♦ V 7AUG.1906 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA isoe N. I. ROMA TIP. I^AZIOlSrALE DI G. BEETERO E C. 1906 ELENCO del personale componente il Comitato e l’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini G-io vanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente, Bassani Francesco, prof, di geologia, R.v Università di Napoli. Bocca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Novarese Vittorio^ Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA 1906. Anno XXXVII. 1906. - Anno XXXYII BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA Volume Trentasettesimo (7® della 4^ Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE DI G. BERTERO e C. 1906 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1906 (Volume trentasettesimo o settimo della 4^ serie) Introduzione Pag. 1 NOTE OEIOINALI. B. Lotti. — Sui risultati del rilevamento geologico nei dintorni di Pie- diluco, Ferentillo e Spoleto Pag. 5 M. Cassetti. — Osservazioni geologiche sul Monte Sirente e suoi din- torni (Abruzzo Aquilano) » 41 S. Franchi. — La zona delle pietre verdi fra l’ Ellero e la Bormida e la sua continuità fra il gruppo di Yoltri e le Alpi Cozie. . . » 89 Idem. — Sulla tettonica della zona del Piemonte » 118 B, Lotti. — Su alcuni nuovi giacimenti metalliferi dei Monti Pelori- tani in provincia di Messina » 145 V. Sabatini. — SuH’eruzione del Vesuvio dell’aprile 1906 » 158 Idem. — L’eruzione vesuviana dell’aprile 1906. Relazione » 169 E. Gamerana. — Sull’assorbimento delle acque piovane nella città di Maglie in provincia di Lecce » 229 A. Stella. — I giacimenti metalliferi dell’Ossola » 265 B. Lotti. — Osservazioni geologiche nei dintorni di Rieti » 280 V. Sabatini. — Ancora sulla pirossenite melilitica di Coppaeli (cop- paelite) » 317 Riunione annuale della Società geologica italiana a Sestri Levante . » 234 — VI NOTIZIE BIBLIOOEAFICHE. Bibliografia geologica italiana per l’anno 1905 Pag. 61 Id. id. id. » 238 Id. id. id. 320 NOTIZIE DIYEESE. Pubblicazioni del E. Ufficio geologico Pag- 85 Id. id. » 163 Id. id. » 260 Id. id. » 352 Elenco del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico alla fine dell’anno 1906 » 351 ILLUSTEAZIONI. Tav. I. — Sezioni geologiche nei dintorni di Piediluco, Perentillo e Spoleto {B. Lotti) Pag. 40 » II. — Sezioni geologiche sul Monte Sirente e dintorni [M. Cas- setti) » 60 » III. — Sezioni geologiche nelle Alpi Liguri e Cozie {S. Franchi) » 144 » IV. — Eelativa alla eruzione vesuviana dell’aprile 1906 (F. Sa- batini) » 184 » V. — Carta parziale del Vesuvio con la indicazione delle nuove colate di lava (F. Sabatini) » 224 — Vedute fotografiche relative alla eruzione vesuviana del- l’aprile 1906 (F. Sabatini) . ... da Pag. 170 a Pag. 227 » VI. — Carta e sezione geologica nei dintorni di Maglie (F. Ca- merana) » 232 » VII. — Sezione geologica e fotografie di roccie della regione deirOssola {A. Stella) » £80 — Sezione microscopica della coppaelite ( F. Sabatini) . . » 318 VII PAETE UFFICIALE. R. Decreto 18 gennaio 1906, relativo al personale del R. Comitato geo- logico Pag. 3 Verbale delle adunanze 4 e 5 giugno 1906 del R. Comitato geologico . » 5 Relazione del Direttore della Carta geologica sui lavori eseguiti nel 1905 e proposto di quelli da eseguirsi nel 1906 » 13 INDICE DEI FASCICOLI. N. 1. — Primo trimestre 1906 . * 2. — Secondo id. » 3. — Terzo id. » 4. — Quarto id. Atti ufficiali da pag. 1 a pag. 88 . 89 » 168 » 169 * 264 * 265 » 356 » 1 * 54 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV, Voi. VII. Anno 1906. Fascicolo r. SOMMAEIO. Introduzione. Note originali. — I. - B. Lotti. Sui risultati del rilevamento geologico nei dintorni di Piediluco, Perentillo e Spoleto {con Tav. /). — II. - M. Cassetti. Osser- vazioni geologiche sul Monte Sirente e suoi dintorni (Abruzzo Aquilano) {con Tav. II). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1905. Pubblicazioni del E. Ufficio geologico. Atti utficiali. — E. Decreto 18 gennaio 1906, relativo al personale del E. Comi- tato geologico. Illustrazioni. — Tav. I: Sezioni geologiche relative alla nota di B. Lotti, a pag. 40. — Tav. II: Sezioni geologiche relative alla nota di M. Cassetti, a pag. 60. iVnche nel decorso anno il lavoro di campagna ri- guardante i nuovi rilevamenti, le revisioni e le ricerche paleontologiche sul terreno ebbe regolare svolgimento, secondo il programma approvato dal R. Comitato geo- logico nella sua adunanza annuale. I lavori di nuovo rilevamento di cui sopra furono continuati dallo stesso personale degli anni decorsi ed ebbero per oggetto le Alpi, la Liguria occidentale, TUm- bria e le Marche ; furono eseguite poi nelle Alpi alcune speciali revisioni e studi di dettaglio per controllare varie affermazioni ed ipotesi emesse di recente da studiosi stranieri sulla esistenza di grandi ricoprimenti in qualche regione della Valle d’Aosta, e come risulta dalle relazioni presentate in proposito dai nostri geologi, si dovè rico- noscere la insussistenza di quelle ipotesi nelle regioni indicate. Ancora nelle Alpi venne condotto a termine il rile- vamento della Regione ossolana e continuato quello delle regioni prossime ai laghi d’Orta e Maggiore e della Val 2 — Sesia, con speciale riguardo alla cosi detta zona anfibo- litica d’Ivrea; la quale, come ebbero alcuni degli opera' tori a riferire nella adunanza invernale della Società geo- logica, deve considerarsi come zona dioritico-kinzigitica ed ha una struttura assai più complessa di quella che risultava dagli studi precedenti, e intimo collegamento coi circostanti terreni, quali gli Strona-gneiss, conferman- dosi, ciò che era apparso nell’anno precedente, le pro- fonde analogie di essa con la zona delle kinzigiti di Calabria. Nella Liguria venne continuato lo studio e rilevamento dettagliato di quella complessa serie di terreni che dal Carbonifero e dal Permiano va fino ai più recenti terreni terziari, con notevole sviluppo di quelli del secondario e particolarmente del Trias e del Lias, e con struttura tectonica assai complicata, con pieghe fitte e complesse,, ribaltamenti e faglie. Nell’Umbria il rilevamento dettagliato di quei gruppi montuosi, nei quali predominano i terreni secondari con complicata disposizione tectonica, venne regolarmente pro- seguito, e nella prossima campagna potrà aversi la riso- luzione di numerosi problemi stratigrafìci e tectonici che rendono arduo lo studio di quelle regioni. Intanto però le ricerche di fossili praticate nei dintorni di Leonessa hanno condotto a importanti risultati, e cioè alla solu- zione del problema, al quale già nel decorso anno si era accennato, vale a dire alla apparente promiscuità di faune del Lias superiore con quelle del Lias medio. Venne con queste nuove ricerche stabilita la netta separazione dei due terreni e inoltre fu scoperta la esistenza di impor- tanti membri della serie giurese, la cui struttura e facies litologica, analoga a quelle di altri terreni, rendeva più ardua la retta interpretazione della serie stratigrafica. — 3 — Furono regolarmente continuati i rilevamenti nelle zone terziarie delle Marche, e iniziato lo studio delle formazioni solfifere in quella regione, nelle quali, come é noto, abbondano i disturbi tectonici, la cui giusta inter- pretazione oltreché grande importanza scientifica ha anche speciale interesse industriale. Nei vulcani della Provincia di Roma furono prose- guite e portate a buon punto le ricerche è la raccolta dei materiali di studio della Regione vulsinia, la cui descri- zione farà seguito a quella dei Monti Cimini ora in corso di preparazione. Vennero condotte a termine le revisioni nella Basili- cata e approntati cosi sette fogli di quella regione per la pubblicazione in scala di 1 a 100,000; ma a causa di altri urgenti lavori, come la preparazione di carte ed altro per la Esposizione di Milano, ecc., tale pubblicazione ha dovuto subire un ulteriore ritardo. Si trovò poi opportuno praticare alcune speciali revi- sioni nel gruppo del Gargano, dove già nei primi rileva- menti, per la presenza di fossili allora ritenuti caratteri- stici del Giurese {Ellip§actiniae, ecc.), alcuni di quei calcari erano stati ritenuti come titonici, e si era stati obbligati a ricorrere a ipotesi di faglie e contatti anormali per spiegare la sovrapposizione di terreni ritenuti giuresi su altri indubbiamente cretacei. Le nuove revisioni portarono a stabilire la perfetta regolarità delle serie e la assenza di terreni giuresi nel gruppo del Gargano, dove il terreno più antico è rappresentato dal calcare neocomiano (a Rhynehonella peregrina) di Mattinata, mentre le Elli- psactinie si trovano nei sovrastanti calcari urgoniani. Nel Gargano vennero anche intrapresi studi e ricerche paleontologiche, che dovranno continuarsi, in alcuni inte- ressanti lembi terziari attorno al lago di Lesina. — 4 Già fu accennato alla importanza che ebbero in questo anno le ricerche paleontologiche nei monti umbri; altre ricerche dello stesso ordine furono praticate con buon risultato nella zona di confine fra Basilicata e Calabria e portarono alla esatta determinazione di lembi di terreni, specialmente miocenici ed eocenici. In quanto a pubblicazioni, oltre al Bollettino (an- nata XXXVI), fu iniziata la stampa dei fogli della Carta geologica d’Italia al 100,000 comprendenti la Regione to- scana, e già cinque di essi, con una tavola di sezioni, sono usciti alla metà del 1905, ed altrettanti, con una seconda tavola, si stavano preparando alla fine d’anno per uscire entro il 1° semestre dell’anno corrente: questi dieci fogli comprendono tutto il litorale tirreno dalla foce della Fiora a quella dell’Arno, spingendosi neU’interno sino al Lago di Bolsena, al Monte Amiata, a Siena, a San Casciano. Una dolorosa perdita ha fatto il nostro Ufficio geolo- gico per la morte dell’Ing.-capo Claudio Sormani, avvenuta in Roma il agosto 1905 dopo breve malattia: il Sor- mani era addetto all’Ufficio da oltre 33 anni; lavoratore intelligente ed indefesso, dotato di ottime qualità di cuore e di mente, vi lasciò un vuoto che difficilmente potrà essere riempito. Annunciamo infine che l’ Ing. Carlo Viola lasciava col U dicemxbre l’Ufficio medesimo per andare a Parma a coprire il posto di professore di Mineralogia in quella R. Università. Per maggiori particolari sull’andamento del servizio nell’anno 1905 e su quanto si intende di fare nel 1906, rimandiamo il lettore alla consueta Relazione annuale che sarà inserita nel prossimo fascicolo del Bollettino. NOTE ORIGINALI I. B. Lotti. — Sui risultati del rilevameuto geologico nei dintorni di Piedihico, Ferentillo e Spoleto, (Con una tavola). La regione, di cui imprendiamo l’esame, è compresa nelle due tavolette, alla scala di 1 : 50000, di Ferentillo e di Spoleto, ed ' estendesi alquanto in quelle contigue di Leonessa e di Rieti. Il ri- levamento geologico fn eseguito nelle due ultime campagne, 1904 e 1905 ^ e si estese sopra una superfìcie che può ragguagliarsi a 40 chilometri in lunghezza da nord a sud e a circa 20 in media da est ad ovest. Idrografia. — Il fiume Nera, che ne è il corso d’acqua princi- pale “ solca questa regione obliquamente alla- sua lunghezza, da N.N.E a S.S.O, scortata da numerosi ma piccoli tributari nel suo ^ Pei dintorni di Piediluco fui coadiuvèxto nel rilevamento dall’aj ut. -inge- gnere P. Moderni. ® La Hera presso Arrone, cioè prima di ricevere le acque del Velino, ha una portata in magra di circa 17 m. c. al secondo. Le sue acque, freschissime in estate ma costantemente lattiginose, sono bevute dalle popolazioni rivierasche, anche da quelle, come a Ferentillo, che sono fornite di buone e abbondanti acque potabili ma non fresche come quelle della Ilera; e non solo son preferite que- ste per la loro freschezza ma anche per il falso pregiudizio che esse siano in certo modo igieniche e medicamentose, perchè presso Triponzo vi si uniscono le acque solfuree di quei bagni. Sta in fatto che nella Hera oltre alle acque sudice ed inquinate che hanno servito pei detti bagni, vi entrano tutti gli scoli ed i rifiuti dei numerosi abitati della valle, vi si lavano i panni e vi si get- tano carogne e sporcizie di tutti i generi. — 6 — tratto fra Paterno e Ferentillo, mentre poi più a valle, tra Ferentillo e Terni, si arricchisce delle copiose acque del Velino e del Tescino. Il fiume Velino, che scende dalle montagne dell’ Abruzzo, dopo avere attraversato con accentuato serpeggiamento il piano di Rieti, scorre diritto fra i monti di Piediluco dove raccoglie il superfluo delle acque del lago omonimo e va a gettarsi, quasi ad angolo retto, nella Nera, sulla sinistra, presso le Marmore con un salto di 160 metri Un tributario importante del Velino a valle del piano di Rieti è il fosso di Leonessa che immette le acque nel lago di Piediluco. Altri corsi d’acqua d’una certa importanza sono in questa regione il Tescino, il Tissino e il fosso di Rosolano. Il torrente Tescino scende da nord a sud alla Nera, sulla destra, dalla cosidetta ]\Ion- tagna di Somma, la quale non è che un varco a poco più di 600 metri, che forma spartiacque fra la Valle Umbra e il bacino di Terni. Dallo stesso punto scende in senso diametralmente opposto il Tissino “ che sbocca nel Maroggia a nord di Spoleto. Il fosso di Rosciano scende dalle alture del Monte La Pelosa (1635 metri) e del Monte Petano e sbocca nella Nera presso Arrone. Sebbene di non grande importanza pei suo breve corso, merita di esser ricor- dato anche il fosso dei Molini che scende dal Monte Corno e dal Monte Rosato, e che a valle di Rivodutri raccoglie le acque copiose delle sorgenti di S. Susanna colle quali si avvia nella pianura di Rieti e sbocca nel Lago di Ripa Sottile e poi nel Velino. ^ La portata media del Velino è valutata a 60 m. c. per secondo (A. Verri, La Cascata delle Marmore. Terni, 1881) ; quella di magra dell’anno 1891 oscillò fra 39 e 41 m. c. (Gr. Zoppi, Carta idrografica d’Italia^ Nera e Velino. Roma, 1892); cosicché, calcolando in base alla portata di 40 m. c. la forza motrice che può sviluppare la cascata sarebbe di cavalli dinamici 85,333. ^ Sono degni di nota per la toponomastica questi nomi di torrenti, poiché oltre il Tescino di Terni e il Tissino di Spoleto, vi é il Tascino di Leonessa ed un altro Tissino che dai dintorni di Monteleone di Spoleto scende alla Nera presso Borgo Cerreto. ^ Queste sorgenti hanno la portata di 5-6 m. c. a secondo. - 7 - Orografia. — Sotto l’aspetto orografico la regione in esame consta essenzialmente di due catene montuose contigue dirette da N.E a S.O, fra le quali corre la profonda valle della Nera. Quella di destra, compresa fra la Nera da un lato, la conca di Spoleto e Foligno, ossia la Valle Umbra, e i torrenti Maroggia e Serra dal- l’altro, può riguardarsi come un’apofisi meridionale del Monte Mag- giore ossia del gruppo montuoso di Trevi; quella di sinistra, che più a sud si rannoda al gruppo del Terminillo, è limitata a N.O dalla Nera, a N.E e a S.E dallo stretto e profondo solco del tor- rente Corno che la separa dai monti di Norcia. Le sommità principali di queste catene, sommità che possono servire di centro a raggruppamenti secondari, sono sulla catena di destra, il Monte Galenne (1217), il Monte Fionchi (1337), il Monte Acetella (1016), il Monte Solenne (1286); sulla sinistra, il Monte Coscerno (1612), il Monte di Civitella (1565), il Monte Aspra (1577), il Monte Petano (1262), il Monte La Pelosa (1635) e il Monte Tilia (1776) che col contiguo Monte Corno (1735) e il Colle della Tavola (1695) formano i corpi avanzati verso N.O del Monte Terminillo (2213). Geologia. — La costituzione geologica di questa regione non è che la continuazione di quella dei dintorni di Narni e di Terni, descritta in questo Bollettino nell’anno 1903. In essa predominano di gran lunga sugli altri i terreni secon- dari dal Retico al Senoniano, con alcuni rari lembi di Eocene, sal- vati dalla erosione perchè generalmente racchiusi fra strette pieghe del secondario, ed altri più estesi e frequenti di terreno pliocenico lacustre nelle zone basse e di media altitudine. Risalendo la valle della Nera da Ferentillo fino a Macenano, per un tratto di circa 5 chilometri, possiamo farci un’idea chiara e completa della serie dei terreni secondari di questa parte del- l’Umbria, poiché in questo tratto il profondo solco del fiume ta- glia normalmente la stratificazione e i terreni si succedono rego- larmente, senze lacune notevoli, dal Lias inferiore al Senoniano - 8 — colla scaglia rossa e cinerea. A cominciare da Ferentillo si ha la seguente serie: 1. Dei calcari ceroidi o grigio-chiari in grossi strati coi ca- ratteri più spiccati del Lias inferiore. Fra i banchi di questi cal- cari sono interposti sottilissimi letti di scisti argillosi grigi. 2. Calcari ceroidi del Lias medio, di un grigio tendente al roseo, con noduli di selce ed ammoniti limoni tizzate. Xella parte inferiore son grossi banchi regolari, superiormente sono strati più piccoli e i calcari son più marnosi e compatti. 3. Calcari rossi marnosi e scisti argillosi rossi con ammoniti del Lias superiore. 4. Calcari verdastri e violacei scagliosi in strati sottili, con aptici del Titoniano. 5. Calcari bianchi con selce del Neocomiano. 6. Scisti argillosi grigi, violetti, verdastri e neri, con fucoidi. dell’Aptiano. 7. Calcari marnosi rossi (scaglia rossa) con calcari scistosi, rossastri e grigi argillosi (scaglia cinerea). A questa serie, che è la più comune nella regione di cui è parola e nelle regioni finitime, in alcuni punti aggiungesi in basso un terreno retico, in alto l’Eocene e nei piani intermedi di essa interpongonsi strati che sembrano riferibili al Giurassico medio e superiore e al Cenomaniano. Retico. — Il terreno più antico di questa regione è rappresen- tato dal Retico. Esso comparisce sulle falde occidentali del gruppo del Monte Corno in due lembi distinti, uno dei quali forma una striscia lunga circa due chilometri, sul fondo del fosso del Molino che dal Colle Lungo scende a Rivodutri ; l’altro forma una plaga quasi circolare di circa un chilometro e mezzo di diametro, sui due lati del torrente Fuscello che nasce nel Monte Tilia presso Leonessa e che, più in basso, col nome di Fosso di Leonessa sbocca- ne! lago di Piediluco. Questo terreno è costituito da un calcare grigio-cupo con ve- — 9 — nature bianche, generalmente male stratificato, con rare interposi- zioni di scisti marnosi, talvolta compatto e fissile in varie dire- zioni, talvolta cavernoso e di aspetto dolomitico. Non riuscii a trovarvi traccia di fossili, nemmeno negli scisti argillosi che altrove, a poca distanza, come presso Amelia e nei monti di Narni rac- chiudono specie caratteristiche del terreno retico ^ ; l’analogia però di questi calcari con quelli fossiliferi delle accennate località e la loro posizione costante sotto il calcare bianco del Lias inferiore, dove questo è stato più profondamente eroso, non lasciano dubbio sulla loro determinazione cronologica. Lias inferiore. — In nessun altro punto di questa zona l’ero- sione del Lias inferiore è stata tanto profonda da intaccare il cal- care retico. Estesissime e potenti vi compariscono invece le masse calcaree del Lias inferiore, di cui le principali, messe a nudo, sono le seguenti : nel gruppo del Monte Corno la protuberanza del Monte Rosato, che sovrincombe a Poggio Bustone e a Rivodutri, e i lati delle valli del Molino, del Lavatore e del Fuscello sui fianchi dei monti Fausola, Colle Lungo e La Pelosa; nel gruppo del Monte Aspra tutte le alture a sud, che dalla sua sommità vanno fino a Poiino da un lato e scendono alla conca di Leonessa dall’altro, e quelle a nord che comprendono il Monte Montino, il Monte Sciudri, il Monte Mac- chia e il Monte Camporotondo colle dirupate pendici della valle di Campofoglio; il gruppo delle Marmore che dalla destra della Nera, col Monte Valle, il Monte della Rocca di Papigno, il Monte di Maggio, i colli di Miranda, i monti di Stroncone e Macchialunga, forma una estesa protuberanza di calcare basico coperta solo qua e là da lembi di terreni secondari più giovani; finalmente nel gruppo di Spoleto abbiamo le estese masse di Matrignano, di Vallocchia, del Monte Luco e di Patrico che, a differenza delle altre masse ricordate le ^ B. Botti, Sulla costitiisione geologica del gruppo montuoso d’Amelia (Uni' hria), (Boll. R. Cornit. geol., 1902) e / terreni secondari nei dintorni di Narni e di Terni. (Ibidem, 1903). — 10 - quali formano il terreno basale dei vari gruppi montuosi, qui a Spo- leto cuoprono invece per tutta la loro estensione dei terreni più gio- vani e quasi esclusivamente la scaglia senoniana. Di questo feno- meno tettonico di ricuoprimento o carreggiamento esposi altra volta ^ i particolari e non resterà ora che aggiungere qualche nuova osser- vazione fatta in quest’ ultima campagna. Altre masse di calcare del Lias inferiore, di minore entità, son quelle del Monte Pirocchio, sulla destra della valle d’Ancaiano presso Ferentillo, e i due spuntoni sui quali ergonsi assai ben conservati iruderi delle due rocche medioevali di Ferentillo stesso, poste a guardia dello stretto passaggio dall’alta nella bassa valle della Xera. A^ nord di questa regione ritorna ad affiorare il Lias inferiore presso le sorgenti del Clitunno fra Campello e Trevi. Questo terreno è costituito da calcare bianco ceroide general- mente massiccio o imperfettamente stratificato, qualche volta cristal- lino granulare di aspetto dolomitico, ed allora trovasi facilmente disgregato e ridotto in una candida sabbia calcarea, come sul fianco meridionale del Monte La Pelosa, qualche volta anche in grossi banchi regolari, ed allora è un po’ argilloso, grigio-chiaro, contiene noduli e lenti di selce come a Ferentillo e segna il passaggio al Lias medio. Presso la sommità del Collelungo, sopra al Molino del Fuscello, questo calcare offerse un’ammonite somigliante, secondo il Parona, al PleuracantMtes hiformis Sow. del Lias inferiore della Spezia. Dove questo calcare fa passaggio al Lias medio trovansi di fre- quente dei banchi d’un calcare grigio-roseo, pieni zeppi di frantumi di crinoidi. Lias medio. — Non sempre sopra il Lias inferiore fa seguito il Lias medio, che anzi manca generalmente questo terreno ed il Lias inferiore viene allora ricoperto dai terreni secondari più giovani, come vedremo in seguito. ^ B. Lotti, Di un caso di ricnopriìnento presso Spoleto [Umbria). (Boll. B. Comit. geol., 1905). 11 — Il Lias medio può dividersi di solito, stratigraficamente, e lito- logicamente, in due parti: una inferiore di calcare ceroide grigio- chiaro tendente al roseo, in grossi banchi e con letti di selce inter- stratificata; una superiore di calcare marnoso grigio-chiaro con poca selce in noduli e con ammoniti piritizzate. Questo terreno forma la sommità del Monte La Pelosa e sten- desi poi in una zona continua, attraverso la valle del Fuscello, fin sul Monte Fausola ed oltre, sul lato destro del fosso del Molino presso Rivodutri. Manca quasi intieramente, tra il Lias inferiore e i terreni superiori, tutto intorno alla grande massa basica del Monte Aspra, ad eccezione di una zona tra Monte Policiano e il Monte Montino presso Monteleone di Spoleto, dove presenta delle tracce di di RhynchoneUa h frammenti di Cidaris, erinoidi ed un aptico dubbio. Ritroviamo poi il Lias medio sulle colline di Campello sul Clitunno e in lembi isolati presso la Rocca di Spoleto, nel Montecchio, sotto il Colle Pammardita ad ovest, a Matrignano, a S. Giuliano e a Colle Colonna sulla destra del Tissino, ai Cappuccini e alla Palazzetta sulla sinistra, a Pincano, a Somma, all’ Acquacastagna, a S. Mamiliano, a Ferentifio; presso la Cascata delle Marmore dall’ una e dall’altra parte della Nera, nei dintorni della stazione ferroviaria di Piediluco e a Moggio. Lias superiore. — Il Lias superiore trovasi di rado in serie con- tinua col Lias medio; di solito sovrapponesi invece direttamente al Lias inferiore. In serie sul Lias medio lo troviamo intorno alla valle del Fuscello tra il Monte La Pelosa e il Monte Fausola, presso Lu- tino a N.E del Monte Aspra in quel di Monteleone di Spoleto, nelle colline di Campello nei dintorni di Spoleto, lungo la valle del Tis- sino e quella del Tescino, a Castagna, a Cecalocco, a Ferentillo e nei dintorni del lago di Piediluco. Con discontinuità e spesso con ma- nifesta discordanza riposa questo terreno sul calcare del Lias infe- riore nel Monte Castiglione ad est di Rivodutri, in tutto il gruppo ^ Secondo il Parona sarebbe probabilmente la Bìiynchonella Sordellii Par. — 12 — del Monte Aspra fra Poiino e il Monte Camporotondo, pur lasciando apparire di quando in quando qualche piccolissimo lembo di Lias medio, come ad esempio presso l’abitato di Poiino, alla Fonte delle Cese e sopra Butino lungo una zona rettilinea diretta da S.O a N.E. E’ questo un fenomeno che dimostrae ssere intervenuta o una denudazione in un periodo compreso fra il Lias medio e il Lias su- periore, oppure una interruzione nel deposito sedimentario per causa d’emersione durante il Lias medio. Una località dove il fenomeno di questa trasgressione diventa diremo così palpabile, è il monte di S. Antonio presso Poiino. Questo rilievo dirupato che sta di fronte all’abitato verso oriente ed è co- stituito dal calcare del Lias inferiore con stratificazione uniclinale, presenta in alto un piccolo ma accentuato avvallamento, colmato da strati orizzontali di calcari rossi del Lias superiore ricoperti da strati diasprini giurassici e da calcari neocomiani come mostra la fig. V della tavola annessa, che riproduce il taglio naturale del dirupo. I] Lias superiore è rappresentato generalmente da calcari mar- nosi rossi, ammonitiferi e da scisti argillosi pure rossi e qualche volta anche grigi, violetti e verdastri con Posidonomya Bronni ed aptici. L’insieme di questo terreno però racchiude rocce di struttura e com- posizione svariatissima. Oltre le forme litologiche citate vi si osser- vano calcari scistosi, marnosi, grigio-verdastri con ammoniti, fucoidi, Posidonomya Bronni ed aptici, calcari arenacei ed arenarie con rin- conelle, calcari granulari in strati sottilissimi con Posidonomya Bronni, aptici e tanti altri fossili minuti, e calcari grigi, marnosi, somiglianti a quelli del Lias medio. Nel fosso della Fuga presso Poiino, dove il Lias superiore è molto sviluppato e fossilifero, è dove il calcare rosso è stato, e potrebbe esserlo ancora, utilizzato come pietra ornamentale, la se- rie delle rocce costituenti questo terreno è la seguente dall’alto al basso al disotto del Titoniano: 1. Calcari bianchi e verdastri in strati di mediocre spessore con aptici. — 13 — 2. Calcari rossi ammonitiferi in grossi banchi, utilizzabili come materiale ornamentale. 3. Calcari rossi in strati sottili più marnosi dei precedenti e più fossiliferi. 4. Scisti rossi argillosi. 5. Scisti calcarei bianco-grigiastri. Seguono al disotto pochi banchi di calcare grigio-chiaro del Lias medio e quindi il Lias inferiore. Nei calcari rossi delle cave di Poiino, insieme alle solite specie piccole di ammoniti del Lias superiore, se ne rinvenne anche una grossa del diametro di oltre 30 centimetri, nella quale, sebbene mal conservata, il Bonarelli credè di poter riconoscere un Hammato- ceras insignis o suhinsignis. I calcari verdastri, che riposano imme- diatamente sopra i calcari rossi, racchiudono VAptychus profundus Woltz. Presso il Pozzo del Persico nel Monte La Pelosa, il Lias supe- riore è rappresentato in prevalenza da un calcare grigio con fram- menti di aptici e qualche piccola rinconella. Questa facies a rinco- nelle si ritrova poi sviluppata non lungi sotto Colle Pergiura e più oltre a sud nel Monte Fausola. Un campione del Colle Pergiura esaminato dal prof. Parona fu trovato quasi completamente formato da detriti di crinoidi indeterminabili e ricco di piccoli brachiopodi, dei quali sono riconoscibili due forme determinabili genericamente, ma che appartengono a due specie probabilmente nuove. Vi ha cioè, dice il Parona, una piccolissima Rìiynchonella ed una piccola Rhyn- chonellina. Quest’ ultima è affine, ma non identica alla Rh. Seguen- zae Gemm. (var. minor). Tutti questi esemplari sono più piccoli di questa varietà minor e ne differiscono alquanto anche nei caratteri ornamentali. Il calcare a rinconelle del Monte Pausola contiene, secondo il Di-Stefano, frammenti di crinoidi, un Aptychus affine Apt. profundus Woltz, la Rhynchonella Curioni Mgh. ed altre.pic- cole rinconelle corrispondenti a quelle del Lias superiore del Monte Bulgheria (Salerno). Questo calcare del Monte Pausola, che passa — 14 — a puddinga e ad arenaria calcarea, sta immediatamente sotto il calcare rosso con ammoniti e sopra il Lias medio. Presso Colle Ferro e sotto la fonte delle Campora, al piede N.E del Monte La Pelosa, il Lias superiore è formato da scisti grigi, calcari granulari con Posidonomya Bronni ed arenarie calcaree in straterelli sottili, cui si associa un calcare violetto ricco di am- moniti. Questo tipo di terreno si ritrova poi in vari punti del con- tiguo bacino di Leonessa. Tra il Monte Motola e il Monte Montino, presso Monteleone di Spoleto, il Lias superiore è molto sviluppato e si presenta in massima parte formato da calcari grigi con straterelli marnosi in- tercalati, nei quali comparisce la P. Bronni. Qua e là vi si osser- vano tracce di calcari e scisti argillosi leggermente colorati in rosso e in violetto. Nel fosso del Moro, ad est del Monte Aspra, il Lias superiore è sviluppatissimo ed è formato da scisti calcarei nella maggior parte verdastri e violetti. I calcari marnosi scistosi grigio-verdastri, contengono insieme alla P. Bronni, ammoniti ed aptici. A San Mamiliano, presso Ferentillo, il Lias superiore non è formato dal solito calcare rosso, ma da un calcare bianco in strati sottili irregolari, intramezzato da focacce di un calcare violaceo con macchie grigie rotondeggianti che è caratteristico del Lias superiore. Sopra la rocca della Mattarella, pure a Ferentillo, è invece molto sviluppata la forma di marne scistose con Posidonomya Bronni. A Valle S. Martino sulla destra del Tescino questo terreno è formato in gran parte da scisti argillosi, rossi, grigi e verdastri, calcari granulari e calcari grigi che passano a calcari analoghi del Lias medio. Presso Patrico (Spoleto) un piccolo lembo di calcare rosso, che sembra stato ivi trascinato dalla massa del Lias inferiore carreg- giata sopra la scaglia senoniana, presenta posidonomie in gran co- pia e qualche ammonite. Di fronte a Vallocchia, pure in quel di Spoleto, dall’altro lato del fosso, si notano dei calcari verdastri con ammoniti del Lias superiore ed aptici. — 15 — La forma clastica delle rocce argillose, arenacee e puddingoidi che si presentano in questa formazione e che si riscontrano anche più accentuate nei monti di Rieti che fanno seguito a sud di que- sta regione, unitamente al fatto della discontinuità e della discor- danza esistente fra il Lias superiore e i terreni sottostanti, si ac- cordano nel dimostrare che il periodo compreso fra il Lias inferiore e il superiore fu in questa regione un periodo di emersione, almeno parziale; e questo fatto non si limitò alla regione in parola, ma si estese a tutta FUmbria, come accennai altrove ^ ed anche ad una parte della Toscana, come ad esempio all’Isola d’Elba dove il Lias superiore sta sopra direttamente a tutta una serie di terreni più antichi fino al presiluriano. ~ Giurassico medio e superiore, — li terreno che succede in ordine ascendente venne attribuito finora, forse impropriamente al Tito- niano. Esso è formato qui, come in altre parti deU’Umbria e del- l’Appennino centrale, da rocce diasprine e da calcari verdi o gri- gio-violetti in strati sottili, con straterelli interposti di selce verde, violetta o grigia, ed è talmente legato per costanza di associa- zione, per continuità e per gradazioni htologiche, ai calcari ammo- nitiferi del Lias superiore, che è impossibile non ammettere che in esso siano rappresentati i piani intermedi del Giurassico. Nei monti circostanti al bacino di Leonessa compariscono infatti, sopra gli strati del Lias superiore e sotto la zona diasprina titoniana, dei calcari speciali che potrebbero credersi, all’ aspetto, quelli del Lias medio o del Neocomiano, ma che distinguonsi nettamente da questi per vari tratti caratteristici. Sono calcari compatti alquanto ceroidi ed anche granulari, grigio-chiari, sottilmente stratificati e intercalati a strati di selce grigia. Questi calcari assumono a luoghi una stra- ^ B. Lotti, Costituzione geologica del gruppo montuoso d'Amelia. (Boll. E. Comit. geol., 1902) e Terreni secondari dei dintorni di iHarni. (Ibid., 1903). ^ Idem, Descrizione geologica delVIsola d’Elha. (Mem. descritt. della Carta geol. d’Italia, 1886). - 16 — tifìcàzione in grossi banchi conservando la stessa tessitura, acquistano una grande potenza e sono intramezzati da calcari brecciati con piccoli frammenti di calcare rosso. Presentano rari fossili e ma] conservati, come ammoniti, rinconelle e crinoidi, ma nessuno di questi fossili ha potuto servire ad una determinazione esatta. Questa zona di strati giurassici segue costantemente l’anda- mento di quella del Lias superiore e presenta quasi sempre uno spessore limitato. E’ però assai sviluppata nel Monte Aspra, nelle vallecole Pagana e Pisciarella, che recingono il Monte Motola, e presso Terrìa dove il terreno è ricco di aptici. Presso Poiino e lungo il solco della Nera presso Ferentillo questo terreno è formato da sottili strati calcarei verdi o grigio-violetti al- ternanti con straterelli di selce colorata ; al passaggio al sovrastante Neocomiano predominano i calcari. Lungo gli ultimi cinque o sei chilometri della strada rotabile da Cascia a Monteleone di Spoleto spunta di mezzo al Neocomiano una stretta anticlinale di calcari giurassici simili a quelli con cri- noidi e rinconelle di Leonessa. Son calcari cristallini con selce pieni di piccoli frammenti di fossili che si appalesano soltanto sulla su- perfìcie della roccia alterata dagli agenti atmosferici. A questi cal- cari interpongonsi dei diaspri zonati, dei calcari grigi in strati sottili, alternanti con strati di selce e d^i calcari verdastri con grossi ap- tici e grandi fucoidi. I calcari cristallini presentano dei noduli di selce perfettamente sferoidali. A Collestatte, di fronte alla Cascata delle Marmore, dominano dei calcari giallo-chiari che passano a diaspri e che rappresentano il passaggio dal Giurassico al Neocomiano. Nella vallecola ad ovest di Collestatte e nel Monte Pennarossa, il Giurassico, formato da stra- terelli calcarei verdastri e da diaspri varicolori comparisce imme- diatamente sopra il calcare del Lias medio. Il fenomeno si ripete in molti altri punti della regione e non solo troviamo questo ter- reno diasprino sul Lias medio ma anche sul Lias inferiore, come, ad esempio, in vari punti dei dintorni di Poiino, sulla cima del Monte — 17 — Aspra, nelle valli di Campofoglio e nella Val Pagana che scendono dal Monte Aspra verso la Valnerina e presso Pompagnano nella valle del Tissino. Scendendo dal Colle Mazzelvetta, presso il lago di Piediluco, al ponte di Collestatte il Giurassico, compreso fra il Neocomiano e il Lias superiore, è formato dai calcari varicolori ad aptici con straterelli diasprini. Poco sopra al ponte riposa su questo strato un grosso banco lenticolare di calcare ceroide con crinoidi ed altri fossili indeterminabili; si ha forse in questo un primo indizio del Giurassico medio che poi più ad est, nei monti di Leonessa sembra acquistare un notevole sviluppo. Anche qui gli strati giurassici riposano direttamente sul Lias medio e corrono interposti fra questo e il Neocomiano presso la cima degli speroni di N.O del Monte Mazzelvetta; solo all’estremità sud di questa zona, presso la Palombara, si trova fra il Giurassico e il Lias medio una piccola lente di scisti e calcari rossi del Lias su- periore. Ad est del Monte Mazzelvetta invece è sviluppatissimo il Lias superiore e fra esso e il calcare neocomiano non comparisce traccia del terreno giurassico medio e superiore. Poiché non si appa- lesa indizio alcuno di discordanza e discontinuità nella serie, è a credersi che questo terreno sia qui rappresentato da una parte dei calcari attribuiti al Neocomiano e da una parte degli scisti riferiti pei caratteri litologici al Lias superiore. Questo terreno calcareo-diasprino prende poi un notevole svi- luppo nei monti sopra Miranda e Papigno e in quelli sulla destra del Tescino fino ad Acquacastagna e sulla sinistra da Palazzo del Papa fino a Torrecòla, continuando sui due lati della opposta valle del Tissino nei monti di Acquaiura. S. Orso e Monte Alto. Ad ovest di Spoleto, presso Collerisana, e a S.O, presso To^ricelle, questo terreno è formato in prevalenza da calcari bianchi con letti di selce verde e con piccoli aptici. Lungo il condotto dell’acqua d’Eggi e nel fosso di Pompagnano sono invece calcari verdastri pieni di grossi aptici, che però potrebbero già spettare al Lias superiore. 2 — 18 — Questi strati del Giurassico medio e superiore rappresentano nel loro insieme un deposito di mare profondo, mentre il terreno pre- cedente colle sue forme clastiche, stava a rappresentare un depo- sito in gran parte littoraneo. Tenendo conto pertanto di questo fatto, come di quello della discontinuità e della trasgressione fra il Lias superiore e i terreni sottostanti, possiamo affermare che dopo il Lias medio questa regione, alla stessa guisa di altre contigue già prese in esame, potè emergere alquanto sul livello del mare liasico, dopo di che ebbe luogo un lungo periodo d’abbassamento durante il quale si formarono i depositi di mare profondo del Giurassico medio e superiore. Neocomiano. — Il successivo terreno Neocomiano si divide so- stanzialmente in due formazioni: una inferiore di calcari ed una superiore di scisti argillosi, marnosi e calcarei che, con più preci- sione, sembrano doversi attribuire all’Aptiano. Fra il terreno pre- cedente e il Neocomiano vi è perfetta continuità ed è anzi certo che la parte inferiore dei calcari, che per necessità inerenti al ri- levamento geologico, son compresi nel Neocomiano, debbono attri- buirsi invece al Titoniano; infatti presso Monteleone di Spoleto, lungo la strada rotabile di Cascia, ed in vari punti delle regioni limitrofe descritte in precedenza si osservarono sulla superficie degli strati di questi calcari e alla base del loro complesso, alcune im- pronte di Aptychus Beirichi Opp. Nonostante questa continuità e questo passaggio graduato dal Lias superiore al Neocomiano notasi in più luoghi la sovrapposi- zione diretta e discordante di quest’ultimo terreno al Lias inferiore. Ciò avviene, ad esempio, sulle sommità e sulle falde nord e N.O del Monte Rosato presso Rivodutri e nel vicino Monte Corno presso Leonessa, sulla cima del Monte Birbone in quel di Monteleone di Spoleto, in vari punti dei dintorni di Poiino e presso Monte S. Vito in Valnerina. Il fenomeno della continuità dei depositi dal Lias superiore al Cretaceo e questo, apparentemente contraddittorio della trasgressione fra il Lias inferiore e il Neocomiano, fenomeno che - 19 — vedremo estendersi anche alle formazioni del Cretaceo superiore, confermano quanto ebbi a dire altra volta ^ che cioè: P il calcare del Lias inferiore, in accordo colla sua natura madreporica, formò in origine delle protuberanze; 2^ che queste emersero dal mare ba- sico in un periodo compreso tra il Lias medio e il Lias superiore inclusivamente ; 3® che durante e dopo il Lias superiore intorno a queste protuberanze si deposero i terreni successivi fino all’Eocene dando luogo a depositi continui e concordanli negli intervalli fra le protuberanze basiche e a fenomeni di trasgressione intorno alle protuberanze stesse in seguito al progressivo abbassamento. Il calcare neocomiano è di solito bianco a tessitura compatta e a frattura concoide, analoga a quella della porcellana, in strati di mediocre spessore, con lenti di selce grigia e generalmente ca- ratteristico e ben distinto dagli altri calcari secondari. Talvolta però, come nelle rupi d’Ancaiano, di S. Angelo e del Monte Solenne presso Ferentillo, dove gli strati son fortem’ente saldati fra loro e quindi appare come massiccio, esso si presenta colla identiche forme orografiche del calcare del Lias inferiore, cioè in masse tozze, pro- minenti sui terreni circostanti e con qualche parete a picco ed anche a strapiombo, ed è allora che prende il nome di calcare rupestre. Può dirsi praticamente privo di fossili, perchè finora, almeno in questa regione, non vi si rinvennero che delle tracce inconclu- denti “. Così sulla strada rotabile presso Labro (Piediluco) nella parte superiore di questi calcari si notarono delle tracce di crinoidi e di pecten, e presso Monteleone di Spoleto, lungo la rotabile di Cascia vi raccolsi un aptico incompleto e indeterminabile. Devesi poi ri- cordare che presso Spoleto fu raccolto nel letto del Tissino un esem- plare perfetto di Hamites dissimilis del Neocomiano che si conserva ^ B. Lotti, I terreni secondari nei dintorìii di Narni e di Terni. (Boll. R. Comit. geol., 1903). ^ Fossili neocomiani vi furon trovati dal Canavari nel Camerinese. (M. Ca- NAVARi, Gli scisti a fiiccidi e gli scisti hitnminosi delV Appennino centrale. Proc. verb. Soc. tose. se. nat., Ili, 1881). ^ 20 — nella Collezione Toni di Spoleto. La roccia che racchiude il fossile è effettivamente del tipo dei calcari neocomiani e trovasi nelle colline che fiancheggiano il torrente. Questa formazione calcarea è molto sviluppata e da essa son costituite molte delle principali alture della regione, come il Monte Rosato, la Cima della Posta, il Monte Aspra col Monte Motola e i loro fianchi N.O, il Monte Solenne, il Monte La Rocca colle pen- dici orientali del Monte Fionchi, la catena fra Monte Montecchio e Monte Piano che separa la Valnerina dalla Valle Umbra, le pro- paggini occidentali del Monte Galenne, il Monte Castellano presso Campello, il Monte d’Eggi, tutta la parte più elevata della catena che separa il Tescino dal Serra, poi, in masse più piccole e meno elevate, forma il Monte di Gabbio, di S. Angelo e di Morro presso Ferentillo, il Monte Arrone, la collina di Collestatte, il Monte Maz- zelvetta, quello di Piediluco, il Monte Caperne, il Monte Lungo e il Monte Moro, tutti circostanti al lago di Piediluco, poi il Monte Poro, il Monte Rotondo, il Monte di Labro e vari piccoli lembi che spuntano di mezzo al Pliocene e che degradano a sud verso la pianura di Rieti. Il calcare neocomiano è costantemente ricoperto dalla zona di scisti calcarei ed argillosi detta degli scisti a fucoidi, orizzonte prezio- sissimo per la geologia dell’ Umbria e dell’ Appennino centrale, perchè serve alla separazione dei calcari neocomiani da quelli superiori, litologicamente analoghi, riferibili al Cenomaniano ed al Senoniano. Questa zona scistosa è costituita, come fu detto anche nelle relazioni precedenti, da scisti argillosi varicolori intramezzati da calcari molto marnosi violetti e grigi pieni di fucoidi e da sot- tili letti di calcare grigio con selce. Essa è caratterizzata special- mente dalla presenza quasi costante di uno scisto nero bituminoso con resti di pesci, e nel Camerinese fu riconosciuta dal Canavari come spettante al Neocomiano superiore ossia all’Aptiano b ^ M. Canavari, loc. cit. — 21 — Come abbiamo detto questa zona scistosa segue costantemente il calcare neocomiano e la vediamo infatti stendersi come un nastro sottile per diecine di chilometri fra le masse calcaree del Neoco- miano e quelle del Cretaceo superiore. Solo in qualche punto e per un breve tratto la continuità di questa zona appare interrotta, ma tale interruzione non è in generale che una riduzione ai minimi ter- mini della parte scistosa e variegata della formazione ; effettivamente il piano vi è rappresentato e la continuità della serie è fuori di dubbio. Solo nel fianco orientale della massa neocomiana, che da Labro va al Colle di S. Valentino, manca assolutamente questa formazione aptiana e si ha ivi il contatto diretto e discordante fra la scaglia senoniana e il calcare neocomiano; ma vedremo più innanzi che ciò è dovuto ad un fenomeno tettonico. Cenomaniano. — Trattando della geologia di altre regioni umbre ^ dimostrai la esistenza d’una lacuna con trasgressione fra il Cretaceo superiore e l’ inferiore pel fatto che la scaglia senoniana, nei gruppi isolati d’ Umbertide, di Perugia ed in gran parte della catena se- condaria, pure isolata. Monte Peglia-S. Pancrazio, vedesi ricuoprire direttamente il Neocomiano, il Ti tornano, il Lias inferiore e financo il Retico. Aggiunsi però che questa trasgressione non si estende nei monti di Terni e che, dalle descrizioni di altri autori, non pa- reva aver luogo nella vera catena dell’ Appennino centrale. Il rile- vamento dell’anno decorso nella regione di cui è parola confermò questa previsione e può dirsi ormai con tutta sicurezza che, salvo alcune rare eccezioni dove, come vedremo, il contatto trasgressivo è manifestamente dovuto alla presenza di faglie, la più perfetta concordanza di stratificazione e la continuità del deposito esiste in questa parte dell’ Appennino centrale fra i terreni dell’infracretaceo e quelli del supracretaceo. ^ B. Lotti, Rilevamento geologico nei dintorni di Perugia^ eco. (Boll. E. Comit. geol., 1900). — Sulla costituzione geologica del gruppo montuoso d’Amelia (Ibid., 1902). — I terreni secondari dei dintorni di Narni e di Terni (Ibid., 1908). — 22 - Sulla carta può apparire invero qua e là una lacuna fra i due gruppi di formazioni, perchè in vari punti la formazione calcarea attribuita al Cenomaniano manca del tutto o è appena rappresen- tata da pochi strati non riproducibili sulla carta ed in questo caso la scaglia riferita al Senoniano appare direttamente in contatto cogli scisti riferiti all’Aptiano, ma ciò non significa altro che una parte di quegli scisti ed una parte della scaglia rappresentano il Gault e il Cenomaniano, perchè la concordanza di stratificazione è perfetta e, ciò che più monta, il passaggio fra le due formazioni è graduale. Il terreno attribuito al Cenomaniano è formato da un calcare con selce, bianco, un po’ tendente al giallastro o al bigio, in strati regolari, e nell’ insieme molto somigliante a quello neocomiano sot- toposto. Il suo riferimento al Cenomaniano, oltreché sulla posizione statigrafica, è basato sul fatto che in esso calcare fu trovata dal Canavari ^ una Radiolites nel Monte Sanvicino. Nei dintorni di Spo- leto, sebbene erratici, si trovarono due fossili di questo piano geo- logico’ o di quello immediatamente superiore, fossili che si conser- vano nella Collezione Toni di quella città, e che furon riferiti dal Toni stesso alla specie Siphonia piriformis Gold., e Radiolites squa- mosa D’Orb. Questa formazione calcarea si presenta bene sviluppata in tutto il gruppo del Monte Tilia e del Monte Corno presso Leonessa; lungo una zona diretta da nord a sud che da Apoleggia presso Kivodutri passando per Morro Reatino, pel Colle Centelle e per le pendici S.E e N.E del Monte Retano, giunge, via via assottigliandosi, fino ad Umbriano in Valnerina. Di qui, procedendo oltre verso nord, la vediamo mancare tutt’ intorno al Monte Solenne, in tutto il tratto della catena che separa la Valnerina dalla Valle Umbra, dal Monte Fionchi al Monte Maggiore, e nei monti sulla sinistra del Tescino. Ritrovasi poi in lembi isolati sul Monte Torrinara presso ^ M. Canavari, loc. cit. — 23 — Poiino, intorno al Monte Peretta nel gruppo del Monte Aspra, sulla costa sud del Monte di Civitella, nei monti circostanti al lago di Piediluco e nella parte più elevata di quelli della catena fra Bat- tiferro presso Terni e Rubbiano presso Spoleto. La formazione di cui è parola sparisce assottigliandosi grada- tamente in modo tale da dimostrare che essa si riduce o manca non per emersione e conseguente erosione ma per semplice cam- biamento dell’ambiente di sedimentazione. Nei numerosi tratti ove il suo deposito fu interrotto i calcari rossi della scaglia passano gra- datamente ai calcari marnosi e agli scisti argillosi variegati riferiti all’Aptiano ed è naturale che una parte della zona di passaggio fra queste due formazioni siasi depositata nel periodo cenomaniano. Senoniano ed Eocene inferiore {Suessoniano). — La formazione che succede in ordine ascendente e con perfetta continuità al cal- care bianco cenomaniano o, in difetto di questo, agli scisti a fu- coidi deH’Aptiano, possiede un tale aspetto caratteristico di unità da non riuscir possibile in un rilevamento geologico la sua separa- zione in parti cronologicamente diverse come sembrerebbe esser ri- chiesto dai criteri paleontologici. Una divisione litologica può invero esser fatta fra la parte in- feriore di questa formazione e la superiore, essendo la prima costi- tuita da calcari rosei e rossi marnosi con selce rossa e compresa sotto il nome di scaglia rossa, mentre la seconda è formata da cal- cari molto marnosi grigi, verdastri e violetti, passando spesso a scisti marnosi, ed è compresa sotto la denominazione di scaglia ci- nerea. Ma i dati paleontologici che per ora possediamo non auto- rizzano una corrispondente separazione cronologica. Non entro in discussione ma cito solo dei fatti. Nella scaglia cinerea immediatamente sopra a quella rossa furon da me ritrovati presso Titignano (Orvieto) vari esemplari di Ino- ceramus, che il Di-Stefano ritenne una specie nuova e denominò Inoceramus umhrins, e MiiOstrea molto somigliante aAVOstrea vesi- cularis. Negli stessi strati di scaglia cinerea, immediatamente sopra — 24 — alla scaglia rossa trovai a Cerreto presso Arrone in Valnerina una brecciola nummulitica che, secondo gli studi del Prever ^ contiene nummuliti, ortofragmine ed altre foraminifere riferibili alla parte pili antica dell’ Eocene. Nella scaglia rossa e precisamente nella sua parte inferiore che passa al cosidetto calcare rosato, furon raccolti nei dintorni di Visso presso i Monti della Sibilla ed in altre loca- lità deirAppennino centrale diversi esemplari di echinidi e denti di Ptychodus che dal Bonarelli ~ furon riconosciuti come senoniani. Ma nella stessa scaglia rossa e fino ne’ suoi strati più bassi che riposano sul calcare cenomaniano si trovarono nei monti di Leonessa dal Moderni dei banchi di calcare contenente in copia le solite num- muliti .dell’ Eocene inferiore^ insieme ad ortofragmine ed altre fo- raminifere. Dappertutto in questa parte dell’Umbria e nel restante Appen- nino centrale la formazione della scaglia è così caratteristica e si corrisponde talmente nelle sue più svariate modalità litologiche, che sarebbe assurdo il non ammetterne il sincronismo del deposito, specie a breve distanza come quella che separa i monti di Leonesssa da quelli di Visso. Pertanto due sole soluzioni della questione si presentano, a mio parere. Gli inocerami di Titignano, appartenendo ad una specie nuova, possono essere eocenici. Forzando un po’ i risultati delle osservazioni stratigrafìche potremo anche ritenere la scaglia rossa come eocenica nella quasi totalità, salvo una sua parte inferiore che sarebbe senoniana. In questo caso però è forza ammettere che, nello stesso ambiente marino e mentre durava il deposito degli stessi materiali divenuti poi scaglia, alio spuntare dell’alba eocenica sparì intieramente la fauna cretacea e comparvero subitaneamente le ^ P. L. Prevee, Sulla fauna iiiiinmiilitìca della scaglia deirAppennino cen- trale. (R. Accad. Se. di Torino, 1904-1905). ^ G. Bonaeelli, //(95s/// senoniani delV Appennino centrale, ecc. (R. Accademia Se. di Torino, 1899). “ P. L. Prever, loc. cit. — 25 nnmmuliti eoceniche ; il che è un assurdo scientifico. L’ altra soluzione; che a me sembra più razionale e più rispondente ai fatti, si è quella di riconoscere la promiscuità o, più precisamente, il sincronismo delle nummuliti con specie senoniane, tanto più che, come risultò al Prever, quelle nummuliti sono delle specie le più antiche. In questo caso la formazione della scaglia andrebbe re- partita probabilmente fra il Senoniano e il Suessoniano. Notisi poi che sopra aUa scaglia fa seguito, come vedremo, con perfetta con- tinuità il vero e proprio terreno eocenico colle sue forme tipiche marnoso-arenacee e con strati delie caratteristiche rocce nummu- htiche della Toscana e dell’ Appennino settentrionale. Il terreno della scaglia presenta in questa parte dell’Umbria lo stesso sviluppo del calcare neocomiano. Trovasi nelle parti più elevate del Monte Corno e del Monte Tilia, nei dintorni di Mon- teleone di Spoleto ad ovest, dove, come diremo, in conseguenza d’una faglia sembra andar socto alle formazioni basiche; occupa una gran parte delle pendici occidentali del Monte Civitella fino in Valnerina, dove, a monte di Paterno, prende uno sviluppo con- siderevole formando per intiero le alte montagne del gruppo del Monte Maggiore sulla destra e del Monte Galloro sulla sinistra, mentre a valle risale oltre il fiume sulla sua destra fin presso il crine della catena, che divide la Valnerina stessa dalla Valle Umbra, oltrepassandolo nel Monte Galenne e dirigendosi a sud; lo vediamo poi circondare da ogni lato il Monte Solenne e, attra- versata la Nera presso Umbriano, spingersi a sud, formando il Monte Petano e il Monte Tripozzo, da dove, biforcandosi al Monte Castigbone, va a rivestire i fianchi del Monte Poro e dei monti di Labro, costituiti da calcare neocomiano, e giunge. a Morro dal lato est e al Colle Sorbo, presso il lago di Piediluco, dal lato ovest. Una grande plaga di questo terreno estendesi da Spoleto verso S.E e va a formare le alture di Castelmonte e del Monte Fionchi, prolungandosi a sud in stretta zona fino a Casigliano. E’ in questa plaga che, per una estensione di oltre sette chilometri in direzione 26 — e cinque in pendenza, ha luogo il fenomeno tettonico di carreg- giamento del Lias inferiore sulla scaglia, del quale fu riferito in questo Bollettino l’anno decorso. Un’altra grande distesa di scaglia la troviamo a S.O di Spo- leto. sui monti che fiancheggiano la ferrovia fra Rubbiano e Acqua- palumbo. Oltre queste più o meno grandi estensioni di scaglia, se ne hanno vari piccoli lembi isolati, come, ad esempio, nel Monte Be- re tta e nei dintorni del lago di Piediluco. Ho parlato della scaglia in genere, ma è la scaglia rossa che domina quasi esclusivamente nelle località indicate. Compariscono nondimeno varie zone, conservatesi di solito dentro strette sin- clinali o presso il passaggio all’ Eocene marnoso-arenaceo, di scaglia cinerea o di quella scaglia più argillosa e scistosa, colorata in zone grigie, violette e verdastre. Una di queste, diretta da sud a nord, occupa la sinclinale ribaltata Morro-Ferentillo, con diramazione da Monterivoso ad Umbriano ; un’ altra occupa la sinclinale pure ri- baltata e in parte rotta da faglia, che dall’estremità sud del lago di Piediluco giunge fino ad Arrone; lo stesso fenomeno ripetesi nelle sinclinali ribaltate Macenano-Ceselli, Ancaiano-Costa e Scheggino- Montefìorello, tutte in Valnerina. Un affioramento estesissimo di questa parte superiore della scaglia lo troviamo poi nella grande sinclinale delle valli del Serra e del Maroggia, tra Terni e Spoleto; anche qui la parte sud della sinclinale è ribaltata, come fu esposto altra volta. ^ Un’ultima zona di queste rocce, diretta come le altre da nord a sud, stendesi fra S. Angelo e Poggiodomo nei dintorni di Monteleone e di Spoleto ; il tratto meridionale di essa forma il labbro orientale di una faglia che fa apparire questo terreno come sostostante ai terreni basici; il tratto settentrionale occupa, al so- lito, la parte centrale d’una sinclinale ribaltata. La parte inferiore della formazione della scaglia non è sempre ^ B. Lotti, loc. cit. — 27 — costituita dal tipico calcare marnoso rosso-mattone, ma qualche volta si presenta addirittura come un calcare bigio o giallognolo, ed anche decisamente bianco. Il carattere della scaglia si fa però manifesto nella sua tessitura, nella selce rossa che racchiude ed in alcune alternanze di strati o lenti di vera scaglia rossa. Così, ad esempio, le alture del Monte Petano sono formate da un calcare bianco senza selce che si associa ad un calcare roseo. Presso La Forca, a S O del Monte Solenne, ed altrove in quei dintorni, questo ter- reno è formato da grossi banchi di calcare bianco un po’ gialla- stro, senza o con poca selce, divisi da sottili letti di scaglia rossa scistosa. Presso la fonte al Colle Centopezze, ad est del Monte La Pelosa, la scaglia rossa racchiude molti strati nummulitici, spe- cialmente nella parte superiore, e lo stesso avviene nei dintorni di Cascia. Nei pressi di Monteleone di Spoleto, associati alla scaglia rossa e alternanti con essa nella parte superiore, ma sempre sotto la scaglia cinerea, stanno, oltreché il calcare nummulitico, dei banchi di calcare bianco grossolanamente cristallino, pieno di frammenti di crinoidi. Anche per la rotabile di Labro s’incontrano nella sca- glia rossa grossi strati di calcare bianco cristallino o ceroide, so- migliantissimo a quello del Lias inferiore. Sopra la casa colonica detta il Rio, presso Piediluco, la scaglia rossa tipica presentasi come un impasto d’organismi che il Parona riconobbe come fora- minifere, specialmente dei generi Glohigerina, Textularia, Orbulina, Nodo saria, ecc. La scaglia cinerea racchiude strati nummulitici in tutta la zona S. Angelo-Poggiodomo, presso Monteleone di Spoleto e tra Passano e Colle Cerreto presso Arrone, ad immediato contatto colla scaglia rossa cui fa passaggio. Eocene (Parisiano). — Generalmente dove comparisce la parte saperiore scistosa della scaglia, ossia la scaglia cinerea, trovasi anche l’Eocene tipico, costituito da marne dure con selce nera ed argille grigie, scistose, arenarie argillose, calcari compatti marnosi, calcari e brecciole nummulitiche. — 28 — In molti punti fu forse questo terreno che preservò dalla ero- sione gli scisti marnosi, facilmente decomponibili ed asportabili, della scaglia cinerea) troviamo infatti di questa parte inferiore dell’Eo- cene due piccoli lembi per entro allo stretto sinclinale di scaglia cinerea Morro-Ferentillo, presso Fonte S . Cristina, fra Colle Centelle e Colle Valentino e a Carpio fra Monte Tripozzo e Monte Petano. Un altro lembo lo troviamo presso Piediluco nella vallecola del Rivo, in parte semplicemente addossato alla scaglia cinerea, in parte stretto fra questa in una sinclinale, nella qual posizione ricomparisce poi ad un chilometro di distanza più verso N.E presso Passano. Questo lembo di Piediluco merita una speciale menzione perchè immediata- mente sopra le marne dure con selce nera, che caratterizzano il pas- saggio di queste rocce eoceniche alla scaglia cinerea, fanno seguito altre marne meno dure contenenti piccole bivalvi, pteropodi in copia e qualche gasteropodo delle specie stesse ^ trovate nelle marne ana- loghe di Valfabbrica (Perugia) e ritenute mioceniche . Le marne dure con selce nera racchiudono grosse fucoidi e Taonurus, globigerme, Bathysiphon e qualche impronta di piccole bivalvi indeterminabili. Alle marne a pteropodi si associano degli strati ad orbitoidi e num- muliti, briozoi e frammenti di pecten. ma le condizioni del terreno non permettono di vedere con quali rapporti di giacitura. L’affio- ramento di questo terreno, tutto compreso, è così ristretto e l’aspetto d’ insieme così uniforme che la sua separazione in due periodi geo- logici sembra addirittura irrazionale ^ . La giacitura in una sinclinale ribaltata e troncata da una faglia inversa, come diremo trattando della tettonica, è poi una prova di più contro la sua età miocenica, poiché, se tale fosse la sua età, bisognerebbe ammettere che il piegamento appenninico avesse avuto luogo nel Miocene superiore o nel Pliocene, ciò che ^ Il prof. Di-Stefano vi riconobbe le seguenti specie; Clio pedemontana, C. piilcherrima, Vaginella acntissima, Eiidolinin fasciatmn. — 29 — è in contradizione con quanto è stato acquisito dalla scienza geologica ^ Nel lembo di Bassano, al di là della Forca d’Arrone non com- pariscono che le marne con selce nera. Una distesa notevole di questo terreno eocenico la troviamo in Valnerina fra S. Anatolia di Narco e Paterno in una sinclinale ribaltata di cui un ramo, quello orientale si appoggia regolarmente sulla scaglia cinerea, l’altro è in contatto trasgressivo colla scaglia rossa, cogli scisti a fucoidi dell’Aptiano e col calcare neocomiano. Questo terreno è formato come a Piediluco da marne con selce, marne a pteropodi ed arenarie marnose con calcari. In una stretta sinclinale, che sembra una diramazione della precedente, presso la Forca di Bazzano ricomparisce un piccolissimo lembo di queste stesse rocce. Ma la maggiore estensione di questo terreno eocenico devesi riconoscere nell’ampia sinclinale compresa fra le due catene che dai pressi di Terni diramansi: una verso N.O coi Monti di Cesi e il Monte Martano, e raltra verso nord coi Monti di Somma fino a ^ Un fenomeno simile mi fu fatto notare del Verri presso Cesi nel fossetto che succede a sud a quello di S. Francesco. iSTel fondo e nelle alture di destra di questo solco, subito sotto alla strada rotabile, comparisce sulla scaglia un po’ d’Eocene formato di marne con selce nera e marne a fossili d’abito miocenico (vedi Verri e De Angelis, Contrihnfo allo studio del Miocene nell' Umbria. Rend. Accad. Lincei. 1899). Ma non vi è modo di separare queste marne nè stratigra- ficamente, nè topograficamente. Veda dunque l’egregio prof. Sacco che io non ho rinunziato alle mie convinzioni profondamente radicate sull’età eocenica di questo terreno, come egli pare che abbia giudicato (F. Sacco, La questione eo- miocenica dell' Appennino. Boll. Soc. geol. italiana, XXV, 1, 1906, pag. 67) in base ad una Relazione sui risultati di una visita ufficiale nei dintorni del Subasio, eseguita allo scopo di contribuire allo studio della controversa questione. La Relazione, sottoscritta anche dallo scrivente, concludeva, è vero, che nella zona intorno alla quale si aggirarono gli studi della Commissione, era possibile, in base ai fossili e alla stratigrafia, la distinzione fra Miocene ed Eocene, ma ciò non voleva dire che quel criterio fosse estensibile a tutta la zona marnoso- arenacea dell’Umbria. 30 - Spoleto. Il terreno eocenico comincia presso Appecano e va oltre verso nord per trenta e più chilometri . Dappertutto si presentano alla base le marne con intercalature arenacee caratteristiche di quella formazione umbra ritenuta miocenica. Presso Pracchia, a Perchia e nei dintorni di Terzo S. Severo e Uncinano, al piede orientale della catena del Monte Martano, queste marne presentano tracce di pteropodi e di piccole bivalvi. Pliocene . — La contrada di cui ci occupiamo deve essere stata un tempo in gran parte ricoperta da acque lacuali, dappoiché oggi la troviamo cosparsa di ampie distese e di piccoli lembi residuali di un deposito lacustre. Questi residui si trovano ad altitudini molto differenti, da una massima di poco più che 900 metri nel bacino di Leonessa ad una minima di 100 in quello di Terni. Le acque che cuoprirono questa regione dovettero esser con- tenute in tre bacini diversi, separate fra loro da diaframmi mon- tuosi di notevole elevazione. Uno di tali bacini fu quello di Leo- nessa, or ora accennato; un altro fu quello della Valle Umbra, ossia di Spole to-Foligno ; un terzo fu quello di Terni. Prevenendo ciò che sarà esposto in una prossima relazione sul rilevamento della de- corsa estate nei dintorni di Rieti, non ancora compiuto, aggiungo che il bacino di Terni dovette estendersi molto a sud, nei dintorni di Rieti. Il livello delle acque nei tre bacini accennati dovette es- sere però presso a poco lo stesso, perchè, come in quello di Leo- nessa troviamo i sedimenti lacustri quasi costantemente a 900 metri 0 poco più, in quello della Valle Umbra, sebbene ad altezze gene- ralmente minori, ne troviamo un piccolissimo lembo in Val Cieca a S.E di Spoleto a 800 metri, e in quello di Terni, dove si hanno 1 depositi più bassi, ne troviamo un lembo al Colle S. Valentino a 937 metri. I depositi di Rieti giungono a 850 metri nel Monte Ponzano . Il terreno pliocenico cuopre, nella regione di cui ci occupiamo la maggior parte delle pendici che da Morro e da Labro scendono verso il piano reatino e verso il lago di Piediluco, lasciando scoperti qua eia solo — 31 — dei piccoli lembi di calcare neocomiano. A nord e a N*.E del lago se ne hanno solo delle piccole plaghe isolate a Bonacquisto,. al Colle S. Valentino, a Cerreto, al Colle Forcone, alla Madonna dello Scoglio e nel Monte Oppio. Sulla destra della Nera forma quasi per intiero le alture tra Montefranco e Collestatte e dei piccoli lembi alle Pa- lombare, ai Cappuccini e alle Mura presso Ferentillo. Meritano spe- ciale nota i resti di questo terreno lungo la valle della Nera a monte di Ferentillo presso Macellano, a Ceselli e a Piedipaterno per la strada di Grotti. Questi residui, sebbene piccolissimi, stanno ad attestare che il bacino lacustre ternano -reatino insinuavasi lungo la stretto solco della Nera oltre Ferentillo e che per conseguenza la formazione di questa valle, .almeno per un buon tratto, è un feno- meno prepliocenico. Nei dintorni di Spoleto troviamo sviluppato questo terreno ad est del Monte Martano, fra Scafarci e Petrognano, dove racchiude i noti importanti depositi di lignite xiloide. Forma poi le colline di S. Tommaso, di Collerisana e quella su cui è fabbricata la città, parte della collina dei Cappuccini e le pendici sulla destra del Fis- sino fra la Cura e Casetta Ospedale. Un piccolissimo resto si ritrova a Val Cieca, sulla destra del fosso di Vallocchia, ad 800 metri d’al- titudine, come dicemmo. La valle del Fissino e quella di Valloc- chia preesistevano dunque al Pliocene. Questo deposito lacustre pliocenico, dove è bene sviluppato, come nella parte settentrionale del bacino di Terni, presenta la la seguente serie dall’alto al basso: 1. Ciottoli e sabbie che cambiano lateralmente in calcari fria- bili con Melanopsis. 2. Argille con ligniti a Melanopsis, Cardium ed altri fossili littorali. 3. Argille senza fossili con impronte vegetali. Nel bacino lignitifero di Spoleto il Pliocene è formato dall’ alto al basso come appresso: 1. Ciottoli e conglomerati di calcari secondari e nummulitici. — 32 — 2. Sabbie e argille sabbiose. 3. Argille scure con letti di ghiaia fra i quali sta racchiusa la lignite. ^ Presso gli affioramenti di S. Silvestro e di Scatarci si formò una bella laterite in conseguenza d’incendi naturali della lignite. Il terreno lignitifero è frequentemente rotto da faglie che danno luogo a pendenze variabili dei banchi nel verso e nel grado. I cantieri attuali in lavorazione sono quelli di Scatarci, S. Angelo, S. Silvestro, la Vallacela e Morgnano. Presso la stazione ferroviaria di Spoleto le argille sottostanti ai ciottoli offrono un ottimo materiale da laterizi fini di cui vi è una fabbrica importante. Queste argille si ritrovano sotto i conglome- rati d'dla collina di Spoleto e i loro movimenti sembrano esser la causa dei danni sofferti dalla chiesa monumentale di quella città, danni che stanno ora riparandosi con opportune opere di drenag- gio e di consolidamento. Anche presso Morro compariscono degli straterelli di lignite racchiusi fra strati di sabbie e di marne sottostanti ai ciottoli. Fra Morro e Apoleggia sotto ai ciottoli stanno grossi banchi di calcare cretoso con bitinie, melanopsis ed altri fossili lacustri, non che impronte di foglie. Ai Cappuccini e alle Palombare presso Ferentillo sotto al conglomerato comparisce una sabbia bianca calcarea finissima. Alle Mura, nella valle d’Ancaiano, pure presso Ferentillo, sotto l’abbondante detrito dei monti circostanti scuopresi una massa d’ar- gilla con conchiglie lacustri utilizzata per la fabbricazione dei late- rizi. Non vi ha dubbio che essa faccia parte del contiguo deposito pliocenico che, sotto forma di ghiaie e conglomerati scende verso il fondo della valle. ^ Vedere per maggiori notizie su questi depositi di combustibile: P. Toso, Notizie sui combustibili fossili italiani. (App. alla Riv. min. del 1890). 33 — Presso Buonacquisto, non lungi da Piediluco, sulla sinistra della vallecola, il Pliocene si presenta in banchi regolari formati di con- glomerati e fortemente inclinati come le pendici della valle stessa. Quaternario. — Di terreni spettanti al quaternario sono da ri- cordarsi per questa regione l’estesa e potente massa di travertino formata dalle acque del Velino presso la Cascata delle Marmore ove esso gettasi nella Nera, e vari lembi di tufo vulcanico, rima- neggiato e mescolato con humus e terreno di trasporto, che com- pariscono alla Cava dell’ Oro, al Pozzo delle Ferrare e sotto al Pozzo del Persico, nei dintorni di Poiino, presso Pulcini in quel di Leo- nessa, a Cecalocco, in Valle S Martino, a C. Catena, a C. delle Monache e a Casal di Mezzo sulla destra della valle del Tescino. Il piccolo residuo di tufo della Cava dell’Oro, presso Poiino, merita una speciale menzione perchè, come dice il nome della loca- lità, vi è la tradizione nel paese che da quel materiale tufaceo si estraesse l’oro. Col metallo di questa cava sarebbe stata coniata da Clemente XIII nel 1762 una medaglia che ha nel diritto r effige di questo papa e nel rovescio la data colla seguente scritta : Primitiae ex novis fodinis prope Polinum Umhriae Oppidum. Nel luogo esiste infatti una cavità artificiale entro la quale, sotto una coperta di tufo vulcanico tipico, trovasi una breccia dura, formata di frammenti angolosi di calcari bianchi compatti e di un t ufo litoide grigio micaceo, dalla quale appunto sarebbesi estratto l’oro secondo le indicazioni di quegli abitanti. Ma d’oro non vi è nè può esservi traccia. Il tufo riempie una cavità di due o tre metri di larghezza aperta nel calcare del Lias inferiore. Masse di detrito e masse di ciottoli cuoprono il terreno di questa regione in molti punti e specialmente sui fianchi ripidi delle mon- tagne e sul fondo e allo sbocco delle valli d’erosione. Le più notevoli per estensione e potenza si osservano tra Eggi e Campello presso Spoleto dove penetrano molto addentro nelle valli della Spina, della Forcatura e dell’Encalano. Sono in parte detriti di falda ad elementi angolosi che si uniscono e fanno passag- 3 — 34 gio ai coni di deiezione ad elementi più o meno arrotondati che stendonsi dinanzi allo sbocco di quelle valli. Estese formazioni detritiche cuoprono le falde dei monti sulla destra del Tissino a Pietricola e a S. Giuliano presso Spoleto, nella valle d’ Ancaiano presso Ferentillo, a Colleponte e Macenano in Val- nerina e a S. Giovenale presso Monteleone di Spoleto nel bacino di Leonessa. Tra i terreni più recenti, che costituiscono il fondo delle val- late" principali, merita di esser ricordato quello che stendesi tra Ar- rone e le Marmore, lungo il corso della Nera, e che è formato in gran parte da un deposito torbaceo palustre. Vi è in quei paraggi la tradizione che quivi esistesse un lago, ed i vocaboli di Castel del Lago, Colleporto e Rioporto, situati al margine del supposto lago, la figura del perimetro del bacino, lo strettissimo passaggio del fiume ^presso le Marmore che pare aperto da ieri, starebbero in appoggio dell’opinione che questo bacino lacustre sia effettivamente esistito in tempi recentissimi. Tettonica. — La struttura geologica di questa parte delFUm- bria non può riassumersi con una formula sintetica perchè troppo complicata da svariati fenomeni di dislocazione stratigrafica e perchè in generale non corrisponde affatto alla conformazione orografica. . La valle della Nera, che pure rappresenta in gran parte un fenomeno prepliocenico, non corrisponde ad una sinclinale che in un breve tratto fra Scheggino e Paterno; in tutto il resto del suo corso, limitatamente alla regione di cui ci occupiamo, taglia netta- mente la stratificazione e non sembra aver alcun nesso colla tet- tonica generale della regione. Esiste invece una stretta corrispon- denza fra la tettonica e la orografia nella zona interposta fra la catena del Monte Martano e quella del Somma tra Terni e Spo- leto, la qual zona corrisponde effettivamente ad una sinclinale. Contuttociò se gettiamo uno sguardo comprensivo sulla carta geologica di questa regione, facendo astrazione dal Pliocene, ve- diamo in essa distese da nord a sud due zone laterali in gran - 35 parte costituite da rocce secondarie inferiori, che comprendono fra loro una zona, essa pure diretta secondo il meridiano, formata quasi esclusivamente da rocce cretacee ed anche eoceniche. In cor- rispondenza della zona orientale si hanno in prevalenza strutture stratigraliche anticlinali con ossatura di rocce secondarie inferiori come mostrano le sezioni IX e metà orientale della III (Tav. I) o con accavallamenti o faglie inverse, come nelle sezioni Vili e IX. In corrispondenza della zona occidentale abbiamo pure strutture anticli- nali intorno ai nuclei basici delle Marmore, di Battiferro, del Somma e del ^Vlonte Acuto, col singolare accavallamento di Spoleto, illu- strato nell’ anno decorso in questo Bollettino con varie sezioni pa- rallele ^ ed in parte riprodotto nelle sezioni I e II della Tav. I del presente fascicolo. In corrispondenza della zona mediana domina invece una struttura ondulata complessivamente sinclinale, con strette pieghe ribaltate verso oriente e numerose faglie normali come son rappresentate nelle sezioni IV, VI, VII e parte occidentale della III, nonché nelle estremità orientali delle I e II. Meritano nota speciale in questa zona due sinclinali dirette se- condo il meridiano e distanti fra loro di 4 o 5 chilometri. La più occidentale di esse incomincia presso il lago di Piediluco e seguesi per circa venti chilometri verso nord sino al Monte Solenne dove svanisce fra questo e il Monte Fionchi. E’ ribaltata verso est in tutta la sua lunghezza, come apparisce nella sezione III della Tav. I tra Monte Fionchi e Monte Solenne, e presso Piediluco, nella valle- cola del Rivo, è rotta da una faglia, come mostra la sezione VI. Questa faglia, che corrisponde alla vallecola del Rivo e alla inse- natura del lago fra Piediluco e il Colle Santo, non si prolunga a N.E più oltre della Forca d’Arrone, perchè qui, come più innanzi, la sinclinale è completa. Nel tratto fra Piediluco ed Arrone com- pariscono dentro la sinclinale, oltre i terreni senoniani, anche gli eocenici, i quali nella valle del Rivo, in conseguenza della faglia B. Lotti, Di iin caso di ricnoprimento presso Spoleto. (Boll. Com. geol.1, 1905). ~ 36 ~ sembrano star sotto ai calcari neocomiani (vedi sezione VI). Nel tratto medio, tra Palombaro e Ancaiano, questa sinclinale non è ben manifesta perchè nascosta sotto l’ampio letto alluvionale della Nera fra Palombaro e Ferentillo, e sotto un estesa coperta di de- triti tra Ferentillo ed Ancaiano, senza tener conto che in questo tratto sembra che il suo sviluppo regolare sia stato ostacolato da una sbarra trasversale di calcari basici, di cui i punti più salienti sono al Colle dell’Ovaia e nelle rupi di Ferentillo. Da Ancaiano fino a Costa la sinclinale disegnasi, chiaramente rovesciata, nel lato S.E del Monte Fionchi. La sinclinale più orientale, che incomincia da Morro Reatino, fu seguita verso nord per oltre trenta chilometri fino a Piedipa- terno, da dove forse proseguirà ancora. A Grotti, sulla destra della Nera, da questa sinclinale altra se ne diparte che passando per Razzano gira in ampia curva intorno al Monte Galenne, spingen- dosi poi nei monti di Campello per entro al torrente Spina. Anche questa seconda sinclinale è ribaltata verso est in tutta la sua lunghezza e in ambedue i rami settentrionali divergenti, come mostrano le sezioni I, II, III e VII nei punti rispettivamente segnati F°. Scandelli, Scheggino, F. Nera e Caroci; solo alla Fonte S. Cristina, presso il Colle Valentino, si ha un’inversione puramente locale che viene indicata dalla sezione VI. Nel tratto più meridio- nale, tra Morro e Fonte S. Cristina, la sinclinale di cui è parola va a giustaporsi ad un anticlinale di calcare neocomiano, e tale giusta- posizione sembra avvenire per faglia, come indicano le sezioni VI e VII, perchè il contatto ha luogo in parte fra calcare neocomiano e scaglia rossa, in parte fra calcare neocomiano e scaglia cinerea. Lo stesso fatto verificasi nel tratto più settentrionale di questa piega, tra Grotte e Moiitefiorello, dove l’ Eocene, che occupa la parte me- diana della sinclinale, va a contatto diretto della scaglia rossa, del calcare neocomiano e degli scisti a fucoidi aptiani. Naturalmente fra le due sinclinali ora descritte resta racchiusa un’ anticlinale, che comprende, a cominciare da sud, il monte di Labro, il Monte Rotondo, il Monte Tripozzo, il Monte Solenne, il Monte Piano, il Monte d’ Eggi e il Monte Galenne, tutti formati di calcare neocomiano, eccetto il Monte Tripozzo che è di scaglia. Quest’ anticlinale è retta o quasi da Labro a Ferentillo, come mo- strano le sezioni VI e VII che l’attraversano; è ribaltata verso est, alla stessa guisa delle contigue sinclinali, da Ferentillo ai monti di Campello, come vedesi nella sezione III attraverso il Monte Solenne. In riguardo alle due grandi zone anticlinali laterali di cui fu sommariamente tracciato l’andamento giova ora aggiungere i se- guenti particolari che serviranno anche a giustificare le costruzioni stratigrafiche delle sezioni unite a corredo di questa nota. Conviene anzitutto volgere l’attenzione alla faglia inversa Fi che comparisce ad est della zona basica orientale e che viene rappre- sentata dalle sezioni Vili e IX e parte orientale della III. Questa zona, con prevalente disposizione anticlinale come fu detto, è limi- tata ad est da formazioni del Cretaceo superiore che sono manifesta- mente sottostanti a c^uelle basiche, e tale contatto anormale tro- vasi sopra una superficie pressoché piana, diretta da S.S.O a N.N.E ed inclinata verso occidente, la cui traccia seguesi da Rivodutri in quel di Rieti fin presso Usigni a nord di Monteleone di Spoleto, per oltre venti chilometri. Lungo questa linea si hanno i seguenti fenomeni, cominciando da sud. Nel fosso del Molino, che scende a Rivodutri, il calcare neo- comiano, gli scisti a fucoidi aptiani e il calcare cenomaniano, che sono sulla sinistra, vengono successivamente a contatto diretto con calcari e scisti retici che affiorano sulla destra al disotto del cal- care del Lias inferiore, e sono conformati in sinclinale, come mostra la sezione IX. Ad un certo punto una placca di questo calcare passa sulla sinistra e sale fino alla sommità del Collelungo, formando un angolo acuto col vertice sulla cima di questa montagna. Percor- rendo i due lati di questo angolo si osservano i calcari cenoma- niani cb e la scaglia senoniana sr, ricoperti successivamente da detta massa angolare di calcare basico li come viene indicato dalla — 38 — sezione Vili. Un poco più a nord, nella valle del Fuscello, fra le due protuberanze liasiche di Collelungo e del ]Monte La Pelosa, queste formazioni cretacee penetrano verso ovest in un’insenatura dei calcari del Lias inferiore e nel Monte La Pelosa si ripetono le stesse condizioni stratigrafiche che al Collelungo, cioè la sovrap- posizione dei calcari basici successivamente al Cenomaniano ed al Senoniano. In tutto il lato orientale del Monte La Pelosa la sca- glia rossa senoniana trovasi a contatto e sottostante ai calcari del Lias medio. Ancora più a Nord, tra Pulcini ed Usigni, non solo la scaglia rossa ma anche quella cinerea, appariscono manife- stamente sottostanti al Lias superiore, al medio ed all’ inferiore, come mostra la sezione III, nella sua estremità orientale e come può vedersi nelle vallecole di Sant’Angelo e del Moro, che scendono dal gruppo del Monte Aspra, e nel Monte Sciudri a nord di Monte- leone. In questa ultima località si osserva che la scaglia ricoperta dal Lias inferiore è conformata in sinclinale ribaltata verso oriente. Parmi pertanto fuori di dubbio che lungo questo contatto anormale del Cretaceo superiore col Lias esista una faglia inversa diretta quasi da sud a nord ed inclinata verso ovest, ossia una dislocazione in perfetto accordo colla direzione ed il verso dell’ac- cavallamento di Spoleto e delle pieghe sinclinali ed anticlinali ri- baltate di cui fu fatta menzione. E poiché, come ho detto, presso il Monte Sciudri, all’ estremità nord, e sulla sinistra del fosso del Molino di Rivodutri, presso l’estremità sud, il Lias inferiore ricuopre una sinclinale ribaltata di Senoniano, è probabile che questa faglia inversa sia il risultato della rottura per stiramento del fianco infe- riore di un’ anticlinale ribaltata od anche, forse, d’una semplice flessione come parrebbe accennare piuttosto la parte relativa della sezione III. Air accavallamento in curva, ossia vero e proprio carreggia- mento R, dei dintorni di Spoleto, descritto altra volta ^ e ripreso ^ Lotti, loc. cit. - 39 — in parte nelle estremità occidentali delle sezioni I e II, fa seguito alla distanza di due o tre chilometri verso est un secondo accaval- lamento o, più esattamente in questo caso, faglia inversa Fi rappre- sentata nella parte mediana delle stesse due sezioni I e II. Presso Montecchio questa faglia mette in contatto il calcare neoco - miano, che inclina verso ovest, colle testate degli strati del Lias medio e del Lias superiore che inclinano in verso opposto (vedi sezione II). Questa faglia prosegue verso nord lungo il corso del Oortaccione dove, presso Le Case, viene quasi a contatto col ri- cuoprimento di Spoleto R, come mostra la sezione I. Poche diecine di metri più a nord, fra Le Case e Borgiano, si osserva che il bancone basico li del ricuoprimento ha scorso in parte sugli scisti del Lias superiore Is, come nel fosso sotto Borgiano, in parte sulla scaglia senoniana sr, e di questa, che riposa essa pure sul Lias superiore, ve ne ha in questo caso appena uno spessore di qualche metro. Di qui proseguendo verso nord possono seguirsi le tracce di questa faglia fino ad Eggi. Sul fianco orientale del Montecchio sembra aver luogo un’altra faglia (v. sezione II) o, ad ogni modo un contatto anormale fra la scaglia sr e il Lias medio Im. Le faglie dirette ed inverse, di cui abbiamo fatto cenno, fu- rono naturalmente dedotte dai reciproci rapporti di posizione stra- tigrafica delle varie formazioni; non mancano però in questa re- gione di tali dislocazioni direttamente osservabili. Così presso il Casone, fra la stazione di Piediluco e Le Marmore si avverte una faglia in una cava di pietre. Alla Fonte dell’ Acqua vi va, presso Po- iino, si osserva una faglia, che mette in contatto gli scisti a fu- coidi, il calcare neocomiano e i diaspri titoniani col calcare del Lias inferiore, ed altra per la via da Poiino al Salto del Cieco fra il Lias superiore e l’inferiore. In ambedue è manifesto il piano di scorrimento in una parete del calcare basico. Da Palazzo del Papa nella valle del Tescino, a Monte Contino sulla sinistra della vallecola del fosso Necaia, passando per Acquacastagna, una faglia rettilinea ~ 40 — con parete di scorrimento mette in contatto il Lias superiore sci- stoso in strati orizzontali coi calcari del Lias medio in strati molto inclinati. Al Monte della Croce, nel gruppo del Somma, presso Catinelli una faglia diretta da nord a sud mette di contro al Lias inferiore le testate degli scisti a fucoidi, del calcare neo- comiano, del Titoniano e del Lias superiore ; nel calcare del Lias in- feriore è chiaramente tracciato il piano di scorrimento. Dal fin qui detto risulta pertanto che questa zona della re- gione umbra, alla stessa guisa di quelle contigue descritte in pre- cedenza, presenta una tettonica notevolmente complicata da pieghe ribaltate, faglie dirette e inverse, accavallamenti e carreggiamenti; e poiché con essa ci avviciniamo alla zona centrale dell’ Appennino, è lecita la previsione di nuove e forse più importanti dislocazioni nel cuore stesso della catena, la cui costituzione era apparsa o si supponeva finora relativamente semplice. Queste dislocazioni, che se anche di più modeste misure non sono per questo meno strane ed intense di quelle oggi riconosciute nelle Alpi, offrono una costante caratteristica di semplicità nel loro andamento e nel loro svolgimento. Tanto quelle della zona presa in esame nella presente, quanto le altre descritte nelle precedenti relazioni sono, salvo alcune rotture trasversali di secondaria impor- tanza, tutte dirette presso a poco secondo il meridiano, ossia se- condo la direzione assiale della catena appenninica in questo suo tratto, e tutte, siano esse pieghe, faglie inverse o accavallamenti, presentano la loro pendenza verso occidente, dimostrando così in modo manifesto di essere l’effetto di un medesimo impulso laterale proveniente dall’ovest. Roma, febbraio 1906. Boll. del R.Com.geol. d'Italia Anno 1906. Tav.I. ( B.Lotii M. Poi\) C!" I ’alculitio sej 937 La Fon ti iosa ri) si' a. Tvnvfìo alluvionale recente. q. Depositi alluvionali luilh^ió. pi. Pliocene lacustre-. e. Strali- marnoso are/tticci eocenici . s c . Scaglia cinerea . sr. Scaglia rossa- cb. liticare cenoinaniunu bionco sf. Scisti a fucoicli aptiani . n . Calcare neocomituuj. ds Diaspri e calcari titon ioni . Ih Calcari e. scisti del Lins superiore LAJj. (iileari del Lias medio. IJ ,/«/ .-../x..- — 41 — II. M. Cassetti. — Osservazioni geologiche sul Monte Sirente e suoi dintorni [Abruzzo aquilano). (Con una tavola). Cenni topografici. — Il Monte Sirente, che fa parte dell’ Ap- pennino centrale aquilano, giace a nord-nord-ovest del bacino del Fucino, tra il Monte Velino e la valle dell’ Aterno. La sua più elevata cima s’innalza a m. 2349 sul mare, così che per altitudine esso occupa il quarto posto fra i monti più alti del- TAppennino abruzzese, dopo cioè il Gran Sasso, la Majella e il Velino. Le condizioni orografiche del Sirente possono paragonarsi a quelle della Majella h poiché, come questa, non offre all’ osservatore l’aspetto di un monte il cui vertice emerge sulla regione montuosa circostante, ma invece si presenta come una grande ed estesa ele- vazione, terminata da un lungo ed ondulato crinale e fiancheggiata da due soli grandi displuvi, uno dei quali erto e scosceso e l’altro con leggero pendio, di guisa chè presenta l’apparenza di una serie di alture allineate e continue. Così nel Sirente abbiamo due soli grandi versanti, quello cioè che prospetta F Aterno e l’altro che discende al Fucino. Il primo, erto e rupestre, s’innalza quasi d’improvviso per parecchie cen- tinaia di metri e in esso si succedono sovente delle alte e ampie pareti, alcune delle quali presso che verticali e anche in stra- piombo; l’altro invece a dolce e regolare pendio, interrotto sola- mente da poche e leggere ondulazioni di terreno, non che da pic- ^ AI. Cassetti, Sulla struttura geologica dei monti della Majella e del Morrone. (Boll. R. Coni, geol.. Anno 1904, Voi. XXXV). — 42 — cole valli e da cavità o doline di varie dimensioni, prodotte da fe- nomeni carsici, di guisa che da lungi questo versante dà l’idea di un immenso piano inclinato. Il crinale poi che separa questi due versanti è diretto presso a poco da N.O a S.E e si estende dall’ abitato di Rovere, sull’alti- piano di Roccadimezzo, al così detto Monte di Canale sopra Ga- gliano Aterno, vale a dire per una lunghezza di circa 12 chilometri; e la sua altitudine va più o meno degradando dall’ una parte e dall’altra dal punto più elevato. Stante le indicate condizioni topografiche del Sirente, l’ascen- sione alla sua cima riesce difficile e penosa dal versante che guarda l’ Aterno, mentre si presenta facile e comoda da quello opposto. Da questo lato l’ascensione può agevolmente efiettuarsi, sia partendo da Collarmele e seguendo la via della valle di Fonte Ci- turo e di Monte Canale, sia partendo da Ovindoli, passando per le due contigue valli di Arano e Pozzilli e proseguendo pel viottolo che porta alla masseria di Monte Cuppone, sia infine partendo da Rovere e percorrendo la via di Mandra Murata. Quest’ ultima via è più sollecita delle precedenti, ma assai più alpestre e quindi meno comoda. Cenni geologici. — Come generalmente si osserva nell’ Appen- nino centrale e meridionale, nei monti del Sirente il motivo tet- tonico predominante è una serie di grandi fratture con rigetto o senza, dirette quasi tutte presso a poco da N.O a S.E, dalle quali dipendono ed a cui si collegano altre fratture di minore entità ed aventi direzioni varie. La frattura più importante ed estesa della regione è quella che segue quasi esattamente il corso dell’ Aterno, e che io mi ri- serbo di studiare dettagliatamente in una delle prossime campagne geologiche; l’altra è precisamente quella del Sirente, la quale è pressoché parallela alla precedente e passa ai piedi del ripido ver- sante orientale di detto monte. — 43 A queste due grandi fratture se ne collegano altre che ver- ranno partitamente indicate e descritte in seguito. La presenza della grande frattura del Sirente viene dimo- strata ad evidenza dalla figura 1^ dell’ annessa tavola, nella quale si vede come lungo il versante che guarda l’Aterno, gli strati del calcare cretaceo di cui questo è costituito, si presentano tagliati per tutta la loro considerevole potenza e rialzati in modo che le loro testate si affaccerebbero ben delineate per tutta la fronte di detto versante, se non fossero qua e là mascherate dai detriti di falda, mentre i corrispondenti strati cretacei ricoperti in parte dal terreno terziario, li vediamo ad un livello assai inferiore e sono quelli che costituiscono la sottostante regione montuosa adiacente all’ Aterno. Nell’opposto versante invece si osserva che l’andamento degli strati del calcare cretaceo insieme a quelli del soprastante calcare terziario, che vi si appoggia in concordanza, segue quasi esat- tamente il pendio del monte, in modo che la superficie del ver- sante è data dai piani di stratificazione. Per effetto della importante frattura di cui sopra la formazione calcarea del Sirente, lungo il versante che guarda l’ Aterno, si mo- stra quasi completamente denudata dalla base fino alla cresta del monte, così che basta fare l’ascensione di esso da questo lato e discendere dal lato opposto, inoltrandosi fino all’ altipiano di Ovindoli, per formarsi un’idea abbastanza chiara e completa della serie dei terreni che costituiscono la regione. E questa serie, seguendo bordine cronologico ascendente, con- siste semplicemente in una potente pila di strati calcarei del cre- taceo colla stratificazione diretta generalmente da N.O a S.E e con inclinazione predominante a S.O, ricoperta in gran parte da un esteso deposito di calcari terziari, il quale, a guisa di ampio mantello, vi si appoggia in concordanza. Ai detti calcari terziari fanno seguito alcuni estesi e potenti depositi di scisti argillosi alternati con scisti arenacei. 41 ~ Abbiamo infine i depositi quaternari e i detriti di falda come parte più elevata della serie. Ma il suindicato mantello di calcari terziari, mentre si pre- senta uniforme e continuo nella parte di versante che discende al Fucino, in quella che si protende verso Celano e verso' l’altipiano di Ovindoli, è qua e là interrotto da monti più o meno elevati e da valli più o meno profonde, per effetto di altre fratture suc- cessive o di erosione, in modo che, in questa parte di versante, torna ad affiorare il sottostante calcare cretaceo. E giacché gli strati di questo terreno secondario in parecchi punti si trovano più o meno rialzati rispetto a quelli del superiore terreno terziario, si ha qui un bell’esempio di disposizione a gradini che caratterizza spiccatamente la regione del Sirente. Come rilevasi dalla stessa figura 1^, la prima interruzione del mantello terziario avviene di fronte al Monte della Revecena, e qui abbiamo precisamente un’ altra linea di frattura piuttosto importante, benché assai limitata, dappoiché si estende solo dal detto monte ai due contigui della Savina ed Etra. Questa linea di frattura passa lungo il versante orientale dei detti monti, e difatti da questo lato noi vediamo che i calcari terziari che scendono dalla costa del Sirente, si arrestano d’un tratto battendo contro le testate dei calcari cretacei che costi- tuiscono i monti suddetti e che s’innalzano ad una discreta al- tezza rispetto ai primi. E giacché la pendenza dei rispettivi strati é quasi la stessa, sembrerebbe a prima vista che il terreno più recente vada ad immergersi sotto quello più antico. E’ chiaro adunque che anche in questo punto ci troviamo di fronte ad una faglia con rigetto. Proseguendo ancora l’esame del terreno verso S.O, e dopo attraversata la valle d’Arono salendo alla Serra dei Curti e quindi al vicino Monte Faito, si rileva la esistenza di una dolce sinclinale o di una piccola conca, formata dagli strati dei calcari cretacei. Ed infatti sia alla Serra dei Curti come nell’ opposto Monte 45 — Faito affiorano i medesimi calcari cretacei, ma mentre nella prima località gli strati pendono a S.O, nell’altra invece hanno un’incli- nazione assolutamente inversa, e quindi essi debbono necessaria- mente congiungersi formando bacino, non esistendo nello spazio interposto tra i due analoghi affioramenti nessuno accenno di frattura. La corrispondenza stratigrafìca dei due affioramenti cretacei si desume altresì dal fatto della presenza di due piccoli affioramenti di Bauxite nei due rami della sinclinale, aventi la identica posi- zione rispetto ai sottostanti calcari; solo è da notare che mentre la Bauxite che si affaccia nel lembo orientale, vale a dire alla Serra dei Curti, è sormontata dal calcare terziario, quella del lembo opposto, che si affaccia cioè nel declivio sottostante alla cresta del Monte Faito, è semplicemente mascherata da una potente falda detritica. Nella valle intermedia poi, e per conseguenza nel seno del bacino, affiorano gli scisti argillosi ed arenacei, i quali rimangono perciò interposti tra il detto calcare terziario e il lembo del detrito di falda. Non appena dal Monte Faito scendiamo al sottostante fosso di San Potito, ci troviamo in presenza di una terza frattura, la cui direzione si avvicina a quella del meridiano e fa perciò colle pre- cedenti un angolo piuttosto acuto. Essa ha una notevole estensione, dappoiché con una estremità tocca la sponda settentrionale del fiume e coll’altra scende all’A- terno per la vallata di Ocre ; e ciò vale a dire che ha una lunghezza superiore ai 20 chilometri. E più precisamente essa, dopo aver seguito il fosso di San Potito, rasenta l’abitato di Ovindoli, s’inoltra lungo il versante orientale dei successivi monti Selva Canuta, Rotondo e Cagno, adiacenti ai due contigui altipiani di Ovindoli e di Roccadimezzo, e di là passa alla valle d’Ocre. I caratteri tettonici che si riscontrano in questa faglia sono assai interessanti e meritano perciò di essere particolarmente descritti. — 46 — Salendo il fosso di San Polito fino ad Ovindoli, procedendo cioè da sud a nord, si osserva che gli strati dei calcari cretacei, che affiorano sulla sua sponda sinistra, quelli cioè che costituiscono il Monte della Serra e il contiguo Monte Faito, sono notevolmente rialzati dal lato di ponente, sporgendo la loro testata C|uasi paral- lelamente all’ alveo del fosso e ciò per una potenza di qualche centinaio di metri; sulla sponda opposta invece noi osserviamo che i corrispondenti strati di calcare cretaceo del Colle del Pidocchio e del Colle Ciarlotta, non che gli strati dei superiori calcari terziari di Santa dona, che vi si appoggiano con concordanza, staimo ad un livello molto basso rispetto ai precedenti, ed avendo la medesima pendenza sembra che vi si immergano sotto. In questo punto adunque la faglia si presenta con forte rigetto. Giunti però al tratto di fosso presso Ovindoli, si osserva che quivi i medesimi strati di calcare cretaceo della parte più bassa, i quali da un lato proseguono a costituire i superiori monti della Magnola e dall’ altro si vedono affiorare lungo la costa sottostante all’abitato di detto comune, formano semplicemente una leggera anticlinale, la cui cerniera è appena sfiorata dalla frattura, di guisa che ai due fianchi del fosso si vedono le testate dei detti strati molto vicini gli uni agli altri e presso a poco nel medesimo livello, mentre nel fondo del fosso stesso essi sono perfettamente collegati. Ma oltrepassato questo punto della nostra Imea di frattura e percorrendo gli altipiani di Ovindoli e di Roccadimezzo, vediamo d’un tratto sparire gh strati cretacei della nostra destra e disten- dersi invece i depositi più recenti, mentre quelli della nostra sinistra s’ innalzano d’ un tratto per parecchie centinaia di metri sull’ oriz- zonte e, mantenendo la loro pendenza ad ovest, affacciano le loro testate lungo i ripidi versanti orientali dei successivi monti della Canella, Selva Canuta, Rotondo e Cagno, adiacenti ai detti altipiani. Abbiamo qui adunque che la nostra faglia presenta nuovamente un forte rigetto, nel senso però completamente inverso di quello della parte compresa nel fosso di San Potito. 47 — In conclusione la disposizione tettonica dei terreni attraversati dalla descritta faglia, potrebbe riassumersi nel modo indicato dalla qui unita figura schematica: Colle Ciarlotta Monti M. di Selva Canuta M. Cagno Cretaceo della Magnola Cretaceo M. Rotondo Cretaceo i Cretaceo + Cretaceo + Fosso di ’S. Potito À Altipiano di Ovindoli + Altipiano di Roccadimezzo Cretaceo Cretaceo Eocene Eocene Eocene Monte La Serra Abitato Colle di Mandra Murata Costa Fora R. I Cerri di Ovindoli Oltre alle sudescritte faglie, se ne incontrano diverse altre di limitata estensione ed a breve distanza V una dall’ altra, nelle adia- cenze deU’ altipiano di Roccadimezzo, le quali danno luogo ad evidenti esempi di formazione a gradini. Le figure 2^, 3^ e 4^ dell’annessa tavola, rappresentamti tre sezioni le quali tagliano in vario senso le dette adiacenze, valgono ad illustrare la citata struttura tettonica. La sezione che dal Monte Cagno va al fiume di Fossa (fig. 2^), influente dell’Aterno, dimostra la presenza di ben tre linee di frat- ture molto vicine l’una all’altra e che fanno seguito a quella che passa pel Monte Cagno, or ora descritta e anch’essa indicata nella sezione. Queste tre linee di frattura passano una per la Regione Trio, r altra per la sottostante Regione Coste e la terza lungo il pendio interposto tra l’abitato di San Martino e quello di San Panfilo. A quest’ ultima frattura succede più a nord la grande faglia che segue il corso dell’ Aterno, la quale si prolunga nella sponda destra del fiume Fossa non indicata nella nostra sezione. Fatta astrazione dei piccoli depositi quaternari e di una lente di calcari terziari che affiora sotto l’abitato di S. Martino, questa sezione attraversa esclusivamente la formazione secondaria, ep- perciò essa si limita a dimostrare come i corrispondenti strati del calcare cretacico per effetto delle citate fratture si presentano sul terreno in quattro distinti livelli e formano per conseguenza quattro grossi gradini. — 48 - Le altre due sezioni (fig. 3^ e 4^), partono entrambe dal Monte Cerreta ad est di Roccadimezzo e attraversando la sottostante valle di Corderà, la prima si dirige al Monte Rotondo e l’ altra al Monte Cerasole sopra Rovere, che sta all’estremità settentrionale della cresta del Sirente. Dalle dette sezioni si rileva la presenza di una faglia lungo la detta valle di Corderà, e questa faglia nella terza sezione (fig. 3^) è messa in rapporto con quella illustrata dalla pianta schematica, e nella quarta sezione (fig. 4^) con la grande faglia del Sirente. Nelle località da esse attraversate affiora, oltre al calcare cre- taceo, anche il superiore calcare terziario, così che quivi la forma- zione a gradini abbraccia l’uno e l’altro di questi terreni, e difatti si rileva dalle dette sezioni come il calcare terziario, che affiora nelle più basse falde del Monte della Cerreta, sulla sponda sinistra della valle di Corderà, lo ritroviamo prima alla R. Campicciolo e al Capo di Via Traversa e poscia al Monte Cerasole cogli strati aventi la medesima pendenza e rialzati in modo da formare tre differenti livelli; quali strati si appoggiano concordemente sullo stesso calcare cretaceo, che a sua volta affiora successivamente al detto Monte della Cerreta, sulla sponda destra della valle di Corderà e sul tratto di ripido versante del Sirente sottoposto al Monte Cerasole. Ed ora che abbiamo descritta la disposizione tettonica della regione di cui trattasi, indichiamo sommariamente la natura ed estensione dei vari terreni che vi affiorano. I terreni che s’incontrano dal basso all’alto sono i seguenti: 1° Calcari cretacei con requienie e con ippuriti, racchiudenti talvolta lenti di Bauxite. 2° Calcari eocenici con nummuliti e con pecten. 3° Calcari miocenici più o meno marnosi con pecten. 4° Scisti arenacei ed argillosi miocenici, privi di fossili. 5° Alluvione terrazzata. 6° Detriti di falda. 7° Alluvione recente. — 49 Calcari cretacei. — Come si è generalmente riconosciuto in molte altre parti dell’ Appennino centrale e meridionale, anche nei monti del Sirente, i calcari cretacei, malgrado la loro forte po- tenza ed estensione, non offrono sufficienti dati paleontologici da permetterne la suddivisione in diversi e caratteristici piani della serie, ma solamente è possibile di raggrupparli in due grandi zone o masse, tra le quali esiste un passaggio assolutamente graduale, e cioè zona dei calcari a Requienie e zona dei calcari a Ippuriti. Nel Sirente i calcari a Requienie sono molto più estesi e po- tenti di quelli ippuritici, poiché essi abbracciano anzitutto la mas- sima potenza della pila di strati, che costituiscono l’erto versante di detto monte prospiciente all’ Aterno, inoltrandosi dalla parte di sud-est fino oltre il così detto Piano di Canale sopra Gagliano Aterno e dalla parte opposta fino al Monte Cerasole e al piccolo colle successivo su cui è fabbricato il paese di Rovere. Dal detto versante poi scendono fino all’ Aterno, abbracciando tutta la regione montuosa che s’innalza sulla sponda destra di questo fiume, e cioè da Secinaro a Terranera, a Fonteavignone e ad Ocre. S’inoltrano altresì lungo la detta valle di Corderà fino a toc- care l’abitato di Roccadimezzo. In tutta questa formazione calcarea, dove più dove meno si trovano esemplari di Requienia associati talvolta a turriculate e intimamente collegati alla roccia. Nei così detti Balzi del Sirente ho raccolto un esemplare di Toucasia carinata Math. sp. Nel versante opposto il calcare a Requienie occupa le due sponde della valle dei Pozzilli e prosegue in quelle della successiva e profonda valle di Arono, innalzandosi quivi fino a formare da un lato il Monte della Revecena, il Monte della Savina, il Monte Etra e il Monte della Defenza, e dall’altro fino a raggiungere la Serra dei Curti e la cima del Monte La Serra sopra Celano. Da questa parte poi prosegue a costituire il Monte Faito e la 4 — 50 — contigua Serra di Ovindols che formano la sponda sinistra del fosso di San Potito. Alla Serra di Ovindoli il calcare a Requienie si collega con quello che si estende ai così detti monti della Magnola, dove alle Requienie trovansi spesso associate le Ellipsactinie. Dai monti della Magnola il detto calcare passa a costituire il Monte della Canella, il Monte Selva Canuta, il Monte Rotondo, la Serralunga e il Monte Cagno, adiacenti agli altipiani di Ovindoli e di Roccadimezzo, da dove prosegue per il Monte d’Ocre. Il superiore calcare ippuritico si limita alla zona più alta del- l’accennato ripido versante del Sirente; questa però, nel mentre verso nord della cima di detto monte si rastrema in modo da sparire completamente, verso sud invece presenta un notevole svi- luppo, ed ivi occupa tutto il declivio sottostante alla parte di cresta del Sirente comprendente il Monte di Canale fino al così detto Colle della Capannuccia sopra Gagliano Aterno. Nel versante che scende al Fucino il calcare ippuritico occupa solo la parte più culminante dei suddetti monti della Defenza, Etra, della Savina e della Revecena. Bauxite. — Nella regione in esame, sono piuttosto frequenti gli affioramenti di minerale di alluminio (Bauxite). La loro posizione stratigrafica è assolutamente quella stessa occupata dagli analoghi affioramenti, che s’incontrano nei monti a sud del Fucino nei territori di Lecce nei Marsi, di Villavallelonga, di Collelongo e di Luco nei Marsi e nei monti a sinistra dell’alta valle del Liri in territorio di Pescosolido, vale a dire nella zona più alta dei calcari cretacei a Requienie. Solo è da notare che men- tre nelle località sopra indicate, i calcari racchiudenti la Bauxite sono sempre sormontati dai calcari ippuritici, nella regione del Sirente troviamo alcuni punti in cui sui calcari che la contengono si sovrappone immediatamente il calcare eocenico con pecten. Anche nei monti del Sirente i giacimenti di Bauxite offrono costantemente la forma lenticolare, e si mostrano qua e là in di- — 51 — versi punti più o meno vicini, ma sempre staccati ]’uno dalPaltro e senza che vi sia fra loro alcuno accenno di continuità. Anche la struttura del minerale è analoga a quella degli altri giacimenti, consistendo essa in una massa compatta, pesante, con pisoliti più o meno grosse ed abbondanti, di colore generalmente rosso cupo, passante talvolta al rosso chiaro, al rosso giallastro o al rosso bianchiccio. Le località principali in cui s’incontra la Bauxite sono: L Alla Serra dei Curti a sud-est presso Ovindoli, dove la Bauxite è sormontata dai calcari a pettini, e al vicino Monte Faito dove essa è semplicemente mascherata dai detriti di falda. 2^ Lungo la rotabile poco sotto l’abitato di Ovindoli, dove il minerale bauxitico è semplicemente intercalato nei calcari cre- tacei. 3^^ Tra la R. Cam picciolo e il Capo di Via Traversa sulla sponda destra della valle di Cordora ad est presso Roccadimezzo, dove il minerale bauxitico è solo in piccola parte sormontato dai calcari a pettini e nel rimanente rimane incluso nei calcari cretacei. 4^ Al Colle d’Annina a nord-est presso Roccadimezzo, dove la Bauxite è totalmente intercalata nei calcari cretacei. Di questi affioramenti il più esteso e potente, a giudicare dal- l’esterno, sembra sia il terzo, quello cioè che appare sulla sponda destra della valle di Cordora. Affioramenti di Bauxite s’incontrano altresì nei monti cretacei ad ovest dell’altipiano di Roccadimezzo, e cioè nelle adiacenze del Piano di Pezza, alla Serra Lunga, a Forca di Micio presso Roccadicambio ed altri ancora nel versante occidentale del Monte d’Ocre, che io ebbi occasione di vedere in una gita fatta insieme all’ingegnere Crema deU’Ufficio geologico. Asfalto. — Occorre anche far notare la presenza di un piccolo affioramento di calcare bituminoso che troviamo a sud presso Ovindoli sulla sponda sinistra del fosso omonimo, e precisamente sopra l’abitato di San Potito frazione di detto comune. 52 — Si tratta di una limitatissima zona di calcare cretaceo, dove più dove meno imprecmato di bitume, ora a struttura compatta, ora leggermente scistosa, il quale brucia con maggiore o minore facilità sotto l’azione di un fuoco piuttosto vivo, ma cbe però sia per la sua poca entità, sia perchè a quanto sembra il tenore i n bitume contenuto dal calcare è relativamente minimo, non offre nella parte ora conosciuta alcun interesse industriale. Calcari eocenici e miocenici. — Accennai più sopra che nel ver- sante occidentale del Sirente, in quello cioè che guarda il Fucino, la massa di calcari cretacei è ricoperta da un ampio mantello di calcari terziari con stratificazione concordante. Ora, precisamente come accade nella Ma j ella, ^ il passaggio del calcare cretacico a quello terziario, non solo è assolutamente gra- duale, in modo che si passa insensibilmente da uno all’altro, ma è altresì uniforme per tutta la estensione dei rispettivi affioramenti. Questa circostanza porta a ritenere che questo mantello ter- ziario, almeno nella parte che sta immediatamente a contatto col cretacico, appartenga indubbiamente ad un unico deposito. Ma, a differenza della Majella, si osserva nel Sirente un fatto piuttosto importante, cioè che mentre nella regione meridionale di detto versante, vale a dire in quello che scende al Fucino, dal calcare cretacico si passa gradatamente ad un calcare ricco di num- muliti, nella regione settentrionale invece, ossia in quella che s’inoltra negli altipiani di Ovindoli e di Roccadimezzo, lo stesso calcare cretacico fa graduale passaggio ad un calcare compatto se- micristallino, zeppo di foraminiferi microscopici, e con numerosi piccoli pecten. E più precisamente si osserva che salendo sulla cresta del Monte Sirente dal declivio sovrastante l’abitato di Gagliano Aterno e poscia percorrendo il Colle della Capanna, la Regione Baulli, il Capo di Moro e il Monte San Nicola, prospicienti il Fucino, dal ^ M. Cassetti, op. cit. calcare cretacico si passa gradatamente al calcare nummulitico; sa- lendo invece sulla medesima cresta dal declivio che sovrasta i così detti Prati del Sirente e proseguendo quindi per il colle di Mandra Murata, ovvero per la Costa dei Monti, prospicienti l’altipiano di Ovindoli, si passa gradatamente dal calcare cretaceo al calcare se- micristallino con piccoli pecten. Ma v’ ha di più. Se noi percorriamo il suaccennato mantello di calcare terziario partendo dalla indicata Regione B aulii fino alla parte più alta del Colle di Mandra Murata, e cioè lungo il ver- sante occidentale del Sirente nel senso parallelo alla sua cresta, tenendoci sempre presso a poco sulla linea di contatto col sotto- stante calcare cretaceo, noi osserviamo che dal calcare nummulitico si passa quasi insensibilmente al calcare a pecten, avvertendo solo un leggero cambiamento di struttura litologica, ma senza notare la benché minima accidentalità stratigrafica che possa far supporre la esistenza di due distinti livelli. Sembra quindi fuor di dubbio che nell’ indicato mantello, il calcare nummulitico della regione meridionale passi lateralmente al calcare con pecten. Ma nel cennato versante del Sirente si constata un altro fatto degno di molta considerazione ed è il seguente: che sul calcare nummulitico delle più basse falde del citato mantello della regione, meridionale, si appoggiano in concordanza alcuni lembi di calcare giallastro leggermente marnoso, in alcuni punti gremito di pecten, in modo da formarne un impasto, i quali si estendono nelle alture situate a X.E degli abitati di Aielli, Cerchio e Collarmele, com- prese fra il Colle della Giorlanda e il Monte di S. Pietro. Appog- giato pure in concordanza sul corrispondente calcare a pecten delle più basse falde della regione centrale troviamo altro lembo analogo che affiora nei così detti Prati di Santa Maria e che si prolunga fino ai piedi del Monte della Revecena. Altro lembo nelle identiche condizioni tettoniche s’ incontra nella regione settentrionale del Sirente e cioè nelle pendici del Colle — 54 — di Mandra Murata e del contiguo Monte Cerasole, dove il calcare è assai ricco di fossili e specialmente di pettini, ostriche e terebratule. Nelle colline poi adiacenti all’abitato di Roccadimezzo troviamo che al calcare semicristallino a piccoli pecten succede in concor- danza un calcare granuloso che mostra sovente anche dei pettini di grande dimensione. Se tali adunque sono le condizioni tettoniche del mantello di calcari terziari che nel Sirente ricopre il calcare cretacico, noi dob- biamo necessariamente ammettere che i calcari mummulitici della regione meridionale di detto mantello sieno contemporanei ai cal- cari semi cristallini a piccoli pecten che si presentano in continua- zione dei primi e che come questi stanno a contatto immediato col calcare cretacico, e che pari contemporaneità esista tra i suindicati lembi di calcare marnoso giallastro a pecten che si appoggiano in- differentemente sul calcare nummulitico e sul corrispondente calcare a pecten, come pure, con qualche probabilità, tra quest’ultimi lembi e il calcare granuloso a grandi pecten dei dintorni di Roccadimezzo. Ora il dott. Prever dell’Università di Torino, ^ che gentilmente ha studiato il materiale da me raccolto nella regione meridionale del Sirente, vi ha riconosciuto le seguenti specie di foraminiferi, le quali costituiscono indubbiamente una fauna del Luteziano medio. Laharpeia subitalica Teli. » Benoisti Prev. » sub-Defrancei Prev. Gìimbelia spissa Defr. » parva Prev. » Donvillei Prev. » Sismondai d’Arcli. » Renevieri De Da Harpe » Lorioli De La Harpe » lenticnlaris Picht. et Moli » Meneghina d’Arch. » Oosteri Prev. ^ P. L. Prever, Ricerche sulla fauna di alcuni calcari mimmiilitici deh r Italia centrale e meridionale. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIY, fase. II, 1905). — 55 — Paronaea discorhina d’Arch. » siihdiscorhina De La Harpe » Beaiimonti De La Harpe » eocenica Prev. » mamilla Ficht. et Moli » crispa Ficht. et Moli » Tchihatcheffi d’Arch. Assilina exponens Sow. » mamillata d’Arch. » placentula Desh. » Leymeriei d’Arch. » spira De Roissy Alveolina cf. ohlonga d’Orb. » ellipsoidalis Schwag. » Paronai Prev. Orthophragmina Pratti Mich. » Marthae Schlumb. Nel calcare a pecten che costituisce tutto il rimanente man- tello, sia negli strati che stanno immediatamente a contatto coi calcare cretacico, e quindi in continuazione di quelli del calcare nummulitico, sia negli strati superiori del calcare marnoso gialla- stro e del calcare granuloso di Roccadimezzo, lo scrivente ebbe agio di raccogliere molti esemplari di pecten, ma malgrado la loro ab- bondanza e r accuratezza impiegata nel raccoglierli, il prof. Di-Ste- fano, allora paleontologo dell’Ufficio geologico, trovò che nessuno di tali esemplari conservava gli elementi necessari ad una sicura determinazione specifica. Egli però potè determinare le terebratule che accompagnano i pecten e le ostree nei calcari di Mandra Mu- rata e riconobbe che esse appartengono tutte alla specie Terebrdtula rhomboidea Biondi, la quale, nella penisola salentina, trovasi asso- ciata diWAturia Aturi del Miocene. I professori De Stefani e NelbV nella loro memoria sui fossili miocenici dell’ Appennino aquilano, dicono di avere riconosciuto fra gli esemplari raccolti dal prof. Chelussi nei calcari a pecten di quella ^ C. De Stefani e B. Nelli, Fo'ssili miocenici deW Appennino aquilano. (Kend. K. Acc. Lincei, S. 5% Voi. YIII, 2° sem., fase. 2, 1899). — 56 — regione, alcune specie caratteristiche del Miocene e perciò conclu- dono che tutti quei calcari a pecten debbano riferirsi a tale terreno. Non metto in dubbio la presenza di fossili miocenici nei cal- cari dei monti del Sirente, ma io sarei propenso nel ritenere che siano soltanto da ritenersi come miocenici i lembi più alti del ci- tato mantello di calcari terziari, vale a dire i suindicati calcari marnosi giallastri che costituiscono le alture a nord-est di Ajelli, Cerchio e Collarmele. che si appoggiano sui calcari nummulitici, quelli dei Prati di Santa Maria e quelli delle pendici del Colle di diandra Murata, i quali si addossano ai calcari semicristallini a piccoli pecten, e fors’ anche quelli a grandi j^ecten dell’ altipiano di Poccadimezzo; e che al contrario sia da riferirsi all’Eocene, e precisamente al Lu- teziano medio, la zona di calcari semicristallini a piccoli pecten, i quali’ stanno a contatto immediato coi calcari cretacei, perchè questi, ripeto, non possono non essere contemporanei coi sudescritti calcari nummulitici, essendo fra loro in perfetta continuità di stratificazione . Epperò questa mia opinione, basata su dati stratigrafici, è stata altresì conferma^ta da elementi paleontologi; giacché avendo fatto eseguire varie sezioni sottili dei calcari semicristallini a piccoli pecten, mi è risultato che, osservate al microscopio, esse contengono diversi ed evidenti esemplari di nummuliti, insieme ad altri nume- rosi foraminiferi. Oltre che nelle indicate località della regione in esame, il cal- care a pettini lo troviamo altresì sulla sponda sinistra della citata valle di Cordora, e questo affioramento continua senza alcuna in- terruzione fino alla Regione Trio, passando per le più basse falde occidentali del Colle d’Annina e del Monte Grilletto, e poscia lungo il declivio adiacentè all’altipiano di Roccadimezzo sottostante all’abi- tato di Terranera e per le due contigue regioni dei Colli e dei Cerri. In questa zona di affioramento il detto calcare è, come sempre, appoggiato sul sottostante calcare cretacico con esso concordante e con passaggio affatto graduale, di guisa che possiamo senz’altro ritenerlo eocenico. 57 Nella medesima posizione stratigrafica si trova l’affioramento di calcare a pettini che si appoggia sui calcari cretacei dal lato occidentale del cocuzzolo del Monte Rotondo e che accenna ad inoltrarsi verso il vicino Colle del Nibio, l’altro poco distante che si addossa ai calcari cretacei della Serralunga situato nel pendio che sovrasta La Brecciara, e un terzo che si appoggia sui calcari cre- tacei delle più basse falde meridionali del Monte Cagno presso Rocca- dicambio. E qui noto incidentalmente che il calcare nummulitico, che 10 ritengo analogo a quello della regione meridionale del Sirente, torna ad affacciarsi nel monte interposto tra l’abitato di Poggio e di Pianola a N.O di Bagno sull’alta sponda destra dell’ Aterno. Scisti argillosi ed arenacei. — Questo terreno che rappresenta la parte più alta della serie terziaria nella regione di cui ci oc- cupiamo, abbraccia una notevole estensione dei due contigui alti- piani di Ovindoli e di Roccadimezzo, e affiora altresì nel fosso di S. Potito. E’ costituito di materiale argilloso, alternato con banchi più 0 meno grossi di arenaria grossolana, micacea, giallastra e bruna, anch’essa scistosa. Siffatto deposito ha un andamento assai ondulato ed è fre- quentemente rotto e sconvolto. Procedendo da nord a sud, gli scisti argillosi ed arenacei ap- paiono nei dintorni di Roccadicambio, appoggiati in concordanza pei calcari a pettini della R. I Cerri e in contropendenza sulle testate del calcare cretaceo del Monte Cagno. Di là prosegue per La Brecciara, Colle di S. Leucio e La So- mancina, dove ad oriente viene ricoperto dal deposito quaternario dell’altipiano di Roccadimezzo, e ad occidente va a battere contro 1 calcari cretacei del ripido versante orientale del Monte Rotondo, mascherato qua e là dai detriti di falda di questo monte. Raggiunto 11 Rio Gamberale si nasconde sotto i depositi quaternari del Colle delle Renare, che separa l’altipiano di Roccadimezzo da quello di Ovindoli, per riaffacciarsi di fronte a Rovere alle falde del Monte di Selva Canuta e del Monte delle Cannelle che fiancheggiano l’ al- tipiano di Ovindoli; oltrepassa quindi l’abitato di questo comune e con l’ultimo lembo s’inoltra nella valle interposta tra il Monte Faito e la Serra dei Curti. Abbiamo poi l’affioramento del fosso di S. Potito, il quale si limita alla parte più bassa di detto fosso da sotto all’abitato di Celano alla frazione Santa Jona, dappoiché nel rimanente esso rimane completamente ricoperto dai detriti calcarei provenienti dagli alti monti che fiancheggiano il fosso. Lo vediamo ricomparire nel contiguo burrone che scende al cosidetto Busso. Questo terreno, non ostante l’assoluta mancanza di fossili si potrebbe con molta probabilità ritenere come appartenente al Mio- cene, succedendo esso immediatamente ai calcari marnosi con pecten superiormente descritti. E qui non lascerò di far menzione di pochi indizii che accen- nano alla presenza di un lembo di scisto bituminoso, intercalato fra gli scisti argillosi del Colle di S. Leucio di fronte a Rocca- dimezzo. Depositi quaternari e detriti di faida. — I due altipiani di Ovindoli e di Roccadimezzo sono per vasti tratti occupati da un esteso deposito quaternario recente costituito essenzialmente di materiale argilloso ed arenaceo a minuti elementi e da detriti calcarei. La superficie da esso abbracciata è generalmente pianeggiante, ed essendo contornata da colline abbiamo dei punti relativamente depressi, dove l’acqua piovana rimane stagnante durante i mesi invernali, per essere poi lentamente assorbita dai sottostanti calcari; ed ivi il terreno è sempre acquitrinoso nella parte centrale e torboso negli orli. Molto estesi e potenti sono i detriti di falda che s’incon- trano nella nostra regione, i quali si appoggiano sui declivi dei monti, salendo spesso ad una altezza di parecchie centinaia di metri . Xoterò per prima la massa detritica addossata sul ripido ver- sante del Sirente, la quale si estende dalle pendici del Monte Ce- rasole presso Rovere, alle così dette Balze del Sirente, vale a dire per una lunghezza di parecchi chilometri, sollevandosi ad un’altezza superiore ai 300 metri a ridosso dei calcari cretacei di questa parte di versante. I calcari cretacei del versante orientale del Monte Cagno sono anch’essi ricoperti da un grosso mantello di detriti di falda, la cui estensione e potenza va notevolmente crescendo nel successivo versante nel Monte d’ Ocre e precisamente nella Regione Maccarita soprastante alia piccola conca di S. Martino. Altre masse detritiche si incontrano a ridosso dei successivi versanti orientali del Monte Rotondo e del Monte Selva Canuta, e nella R. Tra le fosse a X.E presso Ovindoli. Molto importante per estensione e potenza è la massa detritica che occupa le due sponde del fosso di S. Polito, la quale s’innalza fino alle più alte pendici dei due contigui monti Faito e La Serra sopra Celano ; essa insieme a quella che s’ incontra nel versante opposto del citato Monte Faito sono indicate nella fig. 1 della tavola. Sorgenti. — Lungo le linee di contatto dei calcari coi bamchi impermeabili di scisti argillosi, non mancano varie sorgenti di sfio- ramento, fra le quali ve ne sono di molto abbondanti con acqua fresca e potabilissima. Mi limiterò a citare : L Quella che sgorga nelle pendici del Monte Cagno, poco sopra il paese di Roccadicambio, e che è utilizzata dal detto co- mune come acqua potabile. 2'’ La così detta sorgente La Brecciara, che scaturisce nella insenatura interposta tra la Serralunga e il Monte Rotondo, la quale è tanto copiosa da dar luogo a un grosso rio che si riversa 60 nel sottoposto altipiano di Roccadimezzo e quindi in un largo in- ghiottitoio situato ad ovest poco distante da Terranera, dando luogo ad una corrente sotterranea, la quale, dopo d’avere circolato in seno della massa calcarea sottostante al detto altipiano, riunendosi nel contempo ad altre correnti analoghe, torna alla luce per uno speco aperto lungo la costa, presso l’abitato di Stiffe, ^ ad un livello inferiore di oltre 500 m., e si riversa nell’ Aterno. 3“ Infine ne troviamo una non meno abbondante della pre- cedente, che scaturisce alle pendici dei Monte La Serra sotto Celano, le cui acque formano il così detto Rio della Foce che si riversa nel bacino del Fucino. Roma, marzo 1900. * Ministero d’Agr. Ind. e Comm., Carta idrografica d'Italia. Aterno-Pescara» — Roma, 1900. Boll. del R Comil.Geol. d Balia Sezione dalia Valle di Celano alla cime Fl^ S CSiar/orCi M. Fa ito Serra deiCui-ti Vrcf'Aiono M. deh Sezione alli'avenso l'altipiano di Boccadimezzo F.y5- M. Bo^/ido 2062 Zi3 Sojllàncijio Boccadiniezzo VCorc/ora. Jd.de/A 732

