,% ■ . I . ■ ■ nf'’' r V '4> . , ^^mms ROMA TIP. HAZIOSTALE DI G. BEETEBO E O. 1905 Trimestre Anno 1905 KLENCO del personale componente il Comitato e l’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini (jiovanni, prof, di geologia, E. Università di Prendente. Bassani Francesco, prof, di geologia, E. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, E. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, E. Università di Uenova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, E. Università di Torino. Strùver (jiovanni, prof, di mineralogia, E. Università di Eoma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, E. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del E. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del E. Corpo delle Miniere, Eoma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel E. Corpo delle Miniere, Eoma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. SoRMANi Claudio. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi o]peratori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Eoma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEI. K. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA 1905. — Anno XXXVT 1905. — Anno XXXVI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA Volume Trentaseiesimo (6" della 4*^ Serie) IV. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE DI G. BERTERO e C. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1905 (Volume trentaseiesimo o sesto della 4^ serie) Introduzione Pag. 1 NOTE OEiaiNALI. A. Stella. — Il problema geo -tettonico cleU’Ossola e del Sempione. . Pag. 5 B. Lotti. — Di un caso di ricuoprimento presso Spoleto (Umbria) . * 42 M. Cassetti. — Appunti geologici sul Monte Conero presso Ancona e suoi dintorni . » 54 Idem. — Appunti geologici sul Monte Conero presso Ancona e suoi dintorni {continiiasione e fine) » 89 C. Viola. — La diabase anfibolica della Nurra (Sardegna) .... » 106 B. Lotti. — Sulla età delle rocce ofioliticbe del Capo Argentario e dei terreni che le racchiudono » 177 V. Novarese. — A proposito di un Trattato di petrografia di E. Wein- schenk e sul preteso rapporto fra le roccie della zona d’Ivrea e le pietre verdi della zona dei calcescisti » 181 La Direzione. — Su di una Carta geo-litologica delle Talli di Lanzo dell’ing. E. Mattirolo » 191 P. Aloisi. — Contributo allo studio petrografico delle Alpi Apuane. Rocce granitiche, eufotidiche, diabasiche e serpentinose .... » 257 S. Franchi. — Appunti geologici sulla zona diorito-kinzigitica Ivrea- Yerbano e sulle formazioni adiacenti » 270 Idem. — A proposito della riunione in Torino della Società geologica di Francia, nel settembre 1905 » 298 Riunione annuale della Società geologica italiana a Tolmezzo ... » 212 Id. id. della Società geologica di Francia a Torino ... » 313 VI NOTIZIE BIBLIOaEAEICHE. Bibliografia geologica italiana per l’anno 1903 {continuazione e fine) . Pag. 66 Id. id. per l’anno 1904 » 121 Id. id. id. {continuazione) ... » 216 Id. id. id. {continuazione e fine) . » 316 NOTIZIE DIYEESE. Pubblicazioni del E. Ufficio geologico Pag. 85 Id. id. » 172 Id. id. » 252 Id. id. » 350 Elenco del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico alla fine dell’anno 1905 » 349 ILLUSTEAZIONI. Tav. I, II e III. — Carta e sezioni geologiche delle Alpi Pennine- Lepontine {A. Stella) P^fl- 40 » lY. — Sezioni geologiche nei monti di Spoleto {B. Lotti) » 48 — Sezione geologica nel Monte Pisano {B. Lotti) . » 51 » Y. — Carta e sezioni geologiche del Monte Conero e dintorni {M. Cassetti) » 106 » YI. — Microfotografie della diabase anfibolica della Nurra {C. Viola) » 120 — Figure schematiche {G. Viola) . . . Pag. 109, 110, 112 Tavola annessa. — Carta geo-litologica delle Yalli di Lanzo, se- condo il rilevamento del E. Ufficio geologico {E. Mattirolo) Pag. 208 PAETE UFFICIALE. E. Decreto 16 febbraio 1905 relativo al personale del E. Comitato geo- logico Pag. 3 Yerbale delle adunanze 5 e 6 giugno 1905 del E. Comitato geologico . » 5 Eelazione del Direttore della Carta geologica sui lavori eseguiti nel 1904 e proposte di quelli da eseguirsi nel 1905 » 14 VII INDICE DEI FASCICOLI. N. 1. — Primo trimestre 1905 » 2. — Secondo id. » 3. — Terzo id. » 4. — Quarto id. da pag. 1 a pag. 88 » 89 176 » 177 » 256 » 257 )> 354 Atti ufficiali 1 * 64 pkeseited 1 omam BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IV, Voi, VI. Anno 1905. Fascicolo P. SOMMARIO. Introduzione. Note originali. — I. A. Stella, Il problema geo -tettonico dell’Ossola e del Sem- pione (con tre tavole). — II. B. Lotti, Di un caso di ricuoprimento presso Spoleto (Umbria) (con una tavola). — III. M. Cassetti, Appunti geologici sul Monte Conero presso Ancona e suoi dintorni (con una tavola). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1903 (conti- nuazione e fine). Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. — R. Decreto 16 febbraio 1905, relativo al personale del R. Comi- tato geologico. Illustrazioni. — Tav. I, II e III: Carta e sezioni geologiche delle Alpi Pennine- Lepontine (A. Stella) a pag. 40. — Tav. IV: Sezioni geologiche nei monti di Spoleto (B. Lotti) a pag. 48. — Sezione geologica nel Monte Pisano a pag. 51. 11 lavoro di campagna ebbe nel 1904, come al solito, per iscopo nuovi rilevamenti, revisioni e ricerche paleontologiche sul terreno, e fu condotto secondo il programma approvato dal R. Comitato geologico nella adunanza del giugno ultimo. Fu regolarmente proseguito, e con lo stesso personale, il rile- vamento nelle regioni alpine, il quale ebbe in questa campagna particolare interesse, poiché si svolse in parte nella regione del Sempione, fornendo occasione alla scoperta di importanti fatti tettonici utili per la interpretazione della complicata struttura di quella parte della catena alpina. Su tali argomenti fu già dato un cenno nell’adunanza invernale della Società geologica italiana, e ring. Stella preparò una nota in proposito che viene pubblicata nel presente Bollettino con alcune tavole. Varie escursioni furono necessarie nella valle d’Aosta, sia per completare i dati relativi alla Carta d’insieme in iscala di 1 a 400,000 delle Alpi occidentali, di cui si fece cenno l’anno scorso, sia per lo studio dei giacimenti ferriferi della valle stessa. Interessanti osservazioni furono fatte anche nella zona grani- tica a ponente del Lago Maggiore, e dove si rilevarono discor- danze inaspettate fra i banchi di granito e quelli delle roccie gneissico-micascistose che costituiscono gran parte della regione. Fu poi riconosciuto che nella Valle Strona la zona dioritica di Ivrea ha una struttura e composizione assai più complicata di quella finora ritenuta, presentando grandi analogie con la zona delle kinzigiti di Calabria, con la quale ha comuni la massima parte dei tipi litologici, e che i così detti Strona-gneiss si mo- strano stratigraficamente e litologicamente legati con le stesse roccie. Nelle Alpi Liguri furono constatati importanti fatti relativi alla stratigrafia e tettonica, studiata la serie dei terreni mesozoici poggianti sul Permiano (porfidi laminati), e riconosciuto che le faglie hanno grande parte nella struttura tettonica della regione. Neli’Umbria è stato continuato e portato a termine il rileva- mento delle tavolette di Terni, Ferentillo e Leonessa, e intrapresa quella di Spoleto; il lavoro riuscì assai arduo per la complessità della serie mesozoica, che ivi costituisce la più gran parte dei rilievi montuosi e per le complicazioni tettoniche che vi si pre- sentano. Furono perciò in queste regioni studiati i relativi im- portanti fatti di indole tettonica, quali p. es. un vasto ricopri- mento di calcari del Lias inferiore sulla scaglia nei dintorni di Spoleto. Su questo ring. Lotti dà speciale notizia con una nota inserita nel presente Bollettino e corredata da una tavola. Dal punto di vista paleontologico i dintorni di Leonessa offrono un problema importante nell’apparente prosmiscuità di faune dei Lias superiore con quelle del Lias medio. Tale problema merita ancora uno studio accurato: nelle stesse località inoltre vennero incontrate abbondanti nummuliti, che risultarono di specie ap- partenenti all’Eocene inferiore, nei calcari scheggiosi e rosati della — 3 — scaglia, in modo da fare per ora ritenere che una parte di questa formazione debba riferirsi all’Eocene invece che al Cretaceo. Nell’ Abruzzo aquilano furono dettagliatamente rilevati i gruppi del Velino e del Sirente, nei quali non affiorano terreni inferiori al Cretaceo, mentre alla parte più alta della serie domi- nano calcari a nummuliti, orbitoidi e piccoli pecten, coperti qua e là da strati pure calcarei ma a grandi pecten di tipo miocenico. Nelle Marche fu compiuto il rilevamento del Monte Conero e dei dintorni di Ancona, trovandosi a formare la parte più ele- vata della serie dei terreni in quella montagna un calcare bianco zeppo di orbitoidi, che sembrerebbe doversi attribuire all’Eocene, tanto più che esso si immerge da ogni lato, regolarmente e in concordanza, sotto i terreni miocenici. Nel presente numero diamo principio alla pubblicazione di una nota del signor Cassetti su alcuni fenomeni tettonici del Conero. Nei vulcani a nord di Roma furono proseguite le indagini e rilevamenti particolareggiati, ultimando lo studio dei Vulcani Cimini, dei quali si sta preparando la descrizione e intrapren- dendo le ricerche nella parte occidentale dei Vulsinii. Poche osservazioni furono pure fatte nel gruppo dei monti Tiburtini e Lucani in provincia di Roma, dove resta tuttora a risolvere qualche quesito di indole tettonica. Nuove revisioni sono state necessarie in Basilicata e in pro- vincia di Salerno, per provvedere alla pubblicazione di alcuni di quei fogli, i più complessi della regione e che erano stati messi da parte fino del 1892. Cosi si potè conseguire una più esatta determinazione di alcune formazioni, come p. es. le potenti ed estese arenarie e conglomerati di Pietrapertosa e Castelmezzano che furono riconosciute eoceniche, e i conglomerati a roccie cristalline dei dintorni di Vallo della Lucania, che dovrebbero ritenersi a quelle coeve. — 4 — Anche nella estrema Calabria settentrionale furono prati- cate revisioni e fatte abbondanti raccolte paleontologiche, in base alle quali fu riconosciuta come appartenente al Miocene medio una serie arenacea, ivi assai estesa, che era stata già classificata come oligocenica. Finalmente furono fatte ricerche paleontologiche sul terreno, con buoni risultati, neH’Abruzzo aquilano e nelle Alpi marittime. In quanto a pubblicazioni, oltre al Bollettino (annata xxxv) e al 5"" supplemento del Catalogo della Biblioteca (1902-1903), si ebbero quelle di una Appendice al volume IX delle Memorie descrittive con Osservazioni geologiche fatte in Calabria dal dot- tore G. Di Stefano, àeWa Guida alV Ufficio geologico e sue colle- zioni e dei fogli della Carta geologica dUtalia in scala 1 per 100,000 comprendenti la Penisola Salentina. Fu poi intrapresa la stampa dei fogli al 100,000 della Toscana, alcuni dei quali saranno pronti entro il l"" semestre 1905. Accenniamo infine alle dimissioni dal posto di Paleontologo deirUfficio geologico date dal dott. G. Di Stefano, il quale col 1» dicembre 1904 andò a coprire la cattedra rimasta vacante neirUniversità di Palermo per la morte del compianto Gem- MELLARO. Per maggiori particolari rimandiamo il lettore alla consueta Relazione annuale del direttore del servizio, che sarà inserita nel p. V. fascicolo. NOTE ORIGINALI I. A. Stella. — Il problema geo-tettonico deW Ossola e del Sempione, (Con tre tavole). Sommario. — Introduzione e oggetto del lavoro. — Cenno generale sulla zona del Piemonte nelle Alpi Pennine-Leponline ; formazione dei gneiss e formazione dei calcescisti; loro rapporti. — Complicazione della regione ossolana. Omologia fra la regione Antigorio-Monte Leone e la re- gione Monte Rosa-Gamughera. — Diagnosi degli elementi geo-tettonici della regione Antigono- Monte Leone in base alla Cartina geologica e al profilo Antigorio-Sempione. Sua interpretazione tettonica in base all’ipotesi delle masse gneissiche autoctone. Due fasi di corrugamento. — Discussione e obiezioni alla interpretazione dello stesso profilo risultante dall’ipotesi delle masse gneissiche non autoctone. — Discussione delle due medesime ipotesi applicate a un profilo at- traverso alla regione Arceza-Pilonet-Boussine. — Ipotesi dei calcescisti arcaici, e sua discus- sione in rapporto ai due profili sopra studiati. — Ipotesi dei gneiss eruttivi recenti intrusi nei calcescisti. Obiezioni al metamorfismo dei calcescisti per contatto. — Metamorfismo regionale: suo carattere speciale nella nostra regione in base al concetto di zone abissali diverse in cui possa essere avvenuto. — Conclusione. La mia nota dell’anno scorso sulla geologia di questa medesima regione alpina \ mirava essenzialmente a stabilirne la serie stratigrafìca ; e in quanto alla tettonica io mi accontentai di metterne in evidenza la grande complicazione, rimandandone una meno incompleta inter- pretazione a quando si sarebbero potuti coordinare i dati del rileva- mento geologico particolareggiato della regione ossolana, con quelli risultanti dal completo perforamento della grande galleria del Sem- pione, allora non ancora terminata. ^ A. Stella, Sulla geologia della Regione Ossolana contigua al Sempione. Boll. Soc. Geol. Italiana, Yol. XXIII, fase. 1«, 1904. Tedansi inoltre le Belazioni sui rilevamenti geologici eseguiti neH’Ossola negli anni 1902 e 1903 rispettivamente, nella Parte ufficiale del Bollettino del Comitato Geologico xl’Italia, Anno 1903, pag. 34 e seguenti. Anno 1904, pa- gina 34 e seguenti. — 6 — Ed è quello che io voglio tentare in questa mia nota, che credo tanto più opportuna, in quanto è in preparazione una carta speciale geologica della regione del Sempione per opera della Commissione geologica svizzera in collaborazione col nostro Ufficio geologico D’altra parte è pure in preparazione per parte dello stesso Ufficio geologico un lavoro sulle Alpi occidentali italiane dal Savonese al Lago Maggiore, che deve riassumere, con una Carta geologica d’in- sieme, e coi necessari profili, gli studi compiti dai miei colleghi e da me per più di un decennio in questa difficile parte della catena alpina. Ora mentre io mi riserbo di contribuire per parte mia a docu- mentare in modo sufficiente i risultati dei miei rilevamenti, debbo qui di necessità anticipare alcuni di questi risultati, sia per la regione ossolana in particolare, sia per la contigua regione delle Alpi Pen- nine in generale ^ « * Per riuscire ad un concetto adeguato della costituzione geo -tet- tonica della nostra regione, è molto opportuno riferirsi alla Cartina geologica da me schematicamente tracciata (Tav. I) ; la quale esten - dendosi dalla Dora Baltea al Ticino mette in evidenza la posizione che la regione Ossola-Sempione occupa in quella zona geo-tettonica alpina, che si suol chiamare zona del Monte Rosa o meglio zona del Piemonte. ^ Secondo i rilevamenti particolareggiati eseguiti dal prof. C. Schmid! e dott. H. Preiswerk per la Commissione geologica svizzera, e dall’ing. A. Stella per rUfficio geologico d’Italia. ^ Una parte di questi risultati è dovuta naturalmente al fatto di aver potuto coordinare i dati dei rilevamenti miei con quelli dei miei colleghi del- l’Ufficio geologico S. Franchi, E. Mattirolo, Y. IS’ovarese ; e anche con quelli dei colleghi geologi svizzeri C. Schmid! e H. Preiswerk, ai quali tutti io rendo qui vive grazie. Il tracciamento della Cartina Tav. I, sebbene molto schematica e riassuntiva, fu possibile, dietro il coordinamento dei dati or accennati, comple- tati, oltre il confine, anche con quelli della buona Carta del Gerlach. - 7 - La porzione di zona del Piemonte della nostra Cartina, rimane abbastanza bene delimitata, e cioè a N.W dalla zona carbonifera e dal massiccio cristallino del Gottardo, e a S.E dalla cosi detta zona dioritica di Ivrea, accompagnata da una fascia probabilmente permo- triasica \ Entro questi limiti gli svariatissimi scisti cristallini della zona del Piemonte risultano dalla nostra Cartina appartenere a due ben distinte formazioni geologiche, o per meglio dire a due gruppi di formazioni ^ E cioè: V la formazione degli scisti mesozoici prevalentemente calcareo- micacei, cioè : a) masse di calcescisti associati a filladi e anche a scisti micacei e gneissici, con amigdale di pietre verdi ossia roocie basiche eruttive (Giura i. g. p.); h) sottozone di calcari, dolomie, carniole, ^ Intorno a questo limite sud-orientale della « zona del Piemonte » io debbo dire, che vale più che altro a fissare, alquanto convenzionalmente in- vero, la zona geologica di cui qui io dovrò specialmente occuparmi. Ho detto convenzionalmente, perchè in fatto dai nostri rilevamenti i limiti della zona dioritica (o meglio massa dioritica) d’Ivrea rispetto alle masse di scisti cristal- lini collaterali vengono a perdere assai del valore fino ad ora generalmente loro attribuito ; come riesce assai più complessa la composizione litologica della zona dioritica stessa. Inoltre acquista importanza evidente la presenza della zona « pei*mo-triasica », o almeno probabilmente tale. Intorno a questi dati, che ancora rimangono da completare, rimando alla recente I^ota del collega Y. N^o- varese sulla Grafite nelle Alpi piemontesi (Atti della R. Acc. d. Scienze di Torino, Yol. XL, 1905). Aggiungerò soltanto come la indicazione di questa zona di probabile età « permo-triasica » che a S.W si continua nella analoga e analogamente situata zona di Montalto e Levone, può riuscire importante anche per le considerazioni relative alle eventuali radici interalpine delle supreme falde di ricoprimento delle prealpi svizzere, secondo le idee di Lugeon, Haug e altri geologi. * In questa distinzione fondamentale di terreni io sono qui in accordo non solo coi miei colleghi rilevatori deH’Ufficio geologico nelle AlpiPennine (S. Franchi e Y. Novarese), ma anche coll’egregio collega della Commissione geologica sviz- zera, il prof. C. Schmid t, che ebbe a instistervi nelle sue diverse note geolo- giche. - 8 — gessi e quarziti (Trias i. g. p.); e tutto questo complesso noi chia- meremo « formazione dei calcescisti od anche calcescisti in senso lato » ; 2^ la formazione degli scisti cristallini più antichi dei prece- denti, composta essenzialmente di roccie gneissiche, associate a mica- scisti, con amigdale di roccie eruttive basiche e acide, e con inser- zioni subordinate di calcari cristallini, e questo complesso noi chiame- remo « formazione gneissica od anche gneiss in senso lato » h La Cartina fa vedere, come le roccie di questa più antica forma- zione gneissica vengono ad essere smembrate in tante masse più o meno bene individuate, e fra loro separate da aree sinuose e più o meno continue di roccie della formazione mesozoica dei calcescisti. Le principali di queste masse quali risultano dalla ispezione della Cartina possiamo annoverarle coi nomi di: Gran S. Bernardo (che da Berisal a N si spinge a S fuori della Cartina oltre il Buitor) ; Dent- Blanche-Mont Mary ; Sesia- Val di Lanzo (essa pure spingèntesi a S fuori della Cartina fino alla Stura di Lanzo) ; masse ossolane (da suddi- videre più innanzi); e Ticino ^ ^ Come si vede le suddivisioni qui adottate sono ambedue alquanto « com- prensive », come direbbe l’egregio nostro collega del servizio geologico di Francia, il dotto prof. P. Termier ; però con estensione alquanto diversa da quella adottata nella sua brillante conferenza al Congresso geologico di Vienna del 1903 {Les schìstes cristallins des Alpes occidentaìes. Comptes-rendus du Congrès, fase. II). In essa, egli, mentre dava alla « formazione dei calcescisti, (troisième serie cristallopbyllienne), una estensione che pare troppo lata per la nostra regione, facendoli salire fino all’Eocene; dava invece una limitazione troppo ristretta alla nostra » formazione gneissica « (deuxième serie cristallo- phyllienne) ravvisando in essa puramente e semplicemente del Permo-carbonifero altamente metamorfosato. IS'oi senza escludere, anzi ritenendo probabile, che ciò sia per una parte di essa formazione, diamo ad essa in blocco un significato ben più comprensivo, che va dal Permiano all’Arcaico incluso. ^ In questa, come nelle altre denominazioni delle masse o massicci gneis- sici, ho cercato di rispettare i nomi già da altri geologi adoperati, per quanto era possibile. IS'aturalmente il lettore deve tener conto della differenza di va- lore che possono avere alcuni di questi nomi in confronto a quello loro asse- 9 ^ Intorno ai rapporti fra le due formazioni dei gneiss e dei calce- scisti importa qui richiamare T attenzione sui seguenti fatti fonda- mentali risultanti dagli studi geologici sulle Alpi Graie-Pennine e ap- plicabili, secondo me, anche alla nostra regione ossolana, e cioè : a) E ben vero che gli scisti cristallini della formazione dei gneiss presentano una grandissima varietà di tipi litologici diversi proba- bilmente di età, e di origine certamente differente (comprendendo roccie sicuramentee sedimentarie e altre sicuramente eruttive) ; e che parecchi tipi litologici si ripetono nei singoli massicci gneissici poco sopra enumerati ; ma è pur vero, ohe ciascuno di questi massicci presenta una certa individualità insieme litologica e tettonica. Per tal modo le aree di calcescisti vengono in genere a separare masse gneissiche geognosticamente differenti. h) La tettonica dei diversi massicci gneissici risulta assai varia e, a Sud delle masse ossolane, noi possiamo ben distinguere i seguenti casi caratteristici. Abbiamo semplici cupole affioranti a finestra di sotto ai calcescisti, ohe prima dell’ incisione delle valli li ricoprivano, nelle piccole masse di Boussine e di Arceza. Mancano nell’area della Cartina grandi elissoidi chiusi, a cupola, e tutt’ attorno cinti dai calcescisti, come sarebbe il Gran Paradiso a S della Dora ; abbiamo invece una mezza callotta grandiosa nella massa del Monte Rosa, la quale però a N.E va a complicarsi notevolmente come vedremo. La struttura a grandi fasci di banchi più o meno raddrizzati è rappresentata dalle masse allungate del Gran S. Bernardo e Sesia -Val di Lanzo; esse, mentre però tendono a struttura isoclinale prevalente, affettano qua e là struttura a ventaglio, anzi verso sud la seconda di esse presenta struttura a volta. La tipica struttura a ventaglio la ritroviamo gnato dai geologi, che tentarono, con elementi molto più imperfetti dei nostri, schemi geotettonici della nostra regione, come il Diener nel suo noto lavoro del 1891 [Der Gebirgshaii der Westalpeii, Wien, 1891), e l’Haug nel suo pre- gevole studio del 1896 {Etiides sur la tectoniqiie des Alpes suisses, Première partie, Bull. Soc. géolog. de Frane"*, Troisième serie, Tom. XXIY, année 1896). Per le masse ossolane, i nomi, che adotteremo più innanzi, sono essenzialmente quelli del Gerlacli, che li adoperò pressoché nello stesso nostro senso. nel gemino elissoide Dent Blanche-Mont Mary, lungo la periferia del quale lo svasamento diventa cosi forte da dar luogo a dei notevoli ricoprimenti per rovesciamento di gneiss sui calcescisti. Ne sono esempi il Cervino, dove la massa ricoprente ha continuità colla massa prin- cipale dei gneiss ; la falda coricata di Gignod, quasi completamente isolata dall'orlo dello elissoide; e finalmente la massa suborizzontale del Pilonet, disposta a lembo gneissico isolato in ricoprimento sui calcescisti, e probabilmente staccata dalla massa principale non solo per erosione, ma anche per movimenti orogenici complessi di cui par- leremo. Analoghi fenomeni troviamo nelfesame delle masse gneis- siche ossolane. c) Le fascie o strisele di calcescisti risultano essere sinclinali più o meno complesse racchiuse e strette fra i massicci gneissici : esse sono variamente deformate ; cioè costipate, stirate e laminate, si da adattarsi ai massicci gneissici stessi; di modo che su una carta geologica particolareggiata, le roccie svariate di questa formazione, pur facendo parte di pieghe complesse, si presentano, rispetto ai mas- sicci gneissici, come lingue sinuose adattanti si nei loro andamenti con un marcato parallellismo alle linee perimetrali di quelli. Cosicché quando le fascie di calcescisti si assottigliano, ci si presentano come cinture sinclinali attorno e fra i massicci medesimi ^ ; le quali non sono affatto da confondere nella interpretazione tettonica e nella co- struzione di profili geologici colle comuni fascie di strati più giovani, cingenti tutt’ attorno delle semplici anticlinali. E sarebbe errore di ^ È questa la struttura che, in un certo senso a ragione, fu chiamata « strut- tura amigdaloide » da M. Bertrand. Essa risulta magnificamente dalla ispezione di carte geologiche al 100,000 del nostro Ufficio geologico fino ad ora inedite. Un esempio se ne può avere da quella porzione che fu pubblicata per cura deiring. E. Mattirolo, comprendente le Valli di Lanzo [Carta geo-litologica delle Valli di Lanso nella scala di 1:100,000 secondo i rilevamenti del R. Ufficio geologico, con schiarimenti, nel ricco volume del Club Alpino italiano « lo Valli di Lanzo »). In essa carta si vede la complessa sinclinale di « zona delle pietre, verdi » che si adatta tripartendosi ai tre massicci del Gran Paradiso a V, Dora-V al Maira a S e Sesia- Val di Lanzo a V.E. ~ 11 — credere che esse fossero state tutte e sempre in generale originaria- mente riunite al di sopra dei massicci gneissioi, e fossero tutte e sempre da riunirsi in alto nei profili geologici mediante raccordamenti aerei. Ciò vedremo a proposito delle cinture sinclinali delle masse gneis- siche ossolane. d) Cosi intesa la cosa, non dovrebbe riuscire strano, come può parere a prima vista, che anche delle strette cinture di calcescisti sepa- rino talora masse gneissiche notevolmente differenti. Trattasi appunto in generale di sinclinali profonde strettamente costipate, che si pre- sentano bensì come interposizioni sottili fra banchi gneissici attual- mente accostati, ma che separano masse gneissiche originariamente abbastanza lontane da giustificare a sufficienza diversità di facies e talora anche disformità di origine. Del resto la dissimiglianza delle masse gneissiche dalle due bande delle singole zone di calcescisti, non è da ritenersi assoluta nè gene- rale e tende a scomparire quando le zone si assottigliano fino a zero, cioè in massima appunto quando si restringono e si ^rialzano le sincli- nali originarie. Citeremo ad esempio la sufficiente analogia d’insieme fra le masse della Dent-Blanche e del Mont Mary, separate da poco profonda e stretta sinclinale calcare ; la identità dei gneiss all’esterno e all’interno della zona incurvata di pietre verdi fra Valle Anzasca e Valle Antrona. Analoghi fenomeni riscontreremo nelle masse ossolane che dob- biamo esaminare più oltre. e) Il contatto fra masse gneissiche e formazione di calcescisti è in generale concordante e abbastanza netto. La concordanza però va intesa in senso alquanto lato ; nè deve escludere del tutto, una originaria, se pur non grande, discordanza di trasgressione, per la presenza di notevolissimi arricciamenti nei calcescisti a direttrici molto più strette e diverse da quelle generali d’ incurvamento ai con- tatti ; come pure per la presenza, non invero frequente, di doppia sci- stosità, di cui quella di stratificazione diverge dalla scistosità delle — 12 - due formazioni a contatto; infine per la presenza di parti breccioso- conglomeratiche in alcuni di questi contatti ( es. lungo il contatto N.W del gneiss di Antigorio). Quanto alla nettezza del contatto fra gneiss e calcescisti va pure intesa in senso non assoluto, essendovi attorno a quasi tutti i massicci gneissici dei punti, dove si potrebbe credere a prima vista abbia luogo una specie di transizione, per alternanze reciproche di gneiss e calcescisti. E questo un punto molto delicato la cui spiegazione difficilmente si troverebbe nei singoli oasi particolari, ma che risulta invece da un attento esame comparativo colla restante porzione dei contatti normali. Questo esame fa vedere in casi favorevoli come le apparenti intercalazioni di calcescisti nei gneiss all’ interno del con- tatto, escano fuori grado grado a raccordarsi colla massa principale esterna al contatto ; confermando così il concetto di una certa origi- naria discordanza dei calcescisti rispetto ai sottostanti gneiss ; cosicché le apparenti alternanze sarebbero da interpretare come risultanti da ripiegamenti e laminazioni di contatti sensibilmente discordanti b Su di ciò io ho fatto già cenno per la nostra regione ossolana, a suo luogo, e dovrò tornare più innanzi. * ih ih Tenendo presenti i dati e concetti ora esposti, si possono, secondo me, superare le diverse difficoltà di interpretazione tettonica che pre- senta la nostra zona del Piemonte, difficoltà che si trovano per cosi dire concentrate nella regione ossolana. Ivi infatti la zona del Pie- monte si restringe, e mentre si serrano Tuna contro l’altra le masse gneissiche provenienti da S.W, nuove masse vi si aggiungono, sempre ^ Una ripetizione di questo fenomeno si ha al contatto fra la « zona car- bonifera e la formazione mesozoica dei calcescisti », come ebbimo occasione di mettere in evidenza il collega Franchi ed io nel nostro stadio geologico sui giacimenti di antracite della Valle d’Aosta (vedi il Volume XII delle Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: I giacimenti di antracite iielìe Alpi occi- dentali italiane, Memoria 1^). - 13 — separate da strette fasoie di calcescisti, e tutte poi si perdono o si saldano insieme verso N.E confondendosi nell’ unico massiccio del Ticino, conformato a grande volta ribassata. La complicazione di questa parte della zona del Piemonte, e ancora più specialmente della porzione Antigorio-Monte Leone, risulta anche dalla semplice ispezione della nostra Cartina. La quale però mostra anche, come questa complicazione non sia propriamente loca- lizzata alla suddetta regione a N di Domodossola, ma già incominci a farsi notevole anche a 8.W di questa città, in quella regione che si estende dalla Toce al Monte Rosa e ohe potremmo chiamare regione Monte Rosa-Camughera. Fu già accennato al complicarsi che fa il massiccio del Monte Rosa verso N.E, cioè appunto nella regione in parola, e chi osserva attentamente la nostra Cartina rileva una inne- gabile omologia fra le due regioni Monte Rosa-Camughera e Anti- gorio-Monte Leone, omologia che può aiutarci nella intelligenza della tettonica di quest’ ultima regione. Fu già addietro notato, come il massiccio del Monte Rosa sia ben diverso dal semplice massiccio cupoliforme del Gran Paradiso, anche facendo astrazione dalla natura litologica di esso molto più varia e com- plessa. Esso nella sua porzione S.W affetta abbastanza regolarmente la forma di una semicalotta di gneiss {lato sensu) avvolta all’esterno da una fascia, litologicamente assai svariata, di calcescisti il. s). Ma questa, mentre girando a S.E si riduce a una stretta e raddrizzata cintura sinclinale che muore alla Valle Anzasca; a N prosegue oltre il confine inclinata all’esterno del massiccio, ma restringendosi; indi volge strettissima verso E attraverso la Valle di Saas, si riduce verticale prima di attraversare la Val Vaira. Di là allargandosi rientra nel nostro confine con singolare andamento sigmoidale e con pendenza variabile attraverso Val Bognanco e Vall’Antrona (ove i calcescisti propriamente detti han ceduto il posto alle pietre verdi), di li incurvasi di nuovo bruscamente nel versante sinistro di Valle Anzasca, donde ridottasi di nuovo strettissima, e raddrizzata e nuo- vamente parallela all’ andamento generale S.W-N.E, muore prima di raggiungere la valle della Toce a Villadossola. 14 — E le masse gneissiche che fiancheggiano questa fascia sigmoidale di calcescisti {l. s.) vi si adattano nei loro andamenti, sia la interna massa di Cima Camughera, sia la esterna del Monte Rosa. Co- sicché la prima, litologicamente anche più complessa della seconda, viene a costituire un fascio di banchi generalmente raddrizzati, in- curvato fortemente nel senso della sola direzione, con convessità a S.W; mentre la seconda costituisce un segmento di elissoide irregolare a semicalotta ricoperta esternamente dalla fascia dei calcescisti, ma in- ternamente ricoprente in parte i calcescisti {l. s ). Ambedue le masse poi si riducono parallele e verticali verso N.E proseguendo riunite attraverso la Val Vigezzo verso la gran massa ticinese. La omologia fra questa disposizione nella regione Monte Rosa- Camughera e quella della regione Antigorio-Monte Leone, è evi- dente, pure ammessa una ancor maggiore complicazione in quest^ultima. Alla fascia sigmoidale di calcescisti Valle Vaira-Valle Bognanco- Valle Antrona-Villadossola corrisponde la doppia cintura dei calce- scisti, detta di Devero (Gerlach); la quale, dipartendosi dalla principale fascia di calcescisti Brieg-Airolo dall’alta Valle Formazza, gira per Gondo e Crevola a Bosco in Valle Maggia. All’interno di essa il mas- siccio di Antigorio a callotta deformata (come vedremo potersi consi- derare) corrisponde ai nucleo gneissico di Cima Camughera; mentre all’esterno di essa alla semicallotta del Monte Rosa corrisponde la fascia semicircolare del gneiss detto di Monte Leone (MI della Cartina) che si incurva e si corica, accompagnando e ricoprendo per lunga estensione la cintura dei calcescisti di Devero dalla Punta d’Arbola al Monte Pioltone, donde dirigendosi a N.E più raddrizzato si salda nella gran fascia gneissica di Val Vigezzo con i massicci precedenti. Tenendo di mira questa omologia si può notare che, se nella re^ gione Monte Rosa-Camughera s’ immaginasse avere luogo un maggiore costipamento nel senso trasversale N.W-S.E e un maggiore stira- mento nel senso longitudinale S.W- N.E, si arriverebbe ad una dispo- sizione generale ancora più simile a quella della regione Antigorio- Monte Leone; almeno per ciò che riguarda l’andamento della cin- tura complessa sigmoidale dei calcescisti. 15 Ambedue poi le regioni confinanti considerate sono esteriormente cinte da calcescisti, e le due cinture vengono ad accostarsi fra di loro appunto a S.E del Sempione; verso la cresta Valle Bognanco- Valle Vaira, dove viene a interporsi fra di loro la porzione settentrionale della massa gneissica del G-ran San Bernardo. Questa bipartendosi va a terminare da un lato nella conca di Berisal contro due digitazioni del gneiss di Monte Leone, mentre dall’altro si insinua a cuneo nel- l’alta Valle Bognanco fra le masse del Pioltone e di Domodossola. * * A meglio mettere in evidenza gli elementi tettonici della nostra regione Antigorio-Monte Leone, riesce molto opportuno un profilo, come quello che io ho scelto fra i diversi profili manoscritti già presentati nella mia comunicazione dello scorso anno alla Società geologica, e che è condotto attraverso alla regione Antigorio-Sempione da Brieg per Iselle fin oltre Gira, coincidendo nella prima tratta colla diret- trice della grande galleria del Sempione; cosicché in esso profilo sono oggettivamente riportati riassunti anche i dati lungo essa rilevati, oltre che quelli del rilevamento geologico di superficie, schematica- mente riportati anche nella nostra Cartina geologica. Prendendo in considerazione Cartina e profilo, e indipendente- mente da ogni ricostruzione tettonica ipotetica, noi possiamo osservare anzitutto come al di qua del massiccio del Gottardo si presenti sul terreno attraversato dal nostro profilo una successione di masse gneissiche, separate da altrettante sinclinali di calcescisti \ Queste sono le seguenti: anzitutto la grande complessa sinclinale raddrizzata Briga-Eisten, indi le minori via via più coricate di ^ Su questi dati il mio profilo riassuntivo è in massima abbastanza in ac- cordo con quello particolareggiato pubblicato dal prof. H. Scbardt fino dal 1903 nella sua interessante Memoria : xiofe sur le profil géologique et la tectonique dii Massif du Simplon, comparés aiix travanx antérienrs (Eclogae geologicae Hel- vetiae, Yol. Vili, n. 2). A parte alcune differenze nella inclinazione di alcuni contatti in galleria, — 16 - Ganter, di Amoinciei, di Avino, del Valle e del Possetto. Segue la sinclinale suborizzonfeale di Varzo, poco più a N della linea del pro- filo (in cui si svolse la galleria elicoidale di Varzo), e finalmente le due sinclinali raddrizzate di Gira. Queste sinclinali separano le diverse masse gneissiclie, cioè : quella di Berisal che, come sappiamo, è una delle parti terminali della massa del San Bernardo (Sb nella Cartina e nel profilo); quella di Ganter del profilo) e quelle ai due lati del lago di A vino Ml^ del profilo), tutte e tre digitazioni evidenti della massa detta di Monte Leone {MI della Cartina); poi la grande massa di Antigorio (A della Cartina e del profilo), e la stretta massa detta di Lebendun che io ho cercato di mantenere fedeli alla media delle osservazioni eseguite, e la segnatura schematicamente riassuntiva da me data alla complessa zona di Granter (del che sarà detto più innanzi), vi sono però alcune differenze da rilevare. Una è all’esterno alla punta di Amoinciei dallo Schardt segnata in calce- scisti (/. 5.), e da me rilevata, composta di un complesso di gneiss a due miche passanti a micascisti e contenenti banchi-lenti di anfiboliti, complesso assimi- lato per ciò da me colla massa gneissica di Berisal (Gran San Bernardo). Anche i colleghi rilevatori della Carta geologica svizzera fecero analoga con- statazione in quella parte della cresta di confine. Altra differenza è in galleria, dove fra il km. 8 e 8 1/2 dall’imbocco Brieg lo Schardt assimila ai calcescisti (/. s.) un complesso di scisti micacei in parte gneissici con banchi ripetuti di quarziti, complesso qua e là calcarifero con nidi di calcite e anidrite; complesso, che io dopo ripetuti confronti del ma- teriale della collezione ufficiale inviato airUfficio geologico e del materiale di rilevamento, non ho potuto decidermi ad ascrivere al mesozoico. — Mi affretto però a dire che questa differenza di apprezzamento fra me ed il chiaro geologo di Lausanne non vale affatto a cambiare per nulla le considerazioni che seguono più innanzi sulla interpretazione geo-tettonica del profilo. Chi volesse trovare una via di accordo su questo punto, potrebbe essere tentato ad attribuire al complesso controverso un livello all’incirca permo-triasico ; con che le nostre costruzioni nulla avrebbero da mutare. Analogamente si potrebbe pensare dei micascisti di Yarzo, di Baceno, della Frua e del Yallè. Di questi ultimi gli scisti in parola del tunnel sono evidentemente la prosecuzione in profondità. Quanto alla importanza un po’ maggiore che ha la prima delle differenze citate, sarà detto qui poco più innanzi. — 17 — (L della Cartina e del profilo), inourvantesi ad arco e incontrata due volte dal profilo nostro; finalmente al di là di Gira la massa gneis- sica di Valle Isorno, corrispondente alla massa del Monte Leone e saldantesi colle più volte accennate masse vigezzine. Queste diverse masse gneissiclie, come fu notato avvenire in generale delle maggiori masse delle Pennine, sono nel loro insieme litologicamente abbastanza bene caratterizzate, sì da essere riconosci- bili anche in profondità, dove infatti furono incontrate dalla grande galleria; mentre non si possono confondere colle roccie delle sincli- nali di calcescisti. Queste però in profondità furono incontrate sol- tanto in parte, come risulta dai riporti da me fatti nel profilo, nei quali ho avuto cura di segnare fedelmente non solo Tubicazione delle formazioni superficiali e profonde, ma anche le loro inclinazioni effettivamente osservate ai loro contatti, essendo il profilo studiato pressoché normale ai generali andamenti di direzione. Se in base ai dati di fatto accennati e riportati sulla nostra sezione, si vuol tentare una interpretazione tettonica, pare molto na- turale anzitutto di raccordare fra di loro dalla superficie al piano della galleria quelle linee di contatto, fra i diversi terreni, che mostrano di essere già in prosecuzione geometrica l’una delPaltra; e in secondo luogo di chiudere al disopra della galleria quelle zone sinclinali che per tal modo risulta non essere state incontrate dalla galleria ; chiu- dendo invece al disotto di questa le zone sinclinali ohe da essa fu- rono attraversate. In base a questi criteri si verrebbe ad avere come probabile fan- damento delle linee da me segnate al disotto della superficie del ter- reno, in accordo anche con i nostri dati di rilevamento e di osserva- zione ; intorno a che occorre di aggiungere alcune spiegazioni. Gli andamenti a strette sinclinali ripetute della complessa zona di calcescisti {l. s.) Brieg-Eisten, vengono suggeriti dalla ripetizione di zone calcareo-gessose (Trias) di mezzo agli scisti filladici argillo-oal- carei (Giura), ripetizione che fu dai precedenti geologici ed è qui pure ridotta al ritorno, in pieghe anticlinali, del medesimo terreno. Anzi 9 — 18 — presso al contatto Sud di questa zona sotto Eisten, si avrebbe anche una interposizione di banchi gneissici nei calcari al di là del con- tatto da me segnato fra la zona dei calcescisti (Z. s.) e gli gneiss di Ganter (i/ZJ. Analogo fatto si ripete dalia banda opposta di questo gneiss di Ganter; e cioè nella successiva sinclinale di calcescisti di Ganter [a del profilo) si avrebbero pure interposizioni gneissiche. Queste interposizioni gneissiche (da me non segnate in questo profilo riassuntivo) corrisponderebbero al fatto addietro rilevato e spiegato, intorno al modo con cui avvengono talora dei contatti complicati fra le masse gneissiche e la posteriore formazione dei calcescisti. La sinclinale di Amoinoiei (a'), che scende fino alla galleria al km. 7 circa da Briga, non è altro per me che il nuovo incontro del piano della nostra sezione colla stretta e complicata cintura sinclinale di calcescisti già incontrata a Ganter {a) ; la quale contermina i gneiss di Berisal {Sh) della zona del Gran San Bernardo. Il suo sprofondarsi al disotto del piano della galleria corrisponde bene alla diversità com- plessiva fra le masse gneissiche di Berisal, interne alla cintura sincli- nale, e quelle del Monte Leone esterne ad essa. Quanto alle due sinclinali seguenti di Avino (ò) e del Vallò (c), il fatto che esse non scendono fino al piano della galleria risponde molto bene all’andamento pianimetrico di queste cinture sinclinali risultante dal rilevamento particolareggiato, e messo in evidenza anche nella nostra Cartina. Si vede da questa come la zona sinclinale del Valle proveniente dalla Valle Formazza venga a chiudersi alla cresta di Camera, poco a S cioè del nostro profilo; mentre poco più a N di esso nasce la sinclinale di Avino presso allomonimo lago ; donde, sostituendo in certo modo la precedente, spingesi a S per gi- rare poi parallellamente alla principale sinclinale del Fossetto. Qui io ho segnato ML, Ml^ i gneiss dalle due bande della sincli- nale d’ Avino, per indicare che essi non sono che due digitazioni della medesima massa di gneiss detta del Monte Leone, come infatti sono anche litologicamente molto somiglianti. Ciò si accorda pure col fatto della non grande profondità della sinclinale di Avino sottoda superficie. — 19 — Non cosi potrebbe dirsi al riguardo del così detto gneiss di Le- bendun (L), il quale pur separato qui da una sinclinale non dissimile dalla precedente, non sfuma in basso, come si potrebbe credere, ma si mantiene abbastanza bene caratterizzato nella zona gneissica con- tigua alla sinclinale del Fossetto, tantocliè anche nella callotta gneissica ribassata incontrata dalla galleria nella tratta fra il km. 5 V2 ^ dall’imbocco Iselle, furono trovati tipi caratteristici di gneiss di aspetto conglomeratico, da me segnalati in più punti della massa detta di Lebendun. Questa corrispondenza, già da me segnalata nella nota dello scorso anno, mentre per un lato conférma la corrispon- denza fra le zone profonde e le superficiali quale risulta dalla nostra costruzione tettonica, dovrebbe dalF altro far supporre che la dispo- sizione della sinclinale del Valle sia in parte dovuta a laminazione meccanica; di cui sarebbero traccia le infiltrazioni calcareo -gessose segnalate in galleria all’ottavo chilometro da Iselle, in corrispondenza dell’approssimativa prosecuzione geometrica della sinclinale del Valle in profondità. È da osservare inoltre, che effettivamente lo sviluppo speciale di gneiss di Lebendun cessa però rapidamente appunto a Sud del nostro profilo : dove la zona gneissica interposta in anticli- nale fra le due cinture di calcescisti, appare con facies molto somi- gliante e talora identica a quella dei gneiss esteriori. Passando alla sinclinale del Fossetto cosi singolarmente defor- mata e bipartita in profondità, osserviamo anzitutto, che essa è la più continua e si svolge ininterrottamente attraverso tutta la regione Antigorio-Sempione, come risulta dalla nostra Cartina. Quanto alla singolare biforcazione che essa mostrerebbe in profondità secondo la nostra sezione geologica conviene osservare come il fatto non sia tanto eccezionale, ma ricorre in parecchi profili di altre regioni tettonica- mente complicate; e in secondo luogo come esso sia accennato e par- zialmente constatato anche fuori della linea del nostro profilo nelle stesse Alpi Fennine sia a N che a S di essa. A Nord infatti l’incisione della Valle Bavona superiore e della Valle Formazza, mostrano un accentuato svasamento verso il basso della 20 — medesima tormentata sinclinale, svasamento pari a quello che avrebbe incontrato la galleria del Sempione, se fosse stata tracciata alcune cen- tinaia di metri più elevata. E d’altra parte la profonda incisione della confluenza V. Antigorio-V. Devero presso Baoeno, e di quella V. Di- vedrò-Val Cairasca presso Varzo, mostrano allo scoperto un anda- mento di sinclinali suborizzontali corrispondente a quello del ramo meridionale della biforcazione da me tracciata nel profilo; andamento che la galleria del Sempione avrebbe incontrato, se invece fosse stata tracciata qualche centinaio di metri più bassa. Inoltre, come io ebbi già a far notare nella mia precedente nota, la galleria elicoidale di Varzo è venuta appunto a svolgersi per entro a questo ramo della sinclinale suborizzontale, mettendone in evidenza la mirabile sim- metria: essa incontrò infatti due zone calcareo -gessose (Trias) l’una al disopra e l’altra al disotto dei calcescisti propriamente detti (G-iura) mentre le zone triasiche stesse sono qui a lor volta accompagnate, come a Baceno, dai micascisti granatiferi che la separano sopra e sotto dal gneiss. Ma anche a Sud del nostro profilo si verifica la biforcazione in profondità di sinclinali complesse di calcescisti, come appare ap- punto dal profilo studiato nella Tavola III, e di cui parleremo, dove si vedono le due sinclinali principali sdoppiarsi in profondità e incap- pucciare cosi le due calotte gneissiche di Boussine e di Arceza. E finalmente resta a dire delle sinclinali abbinate di Gira, da me segnate sulla sezione colle lettere b' e d\ per indicare, come esse non siano rispettivamente, che il ritorno delle sinclinali di Avino ih) e del Fossetto (d), alle quali sono in planimetria indubbiamente legate, come mostra la nostra Cartina, senza che ne venga di necessaria conseguenza anche il loro raccordamento aereo, come fino ad ora si è fatto. E questo un punto molto importante sul quale ci conviene fermarci. Ammesse nella nostra ricostruzione tettonica le sinclinali più o meno deformate di calcescisti, dobbiamo necessariamente ammettere — 21 in anticlinali più o meno deformate le masse gneissiche; e io ho se- gnato punteggiata nella mia sezione non solamente l’anticlinale del gneiss di Antigorio (A), che effettivamente è dato di constatare sul ter- reno, ma anche ranticlinale del gneiss di Berisal o del Gran San Ber- nardo (Sb) con tracciato ipotetico. Ma dopo ciò non ci è dato di rac- cordare in alto, ossia con linee analogamente aeree, le diverse ali delle sinclinali, che fiancheggiano quelle anticlinali gneissiche, e che si trovano fra le diverse masse gneissiche ; che otterremmo delle costru- zioni geometricamente non comportabili col presupposto da noi am- messo nell’assetto stratigrafico delle formazioni. Ciò significa adunque, che le coppie di sinclinali a-a', h-h', d-d\ sono raccordabili soltanto in planimetria, cioè sono il doppio incontro del nostro piano di sezione con cinture sinclinali che abbracciano le masse gneissiche senza averle effettivamente ricoperte tutt’ al disopra; pur ammettendo che Terosione abbia anche potuto esportare parti di esse prima esistenti. E per spiegarci un tale comportamento tettonico, noi non pos- siamo che ricorrere a un corrugamento complesso, avvenuto almeno in due fasi successive. In una prima fase le masse di calcescisti {L s.) probabilmente fin dalfiorigine discontinue e in trasgressione almeno leggiera e parziale sopra i preesistenti e forse già abbozzati mas- sicci gneissici, furono ridotte a sinclinali raddrizzate racchiuse fra le masse pressoché concordanti dei gneiss. In una seconda fase debbono queste sinclinali, insieme con i gneiss medesimi, aver subito un nuovo costipamento con notevoli incurvamenti e deformazioni. Il risultato finale si capisce come potesse essere la disposizione di masse gneissiche delimitate da fascie e cinture sinclinali affette in alcuni casi particolari di notevoli deformazioni, cioè eventualmente ri- piegate o coricate insieme coi gneiss ohe erano venuti a fiancheggiarle. Gli è a questo modo, che nel nostro concetto sono risultate e la cintura sigmoidale della regione Monte Rosa-Oamughera, e le cinture sigmoidali e incurvate e in parte ripiegate della regione Antigorio- Sempione. 22 Per esempio noi vediamo in questa regione dei magnifici rico- primenti soprapposti ; cominciando da quello indicato nel nostro profilo dal Fossetto ad Amoinciei; esso si continua e si esagera a N al Cisfcella, indi al Monte Giove, al di là si va però attenuando, e tendono le cin- ture sinclinali a raddrizzarsi, come pure rapidamente si raddrizzano a S e poi a S.E girando attraverso la Valle Antigorio! Ma anche dalla banda opposta il massiccio di Monte Leone tro- vasi localmente in ricoprimento sui calcescisti che lo fiancheggiano a N.W, come avviene nella conca a monte di Binn. Le cinture sinclinali adunque sono coricate dalle due bande della massa gneissica principale, che affetta cosi parzialmente la struttura a ventaglio insieme colle sue masse laterali; struttura comune ad altre parti della nostra zona del Piemonte nelle Pennine, come ve- demmo. Ma v’ha di più : la cintura sinclinale che delimita e abbraccia la massa gneissica di Berisal (Sb) e che è incontrata dal nostro profilo nelle due zone sinclinali di Ganter (a) e di Amoinciei (a) ; non sol- tanto si corica talora insieme coi gneiss collaterali, come per esempio lungo quasi tutta la cresta di confine; ma si ripiega anche in sè stessa, come avviene appunto in modo ben visibile sulla parete italiana del Monte Leone. Ivi la cintura dei calcescisti mostra la ben nota piega con cerniera visibile a S, avendo per nucleo il gneiss di Berisal, e per involucro il gneiss del Monte Leone. Ma a N e a S i due rami deU’incurvamento della cintura si raccordano, l’uno girando a N.E e poi a N e N.W, l’altro a N.W e quindi a S a completare il giro della parte terminale del massiccio del Gran San Bernardo (come si vede schematicamente indicato anche nella Cartina). Finalmente la ben nota (e già dal Gerlach rilevata) piega coricata del gneiss di Antigorio si può pure considerare, come la deformazione del massiccio gneissico foggiato verso S a mezza calotta e affetto da una pronunciata infossatiira inferiore dal lato N.W, infossatura òhe poi si perde verso S e verso N. Ivi la cupola raddrizzasi e va a saldarsi alla restante massa del gneiss ticinese, mentre la cintura — 23 — sinclinale che lo cingeva, in parte ricoprendolo e in parte ed esso soggiacendo, essa pure raddrizzatasi muore, poco oltre il confine verso Val Bavona. Cosicché la complicazione tettonica della nostra regione Ossola- Sempione, pure maggiore che nelle regioni contigue, diventa plausi- bilmente spiegabile con questo nostro concetto di almeno una doppia fase di corrugamento, concetto che è in accordo, del resto, coi risul- tati generali della geologia alpina. Il presupposto poi di tutta la nostra interpretazione tettonica è sempre questo, che le nostre masse gneissiche, per quanto si presen- tino deformate e ripiegate, siano autoctone, cioè abbiano tutte la loro radice in profondità; radice la cui posizione lungo il nostro profilo risulta da esso. * * * Invece si arriverebbe ad una interpretazione tettonica radical- mente diversa partendo dal presupposto contrario, che cioè le masse gneissiche a N.W del massiccio di Antigorio non siano autoctone. Supposto cioè, che alla stessa guisa del gneiss di Antigorio tutte le formazioni gneissiche siano anticlinali lunghissime, aventi radice a S.E e coricate o carreggiate a N.W, le singole masse gneissiche di Lebendun (A), Monte Leone (MZ), San Bernardo (/b’è), considerate nel nostro profilo, diventerebbero altrettante teste di anticlinali strapiom- banti verso la Svizzera al di là del gneiss di Antigorio, e da raccor- darsi con altrettante radici al di qua di esso ; mentre per necessità la presenza delle sinclinali interposte di calcescisti darebbe luogo, in parte almeno, alla presenza di altrettante pieghe secondarie in senso inverso. Ne nascerebbe così una interpretazione tettonica come quella da me indicata nella figura 2 della Tavola II. E questa l’ardita ipotesi delle grandi pieghe unilaterali dall’in- terno all’esterno dell’arco alpino, colla quale il Lugeon e lo Schardt applicherebbero alla tettonica della nostra regione, in piena zona del Piemonte, le medesime idee geniali e grandiose, che paiono atte a spiegare i grandi fenomeni di ricoprimento delle prealpi svizzere \ Il Lugeon la espose, con riserva e come semplice ipotesi, nella sua memoria, dando anche uno schizzo del profilo del Sempione in base ad essa ; lo Schardt poi ne affermò recentemente la perfetta consta- tazione applicandola allo stesso profilo più particolareggiato ^ È necessario quindi, che noi facciamo qui una discussione pren- dendo a base il nostro profilo n. 2, Tav. II, nel quale io ho adottato, coi medesimi dati di fatto riportati nel profilo n. 1, la costruzione che scaturirebbe dalla sua applicazione. Anzitutto io richiamo qui alcune differenze già addietro accen- nate nei dati di fatto del mio profilo rispetto a quello dello Schardt; che se, malgrado ciò, la interpretazione e costruzione che ne risulta ri- mane essenzialmente la medesima, ne resta invece scalzato il fonda- mento della interpretazione stessa. Mancando infatti nel profilo il dato di fatto del nucleo di calcescisti mesozoici in corrispondenza della piega del Monte Leone, calcescisti (l. s.) segnati nel profilo dello Schardt alla punta Amoinciei dove i rilevamenti miei in accordo con quelli del prof. Schmidt danno il gneiss di Beri sai (Sb), cade in primo luogo l’argomento principale, che secondo lo Schardt è la chiave della interpretazione e quasi la rende necessaria. Ridotta, nel nostro profilo, al suo vero valore ipotetico la costru- zione applicatavi, se noi scendiamo poi a un esame particolareggiato di essa, vediamo come essa urti contro gravissime difficoltà. ^ M. Lugeon, Les grandes nappes de recoiivrement des Alpes dii Chahlaìs et de la Saisse (Bullet. Soc. géol. de Trance, 4® serie, Tom. I, 1901). Questo schizzo di profilo dell’autore insieme coll’altro che lo accompagna attrayersante la regione più a IN’ord sono a detta dell’autore stesso una semplice applicazione grafica del suo supposto, basata sulla Carta del Gerlach ; i risultati dei rilevamenti particolareggiati modificano notevolmente, non solo la sezione del Sempione, come vediamo qui, ma anche l’altra, ove è da osservare che neppur la cerniera della piega segnata nel gneiss del M. Leone sotto la P. d’Arbola (Ofenhorn) non risulta visibile sul terreno, come potrebbe parere dal suo schizzo. ^ H. Schardt, Note sur le profil géologiqiie et la tectoniqiie dii Massif da Simplon, etc. (Eclogae geologicae Helvetiae, Voi. Vili, n. 2, Lausanne, 1903). — 25 — Notevole prima di tutto il fatto, che i raccordamenti delle zone di calcescisti riescono in questa costruzione alquanto strani, poiché mentre non si fa il raccordamento fra la zona superficiale di Amoin- ciei e quella profonda del km. 7 (da Briga), ohe sono fra di loro in geometrica prosecuzione; invece si è obbligati a raccordare con un andamento ad s affatto singolare, la zona di Avino col contatto pro- fondo del km. 9 (da Iselle), contatto la cui prosecuzione geometrica verrebbe invece a cadere al Fossetto. Una seconda difficoltà, più grave, nasce dai rapporti, che nella costruzione tettonica vengono ad assumere fra di loro le masse gneissiche. Giacche la massa dei gneiss di Berisal {Sb) cosi differente dai gneiss del Monte Leone (Ml^ del l'’ profilo) viene a essere a questi {Sb del profilo) vicinissima per esserne separata dalla poco pro- fonda zona sinclinale, singolarmente rovesciata, di Amoinciei. Invece sono completamente separate dalla lunghissima sinclinale rovescia di Avino le due porzioni di gneiss affatto simili {Ml^^ Ml^) dalle due bande del Lago di Avino. Analogamente separate e indipendenti vengono a trovarsi le masse di Lebendun incontrate in superficie (L del profilo F) e in profondità (calotta fra il km. 5 ^ e 7 da Iselle), già più sopra ri- marcate. Ma più grave di tutte, e per quanto a me pare insuperabile, è la obiezione, che sorge dall’esame comparativo del profilo colla Cartina geologica, a riguardo del raccordamento aereo delle zone di calce- scisti del Vallò e di Gira. Questo raccordamento, che porta a distin- guere qui le due lunghe sinclinali rovesciate b-b' e d-d' appare geome- tricamente soddisfacente dalla ispezione del solo profilo; ma se invece seguiamo sulla Cartina geologica l’andamento pianimetrico delle zone stesse, esso ci riesce incomprensibile. Fu già notato, come la sola zona del Fossetto {d-d') sia continua in planimetria, mentre le zone di Avino e del Vallò si sostituiscono in certo modo l’una all’altra, nascendo la prima poco a N del nuovo profilo, mentre muore poco a S di esso la seconda. Ne viene di conseguenza, che in profili con- — 26 - dotti più a N del nostro, dovrebbe ad un certo punto la fascia rac- cordata h h' bruscamente cessare e sopravvenire invece a sostituirla la fascia c-c'; la qual cosa è da escludersi sicuramente. Questa impossibilità geometrica e le sopra enumerate difficoltà, non ci permettono quindi di applicare alla nostra regione la ipotesi dei grandi ricoprimenti per lunghe pieghe coricate unilaterali dal- rinterno all’esterno delFarco alpino; fenomeno, ohe pur avendo luogo nella zona delle prealpi, non pare aver luogo ugualmente nella zona alpina del Piemonte, la cui genesi tettonica risulterebbe differente. L’ipotesi ardita e a prima vista attraente fu invero accolta, anche per la nostra zona alpina, dal nestore della geo-tettonica alpina, il Suess. L’acuto e infaticato geologo viennese nella sua recente comunicazione all’Accademia di Francia \ trova argomento a conva- lidare quell’ipotesi nella osservazione che le roccie basiche da me e dagli altri geologi osservate nelle masse gneissiche della regione del Sempione e presso al contatto di essa coi calcescisti, potrebbero non essere autoctone, ma invece rappresentare masse colà portate per carreggiamento {charriage) “ e provenienti dalla zona basica di Ivrea. Ma l’osservazione acuta avrebbe un certo valore soltanto nel caso, che le roccie basiche, supposte carreggiate a N.W, avessero una certa corrispondenza litologica con quelle della ipotetica lontana radice a S.E. Ciò invece non è ; anzi avviene, si può ben dire, il con- trario. Le roccie basiche della zona dioritica d’Ivrea sono essen- zialmente roccie gabbro -dio ritiche e Iherzolitiche abbastanza fresche, asso- ciate (per quanto sappiamo dai nostri rilevamenti) a roccie kinzigiticìie ; ^ E. Suess, Sur la nature des charriages (Comptes-rendus de la Académie des Sciences de Paris, Tom. CXXXIX, nov. 1904). ^ Per tradurre le parole charriage e charrier adotto le due ; carreggiamento e carreggiare, che corrispondono precisamente a quelle francesi. Infatti nell’uso dei nostri idraulici classici, esse furono adoperate sempre a indicare il trasporto o trainamento delle alluvioni operato dalle correnti fluviali, cosicché mi pare possano anche servire a rendere il concetto espresso dalle analoghe parole fran- cesi in senso geo -tettonico. mentre le roccie basiclie dei gneiss sono anjiboliti strettamente legate ai gneiss stessi e ai micascisti in essi intercalati, e serpentine peridoti- tiche\ e quelle presso il contatto coi calcescisti sono anfibolia e pra~ siniti e serpentine provenienti dalla metamorfosi di eufotidi^ diabasi e peridotiti ; strettamente legate ai calcescisti e altamente metamorfici, come esse. Cosicché non solo non vi è analogia, ma vi è una grande diversità rispetto alle rocoie della zona basica d’ Ivrea h * * * L’ipotesi ora discussa a riguardo della regione Antigorio- Sem pione dovrebbe evidentemente essere estesa, quando fosse attendibile, anche alle regioni collaterali — come infatti nei loro lavori sopracitati offer- marono più o meno esplicitamente i geologi nominati — cosicché se il fenomeno si avverasse per la massa nord-ossolana, dovrebbe esten- dersi al massiccio del Ticino, poi a quello del Monte Rosa, indi anche al Gran Paradiso : tutti dunque da considerarsi come false volte, cioè come grandi superfìci dorsali {carapaces) di grandi pieghe coricate o carreggiate a N.W e radicate S.E. Al disopra di esse poi si inarcherebbero le grandi pieghe supe- riori aventi radici nella zona Sesia- Val di Lanzo e le teste anticlinali più 0 mena strapiombanti nella zona del Gran San Bernardo, che dovrebbe essere tutta quanta non autoctona ma colà carreggiata. Questa concezione arditissima e certamente grandiosa e apparen- mente armonica, e quindi attraente, merita ulteriore esame. Se noi consideriamo la Cartina geologica nostra, e terremo pre- sente gli andamenti tettonici sopra accennati delle singole masse gneissiche, la cosa ci si presenta per se stessa estremamente impro- babile, specialmente non essendo appoggiata a nessun dato di fatto nella ^ Cf. Relazioni di rilevamento nel Boll. Com. Geol., 1902-3-4, Parte ufficiale, relativa agli ing. S. Franchi, Y. Novarese, A. Stella. Inoltre C. Sclimidt, Gap. Vili del Livret-giiide géologiqne citato, e H. Preiswerk nelle Verhandl. d. natnrf. Gesellsch. in Basel, Anno 1902. - 28 - regione sopra considerata Monte B.osa-Camughera, la cui costruzione complicata è determinata come sappiamo dalla cintura sigmoidale dei calcescisti (l. s.) Valle Bognanco-Valle Anzasca più o meno fortemente raddrizzati. Invece l’esame stesso della Cartina, appoggiato a quanto si disse intorno al lembo gneissico isolata del Pilonet, parrebbe rendere più plausibile la ipotesi dei grandi ricoprimenti unilaterali in corrispon- denza di questo lembo, il quale potrebbe cosi spiegarsi come unico residuo risparmiato dalFerosione della immensa superfìcie dorsale riunente la radice autoctona, cioè la massa gneissica di Val Sesia con la parte carreggiata, cioè la massa Dent Blanche-Mont Mary. E noi vogliamo appunto scegliere questo profilo singolare per discutere in base ad esso questa ipotesi tettonica in confronto di quella delle masse gneissiche autoctone. Per ciò riferiamoci alle due costruzioni delle figure 1 e 2 della Tavola III. I dati di fatto segnati lungo i due profili in superfìcie corrispon- dono ai rilevamenti inediti dell’Ufficio geologico (specialmente degli ingegneri : Franchi, Mattirolo e Novarese) ; e al di là del confine sono la riproduzione di un profilo rilevato già dal G-erlach e pubblicato h La figura 1 ci dà una ricostruzione tettonica basata sull’ipotesi delle masse gneissiche autoctone, mentre la figura 2 ci dà una ricostruzione omologa a quella della figura 2 della Tavola II, basata sulla ipotesi delle masse gneissiche carreggiate con grandi pieghe unilaterali (della fi- gura 3 parleremo più innanzi nel paragrafo seguente). Cominciando dalla costruzione della figura 1, noi osserviamo ivi al di qua della zona detta del Brianzonese comprendente il Carboni- fero, i tre ventagli gneissici del Gran San Bernardo, Dent Bianche- ^ H. Gerlach, Die Peniiinischeìi Alpen, 1. c., profilo 3. Questo stesso pro- filo è confermato per una parte che a noi interessa dallo Schardt nel Livret- guide geologiqiie de la Sii.sse dedié au Coiigrés international, YI Section de Zurich. Lausanne, 189-i. — 29 Monfc Mary, Sesia -Yal di Lanzo: per cosi dire autonomi e tettonica- mente equivalenti, ma fra loro differenti geognòsticamente, come già fu in principio notato. Oltre alla minore e poco profonda sinclinale calcare di Cima Bianca, le due sinclinali complesse di calcescisti (^^ s, s.) con roccie verdi, in profondità biforcantisi a cingere le due calotte di Boussine e di Arceza, la prima litologicamente legata (secondo Gerlach) alla massa micascistosa del Gran San Bernardo, la seconda più autonoma con gneiss tipo gbiandone diversi da quelli delle masse collaterali. Ciò in armonia con il probabile scorrimento da cui è affetto il contatto della massa di Valle Sesia sopra i calcescisti. Posi- tura ben singolare presenta il lembo gneissico del Pilonet costituente nel profilo la punta del Tantanel e imbasato sui calcescisti a con- tatto alquanto irregolare. La natura litologica dei suoi gneiss e mi- cascisti lo assimila perfettamente al contiguo massiccio del Mont Mary mentre nulla ha di comune colle roccie (micas cisti eologitici) del massiccio di Valle Sesia a Est; sicché il ritenerlo come un residuo estremo dell’orlo del grande ventaglio Dent Blanche-Mont Mary ri- baltato, pare sia rispondente a verità. Sarebbe questo nel nostro caso un omologo esagerato del ricoprimento del Cistella nella regione Antigorio-Monte Leone; e, come già osservammo, qui attorno al mas- siccio della Dent Bianche sarebbe la esagerazione del ribaltamento del Cervino. Fu pure accennato già in principio, come dato il processo da noi sopra enunciato di una doppia fase di corrugamento, potrebbe qui il ribaltamento aver avuto luogo in una prima fase meno accen- tuata, mentre la seconda fase potrebbe aver dato luogo anche a spo- stamento da W a E del lembo ribaltato. Ad ogni modo, malgrado ciò, la massa di calcescisti che sottostà a questo è una doppia sinclinale che ivi sotto di esso solo apparentemente presenta la forma di anticlinale e ciò in accordo col fatto che la parte orientale di essa, a Nord di Cima Boussola si raddrizza rapidamente e gira cosi raddrizzata adat- tandosi a forma di cintura sinclinale attorno al massiccio del Monte Eosa, fra questo e quello della Sesia. Un tale comportamento e le suddette analogie e differenze litoio- — 30 - giche riescono molto meno spiegabili, se invece noi adottiamo la co- struzione della seconda figura, ove si vedono carreggiate le masse del Gran San Bernardo e della Dent Blanclie-Mont Mary, con pieghe di ritorno rese necessarie dalla presenza accertata della sinclinale calcare di Cima Bianca. In questa costruzione necessariamente cosi complicata runico raccordamento, che geometricamente riesce soddisfacente nel profilo è quello delle due masse di gneiss del Mont Mary e di Valle Sesia attraverso al lembo orizzontale di Monte Tantanel. Bisogna però osservare oltre alla difficoltà detta dell’andamento dei calcescisti a N, la difficoltà di un rapido cambiamento di facies litologica, non solo qui ma in tutta l’area della carta passando dal meridiano del Pilonet al limite della massa Sesia- Val di Lanzo (gneiss e micascisti eclogitici). Astraendo poi dallo strano comportamento della anticlinali del Gran San Bernardo e della Dent Bianche non solo strapiombanti ma accartocciate in senso inverso l’una dall’altra, bisogna notare una grande improbabilità, anzi una opposizione geometrica e geologica che presentano i due ventagli estremi laterali. Il dissimmetrico ven- taglio della massa di Val Sesia, si corica quasi tutto a S E proprio in senso opposto a quello che sarebbe richiesto dalla sua qualità di radice delle pieghe coricate. D’altra parte il ventaglio del Gran San Bernardo, appena a N e a S del nostro profilo si corica marcatissima- mente a W b ^ Cf. Profilo 2® nelFop. cit. del Gerlach, attraverso la Yal d’Herin e la Cartina Tavola I. Cf. in altro profilo dal Monte Bianco alla Yal .Pelline di A. Stella nella memoria citata Sui giacimenti di antracite della Val d’Aosta, Yol. XII, delle Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia, pag. 29, figura 3. Anche a Sud dell’area della nostra Cartina, oltre la Yal d’Aosta, nelle finitime Alpi Graie, pur avendosi un singolare lembo isolato di gneiss al M. Emilius in ricoprimento sui calcescisti, l’ipotesi delle pieghe unilaterali coricate a è contradetta anzitutto dal fatto dell’anticlinale del Carbonifero, già indicata dal collega Xovarese (Boll. Com. geol., 1901, pag. 29-30, Parte ufficiale) avente radice a X.W e coricata a S.E contro il Gran Paradiso; in secondo luogo dalla disposizione stessa della massa Sesia-Yal di Lanzo rilevata dal Xovarese stesso e da me in questa sua parte meridionale dove essa assume forma di volta. — 31 - Cosicché in conclusione la diagnosi comparativa delle due costru- zioni tettoniche, anche in questo profilo scelto appositamente nel caso che parrebbe a prima vista più favorevole alFipotesi dei grandi rico- primenti unilaterali, ci fa vedere più probabile assai la costruzione tettonica che ha per base il supposto delle masse gneissiche au- toctone. ❖ * * Non debbo lasciare l’argomento senza discutere ancora, breve- mente, applicandole alla nostra regione e ai nostri profili, due altre ipotesi, che ne cambierebbero pure radicalmente la interpretazione geo -tettonica. L’una ipotesi, più vecchia, è quella che ritiene arcaici insieme coi gneiss la più gran parte dei calcescisti {l.s.); l’altra più moderna, o almeno ammodernita^ è quella che ritiene relativamente recenti i gneiss (almeno in gran parte) come roccie eruttive intruse nei calcescisti. Incominciando dalla prima di queste ipotesi, osserviamo anzitutto, come, dato e non concesso, ohe i calcescisti siano arcaici; se noi ammettessimo, ohe essi soli appartenessero all’arcaico superiore, in confronto dei gneiss, spettanti all’arcaico inferiore, la difficoltà di interpretazione tettonica non sarebbe eliminata, avendosi sempre il fenomeno delle sinclinali ripetute frammezzo ai gneiss e dei ricopri- menti relativi come nell’ipotesi dei calcescisti secondari. Invece si avrebbe una semplificazione tettonica se si ammettesse una vera e propria alternanza dei gneiss e dei calcescisti arcaici, interpretando questi ultimi, a guisa di quanto è fatto nelle nostre figure 3, Tavola II e III come strati-lenti racchiudenti banchi e amigdale di gneiss. E questa la necessaria conseguenza a cui si perviene estendendo alle Alpi Pennino le idee emesse dal Gastaldi e dai suoi seguaci nelle Gozie e nelle Graie. Nelle Graie infatti il Gastaldi parallelizzava coi calcescisti nell’arcaico superiore (o zona delle pietre verdi), i cosi detti gneiss superiori del massiccio Sesia- Val di Lanzo ; poi il Gior- dano ^ includeva nella stessa zona i gneiss detti talcosi del mas- siccio della Dent Bianche, in vista, come egli si esprimeva, degli « spaventevoli riversamenti » che bisognava ammettere, per tenerlo più antico dei calcescisti. Cosi faceva ancora il Diener % nella sua Cartina geo-tettonica delle Alpi occidentali, il quale però dall’arcaico supe- riore separava come più antichi i massicci centrali del Monte Bosa e di Antigorio-Ticino, tenendo nel secondario i calcescisti soltanto della zona del Brianzonese, colla loro prosecuzione verso Brieg e Airolo. Analoga segnatura avevano questi nella Cartina di Zaccagna e Mattirolo ^ e quindi in quella al 1,000,000 del R. Ufficio geologico, dove il massiccio del Monte Rosa è esso pure inglobato nell’arcaico superiore (zona delle pietre verdi) soltanto rimane, come nucleo arcaico inferiore, il massiccio Antigorio-Ticino. Ma se si osservano i nostri profili 3, Tavola II e III dal punto di vista della ipotesi suddetta, si è condotti di necessità a considerare non solo i massicci della Dent Bianche e di Sesia-Vai di Danzo, ma anche il massiccio di Antigorio come grandi amigdale nei calcescisti; e tutte le formazioni attraversate dai nostri profili, per quanto pro- fonde (anche in galleria) appartengono (eccetto la sinclinale nord-occi- dentale della zona detta del Brianzonese tenuta nel mesozoico) all’ar- caico superiore o « zona delle pietre verdi » del Gastaldi. Questa nelle Alpi Pennino diventerebbe in gran parte « zona delle pietre bianche » venendo in certo modo le roccie verdi basiche ad essere sostituite da roccie bianche acide ; sotto ad essa si sottenderebbero formazioni gneis- siche dell’arcaico inferiore (gneiss centrale del Gastaldi) di cui i rap- presentanti unici nelle Pennine diventerebbero cosi le cupole minori del gneiss di Crodo e di Arceza. ^ F. G-iordano, Sulla orografìa e sulla geologica costitnsìone del Gran Cer- vino. Atti della R. Acc. d. Scienze di Torino, Yol. lY, 1869. ^ C. Diener, Der Gehirgshau der Westalpen, Wien, 1891, mit einer Ueher- sichtskarte der Structnrlinien der Westalpen 1/1,000,000. ” D. Zaccagna, Studi geologici sulle Alpi occidentali con cartina geologica al 1,000,000 di D. Zaccagna ed E. Mattirolo (Boll, del R. Com. Geol., Anno 1887). Cf. anche S. Traverso, Geologia delVOssola, Genova, 1895. — 33 — Questo io ho voluto dire allo scopo di mettere in evidenza la influenza che hanno i dati di fatto dei nostri profili anche nella enorme estensione ohe si dovrebbe dare alla formazione dell’arcaico superiore e nella quasi totale eliminazione dei massicci centrali, ammessa l’ipo- tesi, ch^ solamente i calcescisti (l. s.) della zona esterna nord-occiden- tale siano mesozoici, ma siano invece arcaici i calcescisti delle zone più interne e veramente intercalati fra i gneiss. Questa ipotesi semplificherebbe certamente la interpretazione tet- tonica del nostro profilo delle Tav. I e II, ma questa eccessiva semplicità di successione regolare nelle antichissime formazioni, che debbono aver subito tutti i successivi certamente ripetuti corrugamenti alpini, do- vrebbe già per sè stessa mettere il geologo sull’avviso intorno alla sua poca probabilità. E tutti i dati di rilevamento infatti la escludono, mentre portano al parallelismo inevitabile fra i calcescisti esterni fos- siliferi e quelli interni (finora non sicuramente fossiliferi), sia per questa nostra regione, sia per le Alpi Pennine in generale. Intorno a queste il lavoro in preparazione sopra enunciato darà conto in. gene- rale ; per la regione nostra io mi riferisco per ora a quanto ne ho detto nella mia nota dello scorso anno. Ricordo qui soltanto come le ragioni, ormai trite, di questa assimilazione cronologica, del resto assai lata, sono in fondo le medesime che portavano il Gastaldi alla assegnazione di tutti i calcescisti all’arcaico superiore ; cioè ragioni di ripetizioni degli identici complessi litologici e continuità delle zone, ragioni sempre più confermate dai nuovi rilevamenti e studii. Qui soggiungerò solamente alcune osservazioni di conferma appli cabili in particolare al profilo Antigorio-Sempione da me studiato nella Tavola IL In esso, come nel resto della regione l’analogia litolo- gica fra la regione esterna e la interna non si limita solo al com- plesso dei calcescisti propriamente detti e filladi, ma anche al complesso dei calcari, dolomie, carniole, gessi, anidriti. Cosicché bisognerebbe for- zatamente ammettere una formazione gessoso-anidritica arcaica, in questa parte delle Alpi occidentali. Ma non basta; la disposizione di queste roccie regolarmente depositatesi mostrerebbe un singolarissimo O O - 34 — ordine di successione appunto nella zona di calcescisti {l. s.) più pro- fonda, quella cioè che fu attraversata dalla grande galleria del Sem- pione fra i km. 6^-9% dalPimbocco Iselle, e dalla galleria elicoidale di Varzo, in corrispondenza deU’inferiore ramo di essa zona segnato nel profilo, spingersi inferiormente al gneiss d’Antigorio sotto Iselle. È qui appunto dove fu trovata la più perfetta simmetria bilaterale nella zona, cioè in basso calcari, dolomie, carniole, gessi con interstrati filladici, in alto lo stesso complesso di roccie, e nel mezzo calcescisti (in senso stretto). Cioè proprio la stessa disposizione simmetrica cosi caratteristica, e finora nelle Alpi occidentali dal Gastaldi in poi sempre ritenuta la chiave per distinguere dall’arcaico le sinclinali o pizzica- ture di mesozoico, qui dovrebbe essere perla prima volta ammessa come una singolarissima e strana successione identicamente ripetentesi di strati regolari deU’arcaico. Ciò basta a convincerci, che i dati di fatto ricavabili dai lavori in profondità confermano pienamente le osservazioni e induzioni da altri geologi e da me già esposte, dietro il rilevamento di superfìcie, in- torno alla probabilissima equivalenza dei calcescisti (Z. s.) interni con quelli esterni, e sulla loro spettanza al mesozoico, malgrado le com- plicazioni tettoniche difficili, ma non inspiegabili, che con ciò si è obbligati ad ammettere nella nostra regione. * Finalmente passiamo all’ultima delle ipotesi, quella cioè che sup- porrebbe i gneiss eruttivi intrusi in epoca relativamente recente e in condizioni speciali nella formazione dei calcescisti (Z. s.) di essi più antica. Questa ipotesi veramente non fu formulata in modo esplicito e preciso per la nostra regione, ma risulta necessariamente da affermazioni generali e parziali fatte da alcuni studiosi di geologia e petrografia alpina ; e merita ad ogni modo una discussione, tanto più che essa ci dà occasione di esprimere qui per la prima volta alcune idee forse non senza importanza intorno al metamorfismo della formazione dei calcescisti, così altamente cristallini nella nostra regione ossolana. — 35 Questa alta e speciale cristallinità della formazione mesozoica, colpisce infatti il geologo, anche se abituato alle analoghe formazioni metamorfiche delle Alpi occidentali ; specialmente per la frequenza di filladi e calcescisti biotitici fortemente felspatici; di calcari e do- lomie spaticamente marmorei con nuclei e straterelli a minerali, (spe- cialmente granati, anfiboli, epidoti, scapoliti), già da me accennati nelle precedenti note sul rilevamento della regione. Tantoché io stesso nella prima di queste note, data l’alta speciale cristallinità allora pri- mamente rilevata nelle zone calcareo-scistose circuenti dal disotto e di fianco il massiccio del gneiss d’Antigorio, ponevo il problema: se per avventura questa massa gneissica come ortogneiss di natura gra- nito-dioritica, non potesse essere relativamente recente e intrusiva, sicché alle azioni di contatto da essa esercitate dovessero essere almeno in parte attribuiti i minerali autigeni degli scisti e calcari b Cosi mostra infatti di credere il dottor Lindemann che recen- temente si occupò dei calcari cristallini alpini ed extraalpini in uno ^ In molte delle roccie della formazione ossolana dei calcescisti, ma spe- cialmente nei banchi calcareo-dolomitici è notevole l’abbondanza di pirite e anche di altri solfuri metallici. Esempi ne danno i banchi di tali roccie che sono impregnate di pirite, con blenda e galena non solo presso a Binn, ma anche sotto al Colle d’Arbola e alla cava di Crevola. L’essere questi ultimi a contatto del gneiss di .Antigorio, e i primi a contatto del gneiss di M. Leone suggerì ai due precitati autori (Lindemann e Weinschenk) l’idea di attribuire la genesi di essi solfuri ad azioni pneumatolitiche sviluppatesi dalle due masse suddette di gneiss, da loro concepite come intrusive. Ma è evidente che anche nella nostra concezione del metamorfismo regionale, profondo, la formazione di sol- furi per azioni pneumatolitiche legate non a una speciale roccia eruttiva, ma al profondo substratum del magma si concilia assai bene. Analoghe impregnazioni di solfuri metallici del resto conosciamo in roccie calcareo-dolomitiche di tutta la formazione dei calcescisti delle Alpi occidentali, anche indipendenti dalle masse gneissiche e per le quali io indussi già genesi analoga a quella qui accennata (cf. Sul (jiacimento jnombo-baritico del Trou des Romains presso Courmayeur. Rassegna mineraria, Yol. XYI, Torino, 1902). ® B. Lindemann, Ueber eìnige wichtige Vorkommnisse von kórnigeii Garbo- natgesteinen mit besonderer Berucksichiigung ihrer Entstehung iind Structur (Xeues Jahrbuch f. M. u. Gr.,‘ XIX Beilage-band, Heft 2, 1904). — 36 — studio diligente dal punto di vista petrografico, ma molto arrischiato, a me pare, dal punto di vista geologico. Riguardo alla regione osso- lana, infatti, sono presi in esame petrografìco i calcari cristallini di Ornavasso e di Crevola, attribuendo il metamorfismo dei primi al contatto granitico di Baveno, lontano parecchi chilometri, e dei se- condi al contatto della massa di Antigorio, che viene senz’altro deno- minata granito come la prima. Ciò seguendo l’esempio del Weinschenk, il quale nella confinante regione valle sana, attribuiva il metamorfismo della dolomia di Binn al contatto della massa gneissica di Monte Leone, detta da lui un granito intrusivo posteriore agli scisti e calcari della zona di Binn k Ma io debbo dire, che pur essendomi posto, come dissi, l’analogo quesito in principio dei miei rilevamenti nella regione ossolana, tutti i dati mano mano acquisiti mi portarono invece a una risposta nega- tiva ; a ritenere cioè passive le masse gneissiche nel fenomeno del me- tamorfismo dei calcescisti, senza per questo escludere, e anzi ritenendo assai probabile, ohe una parte di esse possa essere di antica origine eruttiva. Giacche io procedendo nei rilevamenti ebbi a constatare, che non soltanto le formazioni dei calcescisti {l. s.) erano altamente cristalline a contatto dei gneiss, ma anche molto lontano dal contatto medesimo. Constatai inoltre, che studiando le zone calcaree (calcari e dolomie marmorei con nuclei a minerali), ricoperte dal gneiss di Antigorio a Baceno, a Varzo, anche là dove esse roccie sono separate dal gneiss di Antigorio mediante uno spessore di molte decine di metri di mica- scisti granatiferi e di calcescisti ; colà pure presentano la stessa iden- tica cristallinità. Allo stesso modo si osserva, come nella cintura sig- moidale Valle Bognanco- Valle Antrona, i calcescisti propriamenti detti, talora con micascisti colà mostrino un metamorfismo ugual- mente profondo con facies notevolmente analoga a questi nostri, seb- ^ E. Weinschenk, Ueher einige hemerkenswertlie Minerallagerstatfen der ÌVe- sfalpen (Groth, Zeitschr. f. Krystallog. und Mineralogie, XXXII, 1900). — 37 — bene siano ben lontani da ogni contatto con le roccie dei massicci gneissici contigui, essendo essi inseriti in piena massa di roccie verdi gabbro-diabasiche. Che poi queste roccie basiche non siano affatto la causa metamorfosante, nè qui, nè in genere nelle nostre Alpi occiden- tali, fu già ripetuto e dimostrato dai miei colleghi e da me, e special- mente dal collega Franchi \ Le medesime ragioni si possono ripetere nel caso nostro. Le roccie basiche sono qui passive nel fenomeno del metamorfismo, essendo esse pure profondamente metamorfosate e spesso laminate; e presen- tano coi calcescisti propriamente detti fittissime alternanze e graduali passaggi, come fra colate laviche e tufi e sedimenti intercalati. Tutto ciò vale a convincerci (anche indipendentemente dalle altre ragioni stratigrafiche addietro accennate riguardo alla età relativa di gneiss e calcescisti) che l’alta cristallinità di questi ultimi non è do- vuta a metamorfismo di contatto nè delle pietre verdi nè delle masse gneissiche (che in tal caso dovrebbero essere supposte intrusive e posteriori); ma è, come per il resto delle Alpi occidentali, dovuta a un metamorfismo regionale; del quale forse siamo anche prossimi a intravedere l’essenza. Ritornando infatti al nostro punto di partenza, è un fatto che nella nostra regione le roccie della formazione dei calcescisti ci si presentano con facies altamente cristallina speciale. Se noi analizziamo un po’ più da vicino in che cosa effettiva- mente consiste questa differenza di facies dei nostri calcescisti {L s.) noi vediamo che si tratta di una differenza di struttura, e di una dif- ferenza di composizione mineralogica^ indipendentemente dal substratum chimico delle varie roccie della formazione. ^ S. Franchi, Coutrihiisione allo studio delle roccie a glaucofane e del meta^ morfismo onde ebbero origine nella regione ligure alpina occidentale (Boll. Comi- tato Ceol., Anno 1902). — 38 — Prese nel complesso le roccie della formazione dei calcescisti delle Alpi Cozie-Graie hanno struttura più minuta^ prevalenza quasi esclusiva di muscovite (miche chiare) fra i minerali micacei, molta clorite, molto cloritoide della varietà sismondina, molto quarzo^ ma non molto fdspato^ prevalenza di glaucofane fra gli anfìboli, non molti granati, epidoti abbondanti. Prese invece nel complesso le roccie della stessa formazione nelle Alpi Pennine ossolane presentano in confronto delle precedenti strut- tura più macrocristallina, talora gigantesca; fra i minerali micacei prevalenza della biotite (miche gcure); clorite e cloritoidi pochi^ nè mai si- smondina; quarzo meno abbondante, e invece più assai i felspati; fra gli anfìboli assenza di glaucofane, e invece abbondanza di attinoto e tremolite; molti granati; epidoti pure abbondanti, abbastanza frequenti cianite, staurolite, e presente la scapolite ; dei quali tre ultimi minerali mancano nelle Cozie-Graie, gli ultimi due, e il primo è rarissimo. Questo elenco comparativo risulta dallo studio macro- e microsco- pico di numerose serie di campioni, raccolti in quest’ultimo decennio di rilevamento da me e dai colleghi; e trova conferma del resto nel- l’esame comparativo di diagnosi litologiche sommarie o particolareg- giate da noi e da altri geologi e petrografì fino ad ora pubblicate. E dall’esame del materiale suddetto risulta anche documentata l’affer- mazione, che questa differenza strutturale e mineralogica non dipende da originaria differenza delle roccie metamorfosate, le quali sia nelle Cozie-Graie, sia nelle Pennine nostre si ripetono coi medesimi tipi chimici, e con differente facies mineralogica. Così abbiamo nelle due serie: da un lato quarziti con muscovite prevalente e talora con glaucofane. Dall’altro quarziti con biotite pre- valente, con attinoto e anche con granato. Da un lato calcescisti (s. s.) a muscovite prevalente, per lo più jnolto quarzosi, anche felspatici, spesso con sismondina, con epidoti, talora con glaucofane e granato. Dall’altro abbiamo calcescisti con biotite prevalente, non molto quarzosi, ma molto felspatici ; spesso epidotici, ma frequentemente anche attinotici, tremolitici, granatiferi. — 39 — Da un \dXo filladi muscovitico-clorifciche talora granatifere, epido- tiche, glaucofaniche. Dall’altro filladi biotiticlie pure epidotiche più 0 meno ricclie in granati, cianite, attinoto, staurolite. Da un lato calcari e dolomie saccaroidi a muscovite, per lo più leggermente quarzosi e felspatici ; talora con glaucofane. Dall’altra cal- cari e dolomie con quarzo e felspati, ma anche spesso con nuclei tre- molitici, o anfibolico-epidotici, o granatici, più raramente scapolitici. Cosicché attraverso a tutta la serie dei sedimenti siano essi are- nacei 0 marnosi, o più argillosi, o addirittura calcarei e dolomitici, la differenza di facies mineralogica si mantiene; come si mantiene in generale la suddetta differenza strutturale. Anzi la cosa si estende anche alle lenti di roccie basiche erut- tive intercalate, giacché nella nostra regione le roccie anfibolico-pra- sinitiche provenienti da metamorfosi di eufotidi e diabasi, sono esclu - sivamente roccie ad anfibolo verde, mancando in esse ogni presenza di glaucofane così caratteristica nelle Cozie-Graie. Queste considerazioni comparative acquistano importanza alla luce delle idee già adombrate dal Rosenbusch, ma più nettamente formulate dal Becke e poi dal Grubenmann " sulla distinzione di diversi livelli abissali o zone di 'profondità (Tiefenstufe) corrispondenti a di- versi gradi geotermici a cui possa essere avvenuta la metamorfosi delle roccie che noi troviamo oggi allo stato di scisti cristallini. E se attenendoci alle due principali zone distinto dal Becke, esaminiamo 1 gruppi di minerali che ne sono caratteristici, troviamo appunto di dover riferire il metamorfismo della formazione dei calcescisti delle ^ F. Becke. Ueher Mìneralbestand und Structur der Knjstallinischen Schiefer. Comptes-rendus du Congrès géologique international, IX Session in Wien, 1903, fase. II. U. Grubenmann, Die Kry stallini sche Schiefer, Ziirich, 1904. Queste stesse idee che il Grubenmann mette a base del suo recente prege- vole libro sugli scisti cristallini, sono in accordo con quanto scaturisce dalle ben note esperienze del prof. Spezia, che portano a dare una grande importanza al fattore termico nei fenomeni di ricristallizzazione. — 40 — nostre Alpi Pennino ossolane a una zona inferiore, in confronto di quelle delle Alpi Graie e Cozie la cui natura mineralogica e strut- turale rispecchierebbe piuttosto le condizioni di una zona superiore. Cosicché ne resterebbe cosi plausibilmente spiegata la facies specifica dei nostri calcescisti {l. s.) e una maggiore analogia con roccie metamor- fiche di contatto. Essi, come la restante massa dei calcescisti delle Alpi occidentali, subirono quel complesso di azioni meccanico-termico-chi- miche ohe caratterizzano il metamorfismo regionale: ma durante le successive fasi orogenetiche furono portati fino a una zona abissale più profonda ossia a grado geotermico più elevato in confronto delle con- temporanee formazioni alpine più occidentali \ * Il Prof. Heim ^ in una sua recente pubblicazione, rivendicatrice degli studi geologici per quanto necessariamente imperfetti della regione che ci interessa (studi! a cui egli prese parte da oltre un ven- tennio insieme coi professori Lory, Eenevier e Tarameli!) concludeva col riconoscerne la grande complicazione, la quale fa si che anche dopo tanti studi generali, rilevamenti particolareggiati e dati di gallerie, la geologia di essa presenti ancora, come presenterà forse sempre, dei punti interrogativi. ^ Forse si può ridurre analogamente a differenza di livello abissale, una certa differenza di facies metamorfica fra gli scisti della zona esterna di Brieg e quelli della zona interna; cioè quel metarmofismo in certo modo crescente di T'T.AV a S.E. Così si ripeterebbe qui il fenomeno già notato nelle Alpi franco-italiane, dove c’è pure nella zona del Brianzonese un metamorfismo crescente lungo la zona, da S.W a IN’.E, e in senso trasversale alle zone alpine un metamorfismo cre- scente da W a E. L’applicazione di questo stesso concetto delle zone abissali (Tiefenstufe), credo sia per essere fruttuosa di risultati anche nelle formazioni gneissiclie, di cui le notevoli differenze mineralogico- strutturali in tipi analoghi dal punto di vista chimico-genetico fondamentale potrebbero ricevere una abbastanza plau- sibile spiegazione. " Ueber die geologische Voraiissicht heim Simplontunnel (Eclogae geol. Hel- veliae, Voi. Vili, n. 4). Lausanne, 1904. Boll del R Comil. Geol. d'Italia Anno 1906. Tav. 1* ( A. Stella ) 'k. ' Bollettino del B. Com. Geol. d’ Italia. Anno 1905. Tav. 11. ( A. Stella ) Profilo geologico riassuntivo attraverso alla regione Antigorio - Sempione, con ire interpretazioni. 1. I^ell’ ipotesi dei gneiss autoctoni ( calcescisti mesozoici.) 2. I^ell' ipotesi delle grandi pieghe unilaterali (calcescisti mesozoici.) N. B. Il nero pieno rappresenta i calcescisti; i gneiss sono rappresentati dalla rigatura, il cui andamento indica anche l’andamenfo dei banchi di gneiss. BDllstUno del R. Com. Geol. d’ Italia. Profilo geologico riassuntivo attraverso alle ftlpi Pannine, con tre intrepretazioni: Anno 1905. Tav. III. ( A. Stella ) I. Nell’ ipo'esi dei gneiss autoctoni ( calcescisti mesozoici.) 3. Nell' ipolesi dei calcescisti in parte arcaici alternali coi gneiss. — 41 — Io convengo in questo giudizio delPillustre conoscitore della tettonica alpina, tuttavia vorrei poter affermare che qualche punto interrogativo sia stato tolto anche dai nostri studi, la cui conclusione sarebbe ]a seguente: Ammessa come probabilissima la distinzione stratigrafìca dei ter- reni cristallini della zona del Piemonte delle Alpi Pennine-Lepontine nelle due formazioni, che io chiamai in senso lato dei calcescisti meso- zoici e dei gneiss piti antichi di essi, questa medesima divisione è con tutta probabilità applicabile anche alla regione della Ossola e del Sem- pione. Con ciò però la complicazione tettonica risulta assai grande ; la spiegazione di una tale tettonica non richiede, anzi esclude con ogni probabilità una applicazione della ipotesi dei grandi ricoprimenti a car- reggiamento unilaterale dall’interno all’esterno della zona del Piemonte, ma si può dare anche con il supposto delle masse gneissiche autoctone. In tale supposto per spiegare i rapporti di giacitura delle masse di gneiss e delle cinture sinclinali di calcescisti (inserzioni, ricopri- menti, pieghe), basta ammettere che l’attuale struttura della nostra regione, come delle regioni contigue, sia il risultato di una doppia fase di corrugamento. E la maggiore o almeno diversa cristallinità dei nostri calcescisti in confronto di quelli delle masse più sud-occidentali è da ascriversi verosimilmente ad una maggior profondità della zona abissale in cui essi furono portati durante questi corrugamenti. Roma, marzo 1905. XOTA. — Durante la stampa di questa mia Memoria, io ho avuto occasione di riassumerne la prima parte, riguardante il profilo del Sempione, nella riu- nione in Roma del 12 marzo 1905 della Società Geologica italiana; la cui Presi- denza io ringrazio della premura colla quale volle sollecitamente pubblicare un sunto della mia comunicazione colla riproduzione del profilo 1® della Tavola II. Ora apprendo dalla cortesia del Prof. C. Schmidt, che egli pure fece una comunicazione sulle questioni geologiche del Sempione nella seduta del marzo 1905 della Nafurforschende GesellscJiaft di Basilea ; e che questa sua co- municazione, finora inedita, egli intende fra breve dare alle stampe alquanto ampliata. E io mi auguro, che Tegregio geologo coi suoi studii più particolareg- giati del territorio svizzero riesca, insieme con gli altri geologi incaricati più specialmente dello studio della grande galleria del Sempione, a rispondere sempre meglio ai punti interrogativi di questo difficile problema di geologia alpina. A. S. — 42 — IL B. Lotti. — Di un caso di riciioprimento presso Spoleto [Umbria), (Con una tavola). I monti dei dintorni immediati di Spoleto e segnatamente quelli che formano il lato destro della valle del Tissino, sono il teatro d^un fenomeno tettonico di non comune entità, ohe, insieme alle nume- rose pieghe coricate, alle faglie e a tante altre dislocazioni ricono- sciute dal Verri, dal Bonarelli, dal Moderni e dallo scrivente in più punti dell’Umbria e dell’ Appennino centrale, ci fa avvertiti che la struttura geologica di questa catena montuosa è assai più complicata di quanto potevasi immaginare. II territorio di Spoleto è contraddistinto dalla presenza di masse calcaree, del Lias inferiore, quasi intieramente circoscritte da terreni secondari superiori, spettanti in prevalenza al Neocomiano e al Se- noniano, i quali costituiscono le alture principali circostanti. La posizione topografica di questi calcari del Lias inferiore al fondo d’un’ insenatura aperta verso Nord e fiancheggiata da monti di terreni secondari superiori che, divergendo verso N.N.O e Nord vanno a formare rispettivamente le catene del Monte Martano e del Monte Maggiore, fa nascere subito l’idea ohe essi calcari rappresen- tino il nucleo di quelle montagne messo allo scoperto dalle azioni denudatrici cui è dovuta la formazione della valle del Tissino. Ma le osservazioni locali portano ad un ben diverso risultato. Salvo alcuni piccoli lembi isolati presso Oastelmonte, sullo spar- tiacque fra la Valnerina e il Tissino, ed uno, pure isolato, ma più esteso, presso Colle Ora viglia, verso la montagna di Somma, la grande massa del Lias inferiore è continua, benché a contorni estremamente frastagliati e incisa e denudata da solchi e valloni profondi quali il fosso Carfcoccione, il fosso di Vallocchia e quello di Ronzano. Queste — 43 — solcature determinano la repartizione della massa calcarea liasica in tre vaste plaghe montuose rilegate fra loro da strisce esigue dello stesso terreno. Una di queste plaghe forma il Monte Luco, splendida montagna, coperta di folto bosco sempre verde e cosparsa di santuari e gaie villette, chiamate eremi, proprio nella sua più ripida pendice che tor- reggia quasi a picco sui Tissino immediatamente ad Est di Spoleto. Da questo monte staccossi lo scoglio, formato in gran parte di cal- care del Lias medio, sul quale si erge la superba rocca medioevale e parte della vetusta città di Spoleto che da questo fenomeno di di- stacco, evidente anche pei profani, avrebbe, secondo alcuni, preso il nome >. Un’altra plaga calcarea, a Sud della precedente e ad essa con- giunta attraverso il fosso di Ronzano, è quella che da Patrico sten- desi fino al Colle Campette e scende al Tissino, ricoperta a mezza costa e al piede dai calcari del Lias medio e dal Pliocene lacustre. Una terza, che è la più estesa, succede a Nord di quella del Monte Luco e forma le alture di Vallocchia e di Borgiano, scen- dendo, dopo attraversato il fosso Cartoccione, fin presso Eggi, co- perta solo da un po’ di Pliocene presso la pianura e da un lembo di Lias medio e di Lias superiore a mezza altezza presso Matrignano. Questa massa calcarea è separata dall’altra del Monte Luco dal pro- fondo vallone del fosso di Vallocchia e si riunisce ad essa soltanto al piede del monte per mezzo d’una stretta lista dello stesso calcare basico sormontato dai terreni successivi fino al Neocomiano. Le valli del Cartoccione, di Vallocchia, di Renzano ed altre mi- nori, che solcano la massa calcarea del Lias inferiore profondamente e in vario senso, mettono a nudo nel modo il più chiaro la sua po- tenza, il terreno sottostante ed i rapporti di giacitura fra l’uno e l’altro. Nel suo insieme pertanto il calcare del Lias inferiore può rite- nersi rappresentare oggi il residuo di un grosso banco, dello spes- sore di circa 250 metri, di forma parallelogrammica, il quale dal piede — 44 — dei monti di Spoleto, posti sulla destra del torrente Tissino, spinge* vasi in alto fin presso allo spartiacque fra la Valnerina e il Tissino. Questa massa grossolanamente tabulare stendevasi nel senso della sua direzione, cioè da N.E a S.O, per circa sette chilometri, dai dintorni d’Eggi verso la montagna di Somma, seguendo il letto del Tissino, e per circa cinque chilometri nel senso della sua inclinazione, rivolta a N.O, dal letto del Tissino stesso, seguendo le pendici della mon- tagna, fino alle alture di Castelmonte, di Patrico e di Craviglia, con un dislivello di circa 700 metri, quindi con un’inclinazione media del 14 per 100. Per il suo esiguo spessore in rapporto alla sua ampiezza, questa placca tabulare liasica dovette rompersi in vario modo ed i suoi frammenti dovettero prendere direzioni e inclinazioni alquanto di- verse dalla direzione e inclinazione generale ora accennata. Fissata cosi la forma, l’estensione e la posizione nello spazio del calcare liasico che comparisce nei pressi di Spoleto, vediamo di fissarne la posizione in rapporto alle formazioni circostanti e prima di tutto cominciamo dall’ affermare che esso spetta veramente al Lias inferiore. Anche se questo calcare fosse isolato e senza alcun rapporto con terreni d’età ben determinata, nessun dubbio potrebbe sussistere su tale riferimento cronologico perchè la sua natura litologica è delle più caratteristiche. Si tratta infatti del solito calcare bianco, imper. fettamenbe stratificato od anche addirittura massiccio, a luoghi ce- roide, a luoghi minutamente cristallino, talvolta anche ^ dolomitico, con sezioni di gasteropodi e tracce di coralli. Ma esso, come fu accen- nato, è inoltre ricoperto presso la Rocca di Spoleto, a San Giuliano, a Ronzano, a Colle Colonne e a Matrignano dal calcare del Lias medio con tracce d’ammoniti limonitizzate, e in quest’ultima località, come anche a N.E di Spoleto, tra il Cartoccione e il Tissino, sopra il Lias medio fa seguito il Lias superiore formato dal solito calcare rosso con ammoniti. Vediamone ora i rapporti coi terreni sottostanti. Ad eccezione della sua estremità meridionale, che in piccola parte riposa sui calcari neocomiani e sugli scisti calcarei ad aptici — 45 — titoniani, questa placca di calcare liasico ricuopre dovunque la scaglia rossa senoniana. Che questo terreno sia la vera scaglia del Cretaceo superiore è fuori d’ogni contestazione, poiché si tratta di quel calcare marnoso color rosso mattone caratteristico, sottilmente stratificato, qua e là con lenti e noduli di selce rossa, che riposa, qui nei dintorni, diret- tamente sugli scisti a fucoidi dell’Aptiano e questi alla lor volta sul calcare bianco neocomiano, come mostrano le tre sezioni della Tavola unita. Crii scisti a fucoidi sono messi allo scoperto colla denudazione della scaglia dal fosso di Vallocchia (v. sez. 2) e da quello di Eenzano. La sovrapposizione del calcare liasico alla scaglia può osservarsi lungo tutte le anfrattuosita prodotte dai corsi d’acqua che lo solcano profondamente nella sua parte più elevata e ne mettono a nudo il terreno sottostante, come, ad esempio, il fosso dell’Intiera che scende da Pizzo Corno, il fosso di Patrico, quello di Ronzano e, .più special- mente, quelli di Vallocchia é del Cartoccione ohe squarciano la massa liasica fin quasi al suo piede presso Spoleto. Risalendo la valle del fosso di Vallocchia, scavata tutta per entro alla scaglia rossa senoniana, può osservarsi, per un tratto di ben tre chilometri, il calcare liasico sovrincombente con pareti a picco alla scaglia e coronante le alture su ambedue i lati della valle. Il contatto è nettissimo e non apparisce in genere una decisa discordanza fra gli strati della scaglia e il calcare liasico; tuttavia la discordanza in alcuni punti è manifesta sebbene non molto accentuata. L’inclina- zione di questo contatto è leggerissima, forse non più di 8 o IO gradi, lungo il vallone in parola, però nel tratto inferiore dove il vallone è prossimo a sboccare nel Tissino presso Spoleto, il calcare liasico s’im- merge con più forte pendenza sotto i terreni secondari più giovani, come viene indicato dalla sez. 1 della Tavola. Questi rapporti di posizione fra i due terreni sono ancora più manifesti nel fosso del Cartoccione e presso il ponte della tortuosa ed alpestre via provinciale per Norcia che lo attraversa. In questo punto il fosso corre in una stretta gola scavata profondamente a guisa di — 46 canon nel calcare liasico, lasciando vedere sul fondo e, fino ad una certa altezza, sulle pareti verticali la scaglia rossa senoniana. Ma il punto dove la sovrapposizione del calcare liasico alla scaglia è più appariscente è la località di Castelmonte, sullo spartiacque fra la Valnerina-e il Tissino. Yedonsi qui, posati sulla scaglia senoniana predominante, due piccolissimi lembi isolati di calcare del Lias infe- riore che evidentemente, un tempo, furono collegati alla grande placca calcarea di Vallocchia e dalla quale distano 300 e 800 metri rispet- tivamente. Uno di questi lembi forma la sommità della protuberanza di Castelmonte che presentasi a guisa d’un picco in miniatura for- mato di scaglia rossa e sormontato da un cappello di calcare liasico (v. sez. 2 della Tavola). Una riprova, se di riprova vi è bisogno, che il calcare liasico si adagia per grandi estensioni sulla scaglia si ha nel fatto della uscita di numerose sorgenti d’acqua potabile dal contatto de’ due terreni. Ve ne sono un po’ dappertutto, ma le principali son quelle del Car- toccione, di Vallocchia, di Vaicieca e di Renzano, che, per mezzo di acquedotti antichi e recenti, forniscono acque copiose e salubri alla città di Spoleto. 11 regime di queste sorgenti trova evidente spiega- zione nella natura assorbente in alto grado del calcare liasico e nella relativa impermeabilità della scaglia senoniana. Dal fin qui detto risulta adunque manifestamente che nei din- torni di Spoleto ci troviamo in presenza di una dislocazione per ef- fetto della quale la scaglia senoniana venne ricoperta direttamente e per la estensione visibile di almeno 35 chmq. da un bancone di cal- care liasico grosso circa 250 metri. Questo fenomeno, frequentissimo nella catena alpina, fu detto Ueberschiebung dai tedeschi, chevauchementy recouvrement ed anche char- riage dai francesi, ricuoprimento e carreggiamento dai geologi italiani ^ Il Bonarelli (Boll. Soc. Geol. italiana, 20 febbraio 1901) propose, il voca- bolo iperolistesi (da uTzip = sopra e ol’aSjocrt? = scivolamento o caduta), che sarebbe preferibile a quello troppo generico di ricuoprimento se l’introduzione d’un — 47 — Le sezioni 1, 2 e 3 alla scala di 1 : 50,000 della Tavola annessa, tracciate approssimativamente parallele, nel verso della inclinazione del banco liasico, ossia sulle linee direttrici del movimento che portò il banco stesso nelle attuali condizioni di giacitura, e distanti fra loro un po’ meno di due chilometri, fissano le condizioni del fenomeno in modo chiaro e colla maggiore esattezza possibile, essendo state co- struite in base alle osservazioni locali ed alla carta geologica rilevata alla medesima scala. Queste sezioni mostrano l’estensione minima del fenomeno nel senso del trasporto, la disposizione del bancone liasico sui terreni ricoperti, la sua inclinazione, forte per piccolo tratto al piede dei monti, leggerissima nella sua maggiore estensione risalendo la montagna. Esse mostrano inoltre la successione più o meno rego- lare e continua sul Lias interiore degli altri terreni secondari più gio- vani nel lato della valle del Tissino e della pianura spoletina, e due pieghe ribaltate verso oriente nel versante della Valnerina, le quali interessano le formazioni neocomiane ed il Senoniano. Prolungando la sezione n. 3 verso S.E, essa taglierebbe un’altra piega ribaltata nelle stesso verso e formata dai calcari neocomiani del Monte So- lenne, rovesciati nel lato orientale della montagna sugli scisti a fu- coidi dell’Aptiano, e questi a lor volta sulla scaglia senoniana. Merita d’esser notata fin d’ora la tendenza al ribaltamento verso oriente di queste propaggini umbre dell’ Appennino centrale. In una antecedente nota ^ misi in evidenza il rovesciamento verso Est dei terreni sulla catena del San Pancrazio presso Narni e di quelli della valle del Serra fra Terni e Spoleto. A questi rovesciamenti sono da aggiungersi altri due, citati dal Verri, che hanno luogo nella valle nuovo termine non complicasse ancor più la già complicata terminologia geo- logica. Del resto, questo proposto dal Bonarelli esprimerebbe piuttosto lo sdrucciolamento di masse dall’alto in basso che uno scorrimento in senso ascendente. * B. Lotti, I terreni secondari dei dintorni di Narni e di Terni (Boll. Co- mitato Geol., 1903). — 48 — del Meno tre, a Nord del Monte Maggiore, e nella pendice orientale del Monte Martano \ il quale ultimo sarebbe incontrato dal prolun- gamento delle qui unite sezioni, a circa 10 chilometri dalla loro estre- mità occidentale. Lo stesso ricuoprimento di Spoleto è forse da considerarsi come la esagerazione d’una piega coricata verso Est, con rottura per stira- mento del fianco rovesciato e scorrimento successivo ascendente del fianco normale, lungo la superficie della faglia prodottasi. Che vi sia stato scorrimento della massa di calcare liasico sulla scaglia è dimostrato dalla presenza, in vari punti del contatto, di un accumulamento di frantumi di scaglia^ che potrebbe 'rappresentare una breccia di frizione, come, ad esempio, al ponte della via di Norcia sul fosso Cartoccione, e, un poco più a N.E, nel fosso d’Eggi sotto Matri- gnano, dove la scaglia al contatto col calcare è addirittura triturata e ridotta in una massa quasi pastosa. Al ponte del Cartoccione inoltre la scaglia presenta per un qualche spessore una laminazione distintissima, * indipendente dalla sua stratificazione e parallela al contatto. Ma sopra una più esatta interpretazione del fenomeno tettonico in parola dovrò ritornare dopo la prossima campagna estiva, allorché avrò potuto esten- dere le osservazioni nella catena del Monte Maggiore a N.E di Spo- leto dove, specialmente nel lato della conca di Foligno, ossia della Valle Umbra, sembra che continuino le complicazioni stratigrafiche. Di questo ricuoprimento di Spoleto fu già fatta menzione dal Tarameli! e dal Verri ^ 11 Tarameli! in una serie di considerazioni a proposito della teoria dello Schardt sulle regioni esotiche delle prealpi (R. Ist. Lombardo di se. e lett., S. 2, V. XXXI, 1898) richiama su di essa l’àttenzione di co- loro che studiano TAppennino centrale, ricordandosi d’aver veduto « degli evidentissimi scorrimenti in particolare sugli scisti della scaglia ^ A. Verri, Problemi orogenici nelV Umbria (Boll. Soc. Geologica italiana, 22 marzo 1903, pag. 450). 2 A. Verri, 1. c. Anno 1905 Tav. IV. ( B. Lotti ) . SSB. Xeggeixda pi Ciottoli del deposito pUocenieo lacustre. se sf Scisti argUiosi vnricoloH Oe fucoidi dell ' Apuano . 1^-^ ^'dlcciri bianchi con selce' del ^ I " * T^l Neocomituw . ds m Scisti argiUost.calcarei e diasprini del Tìtoniano . Calcari rossi e scisti del Zias sup. Ira. Calcari grigiò-chiari ceroidi con selce- del Zias medio. Calcai'e bianco a gasteropodi del Zias inlèriore — 49 - e del Giura superiore come alle falde dei monti di Cesi e di Spoleto. » Il Verri è più esplicito e dice che nei pressi di Spoleto ha luogo « una specie d’accavallamento pel quale i calcari ceroidi del Lias inferiore vanno a sovrapporsi a formazioni meno antiche e persino alle rocce della Creta superiore. Dopo quelFaccavallamento si disegna nelle for- mazioni titoniohe e cretacee un anticlinale ribaltato verso Est». Egli dà inoltre una spiegazione ingegnosa del fenomeno, la quale potrà anche esser riconosciuta come la più giusta e razionale, dopoché sarà stato esteso il rilevamento geologico in grande scala alla catena del Monte Maggiore e a quella del Monte Martano, e le osservazioni rela- tive saranno state coordinate a quelle da me fatte in gran parte della contigua Yalnerina. Noto soltanto che negli schizzi di sezione del Verri, riferentisi a questo fenomeno, la superficie di rottura e di scor- rimento è piana e molto inclinata, ed il Lias inferiore vi apparisce appoggiato alle testate dei terreni più recenti, mentrechè, in realtà, almeno nella parte visibile del ricuoprimento, e quasi per tutta la sua estensione, si ha leggerissima pendenza, sovrapposizione del Lias al solo terreno senoniano e concordanza quasi completa e costante fra i due terreni. A parte le località classiche, quali sono le prealpi Franco-sviz- zere, dove i ricuoprimenti ed i carreggiamenti assumono una portata grandiosa e quasi fantastica e bene spesso si sovrappongono l’uno al- l’altro, un fenomeno tettonico, che per la sua semplicità e limitazione ha molta maggiore analogia con questo di Spoleto, fu osservato dagli ingegneri Bai dacci e Franchi al Colle di Tenda Anche qui una massa tabulare di calcari, dolomiti e scisti di età giurese e Basica, scorse sopra l’Eocene lungo una superficie inclinata di circa 45® con uno spostamento orizzontale di circa tre chilometri. Benché collegato verso Est e verso Ovest a pieghe coricate ed a contatti anormali per faglia, l’estensione del vero e proprio ricuoprimento non supera i due chi- ^ L. Baldacci e S. Franchi, Studio geologico della galleria del Colle di Tenda (Boll. Comit. Geol., 1900). 4 — 50 - lometri in direzione, ed è quindi di minore entità di quello di Spoleto, il quale, come vedemmo, venne riconosciuto sopra sette chilometri in direzione e presenta uno spostamento orizzontale non minore di cinque chilometri. Anche in Toscana e precisamente nella parte N.O del Monte Pi- sano ha luogo un fenomeno di ricuoprimento. Qui una potente serie di scisti, arenarie e calcari scistosi del Trias superiore, cui succede re- golarmente una zona di calcare cavernoso retico, sovrapponesi in con- cordanza sulla serie liasica ed è ricoperta dai terreni del Secondario superiore. Il fenomeno fu da me spiegato altrove ^ ammettendo che in questa parte del Monte Pisano si formasse una piega ribaltata verso oriente delle rocce retiche e triasiche, con stiramento e conseguente rottura dei terreni costituenti il fianco ribaltato, ossia quello a suc- cessione inversa. Perdurando l’azione dislocatrice le masse rocciose, sovrastanti alla rottura e costituenti il fianco normale superiore della piega, scorsero in direzione della spinta, dando luogo ad un faglia inversa concor- dante presso a poco colla stratificazione delle rocce liasiche sottostanti. Non era allora completamente eseguito il rilevamento geologico in grande scala della località, nè si aveva una chiara idea in quel tempo dei grandi fenomeni di ricuoprimento, riconosciuti più tardi in gran parte della catena alpina, motivo per cui mi limitai a rappresentare il fatto come una faglia inversa a superfìcie piana e molto inclinata. Ora, coi dati stratigrafìci desunti dalla Carta geologica alla scala di 1 : 25,000 sono in grado di far rilevare che il fenomeno tettonico del Monte Pisano è più esteso e complesso di quanto allora non apparisse, e deve esser riguardato come il risultato del carreggiamento delle for- mazioni triasiche su quelle liasiche lungo una superficie molto meno inclinata e curiata in anticlinale. Le rocce triasiche, infatti, salienti il dorso del monte dal lato Ovest, ridiscendonó nel lato opposto sempre ^ B. Lotti, Un problema stratigrafico nel Monte Pisano (Boll. Comit. Geo- logico, 1888). — 51 riouoprendo i terreni liasici, come indica la qui unita sezione che ret- tifica vquella già pubblicata nel lavoro sopra citato ^ Abbiamo qui, come ve- desi, uno spostamento oriz- zontale di almeno quattro chi- lometri, dovuto allo scorri- mento sopra una superficie curva delle formazioni tria- siche su quelle liasiche ; e tale scorrimento ebbe luogo appunto sopra una superficie curva perchè questa; come indica la sezione, rappresen- tava la superficie di un'an- ticlinale di rocce calcaree ti- toniane e liasiche formanti ^iSTella rappresentazione gra- fica, che unii alla nota citata per spiegare il fenomeno, dovetti complicare la tettonica del ter- reno triasico ricuoprente per dare ragione della presenza di anage- niti tra il Eetico e il Trias supe- riore presso Rupe Cava, rite- nendo allora le anageniti esclu- sivamente permiane. Però le mie osservazioni successive nel Monte Argentario ed in altre località toscane e quelle del Zaccagna al Capo Corvo presso Spezia e nelle Alpi Apuane, fecero constatare l’esistenza di anageniti anche nel Trias superiore immediatamente sotto il Retico. e, arenaria, calcari e scisti eocenici. — cr, calcari con selce neocomiani. — scisti e diaspri titoniani. — t/2, calcari grigio-cupi con selce idem. — P, scisti e calcari a Posidonomya Bronni del Lias superiore. — l~, calcari con selce del Lias medio. — P, calcare bianco del Lias inferiore. — trb cal- care retico. — tr*, arenarie, scisti e calcari scistosi del Trias superiore. [Scala di 1 : 50,000]. 