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Cocchi Igino, prof, di geologia, Firenze. IssEL Arturo, pmf. dì geologia, R, Università di G-enova. Parona CarloTabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof.^di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. , Mazzuoli Lucio, ispettore superiore^ Capo del Rt Corpo delle Miniere, Roma. Zezi Pietro, Ispettore superiore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Diremne : Ing. Mazzuoli Lucio, predetto. Ing. Zezi Pietro, predetto-. R. Ufficio geologico: Ing.'’^ capi Ingegneri Bald ACCI Luigi , Capo deir Ufficio. Lotti Bernardino.- Zaccagna Domenico. ICattirolo Ettore. Aichino Giovanni. Novarese Vittorio. Sabatini Venturino. Franchi Secóndo. Stella Augusto. Crema Camillo. Pi LOTTI Camillo. Cassetti Michele. Aiutanti. . \ Moderni Pompeo. Luswergh Cesare. \ CozzoLiNO Filippo. ! Aureli Amedeo. j Giammarchi Getulio. ( Nocito Pietro. ( Andreis Nicolao. Uscieri . . ! Sparvoli Vincenzo. Salvatelli Filippo. Disegnatori Amanuensi La sede del R. Ufficio geologico è in Roma, via Santa Susanna, n. 1-k. 1908. - Anno XXXIX. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA Volume Trentanovesimo (9^ della 4^ Serie) N. 1 a 4 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE DI G. BERTERO e C. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOfilCO O’ITALIA 1908. — Anno XXXIX INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1908 (Volume trentanovesimo o nono della 4‘^ serie) Introduzione Pag. 1 NOTE OEiaiNALI. F. Novarese. — I terreni miocenici di Val di Bruna (Maremma To- scana) ed i loro giacimenti di lignite P^m- 4 e 85 F. Sabatini. — Appunti sul terremoto calabrese del 23 ottobre 1907 . Pag. 28 B. Lotti. — Sulla frana di Porta Cassia presso Orvieto » 30 Detto. — A proposito di una nota di C. De Stefani su alcuni carreg- giamenti locali recentemente supposti in Italia » 42 Detto. — La faglia inversa Lugnano-Monte Tolentino, fra l’altipiano di Rieti e quello di Leonessa » 115 M. Cassetti. — A proposito della memoria del prof. Sacco « Il gruppo del Gran Sasso d ’ Italia » » 123 B. Lotti. — Cenni sulla geologia della Toscana > 165 A. Stella. — Relazione sulle ricerche minerarie nei giacimenti cupri- feri del circondario di Alghero (Sassari) » 191 C. F. Parona. Nuovi dati paleontologici sui teri-eni dell’Abbruzzo. » 263 V. Sabatini. — Relazione su di un viaggio al Messico, come rappre- sentante dell’Italia al Congresso geologico internazionale del 1906. » 273 Detto. — Il vulcano Collina » 279 B. LuOtti. — Contributo allo studio dei Mistpoeffers » 293 VI — NOTIZIE BIBLIOOEAFICHE. Bibliografia geologica italiana per Fanno 1907 Pafj. 15; 129: 223; 301 Pag. Agamennone G 45 Aguilar E 45, 46 Airaghi C 46, 324 Alfano G. M 47 Aloisi P 47, 48 Arcidiacono S 48 Artini E 49 Baldacci L 49, 50 Baratta M 50, 51 Baschieri E 51 Bassani F . . '52, 53 Bassani F. e Chistoni C. . . 53 Bassani F. e Galdieri A. . . 53 Bassoli G. G. ....... . 64 Bellia C 55 Bellini B 55, 56 Boeris G 53 Boussac J 56, 57 Braun G 57 Brun A 325 Bruno L 69 Bucca L 58 Bullo C 59 Cacciamali G. B 59 Camerana E. . . 60 vx. , Capeder G. . . . 60, 62 Capellini G. . . 325 Carrara G. . . . 62 Cassetti M. . . 68 Cerulli-lrelli S. 63, 64 Cesari C 64 Checchia-RispoliG. 64, 65, 66, 325 Checchia-Rispoli G. e Gemel- laro M. . • , ,66 Chelussi I. . . . 66 Ciofalo M. . . . 67 Clerici E. ... 67 Cocchi I. . . . 68 Colomba L. . . 68, 69 Crema C. . . . 131 D’Achiardi G. . 70 Dal Piaz G. . . 71 De Alessandri G 72 Galdi B. Giattini G. B. Lacroix A. Lambert J. Marangoni M E. Pag. Pag. 73 Nelli B, . . , 229 73 Nico’is E. . . 230, 231 rs, 74 , 75 Oìimo G. . . 77, 78, 79 Pagani U. . , 232 , 130, 131 Panebianco G. 233 > . . 131 Pantanelli D. 233, 234 132 Parona C. F. . 235 . 133, 134 Passerini N. , 237 134 Penk A. . . . 237 . 135, 136 Perret F. A. . 237, 238 137 Piutti A. e Comanducci E. . 239 137 Platania G. . 239 137, 138 Portls A. , . 240, 241, 326 139 Prever P, L. . 241. 243, 244 140 Friucipi P . 243 141 Regalia B. . . 326, 327 141 Riccò A. . . . 246, 247 . 142, 143- ' Rimatori C. . 247 144 Rizzo G. B. . 247 144 ' Roccati A. . . 248 145 Ro'iriguez Fr. 248 145 Rosati A. , . 248. 249, 250 147 Rovereto G. . 261, 252 147 Sabatini V. . 252, 253 326 Sacco F. . . . 254, 255, 256, 257 148 Salinas E. . . 257 149 Salmojraghi F. 257, 258 161, 152 Salomon W. . 301 153 Sandberg C. G, . S. 301 153 Savornin J. . 303 . 154, 155 Scalia S. . . . 303 156 Schaller W. F. 304 156 Schubert R, J. 305 157 Seguenza L. . 395 157 Serra A, . . . 306, 307 157 Silvestri A. . 307, 308, 309 158 Spezia G. . . 309 158 Stefanini G. . 310, 311 158 Stegagno G. . 311 1 RQ Steinmann G. 312 10^ Stegl K. . . . 313 . 160, 223 Stella A. . . . 314 224 Stoklasa J. . 315 226, 227 Taramelli T. . 315, 316 228 Tarameli i T, e Menozzi k. . 316 VII Pag. TennierP 317 Ugolini R 319 Verri A 319, 320 Pag. Verri A. e CiericI E 320 Viola 0. e Sangiorgi I). . . 321 WaagenL 321 Pag. Wilkens O ^22 Zaccagna D 322 Zambonini F 323, 324 NOTIZIE DIYEE8E. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico I^>I? Elenco del personcile componente il Comitato e l’ Ufficio geologico alla fine dell’anno 1908 P^fJ- 828 ILLUSTRAZIONI. Tav. I. — Miniere di lignite di Tatti e Montemassi, in Yal di Bruna {V. Novarese) .’ Pag. 26 Tav. II. — Sezione del Poggio di Casteani e del banco di Ribolla [detto) » 26 Cartina geologica di Perrnzzano [V. Sabatini) » 29 Schizzo dimostrativo dell’abitato di Perruzzano [detto) » BI Frana di Porta Cassia - Sezioni [B. Lotti) P^O- 88, 39 Paglia inversa Lugnano-Monte Tolentino - Sezioni [detto) ... » 118, 119 Tav. Ili — Carta geologico-mineraria di una parte del Circondario di Alghero comprendente i giacimenti cupriferi Pag. 222 Yedute del Yulcano Colima (Messico) . Pag. 279, 281, 282, 281, 285, 286, 287, 289, 290, 291 PARTE UFFICIALE. R. Decreto 12 gennaio 1908, relativo al personale del R. Comitato geo- logico Pag. 8 Decreto Ministeriale relativo alla direzione del R. Ufficio geologico . » 4 Yerbali delle adunanze dei giorni 8 e 10 giugno 1908 del R. Comitato geologico » 5 Relazione sui lavori eseguiti per la Carta geologica nel 1907 e pro- poste di quelli da eseguirsi nel 1908 » 14 R. Decreto 18 agosto 1908 relativo al personale del R. Comitato geo- logico » 87 vili INDICE DEI FASCICOLI. N. 1. — Primo trimestre 1908 » 2. — Secondo id. » 3. — Terzo id. >4. — Quarto id. Atti ufficiali 1 a par/. 84 85 164 165 =» 262 263 >> 332 1 » 37 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV, Voi. IX, Anno 1908. Fascicolo l'’. SOMMARIO. Introduzione. Note originali. — I. - V. jN^ovarese. I terreni miocenici di Val di Bruna (Ma- remma Toscana) ed i loro giacimenti di lignite (con le tavole I e IT. — II. - Y. Sabatini. Appunti sul terremoto calabrese del 23 ottobre 1907. — III. - B. Lotti. Sulla frana di Porta Cassia presso Orvieto. — lY. - B. Lotti. A proposito d’una nota di C. De Stefani su alcuni carreggiamenti locali recentemente supposti in Italia. Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1907. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. Nella campagna geologica del 1907 l’area rilevata a nuovo risultò per diverse ragioni, cui verrà accennato in seguito, alquanto inferiore alla media degli ultimi anni. Tuttavia i lavori procedettero regolarmente secondo il programma approvato dal R. Comitato geologico, e ven- nero acquisiti nuovi dati importanti per la conoscenza geologica del nostro territorio, mentre si perfeziona- rono con revisioni accurate e ricerche paleontologiche, tectoniche e petrografiche i rilevamenti precedenti e in particolar modo quelli destinati a una prossima pubbli- cazione. I lavori di rilevamento si svolsero principalmente, come negli anni precedenti, nelle regioni alpine (Valtel- lina, Val d’Ossola, Valsesia, area compresa fra i laghi di Varese, di Lugano e di Como), nella Liguria orientale, dove i rilevamenti vennero ripresi dopo qualche anno di interruzione, nell’Umbria e nell’Abruzzo, nella regione vulcanica a Nord di Roma. Le principali cause che fecero rallentare alquanto i rilevamenti a nuovo, specialmente nelle Alpi, furono, oltre alla stagione che volse particolarmente sfavorevole alle escursioni negli ultimi mesi della campagna, la necessità per il personale addetto a quei lavori di sostare più a lungo del solito in ufficio e di tornarvi durante la cam- pagna per la preparazione, revisione e correzione della carta delle Alpi a 1 : 400000, che riassume le osservazioni e rilevamenti di più che tre lustri in quelle ardue regioni e della quale è oramai compiuta la pubblicazione: inoltre, ciò che è veramente assai confortevole per il nostro Ser- vizio, poiché attesta la sempre maggiore importanza che sia il Governo che altre pubbliche istituzioni ed i privati dànno allo studio dei problemi geologici fondamentali riguardanti grandi opere pubbliche, questioni idrologiche e tecnico-industriali, il nostro personale fu in misura assai maggiore che negli anni precedenti chiamato a collabo- rare per lo studio di simili questioni e ricercato per Com- missioni governative di alta importanza per Teconomia nazionale. Citiamo fra queste la Commissione Adamoli nomi- nata dal Ministero dei LL. PP. per lo studio di un nuovo valico appenninico per il Porto di Genova, la Commis- sione, pur essa del Ministero dei LL. PP., per lo studio dello spostamento di paesi situati in terreni malsicuri per frane o per altre ragioni, per la quale quattro dei nostri ingegneri fecero parte delle Sottocommissioni per le visite locali in Abruzzo, Basilicata e Calabria e furono obbli- gati a numerose e disagevoli escursioni. Fra gli studi di alto interesse per reconomia nazionale, cui il nostro per- sonale fu chiamato a prestare il suo concorso per la parte geognostica, ricordiamo quelli del Comitato Fran- cese per un nuovo valico alpino attraverso il Monte Bianco e quelli del Comitato per il traforo dello Spluga. Altre richieste di studi geologici speciali vennero sod- disfatte dal nostro Ufficio per la Commissione Censuaria Centrale e pei vari uffici del Genio Civile. Finalmente un nostro ingegnere ebbe nei primi tre mesi deiranno ad eseguire per conto della Società per le Miniere aurifere dell’ Eritrea uno studio locale dei giaci- menti auriferi della nostra Colonia, sui risultati del quale verrà dato conto nel nostro Bollettino, e vari altri inca- richi per conto di privati riguardarono ricerche di acque potabili o termali, studi di giacimenti minerari, ecc. Riguardo alle pubblicazioni si preparò definitivamente, come fu già accennato, la Carta delle Alpi a 1 : 400000 nonché 7 fogli della Basilicata con tre tavole di sezioni geologiche. Questi ultimi fogli sono in corso di stampa presso r Istituto Geografico Militare di Firenze, e ne è imminente la pubblicazione. Sono poi in corso di avanzata preparazione altri fogli della Toscana e la descrizione geologica di questa re- gione, che si spera possano veder la luce neH’anno cor- rente. NOTE ORIGINALI I. Vittorio Novarese. — I terreni miocenici di Val di Bruna {Maremma Toscana) ed i loro giacimenti di lignite. (Con 2 tavole). BIBLIOGRAFIA. La bibliografia che sjegue è semplicemente l’elenco delle opere principali che si riferiscono al territorio considerato. IN'on è certo completa; di numerosi scritti specialmente di carattere tecnico, non si è potuto aver notizia sicura, perchè pubblicati in giornali quotidiani di molti anni fa, od in edizioni fuori commercio, di cui non solo non si trovano più esemplari, ma appena si hanno memorie incerte. iSTel testo le citazioni relative ai lavori compresi nell’elenco che segue sono indicate coi numeri romani corrispondenti, seguiti eventualmente dal numero della pagina. I. 1843, Paolo Savi. Sopra i carboni fossili dei terreni miocenici della Maremma toscana. — Pisa, Aistri. II. 1843. Leopoldo Pilla. Notisie geologiche sopra il carbon fossile trovato in Maremma. — Firenze. III. 1844. F. PiTiOT. Sili lavori eseguiti nelle miniere di carbon fossile di Mon- tebamboli e Montemassi nella campagna dal 1848 al 1844. — Livorno. lY. 1851. Paolo Savi e Giuseppe Meneghini. Considerasioni sulla geologia della Toscana. — Firenze. Y. 1865. Giuseppe Meneghini in D. Carlotti. Statistica della provincia di Grosseto. — Firenze. YI. 1868. E. Bechi. Delle miniere di combustibili fossili in Italia e specialmente cjuelle di Montebamboli. (N. Antologia, Tomo IX, pag. 602). — Firenze. YII. 1868. G. Axerio. Miniere di lignite picea del signor Ferrari-Corhelli. (Sta- tistica del Regno d’Italia. Industria mineraria. Relazioni degli ingegneri del Reai Corpo delle miniere, pag. 172). — Firenze. o vili. 1873. Costantino Haupt. Osservazioni sulle miniere carbonifere delVim- presa mineraria Ferrari, nella Maremma Toscana. (Boll. K. Com. Geol., n. 7-8, pag. 195-212). IX. 1874. Bernardino Lotti. Cenni sulla costituzione geologica della Comu- nità di Massa Marittima. (Boll. E. Com. Geol., n. 9-10, pag. 284-294). — Eoma. X. 1876. Id, Sui terreni miocenici lignitiferi del Masseiano [Maremma Toscana). (Boll. E. Com. Geol., n. 1-2, pag. 31-40). XI. 1877, Id. Descrizione geologica dei dintorni di Roccastrada nella Maremma Toscana. (Boll, del E. Com. Geol., n. 3-4, pag. 100-114). XII. 1880. Giovanni Capellini. Gli strati a Congerie o la formazione gessoso- aolfifera nella provincia di Pisa e nei dintorni di Livorno. (Atti della E. Ac- cademia dei Lincei, serie 3^, Mem. della Cl. se. fisiche-mat. e nat.. Voi. V, 55 pagine con tavole). — Eoma. XIII. 1886. Dante Pantanelli. ìlonografia degli strati politici del miocene su- periore nelV Italia settentrionale e centrale. (Mem. della E. Acc. di Se. Lett. ed Arti in Modena, Serie III, Voi. lY, pag. 127-231). — Modena. XIY. 1889. K. Ant. Weithofer. Ueber die tertidren Landsdngethiere Italiens. (Jahrbuch der K. K. Geol. Eeiclisanstalt, Bd. XXXIX, pag. 55-82). — Vienna. XV. 1890. Celso Capacci. Studi sulle ligniti. (Enciclopedia delle arti ed indu- strie, Unione tip. -ed. Torinese). — Torino. XVI. 1890. E. V. Matteucci. La regione trachitica di Roccastrada {Maremma Toscana). (Boll, del E. Com. Geol., n. 7-8, pag. 237-239). XVII. 1891. Id. Note geologiche e studio chimico^petrograflco della regione tra- chitica di Roccastrada in provincia di Grosseto ; Memoria 2^. (Boll. Soc. geol. it., X, 4). — Eoma. XVIII. 1891. Pietro Toso. Notizie sui combustibili fossili italiani. (App. alla Eivista Mineraria del 1890). — Eoma. XIX. 1892. Pietro Toso e Giulio Sagramoso. Relazioni al Comitato per le esperienze sui combustibili minerali italiani. — Milano. XX. 1893. Bernardino Lotti. Descrizione geologico-mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. (Mem. descrittive della Carta geologica d’Italia. Voi. Vili). — Eoma. XXI. 1894. Corpo Eeale delle Miniere. Studio sulle condizioni di sicurezza delle miniere e delle cave in Italia. — Eoma. XXII. 1896. Emilio Cortese. Escavazione di un pozzo nel giacimento ligni- tifero di Montemassi. (Comunicazione). (Boll. Soc. Geol. Ital., Voi. XIV, pag. 291). — Eoma. — 6 — XXIII. 1897. Giuseppe Ristori. Osservazioni sulVetà e sulla genesi delle ligniti del Massetano {Montebamboli, Casteani, Ribolla). (Atti Soc. Toscana di Se. nat. Memorie, Voi. XY, pag. 106-119. — Pisa. XXIY. 1897. Vittorio Novarese. Strati politici dei dintorni di Campagnatico e di Paganico (prov, di Grosseto). (Boll, della Soc. Geol. Ital., Voi. XVI, fase. 1®, pag. 69). XXV. 1885-1907. Corpo Reale delle Miniere. (Rivista sul servizio mine- rario. Relazione speciale del distretto di Firenze). — Firenze, 1885-1887 ; Roma, 1888-1907. XXVI. 1907. Karl Stegl. Ueber die fossilen Brennmaterialien Italiens nnd die Braiinkohlenwerke Ribolla und Caste ani in der Provinz Grosseto. (« Oesterr. Ztschrft. ftlr B. und Hw. » Xr 42-46). — Vienna). Uno studio delle miniere di lignite di Casteani e Ribolla, com- piuto a scopo industriale nel 1905-06 da una Commissione tecnica scientifica, di cui avevo l’onore di far parte \ mi ha condotto a ri- vedere quei luoghi che avevo rilevati geologicamente fino dal 1890-91, ed a raccogliervi una nuova messe di osservazioni, sopra quanto era venuto in luce dopo di allora in quei lavori minerari, che hanno avuto un periodo di intenso sviluppo appunto fra il 1891 ed il 1900. Questa revisione, a quasi 15 anni di distanza dal primo rileva- mento, ha giovato a chiarire molti dubbi e risolvere non poche dif- ficoltà derivanti dalle contraddizioni tutt’altro che lievi che si no- tano nei lavori pubblicati a varie riprese da più autori sull’ argomento interessante così la scienza come l’industria. Ritengo per ciò non del tutto inutile consegnare nelle pagine che seguono le osservazioni fatte ed i risultati ai quali sono giunto. Alla più facile intelligenza di quanto verrò esponendo gioverà non poco la Carta geologica della Toscana nella scala da I a 100,000 pubblicatasi dal R. Ufficio Geologico, nel 1905, poco prima delle mie revisioni (fogli Massa Marittima (119), Siena (120), Piom- bino (127) e Grosseto (128). ^ Vedasi Boll, del R. Gom. Oeol. Roma, 1906. Parte ufficiale, pag. 47. 7 — Avverto, che per quanto riguarda la Carta, è dovuta ai rileva- menti del collega ing. Lotti la parte del territorio considerato che è a ponente della Follonica; spetta a me la parte a levante. CAPO I. — La serie dei terreni. Cenni topografici. — Le miniere lignitifere di Casteani e Ribolla sono parte di una vasta area miocenica che chiamerò della Bruna, dal nome della conca fluviale che l’accoglie, servendomi d’una deno- minazione già usata dal Savi e dal Lotti nei loro lavori sui ter- reni miocenici lignitiferi delle Maremme Toscane T, IX). Evito però di usare la parola bacino, adoperata in quelle occasioni e consa- crata del resto dall’uso in simili casi, perchè, come vedremo, non v’ha alcuna rispondenza fra il sistema ideograflco attuale e l’area primitiva che fu coperta dai terreni miocenici. Essa s’estendeva certo molto oltre lo specchio attuale della Bruna, con limiti del tutto diversi dagli odierni, creati solo da movimenti avvenuti nel Plio- cene e nel Quaternario. L’aver trascurato questa circostanza e l’aver ritenuto che le forme attuali del terreno fossero almeno già abbozzate nel Miocene è stata cagione di errori scientiflci e tecnici non lievi. La valle della Bruna, aperta verso mezzogiorno, è circondata da erti monti dagli altri tre lati. Questi monti, nella parte della valle che ci interessa, a N della linea Ravi-Giuncarico-Montepescali, sono formati verso levante, da scisti ed anageniti del Permico, coperti da lembi di scisti e calcari del Trias, e da calcari cavernosi del Retico ; a settentrione e ponente constano quasi esclusivamente di scisti e calcari eocenici, con masse di diabase, eufotide e serpentina. Il Miocene poggia in discordanza sopra tutti questi vari ter- reni; contribuisce a formare la parte montuosa del bacino salendo fino a raggiungere e scavalcare la linea idrotemnica per lunghi tratti come fra Sassofortino ed il poggio del Cimbello presso la stazione di Roccastrada a N e ad E ; e ad W verso la stazione di Gavorrano ; — 8 - emerge pure in forma di basse colline e pianori lungo l’orlo di po- nente della pianura. E’ coperto parzialmente da lembi di Pliocene o da colate impo- nenti di trachiti quaternarie nella parte montuosa, e nella pianura da terreni quaternari di vario genere, dai più antichi fino alle allu- vioni recentissime, sotto alle quali si perde verso S e SE. Dei terreni anteriori al Miocene non dovrò occuparmi altro che incidentalmente; enumererò e descriverò tutti gli altri perchè parecchi dei più recenti sono stati confusi col Miocene od addirit- tura attribuiti all’Eocene. Per compenso da taluno sono stati collocati nel Miocene i gessi epigenetici del Retico. A facilitare l’ intelligenza di quanto segue insisterò brevemente sopra un particolare topografico. L’ampia cerchia di monti a cui abbiamo accennato, rinchiude a ferro di cavallo una estesa bassura pianeggiante, divisa in due conche assai piatte da una lunga groppa eocenica che da Tatti, mediante il poggio delle Nebbia] e e quello del Belvedere sopra la tenuta della Bartolina, si congiunge al monte di