ion ori i De/j-rti clr /a/o/a Scrs// a/yi/losi e crrenacei 1 vn Cale ari 777 ar/i osi a y e clen- o ja ò in: Cai c a/' f or /oicc o li yo e c/ eyz e C077 7ZZó777777 7-rlltÌ Ca/cari ipp uri tic i Cale a 7-1 a M e cj ni e irle del 777 a 7' e Sud . Sezione aiiraverso /‘a/tfjnano dil^occadi/nezzo NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE OJEOLOGUO^ ITALI-A.IVJL PER l’akn^o 1905 ^ Airaghi C. — Appunti d'echinologia fossile. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLIY, fase. 1®, pag. 1-10, con ta- vola). — Milano, 1905. Sono tre brevi note nelle quali l’autore descrive: 1® Due nuovi echinidi del lias medio {Diademopsis Lamberti e Mesodiadema Lamberti) provenienti da Eocchetta presso Arcevia nelle Marche ; 2° Il Brissopsis Sismondae Agass. del miocene di Corsica, lo. stesso esemplare incompletamente descritto dall’ Agassi z e dal Desor, esistente nel Museo geologico universitario di Torino; 3° Alcuni nuovi echinidi del terziario veneto {Conoclypeus candatiis, Echinanthiis siibrotnn- dìis, Echinolampas priuiiis, Cijc.laster Zinae, Schisaster mirabilis) provenienti dall’eocene di Grola, di Xovale e di Fumane. Xella tavola sono riprodotte le forme descritte. Airaghi C. — Echinodermi miocenici dei dintorni di Santa Maria Tibe- rina [Umbria). (Atti K. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XL, disp. 1^, pag. 13-51, con tavola). — Torino, 1905. È un notevole contributo alla soluzione della controversia circa l’età della zona marnoso-arenacea deH’Umbria, basato sullo studio degli echinidi fossili rinvenuti presso Santa Maria Tiberina, e che indubbiamente appartengono al miocene. Le forme studiate, facienti parte di collezioni diverse ma provenienti dalle stesse località, sono daH’autore raggruppate in 16 specie, delle quali 3 esclu- sive del langhiano, 1 dell’elveziano, 6 comuni ad entrambi i livelli; le rima- nenti hanno valore cronologico dubbio e 2 sono nuove, cioè, un Pliolampas Sii- vestrii e una Maretta Saccoi. ^ Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che, pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. ~ 62 — Conchiude Fautore che la formazione marnoso-arenacea di Santa Maria Tiberina è esclusivamente miocenica, e con ogni probabilità langhiana. La echi- nofauna in essa contenuta presenta maggiori affinità, più che con altre, con quella di Avignone, studiata dal De Loriol e da altri. ]N’ella tavola sono riprodotte 9 delle specie descritte. Atraghi C. — Echinodermi infracretacei deìVisola di Capri. (Eivista ital. di paleontologia. Anno XI, fase. II, pag. 82-90, con tavola). — Pe- rugia, 1905. Dna quistione tuttora insoluta è quella della età della gran massa cal- carea di colore grigio giallognolo, costituente quasi per intiero l’isola di Capri: chi la volle titonica in base alle ellipsactinidi, e chi cretacea in seguito al rin- venimento di sferuliti e nerinee. Xuove ricerche di fossili e nuovi studi ven- nero fatti, pei quali ih prof. Parona {vedi piu avanti) potè riscontrarvi fossili propri dell’urgoniano inferiore, altri del neocomiano, altri del titonico. Era i fossili nuovamente rinvenuti sono degli echinodermi, tutti in cattivo stato di conservazione, e che furono esaminati dall’autore. Egli vi ritrovò una diecina di specie, che descrive nella presente nota, concludendo per la loro età cretacea inferiore, con esclusione assoluta del titonico. Di esse appartengono indubbiamente all’urgoniano inferiore: Cidaris Desor, Pseiidocidaris chi’ nifera Agass., Solenia prestensis Desor; al neocomiano: Cidaris miiricata Roe- mer, Rhahdocidaris tuberosa Gras, Pseiidocidaris crispicans De Lor. Le specie descritte sono figurate nella tavola annessa. Airaghi C. — Ammoniti triasici {MiiscJielkalk) del Monte Rite in Cadore. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIV, fase. 1°, pag. 237-255, con ta- vola). — Poma, 1905. Questo monte appartiene alla catena che dalla valle di Zoldo si dirige a quella della Boite, limitata a sud-est dalla faglia, la più grandiosa della re- gione cadorina, conosciuta col nome di faglia Valsugana-Comelico. In essa è potentemente sviluppato il trias compreso fra il piano di Werfen e quello di Raibl, e riccamente fossilifero. La piccola fauna qui illustrata, appartenente al Museo civico di Milano, fu rinvenuta in un calcare marnoso compatto oscuro, a 50 metri dalla vetta del monte,^ sul versante orientale di esso. Consta in generale di frammenti, di modelli in- terni, di impronte, che l’autore attribuisce a 12 specie mesotriasiche, già tro- vate nella zona a Ceratites trinodosiis di diverse località di Lombardia, del Ve- neto, della Bassa Austria, della Bosnia e del Montenegro. Essa risulta nuova - 63 — pel trias del Bellunese, per cui una modificazione ne avverrebbe nelle carte geologiche pubblicate del gruppo di Monte Rite, segnatamente in quella del 3Iojsisovics, nel senso di passaggio dal Muschelkalk superiore all’inferiore. L’autore fa la descrizione delle specie studiate, e cioè : Ceratites zoldianiis Mojs., C. gosamensis M., C. trinodosiis M., C. siiperbiis M., C. elegans M., C. miìU tinodosiis Hauer, Balatonites halatoniciis M., Acrochovdiceras Carolinae M., A, un- datiim Arth., A, enode Hauer^ Proarcestes extralahiatiis If., Ggninites incnltus Beyrich, oltre ad una Ceratites probabilmente nuova ed affine al C. iio- dosns. ^Xella tavola sono riprodotte, oltre a quest’ultima, sei delle specie sovraindi- cate, e cioè Acrochovdiceras enode, Ceratites gosaviensis, Acrochordiceras undatum, Ceratites snperbns, Acrochordiceras Carolinae, Ceratites multinodosiis. Aloisi P. — Contributo allo studio petrografico delle Alpi Apuane, Rocce granitiche, eiifotidiclie, diabasiche e serpentinose. (Boll. R. Comitato GteoL, Yol. XXXYI, n. 4, pag. 257-270). — Roma, 1905. L’autore studia una collezione di roccie delle Alpi Apuane formata dallo Zaccagna, completandola con altro materiale già esistente nel Museo geologico di Pisa. Egli vi distinse le seguenti categorie ; Roccie granitiche. — Provengono dalla Garfagnana e precisamente da Camporgiano, da San Donnino e dal Ponte di Boza. Sono in generale alterate e contengono, oltre a quarzo e mica più o meno abbondanti, due feldspati, ortose e plagioclasio difficilmente determinabile; vi sono accessori apatite, zircone, epidoto, zoisite, clorito, ematite, magnetite, titanite e calcite. L’autore accenna pure ai graniti di Tresana in Yal di Magra, benché non appartenenti alle Alpi Apuane, ma dello stesso orizzonte geologico. 2® Roccie eufotidiche. — Provengono dal Ponte di Boza predetto e da Falcinello presso Sarzana; hanno tutte subito un intenso metamorfismo e fra i minerali secondari vi è anfibolo in grande preponderanza, per cui queste roccie hanno una tendenza a trasformarsi in anfiboliti. 3® Roccie diabasiche. — Provengono quasi tutte dalla grande massa dia- basica tra San Donnino e la Sala ed hanno aspetto diverso principalmente per le dimensioni dei minerali che le costituiscono, passando da varietà afanitiche ad altre porfiriche per numerosi cristalli di feldspato bianco sparsi nella massa grigio-verdastra, e talvolta a varioliti od a spiliti. 4® Roccie serpentinose. — Provengono quasi tutte da Yilla Collemandina presso Castelnuovo, oltre a pochi campioni di altre località di Garfagnana e di Falcinello presso Sarzana; contengono quasi sempre pirosseni (diallagio e bastite) e vi abbonda spesso magnetite, titanite, leucoxeno e talco. Amico Gr. — Rinvenimento di melanoflogite nelle Solfare Falconera. (Ras- segna dell’Industria solfifera, Anno XYII, n. 21, pag. 16-18). — Caltanissetta, 1905. Questo minerale, piuttosto raro, era noto solamente nella solfara Giona presso Racalmuto (Girgenti); ora l’autore le rinvenne anche nelle solfare del gruppo Falconera in territorio di Cianciana, stessa provincia, circondario di Bivona, tra le cavità formate da aggruppamenti di cristalli di solfo o in cri- stallini immersi entro alternanze di straterelli silicei con solfo amorfo. Esso presentasi in piccoli individui con le faccie nette e lucenti caratteristiche delle forme sferoedriche. Anderson T. — On certain recent changes in thè Crater of Stromboli. (The Geogr. Journal, B. XXY, pag. 123-129, con 11 tavole). — London, 1905. lina serie di 12 belle fotografie, con opportuni commenti, illustra una parte dei mutamenti avvenuti nel cratere di Stromboli dal 1888 fino al 1901. Un elenco delle principali eruzioni avvenute dal 1879 al 1901, dedotto da varie fonti e da osservazioni personali dell’autore, serve a dar ragione delle varia- zioni del cono. La nota è accompagnata da una cartina dell’ isola, tratta dall’ opera del- l’arciduca Ludovico Salvatore di Toscana, e da uno schizzo cartografico della Sciara preso il 7 giugno 1891. Artini B. — Sulla stolzite di Rena de Padrii {Osieri). (Rend. R. Istituto Lombardo, S. II, Yol. XXXYIII, fase. XI, pag. 573-578). — Mi- lano, 1905. Gli esemplari studiati di questo minerale furono forniti all’autore dal pro- fessor Lovisato, che già ne descrisse il giacimento (vedi Bihl. 1903 e più sopra). Sono cristallini quasi incolori, talvolta nerastri per intrusioni straniere, con di- mensioni varie da qualche decimo di millimetro a 4 mill. ed abito decisamente tabulare secondo una base: le forme osservatevi sono in numero di 11, delle quali 8 probabilmente nuove per la stolzite, oltre le fondamentali (111), (101), (001). Dopo la descrizione dei cristalli l’autore fa un rapido confronto fra questa e le altre stolziti finora descritte, facendone risaltare l’abito marcatamente ta- bulare secondo la base (001) e la grande abbondanza di forme non osservate nelle altre località, da cui la dissimiglianza fra esse e le altre congeneri d’America. — 65 — Baratta M. — U acquedotto pugliese e i terremoti (pag. 10 in-8^, con tavola). — Yoghera, 1905. L’ allarme dato dal Tarameli! {vedi più avanti) sulle condizioni sismiche della regione che dovrà essere attraversata dal grande acquedotto progettato per trasportare le acque delle sorgenti del Seie in Puglia, ha indotto 1’ autore a studiare l’argomento ed a riferirne in questa breve nota. In essa dimostra che la zona che sarebbe attraversata dal grandioso acquedotto pugliese trovasi, in par- ticolare nella traversata dell’ Appennino, in condizioni assai sfavorevoli, e che anzi nei pressi di Caposele, dove avrebbe principio l’acquedotto, trovasi l’epi- centro del terremoto disastroso dell’aprile 1853. Teora pure, in tale circostanza, ne rimase fortemente danneggiata, e, nella regione appenninica fra le due lo- calità si ebbero spaccature, il distacco di frane dal terreno già per sè stesso di natura franosa. Anche altre località poste nei pressi dell’acquedotto, o insino a Yenosa, ebbero a soffrire danni pei terremoti specialmente nei dintorni del Yulture (terremoto di Melfi del 1851): nè conviene dimenticare, per la dirama- zione in Capitanata, i grandi terremoti locali del 1627 e del 1731. L’autore conchiude che il tracciato dell’ acquedotto, specie da Caposele a Yenosa, si presenta rispetto ai moti sismici in condizioni assai sfavorevoli e che, per assicurare la stabilità dell’opera, sarebbe necessario evitare i grandi manu- fatti allo scoperto e fare decorrere il tracciato il più che possibile in galleria, avendo l’esperienza dimostrato che nei sotterranei in generale non si avvertono i terremoti. Accompagna la nota uaa cartina sismica della regione compresa tramoggia, Potenza e Salerno, col tracciato del grande acquedotto da Caposele a Miner- vino Murge. Baratta M. — Ancora sulla sismicità della Regione Beneventano-Avelli- nese. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol. XIY, pag. 187-190). — Pisa, 1905. Posteriormente alla sua monografia sui Terremoti d’Italia (vedi 1901) l’autore ebbe notizie di altri movimenti sismici avvertiti nella regione suindi- cata e dei quali fa cenno nella presente nota. Essi sono: del dicembre 1902 in Yalle Caudina, ripetutosi nel gennaio e nel maggio 1903, con effetto rovinoso negli abitati di Forchia e di Arpa j a. Yello stesso periodo a Benevento, con scosse fortissime e repliche, con gravi effetti dinamici a San Leucio nella valle del Sabato. Terremoti di minore intensità e poco estesi furono notati, nella stessa regione, nel febbraio 1886 ad Apice e San Giorgio la Montagna, nel giugno 1891 a Pietraelcina e Paduli, nell’aprile 1895 a Benevento, Castelpoto e Paduli, nel novembre 1898 a Casalbore e Buonalbergo. L’autore registra infine o — 66 un altro gruppo di piccoli terremoti e cioè : nel 16 agosto 1899 entro un’ area triangolare avente per vertici Paduli, Ascoli Satriano e Pescopagano; nel 14 novembre stesso anno nella zona Castelbaronia, Lacedonia, Rocchetta Sant’An- tonio, Bovino, Accadia. Lo studio di queste piccole scosse dimostra come sieno abbastanza fre- quenti le manifestazioni di secondaria importanza del centro Teora-Caposele, intorno al quale l’autore richiamò l’attenzione nella nota precedente relativa al tracciato dell’acquedotto pugliese. Baratta M. — Calabria sismica. (Boll. Soc. geografica ital., S. IT,. Yol. TI, n. 12, pag. 1074-1081, con tavola). — Roma, 1905. Prendendo occasione dall’ultima catastrofe (settembre 1905), l’autore rias- sume in questa nota la storia sismica della Calabria, desumendola dalle nu- merose memorie lasciate dei disastri colà causati dalla attività endogena dal principio dell’era volgare in poi e particolarmente negli ultimi tre secoli. Da queste notizie risulta : 1® che nel secolo xvii la regione più colpita fu il Catan- zarese (Monteleone), quindi il Cosentino (Nicastro), essendone stato il Reggiano quasi immune ; 2® nel secolo xviii fu prima la Piana di Palmi (Reggio), quindi il Catanzarese, infine il Cosentino ; 3® nel secolo xix fu invece il Cosentino per primo (Cosenza e Rossano), quindi Reggio, da ultimo Catanzaro. Telia tavola annessa è rappresentata la Calabria nelle tre centurie, con la indicazione della gravità dei moti tellurici in ciascuna di esse, secondo la scala sismica del Mercalli. Bassaxi Fr. — La ittiofauna delle argille marnose plistocenicìie di Taranto e di Nardò {Terra d' Otranto). (Atti R. Acc. se. fis. e nat., S. 2^,. Yol. XII, Mem. n. 3, pag. 1 a 60, con 3 tavole). — Napoli, 1905. L’ittiofauna, oggetto di questo studio, fu fornita in gran parte all’autore dal Museo civico di storia naturale di Trieste (circa 700 individui), cui si aggiunsero altri esemplari conservati nei gabinetti del Liceo di Taranto e dello Istituto tecnico di Lecce, nel Museo geologico della Università di Napoli e nelle collezioni private del prof. De Giorgi e di altri. Questo ricco materiale proviene dalle argille marnose pleistoceniche della penisola salentina, aventi uno spessore variabile da 10 a 73 metri; le specie sono tutte viventi e spettano in gran parte ai Teleostomi actinopterigii, e per piccola parte agli Elasmohranchi selachii : quasi tutte, al pari di alcuni generi, sono ora citate per la prima volta allo stato fossile. Al primo gruppo ne appar- tengono 25, distribuite in 21 generi ; al secondo 3 sole, con altrettanti generi,. — 67 — La fauna studiata offre una associazione di forme littorali con altre di grandi profondità, trascinate probabilmente alla superficie da una corrente, o sbattute dal vento o dalle onde sulla spiaggia, dove si accumularono i loro resti. Essa presenta molte affinità con quelle raccolte nei tripoli della Sicilia, della Calabria, delle Marche, di Romagna e di Toscana, nonché nelle marne sarmatiane di Croazia e nelle argille subappennine di molte località italiane. La conclusione è che essa appartenga al pleistocene inferiore. L’autore presenta inoltre una ricca bibliografia sull’argomento, quindi un cenno intorno alle argille marnose di Taranto e ai terreni che le accompagnano, riposanti direttamente sui calcari cretacei formanti la base della serie in tutta la Puglia e nelle parti limitrofe della Basilicata. Riassumendo poi i risultati delle proprie ricerche e quelle di altri paleontologi, egli dà l’elenco degli avanzi rinvenuti nelle argille marnose, oltre ai pesci, e distinti in alghe (8 specie), rizopodi (11 specie), brachiopodi (2 specie), crinoidi (1 specie), echinidi (2 specie), pelecipodi (8 specie), gasteropodi (1 specie), e alcuni avanzi di un cetaceo {Tnrsiops tursio Fabr. sp. ?). IS'elle tavole annesse sono rappresentati i resti delle ittioliti descritte. Belllni e. — L'elveziaiio nelle colline di Chiuasso presso Torino. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIII, fase. 3°, pag. 371-378). — Roma, 1905. Tra le formazioni costituenti le colline di Chivasso, la più diffusa e la più ricca di tipica fauna è Telveziano, di cui appunto si tratta in questa nota. Essa incomincia con un breve cenno sugli altri piani più antichi ed appar- tenenti al miocene inferiore, all’oligocene, all’eocene superiore. Più importante di tntti è Telveziano, con fauna analoga a quella di Superga, formante uno speciale orizzonte in forma di sinclinale, nascosta dai depositi quaternari della pianura. In questo si distinguono tre facies litologiche, caratterizzate da altrettante fanne di habitus batimetrico, che sono dal basso in alto : 1° marne grigie e sottili sabbie micacee con pteropodi ; 2° sabbie e conglomerati con predominio di bivalvi ; 3® marne azzurrastre a strati sottili con turritelle. L'autore dà l'elenco delle specie rinvenute in ciascun piano, fra cui l’ul- timo, il più ricco in fossili, ne comprende 88, delle quali 16 vivono ancora nel Mediterraneo e 2 hanno emigrato in climi più caldi: sono tutte di mare profondo e di clima moderato, preludiante forse ai futuri fenomeni glaciali. Bellini R. — Alcuni nuovi fossili sinemiiriani dell’ Appennino centrale. (Boll. Soc. GJ-eol. ital.. Voi. XXIII, fase. 3®, pag. 457464). — Roma, 1905. Sono nuove forme di molluschi raccolte dal colonnello Verri alla Penna di Sant’ Andrea presso Cesi nell’Umbria, entro un calcare del Lias inferiore. Questo calcare, con aspetto massiccio sub-cristallino, è quello che costituisce l’asse di tutte le elissoidi dell* Appennino centrale, appartiene alla parte più antica del sinemuriano ed è analogo a quello di Casale e Bellampo in Sicilia, studiato dal Gemmellaro e da altri, e al calcare ceroide del Olente Pisano, studiato dal Fucini (vedi Bibl. 189ì?). Le nuove forme descritte sono : Cerithinella oblique costata, Pseudomelania Paronae, P. Bassanìi, P. Verrii, P. bulimoides, Astarte sinemnriiia e Cytherea nmbrica. Di quasi tutte sono date le figure nel testo. Conchiudendo , il numero delle specie di molluschi del lias inferiore deir Appennino centrale, deve essere aumentato di 11, delle quali 5 comuni con i depositi sincroni di Sicilia. Bellini K. — Le varie facies del miocene medio nelle colline di Torino. (Boll. Soc.Geol. ital., Yol. XXIY, fase. 2°, pag. 607*653). — Eoma, 1905. L’autore, in uno dei precedenti lavori, ha espresso l’idea che ai vari piani miocenici della Collina dì Torino debba attribuirsi un valore cronologico, essendo essi veri livelli stratigrafici distinti e sovrapposti, con facies litologiche speciali, cui corrispondono faune diverse, aventi habitus proprio. Questo complesso, passante al langhiano in basso ed al tortoniano in alto, si estende in una zona da Torino a Yalenza, nel lato settentrionale della Col- lina, e si divide litologicamente in cinque piani, che sono: 1° banchi ciottolosi ad elementi piuttosto grossi (Albugnano, Casalborgone, ecc.); 2° banchi molas- sici ciottolosi, principalmente sviluppati presso Torino (Monte dei Cappuccini), a Sciolze, a Baldissero, ecc.; 3® banchi marnosi, arenacei e marne sabbiose (Gassino, Sciolze, San Genesio, ecc.); 4® banchi arenaceo-calcarei con litotamni e lueine (Pino Torinese); 5® arenarie micacee e sabbie grigie a pteropodi (San Genesio e Monte dei Cappuccini). A ciascuna di queste facies corrispondono faune speciali, così definite: 1® dei grossi molluschi litorali; 2® dei gasteropodi litorali e dei coralli ; 3*^ delle turritelle ; 4® dei litotamni e delle lueine; 5° degli pteropodi. Di tali diverse faune vengono dati dall’autore ricchi elenchi di specie, raggruppate in famiglie e distinte per località, con l’aggiunta di un quadro indicante il numero delle specie comprese nelle diverse famiglie in ogni fauna, risultando fra tutte più ricca la seconda, o delle molasse. Conchiudendo, l’autore deduce dal suo studio : 1® che ai vari piani del miocene medio della Collina deve attribuirsi significato cronologico ; 2® che l’elveziano mostra diverse facies corrispondenti a depositi formatisi in zone batimetriche varie ; 3® che la fauna del miocene medio ha tipo di clima caldo, non però tropicale, e che la sua esistenza non era incompatibile con i ghiacci galleggianti nel mare pliocenico subalpino. — Quest’ultima conclusione elimine- rebbe la obbiezione più grave mossa alla ipotesi del Gastaldi sulla origine dei conglomerati oligo-miocenici della Collina di Torino. — 69 — Bettoxi a. — Gli strati a PosidonomYa alpina nei dintorni di Brescia. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXIII, fase. 3^, pag. 403-108). — Roma, 1905. Xella grande scarsità di avanzi organici della serie giiirese, nei dintorni di Brescia, riesce interessante il rinvenimento fatto daH’autore della Posidonomya nella parte superiore del lias, rappresentata da calcari con letti di selce e con intercalazioni di straterelli di marne verdognole compatte, in Yal Xavezze a nord di Giissago, come ebbe già ad annunciare altra volta (vedi Bihl. 1899), confermato ora da altro rinvenimento fatto a Yolvina di un deposito analogo con P. alpina. Questo deposito trovasi immediatamente sotto, o forse anche costituisce la base degli scisti ad aptici, che superiormente vi succedono nella solita forma di strati a selci rosse, e rappresenterebbe non solo il calloviano, ma anche la parte superiore del Dogger, come avviene appunto nella Lom- bardia occidentale e nell’ Appennino centrale. Chiude la nota un confronto fra le diverse località dei dintorni di Brescia, nelle quali affiorano questi strati a Posidonomya. Billows e. — Ricerche petrografiche intorno ad alcune roccie eruttive del Vicentino. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXXII, fase. II a YI, pag. 31-40). — Padova, 1905. I campioni studiati sono stati raccolti dall’autore in alcune località sulla sinistra dell'Agno, nella zona indicata nella carta di A. Xegri come costituita da basalti e tufi basaltici, e cioè: a San Lorenzo, sulla discesa del colle verso Castelgomberto : in Contrada Zuccon sul massiccio montuoso fra Montecchio Maggiore e Castelgomberto; in Contrada Schiavon sullo stesso, ma più vicino a quest’ultimo. DaH’esame fattone al microscopio l’autore deduce trattarsi di forme diverse consolidate di uno stesso magma eruttivo : infatti, mentre a San Lorenzo la roccia è completamente priva di feldspato, come una limburgite, in altre loca- lità si presenta come un vero basalto normale alterato, ovvero come forma intermedia fra la limburgite ed un basalto olivinico propriamente detto. In- fatti la prima consta di pirosseno, magnetite, olivina e serpentino, mentre le altre contengono inoltre un feldspato calcico-sodico. Billoy’s e. — Su alcune tradì iti anortoclasicoPiotiticlie degli Euganei. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXXII, fase. II a YI, pag. 17-26). — Padova, 1905. Sono trachiti raccolte in parte dall’autore in alcune parti degli Euganei, ed esaminate da esso con riguardo speciale ai feldspati. Esse sono; 1° Tr. di Monte Merlo, con feldspati alcalini e sodico-calcici, biotite. magnetite, augite, zircone, quarzo, apatite, in ordine decrescente di frequenza, dominando fra i primi il sanidino sodico o anortoclasico. 2» Monte Bello, con feldspati sodico-calcici e alcalini, biotite, ma- gnetite, quarzo, augite, apatite, zircone, sempre nello stesso ordine, e con pre- valenza come sopra. 3® Tr. dello sperone da Treponti a Contrada Monta; aspetto simile alla precedente e composizione analoga, con miscela di oligoclasio e andesina pre- dominante, e quindi alquanto più basica delle precedenti. 4® Tr. dello sperone presso Contrada alla Fossa, con aspetto simile alla precedente, sebbene più chiara : contiene feldspati alcalini, feldspati calcico- sodici, biotite, zircone, apatite, con grossi interclusi di feldspati alcalini e di biotite, e mancanza assoluta di augite, la quale è presente solo, ma in pochis- sima quantità, a Monte Merlo e Monte Bello. Per la presenza dell’anortoclasio viene poi confermata in parte per queste ultime località l’osservazione già fatta dal Bertolio (vedi Bibl. 1894), che trovò tale feldspato nelle trachiti di altre località degli Euganei. Bordeaux A. — Note sur deiix mìnes di or des Alpes, Val Toppa et la Oardette. (Eevue iiniverselle des miues, de la metallurgie, etc., S. y, T. XII, n. 3, pag. 261-296, con tavola). — Liège, 1905. Di queste miniere, quella di Yal Toppa è in Italia e precisamente nella vallata della Toce, presso Piedimulera, 12 chilometri al sud di Domodossola. L’autore ne rifà la storia, per poi dire della sua costituzione geologica. La regione è quasi per intiero costituita da roccie cristalline; d’ordinario scisti grigi, quindi scisti quarzosi bianchi venati di quarzo e con lamelle di mica, altri scisti variati e infine gneiss, granito, granulite, sienite, ecc., ecc. Queste roccie sono intersecate da numerose vene di quarzo, contenente oro nativo in minutissimi elementi, insieme con piriti, talvolte arsenicali, galena, blenda ed altri miscugli, tutti però in piccole quantità non utilizzabili, fatta eccezione del primo. Fu l’erosione torrenziale che, a lungo andare, mise allo scoperto questi filoni e vi fece nota la presenza dell’oro, benché difficilmente visibile ad occhio nudo. Il giacimento di Tal Toppa, conosciuto da gran tempo, non fu oggetto di regolare lavorazione che alla metà del secolo scorso, ma con risultati meschini ; finché nel 1862 fu acquistato da una Società inglese, che vi ha aperto grandi lavori dai quali ricavava il minerale che, dopo polverizzazione, veniva sotto- posto alla amalgamazione in apposita officina costruita nel 1864 a Piedimulera. Questi lavori durarono per una trentina di anni, quindi cessarono per ragioni economiche e tutto é stato abbandcnato. L’autore accenna anche ad altri giacimenti auriferi del gruppo del Monte Uosa, molti dei quali sono lavorati attualmente. i^Tella tavola è disegnata la planimetria delle miniere di Yal Toppa ed una sezione delle medesime in senso normale all’andamento dei filoni. UoRTOLOTTi C. — Intorno ad un resto di mandibola di Jena. (Rivista ita!, di paleontologia, Anno XI, fase. 1^, pag. 34-36). — Perugia, 1905. Questo resto proviene dai pressi di Paciano, al sud del lago Trasimeno, ove fu rinvenuto nei depositi del pliocene lacustre, che là si sovrappongono al pliocene marino, e trovasi nelle collezioni della Università di Perugia. Dallo studio fattone dall’autore risulta trattarsi di una mandibola di Hyaena striata Zimm., tuttora vivente nell’Asia e nell’Africa. Di essa egli dà le dimensioni e la figura in grandezza naturale. Boussac J. — 8iir le parallélisme des conches eocènes snpérieiires de Biarritz et dii Vicentin. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXLI, n. 19, pag. 740-742). — Paris, 1905. Il confronto è basato sulle nummuliti e le Ortophragmina, che in grande quantità si trovano negli strati dell’eocene superiore del Vicentino. L’autore riproduce la sezione più estesa che si conosca della regione, quella cioè di Pederiva nei Colli Borici studiata dal Bittner e dall’Oppenheim, indi quella meno estesa di Priabona, corrispondente tanto a Pederiva quanto a Biarritz, e delle marne a briozoari di Brendola, sottostanti ai calcari a polipai di Montecchio Maggiore, a lor volta ricoperti dagli strati di Castel Gomberto, la cui fauna è quasi identica a quella degli strati di Gaas ritenuti corrispon- denti ai superiori di Biarritz. Egli potè quindi studiare direttamente gli oriz- zonti di Eoncà e di San Giovanni Barione per mezzo di una sezione rilevata all’ovest di Chiampo e confrontarli con i precedenti. Da tali confronti deduce che la fauna di Roncà corrisponde a quelle di Pederiva e di Biarritz, e che i tufi basaltici e i calcari intercalati di San Giovanni fanno parte di un livello inferiore. Da questo studio rimane pure assodato che le Oj'tophragmine spariscono nel Vicentino prima che a Biarritz. Bru;to L. — / possi trivellati in Vercelli (pag. 44 in-8°, con 6 tavole). — Vercelli, 1905. La città di Vercelli trovasi sopra un potente deposito di terreno alluvio- nale antico {dilnvìiim), venuto a sostituire il grande golfo padano pliocenico che, ritirandosi a poco a poco, lasciò lembi di sabbie e di marne fossilifere che ne — 72 — segQano Tantico lido. Il riempimento fu opera dei torrenti alpini, i quali vi co- struirono le loro conoidi, dapprima subacquee, poscia aeree. Vista poi la ten- denza verso sud-est delle correnti alpine, in rapporto con la pendenza a le- vante del fondo dell’antico golfo, si può approssimativamente segnare l’anda- mento delle varie correnti, per cui nella località in esame i depositi sarebbero provenienti dalla Dora Baltea anziché dalla Sesia. Il terreno attraversato dai pozzi (circa m. 140 di profondità) oltrepassando di alcuni metri il livello marino, presenta alternanze di materie sabbiose od ar- gillose, salvo un banco conglomerato durissimo trovato fra gli 80 e i 90 metri, I livelli acquiferi, oltre le acque freatiche, furono cinque, tutti in corrispondenza a strati di sabbia, con acqua zampillante, e portata complessiva di circa m. c, 1700 al giorno. Da questo lavoro l’autore prende occasione per trattare di varii ed inte- ressanti argomenti di geologia idrografica, specialmente in rapporto alla regione presa in esame. Nelle tavole annesse sono planimetrie, altimetrie ed altre indicazioni rela- tive all’argojnento trattato. Cacciamali G-. B. — Sai rapporti tra il Lias ed il Giara nella provincia di Brescia. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIY, fase. 1% pag. 257- 264). — Eoma, 1905. Tra i problemi geologici ancora insoluti nella regione bresciana havvi la determinazione delle formazioni che vi stanno a rappresentare i varii orizzonti delle serie giura-liasica. La scarsità dei fossili in detti terreni ha obbligato l’autore a valersi dei soli criteri litologici e stratigrafici, lasciando quasi in di- sparte quello paleontologico: al riempimento di queste lacune tendono infatti le ricerche che da tempo va facendo in posto il dott. A. Bottoni [vedi soprà)^ Intanto l’autore espone in questa nota lo stato attuale della questione, quale risulta dalle sue osservazioni stratigrafiche sui diversi livelli del Toarciano^ dell’Aleniano, del Bajociano, del Batoniano e del Calloviano, in rapporto con le osservazioni paleontologiche fattevi finora dal Bottoni. Cacciamali G-. B. — La Pania d'Oro presso Iseo. {Boli. Soc. G-eol. ital.,^ Yol. XXIY, fase. 2^ pag. 694-703). — Eoma, 1905. Lo studio tettonico della regione montuosa che si stende, per oltre conta chilometri quadrati, fra il Lago d’Iseo e la Yal Trompia in provincia di Brescia^ e che presentava un campo pressoché vergine di studio, ha offerto all’autora larga messe di fatti interessantissimi pel geologo, che saranno argomento di apposita memoria. In questa nota preventiva egli dà intanto notizia dei prin- cipali risultati ai quali è pervenuto e fa la descrizione di una parte interes- santissima della regione studiata e che si trova ad oriente d’Iseo e di Pilzone. In questa zona le carte geologiche segnano una striscia continua di infra- lias che va da Testo ad Inzino, ma che invece è limitata alle vicinanze della prima località, ma poi ripresa verso ponente per finire al lago presso Maspiano: essa delimita quindi un’ ampia ellissoide sinclinale il cui asse attraversa il lago stesso e tocca Tavernola sulla sponda opposta del medesimo. ITeirinterno di essa vedesi in diversi luoghi, come a Montisela, il calcare liasico, e all’e- sterno la dolomia principale triasica che, dopo un lungo percorso, riapparisce alla Punta d’Oro e finisce a Pilzone. Tale è il concetto tettonico di quella in- teressante zona, e che l’autore sviluppa con ampli particolari. Ciò premesso, egli passa a descrivere la Punta d’Oro, situata ad E.IS'.E d’iseo ed elevata di m. IODI sul mare e m. 816 sul lago. Esso consta di calcari appartenenti al liasico, al giurese ed al cretaceo inferiore, oltre a marne pure cretacee, il tutto disposto ad anticlinale rovesciata con frattura: siffatta strut- tura, non ancora stata intraveduta dai pochi geologi che si occupano di quella montagna, è dimostrata con due sezioni della medesima da sud a nord inter- calate nel testo. CACCiA:MALr G-. B. — Rilievo geologico della regione tra Monticello^ Ome^ Sajano e Giissago. (Commentari Ateneo di Brescia, Anno 1905, pag. 51-61, con tavola). — Brescia, 1905. Questa zona della provincia bresciana trovasi ad occidente dell’altra fra Villa Cogozzo ad Brago Molla, già illustrata dall’autore (vedi Bibl. 1901). In essa appariscono i terreni seguenti : 1° Alluvioni incoerenti della pianura ; 2® Al- luvioni cementato {ceppo e mollassci)] 3® Calcari marnosi rosati e biancastri {sca- glia)-^ I® Marne policrome; 5° Calcari compatti con selce {majolica)', 6® Calcari marnosi rosso-vinati; V Stratorelli di selci policrome, scistosi ed assai fragili {selcifero)] 8® Sottili strati di calcari selciosi oscuri ; 9^^ Una serie di calcari mar- nosi compatti grigi in grossi banchi {inedolo) alternati con marne verdognole intercalate e da banchi di una brecciuola compatta calcareo-silicea. Quest’ul- timo complesso comprende diversi livelli appartenenti al giurese inferiore ed al lias, i numeri dal 5 all’8 quelli del giurese superiore e del titoniano, il 3*^ ed il 4® appartengono al cretaceo, il 2® al miocene (piano messiniano). In rapporto alla tettonica havvi una serie di corrugamenti delle forma- zioni in anticlinali e sinclinali in direzione est-ovest, e maggiore fra queste l’anticlinale centrale Aavezze-Corneto. Il corrugamento si sarebbe iniziato alla fine dell’oligocene e avrebbe continuato durante il miocene, talché le masse mesozoiche della regione presero il loro stabile assetto prima della fine di questo 74 — periodo. T^'el periodo pliocenico poi ebbesi un secondo periodo di dislocazione, di entità minore, il quale avrebbe interessate le formazioni messiniane. Infine, nel quaternario, oltre a poche traccio d’azione glaciale, avvennero modificazioni derivanti dal graduale abbassamento dei rilievi per erosione meteorica e del graduale innalzamento della pianura per deiezioni alluvionali. Alla nota è annessa una cartina geologica, con sezioni, della regione stu- diata, in scala di 1 a 25,000. Canestrelli G-. — Ammoniti del Lias superiore di Rocchetta esistenti nel Museo di Pisa (pag. 48 iii-8®, con tavola). — Prato, 1905. È lina tesi di laurea comprendente lo studio di 19 esemplari di ammoniti esistenti nel Museo della R. Pniversità di Pisa e provenienti dai dintorni di Rocchetta, frazione del comune di Genga in provincia di Ancona; da terreni rappresentanti le ultime propaggini settentrionali del gruppo del Monte San- vicino. Essi consistono in calcari compatti biancastri o rosati o rossi, i quali, secondo lo studio paleontologico fatto dall’autore, appartengono al piano toar- ciano del lias superiore. Capeder G. — Aldine interessanti particolarità nei fenomeni della erosione e della dejesione dei dintorni di Sassari. (Boll. Soc. Geol. ital.. Yol. XXIT, fase. 2°, pag. 417-450). — Roma, 1905. Sono osservazioni fatte nelle vicinanze di Sassari, dove i depositi mioce- nici, generalmente a facies elveziana, si presentano a strati poco inclinati, per cui la pendenza iniziale di scorrimento delle acque doveva essere dolcissima, la superficie continua e perciò poco accidentata. Il sollevamento della regione, cominciato alla fine del miocene, è stato molto intenso; e tale fu anche il fenomeno erosivo, il quale ha lasciato profonde traccio nelle valli primitive sotto forma di terrazzi, di coni di defezione ed altri depositi diluviali, le quali ci danno ragione del paesaggio attuale e del modo di riconoscere la primitiva distribuzione delle correnti. Le osservazioni dell’autore lo portano' a trovare la ragione del terrazza- mento nella combinazione del sollevamento con la conseguente potenza erosiva esercitata su roccie eterogenee, per cui le correnti hanno varie volte succes- sivamente divagato; e ciò sarebbe provato dalla mancanza nei terrazzi dei gra- dini corrispondenti nella parte opposta della valle, per cui si rileva un’azione erosiva continuata sopra il fianco che scende più ripido ed un’azione intermit- tente sul terrazzo opposto. Interessanti poi, oltre ai terrazzi di erosione, sono quelli di riempimento antichi e recenti attraversanti l’alveo trasversalmente e ricoprenti estese superficie di alvei antichi e recenti nel senso della larghezza, mentre i terreni alluvionali sono grandemente estesi nel senso della lunghezza. Tali sono i fenomeni che maggiormente contribuiscono al carattere parti- colare del paesaggio nei dintorni di Sassari, in luoghi dove più non esistono corsi d’acqua ed ove il bacino attuale di raccoglimento è cosi limitato da fare grande contrasto con le traccie lasciate da antiche correnti ; per il che l’autore è condotto a presentare una cartina del sistema idrografico antico della regione e alla ricostruzione dell’antico bacino idrografico di raccoglimento, sotto forma di una superficie quasi piana ed uniformemente inclinata verso mare: di tale antica condizione del territorio egli parla distesamente. In appoggio alle sue osservazioni l'autore ha corredato il suo lavoro, oltre che della cartina anzidetta, di un certo numero di figure schematiche, e ripro- duzioni fotografiche intercalate nel testo. Capellini G-. — Balene fossili toscane. III. Idiocetus Gai cci ardimi. (Me- morie E. Acc. delle Se. dell’Istituto di Bologna, S. YI, T. II, pag. 12, con 2 tavole). — Bologna, 1905. Questa nuova specie è basata su alcuni resti di un cetaceo provenienti dai dintorni di Montopoli in Yaldarno e depositati nel Museo geologico di Firenze. Di essi è parola nella nota dello stesso autore sulle balene fossili toscane pubblicata nel 1876, nella quale, non potendo riferire quei resti ad alcuno dei ge- neri di misticeti allora conosciuti, propose di distinguerli col nome di Idiocetus o cetaceo singolare. Yella memoria attuale egli ritorna più diffusamente sul- Targomento, rendendo anche conto di alcuno particolarità relative alla scoperta e al giacimento del fossile in un fondo del conte Guicciardini. Seguo la descrizione dei resti, i quali sono poi illustrati nelle tavole an- nesse. Cappelli D. B. — Contribuzione allo studio degli ostracodi fossili dello strato a sabbie grigie della Farnesina presso Roma. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIY, fase. 2®, pag. 303-312, con 2 tavole). — Eoma, 1905. I fossili studiati provengono da uno strato a sabbie argillose grigie del Monte della Farnesina (alture di Monte Mario), giacente in discordanza con le sottostanti argille grigie più o meno sabbiose e concordante con le sabbie gialle sovrastanti. Dopo accennato alla classificazione adottata, l’autore fa la descrizione di ben 60 specie di ostracodi, lasciando da parte, o citandole semplicemente, quelle che già sono state da altri descritte, a meno che presentino qualche carattere non ancora messo in rilievo. Seguono alcune tabelle coro-cronologiche con la indicazione delle località italiane, con le epoche relative, aventi nelle loro fanne fossili le specie descritte, oppure se queste sono conosciute allo stato vivente nel lyiediterraneo o in altri mari (il 42 % in totale). Con questo lavoro la fauna degli ostracodi delle sabbie grigie della Far- nesina (il cosidetto strato classico) viene arricchita di due generi [Eucijthere e Paradoxostoma) e di 19 specie, per cui in totale queste ammontano a 68. Per la ricchezza in ostracodi il giacimento della Farnesina cede unica- mente a quello delle argille di Pizzolo, ove il Seguenza rinvenne ben 142 specie di tali fossili; però nessun piano isolato di queste argille raggiunge per numero di forme la ricchezza dello strato a sabbie grigie della Farnesina. Kelle tavole sono figurate, con ingrandimento di 31 volte, le specie de- scritte. Capobianco (3r. — Descrizione della Carta speciale geognostico-agraria della Valdichiana. (Boll, della coltivazione dei tabacchi, Anno lY, n. 3-4, pag. 166-173). — Portici, 1905. In questa prima parte del lavoro l’autore tratta della serie delle forma- zioni rappresentate nella Yaldichiana toscana e suoi dintorni. Esse sono : 1® 11 retico, la più antica, sotto forma di calcari nero-venati o grigi, affiora in masse poco potenti nei monti a sud-ovest del bacino della Chiana. Da esso previene l’ottimo gesso usato nella regione. 2° Il lias, in piccoli lembi di calcari bianchi o grigi, del piano inferiore, o sinemuriano (Montefollonico) o in potenti strati calcari con letti di selce, alternati da scisti marnosi o da calcare brecciato rossastro dal piano medio o liasiano (Monti di Poggiano). 3® Il cretaceo, con scisti policromi, calcari rosei e scisti calcarei affioranti in due lembi a Poggiano e Monticchiello, appartenenti al piano senoniano. 4® L’eoceiie, estesissimo e costituito da potenti strati arenacei e calcari diversi fra loro alternantisi (pietra serena e alberesi). 5® Il pliocene, distinto in marino e lacustre, il primo con le solite argille turchine e sabbie gialle con abbondanti fossili, il secondo con sabbie ed ar- gille rimescolate, più impure e talvolta cementate debolmente da materiale marnoso, con fossili d’acqua dolce. L’autore dà i risultati delle analisi chimiche eseguite su questi terreni a scopo agricolo. 6° Il quaternario, sulle falde delle colline plioceniche, con ciottoli, ghiaje, sabbie e argille ocracee con resti di mammiferi. Ad esso sono da riferirsi i depositi travertinosi di località diverse, fra cui Chianciano, Sarteano e Ea- polano. - 77 ~ Casoria e. — Studio analitico di alcune lave e pozzolane delVAgro Ro- mano (dagli Annali R. Se. sup. d’Agr. di Portici, Yol. VI, pag. 8 in-8°). — Portici, 1905. Sono analisi chimiche di lave appartenenti a diversi vulcani romani e di poz- zolane dei dintorni di Roma, e cioè : 1® Trachite presso la rotabile Soriano- Ronciglione ; 2° Trachite presso e a sud di Soriano nel Cimino ; 3® Trachite della Madonna di Loreto (Monte Cimino) ; 4^ Leucotefrite del Tavolato presso Roma ; Leucotefrite dei dintorni di Tre vignano (lago di Bracciano) ; 6® Leu- cotefrite del lago di Vico; 7^ Peperino di Ponte dell’Elce presso Viterbo. Le pozzolane analizzate provengono dalle Tre Fontane e dalla via Appia Vuova fuori porta San Giovanni (due cave diverse). Fra queste la prima con- tiene una quantità più considerevole di calcio e magnesio, elementi che pren- dono parte tanto attiva nei processi chimici che hanno luogo nella confezione delle malte a base di pozzolana ; e ciò darebbe ragione delle qualità superiori già riconosciute dalla pratica nelle pozzolane delle Tre Fontane e poi confer- mate dagli esperimenti di Vicat. Cassetti M. — Appunti geologici sul Monte Conero presso Ancona e suoi dintorni. (Boll. R. Comitato Geo!., Voi. XXXVI, n. 1, pag. 54-65, e n. 2, pag. 89-106, con tavola). — Roma, 1905. Dopo una dettagliata descrizione dei caratteri tettonici del Monte Conero, l’autore si accinge a dimostrare che non tutta la cupola calcarea di esso debba riferirsi alla serie cretacica, come fin oggi si è ammesso, ma solo il nucleo cen- trale di essa, e che la parte più alta debba ritenersi invece appartenere al periodo eocenico. In mancanza di sufficienti elementi paleontologici, egli, per sostenere la sua ipotesi, confronta la formazione calcarea del Conero con altre analoghe dell’Appennino centrale studiate dal Canavari, ed aggiunge, a conforto della sua opinione, delle riflessioni basate su dati tettonici di altri monti calcarei dello stesso Appennino, da lui rilevati. Passa quindi in rassegna i rimanenti terreni che affiorano nella regione di cui si occupa, cominciando dalla marna miocenica, che si appoggia imme- diatamente sulla cupola calcarea del Conero, per finire ai depositi più recenti. Di ogni terreno egli fa un minuto esame della sua costituzione geologica e della sua estensione, soffermandosi più specialmente sulla zona a congerie. Accenna infine alle principali sorgenti d’acqua, che s’incontrano nelle adiacenze del Conero, trattando in modo particolare di quella salso-jodica del- l’Aspio utilizzata in medicina. La nota è illustrata da una tavola, nella quale figura una cartina geolo- gica al 200 mila della regione studiata, oltre a 4 sezioni. 78 — Cerulli-Irelli S. — Sopra i molluschi fossili del Monte Mano presso Roma. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIY, fase. pag. 191-194). — Eoma, 1905. L’autore, die ha intrapreso lo studio ed il riordinamento della ricca col- lezione dei molluschi fossili di Monte Mario, conservata nel Museo geologico della R. Università di Roma, dà con questa nota notizie del lavoro eseguito finora su parte dei lamellibranchi, indicando le specie di essi che furono intanto rin- venute e non ancora citate da altri. Esse sono in numero di 21, fra le quali 2 nuove appartenenti ai generi Yeniis e Axinns, oltre a 3 varietà di Osti'ea, Venericarclia^ Montaciita. Senza dare un giudizio assoluto, essendo lo studio della fauna ancora troppo limitato, circa il valore cronologico delle medesime, l’autore osserva che finora non trovò forme spiccatamente plioceniche, mentre è molto notevole la percentuale delle specie viventi. Checchia-Rispoli Gr. — Contributo alla conoscenza del Pliocene della Capitanata. (L’Escursionista meridionale, Anno I, fase. 1°, pag. 23-24). — Avellino, 1905. Il terreno pliocenico, che circonda per gran tratto il promontorio garga- nico, si presenta quasi sempre col carattere del tufo calcareo dominante in Puglia, e solo presso San Giovanni in Piano è costituito da calcari duri, hrec- cioidi, varicolori. JSTei dintorni di Apricena il tufo si estende per parecchi chi- lometri quadrati, con potenza sino a 40 metri, passando inferiormente ad una brecciola calcarea, durissima, risultante di minuta ghiaia con frammenti di co- ralli, echinidi, briozoi e molluschi per lo più indeterminabili. Il tufo vi è scavato attivamente nella sua parte superiore, più tenera e più leggiera, ed è buon materiale da costruzione ; esso è ricco di fossili e l’autore vi trovò ben 24 specie e alcune vertebre di cetaceo. I tufi garganici mostrano le maggiori analogie con quelli di Gravina e di Matera, avendo con questi comuni la natura litologica ed i caratteri faunistici che li dimostrano nettamente pliocenici e littorali, e come quelli riposano diretta- mente sul calcare ippuritico. Essi sono ricoperti dalle argille e dalle sabbie quaternarie, tanto sviluppate nella pianura pugliese, aventi fauna identica a quelle dell’Adriatico. Queste poi sono coperte dalla cosidetta crosta, la quale forma il piano superiore del Tavoliere di Puglia. Checchia-Rispoli Gr. — Osservazioni sulle Orbitoidi. (Rivista ital. di paleontologia, Anno XI, fase. II, pag. 79-81). — Perugia, 1905. In questo lavoro, di carattere puramente paleontologico, trattando della classificazione e dell’età delle Orbitoidi, l’autore accenna al ritrovamento di due — 79 — Lepidocijclina in luoghi distanti fra loro e in depositi indubbiamente eocenici, confermando così che questi organismi sì trovano in Italia non solo nel miocene (Collina di Torino), ma anche nell’eocene. La prima di queste forme è stata raccolta abbondantemente dal Di Ste- fano in un calcare tenero (eocene medio) alla sommità del Monte San Calogero presso Sciacca; la seconda, rarissima, fu raccolta di S. Ciofalo nelle argille scagliose (eocene inferiore) dei dintorni di Termini Imerese. Entrambe sono specie nuove a l’autore, che si riserva di farne la descrizione fra breve, le denomina intanto L. Di-Stefanoì e L. Ciofaìoi, Checchia-Eispoli Gt. — Un nuovo rinvenimento di Lepidocyclina nel- l’Eocene della Sicilia (dal Naturalista siciliano, Anno XYII, n. 11, pag. 2 in-8®). — Palermo, 1905. Facendo seguito al lavoro precedente, l’autore annuncia un terzo rinvenimento di Lepidocijclina nell'eocene di Sicilia, oltre ai due già indicati nella regione Marchesa presso Sciacca, in una porzione del Monte San Calogero portata in basso da uno spostamento verticale, entro un terreno che, dalle nummuliti che contiene, va riferito all’eocene medio. Trattandosi probabilmente di una specie nuova, l’autore, pure riservandosi di illustrarla, propone per essa il nome di L. seliniiiitina. Checchia-Eispoli G-. — I crostacei delV Eocene nei dintorni di Monreale in provincia di Palermo (dal Giornale di Se. nat. ed econom., Yol. XXY, pag. 4 con tavola). — Palermo, 1905. Gli esemplari studiati furono rinvenuti presso Monreale nella località Balzo del Gatto entro un calcare marnoso bianco, ritenuto dall’autore equivalente del calcaire grossier di Parigi. Le specie descritte in questo lavoro sono in numero di 6, delle quali 2 uuove, che denomina Galenopsis Schopeni e Gemmellarocarcinus L'órentheiji : quest’ultimo genere è di nuova istituzione e appartiene alla famiglia dei Cijclo- metopa o canceridi arcuati. In appendice havvi la descrizione di un nuovo Hepatiscus dell’eocene di Pachino (prov. di Siracusa), che l’autore denomina H. Distefanoi. Checchia-Eispoli G. — SiilP Eocene di Chiaromonte-Giilfi in provincia di Siracusa. (Eeiid. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 10®, 2® sem., pag. 528-529). — Eoma, 1905. L’autore ha studiato vari frammenti di un calcare marnoso, compatto e duro, di color bianco-giallastro, con noduli di selce rosso-scura, raccolti da C. Kagusa al piede della montagna di Chiaromonte-Gulfi, lungo il corso del torrente Corvo. Il materiale paleontologico che egli ha potuto isolare, scarso ma in ottimo stato di conservazione, contiene nummnliti, assiline e ortophrag- mine : l’ abbondanza delle N. perforata e liicasana, che in Sicilia generalmente occupano un livello corrispondente a quello medio dell’eocene del bacino medi- terraneo, e la mancanza di altri dati caratteristici, inducono a considerare quella formazione come corrispondente all’eocene medio e rappresentante, con le altre note del Monte San Calogero, del Balzo del G-atto, dei dintorni di Cor- leone, della base del Monte Pellegrino, ecc., ecc., il livello eocenico più basso finora noto in Sicilia. Checchia-Rispoli Gt. — Z ’Atelecyclus rotundatiis Olivi^ fossile nelpostpHo- cene dei dintorni di Palejino [àsi\^3LÌViVii\\^Ì2L siciliano, Anno XTIII. n. 4, pag. 4 in-8^). — Palermo, 1905. È questo un crostaceo vivente nel Mediterraneo e che mai finora era stato trovato allo stato fossile, nè in Italia, nè altrove, e che ora viene dalFautore riconosciuto tale per la prima volta. L’esemplare studiato proviene dal deposito postpliocenico di Picarazzi nei dintorni di Palermo, e propriamente dagli strati di tufo calcareo che ivi si alternano con lenti di argilla plastica. Esso è rap- presentato da uno scudo bene conservato, depositato nel Museo geologico delle R. Università di Palermo, che l’autore descrive, dandone anche la figura. Checchia-Rispoli G. — Sopra alcune Alveoline eoceniche della Sicilia. (Palaeontographia italica, Yol. XI, pag. 147-167, con 2 tavole). — Pisa, 1905. Questo lavoro fu eseguito nel Laboratorio paleontologico del E. L^fficio geologico, su materiale comunicato all’autore dai professori G. Di-Stefano e S. Ciofalo ; esso è stato raccolto in alcune località della provincia di Catania e dei dintorni di Termini Imerese in quella di Palermo, entro la formazione delle argille scagliose appartenente all’eocene superiore. L’autore incomincia col riassumere la storia del genere Alveolijia, togliendo le notizie datene dai pochi autori che se ne sono occupati, e facendo alcune considerazioni sulla morfologia, la struttura e Vhabitat di questo gruppo di fo- raminifere: espone poi i criterii da lui seguiti per distinguerne le specie. Tratta quindi della distribuzione geologica delle alveoline dal cenomaniano, dove peraltro sono molto rare insino ai nostri tempi, con un massimo nell’eocene, specialmente nel bacino mediterraneo, e passa alla descrizione delle specie, in numero di 10 (compreso il sottogenere Floscnliiia) delle quali 5 istituite dal- l’autore. Segue in appendice la descrizione di una nuova specie proveniente dal- l’eocene medio di Rosazzo e Buttrio nel Friuli. Tutte le specie descritte sono figurate nelle tavole annesse alla memoria. — 81 - Checchia-Eispoli G^. — Le grotte del promontorio garganico. (L’ Escur- sionista meridionale, Anno I, fase. 3^, pag. 53-58). — Ayellino, 1905. ]^umerose sono le grotte nel promontorio garganico, in generale di accesso malagevole, dovuto ad antichi corsi d’acque sotterranee, .condotte per infil- trazione e obbligate a scavarsi una via nei punti di minore resistenza della roccia calcarea : siffatto lavorìo ha richiesto una maggiore energia nell’agente escavatore di quella che comportino le condizioni attuali, per il che si è indotti ad ammettere una maggiore precipitazione atmosferica ed anche dei movimenti del suolo propri! ad accrescere la forza viva delle acque, accompagnata forse da una maggiore azione chimica per aiutare la soluzione del calcare. IN^el seguito l’azione dello stillicidio vi ha prodotto stalattiti e stalagmiti che hanno in parte ostruito i vani primitivi, rendendone anche più pittoresco e piacevole l’aspetto. Una delle più belle ed interessanti di siffatte grotte, è quella di Monte IN'ero presso San Marco in Lamis, che l’autore ha visitato e che descrive nella pre- sente nota. Essa è molto pittoresca e misura da 150 a 200 metri in lunghezza per un’ altezza di 10 a 15, con formazioni stallattitiche d’ogui sorta. La grotta è scavata in un calcare dolomitico a struttura cristallina, microlitica, emanante odore di bitume, e che appartiene con ogni probabilità all’epoca cretacea. L’autore accenna infine ai marmi ed agli alabastri del Gargano, pregevo- lissimi sotto ogni rapporto, ma rimasti finora dimenticati. CiOFALo S. — Sul cretaceo medio dì Caltaviitnro. (Boll. Acc.Grioenia di Se. nat., fase. LXXXIII, pag. 11-18). — Catania, 1905. Xella contrada San Giovannello, territorio di Caltavuturo (provincia di Pa- lermo) la formazione cenomaniana si presenta sotto forma di piccoli lembi o di semplici affioramenti fra i terreni argillosi terziari!, appoggiandosi al calcare coralligeno giurese costituente la montagna di Caltavuturo. Era questi spuntoni di cretaceo, due specialmente sono caratteristici per abbondanza di fossili che vi si trovano sparsi con grande profusione da potervisi raccogliere a centinaia di esemplari. L’autore potè così farne ampia raccolta che, insieme col materiale anteriormente radunato, gli offrì occasione per uno studio completo della fauna. Il cenomaniano di Caltavuturo consta di marne ed argille, identiche litolo- gicamente a quelle studiate dal Seguenza nel Reggino e nel Messinese e con gli stessi caratteri paleontologici, con la differenza che colà manca affatto il cretaceo superiore, noto invece in altre parti dell’ isola. Riservandosi di fare oggetto di altra pubblicazione la parte paleontologica del suo lavoro, specialmente per quanto riguarda i coralli, che egli ritiene tutti nuovi, dà ora l’elenco delle specie finora riconosciute nel cretaceo medio di Caltavuturo, ammontanti a 100 circa. 6 — 82 — Clerici E. — 8iil giacimento diatomeifero di S. Tecla presso Acireale, (Boll. Soc. &eol. ital., Yol. XXIII, fase. 3°, pag. 430434). — Eoma, 1905. Il tripoli di S. Tecla-, noto sino dal 1887 per le osservazioni di C. Basile, è formato esclusivamente di diatomee lacustri nelle quali il Castracane trovò ben 13 specie distinte. Dall’esame di un campione raccolto dal prof. Platania di Acireale, l’autore lo trovò prevalentemente costituito dai generi Melosira e Sgnedra, essendovi gli altri scarsamente rappresentati ; oltre alle diatomee trovò resti di Epìiydatia pluviatilis Johns. Sopra il tripoli è un tufo vulcanico terroso con molluschi marini e una grande quantità di diatomee sieno marine che d’acqua dolce, delle quali l’au- tore dà un elenco specifico, pure con resti di Epìigdatia. Il tufo anzidetto (ìonsta di feldspato, augite, olivina, mica, magnesite, tutti in elementi piccolissimi, ed ha l’aspetto di materiale proveniente da dilavamento di roccie vulcaniche clastiche, trasportato e deposto in uno stagno o laguna ove le acque marine potevano liberamente penetrare e permettere la miscela della specie di diatomee salmastre, marine e d’acqua dolce, mentre la forma- zione del tripoli corrisponderebbe ad un periodo di quiete e senza comunica- zione col mare. Clerici E. — Una escursione a nord di Roma. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIII, fase. 3^ pag. 556-561). — Eoma, 1905. Yi è dato conto delle osservazioni fatte in una gita di circa 90 chilometri di lunghezza da Eoma per la via Cassia alla Yalle di Baccano, e ritorno per la Flaminia dopo una traversata fra le due vie per Mazzano, Calcata, Faleria e Osteria di Stabia. Accenneremo qui soltanto ai tufi pisolitici di Cesano, alla sezione del fondo lacustre della Yalle anzidetta, con diatomee, alla formazione tufacea a nord di Campagnano, riposante su argille a diatomee, al cosidetto peperino o nenfro di Mazzano, usato come pietra da taglio, alla formazione di tufo sotto Calcata con ghiaie e argille plioceniche sottostanti, all’ argilla biancastra diatomeifera di Faleria intramezzata nella formazione tufacea, infine alle sabbie gialle fossili- fere e prevalentemente quarzose di Stabia, ricoperte da tufi in vari strati la- pidosi e granulari. Clerici E. — Sopra una trivellazione eseguita presso Roma sulla via Casilina. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 4®, 1® seni., pag. 224-228). — Eoma, 1905. In questa trivellazione, eseguita per ricerca di acque sul fondo di un pozzo preesistente, a mezzo chilometro circa dalla città, fu raggiunta la pro- fondità di m. 76 dal suolo, o di m. 30 sotto il mare, essendo quella del pozzo 83 - preesistente di m. 25 circa. L’autore lia esaminato una serie di campioni del materiale estratto, rappresentanti altrettanti livelli di varia natura, e nella pre- sente nota dà conto delle sue osservazioni. Al principio della trivellazione si rinvenne un tufo vulcanico terroso, ap- partenente al complesso del tufo granulare, nel quale era scavata la estremità inferiore del pozzo : in seguito, alternanza di argille, marne, con diatomee e frammenti di molluschi continentali, argille sabbiose, sabbie più o meno pure, infine argille con foraminifere, specialmente globigeridini, e frammenti di spicule; minerali pesanti, come augite, magnetite, zircone, glaucofane, tormalina, ecc., sono stati trovati in tutti i campioni. Dal confronto fra i risultati di questa con quelli della trivellazione di Capo di Bove, risulta una certa analogia nell’ordine di successione, ed è note- vole il fatto che in entrambe, al di sotto della serie vulcanica, sono sedimenti che contengono diatomee d’acqua dolce. Clerici E. — Osservazioni sui sedimenti del Monte Mario anteriori alla formazione del tufo granulare. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 9°, sem., pag. 515-523). — Roma, 1905. Esaminando il deposito di sabbie quarzose della Bravetta presso Roma, precedenti alla formazione del tufo granulare (vedi Bihl. 1900), l’autore vi trovò associato uno strato di materiale caoliniforme con frammenti di feldspati, diatomee ed abbondanti spicule di potamospongie. Ciò lo invogliò a fare ricerche analoghe in altre parti dei dintorni di Roma e precisamente al Monte Mario e sue adiacenze, per riconoscere la origine del deposito. Egli incomincia col dare una sezione del Monte, quale si vede nella Y alle dell’ Inferno, con le argille in basso, le sabbie in mezzo, ghiaie cementate e sabbie giallo-chiare in alto: queste ultime sono analoghe a quelle della Bravetta, e nelle ghiaie che la precedono trovansi ciottoli arrotondati di un materiale lavico bigio a feldspati macroscopici. Dn' altra sezione, presa nella valle della Farnesina, presenta, sopra la argille inferiori, delle sabbie più o meno ocracee e fossilifere (il giacimento classico della Farnesina), cui fanno seguito altre sabbie pure, di colore giallo, ora sciolte ed ora cementate, con straterelli inter- calati di ostriche pure cementate. Dà infine una terza sezione, schematica, del versante del Monte verso la valle di Acquatraversa, avente in basso la nota sabbia gialla fossilifera, cui seguono straterelli di altre sabbie diverse, coperte da uno strato di argille salmastre (vedi Bibl. 1893, Clerici), su cui sta una potente formazione di sabbie gialle, ora ghiaiose, ora sciolte, ora cementate, seguita da uno strato di materiale caolinico della potenza di oltre due metri, con molto feldspato (sanidino e plagioclasio) e poco quarzo. Assodata quindi la esistenza fra le ultime sabbie di materiali feldspatici e di uno speciale tufo trachitico (caoliniforme) nei dintorni di Roma, l’autore ne — 84 — • ricerca la proYenienza. Esso potrebbe derivare dall’ accumularsi di detriti di trachiti o relativi tufi venuti da lontano e poi alterati e caolinizzati ; ovvero da materiali lanciati in aria da eruzioni e quindi caduti in posto o ivi trascinati da poco lontano. Dalla qualità dei componenti, e con le analogie con tufi d’altre regioni, l’autore osserva che il materiale lavico ed il tufo in quistione possono essere collegati ad un periodo di attività vulcanica anteriore alle eruzioni Laziali. Sabatine e Yicane, ma prossimo o contemporaneo a quello delle eruzioni Cimine, e del gruppo di San Vito presso Bracciano, dei monti di Cerveteri; la forma a ciottoli e la dispersione in località diverse di quei materiali, danno argomento a credere che essi furono emessi su terra emersa ed in denudazione, mentre la presenza di diatomee e potamospongie nel tufo della Bravetta esclude affatto l’ipotesi di eruzioni sottomarine. Cocco L. — I radiolari fossili del tripoli di Condro {Sicilia), (Memorie Acc. di Se., Lett. ed Arti degli Zelanti, S. 3^, Voi. Ili, n. 2, pag. 1-14). — Acireale, 1905. B tripoli di Condro, in provincia di Messina, deve ritenersi coetaneo degli altri di Sicilia, cioè appartenente al miocene superiore. In esso i radiolari si trovano insieme con diatomee, in numero di circa sessanta specie, mentre quelle dei primi non ammontano che ad una ventina ; fatto questo generale in tutti i tripoli siciliani studiati dall’autore, che cioè dove abbondano diatomee scarseg- giano foraminiferi e radiolari, e viceversa. Le forme predominanti a Condrò, sono le clipeali, molte delle quali tuttora viventi a grande profondità, il che prova la grande profondità del deposito. Segue la descrizione delle specie, classificate secondo il metodo dell’ Haeckel che è quello che più si adatta per le forme fossili. Colomba L. — La leucite del tufo di Pompei. (Boll. Soc. G-eol. ital., Voi. XXIII, fase. 3®, pag. 379-391, con tavola). — Eoma, 1905. È uno studio sui cristalli di leucite che si trovano insieme con augite ed un plagioclasio molto basico, nei materiali che ricoprono Pompei, e in partico- lare sulle fenditure che essi presentano. Da esse l’autore conchiude che tali modificazioni strutturali sono conseguenza dell’azione di elevate temperature e di successivi raffreddamenti: il tipo di esse varia a seconda delle temperature estreme cui furono soggetti i cristalli. Xella tavola annessa sono riprodotte le figure di alcune sezioni di detti cristalli, viste al microscopio. ( Continna). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (31 MtriLairjsco lOOO) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. I a XXXVI, dal 1870 al 1905. Prezzo di ciascim Tolume L. 10 — Idem dell'abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per seryire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Introduzione. — B. Gastaldi: Stiidii geologici sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla formasione tersiaria nella sona solfi fera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrisione geologica deir Isola d'^Elba. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Dn volume in-4° di pag. 364 con tavole e carte geologiche . » 35 — V ol. II, Parte 1*'^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografia geologica dell' Isola d' Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla forni asione terziaria nella sona solfifera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — JJn volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. II, Parte 2^. Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. Ili, Parte 1^. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponsa. — C. De Stefani: Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-4® di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche 10 — Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia dell Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari : Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spezia. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 — Voi. IV, Parte l^ Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica finori fera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole » 8 — — 86 — Yol. IV, Parte 2^. Firenze 1893. — C. A. Weithofer: Pro- hoscidiani fossili di Valdarno in Toscana. — 31. Canavari: Idrozoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactiiiidi. — Un volume in-U di pag. 211 con tavole . . . L. Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica delVIsola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 136 con tavole e una Carta geologica » Voi. II. Roma 1886. — B. Botti; Descrizione geologica deU risola d'^Elha. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » Voi. III. Roma 1887. — A. Farri: Relazione sulle miniere di ferro dell’ Isola d'Elba. — Un volume in-8° di pag. 171 con un atlante di carte e sezioni » Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria delVIglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabiis {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » Voi. VI. Roma 1891. — B. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa » Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-petrografìca delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. Ili con incisioni, tavole e carte geologiche . . . » Voi. Vili. Roma 1893. — B. Botti; Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8° di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini; / vulcani dell Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Laziale. — Un vo- lume m-8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » Voi. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8® di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » Appendice al Voi. IX. Roma, 1904. — G. Di- Stefano : Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8° di pag. 120, con tavola di sezioni » 16 10 10 20 15 8 6 8 8 12 12 8 10 3 — 87 — CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'iinione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa. Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio V. 211 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio V. 262 (Monte Etna) . . L. 5 — » 218 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del Vallo) » 3 — » 219 (Palermo) . . . » 1 — » 266 (Sciacca) . . . » 1 — » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicatti) . . . » 5 — » 251 (Cefalù) . . . . » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 — y> 252 (Vaso) . . . . » 1 — » 269 (Paterno) . . . » 5 — » 253 (Castroreale) . . » 1 — » 270 (Catania) . . . » 3 — 251 (Messina) . . . » 1 — » 271 (Girgenti) . . . » 3 — 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 1 — » 257 (Castelvetrano) . » 1 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 — » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 271 (Siracusa) . . . » 1 — » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) . . . » 3 — » 260 (Vicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . . . » 3 — > 261 (Brente) . . . . » 5 — , » 277 (Voto) . . . . » 3 — Tavola di sezioni V. I (annessa . ai fog] li 219 e 258) . . L. 1 — » » V. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 1 — X. Ili (annessa ai fogli 253, 251 e 262) IN". IV (annessa ai fogli 257 e 266) . . V. V (annessa ai fogli 273 e 271) . . 1 — 4 _ 1 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio V. 220 (Verbicaro) . . L. 3- Fogliò V. 212 (Catanzaro) . . . » 5 — » 213 (Isola Capo Riz- . » 3 — zuto) . . . . » 3 — » 215 (Palmi) . . . . » 5 — » 216 (Cittanova) . . . » 1 — » 217 (Badolato) . . . » 3 — » 251 (Messina) . . . . » 1 — » 255 (Gerace) . . . E.)» 5- » 263 (Beva) . . . . . » 3 — . » 1 — » 261 (Staiti) .... » 221 (Castrovillari) » 222 (Amendolara) » 228 (Cetraro) . * 229 (Paola) . » 230 (Rossano). » 231 (Ciro) . . » 236 (Cosenza) . » 237 (S. Giovanni » 238 (Cotrone) . » 211 (Vicastro). Tavola di sezioni V. I (236, 237, 238, 211, 212), IN". II (215, 216, 217, 255, 263), V. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. L. 1 co co — 88 — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. IsTe sono pubblicati i fogli seguenti : Foglio N. 201 (Matera) . , , . L. 3 — Foglio iV. 213 piaruggio) . . L. 1 — » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . » 2 — » 203 (Brindisi) . , . . » 3 — » 215 (Otranto) . . . » 1 — » 204 (Lecce) . . . , . » 2 — » 223 (Tricase) . . . » 9 Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio IN”. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Paloinbara) . . » 5 — Foglio IN". 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . L. 4 — » 5 — » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema B. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica della Toscana {in corso di stampa), nella scala dii a 100 000: ISe sono usciti i fogli: Piombino (L. 3); Grosseto (L. 4); Santa Fiora (L. 5): Orbetello (L. 4); Toscanella (L. 5); Tav. I di sezioni (L. 4). Carta geologica delP Isola d’ Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria delP Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 s> ò — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 » 5 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IVapoli. PaE3EIIT3D /Aus.im BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie IV. — Anno VII. 190 6 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE EE D’ITALIA. Visto il Eegio Decreto del 25 gennaio 1891, IST. 39; Sulla proposta del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio: Abbiamo decretato e decretiamo: Art. V. Sono confermati componenti del E.. Comitato geologico per il biennio 1906-907, i signori: Cocchi prof. Igino, Bucca prof. Lorenzo, Issel prof. Arturo, Parona prof. Carlo Fabrizio. Art. 2^ 11 prof. Giovanni Capellini, senatore del Regno, è confermato pre- sidente del Comitato predetto per Fanno corrente. Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del presente Decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti. Dato a Roma, addi 18 gennaio 1906. Firmato: VITTOEIO EMAVUELE. Controfirmato: H. Malvezzi. Registrato alla Corte dei Conti addi 31 gennaio 1906. Registro 99 - Personale civile, foglio 270. Firmato: G. Maggiore. Annunzi di pubblicazioni Billows e. — Sn alcune trachiti anortoclasìco-biotitiche degli Euganei. (Ki- vista di Min. e Crist. ital., Voi. XXXII, fase. II a VI, pag. 17-26). — Pa- dova, 1905. Cacciamali G. B. — Eiliero geologico della regione tra Monticello, Ome, Sajano e Gussago. (Commentari Ateneo di Brescia, Anno 1905, pag. 51-61, con tavola). — Brescia, 1905. Checchia-Rispoli G. — Le grotte del promontorio garganico. (L’escursionista meridionale. Anno I, fase. 3®, pag. 53-58). — Avellino, 1905. Dal Lago D. — Note sul Flyscli del Vicentino. (Atti Acc. scient. veneto-tren- tino-istriana, Voi. II, fase. II, pag. 207-212). — Padova, 1905. Del Campana D. — Fossili del Giura superiore dei Sette Comuni in Provincia di Vicenza. (Pubbl. del B. Istituto di studi superiori. IJn voi. in-8® di pa- gine 140 con 7 tavole). — Firenze, 1905. Giani A. — Studio petrograiìco intorno ad alcune rocce eruttive dei Colli Euganei nell’ Atestino. (Rivista di Min. e Crist. ital., Voi. XXXII, fase. II a VI, pag. 57-96, con 2 tavole). — Padova, 1905. Meli R. — Sulla Vola Planar iae^ Simouelli {Pecten) fossile nei terreni pliocenici e quaternari dei dintorni di Roma (dal Boll. Soc. Zool. ital., S. 2^, Voi. VI, n. 7 e 8). — Roma, 1905. Oliveri V. e Carapezza E. — L’età geologica e l’analisi chimica di talune rocce calcaree siciliane. (Giornale Soc. di Se. naturali ed economiclie. Voi. XXV, pag. 83-113). — Palermo, 1905. Aguilar e. — Su di uno sprofondamento avvenuto alla Solfatara di Poz- zuoli. (Boll. Soc. di Xaturalisti, Vói. XIX, pag. 52-53). — Xapoli, 1908. Airaghi C. — Brachiuri nuovi o poco noti pel terziario veneto. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XLIV, fase. 3*^, pag. 202-208, con tavola). — Milano, 1906. Idem. — Echinidi miocenici della Sardegna raccolti dal Dott. Capeder. (Ibidem, Voi. XLIV, fase. 3®, pag. 209-217). — Milano, 1906. Bassoli G. G. — Otoliti fossili terziari dell’Emilia. (Riv. ital. di paleonto- logia, Anno XII, fase. I, pag. 36-56, con 2 tavole). — Perugia, 1906. Bruno L. — Uno sguardo geologico al Bacino di St. Vincent (pag. 12 in-8®, con tavola). — Ivrea, 1906. Capellini G. — La rovina delle Rocche di S. Pietro a Porto Venere. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 1®, 1® sem., pag. 3-5). — Roma, 1906. Chelt'.ssi I. — Note di geologia marchigiana. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Voi. XLIV, fase. 4®, pag. 268-300). — Mi- lano, 1906. {Segue) {Seguito: V. pagina precedente) X Clerici E. — Delle sabbie fossilifere di Mala^rotta sulla ria Aurelia. (Eend. c- R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 2®, 1° sem., pag. 133-136). — Roma, 1906. Ì ■a Colomba L. — Sulla sebeelite di Traversella. (Ibidem, S. V, Voi. XV, fase. 5*^, ^ 1® sem., pag. 281-290). — Roma, 1906. ^5 Crino S. — Le Macalube di Girgenti in rapporto alla distribuzione geogra- fica degli altri Tulcani di fango. (Boll. Soc. geografica ital., S. IV, Voi. VII, | fase. 3®, pag. 198-224). — Roma, 1906. 2 Ferro A. A. — Contributo alla conoscenza dei fenomeni di metamorfismo di con- J tatto nell’alta Talle Zebrù. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Voi. XXXIX. J fase. V, pag. 288-298). — Milano, 1906. | Gortani M. — I RìtoIì Bianchi di Tolmezzo. (Giornale di Geol. pratica, j Voi. IV, fase. I, pag. 37-45, con 2 tavole). — Perugia, 1906. 1 Maddalena L. — Osservazioni geologiche sopra il tracciato della ferrovia q Schio-Recoaro. (Ibidem, Voi. IV, fase. II-III, pag. 99-109, con tavola). — I Perugia, 1906. J Mariani E. — Sul giacimento di galena argentifera dell’altopiano di Cadlimo. 1 (Ibidem, Voi. IV, fase. II-III, pag. 94-98). — Perugia, 1906. J Millosevich F. — Sopra alcuni minerali di Val d’Aosta. (Rend. R. Acc. dei i Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 6®, 1® sem., pag. 317-321). — Roma, 1906. 1 Orzi D. — I terreni agrarii del territorio di Grotte di Castro. (Gi ornale di 1 Geol. pratica. Voi. IV, fase. II-III, pag. 49-93, con carta geologica). — Pe- 1 rugia, 1906. ' 1 Parona C. F. — Sulla fauna e sull’età dei calcari a megalodontidi delle cave | di Trevi (Spoleto). (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XLI, disp. 2^ S e 3% pag. 165-171). — Torino, 1906. ì Prever P. L. — I terreni nummulitici di Gassino e di Biarritz. (Ibidem, | Voi. XLI, disp. 2^ e 3% pag. 185-199). — Torino, 1906. ^ Rovereto G. — Sull’età degli scisti cristallini della Corsica. (Ibidem, Voi. XLI. ' disp. 1% pag. 72-86). — Torino, 1906. ^ Sacco F. — Le sorgenti della Galleria ferroviaria del Colle di Tenda. (Gior- J naie di Geol. pratica. Voi. IV, fase. I, pag. 11-36). — Perugia, 1906. i Idem. — Resti fossili di rinoceronti dell’Astigiano. (Mem. R. Acc. delle Sc.^ di Torino, S. II, T. LVI, pag. 105-116, con tav.). — Torino, 1906. ^ Silvestri A. — Sulla Orbitoides Oumbelii Seg. (Atti Acc. pont. dei Xuovi® Lincei, Anno LIX, Sess. 1^, pag. 33-49). — Roma, 1906. 3 Idem. — ^Notizie sommarie su tre faunnle del Lazio. II. (Rivista ital. di pa-8 leontologia. Anno XII, fase. I, pag. 20-35). — Perugia, 1906. 3 Taramelli T. — Alcune osservazioni geo-idrologiche sui dintorni d’ Alghero.^ (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Voi. XXXIX, fase. VII, pag. 423-434). — J Milano, 1906. 9 d.el presente fiisoicolo: L. Amo 1906 ?ol. XXXVIl della Raccolta Trimestre 4^ Serie AN‘l>TO isoe ROM TIP. NAZIOWALB DI G. BEBTERO ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Gtiovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente, Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia,- R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori delia Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV, Voi. VII Anno 1906. Fascìcolo 3"^. SOMMAEIO. Note originali. — I. - S. Franchi. La zona delle pietre verdi fra l’ Ellero e la Bormida e la sua continuità fra il Gruppo di Voltri e le Alpi Cozie. — II. - S. Franchi. Sulla tettonica della zona del Piemonte {con Tav. III). — III. - B. Lotti. Su alcuni nuovi giacimenti metalliferi dei Monti Peloritani in provincia di Messina. — IV. - Y. Sabatini. Sull’eruzione del Vesuvio dell’aprile 1906. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti utficiali. — Verbale delle adunanze 4 e 5 giugno 1906 del R. Comitato geo- logico. - Relazione del Direttore della Carta geologica sui lavori eseguiti nel 1905 e Proposte di quelle da eseguirsi nel 1906. Illustrazioni. — Tav. Ili: Sezioni geologiche annesse alle due note dell’Inge- gnere Franchi, a pag. 144. NOTE ORIGINALI I. S. Franchi. — La zona delle pietre verdi fra V Ellero e la Bormida e la sua continuità fra il Voltri e le Alpi Cozie, di Sommarlo. — Introduzione — Importanza delle faglie nella struttura delle Alpi Liguri — Faglie trasversali — Struttura a gradinata della cresta di culmine — Grandi linee di frattura longi- tudinali della zona del Brianzonese — Probabili rapporti di alcune di esse coi ricoprimenti dell’Ubaye — Struttura imbricata — Facies semi-cristallina del Trias medio nelle sinclinali della sommità del ventaglio (sinclinali del Mondolè e di Bossea) — Profilo lungo l’ Ellero con sinclinali di Trias medio a facies cristallina — Trias inferiore e medio a facies mista lungo le valli Corsaglia e Casotto — Formazione calcescistosa con roccie a glaucofane di Montaldo — Passaggi dai calcari dolomitici ai calcari marmorei ed ai calcescisti — Continuità di alcune zone dal Corsaglia all’Ellero — Età triasica non dubbia di quella formazione — Gli affiora- menti di Trias a facies mista delle valli Gesso, Vermenagna, Ellero, Corsaglia, Mongia, Tanaro e Bormida stabiliscono la continuità della zona delle pietre verdi fra le Alpi Cozie ed il Gruppo di Voltri. Una delle più imbarazzanti fra le obiezioni che si movevano contro l’età secondaria della zona delle pietre verdi nelle Alpi Cozie era il contrasto un po’ stupefacente e poco spiegabile fra i complessi litologici delle due facies di terreni secondari (facies brianzonese e facies cristallina) che si notavano sopra lunghe estensioni ai due lati di una non molto potente zona permo-carbonifera. Alla obiezione — 90 — si potè rispondere mostrando i passaggi laterali rapidissimi da una facies all’ altra (per es. dai calcari dolomitici a Pleurotomaria solitaria e ad Avicula exilis ai calcescisti) nella stessa zona delle pietre verdi, coll’argomento dei fossili dei calcescisti e colle sfumature, passaggi ed alternanze fra i calcescisti ed i calcari fossiliferi del Trias ; argo- menti tutti di gran valore, il cui complesso non lasciava più adito ad alcun dubbio sulla questione. Tuttavia era pur sempre desiderabile il ritrovamento in qualche regione di altri argomenti, se non più convincenti, almeno più in- tuitivi, che togliessero ogni ombra di dubbio anche a quelli che, non conoscendo le Alpi Cozie, potevano serbare qualche sospetto che gli affermati passaggi laterali e le alternanze non potessero invece essere interpretati in modo diverso. E tanto più era desiderabile una maggior luce, che fosse avver- tibile dai più. óra che nuove attraenti teorie ci mostrerebbero sotto punti di vista nuovi ed inattesi la struttura dell’intiera Catena Alpina h Ed a queste teorie qualcuno potrebbe ricorrere per spiegare la grande vicinanza di due facies così differenti di terreni secondari, supponendo che quello a facies cristallina non sia autoctono, ma sia stato carreggiato da regioni più interne, fino ad addossarsi ed a ri- coprire il Permo-carbonifero ed i massicci gneissici della zona del Monte Posa, che avrebbe scavalcati. I dubbi potrebbero trovare un certo fondamento nel fatto che la tettonica della zona delle pietre verdi è stata solo abbozzata nelle sue grandi linee per una parte delle Alpi Cozie, rimanendo essa tuttora assai incerta nei particolari, e dall’altro fatto che vi sono regioni, come le Valli di Lanzo, dove la tettonica della grande massa di pietre ^ P. Termier, Les nappes des Alpes orientales et la sijnthèse des Alpes. B. S. Gr. P., T. Ili, 1904. — M. Lugeon et E. Argano, Sur les grandes nappes de recouvrement de la sene dii Piémont. Comptes Rendus Ac. Se., 15 mai 1905. — Io. IO., Sur les homologies dans les nappes de recouvrement de la zone du Pié- mont. C. R. A. Se., 29 mai 1905. — P. Termier, Les Alpes entre le Premier et la Valtelline. B. S. G. E., T. Y, 1905. — 91 — verdi, salvo nei suoi rapporti coi massicci gneissici, è tuttora un grande enigma. La maggior luce auspicata ci è offerta dalle Alpi Liguri, in al- cuni punti del cui versante nordico le pietre verdi sono localizzate in orizzonti ben definiti, e dove la tettonica, causa lo sviluppo del Trias inferiore con caratteri ordinari, in punti dove il Trias medio pre- senta invece la facies cristallina, riesce più facilmente riconoscibile. Sopra queste osservazioni ho fatto una comunicazione alla riunione della Società geologica italiana nel marzo ultimo. Desidero dare ora su di esse più ampie notizie, che serviranno di conferma alla strut- tura generale tettonica delle Alpi Cozie anteriormente enunciata (1898). Nelle Relazioni annuali al R. Comitato geologico sui rileva- menti del 1903 e del 1904, nonché in una comunicazione fatta aUa riunione iernale’ della Società geologica italiana del 1904 ho brevemente accennato ai principali risultati del rilevamento nelle alte valli dell’ Ellero, Corsaglia, Casotto e Tanaro, tanto dal punto di vista stratigrafico che da quello tettonico. Li riassumo brevemente. Dal punto di vista stratigrafico risultò una maggiore esten- sione dei terreni posteriori al Trias, oltreché nelle alte cime delle Alpi Liguri anche in una delle più importanti pieghe sinclinali, quella del M. Mondolé, la quale si prosegue verso est per Eric Fan- tino, Pian Camussera, B. Costella, Montrossino, Cima Ciuajera e l’Antoroto, per scendere nella valle del Tanaro ed attraversarla h ^ In una Carta geologica dell’ Appennino settentrionale alla scala di 1: 500,000 del prof. F. Sacco, edita nei 1904, è indicata una zona di terreni giuresi tra il Mondolè e la valle del Tanaro, il cui andamento corrisponde a quella da me indicata nella Relazione al R. Com. geologico del 1903. La massa del Mondolè, costituente la parte più giovane della sinclinale dissimetrica, dovrebbe però es- sere segnata come cretacea, con una lunga striscia verso il Colle dei Termini, non come Trias medio. ^S’olia stessa carta appaiono per la prima volta sopra una carta geologica gli affioramenti di Griurese che coronano l’alta Valle Argentina — 92 — Verso occidente quella sinclinale è interrotta bruscamente dalla linea di frattura Colletta Marzolere-Colle Bauzano-Colla Rossa, la quale porta i terreni post-giuresi a contatto coi porfidi permiani Cima Roncalin-Monte Durand; però, oltre Ellero, essa ha il suo evidente proseguimento nelle sinclinale dissimmetrica, con salto importante dal suo lato meridionale Cima di Cars-Roccie Bruseis, ed oltre Pesio in quella di Roccie Ciamussè, i cui terreni si colle- gano direttamente a quelli della Cima delle Fasce e di Testa Ciandon, che separano il bacino di Limone da quello del Pesio. Un altro salto importantissimo passante per la Porta del Colle se- para verso nord la massa di Roccie Bruseis dal Permiano e pe- netra nel vallone di S. Giovanni di Limone, con direzione inclinata di circa 30*^ rispetto al salto Tetti Bruce-Tetti Braja, il quale inter- rompe la sinclinale triasica con pizzicatura eocenica, della Costa !Mau- rin. Quest’ ultima faglia e questo affioramento eocenico sono già stati indicati nella cartina annessa ad un lavoro sulla galleria di Tenda. Altri numerosi salti talora molto importanti, si osservano tra- sversalmente all’andamento delle pieghe al Colle (Croce) di Mala- bera, poco ad ovest della Cima Marguareis, ed ai colli del Pa, delle Saline, nonché al Bocchin d’Aseo, attraverso all’alta linea di cul- mine delle Alpi Liguri, estendentesi fra Cima delle Fasce ed il Pizzo di Conoglia. Per effetto di alcune di esse i porfidi permiani sono portati a contatto col Giurese, col Cretaceo o coll’Eocene, e nel suo complesso un profilo lungo la linea di quelle alte cime ci offre un esempio tipico di struttura a gradinata b che difficilmente si sup- (Triora) da chi scrive scoperti nel 1891, e nei quali col Di-Stefano si rinvenne una interessante fauna a Terehratiila diphya e cefalopodi. Avvertasi però che i limiti di quelli sono alquanto lontani dal vero. ^ Il sunto relativo alla comunicazione, nella quale oltre ai principali fatti stratigrafici e tettonici raccolti nell’ultima mia campagna prendevo in esame il lavoro del prof. P. Termier, La sijnthèse des Alpes, per quanto si riferiva alle Alpi occidentali italiane, essendo stato presentato in ritardo, non potè essere stampato unitamente al verbale dell’adunanza suddetta della Società geologica. - 93 — porrebbe, conoscendo gli andamenti delle pieghe non molto diver- genti da quello della catena culminante. Queste fratture trasversali e quelle cui ho accennato prece- dentemente dovettero manifestarsi come fenomeni concomitanti delle grandi faglie parallele alle pieghe, che dalla regione Colle di Tenda- Limone vanno ad attraversare il Gesso e la Stura, e sono certamente legate al forte cambiamento nella direzione delle pieghe e fa lie suddette da quelle che osserviamo nel cuore delle Alpi Liguri, ed alle tanto differenti condizioni in cui sono avvenute le dislocazioni e le pieghe nel versante meridionale di esse, dove viene a mancare il massiccio resistente dell’ Argenterà. L’affiora- mento più orientale dei gneiss di questo si osserva poco distante dalle sorgenti della Roja, presso il fondo della valle omonima. La grande frattura del Colle di Tenda, che giunge al Gesso e lo attraversa poco ad oriente di Valdieri (falde ovest di Rocca Vac- ciarampi e di Rocca Pissousa) non è che la più importante di una serie di pieghe che mostrano nella zona del Brianzonese fra la Stura di Cuneo e la Vermenagna, una struttura imbricata delle più ca- ratteristiche. La più importante di tali fratture dopo quella del Colle di Tenda è quella che si sviluppa parallelamente ad essa dai pressi di Limone ad ovest di M. Vecchio, alla bassa Valle Grande di Ver- nante alla valle di S. Giacomo, alle falde occidentali di M. Calà al Tetto Massa ed ai pressi di Tetti Chero, portando in ricopri- mento Trias medio, Trias inferiore e Permiano, fittamente ripie- gati, sull’ Eocene o sul Giurese, con rigetti raggiungenti certamente qualche chilometro. Questa importantissima frattura si protrae oltre Gesso fra C. Sales e Rabas ed oltre Stura ad Ovest di Mojola sempre con gli stessi caratteri. E’ dubbio se costituisca il prolungamento di questa grande frattura o di una di quelle che seguono verso S.O la. grande faglia che dai pressi della Trinità (Demonte) tiene la falda sinistra del- l’Arma, donde esce a M. Savi (falda sud) per proseguire a mez- - 94 — zodì della Cima Salè, ai colli Piepulera, del Gias e Montagnotta, per scendere alla Stura presso Preinardo. In tutto questo sviluppo quella faglia porta il giurese in sovrapposizione, con contatto mec- canico, sull’Eocene di quella estesa zona che è separata, lungo la Stura, dalla faglia Preinardo-Bersezio-Argentera-Colle della Mad- dalena, dalla zona eocenica Bersezio-Enchestraye. Altra frattura obliqua meno importante in questa regione è quella del Colle Ser- vagno che porta il Trias più volte ripiegato del M. Oserot a ro- vesciarsi sul Giurese di M. Giordano e sull’Eocene di Servagno. Minori fratture traversali sono quelle dei valloni di C. Secre e di Canforat. Ritornando alla valle del Gesso, un’altra faglia meno impor- tante si mostra lungo il vallone di Roaschia alle falde di Monte Arpion, Bousson, Tetti Barilot, contrafforte N.E di R. Vacciarampi, e Rocc e Sanvimerese oltre Gesso, dove separa una strettissima sin- clinale cretacea ed eocenica dal Giurese. Allo sbocco dello stesso vallone, presso i Tetti Bandito havvi una inserzione, per duplice faglia, di un cuneo di scisti anage- nitici di aspetto permiano, ma eocenici, in mezzo ai calcari mar- morei del Giurese. Tali scisti si estendono fin presso Andonno, dove passano ad arenarie con nummuliti, e rappresentano l’estre- mità della ristrettissima sinclinale eocenica che attraversa il con- trafforte fra Stura e Gesso, pizzicata fra i calcari giuresi delle Cime Sabench e delle Piastre ^ . ^ Questi scisti anageuitico-conglomeratici si osservano alla base dql IS'um- mulitico ai vicini Tetti Manfranco e di altri lembi della stessa sinclinale nel- l’alto vallone di Roaschia. Essi dimostrano Femersione antenummulitica del massiccio del Mercantour, poiché includono ciottoli dei porfidi permiani ana- loghi a quelli dell’Abisso. Anche il Kilian trovò ciottoli di granito in arenarie eoceniche del lato occidentale del massiccio. D’altra parte il grande sviluppo di arenarie grossolane dell’ Eocene circondanti il Mercantour accenna pure alla sua emersione durante quell’epoca [arenarie del Aummulifico superiore delle valli Stura, Tinea e Pourriac (grès d’Annot) e della zona a B. ìahijrin- thìca nelle valli Roja ed Argentina]. — 95 — Tutti questi fatti mostrano quale parte importantissima ab- biano le faglie nella tettonica delle Alpi Liguri, e specialmente nella zona del Brianzonese, che noi potremmo dire zona del Colle di Tenda, per quanto riguarda la parte italiana. Ad alcune delle grandi fratture ora menzionate si collegano certamente quelle che dettero luogo ai grandi ricoprimenti deH’U- baye descritti da Kilian e Haug. Ma torniamo alla sinclinale del Mondolè. Il Trias inferiore vi è rai)presentato da quarziti ed anageniti con forme scistose e serici- tiche, però sempre abbastanza distinto dal sottostante permiano. Il Trias medio (con Encrinus liliiformis a M. Cars e nel vallone Sbornina) è essenzialmente rappresentato da calcari dolomitici con sviluppo di calcari cristallini micacei e da calcescisti talora clori- tici e localmente da banchi ottrelitici, specialmente verso la base, al contatto colle quarziti. Ai calcari dolomitici del Trias medio si sovrappongono i cal- cari marmorei, localmente con forme arenacee e con calcari sci- stosi marnosi, con banchi a Nerinee, Itierie e Corallari, certa- mente giuresi superiori e con ottrelitofiri rossi alla base ^ . A questi calcari si sovrappone la grande massa di scisti cal- cari talora arenacei, semicristallini, con marmi e arenarie grosso- lane del M. Mondolè, a cui nel lato meridionale di esso si asso- ciano zone scistose e arenacee di tipo ecocenico. Io ho precedentemente notata l’esistenza a Testa Ciandon ed a Cima delle Fasce di una coperta di calcari marnosi in strate- relli, identici a quelli che, con validi argomenti, riuscii a determi- nare come cretacei nella Valle Boja e nella regione fra il Colle di ^ Lembi giuresi cogli stessi fossili sono quelli che si incontrano alla salita dall’Ellero al Colle delle Saline e sulla strada della forra del T. Regrone, de- nominata la fascetta. — 96 — Tenda e la Stura di Cuneo C La stessa formazione scistosa si os- serva alle Roccie Camussè e Bruseis ed alla Cima di Cars, sovrap- posta ai calcari marmorei, e solo al Mondolè essa muta sensibilmente di aspetto, mostrandosi, ad esempio, di nuovo con faciès poco differente, cioè sotto forma di calcari bigi marnosi in straterelli, con esilissime patine sericitiche, a sud dell’Antoroto ed al Colle del Termine. Alle falde dell’Antoroto però analoghi calcari scistosi alter- nano con zone di calcari marmorei, per modo che si rimane dub- biosi se essi rappresentino una facies del Giurese o lembi di Cretaceo inclusi nel Giurese. L’ascrizione al Cretaceo della formazione scistosa del Mondolè non è dunque senza fondamento, non escludendo però che vi possa essere rappresentato l’ Eocene, col quale in altri punti, come a Cima delle Fasce e presso La Croce di Malabera, non è sempre facile il segnare il limite di quel terreno, che in alcuni luoghi si presenta sotto forma di calcari scistosi in straterelli molto simili a quelli cretacei, ed include lenti di calcari con nummuliti. Le forme litologiche cristalline e calcescistose della parte infe- riore del Trias medio indicate innanzi, e l’aspetto semi-cristallino dei terreni giuresi e post-giuresi della sinclinale del Mondolè, indi- cano nei terreni in essa compresi un certo grado di metamorfismo, superiore a quello che riscontrasi negli analoghi terreni nella ca- tena di culmine delle Alpi Liguri e nella valle del Tanaro, dove, se pure esistono calcari semi-cristallini alla base del Trias medio, non si trovano mai calcescisti ben caratterizzati. Alla Rocca Ferrà, presso Ponte di Nava, al Trias medio si sovrappone una formazione scistoso-marnosa e brecciosa color caffè- e-latte ad elementi di calcare dolomitico, che potrebbe rappresentare ^ S. Franchi, Il Giiiraliasico ed il Cretaceo nei dintorni di Tenda, Briga Marittima e Triora nelle Alpi Marittime. (Boll. R. Com. geol., Anno 1891, fase. 4®). — Id. Contribuzione allo studio del Titonico e del Cretaceo nelle Alpi Ma- rittime italiane. (Boll. R. Com. geol., Anno 1894, fase. 1®). — 97 — il Retico od il Lias inferiore; e su di esso poggia una potente for- mazione di calcari marmorei bigi di diverse gradazioni, a strati generalmente sottili, includenti masse più compatte, nella quale furono trovate in vari punti Belemniti. Essi corrispondono all’ana- loga formazione che si può osservare ai contrafforti orientali tanto della Cima di Marguareis che del Mongioie, interposti fra i calcari ceroidi bianchi o bigio-chiari o rosei con Belemniti, delle due vette ed il Trias medio che li sopporta. E appunto alla Rocca Ferrà, alla sommità di quei calcari bigi, grossi banchi di calcari ceroidi rosei, sovente amigdalari, con rostri di Belemniti, ivi scavati per marmi, li separano da pochi calcari marnosi tabulari-ardesiaci (Cretaceo?) e dall’Eocene, con lenti di calcare nummulitico e rappresentano, gli equivalenti del Giurese superiore di quelle alte cime. Pure una cristallinità assai limitata presentano il Trias, il Retico ed il Lias che nei dintorni di Zuccarello e specialmente nella media valle del Pennavaira, dove si presentano in serie rove- sciata b ^ Il Retico con fossili caratteristici è stato rinvenuto al Colletto di Salò (vedi Relaz. Com. geol. sulla campagna geologica 1896) e nei dintorni di Zuc- carello (Albenga). dove furono estratti molti esemplari di Terebratule, fra cui T. gref/arià e qualche esemplare di Avicnìa contorta (1890). Sono pure compresi nella stessa ristretta zona dei calcari marnosi a Corallari e scisti marnosi ne- rastri con esemplari laminati di 0. snbhnnellosa, sotto Zuccarello. Alcune escursioni di quest’anno mi permisero di seguire la zona litolo- gicamente ben caratterizzata con banchi di calcari nerastri a patina verdognola, banchi dolomitici e marnosi a terebratule e con banchi di corallari, dal Monte Ceresa a Zuccarello, quindi attraverso a M. Arena a Castelbianco ed alle falde sud di M. Lapen. jS’el versante di destra del Pennavaira detta zona tiene il basso della valle a nord di M. Castellermo e dolcemente risale verso la Croce d’Arnasco, presentando non forti pendenze, da 15® a 20®. Al disotto stanno cal- cari bigi e nerastri, soventi a strati ondulosi, con noccioli e lenti selciose, contenenti frequenti rostri di Belemniti, crinoidi ed in qualche punto Ammoniti, riferibili al Lias inferiore; al disopra si sviluppa una grande zona di calcari dolomitici bigi del Trias superiore costituenti il M. Arena e le masse di M. IN^ero di M. Castellermo. Havvi quindi un grande rovesciamento sul quale darò in seguito ulteriori notizie. ~ 98 — Nella sinclinale che è adiacente a quella del Mondolè verso nord e che si estende dal Colle delle Marzolere al Colle del Prel e scende a Bossea, per proseguire bipartita alla Cima Prajetto ed alla Cima Seriot, presentando fenomeni di dislocazioni ingenti e curiosissimi, e la cui massa calcarea si riattacca alla precedente per le masse di Cima Cu j era, che ricopre la dorsale anticlinalica che le separa, prevalgono nel tratto occidentale i calcari cristallini ed i calcescisti sui calcari dolomitici, ed anche nella parte orientale quelle roccie figurano ancora ben sviluppate, e rappresentano coi calcari dolomitici, il termine del Trias immediatamente soprastante alle quarziti, cioè il Trias medio. Cosicché noi constatiamo in due sinclinali adiacenti, separate al più da 2 km. di Permiano e Trias inferiore, due facies di Trias medio abbastanza diverse fra loro, mentre il Trias inferiore che rimane lo stesso nelle due sinclinali suddette, è specialmente costituito da quarziti ed anagenifci, con potenza fra i 300 ed i 500 metri . Nelle basse valli Ellero, Corsaglia e Casotto e in quelle minori del Maudagna e del Roburentello, che si inseriscono fra quelle mag- giori valli, mancano i terreni posteriori al Trias, e questo presenta dei complessi litologici molto differenti da quelli che ora abbiamo esaminati per la parte alta di quelle e dell’alta valle del Tanaro. E mentre nelle alte regioni la nettezza dei caratteri litologici dei due membri del Trias e del Permiano permettevano il distri- camento della complicata tettonica, nelle suddette basse regioni il passaggio frequente del Trias inferiore a forme essenzialmente sci- stoso-serici fiche con solo locali (lenticolari) sviluppi di quarziti e di anageniti, e la frequente sostituzione di calcari marmorei, di ci- pollini e di calcescisti ai calcari dolomitici, rendono la individua- hzzazione delle masse e delle zone assai diffìcile, sicché la tetto- nica rimane in certi punti assai oscura. Tuttavia, partendo da qualche profilo tratto da una regione, — 99 - dove fortunatamente il membro inferiore del Trias presentasi coi suoi caratteri ordinari e con tettonica ben distinta, ci sarà pos- sibile affermare l’esistenza nelle prealpi monregalesi di un Trias medio a facies mista di calcari dolomitici fossiliferi con calcari marmorei, cipollini e calcescisti e lenti di roccie verdi serpentinose ed anfìbolitiche, offrendo così un nuovo argomento in favore della età secondaria della zona delle pietre verdi, che prima d’ora ripe- tutamente affermai essere rappresentata nei terreni secondari dei dintorni di Mondovì, fra Villanova e Monfìeis e fra San Michele e Torre (SulVetà mesozoica della zona delle pietre verdi, Boll. R. C. GeoL, 1898). Siccome verrà meglio chiarito in seguito, lo Zaccagna affermò fin dal 1887 la presenza di un Trias con calcescisti, cipollini e marmi e calcari dolomitici nella valle Corsaglia; solamente egli lo credeva cosa distinta dalla zona delle pietre verdi. Le regioni presentanti così differenti facies dei terreni triasici sono fra loro separate da una grande zona anti cimale di cui primo lo Zaccagna aveva dimostrato avere grandissima importanza nella struttura delle Alpi Liguri, cioè quella Eric Mindino, M. Alpet, pressi di Frabosa (vedi la Carta geologica di A. Issel, L. Mazzuoli e D. Zaccagna pubblicata nel 1887), nella cui prosecuzione verso est, oltre Tanaro, affiorano il Carbonifero di Calizzano e le roccie gneissiche ed anfiboliche, che secondo Rovereto sarebbero assimi- labili alla formazione gneissica precarbonifera del Savonese. Tra il Eric Mindino e Pamparato, come a M* Alpet ed al Besi- mauda, trasversalmente alla cui massa si notano 10 km. di potenza di porfidi quarziferi e roccie derivate, la