52 — un corpo massiccio e rigido che, di fronte alle forze dislocatrici, faceva contrasto colla natura plastica delle rocce scistose triasiche. La piega con rottura si sarebbe prodotta in quella zona di minima resistenza x-y dove le formazioni basiche, come spesso verificasi spe- cialmente nel Lias inferiore, finivano in cuneo. Eitornando ora, prima di chiudere la presente nota, sul fenomeno di Spoleto, potremmo domandarci se e in quale misura la disposizione di quel bancone calcareo sopra una superficie di scorrimento lubri- ficata da veli d’acqua, inclinata verso la valle e rappresentante per conseguenza un luogo di minima resistenza, possa esser causa dei terremoti cui la località è andata soggetta in vari periodi. E certo ohe lo commozioni telluriche localizzate alla Valle Umbra, come quelle di tutto l’ Appennino centrale, sono da attribuirsi alla categoria dei terremoti detti tettonici o di assettamento, come è certo altresì ohe il sottosuolo di questa regione è costituito da formazioni rocciose dislocate e rotte in vari sensi e accatastate in guisa da for- mare un insieme tutt’altro che equilibrato. Nell’area da me rilevata, e limitata per ora ai dintorni di Spoleto, ho potuto mettere in evi- denza, oltreché l’ampia superficie di discontinuità creata dal ricuo- primento di cui sopra, varie altre rotture per faglia semplice, di cui le più importanti sono, ad esempio, quella del Tissino, mostrata dalla sezione 3, ed una, parallela, sulla sinistra del torrente Maroggia, fra Ponte Bari e Colle Ferretto, dove il Lias medio, separato da una zona pliocenica e alluvionale di quattro chilometri da quello della Rocca di Spoleto, affiora nuovamente e colla stessa inclinazione verso N.O. Il Taramelli nella sua Relazione sui terremoti di Spoleto del 1895 ", pur lamentando di non aver potuto studiare accuratamente la tettonica della località, ed augurandosi che altri lo avesse potuto fare, fa men- zione egli pure di questi fenomeni di rottura e li riguarda come con- dizioni favorevoli per movimenti sismici riferibili ad assettamento tettonico. ^ Mem. R. Accad. dei Lincei, S. Y, Yol. II, 1896. — 53 — Dalle notizie storiche sui terremoti della Valle Umbra del pro- fessore P. P. Corradi, unite alla Relazione del Tarameli! , parmi poter dedurre la conclusione ohe vari terremoti a grande ampiezza ebbero una ripercussione speciale nei dintorni di Spoleto, tanto da farne ap- parire questa località come l’epicentro, sia per essersi manifestati qui come sussultori, sia per la loro intensità rispetto ai luoghi circostanti ed anche vicinissimi dove appena si avvertirono. Cosi, ad esempio, il grande terremoto di Costantinopoli del 446 sarebbe stato risentito anche in Italia e specialmente nell’Umbria, e il periodo sismico sa- rebbe durato qui sei mesi. Le acque del Clitunno, che sorgono a breve distanza da Spoleto, sarebbero grandemente diminuite in quel- l’occasione. Nei secoli successivi fino ai nostri giorni si ebbero nel- l’Italia centrale e segnatamente nella Valle Umbra vari periodi di forti commozioni telluriche, ma esse pure manifestaronsi generalmente sopra grandi estensioni che oltrepassarono anche i limiti dell’ Appen- nino centrale, e male ci apporremmo se volessimo localizzare l’origine di esse nel territorio dì Spoleto e ricercarne la causa prima, spropor- zionata agli effetti, nell’assettamento delle masse dislocate del suo sottosuolo, tanto più che nessun indizio di spostamenti superficiali notevoli fu mai segnalato nei dintorni. Il 20 maggio 1895 ebbe principio un lungo periodo sismico con una scossa che fu fortissima a Spoleto e sensibilissima in gran parte deirUmbria; l’ampiezza del movimento potè essere circoscritta tra Firenze, Siena, Roma e Norcia, con un massimo a Spoleto. Dal giugno all’ottobre dello stesso anno si ebbero a Spoleto un gran numero di scosse, alcune delle quali sussultorie e generalmente di non grande intensità, che apparvero di origine puramente locale, sebbene alcune di esse, pur rimanendo circoscritte alla Valle Umbra e alla Valnerina, si risentissero a distanze relativamente grandi e si manifestassero talvolta più violente altrove che a Spoleto, dimostrando con ciò uno spostamento del centro sismico. Da questo complesso di fatti e di considerazioni parmi quindi potersi inferire che non sia da attribuirsi ai fenomeni tettonici so- — 54 — pracitati il valore di causa prima dei terremoti di Spoleto. Questi evi- dentemente sono stati sempre collegati ai movimenti dei vari centri sismici deir Appennino centrale ed anclie di centri più lontani, ma sem- bra che trovassero un rinforzo nelle anormali condizioni tettoniche del sottosuolo di Spoleto, dove da quei movimenti poteva essere stata provocata la rottura delFequilibrio instabile di quelle masse rocciose dislocate. La rottura d’equilibrio di queste masse potè forse dar luogo anche a commozioni puramente locali dovute al loro successivo e graduale assettamento. Roma, gennaio 1905. III. M. Cassetti. — Appunti geologici sul Monte Conero presso Ancona e suoi dintorni, (Con una tavola) Vari cultori di scienze naturali hanno coi loro studi Lustrato la geologia del territorio marchigiano, ma pochi si sono occupati segna- tamente del Monte Conero, detto anche Monte d’Ancona, di questa caratteristica elevazione che, come il G-argano, sorge isolata sulla costa Adriatica. Fra i primi vanno notati l’ingegnere A. Rutili e i signori A. Spada- Lavinj ed A. Orsini, i quali nel 1848 pubblicarono alcune osserva- zioni geologiche sul suolo marchigiano nel giornale La corrispondenza scientifica in Roma. Nel 1857 l’illustre senatore Scarabelli rilevò la prima Carta geo- logica del Senigalliese e dell’Anconitano, e nel 1869, in unione al ^ La tavola sarà inserita, col rimanente del lavoro, nel prossimo fascicolo. — 55 — bofeanioo Massalongo, pubblicò una .pregevole memoria dal titolo Studi sulla fiora fossile e geologia stratigrafica del Senigalliese. Nel 1875 il professore Paolo Mantovani inserì nel detto giornale alcune interessanti annotazioni sulla formazione geologica delle col- line presso Ancona. Nel 1878 l’illustre professore Capellini compì un importante la- voro sugli strati a congerie e marne compatte mioceniche dei din- torni della stessa città (Atti della R. Accademia dei Lincei, Anno cclxvi, 1878-79). ' Nel 1894 il dottor Bonarelli comunicò alla Società geologica ita- liana una particolareggiata descrizione dei caratteri litologici dei calcari che costituiscono il Monte Conero, indicandone la tettonica e deter- minandone, con abili confronti, i corrispondenti piani geologici. Nel 1896 il professore Paolucci, dell’Istituto tecnico di Ancona, pubblicò uno studio completo sulla flora fossile dei gessi dei dintorni del Conero, dal titolo Nuovi materiali e ricerche critiche sulle piante fossili terziarie dei gessi d’Ancona, con 188 disegni originali (Ancona, tip. A. Morelli, 1896). In diverse epoche poi il professore Canavari, con importanti pub- blicazioni, ha fatto conoscere la struttura geologica di molte località delle Marche, e specialmente di quelle che abbracciano una parte del- l’xlppennino centrale. Citerò infine il dottor Orsi, il prof. G. Antonelli, G. Bevilacqua e Fr. De Bosis, i quali, in un modo o nell’altro, hanno contribuito ad illustrare la geologia della regione di cui ci occupiamo. Nel 1903 lo scrivente ebbe dal R. Ufficio geologico Tincarico del rilevamento geologico del Monte Conero e suoi dintorni, compresi tra la spiaggia Falconara-Ancona e la sponda sinistra dell’ Aspio, fino al suo sbocco nel Musone, ed oggi crede non privo d’interesse il dare un breve cenno delle osservazioni fatte in tale occasione. Caratteri generali del Conero. — Il Monte Conero si erge nel tratto di costa adriatica interposta tra Ancona e Sirolo. La sua forma è quella di un’ellissoide assai depressa e la sua — 5G — sommità, che raggiunge i m. 572 di altitudine, elevandosi di molto sulle colline che lo fiancheggiano, si presenta piuttosto arrotondata e quasi pianeggiante; essa però è bruscamente tagliata dal lato del mare, dal ciglio di un ripidissimo declivio, ohe discende precipitosamente e spesso a picco, di guisa che questo versante del Conero, visto dal mare, offre l’aspetto di un’immensa parete aspra, corrugata e roc- ciosa, con poca e rara vegetazione, in vero assai pittoresca, ma orrida e paurosa, la quale emerge dirupata ed improvvisa dalla super- ficie del mare. Dal lato opposto invece, dove il monte si unisce al continente, si osserva generalmente un pendio abbastanza dolce, cosi da renderne facile e comoda l’ascensione. Il Monte Conero è interamente costituito da una potente pila di strati calcarei di varia struttura; e particolarmente la parte più alta è formata da alcuni grossi banchi di calcare biancastro con selce, ora semicristallino, ora granuloso e talvolta brecciato, alternati con pic- coli banchi di calcare marnoso bianco, rosato o giallastro, grigio o verdastro, spesso argilloso, con letti e noduli di selce, non ohe con straterelli di argilla scistosa, bruna e grigiastra; mentre la parte più bassa si compone di una serie di strati, aventi poco spessore, di un calcare generalmente bianco o rosato, più o meno compatto, a frat- tura dove liscia e dove scheggiosa, a grana fina o saccaroide, con vene spatiche e con inclusioni di selce. Abbiamo dunque che nell’insieme la formazione calcarea del Co- nero presenta tutti i caratteri della cosi detta scaglia dell’ Appennino centrale e del Veneto. In quanto alla disposizione tettonica, gli strati dei sud descritti calcari offrono un bellissimo esempio di struttura ad anticlinale, anzi a cupola, troncata da un lato, e cioè lungo l’erto versante prospi- ciente al mare, quasi lungo l’asse longitudinale allellissoide, per modo che (come è indicato dalla sezione A-B della nostra tavola) lungo questa immensa fronte gli strati appaiono rialzati nel punto centrale di essa e incliuati verso i due estremi, sporgendo per lunghi tratti le loro testate in strapiombo sulla sottostante riva. 57 Al contrario negli opposti versanti del Conero, gli strati vedonsi inclinare gradatamente e quindi immergersi regolarmente ed in con- cordanza sotto i depositi più recenti di marna miocenica delle colline circostanti. Se non che (come appare dalla sezione C-D) nella regione S.E della suddescritta cupola, e precisamente in quel lembo di rupe sopra- stante alla G-rotta degli Schiavi, esiste una brusca piega con frattura parziale, nella quale la lacerazione degli strati si limita solo ad un dato tratto del lembo piegato, mentre rocchio può perfettamente se- guire l’andamento della piega. Si ha insomma una piega in cui la cerniera anticlinale corrisponde in parte ad un piano di frattura con scorrimento, cosi che i due rami della piega stessa trovansi di- sposti a marcatissima contropendenza, appoggiandosi reciprocamente a guisa di una incavallatura. E per conseguenza si osservano gli strati calcarei della zona ripiegata e rotta, sprofondarsi quasi ritti nel mare, mostrando il loro piano di stratificazione e nascondendo le testate dei corrispondenti strati di questa parte della cupola. E qui è opportuno notare che, a mio modo di vedere, 1’ origine della citata Grotta degli Schiavi devesi senza dubbio al suddescritto fenomeno di frattura e conseguente contrapposizione di strati, la quale produsse l’effetto di troncare l’estremità dei banchi calcarei sul piano di scorrimento. Difatti essa, che ha il suo imbocco proprio a livello del mare, s’ interna quasi esattamente nel senso del citato piano di frattura, occupando in gran parte lo spazio interposto agli strati appoggiati in contropendenza. Coll’ andar del tempo poi, l’am- piezza dello scavo dovette mano mano aumentare per effetto, sia dei cedimenti della volta, causati da infiltrazioni di acqua, le quali fini- rono per rompere Fequilibrio dei frammenti di banchi, sia per la suc- cessiva disgregazione e asportazione del materiale franato, in conse- guenza del lavorio delle onde marine. Nella regione poi soprastante ed adiacente alla spiaggia sulla quale è fabbricata la Chiesa di Porto Nuovo, vale a dire nell’ altro lato dell’anticlinale, le testate degli strati sono mascherate, fino ad — 58 — una notevole altezza, da una potente ed estesa falda detritica (vedi sezione A-B)^ su cui si svolge una buona parte dell’ unico sentiero stretto e difficilmente praticabile, il quale, dall’ ex-Convento dei Ca- maldolesi, prossimo alla cima del Conero, scende al mare presso la Chiesa suddetta, attraversando questo erto ed elevato versante del monte. Frattanto per la presenza della suddescritta piega con frattura in uno dei lati dell’anticlinale, e nell’altro per la esistenza della suaccen- nata falda detritica, consegue che la superficie della parete esposta al mare, nella quale si mostrano completamente a nudo le testate dei vari banchi della serie calcarea formante la cupola del Conero, e dove perciò, benché non senza difficoltà, se ne potrebbe esaminare la suc- cessione, comprende semplicemente una limitatissima zona della parte più alta, dove il pendio del versante permette l’accesso, mentre la rimanente zona è del tutto impraticabile, discendendo più o meno a picco in mare. Sulla descritta cupola calcarea, si appoggia dapprima un depo- sito di varia potenza ed estensione di marne, riconosciute mioceniche, sul quale si sovrappone la zona a congerie^ rappresentata da gessi e da arenarie, cui fa seguito la formazione pliocenica, costituita di are- narie gialle, piuttosto tenere, assai fossilifere, e di argille azzurre pas- santi ad argille sabbiose, e quindi a sabbie argillose o a sabbie gialle, sormontate qua e là da più o meno limitati depositi di breccia con- chiglifera di età post-pliocenica. Come vedremo in seguito, tanto le marne quanto la superiore zona a congerie, che circordano il nucleo calcareo del Conero dal lato del continente, ne seguono esattamente 1’ andamento tettonico, come fu accennato, e i rispettivi strati concordano perfettamente con quelli della sottostante cupola calcarea; ciò che porta ad ammettere indub- biamente che il sollevamento del Monte Conero avvenne posterior- mente alla loro deposizione. Vediamo ora di descrivere con qualche particolarità la struttura geologica dei suindicati terreni, seguendo il loro ordine cronologico, dal più antico cioè al più recente. — 59 — Calcari cretacei e calcari eocenici. — Fino ad oggi si era ritenuto che tutta la massa calcarea formante la cupola del Conero, apparte- nesse ad epoca cretacica, non senza supporre dapprincipio che la zona inferiore potesse rappresentare qualche piano del Griurese ; ma tale supposizione non tardò molto ad essere riconosciuta insussistente. Egli è certo che la generale mancanza di una caratteristica fauna nei calcari della potente pila di strati del monte in esame, e T essere tale formazione completamente isolata e ben lontana da altre simili, non permettono un esatto giudizio sulla età relativa di essa, non po- tendo questo basarsi nè su dati paleontologici, nè su confronti stra- tigrafici con uguali formazioni ad essa collegate, ma sibbene sulla semplice analogia litologica dei detti calcari con quelli di località lontane e distaccate, non ohe su altre considerazioni speciali d’ indole tettonica. E dappoiché, come ho notato più sopra, la facies dei cal- cari del Conero è perfettamente analoga a quella della scaglia del Veneto e dell’ Appennino centrale, ritenuta generalmente del Cretaceo superiore, sorge spontanea la ipotesi che detti calcari siano a questa contemporanei. Ma fin dalle prime escursioni al Monte Conero, mi è sorto il dubbio che la zona più alta dei calcari di cui esso è costituito, ossia la parte superiore della cupola, sia da ritenersi di epoca terziaria e precisamente del periodo eocenico, e ciò pel fatto che l’aspetto del calcare dei grossi banchi che ivi affiorano, è perfettamente analogo a quello di molti calcari dell’ Appennino meridionale, già riconosciuti eocenici per la presenza delle nummuliti, appoggiati in concordanza su calcari ippuritici e con passaggio graduale ad essi; come ad esempio quello dei monti dell’alta valle del Sangro tra Pescasseroli ed Alfedena, e della catena della Meta nell’alta valle del Volturno. Infatti il calcare dei suaccennati grossi banchi del Conero, ohe viene localmente chiamato coll’impropria denominazione di travertino, è generalmente biancastro, compatto, ora granuloso, ora brecciato, talvolta saccaroide e semicristallino. Esso contiene nna straordinaria abbondanza di foraminifere e mostra qua e là numerosi frammenti di — 60 - rudiste; i suoi caratteri litologici e paleontologici corrispondono in- somma esattamente a quelli dei calcari eocenici, nummulitici, delle località sopra indicate. Se non che quelle foraminifere, alcune delle quali, per la loro cat- tiva conservazione, guardate ad occhio nudo, ed anche con una sem- plice lente d’ingrandimento, sembravano delle nummuliti, osservate al microscopio si riconobbero tutte per orbitoidi, ed avendo poi sot- toposto gran parte del materiale raccolto all’esame del dott. Prever del R. Museo geologico di Torino, assai competente in fatto di foramini- fere, questi potè determinarvi le seguenti specie: Orhitoides {Lepidocijclina) gensacica Leym. (forma A e B) » » Tissoti Schlumb. (forma A e B| » » minor- Schlumb. (forma A e B| Caìcarina sp. affine C. Spengleri B. sp. » sp. le quali indicherebbero il Turoniano superiore od il Senoniano in- feriore. Ma nel mentre io non posso che accettare la fatta determinazione e quindi riconoscere la presenza di orbitoidi cretacee nei calcari più alti del Conero, non credo, per le ragioni che esporrò in seguito, esclu- dere in modo assoluto che questi possano invece ritenersi del periodo eocenico. Ed anzitutto noi abbiamo il fatto, che le orbitoidi appariscono solo ed in grande abbondanza nei calcari dei grossi banchi suindicati, nei quali la roccia è generalmente a struttura brecciata e talvolta gra- nulosa al punto da presentare l’aspetto di un conglomerato a minuti elementi, ed oltre ciò detta roccia è precisamente quella che racchiude molti e piccoli frammenti di rudiste. Ora questa circostanza, secondo me, fa sorgere il dubbio che si tratti di un vero sedimento, di origine clastica, cioè a dire ohe nel Conero ci troveremmo di fronte a strati di calcare eocenico formati esclusivamente a spese del Cretaceo, e che per conseguenza essi rap- — Ó1 — presentano il risultato della deposizione di un materiale di trasporto costituito da tritume di roccia calcarea mista a rottami di rudiste non che di orbitoidi cretacee allo stato frammentario ed anche intere. Del resto, la facilità con la quale queste foraminifere possono pas- sare da un terreno più antico ad Uno più recente, senza eccessivo lo- goramento, è stata troppo volte illustrata da vari autori, perchè sia qui il caso di insistervi. Ma oltre a tale considerazione, che sembrami non priva di im- portanza, havvene un’altra di un valore non facilmente discutibile, ed è quella del rinvenimento delle nummuliti negli strati della parte superiore della scaglia dei non lontani monti della Sibilla fatta dal prof. Canavari, e quello più recente nella scaglia dei monti abruzzesi al confine con quelli umbri, fatta dall’ing. Lotti e dal collega Mo- derni, durante le loro escursioni pel rilevamento geologico di quella regione, entro strati che, specialmente per la loro tettonica, offrono grande analogia con quelli del Conero. Su questo proposito anzi il sullodato prof. Canavari nella sua pregevole memoria sui terreni terziari dell’ Appennino centrale ^ si esprime presso a poco cosi: « Il calcare marnoso scaglioso prevalentemente rossastro delfAp- « pennino centrale, sottostante senza alcuna discordanza alle marne « grigie mioceniche, veniva riferito dai geologi alla parte superiore « della Creta, e ciò per il fatto della loro somiglianza litologica colla « scaglia cretacea del Veneto e perchè sottostanti al nummulitico. « Ma al Pizzo dell’Abbandonata (una delle cime del Monte Tre c( Vescovi) tra la scaglia rossa sono intercalati pochi e sottili strati « di calcare bianco nummulitico, di guisa ohe se non tutta una parte « della scaglia dei Tre Vescovi deve riferirsi all’Eocene. « E cosi deve ritenersi eocenica anche la scaglia grigia della Si- ^ M. Canavari, / terreni del Terziario e quelli della Creta superiore neU l Appennino centrale (Atti della Società toscana di Se. nat. in Pisa. Processi verbali, Yol. YIII, 1891-93). 62 — « bilia con Taonurus, perchè essa contiene sottilissimi straticelli di « calcare compatto nummulitico. « In conclusione l’estensione della Creta dell’ Appennino centrale « va di molto diminuita ed aumentata invece quella dell’Eocene ». Lo stesso prof. Canavari in una comnnicazione fatta alla Società toscana di Se. nat. ^ conferma la detta sua opinione, aggiungendo che questa è condivisa dal prof. Taramelli. Ora la parte più alta della scaglia del Monte Conero, si trova presso a poco nelle stesse condizioni tettoniche di quella dei monti della Sibilla, con la sola differenza che, mentre in questi i calcari eocenici intercalati nella scaglia rossa sono a strati sottili e contengono delle nummuliti, al Conero essi sono abbastanza potenti, e, senza mo- strare le dette foraminifere, abbiamo una roccia che presenta tutti i caratteri di un calcere eocenico. Ma ad avvalorare la opinione del prof. Canavari, parmi non fuor di luogo accennare ad un’altra considerazione. Gran parte dei monti dell’ Appennino meridionale e alcuni del centrale (Abruzzo aquilano) sono costituiti da calcari compatti, di varia struttura, mentre altri monti dell’ Appennino centrale, il Monte Conero e alcuni del Veneto sono costituiti di calcare scaglioso di vario colore, ossia della cosi detta scaglia. Si è constatato che molti dei primi nel loro insieme comprendono calcari cretacei e calcari eocenici con nummuliti, e che questi ultimi sono riferibili all’Eocene medio; così che si ritiene che in essi manchi l’Eocene inferiore. Ma, come più volte ho accennato nelle mie relazioni annuali sul rilevamento geologico di quelle regioni, inserite nel Bollettino del R. Comitato geologico, tra quei calcari cretacei e i calcari dell’ Eocene medio, non solo troviamo una perfetta concordanza di stratificazione, ma altresì tra gli uni e gli altri vi ha un passaggio puramente gra- ' M. Canavaei, Ancora sulla eocenicità della parte superiore della Scaglia nell’ Appennino centrale (Processi rerbali della Società toscana di Se. nat., in Pisa, Yol. IX, 1894.96). — G3 — duale, interponendosi fra di loro una zona di calcare, che in alcuni punti raggiunge qualche centinaio di metri di potenza, assolutamente priva di fossili. Per modo ohe se il geologo, salendo il versante di uno di quei monti, come, ad esempio, la Maiella, non tenesse sempre desta la sua attenzione, può accadergli di passare, senza accorgersene, dal calcare cretaceo a quello nummulitico. Sui calcari nummulitici poi troviamo in molti casi appoggiati più o meno concordemente gli scisti marnosi del Miocene. Stando cosi le cose ho creduto bene di ammettere la possibilità che precisamente quella zona di calcare priva di fossili, potesse rap- presentare in parte il Cretaceo inferiore e in parte l’ Eocene in- feriore. Ora se tale è la successione cronologica dei terreni calcarei del- l’Appennino meridionale e dell’ Abruzzo aquilano, parmi fuor di luogo il supporre che essa non possa ripetersi negli altri monti dell’ Appen- nino centrale e particolarmente al Conero, solo pel fatto della sem- plice differenza di struttura litologica. Ed in vero perchè dobbiamo ammettere che nei monti della Sibilla e al Monte Conero dal calcare cretaceo si passi senz’altro a quello miocenico, ed anche senza alcuna discordanza, mentre nell’ Appennino meridionale s’interpone fra loro la serie eocenica? E ritornando a parlare del Monte Conero, in quella formazione calcarea, per quanto io sappia, l’unico e solo fossile fin oggi trovato è un esemplare incompleto (determinato come appartenente ad una Radiolite)j che il prof. Paolucci conserva gelosamente nel Museo di storia naturale dell’Istituto tecnico d’Ancona. Ma se da un canto si ignora il punto preciso di quella serie cal- carea, nel quale è stato raccolto tale fossile cretacico, come lo stesso prof. Paolucci ebbe ad affermarmi, dall’altro il fatto della presenza di rudiste, in grossi e piccoli frammenti ed anche in modelli quasi com- pleti, in pieno calcare nummulitico, non è nuovo, nè raro, giacché i calcari eocenici dell’ Appennino meridionale e precisamente quelli che — 64 — stanno in concordanza e con passaggio graduale sui calcari ippuritici ne contengono sempre in più o meno grande abbondanza. Su tale proposito mi limito soltanto a citare i monti calcarei del- l’alta valle del Sangro a Sud di Opi, dove mi fu dato di raccogliere in una zona di brecciola nummulitica, sovrapposta e concordante ad una zona di calcare senza fossili, alla quale fa seguito, sempre in con- cordanza, il calcare a rudiste, diversi esemplari d’ippuriti in grossi frammenti e fra questi uno quasi intero, la cui superfìcie articolare è letteralmente tappezzata di nummuliti di discreta grandezza, esemplare che si conserva nel Museo del nostro Ufficio geologico. Siffatto esemplare è stato inviato al prof. Parona a Torino ed egli, non trovando conveniente di sciupare con un taglio la superfìcie articolare disseminata di nummuliti, si limitò ad esaminarlo esterna- mente e disse di sembrargli appartenere all’^T. Taburni Guiscardi ; mentre in pari tempo il sullodato dott. Prever ha riconosciuto che le nummuliti, le quali si accompagnano e si addossano a tale esemplare di Hippurites^ appartengono alle seguenti specie: Assilina spira De Roissy » sub-spira De la Harpe Gìlinbelia, lenticularis Ficht. et Moli. » Meneghina d’Arcli. » siih-Paronai Prev. Paronaea eocenica Prev. » sub-eocenica Prev. le quali accennerebbero al Luteziano medio. Del resto il succitato fenomeno trova la sua spiegazione non tanto nel fatto naturale che un terreno più recente è di sovente fatto a spese del più antico, quanto nella considerazione della notevole resistenza che offrono le rudiste alfazione distruggitrice delle correnti marine. Parmi adunque che non siano nè poche nè di poco valore le ragioni per le quali non posso fare a meno d’insistere nel ritenere che la parte superiore dei calcari che costituiscono la cupola del Co- nero, sia da ritenersi eocenica. 65 — Posto ciò, come può rilevarsi dalla piccola Garba geologica dise- gnata nella nostra tavola, la serie cretacica sarebbe soltanto rappre- sentata dagli strati calcarei del nucleo centrale di detta cupola e più precisamente da quelli ohe presentano le loro testate sulla ripida costa compresa tra la Grotta degli Schiavi e la Chiesa di Porto Nuovo, e ohe si affacciano sul litorale adriatico poco al di sotto della cima del monte; mentre la serie eocenica comprenderebbe gli strati più alti della cupola stessa, i quali, a guisa di ampio mantello, si estendono dalla cresta del Conero alle sue pendici, e che sommergono mano mano con lieve pendenza da una parte sotto le adiacenti col- line di marna miocenica e dall’altra, scendendo al mare dove più ripiegati e dove rotti, formano quel ripido lembo di costa, che unisce la Grotta degli Schiavi alla piccola marina di Sirolo, per poi nascon- dersi sotto le rupi di calcare marnoso miocenico, sulle quali è fabbri- cato questo paese. {Continua). 5 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE OEOLOOIO^ XTTATuTA.lSA. PER l’akn^o 1903 ‘ {Continiiasione e fine, vedi anno 1904, n. 4). Tarameeli T. — Condizioni geologiche della valletta del Torrente Vellone sopra Velate di Varese, (Giornale di Greol. pratica, Yol. I, fase. YI, pag. 252-261). — aenova, 1903. Lo studio ha per scopo di dimostrare sino a quale misura possa convenire un progetto di chiusura artificiale di quel bacino per una conduttura di acqua potabile a servizio della città di Yarese. La serie dei terreni riscontrati nella valletta del Yellone è, in ordine discen- dente, la seguente: V morene, rimaneggiate e terrazzate, ricoprenti le falde dei monti cal- cari, nei quali è incisa la valletta fino sopra Yelate; 2^ terminata la morena appare il calcare selcifero, grigio scuro, del lias inferiore, tagliato dai torrente, quasi normalmente alla direzione degli strati; 3° sotto al precedente affiora più in alto un calcare più compatto e più chiaro, d’apparenza dolomitica, che l’autore attribuisce all’infralias superiore ; 4° segue, sul versante orientale della vailetta, la potente formazione della dolomia principale (trias superiore) con banchi dello spessore sino a 4 e 7 metri ciascuno. È da questa zona che sul lato destro della valle franarono in passato voluminosi ed abbondanti detriti, i quali formano una conoide ricoprente in gran parte una formazione, assolutamente impermeabile, cioè quella delle marne variegate (Keuper). In corrispondenza di queste marne trovasi appunto la zona delle sorgive; 5® infine la dolomia inferiore (Muschelkalk) che costituisce il limite set- tentrionale del bacino, con acque circolanti nelle masse fratturate e che alimen- tano le sorgenti dell’Olona. ^ Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni che, pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d’Italia ed hanno rapporto con essa. — 67 - L’autore fa un esame particolareggiato delle fonti esistenti nel bacino del Vellone e che egli ritiene conveniente di raccogliere, allacciare e tradurre di- rettamente nel progettato lago artificiale, la cui diga in muratura dovrebbe sorgere in corrispondenza delFaffioramento calcareo dell’infralias superiore. In seguito però a considerazioni circa la temperatura cbe avrebbero le acque del lago, l’autore ne trae altro argomento per '^consigliare la separazione delle acque di fonte dalle altre, immettendo le prime, fuori del lago, direttamente nella conduttura. Così infatti si fece, rinunciando alla costruzione del serbatoio. Taramelli T. — Risposte ai quesiti proposti dalla Giunta municipale di Vicenda riguardo alle acque sorgive e salienti della Maddalena e del Moracchino. (Griornale di G^eol. pratica. Voi. I, fase. YI, pag. 262-274). — Grenova, 1903. È una relazione fatta in addietro per lo studio della conduttura di acqua potabile per la città di Yicenza e cbe ora l’autore riproduce con alcune va- rianti, con riguardo speciale alle condizioni idrografiche della pianura padana. Egli espone dapprima le sue vedute circa la struttura geologica delle col- line e del piano alluvionale a nord della città, in base a nozioni acquisite in alcune ultime escursioni. Anzitutto giova considerare una frattura stratigrafica cbe attraverserebbe il piano da Sebio a Yicenza, e si allaccierebbe ad altra frattura cbe rasenta a levante i Colli Borici, in probabile rapporto colla attività dei vulcani terziarii della regione euganea ; e tutto ciò connesso con altre frat- ture longitudinali o trasverso. Questa condizione stratigrafica spiega la grande potenza cbe, nella insenatura vicentina, presentano le alluvioni quaternarie, e spiega del pari la presenza di acque sorgive non soltanto nella zona di risul- tiva, ma anche alle falde delle colline. Lo spessore enorme delle alluvioni, con la base certamente inferiore al livello marino, è un fatto generale per la depressione padana, comprovato an- che da alcune recenti perforazioni; di guisa cbe si deve ammettere un ab- bassamento post-glaciale della regione adriatica settentrionale, continuatosi in epoca storica. La contemporaneità di parte di queste alluvioni con lo sviluppo dei giacciai alpini, contribuisce a spiegare l’abbondanza di sedimenti limacciosi nel basso piano, cui si aggiunge la copia degli elementi basaltici e porfirici convertiti in argilla per decomposizione. In complesso ebbesi nel Yicentino una condizione più favorevole cbe altrove, per la esistenza di una alternanza di strati acquiferi e di strati impermeabili, causa della salienza delle acque e della indipendenza fra di esse. - 68 - Dopo altre considerazioni di natura idrografica, l'autore riproduce le ri- sposte date ai quesiti formulati dal Comune di Yicenza circa le acque che si volevano portare, e che poi si portarono effettivamente in città con piena sod- disfazione di quella cittadinanza. Taramelli T. — Di alcune sorgenti nella Garfagnana e presso Gorizia. (Eend. E. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYI, fase. lY, pag. 244- 251). — Milano, 1903. Xella prima parte Fautore tratta di due importanti sorgenti nelle Alpi Apuane, e precisamente nella valle della Turrite di Gallicano, denominate la Chiesaccia e la fonte dei Gangheri, Fuso delle quali era contrastato da Pisa e Firenze da una parte per acqua potabile, mentre Lucca dall’altra le voleva conservate a vantaggio dell’agricoltura e delle industrie locali. Dallo studio fattone risulta che la prima di esse nasce al contatto della dolomia cavernosa del retico con gli scisti ardesiaci del trias, mentre l’altra trovasi al contatto del calcare basico inferiore con lo scisto a Posidonomga del lias superiore. Questo secondo caso di roccia impermeabile (scisto) superiore alla permeabile (calcare) si verifica, secondo Fautore, abbastanza di frequente anche nelle prealpi lombarde. Lo stesso poi incidentalmente ricorda che nel bacino raccoglitore della sorgente Gangheri trovasi uno dei più interessanti apparati morenici delle Alpi Apuane, quello di Pianizza, già descritto dal De-Stefani. Xella seconda parte Fautore riassume le osservazioni da lui fatte sulla copiosa sorgente della Frigida che sbocca nelFIsonzo presso Gorizia, la quale deriverebbe da acque che si perdono nelle numerose doline dell’altipiano cal- careo a X.E di quella città e raggiungono FIsonzo, 16 chilometri più sotto, senza mescolarsi con altre acque che si inabissano in altre doline più prossime al fiume. La Frigida è come l’avanzo di un sistema di idrografia sotterranea assai antico e in rapporto con un campo di fratturazione nella massa calcarea dell’altipiano, con l’abbassamento della rinascenza a misura che si approfondiva l’alveo del fiume e mentre andavano otturandosi le antiche vie acquee a causa dei depositi fattivi dalle filtrazioni superficiali. Interessante è la relazione della idrografia di questa sorgente con la idrografia quaternaria della regione, e da questo studio conchiude Fautore che la circolazione sotterranea delle acque è subordinata alla struttura del suolo ed alla sua conformazione, e che in conse- guenza va studiata con una minuta discussione dei rilievi e delle depressioni, onde ritrarne un complesso di fatti coordinati che trovano poi la loro utile ap- plicazione nella pratica. 69 — Taramelli T. — Studio geo-idrologico del bacino della Turrite di Gallicano (pag. 76 in-8^, con carta geologica). — Lucca, 1903. È la relazione particolareggiata dello studio fatto dall’autore, per incarico della provincia di Lucca, delle sorgenti, di cui sopra è detto, nella valle della Turrite di Gallicano, corredata da una Carta geologica dell’intiero bacino del torrente, ricavata dai rilevamenti eseguiti dal R. Ufficio geologico. Essa si divide in tre parti, e cioè: 1® Condizioni orografiche ed idrogra- fiche del bacino della Turrite di Gallicano ; 2® Sue condizioni geologiche ; 30 Provenienza delle fonti della Chiesaccia e della polla dei Gangheri ; con- clusioni. Taramelli T. — Di uno straterello carbonioso nella formazione porfirica tra Arona e Meina. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYI, fase. XY-XYI, pag. 884-86). — Milano, 1903. Xella perforazione di una galleria fra Arona e Meina (linea di accesso al Sempione) fu incontrato uno straterello di 20 centimetri di spessore di una sostanza carboniosa, prossima a grafite, entro la parte inferiore della massa porfirica che quivi è interposta tra il micascisto quarzifero, probabilmente azoico, ed il calcare triasico di Arona. In complesso la massa anzidetta è in preva- lenza a struttura brecciata, ossia rimaneggiata, e quindi il tenue deposito car- bonioso è forse dovuto piuttosto a trasporto anziché a vegetazione in posto. L’autore conchiude che la presenza di tale straterello presso alla base della formazione porfirica all’estremità sud del Yerbano, si concilia con la natura aggregata delle roccie vulcaniche di rimpasto esogeno, con le quali il carbone si presenta e conferma la esistenza in luogo di terre emerse in epoca permiana 0 meglio al chiudersi della carbonifera. Tommasi a. — Sulla estensione laterale dei calcari rossi e grigi a cefa- lopodi del Monte Clapsavon. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yo- lume XXXYI, fase. IX, pag. 431-439). — Milano, 1903. Facendo seguito alla monografia sulla fauna dei calcari rossi e grigi del Monte Clapsavon nella Gamia occidentale da lui pubblicata (vedi Bihl. 1900\ l’autore segnala altri punti nei quali si presenta la stessa roccia triasica, spe- cialmente in Yal di Pena presso Lorenzago, già esplorata dal Longhi (vedi c, s.), e ne descrive altri ancora, fra cui importante uno a nord di Forni di sotto. — 70 — nella località detta La Faus in valle dell’Auza e presso lo Stavolo Lui, a po- nente di Ampezzo, e ne presenta un elenco di fossili, comprendente 36 specie, di cui 25 comuni con la fauna del Clapsavon. L’autore ritiene che il banco fossilifero della Faus rappresenti la conti- nuazione verso est del deposito del Clapsavon e che non altrimenti si possa pensare del giacimento più occidentale della Val di Pena. Tommasi a. — Revisione della fauna a molluschi della dolomia principale di Lombardia. (Palaeontographia italica, Voi. IX, pag. 95-121, con 3 tavole). — Pisa, 1903. La revisione fu fatta su materiale esistente nel Museo della E. Univer- sità di Pavia e su altro messo a disposizione dell’autore dal Museo civico di Milano, da quello di Bergamo e dall’Ateneo di Brescia. Questa fauna, che per la prima volta fu illustrata, or sono circa 10 anni, dallo Stoppani, esigeva un nuovo studio, in specie pei gasteropodi, dopo la pubblicazione del Kittl sulle faune del calcare di Esino, della Marmolata e degli strati di San Cassiano (vedi Bihl. 1891, 1892, 1894, 1899), e inoltre per la presenza di nuove forme che non poterono essere considerate nella mono- grafia dello Stoppani. Le specie descritte e figurate nelle tavole sono 43, delle quali 11 di mol- luschi, ripartite in 16 generi spettanti alle due classi dei lamellibranchi e dei gasteropodi ; di esse erano già note 26, quindi le forme nuove ammon- tano a 15. Tra le faune conosciute quella di San Cassiano presenta le maggiori ana- logie con questa, in particolare nella classe dei gasteropodi. Degna di rimarco è poi l’assenza assoluta dei cefalopodi, come pure di ogni rappresentante della classe dei polipi. Tornquist a. — Ber Gehirgsbau Sardiniens iind seine Besiehungen bu den jungen circum-mediterranen FaltenBugen. (Sitzungsber. der Kon. Preuss. Ak. der Wiss., Jahrg. 1903, xxxii-xxxiii, pag. 685-699). — Berlin, 1903. In un primo scritto sulla Sardegna (vedi Bihl. 1902) l’autore espose le sue osservazioni circa la serie dei terreni e la tettonica dell’isola : in questo egli fornisce altri schiarimenti sulle sue condizioni tettoniche in rapporto con — 71 altre regioni, in particolare con la Corsica e con la zona estra-alpina. Essa è divisa in quattro parti, le quali trattano : Della unità geologica della Sardegna ; 2® Dei suoi rapporti con la Corsica ; Della natura geologica della Sardegna ; 4® Della connessione dei sistemi montuosi sardi con quelli del con- tinente. Il sistema sardo-corso rappresenta il risultato di un sollevamento nord- sud, in disaccordo con quello degli Appennini, delle Alpi liguri, dell’Atlante e delle Baleari. Le depressioni del Campidano e della !Nurra limitano due re- gioni geologicamente bene distinte ; a ponente l’Iglesiente e i monti della IN^urra, a levante il Sarrabus, la Barbargia, la Grallura; le quali ultime durante il trias dovevano formare una sol massa, che si sommerse poi in epoca giurassica re- cente e non fu influenzata dal corrugamento terziario, al contrario dell’altra parte, dove il mesozoico è molto sviluppato ed a facies estra-alpina o ger- manica. Kel confronto con la Corsica, l’autore crede di poter considerare la re- gione occidentale e centrale di questa come un seguito della Gallura, e ri- tiene che in epoca triasica queste due regioni dovevano formare una catena emersa segnante confine con il trias alpino all’est e l’estra-alpino all’ovest. JN’e deriva che la Sardegna occidentale non sarebbe, come il Giura, altro che una appendice esterna dell’arco terziario delle Alpi. !N^el testo sono inseriti tre schizzi rappresentanti uno la sezione della valle fra Monteponi e San Giorgio nell’ Iglesiente, e gli altri il grande arco delle Alpi e dell’ Appennino, in rapporto col sistema sardo-corso. Trebbi G. — Ricerche speleologiche nei gessi del Bolognese (dalla Eiv. ital. di Speleologia, Anno I, fase. 3-4, pag. 14 in-8®). — Bologna, 1903. In questa nota preventiva l’autore, dopo avere osservato che ben poco sono conosciuti la morfologia esteriore ed il regime idrografico sotterraneo delle regioni gessose, e passati a rassegna i pochi autori che se ne occuparono, dà un elenco delle caverne e degli altri fenomeni di erosione che ha avuto modo di studiare nella zona gessosa del Bolognese. Descrive dapprima sommariamente i depositi gessiferi del territorio. Essi spettano alla parte superiore della zona gessoso-solfifera del mio-pliocene, e procedendo verso mezzogiorno acquistano il carattere tipico della formazione solfifera di Romagna e di Sicilia. Qui lo zolfo è appena rappresentato da infiltrazioni affatto trascurabili ; invece i gessi cristallini vi sono assai sviluppati e sono circondati da depositi miocenici superiori, generalmente a contatto con argille e talora, per ampi tratti, coperti da conglomerati a ciottoli silicei e dalle sabbie grossolane del quaternario. L’autore passa quindi a descrivere le località citate. Egli si propone in un prossimo lavoro di dare l’analisi minuta dei fenomeni carsici dei gessi del Bolognese, indicando la loro analogia con quelli tipici dei calcari e di presen- tare le piante e gli spaccati delle voragini e caverne più interessanti. Ugolini R. Altri resti di Monachus albiventer Bodd. del Pliocene di Orciano. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol XIII, pag. 87-88). — Pisa, 1903. Facendo seguito a precedenti pubblicazioni sullo stesso argomento (vedi Bihl. 1902\ l’autore tratta in questa nota di alcuni resti di foca provenienti da Orciano, esistenti nel Gabinetto di storia naturale dell’Istituto tecnico di Li- vorno. Egli riconobbe trattarsi di un esemplare assai più giovine di quelli da lui precedentemente studiati, del Monachus albiventer Bodd., e tanto più interes- sante per alcune ossa che o non figuravano in essi o vi erano solo frammen- tarie. Alla nota è annessa una tabella indicante le dimensioni principali di al- cune ossa meglio conservate in rapporto con quelle corrispondenti dell’altro campione già studiato della stessa località. Ugolini R. — Pettinidi nuovi o poco noti di terreni terziari italiani. (Ri- vista ital. di paleontologia. Anno IX, fase. Ili, pag. 77-94, con 2 tavole). — Bologna, 1903. Le specie descritte in questa memoria provengono da diverse località ita- liane ed appartengono in gran parte al miocene. Esse sono in numero di 16 fra le quali 5 nuove, e cioè: Chlamgs (Hinnites) Bononiensìs, Chi. (Aeqnipecten) transversa, Chi. (Flexopecten) anatipes, Pecten (Amnssiopecten) De Stefanii, Pecten grandiformis. Queste provengono rispettivamente da Labante (Bologna), da Tre Santi (Bussano Veneto), da Montegibbio (Modena), da Lecce (Penisola Sa- lentina), da Pienza (Siena). Xelle tavole sono disegnate quasi tutte le specie descritte. 73 - Yacek: M. — Exkiirsìon durch dìe Etschbucht {Mendola^ Trient^ Rovereto^ Riva) (aus IX Intern. Greologen-Kongress^ Fiihrer fiir die Exkur- sionen, pag. 27 in-8^, con tavola). — Wien, 1903. Premessa una copiosa letteratura ed un cenno generale sui terreni che, dal permiano al diluviano, si presentano in serie quasi ininterrotta in questo golfo delV Adige, che a sud della gran massa porfirica di Bolzano si estende dalla Cima d’Asta a levante, al gruppo dell’Adamello a ponente, l’autore dà l’itinerario di sette giornate di escursione da Bolzano a Riva sul lago di Garda, distinte come segue : 1® da Bolzano a Kaltern, indi al passo della Men- dola e ritorno ; 2® da Bolzano a San Michele, indi alla Rocchetta e ritorno ; poi a Trento e visita al Buco di Tela; 3^ dintorni di Trento; 4® ancora din- torni di Trento ; 5® da Trento a Rovereto; 6® dintorni di Rovereto ; 7® da Ro- vereto a Xago e Arco; Monte Perlone, Torbole, Monte Brione e Riva. Xella tavola sono disegnati quattro interessanti profili attraverso la re- gione da percorrersi e i territori circostanti. Verri A. — La Montagnola Senese. (Boll. Soc. Greol. italiana, Voi. XXII, fase. 1^, pag. 1-8, con carta). — Roma, 1903. Sono note raccolte dall’autore per servire di guida alle escursioni della Società geologica italiana nella regione suindicata, col corredo di una cartina geologica alla scala 1 : 100,000 eseguita in base ai rilievi del R. Ufficio geo- logico. Premesso un cenno sugli autori che studiarono la Montagnola, il Verri passa a dire brevemente dei terreni in essa riconosciuti dal Lotti che ne eseguì il rilevamento e ne riferì in una pubblicazione dell’anno 1888. Detti terreni sono dal basso in alto ; Permiano : scisti micacei, arenarie quarzitiche e conglomerati quarzosi, equivalenti al verriicano dei Monti Pisani. Trias ; calcari compatti o subcristallini, analoghi ai gressoni delle Alpi Apuane, cui segue la nota formazione marmifera, costituita da calcari cristallini, calcescisti, calcari compatti o subcristallini, ecc., ecc. Retico : calcare dolomitico in generale cavernoso e grigio, alquanto fetido. Da questo si salta direttamente ai terreni terziarii, e cioè : Eocene, con roccie calcareo -argillose e masse of iolitiche. Miocene ; breccia composta da frammenti di calcare retico, cementati da calcare concrezionato giallastro simile a travertino. — 74 — Pliocene", sabbia con ciottoli, coperta da banchi di ostree e da calcare ad anfistegina e nullipore. Quaternario : ciottoli in terrazze lungo le valli principali, ad altezza di 10 a 15 metri sul letto dei corsi d’acqua; travertini e terra rossa. Secondo l’autore la Montagnola Senese sarebbe un grande frammento di elissoide troncato ad ovest e declive verso nord e verso est ; egli attribuisce sopratutto agli scorrimenti delle masse la mancanza delle formazioni posteriori al retico, e cosi alcune delle discordanze nella stratificazione delle roccie componenti quel rilievo. Verri A. — Il Monte Amiata. (Boll. Soc. Geol. italiana, Voi. XXII, fase. 1^, pag. 9-39, con carta). — Eoma, 1903. Sono noto raccolte per lo stesso scopo delle precedenti, e come esse cor- redate da una cartina al 1 : 100,000 in base ai rilievi del R. Ufficio geologico. Esse sono divise per terreni od argomenti diversi, in ordine di data degli scritti che ne trattano, e cioè : 1® formazioni mesozoiche ; 2® formazioni eoce- niche ; 3® formazioni mioceniche ; 4® formazioni plioceniche ; 5® movimenti post- pliocenici ; 6° fase vulcanica del Monte Amiata ; 7® fase vulcanica di Radi- cofani ; 8*^ disposizione delle masse sedimentarie in riguardo ai due vulcani ; 9^^ emanazioni gassose, sorgenti minerali, circolazione sotterranea delle acque ; 10*^ giacimenti di mercurio. Su quest’ultimo, interessantissimo argomento, le notizie, tratte da diversi autori, riguardano : 1*^ le roccie contenenti il minerale di mercurio : sono i cal- cari, gli scisti, le ftaniti del mesozoico ; le arenarie, le argille e i calcari del- Teocene ; i sedimenti marini del pliocene ; la trachite e una massa caotica la- custre posteriore o contemporanea alle eruzioni vulcaniche ; 2® il minerale di mercurio (cinabro) ed altri ad esso associati, cioè pirite, calcite, gesso e altri ; 3® modo come si presenta il minerale di mercurio, dove associato con argilla e calcite (Siele), dove col calcare mesozoico e colle ftaniti (Cornacchine), dove col calcare e le arenarie eoceniche (Montebuono, Cortevecchia, Saturnia), dove entro una massa caotica di blocchi diversi (Abbadia San Salvatore); 3® la ge- nesi dei giacimenti cinabriferi, che dagli studi più recenti sembrerebbe in rap- porto con le roccie serpentinose. Si accenna infine ad altri prodotti aventi relazione col vulcanismo del Monte Amiata, quali il gesso (Bagni di San Filippo), i travertini (ibidem], le terre coloranti (Castel del Piano, Arcidosso, Santa Fiora, Pian Castagnaio), la farina fossile (Castel del Piano e altrove). 75 - Verri A. — Rapporti tra il Vulcano laziale e quello di Bracciano. (Boll. Soc. GreoL ital., Voi. XXII, fase. 2% pag. 169-180). — Roma, 1908. Fra i problemi ancora non risolti relativi alla storia del Vulcano laziale, bavvi quello dei suoi rapporti cronologici con gli altri vulcani tirreni, e in particolare coi Sabatini che gli stanno immediatamente a X.O, e la cui linea di divisione coincide all’incirca coll’odierno corso del Tevere. In generale si ri- tenne che le eruzioni laziali fossero posteriori a quelle dei Sabatini, e tale fu anche l’opinione espressa dall’autore in lavori precedenti (vedi Bihl. 1893). Xuove osservazioni gli fecero però nascere dei dubbi sulla giustezza di tale opinione e nell’attuale lavoro egli presenta le modifiche che ne conseguono nei rapporti fra i due centri vulcanici. Dopo avere esposti i risultati di tali osservazioni, fatte nella zona limite di detti centri, l’autore stabilisce la seguente successione di avvenimenti : 1® eru- zioni trachitiche dei Sabatini, probabilmente concordanti con le analoghe dei Cimini e dei Vulsinii; 2® idem di tufi leucitici dei Sabatini, caduti sulla super- ficie d’uua bassa maremma; 3® sollevamento del terreno e formazione della frattura che diede origine alla valle del Tevere sotto Ponte Molle ; grandi eru- zioni nei Sabatini e formazione d’un lago a X.E di Roma; 4® principio delle eruzioni laziali con omissione di tufi bigi cadenti in un territorio depresso e acquitrinoso ; 5® proseguimento di dette eruzioni, con formazione di un rilievo e conseguente costituzione dei corsi d’acqua ; 6® eruzione dal cratere laziale del tufo giallo litoide e conseguente interramento dei detti corsi ; 7^ eruzione dai crateri sabatini del materiale che costituì la gran massa dei tufi a pomici nere, spintisi sino alla confluenza dell’Aniene nel Tevere. Quest’ultima conclusione proverebbe quindi che uno dei più grandi paros- sismi dei Sabatini avvenne in epoca nella quale il rilievo laziale era già for- mato e successivamente ad uno dei maggiori parossismi di quest’ultimo, quello cioè che ha dato origine al tufo giallo usato in Roma nelle costruzioni ; fatto questo di capitale importanza per la cronologia dei due sistemi vulcanici. Verri A. — SulPandesite augitica del Piano delle Macina] e nel Monte Amiata. (Boll. Soc. aeoi. ital.. Voi. XXII, fase. 2«, pag. 361-362). — Roma, 1903. Accennato alla scoperta dell’ andesite augitica del Piano delle Macinale, della quale già si occupò, e che venne analizzata dall’ Artini (vedi Bibl. 1892), l’autore ne rileva l’ importanza per lo studio dei vulcani trachitici. Si tratta di una roccia in posto ielle meno acide, i cui frammenti abbondano in quella più acida costituente la massa del Monte Amiata. Tale fatto si verifica anche nei vulcani Cimini, Sabatini e Yulsinii. Secoq^do l’autore, nelle eruzioni del tipo della roccia indicata sarebbero mancate le grandi esplosioni, che invece abbondarono nel periodo eruttivo po- steriore ; si fonda per ciò dire sulla mancanza, sotto le masse trachitiche dei rilievi all’ovest del lago di Bracciano, del Cimino o dei poggi che lo circon- dano, di Torre Alfina nel sistema vulsinio, di banchi tufacei che coprono invece per tanta estensione i territorii circostanti alle masse indicate. Osserva però che per bene stabilire questo fatto occorre di conoscere prima la genesi ancora controversa del peperino viterbese. Verri A. — Sulla divergenza di vedute circa le formazioni eoceniche e mioceniche delP Umbria. (Boll. R. Comitato Geol., Voi. XXXIV, n. 2, pag. 148-150). — Roma, 1903. Poiché l’ ingegnere Lòtti ritenne la formazione fossilifera ad est di Monte Santa Maria Tiberina, come spettante ad un piano inferiore dell’eocene medio, contrariamente al giudizio dato da diversi paleontologi che quella formazione ritengono decisamente miocenica, l’autore, in seguito a una gita fatta in quella località attribuisce quella disposizione stratigrafica a rottura con spostamento nel senso verticale, mentre altri credono si tratti di un lembo di miocene sopra roccie eoceniche. Per meglio riconoscere i rapporti stratigrafici di questa formazione egli indica una plaga addossata alla massa mesozoica del Subasio, ove la serie ter- ziaria si mostra in posto e così costituita : Calcari marnosi cinerei addossati alla scaglia rossa del Subasio. 2® Zona marnoso-arenacea con nummuliti e banchi conchigliferi con piccoli pecten, ecc. 3® Zona marnoso-arenacea con roccie ofiolitiche e banchi conchigliferi contenenti essi pure piccoli pecten, ecc. 4^ Zona marnoso-arenacea con banchi di lueine, ostree, pettini, ecc., ed abbondanza di pteropodi nelle marne intercalate. Poiché i fossili di quest’ ultima zona sono stati dai paleontologi ritenuti miocenici, l’autore ne conclude che, se sono giuste tali determinazioni, nel- r Umbria sopra l’eocene sta una estesa e potente formazione miocenica ; altri- menti tale formazione potrebbe riferirsi al piano dell’ eocene superiore, non mai al piano tra l’eocene inferiore e il medio : che bisogna infine risolvere an- 77 — zitutto il quesito, se cioè sieno effettivamente miocenici i fossili dei banchi con pettini, lueine, ostree, ecc., posanti distintamente sopra l’eocene superiore nelle diverse località che egli enumera e se esse sieno equivalenti a quelli di Monte Santa Maria Tiberina. Yiola C. — Osservazioni geologiche nella Valle deir Amene, eseguite nel- Vanno 1902. (Boll. E. Comitato Oeol., Yol. XXXIY, n. 1, pag. 3447). — Eoma, 1903. L’autore espone in questa nota le osservazioni geologiche fatte nel 1902 nei monti del versante sinistro della Yalle dell’Aniene. Egli passa in esame i terreni e la tettonica dei seguenti gruppi : 1° La massa calcareo-marnosa di Canterano, Saracinesco, Sambuci e Castelmadama. 2° Le masse calcareo-marnoso-arenacee di Bocca S. Stefano, Bellegra e Olevano. 3® La massa calcarea o calcareo-marnosa di Guadagnolo, Capranica, S. Gregorio. Di ciascuna di esse descrive la natura dei terreni e la stratigrafia, con- cludendone che le marne, i calcari, le argille grigie e le arenarie, appartenenti al terziario, che affiorano sulla sinistra corrispondono a quelle che si sono os- servate sulla destra dell’Aniene ; che questi terreni sono fra loro intercalati e sempre in concordanza, e che è da escludersi in modo assoluto la presenza di pieghe rovesciate. Lo studio paleontologico si è limitato alla fauna raccolta nelle marne e nei calcari, rappresentata da nummuliti, orbitoidi, da grosse bivalve e da pochi echinodermi. Mancano gli elementi sicuri per stabilire F età delle arenarie e delle argille grigie. Ma le osservazioni stratigrafiche supplendo alla mancanza dei dati paleontologici, risolvono la questione anche riguardo alle arenarie e alle argille prive di fossili. L’autore aggiunge alcune osservazioni sul quaternario antico della valle delFAniene, rappresentato da travertino, sabbie e conglomerati. Dalle condizioni in cui si presentano questi depositi e dalla loro potenza Fautore deduce che FAniene da Subiaco fino a Tivoli prima del deposito del quaternario antico scorreva sulla falda destra e che in seguito esso si è sempre più accostato alla sinistra ; che in quell’ epoca il fiume doveva essere più violento ed impetuoso per convogliare tanto materiale, e infine che i depositi del quaternario sono posteriori ad una escavazione del letto e che, avvenuto il riempimento del- l’alveo, FAniene scavò il proprio letto nello stesso deposito quaternario. — 78 — Went K. — Ueber einige melanoJcrate Gesteine des Monsoni. (Sitz. Ber. der K. Ak. der Wiss., B. CXII, Abth. I, pag. 237-286, con ta- vola). — Wien, 1903. Queste roccie raccolte dall’autore in una escursione dell’estate 1902, si di- vidono in due gruppi, quello dei melafiri e quello delle camptoniti. Apparten- gono al primo: i melafiri propriamente detti in colate e filoni, la porfirite pia- gioclasica e quella diabasica ; al secondo : la camptonite propriamente detta, la moncliiquite e la rizzonite. Siffatte roccie constano di felspato triclino, augite, orneblenda, magnetite, olivina, biotite, e, in linea subordinata, clorito, orto- clasio, apatite: prodotti secondari sono calcite, delessite, celadonite, una so- stanza serpentinosa e, in parte, la clorito. Premessa la letteratura relativa, queste roccie vengono descritte nell’or- dine sovraindicato, su campioni raccolti in diverse località, e di alcune di esse viene pur data l’analisi chimica. Un capitolo speciale è dedicato ad un nuovo tipo, la rizzonite, roccia di color nero augitolivinica priva di felspato e con pasta vitrea, che si trova ap- punto al Monte Bizzoni ; essa è stata analizzata chimicamente dal Doelter, e l’autore riporta i risultati dell’analisi. Egli accenna infine brevemente alla quistione della età relativa di queste roccie, già da altri trattata, conchiudendo che, come vi sono graniti recenti ed antichi, così si hanno melafiri di diverse età, e che la camptonite e la rizzo- nite sono certamente più giovani della monzonite. Xella tavola sono riprodotte, con ingrandimenti vari, le sezioni sottili di alcune delle roccie esaminate. Zaccagna D. — Studio geologico sul Carbonifero della Liguria occiden- tale. (Memorie descrittive della Carta geol. d’ Italia, Uol. XII, pag. 147-162, con 2 tavole). — Eoma, 1903. Questo terreno affiora principalmente su di una striscia lunga circa 20 chi- lometri attraverso le valli di Calizzano, di Osiglia, di Fallare e di Mallare, con una larghezza variabile da 500 metri a 5 chilometri ed oltre. Altra massa mi- nore apparisce più a nord di questa fra Massimino e Millesimo, e infine altre due piccole a sud, cioè a Rialto sopra Einalborgo e a Quiliano presso Savona. L’estensione complessiva di tale terreno nella Liguria occidentale è di circa ettari 7750. La formazione carbonifera della Liguria occidentale si compone principal- — 79 — mente di scisti grigio-cupi o nerastri carboniosi, di arenarie grigie micacee, di puddinghe ad elementi quarzosi, di scisti grigi talcoidi lucenti, di scisti grigio- verdastri sericitici con aspetto di micascisti. ISTotevoli contorsioni e rovesciamenti tormentano questa formazione e la soprastante permiana, composta essenzial- mente di besimaudite o scisto quarzoso gneissico sericitico. Le zone carboniose si ripetono a livelli diversi della formazione, e non formano mai banchi con- tinui, ma bensì lenti poco estese e di poca potenza, a causa delle forti pieghe e contorsioni cui furono soggette. Il combustibile è una antracite di qualità scadente, poco resistente e molto ricca in cenere ; per il che, tutto considerato, si può arguire che difficilmente si potranno attivare in quella regione lavorazioni di qualche importanza. Oltre a diverse sezioni geologiche intercalate nel testo, l’autore presenta nelle tavole una carta della zona mediana del carbonifero nella Liguria occi- dentale e delle sezioni geologiche passanti per i punti di ricerca. Zaccagna D. — Aldine osservasioni sugli ultimi lavori geologici intorno alle Alpi occidentali. (Boll. R. Comitato Greol., Yol. XXXIY, n. 4, pag. 297-332, con Carta). — Roma, 1903. In questa seconda parte del suo lavoro (vedi Bihl. 1901 e 1902) Tautore esamina gli scritti riguardanti il versante piemontese delle Alpi occidentali. Incominciando da quelli del Franchi, che, come è noto, basandosi sopra l’apparente parallelismo fra le masse calcari triasico-liasiche della Yalmaira e di Yalgrana interposte ai calcescisti, ne inferisce doversi ascrivere al periodo secondario anche la zona delle pietre verdi, l’autore con varie considerazioni, specialmente stratigrafiche, combatte questa deduzione, dimostrando l’insussi- stenza della continuità fra le due formazioni. Egli esamina anzitutto la zona paleozoico-triasica Acceglio-Mojola che ricopre i calcescisti, ponendo in evidenza che questa zona non forma già un anticlinale, come il Franchi ammette, onde riportare al trias i sottostanti cal- cescisti; ma risulta da terreni diversi disposti secondo una serie continua ed ascendente a partire dal carbonifero fino aireocene. Che anzi lungo il contatto fra il paleozoico ed i calcescisti sottostanti si hanno non dubbi indizi della interruzione del deposito e della discordanza stratigrafica. L’autore crede quindi impossibile spiegare con una faglia questo diretto contatto fra il carbonifero ed i calcescisti, con varie considerazioni stratigra- fiche, fra cui quella della intrusione degli strati carboniferi nelle depressioni offerte dai calcescisti, come vedesi nei pressi di Yalloriate; onde risulta che il — 80 — carbonifero si è comportato come formazione di riempimento rispetto al calce- scisto sottostante, che già doveva essere sollevato ed eroso quando si è effet- tuato il deposito paleozoico. Tenendo alla massa di roccie secondarie Talmaira -Tal grana, inclusa e sottostante alla zona dei calcestisti, le ragioni della somiglianza litologica degli strati basici coi calcescisti e della conformazione in anticlinale della massa triasica, sono insufficienti a stabilire i rapporti stratigrafici che il Franchi ammette fra quelle formazioni, poiché essi implicano la continuità di serie fra i calcari triasici ed i calcescisti e fra questi ed il soprastante carbonifero : con- tinuità che, secondo l’autore, non esisterebbe. Quindi sarebbe necessario am- mettere che il ricoprimento della massa triasica Yalmaira-Talgrana sia do- vuto ad un ribaltamento della zona dei calcescisti, come avviene nella vicina valle dell’Ubaye. L’autore passa quindi ad esaminare le sezioni del Franchi tra la Talmaira e la T algrana, alle quali contrappone una sua tra la T alle Stura e Pradleves, in cui vengono illustrati i fatti sopra accennati, corroborandoli con una sezione naturale che egli produce lungo il vallone del Tiliè presso Pradleves, in cui si vedono le corniole ed i calcari dolomitici del trias posanti sulle testate dei calcescisti che affiorano in fondo al vallone, mentre sul lato opposto della Stura un lembo di carniole e quarziti poggia discordemente sopra micascisti e calcescisti; ciò che dimostrerebbe anche qui la discontinuità di deposito tra le due formazioni. Cita poi la presenza di ciottoli di calcescisti ed altre roccie cristalline nel calcare carniolico del poggio della Madonna degli Angeli sopra Pradleves: fatto che ha riscontro con altro già da lui segnalato nel 1890 sopra Finalborgo in Liguria, dove osservansi ciottoli di roccie serpentinose ed anfiboliche impi- gliati nella massa scistosa delle besimauditi permiane; il che esclude la possi- bilità che queste roccie provenienti dalla zona delle pietre verdi siano secondarie. L’autore descrive poscia la successione dei diversi terreni rimontando la Talgrana da Pradleves a Castelmagno ed ai Chiappi, facendo notare le diffe- renze litologiche tra i calcescisti propriamente detti, associati a roccie verdi, che incontransi a IS’eirone e gli strati liasici sottostanti; e la successione dai calcescisti al paleozoico che qui avviene passando alle besimauditi permiane, senza interposizione del carbonifero. Infine, fa alcune considerazioni sui casi di somiglianza litologica fra roccie appartenenti a diversa età, spesso anche rese parallele da azioni dinamiche, con esempi tratti da vari luoghi e specialmente dall’Alpe Apuana; la cui sepa- razione però fu sempre possibile mediante un accurato studio stratigrafico. - 81 — La nota è accompagnata da una cartina geologica a colori e in scala di 1:50,000 della zona paleozoica Demonte-Mojola. Zambonini F. — Beitrdge sur Mineralogìe Piemonts. (Centralblatt fiir Min., Greol. undPal., Jahrg. 1903, n. 3, pag. 78-84, e n. 4, pag. 117-124). — Stuttgart, 1903. Contiene lo studio dei minerali seguenti: 1® Granatite di Casteldelfino con granato, smaragdite e filoncelli di cal- cite e di diopside ; il primo, all’analisi chimica, si manifesta per una grossularia, minerale finora non conosciuto nelle Alpi piemontesi; è inoltre incolore per essere quasi privo di ferro, circostanza questa non molto comune a verificarsi. È pure data l’analisi chimica del diopside. 2® Granato, clinocloro e idocrasia del Monte Civrari tra la Yal di Susa e quella di Yiù, entro roccie diverse. 3® Granato della Rocca Rossa entro la serpentina, insieme con clinocloro e idocrasia, proveniente da un gruppo di monti serpentinosi a sud del Rio Gravio. 4® Granatite del Monte Pian Beai, appartenente allo stesso gruppo di monti serpentinosi, con granato roseo, diallaggio grigio-verdastro, diopside e clinocloro. 5® Granato e clinocloro dei dintorni di Ovarda, entro campioni di granatite. 6® Epidoto e alhite della Comha Paraegiie nell’alta Yal Maira (vallone Mulasco a nord di Acceglio) entro la diabase. 7® Minerali del calcare di Tollegno, poco lungi da Biella, sulla riva destra del Cervo, e cioè: grafite, pirrotina, titanite e diopside. 8® Pirite di Passohreve entro il melafiro, sulla destra del torrente Cervo, in dodecaedri pentagonali, talvolta trasformata in limonite. 9® Titanite di Monte Acuto, a ponente di Traversella, insieme con cri- stalli di epidoto. 10° Diopside di Val d'Aia, con una nuova forma oltre quelle riconosciute dall’autore in addietro (vedi Bihl. 1901), il che porta a 69 le forme finora note di questo minerale. Zaaibonini F. — Amphibol von Cappuccini di Albano. (Groth, Zeitschrift fiir Kryst. und Min., B. 37, H. 4, pag. 369-378, con tavola). — Leipzig, 1903. È uno studio cristallografico dei minerali che si trovano entro alcuni inclusi del peperino di questa località dei Monti Laziali, e in particolare del- 6 82 - l’anfibolo, il quale non era ancora stato preso in esame, benché si avesse da tempo notizia della sua esistenza in detti inclusi. Questi constano di pirosseno jiero-grigiastro, mica nera, olivina e leucite; e per entro le piccole cavità, od anche sopra le lamine di mica, cristallini assai belli di anfibolo, leucite, piccoli aghi di apatite, e più di rado sodalite, hauyna, titanite. I cristallini di apatite, caratterizzati dalla mancanza di base, non che dallo sviluppo anormale delle facce della piramide, sono molto simili a quelli di Jumilla e di Kirjabinsk, studiati dal von Kokscharow. Quelli di leucite ricor- dano per bellezza e splendore i cristalli del Vesuvio, più volte descritti dal Yom Rath: essi posano sulla mica e sono spesso alquanto arrotondati per un principio di fusione. I rari cristallini di hauyna sono pure bellissimi, quasi incolori o tendenti leggermente al verde-mare. La titanite si presenta pure in cristalli, sovente però trasformati in una sostanza bruna tenera. La sodalite, infine, è in bellissimi cristallini incolori, con tre forme distinte e prevalenza del dodecaedro romboidale. L’autore passa quindi all’anfibolo che si presenta in piccoli ma bei cri- stalli, completamente neri e assai lucenti; egli vi osservò ben 12 forme diverse, che esamina particolarmente e confronta con le analoghe conosciute di altre località italiane ed estere, fra le quali notansi per uguaglianza di costanti cristallografiche quelle delle Isole Pontine e di Montesanto a Vapoli. Velia tavola annessa sono figurate alcune delle forme studiate. Zambonini F. — SulPepidoto del passo Bettolina^ vallone di Verrà. (Eend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XII, fase. 11°, 2° sera., pag. 567-571). — Roma, 1903. I cristalli di epidoto, oggetto di questa nota, provengono dal Passo di Bettolina (3187 m.) nella catena che separa la valle d’Ayas da quella di Gres- soney e che mette in comunicazione l’alto vallone di Yerra coi pascoli supe- riori detti della Bettolina. Ivi presso il contatto della prasinite anfibolica colla serpentina compaiono in questa dei nuclei con una miscela di granato, epidoto, diopside, clorito, anfibolo e magnetite, che entro geodi si incontrano in cristalli bene sviluppati. L’epidoto si presenta in bei cristallini di color verdastro chiaro, di dimen- sioni variabili da uno a 7-8 millimetri, nella direzione dell’asse y. Quelli stu- diati dall’autore sono ricchi di forme, alcune delle quali o nuove per l’epidoto in genere o assai rare nei giacimenti finora studiati. Tali forme sono dall’au- tore descritte. — 83 — Risultano nuove per l’epidoto (801) e (501). Tutti i cristalli sono più o meno allungati secondo y e tabulari secondo (100). Sono soventi asimmetrici; ve ne sono però di regolarità perfetta. Le loro due faccie non sono perfettamente eguali nè in estensione, nè per lo stato fisico, presentandosi talora una liscia e l’altra profondamente striata. È data una tabella degli angoli misurati e di quelli calcolati, dalla quale risulta un accordo sufficiente fra di essi, partendo dalle costanti di Kokscharow. Aggiungendo all’elenco dato precedentemente delle forme finora cono- sciute dell’epidoto le due scoperte dal Palache nei cristalli dell’ Alaska e quelle indicate in questa nota dall’autore, le forme di questo minerale salgono finora a 303. Autori diversi. — Studio geologico-minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali italiane. (Memorie descrittive della Carta geo- logica d’Italia, Yol. XII. Un volume di pag. xvi-232, con 14 tavole). — Roma, 1903. Delle singole parti di questo volume abbiamo fatto cenno sotto i nomi degli autori che ne hanno trattato la parte geologica (vedi sopra De- Castro, Franchi e Stella, Mattirolo, Peola, Zaccagna), resta ora da dire brevemente del capitolo Introdiisione e sintesi del lavoro, redatto dall’ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere X. Pellati. Malgrado il risultato quasi negativo degli studi anteriormente fatti sulla entità dei giacimenti suindicati, il Ministero di agricoltura, industria e com- mercio, onde togliere qualsiasi dubbio in proposito dispose che su di essi si facessero nuove ricerche e che i risultati delle medesime fossero resi noti con pubblicazione ufficiale. Di tali ricerche fu incaricato il personale del R. Corpo Miniere addetto ai lavori della Carta geologica nelle Alpi occidentali, col con- corso di altro personale dello stesso Corpo addetto al servizio minerario. Il ri- sultato, quale si vede nelle singole relazioni di cui sopra, confermò le poco liete condizioni di quei giacimenti in ordine alla loro utilizzazione industriale. Xell’introduzione al volume l’ing. Pellati espone succintamente quale sia lo sviluppo e l’andamento della grande zona permo-carbonifera delle Alpi, col corredo di una Carta delle sone antracitiche e grafìtiche delle Alpi occidentali, disegnata in base ad elementi forniti dal nostro Ufficio geologico ed alle in- dicazioni delle carte geologiche francesi e svizzere pubblicate. A partire dal mare presso Savona, havvi una zona di permiano estenden- tesi verso ponente nelle Alpi Liguri, con un sistema di pieghe, in alcuna dell© — 84 — quali affiora il carbonifero. Questa zona, ora allargandosi ed ora restringendosi, ora dividendosi in più rami, a mezzodì di Cuneo volge a nord-ovest e, bifor- candosi, raggiunge la valle delPUbaye in Francia, dove scomparisce sotto ter- reni più recenti. Ricompare più avanti presso l’Argentiere, a sud di Brian9on, da dove, con prevalenza del carbonifero, prosegue in direzione nord sino a Moutiers in Savoia. Da qui, passando a nord-est, rientra in territorio italiano e, attraversata la valle d’Aosta, con la medesima direzione, passa, assot- tigliandosi sempre più, nel Yallese (Svizzera) per finire nelle vicinanze di Sierre. È in questa grande zona permo-carbonifera che si trovano i giacimenti di antracite descritti nell’opera, fatta solo eccezione di pochi, nella valle Maira e nella valle d’Aosta, appartenenti a terreni secondari. Essi in generale sono costituiti da lenti di limitata estensione e andamento irregolare, con materiale molto variabile da un punto all’altro d’una medesima località, in genere però di cattiva qualità e ricco di cenere. In complesso quindi detti giacimenti pre- sentano poco valore industriale e non sono tali da permetterne una utilizzazione in grande scala. IS'ella cartina annessa è anche indicata la formazione grafitica delle Alpi Cozie, la quale dà vita ad una fiorente industria mineraria nelle valli del Chisone e della Germanasca in circondario di Pinerolo, e che si estende in direzione I^.O-S.E parallelamente alla grande zona permo-carbonifera sovrain- dicata. APPENDICE 1. Carrara G-. — Reiasione sopra Vancilisi chimica delV acqua minerale di SanfOmobono^ vecchia fonte ^ nel comune di Massoleni (pag. 18 in-8®). . — Milano, 1903. CrUNTHER R. T. — Coiitributions to thè study of Earth-Mouements in thè Bay of Naples (pag. 115 in-4°, con 6 tavole). — Oxford, 1903. Mostaccio L. — Il carbon fossile italiano in Agnana Calabria. Confe- renza (pag. 38 in-8®). — Conegliano, 1903. ^ Sono pubblicazioni non pervenute all* Ufficio, e che questi non potè pro- curarsi altrimenti. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (^31 marzo f 90^^) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Yol. I a XXX Y, dal 1870 al 1901. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Y ol. I. Firenze 1872. — Introduzione. — B. Gastaldi : Studi f geologici sulle Alpi Occidentali^ con appendice mineralogica di G. Struevbr. — S. Mottura: Sulla formasione tersiaria nella sona solfi fera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrisione geologica delV Isola d'^Elha. — C. D’Ancona : Malacologia pliocenica italiana. — Dn volume in-1® di pag. 364 con tavole e carte geologiche . » 35 — Yol. II, Parte 1*^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografia geologica deir Isola d' Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Oottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formasione tersiaria nella sona solfifera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Dn volume in-4® di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Yol. II, Parte 2^. Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole » 5 — Yol. Ili, Parte 1^. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponsa. — C. De Stefani : Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-4® di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche ...» 10 — Yol. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia dell’ Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari : Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spesia. — Un volume in-l*^ di pag. 230 con tavole » 15 — Yol. lY, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica fiuorifera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellasione presso la via Appia antica. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole » 3 — - 86 — Voi. IV, Parte 2^. Firenze 1893. — C. A. Weithofer: Pro- hoscidiani fossili di Valdarno in Toscana, — M. Canavari: Idrosoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi, — Un volume in-4® di pag. 214 con tavole . . . L. 16 Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrisione geologica deir Isola di Sicilia. — Un volume in-8'^ di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. II. Roma 1886. — B. Botti: Descrizione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. III. Roma 1887. — A. Fabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologi có- mineraria della zona argentifera del Sarrabiis {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico -mineraria » 8 Voi. VI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8‘^ di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-petrograflca delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiclie ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese : Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: I vnlcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 8 Voi. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8° di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche >10 Appendice al Voi. IX. Roma, 1904. — G. Di-Stefano : Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8® di pag. 120, con tavola di sezioni » 3 — 87 — CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 — NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IST. 244 (Isole Eolie) . . E. 3 — Foglio Y. 262 (Monte Etna) . . E. 5 — » 248 (Trapani) . . . » 3 — 265 (Mazzara del Yallo) » 3 — » 249 (Palermo) . . . » » 266 (Sciacca) . . . » 4 — » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicattì) . . . » 5 — » 251 (Cefalù) .... » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 — ■» 252 (Yaso) .... » 4 — » 269 (Paterno) . . . » 5 — » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . » 3- » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) . . . » 3- » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 — » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 — » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) . . . » 4 — > 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » 3 — » 260 (IN'icosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . . . » 3 — » 261 (Brente) .... » 5 — » 277 (]S'oto) .... » 3 — Tavola di sezioni IN". I (annessa ai fogli 249 e 258) . . L. 4 — » » 'N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — * » IN". lY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — * » IN". Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio 'N. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — * 222 (Amendolara) . » 3 — » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 229 (Paola) . . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 2.31 (Girò) . 3 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 241 (Yicastro). . . » 4 — Foglio 'N. 242 (Catanzaro) . . L. » 243 (Isola Capo Riz- zuto) . . . » » 245 (Palmi) ...» » 246 (Cittanova) . . » » 247 (Badolato) . . » » 254 (Messina) ...» » 255 (Gerace) ...» » 263 (Beva) .... » » 264 (Staiti) .... » 4 — 3 — 3 — 5 — 3 — 4 — 4 — Tavola di sezioni H'. I (236, 237, 238, 241, 242), W. II (245, 246, 247, 255, 263), II. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. 4 - CO co - 88 — Carta geolog'ica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. ISTe sono pubblicati i fogli seguenti : Foglio IsT. 201 (Matera) . . . L. 3- Foglio IN". 213 (Maruggio) . . L. 1- » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . * 2 — » 203 (Brindisi) . . . » 3 — » 215 (Otranto) . . . » 1 — » 204 (Lecce) . . . . » 2 — » 223 (Tricase) . . . » 2- Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 'N. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara). . » 5 — Foglio 'N. 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . L. 4 — » 5 — =» 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — li. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Le taA^ole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica delP Isola d’ Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria delP Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 »5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 »3 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e ISTapoli. PRESENTBD 22 MAY. 1905 Annunzi di pubblicazioni Ricco A. e Arcidiacono S. — L’eruzione dell’Etna del 1892. Parte III: Vi- site air apparato eruttivo ed al cratere. centrale. (Atti Acc. Grioenia di Se. nat., S. 4% Voi. XYII, Mem. V, pag. 1-51, con 3 tavole). — Catania, 1904. Di Milia e. — Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte di San Calogero di Sciacca. (Ibidem, Mem. X, pag. 1-30). — Catania, 1904. Bellini E. — L’elveziano nelle colline di Chivasso presso Torino. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXIII, fase. 3°, pag. 371-378). — Eoma, 1905. Idem. — Alcuni nuovi fossili sinemuriani dell’ Appennino centrale. (Ibidem, pag. 457-464). — Eoma, 1905. Bettoni a. — Gli strati a Posidonomya alpina nei dintorni di Brescia. (Ibidem, pag. 403-408). — Eoma, 1905. Bortolotti C. — Intorno ad un resto di mandibola di Jena. (Eivista ital. di paleontologia. Anno XI, fase. 1®, pag. 34-36). — Perugia, 1905. CiOFALO S. — Sul cretaceo medio di Caltaviituro. (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. LXXXIII, pag. 11-18). — Catania, 1905. Clerici E. — Sul giacimento diatomeifero di S. Tecla presso Acireale. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXIII, fase. 3®, pag. 430-434). — Eoma, 1905. Idem. — Una escursione a nord di Roma. (Ibidem, pag. 556-561). — Roma, 1905. Idem. — Sopra una trivellazione eseguita presso Roma sulla Via Casilina. (Rend. R. Acc, dei Lincei, S. V, Voi. XIV, fase. 4% 1*^ sem., pag. 224-228). — Roma, 1905. Colomba L. — La leucite del tufo di Pompei. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXIII, fase. 3°, pag. 379-391, con tavola). — Roma, 1905. Idem. — Cenni preliminari sui minerali del Lansetto (Valli del Gesso). (Ibidem, pag. 393-397). — Roma, 1905. Consiglio-Ponte S. — Morfologia dei projetti di Vulcano. (Ibidem, pag. 398-402). — Roma, 1905. D'Achiardi G. — I minerali dei marmi di Carrara. I (dagli Atti Soc. toscana di Se. nat.. Memorie, Voi. XXI, pag. 12 in-8®). — Pisa, 1905. Idem. — Zeolite probabilmente nuova dell’isola d’Elba. Xotà preventiva (dagli Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali. Voi. XIV, pag. 8 in-8‘^). — Pisa, 1905. Dal Piaz G. — Sulla tectonica dei monti fra il Brenta e i dintorni del lago di Santa Croce. Xota preliminare (dagli Atti Soc. veneto-trentino- istriana di Se. nat.. Anno II, fase. 1^, pag. 8 in-8®). — Padova, 1905. De Angelis D’Ossat G. — Sulla geologia della provincia di Roma (seguito). (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 3^ pag. 419-429). — Roma, 1905. De Stefano G. — Fossili cretacei del Bartoniano di Piati (Calabria). (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Voi. XLIII, fase. 4®, pa- gine .331-382, con tavola). — Milano, 1905. Di Franco S. — La phakolite dell’isola dei Ciclopi. (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. LXXXIII, pag. 7-10). — Catania, 1905. (Segm) (Seguito: V. pagina precedente) j * Matteucci y. — Cenno sul periodo effnsiyo del Vesnyio iniziatosi il 20 ln-| glio 1903. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 3°, pag. 501-506). — * Roma, 1905. Meli R. — Sulla pretesa meteorite di Corchiano nella proyiucia di Roma^ (Ibidem, pag. 487-496). — Roma, 1905. ■ Xeviàni a. — Briozoi fossili di Carrnbare (Calabria). 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XXIII, fase. 3®, pag. 409-4Ì8).^ — Roma, 1905. ^ Idem. — Edenite delle Alpi Marittime. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXXn,5 fase. 1®, pag. 12-16). — Padova, 1905. ^ Rovereto G. — Relazione delPascensione sull’ Etna compiuta dalla Società^ geologica italiana il 21 éil 22 settembre 1904. (Ibidem, pag. clxvi-clxx). — j Sacco" P, — Il piacenziano sotto Torino. (Ibidem, pag. 497-503). — Roma, 1905^ Segubnza L. — I giacimenti di salgemma in Sicilia e la loro età geologici (dagli Atti della R. Accademia Peloritana, Yol. XIX, fase. 2°, pag. 86 in-8°).^ — Messina, 1905. j Taramelli T. — Alcune altre osservazioni stratigrafiche sulla Valtravaglij (Rend. R. Istituto lombardo^ S. Il, Yol. XXXYIII, fase. Y, pag. 215-228). Milano, 1905. Idem. — Alcune considerazioni geologiche a proposito dell’Acquedotto pv^ gliese. (Ibidem, pag. 257-278). — Milano, 1905. J Traina E. — Sull’anglesite dei giacimenti metalliferi della provincia di Mes* sina. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 4®, 1® sem., pa^ gine 220-223). — Roma, 1905. Yaolini C. — I)i alcuni micascisti tormaliniferi del Monte Ornato press Serravezza (Alpi Apuane) (dagli Atti Soc. toscana di Se. nat.; Process verbali, Yol. XIY, pag. 6 in-8®). — Pisa, 1905. Yerri a. La nota del prof. G. De Angelis d’Ossat sulle condizioni sfavo^ revoli per i pozzi artesiani tra Roma ed i Colli Laziali. (Boll. Soc. Geoì^ ital., Yol. XXIII, fase. 3*^, pag. 465-466). — Roma, 1905. I^rezzo del presente fescicolo: ILi. .Ajsrnsro isos N. 2. ROMA TIP. •fAZIOU’AIiE DI G. BBRTERO E C. Amo 1905 ?ol.inVI della Raccolta Trimestre 4* Serie 1905 KLENCO del personale componente il Comitato e T Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente, - Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. ; Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strììver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. " Il Presidente della Società geologica italiana. *: Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. PELLATr Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. : Mazzuoli Lucio, • ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori delia Carta geologica. ■ Direzione : ‘ Ing. Pellati Niccolò, Direttore. - Ing. Mazzuoli Lucio. / UffiGio geologico: "Z Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. SoRMANi Claudio. .'t Ing. Aichino Giovanni. ' ^ Ing. Sabatini Yenturino. ^ Ing. Crema Camillo. ’■ Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi o]peratori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. V Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. ' Ing. Viola Carlo. h Ing. Novarese Vittorio. /;• Ing. Franchi Secondo. ^ Ing. Stella Augusto. r La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo afi{rario*geolosrico, via Santi Smanna, n. 1. a . & 6 ^ 4- ■ BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV, Voi. VI. Anno 1905. Fascicolo 2^ SOMMAEIO. Note originali. — I. M. Cassetti, Appunti geologici sul Monte Conero presso Ancona e suoi dintorni [continuasione e fine, Tedi n. 1). — II. C. Viola, La diabase anfibolica della IsTurra (Sardegna) (con tavola). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1904. Pubblicazioni del R. IJfficio geologico. Atti ufficiali. — Verbale delle adunanze 5 e 6 giugno 1905 del R. Comitato geo- logico. — Relazione del Lirettore della Carta geologica sui lavori eseguiti nel 1904 e Proposte di quelli da eseguirsi nel 1905. Illustrazioni. — Tav. V: Carta e sezioni geologiche del Monte Conero e dintorni (M. Cassetti) a pag. 106. — Tav. VI: Microfotografie della diabase anfi- liolica della iturra (C. Viola) a pag. 120. — Figure schematiche a pag. 109, 110, 112. NOTE ORIGINALI I. M. Cassetti. — Appunti geologici sul Monte Conero presso Ancona e suoi dintorni. {Contimi astone e fine, vedi n. 1). Marne mioceniche e Zona a congerie. ■ — Come più sopra ho accen- nato, sulla descritta cupola di calcari cretacei ed eocenici si appoggia, in perfetta concordanza, un deposito, più o meno esteso e potente, di marna calcarea, la quale in pochi e rari punti offre degli avanzi di conchiglie, non sempre molto ben conservate, e spesso frammentarie. il prof. Capellini nel lavoro suaccennato ^ riferisce tale terreno al Miocene medio e superiore, basandosi sulla determinazione da lui fatta di un certo numero di fossili raccolti in vari punti dell’affioramento e dei quali dà un accurato elenco. ^ Gr. Capellini, Gli strati a congerie e le marne compatte mioceniche dei dintorni di Ancona. (Atti R. Accademia dei Lincei, Anno CCLXVI (1878-79)). 7 — 90 — L’indiscutibile autorità del suUodato geologo esclude ogni dubbio sulla appartenenza al Miocene delle marne di cui trattasi. Ammesso quindi tale riferimento, passo senz’altro alla descrizione dei caratteri principali di quel terreno, nonché di quelli della sovrap- posta Zona a congerie. La marna miocenica del Genero e suoi dintorni (indicata local- mente col nome di sasso-morto) si presenta in banchi di vario spessore. La roccia è generalmente a frattura concoide e dove più, dove meno compatta, secondo la maggiore o minore proporzione di calcare in essa contenuto; ha una tinta ora biancastra ed ora azzurrognola, racchiude qua e là dei nuclei di pirite di ferro ed è attraversata so- vente da venature spatiche. I gessi della soprastante Zona a congerie sono di varia struttura, e cioè or cristallina, ora saccaroide, ora massiccia ed ora tabulare, ossia a lastre grosse e sottili, analoghi ai gessi cosi detti halatini di Sicilia. Contengono traccio più o meno abbondanti di zolfo sparso nella massa, dove in rognoni, dove in strie, e di una tinta che va dal giallo chiaro al giallo cupo e quasi rossastro. In diverse località vi si osservano avanzi di pesci e di foglie, spe- cialmente dove il gesso è tabulare. Questo è sovente sormontato ed intercalato da straterelli di marna scistosa, leggera, giallastra (detta localmente cartone) nonché da banchi di arenaria silicea, giallastra e bluastra (detta localmente mattana). Anche le arenarie a congerie non offrono una struttura uniforme, giacché dove sono compatte e dove disgregate, ora scistose ed ora massiccio. Sono generalmente silicee ed hanno una colorazione che passa dal giallo al giallo bruno e tah^olta al cenerognolo. Si presen- tano in banchi più o meno potenti, che si alternano spesso con stra- terelli di argilla bluastra e giallastra. Circa la tettonica si osserva anzitutto, come più sopra ho accen- nato, che tra la cupola calcarea del Conero e la superiore marna, havvi da ogni lato perfetta concordanza di stratificazione, di guisa che se noi dalla Chiesa di Porto Nuovo ci facciamo a percorrere tutto — 91 — il versante occidentale del Conero fino a raggiungere la spiaggia di Sirolo, seguendo presso a poco la linea di contatto tra i due terreni suddetti, possiamo constatare, con molta evidenza, come il deposito della marna si piega e si adagia regolarmente sul deposito calcareo; per modo che mentre a Porto Nuovo gli strati marnosi, come quelli dei sottostanti calcari, pendono leggermente a N.O, man mano che ci avviciniamo alle rupi di Sirolo passando per le Casette del Poggio e per Massignano, la loro pendenza cambia gradatamente fino a che in quest’ultima località, volge completamente a Sud. La citata linea di contatto tra la marna e il calcare è facilmente riconoscibile, sia per la notevole diversità di struttura delle roccie, sia per la differente conformazione del suolo rispettivamente occupato, e ciò in dipendenza della maggiore resistenza agli agenti atmosferici offerta dal calcare rispetto alle marne ; cosi che mentre il suolo cal- careo presenta generalmente l’aspetto di un piano in pendìo, solcato qua e là da piccoli burroni, quello marnoso è formato da una serie di colline più o meno arrontondate, fiancheggiate da valli piuttosto ampie e spesso abbastanza profonde. Ma non può dirsi altrettanto per il contatto fra le marne e i successivi terreni terziari, specialmente nei punti in cui, mancando i gessi, esse s’incontrano direttamente con le superiori arenarie a con- gerie, ed in quelli dove esse vengono senz’altro a contatto colle ar- gille plioceniche; e ciò a causa dei dissodamenti praticati a scopo di cultura, per i quali la superficie della campagna presenta in quei luoghi un aspetto quasi uniforme. Se non che una traccia alquanto approssimativa del contorno che separa le marne dai terreni posteriori, ci viene data dalla presenza dei diversi affioramenti di gesso, allineati in dati punti della regione, e nei quali o furono, o sono tutt’oggi aperte delle cave per l’estrazione di questo minerale, con relativo impianto di fornaci per la sua cottura. Dalla indicata traccia .si desume che nella regione in esame i’affio - ramento delle marne e della superiore formazione a congerie, occupa anzitutto una larga zona che contorna la cupola calcarea del Conero, — 92 — vale a dire, una zona che si estende dalla costa sottostante agli abi- tati di Sirolo e di Numana, ai contigui territori di Massignano e del Poggio, da dove scende nuovamente al mare tra il Porto Nuovo e lo scoglio detto II Trave. Quivi s’interrompe in conseguenza di una frattura, della quale parleremo in appresso, e mentre dal lato di N.O prosegue nel terri- torio di Varano e si prolunga quindi fino alle falde meridionali dei contigui monti d’Ago e Galletto, presso la borgata del Pinocchio, dal lato settentrionale invece si riaffaccia al Monte dei Corvi poco al di là del detto scoglio, per quindi formare tutta la successiva costa adriatioa fino al promontorio di Ancona. L’estensione e la tettonica delle marne mioceniche e della supe- riore Zona a congerie, possono venire riassunte nel modo seguente : Se dal Conero scendiamo a Sirolo e a Numana e quindi giriamo per l’alta sponda orientale delFAspio, fino a raggiungere il confluente Rio Buranico, si osserva che da questo lato i terreni in discorso sono limitati da una linea, la quale dal porto di Numana passa alle pendici settentrionali del vicino Monte Freddo, taglia quindi le due sponde del torrente Betelico, per poi salire a San Germano sotto Camerano e ridiscendere al Rio Buranico. Lungo questa linea infatti noi vediamo succedersi, a più o meno breve distanza, alcuni affioramenti di gesso, sempre appoggiati in concordanza sulle marne sottostanti. Un primo affioramento di gesso lo troviamo lungo la spiaggia presso il piccolo porto di Numana, i cui banchi si affacciano quasi alla riva, diretti da Est ad Ovest ed inclinati di 12® circa a Sud; e questa stessa giacitura la riscontriamo nei due successivi affiora- menti che si incontrano sul versante settentrionale del già citato Monte Freddo. Oltrepassato il colle denominato II Coppo, sulla sponda sinistra del torrente Betelico, vediamo apparire un altro affioramento di gesso ; se non che quivi la pendenza degli strati, seguendo sempre quella delle marne sottostanti, si ripiega volgendo ad Ovest, e questa giacitura — os- si ripete negli altri affioramenti di gesso che s’incontrano più a Nord presso San G-ermano, nella sponda sinistra del Rio Buranico sotto Camerano. Risulta quindi chiaramente che questo lembo di strati a con- gerie il quale, come ho detto, contorna i due versanti meridionale ed occidentale del Monte Conero, segue regolarmente la disposizione della sottostante cupola calcarea. Scostiamoci ora dalla ellissoide del Conero e passiamo alla re- gione a N.O di esso, quella cioè interposta tra il promontorio d’An- cona e i cosi detti Piani della Baraccola, ed esaminiamo la struttura geologica delle marne ohe affiorano da una parte lungo la costa adriatica, lateralmente alla vecchia strada rotabile Ancona-Poggio e che passa per Piè della Croce, pel Monte dei Corvi e pel Monti- rozzo, e dall’altra nel territorio di Varano e i monti d’Ago e Galletto presso il Pinocchio. In questa regione riconosceremo subito che non solo cambia completamente la giacitura del suindicato terreno, ma che ci tro- viamo di fronte a due importanti fenomeni geologici e cioè la pre- senza della suaccennata frattura dello scoglio del Trave e la esi- stenza di una conca tectonica il cui orlo N.E si affaccia lungo la costa marina e quello S.O ai monti d’Ago e Galletto e a Varano, mentre l’orlo S.E si collega col corrispondente affioramento preceden- temente descritto, e quello N.O non appare affatto, giacché si perde sotto il posteriore deposito di argille azzurre che discende al mare nelle adiacenze della stazione ferroviaria d’Ancona. Entrando ora in maggiori particolari, troviamo che alle marne di Porto Nuovo, non appena raggiunto il colle detto Montirozzo, suc- cede in concordanza la Zona a congerie, coi gessi e le arenarie; ma quivi mentre da un lato gli strati a congerie, volgendo gradatamente la loro pendenza a N.E, si dirigono prima ad Ovest verso Oamerano e poi a N.O verso il Pinocchio, dal lato opposto invece, ripiegando quasi bruscamente a Nord, si affacciano nella spiaggia adiacente, rialzati sul mare, con pendenza cioè ad Ovest. — 94 - Ed eccoci precisamente nel punto della frattura suaccennata, dappoiché quivi gli strati a congerie del Montirozzo, anziché prose- guire regolarmente nella successiva costa marina si vedono troncati di un colpo, e immergersi sotto un lembo di argilla turchina, che si protende ah mare per quindi riapparire nell’opposto Monte dei Corvi disposti in contro-pendenza dei precedenti, cioè a dire inclinati a S.S.O. E questi strati, mentre da un lato raggiungono la cima del detto monte, dall’altro discendono al mare e vi si inoltrano per qualche centinaio di metri, rompendone o sfiorandone con le loro testate la superficie, in modo da apparire all’occhio dell’osservatore, come un esile e rettilineo braccio di terra attaccato al continente. Questa lunga e stretta prominenza di roccia arenacea, cui fu data la denominazione di Trave in vista appunto della sua speciale confor- mazione, costituita precisamente di arenaria a congerie, assai silicea, più o meno compatta, in grossi e piccoli banchi, non é in sostanza che un piccolo molo naturale, il quale però emergendo appena sullo specchio d’acqua, lungi dal servire di freno ai marosi e formare un luogo di rifugio per i naviganti, rappresenta invece un grave peri- colo, specialmente per le piccole imbarcazioni, tanto più che siffatto molo naturale, durante le maree o le burrasche rimane completamente sommerso. Questo speciale fenomeno di frattura, ohe ho illustrato nella Se- zione E-F dell’ unita Tavola, é certamente avvenuto in seguito e come conseguenza del sollevamento generale del Conero, nel senso che per effetto di tale sollevamento gli strati della marna e della supe- riore arenaria a congerie del Montirozzo si distaccarono dai corri- spondenti strati del successivo Monte dei Corvi, disponendosi in con- tropendenza, e mentre i primi si ripiegarono semplicemente a Nord, innalzandosi sulla sottostante riva, gli altri si sollevarono in senso opposto, immergendosi a Nord e prolungando i loro afl&oramenti nel mare per un lungo tratto al di là della costa, dando luogo alla for- mazione dello scoglio del Trave. Naturalmente, in seguito al sollevamento ed alla successiva frat- 95 — tura, le marne ed i gessi non che le superiori argille azzurre, per la loro poca resistenza all’azione distruttrice delle onde, sono stati i primi ad essere asportati, mentre le arenarie a congerie per la compattezza ohe ivi presentano, rimangono ancora là a testimoniare l’avvenuta frattura. Le argille azzurre plioceniche interposte tra i due descritti affio- ramenti di strati a congerie, partecipando anch’esse alla frattura, ri- masero appoggiate in concordanza da una parte e dall’altra, per modo che quegli strati che ora si sovrappongono agli strati a congerie del Montirozzo, nella loro continuazione sembra vadano a sottoporsi agli stessi strati a congerie del Monte dei Corvi, mentre appare il caso inverso per quelle che ricoprono questi ultimi. Proseguendo il nostro esame delle marne e degli strati a congerie, che dal Monte dei Corvi si prolungano ininterrottamente per tutta la costa fino ad Ancona, si desume chiaramente che tali strati rappre- sentano precisamente l’orlo N.E di un bacino terziario, del quale la parte opposta corrispondente si trova tra Varano e i monti d’Ago e Galletto. Difatti lungo l’accennata costa si osserva quanto appresso. Gli strati di marna che si estendono per tutta la indicata costa, si presentano inclinati di pochi gradi a S.O e perciò rialzati sul mare, verso il quale affacciano le relative testate. Nel senso della direzione essi si mostrano, dove più dove meno ondulati e dappoiché la detta costa in massima parte scende quasi a picco sul mare ed è pressoché spoglia di vegetazione, essa, guardata sul mare, fa all’osservatore l’effetto, come dice bene il Mantovani \ di un libro gigantesco con le sue 'pagine leggermente ondeggianti. Ma la roccia marnosa non essendo uniforjnemente compatta, non offre eguale resistenza al cozzo delle onde marine, e per conseguenza abbiamo dei punti in cui essa presenta dei dolci declivi, altri in cui ^ Mantovani P., Sulla formazione geologica delle colline presso Ancona. Roma, 1875. — 96 — è notevolmente incavata, e finalmente troviamo dei lembi totalmente staccati dalla massa principale, i quali vedonsi emergere qua e là isolati sul mare, nelle adiacenze della riva, quali testimoni della lenta e incessante erosione delle onde; e questi scogli sono stati battezzati con nomi strani, tendenti a rammentare o la loro speciale configura- zione, già in gran parte mutata, ovvero circostanze più o meno anticlie di tempo e di luogo. Cosi abbiamo i cosi detti scogli del Cavallo, La Scalacela, gli scogli Lunghi, quelli di San Clemente e lo scoglio della Volpe, dei quali gli ultimi due si trovano a Nord, a poca distanza dai promontorio d’Ancona. In questo promontorio le marne hanno una potenza superiore ai 100 metri con una pendenza di 30° circa a S.O, e formano una rupe innalzantesi quasi ritta sul mare, sulla cui cima e a pochi passi dal suo crinale sorge la cattedrale di San Ciriaco o Duomo d’Ancona. E giacché in questa rupe alta e ripida sono piuttosto frequenti gli smottamenti di roccia prodotti, sia dalla erosione del mare come dalle pioggie e dai geli invernali, parmi assai ben fondato il timore che il detto Duomo, antico e pregievole monumento nazionale, si pre- senti ormai in tali condizioni da far ritenere che in un giorno non molto lontano, possa precipitare in mare, se pronte e costose opere di riparo non giungeranno in tempo a scongiurare il grave pericolo. Il sudescritto affioramento di marne è sormontato dagli strati a congerie, e cioè da gessi e da arenarie; se non che, mentre i gessi anche qui si presentano in lenti distaccate, le arenarie invece accom- pagnano le marne in tutta la loro estensione e con i primi ne seguono regolarmente la giacitura, vale a dire che i relativi strati pendono del pari a S.O, sono cioè leggermente rialzati dalla parte del mare. In questa località, dopo le lenti di gesso del Monte dei Corvi, abbiamo quelle delle vicinanze del Monte Carlin e del successivo Monte Venanzio, non che quelle presso la borgata Piò della Croce; ed è stato constatato che ne esistono altre sotto l’abitato di Ancona ai piedi della Cittadella, e nella adiacente riva che racchiude il Porto della città. — 97 — Le arenarie a congerie formano una zona, dove più dove meno potente, la quale dallo scoglio del Trave passa per Piè della Croce, Monte Pelago, Monte Pulito, da dove si prolunga fino a raggiungere la Cittadella e quivi i relativi strati, con forte pendenza a S.O, scen- dono a Porta Pia e s’inoltrano in mare. Se ora ci facciamo ad esaminare la giacitura degli analoghi de- positi che affiorano tra Varano e il Pinocchio, non possiamo fare a meno di riconoscere che essi si trovano in perfetta corrispondenza coi precedenti, e che con essi formano precisamente quel bacino che più sopra ho accennato, e i di cui strati visibili rappresentano l’orlo S.O di esso. Difatti noi troviamo che, partendo dal Montirozzo, gli strati della marna, non che quelli dei gessi e delle arenarie soprastanti dirigendosi prima ad occidente e poi a tramontana s’inoltrano nel territorio di Varano e quindi ripiegando leggermente di nuovo verso occidente si prolungano fino al Monte d’Ago, mantenendo sempre la loro pendenza a N.E, vale a dire in senso opposto di quella che presentano i corri- spondenti strati della precedente località, di guisa che se gli uni e gli altri li immaginiamo prolungati, debbono necessariamente colle- garsi, come è indicato nella sezione G-H della tavola, racchiudendo nel loro seno il posteriore deposito di argilla azzurra, quello cioè che occupa le due alte sponde dell’interposta valle di Miano, e che si pro- lunga da un lato fino alla sponda adriatica tra il Montirozzo e lo scoglio del Trave e dall’altra fino alla spiaggia ad Ovest d’Ancona. Pochi sono gli affioramenti di gesso che appaiono in questo lembo del bacino ; essi sono soltanto due nei dintorni di Varano e uno nel versante meridionale del Monte d’Ago. Le superiori arenarie si estendono dal territorio di Varano a quello di Montacuto e poscia ai monti d’Ago e Galletto. Le ritro- viamo altresì appoggiate sulle marne e sui gessi del suaccennato Monte Freddo ad Ovest presso Numana. Debbo però notare che nelle indicate località la roccia arenacea si presenta generalmente a struttura granulosa tenera, a tinta gial- — 98 — lastra ed è talvolta più o meno argillosa, di guisa che il suo aspetto litologico non è perfettamente uguale a quello delle arenarie a con- gerie sopra descritte, ed oltracciò benché nella serie occupi il mede- simo posto di queste ultime, essa non contiene traccie di detto fos- sile caratteristico. Ritengo quindi che tale roccia rappresenti quella sabbia del plio- cene inferiore che nella regione corrisponderebbe al cosi detto truho di Sicilia ^ Nelle arenarie gialle tenere del Monte Galletto, ho raccolto di- versi esemplari di fossili, ma stante il loro cattivo stato di conserva- zione, ring. Crema dell’ Ufficio geologico ha potuto solo riconoscere le specie seguenti : Ostrea sp. Pectiinculiis insiihriciis Br. sp. Lucina spinifera Mtg. sp. Carclinm sp. Dosinia lincia Pultn. sp. Dosinia esoleta L. sp. Circe minima Mtg. sp. abbuia f sp. Natica fnsca Blainv. Cerithium varicosiiin Br. sp. La fauna delle marne mioceniche è in generale assai povera, giacché solo di quando in quando nel relativo affioramento si sco- prono pochissimi resti organici e anche questi quasi sempre fram- mentari. Sono discretamente fossilifere le marne delle rupi sottostanti al- l’abitato di Ancona, nelle quali si scorgono sovente delle conchiglie fossili, anche complete. Ivi ho raccolto un certo numero di Ostree^ di Cardium e di Thra- eia, le cui specie si riferiscono a quelle che, insieme ad altre, il pro- ^ L. Baldacci, Descrmone geologica delV Isola di Sicilia. Boma, 1888. (Memorie descrittive della Carta geologica d’ Italia). — 99 — fossore Capellini cita in apposito quadro nella sua pregevole me- moria \ Non parmi qui inopportuno il notare che in alcuni tratti di costa a livello del mare, s’incontrano dei punti in cui la roccia marnosa più compatta è cosparsa di nicchie, ossia da perforazioni praticate da fo- ladi e nelle quali talvolta si trova imprigionata la relativa conchiglia. Anche la fauna delle arenarie a congerie è relativamente assai scarsa e solo la troviamo piuttosto abbondante nelle arenarie del Monte dei Corvi, presso lo scoglio del Trave, dove, col tempo e colla pazienza, si potrebbe fare una discreta raccolta, specialmente di Con- gerie e di Cardium. Nelle mie escursioni raccolsi un buon numero di tali conchiglie e da un esame sommario fattone dallo stesso ingegnere Crema risulta che appartengono, per la massima parte, alle forme descritte dal prof. Capellini nella più volte citata memoria. In quanto ai gessi, quelli a struttura tubulare sono più special- mente ricchi di pesci fossili, non che di impronte di foglie. Siffatti avanzi organici si osservano pure nella marna interposta ai gessi. Durante le mie visite a quelle cave ho potuto fare una piccola raccolta di alcuni campioni di tal genere, offertimi mediante piccoli compensi, da quei cavatori ; e nel gesso cristallino della cava del Monte dei Corvi, acquistai un campione contenente un modello di strobilo carbonizzato. Gli accennati pesci fossili sono stati inviati all’egregio profes- sore Bassani dell’ Università di Napoli, con preghiera di farne la de- terminazione ; e questi, con singolare gentilezza, ha risposto subito che tali fossili rappresentano Pachylebias crassicaudus Agassiz sp. (= Lebias crassicaudus Ag. ; Prolebias crassicaudus H. E. Sauvage), che indicano precisamente il Miocene superiore anconitano, e corrispondono a quelli che si trovano nei gessi della provincia di Girgenti e del- l’isola di Creta. " Op. cit. — 100 — Ho fatto pure una piccola raccolta di campioni di piante fossili, ma non ho creduto necessario di sottoporle alla determinazione, poiché qualora, su tale argomento, il lettore desiderasse notizie particola- reggiate, potrebbe consultare la suindicata memoria dei signori Sca- rabelli e Massalongo, non che la interessante ed estesa descrizione della flora fossile anconitana, fatta dal professore Paolucci nel suo citato lavoro b Depositi pliocenici e post-pliocenici. — Dagli strati a congerie dei dintorni del Monte Conero, ed anche direttamente dalle marne mio- ceniche, si passa ad un esteso e potente deposito pliocenico, il cui affioramento, come è indicato nella unita cartina geologica (vedi Ta- vola), comincia a mostrarsi, nella regione meridionale di detto monte, lungo la spiaggia a Sud presso il Porto di Humana e di là s’inoltra nelle due sponde del Musone, nei territori di Loreto e di Castel- fidardo ; ad occidente lo vediamo comparire nel Monte di Camerano, da dove si estende nelle due sponde dell’ Aspio e nei successivi terri- tori di Osimo ^ Offagna, Montesicuro, Paterno d’Ancona, Polverigi e Camerata-Picena, fino ad oltrepassare il letto dell’ Esino ; e dal lato di Ancona esso abbraccia anzitutto la valle di Miano, vale a dire forma quel lembo che occupa il seno del su descritto bacino terziario e quindi prosegue per tutto il successivo litorale, e cioè dai pressi della stazione d’Ancona fino al di là dell’ Esino nei territori di Seni- gallia e di Jesi. Patta astrazione delle arenarie tenere del Pliocene inferiore, delle quali abbiamo parlato sopra, questo grande deposito è costituito es- senzialmente di argille azzurre del Pliocene medio, che rappresentano il terreno basale della regione, e da queste, mano mano che ci avvi- ciniamo alla zona più alta, si passa alle argille sabbiose, poscia alle sabbie argillose, e finalmente alle sabbie gialle del Pliocene superiore. ^ Nuovi materiali e ricerche critiche, ecc. Ancona, 1896. ^ G-. Antonelli, Il Pliocene nei dintorni di Osimo e i suoi fossili carat- teristici. (Boll, della Soc. Geol. ital., Yol. IX, 1890). — 101 Questo graduale passaggio può facilmente osservarsi salendo le colline che s’innalzano sulla sinistra dell’ Aspio, sulle quali stanno gli abitati di Candia e di Montesicuro, e quelle sulla destra di detto fiume, nelle quali troviamo la frazione denominata San Biagio ed il comune di Offagna, e da dove la zona delle argille sabbiose e delle superiori sabbie argillose prosegue nel contiguo territorio di Pol- verigi. L’andamento tettonico di tale importante deposito è molto rego- lare, esso non è affatto disturbato da eccezionali fenomeni stratigra- fici; la sua giacitura presenta solo delle leggere ondulazioni, inter- rotte qua e là da semplici valli di erosione. Sono poche le località in cui si possono esaminare chiaramente i caratteri geologici delle suaccennate rocoie, dappoiché la indicata regione è coltivata dovunque intensivamente, ciò che ne modifica la struttura alla superficie, rendendo pressoché uniforme l’aspetto della campagna. Se non che per siffatte osservazioni, in quanto riguarda le ar- gille azzurre, abbiamo le alture adiacenti alla spiaggia di Ancona, in prossimità della stazione, dove da molto tempo sono aperte delle cave di tale materia per la fabbricazione dei laterizi. Ivi l’argilla é a grana fina, leggermente sabbiosa, alquanto tenace. È disposta a piccoli banchi regolarmente stratificati e diretti presso a poco da N.N.E a S.S.O, con debole inclinazione ad O.N.O. La soprastante serie pliocenica si mostra qua e là scoperta nei dintorni di Offagna e di Polverigi, dove le roccie relative formano alcuni risalti o gradini, dovuti a franamenti del suolo in pendio. Tanto le argille sabbiose come le sabbie argillose, sono sovente intercalate da strati di pura sabbia gialla generalmente tenera, ma mentre gli uni sono di potenza assai limitata, gli altri sorpassano talvolta lo spessore di un metro. A siffatte intercalazioni di sabbia, sono dovute le poche e scarse sorgenti d’acqua che si incontrano in dati punti della regione. In quanto ai caratteri paleontologici, dirò che le argille delle cave — 102 - presso la stazione di Ancona, presentano, benché assai raramente, delle piccolissime bivalve, ma molto mal conservate e che si sgreto- lano al minimo tentativo d’isolamento, e sono quindi indetermi- nabili. Negli affioramenti delle superiori roccie sabbiose plioceniche delle località da me visitate non mi è riuscito di incontrare traccie di resti organici. Appoggiati indifferentemente su taluno dei sudescritti terreni, e specialmente nei punti più elevati della regione, si vedono apparire alcuni giacimenti, di limitata potenza ed estensione, di tufo conchi- glifero del post-pliocene. Questa roccia non ha una struttura uniforme, ma dove è caver- nosa e tenace, dove è granulosa e tenera, e dove è sabbiosa e friabile. La sua tinta è quasi sempre gialla, ma talvolta tende al biancastro. Uno dei più importanti di tali giacimenti è quello su cui è fab- bricato il paese di Camerano. Per gentilezza del conte Emilio Ricotti, a cui rendo i più sen- titi ringraziamenti, potei penetrare nella sua villa, posta nel punto più elevato del paese, dove la roccia tufacea forma una piccola rupe del tutto scoperta, e quivi mi fu dato di raccogliere un discreto nu- mero di conchiglie fossili. Molti di questi però non sono ohe modelli interni di lamelli- branchi e di gasteropodi, mal conservati e indeterminabili. L’inge- gnere Crema vi riscontrò le seguenti specie: Pecten jacohaeiis L. sp. Chiami) s operciilarìs L. sp. Chlamys flexuosa Poli sp. Ostrea lamellosa Br. Un altro giacimento di tufo sabbioso e tenero, in gran parte a tinta biancastra, comprende la zona più alta del Monte Umbriano, a levante dei Piani della Baraccola presso la borgata degli Angeli. Analoghi giacimenti formano il così detto Monte della Crescia e 103 — le altre alture sottostanti o prossime all’ abitato di Offagna, non che la collina di Candia e quelle successive che s’ incontrano ad Ovest della strada che unisce questa frazione a quella detta del Posatore. In alcune di queste ultime località il tufo è compatto e a grana fina e perciò viene scavato e tagliato in forme regolari per uso edilizio. Detriti di falda e depositi quaternari. — Il versante del Conero prospiciente all’Adriatico, essendo, come abbiamo detto, disposto in massima quasi a picco, non permette ai detriti calcarei i quali, o per una causa o per un altra, si staccano dalla sua fronte, di accumularsi lungo le sue falde ; essi al contrario precipitano nel sottostante fondo marino. Solo nel lato più a Nord di detto versante, troviamo quella po- tente ed estesa falda detritica, di cui più sopra è cenno (vedi' la Se- zione A-B nella Tavola) la quale s’ innalza precisamente sul tratto di spiaggia adiacente alla Torre e alla Chiesa di Porto Nuovo. A rigore la detta falda detritica deve essere distinta in due masse, appena collegate 1’ una all’altra, quella cioè che fa capo alia Chiesa di Porto Nuovo, la quale si eleva sulle pendici del monte fin quasi a raggiungerne la soprastante cresta, all’altezza cioè di m. 300 circa sul mare, e l’altra che si estende, parte a lieve pendio e parte quasi in piano, lungo la spiaggia adiacente alla Torre di Porto Nuovo. La prima, meno che nella parte più bassa, è generalmente costi- tuita di detriti calcarei a piccoli elementi, l’altra invece è essenzial- mente formata di grossi blocchi calcarei, alcuni dei quali sorpassano il volume di un metro cubo. Lungo il versante che unisce il Conero al continente, come ap- pare dalla nostra cartina geologica, troviamo tre depositi detritici di- stinti e separati 1’ uno dall’altro. Il primo occupa le due sponde del cosi detto Fosso Fontanacci, a partire dai dintorni della Villa An- gioini, fiuo a poca distanza dallo sbocco di questo fosso nel Rio Bu- ranico ; si trova cioè nella valle a Nord sotto le colline del Poggio — 104 — rimanendo appoggiato su quelle marne mioceniche ; l’altro abbraccia r alta sponda sinistra del torrente Betelico, fino a toccare il Fosso del Condotto, e questo col suo lembo superiore si addossa sui calcari del Conero e lateralmente sulle marne delle colline a N.N.O di Mas- signano; il terzo finalmente, molto più esteso dei precedenti, scende dalla borgata detta Fondo d’Olio e quindi forma una larga zona a sinistra del sottostante Fosso dei Molini, fino a raggiungere l’abitato di Numana, inoltrandosi altresì fin sotto la parte piana dell’abitato di Sirolo, nei dintorni cioè della cappella di Sant’ Erasmo. Quest’ ultimo deposito detritico resta quasi completamente appog- giato sulle marne mioceniche di Sirolo e di Numana, meno il lembo più alto, nei pressi cioè della detta borgata Fondo d’Olio, dove si appoggia sui calcari. Tutti e tre sono costituiti da elementi calcarei piccoli ed ango- losi, misti a terriccio marnoso, e formano una massa generalmente poco cementata e spesso incoerente. Abbiamo finalmente il deposito alluvionale recente, il quale oc- cupa, con una zona più o meno larga e potente, il letto dei fiumi e dei torrenti, ed è formato principalmente di materiale terroso e friabile. Sorgenti. — La regione di cui ci occupiamo è assai povera di sor- genti d’acqua potabile e quelle poche che vi s’incontrano sono tutte di piccola entità. Fra queste mi limiterò a citarne tre che scaturiscono nella re- gione meridionale del Conero, e cioè quella denominata Capo d’acqua, ch’è la più abbondante, e che trovasi a ponente, poco distante da Sirolo, sotto la borgata detta La Stazione, l’altra che sorge ad Ovest presso l'abitato di detto comune e la terza che nasce quasi in riva al mare vicino al porto di Numana. Di tali sorgenti le ultime due sono certamente dovute alla pre- senza del terzo deposito detritico sopra descritto, il quale funziona da materiale assorbente, ed essendo sovrapposto alla marna, ch’è roccia impermeabile, dà luogo ad una falda acquifera di contatto. Invece la sorgente Capo d’acqua, benché anch’essa nasca fra i - 105 — detriti, ritengo con molta probabilità che provenga da una piccola corrente sotterranea attraverso la zona più alta dei calcari del Conero. Altre sorgenti, sempre di limitata importanza, s’incontrano nei sude- scritti terreni pliocenici, formatesi al contatto delle sabbie colle argille. Accennerò infine alle antiche e rinomate sorgenti d’acqua pur- gativa dell’Aspio, in territorio di Camerano, le quali sgorgano presso il ciglio della sponda destra di detto fiume, attraverso quel deposito alluvionale, e precisamente a poca distanza dalla linea ferroviaria Ancona- O simo, nel punto in cui i Piani della Baraccola incontrano il corso di detto fiume, ed a circa 9 chilometri da Ancona. L’uso delle acque purgative dell’Aspio rimonta a vari secoli, ma solo da pochi anni, presso tali sorgenti, sono stati costruiti degli ap- positi locali, i quali però non offrono ancora le comodità occorrenti a quelli che vi si recano per la cura. Il signor Jervis ^ dice che da analisi fatte molti anni addietro risultava che quest’acqua fosse salina jodurata-bromica, e che esami- nata poi dal professor Piazza, questi dichiarò essere essa semplice- mente un’acqua salina e che non contiene traccio di j odio nè di bromo e perciò inefficace per quei disordini dell’organismo umano, pei quali tale acqua sarebbe prescritta. Ma il professor Antonelli nel 1830, in una sua pregievole nota, concernente appunto l’argomento di cui trattasi ^ riporta un’analisi molto accurata delle acque dell’Aspio, eseguita dal Dott. G. Trotta- relli di Terni e pubblicata nel 1889, dalla quale si rileva ohe effetti- vamente essa contiene tanto il jodio quanto il bromo. Ad ogni modo è assodato che le acque dell’Aspio posseggono proprietà purgativa, con effetto quasi immediato, e perciò il loro uso per le malattie intestinali, è assai diffuso. Roma, marzo 1905. ^ G. Jervis, I tesori sotterranei delVItalia. Roma, Torino, Firenze, 1874. ® G. Antonelli, Alcune osservasioni sui terreni e sulle sorgenti minerali dell’Aspio, (Boll, della Soc. Geol. ital., Yol. IX, 1890). 8 — 106 SPIEaAZIOIN'E DELLA TAVOLA. Cartina geologica dei dintorni di Ancona. — I tratteggi in rosso indicano ì diversi terreni e le macchiette dello stesso colore gli affioramenti dei gessi sottostanti alla Zona a congerie. 2® Sesione geologica A-B. — Dimostra la concordanza di stratificazione dei calcari del M. Conero con le marne mioceniche, e indica la potente falda detri- tica che si appoggia sulle falde di detto monte dal lato di Porto Vuoto. 3® Sesione geologica C-D. — Presenta la serie completa dei terreni della regione, e cioè dal Cretaceo del Conero al Post-pliocene di Camerano, non che la piega con frattura parziale dei calcari del Conero, da cui ebbe origine la Grotta degli Schiavi. 4® Sesione geologica E-E. — Ivi appare il fenomeno di frattura, che diede luogo alla formazione dello Scoglio del Trave. 