciale, destinato a far parte delle pubblicazioni del Corpo reale delle miniere, del quale viene oggi stesso distribuito ai membri del Comitato un esemplare. Per la copia e la varietà di notizie recenti, in gran parte inedite, tabelle statistiche e diagrammi che lo corredano, non dubito che questo Cata- logo riuscirà, come i precedenti, di grande interesse per gli studiosi e gli industriali e potrà sempre essere utilmente consultato come caposaldo di rife- rimento del progressivo sviluppo delle principali nostre industrie minerarie e metallurgiche. Di esso fu anche proposta un’edizione in lingua inglese, ad uso dei visitatori dell’Esposizione, limitata però all’elenco degli oggetti con riferi- mento ai numeri ed alle indicazioni apposte sui medesimi ed alle notizie d'in- dole più generale, corredate dai diagrammi e dalle tabelle statistiche. Della compilazione di questo catalogo venne incaricato l’ing. Novarese il quale si è giovato non solo delle notizie comunicate dagli ingegneri dei vari distretti minerari, ma anche di quelle raccolte per cura dei componenti l'Ufficio geologico. I diagrammi statistici furono disegnati sotto la direzione del- l’ingegnere Aichino. Da classificazione delle collezioni e tutti i lavori di coor- dinamento, nonché lo studio della più opportuna disposizione per la mostra, vennero affidati all’ing. Crema. Società geologica italiana. — De escursioni della Società geologica ebbero luogo lo scorso anno nella Montagnola Senese ed al Monte Amiata e l’ing. Dotti, che già aveva rilevato tali luoghi, si prestò molto opportunamente per dirigere, in unione al presidente Yerri, tutte le gite. I fogli inediti di Siena e Santa Fiora, alla scala di 1 a 100,000, coloriti geologicamente, erano già state all’uopo dal uostro Ufficio comunicate al Yerri, il quale potè così corredare di due ben riuscite cartine la sua interessante Gruida geologica delle regioni da visitarsi. De escursioni della Società si faranno quest’anno in Sicilia, sotto la pre- sidenza del nuovo presidente prof. Meli, che oggi abbiamo il piacere di vedere fra noi, ed il nostro Ufficio non mancherà di prestarsi, nei limiti del possibile, per la loro buona riuscita. Congresso internazionale geologico di Vienna. — In conformità al voto espresso lo scorso anno dal Comitato, su mia proposta, circa l’ opportunità di far seguire da qualcuno dei geologi dell’ Ufficio le escursioni che, sotto — 27 — la condotta di illustri specialisti, dovevano farsi, dopo il Congresso geologico internazionale di Vienna, nelle Alpi centrali ed orientali e circa la convenienza che in tale circostanza fosse usata al nostro personale ogni possibile agevola- zione anche dal lato finanziario, non mancò il nostro presidente di far rilevare l’importanza e l’urgenza della cosa nella sua lettera d’accompagnamento al Mi- nistero dei verbali delle nostre adunanze. In quella lettera infatti egli disse che nell’intento di approfittare della favorevole circostanza per l’istruzione dei geo- logi che dovranno occuparsi fra non molto del rilevamento delle Alpi orientali, orano stati fatti dal nostro Comitato voti ardentissimi, perchè ad essi fosse facilitato in ogni maniera di poter prendere parte al Congresso ed alle escursioni nelle Alpi, corrispondendo a ciascuno la spesa fissata dal programma stesso del Con- gresso; quale spesa sarebbe riuscita largamente ricompensata dal grande van- taggio che ne sarebbe derivato per il proseguimento dei nostri lavori. Egli fece poi anche rilevare l’importanza, per non dire la necessità, che, come per lo passato, non mancassero al Congresso di Vienna i rappresentanti del Comi- tato e dell’Ufficio geologico con veste ufficiale, come delegati governativi. Per dare esecuzione a tali voti mi affrettai, in vista dell’imminenza del Congresso, a fare al Ministero, con lettera del 25 giugno, la proposta concreta di autorizzare alcuni dei nostri geologi ad aggregarsi specialmente alle escur- sioni seguenti: 1° Vel bacino dell’Adige ; 2° Velie Alpi dolomitiche; 3° Velie Alpi Carniche e Giulio. L’interruzione dei lavori ordinari non doveva per tali escursioni superare i 20 giorni, e ciascun partecipante accettava di contribuire in proprio per le spese eccedenti le quote fissate dal Comitato ordinatore del Congresso ; talché la spesa totale si riduceva a non più di lire 2000. Questa spesa avrebbe natu- ralmente avuto largo compenso nell’economia risultante dalla cessazione delle indennità di campagna competenti a ciascun operatore per tutta la durata delle escursioni suddette. Il Comitato viennese accolse con entusiasmo l’annunzio della probabile nostra partecipazione alle loro escursioni, dichiarandosi disposto a tutte le pos- sibili agvolezze. Il Ministero però avendo ritardato a far conoscere le sue intenzioni riguardo a simile partecipazione, si credette bene farlo senz’altro con- sapevole, con altra lettera del 14 luglio, dell’adesione del Ccmitato di Vienna dandogli comunicazione del programma particolareggiato delle intese escursioni. Se non che, con lettera del 10 agosto, quando già erano cominciate le escur- sioni che dovevano precedere il Congresso, il Ministero annunciò che non re- putava opportuno, in vista delle condizioni del bilancio e della necessità di affrettare i lavori cui devono servire le somme inscritte nel bilancio stesso, di inviare funzionari dello Stato a prender parte al Congresso e alle escursioni, che in occasione di esso dovevano aver luogo. Pece pur conoscere che era stato dato incarico al presidente del Comitato geologico di rappresentarlo al Congresso. Tanto il presidente quanto il segretario generale del Congresso, profes- sori Tietze e Diener, non tardarono ad esprimere il loro rincrescimento per la mancanza dei geologi del nostro Ufficio, specialmente dalle escursioni, in cui sarebbe stata tanto utile un’intesa per il coordinamento dei lavori delle carte geologiche dei due paesi confinanti. Intorno a ciò potrà per altro dare al Comitato ulteriori notizie il nostro presidente, il quale per la sua qualità di presidente anziano dei precedenti Con- gressi geologici internazionali, non poteva mancare ed ebbe infatti dal Mini- stero la delegazione di assistere ufficialmente al Congresso di Vienna, come rappresentante del Governo italiano. Rilevamenti. Velia campagna geologica del 1903 fu regolarmente proseguito il lavoro di nuovi rilevamenti nelle Alpi occidentali, nella Liguria occidentale, nell’Umbria e nelle Marche e quello delle revisioni in Toscana, nella provincia di Roma e nell’Abruzzo, attenendosi al programma approvato lo scorso anno dal Comi- tato geologico. Ai rilevamenti nelle Alpi e nella Liguria furono, come di consueto, ap- plicati gli ingegneri taccagna, Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella, a quelli dell’Umbria e delle Marche l’ingegnere-capo Lotti e gli aiutanti Cassetti e Mo- derni, alle revisioni nella provincia di Roma l’ing. Viola col concorso del dot- tor Di-Stefano e l’ing. Sabatini (questi particolarmente per lo studio delle regioni vulcaniche a Nord di Roma), a quelle nell’Abruzzo l’a:utante Cassetti predetto. Come negli anni precedenti l’ing.-capo Zezi tenne la direzione dei lavori di campagna per la provincia di Roma, e l’ing.-capo Baldacci per tutte le altre regioni. Esponiamo ora partitamente il lavoro compiuto dai vari operatori nelle regioni suddette. Direzione dei rilevamenti. — Ing.-capo Baldacci. — Nell’anno decorso l'inge- gnere Baldacci non fu in grado di dedicare che piccola parte del suo tempo ai lavori della Carta geologica, essendo stato quasi sempre occupato per inca- - 29 — riclii del Ministero dei lavori pubblici, dei quali si farà cenno in seguito. Così non gli fu possibile visitare i lavori dell’Umbria, i rilevamenti iniziati nella provincia di Ancona, nè quelli dell’Abruzzo, e potè solo fare una breve gita nelle Marche per lo studio del giacimento solfifero di Cingoli e per quello della età da assegnare alla vasta e potente zona di scisti argillosi, che sottostà direttamente, nel versante adriatico dell’Appennino, alla zona solfifera, e poche escursioni nell’alta valle dell’Evan^on, e nell’alta Val Tournanche. Velia gita fatta nelle Marche insieme all’aiutante Moderni, che già aveva lavorato a quei rilevamenti, vennero visitati e studiati i dintorni di Cingoli, il giacimento solfifero di Capo di Rio, la regione fra Cingoli, Cupramontana e San Severino Marche. Furono con queste escursioni stabiliti i limiti e la tec- tonica del giacimento suddetto o i suoi rapporti con le formazioni argillo-sci- stose sottostanti e quelle arenacee che lo ricoprono, e si potè fare anche una buona raccolta di fossili, che studiati dal paleontologo dott. Di-Stefano, hanno dato sicuri argomenti per ritenere miocenici quegli scisti argillosi, i quali rag- giungono in quelle regioni grande potenza ed estensione. In questa escursione l’ing. Baldacci impiegò 10 giorni e percorse 237 km. Velie Alpi l’ing. Baldacci visitò dapprima nel luglio alcune cave di gneiss e di calcare nei dintorni di Domodossola, a Beura, Crevola e regioni limitrofo, e, mentre si disponeva ad andare a visitare i lavori del Sempione, fu richiamato per prender parte ai lavori di una Commissione per conto del Ministero dei lavori pubblici. Per la stessa ragione nel mese di agosto non potè profittare che di pochi giorni per visitare coll’ing. Vovarese i rilevamenti nell’alta valle dell’E- van^on, che Vienne percorsa fino alle sue origini a Fiery, ghiacciaio di Verrà, ecc., e lateralmente ai colli di Joux, di Ranzola, ecc., studiando in modo particolare i giacimenti auriferi dei dintorni di Brusson. Alla fine di detto mese dovette tornare a Roma per incarichi del Ministero dei lavori pubblici. Vel settembre potè fare un’altra gita nelle Alpi e visitò con l’ing. Matti - rolo l’alta Yal Tournanche e particolarmente il gruppo del Cervino fino all’al- tezza del Rifugio Luigi di Savoia (4000 metri circa), specialmente per esaminare una potente lente di eufotide ivi affiorante. Alla fine di settembre, dopo altra breve gita in Y al Tournanche, l’ing. Bal- dacci tornò a Roma per dedicarsi ai lavori relativi agli incarichi del Ministero dei lavori pubblici. Velie varie gite fatte per la direzione dei rilevamenti geologici l’ing. Bal- dacci impiegò 53 giorni, percorse 789 km. suvie ordinarie, con una spesa (com- prese quelle ferroviarie) di lire 772. 56. L’ing. Baldacci prese parte alla riunione estiva della Società geologica a Siena, visitando in quella occasione la Montagnola Senese, la miniera di anti- monio delle Cetine, ecc. Alpi occidentali. — Ing. Mattirolol — Le escursioni dell'ing. Mattirolo nel 1903 si svolsero principalmente nel bacino di Torgnon e con queste si può con- siderare come terminato, meno qualche necessario ritocco ed escursione, special- mente in alcuni punti dell’aspra e difficile catena che chiude la valle a Yord e Y.O, il rilevamento della Tal Tournanche, che egli aveva iniziato nel 1902. TsTella relazione sulla precedente campagna già fu accennato ai principali elementi geologici di tale regione. Il vallone di Torgnon che sboccando alla destra della valle principale volge a ISTord, con corso pressoché parallelo a questa, è attraversato, in direzione approssimata Y.Y.E, dalle formazioni che vi penetrano dall’attigua valle di S. Barthélemy. La zona dolomitica (triasica) con quarziti' è qui sempre collegata con la formazione gneissico-micascistosa ; essa è particolarmente sviluppata sul versante della Cima Bianca, e non ha qui relazione con la zona delle pietre verdi che in questa regione si immerge sotto quella degli gneiss e micascisti. La piramide del Cian che chiude il vallone è costituita da roccia granitoide arkesiniea. Sopra il colle che mette alla Comba di Cignana, al passaggio della roccia gneissica alla granitoide, si notano, come in venature, parti micromere d'aspetto fta- nitico e di color rosso-scuro, ricordanti quelle più sviluppate e comprese in roccie analoghe che si trovano presso la Cappella di Cuney nel vallone di S. Barthélemy, ed alle quali fu già accennato negli anni precedenti. Anche nel vallone di Torgnon le roccie della zona delle pietre verdi si mostrano particolar- mente intrecciate, laminate, tormentate nel loro andamento; si presentano in limitate manifestazioni e senza apparente predominio dei calcescisti sulle roccie verdi. In una limitata massa di serpentina, presso il Col Eenètre, l'ing. Mattirolo riscontrò in posto piccole quantità della nota serpentina nobile di Yerrayes. Yella relazione del 1901 questa fu indicata come adatta ad usi ornamentali edilizi, mentre invece non potendosene ottenere che masse limitatissime essa sarebbe piuttosto utilizzabile per la minuta ornamentazione. Tutto il fondo del bacino di Torgnon, particolarmente nella sua parte in- feriore, è occupato da terreno morenico cosparso di piccole conche palustri, e da quello in limitati affioramenti spunta la roccia sottostante. Questo terreno pro- venne in gran parte dall’alta Yal Tournanche e penetrò nel bacino di Torgnon. scavalcando l’arrotondata costiera che lo separa dalla valle principale. A prò- — 31 — posito di manifestazioni glaciali si può ricordare la serpentina mirabilmente levigata e striata che forma le balze verso la valle principale fra i casolari di Yezan e la Cappella di Nòtre Dame de la Pitie. Come fu già accennato, l’ing. Mattirolo salì, coll’ing.-capo dei rilevamenti, alla Capanna Luigi di Savoia sul Cervino, attraversando e delimitando la grande lente eufotidica, che con svariate strutture si presenta sotto la Testa del Leone ' ed attorno alla quale si modellano le roccie gneissiche, micascistose, archesiniclio varie ad andamento alquanto tormentato che formano il Cervino e l’alta costiera, che chiude verso Ovest la conca del Breuil. In questa gita, nel detrito sottostante alla Testa del Leone e da questa proveniente, si trovarono frammenti di calcare grigio che in piccole zone si mostra in quell’aspra parete. Riguardo agli scarsissimi minerali utili della Yal Tournanche, cui fu già accennato l’anno scorso, è da ricordare che, nei dirupi sotto i casolari di Triatel nel vallone di Petit Monde e nelle roccie prasinitiche, vi è un antico scavo abbandonato col quale già venne tentata la lavorazione di un meschino giaci- mento di solfuri cupriferi. Un’altra manifestazioneassai piccola di simili minerali nella stessa massa di roccie prasinitiche della precedente fu dall’ing. Mattirolo incontrata sul versante opposto della Yal Tournanche, nella parte superiore della parete che si eleva a S.E dei casolari di Jess. In qualche punto della valle, come al piede dell’alta parete verticale, quasi di contro a C. Chardin sul canale Marsiglie, in alto nella foresta a H.O del- l’alpe Pra de Tar, e poco sopra il Canale di Yerrayes a S.E della Cima d’Aver, si riscontrano scavi per ricerca di minerali di manganese ; i ricercatori furono qui tratti in inganno da una roccia di contatto, affatto speciale, essenzialmente zoisitica, cosparsa di materia carboniosa, contenente traccie appena sensibili di manganese, la quale può rassomigliare a detto minerale. La roccia è accompa- gnata da calcare nero carbonioso e ad essa associati si trovano quarzo e ma- teriali carbonati con cristalli cubici di pirite ben netti e sviluppati. Hella Yal Tournanche l’ing. Mattirolo terminò anche il rilevamento del bacino di Chamois, riattaccandosi al lavoro dell’anno precedente, e continuò poi il rilevamento nei dintorni di S. Yincent edEmarèse, procedendo verso Sud sul versante sinistro della Dora. Alla Testa di Colmagna incontrò un materiale leggermente cromifero ana- logo a quello già da lui incontrato nei territori di Penis, Issogne e Yerrès. Finalmente egli visitò le cave di amianto nelle serpentine dei dintorni di Emarèse. Avendo dovuto l’ing. Mattirolo occuparsi di lavori relativi ad incarichi speciali, di cui si parlerà più innanzi, ed essendosi il suo rilevamento svolto in regioni orograficamente e geologicamente assai difficili, e, come già si disse, con la circostanza sfavorevole di una prolungata indisposizione, l’area rilevata raggiunge soltanto 70 kmq. In questo lavoro impiegò 13 giorni di campagna (compresi due viaggi da Roma a Torino e viceversa), percorse 518 km. su via ordinaria, con una spesa totale (comprese quelle ferroviarie) di lire 825.63. Ing. Novarese. — Iniziò la campagna con alcune gite di revisione nella zona granitica canavesana (tav. di Barbania, Lanzo Torinese, Cuorgnè S.E) e nel di- stretto delle grafiti nelle Cozie (tav. di S. Secondo, Pinerolo e Pinasca). Con- dusse in seguito a termine il rilevamento della valle dell’EvanQon (tav. Cliallant e Ayas) incominciato l’anno precedente, impiegando in tal lavoro il massimo numero di giorni di campagna. Alcune gite furono dedicate ai dintorni di Aosta per terminare il rilevamento del versante destro della valle fra Aymaville e S. Marcel, dell’ottobre, mentre si disponeva a proseguire la revisione della zona granitica canavesana, la campagna geologica venne chiusa, occorrendo che il personale si occupasse per la preparazione degli invii del R. Ufficio geologico alla Esposizione universale di Saint Louis. I più notevoli fatti osservati dall’ing. Novarese in questa campagna geo- logica sono i seguenti. Nel contrafforte fra il Chisone e la Germanasca, presso ai casolari detti del Clot de Beaulard, le esplorazioni minerarie hanno messo fuor di dubbio la presenza di banchi antracitici dentro la zona grafitica, ciò che conferma l’ana- logia già fatta rilevare a suo tempo fra la formazione grafitica delle Cozie e le formazioni antracitifere della valle di Aosta e delle Alpi marittime e liguri. Nel vallone di Pramollo, dove sono le più produttive miniere di grafite, si è potuto accertare che i banchi della migliore qualità si trovano in prossimità delle masse dioritiche della bassa valle del Chisone (Porte, Poggio Pini, ecc.). associate con scisti macchiati, cosicché appare probabile che un’azione meta- morfica di contatto abbia contribuito alla trasformazione totale dei preesistenti banchi carboniferi in grafite. Nell’alta valle dell’Evanc^on (vallone di Terra) il limite occidentale dell'el- lissoide gneissico del Monte Rosa passa, invece che allo Schwarzthor, fra le due punte Castore e Polluce ; quest’ultima è costituita dalla stessa serpentina di cui è formata l’aspra Rocca di Terra. La particolarità degna del massimo interesse nella valle dell’EvanQon è una grande frattura trasversale, perpendicolare all’asse della valle stessa ed alla direzione dei ripiegamenti, frattura che corro dal Col di Joux al Col della Ran- — 33 - zola. La singolare e limitata cupola gneissica di Arcoza è troncata a Nord da questa frattura di andamento perfettamente rettilineo. L’altezza massima del rigetto è all’incirca uguale a tutta la potenza della formazione dei calcescisti. Difatti, il complesso di gneiss minuti e micascisti che, sovrapponendosi ai cal- cescisti, formano il crinale divisorio fra la valle dell’Evancon e quella del Lys è, al passo della Croix, poco ad oriente di Brusson, portato a contatto diretto degli gneiss dell’ellissoide di Arceza, coperto normalmente dai calcescisti. I terreni a Nord della frattura sono sprofondati rispetto a quelli posti a mez- zogiorno. La piramide della Becca di Nona è formata da gneiss minuti e micascisti granatiferi con nuclei eclogitici, sovrapposti ai calcescisti, affatto analoghi a quelli della bassa valle dell’Orco, della Chiusella e del Lys. L'estremo lembo della zona granitico-porfirica canavesana è formato a Sud da una piccola collina di porfido alterato, o tufo porfirico, che emerge dalle alluvioni della pianura presso Montiglio (frazione di Rocca di Corio). L’area complessivamente rilevata dall’ing. Novarese fu di circa 250 kmq. compresi principalmente nella tavoletta di Gressoney e limitrofe. In questo lavoro furono da lui impiegati 101 giorni di escursione e percorsi 1784- km. con una spesa totale, comprese quelle ferroviarie, di lire 1485. 42. Ing. Franchi. — Nei primi di luglio fece alcune escursioni di revisiono nella valle del Chisone, e nel rimanente del mese stesso e nei primi del suc- cessivo si occupò del rilevamento della valli del Corsaglia e del Casotto, per passare quindi a riprendere quello in corso della Tal Sesia. Compiuto il rileva- mento di una parte dell’alta valle, a monte di Riva Yaldobbia, l’ing. Franchi fece escursioni di ricognizione e parziali rilevamenti nelle valli di Yogna ed Artogna, nei dintorni di Campertogno e di Scopello, nella Yalle Piccola ed in Yal Mastellone e nei dintorni di Yarallo, allo scopo di rendersi conto degli andamenti e dei limiti di certe zone rocciose, come quella dei graniti inter- calati fra gli gneiss, della zona di pietre verdi che recinge a Sud e a S.E il Monte Rosa, per studiare i contatti delle masse dioritiche e dei graniti con gli gneiss, ecc. Iniziò in seguito il rilevamento nei dintorni di Borgosesia, di Crevacuore, ecc., e fece qualche ricognizione nel bacino di Sostegno, chiudendo la campagna alla metà di ottobre. Tra i fatti degni di nota osservati dall’ ing. Franchi in questa campagna, sono da ricordare i seguenti. Ideile valli Corsaglia e Casotto furono scoperti nuovi affioramenti di terreni giuresi e cretacei nella zona sinclinale del Mondolè, Bric Fantino, Monte Antoroto, la quale è la prosecuzione molto deformata della zona 34 Roccie Camussè-Rocca di Cars, nella quale negli anni precedenti V ing. Franchi aveva già distinto il Giurese, rappresentato da calcari marmorei, simili a quelli del Colle di Tenda, ed il Cretaceo costituito da scisti calcareo -marnosi ricordanti quelli di Val Roj a. Ideile valli Corsaglia e Casotto il Giurese, rappresentato qui pure da calcari marmorei bigio-chiari e più raramente da calcari cristallini chiaz- zati o venati di roseo o mandorlati, forma una zona continua dal Vord del Mon- dolè per la Cappella della Balma, il Vallone Sbornina, la Costa Montrossino, la Cima Ciuajera e l’Antoroto, donde scende in Val Tanaro. Esso poggia diretta- mente sul Trias medio, presentando alla base scisti rossi e verdi ottrelitici ed oli- gistiferi e sopra questi delle parti arenacee, talora violacee, zeppe di Cor aliavi, Nerinee ed Itierie , che permettono, date le analogie col Giurese delle circo- stanti regioni, di stabilire nel Giurese superiore la posizione di quei calcari. Sottili masse di questi stessi calcari poggiano contro il Trias dall’altro lato della sinclinale, alla Colletta Seirasso. Sui calcari marmorei, nella conca del Mondolè, nella Sella Seppa e nelle bassure di Stauti e di Colle del Termine, e quindi giù nel versante del Tanaro. si sviluppa una formazione di scisti calcarei con arenarie, scisti arenacei gales- trini e di veri calcescisti micacei lucenti, in alcune parti della quale si notano delle forme litologiche simili a quelle dell’Eocene; non vi si è tuttavia sco- perta sinora alcuna traccia di fossili. Frequenti e importanti fratture completano con le pieghe e con le nume- rose trasgressioni la fisonomia tectonica della regione, e su queste interessanti questioni l’ing. Franchi ha in corso di stampa più estese notizie. Veli’ alta Val Sesia sono notevoli le intercalazioni di masse di serpentine in mezzo agli gneiss porfiroidi del Monte Rosa ; nella media valle sono impor- tantissime le grandi ed estese masse di graniti protoginici inserite fra gli gneiss, le quali avranno forse grande importanza per rischiarare la tectonica di quelle formazioni cristalline. Velia bassa Valle Sesia e nelle adiacenti regioni di Sostegno e di Gri- gnasco, l’ing. Franchi riconobbe la presenza e delimitò alcuni nuovi lembi di Trias e di Lias medio, analogo a quello di Monte Fenera, su cui [egli ha già pubblicato (Boll. 1901, I) una notizia preliminare. L’area complessivamente rilevata dall’ ing. Franchi, con 118 giorni di escur- sioni, 2447 chilometri percorsi e con spesa totale di L. 1907. 