zona anticlinale suddetta è pure essenzialmente costituita da porfidi e da forme di laminazione metamorfosate, e subordinatamente, specialmente presso il contatto colle quarziti del Trias inferiore sulle quali si rovescia, da scisti sericitici, nei quali soventi sono riconoscibili elementi porfìrici. Le roccie porfiriche più sviluppate sono bigio-verdiccie scure a grandi feldspati, offrenti soventi l’ aspetto di gneiss ghiandoni, e che per forti laminazioni e contemporanea metamorfosi si trasformano in specie — KJO - di gneiss e micascisti cloritici e sericitescisti ^ Il medesimo tipo si ritrova sviluppatissimo su larga estensione fra il Colle del Termine ed il Pizzo d’Ormea, e non manca nella massa del Besi- maucla, alle falde orientali, presso San Bartolomeo, dove trovansi forme di passaggio ai porfidi quarziferi a grana più minuta. A Nord di quella grande anticlinale seguono numerose pieghe, le quali sono generalmente ribaltate verso settentrione, come già indicò lo Zaccagna. Alcune delle cerniere di tali pieghe, rialzandosi in corrispondenza della valle dell’ Ellero, il Trias di esse è stato completamente abraso nel contrafforte tra questa valle e il Pesio, nel lungo tratto fra la cima delle Piastre ed i pressi di Roccafforte, mentre invece fra 1’ Ellero e la valle Maudagna si notano lungo il crinale cinque sinclinali di Trias inferiore, includenti rocqp cal- caree del Trias medio: 1° quella della Colletta di Marzolere; 2° quella assai sottile di T. Pianassi, a sud di B. Fornelli; 3° quella più impor- tante di Cima Castelletto a nord di Miroglio, che si collega alle masse calcaree di Frabosa; 4° quella della falda nord di Punta Tamerla ; 5° quella delle Case Villaret, i cui calcari dolomitici si collegano attraverso V Ellero alla grande massa dei calcari dolomitici, coi noti fossili, di Villano va-M ondo vi. L’ esame della costituzione di dette sinclinali, seguendo il pro- filo fig. 1, Tav. Ili, ci servirà di opportuna introduzione alle diverse questioni che ci proponiamo di trattare in questo breve scritto. Al Colle Marzolere, a Sud di Prea (V. dell’ Ellero), un salto brusco porta a contatto i calcari dolomitici e marmorei ed i calce- scisti col permiano della costa Cima Roncalin-Cima Durand, roccie calcaree quelle che sono il termine occidentale della importante sinclinale Colle di Prel-B ossea a nord di Monte Moro, la quale ’ Una striscia di questi porfidi perfettamente zonati ed a grandi inclusi felspatici, ricordante un po’ certi gneiss ghiandoni. ma conservante tutte le ca- ratteristiche microscopiche dei porfidi, si trova presso il diruto casotto di caccia del Re nell’alta valle Casotto, dove sopporta quasi direttamente le quarziti ed anageniti del Trias inferiore. — 101 — per la Cima Cu j era si collega coi calcari dolomitici di Costa Bella, che servono di imbasamento ai calcari giuresi ed alle formazioni più giovani (Cretaceo ed Eocene?) che costituiscono la massa sin- clinale del Mondolè. Al contrafforte ovest di Monte Malanotte, presso il limite dei calcescisti e calcari tabulari micacei colle quarziti ed anageniti, nel basso del pianoro di Pranevoso sono banchi di roccie scure, zeppe di minuti cristalletti di cloritoide, ricordanti alcuni ottrelitofìri gra- fìtici delle Alpi Apuane. Il salto suddetto si protrae quindi verso sud lungo Y alta Mau- dagna e volge a Colle Bausano, dove separa il Permiano ed il Trias dalla massa del Mondolè, al Gias Culatta ed a Monte Grosso. Le quarziti del Trias inferiore del ramo sud di quella prima sinclinale triasica dissimmetrica, che dirò di Bossea, si trovano solo in fondo al vallone, mentre quelle del ramo nord costituiscono la Cima Marzolere, in zona larga 150 metri, a banchi raddrizzati. La falda nord di detta cima è in gran parte in porfidi a grande inclusi felspatici, e le due piccole testate a sud di B. For- nelli sono in quarziti, con una sottile pizzicatura di calcari quella quotata 1294, ed in calcari, con bordatura simmetrica di scisti seri- citici, che li separano dalle quarziti, la testata minore che segue più a nord. Sarebbero due piccole sinclinali calcaree rappresentate da sottili lembi del fondo della loro cerniera. Queste sinclinali finiscono ai due lati delle dette testate, poiché la costa ribassata di Baracco è tutta in porfidi e roccie porfiroidi, e la grande massa anticlinalica di Monte Moro è quasi tutta in quarziti ed anageniti che ivi hanno eccezionale sviluppo. Dalla Cima Fornelli alla Cima Friosa è un alternarsi di banchi e zone di quarziti ed anageniti, soventi a grandi ciottoli quarzosi. Tali roccie sono disposte ad anticlinale chiara a B. Fornelli, e pre- sentano una disposizione sinclinale presso la bassa di Friosa, mo- strando a nord di essa banchi raddrizzati di anageniti grossolane di cui sono formati le aspre rupi del contrafforte sud-est di Cima — 102 — Friosa ed il costolone che si stacca dalla falda occidentale di B . Eo- darera. Nel tratto ribassato di crinale, tra la Cima Friosa (B. Mondo- glia della carta al 50,000) e B. Miroglio, s’incontrano le roccie porfìriche di un’ anticlinale permiana che si stacca dalla massa del B. Acacio, ed attraverso il Maudagna. sopra Miroglio. Al disopra di questo abi- tato la valle è attraversata dalle quarziti ed anageniti del ramo meridionale di una terza sinclinale molto importante, quella di Frabosa, di cui già trattò lo Zaccagna. I banchi di quelle roccie quarziticbe costituiscono il B. Miro- glio fino alla sua falda nord, e si dirigono verso est alla Cima del Fai, rovesciandosi sulle roccie calcaree della Cima Castelletto, che rappresentano la prosecuzione della massa in cui sono aperte le note cave di marmo di Frabosa. Lo Zaccagna parlando della massa marmorea di Frabosa non esita ad equipararla cronologicamente alle masse fossibfere di Vil- lanova-Mondovì ed alla massa calcarea di Montalto, « la quale consta di un miscuglio di calcare di tipo di Villanova (calcare dolomitico bigio-crista liino), di calcescisti e di cipollini, che dominano special- mente dove essa è tagliata dal Corsaglia ». E malgrado la costituzione litologica notevolmente diversa di questa zona sinclinale calcarea non vi ha dubbio che essa debba riferirsi al Trias medio, per la sua chiarissima inserzione in una sinclinale di Trias inferiore tipico, il cui ramo meridionale corre dal B. Miroglio alla Cima di Fai, e quello settentrionale, con potenza ben maggiore, costituisce l’alta cresta P. Bricca-B. Foltera e tutte le pendici verso il Maudagna, che ne taglia i banchi anagenetici in rupi altamente pittoresche, a valle di Miroglio. La massa calcarea di Cima Castelletto è costituita da calcari marmorei-cristallini, soventi micacei, in alcuni punti vivamente con- torti, passanti talvolta a forme calcescistose e includenti lenti assai •limitate di calcari dolomitici (nella piccola conca ad est della più alta cima), ed è separata dalle quarziti della Bricca da una ben 103 — sviluppata zona di scisti sericitici sui quali verdeggiano, quali oasi fra tanta nuda roccia, i prati delle Stalle Castelletto. La stessa massa calcarea alle falde di Cima del Fai, in destra del Maudagna, è costituita oltre che da calcari marmorei da veri calcescisti presso la fornace (quota 976 m.) a sud di Craverola. Xel tratto della Costa Invernazza che sta a sud di C. Pozzo, tra il B. Foltera e la P. Tamerla, havvi un ritorno di Permiano, per mezzo di un’anticlinale amplissima verso l’Ellero (radicantesi tra Menzano e Norea), ma in quella costa restringentesi rapidamente per terminare poco ad oriente a cuneo, in mezzo ad un grande sviluppo di Trias inferiore. Su questo, in modo tettonicamente poco chiaro, è deposta la piccola massa calcarea della cima quotata 956 m. a N.N.O di Frabosa Sottana. Le roccie calcaree del Trias medio riprendono a nord della P. Tamerla, dove formano una sinclinale complessa, la cui piega più profonda si manifesta nella ristretta zona di calcescisti, rove- sciati verso nord, che, ad occidente di S. Maurizio, vengono a con- tatto colle quarziti delle cave del Castello di Roccaforte ; zona questa che più ad oriente, nella regione Lulla, si allarga e com- prende una potente massa di calcari marmorei con qua e là poco calcare dolomitico. E’ questo un complesso litologico analogo a quello della sin- clinale di Frabosa, ma con un maggiore e più schietto sviluppo di calcescisti, talora fìlladici, e di fìlladi. Nella Costa di S. Matteo, a sud di C. Bragasso, una larga I zona di scisti sericitici separa i calcescisti dalla massa di calcari I dolomitici che costituiscono la estremità nord di quella verso I S. Matteo. Sono in dubbio se questi scisti debbansi considerare I come una forrna argillosa metamorfica (filladica) del Trias inferiore I che a N.O di Roccaforte, alla Costa Neranotte, affiora tra due masse di calcari dolomitici, ovvero come equivalenti dei calcescisti. In , questa ultima ipotesi il Trias inferiore nella zona suddetta sarebbe rappresentato da una ristrettissima zona di quarziti presso la casa — 104 — di quota 628 ; zona che sarebbe ivi in anticlinale forteménte lami- nata, equivalente dell’ ampia anticlinale di Monte Borello già da me altra volta illustrata con un profilo (SulV età mesozoica, ecc. p. 327). Intanto l’esame del precedente profilo, parallelo ad un tratto del corso dell’ Ellero, ci ha mostrato il Trias medio con una co- stituzione litologica particolare, ben diversa da quella delle alte regioni delle Alpi Liguri, e comprendere talora quasi esclusivamente calcari marmorei più o meno micacei, calcescisti e filladi, che local- mente sono talora molto sviluppati. Dico fin d’ora che il termine di calcescisti ivi usato corri- sponde esattamentte alla definizione petrografica colla quale lo si è adoperato finora parlando della zona delle pietre verdi, e lo stesso dovette intendere il mio collega Zaccagna nei brani sopra ricordati, senza di che egli non avrebbe mancato di farlo notare, descrivendo egli nello stesso lavoro un profilo attraverso alle Alpi Cozie, dove i calcescisti tipici, contenenti le pietre verdi, hanno un grande sviluppo. Ho voluto incominciare parlando di un profilo la cui tettonica è molto chiara e non lascia dubbio sull’ età fcriasica di diverse zone di calcescisti, per parlare in seguito della adiacente regione, tettonicamente meno chiara, attraversata dal T. Hoburent, dal Cor- saglia e dal Casotto, dove le associazioni litologiche sono analoghe, ma dove havvi un grande sviluppo di calcescisti, presentanti in varii punti delle intercalazioni di roccie verdi identiche a quelle delle Alpi Cozie. In questa regione la tettonica è molto complicata e difficilmente districabile ; però le osservazioni litologiche ed i pas- saggi frequenti fra calcari dolomitici e marmorei, e tra questi e cal- cescisti sono così chiari ed evidenti, le loro intercalazioni con quarziti, anageniti e scisti serici tici sono così ripetute e la continuità di alcune di queste masse calcari con qualcuna del profilo prece- dentemente descritto è così manifesta, che non può rimanere alcun dubbio che non si tratti sempre della formazione triasica ora esa- minata nella parte più occidentale della stessa regione. — 105 — Già dissi come la grande anticlinale permiana B. Mindino- P. Stopè-M. Alpet si rovesci cogli strati delle sue roccie porfì- riche laminate e metamorfosate sulle quarziti del Trias inferiore. Queste hanno un affioramento non interrotto dal B. Ravaira oltre il T. Mongia per le falde nord di Piano Stopè al Castelluccio di Pam- parato, quindi per la Serra Sciandre, le falde nord del B. Colme e il B. Vermaglio, giungono al Corsaglia, a’ pressi di Straluzza (M. Sapel) e vanno a collegarsi colle quarziti del B. del Fai del ramo sud della sinclinale di Frabosa, mantenendo in generale direzioni poco disco- ste dalla E-0. Però più a nord gli andamenti delle pieghe sono molto irregolari, per cui riescirebbe quasi impossibile indicarne si- stematicamente l’individualità, gli andamenti e la successione. La zona di quarziti con anageniti suddetta lascia incerti se essa costituisca una pizzicatura sinclinale ristretta ovvero il solo ramo meridionale di una grande sinclinale. Includendo essa nel suo mezzo a guisa di amigdale una massa dei calcescisti e dei calcari mar- morei a nord di Serra e la maggior lente delle stesse roccie del contrafforte S.E di Monte Paylà ad est di Frabosa, dove sono aperte cave di marmo e di calcescisti, sembrerebbe più logico il ritenerla come una sinclinale laminata, malgrado che siavi una dif- ferenza notevole fra il complesso roccioso delle zone che la fiancheg- giano, e malgrado le intercalazioni in lenti isolate e poco potenti di calcari marmorei e di calcescisti nel complesso di scisti serici- tici molto cristallini, con locale sviluppo di attinoto e di cloritoide, che a nord di essa si osservano, e singolarmente nei dintorni’ di Pamparato. E’ indubitato però che a nord di questo villaggio il T. Casotto taglia una potente massa di Permiano, costituito da porfidi a grandi felspati, 'porfidi ghiandoni, generalmente laminati e metamorfosati, in mezzo ai quali si presentano pure masse poco potenti con forme granitoidi, come in qualche punto della Costa Bardella e più a nord. Il Permiano a facies porfirica costituisce ivi come un ellissoide 8 — 106 — allungato da nord a sud, ed è ricoperto da una potente zona di roccie 'porfiroidi laminate, scisti sericitici che qua e là passano a scisti quarziti ci e raramente a vere quarziti, sulle quali riposano in di- versi punti importanti masse di calcari dolomitici, presentanti talora delle sifonee indeterminabili. In alcuni punti, ad esempio nel profondo taglio del Corsaglia a N.O di Monasterolo, verso la base delle roccie scistose e più in alto verso il Eric Ferma il Gallo sono diversi banchi, di cui alcuni potenti, di roccie anfiboliche zonate ricche in glaucofane, ed a nord dell’abitato suddetto, nella parte superiore degli scisti lucenti seri- citici, havvi frequente sviluppo di cloritoide, che trovasi pure presso S. Colombano nelle roccie porfiroidi laminate, e in molti altri punti. Le roccie a glaucofane suddette sono chiaramente intercalate nelle roccie scistose del Permiano a N.N.O di Monasterolo e negh scisti sericitici poco a mezzodì di Nostra Signora del Pilone (B. Ferma il Gallo). Quattro principali masse di calcari dolomitici circondano V elis- soide permiano suddetto ; due sul contrafforte tra il Casotto ed il Mongia, la prima fra la regione Grif e la Colla Bassa, l’altra fra T. Vallardita ed il Eric omonimo, dove presenta diplopore, ad oriente di Monasterolo. Queste due masse si riuniscono poi nella valle del T. Mongia. Calcari dolomitici si osservano quindi in masse minori, alter- nanti con scisti lucenti sericitici calcariferi o no, fra la Madonna di Codevilla, il Monte Soja e le falde del B. Toselle, dove giunge la coperta oligocenica. Altre masse calcari dolomitiche con calce- scisti e calcari marmorei, ad andamenti poco chiari, comprendono delle quarziti ed anageniti (C. Michelotti) nel versante destro del Ca- sotto che termina al B. delle Bocchette, dove giungono i calcari dolomitici a diploplore della grande massa di Torre-Mondovì. Ma veniamo alla determinazione delle altre due grandi masse di calcari dolomitici, alle quali accennai precedentemente. - 107 — La terza delle suddette masse è quella intersecata dalla strada di Pamparato fra C. Galliani (Codevilla) e Lorie, ed in mezzo alla quale è l’abitato di R-oburent. Essa forma le cime di B. Rolanda e del Bricasso, con struttura carsica, talché dalle frequenti doline imbutiformi e dalle caverne, la regione prese il nome di I Buzi (I buchi). Sono calcari dolomitici bigi più o meno scuri, a stratificazione imperfetta, che vengono al loro contatto inferiore a sovrapporsi agli scisti sericitici lucenti, talora quarzosi, talora filladici va^ ricolori. Il Rio Roburentello limita tale massa ad occidente tra C. I Nasi ed i pressi del molino di Codevilla, dove però il calcare diventa marmoreo, ed include solo amigdali brecciate di calcare dolomitico, alle falde della rupe quotata 884 m. Ivi presso gli scisti sericitici, con quarziti ed anageniti sviluppate localmente (R. Giar- dina, R. Parocie) seguendo l’andamento N.N.O della massa cal- care si sovrappongono ad essa, lasciandone due testimoni isolati tra B. Risone e T. Carletto, e più giù attorno al km. 12 sulla strada di Pamparato. Nella prosecuzione della massa calcarea verso N.N.O non si tro- vano più che i calcescisti della massa di Montaldo, presentanti qua e là lenti a dimensioni ridotte di calcari marmorei. Ad occidente della massa calcarea sopra descritta, fra gli scisti sericitici e filladici, sono lenti e zone quarzitiche, ed altre masse calcari essenzialmente marmoree che voglio subito indicare. Una minore fra Bric della Croce ed il B. Roccarina, presentante ivi bella struttura carsica, con ampie doline, l’altra molto più ampia di I B. Marole-B. Rivoera, che si estende in direzione N.O per ter- I minare biforcandosi a C. Roatte e presso Roà di Volpe, dove è se- , parata per mezzo di scisti sericitici dalla bella massa di quarziti ed anageniti Deviglia-Bric Roccon, che il taglio profondo del Cor- saglia mostra nettamente foggiata ad anticlinale grandiosa. Quello dei rami di detta massa calcarea che termina sopra C. Roatte riprende sotto C. Lardini, e si prosegue nelle masse di I — 108 — calcari marmorei e brecciati (scavati per marmi) di B. Boccon, poscia in quelle di calcarei marmorei tabulari scavati nei dintorni dell’a- bitato di Bertolini (tav. Frabosa Soprana al 25,000). Questi calcari con altre zone più sottili che s’intercalano fra scisti sericitici e quar- zitici alle falde di Monte Cervetto, corrispondono al fascio complesso di pieghe di roccie calcari della falda settentrionale del Bric Ta- merla, del profilo precedentemente descritto. I depositi quaternari antichi, a grandi blocchi che si sviluppano nei colli fra Serra San Giuseppe e la Serra di S. Luigi, le alluvioni del Maudagna ed alcuni lembi di Oligocene impediscono di vedere il collegamento di quelle zone calcaree-calcescistose, ma la loro corrispondenza non è dubbia. Ho voluto tener dietro verso N.E al proseguimento della massa calcarea anticlinale di Bric Rivoera, interessante essa pure per la sua morfologia carsica, specialmente presso C. Molinari, perchè essa è la più settentrionale fra quelle il cui sviluppo si può seguire su lunga estensione e fino al profilo anzi descritto, essendo quelle più a nord ricoperte nelle loro parti occidentali dai depositi miocenici e dalle alluvioni dell’ Ellero fra Villano va e Mondovì. Ora siccome la massa calcarea che si trova immediatamente a settentrione della zona suddetta presso l’EUero è la massa S. Mat- teo-Villano va, largamente tagliata da quel torrente, così è facile vedere che ad esso corrisponde la massa calcarea dolomitico-mar- morea di Roburent (R. Buzi-Bricasso) ; e, visti gli andamenti N.O-S.E dominanti nei dintorni di Torre-Mondovì, le masse cal- caree che in quella direzione si incontreranno non avrebbero più le loro corrispondenti verso occidente, le quali sarebbero occultate dal quaternario che sta a nord di Villanova. Ciò premesso passiamo a discorrere della quarta delle grandi masse di calcare dolomitico che stanno attorno alla imperfetta el- lissoide permiana della Costa Bardella (Pamparato-Monasterolo). Di quella massa calcarea non è chiara la prosecuzione a nord del T. Casotto, ma a sud di esso la si tocca dai pressi di C. Aschieri fin presso i casali di Casotto soprano. Il suo limite S.E passa presso — 109 — la vetta del B. Ferma il Gallo, dove confina con scisti quarzitici con inserzioni di anfiboliti sodiche (a glaucofane) poco discosto di S.^ del Pilone, costituendo essa il Monte Curto ed il basso dei contrafforti orientali della Collina S. Giorgo, costituita da scisti fil- ladici-sericitici. Lungo questo limite sonvi quarziti compatte rap- presentanti il Trias inferiore presso C. Vignati in fondo al vallone, ed a mezzodì della Madonna del Pilone sono pochi calcescisti con calcari cristallini alternanti, che si interpongono fra calcari dolo- mitici e certi scisti quarzo-sericitici che dobbiamo ritenere equiva- lenti al Trias inferiore. In questi sono le lenti di anfiboliti sodiche. Il limite N.O passa a circa 400 m. a sud della Koata Soprana e scende fin presso a Borbera nel vallone omonimo. Lungo questo limite ai calcari dolomitici, talora con crinoidi, si addossa concor- dantemente una potente zona di scisti filladici, che a loro volta sono ricoperti da calcescisti, con intercalazioni sottili di calcari cristallini arenacei e con rare e sottili lenti di anfiboliti sodiche. E’ utile se- gnalare fra queste la lente che si trova fra Borbera e Costa e l’altra che si incontra a 200 m. dallo stradale sopra una carreggiabile di- campagna che da quello si stacca appena usciti dal villaggio di Torre verso Roburent. Chi salga da Torre a S. Elena attraversa una grande massa di calcescisti con pendenza a nord; i quali al punto quotato 690 sono ricoperti alla sommità del crinale da un residuo del deposito ciot- toloso dell’Oligocene fin presso S. Bernardo, dove già affiorano le filladi micacee fino alle radici del contrafforte verso Bric del Frate. I calcescisti suddetti presentano intercalazioni di banchi do- lomitici presso il punto 672 e più oltre verso Piazza, e alla chiesa di questo borgo sono ricoperti dalla grande massa di calcari dolomi- tici, presentante in più punti diplopore, che forma lo sperone di S. Pio, il contrafforte S.O di B. della Rocchetta, e che è incisa dal Corsaglia, lungo le cui sponde affiora fin presso C. Quarelli. Ivi i passaggi fra calcari dolomitici e calcescisti sono, secondo che affermai altra volta, chiarissimi e ripetuti. - 110 — Alla stessa massa appartengono i calcari dolomitici dell’estre- mità del contrafforte di Montaldo fra Roburentello e Corsaglia a nord del Martinetto,, dove s’addossano ai calcescisti, e quelli costi- tuenti i contrafforti di Eric Pasquin fra le IMoline ed il Rio Mar- settasco. Sono lembi della stessa massa poggianti su calcescisti e ricoperti dall’ Oligocene i calcari dolomitici che affiorano fra C. Pasquin e S. Matteo, su pel vallone delle Molline, ed i lembi affioranti fra quel terreno a C. Grassi, a C. Gherbo, a C. Melo. E’ dubbio se sotto di esso si colleghino con essa le piccole masse di calcari dolo- mitici affioranti nel vallone Arinella, dove, presso C. Bossi, vengono a contatto colle quarziti di cui è formato il monte quotato 593, e che sono incise dal torrentello fino a poca distanza dalla confluenza col T. Ermeno, poco lungi dal Santuario di Vico. Lo stesso si dica delle masse limitate di calcari dolomitici e di quarziti affioranti fra l’ Oligo- cene presso Monastero di Vasco. Air infuori delle masse dolomitiche summenzionate a jST.E della estesa sinclinale marmorea calcescistosa B. Rivoera-B. Roccon- R. Luffa, che dirò sinclinale S. Anna di C oliar ea-Boccaforte, il Trias è rappresentato essenzialmente da una formazione di calcescisti con lenti di calcari marmorei o tabulari micacei, con zone di scisti filla- dici e rare lenticciuole di roccie a glaucofane, formazione che dirò dei calcescisti di Montaldo- Mondovì. Essa, fra il Ponte Soprano e il Mar- tinetto, è tagliata per circa cinque chilometri dal Corsaglia, lungo ii quale è possibile esaminarne assai bene la costituzione, gli anda- menti e le pendenze che variano ripetutamente. La stessa forma- zione fra il B. delle Vigne (all’est di Montaldo) e i pressi di Mona- stero, dove viene ricoperta dal Miocene, la si osserva sopra 6 km. nel senso della direzione degli strati. Presso il Ponte Sottano, sul Cor- saglia, delle breccie e dei calcari dolomitici si vedono far passaggio ai calcescisti, non diversamente da quanto si osserva per le più frequenti lenti di calcari cristallini, soventi micacei e cloritici. In questi calcescisti e nelle masse di calcari cristallini inter- calate sono aperte qua e là cave di marmi per lastre, scalini, da- — Ili — vanzali come quella indicata nella carta come cava di gneiss sulla strada da Torre a Roburent (tav. Pamparato al 25,000), dove sono invece calcescisti gneissiformi, riccamente micacei e cloritici. I passaggi frequenti dai calcescisti ai calcari marmorei e da questi ai calcari dolomitici tipici del Trias, talora con fossili, non lasciano dubbi sulla equivalenza di quelle tre forme rocciose, come forme laterali concomitanti di uno stesso terreno, il Trias medio (e forse anche superiore), anche indipendentemente dalle osserva- zioni fatte più ad occidente nella valle dell’ Ellero, dove la sincli- nale marmorea-calcescistosa Roccaforte-S. Anna di Collarea ha la sua evidente prosecuzione. Interessanti sono i rapporti fra i calcescisti e le quarziti ed anageniti della bellissima anticlinale di Trias inferiore, tagliata dal Corsaglia fra il Ponte dei Gorrazzi ed il Ponte Soprano, formanti le caratteristiche rupi del Eric S. Bernardo e di Deviglia da un lato, e quelle della cima quotata 786 m. dall’altro. II contatto fra la formazione calcescistosa e la quarzitica avviene circa 180 m. a S.O del Ponte Soprano, proprio in corrispon- denza di banchi calcari cristallini arenacei e calcareo-quarzitici con rubellana, contenenti in lenticciuole e straterelli il minerale di man- ganese che dette luogo a ricerche minerarie. Fra S. Bernardo e Deviglia una zona di scisti sericitici si sovrap- pone all’ anticlinale quarzitica, e sopporta a sua volta la grande massa calcareo-marmorea B. Marole-B. Rivoera, che, siccome già è stato detto, su quella anticlinale si biforca, ed il cui ramo S.O forma la più volte citata sinclinale Roccaforte-S. Anna di Collarea. Il ramo N.E presso Roà di Volpe presenta uno sviluppo di calcari cristallini grossolanamente arenaceo-quarzosi con passaggio a calce- scisti della grande massa di Montaldo, la quale così, tanto per i suoi rapporti col Trias medio che col Trias inferiore ben caratte- rizzati si manifesta come certamente triasica. I calcescisti della regione di cui discorro eran ben noti allo Zaccagna che ne parlò descrivendo le pieghe del versante setten- — 112 — trionale del suo profilo attraverso le Alpi Marittime, dove parla della massa calcarea « di Montaldo, pure assai estesa, e formata dall’ insieme di due di queste pieghe minori, la quale consta di un miscuglio di calcare del tipo di Villanova di calcescisti e di cipollini che dominano specialmente dove essa è tagliata dal Corsaglia ». Noto che è appunto in questa massa di calcescisti di Montaldo che, presso Torre, sono inserite le piccole lenti di anfiboliti sodiche (a glaucofane) citate innanzi. Nel mio lavoro « Sull’età mesozoica della zona delle pietre verdi » cercavo di dimostrare l’età triasica della formazione cal- cescistoso-filladica con masse di serpentine che viene a contatto coi calcari fossiliferi di Villano va-Mondo vi, dando un profilo tra la valle dell’ Ellero e la pianura di Pianfei h Nello stesso lavoro “ parlavo dei calcescisti con lenticciuole di serpentina, che sono incisi dal Corsaglia a valle di C. Quarelli presso Torre-Mondovì e che mi parevano sottoposti ai calcari dolo- mitici. Vero o no questo rapporto di posizione, non parmi possa esservi dubbio sull’ età consecutiva di quelle due forme rocciose che presentano contatti per concordanza assoluta. D’ altra parte non vi sarebbe ragione per supporre l’esistenza a contatto colla stessa massa dolomitica di calcescisti e filladi con serpentine arcaici e di altri secondari con anfiboliti glaucofaniche. Nelle valli ad oriente del Casotto havvi un affioramento di cal- cescisti con pietre verdi presso Mombasilio, più oltre ne indicò pure lo Zaccagna a Poggicosta, a Nucetto e presso Bagnasco nella valle del Tanaro, dove masse di pietre verdi figurano nel Trias inferiore ^ E a Biestro, nella regione fra Tanaro e Bormida, lo Zaccagna ^ Boll. E. Com. geol., 1898, p. 327. 2 Id. id., p. 214. ® Vedasi in D. Zaccagna: Osservasioni geologiche sulle Alpi occidentali, 1887; 9 la Carta geologica delle Alpi marittime di Issel, Mazzuoli e Zaccagna, 1887. — 113 — rilevò nella scorsa campagna geologica diverse masse di roccie verdi (serpentine, diabasi) inserite in quella zona di scisti, che nelle Alpi marittime si interpone quasi costantemente fra le quarziti del Trias inferiore ed i calcari del Trias medio, costituendone come un ter- mine di transizione. Altre masse di roccie verdi associate coi cal- cari del Trias furono rilevate dallo Zaccagna presso Millesimo. Nella valle della Bormida si osserva presso Cairo il passaggio -dai calcari dolomitici ai calcescisti, passaggi che si osservano poi fra i calcari dolomitici di diverse masse e gli scisti plumbei, che dei calcescisti tengono il posto nella regione fra Cairo e Cairo-Monte- notte, dove pure si sviluppano frequenti masse di roccie verdi. Alcune di queste masse sono accompagnate da radiolariti me- tamorfosate (con granato, glaucofane, crocidolite) h Quelle di C. delle Isole sono però separate da una massa di eufotide da una zona calcareo-calcescistosa. Quei passaggi, gli scisti a radiolarie di C. delle Isole e la sovrap- posizione di eufotidi con serpentine ad una gran massa di calcare dolomitico alle falde di Eric del Giogo e di Cima della Biscia, sono fatti più volte da me ricordati dal 1901 in poi, come provanti diret- tamente l’età secondaria delle pietre verdi liguri Sicché, quantunque non sia possibile lo stabilire definitivamente in tutti i suoi particolari la tettonica intricata della regione l’ esi- stenza nel versante settentrinale delle Alpi Liguri di una estesa for- mazione calcescistosa con serpentine ed anfiboliti sodiche, intima- mente associata con calcari marmorei e calcari dolomitici fossiliferi ^ Vedasi perciò il mio lavoro: Contribuzione allo studio delle roccie a glaii- cofane ecc. Boll. R. Com. geo!., Anno 1902. ^ Vedasi quello che è detto a proposito della riunione della Società geolo- gica di Francia nel settembre 1905 a Torino nel Boll. R. C. geol., 1905, n. 4. ® Ad esempio è finora inesplicata la presenza di un grande pilastro di quar- ziti a strati leggermente inclinati verso nord nel letto del Corsaglia, presso il ponte sul vallone di Berbera, all’uscita di Torre; così pure è della diretta sovrapposi- zione dei calcescisti, presso il limite loro colla grande massa di calcari dolomitici. — 114 — del Trias medio, rimane un fatto pienamente acquisito, dopo le osservazioni dello Zaccagna e le mie. E se si pon mente che la zona anticlinale permiana Eric Min- dino-M. Alpet corrisponde tettonicamente alla più settentrionale fra le pieghe in cui è logico supporre si suddivida la grande massa per- miana del M. Besimauda, alla quale si collega per mezzo dell’ an- ticlinale di Miroglio, e per M. Agacio e Cima della Pigna; e se si riflette alla continuità fra il Permiano del Besimauda e il Permo- carbonifero della grande zona delle Alpi Cozie, già da me conside- rata avere struttura a ventaglio anticlinale, salta tosto agli occhi la chiarezza e la semplicità di un fatto, che si può così enunciare: Una medesima zona permo-carhonifera di ampiezza varia ma continua, a struttura anticlinale più o meno complessa, separa, tanto nelle Alpi Cozie che nelle Alpi Liguri e nei contrafforti intermedi fra la Stura e la V ermenagna, delle regioni presentanti due differenti sviluppi di Trias, quello a facies hrianzonese alV esterno, quelli a facies cristallina o mista di calcari dolomitici con calcari cristallini e calcescisti con pietre verdi, alV interno della zona suddetta, rispetto alVarco alpino. A quelli che tennero dietro alle discussioni avvenute sull’età della zona delle pietre verdi delle Alpi occidentali non sfuggirà certo la grande importanza deH’enunziato precedente, poiché esso, mostrando la continuità dalle Alpi Cozie alle Alpi Liguri di un Trias a facies mista con calcescisti, pietre verdi e calcari dolomitici, all’ in- terno di una certa zona permo-carbonifera, rende manifesta la iden- tica struttura anticlinale di quella zona nelle due sezioni delle Alpi. E siccome la struttura a ventaglio anticlinale per il Permo-carbo- nifero delle Alpi Liguri è un fatto ormai fuori discussione, analoga struttura, come io con discussioni e profìii ho cercato di dimostrare, fin dal 1898, deve essere ammessa per il Permo-carbonifero della grande zona delle Alpi Cozie meridionali. Parimenti la dimostrata struttura a pieghe ripetute coricate verso l’interno dell’arco alpino del Trias a facies mista delle Alpi Liguri viene a confermare la analoga struttura sinclinale com- — 115 — plessa della zona delle pietre verdi delle Alpi Cozie (zona sinclinale del Monviso), da me dimostrata nel 1898. Ma l’importanza dell’ enunciato suddetto è pure maggiore per la luce che da esso viene indirettamente sull’età della grande massa di roccie verdi del gruppo di Voi tri, dimostrata, come dissi, secon- daria per altra via. La grande zona permo-carbonifera M. Alpet- Bric Mindino di cui si è parlato dianzi si collega a quella delle Alpi Liguri orientali delle valli Bormide, a nord della quale affiora solo in lembi il Trias, addossato al Permiano od in spuntoni in mezzo al Tongriano. Sotto di questo terreno però, in grazia dell’ enunziato prece- dente, noi dobbiamo ritenere si prosegua il Trias a facies mista della valle Corsaglia a contatto colla zona permo-carbonifera, nel suo lato settentrionale, ampiamente sviluppato, sia pure con cambia- menti di costituzione litologica, fino alla Bormida di Spigno, dove esso si immedesima colla massa di pietre verdi di Voltri. L’enunciato precedente, legando fra loro in una sintesi gli affio- ramenti discontinui di calcescisti con pietre verdi nel versante settentrionale delle Alpi Liguri, ci mostra la loro assoluta continuità, malgrado che nel passaggio da queste al gruppo di Voltri si os- servi un grande mutamento nel complesso litologico, analogo a quelli che pure si notano nella zona dalle pietre verdi delle Alpi Cozie e Graie, ad esempio nel passaggio dalle regioni circuenti il Monviso alla massa di questo, in cui hanno tanto eccezionale sviluppo le pietre verdi, come nel gruppo del Bocci avrò e nelle valli di Lanzo. Questi risultati del rilevamento dello scorso anno mostrano una non inattesa estensione di fatti enunciati precedentemente, ed hanno un grande valore di conferma dell’affermazione da me fatta sulla continuità della zona delle pietre verdi secondarie dall’ Appennino ligure alle Alpi Pennine h ^ Ancora sulFetà mesozoica della sona delle pietre verdi (Boll. R. Comitato geol., 1904, p. 159 e 177). I — 116 — Per chi creda secondari i calcescisti del versante settentrionale delle Alpi Liguri non è più lecito affermare una diversa età (pre- paleozoica od arcaica) per i calcescisti delle Alpi Cozie, trattandosi di due parti di un solo tutto stratigrafico e tettonico. Ancora alcune osservazioni io desidero esporre in riguardo alle Alpi Liguri. Anzitutto si deve notare che dei calcescisti e dei cipollini se ne trovano alla base del Trias medio in vari punti dell’ alta valle Corsaglia e nella valle del Tanaro, all’ esterno della zona permiana anzidetta; però tali roccie sono subordinate alla facies dolomitica del Trias medio, alla quale, da quel lato, non si sostituiscono mai completamente . Tale localizzazione in un orizzonte ben determinato, alla base del Trias medio, in una regione con sviluppo normale del Trias brian- zonese, di calcescisti e cipollini, aggiunge valore al fatto che si af- ferma di un Trias a facies mista, con locale prevalente sviluppo di quelle forme litologiche, togliendo fin d’ ora valore alla obbiezione che qualcuno potrebbe muovere che, anziché di un Trias a facies mista, si tratti realmente, nel versante settentrionale delle Alpi Li- guri, di un miscuglio intimo di due diversi terreni. Questa obbiezione d’altronde non regge quando si esamini il profilo (fig. 1 della tavola) in cui calcari marmorei e calcescisti sono talora associati coi calcari dolomitici e con questi evidentemente compresi entro a sinclinali di Trias inferiore, visibili in tutto il loro sviluppo, sui fianchi del contrafforte montuoso fra l’ Ellero ed il Maudagna. Nelle Alpi Cozie e nella zona del Piccolo S. Bernardo i calce- scisti presentarono Belemniti e si mostrarono sovrapposti al Trias superiore, sicché parte di essi é a ritenersi certamente basica; ma le grandi masse di calcescisti dei dintorni di Mondovì (valle Corsaglia) sono così intimamente associate col Trias, che lo sceverarne una parte da riferirsi al Lias sembra cosa finora impossibile. Possono forse considerarsi come superiori e basiche la forma- zione calcescistosa con serpentine dei pressi di Villanova e quella — 117 — che si osserva lungo il Corsaglia a nord di C. Quarelli (Torre-Mon- dovì), includenti pure pure piccole masse serpentinose; ma ogni riferimento cronologico sarebbe arrischiato. La parte delle Alpi occidentali che presenta costituzione litolo- gica più somigliante con quella del cosidetto gruppo di Voltri sono le Valli di Lanzo, nelle quali appunto le diverse masse di roccie verdi hanno sviluppo prevalente sulle altre roccie scistoso-micacee, (vedi la Carta geologica delle Valli di Lanzo redatta sui rilievi del R. Ufficio geologico da E. Mattirolo). E tanto nelle Valli di Lanzo quanto nel gruppo ligure la tettonica è appunto resa assai incerta dal predominio di grandi masse di roccie massiccio, quali le roccie peridotiche. Nè valgono in questo ultimo gruppo la grande zona prevalentemente calcescistosa di Voltri, con direzione prossima alla N-S, separante le due più grandi masse ser- pentinose, nè la zona calcescistosa avvolgente irregolarmente a mez- zodì la massa del Monte Penello, nè le minori interessantissime zone Chiesino-Bric dell’Assa e di Multedo, separanti sottili zone gabbro-serpentinose, con direzioni pure prossime alle N-S, al lato orientale della stessa massa, nè infine la interessantissima zona di calcari triasici Madonna del Gazo -Monte Torbi-Isoverde, su cui si addossano le roccie verdi che stanno alla base della formazione sci- stosa eocenica di Val Polcevera, a suggerirci quale possa essere l’as- setto tettonico di questo interessantissimo gruppo, certamente affetto da ripiegamenti multipli e complicati. Roma, giugno 1906. — 118 - II. S. Franchi. — Sulla tettonica della zona del Piemonte, Sommario. — Maggior semplicità della zona del Piemonte nelle Alpi Cozie, rispetto alle Graje e Pen- nine — Falde di ricoprimento o di slittamento {nappes de charriage) propriamente dette ed ultra- pieghe o sopra-pieghe (ueherfalte) — Rapporti della zona del Brianzonese col massiccio del Mer- cantour e colla grande zona permo-carbonifera interalpina — Grandi fratture longitudinali, ricoprimenti e struttura imbricata in quella zona — Rapporti del'a zona delle pietre verdi colla zona permo-carbonifera e coi massicci gneissico-micascistosi di Pradleves, d’Ambin e Dora- Val Maira. Questi massicci non sono teste ne dorsi {carapaees) di ultra-pieghe provenienti dall’est, ma sono autoctoni. Lo stesso si deve dire per T omologo Gran Paradiso e forse per il Monte Rosa. La zona del Gran San Bernardo è autoctona, con disposizione elicoidale. Anche il cosidetto Massif de V alsavaranehe è parte di una piega autoctona — La faglia alpino-dina- rica non sembra aver rapporti coda zona d’ Ivrea ad ovest del Verbano — Impossibilità di svi- luppo di numerose pieghe a grandi ncoprimenti all’interno di una catena arcuata a raggio di curvatura relativamente piccolo — Jfecessità di considerarle in tale caso in parte concomitanti dell’ incurvamento della catena, per effetto di azioni esercitantisi dall’ esterno verso l’ interro — L’ incurvamento alpino forse in parte post-eocenico. In tal caso gli horst periferici avrebbero concorso in modo attivo alla produzione di esso e dei grandi ricoprimenti. Una volta dimostrata, in modo inoppugnabile, partendo da con- cetti diversi, la struttura a ventaglio anticlinale della zona permo- carbonifera delle Alpi Cozie, ci sarà possibile, col sussidio di tutte le osservazioni accumulate sui rapporti della zona del brianzonese, da un lato con quella zona e dall’altro col massiccio gneissico del- r Argenterà (Mercantour), e sui rapporti della sinclinale del Monviso, o meglio della complessa formazione delle pietre verdi, colle roccie gneissiche dei massicci di Ambin e Dora- Val Maira, affrontare il complesso problema della tettonica delle Alpi Cozie italiane. Però, per trattare il quesito in tutta la sua ampiezza e con tutta la efficacia desiderabile, in una regione di tanto interesse e così ardua, è indispensabile il corredo di una carta geologica che serva di base ad un certo numero di ben scelti profili generali attraverso la catena. Riserbandomi di ciò fare, fra non molto, in collaborazione di qualche mio collega, credo utile intanto manifestare la mia opinione sulla eventuale possibilità di applicare alle Alpi Cozie, Marittime e Liguri, i concetti strutturali che furono da alcuni nostri valorosi colleghi applicati alla interpretazione della tettonica delle Alpi orien- tali e centrali, con accenni a volerle estendere alla zona del Piemonte in tutte le Alpi occidentali. La ragione della scelta delle suddette sezioni della catena alpina per farne una base di discussione sotto quel punto di vista, oltre che nel fatto della meno incompleta personale conoscenza, per averle o completamente riconosciute od in gran parte rilevate, sta nella sem- plicità maggiore che in quelle sezioni delle Alpi si riscontra rispetto a quelle delle Graje e Pennine, a causa del minor numero di zone che in quelle si incontrano, in profili trasversali, fra i massicci gneis- sici della zona del Monte Bianco e quelli della zona del Monte Rosa 0 del Piemonte. Difatti fra il massiccio dell’ Argenterà e quello Dora- Val Maira, si interpongono: 1° La zona del Brianzonese o del Colle di Tenda, costituita da terreni a facies ordinaria che vanno dal Permiano all’Eocene su- periore. 2° La zona permo-carbonifera, con struttura a ventaglio com- plesso, le cui anticlinali elementari si scindono e si immergono nella regione a S.O e ovest del Monviso. 3° La zona delle pietre verdi, costituita dalla complessa sin- clinale del Monviso, e dalle analoghe plaghe avvolgenti i massicci gneissici e ad essa collegantisi. In mezzo a questa zona sinclinale affiorarono due piccoli elissoidi micascistoso-gneissici : quello minuscolo di Pradleves e quello im- portante e tanto noto dei Monti d’Ambin [Petit- Moncenis). Tutti questi elementi geologici sono ormai ben noti nella loro essenziale costituzione e struttura, come pure sono noti i rapporti stratigrafici fra i termini loro che vengono rispettivamente a con- tatto, mentre nei profili trasversali passanti attraverso i massicci del Gran Paradiso e del Monte Rosa zone nuove e di rapporti meno chiari (zona del Gran S. Bernardo) o massicci importanti e com- plessi (Dent Blanche-Mont-Mary, Monte Emilius) vengono a compli- care la costituzione e la struttura della grande fascia compresa fra 1 massicci delle due zone suddette. E ciò senza contare la massa Sesia-Vai di Lanzo, le zone diorite- — 120 — kinzigitiche prima ( Ivrea -Verb ano) e seconda, la zona triasica Ri- mella-Finero, i micascisti de] Lago Maggiore e la regione dei porfidi con lembi di terreni secondari, zone di terreni queste succedentisi aU’interno della zona del Monte Rosa. Prima di entrare a discutere dei possibili grandi ricoprimenti è necessario distinguere quali siano i caratteri che essi rivestono ed a cui noi li potremo riconoscere. Esaminiamo perciò brevemente alcuni esempi di ricoprimenti in regioni alpine. Il più grandioso esempio finora conosciuto e uno dei meno in- completamente noti in tutte le sue modalità è costituito dalle grandes nappes de recouvrement delle prealpi svizzere, intravedute da Marcel Bertrand ^ e che ci fecero conoscere H. Schardt e M. Lugeon h Colà si osserverebbero parecchie lamine o falde {nappes) costituite da terreni secondari e terziari, vivamente ripiegate e fra loro sepa- rate, in generale, da superficie di frattura e di scorrimento o slit- tamento, e delle quali la inferiore si appoggia sopra un substratum autoctono di terreni terziari. Le lamine di terreni secondari così portate a contatto presen- tano talora sensibili differenze di facies, a causa delle regioni di- verse di originario deposito dalle quali esse provengono. Analoghi caratteri presenta il fenomeno nella falda di rico- primento del Rhàticon, di cui si occuparono tanti geologi, dove per accordo di autorevolissimi osservatori si noterebbero tanto nel circuito del Prettigau che ai margini della finestra dell’ Engadina, tre lamine o falde o coperte (Decke) sovrapposte: la elvetica, la ^ M. Bertrand, Rapports de stnictiire des Alpes de Glarìs et dn bassin hoiiiller dn Nord. (Bull. Soc. géol. de France, T. XII, 1884). ^ H. Schardt, Les régions exotiqiies dn versant nord des Alpes Snisses, (Bull. Soc. Taud. Se. nat., Tol. XXXIY, 1898). — M. Lugeon, grandes nappes de reconvrement des Alpes dn Chablaìs et de la Snisse. (Bull. Soc. géol. fran9., 4® serie, tome I, 1901). — 121 lepontinica e quella delle Alpi orientali, con superficie di contatto meccaniche In questi casi si tratta adunque non di una struttura a pie- ghe, ma di una struttura a pieghe-faglie, con straordinari rigetti secondo superficie ondulate non molto discoste dall’ orizzontale, per cui loro conviene esattamente il nome di nappes de charriage (falde o lamine di ricoprimento, slittamento o carreggiamento), poiché il charriage implica il concetto di trasporto con movimento relativo di una massa in moto sopra una che può essere fissa od essere animata da velocità differente. Ben diverso, nella sua essenza meccanica non meno che nelle sue morfologiche manifestazioni rispetto alla tettonica, è il feno- meno che si constata nei profili del Sempione, sia pure secondo le differenti interpretazioni (Gerlach, Schardt, Lugeon, Schmid t. Stella). Quivi si hanno delle complesse pieghe complete di masse gneis- siche, separate da sottili zone secondarie di calcari e scisti cri- stallini. Le pieghe coricate fino all’orizzonte od anche immer- gentisi colla loro cerniera anticlinale, hanno sviluppi straordinaria- mente estesi. Però, a differenza che nella regione prealpina svizzera si può dire che le faglie non vi hanno una parte essenziale, ma tutto al più locale e subordinata, non avente influenza decisiva sulla morfologia tettonica generale. Si tratta adunque di un sistema di complicati ripiegamenti, per quanto si voglia eccezionalmente sviluppati, ma senza impor- tanti movimenti relativi delle parti a contatto, salvo quelli dovuti a laminazioni o stiramenti, inevitabili in ripiegamenti di masse solide. Siamo perciò in presenza di un fenomeno il quale, se pure è dovuto alle stesse cause prime del precedente, e potè avere una genesi contemporanea ad esso, pure dovette svolgersi in condizioni meccaniche e fisiche considerevolmente differenti. ^ E. SuESS, Ueher das Imitai bei Nauders. (Sitz. d. k. Ak. d. Wiss. in Wien. Mathem. naturw. Classe; Bd. CXIV, Abt. 1, October 1905). 9 — 122 — E mentre nelle nappes de charriage delle prealpi svizzere noi constatiamo importanti movimenti relativi, indicanti una relativa libertà di movimento delle diverse lamine {nappes), indizio della prossimità loro alla superficie del terreno, e della mancanza di grandi ostacoli, opponentisi al loro moto progressivo verso nord, se ne togliamo gli enormi attriti, nell’ esempio del Sempione invece noi non possiamo a meno di riconoscere che il risultato di com- plessi ripiegamenti intimi, avvenuti in una massa profonda, dove enormi pressioni, dovute a grandi masse rocciose sovraincom- benti e circuenti tutto attorno le parti in moto, impedivano le manifestazioni di grandi distacchi, e quindi la trasformazione delle pieghe in pieghe-faglie, e lo sviluppo di superficie di slitta- mento b A questo secondo tipo di masse ripiegate apparterrebbe in gran parte il sistema di complessi ricoprimenti che, secondo le opi- nioni di M. Lugeon ed E. Argand, dovrebbero esistere nelle masse cristalline delle Alpi Pennino Anche P. Termier nei suoi profili schematici attraverso alle Alpi orientali ed occidentali suppone delle immense pieghe coricate in ricoprimento, senza indicare fra di esse alcuna superficie di frattura o di contatto meccanico In accordo con ciò, il chiaro professore dell’Ecole des Mines di Parigi ha dato recentemente delle nappes questa definizione: ^ Con questo concetto della profondità in cui dovettero verificarsi le pie* ghe nella regione del Sempione si accorda la grande intensità del metamor- fismo di quegli scisti secondari, fra cui si trovano tipi litologici della più alta cristallinità. ^ M. Lugeon ed E. Argano, Sur les grandes nappes de reconvrement de la Bone dn Piémont. Comptes rendus Ac. Se. Paris, 15 Mai 1905. — Io. io., Sur les homologies dans le nappes de reconvrement de la zone dii Piémont. Ibidem, 29 mai 1905. ’ P. Termier, Les nappes des Alpes orientales et la sgnthèse des Alpes. Bull. Soc. géol. Franco, 4® serie, tome III, 1903. — Io., Les Alpes entre le Brenner et la Valteline. Bull. Soc. géol. Franco, 4® serie, tome V, 1905. — 123 — toutes les nappes des Alpes soni, ou certainement ou probablement, des plis couchés ayant atteint ou dépassé V liorizontale. Sembra però che un esempio bellissimo della sua nappe du second genre, che secondo Termier sarebbe eccezionale e che egli definisce: un fragment de Vécorehe terrestre détaché de son substra- tum originel, et transporté, sans plissement sensible et par simple trans- lation, som un effort tangentiel, en glissant sur une surf ace de frictioìi peu digerente d un pian tangent au spJieroide, appunto si riscontri nel Rhàticon; ed anche le nappes delle Prealpi Romande par mi rivestano alcuni dei caratteri essenziali attribuiti dal Termier alle sue nappes du second genre, la cui definizione forse un po’ rigida, tanto per l’esclusione di ripiegamenti sensibili come per la posi- zione della superficie di frizione, contempla un caso ideale, natural- mente raro ^ A me sembra però che mentre il nome di nappe de recouvre- ment o di nappe de charriage si addice alle manifestazioni tetto- niche delle Prealpi elvetiche e del Rhaticon, non sia più adatto alle pieghe come quella del gneiss d'Antigorio nel profilo del Sem- pione, nè a quelle supposte nel profilo delle Alpi Perniine da Lu- geon e Argand, nè a quelle indicate dal Termier, almeno nel modo in cui egli le rappresenta, per varie parti della catena alpina. In questi casi si tratta di sviluppi di pieghe straordinaria- mente estese e in modo insolito coricate e laminate, ma pel solo fatto che i rovesciamenti raggiungano ,l’ orizzontale o l’oltrepassino non è mutata la natura essenziale di pure pieghe. ^«on essendo stata finora distinta con un nome, quelli di sopra- piega e di ultra-piega parmi si possano più propriamente adattare a questa forma grandiosa di manifestazione delle forze tangenziali, npercuotentisi ad una certa profondità sotto la superficie del suolo. Tah denominazioni adotteremo in via provvisoria, finché l’ulteriore synthèse géoìogiqne des Alpes. Couférence fatte le 26 janvier 1906 a Liège. Liège, Imp. moderne, 1906. — 124 — studio di questi fenomeni in tutte le loro modalità non suggerisca un nome nuovo più preciso. Esaminiamo ora brevemente, per quanto ci possono interessare, gli elementi geologici di cui vogliamo studiare i rapporti di posi- zione e gli eventuali movimenti relativi avvenuti. Il massiccio ddV Argenterà è, al pari di altri della zona del Monte Bianco, costituito da una grande massa di roccie gneissiche e micascistose, nel mezzo della quale si è intrusa una grande massa granitica e che è lardellato, principalmente nella regione a questa circostante da una miriade di filoni di roccie acide (micrograniti, apliti e porfidi quarziferi), o da filoni di roccie basiche (camptoniti), che pure attraversano la massa granitica. Le direzioni dominanti sono nel senso dell’ allungamento del massiccio, con forti anomalie attorno alla grande intrusione grani- tica, e le pendenze manifestano una imperfetta struttura a ventaglio con pendenze a S.O ai margini nord- orientali e pendenze verso N.E lungo il confine franco-italiano. Cosicché tutti i terreni si deposero su di esso con marcatis- sime ed evidenti discordanze angolari. Il massiccio partecipò ai numerosi movimenti alpini, come lo dimostrano le trasgressioni su di esso del Permiano, del Trias inferiore, del Giurese e dell’Eocene medio, e le lacune che si os- servano in alcuni punti nella serie su di esso deposta direttamente. Una bella prova di quei movimenti sono la sinclinale permo-tria- sica Colle Sabbione-Lago Vei del Bouc, stipata fra gli gneiss e coricata verso S.O, ed i rovesciamenti degli gneiss sui terreni permo- carboniferi rivelati nella valle della Tinea da Léon Bertrand. La zona del hrianzonese è costituita da terreni che vanno dal Permiano all’Eocene superiore. E’ una zona fortemente ripiegata, con frequenti ed importantissime fratture, specialmente nel senso longitudinale alle pieghe, con rigetti talora importanti (oltre km. 3 al Colle di Tenda) e in alcune tratte con vera struttura embricata - 125 — (contrafforte fra Gesso e Stura di Cuneo, dove nello spazio di km. 10, si notano 4 sinclinali nummulitiche coricate e almeno 5 grandi fratture). Le grandi fratture longitudinali, di cui qualcuna sembra esten- dersi dalla Valle Argentina al Colle di Tenda, quindi ai pressi di Argenterà ed oltre confine, separano grandi striscio della zona in questione, di cui una è rimasta solidale col massiccio gneissico sul quale si e deposta, ed una e solidale colla zona permo -carbo- nifera, sulla cui parte superiore si è deposta senza discordanze e colla quale si mostra vivamente ripiegata. Osella striscia autoctona che è a contatto col massiccio gneis- sico, noi osserviamo la serie dal Trias inferiore all’ Eocene; così nei valloni di Pourriac (Argenterà) e di Colombardo (Bersezio). Nei pressi di Sambuco ed a Monte Autés, tra questo abitato e Vinadio, manca il Trias inferiore, e tutto il rimanente del Trias è rappre- sentato da poche carniole, mentre le quarziti in sottile banco si vedono ancora al Becco Rosso alla base di quelle carniole ferrifere, ed al Colle del Ferro. Le quarziti sono poscia sempre osservabili a contatto cogli gneiss tra i pressi di Demonte ed i pressi del Colle di Tenda (Monte Giaura), dove a Monte Frisson ed a Rocca dell’Abisso, quindi nella sinclinale del lago Vei del Bouc è inoltre rappresentato il Permiano, che più oltre è ben sviluppato ai lati S.O e sud del massiccio, dove è pure rappresentato il Carbonifero. La grande frattura Lago della Maddalena-Bersezio-Preinardo, presso questo villaggio, porta quasi a diretto contatto collo gneiss 1 Eocene, che deve essere la prosecuzione di quello di Bersezio, rispetto al quale presenta uno spostamento verso S.E di circa tre chilometri. Questo e dovuto senza dubbio allo sprofondamento ad est di Servagno della parte degli gneiss, colla serie stratificata soprastante, che sta al lato nord della faglia, mentre la faglia Vallone Trinità-Monte Savi-Colle Piconiera-Servagno-Bersezio-pressi di Ar- genterà porta in ricoprimento una massa ripiegata di Permiano, — 126 — di Trias e di Giurese con lembi di Eocene. Questo ricoprimento, di cui non possiamo misurare l’entità e che può essere in qualche punto di alcuni chilometri, corrisponde assai probabilmente a quello riconosciuto oltre confine da Kilian e Haug b i cui particolari in- teressantissimi si possono osservare nel foglio di Gap della Carta geologica francese di recente pubblicazione. Ad oriente della frattura anzidetta, che viene ad incontrarsi con quella Bersezio-Colle della Maddalena, si ha un sistema di ripiegamenti di Permiano e di Trias, con lembi giuresi, fino al con- tatto colla grande zona permo-carbonifera, senza che in esso si notino linee di frattura di grande importanza b Analogamente ad ovest della grande frattura Tetti Chero-Monte Vecchio-Limone si osservano solo locali fratture, a N.O del Eric di Vola, e nel resto una anticlinale ed una sinclinale (vallone San Giacomo di Vernante) ovvero due antichnali ed una sinclinale, in cui figurano Permiano, Trias inferiore e medio e Nnmmulitico (Monte Vecchio-Costa Murin) si osservano prima di raggiungere il Permiano della grande zona, sotto il quale dette pieghe sono rovesciate. Ad oriente delle grandi fratture ora menzionate, i rapporti fra i terreni a facies brianzonese ed il Permo-carbonifero della grande zona sono ben noti, dopo le discussioni ed i profili inseriti in pre- cedenti lavori 'b Nelle Alpi Cozie e Marittime all’esterno della grande zona assiale la serie è continua dal Carbonifero (dove esiste) al Per- miano, al Trias inferiore ed alla parte bassa del Trias medio, ed in al- cuni punti la serie comprende il Retico (Colletto di Salò) ed il Giurese. ^ W. Kilian, Les phénomènes de charriage dans les Alpes delphìno-pro- veiipales. (Comptes Rendus IX Congrès géol. int. de Vienne, 1903). — E. Haug, Les grands cìiarriages de VEmhrnnais et de VUbaije. (Ibidem). ® Eccezione fatta per l’alta Valle Maira sopra Acceglio, dove la posi- zione di certi lembi di Giurese e di anageniti del Trias inferiore fanno credere ad importanti dislocazioni. ^ Vedi i profili delle tavole VII, Vili e IX e la cartina geologica delle Alpi Cozie annessi al lavoro Sull' età mesozoica ecc. e la loro discussione. — 127 — Nella fig. 2^ della Tav. Ili, è riprodotto uno dei profili dati pre- cedentemente onde illustrare i rapporti della zona assiale permo-car- bonifera colle due zone mesozoiche a facies brianzonese e cristallina. La faglia del vallone della Trinità, non indicata nel lavoro del 1898, è quella di Monte Savi, che dissi corrispondere assai pro- babilmente ai ricoprimenti delFUbaye. Dal profilo appaiono le pieghe intime esistenti fra Permiano e Trias in serie continua da un lato, e fra Permiano e Trias infe- riore {Ti) rappresentato da quarziti tipiche, e la zona delle pietre verdi. Ricordo qui che a poca distanza dal detto profilo diverse sinclinali di Trias con quarziti e calcari dolomitici (Cima Viriblanc, Cima Fauniera) non lasciano dubbio sulla struttura a ventaglio della zona permo-carbonifera, struttura pure chiaramente confer- mata da quella delle Alpi Liguri, discussa nel lavoro precedente. Nella stessa posizione, all’interno di quella grande zona in- ter alpina, nelle regioni dell’alta valle di Susa, presso il confine franco-italiano, fra il Permiano ripiegato ed i calcescisti si inter- pongono le quarziti ed i calcari dolomitici del Trias potentemente svi- luppati, formanti una grandiosa anticlinale rovesciata sui calcescisti, come è dimostrato dal profilo schematico della fig. 3 (Tav. Ili) h La grande zona permo-carbonifera si biforca presso Acceglio e fra la biforcazione delle due anticlinali si sviluppano tipici calce- scisti con numerose ed interessanti masse di diabasi e di eufotidi. Non havvi adunque alcun dubbio che la grande zona permo- carbonifera interalpina sia stata, nelle Alpi Liguri, Marittime e Cozie, il substratum sul quale si deposero in continuità le diverse facies di Trias a facies brianzonese, a facies mista ed a facies cri- stallina. ^ Quella anticlinale rovesciata fu riconosciuta fin dal 1898 {SiilVetà meso- zoica^ ecc.) e di nuovo se ne discusse il significato nel 1904. La stessa interpreta- zione vi è data nella bella opera di Kilian e Kévil: Description orographiqne et géologiqiie de qiielqiifs parties de la Tarantaìse, de la Maiirienne et dii Brian • Qonnais septentrional. Paris, 1904. - 128 - Per modo che se noi considerianio come autoctona quella grande zona, di necessita deve essere ritenuta autoctona T adiacente zona sinclinale secondaria del Monviso. Il minuscolo massiccio micascistoso-gneissico di Pradleves è tuttora, come lo era prima dell’erosione il suo omologo del Piccolo Moncenisio, ricoperto dal Trias (vedi il profilo fìg. 2). E mentre in quello noi osserviamo questo terreno svilupparsi con facies ordi- naria dalle quarziti alla dolomia principale, in punti prossimi ad altri dove tutto il Trias è rappresentato da calcescisti e calcari cristallini, così su questo secondo massiccio si addossa in preva- lenza il Trias ordinario nei suoi versanti N.O e N.E, e su qualche punto isolato (Cima del Vallone, Punta Mulatera), vi si sviluppa invece il Trias a facies cristallina nei lati S.E e S.O, ed in qualche punto della sommità della callotta (Monte Nibbè), come è sche- maticamente indicato nel profilo fìg. 3. In lavori precedenti ho sostenùta la concordanza fra il Trias inferiore e gli strati di base della zona delle pietre verdi cogli strati superiori dei micascisti di quei due massicci, e credo superfìuo ripe- tere gli argomenti addotti h Rimane perciò per lo meno stabilito che i due massicci sono stati essi pure il suhstratum sul quale si son deposti originariamente il Trias nelle diverse facies e quindi tutta la zona delle pietre verdi. Il profilo suddetto della fìg. 2 mostra i rapporti della zona delle pietre verdi col Permo-carbonifero e colla parte superiore delle roccie micascistoso-gneissiche del massiccio Dora- Val Maira, col quale ultimo i rapporti sono anche meglio dimostrati dal pro- filo schematico della fìg. 3. Tale profìlo taglia il Permo-carbonifero ripiegato col Trias, poscia la sinclinale di Bardonecchia, col Trias caratteristico alla ^ Siiiretà mesozoica della sona delle pietre verdi nelle. Alpi occidentali. (Bol- lettino R. Com. geol., 1898); Ancora snlPetà mesosoica. ecc. (Ibidem, 90-1). — 129 - base, includente la grande massa di calcescisti con pietre verdi. Attraversa quindi il piccolo massiccio dei Monti d’Ambin, in mi- cascisti e gneiss minuti, ricoperto in concordanza dai relitti della ' coperta secondaria continua preesistente, quali sono i lembi di Trias a facies mista con prevalenza dei caratteri brianzonesi che si hanno al M. Vallonet e della Punta Mulatera, o con prevalenza di tipi cristallini come quelli del M. Nibbè. Il detto profilo inter- seca poscia, presso Susa, la diramazione della sinclinale del Monviso che separa il massiccio anzidetto di quello da Dora-Val Maira, alla parte inferiore della quale si sviluppano le potenti masse calcari di Meana (Susa) e di Chianoc (ivi fossilifere), e là interessante grande massa di pietre verdi del Rocciavrè. Questa, protraendosi sugli gneiss tra le valli Dora Riparia e Chisone, si mostra all’ evi- denza come un testimonio della grande coperta di pietre verdi che ammantava il massiccio Dora-Val Maira, della quale le masse di roccie verdi delle prealpi di Piossasco, collegantesi con quelle del Moncuni, della Sagra di San Michele e di Condove, rappresentano gli affioramenti immergentisi sotto la pianura piemontese. Il massiccio Dora-Val Maira nei dintorni di Roure è rap- presentato da un grande sviluppo di micascisti, con lenti limitate di gneiss occhiadini e ghiandoni, includenti numerosi banchi di scisti grafitici, di calcare e le famose lenti di talco del Colle della Roussa. Il nostro profilo interseca due volte l’interessante zona grafitica, orlata da micascisti, che si svolge ad arco fra i pressi del Colle della Roussa, la Valle Sangone ed i pressi di Cumiana, compresa fra gneiss ghiandoni tipici ^ nella parte settentrionale del complesso massiccio delle Cozie. I rapporti fra la parte inferiore della zona delle pietre verdi e le roccie micascistose sottostanti sono di assoluta concordanza, ^ Franchi e JSTovarese, Appunti geologici sui dintorni di Pinerolo. (Boll. R. Com. geol., 1895). — 130 — con graduali passaggi litologici, come risulta dalle osservazioni di tutti i geologi, dal Gastaldi in poi. Ed è appunto su questo dato di osservazione, sul quale io ed i miei colleglli abbiamo pure ripetutamente insistito, che Marcel Bertrand, dopo di avere affermata l’età secondaria degli schistes lustrés, espresse il concetto dell’età permo-carbonifera dei massicci gneissico- micascistosi che stanno all’interno della zona permo-carbonifera in- teralpina ; concetto che ebbe la sua rappresentazione concreta nella Carta geologica della Francia ad 1,000,000, ora apparsa h Ed era naturale che gli stessi fatti di concordanza e sfumature litologiche che servirono di base al Gastaldi per credere antichissima la zona delle pietre verdi, che egli riconobbe così intimamente legata cogli gneiss, che credeva laurenziani, costituissero gli argomenti fonda- mentali per dimostrare questi ultimi almeno (in parte) permo- carboniferi, dopo che quella zona era dimostrata secondaria. I.a zona delle pietre verdi ebbe adunque per suo substratum originario gli gneiss ed i micascisti che tutt’ora essa ricopre; cosicché tutto il complesso della zona del Monte Rosa o del Pie- monte, nelle sezioni alpine da noi considerate, deve ritenersi come autoctono, e nell’ordine di naturale sovrapposizione, che in molti punti è ancora chiaramente osservabile. Lo stesso profilo mostra chiaramente che quei due massicci non possono rappresentare delle estremità di sopra-pieghe gneissiche provenienti dall’est o più precisamente dall’interno della catena, ed immergentisi, colla loro testa anticlinale sotto la zona delle ^ A questa rappresentazione, malgrado quanto liavvi di logico nel concetto che l’ha ispirata, e la grandissima probabilità che in molti punti la parte su- periore di quei micascisti o gneiss rappresenti il Permo-carbonifero, causa l’igno- ranza assoluta del limite interiore da assegnarsi a questo terreno, è forse an- cora preferibile, per i vantaggi che presenta, una rappresentazione più oggettiva, che tenga conto dei caratteri litologici, sempre importanti in formazioni tanto cristalline. — 131 — pietre verdi. Per spiegarci con degli esempi, essi non possono rappresentare la parte che nel profilo dal Sempione rappresente- rebbero, secondo M. Lugeon e H. Schardt gli gneiss di Monte Leone, o nel profilo delle Alpi Pennine i massicci della Dent-Blanche e di Mont-Mary secondo Lugeon e Argand. Gli andamenti degli gneiss e micascisti concordanti sotto i resti della coperta secondaria, che ricoprono quei massicci e le po- sizioni di questi resti impediscono in modo assoluto di concepire quelle grandi masse micascistoso-gneissiche come teste di ultra-pieghe provenienti dall’alto. I sostenitori dell’estensione delle nappes o meglio delle sopra- pieghe alle masse gneissiche delle Alpi occidentali potrebbero, ad esempio, riferendosi a carte geologiche a piccolissime scale, ritenere come finestre la massa delle roccie verdi di Piasco, e tutta la zona grafitica Val Chisone-Val Po, e supporre che esista un collegamento fra quelle e la sinclinale del Monviso, e fra questa ed il Carbonifero della grande zona interalpina, al disotto delle masse gneissiche. Xel profilo fig. 3 la linea punteggiata AAA A potrebbe rappresentare uno di tali ipotetici raccordamenti, per cui la sincli- nale di Bordonecchia si estenderebbe ondulata sotto i due mas- sicci precedenti. Una tale disposizione lungo il profilo sembrerebbe anche mo- strare una certa progressione di metamorfismo dal Carbonifero del Monte Tabor a caratteri ordinari, alla zona grafitica, già fortemente cristallina, ai gneiss-ghiandoni talora con caratteri di ortogneiss della Valle del Sangone, ed agli gneiss minuti e micascisti di Ambin h Ma un breve esame delle regioni adiacenti al profilo e delle modalità di affioramento della zona grafìtica in mezzo agli gneiss mostra che quelle ipotesi non reggono alla luce dei fatti. ^ Si noti però che una progressione più ordinata la si avrebbe, neH'ipotesi degli gneiss pernio-carboniferi, dal Carbonifero della Valle Stretta ai micascisti e gaeiss minuti d' Ambin ed ai gneiss ghiandoni di Valle Sangone, includenti il Carbonifero a facies cristallina, considerando i massicci come autoctoni. — 132 — I calcescisti della sinclinale di Bardonecchia col Trias sotto- stante sono quelli stessi che circuiscono ed ancora ammantano in qualche punto il massiccio d’Ambin e che circondano ed amman- tano in parte il massiccio Dora- Val Maira. Essi d’altronde non penetrano al disotto della valle dell’ Are, il cui corso incide il fondo triasico della sinclinale di Bardonecchia h D’altra parte il proseguimento della sinclinale del Monviso nella zona secondaria a facies mista delle Alpi Liguri mostra pure chiaramente che essa è autoctona; le pieghe multiple di Permiano del profilo del lavoro precedente, affioranti sotto quel Trias a facies mista, non possono lasciare il minimo dubbio ; la sinclinale complessa che dai dintorni di Mondovì al Monviso ed a Bardo- necchia è adiacente alla grande zona permo-carbonifera presenta una struttura generalmente isoclinale, con rovesciamento verso l’in- terno, e non havvi ombra di argomento per credere che essa s’in- fletta colle sue radici profonde sotto i micascisti di Ambin. E bensì vero che si potrebbero ritenere autoctoni i massicci minori di Pradleves e d’Ambin, e supporre in ricoprimento solo quello Dora- Val Maira, come si indica nel profilo colla sinclinale punteggiata B-B; ma una tale ipotetica struttura mista, oltre a non essere giustificata da nessun fatto, quando si esaminino nei loro particolari la zona di Piasco e quella grafitica Val Po -Val Chi- sone, non presenterebbe nemmeno alcuna analogia colla struttura voluta per le Alpi Pennine. D’altra parte contro una tale interpretazione .sta pure la struttura della zona seondaria a facies mista nei dintorni di Mon- dovì (fig. 1 della tavola), la quale evidentemente si prosegue colla stessa struttura nelle Alpi Cozie, a ridosso del massiccio gneissico. Da quanto è stato esposto noi possiamo ritenere come provato ^ Vedasi perciò la discussione del profilo Monte Tabor-Monte Balme nel lavoro sopracitato, e la fig. 2 della tavola annessavi [Ancora siilPefà meso- zoica, ecc.]. — 133 che la zona delle pietre verdi ammanta i massicci di Pradleves d’Ambin e Dora-Val Maira e che essa non si estende per piega sotto di essi : quei massiccA gneissici elissoidali più o meno com- plessi hanno le loro radici al disotto o poco discoste dalle loro aree di affioramento. E’ perciò in modo certo escluso che i massicci di Dora-Val Maira, d’Ambin e di Pradleves si possano ritenere come dorsi anticlinali secondari {carapaces) di estese ultra-pieghe gneissiche coricate, aventi le loro radici sotto la pianura padana, analogamente a quanto si vorrebbe ritenere pel Monte Rosa e per l’omologo Gran Paradiso. Anche P. Termier, nei suoi profili attraverso le Alpi franco- italiane, malgrado le ultrapieghe che indica come generate nell’in- terno dell’arco alpino, considera come autoctona la parte italiana, comprendente i massicci d’Ambin e Dora-Val Maira e la complessa sinclinale del Monviso h. nè diversa interpretazione nè da in un suo lavoro posteriore Ma le grandi ed estese fratture indicate nella zona del brian- zonese, i rigetti importanti ad esse corrispondenti nella regione Colle di Tenda-Colle della Maddalena ed i grandi ricoprimenti del- rUbaye possono ingenerare la convinzione che un movimento di insieme di una parte della zona del Brianzonese col complesso delle zone più interne siasi effettuato verso l’esterno della catena, con un distacco ed un moto relativo tali, per cui tutto questo in- sieme possa considerarsi in parziale ricoprimento. Solo in questo senso e colla riserva, per la parte italiana, della importanza dei rigetti limitata ad alcuni chilometri e della forte inclinazione delle superficie di frattura che mostrerebbero in generale trattarsi di una regione embricata anziché di falde di ^ P. Termier. Qnafres coupes à fravers les Alpes Frajico-italieniies. (Bull. Soc. géol. de France. P serie, tome II, année 1902). ^ Idem. Les nappes des Alpes orìentales et la sijnfhèse des Alpes. (Ibid. année 1904|. — 134 — . slittamento (nappes) propriamente dette, si possono ammettere i ricoprimenti nelle Alpi Cozie meridionali e marittime. Gli affioramenti secondari della Cima Pepino, delle falde S.O di Monte Bertrand nell’alta valle della Roja e quelli titonici dell’alta Valle Argentina affioranti a guisa di hlippen in mezzo al nummu- litico superiore (in tutto analoghi a quello del Vallone di Pourriac), allineati colla frattura del Colle di Tenda, indicano la separazione della parte in posto e solo ripiegata che sta a S.O da una parte spostata, ripiegata e fratturata che sta a N.E. Prescindendo da queste importanti dislocazioni e da qualche rovesciamento di serie che si osserva nella parte ligure della zona del Brianzonese, la cui natura non è ancora completamente precisata, credo di potere con tutta sicurezza affermare che i complicati concetti strutturali ideati per le Alpi Pennine non si possono esten- dere alla zona del Piemonte nelle Alpi Cozie, Marittime e Liguri. E, data la evidente omologia esistente fra i due grandi mas- sicci delle Alpi Cozie e delle Alpi Graje, io credo che quei concetti non siano neppure applicabili in profili trasversali alla catena pas- santi pel Gran Paradiso, il quale rimarrà sempre il più bell’esempio dei massicci a cupola. L’omologia del massiccio del Monte Rosa coi due massicci precedenti, malgrado alcune particolarità notevoli di quello, parmi possa pure permettere di affermare che anche per il profilo delle Alpi Pennine la struttura ideata da M. Lugeon ed E. Argand non soddisfi pienamente, per quanto alcuni fatti da molto tempo noti, od ultimamente scc^perti, in quella sezione delle Alpi, che lo Stella ha messi in evidenza b provino l’esistenza di importanti ricopri- menti (masse del Pilonet e del Cervino, massa Corno del Vitello- Corno Bianco). ^ A. Stella, Il problema geo-tettonico delV 0 ssola. (Boll. R. Com. geolog., Anno 1905). — 135 — Ammesso per analogia come autoctono il Monte Rosa, sembra poco naturale l’esistenza contemporanea di tutte e due le ultra- pieghe IV e VI adiacenti ad esso, poiché le ultra-pieghe dovrebbero o cessare o cominciare ad uno dei lati del massiccio autoctono, salva la possibilità di riprodursi ad una certa distanza da esso. I dati finora pubblicati sulle zone rocciose che stanno a sud del Monte Rosa, sotto il rispetto della tettonica, sono ancora troppo imperfetti, quando non sono erronei, perchè si possa su di essi fondare edifizi strutturali non soggetti a presentare per lo meno forti incompatibilità coi risultati di nuove ricerche h Le considerazioni ora svolte gettano una grave ombra di dubbio sull’insieme della nuova interpretazione strutturale della zona del Piemonte; ma altri dubbi non meno forti nascono dall’esame dei rapporti della zona del Gran San Bernardo coi terreni adiacenti, per cui i concetti sulla tettonica di essa risultano sensibilmente differenti da quelli espressi dal chiaro professore di Losanna e dal suo allievo, per la nappe du Grand Saint Bernard (nappe IV). La zona gneissica del Gran San Bernardo, è rappresentata a sud della Dora dagli gneiss del Ruitor e dell’alta Valgrisanche, ed oltre confine dagli gneiss della massa Aiguille du Midì-Mont Pourri, affio- rante quale massiccio isolato in mezzo al secondario ed al paleozoico. I rapporti della zona gneissica Ruitor-Gran San Bernardo col Carbonifero inferiore, conglomeratico, a cemento cristallino, della regione, furono illustrati con vari profili dallo Stella e dallo scrivente I banchi di questo terreno poggiano con apparente ^ E. Argano, Sur la tectonique de la sane d^Ivrée et de la sone dii Strona. (Comp. rend. Ac. Se. Paris, 12 mars 1906). — S. Franchi, Appunti geologici sulla sona dioritoAdnsigitica Ivrea-Verhano, (Boll. E-. Com. geol.. Anno 1905). — Y. VARESE, La sona d' Ivrea. (Boll. Soc. geol. it.. Anno 1906). — A. Stella, Sui calcescisti della Valle di Furgen e sui gneiss di M. Emilius e M. Bafrè. (Boll* Soc. geol. it.. Anno 1906). ^ Le antraciti delle Alpi occidentali. Memorie descrittive della Carta geo- logica d’Italia, Yol. XII (profili generali a pag. 29, e tavole di profili II- YI). — 136 — concordanza sugli gneiss del Ruitor, che hanno pendenze X.O dominanti; ma, procedendo la zona verso X.E, le pendenze mutano rapidamente finché al Gran San Bernardo sono gli gneiss che si rovesciano sul Carbonifero (vedi i profili da I ad XI del lavoro ora citato). Analogamente la stretta sinclinale mesozoica, a facies cristal- lina con pietre verdi, che nel versante sinistro della Valgrisanche, si trova laminata fra gli gneiss del Ruitor e di Valgrisanche (paese), con andamento parallelo alla valle, e con pendenze X.O, raggiunta la valle principale ad Avise, rapidamente si espande presentando pendenze varie, finché al confine svizzero, nell’alta valle di Ollomont si rovescia a sua volta, da un lato sugli gneiss del Gran San Ber- nardo e dall’altro si immerge sotto le arkesine della Dent-Blanche. La zona gneissica in parola é rappresentata nel Vallese dalla nota anticlinale degli scisti di Casanna, rivestita dai terreni secon- dari e coricantesi, in modo assai chiaro, sulla coda terminale della grande zona carbonifera interalpina. Così dall’ anticlinale assai dissimmetrica del Ruitor (Thuile- Valgrisanche) rovesciata verso S.E, si passa ra]3Ìdamente all’anti- clinale, apparentemente simmetrica del Vallese, coricata verso X.N.O e nord. Notevole é il fatto che a misura che il rovesciamento cambia senso e si accentua, l’affioramento della zona gneissica si porta verso l’esterno della catena; come se la zona, avendo le sue radici disposte parallemente all’andamento medio della catena stessa, se ne scostasse, nell’affioramento, in un senso o nell’ altro a seconda del cambiamento elicoidale delle pendenze. Qualunque sia la spiegazione che si possa dare di quella doppia trasformazione tettonica e stratigrafica in uno spazio di meno di 60 km., i rapporti anzi cennati degli gneiss colle parti inferiori del Carbonifero a facies conglomeratica ed i rapporti degli stessi gneiss col Carbonifero del gruppo dell’Ormelune e col Trias del Colle Rochers-blancs, sopportante tutta la massa calcescistosa — 137 — della Grande-Sassière e dell’ alta Valgrisanche, indicano che la zona in esame per la tratta della Valle d’Aosta deve considerarsi come autoctona. Questo è pure dimostrato oltre che dalle osservazioni locali dall’esame della posizione degli gneiss del Ruitor in rapporto coUe zone di terreni più occidentali, precedentemente analizzate. La sinclinale di Bardonecchia, prolungandosi verso oriente, viene a separare dalla zona del Piemonte propriamente detta, i gruppi anticlinali della Vanoise e dei monti Aiguille du Midi e Pourri. Ora, data la natura di quella sinclinale nei suoi rapporti col massiccio d’Amhin, quei gruppi savoiardi devono considerarsi come autoctoni, e del pari le masse della Valgrisanche e del Ruitor, che ne sono certamente le omologhe. Si può obbiettare che nulla impedisce alla sinclinale in ]:?arola di approfondirsi, ad esempio, ad est di Lans-le-Bourg, per ad- dentrarsi sotto H Gran Paradiso; ma le sinclinali secondarie del Xivolè e della Grivola, che si mantengono alte, per quanto risulta dai rilevamenti del collega Novarese, rispondono in modo esauriente a tale obbiezione. Così essendo la sinclinale della Grivola emersa nel contraf- forte Val di Rhéme-Valsavaranche, rimane escluso in modo asso- luto che il denominato massif de V alsavaranche sia dovuto ad una ripiega anticlinale secondaria della nappe IV, che, come tale, non esisterebbe pel tratto della Valle d’Aosta. Questi fatti non sono conciliabili coll’ipotesi, anzi l’ escludono, secondo la quale la zona del Gran San Bernardo costituirebbe l’affioramento della cerniera anticlinale di una ultra-piega risor- gente, dopo lungo percorso sotterraneo. Quell’ipotesi non è d’al- tronde necessaria per spiegare il chiaro ed importante ricoprimento che si osserva nel Vallese. L’ipotesi più semplice e che meglio s’accorda coi fatti osser- vabili, consiste nel ritenere autoctona la zona del Gran San Ber- lo — 138 — nardo ed avente una struttura elicoidale, per cui essa mentre è coricata a S.E nella sua parte occidentale, per successivi cambia- menti di pendenza, si presenti rovesciata verso X.X.O, con ricopri- mento di una certa importanza, nella sua parte orientale. In tale ipotesi il ricoprimento dovrà intendersi in molto minor misura, e certo non potrà raggiungere il Monte Rosa, nè il mas- siccio di Camughera, al quale ultimo converrà dare un’altra inter- pretazione. In armonia con questo modo di vedere, le pieghe del Sem- pione dovrebbero considerarsi, al pari del rovesciamento parziale della zona suddetta nella sua parte orientale, come il risultato di azioni più locahzzate, e non riproducentisi necessariamente con pari intensità lungo tutto lo sviluppo della catena; il che si ac- corderebbe colla dimostrata assenza delle grandi ultra-pieghe nelle masse cristalline delle Alpi Cozie. Nella parte nord-orientale del massiccio del Ticino le incunea- zioni secondarie del Passo San Bernardino e dello Spinga possono forse rappresentare gli affioramenti di sinclinali separanti delle ultra-pieghe gneissiche sovrapposte, con cerniere dirette N.E.E ed immergentisi verso est; ma, anche in questo ordine di idee, non si avrebbero fatti comprovanti che i ricoprimenti delle successive ultra-pieghe abbiano estensioni paragonabili a quella dell’ ultra-piega ipotetica (nappe IV) ora discussa. D’altra parte gli andamenti delle zone di terreni secondari della valle d’ Avers, e le direzioni delle pieghe interessanti gli gneiss ed i depositi a facies orientale nei dintorni di Arosa e di Bergiin, nella falda di slittamento del Rhàticon, accennano a movimenti sensibilmente divergenti dalla dhezione nord; e il moto di quella falda sembra possa considerarsi come avvenuto in direzione N.O, secondo E. Suess h ^ E. Suess, Das Imitai bei Nauders (1. c.). — 139 — La grande falda di slittamento del Rhaticon le cui lamine o coperte {Decke) di base sono state seguite fino a mezzodì del Bernina (Pizzo d’Entova) senza che se ne conosca F ulteriore affio- ramento, rimane tutt’ora cosa assai distinta dalle nappes prece- dentemente discusse, le quali, al pari di quella ancora enigmatica della Dent-Blanche, malgrado un recente contributo b dovreb- bero ad ogni modo considerarsi come tipiche ultra-pieghe. Di quella enorme falda, il cui studio affaticherà ancora molti geologi, noi non conosciamo ancora bene, malgrado i pregevo- lissimi lavori di cui fu oggetto, il luogo d’origine {la radice) e l’entità del movimento; come non sono concordi le opinioni sulla direzione secondo la quale questo si sarebbe effettuato. P. Termier e W. Salomon affermano la coincidenza della grande frattura alpino-dinarica colla Tonale-linie, e il primo l’avrebbe seguita fino al Colle d’ Aprica Stando ai lavori pubblicati nella regione più occidentale, quella frattura potrebbe forse essere rappresentata da alcune frat- ture delle Alpi bergamasche od Orobie, illustrate da Cesare Porro, in cui si osservano contatti meccanici fra gli scisti cristallini, il Per- miano ed il Trias inferiore Nella regione luganese ]a frattura fra Broglia sul lago di Como ed i pressi di Lugano, separante i terreni cristallini dal paleozoico e dal mesozoico, sembra corrispondere a qualcuna delle più setten- trionali delle Alpi bergamasche h Nella regione dei laghi il prof. Taramelli indica, in uno schema tettonico, numerose fratture delle quali le più settentrionali (Val- ^ E. Argano, Sur la tectoniqiie dii massi/ de la Dent-Blanche. (Comptes rendus Ac. Se., Paris, 26 février 1906). ^ P. Termier, Les Alpes entre le Brenner, ecc. — W. Salomon, Die al- pino-dinarisclie Grenze. (Verh. d. k. k. geol. Reichsanstalt, 1905, n. 16). ® C. Porro, Le Alpi bergamasche. Milano, 1904. * A. von Bistram, Das Dolomit-gebiet der Liiganer Alpen. (Ber. nat. Ges. z. Freiburg I Br., Band XIY, 1904). — 140 — domino, Valtravaglia, ecc.) e quelle Angera-Arolo ed Arona-An- gera appartengono certo allo stesso sistema delle precedenti In un mio lavoro ho messo in evidenza importanti fratture nella bassa Valle Sesia in due direzioni principali h Tali fratture (Valle Cremosina, Colletta di Guardabosone, Colma di Valduggia, Sostegno), con direzioni secondo due sistemi ortogonali, sono le rappresentanti più occidentali finora note del sistema di fratture delle Dinaridi. Sembra però che nelle regioni esaminate si tratti di sistemi di fratture, fra le quali non è possibile trovarne una che, per la sua- continuità ed importanza, si possa ritenere come rappresen- tante la grande frattura alpino-dinarica. Qualcuno potrebbe essere tentato di far coincidere questa linea con uno dei limiti della zona dioritica dTvrea, e così mtende fare W. Salomon, seguendo concetti antichi; però i recenti studi su questa zona, mostrando le dioriti e gli gneiss-Strona come un tutto inseparabile, escludono assolutamente che quella linea possa corri- spondere al limite meridionale di quella zona, come la si inten- deva finora. 11 limite nord- occidentale della zona che proposi di chiamare zona diorito-kinzigitica Ivrea-Verbano, segnato da una zona con caratteri litologici specialissimi, separanteia dalla massa Sesia- Val di Danzo, e comprendente una sottile zona triasica, potrebbe piut- tosto adempiere a quella funzione; se resistenza di una seconda zona diorito-kinzigitica a nord di essa, e della zona degli scisti di Rimella, che sembra stabilire un legame fra la De la 2^ zona diori tico-kin- zigitica, e il modo d’ incunearsi fra le due zone degli gneiss-Sesia non togliessero a quella linea i caratteri essenziali che le si richie- dono per rappresentare la separazic'ne fra le Alpi e le Dinaridi. Gli studi avvenire permetteranno certo di restringere il numero ^ T. Tara3Ielli, i tre laghi. Milano, 1903. ^ S. Franchi, Snovi lembi di Trias e di Lias nella bassa Valle Sesia. (Boll. B. Coni. geol. 1904). — 141 — delle incognite del grande problema, e forse di intravedere le spie- gazioni degli apparenti contrasti e di rivelare inattese armonie. Però tutte le concezioni strutturali in complicate zone di ter- reni cristallini, dove manca il prezioso sussidio dei fossili e delle facies, debbono naturalmente tenere esatto conto delle probabili equivalenze sotto il punto di vista litologico, della continuità e della struttura delle zone in profili laterali, della natura dei contatti delle diverse masse, della posizione loro nello spazio, delle pendenze, della natura o del senso delle pieghe osservate, insomma di tutti quei dati di fatto il cui coordinamento naturale e logico, senza assimilazioni forzate od alterazioni di valori geometrici, può solo condurci a conclusioni non del tutto fallaci b Inoltre, per quanto i nuovi concetti strutturali siano per loro natura di difiicile rappresentazione, massime in regioni non com- pletamente studiate, io credo indispensabile che essi siano accom- pagnati da profili, possibilmente rigorosi, almeno dal punto di vista geometrico. Un tale metodo avrebbe il vantaggio di fare abbando- nare dagli stessi autori le soluzioni che presentassero fiagranti in- compatibilità, e l’altro di permettere la discussione su qualcosa di meglio afferrabile e più concreto. Alla estensione, che sembrerebbe naturale e logica, dei concetti strutturali ora discussi all’intera cerchia alpina occidentale, a causa della continuità delle principali zone onde è costituita, sembra d’altra parte opporsi la grande curvatura di essa rispetto all’am- piezza delle supposte ultra-pieghe ; poiché se è comprensibile la sovrapposizione di ultra-pieghe a grandi ricoprimenti, aventi ori- gine da un lato di una catena ad andamento rettilineo o legger- mente ondulato o ricurvo, è per contro poco concepibile la ripro- ^ Ad esempio è a deplorarsi che alcuni autori abbiano potuto credere al- l’identità della zona dioritica colle pietre verdi delle Alpi occidentali, dopo i lavori apparsi sulle due regioni. Una tale confusione non può che essere, come già è stata, feconda di errori. — 142 duzione di un tale fenomeno tutto all’ intorno e dal lato interno di una catena arcuata, il cui raggio di curvatura non sia di gran lunga superiore allo sviluppo delle supposte ultra-pieghe; perchè verremmo all’assurdo geometrico e meccanico che quelle pieghe abbiano tutte le loro radici in una regione prossima al centro dell’ arco. Come concepire lo svilupparsi, in una ristretta regione centrale, di numerose pieghe di masse gneissiche, le quali si rovescino le une sulle altre a grandi distanze, dilatando enormemente le loro fronti, tutto all’ intorno su di un arco prossimo ai 180'^ ? Come concepire, entro a masse solide come gli gneiss, delle spinte agenti contemporaneamente in tutte le direzioni dal centro verso un tale arco? n fenomeno sarebbe forse solo concepibile considerando le sud- dette ultra-pieghe come dovute all’ incurvarsi di una catena già ri- piegata ma a debole curvatura, sotto l’azione di spinte esterne con- vergenti sopra un dato arco. La resistenza delle masse interne, costrette a contenersi in più ristretta area, darebbe luogo alla formazione di nuove pieghe ed a masse slittate protraentesi in coperta su quelle preesistenti, od im- mergentisi per sprofondamento sotto di esse. Ma anche supponendo che nella cerchia alpina occidentale non esistano che in piccola parte le ultra-pieghe volute per le Perniine, le ultra-pieghe del Sempione e tutte le pieghe note del sistema alpino hanno un tale sviluppo complessivo, ed i grandi ricoprimenti della Svizzera (in direzioni N.N.O e N.O) sono tanto divergenti da quelli dell’Ubaye (S.O) e da quelle minori delle Alpi Marit- time (S.O), che l’ipotesi di un incurvamento della catena alpina posteriore all’Eocene non mi sembra a priori da rigettarsi. Con quest’ipotesi parmi sia possibile concepire una massa slit- tata come quella del Rhàticon e lo sprofondamento di una parte della zona del Piemonte, come quella che constatiamo a sud di Pinerolo, spiegare nello stesso tempo la diversa entità ed estensione dei rico- primenti in diversi punti del circuito alpino, ed, entro a certi limiti — 143 — il figurarci alcun che di equipollente al traineau écraseur di P. Ter- mier, suggerito dalla necessità di una forza che spinga le diverse falde in tutto il loro percorso verso l’esterno della catena, quando si voglia escludere che questa forza sia la stessa gravità. In una tale catena dovrebbe però essere possibile distinguere due ordini di ripiegamenti e fratture: quelli anteriori e quelli poste- riori al grande incurvamento di essa, Avvenuti in epoche assai di- stinte fra loro; e ad ogni modo si sarebbe condotti ad un concepi- mento della genesi delle Alpi molto diverso da quello fin qui ge- neralmente accettato. Si dovrebbero perciò considerare gli horst o massicci resistenti periferici come dotati di una relativa mobilità, ossia come attivi; il che d’altronde, malgrado il concetto che si ha generalmente della loro resistenza passiva, è ovvio, non potendosi manifestare grandi movimenti superficiali o tangenziali nel senso orotettonico, senza un iniziale sprofondamento o costipamento del substratuin cristal- lino profondo, nel quale sono naturalmente radicati gli korst. Il quadro del presente scritto non consente la discussione di questo nuovo modo di intendere, nelle sue ultime fasi, la genesi delle Alpi; mi limito perciò al breve accenno fattone, augurandomi che qualcuno dei nostri grandi maestri di geologia alpina voglia prenderlo in esame. Se io non mi inganno esso sarà di aiuto nella ricerca della soluzione dell’arduo e complesso problema di meccanica, quale è quello dei grandi ricoprimenti alpini. Il concorso di molte azioni fra loro interferenti nella genesi e nel successivo sviluppo di essi rende assai difficile il discernere la parte che ciascuna di esse ha avuca; tuttavia è a^ sperare che si possa giungere ad una spiega- zione verosimile, che soddisfi il nostro spirito, avido di sintesi h ^ Stavo correggendo le bozze di questo scritto quando potei leggere il lavoro del dott. C. Yan de Wiele: Les théories nonvelles de la formatioii des Alpes (Soc. Belge de Paléon. et d’Hydrol., T. XIX, fase. III-IY), nel quale è — 144 — Chiudendo questo breve scritto desidero dichiarare che con le mie osservazioni non intendo menomare l’ importanza della teoria dei grandi ricoprimenti, che aprì ai geologi nuovi campi di feconde ricerche, le quali fecero fare un gran passo ai nostri concetti di sintesi orogenetiche ; solo ho desiderato mostrare, con tutto il rispetto dovuto a valorosi colleghi ed amici, di cui ap- prezzo moltissimo l’opera Scientifica, come certe generalizzazioni, fondate su dati non abbastanza sicuri, possano condurre ad ap- prezzamenti erronei, che potrebbero ritardare l’accoglimento di quanto havvi in quella meravigliosa dottrina, di altamente fecondo e di sostanzialmente inoppugnabile. Roma, giugno 1906. LEGGETOA DELLA TAVOLA. gn — gneiss ghiandoni, occliiadini, ecc.; gnt — gneiss tormaliniferi : ms — micascisti e gneiss minuti. sg — scisti grafitici di Val Chisone; C — Carbonifero; pi — porfidi la* minati ^Permiano) ; P — Permiano. Ti — Trias inf.; qs — quarziti; an — anageniti; Tm — Trias medio; Ts — Trias sup.; cd — cale, dol.; cd ggr — cale. dol. a diplopore; PAv località fossilifera con 6*0 Qà Avicula exili s ; Cor — id. con corallai!; Cr — id. con crinoidi; cm — cale. marm. ; et — cale. tab. ; osa — calcescisti are- nacei; cxx — cale, crist. ; hr — breccia ad elementi dolomitici; PV — zona delle pietre verdi ; s — serpentina ; pr — prasiniti ; a — anfiboliti ; Li — lias. pure espressa la necessità del concetto della mobilità degli horst, e di spinte ve- nute daH’esterno delle Alpi, per spiegare i ricoprimenti che si osservano tutto attorno, verso Testerno della cerchia alpina. Fra altre prove si adducono le importanti fratture che si notano negli horst periferici; e sì potrebbe aggiun- gere che tali fratture sono post-oligoceniche, e assai probabilmente contempo- ranee del fenomeno dei ricoprimenti, nel plateau centrai. Boll. del R.Comir.Geol. d’Ihalì, /^{j. /^/'0^i7o // c o 7? Trct^o r/'e ^ra /^ro/'7/o /'ra i7 1^7/ TP e G7e77 A r/zi a e 7cc Mair\ 77 Br .7 m Frj.3^ Pro/'77o sc/?€/7ìa77co a7a77' A Itfi Va77e S'7/'e77o' : A'77ic77/7 c77e c77 Bdrà^o/ieccAict 7f assi erro 7fon// c/ ’Am.i Gran Te m/3 es7a GranBa^r M.BaJm e M.Nj He' M. Fa77o] t i j Piu\ y : ^OOO Anno 1906 Tav IH^.S Fianch; ) dajua ed È //ero L/^iu/J F~ Bricca BricFo/i^era f - Tarn erta Faito/ìe Olla tesso Sa/iota/nia/io -Jfa era f À/pi Cot.ie) pi anura presso J^iossccsco f A Ipi Cozie ) Afo-ss/'ccio D ora- Pad Afa tra. — 145 — III. B. Lotti. — Su alcum nuovi giacimenti ìnetalliferi dei Monti Petoritani in provincia di Messina, La Catena Peloritana era già conosciuta come una regione metallifera almeno fino dal secolo xviii ed i suoi giacimenti, esplorati ed anche in parte escavati a varie riprese, formarono oggetto d’illustrazione da parte di vari autori, fra i quali Carlo Gemmellaro h il Paillette ^ il Seguenza Toso e Baldacci il Cor- tese ^ e il La Valle ^ ; però tanto le indagini minerarie, quanto le descrizioni dei citati autori si limitarono ai dintorni di Fiumedi- nisi, d’Alì, di Xovara e di altre località situate nelle basse propag- gini della catena tanto nel versante ionico quanto in quello tirre- nico. Se si eccettua un rapporto privato fatto di recente dal col- lega ing. Novarese, al qual rapporto mi riferirò, per suo gentile consenso, a complemento delle mie dirette osservazioni, nessun cenno venne mai pubblicato di giacimenti metalliferi nella parte centrale ed alta di queste montagne. Devesi attribuire a merito del cav. S. Aprile di Catania, at- tuale concessionario di un’estesa zona di terreno metallifero, la ^ C. Gemmellaro, Sulla vera condizione delle miniere in Sicilia. (Atti Acc. Gioenici di Catania, XTIII, 1842). A. Paillette, Efiides historiqnes et géologiques sur les gìtes métallifères des Calabres et dn Xord de la Sicile. (Ann. des Mìnes, 1842). “ G. Sequenza, Sui filoni metalliferi di Finmedinisi. Messina, 1856. * P. Toso e L. Baldacci, Xotizie sui giacimenti e prodotti minerali dei monti di Messina., ecc. (Append. alla Relazione sul servizio minerario nel 1879). ^ E. Cortese, Sulla geologia della parte XE della Sicilia. (Boll. R. Com. . geol., 1882). ® G. La Valle, 1 giacimenti metalliferi della provincia di Messina. Mes* * sina, 1899 e 1904. — 146 — scoperta di molti e svariati depositi di minerali metallici in quella parte della Catena Peloritana che forma spartiacque fra le valli di IVIandanice e Fiumedinisi e la valle del torrente Mela, aperte le une verso l’Ionio, Faltra verso il Tirreno, e che comprende i monti Fossazza, Manlio (o Moario), Maorno, Cipolla, Acquabianca, Caperò e Pizzo della Croce. La regione è estremamente interessante tanto sotto l’aspetto geologico, quanto sotto il punto di vista metallogenico, ma per ciò che riguarda la importanza industriale de’ suoi depositi minerah non è permesso per ora di far provvisioni fondate, e ciò non solo per insufficienza di lavori sui giacimenti scoperti, ma anche perchè la maggior parte della regione stessa è tuttora minerariamente scono- sciuta. Date le notevoli apparenze di mineralizzazione e dati i caratteri geologici di questa plaga montuosa teoricamente favorevoli alla presenza di minerali metallici ed aventi, come diremo, stretta analogia con quelli della Sardegna, queste nuove scoperte devono esser ritenute di grande importanza e devono incoraggiare ad ulte- riori e più profonde indagini, nella speranza che esse possano con- durre a risultati pratici. La costituzione geologica di questa parte dei Peloritani può riassumersi brevemente come appresso: 1° una zona inferiore di scisti micacei, cloritici, grigi, grigio- azzurri o grigio-plumbei, lucenti, con noduli di quarzo, cui si asso- ciano subordinatamente, nella parte superiore, degli gneiss sericitici. Questi scisti sono localmente trasformati in anfìboliti biotitiche ta- bulari, in cloritoscisti actinotici, in anfìboliti epidotico-granatifere, in micascisti macchiati (Fleckenschiefer) ed in altre roccie più o meno profondamente metamorfìche. In questa serie scistosa che può comprendersi sotto la denominazione generica di gruppo delle filladi, sono intercalati a vari livelli degli strati di calcare cristallino bianco o grigio-plumbeo, i quali aumentano in numero e in potenza nella parte superiore e passano a 2° una zona intermedia costituita in prevalenza od anche 147 — esclusivamente da calcare cristallino in grossi banchi. Questa massa calcarea da una potenza di centinaia di metri riducesi a luoghi a pochi strati sottili o a qualche lente limitatissima; 3° una zona superiore, formata prevalentemente da gneiss occhiatino, gneiss ghiandone e gneiss sericitico con intercalature di micascisti e specialmente di biotitoscisti. Questi scisti superiori sono su vasta estensione, e specialmente tra il M. Manlio e il Poggio dell’ Acquabianca, attraversati da filoni pegmatitici, alcuni dei quali assai grossi, altri piccolissimi fino a diventare delle vene sottih. Appena un filone potei constatare nei calcari presso la Cantoniera militare del M. Maorno e negli scisti inferiori ne osservai soltanto nella vallecola contigua a quella delle Valanghe di Caperò e presso le capanne d’Issàla dove il granito dei filoni è granatifero ed attra- versa micascisti granatiferi. Questi filoni granitici, spesso piritosi, son tutti dislocati, con- torti e laminati, e lo stesso, come vedremo, avviene per i giaci- menti metalliferi. Poiché i tre gruppi di roccie suindicati presentano una giaci- tura che nel complesso di poco si allontana dall’orizzontale, gli scisti inferiori occupano il fondo e le pareti delle valli, 'come quelle del Pollario, del Girasiera, delle Valanghe di Caperò e del torrente di Mandanice, i calcari stendonsi di preferenza sul dorso dei monti, come il Manlio, il Rutolia, la Rocca Vernava e il Pizzo Gallina, e il gruppo dello gneiss occupa le parti più elevate della regione, come il M. Maorno, il Poggio dell’ Acquabianca e il Pizzo della Croce. La successione delle varie formazioni da me esposta non con- corda con quella data dal Cortese h Egli pone alla base della serie e riferisce all’Arcaico gli gneiss e i micascisti con vene di pegma- tite e nella parte superiore, con riferimento dubitativo al Siluriano, gli scisti lucenti e micaceo-argillosi (filladi) coi calcari cristallini. La successione da me riconosciuta si accorda invece perfettamente ^ E. Cortese, loc. cit. — 148 - con quella riscontrata dal Novarese in Calabria b Egli trovò nella Piccola Sila le filladi sotto i micascisti e questi sotto gli gneiss granatiferi. Ivi però i calcari cristallini non formano una zona di- stinta, ma sono racchiusi in lenti nello gneiss e nei micascisti Quanto all’età delle notate formazioni peloritane non abbiamo altri criteri per giudicarne eccetto l’analogia, e questa, se prendiamo a guida le Alpi, potrebbe confermare la loro età arcaica o arcaico- siluriana, come potrebbe ringiovanirle fino a comprenderle nei ter- reni mesozoici. Certi scisti neri grafitiferi, interstratificati ai calcari sulla destra del fosso Monastrè, sotto la Cantoniera militare del M. Maorno, potrebbero anche supporsi rappresentanti del Carbonifero. Tanto i giacimenti metalliferi già noti, quanto quelli di recente scoperti e di cui ci occupiamo, sono racchiusi nella zona scistosa inferiore, cioè nelle filladi. Uno solo, per quanto mi consta, sta in- cassato fra gneiss e micascisti della zona superiore ai calcari ed è un grosso filone di quarzo con blenda e galena sotto il M. Fossazza presso Issàla, di cui parleremo a suo luogo. Sono incassati nelle filladi, secondo il rapporto sopracitato del Novarese, i giacimenti di Scaletta, Alì e Roccalumera, sulla costa ionica, con minerali di piombo argentifero, blenda e traccio di mine- rali di cobalto e di rame, e quelli di Montagna Reale presso Patti, sulla costa tirrena, contenenti fahlerz, magnetite e stibina. Sono pure citati come racchiusi nelle filladi, dal Cortese, i giacimenti di galena, calcopirite, rame grigio e stibina dei dintorni di Novara nel versante tirreno dei Peloritani e quelli di Alì, Fiumedinisi e di varie altre località del versante ionico. Il La Valle ^ pone la sede dei giacimenti del Messinese « tra ^ T. IsTovarese, Calcari cristallini e calce firi dell’’ Arcaico calabrese. (Boll. R. Com. geol., 1893, pag. 19). ^ Secondo alcuni recenti scritti di Lugeon e Argano (vedi Comptes-reiidns Ac. des Sciences, 1906, n. 17, 18 e 20) sarebbe questo un indizio di un grande ricuoprimento o carreggiamento che interesserebbe gran parte della Sicilia. ^ G, La Valle, loc. cit. — 149 - la formazione gneissica e quella delle filladi, quest’ultima sostituita in qualche luogo dal subordinato calcare cristallino o da grauwacca » , e la stessa posizione era stata assegnata a questi giacimenti da Toso e Baldacci b dicendo che essi trovansi dentro scisti talcosi (filladi) coperti qua e là da grandi banchi di calcare cristallino. I nuovi giacimenti metalliferi scoperti nella parte centrale della Catena Peloritana possono dividersi nei seguenti gruppi: lustrati di minerale di ferro (magnetite e oligisto); 2° masse quarzose con pi- riti magnetiche cuprifere; 3° filoni quarzosi plumbo-zinciferi ; 4° filoni quarzosi con fahlerz e calcopirite. 1° Minerali di ferro. — I princippvli affioramenti di minerale di ferro compariscono nel versante tirrenico della catena, sulla costa settentrionale dei monti Manlio e Maorno, e , precisamente nelle vallecole del Monastrè, del Manazza e in altri due valloncelli con- tigui posti più verso occidente, tutti influenti del torrente Pollario che, più in basso, alla confluenza del torrente Girasiera prende il nome di Mela e con tal nome va a sboccare in mare presso Mi- lazzo . Questi affioramenti sono costantemente associati a dei banchi di calcare cristallino, che alternano, come dicemmo, a vari livelli con gli scisti fìlladici e fanno passaggio superiormente ad una zona quasi intieramente calcarea. Sulla sponda sinistra del Monastrè, poco sotto al fosso Manazza, vedesi una massa ferruginosa lenticolare, di circa 10 metri di lun- ghezza e 70 cent, di spessore massimo, formata di magnetite com^ patta, con particelle disseminate di blenda e di pirite, e manife- stamente prodottasi per alterazione di quest’ultima. A questa lente si associa un calcare cristallino grigio che alla superflcie possiede per alterazione un colore giallo-rossastro ferruginoso. Nel calcare un po’ scistoso di contatto con la lente piritoso-magnetitica vi è disseminata pure della blenda, pirite e pirrotina. ^ P. Toso e L. Baldacci, loc. cit. — 150 — Di fronte, sulla destra del fosso, vi sono lenti di quarzo piri- toso dentro scisti divenuti in parte anfìbolici e granatiferi. Gli affioramenti prossimi del Vallone Manazza occupano un livello stratigrafico più alto e consistono in diversi banchi di ma- gnetite aventi spessori variabili da pochi centimetri a due metri. Questi affioramenti si seguono ad intervalh verso ovest lungo la loro direzione per diverse centinaia di metri, passando per altri valloncelli successivi. Xel più occidentale di questi spunta in un fosso una piccola massa di oligisto lamellare, la quale però non è scoperta che in un ristrettissimo spazio insufficiente a dare un’idea della sua forma e della sua entità, nonché del suo legame eventuale con la magnetite. La composizione chimica di queste magnetiti del Manazza sembra variabilissima. Alcune analisi fatte eseguire dal concessio- nario signor Aprile dettero un tenore in ferro variabile da 61.30 a 26.10 %, con 1.64 e 15.50 di solfo rispettivamente e 27 % di zinco nell’ultimo caso. Vedesi dunque che da una magnetite può passarsi ad un vera e propria blenda ferrifera. Un altro affioramento di magnetite comparisce poco sotto la strada militare che costeggia a nord la sommità del Monte Manlio, immediatamente ricoperto dalla grande massa calcarea. Esso occupa però un livello superiore a quello degli affioramenti ora descritti. Strati di roccie ferruginose e piccole masse limonitiche di nessun valore industriale si osservano a vari livelli della zona cal- carea, e presso il contatto con la zona scistosa inferiore si hanno sempre delle apparenze di mineralizzazione ferruginosa per altera- zione di piriti. Gli affioramenti del vallone di Mandanice, nel versante ionico della catena, compariscono sulla costa S.E del Monte Maorno ed hanno importanza solo in quanto possono far presupporre la pro- secuzione attraverso la catena stessa e al disotto della zona cal- carea degli strati o delle lenti di magnetite dell’ altro versante. Anche qui fra i calcari e gli scisti filladici sottostanti si osservano — 151 — quasi costantemente degli strati ferruginosi formati da una roccia decomposta di natura siliceo-argillosa, grigio-cupa, impregnata di magnetite e di pirrotina. Ciò potrebbe lasciar supporre che le masse di magnetite altro non siano che un prodotto d’alterazione, e forse limitato in prossimità della superficie, di altrettante masse di pirrotina ; queste però, come vedremo più oltre, sono sempre accompagnate da quarzo che sembra mancare in quelle di magnetite e per converso queste di magnetite sono inquinate di blenda che non comparisce affatto in quelle di pirrotina. Tutti questi giacimenti stratiformi di magnetite presero parte al piegamento generale dei terreni incassanti e quindi presentansi, come questi, profondamente dislocati. 2° Piriti magnetiche cuprifere. — Sulla destra del torrente Gi- rasiera, presso lo sbocco delle Valanghe di Caperò, negli scisti lu- centi grigio-plumbei sottostanti ai calcari cristallini trovasi inserita una massa di quarzo con pirite e pirrotina, con l’aspetto d’un fi- lone attraverso gli scisti, ma costituente in realtà un’amigdala di circa 10 metri di lunghezza e 3 o 4 di spessore nella sua parte più grossa. Può essere che in origine abbia fatto parte di un vero filone di spaccatura e che ora non ne rappresenti che un frammento, rotto e staccato dalla sede primitiva, in seguito al piegamento orogenico, e rimasto poi impigliato e ravvolto negli scisti. Nelle parti esterne e quarzose di questa massa amigdaloide trovasi disseminata un po’ di calcopirite che manca affatto nella pirrotina pura e compatta che forma la massa centrale. Un feno- meno analogo di distribuzione mineralogica mi avvenne di osservarlo nelle grandiose masse filoniformi di pirrotina compatta di Miggiandone nella valle del Toce; ivi però questi minerali sono manifestamente in relazione genetica con roccie eruttive basiche, mentrechè nella re- gione di cui parliamo non si è trovata finora traccia di tali roccie. Allo Sciarono, sullo stesso lato del torrente Girasiera, poco sotto al Pizzo della Croce, negli scisti inferiori, quivi divenuti anfiboliti biotitiche ed epidotico-granatifere, si osservano varie masse glo- — 152 — bulari o amigdaloidi di pirrotina, accatastate le une sulle altre e riunite fra loro da materiale quarzoso ferruginoso. Anche gli scisti incassanti sono colorati da ossidi di ferro. La pirrotina è in parte compatta e pura, in parte quarzosa e cuprifera, specialmente presso l’involucro delle masse globulari. Allo stesso livello geologico e ad una distanza di circa 200 metri, nel contiguo vallone a sud, detto Vallone Capitani, compariscono altre masse di pirrotina cuprifera, accompagnate quivi pure da scisti alterati e ferruginosi. L’affioramento gira intorno al vallone e sembra occupare un preciso orizzonte geo logico ; infatti, subito sopra a questi affioramenti dello Sciarono e del Vallone Capitani stendesi la zona dei calcari, qui ridotta a pochi strati, che dividono le filladi dai superiori micascisti e‘ gneiss. E’ da notarsi che nel versante orientale della stessa montagna, nel vallone del Calore che scende a Fiumidinisi, a circa due chilo- metri e mezzo di distanza e quasi alla medesima altitudine di 650 metri, secondo quanto ne riferisce il Novarese, affiora un grosso filone o dicco di quarzo diretto da est ad ovest e pressoché ver- ticale, contenente grossi nuclei di pirrotina. Un chilometro circa più a monte questo affioramento piritoso ricomparisce ed è quivi accompagnato da calcopirite. Appare pertanto probabile che una connessione sotterranea, attraverso il Pizzo della Croce, esista tra gli affioramenti piritosi dei due versanti. Un’analisi della pirrotina del Pizzo delia Croce eseguita nel laboratorio Johnson, Matthey et C° di Londra, dette i seguenti risultati : Ferro 47.20 Rame 0.70 Nichelio e cobalto 0.20 Solfo 32.50 Residuo siliceo 15.10 Perdite 4.30 100.00 — 153 — Dove è cuprifera si trovò anche 6.73 per cento di rame. Altre masse di pirrotina più o meno cuprifere si trovano a circa tre chilometri di distanza verso ovest nelle vallecole di Sciara e di B abasco, sulla sinistra del Mela, in prossimità del Pizzo di Gallina. Sono racchiuse nelle solite filladi poco sotto ai calcari ed hanno forma e giacitura analoghe a quelle delle precedenti. In qualche punto si osserva il calcare cristallino nella stessa massa di pirrotina quasiché rappresentasse un residuo della sostituzione di questa su masse calcaree. 