5® Sesione geologica G-H. — Dimostra la formazione a bacino della Zona a congerie e delle marne sottostanti, che affiorano tra la costa adiacente alla città di Ancona e il M. Galletto presso la borgata del Pinocchio. II. C. Viola. — La diabase anfiholica della Nurra (Sardegna) (Con una tavola). Io feci nel 1900 parecchie escursioni in Sardegna, raccogliendo molto materiale mineralogico e petrografìco , il cui studio non è ancora compiuto. In quell’anno io spinsi le mie gite anche nella Nurra (pro- vincia di Sassari) per raggiungere la importante miniera dell’Argentiera. La strada che da Porto Torres conduce all’ Argentiera si svolge dapprima sul terreno quaternario. Dopo circa 12 chilometri essa va parallela al Rio di Santa Osanna, e al piede di Monte Corredda, che domina la valle e che è costituito di calcari secondari, essa attra- versa un affioramento di pietre verdi ; mi è sembrato che queste ultime riposassero su detti calcari secondari. I muri che fiancheggiano la larga via in quella località, sono costruiti in gran parte di pietre Boll.del R,Coinit.Gedl. d’Italia Sé Se del Tra\'e Sezione E'F Scala di 1- 12,500 Montinn Anno 1905.Tav.V. ( M. Cassetti ) . CARTA GEOLOGICA DEL MONTE CONERO e dintorni Serie dei terreni AC AlhivioTte. Detriti di faldcu. Tufi conchi^lifei'L. Sabbie e sabbie argillose'. rrr Argille sabbiose e argille azzurre. Arenarie a Congerie e arenarie' tenere corrisponde'iìti ai Trubi di Sicilia . dessi coTV pesci e filli tiy. Marne hianchcy e azzurrognole/. (oleari ad' orbiloidi'.Strati superiori del (onero. Calcari bianchi e rosati piivo meno ciistallini. Sezione A.-B Scala di 1:25,000 hiesa di Porto JVnoro ALConero Sirolo 57 2 125 -D IO Px^-Convento dei Cmnaldolesi — 107 — verdi, le cui vene bianche costituite di albite attirano la curiosità del geologo. Io non potei fermar mi vi a lungo, come sarebbe stato mio desiderio, per osservare bene tutto il giacimento delle pietre verdi ; ma intanto ne raccolsi molti campioni con geodi e vene zeppe di albiti e di epidoto male conservato, riservandomi di ritornare sul posto in altra occasione Al primo aspetto mi sembrarono le dette pietre verdi delle dia- basi ordinarie. Dopo un primo studio mi convinsi che si trattava di una diabase importante, e deliberai di condurre lo studio a termine per farne oggetto di pubblicazione. La differenza tra le diabasi ordinarie e questa della Nurra sta in ciò che in luogo del pirosseno vi ha Tanfibolo. La roccia in questione consiste principalmente di plagioclasio e di anfibolo ; e come cosa eccezionale dobbiamo aggiungere agli elementi principali il ferro titanato e l’apatite. L’analisi chimica da me eseguita nel Laboratorio della Stazione agraria sperimentale di Roma sopra la roccia polverizzata ed essic- cata a 110° ha dato il risultato seguente : SÌ03 — 44.37 j 47. 44 TiO, 1 3.07 j Ab03 16.69 j ' 24. 72 8.03 ; FeO = 7.64 MnO _ traccio . 19. 15 MgO = 4.07 j CaO 7.44 NasO 3.99 i K,0 = 0.65 4.64 Li.O traccio H2O = 3. 23 3. 23 P.O, 0. 42 0. 42 Somma 99.60 99.60 - 108 — La determinazione dell’acido titanico fu fatta dall’ing. Mattirolo. Io ripetei l’analisi degli alcali anche nel Laboratorio dell’Ufficio geo- logico. Le traccio del litio vennero constatate con lo spettroscopio. Per paragonare questa roccia ai magma fondamentali di Rosen- buscL trascuriamo l’acqua, arrotondiamo la somma a 100 (vedi la seguente colonna I), determiniamo le molecole di queste 100 parti della roccia (vedi colonna II) e infine riferiamo le molecole a 100 (vedi colonna III). Colonna I Colonna II Colonna III SiO, = 46. 04 76.2 52.4 TiO. = 3. 19 4.0 2.7 AI.O3 = 17. 32 17.0 11.7 Fe203 = 8. 33 5.2 3.6 FeO = 7. 93 11.0 7.6 MgO = 4. 22 10.4 7.1 CaO = 7. 72 13.8 9.5 Na,0 = 4. 14 6.7 4.6 K,0 = 0. 67 0.7 0.6 F.O, = 0. 44 0.3 0.2 Somma 100. CO 145.3 100.0 Dalla colonna III si deduce la seguente composizione molecolare : 6.2 ; ) AIA • SA I ( \ Na^O y " » \ + 6. 5 i OaO . ALO3 . 2 SiO, | + 8. 2 { (MgOa) O . SiO> | + 2. 7 1 FeO . TiO, j e inoltre 3.6 Fe.O, . 4.9 FeO . 1.9 CaO . 0.2 La quantità dell’elemento dell’anortite rispetto a quello del feldi- spato alcalino, e la grande abbondanza di ÈSiOj con gli ossidi di ferro, distinguono il magma fondamentale gabbro-peridotitico. La - 109 roccia deve quindi essere considerata come una diabase, benché non vi sia nemmeno traccia di pirosseno, e Panfìbolo ne sia abbondante, Ciò è anche giustificato dalla struttura della nostra roccia, benché essa non sia nettamente ofitica; non lo sembra nettamente a causa della forte metamorfosi che la roccia ha subito. Il plagioclasio é in gran parte saussuritizzato. Da questa saussuri- tizzazione sono risultati albite, epidoto e mica, ohe molto distinta- mente vi si osservano; in piccola quantità vi é anche della zoisite. Una saussurite con resto di plagioclasio poligeminato è rappresentata nella fig. della Tavola annessa. Per la determinazione del feldispato io mi sono servito di diversi dati. Dapprima risulta dalla composizione chimica della roccia che in media l’anortite sta all’albite nel rapporto di 6.5: 5.2; ciò corrisponde a una labradorite intercalata fra Ab^An^ e Ab^Ang. L’estinzione mas- sima nella zona perpendicolare al piano comune di geminazione se- condo la legge albitica, cioè (010), rispetto alla traccia del piano (010) è di circa + 30°. Anche questo dato è per la labradorite. Una sezione di un feldispato normale a (010), ove le lamine di un geminato secondo la legge albitica, fanno apparire gli assi ottici, poco fuori del campo del microscopio, dà come angolo della traccia del piano degli assi ottici rispetto alla linea di simmetria del gemi- nato 50° (vedi Fig. 1). Anche questo dato dimostra che il plagioclasio si avvicina alla labradorite. Inoltre una sezione ove le traccio di due — 110 - sfaldature fanno fra di loro l’angolo di 78“, e la traccia del piano degli assi ottici fa con la sfaldatura più perfetta (ODI) l’angolo di 8“ e con l’altra 70" (vedi Fig. 2), fa prevedere che nella roccia si trova anche dell’anortite. A causa della saussuritizzazione del feldispato non si sono potute avere a disposizione molteplici sezioni nitide di feldispato, ma è da ammettersi che la roccia contenga qualche feldispato anche più acido della labradorite, appunto in vista della presenza dell’anortite e della composizione media del plagioolasio trovantesi nella diabase. Il feldi- spato è per lo più in grandi cristalli e non è mai idiomorfo. Si può giudicare della natura delle inclusioni primitive del feldi- spato, ove il feldispato si dimostra sufficientemente fresco. Le inclu- sioni sono mica bruna, anfìbolo giallo- verde e ferro titanato, quella in tavolette esili disposte in gran parte radialmente; l’ anfìbolo in cristalli sottili e allungati secondo (OOi) e senza terminazione distinta. Le dimensioni di questo anfìbolo incluso sono 0,018 mm. per 0,12 mm. e vanno fìno a 0,036 mm. per 0,24 mm. Le dimensioni della mica inclusa nel feldispato sono 0,008 mm. per 0,06 mm. L’anfìbolo incluso nel feldispato e che precede quest’ultimo è in tutto eguale all’anfìbolo non incluso, il quale rappresenta la seconda generazione, almeno per ciò ohe riguarda il suo accrescimento. — Ili — Le dimensioni di quest'ultimo vanno fino a 0. 45 mm. per 1. 20 mm. Le inclusioni radiali di mica bruna nel feldispato sono diverse dalle inclusioni di mica che proviene dalla metamorfosi del feldispato o dell’anfibolo. Il ferro titanato nel feldispato è in minute asserelle arrotondate e quasi sempre trasformato in leucoxeno e ossido di ferro. La fig. 3 della Tavola ci dà un esempio di feldispato con inclusioni e fortemente contorto. Le contorsioni del feldispato appariscono viem- meglio nelle geminazioni polisintetiche. Lanfibolo è giallo- verde e precisamente: secondo y = celeste verdognolo; secondo a = giallo. L’angolo y : C risulta come media dalle seguenti misure di estin- zione, determinate sopra sezioni parallele alla zona [001] ; come è noto in questa zona ha luogo una sola direzione di sfaldatura: 14% 17% 18% i6« 1/2, 18° 1/2, 14“ ^2; 7°, 20°; media 20°. Per determinare l’angolo degli assi ottici nelL’anfìbolo per mazzo del microscopio ho proceduto nel modo seguente. Ho scelto, una se- zione deH’anfìbolo parallela a (iOC)), il che è cosa facile perchè in questa sezione le due sfaldature si presentano secondo una direzione come in ogni sezione appartenente alla zona [001], e l’angolo di estinzione rispetto alla direzione [001] è zero. Da questa sezione esce un asse ottico, che rimane nel campo ottico del microscopio. Quest’asse ottico segna nella scala del micro- metro, applicato aU’oGulare, 175 parti; ossia girando il preparato di antibolo di 180’ sul piattello del microscopio, l’asse ottico taglia sul micrometro un intervallo di 350 parti nelle posizioni di 0^ e di 180^ ; perciò l’asse ottico uscente nell’aria fa con la normale della sezione un angolo, la cui tangente è proporzionale a 350 = 175. D’altra parte l’angolo nell’aria 2 E = 65^ degli assi ottici della muscovite, ohe si prese per confronto, taglia sullo stesso micrometro 112 — 414 parti. Dunque la tangente della metà dell’angolo, cioè E = 32° 14 1 è proporzionale a -- 414 = 207. Facendo il rapporto di questi due nu- 175 meri e moltiplicandolo per la tangente dell’angolo 32® si ottiene la tangente dell’angolo 29® circa, ossia 0. 5482. E ritenendo per l’anfibolo l’indice di rifrazione i3 = 1. 62 si ha l’angolo cercato di circa 17®. Cosicché l’asse ottico visibile nel microscopio dell’anfibolo fa con la normale della sezione (100) l’angolo di 17®. Vedi Fig. 3. C=[:ooT] Nella Fig. 4 sono tracciate nel piano (010) la direzione C = [001], la normale alla faccia (100), le due bisettrici a e y e finalmente i due assi ottici A e B, i quali fanno con la bisettrice positiva y l’angolo di 53®, poiché 53 = 90—20—17. L’ angolo acuto degli assi ottici è dunque 180—2 X 53® = 74°; e per conseguenza l’anfibolo in que- stione è otticamente negativo. Anche l’anfibolo ha inclusioni di ferro titanato. 113 — Il ferro titanato è in grande abbondanza, come apparisce dalla quantità di acido titanico. Il leucoxeno che vi si è formato attorno ad ogni granulo di ferro titanato è oltremodo caratteristico in questa roccia. La fìg. 1 della Tavola ci dà Fimmagiiie di vari nodi di ferro tita- nato circondati da leucoxeno o tutto già metamorfizzato in quest’ultimo. Ad ingrandimento forte il leucoxeno apparisce chiaramente come un aggregato di minutissimi cristalli dotati di forte birifrangenza, come appunto lo sono il rutilo e la broochite. La stessa fìg. 1, espone di- stintamente questo bel fenomeno. La roccia contiene una rilevante quantità di anidride fosforica, ciò che spiega la notevole quantità di apatite o di un fosfato calcico, i cui caratteri ottici sono molto simili a quelli dell’apatite. L’apatite è in cristalli relativamente lunghi e grossi, e quasi sempre rotti o ripiegati. La fìg. 4 della Tavola dà Timmagine di un cristallo grande e rotto dell’apatite, nelle cui fratture si osserva dell’anfibolo, della mica e della clorito. Un cristallo di apatite pure rotto è intercalato fra due noduli di ferro titanato della fìg. 1. Per la determinazione dell’indice medio di rifrazione dell’apatite mi sono servito del joduro potassio -mercurico avente l’ indice di rifrazione i. 72 e di una soluzione più diluita. Ho isolato perfettamente il preparato dal portaoggetti, e dopo averlo pulito con etere, lo ho messo in una capsuletta inclinandolo di qualche poco rispetto all’asse ottico del microscopio, in modo da poter osservare una luce gialla posta a poca distanza, per riflessione dalla superfìcie del preparato stesso. Vi ho in seguito aggiunto del joduro di potassio-mercurico a i. 72 che ho mescolato poco a poco con joduro più diluito. Questa operazione era fìnita quando la lamina di apatite non 1 rifletteva più la luce gialla, e il preparato per conseguenza appariva ' nero. Raggiunta la soluzione dairindice eguale a quello dell’apatite, I ho determinato quest’indice per mezzo di un prisma e con la minima 1 deviazione. Da qui è risultato che l’indice medio di rifrazione della I apatite è di 1. 65. 114 - La doppia rifrazione è piccola, siccliè i colori di interferenza non superano il limite comune dell’apatite in sezioni sottili. Le sezioni trasversali sono esagonali ; quelle longitudinali sono con fratture tras- versali, e come si è sopra detto, ripiene di clorito, mica e anfìbolo. I cristalli sono in generale bene conservati; si sciolgono nell’acido cloridrico. Il molibdato ammonico acido dà sulle sezioni un precipi- tato giallo. Il segno ottico secondo l’allungamento è negativo. E chiaro che tutti questi caratteri corrispondono perfettamente con quelli deli’apatite. Ma vi è pure un carattere ottico che non corrisponde all’apatite, almeno non all’apatite normale. E questo è l’angolo degli assi ottici. Apatiti otticamente anomale sono conosciute. Ma il nostro minerale ha un angolo degli assi ottici, che si avvicina a quello della mica bianca. Non è stato possibile determinare con sufficiente esattezza quest’angolo perchè le figure assili non sono precise, e quindi non è stato possibile valutarne la apertura con il micrometro ; ma posso dire che quest’angolo non è minore di 30'^. Io abbandono questo minerale, che per ora chiamo apatite anormale, ad uno studio più accurato allorché sarà possibile averne dei cristalli isolati, ed un materiale che si presti ad una analisi quantitativa. Le più grandi dimensioni dell’ apatite anormale sono 0. 30 mm. per 1. 35 mm. ; questi grandi cristalli sono molto frequenti nella roccia; alcune regioni di questa sono colme di apatite anormale. Come si è detto sopra il feldispato è in gran parte saussuritizzato. Diremo in appresso dell’albite. Ora diciamo qualcosa della mica e dell’epidoto. La mica come prodotto di questa trasformazione è chiara; ma vi è anche della mica scura, giallo-verdognola, senza contorni auto- morfi, la quale deriva senza dubbio dalla trasformazione dell’anfibolo incluso, come diremo più sotto. Invece la mica primitivamente inclusa è di un colore giallo-scuro passante in bruno, automorfa, in tavolette sottili e disposte radialmente. L’epidoto è trasparente, non colorato, in lamine sottili a forte ri- frangenza e birifrangenza. — 115 — La zoisite è relativamente poco birifrangente e tende al color roseo, forse a causa del manganese. La zoisite non proviene dalla trasformazione del feldispato, ma bensì da quella dell’anfibolo. L’anfibolo si trova oltreciò trasformato in clorito e mica bruna. Si osserva nelle sezioni di antibolo nettamente il passaggio dalFanfì- bolo alla mica. L’albite, come secondaria formazione del plagioclasio, è quasi un’albite pura. Le geodi e le fratture della roccia essendo colme di albite, ho potuto isolare quest’ultima e raccogliere un materiale suf- ficiente per uno studio dettagliato. Dopo che i cristalli di albite furono separati dalla ganga, vennero triturati e posti sotto il mi- croscopio per non lasciare dubbio che il materiale raccolto fosse di albite. Questo, lavato con acido cloridrico diluito, si presentava come una sostanza bianca nitida e talvolta anche trasparente. Ho in- viato questo materiale al dott. H. Steinmetz del Laboratorio minera- logico dell’Università di Monaco, con preghiera di analizzarmelo. Ed ecco quanto egli mi scrive in data V agosto 1902, circa il lavoro da lui eseguito: « Il minerale finamente polverizzato mescolato con la comune « miscela di carbonato sodico e potassico da 3 a 4 volte il suo peso, « venne fuso dapprima adoperando il becco Bunsen, poscia il sof- « fione. Terminata la disgregazione, fu trattato il prodotto della « fusione con acido cloridrico diluito, e la soluzione portata 3 volte « di seguito a siccità ; finalmente venne riscaldato il residuo per 2 ore « a 120®. Questo residuo venne indi ripreso con acido cloridrico di- (( luito; poscia fu filtrata la soluzione dalla silice rimasta insolubile, e « quest’ultima essiccata, riscaldata al rosso e indi pesata. Venne indi « precipitata nel liquido filtrato e bollente l’allumina allo stato di « idrossido per mezzo di NHg; l’allumina rimasta nel filtro venne « riscaldata e pesata allo stato di AlgOg. Si aggiunse al liquido fìl- « trato ammoniacale dell’ ossalato ammonico, e lo si filtrò dopo un « riposo di 48 ore. Venne in seguito riscaldato al rosso l’ossalato cal- ce cioo, e la calce pesata allo stato di ossido calcico. Il filtrato dall’os- ~ 116 - (( salato calcico non diede alcun precipitato col fosfato sodico, ed era « perciò privo di magnesia. (( Per la determinazione degli alcali venne mescolata una seconda « quantità del minerale polverizzato con il fluoruro ammonico, e la- « sciato il tutto ad evaporare ; i fluoruri vennero trattati con acido « solforico diluito, e poscia portati alla siccità dopo l’aggiunta di « acido solforico più concentrato. Si riprese il residuo con acido do- « ridrico diluito, si precipitarono con carbonato baritico le terre al- « caline e Tallumina, e si allontanò il bario con acido solforico. « Dopo concentrato il filtrato con l’evaporazione, vi si aggiunse del « pentacloruro di platino, alcool e poco etere ; si filtrò e si pesò il « cloruro platinico potassico. Si ridusse indi nel filtrato il cloruro « platinico in platino metallico per mezzo dell’acido formico; e il « nuovo filtrato venne fatto evaporare con una piccola aggiunta di « acido solforico. « Scacciati i sali ammoniacali con leggero riscaldamento , si « ottenne il residuo costituito di solfato sodico puro, che venne final- « mente pesato. L’analisi ha dato il risultato seguente: « SiO. = 67. 16 Ah03 = 17. 57 CaO = 4.52 K.O = 1.07 Na.O = 9.51.) Somma 99. 83 » Io poi ho determinato il peso specifico con la bilancia di ^'\^est- phal e con il joduro di metilene, che è risultato di 2,6*^3. Per discutere il risultato ottenuto dal dott. Steinmetz, riduciamo i pesi percentuali in numero di molecole, portando la somma a 100, come appresso : — 117 - SiO, = ALO3 = CaO = K,0 = Na,0 = Somma 72. 44 11. 15 5 22 1.26 I 9.93 i 100. 00 molecole 11. 19 Ciò corrisponde alla seguente composizione molecolare: / 9. 89 Na^O . ALO3 . 6 SiO^ + 1. 26 K3O . ALO3 . 6 SÌO3 ( + 5. 22 0aSi03 + 0. 04 Na,0 + 0. 92 SiO, Trascurando i piccoli errori accidentali delFanalisi, si potrà rap- presentare la composizione del feldispato nel modo seguente: I 10 Na,0 . ALO3 . 6 SiOa 1. 3 K,0 . ALO3 . 6 SiO. + 5 CaSi03 È probabile che SCaSiOg non sia che una impurità del feldispato inclusa nel feldispato stesso- Onde il feldispato rimane composto come appresso : 10 Ab. + 1.3 Or. Molte albiti conosciute acquistano analoga espressione, benché il sale di sodio non sia isomorfo con l’analogo sale di potassio. Io cercai di mettere in evidenza questo fatto con vari esempi ^ ; ed ora anche l’albite della Nurra viene a confermare la stessa regola, cioè che sostanze di grado di isomorfismo molto basso, si mescolano ma in proporzione minima. Le proprietà ottiche dell’albite della Nurra confermano piena- mente il risultato dell’analisi chimica. ^ C. Viola, Ornnclsìige der Kristallographie. Leipzig, 1904, (pag. 295). — 118 — Io ho determinato gli indici di rifrazione dell’albite in questione tanto col rifrattometro Abbe-Pulfrich, quanto col riflettometro di C. Klein. Ho preparato a quest’uopo due sezioni secondo (010) e una secondo (001). Ecco i risultati di queste tre determinazioni: Medie a = L 5285 , 1.5280 , 1.5279 1. 5281 p = 1.5322 , 1.5319 , 1.5320 1. 5320 y = 1.6385 , 1.5380 , 1. 5385 L 5383 P - — a ... . 0. 0039 7 - P . . . . 0. 0063 7 — a ... . 0. 0102 Facciamo il confronto di questi valori con le medie conosciute delle albiti più pure; Albite del Marmo Albite di La- di Carrara kons secondo Viola 1 secondo Viola 2 Albite di Schmirn secondo Klein 3 Albite di Amelia secondo Becke * * Viola 8 a 1. 5282 1. 5291 1. 5291 1. 5285 1. 5292 = - 1. 5323 i. 5333 1. 5340 1. 5321 i. 5331 7 1. 5389 l. 5386 1. 5388 1. 5337 1. 5393 - a = 0. 0041 0. 0042 0. 0049 0. 0036 0.0039 7 — .s = 0. 0066 0. 0053 0- 0048 0.0066 0.0062 7 — a — 0. 0107 0. 0095 0. 0097 0. 0102 0. 0101 Calcoliamo infine l’angolo degli assi ottici 2V con la formola CosV = y - ^ y — a essendo 2 V l’angolo degli assi ottici avente per bisettrice y. Avremo cosi: ^ Zeitsch. f. Kristall. 32, 117. 2 Id. id. 30, 437. ® Sitz. Ber. d. preuss. Akad. d. Wiss. 1899, 362. * Tschermaks Mitt. 19, 321. Zeitsch. f. Kry stali. 32, 322. — 119 — calcolato osser\ato Albite della Murra 2V = + 76\2l' » del Marmo di Carrara + 76^. 30' » di Lakous 4- 82®. 82' » di Schmirn -- 90®. 36' » di Amelia (Becke) + 72®. 56' 77®. 39' » di Amelia (Viola) + 76®. 50' L’angolo di estinzione sulla faccia (010) risulta rispetto allo spi- golo [(010) (001)] come media dalle seguenti misure: 13®. 50' 14® f } media + 14®. 30' 15® 15®. 15' ! e sulla faccia (001) per rispetto allo spigolo [(010) (001)] 2® 3® 2®. 30' I 3®. 15' / media + 2®. 43' 2® 1®.15' 5® ; Dove gli indici di rifrazione dimostrano che l’albite della Murra si avvicina ad un’ albite pura ; anzi essi sono rispettivamente più piccoli che in questa; d’altra parte gli angoli di estinzione sulle facci e (010) e ((X)l) farebbero invece passare questa albite nelle albiti oligoclasiche. Ma noi possiamo renderci ragione di questa apparente discrepanza tra gli uni e gli altri dati, poiché l’albite della Murra invece di en- trare nella serie Albite-Anortite, tiene qualche leggero carattere del- l’ortoclasio tanto per ciò che riguarda la rifrazione, quanto per ciò che concerne gli augoli di estinzione sullo due faccie fondamentali — 120 — (OiO) e ^001), e ciò corrisponde perfettamente alla composizione chi- mica dell’albite, che è di 10 : 1,3 tra l’albite pura e Tortoclasio puro. Ho potuto isolare due piccoli cristalli limpidi, la cui figura assomi- glia alla comune dell’ adularla con le forme j OiO * , 5 110 | , j COI | , J 101 ' , delle quali solo le tre prime servirono per le misure. Le medie rica- vate dai due cristalli sono qui riportate e messe in confronto con quelle di A. Descloizeaux e le recenti di G. Melczer dell’albite di Nadabula: Descl. 1 Melczer 2 (ilO) • (lìo) = 54^ 49' 59". 14' 59". 17' 3 '4 (100) . (OiO) = 90^ 19' 1/2 90". 3 1/2 (OiO) . (001) = 86«. 18' 2 3 86". 24' (001) . (100) = 63^ 30' 1/2 63". 34' 1 2 a = 94". 12' 94". 3' 94". 6' P = 116". 34' 1/2 116". 28' 5 6 116". 36' 1/3 7 == 87", 47' 1/2 88". 8' 2/3 87". 52' Roma, aprile 1905. SPIEGAZIOIN'E DELLA TAVOLA. Eig. 1. Sezione sottile della diabase anfibolica con rilevante quantità di ferro titanato contorniato di leucoxeno, ingr. 1 : GO. Eig. 2. Sezione sottile idem dimostrante il passaggio del feldispato in saussii- lite, ingr. 1:60. Eig. 3. Sezione sottile idem dimostrante le geminazioni polisintetiche di un feldispato contorto, ingr. 1 : 50. Eig. 4. Sezione sottile idem dimostrante un grande cristallo di apatite, con antibolo, mica e clorito nelle fenditure, ingr. 1 : 50. ^ Dana, 1892, pag. 328. ^ Groth, ZeitscJi. /. Knjstall. B. 40, pag. 584, 585. Leipzig, 1905. Boll.del R Coimt GeoI d'Italia Anno 1905. Tav V],( C. Viola) Diabase anfibolica della Murra. (Sardegna). /7y/' ]■' !■ NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE bibliografia, oeologioa italiana PER l’anno 1904 ^ Agamennone G-. — Sopra un focolare sismico nei dintorni di San Vitto- rino di Roma (presso Tivoli). (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. X, n. 5, pag. 147-158). — Modena, 1904. Xella notte dal 28 al 29 marzo 1904 furono sentite scosse di terremoto con rombi a San Vittorino e casali vicini, nella Campagna romana, presso il piede dei Monti Tiburtini. Dalle informazioni assunte dalPautore, risulterebbe trattarsi di un focolare sismico locale avente il suo epicentro nelle vicinanze del casale detto di Corcolle, due chilometri a ponente di San Vittorino. Detto focolare però deve trovarsi a pochissima profondità, in quanto che, essendo state le scosse assai sensibili all’epicentro, esse si estinsero a distanze relativa- mente piccole. L’autore ricorda quindi un altro breve periodo sismico svoltosi la mattina deirS mnggio 1897 nella regione laziale (vedi Bihl. 1897), che molti a San Vit- torino ricordano ancora per la sua forza, ma di cui non fu possibile allora stabilire l’epicentro per mancanza di notizie ; ora' pertanto, daH’insieme dei fatti raccolti, appare potersi con probabilità attribuirsi al focolare suddetto. Infine, conchiude l’autore, può anche essere che dallo stesso centro deri- vassero alcune forti commozioni telluriche avvertite 18 febbraio 1750 a Fra- scati, Albano, Marino. Monterotondo, Tivoli e Roma e registrate in documenti pubblicati dal defunto prof. M. S. De Rossi (vedi Mem. Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Voi. V). Airaghi C. — Inocerami del Veneto. (Boll. Soc. Greol. ital.. Voi. XXIII, fase. 1®, pag. 178-198, con tavola). — Roma, 1904. L’autore ha studiato circa 300 esemplari di inocerami del Veneto appar- tenenti alle specie: I. diihius Sow. ; I. Oosterii Favre; I. Coquandianus d’Orb. ; I. cordi fonnis Sow. ; /. Brongniartii Sow. ; I. lahiatus Schloth. ; I. Cripsii Mant. ^ Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni che, pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d’Italia ed hanno rapporto con essa. 9 — 122 — Di questi il primo non era ancora noto nel Lias del V eneto, gli altri erano conosciuti con diversi nomi die l’autore cita. Alla descrizione delle specie studiate l’autore premette alcune considera- zioni generali, nelle quali specifica i diversi terreni dai quali gli inocerami provengono e, osservato che in generale il loro cattivo stato di conservazione ne rende difficile la determinazione, fa risaltare l’importanza che ha per questa lo studio, oltre che dei caratteri esterni, quello della superficie legamentaria. Dall’esame fatto con questo criterio del materiale del quale potè disporre, egli ha intanto potuto concludere che la superficie legamentaria degli inocerami di età più recente è lunga e diritta, mentre è più breve e obliqua nei più antichi. Oltre le specie sopra citate, l’autore ha potuto illustrarne altre tre : I. prete- digifatus n. sp. dell’albiano della Provenza; I. confiisus n. sp. del turoniano della Vestfalia; 1. crenistriatiis, specie inedita di Roemer, del turoniano del Texas. In 8 figure intercalate sono figurati i cardini e in una tavola in eliotipia sono date le forme degli inocerami descritti. Alifpi T. — Bonniti e bombiti siilValto Apjpennino marchigiano^ in rela- zione coi fenomeni sismici della regione. (Boll. Soc. sismologica ital., Voi. IX, n. 9, pag. 99-114). - Modena, 1904. Richiamato un suo lavoro precedente su questo argomento (vedi Bihì. 1902), l’autore espone in questa nota il risultato delle ricerche fatte sui cosidetti hoii- niti per vedere se essi sieno o no in relazione colle manifestazioni sismiche. Espone perciò un elenco di tutte le scosse segnalate nella stazione meteorolo- gica di Urbino durante il 1893 e di tutti i honniti, dei quali gli è giunto notizia. Di questi sono specialmente notevoli per intensità straordinaria quelli che si verificarono nel 17 e 18 dicembre in tutta la regione montana della provincia, uditi da luoghi più lontani ed in perfetta concordanza. Sulle cause di questo fenomeno di perturbasi one acustica dell’atmosfera l’autore, avendo osservato che quasi nessuno di essi coincide con movimenti sismici, ritiene abbiano avuto origine nell’atmosfera stessa e crede di poter con- cludere che nell’interno della terra per cause sismiche e nell’atmosfera per cause ancora ignote, si originano spesso rumori che, se di debole intensità, passano molte volte in molte regioni inosservati. Là però dove fratture, grotte, cavità sotterranee, come sulle catene di montagne, lungo i litorali marini, nei bacini lacustri, nelle valli fluviali, possono rinforzare tali rumori, essi sono avvertiti dall’uomo e costituiscono i rombi dei terremoti o i mist-poeffers del- l’atmosfera. Spesso gli uni sono confusi cogli altri, ma essi non avrebbero in — 123 — comune che una modalità del fenomeno: il rinforzo cioè del suono dovuto a vacui sotterranei. I honnitì del dicembre 1903 avrebbero dunque origine atmo- sferica. Riguardo alle vicende meteoriche che accompagnano questo fenomeno, ri- sulta che essi avvengono in generale con perfetta calma di vento e di maro. Si è però osservato che nei giorni in cui ebbero luogo i bonniti del dicembre, si ebbero vari lampeggiamenti nella regione, indicando così una possibile rela- zione tra i due fatti. Infine in ordine a questi fenomeni Fautore propone che ai svariatissimi nomi che ad essi sono dati nei diversi paesq si sostituisca il vocabolo greco hrontidi che significa simile al tuono. Almagià R. — Ulteriori notisie sugli « sprofondi » della Pianura Pon- lina. (Mondo sotterraneo. Anno I, n. 3, pag. 52-56). — Udine, 1904. Citate le 4 cavità della pianura pontina descritte dal Marinelli (vedi più avanti). Fautore osserva che in esse non era avvenuta all’epoca della sua visita alcuna variazione tranne nel livello dell’acqua, diminuita in tre di esse e scom- parsa nel più piccolo degli sprofondi od ovissi. Circa l’epoca della loro formazione risulta da notizie del segretario comunale di Sermoneta che per gli spro- fondi 2-3, essa risale a 30 o 35 anni addietro ; più remota sarebbe quella della cavità n. 4, che sarebbe probabilmente quella citata dal Prony come formatasi nel 1786, anziché quella n. 2, come ammette il Marinelli. Nessuna poi delle quattro coincide per l’epoca con quelle citate dal De Rossi (vedi La meteorologia en- dogena, 1879). Da osservazioni fatte dall’autore risulta la presenza di una interessante cavità detta Casa sfondata, nella regione travertinosa a S.E di Cisterna. Essa ha la forma quasi circolare, le cui pareti alte 5 o 6 metri sul pelo dell’acqua sono dapprima verticali poi s’incurvano quasi a volta, dimostrando che la cavità si è formata per crollamento di una caverna sotterranea scavata nel travertino. L’autore cita altre cavità e avvallamenti nella regione travertinosa, che si distinguono da quelli di Sermoneta per essere scavati direttamente nel tra- vertino mentre questi lo sono nel terreno alluvionale. La presenza però del lago di Cotronia in terreno alluvionale colle pareti tracciate nel travertino, dimostra che la formazione di Cisterna si estende sotto l’alluvione; è quindi probabile l’ipotesi che anche gli sprofondi di Sermoneta sieno dovuti alla presenza nel sottosuolo di masse di travertino, anziché di calcari secondari dei Lepini. — 124 — Andrée K. — Ueber Steìnsahkry stalle von hexagonalrìioiìiboedrisclier Pseuclosgmmetrie am Sicilien. (Centralblatt fiir Min.. G-eol. und Pai.. Jahrg. 1904, n. 3, pag. 88-90). — Stuttgart, 1904. Fino dal 1861 F. von Kobell faceva conoscere un cristallo di salgemma trovato in una miniera abbandonata presso Berchtesgaden (Baviera), mostrante la combinazione dell’esaedro colle faccie del tetracisesaedro, associata con forme del sistema esagonale assai prossime ad una combinazione dello scalenoedro diretto col romboedro fondamentale della calcite. Combinazioni analoghe furono riconosciute in due cristalli rinvenuti dal padre dell’autore in un giacimento miocenico di salgemma a Racalmuto presso Girgenti, insieme ad altri esaedrici: hanno questi un abito pseudo-esagonale-romboedrico, e lunghezze rispettive di 12 e 3. 5 centimetri, con caratteri identici a quelli sopraindicati, e che l’autore indica, dando anche la figura del cristallo maggiore a metà pro- porzione. Arcidiacono S. — Sui recenti terremoti etnei. (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. LXXIX, pag. 5-12). — Catania, 1904. L’autore passa a rassegna i terremoti, aventi origine dal grande focolare dell’Etna, che si verificarono durante il 1903. Da questa rassegna risulta evi- dentemente che in quell’anno si è avuto un vero risveglio geodinamico nel- l’Etna, al quale non ha corrisposto un risveglio eruttivo, confermando l’opinione di quei vulcanologi i quali ritengono che ad una calma eruttiva corrisponda una considerevole attività geodinamica. Osservando poi che sono trascorsi più di 11 anni dall’ultima formidabile eruzione del 1892 e che bisogna risalire a 27 anni addietro, cioè al 1865, per trovare un’altra eruzione veramente gran- diosa, havvi la probabilità di avere ancora molti anni di tregua del vulcano, non escludendo però la possibilità di qualche manifestazione eruttiva di secon- daria importanza. L’autore ha formato uno specchietto statistico dei terremoti sensibili etnei avvenuti dal 1893 al 1903, nel quale è indicato per ciascun anno il numero delle scosse, l’intensità media relativa di esse secondo la scala del Mercalli ed il prodotto del numero delle scosse per la suddetta intensità. Da esso risulta che l’attività sismica dell’Etna dall’eruzione del 1893 andò diniinuendo sino al 1897, poi si mantenne quasi stazionaria e debole fino al 1902, dopo di che si risvegliò in modo da avere nel 1903 un’attività sismica più che tripla di quella degli anni precedenti. — 125 — Arcidiacono S. — Principali fenomeni eruttivi avvenuti in Sicilia e nelle isole adiacenti durante Vanno 1901. (Boll. Soc. sismologica ita!., Yol. X, n. 2, pag. 65-71). — Modena, 1904. È data relazione mese per mese dello stato di attività dell’Etna e dello Stromboli durante l’anno 1901. Da essa risulta che durante questo periodo l’Etna è rimasto in calma con eruzioni più o meno vive di vapore, ora bianco ed ora grigio, dal suo cratere centrale. Allo Stromboli il periodo di attività eruttiva, cominciato nel dicembre 1900 è andato aumentando fino al luglio, con eruzioni dalle diverse bocche di fumo grigio, con proiezioni a notevoli altezze di grande quantità di lapilli, scorie e pietre e talora con pioggia di cenere. Dall’agosto al dicembre la sua attività eruttiva è andata indebolendosi, con un notevole risveglio in quest’ultimo mese. La salsa di Paterno si mantenne invece tutto l’anno in calma, e Yulcano è rimasto in tutto questo tempo allo stato di solfatara. Arcidiacono S. — Il terremoto di Niscemi del 13 luglio 1903. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. X, n. 2, pag. 72-78, con tavola). — Mo- dena, 1904. In seguito a segnalazioni date dai sismografi dell’Osservatorio di Catania nella mattina del 13 luglio 1903 e alla notizia di una scossa di terremoto segna- lata in quello di Mineo, furono richieste notizie in proposito ai sindaci della Yal di Xoto dove si riteneva si fosse prodotto un notevole movimento del suolo. L’autore espone in questa nota i risultati delle notizie raccolte, dalle quali risulta chiaramente che la località maggiormente colpita dal terremoto sia stata ad oriente di Xiscemi, con una intensità di grado YI della scala Mercalli, con l’epicentro nel triangolo Caltagirone-Biscari-Xiscemi. Poiché procedendo in questa direzione, da un grado II si ha un rinforzo notevole fino al grado lY nel movimento avvertito a Mineo, Grammichele e Licodia Eubea, l’autore ritiene che fra queste tre località esista un altro focolare sismico che abbia agito al funzionamento di quello vicino sopra indicato. In base a queste notizie l’autore ha disegnato una piccola carta topografica del lembo meridionale della Sicilia, nella quale è segnato l’andamento proba- bile delle isosismiche prodotte dal terremoto di Xiscemi e che va unita a questa nota. — 126 — Arcidiacono S. — Il terremoto del li giugno 1904 in Val di Noto. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. X, n. 6 e 7, pag. 159-166, con carta). — Modena, 1904. Questo terremoto è stato sentito in quasi tutto il Siracusano ed in alcune parti della provincia di Catania, ed ebbe quattro centri bene itistinti, e cioè: 1*^ Mineo e Licodia Eubea; 2*^ Buccheri e Sortine; 3® Chiaramente G-ulfi; 4° Mo- dica e Xoto. Il fatto di un terremoto policentrico è certamente in relazione con la tet- tonica della regione scossa. Infatti, costruendo su di una carta geologica i diversi sistemi di isosismiche relativi ai predetti quattro centri, si trova che il 1® e il 3® giacciono sopra la grande frattura che limita il massiccio mioce- nico siracusano dal lato di ponente, che il 2® si trova nei cuore della regione vulcanica di Yal di Xoto, che il 4° infine cade sul massiccio anzidetto con tendenza delle isosismiche ad avvicinarsi alla grande frattura di Spaccaforno. Una carta dell’angolo sud-est della Sicilia, con indicazioni geologiche e con le isosmiche del terremoto, accompagna il lavoro. Artini e. — Intorno a una roccia lamprofirica della Val Flesch {Val Seriana). (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. pag. 20-32, con 2 tavole). — Milano, 1904. Questa roc<;ia forma due filoni paralleli entro i calcari retici, nei quali è scavata la piccola Yal Flesch, che dal Pizzo Formica (prealpi bergamasche) scende al piano di elusone. La sua composizione mineralogica è quella di una kersantite augitica, con orneblenda accessoria ed egirina, minerale insolito a trovarsi in queste roccie basiche. Consta quindi: di biotite copiosa e frequente- mente a struttura zonare ; di pirosseno monoclino (augite), elemento prevalente e caratteristico; di orneblenda, che quantunque accessoria, si trova in qualche .punto molto abbondante ; di egirina, associata all’ augite, sulla quale si presenta talora in straterelli regolari o accumulata in cuspidi aguzze. Havvi poi uno scarso elemento felspatico di natura molto acida, in contrapposto a quella emi- nentemente basica della roccia, e dall’autore riconosciuta per albite. Anche la clorite vi è abbastanza diffusa in squamette isolate o aggruppate di color verde chiaro, mentre la mica bianca vi è rarissima ed è di origine certamente secon- daria ; affatto accessorii, benché talvolta in quantità sensibile, sono l’apatite, la magnetite, la pirite. Tutta la massa infine è compenetrata da calcite che, insieme col felspato, — 127 — funziona quasi da cemento fra i singoli elementi o riempie venette macrosco- picamente visibili: essa ha però l’aspetto di un minerale di formazione recente ed è probabilmente derivata dalle masse calcaree entro le quali i filoni furono iniettati. Dall’analisi chimica completa fatta dall’autore, e dalle deduzioni che egli ne trae, risulta che la roccia si stacca naturalmente per la sua composizione dalle comuni kersantiti, e in particolar modo per la presenza della egirina ; essa si dovrebbe quindi ascrivere a un tipo raro, ultrabasico, ma relativamente ricco di alcali, delle kersantiti augitiche. Nelle tavole annesse sono rappresentate otto sezioni microscopiche della roccia studiata, aventi specialità diverse. Baldacci a. — Sulle condizioni geognostiche dei vari tracciati proposti per la ferrovia direttissima fra Bologna e Firenze. (Eelazione della Commissione per lo studio di detta ferrovia, pag. 145-174, con 2 tavole). — Eoma, 1904. L’autore premette una descrizione generale delle formazioni nella regione appenninica tra Bologna e Firenze, nella quale si svolgono i diversi tracciati per una linea ferroviaria direttissima fra le due città. In essa sono largamente sviluppate le formazioni terziarie, costituite dalla serie seguente : Pliocene superiore e quaternario. — Travertino, argille torbose, sabbioni ferruginosi. Ciottoli e banchi di argille con ligniti. Pliocene superiore e medio (marino). — Sabbie gialle, ghiaie e puddinghe, sabbie marnose, alternanza di sabbie e argille, argille azzurre. Miocene superiore. Serie gessoso-solfifera. — Marne e calcari talvolta sol- fiferi. Banchi e lenti di gesso. Miocene medio. — Arenarie tenere più o meno grossolane, talvolta con nuclei di arenarie compatte. Marne sabbiose. Calcari sabbiosi a glauconia. Eocene superiore. — Calcari marnosi, bianchi, cerulei o giallastri a strati- ficazione regolare con sottili intercalazioni di scisti argillosi. Eocene medio. — Potente formazione di scisti argillosi passanti ad argille scagliose variegate, con lenti e straterelli di calcari marnosi e nummulitici, di arenarie scure e dure a cemento calcareo (pietraforte) e con lenti di serpen- tine, eufotidi e diabasi. Contengono talvolta idrocarburi liquidi e gassosi. Formazione di passaggio tra la precedente e quella sottostante costituita da alternanze di scisti argillosi e scisti marnosi scuri fissili con banchi di are- narie cerulee a cemento argillo-calcareo. Arenaria compatta (macigno) in grossi — 128 — banchi separati da straterelli di scisti argillosi. Quest’ ultima formazione è spe- cialmente sviluppata lungo la catena appenninica, comparendo anche nei con- trafforti che ne diramano, attraverso gli scisti argillosi. L’autore fa seguire alcune considerazioni sulla conformazione topografica del suolo in relazione colla natura e composizione dei terreni, facendo notare che le traversate in estese zone argillose, specialmente a mezza costa, si devono possibilmente evitare per i pericoli di frane; che negli scisti argillosi si po- tranno colle debite precauzioni eseguire tratti in galleria ; che nel macigno non vi sono pericoli per instabilità di terreno e nei lavori in galleria non si avranno altre difficoltà a superare che quelle inerenti alla durezza della roccia; quanto ai calcari marnosi essi presentano condizioni favorevoli per stabilità e facilità di scavo. Per la generale impermeabilità delle roccie dell’eocene non si avranno a temere considerevoli raccolte di acque sotterranee. Accenna infine alla possi- bilità di incontrare dei carburi liquidi o gasosi nelle argille scagliose o negli scisti argillosi che presenterebbero per tale causa particolari difficoltà. L’autore passa quindi in esame ciascuno dei tracciati proposti, per quanto riguarda i terreni da essi attraversati, e li pone a confronto indicando a quale di essi debba darsi la preferenza dal punto di vista della costituzione geo- logica. Accompagna questa relazione una Carta geologica dell’intiera regione airi : 100,000 con l’indicazione dei diversi tracciati e una tavola con le sezioni dei terreni lungo le gallerie progettate attraverso l’ Appennino sotto Montepiano e al Monte Citerna. Barsanti L. — Secondo contributo allo studio della flora fossile di J ano, (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi yerbali, Yol. XIY, pagine 115-125). — Pisa, 1904. Jn questa nota, che fa seguito alla memoria sulla flora fossile di Jano 1903), l’autore dà l’elenco degli esemplari determinati della ricca collezione del prof. Gl. Arcangeli. Essi sommano a 116 appartenenti a 25 specie, delle quali dà un cenno descrittivo. Queste appartengono ai gruppi delle Fili' cales, Equisetales, Lijcopodiales, Coni fer ale s : alcune altre sono di sede incerta. Dall’insieme delle piante descritte si deduce che, ad eccezione di due specie, esse appartengono ad una formazione che doveva segnare il limite fra il permiano ed il carbonifero. Xon è quindi possibile, dallo studio fatto dal- l’autore, affermare se quegli strati debbano riferirsi al permiano inferiore piut- — 129 — tosto che alla parte più alta del carbonifero superiore. Però da indagini fatte recentemente e per il rinvenimento del Productus horridus in questa località, resterebbe accertato che il giacimento appartiene al permiano. Bellini R. — Cycloseris Paronae Bellini^ nuovo corallario del Lias medio. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 3°, pag. 418420). — Roma, 1904. L’autore descrive un esemplare di corallario rinvenuto negli strati dome- riani al Monte Subasio verso Spello (Umbria), insieme ad altri fossili del Lias medio. La roccia in cui il fossile fu rinvenuto è un calcare grigio-giallognolo a grana fina, sottostante alle marne rosse ammonitifere del toarciano. Questo corallario appartiene al genere Cycloseris Edw. et Haime, citato finora dallo Zittel nel cretaceo e non ancora rinvenuto nel Lias medio. L’autore ne fa la. descrizione e dà a questa nuova specie il nome di C. Paronae.) riportandone la figura nel testo. Bellini R. — Notisie sulle formazioni fossilifere neogeniche recenti della regione vulcanica napoletana e malacofauna del Monte Somma. (Boll. Soc. di Xaturalisti, S. I, Yol. XYII, pag. 1-16). — Napoli, 1904. Yalendosi della raccolta di avanzi organici del Monte Somma o dei Yulcani Flegrei esistenti nel Museo di Napoli e in quello di Torino, non che di altri fossili da lui raccolti, l’autore ha fatto lo studio delle formazioni fossilifere della regione vulcanica che contorna il golfo di Napoli per mettere a confronto quella fauna fossile con quella vivente nel Tirreno. Premessa una bibliografia delle opere citate in questo lavoro, egli passa alla descrizione delle formazioni fossilifere appartenenti in parte all’astiano e in parte al sahariano, che vengono così distinte : A) Marna e argilla marnosa dell’Epomeo (Ischia) ; P) Tufi fossiliferi delle colline di Napoli e della Regione Elegrea ; C) Depositi ad elementi trachitici alla Punta dell’Imperatore (Ischia) ; P) Marne con pomici tra la punta di Castiglione e quella di Sant’Ales- sandro (Ischia) ; B) Aggregato vulcanico della valle di Mezzavia (Ischia) ; P) Aggregati vulcanici delle vicinanze di Pozzuoli; G) Massi erratici del Monte Somma. — 130 — La fauna dei molluschi neogenici recenti della regione vulcanica napo- letana risulta composta di 306 specie. jSTel suo complesso è di habitus littorale a facies sabbiosa o rocciosa: vi mancano le forme pelagiche. L’autore presenta un quadro nel quale è dato l’elenco dei fossili del Monte Somma messo a confronto con quelli delle altre formazioni sopra indicate. Delle 98 specie del Monte Somma circa un terzo non si raccoglie nelle altre for- mazioni neogeniche recenti del perimetro del golfo di oN’apoli, dove tutte meno una sono ancora viventi. Due sole specie sono comuni a tutte le formazioni. È da ritenersi che i massi erratici del Monte Somma appartengano a de- positi sottostanti alla base dell’antico vulcano e che furono asportati e sollevati da questo. Il complesso della fauna è quasi identico a quello della formazione E edi F ed appartiene ai tempi recentissimi in cui esse si sollevavano dal mare. Dall’abbondanza relativa dei fossili in ogni deposito si rileva che la ric- chezza paleontologica va aumentando dall’^ sino al G, e dal complesso delle osservazioni fatte riesce sempre più provata l’origine pliocenica dei molluschi attualmente viventi nel golfo di ITapoli. Bellini E. — La fanne des mollusques fossiles néogènes dii pérìmètre dii golfe de Naples. (Annales Soc. Eoy. Zool. et Malac. de Belgique, T. XXXYIII, pag. 22-37). — Bruxelles, 1904. È una riproduzione del lavoro precedente sotto forma alquanto diversa e nella quale l’autore giunge alle medesime conclusioni. Bertolio S. — Sulla roccia eruttiva del permesso minerario di Mortiioi {Sardegna). (Eesoconti riunioni Ass. mineraria sarda, Anno IX, n. 4, seduta 17 aprile 1904, pag. 5-7). — Iglesias, 1904. Il campione di roccia studiato dall’autore proviene da un dicco che pre- sentasi al tetto della calamina scavata nella località di cui sopra, e si presenta a primo aspetto come una porfirite, ma che invece, pei caratteri petrografici e per l’età geologica deve essere classificata come un melafiro, piuttostochè come una diabase come altri ha ritenuto (vedi più avanti C. Folco). La roccia, esaminata al microscopio, si rivela molto decomposta e solo l’augite vi è perfettamente conservata; l’olivina macroscopica è stata sostituita da carbonati, conservando il suo abito geometrico colle sue caratteristiche fratture; la stessa diede anche luogo, per la silice che conteneva, a della calce ionia che — 131 — spesso si raccolse attorno alle pseudomorfosi carbonate formando una specie di involucro. I microliti felspatici del magma sono indeterminabili a causa deH’alterazione e nella pasta si osserva una generazione secondaria di augite, e probabilmente vi erano anche dei microliti di olivina ora decomposti. BiLLOWS E. — Su di una roccia di filone di Torreglia {Euganei) con geodi di calcite e quarzo ametista e rutili fero. (Eivista di min. e crist. ital., Yol. XXX, fase. lY-YI, pag. 84-97). — Padova, 1904. Questo filone, già segnalato dal Reyer nella sua carta degli Euganei (1872) e dallo Squinabol (vedi Bihl. 1902), consta di una roccia a struttura porfirica, di colore grigio-verdognolo, composta come segue : augite in interclusi di piccole dimensioni e in granuli, e microliti diffusi nella pasta, talora alterata in cela- donite; labradorite in due segregazioni, una di grossi inclusi trasparenti, l’altra di listerelle formanti la parte prevalente della massa ; sanidino in scarsissimi interclusi, incolori; anfiholo di color bruno chiaro, in aghetti minutissimi disposti in tutti i sensi e in copia in certe zone della roccia a struttura vitrea, insieme con biotite simile per colore e per forma ; magnetite, nera a riflessi metallici, in granuli cubici ed ettaedrici, sia ancora in dendriti nei punti dove predomina la base AÙtrea, accompagnata da ilmenite, talvolta in laminette esagonali brune translucide; celadonite in vene o in piccole plaghe a contorni indecisi, o anche con la forma delle sezioni automorfe di augiti verdi chiare. La massa fonda- mentale è costituita da un fitto reticolato di listerelle di labradorite, intersecato qua e là da vene di calcite, la quale costituisce altresì il fondo di geodi quar- zifere. Queste ultime sono notevoli per limpidezza e regolarità di forma del quarzo, talvolta ametistino e con numerose inclusioni di rutilo, nonché per una certa associazione regolare dei cristalli secondo una legge determinata. L’autore fa lo studio mineralogico degli elementi costitutivi della roccia, e conclude che essa è un basalto privo di olivina, prevalentemente plagioclasico, con celadonite sparsa in tutta la massa in sostituzione di gran parte dell’augite. Billows e. — Sulla celestite di Monte Viale nel Vicentino. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXXI, fase. I-II-III, pag. 3-28, con tavola). — Padova, 1904. La celestite trovasi, nella località indicata, entro il calcare conchiglifero e madreporico degli strati eocenici di Castelgomberto, riempiendo lo spazio fra Firn- — 132 — pronta e il nucleo di grossi gasteropodi, formandovi una regolare incrostazione, or tenue, ora ispessita fino a circa un centimetro e mezzo là dove la conchiglia doveva assumere il suo massimo spessore ; evidentemente in questo caso la celestite ha sostituito lentamente la sostanza che costituiva la conchiglia, x^ello stesso modo essa deve avere costituito in buona parte il carbonato di calcio nel- l’interno dei blocchi madreporici, poiché questi offrono splendide geodi del minerale. L’autore fa lo studio particolareggiato delle forme di questi cristalli, aventi dimensioni variabilissime da 4 millim. in lunghezza a 4 centim. circa, per lo più aggruppati a rosetta e a ventaglio, con la contiguità delle faccie basali. In un quadro è poi fatto il confronto delle costanti definitive da lui calcolate per la celestite di Monte Yiale con quelle conosciute dei campioni di altre località. Yelle tavole sono date le figure di quattro cristalli tipici del giacimento, non che il complesso delle forme osservate in proiezione stereografica. Billows S. — Studio cristallografico sul Quarto di San Marcello Pistojese. (Eivista di min. e crist. ital., Yol. XXXI, fase. lY-Y-YI, pag. 49-97, con 3 tavole, e Yol. XXXII, fase. I, pag. 3-6). — Padova, 1904 e 1905. I cristalli di quarzo, noti volgarmente sotto il nome di diamanti di Pistoia, provenienti dal macigno di Monte Crocicchio presso San Marcello, non sono ancora stati oggetto di uno studio speciale e solo ne è fatto un breve cenno dal D’Achiardi nella sua Mineralogia della Toscana (1877). L’autore ne ebbe a disposizione 2000 esemplari circa, di dimensioni da 1 millim. a 5 centimetri, la maggior parte in associazioni parallele di due o più individui : essi sono in generale assai bene conformati, con trasparenza perfetta, faccie perfettamente piane, con splendore e nitidezza notevoli. I medesimi hanno per caratteristica una divergenza grandissima dall’abito regolare, in modo da offrire forme tal- volta strane, che si possono raggruppare in 8 tipi, con molti termini di passaggio dall’uno all’altro. Le forme semplici riconosciute daH'autore sono in numero di dodici fra prismi esagoni, romboedri, bipiramidi e trapezoedri, alcune delle quali nuove. Sono poi descritte le varie .associazioni, non che i geminati e gli pseudo- geminati, le faccie curve, le tramoggie, le impronte. In una tabella sono regi- strate le misure goniometriche fatte su 50 cristalli scelti fra i migliori per la perfezione fisica delle faccie, e da queste viene calcolata una costante angolare — 133 — definitiva di 51®, 47', 45". Seguono altre numerose tabelle con valori angolari e le differenze fra questi e quelli calcolati. I^^elle tavole annesse sono riprodotte le figure dei principali tipi di cristalli studiati. Bistram (yon) A. — Das Dolomìtgebìet der Liiganer-Alpen. Geolog iscìi- paldontologische Stiidien in den Comasker Alpen. II. (Berichte der Naturi. Gesell. zu Fr. i. Br., 14® B., pag. 1-84, con carta e 2 ta- vole). — Freiburg i. Br., 1904. Il lavoro si estende su quella parte delle prealpi italiane che sta fra i laghi di Lugano e di Como nel senso ovest-est e per tutta la zona mesozoica ivi compresa nell’altro senso, limitata al nord dalla catena precarbonlfera del Menone. Premessa ima copiosa bibliografia ed un cenno degli studi anteriori su detta regione, l’autore ne espone la serie dei terreni, e incomincia con le filliti precarbonifere, per continuare coi porfidi quarziferi e le porfiriti, col verrucano (conglomerati e arenarie micacee), col servino o arenaria variegata del Trias inferiore. Seguono le grandi formazioni calcaree e dolomitiche del Trias medio e superiore, corrispondenti al Muschelkalk ed al piano d’Esino; quindi il rai- bliano, coperto dalla dolomia principale avente una potenza di oltre 1000 metri, cui segue il retico con marne nere bituminose e fossilifere, calcari e infine do- lomiti (strati a Aviciila contorta e a Conchodon infraliasiciis) : a questo fa seguito il Lias con calcari selciferi fossiliferi, e infine l’hettangiano ed il sinemuriano, con potenza di più centinaia di metri. Morene e massi erratici trovansi do- vunque. In quanto alla orografia ed alla tettonica la regione in esame apparisce nel suo complesso come una zona di sprofondamento per rigetto, limitata al nord dalla zona fillitica, in direzione da N-N.E a S-S.O. Gli strati corrono general- mente in direzione O-S.O con inclinazione a S-S.O, interrotti però da molteplici linee di frattura dirette da E-S.E a O-N.O, o in senso a questo normale, con numerose conche e selle, dovute a rigetti nelle due direzioni. Chiudono il lavoro le descrizioni di alcune interessanti escursioni che si possono fare nella regione studiata. Yi è annessa una Carta geologica della regione, limitata a sud da una linea che da Lugano va a Menaggio. In una delle tavole poi sono disegnate diverse interessanti sezioni geologiche, nell’altra sono abbozzati alcuni prospetti, con delimitazioni dei terreni, assai istruttivi. ~ 134 Bonarelli Gt. — Miscellanea di note geologiche e paleontologiche per Vanno 1902. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 3^, pag. 429-445). — Eoma, 1904. I. — Occupandosi delle cause per le quali in alcune regioni si hanno corru- gamenti con rotture, accavallamenti e salti, mentre in altre si presentano solo pieghe sinclinali e anticlinali quasi senza alcuna frattura, l’autore dapprima osserva che dagli stridii geologici finora fatti non si può escludere assolutamente che nelle Alpi Apuane, nelle Alpi occidentali e nelle Prealpi svizzere non si verifi- chino paraclasi od iperolistesi, come alcuni ammettono, ma che tali fenomeni si presentano assai di rado ; mentre sono frequentissime nelle prealpi orientali. L’au- tore cita in proposito le regioni montuose a fianco del golfo della Spezia, quelle del Colle di Tenda e delle prealpi svizzere a sud del Bossherg, ecc., ove tale esclusione non si può assolutamente stabilire. Accenna quindi all’ipotesi già da lui esposta a spiegazione del fenomeno, che cioè la frequenza di tali fratture debba probabilmente riferirsi alle condizioni geognostiche nelle quali si è compiuto il corrugamento orogenico, ossia del diverso modo d’agire delle forze relative, non solo ma anche della varia natura geognostica delle regioni nelle quali esse forze si esercitarono. II. — In una tabella l’autore presenta un progetto del giurese italiano nel quale ha cercato di rendere evidenti i rapporti sincronici delle varie forma- zioni, alla quale fa seguire alcune osservazioni sulla serie giurese stabilita nelle varie regioni italiane. Egli si occupa specialmente degli strati ad Aptici, facendo rilevare la loro diversa età e la variabilità dei loro caratteri geologici, dalla quale risulta una diversa sinonimia nelle diverse regioni in cui essi furono studiati. III. — A proposito di lueine oligoceniche, l’autore avendo raccolto nella parte più antica del calcare nummulitico indo-malese, che egli ritiene oligocenico, modelli interi di grosse lueine, espone l’opinione che gli strati a grosse lueine nel calcare nummulitico indo-malese siano per posizione identici agli affiora- menti a lueine del macigno oligocenico dell’alto Appennino (Porretta, Bari- gazzo. Deruta, ecc.). Si riserba in seguito di eseguire il confronto fra queste, e quelle della regione da lui visitata. lY. — Rende noto che nel calcare nummulitico indo-malese ha trovato pa- recchie gigantesche valve di forma molto simile alla vivente Tridacna gigas L., mentre tale genere era ritenuto finora non più antico del miocene. Accenna poi che il Sarasin ne ha raccolti alcuni esemplari nel calcare nummulitico del- l’isola di Celebes. — 135 — Bortolotti C. — Denti di Proboscidati, di Rinoceronte e di Ippopotamo delVantica collezione Canali in Perugia. (Rivista ital. di paleonto- logia, Anno X, fase. Ili, pag. 83-93, con 2 tav.). — Perugia, 1904. L’IJniversità di Perugia possiede lantica collezione Canali, conservata nel Museo del R. Istituto superiore agrario, nella quale ha una certa importanza una raccolta di avanzi di vertebrati fossili, malgrado ne manchino le determi- nazioni e sieno andate disperse in gran parte le indicazioni delle località dove furono raccolti. L’autore al quale venne affidato l’incarico di studiare la collezione, descrive ed illustra in questa nota gli avanzi suindicati, dandone la determinazione ; essi consistono in denti ed altri residui di Mastodon arvernensis C. et J., di Elephas antiqiius Pale, ed E. meridìonalis Xesti, di Bhinoceros etrusciis Pale, e di Hip- popotamus Pentlandi Pale. Questi avanzi sono rappresentati su due ta^mle in fototipia unite alla nota. Brugnatelli L. — Sulla titanolivina dei dintorni di Chiesa in Val Malenco. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXX, fase. lY-YI, pag. 69-83). — Padova, 1904. — Idem (in tedesco). (Grroth, Zeitschrift fiir Kryst. und Min., B. 39, H. Ili, pag. 209-219, con tavola). — Leipzig, 1904. Di questo minerale si hanno notizie da più di mezzo secolo, ma ancora nulla di preciso si sapeva sulle relazioni morfologiche fra esso ed i peridoti. La titanolivina figurava nelle collezioni del signor Adam coll’indicazione di Grenat ferrifère ed era stata descritta dal Damour in seguito ad analisi col nome di Peridot titanifère. Ritenuta come un’olivina nella quale parte del silicio fosse costituita da titanio, fu solo dal Lacroix, che ne fece lo studio ottico, messa in dubbia la spettanza dei suoi cristalli al sistema trimetrico. L’autore avendo avuto occasione di raccogliere molti esemplari di titano- livina nei dintorni di Chiesa in Yal Malenco (Yaltellina) ne ha eseguito lo studio dettagliato ed ha così potuto risolvere il problema del suo sistema cristallino. La titanolivina di Yal Malenco trovasi in noduli più o meno grossi, in vene, o sparsa in minuti granuli entro roccie verdi a facies di serpentinoscisto, che si presentano per azioni dinamometamorfiche, nettamente scistose, ora a strati ondulati, piegati e contorti, ora pianeggianti e talora di aspetto quasi massiccio. Sono roccie peridotiche costituite quasi esclusivamente di olivina e — 136 — serpentino antigoritico da essa derivato, con piccola quantità di un pirosseno monoclino incoloro ; talora vi abbonda il clinocloro e vi mancano gli spinelli, tranne la magnetite. La titanolivina si trova di preferenza nella roccia più mas- siccia e talvolta, insieme ad olivina entro vene di calcite epatica che attraver- sano la roccia. La sua composizione chimica è la seguente; SiOg — 36. 86, TiO, = 4.78, MgO = 45. 50, FeO = 10. 05 e dedotta la magnetite = 9. 57, MnO = traccie, F2O3 — 1. 08, F = traccie, HgO = 1. 57, totale = 99. 84. Tale composizione è affatto analoga a quella della titanolivina della mo- rena del ghiacciaio di Findelen nel gruppo Saas-Zermatt, e di Pfunders nel Tirolo. La titanolivina ha colore rosso-cupo e rassomiglia al granito almandino, ma la polvere ha un colore caratteristico giallo aranciato o di ruggine. Il peso specifico ne è da 3. 20 a 3. 26. Esposti dettagliamente i caratteri fisici riscontrati negli esemplari studiati, l’autore ne deduce che havvi una stretta relazione fra la titanolivina e l’olivina sia nella costituzione chimica sia per la morfologia; gli risulta però, che la titanolivina appartiene senza dubbio al sistema monoclino. Riguardo ai minerali della famiglia dei peridoti la titanolivina si trova quindi nello stesso rapporto come i minerali monoclini delle burniti colla burnite propriamente detta. Tale analogia fra i minerali delle due famiglie è confermata dalla perfetta somiglianza per alcuni caratteri colla condrodite. Anche il carattere geologico è identico tra le burniti e la titanolivina, non essendosi esse finora trovate mai nelle peridotiti normali, ma sempre in roccie metamorfiche. L’autore ha potuto stabilire infine, che il minerale incoloro che accom- pagna la titanolivina di Yal Malenco è olivina e non Immite. Brun a. — Ueruptìon chi Vésuve de septenibre 1904 (ex. des Archives des Se. phys. et nat., lY periode, T. XYIII, pag. 2). — Genève, 1904. — Idem. (Journal de Genève dn 10 octobre 1904). — Genève, 1904. — Idem. (Bull. Soc. Belge de Geol., Pai. et Hydr., pag. 228-231). — Bruxelles, 1904. L’autore dà comunicazione delle osservazioni fatte durante reruzione del Yesuvio cominciata il 20 settembre 1904. Esse riguardano : I rumori prodotti da esplosioni per infiammazione dell’idrogeno e quelli prodotti dallo espandersi di gas inerti. — 137 — Le proiezioni di lapilli antichi, della lava fusa pastosa fumante, delle ce- neri antiche e di nuova formazione e dei fumi secchi. Questi condensati nei lapilli hanno all’analisi dato del cloro e del potassio in abbondanza, ed un po’ meno di allumina e di calce. L’autore non ha osservato nè fiamme nè nubi dovute a vapor d’acqua. Egli ha trovato tre crateri avventizi ai piedi del cono, del Vesuvio nella Valle dell’Inferno, allineati da ovest ad est, che davano proiezioni, fumo e lava. Dalle coliate di lava si svolgevano bolle di gas alla superficie che lascia- vano sfuggire fumo. L’eruzione andò poi calmandosi nei giorni 28 e 29 settembre. Cacciamali G^. B. — Uinfragiiira bresciano. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXII, fase. 3^ pag. 385-389). — Eoma, 1904. Prendendo argomento da una comunicazione fatta alla Società geologica dal prof. Bonarelli (vedi Bibl. 1902), nella quale egli accenna alla presenza nella località Molvina (comune di Xuvolera) di un lembo di calcari rossi mandorlati riposanti sulla serie toarciana e da lui ritenuti dell’aleniano, l’autore dà conto di una visita da lui fatta al casale di Molvina, dove ha verificata la' presenza dei calcari suddetti sottostanti a calcari grigio- cinerei a facies di medolo. Osserva inoltre che egli nelle pubblicazioni citate dal Bonarelli affermò resi- stenza del Dogger in generale nella provincia di Brescia, senza alludere affatto allo aleniano in particolare, avendo riferiti al Dogger gli strati citati dal Bona- relli stesso a Molvina tra l’aleniano rosso e gli scisti selciferi del Malm; non è quindi vero che egli abbia riferito all’aleniano alcuni affioramenti del medolo domeriano. L’ autore dà quindi conto di altre escursioni eseguite nella regione di Pieve di Concesio e a Urago Molla, e ne stabilisce la serie dei terreni come segue: Brecciole del domeriano superiore; marne toarciane con grossi letti di selce: calcari grigio-cinerei c. s. (giurese inferiore); scisti selciferi ed aptici. Riconosce l’errore di non avere segnalato a Sant’Emiliano (Urago Molla), la presenza del Domeriano con in alto le caratteristiche brecciuole e di avere quindi segnato nella sua cartina solo il toarciano e l’ infragiura. Da queste e altre località da lui esplorate l’autore conclude che l’infragiura bresciano è rappresentato da strati calcarei grigio- cenerini a facies litologica di medolo, i quali talora nella parte orientale della provincia riposano sopra pochi strati di calcare rosso mandorlato dell’aleniano. 10 — 138 — Cacciamali G-. B. — Catalogo dei prodotti minerali della jjrovincia di Brescia per uso edilizio e decorativo (pag. 8 in-8®). — Brescia, 1901. Questo Catalogo dei prodotti minerali presentati dalla Deputazione provin- ciale all’Esposizione di Brescia del 1901, fu compilato dall’autore, che ne or- dinò la collezione. I materiali vi sono distinti in edilizi e decorativi, gli uni e gli altri divisi a seconda del formato e per valli, coll’indicazione del comune e dell’età dei terreni da cui provengono. Cacciamaei Gf. B. — Le sorgenti dei dintorni di Brescia (dai Commentari dell’Ateneo di Brescia, Anno 1901, pag. 21 in-8®). — Brescia, 1901. A complemento dello studio del sottosuolo dei dintorni di Brescia, l’autore si occupa in questa lettura della idrologia sotterranea della regione. Lo studio si limita alle sorgenti ordinarie di acque, in generale potabili e a temperature normali. Egli distingue in queste le sorgenti di montagna da quelle di pianura. Le prime sono divise nei seguenti gruppi : 1. Sorgenti delle dolomiti di Lumezzane, Caino e Tallio. 2. Sorgenti delle sinclinali della Yal Trompia inferiore. 3. Sorgenti della sinclinale di Cariadeghe e della frattura di Cortine. 4. Sorgenti del versante occidentale del Monte Maddalena. 5. Sorgenti delle grandi fratture tra Sopraponte e Cajonvico. 6. Sorgenti della zona Rezzato-Molvina-Paitone. Descritti topograficamente e geologicamente questi gruppi e indicate le varie sorgenti, l’autore passa ad occuparsi della sorgente di Mompiano, che fornisce l’acqua alla città, e ne descrive il bacino alimentatore, distinto in tre plaghe, facendo rilevare come la moltiplicità dell’origine delle acque sia causa della non corrispondenza tra le variazioni di portata della fonte (da 300 a 500 litri) e le condizioni meteorologiche delle varie plaghe alimentatrici prese sin- golarmente. In un ultimo capitolo sono descritte le condizioni geologiche della pianura bresciana in riguardo alla circolazione delle acque. In essa distingue tre bacini idrografici sotterranei, ciascuno dei quali presenta falde acquifere so- vrapposte, dando così origine ad acque freatiche (alimentanti pozzi ordinari e fontanili) e ad acque più profonde sotto pressione e salienti o zampillanti. Di queste ultime cita due casi di acque salienti, riscontrate l’una a Caste- nedolo con pozzo trivellato e l’altra esistente a Calcinato per polla naturale. — 139 — Cacciamali Gr. B. — Il fascio stratigrafico Botticino- Serie in provincia di Brescia. (Boll. Soc. G^eol. ital., Yol. XXIII, fase. pag. 19-21, con tavola). — Roma, 1904. L/’autore descrive in questa nota il gruppo montuoso che va da Sant’Eu- femia della Fonte al Passo di San Yito in confine colla cresta del Monte Maddalena ad ovest ; limitato a nord dai monti Dragoncello e San Bartolomeo e degradante a S.E verso la pianura, accompagnandolo con uno schizzo piani- metrico ed un profilo. Le roccie che affiorano in questo gruppo tettonico spettano a tutte le for- mazioni dall’infralias al cretaceo. Queste si presentano con due anticlinali e due sinclinali rotti da grandi fratture parallele agli assi di corrugamento, che ven- gono dettagliatamente descritti dall’autore. La concordanza delle formazioni fino al cretaceo dimostra che il corruga- mento e le fratture avvennero durante l’ epoca terziaria. La direzione delle pieghe dimostra che la pressione laterale, venne da E. S.E e da sud. L’autore fa rilevare l’ importanza che nei fenomeni orogenici ha la diversa resistenza della roccia alla pressione laterale e lo dimostra coi fatti che si presentano nella regione descritta. Tenendo conto dei fenomeni di erosione che tennero dietro ai corrugamenti e alle fratture, si rendono spiegabili le trasformazioni oro-idrografiche avvenute nella regione dal suo costituirsi infino ad oggi. Cerca così di ricostruire il ri- lievo orogenico e le trasformazioni idrografiche che ne derivano mostrando i rapporti tra la tettonica e la idrografia sotterranea nella regione descritta. Cacciamali G-. B. — Studio geologico della regione Botticino- Serle-Ga- cardo. (Commentari dell’Ateneo di Brescia, Anno 1904, pag. 42-55, con carta geologica). — Brescia, 1904. È il sunto di una memoria letta dall’autore all’Ateneo di Brescia col titolo sopraindicato. In essa è descritta la regione montuosa argomento della nota precedente, estesa da Sant’Eufemia a Sopraponte e da Xuvolera al Garza. Yi sono passate in rassegna le roccie che vi affiorano dal Trias al cretaceo e sono descritti mi- nutamente le anticlinali, le sinclinali e le fratture che vi si presentano. L’au- tore cerca quindi di ricostituire le condizioni oroidrografiche originarie e di rifare la serie delle trasformazioni che \i avvennero. Alla memoria va unita una tavola a colori con carta geologica e cinque profili della regione descritta. — 140 — Canavari M. — Studio delle sorgenti per il nuovo acquedotto di PortO' ferrajo. (G-iornale di Greol. pratica, Tol. II, fase. 6, pag. 185-203). — Perugia, 1904. Le numerose sorgenti che si trovano attorno al ]Monte Capanne e che si vor- rebbero utilizzare per fornire di acqua potabile la città di Portoferraio, ven- gono divise dall’autore in due gruppi, uno delle acque che scaturiscono dalla massa granitoide di detto monte, l’altro di quelle che vengono a giorno o al contatto immediato o non lungi dal contatto tra granito e roccie verdi, tra queste e i porfidi, o in seno delle stesse roccie verdi. L’autore passa in rassegna le sorgenti del primo gruppo dandone la por- tata e la temperatura. Esse sono il risultato delle acque infiltrate nelle nume- rose fessure della roccia, del resto poco o punto permeabile. Esse sono tutte di poca importanza per la portata e riunite in gruppi nelle vallecole che incidono il granito. Osserva che la massa granitica del Monte Capanne non è omogenea es- sendo attraversata da vene felspatiche o pegmatitiche, non che da roccie por- fi roidi più o meno alterate. Ciò deve influire sulla circolazione delle acque sotterranee che vengono così divise dall’andamento dei dicchi, filoni e fessure, presentandosi quindi a giorno in sorgenti numerose e di piccola portala. Le numerose polle della sor- gente Bollerò devono essere in relazione con qualche sbarramento prodotto da dicchi. L’autore basandosi sulle osservazioni pluviometriche delle diverse parti dell’ isola e sulla superficie del Monte Capanne,, cerca di stabilire quale do- vrebbe essere la portata complessiva di tutte queste sorgenti. Ammesso 1’ as- sorbimento di un decimo delle acque piovute, si dovrebbe avere una portata di circa 90 litri al 1" che risulta superiore a quella che effettivamente è data; ciò può dipendere dallo scorrere di una parte delle acque per vie interne al mare senza venire prima a giorno. Passa quindi a descrivere le sorgenti del secondo tipo indicando le di- verse roccie dalle quali esse scaturiscono, la loro portata e temperatura. Le polle che si manifestano nella regione interna delle pietre verdi, sono dovute al contatto delle diabasi porose e fessurate con le sottoposte serpentine ed eu- fotidi che possono considerarsi come impermeabili. Queste acque contengono molta magnesia. Quelle che trovansi a contatto delle roccie verdi coi graniti devono provenire da acque assorbite dai graniti e non dalle diabasi, quindi contengono un tenore in magnesia assai minore. — 141 — In conclusione le condizioni idro-geologiche delle acque da derivarsi dai due gruppi devono ritenersi buone. Capeder Gr. — Sulla struttura delV anfiteatro morenico di Rivoli in rap- porto alle diverse fasi glaciali. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIII, fase. 1®, pag. 4-18). — Eoma, 1904. Allo scopo di stabilire se per 1’ anfiteatro morenico di Rivoli si abbiano prove certe della pluralità delle invasioni glaciali, come già da molti autori fu riconosciuto per i ghiacciai antichi, e specialmente per quelli del Reno e del Rodano, l’autore ha eseguite accurate ricerche in quell’anfiteatro ed espone in questa nota il risultato delle sue osservazioni. Si riporta dapprima alle condizioni che dovevano presentare le Alpi al finire dell’epoca terziaria, quando ebbero inizio le abbondanti precipitazioni dell’epoca glaciale, cercando di stabilire la successione teorica dei fenomeni av- venuti durante quell’epoca. Lo studio dei depositi morenici porta ad ammet- tere più epoche glaciali e quindi, ripetuti depositi morenici devono essersi for- mati ed in parte sovrapposti con posizione e facies diverse nei successivi de- positi a seconda dello sviluppo e della potenza dei ghiacciai. Fondandosi su questo fatto l’autore viene a descrivere i fenomeni che si presentano nell’anfiteatro morenico di Rivoli. In questo egli osserva almeno cinque cerehie moreniche interrotte e ter- razzate dalle acque uscenti dalla Yalle di Susa. La mancanza, nella parte interna, dei depositi più antichi non permette da potere stabilire la potenza, il numero delle glaciazioni e la loro durata. Le cerehie moreniche interne sono di solito coperte da leìim. I terreni diluviali che dovrebbero trovarsi alla base di queste formazioni non vengono allo scoperto nella regione. I depositi di loess appaiono soltanto fuori del più grande ed esteso cerchio morenico : essi non coprono mai le morene della prima glaciazione o le mo- rene interne, e l’autore lo ritiene un deposito riferibile alla seconda fase di glaciazione. Egli fa intanto rilevare V importaza di questo deposito dando esso modo di spiegare l’origine della analoga formazione, così abbondante nella collina di Torino, che ritiene proveniente dall’anfiteatro suddetto col quale sarebbe sin- crono. La vicinanza delle due formazioni, la loro identità e distribuzione stanno a provare l’origine esclusivamente eolica di questo deposito. Per potere osservare i depositi glaciali e interglaciali antichi coi quali co- — 142 stituire la storia dell’epoca glaciale, l’autore lia rivolte le sue ricerche ai depo- siti incisi dalla Dora e dal Sangone, e così ha potuto stabilire le principali rela- zioni fra i terreni glaciali nel sistema morenico frontale di Rivoli, per venire quindi alla conclusione che anche per l’apparato di Rivoli si possono stabilire tre pe- riodi di massimo sviluppo, separati da due periodi interglaciali, dei quali, il secondo probabilmente caratterizzato da un clima asciutto, mentre il primo lo era da condizioni che favorivano la ferrettizzazione. Capellini G-. — Balene fossili toscane. II. Balaena Montalionis (dalle Mem. R. Acc. Se. dell’Istituto di Bologna, S. YI, T. I, pag. 10, con ta- vola). — Bologna, 1904. Il fossile illustrato è un cranio incompleto, scoperto or sono più di 30 anni nelle sabbie gialle compatte di Montatone in provincia di Firenze (circon- dario di San Miniato), scavato più tardi e acquistato dal Museo di Pisa, dove era ritenuto come appartenente a Balenottera. L’ autore fa la descrizione minuta delle ossa componenti il cranio, le quali figurano pure nella tavola annessa, riconoscendole come appartenenti ad una specie di Balaena diversa dalle altre di Toscana, ma somigliante alle attuali specie artiche, e per la quale propone il nome di B. Montalionis. Cassetti M. — Da AvesBano a Sulmona. OsservaBioni geologiche fatte Vanno 1903 nelV AhruBBO aquilano. (Boll. R. Comitato GeoL, Yol. XXXY, n. 4, pag. 347-364). — Roma, 1904. Tratta della regione montuosa interposta tra il bacino del Fucino e la conca di Sulmona, di cui è punto culminante il Monte Prezza. L’ autore accenna anzitutto alla esistenza di due faglie con rigetto, con- tigue 1’ una all’altra ; passa quindi a descrivere la serie dei terreni che affio- rano in questa regione, confrontandola con quella della regione Da Difesa e della Serra Colle Rufigno, da lui studiata nel 1899, separate -dalla prima dalla Valle del Sagittario. Detta serie è la seguente dal basso all’alto : 1® Calcare dolomitico sub -cristallino con Atractites e Ecfocentrites (Lias inferiore) ; 2® Calcari a brachiopodi di varia struttura, nei quali si nota la Terehra- tuia tanromenitana del Lias inferiore, parte superiore, di Taormina ; 3® Calcari cretacei a Beqiiienie e” a Rudiste, i quali mancano al Monte Prezza, così che quivi dal Lias si passa direttamente all’Eocene; — 143 — 4° Calcari eocenici privi di fossili nella parte più bassa, e in quella più alta aventi una ricca fauna di nummuliti caratteristiche dell’eocene medio ; 5® Calcari marnosi con Ostree, Pecten e Lucine e alcuni lembi di scisti argillosi, che l’autore colloca dubbiosamente nel miocene. Circa i depositi di conglomerati e di argille, che occupano il bacino del Fu- cino e la conca di Sulmona, l’autore ne conferma l’origine lacustre e l’età quater- naria, aggiungendo di avere trovato nelle argille del Fucino alcuni esemplari di molluschi terrestri {Helix) e delle impronte di foglie fossili proprie del quaternario. Cassetti M. — Sulla struttura geologica dei monti della Majella e del Mor- rone. (Boll. E. Comitato aeoL, Yol. XXXY, n. 4, pag. 364-379). — Eoma, 1904. L’autore dimostra che le due potenti pile di strati calcarei, che costitui- scono la montagna della Majella e quella contigua del Morrone, non solo sono contemporanee ma in origine dovevano formare un unico deposito ; e ciò lo desume dalla identità di tettonica e dalla perfetta analogia di caratteri litolo- gici e paleontologici. 11 loro distacco e la loro disposizione a gradino (di modo che la Majella s’ innalza oltre a 700 metri al disopra del Morrone), sono dovuti alla esistenza di una grande faglia con rigetto, la quale si estende da un estremo all’altro dell’erto declivio occidentale della Majella. Fa quindi rilevare un altro fenomeno, che si osserva nella regione setten- trionale del gruppo del Morrone, la esistenza cioè di un’anticlinale rotta lungo la linea mediana del gruppo stesso. Termina con una particolareggiata descrizione dei caratteri dei vari ter- reni calcarei, la cui serie è identica nelle due regioni montuose, accennando ai rispettivi piani geologici, i quali in basso non oltrepassano la parte più alta del cretaceo inferiore (calcari a Reqiiienié) e in alto raggiungono l’eocene medio (Luteziano) rappresentato da calcari con specie di nummuliti caratteri- stiche di questo terreno. Checchia-Eispoli Or. — Sopra un crostaceo dei tufi calcarei postpliocenici dei dintorni di Palermo. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXII, fase. 3°, pag. 488-492). — Eoma, 1904. L’esemplare preso in esame in questa nota proviene dai tufi calcarei post- pliocenici della borgata Yergine Maria presso Palermo. — 144 — Essendo pochi i crostacei ben conservati finora noti in quel post-pliocene, l’autore crede tale esemplare importante e lo descrive. Esso consiste in una carapazza ben conservata dello Xantho floridns Montagu. T^on risultando che questa specie sia stata finora descritta allo stato fos- sile, l’autore la paragona alle specie tuttora viventi del genere Xantho Leach. e trova che quelle che più si avvicinano allindi viduo studiato sono lo Xantho floridns Montagu comune nel Tirreno e nelle coste d’Inghilterra e lo X. affinis di Haan vivente sulle coste del Giappone. Presentando il fossile le più intime relazioni di somiglianza col X. floridns, l’autore non ha creduto di separarlo, os- servando che le variazioni che presentano le specie viventi, specialmente per il maggior sviluppo di denti, potrebbero tutto al più dar luogo tra la forma fossile e quella vivente a differenze di varietà. Checchi a-Rispoli G. — I foraminiferi eocenici del gruppo del M. lu- dica e dei dintorni di Catenanuova in provincia di Catania. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIII, fase. 1^, pag. 25-66, con tavola). — Roma, 1904. Xella parte geologica di questo lavoro l’autore, riferendosi a una sua nota preventiva su tale argomento (vedi Bibl. 1903), passa a rassegna le diverse località dalle quali provengono i fossili da lui studiati. L’eocene è in questa regione molto esteso e formato di argille, scisti marnosi, con intercalazioni d’arenarie quarzose gialliccie, grigie o rossastre; di calcari nummulitici, brecciuole numm alitiche e marne di color rosso vinaccia, con lenti di calcari nummulitici. Superiormente stanno anche calcari marnosi bianchicci a fucoidi. Le arenarie ora sono stratificate regolarmente, ora affio- rano per denudazione in forma di rupi e formano talora la sommità delle alture. I fossili illustrati provengono tutti dalle brecciuole intercalate fra le ar- gille e gli scisti marnosi. Dall’ elenco che l’autore dà delle 30 specie deter- minate risulta che 14 di esse appartengono al gruppo delle Niimmiilites, 8 a quello delle Orbitoides, 4 al genere Alveolina, 2 alle Operciilina, 1 alle Assilina, 1 alle Calcarina. L’autore osserva essere difficile lo stabilire nel bacino mediterraneo oriz- zonti paragonabili a quelli di altre regioni classiche per lo sviluppo dell’eo- cene, specialmente per la sola presenza di foraminiferi rappresentati in gran parte dalle nummuliti mescolate fra di loro. 145 — Cercando quale sia il posto da assegnare nella scala cronologica alla vasta formazione nummulitica che si estende da Giumarra-Braconieri (Ramacca) sino ai dintorni di Catenanuova, fa rilevare in essa una relativa omogeneità di fauna. Infatti delle forme più antiche persiste solo qualcuna rappresentata da pochi individui; vi è invece abbondanza di specie giovani, alcune delle quali si spingono fino all’oligocene più recente. Aggiungendo a questo fatto la man- canza delle grandi mummuliti e assiline, indicate sempre nei livelli medi del- l’eocene, e l’ahbondanza delle orbitoidi, l’autore sostiene che questi depositi eocenici abbiano carattere più recente rispetto a quelle dell’eocene medio, non però più giovane del bartoniano. Segue la parte paleontologica nella quale sono dettagliatamente descritte le specie studiate, che sono anche disegnate nella tavola annessa. Checchia-Rispoli Gt. — U Harpactocarcinus punctulatus Desmarest^ delVeocene di Peschici nel Monte Oargano. (Boll. Soc. Zool. ital., fase. I a III, Anno XIII, pag. 8, con tavola). — Roma, 1904. L’autore ha raccolto vari esemplari di crostacei nei calcari dei dintorni di Peschici, facenti parte della formazione nummulitica del Monte Gargano. Questi esemplari sono riferibili ad una sola specie. I caratteri generici e specifici, che l’autore espone, permettono di riferirli con sicurezza aWIIar- pactocarciniis piinctnlatiis Desmarest, specie comune all’eocene del Vicentino. Una tavola è unita a questa nota. Checchia-Rispoli G. — I calcari di San Giovanni in Piano presso Apricena in provincia di Capitanata. (Boll. Soc. Geol. ital.. Volume XXIIl, fase. 2^, pag. 292-294). — Roma, 1904. Xelle due località di San Giovanni in Piano e di Coppadora si osservano dei calcari durissimi, ricchi di coralli, che per i loro caratteri litologici furono con- fusi coi calcari cretacei circostanti, e che formano come un’isola elevata a m. 140 sul mare in mezzo a terreni alluvionali recenti. I calcari sono per lo più ros- sastri, ma talora biancastri ed anche scuri o nerastri. La loro stratificazione in anticlinale è assai evidente con banchi che raggiungono fino a 2 metri di spessore. L’autore dà l’elenco dei fossili raccolti in essi a da lui determinati e che appartengono al pliocene. Un lembo di tali calcari fossiliferi fu pure osservato dall’autore presso il — 146 — convento di Stignano nella regione Foresta. Esso poggia sui calcari dolomitici ritenuti cretacei e sta sotto ai conglomerati post-pliocenici assai sviluppati in quella regione. Checchia-Eispoli Gt. — Osservazioni geologiche lungo la valle del Fortore in Capitanata. (Boll. Soc. G-eol. ital,, Yol. XXIII, fase. 2®, pag. 295-297). — Boma, 1904. Lungo la valle del Fortore da una parte e dall’altra del fiume si esten- dono dei depositi miocenici appenninici, continuazione di quelli delle limitrofe provincie di Campobasso e Benevento. Questa formazione, che in modo discon- tinuo si estende su quella eocenica ed è ricoperta dalle argille plioceniche, si eleva ad una quota di oltre m. 700 sul mare e presenta una potenza talora di m. 500. Il miocene è costituito da calcari teneri, marnosi, spesso sabbiosi e pas- santi a sabbia sciolte e ad arenarie marnose tenere, oppure quarzose e tenaci di colore dal grigio giallastro al rossastro. I fossili studiati dall’autore provengono da una medesima località nella regione Valva a S.E di Celenza Valfortore sulla destra del fiume. Dall’elenco che ne viene dato risulta che la maggior parte delle specie sono ritenute esclusive del miocene e caratterizzano molti giacimenti del mio- cene medio d’Italia. Osserva però che se è da escludere che la formazione in esame appar- tenga al pliocene, l’insieme della fauna indica un livello molto elevato del miocene medio e di mare poco profondo. Checchia-Eispoli G^. — Il miocene nei dintorni di Cagnano-V arano sul Gargano {Capitanata), (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 2®, pag. 298-300). — Eoma, 1904. L’autore, nell’eseguire il rilevamento delle regione garganica, ha segna- lato nei dintorni di Lagnano- Varano, in regione Santa Marena, la presenza di un calcare grossolano brecciforme disgregabile, costituito essenzialmente da frammenti di grosse bivalve riuniti da cemento calcare che sta ad indicare una formazione littorale. La maggior parte dei fossili studiati, e dei quali è dato l’elenco, proviene dalla località presso la fontana del paese di Lagnano e indica la presenza del miocene medio, comprendendovi anche il tortoniano. — 1^7 — La scoperta del miocene nel Gargano a 250 metri sul mare, non ò stata finora constatata, ed è importante per la geofisica di questa penisola dimostrando, contrariamente a quanto era prima ritenuto, che anche durante il miocene non vi dominasse il regime continentale. Chelussi I. — Alcune osservazioni preliminari sul gruppo del Monte Velino e sulla conca del Fucino. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 1^, pag. 34-53). — Milano, 1904. Premesso uno schizzo orografico del gruppo del Velino, la terza punta del- l’Appennino centrale ergentesi a metri 2487 sul mare, a nord-ovest della pia- nura del Fucino, di natura eminentemente calcarea, e dopo un breve cenno delle poche notizie che su di esso si hanno, l’autore ne espone la serie strati- grafica quale risulta da sue proprie osservazioni, e cioè: Trias, che sembra rappresentato da un calcare dolomitico grigio-scuro, con traccio di fossili spa- tizzati, stratificato in banchi di non molto spessore, inclinati a S.E ; Cretaceo, rappresentato da un calcare bianchissimo, cereo, duro e compatto, raramente con noduli silicei, in strati di spessore variabile diretti da X.B a S.O, con acteo- nelle e rudiste frammentarie, probabilmente del cenomaniano ; Miocene, ampia- mente rappresentato da due. forme litologiche, e cioè, l’inferiore, un calcare bianco, compatto e duro, mal distinguibile dal sottostante cretaceo, e il medio, un altro calcare bianco, ma poroso e facilmente differenziabile, entrambi con- tenenti pecten in certa abbondanza; infine qualche raro lembo dell’arenaria mio- cenica tanto comune nella valle dell’ Aterno. Al miocene, tanto sviluppato, l’autore fa seguire il pliocene (marne e sabbie) nella zona più elevata e periferica settentrionale dell’alveo del Fucino, quindi il quaternario recente rappresentato da un grande conoide di defezione, scen- dente sino alla pianura e composto di ciottoli elissoidali di calcare cretaceo e miocenico. Ricorda in seguito le manifestazioni glaciali già state indicate dall’Hassert (vedi Bihl. 1900) sul versante meridionale del Velino e le doline frequentissime in tutto il gruppo, come pure le caverne dovute a spostamento di strati. Ac- cenna infine alla presenza della bauxite, l’unico minerale di qualche importanza che vi si trovi, specialmente nella parte occidentale del gruppo. Passando alla tettonica, l’oratore conchiude circa l’esistenza di una faglia nel gruppo del Velino, sensibilmente parallela alla valle del Salto, e circa la natura della conca del Fucino, che rappresenterebbe una grande sinclinale piut- tosto che una cavità carsica come fu detto da altri. - 148 — Clerici E. — 8ui resti di conifere del Monte Amiata. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXII, fase. 3®^ pag. 523-534). — Eoma, 1904. Xell’escursione fatta dalla Società geologica italiana al Monte Amiata nel- l’estate del 1904 furono rinvenuti, nella formazione lacustre post-vulcanica di Abbadia San Salvatore, resti di conifere costituiti da strobili, frammenti di foglie e da grani di polline di specie tuttora viventi. Altri due strobili e la impronta di un terzo furono trovati nelle terre coloranti di Arcidosso. Con l’esame di copioso materiale l’autore ha potuto identificare due specie : Picea excelsa Link e Pinus laricio Poir. Altri quattro esemplari di Piniis differiscono fra loro e da quelli di Pinus lurido e parrebbe siano da riferirsi al Pinus silvestris Lin. o al Piniis montana Dur. La scarsità del materiale però toglie di poterli attri- buire piuttosto all’una che all’altra specie. Quantunque per la natura del terreno e per l’altitudine il Monte Amiata presenti condizioni favorevoli alla vita di queste specie, esse non trovansi at- tualmente in questa regione; ritiene però l’autore che i pini vivessero sui due fianchi della montagna, essendo i fossili studiati provenienti da località dia- metralmente opposte rispetto alla cima del Monte Amiata. Alcune figure nel testo illustrano i resti studiati. Clerici E. — Sulla stratigrafia del Vulcano Labiale. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 12^ 2^^ sem., pag. 614-618). — Eoma, 1904. Eichiamati varii suoi precedenti lavori, per i quali potè stabilire l'ordine di successione delle molteplici formazioni vulcaniche della Campagna Eomana, l’autore riassume in questa nota l’ordine stratigrafico seguente delle formazioni del sistema vulcanico laziale, indicando le località ove esse si presentano. La serie stabilita si compone dal basso in alto dei seguenti elementi: Tufo granulare, pozzolana rossa, conglomerato giallo, pozzolana nera e tufo litoide, conglomerato incoerente e formazione detta del Tavolato. Le notizie contenute in questa nota riguardano in modo speciale la regione ad ovest di una retta tirata da Xettuno a Palombara Sabina; valgono pure per la parte ad est benché non ancora studiata in dettaglio. Xel tufo granulare, che dalla forma litoide va a quella granulare con va- riazioni terrose ed argillose, si trovano livelli ricchi di filliti rappresentate sempre dalle stesse specie. I banchi argillosi sono spesso diatomeiferi. Anche sopra il tufo litoide in alcuni luoghi si trovano argille a diatomee d’acqua dolce; solo in un punto del litorale, a Campo Jemini, si osserva un materiale con diatomee — 149 - salmastre. Avvicinandosi al cratere la frequenza e l’entità di questi giacimenti diatomeiferi diminuisce. La pozzolana bigia e rossastra è posteriore al tufo litoide, ma talvolta è connessa al medesimo, aumentando di potenza verso i crateri. Il peperino sa- rebbe posteriore a questa pozzolana. JS’ella zona littorale, ai membri superiori delle serie si frappongono anche sabbie ricche di augite, da ritenersi di formazione eolica. La serie di questi terreni, nella parte occidentale, si vede riposare sui terreni pliocenici e più spesso su sabbioni quarzosi direttamente o con inter- calazioni argillose e talora su sedimenti di acque dolci. Difficilmente può vedersi la serie completa in una sola località; la man- canza di uno o più elementi in qualche luogo non infirma peraltro la serie e deve essere attribuita per solito a semplice fenomeno di erosione. Colomba L. — Rodonite crìstallissata di Saint Marcel [Valle d’Aosta) (dagli Atti K. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, pag. 8 in-8”). — Torino, 1904. L’autore si occupa in questa nota dello studio della rodonite da lui tro- vata in cristalli, oltreché nella comune giacitura di filoni in cui è connessa colla braunite, anche in vene dove essa è associata ad abbondante albite. In entrambi i casi però la rodonite raramente si presenta in cristalli entro piccole druse, presentandosi invece generalmente in masse granulari rosee e talora in masse fibroso-lamellari. I cristalli di rodonite, quando sono inalterati, presentano una tinta rosea chiara tendente al ranciato. Le loro dimensioni raggiungono al massimo da 3 a 4 mil- limetri di lunghezza. La loro composizione chimica corrisponde quasi esatta- mente a quella indicata da Ebelmann per la rodonite compatta. Sono privi quasi di ferro e ricchi sensibilmente in calce. Da saggi quantitativi compiuti, l’autore ottenne valori che portano alla formola TMnSiOg -f- CaSiOg. Dall’esame cristallografico risulta che i cristalli non si presentano ricchi di forme e nessuna di esse è nuova per la rodonite ; quelle meno ricche hanno forma generalmente tabulare. I cristalli peraltro si prestano poco a misure goniometriche. L’autore espone il risultato dei valori potuti calcolare e da essi risulta che la rodonite di Saint Marcel può con sufficente approssimazione rife- rirsi alle costanti cristallografiche ammesse dal Flinck per la pajsbergite di Svezia. — 150 ^ Colomba L. — Osservazioni petrografiche e mineralogiche sulla Rocca di Cavour (dagli Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, pa- gine 12 in-8°, con tavola). — Torino, 1901. Con questo nome è conosciuto uno spuntone roccioso che sorge dalla pia- nura a ridosso del paese di Cavour, in relazioni stratigrafiche e geologiche coi contrafforti alpini che separano la valle del Po da quello del Pellice. L’autore lo ritiene formato da uno gneiss granitoide intercalato entro mi- cascisti, talora grafitici, simili a quelli delle valli del Pellice e del Chisone. Lo gneiss è poco ricco in mica, prevalentemente costituita di biotite unias- sica. Alla biotite è spesso associato il granato costituito da grossularia in granuli o cristalli rotti, localizzata specialmente dove più è accumulata la biotite. Il quarzo è in granuli intrecciati ed anche in piccole vene che tagliano lo gneiss, con inclusioni di zircone e forse di sillimanite. Yi sono pure abbondanti in- clusioni liquide che contengono cubetti di cloruro di sodio. Il feldspato è costituito da ortosio e da plagiocasio. L’ortosio si presenta in grossi individui, il plagioclasio è porlo più in cri- stalli bene definiti ed è sovente incluso nell’ortosio. In questo prevale la ge- minazione di Carlsbad e talora quella di Baveno, e presenta la struttura ver- micolare indicata da Michel-Levy, molto comune negli gneiss fondamentali. L’ortosio è generalmente caolinizzato. Anche il plagioclasio è sovente alterato, dando luogo alla comparsa nell’interno dei cristalli di un minerale micaceo in lamine piccolissime biassiche. Tanto nell ortosio quanto nel plagioclasio si os- servano fenomeni di rigenerazione. Lo gneiss è attraversato da filoni di quarzo, ora in masse compatte, talora con inclusioni di tormalina, ora in cristalli a faccio grandemente striate. L’or- tosio dei filoni si presenta in masse bianche sfaldabili, in parte caolinizzato, alle quali è intercalata ed associata l’adularia come prodotto di rigenerazione dell’ortosio, da cui si distingue mancando in quella la struttura vermiculare. L’autore si occupa da ultimo dello studio dei cristalli di adularla, dei quali alcuni bellissimi furono rinvenuti nei terreni coltivati alla base della Bocca e che diedero occasione all’autore di studiare le roccie di questa località. Alla nota è annessa una tavola in eliotipia di microfotografie rappresen- tanti, sotto forte ingrandimento: Ortose dello gneiss geminato secondo la legge di Baveno ; 2® Lo stesso con struttura vermicolare ; 3® Ortose caolinizzato con segregazioni di quarzo e mica; 4® Associazione di ortosio e di adularla; 5*^ Con- crezioni di quarzo nella quarzite. — 151 — D’Achiardi G-. — Forme cristalline del Berillo elbano. (Atti Soc. to- scana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIY, pag. 75-83). — Pisa, 1904. Gli esemplari studiati provengono dai filoni tormaliniferi del granito di San Pietro in Campo, ed offrono tinte svariate, con prevalenza del roseo, e svariate forme cristalline. Alle 19 forme sino ad ora conosciute di questa specie, l’autore ne aggiunge 5 nuove, delle quali fornisce le caratteristiche mine- ralogiche. D'Achiardi G. — Di alcuni minerali dei filoni tormaliniferi nel granito di San Piero in Campo {Elha). (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Pro- cessi verbali, Yol. XIY, pag. 89-96). — Pisa, 1904. s L’autore tratta in questa nota di minerali nuovi per detti filoni o che vi si presentano con aspetto diverso da quello stato descritto. I nuovi sono : pirite, arsenicopirite, rutilo ; gli altri : apatite, lepidolite, stilbite. Di quest’ultima egli fa una descrizione particolareggiata, avendo potuto disporre di cristalli a di- mensioni molto grandi e con forme bene determinabili, dandone anche l’analisi quantitativa e la figura insieme con le caratteristiche cristallografiche. D’Achiardi G. — Cenni su di ima anfibolite orneblendica nel granito di San Piero in Campo {Elba), (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIY, pag. 125-131). — Pisa, 1904. Questa roccia trovasi nelle vicinanze di San Piero, compresa nel granito ed attraversata da filoni di roccia granitica con aspetto aplitico, la quale al contatto ha perduto quasi totalmente la mica nera, assumendo una struttura granulare minutissima. L’anfibolite è minutamente cristallina, con tendenza alla scistosità, di co- lore nero-verdastro, ricca di titanite in plaghe estese e in vene. Al microscopio si mostra costituita: da un felspato a struttura microocellare (probabilmente oligoclasio basico), ricco di inclusioni di antibolo verde, insieme con vari cri- stallini di altri minerali; e da un minerale anfibolico (propabilmente orneblenda) con rare inclusioni di apatite e di magnetite o titanite. Siffatta composizione è confermata dall’analisi chimica. La roccia in esame si mostra assai più acida delle comuni anfiboliti, avendo il 54. 30 per cento di acido silicico e il 3 27 di acido titanico. Essa è — 152 — all’Elba solitamente collegata con altre pietre verdi ed è di certo metamorfica, senza peraltro che sia possibile emettere ipotesi alcuna sulla natura della roccia originaria. Dal Lago D. — Note siilV Eocene del Vicentino occidentale. (Atti E. Isti- tuto veneto, S. 8% T. YI, disp. 5% pag. 605-617). — Venezia, 1901. Il lavoro si riferisce particolarmente alla Val d’Agnq ed ai terreni fra cretaceo ed oligocene, ossia all’eocene propriamente detto, distinto in inferiore e medio. Il primo (orizzonte di Spilecco) si trova in discordanza sulla scaglia senoniana e consta di brecciole a vari colori, senza fossili, tufi assai fossiliferi, argille variegate, calcari grigi e nummuliti, calcari verdastri e brunastri con avanzi di vegetali rappresentanti la più antica flora terziaria della regione. Il secondo è formato da calcare compatto giallastro fossilifero, detto membro di Chiampo, con litotamni, nummuliti, echini, ecc., calcari ad alveoline del Monte Postale, calcare a fauna di San Griovanni Ilarione, con depositi di selce, cal- cari e tufi a fauna di Eoncà, tufi non fossiliferi con frammenti di basalte e di calcare neocomiano, argille a ligniti e scisti bituminosi, con ricca flora carat- teristica, avanzi di rettili e conchiglie d’acqua dolce. Parlando delle eruzioni basaltiche l’autore vi distingue tre periodi, e cioè, immediatamente dopo il cretaceo, dopo la formazione nummulitica, e nel pe- riodo dei tufi non fossiliferi. Questi periodi sono sottomarini e ad essi fa se- guito, fra il priaboniano ed il bartoniano, la grande eruzione continentale che formò i basalti di Monte Bolca, Monte Postale, Monte Altissimo, ecc. ecc., da considerarsi come frammenti di grandi correnti basaltiche, uscite da fessure piuttosto che da veri centri vulcanici. Chiude il lavoro un elenco cronologico della flora del Vicentino occiden- tale, compresevi le località veronesi di Bolca e di Eoncà. Dal Piaz D. — Neosqualodon, nuovo genere della famiglia degli Equa- lodontidi. (Mem. Soc. pai. suisse. Voi. XXXI, pag. 20 in-I®, con tavola). — Grenève, 1904. Gli avanzi qui descritti trovansi nel Museo geologico dell’ Istituto supe- riore di Firenze e provengono dal calcare bianco del miocene medio di Scicli presso Modica, in Sicilia: essi furono già dal Forsyth Major riferiti ad una nuova specie di Squalodon che denominò Sq. Assensae. Constano di un cranio incompleto, con diversi denti e parte della mandibola destra, oltre a « 153 — pochi frammenti di denti isolati. Da uno studio minuto fattone dall’autore ri- sulta trattarsi di un tipo diverso non solo dagli squalodontidi, ma henanco da tutti gli altri odontoceti, che egli riferisce ad un nuovo gruppo che chiama dei T^eosqùalodonti, facendo quindi la specie Neosqualodon Assengae^ Major sp. (in schedis), di cui descrive particolareggiatamente gli avanzi, riproducendoli anche in una grande tavola. Il nuovo genere ha il cranio molto simile a quello degli Sqnalodon, ma si distingue da esso per un numero di molari assai maggiore, almeno dieci, tutti a radici nettamente divise e a corona triangolare profondamente dentellata, tanto sull’orlo anteriore quanto sul posteriore. De Alessandri D. — Sesionì geologiche attraverso il gruppo del Monte Misma. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 2®, pag. 103-112, con tavola). — Milano, 1904. A meglio spiegare l’intricata tettonica del gruppo del Monte Misma (Ber- gamo), del quale l’autore già diede, in precedente lavoro, la descrizione geolo- gica (vedi Bibl. 1903), egli presenta in questa nota cinque profili orientati da X.E a S.O e normali alla direzione degli strati dalla destra del Cherio alla sinistra del Serio. Dall’esame di queste sezioni e dalla carta geologica già pubblicata, risulta che nella regione in esame affiorano le formazioni retiche, giurassiche e cre- tacee disposte in una serie di pieghe rovesciate, generalmente a sud, disturbate da faglie longitudinali e trasversali alla direzione degli strati, e complicate dalla presenza di una zona pianeggiante sulla vetta del M. Misma addossata con evidente discordanza sopra strati raddrizzati pure basici. L’autore passa quindi a discutere queste sezioni per dimostrare come tali disturbi stratigrafici, constatati da vari autori nelle prealpi bergamasche e nella Brianza, sieno il risultato dello sprofondamento che secondo il Suess sarebbe avvenuto dell’area padana distaccatasi dalla zona alpina periadriatica. La spinta verso nord, causata dalla zolla di sprofondamento nella massa alpina, dovette sviluppare un sistema di pieghe che per la reazione delle masse a nord do- vettero rovesciarsi e quasi traboccare verso la zona abbassatasi, ove si estende attualmente la pianura padana. Con uno schizzo schematico Fautore spiega la presenza di tali faglie rove- sciate e della zona basica di scorrimento nella cima del M. Misma. Questa rappresenterebbe la parte rispaj’miata dall’erosione di tutta la zolla superiore di scorrimento, analoga a quelle constatate dallo Schardt nelle Alpi occidentali. 11 — 154 — De Angelis d’Ossat Gt. — Filoni metalliferi nelle rocce trachitiche della Sardegna occidentale. (Eassegna mineraria, Yol. XXI, n. 1, pag. 1-3, n. 2, pag. 22-24, n. 3, pag. 37-38). — Torino, 1904. A nord di Bosa, in vicinanza del mare si trovano diversi giacimenti mi- nerali allineati secondo l’andamento della costa, assai interessanti geologica- mente, che vengono descritti dall’autore in questa nota. Dalla località dove essi si presentano sono così denominati : 1® Monte Barisonis ; 2° Porto Sotto- naera ; 3® Cala Ittiri ; 4° Porto Baosu ; 5“ Cala Suboi ; 6® Punta Chirigoris ; 7® Cala Penugu. Le sole roccie che affiorano nella regione studiata sono le trachiti e i tufi trachitici, in generale ritenute di età miocenica. Indicati gli autori che si occuparono di questi giacimenti, l’autore passa a descriverli par- titamente. Il giacimento di Monte Barisonis trovasi in una spaccatura entro una tra- chite verde-chiara riempita da roccia alterata, entro la quale si intersecano vene e filoni quarzosi con mosche, nidi e cristalli isolati di galena. Vi si trovano pure minerali di manganese e di ferro, ma in quantità trascurabile industrial- mente. Altri filoni quarzosi con galena fanno seguito entro minori spaccature. Quello di Porto Sottonaera è pure entro spaccatura nella stessa trachite del precedente. Esso è costituito da due filoucelli mineraliferi principali, di un decimetro di spessore, ricchissimi in minerali misti, con galena predominante. La ganga quarzosa è cristallizzata. La roccia includente i filoni metalliferi di Cala Ittiri è un tufo trachitico con inclusi di trachite e di roccie scistose, simili alle paleozoiche dell’isola. I filoni quarzosi e le intrusioni filoniane di trachite che si trovano in questa roccia costituiscono un sistema di ben 20 metri di potenza. I minerali sono i medesimi della località precedente; sempre vi predomina la galena e i suoi de- rivati. Alla ganga silicea si unisce scarsamente la calcarea. A Porto Baosu il filone sta tra roccia trachitica bigio-nerastra e trachite di color più chiaro e contiene diversi minerali di rame e di ferro, la silice e spesso calcedonio bianco-azzurrognolo a struttura mammellonare. A Cala Suboi si trova una vena di minerali misti, fra cni predomina la pirite e suoi derivati ; segue la galena, la calcopirite, minerali di manganese ecc. il tutto accompagnato da cristallini di quarzo. I due giacimenti di Punta Chirigoris e di Caia Penugu appartengono ad uno stesso filone interrotto da una vailetta. II minerale principale è galena in grossi cristalli ed in vene di 3 a 4 cm. di spessore; vi sono inoltre blenda e derivati, psilomelano, ossidi di ferro e quarzo. — 155 — La roccia incassante è verde-scura, compatta, omogenea ed alterata ; 1’ autore ne descrive dettagliatamente la composizione. Egli ritiene che i giacimenti delle tre prime località facciano parte di uno stesso filone. Invece i due filoni di Porto Baosu e di Cala Suboi corrispondono ad altre spaccature secondarie. Riguardo al tempo in cui avvenne la mineralizzazione nel materiale tra- chitico, l’autore la ritiene avvenuta contemporaneamente all’ultima estravasione delle trachiti porfiriche antiche, riportando a quest’epoca l’origine delle spac- cature, e cioè alla fine dell’eocene. In uno schizzo topografico che correda la nota sono indicate la posizione dei filoni e la natura della roccia. È inoltre rappresentata con due figure nel testo la distribuzione dei minerali in sezioni trasversali dei due filoni di Porto Sottonaera e di Porto Baosu. De Angelis d’Ossat Gr. — Sulle condizioni sfavorevoli per i pozzi ar- tesiani tra Roma ed i Colli Laziali. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 9°, 2° sem., pag. 394-402). — Roma, 1904. L’autore si è proposto di esaminare se sia possibile la riuscita di un foro artesiano nella regione a levante di Roma a monte delle tenute di Cervelletta e di Cecchignola, e compresa tra le falde del Vulcano Laziale e le due vie Col- latina e Ardeatina. Essendo per gli studi di diversi geologi ben conosciute le condizioni geologiche e stratigrafiche in quest’area, egli si limita in questa nota a verificare se tali condizioni soddisfino ai requisiti che si richiedono per la riuscita di un pozzo artesiano. Da questo esame gli risulta che ivi non si verifica la presenza di strati concentrici a bacino, avendo gli strati uniforme e lieve pendenza ; che i disturbi tettonici nella parte superiore da cui dovreb- bero pervenire le acque tolgono che esse possano acquistare la superficie pie- zometrica necessaria. Dalle ricerche idrologiche risulta che le falde acquifere sono poche e di poca entità e che soltanto quella in rapporto colle pozzolane rosse è veramente notevole, ma in condizioni insufficienti perchè la loro superficie piezometrica passi sopra il suolo. Resta quindi esclusa la possibilità di riuscita di un pozzo artesiano nella regione suindicata. lina pianta della medesima e sezioni diverse corredano questa nota. — 156 — Del Campana D. — Faiiniila del Giura superiore di Collalto di Solagna {B rissano). {BoW. Soc. Greol. ital., Yol. XXIIL fase. 2®, pag. 239-268, con tavola). — Doma, 1904. Avendo avuta l’opportunità di rivedere la collezione di fossili del giurese dei dintorni di Solagna fatta dal Secco ed ora posseduta dal 3Iuseo geologico di Firenze, Fautore fa in questa nota la numerazione e la descrizione delle specie da lui esaminate, indicando i piani a cui appartengono e la località. Xell’e- lenco che precede la descrizione sono distinte le specie già citate dal Secco e dal Parona. Da questo elenco risulta che la zona a Peltoceras transversarinm Quenst. non è rappresentata dai fossili raccolti 'finora a Solagna. L’autore os- serva però che alcune delle specie citate furono in altre località trovate in questa zona, ma a Solagna furono rinvenute soltanto nella zona ad Aspidoceras acanthiciim Opp. e quindi dalla loro presenza non può dedursi la presenza del- l’oxfordiano nella località studiata. XelF annessa tavola sono rappresentati in eliotipia ; Pìiylloceras polijoìcnm Ben., Perisphìnctes n. sp. ind. e Aspidoceras sp. ind. cfr. A. Rogosniceiise Zeusch. De Lorenzo G-. — Geologia e geografia fisica delV Italia meridionale (un volume in-8°, di pag. 241). — Bari, 1904. Dato uno sguardo generale alle condizioni geologiche dell’Italia meridio- nale, dalle foci del Garigliano e del Biferno al Capo Spartivento, e fatto cenno degli studii eseguiti e pubblicati su di essa. Fautore ne intraprende la descri- zione generale sommaria dividendola in sei capitoli, e cioè : 1® Distribuzione, natura, tettonica e genesi dei terreni cristallini fonda- mentali, ampiamente rappresentati in Calabria. 2° Formazioni mesozoiche, dalle dolomie, del Trias alle grandi masse calcaree giuresi e cretacee che tanta estensione hanno nella regione. 3® I terreni del terziario inferiore e medio, costituiti in gran parte dal cosidetto fliscìi, di triste fama a causa delle frane. 4° Il terziario superiore, o pliocene, ed il pleistocene, altrimenti detti depositi subappennini, estesi specialmente lungo i versanti del Jonio e dell’A- driatico, e raggiungenti talora altezze superiori ai 1000 m. 5® I depositi quaternari con formazione dei grandi piani diluviali, dei ghiacciai e dei laghi. 6® Le formazioni vulcaniche tanto sviluppate nel golfo di Xapoli, nel monte di Boccamonfina, nel gruppo del Vulture. — 157 — Altri due capitoli sono dedi(;ati allo svolgimento delle trasformazioni en- dogene ed esogene e degli effetti che ne derivarono, e ne derivano tuttora, in questa parte d’Italia. JN'elle conclusioni è poi tratteggiata succintamente la storia geologica della regione. IN'umerose figure intercalate nel testo aiutano efficacemente la intelligenza dei fatti descritti. De Lorexzo G^. — The historij of volcanic action in thè Phlegraean Fields. (The Quarterlv Journal of thè Geol. Soc., Voi. LX, n. 239, pa- gine 296--315, con 3 tavole). — London, 1904. Descritto il paesaggio che presenta il golfo di Xapoli nei suoi aspetti di- versi per origine e per costituzione geologica, la penisola di Sorrento e l’isola di Capri, la zona compresa tra Fischia e Xapoli, ed il Vesuvio, l’autore espone quale fosse la configurazione che questo golfo presentava al finire del pliocene e aH’inizio del pleistocene quando cominciarono le manifestazioni vulcaniche. La penisola di Sorrento e l’isola di Capri fanno parte della vastissima conca calcarea che include la Campania Felice. Esse sono costituite da dolomiti e da calcari triasici e cretacei, con pochi lembi di terziario antico rimasto nelle parti più depresse; mancano ivi i depositi pliocenici e pleistocenici, la cui esistenza sotto i terreni vulcanici è però rivelata dai blocchi rigettati dal- l’antico Vesuvio e dai pozzi artesiani scavati in Xapoli. Queste formazioni fratturate e piegate in sinclinale, concorrono a formare il fondo del golfo da dove vennero le prime manifestazioni eruttive, cominciate all’Ischia e terminate al Vesuvio. Venendo ai Campi Flegrei, l’autore espone i fenomeni eruttivi che ivi avvennero, dimostrando che essi si seguirono con ordine definito di successione in spazio e tempo, e vi distingue tre «periodi. Le prime formazioni vulcaniche recano i segni evidenti dell’origine sotto- marina e presentano carattere di maggiore estensione e grandiosità. Il depo- sito della prima fase di tale periodo è costituito dal piperno e dal tufo pi- pernoide, che costituisco la piattaforma della Campania. A questo fa seguito l’eruzione di breccie, conglomerati e scorie che presentano traccio di depositi marini. Questi depositi sono coperti da una gran massa di tufi gialli che formano l’ossatura di tutte le colline fra Xapoli e Cuma e costituisce il secondo periodo eruttivo pure sottomarino. Questa eruzione fu seguita da un sollevamento e da una prolungata denudazione. Dopo di che cominciò con un terzo periodo una — 158 serie di eruzioni subaree, formate principalmente da cenere, lapilli e pomici, che costituiscono i tufi grigi, e da poche lave trachiandesitiche. In queste suc- cessive eruzioni l’estensione e l’importanza di esse andarono diminuendo svol- gendosi in area più limitata ed interna. Il centro eruttivo andò spostandosi, dando luogo a crateri concentrici ed eccentrici ed i singoli vulcani andarono diminuendo d’intensità e di estensione dal cratere antico d’Agnano all’ultimo parossismo recente del Monte IS'uovo. Alla dettagliata descrizione dei fenomeni eruttivi, l’autore fa seguire un quadro schematico, nel quale sono indicate in corrispondenza dei tre periodi la natura delle eruzioni e l’indicazione dei diversi centri d’eruzione. Corredano la memoria una piccola carta geologica dei Campi Flegrei, del golfo di napoli ed una tavola di sezioni a colori. De Lorenzo Gt. — L'attività vulcanica nei Campi Flegrei. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3% Yol X, fase. 5 a 7, pag. 203-221). — Xa- poli, 1904. È la riproduzione in italiano del lavoro di cui è dato conto nella biblio- grafia precedente, fatta eccezione delle tavole. Deryieux B. — La formazione geologica di Moncalieri ed il Loess [Colli torinesi), (Atti Acc. pont. dei Nuovi Lincei, Anno LTII, Sess. 1*, pag. 28-32). — Roma, 1904. Fra gli strati di conglomerato dei colli torinesi, l’autore ha rinvenuto presso il Castello di Moncalieri, uno strato di marne argillose gigiastre, nelle quali ha raccolto una serie di fossili, specialmente foraminifere, di cui dà l’elenco e che presentano i caratteri debtortoniano. Ritiene perciò che gli strati ascritti dai geologi alla parte superiore dell’elveziano siano tortoniani. Questa opinione viene confermata dall’osservazione che lo stesso autore ha fatto in una sezione che da Moncalieri per Monte Calvo si estende verso la punta della Maddalena. Dall’esame dei campioni ivi raccolti gli risulta che la formazione geologica di Moncalieri corrisponde a quella tortoniana dei trip oli e delle arenarie di Marmorito (Asti). Tenendo alla questione dell’origine del loess piemontese, rautore lo ri- tiene il prodotto di deposito acqueo in epoca tranquilla e di poca durata, susse- guita immediatamente a movimenti rapidi del suolo che produssero lo sfacelo di una parte degli strati conglomeratici, marno -argillosi e dei tripoli del tor- — 159 - tornano torinese del versante settentrionale; in modo che la parte ciottolosa rimase nel fondo, mentre la parte argillosa si depositò lentamente sul fianco della collina e nella pianura originando il loess. De Stefani C. — Le acque termali di Torrite in Garfagnana. (Boll. Soc. aeoi. ital., Yol. XXIII, fase. pag. 117-148). — Eoma, 1904. Il terremoto del 4 marzo 1902 fece ricomparire presso Torrite, non lungi da Castelnuovo di Garfagnana, una sorgente termale già nota in tempi passati e che dicevasi scomparsa in seguito a terremoto del 6 marzo 1740. Questa sorgente scaturisce alle falde delle Alpi Apuane a 600 metri circa superiormente al paese di Torrite nella valle di Torrite Secca confluente del Serchio. Ivi a livello del torrente e dentro una grotta naturale in parte ampliata, -si aprono diverse bocche della sorgente. Le acque vengono a giorno all’estremo di una cupola di calcare infraliasico fra Leccio e Torrite, quasi al contatto dei residui del Lias inferiore e del calcare nummulitico dell’eocene. Dati alcuni cenni storici dai quali risulta che alla fine del secolo XYI ivi esistevano delle terme delle quali si veggono ancora dei resti di costruzioni, l’autore espone le ricerche da lui fatte sulla portata, temperatura e composi- zione delle acque. ( In una visita fatta circa un mese dopo la ricomparsa della sorgente, l’au- tore riscontrò la presenza di diverse bocche d’acqua con temperatura diversa. La principale e più calda è situata nell’interno della grotta ; ha la temperatura di 33 a 34 gradi, con portata di circa litri 1.5 al 1". Essa è limpida, con sa- pore leggermente salato. Da analisi fatta dal dott. A. Erassi risulta che i prin- cipali suoi componenti sono il cloruro di sodio e il solfato di soda. Esposte poi in dettaglio le osservazioni fatte successivamente nelle diverse scaturigini, sulla portata, temperatura e salsedine dal 9 aprile 1902 al 4 aprile 1903 in rapporto colle condizioni del torrente, l’autore viene alle considerazioni generali seguenti: La scomparsa e ricomparsa di tale sorgente e le variazioni di portata e di temperatura che in essa si verificano in seguito a terremoto, provengono da vibrazioni nella parte più superficiale del suolo in corrispondenza ad interstizi ed a massi franati od a roccie staccate fra loro che non fecero già scomparire la sorgente, ma ne deviarono il cammino esteriore facendola sgorgare in punti più bassi e mescolandola ad acque dolci e fredde. Yenendo ad occuparsi dell’origine della mineralizzazione e della tempera- tura di queste acque, istituisce dei confronti con altre acque minerali aventi — 160 — caratteri simili, delle regioni vicine, e trova che l’acqua della Torrite Secca ha molta affinità colle acque di Agnano e di Uliveto (calda) nel Monte Pisano e dei Bagni Parlanti a Monsummano, che escono da calcari infraliasici e per le quali presenta un quadro dei componenti principali. Ciò farebbe credere che sieno eguali le cause della loro mineralizzazione e che queste risiedano nei cal- cari medesimi. Quanto alla loro termalità l’autore espone le ragioni per le quali» senza escludere il possibile parziale aumento di temperatura per effetto del ca- lore interno, crede che parte delle sorgenti di cui si occupa, acquistino calore in regioni poco distanti dalla superficie per cause chimiche e pei fenomeni stessi che producono la mineralizzazione. De Stefani C. — Gli strati marini della Cava Massanti al Ponte Molle. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. 5% Yol. XIII, fase. 6°, sem., pa- gine 247-255). — Eoma, 1904. La sezione messa allo scoperto da questa cava, situata sulla destra del Tevere poco a monte di Eoma, è, secondo l’autore, la seguente dal basso in alto : 1® Una arenaria turchina o giallastra a cemento calcareo (detta dai cava- tori selcio), in banchi regolari, alternanti con banchi di sabbia : è ricca di mol- luschi marini, specialmente del genere Pectimcnlus, ed apparterrebbe al post- pliocene inferiore (Monte Mario). 2® Banco di sabbie calcarifere, con ciottoletti calcarei e arenarie, lamelle di mica, frammenti di cristalli di augite, qualche pezzo di tufo verdognolo, con probabile provenienza dal Vulcano Laziale. 3® Uno straterello di marna, a superfici irregolari, priva di elementi vulcanici, con grossi Cardinm Lamarcld Eeeve e altri fossili. Essa è concor- dante col selcio, però alla estremità è compenetrata dalle ghiaie che seguono. 4® Una massa di ghiaie, alta m. 4, spesso cementata nella parte inferiore, in una compatta puddinga ; vi si vedono abbondanti materiali vulcanici, ivi compresa la leucite. Contengono pure lenti di marne a fossili salmastri, ana- loghe alla precedente, che vanno impiccolendosi col procedere verso l'alto, sino a ridursi in frammenti e quindi scomparire del tutto. Entro le ghiaie si rac- colsero avanzi isolati di grossi mammiferi appartenenti ad un post-pliocene non molto antico. 5® Chiude la serie una potente formazione di tufi ricoperti da un banco di pomici nere. L’autore conchiude con alcune considerazioni su questa serie, deducendone che i fenomeni orogenetici della regione sono molto recenti, forse attuali. — 161 - De Stefani C. — Oli strati subterrestri della Cava Massanti al Ponte Molle. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 7°, 1*^ sem., pag. 319-325). — Eoma, 1904. Continuando la descrizione della sezione di cui sopra, l’autore osserva che nelle ghiaje abbondano calcari ceroidi del lias inferiore, selce scura del lias medio, selce rossa del lias superiore o giurese, ma vi manca il calcare nummu- litico : vi sono poi massi di tufo compatto, con sanidino, scarsa leucite, rara mica, minutissimi frammenti di augite, insieme con pomici, simili a quelle del sistema Sabatino, completamente caolinizzate : nella sabbia, talora indurita e di- sposta a piccoli banchi, si nota della biotite, frammenti di augite, ed abbon- dante leucite, materiali che potrebbero provenire anche dal sistema Laziale. Pro- seguendo ad est, cioè verso Tor di Quinto le ghiaje assumono stratificazione oriz- zontale e sempre più regolare, sono più piccole e somigliano a quelle attuali dell’Aniene: vi mancano gli elementi di arenaria {selcio) e di marna di Cardinm, mentre vi compare il calcare nummulitico e qualche masso isolato di tra- vertino. Più avanti le dette ghiaje cedono il posto al travertino, che penetra pure negli strati di tufo e talvolta li sostituisce del tutto, alternandosi con sabbia vulcanica e con marna d’acqua dolce: contiene sempre abbondanti resti vege- tali e talora molluschi. Come è detto sopra, alle ghiaje si sovrappone un tufo tenero con spessore di ben m. 7, compenetrato e talvolta alternante, od intieramente sostituito, dal travertino. Alle cave, dette appunto del travertino, il tufo anzidetto è coperto da altro tufo con massi di trachiti e di pomici nere a cristalli di sanidino pro- veniente dai vulcani Sabatini, e che raggiunge talora l’altezza di m. 10. Dal complesso dei fatti osservati l’autore induce la presenza del mare, o per lo meno di lagune littorali, in tempi a noi vicinissimi e d’assai posteriori alle prime eruzioni vulcaniche, le quali sarebbero abbastanza antiche perchè sviluppatesi fra la formazione delle arenarie marine e quella delle prime marne salmastre. In seguito la regione divenne uno stagno con abbondanti sorgenti calcarifere, e invaso da fiumi, trasformato poi in terra emersa per azione di questi e del sollevamento del suolo, con successiva erosione del corso del Te- vere, così obbligato ad aprirsi una strada verso il mare. Passati i primi tempi postpliocenici, fino quasi a noi, il piano d’onde poi si formarono i colli di Eoma presentò presso a poco e nel suo complesso le stesse condizioni delle attuali Paludi Pontine. - 162 — De Stefani C. — Sui poszi dì petrolio nel Parmense e sulle loro spese d'‘ impianto e di esercizio. (Griornale di Greol. pratica, Tol. II, fasci- colo 1-2, pag. 1-22). — Perugia, 1904. Sono in questa nota descritte le miniere petroleifere dalla provincia di Parma visitate dall’autore nel 1900. Sono quelle di jN'eviano de’ Rossi e Can- fratico, Ozzano, Case de Rossi e Yizzola, Rivolta, S. Michele di Cavana e Torre di Traversetolo. Di esse l’autore fa un breve cenno storico, indicando i pozzi e le perfo- razioni artesiane eseguite, la quantità di petrolio che se ne estrasse, i terreni ove furono praticate, che in generale sono miocenici o pliocenici, notando però che il petrolio proviene dai terreni eocenici sottostanti. Si occupa quindi delle spese d’impianto e col loro ammortamento^ nonché della probabile durata di produttività loro, basandosi sugli studii fatti intorno ai petroli nei diversi paesi dell’Europa e dell’America. De Stefani C. — Galleria filtrante n^l gabbro delP Imprnneta presso Firenze. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Memorie, Yol. XX, pa- gine 174-185). — Pisa, 1904. Questa galleria della quale già si occupò il Trabucco (vedi Biì)l, 1908) è aperta nel poggio di Sant’Antonio all’Impruneta, costituito quasi per intero da eufotide. Tale roccia piuttosto permeabile e divisa da una zona di alberesi e scisti formanti parte di una piega assai stretta, è accompagnata da serpentina al- terata che fu pure incontrata dalla galleria e che è meno permeabile del- l’eufotide. Dalla disposizione di questa eufotide che forma cappello alle roccie sedimentari argillose impermeabili costituenti la parte inferiore del poggio, ri- sulta evidente che le acque penetrate nella parte superiore formano uno strato più o meno regolare a contatto con le sottostanti ed escono all’esterno secondo le linee di affioramento di queste. Accennato ai lavori eseguiti finora e alla portata dell’acqua di stillicidio della galleria e dal pozzetto ivi scavato, l’autore esamina la possibilità di au- mentarne la portata, col prolungare la galleria, col praticare un nuovo pozzo o coll’approfondare quello attuale, e ne conclude che la grave spesa che im- porterebbero i lavori di prolungamento della galleria e della costruzione di un nuovo pozzo non corrisponderebbe al lieve vantaggio che se ne trarrebbe e che di poco si avvantaggerebbe la portata coll’approfondare l’attuale pozzo. — 163 — De Stefani C. — La linea direttissima da Genova alla Valle del Po. (Griornale di Greol. pratica, Yol. II, fase. 6, pag. 204-212). — Pe- rugia, 1904. L’autore, essendosi occupato della geologia delle regioni che devono essere attraversate dalla nuova ferrovia da Genova alla Yalle del Po, con criteri di- versi da quelli di altri geologi, espone in questa nota il suo modo di vedere sul tracciato dei due progetti presentati, cioè quello per Iso verde -Yoltaggio- Gavi-Yovi e quello per Rigoroso-Tortona, in quanto riguarda ia galleria attra- verso l’Appennino. Egli basa le sue osservazioni sui fatti seguenti, e in seguito ai suoi studi è portato ad affermare che: 1° Il crinale geografico dèi monti a settentrione di Genova non coincide affatto con un anticlinale geologico; anzi è normale alla direzione degli strati. 2° I calcari marnosi di Genova o calcari ad Helmìnthoidea sono più an- tichi degli scisti argillosi o argille scagliose di Yal Polcevera e formano una piega convessa od anticlinale al disotto di questi. 3® L’ala occidentale dei detti calcari marnosi è invertita e parzialmente rovesciata al disopra degli scisti argillosi di Yal Polcevera più recenti. Quanto al primo progetto l’autore si limita a rilevare gl’inconvenienti re- lativi alla maggiore percorrenza e alla quota di valico più elevata che nel secondo; del resto il preventivo per la galleria progettata fondato su basi più certe e rigorose è preferibile. Riguardo al secondo osserva come quasi per intero la grande galleria at- traversa le argille scagliose, delle quali sono ben noti i caratteri fisici niente favorevoli alla stabilità dei lavori, come ne fanno prova le opere finora ese- guite in simili condizioni. Gli spostamenti a cui furono soggette tali roccie nel bacino della Polce- vera sono resi evidenti dalle inversioni, per le quali i calcari marnosi ad oriente si sono riversati sopra le argille per modo da sembrare più recenti. Accenna poi alle difficoltà che potranno incontrarsi per lo sviluppo di gas infiammabili, come avvenne al Borgallo e altrove, per concludere che il preventivo fissato per la galleria di Rigoroso debba ritenersi come minimo, dovendosi prevedere estesi e poderosissimi movimenti di roccie. Osservando infine che ad oriente della Polcevera, da Genova per il Bi- sogno e per la Scrivia, si estende una massa di calcare marnoso, l’autore prò ■ porrebbe un terzo tracciato un poco a levante delle gallerie attuali, il quale senza troppo allontanarsi dall’imbocco nord di Rigoroso salendo per la valle — 164: — del Bisagno, sottopasserebbe l’alta Scrivia e la Vobbia e uscirebbe nel torrente Spinti o direttamente nella Scrivia a monte di Pietrabissara, colla galleria aperta totalmente nei calcari marnosi. Di Franco S. — La gmelinite dì Ad Castello. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 11, 1^ sem., pag. 640-612). — Roma, 1904. — Idem. (Rivista di min. e crisi, ital., Yol. XXXII, fase. 1®, pag. 7-9). — Padova, 1905. Questo minerale, nuovo per quelle contrade, fu rinvenuto entro cavità dei basalti dei dintorni di Aci Castello (provincia di Catania) insieme con arago- nite e alcune zeoliti, specialmente phillipsite. I. cristalli di gmelinite sono bel- lissimi e non inferiori per nitidezza a quelli analoghi del Yicentino. Essi pre- sentano diverse forme, fra le quali una (1122) nuova per l’Italia e un’altra (0001), solitamente rara, vi è molto sviluppata e splendente, per modo da dare dei cristalli molto appiattiti. Sono poi dati in una tabella i valori angolari misurati e calcolati, come pure le figure di tre cristalli, fra i quali uno geminato, avente tutto l’aspetto di quelli di tridimite. Di Milta R. — Fenomeni carsid e pseiidoviilcanid del Monte San Calo- gero di Sdacca. (Atti Acc. G^ioenia di Se. nat., S. 4^, Yol. XYII, Mem. X, pag. 1-30). — Catania, 1904. Questo monte, che si eleva quasi isolato a 3 chil. a nord-est di Sciacca, è costituito, in basso da calcare titonico, in alto dal neocomiano, e vi abbon- dano i fenomeni carsici, rappresentati da piccole grotte che l’autore descrive particolareggiatamente. Sulla vetta havvi una di queste grotte, da cui emana una colonna di vapore, circondata da fumarole, e tale da dare al monte, visto da lungi, l’aspetto di un vulcano. Al piede del monte, poi, si trovano sorgenti di acque termo -minerali, le quali pare sieno in relazione con ima frattura di rigetto. Dalla descrizione che ne fa l’autore apparisce che le fumarole allineate sul dorso e sui fianchi del monte, come pure la grotta vaporosa, sono solu- zioni di continuità prodotte da acque d’infiltrazione lungo due diaclasi secondo gli assi del monte stesso, e che le fumarole disseminate presso la grotta deri- vano da altre soluzioni di continuità su diaclasi irradianti dal centro. — 165 — Chiudono la memoria alcuna considerazioni sulla genesi del fenomeno, che l’autore ritiene dovuto ad infiltrazioni acquee per meati diversi dalle bocche fumanti. Di Stefano Gr. — Osservazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel circondario di Rossano. (Memorie descrittive della Carta geo- logica d’Italia, Appendice al Yol. IX. Un volume di pag. 120 con tavola). — Roma, 1904. Sono osservazioni fatte sino dal 1898, nello scopo di rettificare parzial- mente le indicazioni geologiche di alcuni fogli della Calabria che allora erano di imminente pubblicazione, e precisamente di quelli portanti i numeri 220, 222 e 230 e relative tavole di sezioni. La memoria è divisa in due parti dedicate rispettivamente alla Calabria settentrionale e al circondario di Rossano, nello quali è esposto il risultato delle osservazioni fatte in dette regioni, che qui sarebbe troppo lungo di rife- rire, il tutto corredato da elenchi di fossili. Seguono le conclusioni, nelle quali sono riassunti i risultati della fatta revisione ed i mutamenti apportati alla Carta rilevata dal Cortese e, subordinatamente, anche a quella del Fucini pel circondario di Rossano (vedi 1896). Xella tavola unita sono disegnate cinque nuove sezioni geologiche attra- verso la Calabria settentrionale e che ne mostrano la intima struttura. Doelter C. — Axinit vom Monsoni. (Tschermak’s Min. und. Petr. Mittheil., XXIII B., 2 H., pag. 217). — Wien, 1904. Avendo l’ untore nella sua memoria sui Monsoni e le loro roccie (vedi Bihl. 1893) accennato con dubbio alla presenza della axinite in cavità entro la pirossenite presso la gola della Ricoletta, egli viene ora a togliere ogni dubbio e ad assicurare che questo minerale vi fu effettivamente trovato. Doelter C. — Nachtrag su meiner Monsonikarte. (Yerhandl. k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1904, n. 13, pag. 303-304). — Wien, 1904. In questa appendice alla niemoria anzidetta l’autore accenna alla presenza di alcuni altri filoni di camptonite e melafiro, nonché a qualche piccola modi- ficazione da farsi alla Carta geologica che vi è annessa. — 166 — Eastman C. E. — Description of Bolca fisJies. iBull. Mus. Comp. Zool. Harward College, Yol. XLYI, 1, pag. 1-36, con 2 tavole). — Cam- bridge, 1904. Premessa una prefazione storica degli studi geologici e paleontologici fatti sul classico giacimento del Monte Bolca, l’autore passa alla descrizione delle specie di ittioliti esistenti nella collezione del conte Grazola, attualmente nel Museo di storia naturale a Parigi, e di quelle illustrate da Serafino Yolta nella sua Ittiolitologia veronese, ammontanti in complesso a circa 200. Particolar- mente descritte e rivedute sono le seguenti; Platgrhina gigantea Blv., Trggon miiricatiis Yolta, Urolophus crassicaudatns Blv., Carchavias {Scoliodoìi) Cnvieri Ag., Monoptenis gì gas .'Volisi, Holosteiis esocimis Ag., Caraiix primaems n. sp., Sgm- phodus Ssajnochae De-Zigno, Pggaeiis Agassisi n. sp., Histioiwfophorns Bassani De-Zigno, Diodon erinaceus Ag. Xelle due tavole sono riprodotte le forme delle specie più interessanti. Fabiani E. — Cenni preliminari sui fenomeni carsici della regione posta fra Priàbona, Cereda e Valdagno. (Atti E. Istituto veneto, S. 8^, T. YI, disp. 6% pag. 727-731). — Yenezia, 1904. La regione della quale l’autore si occupa è costituita quasi totalmente dalle formazioni dell’eocenee dell’oligocene inferiore, e solo presso Yaldagno vi affiora un lembo di scaglia del cretaceo. Havvi cioè : L’eocene medio (Lu- teziano) con calcari a nummuliti, basalti e tufi basaltici costituenti la base di tutta la regione ; 2® L’eocene superiore (Priaboniano) con tufi e grande svi- luppo di marne e calcari marnosi, in vari punti coperti da basalti e tufi ba- saltici ; 3® L’oligocene inferiore (Sannoisiano) con una potente massa di calcari compatti, con basalti e tufi intercalati. I calcari oligocenici sono attraversati da gran numero di diaclasi, gene- ralmente normali al piano di stratificazione e in rapporto con numerosi feno- meni carsici, in particolare doline di forma allungata e coincidente con la direzione delle diaclasi. Degno di menzione è il fenomeno detto della Stornila dal monte omonimo, consistente in una grande spaccatura verticale, evidente allargamento di ima diaclase, a metà circa della retta Yaldagno-Priabona, la quale isola dal monte un gran blocco calcareo per causa di lento scivolamento. Xella zona più bassa della regione poi sono frequenti le grotte, non solo nel calcare oligocenico ma anche nell’eocene superiore e medio. — 167 — Ferearis B. — Le sorgenti del nucleo cambriano delV Iglesiente. (Reso- conti riunioni Ass. mineraria sarda, Anno IX, n. 4, seduta 17 aprile 1904, pag. 8-9). — Iglesias, 1904. Riferendosi a quanto l’ing. Merlo espose in un suo lavoro antecedente (vedi più avanti) l’oratore osserva che ognuna delle sorgenti del nucleo cen- trale cambriano è in rapporto con un banco calcareo intercalato nelle arenarie cambriane, e che quindi le medesime non funzionano da filtro : inoltre i banchi più potenti sono prossimi al contatto fra l’arenaria e il calcare metallifero e servono a immagazzinare le acque piovane scorrenti a monte degli affioramenti. Lo studio di questi banchi calcarei, che si presentano a vari orizzonti nel nucleo centrale, è del massimo interesse perchè da essi si può inferire la profon- dità alla quale si dovrebbe ricercare il terreno metallifero sotto il cambriano. A tali osservazioni replica l’ ing. Merlo in altra seduta (vedi n. 6, seduta 19 ghigno 1904) accettandole in parte. Fino Y. — Notizie mineralogiche sulle Valli di Lamo (in Le Valli di Lanso, pubblicazione del Club Alpino italiano, pag. 491-507). — To- rino, 1904. L’autore distingue nelle Valli di Lanzo tre categorie di materiali, e cioè: V Minerali metalliferi. — Oro, disseminato nello gneiss antico dell’alta valle di Oroscavallo; argento, in minerali diversi anticamente scavati nella regione ; rame, in forma di calcopirite e malachite, più raramente di tetraedrite e di erubescite, in località diverse ; traccio di galena e di blenda associate alla calcopirite; solfuro di rame ed antimonio (tetraedrite) in piccola quantità; mi- nerali di cobalto e nichelio, un tempo estratti in notevole quantità e lavorati per la fabbricazione di un colore molto pregiato ; ossidi di manganese abba- stanza sparsi nei monti circostanti a Lanzo, oltre a rodonite in forma di ciot- toli neri alla superficie ; ferro, molto sparso in tutte le valli, allo stato di oli- gisto, di magnetite, di siderite, di pirite, di pirrotina. 2° Prodotti di cava. — Amianto, molto sparso in queste valli e incluso nella serpentina in nidi di non grande potenza; giobertite in arnioni nelle roccie serpentinose e Iherzolitiche, che servì già nella fabbricazione di una porcellana vetrosa ed ora a quella di materiali refrattari ; la pietra oliare e il talco di diverse località, in rapporto con le roccie serpentinose ; infine la grafite in lenti commista con clorito ed antibolo. Altri prodotti di cava sono la pietre da taglio (gneiss, calcescisto, micascisto), quelle da macina, la pietra da calce, la lignite. — 168 — 3*^ Minerali diversi. — Sono questi la calcite, l’apatite, il quarzo, l’opale, la resinite, la tormalina, il diopside, lo sfeno, la clorito, la prehnite, i granati, l’idocrasia, l’epidoto, la zoisite, i feldspati ed altri. Elores e. — Mammiferi fossili delle stagioni preistoriche di Molfetta [Prov, di Bari) (pag. 18 m-8® con tavola). — Trani, 1901. Sono descritti i molti avanzi di mammiferi rinvenuti nel noto Pulo di Molfetta e nell’adiacente fondo Spadavecchia, tutti di specie affini alle viventi ; dalle quali, insieme con gli oggetti preistorici ritrovativi, l’autore deduce l’età neolitica del deposito. IN’ella tavola annessa sono riprodotte alcune ossa lavorate. Folco C. — Diabase di Mortuoi. (Resoconti riunioni Ass. mineraria sarda. Anno IX, n. 2, sedute 7 e 21 febbraio 1901, pag. 11-12). — Iglesias, 1901. Questa roccia, formante un dicco di circa m. 1.50 di potenza, consta di una pasta microcristallina grigia nella quale sono disseminate pustole biancbe e cristalli verdi scuri ; le prime sono di calcite, gli altri di augite. Il magma è costituito da minuti cristallini allungati, fra loro intrecciati, di plagioclasio in- termedio tra la labradorite e l’anortite. Concordando i risultati dell’analisi chimica con quelli avuti dal microscopio, l’autore conchiude trattarsi di una diabase a mandorle di calcite. (Vedi più sopra S. Ber folio). Fornasini C. — Distribuzione delle testilarine negli strati miocenici di Italia. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIII, fase. 1°, pag. 89-116). — Roma, 1904. Facendo seguito ad altro lavoro sullo stesso argomento (vedi Bihl. 1903) l’autore riferisce e coordina nel presente le osservazioni altrui e proprie fatte sulle testilarine note nei sedimenti marini miocenici d’Italia, corredando tale sinossi con note critiche e notizie sulle specie di diagnosi non ancora sicura a causa del loro stato di conservazione. Importanti osservazioni sono poi fatte sulle marne biancastre dell’alta Valle del Tevere, della Calabria, della Sicilia, esprimendo il dubbio che queste ultime, ritenute come plioceniche, possano invece appartenere al miocene medio o langhiano. — 169 — In un prospetto sono infine riassunte le ricerche finora eseguite sulle testi- larine del miocene italiano, in rapporto alla loro distribuzione nelle singole località. L’autore osser\^a infine che certe specie sono comuni al miocene e al pliocene, e che la loro presenza non è sufficiente a stabilire l’età degli strati che le contengono. Fraas B. — Contributo allo studio delle anageniti delV Iglesiente. (Reso- conti riunioni Ass. mineraria sarda, Anno IX, n. 9, seduta 18 di- cembre 1904, pag. 6-7, con tavola). — Iglesias, 1904. E’ il risultato dell’esame di alcuni fossili raccolti nelle anageniti presso Gonnesa. che l’autore riconobbe per coralli e spugne appartenenti rispettiva- mente ai generi C.oscinocyathus e Propharetra, decisamente cambriani. Questo terreno verrebbe quindi a trovarsi, con stratificazione rovesciata, sopra gli scisti siluriani di Gonnesa. L’autore è poi di parere che l’anagenite sia da ri- guardarsi piuttosto come una breccia di stritolamento formatasi lungo una grande linea di scorrimento del cambriano sul siluriano. Due profili del Monte Lisau, disegnati nella tavola unita, esprimono ap- punto questo modo di vedere. Frat^^chi S. — Nuovi affioramenti di Trias e di Lias in Valsesia e nel Biellese. (Boll. R. Comitato Greol., Yol. XXXY, fase. 1^, pag. 4-21, con tavola). — Roma, 1904. Le osservazioni fatte portano l’autore a modificare i limiti di alcune delle masse di calcari triasici della bassa Yalle Sesia e specialmente di quelle di Crevacuore e del Colletto di Guardabosone, ed a rilevarne alcuni nuovi lembi l’uno presso Yalduggia, l’altro al Sasso Bianco (quarziti, anageniti e calcari) presso Grignasco. Il Trias inferiore, direttamente sovrapposto ai porfidi oltre che al Sasso Bianco è rappresentate come al Monte Fenera da arenarie ad elementi di porfido fra Sostegno e San Giorgio. L’identità litologica e microfaunistica di una formazione calcarea distintis- sima dai calcari dolomitici del Trias nel bacino di Sostegno colla formazione liasica del Monte Fenera, lo porta ad affermare l’esistenza di un esteso lembo di Lias fra Casa del Bosco e Roasio. Pure basandosi sull’identità sopraccennata egli ha riferito al Lias un inte- ressante piccolo lembo di calcari a spicule di spugne con lenticciuole ligniti- 12 - 170 - che, in fondo alla Strona di Yalduggia presso la strada di Tal Cremosina a circa un chilometro da quel villaggio, e completamente isolato in mezzo ad una vasta plaga di gneiss e micascisti a granato e staurolite. L’autore opina che i rapporti altimetrici di quei lembi di terreni secon- dari oltre che a trasgressioni, siano dovuti a fratture con rigetti considerevoli. Confermerebbero tale modo di vedere la grande faglia che si osserva al lato orientale del Monte Fenera, fra i monti che sono a tergo di Grignasco e la valle Crabbia, con rigetto non inferiore a m. 300 e la rete di fratture osservate nella regione dei laghi prealpini. Franchi S. — Ancora siilVetà mesozoica della sona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali. (Boll. R. Comitato Geo!., Yol. XXXY, fase. 2°, pa- gine 125-179, con 2 tavole). — Roma, 1904. Con questo lavoro l’autore confuta le osservazioni recate dall’ing. Zacca- gna a sostegno dell’età arcaica della zona delle pietre verdi in alcune note pubblicate nello stesso Bollettino fra il 1901 e il 1903 ; e con nuove osserva- zioni, tratte dalla combinazione di precedenti profili dell’ing. Zaccagna (1887) con ritrovamenti di fossili da lui fatti posteriormente, dimostra come l’età arcaica di quella formazione sia oramai insostenibile. Egli insiste di nuovo particolarmente sull’intercalazione di calcescisti a calcari fossiliferi, sul passaggio graduale per successive intercalazioni del Trias superiore fossilifero ai calcescisti con pietre verdi e sulla evidente intercala- zione di numerosi banchi di breccie ad elementi di calcari dolomitici del Trias in una vasta zona di calcescisti pure con pietre verdi. Ricorda infine ancora come le disposizioni e successioni stratigrafiche che si osservano nel tunnel del Moncenisio e nella valle dell’ Are ed alla Grivola, e la identità litologica della zona di Courmayeur, posta nel Trias da Zaccagna, colla zona delle pietre verdi delle Alpi Cozie, siano delle conferme convincenti dell’età secondaria di questa estesissima formazione. L’autore conferma quindi, precisandole meglio, le conclusioni formulate nel suo lavoro del 1898 sullo stesso argomento, intese ad affermare l’età secon- daria (triasica e liasica) della zona dello pietre verdi. Franchi S. — Le pietre da coti di Villa del Bosco nel Biellese. (Ras- segna mineraria, Yol. XXI, n. 3, pag. 33-36). — Torino, 1904. Le pietre da coti dette di Borgosesia sono tratte da banchi calcari del Lias zeppi di spicule di spugne calcaree e silicee, identici a quelli del Lias 171 — fossilifero di Monte Tenera. Alla silice di tali spugne, uniformemente distri- buite nella roccia, ma in modo assai vario da banco a banco, sono appunto dovute le proprietà industriali di quelle roccie. La maggiore o minore preva- lenza delle spugne silicee impartisce una durezza variabile per cui si hanno qui pure varietà dure e tenere come nel Bergamasco, dove le buone varietà di quelle rinomatissime coti sono pure calcari a spicule di spugne. L’autore parla dell’utilità dello studio microscopico per avere un criterio delle proprietà industriali delle pietre da coti, di cui alcune di natura arena- cea sono assai meno pregiate pure presentando costituzione chimica molto ana- loga a quelle con spicule di spugne. Da ciò la preferenza a darsi allo studio microscopico sui saggi chimici di cui almeno quello dovrebbe essere il neces- sario completamento. Egli esprime pure la speranza che i banchi a spicule di spugne del Monte Tenera per la loro grossezza e la più facile estrazione di quelle di Casa del Bosco possano permettere, oltre che quella delle coti, la produzione di mole cir- colari pari a quelie del Bergamasco. Traxchi S. — Aiiflbolo secondario del gruppo della glaiicofane derivato da orneblenda in una diorite di Valle Sesia. (Boll. K. Comitato G-eoL, Yol. XXXY, n. 3, pag. 242-247). — Roma, 1904. Presso il loro limite nord- occidentale le dioriti della grande zona detta d’Ivrea sono potentemente laminate e metamorfosate con trasformazione in roccie varie fra cui alcune analoghe alle prasiniti. In alcuni campioni dei pressi di Scopello l’autore potè constatare che l’anfibolo bruno della diorite è parzial- mente trasformato in antibolo violetto del gruppo della glaucofane, quindi in un antibolo attinolitico. I tre antiboli si osservano talora isoorientati, quello bruno formante un nucleo interno, quello violetto una zona mediana e una esterna quello attinolitico. L’autore deduce dal fatto la natura probabilmente sodica dell’anfibolo bruno originario. (Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (^30 giugno 1905) LIBRI Bollettino del R. Comitato teologico; Yol. I a XXXY, dal 1870 al 1901. Prezzo di ciascun Tolume L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Yol. I. Firenze 1872. — Introduzione. — B. Gastaldi: Stndii geologici sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla f orinazione terziaria nella zona solflfera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrizione geologica deir Isola d’’ Elba. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Dn volume in-4® di pag. 361 con tavole e carte geologiche . » 35 — Yol. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografia geologica delV Isola d’’ Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfi fera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Alalacologia pliocenica italiana (seguito). — Un volume in-1*^ di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Yol. II, Parte 2^. Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali; Parte seconda. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 — Yol. Ili, Parte M. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponza. — C. De Stefani: Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-l*^ di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche Yol. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia dell’ Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spezia. — Un volume in-4® di pag. 230 con tavole Yol. lY, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica fiuorifera della Campania. — G. Terrigi: / depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole » 10 — » 15 — 8 - — 173 — Voi. IV, Parte 2^ Firenze 1893. — C. A. Weithofer: Pro- hoscidiani fossili di Valdarno in Toscana. — M. Canavari: Idrosoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — IJn volume in-4® di pag. 214 con tavole . . . L. 16 Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia. — Un Amlnme in-8® di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. II. Roma 1886. — B. Botti: Descrizione geologica del- usola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. III. Roma 1887. — A. Farri: Relazione sulle miniere di ferro dell Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria dell Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabiis {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » 8 Voi. VI. Roma 1891. — B. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-petrografica delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Botti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: I vulcani dell Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 8 Voi. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- miìierario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8‘^ di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » 10 Appendice al Voi. IX. Roma, 1904. — G. Di-Stefano : Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8® di pag. 120, con tavola di sezioni » 3 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di lai 000 000, in due fogli : 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L, 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 'N. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio 17. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara delYallo) » 3 » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) ...» 4 » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicattì) ...» 5 » 251 (Cefalù) . . . . » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 » 252 (Naso) . . . . » 4 — » 269 (Paterno) . . . » 5 » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) ...» 3 » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) ...» 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) ...» 4 » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 260 (Ricosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» 3 » 261 (Brente) . . . . » 5 — » 277 (Voto) . ...» 3 Tavola di sezioni R. I (annessa ai fogli 249 e 258) . . L. 4 — » » T7. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » 17. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » IN". IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » 17. Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . R. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio 17. 220 (Yerbicaro) . . E. 3 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 222 (Amendolara) . » 3 — Foglio 17. » 242 (Catanzaro) . . 243 (Isola Capo Riz- znto) . . . co » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 245 (Palmi) . . . » 3 » 229 (Paola) ...» 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 » 231 (Ciro) . ...» 3 — » 254 (Messina). . . » 4 » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . » 4 » 237 (S. Giovanni in F.)» 5 — » 263 (Beva) .... » 3 » Tavola 238 (Cotrone) . . . » 3 — 241 (Yicastro). . . » 4 — di sezioni 17. I (236, 237, 238, » 264 (Staiti) .... 241, 242), T7. II (245, 246, 247, » 3 255, 263), W. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna . . . . . . . L. 4 CO CO — 175 — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. ]Ve sono pubblicati i fogli seguenti Foglio TsT. 201 (Matera) . . . L. 3 — Foglio IN". 213 (Maruggio) . . L. 1 — » 202 (Taranto) . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . » 2 — » 203 (Brindisi) . . . » 3 — » 215 (Otranto) . . . » 1— » 204 (Lecce) . . . . » 2 — » 223 (Tricase) . . . » 2 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — N3. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 'N. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio IN". 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . B. 4 — » 5 — » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a bO 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnnovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 2b 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 »5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 »5 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IVapoli. Di recente pubbUcazSone s. Carta Geologica fl’Italia nella scala fli 1 per 100,000. Ne sono stati pubblicati i fogli seguenti; 127 (Piombino) L. 3 128 (Grosseto) » 4 129 (Santa Fiora) ..... » 5 135 (Orbetello) L. 4 136 (Toscanella) » 5 Tav. I di sezioni » 4 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie IV. — Anno VI. 190 5 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE EE D’ITALIA. Visto il Eegio Decreto del 25 gennaio 1894, IST. 39; Sulla proposta del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio: Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1«. Sono confermati componenti del R. Comitato geologico per il biennio 1905-906, i signori: Bassani prof. Francesco, Capellini prof. Giovanni, Strnver prof. Giovanni, Taramelli prof. Torquato. Art. 2^. 11 prof. Giovanni Capellini, senatore del Regno, è confermato pre- sidente del Comitato predetto per Panno corrente. Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del presente Decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti. Dato a Roma, addi 16 febbraio 1905. YITTOEIO EMAT^UELE. Ea7A. Registrato alla Corte dei Conti addi 14 marzo 1905. Registro 75 - Personale civile, foglio 110. Firmato: G. Maggiore. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO « PARTE UFFICIALE R. Comitato geologico — Vertale ielle aJunanze 5 e 6 glaeo 1905. 5 giugno 1905 — Seduta antimeridiana. La seduta è aperta alle ore 9.45. Sono presenti il presidente Capellini, i membri Bassani, Bucca, Goccili, Gliamas, Issel, Mazzuoli, Parona, Pellati, Striiver, Taramelli ed il segretario Zezi. Il Presidente rivolge un saluto al nuovo membro prof. Bucca ed al colon- nello Gliamas, delegato a rappresentare il direttore dell’ Istituto geografico mili- tare ; dà quindi la parola al Direttore del servizio per la sua consueta relazione annuale. Pellati premette che in osservanza della raccomandazione del Comitato ha in tempo fatto distribuire ad ogni singolo membro la sua relazione in bozze, cosicché potrà ora evitare di entrare in tutti gli argomenti e di scendere a troppo minuti particolari. Accenna però allo studio geologico -minerario dei giacimenti ferriferi della Talle d’Aosta affidato lo scorso anno agli ingegneri Mattirolo, Novarese e Picei e presenta una relazione riassuntiva del Novarese, dalla quale si ricava che si può contare in totale su forse 2,000,000 di tonnellate di minerale ; dice che lo studio sarà continuato nella prossima stagione e poi si darà mano senz’altro alla relazione definitiva, che, corredata da carte, profili e dalle altre opportune illustrazioni, sarà pubblicata fra le Memorie descrittive della Carta geologica analogamente a quanto si fece per lo studio delle antraciti alpine. Accenna pure alla questione relativa alla posizione geologica della zona dei calcescisti delle Alpi e dice che per il figurato della nuova carta nella scala di 1 a 400,000 sarebbe adottato, secondo la proposta fatta altra volta dal- l’ Issel, un temperamento analogo a quello già applicato per la rappresentazione dei triihi della zona a congerie in Sicilia. Ritiene però che questa questione debba essere nlteriormente ventilata, poiché i calcescisti non possono conside- rarsi come caratteristici di un particolare orizzonte geologico, onde la Commis- 2 — 6 — sione, che deve occuparsene, esaminando il maggior numero di località farà opera proficua e potrà forse evitare l’adozione di questo ripiego. Taramelli dice che i risultati dello studio stratigrafico del Sempione hanno confermato i suoi dubbii, poiché una delle tre interpretazioni stratigrafiche che si possono dare della regione ammette appunto l’arcaicità di taluni di questi scisti, onde la convenienza forse di attendere ancora per prendere una deci- sione definitiva. Tuttavia approfitterebbe dell’occasione perchè la Commissione sentisse i due operatori dissidenti, nella speranza che la discussione permetta ancora di ridurre le aree controverse. Pellati trova pratica la proposta, la cui attuazione spera porterà ad una prossima visita sui luoghi. Il Comitato approva. Pellati passa a parlare della progettata nuova edizione della Carta geologica d’Italia al 1,000,000 e della pubblicazione di quella al 500,000 e prega il colon- nello Gliamas di voler dare qualche schiarimento sulle basi topografiche rispettive. Gliamas dice che la carta al 1,000,000 fu compilata nel 1885 quando le ricognizioni ed i rilievi non erano ancora troppo avanzati ed è stata tenuta a giorno solo per le ferrovie e grandi strade ; la carta al 500,000 invece venne regolarmente tenuta a giorno coi rilevamenti. Pel momento l’ Istituto è sopra- carico di lavoro nè potrebbe iniziarne altri prima di 3 anni, dovendo terminare la carta al 200,000 e la trasformazione di quella al 100,000 dal tratteggio allo sfumo. Osserva però che ove l’ Istituto venisse aiutato nella spesa, che si aggirerà sulle 8 mila lire, si potrebbe por mano a tale lavoro in ore straordinarie ed eventualmente con personale straordinario. Pellati, trattandosi di una pubblicazione di interesse generale e non riguar- dante il solo servizio geologico, propone un voto perchè i tre Ministeri interes- sati, e cioè della guerra, dell’agricoltura e dei lavori pubblici, vogliano contribuire a questo lavoro. Il Presidente si associa a questa proposta ed insiste sulla necessità di una buona base topografica. Gliamas dice che non essendo necessaria l’orografia la spesa potrà ridursi alquanto. Il Comitato approva il voto proposto. Pellati ringrazia e dice che alla carta al 500,000, oggetto di un antico voto del Comitato, per la quale 1’ ufficio tiene già in pronto una parte del materiale, ora che la base è aggiornata si potrebbe forse por mano fra non molto. Pellati presenta una parte del manoscritto della Memoria descrittiva delle Alpi Apuane e delle varie appendici annessevi, nonché alcune tavole già in — 7 - corso di stampa. Aggiunge che tale lavoro si può ormai considerare come assicurato e di non lontano compimento. Parla quindi degli impegni assunti per l’Esposizione di Milano del 1900, alla quale l’Ufficio porterà il suo contributo per un’illustrazione tecnico-scien- tifica della regione del Sempione e dell’Ossola. Pellaiì, a proposito della riunione estiva della Società geologica che avrà luogo quest’anno nelle Alpi Gamiche, crede che dato l’ interesse speciale che presentano per il nostro Ufficio le località da visitarsi, sarebbe bene che in tale occasione venisse accordata ai geologi dell’Ufficio ogni possibile agevolazione e spera che il Comitato vorrà emettere un voto in tale senso. Il Presidente trova che si deve facilitare 1’ intervento dei membri dell’Ufficio non solo a questa, ma in generale a tutte le escursioni della Società geologica, essendo fonti perenni di utili discussioni e confronti. Taramelli^ pur plaudendo ai concetti esposti dal presidente, fa risaltare la speciale importanza della regione che si visiterà quest’anno. Il Comitato approva albunanimità il voto proposto. Pellati presenta le prove dei 5 fogli della Toscana in corso di stampa e dice che l’ impressione a colori ne è fatta a Roma solo per la necessità di introdurvi correzioni senza troppo grave perdita di tempo e così si farebbe per gli altri fogli. Gliamas dice che da parte dell’ Istituto geografico non vi saranno difficoltà a fornire i fogli in nero per detta pubblicazione. Pellati, ricordata la deliberazione presa lo scorso anno dal Comitato, che venissero eseguite ricerche paleontologiche e stratigrafiche nel gruppo del Monte d’Ocre (Aquila), dice che queste vennero affidate all’ ing. Crema, il quale presentò una breve relazione al prof. Parona cui fu pure inviato il materiale raccolto. Pregò il prof. Parona di voler fórnire qualche informazione in proposito. Parona ringrazia nuovamente il Comitato per l’accoglienza fatta alla sua proposta ; dice che la fauna attualmente in sue mani è molto ricca e che spera di ultimarne lo studio per il prossimo anno. Aggiunge che recentemente compiè coir ing. Crema una ricognizione in quei luoghi, dove si potè constatare la presenza di strati con Ostrea Joannae Choff. del Turoniano, sovrastanti ai calcari contenenti la fauna in studio. Inoltre sembrerebbe che la bauxite fin qui ritenuta esclusiva dell’ in fracretaceo vi si trovi probabilmente anche nel cretaceo superiore. Con vivo compiacimento ha appreso dalla relazione che l’ ing. Crema venne incaricato di preparare con ulteriori ricerche in detta regione una cartina - 8 — geologica speciale, che sarà di utile corredamento al suo lavoro. Ritiene poi che tali ricerche potranno condurre alla determinazione di altri orizzonti della serie cretacea. Il Presidente ricorda la rinunzia al posto di paleontologo del dott. Di Stefano nominato professore all’ Università di Palermo. ISTon crede tanto facile il sosti- tuire un così valente collaboratore e, lieto che il Ministero non abbia in alcun modo pregiudicato la questione della successione, ritiene che il Comitato sarà ancora dello stesso avviso che lo scorso anno e preferirà che si ricorra all’opera di paleontologi specialisti da designarsi di volta in volta dal Comitato e da com- pensarsi adeguatamente. Apre in ogni modo la discussione. Issel approva questa proposta la cui attuazione potrà valere a migliorare in qualche caso la condizione degli studiosi universitari. Il Presidente, ad analoga raccomandazione del prof. Taramelli, conferma che il Comitato provvederà alle pubblicazioni dei lavori fatti d’ incarico suo, riprendendo, appena occorra, la stampa delle Memorie in-I*^. Aggiunge che, occorrendo per detti lavori visite sui luoghi, a richiesta dei rilevatori o dei paleontologi, le spese relative saranno a carico dell’Ufficio. Dii pare che un tale provvedimento contribuirebbe anclie a stabilire più stretti i rapporti fra il personale dell’Ufficio e gli altri geologi italiani. Biicca approva la proposta, ma notando che spesso il materiale non sarà tale da meritare l’opera di uno specialista, chiede come si provvederà in tali casi. Il Presidente fa osservare che alcuni fra i geologi dell’Ufficio ebbero già ad occuparsi di paleontologia e che all’evenienza il personale potrà sempre rivolgersi direttamente a chi crederà del caso. Pellati a conferma soggiunge che un ingegnere e dottore in scienze natu- rali si dedicò, sia durante i corsi di perfezionamento all’estero sia in Ufficio specialmente di paleontologia. Biiccà prende atto e ringrazia. Il Presidente pone ai voti la seguente proposta che viene approvata alla unanimità : « Al servizio paleontologico presso l’Ufficio geologico sarà, sino a nuove « disposizioni, provveduto ricorrendo ogniqualvolta ne sarà il caso a paleon- « tologi da designarsi di volta in volta dal Presidente del Comitato, ai quali « verranno corrisposti compensi che saranno da lui proposti. All’ordinamento « ed alla conservazione delle raccolte paleontologiche si provvederà, come già « si è fatto per le altre collezioni dell’Ufficio, mediante l’opera di un membro « dell’Ufficio stesso ». — 9 — Pellati proseguendo partecipa di avere dato comunicazione al prof. Do Launaj di alcuni fogli della Toscana da lui richiesti per il suo corso di geo- logia applicata presso la Scuola superiore delle miniere di Parigi ; come pure di aver fornito minerali per varie scuole, ecc. Accenna quindi all’opportunità per varie ragioni di dare un aiuto airinge- gnere Zaccagna per coadiuvarlo nel rilevamento del tratto di Appennino a nord di Genova, al che si provvederà come meglio sarà possibile. Taramelli a proposito dell’incarico affidato all’ing. Baldacci dalla Direzione degli studi per l’acquedotto pugliese, deplora che le relazioni di detto inge- gnere siano state solo parzialmente inserita nelle pubblicazioni del Ministero dei lavori pubblici. Pellati dice che il Ministero dei lavori pubblici si rivolse a quello del- l’agricoltura chiedendo un ingegnere del Corpo delle Miniere per delegarlo a prender parte a detti studi, e questo chiese a sua volta all’Ispettorato di indi- carglielo. Venne designato l’ing. Baldacci per la sua nota competenza e per la particolare conoscenza dei luoghi, avendo già, specialmente riguardo alle sorgenti, avuto occasione di fare studi in materia per la sua ben nota pub- blicazione sul Bacino idrografico del Seie. La relazione del Baldacci venne poi da lui presentata al Ministero dei lavori pubblici, il quale ne tenne conto nelle pubblicazioni della Commissione nel modo che credette più opportuno. Taramelli vede nel fatto da lui lamentato una mancanza verso l’Ufficio geologico; deplora poi che una questione così importante non sia stata sotto- posta dal Governo all’esame del Comitato per la parte che lo riguardava. Massnoli si associa a queste considerazioni, anche perchè si è così perduta un’occasione di dimostrare l’utilità pratica della geologia non troppo ricono- sciuta in Italia. Pellati, senza addentrarsi nel merito della questione, si limita ad osservare che l’amministrazione dei lavori pubblici crede di aver provveduto sufficien- temente agli studi dell’acquedotto pugliese, per quanto riguarda la natura dei terreni, mediante l’opera del suddetto ingegnere delle miniere, che ne ebbe speciale incarico. Infatti il tracciato definitivamente adottato per il valico appen- ninico e l’addentramento delle gallerie nel monte provvedono nel miglior modo possibile a rendere l’opera indipendente dai temuti movimenti del suolo e dalle frane superficiali. Taramelli insiste nelle sue considerazioni e presenta il seguente ordine del giorno : « Mentre si compiace della designazione dell’ing. Baldacci per lo studio « dell’acquedotto pugliese, il Comitato geologico è dispiacente che gli sia man- « cato dal Governo l’invito di occuparsi collegialmente di quella parte della « questione che è di sua competenza ». — 10 — Pellati osserva che V Amministrazione dei lavori pubblici ha chiesto a quella dell’agricoltura di designare un ufficiale del Corpo delle Miniere, corpo che per la sua istituzione è chiamato ad occuparsi particolarmente di questioni d’indole geognostica attinenti all’ingegneria. ISTon crede quindi di associarsi ad un ordine del giorno che potrebbe inter- pretarsi come disapprovazione della richiesta fatta e dichiara di astenersi. Messo ai voti l’ordine del giorno, è approvato all’unanimità meno una astensione. La seduta è tolta alle ore 12. Il Segretario II Presidente P. Zezi. G. Capellini. Seduta pomeridiana. Il presidente Capellini dichiara aperta la seduta alle ore 15.10, essendo pre- senti, oltre al predetto, i membri Bassani, Bucca, Cocchi, Gliamas, Issel, Maz- zuoli, Parona, Pellati, Strliver ed il segretario Zezi. Il Presidente dà la parola al Direttore del servizio perchè riprenda la sua esposizione. Pellati riferisce intorno ai lavori di campagna e di ufficio compiuti nello scorso anno. Passa così in rassegna i nuovi rilevamenti nelle Alpi occidentali (Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella) nella Liguria (Zaccagna e Franchi), nel- l’Umbria (Lotti e Moderni), nelle Marche (Cassetti), nel Lazio (Sabatini), le revi- sioni nell’Abruzzo (Cassetti), nella Basilicata (Yiola, Sabatini e Di Stefano), nella Calabria settentrionale (Crema), nonché i vari lavori d’ufficio e le pub- blicazioni in corso. Parona a proposito dei dubbi che ancora rimangono sulle divisioni del Lias nella tavoletta di Leonessa, fa rimarcare l’opportunità di nuove ricerche paleontologiche e stratigrafiche. Pellati dichiara che è già stato disposto in questo senso. Parona, relativamente ai calcari che ammantano il M. Cònero, dice che le orbi- toidi cretacee che vi furono rinvenute non gli sembrano di trasporto per la co- stante coesistenza delle forme A e P, e raccomanda ulteriori indagini in proposito. Taramelli a proposito dell’età della scaglia cretacea od eocenica segnala una località del Bellunese, Erto presso Longarone, dove la scaglia si presenta nettamente dhdsibile in due porzioni, una eocenica, l’altra cretacea, e poiché tale località è di facile accesso e nell’itinerario di chi si recherà aU’adunanza — 11 — della Società geologica, sarebbe bene cbe fosse in tale occasione visitata da qualcuno per conto deirUfficio. Pellati terrà conto delle raccomandazioni dei colleglli Parona e Taramelli. Bassani richiama l’attenzione su alcuni punti della Basilicata dove perman- gono dubbi o controversie. Pellati risponde che l’ing. Viola sta appunto compiendo alcune revisioni in Basilicata e che al suo ritorno, occorrendo, si provvederà in proposito. Pellati passa quindi all’esposizione del programma di lavori per l’imminente campagna comprendente i nuovi rilevamenti nelle Alpi, nella Liguria, nell’Um- bria e nelle Marche, le revisioni nel Lazio, nel Gargano, nell’Abruzzo e nella provincia di Cosenza. Espone da ultimo le sue proposte per le pubblicazioni. Il Comitato approva. Bacca dice che per il passato l’alta direzione sci'i^ntifica dei rilevamenti era affidata ad uno o più membri del Comitato opportunamente scelti per ogni regione. Chiede perchè tale metodo sia stato abbandonato. Bassani riconosce la bontà del metodo, ma trova giusto che ad ogni rile- vatore siano lasciate la soddisfazione e la responsabilità di apporre la propria firma alle aree rilevate. Il Presidente osserva che il metodo indicato dal prof. Bucca fu quasi sempre seguito e cita numerosi esempi; non ha difficoltà ad accettare per massima che ogniqualvolta nel Comitato vi sia chi ha studiato una regione, questi s'intenda senz’altro incaricato ex-ufficio dell’alta direzione scientifica dei relativi rilevamenti. Taramelli preferirebbe che il Presidente facesse egli stesso di volta in volta una tale designazione. Issel ricorda le indagini dell’ing. Mazzuoli e sue sulle serpentine della Li- guria, i disparati pareri emessi a proposito delle pietre verdi della stessa re- gione e desidererebbe che in tempo utile fossero discusse e relativamente risolte le difficoltà che senza dubbio si presenteranno. Il Presidente accogliendo la proposta Taramelli è grato della fiducia dimostra- tagli, confermando la Commissione per la questione relativa all’età dei calcescisti designa: Taramelli e Parona per le Alpi occidentali, Issel e Mazzuoli per la Li- guria, Strùver per le regioni vulcaniche romane, Bassani per l’Italia meridionale, riservando a se stesso la Toscana, le Alpi Apuane e l’Appennino bolognese. Bucca fa qualche osservazione sulla mancanza di un’unica direzione scien- tifica, ciò che fu causa di lunghe discussioni. Pellati osserva che le discussioni sono anzi salutari e desiderabili e che l’organizzazione attuale del servizio, quale fu lungamente studiata e proposta 12 — dalla mente superiore di Quintino Sella colla collaborazione del nostro illustre presidente e dei compianti Meneghini e Giordano, è basata sul concetto che tutte le questioni scientifiche debbano essere sottoposte al Comitato. Questo sistema gli pare preferibile a quello di un solo direttore che potrebbe avere opinioni molto diverse da quelle della maggioranza dei geologi. Tale infatti si è dimostrato all’atto pratico, poiché la definitiva approvazione dei nostri rile- vamenti è fatta non solo subordinandola all’alto controllo del Comitato, ma anche tenendo conto delle opinioni manifestate da altri geologi competenti, come se ne ebbe una prova nella pubblicazione della Calabria settentrionale. Ha luogo quindi un breve scambio d’ idee sul modo di rendere più efficace tale controllo da parte del Comitato fra il Presidente ed i membri B assalii, Bacca e Pellati. Concludendo il Comitato fa voti per una più frequente convocazione, anzi che il Presidente faccia proposta al Ministero di convocarlo ogniqualvolta ne riceva domanda motivata da parte di tre membri. Il Presidente comunica una lettera diretta dai disegnatori dell’TJfficio geo- logico al Direttore del servizio, colla quale si prega il Comitato di raccoman- dare al Ministero una loro istanza per un miglioramento della loro posizione analogamente a quanto venne fatto tanto dal Ministero d’agricoltura, quanto dalle altre Amministrazioni dello Stato per il loro personale straordinario. Pellati informa d’aver già iniziato pratiche presso il Ministero nel senso di questa lettera e aggiunge che il Ministero stesso avrebbe manifestato disposi- zioni abbastanza favorevoli ; dice che non può che lodarsi dell’opera solerte e pre- gevole dei nostri disegnatori ; quindi, benché a rigore quest'argomento sfugga alle attribuzioni del Comitato, spera che questo vorrà accordare il suo valido appoggio alla domanda presentata. Il Presidente conferma per parte sua che l’opera di tale personale ha sempre soddisfatto il Comitato e propone perciò un voto nel senso desiderato. Il Comitato approva. La seduta é tolta alle ore 17. Il Segretario II Presidente P. Zezi. G. Capellini. Sedata del 6 giugno 1905. Si apre la seduta alle ore 10. Sono presenti il presidente Capellini, i membri Bassani, Bucca, Cocchi, Gliamas, Issel, Mazzuoli, Parona, Pellati, Striiver, Tarameli! ed il segretario Zezi. — 13 — Quest’ultimo legge il verbale delle due sedute del giorno precedente, che viene approvato. Pellati ricorda il prossimo Congresso geologico internazionale che deve tenersi nel settembre del 1906 a Messico. Chiede se in risposta ad analoga do- manda rivoltagli dal Comitato messicano debba fare qualche dichiarazione re- lativamente alla partecipazione a quel Congresso dell’Ufficio geologico, facendo contemporaneamente qualche pratica preliminare presso il Ministero. Il Comitato ritiene che convenga aspettare fino a che non saranno noti- ficate dal Comitato messicano le condizioni materiali ed il programma del Con- gresso per rispetto alle varie escursioni. Uà seduta è tolta alle ore 11, restando autorizzato il Presidente ad appro- vare il verbale che ne sarà redatto. Il Segretario P. Zezi. Il Presidente Gl. Capellini. Relazione al R. Comitato Geologico SUI lavori eseguiti per la Carta geologica nel 1904 E PROPOSTE DI quelli DA ESEGUIRSI NEL 1905. Questioni generali e comunicazioni. Nuovi rilevameuti e revisioni. — L/a campagna geologica dello scorso anno è riuscita abbastanza soddisfacente, sia per l’estensione dei rilevamenti eseguiti, sia per la qualità ed importanza delle determinazioni fatte e per le difficoltà superate. La superficie rilevata a nuovo fu di ben kmq. 2270 e quella dei rilevamenti riveduti e completati si estese a oltre kmq. 2800 ; quindi l’esten- sione totale dei terreni esaminati ammontò a kmq. 5070. La spesa fatta per lavori di campagna fu di lire 18,007. 08, e le giornate di escursione fu- rono 1095. I^ell’anno 1903, come fu a suo tempo riferito, erano stati rilevati a nuovo kmq. 1970 e riveduti kmq. 800, ossia kmq. 2770 in tutto, con una spesa di L. 16,082. 94 e coll’impiego di 1018 giornate di escursione. In confronto pertanto della cam- pagna precedente, quella di cui ci accingiamo a rendere conto diede risultati notevolmente più favorevoli, non solo per la maggiore estensione di superficie rilevata, a nuovo o riveduta, ma anche per la minore spesa unitaria all’uopo incontrata. Uè è a dire che siano mancate le difficoltà di accesso e di permanenza sui luoghi e non si abbia bene spesso avuto a che fare con gravi e complicati problemi di stratigrafia e di raccordamento. Basti il ricordare, per quanto particolarmente riguarda il rilevamento al- pino, che la campagna dello scorso anno si svolse principalmente nella remota ed alpestre Valle Strona e nei monti precipitosi che dividono la Valsesia e il gruppo principale del Monte Rosa dalla valle del Toce ; mentre l’ing. Franchi dovette, per completare le ricognizioni nelle Alpi Marittime, attendarsi per pa- recchi giorni nell’alta valle deli’Ellero per esplorare le dirupate falde del Mon- gioie e delle Saline, e dovette pur compiere, nell’alta valle del Tanaro, difficili ascensioni al Marguarese ed al Pizzo di Conoglia. Anche nell’Abruzzo e nel- rUmbria si percorsero, come si vedrà, non poche località disagiate, e bene spesso la speditezza dei lavori fu contrariata dalla grande varietà delle forma- 15 — zioni e dalla frequenza di complicazioni tectoniclie di non comune entità. Ma di ciò si riparlerà a suo luogo. Ricordiamo intanto che col rilevamento delle falde e propaggini sud-orientali del Rosa e colle nuove ricognizioni fatte nelle Alpi Marittime e Liguri, si può dire ormai compiuta la grande opera della formazione della carta geologica delle Alpi, occidentali dal Mediterraneo al Sempione, alla quale principalmente i geologi del nostro Ufficio si dedicano da oltre 10 anni con tutto l’interesse e l’impegno che erano indispensabili in un lavoro di tanta mole. Restano sol- tanto da farsi, in quell’ampia e difficile zona, le revisioni e le verificazioni che saranno mano mano additate all’atto della pubblicazione della carta e che si renderanno necessarie per il coordinamento degli studi nelle varie parti di essa. Tale carta, come è noto al Comitato, è ormai in corso di esecuzione alla scala di 1 a 100,000 con riserva di addivenire più tardi alla pubblicazione della carta normale e definitiva al 1 : 100,000, formata in base alle tavolette di com- pagna state rileviate alle scale maggiori di 1 a 50,000 e di 1 a 25,000. Carta generale delle Alpi occidentali. — Questa carta che, come si disse, è ormai in corso di pubblicazione alla scala di 1 a 100,000, doveva, a seconda del progetto primitivo, essere limitata a Est dal meridiano che passa a 30' circa a Est di Torino ; ma è sembrato conveniente estenderla maggiormente verso levante alle estremità Aord e Sud per comprendervi da una parte l’interes- sante regione del Sempione, e dall’altra le Alpi Liguri sino al colle dell’Altare. Troncata verso Sud al Colle di Tenda, come prima era stato proposto, tale carta d’insieme non avrebbe potuto rappresentare lo sviluppo delle principali e più caratteristiche formazioni alpine che, ripiegandosi alla loro estremità me- ridionale verso Est, si raccolgono e vanno a morire nel Mar Ligure. A tal uopo è già stato aggiunto alla carta il disegno in nero della parte a Aord e si sta terminando quello delle Alpi Liguri, mentre è in corso di coloritura il figurato geologico ridotto dai fogli al 1 : 100,000 già completamente allestiti salvo alcuni ritocchi da farsi nel corso della pubblicazione, profittando di al- cune escursioni che furono, come si vedrà, progettate per la prossima cam- pagna, in modo di avere il lavoro ultimato entro l’anno corrente. Già si disse nella relazione precedente che i risultati sommari del nostro rilevamento geologico, nelle regioni adiacenti al confine francese, furono comu- nicati alla Direzione della carta geologica di Francia, per la nuova edizione della carta generale della Francia e delle zone limitrofe, che sta per venire in luce alla stessa scala nella quale tali risultati figureranno colle opportune indi- cazioni di provenienza. Una simile comunicazione fu pure da noi fatta alla — 16 — Commissione geologica svizzera per la regione del Sempione e delle valli adia- centi sino a Domodossola, di cui è imminente la pubblicazione alla scala di 1 a 50,000 per cura del prof. Schmid! di Basilea. Ma la prossima nostra pubblicazione della carta generale delle Alpi occi- dentali verrà ad affermare sempre meglio Timportanza del lavoro dei nostri operatori alpini. Studio geologico-minerario sui giacimenti ferriferi della Valle di’ Aosta. — Aella carta generale delle Alpi in corso di pubblicazione sarà anche tenuto conto dei risultati degli studi sui giacimenti ferriferi della Yalle d’Aosta, che la Com- missione all’uopo nominata ha fatto nell’anno ora decorso, salva qualche ulte- riore verificazione che sarà compiuta neH’imminente campagna geologica. Per tale studio l’ing. Mattirolo, unitamente agli ingegneri Novarese e Ricci, visitò minutamente i cantieri delle antiche miniere di Cogne cercando di raccogliere dati, onde poter stabilire con la maggior possibile approssimazione, l’entità del giacimento. Essi raccolsero campioni del minerale di ferro e delle roccie e minerali concomitanti ; presero cognizione di antichi documenti esi- stenti negli archivi comunali di Cogne riguardanti le miniere e le officine si- derurgiche ; visitarono i ruderi delle fucine e ricercarono i lavori in ferraccio tuttora esistenti e da esse provenienti, che possono servire a documentare la storia dell’industria del ferro in quella regione, eseguendo anche molte fo- tografie. L’ing. Mattirolo incontrò indizi di minerale in una località distante al- cuni chilometri verso ponente della miniera Larsina, ciò che, data la natura del minerale e della serpentina che lo include, fa supporre che il giacimento mineralizzato possa estendersi sotto l’ampio mantello morenico dell’altipiano di Gemillian. I tre ingegneri visitarono anche alla sommità del Monte Frassin nel terri- torio di Saint- Oyen, il giacimento di ferro spatico, il quale peraltro risultò di niuna importanza industriale. Altra volta l’ing. Mattirolo ebbe a visitare i giacimenti, analoghi per na- tura a quelli di Cogne ma di gran lunga meno importanti, delle valli di Champorcher e del vallone di Ponton ; l’ing. Ifovarese visitò quello di Tra- versella che per la sua vicinanza si può comprendere fra quelli della Valle d’Aosta, cosichè non restano più da riconoscere che poche e piccole manifesta- zioni di minerali ferriferi sparse in vari punti della regione. Per lo studio geologico-minerario dei giacimenti ferriferi della Valle d’Aosta era stato suggerito dal Comitato, nell’adunanza dello scorso anno, di applicare * — 17 — possibilmente alla esplorazione delle masse minerali i nuovi metodi gravime- trici. T^’on ho mancato da parte mia di mettermi subito in rapporto coH’Ufficio centrale di meteorologia e geodinamica per sentire se fosse disposto a coadiuvarci nell’interessante tentativo mettendo a nostra disposizione gli strumenti necessari ed in parte anche personale adatto per le osservazioni e le calcolazioni oc- correnti. L’egregio direttore di quell’istituto, prof. Palazzo, si disse ben lieto della proposta fattagli e volenteroso di concorrere nel miglior modo possibile alla sua attuazione, osservando peraltro che l’Ufficio non possedeva ancora gli strumenti necessari. L’apparato di Sterneck per la misura della gravità con tutti i più recenti perfezionamenti era appunto stato ordinato pochi giorni prima per il costo complessivo di L. 4200; ma non poteva essere consegnato che verso la fine dell’anno e non sarebbe stato disponibile che in primavera. Pu quindi da noi deciso di intraprendere senz’altro il nostro studio rinunciando a valerci, nella campagna che era oramai incominciata, delle determinazioni gravimetriche. È risultato ora dall’esame particolareggiato dei luoghi, benché gli studi non siano ancora del tutto finiti, che gli strumenti gravimetrici non hanno nel nostro caso alcuna probabilità di utile applicazione trattandosi di località dirute e circondate da immani masse montuose atte ad esercitare sugli strumenti mi- suratori della gravità perturbazioni tanto sensibili che toglierebbero ogni valore pratico ai risultati delle osservazioni anche per la natura delle roccie, di peso specifico variabilissimo, predominanti nella struttura di quei monti. Is'eanche i metodi indiretti di determinazione delle variazioni della gravità per mezzo del baromotro o degli apparecchi termo-ipsometrici potrebbero condurre a risultati soddisfacenti. Qualche maggiore probabilità di riuscita si avrebbe forse applicando i metodi di esplorazione fondati sulle perturbazioni magnetiche o sulle depressioni elettriche, ma le stesse ragioni delle complicazioni orografiche e della grande variabilità nella natura delle roccie predominanti in quei monti renderebbero il problema oltremodo difficile. La Commissione incaricata di questo studio ha presentato una relazione preliminare sulle osservazioni fatte finora e, riservando la compilazione definitiva del lavoro, a quando saranno compiute le analisi, e si saranno visitate alcune località ferrifere, per le quali il tempo mancò durante la campagna del 1904, si è intanto occupata della valutazione quantitativa del minerale esistente o pre- sumibile nei due giacimenti più importanti di Cogne e di Traversella. Tanto nell’uno quanto nell’altro di questi giacimenti mancano lavori di pre- parazione e di esplorazione razionali sufficienti a dare un concetto, anche solo — 18 — approssimato entro certi limiti, delle dimensioni delle masse ferrifere, e troppo campo è lasciato all’arbitrio perchè si possa istituire un calcolo numerico. Fatta questa riserva, come semplice apprezzamento soggettivo, la Commissione sud- detta ritiene che per quanto si riferisce alle masse ferrifere cognite, si possa fare assegnamento sopra un milione di tonnellate di minerale rispettivamente in ognuna delle due località nominate. Per Cogne poi deve ritenersi probabile la presenza di masse ferrifere contenute nel banco di serpentina, roccia madre del minerale, e non affioranti. Qualche indizio sulla posizione di queste masse potrebbe forse, malgrado le difficoltà suaccennate, essere dato dal rilevamento di una carta magnetica, in cui fossero registrate accuratamente tutte le anomalie in direzione ed inclinazione dell’ago magnetico, lungo l’affioramento di serpen- tina; vecchio sistema di ricerca che ha già condotto a qualche risultato in ana- loghi giacimenti svedesi. Zona dei calcescisti e delle pietre verdi nelle Alpi. — La questione relativa alla posizione geologica di questa zona in taluni punti delle Alpi occidentali non potè fare nel decorso anno alcun passo decisivo verso la sua risoluzione, essendo la Commissione che doveva occuparsene stata impedita di recarsi sui luoghi. Essa peraltro si propone di riunirsi in questi giorni presso il nostro Ufficio coll’intervento degl’ingegneri taccagna e Franchi per discutere alcuni particolari e stabilire il programma di qualche gita da farsi nella prossima stagione estiva in vista anche della pubblicazione in corso della carta d’insieme delle Alpi occidentali alla scala di 1 a 400 mila. Per questa carta del resto venne già adottato il suggerimento dato altra volta dal Comitato di rappre- sentare quella zona con un tratteggio speciale. Essendo d’altronde stato ammesso che quelle roccie non debbano conside- rarsi come caratteristiche di particolari orizzonti geologici, la questione si riduce realmente alla assegnazione della medesima in talune località discusse ad una formazione piuttosto che ad un’altra in base al loro andamento stratigrafico ed ai caratteri geo-tectonici con cui si presentano rispetto agli altri terreni ai quali sono associate. Queste determinazioni, per parte di membri autorevoli del Co- mitato, sono tuttavia, come ben si vede, della massima importanza, anche come norma da applicarsi in altre località che offrono condizioni analoghe. Aello studio preparatorio che, come si disse, la Commissione, farà in questi giorni nell’Ufficio geologico, sarebbe utile riprendere in esame i campioni delle roccie caratteristiche della zona in discussione che, a cura dei dissidenti, erano state presentate al Comitato nella adunanza del giugno 1902. Del resto per il figurato della nuova carta sarà adottato, come già si disse. — 19 — un temperamento analogo a quello che venne escogitato ed opportunamente applicato nella carta geologica della Sicilia per la rappresentazione delle marne a foraminifere o truhi della zona a congerie. Carta geologica cV Italia al milionesimo. — Risulta da quanto precede che cogli elementi geologici oramai acquisiti al nostro Ufficio si potrebbe porre mano senz’altro ad una seconda edizione della Carta geologica d’Italia al milionesimo atta a rappresentare fin d’ora, in modo molto approssimato, il riassunto del lavoro che si avrà più tardi colla pubblicazione della carta normale alla scala di 1 a 100,000 ; chè anzi si potrebbe con qualche lavoro ulteriore di non grande entità intraprendere quanto prima la pubblicazione della carta geologica del Regno alla scala di 1 a 500.000 in adempimento di un voto che era stato espresso alcuni anni or sono dal nostro Comitato. In attesa pertanto che l’Istituto geografico militare ci fornisca la base topografica per la formazione e la pub- blicazione della suaccennata carta, informiamo il Comitato che in esecuzione della deliberazione presa lo scorso anno abbiamo proposto al Ministero di di- stribuire, sul fondo tuttora esistente della carta pubblicata nel 1889, un migliaio di esemplari in base alla seguente ripartizione: Ministero di agricoltura : ispezioni forestali, scuole speciali d’agricoltura, scuola speciale di Vallombrosa, scuole minerarie e professionali Copie 100 Ministero della pubblica istrnsione :Mm'veY^ìik e scuole d’ap- plicazione per gli ingegneri, licei ed istituti tecnici » 230 Ministero dei lavori pubblici : Ispettori di circolo del genio civile, ispettori delle strale ferrate, uffici provinciali del genio civile » 110 Ministero delV Interno : Prefetture ed uffici tecnici provin- ciali » tIO Ministero delle Finanze: Uffici tecnici di finanza .... » 70 Ministero della Guerra: Scuole e biblioteche militari. . . » 50 Società geologica italiana » 100 Ispettorato delle miniere : Personale del R. corpo delle mi- niere e per occorrenze diverse di servizio » 200 Totale . . . Copie 1000 Dopo tale distribuzione resteranno ancora disponibili 750 copie circa, larga- mente sufficienti per soddisfare altre eventuali richieste che potessero aversi per la vendita o per altre distribuzioni gratuite che il Ministero credesse di ordinare. — 20 — Memoria descrittiva delle Alpi Apuane. — dell’adunanza dello scorso anno informavo il Comitato che questa memoria, da tanto tempo attesa, sarebbe stata ultimata nell’anno stesso con precedenza su qualunque altro lavoro degli inge- gneri che ne hanno l’incarico. Tale infatti era la disposizione adottata e ritengo che avrebbe avuto regolare e completa esecuzione se non fossero sopraggiulTte imprevedute circostanze che richiesero nuova interruzione e rimandi anche per incarichi straordinari conferiti ad alcuno degli ingegneri suddetti per delega- zioni ministeriali. Tuttavia ho ora la soddisfazione di informare il Comitato che quell’importante lavoro è finalmente vicino al suo compimento. La nota paleontologica del prof. Canavari è già da tempo ultimata e sono ormai in corso di stampa le otto bellissime tavole di fossili che devono cor- redarla ; le note degli ingegneri Mattirolo e Franchi relative allo studio chimico e petrografico delle roccie apuane sono pure compiute come potete vedere dai manoscritti che vi presento e se ne intraprenderà fra non molto la stampa. Quanto alla memoria principale dell’ingegnere Zaccagna ne sono compiuti i capitoli sulla posizione geografica e condizioni generali della regione, sulla orografia e sulla idrografia e bene avanzato quello sulla costituzione geologica e sulla tectonica non restando da redigere che la parte relativa all’industria dei marmi la quale potrà far seguito alla memoria principale sotto forma di appendice, analogamente a quanto fu stabilito per le note paleontologica, chimica e petrografica. In conclusione il lavoro si può ormai considerare come assicurato e confido che nella prossima riunione del Comitato potrà figurare tra le più interessanti pubblicazioni del nostro Ufficio. Traforo del Sempione. — Alla fine del 1903, come venne riferito nelle re- lazione dello scorso anno, l’avanzamento daH’imbocco Briga era di hm. 10 -{- 111 e dall’imbocco Iselle di km. 7 + 752. Imbocco Briga. — Dopo la sospensione dovuta alla forte sorgeute termale sgor- gata dai calcari al km. 10 + 144, i lavori di avanzamento furono ripresi solamente il 20 marzo 1904. S’incontrò ulteriormente il calcare siliceo-micaceo fessurato fino al km. 10 -f- 378. L’inclinazione dei banchi era verso IST.O di circa 15®; ma vi furono incontrati piani di scorrimento, specialmente dal km. 10 -f- 177 in avanti. Da questi si ebbero diverse venute d’acqua, però con temperatura e du- rezza minori di quella della prima tratta ; continuando ad avanzare crebbe la durezza e la temperatura (fino a 47®), nonché la portata, cosicché si fu costretti ad abbandonare lo scavo da questo lato di Briga (in contropen- denza) il 18 maggio al punto d’avanzata sopra indicato. — 21 — Imbocco Iselle. — Dal km. 7 752 fino al km. 8 + 182 si attraversa- rono micascisti sericitico-biotitici, più o meno granatiferi, e per lo più calca- riferi con venature di quarzo e calcite che ne marcano le sinuosità di ripiega- mento. Qua e là si notano intercalazioni quarzitiche. Questi stessi micascisti continuano anche più oltre diventando sempre più biotitici e calcariferi, specialmente dopo il km. 8 -f- 400, con intercalazioni che si potrebbero dire di calcari micaceo-silicei, così proseguendo fino al km. 9 -f- HO dove fu sospeso l’avanzamento il 6 novembre 1904 contro un calcare chiaro, franoso, con venuta d’acqua termale. La inclinazione generale dei banchi si manteneva di 10®-25® verso IST.O fino al km. 8 + 660; indi si spianò sempre più verso l’orizzontale; al km. 8 691 si incontrò una faglia verticale diretta E-0, oltre la quale la inclinazione cambia verso S.E di 10^-20° dapprima, poi con oscillazioni verso l’orizzontale e con molta fessurazione e piani di scorrimento, specialmente dopo il km. 9, finché si incontrò al km. 9 HO la faglia che presentò il calcare acquifero sopra accennato. Tutta la tratta attraversata nei micascisti calcariferi, prima di questa sor- gente termale, non presentò quasi affatto venute d’acqua; gli ultimi 200 metri furono attraversati all’asciutto. Questo calcare fu poi perforato fino al diaframma d’incontro, con pen- denza generale 10°-20® 17.0 e con una serie di litoclasi, dalle quali sgorgavano acque termali con temperatura fino a 47®. Il diaframma d’incontro fu perforato la mattina del 24 febbraio 1905 nel suddetto calcare. Partecipazione alV Esposizione di Milano nel 1906. — Il Comitato ordina- tore dell’Esposizione che Milano sta organizzando per solennizzare l’apertura del nuovo valico alpino, ha divisato di preparare una illustrazione tecnico-scienti- fica della regione del Sempione e dell’Ossola, e a tale scopo ha diretto formale invito alla Direzione dell’ Efficio geologico, onde volesse collaborare a una tale illustrazione. Al che ho aderito di buon grado, disponendo che l’Ufficio presti la sua attività anche in questa circostanza. In massima noi potremo contare di poter presentare per quel tempo la carta geologica al 400,000 delle Alpi occidentali estesa fino al Lago Mag- giore, comprendente così anche la regione che ci interessa ; inoltre un gruppo di fogli al 100,000 comprendenti più specialmente le valli Ossolane fino al Sempione ; inoltre ancora in ugual scala una carta geologico -mineraria colla indicazione nelle miniere e cave di quella interessante regione e alcuni profili geologici attraverso alla medesima. 3 — 22 — A migliore illustrazione potremo cooperare alla iniziativa del Comitato stesso per una mostra di campioni, sia delle roccie del tunnel del Sempione, sia dei prodotti di cave e miniere Ossolane. Finalmente il Comitato lia pensato di far costruire un gran plastico al 50,000 di tutta la zona di territorio attraversata dalla nuova arteria ferroviaria, e desidererebbe che una parte di esso fosse da noi colorita geologicamente ; il che potrà venire fatto se il plastico ci verrà consegnato a tempo. L’area scelta da noi sarebbe riprodotta separatamente comprendendo aH’incirca la re- gione del Sempione propriamente detta, fra Domodossola e Briga, cioè quella porzione che è oggetto di speciale pubblicazione, in preparazione, d’accordo fra la Commissione geologica svizzera e il nostro Ufficio geologico. Ho poi ottenuto dal Comitato dell’ Esposizione che questo plastico, geologicamente colorito, ri- manga poi proprietà del nostro Ufficio geologico. Carta agronomica del distretto di Gonegliano. — Fin dallo scorso anno il Ministro di agricoltura, aderendo ai desideri del Comizio agrario di Cone- gliano (Treviso) ordinava che il nostro Ufficio geologico, d’accordo colla Direzione della R. Scuola di viticoltura ed enologia di Conegliano, collaborasse allo studio geognostico-agrario di quel distretto, il quale comprende un esteso terri- torio di pianura e di collina fra il Piave ed il Livenza. Fu dato incarico di ciò all’ingegnere Stella, che già aveva compiuto ana- logo studio nel finitimo territorio del Montello, coll’avvertenza però, che la sua collaborazione nel caso presente si tenesse nei limiti già stabiliti per simili casi da un voto del Comitato geologico. Egli fece per ciò una visita preliminare a Conegliano nel luglio 1904, e quindi, dopo raccolti e coordinati i dati geognostici già esistenti in Ufficio sulla regione in parola, si recò, nell’aprile testé decorso, di nuovo a Conegliano per procedere ad una presa di campioni di quei terreni che comprendono, oltre alle alluvioni della pianura e delle vallecole intercollinesche, una zona more- nica e diversi piani del Pliocene o del Miocene. Il materiale raccolto, ordinato per gruppi geognostici, fu consegnato al laboratorio della R. Scuola di enologia per gli opportuni studi ed analisi. Società geologica italiana. — All’adunanza generale della nostra Società geologica, tenuta nel mese di settembre dello scorso anno in Catania, presero parte, come al solito, parecchi rappresentanti dell’Ufficio geologico e del Corpo delle miniere, cioè il prof. Di Stefano e gli ingegneri Sormani e Yiola, oltre all’ingegnere Dompè per l’Ufficio minerario di Caltanissetta. — 23 — Di quella riunione, riuscita splendidamente, benché le escursioni siano state contrariate dal cattivo tempo, è fatto un cenno speciale nel fascicolo 8® del Bollettino del Comitato geologico del 1904. In essa la Società diede al Corpo delle miniere una nuova prova di considerazione coll’eleggere a grande mag- gioranza suo vice-presidente il nostro collega isp. Mazzuoli. Kell’anno corrente, in cui la presidenza spetta aH’illustre prof. Taramelli, che abbiamo pure il piacere di contare fra i benemeriti membri del nostro Comitato, l’adunanza estiva sarà tenuta a Tolmezzo nelle Alpi carniche, regione in ispecial modo interessante per noi come quella che fra non molto deve di- ventare centro importante di intensi lavori di rilevamento della nostra Carta geologica d’Italia in grande scala. Sono noti a tutti gli importanti lavori che il prof. Taramelli già fece sulla regione Friulana e sulle preàlpi del Veneto e della Lombardia e sarà gran ventura se i nostri operatori alpini potranno in tale occasione percorrere col chiaro autore quelle località che furono il campo prediletto dei suoi studi giovanili e delle quali non tralasciò di occuparsi con tanto amore anche nell’età matura. In tal modo sarà agevolato di molto il loro compito quando dovranno intraprenderne lo studio particolareggiato ed orientarsi nelle complesse e di- scusse formazioni che sono la caratteristica delle Alpi centrali ed orientali anche per il loro coordinamento con quello delle Alpi occidentali. Era, come ben ricorderete, desiderio del Comitato che i nostri operatori avessero preso parte alle escnrsioni che in quelle località furono fatte nel- l’autunno 1903 nell’occasione del Congresso internazionale di Vienna sotto la scorta degli illustri geologi che intorno ad esse avevano già pubblicato lavori di così grande interesse. La cosa era tanto più raccomandabile in quanto che si trattava di stabilire le basi del'futuro coordinamento della nostra Carta geologica con quella austriaca; ma il progetto che all’uopo era stato allora presentato benché avvalorato dal parere favorevole del Comitato stesso, non potè essere effettuato. Speriamo che ora almeno sarà concesso, se voi, come non dubito, ne esprimerete il desiderio, ai nostri ingegneri di partecipare alle escursioni che la Società geologica si propone farvi nel prossimo rhes^e di agosto. Carta geologica d'Europa. — Vessuna nuova dispensa di questa Carta venne fuori neppure nel 1904, dopo i quattro fascicoli distribuiti negli anni precedenti, i quali, come fu a suo tempo riferito, comprendono 25 fogli complessivamente. NeH’adunanza dello scorso anno era stata deliberata la distribuzione dei fogli già pubblicati ai membri del Comitato che ancora non li avessero ricevuti. Le pratiche relative a questa deliberazione furono ritardate per attendere le — 24 — nuove nomine dei componenti il Comitato che ebbero luogo nello scorso feb- braio e pertanto tale distribuzione dovrebbe essere stata fatta in questi giorni. Il signor Beyschlag, direttore della Carta geologica d’Europa, ci fece noto con sua lettera del gennaio ultimo che essendo esaurita la scorta dei fogli BY^ C IV, D I V, C V e D V era stato deciso di intraprenderne una nuova edizione corretta ed aggiornata allo stato attuale dei rilevamenti, pregandoci di volergli comunicare entro questo anno le modificazioni e correzioni che crederemmo di proporre per il foglio C F il quale comprende tutto il territorio italiano situato a nord del parallelo passante all’incirca per Grosseto. Essendo inoltre intenzione di quella Direzione di far tracciare nella nuova edizione le principali linee di dislocazione, onde la Carta contenga anche le prin- cipali indicazioni di carattere tectonico, ci venne pur fatto invito di fornire a tal ùopo gli elementi opportuni. Abbiamo naturalmente accolto di buon grado la proposta tanto più che, dopo i lavori fatti in questi ultimi anni, specialmente nelle Alpi occidentali, molte importanti correzioni si sono rese indispensabili nella parte della Carta geologica d’Europa che ci riguarda per la quale abbiamo, fra i primi, già da circa 20 anni, fornito a quella Direzione gli elementi geologici. Quanto al modo di soddisfare la richiesta fatta profitteremo in gran parte del lavoro che fu già l’anno scorso comunicato, alla scala di 1 a 1 milione, alla Direzione della Carta geologica di Francia; faremo inoltre per le altre parti riportare alla medesima scala le correzioni che risultano non solo dai nostri ultimi rilevamenti, ma anche da quelli 'che potremo desumere compul- sando i tanto pregevoli lavori che valenti geologi italiani e stranieri hanno in questi ultimi anni pubblicato per diverse parti del nostro territorio, specialmente per le Alpi centrali e orientali. Riguardo alle linee tectoniche il problema presenta per vero non poche dif- ficoltà, sopratutto per alcune regioni non ancora direttamente rilevate dai nostri operatori; ma faremo del nostro meglio giovandoci delle osservazioni fatte e degli elementi raccolti con tanto maggiore impegno in quanto che già fin dal 1898 il prof. Taramelli richiamava, come il Comitato ben ricorderà, la nostra attenzione su tale importante argomento. Flora fossile della Campagna Romana. — La nota che l’ingegnere Clerici aveva promesso di comunicare per il Bollettino sulla zona litoranea fra il Te- vere ed Anzio non fu ancora presentata, nonostante che la cartina relativa fosse già pronta fin dallo scorso anno. L’ ingegnere Clerici dice che le sue occupazioni d’ufficio al Ministero d’agricoltura gli hanno impedito di compiere — 25 — quel lavoro, promettendo sempre di sdebitarsi quanto prima dell’ impegno preso. Le sezioni delle altre filliti raccolte furono lentamente continuate, appunto perchè l’ingegnere stesso non trova il tempo per studiarle. Anche lo studio che egli aveva preso impegno di fare in unione al Cas- setti per alcune filliti del Fucino nello scopo di riconoscere se appartengano al Pliocene piuttosto che al Quaternario, non fu potuto compiere, i campioni furono raccolti, ma non ancora studiati. Pare ad ogni modo che si tratti di specie (ordinariamente Ulmiis) qnaternarie. Progetto Barhanti per derivazione di acqua dal Secchia. — Questo progetto, corredato di un parere del prof. Pantanelli, fu trasmesso per esame nel giugno dello scorso anno. Il progetto consiste nella costruzione di diverse dighe di sbar- ramento sul Secchia alla stretta del Pescale, e a quella di Gova sul Dolo e di Fontanaluccia pure sul Dolo per la creazione di laghi artificiali allo scopo di avere acque disponibili per uso agricolo e industriale. L’Ispettorato delle mi- niere fece alcune obbiezioni tenendo conto della instabilità dei terreni, e della grave spesa occorrente per la costruzione di dighe multiple, quali erano proposte nel progetto. Propose ad ogni modo una nuova visita sul terreno, che venne ordinata nel mese di ottobre ed eseguita dall’ ingegnere-capo Camerana. Minerali metalliferi della Cina. — Nello scorso novembre il Ministero inviò quattro campioni di minerali provenienti dalla Cina, che gli erano stati presen- tati dall’ingegnere cav. Attilio Pratesi. Il Ministero stesso faceva invito all’Ispettorato di farli analizzare, dispo- nendo che venissero poi depositati nelle collezioni dell’Dfficio geologico. Dalle analisi eseguite è risultato che si tratta di minerali di piombo, galena argen- tifera, a ganga essenzialmente qnarzosa, con alquanta cerussite, abbastanza ricchi in argento (800 gm. per tonn.), dei quali però non è possibile giudicare l’importanza industriale in mancanza di qualsiasi dato sul giacimento da cui provengono e sulle condizioni di coltivabilità e di ubicazione. I detti cam- pioni provengono forse dal Nan-Yang-Fou. Comunicazioni a privati e a pubblici istituti di documenti e notizie geologiche. — Come negli anni decorsi anche nel 1904 abbiamo dato comunicazione a pri- vati ed anche a pubblici istituti di parti della carta geologica ancora inedite e pronte per la pnbblicazione, con avvertenza di non farne oggetto di pubbli- cazioni o di valersene in altro modo senza una speciale autorizzazione, a meno — 26 — di fare le più ampie dichiarazioni sulla provenienza delle notizie e delle rela- tive indicazioni. Così dopo la comunicazione fatta alla Direzione della carta geologica di Francia, di cui abbiamo parlato altra volta, e dopo quella fatta alla Commis- sione geologica svizzera di elementi riguardanti la geologia della regione del Sempione, alla quale abbiamo accennato poc’ anzi, possiamo ricordare la co- municazione di 5 fogli ancora inediti della carta geologica della Toscana (Massa Marittima, Siena, Volterra, Grosseto e Piombino) chiesti dal professore De Launay per uso del suo corso di geologia applicata, alla Scuola superiore delle miniere in Parigi. Altre comunicazioni furono pure fatte per particolare disposizione del Ministero : 1° alla Scuola delle guardie forestali di Cittaducale (Aquila) di una piccola collezione da studio di minerali e roccie italiane; 2® al prof. dott. D’Achiardi di Pisa di alcuni campioni di roccie eoceniche delle Alpi Apuane, per uno studio che si proponeva di farne il dott. Pietro Aloisi. I risultati di questi studi potranno eventualmente figurare nell’appendice mineralogica alla Memoria descrittiva dell’ingegnere Zaccagna in corso di preparazione. Sistemazione dei locali dell’ Ufficio geologico. — A complemento dei lavori di sistemazione, di cui si parlò nella relazione precedente, si potè quest’anno provvedere alla riduzione di un’altra stanza di studio e ad una nuova dispo- sizione della porta d’ingresso deH’Ufficio per guarentirne meglio la custodia e meglio regolare l’accesso del personale e degli estranei. Studio deir Appennino a nord di Genova. — Un valente ingegnere, che fu già ispettore del Genio civile e che come tale ebbe parte notevole negli studi per la costruzione di parecchie delle nostre più difficili ferrovie, scriveva nello scorso anno, sui giornali politici di Genova, qualche articolo sulla que- stione dei valichi appenninici per il servizio di quel porto, esprimendo il desi- derio che l’Ufficio geologico si fosse occupato urgentemente del rilevamento in grande scala dell’ Appennino a nord di Genova onde le varie Commissioni che si occupano di quelle questioni potessero trarne lume, tenendo conto della oggettività degli studi che emanano dal nostro Istituto. Il Ministero infatti nel mese di marzo ultimo faceva all’uopo speciali raccomandazioni. Si rispose che la cosa si farà quanto prima, tenendo conto dello stato dei rilevamenti dell’in- gegnere Zaccagna che sono ormai giunti, da ponente presso a poco al meridiano di Genova, essendo anche compiuto il rilevamento delle tavolette di Voltaggio, e da levante al meridiano di Chiavari. Nella futura campagna si procurerà di fare avanzare il rilevamento secondo il desiderio manifestato, anzi mi pro- pongo di aggiungere possibilmente, in via straordinaria, a tale scopo all’inge- gnere Zaccagna un operatore del nostro Corpo delle miniere stabilmente ad- detto ad altro servizio, il quale ebbe già in passato ad occuparsi con molto successo di quei terreni. Lo studio dei progetti, di cui parla quell’ex-ispettore, non sarebbe tuttavia tanto urgente, almeno stando a quanto riferì la Commissione che si occupa di quell’importante problema. Kìlevamenti. Lo stesso personale degli anni precedenti si occupò nel 1904 dei lavori geologici di campagna, che anche in questo anno ebbero per oggetto; nuovi rilevamenti; 2® revisioni ; 3® ricerche paleontologiche. I nuovi rilevamenti nelle Alpi occidentali furono continuati dagli ingegneri Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella, nella Liguria dall’ingegnere-capo Zac- cagna e dall’ingegnere Franchi, neH’Umbria dall’ingegnere-capo Lotti e dal- l’aiutante Moderni, nelle Marche dall’aiutante Cassetti e nella zona vulcanica a nord di Roma daH’ingegnere Sabatini. Le revisioni nell’Abruzzo, le quali, per ragioni ripetutamente esposte, hanno carattere esse pure di nuovi rilevamenti particolareggiati, furono conti- nuate dall’aiutante Cassetti. In occasione poi della pubblicazione di 7 fogli della Basilicata meridionale e regioni limitrofe, di cui già si parlò nella pre- cedente Relazione, fu necessario dedicare un notevole numero di escursioni, alle quali presero parte gli ingegneri Viola e Sabatini, col concorso del dot- tor Di Stefano, per rivedere e mettere al corrente i rilevamenti di quelle re- gioni, oramai da troppo tempo studiate. L’ingegnere Crema continuò le sue revisioni nella regione di confine fra Calabria e Basilicata. Per la provincia di Roma si continuò, per opera dell’ingegnere Viola e del dottor Di Stefano, specialmente in ufficio, lo studio paleontologico per la distinzione dei terreni eocenici da quelli miocenici, e finalmente l’ing. Crema si occupò di ricerche paleontologiche nell’Abruzzo Aquilano e nelle Alpi Marittime (dintorni del Colle di Tenda). — 28 — Anche in questa campagna geologica la direzione dei lavori fu tenuta per la provincia romana dall’ingegnere-capo Zezi, per tutte le altre regioni dal- l’ingegnere-capo Baldacci. Come di consueto, si darà ora conto dei lavori compiuti dai vari operatori,, accennando ai principali fatti osservati durante le operazioni di campagna. Direzione dei rilevamenti. — Ingegnere-capo Baldacci. — Anche in que- st’anno dovè dedicare gran parte della sua opera ai lavori delle Commissioni del Ministero dei lavori pubblici delle quali si parlerà in seguito ; tuttavia non trascurò di occuparsi in Ufficio e in varie escursioni della direzione dei rileva- menti. E prima di tutto, per ciò che riguarda i lavori di campagna, fece parte insieme al colonnello comm. Verri e all’ ingegnere-capo Lotti della Commissione per lo studio e determinazione della discussa zona marnoso- arenacea dell’Umbria; i risultati di questo studio sul terreno fnrono già pre- sentati al Comitato fin dallo scorso anno. Visitò in seguito con l’aiutante Cassetti il Monte Conero per studiarne la singolare struttura tectonica e la serie delle formazioni che lo costituiscono,, fra le quali la superiore, litologicamente simile alla così detta scaglia, gene- ralmente ritenuta senoniana, offre tuttavia una ricca fauna di orbitoidi, che fanno dubitare se essa non appartenga all’Eocene. Finora non vi si rinvennero nummuliti, nonostante che di quei calcari a foraminifere si sieno studiate nu- merose sezioni sottili, ma a convalidare la sua appartenenza all’Eocene invece che al Cretaceo potrebbe concorrere il fatto che essa è in diretto contatto, con perfetta concordanza con la sovrastante formazione degli scisti argillosi, indu- bitatamente miocenici. L’aiutante Cassetti sta pubblicando una nota nel nostro Bollettino relativa alla costituzione geologica del Conero e regioni limitrofe. Con lo stesso signor Cassetti vennero poi visitato dall’ing. Baldacci le for- mazioni secondarie liasiche e cretacee dei dintorni di Campo di Giove (gruppo della Majella) per stabilire con sicurezza la tectonica di quelli affioramenti, la cui età è sicuramente determinata da fossili caratteristici, per quanto le specie non siano numerose. Velia estate poi l’ingegnere Baldacci fece, sempre col signor Cassetti, escursioni nei dintorni di Rocca di Mezzo (Abruzzo Aquilano), al Monte^ Si- rente e monti circostanti, specialmente allo scopo di studiare la posizione e l’età di potenti banchi calcarei a pecten, che ivi si addossano direttamente e in concordanza ai calcari cretacei. Quantunque lo studio paleontologico dei numerosi fossili raccolti nella re- gione sia tuttora da farsi, si può fin d’ora stabilire che due distinte forma- zioni di calcari a pecten si presentano nella regione : la prima di calcari sub- cristallini, granulari con piccoli Pecten e numerose orbitoidi che forma quasi graduale passaggio ai banchi del calcare cretaceo, e che per varie ragioni si può ritenere eocenica ; l’altra, più alta, di calcari grossolanamente cristallini a grandi pecten^ fra i quali se ne riconoscono alcuni di tipo nettamente mioce- nico, e che quindi dovrebbe riferirsi al Miocene. Ideile Alpi l’ingegnere Baldacci, occupato specialmente per la Commissione del problema ferroviario del porto di Gtenova, e andato in Piemonte quasi al finire della buona stagione, non potè fare che poche escursioni con l’ingegnere J^’ovarese nei dintorni di Omegna e di Orta, e visitò la Valle Strona fino alla sua parte più elevata. Sulla struttura geologica di questa valle viene riferito più avanti dallo stesso ingegnere Novarese. ISTelle gite fatte per la direzione dei rilevamenti nelle citate regioni, l’inge- gnere Baldacci impiegò 41 giorni e percorse 647 km. su via ordinaria, con una spesa complessiva (comprese quelle ferroviarie) di lire 622. 89. Alpi occidentali. — Ing. Mattirolo. — Essendo stato trattenuto a Roma più del consueto, l’ingegnere Mattirolo intraprese soltanto nell’agosto il suo rileva- mento, compiendo dapprima alcune gite di riconoscimento nella parte settentrionale della regione del Margozzolo (Lago Maggiore), recandosi di poi a Cogne (Valle d’Aosta), dove lo raggiunsero gli ingegneri I^ovarese e Ricci, con lui incaricati d’uno studio geologico-minerario sui giacimenti ferriferi di quella valle. Trovandosi a Cogne per tale incarico, il Mattirolo eseguì anche alcune escursioni per completare il rilevamento particolareggiato dell’aspro vallone della Girand’Eyva, compreso nel quadrante della tavoletta del Gran Para- diso ed al quale già altra volta ebbi ad accennare. Si può però notare come nella stretta fascia dolomitica che dal colle di Mesoncles scende lungo il val- lone del Crajo e più precisamente nel bacino alto di esso sotto il colle omo- nimo, ring. Mattirolo abbia incontrato alcuni banchi molto potenti, di uno splendido marmo pariaceo a tinta bianca calda, molto traslucido. In seguito il Mattirolo si recò a riprendere il rilevamento nella regione del Margozzolo facendolo procedere specialmente nella parte di essa che cade nelle tavolette di Stresa e Pallanza. Il diffuso e potente morenico che ammanta gran parte della regione e la forte alterazione superficiale delle formazioni rocciose che per lo più non si possono osservare che nelle profonde erosioni dei torrenti, rendono assai diffi- cile il seguire il loro assetto stratigrafico, del quale del resto non si potrà dar — 30 — conto, che dopo aver fatto osservazioni anche nel versante del lago d’Orta; cosi dicasi di quanto riguarda i fenomeni di contatto fra la massa granitica e le roccie che la circondano. In vari punti il Mattirolo rilevò notevoli discordanze fra l’andamento dei banchi di granito e quello degli strati delle roccie gneissico-micascistose, talora granatifere, che costituiscono gran parte della regione e che furono detti con quelli concordanti; notò sparse nella regione gneissico-micascistosa lenti o vene di quarzo latteo di segregazione, meno importanti, ma affatto simili a quella inclusa nelle stesse roccie presso Oltrefiume, bene in evidenza perchè coltivata a causa specialmente della sua ubicazione e non ritiene che tale lente possa riguardarsi, come lo fu, dipendente dalle azioni di contatto della prossima massa granitica. Rilevò pure la irregolarità della diffusione del granito rosso nel bianco, tale da far credere che non si possa senz’altro affermare che quello costituisca la parte superficiale della massa granitica. Ideila pianura alluvionale a IS’.O di Feriolo l’ing. Mattirolo incontrò uno scoglio di granito di poco emergente dal piano, detto Motto Solanolo, che si può considerare quale testimonio dell’originaria unità delle masse di Baveno e di Mont’Orfano. Il Mattirolo seguì poi la nuova linea ferroviaria in costruzioiìe tra Arona e Feriolo visitando gli scavi e le gallerie non ancora completamente rivestite. Fra l’altro, nella galleria di Meina notò, probabilmente in relazione con conglomerati porfirici, un bel calcare roseo rodocrositico, talora in romboedri, e potè ben stabilire l’andamento di un dicco di una roccia porfiritica ricca di calcite secondaria, erroneamente ritenuta aplite, che si osserva sulla strada nazionale presso Stresa e che è attraversata dalla galleria che piglia nome da questo paese. IS’el rilevamento geologico e nello studio dei giacimenti ferriferi l’ing. Mat- tirolo occupò complessivamente giorni 65, dei quali 40 all’incirca pel rileva- mento, 20 per detto studio e 5 pei viaggi e lavori in ufficio. Percorse km. 933 su vie ordinarie, dei quali circa 670 pel rilevamento geo- logico che risultò di circa 100 km. q. Le sue spese ferroviarie ammontarono a lire 219. 05 e la spesa totale a lire 993. 95. Ing. Novarese. — L’area assegnata all’ing. ITovarese nella campagna geo- logica del 1904 comprendeva la riviera occidentale del lago d’Orta, la Yal Strona e la bassa Ossola fino al vallone di Rumianca. Quest’ampia area di struttura geologica complessa, ed in buona parte di terreno molto aspro e ma- lagevole è stata totalmente riconosciuta, ma rilevata definitivamente solo in — 31 — parte, perchè un incarico speciale ha costretto a dedicare una ventina di giorni, nella stagione migliore, ad un altro scopo: lo studio dei giacimenti ferriferi della Valle d’Aosta. I fatti geologici più notevoli osservati durante il rilevamento possono rias- sumersi brevemente come segue. La Val Strona, profondo solco diretto normalmente all’andamento delle formazioni (IN’.E-S.O), permette di studiare queste ultime assai bene. Lo studio è ora anche agevolato dalle numerose e fresche trincee della strada in costru- zione che risale la valle, nella quale si succedono da monte a valle le forma- zioni che da Gerlach in poi sono state denominate: a) scisti di Fobello e Rimella; h) zona dioritica d’Ivrea; c) gneiss dello Strona. La formazione degli « scisti di Fobello » costituisce per intiero la conca di Campello, bacino superiore della valle, forse sfiorata appena presso la cresta Monte Capezzone-Altenberg dalla minore zona dioritica segnalata fin dal tempo del Gerlach, a N.O della grande zona d’Ivrea, e chiamata da Artini e Melzi « seconda zona dioritica ». Dentro la massa di questi scisti, specialmente alla Montagna Ronda ed all’Alpe Fornero compaiono potenti intercalazioni di porfiriti, con vistosi cristalli porfirici d’anfibolo, con parti ancora massiccio, collegato da passaggi graduali agli scisti sericitici grigi di Rimella, costituenti il fondo della formazione, e lasciando così intravedere la genesi di questi ultimi. Verso la base della formazione (fortemente inclinata a I^.O) la valle è attra- versata dalla Colma o Bocchetta di Rimella fino al Col d’Issola ed al Lago di Ravinella da una fascia ora più ora meno potente, ma continua, di calcari El- ladici scuri, passanti ora a filladi ora a calcescisti, e che diventa molto potente intorno al detto lago, dove assume il caratteristico aspetto dei calcescisti delle Graje e delle Cozie, con intercalazioni di calcari dolomitici e calcari brecciati di tipo mesozoico. II limite che separa questa formazione dalla sottoposta zona dioritica d’Ivrea è assai netto ; fra le due si notano anzi qua e là sottili lenti di breccia con elementi delle due formazioni, le quali sembrano rivelare in quel limite i caratteri di una linea di dislocazione tettonica, oppure l’esistenza di un hiatus. Hella Val Strona, come d’altronde è stato già osservato, la zona dioritica d’Ivrea è ben lungi dall’avere quell’omogeneità a cui farebbe pensare il suo modo di rappresentazione nelle carte fin qui conosciute, e che ha realmente lungo qualche altro suo profilo trasversale. In Val Strona meglio che sona dovrebbe essere detta formasione, essendo un complesso costituito da molti e diversi tipi 32 — litologici di varia origine. Consta difatti di un primo gruppo di roccie basiclie appartenenti alle famiglie della diorite, del gabbro e delle peridotiti e pirosse- niti; di un secondo gruppo di rocce ora massiccio, ora zonate, ora scistose, i cui elementi sono felspato, granato, sillimanite, biotite, grafite, ed infine da un gruppo di calcari e calcefiri. Per gli elementi di cui consta la zona o formazione dioritica di Val Strona presenta la massima analogia colla zona detta delle kinzigiti in Calabria, colla quale ha comuni la massima parte dei tipi litologici, ed i tre gruppi: dioriti, rocce granitifero-sillimanitiche, e calcari e calcefiri. Minore, ma pur sensibile ancora è l’analogia colla zona delle dioriti, gneiss granatiferi e calcari e calcefiri, rilevato pure dal I^ovarese nella Valpelline. IsTella parte superiore della zona è notevole la presenza di rocce intrusive molto basiche che tagliano in grandi dicchi e filoni le rocce zonate normali della formazione. A queste rocce intrusive sembrano associate i giacimenti di pirrotina nichelifera di Pennino Grande ed Alvani. Il tracciare un limite fra la zona dioritica e la formazioni dello gneiss- Strona sembra ardua impresa, perchè esiste un passaggio graduale fra alcuni tipi delle due formazioni, e nessun valido argomento fu trovato a sostegno di una soddisfacente separazione. Il confronto delle carte pubblicate finora, dove la posizione del limite in questione varia a seconda dei casi, di parecchi chilometri, è un indizio eloquente della suaccennata difficoltà. ISTella parte inferiore dello gneiss-Strona la roccia predominante è uno gneiss tabulare biotitico, passante localmente ad uno gneiss-ghiandone. Questa ultima varietà sembra formare un orizzonte che si segue lungo tutta la riviera occidentale del lago d’Orta dallo sbocco della Val Strona, per Cireggio e Vonio fino a Bugnate e Sorriso. Sono pure state delimitate le masse granitiche di Quarna e di Alzo che attraversano lo gneiss-Strona mandandovi apofisi. Dentro allo stesso gneiss, oltre ai filoni granitici, è pure notevole la presenza di un esteso sistema di filoni di pegmatite biotitica tormalinifera, che attraversa tutta la parte destra della Val Strona, dal crinale verso la Valsesia fino alla strada carroz- zabile. Durante le escursioni di cui sopra vennero rilevati interamente dall’inge- gnere novarese circa kmq. 180, e riconosciuti nelle loro linee e dati geologici principali altri kmq. 300. Vennero in questo lavoro impiegati 107 giorni di campagna, percorsi su vie ordinarie km. 2030, incontrando poi una spesa di ferrovie di lire 278. 98, ciò che dà una spesa totale di lire 1070. 40. — 33 Ing. Franchi. — L’ing. Franchi, trattenuto per lavori di ufficio a Roma fino al 19 luglio, non potè incominciare il rilevamento geologico che negli ultimi giorni dello stesso mese recandosi tosto nelle Alpi Liguri (tavoletta di Frahosa). Rilevati i dintorni di Prea in Yal d’Ellero, da un attendamento presso Grias del Piz potè eseguire il rilevamento della parte superiore di quella valle e delle alte cime del Mongioie e delle Saline. Sospeso il lavoro il 3 agosto lo riprese il 10 nell’alta valle del Tanaro, donde eseguì le salite del Margua- rese e del Pizzo di Conoglia e fece escursioni nei dintorni di Ponte di Yava e di Ormea, lasciando la valle del Tanaro il 19 agosto por recarsi in Valle Sesia. Il breve tempo passato nelle alte regioni delle Alpi Liguri permise la constatazione di fatti importanti in ordine alla stratigrafia ed alla tettonica. Sotto il primo punto di vista si constatò come tutte quelle alte cime siano costituite da calcari giuresi sovrapposti al Trias medio e inferiore, il quale riposa sul Permiano, rappresentato essenzialmente da porfidi più o meno lami- nati. Alla sommità del G-iurese si notano calcari chiari ceroidi-rosei, persichini 0 bigi con frequenti rostri di belemniti, e che pel tipo litologico sono simili ai calcari con faune titoniche della regione. Al disotto di essi si sviluppa una zona di calcari bigi-ceroidi più nettamente stratificati, con qualche interstrato dolomitico pure con belemniti, rappresentanti un altro orizzonte del Giurese, alla cui base sono in molti punti banchi a nerinee, come quelli riconosciuti nel 1903 in Valle Sbornina, più a nord. Fra questa zona a Verinee ed il Trias medio si interpone talora (Cima Marguarese, Rocca Ferra) una zona di calcari in straterelli bigi, con patina di alterazione rossiccia, con banchi di lumachelle e banchi breccioidi alla base e con numerose traccie di fossili (lamellibranchi, gasteropodi, corallari, ecc.), e che si è in dubbio se appartenga al Giurese od al Lias. Presso Ponte di Vava un orizzonte di calcari dolomitici cinerei e bruni con elementi di breccie ricordanti quelle del Lias breccioso del Brianzonese potrebbero forse rappresentare il Lias inferiore o l’infralias. Dal punto di vista della tettonica è notevole la constatazione della parte importante che hanno le faglie sia parallelamente che traversalmente alle pieghe del ventaglio. Singolarmente interessanti sono quelle attraverso alla catena di culmine Cima delle Fasce-Marguarese-Mongioie, talora con potenti rigetti, tali da portare il Permiano al disopra dell’Eocene. A dette faglie cor- rispondono i colli di Malabera, del Pa, delle Saline e d’Aseo, dove lembi di Cretaceo e di Eocene ricoprono il Giurese superiore. Per effetto di quelle faglie principali ed altre minori un profilo lungo la linea di culmine fra il Pizzo — 34 — d’Ormea e la Cima delle Fasce mostra una struttura a gradinata delle più caratteristiche. Isella Valle Sesia l’ing. Franchi nel rimanente di agosto e nel settembre si occupò del rilevamento nelle valli tributarie della Sermenza e del Mastel- Ione, facendo anche una traversata in Valle Anzasca pel Piccolo Altare con ritorno pel Colle di Baranca, ed approfittò della entrata nella V alle d’Ossola per visitare coiring. Stella la regione del Sempione. Velia Valle Sermenza notò presso il Piccolo Altare una potente zona di micascisti granatiferi intercalata fra i gneiss-ghiandoni porfiroidi e granitici delle masse del Posa ed alla sommità di queste dei gneiss tabulari tormaliniferi con micascisti, quindi una zona di gneiss e micascisti con roccie eclogitiche e pirossenitico-cloromelanitiche. La grande zona delle pietre verdi di Alagna vi giunge ridotta in potenza e meno distinta petrograficamente, prolungandosi più sottile oltre Carcoforo e Baranca dove è rappresentata da sottile zona di prasiniti con lenti esigue di steatitoscisti e serpentine. La minore zona dioritica di Gerlach raggiunge la Valle Sermenza, ma in esse hanno poco sviluppo le roccie gabbro-dioritiche (Cima Pianone), mentre hanno grande importanza roccie speciali grafitiche, granatifere, soventi con plagioclasio, biotite e sillimanite di cui alcuni tipi sono identici alle kinzigiti notate negli anni scorsi al posto dei gneiss-Strona e ad alcune stronaliti di Artini e Melzi. Voi gneiss della Sesia che si interpongono in Vai Sermenza fra le due masse dioritiche da Ferrate a Boccioleto si notano i prolungamenti delle masso lenticolari intercalate di graniti protoginici, talora anfibolie!, notati nella valle principale fra Moglia e Campertogno, e sono ivi presso rappresentate le gia- deititi in piccole lenti nei gneiss ordinari. Gli scisti di Rimella e Fobello pel loro aspetto e per la probabile costitu- zione chimica sembrerebbero cosa assai distinta dai gneiss della Sesia. Importante è la constatazione che, nelle valli Sesia, Sessera e di Mosso i oosidetti Strona-gneiss si mostrano stratigraficamente, mineralogicamente, e gene- ticamente legati colle kinzigiti delle quali oltre che a Coggiola si mostrano zone nella Valle Sesia. La grafite, il granato, la biotite, la silllimanite sono diffatti minerali comuni a tutte le roccie della massa gneissica compresa fra i graniti e le dioriti. D’altra parte le analogie fra i tipi di queste roccie senza biotite e molte stronaliti intercalate fra le dioriti sono evidenti. Tutti questi fatti sono della massima importanza per l’ulteriore studio dei rapporti fra le due masse dioritiche e le zone gneissiche che sono a loro contatto. — 35 — Sarà importante la ricerca della diffusione della cordierite, talora abbon- dante ed in grandi elementi in diversi tipi di kinzigiti riccamente grafitiche di cui si parlò nella Relazione per Fanno 1903. jS^otevole è la frequenza di filoni di microgranito e di pegmatiti in tutta la massa dei gneiss- Strona fin presso il contatto colla più grande zona dioritica e la presenza di larghe zone di gneiss metamorfosati anche a certa distanza dal contatto coi graniti. Al contatto col gneiss- Strona nel granito della grande massa che da Alzo si prosegue ininterrotta fino a Yaldengo nel Biellese si notano in vari punti dei passaggi a vere roccie dioritiche : alla Colma fra Civiasco e Arola, presso Foresto in Valle Sesia e presso Bioglio nel Biellese. Queste ultime presentano tipi interessantissimi ad olivina e pirosseni rombici con struttura ofitica. li’ing. Franchi estese poi nell’ottobre le sue ricerche nella Valle Mosso e nelle tavolette di Bioglio e Fossato, rilevando il limite dei graniti coi gneiss kinzigitici, il quale limite si nasconde sotto il pliocene a Ternengo, a 4 chilo- metri dalle dioriti, dopo di essere quasi venuto a contatto colle dioriti della grande zona presso Valle Superiore Mosso. Le ultime gite compiute dall’ing. Franchi nelle colline fra Ternengo e Quaregna gli permisero di rilevare il pliocene, fossilifero presso Villa Mazzuc- chetti, ricoperto da ferretto ben carratterizzato, costituente le sommità pianeg- gianti delle colline. Pure a Costellengo potè confermare l’esistenza di quell’importante deposito pliocenico essenzialmente rappresentato da sabbie gialle, ricoperte in alcuni punti, con evidente trasgressione, dal caratteristico ferretto dell’altipiano di Candelo. Le aree rilevate dell’ing. Franchi sono di circa 40 kmq. nelle Alpi Liguri e di circa 210 kmq. nella Val Sesia, in tutto circa 250 kmq. Questo lavoro fu compiuto con 93 giorni di campagna, percorrenza di 2191 chilometri su vie ordinarie, spese ferroviarie di lire 218. 89 e spesa com- plessiva di lire 1573. 69. Ing. Stella. — L’ing. Stella riprendendo il suo rilevamento nell’Ossola dedicò la prima metà del mese di luglio ad alcuni punti della Val Divedrò e della alta Valle Formazza, ove era necessario completare alcuni particolari importanti in vista della pubblicazione ‘ della carta geologica al 50,000 della regione del Sem- pione, alla quale il nostro Ufficio aveva preso impegno di collaborare. In queste Per parte della Commissione geologica svizzera. — 36 — nuove escursioni egli potè seguire nei particolari Fandamento delle zone sin- clinali di calcescisti studiandone profili particolareggiati fra la cresta di Camera e quella di Albiona, e potè inoltre studiare le complicate relazioni interce- denti fra le zone di scisti calcareo-gneissici e gli gneiss della Frua in quelFalto bacino. Il periodo fra la metà di luglio e la metà di ottobre fu dedicato al rile- vamento della zona montuosa elevata, che a Sud della cresta di Albiona si estende fino al Monte Rosa attraverso ai bacini della Valle Bognanco, Valle Antrona e Valle Anzasca, sempre alla destra della Valle del Toce, mentre poi il resto della campagna, cioè la seconda metà di ottobre, fu impiegata al rilevamento parziale della regione più bassa allo sbocco di dette valli e anche dalla parte opposta del Toce, fin contro la cosidetta zona dioritica d’ Ivrea. La regione “studiata si estende così fra questa principale massa dioritica, e le masse gneissiche Antigorio-Sempione, e si presentò molto complessa, e sia negli andamenti delle zone, sia nella composizione loro risulta alquanto differente da quanto appaia dalle carte geologiche precedenti. Già dalla carta del Gerlach appariva l’andamento sigmoidale della zona delle pietre verdi con inserzioni di calcescisti, attraverso la Valle Bognanco e Valle Antrona, girando poi il crinale verso Valle Anzasca; questo andamento devo essere confermato salvo uno spostamento della sua lingua estrema verso Villa d’Ossola. Per tal modo si viene a dividere la regione stessa in due parti, una interna a questa zona sigmoidale e una esterna. Quella esterna adattandovisi in zone grossolanamente concentriche com- prende in quell’area : una parte del massiccio del Monte Rosa, sbrecciato dalla Valle Anzasca superiore e dalla Valle Antrona a monte deiromonimo lago ; 2° la estrema cintura sinclinale di calcescisti che da Colle Baranca a Pontegrande di Bannio divide il massiccio suddetto dal massiccio Sesia-Vai di Lanzo ; 3® a S.E infine una successione di zone geologiche ristrette costituita dalla prosecuzione degli gneiss del Monte Rosa verso Beura, dalla minore lingua dioritica di Ca- stiglione, dalla prosecuzione dei gneiss della Sesia verso Piedimulera, e final- mente da una larga fascia di scisti (probabilmente permotriasici) in prosecuzione dei così detti .scisti di Rimella, fascia delimitata a S.E dalla maggiore fascia dioritica detta di Ivrea. La regione interna alla sigmoide di pietre verdi sopra caratterizzata è pure assai complessa e anch’essa presenta una, sebbene meno chiara, disposizione concentrica di zone geognostiche, che si raggruppano essenzialmente in due tipi litologici: quello dei gneiss più o meno ghiandoni e granitici; e quello dei mica- scisti e gneiss minuti con una importante sottozona calcare (contenente giaci- — 37 — menti lenticolari di limonite) e alcune striscio di scisti grafitici ^ Con ambedue i gruppi litologici e strettamente ad essi legate si presentano roccie basiche in masse anche di una certa importanza, come la serpentina di Moncucco, l’an- fibolite di Anzuno, e le numerose lenti anfibolitiche che s’incontrano nella bassa Val Melezzo. Fuori delle due regioni qui sopra delineate e a T^^ord ancora della sigmoide di pietre verdi laddove essa attraverso al confine di Stato passa in Valle Vaira si stende la restante area rilevata quest’anno, cioè quella porzione ove si ven- gono a fondere le zone gneissiche separate dalla cintura di calcare e calcescisti del Sempione, la quale parrebbe morire al di qua di Colle Monscera nell’alta Val Bognanco di sinistra. Fra i fatti che meritano di essere segnalati nell’area rilevata fin qui carat- terizzata, citiamo i seguenti; 1. La zona sigmoidale di pietre verdi, mentre nella sua estremità molto ridotta verso Villadossola assume apparenza di intercalazione fra i gneiss, si allarga verso Val Antrona comprendendo tipi caratteristici di pietre verdi eufotidiche, e diabasiche metamorfosate, oltre a serpentine peridotiche ; e più a nord poi contiene alternanze ripetute di tipici calcescisti con filari di mica- scisti, laddove appunto si dirige a riunirsi alla cintura settentrionale del mas- siccio del Monte Rosa. IN’otevole è il fatto che questi calcescisti e micascisti contengono qua e là tipi litologici molto simili a quelli altamente cristallini della regione Antigorio-Sempione. 