19, fu di circa 280 chilometri, dei quali 110 nella tav. di Frabosa e il rimanente in Valsesia. Ing. Siella. — Lo scopo raggiunto quest’anno dall’ ing. Stella fu quello di completare il rilevamento della Regione ossolana contigua al Sempione, com- prendente l’area ossolana dei foglio 5 (Formazza), 15 (Domodossola), 16 (Can- — 35 — nobio), dal confine di Stato fino al parallelo Bognanco — Santa Maria Maggiore. Anche in questa campagna fu necessario estendere le osservazioni a una parte del territorio oltre confine, fino a Gondo, San Carlo, Bosco, Campo e Como- logno. I risultati di questo rilevamento e di quelli precedenti vennero già rias- sunti dall’ing. Stella in una comunicazione alla Società geologica, e se ne ri- portano qui le conclusioni. Le formazioni della regione formano due gruppi principali, cioè gruppo gneissico e gruppo scistoso (schistes lustrès in senso lato), e vi sono notevoli i fatti seguenti. IN'el gruppo gneissico è nota la distinzione fatta dal Gerlach di diverse masse di gneiss, la inferiore delle quali sarebbe per lui e per altri geologi il così detto gneiss di Aliti gonio. Il rilevamento dell’ing. Stella ha messo in evi- denza, anche nelle altre masse di gneiss, lenti e zone talvolta importanti di gneiss affatto simili allo gneiss d'Antigorio, il quale poi a sua volta si raccorda e sfuma verso ILE nella massa del così detto gneiss del Ticino, in modo analogo alle altre lenti di gneiss granitico della regione. Quindi, invece di una distin- zione stratigrafica non abbastanza giustificata, pare più conveniente una distin- zione litologica delle masse di gneiss granitici e occhiolati in mezzo agli gneiss scistosi e zonati. Lo gneiss di Antigorio (Gerlach) sarebbe una delle maggiori di tali masse, però alquanto ridotto nei suoi limiti; un’altra massa importante sarebbe quella attraversante obliquamente l’alta Yal Yigezzo (già indicata da Traverso e da Porro), cui sono collegate le note pegmatiti a minerali (studiati da Cossa, Spezia, Striiver), di cui fu constatata in parte la grande diffusione. Gli gneiss brecciati e conglomeratici, estesi nella regione e già citati dal- l’ing. Stella, hanno grande importanza essendo stati incontrati anche nel traforo del Sempione dal lato di Iselle, e possono recare molta luce sulla complicata tectonica di queste formazioni. Helle masse di gneiss cingenti tutto attorno la principale complessa fascia scistoso-calcarea dell’alta Ossola (. Devero-Schiefer , Gerlach) si trovano interca- lazioni di anfiboliti e anche di serpentine, non soltanto nella parte Yord-occi- dentale, ma anche in quella Sud-orientale: in Yal Yigezzo esse erano state osservate ed in parte rilevate da Traverso e da Porro. Isella citata comunica- zione alla Società geologica, Ting. Stella, basandosi sulla composizione e strut- tura di queste anfiboliti e di quelle dei calcescisti, stabilisce una distinzione fra le limitate masse di calcescisti e marmi ad esse collegate e incluse nei gneiss e le maggiori zone di calcescisti certamente mesozoici. Pel gruppo scistoso, fu nel rilevamento tenuto distinto un sottogruppo prin- cipale di calcescisti e scisti micaceo -filladici con essi alternanti, dagli scisti — 36 - micaceo-gneissici di Val Formazza e dai micascisti granatiferi di Baceno e Varzo. e vennero sempre delimitati e indicati i banchi e lenti di calcari più o meno dolomitici, carniole, gessi, arenarie e quarziti (Trias) che spesso accompagnano lateralmente le zone dei calcescisti. Notevole è la presenza del dipiro in alcuni di questi calcari. Altre zone fossilifere, oltre quella nota del Vufenen, furono ritrovate dal- 1’ ing. Stella, che rinvenne cvinoidi nella zona calcare interposta fra le due zone dette dal Gerlach dei gneiss di Monte Leone e degli scisti di Devero, belemnifi nei calcescisti che accompagnano la prosecuzione di quésta stessa zona calcarea verso A.E, allo Zum Stock, finalmente belemniti (dubbie ma assai probabili | nei detriti provenienti dalla fascia di calcescisti della cresta fra Valle Antigorio e Val di Bosco. Dal ritrovamento di questi fossili, dalla continuità delle zone scistose, dalla ripetizione degli identici tipi litologici dall’ una all’altra zona, viene confermato l’ordinamento stratigrafico intraveduto già dal Gerlach e ripreso in seguito da altri autori, secondo il quale le zone di calcescisti apparentemente intercalate fra le zone gneissiche sono da ascriversi al mesozoico, cioè al Trias (calcari, gessi, quarziti e scisti alternanti) e al Giurese (calcescisti e scisti alter- nanti). Riguardo alla tectonica, che è assai complicata e difficile, si riconobbe trattarsi di una serie di sinclinali costipate, ridotte talora ad apparenza di banchi intercalati fra gli gneiss e seguibili regolarmente dal confine Vord- occidentale di Val Formazza al confine orientale di Valle Antigorio. È impor- tante il fatto del complicatissimo arricciamento osservabile spesso nei calce- scisti, nonostante il loro generale andamento, sensibilmente parallelo a quello dei gneiss, ed anche quello della presenza di straordinari fenomeni di con- tatto meccanico fra gneiss e scisti, e ancora più fra gneiss e calcari, dove si osservano incuneamenti e compenetrazioni reciproche fino ad aversi delle breccie di frizione miste. Ciò porterebbe a ritenere che l’apparente alternanza delle zone gneissiche con quelle di calcescisti e la stessa apparente loro con- cordanza ai contatti, sia non originaria ma dovuta alle azioni posteriori oroge- niche, come fu anche constatato dall’ ing. Stella e dal Franchi fra i calcescisti mesozoici e il Carbonifero nell’alta valle di Aosta. Quanto alla natura e successione di questi potenti movimenti orogenici, potrà portare in esse molta luce lo studio dei fatti osservati nel traforo del Sempione, specialmente di quelli che si verificheranno nell’ultimo nucleo da perforare ; e prima di presentare un’altra delle interpretazioni basate in gran parte su ipotesi, pare ragionevole attendere anche questi ultimi dati di fatto — 37 - per utilizzarli insieme coi dati del rilevamento per avvicinarci il più possibile al vero in un argomento che implica, oltreché un difficile problema tectonico locale, uno dei più importanti problemi di geologia alpina in generale. L’ing. Stella rilevò nella campagna di cui si rende conto circa 420 kmq. ed impiegò a tale scopo 113 giorni di escursioni col percorso di 2625 km. e con una spesa complessiva di lire 1,795. 06. Kiassumendo quanto venne sinora esposto, si hanno per il rilevamento nelle Alpi, nella campagna 1903, i dati seguenti: Ing. Mattirolo Kmq. 70 (Yal Tournanche) » Novarese » 250 (Yalle Evancon, ecc.) » Franchi » 260 (Erabosa, Yal Sesia) » Stella ....... » 420 (Yal d’Ossola) Totale . . . Kmq. 1000 Liguria occidentale. — Ing. Zacccigna. — Incominciò i suoi lavori di cam- pagna facendo alcune osservazioni nei dintorni di Savona ed Albissoia e nelle valli del Biobasco e del Teiro (Yarazze), che però furono contrariate dalla avversa stagione. Dopo alcune ricognizioni nei dintorni di Pradleves, inerenti alla contro- versa questione della età delle pietre verdi , passò a rilevare, nello stesso in- tento, la zona paleozoica che nel contrafforte fra Demonte e Mojola si adagia sui calcescisti. I risultati di questi studi furono da lui esposti nel seguito della sua Kota apparso nel n. 4 del Bollettino geologico del 1903. Kei mesi di luglio e agosto l’ing. Zaccagna riprese il lavoro, già avviato nell’anno precedente, nella tavoletta di Garessio e ne condusse a termine il quarto K.O, estendendo il lavoro anche alle adiacenti tavolette di Alassio e Frabosa Soprana. In questo rilevamento risultarono confermate le forti compli- cazioni stratigrafiche di questa regione, già poste in rilievo dall’ing. Zaccagna fino dal 1883, quando procedette allo studio generale sulla costituzione geologica delle Alpi marittime. Tali complicazioni danno luogo anche ad inclusioni di lembi eocenici fra le roccie triasiche, come avviene nell’ alta valle del Tanaro in un sinclinale esistente sul fianco del Monte Armetta. Kella stessa tavoletta di Garessio sono notevoli le grandi masse di scisto anfibolico, facenti parte senza dubbio della zona paleozoica, osservabili special- mente sulla costa di Monte Spinarda, fra il Tanaro e la Bormida, come già egli ebbe ad accennare in altro lavoro. Simili masse si ripetono, nel paleozoico dei 4 - 38 monti del Savonese, dove le più importanti si incontrano rimontando il Rio di Quarzola e il Rio Cornaro che vi fa seguito, presso Quiliano. Kella seconda metà di agosto l’ing. Zaccagna, sempre per gli studi relativi alle pietre verdi , fece una rapida ricognizione attorno al Piccolo San Bernardo. Kella seconda metà di settembre condusse a termine il rilevamento sulla tavoletta di Savona, operando quindi su quelle di Pinalborgo ed al margine meridionaie di quella di Cairo-Montenotte, terminando poi i lavori di campagna al 20 ottobre. Il lavoro di rilevamento eseguito nel 1903 dall’ing. Zaccagna resta così ripartito : Tavoletta di Garessio Kmq. 100 Tavoletta di Pinalborgo » 60 Tavolette di Prabosa, Alassio, Savona, Yarazze, Cairo. » 80 Totale . . . Kmq. 240 Per questo lavoro e per le gite già rammentate nelle Alpi l’ing. Zaccagna impiegò 101 giorni di campagna e percorse 2190 km. su via ordinaria, con una spesa totale (comprese quelle ferroviarie) di lire 1723. 59. Umbria. — Ing.-capo Lotti. — Incominciò i lavori di campagna con un rilevamento speciale dei terreni terziari intorno al Subasio (foglio 123), e ciò allo scopo di facilitare alla Commissione, già deliberata nell’adunanza del Co- mitato geologico, le escursioni e gli studi per la risoluzione della controversia sul Miocene dell’Umbria. Per questo scopo venne da lui compiuto il rileva- mento definitivo della metà superiore della tavoletta di Assisi, riattaccandosi al rilevamento già eseguito nella contigua tavoletta di Perugia, e di una parte di quelle di Padule, Kocera Umbra e Gualdo Tadino. In seguito intraprese, con la collaborazione dell’aiutante Moderni, lo studio della tavoletta di Perentillo, la quale, in considerazione della sua complicata struttura geologica, non potè esser rilevata che per poco più della metà, oltre a una parte della contigua tavoletta di Rieti, e una revisione in parte di quella di Leonessa. Pu poi dal Lotti portata a compimento la tavoletta di Terni. Kello studio speciale intorno al Subasio l’ing. Lotti s’imbattè in varie località fossilifere, e, specialmente nei dintorni di Yalfabbrica e di Casa Ca- stalda, trovò marne piene di pteropodi, lamellibranchi, gasteropodi e bathgsi- pìion: fra questi fossili il dott. Di-Stefano potè riconoscere: Clio pedemontana , C. pulcherrima , Vaginella acutissima , Eudolium fasciatimi, nonché frammenti di Afuria non ben determinabili. — 39 La formazione marnoso-arenacea che racchiude questi fossili di abito mio- cenico comprenderebbe secondo l’ ing. Lotti banchi calcarei con Pecten, briozoi e piccole nummuliti e fa passaggio graduale alla Scaglia cinerea e rossa del Monte Subasio. Siccome più a J^ord, nelle valli del Chiascio e della Rasina, viene in con- tatto col detto terreno fossilifero la formazione delle argille scagliose con ser- pentine, sarà opportuno di estendere in quella parte il rilevamento per mettere in evidenza i rapporti di posizione stratigrafica fra i due terreni, ciò che potrà far fare un gran passo verso la soluzione della dibattuta questione. TTn altro contributo a questo scopo si ottenne dal rilevamento geologico della tavoletta di Ferentillo, a più che 100 chilometri di distanza dall’area pre- cedentemente indicata. Quivi una strettissima zona di terreno terziario marnoso- arenaceo trovasi schiacciata fra le formazioni secondarie da Piediluco fin presso Arrone, e questo terreno, analogamente a ciò che avviene attorno al Subasio, racchiude fossili di abito miocenico e precisamente le stesse specie di pteropodi e di gasteropodi. Qui poi questi strati fossiliferi sono a contatto immediato con la Scaglia cinerea e rossa e fanno ad essa passaggio. In questa regione l’inge. gnere Lotti trovò pure strati zeppi di nummuliti, facilmente isolabili, nella Scaglia cinerea presso Piediluco e presso Bassano nei dintorni di Arrone. Hel Monte Pausola, ad Est di Morro Reatino, il Lotti tro^vò strati con crinoidi, Aptichns affine all 'A. prof lincili s Woltz, Rhgnchonella Curioni Mngh. e piccole rinchonelle corrispondenti a qùelle che si trovano nel Lias superiore del Monte Bulgheria in provincia di Salerno, secondo le determinazioni del dott. Di-Stefano. Questi strati fossiliferi, associati ad arenarie e brecciole, stanno immedia- tamente sotto al calcare rosso con ammoniti del Lias superiore e sopra ai calcari del Lias medio, e non trovano riscontro nelle altre parti dell’Umbria finora rilevate. Il Retico si ritrovò ben caratterizzato, benché non fossilifero presso la cantoniera del Fuscello (rotabile di Leonessa) e nel fondo del fosso del Molino fra Collelungo e Rivodutri. La tectonica della regione è di una estrema complicazione, specialmente per la presenza di faglie, nei dintorni del lago di Piediluco, che si manifesta come il risultato dello sprofondamento di masse fratturate. Su altri notevoli fatti osservati durante il lavoro di rilevamento, l’ing. Lotti riferirà in una nota speciale. ISTel novembre l’ing. Lotti fece una breve gita di revisione nei dintorni del Monte Argentaro, per raccogliere alcuni dati occorrenti per la pubblicazione — 40 — della Carta della Toscana a 1/100,000. Per le sue varie gite egli impiegò 75 giorni con percorso di 1757 chilometri sn vie ordinarie e con spesa totale di L. 1871. 50 (ivi compresi 3 giorni, 65 chilometri con una spesa di L. 88. 74 per l'escursione al Monte Argentaro). L’area rilevata fu di chilometri quadrati 400 circa nelle regioni umbre sopra indicate. Aiutante-ing . Moderni. — Come fu già detto, la massima parte delle sue escursioni furono dedicate a rilevare, sotto la direzione dell’ing. Lotti, parte delle tavolette di Perentillo e limitrofe. Tra i fatti più notevoli osservati dall’aiu- tante Moderni va compreso il rinvenimento di calcari grossolanamente granu- lari, pieni di nummuliti in banchi intercalati alla scaglia rossa del Monte Tilia presso Leonessa ed a vari livelli fino ai suoi strati più bassi. Durante le sue escursioni nell’TTmbria, l’aiutante Moderni rilevò circa 180 chilometri quadrati in giorni 74 di campagna, percorrendo 1927 chilometri e con una spesa totale di L. 997,03. Complessivamente nella regione umbra vennero quindi rilevati a nuovo circa 580 chilometri quadrati. Marche. — Aiutante-ing . Cassetti. — In questa campagna venne dal Cas- setti iniziato lo studio particolareggiato del Monte Conero presso Ancona e della regione limitrofa. Pino ad oggi si riteneva che tutta la massa calcarea di cui detto monte è costituito, appartenesse in gran parte al Cretaceo e fu anche supposto che gli strati più bassi potessero rappresentare qualche piano del Lias. Dalle escursioni del Cassetti, una parte delle quali fu dedicata alle neces- sarie ricognizioni preliminari, fu constatata invece l’esistenza di una potente ed estesa zona di calcare eocenico che comprende gli strati più alti del monte ; essendo il Monte Conero tectonicamenté costituito, come si crede, da una cupola tagliata dal lato verso mare, ne consegue che la parte cretacea sarebbe limi- tata agli strati formanti il nucleo centrale di tale cupola, le testate dei quali apparirebbero lungo il litorale adriatico. I calcari eocenici sopra indicati contengono nummuliti assai piccole, ma chiaramente riconoscibili con lente di ingrandimento. Addossato a detta cupola di calcari cretacei ed eocenici posa dapprima un deposito più o meno potente di calcari marnosi del Miocene e di seguito a questo la Zona a congerie, rappresentata da gessi di varia struttura con traccio di zolfo, sormontati da strati di arenarie a congerie e piccoli cardii. Posa su questo terreno un vasto deposito di argille azzurre con le superiori sabbie gialle, e finalmente su queste poggiano qua e là le breccie conchigliari del Post-pliocene. In queste gite l’aiutante Cassetti impiegò 42 giorni, con percorso di 929 chi- lometri e con spesa (comprese quelle ferroviarie) di L. 571.87; l’area rilevata fu di circa 150 chilometri quadrati. Aiutante-ing . Moderni. — Velia gita nei dintorni di Cingoli, ecc., fatta in- sieme all’ingegnere-capo dei rilevamenti, e di cui venne già fatto cenno, ven- nero impiegati 10 giorni e percorsi 287 chilometri con una spesa di L. 171. 28. Revisioni. Vulcani Romani. — Ing. Sabatini. — L’ing. Sabatini nella passata cam- pagna si è occupato principalmente a rivedere e correggere la serie delle eru- zioni del Cimino, e a definire, per quanto fu possibile, le bocche eruttive di questo centro. Egli venne alla conclusione che probabilmente le masse di pepe- rino delle alture segnano i lembi d’un primitivo enorme cratere, sul quale da un nuovo cono vennero fuori le materie che produssero il peperino propriamente detto. Le eruzioni del Cratere di Vico avvennero dopo, in parte anteriori alle ultime eruzioni trachi-ando-labradoritiche del Monte Cimino, e in parte posteriori. Egli ha anche messo in evidenza il fatto che le eruzioni non leucitiche in parte precedettero e in parte seguirono le leucitiche. Il petrisco, che è una leucotefrite, non è una roccia così giovane come si credette finora; ma diverse categorie di tufi la seguirono, come si vede dalle sezioni tra il Fosso Roncone e la via Cassia, e fu altresì seguita dalla vulsinite (una trachite speronacea) che sulla via Aurelia viterbese passa in largo filone dentro il petrisco, il quale le forma da un lato bellissima salbanda. Sotto San Rocco di Caprarola un’an- desite copre le leucotefriti dette occhio di pesce (gremite di leuciti, e anteriori al petrisco) ; una labradorite-sperone si trova in scorie sulla cima della Montagna Vecchia e altrove. Si potette anche assodare che il Monte Venere non è dovuto nè ad un frammento del vecchio Cratere di Vico, nè ad un’emissione lavica (cumulo- vulcano) ; ma è un cono di lapilli e di ceneri con banchi e colate di lava. Anche sul tufo litoide le ricerche furono minuziose allo scopo di ricercarne l’origine e il modo di formazione. Lo studio della regione ora può dirsi finito, salvo forse qualche cosa ai limiti con le regioni vicine, e che si vedrà in seguito. Colle fatte escursioni, l’ing. Sabatini fece la revisione di chilometri qua- drati 150, impiegando in campagna 114 giornate, con un percorso di chilome- tri 3111 e una spesa totale di L. 1894. 78. Appennino Romano. — Ing. Viola. — In quest’anno sono state estese le osservazioni, specialmente di carattere paleontologico, nei monti Prenestini e Tiburtini, cioè nella regione compresa fra Palestrina, Cave, San Tito Romano. Genazzano, Guadagnolo, Capranica, Poli, Casape, San Gregorio, proseguen- dole nei monti di Tivoli, Castel Madama e San Polo dei Cavalieri, per modo da avere completata quella parte dell’ Appennino Romano che si trova da ambe le parti dell’Aniene, dall’origine della valle insino a Tivoli. In parte di tali escursioni, l’ing. Tiola ebbe a compagno il paleontologo dott. Di- Stefano, col quale raccolse una buona quantità di fossili, che con quelli raccolti precedentemente formeranno oggetto di studio speciale, per stabilire nettamente le relazioni fra i diversi piani e l’età relativa di questi. Tei dintorni di Palestrina fu riconosciuta l’esistenza di un lembo di calcare cretaceo superiore, che prima si reputava più antico, e sopra di esso stanno calcari nummulitici alternanti con marne ed arenarie, come già si è visto in addietro nella vallata dell’Aniene. Patti analoghi sono stati constatati sino a Capranica Prenestina e al Guadagnolo, confermando la serie stratigrafica di quella regione. Furono infine esaminati alcune località dei dintorni di Tivoli sulla sinistra dell’Aniene e si constatò che certe marne rosse e certi calcari, già ritenuti per la loro posizione come appartenenti al Lias superiore, contengono nummuliti ed orbitoidi. Tali marne e calcari alternano anche con altri calcari che si cre- devano dell’eocene e trovano i loro corrispondenti nella vallata della Licenza, in strati con nummuliti ed orbitoidi attribuiti del pari all’eocene; questi però dallo studio paleontologico in corso sembrerebbero più recenti. A detti fossili sono poi associate grosse Lucine che certamente non sono eoceniche. Come si vede i fatti ora constatati nelle vicinanze di Tivoli confermano quelli già accertati nella valle della Licenza, ed hanno notevole importanza per potere stabilire con sicurezza l’intiera serie delle formazioni nella valle dell’Aniene e nei monti circostanti. Lo studio dei fossili raccolti, cui attende attualmente lo stesso ing. Tiola, potrà solo fornire elementi sicuri per la risoluzione della difficile questione. Benché le escursioni dell’ ing. Tiola abbiano avuto a scopo principale la rac- colta dei fossili, pure egli ha potuto rivedere le carte di una parte notevole dei Pre- nestini che può valutarsi a circa 250 chilometri quadrati, impiegando giorni 70 in tutto, con un percorso di chilometri 1458 ed una spesa totale di L. 1010. 60. Abruzzo aquilano. — Aiutante-ing . Cassetti. — Tel maggio vennero dal Cassetti riprese queste revisioni, che, come fu in altre occasioni ripetutamente accennato, acquistano per la necessità di riconoscere, classificare e delimitare — 43 — i vari piani specialmente del mesozoico, costituenti la più gran parte di quei monti, il carattere di nuovo rilevamento. Le escursioni del maggio e giugno furono dirette a completare il rilevamento geologico del gruppo montuoso in- terposto tra la conca del Fucino e la valle del Sagittario ; quelle di agosto al rilevamento della montagna del Morrone sulla destra di detto fiume e ad ini- ziare dal lato occidentale lo studio del gruppo della Majella. Ideila regione tra il Fucino e il Sagittario fu delimitato l’affioramento liasico del Monte Prezza, già osservato nella precedente campagna; la zona inferiore di tale affioramento è formata da un calcare dolomitico cristallino, bianco o grigio, con rare intercalazioni di calcare oolitico bruno, mentre nella zona più alta si hanno calcari cristallini bianchi, grigi o rosati con frequenti modelli di Terebratula , Rhynclionella e Spiriferina. Tale affioramento è in esatta cor- rispondenza stratigrafica con quello della sponda opposta del Sagittario, di cui si parlò nella Relazione sulla campagna del 1902, e, basandosi anche sulla per- fetta identità litologica, si può con fondamento ritenere che essi appartengano al medesimo piano. Su questi calcari basici poggia con leggera discordanza di stratificazione una potente pila di strati di calcare eocenico di vario aspetto, con interposti banchi di brecciòle con crinoidi ed abbondanti nummuliti, fra le quali predo- minano la N. perforata e la N. Luca-sana dell’Eocene medio. I gruppi montuosi della Majella e del Morrone, separati fra loro dalla valle del Fiume Orte, sono entrambi costituiti, in basso da calcari cretacei (calcari a Requienie e calcari ippuritici) e in alto da potenti calcari nummuli* tici con stratificazione concordante e con passaggio quasi graduale dall’una all’altra formazione. Sì nella Majella che nel Morrone i calcari presentano identica disposizione stratigrafica ed hanno identici caratteri litologici e paleontologici, ma lo studio tectonico dimostra che la separazione fra l’uno e l’altro gruppo è dovuta ad una grande frattura, diretta quasi ILS, la quale, partendo da sopra Sant’Eu- femia a Majella, passa lungo l’alta sponda destra del Fiume Orte, e si prolunga a sud al di là di Campo di Giove fin presso la stazione di Palena, fiancheg- giando così tutto il versante occidentale della Majella. ISTei suddetti calcari nummulitici e specialmente in quelli della Majella sono frequenti la N. complanata , la N. Carpenteria ecc. L’area esaminata dal Cassetti in queste regioni fu di circa 400 chilometri quadrati (tavolette di Celano, Solmona, Caramanico e Popoli) e vi furono da lui impiegati 69 giorni di campagna col percorso di 1562 chilometri e colla spesa totale (quelle ferroviarie incluse) di L. 956. 41. — 44 — Ricerche paleontologiche snl terreno. Dott. Di-Stefano. — Il dott. Di-Stefano, dal 28 ottobre 1903 al 15 novembre, lavorò in campagna nella provincia di Roma insieme con l’ing. Viola. Egli vi- sitò con questo i dintorni di Palestrina, di Capranica Prenestina, di Guada- gnolo, S. Vito Romano e Tivoli. In queste escursioni si raccolsero interessanti fossili del Cretaceo e si co- statò la costante alternanza dei così detti calcari con pettini e piccole nani mn li ti , con le marne e le arenarie. Inoltre si verificò che nei dintorni di Tivoli (Colle Monitola, Fosso Arcese e Colle Arcese) vi sono marne rosse, già ritenute come appartenenti al Lias superiore, le quali contengono orbitoicli e nummuliti e sono quindi molto più giovani. Per queste ricerche il dott. Db Stefano impiegò giornate 19 con percorso di km. 444 e spesa totale di lire 281.81 Ing. Crema. — Nel settembre e ottobre l’ing. Crema compiè alcune escur- sioni nelle adiacenze del Lago Trasimeno allo scopo di ricercarvi gli elementi paleontologici necessari alla determinazione cronologica di alcune formazioni terziarie di detta regione. Egli raccolse in questa occasione un abbondante materiale, che verrà stu- diato dallo stesso ing. Crema, il quale riferirà fra breve in proposito. Per queste gite l’ing. Crema, impiegò 20 giorni e percorse su vie ordinarie 437 km. con una spesa totale di lire 318. 72. Riepilogo. Nuovi rilevamenti : Alpi (ing. Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella) . . Kmq. 1000 Liguria occidentale (Zaccagna) » 240 ITmbria e Marche (Lotti, Cassetti, Moderni). . . . » 730 Totale . . . Kmq. 1970 Revisioni : Vulcani a nord di Roma (Sabatini) Kmq. 150 Appennino Romano (Viola) » 250 Abruzzo Aquilano (Cassetti) » 400 Totale . . . Kmq. 800 Quadro generale delle escursioni. OPERATORI Scopo e luogo delle escursioni Giorni impiegati Chilometri per- corsi su via or- dinaria Spese di ferrovia ; Spesa totale Area rilevata o |j riveduta Baldacci. . Direzione dei rilevamenti . 53 789 L. C. 596.31 L. C. 772. 56 K.q » Lotti . . . Umbria 75 1,757 169.40 1,371.50 400 Zaccagna . Liguria occidentale. . . . 101 2,190 309.10 1,723.59 240 Mattirolo . ( 43 518 317.73 825.63 70 'Novarese . Alpi Totale . Memoria sull’Antracite. . Appendice sulla Calabria. Guida all’ Ufficio L. 14,709.85 L. 2,042.08 884.95 L. 2,927.03 L. 2,927.03 2,716. 75 1,581.50 88.70 1,724. 40 341.95 L. 6,453.30 L 6,453.30 Testo L. Tavole » ( Testo » r Tavole . » ( Testo » \ Tavole » Testo » Tavole » N. 8 fogli della Puglia (stampa a 300 esemplari) » 2,015.15 951. 60 816.06 1,510.00 652. 06 85.00 707. 66 450.00 2,316.90 Totale . . . L. 9,504.43 L. 9,504.43 A riportarsi ... L. 41,034.62 Riporto . . , L. 41,034.62 V. Laboratorio chimico-pstrografico : Consumo di materiale L. 374.40 Acquisto e riparazione di apparecchi . » 258. 80 Preparati microscopici » 767.72 Totale . L. 1,400.92 L. 1,400.92 VI. Manutenzione dell’Ufficio : Acquisto di mobili per i nuovi locali Impianto del gas nei medesimi A saldo costruzioni nuove (Y. Resoconto 1902) Riparazioni diverse Totale . . . L. 1,446.62 » 247. 59 » 2,880. 37 » 598. 