Giuncarico. La Bruna passa dalla occidentale alla orientale di queste conche per la stretta del Muro, dove sono gli avanzi della diga senese squarciata dalle acque fin dal medio evo, poco a monte del Mulino del Muro, segnato sulla Carta al 100 000. Le due conche comunicano pure mediante l’insellatura della Collacchia, occupata da conglomerati miocenici, e per la quale passa la strada dalla sta- zione di Gavorrano a Montemassi, fra Casteani e Ribolla. La conca occidentale, dove scorre la Carsia e dove stanno il vil- laggio di Perolla e la miniera di Casteani, appare colmata quasi completamente da terreni miocenici, solo molto parzialmente coperti da formazioni alluviali molto recenti; quella orientale, solcata dalle acque della Follonica, dell’Asina e del Rigo, mostra il Miocene solo nella sua parte NW, ed è coperta, principalmente fra l’Asina ed i poggi di Montepescali e Sticciano da un’alluvione recentis- sima. Le basse colline mioceniche di Cintoja, Poggio di Piero, Camora e Selvello, fra la Follonica e l’Asina dividono in questa — 9 — conca dalla pianura principale più a levante, un piccolo bacino al- luvionale subordinato, detto il piano di Montemassi, dove stanno le miniere di Ribolla e di Poggio Moretto (ora S. Feriolo Nuovo). Il Miocene medio marino. — Il piano più antico conosciuto della serie miocenica in vai di Bruna è rappresentato da un com- plesso di arenarie con strati di marne intercalate, d’origine marina, che si osservano affiorare a contatto dell’Eocene sopra un’area relativamente ristretta della conca orientale, nell’insenatura dov’è la grossa fattoria di Perolla. Questa formazione è già nota nella scienza appunto sotto il nome di arenaria di Perolla, e dopo essere stata creduta cretacea dal Pilla fu riconosciuta miocenica dallo Spada e dal Meneghini (IV), il quale ultimo vi determinò i fossili seguenti: Ostrea Pillae Mgh = 0. cochlear var. navicnlaris Poli. Pecten Bendanti Basi. P. arciiatiis Brocchi. Si tratta quindi di una formazione marina con fossili certa- mente miocenici, e se nel 1851 fossero state in uso le suddivisioni di questo piano, i due Pecten avrebbero accennato al Miocene medio. Questa arenaria, che viene a giorno in un angolo estremo ed appartato dell’area miocenica, al suo affioramento è in rapporti poco chiarì col piano lignitifero, incomparabilmente più esteso, tanto che non ostante i suoi fossili, il Lotti nei suoi lavori (X, XX) per ragioni che vedremo in seguito, inclina a considerarlo come uno degli orizzonti superiori della serie miocenica. Fortuna- tamente questa formazione marina si estende molto oltre la sua parte affiorente a Perolla, al disotto della formazione lignitifera, ed è stata incontrata più volte nei lavori di miniera. Ciò ha giovato a chiarire i suoi rapporti cogli altri membri del Miocene, ed a pre- cisarne l’età, confermando le determinazioni del Meneghini. Una prima notizia di tale ritrovamento è data dallo stesso Lotti fin dal 1876 (X, 39): un pozzo, escavato poco prima non lungi da Casteani, e precisamente nel podere di Casa Vecchia, prò- — 10 — prietà Sabatini, da una Società inglese di cui era direttore tecnico un signor A. Russel, incontrò a 60 m. di profondità tale arenaria, coi suoi fossili caratteristici, con uno spessore di 8 a 10 m.; ai disotto di essa nuove argille ed altri strati di arenaria sempre di origine marina fino ad una profondità di 170 m. Con tale pozzo si ricercò invano la continuazione del banco di lignite di Casteani, affiorante più a NE nel fosso Manieratico, che per ragioni unica- mente geometriche si supponeva doversi incontrare a maggiore profondità al disotto degli strati marini supposti anziché miocenici, equivalenti dei pliocenici pure con Ostrea cochlear Poli, che coro- nano la serie dei terreni nel bacino lignitifero di Montebamboli. Molti anni dopo, nel 1904, T ingegner Adolfo Ciampi, in quel tempo direttore della miniera, osservò dei fossili marini nel mate- riale che era uscito da un vecchio pozzo di ricerca praticato alle falde occidentali del poggetto di Casteani, la cui parte meridionale è costituita da argille e conglomerati del lignitifero inferiore. In questo pozzino a 40 m. di profondità era stato incontrato uno strato di 10 m. di potenza di arenaria grossolana zeppo di fossili, al di sotto della quale si attraversarono ancora 4 m. di argilla. L’ing, Adolfo Ciampi, con diligenza encomiabile, raccolse accurata- mente gli esemplari migliori, e li inviò al dott. Giotto Dainelli a Firenze, perchè provvedesse a farli determinare. Secondo una gen- tile comunicazione epistolare del dott. Dainelli lo stesso, i fossili furono determinati dal dott. Bindo Nelli colle specie seguenti: Ostrea cochlear Poli. Pecteii Malvinae Dubois. P. Schiophijliis Oppenheim. ' Radula hians Omelin. Natica sp. Pecten 2 sp. Serpiila 2 sp. Se si completa questa lista aggiungendovi i due Pecten deter- minati dal Meneghini, nessun dubbio rimane nell’attribuzione di — Il — questa fauna al Miocene medio. Rimane così ben determinata e fuori questione l’età dell’arenaria di Perolla, e l’esistenza di un piano miocenico marino, che poggia direttamente sull’Eocene, e stà sotto i conglomerati compresi nella serie lignitifera inferiore. Più recentemente ancora, nel 1906, un altro pozzetto aperto sulla sinistra del Manieratico nel podere di Pian di Melo a sud del poggio di Casteani, incontrò il Miocene marino rappresentato da marne gialle con Pecten, Pinna, ecc., a soli tre metri di profondità e provò una volta di più la sua presenza e la sua grande esten- sione sotto ai conglomerati, per modo che può ritenersi che, masche- rato parzialmente da questa o da terreni più giovani, occupi nella bassura della Bruna tutta la conca occidentale o della Carsia. Nella conca orientale non è conosciuto il Miocene medio ma- rino, come non affiora nemmeno nel bacino del medio Ombrone al disotto della formazione pontica, da me brevemente descritta in altra occasione. L’unico accenno che potrebbe farne sospettare la presenza si trova nel primo fra i lavori citati del Matteucci (XVI, 262) dove si parla di un’arenaria friabile contenente Cy'pricardia sp. ed altri fossili indeterminabili, sotto ai terreni lignitiferi al Fosso dei Bovi, sotto Roccastrada. La serie lignitifera. — Salvo l’eccezione ora descritta del Mio- cene medio marino, in tutto il resto della Val di Bruna il Miocene che poggia direttamente sull’Eocene o sui terreni più antichi, consta di una potentissima successione di conglomerati, arenarie, argille, marne, calcari, con lenti e banchi di lignite, serie che dalla pre- senza di quest’ ultima chiamerò appunto lignitifera. Pur constando sempre o quasi degli elementi ora descritti, la serie, dentro i limiti stessi della Val di Bruna, ha aspetto e svi- luppo assai diverso a seconda delle località. Questo però soltanto nella sua parte superiore, perchè alla base, a diretto contatto dei terreni più antichi s’incontrano sempre conglomerati a grossi ele- menti, diversi solo per la natura dei ciottoli e del cemento. La — 12 parte superiore, molto diversamente costituita nei varii luoghi dove occorre, è formata da una successione, talora di straordinaria potenza, di argille ciottolose e sabbiose, sabbie argillose, arenarie, puddinghe a cemento argilloso arenaceo con ciottoletti ofiolitici (hreccinó), ar- gille di vario colore, marne spesso fogliettate, calcari marnosi fe- tidi, e lenti e banchi di ligniti. Affatto localmente, la serie ter- mina con un calcare lacustre come quello coevo di Val d’Ombrone media (XXIV). Se i conglomerati della base sono affatto privi di fossili, questa parte superiore ne è spesso ricca, presentando un complesso di forme palustri e salmastre, quali congerie, pisidii, Cardium, 21 eia- nopsis, Neritine, ecc., colle specie caratteristiche del piano pontico, ed avanzi vegetali ora come semplici im. pronte, ora invece carbo- nizzati, ed in tal caso sporadici e riconoscibili, ora invece raccolti in lenti e banchi di lignite senza traccia visibile di forma o strut- tura. Infine, com’è noto, in qualche località (Oasteani) in vicinanza dei banchi di lignite non sono rari gli avanzi di vertebrati. Questi avanzi fossili sono sempre legati ai depositi fini. Ne sono ricche le marne fogliettate ed i calcari fetidi, spesso zeppi di congerie e pisidii, e che per quanto non sempre potenti, per la loro frequenza e diffusione costituiscono l’indizio più facilmente ricono- scibile, e per ciò caratteristico della serie lignitifera. Riservo alla parte speciale la descrizione dei vari aspetti as- sunti dalla serie nei diversi luoghi di Val di Bruna ed il suo con- fronto coi terreni lignitiferi noti nelle vicine valli dell’Ombrone, della Cornia e della Farma. Mi limito ora ad accennare ad una interessante particolarità d’indole generale. Fra i ciottoli dei conglomerati e delle argille ciottolose che compaiono nei vari orizzonti della serie s’incontrano, com’è natu- rale, rappresentanti di tutte le roccie premioceniche del bacino con grande prevalenza a seconda della rispettiva vicinanza di calcari alberesi, rocce ofiolitiche, ed anageniti del Permico. Però se ne in- contrano pure di quelle di provenienza assai più lontana e proble- - 18 — malica e sono di granito tormalinifero a grana fina, e di un por- fido chiaro (eurite, porfido euritico) con macchie verdognole di tormalina anche di due o tre centimetri di diametro. Questi ciot- toli abbondano ad esempio nella parte meridionale del poggetto di Casteani, principalmente sul versante di ponente, ma, sebbene più rari s’incontrano pure nei conglomerati lungo la strada fra il paese e la stazione di Roccastrada. La presenza di questi ciottoli dentro ai conglomerati miocenici è già stata accennata dal Lotti (XX) e dal Matteucci (XVI). Siccome l’affioramento granitico più pros- simo è quello di Gavorrano, è lecito credere vengano da esso i ciot- toli granitici, sebbene non vi si riscontrino tutte le varietà che mostrano. Ma per i ciottoli di porfido, se si vuole ricorrere a loca- lità note attualmente, bisogna andare fino all’Elba od a Campiglia, entrambe lontane, e tali da non essere accettate senza obbiezioni. Però, anche se si vuole accettare l’ipotesi di affioramenti diventati ora inaccessibili perchè sommersi o coperti da terreni più recenti, oppure completamente distrutti dall’ erosione, siccome ad Ovest del- l’attuale Val di Bruna non v’ha traccia di affioramenti granitici o porfìrici, bisogna logicamente collocare pur sempre l’ ipotetico luogo d’origine dei porfidi ad Est, cioè dalla stessa parte delle masse granito-porfìriche conosciute, ed ammettere che il tronco ed i rami principali del sistema idrografico che ha trasportato quei materiali scorressero da Ovest verso Est. Un altro argomento dello stesso genere milita a favore di questa ipotesi: nei conglomerati degli orizzonti inferiori del terreno ligni- tifero incontrati coi pozzi hanno un fortissimo predominio i ciottoli di macigno, roccia le cui masse maggiori più prossime stanno ap- punto nei pressi del granito di Gavorrano e delle trachiti e porfidi di Campiglia. Un’altra singolarità di questi conglomerati è la frequenza, prin- cipalmente nella puddinga ofiolitica e nelle argille ciottolose a pic- coli elementi, di frammenti angolosi di quarzo bianco filoniano, provenienti certo dai filoni metalliferi del Massetano (Pietra, Car- — 14 — pignone, Fenice, ecc.); sebbene i filoni di quarzo, affatto sterili, non manchino neppure fra le anageniti del permico nei monti a N e ad E di Roccastrada. / gessi. — Il membro più alto del Miocene in Val di Bruna è costituito dai gessi colle argille e marne associate, che compaiono sviluppatissimi nei pressi di Sassofortino costruito appunto sopra tale terreno, e scendono dallo spartiacque, nella località detta precisa - mente « i Gessi » sulla strada Sassofortino-Roccastrada verso mezzo- giorno alla pianura, rimanendo sempre sulla destra del torrente Baj fino a S della C. Bettarello dove il gesso passa pure sulla sinistra. La Carta geologica (fogli Grosseto e Siena) che mostra l’esten- sione del terreno gessifero miocenico quale risulta dai miei rileva- menti del 1890-91, non reca l’indicazione di un affioramento insi- gnificante per estensione ma interessante in estremo per la sua posizione e venuto in luce casualmente da poco tempo presso la C. Melani sotto Mon tornassi . In uno scavo nelle argille di un campo coltivato, segnate sulla Carta, per mancanza di ogni altra indica- zione, come terreno iignitifero, pure rappresentato da argille nelle immediate vicinanze, fu trovato il gesso a poca profondità, ciò che indusse alla costruzione di una fornace ed aH’apertura di una pic- cola cava. Questa scoperta è un indizio della probabile continuazione dei gessi sotto le alluvioni dell’ Asina e della Bandinella a S.W deH’ub timo affioramento meridionale dei gessi nel letto del Torr. Baj. Come mostra la Carta geologica, nei dintorni di Roccastrada, vicinissimi ai gessi del Miocene, compaiono quelli certamente epige- netici, inclusi nel calcare cavernoso del Retico, i quali stanno tutti sulla sinistra del torrente Baj e del Fosso le Vene, ma che si av- vicinano a quelli miocenici fin quasi a toccarli nei pressi della Casa Bettarello già nominata, come può vedersi percorrendo la vecchia mulattiera da Roccastrada al Mulino di Giugnano. Questa vicinanza di masse gessose di origine diversa e che non sempre hanno precisi caratteri intrinseci differenziali, fu causa di — 15 — confusioni, com’è facile immaginare. Così il Lotti attribuì nel 1877 airinfralias i gessi miocenici di Sassofortino ; nel 1890 il Matteucci dopo aver riconosciuto l’età esatta di questi ultimi, la estese ai gessi epigenetici del Retico, sebbene scriva aver veduto in essi « strati contorti di calcare fetido bigio-nerastro » presso Tisignana e lungo i fossi Melecchio e Botrone (X, 214). Tali nuclei di calcare sono appunto residui del primitivo calcare bituminoso sfuggito alla sol- fatizzazione. A quale causa questa sia dovuta non è qui il luogo di ricercare. Pliocene. — ■ Il Pliocene è rappresentato da sabbie, marne, argille, ghiaie e calcari svariati (calcare ad AmpTiistegina, calcare conchiglifero compatto, panchina, ecc.), che non si succedono mai in modo costante, ma con rapido passaggio si sostituiscono gli uni agli altri. Indizio questo di deposizione in un bacino ristretto. Il Pliocene difatti si annida quasi del tutto nella convalle fra Rocca- strada e Sassofortino; nella pianura non ne compaiono che due lembi, assai discosti dalla massa principale a levante della miniera di Poggio Moretto, e dei quali parleremo in seguito. Il Pliocene è in trasgressione evidentissima su tutti i terreni anteriori, e mentre nei pressi di Sassofortino e della C. Venturi ha per letto il terreno gessifero, nei pressi di Roccastrada copre direttamente senza l’intermezzo di questo, il calcare di acqua dolce con cui termina la serie lignitifera. In questo caso è rappresentato spesso da argille con Ostrea cocTilear e cristalli sporadici di selenite di qualche centimetro di lunghezza. La Carta geologica pone in evidenza come nel Pliocene un braccio di mare stretto e lungo, diretto da N a S, a levante del monte Alto (permico) riunisse le valli attuali della Feccia, Merse e Parma, con quella della Bruna, sotto alle alluvioni della quale si nascondono gli strati pliocenici fra i fossi Rigocchio e Vinaio. T faciliti. — Le trachiti cordieritiche o nevaditi di Roccastrada, note per parecchie descrizioni, sono postplioceniche, e si sono effuse sopra tutti i terreni finora enumerati nessuno eccettuato. — 16 - La presenza di ciottoli trachitici serve quindi a stabilire l’età quaternaria o recente delle formazioni clastiche in cui s’incontrano: criterio che dovremo subito applicare. Quaternario. — I terreni quaternari di trasporto sono rappre- sentati da travertini che s’incontrano in più luoghi della parte mon- tuosa e da alluvioni di varia età a livelli altimetrici tanto diversi che per la posizione può distinguersi un diluvium da un alluvium. Merita speciale considerazione la massa di origine alluvionale e di età di- luviale, diffusa come un velo lacerato dall’erosione, sul Miocene Kgni- tifero e forse sui gessi, che compare in alto sulle colline fra il fosso Raspolino e l’Asina (foglio Grosseto). A S della C. Melani questo Quaternario giunge fino alla quota 130 metri, vale a dire sta 40 metri sopra le alluvioni attuali dell’Asina, ed a 70 metri su quello del piano di Ribolla. Questo Quaternario è costituito da un’alluvione « grossolana con elementi eocenici angolosi, principalmente scisti, calcari e ftaniti, e pezzi tondeggianti di trachiti, talora così grossi, da far parere enigmatico il loro trasporto. La massima frequenza dei ciottoli trachitici, di grandi dimensioni è in vicinanza della Casa Melani e lungo la strada che con direzione N.S, seguendo la cresta delle colline, scende all’Asina. La natura degli elementi di cui consta questo conglomerato delle colline dimostra come esso sia dovuto ad una corrente che scendeva da un bacino essenzialmente composto di trachiti, e di Eocene sotto forma di galestri, quale è l’attuale conca superiore dell’Asina. Si tratta quindi di un cono di deiezione quaternario dell’Asina che si estendeva certo fino al piano di Ribolla, dove ancora si trovano nell’ alluvione ciottoli di trachiti, totalmente estranei al bacino della Follonica, fiume che solca attualmente il piano. Sulla sponda sinistra del Raspollino, nello scavo a giorno di San Feriolo, si trovò nell’alluvione ed è ancora visibile un blocco di trachite di una tonnellata circa di peso. L’Asina deviando verso E ha abbandonato il suo vecchio cono di deiezione e scorre ora 40 m. più basso nella pianura alluviale. 17 — Nel piano di Ribolla quest’alluvione ha fino a 10 m. e più di potenza, presenta una superficie quasi perfettamente livellata, ed è così ben circoscritta dalle alture attuali, che se non fossero i ciottoli di trachite, si potrebbero attribuire quelle alluvioni soltanto alla Follonica, alla Ribolla ed al Raspollino, i quali ora invece le incidono mettendo qua e là a nudo lungo i loro corsi il Miocene sottostante ed i banchi di lignite. La superficie del Miocene così coperto dev’ essere piuttosto acci- dentata, perchè i numerosi lavori di miniera hanno mostrato essere lo spessore delle alluvioni variabile senza alcuna legge. Questo terreno quaternario non ostante la chiarissima indica- zione data dagli elementi trachitici ha avuto le più diverse inter- pretazioni. Costantino Haupt, ingannato dalle accidentalità degli strati lignitiferi ha creduto che una parte di essi vi si appoggiasse, e l’ha attribuita al Miocene col nome di « Gonfolite » dandogli posto fra il 2° ed il 3° banco lignitifero, non tenendo alcun conto dei ciot- toli di trachite, che pure nomina, ma che evidentemente ritiene per lo meno miocenica (Vili, 203). Più tardi, nel 1890, nella pubblica- zione ufficiale « Notizie sui combustibili fossili italiani » dell’inge- gnere P. Toso, comparve una Carta geologica del bacino di Tatti e di Montemassi nella scala da 1 a 20000, che riproduce essenzialmente una Carta dell’ Haupt conservata alle miniere, e nella quale desi- gnando il luogo col nome di Bassa di Pincaccio, si attribuisce all’Fo- cene il nucleo delle colline mioceniche coperte dal conglomerato quaternario. La ragione di ciò sta, senza dubbio, nel fatto che i grossi blocchi di scisto eocenico, sono talmente frequenti nell’alluvione che il terreno coperto di minuti frammenti angolosi prodotti dallo sfacelo dei massi maggiori, riproduce assolutamente l’aspetto della superficie dell’Eocene in posto, in modo da ingannare a primo esame anche geologi provetti. In quella stessa pubblicazione ripe- tendo l’errore dell’Haupt si dice pure che gli strati lignitiferi sono chiusi « fra i conglomerati ofiolitici, serpentinosi e trachitici ». 