2. La massa gneissica del Monte Rosa nell’alta Valle Anzasca contiene zone intercalate importanti di micascisti granatiferi con gneiss minuti, di cui le due più importanti sono anche tagliate dalla rotabile fra Vanzone e Pestarena. Oontiene pure, a contatto con queste, roccie basiche anfiboliche, e inoltre nel- l’alto bacino di Macuguaga anche filari calcarei, altamente cristallini, a silicati (granato, vesuviana, pirosseno, sfeno). L’ulteriore raccolta e studio dei calcari cristallini anche della regione Antigorio-Sempione, porta ad accrescere il nu- mero dei minerali silicatici in essi già segnalati, ai quali vanno aggiunti piros- seno e olivina. 3. Velia regione interna alla sigmoide sopra nominata merita attenzione la distribuzione accennata delle sotto-zone di micascisti e gneiss minuti, una delle quali corrisponderebbe all’incirca alla zona di micascisti segnata dal Gerlach attraverso i due sbocchi di Valle Bognanco e Valle Melezzo, e invece associata in carte geologiche posteriori alla zona mesozoica delle pietre verdi. ^ Cf. Relazione della campagna 1902. 4 - 38 — 4. Dal punto di vista della dispozione geotettonica generale dellDssola, merita menzione il fatto della complicazione, finora non avvertita dai geologi, che viene ad assumere il massiccio del Monte Rosa inteso in senso lato, fino verso Domodossola e della omologia marcata che esiste fra esso e la regione a nord di Domodossola comprendente il Sempione 5. 'N’ella regione rilevata sono stati oggetto di attento studio i giacimenti auriferi, dei quali i cenni che finora si trovano nella letteratura geologico-mi- neraria risultano insufficienti e spesso erronei. Yi sono nella nostra regione diversi tipi di giacimenti auriferi, o ritenuti tali, e cioè : tipi nettamente filo- niani nel gneiss del Monte Rosa (miniere di Yal Antrona, ricerche dell’alta Yalle Quarazza, miniera Casette in Yalle Bianca); tipi lenticolari e stratiformi inter- posti nelle sottozone sopra accennate di micascisti e gneiss minuti (miniere di Pestarena, dei Cani, di Scalaccia, di Agarè); tipi stratiformi in roccie basiche eufotidiche (miniera del Biison); tipi lenticolari irregolari negli scisti meta- morfici da roccie porfiriche e porfiritiche in prosecuzione dei cosidetti scisti di Rimella (ricerche di Yal Segnara, miniere di Yal Toppa, Croppino, Yo- gogna). Questi giacimenti auriferi formeranno oggetto di apposita nota per il Bol- lettino. L’area rilevata nelle escursioni dell’ing. Stella ammonta a 300 hmq. circa, e per questo lavoro occorsero 140 giorni di campagna, la percorrenza dikm. 2737 su vie ordinarie, una spesa ferroviaria di lire 327. 68, ed una spesa complessiva di lire 2,198. 78. In queste cifre sono comprese anche quelle di una gita a Conegliano per prendere accordi con la Direzione di quella Scuola di enologia per la forma- zione di una carta geognostico-agraria di quel territorio. Liguria. — Ing.-capo Zaccagna. — IN’eiranno 1904 l’ing. Zaccagna non potè iniziare la sua campagna geologica che a stagione assai avanzata. Sul finire del mese di luglio egli riprese il rilevamento nella tavoletta di Portofino (Liguria orientale) dove rilevò il terreno miocenico ed eocenico di quel promontorio, passando quindi nella contigua tavoletta di Becco. Rispetto al noto conglomerato miocenico, i cui banchi alternando con rari letti arenacei, inclinano a S.S.O, oltre ai ciottoli d’alberese che prevalentemente lo compongono, trovansi con una certa frequenza, sopratutto verso la parte ‘ Cf. hlota apposita nel numero del Boll. R. Coni. Geol., 1905. 39 - orientale del promontorio, quelli di quarzite, anagenite rosea, besimaudite, ser- pentina ed enfotide. Queste ultime roccie provengono probabilmente dalle for- mazioni eoceniche, segnatamente dai monti del Chiavarese, dove le roccie ofiolitiche sono così sviluppate ; ma non è facile spiegare la provenienza delle altre roccie indubbiamente permo-triasiche del conglomerato, poiché noi non incontriamo quei terreni che assai lontano dal promontorio, cioè nelle Alpi Apuane e nella Liguria occidentale. Osservando poi che nelle Alpi Apuane non esistono quarziti bianche e compatte come quelle del conglomerato e che le roccie simili non trovansi che al di là di Savona, ed argomentando dalla grandezza piuttosto notevole dei ciottoli, egli opina che quel materiale possa essere stato fornito da qualche lembo di terreni antichi, ora scomparso, che emergeva dal mare nell’epoca miocenica nelle vicinanze del promontorio. jS'el mese di agosto e parte del settembre venne proseguito il rilevamento nella tavoletta di Garessio (Liguria occidentale) di cui compì il quadrante ]^.0 alla scala 1/25,000; poscia sulla sinistra del Tanaro all’angolo IN’.E della tavo- letta di Alassio e nei pressi di Ormea. jN'ella suindicata parte della tavoletta di Garessio è a notarsi la presenza di piccole masse di serpentina fra gli scisti filladici del Permiano sul vallone di Gambulogno sulla destra del Tanaro e presso i Tetti Boeri sulla sinistra, analogamente a quanto fu già notato nella precedente relazione fra gli scisti carboniferi del vicino vallone di Massimino. Lo studio del paleozoico della Yalle del Tanaro viene quindi ad aggiungere due nuovi livelli ai giacimenti già noti delle roccie ofiolitiche. Sull’angolo S.G della tavoletta di Garessio, ai calcari triasici che vanno a formare l’anticlinale del Monte Antoroto, figurato in una sezione geologica da lui pubblicata vari anni or sono (1887), si addossa un lembo di calcari stra- tiformi grigio-bruni, talora con liste di selce, che egli riferisce al Titonico; ed un lembo di scisti calcari e breccie appartenenti al nummulitico. Questi lembi, di cui non era facile avvertire la presenza senza il rilevamento dettagliato, formando essi una zona che stendesi a mezza costa da E ad O, fra Cascine e la Rocca d’Orse, restano compresi nel sinclinale triasico che vedesi in detta sezione sul fianco sud di qiiella montagna. Questo importante fatto, che senza alterare il motivo stratigrafico della sezione stessa è tuttavia frequente, spiega la presenza dei lembi eocenici stac- cati ed inclusi nelle roccie più antiche in vari punti della catena delle Alpi Marittime, e fra altri quello che osservasi di fronte ad Ormea sulla destra del Tanaro, fu dallo Zaccagna osservato fin dallo scorso anno, ed ora accurata- mente rilevato tanto sulla tavoletta di Garessio che sulle vicine, nelle quali trovasene la continuazione. — 40 — JN'ella seconda metà del settembre egli terminò il rilevamento della tavo- letta di Yill anova (Mondovì) già iniziato vari anni prima. In questa tavoletta è notevole la presenza d’una zona di calcescisti che ^i stende sulla destra del Pesio e racchiude varie masse di serpentina già da lui osservate fino dal 1883 ed allora attribuite al Trias in un coi calcescisti, ma che in seguito ritenne riferibili all’arcaico. Su di essa si appoggiano scisti sericitici verdicci e neri carboniosi con straterolli di arenaria micacea, che potrebbero rappresentare il Carbonifero. Seguono i noti calcari triasici fossiliferi dei Dossi e di Tillanova e quindi le quarziti e le roccie permiane che con forti ripiegamenti vengono ad affiorare in larghe zone nella sottostante tavoletta di Frabosa. Sulla destra dell’Ellero, al monastero di Yasco, sopra le formazioni permo- triasiche, si adagiano i conglomerati di queste stesse roccie che egli ritiene tongriani perchè in diretta continuità con quelli di Bagnasco in ^^alle del Ta- naro, indi le sabbie, molasse e marne elveziane delle colline monregalesi. Altre argille, sabbie e marne attribuibili al Pliocene affiorano nel fondo dei rivi e dei torrenti che solcano il ripiano formato dal diluviale che sten- desi tra Pianfei, Villano va e Rocca de’ Baldi sulla sinistra dell’Ellero ai piedi dei colli di calcescisto e calcare triasico, ricoprendoli coi suoi lembi sino ad oltre 600 metri d’altezza. Infine, la maggior parte del mese di ottobre venne impiegata nella regione Savonese rilevando il quarto S.O della tavoletta d’ Altare al 1/25,000. Il ter- reno dominante è costituito dalla besimaudite permiana del tipo gneissico, in associazione con masse granitiche a contorno indefinito, e con lenti d’anfi- bolite. A queste roccie succede un’altra formazione, pure attribuibile al Permiano, di scisti grigi, verdicci e rossi fogliettati, con diaspri, fra i quali trovansi inseriti banchi e masse ragguardevoli di serpentina, eufotide e pra- sinito. Insieme a queste roccie, ma segnatamente al disopra, dove si sviluppano considerevolmente, trovansi calcari scistosi e stratiformi grigi, che chiudono la serie delle roccie permiane. È a notarsi pertanto la grande analogia fra questa associazione di roccie permiane e quella corrispondente alla zona serpentinosa dei galestri e dell’alberese nel periodo eocenico. Sulle roccie permiane, disseminati in vari punti, trovansi lembi di scisti, quarziti e calcari triasici ; come è quello che dal Brio Tremo scende verso la strada di Cadibona, e quello che forma il cosidetto Naso di gatto sulla mulat- tiera che da Savona conduce a Montenotte. L’area complessivamente rilevata può ritenersi di 270 km. q., e per questo lavoro vennero impiegati 79 giorni, percorsi 1749 km., spese per ferrovia lire 205. 75, con una spesa totale di lire 1423. 45. - 41 Umbria. — Ing.-capo Lotti. — Prima di cominciare il rilevamento rego- lare l’ingegner Lotti prese parte al lavoro della Commissione, di cui fu già fatto cenno, incaricata di visitare una località caratteristica a nord del Monte Subasio per lo studio della età degli strati marnoso-arenacei, fossiliferi del- l’Umbria, e fu già riferito sui risultati di tale studio. Il rilevamento regolare si svolse poi nell’area della tavoletta di Perentillo, che fu portata a termine ed in parte di quelle di Spoleto, di Massa Martana, di I^^orcia e di Leonessa. Il rilevamento geologico di questa regione fu reso difficile e nello stesso tempo interessantissimo non solo dalla grande varietà di formazioni, specialmente di quelle secondarie, ma altresì dalla presenza e frequenza di complicazioni tectoniche di non comune entità. I terreni e i fossili sono presso a poco quelli incontrati nella campagna precedente. Di importante vi sarebbe da notare la mancanza costante, nei monti tra Perentillo e Spoleto, di calcari bianchi cenomaniani fra la scaglia e gli scisti a fiicoicli del Heocomiano superiore ; pur nondimeno i calcari rossi della scaglia passano con perfetta concordanza e gradazione litologica agli scisti a fucoidi. Questo fatto sembrerebbe un argomento contrario per il rife- rimento (Iella scaglia all’Eocene, che sarebbe invece indicato dal rinvenimento di nummuliti in tutta la massa di questo terreno nei prossimi monti di Leo- nessa. Se la scaglia dovesse, come indicano le nummuliti di specie decisamente eoceniche, ritenersi eocenica si passerebbe dal JSTeocomiano alFEocene con con- tinuità di deposito, pur mancando il Cretaceo medio e superiore. Un altro fatto degno di osservazione e non nuovo nella struttura geologica di queste propaggini umbre dell’ Appennino centrale, è la discontinuità, con discordanza spesso accentuata, fra il Lias superiore e i sottostanti terreni. In tutto il gruppo del Monte Aspra, da Poiino a Monteleone di Spoleto, i calcari rossi ammonitiferi del Lias superiore riposano direttamente sui calcari bianchi, massicci del Lias inferiore, e in più luoghi il contatto è accompagnato da di- slocazioni. Solo qua e là fra i due terreni compaiono piccoli lembi di calcare con selce del Lias medio. Le più notevoli dislocazioni si osservano nella catena che separa, da un lato, le due vmlli del Tascino e del Tessine, che corrono in direzione opposta, una verso Terni l’altra verso Spoleto, dall’altro il tratto della Yalneriiia compreso fra Ceselli e Perentillo. Yel versante di questa catena che scende alla Yalne- rina si hanno essenzialmente due pieghe anticlinali ribaltate verso Est, una nella pendice orientale del Monte Pionchi, l’altra nella pendice pure orientale del Monte Solenne, hfel versante di Spoleto le dislocazioni sono ancora più accentuate, comprendendo quivi un esteso ricoprimento del calcare del Lias inferiore sopra la scaglia senoniana. — 42 — Di questo fenomeno, di straordinaria importanza per la tectonica deir Ap- pennino centrale, era stato intraveduto un indizio dal professor Tarameli], in una escursione da lui fatta nei dintorni di Spoleto, in occasione dei terremoti del 1895, e ne fu fatta menzione anche dal Verri nel « Bollettino della Società geo- logica italiana » (Voi. XXII, 1903). Esso però meritava uno studio speciale e una particolareggiata descrizione, e questa fu fatta nel nostro Bollettino dal- l’ingegner Lotti, che la corredò con sezioni, le quali ne pongono in evidenza le condizioni tectoniche veramente eccezionali. L’ingegner Lotti rilevò circa 450 km. q. di territorio impiegandovi 92 giorni, con percorso di km. 2495, spesa ferroviaria di lire 142.95 e con spesa com- plessiva di lire 1719. 48. Aiut.-Ing. Moderni. — Riprese in questa campagna con la scorta di nuovi dati ed orizzonti caratteristici, stabiliti negli anni precedenti col rilevamento delle regioni limitrofe, lo studio particolareggiato della tavoletta di Leonessa ed estese i suoi rilievi anche al lembo meridionale di quella di Xorcia. Ven- nero in questa occasione meglio precisati i limiti del Lias inferiore, e riguardo ai sovrapposti membri della serie fu ancora una volta confermata la impossi- bilità riscontrata negli anni precedenti di separare in modo razionale il Lias superiore dal Lias medio. Xonostante una discreta raccolta di fossili, specialmente di ammoniti, fatta sia negli scisti rossi, che dovrebbero rappresentare il Lias superiore, sia nei calcari marnosi grigi che indicherebbero il Lias medio, fu constatato che gli scisti rossi non solo si trovano spesso intercalati ai calcari marnosi, ma sono spesso a contatto con le dolomie del Lias inferiore, sottostando così a tutti i membri della serie, mentre poi in altre località ossi ne formane la parte più alta, venendo in diretto contatto coi diaspri titonici. In qualunque posto della serie si trovino, questi scisti rossi sono litologicamente identici, e si ha il fatto importante di due ammoniti in essi rinvenuti in località differenti, ma sempre nella zona più bassa della serie, le quali vennero classificate dal prof. Parona e dal dott. Bonarelli come caratteristiche del Lias superiore. In questo . caso il Lias superiore avrebbe la inusitata potenza di più che 600 metri. Ma contro questa conclusione, che confermerebbe quanto fu osservato in regioni finitime dall’ing. Lotti, la mancanza cioè di piani del Lias medio, sta il fatto che altre ammoniti raccolte nei calcari grigi furono, anche dal dot- tore Di Stefano, classificate come appartenenti al Lias medio, e particolarmente alla parte più alta di questo piano. Xel gruppo di Monte Boragine ed in quello di Monte Tolentino gli scisti rossi sono evidentemente intercalati nei calcari e al Monte Calabio presso Leo- - 43 — nessa i calcari racchiudenti le ammoniti del Lias medio, sembrano formare una una grossa lente entro gli scisti rossi. Una esatta e razionale delimitazione di questi terreni verrà forse come conseguenza di nuove ricerche paleontologiche, dell’estendersi dei rilevamenti alle prossime regioni, dove si potrà eventualmente trovare sia la possibilità di riconoscer meglio i rapporti stratigrafici, sia qualche caratteristico giacimento fossilifero. Il Titonico della regione è facilmente riconoscibile e si può agevolmente delimitare per la sua caratteristica zona inferiore di diaspri, e nel Cretaceo vennero distinti il Cenomaniano e il ISTeocomiano, separati dalla zona degli scisti a f uccidi del IN^eocomiano superiore. Quest’ultimo terreno nella sua parte più bassa passa con insensibile gradazione al sottostante Titonico. Un fatto di notevole importanza è quello, cui venne già accennato, della scoperta, fatta sin dalla precedente campagna e in questa ampiamente confer- mata, della presenza di numerose nummuliti, nel Monte Tilia presso Leonessa e nel gruppo del Terminillo, del Monte Boragine e del Monte Tolentino, entro banchi di calcare cristallino e di brecciole intercalati nella scaglia rossa e ci- nerea, ed anche entro il calcare rosato che starebbe alla base della scaglia stessa. Le nummuliti sono più rare nel calcare rosato; e quelle raccolte durante la campagna vennero studiate dal dott. Prever al Museo geologico dell’Uni- versità di Torino : egli le determinò come nummuliti dell’Eocene più antico, e da questo studio si dovrebbe concludere che la scaglia dei dintorni di Leonessa appartenga interamente a questo piano. Ciò sarebbe d’accordo con quanto venne osservato in altre regioni da altri studiosi (Canavari, ecc.), ma per adottare una classificazione definitiva occorre anche in questo caso attendere pruden- temente che i rilevamenti vengano estesi alle regioni limitrofe e raccogliere più abbondanti e variati elementi paleontologici. Le argille biancastre, coperte da breccia a grossi e informi elementi che ricolmano il bacino lacustre estendentesi di fronte a Leonessa, appartengono al così detto Pliocene vallivo, e a questo piano andrebbe riferito il banco di lignite segnalato dal Moderni nella precedente campagna. L’area rilevata a nuovo dal Moderni è di circa 250 kmq. ed oltre a ciò venne fatto un particolareggiato studio e suddivisione della complessa serie secondaria di quella difficile regione. Yennero in questo lavoro impiegati 113 giorni di campagna, furono per- corsi 2606 km. e spese lire 58. 79 in ferrovia, risultanto complessivamente una spesa di lire 1388. 29. — 44 — Marche e Abruzzo. — Aiut.-Ing. Cassetti. — Aella regione marchigiana l’aiutante Cassetti si occupò della continuazione dello studio e rilevamento del Monte Conero e dintorni, ed avendo l’ingegnere- capo dei rilevamenti presa parte a qualcuna delle sue gite, già fu accennato ai principali risultati sulla struttura di questa interessante montagna. Allo stato attuale delle conoscenze, e basandosi solo sulla straordinaria quantità di orbitoidi che gremiscono gli strati di calcare bianco e rosato, simile alla scaglia, i quali formano un mantello potente e quasi non interrotto da ogni lato della montagna, anche a parere del dott. Di Stefano, che esaminò nume- rose sezioni sottili di quei calcari ad orbitoidi, si dovrebbe ritenere trovarsi in presenza di terreni di facies eocenica piuttostochè cretacea, e ciò quantunque finora non vi si sieno trovate vere nummuliti. I^^el parlare delle escursioni dell’ing. Baldacci vennero esposte altre ragioni che porterebbero a credere alle eocenicità di quei calcari, ma siccome tale fatto cambierebbe radicalmente le nozioni ora generalmente accettate sulla costituzione geologica del Conero, che viene ritenuto essenzialmente cretaceo, sarà bene che ulteriori e particolareg- giati studi portino maggior luce sulla questione. Ai calcari del Conero ad orbitoidi si addossano concordantemente le marne più o meno scistose, mioceniche ed a queste fa seguito la zona gessoso- solfifera a congerie, indi il Pliocene e il Quaternario, che si estendono dalla sponda deir Aspio all’Esino e al mare, proseguendo poi fra Jesi e Sinigaglia ed oltre. D’area rilevata dal Cassetti nella regione ora indicata è di circa 170 kmq. IN'eir Abruzzo il Cassetti rilevò i gruppi elevati del Velino e del Sirente, riconoscendo nel primo di questi una potente pila di strati di calcari cretacei di vario aspetto, con stratificazione leggermente ondulata e che in qualche tratto si avvicina all’orizzontale, solcata in vario senso da valli e burroni, do- vuti in parte all’erosione in parte a frattura. IN^ei calcari più bassi furono rinvenuti esemplari di Toucasie e di Verinee, mentre quelli superiori fino a raggiungere la cima del Velino sono ippuritici. Su questi ultimi poi, nei più bassi contrafforti a S.O del gruppo, sulla sponda destra del Salto, si trovano banchi di calcari eocenici a pecten, perfettamente con loro concordanti. Il versante S.O del gruppo del Sirente presenta l’aspetto di un gran piano inclinato, quello opposto invece, cioè quello che si erge sulla sponda destra deH’Atorno, scende generalmente con ripide e precipitose pendici. Quivi, per lunghi tratti, si mostrano allineate le testate dei banchi calcarei di cui il mas- siccio è costituito, ed anche qui il più antico terreno è rappresentato dai calcari a Toucasie, quello superiore dai calcari ippuritici. — 45 — Sui calcari ippuritici, a guisa di ampio mantello, si appoggiano concordan- temente i calcari eocenici a piccoli pecten^ cui sovrastano qua e là, a lembi limitati e interrotti, dei calcari a grandi pecten e calcari marnosi con fauna di tipo miocenico, i quali si immergono poi sotto estesi e potenti depositi di are- narie grossolane, scistose, micacee, argillose. Specialmente nei monti del gruppo del Sirente si riscontrano qua e là affio- ramenti di Bauxite, compresi sempre nella zona più alta dei calcari a Toucasie. Per le ragioni già più volte esposte questi lavori del Cassetti nei monti abruzzesi devono esser considerati come nuovi rilevamenti, ed è perciò che in questa parte se ne dà conto. L’area definitivamente rilevata in questi gruppi montuosi può ragguagliarsi a 300 kmq. Per gli studi sovra esposti, col rilevamento di circa 470 kmq., ivi com- prese le gite al Conero, monti di Sulmona e Sirente, fatte con l’ingegnere-capo dei rilevamenti, l’aiutante Cassetti impiegò 122 giorni di escursioni, percorse 2553 km., spese in ferrovia lire 249 06, con una spesa totale di lire 1619. 31. Revisioni. Basilicata e provincia di Salerno. — Pia dall’anao precedente era stata esposta la necessità di praticare revisioni nei fogli della Basilicata e provincie limitrofe ora in corso di pubblicazione, e si è già accennato alle importanti ra- gioni che la consigliavano. A questo lavoro attesero nella decorsa campagna gli ingegneri Viola e Sabatini, i quali si occuparono rispettivamente delle regioni da loro precedentemente rilevate nel periodo 1888-1892, e per lo studio ed esatta determinazione di alcuni terreni terziari di dubbia interpretazione. Si ricorse anche all’opera del paleontologo dott. Di Stefano. Ing. Viola. — Ebbe a rivedere varie tavolette della provincia di Salerno e cioè specialmente quelle di Rocca d’ Aspide, Laurino, Sanza, Polla, Sala Con- silina. Poche modificazioni si trovarono da introdurre, e fra queste fu trovato necessario dare maggiore estensione al Miocene dei dintorni di Rocca d’ Aspide, fu distinta presso Sanza una potente formazione dolomitica, non fossilifera e dissimile dalla dolomia triasica, la quale con ogni probabilità è da riferirsi al Cretaceo inferiore. Vennero meglio stabiliti i limiti fra il Pliocene e l’Eocene presso San Pietro e San Rufo nei dintorni di Sala Consilina, e si riconobbe la necessità di praticare ulteriori revisioni nella tavoletta di Polla. Velia Basilicata vennero presi in particolare esame i dintorni di Lauria, il Monte Sant’Elia e la parte confinante con la tavoletta di Latronico presso — 46 — Castellaccio, non trovando necessità di introdurre nelle vecchie carte modifi- cazione sostanziali. In ricognizioni fatte da Latronico l’Eocene, già constatato in precedenti escursioni, fu limitato fino alla cima del Monte Alpe ; e in altre escursioni verso Episcopia e San Severino Lucano, si separò e si delimitò il conglomerato supe- riore quaternario dal Pliocene, costituito da sabbie ed argille. Ideila regione comprendente la tavoletta di Montemurro, fu trovato oppor- tuno di aggruppare vari terreni eocenici che si erano dapprima tenuti suddi- visi e di separare un gruppo di strati probabilmente oligocenici. Le revisioni dell’ing. Viola si estesero a circa 2000 kmq., e gli occorsero per- questo lavoro 65 giorni di escursioni, con percorso di km. 2018, spesa fer- roviaria lire 286 93 e spesa totale di lire 1379. 83. Ing. Sabatini. — L’ing. Sabatini, inviato a fare revisioni sulle tavolette da lui rilevate, non vi potè dedicare che 12 giorni nel luglio e 21 nel novembre. IN’el primo periodo vi fu accompagnato dal dott. Di Stefano, facendo escursioni nei dintorni di Potenza, Vaglio, Tolve. IN^el secondo egli vi andò solo rive- dendo alcuni luoghi dei dintorni di Cognato, Anzi, Trivigno e Lagopesole. La pessima stagione contrariò assai il maggior numero di tali escursioni; ciò non di meno, lungo gFitiuerari percorsi i limiti dei terreni furono in gran parte sistemati meglio di quel che risultasse dai rilevamenti fatti in addietro. Uno dei principali risultati ottenuti ora e certo il più importante, è stato quello di sistemare la posizione delle arenarie e dei conglomerati con e senza inclusi di roccie cristalline. Essi sono tutti in intercalazioni nell’Eocene, il quale risulterebbe costituito di alternanze di tali conglomerati ed arenarie con calcari marnosi, calcari più o meno cristallini, calcari nummulitici, calcari a scagliette, calcari nerastri ed arenarie a straterelli, argillle scagliose, argille comuni, ecc. Così non è più il caso di differenziare i conglomerati di Vaglio, Brindisi, Anzi, Trivigno, Castelmezzano, Pietrapertosa e tutti gli altri segnati sulle tavolette rilevate. L’ing. Sabatini potette mettere insieme un’importante sezione presso Pietrapertosa, ove la serie ha per termini estremi argille sca- gliose e calcari, così in alto, come in basso, e in mezzo le arenarie a strate- relli e quelle a grossi banchi alternano due volte. IS'el Cilento, dopo un paio di escursioni fattevi, si potette assodare che la potente formazione dei conglomerati che formano i monti dei dintorni di V allo sia coeva di quella anzidetta di Anzi, Trivigno, ecc. L’area riveduta fu in complesso di circa 400 kmq., e per tale lavoro l’inge- gnere Sabatini impiegò 33 giorni di escursioni, con percorso di 1095 km., spese ferroviarie di lire 211. 63 e spesa totale di lire 775. 63. — 47 — Doti. Di-Stefano. — Insieme all’ing. Sabatini fece escursioni nei dintorni di Potenza, Vaglio, Pignola, Castelmezzano, Pietrapertosa, ecc., od anche nei din- torni di Vallo di Lucania. Oggetto di queste gite era lo studio delle formazioni di arenarie e con- glomerati a elementi di roccie cristalline che tanto sviluppo hanno nelle due regioni, e fu in questa occasione confermato che i potenti conglomerati del Monte di Vovi e dintorni di Vallo della Lucania appartengono a piano non pre- cisabile per mancanza di fossili, ma sono probabilmente coeve con le arenarie grossolane di Pietrapertosa e coi conglomerati di altre regioni della Basilicata, i quali sono indubitabilmente inclusi nella formazione degli scisti argillosi e roccie associate dell’Eocene. Le escursioni del dott. Di-Stefano riuscirono assai utili anche per chiarire vari dubbi sulla precisa età geologica di vari terreni del terziario superiore, e confermarono anche la esistenza di vari affioramenti triasici, già precedente- mente rilevati. Il dott. Di-Stefano impiegò in queste gite 12 giorni, con percorso di 487 km., spesa ferroviaria di lire 76.61 e spesa totale di lire 312.71, con revi- sione di circa 100 kmq. di superficie. V uLCANi Bomani. — Ing. Sabatini. — Durante la campagna 1904 l’ing. Saba- tini dedicò il tempo che gli rimaneva libero dalle escursioni in Basilicata al prosegnimento del lavoro sui vulcani della provincia di Roma iniziando le osservazioni nella parte occidentale del gruppo Vulsinio nei dintorni di Grotte di Castro, di Marta e di Toscanellla, in particolare per il riconoscimento delle lave e degli altri materiali vulcanici. Il lavoro però non potè essere molto avanzato, sià per la difficoltà che esso presenta per sè stesso, sia per la grande estensione del territorio che ha centro necessario di residenza in Toscanella, estensione la quale obbliga a percorsi assai lunghi per recarsi sul luogo deL Tosservazione. Importante a notarsi è la analogia esistente fra il cosidetto nenfro di Rocca Rispampani e di altre località, e il peperino viterbese, molti caratteri comuni avvicinano le due roccie e forse dalla comune struttura si potrà risalire ad un comune modo d’origine; occorreranno però altre ricerche prima di venire ad nna conclusione sicura. Incidentalmente poi il Sabatini segnalò la esistenza del calcare ad am- phistegina (Pliocene superiore) a sud del Poggio Primavera al S.O di To- scanella. La superficie esaminata fu di kmq. 200, con 69 giornate di lavoro e una spesa totale di lire 1187. 23. 48 — Appennino Romano. — Ing. Viola. — Ben poco tempo rimase all’ing. Viola, occupato nelle revisioni in Basilicata e provincia di Salerno, da dedicare all' Ap- pennino Romano, e solo potè fare qualche escursione nei dintorni di Tivoli, nei quali restano a risolversi importanti questioni tettoniche. Calabria settentrionale. — Ing. Crema. — Velia decorsa campagna l’inge- gnere Crema ha ripreso e pressoché ultimata la revisione da lui iniziata nel 1902 delle formazioni terziarie dell’estremità V.E della provincia di Cosenza, compresa nei fogli 211 e 212 non ancora pubblicati. Vennero così parzial- mente riveduti circa 200 kmq. comprendendovi anche qualche gita più a sud per i necesssri raccordi. Questa revisione oltre ad importanti cambiamenti nella delimitazione di varie formazioni, particolarmente nel territorio di Oriolo e di Rocca Imperiale, ha condotto a stabilire ; 1^^ Che le argille sabbiose, le sabbie ed i conglomerati che si stendono da Rocca Imperiale ad Amendolara riferiti già al Pliocene medio e superiore appartengono invece al Postpliocene. Votevole presso Rocca Imperiale un lembo di argille salmastre a Cardium, Melanopsis, Potamides, ecc., sottostanti a detta formazione. 2® Che le arenarie e gli scisti attribuiti già all’Oligocene, sono siffatta- mente associati fra di loro che la loro distinzione riesce sempre difficile e spesso impossibile sul terreno e probabilmente senza pratica utilità sulle carte. 3® Che questa formazione nel territorio di Oriolo appartiene non all'Oli- gocene ma al Miocene medio e che a tale piano va forse riferita, almeno par- zialmente, anche nel resto della regione considerata. 4*^ Che le argille, gli scisti ed i calcari sottostanti contengono tutti la stessa fauna indicante il Bartoniano e non hanno quindi un’età differente da quella degli scisti argillosi e seritici con calcari nummulitici e roccie eruttive del Vallo di Mormanno, della Valle del Lao, di Verbicaro, di Diamante e dei dintorni di Lungro. Perchè questa revisione venga condotta a termine nei limiti del suo pro- gramma non resta ormai altro che di precisare fino a qual punto le conclu- sioni adottate per la massa arenaceo-scistosa di Oriolo possano essere estese al resto della stessa formazione fin qui ritenuta oligocenica. Velia decorsa campagna le escursioni compiute daU’ing. Crema, richiesero, causa anche la contrarietà del tempo, giorni 28, con un percorso di km. 549, spesa ferroviaria di lire 112. 97 ed una spesa totale di lire 487. 67. - 49 — Ricerche paleontologiche sul terreno. Doti. Di-Stefano. — Delle escursioni fatte dal paleontologo dell’ Ufficio per ricerche di fossili, abbiamo già detto sopra, trattando delle revisioni in Basilicata, dove egli impiegò giorni 12. Ing. Crema. — Isella seconda metà di luglio venne incaricato di visitare le formazioni calcaree cretacee dei dintorni di Bagno (Aquila) per ricercarvi gli elementi paleontologici e stratigrafici nececessari alla loro definitiva deter- minazione cronologica. L’ ing. Crema nelle sue escursioni potè raccogliere un discreto numero di fossili, principalmente corallari e molluschi (fra i quali molte chamacee) i quali in conformità ad analoga deliberazione del Comitato vennero inviati al prof. Parona che già aveva acconsentito ad occuparsi di tale importante studio. Quest’ invio fu accompagnato da una succinta relazione dell’ ing. Crema contenente brevi cenni descrittivi delle località da lui vi- sitate. Durante il mese di agosto lo stesso ing. Crema eseguì poi varie escur- sioni nei terreni terziari e secondari delle Alpi Marittime particolarmente nei dintorni di Triora e di Limone riportandone numerosi fossili, sui quali egli riferirà prossimamente. Per tutte queste ricerche V ing. Crema impiegò complessivamente 35 giorni e percorse su strade ordinarie km. 747, con spesa ferroroviaria di lire ld7. 09 e con una spesa totale di lire 653. 69. — 50 Riepilogo. Quadro delle escursioni. OPERATORI e scopo delle escursioni Giorni impiegati Chilometri su vie ordinarie Biglietti di ferrovia e piroscafi VlO del prece- dente Spesa totale Area rilevata (Ri) 0 riveduta (re) Ing.-capo L. Baldacci (Direzione). . 41 647 L. C. L. C. 59.79 L. C. 622.89 K.q. Ing.-capo Lotti (Rilevamenti) . . . 92 2,495 130. 00 12. 95 1,719.48 450 Ri Ing.-capo Zaccsgna (Id.) 79 1,749 187.05 18. 70 1,423.45 270 Ri Ing. Mattirolo (Id.) 66 933 199.15 19. 90 993. 95 100 Ri Ing. Novarese (Id.) 107 2,030 235.45 23.53 1,670. 48 180 Ri Ing. Franchi (Id.) 93 2,191 199.00 19.89 1,573.69 250 Ri Ing. Stella (Id.) 140 2,737 297.90 29 78 2,198. 78 300 Ri Ing. Viola (Revisioni Basilicata). . 65 2,018 260.85 26.08 1,379.83 2,000 re Ing. Sabatini (Revisioni Vulsini) . 69 2,004 51.40 5.14 1,187.23 200 re Id. (Revisioni Basilicata). 33 1,095 192. 40 19. 23 775.63 400 re Dott. Di-Stefano (Revisioni). . . 12 487 69.65 6.96 312. 71 100 re Ing. Crema (Ricerche paleontolo- giche) 35 747 151 90 15.19 653. 69 . . Id. (Revisioni) 28 549 102. 70 10. 27 487. 67 100 re Aiut. Cassetti (Rilevamenti e revi- sioni) 122 2,553 226.40 22.66 1.619.31 470 Ri, re Aiut. Moderni (Rilevamenti) . . . 113 2,606 53.45 5. 34 1,388.29 250 Ri Totale . . . l,095j 24,841 2,357.30 295.41 18,007.08 5,070 Riassunto generale. Scopo, luogo delle escursioni e operatori Giorni impiegati Chilometri su via ordinaria Spesa totale Area rilevata L. C. K.q. Direzione dei rilevamenti (ing.-capo Baldacci) 41 647 622. 89 Nuovi rilevamenti: Alpi (Mattirolo, Novarese, Franchi, Stella) 406 7,891 6,436.90 830 Liguria (Zaccagna) 79 1,749 1,423. 45 270 Umbria-Abruzzo-Marche (Lotti, Moderni, Cassetti) 327 7,654 4,727. 08 1,170 Totali . . . - 853 17,941 13,210.32 2,270 Revisioni: Area riveduta K.q. Basilicata (Viola, Sabatini, Di Stefano) . . no 3,600 2.468.17 2,500 Calabria settentrionale (Crema) 28 549 487. 67 100 Vulcani romani (Sabatini) 69 2.004 1,187.23 200 Ricerche paleontologiche sul terreno : Abruzzo-Alpi (Crema) 35 747 653.69 •• Totali . . . 242 6,900 4,706. 76 2,800 Incarichi speciali. Ing.-capo Baldacci. — Nei primi mesi di quest’ anno F ing. Baldacci ebbe ad occuparsi del compimento degli studi della Commissione per una ferrovia da Bologna a Firenze, e presentò in proposito una speciale Relazione con carta e sezioni geologiche, la quale venne pubblicata in allegato alla Relazione gene- rale della Commissione stessa. Alle biblioteche del R. Ufficio geologico e dello Ispettorato delle miniere vennero date copie della Relazione medesima. — 52 — Proseguì poi gli studi per la Commissione del problema ferroviario del porto di Genova, visitando col senatore Capellini e altri membri della Com- missione i tracciati proposti per nuovi valichi appenninici progettati, fra cui quello di una linea Genova-Yoltaggio-Gavi-Tortona, quelle delle così detta di- rettissima per Yalle Secca, Rigoroso a Tortona, con speciale riguardo alla grande galleria di poco meno che 20 km. che ne forma la principale caratteri- stica, quello della linea Genova-Piacenza per le valli del Bisagno e della Trebbia. Su questi argomenti e su altri relativi a progetti per linee da Genova a Borgotaro con grande galleria sotto il Monte Penna, da Genova a Sarzana (linea interna), da Ronco a Yoghera T ing. Baldacci fece speciali relazioni che verranno pubblicate nella seconda parte della Relazione generale di detta Com- missione, della quale la prima parte è già stata pubblicata. Insieme all’ ing. capo del Genio civile e a quello della provincia di Aquila fece parte di una Commissione per lo studio di provvedimenti contro le frane minaccianti una strada provinciale presso Carsoli. Inoltre l’ ing. Baldacci eseguì, sempre per incarico del Ministero dei lavori pubblici, lo studio delle condizioni geologiche del tracciato del tronco ferro- viario Yievola-Yentimiglia, sulla linea Cuneo- Yentimiglia, e riferì in proposito al R. Ispettorato generale delle strade ferrate. Finalmente ebbe ad occuparsi per conto della Direzione degli studi per l’Acquedotto Pugliese di visitare un nuovo tracciato proposto per la grande galleria dell’ Appennino e di riferire in riguardo delle sue condizioni geologiche. Per le varie visite di cui sopra, per adunanze delle Commissioni, ecc., l’ ing. Baldacci fece 55 giorni di escursioni con percorso di 776 km. su vie or- dinarie e spesa totale di lire 668. 11, che venne pagata direttamente dal Mi- nistero dei lavori pubblici. Incarichi privati. — Conia debita autorizzazione ministeriale l’ ing. Baldacci fece parte insieme ai signori comm. ing. Crugnola e prof. Gasperini della Dni- versità di Pisa di una Commissione nominata dal Municipio di Bologna per lo studio delle alterazioni che potevano derivare alle acque freatiche dei dintorni di Bologna per effetto di lavori di ampliamento delle zone di inumazione di quel Cimitero comunale della Certosa. La Commissione riferì in proposito, e propose i mezzi atti a prevenire F inquinamento di quello falde freatiche. Finalmente per incarico della Società agricola Ligure, proprietaria delle concessioni minerarie di Monte Bianco e Bardeneto (Chiavari), riferì sulle con- dizioni delle miniere appartenenti a questa Società. Per questi incarichi privati furono impiegati 11 giorni. — 53 — Ing.-capo Zaccagna. — Debitamente autorizzato, visitò per incarico privato le nuove cave di marmi basici nella Pania (Alpi Apuane). Ing. Mattirolo. — All’ ing. Mattirolo ed agli ingegneri JSTovarese e Ricci (del distretto di Torino) venne affidato, come già si disse, l’incarico di stu- diare e riferire sulla entità geologica e potenzialità industriale dei giacimenti ferriferi della Yalle d’Aosta. Per questo scopo furono dal Mattirolo fatte di- verse gite, delle quali alcune comprendevano, almeno in parte, effettivo rileva- mento ; i dati relativi a tali gite furono già esposti complessivamente con quelli delle gite fatte esclusivamente per i rilevamenti nuovi. Lo stesso ing. Mattirolo ebbe, anche nel 1904, a recarsi aile miniere dell’Elba, come membro della Commissione nominata dal Ministro delle finanze per l’ac- certamento del minerale di seconda categoria, e fece anche parte, per conto dello stesso Ministero, della Commissione per gli esami di concorso a posti di allievi chimici nei laboratori delle gabelle. Le relative spese furono a carico di detto Ministero. Per incarico del Club Alpino italiano (sezione di Torino) compì, debita- mente autorizzato dal Ministero, una Carta geo-itologica ed una nota geologica sulle Valli di Lanzo, Ing. Ai chino. — Vel 1904 fu membro della Commissione consultiva per le sostanze esplosive, della Commissione giudicatrice del concorso per un posto di professore nella Scuola mineraria di Agordo e di quella pel concorso al posto di allievo-ingegnere nel R. Corpo delle Miniere. Ing. Novarese. — Oltre ad aver preso parte con l’ ing. Mattirolo allo studio dei giacimenti ferriferi della Valle d’Aosta, le spese del quale sono comprese in quelle relative al rilevamento^ egli attese in ufficio alla compilazione del Catalogo illustrativo della mostra del Corpo R. delle miniere alla esposizione di Saint-Louis nel 1904. Veli’ interesse del sig. cav. Salvatore Aprile visitò, con autorizzazione mi- nisteriale, alcuni giacimenti metalliferi nei Monti Peloritani (Sicilia). Ing. Franchi. — Con la debita autorizzazione ministeriale, si recò ad Amantea (provincia di Cosenza), per eseguire, per conto dell’onorevole Mi- rabelli, lo studio geognostico del promontorio di Corica, attraversato da una galleria della Eboli-Reggio, rispetto al qiiale esiste una vertenza giudiziaria fra il proprietario del terreno e l’ impresa costruttrice di quel tronco ferro- viario. Ing. Stella. — Ebbe incarico di cooperare, per la parte geognostica, allo studio agronomico del territorio di Conegliano (provincia di Treviso), in unione al direttore di quella Scuola enologica. o — 54 — Per tale scopo si recò per prendere i primi accordi a Conegliano, e le spese relative sono comprese in quelle già esposte. Pu poi autorizzato a recarsi, al termine della campagna geologica, a Ba- silea, ove ebbe una conferenza col prof. Schmidt per concretare la prepara- zione della Carta geologica della regione del Sempione, cui l’Ufficio geologico si è impegnato di collaborare. Fu poi autorizzato ad occuparsi del problema di una eventuale estrazione di acqua di sottosuolo per la città di Cremona, e su tale studio fu pubblicata per cura di quel Municipio la relazione a stampa. Lavori d’ufficio. Pubblica sìoni. — L’anno scorso queste si ridussero al Bollettino annuale (volume XXXV o 5^ della 4^ serie) ed al Supplemento 5° al Catalogo della Biblioteca del R. Ufficio geologico (biennio 1902-1903). Xel primo figurano, come al solito, le relazioni sui lavori eseguiti in cam- pagna ed in ufficio dagli operatori, nonché la Bibliografia geologica italiana e gli Atti ufficiali del R. Comitato, fra cui la relazione annuale della Dire- zione del servizio per il 1903. Xel secondo sono registrate le pubblicazioni (libri e carte) entrate nella nostra Biblioteca durante il biennio sovraindicato. In quanto a carte geologiche va ricordata quella dei Vulcani Viilsinii del signor P. Moderni, pubblicata nella scala di 1 a 100,000, a corredo della sua Conti'ibusione allo studio geologico dei medesimi, inserita nel Bollettino. Altre carte non si poterono pubblicare per circostanze diverse, e solo si è potuto por mano alla pubblicazione di cinque fogli al 100,000 della Toscana meridionale, con annessa tavola di sezioni, i quali vedranno la luce entro il 1° semestre 1905. Il lavoro si sta ora eseguendo dall’Istituto geografico De- Agostini in Roma, sopra carta in nero, fornita dal R. Istituto geografico mi- litare in Firenze. In quanto ai noti fogli della Basilicata fa forza rimandarne di nuovo la pubblicazione, che si spera di poter fare per mezzo dell’Istituto geografico militare, nel 2“ semestre dell’anno corrente. Biblioteca. — Xello scorso anno 1904 si ebbe un incremento nella nostra Biblioteca di n. 1177 tra volumi ed opuscoli, dovuti in massima parte a doni o a cambi colle nostre pubblicazioni e in piccolo numero ad acquisti. Le carte entrate, sieno geologiche che topografiche e agronomiche, ammon- tarono a fogli 141. — 55 — L’ordinamento e l’inventario di tutto questo materiale fu eseguito dal per- sonale addetto alla Biblioteca, che curò di disporlo nel miglior modo possibile, compatibilmente colla ristrettezza di spazio e di mobili già più volte lamentata ed alla quale si dovrebbe oramai pensare a rimediare. L’acquisto di libri in quest’anno importò una spesa di circa lire 1500. Collesioni. — Le raccolte di roccie furono anche in quest’anno assai co- piose e riguardano in particolare il rilevamento normale delle Alpi Liguri, della Yal Sesia, della Yal Strona, dell’Ossola, del Monte Motterone sul Lago Maggiore, dell’ Umbria e delle Marche. La collezione delle Alpi non ha potuto purtroppo ricevere ancora una sistemazione definitiva per mancanza di spazio e questa sistemazione resta ancora un problema. A tale scopo non è possibile pensare che possano bastare i pochi scaffali disponibili nella grande sala, e sarebbe necessaria una sala a parte con mobili speciali. L’ordinamento della collezione delle Alpi occidentali potrebbe ormai eseguirsi ed organizzarsi in armonia colla carta d’insieme alla scala di 1 : 400,000 in corso di pubblicazione. Per ora le raccolte relative alla regione alpina finora rilevata dovettero pur troppo restare in magazzino o chiuse in casse per insufficienza di spazio. Si accrebbe pure in quest’anno la collezione dei minerali utili con alcuni minerali metallici poco conosciuti dei Monti Peloritani portati dall’ing. Nova- rese, con una raccolta particolareggiata dei giacimenti auriferi dell’Ossola del- l’ing. Stella e con quelle dei giacimenti ferriferi di Cogne e del Monte Frassin dell’ing. Mattirolo. Le collezioni paleontologiche si arricchirono, per opera dell’ing. Crema, di fossili titoniani ed eocenici di Triora, di fossili cretacei del Monte d’Ocre, miocenici d’ Oriolo Calabro e postpliocenici di Rocca Imperiale, Amendo- lara, ecc. nella Calabria settentrionale. Sono anche da ricordarsi i fossili basici raccolti dall’ing. Lotti e dall’aiu- tante Moderni nei dintorni di Leonessa e di Ferentillo e le nummuliti rinve- nute entro la scaglia, nelle quali il dott. Prever riconobbe le specie più an- tiche dell’Eocene. Dall’aiutante Cassetti si raccolsero fossili cretacei a Rocca di Mezzo nel- l’Abruzzo Aquilano, congerie nel Miocene inferiore nei dintorni del Monte Co- nero e filliti nel quaternario del Fucino. Il dott. Di Stefano e l’ing. Crema continuarono, compatibilmente allo spazio disponibile, l’ordinamento delle varie raccolte e la formazione della collezione sistematica dei fossili caratteristici dei terreni italiani ; quest’ultima è attualmente sospesa per mancanza dei mobili necessari. — 56 — Lahoratoriì. — Il laboratorio chimico, come di consueto, con saggi ed ana- lisi, si occupò della determinazione o dello studio di materiali raccolti dai vari operatori nelle loro gite ed anche di materiali riferentisi alFindustria Parecchi di questi saggi ed analisi riguardano i calcari non marmorei delle Alpi Apuane. La nuova sistemazione dei locali dell’ufficio si dimostrò assai conveniente, permettendo ai vari geologi che si occupano di petrografia, di meglio svilup- pare i loro lavori. Fu arredato inoltre un piccolo ambiente destinato a labora- torio per quei saggi chimici occorrenti ai petrografi, l’esecuzione dei quali nell’unico laboratorio chimico, intralciava non poco i lavori che in esso si de- vono compiere. Tale nuovo ambiente fu fornito di un bancone e di un tavolo, fu dotato di conduttura d’acqua e di gas, di un reagentario e degli indispensabili attrezzi per poter eseguire i saggi più comuni per via secca ed umida. Le preparazioni delle sezioni sottili di roccie, diede all’incirca gli stessi risultati che negli ultimi anni decorsi. Si prepararono in ufficio cioè circa 750 lamine sottili con spesa di lire 310, e solo 80 furono fatte eseguire all’estero, con spesa di lire 100 circa. L’ingegnere Yiola fece lo studio microscopico di minerali e roccie diverse, in particolare della provincia romana e della Sardegna. L’ingegnere Sabatini esaminò il materiale Amlcanico raccolto nei Monti Cimini, per la redazione della Memoria descrittiva dei medesimi. L’ingegnere IS’ovarese studiò petrograficamente un gruppo di roccie della valle di Challant ed un altro dei dintorni di Rivara. L’ingegnere Franchi ha esaminato le roccie della Valle Sesia e delle Alpi Liguri raccolte nella precedente campagna. L’ingegnere Stella infine ha studiato petrograficamente il materiale rac- colto nel rilevamento dell’Ossola ed alcune serie di campioni del sottosuolo della pianura padana. Gabinetto paleontologico. — Hel gabinetto di paleontologia furono studiate e determinate varie raccolte di fossili, tra le quali quelle del Lias medio e superiore dei dintorni di Cesi e di Ferentillo neU’Umbria e specialmente di un calcare a Rhynchonellae del Monte Fatisela presso Morro ; quelle della parte supe- riore del Lias medio del Colle La Croce presso Leonessa (Abruzzo); le num- muliti dell’Eocene di Bieda (Yiterbo); i fossili del Miocene medio di Ponte dei Conti presso San Severino Marche, sui quali ha riferito il Moderni nel n. 3 dello stesso Bollettino, e quelli del Miocene superiore di San Yalentino (Abruzzo Chietino); la copiosa raccolta di grandi Lucine degli strati ad orbi- — 57 — ioidi dei Monti Tiburtini e finalmente i fossili del Pliocene di Celleno nel Vi- terbese e del Postpliocene della Calabria settentrionale. Inoltre il doti. Gl. Checchia vi studiò una raccolta di nummuliti del Monte Prezza e della Majella, sulla quale già lia riferito il Cassetti nel Bollettino n. 4 del 1904. Fu pure continuato il riordinamento delle collezioni paleontologiche del- l’Ufficio, come è stato detto sopra. Eesoconto delle spese per Panno 1904. 1. Assegni al personale straordinario: Due disegnatori (a L. 150 mensili ciascuno) L. 3,600.00 Uno scrivano (a L. 120 mensili) 1,440.00 Un usciere (a L. 100) » 1,200.00 Un inserviente di Laboratorio (a L. 100) 1,200. 00 Totale . . . L. 7,440.00 L. 7,440. OQ II. Indennità di campagna e trasferte diverse: / Alpi occidentali L. 6,436. 90 i Liguria » 1,423.45 Rilevamenti i Umbria » 3,107.77 e / Marche » 344. 96 revisioni j Vulcani romani » 1,187. 23 f Abruzzo aquilano 1,374. 35 \ Basilicata e Calabria » 2,613.13 Totale . . . L. 16,417. 79 L. 16,417. 79 l Direzione dei rilevamenti L, 622. 89 Diverse . . . < Ricerche paleontologiche » 966. 40 ( Altri scopi » 641.67 Totale . . . L. 2,230. 96 L. 2,230.96 Adunanza del Comitato » 656.80 Totale . . . L. 2,887. 76 L. 2,887. 76 Ili. Spese d’Ufficio, Biblioteca e Collezioni : Cancelleria, riscaldamento, posta, trasporti, rilegature, ecc L. 2,638. 53 Spese di campagna (guide, imballaggi, trasporto campioni, ecc. ) . . . . 1,152.59 Consumo di -carte topografiche » 50.05 Biblioteca (acquisto libri e carte) » 1,499. 85 Collezioni (scatolette per campioni) > 81.50 Totale . . . L. 5,422. 52 L 5,422. 52 5* A riportarsi . . . L. 32,168.07 — 58 — Riporto . . . L. 32,168.07 iV. Pubblicazioni: ( Testo . . L. 2,316. 96 Bollettino 1904 ( Tavole 943.25 Supplemento 5* al Catalogo della biblioteca . . > 281.41 Carta dei Vulcani Vulsini 1,092. 00 Stampa in nero di 5 fogli della Toscana > 481.50 Totale . . . L. 5,115. 12 L. 5,115.12 V. Laboratorio chimico-petrografico : Materiale di consumo per chimica . L. 491.79 Preparati microsco^jici 415.30 Totale . . . L. 907. 09 L. 907. 09 VI. Manutenzione : Acquisto e riparazione di mobili . L. 337.40 Riparazioni diverse 307. 16 Nuove forniture per gas (stufe e lumi) . » 194.50 Modificazioni al locale (acconto) 350. 00 Totale . . . L. 1,189.06 L. 1,189.06 VII. Spese diverse : Sussidio alla Società geologica . L. 500. 00 Assicurazione incendi > 129. 05 Compenso al portiere della Succursale di Torino . . . . > 100. 00 Gratificazioni e sussidi al personale dell’ Ufficio . . . 345. 00 Varie 242. 00 Totale . . . L. 1,316.05 L. 1,316.05 Somme prelevate per altri scopi L. 5,358.57 Totale speso nel 1904 ... L. 46,053.96 di cui L. 20,952.43 sull’esercizio 1903-04 e L. 25,101.53 sul 1904-05. Restano quindi su detto esercizio disponibili L. 3,946.01 e destinate a pubblicazioni di carte. Proposte per la campagna geologica del 1905. Nuovi rilevamenti. — Alpi. — La preparazione per la pubblicazione di ima carta d’insieme delle Alpi Occidentali a 1 : 400,000, alla quale attende ora il personale operatore delle Alpi, ha fatto riconoscere la opportunità ed anche la necessità che alcune parti, di cui si dirà specificatamente in seguito, vengano o più particolareggiatamente rilevate o rivedute e in qualche caso completate. Inoltre, si è riconosciuto assai conveniente di estendere la carta stessa fin presso al meridiano di Savona, aggiungendo alla parte che si aveva già inten- - 59 ~ zione di pubblicare una importantissima zona, della quale fanno parte special- mente le tavolette di Garessio, Finalborgo, Savona, Alassio, Albenga e Porto Maurizio, nelle quali continuano con complicati rapporti tectonici le zone geo- logiche principali delle Alpi Liguri. Altre tavolette più settentrionali occorrono per aver completa la nuova area, ma essendo in quelle specialmente sviluppate le estese formazioni terziarie e particolarmente quelle eoceniche e mioceniche, per lo scopo della carta d’insieme saranno sufficienti i lavori già esistenti, purché vengano coordinati con qualche escursione speciale. Per le tavolette sopra enumerate si hanno già molti rilievi degli ingegneri Zaccagna e Franchi, e questi verranno, nel modo che si dirà, bene messi a profitto, in guisa che nella prossima campagna si avrà pronto tutto il rilevamento occorrente alla nostra cartina. Si potrà cosi presentare, in epoca assai prossima, al pubblico scientifico il riassunto fedele di più che dieci anni di lavoro nelle nostre Alpi, ed è a rite- nersi che questa pubblicazione dovrà riuscire del più grande interesse. Esponiamo ora partitamente le proposte di ripartizione del lavoro fra i vari operatori. Ing. Mattirolo. — Avrebbe da terminare la tavoletta S.E al 1 : 25,000 del quadrante di Chàtillon, per la quale esistono solo rilievi sommari fatti nel 1893 dall’ing. Baldacci, e questo lavoro può coordinarsi con la visita dei giacimenti ferriferi di quella regione, che ancora rimangono da esaminare. Inoltre l’ing. Mattirolo potrà continuare il rilevamento già intrapreso l’anno scorso nella regione fra il Lago Maggiore e quello di Orta, e ciò particolar- mente nelle tavolette a 1 : 25,000 di Pallanza, Omegna H.E e S.E, Stresa, Arena, Orta Novarese. In questo lavoro l’ing. Mattirolo dovrà procedere di accordo con l’ing. Novarese per stabilire le regioni da rilevarsi rispettivamente dai due operatori. Ing. Novarese. — Continuerà il rilevamento nella parte meridionale della tavoletta di Omegna (parte meridionale) e in quelle di Orta, Gozzano, Pallanza e Cannobio (in parte), e sarà opportuno che nella stagione più propizia ven- gano da lui dedicate alcune gite per rivedere e completare qualche parte rico- nosciuta, durante la preparazione della carta a 1 : 400,000, non soddisfacente- mente particolareggiata nelle Alpi Graje e Cozie. Poche escursioni saranno sufficienti per questo scopo. Ing. Franchi. — Nelle Alpi ha da terminare il rilevamento della Valle Sesia ed affluenti, e ciò costituirà il suo principale lavoro; inoltre dovrà occu- parsi per la ragione già accennata delle ricognizioni e revisioni in Liguria, come si dirà in seguito. — 60 — Ing. Stella. — Anclie Ting. Stella dovrà occuparsi di alcune revisioni nelle parti da lui rilevate negli anni precedenti nelle Alpi Graje e Cozie, e, come lavoro principale, avrà da rilevare le tavolette di Omegna (parte settentrionale), Domodossola (parte meridionale), Cannobio e Pallanza (in parte). I suddetti ingegneri desiderano inoltre prender parte alle adunanze ed escursioni della Società geologica nelle Alpi Carniche. Essendo di somma con- venienza che essi possano farsi un’idea della struttura geologica di quelle regioni, in vista della prosecuzione dei nostri rilevamenti alpini verso est, ritengo oppor- tuno che si conceda loro il necessario permesso per tale scopo ; e trattandosi di terreni riccamente fossiliferi, sarà bene che anche l’ing. Crema prenda parte a dette escursioni. Liguria occidentale. — Già vennero esposte le ragioni per le quali è neces- sario estendere in questa regione e nella presente campagna i rilevamenti e le ri- cognizioni, ed a questo lavoro potranno dedicarsi gli ingegneri Zaccagna e Franchi, che possiedono già numerosi dati di fatto ed estesi rilievi per quel territorio. Ing.-capo Zaccagna. — Deve completare il rilevamento delle tavolette di Garessio e Finalborgo, ed inoltre terminare quello della zona inferiore della tavoletta di Alassio nel versante del Tanaro e sulla sinistra del torrente Aeva, terminare la tavoletta di Albenga, e rilevare l’alta valle del Tanaro presso il confine con la tavoletta di Alassio e finalmente rilevare la zona inferiore della tavoletta di Ceva. Ing. Franchi. — Ha da terminare il rilevamento delle tavolette di Mondovì, Frabosa, Ormea e di Alassio (valle del Pennavaira). Per i due detti ingegneri è inteso che le escursioni che dovranno eseguire nella regione ora menzionata avranno per principale scopo la preparazione della carta a 1 : 400,000, e dovranno quindi avere carattere di ricognizioni accu- rate e di coordinamento dei rilievi già esistenti piuttostochè di dettagliato rilevamento, pel quale occorrerebbe certo un tempo e, un numero di escursioni non consentito dall’urgenza della preparazione della cartina. Liguria orientale. — In considerazione dei gravi problemi ferroviari ora in corso di dibattito, specialmente per le scelta di nuovi valichi ferroviari appenni- nici in servizio del porto di Genova, sarebbe opportuno che venissero ripresi i rilevamenti nella Liguria orientale, e particolarmente nelle tavolette di Ra- pallo, Torriglia e Ottone, per le quali non si possiedono che sommarie rico- gnizioni. A questo lavoro potrebbe venire adibito l’ing.-capo Zaccagna, che aveva - 61 già intrapreso e portato a buon punto il rilevamento delle regioni limitrofe, e ciò dopo terminati i lavori di cui sopra, occorrenti alla preparazione della car- tine a 1 : 400,000. Provincia di Roma. — L’ing. Yiola, reso libero dalle revisioni in Basi- licata, potrà attendere nell’estate alla soluzione dei problemi tettonici che si presentano nei monti Tiburtini e Lucani, e così completare lo studio dell’ Ap- pennino romano. Mentre l’ing. Sabatini potrà riprendere le sue osservazioni nell’ampia zona attorno a Toscanella, ed estenderle per quanto gli sarà possibile in quella parte dal gruppo vulcanico dei Yulsinii, raccogliendo il materiale occorrente alla descrizione del medesimo. Umbria e Marche. - Ing.-capo Lotti. — Yella' tavoletta di Spoleto, dove vennero fin dalla scorsa compagna riconosciuti e studiati importanti fatti tec- tonici, l’ing. Lotti ha ancora da completare il rilevamento; potrà quindi inco- minciare quello della tavoletta di Rieti, dove le formazioni mesozoiche hanno largo sviluppo e presentano importanti problemi per il loro aspetto tectonico e anche per la loro determinazione cronologica ; ed è a sperarsi che nella pros- sima campagna si possano avere rilevate le dette due tavolette, in modo che anche in questa interessante regione umbra, dove il secondario è tanto esteso e sviluppato, si avrà uno studio completo dei principali gruppi montuosi. Aiiit.-Ing. Moderni. — Avendo terminato nella decorsa campagna il rileva- mento della complicata tavoletta di Leonessa, potrà intraprendere quello della tavoletta di Arquata del Tronto, da lui già in parte riconosciuta nelle prece- denti campagne, ed estendere il rilevamento anche in quella contigua di Aman- dola, per poi riprendere e condurre a termine, se rimarrà tempo, sul finire della stagione dei lavori di campagna, qualcuna di quelle delle Marche orien- tali, non rilevate negli anni precedenti, fra le quali figurano quelle (a 1 : 25,000) di Santa Maria Yuova, Filottrano, Osimo e Recanati. Aiiit.-Ing. Cassetti. — Avendo oramai terminato il rilevamento del Monte Conero e dintorni, ed avendo spinti i suoi rilievi fino oltre la Valle dell’Esino, potrebbe nell’autunno di quest’anno proseguire quel rilevamento ed estenderlo nelle zone solfifere della regione settentrionale delle Marche, per continuare in seguito il rilevamento nelle contigue regioni solfifere di Romagna. Il signor Cassetti potrebbe quindi rilevare in quest’anno le tavolette a 1 : 25,000 di Jesi e Chiaravalle, e quella a 1 : 50,000 di Corinaldo, estendendo i rilevamenti alle contigue tavolette a 1 : 25,000 del foglio di Senigallia. È da ritenersi che al Cassetti si possa affidare il rilevamento della zona — 62 — solfifera marchigiano-romagnola, poiché oltre ad aver presa attiva parte al rilevamento geologico della Sicilia, egli conosce già le regioni da rilevare, es- sendo stato addetto un tempo all’ Ufficio del Distretto minerario di Ancona. Ahrusso e Gargàno. — Saranno inoltre da proseguire gli studi di dettaglio nelle formazioni calcaree dell’Abruzzo, e inoltre sarebbe opportuno, che qualche escur- sione venisse praticata nel promontorio garganico,pel quale nelle nostre attuali carte figurano grandi estensioni di calcari giuresi. Questa determinazione, basata prin- cipalmente sulla presenza in quei calcari delle Ellipsactinie, è ora assai dubbia, dopo il ritrovamento di questi idrozoi in formazioni indubitabilmente cretacee. A far ritenere cretacee tutte le formazioni calcaree massiccie del Gargàno con- corrono altri fatti di indole tectonica, e sarebbe quindi bene che il signor Cas- setti, che rilevò gran parte di quel gruppo, e l’ing. Crema, specialmente per la parte settentrionale, dove recenti scoperte di fossili hanno accertata la pre- senza anche del Miocene, praticassero in quel gruppo le occorrenti revisioni. Sarebbe pure utile che l’ing. Crema tornasse nel territorio di Bagno (Aquila) per completarvi le ricerche eseguitevi l’anno scorso, in modo da poter compi- lare una cartina geologica dettagliata della regione a complemento della rela- zione già da lui presentata al prof. Parona. Lo stesso ing. Crema potrebbe infine dedicare utilmente alcune escursioni per stabilire il limite preciso fra Eocene e Miocene nelle grandi masse di are- narie al confine orientale calabro-lucano, e sarà opportuno che anche Tinge- gnere-capo dei rilevamenti visiti entro l’anno questa regione. Ricerche paleontologiche sul terreno. — L’ing. Crema dovrà compiere alcune escursioni nei dintorni di Leonessa per eseguirvi le ricerche paleontologiche necessarie, come già si disse, ad una esatta e razionale delimitazione dei vari piani del Lias di quella regione. Essendo poi, in seguito a recenti pub- blicazioni, sorti fondati dubbi e controversie sulla serie dei terreni rappresentati nei dintorni di Lettomanoppello e di San Valentino nell’Abruzzo Chietino, sa- rebbe poi opportuno affidare all’ ing. Crema l’incarico di compiere sistematiche ricerche di fossili in quelle varie formazioni. Pubblicazioni. In quanto a pubblicazioni non posso che riproporre quelle proposte fin dallo scorso anno e rimaste in sospeso per cause diverse, e cioè : I sette fogli della Carta al 100^ comprendenti la Basilicata meridionale, con una tavola di sezioni relativa, appena siane ultimata la revisione. — 63 — ' 2® La cartina geologica delle Alpi occidentali nella scala di 1 a 400,000, B con breve testo descrittivo, non appena sia pronta. 3° La Memoria descrittiva delle Alpi Apuane deH’ing. Zaccagna, con le ^ appendici paleontologica, petrografica e chimica, del prof. Canavari e degli in- gegneri Franchi e Mattirolo. Queste ultime sono già in gran parte pronte. A queste pubblicazioni, già da tempo attese, si può aggiungere : f4® Alcuni altri fogli della Carta della Toscana in scala di 1 a 100,000 e cioè i numeri 111 (Livorno), 112 (Yolterra), 113 (San Casciano), 119 (Massa Ma- rittima), 120 (Siena), 121 (Montepulciano) con una tavola di sezioni, in continua- aziona' di quelli già stampati della stessa regione. Infine, oltre al Bollettino annuale, propongo la pubblicazione di un Indice ; sistematico delle prime tre serie del medesimo (1870-1899). Kipartizione delle spese per il 1905. - Lavori di campagna ed escursioni diverse L. 18,000 ;'r Spese di Ufficio, laloratorlo, biblioteca, collezioni, ecc. ecc » 15,000 > Bollettino e Indice sistematico » 3,500 ì N. 7 fogli Basilicata con tavola sezioni » 4,000 ' N. ó fogli Toscana con tavola sezioni » 4,000 , Carta geologica Alpi Occidentali con testo » 2,000 ’ Memoria descrittiva delle Alpi Apuane » 3,000 «Spese diverse ed impreviste » 500 Totale . . . L. 50,000 '5- V Y. Pellati. PRESENTED 9 AUa.l90§ Annunzi di pubblicazioni AiRAGHi C. — Echinodermi miocenici dei dintorni di Santa Maria Tiberina ’ (Umbria), (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XL, disp. 1% pag. 43-54, con tavola). — Torino, 1905. , , Idem. — Echinodermi infracretacei dell’Isola di Capri. (Rivista ital. di paleon- tologia, Anno XI, fase. II, pag. 82-90, con tavola). — Perugia, 1905. Idem. — Ammoniti triasici (Muschelkalk) del M. Rite in Cadore. (Boll. Soe. Geol. ital., Yol. XXI Y, fase. 1®, pag. 237-255, con tavola). — Roma, 1905. Artini e. — Sulla stolzite di Rena de Padru (Ozieri). (Rend. R. Istituto lom- bardo, S. II, Yol. XXXYIII, fase. XI, pag. 573-578). — Milano, Ì905. Bassani Er. — La ittiofauna delle argille marnose pii stoceni che di Taranto e di Nardo (Terra d’Otranto). (Atti R. Acc. Se. fis. e mat., S. 2% Yol. XII, Mem. X. 3, pag. 1-60, con 3 tavole). — Xapoli, 1905. Cacciamali G. B. — Sui rapporti tra il Lias ed il Giura nella provincia di Brescia. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXI Y, fase. I®, pag. 257-264). — Roma, 1905. Capellini G. — Balene fossili toscane. III. Idiocetus Guicciardinii. (Memorie R. Acc. delle Se. dell’Istituto di Bologna, S. YI, T. Il, pag. 1-12, con 2 tavole). — Bologna, 1905. Cerulli-Irelli S. — Sopra i molluschi fossili del Monte Mario presso Roma. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIY, fase. 1®, pag. 191-194). — Roma, 1905. Clerici E. — Osservazioni sui sedimenti del Monte Mario anteriori alla for- mazione del tufo granulare. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 9®, 1® sem., pag. 515-523). — Roma, 1905. ^ Dainelli G. — Vaccinites (Pironaea) polistylus Pirona, nel Cretaceo del Capo di Lenca. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIY, fase. 1®, pag. 119-136). — Roma, 1905. De Lorenzo G. — Lo scoglio di Revigliano. (Atti R. Aòc. Se. fis. e mat., S. 2^, Yol. XII, Mem. X. 12, pag. 1-4, con 2 tavole). — Xapòli, 1905. De Stefani C. — I projetti di leucotefrite nei Campi Flegrei. (Rend. R. Acc.‘ dei Lincei, S. Y, Y ol. XIY, fase. 11®, 1® sem., pag. 598-603) . — Roma, 1905. Friedlànder B. e Aguilar E. — Una visita a Stromboli. (Boll. Soc. di Xa- turalisti, Yol. XIX, pag. 40-47). — Xapolb 1905. Fucini A. — Note illustrative della Carta geologica dèi Monte Cetòna (dagli Annali Università toscane, T. XXY, pag. 68in-4®, con 2 tavole). — Pisa, 1905. Galdieri a. — Osservazioni sui terreni sedimentarii di Zannone (Isole Pon- tine). (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3% Yol. XI, fase. 2 e 3, pag. 38-45). — Xapoli, 1905. Gortani M. — Itinerari per escursioni geologiche nell’alta Carnia. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIY, fase. 1®, pag. 105-118, con tavola). — Roma, 1905. Bonghi P. — Appunti per uno studio geologico sopra le colline di Albettone, Lovertino e Costa di Vo nel gruppo dei Monti Euganei. Parte 1. (Atti Accw scientifica veneto-trentino-istriana, Anno II, fase. 1®, pag. 37-67, con 2 ta- vole). — Padova, 1905. Manasse E. — Di alcune leucotefriti di S. Maria del Pianto nei Campi Flegrei. (Proc. verb. Soc. toscana di Se. nat., Yol. XIY, pag. 171474). — Pisa, 1905. {Segue) (Seguito: V. pagina precedente) Mariani E. — Su alcuni fossili del Monte Antela . jì Cadore. (Kend. K. Isti- ’ tuto lombardo, S. II, Yol. XXXVIII, fase. XI, r. c . 5(53-572). - ''^tilano, 1905. Meli R. — Alcune note di geologia prese in und escursione a Ardea nel Circondario di Roma. (Boll. Soc. Geol. ital,, ^ '' V, «se. 1°, pa- gine 275-302). — Roma, 1905. Millosevich e. — Rocce propilitiche dei dintorni di Tolfa. (loidem, pag. 75-83). — Roma, 1905. Xeviani a. — Spicele di tetractinellidi rinvenute nel yh* i ‘stplioceniche di Carrubare (Calabria). (Ibidem, pag. 265-274). , .i a, 1905. Pasquale M. — Avanzi di I>iodon vetiis nel mioce^»" ^e. ore del promon- ^ torio di S. Elia presso Cagliari in Sardegna. (Rend. i o. Se. fis. e mat., S. 3% Voi. XI, fase. 2 e 3, pag. 71-79). — Xapoli, 1905. ' PioLTi G. — SulPAplite di Cesana Torinese. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XL, disp. 2^ e 3% pag. 114-122, con tavola). — Torino, 1905. Prever P. L. — Le nummaliti e le ortliopbragmine di due località delP Ap- pennino pavese. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Vói. X"' XVIII, fasci- coli VIII-IX, pag. 478-482). — Milano, 1905. Idem. — Sulla fauna numniulitica della scaglia nelPA .^*ennino centrale (dagli Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XL, pag. in -8*^ con tavola). — Torino, 1905. PuociONi X. — BelVElephas lyrodmi Weit. del Tatdurno. (Rivista ital. di paleontologia. Anno XI, fase. II, pag. 74-78). — Perugia, 1905. Sacco P. — Fenomeni stratigraflci osservati nell’ Appennino settentrionale e centràle. (AttiR. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XL, disp. 2^ e 3% pag. 126-138, con 5 tavole). — Torino, 1905. Silvestri A. — Lepidocyclinae ed altri fossili del territorio u Anghiarì. Xota preventiva. (Atti Acc. pont. dei Xuovi Lincei, Anno LVIli, Sess. IV, pa- j gine 122-128). — Roma, 1905. ^ Stella A. — Il problema tettonico dell’ Ossola e del Sempione. (Boll. Soc. ^ Geol. ital., Voi. XXIV, fase. 1^ pag. 101-104). — Roma, 1905. - Tacconi E. — Di un silicato di alluminio e bario dei calcefiri di Candoglia ^ in valle del Toce. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Voi. XXXVIII, fase. XII-XIII,, pag. 636-643, con tavola). — Milano, 1905. Ugolini R. — Descrizione geologica dei Monti d’Oltre Serchio (dagli Annali < Università toscane, T. XXV, pag. 56 in-4®, con 2 tavole). — Pisa, 1905. . j iDEjtf. — Di una eufotide a saussurite dei dintorni di Castiglioncello nei Monti I Livornesi. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIV, fase, l'^, pag. 71-74). — ' Roma, 1905. Verri A. — Le eruzioni della montagna Pelée e del Vulcano Laziale. (Ibidem, pag. 84-88). — Roma, 1905. Idem. — Il bacino al nord di Roma. (Ibidem, pag. 195-236). — Roma, 1905. ViNASSA DE Regny P. e GoRTANi M. — Osscrvazioni geologiche sui dintorni di Paularo (Alpi Carniche). (Ibidem, pag. 1-15, con 2 tavole). — Roma, 1905. ^ ■ V’ I^reaszo A 3 ° Trimestre Serie BOLL DEL fi. COMITATO GEOLOGICO D’ ROMA TIP. I^’AZIOlNrALE DI G. BEBTEKO E C. AJ^TN"0 1©05 N. 3. 1905 ELENCO del personale componente il Comitato e T Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Prendente. Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R., Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direùone : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufiicio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufiicio e Segretario del Comitato. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini. Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via SmUi Suianna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IV, Voi. VI. Anno 1905. Fascicolo .3^ SOMMARIO. Note originali. — I. B. Lotti, Sulla età delle rocce ofiolitiche del Capo Argen- tario e dei terreni che le racchiudono. — II. Y. IN’o Varese, A proposito di un Trattato di petrografia di E. Weinschenk e sul preteso rapporto fra le roccie della zona d’ Ivrea e le pietre verdi della zona dei calcescisti. — III. Su di una Carta geo-litologica delle Valli di Lanzo delTing. E. Mat- tirolo. — lY. Riunione annuale della Società geologica italiana a Tolmezzo. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1904 (conti- niiasione, vedi n. 2). Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Tavola annessa. — Carta geo-litologica delle Valli di Lanzo, secondo il rileva- mento del R. Ufficio geologico (E. Mattirolo), a pag. 208. NOTE ORIGINALI I. B. Lotti. — Sulla età delle rMce ofiolitiche del Capo Ar- gentario e dei terreni che le racchiudono. In seguito alla pubblicazione dei primi fogli della carta geoio ^ gica della Toscana al 100,000 e specialmente del N. 135, in cui furono riferiti al Trias alcuni terreni del Capo Argentario da me altra volta ^ attribuiti ad un periodo presiluriano, mi corre l’obbligo di presentare alcuni schiarimenti e alcune ragioni sul cambiamento intervenuto nel mio modo di vedere a riguardo di tali formazioni. Il riferimento di questi terreni ad un periodo anteriore al Siluriano era stato in me determinato sopratutto dal fatto della presenza in essi di rocce ofiolitiche, di cui non si aveva esempio allora nel Trias del- l’Italia, mentre si conoscevano come arcaiche o presiluriane le rocce ^ B. Lotti, Appunti eli osservasioni geologiche nel promontorio Argentario, neirisola del Giglio e nell’isola di Gorgona. (Boll. Comit. geol., 1883). 13 - 178 — ofìolitiche delle Alpi occidentali e dell’Isola d’Elba b Per questa stessa ragione furono riferiti al Presiluriano i terreni con rocce ofioliticlie della Gorgona e del Giglio che oggi, dopo le scoperte paleontologiche e gli studi stratigrafici degli operatori del R. Ufficio geologico nelle Alpi occidentali % possono con maggior ragione attribuirsi anch’essi al Trias. I terreni in questione del Capo Argentario sono costituiti da calcari cristallini, calcescisti, scisti argillosi e ardesiaci e rocce ofioli- tiche più o meno scistose che dal Franchi ® furono riconosciute come diabasi granulari e porfiritiche, anfiboliti con glaucofane e lawsonite, eufotide, serpentina e scisti cloritici e crocidolitici Queste formazioni compariscono nella parte occidentale del Monte Argentario in lembi isolati, di mezzo al calcare retico che le ricuopre, e sono specialmente sviluppate nella valle di Calagrande, dove quasi esclusivamente vi si associano le rocce ofiolitiche. In alto della detta valle si hanno scisti grigio -plumbei con noduli di quarzo, in cui stanno racchiuse lenti di calcare cristallino e saccaroide, scisti gial- lastri e violetti argillosi alternati con sottili letti di calcare cristal- lino dello stesso colore, come nel Trias superiore di Vagli nelle Alpi Apuane. Le rocce serpentinose vi acquistano notevole sviluppo presso la spiaggia e sono intimamente collegate a scisti violetti e grigi lu- centi. Nel fosso del Pignasco ohe sbocca a Calagrande a pochi passi da un’ eufotide scistosa comparisce una diabase massiccia uralitizzata, nella quale stanno racchiuse particelle di calcopirite. ^ B. Lotti, Descris. geologica dell'Isola d^Elba. (Mem. descritt, della Carta geol. ' d’Italia, II, 1886). ^ S. Franchi e G. Di-Stefano, SiilVetà di alcuni calcari e calcescisti fos- siliferi delle valli Grana e Maira nelle Alpi Gosie. (Boll. Comit. geol., 1896). ** S. Franchi, Prasinifi e anfiboliti sodiche provenienti dalla metainorfosi di rocce diabasiche presso Pegli, alle isole del Giglio e di Gorgona ed al Capo Ar- gentario. (Boll. Soc. geol. ital., XY, 1896). * Vedere anche E. Manasse, Le rocce della Gorgona. (Atti Soc. tose, di Se. nat., XX, 1904) e P. R. Ugolini, Appunti sulla costi tu 3. geol. delV isola di Gorgona. (Ibid., XYIII, 1902). \ — 179 — Nella regione fra il Capo d’Uomo e l’Isola Rossa, nonché alla estremità sud dei Ronconali, il terreno triasico è rappresentato invece in prevalenza da calcari cristallini e calcescisti grigi, immediatamente ricoperti dal calcare cavernoso retico h Pressa Capo d’Uomo pic- colo, sulla destra del fosso, vi è un esiguo affioramento serpentinoso che appare come un filone racchiuso tra i calcari cristallini imme- diatamente sotto il calcare retico. A parte la presenza di rocce serpentinose, la più completa ana- logia esiste fra gli scisti, calcescisti e calcari cristallini del Capo Ar- gentario ed anche delle isole Giglio e Gorgona coi terreni triasici ben noti delle Alpi Apuane, del Monte Pisano, della Montagnola Se- nese e di altre località toscane. Cosi l’analogia è perfetta fra i calce- scisti e i micascisti della Gorgona e quelli della zona scistosa meta- morfica del Trias delle Alpi Apuane, ed ugualmente completa è l’ana- logia che si riscontra fra gli scisti argillosi e ardesiaci del Capo Ar- gentario e del Giglio e quelli della zona scistosa non metamorfica del Trias delle Alpi Apuane stesse, del Monte Pisano e della Monta- gnola Senese. È da notarsi altresì che nel Capo Argentario questa formazione di scisti, calcari cristallini e rocce ofiolitiche presso Calagrande sta sotto a pochi strati di un conglomerato quarzoso somigliante a quello del verrumno e che potrebbe credersi perciò spettante al Permiano; tuttavia è facile riconoscere sul posto la differenza notevole fra questa e la roccia analoga, certamente permiana, circostante. Del resto rocce somiglianti a quelle del mrrucano e affatto analoghe a questa di Calagrande trovansi associate nelle Alpi Apuane agli scisti del Trias superiore, per esempio, nel Colle Tecchione presso Massa, al Capo Corvo nei monti della Spezia e a Rupe Cava nel Monte Pisano. Un valido argomento in favore dell’età triasica di questi terreni ^ Questi calcari furono altra volta (Boll. Comit. geol., 1883) da me ritenuti più giovani del Retico, dietro quanto ne aveva scritto il Cocchi (Boll. Comit. geol., 1870). — 180 — del Capo Argentario emerge dal fatto che essi compariscono imme- diatamente sotto alla stessa massa di calcare retico che quasi in tutto il resto del promontorio ricuopre immediatamente il vero verrucano permiano^ e che le rocce stesse di Calagrande ricompariscono, benché assottigliate, a poco più di un chilometro di distanza, nella valle del Campone, manifestamente sovrapposte al verrucano, che qui e in tutta la parte centrale ed orientale del Monte Argentario presenta una po- tenza di centinaia di metri. Se i pochi strati del conglomerato quar- zoso di Calagrande dovessero ritenersi rappresentanti del verrucano e gli scisti sottostanti del Siluriano, ne verrebbe la conseguenza che questa formazione permiana, di enorme potenza ad un chilometro di distanza, nella valle del Campone, passando sotto al Retico, si ri- durrebbe ad uno spessore di forse dieci metri. È doveroso riconoscere che il De Stefani fino dal 1881 colle ser- pentine dell’Isola d’Elba attribuì al Trias quelle del Giglio e del Monte Argentario. Posteriormente ^ lasciando trasparire il dubbio sull’età triasica di quelle dell'Elba, manteneva la sua opinione prece- dente per quelle del Giglio e del Monte Argentario e faceva notare come le rocce associate alle serpentine di queste località fossero iden- tiche a quelle delle Alpi Apuane, del Monte Pisano, delle Alpi Ma- rittime, ecc. Nella Geologia del Monte Pisano ^ lo stesso autore riferisce al Trias anche le rocce sedimentarie dell’Isola Gorgona. L’età triasica delle serpentine dell’Isola d’Elba, a meno che non si ritengano intruse posteriormente fra le formazioni che le compren- dono, è assolutamente insostenibile, perchè esse e le rocce incassanti stanno sotto il verrucano e comprese regolarmente fra scisti fossiliferi siluriani al tetto e micascisti e calcescisti al letto h Di scisti argil- ^ C. De Stefani, Sulle serpentine italiane. (Atti del R. Istituto Veneto di Se., lett. ed arti, T. II, S. 6^, ISSd-SI). ^ Mem. per servire alla descriz. della Carta geol. d’Italia, III, 1870. 3 B. Lotti, Descrizione geologica, ecc., ecc. — 181 — losi 0 argilloso-micacei rossastri, verdi o grigi, come quelli del Capo Argentario e dell’isola del Giglio, non vi è traccia all’Elba in questa zona di rocce serpentinose ; e queste stesse rocce, formate unicamente da serpentina, sono affatto diverse dall’insieme delle rocce serpenti- nose del Capo Argentario, del Giglio e della Gorgona, dove sulla serpentina predominano di gran lunga la diabase e l’eufotide profon- damente alterate e contrassegnate da minerali caratteristici. Roma, agosto 1905. II. V. Novarese. — A proposito di mi Trattato di petrografia di E, Weinscìienk ^ e sul preteso rapporto fra le rocce della zona d'^ Ivrea e ie pietre verdi della zona dei cal- cescisti. Secondo il Weinschenk, la geologia generale ha tratto finora poco profitto dello straordinario sviluppo degli studi petrografici, a giudicarne almeno dal maggior numero dei trattati anche recenti, i quali dedi- cano poche pagine alla parte litologica e lasciano trasparire una certa diffidenza verso le nuove tendenze della petrografia, quasiché la con- siderassero piuttosto una scienza parallela che ausiliaria della geologia. Pure rendendosi conto di talune cause di questo stato di cose, il Weinschenk rivendica alla petrografia, intesa nel suo senso più ampio, il posto che le compete nelle scienze geologiche e giustifica il suo asserto ^ Eknst Weinschenk, Grundsitge cler GesteinsJmnde : I. Teil; Allgemeine Gesteinskinide als Grundlage der Geologie, con 47 fi- gure nel testo e .3 tavole (1902). II. Teil : Spesielle Gesteinsknnde mit besonderer Beriicksichtigimg der geologischen Verhaltnisse, con 133 fig. nel testo e 8 tavole (1905). Verlag B. Herder, Freiburg im Breisgau. — 182 — raccogliendo in un armonico corpo di dottrina il risultato del lavoro scientifico compiutosi dacché il Sorby introdusse l’uso del microscopio nella petrografia, e dacché si cercò sul terreno la dipendenza da cir- costanze geologiche della costituzione e della struttura delle roccie, esattamente definite. Il Weinschenk intitola la prima parte del suo lavoro « Petro- grafia ^ generale come fondamento della geologia » {Allgemeine Ge- steinskunde als Grundlage der Geologie) e secondo le sue stesse parole, si occupa in essa delle rocce in ogni stadio della loro esistenza, dall’origine alla distruzione. Una parte generale simile a questa si ritrova invero in parecchi dei più ripTrtati trattati o compendi di litologia, ma in uno stadio che può dirsi embrionale, se si confronta colla estensione che le ha dato il Weinschenk, comprendendovi il vul- canismo e le sue manifestazioni in quanto interessano la litogenesi, ed esponendovi criticamente un gran numero di teorie e di studi sulla crosta di raffreddamento, sui magmi, sulle metamorfosi, disperse finora in un gran numero di opuscoli e riviste scientifiche, e non ac- colte od appena nominate nei più noti manuali. E non ostante Tampio svolgimento di talune questioni, come quella dell’origine degli scisti cristallini, per la quale l’autore, com’è noto, ha una teoria sua pro- pria (la piezocristallizzazione), la giusta proporzione fra le parti è conservata, cosicché il volumetto, uscito dai torchi circa tre anni prima della parte descrittiva o speciale, si legge con molto interesse animato com’é da un calore polemico che gli conferisce molta at- trattiva. Anche il titolo della seconda parte « Petrografia speciale, con par- ticolare riguardo delle condizioni geologiche > {Spezielle GesteinsJcunde mit hesonderer Berilcksichtigung der geologischen Verhdltnisse) rivela lo scopo delFautore di insistere sull’importanza geologica degli studi pe- ^ Il Weinschenk usa egli stesso quale sinonimo di Gesfeinsknnde il vocabolo Petrografia, evitando la parola Litologia che pure ne parrebbe la traduzione più esatta. — 183 — trografioi. Con energia non minore di quella spiegata nella prima parte, proclama la finale scomparsa di molti vieti pregiudizi scola- stici, oramai tali nella coscienza di tutti ma che per forza di abitu- dine continuano, temperati appena da qualche dubbio prudenziale, a figurare nei trattati, come sarebbero i presunti rapporti fra la strut- tura e natura e l’età geologica di una roccia, ecc. Questa seconda parte, ancor meglio della prima giova a chia- rire gli intendimenti dell’autore, perchè applica i principii esposti in quella. Col lodevole scopo di reagire contro la facilità soverchia di creare nuovi nomi di rocce, nello schema di classificazione s’at- tiene alla tradizionale divisione in rocce eruttive (anogene), sedimen- tarie (catogene) e scisti cristallini (criptogene), e nella speciale clas- sificazione delle eruttive conserva, con criterio molto pratico in vista dei suo scopo di volgarizzare fra i geologi i risultati delle ricerche petrografiche, quasi esclusivamente i nomi già consacrati dall’uso. Ma non conviene illudersi ; quest’ossequio alla tradizione è puramente for- male ; l’estensione ed il significato di tutta l’antica terminologia sono radicalmente mutati ed ampliati. Se le parole sono vecchie, le idee ed i concetti sono del tutto nuovi. Difatti nella categoria delle eruttive sono comprese non solo le massicce, ma anche tutte quelle altre roccie ohe annoverate finora fra gli scisti cristallini, sono secondo le idee dell’autore gli stessi magmi consolidati nelle condizioni della piezo- cristallizzazione o tipi litologici massicci normali trasformati per meta- morfosi dinamica. Per dare un esempio, nel gruppo delle rocce eruttive ad ortoolase sono compresi oltre al granito, la sienite, i porfidi, le lipariti e trachiti, tutti gli gneiss zonati o ghiandoni che costituiscono i massicci cen- trali alpini, la granulite sassone {leptinite nella nomenclatura dei paesi latini) gli scisti sericitici (hesimauditi^ ecc ). Certo oramai la pluralità dei petrografi è persuasa che anche queste, attribuite agli scisti cristal- lini per antica abitudine, sono rocce massicce modificate per cause an- cora in discussione, ma è la prima volta che di tale concetto si tien conto con tanto rigore nella classificazione. Molti avrebbero certamente — 184 — atteso che una maggior concordia regnasse sulle cause che hanno pro- dotto le modificazioni in discorso ma io non saprei condannare il riso- luto procedere del "Weinschenk, fecondo di benefici effetti, perchè apre una nuova breccia nella vetusta rocca in cui i pregiudizii tradizio- nali. hanno rinchiuso gli scisti cristallini. Una parte molto ampia viene pure fatta nel capitolo delle rocce sedimentarie, alla metamorfosi per contatto, talché da essa ad es. si pretendono derivati tutti i calcari cri- stallini. Dopo tutto ciò sarebbe logica la telale scomparsa del capitolo degli scisti cristallini, perchè o sotto un titolo o sotto un altro, tutti i tipi che vi hanno finora figurato furono già descritti fra le rocce ano- gene e le catogene. L’autore non ha spinto la conseguenza fino a tal punto, ma nel fatto, salvo qualche rarissima eccezione, il capitolo si riduce ad enumerare nuovamente tutti i tipi che ha descritto od accen- nato nei due capitoli precedenti, dimostrando ancora una volta la proposizione fondamentale del ftosenbusch ohe « gli scisti cristallini sono la trasformazione geologica di rocce eruttive o sedimentarie avvenuta essenzialmente sotto l’azione di fenomeni geodinamici ». Natu- ralmente l’autore fra questi fenomeni geodinamici, dà il primo posto alla piezocristallizzazione ed al piezometamorfismo di contatto. 11 libro scritto con ordine severo e con una grande chiarezza e limpidità di stile (merito della giovane scuola tedesca) si legge con interesse e certo gioverà molto a diffondere le conquiste ed il nuovo indirizzo della petrografia fra la generalità dei cultori delle discipline geologiche. L’autore eccelle nelle parti generali, ove dimostra il suo acume critico e l’indole speculativa del suo spirito. E assai meno felice quando vuole sostenere con esempi le proprie asserzioni, e dimostra in questo essersi formate le sue convinzioni particolari collo studio di un territorio ristretto, una parte cioè delle Alpi bavaresi e tirolesi. Sembra che la preoccupazione di trovare argomenti in favore della propria tesi gli faccia accettare, nella descrizione dei giacimenti che non conosce, soltanto ciò che gli serve, senza serio esame critico. Si lascia perciò sfuggire a proposito di giaciture non vedute personalmente non poche inesattezze, le quali tradiscono una conoscenza molto superficiale — 185 — ed incompleta di buona parte della letteratura. Cosi afferma (II, 91) che i gabbri terziari dell’Elba e della Liguria hanno attraversato il « macigno », sollevato e metamorfosato la formazione eocenica, senza dire in che cosa consista tale metamorfosi e tanto meno accennare che tali giaciture hanno il carattere piuttosto di espandimenti ohe di in- trusioni vere e proprie, ciò che spiega come i presunti fenomeni di contatto abbiano dato e diano luogo a così lunghe discussioni. Crede il gabbro rosso prodotto dalla decomposizione del gabbro (eufotide) an- ziché della diabase. Afferma essere spesso le serpentine della Liguria (II, 180), circondate da una zona di contatto non molto potente di rocce ad epidoto, granato e diopside, ciò che non è vero per le terziarie, e nemmeno per le più antiche nelle quali le rocce citate si trovano indifferentemente in nuclei isolati al contatto coi calcescisti e nel cuore delle masse, come avviene del resto anche per le serpentine delle Alpi Cozie e G-raje. Nella Val d’Aia (II, 180) la serpentina non è auto- noma, ma collegata più che intimamente con prasiniti, anfiboliti ed eufotidi altrettanto estese quanto la stessa serpentina, se non più. Nè per quanto si sappia le serpentine terziarie della Liguria e dell’Elba hanno interessato calcari miocenici (II, 183). Il rilevare tali inesattezze, inevitabili in tutte le opere di tal ge- nere, sarebbe un’inutile pedanteria se gli esempi citati, e molti altri, riguardanti pure paesi stranieri, non fossero addotti per illustrare ta- lune teorie specialmente care all’autore. A pag. II9 (II) è detto che le eclogiti si trovano dappertutto principalmente al contatto con una roccia eruttiva, che è quasi sempre il granito, e fra gli esempi si citano le Alpi occidentali. Sono tutt’altro che alieno daH’ammettere che gli « gneiss centrali » alpini possano in definitiva ritenersi rocce eruttive, ma la maggior parte delle eclogiti delle Cozie, delle Graje e deUe Pennino è a tal distanza da ogni massa gneissica di tipo presumi- bilmente eruttivo, che l’esempio servirebbe a dimostrare precisamente il contrario. Però le convinzioni del Weinschenk sono così ferme, in ispecie a proposito del metamorfismo di contatto, che argomenti di tal genere non le scuotono minimamente. Infatti dopo avere a proposito — 186 — dell’enorme massa marmorea delle Apuane, dichiarato con molta insi- stenza non esser possibile trovare nei terreni che la circondano l’agente della metamorfosi, negando pure la possibilità di quella dinamica, conclude coll’accettare l’ipotesi che i marmi rappresentino la zona più esterna dell’azione di una ipotetica laccolite granitica nascosta in profondità ! Ai geologi provetti non può fare gran danno questa defìcenza metodica, ma non altrettanto può dirsi dei principianti. Ne abbiamo una prova in un allievo del Weinschenk stesso, il Lindemann \ il quale appunto in un suo lavoro sull’origine dei marmi, vede nel granito di Montorfauo la causa per cui il calcare di Candoglia (Ossola), o marmo del Duomo di Milano, è diventato cristallino saccaroide. Qui, oltre al non vedere addirittura che per la tesi era meglio attribuire la metamor- fosi alle prossime dioriti della zona d’ Ivrea, anziché ai graniti lontani parecchi chilometri, si mette assolutamente in non cale la circostanza che la lente, anzi le lenti di Candoglia fanno parte di un allineamento quasi continuo che in costante posizione corre parallelo alla zona d’ Ivrea per poco meno di un centinaio di chilometri e si nianifesta collo stesso abito litologico anche dove ogni manifestazione granitica è perfetta- mente ignota. Taccio poi che calcari cristallini e calcifiri s’ incontrano anche altrove, nella stessa zona dioritica e persino in quella successiva degli scisti di Rimella, come risulta anche dalle carte del Gerlach vecchie oramai di trent’anni. Il nome della « zona dioritica » d’Ivrea, venutoci sotto la penna ci suggerisce di api^licare ad alcuni dei gruppi di rocce cristalline che compaiono nelle Alpi occidentali italiane i criteri del Weinschenk, che appariranno meglio nei loro pregi e nei loro difetti applicati a casi concreti. Avverto ohe nell’opera dello Weinschenk il nome di ^ B. Lindemann, Ueher einige wichtìge Vorkommnìsse von kornigen Carhoiiat- gesteinen. mit hesonderer Berììcksichtigiing ilirer Ensleknng nnd Striikfnr. (IS". Jahr. f. Min. etc. Beilageband XIX, .1904 ; pag. 197-318 con 3 tavole). Dissertazione inaugurale (tesi di laurea). Monaco. — 187 — Alpi occidentali italiane non è mai ricordato, e sotto il nome di Westalpen che spesso ricorre, bisogna intendere soltanto la parte svizzero-germanica di esse. ComA noto il nome più corrente della zona d’Ivrea, specialmente ira gli stranieri, è quello di zona anfibolitica, o di Amphibolitzug von Ivrea datogli dal Gerlach, e popolarizzato anche più dal Diener. Tale denominazione fu data in un’epoca nella quale si credeva necessario distinguere con un nome particolare i tipi di roccia intercalati negli scisti cristallini, anche se identici a quelli intrusivi nelle formazioni di carattere normale. Perciò le rocce della zona d’Ivrea, in parte di tipo massiccio, in parte zonate e per nulla scistose, si chiamarono gene- ralmente anfiboliti invece di dioriti. Solo alcuni lavori più recenti, fatti con moderni concetti petrografìci, come quelli di van Horn, Schaefer, Artini e Melzi, ecc., hanno messo in corso le denominazioni più corrette di diorite, norite, gabbro, eco. Pur troppo però finora l’intelice ed equivoca denominazione di anfibolite ha prevalso, ed eccone le conseguenze. Nelle Alpi occidentali italiane la formazione dei calcescisti contiene le potenti masse di rocce verdi oramai a tutti note, cioè serpentine, eufotidi, diabasi, anfiboliti, cloritoscisti e Queste sono state molto variamente denominate dai geologi francesi, italiani e te- deschi ohe le hanno studiate e fra i vari nomi adoperati hanno avuto fino a non molto tempo fa la prevalenza le due espressioni anfibolite e Griinschieferj quest’ultima ancora più estesa della prima perchè com- prende anche i cioritoscisti puri. Aggiungerò ancora che ad aggravare l’equivoco, nelle carte geologiche furono adoperati, quasi sempre, gli stessi colori per V Amphibolitzug di Ivrea, e le anfiboliti e Grunschiefer della tanto discussa zona dei calcescisti (schistes lustrés, Bundnerschiefer^ Glanzschiefer^ ecc. eco). Sopra un terreno cosi ben preparato da denominazioni e da rap- presentazioni equivoche è germogliato l’errore. Nelle ardenti questioni tettoniche che si agitano fra i geologi delle Alpi occidentali, v’ha ora una ricerca affannosa di formazioni che possano ritenersi ancora in — 188 — posto e che rappresentino le radici delle presunte grandi nappes de recouvrement^ diventate un’ipotesi indispensabile alla spiegazione dei fenomeni osservati. Un maestro sommo, l’illustre E. Suess \ per quanto dubitativamente, accennò pel primo alla possibilità di ricercare le origini delle rocce verdi dei calcescisti neìV Amphiholitzug d’Ivrea. Lo ha seguito recentemente lo Steinmann ^ che molto più esplicita- mente ha dichiarato non potersi ricercare l’origine delle rocce verdi inglobate e « trascinate passivamente nel ricuoprimento retico », altrove che nella « Amphibolitzone voti Ivrea » ! Se questi due eminenti geologi avessero avuto cognizione diretta dei fatti non avrebbero certo messo innanzi una simile ipotesi! ® Difatti, sia detto di passaggio (perchè non entra a rigore nella que- stione che ci occupa) la zona d’Ivrea non è omogenea, ma è una for- mazione complessa di cui le roccie basiche che le hanno dato nome non sono che un membro, mentre gli altri sono costituiti da rocce kinzigitiche e subordinatamente da calcari cristallini. Y’erano di ciò già vari accenni nei lavori pubblicati ; i rilevamenti geologici in corso, per opera dello scrivente e dei suoi colleghi Franchi e Stella, lo hanno però dimostrato oramai nel modo più evidente ^ Il parlare perciò di mA! enorme piaga della crosta terrestre, di wn immane frattura, è del tutto ingiustificato. Tornando, dopo questa brevissima, ma indispensabile, digressione ^ Sur la nature des charriages. (Comptes-rendus de TAcadémie des Sciences de Paris, Tom. CXXXIX, nov. 1904). ^ Geologische Beobachtungen in den Alpen. II. Dìe Schardtsche UeherfalfniigS' theorie und die geologische Bedeutung der Tiefseeahsatse iind der ophìolifischen Massengesleìne. (Ber. der Xaturforsch. Ges. zu Preiburg i. B., Bd. XYI, S. 18-67, September 1905). 3 Questa obbiezione capitale è già stata messa innanzi dal collega Stella, subito dopo la comparsa della nota citata del Suess. — Tedi Stella, Il pro- blema geo-tettonico delV Ossola e del Sempione. (Boll. Coni. geol. 1905, 1, marzo 1905, pag. 26-27)- ^ Beiamone al R. Com. Geol. dei lavori eseguiti per la Carta geologica nel 1904, ecc. (Boll. Com. geol., 1905, Parte ufficiale, pag. 30 e seguenti). — 189 - al nostro argomento, esaminiamo la parte puramente petrografìca della questione coi criteri del Weinsclienk. Le rocce basiche della zona d’Ivrea, in cui i minerali primitivi sono ancora quasi del tutto inalterati, cadreb- bero tutte nella categoria delle dioriti, del gabbro e delle peridotiti e pi- rosseniti, perchè non presentano mai delle alterazioni tali che giusti- fichino l’ipotesi di un qualsiasi metamorfismo neppure semplicemente meccanico, sebbene siano incluse ed interstratificate a scisti della più alta cristallinità. La denominazione di anfiboliti potrebbe appena applicarsi, nelle lingue latine, a qualche tipo subordinato ad anfibolo nero, associato ai gabbri ed alle peridotiti, e che i tedeschi chiamereb- bero Hornhlendefels. Mancano del tutto le diabasi e rocce analoghe. I calcari cristallini, per lo più calcefiri, nonché le rocce kinzigitiche scistose, che compaiono in questo complesso, ove potessero ammettersi le idee del Weinschenk o, quel che fa lo stesso, del Lindemann, do- vrebbero attribuirsi all’azione metamorfosante delle dioriti e dei gabbri, sebbene ciò sia in contrasto coll’altra idea dell’autore ohe i magmi basici siano poveri di agenti mineralizzatori ed esercitino per ciò soltanto una debole azione di contatto. Abbiamo nominato testò un’altra formazione alpina, quella dei calcescisti, la quale contiene masse estesissime di rocce basiche, ma con un abito petrografico difierentissimo ; sono il polo opposto, dal punto di vista della struttura e della composizione, di quelle della zona d’Ivrea; non v’ha in esse che raramente traccia della struttura originale, e meno ancora avanzi di minerali primitivi ; per unanime consenso sono il prodotto di una intensa metamorfosi. Solo le deno- minazioni comuni possono trarre in inganno o far pensare all’identità di certi tipi nelle due formazioni. Gli unici tipi veramente comuni sarebbero le serpentine e le peridotiti, con questa differenza però che mentre nella zona d’Ivrea le peridotiti sono la regola e la serpentina l’eccezione, avviene il contrario nella formazione dei calcescisti dove la peridotite (Iherzolite) è rara e sporadica. Le eufotidi dei calcescisti, eufotidi nel senso stretto della parola, cioè quelle magnifiche rocce a diallaggio verde e felspato bianco, sempre trasformati più o meno — 190 — rispettivamente in uralite e saussurite, non si possono in alcun modo confondere coi gabbri e colle noriti melanocraticlie della zona d’I^Tea. E tanto meno è possibile una confusione fra le dioriti granatifere della stessa zona e le eclogiti dei calcescisti. Le rocce verdi dei calcescisti delle Alpi occidentali italiane, secondo la classificazione del Weinschenk andrebbero assegnate a diverse fa- miglie: nessun dubbio a quali convenga assegnare le serpentine, le diabasi, le eufotidi e le porfiriti non troppo metamorfosate ed ancora riconoscibili come tali ; le difficoltà sorgono solo pel gruppo delle pra- siniti e tipi associati. Le roccie analoghe sono descritte dal Weinschenk due volte ; la prima fra i prodotti del metamorfismo delle rocce basiche e dei loro tufi (II, 115) : la seconda nella sezione degli scisti cristallini nelle due tamiglie Amphibolit und Eklogit e Chloritscìiiafer uiid Grun- schiefer. Che le prasiniti siano da considerarsi come metamorfosi di rocce basiche ed i loro tufi è oramai una questione fuori discussione ; la loro paragenesi ed il loro abito stratigrafico identico a quello delle rocce ofiolitiche dell’ Appennino e dei Pirenei (che il Weinschenk ricorda spesso, sebbene non sempre esattamente, come abbiamo più sopra veduto), sono stati troppe volte ricordati perchè si debba ripetere quanto è stato detto da molti, e che io stesso già da tempo ebbi a scri- vere b Secondo il Weinschenk la metamorfosi è dovuta ad un’azione di contatto dovuta ad intrusioni spesso del tutto ipotetiche di magmi acidi (piezometamorfosi) e questa metamorfosi nelle zone più prossime al nucleo eruttivo consolidantesi, avrebbe prodotto ad immediato con- tatto le eclogiti, indi le anfiboliti ed a maggior distanza prasiniti dori- tiche, o meglio (perchè egli ripudia questo nome e crede potergli attri- buire solo una importanza storica) scisti cloritici e Griinschiefer. A chi conosce le Alpi occidentali italiane ed ha potuto vedere i rapporti fra le prasiniti, le anfiboliti in senso stretto e le eclogiti, che stanno gene- ralmente al contatto fra serpentina e prasiniti ordinarie, alternanti a ^ Nomenclatura e sistematica delle roccie verdi nelle Alpi Occidentali. (Boll. Com. geol., Anno 1895, n. 2, p. 161). — 191 — loro volta con eufotidi e talora con diabasi, non può sfuggire tutta la artificiosità di questo tentativo dal punto di vista genetico. Dal punto di vista petrografico è notevole l’insistenza nell’ affermare che nel maggior numero di queste rocce il felspato è subordinato, mentre invece costituisce il fondo delle rocce che sul terreno hanno diffu- sione più grande e corrispondono ai maggiori individui geologici. Certo nelle collezioni abbondano assai di più gli altri tipi, più ecce- zionali, più scarsi in felspato e più ricchi in minerali colorati; ma non dev’essere certo in un libro che proclama la petrografia fonda- mento della geologia che debbono trascurarsi i risultati dello studio sul terreno, e preferirsi a questi i raggruppamenti dei campioni nei musei. Da ciò l’ostinarsi a conservare l’infelice denominazione di an- fiboliti sensu lato^ mentre nel maggior numero dei casi l’anfibolo è quantitativamente equivalente della clorite e dell’epidoto. L’attribuire a nomi vecchi dei significati troppo ampi e diversi da quelli originarii è perciò un male peggiore dell’introduzione di parole nuove rispon- denti a concetti nuovi e più precisi. Non voglio chiudere senza ricordare le belle e numerose figure e ta- vole annesse all’opera, assai opportune a chiarire le varie teorie, e le molte ed efficaci fotografie delle forme di degradazione meteorica delle rocce. Roma, settembre 1905. III. Su di lina Carta geo^litologica delle Talli di Lanzo, dell' Ing, E, Mattirolo, La sezione di Torino del Club Alpino italiano pubblicava l’anno scorso in elegantissima veste un pregevole volume intitolato : Le Valli di Lanzo {Alpi Graje), nel quale sono raccolte e riccamente e copiosa- mente illustrate numerose monografie che trattano di dette Valli sotto molteplici aspetti, alpinistico, descrittivo, storico, etnografico, arti- stico, industriale e scientifico. — 192 — Dal lato geologico le Valli di Danzo sono in esso illustrate da una carta disegnata con ogni cura dall’ing. Ettore Mattirolo, il quale intitolandola ; Carta geo-litologica delle Valli di Lanzo^ la presenta ac- compagnata da una nota esplicativa destinata principalmente a chia- rire la leggenda dei colori convenzionali usati. La sezione di Torino avendo fatta una tiratura di questa carta superiore alle occorrenze della pubblicazione, fu possibile all’UJBficìo geologico addivenire con essa ad un accordo ed acquistare tale sopran- numero, che permette di offrire la carta ai lettori di questo Bollettino, accompagnandola con un cenno, a schiarimento, tratto dalle pagine del Mattirolo, nel quale cenno mentre si danno le principali notizie che servono a delucidare la carta, se ne tralasciano alcune d’indole gene- nerale od alpinistica, rimandando il lettore, per questi particolari, al lavoro originale. La carta è alla scala di 1 : 100,000 ; è limitata all’incirca all’area che comprende le Valli di Danzo e quella del Tesso ed è ricavata dai rilievi inediti del Mattirolo ed anche da quelli degli ingegneri No- varese, Franchi e Stella. Il lavoro di riproduzione fu molto ben eseguito dalla litografìa Doyen di Luigi Simondetti di Torino, sulla base topografica fornita dal R. Istituto geografico militare, e l’autore si è occupato anche della riproduzione che, data la piccolezza della scala e l’abbondanza e minuzia dei particolari, richiedeva speciale attenzione. * * Le Valli di Danzo sono comprese e figurano, si può dire, come parti secondarie, in varie carte geologiche non particolareggiate, di cui alcune già antiche e tutte più o meno inesatte in rapporto ai li- miti geologici. Sono : la Carta degli Stati di S. M. il Re di Sardegna in terraferma, del Sismonda, edita nel 1853 alla scala di 1 a 500,000 e che, riveduta, fu nuovamente pubblicata nel 1866 col titolo di Carta geologica della Savoia, Piemonte e Liguria; quella manoscritta delle Alpi occidentali di Gastaldi e Baretti alla scala di 1 a 50,000, fogli — 193 del 1867; quella generale della Francia di Vasseur e Carez, 1 a 500,000 del 1886 ; quelle di Zaccagna e Mattirolo che accompagnano memorie del primo nel Bollettino del R. Comitato geologico ; la prima del 1886 alla scala di 1 : 1,000,000, fu riprodotta nella Carta geologica d’Italia alla stessa scala, pubblicata dal R. Ufficio geologico nel 1889; la se- conda del 1893 alla scala di 1 a 250,000, è quella della parte centrale delle Alpi Graje, nella quale le Valli di Lanzo non sono comprese che per la loro parte superiore. Infine queste sono geologicamente rappresentate in alcune altre carte dedotte dalle ricordate e special- mente in quella del Baretti, alla scala di I a 500,000, che accompagna il suo lavoro sulla geologia della provincia di Torino. Per natura geologica e litologica, per genesi e per morfologia le Valli di Lanzo sono siffattamente collegate alle Alpi occidentali di cui non sono che piccola parte, che arduo riescirebbe trattare della loro geologia senza accennare almeno in generale a quella dell’intero sistema alpino occidentale, ciò che, dati i limiti ed il carattere della pubblica- zione, non essendo possibile, l’autore dovette limitarsi a quelle notizie che più direttamente potevano servire a schiarimento della sua carta. Le Valli di Lanzo che nel loro complesso costituiscono un bacino oroidrografico ben individuato ed una delle più amene e pittoresche regioni alpine, offrono al geologo, al litologo^ al mineralogo largo e caratteristico campo di interessanti ricerche in rapporto specialmente allo studio della zona delle 'pietre verdi del Gastaldi, la quale, più forse che altrove, presenta nella loro area, pur limitata, complessi fenomeni stratigrafici, massima varietà di tipi litologici ed in copia splendidi e svariati minerali di alto interesse scientifico. Astrazione fatta dai terreni quaternari, nelle Valli di Lanzo sono unicamente rappresentate formazioni appartenenti allo gneiss cen- trale ed alla zona delle pietre verdi o zona dei calcescisti. Per l’indole della pubblicazione e pel dibattito tuttora vivo in riguardo alla posizione da assegnarsi nella serie cronologica ai terreni di detta zona,, l’autore si limita a segnalare la questione vertente accennando alle principali interpretazioni date ed in attesa che in 14 — 194 — base a sicure osservazioni fondate su non controversi argomenti pa- leontologici e stratigrafici possa presto venire risoluta, si astenne dall’assegnarle nella serie dei terreni indicata nella cartina, un livello geologico definito. Egli pertanto ritiene probabile che i calcescisti, che con facies talora alquanto diversa da località a località troviamo indifferente- mente associati a quasi tutte le formazioni delle Alpi occidentali, sieno a riguardarsi come prodotti di metamorfismo di sedimenti d’una stessa natura, depostisi in epoche geologiche diverse; che vi sieno cioè a diversi livelli geologici calcescisti petrograficamente equiva- lenti, per modo che la zona che attualmente ad essi si intitola, com- prenda terreni di età diverse. Come risulta dalla leggenda che accompagna la carta, in essa i vari ed assai numerosi tipi litologici e le formazioni detritiche sono radunati in pochi gruppi principali ed alcuni secondari, nè forse le esigenze del disegno in rapporto alla piccolezza della scala avrebbero permesso di aggiungerne altri. Del resto riuscirebbe quasi impossibile, o per lo meno richiede- rebbe un lavoro che ben si può dire enorme, l’indicare in una carta anche a grande scala delle Valli di Danzo, tutte le varietà litolo- giche, petrograficamente determinate, che in esse vengono a giorno. Com’è naturale l’esplorazione geologica ed il conseguente rileva- mento delle Valli di Danzo, che costituiscono una regione orografi- camente assai accidentata ed assai complicata in rapporto alla tetto- nica della zona delle jpietre verdi ed alla sua litologia, non riuscì in ogni punto egualmente accurato; che anzi, alcune poche e ristrette plaghe rimangono tuttora a percorrersi e, come quelle presso le cime della Torre d’Ovarda e della Bessanese, dovettero essere segnate con minor approssimazione. Ed anche giova ricordare che non è possibile rappresentare il rile- vamento geologico alpino eseguito, si può dire, senz’aiuto di strumenti, con quella precisione e determinatezza di disegno che è conseguibile in una carta topografica. 