3° Minerali plumbo-zinciferi. — In un fosso che scende dal Monte Fossazza e sbocca sulla sinistra del Vallone Sferiale, poco sopra alle pagliare d’ Issàla, comparisce un grosso filone di quarzo cosparso di vene e masserelle di galena mista a blenda nera. Ha una potenza variabile che può giungere a luoghi a 10 o 12 metri ed è diretto da N.N.O a S.S.E con inclinazione fortissima verso S.S.O. Sta incassato tra gneiss e micascisti attraversati da filoni di granito a muscovite e clorito, e intramezzati da strati di cal- care ferruginoso. Alla sua salbanda del tetto corre costantemente una roccia granulare di color giallo-canario, costituita da quarzo e feldspato, avente uno spessore variabile che può raggiungere anche due metri. Il filone, benché scoperto nell’ affi ora mento per più che 300 metri, sui due lati dello sperone montuoso che lo racchiude, non é stato esplorato affatto nell’interno, né può quindi giudicarsi della entità della sua mineralizzazione. Alcuni frammenti, staccatisi dal filone e trasportati lungo il fosso, apparvero anche al Novarese discre- tamente ricchi in blenda e galena, mentre la roccia in posto lo é, in misura molto minore forse perché impoverita dalle azioni me- teoriche. Lo spessore notevole di questo filone ha contribuito a preser- varlo, almeno relativamente, dalle rotture e dalle dislocazioni subite dagli altri giacimenti di minore potenza. Notansi nondimeno anche in questo delle irregolarità nei contatti, variazioni di potenza, in- 11 — 154 trusioni degli scisti incassanti nel corpo del filone ed altri fenomeni che sono indizi manifesti di azioni dinamiche in correlazione col piegamento generale di quei terreni. Un altro filone di quarzo con masse di galena compatta, a grana minutissima, affiora in luogo detto Costa Cauda di Forno, quasi in fondo al Vallone Sferra che dal Pizzo della Croce scende al torrente Girasiera. Nel suo punto più basso è messo allo sco- perto appena per un m. q. di superfìcie al disotto d’una falda di de- trito che lo ricuopre, a quanto pare, per tutto il suo corso. Le sue traccie, formate da frammenti erratici di quarzo con galena, si se- guono per lungo tratto su per l’erta del monte e ad un certo punto, in un saggio praticato asportando il detrito, fu messo a nudo l’intiero filone quarzoso che fu riconosciuto dello spessore di circa tre metri e notevolmente mineralizzato. Questo e il precedente giacimento appaiono di non dubbia importanza ed è a lamentarsi che ne sia stata trascurata la esplorazione. Per ciò che si riferisce alle manifestazioni metallifere di blenda e galena è utile aggiungere che in molti punti della zona calcarea, tanto nel versante di Mandanice e di Fiumedinisi, quanto in quello del Mela, si osservano frequenti vene di quarzo, irregolari, stirate e schiacciate, contenenti particelle sparse di quei solfuri, senza che però possa attribuirsi ad esse alcuna importanza industriale. 4° Minerali di rame. — Nel Vallone Sferiale, sotto le paghare d’Issàla, si osserva negli scisti inferiori, anfibolici e granatiferi, un filoncello di quarzo compenetrato di rame grigio o fahlerz con par- ticelle disseminate di calcopirite e di blenda nera. Ha uno spessore di circa 80 centimetri e si presenta assai bene mineralizzato. Alla superficie si segue soltanto per una quindicina di metri sulla sponda destra del fosso ed ha l’apparenza d’una massa lenticolare, pro- babilmente per la solita ragione di rappresentare, cioè, un fram- mento di filone rotto e impigliato negli scisti incassanti. Sotto la cima del Poggio dell’ Acquabianca, dal lato di nord, negli scisti inferiori, quivi attraversati da numerosi filoni di granito — 155 — a mica bianca, sono inserite varie vene di quarzo con masserelle di calcopirite. Una di queste scuopresi in mezzo ad una frana per soli pochi metri ed ha uno spessore di 50 o 60 centimetri; un’altra com- parisce pochi metri più in alto ed una terza, di 80 centimetri di spessore, affiora circa 300 metri più ad est, poco sotto la strada militare che corre presso la sommità del monte. La calcopirite è di solito concentrata presso le salbande. Nessuna ricerca importante fu iniziata in questi filoni di quarzo cuprifero e del resto la loro esplorazione è resa oltremodo difficile dalle condizioni del terreno, dirupato e franoso, e dal bizzarro an- damento dei filoni stessi che, come quelli di granito, sono contorti, rotti ed anche laminati. * * * Dal fin qui detto risulta che, mentre non vi ha dubbio sulla natura filoniana dei giacimenti plumbo-zinciferi e di quelli cupriferi, non si è ben certi sulla forma e natura di quelli di magnetite e di pirrotina. Per la^ magnetite trattasi tuttavia probabilmente di filoni- strati e la loro origine è forse da riconoscersi nella sostituzione mo- lecolare di strati calcarei. Un’origine analoga saremmo tentati di attribuire alle masse di pirrotina, sia per la loro forma qualche volta lenticolare, sia per la loro posizione stratigrafica apparentemente ad un determinato li- vello della serie, sia ancora per alcune traccie di calcare cristallino parzialmente ridotto in siderite che aderisce a queste masse piritose ed ha l’aspetto di un residuo di sostituzione. Ma non è escluso, ed anzi è più probabile, data la presenza di quarzo filoniano com- misto alla pirrotina presso i contatti, che trattisi di veri filoni di spaccatura, stati ridotti in frammenti, i quali poi furono impigliati e dispersi negli scisti incassanti. Ma se un qualche dubbio può ancora restare sulla natura di alcuni di tali giacimenti, nessuno parmi possa elevarsene in riguardo ai rapporti genetici di essi coi filoni granitici o, più esattamente. — 156 — coll’intrusione granitica di cui quei filoni sono la manifestazione su- perficiale. Oltreché il fatto della concomitanza e del generale con- senso sul significato di essa nel fenomeno metallogenico, è da ricor- darsi che la roccia dei filoni granitici è spesso piritifera. Circa l’epoca di formazione di questi giacimenti devesi notare che essi sono per lo meno anteriori al piegamento terziario alpino- appenninico; dovrebbero esser quindi riferibili al sistema tettonico erciniano o ad altro più antico. Tenuto conto dell’ analogia geolo- gica di questa regione con la Sardegna, dove l’intrusione granitica e le formazioni metallifere son riferibili al periodo del piegamento erciniano, cioè tra il Carbonifero ed il Permiano, è probabile che a questo stesso periodo debbansi riferire le intrusioni granitiche e me- tallifere della Sicilia. Un fenomeno tettonico di somma importanza distingue però profondamente le due regioni metallifere, e questo fenomeno è in- dubbiamente la causa della diversa ricchezza mineraria nelle due regioni. In Sardegna nessun movimento orogenico, accompagnato da dislocazioni di notevole intensità, si verificò dopo la venuta delle roccie granitiche e dei minerali metallici, perchè la Sardegna formò un massiccio immobile, un Hcrst, come dice il Suess, dall’epoca car- bonifera fino alla attuale e quindi non prese parte al piegamento terziario alpino-appenninico. Così i filoni granitici e i giacimenti metalliferi restarono in quella regione perfettamente indisturbati e gli ultimi possono essere, per conseguenza, ricercati e coltivati in condizioni favorevoli. In Sicilia invece il piegamento alpino-appen- ninico si propagò intensamente e, sconvolgendo i terreni, contorse, frantumò e disperse fra le roccie incassanti i frammenti dei filoni granitici e dei depositi metalliferi che vi stavano racchiusi b ^ Il La Valle (loc. cit.) sembra accennare a questo fenomeno laddove dice che « le soluzioni di continuità, le faglie, le rotture, i ribaltamenti e gli scon- quassi d’ogni genere cui furono sottoposti gli strati, dovettero determinare nella parte metallica in essi interclusa la formazione di piccoli nidi o di rognoni di poca estensione che, ove si succedono a brevi intervalli, danno l’illusione che — 157 — In Sicilia, e creder che avvenga lo stesso in Calabria, si ripete quindi il fenomeno dei giacimenti metalliferi delle Alpi Apuane e forse di parte di quelli delle Alpi, i quali, essendo preterziari, fu- rono dislocati, compressi e ridotti in frantumi dal piegamento ter- ziario, talmentechè si incontrarono sempre grandi difficoltà per se- guirne coi lavori di miniera l’andamento sotterraneo. Non così avvenne per le intrusioni eruttive e metallifere della Toscana, di parte delle Alpi, dell’Africa settentrionale, ecc., le quali, essendo di età terziaria e precisamente miocenica, non furono in- teressate dal processo orogenico alpino-appenninico che ebbe luogo subito dopo la fine dell’Eocene. I filoni granitici e i giacimenti di queste regioni metallifere rimasero quindi perfettamente indisturbati. Le osservazioni dimostrano, come nota anche il De Launay b che la venuta di minerali metalliferi fu molto più intensa nel periodo tettonico erciniano che in quello alpino, e noi troviamo infatti mag- gior ricchezza mineraria in Sardegna che in Toscana. Maggior ric- chezza dovremmo trovarla per la stessa ragione in Sicilia, e la dif- fusione metallifera riscontrata in una ristretta zona, come quella di cui è stata fatta parola, conferma in sostanza tale principio; ma la Sicilia non è stata ferma, come la Sardegna, dopo l’intrusione metallifera e quindi i suoi giacimenti sono stati in gran parte rotti e dispersi in brandelli nelle roccie incassanti. Alcuni dei grossi fi- loni quarziferi poterono però resistere a queste azioni demolitrici e di questi è probabile che l’industria possa ancora trarre partito. Roma, giugno 1906. trattisi di vera e propria miniera. Altre volte questa parte metallica comparisce in vene fra le dette roccie ed ove tali vene aumentano di dimensione, il che talvolta avviene considerevolmente, si presentano quali veri filoni metalliferi » . ^ L. De Launay, Application de la méthode tectoniqiie à la métallogénie de la région italienne. (Revue gén. des Sciences, etc., n. 18, 30 settembre 1905). — 158 — IV. V. Sabatini. — Stiir eruzione del Yesuvio delT aprile 1906, (Nota preliminare) L’eruzione vesuviana dell’ aprile 1906 non è stata tanto im- portante per l’eccezionale quantità di materiali frammentari emessi, quanto per un certo numero di fenomeni di grande interesse che l’hanno accompagnata. Non si tratta di fatti nuovi, ma di più sicure constatazioni di fenomeni già manifestatisi in altre eruzioni, vaga- mente descritti e più vagamente interpretati. Alla luce delle nuove vie che si schiusero alla vulcanologia dopo lo studio eseguito durante l’eruzione della Martinica, è oggi possibile di spiegare la causa o al- meno il modo di manifestazione di alcuni tra gli accennati fenomeni. Mentre preparo una relazione più estesa sulla recente eruzione vesuviana, sarà interessante riassumerne qui i risultati. I materiali emessi. — a) Le lave. — La loro quantità non è stata certo grandissima; circa 5 milioni e mezzo di metri cubi. Il 4 aprile venne fuori una prima insignificante colata, ora coperta dalle ceneri, dall’altezza di 1175 m. sul mare. Il giorno seguente altra piccola colata, ma più importante della precedente, uscì da una bocca tra 810 e 815 m., arrestandosi presso la diramazione della strada di Casa Fiorenza dalla strada dei cavalli. Il 6 aprile cominciò remis- sione della lava dei Cognoli a 675 m., e Tindomani essa aveva già la sua fronte poco ad est del cimitero di Boscotrecase. Nella notte dal 7 all’ 8 l’eruzione assunse una grande violenza, raggiungendo il suo massimo. Verso le ore 11 14 si aprirono delle bocche nel burrone della Cupaccia a circa 680 m., contemporanea- mente o poco dopo all’uscita di poca lava nella Valle dell’ Inferno, alquanto più su degli 800 m., sul prolungamento dello stesso si- stema di spaccature. La lava della Cupaccia era fluidissima, al calor bianco, e rapidamente si avanzò in direzione dell’abitato di Ter- — 159 — zigno. Intanto la lava dei Cognoli si avanzava sopra Boscotrecase, che attraversava con due rami, e andava a fermarsi presso il ci- mitero di Torre Annunziata. Nelle stesse ore, poco ad ovest delle bocche dei Cognoli, ma da un’altezza maggiore, da 800 m. cioè, sgorgava un’altra colata, che si avanzava fin presso il Pallone, a monte del cimitero di Boscotrecase. b) I materiali frammentari. — Nella stessa notte del 7 all’ 8, ac- compagnati da scariche elettriche continue e da continui e formi- dabili boati, una grande quantità di ceneri e lapilli era emessa e ricadeva in massima parte sul settore N.E del Vesuvio. Ottaiano ne riceveva da m. 0.60 a m. 1.20 di potenza. San Giuseppe 70-80 cm.. Somma 40 cm. Tutti i tetti delle due prime borgate crollavano sotto il grave peso (1400 kg. circa ogni m. c.), e spesso i solai dei piani sottostanti venivano trascinati nella rovina. Il lapillo nella zona Somma-Terzigno era a grossi elementi: spesso di alcuni centimetri, molti di y.y kg. e alcuni fino ad 1 e 2 kg. Il totale dei materiali proiettati dal cratere fu di almeno 211 milioni di m. c. I fenomeni che accompagnarono l’eruzione. — a) Ceneri calde. — Sul cono le ceneri ad elevata temperatura costituivano strisce numerose alternanti con altre fredde. Queste erano dovute alle proiezioni nelle alte regioni dell’ atmosfera, o almeno fin dove i di- versi elementi separandosi e ricadendo ognuno pel proprio peso, più o meno in balìa del vento, avevano il tempo di raffreddarsi. Quelle dovevano la loro temperatura elevata a due cause, come ho già notato altrove alle fratture numerose che attraversavano la massa del cono e da cui veniva fuori il calore dell’interno, e alla forma di correnti che assumevano a volta queste ceneri dopo l’uscita dal cratere. I globi di fumo che venivano emessi erano di- fatti così carichi di materiali solidi che, appena fuori dell’orlo, ac- cennavano a riversarsi per traboccamento. Ma presto si dissolvevano ^ Giornali La Tribuna di Roma, n. 112 dell’anno 1906 (22 aprile) e Zeit di Vienna deir8 maggio. — 160 — e i blocchi e le ceneri che li costituivano, rotolan(io per la china, si precipitavano a valle con estrema violenza. Nella grande velocità che così si produceva, quantunque senza spinta iniziale, entravano due fattori, la gravità per la forte pendenza e l’alta temperatura delle ceneri che ne aumentava la mobilità. Si avevano così delle valanghe spaventose. In alcune comunicazioni di Lacroix, che ho presenti nel redigere questa nota, egli a ragione le considera come valanghe secche b Ciò non di meno una certa quantità di vapor ac- queo dovevano trascinare con sè questi materiali, perchè sotto il primo strato superficiale, constatai che le ceneri calde erano più o meno umide. Tra le nuvole ardenti verticali e questi torrenti di ceneri vi hanno dunque tutti i passaggi. b) Franamenti del cono. — Nella notte dal 7 all’ 8, quando non ancora la cenere caduta era considerevole, sotto l’azione delle for- midabili esplosioni nel camino, si produssero enormi franamenti. Uno di essi si vede tuttora sopra il fianco meridionale del cono. Il materiale precipitato di là spazzò via fino le tracce della Casa Fiorenza. Ma quando la cenere e i blocchi si accumularono sul cono in mantello da 10 a 20 metri, dalle ripide parti più elevate precipi- tarono in basso a più riprese, producendo altre valanghe, violente al pari delle precedenti. E’ difficile dire se le due stazioni della funicolare furono spazzate in seguito ad una di queste due cause o al bombardamento diretto dei blocchi lanciati dal cratere. c) Azione dei proiettili sui vetri delle finestre. — Le rotture di tali vetri ad Ottaiano e San Giuseppe, hanno una forma che gene- ralmente si avvicina alla circolare. Assai di frequente sono fori circolari netti, con un diametro variabile da 3-4 cm. a 10-15. cm. con orlo esterno tagliente ed interno arrotondato e liscio. Il pezzo asportato qualche volta fu ritrovato intero; in un caso, che descri- verò nella mia nota definitiva, lo ritrovai diviso in due secondo ^ C. R. Académie des Sciences, sedute del 23 aprile e 5 giugno 1906. — 161 — un diametro. Questo fenomeno si verificò in tutte le orientazioni, perchè, se le proiezioni venivano dal lato della montagna, il vento spirava da N.E, cioè dalla parte opposta. La facciata della sta- zione della ferrovia ridotta di Ottaiano, dal lato opposto del cratere subì un vero smerigliamento che ne asportò la pittura. E’ note- vole che intorno ai fori suddetti non si osservano in generale frat- ture radiali. d) Scariche elettriche. — Queste furono abondanti anche ad Ot- taiano e San Giuseppe, oltre che nella colonna di fumo del cratere. Le fulminazioni da me constatate furono assai leggere. e) Gas sviluppati. — Questi furono scarsi. Il vapor d’acqua lo fu prima di tutti, onde non si ebbero piogge dovute alla sua conden- sazione. E scarsissimi furono gh altri gas, come constatai per la quasi assenza degli odori caratteristici. f) Torrenti di fango. — Furono dovuti, come era da aspettarsi, alle abondanti pioggie che seguirono l’eruzione. Tutto il cono ne è solcato. Appariscono in nero sulle ceneri giallognole, e si distin- guono benissimo dalle valanghe di ceneri che sono grigie pel mi- scugho di lapilli scuri con ceneri chiare. Nelle correnti di fango r acqua ha asportato la maggior parte della cenere e i lapilli scuri, rimasti predominanti, rendono assai più scuro il colore d’insieme. La cenere, generalmente, sotto l’azione delle piogge si è consolidata. Si sono anche formati dei conglomerati (dovuti a torrenti fangosi) e delle brecce (dovute a torrenti di cenere). Le valanghe causate dai franamenti, consolidate anch’esse, han dato luogo ad impasti di carattere intermedio tra’ conglomerati e le brecce. g) Lo stato del cono. — Pare un ombrello semi-aperto, dice Lacroix. Certi lati, di cui darò delle fotografie ben riuscite, sono difatti net- tamente solcati da burroni radiali rettilinei, a fianchi piani, sepa- rati da orli taglienti. La topografia del cono è completamente mu- tata. L’abbassamento della cima è di un centinaio di metri. Il disordine nei fianchi è spaventevole. Le tracce di numerose fratture sono tuttora visibili e la tendenza che ebbe l’asse eruttivo a spo- — 162 — starsi verso sud non è che troppo visibile. Il cratere, l’ampio cra- tere del 72, e di altre eruzioni precedenti, si è scavato di nuovo. Ora ha la forma di un imbuto a pareti estremamente ripide, scon- volte, di poca coerenza e frananti continuamente con grandi scosse. L’orlo è allungato da Ovest-20°-Sud ad Est-20°-Nord con 700 m. di lunghezza, ed è inclinato sensibilmente nella stessa direzione. La sua larghezza è di 500 a 700 m. e la profondità ne appare ad occhio di circa 400. B-oma, giugno 1906. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (30 g:ix:i-g:i:xo lOOO) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Yol. I a XXXVI, dal 1870 al 1905. Prezzo di ciascun Tolume L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in ItaKa » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per seryire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Introduzione. — B. Gastaldi: Stiidii geologici sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G- Struever. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona sol fifera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrizione geologica deir Isola d^Elba. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Dn volume in-4® di pag. 364 con tavole e carte geologiche . » 35 — Voi. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografia geologica delV Isola di' Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona sol fifera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Un volume in-4‘’ di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. II, Parte 2^ Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. Ili, Parte U. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponza. — C. De Stefani: Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-4® di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia deir Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spezia. — Un volume in-l*^ di pag. 230 con tavole Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica finorifera della Campania. — G. Terrigi : I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole » 10 - » 15 — »■ 8 — — 164 - Yol. lY, Parte 2\ Pirenze 1893. — C. A. Weithofer: Fro- hoscidiani fossili di Valdarno in Toscana. — M. Canavari: Idro^oi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — Un volume in-4® di pag. 214 con tavole . . . L. 16 Mlemorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Yol. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica deirisola di Sicilia. — Un volume in-8° di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 Yol. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Yol. HI. Roma 1887. — A. Pabri: Relazione sulle miniere di ferro dell’ Isola d’Elba. — Un volume in*8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Yol. lY. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- Iterarla dell’Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 Yol. Y. Roma 1890. — , C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabiis {Sardegna). — Un volume in-8° di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » 8 Yol. YI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Yol. YIL Roma 1892. — E. Cortese e Y. Sabatini: De- scrizione geologico-petrograflca delle Isole Eolie. — Un vmlume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Yol. YIII. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Yol. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica . » 12 Yol. X. Roma 1900. — Y. Sabatini: I vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Yol. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 8 Yol. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8® di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » 10 Appendice al Yol. IX. Roma, 1904. — G. Di- Stefano : Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8® di pag. 120, con tavola di sezioni » 3 — 165 — CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1 000 000, in due fogli : 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio Y. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio Y. 262 (Monte Etna) . . E. 5 » 248 (Trapani) . . . » 3- » 265 (Mazzara delYallo) » 3 » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) ...» 4 » 250 (Bagheria) . . . 3 — » 267 (Canicattì) ...» 5 » 251 (Cefalù) .... » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 ' » 252 (Yaso) .... » 4 — » 269 (Paterno) ...» 5 » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) ...» 3 » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) ...» 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) ...» 4 » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 260 (Yicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» 3 » 261 (Brente) .... » 5 — » 277 (Yoto) . ...» 3 Tavola di sezioni 'N. I (annessa ai fogli 249 e 258) . . L. 4 — » TsT. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » jN". IY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » Y. Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio 'N. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 222 (Amendolara) . » 3 — » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 229 (Paola) . . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 231 (Girò) . ...» 3 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 237 (S. Griovanni in F.) » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 241 (Yicastro). . . » 4 — Foglio Y. 242 (Catanzaro) . . L. 4 » 243 (Isola Capo Riz- zato) ...» 3 » 245 (Palmi) ...» 3 » 246 (Cittanova) . . » 5 » 247 (Badolato) . . » 3 » 254 (Messina) ...» 4 » 255 (Gerace) ...» 4 » 263 (Beva) . . . » 264 (Staiti) . . . Tavola di sezioni Y. I (236, 237, 238, 241, 242), Y. II (245, 246, 247, 255, 263), Y. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. 4 co co — 166 -- Carta ^eolo^ica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. JSTe sono pubblicati i fogli seguenti : Foglio jV. 201 (Matera) . . . L. 3 — Foglio IN". 213 (Maruggio) . . L. 1 — » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . » 2 — » 203 (Brindisi) . . . » 3- » 215 (Otranto) . . . » 1 — » 204 (Lecce) . . . . » 2 — » 223 (Tricase) . . . » 2 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . L. 4 — » 5 — » 4-— Foglio 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 ... L. 30 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara. . . . . . L. 5 — » Castelnnovo .... » 5 — Foglio Stazzema » Seravezza o — 3 — Le taAmle di sezioni, ciascuna L. 5. Carta geologica della Toscana [in corso di stampa), nella scala dii a 100 000: IN e sono usciti i fogli: Piombino (L. 3); Grosseto (L. 4); Santa Fiora (L. 5); Orbetello (L. 4); Toscanella (L. 5); Tav. I di sezioni (L. 4). Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 . L. 10 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Carta geologica dei Vulcani Tulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 » 5 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IVapoli. Carta geologica fletta Toscana atta scata fli 1 a 100,000. Sono stati pubblicati i seguenti fogli, in continuazione dei precedenti: (vedi pag. 166) N. Ili (Livorno). .... L. 2 » 112 (Volterra) » 5 » 113 (San Casciano) . . . » 5 N. 119 (Massa Marittima). L. 4 » 120 (Siena) » 5 Tav. II di sezioni » 4 ‘' '. ‘. ^ ' ■- - .'V ' • ■ ■' r - f /'••■: ■' ’ H:v.- ' .^^^^ V,'- ■ ::T^.SJ'-' - .r'.iSi** ' - L 'yyy ‘^■p ppp^ ■ 'S Vf /.'^. *- -. y-'^pi ' ypy:'PP^yyyp y; y.. . ; . . r' , .7 . •■: -■'^yppyAyy'-r;^ - - ■- : ;; Ì > . - -¥7y^:V 'm \ BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE R. Comitato geologico. — Vernali ielle aiuiaiiae iel 4 e 5 wao 1906. 4 giugno 1906. — Seduta antimeridiana. La seduta è aperta alle 9,30. Sono presenti il presidente Capellini, i mem- bri Bassani, Bacca, Cocchi, Issel, Mazzuoli, Parona, Pellati, Striiver, Taramelli, il direttore del E. Istituto geografico militare tenente-generale Crema ed il se- gretario Zezi. Il Presidente commemora il compianto senatore Scarabelli, ricordandone i meriti e l’opera quale membro del Comitato. Dà quindi la parola al Direttore del servizio. Pellati si associa ai sentimenti espressi dal presidente per la perdita del senatore Scarabelli e rammenta pure quella deH’ing. Sormani tanto benemerito dell’Ufficio, ricordandone lo zelo e la modestia. Accenna pure brevemente alla morte avvenuta da poco tempo dei professori Dewalque e Eenevier ed a quella del senatore Montefiore i quali, benché non avessero dirette relazioni col nostro Ufficio, pure hanno in vario modo contribuito all’ incremento della geo- logia italiana. * Pellati, venendo quindi alla sua consueta Eelazione annuale dice che, questa essendo stata distribuita in bozze ad ogni singolo membro, potrà risparmiare di trattare in modo particolareggiato di tutti gli argomenti in essa riferiti. Con- stata innanzi tutto che il lavoro compiuto nella decorsa campagna risultò sod- disfacente e di poco inferiore per superficie studiata a quella dello scorso anno e che la spesa ne fu notevolmente minore. Accenna ai giacimenti ferriferi della Yalle d’Aosta il cui studio è giunto a buon punto e potrà essere presto pubblicato nelle Memorie descrittive ; ed alla Carta al 400,000 delle Alpi occidentali pressoché ultimata e della quale presenta la base topografica preparata dallo stabilimento De Agostini ed un esemplare colorito a mano. Comunica pure una copia della Carta geologica ge- nerale della Francia e zone limitrofe al 1,000,000 pubblicata a cura del servizio geologico francese, rendendo conto delle differenze di interpretazioni cronolo- 2 — 6 — giche date in essa ed in quella dei nostri rilevatori per alcune formazioni delle Alpi occidentali. Pellati passa quindi a parlare delle escursioni compiute in Gamia dalla Società geologica italiana, alle quali parteciparono giusta il desiderio del Comi- tato e suo anche parecchi ingegneri dell’Ufficio ed accenna alla prossima adu- nanza della Società che sarà presieduta dal collega Mazzuoli. Massuoli quale presidente della Società esprime il desiderio che anche quest’anno sia facilitato ai membri dell’Ufficio Tintervento alle escursioni che si terranno in tale occasione nella Liguria orientale. Il Comitato approva. Pellati ricorda le deliberazioni prese lo scorso anno dal Comitato relativa- mente al servizio paleontologico e presenta la cartina geologica del monte d’Ocre (Aquila) ed una tavola di sezioni eseguite dall’ing. Crema secondo l’in- carico affidatogli e prega il prof. Parona di dare qualche informazione sulla monografia della fauna ivi raccolta, alla quale egli sta attendendo per incarico del Comitato. Parona rammenta le origini di questo suo lavoro e nota che tale fauna, comprendente oltre duecento specie di Coralli, Camacee e Gasteropodi, si deve considerare come una delle più ricche conosciute del cretaceo italiano. Dice che i coralli possono rivaleggiare con quelli di Gosau, che le Camacee appartengono in gran parte alle specie di Termini-Imerese, così splendida- mente illustrate dal prof. Di-Stefano e che i Gasteropodi sono in gran parte nuovi. Annunzia che il lavoro è ormai a buon punto e presenta un certo nu- mero di tavole già pronte per la stampa. Capellini chiede se in relazione a questo cretaceo vi siano lembi eocenici, come a Termini-Imerese. Parona dice che così risulta dalla carta geologica presentata. Pellati ringrazia il prof. Parona per le notizie fornite ed aggiunge che con questa monografia, accompagnata da una breve introduzione stratigrafica ad illustrazione della Cartina geologica, potrà ripigliarsi la pubblicazione delle Me- morie in-4° grande. Il Comitato approva. Pellati dice che dietro accordi colla Presidenza si incaricò il dott. Prever, noto pei suoi studii sulle IS^ummulitidi, di esaminare sommariamente i calcari nummulitici della Valle dell’Aniene e che da quest’esame preliminare è risultata l’opportunità di uno studio completo di tale gruppo di fossili, studio che pro- pone di affidare allo stesso dott. Prever. Il Presidente dichiara che in tesi generale preferisce che la designazione degli specialisti, ai quali debbonsi affidare lavori di paleontologia, venga fatta di- rettamente dal Comitato ; soltanto in casi d’urgenza si varrà del mandato con- feritogli lo scorso anno. Anche in questi per altro si riserva di sentire, quando occorresse, il parere dei colleghi particolarmente competenti nelle varie materie — 7 — per decidere sulle proposte fattegli dalla Direzione del servìzio. Nel caso pre- sente conferma la designazione già fatta. 11 Comitato approva. Pellati passa a render conto dell’opera della Direzione in occasione dell’e- ruzione vesuviana. Issel osservando quanto sarebbe utile di poter prevedere mediante regolari osservazioni l’avvicinarsi di simili fenomeni, prega il Comitato di voler pren- dere in considerazione ed appoggiare del suo autorevole voto una proposta, la quale, d’accordo col collega Bucca, viene formulata come segue : « Considerando la grande importanza che potrebbero assumere speciali os- « servazioni suscettibili di segnalare l’approssimarsi di una eruzione nei terri- « tori vulcanici e specialmente presso il Vesuvio e l’Etna, il Comitato geoio - « gico fa voti perchè gli Istituti competenti vogliano promuovere nei punti più « appropriati misure differenziali e continue di gravità, dalle quali si spera « ottenere dati positivi sulle oscillazioni di livello dei magma lavici nei foco- « lari vulcanici. » Crema, Pellati e Capellini aggiungono alcune osservazioni. Dopo breve discussione la mozione è approvata all’unanimità. Crema annunzia che l’Istituto geografico militare sta attualmente atten- dendo ad un nuovo rilievo della regione vesuviana nella scala di 1 a 10,000. Pellati ringrazia il generale Crema della notizia ed approfitta della sua presenza alla seduta per rivolgergli alcune domande che interessano i lavori dell’ Ufficio. Ricorda dapprima che le carte cosidette riservate e fuori commercio per disposizione dell’autorità militare vengono sempre concesse con difficoltà al- l’Ufficio ed in qualche caso furono anche rifiutate. Siccome tali carte sono as- solutamente indispensabili per i rilevamenti geologici, prega il generale Crema di suggerire il modo di procurarsele con maggiore facilità, pur dando all’Am- ministrazione militare le garanzie necessarie. Crema dichiara che la facoltà di concedere dette carte è riservata esclusi- vamente al Comando del Corpo di Stato maggiore ; non saprebbe quindi dare altro suggerimento all’infuori di quello di iniziare pratiche dirette fra i due mi- nisteri d’ Agricoltura e della Guerra. Dopo brevi osservazioni del Presidente e dei membri Mazzuoli, Issel e Pa- rona resta convenuto che si provvederà secondo le indicazioni fornite dal Direttore dell’Istituto Geografico Militare. Pellati nota ancora che l’Istituto non concede trasporti di carte per le ri- produzioni a stabilimenti privati. Ciò porta di conseguenza che o le ordinazioni per pubblicazioni di carte devono essere date all’Istituto o si deve riservare a questo la stampa del nero, affidando ad altri quella dei colori, ed accenna agli inconvenienti che ne conseguono. Crema risponde che l’Istituto per salvaguardare la proprietà artistica non ha facoltà di cedere trasporti ad altri stabilimenti. 8 — Potrebbe invece provvedere anche alla stampa dei colori come fece altra volta e senza che necessiti la presenza di un impiegato deU’Ufficio geologico, perchè l’Istituto si atterrebbe agli originali inviati per fare il lavoro e poi man- derebbe le copie di prova per tutte le correzioni che Fllfficio avesse da fare. Il Presidente trova giuste queste osservazioni. Massuoli è favorevole ad un nuovo esperimento di pubblicazione di carte per cura dell’Istituto. Pellati dice che è sempre in corso la pratica per la Carta della Basilicata, facente seguito a quelle di Calabria e di Puglia già stampate dall’Istituto. Pellati aggiunge che le carte dell’Istituto sono tenute a giorno ad inter- valli di tempo piuttosto lunghi e perciò avviene che alcune di esse sieno in arretrato di parecchi anni ed all’atto di pubblicarle con i colori geologici man- chino di particolari importanti, come già si è verificato in un caso recente. Crema conviene che l’aggiornamento delle carte è molto in arretrato, ma soggiunge che recentemente l’Istituto ha ottenuto un aumento di dotazione al riguardo, cosicché d’ora innanzi le ricognizioni saranno più numerose e condotte in modo da aggiornare fogli interi incominciando dalle zone militarmente più importanti, dalle regioni circostanti ai grandi centri e da quelle che da maggior tempo non furono aggiornate. Pellati chiede se l’Istituto potrebbe eseguire gli aggiornamenti per le pub- blicazioni dell’Ufficio, per esempio per la Basilicata e ciò almeno per le ferrovie e strade principali. Crema dice che le ricognizioni parziali riflettenti le ferrovie e strade prin- cipali si eseguiscono di continuo. Sarebbe del resto consigliabile che l’Ufficio geologico facesse conoscere in tempo all’Istituto quali regioni gli occorre di avere aggiornate. Pellati domanda quando e come si potrà avere una buona base topografica per la nuova edizione della Carta geologica d’Italia al 1,000,000 e per quella progettata nella scala di 1 a 500,000. Crema risponde che al Congresso geografico internazionale di Berna (1891) fu proposta la pubblicazione di una Carta della Terra ad 1:1,000,000 ed un voto analogo fu ancora emesso testé in occasione del Congresso geografico interna- zionale di Washington, ma salvo il parziale concorso di pochi Stati che hanno intrapreso la costruzione di alcune carte d’Asia, Africa ed America secondo le norme proposte per, tale lavoro, un vero accordo in proposito non si è ancora ottenuto. La Carta d’Italia al 1,000,000 compilata fin dal 1885 fu costruita è vero in base alle vecchie carte, ma data la piccolezza della scala si può ritenere abbastanza esatta nella rappresentazione pianimetrica. L’Istituto non può per ora pensare a compilarne un’altra in base ai nuovi rilevamenti, tanto più che per non danneggiare l’Industria privata è stato convenuto che esso per l’avvenire debba limitarsi alla costruzione di carte in scale non inferiori al 500,000. 9 In quanto alla carta in questa ultima scala dice che fu in origine desunta da elementi varii, ma di mano in mano che si fece il nuovo 100,000 si corressero le differenze. I fogli della Sardegna, i quali erano stati compilati in base alla carta del Lamarmora (1 :250,000) saranno quanto prima sostituiti con altri ba- sati sui nuovi rilevamenti. Pellati chiede da ultimo a che punto si trovi il disegno dei fogli al 100,000 senza tratteggio particolarmente per l’Italia meridionale. Crema dice che tale lavoro è bene avviato e che procede di pari passo con la trasformazione della carta al 100,000 in policroma e se l’Ufficio farà in tempo conoscere quali fogli gli occorrano, l’Istituto cercherà di conciliare le proprie esigenze con quelle del servizio geologico. Pellati ringrazia c riprendendo quindi la sua esposizione presenta alcune tavolette al 25,000 dell’Iglesiente coi rilievi geognostici compiuti dal personale di quel Distretto anche col concorso dell’Associazione mineraria sarda. Dice che i dati così raccolti agevoleranno senza dubbio il compito dei geo- logi che dovranno a suo tempo dare la carta di tale regione e che intanto potranno essere utilizzati per i bisogni dell’industria. Pellati presenta infine i nuovi fogli della Carta geologica d’ Europa ed informa che per il foglio C-Y di cui si sta preparando una edizione riveduta l’Ufficio ha raccolto gli elementi necessari che quanto prima saranno trasmessi alla Direzione della Carta in Berlino. La seduta è tolta alle ore 12. Il Segretario II Presidente P. Zezi. G. Capellini. Seduta pomeridiana. La seduta è aperta alle ore 16^ essendo presenti oltre al presidente Capel- lini, i membri Bassani, Bucca, Crema, Issel, Mazzuoli, Parona, Pellati, Striiver, Taramelli ed il segretario Zezi. Il Presidente dà subito la parola al Direttore del servizio. Pellati, perchè riprenda la sua esposizione. Pellati riferisce intorno ai lavori di campagna, enumerando dapprima i risultati più importanti ottenuti e passando quindi in rassegna i nuovi rileva- menti e le revisioni nelle Alpi ed in Liguria (Zaccagna, Mattirolo, oN’ovarese, Branchi, Stella), nell’Umbria e nelle Marche (Lotti, Cassetti, Moderni), nel Lazio (Viola, Sabatini), nell’ Appennino centrale e meridionale (Crema, Cassetti). Pellati parla quindi dei lavori compiuti in Ufficio e presenta al Comitato alcuni fogli della Toscana al 100,000 ultimamente stampati e la relativa tavola di sezioni. Mazzuoli è lieto che tale utile pubblicazione, sia a buon punto, tanto che — 10 — fra non molto potrà essere ultimata. Egli però desidererebbe cbe insieme alle carte venisse pubblicata la Memoria illustrativa della Toscana, tanto più cbe questa è già pronta da parecchi anni. Pellati divide il desiderio del collega Mazzuoli ed informa che per la stampa di detta Memoria sono già in corso opportune intelligenze colFing. Lotti e che la pubblicazione potrà aver luogo quanto prima. Il Comitato approva. Pellati espone, da ultimo, il programma dei lavori per la prossima cam- pagna, programma che non solleva alcuna obbiezione da parte del Comitato. Lo stesso presenta poi al Comitato alcune tavole e manoscritti già pronti, cioè le contribuzioni paleontologica, petrografica e chimica all' illustrazione delle Alpi Apuane. Della prima sono già stampate le tavole e si procederà fra breve alla pubblicazione del testo. Per le altre si faranno al più presto al Ministero le proposte di pubblicazione nel formato delle Memorie descrittive. Idee infine che è stata presentata dalla Società fra i Licenziati della Scuola mineraria di Caltanissetta una domanda per la ristampa a proprie spese della Memoria del Mottura Sulle formasioni solflfere della Sicilia e della relativa Appendice, inserita nei voi. 1*^ e 2® delle Memorie in--4® pubblicate dalFIIfficio nel 1871-73. Gli pare che nulla possa esservi in contrario. Issel chiede se non sia il caso di rimettere al corrente tale lavoro con note ed aggiunte. Il Presidente osserva che la ristampa sarebbe d’iniziativa assolutamente pri- vata e che in ogni modo in essa sarà messa in evidenza oltre la provenienza la data della prima pubblicazione, 11 Comitato approva. Pellati comunica una lettera del Ministero nella quale in seguito alle nuove insistenze fatte dal Governo messicano perchè l’Italia invii un delegato tecnico al Congresso geologico internazionale, X Sessione, prega il Comitato di espri- mere il suo parere in proposito, Bassani fa rilevare l’opportunità che l’Italia sia degnamente rappresentata a questo congresso. Il Presidente conviene in questa osservazione, ma tenuto conto delle scarse risorse di cui dispone il Servizio della carta geologica, crede convenga atten- dere ancora prima di impegnarsi in spese a tale scopo. Dopo una breve discussione il Comitato dà mandato al presidente ed al Di- rettore di provvedere secondo le circostanze, tenendo conto dei mezzi disponibili. La seduta è tolta alle 17 30. Per invito del Presidente i membri del Comitato si trattengono per discu- tere sopra argomenti di carattere personale da trattarsi in adunanza riservata. / Il Segretario P. Zezi. Il Presidente G. Capellini. — 11 — Seduta del 5 giugno 1906. La seduta è aperta alle ore 16, coll’ intervento del presidente Capellini ; dei membri Bassani, Bucca, Cocchi, Crema, Issel, Mazzuoli, Parona, Pellati, Striiver, Tarameli! e del segretario Zezi. B segretario, ad invito del presidente, dà lettura dei verbali delle due sedute precedenti, nonché della seduta riservata. I^^essuno facendo osservazioni in contrario, detti verbali s’intendono ap- provati. Taramelli raccomanda che nell’ iniziare i lavori nella Yaltellina, gli opera- tori abbiano di mira il necessario orientamento sul valore cronologico di alcuni terreni più o meno analoghi a quelli che affiorano nelle Alpi occidentali, e ciò prima di procedere al rilevamento sistematico. Desidererebbe poi che quando l’ing. Zaccagna potesse disporre di qualche tempo pei lavori di campagna, egli esaminasse colla sua perizia alcuni parti- colari stratigrafici delle Prealpi lombarde, che già ebbe occasione di conoscere, specialmente in vista della reale esistenza di alcuni grandi scorrimenti recen- temente segnalati. Issel raccomanda che i rilevatori della Riviera ligure occidentale si studiino di riconoscere qualche suddivisione nella potente massa costituita in prevalenza di calcari dolomitici triasici superiormente alle quarziti. Pellati terrà conto delle raccomandazioni dei colleghi Taramelli ed Issel. La seduta è tolta alle ore 17,30, dopo aver data lettura del presente verbale, che viene approvato. Il Segretario P. Zezi. Il Presidente Gr. Capellini. Relazione al R. Comitato geologico SUI LAVORI eseguiti PER LA CARTA GEOLOGICA NEL 1905 E PROPOSTE DI QUELLI DA ESEGUIRSI NEL 1906. Questioni generali e comunicazioni. Prima di cominciare la mia esposizione, consentite che io esprima un pen- siere affezionato e riconoscente alla memoria del già nostro collega benemerito Giuseppe Scarabelli, senatore del Regno, morto il 28 ottobre 1905, nella grave età di anni 85. Come è ben noto a ciascuno di voi, egli fu appassionato cultore della geologia e della paletnologia,- e le numerose pubblicazioni che lasciò dimostrano la diligenza delle sue osservazioni e la sua instancabile operosità. Campo dei suoi studi fu specialmente la sua nativa regione e raccolse osser- vazioni preziosissime in tutto il versante adriatico dell’ Appennino compreso fra Bologna ed Ancona. Le sue carte geologiche della provincia di Bologna e della provincia di Ravenna, pubblicate fin dal 1853 e 1854, e quelle successivamente elaborate e pubblicate della provincia di Forlì, del Senigalliese e dell’Ancone- tano, fornirono al nostro Comitato elementi utilissimi per la compilazione delle prime carte di insieme del territorio italiano, nel primo periodo della sua atti- vità. Il senatore Scarabelli continuò poi sempre, dal 1879 fino a questi ultimi anni, a prestare il suo intelligente concorso ai nostri lavori, avendo cessato soltanto nel 1902 di far parte del nostro Comitato in seguito a sue insistenti domande, per ragioni di saluto. Alla memoria di lui, che fu studioso instanca- bile, patriota imperterrito ed amico franco e leale, vada tutto il nostro plauso e la nostra riconoscenza. Un’altra grave perdita dobbiamo rammentare: quella dell’ ingegnere-capo Claudio Sormani, che per tanti anni fu il più diligente collaboratore del capo del nostro Ufficio geologico. Entrato fin dal 1872 nel servizio geologico, fu per alcuni anni applicato ai lavori di campagna in qualità di geologo-operatore, sotto la direzione dell’allora presidente del Comitato, prof. Cocchi Più tardi, fu addetto, in ragione delle sue particolari attitudini, ai lavori d’ufficio, spe- cialmente cartografici e bibliografici, e per tal modo l’opera sua fu di grande aiuto alla buona riuscita delle nostre pubblicazioni, le quali bene spesso dovet- tero superare non lievi difficoltà, a motivo specialmente della scarsezza dei mezzi posti a nostra disposizione. Le elette qualità dell’animo furono, nell’ingegnere Sormani, pari alle doti della mente soda ed equilibrata, talché la sua morte suscitò in tutto il perso- — 14 — naie del nostro Ufficio il più profondo rimpianto come quella di un sicuro e cortese collaboratore e di un amico franco e leale. Venendo ora a render conto dei lavori compiuti dal nostro personale, dirò anzi tutto che la campagna geologica dello scorso anno ebbe in genere risultati non meno soddisfacenti che nell’anno precedente, tanto per estensione delle aree rilevate a nuovo o rivedute, quanto per la importanza delle determinazioni e dei coordinamenti compiuti. Infatti la superficie rilevata a nuovo fu di ben 2690 kmq. e quella riveduta di kmq. 2150, in tutto 4840, come meglio si vedrà più oltre. La spesa totale fatta per lavori di campagna ammontò a lire 17,384.04 e le giornate di escursione furono 1062. Kell’anno 1904, come risulta dalla relazione precedente, erano stati rilevati a nuovo kmq. 2270 e riveduti 2800, ossia 5070 in tutto, con una spesa di lire 18,007.08 e coll’impiego di 1095 giornate di escursione. Furono pertanto ri- levati nella campagna di cui si rende conto 420 kmq. di più e riveduti kmq. 650 di meno che nella campagna precedente, con una spesa di lire 723. 04 minore e con 33 giornate in meno. Possiamo dunque essere abbastanza soddisfatti del risultato, tenendo conto specialmente delle difficoltà incontrate, e specialmente delle inevitabili perdite di tempo cagionate dalle grandi distanze che alcuni degli operatori dovettero percorrere per il coordinamento delle osservazioni in tutta l’area rilevata nelle campagne precedenti e per prendere parte alle escursioni della Società geolo- gica nelle Alpi Gamiche. Ma prima d’entrare in altri dettagli sui rilevamenti geologici eseguiti, devo render conto di alcuni lavori speciali a cui era stato in modo particolare accen- nato nella relazione precedente. Sui giacimenti ferriferi della Valle d"' Aosta erano già, fin dall’anno prece- dente, stati raccolti dalla Commissione che ne aveva ricevuto l’incarico, diversi elementi che avevano permesso ail’ing. liTovarese, come membro e relatore della Commissione suddetta, di redig- re intorno ad essi una nota preliminare che fu comunicata al Comitato nell’adunanza dello scorso anno. Benché quella nota, per quanto succinta, contenesse già le notizie essen- ziali che potevano corrispondere agli intenti per i quali la Commissione fu nominata, tuttavia si era credulo di soprassedere alla sua pubblicazione, in attesa di studi ulteriori che col corredo di dati statistici ed economici, di ana- lisi chimiche e petrografiche, di piani, sezioni geologiche e vedute prospettiche, avessero permesso di addivenire ad una pubblicazione completa sull’argomento da farsi fra le Memorie descrittive della Carta geologica. Di simile completa- mento si occupò nello scorso anno specialmente l’ing. Mattirolo, come risulta dalla relazione particolareggiata, che si troverà più avanti, sni lavori da lui compiuti : ma il copioso materiale raccolto non potè ancora essere convenien- temente elaborato per iniziare la pubblicazione progettata. — IS- TI lasserò poi dovette subire un’ ritardo anche per la circostanza che uno dei membri della Commissione, l’ing. Ricci, che era addetto al distretto di Torino, cessò fin dal dicembre ultimo di far parte del Corpo delle miniere, avendo preso servizio in Ispagna presso una Società privata. Ideila relazione dello scorso anno si era pure accennato ad alcune rico- gnizioni, anzi a qualche nuovo rilevamento che ancora occorreva per il figurato della Carta (Tìnsieme delle Alpi occidentali al 400^000, in vista specialmente della sua estensione nella parte sud-orientale sino al Colle dell’Altare. Gli ingegneri Franchi e Zaccagna dovevano particolarmente occuparsene e a quest’ultimo resta- vano da compiere all’uopo alcune importanti revisioni e completamenti delle tavolette di Garessio e Finalborgo e nella zona inferiore della tavoletta di Alassio. Accadde però all’atto pratico un grave inconveniente, quando nello scorso mese di settembre l’ing. Zaccagna era intento appunto a quel lavoro, poiché cadendo le operazioni in zone di fortificazioni lungo il litorale, ne fu dall’autorità militare impedito, nonostante che fosse munito della lettera ministeriale di riconosci- mento. IN'on valsero le giustificazioni che egli potè dare e dovette sospen- dere il lavoro per munirsi di un permesso speciale dell’autorità militare stessa. Senonchè le pratiche relative, iniziate all’uopo, essendo andate per le lunghe, sopraggiunse la cattiva stagione ed il lavoro dovette essere rimandato alla primavera dell’anno corrente. Questa circostanza impedì di mandare ad effetto il proposito dell’Ufficio di dare la Carta pubblicata prima della presente adunanza del Comitato. Per- tanto non possiamo per ora presentare che la Carta in nero tirata dall’Istituto cartografico De Agostini ed il figurato colorito a mano, ora in corso di com- posizione cromolitografica, colla speranza che la pubblicazione possa essere ultimata prima della chiusura dell’Esposizione di Milano, alla quale avevamo preso impegno di presentarla. Questo ritardo per altro permetterà di profittare di qualche ulteriore revisione che si potrà compiere al principio dell’entrante campagna, come risulta dalle proposte che saranno fatte più oltre per ulteriori perfezionamenti della Carta stessa. Si era detto nella Relazione dello scorso anno che i risultati sommari del nostro rilevamento nelle regioni adiacenti al confine francese erano stati comu- nicati alla Direzione della Carta geologica di Francia per la nuova edizione della Carta generale della Francia e alla scala di 1 a 1,000,000. Di tale carta, recentemente pubblicata, abbiamo in questi giorni ricevuta una copia, che ci facciamo premura di presentare al Comitato. Come si vede, essa è litograficamente molto bene riuscita e segna un no- tevole progresso sulla edizione precedente, del 1889, la quale fu completamente rifusa con riferimento ai fogli pubblicati al 80,000 ed a lavori editi ed inediti di diversi autorevoli geologi, modificando pure la gamma dei colori per avvi- cinarsi di più a quella della Carta geologica d’Europa. - 16 — IN'oq è il caso dio ci soffermiamo a mettere in rilievo i distinti pregi di questa carta la quale, come le altre pubblicazioni che emanano dalblstituto geologico fran- cese, fa veramente onore a chi presiedette alla sua compilazione ; non possiamo tuttavia omettere di far notare che per la regione alpina italiana sono riprodotti, salvo poche modificazioni, i limiti dei nostri nuovi rilevamenti, come era ap- punto stato inteso e come appare del resto nel titolo in cui si fa cenno della collaborazione del Franchi in base ai documenti del nostro Ufficio geologico. Modificazioni in tali limiti si riscontrano, per esempio, nell’alta Yalgrisan- che e attorno al Cervino. La coloritura è pure variata per alcune piccole masse di terreni, ad esempio per il Permiano di Levone indicato come Carbonìfero, per le sieniti di Biella indicate corno dioriti, per le dioriti di Valsavaranche segnate come sieniti ecc. Se la carta ci fosse stata comunicata in bozze, come veramente era stato inteso da principio, tali discrepanze sarebbero state corrette. Isella carta sono poi rappresentate con identico figurato e sotto l’indica- zione sèrie cristallophyllìenne permo-carbonifère^ tutte le masse gneissiche che si trovano all’interno della grande zona permo-carbonifera interalpina, come quello dei massicci Dora-Yal Maira, del Gran Paradiso, del Monte Rosa, ecc. La concordanza ai contatti degli strati superiori di quei massicci colla parte infe- riore della zona delle pietre verdi non basta, a nostro avviso, a giustificare un tale modo di rappresentazione. Dalla nostra Carta delle Alpi occidentali al 400,000 si vedrà come i nostri rilevatori, pure ammettendo il valore di quell’argomento, e riconoscendo che il Permo-carbonifero possa comprendere una parte dei micascisti e degli gneiss, abbiano adottato una rappresentazione più oggettiva, dando ai caratteri litolo- gici l’importanza che loro spetta, sopratutto per la mancanza di ogni criterio positivo per fissare il limite inferiore della parte di quelle masse gneissiche che si volesse ascrivere a quel terreno. Anche per la pubblicazione della Carta geologica al 50,000 della regione del Sempione, da parte della Commissione geologica svizzera, il nostro Ufficio aveva comunicato, come si disse nella Relazione dello scorso anno, al profes- sore Schmid! i dati del rilevamento fatto dall’ing. Stella nel territorio Osso- lano. Con questi e coi dati del rilevamento compiuto dai prof. Schmidt e dott. Preiswerk, fu compilata a Basilea una prima copia di tale Carta su un figurato topografico appositamente stampato dall’Istituto topografico federale svizzero. Questa copia fu trasmessa al nostro Ufficio, e su di essa l’ing. Stella ebbe a fare diverse osservazioni e proposte di modificazioni. Il prof. Schmidt sta ora preparandone una copia definitiva che verrà pure trasmessa al nostro Ufficio prima della stampa, ma ciò non potrà farsi che fra qualche mese, come ci fa sapere il prof. Schmidt stesso, e nel titolo della Carta si farà opportu- namente cenno della parte in cui venne utilizzato il rilevamento del nostro Ufficio, quale figurerà pure nella nostra Carta al 400,000, ed a suo tempo nella Carta normale al 100,000. — 17 — Memoria descrittiva delle Alpi Apuane. — Questo disgraziato lavoro non ha fatto nello scorso anno alcun progresso. Motivo dell’arresto furono le malaugu- rate condizioni di salute e di famiglia dell’ing. Zaccagna, le quali non gli permi- sero di occuparsi di un argomento che se presenta grande interesse per il ser- vizio ed è da così lungo tempo atteso dagli studiosi, dovrebbe pure molto im- portare all’autore della Carta geologica delle Alpi Apuane per la propria ripu- tazione scientifica. Ideila campagna dello scorso anno poco più si potè ottenere dall’ing. Zaccagna della revisione di una parte del territorio della Liguria oc- cidentale che deve figurare nella carta al 400 mila delle Alpi occidentali. Tale revisione dovette poi, come si disse, interrompersi verso la fine della campa- gna per le difficoltà opposte alle escursioni dell’ing. Zaccagna dalle autorità militari. Avendo ora egli assolto il suo compito per la carta suddetta, la quale per vero dovette pure subire notevole ritardo, tsì disporrà che lo Zaccagna non sia più distratto in altri lavori finché non avrà consegnato il manoscritto della sua Memoria sulle Alpi Apuane, compiuto e pronto per la stampa. Intanto si terminerà la pubblicazione della nota paleontologica ormai in corso avanzato di stampa, del prof. Canavari, e si intraprenderà senz’altro quelle degli inge- gneri Mattirolo e Franchi relative allo studio chimico e petrografico delle roccie apuane, per le quali possiamo prendere in modo assoluto l’impegno della loro prossima pubblicazione, senza aspettare quella della Memoria dell’ing. Zac- cagna. Società geologica italiana. — 1^^'ella precedente sessione il Comitato aveva unanimamente appoggiato la mia proposta che fosse accordata ogni possibile agevolazione ai geologi deU’Ufficio perchè potessero prender parte alle escur- sioni da compiersi nella Gamia in occasione della adunanza estiva della So- cietà geologica italiana sotto la guida del nostro benemerito collega prof. Ta- ramelli, allora presidente della Società. Questa proposta era ampiamente giu- stificata dallo speciale interesse che per noi presenta detta regione destinata a divenire fra non molto un importante centro di rilevamento per la nostra Carta geologica. Ho ora il piacere di annunziare che tale voto potè avere piena esecuzione e che tre dei nostri ingegneri e cioè Franchi, Stella e Crema presero fruttuo- samente parte a tutte le escursioni, sulle quali non farò qui parola essendone già comparso a suo tempo sul nostro Bollettino un breve resoconto. Aggiun- gerò soltanto che esse permisero pure di portare un notevole incremento alle nostre collezioni con un primo nucleo di roccie e fossili della interessante re- gione visitata e che, come è detto più oltre, fu dato iùcarico all’ing. Crema di visitare nel ritorno da dette escursioni la scaglia cretacea ed eocenica di Lon- garone conformemente al voto espresso dallo stesso prof. Taramelli. IS’ell’anno corrente la Presidenza della Società essendo affidata al nostro — 18 — egregio collega ing. Mazzuoli, i rapporti dellUfficio geologico colla Società stessa potranno riuscire anche più intimi e certamente i nostri ingegneri non mancheranno di prender parte alle interessanti escursioni che si faranno nei dintorni di Sestri Levante dove il Mazzuoli potè, durante la sua permanenza al distretto minerario di Genova, fare osservazioni tanto pregevoli sopra la gia- citura e la genesi delle formazioni serpentinose e sulle loro relazioni coi giaci- menti minerali di quella regione. Riunione straordinaria della Società geologica francese in Torino. — In prin- cipio dello scorso settembre ebbe luogo in Torino ad iniziativa del chiar. pro- fessore Federico Sacco, una riunione straordinaria della Società geologica di Francia destinata specialmente allo studio dei terreni terziari del Piemonte e della zona delle pietre verdi. Ho creduto opportuno che l’TIfficio fosse uf- ficialmente rappresentato in questa occasione e ne affidai l’incarico agli ing. Zaccagna e Franchi col mandato anche di prestarsi eventualmente come guide per quei colleghi francesi, che avessero desiderato di visitare qualcuno fra i punti più interessanti della zona delle pietre verdi. A questa riunione interven- nero pure per proprio conto gli ing. Mattirolo e Crema. I^on è qui il caso di parlare delle escursioni splendidamente riuscite, sotto la scorta del professore suddetto, essendosene già fatto un cenno speciale nel 4® fascicolo del Bollettino del Comitato geologico pel 1905. Ricordiamo soltanto con vivo compiacimento, la nomina del nostro benemerito collega prof. Parona a vice-presidente della riunione. Servizio paleontologico. — Lo scorso anno questo importante ramo del ser- vizio procedette in piena conformità delle deliberazioni del Comitato ed in modo del tutto soddisfacente. Sono state compiute nuove ricerche nel Cretaceo del Monte d’Ocre inviando il materiale raccolto al prof. Parona, al quale il Comitato aveva affidato tale studio, e sono già pronte, anzi si presentano, la cartina geologica e le sezioni che devono accompagnare questa monografia, colla quale potrà ripigliarsi la pubblicazione delle Memorie in-4®. Anche le note illustrative di tale cartina sono a buon porto. Dietro accordi poi presi colla Presidenza del Comitato fu pure inviata al dott. Prever parte dei calcari nummulitici della valle dell’Aniene per un som- mario studio preliminare, sul quale questi ha già mandato una breve relazione, anzi si crede qui opportuna la proposta, che si spera sarà ammessa, di affi- dargli lo studio dell’intiero materiale raccolto. Alle altre determinazioni di fossili richieste per il normale andamento dei lavori potè senz’altro provvedersi direttamente mediante il personale dell’Ufficio come si vedrà più innanzi, là dove si rende conto dei singoli lavori. Sono tuttora in corso le pratiche intese ad ottenere dal Ministero che l’eco- — 19 — nomia risultante dalla non avvenuta sostituzione del dott. Di-Stefano possa venire integralmente utilizzata per il servizio geologico e si spera che sarà cosi possibile di valersi fra non molto in misura assai più larga dell’opera di paleon- tologi estranei alla nostra amministrazione, ciò che varrà anche a meglio ce- mentare i buoni rapporti sempre esistiti fra il nostro Ufficio e gli altri istituti geologici del Regno. Alla conservazione ad all’ordinamento delle nostre collezioni paleontologiche si è infine provvisto preponendovi l’ing. Crema il quale si è validamente ado- perato per la sistemazione definitiva delle varie raccolte come sarà detto più oltre. Ernsione vesuviana. — Sarebbe qui fuori di luogo una relazione, anche soltanto sommaria, sull’ eruzione che in principio d’aprile funestò le contrade vesuviane, tanto più che pregevoli pubblicazioni già furono fatte su tale argo- mento ed altre non mancheranno certo a suo tempo. Debbo tuttavia informare il Comitato della parte presa dal Corpo delle Miniere e dal nostro Ufficio geologico in questa circostanza, segnalando in particolar modo l’opera prestata dall’inge- gnere Baraffael del distretto minerario di IN’apoli. Appena il Vesuvio accentuò la sua fase eruttiva egli si mise a disposizione delle autorità locali, recandosi nei luoghi più colpiti e rimanendovi fino ad eru- zione finita. In unione all’ingegnere-capo del Genio civile si pose agli ordini del Pre- fetto e dei membri del Governo nelle loro visite ai comuni devastati ed ebbe successivamente l’onore di unirsi all’accompagnamento delle Loro Maestà e degli augusti Principi, che spinti da generoso impulso furono solleciti ad accorrere sui luoghi del disastro ; non tralasciando intanto il Baraffael di inviare tele- graficamente preziose notizie sull’andamento del fenomeno che io mi affrettai di comunicare al Ministero. Mi parve allora evidente che la straordinaria intensità dell’eruzione richie- deva che uno almeno degli ingegneri dell’Ufficio geologico si recasse sui luoghi per fare tutte le possibili osservazioni e raccogliere i dati occorrenti per una esatta descrizione dell’importante fenomeno, e questo incarico affidai all’in- gegnere Sabatini, la cui relazione, corredata da una carta topografica indicante la posizione delle nuove spaccature del fianco della montagna, delle nuove bocche, l’andamento e le dimensioni delle correnti laviche, verrà presto pubbli- cata nel nostro Bollettino. In questa occasione ho ancora creduto opportuno di concedoK^ un breve congedo agli ingegneri Mattirolo e Crema ed all’allievo-ing. Pomari, i quali de- siderarono di recarsi privatamente colà per loro personale istruzione. Benché queste gite non avessero carattere ufficiale, l’ing. Crema mi rese gentilmente conto di quanto aveva potuto osservare, con una breve e chiara relazione, della quale mi feci premura di dare comunicazione al Ministero che molto la gradì. — 20 — Ho creduto poi d’interpretare rettamente i sentimenti di tutti i colleglli del Corpo delle Miniere inviando al prof. Matteucci, appena se ne ebbero sicure no- tizie, un telegramma per esprimergli il nostro compiacimento per la sua nobile ed esemplare condotta ; al quale l’egregio professore rispose col telegramma se- guente : «Esprimo a Lei, Corpo Miniere, Ufficio geologico, miei sinceri ringra- ziamenti per affettuoso indirizzo che mi recò immensa soddisfazione». Terremoto di Calabria. — Per lo studio di questo disastroso fenomeno, che nella notte del 7 all’ 8 settembre tante rovine e tanto lutto arrecò alle regioni Calabresi, il Ministro di agricoltura, industria e commercio nominò una Commis- sione costituita dell’ing. Baldacci, del prof. Agamennone e di un altro funzio- nario che venne solo designato nel mese di novembre. L’ing. Baldacci, che si preparava a partire da Torino per le sue ordinarie escursioni nelle Alpi, ebbe il 12 settembre ordine telegrafico di partire subito per la Calabria, e il 15 si trovava già sui luoghi col prof. Agamennone. Yennero dai due funzionari visitate le regioni maggiormente funestate dal terremoto nelle provincie di Catanzaro e specialmente nel Monteleonese, in quella di Reggio e in quella di Cosenza, e furono raccolti numerosi dati sulla natura delle scosse, sulla loro durata e trasmissione, sugli effetti di queste tanto sugli edifizi quanto sui manufatti stradali e ferroviari. Collo studio ac- curato dei fatti lungo tutto il perimetro della regione colpita, si potè confer- mare quanto era già noto per le osservazioni dei terremoti precedenti, che cioè la natura del terreno su cui erano fabbricati gli edifizi ebbe notevole influenza sulla entità delle rovine, poiché quelli fabbricati su roccie stabili ebbero in ge- nerale assai meno a soffrire che quelli edificati su terreni incoerenti, che pre- ponderante influenza sulla entità del disastro ebbero i cattivi sistemi di costru- zione. Infatti, si notò che, nei paesi più rovinati, nessuna norma edilizia, di quelle che saviamente erano state decretate dal Governo borbonico fino dal terremoto del 1783, era stata seguita, che moltissimi paesi erano per la mag- gior parte fabbricati con mattoni di argilla e paglia semplicemente seccati al sole, che l’altezza di molti abitati era eccessiva in rapporto alla resistenza dei materiali, che le coperture erano fatte senza collegamenti, con legnami non squadrati ed irregolarissimi. In ogni modo però risultò che la scossa oltre es- sere stata violentissima ebbe una durata così lunga ed eccezionale (35 a 40 se- condi) che ben pochi edifizi nelle migliori condizioni costruttive avrebbero po- tuto sopportarla senza lesioni. Le ferrovie e strade rotabili ebbero danni insi- gnificanti 1^, a conferma di quanto era pure già stato osservato nei terremoti precedenti, non si manifestò nelle gallerie ferroviarie alcuna lesione speciale, direttamente attribuibile a quella causa. Analogamente non si manifestarono le- sioni nelle gallerie e scavi delle cave di arena felspatica e quarzosa di Par- ghelia e nemmeno risulta che se ne sieno prodotti nelle miniere di Lungro. L’ing. Baldacci e il prof. Agamennone informarono periodicamente e rego- — 21 — larmente dei risultati delle loro escursioni e ricerche il Ministro d’agricol- tura, il quale approvò pienamente lo schema di relazione, ed accettò la proposta d.i prendere accordi con gli altri Ministri, affinchè lo studio del terremoto ca- labrese potesse avere svolgimento adeguato alla importanza del fenomeno, e stare a pari con altre relazioni che non solo in altri Stati ma nel nostro stesso paese si erano su simili argomenti pubblicati. IS'on risulta però che tale pro- posta abbia trovato presso le competenti autorità favorevole accoglienza. Giacimenti solfi feri della Louisiana. — Già da vari anni, sia per articoli pub- blicati di tanto in tanto da periodici tecnici, sia per una progressiva diminu- zione della nostra esportazione di zolfi per gli Stati Uniti, che ne erano uno scala di 1 a 50,000. c) » Domodossola-Iselle ) Profili particolareggiati in scale maggiori della galleria elicoidale di Tarzo, e della galleria di Gattico. 4. Due vetrine contenenti : l’una 40 campioni squadrati di materiali delle cave ossolane (gentilmente messi a disposizione dalla Fondazione Galletti di Domodossola) ; l’altra 60 campioni di minerali metalliferi, divisi per gruppi. Le carte manoscritte rappresentano il risultato dei rilevamenti di questi ultimi anni e potranno servire di base a una illustrazione geologica dell’Ossola che ring. Stella sta preparando per un volume delle nostre Memorie descrittive. I profili lungo le linee ferroAÙarie furono da lui compilati in base a pro- prie osservazioni, tenendo conto dei dati prima raccolti dal prof. Tarameli! e forniti anche dalla Società delle strade ferrate del Mediterraneo, costruttrice di esse linee ferroviarie. Questa anzi ebbe, di iniziativa del prof. Taramelli, co- municazione di quei profili in scala opportunamente ridotta onde siano in- — 23 - seriti in un volume tecnico*scientifico che essa sta pubblicando, insieme con un testo esplicativo dello stesso ingegnere, e con uno studio chimico-litologico da lui fatto in collaborazione dei professori G. Giorgis e G. Gallo della Regia Scuola di applicazione di Roma. A compimento ora di quanto abbiamo usato fare nelle relazioni precedenti, daremo un breve cenno sui lavori di perforazione della Grande galleria del Sempione eseguiti nell’anno decorso. Alla fine del 1904 l’avanzamento dallato di Briga si trovava a m. 10,376 e quello dal lato di Iselle a m. 9,162. Restavano quindi, sulla totale lunghezza presunta della galleria in m. 19,729, m. 197. Imbocco Briga. — Del lato di Briga il lavoro era stato sospeso fino dal 19 maggio 1904, e a quella data erano stati attraversati, fin dal km. 10. 177, dei calcari silicei e micacei, cristallini, grigi e biancastri. Gli strati pendevano con sufficiente regolarità di 15° a 20° verso IM’.O. Fino al km. 10. 290 si trovarono regolarmente stratificati, e a partire da questo punto presentavano numerose pieghe e arricciamenti con fessure riempite di calcite. Delle spaccature, orien- tate sensibilmente E-0 e che si immergono trasversalmente ai banchi, coinci- dono con le infiltrazioni d’acqua ; esse sono talvolta semplici fessure, tal altra delle faglie. Come è già noto, causa della sospensione dei lavori da questo imbocco furono rincontro di fortissime sorgenti ad elevata temperatura (47° C), fra cui una di 35 litri al 1", e le gravissime difficoltà, che presentava l’eduzione delle acque, essendo ivi lo scavo della galleria in contropendenza. Le sorgenti sono estremamente gessose e depongono molto rapidamente ossido di ferro giallo. Fu quindi deliberato dalla Direzione dei lavori di proseguire l’avanzamento soltanto dal lato di Iselle. Imbocco Iselle. — Come venne accennato nella relazione precedente, fu in- contrato al km. 9. 110, il 6 settembre 1904, una forte sorgente termale in un banco di calcare chiaro granuloso. Tutta la lunghezza perforata dopo questa sorgente si mantenne in simile calcare, ora a straterelli, ora scistoso, sempre mi- caceo. La roccia è fittamente attraversata da venuzze di calcite e di quarzo, che disegnano tutte le accidentalità degli strati. L’inclinazione fino all’incontro è sempre verso nord -ovest, la direzione quasi normale all’asse della galleria. Si nota dappertutto una fessurazione trasversale molto pronunziata, specialmente nel calcare a straterelli e granelloso e minore negli scisti calcarei, che si in- contrano specialmente fra il km. 9. 205 e il km. 9. 241. Grandi crepacci corri- spondenti a, superficie di scorrimento sono in relazione con le sorgenti. La maggior parte delle acque calde della regione centrale scorre ora verso l’imbocco sud-est della galleria. Le sorgenti fredde della zona acquifera presso il km. 4. 400 dall’imbocco Iselle cominciarono la loro crescita estiva in ritardo sugli anni precedenti ; al minimo di 657 litri al 1", raggiunto in aprile 1905, cor- — 24 - risponde una portata di 9B1 litri alla fine di luglio e il massimo raggiunse i 1013 litri il 13 luglio, mentre nel 1904. già alla fine di giugno si era toccato un massimo di 1133 litri. La temperatura delle sorgenti variabili è discesa da 180.3 a 12^.5 e la durezza da 107° a 44°. In agosto la portata scese a 870 litri per risalire poi in settembre e spe- cialmente in ottobre, verificandosi contemporaneamente un abbassamento di temperatura e del grado di durezza. Ciò può spiegarsi con le forti cadute di pioggia e di neve prodottesi in settembre nel territorio montuoso, che alimenta le sorgenti. Il ,YI Congresso internazionale di chimica applicata inauguratosi in Roma il 26 scorso aprile, e così felicemente svoltosi, comprendeva una Sezione intito- lata alla Metallurgia e Miniere, organizzata dalPing. Mattirolo, quale presidente, membro altresì del Comitato ordinatore e della Griunta esecutiva del Con- gresso. I più bei nomi delle scienze ed industrie minerarie e metallurgiche ed anche geologiche furono inscritti a questa Sezione, intervenendo in buon nu- mero alle sedute. Si riferivano essenzialmente alla geologia in particolar modo, le comunica- zioni del Gautier: Béactions qui engendrent les phénomènes volcaniqnes et les eaux minérales chaudes; del .Ricciardi : Sulla chimica della genesi e cronologia delle roccie eruttive; del Guertler: Di un nuovo metodo per la sintesi dei minerali; ed accenni d’indole geologica si trovano in alcune altre comunicazioni. !Yella sala di questa Sezione veniva esposta la carta manoscritta delle mi- niere e cave d’Italia alla scala 1 : 500,000 compilata dal Corpo delle miniere e la carta geologica generale d’Italia compilata dall’Ufficio geologico, nonché quelle dei dintorni di Roma, e delle isole di Sicilia e dell’Elba, meta delle gite da compiersi dopo il Congresso, disgraziatamente non effettuatesi causa lo sciopero dei marinai nella nostra Società di IsTavigazione generale. Riuscì però felicemente durante il Congresso una gita a Terni, nella quale i congressisti, pur interessandosi alla geologia della contrada, ammirarono le bellezze naturali ed il maggiore stabilimento siderurgico del nostro paese. Dopo la chiusura del Congresso venne effettuata una gita nei giorni 6 e 7 maggio, a Livorno e, colla guida del prof. IN'asini, ai soffioni boraciferi di Larderello, pure splendidamente riuscita. Eurono ammirate a Livorno le sor- genti e l’impianto delle Acque della Salute^ interessanti altresì per riguardo geologico. A Larderello gl’imponenti e curiosi fenomeni naturali che dànno luogo a grandiosa industria chimica, destarono la meraviglia e l’ ammirazione dei convenuti, molti dei quali s’interessarono vivamente alla geologia del paese e vivaci e profonde seguirono le discussioni intorno alJ’oscura genesi dei soffioni. Carta agronomica del territorio di Conegliano. — Eu detto nella Relazione dello scorso anno, come la richiesta coltaborazione nel nostro Ufficio geologico — 25 — a questo lavoro speciale, fosse stata affidata alFing. Stella, il quale, dopo diverse escursioni in quel territorio, consegnava alla Direzione di quella Scuola di viticol- tura ed enologia i campioni raccolti del terreno, topograficamente individuati su apposita carta, e ordinati in gruppi geografici dal quaternario al miocene. Ci risulta che le analisi chimico-meccaniche di questi campioni sono pressoché ultimate nel Laboratorio chimico di quella Scuola, ed anzi che fu contemporanea- mente colà eseguito anche uno studio parcellare sul contenuto calcareo dei ter- reni, allo scopo di completare lo studio agronomico con una carta calcimetrica, certamente interessante per la viticoltura di quell’importante territorio. Lavori geologici nella sona metallifera della Sardegna. — Dopo quanto venne esposto nelle relazioni precedenti intorno a questo argomento, segnatamente nella relazione del 1899, il Comitato ricorderà che per non interrompere i la- vori in corso ed in mancanza di un fondo e di personale apposito si dovette adottare il partito di raccogliere per mezzo degli ingegneri addetti al servizio minerario del distretto di Iglesias tutti quegli elementi litologici e geologici che sulla zona metallifera della Sardegna venisse loro dato di rilevare nelle loro escursioni di servizio e nelle visite alle miniere, profittante anche del concorso della benemerita Associazione mineraria sarda. In tal modo riportando i rilievi già fatti dai loro predecessori sulle nuove carte topografiche fornite dall’Istituto geografico militare alla scala di 1 a 25,000, e per alcune tavolette più centrali dall’l al 10,000, si spera di radunare tale quantità di materiale da agevolare a suo tempo la compilazione della Carta geologico-mineraria della regione, la quale non richiederà forse più che un accurato lavoro di coordinamento. Intanto i ri- cercatori ed i coltivatori di miniere nell’isola potranno profittare dei dati rac- colti che di mano in mano saranno posti a loro disposizione per mezzo della Associazione suddetta. Questo procedimento, per quanto lento, è il solo che possa seguirsi per ora, sino a che non saranno ultimati i principali lavori in corso per parte dell’Df- ficio geologico, che costarono tanti anni di studio e la cui interruzione ne com- prometterebbe certamente la riuscita. In conformità alle istruzioni impartite in questo senso agli ingegneri del distretto di Iglesias, e grazie all’impegno intelligente da essi spiegato, abbiamo potuto avere nello scorso anno le tre tavolette al 25,000 di T^^ebida, Iglesias e Buggerru che oggi presentiamo al Comitato, essendo in corso avanzato di com- pletamento quelle di Domusnovas, Sa Duchessa, San Benedetto e Yillacidro che speriamo siano quanto prima ultimate. Congresso geologico internasionale, X Sessione, a Messico, nel 1906. — Si aprirà come è noto il 6 settembre p. v. e si chiuderà il 14 successivo. Le cir- colari di annunzio e di invito a parteciparvi furono trasmesse regolarmente, oltre che alle persone, anche all’Ufficio geologico e all’Ispettorato. Il Governo — 26 — poi fu ufficialmente invitato a farsi rappresentare ; ma in vista della spesa che sarebbe occorsa per inviare speciali delegati tecnici, spesa che non potrebbe essere prelevata dal fondo stanziato in bilancio per il servizio geologico, il Ministero ha creduto opportuno di delegare la rappresentanza dell’Italia in quel Congresso al regio Ministro al Messico. L’Ufficio geologico, a sua volta, per assicurarsi della comunicazione delle pubblicazioni che si faranno nell’occasione del Congresso e del libretto-guida delle escursioni, che devono aver luogo prima dell’apertura, durante la Sessione e dopo la chiusura del Congresso medesimo, si è fatto inscrivere come membro aderente. Speriamo che parecchi geologi italiani potranno prendervi parte per loro conto particolare e siamo lieti di annunciare che alcuni si sono già fatti in- scrivere per comunicazioni scientifiche, come il valente prof. Di Lorenzo ed il nostro ing. V. Sabatini. Facciamo voti perchè quel Congresso, che si tiene in condizioni alquanto diverse da quelle dei precedenti, in un paese tanto interessante per la sua geologia e per le sue ricchezze minerarie, il quale offre ancora tante risorse per la scienza e per l’industria, riesca di utilità non minore dei Congressi pre- cedenti. Carta geologica d’ Europa. — Fu data esecuzione al voto del Comitato di averne per ciascuno dei suoi membri un esemplare, ed a tal uopo furono a tutti distribuiti i fogli finora pubblicati in numero di 30 sui 49 di cui deve comporsi la Carta intera. La 5^ dispensa, ricevuta da ultimo, comprende i quattro fogli seguenti ; A-YII, B-YII, C-YII, D-YII, che riguardano una striscia dell’Africa settentrionale prospiciente il l'Iedi terraneo, dal Marocco alla Cirenaica, od il foglio F-IY che si estende alle valli del Don e del Yolga, da Saratov al mare di Azof ed al Caspio. I 19 fogli ancora mancanti riguardano la parte Yord-Ovest d’Europa e le regioni asiatiche che limitano la carta a Est ed a Sud-Est. Il foglio C-Y è, come si disse nella Relazione dello scorso anno, uno dei cinque di cui essendo esaurita la scorta, occorre farne una nuova edizione, messa al corrente dei nuovi rilevamenti. Esso riguarda quasi per intero il ter- ritorio italiano e sarà quanto prima restituito alla Direzione della Carta in Berlino, regolarmente aggiornato. Yeramente era stata fatta la richiesta di segnare su di esso le principali linee tectoniche ; ma il nuovo indirizzo preso in questi ultimi anni dalla geologia stratigrafica e le nuove vedute sulle dislo- cazioni e sugli spostamenti che si vanno via via rilevando su vaste forma- zioni per carreggiamenti e ricoprimenti, per lo innanzi non avvertiti, consi- gliano di attendere nuove osservazioni ed accertamenti prima di enunciare fatti di carattere generale nella tectonica di regioni tanto tormentate e scon- volte, quali sono quelle che si vedono nel foglio di cui si tratta. — 27 — Lavori dì campagna. Ai lavori di. campagna, che si svolsero regolarmente secondo il programma approvato dal R. Comitato, e che ebbero, come al consueto, per oggetto i nuovi rilevamenti, le revisioni e le ricerche paleontologiche sul terreno, prese parte lo stesso personale degli anni precedenti, e cioè per le Alpi gli ingegneri Mat- tirolo, Novarese, Franchi e Stella, per la Liguria occidentale gli ingegneri Zac- cagna e Franchi, per l’Umbria e Marche F ingegnere-capo Lotti e gli aiutanti- ingegneri Cassetti e Moderni, per le revisioni in Basilicata e nei Vulcani romani gli ingegneri Viola, Sabatini e Crema, per le ricerche paleontologiche sul ter- reno nei monti aquilani, di Leonessa e del Gargano F ingegnere Crema. I risultati di questi vari lavori furono, come già si disse, soddisfacenti, sia dal punto di vista delle importanti osservazioni che vennero fatte, sia da quello delle aree rilevate a nuovo e rivedute. Riassumiamo qui succintamente alcuni dei principali risultati ottenuti, che vengono poi con maggiori particolari svolti nelle relazioni riguardanti i vari operatori. Fra i principali risultati dei lavoro di questa campagna nelle Alpi è da con- siderarsi quello della retta interpretazione della così detta zona anfibolitica di Ivrea, o della conferma dei fatti, già intravisti nelle precedenti campagne, per i quali tale zona deve esser riguardata come parte di una grande formazione dioritico-kinzigitica comprendente anche una gran parte degli gneiss-Strona (Gerlach). Su questo argomento gli ingegneri Novarese, Franchi e Stella ebbero già a far comunicazioni nella adunanza invernale della Società geologica. Una pubblicazione del prof. Lugeon che indicava nelle Alpi l’esistenza di grandi e caratteristici ricoprimenti, i quali, desunti dai dati delle nostre rela- zioni ufficiali, venivano dal Lugeon stesso attribuiti a imponenti fenomeni di carreggiamento, rese necessarie alcune sommarie revisioni in alcuni punti della Valle d’Aosta, e da esse risultò chiaramente che, salvo un parziale ricoprimento indubbiamente esistente nel gruppo del Pilonet (V. Tournanche), nelle altre località tale fenomeno era affatto inesistente. Così nel M. Bmilius si è soltanto in presenza di una grande ellissoide in serie regolare, parzialmente ribaltata. Anche nel vallone di Clavalité, p. es., il supposto ricoprimento di gneiss antichi su calcescisti fu trovato inesistente, poiché lo gneiss di quella località non è che uno gneiss minuto appartenente esso pure alla zona delle pietre verdi. Nella Liguria occidentale fu confermata l’esistenza del Lias nelle valli Pennavaira e Neva, affluenti delFArroscia, e fu constatata la presenza di una zona caratteristica e fossilifera di Infralias; fu inoltre osservata nella valle del Pennavaira l’esistenza di un importante ribaltamento locale della serie per effetto del quale il Trias poggia sopra FInfralias. Nei dintorni di Neriuo venne poi trovata assai sviluppata una formazione di breccie grossolane con elementi — 28 di calcari dolomitici e blocchi di micascisto : questa formazione è certamente posteriore al Lias inferiore e dovrà venire in seguito meglio studiata per sta- bilire la sua esatta posizione nella serie dei terreni. La tectonica di queste regioni è in generale assai complicata e la interpretazione e il rilevamento ne riescono difficili e laboriosi. Ideila regione prossima a Garessio si hanno sin- golari intrusioni di granito in masse e filoni entro il Permiano. IN’ei terreni secondari dell’Umbria vennero riconosciute e studiate varie importanti dislocazioni e contatti irregolari dovuti a fenomeni di carreggiamento. Vennero inoltre rinvenute in notevole quantità delle nummuliti eoceniche in alcuni piani della scaglia e dei sottostanti scisti a fiicoidi. Sarà interessante continuare nella ventura campagna le ricerche di questi fatti, i quali potreb- bero portare importanti cambiamenti nella interpretazione e nella classifica- zione cronologica di quei terreni, finora ritenuti generalmente cretacei, quan- tunque altri indubitabili fenomeni, quale il passaggio laterale della scaglia l'ossa ai calcari nummulitici che dominano a Est e a S.E di Pioti, sieno già prova che gran parte di quel caratteristico e così sviluppato terreno dovrà assai pro- babilmente classificarsi come eocenico. l^ei dintorni di Leonessa (Abruzzo aquilano) si hanno buoni argomenti per stabilire la presenza di alcuni piani del Giurese compresi fra il Titonico e il Lias superiore, ed anche questo studio dovrà esser proseguito e portato a termine nella ventura campagna, avendo esso grande importanza per la stra- tigrafia e tectonica di quella regione. 'Nei rilevamenti anteriori del gruppo del Gargano furono ascritti al Tito- nico vari calcari ivi affioranti, e ciò per la presenza di Ellipsactinie, che a quell’epoca erano ancora ritenute come caratteristiche di quel piano del Giu- rese superiore. Ma avendo, col progresso dei rilevamenti, dovuto riconoscere che quegli idrozoi non sono affatto caratteristici del Titonico, ma si continuano nel Cretaceo, e d’altra parte per ascrivere i calcari a Ellipsactinie del Gargano al Titonico essendo necessario ricorrere ad artificiose interpretazioni tectoniche, vennero praticate delle accurate revisioni e risultò da queste indubbiamente che il più antico terreno del Gargano è il calcare a Rhgnchonella peregrina di Mattinata (Neocomiano) e che i calcari ad Ellipsactinie sono ad esso rego- larmente e direttamente sovrapposti e fanno parte dell’Urgoniano. Così dalla carta geologica del Gargano deve sparire tutto il Giurese, come già era av- venuto per la carta geologica delle Puglie, ed è oramai certo che in tutta Testensione delle provincie pugliesi non affiorano terreni più antichi del IS’eo- comiano. Diamo ora conto particolareggiato di quanto è stato compiuto dai singoli operatori nelle diverse regioni in corso di studio. Direzione dei rilevamenti. — Ing.-capo Baldacci. — In conseguenza di missioni e incarichi speciali, di cui sarà parlato in seguito, ringegnero-capo — 29 — dei rilevamenti potè dedicare nello scorso anno pocliissirao tempo ai lavori geo- logici di campagna. Mentre, di ritorno da un viaggio agli Stati Uniti di Ame- rica, si era già da qualche giorno recato all’Ufficio geologico di Torino e dopo aver fatte delle gite di revisione neH’alta Yaltournanche, insieme all’ing. No- varese, si accingeva ad altre escursioni nelle Alpi, gli giunse dal Ministro di Agricoltura ordine telegrafico di recarsi col prof. Agamennone a studiare il re- cente terremoto di Calabria, e dovè quindi dedicare gran parte del mese di settembre e di quello di ottobre a visitare le località colpite dal disastro, lasciando così trascorrere la stagione più adatta agli studi geologici di cam- pagna. Per la direzione dei rilevamenti e per gli studi sul terremoto calabrese ring. Baldacci impiegò 46 giorni di campagna, percorse 391 km., con una spesa per decimi sui biglietti ferroviari di lire 78. 31 e con una spesa totale di lire 609. 71. Alpi occidentali. — Ing.-capo Mattìrolo. — Durante la prima parte della campagna continuò lo studio dei giacimenti ferriferi della Yalle d’Aosta, occu- pandosi particolarmente di quelli di magnetite inclusi nella zona serpentinosa sulla destra della valle, di Lago Gelato, Ussert, Yal Meriana, Ussel e Albard, nonché di quelli di oligisto di Cicute e di Saint-Nicolas. Dalle osservazioni dell’ing. Mattirolo viene confermato quanto già in parte si conosceva, che cioè detti giacimenti di magnetite, neppure complessivamente considerati, non raggiungono la importanza industriale di quello di Cogne, e che quelli di oligisto sono privi di qualsiasi importanza industriale. L’ing. Mattirolo fu obbligato da malattia piuttosto grave di sospendere per parecchio tempo i lavori di campagna, specialmente nel mese di agosto, e solo in settembre potè riprendere il suo rilevamento nella regione, di cui aA^eva già nelle precedenti campagne intrapreso lo studio, fra il Lago Maggiore e quello di Orta, e particolarmente nelle tavolette di Orta e di Arena. Egli vi studiò e rilevò essenzialmente le intrusioni di graniti e porfidi negli scisti, difficili a riconoscersi e a determinarsi per la A^egetazione piuttosto fitta, per l’esistenza di terriccio e per l’alterazione profonda delle roccie. L’ing. Mattirolo non ebbe a riconoscere alcun fenomeno di contatto particolare. Egli prese parte inoltre ad alcune adunanze e a due escursioni della So- cietà geologica di Francia. L’area rilevata dall’ing. Mattirolo nella regione di cui sopra è di circa 80 km^. Per questo laA^oro e per la ricerca e studio dei giacimenti di ferro di Yalle d’Aosta l’ing. Mattirolo fece 55 giorni di campagna, percorse su vie or- dinarie km. 769, incontrando una spesa ferroAÙaria di lire 242. 65 e con una spesa complessata di lire 911. 61. — so- li Ing. Novarese. — L’areà assegnata all’ing. jN'oTarese nella campagna geo- logica del 1905 abbracciava tatti i monti del bacino idrografico del Yerbano che stanno a N^ord della Toce e sono compresi nei confini politici del Regno. Questo territorio aspro e di percorso difficile relativamente alla sua mediocre altezza è stato riconosciuto sopra tutta la sua estensione. Yon è stato rilevato del tut;o perchè l’ing. IS'ovarese dovette dedicare parte del tempo a completare il rilevamento della Valle Strona, ad alcune revisioni nella Valle d’Aosta, e ad un incarico speciale nella Maremma toscana. Hanno pure ritardato sensibil- mente il lavoro le pioggie eccezionali ed abbondanti dell’estate e dell’autunno del 1905. L’area sopra indicata è la continuazione verso IST.E del territorio rilevato nel 1904, e le osservazioni raccolte hanno pienamente confermato quanto il la- voro della precedente campagna aveva lasciato intravedere, confermando le conclusioni a cui si era giunti ed allargandone la portata. Nei monti occidentali del Verbano, a IN’ord del golfo di Pallanza, si trova la prosecuzione delle tre zone di G-erlach già osservate in Valle Strona, e se ne aggiunge a levante una quarta, quella detta dei micascisti di Orta e del Lago Maggiore, istituita pure dal Gerlach e conservata nelle carte successive. Vuovi argomenti sono stati trovati a conferma dell’asserto che fra la zona dioritica e gli « gneiss-Strona » intesi nel senso del Gerlach, non può essere mantenuta l’antica distinzione. Come fu già detto nella relazione del 1904, buona parte degli gneiss-Strona riuniti alla zona dioritica, costituiscono una sola formazione dioritico-kinzigitica, a cui corrisponde esattamente una zona orotettonica, che, sebbene più larga della vecchia « zona dioritica », può essere ancora chiamata « zona d’Ivrea ». Mantiene una certa individualità la striscia più orientale degli antichi « gneiss-Strona » composta da uno gneiss tabulare biotitico passante localmente a gneiss-ghiandone, il quale però sul terreno si separa molto diffi- cilmente da certe varietà di scisti sillimanitici poveri di granato, appartenenti alla formazione dioritico-kinzigitica. Una differenza intima però esiste, perchè gli gneiss biotitici tabulari presentano al microscopio una struttura cataclastica che manca negli scisti sillimanitici. Isella zona d’Ivrea, intesa nel nuovo senso, è compreso tutto il grande allineamento di calcari cristallini Luzzogno-Candoglia, alternanti con gneiss kin- zigitici e scisti sillimanitici, a levante del quale compaiono imponenti affiora- menti di peridotite e gabbro-diorite non segnalati finora da alcun osservatore. Tali sono la grande massa di peridotite, localmente serpentizzata, di Alpe Morello, nella valle del Bagnone (Loreglia, Val Strona) e le lenti di gabbro-diorite sopra Spanerò che formano alti dirupi sulla cresta fra Monte Zuccaro e Monte Cerano (sopra Casale Cortecerro), e si prolungano verso fino alle alluvioni della Toce. Sulla riva occidentale del Lago Maggiore il limite della formazione, a mezzo- giorno, coincide all’incirca colla frontiera svizzera (ponte di Valmara). Fra questa e — 31 — Brissago si osservano numerose lenti dioritiche, clie per posizione corrispon- dono a quelle di Spanerò. La zona degli « scisti di Fobello e Rimella » consta anche qui per la mas- sima parte di scisti sericitici, però anziché tipi che ricordino le porfiriti, contiene nella Yal Grande, all’Alpe Portatola, grandi masse di gneiss porfiroidi a grossi elementi di quarzo e felspato, rinchiusi in una pasta sericitica. La fascia di calcari e calcari micacei grigi, si mostra con grande regolarità e continuità presso la base della serie, dall’Ossola fino a Pinero (Pian di Sale). In qualche punto, come alla Colma di Premosello, a questi calcari si associano carniole che inglobano frammenti angolosi del calcare grigio micaceo. Pra questa zona e quella d’Ivrea corre un limite molto netto in quanto a strut- tura della roccia che separa le rocce scistose della prima, da quelle tutt’al più zonate, ma di tessitura massiccia e seuza traccia di laminazione della seconda. In quanto a natura delle rocce v’ha presso il contatto, dentro alla massa scistosa della zona di Rimella una fascia di non grande potenza, che talora manca, in cui kinzigiti e dioriti fortemente laminate alternano con scisti filladici e seri- citici di incerta origine. Questo fatto si osserva assai bene alla Bocchetta di Scaredi immediatamente ad occidente della Laurasca (2188 m.), punto culmi- nante del gruppo montuoso. La zona dei micascisti del Lago Maggiore ha un legame molto stretto cogli gneiss tabulari biotitici dello Strona, sebbene per la massima parte sia costituita da gneiss e micascisti a muscovite, talora d’aspetto sericitico. Pure dentro alla sua massa compaiono grandi intercalazioni di uno gneiss biotitico porfiroide, a grossi occhi felspatici, ora tabulare ora granitoide. Così fra il Piz Marona e la Zeda; presso Premeno, e sulla strada nazionale fra Cannerò e Cannobio. Dicchi di porfido e di porfirite solcano questa zona, pure attraversata e metamorfosata dai graniti di Pedemonte e di Monf’Orfano. La tectonica generale pare assai semplice. Gli strati, sempre diretti all’ in- circa da S.O a H.E, hanno inclinazione fortissima a Y.O nella zona dioritica; diventano quasi assolutamente verticali passando ai micascisti del Lago Mag- giore, ed accennano qua e là a pendere a S.E lungo le sponde del lago. numerose ed estese sono le morene laterali lasciate sui monti in riva al lago dai grandi ghiacciai della Toce e del Ticino. Invece straordinariamente scarso è il morenico locale, anche quando le condizioni topografiche sembre- rebbero essere state favorevoli alla formazione di discreti apparati glaciali, analoghi a quelli che hanno lasciato traccia di sé nelle parti più vicine alla pianura delle Cozie e delle Graje. Anche nella Yalle Strona, dove nella parte inferiore (fino a Luzzogno) ebbe luogo un’ invasione di morenico del ghiac- ciaio della Toce, dimostrata principalmente da massi erratici di gneiss-ghian- done non affiorante nella valle, si verifica una consimile povertà del morenico proprio. ~ 32 — Revisioni nella Valle d'Aosta. — Gli gneiss del Monte Emilius e della Becca di IS'ona formano un elissoide completamente avvolto dai calcescisti e pietre verdi, che lo ammantano regolarmente dalla parte di Cogne e del vallone di San Marcel, mentre ne sono ricoperti dal lato della valle principale, ciò che ha fatto si che fosse falsamente interpretato come un ricoprimento, mentre si tratta di un rovesciamento limitato ad una parte del perimetro. Le roccie predomi- nanti nelFelissoide sono gneiss e micascisti granatiferi con gastaldite ed omfa- cìte molto simili a certi tipi della zona Sesia- Yal di Lanzo. Rispetto alla cupola gneissica del Gran Paradiso l’ elissoide del Monte Emilius si trova nella stessa posizione dell’ anticlinale del Grand Yomenon e della Bioula, con questa differenza però che i ribaltamenti sono in senso in- verso, e cioè il Monte Emilius verso IS^ord, la Bioula verso S-S.E. ISfella Yaltournanche fu riveduta la massa di gueiss del Pilonet, la quale poggia completamente sopra i calcescisti ed calcari del mesozoico, come era già stato indicato dal Giordano. A IS’ord del Chateau de Barnes, sulla faccia l^.E della punta detta Mont Blanc de Creton, è visibile la cerniera di una sinclinale di calcari e calcescisti, estremo lembo avanzato dell’erosione in quel punto, della lunga o stretta sin- clinale mesozoica, detta di Roisan, che può seguirsi fino alla carrozzabile di Yal- pelline, e separa l’elissoide della Dent Bianche da quella del Mont Mari. L’area riconosciuta, durante tutta la campagna, fu di km.^ 300 circa che colle revisioni si elevano a 400. Definitivamente rilevati 180 km.^ circa, nei quadranti di Omegna, Pallanza, Domodossola e Cannobio. Per i lavori di rilevamento, ricognizioni e revisioni in Yal d’Aosta, l’inge- gnere I^ovarese impiegò 86 giorni di campagna, percorse su vie ordinarie 1524 km., con spesa ferroviaria di lire 266.05 e spesa totale di lire 1394.85. Ing. Franchi. — T^’ella terza decade di luglio e nell’agosto l’ing. Branchi si occupò del rilevamento nella Comba di Rimella, dell’alta Yalle Mastellone e delle valli Yalbella, Sobbiola e Bagnola. In queste regioni si occupò partico- larmente dello studio degli scisti detti di Rimella e Pobello e dei rapporti loro colle anzidette due zone dioritiche, quella d’Ivrea e la minore parallela che le sta a II.O, dello studio di questa zona, non che dei rapporti fra lo gneiss-Strona (Gerlach) con quella prima zona dioritica. Dei risultati di questo rilevamento in connessione degli anni precedenti in questa regione, l’ing. Franchi ha pub- blicato una notizia nel fascicolo 4® del Bollettino del R. Comitato pel 1905. Il risultato più importante fn la constatazione della equivalenza fra gli gneiss kinzigitici con intercalazioni dioritiche di Yal Bagnola colle stronaliti e gneiss kinzigitici di Yal Sobbiola dell’alta Yalbella e della Yalle Strona, in cui sono pur frequenti intercalazioni di roccie basiche. Queste osservazioni, unitamente a quelle fatte dai colleghi ^Novarese e Stella, ci danno un concetto nuovo della funzione che la zona, che ora converrà chiamare sona dioritico-ldnsigitica Ivrea- Verhmo, ha nella geologia delle Alpi occidentali. — 33 — La cosidetta seconda zona dioritica avrebbe pure ampiezza di molto supe- riore e quella indicata fin qui. Netevoli sono gli affioramenti sottilissimi di roccie ti-iasiche presso il limite nord-occidentale della zona dioritica nella valle Sessera e sopra Scopello, i quali con quelli analoghi di Ceresito e Donato stabiliscono come dei termini di con- giunzione fra il Trias di Montaldo Dora e le roccie calcaree di San Grottardo, di Valle Strona, delPOssola ed altre, già ritenute triasiche dai professori Taramelli e Parona. In quel periodo di tempo, dal 18 al 27 agosto, l’ing. Franchi ha sospeso i lavori di campagna per prender parte alla riunione della Società geologica ita- liana a Tolmezzo. Lo stesso ingegnere fu poscia incaricato, insieme all’ing. Zaccagna, di rappresentare il R. Ufficio geologico alla riunione della Società geologica fran- cese a Torino fra il 5 e il 12 settembre. Egli presenziò la riunione del 5 e prese parte alle escursioni del 6 e del 7 ; poi, causa l’urgenza dei lavori di rileva- mento in corso, ritornò in Valle Sesia, stabilendo con alcuni dei colleghi fran- cesi che, avvertito entro il 10, sarebbe tornato per accompagnare, a programma ufficiale esaurito, quelli fra i congressisti che avessero desiderato fare qualche escursione nelle località fossilifere della zona delle pietre verdi. Il telegramma fu spedito troppo tardi, TU, quando l’ing. Franchi, credendo che i colleghi francesi avessero desistito, aveva intrapreso un ciclo d’escursioni in altre re- gioni, per cui fu impossibile il recapito in tempo utile. Il rimanente del settembre e gran parte dell’ottobre fu dall’ing. Franchi dedicato al rilevamento nelle basse valli Casotto, Corsaglia, Roburentello, Mau- dagna ed Ellero, nelle tavolette al 25,000 Frabosa, Pamparato, Mondo vi e Vil- lanova-Mondovì, delle quali esistevano parziali rilevamenti anteriori dell’inge- gnere Zaccagna e suoi. In queste regioni venne constatato un grande sviluppo di Trias a facies mista, brianzonese e cristallina con pietre verdi, in accordo con quanto era già stato affermato dallo Zaccagna fin dal 1887. Il Trias inferiore fra T Ellero ed il Maudagna ha la costituzione ordinaria di quarziti ed anageniti ; ma nelle valli Corsaglia, Roburentello e Casotto tale costituzione si osserva solo lo- calmente, essendo invece soventi quel membro del Trias rappresentato da scisti quarzo-sericitici, che con quelle roccie sfumano per graduali passaggi. Parimenti il Trias medio e forse anche parte del superiore, sono in alcuni punti rappresentati dai noti calcari dolomitici a gyroporelle, che poggiano direttamente sul Trias inferiore, e in altri invece da un grande sviluppo di calcari cristallino-marmorei, scavati in più punti per marmi, da cipollini, da calcescisti e subordinatamente da filladi. In questo complesso cristallino- scistoso, oltre alle serpentine già note della regione a !V.O di Villanova e di San Michele, affiorano presso Torre Mondo vi sottili lenti di roccie a glauco - fané zonate, in tutto identiche a quelle similari delle Alpi Cozie. — 34 — Pure i calcescisti e le filladi, di cui fu detto sopra, sono in generale af- fatto identici o assai simili a quelli della suddetta zona. Quanto ai limiti della regione in cui si sviluppano quelle forme scistoso- cristalline del Trias l’ingegnere Franchi osservò che essa è limitata a nord dalle pieghe della zona permiana; ed osservando che lo stesso accade per i lembi di roccie verdi affioranti nel secondario nelle regioni più ad oriente, come risulta dai rilevamenti dell’ingegnere Zaccagna (Mombasiglio, Bagnasco, Bie- stro), egli credette poter sintetizzare quei risultati nel presente enunciato: Una medesima sona permO'Carhonifera di ampiessa varia ma continua, con struttura a ventaglio più o meno complessa, separa tanto nelle Alpi Coste che nella regione fra Stura e Vermenagna e nelle Alpi Marittime, due regioni con sviluppi di differenti facies di Trias : quella a facies hriansonese od ordinaria all’esterno, quella a facies cristallina con calcescisti e pietre verdi, o con facies mista di calcari dolomitici fossiliferi con calcescisti, calcari cristallini e pietre- verdi airinterno di quella sona rispetto alVarco alpino. In forza di questo enunciato gli affioramenti suddetti di pietre verdi quan- tunque isolati fra il miocene dimostrano la continuità fra la zona delle pietre verdi delle Alpi Cozie e quella del gruppo ligure, della cui età secondaria si avevano finora alcune prove dirette ma non sufficienti. Lo stesso enunciato viene non solo a confermare l’età secondaria della zona delle pietre verdi, ma altresì la struttura a ventaglio della zona permo- carbonifera delle Cozie^ ripetutamente affermata dall’ing. Franchi. Su questo argomento il suddetto ingegnere ha fatto una comunicazione alla riunione della Società geologica italiana del 5 marzo ultimo scorso, ed ha in corso di stampa una nota nel Bollettino del R. Comitato pel 1906. Alcune gite di revisione nella regione fra Yermenagna e Gesso permisero all’ingegnere Franchi di precisare meglio la natura di certe sovrapposizioni di alcune masse di terreni permiani e triasici sulle formazioni giuresi ai due ver- santi del Bric di Vola e di M. Plumea verso il vallone Agnelli (San Giacomo di Vernante) e verso il vallone di Brignola affluente del Gesso. Si tratta di una grande frattura, con accavallamento del Permiano con Trias inferiore e medio sul Giurese, che dai pressi di Limone alle falde meri- dionali di Monte Vecchio si protrae fino al Gesso ed oltre, con direzione quasi parallela alla nota grande frattura del Colle di Tenda, che il Franchi ha mostrato protrarsi per il Bec Barai, i Monti Bussaja e Serre-Sard, le falde occidentali della punta della Reina e della Rocca Vacciarampi fino al Gesso ed oltre. In quella regione esiste adunque una struttura imbricata come quelle già note in altri punti della stessa zona tettonica, quella detta del brianzonese. Velia stessa regione vennero trovate le prove dell’età eocenica degli scisti anagenitici delle sorgenti del Bandito, analoghi a quelli del Permiano: scisti identici presso Andonno passano rapidamente a scisti arenacei e ad arenarie con nummuliti. — 35 — Crii ultimi giorni di ottobre ed i tre primi di iioyembre furono impiegati dall’ing. Franchi a proseguire il rilevamento nelle valli Pennavaira e I>reva, affluenti dell’Arroscia, nel circondario di Albenga. Le gite compiutevi quindici anni or sono vi avevano fatto riconoscere il Trias, il Lias e V Infralias fossi- lifero ; ma alcuni terreni erano ancora rimasti senza determinazione cronologica, nè tutti gli orizzonti si erano potuti seguire in tutto il loro sviluppo. Le ultime gite riconfermarono l’esistenza del Lias nel basso delle due valli fra Cisano e Zuccarello e Cisano e IN^asino rispettivamente; e stabilirono me- glio lo sviluppo di una zona ben caratterizzata di Infralias con Avicula, e Terehrafula gregaria (fossili già trovati nel 1891), ostreacee e corallari, a mezza costa ed ai due lati della valle Pennavaira, sul versante destro della iPIeva e nei contrafforti dei monti Cerosa e Pesalto, dove la prosecuzione della zona a terebratule gli era già nota. L’alto dei due versanti del Pennavaira, masse dei monti Castellermo, Monte I^ero e Monte Arena, superiormente all’Infralias rovesciato, è costituito da calcari dolomitici riferibili al Trias superiore. Cosicché esiste nella regione un importante rovesciamento locale della serie. Al disotto del Lias rovesciato nei diu torni di IN’asino affiora una formazione in cui hanno grande sviluppo certe breccie grossolane in cui figurano principalmente elementi di calcari do- lomitici e qua e là blocchi di micascisto. Si tratta di una formazione singolarissima certamente posteriore al Lias inferiore, il cui ulteriore studio riuscirà, non meno che quello della tectouica complicata della regione, interessantissima. Anche la massa dei monti Alpe, delle Gettine ecc. è costituita essenzial- mente da breccie ad elementi dolomitici; è però dubbio se queste siano assimi- labili alla formazione di ITasino. Le superficie rilevate sono le seguenti: Alpi Pennine Alpi Marittime Omegna kmq. 20 Bannio » 40 Piedi cava llo » 15 Scopello » 10 Andorno Cacciorna. » 5 kmq. 90 Totale Villano va Mondovi kmq. 15 Mondovi » 10 Frabosa » 35 Pamparato » 30 Demonte » 10 Boves » 5 Alassio » 20 kmq. 125 1. 215. Per tali lavori, compreso l’intervento alla riunione della Società geologica in Gamia, l’ing. Franchi impiegò 106 giorni di campagna, percorse su vie or- — 36 — dinarie 1996 km., ebbe una spesa ferroviaria di lire 298.60, in modo cbe la spesa totale fu di lire 1724.74. Ing. Stella. — Oltre a continuare il rilevamento nella Yal d’Ossola, fece varie revisioni nella Valle d’Aosta. La regione in cui si svolse principalmente il suo rilevamento è compresa nelle tavolette di Domodossola (parte meridionale), Omegna e parte occidentale di quella di Pallanza, Antronapiana con parte della contigua tavoletta svizzera di Saas. Completò inoltre alcune parti delle tavolette di Credo e Yal Formazza specialmente nei tratti del confine italo -svizzero. IX^ella Valle d’Aosta le revisioni furono eseguite in Yal di Rhème, nelle pros- sime valli Grisanche e Savaranche e nell’alto vallone di Clavalité. In quest’ul- timo nessun argomento fu trovato per confermare le idee de 1 Lugeon sulla esi- stenza di ricoprimenti ; nel vallone di Clavalité il supposto gneiss antico cbe avrebbe dovuto essere regolarmente sovrapposto a terreni più giovani, fu riconosciuto per gneiss minuto prasinitico della zona delle pietre verdi. T7el rilevamento in Yal d’Ossola anche l’ing. Stella, come gli altri opera- tori, si occupò in modo particolare della prosecuzione della zona così detta anfibolitica di Ivrea ; egli pure ebbe a constatare con numerose osservazioni che essa deve ritenersi come una zona dioritico-kinzigitica molto frastagliata, in modo da renderne il rilevamento assai laborioso. Isella valle di Saas, dove pure si affermava l’esistenza di un ricoprimento di gneiss sui calcescisti, l’in- gegnere Stella non. trovò alcuna prova di questo fatto. L’ing. Stella si occupò pure di studi di dettaglio sulla tectonica della re- gione del Sempione, e studiò le condizioni geologiche delle linee d’accesso Domodossola-Iselle, Arona-Domodossola e Santhià-Arona. L’ing. Stella si propone di preparare per il nostro Bollettino una memoria speciale sulla geologia della Yal d’Ossola. L’area rilevata a nuovo dall’ing. Stella nell’ultima campagna è di circa 200 chilometri quadrati. Per questo lavoro e per quello delle revisioni in Valle d’Aosta, egli im- piegò 186 giorni di campagna, percorse su vie ordinarie 2509 km., con spesa ferroviaria di lire 287. 20 e spesa totale di lire 2088. 60. Liguria. — Ing.-capo Zaccagna. — Col rilevamento eseguito in questa cam- pagna della tavoletta al 25,000 di Garessio S.E e con quello di altri lembi a Y.O e S.O dello stesso quadrante, questo è ora interamente rilevato. Oltre a ciò l’ing. Zaccagna fece varie escursioni nei dintorni di Altare per segnarvi con esattezza, allo scopo della preparazione della carta a 1 : 400,000, i limiti fra i terreni permiani e triasici e quelli miocenici che li ammantano. L’ing. Zaccagna ebbe a notare il fatto importante della presenza di varie masse granitiche in lenti o in filoni nella formazione besimauditica permiana. - 37 — Dal punto di vista tectonico si osserva nella regione la esistenza di forti complicazioni e di fasci di pieghe generalmente ribaltate verso il mare, ciò che indicherebbe l’intervento di forti spinte e pressioni dirette dal mare verso l’in- terno. I^’el corso del rilevamento vennero anche notati e delimitati dei filoni di baritina, esistenti presso Bardineto, nel calcare triasico, i quali hanno una certa importanza industriale. D’ing.-capo Zaccagna rilevò complessivamente circa 200 chilometri quadrati, impiegando 112 giorni di campagna, percorrendo 2692 km., con una spesa fer- roviaria di lire 254. 80 e con spesa totale di lire 2095. 87. Dmbria. — Ingegnere-capo Lotti. — Il suo rilevamento geologico si svolse nelle tavolette di Spoleto, Massa Martana, Rieti e Antrodoco. IS'ei dintorni di Spoleto, ove nella precedente campagna era stata riconosciuta la presenza di un esteso carreggiamento del calcare del Lias inferiore sulla scaglia senoniana (?), furono in quest’anno messe in evidenza altre dislocazioni notevolissime, come, ad esempio, un altro accavallamento nello stesso senso del precedente e ad esso immediatamente sottoposto, nel quale la scaglia sottostante al primo carreggia- mento fu essa stessa carreggiata sulle testate dei vari terreni compresi fra il Lias medio e il ISTeocomiano. Bu poi riconosciuta verso I^ord la continuazione delle pieghe anticlinali e sinclinali ribaltate del Monte Fionchi e del Monte Solenne di cui fu detto nella precedente relazione. La sinclinale del Monte Solenne, che incomincia a Sud da Morro Reatino, fu seguita fino a Girotte, e di qui, ove si divide in due rami, fino a Paterno da un lato, e fino ai monti di Campello da un altro, continuando sempre il ribaltamento verso Est. I dintorni di Rieti e di Cittaducale presentano un notevole interesse geo- logico pel fatto che ivi si determina il fenomeno del passaggio laterale dei terreni secondari superiori e di parte di quelli eocenici di tipo umbro-marchi- giano a quelli corrispondenti di tipo abruzzese. Così, mentre a S.O e a IS'.E di Rieti si ha per questi terreni la serie caratteristica umbro-marchigiana, rappre- sentata dal calcare rupestre neocomiano, dagli scisti variegati a fucoidi del- l’Aptiano, dai calcari bianchi con selce cenomaniani e dalla scaglia j'ossa, a S.E questi terreni sono rappresentati esclusivamente da calcari privi di selce, ceroidi e cristallini, imperfettamente stratificati e molto simili gli uni agli altri. Interessantissimo poi e manifesto è il passaggio laterale della scaglia rossa al calcare nummulitico di tipo abruzzese. Cosi, mentre a S.O di Rieti domina la scaglia rossa senza intercalazioni di altre roccie, andando verso oriente si cominciano ad osservare in essa dapprima delle rare intercalazioni di calcari bianchi granulari con nummuliti, poi un’alternanza di questi calcari e di scaglia, poi ancora un predominio crescente dei calcari nummulitici sulla scaglia stessa, tantoché questa vi si rinviene soltanto in piccole e rarissime lenti, e finalmente 4 — 38 — il dominio esclusivo ed assoluto dei calcari nummulitici, che ha luogo special- mente a S.E e ad Est di Rieti. Le nummuliti delle varie località furono inviate al dott. Prever, che aveva già studiate quelle della scaglia di Leonessa, allo scopo di verificare se esse pure, come quelle, appartengono al piano più antico del nummulitico. L’ing. Lotti rilevò 300 km.