2 — 18 — CAPO II. — I terreni lignitiferi e la lignite. Compiuta così una rapida rassegna dei terreni in immediato rapporto colla serie lignitifera, ne riprendo l’esame. Come ho già avvertito essa si presenta con sviluppo diverso a seconda dei luoghi. Dintorni di Eoccastrada. — Nei dintorni immediati di Rocca- strada il Miocene lignitifero forma per lungo tratto le alture fra la Val di Bruna e la valle del Gretano affluente, per mezzo del fosso Inghiere, dell’ Ombrone, presso Paganico. Qui la serie lignitifera ha lo stesso carattere che in Val d’ Ombrone, già descritto in altra mia nota (XIV), e consta di un’alternanza di argille, marne, con- glomerati e sabbie, senza successione costante, e con forte preva- lenza di questi due ultimi tipi a S di Roccastrada. Le argille for- mano il crinale a N delle trachiti su cui è costruita la parte antica del paese, ed è in uno scavo fatto precisamente fra le case setten- trionali del paese, presso la provinciale, che ho raccolto nel 1890 in- sieme con una Bythinia sp., ed un Planorhis sp. indeterminabili, una Melania praerosa Linn. identica alla varietà di cui il Doderlein ha fatto la specie huccinoidea. A N di Roccastrada, nei valloni che scendono al fosso dei Bovi ed al Fosso le Vene, fin presso alla Casa Melosa si osservano le argille, le marne fogliettate e calcari marnosi zeppi di Pisidium ed altri fossili d’acqua dolce, ed affio- ramenti di un calcare marnoso fetido pure di acqua dolce con Pia- norbisy ecc. Queste formazioni di acqua dolce e salmastre sono state del resto già rettamente osservate dal Matteucci (XVI, XVII), ma attri- buite al Pleistocene, perchè sovrapposte ai gessi dell’Infralias, pre- sunti miocenici. Le marne contengono frustoli di vegetali carbonizzati. Valle del torrente Baj. — Più ad occidente il Miocene ligniti- fero ricompare lungo il torrente Baj, assai più in basso, e sotto- — 19 — stante ai gessi della sponda destra. È rappresentato dai soliti con- glomerati e forse anche da argille, non distinguibili da quelle che accompagnano i gessi immediatamemte sovrastanti. Certo queste argille sono sulla destra poco potenti. Alquanto più sviluppate si vedono sulla sinistra del fosso, spuntare sotto la trachite ed i ter- reni del Pliocene presso la casa Venturi, come mostra la Carta nel foglio Grosseto. Peruzzo e Carrella. — Il Miocene riappare ad occidente attra- verso uno squarcio, una vera finestra nell’ampia colata t rachitica di Caminino, con banchi di lignite, nel fosso della Carpella. Questo nome non figura sulla Carta, ma è indicato il nome del podere Peruzzo posto all’estremità settentrionale della stessa area mioce- nica. Presso questo podere anzi compare al fosso Rigomale il gesso del Miocene superiore, ed immediatamente sopra di questo il cal- care ad amphistegina e le argille del Pliocene, inclinate di circa 15° verso NW. Le ligniti compaiono invece verso la parte meridionale e centrale dell’affioramento. In questa area non ho osservato i con- glomerati, i quali però affiorano lungo tutto l’orlo meridionale della trachite, che poggia su di essi. Ribolla e Casteani. — E ad occidente dell’Asina che la serie lignitifera ha il suo sviluppo più completo, ed assume la massima potenza, superiore ai 400 m. La cognizione completa dei vari membri della serie è dovuta a lavori che incominciati nella seconda metà del decennio 1830-1840, sono tuttora attivi nelle miniere di lignite dette di Ribolla e Casteani, oppure, dai borghi più prossimi sulle alture che le circondano, rispettivamente anche di Montemassi e di Tatti. La miniera di Casteani fu anche talvolta detta di Ga- vorrano, perchè si trova in territorio dipendente da questo Comune per quanto lontanissimo dal capoluogo. In vicinanza delle miniere, all’Eocene si appoggia un conglo- merato a grossi elementi eocenici, con prevalenza di ciottoli ofìo- litici, cementato tenacemente da un’argilla colorata in rosso intenso, che fu chiamato dallo Haupt gonfolite e che è ricordato pure dal — 20 — Lotti col nome di conglomerato rosso calcareo-ofiolitico. Questo conglomerato si osserva alla base delle serie, da Montemassi fino alla Collacchi a, attraverso la quale insellatura passa nella conca di Casteani. Questi conglomerati in alto fanno passaggio ad una potentis- sima alternanza di argille ora sabbiose, ora ciottolose, sabbie argillose e conglomerati ad elementi vari che nei loro livelli più alti passano ad una specie di puddinga a cemento argilloso-arenaceo con ciot- toletti ofiolitici, chiamata dal Savi puddinga ofiolitica, e detta localmente hreccino. Insieme con questa puddinga compaiono i primi accenni a strati e lenti di lignite, aumentano di frequenza e potenza di banchi d’argilla, che contengono lenti di marne dure e calcari fetidi a congerie. Il più alto dei banchi di lignite, che è anche il più potente e continuo, detto primo banco o banco prin- cipale, separato quasi sempre dalla puddinga ofiolitica da un com- plesso di banchi d’ argilla sabbiosa, di potenza variabilissima, segna il limite superiore di quest’ ultima, e ad esso seguono le argille dette del tetto, una serie potentissima di argille grigie, con rari e tenui fi- oretti di arenaria cementati, o sottili lenti di ghiaia minuta, più rari ancora. Queste argille del tetto, che lo Haupt ha chiamato mattajone, contengono pure qua e là fossili salmastri o palustri, principalmente Cardium e Pisidium. Profili naturali della serie si trovano nel bacino di Ribolla principalmente lungo i letti della Follonica e del fosso Raspollino. I profili lungo quest’ultimo fosso furono conosciuti pei primi; si trovano descritti e figurati nell’opera di Paolo Savi (I, pag. 3-11), e sono visibili tuttora quelli denominati da lui. Vado alVOrto e Fonte al Tamburino (I, fig. 4 e 5 della Tavola I). Quest’ultimo è diventato anzi di facilissimo accesso perchè la strada carrozzabile da Gavorrano a Montemassi, appena oltre il ponte del Raspollino è aperta a mezza costa nelle marne a congerie e calcari fetidi della parte superiore del profilo. Alla base del ci- glione, nel letto del fosso affiora la lignite. — 2t — Pozzo Toscano. — Questi profili naturali però sono tutti par- ziali perchè spesso le alluvioni antiche ed attuali mascherano il terreno miocenico per lunghi tratti, e conviene colmare le lacune con induzioni, ciò che lascia sempre adito ad incertezze. Da tempo però molto remoto la serie è stata esplorata a fondo con lavori mi- nerari, il più importante dei quali, ed anche il più antico, è il pozzo Toscano escavato dal 1837 al 1844, sotto la direzione deH’ing. F. Pi- tiot, e che giunse fino alla profondità di 463 m. senza avere, a quanto pare, incontrato l’Eocene. Ora è franato, ed impraticabile. Il Savi nel 1843 ha veduto questo pozzo escavato fino alla profondità di 595 braccia toscane (347 m.) e descrive i terreni incontrati. Alle miniere si conserva un profilo in cui è riprodotta graficamente tutta la serie dei terreni attraversati dal pozzo To- scano fino alla profondità di 440 . 92 m. Per quanto importantissima, giudico inutile riprodurla nella sua integrità, e la riassumo per sommi capi. Da m. 0 a 6.41. Terreno superficiale, probabilmente alluvione antica. Da m. 6.41 a 113.76, Argille grigie varie con filetti di arenaria, ghiaiuzze. Impronte di foglie di dicotiledoni, ed impronte di conchiglie (Cardium secondo il Savi), Da m. 113.76 a 123.29, m. 2.33 di carbone, e 7 m. di scisti car- boniosi. Da m. 123.09 a 295.09. Argille varie ora grigie, ora nerastre, con tracce di carbone in due livelli, ed uno strato di calcare di 0 . 60. Impronte di foglie a vari livelli, ed alla base una argilla tur- chiniccia che è detta ossifera, senza maggior dilucidazione. Do- vrebbe però essere quella in cui sono state rinvenute le ossa di un mammifero, ritenute dal Savi come un femore ed una ulna. Da m. 295 a 429.82. Arenarie di vario genere alternanti con ar- gille, puddinghe e conglomerati a grosse palle di macigno. A 409 m. fu ancora trovato uno strato carbonioso (scisti) pog- 99 giante direttamente sopra il conglomerato. Anche in questa parte della serie frequenti gli avanzi e le impronte di vegetali, specialmente di foglie e fusti. Alla profondità di 354 m. è in- dicata pure un’argilla scistosa ossifera con impronte di foglie, ma non si ha notizia alcuna delle ossa rinvenute. Non sono certo state vedute dal Savi nell’aprile 1843 perchè allora il pozzo giungeva a 347 m. soltanto. Da m. 429.82 a 440.92. « Argilla rossa con ghiaie di macigno e conglomerato con ghiaie di macigno e frammenti di alberese e di macigno ». Riproduco integralmente le parole del profilo, che mi sembrano indicare abbastanza esattamente il conglo- merato ofiolitico rosso che sta alla base della serie. Come ho già detto da un altro documento esistente presso la Amministrazione delle miniere, il pozzo Toscano avrebbe raggiunto la profondità di 463 m., vale a dire sarebbe stato approfondato di 22 m. circa oltre le indicazioni del profilo. Forse al disotto del conglomerato ofiolitico rosso si sarà incontrato il galestro, che al- lora si credeva cretaceo e ciò fece sospendere il lavoro, veramente straordinario per quel tempo. Nè il profilo nè il Savi dannno alcuna indicazione sulla dire- zione e sulla pendenza degli strati incontrati dal pozzo. Qualche dubbia indicazione e ricordi accennerebbero ad una direzione verso S.S.E ed una pendenza S.W.W, ciò che non discorda colla dire- zione ed inclinazione incontrate nei cantieri più prossimi, che senza dubbio alcuno coltivano lo stesso banco che fu incontrato per primo nel pozzo Toscano, il quale, dal punto di vista tecnico potrebbe dirsi l’unico, perchè tutti gli altri avevano potenza insignifi- cante. Anche il valore dell’inclinazione che presentavano i vari strati incontrati nel pozzo manca del tutto, ed è vivamente da rimpian- gersi che tale indicazione sia andata smarrita perchè come vedremo, nelle vicinanze del pozzo Toscano v’ ha certamente una dislocazione molto importante. A giudicare però dalla inclinazione del banco di - 23 carbone nelle miniere di San Feriolo vecchio a Poggio Moretto, ed in quella di San Feriolo nuovo, l’ inclinazione del banco sarà stata certamente notevole, e la potenza vera dell’intiera formazione do- vrebbe essere minore dei 463 m. del pozzo. Pozzo Cortese. — Dopo il « Toscano » il pozzo più profondo di tutto il gruppo di miniere, è il « Cortese » a Ribolla, incominciato e portato fino a 125 m. di profondità daH’ing. Cortese che ha anche brevemente descritto i terreni incontrati (XXII). Recentemente il pozzo è stato approfondato di altri 52 m. circa, raggiungendo la pro- fondità totale di 177 m. Verso i 152 metri, fra il V ed il VI piano, fu attraversato il primo banco che ha da 6 a 7 m. di potenza, ed al di sotto di questo, dopo qualche metro di argilla o marna sabbiose, s’incontrò la puddinga ofiolitica, il hreccino, dentro al quale sono escavati gli ultimi 6 o 7 metri del pozzo. Prima dell’ approfonda- mento del pozzo gli strati al letto del banco erano stati esplorati con gallerie, e si era trovata una maggior potenza di argilla sotto il banco, che non nel pozzo. Del resto è stato osservato nelle mi- niere che dovunque il banco si assottiglia fino a pochi centimetri, come accade non di rado, Fargilla sabbiosa o molassa del letto si riduce pure di molto e s’incontra subito il breccino. Del resto anche nel pozzo Cortese deducendo gli 8. m. di ter- reni alluvionali della superficie è stata trovata sopra il banco una massa di argille, marne, e di arenarie argillose tenere, di m. 144 di potenza, misurata verticalmente, vale a dire anche più che al pozzo Toscano, dove si avevan soltanto m. 105. Trivellazioni. — Recentemente, al novembre 1907, è stata in- cominciata a Ribolla una serie di trivellazioni sistematiche dirette a riconoscere le parti finora non esplorate della proprietà mineraria. Questi fori di trivella di cui ho potuto seguire il progresso e con- trollare i risultati, hanno grandemente giovato alla conoscenza esatta della serie, ed al giusto apprezzamento dell’abbondante ma- teriale antico, esistente negli archivii delle miniere, di cui non sempre per mancanza di controllo, si poteva giudicare l’attendibilità. 24 Il foro N. I, 150 m. a S del pozzo Cortese, spinto fino a m. 283.50 di profondità, ha incontrato la seguente successione di strati : Da m. 0 a 10 m. Ghiaie alluvionali. Da m. 10 a 190 m. Argille grigie che divennero gradatamente più scure negli ultimi 10 m. sopra il carbone. A 182 m. esili tracce di carbone, forse in corrispondenza degli ammassi di foglie che sogliono incontrarsi al tetto del banco maestro. Da 190 m. a 190. 30 m., 0.30 m. di carbone che stanno a rappre- sentare il banco maestro, casualmente incontrato dallo stru- mento in un restringimento. Da 190.30 m. a 216 m. Argilla grigia. Da 216 m. a 256 m. Argilla verdastra con ciottoletti ofìolitici e frammenti di quarzo filoniano, con 4 straterelli di carbone ri- spettivamente a 225, a 234.50, a 243, a 250.30 m. Da 256 m. a 260 m. Arenaria molto dura e resistente. Da 260 m. a 277.50 m. Puddinga ofiolitica. Da 277.50 m. a 281.50 m. Conglomerati a grossi elementi. Da 281.50 m. a 283.50 m. Puddinga ofiolitica. Il foro N. II, a W del pozzo Cortese, è sulla destra della Ri- bolla, Di 139 m. di profondità ha incontrato una serie poco diversa: Da 0 m. a 3.50 m. Ghiaia alluvionale. Da 0 m. a 111.50 m. Argilla grigia che passa ad argilla nera in vicinanza del carbone. Da 111.50 m. a 116.10 m. 4.50 m. di carbone. Da 116.10 m. a 116.50 m. 0.40 di marna calcarea. Da 116.50 m. a 119 m. 2.50 m. di carbone. Da 119 m. a 125 m. Argilla scura. Da 125 m. a 130 m. Argilla con ciottoletti ofioliotici e frammenti di quarzo filoniano (breccino). Da 130 m. a 139 m. Arenaria tenera. Pozzo Dispensa. — A (ilasteani i pozzi hanno una profondità molto minore che non a Ribolla; tuttavia anche qui si trovò la stessa massa di argille con filaretti di arenaria al tetto del banco. A differenza di Ribolla dove non ho notizia che nelle argille del tetto si sia trovato alcun fossile all’ infuori delle comunissime im- pronte di foglie^ a Casteani contengono abbastanza frequenti Car- dium di varie specie. Il letto del banco a Casteani è stato pochissimo esplorato; si sa però che consta di argille e di arenarie sopra la potenza di una decina di metri. A Casteani, nella galleria attraverso banco del pozzo Dispensa (profondo 73 m.), si trovò la seguente serie, dal tetto verso il letto: 1. Argilla plastica molto fossilifera (Cardium) con piccoli no- duli ferriferi (pirite limonitizzata?). La potenza di quest’argilla è ignota, ma dovrebbe incominciare da giorno. 2. 0.25 m. di arenaria tenera. 3. 1. m. di argilla conchiglifera {Cardium). 4. 4.30 m. di argilla marnosa priva di fossili. 5. 0.05 m. di arenaria. 6. 2.25 m. di marna durissima conchiglifera presso il banco (minutissime bivalve {Pisidium?). A queste marne era dato il nome di calcarea fetida. 7. Banco di lignite di 7 metri. 8. 8 m. argille, marne ed arenarie. 9. Debole banco di lignite detto 2° banco. 10. Argille, indi freccino. Considerando nel loro complesso i vari profili esposti si scorge chiaramente come nel terreno lignitifero di Casteani e Ribolla ad onta dei passaggi graduali si distinguano chiaramente tre parti corrispondenti a tre stadii diversi del deposito. Quella inferiore è caratterizzata dal conglomerato ofiolitico rosso e dalle sabbie ed argille ciottolose associate, costituenti una formazione certamente — 26 — littorale sia marina sia lacustre; l’ intermedia corrisponde alla com- parsa delle ligniti contenute in un complesso di puddinghe a mi- nuti elementi, di arenaria tenera (melassa) ed argille^ con marne e calcari impuri fossiliferi a congerie e pisidii ; la superiore infine consta degli strati superiori al primo banco, ossia delle argille a Cardium o mattajone. I conglomerati della base, nei quali non sono stati trovati fossili, potrebbero essere anche marini ed equivalenti del Miocene medio pure marino della conca di Casteani; gli altri due piani sono certamente salmastri o lacustri. Inoltre il passaggio graduale da conglomerati a grossi elementi della base, alle argille del tetto indica che le acque del bacino sono andate diventando sempre più tranquille. In nessuno dei pozzi, all’ infuori delle alluvioni antiche o recenti, è stato mai attraversato un terreno più recente delle argille del tetto, cosicché nel territorio esplorato dalle miniere si ignora se sopra il mattajone, mascherato dalle formazioni recenti, esista il gesso, come potrebbe farlo supporre il pìccolo affioramento presso la casa Melani, di cui ho già parlato. Però nei pressi del pozzo Toscano, qualche centinaio di metri a levante, sulla cima delle due còllinette, che portano nella carta al 50,000 (quadrante Montepescali) le quote 102 e 94, dal velo di quaternario antico emergono come scogli, vari spuntoni di calcare, certo non anteriore al Pliocene h con Pecten, Serpula, ecc., e forse equivalenti del calcare ad Amphistegina dei dintorni di Roccastrada e Sassofortino. Sebbene il Quaternario mascheri il contatto, questi calcari sono certamente in discordanza sul Miocene, che per quanto è noto, in vicinanza di quella località ha un’inclinazione di al- meno 80° verso S.W. Questi calcari, però, sono la prova diretta ^ Questi due lembi pliocenici non figurano nella carta stampata al 100000, essendo stati, per la loro piccolezza, soppressi nella riduzione dalla scala di ri- levamento a quella di pubblicazione. Boll. del R. Comitato geologico d'Italia MINIERE DI LIGNITE li j'n Vk Scala dii BandiidìUffnite faglia. Bozzi antic7ù e recenti ^ Rìcerdie ahban Anno 1908, Tav: I . ( Ing. Novarese TATTI E MONTEMASSI iBruna ì/'" ' - i. ^ ■9 i Boll .del R . Comitato geologico d' Italia Anno 1908 , Tav: E . ( Ing. Novarese ) 0 Cd O .2 C7d o d. §d 3 nj U 0 CO "cd co > co 0 g • i-H N 0 O) © Pozzo Maqrìni Pozzo Dispensa Pozzo Peod oro i' -■ / Lit, - 27 — della trasgressione marina pliocenica succeduta al periodo lagunare e salmastro in tutta la conca orientale, fino almeno al piano di Montemassi o di Ribolla, mentre nella conca occidentale, dove sta Casteani, e pure amplissima, non è conosciuto il Pliocene marino. I hanchi di lignite. — Il numero dei banchi di lignite conte- nuti nella zona mediana della serie è vario a seconda dei luoghi e dei bacini. Però il banco costantemente coltivato, e che ha mag- giore continuità e potenza è uno solo, e questo, immediatamente inferiore alFargilla a. cardium o mattajone^ porta il nome datogli in antico di primo banco. Però nei vari lavori di esplorazione, al disotto di questo ne sono stati trovati altri. Per esempio, al pozzo Toscano gli strati incontrati sotto al primo banco, che aveva complessivamente una potenza di 9 m., compreso la parte schistosa, sono stati almeno 5, tutti però molto sottili e senza alcuna impor- tanza tecnica. Questo primo banco ha sempre una notevole potenza, che a Casteani va da 7 ad 8 metri, tenuto conto delle intercalazioni sci- stose, a Ribolla da 6 ad 8 metri, spesso senza alcuna intercala- zione; a San Feriolo giunse fino a l‘4 m., comprese le parti scistose. Non dappertutto, ma abbastanza frequentemente, così a Ca- steani come a Ribolla, sotto al primo banco, e separato da questo da parecchi metri di argilla, compare un secondo strato di lignite, assai più sottile e che difficilmente giunge ad un metro, denominata il secondo banco. Questo banco non è mai stato oggetto di coltiva- zione, perchè di potenza variabilissima e non continuo. Sulle sponde del Raspollino e lungo il suo corso, dove verso il 1840 si praticarono i primi lavori, detti di Poggio Moretto, fra i banchi di brecciola ofiolitica e le marne a congerie, affiorano parecchi strati di lignite, evidentemente al letto del banco princi- pale o primo banco. In quei tempi lontani si vollero considerare questi affioramenti come un gruppo inferiore di banchi di carbone, ed ai due più potenti fu dato il nome di 1° e 2° banco inferiore, oppure 3° e 4° banco. Il terzo banco è quell’ affioramento sulla sponda — 28 — sinistra del Easpollino, nella località detta dal Savi, Fonte al Tam- burino, poco a levante dell’attuale ponte della comunale, in cui il carbone, con una potenza di circa 1.50 m., sta fra le marne a congerie e la puddinga ofiolitica. Il 4° strato affiora pure alquanto più a monte nel letto del fosso. La coltivazione di questi