56 L. 5,173.14 L. 5,173.14 VII. Spese diverse : Sussidio alla Società geologica L. 500.00 Assicurazione incendi » 132.00 Compenso al portiere della Succursale di Torino » 100.00 Gratificazioni e sussidi al personale dell’ Ufficio » 280.00 Diverse » Ì72.80 Totale ... L. 1,164.80 L. 1,164.80 Totale speso nel 1903 ... L. 48,773.48 NB. — Di questa somma L. 19,725.91 avanzavano dall’esercizio 1S02-903 e le rimanenti L. 29,047.57 furono pagate sul 1903-904. Proposte per Panno 1904. Nuovi rilevamenti. Alpi. — Ideila valle d’Aosta rimane oramai ben poco da fare come rileva- mento geologico e solo occorre completare alcuni particolari, specialmente in località prossime allo sbocco delle valli, e in qualche valle intermedia. Così, p. es., è desiderabile che in questa campagna venga da qualcuno degli ope- ratori rilevato in dettaglio il vallone di Dèche fra la valle di - Saint Bartlié- lemy e la Yal Tournanche e analogamente deve essere studiata la regione prossima allo sbocco dalla Yal di Cogne in quella della Dora. Compiuto questo lavoro, tutti gli operatori delle Alpi potranno attendere, nel modo che verrà indicato in seguito, al rilevamento della Yal Sesia e delle regioni limitrofe fino al Lago Maggiore, raccogliendo possibilmente in questa campagna tutti gli elementi occorrenti per la Carta a 1 : 400,000 delle Alpi 52 — occidentali,- della quale si prepara la pubblicazione. Resta però da farsi in questa campagna lo studio dei giacimenti di ferro della Valle d’Aosta, nel modo dianzi accennato, per opera specialmente degli ingegneri Mattirolo e Novarese. Ing. Mattirolo. — Oltre che attendere allo studio dei giacimenti ferriferi, avrà da terminare il rilevamento di qualche punto ancora non visitato della Val Tournanche, del vallone di Dèche sopra indicato e dello sbocco della Val di Gogne. Potrebbe in seguito occuparsi del rilevamento del contrafforte fra il Lago d’Orta e il Lago Maggiore (gruppo del Mottarone), e se gli rimane tempo disponibile anche di quello della Val Orando. Ing. Novarese. — Si occuperà, oltre che dello studio dei giacimenti ferriferi, del rilevamento della lunga ed aspra Valle Strona, che dal crinale determinato dalle Cime Grotta, Monte Ventolato, Capezzone, gruppo del Monte Capia, ecc.. scende nel Lago d’Orta ad Omegna. big. Franchi. — Potrà continuare il rilevamento già bene avviato della Val Sesia (compresa la Val Mastellone), e possibilmente portare a compimento nella Liguria occidentale la tavoletta di Frabosa Soprana già cominciata nella campagna precedente. Ing. Stella. — Avrebbe da continuare il rilevamento già intrapreso nelle ta- volette di Pallanza, Omegna e Bannio fino al crinale divisorio della Val Sesia, e da terminare il rilevamento già avviato nella valle di Antrona. Liguria. — Avendo l’ing. Zaccagna portato nella decorsa campagna a buon punto il rilevamento della tavoletta di Garessio egli potrà terminarlo in questo anno, estendendo, se gli resta tempo, i suoi rilevamenti per collegarsi a quelle immediatamente limitrofe. Velia Liguria orientale l’ing. Zaccagna avrebbe da terminare il rilevamento della tavoletta di Rapallo. Umbria e Marche. — Alla continuazione del rilevamento neirUmbria potrà attendere l’ingegnere-capo Lotti col concorso dell’aiutante Moderni. Potrà così dall’ing. Lotti venir terminata la difficile tavoletta di Ferentillo, già ben av- viata fin dallo scorso anno, e i rilevamenti potranno estendersi in quella fini- tima di Rieti. L’aiutante Moderni terminerà la tavoletta di Leonessa, già portata a buon punto fino dalle precedenti campagne, nella quale per lo studio della complessa e tormentata serie mesozoica che vi si presenta e ne costituisce la più gran parte era necessario procedere gradatamente partendo dalle regioni vicine, ove sicuri orizzonti fissano bene la posizione dei vari membri della serie stessa. Se all’aiutante Moderni rimarrà, come è probabile, tempo disponibile, egli — 53 potrà riprendere il lavoro di rilevamento del terziario superiore delle Marche nelle tavolette di Santa Maria Nuova, Filottrano, Osimo e Recanati, lasciato interrotto nella decorsa campagna per avere il Moderni, come fu detto, rilevato in altre regioni. L’aiutante Cassetti potrebbe continuare e terminare il rilevamento del Monte Conero e regioni adiacenti, e l'ingegnere-capo dei rilevamenti dovrebbe in tal caso visitare il Monte Conero stesso per fissare bene la serie dei terreni che vi si presentano, fra i quali, contrariamente a quanto si riteneva sinora, quelli eocenici sembra che abbiano parte predominante, come già venne accennato. Revisioni. Abruzzo. — All’aiutante Cassetti può essere affidata la continuazione dello studio particolareggiato dei monti a Nord del Fucino, fra l’alta valle del Salto e quella dell’ Aterno, nei quali sono compresi i due importanti gruppi del Te- lino e del Sirente. In considerazione della complessità della serie dei terreni, specialmente mesozoici, che compongono quei gruppi, sarà probabilmente ne- cessario che qualche parte della regione venga anche visitata dall’ingegnere capo dei rilevamenti e dal paleontologo. L’aiutante Cassetti potrà in questa campagna portare a compimento anche il rilevamento dettagliato del gruppo della Maiella. Basilicata. — Era stato proposto nella precedente Relazione che, in vista della pubblicazione ora in corso presso l’Istituto geografico militare dei 7 fogli di questa regione, in continuazione di quelli già pubblicati della Calabria, venis- sero fatte in* Basilicata nel decorso autunno dagli ingegneri Baldacci, Yiola e Sabatini, che ne eseguirono il rilevamento, col concorso del paleontologo dott. Di Stefano, alcune revisioni, rese necessarie dal lungo tempo oramai trascorso fra il rilevamento e la pubblicazione, durante il quale sono comparsi nuovi studi importanti su quelle regioni. Per varie ragioni, essendo stato specialmente il personale occupato in altri lavori ed essendo sopraggiunta la cattiva stagione, tali revisioni non poterono effettuarsi nell’anno decorso. Converrà tuttavia che in questo anno queste revisioni vengano eseguite e terminate in modo da poter arrecare ai fogli in corso di stampa le modificazioni occorrenti, e vi si potrà procedere sia nel giugno, sia al principio dell’autunno. Sarebbe poi utile che l’ing. Crema riprendesse e terminasse definitivamente lo studio delle formazioni terziarie dell’estremo angolo N.E della Calabria, da lui intrapreso nel 1902, in vista anche dell’ attacco colla vicina Basilicata. — 54 — Provincia romana. — Quando saranno terminate le revisioni anzidette, gli ingegneri Viola e Sabatini potranno riprendere rispettivamente gli studi in corso sull’ Appennino romano e sui vulcani dell’Italia centrale a complemento di quanto venne fatto nella valle dell’ Amene e nei Vulcani Vulsinii. Ricerche paleontologiche sul terreno. Oltre a quelle che furono in parte accennate, per le quali sarà indispen- sabile l’opera del paleontologo, come lo studio della zona marnoso -arenacea nell’Umbria, quello delle formazioni mesozoiche dell’Abruzzo, quello dell’Ap- pennino romano, sarebbe opportuno che venissero fatte ricerche di fossili negli affioramenti ritenuti finora da noi giurassici, mentre altri li credono del Lias, prossimi al Colle di Tenda nel vallone di San Giovanni di Limone, al Castello Scevolai e a Rocca Barbona. A queste ricerche potrebbe dedicare alcuni giorni Fing. Crema, dopo che l’ing. Franchi gli avrà indicate le località più parti- colarmente degne di studio. Pubblicasi oni. Oltre a quella consueta del Bollettino, si propongono per Tanno corrente, limitatamente ai fondi disponibili, le pubblicazioni seguenti: 1° IN". 5 fogli della Carta al 100m della Toscana meridionale, con una tavola di sezioni relativa ad essi, in continuazione di quelli della Campagna romana. 2° H. 7 fogli della Carta al 100m comprendenti la Basilicata meridio- nale, con una tavola di sezioni relativa, in continuazione di quella della Ca- labria. 3° Una cartina geologica delle Alpi occidentali nella scala di 1 a 400,000, con breve testo relativo. 4° Memoria descrittiva delle Alpi Apuane dell’ing. Zaccagna, da tanto tempo attesa, colle appendici, paleontologica, petrografia e chimica del professor Canavari e degli ing. Franchi e Mattirolo rispettivamente. Fu disposto che la definitiva preparazione di questa memoria debba avere la precedenza su qua- lunque altro lavoro degli ingegneri che ne hanno T incarico, avendo il professor Canavari in pronto le tavole e gli altri elementi per T immediata pubblicazione della sua Appendice paleontologica. 5° Supplemento 5° al Catalogo della biblioteca relativo al biennio 1902-903. — 55 Ripartizione delle spese per il 1904. Lavori di campagna ed escursioni diverse L. 18,000 Spese di ufficio, laboratorio, biblioteca, collezioni, ecc., ecc. » 15,500 Bollettino annuale » 3,000 Carta dei Vulcani Vulsinii (Moderni) . » 1,000 Cinque fogli della Carta al 100m, Toscana, con tavola sezioni » 4,000 Sette id. id. id. , Basilicata, con tavola sezioni » 3,500 Carta geologica delle Alpi occidentali al 400,000. » 1,500 Memoria sulle Alpi Apuane (testo e tavole) » 2,500 Supplemento 5° al Catalogo della Biblioteca » 250 Spese diverse ed impreviste » 750 Totale . . . L. 50,000 ~N. Pellati. PRB8ENTED 24 SEP 1904 Annunzi di pubblicazioni Airaghi C. — Inocerami del Veneto. (Boll. Soc. Geol. ita!., Voi.- XXIII, fase. 1°, pag. 178-198, con tavola). — Roma, 1904. Alippi T. — Bon ni ti e bombiti sull’alto Appennino marchigiano, in relazione coi fenomeni sismici della regione. (Boll. Soc. sismologica ital., Voi. IX, n. 9, pag. 99-114). — Modena, 1903. Arcidiacono S. — Sui recenti terremoti etnei. (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. I-XXIX, pag. 5-12). — Catania, 1904: Cacciamali G. B. — Il fascio stratigrafico Botticino-Serle in provincia di Brescia. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase: 1°, pag. 19-24, con ta- vola). — Roma, 1904. - . . Idem. — Studio geologico della regione Botticino-Serle-Gavardo (dai Commen- tari Ateneo di Brescia, Anno 1904, pag. 16 in-8°, con Carta geologica), — Brescia, 1904. - Càpeder G. — Sulla struttura dell’anfiteatro morenico di Rivoli in rapporto alle diverse fasi glaciali. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXXIII, fase. 1°, pag. 4-18). — Roma, 1904. Capellini G. — Balene fossili toscane. II. Bcvlaena Montalionis. (Memorie R. Acc. Se. dell’ Istituto di Bologna, S. VI, T. I, pag. 10, con tavola). — Bologna, 1904. Checchi a -Rispoli G. — I foraminiferi eocenici del gruppo del M. Judica e dei dintorni di Catenanuova in provincia di Catania. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. la, pag. 25-66, con tavola). — Roma, 1904. Idem. — L ' Harpactocarcinus punctulatus Desmarest dell’eocene di Pe- schici nel Monte Gargano (pag. 8 in-8°, con tavola). — Roma, 1904. Colomba L. — Rodonite cristallizzata di S. Marcel (Valle d’Aosta) (dagli Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XXXIX, pag. 8 in-8°). — Torino, 1904. [dem. — Osservazioni petrografìche e mineralogiche sulla Rocca, di Cavour. (Ibidem, Voi. XXXIX, pag. 12 in-8°, con tavola). — Torino, 1904. Dal Lago D. — Note sull’eocene del vicentino occidentale. (Atti R. Istituto | veneto, S. 8a, T. VI, disp. 5a, pag. 605-617). — Venèzia, 1904. < De-Stefani C. — Le acque termali di Torrite in Garfagnana. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 1°, pag. 117-148). — Roma, 1904. [dem. — Gli strati marini della Cava Mazzanti al Ponte Molle. (Rend. R. Acc. -, dei Lincei, S. V, Voi. XIII, fase. 6°, 1° sem., pag. 247-255). — Roma, 1904. [dem. — Gli strati subterrestri della Cava Mazzanti al Ponte Molle. (Ibidem, 7 S. V, Voi. XIII, fase. 7°, 1° sem., pag. 819-325). — Roma, 1904. [dem. — Sui pozzi di petrolio nel Parmense e sulle loro spese di impianto e di esercizio. . (Giornale di Geol. pratica, Voi. II, fase. 1° e 2Q, pag. 1-22). — Perugia, 1904. Dì Franco S. — La gmelinite di Aci-Castello. (Rend. R. Ai;c. dei Lincei, S. V, Voi. XIII, fase. 11°, 1° sem., pàg. 640-642). — Roma, 1904. Fabiani R. — Cenni preliminari sui fenomeni carsici della regione posta fra Priabona, Cereda e Valdagno. (Atti R. Istituto veneto, S. 8a, T. VI, disp. 6a, pag. 727-731). — Venezia, 1904. Fornasini C. — Distribuzione delle testilarine negli strati miocenici d’Italia. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 1°, pag. 89-116). — Roma, 1904. (Segue) f Seguito: V. pagina precedente) Meli B. — Brevi notizie sulle rocce che si riscontrano nell’Abruzzo percorso dell’antica via Yaleria da Arsoli a Celiarmele. (Ibidem, Tol. fase. 1°, pag. xxx-xxxv). — Roma, 1904. Idem. — Escursione geologica sul litorale di Nettuno. (Ibidem, Tol. X] fase. 1°, pag. xxxvi-xliv). — Roma, 1901. Merlo G. — Circa alcune sezioni geologiche che possono servire allo stuc della tettonica dell’ Iglesiente. (Resoconti riunioni Ass. mineraria Anno IX, n. 5, seduta 15 maggio 1901, pag. 10-17, con tavola). — Igle- sias, 1904. Platania G. — Aci-Castello - Ricerche geologiche e vulcanologiche. (Memorie Acc. di Se., Lett. ed Arti degli Zelanti, S. Ili, Tol. II, pag. 23-56, con 2 tavole e una Carta geologica). — Acireale, 1904. Portis A. — Un interessante fossile dei peperini. (Boll. Soc. Geol. ital.. To- lume XXIII, fase. 1°, pag. 171-177). — Roma, 1904. Rimatori C. — Su alcune blende di Sardegna. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. T. Tol. XIII, fase. 6°, lò sem., pag. 277-285). — Roma, 1904. Ristori G. — Le terre refrattarie e da ceramica fra Altopascio e Monte Carlo (Provincia di Lucca). (Giornale di Geol. pratica, Tol. II, fase. 1- pag. 43-49). — Perugia, 1904. Idem. — Cenni sul regime sotterraneo delle acque nel territorio comunale Signa. (Ibidem, Tol. II, fase. 3°, pag. 69-87). — Perugia, 1904. Seguenza R. — Intorno ad alcuni molari elefantini fossili di Sicilia e Calabria. (Rivista ital. di Paleontologia, Anno X, fase. I-II, pag. 41- con tavola). — Perugia, 1904. Silvestri A. — Forme nuove e poco conosciate di Protozoi miocenici pieni! tesi. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Tol. XXXIX, disp. la, pag. 4-15). — Torino, 1904. Stella A. — Sulla geologia della regione ossolana contigua al Sempione. (Boll. Soc. Geol. ital., Tol. XXIII, fase. 1°, pag. 84-88). — Roma, 1904. Tacconi E. — Note mineralogiche sul giacimento cuprifero di Boccheggiano. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. T, Tol. XIII, fase. 7°, 1° sem., pag. 337-341). Roma, 1904. Taramelli T. — Sulle condizioni geologiche delle Fonti di Yinchiaredo presso Cordovado in provincia di Venezia. (Giornale di Geol. pratica, Tol. fase. 1*2, pag. 23-27). — Perugia, 1904. Idem. — Sulle condizioni geologiche dei dintorni di Coltura presso Polcenigo. (Ibidem, Tol. Il, fase. 1-2, pag. 28-42). — Perugia, 1904. Idem. — Osservazioni geologiche ed idrologiche sulla valletta di Rio Frate presso Broni. (Ibidem, Tol. II, fase. 3°, pag. 61-68). — Perugia, 1904. Idem. — Cenni geologici sui dintorni di Caltrano nel Vicentino ove stanno le sorgenti di Val Gaverdina e di Piosano (in » Scritti di Geol. pratica * pag. 1-8). — Genova, 1904. Idem. — Presa d’acqua per la città di Verona. (Ibidem, pag. 13-18). — Ge- nova, 1904. Idem. — Belle condizioni geologiche dei due tracciati ferroviari per Rigoroso e per Voltaggio tra Novi e Genova. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II. Tol. XXXTII, fase. 7, pag. 354-363). — Milano, 1904. Prezzo del presente fascicolo: L. 3.° Trimestre Serie Voi R. COMITATO A.I>nsrO 1004 ROMA TIP. NAZIONALE DI GL RERTERO E ( 1904 ELENCO del personale componente il Comitato e l'Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni,, prof, di geologia, R. Università di Bologna, Presidente. Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Issel Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Struver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolo, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico : Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Dott. Di Stefano Giovanni, paleontologo. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Uffici geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. V. Armo 1904. Fascicolo 3°. SOMMARIO. Note originali. — I.A. Stella, Rilevamento geologico dei tagli alle cave Maz- zanti fra Ponte Molle e Tor di Quinto, presso Roma. — II. S. Franchi, Antibolo secondario del gruppo della glaucofane derivato da orneblenda in una diorite di Valle Sesia. — III. P. Moderni, Osservazioni geolo- giche fatte alle falde dell’ Appennino fra il Potenza e l'Esino (Marche). — IV. P. Moderni, Bibliografia geologica ed idrologica dei Vulcani Vulsini (sino al 1898). — Riunione annuale della Società geologica italiana a Catania. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1908. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. — R. Decreto 30 giugno 1904, relativo al personale del R. Comitato geologico. Illustrazioni. — Tav. V, VI, VII e Vili, annesse alla nota Stella sulle cave Mazzanti, a pag. 242. NOTE ORIGINALI I. A. Stella. — Rilevamento geologico dei tagli alle cave Mazzanti fra Ponte Molle e Tor di Quinto presso Roma . (con 4 tavole). I tagli eseguiti in questi ultimi anni dalla impresa Vitali nelle cave di proprietà Mazzanti lungo il margine della collina fra Ponte Molle e Tor di Quinto sulla destra del Tevere, hanno richiamato ripe- tutamente l’attenzione dei geologi che si occupano del territorio ro- mano, i quali ne misero in evidenza la grande importanza 1. 1 R. Meli, Breve reiasione delle escursioni geologiche eseguite nell’anno scolastico 1902-1903 con gli allievi della R. Scuola di applicasione di Roma. I: Alla cava Massanti presso il Ponte Milvio. Roma, tip. della Pace, 1903. C. De Stefani, Gli strati marini della cava Massanti al Ponte Molle. (Rend. Accad. Lincei, Voi. XIII, fase. 6°) 1904. Idem, Gli strati subterrestri della cava Massanti al Ponte Molle. (Rend. Accad. Lincei, Voi. XIII, fase. 7°) 1904. 16 In seno alla Società geologica nostra 1 fu espresso il desiderio, che l’Ufficio geologico eseguisse a tempo opportuno un rilevamento par- ticolareggiato di questi, tagli importanti, tanto più nella probabilità, che una parte di essi e precisamente la più interessante, sia presto sottratta alla diretta osservazione degli studiosi, in previsione di even- tuali franamenti e di una definitiva sistemazione di quella scarpata provvisoriamente quasi verticale. Incaricato dalla Direzione dell’Ufficio di tale rilevamento, ne rendo conto in questa breve relazione, corredata di alcune tavole alle quali senz’altro mi riferisco 2. La fig. I (vedi Tav. Y), planimetria generale, ci orienta sulla po- sizione dei tagli studiati, tanto più se la confrontiamo colla tavoletta Castel Giubileo dell’I. G. M. nella scala di 1 a 25,000, la quale ci dà una buona idea generale della collina sulla destra del Tevere da Ponte Molle a Tor di Quinto, rimpetto ai Colli Parioli, che collo sperone di Villa Glori stringono analogamente il fiume sull’opposta ripa. Dal nuovo Viale del Lazio si accede al piede della fronte di ta- glio; questa si svolge da occidente ad oriente per ben 130 metri, di cui una cinquantina occupati dalla così detta « Gavetta o cava del selcio » ; indi gira in direzione da mezzogiorno a tramontana per oltre 400 metri, dove si fa Fescavazione del travertino. Confrontando la planimetria anzidetta colla proiezione generale e i profili in eguale scala (Tav. VI, fig. 2, 3, 4, 5, 6) si rileva chiaramente l’ampiezza delle escavazioni compiutesi, riferendo la fronte dei tagli attuali alla originaria conformazione della scarpata collinesca. Questa presentava originariamente nella porzione diretta Est-Ovest per metà altezza una massa ghiaiosa, ricoperta per l’altra metà da tufi vulca- 1 Vedasi nel Resoconto dell’adnnanza generale tenuta in Roma il li feb- braio 1901, le osservazioni e le proposte dei soci A. Verri ed E. Clerici (Boll. Soc. Geol. ital.y Voi. XXIII, 1901, pag. xxvii). 2 Per il rilevamento pianimetrico e altimetrico mi furono molto utili i dati grafici fornitimi dall’egregio ing. Rossi dell’impresa Vitali, cui rendo vive grazie: a completare quei dati di rilevamento topografico mi giovò l'opera dell’ aiutante- ingegnere sig. Luswergli del nostro Ufficio geologico. — 237 — nici ; e nella porzione Nord-Sud una alta balza di travertino pure ricoperta da un leggiero cappello di tufi vulcanici. Questo cappello generale di tufi, fu messo molto bene in evidenza dal procedere della escavazione su tutta la fronte di taglio, come mo- stra la figura 2, insieme colle figure 3, 4, 5, 6. Si vede da queste, come nella porzione della fronte di taglio a Nord del punto P alla massa dei tufi soggiace direttamente la massa del travertino ; il quale però per qualità e giacitura presentasi alquanto singolare. Quanto a qualità è un travertino di evidente struttura con- crezionare, senza regolarità di stratificazione, di composizione molto impura, specialmente per inglobamento frequente di parti sabbiose e ghiaiose sempre fortemente cementate. Quanto a giacitura, esso non forma un banco di costante spessore orizzontalmente prolungantesi per entro alla colli ua al disotto dei tufi, il che sarebbe stato deside- rabile per il buon rendimento della escavazione del medesimo. La scarpata naturale originaria mostrava bensì, come si accennò ad- dietro, la balza travertinosa molto alta, ma coll’ internarsi della esca- vazione il ciglio superiore della massa del travertino andò rapida- mente abbassandosi nel modo indicato sulle sezioni, figure 4, 5, 6 ; sì da ridursi da a in a , da b in b', da c in c'. Cosicché ne risultò una specie di scoglio di travertino, con scarpata naturale origi- naria immergentesi ripidamente contro monte, e tagliata a picco verso il Tevere dall’erosione terrazzante di questo. Ciò parmi possa avere una certa importanza per la genesi stessa di questo travertino, se si rammenta, che analogo comportamento a scoglio era già avvenuto di trovare nei tagli dei Colli Paridi rimpetto ai nostri sull’opposta parte del Tevere. Sicché, se si tien conto del- l’evidente terrazzamento della valle del Tevere, riallacciando i due scogli di travertino correnti lungo i due terrazzi che ne fiancheggiano il corso, si ottiene idealmente la ricostruzione di una antica briglia travertinosa quaternaria trasversale al corso medesimo, e rapidamente sfumantesi ai lati di esso ; una briglia cioè quale avrebbe potuto es- sere generata dalle acque stesse di un Tevere diluviale fortemente incrostante, incisa poi e terrazzata dal Tevere alluviale. — 238 — Questa briglia del resto, come strapiomba ripida lateralmente, sfu- masi presto anche verso valle, nel modo indicato dalla fìg. 2, che mostra il rapido abbassarsi del ciglio del travertino da monte a valle dalla sezione E-F. A valle poi del punto Q, oltre lo svolto della fronte di taglio verso occidente, riappare un basso spuntone di travertino : e più oltre vedesi ancora una confusa zonatura travertinosa concrezionare alternante colla ghiaia cementata prossima alla frana segnata nella stessa fìg. 2. Ciò riattacca per cosi dire il fenomeno della formazione del tra- vertino al fenomeno della cementazione delle ghiaie, che in certo qual modo lo sostituiscono nella serie verticale dei terreni verso la « cava del selcio », e delle quali parleremo più innanzi. Un altro fatto va notato qui, ed è la presenza di banchi di ghiaie sabbiose quasi sciolte alla base del travertino, visibili poco a valle della casa adibita ad uso di ufficio e messe in evidenza dalla fìg. 5, in corri- spondenza della sezione G-H. Non è improbabile che queste ghiaie rap- presentino l’imbasamento dello scoglio travertinoso, cosicché la nostra briglia di travertino avrebbe una estensione ben limitata anche in profondità. Finalmente un ultimo fatto notevole messo in evidenza da alcuni recenti intagli appositamente eseguiti per studiare il contatto contro monte fra travertino e tufi, è quello riprodotto dalla veduta fotogra- fica la (Tav. Vili), e schematicamente segnato anche nel profilo fìg. 6, in corrispondenza del quale fu preso quel particolare di contatto. Si ha cioè un reciproco incastro di tufi e di travertino, per cui quelli sopravvennero a compenetrare le anfrattuosita della superficie di questo, rapidamente e irregolarmente strapiombante. Se noi proseguiamo l’esame della fronte di taglio dalla cava del travertino verso la cava detta del selcio , è interessante anzitutto la successione dei terreni là dove va a morire il travertino stesso, mentre comincia a interporsi fra esso e i tufi la massa ghiaiosa ra- pidamente crescente di importanza verso valle. Le fìg. 2 e 4, insieme colla veduta 2\ mettono in evidenza questo fatto. Nelle prime esiste — 239 — anche uno straterello di tufo vulcanico interposto fra travertino e ghiaie ; mentre d’altra parte dalla fotografia appare abbastanza evidente una fina zonatura di sabbia (ad elementi vulcanici) alternata con ghiaie chiare nella fascia di contatto fra la massa ghiaiosa rossastra e i so- prastanti tufi, questi ultimi pure a zonature di tufi grigi granulari, scuri pomicei, e chiari terrosi. Al di là dello svolto in P le ghiaie più o meno agglomerate e ros- sastre diventano dominanti al disotto dei tufi, finché al di là della frana, abbassandosi la linea di base della fronte di taglio, questo alla « cava del selcio - mette in evidenza al disotto della massa ghiaiosa, terreni più antichi, e nella massa ghiaiosa medesima alcune particolarità im- portanti, di cui passiamo a dire più partitamente. A tale scopo ci riferiremo specialmente alla fìg. 7 (Tav. VII), che rappresenta nella scala di 1 a 200 la porzione A-B della fìg. 2 ; e che insieme alla planimetria generale e alle vedute 3a e 4a, varrà ad abbreviare il nostro dire, tanto più se ricorderemo gli studi già fatti in proposito dal Meli e dal De Stefani. E cominciando dalla formazione arenacea marina, sottostante alla massa ghiaiosa, vedesi dalla figura, come essa risulti dalla alternanza di sabbia giallo-brunastra (sb) con arenaria cenerognola, detta da quei cavatori selcio (se), la quale a tratti è zeppa di fossili marini, special- mente molluschi. Il carattere di questa fauna marina (studiata dal Meli e poi specialmente dal De Stefani) e le analogie litologiche per- mettono di parallelizzare questa formazione arenacea coll’orizzonte delle sabbie gialle classiche del vicino Monte Mario. Della giacitura di questa formazione si può farsi un’idea dalla ispezione della nostra figura e insieme della planimetria, quando si tenga presente, che l’andamento della stratificazione è messo in evi- denza dalla linea di contatto fra selcio (se) e sabbia (sb). Le osser- vazioni fatte alla concava fronte di taglio, dànno un andamento ge- nerale sub-orizzontale, con leggiera pendenza degli strati contro monte, che appare esagerata alquanto nella nostra proiezione verticale per — 240 — evidente ragione della rappresentazione geometrica. Gli andamenti principali risultano avere i seguenti valori: lato occidentale della cava : direzione N 20° E pendenza 15° SE parte centrale id. id. N 10° E id. 10° N W lato orientale id. id. N 50° W id. 5° NE oltre di che ci sono leggiere oscillazioni, in vario senso, anche in punti prossimi. Ma la linea di contatto fra la formazione nostra are- nacea e le soprastanti ghiaie non risulta sempre parallela a questi andamenti stratigrafici, come mostra la figura, la quale mette special- mente in evidenza il forte declivio (esagerato in proiezione) di essa superfìcie nella parte occidentale della cava, e alcune evidenti anfrat- tuosita di essa superficie sia in questa che nella parte orientale. Il che conferma l’osservazione dei predetti geologi intorno alla erosione su- bita da questa formazione marina prima della deposizione della so- prastante formazione ghiaiosa. Questa formazione ghiaiosa è alquanto complessa, come risulta dalle sette principali suddivisioni che ho creduto conveniente di fis- sare sulla nostra figura (vedi Tav. VII) e di cui passo a dare l’elenco specificato in ordine dall’alto al basso: 1. Ghiaie chiare commiste a sabbie aventi molti elementi vul- canici, e talora anzi passanti a tufi sabbiosi. 