^ nella taA^ola di Rieti, 30 in quella di Antro- doco, 150 in quella di Spoleto, 50 in quella di Massa Martana, cioè in tutto 530 km.^. Egli eseguì inoltre alcune revisioni e ricerche speciali insieme ah r ing. Crema nella tavoletta di Leonessa. Per questi lavori l’ ing. Lotti ebbe ad impiegare 83 giornate di escursion i percorse 2184 km., e spese per ferrovia lire 123. 25, con una spesa in com- plesso di lire 1537. 76. Marche. — Aiutante-ing. Cassetti. — All’infuori di una breve gita di revi- sione nei monti del Gargano (Foggia), nella campagna del 1905 il signor Cas- setti si è occupato del rilevamento della regione marchigiana a IS'ord dell’Esino, in prosecuzione di quello eseguito nei due anni precedenti. ISTell’anno di cui trattasi egli ha potuto, in un tempo relativamente breve, non solo rilevare una notevole superficie del territorio marchigiano, ma altresì riconoscerne una discreta estensione, ancora da rilevare ; e ciò, sia per la mag- giore pratica acquistata nella conoscenza dei terreni che affiorano in detto territorio, durante il precedente rilevamento del Monte Conero e dei suoi din- torni, sia per la semplicità della costituzione geologica di una gran parte di esso. Il Cassetti ha rilevato interamente le tre tavolette di Jesi, Cliiaravalle e Corinaldo, le prime due al 25 mila e l’altra al 50 mila, e inoltre ha in parte rilevata e in parte riconosciuta la superficie compresa nel quadrante S.E della tavoletta di Pergola al 50 mila, estendendo la ricognizione alle limitrofe tavo- lette di Fossombrone, Mondavio, Monterado, Senigallia, Mondolfo, San Costanzo e Fano. Le colline che si estendono a nord dell’Esino e precisamente a levante della linea montuosa che unisce Arcevia a Pergola e a Fossombrone, fino alla costa adriatica, sono costituite essenzialmente di un esteso deposito pliocenico, rap- presentato da argille azzurre passanti ad argille sabbiose del Pliocene medio, e poscia a sabbie argillose ed a sabbie gialle del Pliocene superiore, sul quale si appoggiano qua e là dei depositi quaternari, costituiti da ciottoli misti a mate- riale argille-sabbioso. Solamente, presso la borgata Sant’Angelo, poco a sud di Senigallia, in mezzo ai detti terreni pliocenici, appare un lungo e stretto affio- ramento di terreno miocenico, il quale comprende un grosso banco di gesso interposto tra una zona di marne al muro ed una di arenarie al tetto, ma di questo affioramento si deve ancora constatare la esatta estensione e giacitura. Ad ovest della citata linea montuosa, procedendo cioè verso la catena ap- - 39 — penninica, la geologia marchigiana non è scevra di difficoltà ed è nel contempo molto interessante, dappoiché ivi si comincia ad incontrare la zona gessoso- solfifera, dove più dove meno estesa, la quale si sovrappone qua e là ad un esteso e potente deposito di calcare scaglioso, la scaglia. In questa regione fu già iniziato il rilevamento, partendo dai territori di Pergola e di Arcevia, dove troviamo il bacino gessoso-solfifero, in cui è aperta la importante solfara di Cabernardi. Il Cassetti ha già potuto farsi un’idea abbastanza chiara della non facile disposizione tectonica di detto bacino e siccome varie complicazioni dello stesso ordine, poco più poco meno, si ripetono negli altri analoghi bacini delle Marche e della limitrofa Romagna, così, in seguito a tali studi, resterà molto più age- vole quello di quest’ultimi. Yennero fatte altresì alcune osservazioni preliminari sull’ accennato depo- sito della scaglia, nel senso di stabilire se esso debba effettivamente riferirsi tutto al secondario, come fin’oggi si è generalmente ritenuto, ovvero, se, come pare assai probabile, la parte più alta di esso debba ritenersi piuttosto eocenica. L’area rilevata dall’aiut. Cassetti nelle tavolette di Corinaldo, Chiaravalle, Iesi, Pergola, ammonta a kmq. 650, quella riconosciuta nelle tavolette limitrofe a kmq. 250, quella riveduta nel monte Gargano a kmq. 100 circa. Per questo lavoro vennero impiegati 75 giorni di campagna, percorsi su vie ordinarie 1470 km., con spesa ferroviaria di lire 211.20 e di lire 21.12 per au- mento del decimo, e con spesa totale di lire 1052. 32. Aiut.-ing. Moderni. — Il lavoro di rilevamento eseguito dall’aiut. Moderni si svolse in due regioni distinte e cioè dapprima nella catena dei Monti Sibil- lini, poi nella zona litoranea fra Macerata ed Ancona. ISTei monti ad oriente di J^^orcia e nella catena dei Sibillini, furono trovate le stesse formazioni, rappresentate dalle stesse roccie, che nel gruppo del Ter- minillo e nei monti di Leonessa, con i quali questi si riattaccano a S.O. La formazione più bassa è quella del Lias che mostra i suoi tre piani e cioè quello inferiore, rappresentato dalle dolomie, che rinviensi nella parte più bassa del versante orientale del Vettore; quello medio, rappresentato massimamente da calcari marnosi e ceroidi (poco fossiliferi) che costituiscono la massa del Monte Vettore, nonché del Monte Alvagnano e del Monte Torrata presso il lembo meridionale della tavoletta di IN^orcia; di quello superiore, rappre- sentato da calcari marnosi e cristallini, da brecciuola, da calcare arenaceo, da calcari verdastri, da scisti violacei con diaspri bianchi, rossi e verdi, di cui si scopre un lembo sull’altura del Monte Argentella (tavoletta di Amandola), un altro lembo su la collina ov’è fabbricato Castelluccio (tavoletta di Arquata) ed un altro lembo sul versante settentrionale del Monte Alvagnano (tav. di Norcia). lina parte di quest’ultimo lembo ora ritenuto Lias superiore è probabile 40 — che debba essere invece riferito al Giurese, ma ciò potrà avvenire soltanto al- lorché sia stato fatto lo studio dei fossili raccolti dall’ing. Crema e dalbing. Lotti nei dintorni di Leonessa, per cui tale riferimento rimane per ora in sospeso. Al disopra del Lias, nella tavoletta di jN’orcia è stato trovato il Giurese superiore rappresentato dalla zona dei diaspri. In tutte e quattro le tavolette surricordate affiora, ed in qualche località mo- strasi assai potente, il jN’eocomiano, rappresentato principalmente dal calcare rupestre. Al disopra di questo vi è la zona degli scisti a fucoidi molto difficile a se- guirsi in questa regione per la quantità di passaggi che lateralmente fa da una roccia ad un’altra. Su questi scisti si eleva la potente formazione nota sotto il nome di scaglia, che per le nummuliti in essa trovate, pare oramai fuor di dubbio che stia in gran parte a rappresentare l’Eocene. Ideila regione rilevata quest’anno tre sole furono le località in cui si rin- A^^ennero le nummuliti e cioè Forca di Presta (località già conosciuta), il Tetto- rello (nella taAmletta di Arquata) e Forca di Gualdo (nella taAmletta di Visse), ma sono sufficienti a confermare che, se non uniformemente, le nummuliti si troA^ano però in tutta quella zona compresa sotto il nome di scaglia; anzi le nummuliti troA^ate quest’anno starebbero appunto nella parte più bassa di detta zona. Il fondo della conca di I^orcia è occupato, come quella di Leonessa, dal Pliocene vallivo, del quale qui si A^ede soltanto la parte superiore costituita da ghiaia grossolana e da poca sabbia. La stratificazione è abbastanza regolare, ma nelle tavolette di IN'orcia, Ar- quata ed Amandola yì è una serie di fratture parallele dirette IS’.O-S.E, ed un’altra diretta IN’-S. T^ei dintorni di I^orcia aù sono le interessanti sorgenti intermittenti del Torbidone che hanno dato luogo in paese a molte leggende e delle quali il Moderni ha potuto raccogliere alcuni dati storici che permetteranno di parlarne un po’ diffusamente quando, ultimato il rileA^amento dei Sibillini, sarà descritta l’interessante regione e le Alluminose sorgenti che sgorgano da questi monti. La zona litoranea compresa nelle quattro tavolette accennate non presenta nulla di particolarmente interessante ; essa è costituita dal Pliocene rappresen- tato dalle argille turchine intercalate con banchi di sabbie e con qualche pic- colo banco di ghiaia. I^’elle A’^alli vi sono i detriti del letto di antiche fiumane. In questa campagna l’aiut. Moderni rileA’ò 300 km^ nei Monti Sibillini, dei quali 205 nella taAmletta di IN’orcia, 50 nella taAmletta di Arquata, 30 nella tavoletta di Amandola e 15 in quella di Visse. JS’ella regione fra Macerata ed Ancona furono da lui riloA^ati km^ 335 nelle tavolette di Recanati, Osimo, Filottrano e Santa Maria IN’uoA'a. Così in complesso il rileA’'amento del Moderni ammonta a km^ 635. — 41 — Per tale lavoro vennero impiegati 100 giorni di escursioni, percorsi su vie ordinarie 2518 km., con spesa ferroviaria di lire 46. 35, più lire 4. 65 per decimi, e con spesa complessiva di lire 1280. 50. Revisioni nell’ Appennino centrale e meridionale. — ln(j. C. Crema. — I^el luglio ring. Crema fece quest’anno ritorno nel territorio a sud di Aquila per eseguirvi il rilevamento geologico della porzione del gruppo del Monte d’Ocre, contenuta nella tavoletta di Borgocollefegato (circa 100 km. q.). IN’elle sue escursioni egli potè fare anche nuove raccolte di fossili terziari e cretacei, i quali ultimi furono inviati al prof. Parona, che già sta occupandosi di tale studio. Questa cartina geologica è anzi appunto destinata a corredare l’introdu- zione stratigrafica, che lo stesso ing. Crema sta ora compilando per l’atteso studio del prof. Parona sui fossili cretacei del Monte d’Ocre. Isella seconda metà di ottobre l’ing. Crema eseguì alcune ricognizioni nel versante settentrionale del Gargano, constatando che i terreni eocenici vi hanno un’estensione assai maggiore di quella finora ritenuta. Alcuni ritrovamenti di fossili hanno inoltre dimostrato la necessità di farvi ancora qualche revisione per una più esatta delimitazione dei vari terreni. In due di queste gite egli fu accompagnato dal signor Cassetti, di cui diremo in seguito, col quale ebbe occasione di constatare, immediatamente ad Ovest del lago di Varano, l’esistenza di un piccolo ma interessante lembo di quaternario lacustre rappresentato da un calcare marnoso riccamente fossilifero. In principio di novembre l’ing. Crema si recò infine alcuni giorni nel territorio compreso fra Rocca Imperiale e Vocara. Egli potè constatare che le grandi masse di arenarie scistose di questa contrada, contrariamente a quanto avviene nel territorio di Oriolo, non sono superiori alle formazioni eoceniche. Resta cosi confermato quanto l’ing. Viola aveva osservato la scorsa primaA^era a Vord di Val Sinni. Aiutante-ing . Cassetti. — Essendo ormai generalmente ammesso che le EU lipsactinie non sono fossili caratteristici del terreno Titonioo, ma che si estendono altresì al Cretaceo, sorse il dubbio, che nel promontorio garganico i calcari neocomiani con Bhgncìionella peregrina, che affiorano nel A^ersante orientale di esso, anziché appoggiati in contatto anormale fossero effettivamente sottoposti ai calcari ad ellipsactiuie del Monte Sacro. A togliere tale dubbio sono state sufficienti poche escursioni in quei dati punti in cui, nel precedente rilevamento, stante l’idea allora fondamentale che i calcari ad Ellipsactinia fossero indubbiamente titonici, si era costretti ad am- mettere la presenza di artificiose faglie per giungere a dimostrare che questi calcari erano sottoposti a quelli neocomiani a Bhgn. peregrina. Ed appunto in quei luoghi, dietro più accurate osserA^azioni, si è non solo constatata la insus- — 42 — si stenza delle supposte faglie, ma si accertò che effettivamente la tectonica è tale da non lasciare ormai alcun dubbio che i calcari neocomiani rappresen- tano il terreno basale del promontorio garganico, mentre quelli con EllipsaC' tinie sono in serie regolare, sovrapporti ai precedenti. Questi ultimi poi non possono che appartenere al Cretaceo, giacché la loro vera posizione sarebbe tra il IN'eocomiano e i calcari a Requienie di San Giovanni Rotondo, e per conseguenza sarebbero da collocarsi nelFUrgoniano e forse nel Cenomaniano inferiore. Esclusa la presenza del Titonico, il Monte Gargano rimane costituito solo da depositi cretacei e terziari. Yulcani Romani. — Ing. F. Sabatini . — Eccetto pochi giorni di escursione in giugno nei Yulcani Cimini, l’ing. Y. Sabatini dedicò il resto della campagna 1905 allo studio ed alla raccolta dei materiali nei Yulsinii, facendo centro ad Acquapendente, Yalentano e Capodimonte; nella prima località iniziò lo studio delle complicatissime lave dei dintorni, nella terza cominciò quello del gran- dioso cratere di Latera, estendendosi specialmente sui fianchi meridionale ed occidentale del medesimo. Interessante riuscirà lo studio delle diverse qualità di lave di Acquapen- dente, all’estremo nord del sistema vulsinio, delle quali il Sabatini va stabi- lendo la cronologia. L’esame poi dei recinti multipli di Latera, dallo stesso già avanzato, darà in seguito interessanti risultati quando sarà finito, perchè aiu- terà nello spiegare i recinti analoghi del cratere di Bolsena. Di notevole infine havvi un affioramento di arenarie presso Ischia di Castro, sulla rotabile per Farnese, che vi passa entro in trincea, visibili anche nei fossi laterali e sul piazzale del cimitero d’Ischia, che vi è scavato dentro. Tali arenarie, che sono da molti anni estratte per farne brecciame di manu- tenzione stradale o anche pietrame da costruzione, indicano che la potenza delle formazioni vulcaniche sul fianco sud del cratere di Latera deve essere molto limitata. L’ing. Sabatini impiegò in tutto (Cimini e Yulsinii) giornate 120 di lavoro, con un percorso di chilometri 3228 ed una spesa totale di lire 1,963.88. Appennino Romano. — Ing. C. Viola. — Essendo stato distratto da altre occupazioni, Fing. Yiola non fece in quest’anno che una ventina di giorni di escursioni nella Yalle della Licenza, confluente delFAniene sopra Tivoli, e nel versante orientale dei Monti Lucani per lo studio delle questioni cronolo- giche e tectoniche che vi si connettono, impiegandovi, come si è detto, 21 gior- nate di lavoro, con un percorso di 728 chilometri ed un spesa di lire 384.53. In seguito alla sua nomina a professore di Mineralogia nella R. Università di Parma, egli lasciò poi, come è noto, l’Ufficio geologico fin dal 1° dicembre u. s. Il rilevamento della provincia di Roma per la parte assegnata al Yiola è — 48 ^ attualmente, pressoché ultimato, restando soltanto in sospeso il riferimento cro- nologico di alcuni terreni specialmente terziarii. Tale studio è stato affidato all’ing. Crema, il quale dovrà però procedere d’accordo coll’ing. Lotti, per i necessari raccordi colle zone da lui rilevate. Anche la collaborazione, che si po- tesse eventualmente avere da parte deU’ing. Yiola, riuscirà utilissima per la risoluzione delle varie questioni tuttora pendenti. Stabilita la serie definitiva dei terreni, lo stesso ing. Crema potrà poi completare il rilevamento nei pochi punti dove è rimasto incompiuto. Ricerche paleontologiche sul terreno. — Ing. Crema. — IS'ella prima metà di agosto l’ ing. Crema compiè alcune ricognizioni e ricerche nella ta- voletta di Leonessa; fu raggiunto poi dall’ ingegnere Lotti, col quale fece qualche gita riassuntiva. Scopo di dette escursioni si era di giungere ad una razionale delimitazione dei vari piani del Lias che nella regione era parso di insolita potenza. Ideile sue linee generali il problema può considerarsi avviato alla sua soluzione, es- sendo risultata la quasi certezza dell’esistenza di piani compresi fra il Lias superiore ed il Titonico, ciò che permetterebbe un’ interpretazione tectonica assai più semplice e naturale di quella stata provvisoriamente adottata. Causa la ristrettezza del tempo disponibile non fu però possibile raccogliere elementi paleontologici sufficienti per un più esatto riferimento di detti terreni, nei quali converrà quindi eseguire nuove ricerche nella prossima campagna. IN’ello stesso mese l’ing. Crema prese parte cogli ingegneri Franchi e Stella alle escursioni della Società geologica nelle Alpi Carniche. In tale occasione egli fu pure incaricato di recarsi nel Bellunese per visi- tare il tratto fra Erto e Longarone dove la Scaglia si presenta nettamente divi- sibile in due .porzioni : una cretacea, l’altra eocenica. Egli potè raccogliere ottimi esemplari di fossili cretacei ; il tempo persistentemente pessimo impedì, però, la raccolta delle nummuliti. Per le revisioni (di cui si è già parlato), le ricerche paleontologiche sul terreno e l’intervento alla riunione della Società geologica nella Gamia, l’inge- gnere Crema impiegò in complesso 89 giorni di escursioni, percorse km. 2077 su vie ordinarie, incontrò una spesa ferroviaria di lire 287. 50, in modo che la spesa totale fu di lire 1606. 84. 44 — Riepilogo. — Quadro delle escursioni. OPERATORI e scopo delle escursioni Giorni impiegati Chilometri percorsi su vie ordinarie Biglietti di ferrovia e piroscafi VlO dei prece- denti Spesa totale Area rilevata (Ri) 0 riveduta (re) L. c. L. c. L. c. K. q. Ing.-capo L. Baldacci (Direzione) (*) 46 391 78. 31 609.61 •• Ing.-capo B. Lotti (Rilevamenti). . 83 2,184 123.25 12. 31 1,537.76 530 Ri Ing.-capo D. Zaccagna (Id.) (*) . . 112 2,692 254.80 25. 47 2,095.87 200 Ri Ing. -capo E. Mattinolo (Id.) . . . 55 769 242. 65 24.26 911.61 80 Ri Ing. Novarese (Rilevamenti e revi- sioni) 86 1,524 266.05 26 60 1,394. 85 330 Ri, re Ing. Franchi (Id.) (*) 106 1,996 323. 40 32.34 1,749. 54 215 Ri Ing. Stella (Id.) (*) 136 2,509 287. 20 28.70 2,088. 60 300 Ri, re Ing. Viola (Revisioni) 54 1,815 129.85 12.98 1,092. 33 1,300 re Ing. Sabatini (Revisioni) . . . . 120 3,226 88. 35 8.84 1,963.88 250 re Ing. Crema (Revisioni e ricerche paleontologiche) Q) ' 89 2,077 287. 50 28. 74 1,606.84 200 re Aiut.-ing. Cassetti (Rilevamenti e revisioni) 75 1,480 211. 50 21.15 1,052.65 800 Ri, re Aiut.-ing. Moderni (Rilevamenti) . 100 2,518 46.35 4.65 1,280.50 635 Ri Totali . . . 1,062 23,181 2,250. 90 304.25 17,384.04 4,840 (*) Nelle escursioni dell’ing. Baldacci sono comprese quelle fatte per lo studio del terremoto in Calabria ; in quelle degli ing. Zaccagna, Franchi, Stella e Crema, le gite compiute in occasione delle Riunioni delle Società geologiche italiana e francese. — 45 - Riassunto generale. Scopo, luogo delle escursioni e operatori Giorni impiegati Chilometri su via ordinaria Spesa totale Area rilevata L. c. K. q. Direzione dei rilevamenti e Terremoto Ca- labria (ing.-capo Baldacci) 46 391 609. 61 Nuovi rilevamenti: Alpi e Liguria (Zaccagna, Mattirolo, Nova- rese, Francbi, Stella) ........ 414 8,022 6,887.69 875 Umbria e Marche (Lotti, Cassetti, Mo- derni) 244 5,877 3,638. 28 1,815 Totali . . . 704 14,290 11,135. 58 2,690 Revisioni: Area riveduta K. q. Alpi occidentali (Novarese, Stella) . . . 41 778 606.13 250 Appennino centrale e meridionale (Crema, Cassetti) 74 1,658 1,218.11 350 Basilicata (Viola) 33 1,087 707.80 1,200 Vulcani romani (Sabatini) 120 3,226 1,963.88 250 Appennino romano (Viola) 21 728 384. 53 100 Totali . . . 261 6,897 4,469.28 2,150 Ricerche paleontologiche sul terreno (Crema) 17 437 292. 97 Altre escursioni (Zaccagna, Franchi, Stella, Crema) 52 957 1,075.04 4* — 46 — Incarichi speciali. L’ ingegnere- capo Baldacci continuò a far parte della Commissione nomi- nata dal Ministero dei Lavori pubblici per lo studio del problema ferroviario del porto di Genova. I lavori della speciale Sottocommissione, in cui l’ing. Bal- dacci collabora per gli studi geologici, riguardano ora l’esame comparativo dei vari progetti di nuovi valichi appenninici e di nuove linee ferroviarie in rela- zione con la rete che interessa il porto di Genova, dal lato costruttivo, geolo- gico ed economico. Le linee sulle quali la Sottocommissione è chiamata a dare il suo parere sono ora la così detta direttissima Genova-Bigoroso con varianti recentemente proposte, la linea Genova- Gavi-T^ovi, la linea Ronco-Yoghera, già proposta nella prima parte della relazione, la linea Genova-Piacenza, quella Ge- nova-Bprgotaro, per le quali dei Comitati locali hanno approntati ora nuovi pro- getti, la linea interna Genova-Spezia, oltre ad attre linee quali la Porto Mau- rizio-Ormea e la Garessio-Savona. È probabile che nel corrente anno i lavori della Sottocommissione potranno esser terminati e che venga cosi completata con la seconda parte la pubblicazione della Relazione. Per i lavori di questa Sottocommissione V ing. Baldacci ebbe ad assistere a varie adunanze, specialmente a Genova, a Milano e a Porto Maurizio, ed im- piegò 15 giorni fuori di ufficio. La spesa occorrente per trasferte venne pagata dal Ministero dei Lavori pubblici. Ai primi di marzo, come fu accennato, l’ing. Baldacci ebbe incarico di recarsi negli Stati Uniti di America e particolarmente in Louisiana per studiarvi lo stato della industria solfifera. Solo agli ultimi di aprile l’ing. Baldacci, terminate le pratiche amministrative e raccolti dalle pubblicazioni e documenti tutti i dati possibili, potè partire per Yew York. In questa città, dopo superate non lievi difficoltà per parte della Società che possiede ed esercita le miniere di solfo della Louisiana, potè cominciare a raccogliere vari importanti dati su quella industria, passò poi a Washington per cercare presso queU’ufficio del Geological^ Survey altri elementi, che però non risultarono di speciale importanza, poiché da più di due anni quell’ufficio mancava di informazioni sulle miniere di Loui- siana. Di là si recò a Yew Orleans e quindi alle miniere che visitò in ogni parti- colare. Dalle miniere di Sulphur passò a E1 Paso, Texas, per raccogliervi infor- mazioni su altri giacimenti solfiferi che si proclamavano da qualcuno come assai importanti, ma che risultarono consistere in non grandi e pochissimo studiate concentrazioni di zolfo in una vastissima regione gessosa (probabilmente per- miana) lontana da porti di imbarco e da centri importanti di consumo. Da E1 Paso proseguì per San Francisco per avere direttamente presso quella Dogana federale i dati sulla importazione dello zolfo giapponese negli Stati Occidentali, che ha pure una notevole importanza, raggiungendo quasi 20,000 tonnellate al- l’anno. — 47 — Su questi argomenti l’ing. Baldacci riferì al R. Ministero con speciali re- lazioni datate da IS'ew York, Sulphur, La. e da San Francisco, Cai., e preparò poi una relazione definitiva documentata con tavole e illustrazioni, la quale, come già si disse, è ora stata pubblicata per cura del R. Ministero. L'ing. Baldacci impiegò per la sua missione in America 68 giorni, e le spese ne vennero pagate con un fondo espressamente stanziato dal Ministero, Finalmente l’ing. Baldacci eseguì per incarico privato una visita alle mi- niere della Società agricola ligure nel circondario di Chiavari, impiegandovi in tutto cinque giorni. Ing.-capo Lotti. — Per incarico del Ministero di Agr., Ind. e Comm. visitò alcune località del Monte Amiata, nelle quali si erano verificati dei fenomeni sismici e ne riferì al Ministero stesso. Ing.-capo Zaccagna. — Per incarico della Direzione dei lavori prese parte alla adunanza della Società geologica di Francia a Torino ed alle relative escur- sioni in Piemonte e Liguria. Ing.-capo Mattirolo. — Per incarico del Ministero delle finanze fece parte, insieme all’ing.-capo del distretto minerario di Firenze, cav. Toso, di una Com- missione per la classificazione dei minerali di ferro dell’isola d’Elba. L’ing.-capo Mattirolo fu poi nominato membro della Giunta esecutiva del YI Congresso internazionale di chimica applicata. Ing. Aichino. — Ha preso parte a due Commissioni per esami di concorso a posti di aiutante-ingegnere nel Corpo Reale delle Miniere. Ing. Novarese. — Designato dall’Ispettorato delle miniere, fece parte col- ring. Toso già citato e con un ingegnere straniero, di una Commissione inca- ricata di studiare, nell’interesse delia Società esercente quelle miniere, il ba- cino lignitifero di Casteani-Ribolla. Questo incarico gli diede anche occasione di fare qualche revisione in quel territorio, che era da lui stato rilevato già da 15 anni. Yelle colline a Est del Piano di Montemassi sono stati incontrati, non lungi dalla Casa Cintoja, due lembi di calcare pliocenico fossilifero, analogo a quello che affiora nei dintorni di Roccastrada. Recenti lavori minerari hanno incontrato a Yord dei vecchi lavori di Poggio Moretto il banco di lignite con una potenza di 14 m., diretto circa Y-S e inclinato di 75® O, la cui testata è coperta da pochi metri appena di alluvione formata da elementi eocenici e tra- chitici. Siccome, a brevissima distanza verso Est, l’antico pozzo Toscano ha incon- trato il banco a 120 m. di profondità, conviene ammettere che immediatamente a Est dei nuovi lavori passi una frattura con forte spostamento, la quale deve appartenere al sistema di quelle, lungo le quali si allineano alquanto più verso oriente, le espansioni trachitiche di Sassoforte e Roccastrada. Lo stesso ing. Novarese studiò i profili geologici delle linee ferroviarie in progetto Torino-Cuorgnè-Cogne- Aosta, Aosta-Courmayeur-Yal Fefret-Martigny e Aosta-Monte Yelana-Martigny. Per incarico privato infine F ing. Novarese visitò le miniere di Barde- — 48 - neto e Monte Bianco, lavorate dalla Società agricola ligure nel circondario di Chiavari, Ing. Franchi. — Ebbe l’incarico di prender parte alle adunanze della So- cietà geologica francese in Piemonte e Liguria, e fu anche alla riunione della Società geologica italiana a Tolmezzo, prendendo parte alle escursioni nei monti della Gamia. Ing. Stella. — Partecipò alle adunanze ed escursioni della Società geolo- gica italiana a Tolmezzo e in Gamia. Ing, Crema. — Egli pure assistè alla riunione della Società geologica e alle relative escursioni. Lavori d’ufficio. Pubhlicasioni. — Queste si limitarono al Bollettino annuale (volume XXXYI o 6° della 4^ serie) contenente al solito le Relazioni sui lavori di campagna e quelli d’ ufficio dei vari operatori, oltre alla'Bibliografia geologica italiana, agli Atti ufficiali e fra essi la Relazione annuale della Direzione al Gomitato geologico. Ad uno dei fascicoli di quest’ annata fu annessa la bella Garta geologica delle Talli di Danzo, pubblicata, sui dati forniti dal nostro ing. Mattirolo, dal Glub alpino di Torino, illustrandola con un cenno relativo alla geologia di quella interessante regione. In altro trovasi inserito uno studio petrografico del dottor P. Aloisi su alcune roccie delle Alpi Apuane, in rapporto con altro lavoro analogo che il nostro ing. Franchi sta preparando e che potrà pubblicarsi fra breve. È stato poi provveduto alla stampa delle 8 tavole di fossili delle Alpi Apuane, studiati e descritti dal prof. Ganavari per incarico della Direzione. 11 manoscritto relativo è del pari pronto, e potrà essere pubblicato quando che sia. In fatto di carte sono stati pubblicati i primi 5 fogli alla scala di 1 a 100,000 dalla Toscana (Piombino, Grosseto, Santa Fiora, Orbetello e Toscanella) con una tavola di sezioni (Tav. I). 11 lavoro è stato eseguito in Roma, sulla topo- grafia fornita dal R. Istituto geografico militare, dall’ Istituto geografico diretto dal prof. De Agostini, ed è riuscito assai bene. Fu in seguito posto mano alla pubblicazione di una seconda serie di fogli dalla stessa Garta (Livorno, Yolterra, San Gasciano, Massa Marittima, Siena) con una tavola di sezioni (Tav. II), la quale è in corso di stampa e sarà fra breve distribuita. Biblioteca. — Ebbe anche in quest’ anno il suo normale incremento di circa un migliaio fra volumi ed opuscoli, per la maggior parte ricevuti in dono od in cambio, ed a continuazione di periodici o di opere in corso di pubblicazione, essendo assai limitato il numero delle opere di nuovo acquisto, ridotto per ri- strettezza di fondi al solo necessario pel buon andaménto del servizio. — 49 - Le carte geologiche, topografiche e diverse entrate nell’ anno, specialmente estere, ammontarono a 417 fogli, oltre ad una ventina di atlanti. La catalogazione e la inscrizione in Inventario di tutto questo materiale fu eseguita regolarmente dallo incaricato della biblioteca e dell’ archivio, che lo ordinò come meglio era possibile, essendoché lo spazio, riconosciuto da tempo insufficiente, va sempre più restringendosi al punto da rendere difficile un ordinamento razionale delle pubblicazioni in continuo aumento. L’ acquisto dei libri e carte importò in quest’ anno una spesa di circa lire 1170, senza calcolare le rilegature, anche queste ridotte allo stretto ne- cessario. Collezioni. — La raccolta delle roccie di cui si sono arricchite le collezioni dell’ Ufficio geologico nel 1905 riguardano tutti i vari centri di rilevamento, ed in particolare quelli dell’Alta Italia, e cioè Alpi Liguri, Valsesia, 1’ Ossola ed i monti a ponente del Lago Maggiore: si ha inoltre oramai al completo la rac- colta ufficiale delle roccie incontrate nella galleria del Sempione e ordinate per cura di quella Commissione geologica, ammontante a oltre 400 esemplari. Per opera dell’ ing. Stella fu fatta una raccolta dei minerali utili dell’ Os- sola, che figura nell’attuale Esposizione internazionale di Milano. Furono poi aggiunti, in seguito a ricerche fatte dall’ ing. Crema, alla raccolta, delle bauxiti italiane, nuovi campioni provenienti dal gruppo del Monte d’ Ocre nelle vici- nanze di Aquila. Riguardo alla collezione delle roccie alpine non posso che ripetere quanto ho detto nell’ ultima relazione, intorno alla deficienza di spazio e di scaffali : la loro sistemazione resta ancora un problema di difficile soluzione, coll’ ag- gravante che il materiale si è di nuovo accresciuto e che nulla è stato possibile di fare per aumentare i mezzi per bene ordinarlo e conservarlo. Le collezioni paleontologiche si arricchirono in quest’anno di fossili pa- leozoici e mesozoici raccolti dagli ingegneri Franchi, Stella e Crema nelle loro escursioni in Gamia, di brachiopodi retici delle Alpi Marittime (Franchi), di fossili del Cretaceo e del terziario del Monte d’Ocre presso Aquila (Crema), del Lias dei dintorni di Leonessa (Crema), del terziario di Rocca Imperiale (Crema), nonché di nummuliti di varie località (Lotti, Moderni). A segnalarsi ancora un’ interessante raccolta di nummulitidi italiane do- nata dal dott. Prever, due grossi campioni del calcare a congerie del bacino lignitifero di Montemassi (Grosseto) donati dall’ ing. IN^ovarese, una collezione di fossili elveziani di Baldissero Torinese regalata dall’ing. Franchi, ed altra di fossili tortoniani di Serravalle Scrivia, dono dell’ing. Crema. In conformità alle deliberazioni prese io scorso anno dal Comitato, la con- servazione e Pordinamento delle raccolte paleontologiche vennero affidati allo ing. Crema, il quale si preoccupò specialmente di continuare la formazione della raccolta sistematica dei fossili italiani. La sistemazione di questa e delle altre collezioni di fossili potrà ora ricevere un notevole impulso, essendosi ottenuto — 50 — l’autorizzazione di costruire cinque grandi scaffali, i quali, coi già esistenti, potranno contenere i fossili cenozoici e quelli mesozoici esclusi forse i triasici, pei quali, come per i paleozoici si provvederà in seguito. Laboratori. — IN’ell’anno 1905 i lavori del laboratorio chimico seguirono il loro corso normale, consistente essenzialmente in analisi e determinazioni di campioni presentati dai geologi rilevatori; fra i materiali di altra provenienza si può ricordare lo zolfo della Luigiana, che venne studiato per invito dello scrivente. L’ing. T^’ovarese studiò petrograficamente un gruppo di roccie della Valle di Challant, ed un altro, assai copioso, della Valle Strona. Esaminò comples- sivamente 14:2 sezioni sottili. Egli si occupò inoltre dello studio microscopico comparativo degli zolfi della Luigiana con quelli di Sicilia. L’ing. Sabatini studiò un centinaio di sezioni sottili di roccie dei Cimini. L’ing. Eranchi studiò petrograficamente alcune serie di campioni di roccie della Valle Sesia e delle Alpi Marittime. L’ing. Stella ha studiato le roccie raccolte nell’Ossola inferiore, in Val d’Aosta e, in modo speciale, una serie di campioni provenienti dalle nuove linee di accesso al Sempione. Altri studi analoghi vi eseguì l’ingegnere Viola su roccie e minerali diversi. Durante l’anno si continuò nel laboratorio la preparazione di sezioni sot- tili di roccie, per opera dell’inserviente Sparvoli, che vi consacrò tutto il tempo lasciatogli disponibile dagli altri suoi doveri, nonché in ore straordinarie. Egli eseguì 960 sezioni, di cui 928 vennero regolarmente inscritte in inventario mentre le altre andarono perdute per i saggi cui vennero sottoposte. Oltre a queste sezioni, se ne fecero eseguire n. 310 all’estero con una spesa di circa lire 400. Gabinetto paleontologico. — L’ing. Crema, oltre agli studi direttamente affida- tigli e sui quali già riferì o riferirà prossimamente egli stesso, ebbe pure ad esaminare e determinare varie raccolte di fossili, fra le quali quelle del mio- cene, del pliocene e del post- pliocene dell’Anconitano, del pliocene del Viter- bese, della Val di Chiana, ecc., ed iniziò lo studio di una collezione di fossili retici delle Alpi Marittime. Egli esaminò pure un certo numero di sezioni sot- tili di vari luoghi e terreni. Lo stesso ing. Crema continuò ancora, come già si è detto, l’ordinamento sistematico delle collezioni paleontologiche. Resoconto delle spese per l’anno 1905. I. Assegni al personale straordinario: Due disegnatori (per mesi 8 a L. 1800 e per 4 a L. 2000 annue) Uno scrivano (a L. 1440 annue) Un usciere (a L. 1200 per 7 mesi) Un inserviente di Laboratorio (a L. 1200 annue) Altro inserviente avventizio (a L. 1080 per 4 mesi) Totale II. Indennità di campagna e trasferte diverse: Rilevamenti Diverse Adunanza del Comitato Alpi occidentali 5,397.95 Liguria . > 2,095. 87 Umbria 1,537.76 Marche 2,100.52 Vulcani romani 1,963. 88 Appennino romano 384. 53 Appennino centrale e meridionale . . . 1,218.11 Basilicata . » 707. 80 Totale . . . L. 15,406. 42 Direzione dei rilevamenti . L. 609. 71 Ricerche paleontologiche . > 292. 97 Riunioni Società geologiche . > 1,075.04 Altri scopi 531.25 Totale . . . L. 2,508. 97 L. 3,733.33 » 1,440.00 » 700.00 » 1,200.00 » 360.00 L. 7,433.33 L. Totale . L. 2j508.97 » 1,220.90 L. 3,729.87 L. III. Spese d’Ufficio, Biblioteca e Collezioni : Cancelleria, riscaldamento, posta, trasporti, rilegature, ecc L. 2,954.47 Spese di campagna (guide, imballaggi, trasporti, ecc.) » 1,103.35 Carte topografiche » 40. 40 Biblioteca (acquisto libri e carte) > 1,171.45 Collezioni (scatolette e tubetti) > 120.70 Totale . L. 5,390. 37 L. IV. Pubblicazioni : ^ Testo L. 1,967.36 ( Tavole > 821.00 Stampa a colori di 5 fogli della Toscana, con tavola » 7,282.00 Tavole fossili Alpi Apuane » 400.00 Bollettino 1905 Totale L. 10,470.36 L. 7,433.33 15,406.42 3,729. 87 5,390. 37 10,470. 36 A riportarsi ... L. 42,430.35 — 52 — Riporto ... L. 42,430.35 V. Laboratorio chimico-petrografico : Materiale di consumo per chimica L. 96.50 Preparati microscopici > 694.40 Totale . . . L. 790.90 L. 790.90 VI. Manutenzione : Riparazioni diverse L. 428.47 Modificazione al locale » 530. 47 Totale . . . L. 958.94 L. 958.94 Vii. Spese diverse: Sussidio alla Società geologica L. 500.00 Assicurazione incendi » 110.40 Gratificazioni e sussidi al personale *• 250. 00 Compenso al portiere della succursale dì Torino » 100.00 Lavori straordinari di disegno > 500.00 Concorso a pubblicazioni diverse » 500. 00 Somma passata in economia » 275.00 Totale . . . L. 2,235.40 L. 2,235.40 Totale spese nel 1905 . . . L. 46,415. 59 di cui L. 24,898.47 sulTesercizio 1904-05 e L. 21,587.12 su quello 1905-06, sul quale inoltre sono già impegnate L. 6000 per pubblicazione di carte e L. 1500 per lavori murarii e nuovi scaffali. Proposte per la campagna geologica del 1906. N.uovi RILEVAMENTI. — Alpi. — Essendo tuttora in corso di rilevamento varie tavolette nella Yal Sesia, Yal d’Ossola e nella regione fra il Lago d’Orta e il Lago Maggiore, gli ingegneri Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella avreb- bero da continuare in questo lavoro. Per ciò che riguarda Fing. Stella è da ritenere che il completamento dei suoi rilevamenti in Yal d’Ossola potrà ri- chiedere poco più di un mese, e terminata questa regione egli potrebbe passare a intraprendere il rilevamento regolare in Yaltellina e particolarmente nel gruppo dello Spluga, dove già ebbe a fare vari anni addietro delle ricognizioni insieme all’ing. Mattirolo. Siccome poi anche Fing. Franchi terminerà in circa tre mesi il rilevamento delle tavolétte in corso, egli pure potrebbe dedicare una parte della campagna al rilevamento in Yaltellina. Essendo poi ormai quasi terminato il rilevamento delle xA.lpi occidentali propriamente dette, la sede dell’Ufficio geologico di Torino rimane piuttosto eccentrica, ed anzi fino dallo scorso anno era sentito il bisogno di trasferirla in un centro più prossimo alle regioni da rilevare. Per la necessità che nella sede dell’ufficio distaccato i vari operatori possano avere la opportunità di - 53 — studi e confronti del loro materiale con quello posseduto da importanti Istituti scientifici, sembra opportuno che come sede futura di detto ufficio distaccato debba scegliersi Milano, che offre anche, come grande centro ferroviario, fa- cilità di comunicazione per tutte le regioni da studiare. Ma in quest’anno, per Faffollamento prodotto dalla Esposizione, per la difficoltà di trovare un locale adatto e per altre ragioni, non si può pensare a questo trasloco. Sarà tuttavia necessario che per l’anno venturo si trasferisca l’ufficio da Torino a Milano o in quell’altra sede che verrà riconosciuta più adatta allo scopo. Liguria. — L’ ing.-capo Zaccagna potrebbe continuare i rilevamenti nella tavoletta di Finalmarina e in quelle contigue, dove le complicazioni tectoniche richiedono uno studio paziente ed accurato, e analogamente potrebbe l’inge- gnere Franchi continuare i rilevamenti nelle regioni contigue a quelle degli anni precedenti, dove pure la complessa serie dei terreni e l’interpretazione della difficile tectonica rendono assai arduo il lavoro. Umbria e Marche. — Ing.-capo Lotti. — Ha da terminare il rilevamento delle tavolette di Rieti, Spoleto e Massa Martana, e potrebbe poi intraprendere quello della tavoletta di Antrodoco, contigua a quella di Rieti, di cui esiste solo un rilevamento assai sommario eseguito molti anni or sono, e che occorre mettere in relazione con gli studi assai particolareggiati stratigrafici e tectonici fatti oramai nelle regioni vicine. Aiiitante-ing. Cassetti. — Potrebbe riprendere nei mesi più caldi il rileva- mento, già intrapreso nel 1904 e non continuato per ragioni di salute nell’ul- tima campagna, dei gruppi montuosi del Velino e del Sirente. IN’ell’autunno poi avrebbe da continuare il rilevamento del territorio marchigiano compreso nelle tavolette di Pergola e di Fossombrone (al 50,000), ed in quelle di Sinigaglia, Monterado, Mondavio, Mondolfo, Fano e Pesaro (al 25,000) già in gran parte riconosciute e anche rilevate nelle decorse campagne. Aiiitante-ing . Moderni. — Vell’estate avrebbe da continuare il rilevamento dei Monti Sibillini e nell’autunno potrebbe riprendere quello delle regioni mar- chigiane, riattaccandosi ai rilevamenti degli anni precedenti. Provincia romana. — L’ing. Sabatini potrà continuare lo studio e la rac- colta dei materiali nella regione vulsinia occidentale, già tanto avanzata e che forse in quest’anno si potrà completare, per poi passare ad altra regione ana- loga se avanzerà tempo. In quanto alla vallata dell’ Anione saranno riprese in esame le carte la- j sciate incomplete dall’ing. Viola e, con l’opera dell’ing. Crema, si provvederà al loro completamento, facendo le necessarie escursioni sul posto. i — 54 — Eicerche PALEONTOLOaiCHE SUL TERRENO. — Sarà opportuno cho Tiuge- gnere Crema faccia ritorno nei dintorni di Leonessa per completare con spe- ciali ricerche paleontologiche e stratigrafiche i risultati dell’ultima campagna. In tale occasione sarebbe bene che egli visitasse presso Eieti dàe altri punti dove ring. Lotti avrebbe incontrati gli stessi terreni in identiche condizioni stratigrafiche. Egli dovrebbe pure fare altre escursioni, specialmente nella valle dell’ Agri e nei dintorni di Sala Consilina, per alcune rettifiche che l’ing. Viola non potè compiere l’anno scorso. Pubblicazioni. Oltre al Bollettino annuale e ai fogli della Toscana al 100,000, in corso di stampa, si propone la pubblicazione, non appena siano pronti, dei lavori se- guenti : Altri fogli della Toscana al 100,000, comprese le isole dell’Arcipelago (di cui rimane ancora a rilevarsi quella di Montecristo) con una terza tavola di sezioni. 2® Alcuni fogli delia Basilicata, e tavola relativa di sezioni, da tempo in preparazione ed ora quasi pronti. 3® La Carta geologica al 400,000 delle Alpi occidentali, in corso di lavoro, con breve testo descrittivo. Diamo quindi la proposta Ripartizione delle spese per il 1906. Lavori di campagna ed escursioni diverse L. 17,500 Spese d’uflfìcio, laboratorio, biblioteca, collezioni, ecc., ecc » 15,000 Pubblicazione del Bollettino annuale > 3,000 Id. n. 5 fogli della Toscana con tavola > 6,000 Id. n. 7 fogli della Basilicata con sezioni > 5,000 Id. Carta al 400,000 delle Alpi Occidentali > 3,000 Impreviste > 500 Totale . . . L. 50,000 iST. Pellati. PIIESENTED 6S£fil906 Annunzi di pubblicazioni Aloisi P. — Albite nel calcare nuinmulitico di Ortola (Massa). (Atti Soc. to- scana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XY, pag. 42-46). Pisa, 1908. Arcidiacono S. — Principali fenomeni eruttivi avvenuti in Sicilia e nelle isole adiacenti durante Panno 1902. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. XI, n. 1 e 2, pag. 45-53). — Modena, 1906. Baratta M. — I terremoti di Calabria. (Boll. Soc. geografica ital., S. lY, Yol. YII, n. 5, pag. 432-459, con tavola). — Roma, 1906. Idem. — L’eruzione vesuviana delPaprile 1906. (Rivista geografica ital.. An- nata XIII, fase. YI, pag. 316-324). — Firenze, 1906. Bassani P. e Galdieri A. — Notizie sulPattuale eruzione del Vesui io (aprile 1906). (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^, Yol. XII, fase. 4®, pag. 123- 127). — Xapoli, 1906. Brunati R. — Osservazioni stratigraflche sul gruppo delPAlbenza e sue falde meridioìnali. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Yol. XLY, fase. 1®, pag. 34-45), — - Milano, 1906. Cacciamali G. B. — Rilievi geo-tectonici tra il Lago d’Iseo e laYaltrompia (pag. 30 in-8®, con carta geologica). — Brescia, 1906. Checchia-Rispoli G. — Di alcune Lepidocicline eoceniche della Sicilia. (Ri- vista ital. di paleontologia. Anno XII, fase. II-III, pag. 86-92, con ta- vola). — Perugia, 1906, D’Achiardi G. — I minerali dei marmi di Carrara. Ili (dagli Atti Soc. to- scana di Se. nat.; Memorie, Yol. XXII, pag. 14). — Pisa, 1906. Di Stefano G. — Sull’esistenza dell’Eocene nella Penisola Salentiua. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XY, fase. 8°^ 1® sem., pag. 423-425) — Roma, 1906. Franchi S. — Il Trias a facies mista con calcescisti e pietre verdi nel ver- sante padano delle Alpi liguri. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXY, fase. 1®, pag. 128-132). — Roma, 1906. Fucini A. — Sopra un’Ammonite emscheriana del Gargano. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XY, pag. 54-56). — Pisa, 1906. Idem. — Sopra il rinvenimento ad Orciano di un secondo individuo di Steno JBellardii Port. (Ibidem; Yol. XY, pag. 56-57). — Pisa, 1906. Galdieri A. — Su di una sabbia magnetitica di Ponza. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^, Yol. XII, fase. 4« pag. 115-116). Xapoli, 1906. Gortani M. — La fauna degli strati a Bellerophon della Carnia. (Riv. ital. di paleontologia. Anno XII, fase. II-III, pag. 93-131, con 3 tavole). — Perugia, 1906. IssEL A. — Torriglia e il suo territorio. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXY, fase. 1®, pag. 1-58). — Roma, 1906. Manasse E. — Contribuzioni alla mineralogia della Toscana. (Atti Soc. to- scana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XY, pag. 20-38). — Pisa, 1908. Mercalli G. — Notizie vesuviane (Anno 1904). (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. XI, n. 42, pag. 24-44, con tavola). — Modena, 1906. Merciai G. — L’Infralias del M. Malbe presso Perugia. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Processi verbali, Yol. XY, pag. 49-50). — Pisa, 1906. {Segue) (Seguito: V. pagina precedente) Millosevich F. — Appunti di mineralogia sarda. — Bonrnonite del Sarra- bus. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 8®, sem., pag. 457462). À — Roma, 1906. ^ Moderni P. — Alcune osservazioni geologiche sul Tulcano Laziale e special- «3 mente sul Monte Cavo. (Ibidem, S. V, Voi. XV, fase. 8®, 1® sem., pag. 462- 'S 469). — Roma, 1906. Xasini R., Anderlini P. e Salvadori R. — Ricerche sulle emanazioni ter- \ restri italiane: II. Gaz del Vesuvio e dei Campi Flegrei, delle Acque Al- buie di Tivoli, del Bulicame di Viterbo, di Porgine, di Salsomaggiore. ^ (Giazzetta chimica ital.. Anno XXXVI, Parte 1^, fase. IV, pag. 429-457). — 4 Roma, 1906. i'I Xeviani a. — Ostracodi delle sabbie postplioceniche di Carrubare (Calabria). '\ (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXV, fase. 1®, pag. 181-216). — Roma, 1906. Xo VARESE V. — La zona d’Ivrea. (Ibidem, Voi. XXV, fase, l^’, pag. 176-180;. — | Roma, 1906. 7 Oglialoro a. — Poche notizie sulle sabbie emesse dal Vesuvio. (Rend. R. < Acc, Se. fis. e mat., S. 3», Voi. XII, fase. 4°, pag. 135-136). — Xapoli, 1906. | Repossi e. — Su alcuni minerali del granito di S. Fedelino (Lago di Como). ^ (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 9®, 1® sem., pag. 505-512). — \ Roma, 1906. ' - Rosati A. — Studio microscòpico di alcune rocce della Liguria occidentale, ^ (Ibidem, S. V, Voi. XV, fase. 12°, 1° sem., pag. 724-729 e fase. 1°, 2® sem., pag. 9-17). — Roma, 1906. ^ Sacco E. — La galleria ferroviaria di Gattico (linea Santhià-Arona). (Atti | Soe. ital. di Se. nat. e Museo Civico di St. nat.. Voi. XLV, fase. 1°, pag. | 55-61, con tavola). = Milano, 1906. « Idem. — La questione eo-miocenica dell’ Appennino. (Boll. Soc. Geol. ital., ,■ Voi. XV, fase. P, pag. 65-127). — Roma, Ì906. \ Sangiorgi D. — Fauna degli strati a congerie e dei terreni sovrastanti, nelle | vicinanze dTmola. (Rivista ital. di paleontologia. Anno XII, fase. II-III, pag. 75-85). — Perugia, 1906. | Scalìa S. — Sopra le argille postplioceniche della Vena presso Piedimonte | Etneo (Prov. di (Catania). (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^, Voi. XII, -j fase. 4®, pag, 110-112). — Xapoli, 1906. Stella A. — Sui calcescisti della V alle di Furgen e sui gueis di M. Emilius | eM. Rafrè. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXV, fase. 1°, pag. xlvi-xlvii). — | Roma, 1906. jf Toldo G. — Due pozzi artesiani di Lodi. (Ibidem, Voi. XXV, fase. 1®, pag. 59-60). — Roma, 1906. Toniolo a. — L’eruzione del Vesuvio (aprile 1906). (Rivista di fis., mat. e ^ Se. nat.. Anno VII, n. 77, pag. 426-433). — Pavia, 1906. I ViNASSA DE Regny P. — A proposito della esistenza del Culm nelle Alpi 4 Gamiche. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 11°, 1° sem., •'t. pag. 647-649). — Roma, 1906. Zambonini e. — Appunti sulla scheelite di Traversella. (Ibidem, S. V, Voi. XV, X fase. 10°, 1° sem., pag. 558-565). — Roma, 1906. dPrezzo d.el presente fascicolo s L. [DEL ^ R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA A-NisTO isoe ROMA TIP. NAZIOISTALE DI G. BERTERO E C. 1906 ELENCO del personale componente il Comitato e l’ Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente, Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santi^ Susanna, n. 1. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. S^telÉvTvòrviL AÌimol»96^^ nSscioolTs'’. SOMMARIO. Note originali. — I. - V. Sabatini. L’ eruzione vesuviana deH’aprile 1906 {con Tav. IV e V). — IL - E. Camerana. Sull’ assorbimento delle acque pio- vane nella città di Maglie in provincia di Lecce {con Tav. VI). — III. - Riu- nione annuale della Società geologica italiana a Sestri Levante. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per Tanno 1905 {continua- sione, vedi n. 1). Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Illustrazioni. — Tav. lY e Y, relative alla eruzione vesuviana (Y. Sabatini) a pag. 184 e 224). — Yedute fotografiche relative alla stessa da pag. 170 a ^7. — Tav. YI, Carta e sezione geologica dei dintorni di Maglie (Y. Ca- merana) a pag. 232. NOTE ORIGINALI I. V. Sabatini — V eruzione vesuviana delf aprile 1906. (Con due tavole). L’eruzione vesuviana dell’aprile 1906 si era da lungo tempo prepa- rata. Dopo la grande conflagrazione del 1872, che aveva lasciato sul vulcano un grande cratere con pareti a picco, di 250“ di diametro ed altrettanti di profondità e con un volume di 12 milioni di metri cubi, era cominciato il periodo ricostruttore. Il cratere si era pian piano riem- pito, in seguito ad emissioni più o meno tranquille di lava, su cui si erano successivamente costruiti una serie di piccoli coni terminali. Ognuno di essi crollava ad ogni recrudescenza dell’attività, che si manteneva ciò non ostante sempre di poco rilievo, mentre col tornare a crescere della medesima ricominciava la formazione di un altro apparecchio terminale. In sostanza l’attività, sempre più o meno moderata, passava per dei mas- simi e dei minimi. A partire dai minimi cominciava l’edificazione del cono terminale, che crollava all’inizio dei massimi. Con questo, che è poi il processo abituale, la montagna andava risollevando la propria cima. Ma non si limitò a questo solo lavoro. A tre riprese emise lentamente e abbastanza tranquillamente delle grandi quantità di lava, onde tre colli 12 - 170 — si formarono nell’Atrio del Cavallo. Il primo fu il Colle ^Margherita, pro- dotto daH’accumuIazione della lava fluita dal 1891 al 1894, e che si elevò a 958“ s/m, a Nord del gran cono; il secondo fu il Colle Umberto, pro- Fig. — II, Vesuvio e il Somma da Napoli. Caduta di ceneri del 5 aprile. (Fotografia del sig. Fumagalli). dotto con la lava fluita dal 1895 al 1899 ad ONO del cono medesimo, e che si elevò ad 888“ ; il terzo fu un’altra cupola lavica, formatasi allo — 171 - stesso modo dal 1903 al 1904, nella Valle deirinferno, ad Est del cono e con la cima ad 870“. L’altezza di questi tre colli sull’antico fondo del- l’atrio fu rispettivamente di circa 150“ pel primo, di circa 90“ pel se- condo e di circa 70“ pel terzo. Così il periodo ricostruttore si mostrò attivissimo, perchè non solo ri- parò all’enorme demolizione del 1872, ma continuò con grande efficacia il riempimento dell’atrio, riparando a distruzioni molto più remote. L’ultima eruzione può dirsi che ebbe principio il 27 maggio 1905, quando all’altezza di circa 1180 metri si aprì una frattura, a NO del cono, di dove uscì la lava, che da quell’epoca sgorgò quasi continuamente. Nel- l’ottobre decorso, sulle ripide pendenze del cono, la lava scendeva con una velocità di 6“ al minuto ^ Questa lava diverse volte intercettò la ferrovia elettrica tra l’Osservatorio e il piede della funicolare. La fase pa- rosismale cominciò il 2 aprile del corrente anno, quando le emissioni del cratere si accrebbero, accompagnate da sbuffi di cenere, da proiezioni di scorie incandescenti e da boati che facevano tremare i vetri delle finestre dei vicini paesi. Tali fenomeni si andarono facendo sempre più violenti fino al giorno 4, quando verso le 6 del mattino il cono si fendeva in alto, in direzione di SE, e dall’altezza di 1175“ s/m usciva poca lava, mentre la bocca diametralmente opposta era ancora attiva. Nelle ore pomeri- diane crollò il conetto terminale ed un enorme pino si sollevò obliqua- mente sul cratere, abbattendosi verso SO fino al suolo, e la cenere co- minciò a cadere anche a Napoli. Il giorno dopo altra lava era emessa da un punto più basso di quello donde era uscita la lava del giorno , avanti, ed in maggior quantità. Il giorno 6 si aprì la prima bocca ai Gognoli, e la lava, avanzandosi verso Boscotrecase, nel pomeriggio del giorno seguente era già all’altezza del cimitero di questa borgata e diveniva minacciosa. Ma fu nella notte del 7 all’S che il fenomeno erut- tivo raggiunse la massima intensità. Alle 11 una lava fluidissima si lanciò in direzione dell’abitato del Terzigno, mentre poco dopo, per un nuovo afflusso, la lava dei Gognoli si rimetteva in moto. Alle 2 del mat- tino altra lava usciva più ad Ovest e si dirigeva verso il Pallone, mentre mezz’ora dopo la lava dei Gognoli giungeva a Boscotrecase e alle 8 a. m. era al Gimitero di Torre Annunziata. ^ A. Lacroix, G. R. Ac. de.s Sciences. — Seduta del 23 aprile 1906. — 172 - f Mentre queste lave fluivano devastatrici a SE del vulcano, il suo cra- tere, nella stessa notte, lanciava, tra boati continui e violenti, un pino gigantesco, solcato senza interruzione da scariche elettriche, ed una enorme quantità di lapillo cadeva sui paesi del versante NE di Monte Somma, producendovi una grande rovina. Fu questa la nette terribile. Sul versante meridionale, al chiarore del cielo infiammato pel riverbero delle lave e per le pietre incandescenti lanciate dal cratere, e sul ver- sante nord-orientale, sotto la fìtta gragnuola di lapillo, un panico giusti- ficato prese tutte le popolazioni vesuviane e la maggior parte cercò uno scampo nella fuga. Se non che lo stesso giorno 8 le lave e i lapilli si arrestarono, mentre le ceneri continuarono a cadere con inusitata abon- danza, avvolgendo nelle tenebre più fìtte ora i paesi di NE, ora quelli di SO. Così oltre Ottaiano e San Giuseppe, che furono in parte distrutti. Resina, Portici, Torre del Greco furono dolorosamente provate. Perfino a Napoli, la caduta di ceneri fu abondante, producendo il crollamento della tettoia del mercato di Monteoliveto, che fece numerose vittime, e ravvolgendo per più giorni la grande città in una nebbia fìtta, incomoda, insistente. 1. — Lapilli e ceneri. Valutazione del materiale caduto. — Il materiale lanciato dalla mon- tagna è ricaduto in modo assai ineguale. La sua maggiore quantità, e con elementi più grandi, ha coperto il quadrante NE del vulcano, o più propriamente il settore compreso tra le generatrici della borgata di Somma e della frazione del Terzigno, che è un po’ più grande di quel quadrante. Dentro di esso trovasi un settore più piccolo, i di cui raggi estremi passano a poca distanza a Nord di Ottaiano e a Sud di San Giu- seppe, su cui il fenomeno ha raggiunto la massima intensità, produ- cendo anche la massima rovina. Nella parte alta di Ottaiano, a 4®^,5 dal cratere si misurò uno spessore di lapillo di 1“,20, mentre nella parte bassa, un chilometro più lontano, se ne ebbero 0“‘,60. A San Giuseppe, a 7®^ dal cratere, questo spessore variò tra 70 ed SO""™. Girando su’ due lati del vulcano, a partire da questo secondo settore, la quantità di materiale caduto va diminuendo. Sul limite Nord del quadrante di NE, alla borgata di Somma, il lapillo raggiunse 40-45®“, a 5®^,5 dal cratere, mentre sul limite Sud, ad Avini e al Terzigno, tra 5 e 6®^ dal cratere, si ebbero in media 20®“. - 173 — Dopo questo quadrante, girando a Sud, la decrescenza è assai rapida e si entra in altro settore di circa 60°, che va fino ad una generatrice compresa tra le bocche dei Viuli e il cono dei Gamaldoli della Torre. Su questo settore, solo al disopra dei 250“ s/m caddero ceneri e lapilli in quantità apprezzabile e sempre maggiore coll’altitudine, ma minore di quella che, a pari livello, cadde su’ punti degli altri settori. Invece la parte a valle della curva di 250“ fu esente da prodotti di proiezioni, se se ne eccettui la piccola caduta di ceneri che cominciò la sera del 14 aprile e continuò il 15, producendo grande panico a Bosco e a Torre Annun- ziata, ma nessun danno. Di Boscotrecase, Torre Annunziata e Bo- scoreale, la terza è il solo comune vesuviano che fu completamente esente da qualunque danno di ceneri o di lave, mentre le altre due, esenti anch’esse dalle ceneri, furono invece danneggiate dalle lave che distrussero parte dell’abitato della prima, oltre le terre circostanti annientate, e minacciarono seriamente la seconda, giungendo fino a 600 metri dalle prime case h Tutte le lave colarono su questo settore, e su questo soltanto. Continuando il giro, segue il settore compreso tra’ Gamaldoli e San Giorgio a Cremano. Ivi Torre del Greco, Resina, Portici, da 6 a 7®^ dal cratere, ebbero da 15 a 20°“ di lapillo e ceneri. E finalmente sull’ultimo settore, tra San Giorgio e Sant’Anastasia, le quantità di lapillo andarono sempre aumentando. E questo il settore su cui sta l’Osservatorio, il quale, a 2°^, 5 dal cratere, il 12 aprile, era coperto da 35 a 40°“ di ce- neri. A queste misure, da me direttamente constatate durante l’eruzione, vanno aggiunte quelle constatate dagli altri, e da me stesso, durante l’escursione che feci nel giugno seguente. Così a Napoli, all’Osservatorio astronomico di Gapodimonte, il prof. Pergola misurò 153 tonnellate di ceneri per ettaro, ossia 15°^^, per m.q. Invece il mio amico prof. Onorato Fava, sulla sua terrazza alla Salita Stella, misurò 12°^^ per m.q. La minor quantità si spiega colfatto che la Stella trovasi su d’una generatrice del vulcano più a Sud di quella di Capodimonte. Lo stesso prof. Fava mi dette pure lo spessore appros- simato delle ceneri cadute a casa sua in D’altro lato, dalle ricerche ^ Alcune case isolate, al disopra del cimitero, furono invase o circondate. — 174 - del prof. Gasoria, si può dedurre che la densità delle ceneri medesime varia da 2,7159 (cenere grigia) a 2,7706 ^ (cenere rossiccia). Siccome la varietà a cui corrisponde il secondo numero fu in assai minor quantità, si può ritenere, con sufficiente approssimazione, pel nostro calcolo la cifra di 2,73. E quindi lo spessore delle ceneri cadute alla Stella sarebbe stato di 4,4““, mentre a Gapodimonte risulterebbe di 5,5. Noi riterremo dunque, di 5““ la cenere caduta a Napoli, ricordando che corrono 15*^^ dal cratere a Piazza Dante, che, rispetto al Vesuvio, è uno dei punti più centrali della detta città. Quanto ai 40-45®“ dati per la borgata di Somma Vesuviana, essi si basano sopra un’indicazione avuta dalle gentili e diligenti signorine che ne reggono l’ufficio postale. Difatti mi fu da loro indicato uno scansacarri, davanti aH’ufficio, all’altezza del quale giunse il livello della cenere la mattina dell’S, quando la maggior parte del materiale era caduta, e si tratta appunto di 40®“. Tale indicazione fu da me controllata con quelle dell’ing. Quercia e d’altre persone. Il totale dei materiali caduti sull’abi- tato di Somma fu calcolato, pel contratto coll’appaltatore che doveva sgombrarli, e fu trovato di 70 000“®. A San Giuseppe invece si ebbe, allo stesso scopo, una cubatura maggiore, e cioè di 100 000“®. Se ora consideriamo la cenere, i lapilli e i blocchi caduti sul cono e nell’atrio, la misura diventa assai più difficile. Il nuovo rilevamento, non ancora incominciato dall’Istituto geografico militare, permetterà di giun- gere a risultati abbastanza approssimati, almeno per l’atrio, chè pel cono bisognerebbe tener conto anche delle parti distrutte, ciò che sarebbe assai arduo, o addirittura impossibile. Ma a noi, per un calcolo a cui non oc- correrà una grande precisione, basteranno pochi dati. L’atrio che, prima dell’ultima eruzione, si percorreva assai diffìcil- mente per la grande quantità di lave che lo avevano invaso, trasforman- dolo in un vero caos, ora è completamente ricoperto di ceneri, la di cui distesa pianeggiante non è alterata che da leggere ondulazioni, special- mente in corrispondenza dei tre colli citati. Il Golle Margherita che, come si è detto, si elevava a 958“ ®/m , ora sale a 1000, secondo un’indicazione, ^ Questi dati si riferiscono alle ceneri sbarazzate dai sali solubili, che sono in proporzione di qualche grammo su cento (E. Gasoria, Sulla composizione chimico delle ceneri vesuviane cadute a Portici nei giorni 9 c 10 aprile 1906. Portici, Della Torre, 1906). — 175 — sia pure approssimata, del mio barometro. La stazione inferiore della fu- nicolare aveva il piazzale a 795“ ed ora, sempre in base alle indicazioni del medesimo barometro, èricoperto di nuovi materiali fino ad 815 metri, quindi con 20“ di spessore. Del resto in una fotografia che riprodurrò Fig. 2“ — Un lagno (letto di torrente) presso San Giuseppe, dopo la pioggia di lapillo. (fìg. 17^) vedremo come le ceneri chiare, addossatesi al vecchio lapillo, siano state profondamente erose senza che, in generale, lo abbiano scoperto. Dopo questi dati, si capirà che, ammettendo sul cono e sulla piatta- forma che gli serve di base ^ uno spessore di 10“ di nuovi materiali, noi ci atterremo certamente ad una cifra inferiore al vero. In base a questi dati faremo rapidamente il calcolo dei materiali rigettati dal vulcano, at- tenendoci sempre a valori più bassi degli effettivi. Consideriamo dunque dapprima cono e piattaforma, ossia un’area grossolanamente circolare di eh. 1,5 di raggio, o di 7 milioni di m.q.. ^ Una parte di questa piattaforma è FAtrio del Cavallo con la Valle delFInferno che ne è la continuazione ad Est del cono; il rimanente, privo di circuito esterno, è assai ben visibile tra il punto trigonometrico 838 e il principio del sentiero che conduceva da Casa Fiorenza al cratere. Nel resto, sebbene non più visibile, deve ri- tenersi tra 600 e 700 metri. - 176 su cui 10“ di materiali dànno un volume di 70 milioni di m. c. Conside- riamo quindi una prima zona concentrica di 4 eh. di larghezza. Ed in questa distinguiamo prima la parte situata sul quadrante di NE, la quale si estende fino al centro degli abitati di Somma e. di Ottaiano, ed ha una superficie di 22 milioni di m.q.h Diamo al materiale che ha ricoperto questa superficie lo spessore medio di 1“,50, ciò che è inferiore al vero perchè nelle parti alte di Ottaiano già si rag- giunse lo spessore di 1“,20. Si hanno così altri 33 milioni di m. c. Sopra una seconda parte della stessa prima zona, e precisamente quella che, girando a Nord, corrisponde ad un settore di 210°, e che ha una superficie di 51 milione di m.q., riteniamo di 40°“ lo spessore dei materiali caduti. E questa la cifra trovata alfOsservatorio, che è inter- media tra’ 20°“ del limite inferiore della zona presso Resina e il valore certamente superiore ad 1“ che si raggiunge poco a monte dell’Osser- vatorio stesso. Tale ultimo spessore è rapidamente superato e va sempre crescendo più in alto, ma per breve tratto, perchè il limite superiore della zona considerata è presto raggiunto. Si vede però come la media di 40°“ sia inferiore, e forse di molto al vero. Si hanno così altri 20,5 milioni di m. c. Resterebbe a considerare una terza ed ultima parte della prima zona, a cui corrisponde un angolo di 60" sul settore di SE; ma su questa parte i materiali caduti furono in poca quantità sulla metà più alta, al disopra della curva di 250“ , e in quantità trascurabile sulla metà più bassa, onde non ne terremo conto. Passiamo alla zona seguente, che estendesi tra la precedente e la circonferenza concentrica col cratere che passa per Napoli. Questa zona avrà quindi una larghezza compresa tra 5°^ ,5 e 16°^ ossia di 10°^, 5. La sua superficie sarà di 716 milioni di m.q., da cui, dedotta la sesta parte, corrispondente al settore di SE, sul quale non caddero materiali di sorta, rimangono 596, 5 milioni di m. q. Diamo al materiale caduto su questa superfìcie lo spessore medio di 10°“, media tra’ 20°“ di Portici, Resina, Torre del Greco e il mezzo centimetro di Napoli, notando che dal lato di NE certamente tale media fu maggiore. Possiamo così ritenere una cubatura di 60 milioni di m. c., che, aggiunti a’ risultati precedenti, dànno 183,5 milioni di m. c. ^ Come si disse l’angolo al vertice dei settore tra Somma Vesuviana e Terzigno, che ho chiamato il quadrante di NE, effettivamente è maggiore di 90°, onde, a considerarlo come un vero quadrante, l’errore che commetto è sempre in meno. - 177 — Si aggiunga pure che il vento dominante di SO spinse le ceneri fino in Puglia, in quantità così forte che, nei paesi sul percorso, se ne ebbe uno strato che raggiunse un numero di millimetri variabile con la di- stanza dal cratere, e l’aria ne fu spesso così oscurata da obbligare ad accendere i lumi in pieno giorno. Così ad Avellino a 25®^ dal cratere, a Montesarchio, a Cerreto Sannita a 60®^ a Benevento, a Bovino a 96^^^, a Foggia a 120°^ a Barletta a 164®^ ecc. Calcolando l’area d’una zona con- centrica col vulcano di 164®^ di raggio massimo e di 16 di raggio minimo, e prendendone la sesta parte, corrispondente al settore di NE, si ha una superfìcie di 83737 milioni di m. q. Con uno spessore medio di soli due millimetri, non certo superiore al vero, si avrebbero altri 28 milioni di rn. c. che farebbero salire l’anzidetta valutazione a 211 milioni di m. c., ciò che rappresenta un minimo dei materiali lanciati dal cratere. Va notato che questi materiali, trasportati al solito dalle correnti aeree, giunsero assai più lontano, come su’ paesi dell’Adriatico orientale, nel Veneto, e fìno a Parigi. A Roma li constatai io stesso, nel pomeriggio del giorno 9, in cui ne caddero delle quantità insignifìcanti in mezzo ad un’atmosfera giallognola. Ripartizione del materiale di proiezione^ secondo le diverse origini. — Fino alla notte del 7 air8 il cratere fu la sede d’importanti esplo- sioni stromboliane, ossia con proiezioni di pezzi di lave fuse h Nella notte suddetta le esplosioni formidabili e continuate produssero dei grandi franamenti all’esterno del cono, ne demolirono la cima per un centinaio di metri e vi scavarono dentro un nuovo ed ampio cratere. Il materiale prodotto fu quello che in poche ore si abbattette sul set- tore di NE, e in tutte le direzioni nelle immediate adiacenze del cratere. Esso corrisponde ai tre quinti circa del materiale totale. Infatti sulle due prime zone del settore di NE, e nella notte suddetta, caddero circa 51 milione di m. c. di materiali e dei 70 milioni caduti sul cono e sulla piattaforma, la quasi totalità fu emessa in quella stessa notte. Or la parte franata delle pareti esterne del cono, sebbene sia dif- fìcile a calcolare, pure, a giudicarla dal più importante franamento, quello al disopra di Gasa Fiorenza, di cui parleremo in seguito, fu da me ^ Mercalli, in Lacroix, G. Pi. de l’Ac. des Sciences. — Seduta del 23 aprile 1906. calcolata in cifra tonda a 300000 m. c. Anche ad aggiungervi qualche altro centinaio di migliaia di m. c. per tutti gli altri franamenti, ciò che certamente è superiore al vero, avremo sempre una quantità di poco rilievo rispetto al minimo di 121 milione di m. c. da noi calco- lati pei materiali frammentarii caduti nella notte del 7 all’ 8 aprile. Quanto all’ abbassamento della, cima, considerandolo di 100“ , si ha un volume di 12, 5 milioni di metri cubi, cioè quasi uguale al volume del cratere che fu scavato dall’eruzione del 1872. Il materiale proiettato in ultimo si ri- duce in massima parte ad esser il prodotto dello scavamento del nuovo cratere. Questo ha un orlo allungato con circa 700“ di lunghezza per 500 di larghezza. Se per avere una cifra media riportiamo sulla carta un ab- bassamento di 100“ della cima, troveremo un orlo grossolanamente cir* colare di 650“ , giacché la forma ellittica che la bocca ha effettivamente si spiega principalmente col fatto che la troncatura è obliqua. Conside- rando le pareti verticali con 400“ di profondità, si avrebbe una cubatura di 132,5 milioni di m. c. ; considerando il cratere di forma conica si avreb- bero 44 milioni. Quindi, non trattandosi nè di cono, nè di cilindro, in via di approssimazione ci accontenteremo d’una media tra’ due risultati, e cioè di circa 90 milioni di m. c. Perciò a 103 milioni di m. c. salirebbe l’insieme di tutto il materiale demolito dal cono e dal cratere. Se questi calcoli sono giusti, tra certi limiti, se ne dedurrebbe, come era da aspettarsi, che nella notte del 7 air8 si ebbero neH’interno del camino 18 mil. di m. c. di demolizioni, e che queste continuarono nei giorni seguenti, dando emissioni di ceneri. E finalmente, nel totale di 211 mil. di m. c. di materiale caduto, entrerebbero per un 43 °/o queste demoli- zioni interne del camino e la lava coeva. E siccome (secondo osservano anche il Mercalli e il Lacroix) i lapilli dovuti a quest’ultima sono assai meno rappresentati del materiale antico, onde le esplosioni, a partire dal mezzo della notte del 7 all’8, furono prevalentemente vulcaniane (cioè a spese di materiali preesistenti), ne deriva che le demolizioni interne do- vettero essere assai considerevoli. Yalutiamo i lapilli coevi dell’eruzione ad un 25 °/o del totale dei materiali eruttati, ciò che è un massimo, e si vedrà che le demolizioni interne corrispondono almeno ad un cubo di circa 330“ di lato. La pioggia di questo materiale cominciò nel quadrante di NE, il mat- tino del 7 tra le 9 e le 10 con poca sabbia che cadeva dal pino rivolto da quel lato. Dalle 9 ^2 Poi il fenomeno si accentuò. AU’una del mattino cominciò a piovere lapillo con gran violenza, raggiungendo tale caduta la massima intensità verso le due, mentre ai boati violenti e alle scariche elettriche si aggiungevano scosse di terremoto. Fino alle 8 a. ni. dello stesso giorno durò tale flagello, poi cessò per dar posto alla ca- duta di semplici ceneri. Mettendo queste notizie in rapporto con quelle sulle lave, si vede che il lapillo cominciò a cadere con violenza un’ora e mezza dopo che era ve- nuta fuori la lava della Gupaccia. Poco dopo la lava dei Gognoli riceveva il rinforzo che la spingeva su Boscotrecase, e l’uscita posteriore della lava del Pallone, avvenuta alle 2 a. m., coincide col massimo d’intensità del fenomeno esplosivo. Il rapporto tra’ due fenomeni è dunque evidente nel caso dell’eruzione che discutiamo. Fig. 3=^ — La Via Piè di Terra ad Ottaiano ripiena di lapillo. Effetti del materiale caduto. Perforazione dei vetri delle finestre. — Come si disse, l’area di massima azione fu in un settore che abbracciò Ottaiano e San Giuseppe. Quest’ultima dovette la fortuna d’una minore — 180 — V N rovina al solo fatto forse della sua maggior distanza dal cratere. Assai più terribile sarebbe stata la sua sorte se si fosse trovata alla stessa di- stanza, perchè sul raggio di San Giuseppe il fenomeno si produsse con una intensità superiore a quella del raggio di Ottaiano. Basta perciò ri- cordare che, mentre nella parte bassa di Ottaiano, a dal cratere caddero di lapilli, a San Giuseppe, a circa 7®^-, ne caddero 70-80®“-. Le case rimaste ancora abitabili ad Ottaiano, dopo l’eruzione sono poche; dippiù a San Giuseppe, notando però che, in entrambe le bor- gate, i piani superiori sono quasi tutti rimasti inabitabili pei tetti crollati sotto il peso del lapillo cadutovi, o, qualche volta soltanto, non crollati, ma ridotti in istato assai pericoloso. In moltissime case il crollamento del tetto, col peso sovrincombente, ha trascinato con sè tutti i solai sot- tostanti fino alle volte delle cantine. Ciò non di meno i muri non presen- tano troppo numerose lesioni, e quelli crollati sono pochissimi, ciò che mostra che le scosse di terremoto non furono troppo forti. Come hanno già notato il prof. Bassani e il dott. Galdieri ^ a spiegare i crollamenti dei muri, bastano le azioni dei travi spezzati od incurvati, sotto il peso e per l’urto subito, e che quindi hanno spesso agito come leve sulle parti soprastanti dei muri stessi. A proposito d’incurvamento di travi, me ne mostrò uno il signor Giov. di Prisco nella sua casa di San Giuseppe. Ivi una stanza del secondo ed ultimo piano, di circa quattro metri di lato, era ricoperta dal semplice tetto (era ciò che chiamasi suppegno nel Napoletano). Quindi non c’erano che le incavallature e i correnti, con la relativa orditura e la copertura di tegole. L’altezza sul pavimento era di circa 1“- per la parte più bassa e di 3“- per la più alta. Questo tetto crollò sul solaio, che resistette, sebbene fortemente danneggiato. Quando, nei giorni seguenti, si dovette far crollare l’imbottitura di questo solaio e ^ Notizie stilV attuale eruzione del Vesuvio. R. Acc. d. Scienze, Napoli, aprile 1906. 2 Colgo questa occasione per ringraziare, oltre il signor di Prisco, tutte le gen- tili persone che vollero aiutarmi nel disimpegno della mia missione. Le autorità militari al comando del Corpo d’armata e del Dipartimento marittimo di Napoli, il signor generale Confalonieri, che comandava le forze concentrate a Torre Annun- ziata durante Teruzione, i signori Casella, il signor Michele Tedesco e il prof. Ser- vino, non che altre numerose persone di Boscotrecase, della cui cortesia e della cui cordialità serberò sempre il più grato ricordo. E aggiungo anche il nome del prof. Matteucci, che mi accolse con l’abituale affettuosità quando il 12 aprile salii al- l’Osservatorio. - 181 - le volticene che la sostenevano, apparvero i travi in ferro, che io vidi an- cora in sito, fortemente inflessi nel mezzo, ma non deviati dalla posizione verticale, sebbene avessero un’altezza di 16 o 18®“ . E ciò fu natural- mente dovuto al forte sopraccarico di lapilli. Si tratta in effetti di tetti leggeri, non molto inclinati perchè la re- gione non è soggetta a nevicate, altro che in casi eccezionali e di poco rilievo, e la caduta di ceneri e lapillo non fu purtroppo preveduta, men- tre vi fu preveduta l’azione del vento che, potendo raggiungere una certa intensità, consigliava a non adoperare delle pendenze troppo ac- centuate. Ora il lapillo caduto nella notte dell’S al 9 aveva un peso di 1400«^s- per m.c., onde, con lo spessore da 60®“* ad il sovraccarico variò da 840 a 1680 per m.q. ad Ottaiano, mentre a San Giuseppe fu di 980 a 1120®^^-. Va però notato che il castello del principe d’Ottaiano, situato nella parte più alta della borgata, ove cioè lo spessore del lapillo fu maggiore, non ebbe che lievi danni, perchè la robustezza della co- struzione oppose una sufficiente resistenza. L’esame delle costruzioni di questi paesi del versante di NE della montagna dà in effetti la ragione del disastro. I muri sono di pietra di tufo cementata da malta cattiva, in cui per pozzolana si adopera del lapillo d’ogni dimensione e la calce è scarsissima. Alcune di queste volte, crollate nel mezzo, mi permisero di osservarne la costituzione, nei pezzi laterali rimasti aderenti ai muri. Non ci si vedeva altro che lapillo compresso, e che era pericoloso smuo- vere troppo con le mani. Le dimensioni degli elementi del materiale caduto sono naturalmente maggiori sul quadrante di NE, e specialmente sul settore che ne occupa il mezzo. Su questo, ad Ottaiano e a San Giuseppe molte pietre erano grosse come aranci ed, essendo porose, avevano il peso di Ve ne erano però che raggiungevano i 20-25®“- di maggior diametro e col peso di 1®^^- e anche più. Il maggior numero di elementi avevano dimensioni assai più ridotte, con uno o più cm. di diametro. Naturalmente, con questo lapillo, caddero anche delle ceneri. Allontanandosi da questo settore di massima azione, le dimensioni del lapillo vanno diminuendo, come sopra ogni settore diminuiscono al crescere la distanza dal cratere. Ad Avini il maggior numero degli ele- menti varia da ^2""“ ^.d 1®“ 0 più. Gran parte sono di 2®“ , pochi di 5. Al Terzigno, quasi sulla stessa generatrice di Avini, ma ad un chi- lometro più lontano dal cratere, la maggior parte dei lapilli ha 3-4 - 182 - e anche meno, un numero più ristretto arriva ad uno o più cm., in mi^ nor numero ancora sono quelli di 3-4®“- . Questo materiale nella parte inferiore risulta principalmente di scorie coeve della lava fluita contemporaneamente, e dovute alle esplosioni stromboliane con cui s’iniziò il parosismo nella notte del 7 all’S aprile ; nel resto è costituito da frammenti, appartenenti a lave più antiche, strappate dall’interno (ciò che è dimostrato non solo dalla maggior compattezza, ma anche dallo stato d’alterazione più o meno avanzato), e da un abondante materiale scoriaceo dovuto alla demolizione della cima del cono e allo scavamento del nuovo cratere per opera delle violente esplosioni che avvennero dopo la mezzanotte del 7 all’S. Molti cristalli di pirossene e di leucite si trovano isolati in questo materiale. Tra i fenomeni che maggiormente colpiscono l’osservatore vi è il modo di rottura delle lastre di vetro alle finestre di Ottaiano e di San Giuseppe. Nelle due borgate le lastre si ruppero quasi tutte. Molte caddero interamente in frantumi, ma quelle rimaste in parte aderenti ai telai mostrano in generale una tendenza alla rottura centrale e cir- colare. Tale rottura è complicata con quelle di altri punti delle lastre, onde il contorno della parte non asportata nel mezzo mostra degli archi circolari o quasi, e nel resto assume delle forme irregolari. Sono però numerosi i casi in cui si osserva un foro circolare, raramente ellittico; mentre la parte del vetro restata in posto, se qualche volta mostra diverse fenditure, assai di frequente non ha nemmeno queste (Tav. IV, fig. a, e) ed il foro appare netto, senza nemmeno le screpolature radiali che si osservano ordinariamente nel caso di perforazioni praticate da proiettili. Questi fori, come ho detto, si trovano ordinariamente nel mezzo delle lastre o quasi, ma non mancano i casi in cui sono laterali, o sul margine. La fig. 4^ mostra in una sola finestra di Ottaiano diversi casi tra quelli citati. Ho anche potuto vedere, e portar via, una lastra intera, che però presso il margine mostrava una semplice fenditura in forma di arco (Tav. IV, fig. b). Qui il pezzo colpito non fu asportato perchè l’urto non fu abbastanza forte e le vibrazioni furono attenuate da un lato per la resistenza opposta dal telaio. Si ebbe perciò una fenditura arcuata nella regione ove tale resistenza fu minore. Questo fatto è d’accordo con l’altro che l’esperienza del foro prodotto — 183 - da un proiettile in una lastra di vetro riesce meglio se la lastra è so- spesa, anzi che se è incastrata e quindi fissa. E le lastre dei paesi di cui parlo non solo sono incastrate nei telai, ma vi sono introdotte dallo esterno e incollate con mastice sovrapposto agli orli. Lungo la fenditura suddetta, e nel mezzo di essa si osserva uno scagliamento a circonferenze concentriche, che potrebbe attribuirsi o Fig. 4\ — Finestra di Gennaro Mazza in via Piè di Terra (Ottaiano). (L’immagine è deformata, essendo stata presa dal disotto con la macchina molto inclinata). ad uno dei lapilli che produssero la rottura, colpendo il cerchio a cui appartiene la fenditura, o più verosimilmente ad un nucleo della lastra che oppose maggior resistenza lungo la fenditura medesima. — 184 - 1 Un altro caso, più complicato, è quello della fig. c della Tav. IV. Si vede in alto una frattura da destra a sinistra e nel pezzo di sotto altra frattura in forma di mezza circonferenza, oltre a fratture di altro genere. Qui il pezzo superiore, con la maggior rigidezza dovuta o alla sua strettezza o a diversa composizione del vetro, ha funzionato come il telaio nel caso precedente e la frattura si è prodotta solo nel pezzo sottostante che era più libero nelle sue vibrazioni. Si vede in sostanza che il fenomeno della perforazione d’una lastra di vetro è meno semplice che non si era creduto pel passato. Difalti si riteneva che la rapidità del- l’urto, impedendo la comunicazione del moto alle parti contigue, e non colpite, determinasse il distacco della parte direttamente urtata. Se ciò fosse, al crescere della velocità del proiettile l’asportazione di questa parte dovrebbe avvenire sempre meglio. Pure non è così, e una lastra va in frantumi non solo se la velocità dell’ urto è molto debole (al disotto dei 50“ al 1") ma anche se è troppo forte (al disopra dei 100“). Perciò le lastre su cui esperimentò il prof. Q. Maiorana ^ andarono tutte in frantumi, avendo egli adoperato dei proiettili con velocità di 400“. Così avvenne anche in esperimenti fatti da me col gentile concorso del signor M. Tedesco a Boscotrecase. Il prof. Maiorana mi avverte che perciò è meglio adoperare una rivoltella anzi che un fucile, che dà velo- cità troppo forti. Di questi fori, alle finestre di Ottaiano e San Giuseppe, ve n’ha di grandezza variabile, dal diametro di qualche cm. a quello di 10-12^“. Essi si trovano inoltre in tutte le orientazioni^ di fronte alla montagna, come dalla parte opposta, o secondo il raggio della medesima, al pari di tutte le altre rotture, più o meno simmetriche. Finalmente noterò che l’orlo dei fori prodotti è tagliente all’esterno, arrotondato e liscio all’interno. A tre cause diverse si potrebbe attribuire la rottura di queste lastre: 1) urto dei lapilli, che avrebbero agito a guisa di proiettili; 2) scariche elettriche; 3) urto per effetto della brusca compressione deH’aria prodotta dalle esplosioni vulcaniche. ^ Ringrazio anche il prof. Maiorana che, in tale quistione, mi fornì cortesemente, con la sua competenza, dei dati che mi furono preziosissimi. Boll, del R.Coiiiit. GeoL d’Italia i — 185 — 1) Urto dei lapilli a guisa di proiettili sulle lastre di vetro delle finestre. — Contro l’ipotesi dell’urto prodotto dai lapilli mi fu fatto notare che il pezzo asportato dai fori circolari qualche volta era stato ritrovato intero, e non sempre si erano rinvenuti all’interno, e al di là delle lastre, le pietre che le avrebbero forate. Tali constatazioni dovute a colti uffi- ciali, da me conosciuti ad Ottaiano, hanno il pregio della precisione e della sicurezza e vanno valutate e discusse. L’assenza delle pietre all’in- terno delle lastre forate era del resto facile a constatare perchè, quando nella notte del 7 all’S, quasi tutti gli abitanti di Ottaiano e San Giuseppe fuggirono, all’accentuarsi delle proiezioni di lapillo, chiusero accura- tamente porte e finestre, onde nello stretto spazio tra telai ed imposte parrebbe, a prima vista, che i lapilli, che avrebbero prodotto la rottura dei vetri, avrebbero dovuto anche ritrovarsi. Ora non solo, in certi casi di fori di 10 e 12®“, non si trovarono aH’interno le pietre che avrebbero dovuto produrli, ma nemmeno sulla superficie della imposta chiusa di dietro, e che si trovava a pochi centimetri dalla lastra forata, fu notata l’impronta che l’urto di queste pietre avrebbe dovuto lasciare. Queste obiezioni sarebbero gravi se il foro fosse prodotto da un solo proiettile, onde pei fori di 10 o 12®“ occorrebbero delle pietre di dia- metro uguale o di poco inferiore. Ma il fatto del cerchio, asportato per intero in qualche caso, mostra chela rottura non fu prodotta da un solo grande proiettile, ma da un insieme assai numeroso di piccolissimi proiettili che vennero a colpire una certa regione della lastra con la stessa intensità in tutti i punti, avvicinandosi un po’ alle condizioni del perforatore meccanico^ in cui è un cilindro che porta via d’un colpo, attraverso una lastra metallica, una piastrella circolare. Se invece si adoperasse una punta conica la lastra sarebbe forata, ma il pezzo corri- spondente al foro, diviso in più settori, rimarrebbe aderente all’orlo del medesimo. E, se la lastra fosse di vetro, la sua rigidezza e la sua fragi- lità, ove venisse prima colpita in un punto (proiettile sferico o conico) e quindi successivamente in zone concentriche sempre più larghe, fino a quella che ha un diametro uguale al diametro del proiettile, dovrebbero produrre la frantumazione del pezzo asportato. Messo su questa via, io non cercai più le pietre dietro le lastre forate, ma il minuto lapillo, che ritrovai sempre, e spesso in quantità considerevole, perchè, con la pioggia di materiali, durata molte ore, dell’altro ne era passato, oltre quello che aveva prodotto il foro. 13 — 186 - È preziosa l’indicazione avuta, a questo proposito, dal capo-stazione della ferrovia circumvesuviana di Ottaiano, uno dei pochi che non per- dettero il loro sangue freddo e rimasero serenamente al proprio posto. Egli mi assicurò difatti di aver raccolto neirinterno delle camere diverse pietre, tra quelle che forarono le lastre della stazione. A convalidare l’ipotesi della perforazione prodotta da un insieme di lapilli minuti, noi vedremo fra breve un caso decisivo. Per ora richia- miamo qualche considerazione teorica. Se un solo proiettile avesse prodotta la perforazione, la sua velocità, al momento dell’urto, dovrebbe esser compresa, come abbiamo ricordato più su, tra 50 e 100^^. Ora, trascurando la resistenza dell’aria e l’azione del vento, perchè tali velocità siano raggiunte, occorre una caduta da 127^,50 a 510“. Ma la traiettoria di tali proiettili, nell’ultimo tratto della caduta, data la posizione verticale delle lastre e quella delle finestre, poste in vie molto strette, non poteva essere, almeno in molti casi, assai lontana dalla verticale. Considerando d’altro lato le sporgenze dei tetti e dei balconi, e una obliquità non troppo debole, per gli effetti prodotti, non possiamo nemmeno supporre una grande vicinanza alla verticale. Supponendo una deviazione di 30^^ ^ perchè la componente normale alle lastre della velo- cità d’arrivo avesse potuto rimanere tra 50 e 100“ occorre ammettere che quella velocità fosse stata doppia, cioè tra 100 e 200“. Quindi l’al- tezza di caduta dovrebbe aver variato tra 510“ e 2041“. Il centro di Ol- taiann (parte bassa della via Piè di Terra) trovasi a 225“ ed ammet- tendo l’orlo del cratere tra 1200 e 1300“ ^ d’altezza, si ha un dislivello variabile tra 1075“ e 975“, onde l’altezza di caduta al disopra del cratere dovrebbe aver variato in cifra tonda tra zero ed un chilometro. Ma considerando la resistenza dell’aria, queste cifre rappresentano un minimo e dànno perciò soltanto una certa norma per pietre di grande compattezza (specificamente molto pesanti) e non troppo piccole. Invece, per piccoli lapilli scoriacei la resistenza dell’aria cambia inte- ramente le condizioni del movimento che, dopo breve percorso, diventa ^ La parabola descritta dai proiettili era certamente acutissima, non potendo es- sere il tiro troppo diverso dalla direzione verticale. Ciò che ci permette, con appros- simazione sufficiente, di applicare le leggi della caduta dei gravi per la stessa direzione. ^ Prima dell’eruzione il punto culminante era a 1330“; durante le proiezioni della notte del 7 all’S si abbassò in media a 1200“ circa, come vedremo. — 187 — uniforme e la velocità resta quindi molto dobole. Si spiega come i pic- coli elementi delle ceneri e i lapilli molto porosi restino più o meno in balìa del vento e il calcolo dell’altezza di caduta riesce impossibile. La grandine, che perfora le lastre delle finestre, anche con fori circolari, può, per la sua densità, non che pel rapporto non troppo grande tra volume e massa, se è in grossi chicchi, raggiungere velo- cità maggiori dei lapilli e avvicinarsi al limite di 100“ al secondo, o superarlo, onde i fori, qualche volta circolari, secondo un’informazione del mio collega ing. Crema, mostrano delle fratture radiali. ^ Il caso decisivo nell’attuale discussione fu da me constatato in casa delle signora Consiglia De Luca, a San Giuseppe, in una camera con balcone dal lato opposto della montagna. Addossata al muro opposto al balcone era una cassa, e su questa uno scarabattolo^ ossia custodia paral- lelepipeda, con armatura di legno, e chiusa da sottili tavolette, anche di legno, al disopra e al didietro, e da lastre di vetro sui due lati e sul davanti. L’altezza di questa custodia era di circa 80®“ e di 45 le altre dimensioni. Poco più piccole, di alcuni centimetri, erano le tre lastre. Gli scarahattoli servono a custodire statuette religiose, con altri oggetti relativi, e in quello della signora De Luca era un Gesù bambino di cera, lungo circa 35 cm., e il resto dello spazio era completamente ripieno di fiori, di piccole frasche e d’immagini tutti di carta. Il balcone era stato chiuso, vetri ed imposte, dai padroni di casa, al momento di fuggire, la sera del 7, e chiuso si trovò al ritorno. Il tetto si trovò crollato sul pavi- mento, poiché la casa aveva un sol piano ; ma lo scarahattolo rimase illeso. Se per poco fosse stato investito dai rottami, sarebbe andato in frantumi, fragile come era. Però sul vetro d’avanti, quello che faceva fronte al balcone e quindi era dalla parte opposta del vulcano, un po’ in alto e a destra, si trovò un nitidissiniio foro circolare, con orlo tagliente all’esterno, dove più dove meno arrotondato e liscio all’interno, e con diametri di cm. 4,2X4^56 (fìg. 5^). Aperta questa custodia, per gentile concessione della proprietaria, feci un esame minuzioso del contenuto. Rinvenni così il pezzo circolare staccato dal foro, diviso in due, secondo un diametro (Tav. IV, fìg. f), e ^ Le fratture radiali cominciano quando la velocità è presso i 100”. Sono il prin- cipio della frantumazione del vetro, che si produce con velocità di poco maggiori. — 188 - una certa quantità di cenere e lapilli minuti. Tra questi uno aveva 18“'“ di diametro, uno 11““, parecchi 10““, circa due dozzine tra 10 e 5““, molti altri di dimensioni minori. Vi trovai pure un cristallo di leucite di 5““. Or, se la cenere potè filtrare dalle commessure, i lapilli Fig. — Scarahattoìo con foro sul vetro d’avanti in casa della sig.»^ De Luca (San Giuseppe). dovettero passar tutti a traverso il foro prodottosi, e ciò posteriormente al crollamento del tetto che ne permise V ingresso nella stanza chiusa. E passarono contemporaneamente tutti, o quasi tutti, non potendosi ammettere che uno solo di essi con 18““ di diametro massimo potesse produrre un foro di 42““ X 4^6““. - 189 - È stato asserito che molti proiettili, lanciati dal vulcano nella notte del 7 airS, siano scoppiati in aria, e con ciò si vorrebbe da qualcuno ritenere che le lastre delle finestre e dei balconi siano state alcune volte colpite normalmente, e allora si produssero i fori circolari. Si potreb- bero perciò anche invocare degli urti, e relative riflessioni, tra pezzo e pezzo. Ma tali spiegazioni cadono davanti all’ultimo caso riferito. I lapilli che forarono la lastra dello scarahattolo certamente entrarono nella stanza dal tetto scoperchiato e colpirono obliquamente la lastra stessa. Considerando che la distanza dalla posizione dello scarahattolo al muro di fronte era di circa 5“ e di quasi altrettanto l’altezza del muro sco- perchiato, ne viene che la traiettoria dei proiettili dovette fare con la faccia verticale della lastra un angolo non superiore a 45*’. Resta ora a spiegare come tali rotture, regolari ed irregolari, si siano trovate in tutte le orientazioni. È indubitato che i materiali veni- vano lanciati dalla montagna alquanto obliquamente a NÉ, senza di cui per effetto del vento che, come vedremo spirava da NE, non potevano cadere sul solo San Giuseppe, a 7 chilometri dal cratere, i 100 000 m. c. che abbiamo detto e con essi i pezzi di 1 e 2*^^. È ciò che pensa anche il prof. Lacroix, osservando come la Pelée abbia dato un esempio tipico di proiezioni oblique La velocità iniziale doveva dunque avere una direzione un po’ inclinata a NE, e, sotto il suo solo impulso i materiali si elevavano di qualche chilometro. Quindi, diminuita quella velocità, il vento che, superiormente, doveva spirare da SE, cominciava a spingere anche più a NE i materiali proiettati che, poco dopo, cominciavano a ricadere. In basso però incontravano un vento che spirava in senso con- trario del precedente, come fu da numerosi testimoni asserito, spirando da NE. I lapilli erano quindi investiti, e più erano leggeri, più facil- mente venivano deviati dal loro cammino e ricacciati verso la mon- tagna. Andavano così a battere contro le pareti rivolte dal lato opposto al vulcano. Questo fatto è d’accordo con la deduzione da me tirata, e dal caso dello scarahattolo della signora De Luca e da quello dei pezzi staccati interi dai fori prodotti nelle lastre, che cioè sieno i lapilli mi- nuti che hanno eseguito tali perforazioni. E a convalidare con un fatto, osservato da me, l’azione del vento, noterò come la facciata della stazione della ferrovia circumvesuviana in Ottaiano, rivolta dal lato op- C. R. Ac. des Sciences. — Seduta del 23 aprile 1906. - 190 — posto al cratere, abbia subito un vero smerigliamento per opera del lapillo che ne ha raschiato quasi tutta la dipintura. Quanto alle altre orienta- zioni del fenomeno, esse si spiegano co’ turbini prodotti dal vento a traverso le strade, spesso assai strette, dei paesi colpiti. I professori Bas- sani e Galdieri ^ notano che il fenomeno fu in prevalenza dal lato opposto alla montagna. Ciò dipende dai siti osservati. Come invece parve, al prof. Servino (che gentilmente mi accompagnò in diverse escursioni) e a me, tale fenomeno è generale. Nelle parti basse però prevalse l’azione del vento e si giunse ad avere, come nella già citata stazione, che le lastre si ruppero solo dal lato opposto al vulcano. E fu per opera del vento, diretto o modificato dai caseggiati, ed insieme per l’inclinazione dei tetti, che il lapillo, nel venir giù, si accumulava in più forte spessore sotto i muri e dietro gli ostacoli d’ogni sorta. Alla detta stazione rag- giunse 1“ sul binario e 1“,80 accanto alla facciata. Fu anzi la forte inclinazione del tetto che, non permettendo una grande accumulazione di lapilli al di sopra di esso, lo salvò dal crollamento. 2) Fenomeni elettrici. — Tutti gli osservatori sono concordi nell’af- fermare che le scariche elettriche furono continue nella notte del 7 all’8, non solo nella colonna di fumo, di lapilli e di ceneri, ma anche nei siti ove questi caddero più abondantemente, e ciò evidentemente per la stessa causa. Ad Ottaiano mi dissero che tali scariche parevano per la loro abondanza falangi di topi che scappassero. Ciò non di meno le fulminazioni non furono che leggerissime. Non ne videro nè Bassani, nè Galdieri ^ come non ne vidi io. Gli ufficii telegrafici di Ottaiano e San Giuseppe non ebbero alcun danno, onde il servizio, per poco in- terrotto, potè esser facilmente ripreso. Solo negli apparecchi telegra- fici alla stazione della ferrovia circumvesuviana in Ottaiano vi fu la fusione di qualche punta, mentre i campanelli elettrici vi furono tutti fulminati. Come si vede, l’azione elettrica, fuori del pino, fu assai de- bole. Ma a scartare tale causa nelle perforazioni sta il fatto descritto dello scarabattolo in casa De Luca a San Giuseppe, nel quale nè il bam- bino di cera presentò alcun accenno di fusione, nè tutto il riempimento di carta traccia alcuna di bruciature. ^ Loc. cit. “ Loc. cit. — 191 — D’altro lato, come il prof. Maiorana mi fece notare, la scarica elet- trica passa attraverso perforazioni piccolissime e di forme irregolari, e le incrinature, che ne derivano, costituiscono un intreccio di linee spezzate a piccoli tratti. E, se la parte incrinata si stacca, l’orlo del foro risulta formato da angoli sporgenti e rientranti. 3) Brusca compressione e dilatazione dell’aria per effetto delle esplosioni. — Tutte le esplosioni d’una certa intensità sono causa di rottura di lastre alle finestre. A Roma, per lo scoppio della polveriera fuori Porta Portese (aprile 1891), ne andarono moltissime in frantumi. £ così a Resina, nella notte del 7 all’8 aprile, molte lastre furono rotte. Ma queste rotture non presentano mai la forma di perforazioni, perchè l’aria preme ugualmente su tutta la superficie delle lastre, le quali o sono asportate completamente, o, se la pressione è minore, mostrano solo dei residui ad orlo frangiato aderenti ai telai. Agglomerazione delle ceneri. Formazione di tufi diversi. — Qualche leggerissima e breve caduta di pioggia (appena poche gocce) si ebbe durante l’eruzione delFaprile, per condensazione di vapore d’acqua emesso dal cratere. Fu ciò che permise, col noto processo, la for- mazione di pisoliti minute, in grani sferici di qualche millimetro di diametro. Il prof. Matteucci ne raccolse e me ne favorì un campione. Era notevole la facilità con cui le ceneri cadute si agglutinavano. Per le vie di Napoli la cenere ammucchiata, quando veniva bagnata, nell’arrosamento delle vie, si solidificava rapidamente. Si capisce quindi come sul Vesuvio, con le piogge che vennero giù dopo l’eruzione, si formarono tufi di ceneri, e tufi con frammenti lavici d’ogni dimensione. Le stesse piogge, dilavando in seguito parte della cenere, mettono in rilievo gl’inclusi. Tra FAtrio del Cavallo e l’Osservatorio si trovano alcuni di tali neotufi litoidi, su cui si cammina con grande difficoltà, tanto più che le parti di sola cenere, comprese tra gl’inclusi lavici, hanno acquistata una grande levigatezza alla super- ficie. Su tali formazioni ritorneremo in seguito. Composizione delle ceneri. — Il prof. E. Gasoria fu il primo a fare un’analisi completa delle ceneri vesuviane dell’ultima eruzione h ^ Log. cit. Il Vesuvio, registra il prof. Gasoria, nei giorni 4, 5 e 7 aprile rigettò una sabbia nericcia, che a Portici ebbe lo spessore totale di Questa fu ricoperta da un forte strato di cenere grigia. Segui nei giorni 10, 11 e 12 una cenere rossiccia finissima, e il 15 e 21 altra piccola quantità color grigio-chiaro. Per levigazione queste ceneri si dividono in due parti, una più grossolana nericcia, l’altra pulverulenta grigia o rossiccia a seconda della maggiore o minore proporzione di ossido ferroso rispetto all’ossido ferrico. La maggior quantità di quest’ultimo è dovuta alla più elevata temperatura a cui il materiale fu sottoposto. Si 02 Ph2 OS Ti 02 FeO MnO Fe^OS A12 03 Ca 0 MgO K2 0 Na2 0 Ba 0 SrO Totale 1 48,117 0,852 o eS P 2,772 0,418 7,709 19,082 7,949 3,728 6,403 2,528 0,095 0,028 99.679 2 49,054 0,842 1 3 2,318 0,200 7,555 20,930 7,672 3,401 6,772 3,335 - - 100,079 3 48,154 0,743 ® 'a 2,750 0,394 7,565 18.437 8,244 4,432 5,834 2,871 0,095 0,033 99,552 4 48,37 6 0,717 p o 2,026 0,256 6,989 20,819 7,786 3,465 6,225 2,676 - j 99,335 1. Cenere grigia caduta a Portici il 9 aprile 1906, liberata dai sali solubili. 2. Parte pulverulenta di (1) separata per levigazione. 3. Cenere rossiccia caduta a Portici il 10 aprile 1906, liberata dai sali solubili. 4. Parte pulverulenta di (3) separata per levigazione. Si vede che separando, in laboratorio, dalle ceneri cadute a Portici, la loro parte pulverulenta, analogamente a ciò che succede ove si andas- sero a raccogliere tali ceneri a maggior distanza dal cratere, si ha un impoverimento in ferro e un arricchimento in potassa, per gli elementi ferro-magnesiaci che diminuiscono, e per quelli allumino-potassici (la leucite nel nostro caso) che prevalgono. [1 signor Pisani ha analizzato la cenere fina raccolta dal Lacroix il 3 maggio sul punto più basso deH’orlo del cratere, ed ha trovato \ i 1 Si 02 AP 03 Fe» 03 Fe 0 Mg 0 Ca 0 j Na2 0 K2 O Ti Oa a ! /a, 1 Perdita al fuoco 1 1 Totale 48,00 16,10 3,35 4,90 6,53 11,35 3,04 5,26 1,02 tr 0,49 0,25 100,29 ^ G. R. Ac, des Sciences. — Seduta del 2 luglio 1906. - 193 - Confrontando Tanalisi di queste ceneri con quelle della lava della stessa eruzione e delle scorie piovute su Ottaiano e San Giuseppe, che riporteremo in seguito, si vede che si avvicinano più a queste che a quella ; onde il Lacroix ne deduce, a ragione, la conferma dell’ipotesi che esse risultino dalla triturazione di materiali antichi di diversa pro- venienza e della lava recente. Quanto ai sali solubili nell’acqua distillata il prof. Gasoria ne trovò 2,626 °/o nella cenere grigia e 3,219 nella rossiccia. Le loro quantità cen- tesimali sono : CI Na C12 Mg C12 Mn S04 Ca S04K9 S04 Na» Si 02 Totale -14,300 6,964 1,559 31,731 13,488 1,927 0,026 99,995 49,158 5,110 1,494 27,198 8,399 8,557 0,079 99,995 1. Cenere grigia. 2. Cenere rossiccia. Finalmente il potere d’imbibizione di queste ceneri e dei loro sali solubili in acqua è dato dallo specchietto seguente: Genere grigia 22, 92 °/o Sali solubili della medesima 38, 45 ”/o Genere rossiccia 29, 40 °/o Sali solubili della medesima 34, 407 °/„ Interessante è anche la ricerca fatta dal prof. Gasoria sull’acidità di queste ceneri, che fu trovata debolissima, difatti diede su 100 gr. di materiale : CIH S04 H2 1 gr. 0,00219 gr. 0,00294 2 gr. 0,00108 gr. 0,00145 1. Cenere grigia. 2. Cenere rossiccia. - 194 - S. — Lave. ^ Descrizione generale deW efflusso lavico. — 11 mattino del 4 aprile tra le 5 e le 6, al disopra di Gasa Fiorenza, a 1175“ ®/m si apriva una prima bocca ed una sottile colata veniva giù. Tagliava la 17^ e la 16^ risvolta del sentiero che, dalla casa, saliva al casotto delle guide ^ e si arrestava al gomito tra la 15^ e 14^ risvolta, con mi percorso di quasi ^2 chilometro. Le ceneri cadute in seguito fecero scomparire ogni traccia di questa lava, che ho segnata sulla carta per semplice ricordo, in baso ad indicazioni attinte a diverse fonti. Nella notte del 4 al 5, tra 810 e 815“ ®/m, si apriva un’altra bocca di dove un’altra colata sgorgava, stretta anch’essa, che passando a 750“ ad oriente di Gasa Fiorenza, dopo un percorso di circa 1250“, si fermava diWdi Strada dei Cavalli che, da Boscotrecase, conduceva alla stazione in- feriore della funicolare. Questa strada veniva coperta per circa 250“, a partire dal punto di dove si diramava la stradella che conduceva a Gasa Fiorenza. La bocca che dette uscita a questa lava e quella della piccola colata del giorno precedente, essendo situate quasi sulla stessa genera- trice del cono, forse appartengono alla stessa spaccatura, che si pro- lungò dall’alto verso il basso. 11 giorno 6, verso i 675“, un’altra bocca si aprì nella località detta Bosco dei Gognoli, alle ore 8 a.m. Ne sgorgò una lava che, correndo su quella del 1850, si avanzò fino alla Gasa Vitiello ^ a circa 275“ ®/m, mentre una sua diramazione corse un po’ più ad occidente fino a breve distanza a monte del Gimitero di Boscotrecase Arriviamo così alla notte del 7 air8 aprile. Verso le ore 19 del 7 ^ Queste sono indicate nella Tav. V che riproduce parte della Carta del Vesuvio dell’Istituto geografico militare in scala di 1 a 25000, con l’aggiunta delle nuove lave. 2 II casotto era a 1198“, il punto culminante del cratere a 1330, come già si disse. ® E non Vitello come dice la Carta dell’Istituto geografico militare. ^ Un contadino di Boscotrecase, non rendendosi conto del pericolo a cui si esponeva, rimase stupito e fortunato spettatore dell’aprirsi delle prime bocche dei Cognoli, e così mi discriveva il fenomeno: * . . . . Vedevo la terra sollevarsi da- “ vanti a me, poi aprirsi e lanciare vapori e pietre, poi la lava uscirne :...., Ci volle un avviso, venutogli dall’alto, sotto forma di boato, perchè se la desse a gambe. — 195 - “ il cratere, che fino allora aveva spinto in alto densi vortici neri, co- “ mincia a tuonare orribilmente e lancia... in alto enormi pini di scorie “ incandescenti, che si riversano sul cono, dando uno spettacolo fan- “ tastico e grandioso. Le esplosioni si succedono a brevi intervalli, “ quasi in continuazione, accompagnate da forti scariche elettriche, “ che dànno luogo a scintille enormi, talune diritte, talaltre a zig-zag, “ altre infine multipolari..... „ ^ Verso le 11 p. m. del 7 altra lava sgorgò da una fenditura aper- tasi nel burrone della Gupaccia, e, con grande velocità, si avanzò in direzione del Terzigno fino al mattino seguente, quando si fermò. La spaccatura da cui fu emessa cominciò abbastanza in alto, all’estremo meridionale della Valle dell’ Inferno, a poco più di 800“ ®j„i, e quindi sulla piattaforma su cui poggia il cono. La direzione di tale frattura è quasi SE, e la lava che ne sgorgò si vede tuttora come stretto ri- gagnolo scuro, lungo 700“. Nella prima metà segue la direzione della spaccatura, poi piega ad ESE. Quasi alla stessa altezza a cui questo rigagnolo di arresta, a circa 680“ e a 60 o 70“ dalla generatrice della fenditura relativa, un’altra se ne aprì, contemporaneamente o poco dopo, e che può considerarsi come appartenente allo stesso si- stema di fratturazione che si prolungò verso il basso. Questa seconda fenditura si produsse nel suddetto burrone della Gupaccia, nel quale da una bocca (forse da due) la lava dello stesso nome fluì, come si disse, rapidissima verso il Terzigno Usciva al calor bianco e, dalla stazione di Torre Annunziata Gentrale, se ne vedeva il getto risplen- dere come faro; mentre, più a sinistra, si vedeva la lava uscire rossa- stra dalla bocca dei Gognoli. Questa bocca doveva quindi essere in parte ostruita, mentre un nuovo afflusso sopravvenuto nel camino trovava la sua uscita alla Gupaccia. Quest’ultima lava fino a 475“ ®/m rimase allo stato di stretto torrente incassato nel burrone: quindi cominciò ad allargarsi e a girare verso oriente con un 70“ di larghezza. A 250“ ^/m si era già divisa in quattro lingue, che si arrestarono all’altitudine di ^ G. Gargiulo, Il tributo di riconoscenza torrese a Maria SS. delia Neve. Torre Annunziata, Letizia, 1906. 