due strati inferiori, anzi del solo « terzo strato » tentata nella prima metà del secolo xix, fu dopo d’ allora completamente abbandonata. (Continua). II. V. Sabatini. — Appunti sul terremoto calabrese del 23 ot- tobre 1907. Il sito più fortemente colpito nell’ ultimo terremoto delle Ca- labrie, avvenuto la sera del 23 ottobre del corrente anno, fu Fer- ruzzano, borgata di 2000 abitanti circa, che corona una montagna di 470 metri d’altezza sul mare, a circa 4‘^^,5 dal littorale ionico. Questa elevazione è costituita da arenaria gialla, tenera, che, nella Carta pubblicata dal nostro Ufficio geologico, fu classificata nell’oli- gocene (cfr. fig. 1). Al disotto di essa sì trovano gli scisti e l’argilla variegata dell’ eocene, i quali ne vengono fuori in una striscia che si avanza fino a meno di mezzo chilometro ad ovest di Ferruzzano; mentre ad est appariscono a circa di distanza, nel loro rapporto stra- tigrafico con la formazione arenacea superiore, e la separazione vi segue, in media, la curva di livello di 200 metri. A S.S.O., a 2^^, 5, trovasi la fiumara di Bruzzano, presso di cui è costruita la bor- gata dello stesso nome, a circa 1,^^5 da Ferruzzano, e al limite tra le due formazioni. L’arenaria possiede una fratturazione originaria in grande, un po’ alla maniera dei tufi litoidi come ogni materiale che si sia for- 29 — Cartina geologica di Ferruzzano, dalla minuta di campagna della tavoletta al 50000 di Bianconuovo. - 80 — mato nell’acqua per deposito di detriti, che poi furono scoperti e si disseccarono, o che sia stato bagnato dalle piogge durante o dopo la sua deposizione. Si determina dapprima una certa strut- tura colonnare, per disseccamento h cioè una divisione secondo piani verticali, che, insieme a quella secondo i piani orizzontali od inclinati di stratificazione, costituisce le prime grandi vie di accesso air acqua, che si dividerà il lavoro di disgregazione della roccia, nei varii quartieri così delimitati. Quando l’arenaria non è molto dura e compatta, è una roccia molto permeabile, quindi facilmente soggetta all’ infiltrazione delle acque che, nella massa dei detti quartieri, si di- vidono in filetti con cammino tortuoso, alterando, sopratutto nella coesione, le parti che attraversano. Tale alterazione raggiunge dei massimi lungo le vie dove l’acqua può circolare con maggiore abon- danza. E questa alterazione, unita alle alternative di umidità e di secchezza, determina lo spaccamento della roccia, generalmente in tutte le direzioni, onde la parte superficiale, a preferenza della rima- nente, per uno spessore più o meno considerevole, si riduce ad un manto di blocchi. Un’altra causa spesso si aggiunge alla precedente; ma che, in regioni come la Calabria, agisce, a partire dai quattro o cinquecento metri d’ altitudine, verificandosi, in vicinanza del detto limite, a più lunghi ed irregolari intervalli, e consiste nelle alterna- tive di congelazione e liquefazione dell’acqua. E’ però da notare come, in quest’opera di segmentazione della roccia, l’azione della gravità tende ad agire nello stesso verso della progressione del disseccamento primitivo, e quindi, se certe condizioni si verificano, come una buona fratturazione verticale originaria, ed una certa uniformità di grana, di composizione, di resistenza all’ altera- zione, ecc., anche lo spaccamento successivo avverrà, anzi che con produzione prevalente di blocchi irregolari, come a Bruzzano, a Brancaleone, a Casignana, a Caraffa, a Sant’Agata di Bianco, ^ Cfr. Y. Sabatini, Vulcano Laziale. Mem. Carta geol. d’Italia, Yol. X, pag. 67, Roma, Bertero, 1900. — Bi- eco.^ con prevalenza invece di divisioni verticali, come a Ferruz- zano ^ Questi fatti hanno un’importanza capitale, rispetto ai terremoti calabresi, giacché gli abitati costruiti sopra un materiale così di- viso, e sempre più divisibile, in frammenti sono in una condizione di grande instabilità, rientrando nel caso di un manto di mate- riali mobili, come queste arenarie, sopra un sottosuolo compatto come l’argilla, la quale, se per dippiù trovasi in frana, aggrava il pericolo. Nelle condizioni dunque di Bruzzano, Brancaleone, Casi- gnana, ecc., le condizioni sono abbastanza difficili. Esse si rendono anche più difficili a Ferruzzano, dove le case si trovano, secondo una frase espressiva dell’ Ispettore del Genio Civile cav. Tursini, come un piatto sostenuto da un insieme di birilli. Non occorre un urto violento: basterà una spinta leggerissima perchè caschi. E difatti anche nel terremoto del 5 febbraio 1783 Ferruzzano fu in parte distrutta, con 35 morti ed 80 000 ducati di danni mentre nei dintorni Casalnuovo di Africo ebbe 6 morti e 70 000 ducati di danni. Staiti un morto e 40 000 ducati di danni, Bruzzano e Bran- caleone non ebbero morti, ma solo, rispettivamente, 20 000 e 25 000 ducati di danni, secondo riporta il Grimaldi Gli accademici di Napoli parlano di Ferruzzano distrutta, mentre, nelle vicinanze, di Bruzzano, Brancaleone, Motticella, Santa Maria del Tridente, Pietrapennata, Staiti e Casalnuovo di Africo « altre rimasero rovinevoli e altre solamente lese ». E va notato che Ferruzzano e le precedenti vicine località si trovarono sul peri- ^ Nei tufi litoidi subaerei si osserva spesso una prevalenza di divisioni verticali, perché il modo della loro deposizione li rende assai più permeabili dei materiali deposti in acqua, e quindi meglio rassettati. ^ Cfr, M. Sarconi, Istoria dei fenomeni del terremoto avvenuto nelle Ca- labrie e nel Valdemone neir anno 1783, posta in luce dalla R. Acc. d. Se. e delle Belle Leti, di Napoli. Napoli, 1784, pag. 299. “ A. Grimaldi, La Cassa sacra, ecc. Napoli. 1863. metro dell’area colpita, e difese dall’ Appennino, che attenuò forte- mente la scossa, mentre l’epicentro fu sull’opposto versante tra Bagnara e Melicuccà, dove nella stessa Bagnara si ebbero 3331 morto e 600 000 ducati di danni, a Cittanuova 2017 morti e 900 000 ducati, a Cinquefrondi 1343 morti e 400 000 ducati, a Po- lìstena 2261 morti e 500 000 ducati, ecc. Nell’ ultimo terremoto del 23 ottobre decorso, i morti furono a Ferruzzano 175, oltre 50 feriti, mentre a Sant’ Bario 5 morti e 10 feriti, a Bianconuova 2 morti e 10 feriti, ad Africo 1 morto e 4 feriti, ecc. Le condizioni dunque dei due terremoti, 5 febbraio 1783 e 23 ottobre 1907, furono diverse. Nel primo a Ferruzzano la scossa giunse di molto attenuata da un epicentro situato sull’altro ver- sante dell’ Appennino ; nel secondo l’epicentro fu nel territorio della stessa Ferruzzano, come è provato dalla forte differenza tra il di- sastro gravissimo della borgata omonima e quelli relativamente di poca entità delle altre località colpite. Con qualche altro fatto, di cui discorreremo in seguito, ho potuto stabilire che l’epicentro si estese tra i pressi di Ferruzzano e quelli di Bruzzano, lasciando, pare, al difuori il grosso di quest’ ultima borgata. A spostare tale conclusione non possono invocarsi- le lesioni spesso numerose di altre borgate, poiché troppi elementi intervengono a turbare qualunque calcolo. Dapprima le condizioni del suolo, che talvolta è formato da terreni che sono mobili per la loro costituzione (come quelli alluvio- nali) o a causa dell’erosione (come le arenarie, i graniti, gli scisti cristallini); e tal’ altra sono mobili del pari per quelle frane che, originate dall’ improvvido disboscamento, sono divenute la calamità, forse irrimediabile, di molte regioni d’Italia (terreni argillosi, mar- nosi, ecc.). Viene quindi la pessima costruzione delle case, le più povere delle quali spesso sono senza fondazioni e appena appog- giate sul suolo. Altro elemento è la vetustà delle case medesime, a cui in rarissimi casi si fanno riparazioni. Le lesioni prodotte dai successivi terremoti, ad intervalli, vengono ad aggravare quelle esi- stenti, dovute a tutte le cause precedentemente enumerate, e che rendono difficilissima una ricerca esauriente, tanto più in quanto nelle inchieste, per motivi d’interessi facili a capirsi, non sempre può farsi sicuro assegnamento sulle notizie ricevute dagli abitanti. Ma pure, malgrado tutte le considerazioni suddette, malgrado i gravi danni subiti da alcuni abitati, come quelli di Brancaleone, Bruzzano, Sant’ Bario, ecc., il disastro di Ferruzzano resta di gran lunga maggiore, anche per numero di case crollate. Difatti su 525 case (secondo il Genio Militare) o 530 (secondo il Genio Civile), le case crollate furono dal60al70, e quelle rese inabitabili, perchè non si possono più riparare, 65, di cui 44 si dovevano demolire, essendo pericolose. Si ha così un rapporto del 45 o 46 % di case distrutte. Il rapidissimo decrescere degli effetti dell’urto, a partire dall’epi- centro Ferruzzano-Bruzzano, e la ristrettezza della superficie colpita, mostra che il centro fu certamente a piccola profondità. L’urto non fu di grande intensità, e, se ebbe un punto singolare di mas- simo a Ferruzzano, lo si dovette alle speciali condizioni del suolo, senza delle quali il disastro vi sarebbe stato assai minore. Malgrado l’ Aspromonte interposto, l’urto si propagò fino al versante Tirreno. A Sant’Eufemia d’ Aspromonte a circa 30 chi- lometri da Ferruzzano, le case, già malmenate dai terremoti pre- cedenti, subirono molti danni. Dal monumento a Garibaldi, situato più in alto di alcune centinaia di metri, caddero alcuni pezzi della cornice. Ma questo si trova sopra gneis disfatti; quella sorge in parte sulla stessa formazione ed in parte sul quaternario. Così, dove si trovano terreni mobili, l’urto si accentuò, contando tra questi terreni i graniti e gli scisti cristallini che, alterati profondamente, in Calabria, spesso vi si riducono ad un vero conglomerato di ciot- toli e blocchi, che sono in sito, ma simulano quelli di trasporto del quaternario ^ ^ La degradazione atmosferica in Calabria assume un grande sviluppo, non solo nelle arenarie, ma anche nelle rocce cristalline (gneis, micascisti, graniti). In tutte è frequente la forma sferoidale, che segna il principio del disfacimento. Esso può seguirsi fino al disfacimento totale che produce delle sabbie in sito. — M - Ripigliamo la descrizione di questo punto singolare dell’epi- centro. Facendo il giro della metà meridionale dell’abitato di Ferruz- zano, lo si vede poggiare sopra un insieme di prismi verticali enormi, costituenti delle balze, che arrivano a sorpassare i 100 metri di altezza, e che sono già staccati, od in via di staccarsi dalla massa centrale. Lo studio di quest’ ultima non è ugualmente facile; ma è evidente che anch’essa subisce lo stesso modo di fratturazione, perchè vi si osservano numerose lesioni, alcune delle quah corrono parallele a qualche lato del perimetro dell’ abitato, altre lo attraver- sano, come si potette constatare in numerosi siti nelle parti ac- cessibili e dove non erano ammucchiamenti di macerie. Tra queste P'iclie l50ffo- Jal 1783 Fig. 2. — Schizzo dimostrativo dell’abitato di Ferruzzano, dopo il terremoto del 1907, eseguito e gentilmente comunicatomi dal sig. capitano E. Pollini del Genio Militare. ultime fratture ne va notata una importante, segnata nella figura 2, che, secondo mi si assicurò, risalirebbe al terremoto del 1783, e si sarebbe allargata per quefio del decorso ottobre. Essa attraversa tutto r abitato, continuandosi all’ esterno dai due lati. Comincia con un tratto rettilineo a N.O., quindi prosegue in curva con la con- vessità ad Ovest toccando il centro dell’abitato, e continua con altro tratto rettilineo ad Est. L’abbattimento della roccia avviene per rotazione dei prismi — 85 — già staccati dall’ azione degli agenti esterni, ed è così che una parte delle case di Ferruzzano precipitarono nel vuoto la sera del 23 ot- tobre. Non è però da escludere la possibilità d’un lentissimo scor- rimento sull’argilla scagliosa sottostante per spiegare l’allarga- mento delle fratture, non di rado superiore ad alcuni centimetri, nelle parti più interne del masso in via di demolizione laterale. Ma, pure ammettendo che tale scorrimento sia di poca entità, esso, se esiste, non deve riuscire meno dannoso alle soprastanti costruzioni. L’ azione demolitrice, preponderante secondo piani verticali, si appalesa anche secondo altre giaciture. Molte volte difatti i prismi verticali appariscono lesionati trasversalmente. Ed è note- vole che tali lesioni non sempre son dovute all’erosione. Fu con- statato difatti come alcune di esse siano state prodotte dall’urto sismico, ed altre, cominciate a prodursi sotto l’azione degli agenti esterni, e forse anche di precedenti terremoti, si sono propagate su d’una estensione maggiore. Notai qualcuna di tali fratture dentro Ferruzzano, e la loro origine recente era facilmente riconoscibile alla freschezza delle parti distaccate, i di cui labbri erano ancora ricoperti dalla polvere prodottasi per effetto del laceramento. Al- cune di queste fratture erano verticali, e si osservavano nelle vie della borgata, altre orizzontali od inclinate ed erano visibili sui prismi delle balze perimetrali. Un altro caso di frattura sismica fu constatato a poca distanza dalla stessa borgata e a S.E. di quella di Bruzzano, in un grande blocco erratico d’arenaria, isolato sulla terra vegetale. Esso misura circa m. 3 d’altezza, con m. 2,50 di diametro orizzontale, ed è stato diviso in due, secondo una super- fìcie trasversale, leggermente curva, ed inclinata in media di 30^ all’orizzonte. Le due parti del blocco sono anche spostate, l’una rispetto all’altra, di qualche millimetro, come si vede dalle loro pareti che non si corrispondono più. Anche sotto il castello di Bruzzano si osservano delle balze d’arenaria che furono abbattute dall’ultimo sismo, onde la mulattiera, che vi passava disotto, si è dovuta spostare. — Be- ll fatto di lesioni orizzontali e verticali, prodottesi o conti- nuatesi per l’ultimo terremoto e l’allargamento delle fratture ver- ticali preesistenti confermano l’asserzione degli abitanti dei paesi colpiti che le scosse furono due: una sussultoria, l’altra ondulatoria. Anzi mi si aggiunse che la prima precedette la seconda. Merita anche di essere ricordato l’altro fatto di prismi laterali all’abitato di Ferruzzano, che, essendo completamente ed ugual- mente staccati dal resto del masso, per effetto di fratture prece- denti, sebbene fossero situati a breve distanza tra loro, sullo stesso lato del perimetro dell’abitato e con la stessa orientazione, subi- rono cosi diversamente la scossa che, mentre uno si abbattette, l’altro rimase in piedi. Come spiegazione, si può ammettere che le condizioni interne delle due masse fossero diverse, ovvero che lo stato di fratturazione della roccia sottostante, variando da punto a punto, dovette far variare la risultante degli urti tra- smessi a trasverso i varii frammenti. Occorre però notare che la parte meno danneggiata di Ferruzzano trovasi a N.E., dove le balze sono più basse, per la maggiore elevazione del terreno inferiore. III. B. Lotti. — Sulla frana di Porta Cassia presso Orvieto. Nell’ anno decorso dalla onorevole Deputazione provinciale dell’Umbria fui onorato dell’incarico di studiare le condizioni at- tuali di stabilità della frana di Porta Cassia, nella pendice setten- trionale della collina su cui è fabbricata la città d’ Orvieto, allo scopo di vedere se i lavori progettati dall’Ufficio tecnico provin- ciale per la sistemazione d’un tratto della strada Cassia, corrente attraverso il terreno franoso, avrebbero raggiunto lo scopo e se alcuni di questi potevano eventualmente ritenersi superflui o fos- sero suscettibili di modificazione. Il mio compito fu notevolmente facilitato da una precedente saggiatura del suolo razionalmente studiata dall’egregio ing. Maz- zoni ed eseguita con zelo ed intelligenza dall’ assistente signor Pao- lotti, ambedue dell’ Ufficio tecnico provinciale suddetto. E’ anzi specialmente per l’interesse scientifico e pratico che hanno offerto questi numerosi sondaggi, eseguiti sopra un’ ampia zona di questa grandiosa massa in frana, e per le conseguenze che possono derivarne come contributo ad uno studio generale delle frane d’ Orvieto, che mi è parso non essere del tutto inutile la pubblicazione di parte della relazione da me presentata in proposito. La frana di cui è parola avvenne nei giorni 29 e 30 del no- vembre 1900, e su di essa ed altre dei dintorni fu fatta, in data 14 dicembre dello stesso anno, una relazione da una Commissione ufficiale composta dell’ispettore del Genio civile G. Chiomenti e dell’ingegnere capo del R. Corpo delle miniere, L. Baldacci. Nel 1903 il compianto ing. L. Demarchi, capo del distretto minerario di Roma, riferiva su queste frane al Ministero di agricoltura, in- dustria e commercio e prendeva in esame i provvedimenti escogi- tati allo scopo di impedire ulteriori movimenti del terreno, dallo Ispettorato Forestale e dall’Ufficio tecnico provinciale di Perugia. Finalmente nel 1904 una dotta dissertazione su queste frane, e specialmente su quella del 1900, fu pubblicata dal prof. P. Vinassa de Regny, corredata di carte e sezioni geologiche, nonché di ripro- duzioni in fototipia di vedute fotografiche. ^ Prima di scendere ai particolari della struttura geologica del sottosuolo nel tratto di strada provinciale danneggiata, dirò bre- vemente, o meglio ripeterò ciò che è stato giustamente affermato dai precedenti relatori, che le frane del terreno intorno alla collina su cui posa la città di Orvieto, sono determinate dallo scorrimento delle masse assorbenti di detrito tufaceo, che stendesi sui fianchi ^ P. Yinassa de Regny. Le frane di Orvieto (Giornale di geologia pra- tica, II, 4, 1904). — 38 — della collina stessa, sopra le argille plioceniche impermeabili sot» tostanti. Il contatto fra i due terreni, che presenta una forte inclina- zione verso valle ed è acquifero, costituisce la superficie di scorri- mento delle frane. Le argille plioceniche sono compatte e sohde, e i loro strati inclinano alquanto verso nord (vedi fig. 1 e 2), cioè nel verso stesso della superficie di scorrimento della frana di Porta Cassia; ma tale inclinazione è insignificante e non potrebbe dar luogo Orvieto a scorrimento anche se fra gli strati delle argille vi fosse interposto qualche letto sabbioso e quindi probabilmente acquifero. Si può pertanto escludere che le argille plioceniche abbiano preso parte in massa al movimento di frana. Certo queste argille per uno spessore di un metro o poco più, tanto sotto il detrito tufaceo, come allo scoperto, sono rimaneg- giate, miste ad elementi vulcanici e quindi un po’ franose o, più esattamente, smottanti, ed una piccola parte di esse, immediata- mente sotto al contatto acquifero, può essere stata trascinata dal sov’rastante detrito tufaceo in frana, ma una superficie di scorrimento sotto di esse non esiste, ed i sondaggi, che le rinvennero sempre asciutte perchè esse pure poco o punto permeabili, lo dimostrarono* Conseguenza di tutto questo si è che dove nell’area della frana — 39 — di Porta Cassia compariscono le argille, sia pure un po’ rimaneg- giate, si può contare di avere a poco più di un metro di profon- dità il terreno argilloso in posto, asciutto e solido; e questo pure fu constatato con le trivellazioni. Che con queste si sia giunti alle argille plioceniche in posto non vi ha dubbio di sorta perchè i campioni estratti e conservati diligentemente, sono della più ti- pica argilla pliocenica e sono affatto privi di elementi vulcanici; oltredichè la trivella, che penetrava con la massima facilità nel Orvielo materiale in frana e nelle argille rimaneggiate, incontrava una re- sistenza notevole appena giunta alle argille in posto. Si ritenne dal prof. Vinassa ^ che gli affioramenti argillosi nel campo della frana e specialmente quelli che fiancheggiano per buon tratto a monte la strada provinciale, formando dei risalti trasver- sali, rappresentassero ondate o avvallamenti del terreno franato, ma ciò è da escludersi in modo assoluto dopo quanto si apprende dai dati delle trivellazioni. Queste ondulazioni o rilievi delle ar- gille sono invece veri e propri affioramenti del sottosuolo argilloso stabile, e ci affidano, come vedremo, dell’assettamento della frana in una parte almeno del suo corso. ^ P. Yinassa de Regny, 1. c., pag:. 