2 Ghiaie rossastre stratificate, più o meno cementate, inglo- banti alla base alcuni blocchi. 8. Massa sabbioso -ghiaiosa con blocchi , leggermente agglome- rata, a struttura alquanto caotica. 4. Puddinga con blocchi. 5. Arenaria spugnosa grossolana. 6. Sabbia più o meno argillosa. 7. Breccia puddingoide, più o meno fortemente cementata, con molti elementi del cosidetto selcio. Malgrado il numero rilevante di queste suddivisioni, questa po- tente massa ghiaiosa non perde della sua unità geognostica, potendo considerarsi quelle suddivisioni quali altrettante varietà della mede- — 241 — sioia formazione di ghiaie. Come già ebbero a rilevare precedenti osservatori trattasi essenzialmente di ghiaie calcareo-silicee con ele- menti vulcanici e con blocchi. Essa è legata in alto ai tufi vulcanici, mediante le ghiaie 1 , e in basso alla formazione arenacea marina, me- diante la breccia 7. Quanto ai blocchi sparsi nelle divisioni 2, 3, 4 essi trovansi spe- cialmente localizzati alla porzione centrale della fronte di taglio, e come fu pure già notato dai precedenti osservatori, constano di tufi vulcanici litoidi (segnati t nella figura 7) ; mentre gli altri blocchi di gran lunga prevalenti, segnati m, constano di marne litoidi con cardium e altri fossili, studiati dal De Stefani. A meglio rendere Timmagine effettiva della nostra fronte di taglio valgano inoltre le due vedute fotografiche 3a e 4a. La prima mette in evidenza la complessiva massa ghiaiosa sottoposta ai tufi nella por- zione orientale della cava verso la Torretta di Villa Lazzaroni. La se- conda riproduce quella porzione della massa sabbioso-ghiaiosa, con blocchi di marna a cardium , che sta immediatamente a valle della linea C-Z), facilmente identificabile colla rappresentazione geometrica data dalla nostra figura 7, in proiezione verticale. Roma, giugno 1904. SPIEGAZIONE DELLE YEDDTE FOTOGRAFICHE (Tav. Vili). Figura la. — Contatto a incastro fra tufi e travertino. Particolare messo in evidenza dagli intagli eseguiti a mezza costa della cava del travertino in corrispondenza della sezione L-M. Yisto da Sud. Figura 2a. — Pascolare della fronte di taglio all’estremo Sud della cava del travertino in corrispondenza della tratta fra la sezione E-F e il punto F. Yisto dalla casetta della Pesa. Figura 3a. — Particolare della fronte di taglio all’uscita orientale della cava del selcio verso la cava del travertino. Yisto dall’orlo Ovest della cava del selcio. Figura 4a. — Particolare della fronte di taglio colla massa ghiaiosa inferiore con blocchi, contigua alla sezione C-D dal lato occidentale di questa. Presa alquanto di sbieco stando ad Ovest. Yedonsi in questa i due blocchi principali di marna a cardinm segnati sulla figura 7 e alcuni altri minori. Il gruppo di blocchi visibile sul suolo della cava nella porzione si- - nistra della fotografia, è formato da blocchi di marna e di tufo caduti dalla fronte di taglio durante la sua ripulitura. IL S. Franchi. — Anfibolo secondario del grappo della glau- co fané derivato da orneblenda in una diorite di Valle Sesia . La metamorfosi in minerali del grappo della glaueofane dei piros- seni sodici di molte roccie eruttive e di alcune roccie cristalline è stata in questi ultimi anni osservata da tanti autori, che essa si può ritenere come uno dei fenomeni più frequenti, specialmente in diverse regioni italiane costituite da scisti cristallini (Alpi occidentali, Appennino li- gure, Arcipelago toscano, Calabria). Anche la trasformazione della orneblenda in anfìboli secondari è un fenomeno abbastanza frequente, ed è stato dimostrato come questi Boll, del R. Comit. geol. d’Italia. (OZ) Anno 1904. Tav. V. (A. Stella). [A GENERALE 2.000 icario l’altezza sul mare. Istituto Geografico G. De Agostini & C. - Roma Boli, del R. Comit. geol. d’Italia. Anno 1904. Tav. VI. (A. Stella). FIG. 2. PROJEZIONE VERTICALE GENERALE DELLA FRONTE DI TAGLIO SULLA SPEZZATA A-B-Q SULLA SPEZZATA Q-F-H-M-N t rcLve-r tino NG. 3. SEZIONE C-D FIG. 4. SEZIONE E-F FIG. 5. SEZIONE G-H FIG. 6. SEZIONE L-M Boll, del R. Comit. geol. d’Italia. I FIG. 7. PROJEZIOKE VERTICALE PARTC DELLA COSLDD1 su un piano Sera NB. Per la spiegaziit c Anno 1904. Tav. VII. (A. Stella). aleggiata della fronte di taglio CAVA DEL SELCIO le passante per A-B 1:200 numeri vedasi il testo. > bufi iruZocadjdb > massa, ghiaiosa; 3 ioTvrmzione arenacea, morirla, B Istituto Geografico G. De Agostini & C. - Roma — 243 — possano derivare dalla metamorfosi delle roccie dioritiohe delle roccie secondarie (prasiniti) analoghe a quelle prodotte dalla trasformazione delle roccie gabbriche (eufotidi, diabasi, eco). In una diabase dell’isola del Giglio chi scrive ebbe a notare, come prodotti secondari consecutivi della metamorfosi del pirosseno, orne- blenda bruna, glaucofane e crocidolite, e attinoto, il che avrebbe di- mostrato la possibilità della metamorfosi di un anfìbolo bruno in altri violetti \ Finora però, nelle varie masse di dioriti metamorfosate delle Alpi occidentali, presentanti soventi la orneblenda in istato di più o meno avanzata metamorfosi in anfiboli uralitici secondari, non era mai occorso di osservarne qualcuno che presentasse i caratteri della glaucofane. Nella letteratura è però noto qualche esempio di metamorfosi di orneblenda in glaucofane, e cito quello notato da Harada in un gra- nito a orneblenda di Okinoshina nel S.W della provincia di Shikoku nel Giappone. La grande zona di roccie dioritiche e gabbriche cosidetta di Ivrea, presso il suo contatto nord-occidentale coi micas.cisti eclogitici e coi cosidetti gneiss della Sesia (Sesia-gneiss di Gerlach) presenta una zona di laminazione più o meno potente, in cui la diorite passa a delle forme speciali di roccie nelle quali gli elementi primitivi oltre ad essere schiacciati, frantumati e sfatti hanno pure soventi subito una più o meno profonda metamorfosi mineralogica, formante un sin- golare contrasto colla generale freschezza delle roccie di quella inte- ressantissima ed estesa massa eruttiva. Quella zona di laminazione fu già notata da Artini e Melzi, i quali nel loro pregevolissimo lavoro sulla Valle Sesia, mettono giu- stamente in rilievo la trasformazione della orneblenda in anfiboli verdi fibrosi e quella del plagioclosio basico in zoisite, epidoto ed albite. È un fenomeno in tutto analogo nel suo complesso a quello no- 1 Franchi S., Prasiniti ed anfibolia sodiche , ecc. (Boll. Soc. geo], it , Yol. XY, fase. 2). — 244 — tato da chi scrive, per le dioriti della Valle del Ohisone che a luoghi si trasformano in vere prasiniti , e da suoi colleghi Novarese e Stella per altri punti delle Alpi occidentali. La laminazione e la metamorfosi possono presentarsi in punti vicini con intensità molto differenti, mostrandosi associate forme in cui l’ orneblenda è ancora in gran parte riconoscibile con altre dove di essa non si osservano resti nemmeno al microscopio. Le prime di tali roccie sono più scure nella loro massa; vi si riconoscono i clivaggi brillanti dei frantumi di orneblenda, ed i felspati sono trasformati in una massa verde compatta ricordante le cosidette saussuriti. Al microscopio i frammenti di orneblenda si mostrano trasformati in maggiore o minor parte in anfìbolo fibroso più o meno isoorientato con quello primitivo e ripieno di minute granulazioni opache, con ogni probabilità ossidi di ferro, e forse di ferro e titanio, i quali non di rado sono anche più fìtti lungo linee di fratture o cli- vaggi dell’anfìbolo primitivo. L’anfìbolo secondario presenta tinte di assorbimento tra il verde bluastro e il verde giallognolo; e la sua estinzione è di poco diversa da quella della orneblenda. Causa l’imperfetto orientamento e l’assenza di contorni cristallografici tali estinzioni non si possono misurare colla voluta approssimazione. La massa di aspetto saussuritico che include l’anfìbolo, ai piccoli ingrandimenti si mostra come un aggregato confuso di elementi chiari a debole rifrangenza e birifrangenza e di elementi colorati con rifran- genza e birifrangenza forte; ai forti ingrandimenti si riconosce come prevalente l’epidoto in grani informi in un fondo felspatico di natura indeterminabile. Alcune delle forme più profondamente metamorfosate di queste roccie hanno colori più chiari, l’anfibolo secondario non è più isoo- rientato, sicché neppure è più riconoscibile nemmeno la forma dei frammenti di orneblenda primitivi. Oltre all’ anfìbolo si notano un minerale micaceo incoloro (sericite ?), epidoto, zoisite, sfeno, felspati acidi indeterminabili, quarzo, ossidi di ferro, ecc. La roccia ha quindi — 245 la costituzione mineralogica di molte prasiniti, senza presentare però la struttura occellare quasi sempre caratteristica di quelle roccie nelle loro forme più perfette. Associato intimamente con delle forme laminate contenenti ancora resti dell’ orneblenda primitiva, nello sperone roccioso che è stato ta- gliato dalla carrozzabile ad Est di Ramello, fra Scopello e Scopa, ho raccolto un campione nel quale oltre all’ antibolo uralitico si osserva come derivante dalla orneblenda un antibolo secondario violetto del gruppo della glaucofane. La roccia si mostra evidentemente laminata per una marcata sci- stosità e clivabilità secondo letti cloritici e per lo sminuzzamento e stiramento in filari paralleli e irregolari degli elementi del silicato ferro -magnesiaco. Di esso si vedono ad occhio nudo piccoli clivaggi scuri traenti al violaceo, immersi in striscie e noduli verdicci antibolo* cloritici, i quali si alternano e si compenetrano con noduli o striscie verdognole chiare, le quali sono essenzialmente il prodotto della me- tamorfosi degli elementi felspatici. Al microscopio la roccia si mostra quasi completamente metamor- fosata, non rimanendo degli elementi primitivi che pochi resti di or- neblenda. Questa è trasformata in gran parte in antibolo fibroso verde- marino, il più delle volte assai imperfettamente orientato e talora a fibre incrociate. Però qua e là, in mezzo a più larghe plaghe di questo antibolo uralitico, si notano chiaramente dei residui dell’anfibolo primitivo, colle tinte di pleocroismo ng bruno dorato, nm bruno rossigno, np giallo- bruno chiaro, contornato il più delle volte da granuli irregolari di epidoto e di sfeno. L’orientamento ottico di questi residui non è sempre lo stesso di quello dell’anfibolo secondario, anche quando questo presenta orienta- mento uniforme. Coi residui di orneblenda bruna si osserva costantemente asso- ciato per incastramento di prismi elementari , limitati talora da clivaggi, — 246 — un anfìbolo violetto che presenta nettamente le tinte di pleocroismo degli anfiboli glaucofanici, cioè: ng azzurro, nm violetto, np giallognolo chiarissimo. Le estinzioni sono deboli, ma mancando sempre gli spigoli del prisma non è possibile farne misure attendibili. L’asse ng è quello che forma un angolo acuto collo spigolo del prisma. Si tratta adunque dì un anfìbolo sodico del gruppo della glaucofane. Potrebbe ora rimanere il dubbio che, anziché secondario, tale an- fibolo sia originario e concresciuto coll’orneblenda. Però sta il fatto che in molte sezioni l’ anfìbolo violetto, oltreché incastrato in esso, si vede contornare l’anfìbolo bruno, separandonelo dall’antibolo verde circostante, permodochè esso si presenta come un termine di passaggio dal primo al secondo di questi due antiboli. A sostegno di tale interpretazione sta il fatto che nessuno degli osservatori che si occuparono dello studio di queste dioriti, ebbe mai a notare la presenza della glaucofane nelle roccie fresche; nè io ve l’os- servai nei molti preparati sottili esaminati di campioni di tutta la zona compresa fra la Dora Baltea e la Valle Sesia. Giova ricordare inoltre che nella trasformazione degli antiboli delle roccie dioritiche di Val Chisone la orneblenda scura quasi opaca primitiva, riccamente titanifera, si trasformava in una orneblenda bruno-dorata, segregando molte particelle di sfeno, e poscia in un an- fìbolo verde-chiaro. Ivi, adunque, il termine di passaggio era un an- tibolo bruno simile a quello primitivo della roccia di cui ora trattiamo. Notisi però che, nel caso nostro, nel passaggio dell’antibolo bruno al violetto non si notano segregazioni di altri minerali e che solo la trasformazione nell’anfibolo uralitico dà luogo alla formazione di nu- merosi granuli di sfeno e di epidoto. Si potrebbe ancora obbiettare che non è dimostrato che la roccia in questione non sia, anziché il prodotto della metamorfosi di una diorite, la forma secondaria di un gabbro; nel qual caso i due anfi- boli, analogamente a quanto io osservai in una diabase del Giglio, 247 — sarebbero derivati dalla metamorfosi di pirosseno. Ma questa ipotesi sembra doversi escludere perchè, nelle parti vicine, dei campioni con metamorfosi meno inoltrata mostrarono sempre il silicato ferro-ma- gnesiaco originario essere una orneblenda bruno-dorata come quella associata alla glaucofane. Tutti i fatti osservati e l’analogia di un anfibolo di passaggio che in questa metamorfosi si presenta come nelle dioriti di Val Chisone, ci portano ad ammettere come dimostrata la presenza di anfibolo violetto secondario derivato dall’ orneblenda nelle dioriti della Val Sesia. E il modo di intima associazione tra la orneblenda e la glaucofane e la essenza di questo anfibolo dalle zone periferiche dell’anfìbolo verde uralitico stanno pure a dimostrare, parmi, che nel caso nostro la tra- sformazione dell’ orneblenda bruno-dorata in anfibolo violetto può es- sere considerata come una vera paramorfosi; sicché la orneblenda primitiva dovrebbe avere un certo tenore in soda. Intanto è pure dimostrato che si possono avere delle prasiniti a glaucofane come forme metamorfiche delle dioriti, analogamente a quanto è stato da tanto autori osservato per le roccie diabasiche Roma, luglio 1904. III. P. Moderni. — Osservazioni geologiche fatte alle falde deli Appennino fra il Potenza e iEsino (Marche). Il rilevamento geologico dei dintorni di Cingoli in provincia di Macerata, eseguito nel 1901, con il rinvenimento dell’estremo lembo della formazione solfifera di Romagna, cominciò a fissare un punto di partenza per la determinazione cronologica di una parte del terziario che, sul versante orientale dell’ Appennino marchigiano, si appoggia al secondario, e più specialmente degli scisti argillosi sottostanti alla — 248 — serie solfìfera. E prima di tatto importava rilevare geologicamente la valle, ricolma da depositi miocenici, che separa l’ Appennino dalla massa isolata di scaglia , sul fianco orientale della quale trovasi Cingoli, per vedere se anche sul fianco occidentale di detta isola si appoggiava la formazione solfìfera. Siccome però per circostanze diverse, detto rilevamento non si potè eseguire per intiero dal Potenza all’Esino, questa breve nota dovrà quindi essere considerata come un cenno preliminare delle osservazioni fatte e che saranno completate in se- guito. Anche questa parte del versante orientale dell’ Appennino è co- stituita dalla scaglia rossa e grigia e soltanto al Villaggio Elcito, a mezza distanza fra il Potenza e l’Esino, appare al disotto di essa il calcare bianco ammonitifero del Lias inferiore, che segna l’estremità d’una stretta zona di questa formazione diramantesi dal prossimo monte San Vicino, e già rilevata pure dallo Scarabelli. La scaglia cinerea è intercalata a quella rossa ed è ricoperta in qualche punto dalle rocce soprastanti : essa però vedesi a Serrapetrona, fra Serripola e San Severino, acquista una certa potenza nei dintorni di Sant’Elena, e continua poi ad affiorare con potenza maggiore o minore quasi ininterrottamente dalle due parti della detta valle, ripiena di depositi miocenici. Al disotto della scaglia vi sono i calcari rossi intercalati con altri bianchi compattissimi a grana finissima, translucidi e spesso a frattura concoide, che ricordano la maiolica, assieme ad altri cal- cari bianchi e grigi ; sotto a questi calcari ve n’è una varietà bianca terrosa che segna forse un livello più basso. Risalendo la valle del Potenza fra San Severino e la stazione di Gaglioffi, si vedono i cal- cari che accompagnano la scaglia formare un’altra anticlinale simile a quella che si osserva nell’isola di Cingoli, descritta in una nota precedente 1Ì e sopra ai medesimi anche qui si appoggiano rocce mioceniche. 1 P. Moderni, Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Cingoli (Boll. R. Com. Geo!., Voi. XXXIII. Roma, 1902). Dalla parte di Dagliele la stratificazione inclina dunque a S.O e dalla parte di San Severino a N.E, formando con l’isola di scaglia due anticlinali unite da una sinclinale; e forse verso Ovest continua questa disposizione stratigrafìca, che nella località presa in esame in- dica così chiaramente i corrugamenti delfAppennino. il facile disgre- gamento della scaglia e dei calcari ad essa sottoposti produce una grande quantità di detrito che si accumula su i fianchi meno ripidi dei monti, in molti posti e per larghi spazi nascondendo compieta- mente la scaglia e calcari annessi. Sopra alla scaglia, concordanti con essa e ad essa facenti gra- duale passaggio, si appoggiano gli scisti argillosi che affiorano co- stantemente dalle due parti della zona rilevata, fino all’estremità set- tentrionale dell’isola di scaglia, su cui trovasi Cingoli, dove restano nascosti sotto alle arenarie per ricomparire poi nella valle fra Staf- folo e Cupramontana. Fu avvertitogià nella mia predetta nota come i banchi di calcare grossolano, contenente alle volte piccole num- muliti, conosciuto col nome di cerrogna nei dintorni della Montagna dei Fiori e di Ascoli Piceno intercalati agli scisti, erano andati gra- datamente scomparendo ; anche la facies degli scisti si viene alquanto modificando, sicché sotto Cingoli, sotto Cupramontana e sotto Ficano, alle falde dell’ Appennino, essi fanno graduale passaggio alle marne della4 zona solfifera senza lasciar vedere nettamente il contatto, ab- benchè il colore più giallastro delle marne, la presenza di banchi di tufo calcareo, di calcare marnoso, di straterelli di tripoli, e di vene di zolfo, rivelino l’affioramento dei terreni della serie solfifera di Romagna ad essa intercalate. Nei dintorni della Montagna dei Fiori e di Ascoli Piceno, i cal- cari con piccole nummuliti intercalati agli scisti argillosi, la posizione stessa di questi scisti al disopra della scaglia, il graduale passaggio da una roccia all’altra, la concordanza nella stratificazione di questa con quella, sembravano autorizzassero a ritenere che almeno la parte più bassa di questi scisti stesse appunto a rappresentare qualche piano dell’Eocene; ma al di là di Ascoli ecco subito in mezzo agli — 250 — scisti con calcari nummuiitici delle marne a Pholadomya Canavarii e altri fossili di tipo miocenico, che mi lasciarono incerto sul posto che dovevasi assegnare a quegli scisti; poi i calcari nummuiitici a poco a poco spariscono restando invariata la tettonica e, seppure leggerissi- mamente, modificata la facies della roccia, ed a questo modo si giunge al Ponte dei Canti fra il Potenza e l’Esino, dove negli scisti stessi si presenta una fauna decisamente miocenica. Quindi, più a Nord, nei din- ; torni di Apiro, cominciano ad incontrarsi le marne della zona zolfifera, caratterizzate dalla presenza dei calcari, delle arenarie e dei tripoli ad esse intercalati. Così da quel che nei dintorni di Ascoli sembrava Eocene o per lo meno Miocene inferiore, si passa gradatamente al Miocene superiore e fors’anche al Pliocene inferiore, senza che vi siano finora elementi sufficienti per tracciare nettamente delle separazioni. Tra i fossili raccolti al Ponte dei Canti, nei dintorni di San Se- verino-M arche il dottor Di- Stefano ha potuto determinare i seguenti: Hemipneastes italicus Manz. Ostreci ( Gryphaea ) codile ar Poli Pecten ( Chlamys ) sp. Pecten (Anni s siimi) cfr. anconitatum Por. Pholadomya Paschi Goldf. Teredo cfr. norvegica Spengi. Xenophora Deshayesi Miclil. Xenophora postext'ensa Sacco ■ Cassi s miolaevigata Sacco (forma juv.). Aiorio ( Galeodea ) echinophora L. sp. Aturia Atavi Bast. + I Non tutti i fossili raccolti al Ponte dei Canti, località eminente- mente fossilifera, poterono essere determinati poiché per la massima parte erano deformati dallo schiacciamento sofferto e perciò d’incerta e difficile determinazione. Nondimeno dalla lista riportata, si ha che quel giacimento appar- tiene ad una facies di mar profondo del Miocene medio, equivalente allo Schlier. — 251 — Su questi scisti poggiano come al solito le arenarie, in concor- danza con essi, e stanno forse a rappresentare la parte più bassa del Miocene superiore. Nei dintorni di San Severino-Marche, sono degni di nota i giacimenti di gesso esistenti in mezzo alle arenarie, ed in qualche località il gesso diventa predominante, fino a sostituirsi, in- tercalato a qualche straterello di argille, alle arenarie stesse. Questo però non è un caso nuovo poiché nelle arenarie che ricoprono gli scisti, in quantità maggiore o minore, in vene, in banchi o in lenti, il gesso l’ho sempre trovato, e cave di gesso aperte fra le are- narie se ne trovano sparse in tutta la provincia di Ascoli Piceno ed in quella di Macerata ; qui però, nei dintorni di San Severino, il gia- cimento è più potente ed esteso di tutti gli altri finora incontrati. Le arenarie sono ordinariamente a grossi banchi, compattissime, e di un bel grigio -turchino, ma all’azione atmosferica divengono gialle e si disgregano. Queste arenarie, che sembrerebbero appartenere alla parte inferiore del Miocene superiore ed in tutto il Teramano, in tutto il Piceno furono sempre trovate costantemente al disopra degli scisti, indicando nettamente un livello più alto, nei dintorni di Gastei Sant’An- gelo ed Apiro, fra il Potenza e l’Esino, si trovano anche in lenti intercalate agli scisti. Le due lenti di arenarie dirette N.O-S.E, che si osservano nelle due località citate, sono indubbiamente intercalate agli scisti e per i loro caratteri esterni non differiscono dalle altre che li ricoprono : questo fatto è importante perchè, malgrado il nessun cambiamento avvenuto nella facies tanto delle arenarie che degli scisti, segna forse per questi ultimi il passaggio ad un livello più alto. Procedendo verso Nord le arenarie sono sostituite lateralmente da una estesa zona di argille turchine ; ma tale sostituzione non ha importanza, poiché non è altro che la trasformazione laterale di una roccia in un’altra, trasformazione che si vede benissimo e avviene frequentemente, in ispecie nel Teramano. Fra Apiro e Cupramontana ricompaiono le arenarie che si estendono fin giù alla valle dell’Esino e si riconosce facilmente che non sono perfettamente identiche a quelle 17 — 252 — dei dintorni di San Severino-Marche : esternamente non differiscono da quelle, però sono gialle anche nell’interno della massa od al più, di color grigio-turchino, hanno soltanto dei noduli : contengono nu- merosi inclusi d’altra arenaria, di forma sferoidale e discoidale, spesso geometricamente perfetti ; gli strati d’una certa potenza non sono in prevalenza e si osservano invece grandi accumulamenti di piccoli strati di arenaria, che nelFinsieme mostrasi più giovane ed è simile ad una delle qualità incontrate nei dintorni di Cingoli. Intercalati a queste arenarie s’ incontrano banchi di una puddinga fortemente cementata, costituita da elementi per la massima parte eocenici. Su le falde dell’ Appennino, sotto Ficano, all’ Annunziata a S.O di Apiro, e nella valle fra Cupramontana e Staffolo, vi sono tre lembi di terreni solfiferi, dei quali, quello situato ai piedi dell’ Appennino si allunga verso Nord e non fu ancora interamente rilevato : sono costituiti, come ho detto, da marne che tramandano forte odore di petrolio, le quali contengono intercalati banchi di calcari, sottili strati di arenaria e straterelli di tripoli. Le marne non si distinguono dagli scisti argillosi, ed abbenchè non siasi potuto ancora vedere bene in quale relazione stiano questi con quelle, pur tuttavia sembra che vi sia un lento ed inavvertibile passaggio da una roccia all’altra e da un livello all’altro, accennato già dalle due lenti di arenaria inter- calate agli scisti. Roma, marzo 1904. — 253 — IV. P. Moderni. — Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vidsini. ( Appendice , vedi fascicolo 2°, Bibliografia). 