2 Queste fratture non sono dirette secondo vere generatrici del cono, ma i loro prolungamenti vanno a passare ad alcune centinaia di metri a NE deirantico cratere, mentre sono quasi tangenti al cratere scavato in questa eruzione. - 196 - circa 225“, mentre una quinta diramazione più a Nord si spinse fino all’altitudine di 200“, a 1200“ dalle prime case del villaggio di Avini, e a 2®^- dal Terzigno, avanzandosi così di circa 200“ più degli altri quattro rami ^ La larghezza massima di queste cinque diramazioni raggiunge 220“ complessivamente. Lateralmente a questa lava si vedono spesso dighe di scorie di un metro d’altezza, ma ciò che rende più orrido il nuovo paesaggio da essa prodotto, e spiega la causa principale della sua divisione in più lingue, sono le creste della colata del 1834, che spesso si levano come dighe selvagge e dirupate, di parecchi metri, fiancheggiando e separando i diversi rami della lava nuova, tra cui è perciò rimasta qualche oasi del vecchio suolo, col bosco folto che lo copriva, e che fa vivo contrasto col caos di rocce nere che lo circondano. Una di queste creste della vecchia lava fece anzi da argine frontale al secondo dei cinque rami suddetti (contati da Nord). La lunghezza totale di questa colata è di circa tre chilometri, contando anche ciò che uscì dalla Valle dell’Inferno. Era già uscita la lava della Gupaccia nella notte del 7 all’S, quando dalle bocche dei Gognoli si produsse un nuovo efflusso che rimise in movimento le lave che ne erano già uscite e che si erano arrestate. Gosì queste alle 2,30 del mattino giunsero all’Oratorio ^ seguendo il Vallone di Sant'Anna^ mentre gettavano una sottile diramazione verso la piazza omonima. Intanto un secondo ramo si avanzava parallelo a quello dell’Ora- torio, e alle 5 del mattino invadeva la piazza suddetta, penetrando nella Ghiesa. Si avanzava quindi fino a coprire la rotabile di Torre Annunziata, e a pochi metri precipitava nella trincea della ferrovia circumvesuviana percorrendola per poco meno di 500“, inalveata in essa e riempiendola tutta. Due ponti erano perciò travolti, mentre un terzo veniva rispettato dalla lava che passava ad un metro circa al disotto di esso. Intanto il ramo dell’Oratorio continuava il suo cam- mino distruttore, prima ristrettosi ad una trentina di metri, e quindi ^ Secondo il prof. G. Gargiulo il cammino di questa lava, a partire dalla bocca della Gupaccia, e quindi su (e non già come lo stesso Gargiulo crede) sa- rebbe durato meno di mezz’ora {loc. cit.). ^ Boscotrecase si compone di tre parti, che procedendo da Ovest ad Est, si chia- miano Trecase, ed, un chilometro più lontani. Oratorio e Nunziatella. In immediato prolungamento segue il caseggiato di Boscoreale. — 197 — di nuovo allargandosi. Copriva per 500“ un secondo tratto doU’anzi- detta rotabile di Torre Annunziata, arrestandosi alle 8 del mattino a pochi metri dall’angolo NE del suo cimitero, presso la Chiesa del me- desimo. Poco dopo si rimetteva in moto, ma più per allargarsi ad Est che per avanzare, e si fermava dopo aver circondato per tre lati il casale della masseria Sannino. La direzione di questa lava era quella della stazione di Torre Centrale, da cui distava solo 1700“. Ma sic- come una fermata della lava segna spesso un cambiamento di dire- zione, se la rimessa in moto si fosse fatta da occidente, il cimitero sarebbe stato coperto, e dopo un percorso di 600“ Torre Annunziata sarebbe stata invasa e tagliata in due. Tale disgrazia fu evitata, e, nello stesso giorno 8, la lava si fermò definitivamente. Ma l’uscita di lava che aveva allungata la colata dei Cognoli fino a non era stata sufficiente a smaltire quella che era affluita o che continuava ad affluire nel camino. Ve n’era ancora dell’altra, che avrebbe dovuto aggiungersi alla precedente e segnare la rovina di Torre, se un’altra bocca non si fosse aperta più ad Ovest verso le due del mattino, più elevata di quella dei Cognoli di 125“, e cioè all’ al- titudine di quasi 800“. Una nuova colata ne sgorgò, e, passando poco ad Ovest della Casa Bianca, con un percorso di 3®^-, andò a fermarsi poco a valle del Pallone, a 225“ arrivandovi in 12 ore L Tra la lava dei Cognoli e quest’ultima, da un’altra frattura, forse nella stessa notte del 7 air8, un’altra lava era uscita da 760“' d’altezza e che ebbe un percorso di 5 o 600“. Così la salvazione di Torre Annunziata apparisce anche più mira- colosa che non apparve ai suoi abitanti atterriti. Difatti un sistema di fratture già esisteva ai Cognoli e la lava ne era uscita in gran quantità, quando un nuovo afflusso nel camino, con lava fluidissima, vi risollevò il livello al disopra delle bocche dei Cognoli, già esauste. E questa nuova lava invece di riallargare l’uscita esistente, si apre nuovi sbocchi, più ’ • A questo punto (dice il prof. Gargiulo, loc. cit,, riportandosi alle ore tra la * mezzanotte e le due o le tre del mattino) non vi è penna capace di descrivere l’aspetto del monte Tutto il vulcano sembra divenuto una massa di fuoco: im- “ mense nuvole di rutilanti vapori ascendono in alto, le fiamme (leggi : riverbero delle “ lave scorrenti e delle pietre incandescenti lanciate dal cratere e rotolanti sui suoi “ fianchi) proiettano abbondante e fantastica luce a tal segno che le vie di Torre '' Annunziata si trovano rischiarate come in pieno meriggio „. - 198 - ad Est, ad 800“, e, subito dopo, a 680. Ma la gran lava che ne sgorga rapidissima, non bastando ad esaurire quella che trovasi nell’alto .del camino, si produce la riattivazione delle bocche dei Gognoli. Torre An- nunziata è di nuovo in pericolo, e sarebbe stata tagliata in due se una parte della lava non avesse trovato un altro sbocco più ad occidente. Riepilogando, le bocche di emissione delle diverse lave si trovarono successivamente a metri 1175 — 810 — 675 — 800 — 680 — 675 — 800. Si deduce che le lave non sono capricciose soltanto nel loro cammino, ma altresì nella successiva posizione delle bocche di emis- sione, le quali non è vero che si trovino ad un livello sempre più basso. Difatti, in una bocca già aperta, si può determinare una maggior resistenza che in altri punti più elevati del cono, per saldature pro- dotte nella prima, se il magma nel camino si sia abbassato risalendo dopo ; o si può determinare in altri punti più elevati una resistenza minore, in seguito a nuove esplosioni e quindi a nuove spaccature, con la lava rimasta nel camino a livello più alto dei punti considerati ; ed in entrambi i casi potrà fluire dalle nuove vie in più abondanza che da quelle già esistenti. Finalmente notiamo che tutte le fratture da cui furono emesse le lave in questo periodo dell’aprile, insieme alle lave stesse, si trovano sopra un settore di 30°. Ma tutto il resto del cono fu sede di altre e numerose fratture che, se non dettero lave, non riuscirono per questo meno minacciose per le regioni circostanti. La lava più estesa fu dunque quella dei Gognoli. Essa presenta . oggi, alle origini, cinque lingue che si riuniscono in una colata unica di 300” di larghezza, e che, dopo un. chilometro e mezzo di percorso, a partire dalle bocche, si allarga fino ad 800” dividendosi in due rami. Il primo, restringendosi sempre più, corse per R^,5 in direzione SE, verso 1 Passanti e si arrestò alla regione Fruscio a 200” Negli ultimi 350 o 400™ questa lava ha la larghezza di soli 30” con 1”,50 di spessore. Un secondo ramo, con 200” di larghezza, si avanzò in dire- zione Sud per circa 600” , e quindi si divise anch’esso in due. Il ramo occidentale {Lava del Vallone)^ con larghezza variabile da 100 a 300”, pel Vallone di Sant’Anna raggiunse l’Oratorio. Vi demolì in parte il Pa- ^ La Carta segna il Fruscio più ad occidente, dove corse la lava deH’Oratorio. È un errore. — 199 — lazzo Bifulco, circondandolo (fig. 6^), e facendo lo stesso con altre case e quindi con Villa Siena (fìg. 7^), andò ad attraversare la ferrovia cir- cumvesuviana su mezzo chilometro, fermandosi al Cimitero di Torre Annunziata e al Gasale Sannino. L’altro ramo {Lava di SanV Anna), con larghezza variabile tra 25 e lOO”, tagliò a mezzo l’Oratorio, facendo i maggiori danni, penetrò nelle cisterne, nelle cantine, nei piani terreni, invase la chiesa di Sant’Anna, Fig. 6^ — Palazzo Bifulco (Boscotrecase). dopo averne coperto la piazza, sbarrò le vìe con 3-4'’L d’altezza, sulla piazza Sant’Anna raggiunse i 6™ , si accumulò contro i muri delle case, sollevandosi fino a 10“, come alla Gasa Pelosio (fig. 9'"). Raggiunta quindi la circumvesuviana vi si incanalò, come già si disse, coprendo l’aquedotto di Torre Annunziata per alcuni metri, senza danneggiarlo, in vicinanza del serbatoio, che andò illeso. Così un’ovale di 750™ X 300™ , su cui si trovano la maggior parte delle case dell’Oratorio sud-occiden- tale, e quelle dette de I Marra fu circondato dalle lave, meno per un tratto largo soli 50™ lungo la detta ferrovia. Tra’ punti degni di ricordo, citerò, lungo la lava di Sant’Anna, poco - 200 — Fig. 7'^ — Siena (Boscotrecase). Più a monte del sito descritto trovasi la casina Solimene. Invasa nel piano terreno, rimase circondata a livello del primo piano. Le inferriate contorte e schiantate, principalmente per calcinazione della muratura, lasciavano l’accesso libero dai balconi. I pavimenti, i muri e le volte apparivano screpolati fortemente; i pezzi d'opera delle porte e finestre erano così essiccati che le fibre del legno si erano contratte e staccate le une dalle altre, mostrando delle profonde rugosità dove una volta la lu- cida vernice copriva delle superfìcie ben levigate. A traverso le fessure 'a monte di quest’ultima, una casa in cui la colata passò sotto un arco di muratura e si sollevò fin quasi alla chiave di quest’arco, invadendo quindi il vano adiacente. Questo vano è il solo sito dove ho visto nella lava dell’ultima eruzione un accenno di consolidazione cordata. La lava quindi, demolendo il tetto di una vicina casetta, invase anche questa, raccogliendosi tra le sue mura, in uno dei quali, praticata una breccia, en- trava in una vigna, che copriva quasi tutta, tra i muri che la recingevano. — 201 — dei pavimenti passavano le vampate prodotte dal calore della lava che aveva riempito i vani sottostanti. Sul campo di lava, che si stendeva da- vanti la facciata, si osservava un pino completamente disseccato, emer- gente, ancora diritto con la parte superiore. Altrove questi alberi bruciali alla base si erano abbattuti sulla lava (fìg. 12^). Bocche eruttive e fratture che le produssero. — Le bocche dei Go- gnoli furono da me rivedute ed esaminate in giugno. Vi si osserva un sistema di fenditure corrispondenti alle diverse lingue segnate sulla carta. Attualmente hanno l’aspetto di burroni con pareti ripide, ad an- golo netto ed impluvio serpeggiante, simili un po’, per la regolarità della direzione, ai solchi prodotti dalle piogge nelle ceneri che coprono il cono. Queste fenditure sono più o meno accentuate ad eccezione della prima ad Ovest, che è la maggiore, ed è profonda 20” . Un gran disordine di blocchi, di franamenti regna dovunque. In diversi punti, dopo più di due mesi e mezzo, il calore era sensibile e, dopo le piogge, vi era emissione di vapor d’acqua. La lunghezza di queste fenditure è di 3 o 400“ . In 14 Fig. 8“^ — La piazza di Sant’Anna (Boscotrecase) invasa dalla lava. — 202 - ognuna di esse si vedono delle fenditure minori, longitudinali e trasver- sali, larghe pochi centimetri, ancora spalancate, e da cui vien fuori del- l’aria calda. Non molto diverso è l’aspetto del burrone della Gupaccia, già esi- stente prima dell’eruzione, ma oggi di molto approfondito. Sulle pareti qualche sezione di vecchie ceneri è stata messa allo scoperto (fig. 13^). Le ceneri cadute recentemente, sui fianchi del vulcano non permet- Fig. 9* — Gasa Pelosio (Boscotrecase). tono altre osservazioni. È però chiaro che non vi è stata formazione di coni avventizii. I giornali segnalarono e discussero per un paio di giorni l’apertura d’una bocca dentro Boscotrecase. Il fatto non avrebbe avuto niente d’inverosimile, nemmeno pensando al nessun danno prodotto. Lungo una fenditura si possono aprire bocche d’ogni intensità, dalle più ener- giche, vomitanti lave, o lapilli e blocchi, alle più innocue, ridotte alle proporzioni di semplici fumarole, con radici beninteso. Anzi non è sem- pre agevole, il distinguere le bocche con radici da quelle senza radici (o secondarie^ o pseudo-bocche). Tutti sanno con quanta circospezione il Lacroix — che è un maestro — procedette alla Martinica a questo — 203 - genere di ricerche. Ma pel caso di Bosco non occorre tale distinzione, non essendosi trattato nè di bocche, nè di pseudo-bocche. Difatti fu invece l’acqua delle cisterne, invase dalla lava, che si evaporò brusca- mente, producendo violente proiezioni di frammenti della lava stessa; onde, ne’ primi momenti, si ebbe l’illusione di nuove bocche che si apris- sero. Sotto la piazza di Sant’Anna esisteva un gran cisternone pubblico, in cui la lava che covrì la piazza non giunse a penetrare. Dei tubi d’im- Fig. I0^ — La lava apre una breccia nel muro d’una casa e la invade, uscendo dalla parte opposta per una finestra (Boscotrecase). missione dell’acqua piovana ne era rimasto uno solo, e dal suo estremo si vide venir fuori dapprima una potente colonna di vapore, poi per un mese una quantità più moderata. Al calore della lava sovrastante, l’acqua, doveva difatti evaporarsi, come in qualche altra cisterna del pari co- perta, ma non invasa, e in cui si potè penetrare dopo, constatandovisi che l’acqua era sparita. Temperatura. — Le lave di questa eruzione si solidificarono assai ra- pidamente, perfino quella della Gupaccia che, come si disse, uscì al calor - 204 — bianco. Il 13 aprile, cioè cinque o sei giorni dopo remissione, non solo vi si poteva camminar sopra senza risentirne un troppo forte calore, ma già dai soldati tra Torre Annunziata e Boscotrecase si ritracciava la ro- tabile coperta dalla lava, livellandone le scorie superficiali e, in qualche punto, scoprendo al disotto la parte più compatta della colata, già soli- dificata anch’essa. Fu così che potetti raccogliere buoni campioni b Forse, a causa della rapidità del raffreddamento, questa lava, che, Fig. — La lava sfonda i muri opposti d’una piccola casa e l'attraversa riempiendola fin presso la volta (Boscotrecase). qualche volta, come alla Gupaccia, aveva corso rapidamente per la sua fluidità, si solidificò disordinatamente alla superficie in ammassi di scorie, senza le forme regolari di tavoloni, o di corde che si videro for- marsi nelle colate di altre eruzioni. Ciò non di meno, nella mia seconda visita, verso la fine del giugno. ^ Di notte, la sera del 13 aprile, appena qualche punto si vedeva rosseggiare a traverso le scorie. a circa tre mesi dall’emissione, queste lave in alcuni punti fumavano an- cora e rivelavano un discreto calore, specialmente nell’abitato di Bosco- trecase e nelle vicinanze del cimitero di Torre Annunziata, nei punti cioè ove lo spessore era più grande, ^^on si avvertiva alcun odore, e il fumo non era che vapor d’acqua, che èi accentuava più o meno dopo le piogge, quando si sentivano quasi dovunque vampate calde. Legata alla temperatura e alla rapidità del raffreddamento è la quan- Fig. 12*^. — Pino abbattuto sulla lava, che ne avvolse e bruciò la parte inferiore, presso il Cimitero di Torre Annunziata. tità delle scorie che avvolgono la lava. In diversi punti questa, fin dal giorno 12, veniva scoverta dal suo mantello scoriaceo, da squadre di soldati e di operai, e anche tagliata nella parte interna più compatta, per ristabilire le comunicazioni interrotte o liberare le case sepolte in parte su’ margini delle colate. Così molti contatti tra queste e la muratura preesistente son venuti fuori. Raramente la muratura è alquanto ingiallita : ordinariamente è - 206 - calcinata, contratta e screpolata. Uno di tali punti è presso il Cimitero di Torre Annunziata, ed un altro presso il binario della circumvesu- viana a Boscotrecase. In questo ultimo sito la lava ha lo spessore di un paio di metri. Al contatto con la muratura sottostante si vedono scorie e lapilli, e si constata come, dalla lava compatta, si passa bruscamente alla struttura lapillica e, dopo pochi centimetri di spessore, si arriva alle scorie sciolte. In totale sono 20®“ di parte scoriacea. In altri punti, questa Fig. 13»^. — Burrone della Gupaccia approfondito per l’uscita della lava. è anche più sottile, ed in altri, infine, non esiste, passandosi bruscamente dalla lava compatta ai materiali sottostanti. Velocità. — Il prof. Bassani e il dott. Caldi eri, il giorno 6 alle ore 15, trovarono che la lava uscita il mattino alle 8 era già presso la Gasa d’Aponte. In 7 ore aveva percorso poco meno di 2 o circa 5“ al minuto. L'ing. Landozzi trovò una velocità variabile da 680“ all’ora (11“,30 - 207 - al r) in alto, fino a 15“ all’ora in basso, presso il Cimitero di Torre Annunziata. Si è visto che il prof. Gargiulo constatò che la lava della Gupaccia, sebbene sopra una superfìcie nel maggior tratto con poco declivio, aveva percorso 2250“ in meno di mezz’ora, ossia più di 75“ al T. Valutazione delle lave. — Tra Torre Annunziata e Boscotrecase lo spessore è generalmente di 3-4“, qualche volta scende a 2“ . Avvicinan- dosi a Boscotrecase, in molti punti diminuisce fino ad 1“ , per aumentare quindi nuovamente. A Boscotrecase e dintorni si può ritenere tra 4 e 6“ , 6“ alla Piazza Sant’Anna. A monte della detta borgata (presso il Gasino Solimene) scende a 3“ per sollevarsi ad 8“ presso il Cimitero. Dove si accumula contro muri od altri ostacoli giunge a 10“ come accanto alla Gasa Pelosio (fìg. 9®). Molto più a monte del Cimitero di Boscotrecase si riduce ad 1“,50 e, più a monte^ scende qualche volta ad 1“ e anche meno. Lo specchio seguente mostra il calcolo delle aree coperte, ottenuto con carta millimetrata trasparente, applicata sulla Carta al 25 000 (Tav. V) delle colate da me disegnate con tutta la precisione che mi fu possibile, date le [difficoltà del terreno e dei punti di riferimento, assai scarsi a monte dei nuclei abitati. L’area totale risultò di ettari 230 circa, e il volume totale di 5 725 161 “®- che rappresenta un minimo. Superficie Spessore medio Cubatura in m. q. in m. (1) in m. c. Lava del 5 aprile 23 125 2 46 250 Lava della Gupaccia . 236 875 3 710 625 Lava superiore alla medesima nella Valle d’in- ferno 750 1 750 1 Dalle origini fino a 300 m. s/m alla Lava i biforcazione dei due rami di Bo- dei Cognoli ' scotrecase 743 525 150 1 115 287 ] 583525 m.q. i Sant’Anna 200 625 350 702 187 4056286 m.c. [ 1 Lava del Vallone 639 375 350 2 238 812 Lava del Pallone 455 625 2 911 250 2 299 900 5 725 161 (1) Questo valore si é approssimato per quanto si è potuto, ma cercando di ottenere un errore sempre in meno. - 208 - Così mentre i materiali frammentari di questa eruzione corrispon- dono ad un cubo di 595™ di lato, le colate di lava corrispondono ad un cubo di 179™ e il loro rapporto è quello di 37 ad 1. ^ Petrografia. — La lava compatta si trova a poca profondità sotto le scorie delle colate dell’ultima eruzione, specialmente dove lo spessore è maggiore, così presso il Cimitero di Torre Annunziata, uno dei siti donde provengono i campioni da me esaminati. La roccia è nerastra con a- bondanti leuciti vitree fino a 3-4™™ di diametro. Come i prodotti delle altre eruzioni vesuviane, si tratta d’una leiicotefrite basica. Essa è molto rassomigliante a quella deH’eruzione durata dal 1895 al 99, e più special- mente alla parte emessa alla fine dell’efflusso, quando i felspati del primo tempo si erano fatti un po’ più piccoli. Si tratta dunque d’una roccia con piccoli felspati e piccole augiti nel primo tempo, e con elementi estremamente piccoli (più che quelli del periodo 1895-99) nel secondo tempo. Ciò è d’accordo col fatto già notato d’un raffreddamento abba- stanza rapido. La composizione di questa roccia è : Ap{0) M P, taTTFi I. Volivina è scarsa e non sempre rappresentata. La mica nera è estremamente rara. Su otto preparazioni ne rinvenni una sola lamella, lunga 1™™,75, con alterazioni sull’orlo. Plagioclasie piccolissime {lahrador ed anortite): sono eccezionali quelle di 0™™,7 ; ordinariamente si sta al disotto di 0,25. Geminazioni multiple ben visibili. Leuciti spesso con anomalie. Generalmente fino a 3™™ , raramente 4“™ 0 più. Augiti poco colorate, qualche volta zonate all’esterno. Ve ne sono che raggiungono 1™“,5 e più, ma in generale hanno dimensioni minori di molto. IL Leuciti., spesso con inclusioni simmetriche. ^ Come termine di confronto, ricordo che la lava emessa nel 1872 fu di 20 mi- lioni di m. c. o tre volte e mezza il volume di quest’ultima. La lava del 1794 fu di 23,5 milioni di m. c. o poco più di quattro volte Fattuale. — 209 — Plagioclasie in microliti di lahrador ed anortite^ con geminazioni multiple- e di Karlsbad nitidissime, tanto che, malgrado le dimensioni di pochi centesimi di millimetro e anche meno, è possibile l’eseguirvi sopra delle buone misure. Pare che questi microliti siano allungati nella zona del prisma poiché si osserva il passaggio graduale dai maggiori elementi del primo tempo a quelli più minuti del secondo,, come notai anche a proposito della lava del 1895 Il maggior numero di questi microliti sono compresi tra il labrador basico e la bitunite. Augite. Magnetite in granelli separabili a non deboli ingrandimenti. Questa lava fu analizzata dal signor Pisani ^ che ne dette le analisi (1) e (2) del quadro seguente: Si 02 A12 05 Fe2 03 Fe 0 Ca 0 MgO K2 0 Na» 0 Ti 0» P2 OS Perdita al fuoco Totale 47,50 18,59 1,52 7,62 9,16 3 86 7,05 2,72 1,05 tr 1,25 100,02 48,28 18,39 1,12 7,88 9,20 3,72 7,25 2,84 1,28 0,51 0,62 100,96 48,10 15,31 3,20 5,45 12,45 7,55 4,22 1,88 1,15 0,12 0,87 100,28 La (1) rappresenta una scoria lanciata allo stato fuso in principio del parosismo. La (2) un frammento della colata de’ Gognoli in vicinanza del Cimitero di Torre Annunziata. Questi risultati tra campioni corri- spondenti al principio e fine dell’eruzione sono molto concordanti, e, osserva il prof. Lacroix, che debbono aspettarsi maggiori differenze da altre analisi. L’analisi (3), dovuta allo stesso Pisani, appartiene alle scorie compo- nenti la gran massa del materiale lanciato dal cratere nella notte del 7 all’8 aprile (dopo la mezzanotte). Come si vede, appartiene ad un tipo diverso da quello della lava di questa eruzione, contenendo meno alcali e meno allumina e maggior quantità di magnesia e calce. ^ SulV attuale eruzione del Vesuvio. Boli. Gom. geol , 1895. ^ Loc. cit. 3. — Il cono. ^ Questa maggior demolizione a NE potrebbe essere in rapporto con Tobliquità de-lle proiezioni da quel lato nella notte in cui questa demolizione si produsse. Aspetto attuale del cono. Franamenti interessanti la massa primitiva. — Prima delPultimo parosismo il cono vesuviano aveva una forma acuminata. Oggi il suo profilo si mostra troncato in cima e, a prima vista, appare più abbassato che non sia effettivamente. Difatti la cima è rimasta ancora più alta del punto culminante del Somma, che tro- Fig. — Il cono vesuviano dopo l’ultima eruzione, da Gasa Marotta, a SO. Vi si vedono i due franamenti maggiori interessanti gran parte dell’altezza. vasi a 1132“. Meglio che un cono, il Vesuvio potrebbe oggi chiamarsi un tronco di piramide a basi non parallele, perchè la base superiore è accentuatamente inclinata da SO a NE h La superfìcie laterale è co- stituita da parecchie facce che presentano diversi aspetti, simili solo nel - 211 — grande disordine, ne’ grandi ammassi franati, nelle voragini aperte su di esse per effetto di tali franamenti, nei solchi scavati furiosamente dalle piogge venute dopo in un materiale estremamente minuto e mobile. E difficile dire quanta parte del vecchio cono sia franata per proprio peso in seguito alle violente esplosioni che ne resero assai instabile la compa- gine, e quanta, con o senza franamenti interni, sia stata lanciata al di- fuori. Oggi un fortissimo strato di ceneri giallognole copre ciò che resta Fig. 15* — Il franamento sopra il sito ove fu la Casa Fiorenza, e quello più ad Est. del vecchio edificio, togliendogli l’aspetto caratteristico dei coni di lapillo, dal fosco manto nerissimo, che rivela la natura vulcanica a prima vista. Oggi si direbbe di aver davanti uno dei tanti monti di argilla sabbiosa del terziario, sconquassato dalla sola erosione. La base del cono a Sud e ad Ovest è un vero caos. Al di sopra del sito ove fu la Gasa Fiorenza, trovasi un largo incavo nella massa del cono (fig. 15*^). Tutto ciò che manca costituisce il più forte franamento prodottosi in questa eruzione aH’esterno del vulcano. Ad — 212 ~ occhio si può calcolare grossolanamente che questo incavo abbia un orlo con diametro di circa 200’" e una profondità massima di 30-40“^. Ammet- tendo che la profondità media, perpendicolarmente alla parete così inca- vata, sia di soli 10^", si ha un volume di 300 000 m. c. Milioni di pietre e di blocchi, fino a più quintali, son venuti giù con questo franamento che certamente fu la causa della sparizione dell’albergo che era stato edificato al posto dell’antica Gasa Fiorenza, e di cui aveva conservato il nome. Fig, 16^ — Solchi di erosione nel manto di ceneri che copre il cono vesuviano (daH’Atrio del Cavallo). Nessun rottame di muri e di mobili, nessuna traccia si trova nei dintorni, tutto è scomparso, come se l’edificio non fosse mai esistito. Ora quest’albergo esisteva ancora la sera del sabato (7 aprile), quando il guardiano rimastovi solo ne venne via, quasi cacciato a forza da Mat- teucci. Il mattino seguente tutto era sparito. Durante la notte, sotto l’azione del bombardamento prodotto dall’eruzione la casa fu certamente danneggiata, forse anche demolita. Ma, in piedi o crollata, ciò che ne spazzò via gli avanzi fu certamente il franamento immane prodotto dalle - 213 - scosse violente a cui il cono fu in preda per alcune ore, e che pare sia avvenuto alle sei del mattino. Un altro franamento importante, ma minore del precedente si osserva ad oriente e a poca distanza dal medesimo. Entrambi spiccano in colore più scuro sulle pareti biancastre del cono, e si osservano benissimo da tutti i punti del settore di SE, come p. es. da Torre Annunziata, da Boscotrecase, ecc. La fotografia della fig. 15^, per quanto non ben riuscita, servirà a dare una idea dell’ampiezza di queste due demolizioni. Fenomeni di erosione. Torrenti fangosi. — Lo spesso mantello di ce- neri che copre il cono e che dove raggiunge, dove forse supera i 15 o 20*^^ è Fig. 17*. — Solchi di erosione nel manto di ceneri che copre il cono vesuviano (da Nord-Ovest). stato profondamente eroso dalla pioggia caduta nel maggio e nel giugno. I fianchi del monte sono stati così solcati da un numero stragrande di rigagnoli, da mostrare una fìtta serie di costoloni radiali, specialmente — 214 - ad Est (Valle dell’Inferno) e a Nord (Atrio del Cavallo). Il lato dove il fenomeno assume una grande regolarità è quello rivolto a NO, dalla parte cioè ove si aprì il crepaccio del 1872. Ivi i rigagnoli hanno scavato dei solchi consecutivi, fiancheggiati da facce piane e di cui le intersezioni (linee di displuvio e d’impluvio) sono ad angoli vivi e rettilinei. Lacroix paragona il cono ad un ombrello semiaperto col manico in basso. La si- gnorina U. Griffini suggerì un’ immagine molto precisa, ove si consideri la sola faccia di NO, e cioè quella d’un ventaglio semispiegato (fig. 17^). Fig. 18®^ — Il cono vesuviano da occidente. Questi rigagnoli, a partire dalla base del cono, con le pendenze più diverse, che si determinano laddove la pendenza generale è bruscamente e fortemente attenuata, danno luogo, nel riunirsi, a dei bacini di rice- zione, da ognuno dei quali uscì poi un più largo ed unico torrente. Uno di tali bacini trovasi più su e più ad Ovest dei Gognoli, sulla piat- taforma del cono. Ha 70-80“ di diametro. I torrenti fangosi che hanno così sconvolto la nuova copertura di — 215 - ceneri, hanno erosa la gran massa delle ceneri chiare superiori e scavato le ceneri scure dei primi giorni, e forse, in qualche sito, anche il vecchio lapillo nero sottostante. È così che i torrenti di fango si disegnano in nero sulle ceneri chiare del cono ; mentre in basso, dove il materiale si depositò, si osserva la stessa differenza di colore con le ceneri chiare laterali, perchè le acque con la pendenza diminuita, ma ancora accen- tuata, portarono via le ceneri abbandonando i lapilli e i blocchi di co- lore assai più scuro ^ (fig. 19^). Fig. 19" — Torrenti di fango sul cono vesuviano (dalla Valle dellTnferno). Tra’ fenomeni di erosione, prodotti dalle acque, notai in qualche piccolo fosso, a piedi del Colle Umberto, un accenno in miniatura del fenomeno delle lamine, che è così frequente nei burroni d’argilla, e che ^ Anche il Somma, dal lato dell’Atrio è tutto ricoperto dalle nuove ceneri chiare. E i rigagnoli sul pendio ripidissimo hanno scavato solchi scuri numerosi che spesso prendono la forma di bellissime arborizzazioni (fig. 20 e 21). - 216 - al Gavon Grande, presso Bagnorea, in provincia di Roma assume la maggiore regolarità ^ Ma al Vesuvio non si ebbero solo torrenti di fango, posteriori all’eru- zione; ma altresì torrenti o valanghe di ceneri. Queste erano dovute sia ad emissioni dal cratere, come diremo in seguito, sia a franamenti superficiali del mantello di ceneri dalle parti più elevate e più ripide, dove si trovavano, appunto per la forte pendenza, neirequilibrio più Fig. 20^ — Rigagnoli di erosione (a secco) sul fianco di Monte Somma (neirinterno dell’ Atrio del Cavallo). instabile. I torrenti di ceneri nel giugno si distinguevano ancora bene da quelli di fango, perchè assai più chiari, ma più scuri delle ceneri laterali, giacché il loro colore grigio era dovuto al miscuglio delle ceneri chiare ^ Valli a tavoloni, valUes à coulisses (vedi G. R. Congrès géol. int. Paris, 1900). Le colate di fango che si produssero il 22 giugno sul fianco SO del cono, investi- rono Portici, Resina e Torre del Greco. Furono di poca entità, ciò non di meno le vie della Torre furono in qualche punto ricoperte da 40 crn. di lapillo. - 217 - co’ lapilli scuri. Gol tempo l’azione delle acque farà sparire tali diffe- renze, che sono riprodotte della fig. Le piogge che hanno trascinato giù dal cono grandi quantità delle ceneri che lo hanno ricoperto, hanno pure impastato le rimanenti sul cono stesso e quelle nelle sue adiacenze. Così queste ceneri han finito tutte col perdere più o meno la grande mobilità dei primi giorni. Nel giugno tale mobilità esisteva ancora in qualche punto, perchè l’azione del Sole annulla spesso quella dell’acqua. Fig. 21^. — Particolari della figura precedente. Altrove invece l’acqua aveva cementato le ceneri, sia da sole, sia miste ad in elusi lavici più o meno abondanti. Così de’ veri tufi più o meno duri si son formati, ora di semplici ceneri, ora di ceneri, lapilli e blocchi. Si vede come il fenomeno delle correnti fangose — al pari di quello delle valanghe di ceneri per franamenti superficiali — si vada rapidamente attenuando col passar del tempo. L’erosione, al pari dei franamenti, mostra nelle nuove ceneri una 15 - 218 — stratificazione regolarissima, che appare ugualmente dove sono stati intaccati i vecchi materiali. Azione del vento. — All’azione delhacqua, bisogna aggiungere quella del vento. Ne abbiamo visto degli esempii nei franamenti superficiali di ceneri, e altri ne vedremo in seguito. Per ora ricorderò che alla stessa azione sono dovute, almeno in parte, delle vere dune di ceneri formatesi alle falde meridionali del Colle Umberto, ove appariscono come un am- masso disordinato di piccoli monticelli. Azione del bombardamento prodotto dai blocchi lanciati dal cratere. — Quest’azione durante l’eruzione dovette esser considerevole a diverse riprese. Essa non fu sempre constatata, nè sempre constatabile. Vi ha Fig. 22*. — Rotaie della funicolare schiantate e contorte. però un caso che appare sicuro, ed è quello della distruzione della funi- colare. Era questa lunga circa 775“ e aveva due stazioni, l’inferiore a 795“ ®/m e la superiore a 1185, cioè a 145“ al disotto del vertice. — 219 — prima dell’eruzione. Il materiale proiettato per la sola demolizione della cima, che si abbassò a 50 o 60“ al disopra della stazione superiore, mentre si abbassava anche dippiù in altri punti del giro del nuovo cra- tere, dovette certamente annientare binario e stazioni. Della stazione superiore non è nemmeno il caso di parlare. Sul piazzale della stazione inferiore si trovano 20“ di materiale nuovo. Nessuna traccia di rot- tami, salvo qualche frammento di rotaia e un pezzo intero del binario. Questo avrà una lunghezza di 50“ e sembra ancora in sito con le sue traversine. L’estremo inferiore sparisce nell’ammasso di ceneri e blocchi che copre il piazzale della stazione inferiore. L’estremo superiore pare che sia conficcato nelle viscere del cono. Quanto ai frammenti di rotaie ritrovati, essi non erano stati solo schiantati e lanciati a qualche centi- naio di metri di distanza; ma altresì fortemente contorti, come appare dalla fig. 22^ Fratturazione del cono. Ceneri calde., in parte., {riscaldate dal di- sotto). — Sullo ^tato di fratturazione del cono, dovuto in gran parte alle violente esplosioni della notte del 7 all'S aprile bisognerà insistere con maggiori particolari. Nell’enorme intaglio prodottosi con la frana che spazzò via Gasa Fiorenza, od i suoi resti, il 14 aprile, quando feci l’ascensione al cratere, in pieno giorno, si vedevano le ceneri rosseggiare. A piedi del cono, nella regione detta “ Spaccatura „ e che trovasi un po’ a SSO del sito dove fu la Gasa Fiorenza, esisteva lo stesso giorno 14 una fumarola di vapor d’acqua (senza odore di sorta), poco attiva, ma certamente comunicante coH’interno, non essendo ancora caduta in quel giorno alcuna pioggia che potesse far supporre una bocca secondaria o senza radice. Si vede- vano qua e là delle screpolature, ma la cenere mobilissima già caduta non permetteva di distinguere le vere fratture da quelle superficiali che avvenivano per distacco nella cenere stessa, di cui qualche lembo, ad ogni momento, franava rovinosamente in basso. La cenere, che del resto con- tinuava a cadere sul cono, mascherava abbastanza anche le screpola- ture superficiali. Ma quando, verso la fine di giugno, tornai a salire sul cono, tra 970“ e 1100“, al disopra della capanna di frasche costruita dalle guide, dentro il recinto della Goncessione Fiorenza, trovai un sistema di spaccature ancora aperte e dirette SSE. Ne usciva dell’aria calda, qua e là un po’ di vapore d’acqua caldo anch’esso. Un pezzo di carta introdottovi si accese alla profondità di 10®“. Sugli orli si osservavano delle sublimazioni bianche e gialle (cloruri e solfati alcalini). A stabilire che trattavasi di vere fenditure, e non già di cenere ancora calda sotto il primo strato superficiale, scavai col martello questa cenere in molti punti vicini alle dette fenditure, e vi constatai una temperatura assai minore. Così alle fratture prodotte dalle numerose emissioni di lava, altre se ne devono aggiungere. Per queste ultime, oltre ad aversi nelle ceneri una elevata tempera- tura, a causa di quella originaria a cui venivano espulse e che certe volte si conservava, come diremo in seguito, per le condizioni stesse del- l’emissione, una seconda causa doveva entrare in giuoco, producendo un nuovo riscaldamento, posteriormente alla caduta, che manteneva od ac- cresceva la temperatura che si aveva in quel momento. Questa ipotesi è resa assai verosimile dallo stato di fratturazione del cono e dai grandi franamenti avvenuti all’esterno e all’interno \ e per cui la sua compagine è stata assai seriamente compromessa. Il modo come questo riscalda- mento posteriore era prodotto, attraverso a fenditure, e i torrenti di cenere precipitatisi a più riprese dall’alto, rendono ragione del perchè il 14 aprile, ad eruzione non ancora finita, notai sul cono un alternarsi di striscie calde e fredde di ceneri. Ove si pensi che, in una notte sola, 12 milioni e mezzo di m.c. furono divelti dalla cima del monte e una grande voragine di volume incompa- rabilmente maggiore (90 milioni di m. c.) si scavò sotto quella cima, si capirà in preda a quali scosse si trovò la non troppo resistente massa del cono, per opera delle esplosioni che produssero quel risultato, e si arriva a concludere la grande instabilità a cui il cono si era ridotto. Le condizioni in cui si effettuò la mia ascensione al cratere, il 14 aprile, non permisero determinazioni di temperatura. Certamente era essa assai elevata, perchè nella seconda metà della salita, eravamo obbligati i miei compagni ^ ed io a sostare ogni cinque minuti per sederci su qualche sasso e sollevare i piedi per farli raffreddare. Sotto i nostri passi medesimi la copertura superficiale franava su grandi estensioni, specialmente durante ^ Abbiamo visto che il prodotto delle demolizioni interne corrisponde ad un cubo di almeno 330 m. di lato. ^ L’ing. Fornari e le due guide che ci accompagnavano. — 221 — la discesa, e le parti più calde del disotto restavano scoverte. Essendo una volta caduto, e rimasto alcuni secondi disteso, ebbi gli abiti bruciati e un dito leggermente ustionato. Torrenti di ceneri. — Ho detto che il calore delle ceneri aveva anche una causa iniziale. Le correnti o torrenti di ceneri riversantisi dal cratere furono più volte segnalate durante altre eruzioni, ma erano nel numero di quei fenomeni vaghi, mai ben definiti, a cui per lo passato non si è prestato troppa at- tenzione, mentre a tempi nostri o non si erano riprodotti o non erano stati osservati. E quando di tali torrenti mi si parlò, arrivando al Vesuvio l’il aprile, pensai che a spiegarli bastavano i franamenti continui di ce- neri ricadute calde sulle alte regioni del cono, perchè uscite in gran quantità e non sollevate nell’aria di tanto da potersi raffreddare. Ma, durante la mia escursione del 14 aprile, un fatto mi colpi. Le vo- lute che s’innalzavano dal cratere, e che spesso apparivano divise in tre colonne, onde le bocche dovevano essere tre, queste volute, dico, erano dei globi rossicci 0 giallognoli che si sollevavano pesantemente. Appena fuori del cratere, tendevano a ricadere, ma erano sostenuti dai globi se- guenti, onde quelli più esterni spesso si capovolgevano lentamente come se fossero sostenuti fuori della verticale del centro di gravità, e, ad impedirne la caduta, venivano dall’interno nuovi globi a rinforzare il so- stegno dei precedenti. Intanto, durante questi contrasti, tra i globi che tendevano a ridiscendere e quelli che sostenendoli ne rallentavano la ca- duta, i primi si dissolvevano, lasciando cadere la cenere. Il pino quindi non si sollevava a grande altezza in quelle ore, formato come era di ma- teriali molto densi, e a cui mancava anche una sufficiente spinta iniziale. Ancora una maggiore quantità di materiali solidi e quindi maggior peso, 0 una spinta minore, e questi globi avrebbero rotolato lungo i fianchi del cono. È appunto ciò che dovette avvenire nei giorni precedenti e che aveva prodotto i torrenti di ceneri che mi si erano segnalati. Noi eravamo dunque in presenza di un accenno di nuvole ardenti verticali. Così de- scrissi il fenomeno pochi giorni dopo h Io mi ero trovato in una giornata in cui non vi erano state grandinate : non blocchi, non rumori di sorta ^ Giornale La Tribuna di Roma. — 22 aprile 1906. Giornale Die Zeit di Vienna. — 8 maggio 1906. — 222 quindi; ma emissioni tranquille di fumo, ciò che permise la mia ascen- sione al cratere ancora in eruzione. Ma il prof. Lacroix, che fece in quel- l’epoca una maggior dimora di me nelle regioni vesuviane, assistette anche ad emissioni di blocchi. Egli quindi notò lo stesso fenomeno da me visto, ma i globi di fumo, al momento di dissociarsi lasciavano cadere delle valanghe di blocchi sui fianchi del cono h In una comunicazione posteriore ^ egli chiama valanghe secche questo fenomeno, paragonandolo a ciò che chiamò sbuffi rossastri fpoussèes rousses) nell’eruzione della Pelée. Questi 'si distinguono dalle nuvole ardenti verticali pel rapporto tra il vapor d’acqua e i materiali solidi che è minimo nel primo caso, e più grande, senza essere troppo forte, nel secondo. Nelle valanghe secche tal rapporto dovrebbe essere zero. Ora da un lato io, il 14 aprile, notai che le ceneri calde, sotto lo strato più superficiale, erano un po’ umide; e d’altro lato il modo come i globi erano espulsi, assai lentamente cioè, davano meno l’idea d’una spinta iniziale e diretta che li cacciasse fuori dopo averli abbandonati, che d’un gas che li accompagnasse all’uscita, sostenendoli con la propria tensione. Dovendo però ammettere che le osservazioni e le deduzioni del Lacroix siano giuste, io ritengo che, nei giorni in cui egli fece le sue osservazioni, e che seguirono il 14 aprile, le cose fossero mutate, il vapor d’acqua, cioè, stato sempre scarso ^ durante questa eru- zione, fini col ridursi quasi a zero, almeno in certi momenti. E così il fenomeno evolveva, passando da nuvole ardenti verticali molto at- tenuate, ad emissioni rossastre e quindi a valanghe secche. La possibilità dunque d’un fenomeno distruttore, finora sconosciuto nelle nostre regioni, si affaccia paurosa, d’accordo con le conclusioni del Lacroix medesimo, che cioè esso è indipendente dalla composi- zione del magma e dalla forma del cratere, dipendendo solo dal rap- porto tra le quantità di vapori e di materiali solidi che vengono emessi nelle ordinarie colonne di fumo. É bastato difatti, dopo che tal feno- ^ G. R. Acad. des Sciences. — Seduta del 23 aprile 1906. 2 Id. — Seduta del 5 giugno 1906. Il prof. Lacroix ritiene che i fenomeni di erosione, che si osservano sul cono vesuviano, siano dovuti a queste valanghe anzi- ché alle piogge, le quali hanno accentuato e anche deformato quel fenomeno. ^ Tale scarsità facilitò forse il raffreddamento delle lave, che, come si disse, avvenne molto rapidamente. — 223 - meno fu conosciuto alla Martinica, di ricercarlo, per ritrovarlo in altri vulcani, dalla Guadalupa a San Giorgio delle Azzorre. ^ Noi possiamo anche osservare come in fondo, tra’ varii modi di attività dei vulcani più diversi nelle loro manifestazioni, non esiste una differenza recisa, ma vi sono tutti i passaggi. Mobilità delle ceneri. — L’estrema sottigliezza delle ceneri, special- mente quelle de’ giorni 10, 11, 12 aprile che erano quasi impalpabili, la forte pendenza di 30° sull’alto del cono e la temperatura elevata davano a questo materiale un’estrema mobilità. L’influenza della tem- peratura sulla mobilità dei materiali solidi, lungo la china d’un vul- cano, fu già messa in evidenza dal prof. A. Lacroix nel suo studio sul- l’eruzione della Montagna Pelata ed è facile a spiegare. Bastava quindi il più piccolo urto perchè, dallo spesso mantello di ceneri che copri- vano il cono vesuviano, si staccassero interi lembi e franassero con effetto impressionante. Quest’ urto poteva esser prodotto da scuotimenti della montagna, ^ dal vento che soffiava dal disopra, dal distacco di lembi minori che si rassettavano sulla forte china e spingevano plaghe più estese di ma- teriali a valle. Valanghe di materiali così venivano giù, con velocità rapidamente crescente, e che diveniva vertiginosa dopo pochi secondi, sotto l’azione della gravità. La nube di polvere assumeva in questo caso, certe volte una grande nettezza di contorni. Ma tale nettezza si verificava special- mente quando il vento investiva le ceneri dal basso. Queste si solle- vavano con un rumore d’uragano, e strisciando lungo i fianchi del cono, in pochi secondi, ne raggiungevano la vetta. Si vedeva la nube dapprima avere un’origine sparsa, in diversi punti lontani, poi rapida- mente raccogliersi, restringersi, assumere contorni ben distinti dall’aria circostante e quindi allungarsi, e salire secondo una generatrice del cono, mentre si estendeva anche in altezza. Chi avesse fotografato queste nuvole in certi momenti avrebbe avuto la copia fedele di qual- cuna delle nuvole ardenti fotografate dal Lacroix alla Montagna Pelata, malgrado la diversità d’origine, di natura e di direzione del movi- mento, nei due fenomeni. ^ Ma non certo al Vesuvio nel ’79, secondo quanto Heilprin vorrebbe dedurre dalle lettere di Plinio il giovane a Tacito. — 224 — Da questi casi di forte intensità si passava a quelli d’importanza minore. Qualche volta erano sollevamenti di poca entità, che determi- navano nubi polverose, simili a quelle che si producono sopra tutti i terreni mobili; in altri casi erano turbini che davano l’illusione del fumo uscente da una bocca, a qualunque altezza sul cono, come nella fìg. 23^. Fig. 23*. — Turbine di ceneri alla base del cono vesuviano. Tra questi turbini si producevano a volte sottili ed eleganti spirali, assai comuni al Vesuvio e dovute esclusivamente alla grande finezza delle ceneri. 4. — Il cratere. Quantità di vapori e di gas emessi durante Vultima eruzione. — Durante l’eruzione, se le ceneri emesse dal cratere furono abondanti, il vapor d’acqua venne fuori in quantità relativamente scarsa. Tal fatto è dimostrato dall’osservazione dei globi pesanti che compone- vano assai spesso il fumo emesso dal cratere, ed è controllato dalla V » le*'' ••V Si - 225 — assenza di pioggie durante l’eruzione. Le stesse lave non dovevano contenere la grande quantità di vapor aqueo di altre eruzioni prece- denii perchè fumarono per breve tempo, e, appena qualche giorno Fig. ‘24®’ — Il pino del 10 aprile (Fotografìa di Perret). dopo quasi non fumavano più. Ma non solo il vapor aqueo fu scarso in questa eruzione, ma altresì tutti gli altri gas. Quando il 14 aprile salii al cratere, solo in rari momenti sentii assai leggermente, quasi im- 226 - percettibilmente, un odore d’anidride solforosa, in mezzo al minutis- simo lapillo che, in quelle ore, cadeva cosi abondantemente da arre- carmi un leggero dolore al viso e alle mani. Nessun odore dava lo stesso giorno la fumarola della “ Spaccatura „ presso il sito ove fu la Gasa Fiorenza. Nessun odore avvertii del pari quando, verso la fine di giugno, rimasi per circa due ore affacciato sulla nuova voragine cra- terica, da cui il fumo si levava abbastanza copioso. Anche Bassani e Galdieri ^ notarono che nessun caso d’asfissia si produsse nei paesi come Ottaiano e San Giuseppe, su cui il pino si abbattette più forte- mente. Nè a diverse conclusioni venne, come vedemmo, il prof. Ga- soria dall’esame delle ceneri. E se, in uno dei giorni che seguirono la eruzione, il prof. Matteucci segnalò all’Osservatorio una gran quantità di gas asfissianti, abbattutivisi col pino, ciò fu un caso eccezionalis- simo. Aggiungo che il signor Giov. di Prisco mi mostrò la sua catena con l’orologio d’oro, che, nel taschino del suo corpetto, si erano sen- sibilmente anneriti per un lento attacco avvenuto durante la pioggia di lapillo a San Giuseppe. Noterò pure che nel luglio si parlò sui giornali di gas asfissianti e pestilenziali in una galleria dell’aquedotto del Serino a Napoli, gas che avevano ucciso un operaio e ridotto in malo stato parecchi altri. Ma gli stessi giornali aggiungevano che si era trattato di acido carbonico {sic). Gito tal fatto per concludere che bisogna andar cauti nell’accettare le affermazioni dello sviluppo di gas asfissianti fatte a più riprese durante questa eruzione Gome si vede di tali gas ve ne furono, ma in quantità molto limitate. L'aspetto nel nuovo cratere. — E stato nel decorso giugno che ho po- tuto osservare il n^govo cratere, in certe ore libero completamente da vapori. Esso è un vasto imbuto allungato di circa 700“ da 0 - 20'" - S ad E - 20^ - N, la larghezza è di circa 500“. Giò che accentua l’ellitti- cità di questo cratere è il taglio obliquo dell’orlo, perchè è più basso ^ Loc. cit. 2 L’eruzione che descriviamo non ha fatto direttamente vittime umane. Indiret- tamente, col lapillo e le ceneri che hanno coperto i tetti, ha prodotto dei crollamenti che hanno ucciso numerose persone. Ho già citato il caso del mercato di Monteoli- veto a Napoli, ed aggiungerò le chiese di Ottaiano e San Giuseppe, in cui molta po- polazione si era rifugiata nella notte del 7 all’ 8, e rimase schiacciata sotto i rottami dei tetti improvvisamente crollati. — 227 — verso NE ove scende a circa 1158"^. Tra Sud e SE trovasi a 1210 per risalire forse a 1250 verso SO ove trovasi la parte più elevata. E poiché il vertice del cono terminale, che era nel 1904 di 1303“, come si legge nella Carta dell’Istituto militare al 25000, era salito a 1330 negli I I ! Fig. 25^. — Il nuovo cratere del Vesuvio verso la fine di giugno. ultimi tempi, ne deriva che Pabbassamento è stato di un centinaio di metri, in media, come notai fin da quando feci la mìa prima ascensione al cratere, durante l’eruzione h In diversi punti ove il cono è franato all’esterno si vede la stratifica- zione nettissima di materiali vecchi e nuovi; ma sull’orlo del cratere si osserva benissimo la doppia pendenza di tali strati al di fuori e al di dentro. L’esterna pendenza varia da 30 a 35", essendo più accentuala in alto ; l’interna va da 35 a 45" in alto, mentre in basso si hanno appicchi elevatissimi. La profondità la valutai ad occhio di 400“, ma tale cifra oc- corre prenderla per quello che vale. ^ V. giornale Dìe Zeit, già citato. 228 — L’orlo del cratere è lineare o a spigolo vivo, ed è assai pericoloso ri- manere su quest’orlo costituito da ceneri sciolte che il piede smuove fa- cilmente. AH’interno i franamenti sono continui. Vi si vedono intere re- gioni di materiale poco coerente fessurate in tutti i sensi: alle volte sono state scalzate lateralmente e al disotto da franamenti anteriori, onde ap- pariscono come blocchi enormi sospesi sull’abisso. Basta l’urto più leg- gero a farli franare h Ove si pensi che il sassolino più leggero, lasciato cadere dolcemente o anche deposto sulla china interna, non resta fermò, ma rotola fino a che raggiunga il fondo, si capirà come, quando franano i grandi quartieri di roccia, percorrano tutta l’altezza del cratere, produ- cendo uno scuotimento, accompagnato da rombo, che mette in sussulto la fragile compagine del cono, assai più del più violento terremoto. La forma ripidissima delle pareti da Sud e da Est, i lati cioè di dove salii al cratere, non mi permise di vedere la bocca del camino in fondo all’imbuto. Essa doveva perciò trovarsi immediatamente sotto quelle pa- reti, ciò che convalida l’ipotesi della tendenza dello spostamento dell’asse eruttivo verso Sud. Mentre l’esterno del cono è quasi tutto rivestito di ceneri recenti, l’in- terno del cratere solo qua e là mostra tal rivestimento, e nel resto, ove la pendenza è più ripida, i materiali del vecchio edifizio sono rimasti scoverti. Vi si vede benissimo perciò la sua struttura, costituita da ceneri e lapilli attraversati da sottili filoni di lava, più o meno verticali od anche inclinati a meno di 45°. Non di rado tali filoni sono ondulati o pie- gati (V. Tav. IV, fig. g). Banchi di lava, più o meno orizzontali, s’inter- calano tra le ceneri e i lapilli. Pareti e fondo dell’imbuto erano ridotti in giugno ad un complesso di fumarole, il di cui fumo intermittentemente si diradava, permettendo l’osservazione della cavità. 5. — Conclusione. Dopo questo grande parosismo, che può mettersi a livello delle mag- giori eruzioni vesuviane, per un certo numero di anni, si avrà una calma relativa, o completa. Ed ora, ad eruzione finita, può farsi la 1 Sotto i miei piedi vidi nel cratere un’enorme lamina verticale di ceneri gial- lastre che si reggeva come per miracolo e che sarebbe franata da un momento al- l’altro. - 229 dolorosa constatazione del grande pericolo a cui furono esposte le cit- tadine del versante Sud della montagna. Abbiamo già visto che Torre Annunziata fu salva per miracolo da una irruzione della lava. Tutto era preparato: la corrente giunta a 600“^ daH’abitato, le sue bocche ancora aperte, nuova invasione di magma fluidissimo nel camino. Ciò non di meno, per lo stato di frat- turazione a cui il cono fu contemporaneamente ridotto, altre bocche potettero aprirsi immediatamente a destra e a sinistra delle precedenti e dare più facile passaggio al nuovo materiale affluente verso l’alto del condotto vulcanico. Ma a questo fatto della fratturazione del cono, a cui Torre Annunziata deve la sua salvezza, stava per essere dovuta rultima rovina della stessa Torre e di tutte le altre città del versante meridionale, se le forti esplosioni delle notte del 7 all’S avessero con- tinuato, e se quindi asse eruttivo e cratere, come ne mostrarono la ten- denza, si fossero spostati da quella parte. Si sarebbe così prodotta la demolizione di gran parte del cono attuale, con un fenomeno forse analogo a quello che, in tempi preistorici, demolì la maggior parte del cono primitivo, riducendolo alle dimensioni dell’attuale Monte Somma. Roma luglio 1906 II. E. Camerana. — Sult assorhmento delle acque piovane nella città di Maglie in provincia di Lecce. (Con tavola). Il terreno sul quale è costruito l’abitato di Maglie è costituito da sabbioni o tufi che formano un mantello permeabile attraverso cui filtrano le acqua piovane: la formazione tufacea poggia gene- ralmente sopra uno strato argilloso sul quale scorrono le acque del sottosuolo che alimentano l’ orizzonte idrico dei pozzi comuni. Siccome rilevasi daH’unita planimetria, desunta dalle pubblica- zioni del R. Ufficio geologico, i tufi postpliocenici si protendono verso — 230 — sud-est fra le strade di Scorrano e di Muro Leccese, ma a po- nente, a nord ed all’est della città cedono posto ai calcari teneri bianco-giallastri del Miocene dei quali fa parte la « pietra leccese » : tali calcari, di natura argillosa, circondano l’abitato come a ferro di cavallo e la loro continuità è solamente interrotta da una ristretta plaga cretacica di calcari cristallini compatti che emerge a nord della città e nella quale è stata intagliata in trincea la sede della linea ferroviaria proveniente da Zollino. La singolare posizione che dal punto di vista geognostico occupa la città di Maglie coincide con una altrettanto singolare ubicazione topografica in quanto che l’abitato sorge in una depressione del terreno, all’altitudine di 77 a 80 metri sul mare, mentre la campagna circostante s’innalza ad altitudini sensibilmente maggiori e poi torna a livellarsi a quote più basse. Si comprende come in tali condizioni, e malgrado la relativa permeabilità del terreno, lo smaltimento delle acque piovane presenti speciale importanza per la città. A tale bisogna è stato sinora provveduto e si provvede tuttora mercè una zona di assorbimento situata nello stesso abitato al giardino Cozzi; questo assorbimento non ha luogo per la semplice azione emungente del terreno, bensì per la presenza di una delle cosidette « voragini » ben note sul suolo leccese. Tale mezzo di smaltimento funziona già da tempo e gli scoli delle acque meteoriche fiuenti sulla massima parte dell’abi- tato e dalle strade che mettono a Maglie sono diretti verso il giar- dino Cozzi. In questi ultimi anni la detta voragine, per il franamento del terreno circostante, assorbiva l’acqua con molta lentezza producendo rigurgiti nelle fogne e nelle strade viciniori : così avvenne nel 1896 un innalzamento d’ acqua per metri 0 . 50 sul livello stradale . Scartato il concetto di abbandonare la voragine Cozzi e di con- vogliare le acque in altra a nord-ovest della città presso il macello, ritenendosi che l’attuale centro di assorbimento convenientemente spurgato e sistemato avrebbe potuto bastare allo scopo, mentre la — 231 — spesa occorrente per incanalare le acque alla voragine del macello sarebbe riuscita maggiore di quella richiesta per la sistemazione predetta e scartata del pari l’idea di dirigere gli scoli delle pio- vane a sbocchi diversi, a causa della spesa rilevante che importe- rebbe la modificazione dell’andamento altimetrico di tutta la città, si addivenne al concetto di conservare come recipiente la voragine Cozzi e di sistemarne il funzionamento. A tal uopo, oltre alla costruzione di nuove fogne atte a sfogare le acque piovane calcolate in ^base al massimo delle precipitazioni orarie (mm. 65.2) registrate dall’Osservatorio di Lecce nel venten- nio 1875-1894, venne progettato lo scavo di un pozzo assorbente di metri 1.80 di diametro, nello stesso punto ove si apre l’attuale bocca della voragine nell’ intento di raggiungere il calcare compatto e assicurare un costante smaltimento. E poiché la natura della roccia si presentava franosa, si stabilì di munire il pozzo di un rivestimento in pietra di Cursi dello spessore di metri 0.40. In base ai rihevi fatti intorno alla profondità dei pozzi comuni circonvicini ed ai dati che la voce pubblica riferiva intorno alla profondità dello scavo che costituiva la voragine si ritenne che il banco di calcare compatto dovesse trovarsi a non più di 27 a 28 metri sotto il livello del giardino Cozzi. L’ opera venne iniziata colla costruzione di cunicoli di fognatura che allacciando le acque lungo le vie principali della città le con- ducono a sfociare ad una vasca di depurazione la quale mette capo al pozzo. Si procedè in seguito allo scavo del pozzo: sino alla pro- fondità di 20 metri venne questo rivestito con pietra di Cursi ed il rivestimento poggiava sopra una assisa costituita da blocchi di tufo « mazzaro » che tratteneva pure l’acqua filtrante dalle pareti durante l’escavazione; il pozzo venne di poi proseguito a pareti nude per altri 15 metri circa: nel settembre 1905 ebbe luogo una notevole alluvione accompagnata da rigurgito d’ acqua sul piano stradale e nell’ottobre successivo avvenne lo scorrimento della co- lonna di muratura che, scalzata alla base dall’erosione delle acque, scivolò lungo le pareti dello scavo. Posteriormente a tale data la voragine non ha cessato di fun- zionare e lo smaltimento delle acque ha luogo lungo la parete nord dello scavo che circonda la colonna murata del pozzo. Tale era la condizione delle cose quando venni incaricato nel gennaio scorso di suggerire i criteri per un nuovo progetto. Il quesito che per primo si affacciava era di decidere se conve- nisse o no continuare lo scavo del pozzo fino a raggiungere il cal- care compatto . Il calcare compatto non è di sua natura permeabile: la sua azione disperdente è dovuta alle fratture che esso presenta e che si sono verificate nella massa stratificata in seguito ai sollevamenti dai quali ha avuto origine l’attuale orografia della regione: tah frat- ture si sono propagate alle sovrastanti formazioni di calcari teneri e di tufi. Se le acque vanno a disperdersi nel calcare compatto, sono però a questo distribuite dalle rotture dei calcari teneri e dei tufi: e l’attività di una voragine è tanto più energica quanto maggiore è la superficie dei tufi e dei calcari teneri fratturati che viene a con- tatto delle acque. Nel caso in esame, per la tema di una totale ostruzione della voragine si pensò di tutelare la stabilità di questa rinunziando al disperdimento lungo la parete e conduttando le acque direttamente al calcare compatto, ma nulla assicura che la superficie fratturata che il calcare compatto può presentare in corrispondenza alla limi- tata area del pozzo sia sufficiente per dare uno smaltimento più rapido di quello attuale. Inoltre bisogna tener conto della profondità alla quale si do- vrebbe rinvenire * il calcare compatto; questo affiora, siccome ho già accennato, lungo la trincea della linea ferroviaria a nord della stazione sotto forma di un dorso il cui asse longitudinale è disposto lungo la linea ferroviaria e le cui falde si immergono sotto ai cal- cari teneri adiacenti: in prossimità della stazione venne scavato, anni addietro, un pozzo che, secondo i dati raccolti dal prof. De Giorgi (Bollettino Com. geol., 1881), avrebbe attraversato per me- Boll. del R.Coniit . Geol. d’Itiilia Anno 19()(). Tav.M . (PJ.(a/nc/’(uia,l SEZIONE A-B-C. Saihi (linlttjr/.r l 'rtjijnn at/fx/.r / PLANIMETRIA Scala 1:2500»), Sabbioni e tufi Calcare tenero Calcale cristallino compatto u -- 233 — tri 20.80 il banco di « pietra leccese » nel il quale pozzo era stato aperto, raggiungendo poi il calcare compatto . Dall’esame dei mate- riali escavati al pozzo Cozzi ho potuto dedurre che questo si è man- tenuto in terreno costituito da tufi, da argille e da ciottoli con blocchi di « mazzaro » senza penetrare nella caratteristica e regolare stratificazione della « pietra leccese » che si dovrebbe attraversare prima di raggiungere il calcare compatto. Con la sezione qui allegata ho collegato l’ affioramento del cal- care compatto e la posizione di questo, riscontrata al pozzo della stazione col pozzo Cozzi: prolungando la linea che segna F anda- mento del calcare compatto si desumerebbe che per raggiungere questo calcare col pozzo Cozzi occorrerebbero almeno altri 20 metri di scavo; ma questo sarebbe un apprezzamento inesatto perchè la pendenza del calcare compatto fra il pozzo della stazione e il pozzo Cozzi deve essere maggiore di quella che si riscontra fra l’affiora- mento e il pozzo della stazione, essendo il pozzo della stazione disposto sulla prosecuzione della linea di colmo del dorso calcareo, mentre il pozzo Cozzi viene a cadere su una falda del dorso stesso : pertanto il calcare compatto, in corrispondenza al pozzo Cozzi, si trova con tutta probabilità a una profondità maggiore di quella che sarebbe indicata, a primo aspetto, dalla sezione. A queste incertezze sulla efficacia pratica del pozzo in confronto a quella offerta ora dalla voragine e sulla profondità alla quale occorrerebbe ancora spingere lo scavo si aggiungevano le difficoltà, certamente non lievi, che avrebbe presentato la continuazione dello scavo al disotto della massa muraria scoscesa. Non dividendo il concetto di conservare come unico sfogo delle acque piovane la voragine Cozzi e tenendo presente lo sviluppo crescente della citta, fui di parere che convenisse impedire alle acque affluenti dalle strade che mettono a Maglie di riversarsi nel- r abitato. Poiché la voragine Cozzi continua a funzionare, mi parve che il miglior partito fosse di avvalersene nello stato in cui essa si trova per il deflusso delle acque piovane della città e di 16 - 234 — allacciare lungo la via di circonvallazione le acque della campagna per conduttarle ad altri sfoghi. E fui confortato in questa opinione dal fatto che il bacino tributario della voragine Cozzi misura ettari 43 circa, dei quali la metà è rappresentata dall’area della città e l’altra metà dai terreni circostanti, di guisa che dirigendo ad altra via le acque della campagna si verrebbe a ridurre di metà r assorbimento richiesto alla voragine Cozzi. Per lo sfogo delle acque della campagna la soluzione più favo- revole consisterebbe nell’ allacciarle in un unico condotto e di sfo- ciarle nella regione posta a nord della città ove la presenza del cal- care cristallino assicura un rapido smaltimento, senonchè opponen- dovisi le condizioni altimetriche che richiederebbero la costruzione di cunicoli sotterranei, proposi di suddividere l’allacciamento in vari settori, assegnando a ciascun settore il proprio sfogo nel cal- care cristallino o nel calcare tenero, ove era possibile, ricorrendo n qualche caso allo scavo di pozzi assorbenti coi quali, attraver- sando la formazione tufacea sino a sfondare il banco argilloso che forma il fondo dei pozzi comuni, si potrà ottenere lo scarico delle acque senza tema di impinguare il livello freatico ahmentato dal velo acquifero scorrente nei sabbioni e nei tufi. Bologna, settembre 1906. ^ Riimione annuale della Società geologica italiana a Sestri Levante, La riunione generale estiva della Società geologica italiana ebbe quest’anno principalmente per iscopo di riprendere gli studi sulla natura e la genesi delle roccie ofiolitiche, studi che già ebbero ad interessare vivamente la Società stessa nei primordii della sua esistenza. A sede del convegno venne perciò scelta la città di Sestri Levante in Liguria, nel cui territorio le formazioni serpentinose assumono così grande sviluppo. Secondo il consueto l’adunanza ebbe luogo nella prima metà di settembre. Le escursioni ebbero principio il giorno 10 e, ottimamente organizzate e fa- — 235 — Torite dal tempo, riuscirono tutte ordinate, interessanti e proficvie. Esse furono dirette dal Pres. Mazzuoli, di cui sono noti gli importanti lavori sullo forma- zioni ofioliticlie della regione e sui loro rapporti coi suoi giacimenti minerali ; lo coadiuvarono il prof. Issel e l’ing. De Castro. Di esse diremo qui breve- mente, senza entrare nelle discussioni avvenute in merito alla origine delle roccie anzidetto, tanto più che ulteriori studi chimici e petrografici sul mate- riale raccolto porteranno nuova luce sulla questione. *** Il giorno 10 i congressisti di buon mattino partirono in carrozza per Bracco attraversando il tipico Eocene appenninico costituito, come è noto, da argillo- scisti con calcari ed arenarie intercalate. Alla Fornace di Bracco, in una cava abbandonata, si potè osservare la graduale trasformazione dei calcari in diaspri e ftaniti al contatto colla serpentina. Più oltre, in diversi punti degli argille - scisti si osservarono blocchi di calcari, residui di strati trasformati più o meno completamente in bolo per l’azione delle acque minerali che hanno accompa- gnato l’emissione delle roccie serpentinose. Poco prima di Bracco si ammirò la bella vista nel piccolo ma interessante bacino di Moneglia, dove, come si sa, si può con sicurezza constatare il fatto generale per le Riviere liguri che i materiali che arrivano al mare si muo- vono entro confini molto ristretti e che basta una sporgenza rocciosa relativa- mente piccola per impedire ogni miscuglio fra i materiali delle due porzioni in cui resta divisa la costa. Mentre infatti le spiagge di Levante, Deiva, Riva e Sestri Levante sono formate da materiali provenienti dalle roccie di sedimento, frammisti a nume- rosi detriti serpentinosi, la spiaggia intermedia di Moneglia è affatto priva di questi ultimi, poiché i torrentelli che sboccano in quel piccolo golfo ricevono le acque di un bacino del tu tto privo di affioramenti ofiolitici e le sporgenze della costa a levante ed a ponente di esso golfo impediscono il passaggio dei ciot- toli serpentinosi esistenti sulle spiagge vicine. Dal Bracco i congressisti discesero pel vallone dell’Acqua Fredda fino al Bargonasco, esaminando lungo la strada i rapporti fra le roccie sedimentarie e la diabase. Dopo colazione essi visitarono lo Stabilimento del Bargonasco della Società ligure ramifera, gentilmente guidati dal suo direttore cav. Gardella. Si ammirò molto la sua grandiosità e più ancora la modernità degli apparecchi, che lo fa primeggiare fra i congeneri d’Italia. Fu fatto quindi ritorno a Sestri passando per Casarza. Il giorno 11 i congressisti rimontarono in carrozza la V alle del Gromolo fino al Mulino Balicca, indi a piedi salirono alla vecchia polveriera di Libiola, per- correndo una strada ricca di belle sezioni naturali nelle roccie serpentinose e sedimentarie, cosiccliè si poterono ben osservare i rapporti esistenti fra la ser- — 236 - pentina e gli scisti metamorfici e la diabase. Interessante è il vario modo di presentarsi di quest’ultima roccia, ora compatta, ora a struttura variolitica, ora a grandi nodulosità. Queste nodulosità si sarebbero formate, secondo il prof. Issel, per alterazione superficiale. Passando dallo stato pastoso a quello solido per la contrazione si produssero nella diabase delle soluzioni di continuità ; gli agenti esterni, l'acqua specialmente, ebbero così modo di logorare gli spigoli dei grossi blocchi nei quali erasi suddivisa la massa rocciosa, ingrandendo ancora i vacui che furono poi riempiti da materiale detritico od altrimenti. Dal monte di Libiola i congressisti poterono ancora rendersi conto, mal- grado la lontananza, della tettonica e della costituzione del Monte Bianco di cui era ben visibile il versante meridionale. Questo monte è essenzialmente formato da calcari, con diaspri e ftaniti intercalati, disposti in pieghe dirette da nord a sud e coperti nellaTparte inferiore da un manto di serpentina. Al Mulino Balicca si era intanto riunito alla comitiva il signor Roberto Craven, direttore della miniera di Libiola e sotto la sua guida i congressisti visitarono i lavori di coltivazione a cielo scoperto della massa di pirite detta Tagliamento ed i vari impianti esterni della miniera, la quale, come è noto, è la più importante fra quelle della Riviera ligure e la sola che sia stata inin- terrottamente in attività dall’epoca della sua concessione (1860). Essa comprende importanti ammassi di piriti racchiusi nelle diabase in vicinanza della serpentina. La pirite contiene circa il 49 per cento di zolfo e costituisce la principale produzione della miniera ; le calcopiriti, che vi si rinvengono in ricche concen- trazioni disseminate nella massa o impegnanti il contatto colla serpentina, ave- vano altre volte altissimi tenori in rame; attualmente però la loro ricchezza è diminuita ed il tenore oscilla pei minerali ricchi intorno al 13 per cento e per quelli poveri intorno al 5 per cento. Il minerale di rame viene venduto alla fonderia del Bargonasco, la pirite di ferro a varie fabbriche di acido sol- forico, per la maggior parte italiane. La coltivazione ha luogo parte a cielo scoperto, parte mediante gallerie; queste raggiungono già una lunghezza complessiva di 15 chilometri e si è ora iniziata la costruzione di una nuova galleria di ribasso, la quale sarà lunga un chilometro. Vengono prodotte ogni anno 25000 tonnellate di minerale. Esiste pure un’impianto per l’applicazione del sistema di precipitazione del rame me- diante il ferro, per l’utilizzazione delle piriti cuprifere povere e delle copiose acque uscenti dalle vecchie gallerie. Dopo colazione i congressisti si diressero al Bargonasco osservando lungo il sentiero fatto, con squisita cortesia, appositamente riadattare per la circo- stanza dal cav. Gardella, un bell’affioramento di Iherzolite nella serpentina; fecero quindi ritorno a Sestri in carrozza. Il giorno 12 i congressisti si recarono in ferrovia a Rapallo e di là per la bella strada di Ruta proseguirono in automobile sino al parco di Portofino- -- 237 — Kulm che attraversarono. Venne molto ammirata la splendida veduta delle due rive sulle quali il prof. Issel fornì interessanti notizie morfologiche, accen- nando ai terreni prevalentemente eocenici che le costituiscono ed all’importante sprofondamento che esse hanno subito, come è dimostrato dalla scoscesità della costa e dal prolungarsi delle attuali vallate in profondi solchi sottomarini. Si proseguì quindi a piedi salendo all’antico semaforo e riscendendo verso mezzo- giorno a Portofino-Kulm, dopo essersi spinti fino al nuovo ufficio semaforico. Si potè cosi esaminare con ogni agio il conglomerato che forma l’estrema sporgenza del promontorio di Portofino e costituisce il più orientale dei pochi lembi isolati, residui della formazione tongriana che si estendeva ininterrotta su tutto il versante meridionale dell’ Appennino ligure. Questo conglomerato è principalmente costituito da ciottoli di calcari e scisti eocenici con rari ciottoli ofiolitici; si presenta in strati regolarmente inclinati a sud con una potenza complessiva di 150 metri e si appoggia sui calcari e scisti dell’Eocene. Il li- mite delle due formazioni apparisce nettamente anche a distanza per un brusco rialzo nello spartiacque del promontorio là dove incominciano i conglomerati. Dopo colazione una parte della comitiva ritornò a Sestri rifacendo lo stesso itinerario del mattino; un’altra, scendendo invece a piedi a Portofino e passando per Santa Margherita. ISella mattinata del 13 i congressisti su di un rimorchiatore, messo gentil- mente a disposizione della Società da S.-E. il Ministro della marina, fecero una gita nel golfo di Rapallo contornando il promontorio di Porto fino sino a San Fruttuoso. Oltre al godere dell’incantevole panorama essi poterono ben osservare nel suo insieme la formazione conglomeratica già studiata il giorno precedente. Indi fecere ritorno a Sestri, dove venne chiuso il congresso. Roma, settembre 1906. La Direzione. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE OEOLOGtlO^ PER l’anxo 1905 \ {Continuazione^ vedi n. 1). Colomba L. — Cenni preliminari sui minerali del Laiisetto (Valli del Gesso). (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 3% pag. 393-397). — Boma, 1905. Xella valle del Lausetto, che shocca in quella di Valdieri (Alpi marittime) di fronte a San Lorenzo, trovansi filoni di galena con ganga di baritina ed altri nei quali la ganga è essenzialmente quarzosa, che contengono in noduli ed in vene della ematite fibrosa e della blenda cristallina. I più hanno una potenza assai grande, raggiungendo talora i due metri e oltre, e la galena, in quantità non molto grande, vi apparisce in forma di vene ; nella ganga trovasi poi diffusa la pirite in piccoli cristalli. La galena, in masse cristalline a sfaldatura cubica, è leggermente argentifera e nelle geodi presenta cristallini di cerussite, semplici o geminati, dei quali l’autore fa lo studio cri- stallografico. Come prodotto di alterazione della galena presentasi pure la piro- morfite, in forma di incrostazioni o in cristalli verdi quasi microscopici. La ga- lena è spesso separata dalla baritina da una sostanza violacea costituita da fluo- rite. La baritina è in masse compatte con geodi a piccoli cristalli lamellari e inclusi cristallini di pirite: di questi Tautore dà le forme ed i valori angolari, fra cui degna di nota la (5 3 2) rara in questo minerale, il quale passa per gra- dazioni da un cubo perfetto al dodecadro pentagonale. In quanto ai minerali contenuti negli altri filoni, nulla ha trovato l’autore che meriti di essere citato in modo speciale, solo che in prossimità di quelli ad ematite ha osservato, nel quarzo che forma la ganga, dei minutissimi ottaedri di magnetite associati a pirite cubica. * Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 239 — CoMANDUcci E. e Pescitelli L. — Analisi chimica della cenere caduta in Napoli la notte del 2 ottobre 1904. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3% Yol. XI, fase. 7^ pag. 249-253). — Napoli, 1905. Questa cenere cadde in forma di leggiero pulviscolo nero, in seguito a spro- fondamento del cono craterico del Vesuvio, il quale lanciava contemporanea- mente enormi colonne di fumo denso e giallastro. Essa si presenta come una polvere scura, granulosa, pesante, attirabile alla calamita. La perla al borace diede la reazione del ferro e quella al sale di fosforo la reazione della silice. Alla carta di tornasole diede reazione acida e al filo di platino le colorazioni del sodio e del potassio. Gli autori danno i risultati delle varie analisi eseguite, da cui ricavano la composizione seguente : SiOg = 41 . 738 ; SOg = 1 . 518 ; CI = 0 . 242 ; P2O5 = 1 . 428 ; PeA = 25.338 ; Al^Og = 7.714 ; MgO = 0.214 ; CaO = 5.310 ; K^O = 0.102 ; JS'agO = 1.917 ; NHg = traccio. Perdita di peso per calcinazione gr. 3.72 su 100. Consiglio-Ponte S. — Morfologia dei proietti di Vulcano. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXIII, fase. 3®, pag. 398-402). — Roma, 1905. Ricordando due comunicazioni (vedi Bibl. 1891 e 1892) nelle quali sono compendiati i suoi studi circa il periodo eruttivo di V'ulcano del febbraio 1889, l’autore ritorna sull’argomento della forma speciale dei proietti emessi, per la quale essi si scostano dal tipo generale delle bombe vulcaniche, confermando che essa non è originaria, ma quale il proiettile ha assunto dopo la sua uscita dal cratere, e anche dopo di essere arrivato al suolo, ove si deformò mostran- dosi all’osservatore sotto le forme più bizzarre. Dall’esame dei proietti deformati risulta evidente che se l’attuale forma fosse quella primitiva o quella conseguita prima di arrivare al suolo, sarebbe ad essi stato impossibile potersi conservare intieri e presentare parti tanto fra- gilmente attaccate al corpo del proiettile. Tali conclusioni sulla morfologia dei proietti di Vulcano si possono esten- dere ad altri centri eruttivi, e l’autore cita casi analoghi per Santorino e per il Pelò, di cui potè esaminare i proietti. Cortese E. — Eisenerse der Maremmen iind aiif Elba, (Zeitschrift flir praktische Geologie, Jahrg. 1905, H. 4, pag. 145-146). — Berlin, 1905. A proposito d’una pubblicazione del Lotti sulla scoperta di minerali di piombo nell’isola d’Elba (vedi Bibl 1904) nota l’autore che l’associazione di solfuri alle masse d’ossidi di ferro non prova la loro unità d’origine. — 240 — Egli ritiene che i minerali di ferro dell’isola d’Elba, di Campiglia e di Massa Marittima siano indipendenti dai sulfuri che li aocompagano e siano d’età basica. D’Achiardi Gr. — Zeolite probabilmente nuova delVisola d’Elba. Nota preventiva. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol. XIY, pag. 150-156). — Pisa, 1905. Questo minerale proviene da uno dei filoni pegmatitici che attraversano il granito di San Piero in Campo, ed ha aspetto affatto diverso dagli altri che vi si trovano in quantità. Esso si presenta in cristallini incolori assai piccoli, iso- lati o comunemente raggruppati, con aspetto di prismi ottagoni depressi, termi- nanti a tramoggie, o da due cavità a gradini con fondo ristrettissimo pianeg- giante ; sfaldatura più facile secondo le faccie prismatiche ; durezza poco oltre il 4® grado; peso specifico 2.165. Al microscopio si rivela come minerale biassico. E’analisi chimica diede: SiOg = 62.60; Al^Og = 11.37; CaO = 5.63: SrO = 1.16 ; K,0 = 3.37 ; Na,0 = 2.10 ; H,0 = 13.77. Da cui la formula : (Na„K„ Ca)3 Al,Si,,0,, + 14H,0. Trattasi quindi di un minerale del gruppo delle zeoliti ad abito cristal- lino nuovo, almeno per l’isola d’Elba, e che per la composizione chimica si avvicinerebbe alquanto alla heulandite. D’Achiardi Gr. — / minerali dei marmi di Carrara. I. (Atti Soc. to- scana di Se. nat.; Memorie, Yol. XXI, pag. 49-57). — Pisa, 1905. — Idem — Idem. II. (Ibidem, pag. 236-264, con tavola). — Pisa, 1905. I marmi apuani contengono numerosi minerali disseminati nella massa cal- carea entro geodi, ovvero in vene, croste e velature nei piani di separazione della roccia. Le geodi però, che si trovano di preferenza nelle varietà più pure, offrono il migliore materiale da studio per le belle cristallizzazioni, fra le quali primeggiano quelle del quarzo. La formazione di tali geodi è dovuta alle acque che, filtrando attraverso le fessure della massa marmorea, le hanno in vari punti allargate per soluzione, dando così agio alle sostanze in esse disciolte di depositarsi e cristallizzare. Nella prima parte della memoria l’autore esamina il gruppo dei carbonati, e cioè : calcite, dolomite, malachite, azurrite. Nella seconda egli tratta dei minerali seguenti : zolfo, realgar, orpimento, blenda, pirite, arsenicopirite, galena, calcosina, tetraedrite, rutilo, oligisto, limonite, fluorina, gesso, magnetite. I minerali sono studiati specialmente dal lato della cristallografia ; per la calcite e la dolomite sono dati anche i risultati di analisi quantitative. Per quelli che si presentano — 241 — in belle cristallizzazioni, come calcite, zolfo, blenda, pirite, tetraedrite, fluorina sono date le figure nel testo ; al solo gesso è dedicata la tavola annessa. Dainelli Gt. — Yaccinites (Pironaea) polystylus Pirona nel Cretaceo del Capo dì Leuca. (Boll. Soc. G^eol. ital., Yol. XXIY, fase. 1®, pa- gine 119-136). — Roma, 1905. Questa specie cretacea del Capo di Leuca (Penisola Salentina) fu già fatta conoscere dall’autore in altra pubblicazione (vedi BibL 1901)\ egli ne presenta ora un secondo esemplare, meglio conservato, rinvenuto al Castello di Castro nella stessa penisola, lo descrive particolareggiatamente e lo figura insieme col tipo del genere, proveniente dal Priuli e studiato dal Pirona, e con altro esem- plare di Slavonia descritto da Hilber. In quanto al livello geologico, esso ap- partiene al campaniano superiore. L’autore ritorna poi sull’argomento della esistenza o meno dell’eocene se- gnato nelle carte dell’Ufficio geologico nella parte meridionale della penisola salentina, avendo già osservato che, secondo lui, bisogna risalire al nord fin presso il porto di Tricase per ritrovarne il primo giacimento. A tali conclu- sioni, qui riportate dalla pubblicazione del 1901, aveva già risposto il Baldacci, autore del rilevamento, nel 1902: ora l’autore, ritornando sull’argomento ed estendendolo maggiormente, espone il dubbio che l’eocene in Puglia non esista affatto a sud dal Gargano, e che quello segnato sulle carte suddette va rife- rito al cretaceo e forse in parte al miocene. Dal Lago D. — Note sul Flpsch del Vicentino. (Atti Acc. scient. ve- neto-trentino-istriana, Yol. II, fase. II, pag. 207-212). — Padova, 1905. Questo terreno, riconosciuto già in diverse parti del Yeneto e descritto sotto il nome di conglomerato di Laverda e Sangonini, fu dall’autore rinve- nuto in altre località dei Colli Borici e delle Prealpi vicentine; ivi è rappre- sentato dalle cosidette sabhionare^ costituite da calcari selciosi, di vario colore, assai duri, compatti e talora disgregati e quasi pulverulenti, formanti masse non stratificate, di varia potenza, assolutamente prive di fossili. Egli li ritiene formazione di mare relativamente profondo, e li pareggia al vero Flysch o ma- cigno alpino. L’autore fa quindi la storia dei vari lembi di tale terreno conosciuti nel Yeneto e riporta le opinioni dei vari autori circa la loro età, oscillante fra l’eocene superiore e l’oligocene inferiore; e conchiude per il suo collocamento sopra gli strati a briozoi corrispondenti al tongriano inferiore. Tale riferimento serve anche a determinare la posizione di molti sedimenti calcarei ritenuti del- l’oligocene e che, per la presenza del Flysch, possono essere considerati quali piani del priaboniano. — 244 — Una sezione visibile nel Cimitero di !Montecompatri dimostra chiaramente che il paese è collocato su di un vero cono vulcanico ; un’altra di Colle Fonte Molara, sulla strada Montecompatri-Zagarolo, offre pure uno speciale interesse per uno strato ciottoloso, che vi sta alla base, simile a quello noto del Tavolato sull’Appia IN'uova, essendo costituito da frammenti più o meno arrotondati di lave e tufi diversi, con aggregati di mica ed altri niinerali. De Angelis d’Ossat G-. — Bonifica idraulica del Pantano di Granaraccio nella Campagna romana. (Boll. Soc. Ing. e Arch. ital., Anno XIII, n. 50, pag. 785-788). — Koma, 1905. Tratta della costituzione geologica della pianura acquitrinosa, detta Pantano di Granaraccio, che si stende alla sinistra dell’Aniene al termine del più im- ponente ed esteso campo di lava del Vulcano Laziale che cominciando a San Cesareo presso Zagarolo, scende e lambisce l’Aniene di faccia ai Bagni delle Acque Albule. L’autore figura e descrive alcune sezioni naturali della regione, dalle quali è possibile ricavarne la costituzione geologica. Da esse risulta che le acque che ristagnano al piano del Granaraccio, astrazione fatta da quelle superficiali, pro- vengono dalla circolazione interna della lava, per il che la bonifica del Pan- tano potrà conseguirsi facilmente con una trincea o cunicolo che tagli, a monte di esso, il velo acquifero della lava. De Angelis d’Ossat G-. — / coralli del calcare di Venassino (Isola di Capri). (Atti B. Acc. Se. fis. e mat., S. 2*'^, Yol. XII, n. 16, pag. 1-48, con 2 tav.). — Xapoli, 1905. Dopo avere accennato alla nota questione, non ancora definitivamente ri- solta, circa reta dei calcari di Capri e riferiti i diversi pareri degli autori che ne trattarono, l’autore espone i risultati dello studio da lui fatto dei numerosi coralli stati trovati in regione Yenassino, nella parte orientale dell’isola, for- manti una fauna di 25 specie, delle quali 9 certamente nuove per la scienza. Tale fauna presenta le maggiori analogie con altre conosciute nelle formazioni mesozoiche dell’Europa meridionale, in particolare della Svizzera e della Francia ; e dalla discussione fattane e dal confronto delle specie caratteristiche, l’autore conchiude per il riferimento della fauna corallina di cui sopra all’urgoniano. Segue la descrizione delle specie, fra cui le seguenti nuove : Amphiastraea Waltherì, Aiilastraea Bassanii, Hgdnophora Oppenheimi, Stijlina Paronai^ St. SteiU’ manni, Acanthocoenia Cerioi, Dendrogijra Kohiji, Cijathophora Delorensoi, Pleuro- smilia Dìstefanoi. Le forme descritte sono in gran parte riprodotte nelle tavole unite, insieme con particolari di struttura. — 245 — De Gtasparis A. — Le alghe delle argille marnose pleistoceniche di Ta- ranto. (Atti E. Acc. Se. fis. e mai, S. 2‘\ Yol. XII, n. 4, pag. 1*8, con tavola). — Napoli, 1905. L’esame di queste alghe, fatto su esemplari esistenti nel Civico Museo di storia naturale a Trieste, avvalora le conclusioni cui giunsero alcuni geologi circa le argille di Taranto, che cioè vanno riferite al pleistocene. Premesso un cenno sui lavori pubblicati sulla flora pleistocenica in gene- rale, incominciando da quello sulla flora italiana di Gaudin e Strozzi (1860), l’autore passa alla descrizione delle specie in numero di 9, fra le quali unanuova, la Gratelnpìa Bassa nii, di cui sono date le particolarità nella tavola annessa. De Laijnay L. — Application de la méthode tectonique à la métallogenie de la region italienne. (Eevue gén. des Sciences, Annés 1905, n. 18, 30 septembre). — Paris, 1905. L'autore studia in que^sto articolo il raggruppamento razionale dei giaci- menti metalliferi italiani e cerca di interpretarne la distribuzione per mezzo della tettonica. Premesso che, fatta eccezione per la Sardegna, appartenente , ad un sistema tettonico diverso e più antico degli altri, l’Italia presenta bensì molti giacimenti metalliferi, ma pochi di vera importanza industriale, e dopo un esame analitico di questi, l’autore manifesta la sua opinione che i minerali italiani emanino da roccie eruttive intruse e salite alla superficie in seguito a dislocamenti terziarii. Da prima si sarebbero avute intrusioni acide in fratture verificatesi lungo una zona longitudinale fra il ripiegamento terziario e il mas- siccio preesistente, con formazione profonda di magma a tipo granitico, da cui si ebbero fumarole clorurate, che poterono dare dei silicati di ferro, dell’oli- gisto, delle piriti di ferro e di rame ; poco più lungi, dove ai graniti si sosti- tuirono filoni di granuliti e porfirite, cristallizzarono i solfuri complessi di piombo, zinco e ferro. Altrove avvenivano intrusioni di roccie basiche, come diabase od eufotide, in terreni di età diversa più o meno metamorfosati, e là si ebbero impregnazioni solforose ed aurifere in forma di salbande, ovvero se- gregazioni di magnetite e di cromati. Dove poi le pietre verdi sono racchiuse in terreni non metamorfici, si hanno al contatto ammassi cupriferi. Progredendo verso i tempi attuali notasi nelle manifestazioni eruttive superficiali la spari- zione graduale dei metalli, ad eccezione del mercurio e dell’antimonio che do- minano nella zona contigua alle roccie effusive ; infine, in quelle parti dove il vulcanismo è ancora attivo o da poco estinto, non si osserva alcun giaci- mento metallifero. Una traduzione libera delTinteressante lavoro, con note dell’ing. B. Lotti, trovasi inserita nella Rassegna mineraria, Yol. XXIY, numeri 2, 3 e 4, To- rino, 1906. — 244 — Una sezione visibile nel Cimitero di Monte compatri dimostra chiaramente che il paese è collocato su di un vero cono vulcanico ; un’altra di Colle Fonte Molara, sulla strada Montecompatri-Zagarolo, offre pure uno speciale interesse per uno strato ciottoloso, che vi sta alla base, simile a quello noto del Tavolato sull’Appia I^’uova, essendo costituito da frammenti più o meno arrotondati di lave e tufi diversi, con aggregati di mica ed altri minerali. De Angelis d’Ossat Gr. — Bonifica idraulica del Pantano di Granaraccio nella Campagna romana. (Boll. Soc. Ing. e Arch. ital., Anno XIII, n. 50, pag. 785-788). — Roma, 1905. Tratta della costituzione geologica della pianura acquitrinosa, detta Pantano di Granaraccio, che si stende alla sinistra dell’Aniene al termine del più im- ponente ed esteso campo di lava del Vulcano Laziale che cominciando a San Cesareo presso Zagarolo, scende e lambisce l’Aniene di faccia ai Bagni delle Acque Albule. L’autore figura e descrive alcune sezioni naturali della regione, dalle quali è possibile ricavarne la costituzione geologica. Da esse risulta che le acque che ristagnano al piano del Granaraccio, astrazione fatta da quelle superficiali, pro- vengono dalla circolazione interna della lava, per il che la bonifica del Pan- tano potrà conseguirsi facilmente con una trincea o cunicolo che tagli, a monte di esso, il velo acquifero della lava. De Angelis dDssat G. — I coralli del calcare di Venassino {Isola di Capri). (Atti R. Acc. Se. fis. e mat., S. 2^'^, Voi. XII, n. 16, pag. 1-48, con 2 tav.). — Napoli, 1905. Dopo avere accennato alla nota questione, non ancora definitivamente ri- solta, circa Fetà dei calcari di Capri e riferiti i diversi pareri degli autori che ne trattarono, l’autore espone i risultati dello studio da lui fatto dei numerosi coralli stati trovati in regione Venassino, nella parte orientale dell’isola, for- manti una fauna di 25 specie, delle quali 9 certamente nuove per la scienza. Tale fauna presenta le maggiori analogie con altre conosciute nelle formazioni mesozoiche dell’Europa meridionale, in particolare della Svizzera e della Francia ; e dalla discussione fattane e dal confronto delle specie caratteristiche, l’autore conchiude per il riferimento della fauna corallina di cui sopra all’urgoniano. Segue la descrizione delle specie, fra cui le seguenti nuove : Amphiastraea Waltheri, Aiilastraea Bassaniì, Hgdnophora Oppenheimi, Stglina Paronai, St. Stein- manni, Acanthocoenia Cerioi, Dendrogyra Kohgi, Cijathophora Delorensoi, Pleiiro- smilìa Dìstefanoi. Le forme descritte sono in gran parte riprodotte nelle tavole unite, insieme con particolari di struttura. 245 — De Gtasparis A. — Le alghe delle aigille marnose pleistoceniche di Ta- ranto. (Atti R. Acc. Se. fis. e mai, S. 2% Voi. XII, n. 4, pag. 1-8, con tavola). — Napoli, 1905. L’esame di queste alghe, fatto su esemplari esistenti nel Civico Museo di storia naturale a Trieste, avvalora le conclusioni cui giunsero alcuni geologi circa le argille di Taranto, che cioè vanno riferite al pleistocene. Premesso un cenno sui lavori pubblicati sulla flora pleistocenica in gene- rale, incominciando da quello sulla flora italiana di Gaudin e Strozzi (1860), l’autore passa alla descrizione delie specie in numero di 9, fra le quali unanuova, la Gratelapia Bassanii, di cui sono date le particolarità nella tavola annessa. De Launay L. — Application de la méthode tectonique à la métallogenie de la region italienne. (Revue gén. des Sciences, Annés 1905, n. 18, 30 septembre). — Paris, 1905. L’autore studia in questo articolo il raggruppamento razionale dei giaci- menti metalliferi italiani e cerca di interpretarne la distribuzione per mezzo della tettonica. Premesso che, fatta eccezione per la Sardegna, appartenente , ad un sistema tettonico diverso e più antico degli altri, l’Italia presenta bensì molti giacimenti metalliferi, ma pochi di vera importanza industriale, e dopo un esame analitico di questi, l’autore manifesta la sua opinione che i minerali italiani emanino da roccie eruttive intruse e salite alla superficie in seguito a dislocamenti terziari]. Da prima si sarebbero avute intrusioni acide in fratture verificatesi lungo una zona longitudinale fra il ripiegamento terziario e il mas- siccio preesistente, con formazione profonda di magma a tipo granitico, da cui si ebbero fumarole clorurate, che poterono dare dei silicati di ferro, dell’oli- gisto, delle piriti di ferro e di rame ; poco più lungi, dove ai graniti si sosti- tuirono filoni di granuliti e porfirite, cristallizzarono i solfuri complessi di piombo, zinco e ferro. Altrove avvenivano intrusioni di roccie basiche, come diabase od eufotide, in terreni di età diversa più o meno metamorfosati, e là si ebbero impregnazioni solforose ed aurifere in forma di salbande, ovvero se- gregazioni di magnetite e di cromati. Dove poi le pietre verdi sono racchiuse in terreni non metamorfici, si hanno al contatto ammassi cupriferi. Progredendo verso i tempi attuali notasi nelle manifestazioni eruttive superficiali la spari- zione graduale dei metalli, ad eccezione del mercurio e dell’antimonio che do- minano nella zona contigua alle roccie effusive ; infine, in quelle parti dove il vulcajiismo è ancora attivo o da poco estinto, non si osserva alcun giaci- mento metallifero. Una traduzione libera delFinteressante lavoro, con note dell’ing. B. Lotti, trovasi inserita nella Rassegna mineraria, Yol. XXIV, numeri 2, 3 e 4, To- rino, 1906. — 246 — Del Campana D. — Fossili del Giura superiore dei Sette Comuni in provincia di Vicenza. (Pubbl. R. Ist. di studi superiori, un voi. in-8® di pag. 140, con 7 tav.). — Firenze, 1905. Il materiale preso in esame dall’autore appartiene in gran parte al Museo del R. Istituto di Firenze ; pel rimanente proviene da altri musei, messo a disposizione dai rispettivi direttori. Molte delle specie descritte erano già note per altri lavori, in particolare di De Zigno, Zittel, I^^eumayr, Taramelli e Munier- Chalmas, cui si aggiunge l’autore stesso con due note pubblicate nel 1903 e nel 1904 (vedi Bibliografìe rispettive); alcune sono nuove. Gli esemplari studiati appartengono a tutti i piani del giurese superiore, nonché agli strati del titonico sino a quelli del neocomiano (biancone). Dopo un indice alfabetico delle opere consultate ed un elenco completo delle specie riconosciute, con la indicazione della località e del livello geologico cui appartengono, l’autore passa alla descrizione delle specie in numero totale di 112, delle quali 11 nuove, che denomina Taramelliceras MescJiinellii ^ Pe- risphinctes Bassanii, P. Ombonii, P. Fortisii, P. Achiardii, P. Negrii, P. Ardainiij P. Gregorioi, P. Gìlmbelii, Aspidoceras siibavellaniim, A. Bonatoi. ISTelle tavole sono riportate in buon numero (una metà circa) le specie de- scritte, fra cui tutte le nuove. De Lorenzo G-. — Lo scoglio di Revigliano. (Atti R. Acc. Se. fis. e nat., S. 2*^, Yol. XII, n. 12, pag. 1-4, con 2 tav.). — Napoli. 1905. È questa una pittoresca scogliera calcarea che si trova nel golfo di Na- poli, a poca distanza dalla foce del Sarno, a circa mezza via fra Torre An- nunziata e Castellammare di Stabia, e che fa vivo contrasto con le formazioni vulcaniche di quella spiaggia, costituita da ceneri e lapilli vesuviani, da tufi e da correnti di lava. Si tratta qui di un calcare stratificato, compatto, bitu- minoso, in tutto simile a quello che costituisce il promontorio di Castellammare, finora ritenuto della parte inferiore del cretaceo, forse dell’urgoniano o del- l’aptiano, e, per gli ultimi studi del Di-Stefano, del cenomaniano. La importanza dello scoglio in questione risulta dal fatto che esso, così vicino al Vesuvio, sta a dimostrare il modo come è costituita la platea sedi- mentaria dell’anfiteatro eruttivo della Campania e quale ne sia la tettonica. La direzione e la inclinazione degli strati calcarei di Revigliano corri- spondono esattamente a quelle dei calcari della penisola di Sorrento e conva- lidano ridea che la base sedimentaria del bacino eruttivo campano sia confor- mata a foggia di conca sinclinale, al pari di altri vulcani, fra cui il Vulture. La memoria è corredata da vedute fotografiche dello scoglio con le sue interessanti costruzioni medioevali e da un frammento di Carta geologica, con sezione relativa. — 247 — De Lorenzo Gt. — I crateri di Miseno nei Campi Flegrei (dagli Atti E. Acc. Se. fis. e mat., S. 2% Yol. XIII, n. 1, pag. 1-25, con 3 tav.). — Napoli, 1905. Il promontorio Miseno, formante l’estrema punta nord-ovest del golfo di Napoli di fronte all’isola di Prooida, è formato da materiali eruttivi, come tutti i Campi Flegrei, e presenta tre coni craterici distinti : Capo Miseno, Porto Miseno e Bacoli. Essi constano del solito tufo trachitico giallo, compatto, ricco di pomici e scorie, cui sono sovrapposti strati di tufo grigio incoerente. La loro forma primitiva è stata poi alterata in grado notevole dalla erosione, in particolar modo dalle acque marine che in parte li hanno invasi. L’autore fa una particolareggiata descrizione di questo piccolo gruppo vul- canico, bene distinto dai limitrofi del Monte di Precida e di Baja, corredan- dola da due tavole di fotografie, da una Carta geologica a colori nella scala di 1 a 10,000 e da figure schematiche intercalate nel testo. Deninger K. — Die Jiira- und Kreidebildungen in Nord^ iind Ost- sardinien. (Neues Jahrb. fiir Min., Greol. und Pai., XX B.B., 3 H., pag. 436-444). — Stuttgart, 1905. Facendo seguito alla nota Tornquist sulle piante giuresi della Sardegna orientale (vedi più avanti), l’autore, che gli fu compagno di escursioni nel- l’isola, fa qui una breve descrizione dei terreni giuresi e cretacei riconosciuti nella Nurra (Sassari) e lungo la costa orientale a nord di Tortoli. Premesso un cenno generale sulla Nurra, l’autore passa a trattare partico- larmente del giurese di questa interessante regione, di cui forma alcune delle punte più elevate. Consta esso di un calcare chiaro, talora bruno o rossastro, a struttura oolitica, con fossili bene conservati, fra cui frequente la Pholadomga Miirchisoni, Sow., questi dimostrano la presenza del batoniano, avente una po- tenza di ben 400i». La parte più profonda di tale orizzonte è il calcare grigio descritto dal La Marmora col nome di calcare cristallino di Alghero, e che si vede a sud di questa città presso la Torre dello Sperone, al Monte Zirra e al piede del Monte Timidone : dove il calcare grigio manca, vedesi in basso un calcare bruno oolitico con coralli. In altre località seguono altri strati a Pecten Pentacriniis. La massa principale dei fossili trovasi però in altro orizzonte suc- cessivo con abbondanza di Nerinea, Pteroperna, Isocardia, ecc., cui segue il li- vello più elevato a Pholadomga, Ceromga, Homomga, ecc. Nella stessa Nurra havvi il cretaceo nei monti Agnese, Alvaro ed Elva, ed in altri luoghi, rappresentato da un calcare bianco con Hippiirites e AefeO' nella, insieme a radioliti e coralli indeterminabili : esso rappresenta probabil- mente il senoniano inferiore e il turoniano superiore. — 248 — In quanto alla costa orientale, l’autore osserva che tutta o quasi tutta la zona ritenuta cretacea appartiene al giurese superiore (malm). La tettonica di questo complesso dolomitico e calcareo è costante per la intiera zona da Capo Figari sin presso Tortoli, cioè a stratificazione e trasgressione sulle antiche roccie cristalline (graniti e scisti), con l’intermediario in alcuni punti di un sottile banco di arenaria gialla o rossiccia. IN’ella parte calcarea, della potenza di 300 a 400 m., non sono rari i fossili, fra cui belemniti, nerinee, piccole am- moniti indeterminabili e coralli : nerinee si trovano pure nel calcare dell’Isola Tavolara, Yero cretaceo non esisterebbe sopra il giurese in tutte queste zone della Sardegna. Deprat J. — U origine de la protogine de Corse, (Comptes rendiis Acad. des Se., T. CXLI, n. 2. pag. 151-153). — Paris, 1905. Tal roccia forma una striscia quasi continua fra la parte eruttiva e quella sedimentare della Corsica, della lunghezza di circa 90 chilometri, con larghezza variabile e struttura talvolta prossima alla granulile, tal’altra al granito; essa costituisce in parte le più alte cime dell’isola. Dallo studio fattone in posto l’autore conchiude che il protogino di Cor- sica, localizzato al contatto della regione sedimentare orientale straordinaria- mente piegata con la regione eruttiva occidentale, non è il prodotto di una spe- ciale eruzione, ma bensì un complesso di roccie antiche identiche ai diversi tipi eruttivi dell’isola, formante una zona rotta e laminata a contatto della re- gione piegata. La intensità del fenomeno va diminuendo coll’allontanarsi da quest’ultima sino a che si arriva ai tipi normali (graniti, granulite, ecc.) pas- sando per tutte le transizioni possibili. Deprat J. — Sur les dépóts carhonifères et permiens de la feuille de Vico (Corse) et leurs rapports aree les éruptions orthophgrigues et rligo- litiqiies, (Comptes rendus Aoad. des Se., T. CXLI, n. 22, pag. 922-924). — Paris, 1905. Da studi precedenti era nota la presenza di alcuni frammenti isolati di roccie sedimentari sulla costa occidentale della Corsica e precisamente fra i golfi di Porto e di Calvi, i quali in seguito al rinvenimento di impronte ve- getali, sono stati attribuiti al carbonifero : tale attribuzione fu più tardi confer- mata per la scoperta fatta a Galeria dal Maury (vedi più avanti) di un Prodnctiis semireticularis , L’autore, nel rilevamento del foglio di Yico, ebbe occasione di riprendere in esame questo terreno, specialmente a Osani, e di stabilire la successione dei vari livelli del carbonifero ivi rappresentati. Egli rinvenne inoltre altri lembi dello stesso terreno che gli diedero mezzo di determinare con certezza l’età delle rioliti, e di rifare la storia delle eruzioni avvenute in Corsica alla fine del paleozoico, e cioè : durante l’opera carbonifera potenti eruzioni trachitiche, alternanti con strati tufacei; nel permiano altre formida- bili eruzioni formanti colate di riolite che raggiunsero in certi punti uno spes- sore di metri 700 a 800, con varietà numerosissime: ad epoca posteriore appar- tengono le labradoriti e le andesiti antiche, tanto comuni in tutta la Corsica occidentale. Deprat J. — Sur la présence de trachytes et d' andesites à hypersthène dans le Carboni f ère de Corse. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXLI, n. 26, pag. 1249-1250). — Paris, 1905. Xello studio delle trachiti carbonifere in colate e filoni, di cui nella nota precedente, l’autore riconobbe dei tipi interessanti di roccie, e fra questi le tra- chiti a iperstene formanti oggetto della presente. Queste roccie di colore chiaro, hanno l’aspetto di lave recenti; l’esame microscopico vi rivela la sanidina, l’andesina oligoclasica, l’iperstene, l’augite, al primo tempo, mentre al secondo si mostrano dei microliti d’iperstene, d’augite, di magnetite e specialmente d’ortosio. Riassumendo, l’autore osserva che la presenza di roccie vulcaniche a pi- rossene rombico nel carbonifero di Corsica è un fatto molto interessante, benché sia già stato riconosciuto in altre località da altri. Deprat J. — Les roches alcalìnes des environs diEvìsa {Corse). (Comp- tes rendus Acad. des Se., T. CXLII, n. 3, pag. 169-171). — Paris, 1906. In questa località della Corsica occidentale si trovano granuliti sodiche, di tipi svariati, dimostranti una successione di iniezioni filoniane di acidità de- crescente entro la massa principale, costituita da granuliti a riebeckite ed egi- rina di tipo normale, ricche in anortose ed albite, con tenore in silice intorno a 76 % e quarzo abbondante. La composizione normale di queste roccie è la seguente: quarzo, ortose, albite, riebeckite e talvolta egirina, astrofillite, zircone e fluorite. Riassumendo, le roccie alcaline d’Evisa appartengono ad un magma spe- ciale, che sembra avere dato al principio potenti masse intrusive molto acide, abbastanza ricche in soda, ma di cui l’acido andò decrescendo con aumento dell’alcali, finché nei tipi più recenti havvi la soda dominante. Circa l’età l’au- tore ritiene i tipi più acidi anticarboniferi ed i più basici formatisi verso la fine del carbonifero. 17 — 250 — Deprat J. — Feuille d’ Ajaccio. Compte rendu pour la campagne de 1904. (Bull, des Services de la Carte Gréol. de la Fr. et des topogr. souterr., T. XYI, n. 105, pag. 143-148^ con tavola). — Paris, 1905. Nell’ area di questo foglio della Carta geologica della Corsica, in corso di rilevamento, l’autore riconobbe i terreni seguenti: Gneiss anflbolici, commisti con anfiboliti, micascisti e leptiniti, passanti presso il grande massiccio granulitico Salario-Yignola a gneiss rossi granulitici carichi di mica bianca. Sembrano rappresentare un lembo di terreno sedimentare com- pletamente metamorfosato dal granito e dalla granulite che l’attraversano in forma di filoni. Graniti a composizione normale di biotite, ortose e oligoclasio, quasi sempre a struttura porfiroide per belli e grossi cristalli geminati di ortose: in minor grado le varietà a grana fine, quella anfibolica e quella sopramicacea, oltre ad una bella sienite epidotica (Matoni). Occupano una estensione rilevante. Gramiliti tipiche a mica bianca, spesso passanti a pegmatite, talora gra- natifere : esse sono attraversate da una serie di roccie filoniane di tipi diversi, quali granulite a due miche, kersantite quarzifera, apliti diverse, microgranuliti, microdioriti, porfidi diversi. Le granuliti tipiche hanno aspetto porfiroide e formano masse considerevoli entro i graniti. Roccie basiche massiccie, rappresentate dalla potente massa di diorite delle Isole Sanguinarie, con segregazioni di orneblendite, e attraversate da granuliti. Altra diorite vedesi presso Lopigna , distintamente anteriore al granito, e formando una massa enorme che sembra essere stata inglobata nel magma granitico, il quale in vicinanza si vede sovracarico di antibolo. La nota è corredata da una sezione geologica del gruppo di Monte San- t’Eliseo a nord-est di Ajaccio e da una carta idrologica del bacino del fiume Grravone. De Stefani C. — I proietti di lemotefrite nei Campi Flegrei. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 11, 1® sem., pag. 598-603). — Roma, 1905. Benché abbondanti nel Monte Somma, e più ancora nel Yesuvio, le roccie leucitiche furono di rado indicate nei Campi Flegrei, e in località diverse da vari autori; in realtà però trovansi in grossi massi soltanto a nord del Lago d’ Averno, in mezzo a tufo pomiceo e insieme con trachite augitica olocristal- lina. Altrove dette roccie esistono soltanto in frammenti sporadici e rari, in proietti e talora in ghiaie, ma trovansi un po' dappertutto e di preferenza ai due estremi est ed ovest della regione, mentre sono più scarse nella parte cen- trale. L’autore ha esaminato un certo numero di tali proietti e dà qui i risul- tati del suo esame, conchiudendo che la leucotefrite basaltoide tipica, prevalente — 251 — nella parte orientale, è la stessa del Somma- Vesuvio, mentre nella occidentale havvi la varietà fonolitoide. Stratigraficamente poi la leucotefrite è più abbondante nelle zone inferiori del tufo grigio e nel tufo giallo, insieme a proietti di tufo verde, il che prove- rebbe la sua pertinenza al sottosuolo più profondo, corrispondente ai primi tempi della vulcanicità flegrea. De Stefano Gt. — Fossili cretacei nel Bartoniano dì Piatì {Calabria). (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Voi. XLIII, fase. 4^, pag. 331-382, con tavola). — Milano, 1905. La memoria consta di due parti, l’una stratigrafica, l’altra paleontologica, cui precedono alcune notizie storiche su lo studio del cretaceo nella provincia di Reggio Calabria. Velia prima parte, premessa una descrizione topografica della località, l’autore esamina le formazioni esistenti nel bacino che dai piani dell’ Aspromonte scendono al mare, e cioè gli gneiss e micascisti fondamentali, le arenarie e i conglomerati del terziario medio, le argille eoceniche coi calcari nummulitici, appartenenti al piano bartoniano delle vallate del Piatì e del suo confluente Bollarino, infine i blocchi calcarei sparsi fra dette argille, che parrebbero de- rivare dallo sfacelo di formazioni secondarie appoggiate all’arcaico e distrutte per grandi perturbamenti in epoca terziaria. Detti blocchi apparterrebbero in parte al titoniano per analogia litologica con quelli del Monte Consolino di Stilo, e in parte al cretaceo superiore per fossili contenuti, i quali si trovano pure isolati entro le argille e rimaneggiati. Velia parte paleontologica l’autore fa la descrizione delle specie, raggrup- pate come segue; Echinidi (4), Lamellibranchi (55), Dasteropodi (1), Cefalo- podi (2); di queste sono nuove: Ostrea platiensis, 0. simplex, Anatina elliptica. La fauna cretacea di Piatì è nel suo complesso analoga a quella del ri- manente della Calabria e del nord-est di Sicilia, e contiene specie identiche a quelle dei piani medii e superiore del cenomaniano dell’Algeria e in parte a quello del cenomaniano-turoniano del Portogallo. Poche specie di molluschi poi sono caratteristiche dell’albiano. Un quadro comparativo indica la distribuzione topografica delle specie nelle località calabresi sinora esplorate, e nella tavola annessa sono figurate alcune delle specie descritte, comprese le tre nuove. Di Franco S. — La phakolite delPisola dei Ciclopi. (Boll. Acc. Dioenia di Se. nat., fase. LXXXIII, pag. 7-10). — Catania, 1905. Questa zeolite, già descritta dal Zambonini per la località di Vallerano nei dintorni di Roma (vedi Bibl. 1902), venne ora riconosciuta dall’autore in un — 252 — basalto analcimico dell’isola dei Ciclopi presso Aci Castello (Sicilia), roccia che aveva già dato all’autore la herschelite e la gmelinite (vedi Bihl. 1902 e 1904). minerali molto affini alla suddetta, al punto che sono stati da alcuno considerati quali varietà delle cabasite. I cristalli di phakolite compaiono nelle cavità del basalto, accompagnati generalmente da phillipsite, e mai vi si trovò associato l’analcime tanto fre- quente in quelle località. Essi sono incolori, hanno dimensioni da 2 a 3 mill. e presentano delle particolarità cristallografiche che l’autore espone, dando pure la figura di due cristalli. Di Franco S. — Le inclusioni nel hasalte delVisola dei Ciclopi. Xota pre- ventiva. (Boll. Acc. Dioenia di Se. nat., fase. LXXXIY, pag. 17-18). — Catania, 1905. Esse si manifestano con tinte più chiare di quelle della massa e a con- torno irregolare, e sono riferibili a inclusioni di roccie estranee, con vari stadii di metamorfismo da una marna ancora bene conservata sino ad una roccia compatta litoide dell’aspetto di pietra cornea. Spesso nelle inclusioni esistono cavità, nelle quali si osservano molti minerali, quali pirosseni, ciclopite, asbesto, calcite, arragonite, molibdenite, magnetite, pirite, mica ed altri ; più diffuse vi sono le zeoliti. Riservando altri particolari a studio completo, l’autore osserva fin d’ora che in dette inclusioni, appena il metamorfismo vi è sviluppato, si nota una struttura cristallina più o meno avanzata, e la formazione di una zona di con- tatto col basalto. Eastman C. R. — Les types de poissons fossiles dii Monte Solca aii Museiim d'histoire natiireUe de Paris. (Mém. Soc. Géol. de Fr., T. XIII. pag. 31, con 5 tavole). — Paris, 1905. Xell’illustrare la ricca raccolta di pesci eocenici dei monti Bolca e Postale esistente nel Museo di storia naturale di Parigi, 1’ autore ha potuto constatare che un certo numero di tipi erano stati solamente nominati da L. Agassiz e quindi sono rimasti inediti. Questi sono : Ghanoides leptostea, Coelogaster anaìis Platinx intermediiis, Eomgvns formosissimiis, E. interspinalis. Anguilla bran- chiostegalis. Ermisch K. — Neue Untersiichimgen B, Lottis aiif Elba: Silberhaltige Bleierse bei Bosseto. (Zeitschrift fùr praktisclie Geologie, Jahrg. 1905. H. 4, pag. 141-145). — Berlin, 1905. E una traduzione libera dell’articolo dell’ing. Lotti sulla scoperta di mine- rali plambo-argentiferi all’isola d’Elba, inserito Rassegna mineraria. Xo- lume XXI, n. 16 (vedi Bibl. 1904). — 253 — Ekmisch K. — Dìe gangfórmigen Erslagerstdtten der Umgegend von Massa Marittima in Toshana aiif Grand der Lottischen Untersu- chungen. (Zeitschrift tiir praktische Greologie, Jahrg. XII [, H. 6-7, pag. 206-241). — Berlin, 1905. L’autore riassume in questo lavoro una parte della memoria dell’ingegnere Lotti sui giacimenti metalliferi di Massa Marittima {Mem. descrìtt. della Carta geologica d’Italia, Vili, 1893) con aggiunte e osservazioni sue e colla comuni- cazione dei risultati dello studio eseguito dal prof. Beck di Freiberg su sezioni sottili di roccie della località e delle quali si uniscono le fotografie. A complemento del lavoro stesso vien riportata una nota del Lotti, nella quale sono esposte le ragioni per cui deve insistere sulla classificazione data dai giacimenti metalliferi del Massetano e nella spiegazione della loro genesi contrariamente ad alcune idee espresse dall’Brmisch, non del tutto consone con le sue. Oltre alle fotografie microscopiche di cui sopra, sono inserite nel testo nu- merose sezioni ed una carta d’insieme al 125,000 della regione coi rilevamenti geologici fattivi dal Lotti. Fabiani E. — Studio geo'paleontologico dei Colli Serici. Nota preven- tiva. (Atti E. Istituto veneto, S. 8% T. 7*^, disp. 10% pag. 1797-1889). — Venezia, 1905. L’autore, che ha fatto uno studio particolareggiato di questa regione del Vicentino, in attesa di poterne fare la pubblicazione completa, dà nella pre- sente nota un ampio sunto delle sue osservazioni, ed in special modo di quelle paleontologiche, facendole precedere da un riassunto della serie delle forma- zioni che vi si presentano. La più antica di queste è il senouiano, rappresentato dalla Scaglia rosea che affiora lungo il versante orientale dei Serici e forma quasi in totalità le colline poste tra questi e gli Euganei. Seguono le formazioni eoceniche riferi- ribili ai piani Ipresìano, Luteziano e Bartoniano, le oligoceniche rappresentate dal Tongriano e dallo Stampiano, le mioceniche a facies aquitano-langhiana e infine il quaternario. Tutte queste formazioni sono ricche dal più al meno di fossili, dei quali l’autore enumera oltre a 500 specie, di cui ben 128 sono nuove 0 non ancora segnalate nella regione. I piani più ricchi sono: il luteziano con 242 specie, il bartoniano con 100, il tongriano con 88 e lo stampiano con 78. 11 quaternario, rappresentato da depositi di caverne e da torbiere, si divide in due parti distinte secondo il predominio dell’f7/’s?«.9 spelaeiis Eos. o del Gerviis elaphns Lin. Chiude il lavoro un breve capitolo di riassunto e conclusioni, cui si ag- giunge l’elenco delle specie fossili indicate ed una tavola sinottica delle for- — 254 — mazioni dei Colli Berici, con il parallelo di quelle note in altre parti del Ti- centino. Fabiani E. — / molluschi eocenici del Monte Postale conservati nel Museo di geologia della B, Università di Padova. (Atti Acc. scient. veneto- trentino-istriana, Anno II, fase. 2°, pag. 145-158, con tavola). — Padova, 1905. Premesso l’elenco delle specie costituenti la collezione suddetta, l’autore fissa la sua attenzione sopra 7 di esse, specialmente interessanti, e delle quali fa la descrizione, fermandosi specialmente sulla Gisortia Hantkeni Heb. et Mun.. nota di altre località del Veneto e per la quale, a causa di particolari carat- teri, l’autore propone il nuovo genere Vicetia. Con figure inserite nel testo e nella tavola annessa sono disegnate le forme descritte. Fantappiè L. — Studio cristallografico del Peridoto di Montefiascone . (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Voi. XIY, fase. 1^, 1° seni., pag. 17-23). — Eoma, 1905. Con altra nota (vedi Bibl. 1897) Fautore faceva conoscere questo minerale dei dintorni di Montefiascone (regione vulsinia) e accennava alla paragenesi di esso con magnetite e pirosseno. Ora, dopo raccolto nuovo materiale, ne ha fatto lo studio cristallografico completo, i risultati del quale espone nella pre- sente nota. Da questi si deduce che il peridoto è rappresentato nel giacimento da alcuni termini di crisolite tipica, che mostra un equilibrio di costituzione molto resistente alla variazione delle condizioni di formazione. Ferro A. A. — U acqua nelVlienlandite di Montecchio Maggiore. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 3^ 2^ sem., pag. 140-145). — Eoma, 1905. Dai lavori di E. Friedel (v. Bull. Soc. fr. de Min., 1896-99) sopra analcime, cabasite ed armotomo era risultato che l’acqua di queste zeoliti è semplice- mente inclusa e non già combinata chimicamente. L’autore estese tali ricerche alla heulandite di Montecchio Maggiore, già nota per altri studi sotto il punto di vista cristallografico, ottico e chimico, sottoponendola all’azione di disidra- tanti e ad aumento di temperatura. Da queste esperienze egli conchiude che il 7 % dell’acqua contenuta nel minerale si evapora sollecitamente ed è quindi igroscopica, e che il rimanente 3 %, che si elimina con maggiore difficoltà, equivale esattamente a tre molecole e potrebbe rappresentare acqua di costi- tuzione. Ferro A. A. — L'origine delle terre gialle veronesi. (Atti Soc. Ligustica di Se. nat. e geogr., Voi. XYI, n. 3, pag. 179-197). — Genova, 190r>. Le terre gialle veronesi, tanto conosciute ed usate per la purezza della loro tinta, provengono dai calcari eocenici formanti gli ultimi speroni dei Monti Lessini nelle vicinanze di Verona e precisamente da cavità esistenti nei me- desimi. Premesse alcune notizie intorno al giacimento ed all’ importanza di queste terre, l’autore ne ricerca la genesi partendo dalla osservazione e da ricerche sperimentali ; e conchiude trattarsi di una limonite derivante dall’alterazione di piriti disseminate entro una massa calcarea maggiore dell’attuale, avvenuta per azione chimico-meccanica delle acque sotterrane© con successivo trasporto e de- posizione nelle cavità del calcare stesso. Siffatto processo sarebbe tuttora in attività. Folco C. — Rocce eruttive ad Acquaresi. (Eesoconti riunioni Ass. mi- neraria sarda. Anno X, n. 6, seduta 18 giugno 1905, pag. 11-12, con tavola). — Iglesias, 1905. Trattasi di una massa eruttiva che sorge in mezzo alle roccie sedimentari (calcari, dolomie, arenarie) nelle vicinanze della miniera Acquaresi in Sar- degna. All’analisi chimica fu riconosciuta per un silicato a circa 73 % di silice, ed all’esame microscopico presenta una pasta felsitica, silicea in gran parte, con interclusi di quarzo, di olivina ed altri cristallini alterati in calcite ; come acces- sorio havvi circa 1’ 1 % di carbonato di rame. FoRNAsmi C. — Sulle spirolociiline italiane fossili e recenti. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi XXIV, fase. 2^^^ pag. 387-400). — Eoma, 1905. In questa nota, di carattere puramente paleontologico, l’autore conchiude che se da un lato sono abbastanza numerose le osservazioni fin qui fatte sulle spiroloculine fosssili d’Italia, dall’altro il modo col quale fu reso conto di tali osservazioni non permette affatto di presentare risultati soddisfacenti sulla di- stribuzione del genere in parola, molte essendo le incertezze e parecchi gli equivoci. Franchi S. — Appunti geologici sulla sona diorito-kinsigitica Ivrea-Verhano e sulle formazioni adiacenti. (Boll. E. Comitato Geol., Voi. XXXVI, n. 4, pag. 270-298). — Eoma, 1905. Con questo studio l’autore rende conto dei principali risultati del suo rile- vamento geologico nella Valle Sesia e nel Biellese. Le più importanti conclusioni a cui giunge si possono così riassumere: — 256 — La grande massa dioritica che si conserva, pur presentando una gran- dissima varietà di tipi litologici, molto unitaria fra la Dora ed il Xastellone, a 'N.O di esso è costituita dalla massa degli gneiss- Strona con lenti di roccie basiche dioriti che e di calcefiri, che ripiegano nella Valle Sabbiola e nell’alta Valbella. 2” La grande massa dioritica, gli gneiss-Strona e le minori masse basiche intercalate costituiscono una formazione unica, dalla quale non si possono di- sgiungere i micascisti del Lago Maggiore. 3® Tale formazione in cui si intrudono i graniti ed i porfidi fra il Lago suddetto e Biella è di età antipermiana e vien denominata zona dìorito-Mnsi- gitica Ivrea- Verbano a causa dell’abbondanza di roccie kinzigitiche tanto carat- teristiche nel complesso scistoso includente le roccie basiche. 4*^ La presenza in molti punti fra Montaldo-Dora e Scopello, al limite V.O della grande massa dioritica, e fra questa e la striscia melafirfca del Biellese, di sottili affioramenti calcari in mezzo ad una zona di scisti sericitici, indicherebbe per l’autore una probabile zona permo-triasica collegata con quella di Montaldo-Dora e corrispondente a quella quasi continua che in analoga po- sizione fu osservata fra Rimella e Finero. 5® La seconda zona dioritica di Gterlach mostra una costituzione analoga alla parte orientale della zona precedente, con prevalenza delle roccie scistoso- stratificate, fra cui sono pure kinzigiti, sulle basiche dioritiche, gabbriche e pe- ridotitiche. Franchi S. — A proposito della riunione in Torino della Società geologica di Francia^ nel settembre 1905. (Boll. R. Comitato Geo!., Voi. XXXVI, n. 4, pag. 298-313). — Roma, 1905. L’autore, non avendo potuto seguire tutte le escursioni fatte dalla Società geologica di Francia in Italia, espone alcune osservazioni in merito a discussioni avvenute in alcune delle sedute, riguardanti argomenti di geologia alpina dei quali ebbe ad occuparsi, e specialmente: 1® Sull’età delle formaziani cristalline del gruppo di Veltri. 2® Sulla presenza o meno dell’eocene nella zona delle pietre verdi. 3® Sull’età della formazione scistosa di Valle Polcevera. 4® Sulla coevità delle pietre verdi colle roccie scistose in cui sono incluse. 5*^ Sulla presenza di masse brecciose ad elementi dolomitici nella forma- zione cristallina secondaria della sinclinale di Courmayeur. Friedlander B. e Aguilar E. — Una visita a Stromboli (dal Boll. Soc. di Naturalisti, Voi. XIX, pag. 40-47). — Napoli, 1905. Nella prima parte della nota sono descritti i fenomeni eruttivi dello Strom- boli osservati dagli autori nella notte dal 17 al 18 settembre 1904. Fra essi 257 — merita speciale menzione la presenza, in alcune esplosioni, di fiamme azzurro- gnole di notevoli dimensioni (altezza non inferiore a m. 2), poco luminose e a contorni poco netti ; il che proverebbe la presenza di gas combustibili, emessi a grande pressione e ardenti con fiamma bluastra poco luminosa. Dalle fuma- role si emetteva senza interruzione un copioso fumo bianco : sensibile era poi l’odore dell’acido cloridrico, dell’anidride solforosa, e in alcune fumarole quasi estinte, sull’orlo dell’antico cratere, dell’acido solfidrico. Ideila seconda parte gli autori fanno un confronto dello Stromboli con altri vulcani attivi e spenti, venendo a conchiudere che la formazione orografica ed i caratteri dinamici dei vulcani dipendono principalmente dalla fluidità del magma, o in altri termini dalla composizione e dalla temperatura di esso. Questa conclusione si accorda in gran parte con la classificazione dei vulcani e delle loro manifestazioni nei due tipi noti sotto i nomi di stromboliano e vulcaniano, appartenendo i primi ai magma più scorrevoli ed i secondi a quelli più viscosi, ovvero, secondo la composizione, ai più basici ed ai più acidi. Fucini A. — Lamellibranchi di lias inferiore e medio delV Appennino centrale esistenti nel Museo di Pisa. (Atti Soc. Toscana di Se. nat., Memorie, Voi. XXI, pag. 58-82, con tavola). — Pisa, 1905. De specie descritte in questa memoria si dividono in tre gruppi, apparte- nenti ad altrettanti livelli, e cioè: 1*^ Del lias inferiore, con forme caratteristiche ma insufficienti per determinare con precisione le zone dalle quali proven- gono e per istituire esatti confronti con altri depositi della stessa epoca. Sono in numero di 9, delle quali 3 ancora inedite, riconosciute e nominate dal Cana- vari. — 2^ Del lias medio, parte inferiore, con 6 forme, di cui 2 c. s. — 3® Del lias medio, parte superiore, con 9 forme, di cui 1 c. s. e altre 4 nuove, stu- diate dall’autore e da lui denominate : Lima Canavarii, Niicnla apenninica, Nncnla simplex e Ceromia Battellii. Dette specie sono figurate nella tavola annessa. Fucini A. — Note illustrative della Carta geologica del Monte Cetona (dagli Annali Università toscane, T. XXY, pag. 68 in-4^, con tavole di sezioni e carta geologica). — Pisa, 1905. In queste note, che hanno l’importanza di una vera memoria, l’autore descrive la costituzione del Monte di Cetona, nella parte meridionale della pro- vincia di Siena, del quale ha già illustrato i fossili (vedi Bihl. 1901 e seguenti). Premesso un cenno sugli studi fatti in addietro sul Monte, egli ne descrive la serie dei terreni dal basso in alto, come segue: Retico\ con due piani, uno di calcari grigi gessificati, un altro di calcari e scisti grigi con Aviciila contorta e calcari cavernosi. 2® Lias\ con i soliti tre orizzonti dell’ inferiore, medio e superiore. Il primo distinto in due zone, l’ inferiore con calcari bianchi cerulei a Chemnitsia psendotiimida, il superiore con calcari a lastre grigi e rossi ad Ariefìtes e Eliaco- phijllites^ segue il medio con calcari a lastre grigi e rossi selciferi, ad Harpo- ceras e Coeloceras ; viene infine il superiore con calcari marnosi a Posidonomija Broiini, calcari variegati a Hildoceras bifrons e ftaniti. 3® Titoniano, dubitativamente, con diaspri grigi e rossi, manganesiferi ad aptici. 4° Eocene superiore, con calcari marnosi, scisti argillosi grigi e rossi, con arenarie e roccie diabasiche in dicchi. 5® Pliocene^ cingente quasi por intiero la montagna, con due formazioni litologiche diverse, cioè calcari a Lithothamniiim ed Amphistegina, argille, sabbie e conglomerati. 6® Quaternario con travertino a vegetali e molluschi d’acqua dolce, dei dintorni di Sarteano, di Cotona e di San Casciano de’ Bagni. 7^^ Recente, con le alluvioni del torrente Astrone, confluente della Chiana, e la terra rossa formatasi sopra le regioni calcaree pianeggianti. Tratta in seguito della tettonica, la quale è molto caratteristica nel Monte di Cotona, trattandosi di una anticlinale diretta nord-sud, fortemente erosa a ponente e con parziale rovesciamento elicoidale a levante. Yi si manifesta poi una faglia longitudinale che nell’estremo lembo sud ha dato origine alle sor- genti termali di San Casciano. Il sollevamento che diede al Monte l’attuale sua conformazione, avvenne in epoca postpliocenica, trovandosi ora il pliocene sollevato sino a m. 846 sul mare, in corrispondenza dell’asse della sinclinale dei terreni secondari. La memoria è accompagnata da una serie di sezioni longitudinali e trasver- sali, non che da una Carta geologica a colori nella scala di 1 a 50,000. Fucini A. — Cefalopodi liassìci del Monte di Cetom. Parte 5^ ed ultima. (Palaeontographia italica, Yol. XI, pag. 93-146, con 9 tavole). — Pisa, 1905. In questa ultima parte del lavoro (per le altre vedi Bihliog. 1901 a 1904), l’autore descrive le specie rimanenti del genere Hildoceras in numero di 17. fra le quali 5 nuove, quelle del genere Coeloceras (n. 19 con 12 nuove) e dei generi Atractites (n. 2) e Nantilns (n. 2). In appendice havvi la descrizione di un Lijtoceras e di un Arnioceras. Le specie nuove descritte in questa parte sono ; Hildoceras Bastianii, H. Targionii, H. diihiosum, H. rimotiim, H. tgrrheniciim, Coeloceras psiloceroides, C. asperiim, C. aegriim, C. Avansatii, C. fallax, C. simulans, C. snblaeve, C. inter- medium, C. obesiim, C. levicosta, C. subcrassum, C, inceriiim. — 259 — Per le considerazioni cronologiche sulla presente fauna, Tautoro rimanda alla memoria sul Monte di Cotona, limitandosi a diro che le specie esaminato sono 190, con 44 varietà distinte, così ripartite : 124 dei calcari grigi e rossi inferiori (lias inferiore e lias medio, parte inferiore), 61 dei calcari grigi e rossi superiori (lias medio, parte superiore) e 5 dei calcari più alti appartenenti al lias superiore. Le specie nuove sono 72 e le varietà 32. JN’elle tavole unite sono figurate le forme descritte in quost’ultima parto del lavoro. Galdieri a. — Osservasionì sui terreni sedimentari di Zannane (Isole Pontine). (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^ Yol. XI, fase. 2 e 3, con tavola, pag. 38-45). — Napoli, 1905. Questi terreni, affioranti sotto il mantello vulcanico nel bordo nord-est dell’isola, erano da tempo conosciuti, ma di età indeterminata per mancanza di fossili, i quali vi furono per la prima volta raccolti in occasione di una escur- sione fattavi dalla Società geologica italiana nel 1898. Tuttavia il riferimento cronologico di quelle roccie rimase alquanto dubbioso; e l’autore recatosi sul posto appositamente per la ricerca di nuovi fossili e per nuove osservazioni, potè più tardi risolvere ogni dubbio sulla età di quei terreni, attribuendoli per gran parte al trias superiore e pel rimanente all’ eocene. Dalla descrizione che l’autore fa di questi terreni si rileva la seguente serie dal basso in alto : 1® Trias superiore : scisti verdi lucenti, simili a quelli del trias superiore di Calabria, costituiti da una fillite sericitica, di cui viene data la composizione chimica ; calcari dolomitici scuri, cui succedono altri ora scuri ed ora chiari, ora cristallini ed ora farinosi, spesso bituminosi, in qualche punto fossiliferi, rappresentanti della dolomia principale, con potenza di ben 500 metri ed occupanti tutto il bordo nord-est dell’ Isola sino al Capo Negro. 2® Eocene superiore: da detto capo o punta settentrionale dell’isola, si passa verso ponente con discordanza all’ eocene, rappresentato prima da scisti argillosi scuri, quindi da strati calcareo-marnosi fossiliferi, coperti dalle formazioni vul- caniche costituenti tutto il rimanente dell’isola (rioliti e tufi riolitici). Nella tavola annessa havvi una cartina geologica delbisola in scala di 1 a 25,000, e due sezioni al 10,000, mostranti la disposizione dei due gnippi di roccie sedimentarie affioranti sotto il mantello vulcanico. (Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO CEOLOGICO (30 lOOO) L.IBRI Bollettino del R. Comitato Creologico; Voi. I a XXXVI, dal 1870 al 1905. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Introduzione. — B. Gastaldi: Stiidii geologici sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla forinasione ter diaria nella sona solfifera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrisione geologica deirisola d'’Elha. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Un volume in-4® di pag. 364 con tavole e carte geologiche . » 35 — Voi. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Introduzione. — 0. W. C. Fuchs: Monografia geologica delVIsola d’’ Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formasione tersiaria nella sona solfifera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Dn volume in-4° di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 — Voi. II, Parte 2*^. Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Dn volume in-4° di pag. 64 con tavole » 5 — Voi. Ili, Parte P. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponsa. — C. De Stefani: Geologia del Monte Pisano. — Dn volume in-I^^ di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche , » 10 — Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia dell’ Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spesia. — Dn volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 — Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica fiuorifera della Campania. — G. Terrigi : / depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellasione presso la via Appia antica. — Dn volume in-4° di pag. 136 con tavole » 8 - — 2G1 — Voi. lY, Parte 2^ Firenze 1893. — C. A. Weitiiofer: Pro- . hoscidianì fossili di Valdavno in Toscana. — M. Canavari: Idrosoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — Un volume in-4® di pag. 214 con tavole . . . L. Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrisione geologica delV Isola di Sicilia. — Un volume in-8® di pag. 4.36 con tavole e una Carta geologica » Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti; Descrisione geologica del- risola d'^Elba. — Un volume in-8® di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » Voi. III. Roma 1887. — A. Farri; Belasi one sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » Voi. lY. Roma 1888. — Gr. Zoppi; Descrisione geologico-mi- neraria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » Yol. Y. Roma 1890. — C. De Castro; Descrisione geologico- mineraria della sona argentifera del Sarrabiis {Sardegna). — Un volume in-8^ di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » Yol. YI. Roma 1891. — L. Baldacci; Osservasioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8‘^ di pag. 110 con Carta geologica annessa. » Yol. YII. Roma 1892. — E. Cortese e Y. Sabatini; De- scrisione geologico-petrograflca delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» Yol. YIII. Roma 1893. — B. Lotti; Descrisione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » Yol. IX. Roma 1895. — E. Cortese ; Descrisione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica . » Yol. X. Roma 1900. — Y. Sabatini; I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Lasiale. — Un vo- lume in-8° di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » Yol. XI. Roma 1902. — A. Stella; Descrisione geognostico- agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » Yol. XII. Roma, 190.3. — Autori diversi; Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8® di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » Appendice al Yol. IX. Roma, 1904. — G. Di-Stefano ; Os- servasioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8*^ di pag. 120, con tavola di sezioni » 16 10 10 20 15 8 6 8 8 12 12 8 10 3 — 262 — CARTE Carta ^eolo^ica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in cine fogli; 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e co23ertina. — Roma 1886 . » 100 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio Y. 211 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio Y. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 218 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara delYallo) » 3 » 219 (Palermo) . . . » 1 — » 266 (Sciacca) ...» 1 » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicattì) ...» 5 » 251 (Cefalù) .... » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 » 252 (Yaso) .... » 1 — » 269 (Paterno) ...» 5 » 253 (Castroreale) . . » 1 — » 270 (Catania) ...» 3 251 (Messina) . . . » 1 — » 271 (Girgenti) ...» 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 1 » 257 (Castelvetrano) . » 1 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 271 (Siracusa) ...» 1 » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 260 (Mcosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» 3 » 261 (Brente) .... » 5— ' » 277 (Foto) . . . . » 3 Tavola di sezioni IST. I (annessa ai fogli 219 e 258) , . L. 1 — » » 'N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 1 — » ' » IN”. Ili (annessa ai fogli 253, 251 e 262) » 1 — » » ]Sr. lY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 1 — » * » Y (annessa ai fogli 273 e 271) . . » 1 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 NB. / fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio 'N. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — Foglio Y. 212 (Catanzaro) . . L. 1 » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 213 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) • » 3 — znto) . . . » 3 y> 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 215 (Palmi) . . . » 3 » 229 (Paola) . . . » 5 — » 216 (Cittanova) . . » 5 » 230 (Rossano). . . » 1 — » 217 (Badolato) . . » 3 » 231 (Ciro) . . . • » 3 — » 251 (Messina) . . . » 1 » 236 (Cosenza) . . . » 1 — » 255 (Gerace) . . . » 1 » 237 (S. Giovanni in F.)» 5 — » 263 (Beva) .... » 3 » 238 (Cotrone) . . 3 — » 261 (Staiti) .... » 3 5> 211 (Yicastro). . . » 1 — Tavola di sezioni Y. I (236, 237, 238, 211, 212), Y. II (215, 216, 217, 255, 263), Y. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. 1 — 263 — Carta geologica della Paglia, nella scala di 1 a 100 000. ]N’e sono pubblicati i fogli seguenti : Foglio 'N. 201 (Matera) . . . L. 3 — Foglio IV. 213 (Maruggio) . . L. 1 — » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . » 2 - » 203 (Brindisi) . . . » 3 — » 215 (Otranto) . . . » 1 — » 204 (Lecce) . . . . » 2 — » 223 (Tricase) . .. . » 2 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio 'N. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio JN". 149 (Cerveteri) . » 150 (Roma) . . » 158 (Cori) . . . L. 4- » 5 — » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . L. 5. Carta geologica della Toscana {in corso di stampa), nella scala di 1 a 100 000 : ISe sono usciti i fogli: Piombino (L. 3); Grosseto (L. 4); Santa Fiora (L. 5); Orbetello (L. 4); Toscanella (L. 5); Tav. I di sezioni (L. 4). Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella’ scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888. ' » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 » 5 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IVapoli. — 264 — ■w Carta geologica della Toscana alla scala di 1 a 100,000. Sono stati pubblicati i seguenti fogli, in continuazione elei precedenti: (vedi pag. 263) N. Ili (Livorno) L. 2 » 112 (Volterra) » 5 » 113 (San Casciano) . . . » 5 N. 119 (Massa Marittima). L. 4 » 120 (Siena) » 5 Tav. II di sezioni » 4 PRESENTED 1 6FEB.1907 Annunzi di pubblicazioni Agnolucci C. — La flora fossile nella formazione carbonifera di Jano. (Uciss. miner., Yol. XXT, n. 8, pag. 141-142). — Torino, 1906. Arcidiacono S. — Il terremoto di Mineo del 26 agosto 1904. (Boll. !8oc. sismo- logica itali, Voi, XI, n. S, pag. 68-74). — ^ Modena, 1906. Baratta M. — Il grande terremoto calabro dell’S settembre 1905. I. Osòfir- vasioni fatte nei dintorni di Monteleone. (dagli Atti Soc. toscana di Se. nat., Memorie, Yol. XXII). — Pisa, 1906. Bassani Pr. e Galdieri A. — Sulla caduta dei proietti vesuyiani in Ottaiano durante P eruzione dell’aprile 1906. (Rend. Acc. Se. fis. e mat. S. 3^, Yol. XII, fase. 7« e 8^ pag. 321-332). — Xapoli, 1906. Checchia-Rispoli G. — Sull’Eocene di Capo S. Andrea presso Taormina. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XY, fase. 5®, 2^ sem., pag. 325-327). — Roma, 1906. Chistoni C. — Sulle Salse di S. Sisti in provincia di Cosenza. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3% Yol. XII, fase. 7®-8®, pag. C63-266). — Xapoli, 1906. Colomba L. — Baritina di Traversella e di Brosso. (Rend. R. Acc. dèi Lincei, S. Y, Yol. XY, fase. 7®, 2^ sem., pag. 419-428). -r- Roma, 1908. CoMANDUCCi E. e Arena M. — Analisi chimica della cenere caduta in Napoli la notte del 4-6 aprile 1906. - (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3^, Yol. XII, fase. 7®-8®, pag. 267-280). — Xapoli, 1906. ' CoNTARiNO E. — Sull’altezza delle polveri vesuviane cadute in Napoli dopo le eruzioni del 22 ottobre 1822 e dell’S aprile 1906 e sull’abbassamento subito dal cratere per le stesse eruzioni. (Ibidem, S. 3^, Yol. XII, fase. 7‘^-8®, pag. 333-335). — Xapoli, 1906. De Angelis d’Ossat G. — I veli acquiferi alla destra del Tevere presso Roma. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXY, fase. 2®, pag. 233-256). — 'Roma, 1906. De-Stefani C. — La Valle Devero nelle Alpi Pennine ed il profilo del Sem- pione. (Ibidem, Yol. XXY, fase. 2®, pag. 411-426). — Roma, 1906. Di Stefano G. — La frana del Monte S. Paolino di Sutera. (Giorn. di Geol. prat., Yol. lY, fase. lY, pag. 117-132, con 2 tavole). — Perugia, 1906. Flores E. — Su di un molare di Rhinoceros rinvenuto ad Isoletta (pro- vincia di Caserta). (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXY, fase. 2®, pag. 277-280). — Roma, 1906. Galdieri A. — Sul 'Letracarpoti 0. 0. Costa di Griffoni nel Salernitano. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3% Yol. XII, fase. 5^^ e 6^^, pag. 152-153). — Xapoli, 1906. Gortani M. — Sopra alcuni fossili neo-carboniferi delle Alpi Carniclie. (Boll. Soc. Geol. itab, Yol. XXY, fase. 2^, pag. 257-275). — Roma, 1906. Govi S. — Appunti su alcune salse e fontane ardenti della provincia di Modena. (Rivista geogr. ital., Annata XIII, fase. YII, pag. 425-431). — Firenze, 1906. Mariani E. — Alcune osservazioni geologiche sui dintorni di Bagolino nella valle del Caflfaro. (Rend. R. Ist. lombardo, S. II, Yol. XXXIX, fase. XIY, pag. 646-653). — Milano, 1906. (Segut) eseguito: V. pagina precedente) Martelli A. — Il regime sotterraneo delle acque nella Yersilia pietrasan- m tina. (Giorn. di Geol. prat., Yol. IV, fase. IV, pag. 133 155). — Perugia. 1906. ^ Mercalli G. — La grande eruzione vesuviana cominciata il 4 aprile 1906. .]■ (Memorie Pont. Acc. dei Huovi Lincei, Voi. XX E V, pag. 34, con tavola). — S Roma, 1906. ’ Xapoli P. — Contribuzione allo studio dei foraminiferi fossili dello strato ' di sabbie grigie alla Farnesina presso Roma. (Boll. Soc. Geol. ital.. Vo- f lume XXV, fase. 2°, pag. 321-376, con 5 tavole). — Roma, 1906. ■ Parisch Gl. — Di alcune nummuliti e orbitoidi delPA.ppennino ligure-pie- montese. (dalle Memorie R. Acc. delle Scienze di Torino, S. II. Voi. 56, pag. 71-96, con 2 tavole). — Torino, 1906. Pellati Fr. — Tra i meandri del passato (L’alto Monferrato nelle età pre- istoriche). (dalla Rivista di storia, arte e archeol. di Alessandria, pag. 94 in-S^^). — Alessandria, 1906. PiOLTi G — Sulla breunnerite di Avigliana. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, > Voi. XLI, disp. 15% pag. 1086-1069). — Torino, 1906. - Ponte G. — Sulla cenere emessa dall’Etna la sera del 5 gennaio 1906. (Boll. Acc. Gioenia di Se, nat., fase. LXXXIX, pag. 19-23). — Catania, 1906. PuLLÈ C. — Minerali e rocce dell’isola d’Elba e loro applicazioni industriali (pag. 24 in-8®). — Livorno, 1906. Roccati A. — Rodonite di Chiaves e di altre località delle Valli di Lanzo.^ (Atti R. Acc. Se. di Torino, Voi. XLI, disp. 8-9, pag. 487-494). — Torino. 1906. : Idem. ~ Microgranito con inclusi di gneiss del colle Brocan (Valle del Gesso • delle Rovine). (Ibidem, pag. 495-508, con tavola). — Torino, 1906. Rovereto G. — Di alcuni recenti studi sulla serie dei terreni neogenici del . bacino ligure-piemontese. (Atti Società Ligustica di Se. nat. e geogr., Vo-, - lume XVII, n. 2, pag. 121-127). — Genova, 1906. Sangiorgi D. — Le acque per la città d’Imola. (Giorn. di Geol. prat., Voi. IV,.; fase. IV, pag. 166-175). — Perugia, 1906. Scalìa S. — I fossili post-pliocenici di Salnstro, presso Motta S. Anastasia. ' (dagli Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. 4% Voi. XIX, pag. 12 in-4®).^ — - Catania, 1906. i Scotti L. — Giacimenti cupriferi delle Ferriere, provincia di Piacenza (pag. 40 in-4®). — Piacenza, 1906. ViNASSA DE Regny P. — Sull’estensiono del carbonifero superiore nelle Alpi i Carniche. (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXV, fase. 2% pag. 221-232). — I Roma, 1906. ^ Zambonini F. — Snll’epidoto dei dintorni di Cliiavriè, presso Condove, nella % valle di Susa. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 3% 2® sem., pag. 179-183). — Roma, 1906. Idem. — Sulla galena formatasi nell’ultima eruzione vesuviana dell’aprile 1906. . 9 (Ibidem, fase. 4°, 2® sem., pag. 235-238). — Roma, 1906. del presente fliscicolos IL. 4“ Trimestre Voi. ? della Herie ROMA TIP. NAZIOI^^ALE DI Gl. BERTERO E C 1906 ELENCO del personale componente il Comitato e l’UfFìcio geologico R. Comitato geologioo. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente. Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R* Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucio, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori delia Carta geologica. Diremne : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. Ufficio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi o'peratori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1. BOLLETTmO DEL R. COMITATO GEOLOGICO W ITALIA. Serie IV, Voi. VII. Auno 1906. Fascicolo SOMMARIO. Note originali. — I. - A. Stella. I giacimenti metalliferi dell’Ossola (con Tav. VII). — II. - B. Lotti. Osservazioni geologiche nei dintornf di Rieti. — III. - V. Sabatini. Ancora sulla pirossenite melilitica di Coppaeli (coppaelite). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per Tanno 1905 [continua’ sione, vedi n. 3). Elenco del personale componente il Comitato e l’Ufficio geologico alla fine del- l’anno 1906. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. illustrazioni. — Tav. VII, relativa alla nota sui giacimenti delTOssola (A. Stella) a pag. 280. — Sezioni geologiche nei dintorni di Rieti (B. Lotti) a pag. 294, 302 e 303. — Sezione microscopica della coppaelite (Y. Sabatini) a pag. 318. NOTE ORIGINALI I. A. Stella. — I giacimenti metalliferi deWO ssola, (Con una tavola). Introduzione. Con un titolo quasi uguale a questo nostro, fin dal 1836 il na- turalista e medico ossolano G. B. Fantonetti pubblicava una me- moria : Le miniere metalliche deir 0 ssola, passando in rassegna i numerosi giacimenti minerari ossolani, in buona parte allora atti- vamente lavorati. Ma oggi Fuso ha ristretto, almeno nel linguaggio tecnico, la denominazione di miniera alle masse di minerali metal- liferi industrialmente coltivate; onde io ho dovuto intitolare il mio studio ai « giacimenti » e non alle « miniere » ossolane, perchè pur troppo nell’ Ossola di miniere attive propriamente dette, ossia di gia- cimenti regolarmente coltivati, non vi è quasi più traccia. 17 — 266 — Non per questo ho reputato meno degni di studio questi gia- cimenti metalliferi durante il rilevamento geologico delle Valli del- rOssola da me compiuto in questi ultimi anni. Che anzi la mia attenzione tanto più si è ad essi rivolta per due ragioni: in primo luogo per il desiderio e il dovere di penetrare più addentro nella conoscenza scientifica di essi, specialmente dal punto di vista geo- logico; in secondo luogo per non perdere T occasione di verificare e vagliare per quanto era possibile i dati dei precedenti autori, e di raccoglierne di nuovi prima che lo spegnersi eventualmente di ogni attività mineraria nelle vecchie coltivazioni renda più arduo il farsi una idea concreta dei giacimenti stessi, certo interessanti. Il risultato dei miei studi fu in parte già reso pubblico alla Esposizione internazionale di Milano testé chiusa, nella mostra del R. Ufficio Geologico. Ivi io mi studiai di fare una illustrazione geo- logico-mineraria delle Valli delFOssola, nella quale i giacimenti me- talliferi avessero la loro rappresentazione cartografica nella Carta mineraria accanto alla Carta geologica della regione, ambedue nella scala di 1 a 50,000, e col corredo di una collezione di campioni dei principali tipi di minerali metalliferi ossolani. E sebbene le due carte, così come furono presentate, siano per ora rimaste manoscritte, io credo di potere in questo mio studio ugualmente riferirmi ad esse: giacché della Carta geologica é in corso di pubblicazione una riduzione in piccola scala, sufficiente però al caso nostro, inglobata nella Carta geologica delle Alpi Oc- cidentali al 400,000; e quanto alla Carta mineraria supplirò alla sua mancanza con alcuni profili e con alcune riproduzioni parziali di essa, ove sia necessario alla intelligenza del testo. In più casi poi potrò anche riferirmi a carte già pubblicate e fra esse anche ad una mia recente cartina geologica delle Alpi Pennine - Lepon- tine b ^ Vedi Boll, del B. Com. geol., Anno 1905, n. 1, Tav. 1^, della nota A. Stella, Il 'problema geo-tettonico delVOssola e del Sempione. — 207 — Bibliografia. Dei giacimenti metalliferi ossolani, e specialmente delle miniere d’oro, si parla in buon numero di pubblicazioni sia generali che particolari. Io comincio appunto con un elenco bibliografico, fa- cendo però astrazione da opuscoli aventi carattere di semplici rap- porti tecnico-amministrativi ; e a ciascun titolo di pubblicazione farò seguire un brevissimo cenno oggettivo del suo contenuto, ri- serbandomi di riportarne e vagliarne quelle parti ohe a noi inte- ressano, mano a mano che descriverò i singoli gruppi di giacimenti. (1) 1786.Nicolis de Robilant. — Essai géographique suivi d'une topographie souteraine minéralogique et dJune docimasie des Etats de S. M. en terre ferme. — Mém. de l’Ac. R. des Sciences de Turin. Année MDCCLXXXIV-LXXXV, P. Turin 1786, pag. 191-304. Come ispettore generale delle miniere FA., in questo primo tenta- tivo di repertorio minerario degli stati di terraferma, dà enumera- zione e alcune notizie delle miniere allora esistenti, valle per valle, accompagnandole con una carta topografica generale, in cui ne è indicata la ubicazione. Delle miniere ossolane dà l’enumerazione a pag. 218; e una tabella di risultati di saggi docimastici sui mine- rali di alcune di esse a pag. 258. (2) 1796. B. De Saussure. — Voyages dans les Alpes. — 4 vo- lumi. Neuchatel, 1796. Il celebre naturalista fu neU’Ossola nel suo sesto viaggio, quello al Monte Rosa ; nella descrizione di questo suo viaggio egli dedica il capitolo 4° (pag. 442-447 del voi. 4®) alle mi- niere d’oro di Macugnaga o meglio di Pestarena allora in coltiva- zione, fornendoci notizie interessanti di quel periodo di studi e coltivazioni minerarie nell’alta Valle Anzasca, « le pays des mines d’or ». (3) 1835. V. Barelli. — Cenni di statistica mineralogica degli Stati di 8. M. il Re di Sardegna, ovvero Catalogo ragionato della raccolta formatasi presso l’azienda generale dell’ interno. — To- rino, 1835. Questo volume è ben noto agli studiosi di cose minerarie piemontesi, come una specie di inventario molto diligente dei minerali utili piemontesi e delle ricerche e coltivazioni ad essi inerenti : in- ventario ordinato per circondari , provincie e comuni, secondo le circoscrizioni amministrative di quel tempo. Nei capitoli riguardanti le provincie di Pallanza e dell’Ossola sono enumerati i minerali utili di ciascun territorio comunale delle valli ossolane che ci interessano, e per ciascun caso sono esposte notizie concise ma precise sulle lavorazioni passate e presenti, e dati, per lo più assai buoni, sul carattere di ciascun giacimento, e sul rendimento del minerale escavato. (4) 1836. G. B. Fantonetti. — Le miniere metalliche delV 0 ssola in Piemonte. — Milano, MDCCCXXXVI, 116 pagine, con 2 tavole. E’ una monografia tecnico-scientifica preziosa, la quale, se nella parte generale geologica rappresenta un periodo scientifico sorpas- sato, nella parte speciale riguardante le miniere contiene molti dati per noi importanti e non poche osservazioni acute, specialmente nel capitolo 2° intitolato: « Miniere metalliche che si rinvengono nei monti dell’Ossola e giacitura loro ». Ivi i diversi giacimenti metalliferi sono enumerati in ordine topografico valle per valle, con descrizione particolare dei lavori di ricerca e di coltivazione a quel tempo attivi specialmente nelle miniere aurifere di Valle Anzasca, dove r autore stesso era stato coltivatore. Egli poi si occupa anche del metodo di lavorazione e di trattamento del minerale, e a questa parte si riferiscono le figure inserite nelle due tavole. Vi sono inoltre alcuni dati docimastici. (5) 1862. A. Spezia. — Coltivazione delle miniere aurifere in Pestarena di Macugnaga. — Torino, 1862. Tipografia Fory e Dal- mazzo, 16 pagine. Come ingegnere e coltivatore di miniere nella regione in pa- rola, FA. ci dà conto della natura e andamento dei giacimenti del gruppo di Pestarena, rappresentandoli anche in una planimetria generale al 5000. 269 — (6) 1862. Catalogo descrittivo pubblicato per cura del R. Comitato Italiano della Esposizione Internazionale del 1862 (Londra). I. Mi- neralogia e metallurgia. — Torino, tipografìa Dalmazzo, 1862. Nel capitolo generale introduttivo a pag. xv e xvii, e nei singoli paragrafi a pag. 21, 22, 59 e 60, riguardanti i minerali esposti, vi sono cenni sulle miniere aurifere e cupronichelifere dell’ Ossola compilati da C. Perazzi. (7) 1864. E. Francfort. — SulV oro contenuto nei filoni auriferi della Vallanzasca. — Torino, Stamperia Reale, 1864, 27 pagine. In questo opuscolo l’ autore dà notizie sui giacimenti della mi- niera aurifera dei Cani, e si occupa della questione dello stato in cui si trova Foro nel minerale di questa e delle altre analoghe mi- niere di Valle Anzasca. (8) 1864. C. Perazzi. — Sul concentramento della calcopirite nel giacimento di pirrotina nichelifera di Miggiandone e sulla paragenesi dei minerali che vi si trovano. Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino, Voi. XXI, Serie II, 5 p. Il Perazzi esamina il giacimento cupro-nichelifero in relazione agli analoghi della zona d’Ivrea, e in relazione alla sua giacitura e alla struttura del minerale. (9) 1869. H. Gerlach. — Die Penninischen Alpen. — Denk- schrift der Schweizerischen Naturforschenden Gesellschaft Bern. Bd. XXII, 1869. Il benemerito geologo non mancò di tener conto nel suo ma- gistrale lavoro anche dei giacimenti metalliferi ; però nel testo egli si accontenta di farne l’enumerazione in appendice, per così dire, ad ogni singola descrizione dei terreni da lui distinti. Una speciale trattazione egli ebbe a fare poi soltanto per i giacimenti del Vai- lese (Die Bergwerke des Kanton Wallis. Beitràge zur geoL Karte der Schweiz, n. 27), ma non per quelli dell’Ossola. (10) 1869. V. Cauda. — Minerali italiani analizzati dal 1861 al 1868 nel laboratorio di chimica docimastica presso la R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. — Appendice al volume IV degli Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. — 270 — Fra i 172 numeri cui si riferiscono le analisi riportate, ve ne sono 7 di minerali ossolani. (11) 1873. Relazione sulla industria mineraria in Italia quale era rappresentata alla Esposizione di Vienna nel 1873. Il relatore G. Axerio dà notizie delle miniere ossolane ai ca- pitoli « Ferro » e « Oro » a pag. 3 e 25. (12) 1873. G. Jervis. — I tesori sotterranei deir Italia. — Parte 1^. Regione delle Alpi. — Torino, Loescher, 1873. In questo repertorio di mineralogia topografica l’autore dedica le pagine dalla 159 alla 183 alle Valli dell’ 0 ssola, passando in ras- segna le specie minerali note valle per valle, e in ciascuna valle raggruppate comune per comune. In questa diligente rassegna l’A. ha cura di dare per le specie di minerali metallici, brevi indi- cazioni riguardanti la importanza tecnico -industriale del loro gia- cimento, desunta dalle fonti addietro citate e da altre informazioni ufficiali e personali. (13) 1881. N otizie statistiche sulle industrie minerarie in Italia dal 1860 al 1880. — Pubblicazione del R. Corpo delle miniere. — Roma, Regia Tipografia, 1881. Il compilatore di questo volume, F. Giordano, ispettore delle miniere, riferisce alcuni dati sulle miniere aurifere dell’Ossola a — pag. 63 e a pag. 326. (14) 1883. A. D’Achiardi. — I metalli, loro minerali e miniere, Bibl. tecnica U. Hoepli, 2 volumi, Milano. L’opera è divisa in tanti capitoli quanti sono i metalli, e cia- scun capitolo è chiuso da un paragrafo sulle miniere riferentisi a quel metallo, comprese le miniere italiane. Delle miniere ossolane vi è menzione al capitolo « Oro » : le notizie ivi riportate sono quasi tutte ricavate dall’ Jervis. (15) 1893. E. Fuchs et L. De Launay. — Filons de pyrite auri- fere du Piémont. Nel Traile des gites minéraux et métallifères. — Paris, Baudry, éditeur, 2 voi., pag. 904-7, Voi. II. In due pagine di questo paragrafo del capitolo « Or » gfi — 271 — autori riferiscono alcuni dati e osservazioni da loro fatte in una visita alle miniere aurifere di Pestarena e di Val Toppa nel- l’anno 1883. (16) 1898. Cenni descrittivi dei ^principali giacimenti italiani di minerali utili. — Nel Catalogo della Mostra fatta dal Corpo Reale delle Miniere alla Esposizione generale italiana del 1898 in Torino. Roma, tip. Nazionale, 1898. Pubblicazione del Ministero di Agri- coltura, Ind. e Comm. Questi cenni descrittivi sono ordinati per distretti minerari e in ciascun distretto per minerali, e contengono, nel paragrafo ri- guardante il distretto di Torino, notizie sulle miniere aurifere deirOssola a pag. 78-79, e su quella ferrifera a pag. 80. (17) 1900. Cenni descrittivi dei principali giacimenti italiani di minerali utili. — Nel Catalogo della Mostra fatta dal Corpo Reale delle Miniere alla Esposizione Universale di Parigi del 1900. — Roma, tip. Nazionale, 1900. Pubblicazione del Ministero di Agri- coltura, Ind. e Comm. In questo volume i cenni descrittivi sono ordinati per minerali e sotto ciascun minerale per distretti minerari. Si trovano notizie alquanto più complete delle precedenti, riguardanti le miniere e ricerche ossolane a pag. 58 (Miniere di ferro) ; a pag. 73-75 (Mi- nerali auriferi), e a pag. 83 (Piriti cupro-ni chelifere). (18) 1899. C. ScHMiDT. — Geologisches Gutachten ueher die Golderzgànge von Antrona. 2 pag. con 2 tavole. E’ un breve rapporto geologico -minerario sui giacimenti auriferi di Antrona, accompagnato da alcuni dati di analisi e da uno schizzo geologico con profili. (19) 1879-1906. Rivista del servizio minerario. — Altrettanti volumi per le successive annate dal 1878 al 1905. — Pubblicazione del Ministero di Agricoltura, Ind. e Comm. Notizie riguardanti le vicende 'delle ricerche e le miniere ossolane durante questi 28 anni si trovano nel capitolo di ciascun volume riguardante il distretto di Torino. — 272 - Malgrado il numero non piccolo di queste pubblicazioni, non si potrebbe affermare, che da esse scaturisca una conoscenza adeguata dei giacimenti metalliferi ossolani; e chi facesse uno spoglio delle no- tizie ivi riferite, e cercasse di coordinarle, si troverebbe ad avere piuttosto un elenco di ricerche e coltivazioni minerarie specialmente aurifere, con la cronaca del loro sviluppo, corredata di notizie fram- mentarie e non concordanti sulla natura loro, anziché un complesso di dati geologico-minerari atti a caratterizzare i giacimenti stessi. Il che non deve fare meraviglia quando si rifletta, che questi, come gli altri giacimenti minerari, sono, per così dire, punti singolari della topografia geologica. E se, tecnicamente, essi poterono essere presi in considerazione anche prima che lo studio geologico locale fosse molto avanzato, è pur certo che la loro conoscenza è intimamente legata a questo studio, e anzi non è che un problema particolare, e certo non facile, nella complicata geologia della nostra regione. Da questo punto di vista credo sia da considerare il contributo, che il rileva- mento geologico può dare alla conoscenza mineraria del paese. Classificazione. Riporto anzitutto la classificazione o meglio il raggruppamento che io ho adottato nella mia rappresentazione cartografica, sopra- citata, dei giacimenti minerarii dell’Ossola: I. Ossidi di ferro; II. Piriti cuprifere; III. Piriti cupro-nichelifere; IV. Solfuri misti specialmente piritosi, per lo più auriferi. E’ questo piuttosto un raggruppamento avente a base il mi- nerale utihzzabile dal giacimento, anziché una classificazione infor- mata a criterio genetico ; e sebbene possa parere meno razionale, io l’ho adottata nel nostro caso per due ragioni. Anzitutto per una ragione di convenienza pratica; giacché, essendo questa la base della classificazione adottata nella comune denominazione tecnica — 273 - delle concessioni minerarie, è resa facile la intelligenza della Carta mi- neraria, e il confronto dei dati nostri con quelli già noti e pubblicati. In secondo luogo sta il fatto, che un tale raggruppamento nella nostra regione viene a collimare abbastanza bene con una prima suddivisione dei giacimenti dal punto di vista geologico, e quindi si avvicina già ad una classificazione razionale; alla quale io ho poi cercato di avvicinarmi sempre più introducendo per il gruppo principale di giacimenti, cioè il IV (minerali auriferi) una suddivisione in giaciture filoniane, e stratiformi, e un ordinamento in tre tipi principali (tipo Valle Anzasca, tipo Valle Antròna, tipo Val Toppa) di cui vedremo la ragione. Invero, basta fare un primo esame comparativo della carta mineraria e della carta geologica, per vedere la corrispondenza fra i nostri 4 gruppi di giacimenti, e quattro importanti formazioni geologiche della nostra regione, che risultano distinte anche nella, carta al 400,000 suddetta. Si vede da essa, come nel complesso di scisti cristallini, più o meno antichi, di cui sono costituite le montagne dell’ Ossola, queste quattro formazioni sono: 1° calcari cristallini; 2° roccie eufotidico-diabasiche (pietre verdi); 3° roccie gabbro-dioritiche e kinzigitiche (zona d’ Ivrea) ; 4° gneis e micascisti. Nelle quali formazioni hanno infatti sede rispettivamente: I minerali ferriferi; II minerali cupriferi ; III minerali cupro -nicheliferi; IV minerali auriferi. Precisamente possiamo dire che: a) i giacimenti ferriferi sono lenti e ammassi irregolari nei calcari cristallini; h) i giacimenti cupriferi sono secrezioni magmatiche delle pietre verdi; — 274 — c) i giacimenti cupro-nicheliferi sono secrezioni delle roccie basiche della zona di Ivrea, e impregnazioni dei banchi kinzigitici che le accompagnano; d) i giacimenti auriferi sono filoni e filoni-strati mineralizzati, costituenti diversi tipi, specialmente per entro alla formazione di gneis e micascisti. Senza dilungarci in ulteriori generalità, veniamo a dire dei sin- goli gruppi di giacimenti, cercando specialmente di mettere in evi- denza il legame di ciascun gruppo colla formazione che lo racchiude, per poi alla fine rintracciare qualche nesso genetico che ci permetta una classificazione razionale. Giacimenti ferriferi. 1. — Giacimento di 0 gag già. Questo giacimento è, fra quelli di ferro, l’ unico che si possa chia- mare col nome di miniera, attiva da più di un secolo, nelFOssola. Il Fantonetti (4) e il Barelli (3) ci attestano essere esso stato scoperto nel 1795 e coltivato; il minerale si fondeva allora nella valle Antrona stessa presso Viganello, e anche a Villa d’ 0 ssola; inoltre a Coimo in Val Vigezzo. La coltivazione continuò, sebbene non in grande scala, e ce lo conferma FAxerio (11) nel 1873, epoca in cui il minerale, previo arrostimento sul posto, si portava all’alto forno di Villa d’Ossola. Le successive Riviste del servizio minerario (19), riferiscono la continuità di questa modesta coltivazione, l’unica del Piemonte che ha persistito a dare minerale, destinato ad essere fuso alla ferriera di Villa intermittentemente, accanto alla crescente invasione dei rottami sul cui trattamento oggi è specialmente basata questa industria. Fu già accennato, come questo giacimento ferrifero sia legato a una massa calcare, ed è interessante l’aggiungere, come dal punto di vista geologico, esso sia, sebbene discontinuamente, ben più esteso 275 — del campo minerario effettivamente coltivato, tanto verso nord che verso sud, quasi quanto si estende appunto la massa calcare che lo racchiude. Questa massa di calcare cristallino, tutta quanta inserita in quello che io ho designato « massiccio gneissico di Camughera ^ », si sviluppa con una estensione dapprima ignorata, almeno nelle prece- denti carte geologiche; cioè non solo attraverso alla Valle Antrona, ma entra a nord pure in Valle Bògnanco e a sud in Valle Anzasca. E’ una fascia, in planimetria, leggermente arcuata, larga da qualche diecina a qualche centinaio di metri, discontinua; la quale, diparten- dosi dal versante destro di Val Bognanco in Regione Selva Grande, sale con andamento S.S.O. al Colle di Pianino, attraversa la Val Bra- vettola a monte di Alpe Bozzone, indi risale al Colle di Ogaggia, si svolge con andamento di sud attraversando la Valle Antrona media fra S. Pietro e Schieranco, per piegare a S.S.E; oltre il colle di Se- larioli; donde appena per poco scende nel versante sinistro di Valle Anzasca. E’ appunto da questa fascia calcare che gli industriosi valligiani cavavano la pietra da calce prima che le facilitate comuni- cazioni portassero loro a buon mercato la calce dalla valle principale (Crevola) : di che fanno fede le fornaci dirute esistenti nelFalta Val Brave ttola, in Valle Antrona sulla sinistra dell’ Ovesca sopra Schie- ranco, e nell’ alto di Valle Anzasca sopra Calasca. In questa fascia calcare cadono le coltivazioni minerarie della così detta Miniera di Ogaggia, stendentisi a cavalcioni del colle di Ogaggia, in regione di confine fra i comuni di Viganella e di Mon- tescheno. Oltre a queste coltivazioni successivamente e con alterna vicenda rimaste attive, vi sono due altri punti che dettero luogo a lavori piuttosto di ricerca: uno appena a S.E. di Colle Selarioli, nel versante di Valle Anzasca, e l’altro in sinistra del torrente Bravettola, a monte di A. Bozzone; ambedue punti molto interessanti in riguardo alla estensione e natura del nostro giacimento. ^ Vedi A. Stella, loc. cit. Il minerale del campo coltivato è costituito essenzialmente da ematite bruna, il cui rendimento industriale medio è del 50 al 60 per cento secondo Axerio e Barelli. Esso trovasi a guisa di arnioni e ammassi irregolarmente lenticolari per entro alla massa calcare, ammassi distribuiti su una zona larga forse un centinaio di metri che passa per la depressione occidentale del Colle di Ogaggia (1832 metri di altitudine), con direzione media N.E-S.O, che è pure la direzione dominante di quei calcari molto raddrizzati e prevalen- temente cadenti a N.O. Il profilo geologico riprodotto nella fig. 1 della Tav. VII annessa ^ mette in evidenza la posizione geologica del nostro giacimento. Gli arnioni lenticolari del minerale (Fe) vedonsi inseriti nella massa di calcari cristallini, talora micacei e quarzosi (c), intramezzati di scisti filladici carboniosi, in parte anfibolici (/). Essa è a sua volta com- presa nella sopraccennata antica massa gneisica di Camughera, cui spettano nel nostro profilo i gneis (gn.) con filari anfibolici (a), i mica- scisti cloritici passanti a gneis minuti {ms.), le quarziti micacee (g.). Verso N.O. poi i gneis vedonsi ricoperti da una massa di pietre verdi, cioè anfiboliti passanti ad eufotidi {ae.) e serpentine (s) le quali, insieme a calcari, calcescisti e fìlladi (visibili fuori del nostro profilo) costituiscono quella fascia scistosa, che io chiamai fascia sigmoidale di Val Bognanco, da riferirsi al mesozoico. Debbo notare, prima di lasciare questo profilo, come lo spessore e andamento delle masse di minerale (Fe.) in esso indicati siano da ritenersi soltanto approssimati e dimostrativi, data la impossibilità di un rilievo geometrico allo stato attuale dei lavori di coltivazione, mentre sono inacessibili quasi tutti i lavori antichi. Ma anche indipendentemente dai lavori sotterranei di coltiva- zione, chi sale dalla valle Antrona al Passo di Ogaggia pel vallone detto appunto della Ferrera, si fa un’ idea abbastanza chiara della ^ Per una svista del litografo, nella intestazione della figura 1 è scritto emanile invece di ematite. — 277 — anzidetta giacitura: perchè giunto nell’alto circo del vallone in re- gione Forcola, lo trova costituito dalla franosa massa dei calcari biancheggianti dominati a occidente dalle scure balze di Pizzo Ciapè, costituite dalle pietre verdi in alto e dai gneis in basso. Osservando meglio, nell’apparente disordine della falda franosa, si vedono in essa gli andamenti generali segnati dalle strisele più o meno scure di scisti filladici; mentre nella zona occidentale spuntano parallelamente ad esse una serie di dirupi bernoccoluti, ferrigni, i quali altro non sono che gli affioramenti delle masse del minerale ridotto ocraceo e spugnoso. Sia lungo questa zona, sia lateralmente ad essa dalla parte orientale, si scorgono discariche antiche e recenti di gallerie di miniera, due delle quali erano in esercizio con pochi minatori quando io ebbi a visitare la regione nel 1904. Anche dalla banda opposta del colle nel versante nord che scende a Val Bravettola (regione Ogaggia, Desarioli, Crosello), vedonsi scaglionate a diverse altezze parecchie discariche, ma ivi appena sotto il colle il terreno è tutto ingombro da detriti, e al tempo delle mie visite, le bocche di galleria erano ostruite. Invece si trovava ancora accessibile la galleria di ricerca sopra accennata, sul fondo di Val Bravettola. Essa s’interna in questa falda dirupata che incombe alla sinistra del torrente appena a monte dell’A. Bozzone, in corrispondenza di un brucione ocraceo, sicuro indizio di minerale. Ma ivi la escavazione, appena oltrepassata una crosta limoniti ca ocracea, trovò il minerale trasformato in pirite. Da quanto io potei osservare in quel sotterraneo internantesi di alcune decine di metri e parzialmente franato, trattasi di arnioni e masse irregolari di calcare impregnato di pirite; in alcune parti addirittura sostituito dalla pirite, la quale non è compatta ma forma masse sgre- tolabili e franose che cadono in sabbia appena smosse dal piccone. I lavori finora fatti non sarebbero sufficienti ad aver un’idea della estensione di queste masse piritose; ma anche la loro semplice constatazione è un fatto per noi degno di nota. Noi ci troviamo qui a UGO metri di altitudine nel fondo del vallone roccioso inciso nella - 278 — massa calcare; cioè a ben 700 metri sotto gli affioramenti di Colle d’Ogaggia e in una trincea naturale di essa massa, relativamente recente, di erosione post-glaciale. Nasce naturale l’idea, che probabil- mente ci troviamo nella zona profonda, dove forse tutto il minerale ossidato si trasforma in minerale solfurato; sicché anche qui, come in molti altri giacimenti di ossidi di ferro, questi costituiscano niente altro che il cappello superficiale di giacimenti più profondi piritosi. Una tale idea può parere a prima vista contraddetta dall’aspetto del minerale ematitico di Ogaggia; e invece trova la phi brillante conferma nell’esame microscopico del minerale stesso. Macroscopicamente il minerale sano ha aspetto litoide; in ge- nerale è compatto, con lucentezza picea, frattura concoide e colore bruno intenso; talora meno compatto, è piuttosto granulare, non così intensamente colorato e con minutissime punteggiature micacee di muscovite; mentre vi sono varietà minutamente brecciate ove la ematite, bruno-chiara nell’insieme, fa da cemento a minuti elementi angolosi giallastri di quarzo pur con abbondanti laminette sparse di muscovite a riflessi più dorati che argentei per pigmentazione. Queste varietà nella massa del minerale si alterano con un certo parallelismo grossolano che dà luogo a una caratteristica tessitura zonata in molte parti di esso, tessitura che tende a diventare talora scistosa nelle parti fine per l’accumularsi della mica sui piani di zonatura. La fig. 2 della Tav, VII riproduce appunto una porzione di mi- nerale a tessitura zonata: le zone compatte sono tenute molto scure nella figura, meno scure le zone granulari, e molto più chiare le fascie brecciate di cui è riprodotta la apparenza. Esaminando il minerale alla lente non si scorge nessuna pun- teggiatura metallica; invece si avverte una certa transizione fra le diverse varietà, compatta, granulare e brecciata. La quale transi- zione risulta naturalmente anche più evidente all’esame microscopico in sezioni sottili; il cui studio fa vedere come le plaghe di quarzo — 279 — o di mica, maggiori e più frequenti nel minerale brecciato, non manchino, sebbene minori di numero e di dimensioni, nel minerale granulare, dal quale si passa insensibilmente a quello compatto, ove esse riduconsi a finissime ma pur numerose punteggiature. Queste sono evidenti per trasparenza, essendo incolori e diafane, in confronto del fondo generale bruno intenso e appena debolmente trasparente costituito dalle ematite. Questo fondo poi non è omogeneo, ma ha struttura granulare, disugualmente diafana, presenta qua e là nuclei assolutamente opachi neri non metallici, i quali nelle parti compatte del minerale sono mi- nutissimi e tondeggianti, ma nella parte meno compatta sono più grossetti e hanno forme geometriche, come sezioni di cristalli pree- sistenti. Ciò appare all’evidenza dalla fìg. 3, della Tav. VII, che riproduce una parte di sezione sottile tagliata da un frammento di minerale di tipo intermedio fra il granulare e il brecciato. Ivi fra le plaghe diafane si distinguono abbastanza bene quelle del quarzo irregolari o poligonali con tendenza a sviluppo automorfo , da quelle della muscovite, le cui laminette rivelansi nella sezione alla ferma di tavolette allungate con evidenti strie di sfaldatura nel senso dell’ allungamento. Nella massa bruna della ematite (scura nella figura) spiccano le chiazze nere abbastanza regolarmente poligonali e compatte, alcune smussate e sfrangiate, e passanti alla ematite circostante, altre come svuotate e ridotte al solo orlo esterno accom- pagnato da contorno più interno concentrico, o da nuclei neri sparsivi entro; più di rado foracchiate da inclusioni di quarzo e di mica. Sebbene queste sezioni di cristalli originarii, non mostrino lucen- tezza metallica neppure nella parte centrale, come fanno le chiazze di pirite incompletamente limonitizzata, non è meno evidente trat- tarsi qui appunto di un fenomeno di questo genere, del quale ci resta a prova la forma cristallina del minerale originario e la mag- gior compattezza rimasta alla ematite epigenica per entro all’ edificio cristallino della pirite trasformatasi. Cosicché la struttura micro- scopica del nostro minerale ci indica trattarsi di una ematite secon- — 280 — daria proveniente da limonitizzazione di preesistente pirite, come ci aveva indotto a supporre la presenza delia pirite sotto la crosta superficiale ocracea nella ricerca di A. Pozzone, addietro accennata. {Continua). II. B. Lotti. — Osservazioni geologiche nei dintorni di Rieti. La presente nota ha per oggetto di riferire sul rilevamento geologico alla scala di 1/50000 della tavoletta di Rieti, cui lo scri- vente attese nelle campagne geologiche estive 1905 e 1906. Questo rilevamento si rannoda a quello delle tavolette di Ma- gliano Sabino, Terni e Ferentillo, illustrate in due note precedenti che portano il titolo : « I terreni secondari di Narni e di Terni » e « Sui risultati del rilevamento geologico nei dintorni di Piediluco, Feren- tillo e Spoleto » pubblicate in questo Bollettino rispettivamente nel 1903 e nel 1904. Orograficamente i dintorni di Rieti possono considerarsi come divisi in tre parti, ed a questo raggruppamento orografico cor- rispondono, come vedremo, dei caratteri geologici notevolmente diversi. Una di queste parti è costituita dal versante occidentale della Catena Sabina; di quella catena cioè, che dai monti di Cesi, circuendo ad oriente il bacino pliocenico lacustre di Terni, spingesi con direzione meridiana nel cuore della Sabina fino ai pressi di Poggio Mirteto. Un’altra parte comprende quella regione di colline che dal piano di Rieti si stendono a sud, rialzandosi gradatamente, e che sono solcate dai corsi d’acqua Salto, Turano, Lari ano e Canera, provenienti dall’alta Sabina e correnti da sud a nord fino a riu- nirsi al corso del Velino nel piano di Rieti. La terza comprende il gruppo, o parte del gruppo, del Terminillo, preceduto dalle colline BOLL. DEL R. COM. GEOL. D’ITALIA ANNO 1906 N. 4. TA /. VII. 'a. .TEL_/- FIG. 1. SEZIONE GEOLOGICA ATTRAVERSO AL GIACIMENTO DI EMANITE DI OGAGGIA Costa Ciapé A/pe O^a^yict 19SI Passo d Ogaggia (JSÒZ) lesta t/erji/is.u /sso FIG. 3. MICROSTRUTTURA DEL MINERA-LE IN SEZIONE SOTTILE INGRANDIMENTO 8 VOLTE. FIG. 2. TESSITURA ZONATO-BRECCIATA DEL MINERALE GRANDEZZA DEL VERO. — 281 — plioceniche di Castelfranco e di S. Liberato, e solcato dai cosidetti valloni di S. Rufina. di S. Croce, di Lisciano e di Cantalice, die penetrano più o meno profondamente nella montagna e sboccano nella conca di Rieti. Sebbene sia questa la regione geologica- mente più importante dei dintorni di Rieti, non sarà descritta nella presente nota che una parte di essa e precisamente le dira- mazioni occidentali della montagna, non tanto perchè queste sola- mente entrano a far parte della tavoletta di Rieti, quanto perchè il gruppo montuoso del Terminillo merita una speciale descrizione, con apposite sezioni attraverso di esso, e per far ciò occorrono ancora alcune revisioni ed indagini nella zona più aspra di questa superba montagna, ciò che non fu possibile di eseguire nella cam- pagna decorsa. La quarta parte finalmente comprende il piano reatino, antico bacino lacustre, oggi ubertosissimo agro granifero, coi suoi laghi Lungo e Ripasottile, non che altri minori, e le antiche isole di Montisola, S. Balduino, S. Pastore, Terria, Montecchio e Torretta che interrompono la monotona uniformità di questo piano e stanno là quasi testimoni della sua origine catastrofica. Il Velino, che vi entra presso la città di Rieti, solca quella ampia superficie grossolanamente ellittica della pianura con un’in- finità di giri tortuosi e bizzarri e ne esce presso Repasto a N.O da dove, dopo un percorso di circa otto chilometri fra la stretta gola di Moggio e di Piediluco, corre a gettarsi rumorosamente nel fiume Nera presso le Marmore con un salto di 160 metri acquistando la capacità di sviluppare oltre 80,000 cavalli di forza. Sulla geologia dei dintorni di Rieti molte ed importanti osser- vazioni e considerazioni sintetiche furono esposte dal Verri nel suo erudito lavoro sulle conche di Terni e di Rieti ed in altri più recenti ^ ; però siccome una località non può mai ritenersi esau- ^ A. Verri, Studi geologici sulle conche di Terni e di Rieti. (Mera. R. Acc. Lincei, Roma, 1882-83). — Un capitolo della geografia fisica delV Umbria (Atti IV Congr. geogr. italiano, Milano, 1901). — Storia ìtahirale del Velino. Terni. 1902. 18 - 282 — rientemente descritta ed illustrata sotto l’aspetto geologico, perchè ad ogni nuovo ricercatore si offrono quasi sempre nuovi fatti e nuovi campi di osservazione, e poiché nella esecuzione di un rile- vamento in grande scala, come il presente, devesi por piede dap- pertutto e ripetutamente, ed è quindi naturale che si noti ciò che per necessità dovette sfuggire a chi non aveva il compito di un rilevamento dettagliato, cosi credo che non apparirà superfluo questo mio breve lavoro descrittivo, tanto più che, cosa strana per una regione così comoda, centrale e piena d’attrattive, non si possiede alcun’ altra notizia geologica sui dintorni di Rieti ad ecce- zione della prelodata memoria del Verri e di alcune brevi note riferentisi ai terremoti ed alla composizione petrografìca di una roccia eruttiva di questa regione h Catena Sabina. — Chiamo con questo nome quella serie di monti allineati da nord a sud, che dalle Marmore presso Terni spingesi fino a Poggio Mirteto, ed alla quale, dopo breve interru- zione, fa seguito più a sud il gruppo del Monte Gennaro. Essa succede lateralmente verso oriente alla catena del Monte S. Pan- crazio che da Narni dirigesi verso S.E fin quasi a Torri in Sabina, e che presenta, come fu da me esposto altrove nel lato orientale la serie dei terreni completamente rovesciata. In conseguenza delle due accennate differenti direzioni le due catene, che a nord, fra Narni e Terni, distano fra loro di circa 12 chilometri, tendono a riunirsi verso sud, tantoché presso Configni i terreni secondari del- l’una e dell’altra vengono quasi a toccarsi, rimanendo separati fra loro da meno di un chilometro di terreno pliocenico. Nella nota suaccennata dissi che la disposizione dei terreni nel ^ L. Brugnatelli, Sulla composisione petrografìca di ima roccia pirosseiiica dei dintorni di Rieti. (Atti Accad. Scienze Torino, XIX, 3, 1882). — M. Baratta, Nuove consider azioni sul terremoto di Rieti del 28 giugno 1898. Vogherà, 1900. — G. Folgheraiter, Il vulcanetto di Coppaeli {Rieti). (Boll. Soc. sismologica italiana, VII, 8, 1902). ^ B. Lotti, I terreni secondari di Narni e di Terni. (Boll. Comit. geol., 1903). — 283 — versante occidentale e nel tratto più settentrionale della Catena Sabina, da Terni a Montasola, era in zone regolari dirette da nord a sud ed inclinate verso ovest, cioè verso la depressione sinclinale sottostante che separa le due catene e nel fondo della quale scorre il torrente Laia tributario della Nera. Dissi anche che presso S. Benedetto, sopra a Stroncone, la uniformità e la semplicità di questa tettonica veniva alterata da una piccola faglia normale alla direzione della catena e che di questa faglia si potevano osservare le tracce in alcune pareti lisce e striate del Lias inferiore. La serie dei terreni costituenti la Catena Sabina è la serie normale riconosciuta in tutti i gruppi secondari delFUmbria finora rilevati e cioè dall’alto al basso, fatta astrazione dal Quaternario e dal Pliocene lacustre : 1. Eocene, — Marne con strati arenacei e calcarei con tracce di pteropodi e foraminifere diverse; marne dure con selce nera facenti passaggio al terreno sottostante. 2. Senoniano. — Scisti marnosi grigi, violetti e rossastri con Taonurus (scaglia cinerea), calcari rossi marnosi generalmente senza selce (scaglia rossa), calcari bianchi e giallastri marnosi aventi la stessa tessitura della scaglia e talvolta alternanti con questa. 3. C enomaniano . — Calcari grigio-chiari con selce che pas- sano, senza apparente discontinuità, alla formazione successiva. 4. Astiano. — Zona in generale non molto potente di scisti argillosi varicolori, con calcari grigi e violetti a minuti frammenti di fossili indeterminabili e con letti sottili di scisti neri, bituminosi, con tracce di pesci. 5. Neocomiano. — Grossa pila di calcari bianchi a tessitura di maiolica, con noduli e lenti di selce grigia ed anche talvolta colorata in violetto. 6. Giurassico superiore. — Diaspri e calcari con selce in strati sottili alternanti; scisti marnosi grigi e rosso-violetti, con aptici e strati bianchi silicei intieramente formati da aptici. — 284 — 7. Giurassico medio. — Calcari granulari con resti di crinoidi, intramezzati da strati sottili con selce ed anche da strati diasprini, simili a quelli titoniani. i quali si trovano anche alla base e fanno passaggio al 8. Lias superiore. — Calcari scistosi bianchi, giallastri e vio- letti, molto marnosi, con ammoniti, aptici e posidonomie; calcari marnosi rossi con chiazze grige pure ammonitiferi. Questa forma- zione sovrapponesi con discontinuità e discordanza, talvolta accen- tuata, indifferentemente all’uno o all’altro dei terreni basici più antichi sottostanti. 9. Lias medio. — Calcari bianchi o grigio-chiari con selce associati a calcari granulari pieni di frammenti di crinoidi e di rin- conelle. 10. Lias inferiore. — Calcari ceroidi e cristallini massicci o grossolanamente stratificati, con sezioni di gasteropodi e brachiopodi. Una gran parte di questi terreni della Catena Sabina fu de- scritta nella nota sopracitata, e in modo speciale, quella parte di essi che comparisce nella sua estremità settentrionale fra Stroncone e Papigno. E’ appunto in questa parte che predomina il calcare del Lias inferiore ricoperto in generale direttamente dai terreni secondari superiori e solo saltuariamente da quelli del Lias medio. Esso forma il monte della Rocca di Papigno, i monti sopra a Moggio, una gran parte dei monti che circondano gli alti piccoli bacini distesi sul dorso della catena, come ai Prati di Stroncone, alle Capannacce e all’Acqua Panara, e che sembrano costituire delle depressioni carsiche. Forma il Monte Rotondo e Piano Altuccio sopra Cottanello e una gran parte delle pendici occidentali dei monti Piante Grandi, Macchia Porrara, Porco Morto, Rischioso e Acqua Fria, tra Cottanello ed Aspra. Fra Montasola ed Aspra mancano da questo lato della catena i terreni secondari superiori al Lias inferiore e questo terreno scende fin quasi al fondo delle valli, ove è ricoperto direttamente dal Pliocene. — 285 — Il Lias inferiore forma manifestamente V ossatura della catena, ma la sua massa sembra disposta obliquamente alla direzione della catena stessa, tantoché mentre a nord comparisce nella maggior parte del suo lato orientale, ricoperto soltanto qua e là dal Lias medio, verso sud invece comparisce esclusivamente nel lato occi- dentale; i terreni secondari superiori, per converso, sono sviluppati e si succedono regolarmente nel lato occidentale a nord e nel lato orientale a sud. Nelle alture intermedie fra Greccio e Cottanello, questo terreno passa dal versante orientale in quello occidentale, formando una stretta zona fra i terreni secondari superiori che lo ricuoprono da ambedue i lati. Il Lias medio fa seguito qui, come in tutto il resto deU’Umbria, in perfetta concordanza e continuità al terreno precedente, e si trova nel tratto settentrionale della catena in plaghe isolate, quasi esclusivamente distribuite nel versante orientale di essa, dal Casone presso la stazione di Piediluco fino alle alture sopra Greccio. Di qui, prendendo un notevole sviluppo, va a formare le estese e po- tenti masse dei monti Piante Grandi, Macchia Porrara, Porco Morto, Rischioso e Acqua Pria, che costituiscono l’alto dorso della catena, e passa quindi nel lato occidentale, da dove, girando ad ovest del gruppo del Monte Tancia, spingesi fino a Poggio Mirteto. Il Lias medio è costituito dai soliti calcari grigio-chiari ce- roidi, con letti di selce, cui si associano qua e là strati di un cal- care granulare con frammenti di crinoidi e di bivalvi. Sulla strada rotabile da Contigliano a Cottanello, due o tre chilometri prima di giungere a questo abitato, si possono osservare grossi banchi di questo calcare pieno zeppo di articoli di crinoidi e di frammenti di Rhynchonella, Presso Monteleone di Spoleto, in un calcare analogo si trova- rono alcune rinconelle, che il Parona credè riferibili alla specie Rhynclionella Sordellii Par. Il Lias superiore, andando da nord a sud, forma una sottile zona quasi continua, dal Casone presso Piediluco fino a Greccio, ~ 286 — sovrapponendosi ora al Lias medio, ora al Lias inferiore. Nel val- lone, o circo, di Greccio, il Lias superiore resta interrotto per circa un chilometro, essendo ricoperto da detrito di falda alla forma- zione del quale deve aver contribuito il disfacimento del Lias supe- riore stesso, poiché i frammenti di questo terreno abbondano nel detrito. Presso l’abitato di Greccio ricomparisce, per perdersi poi nuovamente nelle alture del Monte Rotondo e del Monte Mac- chione, dove il Neocomiano riposa direttamente sul Lias medio, ma riaffiora insieme col Giurassico medio e superiore nel Fosso della Rocca e lo vediamo poi prendere un grande sviluppo tra Monte Piante Grandi e Monte Cima Macchia, da dove, in un’ampia zona continua diretta da nord a sud, spingesi nel gruppo del Monte Tancia ad ovest, sempre compreso fra il Lias medio e il Neocomiano o il Giurassico medio e superiore. Come nei dintorni di Miranda e di Papigno presso Terni, già precedentemente descritti h questo terreno è formato da calcari bianchi e rossi marnosi ammonitiferi, calcari marnosi scistosi grigio - verdastri con ammoniti ed aptici, e scisti rossi, violetti e grigi argil- losi con Posidonomya Bronni. Alla sorgente del Passo, fra Moggio e Greccio, questo terreno è formato essenzialmente da scisti marnosi grigi e rossi con P. Bronni e serve di divisione fra i calcari neoco- miani e il Lias medio. Per la strada rotabile da Contigliano a Cot- tanello, presso la cantoniera, si osserva sotto al calcare neocomiano la seguente serie di strati più o meno scistosi, facenti passaggio graduato dall’uno all’altro: 1° Scisti calcareo- marnosi con grossi aptici (Giurassico su- periore) ; 2® Calcari bianchi con crinoidi e sezioni di .bivalvi (Giuras- sico medio); 3° Scisti marnosi e argillosi grigi e rossastri con impronte di Harpoceras ed aptici (Lias superiore). ^ B. Lotti, loc. cit. — 287 — A questa serie di pochi metri di spessore, succede regolarmente il calcare del Lias medio. La discontinuità fra il Lias superiore e i terreni sottostanti è qui manifesta alla stessa guisa che in tutto il resto dell’ Umbria, come fu dimostrato pei monti d’Amelia ^ e di Perugia^, pei din- torni di Narni e di Terni ^ e per quelli di Piediluco, Ferentillo e Spoleto nei quali vedemmo il Lias superiore riposare direttamente e con discordanza sul Lias inferiore ed anche sul Retico. Qui nella Catena Sabina troviamo il Lias superiore in gran parte in serie regolare sul Lias medio, sebbene non possa dirsi che in tal caso esista sempre la continuità del deposito. In molti punti però, spe- cialmente nella parte settentrionale della catena, questo terreno riposa direttamente sul Lias inferiore. La discontinuità fra il Lias superiore e le formazioni se- condarie più antiche non è un fenomeno esclusivo dell’ Umbria^ ma fu già da me notato nei dintorni di Massa Marittima e nel- r Isola d’ Elba dove il Lias superiore trovasi in discontinuità ed in discordanza sul Lias inferiore, sul Retico, sul Permiano, sul Silu- riano e sull’Arcaico. La natura clastica del Lias superiore nei monti di Leonessa, e che vedremo più accentuata nelle appendici occidentali del Termi- nillo, si accorda col fenomeno di discontinuità ora accennato nel dimostrare che in un periodo compreso fra il Lias inferiore ed il superiore, e probabilmente verso la fine del Lias medio, si verificò in questa regione una parziale emersione e conseguente denuda- zione. ^ B. Lotti, Sulla costitiuione geol. del gruppo dei monti d'' Amelia. (Boll. Comitato geol., 190* *2). ^ Id., Rilevamento geologico nei dintorni del Trasimeno, di Perugia, eco. (Ibid. 1899). ” Id., I terreni secondari di Narni e di Terni. (Ibid. 1903). * Id., Sui risultati del rilevamento geol. nei dintorni di Piediluco, Feren~ tillo e Spoleto. (Ibid. 1906). — 288 — Al Lias superiore succede nella Catena Sabina, talvolta diret- tamente il calcare neocomiano; frequentemente però interponesi fra questi due terreni una zona di strati diasprini e argillosi ad aptici e di calcari bianchi granulari con frammenti di crinoidi che deve essere attribuita al Giurassico medio e superiore. Non si è però ben certi che dove manca questa zona ad aptici esista una vera e propria lacuna fra il Lias superiore e il Neocomiano ; è invece pro- babile che questa sia solo apparente e che la parte inferiore dei calcari riferiti al Neocomiano stia a rappresentare il Giurassico intiero. In più luoghi infatti, come ebbi a dire nelle relazioni pre- cedenti, si trovarono resti di Aptychus Beyrichi Opp. nella parte inferiore di quella pila di calcari che per la sua omogeneità dovette riferirsi in complesso al Neocomiano. La formazione argilloso -di asprina giurassica è sviluppatissima nel lato occidentale della catena, fra Papigno e Stroncone, ove succede regolarmente al Lias superiore in una zona diretta da nord a sud, la quale si continua poi verso sud nella stessa direzione fra il Monte Cimitelle, sopra Stroncone, e Montasola, sempre diret- tamente sovrapposta al Lias inferiore. Nel lato orientale questo terreno incomincia a manifestarsi chiaramente nei dintorni di Greccio e di qui, con varie interruzioni, si continua fino al Monte Tancia, in una zona diretta anche qui da nord a sud. Nel Fosso della Rocca e in quello di Valle Cupa, presso Contigliano, può ve- dersi questo terreno assai sviluppato ed in successione regolare fra il Lias superiore e il Neocomiano. Generalmente gli strati diasprini e argillosi con aptici stanno sopra ai calcari granulari a crinoidi, come può verificarsi, ad esem- pio, alla base S.O del Colle di San Francesco presso Greccio, ma nel Fosso della Rocca questi calcari granulari sono invece com- presi fra due zone di rocce argilloso -diasprine e sono in parte di color roseo-chiaro, in parte bianchi con frammenti minutissimi di .calcare rosso. Oltreché i crinoidi essi presentano anche delle sezioni di bivalvi e qualche aptico. Strettamente associato a queste rocce — 289 - giurassiche presso la sorgente Belvece, nella vallecola che scende dal Cerro della Croce, trovasi quel calcare marnoso grigio -verdastro con impronte di Harpoceras che abbiamo veduto far parte costan- temente del Lias superiore. Vedremo in seguito quale possa essere la più logica conclusione su questo terreno giurassico tanto variabile di forma e di potenza. Poco vi è da dire sul Neocomiano che qui, come nelle altre parti deir Umbria già descritte, si presenta con identici caratteri e sempre privo di fossili. Esso comparisce su ambedue i lati della catena: sul lato occi- dentale da Terni fino a Montasola, e della sua distribuzione oro- grafica fu detto altrove b su quello orientale dal Casone, presso la stazione di Piediluco, fino al Monte Tancia ed oltre, in una zona da nord a sud formante il grosso dei monti sopra Repasto, di quelli di Greccio, di Contigliano, di Poggio Perugino e la parte più elevata del Monte Tancia. Mentre i terreni precedentemente descritti mantengono la so- vrapposizione normale sui due lati della catena, questo e i succes- sivi più giovani si trovano rovesciati nel lato orientale fra Greccio e il Monte Tancia, in una zona di circa 15 chilometri. Sul calcare neocomiano, dove questo è ricoperto dai terreni successivi, fa seguito costantemente la zona degli scisti aptiani o scisti a fucoidi. Sono scisti argillosi variamente colorati, pieni di fucoidi, con calcari molto marnosi, scistosi, qualche volta selciferi, con tracce di minuti fossili indeterminabili. Questa formazione è caratterizzata da uno scisto nero, bituminoso, con resti di pesci. Frammenti di ittioli ti furon da me trovati negli scisti bituminosi associati agli scisti a fucoidi di Capo dell’Acqua presso Rocca Carica a sud di Stroncone. Questa zona di scisti, che separa il calcare neocomiano da quelli superiori del Cenomaniano e del Senoniano, comparisce rego- ^ B. Lotti, I terreni secondari di Narni^ ecc. — 290 — larmente in ambedue i versanti della Catena Sabina. Nel lato occi- dentale essa forma una striscia continua di oltre 20 chilometri, che da Colle presso Terni giunge fino a Montasola ; nel lato orientale invece riposa in placche isolate nel Monte Macchia del Lago sopra a Greccio, nelle alture di Mosca Castagna e del Monte Alto presso S. Filippo, ed in una zona continua di circa 12 chilometri che può seguirsi da Greccio fino nella pendice orientale del Monte Tancia ed oltre più a sud. L’insieme di questi scisti presenta spesso notevoli analogie litologiche colle rocce della zona del Lias superiore. Quest’analogia è, ad esempio, molto rimarchevole fra le due zone vicine dei monti sopra S. Filippo tra Macchia . Porrara e Macchia Cerro. Però nella zona degli scisti a fucoidi si trova sempre lo strato di scisto nero bituminoso che invece manca affatto nel Lias superiore. Oltre a ciò non mancano mai nel Lias superiore tracce di ammoniti e di posidonomie. Le fucoidi son comuni ad ambedue i terreni. Anche questa formazione nella zona continua fra Greccio e il Monte Tancia è completamente rovesciata. Il rovesciamento è mani- festo in modo speciale nel Fosso di S. Pastore presso Greccio e nella vallecola tra Macchia Cerro e Macchia Bandita presso S. Fi- lippo, dove si ha un bel taglio naturale riprodotto dalla Fig. 1 a pag. 294, a Poggio Perugino e in tutta la pendice orientale del Monte Tancia. Il terreno attribuito al Cenomaniano, che succede immediata- mente e con continuità agli scisti aptiani e che è molto sviluppato nel lato occidentale della catena, come fu detto a suo luogo nella mia relazione sui terreni secondari di Narni e di Terni, è appena rappresentato nel lato orientale di essa nel Monte Macchia Bandita presso S. Filippo e nei dintorni di Poggio Perugino; fuori di quei punti, come al Montecchio presso la stazione di Greccio, nei din- torni di Contigli ano e tra Poggio Perugino e il Monte Tancia gli strati degli scisti a fucoidi sono ricoperti direttamente dalla scaglia del Senoniano. — 291 — Il terreno cenomaniano è costituito da calcari bianchi o gri- gio-chiari con selce che, nei vari punti dove la zona degli scisti a fucoidi manca o è ridotta ai minimi termini, si confondono facil- mente coi sottostanti calcari neocomiani. I calcari cenomaniani però contengono la selce in maggior copia, sono un po’ giallastri o grigi, spesso granulari o ceroidi e racchiudono fram.menti di fossili inde- terminabili. I calcari neocomiani sono invece sempre bianchi o gri- giochiari, a tessitura di maiolica, senza fossili e con selce scarsa in noduli o in lenti di piccole dimensioni. Nelle due relazioni precedenti sui monti di Terni, Piediluco, Ferentillo eco. \ dissi le ragioni paleontologiche per le quali si cre- dette di riferire questi calcari al Cenomaniano. Anche questa formazione presentasi rovesciata sotto gli scisti a fucoidi presso S. Filippo e a Poggio Perugino. Il Senoniano, costituito prevalentemente da calcare marnoso rosso mattone o scaglia rossa, comparisce in ambedue i versanti della catena regolarmente sovrapposto al terreno precedente; nel lato occidentale in una zona continua diretta da nord a sud che da Stroncone giunge fin sotto Montasola; in lembi isolati sul lato occidentale, come al Montecchio e nei dintorni di Greccio, e rove- sciato tra Contigliano e il Monte Tancia. Nel monte Cima Macchia Bandita, sopra S. Filippo, questa e le precedenti formazioni, compreso il Neocomiano, presentano com- pleta la cerniera della piega ribaltata che è resa manifesta nel fosso tra Macchia Cerro e Macchia Bandita, come mostra la parte media della sezione Fig. 1, a pag. 294. Presso Colle Baccaro, tra Contigliano e S. Filippo, la scaglia si presenta in grossi banchi, percorsa da fitte vene bianche di cal- cite che conferiscono ad essa un aspetto brecciforme, di guisa che potrebbe prestarsi ad usi ornamentali. Associati alla scaglia rossa, e come facies di questa, si osservano dei calcari bianchi o bianco- ^ B. Lotti, loc. cit. — 292 — W: giallastri, marnosi, con selce spesso colorata in rosso. Le colline di Contigliano sono formate da questa scaglia grigio-chiara o giallastra. Nel lato occidentale della catena, tra Stroncone e Montasola, sulla scaglia rossa succede, sviluppatissima e in una zona regolare diretta da nord a sud, la cosidetta scaglia cinerea che consiste essenzialmente in calcari molto marnosi, grigi e violetti, scistosi, pieni di Taonurus e che fa passaggio graduato alle marne eoceniche. Nel lato orientale questa parte superiore della scaglia è appena rappresentata o manca affatto anche laddove al Senoniano succede regolarmente l’Eocene, Un po’ di questa scaglia cinerea la troviamo presso Colle Baccaro sulla linea della sezione Fig. 1, pag. 294 e presso Poggio Fidoni nella valle di Canera. Nel lato occidentale della catena si fa passaggio dalla scaglia del Senoniano (e in parte fors’anche dell’Eocene inferiore) all’Eocene vero e proprio, per mezzo d’una zona di marne grige con bande di selce nera picea, parallele alla stratificazione h Queste marne si ritrovano nella valle del Rio presso Piediluco ^ e qualche traccia se ne osserva anche nel lato orientale della Catena Sabina presso Colle Baccaro e presso Poggio Fidoni, sempre nella stessa zona di passaggio. Ad esse succede superiormente il terreno marnoso-arena- ceo, sul quale occorrono strati di calcari con nummuliti ed orbi- toidi, come tra Colle Rillara e Poggio Ridoni, nonché presso Monte S. Giovanni nell’alto della Valle di Canera. Il Prever, cui inviai alcuni campioni provenienti da questa formazione della valle di Canera, mi comunicò gentilmente la se- guente lista di fossili: Operciilina ammonea, Leqm. » Terrigii, Teli. Amphistegina, sp. Lepidocgclina marginata^ Micht. ^ B. Lotti, loc. cit. ^ Id., Sili risultati del rilevamento, ecc. — 293 — Lepidocyclina Verbecki, l^eut. et Holl » Siimatrensis, Brady » Morgani, Lem. et Dom. Mijogypsina, sp. fossili questi che egli giudicò riferibili al Miocene; ma siamo sempre là colla solita questione dell’ Eo-miocene deH’Umbria, sulla quale questione dovrò ritornare in una prossima occasione. Questo terreno marnoso-arenaceo eocenico è assai sviluppato nella valle di Canera, che separa la Catena Sabina dalla regione collinesca del Turano e del Salto, di cui andremo fra poco a di- scorrere. Esso stendesi sui due lati della valle e lo si segue fino a Monte S. Giovanni ed oltre verso sud. Esso forma qui una sinclinale completa, diretta da nord a sud, coir ala occidentale ribaltata verso est in accordo col rovesciamento dei terreni precedentemente descritti. La sezione Fig. 1, a pag. 294, taglia questa sinclinale presso Colle Baccaro. Oltreché nella valle di Canera questa formazione marnoso-are- nacea comparisce presso Greccio dove presenta anche tracce di pteropodi. L’Eocene di Greccio penetra molto addentro nel fianco della catena occupando il fondo d’una depressione semiellittica con- tornata dai monti secondari e manifestamente prodottasi per spro- fondamento. Naturalmente in questo vallone o circo di Greccio l’Eocene non si trova in successione regolare e continua col Seno- niano come nella valle di Canera, ma va a battere direttamente contro al Lias medio ed altri terreni superiori fino al Neocomiano. Un fenomeno analogo si manifesta nella valle di S. Filippo. Anche essa ha l’aspetto d’uno sprofondamento sul fianco della ca- tena ed è occupata dall’Eocene posato in discordanza sui terreni secondari di vari livelli geologici. Quanto alla tettonica della Catena Sabina abbiamo già notato che essa forma nel suo complesso un’ anticlinale, normale nel tratto nord, ribaltata verso oriente nel tratto sud. FiCt. 1. — Sosioiic nel versante orientale della Catena Sabina, alla scala 'di 1 : 50000. 294 — La unita sezione trasversale, fra il Monte Macchia Por ara, sullo spartiacque della catena, e il piano di Rieti, ci dà un esempio di questo rovesciamento e può esser conside- rata in gran parte come un taglio naturale, poiché le pieghe accen- tuate, che essa mostra nella sua parte media, son visibili nelle pareti dei monti sulla sinistra della valle di S. Croce e di quella fra Macchia Cerro e Monte Romano che scen- dono sotto S. Filippo. Nella valle di S. Croce, infatti, può vedersi sulla sinistra il Neoco- miano, prima orizzontale, rialzato fino alla verticale a contatto del Lias superiore e questo schiacciato, raddrizzato e contorto fra la massa calcarea del Neocomiano e quella del Lias medio dell’alta montagna. Di questa piega ribaltata si ha traccia anche presso Greccio dove il Neocomiano del monte sopra il castello ricuopre gli scisti a fucoidi e questi si addossano alla scaglia ed all’Eocene. Il ribaltamento di questa ca- tena verso est fa riscontro al feno- meno analogo della catena del San Pancrazio ed alle altre pieghe, faglie inverse, accavallamenti e ricuopri- menti che furon riconosciuti finora — 295 - nelle regioni contigue delFUmbria nelle precedenti relazioni; tutte dislocazioni dirette presso a poco secondo il meridiano e colla pen- denza verso occidente, dimostrando così d’ esser dovute ad un me- desimo impulso proveniente dall’ovest. Colline del Salto e del Turano. — Questa regione di col- line, solcata principalmente dai torrenti Salto e Turano, è occupata in prevalenza dal Pliocene lacustre che giunge a 850 m. nel Monte Ponzano, a 838 nel Colle Cognolo, a 846 in un lembo presso il Monte Izzo e a 895 presso Castel S. Benedetto. Soltanto nel fondo delle valli de’ due torrenti ricordati affio- rano, di sotto al Pliocene, delle plaghe di terreni secondari e del- l’Eocene inferiore che presso S. Giovanni Reatino e nei monti cir- costanti ad ovest e a S.O acquistano un notevole sviluppo. La parte più antica di questi terreni si scuopre appunto presso S. Giovanni Reatino dove nelle alture di Capo Pacino e del Monte Serra comparisce il calcare neocomiano ricoperto dalla caratteristica zona degli scisti a fucoidi. Sopra questi fa seguito una , serie di strati di calcare bianco o grigio, spesso granulare, con tracce di fossili, specialmente crinoidi, (‘he per posizione stratigrafica e per analogia possono attribuirsi al Cenomaniano. Questi calcari occu- pano tutta la pendice orientale e meridionale del Monte Pacino, la collinetta di S. Giovanni, il colle di Capo Pacino e le pendici orientali del Monte Izzo, e si ritrova poi nel fondo del vallone ad est di S. Elia Reatino ed alle Grotte nella valle del Salto. Il Verri ^ ritenne titoniani questi calcari, ma nei dintorni di S. Giovanni Reatino a questo modo di vedere si oppone il fatto della loro sovrapposizione agli scisti a fucoidi. Un dubbio potrebbe rimanere per quelli delle Grotte, tanto sulla sinistra che sulla de- stra del Salto, perchè il Pliocene che li ricuopre impedisce di ve- dere i rapporti di essi con altri terreni. A me sembrò che essi presentassero qualche analogia coi calcari ippuritici di Pendenza ^ A. Yeeri Studi geologici sulle conche^ ecc. - 296 ~ che compariscono di sotto al Pliocene appena due chilometri più ad est. Sopra questa formazione di calcari bianchi o grigio -chiari, quasi sempre senza selce a differenza della formazione corrispondente della Catena Sabina, fa seguito la scaglia senoniana, talvolta rossa, più frequentemente bianca o giallastra. Nei dintorni di S. Elia la scaglia è appunto formata in prevalenza da calcari marnosi bianco- giallastri e solo qua e là vi compariscono rare lenti di scaglia rossa grandi appena qualche metro od anche solo pochi decimetri. Nei dintorni di Poggio Fidoni la scaglia bianca e quella rossa alternano fra loro in grandi zone. Presso C. Zoncane, fra il Fosso Lariano e il torrente Turano, la scaglia rossa racchiude strati di calcare nummulitico. Sotto ad essa sta un calcare granulare in grossi banchi, forse sempre nummuli- tico, che poi prevale sulla destra del Turano ed ivi presso la Ca- scina è ricchissimo di nummuliti. Questo calc-').re della Cascina è in parte decisamente cristallino, bianco-giallastro, e le nummuliti, grosse, vi stanno racchiuse in cumuli sparsi qua e là nella roccia. Sotto agli strati a grosse nummuliti vi sono strati a nummuliti piccolissime uniformemente disseminate nel calcare. Più a monte, verso Guardiola, il calcare nummulitico domina quasi esclusivamente. Anche i calcari in grossi banchi, che scuopronsi al disotto del Pliocene sulla sinistra del torrente Salto presso Casette, presentano a luoghi delle nummuliti. Rovistando qua e là si riesce a scuoprire, associata ai calcari, qualche piccola lente di scaglia rossa tipica. Nei monti ad est di Poggio Fidoni domina la scaglia rossa ma con qualche grosso banco intercalato di calcare bianco, spesso cristallino e senza fossili, qualche volta invece pieno di nummuliti. Presso Colle Rillara questi banchi sono frequenti e risalendo la valle contigua ad est finiscono per predominare sulla scaglia rossa che allora comparisce in essi in forma di letti di separazione fra banco e banco. 297 — Il calcare nummulitico di questi dintorni è di un tipo diverso assai da quello che trovasi sopra la scaglia nella sinclinale eoce- nica della Valle di Canera ed anche in altre parti dell’ Umbria. Esso è invece del tipo di quello che, nell’ Appennino Abruzzese e in gran parte dell’ Italia meridionale, fa seguito all’ippuritico e che non racchiude traccia di scaglia. In generale è un calcare cristal- lino o ceroide, bianco-giallastro con rari noduli di selce, in grossi banchi intramezzati da pile di strati sottili di calcare compatto con letti di selce e, più raramente, da masse lenticolari, anche di minime dimensioni, di calcare rosso marnoso della scaglia. Le nummuliti si osservano solo in alcuni banchi, mentre più spesso vi si notano frammenti di fossili indeterminabili e general- mente di crinoidi. Siccome in vari altri punti della Sabina, come ad esempio alle Eocchette e a Montebuono, si vedono in mezzo alla scaglia rossa dei grossi banchi di calcare bianco cristallino, e a luoghi questi calcari sono nummulitiferi (monti di Leonessa, Ferentillo, ecc.), sembra plausibile l’opinione che questa formazione calcarea delle colline del Salto, del Turano, non differisca da quella delle loca- lità accennate se non per la prevalenza della scaglia in un caso e del calcare nummulitico nell’altro. Può ritenersi pertanto che questa pila di grossi banchi num- mulitici, con rarissime intercala ture di scaglia, dei dintorni di Lieti rappresenti il massimo sviluppo di quei banchi calcarei che \ presso Poggio Fidoni si osservano isolati in mezzo alla scaglia rossa prevalente. Soltanto la grossa ed estesa coperta di Pliocene, disotto al quale affiorano queste masse di strati nummulitici, im- pedisce di seguire il passaggio laterale, che certamente deve aver luogo, fra dette masse nummulitiche e la grande formazione della più schietta scaglia rossa dei monti compresi fra S. Giovanni Reatino, Monte S. Giovanni e Poggio Fidoni. Le osservazioni paleontologiche confermano questa eteropia fra la scaglia, o parte di essa, e le masse di calcare nummulitico di 19 298 — tipo abruzzese che troviamo sul calcare ippuritico a soli quattro o cinque chilometri di distanza presso Paterno h Il Dr. Prever mi comunicò gentilmente la seguente lista di specie provenienti dal calcare numm ilitico delle colline del Salto e del Turano: 1 — Calcare nummulitico in grandi masse con qualche raro letto di scaglia rossa presso C. Penta sulla sinistra del Salto: ^ Nel rilevamento geologico della decorsa estate trovai il calcare con ip- pariti tra Paterno e S. Angelo sulla destra del Telino e nei monti tra Colle Rinaldo e Rocca di Fondi. Osservai che da questo calcare si passa superior* mente, senza una linea netta di divisione, al calcare nummulitico appoggiato in discordanza sulle varie formazioni secondarie dei monti circostanti ed alquanto rovesciato al contatto di esse. Questo calcare nummulitico racchiude le seguenti specie determinate dal Dr. Prever : Paronaea Guettardi var. D’Arch. P. eocenica, Prev. P. Heeri, De La H. P. Tchihatcheffi, D’Arch. Bruguierea suh-Virgilioi, Prev. Laharpéia Benoisti, Prev. L. Brongniarti, D’Arch. L. snb-Brongniarti, Yerb. Giimhelia lenticularis, Ficht. et Moli. G. spissa, Defr. G. Sismondaì, D’Arch. G. Douvillei, Prev. G. snb-Paronai, Prev. G. Meneghina, D’Arch. Orthophragmina discus, Rut. 0. nummulitica, Giimb. 0. Archiaci, Schlumb. 0. Choudeani, Schlumb. 0. Bratti, Michn. 0. Taramellii, Mun. Ch. Amphistegina, sp. Alveolina, sp. l’insieme delle quali specie viene attribuito dal Prever al Luteziano inferiore o medio. — 299 Paronaea discorhina, D’Arch. P. sui)- di s corbina ^ De La H. P. eocenica^ Prev. Brugnierea Taramellii, Prev. Assilina, sp. Alveolina, sp. 2 — Calcare nummulitico associato alla scaglia rossa presso C. Zoccane fra il Turano e il Ladano : Brugnierea Taramellii, Prev. B. sub- Taramellii, Prev. B. subitalica, Teli. ** B. Virgilioi, Prev. Laharpeia Benoisti, Prev. Paronaea discorbina, D’Arch. P. subdiscorbina. De La H. P. Heeri, De La H. P. Guettardi, var. P. Marianii, Prev. P. eocenica, Prev. Gumbelia Gentilei, Prev. Assilina mamillata, var. Operculina, sp. Alveolina, sp. 3 — Calcare nummulitico in massa senza traccia di scaglia presso la Cascina sulla destra del Turano: Orthophragmina Sella, D’Arch. Paronaea discorbina, D’Arch. P. subdiscorbina. De La H. P. Guettardi, D’Arch. P. eocenica, Prev. P. Taramellii, Prev. Brugnierea sub ‘Virgilioi, Prev. B. Cape deri, Prev. B. snb-Capederi, Prev. Laharpeia Benoisti, Prev. L. snb'Benoisti, Prev. L. Defrancei, D’Arch. L. snb’Defrancei, Prev. Assilina mamillata, var. A. mamillata , D’Arcli. A. subspira, De La H. Alveolina, sp. Questa fauna nummulitica viene attribuita dal Prever alla parte più antica dell’Eocene e ritenuta corrispondente a quella, pure da lui studiata b della scaglia di Leonessa. Sul Pliocene che, come dicemmo, occupa in prevalenza questa regione di alte colline dei dintorni di Rieti, poco di nuovo vi è da dire. ^ Predomina in esso un conglomerato fortemente cementato di ciottoli calcarei, alcuni dei quali si presentano improntati. Le forme del terreno sono alpestri, a pareti ripide e dirupi quali non tro- vansi che nelle masse calcaree massicce secondarie. Fra i ciottoli di questa formazione ve ne sono di un calcare bianco secondario, ceroide, spesso brecciato, con grosse nummuliti, del tipo del num- mulitico abruzzese. Il conglomerato è spesso stratificato e in qual- che punto a strati molto inclinati. In generale però nelle valh del Turano e del Salto gli strati sono orizzontali. Alternano in basso col conglomerato strati sabbioso-argillosi nei quali presso Cittaducale rinvenni qualche Helix. Mai si trovarono in questi dintorni dei fossili marini, per cui questo Pliocene, come quello dei bacini di Terni, di Spoleto e di Leonessa, è da ritenersi continentale. Queste colline plioceniche poste a sud e S.E di Rieti sono chiaramente terrazzate nella loro parte più elevata e ad uno stesso livello. Pendici occidentali del Terminillo. — La geologia del gruppo del Terminillo presenta notevoli difficoltà, non tanto per la sua complicata struttura, quanto perchè in esso si prepara il passaggio tra la facies settentrionale delle formazioni secondarie a quella me- ^ P. L. Prever, Sulla fauna nummulitica della scaglia delV Appennino ceih trale. (Atti R. Accad. Scienze, Torino, 1904-905). — 301 — ridionale molto differente, specie nella serie superiore di questi ter- reni. Questo gruppo merita pertanto un’apposita illustrazione, e questa, come accennai, farà parte di una futura relazione, dopoché sarà stato ultimato il rilevamento del gruppo stesso. In questa nota mi limiterò alla descrizione della parte più oc- cidentale del gruppo che è compresa nella tavoletta di Rieti e che presenta un’ importanza non comune per un fenomeno tettonico di notevole entità. Nella parte N.E della tavoletta di Rieti, nei monti di Canta- lice, che si rannodano a quelli di Poggio Bustone descritti nella relazione dell’anno decorso h si ha la serie regolare e caratteristica della Catena Sabina. Qui però la serie incomincia con un terreno più basso, il Retico, avente la solita forma di calcare ceroide grigio, a clivaggio poliedrico normale alla stratificazione e di calcare do- lomitico cristallino. Di questo terreno si osservano quattro affioramenti distinti, di piccolo spessore ed allineati sopra una zona diretta da S.S.O a N.N.E. Il più meridionale di essi comparisce sulla nuova strada rotabile di Pugnano e può seguirsi per un tratto di circa un chilometro e mezzo fin sulla costa sud del Monte di Pugnano, dove appare in parte disgregato e polverizzato. Po si ritrova per breve tratto sulla pen- dice S.E del Monte Calcarone, dove pure si presenta disgregato e polverizzato, e poi più oltre nella pendice N.E del monte stesso da dove scende nel vallone di Pisciano e lo attraversa, rimontandone un poco il lato destro. Dopo un’interruzione di circa un chilometro lo vediamo affiorare di nuovo nel fianco orientale del Monte Pal- loroso, e su di esso possiamo seguirlo per circa due chilometri e mezzo, salendo per la strada mulattiera di Peonessa dalla Fonte Magiionica al passo del Monte Macchialaveta sulla destra del Fosso della Tagliata che scende al vallone di Pisciano. Anche in questo tratto il calcare retico è in gian parte pulverulento. ^ B. Lotti, Sui risultati, ecc. — 302 — Nel lato occidentale dei vari affioramenti esso comparisce dap- pertutto di sotto al Lias inferiore e sullo strato di passaggio fra i due terreni si osservarono, nelFaffioramento del Monte Palloroso, sezioni di Megalodus. Ad oriente invece questi stretti affioramenti sono limitati da terreni svariatissimi, a cominciare dal Lias medio fino al Neocomiano. Lo troviamo a contatto del Giurassico medio e del Neocomiano presso Lugnano, del Lias medio e del Lias superiore sulla pen- dice S.E e N.E del Monte Calcarone, del Lias superiore e del Giurassico medio sulla costa orientale del Monte Palloroso. Manifestamente ciò non potrebbe avvenire se non in conseguenza d’ una dislocazione per faglia. Tale dislocazione infatti venne dimo- strata all’evidenza dalle osservazioni locali e fu riconosciuta per un accavallamento o faglia inversa colla pendenza verso ovest. Presso Lugnano sulla destra del fosso si ha la seguente se- zione, Eig. 2, che può riguardarsi come un vero e proprio tagho naturale : Fio. 2. — Sesione sulla destra del Fosso di Lugnano. CFCctte^ne Lugnano n, calcari neocomiani — g, calcari giurassici — Is, scisti argillosi, marne, arenarie e puddinghe minute del Lias superiore — Im, calcari del Lias medio — li, calcare a gasteropodi del Lias inferiore — r, calcari grigi e dolomie del Retico. Il Lias inferiore vedesi qui riposare sul Retico, il quale non giunge fino alla cima del monte ad est di Lugnano, ma finisce in cuneo poco sotto; la faglia però è manifesta anche al contatto fra il Lias inferiore e il Neocomiano. Il calcare retico poi riposa in parte discordante, in parte concordante sul calcare giurassico e neo- — 303 — comiano in strati raddrizzati e fortemente contorti. Sulla sinistra del fosso si ripete lo stesso fenomeno e le stesse contorsioni. Sulla sinistra e sulla destra del fosso Melunghe, che succede immediatamente a nord e scende sotto Lugnano normalmente alla faglia, vedesi, in corrispondenza di questa, il Lias superiore e il Lias medio sottostare al Lias inferiore e al Retico, colle testate contro questi terreni più antichi Nel successivo vallone di Lisciano la faglia è manifesta pel contatto anormale del Lias superiore e del Lias medio col Retico e col Lias inferiore, essendo i terreni più antichi sovrapposti ai più giovani ed avendo quelli e questi la pendenza nello stesso verso presso il contatto. Nell’ultimo tratto della faglia, fra la Fonte Magiionica e lo spartiacque fra il Lascino di Leonessa e il vallone di Lisciano presso il Monte Macchialaveta, la strada mulattiera di Leonessa percorre esattamente la linea di contatto di essa faglia, fra il Retico a si- nistra di chi sale e il Lias superiore, il Giurassico medio ed anche il Neocomiano a destra. La seguente sezione attrave^^so la faglia offre un esempio di tali rapporti : Fio. 3. — Ses'one sulla pendice orienlale del Monte Palloroso. g, calcare giurassico — ds, diaspri e calcari selciferi in strati sottili, idem — Is, Lias superiore — Im, Lias medio — li, Lias inferiore — r, calcare retico con sezioni di Megalodus nella parte superiore. La lunghezza di questa faglia in linea retta, fra la rotabile di Lugnano e il Monte Macchialaveta, oltrepassa i dieci chilometri, ma — 304 — è certo che esso prosegue verso N.E essendo stata riconosciuta sulla pendice nord del Colle Leprino dalFing. Crema nel contatto anormale fra il Lias medio e il Retico, e ad oriente del Monte Catabio, presso la Forca dei Faggi, secondo le indicazioni del Moderni, il quale trovò il Lias inferiore accavallato sulla scaglia^ sul Neocomiano, sul Lias superiore e sul Lias medio. Un’ altra faglia più piccola, normale alla precedente, si osserva in taglio naturale sulla strada rotabile di Lugnano. Essa mette in contatto la dolomia retica col Lias medio e sul piano di contatto si nota una formazione brecciosa. Anche a Lisciano sembra che la vallecola contigua all’abitato occupi una linea di rottura del calcare basico, rottura che sarebbe normale alla grande faglia. Nello sprofondamento precipitarono il Lias medio e il Lias superiore. Presso l’abitato, salendo il Monte Calcarone, sono evidenti le traccie di scorrimento sul piano della faglia fra il Lias medio e il Lias inferiore. Sul Retico fa seguito costantemente il Lias inferiore che forma il monte ad est di Lugnano, il grosso del Colle Categne e il Monte Calcarone da dove prosegue verso N.N.E, in una stretta zona sulla pendice orientale del Monte Palloroso e va a formare il Monte Mac- chialaveta. Questo calcare lo ritroviamo poi più a sud presso Cittaducale, in lembi alla base del Monte Quarto e in grandi masse nei monti ad est di questa città. Il calcare è sempre del solito tipo caratteristico e presenta frequenti sezioni di gasteropodi, specialmente chemnitzie. Il Lias medio trovasi in placche sul precedente nel Colle Cardone sopra Cittaducale, dove racchiude ammoniti limonitizzate, nel Monte Quarto dove presenta tracce di rinconelle, nel Fosso di S. Rufina, sulla strada di Lugnano, dove pure presenta delle ammoniti limo- nitizzate, crinoidi e rinconelle, nel Colle Categne tra Lugnano e Lisciano, nel Fosso Melunghe e in un’ampia zona regolare sulla destra del vallone di Lisciano, formando col sottostante Lias infe- riore le pendici orientali del Colle Accuni, del Monte Palloroso e — 305 — della Cima di Monte. Nel Colle Accuni presso il punto di congiunzione delle due mulattiere di Leonessa, questo calcare si presenta note- volmente ricco di ammoniti limonitizzate. Il Lias superiore succede quasi dappertutto al Lias medio e lo troviamo in questa posizione sulla cima del Monte Quarto, sul Colle Categne e in una striscia sottile sul Lias medio del Colle Accuni e del Monte Palloroso. In questa parte dei dintorni di Rieti, e può’ dirsi lo stesso per tutto il gruppo del Terminillo, questa formazione presenta forme clastiche molto spiccate. Prevale in essa una puddinga minuta policroma, con frammenti di crinoidi e di bivalvi, piccole rinconelle analoghe a quelle trovate sul Monte Fausola, un po’ più a nord, e riconosciute dal Parona per le Eh, Curionii Mgh. e Eh, Seguenzae Gemm. (var. minor). Vi si as- sociano straterelli di arenaria calcarea e di calcari marnosi con im- pronte d’ ammoniti e di Posidonomya. Il calcare rosso vi è appena rappresentato da strati molto argillosi, violetti, come presso il Colle Categne e alla fonte di Colle Accuni; in generale però questa forma caratteristica manca nel gruppo del Terminillo,^ dove invece diviene caratteristica la puddinga policroma a pentacrini e rinconelle. L’ are- naria calcarea, di cui si ha traccia anche dove dominano il calcare rosso e gli scisti marnosi a P. Bronni come nella Catena Sabina, serve di legame fra le due facies. Nel Lias superiore di Colle Categne vi sono tutte le forme di un deposito clastico, da una marna ad un conglomerato ad ele- menti grossi come un uovo, passando per arenarie fine e grosso- lane. Gli elementi di queste rocce sono, salvo qualche frammento di selce, esclusivamente calcarei. Nel conglomerato rinvenni un’am- monite guasta forse perchè rotolata. Oltreché in serie regolare sul Lias medio troviamo questa for- mazione direttamente a contatto col Lias inferiore e ad esso sot- tostante, per faglia, ad est del Monte Calcarone e sulla costa orien- tale del Monte Palloroso. Il Giurassico medio e superiore prende un notevole sviluppo nel gruppo del Terminillo e può’ essere studiato con molta cura. Esso succede regolarmente al Lias superiore e lo troviamo in una zona alla base occidentale dei monti di S. Rufina e del Colle Alario, nel fondo del fosso di Lugnano, sulla sinistra del vallone di Can- talice, da dove spingesi sulla cima del Monte Palloroso, e forma poi gli speroni che scendono dal Terminillo, cioè il Colle di Monta- gnano, il Monte Covemese, il Monte Cardite e il Colle Martorelle, non che parte del Monte del Rifugio, Questo terreno è costituito prevalentemente da calcari bianchi granulari con frammenti di crinoidi e di altri fossili indetermina- bili, da un calcare a struttura oolitica minuta e da strati diasprini. Nel Colle Accuni e nel Monte Palloroso questi strati diasprini sono distesi in una zona regolare fra il Lias superiore e il calcare giurassico granulare con crinoidi. Nei monti fra Lugnano e S. Ru- fina alla base dei calcari neocomiani fa seguito con perfetta con- tinuità un’ altra fila di calcari che gradatamente divengono ceroidi e poi granulari con crinoidi, e questi riposano su strati diasprini. Nel fondò del fosso di Lugnano e in quello contiguo di S. Ru- fina questo terreno è formato di alternanze di calcari a crinoidi in grossi banchi e di strati sottili di calcare ceroide con aptici e con selce, che passano localmente a strati diasprini. Sembra pertanto evidente che i diaspri ritenuti specificatamente titoniani, anche dove essi soli formano il terreno di passaggio tra il Neocomiano e il Lias superiore, possono rappresentare tutto il Giurassico superiore e medio e corrispondere anche alla facies calcarea di questo terreno. Infatti, come abbiamo visto, i diaspri si trovano a luoghi sopra, a luoghi sotto ed a luoghi intercalati ai calcari, e fra i diaspri stanno in- terposti strati sottili di calcare molto somigliante al calcare giuras- sico di cui è parola. Mai in nessun caso si osserva discontinuità nel deposito, nè tanto meno discordanza, e in molti punti, come fu osservato anche altrove, i diaspri sono strettamente legati al Lias superiore con passaggi graduati, ciò che non potrebbe essere se dal Titoniano si passasse bruscamente al Lias superiore. Del resto, trat- - 307 — tandosi d’ una formazione di grandi profondità e quindi a deposito lentissimo, è ovvio che la formazione diasprina, benché di non grande spessore, possa rappresentare anche tutto intiero il periodo giurassico. Quella zona adunque costituita da diaspri e da strati sottili di calcare con selce passante a diaspri, che nella Catena Sabina, come anche in quasi tutta F Umbria, comparisce regolarmente fra il Neocomiano e il Lias superiore, nel gruppo del Terminillo si trasforma nella massima pai te in una formazione di calcari cristal- lini o ceroidi a crinoidi. I calcari che vengono per faglia in contatto col Retico e col Lias inferiore presso Lugnano sul lato destro del fosso, presentano una notevole analogia con quelli del Lias medio essendo, come quelli, ceroidi, ma essi stanno sopra gli strati ad aptici che com- pariscono nel fondo del fosso e si differenziano da quelli del Lias medio per avere della selce colorata in violetto, ciò che non si ve rifica pei calcari del Lias medio. Le differenze fra i calcari a crinoidi e rinconelle del Lias medio e quelli analoghi (a crinoidi senza rinconelle) del Giurassico, si av- vertono manifeste in quei punti dove queste masse calcaree, giuras- siche e basiche, si trovano vicinissime e sono separate fra loro dal Lias superiore, come, ad esempio, in quella zona che da Cantalice pel Colle Varco sten desi fino al Monte Palloroso. I calcari del Lias medio sono qui, come avvertimmo, ricchi di ammoniti e sono divisi costantemente da quelli giurassici sovrastanti da una sottile zona di scisti con ammoniti e posidonomie del Lias superiore. Esaminati quasi allo stesso tempo i calcari granulari a crinoidi dei due ter- reni si possono valutare certi caratteri differenziali che sfuggono quando si esaminano a distanza di luogo e di tempo. Devesi ritenere pertanto per acquisito che i calcari colitici, oltreché quelli granulari a crinoidi, ad onta di notevoli analogie col Lias medio, stanno in questi dintorni fra il Neocomiano e il Lias superiore e racchiudono strati selciosi e diasprini con aptici. Poco vi é da dire a riguardo dei calcari neocomiani. Essi fanno — 308 - seguito, e senza una netta divisione, a quelli giurassici e compa- riscono nel Colle Alario sopra Coppaeli ^ nella parte superiore dei monti Cardito e Covemese e di quello del Rifugio. Essi costituiscono poi il grosso dei monti di S. Liberato, tra il vallone di Cantalice e quello di Poggio Bustone. Del tipico calcare maiolica, neocomiano, identico a quello del Rifugio del Terminillo, è formato anche il colle ad est del Monte Macchialaveta, che forma il labbro orientale della faglia Lugnano- Tascino. Gli scisti a fucoidi dell’Aptiano compariscono, nel loro aspetto caratteristico, sopra il Neocomiano nel gruppo di San Liberato, in una zona che partendo dall’abitato omonimo, gira intorno al Colle Mattutino e al Colle La Forca, separando il Neocomiano dalla scaglia rossa e bianca del Senoniamo. Questa formazione si ritrova anche nel Colle Montagnano e sopra il Colle Alario nei monti di Lugnano. Qui, agli scisti a fucoidi, succede immediatamente un calcare cristallino bianco-giallastro, pieno di frammenti di fossili, fra i quali sembrano trovarsi delle foraminifere. Essi rannodansi ai cal- cari nummulitici della scaglia per analogia litologica e per posi- zione stratigrafica. Infatti sulla cima del Colle La Forca e nel Colle Mattutino facenti parte del gruppo di San Liberato, questi calcari si ritrovano in mezzo alla scaglia rossa e racchiudono grosse num- muliti delle solite specie dell’Eocene più antico. Le nummuliti vi si osservano anche sparse isolatamente qua e là in certi scisti cal- carei verdastri associati alla scaglia rossa, e questi scisti li ritro- viamo presso l’abitato di Cantalice intercalati fra i calcari rossi della scaglia. Il Prever studiò le nummuliti di questa scaglia e ^ Sulla Carta del R. Istituto geografico militare è detto Cupaello e con questo nome è conosciuto pure dagli abitanti dei dintorni. Ma poiché questa località è ormai nota in geologia sotto il nome di Coppaeli ed è così denominata anche sulle carte antiche, ho creduto opportuno di mantenere tale denominazione. — 309 — vi riconobbe le seguenti specie che egli ritenne appartenenti al Luteziano inferiore od anche ad un piano più antico: Paronaea eocenica Prev., P. subeocenica Prev., OrthopTiragmina Choudeani Schlumb., 0. Sella? D’Arch. Nessun altro terreno più recente comparisce in questa parte del gruppo del Terminillo ad eccezione del Pliocene lacustre e del Quaternario. Il Pliocene lacustre lo troviamo nei dintorni di Santa Rufina dove è formato da conglomerati in alto e da sabbie ed argille in basso, e presenta qui una forte inclinazione (circa 45°). Questa inclinazione, però, non è dovuta ad un fenomeno generale di dislo- cazione, ma a cause puramente locali, perchè la pendenza, che è verso S.E nel fosso che dal Monte Quarto scende a Santa Rufina, è invece verso N.E alla distanza di tre chilometri nella collina di Bonafacci presso Ponte Granare. Le colline della Foresta, di Castelfranco e di San Liberato, che per la loro posizione e per la lussureggiante vegetazione bo- schiva accolgono le ville più amene dei dintorni di Rieti, sono for- mate di conglomerato pliocenico fortemente cementato da una massa travertiniform.e, la quale talvolta vi abbonda a segno da costituire piuttosto dei veri banchi di travertino con ciottoli. Del resto non vi manca il travertino schietto, che manifestamente è il prodotto stesso delle sorgenti calcarifere che cementarono il con- glomerato pliocenico. Un lembo di questo travertino si osserva tra il Casino Napoleoni e il Convento della Foresta. Il travertino forma altresì l’altipiano sul quale è fabbricata Cittaducale, e varie plaghe di esso stendonsi lungo il corso del Velino, a valle e a monte della detta città. Di travertino è formata inoltre la collinetta sulla quale è posta la ridente città di Rieti, ed una grande distesa di circa quattro o cinque chilometri se ne scuopre tra Rieti, le colline di Sant’Arcangelo, Pratolungo e il Velino, al disotto del terreno vegetale. Oltreché dal travertino, il Quaternario è qui rappresentato dal - 310 - terreno alluvionale antico di Campo Lugnano. Esso è formato di ciottoli e letti di sabbia provenienti probabilmente dalla denuda- zione delle colline plioceniche di Castelfranco, di Santa Rufina, dell’Erta e dei Cappuccini, le quali circondano, quasi chiudendolo, queir esteso piano inclinato quaternario che da Rieti spingesi, risa- lendo per 150 metri, fino a Lisciano a N.E e per 100 metri fino a Santa Rufina ad est. Una circostanza degna di nota in questa parte dei dintorni di Rieti è la presenza presso Coppaeli di una roccia eruttiva recente, di cui non si rinviene traccia in nessun’altra parte dell’Umbria e dell’ Appennino centrale. E’ una roccia pirossenica a melilite, di aspetto basaltico, sulla composizione della quale furono date notizie dal Brugnatelli ^ e dal Sabatini ed ulteriori ne saranno offerte dal Sabatini stesso nella breve nota che fa seguito alla presente. Il Verri fa cenno di questa roccia nel suo lavoro sulle conche di Terni e di Rieti, e ne riferisce dubitivamente l’età ad un pe- riodo intermedio fra l’Eocene e il Miocene e forse corrispondente alla formazione delle ofioliti dei Monti di Gubbio. In una memoria successiva ^ l’ attribuisce però al Quaternario e precisamente a quel periodo di attività vulcanica tirrenica durante il quale si depositarono i tufi e i travertini. Delle sue condizioni di giacitura nulla è stato detto, e vera- mente esse sono poco chiare e di diffìcile esame. Questa roccia forma una massa lunga circa un chilometro e larga circa 100 metri, di- retta da N.E a S.O dalla quota di 800 metri sopra Coppaeli di Sopra fino al fondo del fosso presso Coppaeli di Sotto alla quota di 500 metri. Essa trovasi in contatto col Pliocene e coi calcari ^ L. Brugnatelli, Sulla composizione di una roccia pirossenica dei diu' torni di Bieti. (Atti Accad. se., Torino, XIX, 3, 1882). * Y. Sabatini, La pirossenite melilitica di Coppaeli. (Boll. R. Com. geol., Yol. XXXY, 4, Roma, 1903). ^ A. Yerri, Un capitolo della geografia fisica dell’ Umbria. (Atti lY Congr. geograf. italiano, Milano, 1901). — 311 giurassici, ma per le condizioni del terreno tali contatti non pos- sono osservarsi esattamente. La massa eruttiva presenta scoperta la sua fronte sulla sinistra del fosso di Coppaeli, dove si arresta bruscamente in mezzo al Pliocene, mentre sulla destra domina esclusivamente questo terreno e non vi ha traccia di roccia erut- tiva. Questa, dunque, ha tutta l’apparenza di costituire una colata sopra i calcari secondari e sul Pliocene e non un dicco racchiuso in questi terreni. Non vi ha dubbio che essa sia posteriore al Plio- cene o tutt’al più contemporanea alla sua parte superiore, perchè nessuna traccia se ne osserva fra i ciottoli e le ghiaie plioceniche, neppure in quelle a contatto immediato della roccia eruttiva. Ma un argomento positivo per fissarne l’età post-pliocenica, non si può avere perchè il contatto immediato di essa col Pliocene è assolu- tamente invisibile. Solo in un punto ristretto e di difficile accesso potei osservare, associati a strati di marne e ciottoli del Pliocene, degli straterelli sottili di un materiale augitifero alterato, che po- trebbe rappresentare un tufo. La .roccia presenta poche varietà ed è in massima parte alte- rata ed epidotizzata come la diabase dell’Eocene. Di questa pietra vi sono tre vecchie cave da cui fu estratto in passato il materiale per la pavimentazione delle strade di Rieti. In alcuni punti di queste cave la roccia presenta una struttura sferoidale. Altipiano reatino. — Il piano di Rieti è formato nella quasi totalità da terreno quaternario recente, in parte alluvionale, in parte torboso. Soltanto tra Rieti e le colline plioceniche di S. Ar- cangelo stendesi un’ampia coperta di travertino verosimilmente riferibile ad un periodo antico del Quaternario. Sparsi in questa vasta pianura stanno, come fu detto, vari piccoli rilievi che un tempo dovettero essere delle isole emergenti dallo specchio d’acqua di quell’antico lago. La più settentrionale di queste isole, quella di Montisola, è di Pliocene formato da ghiaie, sabbie e strati di calcare cretoso. — 312 — friabile, con 'Melanopsis e Bithinia; ed alla stessa guisa è costituita la prossima collina di Campigliano che, sebbene riunita per uno stretto istmo ai monti che separano questo di Rieti dal bacino di Piediluco, può considerarsi essa pure come un’isola del piano reatino. La vicina isola di S. Balduino, più piccola e più depressa, è formata nella sua parte occidentale da un calcare cristallino num- mulitico, nella sua parte orientale da calcari bianchi e rossastri della scaglia. Le isole di S. Pastore e di Montecchio, più a sud, sono costi- tuite da calcari bianchi del Senoniano e forse in parte del Ceno- maniano. In quella di Montecchio compariscono anche dei calcari rossi e rosei della scaglia. La collinetta di Terria è formata da calcari marnosi che sem- brano quelli di passaggio fra la scaglia e l’Eocene. La sua appen- dice che spingesi fino a Monticchiolo è di Pliocene. Di Pliocene è pure costituita la collinetta di Torretta che staccasi appena per 500 metri dalle colline della Foresta. Tutti questi antichi isolotti, oltre ad avere una diversa costi- tuzione geologica, presentano una disposizione tettonica variabile dall’uno all’altro ed in nessuna relazione colla tettonica dei monti circostanti. Soltanto nella collina di Montecchio gli strati manten- gono la direzione normale da nord a sud della Catena Sabina. In quella di S. Pastore questa direzione è da N.E a S.O e in quella prossima di S. Balduino da N,0 a S.E. Da questo fatto, come anche dalla costituzione geologica di queste colline in rapporto colla loro altitudine, risulta manifesto che quell’ampio bacino, oggi colmato e trasformato in pianura, fu il risultato d’un enorme sprofondamento alla stessa guisa del con- tiguo bacino più settentrionale di Piediluco. I movimenti sismici cui fu soggetta più volte questa contrada devono avere la loro ragione d’ essere nello assettamento, non ancora compiuto, di questo sottosuolo, alla stessa guisa di ciò che sembra verificarsi pei bacini di sprofondamento analoghi della Valle Umbra — 313 — e di Norcia, essi pure centri di movimenti sismici di notevole intensità. La parte settentrionale e N.E del piano di Rieti è occupata specialmente da terreno palustre e torboso che circonda i bacini lacustri del Lago Lungo e di quello di Ripa Sottile. Nel padule di Campigliano, presso Capanna Vecchia, il terreno torboso in seguito a trivellazioni fu riconosciuto così costituito dal- r alto al basso : 1 — humus torboso, 30-50 cent.; 2 — torba, 3-10 metri; 3 — strati di foglie e terra bianca, 0.50-1 metro; 4 — nuovo strato di torba di migliore qualità e tronchi di albero. Le trivellazioni giunsero, dicesi, fino a 40 metri senza incon- trare il terreno solido. Sorgenti dei dintorni di Rieti. — I dintorni di Rieti pos- seggono copiose sorgenti d’acqua potabile. Può dirsi in tesi generale che dovunque compariscono le zone scistose, e quindi impermeabili, dell’Aptiano e del Lias superiore si hanno qua e là delle sorgive utihzzate dagli abitanti dei dintorni. Sorgenti di portata limitata si hanno altresì alla base e sulla costa delle rupi di conglomerato pliocenico nelle valli del Turano e del Salto e nelle colline della Foresta e di S. Rufina. Esse sembrano dipendere dalla presenza di qualche interstrato poco permeabile dentro il conglomerato molto assorbente. Nel monte Macchia del Lago, sopra Greccio, scaturiscono buone sorgenti fra la scaglia e i sottostanti scisti a fucoidi. Dal detrito che stendesi alla base dei monti fra Greccio e Con- , figliano scaturisce la copiosa sorgente Onnina che evidentemente raccoglie le acque della lama di contatto fra il calcare neocomiano permeabile e gli scisti a fucoidi impervii, qui sottostanti per rove- sciamento. Anche di sotto al detrito del circo di sprofondamento a nord 20 di Greccio, airincontro del sottostante terreno impermeabile eoce- nico, scaturiscono due grosse sorgenti, una sotto Colle Maggiore, l’altra sotto S. Francesco. Una sorgente copiosissima sgorga dagli scisti a fucoidi presso Liberato in quel di Cantalice. Qui gli scisti formano una sincb- nale riempita dalla scaglia che forma il Colle Mattutino e funziona da terreno assorbente. Ma le sorgenti più copiose e capaci di fornire forza idraulica oltreché eccellente acqua potabile son quelle di S. Susanna e delle fonti di Rieti. Le sorgenti di S. Susanna, della portata di circa 6 me. a 1", scaturiscono al piede del Colle Fogliola di calcare neòcomiano presso il margine N.E del piano di Rieti e sono scaturigini di sfioramento dal livello idrostatico; quelle che forniscono l’acqua potabile alla città di Rieti scaturiscono ad un chilometro e mezzo di distanza da essa presso il Radule, in luogo detto la Bollica, alla estremi tà inferiore del piano inclinato che, come dicemmo, stendesi dalla base del gruppo del Terminillo presso Lisciano fino a Rieti. Queste sorgenti furono allacciate a 4 m. e 80 cent, sotto il livello del suolo e soltanto una parte delle acque, circa 90 litri a 1", fu condotta in città. L’acqua alla sorgente, ha, anche nei massimi caldi, una temperatura di 9-10° C., una temperatura cioè molto inferiore alla costante del luogo che è almeno di 13° C. E deve notarsi che queste acque, dovendo necessariamente avere un percorso sotterraneo, che po- trebbe essere anche di 5 o 6 chilometri, a poca profondità nel sotto- suolo del detto piano inclinato enormemente riscaldato in estate, per giungere alla sorgente con quella temperatura devono averne posseduta una anche più bassa. Sembra quindi che la loro origine primitiva debba ricercarsi nelle viscere dei monti che formano il gruppo del Terminillo. Non è soltanto la Bollica che scaturisce dal piano di Radule; numerose altre piccole polle sorgono qua e là nei fossati delle cam- pagne e stagnano, dando così ragione del nome portato dalla località. 