122. — 40 — In accordo con questa constatazione starebbe il fatto, accer- tatomi sul luogo, che la strada Cassia, in frana, per un tratto in- termedio di circa 250 metri, tra Casa Nannarelli e lo stradello del Casale Bracci, nel qual tratto essa riposa sulle argille, non ebbe a soffrire spostamenti sensibili, nè nella frana del 1900, nè posterior- mente; mentre i due tratti estremi, quello superiore a Casa Nan- narelli e quello inferiore alla via del Casale Bracci, nei quali la strada è posta sul detrito tufaceo sovrastante alle argille, soffri- rono in quella circostanza spostamenti e danni considerevoli. I sondaggi eseguiti in una zona sopra strada, presso Casa Nan- narelli, dimostrarono che sotto alla massa detritica dt le argille plioceniche ag, pure e compatte, presentano una superficie di con- tatto sensibilmente concava, come mostra l’unita sezione trasversale fig. 1 alla scala di 1 : 5000 ed è a ritenersi che la massa detritica franata dt abbia trovato in tali condizioni del sottosuolo il suo stato d’equilibrio stabile, ossia il suo assettamento. Lo stesso fenomeno si verifica pel tratto di strada che percorre i terreni Bracci. I sondaggi dimostrarono anche qui una disposi- zione analoga del sottosuolo argilloso; le quote dell’argilla compatta a 70 e 80 metri a monte della strada sono alquanto più basse di quelle contigue alla strada stessa, dimodoché la sezione trasversale in questa zona si mantiene presso a poco conforme alla fig. 2. La depressione, riconosciuta nel profilo trasversale delle argille plioceniche ag in corrispondenza dei due tratti estremi di strada corrente sulla frana, sembra mantenersi anche nel tratto inter- medio secondo quanto accennano alcuni più rari sondaggi, ed è molto probabile che essa rappresenti un’antica vallecola longitu- dinale scavata nelle argille ed oggi riempita dal materiale detritico dt. Anche in questo tratto inferiore pertanto la frana avrebbe rag- giunto una relativa posizione di equilibrio,^ ma è un fatto che le condizioni di essa in questo punto non sono tali da far ritenere definitivo il suo attuale assettamento, perchè la massa detritica dt si alza a monte con ripido profilo, come indica la sezione fig. 2, — 41 — € potrebbe pel suo peso, aumentato dalla impregnazione idrica, e per altre cause occasionali vincere eventualmente la resistenza allo scorrimento che presenta la sua porzione più bassa. A ciò contri- buiranno indubbiamente le acque che in gran copia si accumulano sul ciglio della frana c e che penetrano lungo il contatto del detrito con le argille plioceniche. Come provvedimento radicale sarebbe quindi necessaria una regolarizzazione delle acque nella parte supe- riore di questo tratto di terreno in frana. Il rimboschimento proposto e sostenuto da altri, e la proibizione della irrigazione su questo terreno non mi sembrano misure di provvedimento indi- spensabili. Le piante di alto fusto, pur essendo un coefficiente note- vole di solidità pel terreno superficiale, non impedirebbero lo scorrimento in massa di questo, non potendo giungere le loro radici al sottosuolo stabile, che anzi una vegetazione boschiva farebbe assorbire una maggiore quantità di acqua di pioggia di quella che oggi ne assorbe il terreno pressoché nudo e che alimenta la falda d’ acqua al contatto con le argille. Infatti anche la prelodata Com- missione del 1900, mentre suggeriva il rimboschimento, notava che questo non sarebbe stato proficuo che dopo il consolidamento spon- taneo del terreno in frana. Quanto alla inutilità del divieto di irri- gazione basta osservare che l’acqua che serve all’uopo non è che una parte di quella che dal ciglio della frana introducesi nello strato acquifero di contatto e che quindi non solo nulla viene ag- giunto ad esso pel fatto della irrigazione, ma forse per questo fatto una parte dell’acqua resta assorbita dalle piante o si disperde per evaporazione. — 42 - IV. B. Lotti. A proposito (furia nota di C. De Stefani su (deuni carreggiamenti loc(di recentemente supposti in Italia \ L’Autore dice che dovrà parlare di altri supposti carreggiamenti della regione italiana, ma in questa sua nota non accenna che alla soluzione tettonica da me proposta per spiegare l’inserzione di ter- reni triasici fra il Titoniano e il Lias superiore o, più esattamente, fra Titoniano e Titoniano nel Monte Pisano. Egli ammette che nella parte settentrionale del Monte Pisano sopra i terreni liasici « succedono alcuni diaspri (titoniani) ed un’altra « serie di schisti lucenti, rossi e verdi, talora alquanto calcarei, non « consueti nella Toscana, di arenaria e di conglomerato quarzoso, « poi un calcare scuro, spesso cavernoso, non fossilifero, litologica- « mente simile o identico all’Infralias, coperto da calcari con selce « e con diaspri cretacei e ulteriormente da rocce eoceniche ». È superfluo che io dica che siamo fin qui pienamente d’accordo. Sol- tanto egli, che un tempo “ aveva accolto la mia opinione che quei terreni fossero triasici ed ivi inseriti per piega coricata e rotta, pensa oggi che essi debbansi ritenere nella loro serie naturale, pur riconoscendo che sono simili o identici a quelli triasici ed infralia- sici di regioni circostanti. Quali sono le ragioni che egli adduce a conforto di questo suo ritorno all’antico? Se ho ben compresa la esposizione delle sue nuove osservazioni egli nient’altro avrebbe scoperto di nuovo che la^ ^ Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, XYII, 8, 1908. “ C. De Stefani, Le pieghe delle Alpi Apuane, Firenze, Le Monnier, 1889,. pag. 88. — 43 — presenza di lembi di quei terreni anche nella parte SO del Monte Pisano. A me invece questo fatto sembra ovvio, perchè la piega <;on scorrimento di cui è questione non poteva esser limitata alla parte settentrionale del gruppo e se mancavano tracce di essa nella parte SO ciò non poteva essere avvenuto che in seguito a denu- dazione. Dice il De Stefani che io ho fatto due ipotesi su questo feno- meno tettonico del Monte Pisano: la prima ^ di un’anticlinale triasica apparsa in mezzo a rocce giuresi e cretacee; la seconda di una sinclinale pure triasica intrusa o scivolata da lontano. Qui certamente si nasconde un malinteso. Io ho sempre supposto, tanto prima che dopo, un'anticlinale coricata con stiramento e con- seguente rottura della gamba inferiore, con questa differenza sol- tanto che la prima volta ammisi la presenza d’una semplice faglia inversa con scorrimento sopra un piano notevolmente inclinato, mentre la seconda volta ritenni che il fenomeno di scorrimento delle formazioni triasiche sugli strati titoniani fosse più esteso e complesso e dovesse essersi verificato lungo una superficie molto meno inclinata e curvata in anticlinale, ma non feci cenno alcuno alla provenienza di queste rocce triasiche da lontane regioni, come il De Stefani ha creduto di rilevare Io non sono un carreggiatore per proposito e non condivido affatto le idee degli ultranappisti, specialmente di quelli che ten- dono a sconvolgere la geologia del nostro paese, ma ammetto, come del resto ammettono tutti i geologi, la esistenza di faglie inverse o faglie di piega con scorrimento, e queste, quando lo scorrimento sia alquanto esteso, come avviene a Spoleto, ad esempio, e nel Monte Pisano, pare a me che possano dirsi veri e propri car- reggiamenti o ricuoprimenti. Solo in questo concetto io ho chia- ^ B. Ijotti, Un problema strati grafico nel M. Pisano «Boll. Comit. geol., 1888). ^ Id., Di un caso di ricuoprimento presso Spoleto (Ibid., 1905). ^ C. De Stefani, loc, cit., pag. 486, 488, 493. — 44 - mato con tal nome i fenomeni tettonici di Spoleto ^ e del Monte Pisano. Intanto per ciò che concerne il Monte Pisano, oltre a tutti gli altri argomenti esposti nel recente mio scritto sui marmi della Mon- tagnola Senese io osservo che, ammessa l’idea del De Stefani, del Fucini e forse di altri, si tratterebbe di una ripetizione, in due periodi distinti e lontani fra loro, di un complesso di formazioni svariatissime (calcari cavernosi, arenarie e scisti diversi) aventi, per consenso dello stesso De Stefani, gli stessi caratteri e la stessa successione stratigrafica, e questo fenomeno stranissimo, che sa- rebbe circoscritto al solo Monte Pisano, a me sembra di più dif- ficile spiegazione del ricuoprimento da me invocato. ^ A proposito di questo ricuoprimento, dice il De Stefani che quel feno- meno non esce dal campo delle inversioni comuni aH’esterno di ogni catena montuosa (nota a pag. 480). Evidentemente l’ottimo collega ed amico non co- nosce per proprie osservazioni le condizioni di quel fenomeno, ed ha scorso forse un po’ troppo superficialmente la mia nota illustrativa. ^ B. Lotti, Suir età dei marmi dalla Montagnola Senese (Boll. Comit. geol., 1907). NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOORAFIA. OEOLOOIO^ IT^X^T/klVJL PER l’anno 1907 ^ Agamennone G-. — Origine probàbile dei fenomeni sismici nel bacino del corso inferiore delVAniene e dei terremoti in generale. (Boll, delle Soc. Sismol. Ital., Yol. XII, pag. 129-164). — Modena, 1907. In questa Memoria l’autore cita tutte le sorgenti importanti che sgorgano nella regione presa in esame; riporta il residuo fisso lasciato per evaporazione da quelle acque; per mezzo del calcolo stabilisce l’enorme quantità di mate- riale solido che le medesime portano, annualmente alla superficie e per con- seguenza l’importanza dei grandi vuoti prodotti nell’interno della crosta terre- stre. Dimostra con altri calcoli che il franamento di questi grandi vuoti o ca- verne, può essere stata la probabile causa dei fenomeni sismici verificatisi nel bacino del corso inferiore dell’ Anione. Sicché, generalizzando, l’autore crede che la maggior parte dei fenomeni sismici che si registrano, compresi i bradisismi, sia dovuta all’azione dell’acqua sotterranea; sia con l’erosione meccanica e chimica, sia provocando reazioni chimiche nelle viscere della terra, sia concorrendo insieme alla radiazione nello spazio ad abbassare l’alta temperatura esistente negli strati profondi, sia infine col modificare alla superficie terrestre la distribuzione dei materiali rocciosi e per conseguenza la pressione che ne risulta. Aguilar e. — Notizie sulla presente attività della Solfatara di Pozzuoli., a proposito di una nuova bocca apertasi nel fondo di essa, (dal Boll. Soc. di Naturalisti S. I, Yol. XXI, pag. 3 iii-8®). — Napoli, 1907. Descrive la nuova bocca apertasi ad una trentina di metri da quella del 1898; riporta la teoria del Bassani su la genesi di queste bocche; constata ^ Yi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 46 — r incremento della Solfatara e perciò Faumento del calore interno che facilita la formazione di altre bocche. Eitiene che sarebbe utile intraprendere in que- sto interessante vulcano, sopito ma non spento, una serie di ricerche fisiche e chimiche ed estenderle anche alla circostante regione flegrea. Aguilar e. — Escursioni al Vesuvio (dal Boll. Soc. di Naturalisti, S. I., 7ol. XXI, pag. 4, in-S^^). — Napoli, 1907. Parla di due escursioni fatte al Vesuvio il 3 ottobre e F8 dicembre 1906: nella prima non riuscì a vedere il fondo del cratere, ma su l’orlo del mede- simo oltre le solite fumarole potè vedere, da una fenditura profonda qualche metro, una massa di lava ancora incandescente dopo 6 mesi, che attestava come vi fosse stato all’ultima eruzione un efflusso lavico terminale o sub-ter- minale dal lato N-NE del cono. Nella seconda escursione, a distanza di soli due mesi, trovò l’orlo craterico profondamente modificato e non potè più rin- tracciare la lava incandescente, ma gli fu possibile vedere intieramente il fondo del cratere che stimò trovarsi a 140-150 metri dall’orlo. C. Airaghi. — Fossili permiani dei dintorni di Becoaro. (Atti Soc. Ital. di Se. Nat. e Museo civ. di St. Nat., Voi. XLTI, fase. 1°, pag. 38-57, con tavola). — Milano, 1907. Sopra le filladi quarzifere attraversate da filoni di rocce endogene dei dintorni di Becoaro, vi ha una serie regolare di strati aventi una potenza di oltre 100 metri, che si può dividere in due gruppi dal basso in alto, e cioè : /, Grujìpo dei conglomerati e delle arenarie: //, Gruppo delle marne dolomificìie. Questa serie di strati fu variamente classificata da diversi geologi, ma Fau- tore ha avuto la fortuna di rinvenire in un torrentello, che scende dal Monte Spitz verso Becoaro, un ricco giacimento di fossili, dallo studio dei quali sem- bragli che il II Gruppo si debba riferire al Permiano superiore e per conse- guenza il I Gruppo sottostante rappresenti il Permiano inferiore. In complesso Fautore ha studiato una piccola fauna di 25 specie, delle quali le 7 seguenti sono nuove: Streblopteria subrofunda, Posidoniella pseudogibbosa, Posidonomga incerta, Gervillia ellipsoidalis, Mgophoria subfrigonata, Allorisma Tornquisti , Allorisma Stachei. Segue la descrizione delle singole forme che sono poi illustrate nell'unita tavola. — 47 — Alfano G^. M. — Sullo stato della questione circa la causa dei fori cir- colari nei vetri, e largo contributo apportato allo studio di essa dai professori F, Bassani e A, Galdieri della R, Università di Napoli, e dal prof Ignasio Galli di Velletri. (Eiv. di Fis., Mat. e Se. Nat., n. 96, pag. 558-576). — Pavia, 1907. Riporta il parere dei professori Bassani e Galdieri, che cioè i fori netti e circolari ai vetri di Ottajano sieno stati prodotti dai lapilli proiettati dal Ve- suvio, opinione condivisa dai professori Mercalli, Baratta, Lacroix e Hobbs ; non accettata invece dal Sabatini, dal Galli e dal Ciaramella. Accenna a tutte le esperienze fatte ed espone le ragioni addotte tanto dagli uni quanto dagli altri a sostegno delle proprie teorie. Infine, concludendo, emette il parere che i fisici dovrebbero impossessarsi della questione e per risolverla fare nuove esperienze che rispondessero alle seguenti domande: in che rapporto sta il raggio della frattura circolare (e quindi del foro) con lo spessore del vetro, con la densità del vetro, con l’angolo d’incidenza sotto cui avviene l’urto, e con la forza con cui il vetro è colpito; e quest’ultimo quesito dovrebbe essere studiato sia dal lato della velocità che della massa del proiettile per ricavare il rapporto tra il raggio del foro e la quantità di moto del corpo urtante. t Aloisi P. — Adamina di Monte Valerio (Campiglia Marittima). (Processi verbali della Soc. Tose, di Se. Nat., Voi. XVII, pag. 4-8). — Pisa, 1907. In un campione di limonite stannifera di Monte Valerio (Campiglia Marit- tima), inviato nel 1900 dall’ing. Blanchard all’Istituto Mineralogico dell’Uni- versità di Pisa, il prof. D’Achiardi notava in quest’ultimi tempi alcune piccole cavità ripiene di minuti cristalli, giallo -cedrini, trasparenti, e con viva lucentezza. Ritenendo che essi appartenessero ad una specie minerale nuova per la Toscana, ne affidò lo studio all’autore, che in questa nota ne espone i risultati. Si tratta di adamina, minerale trimetrico della formula [Zn (Zn OH) As OJ, trovato per la prima volta nel 1866 al Chili dal Friedel (che lo studiò chimi- camente, affidandone lo studio cristallografico al Des Cloizeaux), e rinvenuto poi solamente altre due volte: nel 1868 al cap Garonne (Dipartimento del Varo) e nel 1878 al Laurium. I cristalli esaminati dall’ Aloisi presentano la combinazione [101] ; [210] ; [110]; [120]; [010], in cui le faccie più sviluppate sono le [101], apparente- mente piane e lucenti, in realtà striate parallelemente all’asse y\ fra le altre - 48 — faccie le più sviluppate sono le [120]. Il colore passa talvolta dal giallo-cedrino al verde smeraldo per la presenza di piccole quantità di rame. L’autore, servendosi delle sue misure angolari sui cristalli meglio conser- vati, ha calcolato le costanti, i valori delle quali si accostano a quelli già trovati dal Des Cloizeaux e dal Laspeyres per lo stesso minerale; ha poi analizzato, col metodo indicato dal Friedel, una certa quantità dei cristallini, trovando cifre molto concordanti con i valori teorici calcolati partendo dalla formula. Insieme al prof. D’Achiardi, si è poi recato al Monte Valerio per ricer- carvi qualche altro campione, ma l’esito della gita non è stato fortunato. Aloisi Gt. — Rocce del Monte Ocello [Elba). (Mem. della Soc. Tose, di Se. Nat., Voi. XXIII, pag. 145-159). — Pisa, 1907. Le rocce che costituiscono il gruppo montuoso che dalla sua più alta cima prende il nome di Monte Creilo, a settentrione di Portoferraio, appar- tengono principalmente alla formazione ofiolitica eocenica, e sono, in ordine ascendente, serpentina, eufotide e diabase. La prima, all’infuori di brevi in- terruzioni, forma una cintura continua dai lati Sud, Est e Nord ; ad Ovest la serpentina è ricoperta dalle rocce sedimentarie. L’eufotide si trova invece in masse lenticolari, separate fra di loro e di dimensioni molto variabili. La dia- base, finalmente, avente uno sviluppo assai più considerevole delle altre due rocce, forma tutta la parte centrale e più alta del gruppo. Il contatto fra diabase ed eufotide, eufotide e serpentina, diabase e ser- pentina, dov’è visibile, si mostra sempre molto netto ; quello della serpentina con il porfido granitico, mostra delle particolarità degne di nota ; anche il con- tatto fra le rocce ofiolitiche e le sedimentarie, offre dei fenomeni interessanti. Segue la descrizione particolareggiata di queste rocce, contenente le ana- lisi chimiche e petrografiche delle medesime. L’autore conclude affermando che, nel suo complesso, la formazione ofioli- tica eocenica del M. Creilo, e probabilmente anche le altre contemporanee af- fioranti in altri posti dell’isola, corrisponde alle formazioni ofiolitiche dei Monti Livornesi e delle Apuane, come nel resto era logico attendersi, data la loro contemporaneità e l’analogia delle condizioni di giacitura. ARCIDIA.CONO S. Il terremoto delle Madonìe del 23 aprile 1906. (Boll. Acc. Cioenia di Se. Nat., fase. XCIII, pag. 15-20). — Catania, 1907. Nota le diverse località ove la scossa fu sensibile e il diverso grado di intensità delle scosse per ogni singola località. Tracciando su una cartina to- — 49 — pografica le isosismiche desunte dalle suddette notizie, è sembrato all’autore ehe l’orografia del paese abbia avuto un’influenza diretta su l’andamento delle isosismiche. Infatti, verso ponente, dove vi sono grandi masse montuose, l’energia del movimento si estende a breve distanza daW epicentro^ mentre verso nord-ovest, nord-est e sud-ovest, dove non sono od hanno meno importanza le masse mon- tuose, il movimento ebbe una più libera propagazione, come risulta dalla mag- giore estensione delle isosismiche. Artini e. — Un basalto mfelìnico a Noseana di Recoaro. (Rend. R. Isti- tuto lombardo. S. II, Yol. XL, fase. IX, pag. 498-507). — Milano, 1907. È la descrizione delle lanalisi microscopiche di due campioni di basalto provenienti da due diversi filoni paralleli e vicinissimi che tagliano le filladi subito a valle del paese di Recoaro. Di uno di questi campioni è data pure l’analisi chimica quantitativa, la quale non lascia alcun dubbio che trattisi di un basalto nefelinico ricco di au- gite, con noseana accessoria. Baldacci L. — Condizioni geologiche dei vari tracciati di linee nuove. (Relazione della Commissione per il problema ferroviario del Porto di Grenova, Parte II, pag. 137-176 con Carta). — Glenova, 1907. Premesso un breve riassunto degli studi geologici già esistenti, l’autore comincia per descrivere la struttura geologica della regione, quindi passa a con- siderare il modo di comportarsi delle varie rocce dal punto di vista costrut- tivo. Da ultimo fa l’analisi delle condizioni geologiche dei diversi tracciati e cioè : Genova - Voltaggio > Oavi - Novi ; Genova - Carrosio • Novi ; Genova - Tortona (direttissima); progetto del Comitato ligure-lombardo, progetto Attendoli ; Ge- nova-Piacensa ; Genova - Borgataro', Genova - Spezia (interna) ; Ronco- Voghera, Raccordo con la direttissima. Alla Memoria è unita una Carta geologica della regione attraversata dai tracciati proposti, alla scala di 1 : 250.000, una Carta topografica dei tracciati stessi, ed una tavola di sezioni. 