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(Sono sei articoli sui bagni di Viterbo e sul Bollicarne). Paganini P. — Notizia compendiata di tutte le acque minerali e bagni d’Italia. (Menziona le acque Caie di Viterbo). — Milano, 1827. Palmieri A. — Topografia statistica dello Stato Pontificio , ossia breve descri- zione della città e paesi, loro malattie predominanti , commercio, agricoltura , industria , istituti di pubblica beneficenza , santu arii , acque potabili e minerali. (Nella parte 4a, sono menzionate le acque Caie di Viterbo; le acque mine- rali ad O ed a N.O di Montefiascone ; acque solfuree alle Murane presso Canino; acqua ferrata ed acetosa di Valentano ; alcune acque acidule presso Latera). — Roma, 1858. Perone A. — Dizionario universale topografico , storico , fìsico , chimico, terapeutico delle acque minerali e delle precipue mofette e fumane dei terreni evaporanti ed emittenti fango fino ad ora conosciute in tutte le provvide italiane, prece- duto da considerazioni generali sulle acque dolci , marine e minerali , colle norme per usarne. (Sono citate le acque solforose calde a Canino, le acque solforose di Celleno, emanazione di vapore d’acqua a Celleno, l’acidula- solfurea di Bagnorea, le acque termali solforose-acide a Latera, le acque solforose termali presso Montefiascone e le varie acque del viterbese). — Xapoli, 1870. Pier andrei E. — Nuova analisi chimica, qualitativa, quantitativa e microscopica dell’acqua di Gorneto . — Roma, 1888. Poggiale M. — Dissertazione sul Bollicarne di Viterbo. (G-iorn. Arcad., LIV, 1882). Poggiale M. — Mémoire sur les eaux minèrales de Viterbe. (Journ. de Chiude Méd., IX, 1853; Journ. de Pharmacie, XXIII, 1853). (Contiene analisi qua- litative e quantitative dell’acqua solforosa del Bollicarne, dei fanghi solfo- rosi, dell’acqua ferruginosa e dei fanghi solforosi, dell’acqua ferruginosa e dei fanghi ferruginosi di Viterbo). — Paris, 1852. Ponzi G. — Mémoire sur la zone volcanique d’ Italie. (Bulletta de ]a Société géologique de Erance, 2me serie, Tome VII, 1850). Rath (vom) G. — Mineralogisch-geognostische Fralmente, ecc. (Dice che nella parte sud della valle del torrente Precchia presso Sorano ed in vicinanza della diruta chiesa dell’Aquila, da una roccia di travertino sgorga una scarsa sorgente termale avente 37° C.). Rotoureau A. — Des principales eaux minèrales de V Europe. (Erance (supple- menti Angleterre, Belgique, Espagne et Portugal, Italie, Suisse). (Vi sono le analisi dell’acqua del Bollicarne, sorgente della Crociata, sorgente della Torretta, acqua magnesiaca, acqua della Grotta o ferruginosa). — Paris, 1861. Schivardi P. — Le acque minerali nella provincia di Roma. Ricordi di viaggio. (Si occupa anche delle acque di Viterbo). — Milano, 1872. Schivardi P. — - Trattato teorico-pratico di balneoterapia e di idrologia medica. (Parla anche delle acque minerali di Viterbo). — Milano, 1875. Secchi A. — Lezioni elementari di fìsica terrestre coir aggiunta di due discorsi sopra la grandezza del creato. (Xel capitolo sulla circolazione dell’ acqua nel- l’interno del globo parla pure del Bollicarne di Viterbo e delle incrostazioni che lascia), — Roma-Torino, 1879. Selmi E. — Enciclopedia di chimica scientifica e industriale , ossia dizionario generale di chimica colle applicazioni , ecc. (Xel Voi. I. parla delle acque termali di Viterbo). — Torino, 1868. Targioni-Tozzetti A. — Prospetti comparativi della composizione delle acque minerali di’ Italia tratti dai documenti editi ed inediti comunicati alla Commis- sione reale. (Relazioni dei Giurati dell’Esposizione italiana tenuta in Firenze nel 1861). (Contiene le analisi dell’acqua salino-magnesiaca termale e del- l’acqua termale della Melfa, entrambe di Viterbo ; dell’acqua solfidrata della Crociata, del Bollicarne, della Torretta e del Bagnacelo pure di Viterbo ; delle acque acidule marziali viterbesi della Grotta e Acetosa). — Firenze, 1864. Tofani G. — Opuscoli chimici e fìsici di « Torberno Bergmann » tradotti in italiano con aggiunte e note. (Dà l’analisi del Pozzo del Paiccio al mulino verso Patera e delle acque termali Caie di Viterbo). — Firenze, 1787. * — 263 — y. Riunione annuale della Società geologica italiana a Catania . La riunione della nostra Società geologica ha avuto luogo quest’anno in Catania nella seconda metà del mese di settembre. Il presidente Meli aveva nominato un Comitato locale, diretto dal profes- sore L. Bucca, col compito di studiare le regioni importantissime da visitarsi e compilare un programma completo delle escursioni e dei lavori, che venne comunicato ai soci il 28 luglio scorso. Le escursioni vennero dirette dallo stesso prof. Bucca per la regione etnea e dal socio ing. Dompè per la zona solfifera. * * * L’ inaugurazione della riunione venne fatta la mattina del 17 settembre nell’Aula magna della regia Università alla presenza di S. E. Pinchia, sotto- segretario per l’ Istruzione pubblica, delle Autorità civili e militari di Catania e di molti invitati. Lesse il discorso inaugurale il presidente Prof. Meli, il quale dopo avere dimostrato il grande interesse che la Sicilia presenta agli studiosi e passati in rassegna i geologi che studiarono quell’ Isola, rese conto della vita e dell’attività scientifica della Società geologica dalle sue origini. Parlò quindi il Sindaco di Catania porgendo il saluto della città e l’onorevole Pinchia quello del Governo. Infine il Prof. G. Di-Stefano fece una interes- santissima commemorazione del Prof. G. G. Gemmellaro, in lode del quale parlò pure il Prof. Bucca. Ideile ore pomeridiane si visitarono i principali monumenti e i più im- portanti stabilimenti di Catania, e cioè l’anfiteatro greco, i nuovi scavi nel- l’anfiteatro romano in piazza Bellini, il monumento a Bellini, l’ospedale Vittorio Emanuele con l’Osservatorio antirabbico, il Museo di mineralogia e geologia della regia Università, ricco di minerali e roccie dell’ Etna, l’Os- servatorio astronomico e sismico, ove attirò l’attenzione dei geologi il grande sismografo a pendolo verticale lungo 25 metri e del peso di 300 chilo- grammi, destinato per registrare le lontane scosse orizzontali. I congres- sisti visitarono inoltre il piccolo porto, ove affiora il lembo più meridionale della lava del 1669, la quale distrusse per metà Catania. Fra gli stabilimenti industriali che i congressisti visitarono, sono da ricordare particolarmente il cotonificio Feo fornito di macchine e di impianti moderni, la « officina insulare » del solfuro di carbonio dei signori GL Trewhella ed E. Thrup, sorta in Catania nel 1901 per la fabbricazione del solfuro di carbonio e per estrarre con questo l’olio d’oliva dalle sanse, e finalmente la raffineria di zolfo di G. Trewhella , i cui prodotti sono lo zolfo in pani e cannelli, ottenuto per distillazione dello zolfo grezzo, e lo zolfo polverulento. * * * I congressisti intrapresero il 18 settembre un giro attorno all’ Etna sulla ferrovia circumetnea con treno speciale messo a loro disposizione dalla Società esercente. Alla gita presero parte anche S. E. Pinchia e molti invitati, signore e signori. Con questa gita i congressisti poterono osservare l’Etna da ogni lato e nel suo insieme. La circumetnea taglia un grande complesso di lave di varie epoche, ma specialmente quelle delle eruzioni più antiche, e mette sotto l’occhio dell’os- servatore, come in un libro, le più svariate forme di lava dalle compatte alle bollose, dalle scoriacee alle cordate, sulle quali una vigorosa vegetazione ha posto radici. Fra Misterbianco e Paterno la linea presenta un bel profilo della grande colata dell’anno 1669. Si potè anche vedere in vicinanza di Pa- terno il basalto a struttura colonnare, su cui sorge il castello omonimo. La ferrovia elevandosi fino à Bronte e Maletto offre quivi il più bel lato dell’ Etna, Ma dove distintamente si vedono emergere i coni avventizi : inoltre le argille e le molasse mioceniche sulle quali si riversarono le successive colate di lava, si presentano presso Maletto in vicinanza della ferrovia, sicché i con- gressisti, malgrado la rapidissima gita, poterono osservarne la vera posizione. In fondo della scena veduta da Maletto si delineano le Caronie e le Madonie, che fanno seguito ai monti Peloritani. Lasciato Maletto la ferrovia va in discesa verso Randazzo, abbandonando la valle del Simeto ed entrando in quella d’ Alcantara, ove più da vicino appariscono i terreni terziari. Fatto una breve sosta in Randazzo e visitatine i monumenti, i congressisti proseguirono sulla ferrovia verso Giarre, ove i fenomeni vulcanici destano non minore interesse di quelli che si osservano fra Catania e Randazzo. * * * La giornata del 19 settembre era destinata per una gita ad Acireale col proposito di visitare la grotta delle Palombe, Acicastello, Acitrezza e le isole — 2G5 — dei Ciclopi. Ma una pioggia torrenziale impedì parte della gita : i congressisti visitarono perciò solamente la città con la sua splendida Villa, l’Accademia degli Zelanti e il Museo numismatico del barone Pennisi. * * * Una parte dei congressisti si recò la mattina del 20 settembre ad Acica- stello ed osservò la formazione vulcanica dello scoglio omonimo, il quale ha alla base il tufo palagonitico e di sopra il basalto a struttura colonnare. Essi poterono raccogliere vari e buoni campioni di zeoliti ; ma a causa del mare grosso abbandonarono la gita ai Faraglioni dei Ciclopi, la cui formazione è il proseguimento di quelli di Acicastello e di Acitrezza. Essi salirono indi da Acitrezza alla casa INizzeti per osservare la posizione delle argille postplioce- niche rispetto al basalto, ancora discussa. Ideile ore pomeridiane dello stesso giorno ebbe luogo, nell’aula del Museo di mineralogia e geologia, l’adunanza di chiusura. In questa, dopo una commemo- razione del defunto Prof. Tenore, si procedette alle elezioni per le cariche sociali e risultò eletto a vice-presidente per l’anno 1905 l’ Ispettore del R. Corpo delle Miniere, Ing. E. Mazzuoli. Dopo di che furono fatte diverse comunica- zioni scientifiche da vari soci. Il presidente Meli invitò inoltre il prof. Consiglio a fare una comunicazione sulla forma delle bombe rigettate dai diversi vul- cani, la quale destò molto interesse. Infine l’adunanza prima di sciogliersi vo- tava un ringraziamento speciale alla Società delle ferrovie sicule'per le grandi facilitazioni accordate ai congressisti. * * * I congressisti si recarono il 21 settembre a Hicolosi col proposito di fare la salita dell’Etna. Una parte di essi, essendo il tempo assai minaccioso, dopo avere visitati i Monti Rossi e le fenditure dalle quali uscì la lava del 1669, faceva ritorno a Catania. L’altra comitiva con guide, muli e provvigioni partì per l'Etna seguendo la via mulattiera, la quale passa attraverso varie specie di lava, che i congressisti poterono osservare bene. Dapprima essa attraversa sotto ai Monti Rossi lave e ceneri di epoca antica o incerta, indi la lava del 1669 con grandi cristalli di plagioclasio e di augite ; in seguito costeggia l’infimo lembo della lava del 1886, che ebbe origine dal Monte Gemmellaro. Più innanzi la via serpeggia fra coni avventizi e si presenta all’occhio dell'osservatore, in un quadro pittoresco e maestoso, l’Etna con i suoi innumerevoli coni secondari. Si raccolsero campioni delle lave appartenenti al secolo xyi con cristalli zonati di feldspato. Il tempo fu favorevole fino alla Casa del Bosco, la canto- niera del Club Alpino, ma in seguito si fece minaccioso lasciando poca speranza sulla riuscita della gita. Giunta la comitiva al Monte Nero del Bosco, la nebbia chiuse d'ogni intorno l’orizzonte ; il vento, la pioggia e il nevischio, accompagnarono, con sempre maggiore forza, la comitiva fino alla Casa Etnea a 2942 m. sul mare. Due soli, il dott. Roccati e il marchese Rovereto sfidarono quell’uragano, e giun- sero a piedi e senza guida al ricovero mezz’ora dopo di quelli che fecero la gita a cavallo. Il bravo guardiano, che custodisce parte dell’anno l’Osservatorio etneo e la Casa degli Inglesi, avvertito dell’arrivo dei congressisti, prestò loro ogni cura. Nella notte un forte vento di tramontana spazzò la nebbia. I congressisti lasciarono il ricovero la mattina seguente verso le 5 e percorrendo il breve cratere del Piano, intrapresero l’ultima salita di circa 400 m. Terso le 6 la co- mitiva fu in cima dell’Etna, da dove i congressisti ammirarono il magnifico panorama della Sicilia, e poterono chiaramente osservare, le fumarole essendo deboli, l’incavo e le pareti interne ripide e solide del cratere centrale ; essi rac- colsero sulla cima dei frammenti di lava alterata dalle fumarole, dei cristalli limpidi di zolfo, delle ceneri ed altri prodotti dovuti alle fumarole stesse. Da discesa del cono centrale fu rapida, malgrado il forte vento. Verso le 8 tutti erano di nuovo raccolti nella Casa Etnea, ove si prepararono bagagli e muli per la discesa. Se si avesse voluto seguire fedelmente il programma, si avrebbe dovuto fare ritorno per la valle del Bove ; ma la nebbia da quel lato faceva temere una gita punto propizia per le osservazioni. I congressisti deli- berarono perciò di scendere costeggiando la Montagnola, e di riprendere poscia la stessa via mulattiera che fecero nella salita. Da comitiva si diresse dapprima verso la Serra Giannicola grande, dal cui ciglio tutta la valle del Bove, con i suoi crateri avventizi, con i suoi dicchi e con le varie colate si distende maestosa e completa sotto lo sguardo dell’osser- vatore. Di lì essa costeggiò a Nord la Montagnola, raccogliendo sabbie e bombe vulcaniche. Girando a Est la stessa Montagnola, si osservarono i Monti Sil- vestri, nuovi crateri avventizi dell’eruzione avvenuta nel 1892, studiati e illu- strati dal Bucca, i quali, a causa della tormenta, non si poterono scorgere la sera innanzi. Da comitiva fece ritorno a Nicolosi verso le ore 15 e a Catania verso le 17 del 22 settembre. Nello stesso giorno 22 quei congressisti che non si erano recati all’ Etna, fecero una gita a Siracusa, ove, visitato il Museo archeologico e altri monu- — 267 — menti della città, si recarono alle Latomie e agli avanzi del Teatro Greco e dell’Anfiteatro Romano, raccogliendo fossili nel calcare miocenico, entro quale sono scavati quegli antichi monumenti. * * * Il 23 settembre i congressisti partirono per la linea Catania-Palermo col progetto di visitare la regione solfifera. Essi poterono in questa gita osservare la estesa Piana di Catania, costituita in massima parte da conglomerati qua- ternari ; poi nella valle del Dittaino si presentarono loro a destra e a sinistra i terreni terziari e a sinistra anche i terreni secondari del Monte Scalpello e del Monte ludica, di cui fornì indicazioni preziose ai congressisti il prof. G. Di- Stefano. Essi poterono vedere in lontananza gli scisti silicei rosei del Trias rialzati e ricoperti da terreni del terziario di aspetto litologico analogo. Ma quivi una piega con scorrimento mette gli scisti triasici sopra a quelli terziari e complica per conseguenza la tettonica di quelle regioni. La serie terziaria completa si presentò distintamente nel profilo sotto Castro - giovanni e Calascibetta, a cui la ferrovia molto si accosta. I congressisti di- scesero alla stazione di Imèra e proseguirono indi per la strada vicinale fino alla miniera zolfifera di Trabonella. Essi poterono quivi osservare minutamente la serie zolfifera nei vari profili naturali, i grandiosi impianti elettrici per la estrazione del minerale, i numerosi calcaroni, i forni Gill e il nuovo forno sistema « Sanfilippo » in costruzione, pel trattamento del minerale polverulento. I congressisti proseguirono quindi per Caltanissetta, fermandosi a mezza via nella località detta Terra Pelata per osservare alcune piccole maccalube. * * * Il 24 settembre alcuni dei congressisti si recarono a Girgenti, altri diret- tamente a Palermo, ove visitarono i monumenti e gli istituti principali della città. La Direzione. 18 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER l’aneto 1903 1 Airaghi C. — Alcuni echìnidi del terziario veneto . (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLI, fase. 4°, pag. 415-424. con tavola). — Milano, 1903. Fra gli echinidi del V eneto che si trovano nelle collezioni del Museo civico di Milano, del Gabinetto geologico di Torino ed in quelle del dottor Dal Lago, l’autore ha potuto riconoscere alcune specie nuove o per la scienza o per la regione ed una, benché nota, non ancora ben descritta nè figurata. Sono nuove per la scienza: Echinolampas Oppenheimi , Conolampas Lagoi, Maretta Marianiì. Yon ancora conosciute nel Veneto: Echinanthus biarritsensis Cott., Echinan- thus cfr. ataxensis Cott., Macropnenstes Pellati Cott., e una non ancora bene illustrata, Echinanthus tumidus (Agass.). Queste specie appartenenti all’eoeéne vengono descritte dall’autore ed illustrate in una tavola in eliotipia. Airaghi C. — Echinidi della Scaglia cretacea veneta (dalle Memorie R. Acc. delle Se. di Torino, S. II, Voi. LUI, pag. 315-329, con 2 tavole). — Torino, 1903. Indicati gli autori che trattarono delle formazioni del cretaceo superiore del Veneto, note sotto il nome di scaglia , e accennato alle diverse conclusioni alle quali essi vennero, attribuendola sia al Senoniano, sia al Damano, l’autore si occupa degli echinidi di essa : e potendo disporre di un ricco materiale for- nito da vari musei e da private collezioni, ha creduto di farne una revisione. Con questa egli lia potuto aumentare l’echinofauna di alcune specie e indicare nuove località per le specie già note. Le specie descritte sono in numero di 16. 1 Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 269 — Da un quadro nel quale le suddette specie sono messe a confronto con quelle di altre località, risulta clie alcune di esse sono, fino ad ulteriori ricerche, esclusive della scaglia veneta , altre invece sono specie note nel senoniano di altre località. Nota la presenza del genere Cor aste?' nella scaglia, che secondo il G-rossouvre sarebbe caratteristico del Damano; e ricordando che questo genere si trova nei Pirenei occidentali col genere Stegaster proprio del Senoniano, crede che la conclusione del suddetto autore abbia bisogno di una conferma. Conclude perciò col ritenere che la scaglia veneta rappresenti in tutto il suo complesso il Senoniano corbieriano e campaniano). In due tavole in eliotipia sono illustrate le seguenti specie: Echinocorys concava Cat. sp. ; Stegaster Dallagoi n. sp. ; Micraster massalongianus Zigno ; Isopneustes Lamberti n. sp. ; Lampadocorgs siilcatus Cott. sp. ; Cardiaster subtri- gonatus Cat. sp.; C. Dallagoi n. sp. ; C. 241 (Vicastro). . . » 4 — Tavola di sezioni V. I, V. II e V. Ili, ciascuna . . L. 4 — 330 — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. ITe sono pubblicati i fogli seguenti : Foglio IL 201 (Matera) . . . L. 3 — » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 203 (Brindisi) . . . » 3 — » 204 (Lecce) . . . . » 2 — Foglio IL 213 (Maruggio) » 214 (Gallipoli) » 215 (Otranto) . » 223 (Tricase) . Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Eoma. 1888 L. 25 — N3. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IL 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara). . » 5 — Foglio IL 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 150 (Roma) ... » 5 — » 158 (Cori) .... » 4 - Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — Foglio Stazzema . » Seravezza . L. 5 — » 3 — L. 5. Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 . L. 10 — Carta geologico-mineraria dell' Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 o — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IsTapoli. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie IV. — Anno V. 1904 ATTI UFFICIALI. VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA Visto il regio decreto del 25 gennaio 1894, n. 39; Sulla proposta del Ministro di Agricoltura, Industria e Com- mercio ; Abbiamo decretato e decretiamo: Articolo unico. Il dott. Lorenzo Bucca, professore neila R. Università di Ca- tania, è chiamato a far parte del R. Comitato Geologico per il biennio 1904-905. Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del presente decreto, che sarà registrato alla Corte dei conti. Dato a Roma, addì 30 giugno 1904. Firmato: Vittorio Emanuele. Controfirmato: Rava. Registrato alla Corte dei Conti addì 13 luglio 1904. Registro 57 - Personale Civile F. 298- Firmato : G. Maggiore. Visto il Capo Ragioniere Marinucci. Annunzi di pubblicazioni Billows E. — Sulla celestite di Monte Viale nel Vicentino. (Rivista di min. e crist. -ita!., Voi. XXXI, fase. I, II, III, pag. 3-28, con tav.), — Pa- dova, 1904. D’Achiardi G. — Forme cristalline del Berillo elbano. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol. XIY, pag. 75-83). — Pisa, 1904. Idem. — Di alcuni minerali dei filoni tormaliniferi nel granito di S. Piero in Campo (Elba). (Ibidem; ibidem, Yol. XIY, pag. 89-96). — Pisa, 1904. De Alessandri G. — Sezioni geologiche attraverso il gruppo del Monte Misma. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 2°, pag. 103-112, con tav.). — Milano, 1904. De AngeliS d’Ossat G. — Filoni metalliferi nelle roccie trachitiche della Sardegna occidentale. (Rassegna mineraria, Yol. XXI, n.° 1, pag. 1-3; n.° 2, pag. 22-24; e n.° 3, pag. 37-38). — Torino, 1904. De Lorenzo G. — L’attività vulcanica nei Campi Flegrei. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3a, Yol. X, fase. 5 a 7, pag. 203-221). — Xapoli, 1904. Franchi S. — Le pietre da coti di Villa del Bosco, nel Biellese. (Rassegna mineraria, Yol. XXI, n.° 3, pag. 33-36). — Torino, 1904. Fucini A. — Note di geologia calabrese. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Pro- cessi verbali, Yol. XIY, pag. 72-74). — Pisa, 1904. Idem. — Loriolella Ludovici Mgh. nuovo genere di echino irregolare (dagli Annali delle .Università toscane, Yol. XXI Y, pag. 10 in-4°, con tavola). — - Pisa, 1904. Leardi Z. — Foraminiferi eocenici di S. Genesio (Collina di Torino). (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 2°? pag. 158-172). — Milano, 1904. Idem. — Il Conulites Aegyptiensis Chapman e la JBaculogypsina spìiae - ridata Parker et Jones di S. Genesio. (Ibidem, fase. 2°, pag. 182-188, con tav.). — Milano, 1904. Lincio G. — Del rutilo dell’Alpe Veglia. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 15a, pag. 995-1007, con tav.). ^ Torino, 1904. Lovisato D. — Vanadinite, Descloizite, Mimetite e Stolzite della miniera cu- prifera di Bena de Padru presso Ozieri (Sassari). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 1°, 2° sem., pag. 43-50). — Roma, 1904. Manasse E. — Zolfo del marmo di Carrara. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIY, pag. 110-114). — Pisa, 1904. Mariani E. — Appunti geologici sul secondario della Lombardia occidentale. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 2°, pag. 113-157). — Milano, 1904. Meli R. — Bibliografia scientifica del littorale romano. (Boll. Soc. geol. ital., Yol. XXIII, pag. xliii - cxx vi) . — Roma, 1904. Mercallt G. — Notizie vesuviane (luglio-dicembre 1903) (dal Boll. Soc. sismo- logica ital., YoL X, pag. 25, con 6 tav.). Modena, 1904. Merlo G. — L’Iglesiente propriamente detto e la sua costituzione geologica. (Rassegna mineraria, Yol. XXI, n.° 5, pag. 65-69; n.° 6, pag. 83-87 ; e n.° 7, pag. 99-101). — Torino, 1904. {Segue) f Seguito : V. pagina precedente) Moderni P. — Carta geologica dei Vulcani Vulsini, nella scala di 1 per 100,000 (un foglio a colori). — Roma, 1904. Panichi IL — Le roccie verdi di Monte Ferrato in Toscana. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 12% pag. 769-777, con tavola). — Torino, 1904. Pantanelli D. — Di un pozzo artesiano nella pianura tra Viareggio e Pie- trasanta. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Voi. XIY, pa- gine 68-70). - Pisa, 1904. Pelloux A. — Contributi alla mineralogia della Sardegna. - I. Atacamite, valentinite , leadhillite , caledonite , linarite ed altri minerali dell' Argentiera della Nurra (Porfotorres). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 1°, 2° sem., pag. 34-42). — Roma, 1904. Piolti G. — Gabbro orneblendico e saussurite di Val della Torre (Piemonte) (dagli Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 14% pag. 10 . : in-8°). — Torino, 1904. Prever P. L. — Osservazioni sopra alcune nuoie Orbitoides. (Ibidem. Yol. XXXIX, disp. 15% pag. 981-988, con tavola). — Torino, 1904. Repossi E. — Osservazioni geologiche e petrografìche sui dintorni di Musso (Lago di Como). (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Yol. XLIII, fase. 3°, pag. 261-304, con 2 tav.). — Milano, 1904. Rimatori C. — Tetraedite nella miniera di Palmavexi (Sardegna). (Rivista di min. e crisi ital., Yol. XXXI, fase. I, II, III, pag. 46-48). — Padova, 1904. Roccati A. — Ricerche pirografiche sulle valli del Gesso (Valle delle Ro- vine). (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. lla, pag. 669-688). — Torino, 1904. Idem. — Ricerche petrografìche sulle valli del Gesso (Serra dell’ Argenterà). (Ibidem, Yol. XXXIX, disp. 15a, pag. 1008-1023). — Torino, 1904. Rovereto G. — Guida delle Alpi Apuane. Geologia (pag. 28 in-8% con figi intèrcalate e tavola). — Genova, 1904. Sacco F: — Lenti grafitiche nella zona delle Pietre verdi in Val di Lanzo. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 15a, pag. 989-994). — Torino, 1904. Sangiorgi D. — Lo Schlier nell’ Imolese. (Rivista ital. di paleontologia, Anno X. fase. Ili, pag. 77-83). — Perugia, 1904. Taramelli T. — Le condizioni idrologiche dei dintorni di Bassano. (Giornale di Geol. pratica, Yol. II, fase. IY, pag. 97-107). — Perugia* 1904. Trabucco G. — Conclusione sulla polemica geologica Lotti-Trabucco. (Att Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XÌY, pag. 83-87). 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Taramelll Torquato, prof, di’ geologia, R. Università- di Pavia.- Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati .Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, .ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione: ' Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuòli Lucio. Ufficio geologico : Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. ; ... Ing. Aichino Giovanni. ‘ Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema- Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. • Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. * Ing. Viola Carlo. ‘ ’ . Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. ; . ■ Ing. Stella Augusto: La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario -geologico, via Santa Susanna, n. 1. • - . BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV. Voi. V. Anno 1904. Fascicolo 4°. SOMMARIO. Note originali. — I. D. Zaccagna, Osservazioni circa la costituzione geologica della Pania della Croce (Alpi Apuane). — II. M. Cassetti, Da Avezzano a Sulmona. Osservazioni geologiche fatte nell'anno 1903 nell’Abruzzo aqui- lano. — III. M. Cassetti, Sulla struttura geologica dei monti della Majella e del Morrone. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per Tanno 1903 (conti- nuasione). Elenco de! personale componente il Comitato e T Ufficio geologico alla fine del- l’anno 1903. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Illustrazioni. — Sezione geologica attraverso la Pania della Croce (D. Zaccagna) a pag. 333. — Sezione dal bacino del Fucino al fiume Sagittario (M. Cas- setti) a pag. 349. — Sezione dal Monte Prezza alla Serra Colle-Rufigno (M. Cassetti) a pag. 353. — Sezione dal fiume Sagittario presso Popoli al Monte Amaro (M. Cassetti) a pag. 368. NOTE ORIGINALI I. D. Zaccagna. — Osservazioni circa la costituzione geolo- gica della Pania della Croce [Alpi Apuane ). In una breve nota, cbe ha per titolo : « La zona marmifera della Pania della Croce » apparsa nel Giornale di Geologia Pratica *, il signor G-. Rovereto espone le sue impressioni di una rapida visita da lui fatta recentemente a quella regione apuana sotto il duplice punto di vista geologico ed industriale. Egli trova che la Carta geologica (non dice quale, ma si capisce facilmente che allude a quella pubblicata a cura del R. Ufficio geo- logico nel 1897, ed eseguita dallo scrivente) è, per la parte almeno 1 Fase. Y del 1904. 