315 — Pare quindi manifesto che sotto Talluvione quaternaria del piano inclinato Rieti-Lisciano, ossia di Campo Lugnano, esista una lama d’acqua la quale taglia la superficie di questo piano nella sua parte più bassa. Il regime di queste sorgenti può quindi riassumersi come ap- presso: Le acque immagazzinate nei calcari secondari del gruppo del Terminillo e specialmente in quelli del Lias inferiore di Lisciano e di Lugnano, giunte al livello idrostatico tracimano lateralmente dai calcari e proseguono il loro corso sotterraneo al disotto del Pliocene che si para davanti ai detti calcari, coperto alla sua volta da un potente strato di terreno alluvionale quaternario. Essendo poi il Pliocene reso quasi impermeabile da strati argilloso-sab biosi che alternano coi ciottoli, le acque sotterranee possono venir trat- tenute anche sotto pressione ed acquistare una certa forza ascensio- nale, come pare sia posseduta dalle acque che pullulano nel piano di Padule. Questo percorso sotterraneo a non grande profondità sotto il terreno clastico di Campo Lugnano è in accordo col fatto della presenza in queste acque di una notevole quantità di nitrati e di bacteri, però non patogeni, come risulta dalle analisi. Ciò dimostra che le acque cadute sulla superficie del piano di Campo Lugnano, totalmente coltivato, penetrano nel sottosuolo e si mescolano con quelle sotterranee che provengono dalle viscere della montagna e e che devono esser purissime. Se andiamo alquanto fuori dei dintorni di Rieti, un poco a monte di Cittaducale troviamo nelle stesse condizioni di queste di S. Susanna e di Rieti le poderose sorgenti di Peschiera e di Canetra, aventi le prime una portata di 18 e le seconde di 2 me. a secondo. Le sorgenti di Canetra scaturiscono da un sol punto presso quell’abi- tato sulla destra del Velipo, quelle di Peschiera formano una zona di sfioramento sulla sinistra per una lunghezza di oltre un chilo- metro. Il regime delle sorgenti, grandi e piccole, dei dintorni di Rieti - 316 - può ritenersi essere il seguente, che è poi applicabile alla quasi tota- lità delle sorgenti di acqua potabile: Le acque che cadono sulla superficie dei monti tendono a scendere verticalmente nel sotto- suolo e deviano dalla verticale solo quando la loro penetrazione viene impedita da un ostacolo qualunque esso sia. Quando ciò avvenga esse scorrono orizzontalmente o con inclinazione all’oriz- zonte secondo la disposizione dell’ostacolo e se il loro corso sotter- raneo vien tagliato da un solco della montagna o da una valle si manifesta la sorgente. Ora l’ostacolo alla penetrabilità verticale può dipendere dalla impermeabilità delle rocce o dalla loro satura- zione idrica. Nella zona superiore al livello idrostatico b le sor- genti dipendono quasi esclusivamente dalla impermeabihtà di qualche strato, come ad esempio degli scisti dell’Aptiano e del Lias superiore, in quella sotto il livello idrostatico, dipendono in- vece dalla saturazione, perchè anche le rocce più compatte sono ivi compenetrate d’ acqua e divengono assolutamente impervie. Una roccia satura d’acqua anche se permeabilissima non lascia pe- netrare altra acqua. Quindi le acque che scorrono nella zona supe- riore al livello idrostatico giunte a questo livello devono deviare lateralmente e se il loro corso laterale viene tagliato dalla super- ficie del suolo si avrà una sorgente. In queste ultime condizioni trovansi appunto le grandi sorgenti di S. Anna, di Peschiera, di Canetra e, alla loro origine, quelle di Rieti. Roma, dicembre 1906. ^ Grundwasser o groundwater. - 317 - III. V. Sabatini. — Ancora sulla pirosseìiite ìuelillfAca di Coppaeli (coppaelito). L’analisi petrografìca di questa roccia fu da me eseguita ^ sopra un piccolo frammento favoritomi gentilmente dal prof. Folgheraiter. Ora avendomi l’ing. Lotti passati i campioni della stessa lava, da lui raccolti, ho potuto esaminare numerose sezioni e stabilire come la sua composizione debba essere leggermente modificata, e quindi risulta da PTPTMh [Fn] La mica nera dunque non vi esiste come solo elemento di secondo tempo, ma anche del primo. In esso si trova in grandi lamelle fino ad oltre 1"=^^, 5 di maggior dimensione. Queste lamelle sono altera- tissime in grani e polvere giallo-nerastri o nerastri di prodotti fer- ruginosi. L’assorbimento è più o meno completo, e, talvolta giunge a tal punto da ridurre il minerale a pochi grani o a poca polvere di limonite scarsamente ed irregolarmente disseminati. Altre volte non ne resta nulla addirittura, salvo qualche leggera concentrazione di questi granellini che si trovano disseminati più o meno in tutta la roccia, provenendo anche da altri minerali, principalmente dalla ma- gnetite. Con alterazione di poco maggiore non ne rimane più nes- suna traccia. In qualche sezione si osserva ancora qualche striscia interna di mica non trasformata e limitata più o meno tra due sfaldature. Altrove la massa di granelli opachi è separata da spazi rettilinei trasparenti, mostrando il sito di talune sfaldature primi- tive. Da queste grandi lamelle si scende alle più piccole e a quelle che si possono considerare come del secondo tempo. Generalmente ^ Vedi Boll. Com. geol., Anno 1903. — 318 — sono trasformate anch’esse allo stesso modo. Ma non mancano, tra le lamelle più piccole del primo tempo, quelle che qualche volta sono intatte, meno che nell’orlo, che è trasformato in prodotti fer- ruginosi. Più frequente è il caso di trovare lamelle del secondo tempo, ancora più o meno intatte, e irregolarmente distribuite nella pasta melilitica del fondo. Questa mica non alterata appare, come dissi altra volta, bianca o leggermente polieroica tra il giallo-cece limpido, il giallo sbiaditissimo e il bianco. Sezione microscopica della coppaelite. Il pirossene è generalmente senza colore o appena tinto in verde- chiaro e contiene sempre delle corone più giovani, con orientazione leggermente diversa, ed arriva alle dimensioni di 8-10 decimi di mm., raramente ad 5. La peruschite è in ottaedri estremamente piccoli ed abondantis- simi. La melilite è in pasta giallo-paglia e in prismetti microlitici senza colore o poco colorati per alterazione. E’ probabile che il resto, cioè la pasta non microlitica, in origine fosse anch’essa, almeno — 319 — in gran parte, costituita da microliti e ridotta allo stato informe attuale per opera dell’alterazione. La magnetite originaria è più o meno trasformata in limonite scura o nerastra, che si trasforma in ematite rossa, colorando così la roccia in massa, in seguito ad arroventamento. Pel resto rimando il lettore alla citata mia nota. Il Lotti raccolse • anche campioni di tufo dai pressi del filone di coppaelite. E’ un tufo granulare in certi straterelli, terroso in altri, e risulta da frammenti ni della stessa coppaelite in cui tutti i diversi elementi sono riconoscibili, e tra essi anche la melilite, sebbene non abbia più azione sulla luce polarizzata. Molte sferoliti positive si sono sviluppate tra le diverse parti che compongono il tufo . Koma, dicembre 1908. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE PER l’anno 1905 ^ {Continuazione y vedi n. 3). GtAldieri a. — La malacofauna triassica di Giffoni nel Salernitano. (Atti E. Acc. Se. fis. e mat., S. 2%yo]. XIT, n. 17, pag. 30 in-L con ta- vola). — Napoli, 1905. I calcari dei monti che circondano Giffoni a nord-est di Salerno sono stati illustrati per primo da O. G. Costa che vi raccolse molti fossili, tuttora conservati nel Museo geologico della E. Università di Napoli, e che egli de- scrisse e figurò. Essi furono attribuiti prima al liasico, poi al giurese e infine al cretaceo : fu il Bassani (vedi Bibl. 1892) che in seguito allo studio dei pesci li assegnò alla dolomia principale. Anche i molluschi poco dopo sono stati esa- minati sommariamente dallo stesso Bassani e dal Di-Stefano, con lo stesso risultato; l’autore in seguito ha fatto una completa revisione di questi ultimi, e nella presente memoria dà il risultato del suo lavoro, col quale resta confer- mata l’età anzidetta di quei fossili, con l’aggiunta di forme raib liane. Premesso un elenco generale delle forme appartenenti ai due livelli, in tutto 31 specie fra gasteropodi, lainellibranchi e brachiopodi, l’autore ne fa la descrizione, corredandola di un elenco delle determinazioni fatte dal Costa, in confronto con le proprie, e di una tavola di figure. Garwood e. J. — The tarns of thè Canton Ticino. (Proceedings of thè Geol. Soc., Abstr. n. 814, Session 16 dune 1905, pag. 103-104). — London, 1905. Parla dei piccoli laghi alpini che si trovano negli alti bacini del Ticino, della Eeuss e del Reno, e particolarmente di quelli di Val Plora, del gruppo del Tremorgio, di quelli del San Gottardo ed altri minori; accenna alle loro condizioni geologiche e alla loro origine probabile, e osservando che in gene- * Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che pur trattando di lo- calità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 321 — rale essi si trovano in bacini allineati secondo direzioni indicanti il passaggio da una ad altra roccia di minore resistenza, indica come più probabile causa di loro formazione l’azione erosiva dei ghiacciai. G^iampaoli a. — / minerali accessori dei marmi di Carrara (pag. IB in-8®). — Carrara, 1905. L’autore divide i minerali dei marmi carraresi in due gruppi : 1® Mine- rali propri delle geodi ; 2° Minerali disseminati nella massa marmorea. — Dei primi sono conosciuti : quarzo, dolomite, calcite, gesso, fluorina, zolfo, albite, realgar, blenda. Dei secondi : calcosina, blenda cristallina, galena, pirite, siderite, malachite, azzurrite, magnetite, oligisto, limonite, clorito, biotite, scapolite. Le geodi hanno il loro massimo sviluppo nei calcari bianco-chiari infe- riori, mentre i minerali disseminati sono abbondantissimi nei marmi statuari, paonazzi, bardigli della lente superiore. I minerali delle geodi, superbamente cristallizzati, debbono la loro esistenza ad acque ricche di sali, rimaste impri- gionate in fenditure nel piano di stratificazione, durante il metamorfismo del calcare in marmo : gli altri, isolati o riuniti in macchie, vene, veli od ammassi, sono prevalentemente minerali di metalli pesanti, particolarmente di ferro, for- matisi nello stesso tempo per processo di fusione, ebbero probabilmente origine da minerali preesistenti nella massa del calcare. L’autore dà un cenno descrittivo dei singoli minerali nell’ordine sovrain- dicato, concludendo che essi non sono i soli che oggi si conoscano ; altre forme mineralogiche, che pur si sanno esistenti nei marmi, attendono ancora di essere studiate e determinate, quali il talco, la mica e l’anfibolo. GriANi A. — Studio petrograflco intorno ad alcune rocce eruttive dei Colli Euganei neW Atestino. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXXII, fase. II a YI, pag. 57-96, con 2 tavole). — Padova, 1905. Dopo un breve cenno dei lavori fatti sulle rocce eruttive degli Euganei, come delle località studiate, l’autore espone il risultato dello studio da lui fatto su alcune rocce della regione raccolte da E. Billows nei colli che si elevano fra Este ed Arquà, in seguito ad escursione fattavi da lui stesso, movendo da Baone e limitandosi ai tipi che presentano maggiore importanza per estensione. Le conclusioni a cui l’autore arriva sono quasi sempre diverse da quelle del Reyer, che nel 1872 pubblicò a Yienna una carta geologica degli Euganei ; egli ne classifica buona parte per li pariti microgranitiche, due come daciti, poche altre come andesiti e una sola come trachite propriamente detta. Xelle tavole annesse l’autore dà le figure microscopiche di alcune delle roccie studiato. — 32-2 — &ORTANI M. — Itinerari per escursioni geologiche nell alta Gamia. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXIY, fase. 1°, pag. 105-118, con tavola). — Roma, 1905. È una guida alle escursioni progettate in occasione della riunione estiva della Società geologica italiana a Tolmezzo in Carnia, avente per iscopo prin- cipale l’esame delle formazioni paleozoiche che si trovano lungo il percorso Tolmezzo ■ Comeglians ■ Forni Avoltri ■ Ricovero Marinelli - Paluzza - Paularo - M. Lodin-M. Pizzul-Paularo-Tolmezzo, per il quale indica i fatti geologici più note- voli che vi si possono osservare. La serie dei terreni ivi rappresentati è la seguente : Siluriano inferiore (?), medio e superiore; devoniano inferiore, medio e superiore; carbonifero idem; permiano idem ; triasico idem ; lias e giurese inferiore. Fra questi i terreni pa- leozoici hanno uno speciale interesse, poiché in nessun’ultra regione italiana può trovarsene meglio rappresentata quasi tutta la serie. Xella tavola trovasi uno schizzo di carta geologica dei dintorni di Forni Avoltri e due sezioni geologiche, il tutto nella scala di 1 a 50,000, nella quale figurano i terreni antichi nell’ordine seguente dall’alto in basso ; Dolomia dello Sschlern; strati di Wengen; strati di Buchenstein; calcari e breccie del trias medio; arenarie di Werfen; strati a Bellerophon ; arenarie di Yal Gardena; strati permo- carboniferi; scisti e calcari paleozoici. Gortani M. — Reiasione sommaria delle escursioni fatte in Carnia nei giorni 21-26 agosto dalla Società geologica. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIY, fase. 2°, pag. lxvi-lxxv). — Roma, 1905. In questa relazione sono notate le principali cose vedute nel corso delle escursioni di cui sopra, in tre itinerari distinti, cioè ; da Tolmezzo a Forni Avoltri; da Forni Avoltri a Paluzza; da Paluzza a Paularo e Tolmezzo. Essa è illustrata da vedute intercalate nel testo delle località visitate. Hammer W. — Oeologische Aufnahme des Blattes Bormio- Tonale. (Jahrb. k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1905, H. I, pag. 1-26, con tavola). — Wien, 1905. Ad una nota preventiva su questo rilevamento, inserita nella Verhandì. der k. k. geol. Reichsan. (vedi Bihl. 1904).^ l’autore ha fatto seguire questa descri- zione particolareggiata della parte austriaca contenuta nel fosso Bormio-Tonale. nella quale tratta specialmente delle roccie ivi incontrate, della loro estensione e della struttura del complesso. La memoria è accompagnata da uno schizzo tettonico della regione e da alcune sezioni geologiche. — 323 — Hlawatsch K. — Ueber Predasso. (Mitt. der Section fiir Naturk. des Osterreich. Touristenklub, 17 Jahrg., H. 3, pag. 17-21). — Wien, 1905. È una succinta esposizione della geologia dei dintorni di Predazzo in Val di Fassa, dove come è noto hanno grande importanza le roccie eruttive, che l’autore descrive brevemente. Horstel. W. — Die Erdheben in Kalabrien. (Himmel und Erde, Jahrg. 1905, H. 3, pag. 97-112, con tavola). — Berlin, 1905. Premessa una breve descrizione geogratico-geologica della Calabria^ l’au- tore parla del grande terremoto dell’S settembre 1905, riferendo i principali episodi della catastrofe. Dalla quantità di pesci morti trovati presso la costa, egli trae la ipotesi di un potente moto sottomarino con epicentro fra lo Strom- boli e la Calabria: si tratterebbe quindi di un terremoto tettonico, provato dalla concomitanza di esso con la straordinaria eruzione dello Stromboli, come fu notato altre volte per i più celebri terremoti calabresi. Hubrecht P. F. — Ueber Cerussitviellinge von 8ardinien.((^Yoìh.^7iQÌì^QÌh.viit fiir Kryst. nnd Min., B. XL, H. 2-3, pag. 147-188, con 3 tavole). — Leipzig, 1905. È uno studio cristallografico su materiale proveniente dalle miniere di San Marco e di Monteponi in Sardegna, nelle quali trovansi bellissimi cristalli poligeminati di cerussite. Premessa la letteratura di questo minerale, e un elenco delle forme di esso osservate finora, fra cui due nuove, l’autore passa alla descrizione particola- reggiata degli individui studiati, dando da ultimo una statistica delle combi- nazioni note della cerussite, raggruppate secondo i paesi di loro provenienza. Per l’Italia, oltre a varie miniere di Sardegna, sono notate le località di Au- ronzo (Veneto), Bovegno, Gorno, Laorca (Lombardia) e Valdaspia (Toscana). IssEL A. — Excursion géologiqiie dans les environs de Gènes. (Atti Soc. Ligustica di Se. nat. e geogr., Voi. XVI, n. 3, pag. 219-232, con tavola). -- Genova, 1905. In previsione di una escursione della Società geologica di Francia da Torino (dove si doveva radunare) a Genova, e pel caso che alcuni membri della medesima facessero ritorno per la Riviera occidentale, l’autore ha rac- colto nella presente nota alcune notizie sui punti più rimarchevoli fra Genova ed Albenga, con sezioni e indicazioni paleontologiche relative. — 324 — Fra le sezioni geologiche, inserite nel testo, notiamo le seguenti: fra il torrente Polcevera e le Fabbriche (pietre verdi antiche e moderne, scisti cristallini e quarziti, calcare dolomitico, calcare marnoso, scisti e argille del- l’eocene superiore) ; 2® spiaggia emersa di Cogoleto (breccia serpentinosa e ciot- toli quaternari); 3® sezioni presso Bergeggi (scisti cristallini con intercalazione di gneiss, quarziti, arenaria quarzosa, quarzoscisto, carniole e calcari del Trias) : 4® sezione verticale della grotta di Bergeggi, con breccia ossifera. Chiude la nota la bibliografia geologica della regione presa in esame. IN’ella tavola annessa è riprodotto uno schizzo geologico del Finalese nella scala di 1 a 50,000. Klemm Gr. — Bericht uher Untersucìiungen an den sogenannten « Gneissen » und den metamorphen ScMefergesteinen der Tessìner Alpen. II. (Sit- zung&b. der k. preuss. Akad. der Wiss., Jahrg. 1905, n. XX, pa- gine 442-453). — Berlin, 1905. Questo studio è la continuazione di quello già pubblicato dalla medesima Accademia (vedi BihU 1904), in cui l’autore veniva alla conclusione che lo gneiss del Ticino non è che un granito a struttura parallela fluid ale, dal quale fu- rono per azioni di contatto metamorfosati gli scisti di Val Bedretto. Qui Fautore cerca di confermare questo concetto studiando il contatto fra gneiss e scisti nella gola di sbocco della Val Canaria. Ivi egli nega la doppia sinclinale di scisti sostenuta da autori precedenti; ritiene la serie degli scisti regolare, e nei banchi inferiori vede il passaggio dagli scisti al granito (gneiss del Ticino) mediante una zona di roccie di miscela. Egli però non entra a de- scriv^ere questa zona: invece dà la diagnosi microscopica di altre roccie della serie, specialmente degli scisti micacei alternativi. L’autore afferma senz’altro che la medesima zona di miscela esiste nei profili da Ossasco al Passo di ISToret. Egli passa quindi a descrivere i rapporti intercedenti fra scisti e proto- gino lungo la rotabile del Gottardo; e trova questi rapporti uguali a quelli esistenti fra lo gneiss del Ticino e gli scisti di Bedretto. Conclude nell’insistere ad attribuire la cosiddetta Honifelsstructnr degli scisti, sia del Gottardo come del Ticino, ad azione di contatto rispettivamente del protogino del Gottardo e dello gneiss (per lui granito) del Ticino. Lacroix a. — 8ur le tremblement de terre ressenti le 8 septeinbre à Stromboli et sur Vétat actuel de ce volcan. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXLI, n. 15, pag. 575-579). — Paris, 1905. Trovandosi l’autore a Stromboli all’epoca del grande terremoto di Ca- labria, egli riferisce in questa nota sullo stato del vulcano in tale circostanza. Il moto sismico dell’8 settembre è stato sentito violentemente nell’isola, per una durata di 25 a 50 secondi e causò grande terrore nella popolazione, con guasti negli abitati e frane ai piedi delle lave e dei tufi a picco, con nu- merosi e profondi crepacci, uno dei quali ha attraversato le terrazze del sema- foro, producendo in questo gravi danni. 11 vulcano però, che aveva avuto un piccolo parossismo otto giorni prima del terremoto, con proiezione di scorie di colore diverso dalle solite (brune o gialle anziché nere), rimase allo stato nor- male durante e dopo il terremoto. L’autore prosegue descrivendo lo stato attuale dello Stromboli, osservando che le proiezioni, prodotte da un magma fluido molto basico, hanno forme solide modellate per fusione, all’opposto di quelle della Montagna Pelée che sono in forma di bombe od in frammenti angolosi, il che sarebbe una conse- guenza del diverso modo di attività dei due vulcani. Lacroix a. — Sur mi nouveau type pétrographìque représentant la forme de profondeur de certaines leiicotephrites de la Somma. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXLT, n. 26, pag. 1188-1193). — Paris, 1905. È questa la sommaite (così denominata dall’autore sino dal 1902) che si trova in blocchi sul fianco esterno del Somma, nei solchi profondi sopra Poi- lena, Sant’ Anastasia ed Ottajano. È una roccia olocristallina, con aspetto di gabbro a colore chiaro, talvolta attraversata da vene della stessa composizione ma fi- namente granulari. Ad occhio nudo vi si distingue l’olivina e l’augite, in mezzo ad elementi bianchi felspatici con nitidi cristalli di leucite : l’esame microsco- pico vi risela apatite, titanite, olivina, augite, biotite, leucite, plagioclasio e ortose. Questa roccia ha la struttura caratteristica della monzonite e costituisce un tipo petrografico nuovo, cioè una monzonite leucitica a olivina, con tenore variabile fra questi due elementi e compensantesi. Ij 'autore dà i risultati dell’analisi chimica eseguita su diverse varietà di sommaite, confrontandoli con quelli della leucotefrite dell’Atrio del Cavallo e della monzonite d’America (Montana). Leardi Z. — Foraminiferi eocenici di San Genesio {Collina di Torino). Il genere Rupertia. (Atti Soc. ital. di Se. nat. e Museo civico di St. nat.. Voi. XLIY, fase. 2®, pag. 97-105, con tavola). — Milano, 1905. Premesso un cenno degli studii fatti su questo genere di foraminifere, l’autrice fa la descrizione di alcuni esemplari di esse provenienti da San Ge- nesio presso Chivasso, distinguendovi la specie Rupertia incrassata deU’Uhlig ed istituendone due nuove, che denomina R. elongata e R. Uhligi. Xelle tavole sono riprodotte figure e sezioni delle tre forme. — 326 — Lincio G^. — Beitrag sur Kenntnis alpìner Molghdànitvorkommnisse. (Cen- tralblatt fiir Min., &eol. und. Pai., Jahrg. 1905, n. 1, pag. 12-15). ~ Stuttgart, 1905. L’autore tratta successivamente di due ritrovamenti di molihdenite nella alta Ossola. Il primo è in Yal Cairasca, nella gola avvallo della Cappella di Maulone, dove egli ha trovato la molihdenite, insieme con pirite, pirrotina e calcopirite in quei calcescisti gneissici. Ivi la molihdenite è intimamente legata ai compo- nenti della roccia gneissica, e non alla porzione calcarea di essa. Pra quei componenti trovò quarzo, felspato ortose e plagioclasio, hiotite con poca mu- scovite, clorito, granato, titanite, zircone, e in alcune varietà anche molto epidoto. Passa quindi a dire hre vomente del secondo giacimento riferito come con- statato in uno gneiss in posto sulla strada Crodo-Baceno in Yalle Antigorio. La roccia è a grana fine o contiene quarzo, plagioclasio, ortose e microclino, hiotite, muscovite, epidoto, titanite, zircone, e inoltre pirite, pirrotina e molihdenite. Lincio Gr. — Ueher einen Mineralgang im Gneis. (Centralhlatt fiir Min., Geol. und. Pai., Jahrg. 1905, n. 1, pag. Ì5-21). — Stuttgart, 1905. L’autore illustra un filone quarzoso che si osserva sopra Campaglia nello gneiss d’ Antigorio che costituisce il Monte Colmine a nord di Domodossola. Si tratta di un filone-strato, dello spessore di 2 a 3 metri circa, contenente oltre al quarzo i minerali seguenti : epidoto, attinoto, plagioclasio, mica nera, apatite, pirite, magnetite, calcite, clorite. Yiene esposta e spiegata con figure la disposizione del filone e quella dei minerali in esso. Di alcuni di questi vengono descritte talune particolarità. Lincio G-, — 8al berillo dì VaW Antoliva e di Cosasca. (Atti della R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XL, disp. 13^, pag. 870-878, con tavola). — Torino, 1905. Anzitutto l’autore ricorda il noto berillo di Pian dei Lavonchi presso Cra- veggia (Yalle Yigezzo) trovato in una pegmatite di massi erratici con gneiss. Egli, risalendo la Yal Yasca a monte del piano anzidetto potè constatare in posto negli gneiss filoni di pegmatiti herillifere. Analoghi filoni di pegmatite berillifera constatò negli gneiss dell’alto vallone di Antoliva, influente di sinistra del Melezzo, e così pure negli gneiss di una cava presso Osasca in Yalle Toce, Egli poi dà notizia di parecchie altre località di Yal Yigezzo dove furono con- statate dallo Stella analoghe pegnlatiti negli gneiss in posto. In queste pegma- titi il berillo è accompagnato da tormalina e granato. Passa poi a dare una breve diagnosi macro- e microscopica dogli gneiss includenti i filoni di pegraatite nello tre località esplorate. Infine dà più par- ticolareggiata notizia mineralogica del berillo e dei minerali che lo accompa- gnano, non che delle sue inclusioni (mica, clorito, spinello o inclusioni liquide e gasose). Longhì P. — Appunti per imo studio geologico sopra le colline di Albettone, Lovertino e Costa di Vo nel gruppo dei Monti Euganei. Parte 1^. (Atti Acc. scientifica veneto-trentina-istriana, Gl. Se. nat., ecc.. Anno II, fase. P, pag. 37-67, con 2 tav.). — Padova, 1905. Sono gruppi di colline isolate, ancora non completamente studiate, che si trovano sul prolungamento della frattura Schio-Yicenza, nell’area compresa fra i Colli Euganei ed i Borici. Le osservazioni fattevi dall’autore sono di ca- rattere tettonico e specialmente petrografico. Si tratta di gruppi costituiti da dossi mammellonari assai vicini e fra loro affini per natura di materiali e per condizioni stratigrafiche, trovandovisi le medesime roccie sedimentarie ed eruttive, e cioè la scaglia cretacea, talvolta alterata in calcare friabilissimo subcristallino per contatto con la roccia erut- tiva, una marna terziaria, la trachite e il basalto con tufi relativi. La roccia dominante in queste colline èl a scaglia senoniana, in parte come si è detto metamorfosata ; viene quindi la marna bianco-grigiastra (eocene medio o miocene) ad essa sovrapposta e limitata al Monte Castellare di Albet- tene, ed alla Costa di Yo ; segue la trachite, affiorante in Lovertino con un fi- lone frammezzo alla scaglia, il basalto in grossi dicchi a Lovertino e Costa di Yo, infine i tufi basaltici in Albettone. Le roccie basaltiche con tutta proba- bilità devono provenire dal centro eruttivo di Monte Yenda negli Euganei e la trachite dalle potenti masse della stessa roccia esistenti a nord del bacino di Teoio nel medesimo gruppo. Alla nota vanno unite una carta geologica delle colline studiate nella scala di 1 a 30,000 ed una tavola con sezioni a scale diverse. Lorenzi A. — Le Lavie^ torrenti che si perdono nella pianura pedemo- renica del Friuli. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIY, fase. 2°, pag. 704-709). — Roma, 1905. Premesso un cenno sulla idrografia sotterranea dell’alta 'pianura friulana, l’autore tratta più particolarmente delle cosidette lavie o torrentelli aventi ori- gine dalla cerchia morenica più esterna fra Tagliamento e Isonzo, scendenti per le falde delle conoidi ai piedi dell’anfiteatro e perdentisi dopo breve corso (una diecina di chilometri circa). I loro alvei sono diretti generalmente secondo — 328 — il meridiano, ordinariamente asciutti e utilizzati come strade quando sono in- fossati sotto il livella della campagna. L’autore ritiene che la formazione di tali alvei sia in relazione con un clima diverso dall’attuale e caratterizzato da più abbondanti precipitazioni, e cita l’opinione del Taramelli che sieno gli scaricatori dell’antico ghiacciaio del Tagliamento, che ancora attualmente servono saltuariamente allo scarico delle acque piovane : la permeabilità del suolo fa sì che essi si estinguano nella pia- nura prima di raggiungere il mare o altro recipiente. Lotti B. — Di un caso dì rìcuoprimento presso Spoleto {Umbria). (Boll. R. Comitato Greol., Yol. XXXYI, u. 1, pag. 42-54, con tavola). — Roma, 1905. Questo fenomeno tettonico, di non comune entità, si verifica nei pressi immediati della città di Spoleto e consiste nella sovrapposizione di una estesa massa di calcare liasico alla scaglia senoniana. J1 calcare del Lias inferiore forma ivi una massa grossolanamente tabulare dello spessore di circa 250 m. che stendesi per ben 7 chilometri in direzione e per circa 5 nel senso della sua inclinazione. Essa occupa le pendici dei monti a sud di Spoleto, seguendole dal fondo della valle fino allo spartiacque con un dislivello di circa 700 m.; ciò che porta un’inclinazione media del banco liasico del 14 per 100. Alla sua estremità meridionale il calcare liasico riposa in piccola parte anche sui calcari neocomiani e sugli scisti calcarei ad aptici titoniani. La sovrapposizione del bancone liasico alla scaglia è manifesta in tutti i vari solchi profondi del terreno che, attraversato il calcare, raggiunsero la formazione sottostante ; ma è degna di nota sopratutto nella protuberanza di Castelmonte, sullo spartiacque, la quale presentasi a guisa di un picco in mi- niatura formato di scaglia rossa e sormontato da un cappello di calcare liasico. In vari punti al contatto, nettissimo, fra i due terreni si osserva una for- mazione detritica costituita da minuti frammenti di scaglia rossa ricementati, ed evidentemente prodotta dallo scorrimento della massa liasica sul terreno sottostante. Sono aggiunte alcune osservazioni, ed una sezione in proposito d’un feno- meno analogo sul Monte Pisano, dove si ha uno spostamento orizzontale di almeno quattro chilometri, dovuto allo scorrimento sopra una superficie curva delle formazioni triasiche su quelle basiche. L’autore termina con alcune considerazioni relative ai fenomeni sismici cui è soggetta la Yalle Umbra. La nota è corredata da una tavola con tre sezioni geologiche parallele, tracciate presso a poco lungo la pendenza del ricuoprimento. — 329 — XiOTTi B. — Sulla età delle rocce ofiolitiche del Capo Argentario e dei terreni che le racchiudono. (Boll. E. Comitato Geol., Voi. XXXVI, n. 3, pag. 177-181). — Eoma, 1905. In seguito alla pubblicazione dei fogli al 100,000 della Carta geologica della Toscana, e segnatamente del n. 135 in cui furon riferite al trias alcuni terreni del Capo Argentario, altra volta attribuiti dall’autore ad un periodo presilurìano, questi volle esporre nella presente nota le ragioni per tale di- verso apprezzamento. Queste roccie. costituite da calcari cristallini, calcescisti, scisti argillosi e arJesiaci, grigi, verdi e violetti, e da roccie ofiolitiche, che compariscono spe- cialmente sviluppate nella valle di Cala grande, erano state riferite al presi- • luriano sopratutto per la presenza in esse di rocoie ofiolitiche di cui non si aveva esempio allora nel trias dell’Italia, mentre si conoscevano come arcaiche o presiluriane le roccie ofiolitiche delle Alpi occidentali e dell’isola d’Elba. Oggi, dopo le scoperte paleontologiche e gli studi stratigrafici degli operatori del E. Ufficio geologico nelle Alpi occidentali, dove le roccie ritenute arcaiche insieme colle serpentine associate dovettero attribuirsi al trias, non vi ha dubbio che debba farsi altrettanto per quelle analoghe del Capo Argentario, dell’isola del Giglio e dell’isola di Gorgona. L’autore dimostra che a questa conclusione conduce non solo l’analogia litologica, ma anche la posizione stratigrafica di queste roccie. Esse infatti compariscono immediatamente sotto al calcare retico e pre- sentano alternanze al passaggio. Lotti B. — Sui filoni metalliferi di Castel di Pietra. (Eassegna mine- raria, Voi. XXII, n. 18, pag. 341-42). — Torino, 1905. A complemento di quanto l’autore aveva già esposto nella Descrizione geol. e mineraria dei dintorni di Massa Marittima (Mem. descritt. della Carta geol. d’Italia, VII) ed in altra successiva pubblicazione « Ueher di Ersglagerstàtte von Castel di Pietra » (Zeits. f. prakt. Geol, 3, 1896), sono riferiti in questa nota i risultati dei lavori di ricerca iniziati su quei giacimenti dalla Società di Montecatini. Come l’autore aveva preveduto e pubblicato nei precedenti scritti, il grosso filone di quarzo, sul quale è fabbricato l’antico Castello di Pietra, fu trovato mineralizzato in calcopirite, convertita in solfuro nero presso la superficie, in blenda e galena. Il filone del Poggio al Tesoro, parallelo a questo del Castello, ma più oc- cidentale, era già stato riconosciuto metallifero dagli antichi ed ora fu nuova- mente esplorato dalla detta Società, con la escavazione d’una galleria orizzon- tale diretta a raggiungere i lavori antichi. Con esso s’incontrarono tre piccoli 21 — 330 — filoni quasi verticali a matrice dolomitica, contenenti blenda, calcopirite e ga- lena. Per riconoscere l’importanza di essi fu scavato un pozzo dicirca 30 m., ma la sospensione dei lavori non permise di verificare i rapporti fra queste vene metallifere ed il filone quarzoso. Lotti B. — Eisemrse der Maremmen und anf Elba, (Zeitschrift fiir praktische teologie, Jahrg. 1905, H. 6 e 7, pag. 239-240). — Ber- lin, 1905. L’autore replica in questa breve nota all’ing. Cortese (vedi sopra) dimo- strando inammissibile l’indipendenza genetica dei minerali di ferro dai solfuri ad essi associati nei giacimenti dell’isola d’Elba, di Campiglia e di Massa Marittima. Lovisato D. — La Centrolite nel giacimento cuprifero di Bena de Padni presso Osieri {Sassari), (Eend. B. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XIV,. fase. 12°, 1° sem., pag. 696-699). — Boma, 1905. Si presenta questo minerale, sopra esemplari di quarzo decomposto, in gruppetti cristallini a struttura zonata, di colore bruno rossastro o quasi nera e lucentezza submetallica nelle sfaldature. Ball’analisi chimica, non che da altri caratteri, l’autore lo riconobbe come una varietà di centrolite, silicato di piombo e manganese che si trova nel Chili e a Langban in Svezia, benché na differisca per durezza e peso specifico inferiore, non che per il tenore mag- giore in piombo e minore in ferro e calce. Lugeon M. e Argano B. — Sur les grandes nappes de recouvrement de la zone du Piémont. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXL, n. 20,. pag. 1364-1367). — Paris, 1905. Gli autori estendono alla zona orotettonica alpina detta del Monte Bosa o del Piemonte il modo d’interpretazione già adoperato per le altre zone analoghe esterne, considerandola costituita da vaste pieghe sovrapposte e rove- sciate verso nord-ovest. Giovandosi dei documenti esistenti, non altrimenti specificati, considerano nella zona anzidetta dimostrata l’esistenza di sette falde di ricoprimento sovrapposte, più o meno digitate, rovesciate tutte verso l’esterno della òatena. Sopra una lunghezza di 200 km. ed una larghezza di 90, le falde si succedono, dall’alto in basso, come segue : A) La falda della Dent Bianche (falda VII) ; a) sinclinale mesozoico di Boisan (valle del Buthier, sopra Aosta) ; -- 331 - B) La falda Mout Mary-Mont Emiliiis (f. VE), che si riallaccerebbe alla zona Sesia-Vai di Lanzo, e di cui sarebbero relitti i lembi del Pillonet (Val Tournanche) e di Punta Glacier-Rafre fra le valli di Champorcher e di Penis ; b) finestra di Chatillon-Zermatt ; C) La falda Monte Rosa-Gran Paradiso (f. V) a cui apparterrebbe anche la cupola di Arceza. La forma di cupola per tutti questi massicci non sarebbe che apparente, e si tratterebbe sempre di falde, inarcate localmente; c) zona mesozoica da Aosta a Zermatt ; B) La falda del Gran San Bernardo (f. IV). Una parte ripiegata di questa falda s’insinuerebbe sotto le falde VII e VI e sopra la V formando due enormi falsi sinclinali: uno fra la Dent-Blanche (VII) ed il monte Rosa (V) formanti il massiccio del Mischabel ; l’altro fra i resti della falda del monte Emilius (VI) ed il Gran Paradiso (V) formanti il massiccio della Valsavaranche, secondo gli autori, ed interpretato invece dal ^lovarese come un’anticlinale co- ricata sul Gran Paradiso. A questa falda IV si collegherebbe il massiccio di Camughera presso Domodossola; B) Falda del Monte Leone (III) ; Jb) Falda di Lebendun (II); G) Falda di Antigorio (I). Queste tre ultime falde sono state trattate in una comunicazione prece- dente, ed intorno ad esse gli autori non si diffondono. Lugeon M. e Argano B. — Sur les homologies dans les nappes de recoiivrement de la Bone dii Piémont. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXL, n. 22, pag. 1491-1493). — Paris, 1905. In questa nota, presentata quindici giorni dopo la precedente, gli autori completano la descrizione delle tre falde più profonde di ricoprimento, desi- gnando anche le sinclinali : 1° Falda del Monte Leone (falda III) a cui è riallacciata la zona gneis- sica di Ganter. 2° Una zona sinclinale coricata sottostante. 3® Falda di Lebendun (falda II). 4® Una stretta sinclinale coricata. 5® Falda di Antigorio (I). 6® Sinclinale mesozoica pure coricata, sotto alla quale compare a Credo una cupola gneissica formante probabilmente la cresta di una piega rovesciata più profonda. Xon si conosce in profondità il limite di queste grandiose manifestazioni tangenziali. Una delle maggiori caratteristiche della vasta regione è un’insenatura — 332 - trasversale imponente, e l’elevazione gradualo degli assi delle pieghe da ambo i lati di tale infossatura. È in grazia di tal fenomeno die si può scorgere, an- dando da ponente a levante, l’affiorare di falde sempre più profonde. I due massimi di altitudine dogli assi sono nel massiccio del Ticino ed in quello del Gran Paradiso : la parte più avvallata, in senso tettonico, risponde all’incirca al corso del Buthier fra Gigiiod ed Aosta, e si prolunga a valle di que- st’ultima. I massicci erciniani sono rivelati da pieghe bruscamente raddrizzate ; le cerniere cercano di risalire alla superficie per valicare l’ostacolo (gneiss di Gantor). L’origine di contro-pieghe rovesciate a sud è pure dovuta al costi- pamento contro i massicci erciniani. Sono ondo riflesse. La resistenza degli horst antichi, combinata o no collo sprofondamento della pianura padana, provoca spesso su grandi lunghezze sia il rovesciamento dello radici raddrizzate verso l’interno della catena, sia la formazione di ripie- gature posteriori all’origine delle falde. Le relazioni di tali fatti coi fenomeni dinarici non sembrano per ciò più dubbie, almeno nella regione considerata. Manasse E. — Dì alcune lencotefriti di Santa Maria del Pianto nei Campi Flegrei. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali, Yol XIY, pag. 171-174). — Pisa, 1905. L’autore descrive tre frammenti di roccie, raccolti dal prof. De-Stefani nei Campi Flegrei e rappresentanti residui di una eruzione che ebbe luogo noU’intervallo fra la deposizione dei tufi gialli e quella dei tufi grigi. Due di questi sono lencotefriti tipiche, la terza è una leucotefrite sodalitica. Manasse E. — Cenni sul macigno di Calafuria e suoi minerali. Soc. toscana di Se. nat., Yol. XXI, pag. 159-167). — Pisa, 1905. In questa località, lungo il litorale tirreno a sud di Livorno, l’arenaria eocenica detta in Toscana macigno si presenta in strati orizzontali bone distinti, aventi sino a 3 o 4 metri di spessore, alternati con straterelli di argilloscisto 0 di calcare. Essa è fessurata da diaclasi in due direzioni, est-ovqst e nord-sud, riempite da minerali di diversa natura, cioè ematite, limonile, baritina, quarzo, dolomite, marcassite, calcile, farmacosiderite e stibina. L’autore fa lo studio microscopico e chimico della roccia, descrivendo anche 1 minerali in essa contenuti. Più abbondante di tutti è la baritina, di cui son dato figure di cristalli e una tabella di valori angolari. Il quarzo è talvolta in cristalli limpidi, talaltra rivestiti, come la baritina, di ematite o limonite. La dolomite è in piccoli romboedri a faccie curve, molto lucenti, di colore rossastro o giallastro, dovuti agli stessi ossidi di ferro. La marcassite ha apparenza ot- — 333 — taedrica, ovvero si presenta in globuli a struttura fibroso-raggiata, parzial monte alterata in vetriolo. Rara la calcite in piccoli romboedri di colore scuro per pigmento limonitico, e più ancora la farmacosiderite in piccolissimi cubetti verdi e la stibina in aciculi inclusi nella baritina. Il macigno di Calafuria, per i suoi caratteri è simile a quello di altre lo- calità toscane: la differenza consiste talvolta nel grado di alterazione, talaltra nella composizione della materia cementizia più o meno calcarea. Oltre alla analisi chimica della roccia, l’autore dà quelle della dolomite e della marcassite in essa presenti. Manzella e. — Sulle marne di Sicilia dal punto di vista industriale, (G-iornale di G^eol. pratica, Yol. Ili, fase. IV, pag. 137-161). — Pe- rugia, 1905. Una parte di questo lavoro, di carattere industriale, è dedicata alla descri- zione dei giacimenti marnosi di Sicilia, i quali, secondo il Mottura, occupano una superficie di 800 eh. q., circa il della superficie totale dell’isola, con potenza variabilissima e che raggiunge un massimo di m. 150. In riguardo al- l’epoca di loro formazione queste marne appartengono al giurese, al cretaceo e a diversi livelli del terziario. Per alcune di esse l’autore riferisce i risultati dell’analisi chimica, dai quali risulta la loro idoneità alla preparazione delle calci idrauliche o dei cementi. Manzella E. — Il sale marino e il salgemma di Sicilia. (Atti Coll. Ing. ed Arch. di Palermo, luglio-dicembre 1905, pag. 71-104). — Pa-* lermo, 1905. Ideila parte II di questa memoria l’autore tratta del salgemma, che si trova in molte parti della zona gessoso-solfifera di Sicilia ed è stato oggetto di numerose ed importanti ricerche. Esso si mostra in masse stratificate di colore bianco o bruno, talvolta nero per inclusioni di argilla e bitume, giallo, rosso ocraceo o verde per composti di ferro, raramente violetto. La sua struttura è d’ordinario saccaroide, a piccoli elementi, molto somigliante a quella del- l’alabastro gessoso ; però qualche volta vi si incontrano aggruppamenti di cri- stalli cubici, regolari e trasparenti, che spesso tendono a riunirsi nella forma caratteristica a tremoggia. L’autore ne descrive i principali giacimenti in Sicilia, i quali, nella parte mediana dell’isola, occupano una superficie di circa 4412 eh. q., cioè quasi i *1^ di quella del miocene superiore, nelle provinole di Catania, di Caltanissetta, di Girgenti e di Palermo. Dà, infine, la composizione del minerale che è in media del 97. 25 % di cloruro di sodio. — 334 — Mariani E. — Su alcuni fossili del Monte Antelao nel Cadore. (Eend. E. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYIII, fase. XI, pag. 563-572). — Milano, 1905. L’imponente massa dell’ Antelao, uno dei giganti delle Alpi dolomìtiche, è costituita da calcari e da dolomie, quest’ultime in grossi banchi di colore generalmente biancastro, talvolta tendente al roseo. Essa appartiene al trias ed al permiano, ed è attraversata dalla grande faglia longitudinale Yalsugana- Comelico, per la quale si ha l’anormale contatto laterale dell’uno coll’altro terreno. Xeir Antelao si nota una certa varietà nel complesso degli strati, che sono più o meno magnesiaci, oppure risultano da un alternare di dolomie con calcari diversi, concrezionati ó brecciati. Premesso un cenno orografico- geologico dell’ Antelao, l’autore parla dei pochi e male conservati fossili che si poterono raccogliere finora nel suo ver- sante occidentale, ad oriente di Borea nella valle della Boite. Egli vi ha po- tuto determinare 10 forme, delle quali 8 ben note e caratteristiche del trias superiore, ritenendo nuove le altre due che denomina: Loxonema Taramellii e Loxonema aculeatum. Queste ultime sono disegnate in grandezza naturale e de- scritte. Mariani E. — Caratteri triasici della fauna retica lombarda. Nota preventiva. (Eend. E. Istituto Lombardo, S. II, Yol. XXXYIII, fase. XYII, pag. 854-858). - Milano, 1905. Premesso che al presente prevale l’opinione che il retico, pur essendo un piano di passaggio fra il trias ed il lias, debba riferirsi al primo piuttosto che al secondo, l’autore descrive brevemente i principali caratteri della formazione retica di Lombardia. Stratigraficamente il retico ivi poggia concordante sulla dolomia del Keiiper, nè alcuna discordanza si osserva nei terreni basici sovrastanti. Lito- logicamente esso incomincia con calcari nerastri, che stanno sopra ai banchi della dolomia principale e finisce con strati di dolomia a conchodon, facenti graduale passaggio con quelli del sinemuriano, arricchendosi di straterelli sel- ciosi caratteristici di tutta la serie giuraliassica di Lombardia. Xei calcari inferiori, ritenuti privi di fossili, l’autore ebbe la ventura di ritrovare impronte di ammoniti analoghe a forme triasiche: altre forme già note del retico lom- bardo si riconobbero del pari comuni a faune più antiche. Conchiudendo, i caratteri di triasicità rilevati in questa fauna delle prealpi lombarde, inducono l’autore, in attesa di ulteriori osservazioni, a consi- derare fin d’ora la formazione retica, tanto sviluppata in Lombardia, come spettante al trias piuttosto che al lias; il che sembra provato anche dai rapporti e caratteri stratigrafici e petrografici sovraccennati. Harinelli O. — Osservazioni varie fatte durante una escursione al Matajur. (« In Alto », Cronaca della Soc. alpina friulana, Anno XVI, n. 1, pag. 1-8, con 2 tavole). — Udine, 1905. In questa nota l’autore riferisce sopra osservazioni di carattere dive rso fatte nella massa del Matajur, nel Friuli orientale, e fra queste, quelle sui fenomeni camici, che vi hanno grande importanza, o sulla esistenza o meno di traccio glaciali nelle aree a nord della vetta. In un paragrafo intitolato: « Limite fra eocene e creta », è inserita una sezione geologica dell’altura detta La Clava, che è appunto costituita da questi due terreni. Marinelli O. — Nuove osservazioni su fenomeni di tipo carsico nei gessi appenninici. (Atti del Y Congresso geogr. ital.. Voi. II, Sez. I, pag. 150-186, con carta). — Napoli, 1905. Facendo seguito a studi precedenti (vedi Bihl. 1904) sulle cavità naturali nei gessi, che egli distingue in doline-imbuti e doline-inghiottitoi^ l’autore con- ferma che queste ultime sono il tipo più frequente nell’ Appennino, e si possono definire un bacino idrografico scavato neU’argilla e chiuso da una parete di gesso, alla cui base una gola serve ad inghiottire l’acqua. Ammettendo poi tanto per il calcare, quanto per il gesso, una erosione meccanica esterna ed una corrosione chimica interna, egli riconosce per il gesso il predominio della prima sulla seconda nell’allargamento iniziale dell’imbuto assorbente. Nell’ Appen- nino le cavità esaminate nei gessi sarebbero relativamente giovani ed ancora in via d’ ingrandimento abbastanza rapido ; al contrario di quanto avviene in Sicilia, dove si trovano cavità di già entrate nella fase di riempimento. Nella carta annessa sono indicati i vari fenomeni di assorbimento di acque e di speleologia finora conosciuti nelle formazioni gessose italiane. Mattel COI Y. — Cenno sul periodo effusivo del Vesuvio iniziatosi il 20 luglio 1903. (Boll. Soc. G-eol. ital., Yol. XXIII, fase. Ili, pag. 504-506). — Koma, 1905. Nell’epoca suddetta il magma vesuviano, sostenuto solidamente nel condotto vulcanico, ne raggiunse la cima e ne traboccò riversandosi a sud ; lo sgorgo cessò alla fine di luglio. Altri trabocchi successivi avvennero dall’ll al 26 agosto poco ad oriente del primo, e dal 12 al 16 stesso mese nel versante di N.E. La mattina del 26 agosto il cono cedette alla pressione interna, sì squarciò e cominciò ad emettere lava abbondantissima nella Yalle dell’Inferno (estremo orientale dell’Atrio del Cavallo), che continuò a lungo e durava ancora il — 336 — 14 settembre 1904, quando l’autore scriveva questa nota. Ma già dai primi di agosto di quest’anno si avvertiva un lento ma continuo aumento nel dinamismOy che dal 28 in poi divenne veramente parossismale, e in corrispondenza accre- sceva l’attività dell’efflusso anzidetto nella Valle dell’Inferno. Tale fase rag- giunse il massimo di dinamismo il giorno 9 settembre, e in essa avvennero importantissimi sollevamenti endogeni, parecchi dei quali nel campo delle lave fluenti nell’Atrio del Cavallo. Maury e. — Feiiille de Bastia. Compte-rendus ponr la campagne de 1904. (Bull, des Services de la Carte Gréol. de la Fr. et des topogr. souterr., T. XYI, n. 105, pag. 149-154). — Paris, 1905. L’autore ha potuto ultimare il rilevamento della parte occidentale del fo- glio di Bastia (Corsica) e con la presente nota egli riassume le linee generali della stratigrafia e della tettonica della regione. Egli la divide in 4 zone, cor- rispondenti alle unità tettoniche seguenti: 1° L’area anticlinale gneissica di Yallica. Si estende nei due bacini del Regino e del Losari ed ha la maggiore estensione alla Cima Cugnolo e al Monte Cerello. Essa è la regione più vasta occupata in Corsica dallo gneiss, cui sono sovrapposti direttamente degli scisti metamorfici, ricoperti dall’eocene medio in trasgressione con essi; quest’ultimo raggiunge l’altitudine di m. 1200. 2“ L’area sinclinale carbonifera di Mausoleo. Situata a sud-ovest della precedente, essa è formata da terreni carboniferi riposanti sul granito, attra- versati entrambi da una grande quantità di filoni e spuntoni porfirici. Detti terreni sono "costituiti alla base da arenaria, quindi da scisti arenacei con scisti ardesiaci intercalati. 3® L’area sinclinale eocenica di Xovella. Trovasi a ponente dell’anti- clinale di Yallica, e l’eocene vi è depositato direttamente sulla granulite, ivi formante una specie di cupola chiusa verso sud da due sinclinali di scisti me- tamorfici e appartenente alla più antica eruzione dell’isola, 4° L’area anticlinale protoginica della catena di Monte Tenda. Questa catena, di età post-miocenica, è intieramente formata da protogino e presenta numerose pieghe longitudinali parallele fra loro ed a quelle di Yallica, ossia dirette X.O-S.E. Una sezione trasversale alla catena indica la fisionomia gene- rale della regione. Maury E. — Feuille de Vico. Comptes-rendus pour la campagne de 1904. (Bull, des Services de la Carte Uéol. de la Fr. et des topogr. souterr., T. XYI, n. 105, pag. 155). — Paris, 1905. L’autore riferisce sulla visita fatta a due affioramenti carboniferi della costa occidentale della Corsica fra Osani e Caloria. Ivi potè vedere nella prima — 337 - di queste località che i filoni porfirici non taglijino la serie degli strati al di- sopra degli scisti ardesiaci a litantrace : inoltre la parte superiore del giaci- mento non è di porfido come sin ora si credeva, ma bensì di un conglomerato ad elementi arenacei e porfirici, rappresentanti del permiano e forse anche della base del trias. A Galeria poi rinvenne entro delle marne scistose bruno e grigie un esemplare di Prodnctiis semìreticulatus, non ancora stato segnalato in Corsica. Meli E. — Sulla pretesa meteorite di Corchiam nella provincia di Roma. (Bull. Soc. Geol. ital., Voi. XXIII, fase. 3^ pag. 487-496). — Eoma, 1905. L’annuncio dato dai giornali della caduta di una meteorite nella località suindicata, alle falde meridionali dei Monti Cimini, fece sì che l’autore, portan- dosi sul posto e riconosciuto che i frammento presentatigli non erano altro che scorie nere del tufo costituente il sottosuolo dei dintorni, ne prese occasione per fare osservazioni in luoghi per lui nuovi; e nella presente nota dà conto delle osservazioni fatte. Tratta quindi brevemente dei detti tufi a scorie nere, del cosiddetto pepe- rino dei Cimini, ben diverso da quello laziale, di una sabbia biancastra costi- tuita in gran parto da frammenti di cristalli di sanidino limpido con cristalli di idrocrasio di color bruno, ecc., ecc., per tornare a dire del supposto bolide di Cerchiano, dal quale prende occasione per dare un elenco delle meteoriti cadute in territorio della provincia di Eoma o poco distante da esso. Meli E. — Alcune note di geologia prese in una escursione ad Ardea nel circondario di Roma. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXIV, fase. 1®, pag. 275-302). — Eoma, 1905. Dopo accennato alle correnti di leucititi che si trovano a Ponte Buttero (Tre Fontane), a Vallerano, a Valleranello, ad Acquacetosa (sulla via Lauren- tina), l’autore parla dei tufi litoidi rossi o giallastri che si stendono fin quasi al mare e sui quali è costruita Ardea, l’antica città dei Eutuli, tanto impor- tante dal lato storico ed archeologico. Questo tufo, già citato dal Brocchi, analogo a quello che si trova in tante località della Campagna romana attorno al Vulcano laziale, sarebbe, secondo gli studi del Clerici, uno dei più recenti fra quelli di provenienza laziale. Esso posa generalmente sopra le pozzolane rosse; ma ad Ardea, a Pratica ed altrove, sembra trovarsi sopra sabbie ma- rine, come fu detto dal Brocchi fino dal 1814; anzi, in località presso al Mal- passo, e poco lungi dalla via Laurentina, tali sabbie affiorano in più punti. Ad Ardea, sopra il tufo predetto l’autore osservò una marna giallognola non stata citata da alcuno. Presso il casale di Santa Procula sulla via Ardea- tina AÙde un tufo litoide, peperiniforme, di color grigio, composto di frammenti di scorie, lapilli, lave e calcare solidamente cementati, che servì come mate- riale da costruzione: questa roccia era già stata indicata dallo Strilver. Alla foce del Pio degli Incastri presso Ardea Fautore rinvenne un ciot- tolo, di apparenza peperiniforme laziale, costituito da un aggregato di sanidino cristallizzato in massa, a struttura granitoide, con unica biotite e grani di ma- gnetite alterata e passante a limonite : è supponibile si tratti di un projetto, intercluso nel vero peperino laziale o nel tufo peperinico di Santa Procula, con- vogliato dal Pio anzidetto. Al maro infine havvi il solito cordone di basse dune stendentisi lungo tutto il litorale romano dalla foce del Tevere a Terracina, meno che nei punti dove la costa è in corrosione. Segue una bibliografia scientifica riguardante la regione ardoatina. Meli E. — Sulla Vola Planariae Simondli fossile nei terreni pliocenici e quaternari dei dintorni di Roma (dal Boll. Soc. zool. ital., S. 2% Yol. Yl, n. 7 e 8, pag. 6). — Poma, 1905. L’autore presenta alla Società zoologica italiana la fotografia di due esem- plari della specie suindicata, provenienti dal litorale di Anzio ed estratti, l’uno dalle marne sabbiose grigie del pliocene inferiore, l’altro dal tufo calcareo ad esse sovrastante, riferibile al pliocene superiore, e conosciuto in paese col nome di macco. Dallo studio di essa egli ha constatato la presenza di questa specie nelle sabbie gialle di Acquatraversa e nel terreno quaternario del lito- rale di Pettuuo. Eileva poi, con sorpresa, che nelle collezioni dei molluschi plio- cenici dei dintorni di Poma e nei cataloghi relativi, essa fu sempre indicata sotto il nome erroneo di Pecten maximiis (non Linn.), determinazione che va ora modificata nel senso di cui sopra. La Vola Planariae fu descritta e figurata nel 1889 dal Simonelli, che la rinvenne nel pliocene dell’Isola Pianosa, nell’Arcipelago Toscano, entro una roccia analoga al macco della costa romana. Più tardi veniva indicata dal- l’Ugolini nel pliocene e nel post-pliocene dello Colline Pisane, in terreni sin- croni al giacimento classico di Monte Mario. Mercalli Gr. — Per lo studio dei lenti movimenti del suolo presso il Se- rapeo di Pozsuoli. (Atti del Y Congresso geogr. ital., Yol. II, Sez. I, pag. 266-270). — Napoli, 1905. Dopo avere accennato allo stato di abbandono nel quale si trova il tempio di Serapide presso Pozzuoli, ed alle osservazioni fattevi in diverse epoche — 339 — circa i lenti movimenti del suolo che vi avvengono, Tautore no arguisce che l’abbassamento del suolo continua, e che tale movimento avviene con velocità variabile. Ciò è troppo poco, e conchiude qrìndi essere evidente la necessità di iniziare delle ricerche veramente rigorose e complete su questo fenomeno tanto interessante per la geologia. Di tali ricerche egli traccia un succinto programma, che espone al Congresso geografico perchè trovi modo di solleci- tare l’azione del Groverno o di qualche Istituto scientifico da lui dipendente per la sua esecuzione. Mercalli Gt. — Intorno alla successione dei fenomeni eruttivi del Vesuvio. (Atti del Y Congresso geogr. ital., Yol. II, Sez. I, pag. 271-280). — Napoli, 1905. Lasciando da parte le eruzioni antiche, di cui si conosce poco più delle date, l’autore considera l’attività del Vesuvio posteriormente al 1631, distin- guendone le fasi secondo la scala seguente da lui stabilita : 1*^ Esplosioni di materiale clastico coevo incandescente e fluido (fase stromboliana) ; 2® Esplo- sioni di materiale vecchio o recente, in parte o totalmente solido; 3® Esplo- sioni miste ossia con caratteri intermedi alle precedenti (fase vulcanica) ; 4® Ef- flussi lavici intercraterici e terminali ; 5^^ Gli stessi laterali (tipo 1895) ; 6® Idem idem (tipo 1872) ; 7® Idem eccentrici (tipo 1760). Dopo avere ricercata la successione dei fenomeni nei diversi tipi di eru- zioni (laterali, eccentriche, esplosive), l’autore espone la serie dei fenomeni ve- suviani nel periodo dal 1700 in poi, nel quale il vulcano presentò 12 eruzioni del tipo 1872 o di quello 1760. Tali eruzioni furono seguite da lunghi periodi di riposo e rappresentano quindi la fase di chiusura di altrettanti periodi erut- tivi ben definiti, perchè preceduti e seguiti da perfetta quiete: il periodo at- tuale (XIII) incominciò nel dicembre 1875, e la sua attività fu quasi continua. In un quadro sono esposti i dati relativi ai dodici periodi anzi connati, nei quali i fenomeni eruttivi furono molto diversi fra loro per durata e in- tensità, ma simili per caratteri essenziali e per l’ordine in cui si succedettero. Merlo G. — Ancora circa V origine delle anageniti. (Eesocouti riunioni Ass. mineraria sarda. Anno X, n. 3, seduta 19 marzo 1905, pa- gine 11-13). — Iglesias, 1905. L’autore, dopo aver ricordata la determinazione definitiva dell’età cam- briana di queste anageniti di Sardegna per gli studi delEraas (vedi Bibl. 1904) osserva come le stesse circondino bensì il calcare metallifero, ma non in modo continuo. Ciò sarebbe in accordo coll’idea dell’autore che crede le anageniti un deposito litoraneo più o meno localizzato e non un orizzonte propriamente — 340 — detto, equivalente dei calcescisti : tanto meno poi ' un terreno di contatto nel senso del Fraas che attribuisce l’appiattimento dei ciottoli componenti la roccia a effetto di laminazione. Merlo G-. — Considérations sur la constitution géologìque da dìscrict mi- nier d^Iglesìas, Sardaigne. (Congr. Intern. de la GréoL appi, a Liège. T. I, pag. 32-51, con carta). — Liège, 1905. L'autore si occupa dell’Iglesiente, in senso stretto, riassumendo qui in breve le nozioni finora acquisite sulla geologia della regione. Ne dà una cartina geo- logica al 200,000, nella quale sono distinti in serie: eocene, arenaria cambriana, calcare metallifero, filladi cambriane, arenaria, granito; indica inoltre le sorgenti principali. Questa serie di terreni, in cui si vede che il calcare metallifero è un piano intermedio del cambriano, e non un anello di origine atollica posteriore alle arenarie, rappresenta il principale risultato degli studi deH’ultimo ven- tennio, di cui l’autore riferisce alcuni dati in profili parziali e in risultati pa- leontologici. Tale posizione del calcare metallifero (importante anche dal punto di vista minerario) è conformata dalla idrografia sotterranea, per cui le sor- genti periferiche al calcare hanno portata complessiva corrispondente all’assor- bimento, non solo per parte dell’area dell’anello calcare, ma anche della sovra- incombente arenaria cambriana. Millosevich F. — Rocce propilitìche dei dintorni di Tolfa. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIY, fase. 1^, pag. 75-83). — Eoma, 1905. Si tratta di roccie raccolte, in parte dall’autore, in parte dal Lotti, in alcuni punti dei monti della Tolfa, dove si presentano non in colate, come le trachiti-andesitiche, ma in filoni e masse filoniformi. Anche per l’aspetto esterno, oltre che per la giacitura, esse presentano maggiore analogia con porfiriti che non con andesiti e trachiti. L’esame microscopico le fa ascrivere al gruppo delle propiliti e lo studio petrografico le determina come propiliti augitiche, e in parte come propiliti iperstenico-augitiche. Dalla giacitura filoniana intorno e inferiormente alla formazione vulca- nica per entro alle roccie eoceniche, l’autore confermerebbe l’induzione del Lotti, trattarsi cioè di roccie anteriori alle trachiti-andesiti, come se provenis- sero da una massa unica profonda. La analogia colle trachiti-andesitiche e la generalità del fenomeno di al- terazione profonda in tutte queste, porterebbe a ritenere anche le propiliti come provenienti da roccie trachito-andesitiche, di cui esse pare rappresentino diversi stadi di alterazione. — 341 Neviani a. — Briozoi fossili di Carruhare [Calabria). (Boll. Soc. Geo), ital., Yol. XXIII, fase. 3°, pag. 507-555). — Eoma, 1905. Il materiale che servì a questo studio fu raccolto in gran parte in una gita a Carruhare, presso Eeggio Calabria, fatta dai soci Meli e Clerici, in occa- sione della riunione in Sicilia della Società geologica italiana, nel settembre 1904; tale giacimento, costituito da un deposito littorale con Cyprina isìandica, appar- tiene al post-pliocene (sahariano, piano inferiore), di poco più recente di quello di Monte Mario. Be specie di briozoi ivi riconosciute dall’autore sono in numero di 110, delle quali 9 estinte, 10 tuttora viventi nell’ Atlantico, le rimanenti nel Mediter- raneo. Esso ne dà l’elenco, con le indicazioni, per ciascuna delle altre località nelle quali furono finora trovate allo stato fossile, oltre al riscontro con faune viventi. Segue la descrizione delle specie, per alcune delle quali, che potrebbero essere nuove per la scienza, l’autore si riserva di trattare in altro lavoro. Per alcune di esse, più interessanti, sono inserite nel testo le figure. Neviaki a. — Spicole di tetractinellidi rinvenute nelle sàbbie postplioce- niche di Carrubare (Calabria). (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXIY, fase. 1°, pag. 265-274). — Eoma, 1905. Era il materiale minuto che servì per lo studio precedente, erano abbon- danti minimi molluschi, crostacei, foraminiferi, ùcc., ecc., che furono separati dall’autore per farne l’esame : in tale occasione egli vi trovò le spicole di spongiarii che sono argomento della presente nota. Esse sono numerosissime e molteplici nelle loro forme, tutte ottimamente conservate, al pari degli altri delicatissimi organismi; il che attesta che essi vissero in posto e che il depo- sito si è formato nel fondo di un mare molto tranquillo. L’autore fa la enumerazione delle nuove forme osservatevi, attenendosi alla nomenclatura in uso fra i zoologi specialisti di tetractinellidi, e riunendole in 10 gruppi, dei quali sono date le figure tipiche nel testo. Novarese Y. — La grafite nelle Alpi piemontesi. (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XL, disp. 4, pag. 241-254). — Torino, 1905. La grafite ha nei vari terreni che costituiscono le Alpi Piemontesi di- versa origine e natura; ora è il risultato della metamorfosi di banchi di com- bustibili fossili, ora invece è primaria, oppure è derivata per metamorfismo di contatto da sostanze carboniose preesistenti nella roccia. È quindi indispensabile per ogni giacimento di grafite tener presente la nozione della formazione o della — 342 — zona orotectonica, in cui s’incontra, e valutare altresì l’importanza dello azioni che le zone eruttive ed il metamorfismo regionale possono avervi esercitato. Con un tale criterio l’autore passa in rassegna le giaciture di grafiti note nelle Alpi Piemontesi, dopo avere esposto quali sono le modificazioni sostan- ziali che il rilevamento sistematico a grande scala ha introdotto nella vecchia classificazione del Gastaldi. ISTelle Alpi Liguri la grafite è una metamorfosi locale delle antraciti dovuta forse ad azioni di contatto, per altro molto loca- lizzate. Il massimo sviluppo delle grafiti è nelle Alpi Cozie, dove ricorrono in due livelli ; l’inferiore in età carbonifera, ed il superiore nei calcescisti meso- zoici. IN’el livello inferiore le grafiti hanno la massima importanza; sono meta- morfosi di antraciti state ritrovate, anche recentemente, da lavori minerari. La grafite è più pura e di migliore qualità in vicinanza delle masse dioritiche della bassa Valle del Chisone, intensiva nei terreni grafitici, ma coinA-olta con essi nei ripiegamenti, laminazioni, ecc.; è quindi probabile che la trasforma- zione totale dei banchi carboniferi in grafite sia dovuta ad un’azione meta- morfosante di contatto, tanto più che le poche località antracitifere sono le più lontane dalle roccie eruttive. Questa generazioni della grafite per azioni di contatto spiega anche talune accidentalità stratigrafiche che si riscontrano nei giacimenti che, sebbene per lo più interstratificati, mandano apofisi e dirama- zioni che tagliano la stratificazione della roccia incassante. Nella zona dei cal- cescisti delle Cozie la grafite compare come pigmento di talune forme filla- diche passanti a grafitoscisto. Nel complesso delle Graje e delle Pennino i giacimenti grafitici compa- iono almeno in cinque livelli differenti. Nella zona Sesia-Vai di Lanzo, che Fautore circoscrive e delimita, la grafite appare sotto due forme ben distinte di micascisti grafitici e grafitoscisti, e di roccie granatifere con pagliette e noduli grafitici. Nella zona dei calcescisti si osserva, sotto la solita forma di concen- tramento, del pigmento carbonioso. Il carbonifero con lenti e giacimenti di grafite si osserva nella Yalsavaranche e nella Val di Rhemes. In fine s’incontra grafite nei calcefiri dell’elissoide della Dent-Blanche e nella fascia micascistosa e gneissica che attraversa lo slargo della Toce a Domodossola. Anche a S.E della zona dioritica d’ Ivrea s’incontra la grafite, talora in quantità tale da avere importanza tecnica, nelle zone kinzigitiche, in cui è elemento accessorio ma caratteristico, assai raramente mancante. Novarese Y. — A proposito dì un trattato di petrografia di E. Wein- schenk e sul preteso rapporto fra le rocce della sona d' Ivrea e le pietre verdi della sona dei calcescisti. (Boll. K. Comitato GeoL, Yol. XXXYI, n. 3, pag. 181-191). — Eoma, 1905. L’autore, da una bibliografia critica dei Grundsiige der Gesteinskunde di E. Weinschenk, piglia argomento per rettificare alcuni errori di fatto in cui è — 343 — caduto lo stesso Weìusclienk parlando di roccio italiane, e per dimostrare, applicandole ad alcuni casi concreti della geologia alpina, a quali inconve- nienti diano luogo le denominazioni equivoche di certi tipi litologici. Una di queste, particolarmente infelice, è quella di « anfibolite » adoperato in vari tempi e da vari autori per designare ora dioriti, ora prasiniti in senso stretto. Ciò ha fatto sì che parecchi geologi di grido ritenessero lo roccie gahbro-diori- tiche della zona di Ivrea, legate da intima parentela colle roccie prasinitiche della zona delle pietre verdi, e fossero portati nelle loro ardite concezioni oro- tettoniche a cercare il luogo d’origine delle seconde nelle prime; ipotesi che è nel più stridente contrasto coi fatti, colla natura dei tipi litologici dello due formazioni, che non permette alcuna confusione. Da ciò si trae che, attribuire come spesso ha fatto il Weinschenk, a nomi vecchi significati troppo ampi e diversi da quelli originari, è un male peggiore della coniazione di nomi nuovi rispondenti a concetti nuovi e più precisi. Oliveri Y. e Carapezza E. — Uetà geologica e Vancilisì chimica di talune rocce calcaree siciliane. (G-i ornale Soc. di Se. naturali ed eco- nomiche, Yol. XXY, pag. 83-113). — Palermo, 1905. Tratta di calcari di Sicilia che, per la loro struttura, per grana fine e per tinte variate si prestano alle costruzioni ornamentali. Gli autori ne fanno lo studio dell’età geologica di loro formazione e della composizione chimica. Ongaro G-. — Sulla presenza di alcuni elementi rari nelle rocce. (Rivista di min. e crist. ital., Yol. XXXII, fase. II a YI, pag. 43-47). — Pa- dova, 1905. Lo studio si riferisce a roccie dei Colli Euganei ed alla presenza in esse del vanadio, del cerio e del titanio, elementi che di rado si trovano nelle roccie o vi esistono in quantità tanto piccole da sfuggire facilmente all’analisi chimica. Dopo avere descritti i metodi di ricerca, l’autore ne dà i risultati e con- chiude : che il vanadio esiste nei basalti di Castelnuovo e di Moscalbò ; il cerio diede risultati negativi nelle trachiti esaminate; il titanio fu trovato in una sabbia basaltica di Castelnuovo. Paroxa C. F. — Nuove osservazioni sulla fauna dei calcari con ellipsacti- nidi deir isola di Capri. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 2°, 1° sem., pag. 59-69). — Roma, 1905. Facendo seguito ad altra comunicazione sullo stesso argomento (vedi Bibl. 1904) nella quale, in seguito a ritrovamento di fossili l’autore riferiva all’urgoniano certi calcari di Capri, egli presenta ora lo studio di altri orga- — 344 nismi scoperti posteriormente in altre località della stessa isola (Venassino e Capo di sopra) ritenute finora titoniclie. L’elenco dei fossili riconosciuti, parecchi dei quali sono per la prima volta citati in giacimenti italiani, ammonta a 22 specie, cui si debbono aggiungere 7 di echinodermi dati per studio al prof. C. Airaghi (vedi sopra). Partendo dalla distribuzione che dette specie presentano altrove, in regioni dove la serie è ben conosciuta, l’autore le divide in tre gruppi, il più importante dei quali ha, senza dubbio, significato di urgoniano inferiore; il secondo comprende fos- sili dagli autori citati per il neocomiano ; il terzo è costituito da fossili di tipo titonico. Da tale studio risulta dimostrata l’età cretacea inferiore dei calcari con ellipsactinidi di Capri, ma resta d’altra parte confermata la presenza di fossili titonici nelle varie forme dei calcari stessi. Chiudono il lavoro alcune osservazioni sugli studi fatti sinora per risolvere la questione della età dei calcari di Capri, conchiudendo che la maggior parte degli autori propende per il cretaceo inferiore. Parona C F. — Appunti per lo studio del cretaceo superiore nelV Appen- nino. (Boll. Soc. aeoi. ital., Yol. XXIY, fase. 2°, pag 654-658). — Roma, 1905. L’autore ha studiato alcuni fossili raccolti dal Tarameli! nei calcari di Monte Laceno sopra Bagnolo e nei dintorni dì Montella in provincia di Avel- lino. Essi sono rimarchevoli in quanto che appartengono in gran parte a specie non citato finora per il nostro cretaceo e perchè permettono di fare interessanti confronti sulla distribuzione ed estensione geografica dei fossili della fauna turoniana. Per la prima località (7 specie) è notevoie l’abbondanza delle rudiste e la loro buona conservazione, nonché i rapporti di età coi calcarei fossiliferi di San Polo Matese, comprendenti strati turoniani e senoniani. Per la seconda (9 specie) si osserva la corrispondenza con la ricca fauna dell’arenaria calcari- fera di Uchaux (Provenza) riferita al turoniano superiore e considerata come il tipo più completo e meglio caratterizzato di tale terreno nel bacino del Rodano. Parona C. F. e Novarese Y. — Considerasioni geologiche su di una linea ferroviaria in progetto da Torino a Martigng. (Atti Soc. Ing. ed Arch. di Torino, Anno 1905, fase. 7-8, pag. 120-124, con tavola). — Torino, 1905. Sulla base di un profilo geologico tracciato dall’ing. Novarese, sui ri- levamenti del R. Ufficio geologico, il prof. Parona esamina le condizioni di - 345 — stabilità dei terreni attraversati da una progettata linea ferroviaria fra Torino e Martigny nel Vallese, per Cuorgnè, Pont, Eonco Canavese, Cogne, Morgex, Courmayeur e Yal Ferret italiana e svizzera. Questo tracciato comprende una grande galleria sotto la cupola gneissica del Gran Paradiso e numerose gallerie di minore importanza attraverso gli gneiss della zona Sesia-Yal di Lanzo, la diorite sfenica di Cogne- Yalsavaranche, il carbonifero ed i calcescisti mesozoici della valle d’Aosta, ecc. Il crinale sarebbe attraversato dalla formazione giura- basica di Yal Ferret sotto la Testa di Ferret. Pasquale M. — Avanzi di Diodon votus nel miocene inferiore del prò- montorio di SanfElia presso Cagliari in Sardegna. (Kend. Acc. Se. fis. e mai, S. 3% Yol. XI, fa&c. 2® e 3®, pag. 71-79). — Napoli, 1905. L’autrice illustra una placca palatina di Diodon, con relativo apparato den- tale marginale, raccolta dal prof. Lovisato nelle arenarie a Scntella del pro- montorio di Sant’Elia presso Cagliari, ascritte al miocene inferiore. Dopo averla descritta, col corredo di figure intercalate nel testo, ne fa un confronto con gli avanzi fossili dello stesso genere scoperti fino ad ora e la riferisce alla specie Diodon vetns Leidy del miocene della Carolina e del calcare elveziano di Lecce. Chiudono il lavoro alcune osservazioni sulle 18 specie di Diodon descritte finora dagli autori, le riduce opportunamente ad 11 e di ciascuna di queste dà la sinonimia completa. Di esse la maggior parte proviene da giacimenti italiani. Peruzzi L. — Sui calcari a brucile di Teulada e sulla composizione mU neralogica della predazzite. (Kend. K. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XIY, fase. 2°, 2® sem., pag. 83-88). — Eoma, 1905. Questi calcari della Sardegna meridionale, metamorfosati per rintrusione di masse granitiche, appartengono al siluriano. Sono di struttura granulare, abbastanza compatta, di colore grigiastro, con zone e venature quasi sempre brune o quasi nere. L’esame microscopico dimostra che la roccia è essenzial- mente un impasto di calcite con brucite, avente subordinati serpentino, peri- clasia e magnetite. La brucite si presenta in laminette e scaglie a contorni bene definiti, ovvero in aggregati cristallini costituiti da fibre riunite a fasci o da scagliette in serie disposte a zone concentriche, con passaggi graduali fra i due modi di presen- tarsi. Non solo i caratteri ottici ma anche la prova microchimica e i caratteri fisici hanno confermato la natura del minerale esaminato. La roccia in questione sarebbe quindi analoga alla predazzite, la quale pare, secondo gli studi di alcuni autori, consti essenzialmente di un miscuglio di 22 — 346 - calcite o brucito. Avendo ripetuto sopra campioni di questa le osservazioni e le esperienze eseguite sulla roccia di Sardegna, l’autore ne ebbe la conferma sicura delle sue indagini. Egli crede pertanto che la predazzite sia costituita essenzialmente da calcite con brucite, escludendo l’ipotesi di altri che invece di quest’ultima pensano si tratti di idromagnesito. PioLTi Gr. — SiilPaplite di Cesana Torinese. (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, Voi. XL, disp. 2^-3^, pag. 114-122, con tavola). — To- rino, 1905. Per la prima volta veniva riconosciuta daH’autore la presenza di una roccia del gruppo granitico nella valle di Snsa e precisamente a circa un chi- lometro dall’abitato di Cesana Torinese. A primo aspetto essa, per il suo co- lore, potrebbe scambiarsi per una quarzite ; ma all’esame microscopico si di- mostra per una aplite, particolarmente interessante per la sua giacitura e per i diversi aspetti che essa presenta. L’autore ha fatto lo studio microscopico di alcune varietà di questa roccia e ne dà i risultati nella presente nota. Conchiude poi che essa sarebbe venuta fuori attraversando gli scisti cal- carei e le filladi di quella località, forse contemporaneamente alla grande eru- zione diabasica del Monte Gimont. Xella tavola sono riprodotte due sezioni microscopiche della roccia studiata. PiOLTi Gr. — 8ulV alterazione della Lhersolite di Val della Torre (Pie- monte) (dagli Annali R. Acc. di Agr. di Torino, Yol. XLYIII, pag. 16 in-8^). — Torino, 1905. Xelle località suindicate spesso si incontra la Iherzolite coperta d’uno stra- terello rosso di ematite ocracea, penetrante più o meno profondamente secondo lo stato di alterazione della roccia, la quale ne è talvolta costituita in massima parte. Poco distante la Iherzolite è a contatto con una norite, nella quale il felspato è tutto cambiato in saussurite. Considerando le posizioni rispettive, in detta valle, del gabbro normale, della norite e della Iherzolite, l’autore crede potere asserire che il primo si sa- rebbe trasformato in norite venendo a contatto con la Iherzolite per una serie di reazioni chimiche avvenute in presenza di acque mineralizzate circolanti e che egli cercò di riprodurre sperimentalmente. Ritiene poi probabile che la causa della mineralizzazione risieda in composti di rame disseminati in quelle roccie, i quali diedero luogo alla formazione di solfato di rame che ha agito e continua ad agire chimicamente. A siffatto metamorfismo avrebbe contribuito anche l’acido ossalico proveniente dalle radici delle piante. — 347 — Platania Gt. — Su un moto dijferensìale della spiaggia orientale del- VEtna (dagli Atti del Y Congresso geogr. ital.. Yol. Il, Sez. T, pag. 214-219). — Napoli, 1905. Sino dal 1858, pei lavori di Gr. Gr. Gemmellaro e di Lyell, è noto che parte della costa orientale della Sicilia trovavasi allora in via di sollevamento : l’autore aggiunge che le argille pleistoceniche di Santa Maria della Yena sono ora sollevate a circa 300 metri sul mare, il che conferma il sollevamento molto recente del fianco N.E dell’Etna. Con la presente nota egli richiama l’attenzione su due nuovi fatti osser- vati. L’uno è il sollevamento per circa 6 metri, dal secolo XTI ad oggi, ad Acicastello nella regione S.E dell’ Etna, l’altro Tabbassamento di parecchi metri poco più al nord, presso Riposto, dal secolo XI Y in poi. In tutta la spiaggia da Acicastello a Santa Maria-la-Scala, si osservano incrostazioni calcaree con coralli e molluschi marini fino ad 8 metri ed oltre sul mare. Le colate di lava che scesero verso mare in tempi storici presen- tano indizi dell’azione dell’acqua marina ; nelle loro cavità, a diversa altezza, sono impiantati coralli, madreperle ed altri avanzi di organismi marini ed una roccia calcarea di origine organica si vede in esse sino ad oltre 5 metri sul li- vello attuale, il che darebbe una media di 8 millimetri di sollevamento al- l’anno. Fatti di diversa natura provano del pari l’abbassamento del suolo nella spiaggia di Riposto. Siffatto movimento di altalena è in stretta relazione con dislocazioni nella crosta terrestre e con i moti sismici che di frequente avvengono nella zona intermedia alle due località indicate. Platania Gr. — Sulla velocità dei microsismi vulcanici (dalle Mem. Acc. di Se., lett. ed arti degli Zelanti, N. S., pag. 8 in 8^). — Aci- reale, 1905. Osservazioni fatte in Acireale e in altri punti sull’Etna circa la velocità di trasmissione delle piccole vibrazioni del terreno, in rapporto coi fenomeni eruttivi del vulcano, diedero all’autore per minuto secondo un massimo di chi- lometri 5 ed un minimo di chilometri 1.430, con una media di chilometri 2. Tali risultati non si discostaiio molto da quelli ottenuti da altri osserva- tori in altre località. PliAtania Gr. — Origine della Timpa della Scala. Contributo allo studio dei burroni vulcanici. (Boll. Soc. Grool. ital., Yol. XXIY, fase. 2®, pag. 451-460). — Roma, 1905. Col nome di Timpe sogliono indicarsi nella regione etnea le pareti dei burroni che vi esistono più o meno estesi ed elevati, fra cui quello classico detto la Y alle ~ 348 — del Bove, e che dai più sono ritenuti sprofondamenti di vani lasciati sotterra in seguito alla emissione delle lave. Tale però non è l’opinione dell’autore, il quale, lasciando per ora da parte la predetta Valle, che egli crede dovuta specialmente ad una eruzione esplosiva, si ferma sulla origine della Timpa di Santa Maria-la-Scala, su cui è edificata la città di Acireale. Sulla parete di questo burrone vedesi buon numero di strati di lava sepa* rati l’un l’altro da strati di tufo o da banchi di una specie di pozzolana arros- sata. Da uno studio sulla conformazione e disposizione relativa di queste roccie, l’autore trae la conseguenza che si tratti di una sovraelevazione di suolo do- vuta a sollevamento preceduto da una frattura di suolo, accompagnato proba- bilmente da graduale sprofondamento della parte opposta. Da alcuni fatti os- servati poi egli arguisce che tale sollevamento continua tuttora ed in qualche punto raggiunge i 150 metri e più sul livello del mare. Frequenti spaccature di suolo confermano siffatti movimenti bradisismici, di cui rappresenterebbero un effetto: tali spaccature ed i terremoti locali, fre- quenti e talvolta violenti, sono segni evidenti che questa regione non è in uno stato di quiete e che le forze endogene vi continuano tuttora il loro lavorìo lento, ma costante. PoRTis A. — Studi e rilievi geologici del suolo di Roma ad illustrazione specialmente del Foro romano (Atti Soc. it. di Se. nat. e Museo civico di St. nat., Voi. XLIII, fase. pag. 383-421). — Milano, 1905. Sono osservazioni fatte in occasione dei recenti profondi scavi fatti in quella zona di erosione che si stende entro l’area di Roma fra i colli Capitolino. Palatino, Celio ed Appio e che prende il nome di Foro Romano dagli avanzi del medesimo ivi esistenti. I terreni più antichi ivi scoperti appartengono alla formazione pliocenica non molto antica (astiano e siciliano) e sono, litologicamente, riducibili a un numero limitato di tipi principali, cioè; 1^^ Argille fossilifere, talora più o meno calcarifere, tal’ al tra silici fere o glauconifere o ferrifere: in qualche punto sono surrogate, oltreché da sabbie, da produzioni calcaree detritiche dei tipi macco e travertino, con fossili detritici marini o d’acqua dolce ; 2® Sabbie gialle, o meglio grigie, formatesi entro un bacino di acque marine, ricoperte di roccie argillose, grigie-brunastre quasi contemporanee, con avanzi organici marini e terrestri, che talvolta formano anche lenti entro le sabbie o talvolta le sostituiscono intie- ramente ; 3® Ghiaie marine, ad elementi diversamente arrotondati ed appiattiti, di tipi litici svariati, costituenti il piano siciliano; seguono 4® roccie calcaree di formazione recente, di origine organica marina o chimica continentale (macco o travertino), più o meno ricche di fossili relativi, animali nelle prime, ve- getali nelle altre; 5® Roccie tufacee di origine endogena, risultanti dalla rac- - 349 — colta entro piccoli bacini idrici dei prodotti di esplosione e proiezione da bocche eruttive, non escluso Fintervento di altro materiale. Tali elementi cominciano ad apparire in piccola quantità nella parte superiore delle sabbie e ad inter- calarsi con la ghiaia successiva, per poi coprirle interamente, da soli o con Faiuto delle roccie calcaree anzidette. Ai numerosi e svariati organismi marini che lasciarono le loro reliquie nelle argille più antiche, con carattere di poca profondità, succedono a poco a poco i vertebrati terrestri, in particolare mammiferi, appartenenti a poche specie ma abbondantemente rappresentate; fra cui i proboscidiani del tipo Elephas antiquus in gran numero, quindi ippopotami, suini, rinoceronti, da ultimo equidi, specialmente E. Stenonis Cocchi ed E. fossilis Cuv., grossi ruminanti {Leptohos, Bos, Bison, ecc., ecc.) e felini {F. arvtrnensis ed altri). L’uomo non sembra apparirvi che dopo l’epoca diluviale come venuto di fuori ad abitare gli avanzi di un altipiano costituito da tufi vulcanici, intercalanti e sovrastanti a forma- zioni travertinose, ghiaiose, sabbiose ed argillose; tale altipiano, per l’erosione di acque superficiali, trovasi ora ridotto ai sette colli della città eterna. L’autore traccia infine la storia del suolo di Roma in base alle fatte osser- vazioni. Preyer P. L. — Le nummulitì e la orthophragmìne di due località del- V Appennino pavese, (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XXXYIII, fase. YIII-IX, pag. 478-482). - Milano, 1905. I fossili esaminati, si trovano entro calcari nummulitici raccolti dal pro- fessor Tarameli!, provenienti dalle località di San Martino Bobbio e Pietra de’ Giorgi in provincia di Pavia. L’autore vi trovò rappresentati i generi Paronaea, OrtJiophragmina, Alveolina, Operculina, Bupertia e Pnlvìniilìna. La maggior parte delle specie è comune alle due località, per cui si può ritenere che le due formazioni sieno coeve: dal confronto poi di esse con quelle di altri gia- cimenti conosciuti, egli ne stabilisce la posizione cronologica nel bartoniano inferiore. Preyer P. L. — Sulla fauna nummulitica della scaglia nelV Appennino centrale. (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, Yol. XL, disp. 10% pag. 566-578 con tavola). — Torino 1905. Questa fauna fu riconosciuta dall’autore in esemplari di brecciuole e di calcari raccolti dall’ing. Lotti in diverso località del territorio di Leonessa (pro- vincia di Aquila) e presso Piediluco (circondario di Terni), entro strati che, per posizione stratigrafica ed aspetto litologico, si direbbero appartenenti alla scaglia o al calcare rosato del cretaceo, ma che, per la abbondanza di foraminiferi di 22* — 350 — tipo eocenico che contengono, risulterebbero spettanti all’eocene. Egli espone nel presente lavoro il risultato dello studio fattone, prendendo in speciale con- siderazione le Nummiilìtes, le Orbitoides, le Alveolinae. Premesse alcune considerazioni geologiche e paleontologiche sulla nota que- stione della concomitanza di fossili cretacei ed eocenici in alcuni terreni del- l’Appennino centrale, e fatto un confronto fra le specie qui studiate e quelle di altre località conosciute dell’eocene inferiore, notandone la perfetta ugua- glianza, Fautore senza pronunciarsi definitivamente sulla questione, dice che la scaglia rosata ed i calcari bianchi con essa alternanti, a motivo dei fossili contenuti e in assenza di forme caratteristiche del cretaceo superiore, dovreb- bero riferirsi all’eocene. IN’ella tavola annessa sono belle sezioni microscopiche delle roccie studiate. Prever P. L. — Ricerche sulla fauna di alcuni calcari nummulitici deh r Italia centrale e meridionale. (Boll. Soc. Greol. ital., Yol. XXIY, fase. 2^, pag. 667-693). — Eoma, 1905. Il materiale per queste ricerche consta di calcari di vario aspetto e che si possono ripartire nei tre gruppi, dell’eocene, dell’oligocene, del miocene. Senza riportare il lungo elenco delle forme rinvenute, diamo qui un cenno di alcune località più interessanti da cui i campioni provengono, e cioè : 1° Sulmona, a poco più di un chilometro da Porta Yapoli. Calcare bian- castro, marnoso, ricchissimo in nummuliti, appartenente al piano luteziano. 2*^ Aquila, da diverse località delle vicinanze dove affiorano calcari del- l’eocene e dell’oligocene. 3® Monte Sirente (Aquila) sul versante meridionale. Calcare eocenico (lu- teziano). 4® Lacedonia (Avellino) con calcare oligocenico nel Yallone dei Pitrulli, in altre località eocenico e precisamente del bartoniano medio. 5® Castelmadama e Yicovaro (Roma). Calcare langhiano. Da una rapida scorsa agli elenchi delle forme rinvenute, si rivela una grande abbondanza di nummulitidi; in complesso poi la loro fisionomia gene- rale non differisce da quelle che hanno nelle altre località dove sono state ri- conosciute. L’autore presenta inoltre due specie nuove, la Paronaea Chelussii e la LepidocycUna Lemoinei; egli insiste su parecchi punti ancora controversi circa la distribuzione stratigrafica delle orbitoidi nei terreni terziarii, e dà in ultimo un elenco delle più notevoli forme di foraminiferi illustrate finora nei lavori fatti sulle nummulitidi delFItalia centrale e meridionale. ( Continna). ELENCO Ilei personale componente il Comitato e r Officio geologico alia line dell’anno 1906 R. Comitato geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente, Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Uenova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Pellati Niccolò, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Mazzuoli Lucro, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Pellati Niccolò, Direttore. Ing. Mazzuoli Lucio. TJfp.cio geologico: Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato Ing. Aichino Giovanni. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Crema Camillo. Aj.-Ing. Cassetti Michele. Aj.-Ing. Moderni Pompeo. Aj.-Ing. Luswergh Cesare. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Capo dei rilevamenti, ing. Lotti Bernardino. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. In$r. Novarese Vittorio. Ing. Franchi Secondo. Ing. Stella Augusto. La sede dell’ Ufficio geologico è in Roma nel Museo agrario -geologi co, via Santa Smanna, n. 1. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (31 €l.ioeJ:x:i.l3ro 10OO) LIBRI Bollettino del R. Comitato Geologico; Voi. la XXXYII, dal 1870 al 1906. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem deir abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Introduzione. — B. Gastaldi: Stiidii geologici sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla formasione terziaria nella sona sol fi fera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrisione geologica delV Isola d^Elha. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Dn volume in-4® di pag. 364 con tavole e carte geologiche . Voi. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografia geologica deir Isola d'’ Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formasione tersiaria nella sona solfi fera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Un volume in-4® di pag. 264 con tavole e carte geologiche Voi. II, Parte 2^ Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole Voi. Ili, Parte U. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponsa. — C. De Stefani: Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-4® di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche » 10 — Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia deir Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spesia. — Un volume in-4° di pag. 230 con tavole » 15 — Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica fluorifera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellasione presso la via Appia antica. — Un volume in-4® di pag, 136 con tavole. . . 8 — — 353 — Yol. IV, Parte 2^ Firenze 1893. — C. A. Weithofer: Pro- hoscidiani fossili di Valdarno in Toscana. — M. Canavari: Idrosoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — Un volume in-4® di pag. 214 con tavolo . . . L. aiemorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica delV Isola di Sicilia. — Un volume in-8® di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti; Descrizione geologica del- usola d^Elba. — Un volume in-8° di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » Voi. III. Roma 1887. — A. Farri; Relazione sulle miniere di ferro dell’ Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » Voi. IV. Roma 1888. — G-. Zoppi; Descrizione geolog ico-mi- neraria dell’ Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro; Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabus {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » Voi. VI. Roma 1891. — L. Baldacci; Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa » Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini; De- scrizione geologico-petrograflca delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti; Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese; Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini; I vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte 1^ : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella; Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico-agraria . » Voi. XII. Roma, 1903. — Autori diversi; Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8® di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » Appendice al Voi. IX. Roma, 1904. — G. Di- Stefano ; Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8® di pag. 120, con tavola di sezioni » 16 10 10 20 15 8 6 8 8 12 12 8 10 3 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in due fogli: 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di l a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . » 100 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio TI. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio TI. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 248 (Trapani) . . . » 3- » 265 (Mazzara delYallo) » 3 » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) ...» 4 » 250 (Bagheria) . . . » 3 — » 267 (Canicattì) ...» 5 » 251 (Cefalù) . . . . » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 » 252 (Tlaso) . . . . » 4 — » 269 (Paterno) ...» 5 » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . » 3 » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) ...» 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) ...» 4 » 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 260 (Tlicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» 3 » 261 (Brente) . . . . » 5 — » 277 (TIoto) . ...» 3 Tavola di sezioni TI. I (annessa ai fogli 249 e 258) . . L. 4 — » » TI. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » 'N. IH (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » H. lY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » IST. Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio IST. 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 222 (Amendolara) . » 3 — » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 229 (Paola) . . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 231 (Girò) . . . . » 3 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 237 (S. G-iovanni in F.) » 5 — » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 241 (Mcastro). . . » 4 — Foglio H. 242 (Catanzaro) . . L. 4 » 243 (Isola Capo Riz- zato) ...» 3 » 245 (Palmi) ...» 3 » 246 (Cittanova) . . » 5 » 247 (Badolato) . . » 3 » 254 (Messina). . . » 4 » 255 (Gerace) ...» » 263 (Beva) .... » » 264 (Staiti) . ...» 3 Tavola di sezioni 1^. I (236, 237, 238, 241, 242), TI. II (245, 246, 247, 255, 263), TI. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. 4 co — 355 — Carta ^eolo^ica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. He sono pubblicati i fogli seguenti Foglio H. 201 (Matera) . . . B. 3 — Foglio H. 213 (Maruggio) . . B. 1 — » 202 (Taranto) . . . .. 2 — » 214 (Gallipoli) . . . 2 — » 203 (Brindisi) . . . » 3- » 215 (Otranto) . . . » 1 — » 204 (Bocce) .... » 2 — » 223 (T ricase) . . . . 2 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in sei fogli e una tavola di sezioni, con copertina. - — Roma, 1888 B. 25 — N3. 1 fogli e la tavola di questa Cay'ta si vendono anche separatamente come segue : Foglio ]Sr. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palómbara) . . » 5 — Foglio 'N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 150 (Roma) ... » 5 — » 158 (Cori) .... » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — B. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 . . . L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara B. 5 ~ Foglio Stazzema B. 5 — » Castelnuovo .... » 5 — » Seravezza » 3 — Be tavole di sezioni, ciascuna . . B. 5. Carta geologica della Toscana {in corso di stampa), nella scala di 1 a 100 000 , e sono usciti i fogli: Bivorno (B. 2); Yolterra (B. 5); San Casciano Yal di Pesa (B. 5); Massa Marittima (B. 4); Siena (B. 5); Piombino (B. 3) ; Grosseto (B. 4) ; Santa Fiora (B. 5) ; Orbetello (B. 4) ; Toscanella (B. 5) ; Tav. I e II di sezioni (B. 4 ciascuna). Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 . B. 10 — Carta geologico-inineraria delP Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888. ...... » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886. » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 »3 — Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 » 5 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IVapoli. Presented 22 APR.1907 in corso di preparaxione Oaii^tOL g:oolog:ioa dolio Àl^i Ooolc3Loj:iLt:a.li nella scala di 1 a 400,000. Oarta g:oolo^loa dolio. X^ooooio (prov. di Salerno e di Potenza) nella scala di 1 a 100,000 : Fogli di Campagna^ Potenza ^ Laurenzana, Vallo della Lucania ^ Lago- negro, Sant^ Arcangelo, Tursi, ’ Annunzi di pubblicazioni Aloisi P. — Rocce a spinello delPIsola d’Elba. (Atti Soc. toscanji di Se. nat. : Processi verbali, Yol. XY, pag. 60-05). — Pisa, 1006. Baratta M. — Il grande terremoto calabro dell’ 8 settembre 1905. Alcum consider astoni sulla distribusione topografica dei danni. (Ibidem; Yol. X\I, pag. 13-18). — Pisa, 1906. Capellini G. — L’azione distrnggitrice del mare nella costa dirupata del- l’Arpaja a Porto Venere e nelle isole vicine (dalle Memorie R. Acc. Se. dell’Istituto di Bologna, S. YI, T. Ili, pag. 16 in-4® (203-216), con .5 ta- vole). — Bologna, 1906. Capobianco G. — Abbozzo di carta geologica dell’Agenzia delle coltivazioni tabacchi di Cava dei Tirreni. Scala di 1 a 50,000 (Un foglio grande). — Scafati, 1906. Idem. — Abbozzo di carta geognostico-agraria dell’Agenzia coltivazioni ta- bacchi di Fojano della Chiana (Arezzo) (Un atlante di X. 18 fogli nella scala di 1 a 10,000 e uno complessivo al 50,000). — Scafati, 1906. Colomba U. — Osservazioni cristallografiche su alcuni minerali di Brosso e Traversella. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XY, fase. 10®, 2® sem., pag. 636-644). — Roma, 1906. D’Achiardi G. — Zeoliti del filone della Speranza presso S. Piero-in-Campo (Elba). (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Ypl. XXII, pag. 160-165). — Pisa, 1906. Dainelli G. — Contemporaneità dei depositi vulcanici e glaciali in provincia di Roma. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XY, fase. 12®, 2® sem., pag. 797-801). — Roma, 1906. De Angelis d’Ossat G. — I veli acquiferi di Monte Verde presso Roma. (Boll. Soc. ing. ed arch. ital., Anno XIY, n.® 45-46, pag. 670-676, con tavola). — Roma, 1906. De Lorenzo G. — Le basi dei vulcani Vulture ed Etna (pag. 6 in-4®, con tavola). — Mexico, 1906. Di-Pranco S. — Gli inclusi nel basalte dell’isola dei Ciclopi. (Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. 4% Yol. XIX, Mem. XYIII, pag. 8, con tavola). — Catania, 1906. Ferraris E. — Fosgeniti e cinabro a Monteponi. (Resoconti riunioni Assoc. mineraria sarda. Anno XI, n.® 8, seduta 16 dicembre 1906, pag. 15-16). — Iglesias, 1906. Idem. (Rassegna mineraria, Yol. XXYI, m® 5, pag. 71). — Torino, 1907. Fucini A. — Sopra gli scisti lionati del Lias inferiore dei dintorni di Spezia. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XXII, pag. 119-133). — Pisa, 1906. Gallo G., Giorgis G. e Stella A. ^ Studio chimico litologico di roccie della regione attraversata dalle linee di accesso al Sempione (dalla Relazione sugli studi e lavori eseguiti dal 1897 al 1905 dalla Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, pag. 26 in-4®, con 2 tavole). — Roma, 1906. Gortani M. — Studi sulle rocce eruttive delle Alpi Carniche. (Atti Soc. toscana di Se. nat.; Memorie, Yol. XXII, pag. 166-198, con 2 tavole). — Pisa, 1906. Grablovitz G. — Fenomeni vesuviani dell’aprile 1906 osservati da Ischia. (Boll. Soc. sismologica ital., Yol. XI, n.® 9, pag. 289-311, con tavola). — Modena, 1906. {Segue) (Seguito: V. pagina precedente) Kernot G. — Analisi chimica delle ceneri yesuviane dell’aprile 1906. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 3% Voi. XII, fase. 12°, pag. 149-462). — Xapoìi, 1906. Meli R. — Escursioni geologiche eseguite con gli allieri-ingegneri della R. Scuola di Applicazione di Roma nell’anno scolastico 1905-1906 (pag. 12 in-8°). — Roma, 1906. Idem. — Molluschi pliocenici rari e non citati delle colline suhurhane di Roma, sulla riva destra del Teyjere (dal Boll. Soe. Geol. ital.. Voi. XXV, fase. 3°, pag. 40 in-8°). — Roma, 1906. Mercalli G. — Alcuni risultati ottenuti dallo studio del terremoto calabrese dell’ 8 settembre 1905 (dagli Atti Acc. Pontaniana, Voi. XXXVI, n.° 8, pag. 10 in 4°). — Xapoli, 1906. Idem. — La grande eruzione vesuviana dell’aprile 1906 (dalla Rassegna na- zionale, fase. 1°, novembre Ì906, pag. 22 in-8°). — Firenze, 1906. Millosevich F. — Appunti di mineralogia sarda. Il giacimento di azzurrite del Castello di Bonvei, presso Mara, con alcune osservazioni sulla for- mazione dei carbonati di rame naturale. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 11°, 2° sem., pag. 732-740). — Roma, 1906. Millosevich F. e Ranalli D. — Pianta geologico-agraria del circondario dell’Agenzia di Benevento. Scala di 1 a 25,000 (Un foglio grande). — Sca- fati, 1906. Moderni P. — Su la geologia dei dintorni di Grotte di Castro. (Giornale di Geol. pratica. Voi. IV, fase. V, pag. 184-196). — Perugia, 1906. Xelli B. — Il miocene del Monte Titano nella Repubblica di San Marino. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XV, fase. 11°, 2° sem., pag. 741-744). — Roma, 1906. Parisch Gl. e Viale Gl. — Contribuzione allo studio delle ammoniti del Lias superiore. (Rivista ital. di paleontologia. Anno XII, fase. IV, pag. 141-168, con 5 tavole). — Perugia, 1906. Pirro R. — Il Vesuvio e le sue eruzioni; storia e spiegazioni (pag. 96 in-16°). — Milano, 1906. Sabatini V. — L’ eruzione vesuviana dell’ aprile 1906 (dal Boll. R. Gom. geol., Voi. XXXVII, n.° 3, pag. 60 in-8°, con 2 tavole). — Roma, 1906.- Stella A. — La miniera aurifera dei Cani in Valle Anzasca e le sue sor^ genti arsenicali. (Rassegna mineraria. Voi. XXV, n.° 18, pag. 341-344). — Torino, 1906. Idem. — Cenni geologici sulle nuove linee di accesso al Sempione (dalla Re- lazione sugli studi e lavori eseguiti dal 1897 al 1905 dalla Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, pag. 10 in-4° con 4 tavole). — Roma, 1906. Toniolo a. R. — Cavità di disfacimento meteorico nel Verrucano del Monte Pisano. (Rivista geogr. ital.. Anno XlII, fase. X, pag. 595-603). — Fi- renze, 1906. Trabucco G. -è Fossili, stratigrafia ed età dei terreni della Repubblica di San Marino. (Atti Soc. toscana di Se. nat. ; Processi verbali. Voi. XVI, pag. 7-12). — Pisa, 1906. Tuccimei G. — Sulla presenza del manganese nei dintorni di Roma (dal Boll. Soc. geol. ital.. Voi. XXV, fase. 3°, pag. 8 in-8°). — Roma, 1906. del presente fascicolo: L. 1906. - Anno XXXVII. S\^: BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA Volume Trentasettesimo (7° della 4^ Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1906 i ;■! \ i !:■ ANNO XXXVI 1006. N. 1 a 4.