4 Baldacci L. — La Carta geologica cLItalia. (Atti della Soc. Ligustica di Se. Nat. e Greogr., Voi. XYIII, n. 2, pag. 69-82). — Grenova, 1907. Dopo avere esposto cronologicamente le fasi per le quali è passato l’or- dinamento del servizio geologico ed i mezzi che nelle diverse fasi furono a sua disposizione, l’autore parla del rilevamento fatto dagli operatori e di quello finora stampato; dell’impianto dei gabinetti e dell’ incremento della biblioteca. In una seconda parte si occupa dei numerosi problemi tanto d’indole strati- grafico-cronologica quanto d’indole tectonica studiati dagli operatori dell’Df- fido geologico: primo fra tutti quello riguardante l’età della 'Ona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali, e poi quello dell’età della Scaglia nell’Appennino centrale, quelli che presentano le formazioni terziarie e particolarmente la zona marnoso-arenacea dell’ Umbria, le arenarie e calcari a grandi Pecten delValta Valle delV Aniene, delfAbrusso aquilano^ ecc. Da ultimo espone le conclusioni alle quali si è giunti su l’assetto tectonico delle formazioni costituenti il suolo ita- liano, e su l’importanza della nuova teoria delle falde di ricoprimento. Alla nota presentata a Parma andava unito un quadro d’insieme mo- strante a colori diversi le parti di Carta geologica pubblicate sia nella scala regolare di 1/100 m. che in scale diverse, quelle in corso di pubblicazione, quelle geologicamente rilevate e pronte per la pubblicazione, quelle rilevate ma ancora da rivedere e quelle in corso di rilevamento. Tale Carta, che doveva formare complemento indispensabile della nota, non venne pubblicata. Baeatta M. — Sopra le Bone sismologicamente pericolose delle Calabrie (pag. 12 in 8^^). — Voghera, 1907. Premesse alcune considerazioni sulla importanza sia teorica che pratica dello studio riguardante la distribuzione topografica delle maggiori manifesta- zioni sismiche che colpiscono ora l’una ora l’altra delle varie regioni di un determinato paese, ciò che porta al riconoscimento e delimitazione di alcune zone sismicamente instabili, l’autore si propone di delimitare almeno approssi- mativamente le zone sismologicamente pericolose della Calabria. Egli descrive quindi partitamente, basandosi sui dati storici dei vari terremoti, la zona sismica di Sicilia e quindi quella della Piana Calabra, del Monteleonese, di Girifalco-Maida, del Nicastrese, del Vallo Cosentino, di Bisi- gnano, di Rossano, del Cotronese, di Badolato, di Gerace-Siderno. Alla nota va unita una Cartina dimostrativa alla scala di 1 : 700,000, nella quale sono figurate e delimitate le zone sismicamente pericolose sopra indicate. — 51 — Baratta M. — Il nuovo rilievo del cono vesuviano. — (Rivista Geografica Ital., Annata XIV, fase. Vili, agosto 1907, pag. 385-395 con figura). — Firenze, 1907. Ricordati succintamente i dati morfologici del Vesuvio prima deH’iil* lima grande eruzione, riporta le misure della voragine craterica quale apparve ai primi geologi che salirono alla sommità del cono, appena fu possibile, e quindi ne fa la descrizione in base ai dati del nuovo rilevamento eseguitone dall’ Isti- luto Geografico Militare. Descrive poi le modificazioni avvenute sul fondo del- l’Atrio del Cavallo, della Valle dell’Inferno, alla base e sui fianchi del cono; descrive pure i canaloni formatisi, che hanno fatto assumere al medesimo un aspetto specialissimo. Descrive da ultimo la posizione delle nuove bocche erut- tive segnate nella nuova Carta del Vesuvio, dalle quali si rileva che l’apparato eruttivo non fu costituito da un’unica spaccatura, ma da una serie di spaccature interessanti il fianco S. e SE. del cono. La tavola annessa alla Memoria riproduce il nuovo rilevamento del Ve- suvio, sul quale in linee punteggiate sono riportate le curve di livello della antica Carta, che permettono di fare il confronto dei cambiamenti più o meno sensibili avvenuti nelle diverse parti del Vesuvio. * Baratta M. — Sulle recenti trasformazioni del delta del Po (1893-1904). (Rivista Geografica Italiana, Annata XIV, fase. X, pag. 513-529). — Firenze, 1907. Facendo seguito alla memoria del prof. Marinelli, contenente l’analisi delle variazioni presentate dalla linea di spiaggia in 70 anni circa, l’autore espone alcune notizie su le variazioni nelle spiaggie del delta padano avvenute dopo il 1893. Egli descrive le trasformazioni tanto negative che positive della spiaggia, il limite degli scanni nel 1893, nonché le curve batometriche del 1896 e quelle del 1904. Queste trasformazioni del delta padano sono anche illustrate da una Cartina topografica intercalata nel testo. Baschieri e. — Studio sulla costituzione delle zeoliti. (Proc. verb. Soc. toscana di Se. Nat. Voi. XVI, pag. 12 in-8®). — Pisa, 1907. L’autore ricorda anzitutto gli studi di Friedel, Rinne, Camman, Sommerfield e altri, che hanno indotto a ritenere che l’acqua contenuta nelle zeoliti non sia per nulla acqua di cristallizzazione, ma che si tratti di una soluzione solida, 52 — oppure di assorbimento, oppure (Tschermak e Doelter) del fatto che nei silicati suddetti ad un nucleo feldspatico si trovi associato acido orto o metasilicico, al quale sia dovuta la proprietà delle zeoliti di permettere libero passaggio alle molecole d’acqua. Il dott. Baschieri espone poi come egli si sia proposto di trovare la com- posizione delle zeoliti partendo dal metodo esposto dallo Tschermak per otte- nere, nel caso di feldspati decomponibili dagli acidi, l’acido da cui essi de- rivano; ed espone il risultato delle sue ricerche su una natrolite ed una lau- mentite di Montecatini, Yal di Cecina, dando le formule chimiche che risulte- rebbero per esse nel caso che si tenga o no conto dell’ipotesi di Tschermak e Doelter sulla loro costituzione. Bassani Fr. — Dì una nuova piccola bocca nel fondo della Solfatara di Pozzuoli (Rend. Acc. Se. Fis. e Mat., S. 3% Voi. XIII, fase. 3°, pag. 60-66). — Napoli, 1907. Si tratta di un orifizio di forma irregolarmente circolare e del diametro di circa un metro, formatosi il 2 febbraio 1907 nella parte meridionale del fondo craterico della Solfatara. L’autore mostra come il fatto non sia nuovo, e cita altre bocche formatesi in tempi recenti (1875, 1898 e nei secoli passati, ed aventi tutte, come la at- tuale, il carattere di vulcanetti fangosi, che dopo un certo tempo si tramu- tavano iu semplici fumarole di vapor acqueo e acido solfidrico. Egli attribuisce il fenomeno, come già fece nel 1898, alle acque piovane, che sono ostacolate nella loro infiltrazione sia da tufi argillosi impermeabili del sottosuolo, sia dalla temperatura sempre crescente : e quindi entrano in ebullizione sotto forte pressione, producendo, secondo la loro quantità, le con- suete fumarole, oppure i fenomeni più caratteristici che formano oggetto della nota. L’autore, dopo aver lamentato la mancanza di osservazioni sistematiche alla Solfatara, si occupa dell’abbandono scientifico in cui è lasciato il vicino Se- rapeo, pur riconoscendo all’Istituto Greografico Militare il merito di averlo compreso nella livellazione geometrica di precisione : e prega l’Accademia di esprimere al Governo il voto, che sia provveduto allo studio sia della Sol- fatara sia dei bradisismi dell’intera costa napoletana. ^ Y. nella Bibliografia del 1898 una nota dello stesso autore sull’argomento. — 53 — Bassani F. — Su alcuni avanzi di pesci neW arenaria glaiiconiosa delle isole Tremiti, (Rend. della R. Acc. delle Se. Fis. e Mat. di Napoli, fase. 5® a 7°, Maggio a luglio 1907, pag. 156-160). — Napoli, 1907. L’autore ha esaminato alcuni denti di pesce raccolti dai professori Tel- iini (1889) e Squinabol (1906) nelle Isole Tremiti, e particolarmente neirarenaria di Capperara, nella parte nord est di Cretaccio. Siccome le specie sono tutte comunissime del Miocene medio, cosi il Bassani ne conclude che a questo ter- reno va riferita con probabilità l’arenaria delle Tremiti; peraltro lo stesso autore nota la presenza, nella formazione, di avanzi di Pycnodiis, essenzialmente eo- cenico : avanzi che non possono essere rimestati sia perchè non hanno l’aspetto di materiali rimaneggiati, sia perchè, secondo il prof. Squinabol, non esistono in sita depositi eocenici da cui possano provenire, l’Eocene dell’isola essendo esclusivamente nummulitico. Bassani F. e Chistoni C. — Relazione sulla opportunità di uno studio si- stemàtico del suolo presso il Serapeo di Pozzuoli e sui mezzi più adatti per attuarlo. (Rend. Acc. delle Se. Fis. e Mat. Napoli, Serie 3% Yol. XIII, fase. 4^ pag. 121-124). — Napoli, 1907. In seguito alla nota precedente, l’Accademia delle Scienze di Napoli diede incarico ai soci Bassani e Chistoni di riferire sull’opportunità di uno studio si- stematico della Solfatara, e dei lenti movimenti del suolo presso il Serapeo, e sui mezzi più adatti per attuare tale studio : la relazione forma oggetto della presente nota. Le conclusioni principali degli autori consistono nel voto che sia fondato al più presto presso Pozzuoli un Istituto geofisico annesso all’ Università di Napoli; che si proceda subito alla costruzione del condotto a sifone necessario per la determinazione del livello medio del mare sull’area del Serapeo; e che nei prossimi lavori della livellazione di precisione l’Istituto geografico militare abbia cura di far collocare lungo la costa del Golfo di Napoli un numero di capisaldi sufficiente per lo studio dei bradisismi. Bassani F. e Galdieri A. — Sui vetri forati di Ottajano nella eruzione vesuviana delV aprile 1906. (Rend. R. Acc. delle Se. Fisiche e Ma- tematiche di Napoli, fase. 5® a 7®, Maggio a luglio 1907, pag. 230-256 con 8 figure). — - Napoli, 1907. In questa nota, la terza che gli autori pubblicano sull’argomento, essi rias- sumono la descrizione del fenomeno e le conclusioni da loro precedentemente enunciate, discutendo in pari tempo le obiezioni mosse loro dagli altri che si occuparono della questione. Dopo aver combattuto l’ipotesi dell’ ing. Sabatini, che quei fori speciali siano stati prodotti da un insieme di piccolissimi proiettili che colpirono le lastre colla stessa intensità in ogni punto, il Bassani ed il Galdieri si occu- pano specialmente dell’ipotesi emessa prima dal prof. Tarameli! al Congresso dei naturalisti italiani in Milano, e sviluppata poi ampiamente dal prof. Galli in una memoria, e cioè che i fori in questione, come quelli osservati dal Galli dopo il turbine grandinifero di Yelletri del 19 novembre 1906, siano stati prodotti dall’azione [del vento turbinoso. Ciò non sembra loro probabile, sia perchè non fu notato ad Ottajano il vento turbinoso che sarebbe stato ne- ccessario, sia perchè, anche ammessa la spiegazione, la perforazione avrebbe dovuto avvenire nelle zone più deboli (per spessore minore o per diversa co- stituzione chimica) delle lastre. Ora gli autori osservano, che in seguito alle ope- razioni necessarie per la fabbricazione della lastre, tali zone debbono avere la forma allungata e non circolare: e d’altra parte, per ciò che riguarda lo spes- sore, da misurazioni fatte sulle lastre di Ottajano, risulta che nei punti ove sono i fori lo spessore non era per nulla minimo. Di più il vento non si sa- rebbe limitato ad incidere dei dischi, senza staccarli, come è avvenuto in qualche caso. Gli autori dunque ritornano alla loro ipotesi, cioè che i fori siano dovuti all’urto obliquo dei lapilli: ed esprimono il voto che in ulteriori ricerche sia appunto studiata l’azione di un solido che colpisca obliquamente un vetro. Essi avrebbero fatte alcune osservazioni che avvalorerebbero la loro idea: per esempio, l’urto obliquo di un corpo a punfa smussata tende a staccare da una lastra spessa una massa di forma conica, che può comprendere tutto lo spes- sore del vetro, e dar luogo ad un foro: lo stesso urto può anche produrre, forse per insufficiente obliquità, due o più fenditure curve irraggianti dal punto colpito, e che possono o no ricongiungersi, dando luogo, nel primo caso, nuovamente ad una perforazione. Bassoli G. G. — / pe%ci terziari della regione emiliana. (Rivista Ital. di Paleontologia, anno XIII, fase. I, pag. 36-44). — Perugia, G907. L’autore avendo determinato l’abbondante materiale dei musei di Modena e Reggio, pubblica in questa nota un catalogo riassuntivo per tutta la regione emiliana, tenendo conto dei lavori parziali pubblicati da Bianconi, Capellini, — 55 — Bombicci, Vinassa de Regny e jSTelli pel Bolognese ; da Carraroli e da Issel pel Parmense e pel Piacentino, da Coppi e da Ferraresi pel Modenese e pel Reggiano. BelliaC. — Sulla radioattività dei prodotti gasosi etnei, (Il Nuovo Ci- mento (5) XIII pag. 526-536). - Pisa, 1907. Bellini E. — Spuren von Selen anf der Vesiivlava von 1906» (Cen- tralbl. f. Min., G^eol. u. Pai., 1907, n. 20, pag. 611-612). Osservando attentamente alcuni pezzi di lava dell’eruzione del 1906, rac- colti presso Boscotrecase, l’autore vi scoprì, in prossimità o a poca distanza da incrostazioni cristalline di cloruro sodico, alcune macchiette raggruppate ed aureole, che sottoposte a prove qualitative furono da lui riconosciute per se- lenio. La presenza di questo corpo era già stata riscontrata altre volte sulle lave vesuviane. L’autore attribuisce la presenza del selenio libero alla decomposizione del- l’acido selenico, analogamente alla origine dello zolfo dall’acido solforico, sotto l’influenza dell’ossigeno e della umidità dell’aria ad alta temperatura. Bellini R. — Sul Pecten medius Lam. citato da Philippi e Scacchi tra i fossili della regione Flegrea, (Boll, della Soc. Greol. Ital., YoL XXYI, pag. 340-342) — Roma, 1907. Il Philipp! e lo Scacchi avevano citato fra i fossili della regione Flegrea il Pecten mediiis Lam. ; ora l’autore non aveva mai potuto trovare questa specie nè sul posto, nè fra i fqssili della collezione del museo geologico di Napoli, il quale contiene gran parte del materiale raccolto dal Philippi e dallo Scacchi. Il dott. Bellini stima ora di aver chiarito la questione, rinvenendo nella collezione di molluschi del defunto Barone Castriota-Scanderbeg una valva ch’egli attribuisce al Pecten intermeclius Monterosato, forma, come il P. medius, intermedia fra il P. Jaeobaeiis,, frequente a Pozzuoli, e il P, maximns dell’A- tlantico. Egli ritiene dunque che si possa escludere dai fossili di Pozzuoli il P. medius, e si debba ammettervi invece, oltre il P. Jacobaens^ il P. intermedius Monterosato. — 56 Bellini R. — ^ proposito di alcune discussioni snlV origine dei conglome- rati oligo-miocenici delle colline di Torino. (Boll. Soc. Gleol. Ital., Yol. XXYI, fase. pag. 123-126). — Roma, 1907. L’autore, che già pubblicò uno studio sul Miocene medio delle colline torinesi, in seguito ad una pubblicazione del dott. Rovereto ritorna suH’ar- gomento per chiarire qualche punto e riparlare brevemente dell’origine dei 254 (Messina) , . . » 4 — » 271 (Grirgenti) ...» 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) ...» 4 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 260 (ISTicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). . . . » 3 » 261 (Brente) . . . . 5 — » 277 Imto) . ...» 3 Tavola di sezioni ^N". I (annessa , ai fogli 249 e 258) . . L. 4 — » IN-. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » -N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » 'N. lY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » IS". Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio 'N, 220 (Yerbicaro) . . L. 3 — Foglio 'N. 242 (Catanzaro) . . L. 4 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Riz- 222 (Amendolara) . » 3 — zato) . . . » 3 » 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 245 (Palmi) . . . » 3 229 (Paola) ...» 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 5> 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 » 231 (Ciro) . . . . » 3 — » 254 (Messina). . . » 4 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . » 4 237 (S. Griovanni in F.) » 5 — » 263 (Beva) .... » 3 238 (Cotrone) . . . » 3 — 264 (Staiti) .... » 3 » 241 (Mcastro). . . » 4 — Tavola di sezioni I (236, 237, 238, 241, 242), II (245, 246, 247, 255, 263), ]S^. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. 4 — ss — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. Ne sono pubblicati i fogli seguenti Foglio N. 201 (Matera) . . . L. 3 — Foglio N. 213 (Maruggio). . L. 1 — » 202 (Taranto). . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . » 2 — » 203 (Brindisi). . . » 3 — » 215 (Otranto) . . » 1 — » 204 (Lecce) ...» 2 — » 223 (Tricase). . . » 2 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in 6 fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamento come segue: Foglio 1^. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio 'N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 150 (Roma) ...» 5 — » 158 (Cori). . . . » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 «i 50 000, in 4 fogli e 3 ta- vole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — » Castelnuovo » 5 — Foglio Stazzena L. 5 » Seravezza » 3 Le tavole di sezioni, ciascuna L. 5 Carta geologica della Toscana {in corso di stampa) nella scala di 1 a 100,000. T^e sono usciti i fogli: Livorno (L. 2); Volterra (L. 5); San Casciano Val di Pesa (L. 5); Massa Marittima (L. 4); Siena (L. 5); Piombino (L. 3); Grosseto (L. 4); Santa Fiora (L. 5); Orbetello (L. 4); Toscanella (L. 5);^ Tav. I e li di sezioni (L. 4 ciascuna). Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell' Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala fi?/ 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 » 5 — Carta geologica delle Alpi Occidentali, nella scala di 1 a 400 000, in un foglio. — Roma, 1908 » 6 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma,,. Bologna, Milano e Napoli. PUESEHTBD 16 JUL.1908 IJ> uUf^V) --;ìì:i0i^ -j ■ . - i . fi-F y! ., . ,4*.< ■ - BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie IV. — Anno IX. 1908 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA. Visto il Regio Decreto del 25 gennaio 1904, 'N. 39; Sulla proposta del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio: Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1«. Sono confermati componenti del R. Comitato geologico per il biennio 1908-909 i signori: Parona prof. Carlo Fabrizio. Bucca prof. Lorenzo, Issel prof. Arturo, Cocchi prof. Igino. Art. 2^. Il prof. Giovanni Capellini, senatore del Regno, è confermato presidente del Comitato predetto per Tanno 1908. Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del pre- sente decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti. Dato a Roma, addì 12 gennaio 1908. Firmato: VITTORIO EMAT^UELE. Controfirmato : F. Cocco Ortu. Registrato alla Corte dei Conti addi 28 gennaio 1908. Registro 168 - Personale civile, foglio 108. Firmato : Martorelli. V.® il Capo Ragioniere — Firmato : Marinucci, MINISTERO D’AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO Il Ministro per l’Agricoltura, l’ Industria e il Commercio, udito l’ Ispettore del R. Corpo delle Miniere Decreta : Il comm. Luigi Baldacci, Ingegnere Capo nel Corpo delle Mi- niere, è chiamato a dirigere il R. Ufficio Geologico dal 1° set- tembre p. V. Il presente Decreto sarà registrato alla Corte dei Conti. Roma, addi 28 agosto 1907. Per il 3Iinistro Firmato: Sanauelli. Registrato alla Corte dei Conti addi 7 settembre 1907 Registro 154 - Personale civile, foglio 52. Firmato: S, Bianchi. Per copia conforme Per il Direttore Capo della Divisione Y Firmato: A. Cacioppo. f Annunzi di pubblicazioni Fornasini C. — Indice critico delle Bìloculine fossili d’Italia, (dallo - B. Acc. Se. Ist. di Bologna, 8. VI, Voi. lY, pag. 22 in-4®, con 3. tav.). — Bologna, 1907. Franohi S. — Sulla scoperta di roccie ofloliticlie nella Liguria orientale. ^ (Boll. Soc. Geol. ital.. Voi. XXVI, fase. 1®, pag. xxx-xxxiii). — Eoma, 1907. ' Idem. — Escursioui in Valle d’Aosta. (Boll. Soc. Geol. ital., Voi. XXVI, fase. 2°, ^ pag. 157-183, con 3 tav.). : — Eoma, 1907. " Idem. — Osservazioni sopra alcuni recenti lavori sulla geologia delle Alpi Marittime. (Boll. E. Com. Geol. d’Italia, Serie Voi. Vili, fase. 3*’, ^ pag. 145-170, con 3 tav.). — Eoma, 1907. - ijiATTiNi G. B. -- Osservazioni geologiche sopra i terreni terziari di San Va- lentino (Chìeti) e sopra i loro giacimenti dì bitume. (Giorn. di Geologia Pratica, Anno V, fase. V-VI). — Pertigia, 1007. Gortani M. — Contribuzioni allo studio del Paleozoico carnico - II. Fauna ^ - devoniana. (Palaeontographia Italica, Voi, Xlfl, pag, 1-63). — ^ Pisa, 1907. Idem. — Sopra l’esistenza del Devoniano inferiore fossilifero nel versante italiano delle Alpi Carniche. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. V, Voi. XVI, fase. 2®, 1® sem., pag. 108-110). — Eoma, 1907. Idem. — Appunti geologici sull’alta valle del Tagliamento. (Atti Congr. Xatr it. in .Milano, pag. 10 in-8®). — Milano,. 1907. ® Henrotin L. — Monografia del giacimento calaminare-tipo della Miniera di Xebida. (Eesoconti riunioni Ass. mineraria sarda. Anno XII, n. 3, seduta 17 marzo 1907, pag. 8-1^ con tavola). — Iglesias, 1907. IssEL A. — Cavità rupestri simili alle caldaie dei giganti. (Atti della Società Ligustica di Se. Xat. e Geogr., Voi. XVIII, n. 2, pag. 96-104). — Ge- nova, 1907. t ‘ . I Klemm G. — Bericht ilber Untersuchungen an den sogenannten Gneissen „ I - und den metamorphen Schiefern dei* Tessiner Alpen. IV. (Sitzungsb. dei* j K. preu^ss. Akad. dei* Wiss., Jahrg. 1907, n. XI-XIII, pag. 245-258). — Berlin, 1907. jtiACRDix A. — ISur la constitution pétrographique du massif volcanique du Vésuve et de la Somma. (Comptes rendus Acad. des Se., T. CXLIV, n. 23, : . pag. 1245-1251). — Paris, 1907. (Segue) eseguito: V. pagina precedente) Lacroix a. — Les niineraux des fumerolles de l’ernption du TésiiTe-; ayril 1906. (Bull. Soc. Frane, de Min., Tom. XXX, fase. 6°, pag. 219-266).. Paris, 1907. Idem. — Sur une espèce minerale jftouyelle des fumerolles à haute temj ture de la récente eruption du Tésuye. (Comptes rendus Acad. des T. CXLIV, n. 25, pag. 1397-1401). — Paris, 1907. Lovisato D. — Oriacìmeuto di minerali di tungsteno a Genna Gurèu ai lii fra Nurri ed Orroli (Cagliari). (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. T, Tol. X’’ fase. 8®, 1® sem., pag. 632-638). — Eoma, 1907. Maddalena L. — Ueber Eruptiygesteinsgange in Yicentinischen. (ZeitchrM der Deutschen geologischer Gresellschaft 59 B., 4® H., pag. 385-400, cojj 2 tav.). — Berlin, 1907. Mattirolo e. — Osseryazioni su materiali cupriferi proyenienti da roccia] sedimentarie nel Sassarese. (Eassegna mineraria, Yol. XXYII, n. pag. 1-3). — Torino, 1907. Merlo Gì. — I giacimenti calamìnari dell’ Algeria e della Sardegna. (Ra segna mineraria, Yol. XXY^, n. 7, pag. 105-107). — Torino, 1907. Idem. (Resoconti riunioni Ass. min. sarda, Anno XII, n. 2, seduta 17 feM braio 1907, pag. 25-29) Iglesias, 1907. Millosevioh F. — Appunti di mineralogia sarda. Ematite di Padria. (Rene R. Acc. dei Lincei, S.^Y, Yol. XYI, fase. 10®, 1® sem., pag. 884-889). Roma, 1907. Idem. — Le rocce yulcaniche del territorio di Sassari e di Porto Toi (Sardegna). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XYI, fase. 7®, 1® sei pag. 552-554). — Roma, 1907. Idem. — Sulle rocce yulcaniche della Sardegna settentrionale. (Atti del^ Soc, Ligustica di Se. Xat. e Geogr., Yol. XYIII, n. 2, pag. 83-95). Genova, 1907. Pantanelli D. — Acque sotterranee fra Secchia e Panaro. (Atti R. Istit Yeneto, t. LXYI, disp. 10, pag. 761-807). — Yenezia, 1907. del presente feseicolo* ILi. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA ti ^ . ■■ ' ' I' ’ i.'. I k ROMA TIP. T^AZIOIS^ALE DI G. BEETERO E 0. 1908 ELENCO dei personale componente il Comitato e T Ufficio geologico R. Comitato geologico. Capellini Grio VANNI, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Bucca Lorenzo, prof, di mineralogia, R. Università di Catania. Cocchi Icino, prof, di geologia, Firenze. IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Grenova. Parona Carlo Fabrizio, proL di geologia, R. Università di Torino. Strùver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società -geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Mazzuoli Lucio, Ispettore superiore, Capo del R. Corpo delle Miniere, Roma Zezi Pietro, Ispettore superiore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Baldacci Luigi, Capo del R. Ufiìcio geologico. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione: Ing. Mazzuoli Lucio, predetto. . Ing. Zezi Pietro, predetto. R. Ufficio geologico: Aiutanti principali Aiutante . Baldacci Luigi, Capo deir Ufficio. _ . . ) Lotti Bernardino. ng- capi Taccagna Domenico. / Mattirolo Ettore. 1 Aichino Giovanni. Ingegneri Novarese Vittorio. Sabatini Venturino. Franchi Secondo. Stella Augusto. Crema Camillo. PiLOTTi Camillo. Disegnatori Amanuensi Uscieri Cassetti Michele. Moderni Pompeo. Luswergh Cesare. , I CozzoLiNO Filippo. Aureli Amedeo. Giammarchi Getulio. Nocito Pietro. Andreis Nicolao. Sparvoli Vincenzo. Salvatelli Filippo. La sede del R. Ufficio geologico è in Roma, via Santa Susanna, n. 1-k. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IV, Voi. IX. Anno 1908. Fascicolo 2^ SOMMARIO. Note originali. — I. - Y. IN^ovarbse. I terreni miocenici di Yal di Bruna (Ma- remma Toscana) ed i loro giacimenti di lignite {Conf. e fine, v. fase. ii. 1). - II. B. Lotti. La faglia inversa Lugnano-Monte Tolentino, fra l’altipiano di Rieti e quello di Leonessa. - III. M. Cassetti. A proposito della me- moria del prof. Sacco « Il gruppo del Gran Sasso d’Italia ». Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per Fanno 1907. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. NOTE ORIGINALI I. Vittorio Novarese. — I terreni miocenici di Val di Bruna [Maremma Toscana) ed i loro giacimenti di lignite, {Continuazione e fine, vedi iascicoio n. 1). CAPO III. — L’età delle ligniti. Ho riassunto la lunga e minuta esposizione che precede in un quadro che dà la serie completa dei terreni terziarii nella Val di Bruna, dedotta dal confronto dei varii profili osservati, tenendo conto anche delle diverse facies, marine, salmastre e d’ acqua dolce. 6 Mio( e - 86 — Quadro della serie dei terreni ter si arii e quaternarii nella Val di Bruna. Quater- nario Ghiaie debolmente cementate ad elementi eocenici e blocchi di tra- chite; trachiti cordieritiche. Plio- cene Sabbie, ghiaie, argille ad Ostrea coclilear con cristalli di selenite, cal- cari ad Amphistegina, ecc. Ribolla, Casteani., Carpella, ecc. Gessi ed argille gessifere. Argille a Cardiiim con qualche sot- tile strato di lignite ed impronte di foglie (mattajone). Marne dure del tetto. l*’ Banco di lignite o banco mae- stro; a Casteani con fauna di vertebrati a Siis clioeroides Po- mel, ecc. Argille e marne sabbiose del letto talora con ligniti (2° banco). Argilla con ciottoletti (breccino). Arenaria. Marne e calcari fetidi a straterelli con Dreissensia (Calcarea fe- tida). Dintorni di Roccastrada. Calcari di acqua dolce ad Heli.x. Argille a Melanopsis. Arenarie tenere. Marne fogliettate con Pisidinm. Marne e calcari a straterelli con frustoli lignitizzati. Puddinga ofiolitica alternante con marne sabbiose e molasse alle quali sono associati i banchi e lenti inferiori di lignite (3® e 4® banco). Argille con ciottoli; Conglomerati, sabbie, argille ciottolose con ciottoli di granito e por- fido tormalinifero. Conglomerati rossi ad elementi eocenici (alberese, diaspri, rocce ofiolitiche). Marne ed arenarie con fossili marini di Casteani; arenaria di Perolla. Eocene Scisti; alberesi, arenarie, galestri; serpentina, eufotide, diabase. — 87 Questa serie differisce sensibilmente da quella data dal Haupt (VITI, 200), fin qui accettata e riprodotta da tutti coloro che si occuparono del nostro argomento. La serie Haupt però, nella parte che differisce dalla mia, e vedremo fra breve essere erronea, risente r influenza del lavoro fondamentale di Paolo Savi, nel quale si insiste ripetutamente (I, 4, 6, 32) sulla circostanza che la serie carbonifera consta in Maremma, dall’alto in basso, di una parte superiore di « conglomerati di grosse ghiaie non fortemente agglo- merate, poi di sabbie argillose più o meno compatte e molasse, fi- nalmente da strati calcarei conchigliferi o bituminosi ». Questo schema, a torto generalizzato, fu suggerito al Savi dalla serie osservata a Monte Bamboli, uno dei bacini del Masse- tano che a quei tempi richiamava più di tutti l’attenzione di dotti e di tecnici per la bellezza e bontà del suo carbone. La serie di Monte Bamboli però non comprende soltanto, come credeva il Savi, terreni del Miocene, ma nella sua parte superiore, come ha notato il Lotti (X, 34) anche terreni schiettamente marini e certo plioce- nici, rappresentati appunto da sabbie e conglomerati. Nè di errori nel solo campo scientifico è stato causa l’aver voluto prendere coma tipica la serie di Monte Bamboli: se il pozzo Toscano, con tanta e sì mirabile ostinazione, fu scavato fino a 463 m. di profondità, si è perchè si sperava d’incontrare in pro- fondità gli strati di « calcare conchiglifero » (calcare a congerie, o calcarea fetida, come si chiamava allora) che racchiudevano i ban- chi di ottimo carbone a Monte Bamboli, separati in quest’ ultima località dal sottostante Eocene appena da pochi metri di argille e di conglomerati. Il non avere mai incontrato il substrato eocenico deve avere alimentato fino all’ultimo le speranze di chi intraprese lo scavo del pozzo. Nella serie Haupt, il gruppo denominato « Miocene inferiore » riproduce integralmente la serie di Monte Bamboli nel preconcetto che agli strati di carbone di questa corrispondessero il III e IV banco, effettivamente sottostanti alle marne e calcari a congerie, elevati — 88 col nome di « calcare carbonifero » alla dignità di orizzonte maestro, per paragonare le due serie. Solamente, mancando in Val di Bruna, sopra la serie, il conglomerato rosso, si credette riconoscerlo nelle ghia j e quaternarie delle colline fra i piani di Ribolla e dell’Asina. Per correggere la serie dello Haupt basta trasportarne alla base il conglomerato rosso (gonf olite) ponendolo m luogo dell’argilla g, che è detta posare sull’alberese dell’Eocene, non so con quale fon- damento perchè in tutto il bacino della Bruna a contatto normale dell’Eocene non s’incontrano mai argille. Lo Haupt, oltre che dall’ossequio troppo spinto pel nome illustre del Savi e per la serie di Monte Bamboli, dev’essere stato confermato nel suo errore dalla discordanza che, per effetto della singolare dislocazione di S. Fenolo, si manifesta fra il banco di quest’ultima miniera, ed il terzo e quarto banco. Questa erronea credenza di due orizzonti lignitiferi nella Val di Bruna separati dalla « gonf olite », accettata fin qui senza ob- biezione, non è stata senza influenza nelle discussioni nate sull’età da assegnarsi ai nostri giacimenti, nelle quali si è parlato di strati superiori ed inferiori di lignite, quasi potessero appartenere a piani differenti. Come il quadro mostra, la serie dei terreni in Val di Bruna è completa dal Miocene marino medio fino al Pliocene; è anzi la più completa di tutti i così detti bacini lignitiferi della Maremma, nei quali manca sempre qualcuno dei termini compresi nell’elenco. Per provarlo basterà passare in rapida rassegna quelli più vicini alla Val di Bruna. Miocene lignitifero della valle media delV Omòfone. — L’area miocenica di Val di Bruna comunica largamente con quella, pure vastissima, della Valle media dell’Ombrone, che ha affioramenti Hgni- tiferi in più punti, ma specialmente importanti a N nelle note miniere di Murlo, ed a Sud, nei giacimenti di Cana, descritti già dallo Stoppani. — 89 — Non è noto alcun termine marino del Miocene; i gessi mancano del pari \ e sulla formazione lignitifera poggia direttamente il Pliocene. Ho già descritto altrove i caratteri della serie (XXIV) costituita da alternanze di argille e conglomerati ora grigi ora rossi, spesso forte- mente cementati. Nella parte centrale del bacino gli straterelli di lignite che affiorano quà e là hanno per letto argille e conglomerati di ignota potenza; ma nei luoghi dove i banchi di lignite si mostrano po- tenti, e sono state aperte miniere come a Murlo, o fatte esplora- zioni come a Cana, si è potuto vedere che questi banchi poggiano direttamente sull’ Eocene, oppure ne sono separati da pochi metri di sedimenti argillosi o ghiajosi. Qui adunque le ligniti si sono de- poste in bacini già abbozzati nei terreni eocenici, e per dir così dentro ad anse rocciose eoceniche di vasti bacini lacustri o palustri. Acqua Nera. — Un’altra piccola area miocenica lignitifera fuori del bacino idrografico della Bruna ma che fa certo parte in- tegrante del complesso miocenico che vi abbiamo descritto, è quella detta dell’Acqua Nera a N di Sassoforte. Questa piccola conca lignitifera, ad un’altezza relativamente considerevole (430 m.), e seb- bene del tutto staccata e lontana, è stata considerata sempre, anche tecnicamente, come un’ appendice delle ligniti di Casteani e Ribolla. È interessantissima perchè il suo banco, potente di 4 m. circa, co- stituito di ottima lignite picea, è bizzarramente tormentato, ed in molti punti rovesciato in modo da presentare dei veri accartoccia- menti, per cui qualche lembo sembra sottostare alle sponde eoce- niche che lo stringono dai due lati, quasi formasse un’ anticlinale sotto ai galestri. Anche qui, a differenza di quanto si verifica in Val di Bruna, la lignite è separata dall’Eocene da pochi metri di argilla e ghiaia, ^ Ne ho osservato appena qualclie piccolo arnione fra le marne plioce- niche ed il Miocene in vicinanza del podere Martinello, nella strada fra Case- novale e Monte Antico (foglio di Siena). - 90 ciò che indusse lo Haapt a collocare la lignite dell’Acqua 'N'era nel suo gruppo inferiore, in parallelo con Montebamboli, dove la lignite è pure quasi a diretto contatto dell’Eocene. Questo lembo di terreno lignitifero è interessante in special modo dal punto di vista tettonico, perchè rappresenta un lembo di Miocene impigliato in una rottura che ha interessato profonda- mente l’Eocene e insieme colle dislocazioni che descriveremo fra breve del banco nelle miniere, prova gli intensi movimenti a cui è andata soggetta la regione dopo la deposizione del Miocene, e del Pliocene. Dimostra altresì che la conca dove si formavano le ligniti era assai più vasta che non ora, perchè certamente il lembo del- l’Acqua Nera stretto ed allungato, è sfuggito all’erosione ingrazia appunto del suo impigli amento fra le labbra della frattura, mentre il resto della formazione fu completamente denudato. Marsiliana e Montebamboli. — I co«ì detti bacini della Mar- siliana e Montebamboli costituiscono un’area miocenica unica e non v’ha ragione di tenerli disgiunti, perchè attualmente mandano le acque a due fiumi diversi. Secondo la descrizione del Lotti (X,36) alla Marsiliana la serie consterebbe in basso di conglomerati rossi, indi di marne giallastre con fauna pontica, coperte da argille {mat- tajone) e gessi, vale a dire una serie molto simile a quella di Ribolla e Casteani, salvo le ligniti. Se realmente questi conglomerati rossi sono gli stessi che più a Nord stanno sopra le ligniti e marne e calcari associati di Monte Bamboli, converrebbe ammettere per questi ultimi un’ antichità maggiore di quella delle ligniti di Casteani e Ribolla. Tuttavia, anche se uno studio dimostrasse che ciò si verifica realmente, si tratterebbe solo della maggiore o minore antichità di uno strato rispetto agli altri di uno stesso piano, perchè le faune di vertebrati di Monte Bamboli e Casteani hanno certamente co- mune la specie Sus choeroides Pomel; e forse anche la Lutra od Enhydriodon Campami Menegh. Il confronto delle serie nelle varie aree mioceniche che abbiamo — 91 — enumerato, dimostra del resto che i conglomerati non hanno una posizione fìssa ma ricorrono a livelli diversi per ciascuna area. Gli è per ciò che nella leggenda della Carta geologica della Toscana sono stati attribuiti tutti al Miocene superiore (m') e distinti solo litologicamente dagli strati a Dreissensia con banchi di lignite (m\), L'età delle ligniti. — L’età delle ligniti di Casteani e Monte- bamboli è stata argomento di molte discussioni, e la questione è ancora tutt’altro che pacifìca. Però la scoperta del Miocene medio marino sottostante alle ligniti costituisce un fatto nuovo, che può giovare ad eliminare subito alcune dubbiezze ed a restringere i limiti fra i quali si fa oscillare la posizione di questi strati con- troversi. L’esame della serie quale è esposta nel quadro che ne ho trac- ciato, dimostra a primo sguardo come la serie lignitifera corrisponda ad un gruppo di strati salmastri compreso fra un orizzonte inferiore schiettamente marino, che i suoi fossili dimostrano essere il Miocene medio, ed una formazione superiore pure schiettamente marina, il Pliocene. Al sommo della serie, imrnediatamente sotto al Pliocene v’ hanno i gessi, che sono indizio di un parziale ritorno del mare, oppure dei calcari di acqua dolce, segno di aree rimaste del tutto continentali, ed infìne più estese le argille a Cardhim od a Melanopsis deposte in acque salmastre. Sopra l’età dei gessi di Val di Bruna non v’ha discussione : tutti gli autori sono concordi nel collocarli nella parte più alta del Mio- cene superiore. Sebbene presso le case Peruzzo stiano senza dubbio alcuno sotto i gessi, sono pure da considerarsi come equivalenti di questi le argille a Cardiuw. e le argille a Melanopsis, entrambe con fauna caspica, ed i calcari di. acqua dolce or ora nominati, tutti insieme rappresentanti del piano pontico. Non esiste ancora uno studio speciale dei fossili di tal piano trovati in Val di Bruna, ma gli accenni fatti dal Cappellini (XII) e del Pantanelli (XIII) a cui si riferiscono tutti gli autori posteriori, sono concordi sovra un tal punto, nè v’ha argomento alcuno per mettere in dubbio una tale attribuzione. Dove incomincia la discordia e dove sono state esternate le vedute più disparate, è precisamente per quanto sta sotto alle argille a Car- dium, e cioè per tutta la serie lignitifera media ed inferiore, a comin- ciare dal primo banco di carbone; anzi nel terreno contestato si com- prendono anche i pochi metri di marna durissima che sta al tetto del banco. La causa di queste discrepanze è la diversa interpreta- zione della fauna di vertebrati incontrata nelle ligniti di Casteani e di Montebamboli. Ora, a Casteani almeno, questa fauna si trova precisamente nel primo banco o banco maestro, o più spesso al tetto, di esso, immediatamente al disotto delle argille a Cardium^ vale a dire nel livello più alto della parte di serie in discussione, cosicché gli strati inferiori di questa, quando non si conosceva, come ora, che non sono certo anteriori al Miocene medio, poteva ammettersi rappresentassero piani di maggiore antichità. Circostanza notevole: nelle discussioni a cui ha dato luogo l’età delle ligniti, non è stato quasi mai fatto cenno dell’arenaria di Pe- rolla, non ostante la notorietà acquistata colle sue varie interpre- tazioni, forse per l’incertezza che regnava ancora intorno alla sua età. La scarsità dei fossili fino ad allora .incontrati aveva lasciato libero campo a considerarla tutt’ al più come rappresentante il Miocene superiore senza escludere che potesse essere anche più giovane, ed addirittura pliocenica h ^ L’affioramento dell’arenaria di Perolla è stato descritto da Alessandro Spada (lY, 174), molto esattamente per quanto riguarda la successione degli strati, ma con indicazioni topografiche così incerte che senza conoscere i luoghi sarebbe impossibile il determinarne la posizione, anche approssimata, sopra una carta. Le antiche cave sono a IN" di Perolla, ad E della strada che conduce a Massa Marittima, nel luogo detto Poggio la Leccetella, indicato sulla carta al 50000 dell’I. G. M, Il botro risalito dallo Spada è senza dubbio quello delle Macine, affluente della Carsia, a destra del quale sono le cave, che vengono a trovarsi fra le due — 93 - Ora messa fuor di dubbio per l’arenaria di Perolla l’età mio- cenica media, e