22 da lui veduta, erronea nel suo complesso. Secondo i suoi apprezza- menti, in conseguenza, anche le sezioni generali che accompagnano quella Carta geologica, nel tratto cadente sul versante settentrionale delle Apuane « sino almeno alla Tambura » dovrebbero essere « in- teramente rifatte ». Siccome io credo il suo giudizio un po’ affrettato, avendo dovuto emanare necessariamente da un esame superficiale, e per conse- guenza sproporzionato all’ampiezza della regione che egli abbraccia col suo scritto, alla difficoltà dei luoghi, ed alla vastità del problema stratigrafìco che nella regione apuana ha voluto affrontare, così mi sento in dovere di opporre alle sue osservazioni critiche, altre osser- vazioni ed altri fatti, che nella sua visita frettolosa e localizzata gli dovettero inevitabilmente sfuggire o furono erroneamente inter- pretati. Stando alla Carta geologica ed alle sezioni che l’accompagnano, delle quali riproduco qui parte della Sezione X (Tav. II), passante per la Pania della Croce, limitandola a quel tratto che c’interessa, variandone alquanto la direzione nella parte orientale, la regione della Pania viene raffigurata come costituita da una potente massa di calcari biancastri subcristallini, riferibili al Lias inferiore, pie- gata in un ampio sinclinale, partendo dalla massa piramidale che costituisce la vetta principale di quell’ aspra giogaia, cioè la Pania della Croce propriamente detta, sino alla Pania Secca ; altro cuspide che s’innalza un paio di chilometri più ad Est a cavaliere dello stesso contrafforte. Nel mezzo del sinclinale si erge la cosidetta Pa- niella o 1’ Uomo morto , come è detta volgarmente in Garfagnana quell’altura a causa del suo profilo caratteristico. La base della Paniella consta di calcari scistosi grigio-giallicci selciferi ed ammonitiferi appartenenti al Lias medio ; la parte termi- nale, cioè il Naso dell’ Uomo-morto , da calcari marnosi riferibili al Lias superiore. Al disotto dei calcari biancastri, massicci del Lias inferiore, che formano la parte più cospicua del gruppo, segue la zona quasi al- Sezione geologica attraverso la Pania della Croce (Alpi Apuane ). TjomagjaA inmedra'BQ i •eouisig unojf) oosbjoa oujo^ ■B009g ■BIUBd '«i 6981 soojq Bpap biubj inaosoj\[ xp aooj o}9Q 9^aoj\; xuiBiiSiAarj - 334 — trettanfco potente dei calcari retici, compatti, grigiastri, dolomitici alla parte superiore, ed abitualmente cavernosi alla base ; i cui banchi piegati in sinclinale si disegnano chiaramente sulla falda nuda e dirupata che sovrasta al villaggio di Forno Yolasco. Di queste roccie sono formati gli scogli turriti che si ergono pittorescamente nella depressione delle Rocchetto e più in basso le cuspidi dette i Campanili , a ponente del villaggio di Vergemoli, dove passa la nostra Sezione. Seguitando in ordine discendente, troviamo gli scisti sericitici verdastri colle arenarie del Trias superiore, che sono le roccie più profonde affioranti lungo la Turrite di Gallicano nel bacino di Forno Yolasco 1 ; poiché più a valle si richiude la zona dei calcari retici e la serie seguita con calcari liassici, poi con calcari e diaspri del Ti- toniano e del Neocomiano, posanti in discordanza da una parte sul Lias e dall’altra sopra il Retico, che riapparisce presso Gallicano. Dal lato Ovest, vale a dire verso la foce di Mosceta, sotto ai calcari bianchi liassici esistono pure, assai potenti, i calcari retici, come mostra l’unita sezione ; nè vi mancano le roccie del Trias superiore e medio (arenarie, calcari grigi stratiformi, marmi e grezzoni), seb- bene assai meno sviluppate, frazionate e compresse in una stretta piega anticlinale, come meglio diremo in appresso. Egli ammette bensì che la vetta della Paniella sia formata dagli scisti del Lias superiore e che i calcari grigio-giallastri sottostanti corrispondano ai calcari grigi- chiari con selce ad Harpoceras degli altri luoghi apuani, ma non che essi posino sul Lias inferiore, bensì sul marmo saccaroide, vale a dire sul Trias superiore ; ritenendo egli che i calcari biancastri subcristallini, costituenti la massa prin- cipale di questa montagna, rappresentino quei marmi che formano parte così cospicua e caratteristica della serie normale dell’Alpe Apuana* Devo qui rilevare subito la dissonanza di un tale apprezzamento, perchè così il Rovereto farebbe riposare il Lias medio in discordanza, 1 Vedasi la Carta geologica pubblicata dal K. Ufficio geologico nel 1897. — 335 se non stratigrafica, almeno cronologica, sul Trias ; mentre è ormai ampiamente e generalmente dimostrata la continuità fra i terreni triassici e liassici in tutta l’estensione delle Alpi Apuane non solo, ma, per non andar tant’oltre, in tutta la Catena Metallifera alla quale esse appartengono. Nel caso concreto, fra il Lias medio e questi cosidetti marmi della Pania, considerati come triassici, della serie normale apuana mancherebbero nientemeno che i membri seguenti : 1° La zona dei calcari stratiformi grigi a liste e nodi di selce ritenuti raibliani, che più o meno sviluppati trovansi costantemente fra i marmi e gli scisti sericitici del Trias superiore. 2° La zona degli scisti sericitici, ardesiaci ed arenacei, che esiste anche alla Pania sotto ai calcari retici. 3° La zona dei calcari retici compatti, scistosi e cavernosi. 4° La zona calcare del Lias inferiore. In complesso una serie di formazioni diverse per abito litologico e per valore stratigrafico, che dovrebbe avere la potenza di almeno 1000 metri! Nessun dubbio, d’altronde, che i calcari della Paniella sormon- tanti il calcare marmoreo della Pania possano appartenere ad un piano diverso dal Lias medio ; poiché oltre alle traccie di ammoniti limoni- tizzate osservate in questi strati da me e da altri, vi ho raccolto io stesso, al disopra della Fontana , un esemplare determinabile di Harpo - ceras Algovianum 1. E inoltre evidente il passaggio graduale da questi calcari ad altri rossigni e giallastri, talora selciferi, che formano una zona continua al disotto dei grigi ; e fra questa zona ed i calcari marmorei sotto- stanti, come può vedersi alla Foce a Bozzarra, da dove alcuni degli strati selciferi salgono anche alla vetta della Pania ; cosicché non è possibile, anche limitandosi alle osservazioni locali, l’immaginare lo 1 D. Zaccagna, Carta e sezioni geologiche delle Alpi Apuane. (Boll. B. Co* mit. Geol., 1897, n. 4). — 336 — hiatus ohe il Rovereto vorrebbe stabilire fra il calcare bianco sub- cristallino ed il Lias medio. D’altra parte è pure indubitato che la formazione sottostante al calcare in parola appartiene al Retico, serbando essa le sue torme consuete e caratteristiche di calcari compatti dolomitici grigi e ros- signi, calcare grigio-cupo (portoro) e calcare cavernoso. Anzi a meglio stabilire la continuità degli strati del Retico col calcare liassico, è a notare che tra le due formazioni esiste uno strato di lumachella vio- letta, carica di piccole ammoniti, già segnalata dal Lotti x, e che fu ritenuta dal Meneghini come caratteristica dell’ Hettangiano. Tra il calcare scistoso marnoso costituente la vetta della Paniella e l’imbasamento scistoso sottostante al Retico esiste adunque perfetta continuità ; la serie, che è delle più regolari, procede in ordine di- scendente, ed il calcare biancastro sub-cristallino, compreso fra il Lias medio ed il Retico superiore, non può ragionevolmente essere riferito ad epoca più antica del Lias inferiore. Vero è bensì che la forma di calcare massiccio marmoreo che attirò l’attenzione e forni la base alle deduzioni del Rovereto, non è quella più abituale al Lias inferiore delle Alpi Apuane, che consta generalmente, come nei monti della Spezia, di calcare grigio-cupo a strati regolari e con rare ammoniti piritizzate. Ma egli deve osser- vare che questa forma non è esclusiva della Pania della Croce e che è anzi assai frequente negli altri membri della Catena Metallifera. A partire dal Monte Pisano, dove si sviluppa considerevolmente fra San Giuliano ed i monti a sinistra della valle di Santa Maria del Giudice ed è caratterizzata da una fauna cospicua, studiata dal De Stefani e dal Fucini 1 2, la ritroviamo al Monsummano, alle Cornate di Gerfalco, a Gavorrano, a Campiglia, al Monte di Cetona ed al- Y Isola d’ Elba. 1 Vedi Boll. R. Comit. Geol., 1881, Tav. Ili a pag. 96. 2 Fucini, Fauna dei calcari bianchi ceroidi, con Phylloceras cylindricum, del Monte Pisano. (Mem. Soc. tose. Se. nat., Yol. XIY). Pisa, 1895. A Campigli a anzi, dove è pure riccamente fossilifera, si hanno calcari bianchi e bardigli marmorei, certamente liassici, ben più profondamente cristallini che non siano quelli della Pania della Croce. Infine nelle stesse Alpi Apuane il calcare liassico bianco sub- cristallino costituisce gran parte dei monti cosidetti d ’ Oltreserchio o delle Avane, e contiene gli stessi fossili del noto calcare marmoreo bianco del Monte di San Giuliano (Chemnitzia 'pseudotumida De Stef., Stomatici Juliana Mgh.) di cui furono raccolte traccie anche alla Pania dal collega Lotti. Si tratta di una formazione coralligena deposfcasi, per conse- guenza, in condizioni analoghe a quelle dei marmi triassici. E quindi naturale che, depositi di egual natura, benché di età diversa, stati sottoposti alle stesse cause che ne determinarono il metamorfismo, abbiano dato luogo anche, pressapoco, alla stessa forma litologica. Dico pressapoco perchè, in realtà, non vi ha chi non veda la diffe- renza fra il calcare bianco sub-cristallino della Pania ed un campione di marmo triassico proveniente da qualunque altra località delle Alpi Apuane, sia pure dalla valle d’Arni, dove i marmi a grana fina meglio rammentano quelli della Pania della Croce. Il calcare della Pania è pure bianco, più o meno venato o moschettato e finamente cristallino, come alcuni dei marmi più antichi ; ma manca di quella pellucidità che costituisce forse uno dei pregi maggiori dei marmi propriamente detti. Questo è tuttavia un dettaglio locale ; mentre, come si è notato, a Campiglia i marmi liassici sono invece assai più largamente cri- stallini che non quelli triassici dell’Alpe Apuana. Calcari bianchi marmorei esistono del resto anche ad altri livelli della serie geologica apuana. Nelle vicinanze della Pania il Rovereto potrebbe vederne fra i soliti calcari del Re ti co, salendo dalle Case Colleoni alla Foce di Petrosciana. Spesso trovasi invece alla base del Retico, come sulla strada della Dogana della Tecchia presso Carrara, ad Ugliano, a Vagli. Fra gli scisti del Trias superiore forma talora lenti isolate, come fra gli strati del calcare grìgio selcifero del Rai- bliano; scende infine da questo livello sino al contatto coi grezzoni, costituendo quivi il giacimento normale ed incomparabilmente più esteso dei marmi apuani. Il Monte della Brugiana fra Massa e Car- rara ci dà un esempio chiaro e grandioso della ripetizione di lenti marmoree a diversi livelli del Trias superiore. I calcari bianchi cristallini, considerati, esclusivamente sotto il punto di vista litologico, non occupano adunque un piano fìsso nella scala geologica apuana ; ma incontransi a parecchie altezze, a partire dal Trias medio e sino ai Lias inferiore. Questa forma litologica è adunque ben lungi dall’assumere l’importanza di un livello geologico come vorrebbe il Rovereto; poiché, come vedesi, si è riprodotta in piani diversi e tutte le volte che vi concorsero la natura del deposito calcare e l’influenza del metamorfismo regionale. Anche a me ed al Lotti, nelle escursioni, preliminari fatte in co- mune all’inizio del rilevamento del gruppo apuano, l’impressione che a prima giunta indusse la forma peculiare dei calcari Lassici della Pania, fu quella che si trattasse della zona dei marmi propriamente detti. Ma i rapporti stratigrafìci, i dati paleontologici ed il raffronto con altre località appartenenti allo stesso sistema, vennero bentosto ad escludere la possibilità della loro corrispondenza colle formazioni triassiche; talché non potrebbe ora esser menomamente revocata in dubbio la liassicità dei calcari subcristallini di questa interessante montagna. La massa liassica della Pania è d’altronde perfettamente isolata, come accade sempre di queste formazioni coralligene, irregolarmente amigdaloidi, che sebbene più o meno potentemente sviluppate in un punto, gradatamente, ma rapidamente vanno assottigliandosi ai lati, terminando in cuneo fra gli altri calcari Lassici ed infraliassici : fatto già notato dal Lotti pei calcari Lassici bianchi dell’Elba e di Santa Maria del Giudice nel Monte Pisano Nelle vicinanze immediate 1 TJn problema stratigrafico nel Monte Pisano. (Boll. R. Com. Geol., 1880, pag. 41). — Descrizione geologica dell'Isola d'Elba , 1886, pag. 44. — 339 — della Pania, mentre infatti il calcare bianco protendesi verso Sud alla Costa Pulita, ricoprendo il Retico del Monte Forato, più non si trova nel Monte Croce sulla destra della valle di Petrosciana, dove, applicato direttamente sul Retico, esiste invece un piccolo lembo di calcare rosso a struttura massiccia, quale residuo dell’erosione pregiu- rassica; avendosi pel rimanente a contatto immediato col Retico i calcari selciferi e gli scisti diasprigni del Titoniano. Questi fatti risul- tano chiaramente dalla Carta geologica pubblicata. Verso Nord il calcare bianco si stende, benché con spessore assai ridotto, al Monte Bovaio; e si ritrova poscia in piccoli lembi staccati sopra C. Peritano ed a C. Cervaia, sempre però applicato al Retico e sotto agli strati giurassici; vale a dire al livello del Lias inferiore a facies normale. Il quale riappare con calcari grigi e rossi ammonitiferi tutto attorno al grandioso scoglio della Pania, ad ec- cezione del suo lato occidentale, alle C. Pian di Lago, al Monte d’ Anima, a Vergemoli, a Vispereglia, a Col di Luco; dimostrando all’evidenza l’esatta equivalenza stratigrafìca delle due forme calcari, che si comportano fra loro come roccie eteropiche. Le ragioni stratigrafiche e paleontologiche, a cui si aggiunge la corrispondenza litologica cogli altri membri della Catena Metallifera che trovansi in analoghe condizioni di giacitura, vengono adunque a dimostrare la giustezza delle nostre vedute circa l’età liassica asse- gnata ai calcari bianchi della Pania ; la quale d’altronde non potrebbe in alcun modo raccordarsi stratigraficamente coi marmi delle mon- tagne circostanti, con quelli della Corchia ad esempio, che è la più vicina. Riferendoci alla Carta geologica si vede infatti che la massa dei calcari bianchi della Pania è completamente attorniata dal Retico, senza che nessuna delle roccie, le quali dovrebbero interporsi fra il calcare retico ed i supposti marmi, e fra questi e gli strati del Lias medio costituenti la Paniella, siano almeno, per quanto ridotte in spessore, rappresentate. Come è adunque possibile che questa massa abbia attinenza con qualche piega proveniente dalle formazioni triassiche ? 340 — Ma veniamo all’esame della tettonica, quale è espressa dal Rove- reto nella sua sezione (fig. 1). L’inflessione sinclinale della massa calcare della Pania che presentasi in modo così semplice, come la mia sezione rappresenta, dovrebbe, secondo lui, avere una struttura assai più complessa: cioè quella di un anticlinale doppio talmente ribaltato sul Retico da assumere una posizione pressoché orizzontale. Partendo dall’idea preconcetta che il calcare bianco costituente il nucleo di questa piega debba necessariamente riferirsi al Trias (al Ladinico secondo la sua opinione), egli non si cura nè dei rapporti cogli altri strati immediatamente a contatto, nè di quelli lontani da cui l’anticlinale dovrebbe provenire; risultandone naturalmente una tale confusione nei piani geologici e nel loro ordine stratigrafico, che riesce impossibile pervenire ad una interpretazione razionale della sua sezione. Feci già notare le enormi lacune nella serie derivanti dall’attri- buire al Trias questi calcari bianchi della Pania. Ora tali lacune, da chi conosce la serie geologica della regione apuana non possono am- mettersi in verun modo, essendo luminosamente provata la continuità del deposito fra il Permiano e tutto il Lias superiore, oltre il quale si trova la prima trasgressione cogli strati del Pitonico. A queste discrepanze altre poi se ne aggiungono per la confor- mazione tettonica da lui immaginata; poiché la zona del Retico, che è così potentemente sviluppata alla base dei calcari bianchi anche stando alla sua sezione, dovrebbe interamente e bruscamente sparire poco sopra la depressione delle Rocchette, cioè nel vertice della piega coricata; come egli fa sparire gli scisti triassici indicati in sezione tra il calcare bianco ed il Retico. Noto frattanto che gli strati del Retico rappresentati in posizione raddrizzata per dar luogo al ripiegamento anticlinale che egli figura, hanno invece un andamento perfettamente inverso, dovendo essi scen- dere in valle della Turrite per chiudere sotto Forno Volasco l’affio- ramento degli scisti triassici, come già abbiamo accennato. Ma la circostanza più grave si è che questi stessi scisti, che egli segna invece tra il letico ed il calcare bianco, collo scopo evidente di dimostrare reversione della piega, non esistono affatto. Gli scisti triassici con arenaria pseudomacigno trov^nsi bensì sul fianco Sud della Pania Secca, ma sotto ai calcari retici, mentre fra questi e quelli bianchi liassici vi è, come dissi, continuità perfetta; essendo le due zone calcari delimitate soltanto dalla differenza di colore e struttura e dal banco di lumachella di cui si tenne parola. Con questa inversione nella posizione degli scisti triassici, che voglio attribuire alla fretta con cui il Rovereto fece le sue osserva- zioni, egli falsa i dati del problema stratigrafico, complicandolo senza ragione. Eppure si tratta di una semplicissima successione di strati in serie normale ed ascendente dal Trias al Lias superiore, quale ri- sulta dalla mia sezione. Nè vi ha bisogno di lunghe osservazioni per convincersi della sua esattezza, trattandosi di un taglio naturale che si presenta nettamente sulla sinistra della Turrite a chi risalga il fianco meridionale della Pania da Forno Yolasco alle Rocchette ed alla Paniella. Una notevole complicazione stratigrafìca esiste bensì alla base della Pania, ma sul fianco occidentale di essa, presso alla Foce di Mosceta, cioè sotto la massa dei calcari retici e liassici costituenti la grande piramide di quella montagna. Ma queste formazioni non en- trano menomamente nel fenomeno stratigrafico, il quale si svolge completamente fra le roccie del Permiano e del Trias. Si tratta di una doppia piega isoclinale con scorrimento di cui già scrisse il Lotti *, da me successivamente studiata con maggior dettaglio ed alquanto diversamente interpretata, sulla quale non mi arresterò ora per non andare troppo oltre il limite prefìssomi. La sua conforma- zione risulta del resto chiaramente dall’esame della mia Sezione XII già citata e da quella qui riportata, nelle quali si scorge che le forma- 1 Sopra mia piega con rovesciamento degli strati paleozoici e triasici fra il Monte Corchia e la Pania della Croce presso Mosceta. (Boll. R. Comit. Geol., 1881, pag. 85). zioni permiane e triassiche che vi sono implicate, sebbene ridotte di spessore, non mancano di avere il loro rappresentante; ma poiché composte prevalentemente di roccie plastiche, subirono un forte schiacciamento sotto la ingente massa dei calcari retici e triassici della Pania, che oppose una notevole resistenza alla flessione. Tanto questa Sezione XII quanto le adiacenti, dalla X alla XIII della stessa Tavola II, dimostrano inoltre che fenomeni di stiramento, laminazione e ribaltamento analoghi a quelli descritti da vari autori nella regione delle Alpi settentrionali, e segnatamente dall’Heim, si incontrano realmente anche nel gruppo apuano ; non però al luogo e nelle circostanze indicate dal Rovereto, il quale vorrebbe vedere ad ogni costo una delle cosidette nappes de charriage nella massa liassica della Pania. A parte l’esagerazione a cui si arrivò in questi ultimi anni nel- l’amplifìcare la portata di simili pieghe allungate e ribaltate, tanto da renderne difficilmente concepibile il modo di formazione, è suppo- nibile almeno che in queste siasi tenuto conto delle corrispondenze litologiche, stratigrafìche o paleontologiche, che invece mancano asso- lutamente, come si è visto, nella sezione data dal Rovereto. Non meno arbitraria è la sua complicatissima sezione (fìg. 2) del Monte Bovajo, di cui non istarò a rilevare tutte le inesattezze, che ne rendono impossibile l’interpretazione tettonica. Accennerò soltanto al fatto che questa dirupata montagna è uno scoglio formato in mas- sima parte da calcari liassici e retici che stanno in continuazione di- retta con quelli della Pania e posano sugli stessi scisti ed arenarie triassiche. Sullo scoglio si applica in discordanza un lembo di calcari titonici e neocomiani, divisi fra loro dalla solita zona di scisti e dia- spri rossi, secondo la serie normale delle Alpi Apuane; serie che si ripete nel vicino Grottorotondo e più a valle a Sassi ed all’Eremita di Calomini sullo stesso contrafforte dell’Alpe di Sant’Antonio. La con- formazione stratigrafìca del Monte Bovaio è quindi delle più semplici. Gli scisti ed i diaspri rossi sono invece considerati dal Rovereto come scisti del Cretaceo superiore, e rappresentati in posizione rove- sciata sotto ad un lembo di calcare marmoreo triassico (il calcare bianco della Pania), di Lias medio e di Neocomiano. Sul luogo, presso Tievora, è facile verificare, che il calcare bianco costituente la vetta del Monte Bovaio appartiene alla stessa massa della sua base colla quale è in diretta continuità, secondo risulta anche dalla Carta geo- logica ; e che la zona dei diaspri sta regolarmente fra il calcare bianco neocomiano ed il grigio titonico, come può osservarsi a Colle Pane- stra ; epperciò non può appartenere al Cretaceo superiore, nè occupare la posizione indicata dal Rovereto. Non istarò infine a rilevare in particolare fuso arbitrario dei nomi esotici che egli fa abitualmente nell’indicazione dei terreni, spe- cialmente dei triassici ; poiché la scarsa raccolta dei fossili offerti dalle roccie costituenti la formazione marmifera, malgrado anche le minute ricerche dei rilevatori, non ci autorizzano a stabilire con piena sicu- rezza dei piani geologici, e quindi tanto meno dei sottopiani (il La- dinico, il Juvavico, l’Hettangiano, eco.). Neppure mi arresterò a discutere intorno alla corrispondenza, certo infondata, che egli trova fra la formazione marmifera della re- gione apuana ed i calcescisti delle Alpi occidentali. Sarebbe invece qui il caso di soffermarsi, trattandosi dello stesso argomento, ad esaminare le altre inesattezze intorno alla costitu- zione geologica generale e sopratutto sulla tettonica delle Alpi Apuane in rapporto coi miei lavori, che egli espone nella Guida alle Alpi Apuane di recente pubblicazione 1. Mi dispenserò dal farlo per non dilungarmi soverchiamente; ma i rilievi fatti ai suoi apprezzamenti intorno alla regione della Pania possono dare idea del modo troppo sommario con cui egli giudica quei lavori e della attendibilità delle interpretazioni che egli intende sostituirvi. Eppure trattando delle Alpi Apuane egli non si dissimula le gravi difficoltà di osserva- zione che esse presentano, tanto in ordine alle topografìa che alla tettonica. 1 Genova, 1904. Club alpino italiano, Sezione ligure. — 344 — Sembra quindi a me die egli avrebbe dovuto essere più circo- spetto nel giudicare di un lavoro che è costato parecchi anni di studio e di rilevamento, lunghe e pazienti indagini intorno alle associazioni, alle equivalenze litologiche ed alle successioni nella serie; e studi di confronto, non solo fra i vari luoghi della stessa regione, ma anche coi membri più lontani dello stesso sistema. Poiché, dopo un primo rilevamento generale sulla Carta al 1 : 25,000 fatto in collaborazione col Lotti e coll’aiutante Fossen, tutta la regione fu nuovamente per- corsa dallo scrivente procedendo ad una revisione ed anche, occor- rendo, ad un nuovo rilevamento accuratissimo e dettagliatissimo, sia sulla stessa Carta al 1 : 25,000, sia anche sopra ingrandimenti al 1 : 10,000 nella parte centrale, che è la più complicata come serie e come stratigrafia. La Carta apuana pubblicata al 1 : 50,000, nella quale vennero aggruppate molte formazioni, limitando le divisioni della serie alla sola ripartizione in piani geologici, non è quindi che la riduzione di un lavoro molto più completo e dettagliato, che tanto per il particolare interesse della regione, quanto per la speciale industria che essa ali- menta e che va sempre maggiormente sviluppandosi, è a desiderarsi possa venir pubblicata alla scala originaria del 1 : 25,0C>0, come dap- prima erasi stabilito. In questa parte centrale rilevata in più grande scala cade appunto il gruppo della Pania, il quale vi resta compreso entro un raggio assai ampio, essendo estesa a tutta la regione dal Monte Fiocca al villaggio di Sassi in Garfagnana, da Ovest a Est, e tra Stazzema ed il Monte Sumbra dal Sud al Nord. Quanto poi allo studio della Pania partitamente considerata, le difficoltà degli accessi, che alle osservazioni opponevano i dirupi attornianti l’aspro massiccio, furono suparate con lunghi soggiorni all’Alpe di Sant’Antonio, a Forno Vo- lasco, al Col di Favilla ed all’Alpe di Pruno, affinchè veruna parte della regione apuana rimanesse men che conosciuta in tutti i suoi particolari. Vede adunque il Rovereto che non si tratta di deduzioni di prima impressione: ma tanto la Carta, quanto le sezioni che l’accompa- gnano furono il risultato di uno studio diligente e ponderato, che mi permette a buon diritto di tenermi tranquillo sulla giustezza dei miei apprezzamenti. Le sezioni geologiche che succedonsi fitte e numerose attraverso il gruppo montuoso, e che si richiamano fra loro mettendo in evidenza, come anatomizzandolo, la sua complicata compagine, dimostrano d’altronde la logica trasformazione dei motivi stratigrafìci e lo studio fattone per ricercarne e possederne tutta finitima struttura. Credo quindi di potere, senza troppo presumere, ritenere errata e puramente gratuita fiaffermazione del Rovereto, che non siano « da ammettersi tutte le ripiegature indicate nelle sezioni dello Zaccagna » e sia « da ritenere per certo che le varie assise (della zona marmi- fera) corrispondano a delle sostituzioni eteropiche fra loro e col marmo » 1 piuttosto che a veri ripiegamenti. L’esistenza di formazioni eteropiche nella zona marmifera, di cui offre un classico esempio il Monte della Brugiana (vedi Tavola II, Sez. IX) fu rilevata da me e dal Lotti fino dalle nostre prime osser- vazioni sulle Alpi Apuane: e quanto a quelle del Monte Sagro che egli cita ad esempio, furono avvertite prima assai che se ne facesse cenno nella Guida ; e vennero anzi illustrate non già come pieghe, ma come ripetizioni di forme litologiche da oltre un ventennio nei miei primi lavori su quella regione 2. Questo prova che laddove le sostituzioni eteropiche esistono veramente ne fu tenuto il debito conto anche sulle mie sezioni, esaminando le quali occorre di incontrarne parecchi esempi. Ma ciò nulla ha che fare colle formazioni che si esten- dono a tutto il gruppo montuoso mostrandosi costantemente allo stesso livello, e si ripetono, susseguendosi secondo la serie normale, malgrado i ribaltamenti ^ed i ripiegamenti talora multipli e compli- cati; dei quali appunto, in grazia della costanza nell’ordine di suc- cessione delle roccie, può seguirsi tutto lo svolgimento dal loro inizio al loro svanire entro fi ambito dell’ellissoide. 