195 — Talora le varie rocoie presentano passaggi graduali, si mostrano in minime manifestazioni ohe non è sempre dato avvicinare o seguire, e, ricoperte da vegetazione .o detrito, non riescono visibili che in qualche punto. Conviene soventi per indicarle sulla carta esagerarne la rap- presentazione grafica ed in tal caso il rilievo geologico, per quanto accurato, non può riuscire che approssimativo e talora anche solo dimostrativo. Per coordinare ed accordare poi i lavori dei vari operatori ognuno dei quali ha un modo personale di osservazione ed apprezzamento e, per cosi dire, uno stile proprio di rappresentazione grafica, per man- tenere una qualche armonia fra le diverse parti della carta onde non avesse a riuscire troppo marcata dissonanza fra esse, furono in qualche caso omessi particolari di rilevamento risultanti da rilievi ed osser- vazioni più circostanziate riferentisi soltanto ad alcune parti della regione. I rilievi del it. Ufficio geologico sono natura] mente limitati al confine di Stato e, sia per qualche diversità di vedute e di sistemi di rilevamento e di rappresentazione usati per le carte francesi, sia e princi]Dalmente per la mancanza di particolari nella regione oltre confine della carta topografica 1 a 100,000 che servi di base alla pre- sente carta geo-litologica, non venne disegnata geologicamente la parte a ponente che cade in territorio francese. * * * Della struttura tettonica delle Valli di Danzo non è dato che un cenno affatto sommario per agevolare la lettura della carta. Complicatissima nei suoi particolari si può, con veramente larga veduta di insieme, riguardare come risultante da un’ampia e com- plessa zona sinclinale costituita dalle formazioni delle pietre verdi, compresa fra i massicci di sollevamento del Gran Paradiso a tramon- tana e quello depresso e modesto di Dora-Maira a mezzodì, che nella sua parte più settentrionale appare a giorno nella Valle di Susa, tra Condove e S. Didero. — 196 — Nella zona dello gneiss centrale o fondamentale del Gran Para- diso, indicata nella cartina da un unico colore, è aperta soltanto la parte superiore della Valle Grande, a monte di Ohialamberto. Quivi la regione assume nei suoi caratteri morfologici la speciale fisionomia a linee grandiose propria della formazione, la quale sol- tanto per breve tratto al colie di Trione sul crinale divisorio fra la Valle Grande e quella di Ala scende verso quest’ ultima. Lo gneiss centrale per lo più in larghe pile di potenti banchi ad andamento poco mosso, accennanti talora a dolci ed ampie curvature con direzioni generalmente oscillanti fra N.E ed E, declina regolar- mente con non forti inclinazioni verso mezzogiorno. Le valli di Ala e di Viù e parzialmente quella Grande nel suo tratto inferiore, sono scavate nelle formazioni della zona delle pietre verdi, che appoggiano con concordanza sullo gneiss centrale. Il limite fra queste e quelle, dal vallóne di Cambrelle tributario dell’Orco, con andamento relativamente regolare correndo all’ incirca verso S.O, penetra in Valle Grande, l’attraversa nei pressi di Ohialam- berto, rimonta lungo il versante destro fino al colle di Trione e di qui, piegando a ponente, corre sullo stesso versante poco sotto il ori- nale divisorio colla Valle di Ala raggiungendo pel vallone di Sea il colle omonimo. A differenza delle masse dello gneiss centrale, l’intricato com- plesso di roccie varie della zona delle pietre verdi mostra soventi di essere stato intensamente influenzato da potenti, complicate e ripe- tute azioni orotettoniche, tanto che i suoi banchi presentano talora forti accidentalità stratigrafiche, rotture, ondulazioni, corrugamenti, contorcimenti, pieghe ripetute e costipate, per cui si produssero dislo- cazioni, laminazioni, strozzature e rigonfiamenti. Pur essendo il loro andamento variabilissimo da punto a punto, si può ritenere che nell’insieme i banchi della zona delle pietre verdi che scendono in concordanza collo gneiss centrale nella Valle Grande, si rialzino tosto, immergendosi a tramontana sul versante destro della Valle d’Aia, ricoprendo poi a guisa di calotta la cupola di gneiss — 197 centrale che si manifesta nell’attigua Valle di Susa, mostrandosi non di rado particolarmente disturbati in vicinanza delle grandi masse serpentino se. La genesi della formazione delle 'pietre verdi nelle Valli di Lanzo devesi ricercare in eruzioni di rocoie massiccie specialmente oliviniche ed anfìboliche, che per lunghi periodi, dando luogo a masse separate e più 0 meno sviluppate ed estese, si manifestarono in seno alle acque durante la deposizione di roccie sedimentarie. Queste e quelle poi, per intense e complesse azioni modificatrici, meccaniche e chimiche e quindi pel lavorio degli agenti demolitori, assunsero la posizione, l’assetto tettonico, la natura litologica, le forme orografiche, l’aspetto infine col quale oggidì si presentano. La distribuzione superficiale delle varie formazioni o meglio gruppi di roccie, nell’ area occupata dalle Valli di Lanzo, il loro relativo svi- luppo e fino ad un certo punto il loro spessore ed il loro andamento, sono rappresentate nella cartina, o da essa si possono dedurre. Salvo poche eccezioni, le formazioni delle Valli si presentano in strati 0 banchi, dovuti a letti di deposito, od a laminazione provo- cata dalle subite pressioni. Nella cartina le roccie della zona delle 'pietre verdi vennero divise in sette classi comprese in quattro gruppi principali : degli gneiss minuti e micascisti, delle roccie oliviniche e serpentinose, delle anfi- bolitiche e cloritose, e dei calcescisti con filladi ; ad ognuno di essi si accenna brevemente in seguito. Non v’ha ordine apparente di successione dei vari gruppi litolo- gici della zona delle pietre verdi, ossia questi non corrispondono a determinati orizzonti geologici; che anzi ognuno può trovarsi a qua- lunque livello frammisto agli altri. V’ha però chi crede di vedere prevalenza di gneiss minuti e mi- cascisti nella parte inferiore di essa, maggiore sviluppo di roccie verdi propriamente dette nella media, e predominio di calcescisti nella superiore ; nè si può dire che a tali vedute contradicano le Valli di. Lanzo. — 198 — ❖ Lo gneiss centrale costituisce le alte ed aspre costiere di confine sulla sinistra della Valle Grande. In esso oltre ai ben noti gneiss ghiandoni e porfìroidi per grandi cristalli di feldspati ortotomi porfiricamente disseminati nella roccia, a gneiss più o meno laminati e scistosi, più o meno omogenei e mas- sicci passanti talora a tipi granitoidi, s’incontrano intercalate molte varietà di forme gneissiche a struttura più minuta, talvolta micro- mera ed anche a struttura micascistosa. Tali varietà sono essenzialmente dovute, non a mutazione degli elementi principali costituenti la roccia, ma al minore loro sviluppo, al modo diverso della loro aggregazione ed alla variabile loro quan- tità relativa. Non sono rare poi limitate manifestazioni di gneiss cloritosi ed anche con anfibolo, parti pegmatitiche e come sovente nelle masse rocciose delle Valli di Lanzo, ad eccezione delle serpentinose, si in- contrano nello gneiss centrale vene e filoni incrociantisi, di quarzo secondario, in cui talvolta si annidano minerali vari. Senza soffermarsi a trattare un po’ minutamente delle principali forme litologiche, pure accennando appena alle varietà di roccie che s’incontrano nella massa dello gneiss centrale, l’autore crede oppor- tuno notare che vi si possono trovare anche roccie di natura porfi- rica, giacche il Novarese, sulla sinistra del vallone di Sea, incontrò un masso franato dall’alto, includente frammenti di gneiss centrale, costituito da roccia porfirica ; roccia non rinvenutasi finora in altro punto dell’ellissoide del Gran Paradiso. , ^ ^ Le serpentine o compatte, o scagliose, o scistose, dei soliti tipi detti alpini, sono accompagnate da Iherzoliti e pendoliti varie, dalle quali roccie ritiensi generalmente sieno derivate. - 199 — Per lo più le roooie oliviniche e le serpentinose passano gradual- mente le une alle altre, sfumandosi per cosi dire, per cui non sempre è possibile distinguerle senza ricorrere a metodi petrografìci, nè sul terreno si riuscirebbe sempre a segnare fra di esse limiti netti di separazione. Sulla cartina venne indicata con un tratteggio, ed in modo affatto approssimativo, l’area in cui le Iherzoliti presentano maggiore svi- luppo. Quest’area si trova compresa nella imponente massa serpenti- nosa, una delle più estese ohe vengano a giorno nelle Alpi, la quale dai pressi di Piossasco si stende a nord fino alla valle del Tesso. Tale massa chiude verso la pianura le Valli e presso Lanzo vi è incisa l’angusta forra ove sono le rinomate Marmitte dei giganti ed il Ponte del diavolo che le dà il nome e sotto il quale scorre, per sboccare tosto al pianeggiante, la Stura di Lanzo formata dai corsi d’acqua delle tre valli riuniti, direbbesi, quali rebbi d’un gran tridente. Le altre masse maggiori che interessano le Valli di Lanzo sono quelle dominate dalla sommità del Civrari, Grand’ Uja, Rocca Moross, Becco di Nona e Punta Rossa; s’incontrano poi molte altre manife- stazioni minori di serpentine, talora piccolissime, associate e comprese nelle altre roccie della zona delle 'pietre verdi. La serpentina è spesso in banchi od anche scistosa, cosi ohe in alcuni casi si può dividere in lastre sottili e resistenti che offrono un ottimo materiale tegulare. Roccia per lo più compatta, tenace per eccellenza, non propriamente permeabile, è più delle altre resistente agli agenti esterni. Costituita essenzialmente da idrosilicato di ma- gnesia, d’ordinario non contiene affatto calce, fosforo, alcali; dà luogo a scarso terriccio arido e sterile ohe, non trattenuto se non da me- schina e stentata vegetazione, viene sui pendii facilmente asportato dalle acque e soltanto si ammanta di erbe ed alberi quando al suo detrito associasi quello di roccie più fertili. Anche per lungo volger di secoli la serpentina non viene intac- cata che superficialmente e per piccolo spessore dagli agenti esterni, dalle alghe, licheni e muffe. Per l’alterazione, l’ossido ferroso in essa — 200 — contenuto si trasforma in ferrico e le sue brulle masse che impri- mono al paesaggio un aspetto desolato caratteristico, assumono una tinta particolare rosso-bruna, che anche da lungi le fa distinguere da quelle delle altre roccie. Soventi le masse di serpentina presentano scoscese pareti, diru- pati scaglioni, con superfìcie liscie e lucenti per patine di crisolito, o perchè levigate dallo strofìnio di antichi ghiacciai, o da lavorio di correnti acquee. Esse conservano mirabilmente gli arrotondamenti e le levigature subite, cosi come le impronte di rigature o striature ohe frammenti di roccie più dure impigliati nella fìumana di ghiaccio che un tempo scendeva per le Valli, incidevano sulle superfìcie già lisciate dal ma- teriale fìnissimo pur trascinato dal ghiaccio. Se la roccia è olivinica viene più facilmente intaccata dagli agenti degradatori, e pur presentando nell’insieme aspetto anologo a quello della serpentina, la sua superfìcie più profondamente alterata è co- sparsa di piccole protuberanze, . dovute a minerali più resistenti della olivina, ed è aspra e rugosa. Generalmente poche e limitate sono nelle masse di serpentina e Iherzolite le inclusioni di altre roccie. Specialmente s’incontrano fì- loni eufotidici, e v’hanno anche cloritoscisti o pietre diari che in al- cuni punti delle Valli vennero scavati come materiale atto a dar peso e colore a qualità ordinarie di carta, e roccie varie specialmente di contatto, fra cui belle attinoliti a cristallizzazione molto sviluppata. In vicinanza od al contatto della serpentina con roccie calcari- fere si incontrano soventi ofìcalci. Non risulta però che nelle Valli di Lanzo se ne sieno fìnora rinvenute di quelle che, dotate di bella marezzatura, presentino discrete saldezze e si trovino in tali condi- zioni di scavo e trasporto da meritare d’essere estratte come marmo ornamentale. Una varietà pregiata di tale marmo, che ora scavasi in parecchie località specialmente alpine dalle quali piglia nomi diversi, veniva tempo addietro estratta colla qualifìca di verde di Susa^ sopra Falce — 201 — magna sul versante siuistro della Valle di Susa, attiguo a quello destro della Valle di Viù. In qualche località le serpentine sono amiantifere e l’amianto viene tuttora da esse estratto presso Usseglio. Nella serpentina incontransi incassate soventi a guisa di lenti allungate ad andamento filoniano, concentrazioni di granato che danno vere granatiti, o di idocrasia, accompagnate quasi sempre da mate- riale cloritico. Nelle loro'geodi in più località e particolarmente a Testa- Ciarva sopra il Piano della Mussa ed al Bec di Oourbassera sopra Ala, si svilupparono gli splendidi cristalli di varie specie mineralo- giche pei quali va famosa la Valle d’Aia, ohe ne fornì magnifici esem- plari alle principali collezioni mineralogiche del mondo. Per processo di concentrazione magmatica la magnetite diffusa nella serpentina, trovasi concentrata in qualche punto delle sue masse ed in tempi passati venne anche nelle Valli di Lanzo utilizzata per l’estrazione del ferro. * Largo campo di difficile ed interessante studio presenta al pe- trografo il complesso gruppo di roccie indicato nella carta dalla tinta verde smeraldo, comunemente detto delle anfiboliti. Esso è il più ricco per tipi litologici, diversi per struttura o com- posizione, per distribuzione, cristallinità e grossezza degli elementi principali che li costituiscono. Ad essi si uniscono innumerevoli va- rietà dovute a termini di passaggio più o meno graduale da un tipo all’altro. All’infuori delle serpentine e Iherzoliti, sono comprese in questo gruppo litologicamente proteiforme, le roccie verdi propriamente dette che s’incontrano nelle Valli e delle quali lungo e forzatamente incom- pleto riuscirebbe un particolareggiato elenco. Sono anfiboliti con tipi dioritici, prasiniti svariatissime, compren- denti le ovarditi, roccie pirosseniche diverse, eufotidi più o meno uralitizzate, cloritoscisti, talcoscisti, attinoliti ed in generale tutte le — 202 — roccie verdi, granatifere, epidotifere o zoisitiche, gastalditifere, mi- cacee, quarzifere e fors’anco, sebbene la presenza non ne sia ancora stata accertata nelle Valli di Lanzo, quelle a lawsonite che primo in- dicò il Franchi nelle nostre Alpi. Pur non scendendo a particolari, l’autore accenna ancora come nel gruppo in questione siano comprese roccie speciali, per lo più di color grigiastro, composte di cristalli di granato, rilegati principal- mente da minerale micaceo-talcoide o steatitoso, che nei tempi passati estraevansi nei territori di Balme e di Chialamberto per la confezione di pietre da macina pei molini delle Valli. In generale le roccie del gruppo delle anfìboliti devonsi riguar- dare come prodotti di metamorfismo più o meno profondo di roccie eruttive e loro tufi, pel quale metamorfismo non solo gli elementi mi- neralogici costituenti la roccia primitiva si sono trasformati con pro- duzione di altri minerali, ma avvennero modificazioni nella struttura della roccia, la quale quasi sempre da massiccia divenne scistosa. V’hanno roccie compatte e durissime come talune eclogiti, e roccie tenere come i cloritoscisti e talune prasiniti; ma predominano, for- mando parecchie delle alte vette delle Valli, quelle che presentano notevole resistenza agli agenti esterni. Ad onta però delle varietà, si può dire che v’ha una certa co- stanza nei ripetersi dei tipi litologici nella zona delle anfiboliti. Svariati minerali incontransi inclusi in dette roccie che, talora epidotiche, passano a vere epidositi o pistaziti, nelle quali, come spe- cialmente presso il Ghicet di Paschiet sotto la Torre d’Ovarda, si an- nidano splendidi esemplari di epidoto in bene sviluppati cristalli. Fra i minerali vari, v’hanno anche i solfuri e segnatamente la pirite di ferro diffusissima in piccole mosche, ma talora radunata in vene, filoni o masse, che costituiscono alcuni poco estesi giacimenti, il più importante dei quali, presso Chialamberto, venne coltivato fino a pochi anni addietro. Per le azioni esterne, le roccie del gruppo delle anfiboliti si divi- dono poliedricamente per lo più in grossi blocchi e le addentellate - 203 — creste da esse formate, hanno soventi aspetto rainiforme, foggiate a fantastici torrioni con pareti verticali. Greneralmente scabre, anche più lo diventano per l’alterazione ; e questa fa loro assumere tinte scure variamente grigio-brune. Col loro disfacimento producono scarso, ma sciolto ed abbastanza fertile terreno vegetale. •» * * I tipi litoidi degli scisti cristallini propriamente detti, sono nella cartina essenzialmente compresi in due gruppi, e cioè quello degli gneiss minuti e micascisti e quello dei calcescisti e delle fìlladi. Gli gneiss minuti, cosi comunemente chiamati perchè a grana fìna, presentano più tipi associati a micascisti vari, e nelle Valli di Lanzo occupano estensione minore di quella di ognuna delle cate- gorie di roccie già ricordate. Essi fanno parte di quell’estesa zona essenzialmente gneissico- micascistosa, che dall’alto Ticino corre a S.O seguendo la zona anfìbo- litica di Ivrea, restando compresa fra questa ed i massicci del Monte Rosa e del Gran Paradiso, e nella quale è quasi totalmente scavata la fìnitima valle del Tesso. Alla sua parte meridionale contro la gran massa serpentinosa di Lanzo, la zona gneissica si restringe bruscamente e, ridotta a piccolo spessore, si spinge fìno nei pressi di Yiù dove, si può dire, viene a terminare, giacche quivi agli gneiss minuti e micascisti si sostitui- scono, quasi con passaggio graduale, i calcescisti, che in stretta zona continuano oltre il colle della Frai, scendendo poi lungo il versante della Dora Riparia. Pur non differendo molto gli uni dagli altri per i costituenti mi- neralogici principali, anche gli gneiss minuti offrono molti tipi e va- rietà litologiche, dipendenti o dalla natura degli elementi feldspatici e micacei, o dal diverso sviluppo di uno dei minerali costituenti ri- spetto agli altri, o dal presentarsi in essi abbondanti e caratteristici elementi secondari, o dal confondersi dei vari tipi passanti gradual- mente gli uni agli altri, od infìne da più d’una di queste circostanze. ,1 — 204 — E cosi non poche varietà si hanno per le roccie micascitose, le quali passano soventi gradualmente alle gneissiche, pel comparire in esse delhelemento feldspatico. Una forma relativamente diffusa e che da vari nostri geologi al- pini si suol considerare come tipica per lo gneiss minuto, è quella a mica verdognola sovente designata come gneiss di Pessinetto perchè specialmente scavato presso questo paese. Esso fornisce buon materiale di lastroni e pietra da taglio, nonché, come spesso gli gneiss minuti e micascisti, buon materiale tegulare. Presso Pessinetto vedonsi i banchi dello gneiss rimontare model- landosi in parte con larga contorsione alla massa serpentinosa di S. Ignazio, ed isolandone alcuni lembi. Per la scala della cartina ed anche per insufficienza di dati, non riuscì possibile scindere gli gneiss dai micascisti, od indicare varietà speciali di queste roccie e soltanto con tratteggio azzurro sul fondo roseo, vennero distinti quelli a granato, gastaldite e sismondina, perchè si presentano in alcune plaghe estese e ben definite. Particolarmente in tali roccie incontransi noccioli ed intercalazioni di roccie giadeititiche. Si può ricordare che alle roccie gneissico-micascistose sono fram- miste modalità quarzitiche passanti talora a vere quarziti. A differenza dello gneiss centrale propriamente detto, gli gneiss minuti, più facili a disgregarsi, danno luogo a buoni terreni vegetali sciolti, poveri in calce, ma relativamente ricchi in potassa e non privi di fosfato. Nelle roccie anfiboliche e concomitanti, trovansi frequenti lenti ed intercalazioni di gneiss minuti vari e micascisti non di rado asso- ciati a roccie calcescistose, cosi come in essi trovansi le altre roccie della zona delle pietre verdi fra cui specialmente i calcescisti con fil- ladi, alle quali gli gneiss fanno talora passaggio per sostituzione del- l’elemento calcareo al feldspatico. I calcescisti che costituiscono si grande parte delle Alpi Cozie e Graje, come gli gneiss minuti, occupano limitata estensione nelle Valli di Lanzo. Sono particolarmente sviluppati e mostrano notevolissima potenza sopra Malciaussia nelle scoscese balze del circo terminale della Valle di Viù, dove, costituendo la gran massa del Rocciamelone, corrono quasi ininterrotti lungo il confine di Stato dal Colle della Croce di ferro alla Punta Autaret. Tutto le varietà di roccie più o meno calcarifere che si incontrano nelle Valli di Lanzo sono rappresentate da due delle distinzioni ero- matiche adottate per la carta. Il colore carnicino indica i vari tipi di calcescisti propriamente detti, più 0 meno calcariferi o filladici, talora grafitoidi, arenacei o scistosi, che si presentano colle solite varietà di struttura, composi- zione e sviluppo di minerali secondari, comuni per tali roccie nelle Alpi occidentali. Col colore arancione sono distinte le roccie essenzialmente calcaree od anche dolomitiche, il cui sviluppo è di gran lunga subordinato a quello dei calcescisti propriamente detti. E bene notare che in vari punti, come’ nella parte alta della pira* mide del Rocciamelone, il colore arancione non indica che aree in cor- rispondenza delle quali i calcescisti, per il predominio dell’elemento calcareo, passano a calcari più o meno magnesiaci. Alla stessa tinta corrispondono anche varietà di cipollini e calcari a grana grossa con minerali vari o calcefiri, racchiusi in lenti nelle altre roccie della zona delle pietre verdi e specialmente in quelle del gruppo delle anfiboliti. Ed inoltre conviene notare che le due piccole chiazze di detto colore segnate nell’angolo S.O della carta a sud della piramide ter- minale del Rocciamelone ed a ponente di Oomba Pala, che cadono già ai di fuori dei limiti orografici delle Valli di Lanzo, sono costituite da un calcare dolomitico con materiale carniolico sfatto. Esse formano gli ultimi residui verso levante della stretta fascia costituita essenzial- mente da carniola triasica, ohe staccandosi dal Piano del Moncenisio corre, compresa nei calcescisti, lungo la costa che sovrasta alla Nova- lesa formando, a S.O della piramide del Rocciamelone, le fantastiche — 206 — rocche che il cartografo, intendendo forse interpretare una dicitura dia- lettale, chiamò Toasso di Venezia. Se da un lato i calcescisti passano ai calcari, dall’altro per l’au- mento e lo sviluppo dell’elemento micaceo passano a fìlladi sericitiche prive o quasi di calcite, a varietà di micascisti accompagnati talora da forme gneissiche minute, e tali roccie vennero appunto nella car- tina indicate colla tinta rosea di queste. Non di rado, e di preferenza nel gruppo delle anfìboliti, si trovano inclusi lenti o banchi, costituiti da straterelli variamente alternanti fra di loro di roccie calcescistose, di calcari micacei talora a musco- vite sviluppata e di roccie cloritiche e micascistose che, diversamente intaccate dagli agenti esterni, rendono ben palesi i complessi corru- gamenti subiti dalla massa per le azioni orotettoniche. Nella cartina sodo indicate le principali di tali inclusioni, colla tinta, naturalmente, della roccia in esse predominante. I calcescisti costituiscono nella zona delle pietre verdi la roccia meno resistente agli agenti esterni, epperciò comunemente indicata coll’appellativo di marcia dagli alpigiani piemontesi. Quando però sono calcariferi presentano una certa resistenza e vengono usati, oltre che per calce, nelle costruzioni anche come pietra da taglio. Ma anche i calcariferi, in generale, si dividono facilmente in lastre sottili, per cui in molti punti delle Valli vengono estratti come materiale tegulare di non buona qualità, non solo perchè facile a sfogliarsi e sfasciarsi principalmente per azione del gelo, ma ancora perchè dà ricetto a vegetazioni, che grandemente contribuiscono allo sgretolamento della lastra. Col facile disfacimento dovuto in gran parte alla solubilità del- l’elemento calcareo il detrito dei calcescisti si riduce in materiale sab- bioso e sottile non molto sciolto, che in date condizioni costituisce i migliori terreni agricoli delie Valli. Fondandosi sulla poca resistenza dei calcescisti, alcuni geologi asserirono ch’essi solo eccezionalmente costituiscono nelle Alpi vette importanti. Ciò fu smentito dall’accertamento della natura litologica — 207 — di molte fra le elevate cime delle Cozie e delle Graje, fra cui quelle del Rocciamelone e della Ciamarella nelle Valli di Lanzo. È bensì vero che per queste ultime due fu detto che il culmine ne è protetto da copertura di micascisto; ma la vetta del Rocciamelone è formata da un calcescisto fìlladico,- simile affatto a quello dominante in basso nelle falde del monte e non altrimenti resistente alle azioni meteoriche, e sulla parte terminale della Ciamarella v’ha bensì una intercalazione micascistosa simile ad altre che s’ incontrano nella massa del monte, ma talmente limitata ohe non ricopre tutta la sommità non costituita da una unica vetta, e di resistenza non certo molto mag- giore di quella del calcescisto col quale si trova. È ovvio che le cause della formazione ed elevazione delle vette vanno ricercate in molte e complesse circostanze e non solo nella na- tura della roccia che le costituisce, alla quale ancor oggidì si accorda maggior importanza che realmente non abbia, non solo in tale que- stione, ma ancora in quella dell’erosione delle valli e nella orografìa in generale. Mentre per solito i calcescisti nel senso della inclinazione degli strati, ricoperti da piastrai o da terriccio, anche nelle regioni elevate offrono tacile l’accesso, dalla parte delle testate dei banchi si presen- tano generalmente con alti e difficili dirupi, con inaccessibili, vertigi- nose pareti, come appunto verso le Valli di Lanzo sulla giogaia che le separa dalla Savoja. * * * Interessando agli alpinisti la conoscenza della posizione, estensione e natura delle formazioni detritiche, l’autore nella carta ha cercato di rappresentare molte delle plaghe ricoperte da esse, omettendone natu- ralmente alcune e raggruppandone altre, onde non troppo trito avesse a riuscire il disegno e non troppo venisse ad essere mascherata la roccia sottostante, quando la sua natura è nota. Diverse per origine, forma, grossezza, freschezza e natura degli elementi che le costituiscono, le formazioni del quaternario sono nella — 208 — cartina riunite in pochi gruppi, dei quali uno comprende materiali di trasporto glaciale, due quelli dovuti a fluitazione ed uno infine quelli accumulatisi per sfasciamento e franamento delle masse rocciose. Naturalmente le divisioni stabilite non sono sempre assolute; talora mal si possono distinguere i materiali di un gruppo da quelli di un altro, soventi sono commisti e si passa gradualmente da un gruppo all’altro. Le formazioni frammentarie delle Valli di Lanzo sono sciolte e per eccezione soltanto e su aree assai limitate danno luogo a conglo- merati a debole coesione. Gli indizi, di varia natura, dell’azione di antichi ghiacciai, sono frequentissimi, ed assai sparsi e numerosi sono i lembi morenici rispar- miati dalla denudazione, dei quali alcuni ricoprono tuttora estese plaghe. Non essendovi notevoli accumuli morenici presso Lanzo, nè verso l’interno della valle, nè verso l’esterno, è discusso se i ghiacciai che in remoti tempi scendevano lungo le Valli, riuniti, siensi espansi fino ed oltre lo sbocco comune di esse, ciò che non mi pare del tutto im- probabile. L’autore accenna all’esistenza della questione senza soffer- marvisi, tanto più ritenendo ch’essa dovrebbe venir trattata alla stregua di apposite, nuove e ben condotte osservazioni. Oltreché al morenico antico ed a quello recente proveniente dai pochi e non vasti ghiacciai che attualmente dominano le Valli, il pun- teggiato azzurro della cartina si riferisce ancora a quel materiale ohe incontrasi, in piccoli dossi o collinette per lo più ad andamento ar- cuato e parallelo, che chiudono sovente verso il loro sbocco le elevate conche e valloni. Questi e quelle, per vari mesi delF^anno ripieni di neve e ghiaccio, funzionano come piccoli ghiacciai temporanei in riguardo al materiale che dai fianchi scoscesi frana sul nevaio e che viene ad accumularsi caoticamente costituendo piccole morene. Non potendosi talora limitare nemmeno approssimativamente il morenico da quei detriti di altra natura indicati da punteggiato rosso, non venne sempre segnato il limite con questi e la punteggiatura fu eseguita mescolando punti azzurri e rossi. CARTA GEO -LITOLOGICA DELLE VALLI DI LANZO SECONDO IL RILEVAMENTO DEL R. UFFICIO GEOLOGICO E. MATTIROLO. 1904. V CUf df. c-v'mmtcfiW. (Suifdxt.'aLPKjttói'L IPROOUZIOUe RISERVA (Ugge 19 8*lt.l8S2, VIDI’) LBGGEND A Qaaternario □ □Z] /Ire-# occupate da ffhtacciai o da taf^hi. Detriti di falda, frane, coni di dejeiione recenti. Alluvioni recenti, bacini torbosi (laghi ricolmi). Allìcvioni antiche più o meno ferretùtate. Morene antiche e recenti. 1- i I' li 209 Alcuni depositi di materiale ciottoloso e subordinatamente arena- ceo-argilloso che incontransi presso Lanzo, sono da ascriversi al dilu- viale antico, quello stesso che, soventi ferretizzato, forma le poco elevate alture collinesche che limitano ai lati il conoide alluvionale della Stura di Lanzo. L’alluviale recente più o meno pianeggiante è scarso ed è solo sviluppato in corrispondenza ad alcuni allargamenti delle Valli: com’è naturale, si presenta assai vario in rapporto alla natura e grossezza dei suoi elementi. Allo stato di limo non finissimo, lo si trova quale materiale di riempimento di antichi bacini lacustri soventi torbosi, di cui due veramente notevoli : quello della Mussa e quello d’Usseglio. Non vi sono nelle Valli di Lanzo depositi di qualche entità di argille ò marne propriamente dette. Non potendosi cartograficamente distinguere maggior numero di suddivisioni pel quaternario, furono rappresentati col punteggiato rosso tutti gli altri detriti non inclusi nei gruppi precedenti, compresi i conoidi alluvionali o coni di dejezione che, sviluppati a ventaglio, trovansi agli sbocchi di pressoché tutti i torrenti secondari nelle valli principali, cui forniscono fialluvione che ne riempie il bassopiano, e che a rigore, essendo dovuri a materiale fluitato, dovrebbero essere classificati fra le alluvioni. L’autore accenna poi brevemente ai detriti di roccia in posto ed a quelli di frana e di falda. Le masse rocciose anche sulle creste elevate si trovano soventi rotte, sfasciate e sconvolte, per opera degli agenti degradatori fra cui potente e precipuo il gelo, dando luogo, per la oosidetta autofram- mentazione, ad accumoli di grosso detrito che rimane in gran parte laddove s’è originato. Così sulle pendici si formano non poche cassère o clappeys ad ele- menti poliedrici talora enormi, non agevoli a percorrersi. In processo di tempo i frammenti, più o meno prontamente, a seconda della resistenza della roccia, si disgregano riducendosi in mate- riale sottile, in terriccio, fino a divenire terra vegetale, la quale trovasi 15 — 210 — all’incirca nello stesso luogo in cui si trovava la roccia dalla quale ebbe origine e cbe sovente al geologo non riesce più agevole il rico- noscere. Per detrito di roccia in posto l’autore intende i suaccennati materiali frammentari. Con frana di monte, indica il materiale dovuto a grandi e subi- tanei scoscendimenti d’una massa montuosa che precipita violentemente a valle il suo sfasciume. Tale lo scoscendimento che dicesi abbia, or sono alcuni secoli, seppellito un villaggio prossimo all’attuale Chialam- bertetto in Valle d’Aia; tale, in gran parte almeno, l’enorme ammasso di grosso detrito che nella stessa valle sbarra il Piano della Mussa, ritenuto di origine esclusivamente morenica, mentre la natura stessa, la forma e disposizione del materiale che lo compone, lascia fondata- mente credere sia dovuto al franamento della parete che s’ergeva verso mezzogiorno e della cui esistenza può ritenersi sia rimasta a testimone la Eocca del Tovo. Presso i primi casolari che, rimoi^tando detto ammasso, s’incontrano andando da Palme al Piano della Mussa, v’ha un grosso macigno di calcescisto, al quale si accenna perchè venne particolarmente indicato come d’origine morenica, mentre basta osservare le erte rupi ohe gli sovraincombono per accorgersi che in esse corre un banco di calce- scisto dal quale il masso s’è staccato, certo da non lunghissimo tempo ; e d’altronde non è a credere ohe per la sua natura esso avrebbe po- tuto conservare a lungo, impigliato nella morena, la forma e resi- stenza che tuttora presenta. E’ dunque un masso erratico dovuto a frana, come quello nel prativo poco sotto la Saletta sopra Lemie, al cui franamento si riferiscono paurose leggende. Infine quasi ovunque, lungo il piede delle falde e pareti montuose, sul fondo delle conche e dei valloni, s’incontra un materiale detritico originato dal periodico staccarsi dalla roccia viva, specialmente alla epoca del disgelo, di frammenti che accumolandosi si dispongono a scarpata più o meno ripida sulla quale stanno sovente in equilibrio instabile. E’ questo il detrito detto di falda, che più o meno volumi- noso costituisce le casserà o cla'ppeys e, quando è di roccia scistosa che si divide in lastre e piastrelle, i cosidetti piastrai. ~ 211 — L’autore termina esprimendo la speranza che successive e ben condotte investigazioni, studi e rilievi possano fornire elementi per la formazione d’una carta particolareggiata a grande scala delle Valli di Lanzo, ch’abbia ad essere modello di carta parziale, corredata di ben scelte sezioni esattamente rilevate e che la conoscenza della zona delle pietre verdi concepita dal Gastaldi specialmente rilevando le Valli di Lanzo, abbia dallo studio di esse a ricevere la maggior luce. Roma, luglio 1905. La Direzione. N.B. — La Carta che è oggetto della presente nota risponde allo stato del rileA^amento di qualche anno addietro. In seguito allo studio delle Alpi Graje orientali e delle Pennine compiutosi da poco tempo, i terreni raccolti nell’a- rea della carta sotto la denominazione di sona delle pietre verdi sarebbero da ascriversi a due formazioni. lina corrispondente esattamente alla sona delle pietre verdi delle Alpi Cozie, sulla cui età mesozoica o meno si discute, com- posta essenzialmente di calcescisti e di roccie verdi basiche; l’altra prevalente- mente gneissica che fu chiamata recentemente sona Sesia-Vai di Lanso e di essa fanno anche parte i micascisti eclogitici rappresentati nella carta e gli (jneiss-Sesia del Gerlach. Le nuove idee sulla serie dei terreni e sul loro assetto tettonico, risultanti dalle osservazioni e dagli studii del R. Ufficio geologico, troveranno la loro espressione sintetica in una Carta d’insieme delle Alpi occidentali italiane, in corso di preparazione. — 212 — IV. Riunione annuale della Società geologica italiana a Tolmezzo, Sede dell’adunanza generale estiva della Società geologica fu quest’anno Tolmezzo nella Gamia, regione ricca di naturali bellezze e di particolare inte- resse per i geologi italiani per lo sviluppo e la ricchezza in livelli fossiliferi che vi hanno i terreni paleozoici. La riunione ebbe luogo nella seconda metà di agosto e le escursioni vennero dirette dal prof. Taramelli, coadiuvato dal prof. Yinassa de Regny e dal doti. Gior- tani. Quest’ultimo assai opportunamente pubblicò per la circostanza una compen- diosa guida geologica degli itinerari da percorrersi, corredandola di profili e di due belle cartine, una delle quali rilevata in collaborazione con lo stesso prof. Tinassa La serie dei terreni della regione, quale risulta da detta pubblicazione, è Argilloscisti quarzoso-micacei talora tal- cosi o cloritici; grovacche, arenarie e conglomerati quarzosi; rocce eruttive; calcari silicei scistosi, nerastri. a) Argilloscisti c. s. con tracce di grap- toliti, Archaeocalciìnites, ecc. b) Calcari più o meno stratificati, retico- lati, grigi o rossastri, con Orthoceras, Cardiola interrupta e Ehjjnchonella Me- gaera; scisti argillosi. Calcari bianchi o grigi, coralligeni, in banchi potenti. Calcari grigi con Brachiopodi, Coralli e Climenie. Argilloscisti identici a quelli siluriani (?). a) Arenarie scistose e argilloscisti a Pro- ductus Cora e filliti, alternati con banchi di conglomerato quarzoso, e calcari a Crinoidi e Fusnlina (?) cglindrica. b) Calcari bianchi e rossastri e Fusa lina alpina e Schwageriiia princeps alternati con arenarie rosse micaceo-scistose ; breccia di « XJggowitz ». rappresentato dal seguente quadro: 1 inferiore (?) e me- 1 dio Siluriano . , ' superiore .... l inferiore e medio. Devoniano. . f superiore .... 1 inferiore e medio . Carbonifero . • < 1 superiore e Permo- \ carbonifero 1 A cura del Circolo speleologico ed idrologico friulano venne pure raccolta e pubblicata per l’occasione la Bibliografia speleologica friulana (1842-1905). 213 — Permiano . . . Trias Lias e Giurese inferiore Conglomerati, arenario ed argilloscisti di Val Gardena, rosso- vinati; diabasi o I rocce porfiriche. [ medio e superiore Dolomia cariata più o meno gessifera; calcari marnosi e calcari scistosi a Bellerophon ed Avicula striato-costata, I a) Calcari marnosi laminato-scistosi, ta- . ^ . I alternanti superiormente con una ' ’ ’ ‘ * i oolite a minuti gasteropodi. \ b) Arenarie e scisti werfeniani, per lo più rossi e molto micacei con Pleuro- ìfiija fassaensis, Psendomonotìs darai, Naticella costata; in alto ricompaiono i calcari marnosi. a) Brecce e conglomerati calcarei grigi ^ o multicolori, o calcari neri bianco- I medio { venati, talora sormontati da calcari e scisti marnosi. b) Calcari dolomitici bianchi o grigi talora con diplopore. I a) Strati di Buchenstein : calcari oscuri j silicei o marnosi, sottilmente stratifi- ! cati, con porfidi augitici. b) Calcescisti e calcari marnosi neri ad Halobia Lommeli; marne giallastre ; arenarie grigie o giallastre con im- pronte di Calamites (strati di "VVen- , gen p. p.). superiore . . . . c) Calcari dolomitici a stratificazione indistinta (Schlerndolomit dei tedeschi, calcari infraraibliani di Taramelli). d) Strati di Baibl, sempre fossiliferi: marne, calcari e scisti marnosi, are- narie quarzose, dolomia grigiastra, an- tracite ed uua zona gessifera superiore. e) Calcari e dolomie della formazione do- lomitica principale. Calcari dolomitici a ConcJiodon e supe- riormente calcari selciferi. — 214 - Diciamo ora brevemente delle escursioni, le quali ebbero per oggetto la parte settentrionale della Gamia, durarono dal 21 al 26 agosto e, benché al- quanto contrariate dal tempo, riuscirono tutte soddisfacenti e proficue. Il giorno 21 i congressisti, lasciato Tolmezzo di buon mattino, risalirono in vettura le vallate del Tagliamento e del Degano fino a Comeglians, attraver- sando dapprima terreni del trias medio e superiore, indi del permiano. A Cludinico si fece una lunga sosta per visitare, sotto la guida squisita- mente cortese del direttore signor ingegnere IS’obili, la miniera di carbon fos- sile, riattivata nel 1900 dalla Società mineraria di Venezia dopo dodici anni di abbandono. Il giacimento minerale consiste in uno strato sufficientemente regolare, potente in media m. 0. 60, con direzione E-O e pendenza media di 80° verso 2^, racchiuso in una formazione calcareo-marnosa d’età raibliana. Il carbone è grafitoso, lamellare, a frattura scistosa e si riduce facilmente in frammenti. È dotato di potere calorifico abbastanza elevato (superiore alle 6000 calorie) e fornisce alla distillazione un coke di mediocre qualità. Ha aspetto antracitoso ed infatti fu qualificato da molti per antracite; però l’analisi chimica sembra desi- gnarlo piuttosto per un vero e proprio litantrace, come fu ritenuto dal Mene- ghini e da altri geologi. I lavori di ricognizione e tracciamento finora eseguiti non sono molto estesi, ma i caratteri geologici del terreno e la estensione degli affioramenti sembrano indicare la presenza nel campo minerario di una quantità di carbone sufficiente a fornire una discreta produzione per almeno un ventennio. A Comeglians i congressisti abbandonarono la strada provinciale per la mulattiera di San Giorgio, Calgaretto e Yalpicetto che, attraverso alla serie del siluriano superiore ed a porfidi diabasici, li condusse a Rigolato. In seguito continuarono a risalire a piedi la valle del Degano per esaminare sotto il Col di Mezzodì la serie permo-carbonifera e verso sera giunsero a Forni Avoltri, dove pernottarono. Il 22, i congressisti si divisero in due gruppi, dei quali uno per la Yal- calda si recò direttamente a Paluzza, dove venne poi raggiunto il 23 daU’altro che salì fino al Ricovero Marinelli (m. 2120) per l’amena mulattiera di Collina e la valle del Rio Morerèt. Parecchi fecero un’aggiunta a questo itinerario spingendosi per il Passo Yolaja fino al pittoresco lago omonimo ed al Seekopf, onde visitarne i ricchi livelli fossiliferi. Il sentiero da Forni al ricovero suddetto corre dapprima sulle arenarie di Yal Gardena e sulle ben conservate morene di ritiro situate sulla destra del R. Follin. indi sugli scisti che sono a contatto con i calcari devoniani del Monte Coglians e che, finora di età controversa, dopo gli studi del Geyer si — 215 — ritenevano siluriani. Si potè riconoscere invece, durante rescursione, che ossi sono carboniferi, come è provato da copiosi avanzi di Calamites e sopratutto da una foglia di Neurodontopteris auricniata trovata sotto il Bicovero dal dottor Cernili. Su questo fortunato rinvenimento il prof. Yinassa fece anzi la sera stessa una breve comunicazione alla Società geologica. Il domani, 23, dal Bicovero Marinelli per le Casere Monumènt e Yal Col- lina (calcari devoniani ricchi di coralli, molluschi e brachiopodi) i congressisti scesero fino a Timau, dove poterono ammirare la bella cascata del Fontanone, indi proseguirono per Paluzza. Da questo paese, il 24, i congressisti si recarono a Ligosullo (dolomia cariata gessifera ed arenarie di Yal Gardena), e di là, dietro invito del barone Dionigi Craigher al Castello di Yaldajer, Indi la comitiva si divise in due parti, delle quali, una discese direttamente a Paularo, l’altra venne prima condotta dal ba- rone Craigher a visitare alcune interessanti lenticelle di grafite da lui scoperte negli scisti siluriani. Il giorno 25 i congressisti risalirono la gola del Chiarsò fino alla Casera Bamàz, indi per Casera Yal Bertàt, Cason di Danza e Casera Pezzèit alta, pro- seguirono fino alla Forca Pizzùl, donde ridiscesero a Paularo. D’itinerario si svolse nelle seguenti formazioni: arenarie di Yal Gardena, scisti e calcari car- boniferi, rocce porfiriche, morenico. Il 26 finalmente essi fecero ritorno a Tolmezzo, dove ebbe termine la riunione. Roma, settembre 1905. Da Direzione. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIKLIOORAFIA. OEOLOGtlO^ IT^LI^IVJL PER e’AN2T0 1904 \ {Continuasi one^ vedi n. 2). Fucini A. — Note di geologia calabrese. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Pro- cessi verbali, Voi. XIY, pag. 72-74). — Pisa, 1904. Sono due note relative a pubblicazioni fatte dall’ing. Crema sopra il postplio- cene della Valle del Grati (vedi Bihl. 1903) e dal prof. Di-Stefano sul circonda- rio di Rossano (vedi più sopra), nelle quali l’autore fa alcune osservazioni cri- tiche su taluni punti e rivendica la priorità delle proprie osservazioni su altri, facendo la discussione dei disaccordi esistenti. Fucini A. — Loriolella Ludovicii Mgli.^ nuovo genere di echino irrego- lare (dagli Annali delle Università toscane. Voi. XXIV, pag. 10 in-4®, con tavola). — Pisa 1904. Forma di echinide già descritta dal Meneghini sotto il nome di Cidaris Ludovicii, poi dal Bottoni come Polgcidaris Ludovicii, e rinvenuta ora nel Lias medio di San Casciano dei Bagni (Monte di Cotona). Sottoposta dall’autore all'e- same dello specialista De Loriol, questi disse trattarsi di un nuovo genere prossimo allo Pseudopileus Loriol, ma da questi affatto diverso. Raccolto altro materiale, compreso l’originale del Meneghini, l’autore fa la descrizione del nuovo genere e della nuova specie che dedica aU’illustre De Loriol e denomina Loriolella Ludovicii, illustrandola anche con una tavola. Fucini A. — Cefalopodi liassici del Monte di Cetona. Parte 4^^. (Palaeon- tographia italica. Voi. X, pag. 275-298, con 4 tavole). — Pisa, 1904. Proseguendo il suo lavoro (vedi Bibl. 1901, 1902, 1903) l’autore descrive in questa parte le specie appartenenti al genere Harpoceras, in numero di 9 tra cui 6 nuove, e parte degli Hildoceras (7 specie, fra le quali una nuova). ^ Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 217 — r Le specie nuove descritte sono : Harpoceras Ugolinii, H, falcicostatiimy H. exiguiim, H. Marianii, H. pseiidofieldingii, H. pseiidofalciilatum e Hildoceras falciplicatiim. I^'elle quattro tavole sono disegnate le specie descritte, nonché alcune varietà da esse derivanti. Geikie a. — The Roman Campagna. (International Quarterly, dune 1904). — London, 1904. — Idem in (Landscope in History and other Bssays, Ch. X, pag. 308-352 in-8®). — London, 1905. È questo un quadro delle vicende geologiche traverso cui la Campagna ha raggiunto il suo presente assetto, esposto per quanto possibile senza i particolari che sarebbero fuor di luogo per il pubblico, non specialista, cui si rivolge lo scritto. L’autore ha visitato di recente la regione e potè perciò aggiungere ai dati raccolti dai vari scrittori che si occuparono della geologia di essa quelli derivanti dalle proprie osservazioni. Delle tre fasi successivamente considerate dall’autore, e che sono, insieme a quella delle eruzioni vulcaniche, quelle che la precedettero e la seguirono, importa rilevare qui soltanto due punti di quella vulcanica, in cui l’autore espone la propria opinione intorno ai tufi. Egli ritiene, in base alle ricerche del prof. Portis, che la massima parte di tali tufi sia di origine marina: ag- giunge poi che un accurato studio del tufo ed un confronto di esso con quello di distretti vulcanici più antichi meglio aperti all’osservazione da una prolungata denudazione, lo conducono a ritenere che il materiale dei tufi non derivi già dalle eruzioni del vulcano di Albano o di quello di Bracciano o di altro a distanza, ma da eruzioni locali da molte bocche, generalmente piccole, emet- tenti qui materiale fine e là materiale grossolano, in tempi differenti e indi- pendentemente una dall’altra. Il prof. Geikie non ha potuto riscontrare nessuna di tali bocche e segnala l’importanza di una tale ricerca. Gemmellaro G. G. — I cefalopodi del Trias superiore della regione oc- cidentale della Sicilia (pag. 320 in-folio, con 30 tavole). — Pa- lermo, 1904. È lavoro importantissimo del compianto Gemmellaro, pubblicato dopo la sua morte, per cura della famiglia e dei suoi allievi, e in particolare del suo successore Giovanni Di-Stefano. Come dice il titolo, in esso si tratta di fossili della parte superiore del Trias della Sicilia occidentale, corrispondente ai depo- siti di Hallstatt, e vi si vengono a chiarire importantissimi punti, sinora con- troversi, intorno alla cronologia di siffatto periodo geologico. — 218 — Il lavoro, di carattere essenzialmente paleontologico, è preceduto da una introduzione stratigrafica, rimasta sgraziatamente incompleta; mentre il testo paleontologico era quasi del tutto stampato, come anche le tavole, prima della morte dell’autore, avvenuta il 16 maggio 1904. La fauna illustrata proviene da località diverse delle provincie di Palermo, Trapani e G-irgenti, che vengono descritte: essa comprende 236 specie di cefa- lopodi, ripartite in 38 generi, di cui 4 nuovi [Policites, 3Iojsisovicsites, Gonio ' notites, Calliconites) e 19 sottogeneri compreso uno nuovo [Sicnlites s. g. di Ce- ratiies)] le specie nuove sono in numero di 167, e quelle anteriormente cono- sciute appartengono al Gamico ed al Teorico. Gran merito dell’autore è di avere in questa monografia fatto conoscere una ricca e pressoché sconosciuta fauna di cefalopodi del Trias superiore me- diterraneo, ed è a deplorarsi che la prematura sua morte non abbiagli permesso di chiudere l’opera con un capitolo di conclusioni tratte dal suo studio, che sarebbe ruscito interessantissimo. Le tavole in litografa sono eseguite con accuratezza e sono tutte fornite della rispettiva spiegazione. Hammer W. — Vorlag-e des Blattes Bormio-Tonale. (Yerhandl. k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1904, n. 16, pag. 357-358). — Wien, 1904. Idem. — Geologìsche Aufnahme des Blattes Bermio-T anale. (Jahrbuch k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1905, H. I, pag. 1-26, con tavola). — Wien, 1905. Questo foglio è stato rilevato geologicamente nella sola parte austriaca, che comprende la vallata del hloce dalle sue origini a Piano, l’alta Tal di Sole ed i monti circostanti, dal Passo dell’Ortler, al Cevedale, al Corno dei Tre Signori, al Tonale. In esso sono rappresentati terreni del Trias e delle zone filladica e gneissica. In quest’ultima si osservano gneiss a due miche, gneiss filladici, quarzite e scisti quarzitici, calcare cristallino, anageniti, anfiboliti, insieme collegati, con tre facies distinte secondo l’elemento predominante, cioè gneiss (Talle di Rabbi), quarziti (Pejo), gneiss filladici (Tal della Mare). La catena principale, dalla Sforcellina presso il Corno anzidetto sino alla punta Zufritt, è invece for- mata da filladi con intercalazioni di calcari, calcescisti micacei e scisti cloritici. Roccie eruttive appariscono qua e là fra gli strati sedimentari, in particolare granito; rimarchevole fra queste la granitile bio litica della Cima Terdignana fra la Tal della Mare e quella di Rabbi, la pegmatite di Tal Termiglio, la porfirite nel gruppo dell’Ortler. Grandi linee di frattura attraversano il complesso in direzione TE -SO, con intensità crescente verso SO, che diviene massima nei dintorni del Tonale, dove presenta fenomeni di dislocazione veramente grandiosi. X — 219 — IS'el secondo lavoro Targomento è trattato con maggiore diffusione, spe- cialmente per ciò che riguarda le roccie e la tettonica, per la quale sono distinte in una cartina le linee di frattura, le vette e le conche corrispondenti, nonché le linee dei rilievi montuosi. Oltre poi ad alcune sezioni intercalate nel testo, altre ne sono disegnate nella tavola annessa. Henrotin L. — Nota sulla formazione della « Costiera di Nehida ». (Besoconti riunioni Ass. mineraria sarda, Anno IX, n. 3, seduta 20 marzo 1904, pag. 5-7, con tavola, e n. 5, seduta 15 maggio 1904, pag. 8-9, con tavola). — Iglesias, 1904. Eiprendendo l’argomento già altra volta trattato (vedi Bihl. 1903), l’autore tende con questa nota a confermare con nuove osservazioni l’ ipotesi che la formazione sopraindicata è superiore agli scisti detti siluriani e interposta fra questi e il calcare metallifero. L’importanza di questa formazione (anagenite scistosa di origine littorale) è grande, in quanto che si può dire formi la chiave della tettonica dell’ Iglesiente ; e l’autore dimostra come la formazione in discorso non esiste soltanto sulla costa ovest dell’ Iglesiente, ma anche molto nell’interno ed è dovunque al contatto della formazione metallifera, dividendo nettamente quest’ultima dagli scisti antichi (siluriani?) i quali avrebbero avuto un lungo^periodo continentale, accusato dalla formazione littorale della anagenite, prima che i calcari metalliferi cominciassero a depositarsi. Xelle due tavole trovansi disegnate delle sezioni dimostranti il modo di vedere dell’autore, fra cui una schematica dell’ intero bacino dell’ Iglesiente in direzione est-ovest. Hermann P. — Ueher Anglesit von Monteponi [Sardinien). (G-roth, Zeit- schrift fiir Krvst. und Min., B. 39, H. Y und YI, pag. 463-504, con 3 tavole). — Leipzig, 1904. È uno studio cristallografico esauriente, eseguito nell’ Istituto mineralogico dell’ Università di Heidelberg, su questo celebre minerale che si trova nella parte superiore della miniera di Monteponi, dovuto alla ossidazione della galena. Premessa una abbondante lista di pubblicazioni relative, l’autore descrive le forme osservate in questo minerale in numero di 26, quindi i singoli cristalli in numero di 19, distinti in tre tipi ; fa poi una statistica delle combinazioni finora conosciute in numero di 381, con 95 forme, discute i numeri simbolici di queste e ne dà gli elementi angolari. Xelle tavole unite sono disegnate le figure dei cristalli di Monteponi e le proiezioni stenografica e gnomonica delle forme dell’anglesite in genere. — 220 — Ippen J. a. — PetrograpMsch-chemische Untersiicìiiingen aiis eleni Fleìmser Eriiptivgehiet. III. TJeher einen Kersantit vom Mulatto. (Centralblatt fiir Min., Greol. und Pai., Jahrg. 1904, n. 14, pag. 417-427). IT. TJeloer ein allochetìtìsclies Gestein vom Pismecla.^ 8.0 Tirol. (Ibidem, pag. 428-433). — Stuttgart, 1904. La kersantite di cui qui si tratta, di colore verde-grigio scuro con plagioclasi più chiari, proviene dalla cima del Mulatto, dove è attraversata da filoni di sienite. Oltre al plagioclasio macroscopico essa contiene biotite, orneblenda e magnetite: la pasta consta essenzialmente di augite verde-chiara e plagioclasio. L’autore ne dà l’analisi chimica, che confronta con quella di altre roccie analoghe della regione. La roccia del Monte Pismeda è caratterizzata da una tinta generale verde- grigio, dalla struttura grossolanamente ofitica e dalla presenza di plagioclasi isolati : contiene inoltre augite, orneblenda, biotite e magnetite visibili al micro- scopio. Telia pasta trovansi ortoclasio, plagioclasio, nefelina, magnetite e augite, e in quantità subordinata magnetite, titanite, oligisto. Anche di questa roccia l’autore dà la composizione chimica, che confronta con quella di roccie simili di altre località, conchiudendo che le allochetiti sono roccie filoniane a struttura intersertale o grossolanamente ofitico-diabasica, costituite essenzialmente da plagioclasio, con ortoclasio, sia in cristalli isolati, sia nella massa, e microliti di orneblenda, augite, biotite e apatite, nonché nefelina in più o meno grande quantità. Macroscopicamente esse sono analoghe ai porfidi plagioclasici. IssEL A. — Note spiccate. II. Valle di CalisBano. (Atti Soc. Ligustica di Se. nat. e geogr., Yol. XY, n. 1, pag. 3-30). — Grenova, 1904. La regione illustrata in questa nota è la parte superiore della valle della Bormida di Millesimo, sul versante nord-ovest delle Alpi Liguri. In essa appariscono, dall’alto in basso, i terreni seguenti ; Calcari dolomitici del Trias medio ; 2® Scisti cristallini del Trias inferiore ; 3° Scisti cristallini, gneiss e quar- ziti del permiano ; 4® Micascisti, scisti grafitici, antraciti, arenarie e quarziti del Carbonifero superiore. — Importanti poi sono le terrazze e i dossi arrotondati, dimostranti l’azione di un ghiacciaio, analogamente a quanto vedesi a Priola nella vicina valle del Tanaro, dove havvi una morena bene caratterizzata : il ghiacciaio in quistione probabilmente proveniva dal Monte Settepani, il quale per certo doveva in addietro raggiungere una altitudine maggiore dell’attuale (1391 m.). Dopo alcune osservazioni sulla natura e l’estensione del terreno carboni- fero, l’autore richiama l’attenzione dei geologi sopra un piccolo massiccio cri- stallino composto di gneiss e di anfibolite, contro il quale viene ad appoggiarsi il deposito carbonifero a ponente di Calizzano, e non ancora stata segnalato da ~ 221 — alcuno. Il dott. G-. Rovereto, che ha coadiuvato l’autore nelle sue ricerche, ritiene trattarsi di un massiccio precarbonifero appartenente alla parte media della zona del Brianzonese, chiuso da pieghe orientate in senso trasversale alla direzione principale della catena. In una appendice dello stesso dott. Rovereto, che appunto tratta della tet- tonica del massiccio cristallino anzidetto, sono date alcune sezioni interessanti l’intiera zona in esame, e in particolare il massiccio suddetto. IssEL A. — Osservazioni intorno alla frana del Corso Firenze in Genova. (G^iornale di Greol. pratica, Yol. II, fase. 5, pag. 171-180). — Pe- rugia, 1904. Questa ingente frana, avvenuta il 10 novembre 1900 nella parte alta di Genova, dopo un lungo periodo di pioggia, interessa gli strati di calcare com- patto e di calcare scistoso dell’eocene superiore (Liguriano) che costituiscono quelle elevazioni appenniniche. L’autore ne fa la descrizione e dimostra che il fenomeno è avvenuto per schiacciamento e scivolamento di quegli strati, favo- rito dalla forte inclinazione a valle (30*^ in media) e da una antica faglia che attraversa tutta la formazione. Una sezione naturale intercalata nel testo mostra la disposizione del terreno e l’andamento della faglia con notevole spostamento delle masse rocciose. IssEL A. — Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Torriglia. Nota preliminare. (Atti soc. Ligustica di Se. nat. e geogr., Yol. XY, n. 4, pag. 193-195). — Genova, 1904. Le osservazioni dell’autore riguardano la morfologia dei monti da cui è circondato il paese, la idrografia dei corsi provenienti dal gruppo dell’Antola, la stratigrafia del territorio, nonché alcune particolarità notevoli relative a roccie e fossili. Le conclusioni alle quali egli giunge sono le seguenti ; La conca di Torriglia è costituita in basso da scisti, argille scagliose e arenarie glauconiose. riferibili al cretaceo (in prevalenza Cenomaniano), in atto da calcescisti, argilloscisti e calcari dell’eocene (Liguriano), riposanti con tra- sgressione sui primi. liungo il margine occidentale di essa esistono grandi frane formanti colline che rimontano probabilmente alla fine dell’ultima fase glaciale, protondamente incise dai corsi d’acqua che andarono di continuo abbassandosi dalla fine del quaternario : questi ultimi dovevano in quell’epoca essere di tanto più elevati, da versarsi al Bisagno (Mediterraneo) anziché alla Scrivia (Adria- tico) come attualmente avviene. Particolarità notevole del territorio sono certe piccole cavità ovoidali entro i calcari, che per forma e dimensioni ricordano quelle dei litodomi, ma che de- rivano invece da noduli di pirite o marcassite scomposti dagli agenti esterni. Janensch W. — Ueher eine fossile Schlcnige aiis dem Eoccin des Monte Solca. (Zeitschrift der Deut. geol. Desell., B. 56, H. Ili, Br. Mitt., pag. 54-56). — Berlin, 1904. ! Questo rettile fossile, ora nella collezione paleontologica del 3Iuseo di storia j naturale di Berlino, proviene dalla Collezione Canossa di Verona e fu classifi- 1 cato dal Massalongo per un Archaeophis proaviis. L’autore ha ripreso in esame questi avanzi e dà nella presente nota un cenno preliminare del suo studio. I Klemm Gr. — Bericlit iìber UntersiicJimgen an cleri sogeriannten « Gneis- sen » imd den rnetarnorphen Schiefergesteinen der Tessìner Alpen. I. (Sitzungsb. der k. preuss. Akad. der Wiss., Jahrg 1904, n. I-II, pag. 46-65). — Berlin, 1904. L’autore tende a dimostrare che il cosiddetto gneiss ticinese delia carta svizzera, visibile tra le stazioni Rodi-Fiesso e [Eaido della strada ferrata del Gottardo, altro non è che un ]3rodotto di metamorfismo del granito, il quale apparisce nella sua forma primitiva tra Laido ed Airolo. Oltre al possedere una struttura parallela, lo gneiss contiene numerosi frammenti di roccie scistose e al contatto di esso coi terreni sedimentarli che lo ricoprono trovasi una larga zona d’iniezione, con una roccia mista di granito e di scisti. Tali sedimenti con- stano di scisti micacei, filladi calcaree ed altre roccie analoghe, con intercalati tre orizzonti di dolomite, marmo e gesso ; essi formano una sella diretta a nord-ovest, entro la quale fu scavata la valle del Ticino. L’autore ritiene tali sedimenti di epoca basica; contengono fossili e subirono solo metamorfismo di contatto. Essi sono stati attraversati dal granito ; e siccome dopo tale iniezione non sono avvenuti movimenti in quei monti e la massa intiera si sarebbe ripie- gata in epoca terziaria recente, così l’autore crede si possa riferire a quell’epoca la emersione del granito. La memoria è corredata da figure mostranti le strutture diverse del gra- nito e di altre roccie di cui si tratta. La Valle G. — I giacimenti metalliferi di Sicilia in provincia di Mes- sina. Puntata II ed ultima (pag. 35-83 in-I^^, con 3 tavole). — Mes- - sina, 1904. In questa seconda e terza parte del lavoro (per la prima vedi Bihl. 1899) l’autore parla dei giacimenti del bacino dell’Alcantara e di quelli del versante tirreno dei Peloritani, da Capo Easocolmo al confine con la provincia di Pa- lermo. Seguono alcune considerazioni generali sulla regione metallifera messinese, la sola esistente in Sicilia, ed anch’essa limitata a poche zone sui due fianchi — 223 — della catena Peloritana, in particolare ai territorii di Mandanici e Fiumediriisi da un lato e di IN’ovara dall’altro, appartenenti ad una stessa zona metallifera. L’autore fa la storia delle esplorazioni ivi eseguite dal 1720 in poi, sempre con esito meschino. Chiude il lavoro un elenco bibliografico delle pubblicazioni che stretta- mente si riferiscono ai giacimenti metalliferi della regione ed un indice alfa- betico delle località dove furono trovati minerali. A questa puntata sono annesse tre tavole, e cioè : 1° una carta dimostra- tiva dei giacimenti del bacino dell’Alcantara; 2® altra idem dei giacimenti del versante tirreno, parte nord-est ; 3^ altra idem dei giacimenti della parte nord- ovest del medesimo. Leardi Z. — Foramìniferi eocenici di S. Genesio {Collina di Torino]. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 2°, pag. 158-172). — Milano, 1904. È un lavoro preventivo sulla fauna a foraminiferi rinvenuta nella collina di S. Genesio presso Chivasso, dal quale risulta trattarsi di una formazione littoranea a facies litologica e paleontologica assai simile a quella di Gassino. Sono qui per la prima volta studiati foraminiferi eocenici della Collina di Torino, mentre quelli delle formazioni terziarie recenti di quella regione sono da tempo conosciuti. Benché numerosi, lo stato di conservazione degli esemplari è assai poco favorevole alla osservazione, per cui l’autrice si è limitata alla determinazione di 36 specie fra le meglio conservate, fra le quali 7 di fisionomia schiettamente eocenica e una Cristellaria nuova. L’elenco descrittivo delle forme determinate è fatto secondo l’ordinamento proposto da Chapman nel 1902. Leardi Z. — Il Conulites Aegyptiensis Chapman e la Baculogypsina sphaerulata Parker et Jones di San Genesio. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 2^, pag. 182-188, con tavola). — Milano, 1904. Facendo seguito al lavoro precedente, l’autrice presenta in questo uno studio particolareggiato di due specie di foraminifere del giacimento di San Ge- nesio, specialmente importanti per caratteri e perchè le più numerose fra tutte. Esse sono : la Conulites Aegyptiensis Chapm., nuova pel terziario d’Italia, e la Baculogypsina sphaernlata Parker et Jones, che, quantunque descritta da altri, dà luogo ancora a non pochi dubbi. Xella nota l’autrice fa la storia di queste due forme, ne dà la sinonimia, ne fa la descrizione, presentandone poi la figura nella tavola annessa. — 224 - Limonta S. a. — I salì nelle acque di Salsomaggiore (pag. 14 iii-8®). — Bergamo, 1904. È una tesi di laurea alla facoltà di scienze chimiclie, fisiche e naturali della B. Università di Bologna, nella quale l’autore tratta della natura delle acque minerali di Salsomaggiore. L/incio Gt. — Del rutilo delVAlpe Veglia. (Atti B. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 15^, pag. 9954007, con tavola). — To- rino, 1904. Il minerale studiato fu rinvenuto entro massi molto alterati di calcescisto, con abbondanti straterelli ed inclusioni irregolari di calcare, franati dall’alto dell’Alpe Veglia (Yarzo, Ossola) presso il ghiacciaio Motticcia ; esso è in cri- stalli trasparenti, color rosso sangue ; è accompagnato da mica, quarzo, clorito, calcite e pirite, e trovasi di preferenza nelle litoclasi e nelle insenature della roccia. L’autore esaminò 9 di tali cristalli e ne fa una descrizione particolareg- giata, facendo poi un confronto fra essi e quelli di altre località conosciute: e ne induce che ad un dato abito cristallografico debbano corrispondere date condizioni fisiche e geologiche, principio questo che viene chiaramente provato dall’esame dei rispettivi giacimenti. Sono infine esposti in una tabella le co- stanti cristallografiche e gli indici di rifrazione dei cristalli studiati. Lorenzi A. — Escursioni di geografia fisica nel bacino del Liri. (Boll. Soc. geografica ital., Yol. Y, fase. 10, pag. 909-930). — Roma, 1904. Contiene interessanti osservazioni, fatte nei dintorni di Arpino, sulle nic- chie di erosione meteorica nei calcari dolomitici cretacei, sulle sorgenti e le frane nelle colline di accumulazione alluvionale, sui fenomeni carsici nei con- glomerati, il tutto illustrato da vedute fotografiche. Lotti B. — Kieselgur und Farberden in dem trackgtischen Gebiet rom Monte Amiata. (Zeitschrift fiir praktische Greologie, Jalirg. 1904, H. 6, pag. 209-211). — Berlin, 1904. — Idem (in italiano) in (Rassegna mineraria, Yol. XXII, n. 10, pa- gine 181-183). — Torino, 1905. La così detta farina fossile (Kieselgur) altro non è che silice quasi pura, estremamente suddivisa, d’origine organica (diatomee) ; le terre coloranti (Farb- erden), che vi sono strettamente collegate, altro non sono che ocre di ferro di colore variabile dal giallo chiaro al giallo scuro, e contengono del pari resti — 225 — di diatomee. I depositi di entrambe trovansi lungo l’orlo esterno della trachite quaternaria del Monte Amiata, su di una lunghezza di ben 20 chilometri. La prima viene estratta a Casteldelpiano, dove ha uno spessore di m. 4. 50 e con- tiene r85. 24 per cento di silice (il resto consta in gran parte di materie volatili) ; anche al Bagnolo, fra Santafiora e Piancastagnajo, lo strato utile presenta oltre un metro di spessore. In più luoghi, ma specialmente nelle vicinanze di Arci- dosso, si può vedere la relazione che esiste fra la formazione della farina fos- sile e quella delle terre coloranti : in genere poi, in vicinanza di quest’ultimo scaturiscono sorgenti ferruginose. I depositi suddetti si formarono con tutta probabilità in epoca molto recente, indubbiamente non più antica del quaternario per i loro rapporti con la tra- chite. Essi ebbero una origine comune e si formarono in piccoli bacini lacustri per opera di acque acidule contenenti in soluzione sali di ferro, provenienti da scaturigini in parte ancora attive. Isella nota è inserita una cartina geologica del Monte Amiata, con la in- dicazione dei depositi di farina fossile e di terre coloranti. Lotti B. — A proposito dì una recente scoperta dì minerali plnmbo-ar- genti feri alV Isola d’Elha. (Rassegna mineraria, Yol. XX, n. 16, pag. 24L-243). — Torino, 1904. L’interessante scoperta venne fatta presso il limite del deposito limonitico difcRossoto nelle miniere di ferro di Yigneria, alla estremità settentrionale del medesimo. Sono masse di galena, aventi forme irregolari, ravvolte in un ma- teriale ferruginoso impuro, misto a magnetite, carbonato e solfato di piombo, con traccio di solfo. La galena presenta una ricchezza notevole in argento ; l’analisi di quattro campioni di essa diede da 1. 320 a 4. 640 chil. di questo me- tallo por tonnellata di minerale. L’autore emette l’opinione che il giacimento di galena possa continuare in profondità lungo il contatto fra il calcare cavernoso retico e gli scisti e le quarziti del permiano, e che i giacimenti superficiali di limonile rappresentino dei semplici affioramenti di minerali complessi e così trasformati. Resterebbe così dimostrato per l’Elba il legame genetico fra i giacimenti di ferro e quelli di solfuri metallici, già riconosciuto dall’autore in altre località di Toscana e alla Tolfa. Siffatti giacimenti sarebbero tutti della stessa età miocenica, ma havvi in ciascuno di essi una stretta relazione fra i vari ossidi di ferro, costituenti gli ammassi ferriferi dell’Isola e diversi solfuri metallici, segnatamente pirite, cal- copirite, galena e blenda. Una sezione inserita nel testo indica le condizioni di giacitura del deposito limonitico e del minerale piombo- argentifero recentemente scoperto. 16 — 226 — Lovisato D. — Vanadinite, Descloizite^ Mimetite e Stohite della mi- niera cuprifera di Bena da Padru presso Osieri {Sassari), (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 1®, 2° sem., pag. 43-50). — Eoma, 1904. Avendo potuto procurarsi nuovo materiale, l’autore ha fatto eseguire l’analisi della vanadinite,, di cui annunciò la scoperta in una nota precedente (vedi Bihl. 1903), analisi che non si allontana da quelle che si conoscono di questo raro minerale. Anche una sostanza finamente cristallina, di colore giallo- cedro, che riveste la granulile e sulla quale sono impiantati i cristalli di va- nadinite, è stata analizzata e si manifestò per descloisite cuprifera. In seguito a nuovi lavori nella miniera si penetrò in un banco di roccia quarzosa decomposta, i cui frammenti sono ricoperti di minutissimi aghi in- colori e bianchi, che all’analisi chimica si manifestano per mimetite (cloro-ar- seniato di piombo). Sopra un campione dello stesso quarzo l’autore ha poi trovato un’altra rarità mineralogica, nuova per l’Italia, cioè la stolsite (tungstato di piombo) cristallizzata, e come tale dimostrata dà un assaggio chimico. Lupi A. — Fama miocenica presso Tagliacosso. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXIII, fase. 1®, pag. xxviii-xxix). — Eoma, 1904. L’autore da un elenco di fossili (26 specie) da lui raccolti in un calcare sabbioso a glauconite fra Tagliacozzo e Sante Marie e quindi determinati. Tale fauna appartiene indubbiamente al miocene, di cui presenta forme carat- teristiche, come il Pecten Malvinae, il P. Koheni, il P. ìmrdigalensis. La con- statazione è importante, riferendosi anche a terreni isocroni e isopici dell’at- tigua valle delTAniene. Le conclusioni dell’autore sono conformi a quanto scrisse in proposito il De Angelis d’Ossat sino dal 1897, e in opposizione con quelle del Yiola (1902) e del Cassetti (1903). Manasse E. — Zolfo del marmo di Carrara. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol. XIY, pag. 110-114). — Pisa, 1904. Fra i minerali sporadici nei marmi apuani uno dei più frequenti è lo zolfo, del quale però non è stata descritta alcuna forma cristallina, presentandosi esso di solito in masserelle informi o in cristallini minuti e imperfetti, confusamente raggruppati. Pu dato all’autore di potere avere alla mano campioni di marmo con cristallizzazioni di zolfo eccezionalmente bene determinabili, fra le qnali potè scegliere due cristallini su cui prendere buone misure, che servirono alla determinazione delle varie forme e a ritrarre l’abito dei cristalli che rappre- senta in due figure. I valori ottenuti nelle misure goniometriche sono riportati in un quadro e messi a confronto con quelli calcolati da Kokscharow. È opinione delPautore, come già di A. D’Achiardi (vedi Mineralogia della Toscana, 1872) che questo zolfo dei marmi apuani sia dovuto ad emanazioni di idrogeno solforato, proveniente da decomposizione di resti organici. Mann O. — Ziir Kenntnis eìnìger Mineralien vom Campolongo (pag. 16 in-8®). — Leipzig, 1904. Premesso un cenno descrittivo di questa località del Cadore (Alpi venete) e delle roccie che vi si trovano (micascisto e dolomite). Fautore tratta dei mi- nerali accessori che in queste si trovano, e cioè; tormalina, tremolite, cianite, staurolite, ‘granato, rutilo, titanite, fluorite, magnetite, pirite e grafite, dandone i caratteri fisici e di alcuni anche l’analisi chimica. Mariani E. — Appunti geologici sul secondario della Lombardia occiden- tale. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 2*^, pag. 113-157). — Milano, 1904. L’autore riassume in questo lavoro quanto ha osservato sulla geologia dei terreni mesozoici di quella parte di Lombardia che si stende tra il Yerbano e il Lario, e precisamente nel tratto montuoso che dal primo va sino al versante occidentale del Monte Generoso e limitato al nord dalle zone montuose supe- riori al ramo di Porlezza (lago di Lugano). Questa regione è tettonicamente assai importante e complicata per pieghe, fratture e scorrimenti, ed occorreranno ancora molte ricerche prima di poterne tracciare con sicurezza la storia geo- logica. Premessa una breve descrizione tettonica, illustrata da alcuni profili, l’au- tore tratta estesamente dei singoli terreni e con la scorta dei fossili rinvenutivi, vi stabilisce le divisioni seguenti: 1'^ Trias inferiore, formante una striscia sottile di arenarie e puddinghe quarzo-porfiriche varicolori; essa però non è continua, ma qua e là interrotta da fratture con salti, ed i suoi lembi non si possono delineare sempre con esat- tezza a causa dei detriti di sfacelo e glaciali che in molti punti li ricoprono. Questo piano non è fossilifero. 2*^ Trias medio, formato da un potente complesso di terreni sedimentari, in generale dolomie, che arrivano superiormente sino al terreno raibliano. Com- prende diversi piani distinti, in generale ricchi di fossili. 3® Trias superiore, meno potente del medio, ma assai più continuo, for- mato alla base da scisti calcero-marnosi passanti a marne variegate. È il ter- reno detto raibliano, quasi totalmente privo di fossili. Segue al di sopra la dolomia principale, assai potente e in molti luoghi fossilifera. 228 — 4® Retico, rappresentato da una stretta fascia di marne, calcari talvolta scistosi e lumachelle calcari, sottostante alla dolomia infralisiaca. fossilifera, e che talvolta puè essere considerata come spettante al retico per alcuni fossili che contiene. 5® Lias inferiore o sinemiiriano, in prevalenza rappresentato da calcari nerastri sabbiosi, cui si associano brecciole e calcari grigiastri, talora fossilifero. Probabilmente appartiene a questo livello la parte superiore della dolomia iih fraliasica. 6° Lias medio o charmoiitiano, pure calcareo a facies diverse, con ab- bondanza di fossili. Ideila sua parte superiore comprende il domeriano. 7® Lias superiore o toarciano, rappresentato quasi totalmente dalle note marne calcaree, rosse o cineree, ad ammoniti {rosso ammoiiitico) già illustrate da diversi autori e in particolare dal Meneghini (1867-81). 8® Sopralias, comprendente il giurese ed il cretaceo, in generale scarsi e rap- presentati da qualche lembo di calcare marnoso ad aptici o di calcare compatto detto majolica, ovvero da marne variegate e puddingoidi, e da calcari marnosi a fucoidi, di posizione incerta. ^ Mariani M. — Sopra alcuni avanci di mammiferi quaternari trovati neh Valta valle del Potenza. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIII, fase. 2®, pag. 203-210, con tavola). — Eoma, 1904. L’autore descrive un cranio di cervo, trovato non lungi dal villaggio di Rustano nell’alta valle del Potenza (Marche) e depositato nelle collezioni della Università di Camerino. Benché la mancanza di corna e di denti ne rendesse difficile la determinazione specifica, pure potè riferirli per altri caratteri al Cerviis eiirgceros Aid., che nel Camerinese avrebbe la sua stazione più meri- dionale in Europa. Presso il Paradiso di Pioraco, nella stessa valle, fu trovato un frammento di corno di cervo, che pure descrive, riferito alla specie C. eia- plius L. Dà poi notizie circa il rinvenimento nella stessa regione di un canino di Ursus spelaens Blain., di una mascella di Bos, non che di avanzi di capra, cavallo e cinghiale insieme con traccio della presenza dell’uomo. Questi avanzi fossili si accordano con la natura dei terreni entro i quali furono trovati, per modo da poterli riportare al quaternario, e probabilmente ai depositi della parte più alta del Yaldarno superiore. Xella tavola annessa sono illustrati gli avanzi dei due cervi e dell’orso. Marinelli O. — Gli « sprofondi y> della pianura pontina. (Mondo sot- terraneo, Anno I, n. 1, pag. 13-18 e n. 2, pag. 29-36). — Udine, 1904. Contiene la descrizione di quattro cavità esistenti al piede occidentale dei Monti Lepini nei pressi di Sermoneta, e delle quali fu fatto cenno anche da — 229 — altri autóri, fra cui il Prouy {Des Marais Pontins, 1818), P. Di Tacci (Poli. Club alpino italiano, 1876), M. S. De Rossi {Meteorologia endogena^ 1879). L’au- tore fu ripetutamente sul posto per esaminare il fenomemo e ne dà relazione nella presente nota, illustrata da disegni delle cavità visitate. Queste vedonsi aperte entro terreno quaternario, e ovunque si osservano alternanze di strati terrosi con banchi di ghiaia grossolana e ciottoli calcarei; costituzione questa facilmente spiegabile con le condizioni odierne del margine della pianura pon- tina verso i Lepini. Osserva poi che il fondo delle cavità è occupato da acqua che non può essere di immediata provenienza meteorica, ed essere quindi pro- babile che le medesime raggiungano una medesima falda acquea sotterranea a livello pressoché costante. (Per altri particolari vedasi più sopra Almagià B.). Marinelli O. — Sulla diffusione e sul carattere prevalente dei fenomeni carsici nei gessi delle Alpi italiane. (Mondo sotterraneo, Anno I, n. 3, pag. 59-61 e n. 4, pag. 72-78). — Udine, 1904. Già in altri lavori l’autore aveva accennato al fatto che la forma d’erosione più prevalente dei gessi veneti fosse la dolina-ìmhiito, distinta dalla analoga ca- vità del Carso per le dimensioni minori e per altre particolarità, mentre nel- l’Appennino è comune nei gessi la dolìna-inghiottitojo, con dimensioni molto maggiori, e che serA^e allo scarico delle acque, mancando in questa catena i caratteristici gruppi d’imbuti delle Alpi. A conferma del fatto, egli raccolse altre notizie, che espone in questa sua nota, procedendo dal Veneto A^erso la Liguria e considerando tutte le località delle Alpi lombarde e piemontesi conosciute per cavità nel gesso. Da tale ri- vista appare che la fisonomia prevalente di dette cavità è quale appare nel Veneto, cioè delle piccole doline-imbuto a gruppi. Osservasi inoltre che le ca- AÙtà sono quasi tutte vicine a A’^alichi alpini e che le medesime si trovano ad altezze da 1000 a 2000 m. sul mare, cioè nella zona coperta per molta parte dell’anno dalla neve, il che fa pensare alla circostanza che l’azione chimica delle acque meteoriche sui gessi si manifesta indirettamente per la lenta dissoluzione delle nevi, anziché direttamente per la pioggia. Marinelli O. — Il senoniano di Vernasse^ i Klippen e i conglomerati pseudo- cretacei del Friuli orientale. (Atti Acc. scient. veneto-trentina-istriana. Gl. se. nat., fis. e mat., N. S., Voi. I, pag. 15-25). — Padova, 1904. Il colle isolato di Vernasso, cui sino dal 1841 aveva accennato il Girardi nella Storia fìsica del Frinii, poi illustrato dal Tommasi nel 1889 che vi raccolse e studiò una interessante fauna, fu in base a questa ritenuto come apparte- nente al cretaceo superiore, piano senoniano. Lo stesso Tommasi ebbe però a constatare che l’affioramento calcareo fossilifero era ricoperto da un conglome- 230 — rato eocenico : ammise poi che indubbiamente il lembo calcareo dovesse con- tinuare a profondità. L’autore, in una prima gita a Yernasso nel 1893 ebbe la convinzione che quella fosse una massa isolata, senza radici nel sottosuolo, un vero klippe ossia masso, come altri colli analoghi del Friuli. Più tardi egli confermò con nuove osservazioni questo suo modo di vedere, rilevando in più che a Yernasso non si tratta di un masso unico, ma bensì di un conglomerato a elementi colossali, tenuti insieme da una materia marnosa. Esso farebbe quindi parte del conglo- merato eocenico conosciuto nel Friuli orientale e denominato pseiido-crefaceo. cioè formato da elementi cretacei rimaneggiati in epoca eocenica, come è stato dimostrato dal Pirona e dal Taramelli. Sulla origine di tale conglomerato l’autore discute le opinioni dei geologi suddetti, senza emetterne peraltro una sua propria. Mattirolo B. — Schiarimenti sulla Carta geo-litologica delle Valli di Lanso (da Le Valli di Lanso^ pubblicazione del Club Alpino ita- liano, pag. 521-539, con Carta geologica). — Torino, 1904. La Carta qui indicata, comprendente le Yalli di Lanzo e quella del Tesso nelle Alpi occidentali, è alla scala di 1 a 100,000 e fu ricavata da lavori ine- diti del R. Ufficio geologico, del quale l’autore fa parte. Ael testo che l’ac- compagna è data ragione del lavoro e sono forniti gli schiarimenti per age- volare la lettura della carta stessa. Questa si svolge interamente in regioni costituite dalle due grandi zone dette delle pietre verdi e dello gneiss centrale, secondo l’antica divisione del Castaldi, alla quale non è ancora possibile sosti- tuirne altra migliore. L’autore riassume brevemente la storia della difficile questione delle pietre verdi, questione che è stata dibattuta anche in Congressi geologici internazionali e non ancora risolta, per cui egli si limita alle indicazioni litologiche senza assegnarvi livello geologico alcuno. Lo gneiss centrale poi costituisce la base del sistema ed appartiene alla elissoide del Cran Paradiso ; esso è costituito da gneiss ghiandoni, porfiroidi, granitoidi, con intercalazioni di gneiss minuti. Complicatissima nei suoi particolari è la tettonica delle Yalli di Lanzo, ri- sultante dà un’ampia zona sinclinale di pietre verdi comprese fra i massicci di sollevamento del Cran Paradiso e di Dora-Maira, e parzialmente di gneiss cen- trale nella parte superiore della Yalle Crande. Complicate e ripetute azioni oro- tettoniche influenzarono intensamente il primo gruppo di roccie, il quale si mostra non di rado particolarmente disturbato in vicinanza delle masse serpentinose. Il grande complesso delle pietre verdi viene nella Carta diviso in sette classi, e cioè : degli gneiss minuti e micascisti, delle roccie oliviniche e serpen- tinose, delle roccie anfibolitiche e cloritose, dei calcescisti con filladi, senza ordine apparente nella loro successione, ossia che ognuna di esse può trovarsi — 231 — a qualunque livello frammista alle altre, salvo una certa prevalenza di gneiss e micascisti in basso, di roccie verdi nel mezzo, di calcescisti in alto. L’autore entra poi in particolari litologici su ciascuno di questi gruppi, come pure sulle roccie costituenti lo gneiss centrale, e termina con un cenno sulle roccie detriticlie quaternarie, ricoprenti parzialmente i terreni antichi. Maury B. — Feiiille de Bastia. Compte-renda ponr la campagne de 1903. (Bull, des Services de la Carte G^éol. de la Fr. et des topogr. souterr., T. Xy, n. 98, pag. 127-130). — Paris, 1904. La nota riguarda i dintorni di San Fiorenzo, dove si vede quasi intiera la serie dei terreni sedimentari della Corsica. Lasciando da parte gli scisti an- tichi ed il lembo calcareo di Patrimonio, classificato finora dubbiosamente come carbonifero, si trova risalendo : 10 jj pyias, specialmente sviluppato presso lo stesso villaggio di Patrimonio, formato da argille e arenarie variegate e da gesso, superiormente con interca- lazioni di calcare e camicia. 2® UInfralias, o calcari ad Avicula contorta, terebratule, plicatule e articoli di Pentacrinus. 3® Eocene e oligocene, in discordanza sul precedente, con calcari a num- muliti dell’eocene medio, flgsch, calcari e scisti a f uccidi. 4® Miocene, in serie completa, rappresentato quasi intieramente da calcare bianco compatto a Pecten, formato da resti di molluschi, echinidi e polipai, spesso arenaceo e con sabbia e conglomerati alla base con Ostrea. Xella parte superiore, vi si intercalano puddinghe a elementi antichi, specialmente porfirici. 5° Pleistocene, in una grotta entro il calcare supposto carbonifero, riempita da tufi breccioidi e da frammenti terrosi friabilissimi, con ossami e avanzi del- l’uomo preistorico. 11 bacino di San Fiorenzo rappresenta tettonicamente una sinclinale do- vuta a pressioni energiche laterali, incominciate in epoca anteriore alla triasica e continuate di poi ad intervalli sino dopo il miocene. L’asse di questa sincli- nale, diretto all’incirca nord-sud, andò sempre spostandosi alquanto verso l’ovest. Due piccole masse di diabase e numerose emersioni di serpentina sono vi- sibili sotto Patrimonio e detta ; esse sono coetanee ed anteriori al miocene in- feriore, avendo attraversato l’oligocene. Medichini S. — Sulla temperatura delVacqua del Bulicame e di alcune altre vicine sol f uree. (Memorie Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Yol. XXII, pag. 89-140). — Roma, 1904. L’autore, il quale fece lunghe ed accurate ricerche sulla temperatura del- l’acqua del Bulicame presso Yiterbo, trovò, contrariamente a quanto da alcuno si riteneva, che essa è variabile sia per le stagioni che per altre cause. — 232 — Nella presente memoria egli espone il lungo elenco delle sue osservazioni e le discute per dimostrare quanto sopra e per stabilire la causa della varia- bilità. Parla pure delle cause della termalità, sulla provenienza delle acque e sulla durabilità delle medesime. A conclusioni analoghe arriva poi coll’esame di altre sorgenti sulfuree dei dintorni. Meli E. — Sulla costitiisione geologica del Monte Palatino in Roma, (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXII, fase. 3^, pag. 498-522). — Eoma, 1904. Era i colli di Eoma è questo il più famoso per storia ed aicheologia, ma il meno conosciuto per la costituzione geologica; e poche notizie se ne hanno, in ordine di data, dal Breislak (1801), dal von Buch (1809), dal Sickler (1811), dal Brocchi (1819-1820) e da altri pochi, tutte però scarse, incerte o ripetute, se ne togli quelle originali del Brocchi. In seguito a scavi eseguiti di recente, l’autore potè esaminare le roccie del Palatino messe a nudo in punti diversi, e quindi stabilire la serie seguente visibile dal basso in alto : 1® Tufo granulare ; 2® Materiale tufaceo giallastro, disgregabile ; 3® Sabbia fluviale con ghiajette calcaree e silicee ; 4° Sabbia giallastra alquanto marnosa ; 5® Banco di tufo litoide giallo, analogo a quello della Eupe Tarpea sul Colle Capitolino. Da questa serie risulta che la costituzione geologica del Palatino è ana- loga a quella degli altri colli di Eoma sulla sinistra del Tevere, dalle quali è stato staccato, come il Capitolino e l’ Aventino, per erosione di acque fluviali. Se gli scavi saranno proseguiti in basso, l’autore ritiene che, anche al Palatino, si incontreranno, come negli altri, roccie con fossili continentali e d’acqua dolce sottostanti ai primi tufi granulari. Meli E. — Brevi notizie sulle rocce che si riscontrano nelV Ahriisso lungo il percorso dalV antica Via Valeria da Arsoli a Collarmele. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIII, fase. 1®, pag. xxx-xxxv). — Eoma, 1904. Sono ricordi di osservazioni fatte nel 1880, in una escursione da Eoma a Sulmona, nel tratto fra xkrsoli a Collarmele, con accenni alle divergenze degli autori che ne hanno trattato, e specialmente sulla separazione del cretaceo dal- l’eocene e di questi dal miocene. Yedasi in proposito la nota di A. Lupi so- praricordata. Circa poi all’età dei calcari con Pecteii, sovrapposti direttamente al cre- taceo superiore e concordanti con esso, l’autore è di parere di attribuirli all’eocene, come già avevano opinato il Ponzi e il Murchison molto tempo addietro, in opposizione alle viste di alcuni geologi moderni che li vorrebbero del miocene. — 233 — Meli E. — Escursione geologica sul littorale di Nettuno^ con Appendice bibliografica. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIII, fase. I e II, pag. xxxvi-cxxYi). — Eoma, 1904. È la relazione di una escursione fatta il 5 febbraio 1904 dall’autore, allora presidente della Società geologica, con altri soci sul littorale marino da Xet- tiino alle Grottaccie, con ritorno ad Anzio. In quella circostanza furono fatte interessanti osservazioni su quei terreni quaternari, e una discreta raccolta di resti di organismi viventi e fossili, questi ultimi, specialmente echinodermi, nel tratto Anzio-Xettuno, lungo il quale apparisce il conglomento conchigliare detto macco (pliocene). Segue una ricca bibliografia scientifica del littorale romano, compreso fra Ardea e la foce dell’ Astura. Mercalli G. — Ancora intorno al modo di formazione di una cupola lavica vesuviana. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 3°, pag. 421- 428). — Eoma, 1904. In una nota precedente (vedi Bibl. 1902) l’autore aveva descritto la for- mazione di una cupola lavica verificatasi sul Yesuvio nel periodo eruttivo 1895-99, dimostrando che ciò avvenne per accumulazione di colate, se si eccettua qual che parziale e poco importante sollevamento della crosta lavica. A siffatta asserzione si oppose il Matteucci, il quale la combattè in un suo scritto (vedi ibidem) mantenendo la teoria di un sollevamento endogeno altra volta da lui emessa (vedi Bibl. 1898). Xella presente nota l’autore ritorna sull’argomento per ribattere le osser- vazioni del Matteucci, mantenendo integralmente il proprio modo di vedere in ordine alla formazione della cupola. Mercalli G. — Sulla forma di alcuni prodotti delle esplosioni vesuviane recenti. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLII, fase. 4^, pag. 419-424, con tavola). — Milano, 1904. Secondo l’autore i vulcani vanno distinti non solo per la diversa energia delle loro esplosioni, ma anche per la forma speciale dei materiali eruttati ; e sotto questo rapporto il Yesuvio è uno dei più istruttivi, perchè più multi- forme nelle sue manifestazioni. L’autore descrive quindi alcuni dei prodotti più caratteristici delle esplosioni vesuviane che distingue come segue : 1® Scorie fi- lamentose e lapillo filiforme; 2® Scorie pomicee; 3° Projetti figurati scoriacei; 4® Projetti figurati pesanti ; 5® Projetti pesanti fratturati. Xella tavola unita sono riprodotte queste diverse forme. — 234 — Mercalli Gr. — Notizie vesuviane [liiglio-clicemhre 1903). (Boll. Soc. sismo- logica ital., Yol. X, n. 2, pag. 41-63, con 6 tavole). — Modena, 1904. La fase esplosiva stromboliana, cominciata il 22 giugno 1903 (vedi Bihl. 1908), continuò per tutto luglio con intensità variabile, forti esplosioni ad intervalli da 10 a 15 minuti e formazione di nuove fumarole allineate in direzioni radiali. L’efflusso della lava cominciò il giorno 20, nel quale una piccola corrente si riversò a sud sul fianco esterno del gran cono, e così ad intervalli sino al 27 agosto, raggiungendo la lava un massimo di elevazione di 1325 m. sul mare. Xei giorni 9 e 10 dello stesso mese si verificò una recrudescenza nelle esplo- sioni, le quali si mantennero forti sino al 24, per scemare quasi improvvisa- mente il 25: la lava quindi si abbassò e cominciò a sgorgare da una fenditura a 1150 m. sul livello del mare. Xel periodo dal 27 al 30 agosto il fondo del cratere terminale si abbassò ancora maggiormente, lasciando una voragine di 130 m. a pareti verticali. Xel rimanente del semestre nulla di importante fu segnalato sul Vesuvio. 11 quale si mantenne quasi sempre in debole attività con carattere prevalente- mente vulcani ano. L’autore parla infine dei cambiamenti avvenuti durante la fase esplosiva al cratere centrale e nel gran cono, della natura delle lave emesse, non cbe dell’ordine nel quale si succedettero i fenomeni eruttivi, in modo analogo a quanto avvenne in molte altre eruzioni del Vesuvio. La nota è corredata da numerose vedute prese fotograficamente dallo stesso autore. Merciai G-. — LamellihrancM liassici del calcare cristallino della mon- tagna del Casale presso Busambra in provincia di Palermo. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 2°, pag. 211-237, con tavola). — Eoma, 1904. Alle 10 specie di lamellibranchi del calcare suddetto, illustrate dal Gem- mellaro nel suo classico lavoro sui fossili delle montagne di Casale e di Bei- lampo (1878-82), tutte nuove, e alle altre 2, pure nuove, descritte da Carapezza e Tagliarini nel 1894, l’autore ne aggiunge altre 17, delle quali 4 nuove, oltre a 5 forme indeterminate. Queste 17 specie sono descritte e figurate nella presente memoria, ed esse dimostrano ancora una volta di più il sincronismo del calcare di Casale con quello di altri sedimenti conosciuti e sicuramente appartenenti al Lias inferiore : e fra questi quelli del Monte Pisano, di Rossano e Longobucco in Calabria, di Taormina in Sicilia, non che dell’infralias dei monti della Spezia. Il materiale che servì a questo studio si conserva nel Museo della R. Uni- versità di Pisa. — 235 — Merciai GT. — Le acque termali di Caldana presso Campiglia Marittima (pag. 32 con carta geologica). — Pisa, 1904. L’autore rifa la storia di queste antichissime acque, conosciute sin dai tempi etruschi, della loro ulilizzazione medicinale e industriale ; tratta poi del modo col quale si presentano oggidì, della loro portata, temperatura (attorno a 40® C.), composizione e applicazioni cui danno luogo. I^'e descrive le sorgenti allineate da O.IS’O ad E. SE al piede delle ultime propaggini occidentali dei Monti Campigliesi, in mezzo ad un abbondante deposito travertinoso prodotto dalle acque stesse e che serve come materiale da costruzione, benché ricco di gasteropodi e di vegetali : questa formazione continua lungo il canale di scarico delle acqne, noto col nome di Fossa Calda, sino a che cessa col cessare della loro termalità. In gran parte però essa è ricoperta da un sottile deposito torboso, rappresentante il fondo di un lago, ora asciutto, nel quale un tempo si immet- tevano le acque termali. All’analisi chimica queste risultarono contenere, in quantità relativamente grandi, bicarbonato di calcio nonché solfato di calcio e magnesio. L’autore dà quindi un cenno della costituzione geologica dei Monti Cam- pigliesi e poi discute l’origine probabile delle acque di Caldana ; le quali pro- verrebbero dalla superficie dei calcari basici, estesa per parecchi chilometri quadrati, dotati di grande permeabilità e attraversati da numerose fratture, per le quali l’acqua arriva a profondità dove acquista la temperatura propria di quegli strati e, risalendo per una di quelle faglie riscontrate numerosissime sul fianco occidentale del Monte Calvi, si diramano e vengono a giorno in più punti ai piedi del Monte Valerio. Alla memoria é unito uno schizzo geologico della regione, in scala di 1 a 50,000 ; dal quale risulta la serie seguente dal basso in alto : 1® Calcari grigi a couzeranite del retico (?) ; 2® Calcari diversi, scisti argillosi e diaspri va- ricolori del lias ; 3® Calcari e scisti policromi del cretaceo superiore ; 4® Are- narie, calcari e scisti' argillosi dell’eocene ; 5® Granito tormalinifero, porfido trachitico e trachiti quarzifere, emersi nel miocene ; 6® Infine terreni quaternari antichi e recenti. Merlo G. — Il regime delle acqne sotterranee in relazione alla tettonica deiriqlesiente. (Resoconti riunioni Ass. mineraria sarda. Anno IX, n. 3, seduta 20 marzo 4904, pag. 7-44). — Iglesia^s, 1904. Da considerazioni tratte da uno studio circa il regime delle acque sotter- ranee nella regione dell’Iglesiente, l’autore deduce che questo tenderebbe a con- fermare che la formazione delle arenarie cambriane é superiore a quelle del calcare metallifero, come risulterebbe anche da lavori praticati su di un filone e come si vede nettamente in qualche punto di facile accesso. — 236 — Siccome poi la formazione calcarea lia un letto impermeabile che obbliga le sue acque ad uscire in prossimità del contatto con la formazione filladica^ così tale letto sarebbe costituito da certi scisti filladici variegati nei quali il Gambera (vedi Bihl. 1897) ebbe a rinvenire fossili caratteristici del cambriano medio inferiore, e che talora limitano la formazione calcarea, tal’ altra invece affiorano in mezzo ad essa. ' Merlo G. — Circa alcune sezioni geologiche che possono servire allo studio della tettonica delV Iglesiente. (Resoconti riunioni Ass. mine- raria sarda, Anno IX, n. 5, seduta 15 maggio 1904, pag. 10-17, con tavola). — Iglesias, 1904. Scopo di questa comunicazione, la quale fa seguito alla precedente, si è di dimostrare vera, con l’aiuto di alcune sezioni geologiche, l’ipotesi già sostenuta, che cioè al letto del calcare metallifero trovansi le filladi, le quali affiorano qua e là alla periferia del grande, anello metallifero circondante il nucleo cen- trale delle arenarie cambriane. L’autore descrive quindi e discute alcune sezioni disegnate nella tavola annessa. Anche i dati paleontologici sono favorevoli all’ipotesi dell’autore in quanto che le impronte fossili, tutte del cambriano medio, sono nelle arenarie caratte- ristiche della parte media dell’orizzonte a Paradoxides, mentre nelle filladi lo sono della parte inferiore dell’orizzonte stesso ; per il che conchiudesi essere il cal- care metallifero un piuno del cambriano medio intercalato fra l’orizzonte delle filladi e quello delle arenarie. Merlo G. — U Iglesiente propriamente detto e la sua costituzione geo- logica. (Rassegna mineraria, Yol. XXI, n. 5, pag. 65-69; n. 6, pag. 83-87 ; e n. 7, pag. 99-101). — Torino, 1904. Premesse alcune notizie generali sull’Iglesiente (cioè di quel bacino che si estende da Pluminimaggiore a Gonnesa nel senso del meridiano e da Domusnovas al mare secondo il parallelo, nella parte sud-ovest della Sardegna), sulla sua viabilità, orografia e idrografia, l’autore passa a trattare della litologia, geo- logia e tettonica della regione. Questa è costituita essenzialmente: 1® Da scisti variegati e finamemte pieghettati, conosciuti col nome di fìlladi ; 2*^ Da calcari bianchi e turchini, calcari dolomitici e dolomie grigie, detti in complesso calcari metalliferi dai giacimenti di tal natura che contengono ; 3® Da arenarie giallo- scure, alternanti con calcari, scisti e conglomerati, note in complesso sotto il nome di arenarie. Queste costituiscono il nucleo centrale della regione, attorno al quale è disposto ad anello il calcare metallifero, sotto o attraverso il quale affiorano le filladi, specialmente nella zona periferica. Questi terreni apparten- — 237 - gono, in base ai fossili rinvenutivi, al cambriano, essendo il siluriano rappre- sentato da pochi isolotti di scisti diversi dai precedenti, con abbondanti fossili; e, tettonicamente, il calcare si presenta in forma di bacino entro le filladi, ri- coperto in gran parte dalle arenarie ; il contatto poi fra queste ed i calcari segna all’incirca il displuvio delle acque, le quali a ponente si riversano diret- tamente in mare e dalle altre parti entro torrenti, mentre le acque sotterraneo dei calcari scolano in gran parte per una grande galleria in muratura, eseguita dalla Società di Monteponi, avente una lunghezza di oltre 4 km. e una portata di ben 1270 litri al secondo. / I terreni paleozoici dei dintorni di Iglesias sono in generale fortemente raddrizzati a causa di uno o più sollevamenti che hanno perforato calcari ed arenarie, dando così origine a filoni ed altre maniere di giacimenti metalliferi per emanazioni interne, specialmente di piombo e zinco. La nota è corredata da sezioni geologiche e da un abbozzo di carta geo- logica deiriglesiente propriamente detto. Millosevich F. — Danhiirite dì S. Barthélemij in Val d'Aosta. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 4®, sem., pag. 197-199). — Eoma, 1904. L’esemplare studiato di questo minerale raro proviene dalle vicinanze di antichi lavori minerarii per manganese, dove trovasi insieme con calcite, entro una piccola vena attraversante una roccia serpentinosa. Essa si presenta in minutissimi cristalli incolori o giallognoli, trasparenti e di durezza alquanto su- periore a quella del quarzo ; trovasi però anche allo stato amorfo, compatto. La danburite fu trovata in Italia solo nei Monti Cimini e studiata dal Eantappiè (vedi Bìbl. 1896), però in ben diverse condizioni di giacitura. Millosevich F. — Osservazioni mineralogiche sulle rocce metamorfiche dei dintorni di Tolfa. (Boll. Soc. G^eol. ital., Yol. XXIII, fase. 2°, pag. 277-291). — Eoma, 1904. È noto per antichi studi del Ponzi, e per più recenti osservazioni fatte dal Lotti, come i calcari eocenici costituenti le alture a sud delle masse tra- chitiche dei Monti della Tolfa, in vicinanza dei giacimenti metalliferi, mostrano delle modificazioni abbastanza profonde, trasformandosi da compatti in cristal- lini e arricchendosi di minerali, specialmente granati. L’autore descrive due di queste roccie metamorfiche, e cioè : 1® il calcare cristallino granatifero del Passo della Carriola, in vicinanza della massa di minerale di ferro affiorante ai piedi del monte della Eoc- caccia ; 2® la roccia a granato dello stesso monte della Eoccaccia, a mezza costa — 238 — circa fra il fosso del Marangone e la vetta del monte, dove affiora del pari il minerale di ferro. L’autore tratta poi di alcuni interessanti esempi di pei'ìmorfosi e di psen- (lomorfosi di minerali che si presentano in dette roccie;, e chiude il lavoro con alcune considerazioni intorno alla origine del metamorfismo, che crede dovuto all’ azione esercitata sul calcare dalle soluzioni metallifere ferruginose, le quali, come avvenne altrove, avrebbero trasformato la calcite e generato il granato. Moderni P. — Contribusione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini, (Boll. E. Comitato GrooL, Yol. XXXIY, n. 2, pag. 121*147 ; n. 3, pag. 177-244, con 5 tav.; n. 4, pag. 333-375; e Yol. XXXY, n. 1, pag. 22*72, con tavola ; n. 2, pag. 198*230, con 2 tav.; n. 3, pa- gine 253-262). — Eoma, 1903*4. Questa memoria, di carattere descrittivo, è divisa in 7 parti con una ap* pendice: nella 1^ parte, o generale, l’autore dopo un accenno al programma, che, secondo lui, si dovrebbe seguire per lo studio dettagliato dei tre vulcani. Sabatino, Cimino e Yulsinio, a nord di Eoma; dopo aver ricordato i limiti della regione Yulsinia; descrive dettagliatamente il bacino in fondo al quale trovasi il lago di Bolsena, ed espone le ragioni per le quali egli non lo può ritenere un cratere ma bensì una conca od avvallamento vulcanico, dovuta alla azione di 4 vulcani ben distinti (che chiama di Patera, Capodimonte, Monte* fiascone e Bolsena) sviluppatisi successivamente entro ed attorno all’attuale bacino lacustre. La parte generale si chiude con l’elenco delle 92 bocche erut- tive che l’autore ha riconosciuto nel gruppo dei Yulcani Yulsini. Xella 2^, 3^, 4^ e 5^ parte 1’ autore descrive le bocche principali e le se- condarie di ognuno dei quattro vulcani, le colate di lava che si possono rispet- tivamente assegnare ad ogni singola bocca, nonché le caratteristiche che di- stinguono l’uno o l’altro vulcano. Xella 6^ parte sono descritto le bocche eccentriche e colate rispettive che circondano il gruppo del Yulsini. La 7^ parte tratta dei tufi: l’autore vi descrive le diverse varietà di tufi che s’incontrano nel grandioso gruppo vulcanico, la loro giacitura rispettiva, e la caratteristica provenienza di alcune varietà di essi da uno piuttosto che dall’altro dei 4 vulcani. Yi ha poi come appendice una ricca bibliografia geologica ed idrologica della regione vulsinia. La memoria è corredata di 8 tavole di vedute in fototipia intercalate nel testo ed accompagnata dalla Carta geologica nella scala di 1 : 100,000 in cro- molitografia, di cui in appresso. — 239 — Moderni P. — Carta geologica dei Vulcani Viilsini^ nella scala di 1 per 100,000 (un foglio a colori). — Roma, 1904. In questa carta l’autore, valendosi di analisi petrografiche eseguite tempo addietro da L. Bucca su campioni di lave e tufi a lui dal medesimo procurati, nonché di altre analisi petrografiche esistenti, ha potuto indicare, oltre alla ubi- cazione, anche la natura litologica di questi materiali, per quanto il limitato numero delle analisi lo permetteva. Sulla stessa sono poi segnate tutte le bocche eruttive riconosciute dall’ autore e le probabili linee di frattura, fra le quali prevalgono quelle da II.O e S.E o le trasversali da O.IIO-E.SE. La carta si estende dalla valle della Fiora a quella del Tevere nel senso ovest-est e da Acquapendente sin verso Viterbo secondo nord-sud. In un qua- dretto a parte sono poi indicate le bocche eccentriche di Radicofani e di S. Ye- nanzo, dall’autore ritenute come dipendenti dal gran centro vulsinio. Pel lago di Bolsena sono infine riportate le linee di profondità state rile- vate dal dottore De- Agostini. Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte alle falde delP Appennino fra il Potenza e V Esina [Marche). (Boll. R. Comitato G^eol., Vol.XXXV, n. 3, pag. 247-252). — Roma, 1904. Scopo di questa nota preliminare è di descrivere i materiali che riempiono la valle compresa fra l’Appennino ed il gruppo isolato delle colline di Cingoli. Da fossili raccolti al Ponte dei Canti e studiati dal dott. Di Stefano si è potuto accertare che gli scisti argillosi in mezzo ai quali furono trovati, e che si appoggiano su la scaglia dell’Appennino e delle colline di Cingoli, apparten- gono al miocene medio ; le arenarie a gessi che li ricoprono alla parte più alta dello stesso miocene medio: sopra di queste stanno le marne con banchi di calcare e l’arenaria della zona zolfifera. Quest’ultima si presenta in tre lembi costituiti da marne che tramandano forte odore di nafta, con intercalati banchi calcarei, sottili strati di arenaria e straterelli di tripoli. Monaco E. — SiilP impiego delle rocce leiicitiche nella concimazione. (Le stazioni sperimentali agrarie ital.. Voi. 37, fase. 11-12, pag. 1031-1034). — Modena, 1904. In questo lavoro, di carattere agricolo, l’autore parla del leucitofiro di Valogno piccolo nel gruppo di Roccamonfina, già studiato dal Bucca nel 1886, e ne dà la composizione chimica (con SiOg = 59. 34) dalla quale deduce la se- guente composizione mineralogica probabile ; Leucite = 42, Sanidino = 57, Augite = 1. 240 — Neviani a. — Schizotheca seiTatimargo Rìncits sp.; rettificazione di nomenclatura. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIII, fase. 2®, pag. 270-275, con tavola). — Eoma, 1904. In questa nota, di carattere puramente paleontologico, 1’ autore indica in quali località italiane fu trovata fossile la specie sopraindicata, e cioè : Pliocene dei dintorni di Asti; pliocene superiore delle Colline pisane e della Farnesina (Roma); postpliocene di Acquatraversa (Roma), di Santa diaria di Catanzaro, di Ravagnese (Reggio Calabria) e del Tallone Scoppo (Messina). La specie, benché tuttora vivente, sembra in via di estinzione. Novarese Y. — La geologia del Cervino (dall’opera di Gr. Rey, Il Roiite Cervino^ pag. 281-287). — Milano, 1904. — Idem (in tedesco). — Wien, 1904. La piramide propriamente detta del Cervino è costituita in prevalenza da rocce gneissiche, e poggia sopra un basamento di calcescisti, associati a car- niole e quarziti. La base della piramide immediatamente al disopra dei calce- scisti e fino alla Spalla è formata da gneiss di Arolla passanti ad arkesina, e lungo la strada ordinaria di ascensione sul versante italiano, fino al Col del Leone, da eufotide a grossa grana (eufotide della Testa del Leone). Al disopra della Spalla appaiono dei micascisti con strati di calcare intercalati, che lo Schmidt considera come equivalenti dei calcescisti. Siccome il complesso degli gneiss di Arolla e dell’arkesina (protogino an- fibolico) passante localmente all’ eufotide del Cervino, si congiunge per la Testa del Leone ed il Dente di Herens all’analogo complesso che appare lungo tutto il perimetro del grande elissoide centrale della Dent Bianche, il Cervino non può interpretarsi altrimenti che come un lembo della periferia di questo elis- soide a ventaglio, rovesciato sui calcescisti ed isolato da tre lati dall’erosione. Se realmente gli strati che formano l’estrema vetta sono gli equivalenti dei calcescisti, si tratterebbe della continuazione di una sinclinale secondaria già segnalata dal Gerlach e che si osserva chiusa negli gneiss dell’ elissoide presso la cima del Chateau des Barnes ed alla Cima bianca di Creton. Novarese Y. — I giacimenti di asfalto di San Valentino [Chieti). (Ras- segna mineraria, Yol. XX, n. 1, pag. 1-4). — Torino, 1904. Sono osservazioni fatte dall’autore in alcuni giorni di escursione sulla de- stra del Pescara risalendo la valle del Lavino e i due rami superiori dello stesso torrente, detti Posso Sant’Angelo e Capo la Tenaria serie dei terreni vi è completa dal recente sino all’eocene. A partire dalla stazione ferroviaria di San Talentino si incontra, dopo — 241 — il quaternario, il pliocene (ghiaje e sabbie) riposante sopra una potente formazione di argille con gessi, con subordinati straterelli, banchi e lenti di una brecciola calcarea assai dura e resistente, e che termina con un banco di puddinga calcarea frastagliata in rupi: questo complesso appartiene al miocene superiore e corrisponde alla serie gessoso-solfifera di Sicilia, Calabria e Romagna ; vi sono stati incontrati la Dreissensia simplex Barbot ed il Cardhim solitariiim Krauss, entrambi del miocene superiore secondo le determinazioni del Di-Stefano. Yi fa seguito una serie di strati marnosi e calcarei alternanti di molta potenza, attribuibile al miocene medio, ed in esso è aperto il maggior numero delle cave di asfalto, come a Lettomanoppello, a San Giorgio, a Rocca- morice. In essi si trovano numerosi fossili caratteristici e, verso la base, un grosso banco calcareo a briozoi e denti di pesci. Al di sotto, coll’intermezzo di banchi marnosi (miocene inferiore e eocene superiore ?) si incontrano dei calcari num- mulitici con nuclei di selce: appartiene a questo livello la miniera asfaltifera di Santo Spirito (eocene). La tettonica generale è assai semplice, essendo gli strati di regola pendenti di pochi gradi a nord, quasi ammantando la mole della Majella che sorge a sud, con un complesso di fratture principali dirette a Y.E e fortemente incli- nate pure a nord, ed uno secondario diretto da est ad ovest. L’asfalto ricorre a livelli diversi, dal quaternario inferiore al nummulitico; i giacimenti più importanti però sono inferiori alle argille gessifere. Esso è probabilmente posteriore alla formazione della roccia, la cui natura porosa ne ha favorito la concentrazione in determinati livelli : anche numerose cavità carsiche entro il miocene medio hanno favorito la formazione di un calcare concrezionato asfaltico in masse isolate. Il tenore in bitume della roccia asfal- tica varia dal 5 al 30 %, ed è in media dell’ll al 12 % nella parte coltivata. In essa sono visibilissimi avanzi organici, specialmente alghe calcaree : la massa bituminosa poi che riempie i vani più minuti della roccia mostra i più delicati particolari di struttura degli organismi fossili. Le analisi della roccia asfaltica rivelano poi che nell’orizzonte superiore del miocene medio, ricorre una vera e propria dolomia, col 24-32 % di carbonato di magnesia, rappresentata dai cosid- detti calcari a Lithotìiamnium delle cave di Pian dei Monaci e di Cusano. Pampaloni L. — Sopra alcuni legni silicissati del Piemonte. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 3«, pag. 535-548). — Roma, 1904. Gli esemplari di legni fossili qui esaminati, appartenenti al Museo della R. Università di Torino, provengono da località diverse del Piemonte, e fu- rono rinvenuti in parte nella zona dei gessi (messiniano), in parte entro le sabbie gialle (astiano). Il numero totale delle specie è di 20, delle quali 12 co- nosciute e 8 nuove, che l’autore descrive, dandone anche le figure delle sezioni. Esse appartengono di preferenza alle conifere ed alle cupulifere. 17 242 — Panichi U. — Le roccie verdi di Monte Ferrato in Toscana. (Atti R. Ac- demia delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 12^, pag. 769-777, con tavola). — Torino, 1904. In questa nota l’autore parla delle serpentine, roccie dominanti nel gruppo del Monte Ferrato presso Prato, riservando le rimanenti roccie ad altro lavoro. Il gruppo può considerarsi diviso in due regioni, l’una nord e l’altra sud, essenzialmente costituite da serpentina, fra loro separate da una zona est-ovest formata principalmente da eufotide. I due tipi di serpentina noti ai costruttori sotto i nomi di nero o verde di Prato, si traggono dalla regione nord e non rappresentano il tipo dominante della roccia, perchè limitati ad una parte ristretta del gruppo ; il quale presenta invece nel suo complesso svariati tipi di serpentina che non hanno importanza alcuna industriale. Delle principali varietà di questi l’autore fa una estesa descrizione, e di alcuni di esse anche l’analisi chimica. Xella tavola annessa sono riprodotte due sezioni microscopiche, l’una delle serpentine di Pian di dello, l’altra di quella della Cassapanca. PÀNTANELLi D. — DÌ iin poBSo artesiano nella pianura tra Viareggio e Pietrasanta. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol. XIY^ pag. 68-70). — Pisa, 1904. È data la sezione di un pozzo trivellato della profondità di m. 70 circa, eseguito dall’amministrazione ferroviaria, per ricerca d’acqua potabile a egual distanza tra le stazioni di Yiareggio e Pietrasanta. In questa perforazione, dopo il terreno rimaneggiato, è stato trovato uno strato torboso di un metro, quindi una ventina di metri di sabbie marine con numerose conchiglie, tutte imbevute d’acqua che risaliva sin quasi alla superficie. Yi fa seguito, sino alla fine del pozzo, una successione di strati argillosi, più o meno sabbiosi, con vari fossih d’acqua dolce, rappresentanti una formazione lagunare, spessa oltre m. 42 e più di 60 inferiore all’attuale livello del mare. Ciò dimostra che, in epoca qua- ternaria, vi fu un lento movimento di discesa della regione, parzialmente com- pensato dalla accumulazione superficiale dei detriti continentali. Pantanelli D. — Denti di Ptychodus nelV Appennino modenese. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XIY, pag. 70-71). — Pisa, 1904. Sono denti che da tempo esistevano nelle collezioni della R. Università di Modena, come provenienti da località diverse dell’ Appennino modenese, le quali sono tutte nel miocene medio: i denti appartengono alle specie P. polij- girus Ag. e P. deciirrens Ag., fin qui conosciute esclusivamente del cretaceo. - 243 — L’autore emette quindi il dubbio che essi sieno avventizi e non provengano dal miocene medio, come si credette finora. Parona C. F. — Una rndista della scaglia veneta. (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. Y, pag. 303-307, con tavola). — Torino, 1904. È il Biradiolites Mortoni Mant., proveniente da Monte Magrè presso Schio, che l’autore descrive e raffigura nella tavola annessa, completando così le no- tizie che già si avevano su tale specie, confermando la affinità di questa col B. cornii-pastoris già notata da Woodward e nello stesso tempo precisando meglio le differenze fra le due specie. In quanto al livello nel quale è stato rinvenuto il fossile, si deduce da altri studi trattarsi del campaniano o senoniano medio. Parona C. F. — Sulla presenta dei calcari a Toucasia carinata nel- Pisola di Capri. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 4°, sem., pag. 165-167). — Eoma, 1904. Il rinvenimento di esemplari bene conservati di Toucasia carinata fatto di recente in Capri, risolve la questione della età di quei calcari con ellipsacti- nidi, in favore del Di-Stefano, il quale li aveva dichiarati urgoniani, d’accordo col Bassani e col De-Lorenzo, in opposizione all’Oppenheim che li riteneva titonici o tutt’al più della parte più antica del cretaceo (vedi Bibl. 1897). L’esi- stenza di qualche rara specie di origine titonica nei calcari di Capri, sarebbe dovuta al fatto che essi sono formati a spese di altri calcari più antichi. Il calcare grigio che contiene il fossile suddetto ingloba in fatto delle ellipsactinie, che spiccano come macchie più scure sul fondo della roccia, insieme con sferactinie, corallari, spongiari e piccole foraminifere. Ad esso seguono superiormente e regolarmente altri calcari, pure con ellipsactinidi. L’autore conchiude ritenendo il calcare di Capri corrispondente ai calcari •à facies nrgoniana, caratterizzati dallo stesso fossile, riconosciuti in molti punti dell’ Appennino meridionale. Pasquale M. — Su di un Palaeorhynchus dell arenaria eocenica di Ponte Nuovo presso Barberino di Mugello {prov. di Firenze) (dagli Atti E. Acc. Se. fis. e mat., S. 2^, Yol. XII, n. 8, pag. 1-6, con tavola). — Napoli, 1904. Il fossile descritto è una colonna vertebrale lunga cm. 25, con buona parte delle pinne meno la caudale j manca anche della testa. Dopo la descrizione di questi avanzi l’autrice fa la storia della famiglia dei Paleorinchidi, e conclude che — 244 — tutti i suoi rappresentanti, indicati dagli autori con nomi diversi, vanno com- presi in un unico genere, Palaeorhynchiis : inoltre che le varie specie di esse sono da aggrupparsi in due, cioè P. Deshajjesi Ag. sp. e P. glarisianus de Blain., riscontrate nell’oligocene. Presenta quindi un quadro sinottico delle due specie, che ne comprende la sinonimia e la distribuzione cronologica e topo- grafica. IS’ella tavola sono riprodotti fotograficamente gli avanzi descritti. Pellati N. — I giacimenti di antracite nelle Alpi occidentali italiane. (Eassegna mineraria, Yol. XX, n. 10, pag. 145-148). — Torino, 1904. È un estratto del capitolo Introdnsione e sintesi del lavoro, facente parte del volume intitolato: Studio geologico-^minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali italiane, pubblicato a cura del E. Efficio geologico e del quale abbiamo già parlato (vedi Bihl. 1903, sotto Autori diversi). Pelloux a. — Contributi alla mineralogia della Sardegna. I. Atacamite. valentinite, leadhillite, caledonite, linarite ed altri minerali deli Argen- tiera della Narra (Portotorres). (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. T, Voi. XIII, fase. 1^, 2^ sem., pag. 34-42). — Eoma, 1904. Il filone dell’Argentiera, dal quale provengono i minerali sopraindicati, attraversa degli scisti (siluriani od huroniani), biforcandosi nella sua parte media e dando così luogo a due zone mineralizzate distinte, a matrice di quarzo, entro le quali sono stati riconosciuti blenda, galena, stibina, pirite, calcopirite, bournonite, e, come prodotto di alterazione, melanterite, goslarite, anglesite e cervantite. A quest’ultima categoria appartengono quasi tutte le specie che l’autore qui ha descritte, insieme con altri minerali già noti. Philipp H. — Palàontologisch-geologische Untersnchiingen ans dem Gebiet von PredaBSo. (Zeitschrift der Deut. geol. Gresell., B. 56, H. I, pa- gine 1-98, con 6 tavole). — Berlin, 1904. Premessa una estesa bibliografia geologica della regione ed un cenno sui principali lavori su di essa pubblicati, l’autore entra in materia e divide la sua memoria in tre parti: stratigrafica, tettonica, paleontologica. La formazione di base nei dintorni di Predazzo è il permiano, con le tre divisioni del porfido quarzifero, dell’arenaria di Grbden e del piano a bellore- fonti (dolomite gialla). Segue il trias rappresentato dagli strati di Werfen (do- lomiti e calcari), dal Muschelkalk (conglomerato rosso), da dolomiti e calcari degli strati di Wengen cui appartengono i calcari grigi della Porzella e quelli giallastri del Latemar, ricchi di fossili. L’autore espone quindi alcune osserva- - 245 — zioni sugli strati di Bucliensteiu e chiude la serie statigrafica trattando dei tufi verdi del Trias superiore, caratterizzati da abbondanti inclusioni calcaree, e delle lave che vi stanno sopra. Tettonicamente il territorio di Predazzo si presenta come un’area di spro- fondamento in forma di croce. Dai lati est, ovest e sud apparisce nettamente il distacco della parte centrale, mentre a nord la rottura è tracciata dall’alli- neamento di tre sprofondamenti della massa sedimentare : siffatto movimento dovette avvenire in epoca terziaria antica, dopo l’effusione delle lave basiche. I^^umerose sono le linee secondarie di frattura, come viene dimostrato da sezioni intercalate nel testo. biella parte paleontologica infine sono descritti ed illustrati i fossili degli strati di Werfen (8 specie) e di quelli di Wengen (42 specie, delle quali 18 nuove). Al lavoro sono unite, una Carta geologica al 50,000 della regione attorno a Predazzo, e 5 tavole di fossili. PiOLTi Gr, — Gabbro orneblendìco e saiihurite dì Val della Torre [Pie- monte). (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 14^, pag. 912-920). — Torino, 1904. La roccia studiata dall’autore, paragonabile per la sua struttura ad uno gneiss-ghiandone, forma, in mezzo alla serpentina, un dicco della larghezza di cinque metri e più, a struttura leggermente scistosa, con numerosi noduli di un minerale di colore bruno- violaceo, riconosciuto per orneblenda. Questa roccia, che non era ancora stata segnalata in detta località, corrisponderebbe per l’aspetto 'òST angen-gneiss di Cornovaglia, benché con composizione mineralogica diversa, avendosi là felspato invece di diallaggio, e per la sua struttura po- trebbe denominarsi gahhro-ghiandoifb. L’autore poi dimostra che l’orneblenda bruna non può essere di origine secondaria, ma bensì un elemento essenziale della roccia, formatosi insieme col diallaggio. Egli parla in seguito della saussurite che si trova a riempire una spac- catura nella serpentina della stessa località, dandone anche la composizione centesimale. PiUTTi A. e Stoppani B. — Sulla presema del Bismuto nelle piriti di Agordo. (Eend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3% Yol. X, n. 12, pag. 362- 365). — Napoli, 1904. — Idem. (Grazzetta chimica italiana, Anno XXXY, Parte II, fase. I, pag. 29-32). — Eoma, 1905. In una analisi eseguita nell’Istituto chimico-farmaceutico dell’Università di Napoli, furono riconosciute per la prima volta traccie di bismuto nella pirite 246 ~ elle serve alla estrazione del rame, per via di cementazione, nello stabilimento metallurgico di Agordo (Belluno). Queste traccie si concentrano nei processi successivi d’estrazione, sino a raggiungere la percentuale notevole di 7. 03 nel residuo insolubile del rame di cementazione, entro il quale si ritrova insieme con stagno (74. 30 per cento) e piombo (14. 15 per cento). Questa lega può essere usata per ottenere oggetti di vario genere, ma potrebbe servire anche per la estrazione diretta del bismuto. Platania Gr. — Ad Castello. Ricerche geologiche e vulcanologiche. (Memorie Acc. di Se., Lett. ed Arti degli Zelanti, S. Ili, Voi. II, pag. 1-56. con 2 tavole e una Carta geologica). — Acireale, 1904. È la descrizione molto particolareggiata di un piccolo ma interessante ter- ritorio, al piede sud-est dell’Etna, molto visitato dai geologi, ma ancora imper- fettamente conosciuto. L’autore ne ha fatto uno studio assai minuto, ed in questa memoria ne espone i risultati. La formazioue dominante nella regione è naturalmente la vulcanica, ma non pertanto vi sono sviluppate anche le sedimentari e fossilifere, rappresentate da un potente deposito argilloso esteso specialmente lungo la marina, ma che si protende fino alle falde dell’Etna, dovunque circondato e anche ricoperto dai materiali vulcanici. L’argilla è di colore azzurro negli strati inferiori, giallo- verdastro più in alto, e poi cessa, ovvero passa talvolta a sabbia gialla o a conglomerato. È dessa un deposito sottomarino, come lo indicano le conchiglie fossili, ricoperte da un tufo vulcanico subaereo. In mezzo alle argille emergono parecchie masse basaltiche isolate formanti rupi, colline e scogliere di grande effetto, fra cui quelle famose di Aci Trezza e delle Isole dei Ciclopi: al con- tatto fra basalti e argille, vedonsi in questa distorsione di strati e traccie di me- tamorfismo. La stessa roccia vulcanica fu poi trovata in molti punti sotto l’ar- gilla, in particolare dove questa forma collinette isolate. Altre argille poi non presentano traccia di metamorfismo e sono posteriori ai basalti, i quali rappre- sentano le più antiche manifestazioni etnee. Molto è stato scritto sulla età di queste argille, ma le opinioni non sono concordi, i più ritenendole plioceniche, gli altri del quaternario antico: è pro- babile che appartengano ad entrambe le epoche, ossia alla fine del pliocene ed al principio del quaternario, intramezzate dalle emersioni basaltiche. Era i materiali vulcanici delle vicinanze di Aci Castello merita speciale menzione il cosidetto tufo palagonitìco consistente in un ammasso di lapilli vetrosi, insieme uniti da un cemento zeolitico, ricco di carbonati, ed includente fram- menti di argilla metamorfosata e blocchi basaltici : essa è di origine sotto- marina. La memoria è corredata da vedute fotografiche e da una cartina geologica a colori nella scala da 1 a 25,000 dei dintorni di Aci Castello. -- 247 — PoRTis A. — Un interessante fossile dei peperini. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXIII, fase. pag. 171-177). - Roma, 1904. È un frammento di osso, parzialmente coperto da tufo di natura peperi- nica, trovato negli scavi del Poro Romano, sopra un sepolcreto di età prero- mulea : esso presenta alle due estremità molti tagli ed impressioni prodotte dai denti di un canide, probabilmente una volpe. Con una serie di osservazioni e di ragionamenti l’autore giunge a stabi- lire che l’osso appartiene in modo quasi sicuro al Bos etruscns Pale. Egli rifà quindi la storia degli avvenimenti cui andò soggetto questo avanzo di un ani- male d’età pliocenica, per conchiudere alla pliocenicità dei peperini. PoRTis A. — Ancora e sempre delle specie elefantine fossili in Italia. (Boll. Soc. aeoi. ital., Yol. XXII, fase. 3^ pag. 446-448). — Roma, 1904. Riprendendo la questione relativa alle specie elefantine fossili d’Italia (vedi Bihl. 1903) l’autore ribatte le conclusioni espresse dal Plores in una sua nota relativa alla esistenza Elephas primigeniiis Blum. nell’Italia meridionale (vedi ibidem) e, facendo osservazioni sulla tavola unita a quest’ultima, riafferma la assenza assoluta di tale specie nell’Italia centrale e meridionale, accennando anche alla possibile sua assenza nella settentrionale, poiché l’unico dente tro- vato alla Loggia, presso Torino, e dal Portis illustrato nel 1898, potrebbe anche appartenere sAVE. antiquns. Prea'Er P. L. — Osservazioni sopra alcune nuove Orbitoides. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 15% pag. 981-988, con tavola). — Torino, 1904. Pra le orbitoidi descritte in questa nota havvi una Orthophragmina apra- Una n. f., una 0. Chelussii n. f. ed una 0. samnitica n. f., tutte provenienti da un calcare eocenico di Monte Rua nei dintorni di Aquila. Queste nuove forme sono figurate nella tavola annessa. Proboscht H. — Ueher den Analcim-Melapìiyr von Pizmeda. (Central- blatt fiir Min., aeoi. und Pai., Jahrg. 1904, n. 3, pag. 79-86). — Stuttgart^ 1904. Questa roccia raccolta in Yal Pizmeda (Predazzo) fu studiata chimica- mente e petrograficamente dall’autore, il quale dà qui il risultato del suo studio. Essa è di colore scuro, dal grigio-verdastro al nero, molto compatta e pe- — 248 — sante per la presenza di magnetite in gran copia: ad occhio nudo tì risaltano grosse augiti e più grossi felspati. La pasta è composta di magnetite, felspato e granelli di augite ; in essa si distinguono al microscopio altri minerali sparsi, come olivina, analcime, clorito, celadonite e delessite. L’analisi chimica, fatta dall’autore, diede una percentuale di 45. 25 di silice, prossima a quella trovata dal Doelter (44. 25) per il melafiro delle Palle rabbiose nello stesso gruppo dei Monzoni: entrambe però differiscono alquanto per natura mineralogica dai comuni melafiri. jN'el melafiro di Pizmeda, nota l’autore, a differenza degli altri melafiri della Val di Passa, è stato riconosciuto l’analcimo microscopicamente e in con- dizioni tutt’affatto speciali; ciò spiega il nome dato alla roccia, che potrebbe essere anche quello di basalto analcimicOj vista la sua composizione mineralo- gica e l’età relativamente recente. Eepossi e. — Appunti mineralogici sulla pegmatite di Olgiasca {Lago di Como). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Voi. XIII, fase. 4®, sem., pag. 186490). — Roma, 1904. Sino dal 1890 il compianto Melzi, descrivendo alcuni minerali provenienti dalla pegmatite che si scava a scopo industriale sulla sponda occidentale del laghetto di Piona (lato orientale del lago di Como), vi comprendeva anche il rutilo con la forma (311) nuova per esso. L’autore riprese in esame questo minerale e lo riconobbe per sircone, nel quale detta forma è comune : egli dà in una tabella le misure angolari fatte su quattro cristalli, mettendoli a confronto con i valori calcolati in base al rapporto dato dal Dana, i quali poco si distac- cano dai primi. I cristallini, tutti frammentati, si presentano trasparenti, con tinta bruno-violacea, ben diversa dal giallo intenso del rutilo : inoltre la birifrazione è viva e forte, ma non raggiunge l’alto valore di quella di quest’ultimo mine- rale. Anche la prova microchimica, che l’autore descrive, ha dato risultati con- formi. Xella pegmatite della stessa località il Bertolio (vedi Bibl. 1903) osservò diversi minerali, cioè ortoclasio (predominante), microclino, albite, berillo (nuovo per questo giacimento), oltre ad un felspato sodico-calcico del tipo oligoclasio- albite, che descrisse. L’autore ritorna ora su quest’ultimo ritrovamento per com- pletare lo studio della roccia in quistione e, con lesame ottico di questo felspato, giunge a risultati alquanto diversi ; e cioè che il plagioclasio della pegmatite di Olgiasca è di tipo albite e non altro, quantunque alcuni individui di esso si avvicinino ad un tipo intermedio fra l’oligoclasio e l’albito, ciò che spiega in parte le conclusioni del Bertolio. Da ultimo ricorda che nella stessa pegmatite venne di recente trovata anche l’apatite, ma in forme ed in quantità tali da non meritare uno studio particolareggiato. — 249 — Eepossi e. — Osservasìonì geologiche e petrografiche sui dintorni di Musso (Lago di Como). (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIII, fase. 3*^, pag. 261-304, con 2 tavole). — Mi- lano, 1904. Xella parte settentrionale del Lago di Como, sulla sponda occidentale del medesimo, trovasi il paese di Musso, con gli avanzi di un celebre castello me- dioevale, costruito su di una rupe di marmo saccaroide e di dolomia compatta, che forma uno sperone alla massa del Monte Bregagno costituito da micascisti, da scisti filladici, da gneiss minuti che, per la loro facile erodibilità, imparti- scono al rilievo montuoso un carattere molto più dolce. Tale rupe, che un tempo dava alimento a cave di marmo bianco e di cipollino, ha riscontro con un terreno analogo posto di contro, dall’altra parte del lago, presso Olgiasca. Premesso un cenno degli studi fatti su questa formazione dal Curioni, dal Collegno, dallo Stoppani e da altri, che la ritennero d’età giurese o, tutt’al più, triasica, l’autore riprende in esame la quistione e studiandola in base a criteri paleontologici e petrografie!, conchiude che il calcare di Musso è pretriasico, mentre la dolomia appartiene al Trias superiore. Detto calcare poi è affatto simile a quello di Olgiasca e ad altro sopra Dervio (sponda orientale del Lago di Como) collegati con gli stessi scisti antichi. L’autore descrive le specie fossili rinvenute nella dolomia di Musso; esse ammontano a sei, fra cui la Ggroporella vesiciilifera Griimb. caratteristi(;a della dolomia principale, che, insieme con un Megalodon Tommasii nov. sp., prevale sulle altre per abbondanza. Xella parte petrografica egli dà l’analisi chimica tanto della dolomia quanto del calcare saccaroide. Quest’ultimo poi è ricco di minerali estranei, come mu- scovite, quarzo, apatite, titanite, pirite, flogopite, tremolite, zoisite ed altri: inter- calate nel calcare sono poi lenti e vene di anfibolite, gneiss, quarzite, micascisto. Alle conclusioni di cui sopra l’autore aggiunge che il lembo di dolomia triasica di Musso in mezzo a formazioni più antiche, possa essere dovuto ad un trascorrimento con accavallamento sugli scisti, avvenuto in direzione nord-sud. Xelle tavole unite trovasi un abbozzo geologico con profili della regione studiata, nonché alcune sezioni microscopiche di roccie. Eiccò A. — Il vulcano Stromboli. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. X, n. 1, pag. 37-40). — Modena, 1904. L’autore riporta una lettera del signor D. Yassallo, capo-posto del sema- foro di Stromboli, che insieme ai suoi dipendenti tiene una cronaca dei feno- meni di quel vulcano. Le osservazioni in essa contenute si riferiscono al 30 maggio 1904, nel qual giorno egli si recò sulla vetta del monte per osservare l’apparato eruttivo. — 250 — È inserito nel testo uno schizzo rappresentante l’apparato eruttiro dello Stromboli, quale era in detto giorno, con le scogliere vulcaniche che lo limi- tano lateralmente. Eiccò A. — Eruzioni e vioggie. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. X, n. 2, pag. 95-109). — Modena, 1904. — Idem. (Atti Acc. Grioenia di Se. nat., S. 4^, Mem. XYII, Yol. XYII, pag. 1-13). — Catania, 1904. In seguito alle opinioni emesse dal De Lorenzo e dal Semmola (vedi Bihl. 1900) circa l’influenza diretta della pioggia caduta sul Yesuvio sulle sue eruzioni, l’autore fece ricerche analoghe per l’Etna confrontando l’attività del vulcano nella grande eruzione del 1892 (27 agosto-28 dicembre) con la quantità di pioggia caduta nello stesso periodo e, per il passato, facendo una statistica degli anni d’eruzione in paragone con quelli di grandi piogge; conchiude con l’escludere che per l’Etna queste ultime abbiano influenza alcuna sopra i feno- meni dinamici. Passa poi al quesito inverso, se cioè le eruzioni sieno state accompagnate o seguite da stagioni piovose; e con analoghi dati statistici dimostra che nè durante le eruzioni, nè dopo, si ebbe pioggia in quantità maggiore della normale. Eiccò A. e Arcidiacono S. — V eruzione dell Etna del 1892. Parte III : Vìsite alVapparato eruttivo e al cratere centrale. (Atti Acc. &ioeiiia di Se. nat., S. 4^, Yol. XYII, Mem. Y, pag. 1-51, con 3 tavole). — Catania, 1904. Facendo seguito alla descrizione della grande eruzione del 1892 (vedi Bihl. 1902 e 1903) gli autori dànno conto dei fatti osservati in una serie di visite fatte all’apparato eruttivo ed al cratere centrale dell’Etna, durante e dopo l’eruzione, e precisamente dall’ll luglio 1892 al 30 ottobre 1896. Xelle tavole è riprodotta una serie di 12 fotografie prese in posto. Eimatori C. — 8u alcune blende di Sardegna. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 6^ 1^ sem., pag. 277-285). — Eoma, 1904. L’autore espone in questa nota i risultati ottenuti dallo studio di alcune blende della Sardegna, fatto per riconoscervi la presenza del cadmio e di altri minerali rari. A tale scopo egli ha analizzato chimicamente campioni di blende prove- nienti da località diverse, riconoscendo che il cadmio non vi manca mai, e che anzi talora vi è in quantità notevoli, come in uno della miniera di Montevecchio. — 251 - Dall’analisi spettrale poi, della quale l’autore descrive il processo, risultò in alcune blende la presenza di un elemento raro, cioè l’indio, che in un campione raggiunse il quantitativo massimo di 0,1231 due di queste anche del gallio in quantità minime. Eimatori C. — Tetraedrìte nella miniera di Palmavexi {Sardegna). (Di- vista di min. e crisi, ital.. Voi. XXXI, fase. I-II-III, pag. 46-48). — Padova, 1904. Il minerale si presenta, in questa miniera dei dintorni di Iglesias, in pic- cole masse disseminate in un impasto di quarzo e calcite, insieme con galena e blenda. In esse però non appariscono forme cristalline e nemmeno indizi di sfaldatura: il minerale è quindi assolutamente amorfo e solo l’analogia con campioni di tetraedrite già noti potè far sospettare della natura di esso. Questa è stata poi conformata dagli assaggi chimici e in particolare dall’analisi fatta dall’autore, la quale diede la composizione centesimale seguente : S = 23,56; Cu = 43,08; Sb = 23,66; Zn = 6,29; Pe = l,14; Ag = l,64. Tale com- posizione rivela una varietà di tetraedrite molto vicina alla normale. {Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO settemlire 190^) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXXY, dal 1870 al Prezzo di ciascun Tolume Idem deir abbonamento annuale in Italia Idem idem all’estero Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1872. — Introduzione. — B. G-astaldi; Stiidii geologici sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrizione geologica deir Isola d'’Elì)a. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Dn Tolume in*4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche . Voi. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografia geologica delV Isola dMschia. — F. G-iordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo -elvetica. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Un volume in-4^ di pag. 264 con tavole e carte geologiche Voi. II, Parte 2^. Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Dn volume inA*^ di pag. 64 con tavole Voi. Ili, Parte 1^. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponza. — C. De Stefani: Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-l^^ di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche ■ Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia dell’ Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spezia. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica fiuorifera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. Un volume in-4® di pag. 136 con tavole 1904. D. 10 — . 8 — » 10 - » 35 — . 25 — » 5 — » 10 — » 15 — » 8 - — 253 — r Voi. lY, Parte 2^ Firenze 1893. — C. A. Weithofer: Pro- hoscidiani fossili di Valdarno in Toscana. — M. Canavari: Idrosoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — IJn volume in-4® di pag. 211 con tavole . . . L. Ifj memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci ; Descrizione geologica deirisola di Sicilia. — Un volume in-8‘^ di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- risola d'^Elha. — Un volume in-8'^ di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. III. Roma 1887. — A. Farri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con ^un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. lY. Roma 1888. — Gr. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria dell’ Ig le si ente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 Yol. Y. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabiis {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » 8 Yol. YI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8‘^ di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Yol. YII. Roma 1892. — E. Cortese e Y. Sabatini: De- scrizione geologico-petrografìca delle Isole Eolie. — Un vmlume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Yol. YIII. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Yol. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica .* » 12 Yol. X. Roma 1900. — Y. Sabatini: I vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte E: Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Yol. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle 3Iontello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 8 Yol. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8'^ di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » 10 Appendice al Yol. IX. Roma, 1904. — G. Di- Stefano : Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8® di pag. 120, con tavola di sezioni » 3 — 254 — CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli; 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 — Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio Y. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio Y. 262 (Monte Etna) . . E. 5 — » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara delYallo) » 3 — » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) . . . » 4 — » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Oanicattì) . . . » 5 — » 251 (Cefalù) .... » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 — » 252(Yaso) . . . . » 4 — » 269 (Paterno) . . . » 5 — » 253 (Castroreale) . . » 4_ » 270 (Catania) . . . » iB — » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) . . . » 3 — » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 — » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 — » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) . . . » 4 — » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » 3 — » 260 (Yicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . . . » 3 — » 261 (Brente) .... » 5 — . 277 (Yoto) . . . . » 3 - Tavola di sezioni Jf. I (annessa ai fogli 249 e 258) . . R. 4 — » » 'N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » IN". Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » IN". lY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » Y. Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria', nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Y. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — Foglio Y. 242 (Catanzaro) . . L. 4- » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — zuto) . . . » 3- » 228 (Cetraro) ...» 3 — » 245 (Palmi) . . . » 3 — 229 (Paola) ...» 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3- » 231 (Ciro) .... » 3 — » 254 (Messina) . . . » 4- » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . » 4- » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — » 263 (Beva) .... » 3- » 238 (Cotrone) ...» 3 — » 264 (Staiti) .... » 3 — » 241 (Yic astro). . . » 4 — Tavola di sezioni Y. I (236, 237, 238, 241, 242), Y. II (245, 246, 247, 255, 263), Y. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. 4- — 255 — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. 'Ne sono pubblicati i fogli seguenti : Foglio 201 (Muterà) » 202 (Taranto) . » 203 (Brindisi) . » 204 (Lecce) . . . L. 3- . » 2 — . » 3 — . » 2 — Foglio N. 213 (Maruggio) » 214 (Gallipoli) » 215 (Otranto) . » 223 (Tricase) . . L. 1 — . » 2 — . ^ 1— . » 2 — Carta . geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio N. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 150 (Roma) ... » 5 — » 158 (Cori) .... » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di' 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 »5 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e iVapoli. PRESEKTED ^ A r:rP ianR Di recente /jubblicaxione s Ne sono pubblicati i fogli seguenti: 127 (Piombino . , 128 (Grosseto) . . 129 (Santa Fiora) L. 3 '» 4 » 5 135 (Orbetello) . 136 (Toscanella) Tav. I di sezioni L. 4 » 5 » 4 Annunzi di pubblicazioni ? t f V' i ì Ì! f Amico G. — Rìnyenìmeuto di melanoflogìte nelle Solfare Falconera. (Ras- segna deir Industria* solfifera, Anno XYII, n. 21, pag. 16-18). — Caltanis- setta, 1905. Billow e. — Ricerche petrograflclie in^mo ad alcune rocce eruttive del Vicentino. (Rivista di min. e crist. ital., Voi. XXXIII, pag. 1-12 in-8"). — Padova, 1905. Bruno L. — I pozzi trivellati in Vercelli (pag. 44 in-8®, con 6 tavole). — Ver- celli, 1905. Canestrelli G. — Ammoniti del Lias superiore di Rocchetta esistenti nel Museo di Pisa (pag. 47 in-4‘’, con tavola). — Prato, 1905. Capobianco G. — Descrizione della Carta speciale geognostico-agraria della Valdichiana. (Boll, della coltivazione dei tabacchi. Anno IV, n. 3-4, pa- gine 166-173). — Portici, 1905. Casoria e. — Studio analitico di alcune lave e pozzolane dell’Agro Romano (dagli Annali R. Se. sup. d’Agr. di Portici, Voi. VI, pag» 8 in-8®). — Por- tici, 1905. Ferro A. — L’acqua nell’ heulandite di Montecchio Maggiore. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XIV, fase. 3®, 2® sem., pag. 140-145). — Roma, 1905. Ferro A. A. — L’origine delle terre gialle veronesi. (Atti Soc. Ligustica di Se, nat. e geogr.. Voi. XVI, n. 3, pag. 179-197). — Genova, 1905. Folco C. — Rocce eruttive ed Acquaresi. (Resoconti riunioni Ass. mineraria sarda. Anno X, n. 6, seduta 18 giugno 1905, pag. 11-12, con tavola). — Iglesias, 1905. Galdibri a. — La malaucofauna triassica di Giffoni nel Salernitano (dagli Atti R. Acc. Se, fis. e mat., S. 2^, Voi. XII, n. 17, pag. 28 in-4®, con ta- vola). — Xapoli, 1905. Giampaoli a. — I minerali accessori dei marmi di Carrara (pag. 16 in-8®). — Carrara, 1905. Issel a. — Excursion géologique dans les environs de Gènes. (Atti Soc. Li- gustica di Se. nat. e geogr.. Voi. XVI, n. 3, pag. 219-232, con tavola). — Genova, 1905. Leardi Z. — Foraminiferi eocenici di S. Genesio (collina di Torino). Il genere Rnpertia. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XLIV, fase. 2^, pag. 97-105, con tavola). — Milano, 1905. Lincio G. — Sul berillo di Vall’Antoliva e di Cosasca. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XL, disp. 13% pag. 870-878, con tavola). — Torino, 1905, Lovisato D. — La centrolite nel giacimento cuprifero di Rena de Padru presso Ozieri (Sassari). (Rend. R. Ace. dei Lincei, S. V, Voi. XIV, fase. 12% 1® sem., pag. 696-699). — Roma, 1905. Manasse E. — Cenni sul macigno di Calafuria e suoi minerali (dalle Memorie Soc. toscana di Se. nat.. Voi. XXI, pag. 12 in-8°). — Pisa, 1905. Manzella e. — Sulle marne di Sicilia dal punto di vista industriale. (Gior- nale di Geol. pratica. Voi. Ili, fase. IV, pag. 137-161). — Perugia, 1905. Mercalli G. — Per lo studio dei lenti movimenti del suolo presso il Serapeo di Pozzuoli. (Atti V Congresso Geogr. It., 1904, V ol. 2% Sez. I, pag. 266-270). — Xapoli, 190-5. {Segue) eseguito: V. pagina precedente) Mercalli Gt. — Intorno alla successione dei fenomeni ernttiyi del YesuTio. (Ibidem, ibidem, Voi. 2®, Sez. I, pag. 271-280). — Vapoli, 1905. Peruzzi L. — Sai calcari a bmeite di Tenlada e sulla compo.sizione mine- , ralogica della predazzite. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XIV, fase. 2®, 2® sem., pag. 83-88). — .Roma, 1905. PiOLTi G. — Sull’alterazione della Lherzolite di Tal della Torre (Piemonte) (dagli Annali R. Acc. di Agr. di Torino, Voi. XLVIII, pag. 16 in-R*^). — Torino, 1905. Repossi e. — Il quarzo di Ruggiate (Lago di Como). (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XLIV, fase. 2°, pag. 106-1111. — Mi- lano, 1905. Rimatori C. — Analisi ponderale e spettroscopica di nuove blende sarde. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XIV, fase. 12®, 1® sem., pag. 688-696). — Roma, 1905. Ristori G. — Il Bacino del Trasimeno. (Memorie Soc. ital. delle Scienze dette dei XL, Si Iti, T. XIII, pag. 325-105, con Carta geologica e tavola di sezioni). — Roma, 1901. Rogo ATI A. — Ricerche petrograflche sulle valli del Gesso (Talli di S. Gia- como). (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XL, disp. 12% pag. 717-765, con tavola). — Torino, 1905. Sacco F. — Il futuro valico ferroviario attraverso l’ Appennino genovese. (Giornale di Geol. pratica, Voi. Ili, fase. 2® e 3®, pag. 88-101, con Carta). — Perugia, 1905. Idem. — Sopra una Pereiraja del Miocene della Sardegna. (Rivista ital. di paleontologia. Anno XI, fase. Ili, pag. 112). — Perugia, 1905. Silvestri A. — La Ghapmania gassinensis Silv. (Ibidem, ibidem. Anno XI, fase. Ili, pag. 113-119, con tavola). — Perugia, 1905. Tacconi E. — Ulteriori osservazioni sopra i minerali del granito di Montor- fano (parisite, ottaedrite, zircone, ecc.). (Rend, R. Acc. dei Lincei. S. V, Voi. XIV, fase. 2®, 2® sem., pag. 88-93). — Roma, 1905. Toniolo a. R. — Traccie glaciali in Fadalto e Talmareno. Ramo orientale dell’antico ghiacciajo del Piave (pag. 38 in-8®). — Pisa, 1905. ViNASsA DE Regny P. — La sorgente acidulo-alcalìno-litinica di Uliveto. (Giornale di Geol. pratica, Voi. Ili, fase. IV, pag. 162-183, con Carta geo- logica). — Perugia, 1905. Zaccagna 13. — Sulle condizioni geologiche ed industriali degli agri marmi- feri della regione del Canalbianco e del Murlungo in Comune di Carrara. (Rassegna mineraria. Voi. XXIII, n. 4, pag. 61-63, con Carta geologica, e n. 5, pag. 81-84). — Torino, 1905. Zanolli V. — Studio petrograflco d’una roccia di aspetto basaltico di Mon- teviale (Ticenza) (pag- 17 in-8®, con tavola). — Todi, 1905. Idem. — Contributo petrograflco sui Colli Euganei (pag. 25 in-8®, con 2 tavole). — Rovigo, 1905. Idem. — Compendio sui giacimenti di zeoliti della regione veneta (pag. 32 in-8®). — Rovigo, 1905. -r 7o‘ del presente fascicolo s ILi. to MAY 1906 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA A.]sr3sro i©os N. 4. ROMA TIP. NAZIONALE DI G. BEETERO E C. MDO 1905 lol.XXXVl della Raccolta 4.“ Trimestre Voi. 6 della Serie 1905 ELENCO del personale componente il Comitato e l’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini (jio vanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bocca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Uenova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver (jiovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Aichino (jiovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 7. BOLLETTINO DEL R. COMITATO CEOI.OCICO V ITALIA. Serie IV, Voi. VI. Anno 1905. Fascicolo 4^ SOMMARIO. Note originali. — I. P. Aloisi, Contributo allo studio petrografico delle Alpi Apuane. Rocce granitiche, eufotidiche, diabasiche e serpentinose. — II. S. Franchi, Appunti geologici sulla zona dioritico-kinzigitica Ivrea-Yerbano e sulle for- mazioni adiacenti. — III. S. Franchi, A proposito della riunione in Torino della Società geologica di Francia nel settembre 1905. — lY. Riunione della Società geologica di Francia a Torino (La Direzione). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1904 (contU iiuasione e fine, vedi n. 3). Elenco del personale componente il Comitato e l’ Ufficio geologico alla fine del- l’anno 1905. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. NOTE ORIGINALI I. P. Aloisi. — Coìitributo allo studio petrografico delle Alpi Apuane. Rocce graniticìie^ eufotidiche, diabasiche e ser- penti ìios e ^ Due anni or sono il prof. Ganavari arricchiva il Museo geologico dell’Università di Pisa di una collezione di rocce delle Alpi Apuane, formata dall’ing. Zaccagna e costituita da circa trecento campioni. Dietro consiglio del prof. G. D’Achiardi, e con il gentile consenso del prof. Ganavari, io mi accinsi a studiare tal materiale, completandolo con gli esemplari già esistenti nelle collezioni del detto Museo. Lo studio era già a buon punto quando seppi che l’ing. Franchi del Regio Ufficio geologico lo aveva pure intrapreso e quasi condotto a termine: ciò mi indusse a rinunziare al mio lavoro; se non che l’ing. Franchi, ^ Date le circostanze sottoriferite, e allo scopo di riunire nelle pubblicazioni dell’Ufficio geologico tutti gli studi sulle roccie della regione apuana, di cui è già pubblicata la carta, ed è in preparazione la memoria descrittiva, si è cre- duto utile inserire nel Bollettino il presente studio, benché fatto da persona non appartenente all’Ufficio stesso. La Direzione. 18 — 258 — non volendo permettere che il fratto delle mie ricerche fosse per me com- pletamente perduto, mi propose di pubblicare i risultati ottenuti nello studio di una parte delle rocce apuane, e precisamente di alcune eoce- niche, mentre egli si sarebbe occupato delle pre-terziarie. A tale scopo mi inviò, con il consenso del direttore del servizio geologico. Ispettore N. Pellati, molti campioni di graniti, eufotidi, dia- basi, serpentine, facenti parte delle collezioni del R. Ufficio anzidetto, nonché numerosi preparati sottili delle rocce stesse. Per il materiale fornitomi ringrazio il prof. Canavari, l’Ispettore Pellati e Ting. Franchi. Le rocce che formano oggetto di questa breve nota, furono già in parte descritte dal Chelussi non ho stimato inutile però rifarne lo studio perchè il materiale che ho avuto a mia disposizione è molto più abbondante di quello del Chelussi ed in parte anche differente. Rocce g^ranitiche. La maggior parte dei numerosi campioni di granito che ho avuti in esame, proviene dalla Garfagnana. I due principali affioramenti di rocce granitiche della regione suddetta, sono a Oamporgiano ed a San Donnino, nella grande massa diabasica che si dispone intorno ai paese di Piazza al Serjhio: un terzo si tiro va presso al Ponte di Boza nella massa diabasico serpe n- tinosa situata tra Sambuca e Villa Gollemandina. I graniti di Oamporgiano hanno aspetto assai alterato e sono co- stituiti da feldispati talvolta rosei, da quarzo non molto abbondante e da mica bruna. Al microscopio si trovano spesso delle plaghe che, per il minuto frantum amento dei minerali costituente la roccia, hanno una struttura decisamente cataclastica. Per i feldispati si ha che, come quantità, ortose e plagioclasio si bilanciano. Ambedue sono quasi sempre assai alterati, con produzione di caolino e squamette di mica bianca. A causa appunto dell’altera- zione, mal si determina il plagioclasio, che è generalmente geminato secondo la legge dell’albite, cui spesso si associa quella del periclino, ^ I. Chelussi, Alcune rocce della Garfagnana. Firenze, 1897. — 259 — più raramente quella di Oarlsbad. Le estinzioai dei geminati dell’al- bite, nella zona normale a |0i0|, avvengono per lo più a dalle due parti della traccia di geminazione; la rifrazione può raramente determinarsi a causa degli abbondanti prodotti secondari: nei con- fronti con il balsamo ho avuto aJ e y' < jì essendo n < <■> (3 £ del quarzo ed in confronti col quarzo in posizione incrociata ho avuto co > y' e £ > a'. Questo basta per escludere l’andesina, solo plagioclasio che col nostro poteva per le estinzioni scambiarsi, e per stabilire trattarsi di albite. Forse alcune lamine alteratissime con piccole estinzioni potrebbero riferirsi all’oligoclasio che sarebbe ad ogni modo rarissimo. I concre- scimenti fra ortose ed albite sembrano mancare. Il quarzo non molto abbondante è pieno di inclusioni specialmente fluide. La mica è sempre alteratissima: come prodotti secondari da essa derivati si hanno, clorito, limonite, ferro titanato con leucoxeno in bacinetti allungati disposti nella direzione delle tracce di sfaldatura basale. Talora anche della titanite, essa pure più o meno alterata, sembra provenire dalla mica, come certamente ne provengono epidoto e zoisite, spesso insieme associati e quello più abbondante di questa. Insieme a questi ultimi si trova sovente nelle lamine di mica, o, per dir meglio, di clorito che da essa proviene, un minerale in granuli irregolari e rotondeggianti che dubbiosamente riferisco all’ortite: ha co- lore marrone, con pleocroismo più o meno intenso sempre nelle tinte giallo -marrone. Il colore di interferenza è mascherato dalla forte colo- razione, e sembra piuttosto alto. Rilievo notevole: frequenti linee di frattura. Apatite, sovente in bei prismi, e zircone sono spesso inclusi nei principali costituenti. Limonite secondaria, che talvolta sembra deri- vare da pirite. Un altro campione pure proveniente da Oamporgiano è stato rac- colto al contatto con la diabase. E una roccia a fondo verde, con cri- stalli feldispatici bianco -verdastri ed abbondante calcite. I feldispati, molto alterati con produzione specialmente di mica, sono ortose e plagioclasio ; quest’ultimo sembra avere estinzioni pic- cole, più di oligoclasio che di albite, ma non è esattamente determi- nabile. Si ha poi una straordinaria abbondanza di clorito verdolina, poco o punto pleocroica e con birefrazione debolissima, accompagnata — 260 — da titanite alterata in leucoxeno. La clorite mostra spesso nettamente la sua origine dalla mica, della quale non restano che alcune lamine quasi irriconoscibili ricoperte da leucoxeno. Dalle grandi lamine di cìorite, si partono delle sottili apofisi che si insinuano tra i cristalli di feldispato, penetrandovi spessissimo e talvolta attraversandoli com- pletamente; tutto il feldispato è in tal modo rilegato dalla clorite. Il quarzo, come elemento originario, sembra mancare del tutto; se ne ha invece secondario, in venuzze,- insieme ad abbondante calcite. Magnetite limonitizzata in grandi masse ed in vermicolazioni. I graniti di San Donnino hanno grana variabile, ora assai gros- solana, ora minutissima, e si mostrano molto poveri di mica. Come quelli di Camporgiano, contengono ortose e plagioclasio, spesso assai alterati, che sono qui però molto frequentemente fra di loro concresciuti, tanto che potrebbe dirsi addirittura non esistere un cristallo di ortose ohe, più o meno evidentemente, non mostri di con- tenere delle lamelle plagioclasiche. Queste ultime sono in generale estremamente esili, cosicché la differenza di rifrazione tra i due minerali non si può apprezzare ed il concrescimento si manifesta con un aspetto di fibrosità che le la- mine presentano fra i nicols incrociati, dovuto alla differente tinta di polarizzazione dei due minerali. Qualche volta le lamine di plagio- clasio contenute nelFortose prendono dimensioni un poco maggiori e mostrano anche struttura polisintetica. II plagioclasio, geminato con la legge dell’albite sovente associata a quella del periclino, raramente di Oarlsbad, è generalmente albite; solo in pochi casi ho ottenuto delle estinzioni simmetriche di 3® e rifrazioni : 0) '> o! £ > Y w >y' £ > a', il che farebbe ritenere presente anche un oligoclasio acido. In ogni modo l’albite è più costante ed in maggiore quantità. Il quarzo, con i consueti caratteri e le solite inclusioni, è più fre- quente che nei campioni di Camporgiano. Abbondantemente si trova nei teldispati, e specialmente nelFortose : non è però nelle comuni forme — 261 — vermicolari, ma bensì in globuli assai grandi. Come avviene per le vermicolazioni, i vari globuli estinguono contemporaneamente e spesso nello stesso tempo di una lamina di quarzo, adiacente all’ortose, alla quale dimostrano così di appartenere. La mica è generalmente biotite molto cloritizzata con produzione dei soliti minerali titaniferi, di limonite e talora di epidoto. In alcuni campioni oltre alla mica bruna si ha della muscovite freschissima o appena verdolina, in altri infine si ha la sola muscovite. Minerali accessori, inclusi nel quarzo, neifeldispati e talvolta anche nella mica: titanite, zircone, apatite. Magnetite poca, limonitizzata. Fenomeni dovati ad azioni meccaniche, come nei graniti di Cam- porgiano. Uno solo dei campioni provenienti dal Ponte di Boza ha aspetto macroscopico di granito. E una roccia che è stata certamente soggetta a forti azioni dinamiche, come è mostrato dal minuto franbumamento dei costituenti. Contiene i soliti minerali: erbose, raramente concre- sciuto con il plagioclasiò ; albite, determinata per tale dalle sole estin- zioni, giacche essendo, come l’ortose, alteratissima, non si presta a confronti di rifrazione con il quarzo o col balsamo; quarzo, talvolta micropegmatiticamente concresciuto con i feldispati; mica, molto al- terata, specialmente in clorite; minerali accessori al solito. Altre due rocce, provenienti dalla stessa località, non hanno af- fatto aspetto macroscopico di granito e sono indicate come raccolte sul contatto con le diabasi e con le serpentine. Ai graniti però si rav- vicinano alquanto per la composizione mineralogica. La prima ha colore verdastro, con elementi spesso assai grossi di feldispato bianco- sporchi. Essa risulta costituita da un impasto molto minuto che sembra totalmente feldispatico, in mezzo al quale si tro- vano delle lamine piuttosto grandi di ortose, di plagioclasio e dei due insieme concresciuti, nonché di mica cloritizzata grandemente distorta. In certi punti V impasto suddetto cambia natura ed ai frammenti fel- dispatici si sostituiscono delle minute fibre appena verdoline e quasi estinte fra i nicols incrociati, verosimilmente di sostanza cloritica, fra le quali sembrano presenti delle granulazioni di zoisite. Ortose e — 262 — plagioclasio sono assai fortemente caolinizzati ; quest’ultimo credo sia albite per le estinzioni ohe presenta: la sua rifrazione è indetermina- bile. 11 quarzo sembra mancare. Una straordinaria abbondanza ha in questa roccia l’epidoto, che si presenta in grani spesso assai grandi ed in prismetti, appena gial- lognolo e poco pleocroico, talora associato alla zoisite. Insieme al- Tepidoto, ed in discreta quantità, è presente un altro minerale, che però non sono riuscito a determinare. Esso non mostra forma propria, modellandosi sui granuli e prismi di epidoto: è incoloro, trasparen- tissimo, privo di inclusioni, con linee di frattura irregolari e non ab- bondanti ; ha rilievo molto minore dell’epidoto e manca di sagrinatura. La birefrazione è fortissima, forse anche più che nell’epidoto; figura di interferenza biassica con angolo degli assi ottici molto grande. L’altra roccia è minutamente granulare, bianco-lattea e ruvida al tatto. Differisce da quella teste descritta per la mancanza della clo- rite e per la minor frequenza dell’epidoto pur sempre assai abbondante. I feldispati sono un po’ più freschi: per il plagioclasio, che presenta le stesse estinzioni del precedente, ho potuto vedere come x e y' sieno minori di n del balsamo. Queste due rocce, come in parte anche la prima del Ponte di Boza, potrebbero al microscopio, a prima vist^, esser prese per arenarie; tali però non le credo per varie ragioni. Si hanno, prima di tutto, delle aree dove la struttura è ancora prettamente granitica e da esse a gradi a gradi, si passa ad altre dove il frantumamento degli ele- menti diventa minutissimo. Le grandi lamine feldispatiche non hanno i contorni caratteristici dei frammenti allotigeni delle arenarie; per l’ultima descritta poi si avrebbe, fatto assai strano, che il cemento sarebbe costituito esclusivamente da materiali feldispatici. Mancano poi del tutto il quarzo e la calcite, che quasi costantemente in esso cemento si riscontrano. Stabilito dunque non trattarsi di rocce arenacee, potrebbe restare il dubbio che si avesse a che fare con prodotti di alterazione o di metamorfismo di tipi eufotidici. In tal caso, tutto il feldispato che io credo frammentario, dovrebbe, insieme all’epidoto, ritenersi derivato dal feldispato primitivo ; resterebbe però a spiegarsi la presenza delle grandi lamine di albite, certamente originarie, nonché, ciò che risolve — 263 il dubbio, dell’ortose spesso micropertiticamenfce concresciuto con l’albite stessa, identico a quello riscontrato in molti dei tipici graniti avanti descritti. La mancanza o scarsità del quarzo non è fatto nuovo per queste forme di contatto delle Alpi Apuane: abbiamo veduto infatti più sopra delle rocce di natura indubbiamente granitica che non ne presenta- vano. Neppure deve meravigliare la totale mancanza di mica o di minerali da essa derivati che si nota nell’ultimo campione descritto, visto che parecchi graniti della Garfagnana ne contengono assai poca, e che la poca presente può essere scomparsa per alterazione. Diversi graniti, mandatimi dall’ing. Franchi, provengono da Tresana, a N.O di Aulla e sulla riva destra della Magra : non sono quindi delle Alpi Apuane propriamente dette; ho creduto però di includerli in questa breve nota, sia perchè di località vicinissima alle Apuane, sia perchè appartenenti allo stesso orizzonte geologico delle rocce avanti descritte. Si possono distinguere secondo che contengono una sola mica (probabilmente biotite, ma molto alterata), due miche, e microclino. Dei primi non do una descrizione particolareggiata, essendo iden- tici ai graniti di Camporgiano e San Donnino. In un campione di granito a due miche senza microclino, di co- stituzione normale, contenente cioè ortose, albite, quarzo, biotite, mu- scovite, eoe., si trova, frequente in alcuni punti dei preparati, del granato roseo in grani e masse rotondeggianti. Nei graniti a microclino, all’abbondanza di questo minerale fa riscontro una forte diminuzione nella quantità dell’ortose. Il micro- clino è sempre freschissimo; il plagioolasio è albite, con i soliti valori di estinzione e di rifrazione; in pochi casi tali valori accennerebbero pure alla presenza di un oligoclasio piuttosto acido. Delle due miche, sempre presenti, sembra ora prevalere la muscovite, ora la biotite : spessissimo esse sono fra loro concresciute parallelamente alla base. Per il quarzo e per i minerali accessori, non si ha nessuna differenza dai tipi normali già descritti. Una roccia proveniente dal « mulino di Villa Tresana », ha, nel- l’aspetto macroscopico ed in quello microscopico, una grande analogia — 264 — con il campione raccolto a Camporgiano sul contatto con la diabase : sola differenza si ha nella presenza del quarzo che sembra mancare del tutto nella roccia della Garfagnana. Credo quindi che questa pure sia una forma di contatto. Rocce eufotidiche. Le rocce eufotidiche delle Alpi Apuane hanno tutte subito una metamorfosi più o meno intensa: fra i minerali secondari, ranfibolo ha quasi sempre una grandissima preponderanza e talvolta prevale sul feldispato stesso. Esse hanno quindi una tendenza assai spiccata a trasformarsi in anfiboliti. Anche all’esame macroscopico esse nulla più hanno dell’ eufotide: sono generalmente rocce a fondo verdastro irregolarmente punteggiato di bianco, nelle quali di rado si vedono ancora alcune lamine di pi- rosseno originario. Tutti i campioni provengono dalla Garfagnana, e precisamente dal Ponte di Boza, all’ infuori di uno solo raccolto a Falcinello, presso Sarzana. Quest’ultimo differisce macroscopicamente dagli altri, come diffe- risce per la trasformazione assai meno avanzata e forse di natura diversa. E una roccia a fondo biancastro, con grandi macchie ver- doline. In essa il plagioclasio si ritrova in grandi lamine, nelle quali però la geminazione è quasi del tutto mascherata dai prodotti secon- dari. In un caso favorevole, ho potuto determinare una estinzione sim- metrica (geminazione dell’albite) di 36’ circa alle due parti della traccia di ',010' : tale valore ci farebbe riportare il plagioclasio in parola ad una labradorite basica. Come prodotti secondari derivanti dal feldispato si hanno : zoisite in granuli e pris metti, quarzo e fel- dispato (probabilmente albile) in quantità piuttosto scarse. Dell’originario diallagio non si ha ohe qualche resto circondato da anfibolo secondario : quest’ultimo, assai abbondante, è sempre fibroso, incoloro o quasi, con aspetto più tremolitico che ur alitico. Un primo esemplare del Ponte di Boza, forma dei filoncelli nella massa serpentinosa : esso è costituito da un ammasso mal decifrabile 265 — di minerali secondari, principalmente anfìbolo aciculare incoloro, fel- dispato in granuli piccolissimi e poca zoisite. Il pirosseno monoclino originario è talvolta assai poco alterato, v'^uasi incoloro, e mostra con più evidenza le sfaldature prismatiche che non le tracce di separazione jiOOj; in qualche caso esso è ripetu- tamente geminato. Talora invece esso è in grande parte trasformato in un anfìbolo incoloro. Quasi sempre poi è contornato da un anello ora esilissimo, ora assai spesso, di un anfìbolo che credo vada riferito aH’orneblenda bruna, nettamente pleocroico dal giallognolo quasi in- coloro al bruno piuttosto carico e che spesso mostra pure la caratte- ristica losanga formata dalle tracce di sfaldatura prismatica. Oltre che come contorno del pirosseno, Torneblenda si trova anche isolata in indi- vidui non molto grandi. Credo che, come in altri casi consimili h l’or- neblenda debba esser ritenuta come minerale originario. In un secondo campione della stessa località, si ha anche maggior copia di anfìbolo secondario che in fibre minutissime costituisce con i piccoli grani feldispatici il solito impasto. La zoisite manca o è scarsissima. Il pirosseno ha qui un abito più nettamente diallagico, per le tracce secondo liOOj fitte e marcate, mentre sono meno visibili le sfaldature prismatiche: è qui pure parzialmente trasformato in anfì- bolo; questo però ha spesso una colorazione verdolina ed un pie eroismo poco marcato, ma pur sensibile. Forse tra i minerali secondari è pre- sente un poco di quarzo. Una ultima roccia della stessa località ha aspetto differente. E costituita da una massa afanitica grigio- chiara, che si risolve al mi- croscopio in un mosaico di feldispato secondario con abbondante zoisite granulare. Anfìbolo pochissimo, incoloro; qualche poco di ferro titanato. Questa roccia, che metto ultima fra le eufotidi, ma che in verità non saprei bene a qual tipo originario riferire, se ad uno sufotidico cioè, o ad uno diabasico, ha, per la struttura microscopica, una certa ^ G. PiOLTi, Gabbro orneblendico e saiissiirite di Val della Torre (Piemonte). Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, Yol. XXXIX. Adunanza del 29 maggio 1904. analogia con talune prasiniti. In essa si è avuta una metamorfosi assai più regolare e completa clie non nelle altre, sia per la totale scom- parsa del pirosseno, sia per la formazione in individui più voluminosi del feldispato secondario, sia infine per Tabbondanza della zoisite. È però da osservarsi che tanto la roccia provenga da una eufotide quanto da una diabase, bisogna ammettere che il tipo originario fosse molto povero di pirosseno, che così soltanto, mi sembra, può spie- garsi la scarsità dell’ elemento anfibolico. In quanto alla trasformazione subita dalle altre due eufotidi del Ponte di Boza sopradescritte, può constatarsi come l’impasto di mi- nerali secondari che avrebbe potuto indicarsi col nome generico di saussurite, corrisponda in realtà assai poco a ciò che propriamente con tale denominazione deve intendersi b Nella trasformazione del pirosseno, in un caso specialmente, sembrerebbe più aversi un anfibolo tremolitico che non un tipo di actinoto o di uralite. È probabile che a formare tale anfibolo, oltre al pirosseno abbia contribuito, per quanto riguarda la calce, l’originario feldispato, ed a confermare tal fatto sembrereb- bero stare la scarsità della zoisite ed il trovarsi dell’ anfibolo molto abbondante insieme al feldispato secondario sènza una apparente di- pendenza dai residui pirossenici. Bocce diabasiche. Le varie diabasi che ho esaminate, raccolte quasi tutte nella grande massa tra San Donnino e la Sala, hanno aspetto tra loro diverso prin- cipalmente per le dimensioni dei minerali che le costituiscono : si passa infatti da varietà afanitiche o quasi, ad altre nelle quali i microliti feldispatici si scorgono anche ad occhio nudo. In alcuni esemplari poi si ha un aspetto porfirico per numerosi cristalli di feldispato bian- castro, le cui dimensioni raggiungono mm. 7-8 X 4, sparsi nella massa grigio- verdastra afanitica. Anche allo studio microscopico, le differenze fra i vari campioni si limitano per lo più alle dimensioni degli elementi. La struttura è sempre la ofitica caratteristica. Le lamine di feldispato sono quasi G. Pjolti, loc. cit.j pag. 8. — 267 — sempre assai alterate e spesso tanto da non poterle determinare: la geminazione è costantemente secondo la legge dell’albite. L’estinzione si limita ora a 15°-i6° da ogni parte della linea di geminazione, ora raggiunge i 20°; nel primo caso a' e -/ comprendono l’ indice del bal- samo : si tratta sempre dunque di andesina, ma più o meno acida. Il pirosseno, di color carnicino chiaro, modellantesi sulle liste fel- dispatiche, ha tutti i caratteri dell’augite; quasi sempre si riscontra anche in piccoli prismi, ma con tale abito è poco abbondante. E spesso alterato, ma l’alterazione ha dato origine più a clorite e qualche poco di serpentino che non ad uralite: per altro, sebbene scarsa, Turalite si trova quasi costantemente. In alcuni casi, dell’originaria augite non restano che i prodotti secondari. La magnetite è quasi sempre presente ; ferro titanato spesso ab- bondantissimo a ricoprire talvolta gli individui di augite e con forme caratteristiche ; calcite, limonite ed ematite, in quantità variabili; epi- doto, titanite e venuzze di crisotilo piuttosto rari. In quanto alla diabase a struttura porfirica, raccolta al Ponte di Boza, è a dirsi come si tratti di roccia alteratissima. Il feldispato, sia del primo, sia del secondo tempo, è indeterminabile. Una roccia di color verde pisello con frequentissime vene di cal- cite, proveniente dalla solita massa tra San Donnino e la Sala, può a prima vista esser presa per una diabase atanitica. Studiandola però al microscopio si vede che se forse deriva da una diabase, non ha più nulla di tal tipo di roccia. Essa risulta costituita da un feltro minu- tissimo di aghetti di anfibolo tremolitico o actinolitico incolore o ver- dolino nel quale si notano delle laminette di clorite, della calcite in grande quantità e del leucoxeno. Feldispato secondario non se ne vede. Vari esemplari, provenienti per lo più dalla massa diabasica tra San Donnino e la Sala, sono indicati con il nome di variolite, e ad un esame sommario hanno con tale roccia molti punti di contatto. Alcuni di essi sono indicati come « parte delle bocce in cui si scompone la massa diabasica » ed hanno forma di cuneo: la base, che vi sta a rappresen- tare la parte esterna della « boccia » mostra delle sferulette della gros- sezza di un grano di miglio, di colore più chiaro di quello del fondo — 268 - che è verde-sporco scuro, talora tendente al rossastro. Venature di calcite sono frequenti. Un altro campione (Battifolle-Torrente Edron) ha invece colore rosso cupo, e sulla superfìce esterna numerose pro- tuberanze rotondeggianti della grossezza di un cecio, ohe facilmente si distaccano e che hanno la stessa composizione mineralogica della massa restante. In tutti poi sono frequenti delle macchiettine bian- castre ellittiche o circolari, spesso sostituite da piccole cavità. Al microscopio, astrazion fatta dalla maggiore o minore quantità del pigmento ocraceo, presentano tutti un aspetto quasi identico. Si ha cioè un feltro estremamente minuto di microliti feldispatici molto lunghi ed esilissimi, quasi filiformi. Per la disposizione loro, si ha tal- volta una tendenza alla fluidalità; più spesso però sono ordinati a fasci e pennelli, fino ad aversi una specie di struttura fibroso raggiata. In alcuni punti poi, tali microliti, ugualmente esili ma meno lunghi, sono orientati come nelle comuni diabasi ofitiche. Si tratta sempre di elementi feldispatici: quanto alla loro compo- sizione però è assolutamente impossibile dare un giudizio esatto e può soltanto dirsi che fi estinzione avviene ad angolo piuttosto piccolo dalla direzione di allungamentD, dal che si arguisce trattarsi di termini acidi della serie dei plagioclasi. Sovente, insieme al feldispato si ha della sostanza opalina, essa pure in filamenti o lacinie e quindi mal distinguibile dalle liste plagioclasiche. Nel dubbio potesse tale sostanza opalina aver una parte assai importante nella costituzione della roccia, feci un saggio chimico quantitativo per la silice ed ebbi una percen- tuale del 47,36. Al saggio qualitativo poi trovai abbondantissima l’al- lumina. Tutto ciò sta a provare come la roccia sia prevalentemente costituita da feldispato. Di minerali pirossenici non si ha più nulla; si trovano solo tal- volta delle piccole aree, conservanti ancora un poco il contorno cri- stallino, interamente costituite di sostanza cloritica verdolina, e che probabilmente erano in origine di pirosseno. Del resto la sostanza cloritica insieme ad un poco di serpentino,* si trova in tutti i prepa- rati sottili, sia in venuzze, sia penetrante fra gli aghetti feldispatici. Le aree circolari od ellittiche biancastre, spesso assai rare e di dimensioni variabili, non sono altro che piccole amigdale riempite ora da sostanza cloritica, ora, e più di frequente, da calcite, ora da am- — 269 - bedue tali minerali. Talvolta, nelle cavità riempite da sostanza do- ri tica quasi estinta, si ha un esile orlo esterno assai più birefran- gente. Tanto per l’aspetto esterno, e specialmente per la proprietà di separarsi in parti sferoidali, quanto per la struttura microscopica, tali rocce si avvicinano dunque assai più alle spiliti che non alle vere e proprie varioliti. In queste, per tacere di altri fatti meno caratteri- stici, dovrebbero aversi delle variole feldispatiche sparse in una massa fondamentale devetrifìcata, cosa che manca del tutto nei campioni da me studiati. D’altra parte è pur vero che nelle spiliti dovrebbe aversi un poco di vetro; ma il Rosenbusch * avverte come tal base vetrosa si riscontri quasi sempre se la roccia è « im frischen Zustande » e quelle ora esaminate sono invece molto alterate. A causa appunto di tale alterazione, e dei prodotti secondari che ne derivano, può darsi be- nissimo che il vetro sia nascosto all’osservazione. Ad ogni modo, volendo ritenere le rocce in questione di natura variolitica, bisognerebbe ammettere una tale abbondanza di sferule o variole e conseguente loro costipazione, da aver fatto scomparire del tutto la massa fondamentale. Ciò è stato ammesso dal Franchi ^ per rocce però che in altri punti avevano la struttura e la costituzione caratteristica delle varioliti. Serpentine. Provengono quasi tutte dalla Garfagnana, e specialmente da Villa Collemandina presso Castelnuovo, salvo pochi campioni raccolti a Fal- cinello (Sarzana). Per l’aspetto esterno potrebbero distinguersi in tre gruppi e cioè : Ranocchiaie, a fondo chiaro con venature irregolari verde- scuro. 2^^ Serpentine a chiazze verde-chiaro e verde-scuro. 3° Serpentine verdi-cupe nerastre con lamine lucenti di pirosseno. ^ H. Rosenbusch, Elemente der Gesteìnslehre, pag. 3B5. Stuttgart, 1898. " S. Franchi, Notizie sopra alcune metamorfosi di eiifotidi e diabasi nelle Af)i Occidentali. Boll. R. Com. geol., 1895, n. 2, pag. 192. Roma, 1895. - 270 La struttura microscopica è in tutti i tipi quella caratteristica a maglie. 11 pirosseno si mostra naturalmente assai più abbondante nelle serpentine del 3“ gruppo che non nelle altre, nelle quali anche tal- volta manca o è rappresentato da qualche lamina serpentinizzata di bastile. Il pirosseno monoclino è diallagio, quasi incoloro e spesso poco alterato: la facile divisibilità secondo 'lOJj è evidentissima; C’:c = 40^ circa. Talvolta si trovano diallagio e bastile insieme associati anche in grossi individui. In un campione di serpentina di Battifolle, il pi- rosseno si presenta con un aspetto assai differente : è in granuli rotti e serpentinizzati lungo le linee di frattura, quasi del tutto mancanti di tracce di sfaldatura e perfettamente incolori. Esso poteva facilmente esser preso per pendolo ed a risolvere il dubbio trattai i preparati sot- tili con acido cloroidrico e con acido solforico, scaldando a bagno-maria : in ambedue i casi i granuli rimasero inattaccati. La magnetite, forse insieme alla cromite, è spesso molto abbon- dante; essa si dispone in vene nelle ranocchiaie, mentre è sparsa uniformemente per tutta la massa nelle serpentine a fondo scuro. Sem- brano non mancar mai ferro titanato o leucoxeno e spesso si notano delle laminette di talco. Laboratorio di Mineralogia della R. Università di Pisa. Dicembre 1905. II. S. Franchi. — Appunti geologici sulla zona diorito-kiii' zigitica Jvrea-Verhano e sulle formazioni adiacenti. In vista della deliberata pubblicazione di una Carta di insieme delle Alpi occidentali alla scala di 1 : 400,000, nella quale si possano riassumere i risultati del rilevamento geologico eseguito negli ultimi quindici anni, la mia campagna geologica del 1905 dovette svolgersi in diverse regioni delle quali, in periodi diversi, ed anche lontani, io — 271 avevo iniziato il rilevamento, allo scopo di rilevarvi quei contorni e completarvi quelle osservazioni indispensabili, affinchè la coloritura di quella Carta potesse riuscire completa, almeno tenuto conto della piccola sua scala. E a notarsi però come in regioni di terreni cristallini e per di più molto sconvolte, dove mancano il sussidio paleontologico e quello di una qualsiasi ordinata successione, non si possa giungere a suddividere razionalmente i terreni senza un minuto e coscienzioso rilevamento di dettaglio , sussidiato da un diligente esame petrografico dei singoli tipi litologici. Solo con questi due mezzi di analisi, opportunamente coordinati, si può riescire alfine a segnare le poche linee, separanti cartografica- mente un insieme complesso di formazioni, linee semplici che costi- tuiscono il risultato ultimo e la sintesi di un lungo lavoro, al quale può talora sembrare non proporzionato il risultato raggiunto. Così a me accadde in diverse regioni di terreni cristallini e semicristallini, nelle Alpi Pennino e nelle Alpi Liguri, dove pure avendo per iscopo immediato di determinare alcuni limiti semplici in vista del completamento di quella Carta, pure dovetti scendere ai più minuti particolari, che permettessero di chiarire i rapporti ed i pos- sibili limiti tra formazioni complesse, costituite da forme litologiche svariatissime. Credo perciò utile, anziché riservarmi di farlo nella annuale rela- zione del Direttore del servizio al R. Comitato geologico, dove neces- sariamente bisogna essere brevissimi, e dove difficilmente i dati rife- riti vengono scoperti dagli studiosi, il dare, in non lunghi scritti, ma più liberi nel loro sviluppo, un cenno dei risultati ottenuti nelle regioni esplorate durante la scorsa campagna, estendendo naturalmente le mie osservazioni alle aree adiacenti, studiate negli anni precedenti. Una di queste regioni fra le più interessanti per i problemi im- portanti che vi si collegano, è quella che comprende la famosa zona dioritica d’ Ivrea, colle formazioni che con essa vengono a contatto mediato od immediato. — 272 — E tanbo più è interessante rendere di pubblica ragione i risultati finora ottenuti e le molte dubbiezze che ancora rimangono, dopo che qualche geologo credette doversi ricercare appunto in corrispondenza di tale zona dioritica d’Ivrea la radice della superiore e più inoltrata verso nord fra le falde di slittamento^ che per consenso di molti geologi, ancora ieri su questo punto di vista discordi, si verrebbero a sovrap- porre nelle prealpi elvetiche h Dell’età della zona dioritica di Ivrea noi possediamo solo un limite superiore, dato dal fatto ohe una formazione permiana ben caratterizzata, con scisti varicolori e porfidi quarziferi più o meno metamorfosati, sopportante lembi di calcari dolomìtici, si sovrappone ^ Alcuni geologi credono invece che la radice di quella falda estrema non sia necessario cercarla così lontano e la suppongono invece in corrispon- denza della zona secondaria Val Ferret, Col de la Seigne o della zona triasico-liasica di Courmayeur, delle quali la prima si addossa direttamente alle roccie gneissiche e granitiche del Monte Bianco. Uno dei metodi indiretti per decidere fra quelle due ipotesi parmi con- sista nell’ esame litologico comparativo delle roccie massicce e cristalline incluse in blocchi nell’eocene della suddetta falda e delle roccie cristalline adiacenti alla zona di Val Ferret e della massa dioritica di Ivrea e delle formazioni collaterali. I complessi litologici delle due zone sono cosi differenti, e quello deirultiraa è così caratteristico, che il raggiungimento di una soluzione del quesito, posto in quei termini, non mi sembra debba essere troppo chimerica speranza. Bisogna però notare che nella valle d’Aosta, tra la zona secondaria di Courmayeur e la zona di Ivrea, si interpongono altre due zone sinclinali di terreni secondari: 1° quella che seguendo la Valgrisanche attraversa ad Avise la Dora, od ampliandosi alle falde S.E del Mont Fallère giunge al confine svizzero attraverso l’alto bacino di Ollomont ; 2° quella che avendo grande ampiezza nella valle principale attraversa le valli di Brusson e di Valtour- nanche, e va a cingere il Monte Rosa ad ovest ed a nord, e di cui una minore biforcazione lo cinge dal lato sud attraverso le valli di Gressoney e della Sesia e, molto assottigliata, raggiunge l’Ossola. Sono due zone a facies essenzialmente calcescistosa con pietre verdi, ma vi figurano pure calcari dolomitici, camicie e gessi, sicché a priori non havvi ragione per escluderle dalle possibili radici o zone di origine di falde di slit- tamento di terreni secondari. 273 - chiaramente alle dioriti presso Montaldo Dora a nord del Lago Pistono e airintorno del Lago Nero. Poco più a nord, presso Biò, le dioriti sono separate dalla grande formazione dei micasoisti eclogitici da sottile zona di scisti di tipo permiano, che s’incunea fra le dioriti biotitiche sfumanti ivi colle anfiboliche. Solo al di là della Serva^ a nord di Donato, si osserva l'estremità sud-orientale di quell 'interessante massa porfìritica che da un lato è ad immediato contatto coi micascisti eclogitici, dei quali in vari punti, qual- cuno già notato dal G-astaldi, include numerosi blocchi, e dall’altro è separata dalla zona dioritica da una zona di potenza varia, costituita talora essenzialmente da scisti sericitici, e tal’altra da un complesso comprendente inoltre quarziti , scisti lucenti varicolori, micascisti, calcescisti, calcari cristallini e dolomitici, serpentine e prasiniti. In nessun punto esiste contatto diretto fra le due roccie eruttive; per modo che sarebbe affatto priva di fondamento la supposizione che esse rappresentino due forme litologiche per liquazione di una stessa massa eruttiva, e che debbano avere la stessa età, come si sarebbe indotti a credere dal modo in cui le due masse rocciose furono rap- presentate finora sulle carte geologiche L’estremità nord-orientale di quella massa, che non raggiunge la Valle Sesia, la si osserva all’Alpe Dolca nella valle omonima, affluente della Sessera. Più a N.E avviene direttamente il contatto fra micascisti eclogitici e una sottile zona di scisti che si addossano alle dioriti laminate e prasiniti zzate (Bocchetta della Boscarola) ; quindi fra queste ed i gneiss-Sesia, con parti eclogitiche nella Valle Grrande, e gli scisti di Rimella e Fobello nella Valle Mastellone ed oltre (Valle Strona ed Ossola). È di grande importanza però notare che appunto alla parte infe- ^ Lo studio petrografico dei tipi litologici svariatissimi di questa impor- tante massa rocciosa non è ancora compiuto, però, in molti casi, si tratta di porfiriti pirossenico-biotitiche senza olivina. Mi servirò tuttavia talora del nome di melafiro per facilità di comprensione. 19 — 214: — riore degli scisti suddetti sono i calcescisti con calcari carboniosi tabu- lari ardesiaci e lenti di calcare dolomitico, che dai pressi di San Got- tardo si estendono all’Alpe Pianelle, al crinale Strona-Mastellone ed oltre attraverso la Toce, costituendo una zona continua, che si prosegue nella stessa posizione fin presso Pinero. L’assimilazione cronologica tra i calcari dolomitici di Montaldo, come quelli di Levone, Vidracco e Rivara, certamente triasici, con quelli di Ceresito prima, poscia con quelli di Poggio Belletto Grosso e dell’Alpe Calcinone in Valle Sessera, sempre interposti fra dioriti e melafìri, in una sottile zona comprendente altri tipi litologici più o meno cristallini, sembra imporsi, per la quasi continuità della zona, che rimane come picchettata da quegli affioramenti. Tale assimilazione si è tratti pure ad affermarla fra gli affiora- menti di calcari dolomitici triasici suddetti e quelli di San Gottardo, dell’Alpe Pianelle, del crinale Mastellone-Strona e del proseguimento fin presso Finero, già indicato dal Gerlach in alcuni punti e ora rile- vato in tutto il suo sviluppo quasi ininterrotto dai miei colleghi No- varese e Stella. Un’assimilazione analoga sembra suggerita dai fatti osservati fra gii scisti di Rimella, che comprendono i calcari di San Gottardo, e gli scisti in alcuni punti molto sviluppati (come fra la valle d’Andorno e la tessera attraverso la Bocchetta omonima e presso S. Donato e Ceresito), separanti la massa porfirito-melafirica dalle dioriti al loro limite nord occidentale. Cosicché una zona permo-triasica quasi continua verrebbe ad individualizzarsi al contatto nord-occidentale della zona dioritica dTvrea, rappresentante, laminata e metamorfosata, ma pure originariamente differente, dei lembi permo- triasici che a quello si so- vrappongono ai due lati della Dora Baltea. Prima però di trattare ulteriormente dei rapporti della zona diori- tica colle formazioni adiacenti, sarà utile aprire una parentesi, per scendere a qualche analisi sulla sua costituzione litologica. I tipi roc- ciosi ond’è costituita, furono già oggetto di importanti stadi petrogra- — 275 — fìci, e per qualche parte fu già tentata la rappresentazione cartografica della loro distribuzione. Un tale compito è però assai arduo, e richie- derebbe, tanto per la difficoltà di distinguere senza averli fra mano alcuni dei differenti tipi, quanto pel fatto che esistono fra loro passaggi e sfumature, e inoltre per la straordinaria asprezza ed inospitalità delle regioni dove tale zona si sviluppa, con caratteri topomorfici distin- tissimi, un tempo che parrebbe, allo stato attuale delle conoscenze no- stre, sproporzionato allo scopo. Tuttavia alcune distinzioni più semplici fra dioriti anfiboliche e biotitiche, fra dioriti e peridotiti, fra tutte queste roccie e quelle altre in esse incluse distinte dal Porro come inclusioni acide e da Artini e Melzi " col nome di stronaliti^ sono facil- mente afferrabili nelle singole traversate. Le peridotiti anzi pel loro modo particolare di alterazione atmosferica si distinguono anche a di- stanza e se ne possono segnare con una certa approssimazione i con- torni. Cosi pure è delle stronaliti pel fatto delle frequenti zonature ed alternanze di zonarelle, alcune di colore chiaro ricche in felspato fra altre in cui prevalgono gli elementi colorati. Nell’abbozzo di carta geologica annessa al lavoro di Artini e Melzi è indicato, a nord di Yarallo, un grande sviluppo delle stronaliti e dei gabbri zonati fin oltre la Valle Strona, dove queste roccie si sostituirebbero in direzione quasi totalmente agli altri tipi. Però la questione è di vedere come cammini il limite fra stronaliti e gneiss-Strona non solo, ma di sapere se questi due tipi di roccia siano sempre gene- ticamente, mineralogicamente e geologicamente distinguibili. Ora dalle osservazioni fatte in quest’anno nell’alto Mastellone, nella comba di Rimella, in Valbella, nella Val Sabbiola ed in Val Bagnola risulta che alcuni fra i tipi più caratteristici degli gneiss Strona, gli gneiss granatiferi a sillimanite o gneiss kinzigitici sono frequentemente, e nel modo più intimo, associati colle stronaliti, non solo al limite sud-orientale della zona dioritica, ma anche al suo limite nord-occi- ^ E. Artini e Gr. Melzi, Ricerche petrorjrafiche e geologiche sulla Valsesia» Milano, 1000. — 276 — dentale (falde ovest di Monte Capio), a diretto contatto cogli scisti di Rimella. Ma vi ha di più. In tutte le carte delle Alpi Pennine è segnata a N.O della grande zona dioritica una lente dioritica minore, la cosidetta seconda zona dioritica, attraversante le alte valli Sermenza e Mastel- lone, di cui è utile esaminare la costituzione. Nella cartina suddetta Artini e Melzi la segnano come costituita da gabbri zonati e stronaliti, e nel testo la dicono costituita da « una alternanza di gabbri zonati e di stronaliti », mentre di queste si afferma la identità litologica colla grande massa di Valle Strona e colle altre 'minori sparse qua e là nella massa dioritica principale. Il che è fino ad un certo punto conforme al vero, essendo al posto di detta lente, nel . tratto da me esaminato, solo distingui- bili due masse di una c^rta importanza di roccie gabbriche, luna sopra Carcoforo, alla Cima Pianone, l’altra nel crinale fra il vallone Santa Maria e quello di Rimella, sopra l’Alpe Rossa, ed una terza di diorite alle falde S.O di Pizzo del Moro sopra l’Alpe Baranca. Il mio collega Stella rilevò una grande massa dioritica, che dalla bassa Valle Segnara si estende oltre la Valle Anzasca, massa che farebbe pure parte della 2^ zona. In tutto il rimanente da me studiato di quella lente, a con. fini molto convenzionali e diversi dai fin qui indicati, non sono che stronaliti (kinzigiti pr. parte) e scisti che dirò kinzigitici e degli gneiss biotitici a sillimanite e granato (gneiss kinzigitici), sotto nessun rap- porto distinguibili da quelli ohe predominano in alcune regioni in mezzo alla zona dioritica principale (1. s.) ; per esempio in Valle Strona, siccome è anche chiaramente affermato da Artini e Melzi, i quali de- dicano appunto un sottooapitolo allo studio delle stronaliti della Val Mastellone. Ivi sono distinti due tipi « passanti gradualmente Timo airaltro, del resto alternanti e non localizzati », il primo di stronaliti biotitiche con poca sillimanite^ con abbondante andesina acida, scarso ortoclasio e raro microclino ed albite, con abbondanti quarzo e biotite e scarsi sillimanite e rutilo; un secondo tipo a sillimanite, come elemento — 277 — essenziale, ed a granato con felspati acidi predominanti, e quarzo abbondante. Vi debbono naturalmente essere, stando airaffermato passaggio, fcd io ne osservai numerosi banchi in molti punti nell’alta Valle Ma stellone e nel vallone di Santa Maria, dei tipi a biotite, granato e sillimanite, identici perciò agli gneiss kinzigitici dei cosidetti gneiss- Stìona. Poiché in questi oltre ai micascisti a sillimanite ed alle nu- merose forme litologiche enumerate e diligentemente descritte da Ar- tini e Melzi, sono frequenti numerosissimi tipi di roccie gneissiche a granato, sillimanite^ biotite e grafita, passanti soventi a vere kinzigiti di aspetto più o meno massiccio. Anzi in alcune regioni, come ad esempio tra la valle di Camasco e la Valle Sesia i cosiddetti gneiss Strona in tutta lo loro larghezza (4o5km.) fra le dioriti ed i graniti, sono essenzialmente costituiti di roccie gneissiche, in cui sono sempre elementi importanti biotite, granato e sillimanite; la quale ultima in alcuni punti forma spalma- ture e straterelli discontinui, grossi alcuni millimetri. Aggiungo come una delle caratteristiche degli gneiss-Strona nelle parti della Valle Sesia da me studiate sia la presenza costante di gra- fite cristallina, il più delle volte macroscopica, come lo è delle roccie analoghe che ne sono la prosecuzione, le quali, come vedemmo, si sostituiscono alla grande massa dioritica ed includono le minori masse di dette roccie in Valle Strona ^ Del pari riccamente grafitiche e colle stesse modalità ed identici caratteri, sono molte roccie (tolte le dio- riti, le noriti ed i gabbri) che costituiscono la seconda minore zona. A considerare come genericamente diverse dalle dioriti e noriti le stronaliti, che vi si trovano incluse in ristrette zone, sembrano opporsi i passaggi sfumati dalle une alle altre, non meno ohe le fre- quenti intercalazioni di roccie dioritiche in quelle stronalitiche, come si osserva in Valle Strona, in Val Sab biola, in Val Bagnola ed altrove ^ V. ^N'ovarese, La grafite nelle Alpi Piemontef^i. Atti Acc. Se. di Torico (1904-1905), pag. 12, estratto. — 278 — Però noi osserviamo le stesse sfumature fra calcefìri e le roccie diorito-noritiche, come fra calcefìri e roccie stronalitiche, come fra calcefìri infine e gneiss-Strona nel senso dei precedenti osservatori. E fra i calcefìri dei diversi giacimenti non sembra siavi difìferenza essenziale osservabile malgrado la grande varietà di costituzione mi- neralogica. Anzi, i calcefìri oltre che sfumare con quelle roccie certamente eruttive, contengono sparsi in tutta la loro massa molti dei loro minerali costitutivi; come miche, pirosseni monoclini ed ortorombici, olivina, anfìbolo, con grafite cristallina, talora macroscopica, che non manca mai. Fondandosi su questi rapporti, ritenuto che nessuno oserebbe dubitare dell’origine sedimentaria dei calcefìri, non sarebbe infondata la deduzione che le stronaliti associatevi siano di origine sedimentare- metamorfìca, al par di essi e degli gneiss -Strona. E l’analogia dei rap- porti fra calcefìri e roccie norito-dioritiche da un lato e fra queste e le stronaliti incluse dall’altro, toglierebbe ogni valore all’argomento delle modalità nei contatti per sfumature e parziale comunione di costituenti mineralogici, per chi volesse dedurne la natura eruttiva delle stronaliti stesse. D’altra parte delle stronaliti tipiche si trovano fra gli gneiss Strona anche a qualche centinaio di metri di distanza dalle dioriti, ivi asso- ciate a stronaliti cordieritiche ed a kinzigiti, come ad esempio le stronaliti a quarzo, felspato, granato, sillimanite e grafite della costa a mezzodì dell’Alpe Noveis presso Coggiola e presso Drano (Parone). Nè parmi sufficiente, se pure in molti casi, ma non sempre pro- vato, l’argomento dell’assenza dell’ andalu site e della cordierite per ne- gare che le stronaliti possano avere un’origine metamorfica, ed ajfìer- marne invece quella per liquazione stratiforme dal magma diorito- noritico. La piccola massa di roccia ricca in cordierite, già studiata da Artini e Mei zi, che si trova inclusa in piena diorite presso San Giovanni (Varallo), a circa un chilometro dal limite di questa coi gneiss-Strona, non si potrebbe forse litologicamente considerarla come una stronalite di costituzione un po’ diversa dalle altre? In tal caso vi sarebbe un esempio di stronalite contenente cor- dierite, inclusa nella diorite. Ma il fatto più saliente e di valore indiscutibile è quello risultante dai rilevamenti combinati delle valli Strona, Sabbiola, Bugnola e Valbella, cioè: la identità, per continuità di massa^tra gli gneiss -Strona delle valli Sabbiola, Bagnala e Sesia e la zona di stronaliti tipiche di Valle Strana^ dalla quale loro venne il nome^ le quali vennero finora, a seguito del Gerlaoh, incluse nella zona dioritica \ Come formazione stronaliti e gneiss- Strona sono adunque una stessa cosa. Il che risulta pure evidente dall’attento esame del complesso petrografico, quando non ci lasciamo fuorviare dal differente sviluppo dei singoli tipi lito- logici passando da una valle a quella adiacente. Tutti questi fatti stabiliscono come dei rapporti di consangui- neità fra stronaliti e gneiss-Strona, in forza dei quali, a meno che non si vogliano considerare come equivalenti dal punto di vista genetico dioriti, stronaliti e kinzigiti e tutti gli gneiss-Strona, bisognerà sotto quel punto di vista separare dioriti, gabbri e noriti, ecc , cioè tutte le roccie evidentemente eruttive e assai probabilmente gli gneiss an' fibolici e pirossenici dalle stronaliti e dagli gneiss kinzigitici. A quelle forse si potrebbe come a questi attribuire una origine metamorfica. Se questa conclusione può suscitare obiezioni per le stronaliti intercalate fra le dioriti in sottili zone con esse sfumanti, essa parrà meno arrischiata per quelle intercalate negli gneiss kinzigitici ed altri, costituenti il complesso degli gneiss-Strona, e sembrerà per contro ^ Il Parona, come già prima il Gerlach, riconobbe la difficoltà di segnare un limite fra dioriti e gneiss Strona, ed anche Artini e Melzi riconoscono come un po’ arbitrari i limiti della 2^ zona. 11 Parona, a pag. 56 del suo lavoro Valsesia e Lago (LOrta, parlando di un profilo lungo la Valle Strona, dice testualmente: « un limite fra lo gneiss e l’amfibolite non si può fissare, perchè strati e zone delFuna e dell’altra roccia si alternano ripetutamente ». — 280 - una deduzione logicamente necessaria, corrispondente ai fatti osservati, ove si consideri che al posto della cosidetta seconda lente dioritica, sono sviluppatissime forme di passaggio da scisti grafìtici assai poco cristallini a delle roccie sempre più distintamente cristalline, con sempre crescente sviluppo di granato, biotite, sillimanite e grafite, e talora con felspato e quarzo, abbondanti o prevalenti, cioè a vari tipi di kinzigite. Per causa di questo fatto è assai diffìcile segnare un limite fra gli scisti di Rimella e la seconda zona di stronaliti e scisti stronali- tici, in cui fìgurano, come dissi, lenti isolate e limitate di roccie gab- briche e diori tiche. Comunque sia delle idee teoriche alle quali si sarà condotti sulla genesi e natura delle stronaliti dal loro studio defìnitivo, noi dob- biamo ritenere non solo assai artifìcioso, ma erroneo il limite indicato fra la zona ritenuta massiccia e gli gneiss - Strona a nord di Cervarolo, parallelamente alla Valle Sabbiola, perchè gli strati delle roccie gneis- sico-granatifere che si giustappongono alle dioriti sul crinale di Massa- Fontanelli, con direzione pressoché N-S, ripiegano verso N.N.O sopra Massera, verso N-0 tra Montata ed Erbareti e nella, aspra cresta a nord di Cima Pasarola, per prendere direzione E-0 all’Alpe Pia- nacela in Yalbella e quella S.0.0 alle falde di M. Castello, il cui alto e frastagliato crinale è costituito da roccie massiccie basiche. Così una grande massa di gneiss^ Strona viene come ad avvolgere le roccie dioritiche della grande massa ^ alle quali si sovrappone e nelle quali in parte si incunea, mentre la rimanente parte, includendo lenti di assai limitata potenza di dioriti anfìboliche zonate e quella più importante della Cima di Cengio coll’adiacente massa Iherzolitica Alpe del Lago-Colle dei Rossi, volge con direzioni varie fra N.N.E e N.E al crinale della Valle Strona. ^ La zona dioritica come massa eruttiva, comprendente molti tipi litologici, è molto unitaria nella tratta S.O della Valle Sesia ; tiittaAÙa le iiitercalnzioni di roccie del gruppo delle stronaliti non sono rare. Cito ad esempio quelle a V.O della città d’Ivrea, ad ovest del lago San Michele, della Valle Sessera sopra il Santuario del Cavaliere, dei pressi di Trivero, ecc. — esi - r- Per questa disposizione e distribuzione delle diverse masse roc- ciose è possibile dallo gneiss- Strana presso Cervarolo, per Massera, Sa- laro, Erbareti, l’Alpe Campo e il M. Capìo, giungere agli scisti di Ri- mella stando sempre sulle roccie gneissiche (kinzigitiche e stronalitiche), e lasciando sempre alla propria sinistra la grande massa dioritica, il cui affioramento sarebbe completamente interrotto^ prima di raggiungere la Valle Strana. Le Iherzoliti Alpe Laghetto -Colle dei Rossi, comprendenti le ben note masse di pirrotina nichelifera delle miniere del Laghetto, colle adiacenti dioriti anfiboliche del Omo, non costituiscono che una delle tante » masse lenticolari di roccie massiccie basiche, assai estese rispetto alla loro limitata potenza, che si intercalano agli gneiss kinzigitici contenenti banchi di cipollino. Era esse sono particolarmente notevoli quelle di M. Massone, di M. La Massa e della Valle Bagnola, delle miniere di questo nome, di M. Ostano, di Cima del Camossaro, ecc. Questi risultati cartografici del mio rilevamento del corrente anno concordano con quelli del i90d in Valle Strona del mio collega Nova- rese, di cui è dato un breve resoconto nella Relazione al R. Comitato geologico nella riunione del luglio 190d b e concorrono con quelli dei miei colleghi Novarese e Stella, raccolti pure quest’anno, a modificare profondamente i limiti della zona d’Ivrea nella sua parte più orien- tale; e, quello che più monta, a darci un diverso concetto della sua essenziale costituzione litologica e della sua funzione nella tettonica delle Alpi Pennine. La zona dioritica, non si potrà continuare a chia- marla così, dopo che è provata la pluralità degli elementi onde è costituita; essa forma cogli gneiss-Strona un tutto geneticamente com- plesso ma tettonicamente unitario ed inscindibile. Si tratta in sostanza d’una massa di roccie gneissiche con inter- calazioni lenticolari di roccie dioritiche, gabbriche e Iherzolitiche. E siccome gli gneiss kinzigitici costituiscono la caratteristica saliente della formazione gneissica, l’insieme si potrebbe chiamare zona dio- ^ Boll. R. Com. geol. 1905, fase. 2, Atti uff., pag. 31 e 32. — 282 — r ito -kiìizig 'dica Ivrea-Verhano^ onde sia afiPermata con un nome nuovo, comprendente Tantico, la nuova funzione che assume la principale grande massa dioritica, insieme alle minori ed alle roccie associate, nella geologia delle Alpi occidentali. Non è più naturalmente il caso di parlare di quella come limite di due formazioni diverse, o di due sistemi montuosi, nè di conside- rarla quale enorme dicco intrusosi in una immane frattura, concetto questo suggerito dalla forma lenticolore allungata, quale era finora indicata nella cartografia. Ritorniamo ora all’esame delle zone collaterali a quelle dioritiche. Un’altra questione non meno ardua la cui soluzione ci presenta ancora molti punti interrogativi, è quella della interpretazione seriale cronologica e tettonica della zona dioribo-kinzigitica in parola e delle masse e zone rocciose adiacenti. A sud della zona suddetta si conosce l’età antetriasica dei porfidi e dei graniti, ^ i quali ultimi iniettarono e metamorfosai ono la zona di roccie gneissiche la quale non solo si trova al contatto diretto colle roccie dioritiche, ma le include in numerose intercalazioni. L’età antetriasica della suddetta zona gneissica (gneiss-Strona) e delle roccie diorito-noritiche intercalate sarebbe già per questo solo fatto provata. ^ Il Trias non ricopre in nessun punto i graniti nella bassa Val Sesia, ma dalla osservazione, sopra lunga ostensione, dalla Val Sessera ai pressi di Masse- rano, del contatto fra graniti e porfidi, fra i quali non esiste mai alcun pas- saggio, interponendosi anzi in vari punti sottili striscio di micascisti, come a Guardabosone od a Pray, non risulta in nessun punto l’esistenza di intrusioni del granito nel porfido. Per contro in diversi punti mi parve chiara Fintrusiono dei porfidi nei graniti presso le case S. Bononio; e vicino al Monte Bacala la pre- senza di porfidi in piena massa granitica a qualche distanza dal contatto non parvemi potersi spiegare che come dovuta a dei dicchi di quelle prime roccie nelle seconde. Io penso perciò che i porfidi possano rappresentare una venuta susseguente, a non grande intervallo, a quella dei graniti. Pure il Gerlach con- siderava come coetanei graniti e porfidi. — 283 — Ma altri argomenti confermano questo limite superiore delfetà delle dioriti e permettono di abbassarlo, e questi sono forniti dal modo di sovrapposizione anziaccennato dei porfidi di tipo permiano con scisti di colore e natura varii dei pressi di Montaldo Dora. Quivi fra la pianura, il Lago Pistono (ancora tutto scavato nelle dioriti), la punta Montesino (la cui cima è ancora in diorite) ed il Lago Nero, che solo in un breve lato a nord ha le sue sponde in diorite mentre il resto è scavato negli scisti di cui sto per parlare, ha discreto sviluppo una formazione con scisti lucenti verdi bigi, ros- signi, scisti ad elementi di porfidi, porfiriti verdi, porfidi schietti rossi e verdi e porfidi laminati e sericitizzati, i quali, pei loro caratteri litologici e per la loro sottoposizione a varie masse di calcari dolo- mitici di tipo triasico, si possono affermare come certamente equiva- lenti al permiano di molte altre regioni delle Alpi, e specialmente delle Alpi Liguri. A nord del Lago Pistono sono scisti lucenti calcariferi con len- ticciuole di calcari bigi a grana fina, ricordanti certe forme litolo- giche dell’eocene ; però non trovai in alcun punto argomenti per separarle dal resto della formazione complessa ohe si sovrappone alle dioriti. Tali scisti ricordano pure d’altronde quelli dei dintorni di San Grot- tardo, associati coi calcari ardesiaci. Noi possiamo, adunque, affermare l’età antepermiana della zona diorito-kinzigitica. Ma mentre che dal lato sud della maggiore massa dioritica si trova la continuazione della complessa, ma pure unitaria zona diorito- kinzigitica, al contatto nord noi osserviamo da regione a regione delle successioni molto differenti, che credo valga la pena di esaminare brevemente, per la tratta da me rilevata fra la Dora Riparia ed il crinale Mastellone-Strona, sopra un’estensione di 50 chilometri circa. Presso Montaldo scisti e porfidi del Permiano e calcari del Trias si sovrappongono, come fu detto, alle dioriti ad una certa distanza dal limite di queste; ma presso Biò (Borgofranco) dove, la Serra attaccan- — 284 — dosi al monte, il morenico ricopre la roccia in posto, due sottili stri- scio di scisti che pure ascriverei al Permiano s’incuneano nelle dioriti per modo che la maggiore di esse separa queste ultime dai micascisti eclogitici. Al di là della Serra, ai due lati del T. Yiona, presso Donato e a nord di Ceresito, una zona di scisti larga circa 150 m. separa le dioriti dai micascisti eclogitici. Solo a nord del Poggio Martino (Ce- resito) tra quegli scisti ed i micascisti suddetti si osserva un primo più occidentale spuntone di tufi di quella roccia il cui esteso affio- ramento figurava già nelle carte manoscritte del Gastaldi ed i cui limiti furono tratti dalla carta manoscritta del Biellese di Q. Sella, G. Berruti e L. Bruno. Un altro affioramento assai limitato di esso, con struttura di al- terazione sferoidale, si ha ad ovest di C. Candorno, nell’incisione del R. Grò, lungo il quale affiorano più in -basso su ristretta superficie degli scisti come quelli di Donato. Poscia grandi falde conoidali di quartenario antico ricoprono per un certo tratto (2 km.) le roccie in posto, delle quali si osserva solo bene la successione più a N.O nel contrafforte tra il rio Strusa ed il rio Ara. Ivi la serie è la seguente: Micascisti eclogitici della grande formazione \ Melafiri (porfiriti biotitico-pirosseniche) (m. 150 a 200). Scisti verdi con ciottoli di quarzo, micascisti, quarziti (m. 20 a 50). Serpentine con croste prasinitiche, attraversate da un filone di 1 m. di bellissima porfirite anfibolica (m. 25 a 60). ^ Vedi per la definizione di questa formazione i seguenti lavori : A. Stella, Relazione sul rilevamento eseguito nel 1893 siilPAlpi occidentali. Boll. R. Com. geol. 1894, pag. 343. S. Franchi, Sopra alcuni giacimenti di roccie giudei tiche nelle Alpi occi- dentali e nelV Appennino ligure. Boll. R. Com. geol., anno 1901, n. 1. Id., JJeher Feldspath-Uralitisirung der Natron-Thonerde-Pgroxene ans den eklogitischen Glimmerschiefern der Gebirge vm Biella. IN”. Jalir. f. Min. etc. Jalirg. 1902, Bd. II. Dioriti anfìboliche (200 m.) sfumanti rapidamente colla massa delle dioriti biotitiche. Notisi che un profilo analogo, ma meno chiaro, si osserva a nord del cimitero di Ceresito, dove fra gli scisti, che suppongo permiani, e le dioriti si interpongono scisti verdi e viola con quarziti e lentic- ciuole di calcare dolomitico di tipo triasico. Manca però la serpentina, la quale non riappare che più a N.E, presso Pollone. Da San Carlo sopra Draglia all’Alpe Dolca ad ovest della Boc- chetta della Boscarola, la massa melafirica, non mai interrotta nel suo affioramento, salvo che dalle alluvioni dei torrenti o da ristrette falde detritiche, con potenze varie di pochi metri (solo in qualche punto presso Passobreve) a 390 o 400 metri (a nord del torrente Oropa e presso la Bocchetta di Sessera), si mostra quasi sempre a diretto con- tatto coi micascisti eclogitici, dei quali in molti punti include nu- merosi blocchi. Sotto questo riguardo notevole è la trincea della strada carrozzabile di Oropa presso C. Nuova, località già nota al Gastaldi \ Il contatto diretto non esiste solo per breve tratto presso Case Monture a N.E delle quali una massa di serpentina grossa 50 m. ed estesa 100 m. si interpone fra micascisti e melafiri. Oltre agli inclusi di blocchi di micascisti servono a darci un’idea dei rapporti fra micascisti e melafiri dei tufi e delle ceneri stratificate che, collo spessore di qualche metro, si interpongono fra di essi, poco a monte di Case Valle, sulla riva sinistra del torrente Oropa ad ovest di Favaro. Siccome già accennai, a contatto dei melafiri colle dioriti si rios- servano presso Pollone delle serpentine, le quali prendono un certo sviluppo attraverso la valle di Oropa fin presso la valle del Cervo (Andorno), presentando presso Favaro una potenza di almeno 150 m. ^ Il limite meridionale dei micascisti eclogitici cade proprio alla sella della Boscarola, e piccole masse di eclogiti in posto si osservano sulla mulattiera presso i ruderi quotati 1386, e nella falda diruta ad est dell’Alpe Comparient. Tale limite in qualcuna delle carte pubblicate cadrebbe circa un chilometro ad occidente del vero. In tali serpentine presso Favaro sono attivate importanti cave di pietrisco. Ai casali Favaro di là notansi diverse sottili lenti di mi- cascisti nelle serpentine ed una sottile ne esiste al contatto fra ser- pentine e melafiri. Tra Graglia e Pollone, nel tratto in cui non esistono le serpen- tine, tra melafiri e dioriti affiorano micascisti e prasiniti in sottili fascio, ed apparentemente concordanti coi limiti di quelle masse. A nord di Passobreve tra melafiri e dioriti si sviluppa una po- tente zona di scisti come quelli di Donato, la quale tra la Bocchetta di Sessera e Monte Marco è potente oltre a 150 m. Scisti analoghi passanti a delle forme gneissiche, e presentanti insensibili passaggi a forme di dioriti laminate, si osservano tra la Sessera e la Dolca, e presso la Bocchetta della Boscarola, nel primo tratto separati da calcari dolomitici e da scisti varicolori dai melafiri, nel secondo separanti micascisti eclogitici ^ dalle dioriti. Punti notevoli pe calcari dolomitici e per gli scisti varicolori di tipo triasico, identici a quelli di Ceresito sono quelli già citati avanti la sella del Poggio Selletto Grosso, la sella sotto l’Alpe Calcinone (^nome preso dalia massa calcare) e la mulattiera a N.E di Alpe Coramala. Nella discesa dalla Bocchetta della Boscarola a Scopello, presso l’Alpe Oro del Torno, si vedono sovrapposti alle dioriti laminate e prasinitizzate scisti quarzitici lucenti, calcescisti e calcari neri in sottili banchi, che io credo doversi indubbiamente ritenere come rappresen- tanti dei calcari dolomitici e degli scisti lucenti dei punti preceden- temente indicati. Notevole è la presenza di un piccolo affioramento di serpentina in piena diorite, colla quale notai in un punto superiormente un con- tatto brusco, meccanico sulla sinistra del torrente Boscarola e nel basso proprio ad est della cappella di San Carlo. ^ Ivi, come in altri punti presso Piana del Ponte in Valle Sessera, gli in- globamenti di micascisti nei tufi porfiritici sono numerosi, non dal lato del contatto dei melafiri coi micascisti eclogitici, ma dal lato opposto. Le dioriti con forme laminate tra Scopello (Valle Sesia) e la Valle Sermenza vengono a diretto contatto con micascisti, i quali alle falde sud del Colmetto di Scotto presentano ancora frequenti lenticciuole di pirosseniti cloromelanitiche e di eclogiti, le quali dimo- strano la continuità loro coi micascisti eclogitici più nettamente carat- terizzati della Valle Sessera e del Biellese. A questi micascisti, a poco più di un chilometro di distanza dal limite delle dioriti, si associano varie forme di gneiss occhiadini tabulari (Boccioleto, Punta della Ter- ruggia) nel cui complesso concordantemente si inseriscono le masse ortogneissiche con forme granitoidi e protoginiche della Testa di Frasso e dei Monte Ventolaro ^ Seguiamo ancora più oltre le roccie che si trovano al limite nord- occidentale delle dioriti. Fra Pizzo di Tracciora e la Cima di Lavaggio, nel contrafforte tra il vallone di Meula (Mastellone) e la Val Sermenza, al punto 1551 cade il limite delle dioriti con roccie peridotiche. E le roccie che ven- gono al contatto sono micascisti con intercalazioni di gneiss. Nel vallone di Meula, ad ovest della sella Camplasso ed a Cervatto si interpone fra dioriti e gneiss, in sottile zona, la formazione scistosa nota sotto il nome di scisti di Fobello e Rimella, la quale nei dintorni di questo ultimo abitato assume la sua massima potenza, e fu già cartograficamente indicata dal Parona ^ e da Artini e Melzi. Nel vallone di Meula a poca distanza dal contatto sono diverse masse non potenti di serpentine in cui si intercalano specie di calce- scisti con minerale micaceo verde (fuchsite?); seguono poscia stro- naliti associate con scisti lucenti analoghi a quelli di Rimella. E in questa zona di scisti che è concordantemente inclusa Ifimpor- tante zona di calcari con calcescisti e filladi di San Gottardo (Rimella) il cui affioramento osservasi dai pressi della borgata Sella (a S. e S.O) ^ Queste masse protoginiche o granitoidi si collegano direttamente con quelle dì Campertogno, di Piede, di Mollia e sono le equivalenti di quelle di Passa e Rassetta, dove figurano tipi granitici schietti. ^ C, F. Parona, Valsesia e Lago d’Orta. Milano,- 1886. — 288 - allo spiovente di Val Strona. Presso Sella fra gli scisti lucenti affio- rano solo pochi calcescisti, ma attorno e sotto l’abitato di San Grot- tardo calcari bigio-nerastri ardesiaci, dolomitici secondo Cossa \ e cal- cescisti e fìlladi più o meno calcarifere ; e più ad est presso l'Alpe Pia- nelle ed allo spiovente suddetto sono nei calcescisti piccole lenti di calcari dolomitici bigi compatti o brecciati, con albite scura. La pro- secuzione di questa zona calcareo-calcescistosa nella Valle Strona è indicata da Novarese al passo d’Issola ed al lago di Ravinella ^ e fu notata presso Finero dal Porro. I colleghi Novarese e Stella mi in- formano che oltre Toce quella zona si può dire continua e sempre in- clusa nei suddetti scisti di Rimella. I caratteri litologici di questi calcescisti e calcari, tanto diversi dalle roccie calcaree che, sotto forma di calcefìri, appaiono frequente- mente nei micascisti eclogitici e negli stessi scisti di Rimella da uniate e negli gneiss-Strona dall’altro, ci inducono a ritenerli come qualche cosa di assai distinto dalla formazioni adiacenti ; e la quasi continuità di questa zona scistoso-calcarea, picchettata da tanti affioramenti in analoga posizione, successivamente rispetto agli scisti di Montaldo Dora, di Donato, di Ceresito, di Passobreve e della Valle Sessera, di Fobello, di Rimella, di Campello, eoe., colle analogie litologiche pa- iommi sufficienti argomenti per ritenerla triasioa come i calcari di Montaldo. L’età triasica dei calcari di San Gottardo fu già d’altronde ammessa dal Tarameli! e dal Parona. —, E analogamente sembra probabile l’età permiana della zona di scisti coi quali essa si accompagna. Pure di età permiana o triasica dovrebbero essere le quarziti sericitiohe, i micascisti, le prasiniti e le serpentine, che in mancanza degli scisti e calcari suddetti si trovano interposti fra i melafìri e le dioriti. E poiché sembra fuor di dubbio che la serie sia ascendente dagli gneiss-Strona alle dioriti della grande massa, agli scisti di Rimella ed ^ C. P. Parona, L. c. ^ Boll. R. Com. geol., 1905, Atti uff. 289 - ai calcari, e dalle dioriti agli altri scisti suddetti, ed è certo che la serie è pure ascendente dai micascisti eclogitici ai melafiri, ed a quanto pare agli scisti di Donato, Ceresito e Val Sessera, noi siamo quasi ridotti al riconoscimento di una zona sinclinale permo-triasica fra melafiri e dioriti, e, dove quelli cessano, fra micascisti eclogitici o fra gneiss-Sesia ovvero fra la seconda zona dioritica successivamente da un lato e la zona dioritica principale e gli gneiss kinzigitici (Monte Capio) dalFaltro. D’altra parte l’identità litologica complessiva affermata dai pre- cedenti osservatori e da me confermata fra la e la 2"^ zona dio- ritica, ci porta naturalmente ad ammettere: o l’equivalenza strati- grafica delle due zone, ovvero l’esistenza di una successione continua dall’una all’altra. Ma esclusa questa ipotesi per quanto si disse preceden- temente sull’età assai probabile di parte degli scisti e dei calcari, non rimarrebbe che l’ipotesi dell’equivalenza, colla disposizione sinclinale fra di esse, di parte degli scisti di Rimella e della zona calcarea. L’ipotesi che la supposta zona permo-triasica sia il risultato del deposito avvenuto in una insenatura verificatasi per erosione al con- tatto fra dioriti e la massa Sesia -Val di Danzo (micascisti eclogitici e gneiss-Sesia) sopra una estensione di circa ISO km. non mi sembra molto soddisfacente, nè da prendersi in considerazione. Come appare le cose sono tutt’altro che semplici ; e le variazioni late- rali nella costituzione litologica della grande formazione cristallina che sta a N.O del complesso delle dioriti, scisti, calcari e melafiri, ed a sud della zona di pietre verdi Gressoney-Alagna, nonché l’incunearsi di grandi fasci di strati, che vengono come a raccordarsi a quel limite delle dioriti, complicano per modo la struttura complessiva della re- gione, che una soluzione tettonica soddisfacente non pare ancora ai di nostri raggiungibile. Per di più i cosidetti scisti di P.imella, analizzati un po’ minuta- mente, nella complessa loro costituzione litologica, lasciano molti dubbi sulla loro età permiana, che pare invece tanto verosimile se non ne consideriamo che alcuni tipi litologici e la posizione in rapporto colla zona calcarea, per la quale l’età triasica non pare su- 20 — 290 — scettibile di forti obbiezioni. Difetti in mezzo alle forme scistose fib ladiche, talora grafìtiche, che nulla impedirebbe di ritenere apparte- nenti ad un terreno immediatamente inferiore alle roccie calcaree, si intercalano dioriti, gneiss bindellini ed occhiolati e delle piccole lenti di roccie granitoidi ed aplitiche, soventi laminate e profondamente alterate. Questi fatti e la poco netta delimitazione della zona degli scisti in parola con la seconda zona diorito-kinzigitica fanno si che la loro attribuzione in massa al Permiano sia da ritenersi m.olto dubbia. Sarà utile tuttavia dare un resoconto sommario dei risultati ai quali si è giunti, ed indicare quale siano le questioni da risolvere. I micascisti eclogitici, formazione complessa caratterizzata dalla presenza di granato e di pirosse ni sodici, nonché da lenti di eclogiti di tipi diversissimi, con lenticciuole di calcefìri, è assai distinta dal complesso della zona delle pietre verdi, in senso stretto, e si sviluppa attraverso la valle della Dora Baltea, le valli del Lys, del Cervo e Valle Sessera, raggiungendo in molti punti la Valle Sesia conservando sempre la sua particolare fìsionomia. Esso però è lateralmente, e in modo non del tutto chiaro, sostituita verso il suo limite nord, al con- tatto della zona di pietre verdi che cinge a sud il Monte Rosa, e si collega attraverso la valle della Dora e la valle di Challant colia zona cartografìcamente tanto nota di G-ressoney, Alagna, Rima, Oarcoforo, Baranca, ecc., da una zona di gneiss, la cui ampiezza aumenta procedendo verso oriente fìno a sostituirla completamente o quasi in Valle Sesia. In quella formazione si intrudono le interessanti masse delle dioriti di Brosso e delle sieniti di Biella con belle zone di contatto, e numerosissimi filoni di porfìriti anfiboliche in tutta la sua estensione, dalla valle del Lys alle prealpi biellesi. Di queste rocce si trovano fìloni nelle dioriti stesse in diversi punti presso Biella e presso Varallo (prò parte spessartiti di Artini e Melzi) h h Le roccie dei filoni notati nelle dioriti sono di diversi tipi, acide e basiche. Fra quelle acide conviene ricordare la roccia corindonifera studiata dal Cessa e che, secondo Q. Sella, è in filoni nella località Foggia in Valle Sessera. Chi — 291 — Così, ael senso delle direzioni degli strati, senza che siano av- vertibili contatti fra due formazioni dilierenti, ad oriente di una linea ancora molto mal definita, Issi me. Cima tre Vescovi, alta Valle Ar- togna, alta Valle Sorba, alta Valle Dolca, Scopello, Boccioleto, si os- serva il passaggio dai micascisti suddetti ad una formazione gneissico- micascistosa di aspetto e costituzione litologica molto differente, quella denominata gneiss-^esia da Gerlach, da Parona e da Artini e Melzi. Questi autori nel loro abbozzo geologico e nel profilo 1 (1. c. Tav. I e II) distinguono dagli gneiss-Sesia certi micascisti granatiferi che indicano penetrare in Valle Sesia fra il Corno Posso e la Boc- chetta del Croso, fiancheggiati da calcari e pietre verdi; e malgrado le difficoltà che essi riconoscono nel fare quella distinzione, essi credono non improbabile trattarsi « di una anticlinale rovesciata di questa formazione (micascisti granatiferi), affiorante sotto lo gneiss-Sesia, sotto il quale si tuffa poi verso N.E ». Il passaggio dai micascisti eclogitici agli gneiss-Sesia sembra farsi però lateralmente, per incuneamento di strati dei due tipi, ed una qual- siasi separazione cronologica fra le due formazioni non ci sembrerebbe basata sopra alcun fatto positivo. La massa di micascisti eclogitici del M. Comparient che ad ovest della Bocchetta della Boscarola si addossa alle dioriti laminato, ed ha dei rappresentanti oltre Sesia a N.E di Scopello, rappresenterebbe uno di questi incuneamenti. Non è qui mio scopo sollevare tutte le questioni di complicata ed astrusa tettonica che affetta il complesso degli gneiss Sesia o meglio la zona Sesia- Val di Lanzo, ma solo di indicarne le principali varia- zioni di limiti, che segnano un reale progresso sulle carte precedenti. Nella Relazione al R. Gomitato geologico pel 1903, fu accennato alle masse di gneiss granitici e protoginici, con locali forme massiccie scrive notò poi vari filoni di roccie essenzialmente plagioclasiche in vari punti della Valle Mastellone. Di roccie basiche oltre i frequenti filoni di spessartiti sonvene di roccie dioritiche a piccoli ed a grandi elementi, con potenza da pochi centimetri a qualche metro, presentanti interessanti microimplicazioni vermiculari fra anfibolo e pirosseno, e fra questo e uno spinello verde. che si inbercalano negli gneiss-Sesia a Bocoorio, alla Cima Cosarolo, tra Mollia e Campertogno, tra Bassa e Rassetta, a Piede, roccie in molti punti osservate dai precedenti autori e petrografìcamente de- scritte \ Una delle masse di Campertogno sembra collegarsi a quella di Bassa pei contrafforti del Becco di Guardia a nord della Val Sorba verso ovest, e verso est tra il Castello e Cima delle Balme scende in Valle Sermenza che la taglia nei pressi di Fervente. Altre masse sono nei dintorni di Rimasco alla Munca, a Cima Castello, ecc. Le roccie in questione hanno forme decisamente granitiche tra Bassa e Rassetta, ove sono intersecate da filoni di apliti o di porfiriti ben netti; in alcuni altri sono anfiboliche, come presso Mollia. Presso Campertogno si intrude in esse un dicco importante di roccia gabbro- dioritica a grandi elementi. In nessun punto però ho potuto notare fra tali roccie granitoidi e gli gneiss dei contatti angolari, ma sempre una perfetta concordanza con ripetute intercalazioni e sfumature, al modo stesso in cui le roccie gneissico-porfiroidi o gneissico-granitiche della massa del M. Rosa si intercalano con altri gneiss e micascisti. Per di più banchi con aspetto meno granitoide e di apparenza lami- nata si alternano fra loro ; e vi sono passaggi laterali a breve distanza da gruppi di banchi granitoidi ad altri di gneiss mandorlati od oc- chiadini. Non parlo per ora delle intercalazioni negli gneiss-Sesia di calce- firi, di calcescisti, di pietre verdi fra cui figurano prasiniti e la nota massa Iherzolitica di Valle Artogna, roccie tutte già citate da prece- denti autori, specialmente da Artini e Melzi. Un altro dei fatti più salienti nella formazione degli gneiss-Sesia è la quasi completa sua sparizione nei contrafforti tra la Valle Ser- menza e la Valle Mastellone a mezzodì della seconda zona dioritica, ^ ISTel lavoro più volte citato di Artini e Melzi sono date diligenti diagnosi di queste roccie, nei loro tipi e giacimenti svariati, dalle quali la natura erut- tiva risulta pure manifesta. — 293 — fatto questo già indicato, in punti differenti, dal Parona e da Arbini e Melzi. Però, siccome la seconda zona diorito-gabbro-stronalitica ha dei limiti molto diversi da quelli indicati dal Gerlach e seguaci, in questo tratto i limiti reciproci con lo gneiss -Sesia dovranno essere consi- derevolmente mutati. Le carte precedenti, seguendo Gerlach, fanno terminare verso S.O quella seconda zona nel ramo di Carcoforo della Valle Sermenza; i miei rilevamenti mi mostrarono essere essa estesa molto più ad occidente. Difatti quel tanto caratteristico complesso di banchi, costituito da alternanze di roccie a biotite, granato, sillimanite e grafite con dio- riti zonate, che comprende le non grandi masse di roccie gabbriche di Cima Pianone e di Rossa di Sopra, nonché quella di dioriti di Oro di Nivella, si osserva già nel basso della Sermenza tra San Giuseppe 0 Rima, passa il contrafiforte verso la valle di Carcoforo tra M. Lam- pone e Colma Bella, e nel contrafforte separante quell’ultima valle dal Mastellone si estende da Cima Pianone fino all’alta valle del T. Canaglione (Roccioleto), comprendendo quindi la massa del Castello e la Punta del Castello, perciò con ampiezza doppia di quella finora in- dicata. L’alto del contrafiforte tra il vallone di Roj e quello di Cervatto è tutto in questa formazione, con prevalenza delle forme stronalitiche più o meno schiette, sovente rubefatte dall’alterazione atmosferica, per un certo tenore in pirite. Ivi sono frequenti affioramenti lacco- litici e filoniani di roccie granitoidi acide (le apliti di R. W. Schaefer). Il fascio di strati compreso fra M. Lampone e M. Costabella attra- versa la valle di Rima poco a monte di San Giuseppe; e allo stesso modo che gli gneiss di Colma Bella hanno la loro prosecuzione evidente e visibile in quelli della Punta Rambusetto e del Moncucco (q. 1740) ed in quelli che stanno a sud della Bocchetta di Moenda, la zona di pietre verdi del colle del Vallarolo e della falda meridionale del monte Tagliaferro includenti calcari e calcescisti, verrebbe a coinnestarsi,, in modo finora non chiarito, all’estremità sud-occidentale della sud-^ detta seconda zona. - 294 — Questo sarebbe uno dei risultati a cui mi porterebbe la prima generale esplorazione della regione, la cui conseguenza diretta, data la continuità della zona di roccie verdi del Tagliaferro con quella del vallone d’Otro e quindi colla zona sinclinale mesozoica Gressoney- Alagna, sarebbe la sparizione di quella diramazione degli gneiss-Sesia che tra Carcoforo e l’Ossola è indicata a N.O della seconda zona dioritica, in tutte le carte esistenti, a cominciare da quella di Ger- lach. JEiimane quindi riservato a delle ricerche di coordinamento e di controllo lo stabilire le modalità del contatto fra le estremità di quelle due importanti zone sopra Rima San Giuseppe. Un fatto utile a registrarsi fin d’ora è l’esistenza di una bella massa di calcefìri alle falde N.O del Moncucco, del quale grandi blocchi caddero qualche anno fa sulla strada a monte dell’abitato delle Pietre Marci e. Gli gneiss-Sesia, che figurano ancora fra la Cappella del Salmone ed Orlino, non raggiungono il fondo della Valle Mastellone, la quale dal Ponte di Cervatto a Boco taglia gli scisti di Fobello, e più a monte, la seconda zona diorito-kinzigitica con filoni e laccoliti di roccie granito - aplitiche. Il limite fra questa formazione e gli scisti di Fobello e Rimella è meno netto che cogli gneiss-Sesia, per le intercalazioni che in essa si osservano di zone scistose poco cristalline,' talora grafitiche, ricor- danti gli scisti di Fobello, e per la presenza in questi in alcuni punti (ad esempio appena fuori dell’abitato di Fobello) di banchi con gra fite cristallina, che è uno dei minerali caratteristici dell’altra forma- zione. In questa poi anche a distanza dal suo limite meridionale sono tipi scistosi poco cristallini, con granato, sillimanite e grafite, ma tut- tavia molto diversi da altri bellissimi tipi di roccie kinzigitiche coi quali alternano. Nè il limite suddetto è più chiaro procedendo verso il vallone di Rimella, tra gli scisti della Res e quelli, comprendenti roccie a granati e banchi di dioriti con lenti di calce firi, del Monte Traccierà. — 295 — Nemmeno la presenza dei calcefiri può servire ad una distinzione, perchè se ne trovano nei tipici scisti di Fobello e se ne intercalano fra le roccie granato-sillimanitiche come nelle dioriti e negli gneiss - Strona. Ad esempio sonvi calcefiri in sottili striscio appena usciti dal- l’abitato di Fobello verso Boco, e sono bei calcefiri quelli ohe si sca- vano per pietra da calce ad oriente dell’Alpe Soarpiola, presso il p. 1778 a N.E di Bimella. La stessa esitanza permane nel contrafforte Capezzone-Altenberg- Bocchetta di Campello, lungo il quale le lenti di dioriti e di calcefiri alle falde di Cima del Pizzo, a M. Altenberg ed a M. Capezzone, e più a nord nel contrafforte fra il vallone Pizzo Rosso e la Yal Se- gnara, sono intercalate in una formazione gneissica speciale, ricca in grafite, con traccio di granati molto alterati. Tuttavia avendo osser- vato nell’alto del vallone Pizzo Rosso in più punti roccie identiche ed anche semplici scisti grafitici nerastri associati con roccie stronali- tiche, io credo che entro i limiti della 2^ zona diorito-kinzigitica si debbano comprendere per lo meno il Capezzone e l’ Altenberg e tutto il crinale del vallone di Sant’Anna fino al passo dell’Orchetta, sul lato orientale della cui bassura sono dioriti e stronaliti alternanti. Perciò ad oriente del vallone di Rimella le roccie comprendenti le dio- riti intercalate si mostrano con un complesso litologico sensibil- mente diverso dalla parte più occidentale di essa. In base al rilevamento dell’ing. Stella, che coll’Ossola ebbe nel suo campo di studio la Valle Anzasca ed affluenti, una massa diori tica massiccia sarebbe compresa nella Valle Anzasca tra due zone di scisti gneissici in parte di tipo Rimella ; il che unitamente a quanto fu finora detto, oltre alla maggiore ampiezza, dimostra la grande complessità della seconda zona. Crii gneiss-Sesia intanto dalla Valle Sermenza, fra M. Colma Bella e Rossa, dove hanno larghezza di circa 10 km., in una distanza mi- nore di questa, finiscono a cuneo prima di raggiungere il Mastellone a Fobello, e ciò conservandosi sempre cogli strati paralleli a nord - 296 — cogli strati della seconda zona diorito-kinzigitica ed a S.E colle dioriti e cogli scisti di Fobello. Questo fatto avrebbe potuto verificarsi : 1® 0 in grazia dell’ assottigliaménto originario o meccanico-tet- tonico per laminazione dei singoli gruppi di strati costituenti lo gneiss-Sesia. 2^ 0 per effetto di pieghe multiple le cui cerniere si immerges- sero sotto gli scisti di Rimella. 3^ Ovvero per effetto di una laminazione sempre più intensa che avrebbe avuto per risultato finale di trasformare le roccie gneis- siche negli scisti prevalentemente filiadici e sericiti ci di Rim ella. A sostegno di questa terza ipotesi, che incontrò il favore di alcuni studiosi della Valle Sesia, militerebbero i seguenti argomenti : 1° Il ritrovamento negli scisti di Rimella di lenti di calcefiri di roccie granitiche e di roccie basiche analoghe se non del tutto simili a quelle che si ritrovano nello gneiss-Sesia. 2“ L’aumentare graduale dello spessore degli scisti di Rimella a misura che si riduce o si annulla la potenza degli gneiss-Sesia. 3“ La presenza di una zona di dioriti fortemente laminate a contatto coi micascisti eclogitici, cogli gneiss-Sesia ed in parte anche cogli scisti di Rimella, dimostrante che si è in una regione di straor- dinaria laminazione. Però contro una tale ipotesi non mancano neppure validi argomenti : 1° Non è per nulla provato che certi scisti di Rimella, special- mente i frequenti tipi grafitici, possano provenire dalla laminazione di uno qualunque dei tipi noti dello gneiss-Sesia. 2^ Il modo in cui i calcari e calcescisti di tipo triasico si inter- calano negli scisti di Rimella e le analogie tra alcuni tipi di questi e gli scisti di Valle Sessera e di Donato, per cui l’età permiana di una parte di essi sembrerebbe fino ad un certo punto sostenibile. 3^ La intercalazione di scisti analoghi a quelli di Rimella fra le roccie kinzigitiche della 2^ zona, che noi dobbiamo ritenere, non meno della 1% quale cosa assai distinta dallo gneiss-Sesia. — 297 — Conclusioni. Ignoro se il proseguimento del rilevamento e il coordinamento delle mie osservazioni con quelle dei colleglli, che studiarono le re- gioni adiacenti, allo scopo di elucidare le questioni ora poste, var- ranno a togliere tutti od in parte i dubbi che ho adombrati ; i risultati acquisiti si possono intanto riassumere brevemente cosi : 1° Equivalenza assoluta, per continuità di massa, fra gli gneiss- Strona delle valli Bagnola, Sabbiola e alta Val bella e le stronaliti (Artini e Melzi) della Valle Strona. 2'' Conseguente strozzamento della grande massa dioritica tra le valli Sabbiola e Valbella (Mastellone) e la Valle Strona; e sostituzione ad essa in direzione di una zona di gneiss kinzigitici, con numerose intercalazioni di roccie basiche. 3° Nuovi argomenti in appoggio delFesistenza di una zona permo- triasica tra la massa melafirico-porfìritica e le dioriti, che non ven- gono mai a diretto contatto, attraverso il Biellese eia Valle Sessera, come prosecuzione del Fermo-Trias di Montaldo Dora. 4® Probabile equivalenza di quella zona permo triasica con una parte degli scisti di Rimella, coi calcescisti, filladi e calcari dolomitici inclusi, e colla loro prosecuzione, fiancheggiante a N.O la massa dio- ritica, fino a Finero. 5° Molto maggiore ampiezza e complessità della così detta seconda zona dioritica, la quale è però essenzialmente costituita, analogamente alla parte occidentale della prima zona, da scisti e gneiss kinzigitici e, nella sua parte orientale, da altri tipi svariati di roccie gneissiche^ includenti masse maggiori o minori di roccie dioritiche e gabbriche. 6‘^ Estensione della medesima fino almeno alla Valle Piccola sopra Rima San Giuseppe. 7^ Passaggio laterale dei micascisti eclogitici alla formazione degli gneiss-Sesia, formanti con quelli la massa detta Sesia- Val di Danzo. 8° Intercalazione concordante in questi di importantissime masse — 298 — molto estese di roccie granitoidi e protoginiche, di cui alcune si esten- dono attraverso alla Valle Sorba, alla Valle Grande ed alla Valle Piccola, e per la loro importanza meritano di essere distinte dagli gneiss nelle carte geologiche. 9® Estinzione della massa Sesia-Vai di Lanzo nel senso della direzione prima di giungere a EobeJlo. 10® Inesistenza della diramazione degli gneiss-Sesia finora indicata a nord della 2^ zona dioritica, fra di essa e la zona di pietre verdi Gressoney-Alagna-Rima-Carcoforo-Pontegrande. Roma, novembre 1905. III. S. Franchi. — À proposito della riunione in Torino della Società geologica di Francia^ nel settemhre 1905, Incaricato, col mio collega ing. Zaccagna, di rappresentare il R. Ufficio geologico alla riunione della Società geologica francese a Torino, non ho, con mio gran dispiacere, potuto prender parte a tutte le escursioni; stretto come ero dalla necessità di compiere entro la seconda decade di settembre, un certo numero di gite in regioni alte, allo scopo della pubblicazione della cartina al 400,000 delle Alpi occidentali, escursioni che un ritardo anche di pochi giorni poteva impedirmi di compiere entro l’anno. Tuttavia, siccome il mio mandato, oltre che di fare atto di corte- sia verso la Società geologica di Francia, a cui ci lega per lunga tra- dizione, tanto cordiale fratellanza, e fra i cui soci contiamo tanti amici e stimati compagni di studio, era quello di offrirmi a guida per quei colleghi francesi, che avessero desiderato compiere alcune escursioni nei punti della zona delle pietre verdi, ohe si credessero più interes- santi, e specialmente nelle località fossilifere delle Alpi Cozie, io mi ero profferfco di trovarmi a Torino l’ultimo giorno delle escursioui ufficiali, quando fossi stato avvertito ohe la mia proposta avesse tro- vato degli aderenti. Per un disgraziato malinteso, l’avviso mi fu mandato con ritardo di un giorno, quando io era già lontano da sedi di Ufficio telegrafico, sicché io ho avuto il rammarico di non poter godere per alcuni giorni, facendo loro esaminare le località uniche per fossili nei calcescisti, quali quelle di Bernezzo, delle valli Grana e Maira, la compagnia dei colleghi W. Kilian e P. Lory, che da anni hanno con noi un campo comune di studi, le Alpi occidentali, sulle quali, per le questioni più importanti, è regnato un accordo quasi completo ed assai confortante. Non avendo, come dissi, potuto presenziare alcune sedute, in cui si fecero interessanti discussioni sopra argomenti dei quali ebbi ad occuparmi, mi sia lecito di fare ora per iscritto le osservazioni che avrei fatte qualora fossi stato presente. Il programma delle gite, che avevano per duplice scopo lo studio dei terreni terziari del Piemonte e della zona delle pietre verdi, era stato quasi completamente assorbito dal obbiettivo, data 1’ impor- tanza e la vastità dell’ argomento, cosicché al secondo, pure vasto ed importante oggetto di studio, non potè essere dedicata, dagli organiz- zatori delle gite, che parte di una giornata. Però alla brevità del tempo ed alla scelta della gita, certo non opportuna, per dare almeno un concetto di che sia la zona delle pietre verdi a quei colleghi che non la conoscessero \ si supplì con una discussione generale sul grave quesito dell’età di essa, aperta nella ^ È a rammaricarsi che il breve tempo dedicato alla questione delle pie- tre verdi (un pomeriggio) non abbia permesso ai congressisti di portarsi in ferrovia fino a Bussoleno, per indi andare a Chianoc, dove i rapporti di quei calcari fossiliferi del Trias con micascisti e calcescisti, di tipi assai diversi da quelli del versante francese, li avrebbe certamente interessati, e avrebbe dato loro un concetto almeno di che cosa sia la famosa zona e in che consista il que- sito della sua età. — 300 — seduta del giorno 11, alla quale presero parte alcuni oratori, che cono- scono a fondo l’argomento ^ Non avendo potuto prendere parte alla discussione interessantis- sima, desidero esprimere ora alcune mie osservazioni a proposito della questione in generale, e in particolare per quanto riguarda l’ Appennino ligure e qualche punto della valle d’Aosta, mentre avrò occasione di ricordare come alcuni fatti ed alcune delle conclusioni esposte da qualche oratore, risultassero già assai chiaramente da precedenti lavori. Quanto all’ opinione, professata da alcuni geologi, che nella zona delle pietre verdi delle Alpi occidentali sia rappresentata tutta la serie dei terreni secondari e vi sia compreso l’Eocene, dopo l'opinione da me espressa nel 1898 sull’argomento % non è venuto a mia cono- scenza alcun fatto che mi induca a modificarla, cosicché io sono tilt- t’ora disposto a credere che nella zona delle pietre verdi delle Alpi Oozie, Marittime e Liguri, non sia incluso l’Eocene. Certo l’argomento che quel terreno sia rappresentato in qualche regione di Bììndner- schiefer non è sufficiente per affermare che esso debba esistere in tutta l’estensione della potente formazione delle Alpi occidentali. Bisogna anzitutto vedere se quei Biìndnerschiefer corrispondano tettonicamente alla zona del Piemonte. Ad esempio la sinclinale del Monviso e la sinclinale di Courmayeur, pure presentando una medesima facies di terreni secondari, essendo in due zone tettoniche differenti, una interna, l’altra esterna, rispetto alia zona assiale permo-carbonifera, potrebbero includere serie un po’ diverse di terreni. Ma anche nel caso che quelli appartenessero colla zona suddetta ad una medesima zona tettonica, si capisce che in punti a grandi distanze possono natural- mente figurare serie di terreni non completamente identiche. ^ Compte renda sommaire des séances de le Société geologique de France, 1905, 14 et 15. ^ SulPetà mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali. {BoW R. Com. geol., 1898, pag. 457). — 301 L’ Eocene figura in tutte le pieghe che stanno all’ esterno della zona permo-carbonifera interalpina, e si mostra trasgressivo sopra la maggior parte delle cime delle Alpi Liguri e nei colli esistenti fra di esse. È dubbio se 1’ Eocene sia rappresentato nella più meridionale delle pieghe della sommità del ventaglio permiano, quella del Mon- dolè, ma esso non fu mai, nemmeno lontanamente, sospettato nelle pieghe che stanno all’interno della zona permo-carbonifera suddetta, ossia nella zona del Monte Rosa o del Piemonte. Il nummulitico, tra- sgressivo sul Permiano presso il colle di Sestrera, la pizzicatura di esso fra il Trias medio della Costa Murin presso Limone, il nummu- litico di M. Gros presso Andonno e della Madonna dell’Incoronata presso Moiola, sono i rappresentanti dell’Eocene di determinazione sicura 2)iù interni che io conosca rispetto all’ arco alpino. Il Giurese ed il Cretaceo, che sono certamente rappresentati nella suddetta sinclinale del Mondolè, non sono noti nell’ interno della zona permo- carbonifera colla loro facies normale. Certamente fra alcuni tipi di calcescisti e certi calcari scistosi lucenti del Cretaceo delle valli Roja, Gesso, ecc. non havvi poi sostanzialmente molta differenza, se ne eccettui il grado di metamorfismo; tuttavia io ripeterò ancora adesso all’incirca quello ohe dissi nel 1904 a proposito dell’opinione di C. Sohmidt, che gli scisti a radiolarie di Cesana fossero giuresi supe- riori, opinione alla quale sembra aderire W. Kilian : « per ammettere che i calcescisti possano rappresentare il Giurese superiore bisogne- rebbe supporre che nella geosinclinale in cui si depositarono i calce- scisti non ci sia stata lacuna dal Lias al Giurese superiore, e che du- rante tutto quel periodo, sianvi state emissioni di colate delle roccie che poi (per metamorfisi) dettero origine alle diverse pietre verdi ; il che, se non è impossibile, nè forse inverosimile, parmi finora, dato il non grande valore, sotto il punto di vista cronologico, che si possa attri- buire alle faune di radiolarie, non sufficientemente dimostrato ». ^ Ancora sull’ età mesozoica delle pietre verdi. (Boll. E. Com. geol., 1904, pa- gine 1.38 e 139). Meno spiegabile sarebbe poi la comprensione nei calcescisti anche dell’Eocene, perchè bisognerebbe supporre che oltre la giurese anche le trasgressioni cenomaniana e nummulitica, tanto estese nella zona del brianzonese, non avessero avuto nessun contraccolpo nella zona del Monte Rosa. A questo proposito, essendo ormai provato che gli scisti a radio- larie di Cairo- Montenotte non sono da attribuirsi ad un terreno più giovane soprastante alla zona delle pietre verdi, ma debbano consi- derarsi come facienti parte della zona stessa, noi dovremmo rite- nere che il Giurese superiore sia pure rappresentato nel gruppo di Voi tri. Al lato orientale di questo gruppo, fra Sestri Levante e Voltaggio, si osserva il contatto dei calcari dolomitici del Trias coll’Eocene, con una lacuna quindi che comprende il Giura-lias ed il Cretaceo. E questa la sola regione italiana in cui si conosca il contatto della zona del Piemonte coll’Eocene, il quale non è in essa compreso in serie con- tinua, ma è su di essa trasgressivo, e, per di più, coi suoi caratteri ordinari ben distinti. Il fatto non mi sembra privo d’importanza, malgrado il punto singolare della zona in cui detto contatto avviene ; e parmi venire in soccorso delle considerazioni svolte da E. Haug nel settembre e ora da me, tendenti ad escludere l’Eocene dalla zona delle pietre verdi. L’essere tale terreno trasgressivo ai margini della zona del Piemonte mi sembra dimostrare che esso non possa esistere in serie continua nelle pieghe della zona stessa più prossime all’asse tettonico della catena, le quali dovettero di necessità essere emerse anteriormente all’ Eocene. Queste considerazioni hanno bensì solamente valore entro certi limiti di distanza; tuttavia a me sembra che esse ci autorizzino a ritenere, fino a prova contraria, che l’Eocene non sia rappresentato nella zona delle pietre verdi delle Alpi occidentali. Le idee da me espresse collimerebbero quindi piuttosto con quelle di E. Haug, che ritiene la zona del Piemonte fosse emersa anterior- — 303 — mente al Giurese superiore. Così al periodo di trasgressione giurese superiore nella geosinclinale brianzonese avrebbe corrisposto il periodo di emersione definitiva della geosinclinale piemontese, come effetti di ima stessa spinta tangenziale verso l’esterno della zona ripiegata. I ripiegamenti di questa si andavano abbozzando in epoca anteriore al Trias, per mezzo del bassofondo permiano che separava i due bacini in cui si deponevano il Trias a facies brianzonese e quello a facies cri- stallina. E questo ultimo concetto, che io esprimevo nel 1898, onde spiegare i contemporanei depositi di due facies tanto diverse di uno stesso terreno in regioni adiacenti (1. c., p. 453) vedo con sommo pia- cere espresso dall’eminente collega della Sorbona, dove sostiene la differente istoria dei due geosinclinali suddetti \ Di questi l’uno avrebbe avuto una serie di depositi più lunga ma interrotta, l’altro continua ma più breve. Venendo all’età delle pietre verdi del gruppo di Volfcri, sulla quale pure ebbero a parlare diversi oratori, io debbo ricordare alcuni dati bibliografici, che pare siano loro sfuggiti. La identità litologica fra la zona delle pietre verdi delle Alpi occidentali e dell’Appennino ligure occidentale è stata affermata da molti autori, ed io stesso nel 1893, annunciando la scoperta di un piccolo massiccio gneissico precarbonifero, con graniti intrusivi, nei dintorni di Savona, insistevo in appendice su quelle analogie, che mi risultarono evidenti, dopo che avevo dedicato qualche campagna al rilevamento delle Alpi Cozie ed avevo rilevato buona parte del cosi detto gruppo di Voltri \ E su queste grandi analogie ritornai in seguito a più riprese, ogni qualvolta mi occupavo dello studio di qualche roccia delle Alpi occidentali, di cui trovavo la esatta corrispondenza nell’Ap- ^ Di questa doppia sinclinale trattarono l’ Haug nel 1894 e il Kilian nel 1899. “ Nota preliminare sulla formatone gneissica e sulle roccie granitiche del massiccio cristallino ligure. (Boll. R. Com. geol., 1893). — 304 - pennino ligure ' ; cosicché, quando nel 1897 si ebbero le prove paleon- tologiche dell’ età secondaria della zona delle pietre verdi delle Alpi Cozie, eguale età era naturalmente sottintesa, se pure per prudenza non era esplicitamente affermata, pel gruppo di Voltri; tanto più che 10 avevo già intraveduto fin d’allora la quasi continuità di affioramenti^ che alcuni lembi di terreni secondari a facies cristallina costituivano, fra le Alpi Cozie e quel gruppo ligure, lo scrivevo difatti: « Crii affio- ramenti sopraccennati (delle valli Casotto, Corsaglia, Tanaro e Bormida) come quelli delle stesse roccie dei pressi di Boves e di Eoccavione, stabiliscono un legame fra la zona delle pietre verdi delle Alpi Cozie ed 11 complesso di roccie, tanto simile, del massiccio cristallino ligure, perciò pure con ogni probabilità riferibile ai terreni secondari » ^ Chi scrive, riconoscendo l’importanza che avrebbe avuto, per la questione generale dell’età delle pietre verdi, sulla quale non tutti erano concordi, il ritrovamento di qualche fatto in favore dell’età secondaria nel gruppo ligure, vi fece escursioni apposite nel 1903, e nel Boll, del R. Com. geol. del 1901 (Parte ufficiale, pag. 36) faceva inse- rire un breve riassunto dei risultati ottenuti, che erano i seguenti: 1° Gli scisti a radiolarie di Case delle Isole non sono sovrap- posti, ma parte integrante della formazione delle pietre verdi liguri; ^ Notisie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi occidentali. Boll. R. Com. geol., 1895). Anflholiti sodiche provenienti dalla metamorfosi di eufotidi e diabasi neU'Ap’ pennino ligure, al Capo Argentario ed all' isola Gorgon a. (Boll. Soc. geol. it., anno 1896). Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell' Ap- pennino ligure. (Boll. R. Com. geol., 1900). Contribusione allo studio delle roccie a glancofane e del metamorfismo onde ebbero origine nella regione ligure -alpina occidentale. (Ibidem, anno 1904, n. 2). ^ Sull'età mesosoica, ecc., ecc., pag. 327 e 329. Il legame Ire le pietre verdi delle Alpi Cozie e quelle del gruppo cristallino ligure risultò chiarissimo dal mio rilevamento del 1905 nelle prealpi monrega- lesi; e dei risultati ottenuti darò conto in un lavoro che sarà fra breve pub- blicato nel presente Bollettino. — 305 — 2" Sovrapposizione di eufofcidi con serpentine a calcari dolomitici con Loxonema (?) alle falde S.E di Eric del Giogo; 3° Passaggi litologici graduali, che ne dimostrano la contem- poraneità, fra i calcari dolomitici di M. Pra e di M. Gos e gli scisti plumbei lucenti, che nella regione tengono il posto dei calcescisti. E questi fatti ricordavo nel 1904, ritornando a trattare delPetà delle pietre verdi; ed ero molto esplicito nella conclusione che ne traevo sulla continuità della zona dall’ Appennino ligure alle Alpi Pennine b Io non ho quindi che a compiacermi che siano ora d’accordo meco il chiaro professore dell’ Università di Grenoble ed il professore F. Sacco, quantunque alcuni degli argomenti addotti a sostegno non abbiano gran valore probatorio, se dobbiamo credere esatto il reso- conto sommano pubblicato nel Bollettino della Società geologica di Francia. Secondo il professore Sacco la serie del gruppo di Voltri sarebbe (f compresa fra i calcari a giroporelle del Trias medio-superiore e la formazione cristallina (graniti, gneiss, appenniniti, talcoscisti, ecc.), dell’ Appennino savonese, che si deve attribuire al Permo carbonifero. Quindi, a meno di ammettere delle pieghe straordinarie, questo gruppo di Voltri gli sembrerebbe naturalmente attribuibile al Trias medio inferiore ». Dal brano qui riportato sembrerebbe che nel concetto del profes- sore Sacco il gruppo di Voltri non solo non sia affetto da pieghe straordinarie, ma che non sia ripiegato affatto, e che una serie iso- cimale discendente, cronologicamente ordinata, debba attraversarsi, procedendo dalla zona di calcari del Trias Monte Gazo-Monte Torbi alla formazione cristallina, supposta permo-carbonifera, del Savonese. Ora un tale concetto, date le nostre cognizioni sulla tettonica alpina, apparisce a priori eccessivamente semplice, ed è certamente contrario a fatti da anni ben noti. ^ Ancora siilV età mesosoica della Bona delle pietre verdi. (Boll. R. Cora, geol., 1904, pag. 1.39 e 177). 21 — 306 — Il professore Sacco sembra ignorare 1’ esistenza, nella parte occi- dentale del gruppo di Voi tri, di numerose masse di calcari dolomitici, di cui la più importante, quella con Loxonema (?) citata avanti, alle falde di Eric del Griogo, di M. Greppino e di Cima della Biscia, nell’alto bacino del Sansobbia, estesa oltre a 2 km., viene appunto a contatto quasi diretto coi graniti. Quelle masse calcari, di cui alcune erano già indicate nell’abbozzo di Carta geologica del Rovereto \ ed altre ancora da me non nominate nel 1901 (C. Grinda, Valle della Loppa, Cogoleto) impediscono senz’altro di accettare il concetto ohe il prof. Sacco si è fatto sulla tettonica del gruppo cristallino in parola. Ma questo concetto è pure legato ad un altro presupposto, che non può essere accettato, che cioè gli gneiss del Savonese siano di età permiana, quindi equivalenti delle besimauditi o più precisamente dei porfidi delle Alpi Liguri. Chi scrive fu il primo a separare dal gruppo complesso delle appenniniti di E. Gastaldi una grande massa di gneiss biotitici con struttura vermicolarej nei quali si inseriscono importanti zona di gneiss pirossenici ed anfibolici, talora granatiferi, in cui riconobbe una impor- tante intrusione di graniti protoginici, noti al Sismonda ^ Ed oltre ai caratteri litologici, i rapporti degli gneiss col Fermo carbonifero, lito- logicamente assai distinto, lo avevano indotto a considerare la massa gneissica coi graniti, come costituenti un nuovo piccolo massiccio della zona del Monte Rosa. Rispetto a questa assegnazione io ho ora mutato alquanto le mie idee, perchè la posizione degli gneiss del Savonese non presenta una stretta omologia con quella dei massicci di quella zona» Questi massicci (Dora-ValMaira, Gran Paradiso, eco.) sono circondati dalle pietre verdi, di cui una fascia importante li separa dalla grande zona permo-carbonifera interalpina {sona assiale dei colleghi francesi), ^ G. Rovereto, Arcaico Tol. XIV 1905, fase. I). e Paleosoico nel Savonese. (Boll. Soc. geol. it. Nota preliminare sulla formasione, ecc. mentre gli gneiss di Savona sono per un gran tratto a diretto contatto col Permo-carbonifero. Ma vi ha di più: il Gastaldi aveva paragonato la roccia che serve di base al Carbonifero di CaJizzano allo gneiss por tiroide del Colle di Altare, ed il Mazzuoli e lo Zaccagna parlarono di anfìboliti nel Rio della Valle presso Calizzano, che dissero simili a quelle di M. Moro presso Savona; ed ultimamente il prof. Issel ed il dott. Rovereto fecero noto un interessantissimo piccolo massiccio gneissico presso Calizzano, che dicono litologicamente identico a quello savonese, con- fermando cosi le analogie affermate da Gastaldi, Mazzuoli e Zaccagna h Noi saremmo adunque in presenza di fatti nuovi dal punto di vista della costituzione delle zone, l’esistenza di affioramenti precarboniteri a contatto e in mezzo alla grande zona permo- carbonifera interalpina. Studi ulteriori ci permetteranno di dare in proposito meno vaghe notizie; però rimane per me fuor di dubbio che gli gneiss biotitici ordinari e quelli pirossenici dei dintorni di Savona sono precarboniferi. Le argomentazioni del prof. Sacco, per determinare Fetà del gruppo di Voltri, poggerebbero quindi sopra presupposti cronologicamente o tettonicamente contradetti da fatti bene accertati. Nella stessa riunione del giorno 11 fu toccato, sebbene solo inci- dentalmente, un altro argomento, riguardante le pietre verdi, quello dell’ epoca della loro eruzione, che secondo 1’ Haug sarebbe posteriore al deposito di tutta la serie dei calcescisti. Lo scrivente a nome suo e de’ suoi colleghi Novarese e Stella fa rilevare come nessuno dei fatti osservati in tutta la zona delle pietre verdi, fra Genova e la Valle Sesia induca ad accettare quel concetto, a cui aderirono in questi ultimi anni Steinmann, Weinschenk ed altri geologi. Parlando dell’ Appennino ligure e delle pietre, verdi mi sia per- messo di esprimere pure il mio pensiero sull’età della formazione ^ A. Issel, Note spiccate. II. Valle di Galissano, con appunti e sezioni di G. Rovereto. Atti Soc. Lig. Se. nat., Voi. XY, n. 1. scistosa con pietre verdi che i congressisti attraversarono nella loro gita del 9 settembre, nei pressi di E.onco, e che, come la analoga di Val Polcevera e di tutto l’ Appennino settentrionale, è dal prof. Sacco considerata come cretacea, mentre gli altri geologi la ritengono eocenica. In nn mio lavoro sul Giurese e sul Cretaceo delle Alpi Marittime indicavo pure brevemente la costituzione della grande plaga eocenica dei versante meridionale delle Alpi Marittime, le cui suddisioni mi risultarono nettissime, e sono dall’alto al basso le seguenti ^ : Zona ad Helmintlioida confr. irregulo,ris Squinabol, ed a pic- cole Chondrites^ meno distinta e poco sviluppata ; 2° Potente zona ad Helminthoida lahyrinthicci^ litologicamente distintissima ; S'’ Una potente massa di flysch con lenti di brecciole e calcari a piccole nummuliti con scisti varicolari alla sommità; 4» Il grande banco a Nummulites perforata ed a N. complanata^ al quale si sovrappone una zona di marne friabili con orbitoidi, a luoghi con gasteropodi e lamellibranchi. Banco questo caratteristico, di una continuità singolare, che si può seguire nel suo affioramento quasi ininterrotto dalla Mortola alle falde dell’Enchestraye. Un’altra zona pure molto caratteristica è quella ad Helminthoida lab., malgrado le variazioni nella sua costituzione litologica, che com- porta grossi banchi di arenarie e sottili interstrati ardesiaci nella parte nord -occidentale del grande bacino, prodotti di depositi meno lontani dalle terre allora emerse, e prevalenza dei banchi calcari, anche con forme fortemente marnose, nella parte sud-orientale (One- glia-Capo Mele). Detta zona è sempre nettamente separabile dal termine 3®, o num- mulitico superiore, per essere questo nella sua parte alta caratterizzato da una zona di scisti varicolori, verdognoli, rosso-vinati, bruni, eco., soventi manganesiferi, che non mancano mai, nei pressi di Argenterà, ^ Contribuzione allo studio del Titonico e del Cretaceo nelle Alpi Marittime italiane. (Boll. K. Com. geol., 1894, p. 21). — 309 — r nel gruppo del Saccarello e in tutte le pieghe giù per le valli Ar- gentina ed Arroscia. Questo cambiamento litologico spiccatissimo dagli scisti suddetti, con cui termina il nummulitico, alla zona adiJ. lah. servi mirabilmente a districare le complesse pieghe deH’Eocene di quella regione, la cui suddivisione in due grandi membri è sempre possibile. Cosi quando io venni a rilevare nella Valle Folce ver a, la corrispon denza perfetta fra la massa di calcari alberesi ad Helminthoida lab. dei forti Due Fratelli, Diamante, Castellaccio, Sperone, ecc. a nord di Grenova, e di Staglieno, cogli scisti varicolori sottostanti di Oampor- sella, Zemignano, Segato e Staglieno, e le identiche formazioni della Liguria occidentale, mi risultò tanto chiara ed evidente, che non esitai a ritenere come corrispondente al nummulitico superiore (termine 3'’) la formazione scistosa della Valle Polcevera, nella cui parte più bassa sono le diabasi di Oonegliano e del M. Pigogna, e alcune masse di serpentina (1. c., p. 21 e 22), e nella parte più alta gli scisti varicolori di Zemignano, Camporsella, eco. Secondo il prof. Sacco nella Valle Polcevera, l’Eocene più basso sarebbe rappresentato dalla zona ad Helmiathoida cosicché vi dovrebbe essere una lacuna corrispondente ai termini 3'^ e d'* della serie suindicata. Intanto però non credo che vi siano indizi che tale lacuna esista. Di più l’orizzonte di scisti varicolori è costante in tutto il versante tirreno dell’ Appennino ligure orientale, dove pure è noto in molti punti il nummulitico, e non meno costante e distinta è la zona ad Helminthoida lab , che il Kilian fu colpito di vedere a Genova tanto rassomigliante a quella dell’Ubaye e delle Alte Alpi. Pare adunque poco verosimile che una massa di flysch termi- nante in alto cogli scisti varicolori e sopportante la zona ad Helmin- thoida lab., la quale rappresenta il nummulitico superiore ad Argenterà, e in tutto il versante meridionale delle Alpi Marittime fin presso Al- benga, possa rappresentare invece il Cretaceo a Genova, in uno stesso bacino, a soli 60 km. di distanza. La formazione scistosa di Val Polcevera cogli scisti varicolori — 310 - rappresenta per me indubbiamente il termine 3° della serie delle Alpi Marittime. È bensi vero che nell’ Eocene delle Alpi Marittime non vi sono masse di pietre verdi, ma neppure ne esistono nel Cretaceo, nè in tutta la serie mesozoica della zona del brianzonese; cosicché neppure quell’assenza può essere invocata per separare dalla grande forma- zione scistosa di Valle Poi ce vera, la parte inferiore in cui sono inter- calate le roccie verdi, ed ascrivere questa al Cretaceo. Stando le cose come io penso, l’orizzonte delle pietre verdi eoce- niche (se esso è uno solo, come opinano alcuni geologi che conoscono assai bene l’ Appennino ligure) sarebbe alla parte inferiore del ter- mine 3° della serie suddetta, ad ogni modo fra l’orizzonte a V. per- forata e la zona ad H. lab. # Qualche osservazione desidero in ultimo fare riguardo alla comu- nicazione dei signori W. Kilian e P. Lory sui risultati di alcune escursioni fatte nelle « chaines comprises entro Sembrancher, le Val Ferret suisse, le Val de Eagnes et le Grand Saint Bernard » in una regione quindi adiacente a quella studiata da chi scrive e dal suo col- lega Stella, l’alta valle d’Aosta, in quella zona quasi isoclinale che in questa valle comprende parte del Carbonifero superiore, la sinclinale secondaria da noi detta di Courmayeur, le masse permiane laminate del Chétif e della Saxe, ecc., e la zona sinclinale giuraliasica, con poco Trias a giroporelle sotto il fanteuil des Allemands, delle valli Veni e Ferret, addossantesi e talvolta sottoponentesi al gruppo cristallino del Monte Bianco. Della zona sinclinale di Courmajmur io ho trattato a più riprese, sostenendo la sua assimilazione colla zona delle pietre verdi, già af- fermata dal Baretti, malgrado le sue zone laterali triasiche con cal- cari, camicie e gessi, a facies prettamente brianzonese; prima nel mio lavoro sull’età mesozoica delle pietre verdi, poscia in quello in cui davo conto del rinvenimento di belemniti presso il Piccolo San Bernardo, in territorio francese ed italiano, nei calcescisti che costi- tuiscono la parte mediana di quella grande sinclinale, che era perciò da ritenersi come post-triasica \ Riparlammo l’ingegnere Stella ei io di detta zona, attraverso alla quale si dettero profili di dettaglio e di insieme, nel Volume XXII delle Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: I giacimenti di antracite delle Alpi occidentali italiane Le breccie ad elementi di calcari dolomitici in grandi banchi e lent', tanto sviluppate nelle Alpi Oozie meridionali nelle valli Grana e Valloriate, nel vallone della Rho presso Bardonecchia, e al Monce- nisio, furono da ohi scrive fin dai 1898 considerate come un impor- tante argomento in favore dell’età secondaria basica di una parte dei calcescisti con pietre verdi, e furono in quel lavoro e in quello del 1899 ora citato, ed in uno posteriore del 1904 % considerate come uno degli elementi di rassomiglianza fra la zona delle pietre verdi delie Alpi Cozie e la zona di Courmayeur. Ciò che vi sarebbe d’inte- ressante nella comunicazione dei nostri- valorosi colleghi è questo: che mentre nella valle d’Aosta il Lias è a facies di calcescisti, quel terreno sarebbe a facies brianzonese, però semi- cristallina, nelle valli svizzere. I due Lias avrebbero però in comune un considerevole svi- luppo di breccie, trovate da me particolarmente sviluppate nei ver- santi del Monte Berlo Blanc e del Crammont verso la Thuile, la Val Veni e il Monte Brisè, e dallo Stella in diversi punti della massa del Monte Cormet, al Colle Sapin (Saze) e nella prosecuzione di queste zone, attraverso ai valloni di Belle-Combe e di Bosses, fino al confine svizzero. Di queste breccie furono indicate numerose lenti intercalate nei calcescisti della inclinale di Courmayeur nei profili dello Stella e miei annessi al volume suddetto sulle antraciti. ^ Nuove località con fossili mesosoici nella ^ona delle pietre verdi presso il Colle del Piccolo San Bernardo. (Boll. R. Com. geol., anno 1899, n. 4, p. 320). * Roma, 1903. “ Ancora siilVetà mesozoica della sona delle pietre verdi. (Boll. R. Com. geol., 1904, p. 172). 312 — Nel mio lavoro sopra citato del 1899 dopo aver dato una descri- zione sommaria di queste breccie ed accennato alla loro frequente laminazione, aggiungevo: « Quantunque esse si trovino a molti livelli differenti, secondochè ha constatato anche lo Stella, parve a me che esse siano più frequenti in una zona che alle falde del Monte Bel- leface presso la Thuile e di là verso la Montagnola sembrerebbe cor- rispondere alla parte meno alta del Lias. Cosi nel versante N.O del Crammont le breccie sono assai sviluppate poco al disopra delle do- lomie e dei gessi del Trias. Tali breccie sarebbero perciò in massima parte liasiche e corrispondenti in parte a quelle che furono rilevate in molti punti della Savoia ». Il rilevamento posteriormente eseguito di tutta la Valle Veni mi fece scoprire altre intercalazioni brecciose nelle masse calcescistose alle falde dei monti Fortin e Percè e a sud del Colle della Seigne (p. 2512) ; ed in un banco di breccie che sta in risalto nel mezzo della bassura di detto colle, rinvenni qualche belemnite, ragione per cui nel profilo generale, dato alla pagina 29 del volume sulle antraciti, indi- cavo una grande massa di Lias fra Fanticlinale delle Pyramides cal- caires ed il Piccolo San Bernardo. In un profilo più a N.E lo Stella figurava nella massa dei calcescisti alcune anticlinali di Trias. Io ritengo tutt’ora che le breccie della zona di Courmayeur non appartengono tutte ad uno stesso orizzonte, però nè io nè lo Stella potemmo riconoscere dei caratteri distintivi litologici o stratigrafici per affermare che ve ne siano di due età molto diverse, per esempio delle liasiche e delle eoceniche. Ma tornando alla comunicazione di W. Kilian e P, Lory è giusto notare che le strette sinclinali triasiohe dei dintorni del Gran San Bernardo furono rilevate e pubblicate in carte e profili nel volume più volte citato sull’antracite, per opera dell’ingegnere Stella. Uno dei detti profili, l’XI, passa appunto pel Col Penétre. La detta comunicazione affermando che la zona esaminata est un pays de racines verrebbe ad appoggiare l’opinione di qualche geologo, che crede debbano in essa appunto cercarsi le radici di alcune delle falde di slittamento (nappes de charriage) esterne delle prealpi svizzere. Aspettiamo che le analogie litologiche, che sono forse i soli argomenti che potranno recarsi in appoggio di una tale ipotesi, siano messe in e video za. Roma, dicembre 1905. IV. Riunione straordinaria della Società geologica di Francia a Torino, Dal 5 al 12 settembre ebbe luogo quest’anno in Piemonte e Liguria una riunione straordinaria della Società geologica di Francia, destinata specialmente allo studio dei terreni terziari e della formazione delle pietre verdi. L’ Ufficio geologico e la Società geologica italiana vi furono ufficialmente rappresentati e vi intervennero puro molti geologi italiani lieti di poter fraternizzare coi colleghi francesi e vieppiù stringere gli amichevoli legami nati dal comune lavoro sulle regioni alpine. A sode della riunione venne scelta Torino, dove ebbero luogo la seduta inaugurale e la maggior parto delle altre adunanze. I professori Sacco e Parona vennero acclamati presidente e vice-presidente della riunione ; il primo, coa- diuvato dai dottori Prever e Roccati, preparò e diresse tutto le escursioni con- sacrate, come già si disse, allo studio della serie dall’Eocene al Pliocene sui due versanti nord e sud del bacino terziario piemontese ed alla regione subal- pina per l’esame della formazione delle pietre verdi e dei depositi fluvio-glaciali dell’anfiteatro morenico di Rivoli. T^e daremo qui una succinta relazione. * * * Da Torino, il giorno 6, i congressisti si recarono in tramvia a Lavriano . Quivi, attraversata la serie marnoso-arenacea del Bartoniano, si inoltrarono nella caratteristica formazione delle argille scagliose brune e rossastre, la quale forma generalmente la base dell’Eocene nel versante padano dell’ Appennino — 314 — settentrionale. Visitarono in seguito una cava di calcare a fucoidi (Eocene medio), i cui banchi poggiano nettamente sulle argille, parecchi lembi di con- glomerati eocenici ed un ammasso breccioide giallastro di calcari liasici. di origine non ancora ben chiarita, mu derivato probabilmente da qualche terra o scogliera bagnata dal mare eocenico e situata nell’area stessa ove ora si elevano i colli torinesi od in regione attigua lungo il piede attuale delle Alpi, scomparsa di poi perchè distrutta dall’erosione o sepolta dal potente mantello di terreni cenozoici e neozoici. Si visitarono, infine, i forni a calce della Ditta Delmastro. Un treno speciale ricondusse quindi a Gassino i congressisti, che in vet- tura si recarono a Pedaggio di Bussolino. Di là un gruppo si recò a visitare l’affioramento eocenico nei dintorni della masseria De Filippi, l’altro si spinse al Boc di Gassino ed alla Costa di Battaina, esaminando le cave di calcare bar- tornano e le formazioni arenaceo-conglomeratiche dell’Oligocene. Verso sera i due gruppi riunitisi a Gassino fecero ritorno a Torino. n 7 la Società si recò con la funicolare a Superga e di là continuò a piedi la sua escursione nelle colline mioceniche, spingendosi fin sopra Baldissero. Essa potè così osservare bene le differenze presentate dai ^tre piani Aquita- niano, Langhiano ed Elveziano, benché facciano gradualmente passaggio l’uno all’altro. L’Aquitaniano è costituito generalmente da marne grigiastre e da banchi sabbiosi, ghiaiosi e ciottolosi ad elementi talora voluminosissimi, in massima parte provenienti dai terreni antichi delle Alpi, ma spesso anche di calcari eocenici. Il Langhiano è rappresentato specialmente da marne bluastre, dure, scagliose, con filliti, pteropodi, ecc. L’Elveziano, infine, è un orizzonte eminen- temente sabbioso con interstratificazioni marnose e ghiaioso-ciottolose ad ele- menti per lo più serpentinosi, spesso di grandi dimensioni, racchiudente la nota fauna impropriamente detta di Superga. L’abbondanza dei ciottoli e massi a facies glaciale intercalati ai depositi marnoso-sabbiosi a ricca fauna marina del Miocene attirò particolarmente l’attenzione dei congressisti. Il ritorno a Torino si compiè rifacendo l’itinerario già percorso. Il giorno 8 i congressisti si recarono in ferrovia ad Asti, donde prose- guirono in vettura fino in Valle Andona. A circa mezz’ora da Revignano esa- minarono le marne sabbiose grigie del Piacenziano, ricche di piccoli fossili specialmente foraminiferi ; più avanti alcuni recenti tagli nella serie delle sabbie giallicce dell’Astiano permisero di fare delle raccolte straordinariamente abbon- danti di fossili. Tornati in vettura ad Asti proseguirono per ferrovia fino a Serravalle Scrivia, dove pernottarono. - 315 Il domani (9) alcuni congressisti si recarono in vettura a visitare il Messi- niano ed il Tortoniano fossiliferi a Sant’Agata ; gli altri si diressero verso le colline di Monterosso per osservare la formazione arenaceo-conglomeratica del Messiniano ed il suo passaggio alle soggiacenti marne del Tortoniano, indi discesero nei valloni del torrente Armarengo (Bocca d’ A sino), dove nelle marne con sottili ed irregolari intercalazioni di conglomerati si potè raccogliere abbon- danti fossili tortoniani caratteristici. IN’el pomeriggio partirono in vettura per Ronco Scrivia esaminando con opportune fermate la serie tipica del Miocene, dell’Oligocene e dell’Eocene della vallata della Scrivia. Dal Pliocene superiore all'Oligocene inferiore si ha sempre passaggio graduale da un piano all’altro, ma presso Pietrabissara, la serie si appoggia in discordanza sull’Eocene rappresentato da calcari a fucoidi e ad Helmintoidea lahijrinthìca, alternanti presso Ronco, con scisti bruni cal- careo-argillosi, passanti sovente a veri argilloscisti che poco lungi inglobano lenti ofiolitiche. Questa formazione argilloscistosa, generalmente considerata come eocenica, dovrebbe invece riferirsi, secondo il prof. Sacco, al Cretaceo. Da Ronco per ferrovia la comitiva proseguì fino a Genova, dove pernottò. A Genova il 10 visitarono i calcari eocenici del forte di Castellaccio e le marne piacenziane messe a nudo dagli attuali sventramenti nel centro della città. Da sera in ferrovia fu fatto ritorno a Torino. Il giorno 11 i congressisti, recatisi in tramvia da Torino a Pianezza, vi- sitarono i conglomerati quaternarii ed i depositi morenici : indi, attraversato in vettura l’anfiteatro di Rivoli, raggiunsero la formazione delle pietre verdi alle falde del Monte Musinè e visitarono le cave di magnesite e di opale di Casel- lette. iS’el pomeriggio fu fatta un’escursione al castello di Avigliana, osservando prasiniti e serpentine, terreni morenici, fenomeni di moiitonnement, roccie striate, ecc., e si Osservò il panorama generalo dell’anfiteatro morenico di Rivoli. Fu fatto quindi ritorno a Torino, dove ebbe luogo 1’ ultima seduta e si chiuse il Congresso. Roma, ottobre 1905. Da Direzione. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE KIBLIOORAFIA. OEOLOGUO^ IT^ETA.IVJL PER l’anno 1904 ^ [Continuasi Olle e fine, vedi n. 3). Ristori Gt. — Le terre refrattarie e da ceramica fra Altopascio e Monte Carlo [Provincia di Lucca). (Griornale di Greol. pratica, Yol. II. fase. 1-2, pag. 4349). — Perugia, 1904. Queste terre occupano una rilevante estensione e si presentano in un solo livello con perfetta orizzontalità di stratificazione e senza discontiuuità negli strati. Esse sono ricoperte da una formazione di poco spessore, parimenti orizzontale, che consta di un conglomerato ciottoloso, debolmente cementato da una argilla ocracea con poco carbonato di calcio, ricoperta a sua volta da ghiaie ad elementi più grossi miste a sabbia argillosa : lo spessore totale del ricoprimento può in media calcolarsi a m. 3. Da un calcolo approssimativo sulla quantità di queste terre, risulta quanto sia remoto il caso di esaurimento, essendovi ancora molta probabilità di tro- varne in località vicine a quelle nelle* quali si svilupparono finora i lavori di escavazione. Do spessore del banco oscilla fra m. 1. 50 e 2. 50, e in qualche punto arriva anche a m. 3; però a causa di inquinazioni di ossido di ferro, la parte industrialmente utilizzabile si riduce a m. 1. 70, con un totale di metri cubi 200,000 al minimo. D’autore ritiene questo deposito formato dal disfacimento delle roccie arenacee dei monti vicini, e più specialmente degli elementi feldspatici e mi- cacei in esse contenuti : tale formazione si sarebbe iniziata sin dai primordi del pliocene. Ristori Gr. — Cenni sul regime sotterraneo delle acque nel territorio comunale di Signa. (Griornale di Greol. pratica, Yol. II, fase. 3°, pag. 69-87). — Perugia, 1904. Il territorio di Signa può essere diviso in tre zone, la prima delle quali fa parte del sistema orografico appenninico, la seconda comprende le ondula- ^ Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere,^ interessano la geologia d’ Italia od hanno rapporto con essa. zioni sub-appenniniche, la terza si stende in terreni pianeggianti: osso corri- spondono geologicamente all’eocene, al pliocene, al quaternario. IN’ella prima predominano arenarie in banchi compatti e potenti, scisti arenacei o galestri, calcari marnosi, i quali sono grandemente sviluppati nei dintorni del capo- luogo e ne costituiscono i rilievi più caratteristici. A questi terreni si appog- giano le sabbie e le argille del pliocene, formanti collinette, per un certo tratto, fra Bisenzio e Ombrone : il rimanente territorio è di terreni alluvionali derivanti da questi due fiumi e dall’Arno. Le acque sotterranee dell’eocene seguono in generale le discontinuità nella serie delle roccie calcareo-argillose e tendono, secondo l’inclinazione degli strati, a IN'.E, dove concorrono a formare una lama acquifera nel terreno plio- cenico appoggiatovi e precisamente al contatto fra sabbie e argille, la quale ha il suo sfogo naturale nelle alluvioni della pianura fra Arno ed Ombrone, dove si suddividono in diversi livelli, ai quali concorrono anche acque di pro- venienza diversa. L’autore studia quindi le condizioni di permeabilità delle alluvioni, inco- minciando da quelle dell’Arno, per passare a quelle del Bisenzio e dell’Om- brone, valendosi dei risultati ottenuti da perforazioni eseguite nei comuni li- mitrofi, nonché della osservazione diretta ; conchiudendo che il livello acquifero preferibile, sia per qualità, che per quantità e perennità delle acqu^e, sia quello del pliocene, il quale, anche nella pianura, trovasi a profondità non eccessiva ed al quale dovranno rivolgersi le ricerche per acqua potabile. Ristori G-. — I giacimenti limonitici di Monte Valerio^ di Monte Spinosa e di Monte Bombolo {Campiglia Marittima). (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XX, pag. 60-75). — Pisa, 1904. Come è noto, in questo gruppo della Catena metallifera furono da tempo lavorati, entro il calcare basico, giacimenti di limonite e di cassiterite, in par- ticolare quelli di Monte Yalerio, con vicende più o meno fortunate, dovute più che altro al modo di lavorazione ; la cassiterite però diede risultati ab- bastanza buoni, mentre meno fortunati furono quelli per la limonite. È appunto di questi ultimi che Fautore si occupa, riunendone i- giacimenti in 9 gruppi, di ciascuno dei quali tratta con molte particolarità, e traendone le norme per una più razionale lavorazione dei medesimi. Fra i giacimenti di maggiore importanza sono a notarsi quelli del Pozza- tello, di Santa Caterina, di Monte Spinosa, e il più conosciuto ed importante fra tutti, quello di Monte Rombolo. La origine idro-chimica è forse quella che — 318 — più corrisponde alle condizioni speciali di questi giacimenti e delle formazioni limitrofe, in particolare di quelle contenenti pirosseni più o meno analoghi ai tipici dell’ Elba (ilvaite), che hanno il 55 per cento di EeO. Caratteristica co- mune a tutti i giacimenti è poi la loro limitazione alla superficie, il che ha tratto facilmente in inganno sulla loro potenzialità, ed ha resi inutili e dan- nosi tanti lavori fatti a profondità. Koccati a. — Ricerche petrocjraficìie sulle valli del Gesso [Valle delle Rovine). (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, A^ol. XXXIX, disp. 11®, pag. 669-688, con tavola). — Torino, 1904. In continuazione alle note precedentemente pubblicate (vedi Bìhl. 1903) sulle valli del Gesso (Alpi Marittime) l’autore tratta in questa della zona com- presa fra il Gesso della Valletta e la Valle delle Eovine, di natura cristallina ed interessante per varietà di' roccie. Questa valle, che si apre a circa 5 chilo- metri a monte di Entraque e risale verso il massiccio dell’ Argenterà, è sca- vata essenzialmente nello gneiss, ricoperto però al suo inizio da formazioni alluvionali e moreniche, e può essere divisa in due zone, luna inferiore, l’altra superiore : essa è costituita da roccie scistose, con prevalenza di gneiss, cui si associano micascisti, cloritoscisti, calcefiri ed anfiboliti, insieme con diverse roccie filoniane. Gli gneiss, svariatissimi per composizione e struttura, si possono ridurre a due tipi, i normali ed i cataclastici ; i primi si distinguono in gneiss a bio- tite e gneiss a clorite ; i secondi, in assoluta prevalenza sui primi, si presen- tano con i loro componenti variamente fratturati e schiacciati in seguito ad azioni meccaniche ; essi offrono vari tipi che segnano tutto un passaggio gra- duato dallo gneiss normale ad altre roccie clastiche del tipo delle arcosi. Dallo gneiss a biotite e da anello a clorite si passa gradatamente a vero micascisto biotitico e a vero cloritescisto. I calcefiri, con struttura finamente granulare,contengono mica, ilmenite, pi- rite, apatite ed antibolo (varietà edenite) : l’anfibolite è granatifera o biotitica, com- pattissima e dura, di colore verde- scuro, quasi nero, ed è la sola pietra verde ivi esistente. Le roccie filoniane sono in generale finamente granulari ed afanitiche: fra queste l’autore descrive l’aplite, il granito sienitico, il microgranito, la mi- crogranulite, il granito normale, la microanfibolite. Xella tavola sono riprodotte le microfotografie di alcune delle roccie studiate. — 319 — Eoccati a. — Ricerche petrografiche sulle valli del Gesso {Serra del- r Argenterei). (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 15^, pag. 1008-1023). — Torino, 1904. Questa Serra, che limita superiormente la Valle delle Eovine, argomento della precedente nota, contiene le maggiori cime delle Alpi Marittime, ed è costituita essenzialmente da gneiss analoghi a quelli già indicati della valle anzidetta, con l’aggiunta di una varietà biotitico-granatifera e di altre varietà a cordierite, ed antibolo, a pirosseno e ad antibolo e pirosseno insieme. A tali roccie si associano, come nella Valle delle Eovine, alcune roccie filoniane ana- loghe a quelle già studiate e breccie di sfregamento, che si sarebbero origi- nate nei movimenti a cui furono sottoposti gli gneiss della regione e presen- tano interessanti associazioni di minerali. Intercalate agli gneiss si trovano anche alcune pietre verdi che ne sareb- bero una modificazione, quali anfiboliti, pirosseniti, granatiti e glaucofaniti, contenenti tutte quella varietà di anfibolo che è conosciuta col nome di edenite. Eomberg J. — Ueher Melaphgr iind Camptonit ans dem Monsonigehiete. (Centralblatt ftir Min., G^eol. und Pai., Jahrg. 1904, n. 9, pag. 275- 279). - Stuttgart, 1904. In questa nota l’autore ribatte le osservazioni e le conclusioni contenute nel lavoro di 11. Proboscht sul melafiro di Pizmeda (vedi sopra), conchiudendo che una sicura classificazione di tali roccie non può essere possibile senza nuove accurate analisi chimiche delle stesse. Eomberg J. — Ueher die chemische Ziisammensetsiing der Eruptivg esterne in den Oehieten von Predasse und Monsoni. (Anhang zu den Abhandl. der Kòn. Preuss. Ak. der. Wiss., Jahrgang 1904, pag. 135, con ta- vola). — Berlin, 1904. Contiene nuove osservazioni sulle roccie eruttive del territorio di Predazzo e dei Monzoni ; dà le analisi delle roccie studiate, comparandole con quelle già note delle stesse località e di altre regioni. Le relazioni fra la costituzione chimica dei vari tipi confermano quanto lo stesso autore aveva già dimostrato in antecedenti lavori intorno ai vari pro- dotti della differenziazione del magma originario. — 32 ) — Eovereto Gr. — SulPetà del macigno deW Appennino ligure. (Boll. Soc. aeoi. ital., Yol. XXII, fase. 3^ pag. 390-394). — Eoma, 1904. Jj’aiitore discute alcune opinioni emesse dal Bonarelli (vedi Bihl. 1902) su qualche punto della geologia dell’ Appennino settentrionale, e in particolare sulla età del macigno che questi vuole oligocenica, mentre, per le sue condizioni stra- tigrafiche, deve essere antico per lo meno quanto il periodo di corrugamento della catena e che fu nell’eocene. Ciò egli dimostra con una serie di osservazioni tettoniche fatte in diverse parti dell’ Appennino ligure, in luoghi dove è possi- bile eseguire profili geologici con qualche esattezza ; così per Bedonia e Santa Maria in Yal di Taro, dove il macigno forma un completo e regolare anticli- nale, che sorregge tutta la serie degli scisti e dei calcari di quella valle. Da queste sezioni risulta che il macigno è ora intercalato fra due livelli di scisti argillosi, ora è alla base della serie ; inoltre esso è fortejnente ripiegato in anti- clinali ribaltati e regolari, formanti le pieghe principali della catena dovuta al corrugamento eocenico. Xella stessa nota il Bonarelli, parlando della serie eocenica, pone alla base di essa il calcare a fucoidi, cui si sovrapporrebbero i galestri policromi, le ar- gille scagliose, il calcare nummulitico ed infine il macigno. D’autore, a sua volta, asserisce che nei dintorni di Genova havvi in alto il calcare predetto, cui segue in basso il macigno e quindi gli scisti policromi ed argillosi, ai quali succede con trasgressione la serie secondaria. Eovereto G. — Escursioni geologiche nel gruppo del Margnarese. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXII, fase. 3®, pag. 399-417). — Eoma, 4904. In questo gruppo montuoso, situato nelle Alpi liguri a levante del Colle di Tenda, e che va dalla Colla della Perla a quella delle Saline, rautore ha riconosciuto la serie seguente dal basso in alto ; 4® Carbonifero, distinto per la prima volta dallo Zaccagua, formato da scisti filladici e ardesiaci, fra i quali uno scisto nero ardesiaco caratteristico. 2® Permiano, con scisti cloritici a grana microgranulare o mandorlati di quarzo e scisti clorito-sericitici o quarzo-sericitici, passanti nella parte superiore ad anageniti, con un filone di porfido quarzifero anfibolico accompagnato da roccie finamente agglomerate e scistose della stessa natura (besimaudite). 3® Trias, che incomincia con quarziti e arenarie quarzitiche che posano sulle anageniti permiane, formanti delle lenti discontinue al contatto fra la serie scistosa e la calcarea che viene in seguito ed appartenente al Trias medio, diviso nei tre piani dal Muschelkalk, inferiore, medio e superiore. — 321 — 4° Lias, rappresentato dai calcari rossi ad Arietites del sinemuriano. Giurese, con calcari mandorlati e brecciati ammonitiferi, e calcari marmorei biancastri con criiioidi. Ti tonico, rappresentato da calcari scistosi a lastre con fossili caratte- ristici. 7® Cretaceo (senoniano) dubitativamente, con calcari argillosi listati o sci- stoidi, pure fossiliferi; e finalmente 8® Ueocene con scisti policromi, scisti argillosi, arenarie e calcari num- mulitici. In un quadro è esposta questa serie, in confronto con quella delle regioni finitime. Passando alla tettonica, il gruppo formerebbe il fianco di una anticlinale, corrispondente alla parte più alta del medesimo, il cui fianco opposto si tro- verebbe molto più a nord, cioè sul versante orografico settentrionale, mentre sul meridionale la zona sarebbe coperta dalla fascia terziaria. Il nucleo dell’an- ticlinale è costituito dal carbonifero della linea Carnino-Caccino. Seguono osservazioni particolareggiate sugli anticlinali, le pieghe, le faglie e sull’assetto degli strati che le compongono, non che sulla copertura di scisti eocenici che riveste grandi tratti del massiccio e che talora è intercalata nella serie secondaria per effetto di fratture e di ripiegamenti, e tal’altra forma ripiegamenti laterali contro il massiccio, a immediato contatto del secondario o da esso staccati. ^S’olia memoria sono intercalati alcuni profili a conferma di quanto vi è esposto. Rovereto Gt. — Guida delle Alpi Apuane', Geologia (pag. 28 in-8^). — Grenova, 1904. In questo capitolo della Gruida pubblicata per cura della Sezione ligure del Club alpino italiano, l’autore dà un sunto generale delle condizioni geologiche delle Alpi Apuane, incominciando dalla forma e dalla genesi del complesso montuoso e dai rapporti fra il paesaggio e la natura litologica del terreno. Hella serie delle formazioni si trovano in basso micascisti sericitici passanti a gneiss microgranulitici, ad anageniti scistose ed a filladi, con intercluse lenti di calce- scisti o di scisti carboniosi con Orthoceras e crinoidi: l’autore crede che questo complesso comprenda terreni dal siluriano al permiano. Segue il Trias inferiore rappresentato da rari banchi di quarzite e di anagenite ; il Trias medio con una serie importantissima, che comprende il marmo saccaroide, contrariamente alle 22 — 322 — idee del De Stefani e dello Zaccagna, i quali collocano quest’ultimo nel Trias superiore. Al di sopra sta una potente pila di calcari dolomitici, compatti e ca- vernosi che, secondo recenti studi, apparterrebbero al Trias superiore, quindi i calcari grigi e gli scisti marnosi del retico. Seguono calcari diversi del Lias, scisti argillogi del giurese, calcari rossi ed aptiti del titohico, indi calcari con selce e galestri variegati del cretaceo, altri calcari e arenarie dell’eocene, marne lignitifere del miocene, argille, sabbie e ghiaie del pliocene, infine depositi mo- renici e alluvioni quaternarie antiche e moderne. L’autore tratta anche brevemente dell’industria dei marmi, delle varietà di questi, dei minerali accessori che contengono, ecc. ecc. ; e infine delle sor- genti, delle caverne e degli antichi fenomeni glaciali. Chiudono il capitolo alcuni itinerari geologici nella regione apuana. Vedute prospettiche e figure schematiche trovansi intercalate nel testo. Kovereto Gr. — La Bona marmifera della Pania della Croce nelle Alpi Apuane. (Griornale di G^eol. pratica. Voi. II, fase. 5°, pag. 157-163). — Perugia, 1904. L’autore tratta dapprima della tettonica e della stratigrafia del gruppo della Pania, che egli ritiene diversa da quanto apparisce nella Carta geologica e nelle Sezioni dello Zaccagna, collocando egli il marmo bianco invece che nel Lias nella parte superiore del Trias medio, con intervento di un rovesciamento generale e di altri gravi disturbi stratigrafici per spiegarne la tettonica : egli ritiene il massiccio marmoreo della Pania staccato dal grande sinclinale di marmo del centro apuano, terminante al Monte Cerchia, da un anticlinale di micascisti permiani e cinto al di sopra e al di sotto da roccie più recenti. Fa poi cenno dei marmi esistenti in questo gruppo, e che sono, oltre al bianco suaccennato, il paonazzo, il nero unito, il nero picchiettato, il rosso A^e- nato^ il bardiglio e una breccia. Rovereto Gr. — Geomorfologia delle Valli Liguri. (Atti R. Università di Genova, Voi. XYIII, pag. 228 in-8^ con 4 tavole). — Genova, 1904. In questo volume, premesse le nozioni necessarie sulla geologia, la tetto- nica, l’orografia della Liguria, l’autore prende in esame le valli della intiera regione, ne studia per ciascuna di esse le particolarità morfologiche, la genesi, le condizioni speciali, in rapporto con le varietà degli agenti che le hanno formate, il tutto basato sulle sue osserA^azioni dirette. Le parti costitutive dei Monti della Liguria sono; 1*^ lo Alpi liguri, con- tinuazione delle Alpi Marittime, con una zona paleozoico-secondaria nel centro, una eocenica nel versante meridionale, e una fascia epigenica miocenico-plio- cenica nel settentrionale ; 2® l’ Appennino ligure occidentale, con grandi zone di anfiboliti e di serpentine, attorniate da micascìsti e dalla fascia epigenica anzidetta; 3^^ l’ Appennino ligure orientale, o grande zona eocenica, con pic- coli massicci secondari al suo estremo orientale e la faccia epigenica al IN'.E. Di ciascuna di esse l’autore dà una breve descrizione sommaria di carattere tettonico-stratigrafico, corredandola di profili, per poi passare alla orografia abbastanza complicata dell’intiera catena. Segue la parte principale dell'opera, cioè la descrizione particolareggiata delle singole vallate, incominciando dal Tanaro e suoi affluenti per arrivare attraverso la intiera Liguria alla Yara ed alla Magra, col corredo di numerosi profili e con ampia messe di osservazioni originali e di dati di fatto. Speciale menzione facciamo delle induzioni intorno agli antichi supposti bacini lacustri di alcune valli e sulla origine del Golfo della Spezia, considerato come valle sommersa. Chiude il lavoro un capitolo di conclusioni teoriche tratte dallo studio delle vallate liguri. L’opera è corredata, oltreché da figure intercalate nel testo, da tre tavole di piante e profili e da una Carta tettonica dei monti liguri nella scala di 1 a 500,000, con la indicazione delle linee di sollevamento, anticlinali, pieghe, faglie, ecc., ecc. Rovereto G. — Studi monografici sugli Anellidi fossili. I. Terziario. (Pa- laeontographia italica, Yol. X, pag. 1-74, con 4 tavole). — Pisa, 1904. Facendo seguito al suo antecedente studio sulle serpulide terziarie e qua- ternarie d’Italia (vedi Bibl. 1899), l’autore pubblica ora uno studio sugli anel- lidi del terziario, eseguito su copioso materiale inviatogli da scienziati e musei d’Italia e dell’estero e su nuovi dati raccolti da lui stesso per la compilazione di un catalogo generale degli anellidi del terziario e per il coordinamento e il confronto fra di loro delle determinazioni fatte dagli autori. Xella compila- zione del lavoro egli ha seguito certe norme per semplificare la enumerazione delle specie e per renderne facile la consultazione: in esse quindi sono rive- dute e confrontate, con gli esemplari alla mano, specificazioni sparse in un grande numero di lavori e molte volte stabilite senza curarsi delle determina- zioni precedenti. 324 — Nella descrizione delle specie e varietà (in totale n. 102) abbondano le ser- pulidi appartenenti al terziario italiano, alcune delle quali affatto nuove. Havvi pure un nuovo genere, Neomicrorbis, interessante il nummulitico alpino. Seguono: un elenco di 106 specie già descritte come serpule, ma che ap- partengono ai molluschi; una appendice sulle traccie che probabilmente sono dovute ad anellidi erranti e che furono ritenute per alghe : infine un indice dei nomi generici e specifici ricordati nel lavoro. Nelle tavole annesse sono figurate 66 delle specie descritte. Sabatini V. — De Vètat actuel des recherches sur les volcans de V Italie centrale. (Comptes-rendus du Congrès Greol. Intern. de Tienne, pag. 663-684, con 2 tavole). — Yienne, 1904. Riassunte alcune tra le ultime osservazioni fatte nei Yulsinii, l’autore di- mostra che la conca del lago di Bolsena è dovuta ad una serie di crateri avvi- luppanti {a sfoglie) e dà una cartina della parte orientale del lago medesimo. L’assenza di litoclasi è una conferma di questo modo di vedere. Parla quindi del progresso continuo dell’erosione nei dintorni di Bagnorea. In un secondo paragrafo lo stesso parla dei Yulcani Cimini, che definisce trachi-andesìtico quello del Monte Cimino, e leuco-andesUico quello del cratere di Yico. Discussa la provenienza e il modo di formazione di alcune roccie della regione, l’autore ne dà la serie seguente: sull’argilla, le sabbie e i conglome- rati del pliocene e sui conglomerati quaternari (in cui si trovano già delle sabbie vulcaniche) si son deposti il peperino delle alture (baluardi esterni del Monte Cimino) e il peperino tipico (p. propriamente detto), roccia più recente, come l’autore dimostrò. I tufi incoerenti e i litoidi con scorie nere hanno se- guito ; essi sono tutti leucitici (loucotefritici) e coincidono con le prime manife- stazioni del vulcano di Yico, e con parte delle successive. Il vulcano di Monte Cimino chiuse le sue manifestazioni con emissioni di lava senza leucite, com- prese tra le trachiti e le labradoriti. Il vulcano di Yico che, oltre i tufi litoidi e incoerenti, aveva emesso delle lave leucotefritiche gremite di leuciti, con- tinuò le sue eruzioni, dopo l’estinzione dell’altro A’'ulcano, col petrisco (una leu- cotefrite anch’esso), con andesiti e trachiti {viilsinite) e quindi con altri tufi. La formazione di Monte Yenere (leucotefritica) chiuse la serie. Le due tavole contengono: lina carta del lago di Bolsena, con la in- dicazione delle lave e dei frammenti tuttora rimasti dei crateri a sfoglie, nella metà orientale dei Yulsinii; 2® Una cartina generale litologica dei Monti Ci- mini, con la distinzione delle lave. — 325 ~ Sabatini Y. — Relazione sul lavoro eseguito nel periodo 189 9 -1 90 H su i vulcani delVItalia centrale e i loro prodotti. (Boll. R. Comitato GeoL, Yol. XXXY, fase. 2^ pag. 179-198, con Carta geol.). — Roma, 1904. L’autore sviluppa qui, più che nella comunicazione precedente la teoria dei crateri a sfoglie, e dà dei particolari sulle bocche di Monterado e Mon- tefiascone. I fenomeni erosivi della regione sono studiati più completamente che nella comunicazione precedente, e vi si aggiunge la storia delle ultime frane di Bagnorea. Finalmente discute sui terreni sedimentari della regione, in cui sono pochi calcari secondari, calcari e scisti argillosi dell’eocene, argilla pliocenica, alluvioni e travertini quaternari. Una lunga lista di fossili chiude la nota. Alla medesima è poi annessa una Carta geologica riassuntiva della parte orientale della regione vulsinia, tratta da quella rilevata dall’autore ed ancora inedita; questa Carta, in scala di 1 a 100,000, si estende dal lago di Bolsena sino oltre la valle del Tevere, da Bolsena ad Alviano e da Monte- fiascone ad Attigliano. Essa comprende le divisioni seguenti; Quaternario (al- luvioni e detriti di falda, travertino, tufi incoerenti, tufi litoidi, lave in genere) ; Pliocene (argille turchine)-, Eocene (calcari marnosi e scisti argillosi); Secon- dario (calcari). Sacco F. — / molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Parte XXX: Aggiunte e correzioni (pag. 204 + xxxvi in-4®, con 31 tavole). — Torino, 1904. In questo volume, ultimo di una lunga serie, l’autore raccoglie tutte le aggiunte e correzioni relative a nuovi rinvenimenti di fossili, a nuove scoperte di faune note in piani diversi da quelli prima indicati, a cambiamenti nella nomenclatura, nonché alle risultanze di lavori pubblicati dopo l’inizio dell’opera. Seguono alcuni cenni storici sull’origine di questa, incominciata dal Bellardi nel 1872 e proseguita dall’autore dopo il 1889, sul metodo adottato nello studio dei fossili descritti e sopra argomenti diversi trattati nel corso del lavoro, con- chiudendo con un cenno generale sui terreni terziari, nei quali souo stati rac- colti i campioni studiati e sulle varie località fossilifere. Un indice generale delle specie descritte chiude il volume. Xelle tavole annesse sono illustrate, con 1400 figure in fototipia, la maggior parte delle forme che non erano state figurate nei volumi precedenti. — 326 — Sacco F. — Lenti grafitiche nella sona delle Pietre verdi in Val di Laiiso. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 15^, pagine 989-994). — Torino, 1904. Benché finora si siano ritenuti i giacimenti di grafite delle Alpi piemontesi caratteristici della zona gneissica, come ad es. quelli dei dintorni di Pinerolo, pure l’autore segnala due lenti di essa nella zona delle pietre verdi, una delle quali al contatto diretto con la serpentina. Dette lenti si trovano nella bassa valle della Stura di Danzo, e precisa- monte sul suo fianco sinistro, pure a valle di Ceres. In questa regione l’autore distingue e descriNre 4 zone fra gneissiche e serpentinose, in due delle quali appariscono le lenti di grafite, che formano oggetto della presente nota. In analoga posizione sembrano trovarsi in Piemonte altre lenti analoghe della valle dell’Orco, della Yalsesia, ecc. ; per cui l'autore crede di potere af- fermare che nelle Alpi occidentali, benché le zone grafitiche più importanti stanno essenzialmente nelle formazioni gneissiche, compaiono pure lenti gra* fitose nella zona delle pietre verdi, fornendo così un’altra prova dell’intenso metamorfismo che ha agito su tale formazione. Sacco F. — U Appennino Settentrionale e Centrale (pag. 400 in-8°, con tavole e carta). — Torino, 1904. In questo volume e nella Carta annessa l’autore riassume il risultato degli studi da lui fatti nell Appennino, in 20 anni circa, dal Colle di Tenda ai con- fini degli Abruzzi e del Lazio. Premesse alcune notizie generali sugli studi anteriori, egli descrive i ter- reni appenninici nell’ordine seguente, dal basso in alto, e cioè : per il primario, il permo-carbonifero parzialmente cristallino ; per il secondario, il Trias (ivi compreso il gruppo di Yoltri rappresentante la zona delle pietre verdi nell’ Ap- pennino ligure occidentale), il giura-liasico, il cretaceo, tanto nella sua facies tipica, quanto in quella degli scisti argillosi a pietre verdi ; per il terziario l’eocene, che tanta estensione occupa nelle catena, l’oligocene, il miocene, il mio-pliocene e il pliocene, distinto in marino e terrestre ; pel quaternario, il sahariano nelle sue diverse facies, diluviale o glaciale o vulcanico, e infine il cosidetto terrazziano. Di tutti questi terreni sono dati i caratteri generali, come pure i dati paleontologici, la tettonica ed altre particolarità. La seconda parte del volume é destinata alla geologia applicata, distinta in diversi capitoli, corrispondenti ad altrettanti argomenti, ciascuno dei quali è suddiviso per terreni o nei piani geologici sopraindicati. - 327 — Chiude il volume un’appendice di argomenti variati (filoni, sorgenti ter- mali, terremoti) e un indice speciale per materie trattate nella geologia ap- plicata. ISTelle tavole annesse sono copiose figure relative a svariati fenomeni stra- tigrafici, fra cui le linee d’anticlinale sulle quali è modellata la orografia e la idrografia dell’ Appennino. La Carta geologica dell’Appennino settentrionale e centrale, cui il volume serve di illustrazione, comprende 16 divisioni di terreni ed è alla scala di 1 per 500,000. Sangiorgi D. — Lo Schlier nelVImolese. (Rivista ital. di paleontologia. Anno X, fase. Ili, pag. 77-83). — Perugia, 1904. Trattasi di una formazione di marne più o meno scistose, le quali, sotto- stando alla formazione gessosa miocenica, affiorano per lungo tratto nella val- lata del Santerno e sino al punto nel quale, risalendo il fiume, compariscono molasse ed arenarie più antiche. Il Rio dell’Inferno, che sbocca in questo ultimo nelle vicinanze di Tossignano, incide profondamente detta formazione, e ivi le marne si possono studiare facilmente, e constatare la loro pendenza a nord e la loro immersione sotto ai gessi, coi quali sono concordanti. Queste marne contengono una quantità straordinaria di globigerine, però alterate e di difficile determinazione, nonché di Orbnlina universa Lam. che si può raccogliere a centinaia di individui. L’autore vi trovò anche una piccola fauna a pteropodi, con poche forme determinabili, che egli brevemente descrive, assegnandole ad 8 specie. Accenna poi ad un Palaeodyction trovato nella parte superiore del Rio dell’Inferno nella zona di contatto coi gessi, quindi ad un livello geologico più elevato dell’ordinario, e riferibile al P. miocenicum Sacco. Dalle osservazioni fatte e dal materiale raccolto, l’autore crede di potere conchiudere che questa formazione marnosa corrisponde al cosidetto Schlier del! Alta Austria, della vallata del Reno e del Bolognese. Sartori F. — Ancora sulla formasiom costiera dì Nehida. (Resoconti riunioni Ass. mineraria sarda. Anno IX, n. 4, seduta 17 aprile 1904, pag. 11-12). — Iglesias, 1904. Con questa nota l’autore rettifica qualche dato contenuto nella nota Hen- rotin, sulla costiera di Xebida (vedi più sopra), osservando che se a Xebida l’anagenite è in immediato contatto col calcare metallifero, ciò non si ripete — 328 — per tutto il resto del giacimento, a cominciare un po’ a sud di Xebida, e che il fenomeno può essere del tutto locale. Egli cita altri fatti a sostegno del suo modo di vedere, in parto contrad- dicentisi fra loro, i quali creano dubbi sulla posizione della dolomia metalbfera rispetto alle altre formazioni dell’Iglesiente, e che potranno solo essere risolti dopo numerose ed attente osservazioni tettoniche. Sequenza L. — Intorno ad alcuni molari elefantini fossili di /Sicilia e di Calabria. (Rivista ital. di paleontologia, Anno X, fase. I-II, pag. 41-58, con tavola). — Perugia, 1904. Il materiale oggetto di questo nota trovasi in gran parte nel IVIuseo geo- logico della R. Università di Messina, e consta : 1® Di quattro molari e di altri avanzi di un elefante scoperto nel 1869 presso Reggio Calabria (strada per Terreti), da G. Seguenza riferiti con dubbio ad E. armeniacns ; 2^ Di un fram- mento di teschio ed altri, provenienti da Rizzolo (Francofonte, prov. di Sira- cusa), dallo stesso attribuiti ad E. africauns ; 3° Di frammenti di denti e ossa del quaternario di Contrada Corvo presso Reggio Calabria, illustrati da G. De Stefano come E. antiqiius ; 4*^ Di un molare rinvenuto daH’autore nel pliocene di Gravitelli presso Messina, e pubblicato col nome di E. merìdioiiaììs ; 5® Di altro molare raccolto al Faro Superiore presso Messina, descritto daH’autore per E. antiquiis ; 6*^ Di un frammento di molare raccolto in Contrada Morrocu presso Reggio Calabria, determinato come E. meridioiialis da G. De Stefano» L’autore prende in esame ciascuno di questi avanzi, ne rifà la storia, ne descrive i caratteri e ne fa il confronto dimostrando che tutti i resti di elefanti raccolti in Calabria, e variamente definiti dagli autori, debbono rapportarsi all’A. antiqiiiis, e che quelli di Sicilia appartengono all’ A. antiqiins o all’ A» africanns (Gravitelli). Xella tavola annessa sono figurati i resti provenienti da Reggio (Terreti), dalla Contrada Corvo, da Rizzolo, tutti appartenenti ?àV Elephas antiqiins Falc» Silvestri A. — Forme nuove o poco conosciute di Protosoi miocenici pie- montesi. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. pag. 4-15). — Torino, 1904. Facendo seguito ad una sua precedente comunicazione sui protozoi fossili piemontesi (vedi Bibl. 1903), l’autore presenta in questa le descrizioni ed i di- segni di talune forme mioceniche di protozoi reticolari del Piemonte, nuove o poco conosciute. — 329 — Le forme descritte sono in numero di 5, tutte nuove, provenienti dalle marne e dai tripoli del miocene di Marmorito (provincia di Alessandria, circondario di Asti). Chiudono la nota alcune considerazioni suH’ordine di successione del gruppo della Ellipsoidina ellipsoicles, considerato nello spazio e nel tempo. Silvestri A. — Località toscana dal genere Chapmania Silv. et Prev. (Boll, del Naturalista, A. XXIY, pag. 117-119). — Siena, 1904. Rappresentanti del nuovo genere Chapmania istituito da Silvestri e Prever (vedi Boll. Soc. Oeol. Hai., Yol. XXIII, pag. 467) furono dall’autore rinvenuti anche a Mercatale presso Montevarchi (Arezzo), entro strati a litotamni, proba- bilmente oligocenici. Incidentalmente poi Pautoro accenna al rinvenimento nel territorio di San- sepolcro (alta Yalle Tiberiua) di Niimmulites., Alveolina, Orthophragmina, ecc. e in quello di Anghiari (Arezzo) di Lepidocgclina, di carattere decisamente eoce- nico i primi, e forse oligocenico o miocenico l’altro, il che ha molto interesse per la tanto discussa cronologia dei terreni di quella regione. Silvestri A. — Ricerche strutturali su alcune forme dei trubi di Bon- fornello {Palermo). (Memorie Pont. Acc. dei Nuovi Lincei, Yol. XXII, pag. 235-276). — Roma, 1904. Questa formazione, che il Seguenza collocò nel suo zancleano e che ancora oggi non si sa con certezza attribuire al pliocene piuttosto che al miocene, rap- presenta un deposito di alto fondo, analogo a quello attuale detto fungo a glo- bi gerine e come questo è costituito in gran parte di avanzi di foraminifere, con l’esclusione quasi assoluta di organismi microscopici. La ricca fauna dei trubi siciliani trova sul continente italiano notevoli rapporti con quelle del miocene piemontese ed in particolare della marna grigio-chiara elveziana di Marmorito (Asti). Nella presente memoria l’autore esamina alcune delle forme di Bonfornello già illustrate dal De Amicis (vedi Bibl. 1894 e 1895)., allo scopo d’assicurarsi della bontà del metodo di determinazione basato sul solo esame esterno. Le forme descritte, ed in massima parte disegnate, sono in numero di 10, fra le quali una nuova, oltre ad una varietà del pari nuova ; delle 7 rimanenti 2 sole non concordano con le determinazioni fatte dal De Amicis, oltre ad una terza (la Haplostiche dnbia d’Orbigny) specie che va eliminata dall’elenco delle specie — 330 - di Bonfornello, cui in compenso vanno sostituite le forme nuove e che Fautore denomina Ellipsopleurostomella russitanoi e Vaginiilinopsis inversa, var. carinata. Chiude il lavoro un indice dei generi, specie e varietà citati nel corso del medesimo, in numero di 135. Slavik Fr. — Ueher eìnen Gramthornfels von Predazso. (Centralblatt fiir Min., Greol. und Pai., Jahrg. 1904, n. 21, pag. 661-666). — Stuttgart, 1904. Questa roccia granatifera fu raccolta dall’autore sul versante occidentale del Monte Malgola nelle vicinanze di Predazzo, al contatto della monzonite col calcare, ed è evidentemente un prodotto del metamorfismo di quest’ultimo ope- rato dalla roccia eruttiva. Essa è compatta, a frattura scagliosa, di colore verdastro chiaro passante a punti alla tinta bruno- rossastra abituale del granato calcico- alluminico, che vi è contenuto nella pasta insieme con inclusi di calcite, pirosseno ed idocrasio. I granati, con diametro inferiore a un quinto di millimetro, si presentano al microscopio in forma di dodecaedro romboidale a spigoli arrotondati, con de- bolissima colorazione verdastra. Altro granate» di seconda generazione è affatto incolore, associato talvolta con idocrasio; e ciò dimostra che il metamorfismo di contatto e la conseguente formazione della roccia in discorso avvenne in due tempi. I cristallini di pirosseno, per caratteri molto analoghi al diopside, avreb- bero una origine anteriore al granato. Osserva poi l’autore che una parte del campione studiato è formato da roccia eruttiva aplitica, leucocratica, che mostrasi come una miscela di feldspato bianco opaco ed augite verde scura : a punti appaiono entro il feldspato dei gra- nati secondari con rari frammenti di pirosseno verde scuro e orneblenda verde- giallastra, e in via accessoria con apatite, titanìte e quarzo. Essa rappresenta una facies speciale della monzonite. Spezia G-. — Sulle inclusioni di anidride carbonica liquida nella anidrite associata al quarzo trovata nel traforo del Sempione. (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XXXIX, disp. 8^, pag. 521-532, con tavola). — Torino, 1904. In suo lavoro precedente (vedi Bihl. 1908) l’autore accennò ad una anidrite violacea che, associata al quarzo, si incontrò fra le progressive 4492 e 4520 dal- l’imbocco sud della galleria del Sempione. Egli aggiunge ora alcune osserva- — 331 — zioni relative a questa roccia, alla sua associazione col quarzo, e specialmente alle numerose inclusioni liquide cbe vi si incontrano. Quest’ultimo sono quasi tutte e due liquidi non mescolabili, l’uno interno, l’altro esterno, entro cavità a pareti normali fra loro : il liquido interno, a tem- perature basse, può presentare anche una bolla gazosa, che però scompare sem- pre al limite superiore di S2^ C. per poi ricomparire con la diminuzione della temperatura. Ije osservazioni fatte sul liquido interno dimostrarono una ecces- siva dilatabilità di esso con l’elevarsi della temperatura; il che condusse l’au- tore a supporlo formato da anidride carbonica liquida, supposizione che egli con- fermò con l’azione chimica suiridrato calcico. Per varie ragioni poi egli ritiene che il secondo liquido, ossia l’esterno, non sia che una soluzione acquosa di sol- fato di calce, satura di anidride carbonica gazosa. Le inclusioni di anidride carbonica permettono di affermare che la roccia sia derivata da processi chimici, i quali abbiano dato luogo a produzione di questo gas, che sotto forte pressione rimaneva inchiiiso nell’anidrite che con- temporaneamente si formava, passando in parte allo stato liquido. Quest’ ultima poi, come quella dell’altro e più potente strato trovato nella stessa galleria, sarebbero dovute ad una trasformazione quasi totale, prodott da cause locali od anche endogene, di una preesistente dolomite micacea. È infine notevole il deposito posteriore di cristallini di quarzo nelle cavità lasciate dall’anidrite, una delle quali l’autore riproduce, con ingrandimento, come apparve dalla rottura di un frammento quarzoso, nella tavola annessa, insieme con altre figure. Squinabol S. — Radiolarie cretacee degli Euganei (pag. 76 ia-8®, con 10 tavole). — Padova, 1904. A complemento degli studi precedentemente pubblicati (vedi BihL 1903), l’autore raccoglie in questa monografia i risultati del suo lavoro sulle belle forme di radiolarie cretacee rinvenute nel gruppo degli Euganei. In essa, dopo avere accennato alle condizioni geologiche delle località fossi- lifere, egli descrive numerose specie di radiolarie, riportando anche quelle già pubblicate, per modo da dare una illustrazione generale della interessante mi- crofauna. Yi sono istituiti i nuovi generi Pentasphaera, Dactgliosphaera, Dorgpile, Sciadiocapsa e Distglocapsa, come pure un centinaio di specie nuove, apparte- nenti a questi generi o ad altri già noti. IS'elle tavole annesse sono accuratamente riprodotte siffatte specie nuove. — 332 - Stark M. — Die Qesteine Usticas iind die Besiehiingen derselben zn den Gesteinen der Liparischen Inselli. (Tsohermak's Min. und Petr. Mittheil., 23 B., YI H., pag. 469-532, con tavola). — Wien, 1904. Le roccie studiate dall’autore sono quelle raccolte dall’arciduca Luigi Sal- vatore in una sua crociera nel Mediterraneo (vedi l’opera : Ustica, Prag 1898), e depositate nell’Istituto mineralogico della Università tedesca di Praga. Premessa una descrizione generale dell’Isola, con relativa carta altimetrica nella scala di 1 a 30,000, l’autore entra subito nella parte petrografica, distin- guendovi tre gruppi di roccie, cioè: basalti, tufi e pomici, delle quali studia i minerali componenti. Sono questi, in ordine di importanza : plagioclasio, olivina, augite, magnetite, ferro titanifero, apatite, pirosseno rombico, orueblenda e meroxeno. Passa quindi allo studio delle roccie e varietà di esse, raggrup- pandole nei due tipi: basalto feldspatico-olivinico e basalto feldspatico, cui accompagnano tufi in gran copia e pomici andesiticlie in alcuni punti : di tali roccie dà pure l’analisi chimica. Segue un capitolo sui rapporti fra queste roccie e quelle delle Isole Li- pari, contenente numerose analisi di quest’ultirae e di quelle dell’Etna, fatte da autori diversi, conchiudendo che l’Ustica appartiene, non solo geografica- mente, ma anche litologicamente al gruppo delle Lipari ; alcune varietà di lave dell’Etna poi si avvicinano al basalto feldspato-olivinico delbUstica e le po- mici di questa a quelle della Pantelleria. In confronto con giacimenti analoghi delbestero, le roccie d’Ustica sono molto prossime a quelle delle Ande della America del Sud. Hella tavola annessa, le roccie studiate, come pure alcune delle Lipari, dell’Etna ed altre analoghe, sono rappresentate secondo il sistema di Osami, in base alla loro composizione chimica. Stella A. — Sulla geologia della regione ossolana contigua al Sempione. (Boll. Soc. Ueol. ital., Yol. XXIII, fase. pag. 84-88). — Eoma, 1904. L’autore comunica alcuni risultati dei nuovi rilevamenti da lui fatti nella regione ossolana a monte di Domodossola, dove hanno luogo grandi compli- cazioni fra le formazioni gneissiche e quelle dei calcescisti [lato sensii). Questa complicazione diventa maggiore, perchè i nuovi rilevamenti hanno mostrato che la fascia scistosa che il Gerlach chiamava scisti di Devero, non è una fascia unica, ma consta di più allineamenti scistosi separati da gneiss. Quanto alla stratigrafia, le nuove osservazioni confermano il parallelismo — 333 — di queste masse di scisti coi Biindiierschiefer, mesozoici, e la distinzione in due zone, cioè: una zona inferiore, probabilmente triasica, composta special- mente di calcari, dolomie, gessi con anidrite, breccie calcari, quarziti e filladi granatifere; ed una zona, probabilmente giurese {lato sensu), composta di calce- scisti, filladi, con intercalazioni quarzitiche e gneissiclie. Più difficile riesce fare distinzioni o raggruppamenti negli gneiss. IsTon pare giustificata una distinzione fra uno gneiss inferiore {Antigoriogneiss) e il restante delle masse gneissiclie. Anche in queste si ripetono tipi di gneiss si- mili a”quello di Antigorio, certamente ortogneiss. Ma d’altra parte non man- cano tipi di paragneiss, legati a micascisti; analoga distinzione è anche accen- nata per le anfiboliti. Anfiboliti con serpentine si trovano non soltanto nei cal- cescisti, ma anche negli gneiss, specialmente in quelli detti dal Gerlach di Monte Leone-Ofenhorn. Le difficoltà dei problemi tettonici appaiono da una serie di profili mano- scritti presentati alla Società geologica dall’autore, il quale crede quindi con- veniente rimettere una meno incerta interpretazione tettonica a più tardi, quando, coi risultati del rilevamento completo, si potranno coordinare quelli della perforazione della grande galleria del Sempione. Stella A. — ' Rilevamento geologico dei tagli alle cave Massanti fra Ponte Molle e Tor di Quinto^ presso Roma. (Boll. E. Comitato Geo!., Yol. XXXY, n. 3, pag. 235-242, con 4 tavole). — Eoma, 1904. Si tratta dei tagli eseguiti per l’escavazione di travertino e di arenaria per costruzione, lungo il margine della collina fra Ponte Molle e Tor di Quinto, su di un mezzo chilometro di lunghezza. L’autore rende conto concisamente delle osservazioni fattevi riferendosi alle illustrazioni grafiche allegate. Xella porzione nord e lungo la cava del travertino si hanno in evidenza tufi vulcanici superiormente, e travertino inferiormente. Più a sud il travertino è sostituito da ghiaia^ finché alla cava dell’arenaria si ha in evidenza dall’alto al basso : tufi vulcanici, massa ghiaiosa, formasione arenacea marina coi fossili già noti delle sabbie gialle. Della massa ghiaiosa viene data una particola- reggiata diagnosi, dalla quale risulta come essa contenga parti più o meno fine o grossolane e più o meno cementate, e contenga, specialmente nei banchi mediani, blocchi di tufi vulcanici e blocchi di marne a carcliiim. Le tavole contengono; 1® La planimetria generale della località in scala di 1 a 2000 ; 2® La proiezione verticale generale della fronte di taglio ; 3® Altra idem con particolari della cava di pietra arenacea; 4° Yedute prospettiche di alcune parti della cava Mazzanti. — 334 — Stella A. — La costituzione geoidrologica del sottosuolo del territorio di Pavia^ in rapporto alle acque profonde (dall’ Ingegnere igienista, Anno V, 12 pag. in-8°, con 3 tavole). — Milano, 1904. È il capitolo geologico di una memoria redatta in collaborazione coi pro- fessori A. Monti e A. Purgotti sui pozzi trivellati di Pavia in rapporto all’ali- mentazione idrica di quella città. Sia in città e sia nel territorio circostante furono in questi ultimi anni eseguiti un certo numero di pozzi tubnlari profondi (fino a 140 metri), in base ai quali si può avere un concetto abbastanza fondato sulla possibilità di una buona dotazione di acqua potabile del sottosuolo. L’autore, premesse alcune nozioni geologiche sulla città e suo territorio, passa in rassegna, in base alle terebrazioni fatte, la serie dei terreni del sotto- suolo e ne esamina la natura litologica. In questi terreni hanno sede due gruppi principali di orizzonti acquiferi, di ciascuno dei quali sono studiate le condizioni di regime e di portata. IN'otiamo come dallo studio delle alluvioni di sottosuolo, l’autore distingue una zona superiore di alluvioni ferrettizzate, e una zona profonda di alluvioni viriditizzate. Stella A. — Sulle condizioni geo-idrologiche del territorio di Cremona^ rispetto air estrazione d'acqua dal sottosuolo (pag. 12 iu-8®^ con 2 tavole). — Cremona, 1904. Premesso un cenno geologico sui terreni quaternari {alluvium e diliiviiim) del territorio di Cremona, l’autore passa aU’esame geognostico del sottosuolo della città in base ai dati di 14 pozzi tabulari affondati in questi ultimi anni fra i 20 e i 150 metri sotto il suolo. Yi distingue tre orizzonti acquiferi prin- cipali, di cui esamina l’importanza, e il regime, conclndendo per la possibilità di emungere dagli orizzonti profondi l’acqua necessaria ad una buona alimen- tazione della città stessa. Tacconi E. — Note mineralogiche sul giacimento cuprifero di Boccheg- giano. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. 7, 1^ sem., pag- 337-341). — Roma, 1904. Esse si riferiscono ai minerali seguenti: calcopirite (il più importante di tutti), pirite, marcassite, galena, blenda e specialmente tetraedrite, di cui l’au- — 335 — tore ha eseguito l’analisi completa, ottenendo da essa un tenore in argento di 6. 62 per cento : da tale analisi egli deduce anche la formula del minoralo. Facendo quindi un confronto della tetraedrite di Boccheggiano con quella di altre località toscane, oltre al carattere differenziale più saliente, cioè il tenore in argento, essa apparisce per la sua composizione notevolmente diversa dalle altre finora analizzate e va ascritta alla varietà freihergite. L’autore accenna infine alla bismutina, nuova per l’Italia, e ad altri mine- rali accessori, quali la malachite, l’azzurrite, la covellite, la calcite, il quarzo, la baritina e la fluorite. Taramelli T. — Sulle condizioni geologiche delle Fonti di Vinchiaredo presso Cordovado in provincia di Venezia, (Griorn. di Geol. pratica, Yol. II, fase. 1-2, pag. 23-27). — Perugia, 1904. Dai caratteri geologici della regione studiata, l’autore deduce che le fonti di Vinchiaredo sono acque risulti ve del terreno diluviale del bassopiano friu- lano. Esse, dunque : 1*^ non hanno relazione con le acque del Tagliamento, sebbene un ramo di questo fiume si sia versato nelle depressioni ove son localizzate le fonti; ma tale versamento si è verificato posteriormente alla formazione delle depres- sioni e solo temporaneamente; 2° non provengono dal bacino oarnico, perchè la loro composizione chi- mica (presenza di SO^), che potrebbe far pensare a questa provenienza (a causa dei gessi), ne esclude l’origine dimostrata dai caratteri geologici della regione. Conclude con l’induzione che queste fonti somministrino acqua potabile migliore di qualunque altra della regione circostante. Taramelli T. — Sulle condizioni geologiche dei dintorni di Coltura pressò Polcenigo. (Giornale di Geol. pratica, Voi. II, fase. 1-2, pag. 28-42). — Perugia, 1904. È la relazione degli studi eseguiti per la ricerca delle fonti più conve- nienti a fornire di acqua l’abitato di Coltura (prov. di Ddine). I terreni sovrastanti sono anzitutto calcari secondari ; giurese in basso, cretaceo in alto. Parecchie sono le fonti ivi esistenti, e l’autore ne riconosce la ragione orografica nella loro posizione alla base di masse permeabili, e ne so- spetta anche una ragione stratigrafica nella giustaposizione alle masse permea- bili di un terreno impermeabile calcareo-marnoso. Esso quindi consiglia di non — 836 — praticare scavi profondi nei lavori da eseguirsi, altrimenti le sorgenti potreb- bero sparire. Considera poi le formazioni terziarie, che affiorano nel vallone di Belluno, nelle colline trevigiane, e nella valle dell’Isonzo. È la formazione mediterranea inferiore, qui consistente in banchi di molasse calcaree, compresi sopra e sotto fra marne impermeabili. Seguono dei conglomerati calcarei, alternati con marne, le quali, fortemente rialzate, costituiscono una zona di colli dal Longone a Budoia, sui cui fianchi sgorgano altre fonti, anche perenni. Esamina infine i terreni alluvionali, che si estendono nel territorio di Col- tura. Sono banchi ragguardevoli di argille ferrose impermeabili {terra rossa). alternati con banchi minori permeabili; e però possono possedere ricchi strati acquiferi presso il piano di contatto con la formazione terziaria; ma questo piano non si è raggiunto con escavazioni di oltre 80 metri, ed è prevedibile che a 50 o 60 metri si troverebbe acqua alquanto saliente. Conclude che, per fornire di acqua l’abitato suddetto, si può ricorrere certo utilmente alle fonti locali, ma non è da scartare l’idea dei pozzi, presentando ossi una minore spesa e una grande probabilità di riuscita. Taramelli T. — Osservasioni geologiche ed idrologiche sulla Valletta di Rio Frate presso Broni. (G-iornale di GTeol. pratica, Yol. Il, fase. 3, pag. 61-68). — Perugia, 1901. In questa nota l’autore dimostra che le acquo della valletta suindicata del subappennino pavese non sono vere acque potabili, ma solo potranno servire per i servizi pubblici secondari nell’abitato di Broni. Infatti, da quel terreno terziario superiore scaturiscono sufficienti masse di acqua, specie là dove affiorano le giustaposizioni dei letti di argilla turchina alle sabbie e ghiaie acquifere ; ma le falde generali della valle, costituite dallo sfacelo dei detti terreni, sono molto permeabili, sicché, data l’intensa coltiva- zione e . gli abitati sovrastanti, è sospetto che le scaturigini siano facilmente inquinate. Le acque poi devono essere specialmente attinte alle fonti che esi- stono nei vari confluenti di destra della valletta, e specialmente in quello pro- veniente dalla Rocca Mantovani. I^el territorio di Broni, in terreni alluvionali, si trovano vene acquifere non sospette, perchè indipendenti dalle acque del Rio Frate, come dimostra il fatto che in un pozzo di m. 36, scavato nel cortile del Municipio, il livello ac- quifero è sempre diverso dal livello del Rio; ma tali pozzi somministrano scarsa quantità di acqua. — 337 — Taramelli T. — Le condizioni idrologiche dei dintorni di Bassano. (Gior- nale di Geol. pratica, Yol. II, fase. lY, pag. 97-107). — Perugia, 1904. In questa nota, l’autore riassume le condizioni generali della valle del Brenta, dalla confluenza del Cismone a Bassano, che ivi presenta una profonda incisione entro terreni secondari e terziari. La ristrettezza di affioramento di questi ultimi, la loro tenue permeabilità, la loro struttura eterogenea spiegano la mancanza di fonti importanti nella loro zona. I terreni secondari affiorano a monte di Yalstagna ed inclinano con vario grado a nord e a Y.E ; fra la dolomia infraliasica e i terreni giuresi, così in- clinati, sgorgano le importanti fonti della Yalle dei Ponti e dei Fontanazzi di Cismon ; e dal più profondo di essi sboccano le altre sorgenti di Y al di Brenta, non perchè questo strato profondo sia meno permeabile dei superiori, ma perchè questi ultimi furono incisi dalle correnti ed esso fu reso permeabile, nella por- zione superficiale, per le ampliate fratture di sollevamento. La temperatura incostante delle sorgenti conferma questa provenienza dell’acqua direttamente dalla superficie dell’altipiano intorno al Brenta e non da un lungo cammino sot- terraneo. Yi sono, poi, presso Romano, dei pozzi di sorgive allo sbocco della valle di Santa Felicita, scavata in rocce giuresi, con copertura di calcare neocomiano, e più a valle, nella dolomia basica, pertugiata da varie cave, con attigue mo- rene profonde, ben terrazzate, appoggiate a terreni terziarii poco permeabili. Tali condizioni spiegano la ricchezza d’acqua di questi pozzi e la loro tempe- ratura piuttosto costante. L’autore consiglia, quindi, di eseguire un drenaggio di detti pozzi, per raccoglierne l’acqua, onde alimentare la città di Bassano, con che risulterebbe solo un piccolo danno alla irrigazione dei fondi vicino a Romano. Taramele [ T. — Cenni geologici sui dintorni di Caltrano nel Vicentino^ ove stanno le sorgenti di Val Oaverdina e Piosano (in Scritti di Geo- logia pratica, pag. 1-8). — Genova, 1904. È la riproduzione di una nota inserita in appendice alla Relazione di S. Cannizzaro sulle analisi di alcune acque potabili fatte per incarico del Mu- nicipio di Padova, pubblicata nel 1881. In essa l’autore dimostra che le fonti di Yal Gaverdina e di Piosano pro- vengono dalla regione S.O dell’altipiano dei Sette Comuni, povero di acque 23 — 338 — superficiali, ma ricco di acque sotterranee, sotto l’ampia e ondulata superficie con vasti pianori e bassure senza sfogo. Queste acque, perciò, attraversano le seguenti formazioni: l’alluvione quaternaria, la dolomia farinosa basica, i cal- cari giu resi e cretacei. Yi sono, dalle Tozze, da San Donato fino al corso dell’Astico, dei conoidi di sfacelo, composto di detrito calcareo qua e là cementato, formati in epoca quaternaria, fra i quali si disperde dell’acqua; ma questa non può emergere nelle fonti di Yal Gaverdina e di Piosano, perchè le acque risultive dovreb- bero sgorgare all’incontro degli interstrati ocracei, che non mancano nella com- pagine di tali conoidi. L’autore esclude anche la provenienza delle medesime dal corso dell’Astico, il quale scorre più in basso, parecchi chilometri più a monte. Taramelli T. — Presa P acqua per la citta dì Verona (in Scritti di Geologia pratica, pag. 13-18). — Genova, 1904. La zona acquifera del Basso Acquar, utilizzata per la provvista d’acqua di Yerona. appartiene alla zona di acque sorgive che si svolge alla base delle conoidi alluvionali del Mincio e dell’Adige. È probabile che queste acque pro- vengano in parte dal lago di Garda e dall’Adige, stante l’altitudine di queste acque superficali; ma bisogna notare che ne provengono solo per infiltrazioni, e, quanto all’Adige, da punti a monte di Yerona, e lontani dalle sorgenti, perchè i tratti più vicini delle sponde del fiume sono del tutto impermeabili. Queste fonti possono essere in parte alimentate anche direttamente dalle piogge. Con argomenti di geologia storica, l’autore prova come molti strati acqui- feri, senza diretta comunicazione, formano l’unica vasta zona che si estende attorno a Yerona. E soggiunge che l’indipendenza del Basso Acquar dalle parti più vicine dell’Adige, è confermata dalla fine sabbietta, pel 40 per cento calcarea, trovata immediatamente sopra allo strato acquifero, e molto diversa dalla sabbia argillosa dell’Adige. Taramelli T. — Delle condizioni geologiche dei due tracciati ferroviari per Rigoroso e per Voltaggio tra Novi e Genova^ (Eend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYII, fase. T, pag. 354-363). — Milano, 1904. È uno studio di confronto fra i due tracciati in progetto per una più fa- cile e diretta comunicazione fra Genova e Xovi, conchiudente in favore del — 339 — primo che, entrando nell’Appennino per la Yal di Secca, confluente di destra della Polcevera, ne esce presso Rigoroso in Valle Scrivia, con un traforo di circa 20 chilometri attraverso il Monte Forale. Il massiccio montuoso ligure presentasi qui come una grande anticlinale dal mare alla Scrivia, abrasa nella sua parte centrale dove sono allo scoperto i terreni più antichi: la direzione della stratificazione si mantiene all’incirca costante, ma la inclinazione varia di frequente, con ripiegamenti numerosis- simi. I terreni che vi si presentano sono, dall’alto in basso : 1® conglomerato oligocenico; 2^ calcari marnosi dell’alberese; 3® scisti argillosi, alternanti con calcari e banchi di arenaria; 4*^ ftaniti e roccie ofiolitiche, di preferenza dia- basi, del nucleo centrale. Riguardo Tetà dei terreni scistosi ed of iolitici sotto- stanti all’alberese (eocenico) l’autore non crede di poterli attribuire, come altri volle, al cretaceo, e sino a prova contraria li mantiene ancora nel terziario in- feriore. Infine è cura dell’autore di ricercare quali saranno probabilmente le con- dizioni di temperatura e di infiltrazioni di acque nel grande traforo del Monte Forale. Tarnuzzer Chr. — Die Asbestlager im Puschlav. — Chur, 1904. È una seconda edizione della nota dello stesso autore sui giacimenti di asbesto presso Foschiavo (vedi Bibl. 1902) completata e accompagnata da una Carta nella scala di 1 a 50,000. Tassinari P. — Analisi chimica dell’acqua del Doccione dei bagni caldi [Bagni di Lucca) eseguita nel laboratorio di chimica generale della R. Università di Pisa (pag. 28 in*8^). — Lacca, 1904. È la ristampa di un lavoro pubblicato a Livorno nel 1895 (vedi la Biblio- grafia di quell’anno). Termier P. — Les schistes cristallins des Alpes Occidentales. (Compte- Renda de la IX Session da Congrès géologiqae international, B. II, pag. 571-586). — Yien, 1904. Dopo una breve introduzione in cui l’autore ricorda i geologi francesi e italiani che cooperarono allo studio degli scisti cristallini delle Alpi occidentali, egli passa a distinguere, in questi, le tre serie seguenti : — 340 — 1° Serie cristallina precarbonifera ; comprendente i terreni della prima zona alpina del Lory. Ad essa appartengono micascisti e gneiss dei massicci di Belledonne, Grandes Rousses, Mercantour, Pelvoux, Montebianco, Alpi ber- nesi. Subordinate sono ivi roccie basiche pirossenico-anfiboliche ; rari i cipol- lini ; presenti eccezionalmente puddinghe e scisti carboniosi. Ammassi di roccie granitiche, e anche sieniti gabbri e peridotiti. 2® Serie cristallina permo- carbonifera. A questa l’autore ascrive non sol- tanto il permo-carbonifero della zona anagenitico-antracitica, ma anche gli gneiss e micascisti della Yanoise, Mont Pourri, Ruitor, Yalgrisanche, piccolo Moncenisio, Gran San Bernardo, Gran Paradiso, M. Rosa, Antigorio e Ticino, in una parola della zona del Piemonte, ammettendo un metamorfismo crescente da ovest a est. 3® Serie cristallina mesozoica e forse, secondo l’autore, in parte cenozoica. Comprende gli schistes liistrés, cioè calcescisti con intercalazioni di micascisti, cloritoscisti, gneiss minuti e cogli ammassi di roccie verdi basiche. I calcari del Trias interposti concordantemente fra la 3^ e la 2^ serie cri- stallina, sono talora meno metamorfosati, specialmente nelle regioni francesi. Passa poi a diverse considerazioni speciali. Rileva il fatto della indipen- denza del metamorfismo dalla età delle formazioni. II metamorfismo è pure indipendente dalle azioni dinaniche dei ripiega- menti : onde l’autore dichiara decaduto il dinamometamorfismo, e conserva il nome di metamorfismo regionale. Questo viene riconosciuto essenzialmente indipendente dalla intrusione delle roccie massiccie incluse nelle serie cristalline.. Però egli vorrebbe ridurre il metamorfismo degli scisti cristallini e l’intrusione in essi delle roccie massiccie a essere effetti concomitanti di un’unica causa, la cui azione gli pare legata alla positura geosinclinale delle masse in parola. Toldo G. — Note preliminari sulle condizioni geologiche dei c ontr af- fi orti apenninici compresi fra i fiumi Sillaro e Lamone (pag. 56 iii-8®, con 5 tavole). — Imola, 1904. Dopo un esame delle pubblicazioni fatte sull’argomento ed un cenno gene- rale sulla oro-idrografia della regione, l’autore presenta la serie dei terreni rico- nosciuti in essa. Egli colloca le argille scagliose nel cretaceo superiore, i con- glomerati nummulitici, i calcari, le arenarie micacee, gli scisti argillosi con tutto il corredo delle pietre verdi, nell’eocene ; segue il miocene inferiore con altri scisti ed altre arenarie, il miocene superiore con marne biancastre, ad inter- calazioni d’arenaria, e i gessi, il pliocene con le solite argille turchine e le sabbie — 341 — gialle : viene quindi il pleistocene formante tre terrazze e da ultimo ralluviono recente nel fondo delle valli. L’autore esamina in seguito la distribuzione topografica dei vari terreni, non che i loro caratteri litologici, stratigrafici e paleontologici, sviluppando poi, in un ultimo capitolo, i rapporti esistenti fra di essi, non che le loro con- dizioni idrologiche sotterranee. Chiude il lavoro una analisi particolareggiata delle scoperte e delle opinioni dei geologi che si occuparono della regione. Le tavole contengono vedute fotografiche, profili altimotrici, sezioni geo- logiche e la Carta geologica della regione esaminata. Tommasi a. — Una Lima nuova ed una Pinna nel Muschelkalk dì Eecoaro. (Boll. Soc. Greol. ital., Voi. XXIII, fase. 2®, pag. 301-305, con tavola). — Roma, 1901. In mezzo a molte specie note formanti una collezione di fossili del calcare conchigliare di Recoaro, Tautore rinvenne queste due forme nuove che egli denomina Lima Taramellii e Pinna Dal Lagoi. Quest’ultimo genere poi era af- fatto sconosciuto nella fauna del Muschelkalk, mentre il primo vi contava già più di una specie. Il giacimento delle due nuove forme, scoperto dal dott. Dal Lago di Val- dagno, è presso S. Quirico sulla destra dell’Agno, di gran' lunga superiore pei- ricchezza di fossili a tutti gli altri appartenenti al Muschelkalk medio. L’autore fa la descrizione dei due petrefatti, dei quali dà anche la figura nella tavola annessa . Tornquist a. — Die Qliederiing iind Fossilfuhrimg des ausseralpìnen Trias aiif Sardinien. (Sitzungsber. der Kon. Preuss. Ak. der Wiss., Jahrg. 1904, H. XXXYIII, pag. 1098-1117). — Berlin, 1904. In due lavori anteriori (vedi Bibl. 1902 e 1903) l’autore ha constatato che il Trias in Sardegna è limitato alla parte occidentale dell’isola. Xel presente egli ne dà la serie quale si vede a Gennamari (Iglesiente) ed a Santa Giusta (Xurra), aggiungendovi gli equivalenti germanici negli orizzonti del calcare a C. nodosiis e di quello a trachiti. La facies di questo Trias sardo, stendentesì dal Biintsandstein inferiore insino al Keuper superiore, è assolutamente estraalpina, e inoltre havvi grande affinità fra le due serie, sia per potenza, sia per natura litologica. Il complesso del Trias sardo misura nell’orizzonte del Bnntsandsfein uno spessore di 50 metri e si compone nella sua parte inferiore e media di arenarie quarzose rossastre, con alcuni banchi di conglomerato ; nella superiore ancora di conglomerati rossastri, cui succedono in alto sedimenti gessosi con marne dolomitiche o dolomiti con marne indurite, e carniole : questo orizzonte corri- sponde al Roth tedesco. Il Muschelkalk inferiore, assai ricco in fossili, misura circa 40 metri di banchi calcarei a Rizocoralli, in parte di color nero, con Myophoria, Lima, Ostrea, Gervillia, ecc. Yi succedono grossi banchi dolomitici del medio, con uno spessore di circa 10 metri. Infine il superiore, con 27 metri di calcari a Geratites nodosus, e alla base un complesso, senza fossili, equiva- lente del calcare a trochiti di Germania. Si passa quindi al Keuper con banchi calcari colitici, assai fossiliferi, calcari coralligeni, marne indurite a colori diversi con banchi dolomitici (40 metri circa). Al di sopra si trova il calcare a lito- dendri del retico, con Gidaris, bivalvi ed un nuovo idrozoario. Tornquist a. — Die Trias aiif Sardinien iind die Kenper-Transgression in Europa. (Zeitschrift der Deut. geol. Gesell., B. 56, H. IT, Prot. pag. 151-158). — Berlin, 1904. L’autore ritorna sull’argomento del Trias sardo a facies extraalpina, ripor- tando le osservazioni e le conclusioni contenute nel lavoro precedente, e insi- stendo sul fatto che il cambiamento di facies, e quindi la trasgressione triasica avvenne nel periodo del Keuper superiore. Trener G. B. — Ueber die Oliedernng der Qnarsporphgrtafel ini Lago- raigebirge. (Yerhandl. k. k. geol. Eeichs., Jahrg 1904, n. 17-18, pag. 390-394). — Wien, 1904. Premesso un cenno sulla grande piattaforma porfirica di Bolzano e sul gruppo cristallino della Cima d’Asta nel Trentino, l’autore tratta specialmente dei Monti Lagorai che ne fanno parte, e in particolare della regione meridionale del gruppo e dei dintorni di San Martino di Castrozza : ivi vedesi una sottile striscia di verrucano, ricoperto da marne rosse e conglomerati quarzo-porfirici, cui sovrasta la grande copertura del porfido anzidetto. In quest’ultimo l’autore distingue tre parti e cioè: 1® Porfido di Tal Ca- lamento, brecciforme, scarso di quarzo, passante in basso a porfido verdastro, attraversato da porfiriti verdi e brune ; 2® Porfido violaceo, privo o scarso di quarzo, analogo a quello della Tal di Fiemme e dei dintorni di Recoaro, nella — 343 — parte superiore con ciottoli granitici della Cima d’Asta ; 3*^ Porfido quarzifero di L agorai, formante l’altipiano di Pine e Cembra, la Cima Lagorai, e sten- dentesi nella Tal di Piemme e sino a Bolzano, le cui colate hanno coperto i precedenti ; esso è molto uniforme, di colore grigio e rossastro e contiene mica e pirosseno : solo in Yal Floriana si mostra alquanto diverso, per grandi cristalli ortoclasici. Di tali varietà di porfido, la prima, riposante direttamente sul verrucano, è certo la più antica, e quella del Lagorai la più recente, ricoperta a sua volta da un conglomerato di età indeterminata, con ciottoli dello stesso porfido. IJGOLmi E. — Taliis di franamento del Monte di Avane. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXII, fase. 3^ pag. 493-497). — Eoma, 1904. Questo considerevole ammasso di detriti, che si trova addossato, in forma di mezzo cono, al fianco settentrionale del monte di Avane (Monti d’oltre- serchio) presso la così detta foce di Baraglia, componesi intieramente di fram- menti angolosi calcarei dello stesso tipo del calcare grigio-chiaro ceroide del Lias inferiore che forma la massa del monte, collegati fra loro da poco ce- mento calcareo, misto a terra rossa ed a residui di conchiglie terrestri. Essi presentano una particolare disposizione a strati, dello spessore da 20 a 30 cen- timetri, provando così che l’ammasso si è formato in tempi successivi. L’autore esaminò le numerose conchiglie fossili rinvenute fra i detriti e vi riconobbe quasi tutte le specie già segnalate nelle breccie ossifere e con- chigliari di altre località non lontane, le quali, per cambiate condizioni di clima, non vivono quasi più nei dintorni. Egli ne dà una serie di 12, con la indicazione della località dove ciascuna è stata rinvenuta allo stato fossile o vivente. In quanto alla causa determinante il deposito, risulta trattarsi di un fra- namento avvenuto in più riprese per opera dei soliti agenti degradatori, in epoca immediatamente anteriore alla attuale. Yerri a. — Problemi orogenici nell’ Umbria. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXII, fase. 3^ pag. 449-460). — Eoma, 1904. Premesse alcune considerazioni generali sui complessi e difficili problemi della orogenesi dell’Umbria, l’autore presenta una sezione schematica attraverso la catena dei Monti Martani, la quale si protende come penisola fra le due de- pressioni di Todi e di Foligno, con prolungamento da Spoleto alla Yalnerina. — 344 — La sezione, nelle sue linee generali, presentasi come una anticlinale troncata ad occidente, nella quale appariscono i terreni dal retico al cretaceo superiore, con spostamento nella sua parte orientale, cioè fra le due valli Umbra e iS'erina. L’autore esamina le condizioni tettoniche di tale sezione e, messa da parte l’ipotesi di un accavallamento, ne cerca la spiegazione in azioni mecca- niche per le quali si operarono movimenti tali che, posto un principio di in- flessione per cui si determini una sinclinale tra due anticlinali, una piega originariamente sinclinale, in conseguenza del corrugamento, passa a formare una anticlinale, ed i rami della prima sinclinale si incurvano in maniera da formare ciascuno una sinclinale, IN^el caso concreto, nel ramo occidentale della primitiva sinclinale si formò la valle Umbra, nell’orientale la Talnerina, e il fondo della medesima divenne la catena che separa le due valli. Fenomeni analoghi si verificarono a ponente dei Monti Martani, con formazione dell’av- vallamento di Todi fra questi e la catena Amelia-Melezzole. Verri A. — Osservazioni geologiche sulla sorgente di Bussignano presso Citta della Pieve {Timbrici). (Giornale di Geol. pratica, Voi. II, fa- scicolo lY, pag. 108-109). — Perugia, 1904. Questa sorgente trovasi a un chilometro di distanza da Città della Pieve, all’origine del fosso omonimo, dove un banco di argilla salmastra si interpone fra banchi di sabbia e di ciottoli di età pliocenica recente. Essa scaturisce a circa m. 444 sul livello del mare, e le condizioni geognostiche del territorio circostante indicano che il bacino alimentatore della falda acquifera deve es- sere incluso nella superficie delimitata dalla curva di quota 450 : la sua portata minima è di circa 70 me. al giorno. Un poggio, sovrastante circa m. 40 alla sorgente, sembra, per la sua fi- gura piuttosto spianata, costituito da banchi dello stesso tufo sabbioso e di ciottoli ; il che è confermato dalla circostanza che le argille salmastre, che si può credere trattengano le acque, vedonsi sui fianchi di due vicine vallecole, in un piano che combina colla curva di livello 450, ed inoltre dalla notevole costanza nella portata e temperatura della sorgente. Yinassa de Eegny P. — Le frane di Orvieto. (Giornale di Geol. pra- tica, Voi. Il, fase. IV, pag. 110-130, con 4 tavole). — Perugia, 1904. L’autore tratta anzitutto delle condizioni geologiche dei dintorni di Or- vieto, dove la base del sistema è costituita dalle argille plioceniche, coronate 345 qua e là da roccie eruttive e da travertini, formanti piani più o meno estesi e regolari. La collina sulla quale sorge la città è costituita infatti da dette argille in basso, da tufi vulcanici in alto, circondata però da argille incoerenti e fra- nose dovunque e in particolare nella parte nord di essa. Il mantello vulcanico ricoprente le argille, quasi ovunque assai permeabile, forma un altipiano ta- bulare su cui poggia la città, e al contatto di esso con le argille sgorgano copiose sorgenti : esso è formato da tufi leucitici ed andesitici, sabbiosi, lapillosi e pomicei, da vere pozzolane e da tufi litoidi più o meno compatti. Il tra- vertino non si trova che in piccola quantità ad oriente della città. La sezione del Pozzo di San Patrizio entro Orvieto, dall’alto in basso è la seguente : 1° tra- vertino (m. 3. 50) ; 2® tufo litoide (m. 16. 50); 3° tufi pomicei e pozzolana (m. 40); 4® argilla turchina pliocenica. La città pertanto si trova in gravi condizioni statiche, sia perchè circondata da muraglia a picco di tufi, esposta senza difesa agli agenti esterni, sia per il sottosuolo argilloso, impermeabile e franoso per eccellenza. Il colle di Orvieto è inoltre ricco non solo di acque naturali, ma anche di altre importatevi artifi(ùalmente, e una tale ricchezza d’acque è la principale, se non unica causa, delle frane, alcune delle quali sono veramente imponenti e tali da mettere in serio pericolo la monumentale città se non si prendono solleciti provvedimenti. A questo proposito l’autore termina accen- nando ai principii che dovrebbero informare qualunque progetto tecnico che voglia essere pratico e veramente utile per raggiungere lo scopo. IS'elle tavole annesse havvi una cartina geologica della regione, un’altra con la indicazione delle sorgenti e delle frane, una terza con profili attraverso la collina di Orvieto, ed un’ultima con vedute fotografiche delle località più interessanti per l’argomento, Zaccagna D. — Osservasioni circa la costìtasìone geologica della Pania della Croce (Alpi Apuane). (Boll. E. Comitato G-eol., Yol. XXXY, n. 4, pag. 331-346). — Eoma, 1904. Eispondendo ad alcuni apprezzamenti espressi dal Eovereto (vedi sopra) intorno alla Carta geologica delle Alpi Apuane e segnatamente sulla regione della Pania della Croce, l’autore espone le sue vedute sulla attribuzione al Lias inferiore del calcare bianco subcristallino costituente la massa principale di quella montagna, dal Eovereto ritenuta come rappresentante dei marmi ed appartenente perciò al Trias superiore. Osservando anzitutto come la cosidetta Paniella, la cui parte terminale poggia sopra i calcari in questione, appartenga indubbiamente al Lias supe- 23* — 346 — riore e medio, l’tiutore ritiene inammissibile la dissonanza cogli altri Inoglii delle Alpi Apuane per la mancanza di molti ed importanti membri che costan- temente intercedono fra il Lias medio e la zona dei marmi, e per la grande lacuna che ne verrebbe a risultare. Con dati di fatto egli dimostra quindi l’inesattezza della interpretazione statigrafica data dal Rovereto della regione della Pania, per l’inversione di serie a cui egli ricorre partendo dall’ipotesi della triasicità del calcare in parola, mentre dagli scisti triasici di Porno Yolasco sino alla cima della Paniella si hanno invece tutti i membri della serie normale apuana succedentisi con con- tinuità e concordanza. Lo stesso autore osserva poi come, non solo le risultanze statigrafiche, ma anche i dati paleontologici ed i raffronti litologici con altri membri della Catena Metallifera (Monte Pisano, Monsummano, Gerfalco, Gavorranno, Campiglia, Cotona, Elba) e con altri punti delle stesse Alpi Apuane (Monti delle Avane) concorrono a dimostrare la perfetta equivalenza del calcare bianco, subcri- stallino della Pania con quello grigio, stratiforme, ammonitifero più general- mente diffuso nell’Alpe Apuana. Circa poi l’interpretazione delle molteplici pieghe rappresentate nelle se- zioni geologiche accompagnanti la Carta dell’autore, e che il Rovereto nella sua Guida delle Alpi Apuane (vedi sopra) ritiene inesatte, attribuendole « a ripeti- zioni di forme eteropiche piuttosto che a ripiegamenti », l’autore osserva che l’esistenza di formazioni eteropiche di cui offre un classico esempio il Monte della Brugiana presso Massa, fu rilevata ormai da molti anni tanto in questo quanto nel Monte Sagro sul quale il Rovereto si sofferma particolarmente nella Guida. Ciò prova che dove le sostituzioni eteropiche esistono veramente, esse furono tenute nel debito conto anche sulle sezioni date. Però le forma- zioni che, presentandosi costantemente allo stesso livello, si estendono a tutto il gruppo montuoso, non possono evidentemente ritenersi come formazioni etero- piche, ma rappresentano invece la successione normale delle roccie apuane, sulla quale la serie geologica doveva essere stabilita. Zambonini F. — 8u alcuni notevoli cristalli di celestite di Boratella {Ro- magna). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIII, fase. I, 1? sem., pag. 37-38). — Roma, 1904. I campioni esaminati, provenienti dalla miniera solfifera di Boratella, sono due e trovansi nelle collezioni del R. Ufficio geologico. In uno di essi i cristalli si presentano sotto forma di tavolette, per il forte predominio della - 347 — base (001). ^N'ell’altro essi sono pure tabulari, secondo la base, ma assai più interessanti perchè offrono tutti una stessa combinazione, nuova per la celestina ed affatto caratteristica, col simbolo (017). L’autore dà anche la figura, di uno di tali cristalli, con la nuova faccia molto sviluppata : l’angolo di questa con la (001) è di 10« 33'. Zambonini F. — Ueber eìnige Mineralìen von Canale Monterano in der Provins Rom, (G-roth, Zeitschrift fiir Kryst. und Min., B. 40, H. 1, pag. 49-68, con tavola). — Leipzig, 1904. I minerali descritti furono raccolti dall’autore entro tufi vulcanici decomposti nelle vicinanze della Cava di zolfo presso Canale Monterano, a ponente di Brac- ciano, sulla strada che da questo paese conduce alla Tolfa. Essi sono : magne- tite, melanite, granato giallo, olivina, idocrasia, biotite, pirosseni verdi, augite nera e sanidina. Di essi l’autore dà i caratteri fisici e cristallografici, con rife- rimento a campioni noti di altre località. Estesa sopratutto è la parte che ri- guarda la sanidina e i suoi cristalli semplici e geminati in modi diversi. Isella tavola sono figurati alcuni dei cristalli descritti. Zambonini F. — Analisi di Lawsoniti italiane. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Yol. XIII, fase. 10% sem., pag. 466-467). — Roma, 1904. Questo minerale, noto da prima solo in California, fu riconosciuto in pa- recchie rocce italiane (vedi Bibl. 1896 e 1897) dal Franchi, il quale ne diede all’autore per l’analisi alcuni cristalli, tanto d’Italia che di California. I campioni italiani provengono da roccie della Rocca Xiera nell’ alta Yal Chianale e dalla YalMaira, edi risultati ottenuti dimostrano che la lawsonite americana e l’italiana hanno identica composizione, in accordo con la formula Ca Alg Sig 0,^, la quale richiede: SiOg = 38.33 AìgOg — 32.43; CaO = 17.80; HgO = 11.44. {Segue Appendice), — 348 — APPENDICE \ Caffi E. — San Pellegrino e dintorni [Valle Brembana). Cenni illustra- tivi con Carta geologica in scala di 1 : 25000 (pag. 72 in-8°). — Bergamo, 1904. Eredia F. — Sul periodo sismico del novembre 1898 in Val di Noto. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. X, n. 9-10, pag. 214-223). — Mo- dena, 1904. Gtravagno S. — Minerali metalliferi del territorio di Graniti (pag. 8 in-8®). — Messina, 1904. Longo B. — Intorno ad alcune conifere italiane. (Annali di Botanica, Voi, I, fase. 5, pag. 323-333). — Boma, 1904. Pampaloni L. — Sopra alcune impronte di pine fossili raccolte dal signor Antonio Biondi a Castel falsi presso Montajone (prov. di Firense). (G-ior- nale botanico ital., N. S., Voi. XI, pag. 141-148). — Firenze, 1904. Idem. — Notizie sopra alcune piante fossili dei tufi della costa orientale dell’Etna. (Ibidem, pag. 566-570). — Firenze, 1904. Pa VIOLO I. — Le rocce serpentino se e le cave di talco di Trana {Torino) (pag. 24 in-8®). — Cuneo, 1904. ^ Sono pubblicazioni non pervenute o pervenute troppo tardi all’Pfficio per farne il resoconto in tempo debito. ELENCO del jersonale componente il Comitato e l’Dicio potogico alla fine delFanne 1905 R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente. Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Iog. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. N.B. Il giorno 1® agosto 1905 cessava di vivere T Ing. -capo Cav. Claudio Sormani e col 1® dicembre stesso anno l’Ing. Cav. Carlo Viola veniva nominato professore di Mineralogia nella R. Università di Parma. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (^31 diceintire 190^) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXXVI, dal 1870 al 1905. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in Italia » 8 — Idum idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta g-eologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1872. — Introduzione. — B. Gastaldi: Stndii geologici sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrizione geologica deir Isola d'Elha. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Dn volume in-4® di pag. 364 con tavole e carte geologiche . Voi. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografa geologica delV Isola d^ Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Un volume in-4® di pag. 264 con tavole e carte geologiche Voi. II, Parte 2h Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali; Parte seconda. — Dn volume in-4° di pag. 64 con tavole Voi. Ili, Parte P. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponza. — C. De Stefani: Geologia del Monte- Pisano. — Dn volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia dell’ Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spezia. — Dn volume in-4® di pag. 230 con tavole Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica fiuorifera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole 35 — 25 o — 10 - 15 — 8 — — 351 — Yol. lY, Parte 2^ Firenze 1893. — C. A. Weithofbr: Pro- hoscidiani fossili di Valdarno in Toscana. — M. Canavari : Idrosoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — IJn volume in-4® di pag. 214 con tavole . . . L. Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Yol. I. Poma 1886. — L. Baldacci : Descrisione geologica deirisola di Sicilia. — Un volume in-8‘^ di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » Yol. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrisione geologica del- risola d'Elba. — Un volume in-8‘^ di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » Yol. HI. Roma 1887. — A. Fabri: Belasione sulle miniere di ferro dell’Isola d'Elba. — Un volume in-8‘^ di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » Yol. lY. Roma 1888. — Gr. Zoppi: Descrisione geologico-mi- neraria dell' Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica ........ Yol. Y. Roma 1890. — C. De Castro: Descrisione geologico- miiieraria della sona argentifera del Sarrabus [Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico -mineraria » Yol. YI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservasioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa » Yol. YII. Roma 1892. — E. Cortese e Y. Sabatini: De- scrisione geologico-petrografìca delle Isole Eolie. — Un volume in-8*^ di pag. Ì44 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» Yol. YIII. Roma 1893. — B. Lotti: Descrisione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » Yol. IX. Roma 1895. — E. Cortese : Descrisione geologica della Calabria. — Un volume in-8° di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » Yol. X. Roma 1900. — Y. Sabatini: I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte 1^ : Vulcano Lasiale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » Yol. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrisione geognostico- agraria del Colle Montello [provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico-agraria . » Yol. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8® di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » Appendice al Yol. IX. Roma, 1904. — G. Di-Stefano : Os- servasioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8‘’ di pag. 120, con tavola di sezioni » 16 10 10 20 15 8 6 8 8 12 12 8 10 3 — 352 — CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 « 1 000 000, in due fogli ; 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 'N. 244 (Isole Eolie) . . E. 3 — Foglio Y. 262 (Monte Etna) . . E. 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara delYallo) » » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) ...» 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicattì) . . . » » 251 (Cefalù) . . . . »-3 — » 268 (Caltanissetta). . » * 252 (Yaso) . . . . » 4 — » 269 (Paterno) ...» » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) ...» » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) ...» » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) ...» » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » » 260 (Ricosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» » 261 (Brente) . . . Tavola di sezioni Y. » » Y. . » 5 — I (annessa II (annessa » 277 (Yoto) . . . . » , ai fogli 249 e 258) . . E. 4 — , ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » IN". Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » IN". lY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » Y. Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: L. 4 Foglio H. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 222 (Amendolara) . » 3 — » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 229 (Paola) ...» 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 231 (Girò) . ...» 3 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 237 (S. Giovanni in F.) » 5 — > 238 (Cotrone) . . . » 3 — > 241 (Nic astro). . . » 4 — Tavola di sezioni H. I (236, 237, 238, 241, 242), Il 255, 263), Y. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna Foglio H. 242 (Catanzaro) . » 243 (Isola Capo Riz zuto) » 245 (Palmi) » 246 (Cittanova) » 247 (Badolato) » 254 (Messina). » 255 (Gerace) . » 263 (Beva) . . » 264 (Staiti) . . II (245, 246, 247, a« o« 353 — Carta geolog’ica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. IVe sono pubblicati fogli seguenti Foglio IV. 201 (Matera) . . . .L.3 — Foglio IST. 213 (Maruggio) . . L. 1 — » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . » 2 — » 203 (Brindisi) . , . . » 3— » 215 (Otranto) . . . » 1 — » 204 (Lecce) . . . . » 2 — » 223 (Tricase) . . . » 2 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. J fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio TsT. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio IN". 149 (Cerveteri) . . L. 4 » 150 (Roma) ... » 5 » 158 (Cori) .... » 4 Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 . » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 »3 — Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 » 5 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IVapoli. 1 Sono pubblicati i fogli seguenti: N. 127 (Piombino) .... L. 3 » 128 (Grosseto) » 4 » 129 (Santa Fiora). ... » 5 Sono in corso di stampa: N. Ili (Livorno). » 112 (Volterra). » 113 (San Casciano Val di Pesa). N. 135 (Orbetello) L. 4 » 136 (Toscanella). . . « . » 5 Tav. I di sezioni » 4 N. 119 (Massa Marittima). » 120 (Siena). Tav. II di sezioni. PEESEHTED 1 0MAY.1906 ■ -i 'U J A Annunzi di pubblicazioni Baratta M. — Ancora sulla sismicità della regione Beneventano- Avellinese. (Atti Soc. toscana di Se. riat.; Processi verbali, Voi. XIV, pag. 187-lbO), — Pisa, 1905. Idem. — Calabria sismica. (Boll. Soc. geografica ital., S. IV, Voi. VI, n." 12, pag. 1074-1081, con tavola). — Boma, 1905. Bellini R. — Le varie facies del miocene medio nelle colline di Torino. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi XXIV, fase. 2°, pag. 607-653). — Roma 1905. Cacciamali G. B. — La Punta d’Oro presso Iseo. (Ibidem, Voi. XXIV, fase. 2'% pag. 694-703). — Roma, 1905. Capeder G. — Alcune interessanti particolarità nei fenomeni della erosione e della deiezione dei dintorni di Sassari. (Ibidem, Voi. XXIV, fase. 2®, pag. 417-450). — Roma, 1905. Cappelli G. B. — Contribuzione allo studio degli ostracodi fossili dello strato a sabbie grigie della Farnesina presso Roma. (Ibidem, Voi. XXIV, fase. 2®, pag. 303-342, con 2 tav,). — Roma, 1905. Checchia-Rispoli G. — SulPEocene di Chiaromonte-Gulfì in provincia di Sira- cusa. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XIV, fase. 10® 2® sem., pag. 528-529). — Roma, 1905. Idem. — I crostacei dell’Eocene nei dintorni di Monreale in provincia di Palermo (dal Giornale di Se. nat. ed econom.. Voi. XXV, pag. 8 in-8®, con tavola). — Palermo, 1905. Idem. — U Atelecyclus votiindaUis Olivi, fossile nel postpliocene dei dintorni di Palermo (dal Xrituralista Siciliano, Anno XVIII, n.® 4, pag. 4 in-8®). — Palermo, 1905. Idem. — Sopra alcune alveoline eoceniche della Sicilia. (Palaeontographia ita- lica, Voi. XI, pag. 147 167, con 2 tav.). - Pisa, 1905. Cocco L. — I radiolarì fossili del tripoli di Condro (Sicilia). (Memorie Acc. di Se., Leti ed Arti degli Zelanti, S. 3% Voi. Ili, ii.® 2, pag. 1-14). — Acireale, 1905. D’Achiardi G. — I minerali dei marmi di Carrara. Parte II. (Atti Soc. to- scana di Se. nat.; Memorie, Voi. XXI, pag. 236-264, con tavola). — Pisa, 1905. Dal Piaz G. — Sugli avanzi di Cyrtodelphys sulcatas dell’arenaria di Belluno. Parte II. (Palaeontographia italica. Voi. XI, pag. 253-279, con 4 tav.). — Pisa, 1905. De Angelis d’Ossat G. — I coralli del calcare di Venassino (Isola di Capri). (Atti R. Acc. di Se. fis. e mat., S. 2^, Voi. 12,. n.® 16, pag. 1-48, con 2 tav.). — Xapoli, 1905. De Gasparis A. — Le alghe delle argille marnose pleistoceniche di Taranto. (Ibidem, S. 2^, Voi. 12, n.® 4, pag. 1-8, con tavola). — Xapoli, 1905, Fabiani R. — Studio geo-paleontologico dei Colli Borici. Nota preventiva. (Atti R. Istituto veneto, S. 8^, T, 7®, disp. 10% pag. 1797-1839). — Venezia, 1905. Idem. — I molluschi eocenici del Monte Postale conservati nel Museo di geo- logìa della R. Università di Padova. (Att. Acc. scient. veneto -trentina - istriana. Anno II, fase. 2®, pag. 145-158, con tavola). — Padova, 1905. Fornasini C. — Sulle spiroloculine italiane fossili e recenti. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXIV, fase. 2®, pag. 387-400). — Roma, 1905. {Segue) eseguito: V. pagina precedente) Fucini A. — Lamelliliranclii del Lias inferiore e medio delF Appennino cen- trale esistenti nel Museo di Pisa. (Atti Soc. toscana di Se. nat.: Memorie, Yol. XXI, pag. 58-82, con tavola). — Pisa, 1905. Idem. — Cefalopodi liassìci del Monte di Cetona. Parte ed ultima. (Palaeon- tographia italica. Voi. XI, pag. 93-146, con 9 tav.). — Pisa, 1905. Mariani E. — - Caratteri triasici della fauna retica lombarda. Kota preventiva. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Voi. 88, fase. XVII, pag. 854-858). — Milano, 1905. Parona C. F. — Appunti per lo studio del cretaceo superiore nell’ Appennino. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXIV, fase. 2®, pag. 654-658). — Roma, 1905. 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ViNASSA DE Regny P. 6 GoRTANi M. — FossìIì Carbonìferi del Monte Pizznl e del Piano di Lanza nelle Alpi Gamiche. (Ibidem, Voi. XXIV, fase. 2®, pag. 461-606, con 4 tav.). — Roma, 1905. Idem - idem. — Nuove ricerche geologiche sui terreni compresi nella tavoletta «Paluzza». (Ibidem, Voi. XXIV, fase. 2®, pag. 720-724). — Roma, 1905 I^rezzo del presente fescieolo: L. 1905. - Anno XXXVI. DEL R, COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1905 Volume Trentaseiesimo (6® della 4* Serie) N. 1 a 4 ANNO iXXVI. I9‘.X. _J <=3: c> o c3 o I o UJ Q?5 0 «=C 1 V.,. C; ' ai I UJ Q Cp — «.•d h- K” UJ -J —a CP 03 Voi (XXVI. N. 1 a 4. fL