1 Vedi la nota alla pagina 5 della Guida alle Alpi Apuane. 2 Vedi Lotti e Zaccaona, Sezioni geologiche nella regione centrale delle Alpi Apuane. (Boll. R. Com. Gteol.. 1881). — 346 — Così è, tornando al caso della Pania, della doppia piega di Mo- sceta che si svolge alla base occidentale della grande massa calcare; dove, sebbene ridotti di spessore, si ritrovano i rappresentanti del Paleozoico, del Trias medio e superiore, tanto sul versante della Tur- rite Secca che a Mosceta e più in basso verso il Cardoso; mentre abbiamo dimostrata assolutamente insussistente la piega nei calcari bianchi che, secondo il Rovereto, dovrebbe trovarsi sul fianco orien- tale, dove mancano non solo le corrispondenze litologiche, ma anche ogni parvenza di piega. Del resto, se il Rovereto ha la convinzione che la mia interpre- tazione geo-tettonica dell’Alpe Apuana sia inesatta, piuttosto che limitarsi ad esporre dei dubbi, che poi non seppe giustificare, sopra un lavoro complesso, coordinato e lungamente ponderato, sembrami avrebbe fatto cosa più utile a contrapporvi uno studio di confronto, se non altrettanto sviluppato, almeno sufficientemente esteso e det- tagliato, esibendo una sua Carta geologica ed altre sezioni generali o parziali abbastanza numerose, come richiede l’illustrazione d’una regione così stratigrafìcamente accidentata, per rappresentare con me- todo e precisione il suo nuovo ordine di idee. Che anzi, di fronte ad un lavoro già pubblicato e conosciuto, il suo compito come critico avrebbe, su quello che io ebbi a produrre, il vantaggio d’una maggior facilità ed efficacia, quando i suoi apprez zamenti fossero sorretti dall’esattezza delle osservazioni, da logiche deduzioni, ed avessero carattere generale. Ma sino a che egli nei suoi scritti, che appaiono informati, più che altro, allo spirito di innovazione, si gioverà di argomenti tratti da frettolose osservazioni parziali, anziché da uno studio analitico e sintetico della regione in esame; di costruzioni tettoniche, che risul- tano inesplicabili anche solo localmente considerate, senza poi inda- garne la portata e l’attendibilità rispetto alla struttura d’insieme, non possono le sue critiche esser prese in seria considerazione, nè egli porterà alcun utile contributo all’incremento della scienza. Roma, dicembre 1904. 347 - IT. M. Cassetti. — Da Avezzano a Sulmona . Osservazioni geologiche fatte Vanno 1903 nell' Abruzzo aquilano . Cenni topografici. — La città di Avezzano sorge presso la sponda occidentale dell’antico lago Fucino, ora prosciugato e trasformato in una vasta pianura a coltivazione razionale, la cui altitudine varia fra i 650 e i 700 metri sul mare. La città di Sulmona invece è fabbricata in quella bassa conca che sta tra i 350 e i 400 metri sul mare, racchiusa fra gli alti monti dell’ Appennino centrale abruzzese, ad Ovest della Majella, o più pro- priamente, in quell’ampia valle, che si apre ai piedi delle così dette montagne del Morrone, e nella quale scorrono i fiumi Sagittario e Gizio, che insieme all’ Aterno, sboccano nella stretta gola di monti presso Popoli, e affluiscono al Pescara. Tra la pianura del Fucino e la conca di Sulmona, si interpone una elevata ed estesa regione alpestre formante lo spartiacque appen- ninico, il quale abbraccia un gruppo di monti oltrepassanti quasi tutti i 10' 0 metri di elevazione, e facenti capo al Monte Prezza. Questo monte la cui cima raggiunge i 1344 sul mare, s’innalza sulla sponda occidentale della conca di Sulmona, e il suo versante meridio- nale scende con ripide pendici, nella sottostante valle del Sagittario, tra l’abitato d’ Anversa e quello di Bugnara. La suindicata regione montuosa, che è appunto quella di cui tratteremo, si collega a N.O con l’importante gruppo dei monti del, Sirente, e a S.E con i cosidetti monti della Marsica, e precisamente con le due catene che formano le due alte sponde del fiume Giovenco, ‘tra Bisogna e Ortona de’ Marsi. In essa si svolge la maggior parte del tronco ferroviario Avezzano-Sulmona, della linea Roma-Castellam- mare Adriatico, vincendo le sue non poche accidentalità topografiche e la sua non indifferente elevazione rispetto alla pianura del Fucino 23 e più ancora rispetto alla conca di Sulmona. Di guisa che il detto tronco ferroviario solo dalla stazione di Avezzano (m. 701 sul mare a quella di Pescina (m. 854 sul mare), per una distanza cioè di km. 2'J circa in linea retta, presenta un tragitto, relativamente breve, poco sinuoso e a lievi pendenze, dappoiché ivi il piano stradale rimane nella conca del Fucino, appoggiandosi sulla sua sponda settentrio- nale, ma dalla stazione di Pescina a quella di Sulmona, vale a dire per una distanza in linea retta presso a poco uguale alla prece- dente, dovendo la ferrovia valicare lo spartiacque appenninico, è co- stretta prima ad innalzarsi ancora fino oltre alla stazione di Carrito- Ortona (m. 896 sul mare) per discendere poi ad un livello inferiore di 550 metri, per giungere alla stazione di Sulmona (m. 346 sul mare). La linea perciò segue un tracciato assai lungo, tortuoso e a forti pendenze, il quale dapprincipio si sviluppa fra gli alti monti della regione, ora costeggiandoli con trincee ed ora attraversandoli con gallerie, poscia discende con fortissima pendenza lungo il pendio orientale del Monte Prezza per raggiungere il Sagittario di fronte a Bugnara e quindi Sulmona. Varie sono le gallerie costruite in questo tronco di linea, e fra queste meritano speciale menzione, quella di Carrito-Cocullo, della lun- ghezza di km. 3,500 circa e l’altra di Pietrafìtta, lunga poco meno di km. 2. Cenni geologici. — I monti compresi nella regione di cui ci occu- piamo, sono costituiti essenzialmente da calcari di vario aspetto, appar- tenenti in gran parte all’Eocene, ed in parte minore al Cretacico ed al Lias. Vi si incontrano altresì due limitati depositi di scisti argil- losi ed un lembo di calcare marnoso bituminoso fossilifero, probabil- mente miocenici' entrambi. Il piano del Fucino e la conca di Sulmona, sono invece occupati da depositi alluvionali recenti e terrazzati, non che da depositi la- custri di qualche importanza. Qua e là, addossati ai declivi dei monti, si osservano infine delle masse detritiche più o meno estese e potenti. — 349 — Ma prima di passare alla descri- zione dei singoli terreni sopra indicati, parmi opportuno di accennare ad un importante fenomeno stratigratico, che si osserva nel gruppo dei monti in pa- rola, e cioè all’esistenza di due faglie, passanti l’una lungo la valle di Cocullo e l’altra lungo la contigua valle di Car- ri to. Infatti, come si rileva dall’unita Se- zione n. 1, gli strati calcarei che affio- rano nelle due sponde della valle di Cocullo, costituiscono una serie unicli- nale con uniforme pendenza, rivolta ad oriente; ma mentre i calcari più bassi della sponda destra sono eocenici, quelli della sponda opposta sono liasici, così ch^, stante l’accennata disposizione dei rispettivi strati, sembrerebbe che i primi vadano a sottoporsi agli altri. Ciò è do- vuto alla presenza delle suindicate frat- ture pel cui effetto gli strati dei calcari liasici furono notevolmente rialzati ri- spetto a quelli dei calcari eocenici. Ci troviamo quindi di fronte ad una faglia con rigetto, dalla quale ebbe origine la valle suddetta. Nella valle di Carrito si riscontra l’identico fenomeno stratigrafico, con la sola differenza che quivi, anziché gli strati del calcare liasico, sono quelli del calcare cretaceo dalla sponda sinistra, i quali, per effetto della frattura si tro- — 350 - vano fortemente rialzati rispetto agli strati del calcare eocenico della sponda opposta. Le suindicate fratture, le quali figurano chiaramente nella nostra sezione geologica, in sostanza non rappresentano che la continua- zione di due delle quattro grandi faglie da me descritte nelle note geologiche inserite nel presente Bollettino degli anni 1899 e 1900 \ e precisamente la prima non è che l’ultimo tratto a tramontana di quella che dal fiume Sangro, presso Villetta-Barrea, va al fiume Sagittario sotto Anversa, passando per la sponda destra della vallata di Scanno, e la seconda l’ultimo tratto, pure di tramontana, della successiva frat- tura che segue la sponda destra della valle del Giovenco e che si protrae a mezzogiorno fino al Sangro presso Pescasseroli. Esaminiamo ora l’estensione e la potenza dei singoli terreni suac- cennati, non che i rispettivi caratteri litologici, paleontologici e tet- tonici, seguendo a tal uopo l’ordine ascendente, vale a dire partendo dal terreno più antico per terminare a quello più recente. Lias. — Il deposito più antico, ovverosia il terreno basale della regione di cui trattasi, è costituito da calcari basici, i quali affiorano esclusivamente nel versante meridionale del Monte Prezza, sulla sponda sinistra del Sagittario, e si estendono dal lato orientale fino sotto al Colle Sorgenti presso il Casino Tritomoli, e dal lato opposto fino sotto al Monte di Pietrafitta di fronte all’abitato di Cocullo. Si tratta di una zona che contorna le falde meridionali di detto monte e che abbraccia una importante pila di strati, la cui massima potenza supera i 300 metri, ed è diretta presso a poco da Nord a Sud con leggera inclinazione ad Est. Nella parte inferiore di detto deposito troviamo una roccia cal- careo-dolomitica sub-cristallina, or bianca ed or grigia, leggermente 1 Con soddisfazione ho visto che nella Guida dell' Abruzzo, compilata dal signor E. Abbate e pubblicata nel 1903 a cura del Club alpino italiano, nel capitolo Geologia e Mineralogia , sono riprodotte testualmente in tutto o in parte, le mie note geologiche inserite nel Boll, del R. Com. Geol. degli anni 1897, 1898, 1900, 1901 e 1902. — 351 — bituminosa, generalmente assai tenace ma talvolta friabile o del tutto sabbiosa, con rare intercalazioni di calcare oolitico bruno a minuti elementi. Siffatto affioramento è in parte completamente ricoperto ed in parte semplicemente mascherato da una falda detri tica abbastanza estesa e potente, di maniera che la roccia assolutamente nuda si mostra soltanto in un tratto di costa assai limitato; in compenso però ivi l’osservatore si trova nelle condizioni più vantaggiose per le sue ri- cerche, dappoiché ivi appunto si appoggia il primo braccio della strada rotabile, che dalla stazione ferroviaria Anversa-Scanno, porta prima all’abitato di Anversa e poscia a quelli di Yillalago e di Scanno. Favorito da tale circostanza, durante le mie escursioni, sono riu- scito ad incontrare due punti fossiliferi, due veri nidi di fossili, in cui ufi fu dato di raccogliere una discreta quantità di modelli di ammoniti, i quali, benché completamente spatizzati, si presentano in ottimo stato di conservazione e sono facilmente isolabili. Oltre alle ammoniti osservai qua e là nella medesima roccia, al- cune impronte di turriculate; queste però, oltre all’essere del tutto spatizzate, sono talmente impastate e confuse col calcare da rendere vano ogni tentativo d’isolamento, nè permettere una determinazione anche generica. Il dottor Di-Stefano deirUfficio geologico, che ha studiato il materiale da me raccolto, ha riconosciuto che i detti cefalopodi con- tengono esemplari di Atractites e di Ectocentrites in intima analogia con specie del Lias inferiore. La parte superiore del deposito liasico del Monte Prezza è for- mata di una zona di calcari a brachiopodi, che comprende una serie di banchi con limitato spessore di un calcare cristallino, bianco o grigio e talvolta rosato, a struttura ora fine ed ora granulosa, con piccole intercalazioni di calcare marnoso. Tutte queste varietà litologiche sono facilmente visibili nel ver- sante orientale del detto monte e precisamente in quel lembo sopra- stante al citato Casino Tritomoli, in cui costeggia il tronco ferro- — 352 — viario Prezza- Anversa, e ciò non solo lungo i tagli fatti per la costruzione della linea, ma altresì nelle adiacenze di questa, dove sono state aperte delle grandi cave, tuttora attive, nelle quali prima venne scavato il pietrame occorrente per i lavori di costruzione della linea ed ora quello per la relativa manutenzione. In queste roccie calcaree, dove più, dove meno frequentemente, si trovano racchiusi dei modelli di brachiopodi, la maggior parte allo stato completo, assai ben conservati e facilmente isolabili. Per la esistenza delle dette cave trovasi quasi costantemente accumulata in quei luoghi una certa quantità di pietrisco, circostanza assai favorevole sia per la ricerca, sia per la estrazione dei fossili; e perciò in un tempo relativamente breve, mi è riuscito di farne una discreta raccolta. Fra i diversi esemplari di brachiopodi ve ne sono alcuni appar- tenenti al genere Terebratula che il dottor Di-Stefano ha riconosciuto come identici alla Terebratula tauromenitana della parte superiore del Lias inferiore di Taormina. Gli altri brachiopodi, benché numerosi, dall’esame fattone dallo stesso, risultarono appartenenti ad un numero limitato di specie, e cioè: Spiriferina Ministeri Davids var. segregata Seg. Rhynchonella curviceps Quenst. sp. Waldheimia mutabilis Opp. Id. Piazzii Gemm. Id. cfr. Furlana Ziti Le quali specie indicherebbero o una porzione elevata del Lias inferiore o il Lias medio con facies di Hierlatz. Anche in questi calcari s’incontrano, piuttosto sovente, non poche impronte di turriculate, ma sempre allo stato di completa spatizza- zione, in modo da non lasciar distinguere nemmeno il genere a cui appartengono. Ora, come può desumersi dall’annessa Sezione n. 2, il sudescritto affioramento basico del Monte Prezza sulla sponda sinistra del Sagit- — 353 — tario, è in esatta corrispondenza stratigrafìca con V altro affiora- mento liasico della sponda opposta di detto fiume, e cioè con quello che si incontra nella regione La Difesa e nella contigua Serra Colle- Rufigno, del quale mi occupai nella nota relativa alla campagna geo- logica del 1899 \ Essi sono semplicemente se- parati dalla valle del Sagittario, ma non è possibile constatare in modo evidente il loro collegamento, dappoiché l’alveo e le sponde di detto fiume, per una notevole al- tezza, sono completamente occu- pate da un potente deposito allu- vionale e detritico. Tutto però fa supporre che la detta valle non sia effettivamente che una valle d’erosione, aperta attraverso il terreno liasico, poste- riormente riempita da materiali di trasporto, e per conseguenza non è fuor di luogo F ammettere che ad una data profondità gli affio- ramenti basici delle due sponde si riuniscano per formare un deposito continuo. 1 M. Cassetti, Rilevamenti geologici eseguiti Vanno 1899 nelValta valle del Sangro e in quelle del Sagittario , del Gisio e del Melfa. (Boll, del R. Com. Geol. d’Italia, 1900, Tot. XXXI). — 354 — Intanto noi abbiamo il fatto paleontologico, che dimostra l’appar- tenenza al Lias inferiore tanto della zona di calcari ad Atractites e Ectocentrites della sponda sinistra del Sagittario sopra descritta, come della zona di calcari a Phylloceras e Lytoceras della sponda opposta nella regione La Difesa, di cui nella nota sopracitata. Nessun dubbio quindi sulla contemporaneità dei due suddetti affioramenti calcareo-dolomitici ammonitiferi. Ma pari contemporaneità sembra non esista tra la zona di cal- cari a brachiopodi della sponda sinistra del Sagittario, vale a dire del Monte Prezza, sovrapposti in concordanza ai calcari dolomitici ad Atractites ed Ectocentrites del Lias inferiore e la zona di calcari a Rhynchonella Clesiana , alternanti con calcari marnosi a Polyplectus e ad Hildoceras , pure del Lias inferiore della sponda opposta, vale a dire della Serra Colle-Rufigno, appoggiati anch’essi in concordanza sui calcari dolomitici a Phylloceras e a Lytoceras della regione La Di- fesa, e ciò per diverse ragioni, cioè : 1° Per il fatto della rispettiva fauna fino ad oggi conosciuta, giacche, secondo il parere del dott. Di-Stefano, mentre il calcare a bra- chiopodi del Monte Prezza, in base ai fossili in esso raccolti, può rite- nersi come appartenente al Lias inferiore, o tutt’al più alla parte inferiore del Lias medio, i calcari invece della regione La Difesa per la presenza della Rhynchonella Clesiana , non potrebbero riferirsi che a strati della parte inferiore del Lias superiore o di quella superiore del medio \ 2° Per la notevole differenza nei caratteri litologici, giacché, mentre la zona basica più alta del Monte Prezza, come abbiamo no- tato, è costituita semplicemente di una serie di banchi di calcare cristallino a brachiopodi di varia struttura, la corrispondente zona basica della Serra Colle-Rufigno è invece formata di una potente pila di strati di calcare marnoso, biancastro ammonitifero con selce, intercalati da calcari compatti melati o rossastri a brachiopodi. 1 Op. cit. - 355 — 3° Per differenza di tettonica, nel senso che, mentre sui calcari liasici della sponda sinistra del Sagittario si appoggia direttamente con leggera discordanza una potente pila di strati calcarei esclusiva- mente eocenici, al contrario dai calcari liasici della sponda destra, si passa prima ad una limitata zona di calcare di aspetto oolitico e poscia al calcare cretaceo a rudiste, il quale si innalza fino alla cima del superiore Monte Genzana. Di fronte però alle suaccennate differenze, abbastanza importanti, fra le due zone più alte di calcari liasici delle due sponde del Sagit- tario, abbiamo la esatta corrispondenza della loro posizione, come appare dalla detta Sezione n. 2, circostanza questa che deve essere tenuta in qualche considerazione, e che farebbe ammettere almeno come probabile, il sincronismo dei due affioramenti liasici in di- scorso. Parmi frattanto prudente che per ora rimanga aperta siffatta quistione, riserbandomi di fare in proposito, al più presto, ulteriori studi più accurati e raccogliere maggior copia di elementi, perchè essa sia definita in un modo o nell’altro. Cretaceo. — - Come di sopra fu accennato, dal calcare liasico del Monte Prezza si passa senz’altro al calcare eocenico ; in questo monte adunque manca completamente la serie oolitica e quella cre- tacea, ma mentre la prima non appare affatto nella regione mon- tuosa di cui trattasi, la seconda invece la vediamo affiorare tanto nello spartiacque appenninico che separa la valle di Cocullo da quella di Carrito, e precisamente in quella parte di esso che è attraversata da parte a parte dalla galleria ferroviaria di Garrito, come altresì nella catena contigua, quella cioè che s’innalza sulla sponda sinistra del Giovenco, sopra Ortona de’ Marsi. Questi due affioramenti cretacei non sono, in sostanza, che la continuazione di quelli già ampiamente descritti nella mia citata nota sul rilevamento geologico del 1899, vale a dire della impor- tante formazione cretacea che separa la vallata di Scanno da quella del Giovenco e questa dall’ampia valle di Villavallelonga, e più precisamente sono il proseguimento della potente zona calcarea cre- tacea, che forma l’erto monte della Terratta e i successivi Montagna Grande e Monte Mezzana, e di quella che dal Monte Turchio, sopra Lecce ne’ Marsi, si estende ai monti ad Est di Gioia de’ Marsi. Nella regione in esame, i calcari cretacei proseguono con i me- desimi caratteri indicati nella zona suddetta e cioè nella parte più bassa sono semi- cristallini biancastri e grigi con qualche esemplare di Ellipsactinia e di Requienia nonché traccio di turriculate, probabil- mente Nerinee e solo nei calcari a Requi ente della regione Prati Mar- rani, sull’alta sponda orientale del Giovenco a Sud-Est delfabitato di Garrito, raccolsi un frammento di Pecten indeterminabile. Nella parte più alta i calcari sono bianchi più o meno compatti, con avanzi di rudiste e specialmente d’ippuriti. Su questi ultimi poi riposano in concordanza i calcari nummulitici. Come al solito, dall’uno all’altro dei detti calcari cretacei e da essi al calcare eocenico, abbiamo, oltreché una perfetta concordanza di stratificazione, un passaggio solamente graduale, frapponendosi fra loro una zona di calcari privi di fossili. La lunga galleria appenninica di Carrito taglia gli strati cal- carei nel senso della inclinazione, epperciò essa, a partire dall’im- bocco occidentale a quello orientale, attraversa prima i calcari a Re - quenie) passa quindi a quelli a Rudiste per finire a quelli eocenici sopra Cocullo. Eocene. — Molto estesa e potente è la formazione eocenica, dap- poiché essa abbraccia tutta la regione settentrionale, orientale ed occidentale del Monte Prezza, cioè a dire dal Monte Cosimo ad Ovest di Sulmona si estende in tutto o in parte ai territori mon- tuosi di Prezza, Paiano, Goriano Sicoli, Cocullo, Carrito e Pescina, inoltrandosi ai monti Urano e Montino, che formano le alte sponde dell’Aterno. Tale formazione comprende una considerevole pila di strati cal- carei di vario aspetto, con inclinazione variabile, formante qua e là delle anticlinali e sinclinali, spesso interrotte da piccole fratture se- — 357 — condarie e da valli di erosione più o meno profonde. Questi calcari eocenici rimangono appoggiati, da una parte, con leggera discordanza sui calcari liasici del versante meridionale del Monte Prezza, e dal- l’altra fanno seguito in concordanza a quelli cretacei precedentemente descritti. In questa estesa regione montuosa eocenica, s’incontrano sovente delle bassure o conche, generalmente ricolme di materiale terroso, dovute indubbiamente a fenomeni carsici ; esse abbondano più spe- cialmente nella regione a Nord-Est, adiacente alla cima del Monte Prezza e precisamente nelle adiacenze del Monte di Pietrafìtta, del Morrone e del Monte Puparo, nel denominato Capo della Selva e nel Monte della Selva. Tali fenomeni, come è noto, secondo un’attendibile ipotesi, sono dovuti a sprofondamenti di grotte o caverne, prodotte nel seno dei monti da correnti sotterranee. Ora una prova evidente della esistenza di siffatte correnti la troviamo precisamente nel citato Monte di Pietrafitta ; ivi, durante la perforazione della galleria ferroviaria, si rinvenne una copiosissima sorgente d’acqua potabile, ad un chilo- metro circa di distanza dall’imbocco Nord, la quale è stata utilizzata in parte per fornire sufficientemente d’acqua il comune di Goriano Sicoli, nel cui territorio fu trovata la sorgente, ed in parte per di- stribuirla in alcune stazioni della linea che ne abbisognavano. L’assoluta mancanza di resti organici nella potente pila di cal- cari eocenici che succede immediatamente ai calcari a brachiopodi del Monte Prezza non permette di riconoscere, con assoluta certezza, se tutti o parte di detti calcari siano effettivamente eocenici, come farebbero supporre l’aspetto generale e gli speciali caratteri litolo- gici di essi, affatto simili a quelli di altri calcari dell’ Appennino, ri- conosciuti eocenici ; o se invece, malgrado ciò. rappresentino uno o più piani della serie cretacica ed anche di Eocene più antico di quello nummulitico di cui parleremo appresso. Solo ad un livello più alto di qualche centinaio di metri dal contatto coi calcari liasici, al disopra di questa potente pila di calcari — 358 — appaiono quelli nummulitici e questi s’incontrano ricchi di tali fora- miniferi nei dintorni dell’abitato di Prezza. Frattanto, senza escludere la prima ipotesi, non credo fuor di luogo il ritenere eocenica tutta la massa calcarea, sovrapposta ai calcari a brachiopodi del Monte Prezza, in considerazione che la sovrapposizione del calcare eocenico direttamente su quello liasico, non è un fatto speciale per detto monte, ma sibbene si osserva al- tresì in diversi altri punti dell’ Appennino non molto distanti della località in questione, come ad esempio nella montagna di Preccia a Sud-Est di Scanno, non che al Monte Mattone e alla Montagnola sopra Villetta-Barrea nell’alta valle del Sangro \ Ad ogni buon fine parmi opportuno il far notare che la forma- zione calcarea- eocenica del Monte Prezza, di cui ci occupiamo, po- trebbe venire distinta in quattro differenti zone, partendo dal basso all’alto, tenuto conto principalmente dei rispettivi caratteri litologici, abbenchè siffatta distinzione non sia rigorosamente esatta, perchè tra una zona e l’altra non abbiamo una linea netta di separazione, ma soltanto un passaggio graduale. Le quattro zone sarebbero le seguenti: 1° Alternanza di grossi e piccoli banchi di calcari bianchi mar- nosi, sabbiosi e talvolta dolomitici, con letti e noduli di selce, frattu- rati e contorti in vario senso; 2° Calcare a grossi banchi con noduli di selce e con crinoidi, ora bianco, tenero, a struttura fina, ora leggermente rosato ed ora biancastro compatto o semicristallino a struttura saccaroide. E ottimo per opere murarie, giacché si presta al taglio e alla pulitura; 3° Calcari brecciati, ora compatti ed ora scheggiosi, misti so- vente a materiale argilloso, con grandi e piccole nummuliti, con no- duli di selce e con frammenti di rudiste; 4° Calcare marnoso biancastro-bluastro e talvolta bruno-bitumi- noso, a lastre o a banchi di limitata grossezza, con fucoidi, pecten, pectunculi, ostree ed orbituline. 1 Op. eit. In pochi punti e specialmente nel seno delle valli piuttosto de- presse, appoggiati indifferentemente su l’una o l’altra zona di detti calcari, s’incontrano dei depositi, ordinariamente di limitata esten- sione, di argille scistose, marnose ed arenacee privi di resti organici. I calcari della prima zona affiorano specialmente lungo la falda orientale del Monte Prezza e nei dintorni di Groriano Sicoli. Le te- state dei relativi strati possono benissimo osservarsi percorrendo il tratto di linea ferroviaria che dalla stazione di Prezza scende a quella di Anversa-Scanno. II calcare della seconda zona affiora particolarmente nel Monte Cosimo ad Est dell’ abitato di Prezza e ad Ovest di Sulmona, non che al Colle Carbonara a Nord presso l’abitato di G-oriano Sicoli. In entrambe queste località sono aperte delle cave nelle quali viene scavato il detto calcare per uso di costruzione edilizia. I calcari della terza zona abbracciano gli strati più alti del Monte Prezza, i quali, essendo inclinati verso oriente, scendono fin sotto l’abitato del comune omonimo e occupano altresì gli strati più alti del Monte Luparo a Nord della stazione di Cocullo. II calcare della quarta zona lo troviamo esclusivamente nelle falde orientali del colle dell’Olmo di Bobbi presso l’abitato di Cocullo. Durante le mie escursioni ho avuto agio di fare una discreta raccolta di esemplari di nummuliti, che, come ho detto, abbondano in modo speciale nei calcari brecciati dei dintorni dell’ abitato di Prezza e più precisamente in un taglio a mezza costa fatto per la costruzione della strada rotabile che dalla stazione conduce al paese. Lo studio degli esemplari da me raccolti in sette località, lo devo alla cortesia del dott. Giuseppe Checchia, a cui rendo i miei più sen- titi ringraziamenti. Le specie da lui riscontrate sono le seguenti: Numm. perforata d’Orb., abbondantissima Id. lucasana Defr., id. Id. Carpentieri d’Arch. et H. Id. Lyelli d’Arcli. et H. Id. Ramondi Defr. Id. Gnettardi d’Arch. et H. — 360 — le quali sono caratteristiche dell’Eocene medio (Parisiano del Player = Luteziano di De Lapparent). Se dunque la terza zona della serie dei calcari in discorso è da ritenersi come appartenente all’Eocene medio, non possiamo escludere la probabilità che, anche ammettendo per avventura la prima zona, potesse in tutto o in parte rappresentare un qualsiasi piano del Cre- taceo, i calcari della seconda zona potrebbero benissimo essere i rap- presentanti dell’Eocene inferiore, corrispondente a quello del bacino di Parigi. Miocene ? — Si potrebbero ritenere come miocenici i piccoli depositi di scisti argillosi senza fossili, appoggiati in discordanza sui calcari eocenici, fra i quali depositi merita soltanto di essere menzionato quello che s’incontra nella valle interposta tra il Monte della Selva e quello di Carrito a Nord, presso l’abitato di questo piccolo comune. In quanto poi al calcare marnoso fossilifero, che occupa la parte più alta del suddescritto calcare eocenico, e con questo concordante, vale a dire quello che affiora presso l’abitato di Cocullo, non sarei alieno dal collocarlo nel piano superiore dell’Eocene, a meno che esso non rappresenti qualche piano del Miocene, insieme ai suindicati depositi di scisti argillosi. I pochi fossili da me raccolti in questo calcare, e cioè le Ostree , i Pecten e le Lucineì non sono nè caratteristiche, nè determinabili nella specie, e per conseguenza insufficienti a decidere una tale qui- stione ; mi riserbo perciò di ritornare sul posto con maggior comodo, nella speranza di raccogliere una fauna più abbondante, che possa risolvere in modo indubbio siffatto problema. Egli è certo però, e non tralascio qui di ripeterlo, che tra i cal- cari nummulitici dell’Eocene medio appartenenti alla terza zona, e quelli di cui trattasi, havvi non solo una perfetta e concordante so- vrapposizione, ma altresì un passaggio semplicemente graduale. Depositi lacustri. — La sponda Nord-Est del Fucino e più preci- samente le più basse pendici meridionali del gruppo dei monti del Sirente, sono occupate da. un importante deposito di origine indub- — nei — biament© lacustre, come vedremo appresso, il quale si estende dalla valle del Giovenco, nei dintorni di Pescina fino al di là del rio La Foce, nei dintorni di Celano ; comprende perciò in maggiore o minor parte i territori di Pescina, Collarmele, Cerchio, Ajelli e Ce- lano. Anzi gli abitati di detti comuni si appoggiano più o meno su tale deposito. Lo ritroviamo ancora nei dintorni di Magliano de’ Marsi sulla sponda destra del Salto, nella regione adiacente al bacino del Fucino verso Nord-Ovest. Esso è costituito essenzialmente da banchi più o meno potenti di un conglomerato ad elementi calcarei di varie forme e dimensioni, in generale poco cementato e spesso del tutto sciolto, alternato con strati di sabbia argillosa incoerente e di argilla sabbiosa micacea giallastra e bluastra più o meno compatta e talvolta terrosa. Questi strati argillosi però non sono continui, ma sibbene saltuari, o per meglio dire formano dei giacimenti lenticolari più o meno limitati, sparsi qua e là dentro la massa di conglomerato. Alcune lenti poi di argilla bluastra piuttosto compatta, s’ incon- trano in alcuni punti alla base del conglomerato, ed una di queste, di discreta potenza ma assai limitata in estensione, la troviamo alle falde del Monte Felicetto presso Celano, nella quale si scava l’argilla per la fabbricazione dei laterizi ed ove sono a tal uopo impiantate due piccole fornaci di vecchio sistema. In una di queste cave rinvenni alcuni esemplari di molluschi ter- restri fossilizzati appartenenti al genere Helix , indeterminabili nella specie, ma che ad ogni modo servono a dimostrare che ci troviamo effettivamente di fronte ad un deposito d’acqua dolce. Nella cava d’argilla presso Magliano de’ Marsi, ho raccolto prima da solo e poi in compagnia dell’ing. E. Clerici, molte impronte di foglie fossili, fra le quali il detto ingegnere ha riconosciuto le se- guenti specie : Fcigus selvatica Lin. Acer pseudoplatanus Lin. e che a suo parere indicherebbero il Quaternario. Ad ogni buon fine il Clerici ha promesso di fare uno studio com- pleto delle fìlliti raccolte nelle adiacenze del Fucino, allo scopo di meglio illustrare la geologia di questo importante bacino. Intanto malgrado le più accurate osservazioni non mi è risultata af- atto la presenza nel bacino del Fucino del pliocene marino e tanto meno di fossili aventi tale origine, e perciò non saprei da dove possano prove- nire i due fossili pliocenici indicati dal prof. Chelussi nella pregevole sua memoria sul gruppo del Monte Velino e sulla conca del Fucino \ Non meno esteso e potente di quello del Fucino è il deposito lacustre che s’incontra nella conca di Sulmona e che costituisce la regione pianeggiante laterale al corso del Sagittario a valle della città e a quello dell’ Aterno a valle di Baiano. I due depositi presentano molta analogia tanto nei caratteri lito- logici quanto in quelli tettonici ; la solo differenza consiste in questo, che mentre lungo le sponde del Sagittario s’incontrano intercalate nelle sabbie argillose alcune vene di una roccia biancastra, farinosa, formata da avanzi di diatomee, aventi l’aspetto di tripoli, come ha potuto pure osservare l’ingegnere Baldacci, invece nelle sabbie argil- lose del Fucino queste mancano completamente. Anche in dati punti di questo deposito sono aperte delle cave di argilla per la fabbricazione dei laterizi. La più importante si trova sulla sponda sinistra della valle del torrente Canestro a Nord-Ovest presso Popoli, ed un’altra sulla sponda destra del Sagittario all’in- nesto della rotabile di Pentima con quella che da Sulmona va a Popoli, poco lungi dalla stazione ferroviaria di Pentima. Quivi mi fu dato di esaminare con evidenza la sezione del depo- sito lacustre nella fronte del taglio eseguito per lo scavo dell’argilla, ed ho trovato che essa è la seguente, dall’alto in basso, vale a dire sotto il mantello di terra vegetale : 1 I. Chelussi, Alcune osservazioni preliminari sul grappo del Monte Velino e sulla conca del Fucino . (Atti della Società Italiana di scienze naturali e del Museo civico di storia naturale di Milano. Yol. XLIII, fase. 1°, 190:1). — 363 a) banco di ghiaia a grossi e piccoli elementi ; b ) argille sabbiose incoerenti; e) straterello di ghiaia; d) argilla giallastra e azzurrognola; e) straterello di sabbia argillosa; /) banco di argilla azzurrognola e sabbiosa giallastra; g) banco di ghiaia a minuti elementi. Siffatto deposito lacustre non presenta però in tutta la sua esten- sione i medesimi caratteri stratigrafici sopra indicati, ma dove pre- domina la zona del conglomerato e dove quella argillosa più o meno sabbiosa o azzurrognola. Il relativo affioramento si mostra lungo le due sponde del Sagittario, a partire dal Ponte della Torre e dal Casino Aranio, poco a valle della stazione di Sulmona ; quello della sponda destra si prolunga fin quasi alla Tavernola sotto Roccacasale, e quindi alle falde del Monte Capo d’ Acero ai due lati del vallone Il Malpasso, a monte del Piano di Popoli ; mentre quello della sponda opposta scende sotto l’abitato di Pratola Peligna, inoltrandosi lateral- mente lungo tutto il percorso del Vallone Fontana, prosegue fin sotto l’abitato di Pentima e al vicino Colle San Martino, da dove risale per formare le due sponde dell’ Aterno fin sotto l’abitato di Paiano da un lato e sotto l’abitato di Vittorito dall’altro, fino ad occupare il Colle Bucciarello alle falde del Monte Mandra Murata. Riappare poi nella valle del Canestro ad Ovest presso Popoli, dalla quale risale e s’interna nella gola che separa il Colle Castiglione dal Colle Santa Rosa, per discendere nella valle del Tirino, e precisamente nel punto in cui trovasi lo stabilimento elettrochimico di Bussi, località in cui è assai predominante la parte argillosa, e di poca estensione il conglomerato. Recente. — La regione centrale, o più esattamente l’alveo del già Lago Fucino, non che la parte più alta della conca di Sulmona, sono occupati da deposito alluvionale recente, mentre la zona circostante fino a toccare le pendici dei monti calcarei che contornano tanto il bacino del Fucino come la conca di Sulmona, è formata da deposito alluvionale terrazzato. 24 Quest’ultimo è generalmente costituito da strati di ghiaia e sabbia, con intercalazioni di banchi di vario spessore di materiale vulcanico, proveniente probabilmente dai vulcani tirreni, che in molti punti viene utilmente scavato per uso di pozzolana. Roma, settembre 1904. III. M. Cassetti. — Sulla struttura geologica dei monti della Majella e del Morrone . Cenni topografici. — Sulla sponda destra del Sagittario, e precisa- mente sul fianco orientale della conca di Sulmona, s’ innalza un importante gruppo di monti completamente contornato da ripide pendici, ed indicato nella Carta dell’ Istituto geografico militare, col nome di Montagne del Morrone (ma che noi per brevità chiameremo semplicemente Morrone), il quale si estende, nel senso della lunghezza, dal torrente Velia sotto Pacentro, alla stretta gola di monti, entro cui scorre il Pescara, sotto Popoli, e nel senso della larghezza, dalla valle del Sagittario a quella dell’ Orte a sud di Caramanico. In proiezione orizzontale esso presenta presso a poco la forma di una ellisse allungata, di cui l’asse maggiore oltrepassa la lunghezza di 20 chilometri e quello minore raggiunge i 7 chilometri circa. Le sue alture meridionali prendono il nome di Morrone di Pa- centro, dal paese al cui territorio appartengono e la loro massima elevazione è di 1900 metri sul mare. A settentrione il monte più alto è quello denominato Monte Rotondo, dell’altezza di 1732 metri sul mare, a cui fa seguito una cresta rocciosa, chiamata Schiena d’ Asino, la quale scende a precipizio nella sottostante valle del Pe- scara. Nella regione mediana troviamo il punto culminante dell’intiero gruppo, il quale raggiunge la quota di 2060 metri sul mare, ed è qui che anche abbiamo il centro topografico della catena. L’altitudine della sottostante conca di Sulmona varia dai 300 ai -100 metri e per conseguenza il gruppo delle Montagne del Morrone si eleva su di essa dai 1430 ai 1660 metri. Da Pacentro l’ascensione al Morrone omonimo può farsi piuttosto comodamente ed a cavallo, sia percorrendo la strada tracciata sulla costa meridionale di esso e che passa per la Grotta Rubini, sia girando per il versante orientale e salendo per la strada soprastante ai così detti Colli della Macchia. Giunto sull’altipiano di questo Morrone il geologo può inoltrarsi facilmente verso la regione settentrionale del gruppo, ma non al di là del così detto Colle Affogato. Per visitare il Monte Rotondo bisogna assolutamente salirvi da Popoli ; ma questa ascensione riesce assai disagevole ed in parte anche non scevra di pericolo, dappoiché la strada da percorrere è in gene- rale molto ripida e tortuosa, e specialmente dal Monte Corvo alla Schiena d’ Asino si incontrano dei tratti di via talmente angusti e scoscesi che anche un esperto alpinista deve usare molta prudenza e accorgimento per tragittarli. Ad oriente del Morrone, nel senso quasi parallelo ed a breve distanza, si erge alta e maestosa la Montagna della Majella, la quale, dopo il Gran Sasso, è la più alta cima di tutto l’ Appennino, dappoiché il punto più elevato di essa eh’ è il Monte Amaro, raggiunge i metri 2795 sul mare. Il versante orientale della Majella scende dolcemente verso il litorale adriatico, in modo da presentare l’aspetto di un ampio piano inclinato ; e benché solcato qua e là da valli più o meno profonde, alcune delle quali con pareti quasi a picco ed inaccessibili, tuttavia nell’ insieme rimane assai uniforme e' non molto interessante tanto sotto l’aspetto topografico come sotto quello geologico. Il versante occidentale invece, il quale s’ innalza a più di 1000 metri sulla valle sottostante, attira in entrambi i sensi la speciale attenzione dell’osservatore, sia per il suo erto declivio, che in alcuni punti si presenta quasi a picco, formando dei veri e grandi precipizi, sia per il panorama orrido e pittoresco insieme, che presentano quelle - 366 — ripide pendici, dove del tutto nude e dove ricoperte di rara vegeta- zione, sia perchè in quei grandi appicchi e per una fronte della lun- ghezza di qualche migliaio di metri, si disegnano come in un ampio quadro le testate della potente pila di strati calcarei, che si affacciano sulla valle, e sulle quali si appoggia una immensa falda detritica alta e scoscesa, anch’essa nella parte superiore quasi spoglia di vegetazione e poco o difficilmente praticabile. La sua estensione in complesso su- pera i 15 chilometri, doppoichè con l’estremità settentrionale tocca la valle dell’Oriènte, presso Caramanico, e con quella meridionale rag- giunge l’altipiano di Pescocostanzo, al così detto Colle della Madonna, presso la stazione ferroviaria di Palena nel piano detto Quarto di Santa Chiara. Da questo lato l’ascensione alla sommità del Monte Amaro, muo- vendo da Campo di Giove, vale a dire dalla quota di 1000 metri sul mare, può effettuarsi per due sole strade, entrambe ripide e non poco disagevoli. La più breve è quella che segue l’erto declivio soprastante alla valle detta dell’Acqua San Giacomo e a quella detta di Fonte Majella, per la quale si raggiunge in tre o quattro ore al massimo la cresta adiacente alla così detta Valle di Femmina Morta, e poscia proseguendo per un viottolo tracciato sulla sponda sinistra di questa valle, in poco più di due ore, si arriva alla Grotta Canosa, da dove, in mezz’ora ap- pena, si sale con poca fatica alla cima del Monte Amaro, presso cui l’escursionista trova una solida e comoda casa di rifugio. L’altra via è in parte la stessa della precedente ma molto più lunga, giacché essa per raggiungere il viottolo di Femmina Morta e quindi la vetta della Majella, anziché salire direttamente per la costa soprastante alla valle Fonte Majella, sale prima alla Serra Carracino, seguendo la strada del colle detto Guado dei Cocci, e poscia percorre un piccolo viottolo tracciato sulle successive alture denomi- nate della Tavola Rotonda, sino a raggiungere il viottolo suddetto. Cenni geologici. — Come verrà dimostrato in seguito, in origine la Majella e il Morrone dovevano formare parte di un unico insieme, e il loro distacco e la conseguente formazione dell’ampia depressione intermedia sono dovuti ad una grande frattura con rigetto, avente presso a poco la direzione Nord-Sud. Tale importantissima faglia non si limita soltanto alla regione interposta fra i due gruppi montuosi in discorso, ma sibbene si estende da un estremo all’altro del suddescritto declivio occidentale della Majella; essa cioè comincia a manifestarsi alle falde del Monte Rapina, ad Est di Sant’Eufemia a Majella, prosegue sotto il Monte Amaro, dove presenta la sua massima dislocazione, e di là passa alle falde delle successive alture denominate Tavola Rotonda e Serra Carracino ad Est di Campo di Giove. S’ inoltra quindi sotto il Monte Porrara, e dopo attraversata la piccola sella, che s’ interpone tra il Piano Cer- reto presso Campo di Giove e il Quarto di Santa Chiara termina al Colle della Madonna, presso la stazione di Palena. La esistenza di questa grande faglia è agevolmente dimostrata dal parallelismo dei vari terreni che s’incontrano alla Majella ed al Mor- rone, i quali con quasi identica direzione ed inclinazione costituiscono la potente pila di strati calcarei dei due gruppi, presentando identici affioramenti e identica disposizione nei rispettivi versanti occidentali. Ed in vero, come risulta dalla unita sezione geologica, tanto nel versante occidentale della Majella come in quello corrispondente del Morrone, s’ incontrano i medesimi calcari, aventi cioè identici caratteri tanto litologici che paleontologici, e i rispettivi strati presentano lo stesso ordine di sovrapposizione, nel modo qui appresso indicato, cominciando dal basso in aito, ossia dagli strati più antichi a quelli più recenti : 1° Calcare semicristallino generalmente biancastro, contenente qua e là esemplari di Requienie e traccie di turricolate, probabilmente Nerinee. — Cretaceo inferiore. 2° Zona di calcare affatto priva di fossili, da cui si passa gra- datamente ad un 3° Calcare più o meno compatto, generalmente bianco, con ru- diste e specialmente Hippurites. — Cretaceo medio. Sezione dal fiume Sagittario , presso Popoli , a/ Monte Amaro (cima della Majella). — 368 — oj n CQ ,a o o o 4 — » 270 (Catania) ...» 3 » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) ...» 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — ' » 274 (Siracusa) ...» 4 » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 260 (Meosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . . . » 3 » 261 (Bronte) . . . . » 5 — » 277 (Noto) . ...» 3 Tavola di sezioni ]NT. I (annessa ai fogli 249 e 258) . . L. 4 — » ». 'N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » H. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » H. IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » IN". V (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 8 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . 3j. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio ’N. 220 (Verbicaro) . . E. 3 — Foglio V. 242 (Catanzaro) . . E. 4 » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — zuto) ...» 3 » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 245 (Palmi) ...» 3 » 229 (Paola) . . . » 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 » 231 (Ciro) . . . . » 3 — » 254 (Messina) ...» 4 » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Gerace) ...» 4 » 237 (S. Giovanni in F.)» 5 — » 263 (Bova) .... » 3 » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 264 (Staiti) .... » 3 » 241 (Mcastro). . . » 4 — Tavola di sezioni K I (236, 237, 238, 241, 242), W. II (245, 246, 247, 255, 268), -N. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. 4 KRESENTED 17APR.19G5 — 441 — Carta geologica della Puglia, nella scala eli 1 a 100 000. ~Ne sono pubblicati i fogli seguenti : Foglio IN". 201 (Matera) . . . L. 3 — Foglio IST. 213 (Maruggio) . . L. 1 — » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . » 2 — » 203 (Brindisi) . . . » 3 — » 215 (Otranto) . . . » 1 — » 204 (Lecce) ... . » 2 — » 223 (Tricase) . . . » 2 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Cariasi vendono anche separatamente come segue : Foglio ~N. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio W. 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . L. 4 — » 5 — » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnnovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell* Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala eli 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treyes in Roma, Bologna, Milano e ^Napoli. Sono in corso ili pubblicazione i fogli seguenti della Carta Geologica d'Italia nella scala di 1 a 100,000: 127 (Piombino) 129 (Santa Fiora) 128 (Grosseto) 135 (Orbetello) 136 (Toscanella) con una tavola di sezioni relative. Annunzi di pubblicazioni Agamennone GL— Sopra un focolare sismico nei dintorni di S. Vittorino di Roma (presso Tivoli). (Boll. Soc. sismologica ital., Voi. X, n. 5, pag. 147-158). — Modena, 1904. Barsanti L. — Secondo contributo allo studio della flora fossile di Jano. (Atti Soc. toscana di Se. nat., Processi verbali, Yol. XIY, pag. 115*125). — r. Pisa, 1904. Canavari M. — Studio delle sorgenti per il nuovo acquedotto di Portofer- rajo. (Giornale di Geol. pratica, Yol. II, fase. 0°, pag. 185-203); — Pe- rugia, 1904. Checchia -Pispoli G. I calcari di S. Giovanni -in-Piano presso Apricena in provincia di Capitanata. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIII, fase. 2°, pa- gine 292-294). — Poma, 1904. Idem. — Osservazioni geologiche lungo la valle del Fortore in Capitanata. (Ibidem, pag. 295-297). — Roma, 1904. Idem. — 11 miocene nei dintorni di Cagnano-Yarano sul Gargano (Capitanata). (Ibidem, pag. 298*300). — Roma, 1904. Clerici E. — Sulla stratigrafia del Vulcano Laziale. (Rend. R. Acc. dei Lincei, s; Y, Yol. XIII, fase. 12°, 2° sem., pag. 614-618). — Roma, 1904. D’Achiardi G. — Cenni su di una an Abolite orneblendica nel granito di San Piero-in-Campo (Elba). (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali? Yol. XIY, pag. 125-131). — Pisa, 1904. De Angelis d’Ossat G. — Sulle condizioni sfavorevoli per i pozzi artesiani tra Roma ed i Colli Laziali. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 9°, 2° sem., pag. 394-402). — Roma, 1904. Del Campana D. — Faunula del Giura superiore di Collalto di Solagna (Bas- sano). (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXÌII, fase. 2°, pag. 239-268 con ta- vola). — Roma, 1904. De Stefani C. — Galleria filtrante nel gabbro dell’ Impruneta presso Fi- renze. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XX, pag. 174-185). — Pisa, 1904. Idem. — La linea direttissima da Genova alla Valle del Po. (Giornale di Geol. pratica, Yol. II, fase. 6°, pag. 204-212). — Perugia, 1904 Fino Y. — Notizie mineralogiche sulle Valli di Lanzo (in Le Valli di Lanso, pubblicazione del Club alpino italiano, pag. 491-507). — Torino, 1904. Fucini A. — Cefalopodi liassici del Monte di Cetona. Parte 4a. (Palaeonto- graphia italica, Yol. X, pag. 275-298, con 4 tavole). — Pisa, 1904. Gemmellaro G. G. — I cefalopodi del Trias superiore della regione occi- dentale della Sicilia (pag. 320 in-4°, con 30 tavole). — Palermo, 1904. Issel A. — Osservazioni intorno alla frana del Corso Firenze in Genova. (Giornale di GeoL pratica, Yol. II, fase. 5°, pag. 171-180). — Perugia, 1904. Idem. — Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Torriglia. Nota prelimi- nare. (Atti Soc. 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Matti rolo E. — Schiarimenti sulla Carta geo-litologica delle Talli di Lanzo (in Le Valli di Lanzo , pubblicazione del Club alpino italiano, pag. 521-539, con Carta geologica). — Torino, 1904. Medichini S. — Sulla temperatura dell’acqua del Bulicame è di alcune altre vicine sulfuree. (Memorie Pont. Acc. dei Xuovi Lincei, Voi. XXII. pa- gine 89-140). — Roma, 1904. Merciai G. — Lamellibranchi Lassici del calcare cristallino della montagna del Casale presso Busambra in provincia di Palermo. (Boll. Soe. Geol. ita!., Voi. XXIII,. fase. 2°, pag. 211-237, con tavola). — Roma, 1904. Millosèvich F. — Osservazioni mineralogiche sulle rocce metamorfiche dei dintorni di Tolfa. ^Ibidem, pag. 277-291). — Roma, 1904. Ristori G. — I giacimenti limonitici di Monte Talerio, di Monte Spinosa e di Monte Bombolo (Campiglia marittima). (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Voi. XX, pag. 60-75). — Pisa, 1904. Rovereto G. — La zona marmifera della Pania della Croce nelle Alpi Apuane. 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Toldo G. — Note preliminari sulle condizioni geologiche dei contrafforti apenninici compresi fra i fiumi Sillaro $ Lamone (pag. 60 in 8°, con ta- vole). — Imola, 1904. Tommasi A. — Una Lima nuova ed una Pinna nel Musclielkalk di Re- coaro. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 2°, pag. 301-305, con ta- vola). — Roma, 1904. Zambonini F. — Analisi di Lawsoniti italiane. (Rend. R, Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XIII, fase. 10°, 2° sem., pag. 466-467). — Roma, 1904. Prezzo del presente fascicolo : IL. £2. BOLLETTINO R. COMITATO GEOLOGICO D'ITALIA Volume Trentacinquesimo (5° della 4a Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE R. UFFICIO GEOLOGICO Rilevata da P. MODERNI ROMA 1904. Prezzo L. 2,