provato che la formazione di arenarie e marne di cui è parte, costituisce nella conca di Casteani il substrato della serie lignitifera, questa, non ostante la sua enorme potenza^, non può rappresentare al massimo se non forse una parte del Miocene medio, e certo tutto quello superiore. Fra il Miocene medio e le argille a Cardium è evidente che la serie non presenta nessuna lacuna non ostante il cambiamento di grandi masse di travertino quaternario del Castello di Perolla a S e di Pianiz- zoli a 'N. Isella carta geologica dei dintorni di Massa Marittima del Lotti (XX |, per un errore di tiratura, l’area occupata dalle arenarie è segnata colla tinta del Pliocene lacustre, in piena contraddizione col testo (XX, 43) dove si parla dei fossili marini dell’arenaria e la si attribuisce al Miocene superiore. L’ errore materiale è passato disgraziatameute inavvertito ed è stato riprodotto nella carta al 100,000 (Siena). La serie, come la descrive lo Spada, consta di un’alternanza di arenarie tenere, di marne, e di arenaria più grossolana, ma molto tenacemente cemen- tata che era la varietà escavata. La grossezza degli elementi raggiunge qualche volta anche i 10 mm., e la roccia potrebbe chiamarsi una brecciola. Xotevole fra questi elementi la presenza di uno scisto verdognolo che si trova nei terreni attribuiti al Permiano presso Boccheggiano e Serra Bottini, località fuori entrambe delFattuale bacino idrografico della Carsia. XelF arenaria sono anche visibili frammenti di bivalvi. Oltre che alla Leccetella, un’arenaria consimile affiora in prossimità di Pe- rolla sulla sinistra dplla Carsia, e sulla destra del fosso Gravosa, fra l’Eocene e le marne mioceniche. In quanto a determinazioni di età F arenaria di Perolla ha avuto fortuna molto varia. Ritenuta dal Pilla terreno di transizione fra l’Eocene ed il Cre- taceo, fu riconosciuta miocenica dallo Spada ma considerata termine di transizione fra Miocene e macigno eocenico ; messa dal Lotti nel Miocene superiore, ed in una commemorazione dello Spada, il Meneghini, forse per un errore di memo- ria, la disse pliocenica addirittura, come per un altro errore materiale appare nella carta geologica. ^ Le sole argille a Cardium superano a Ribolla i 200 m. Durante la corre- zione delle bozze del presente scritto, mi giunge la notizia che sono state attra- versate dalla trivella per 225 m., ed il cilindro testimonio portato su da tale profondità dallo strumento indica una inclinazione debolissima, non superiore certo ai 15®. A 227 m. fu incontrato il banco di carbone. facies da marino in salmastro e forse di acqua dolce. L’ arenaria di Perolla che passa anche a brecciola è certo una formazione littorale, come sono sicuramente littorali i conglomerati alla base della serie lignitifera, molto verosimilmente nella loro parte inferiore equiva- lenti terrestri del Miocene medio marino. La grande potenza della formazione relativamente ai limiti ristretti di cronologia stratigra- fica fra cui è compresa, indica una sedimentazione attiva quale può aversi solo in un estuario dove sboccano fiumi e torrenti importanti, e ciò in pieno accordo col tipo salmastro della fauna malacologica che si riscontra in più livelli della serie e colla presenza di avanzi di vertebrati in qualche località. Le ligniti incominciano a formarsi verso la metà della serie, quando gli elementi dei conglomerati di- ventano piccoli e comincia il predominio delle argille, vale a dire quando nell’estuario semicolmato dalle alluvioni incominciano a di- segnarsi delle conche palustri. È anzi caratteristico per la lignite di Val di Bruna la grande potenza del substrato miocenico, a differenza di tutte le altre ligniti toscane che abbiamo accennato, e delle stesse ligniti di Sarzanello e Caniparola, tutte deposte a quasi diretto contatto dell’Eocene, ed una tal circostanza giova forse a spiegare la grande estensione e regolarità del banco lignitifero formatosi in un ampio estuario con vasti bassifondi e larghe zone palustri. Tracciare dei limiti dentro la serie che valgano a dividerla in piani non è possibile, perchè in essa è evidente la continuità del deposito non ostante la differenza di grossezza degli elementi fra la base e la sommità. Essa non presenta anzi in tutta la sua po- tenza che un solo orizzonte sicuro, ed è il banco maestro di lignite. Il quale però se è il più potente e riconoscibile, non è però l’ultimo, geologicamente parlando, degli strati di lignite della serie, perchè alcuni, sottilissimi, compajono anche nelle argille a Cardium anche 100 e più metri sopra il primo banco. Dalla considerazione della successione degli strati appare anche con sufficiente evidenza che il massimo sviluppo delle ligniti cor- - 95 — risponde ai passaggio dalla fase di emersione incominciata nel Mio- ceno alla fase di sommersione che si va accentuando nel miocenico superiore e si compie colla trasgressione pliocenica. Però con questo passaggio dal movimento positivo al negativo, non va di pari passo il mutamento di facies dell’ ambiente, e per- mane il facies d’ estuario e di lagune fino al chiudersi del Miocene. Difatti tutta la fauna malacologica nota finora nel terreno li- gnitiero inteso nel più largo senso è di acqua salmastra con tipo caspicG oppure più raramente di acqua dolce. Non si è trovato ancora in essa alcun fossile marino, e non ostante accurate ricerche non mi fu possibile confermare le asser- zioni dello Haupt (Vili, 202) secondo cui dovrebbero rinvenirsi negli strati superiori e medii del miocene lignitifero « conchiglie del ge- nere Ostrea » e « nella puddinga osservarsi masse di univalve dei generi Pleurotoma, Gerithium e Turritella ». Ritengo che quest’ultima asserzione sia dovuta ad uno scambio di terreni pliocenici coi mio- cenici, e probabilmente all’attribuzione alle puddinghe dei lembi di calcare pliocenico che emergono dal conglomerato quaternario scambiato colla gonfolite, perchè nelle puddinghe veramente mioce- niche le « masse » di univalvi non sarebbero sfuggite non dico solo a me, ma neppure ai molti osservatori che visitarono quei luoghi, Non esiste alcuno studio monografico della fauna malacologica dei terreni lignitiferi della Val di Bruna, ma solo determinazioni isolate di fossili raccolti da questo o da quell’ osservatore. L’elenco di queste forme non è molto lungo e secondo Cappellini e Pantanelli, a cui si riferirono poi tutti gli altri autori, queste forme sarebbero Adachna Ahichì R. Hoernes sp. Adachna Hoernesi Pantanelli. indicate colla provenienza di Sassofortino, mentre a Montebamboli si sarebbero trovati Dreìssensia Deshaijesii Capp. Uniocardium Meneghina Capp. U. cypricardiodes Capp. — 96 — W A queste posso aggiungere la Melanopsis praerosa Lin. trovata da me a Roccastrada, e, cosa molto più importante, la Dreissensia rostriformis Desh. proveniente dalle marne e calcari fetidi, zeppi di impronte di congerie del Raspollino, immediatamente sopra al « III strato » di lignite, determinata dal prof. G. Di Stefano fino dal tempo del rilevamento e che si conserva nelle collezioni dello Ufficio geologico. La presenza di questo fossile, già riscontrato pure da me nei terreni puntici della Val d’Ombrone, negli strati che sono al disotto del 1° banco di ligniti dove si trova la fauna di vertebrati, è della massima importanza, perchè com’è noto la D. rostriforrais è uno dei tipi più caratteristici del piano pontico. Secondo l’An- dcusow ^ compare nel secondo e terzo piano pontico della penisola di Kertsch, che sono separati dal sarmaziano tipico da quel primo piano pontico di transizione che i geologi russi chiamano piano maotico. Anzi sempre secondo lo stesso Andrussow la D. rostriformi^ si trova fossile a grandi profondità nel fango solfidrico del fondo del Mar Nero, testimonio della fase caspica attraversata da quel mare prima che fosse aperta mediante il Bosforo ed i Dardanelli la comunicazione attuale col Mediterraneo. In base alla fauna malacologica si dovrebbe quindi ammettere che le ligniti, almeno fino al più basso strato fossilifero conosciuto al tetto del III banco, appartengono al piano pontico. Ostano però a ciò i dubbi che regnano ancora sulla vera posizione della fauna di vertebrati trovata a Casteani e Montebamboli, studiata prima dal Meneghini e dal Forsyth Major, e più recentemente dal Weithofer e dal Ristori. Prima degli studii di questo ultimo autore, il De Stefani, ^ nel suo poderoso lavoro sui terreni terzi arii supe- riori del bacino del Mediterraneo, in base alle determinazioni che ^ N. Andrussow, Environs de Kertsch, in Guide des excursions du VII Congrés Géol. Intern., St.-Petersbourg, 1897. XXX. ^ Carlo Db Stefani, Les terrains tertiaires siiperienrs du hassin de la Médìterranée. Annales de la Soc. géol. do Belgique. Tome XVIII. Liége, 1890-91, pag. 211, — 97 allora si avevano dei vertebrati, e pure adducendo la fauna mala- cologica con specie pontiche, collocò le ligniti di Casteani e Mon- tebamboli nel Miocene medio, considerandole come una facies lito- rale salmastra di questo piano, equivalente al Messiniano primo del Mayer, la cui classificazione era in quel tempo ancora di moda. Poco prima però, il Weithofer, descrivendo la fauna di verte- brati di Montebamboli, Casteani e Monte Massi la ritenne equiva- lente della fauna di Pikermi, vale a dire della stessa età delle ar- gille a Cardium a cui sono indissolubilmente legate le ligniti e specialmente il banco maestro. Il compianto Ristori, senza fare tuttavia alcuna affermazione categorica, ha combattuto le conclu- sioni del Weithofer, con argomenti paleontologici fondati sull’ affi- nità maggiore o minore della fauna con altre faune classiche, pro- pendendo a collocare come il De Stefani, suo maestro, le ligniti nella parte superiore del Miocene medio. Siccome le specie di vertebrati rinvenute sulle nostre ligniti sono tutte proprie della località, e non si riscontrano nelle faune tipiche a cui sono state paragonate, tutte le considerazioni sulla loro maggiore o minore affinità con questa o quella hanno valore molto soggettivo, e non sarebbero sufficienti a distruggere le indicazioni della fauna malacologica se non vi fosse nell’assoluta mancanza di specie comuni fra i vertebrati di Casteani e quelli con Hipparion del Casino presso Siena, indubbiamente puntici, un argomento talmente valido contro la contemporaneità delle due faune, che ha fatto rimanere dubbiosi il Capellini ed il Pantanelli, conoscitori profondi della formazione a Congerie. Questo finora è il punto rimasto veramente oscuro, non ostante tutti gli sforzi fatti per dilucidarlo, e probabilmente se non si rinven- gono nuovi fossili, e non si fa una revisione comparativa delle due faune, tenendo anche ben distinte le provenienze dei singoli resti di vertebrati, come ha accennato a voler fare il Weithofer, la questione resterà insoluta. Praticamente, dal punto di vista della posizione delle ligniti nella serie la questione è oramai ristretta fra limiti così vicini — 98 — (Miocene medio superiore oppure Miocene superiore) che è quasi que- stione di sfumature e dell’apprezzamento personale del limite fra le suddivisioni di uno stesso piano geologico. Lo stesso autore dei lavori fondamentali del piano pontico in Italia, il Capellini, ha ricono- sciuto che il limite inferiore del piano verso il Sarmaziano, od il Tor- toniano, era di tracciamento difficilissimo, ed il caso attuale ne è una prova lampante. La taluno si è tentato, per dimostrare che le ligniti non po- tevano appartenere al Miocene superiore, di trar partito della na- tura del carbone, che dovrebbe essere xiloide per l’età pontica, mentre sarebbe picea per le più antiche. Quest’argomento non ha valore perchè a Sarzanello e Caniparola, ed a Cana, località senza dubbio pontiche, le ligniti sono picee ed identiche a quelle di Ri- bolla. Inoltre l’essere le ligniti picee o xiloidi dipende dalle parti- colari condizioni locali di formazione e non dall’età geologica. Se il carattere caspico della fauna pontica, anziché segno di una formazione lagunare littorale può interpretarsi come indizio di un periodo realmente comparabile con quello del Caspio attuale, vale a dire di mare chiuso, trascorso da uno o più bacini del Me- diterraneo miocenico, come io sono propenso ad ammettere col Le Stefani, le fasi di emersione e sommersione accennate poco sopra, anziché in tutto od in parte a movimenti del suolo od a variazioni del livello oceanico, sarebbero, da attribuirsi al concorso di cause climatiche, ed in primo luogo ad abbondanza od a scarsità di pre- cipitazioni, determinanti in quel Caspio miocenico oscillazioni lente di livello, separate da periodi di equilibrio e di relatis:^a stabilità. Una tale ipotesi spiegherebbe agevolmente il passaggio graduale dai conglomerati inferiori della serie, formatisi in vicinanza delle coste, alle argille a Cardium superiori deposte in acque più tranquille e più lontane del lido; i periodi di stabilità relativa ripetutisi hanno permesso la formazione dei banchi di lignite ai diversi livelli. La presenza dei gessi nella parte superiore della serie indicherebbe il riaprirsi delle comunicazioni col mare libero, che ristrette ed insta- — 99 — bili per un certo tempo, hanno determinato un aumento di salsedine, fino al punto di iniziare la deposizione del meno solubile dei sali contenuti in quell’ acqua. Questa ipotesi involverebbe l’età pontica di tutte le nostre ligniti, lasciando al Sarmaziano forse soltanto la parte inferiore o di transizione della formazione lignitifera. CAPO IV. — Tettonica. Le condizioni tettoniche degli strati della serie lignitifera sono ben lungi dall’ essere così semplici come risultano da un esame sommario degli indizi superficiali, o come apparirebbe dal maggior numero ^i lavori sull’argomento, e specialmente da quello del- l’Haupt, deficiente in modo inesplicabile sotto tale riguardo. Molti fatti osservati appunto nelle miniere dimostrano all’evidenza che dopo la deposizione del Miocene lignitifero sono avvenuti movi- menti molto importanti che hanno disturbato dovunque gli strati, ma specialmente quelli più prossimi alle località dove avvenne la eruzione delle trachiti. Nei dintorni di Roccastrada non si hanno lavori minerari, e r inclinazione degli strati miocenici salmastri e d’acqua dolce è de- bole così che le accidentalità stratigrafiche non si manifestano direttamente. Delle dislocazioni importantissime sono però indizio più che sufficiente i complicati rapporti altimetrici fra i vari lembi miocenici e pliocenici. Difatti il Miocene, coperto qua e là dalle trachiti, forma la lunga schiena di colline, fra la Fonte a Petreto a Nord, ed il Gio- vanello a Sud, lungo la quale serpeggia la strada provinciale di Roccastrada, mentre il Pliocene si mantiene nella bassura a po- nente fra il fosso Vinaje ed il fosso Baj, e non sale sullo sparti- acque, sovrapponendosi al Miocene, che molto a Nord, neH’insella- tura fra il Monte Betti ed il poggio Astroni, alla C. Melosa ed al poggio Spannicela (vedasi Carta geologica fogli Grosseto e Siena). — 100 — In questa località il Pliocene scavalca la linea idrotemica e scende nella valle del Gretano per andare a congiungersi, probabilmente sotto la trachite, col Pliocene di Torniella. Questo Pliocene in trasgressione sul Permico, sul Retico e sul Miocene, non può, senza noteveli dislocazioni, appartenenti certo alla categoria delle fratture, trovarsi nella sua attuale posizione rispetto alle assise mioceniche che gli stanno ad oriente, mentre copre regolarmente quelle che gli stanno a ponente. Dove però le dislocazioni ed i movimenti non lasciano ombra di dubbio si è nelle miniere e territorio circostante. Nelle miniere sono note ed accuratamente rilevate numerose interruzioni e spostamenti del banco, designati tutti col nome ge- nerico di faglie ; in parte sono soltanto assottigliamenth^p lacune del banco di carbone, ed in parte minore vere lacerazioni dovute ad accidentalità tettoniche. Esaminiamo dapprima le più impor- tanti fra queste ultime. Dislocazioni nella conca di Ribolla. — • A Ribolla il massimo numero degli affioramenti dei banchi ligniti feri ha una direzione prossima ad E-W con pendenza verso S. Tale è per esempio l’an- damento generale del banco maestro o primo banco nella miniera di Ribolla propriamente detta, nella quale l’inclinazione del banco va aumentando da W verso E, e cioè dai cantieri di Casetta Papi fin verso il pozzo Costantino, ed è di 38° in media verso S nei lavori del pozzo Cortese. Così pure gli affioramenti del 3° e 4° strato lungo il Raspollino, a levante della miniera di San Fenolo sono diretti N 60° E e pendono da 15° a 25° gradi verso Sud. E tale è all’ incirca la direzione media dell’appoggio eocenico fra Montemassi e la Collacchia, Però un gravissimo ed importante disturbo interrompe preci- samente a San Fenolo questa apparente regolarità. In questa miniera il banco maestro, potente fino a 14 m., è diretto a N 30° W ed inclina nella sua parte settentrionale (San Fe riolo nuovo) di 68° verso W. L’inclinazione sembra scemare verso — 101 — S, ma la direzione si mantiene immutata sopra una lunghezza di oltre 400 metri. La singolarità principale però di questo banco di San Feriolo ' si è che contro di esso, dalla parte del letto, vengono a battere le testate del fascio inferiore di banchi lignitiferi (III e IV banco) che affiorano più a levante lungo il Raspollino, con direzione che ab- biamo veduto or ora essere all’ incirca normale a quella di San Feriolo, e pendenti verso S. Siccome 1’ affioramento, chiamato già dal Savi di Poggio Moretto, si trova precisamente nella località dove avviene l’incontro delle testate dei banchi, questa insolita accidentalità è stata causa di una serie di lavori di ricerca sfortu- nati diretti ad incontrare il 3° e 4° strato, assai sottili e non colti- vabili in quel punto, lavori giunti quasi a sfiorare, dalla parte del letto il potente banco della miniera nuova di San Feriolo, senza incontrarlo. Difatti, in tempi diversi, sono stati praticati al letto del banco di San Feriolo una galleria, detta di scolo, di quasi m. 200 di lunghezza, ed una trincea, diretta da S a N, la prima delle quali corre per lungo tratto parallela, a 2 metri di distanza dal banco maestro. Quest’ultimo è stato scoperto molto dopo, quasi accidentalmente con un pozzino di ricerca che ne incontrò la te- stata coperta da 4 metri circa di terreno di alluvione. Attualmente un grande scavo a giorno, fatto per ricavare dalle alluvioni antiche terra per i riempimenti, ha messo a nudo il terreno miocenico, e chiarito le eccezionali condizioni strati grafiche di quel punto. Nei primordi delle miniere lignitifere questa anormale dire- zione del banco nei pressi di San Feriolo era certamente nota. Il Savi parla già nel 1843 di un’affioramento di Poggio Moretto « di- retto da S.S.E ad O.N.O, ed inclinati a S.S.O »; in seguito ^ San Feriolo è il nome attuale deH’antica miniera di Poggio Moretto, detta anche di Monte Massi in altri tempi. 7 — 102 — l’antica miniera di Poggio Moretto o di San Ferlolo vecchio ha esplorato il banco immediatamente a S dell’attuale miniera di San Fenolo nuovo. Senza alcun dubbio il pozzo Toscano ha incontrato lo stesso banco maestro alquanto più a S ancora. Siccome lungo tutti questi lavori esso sembra appoggiarsi alle colline che si elevano ad E, questa sua posizione deve aver fatto pensare ad una notevole discordanza fra i due gruppi di strati di carbone ed è stata la causa per cui lo Haupt suppose le citate colline formate da un terreno più antico, ed attribuì al Miocene, sotto il nome di gonfolite, le allu* vioni ciottolose che le coprono, intercalandole fra il ed il 2° gruppo degli strati di lignite. La cartina del 1890 (XVIII, tav. VII), che si fonda del resto sulla vecchia carta Haupt, pure attribuendo al- l’Eocene il nucleo delle colline, è ancora in quest’ordine d’idee perchè segna una striscia di conglomerato miocenico intorno a queste. A qual genere di dislocazione è dovuta l’anormale direzione del banco della miniera di San Feriolo ? L’incontro ad angolo quasi retto delle testate dei banchi infe- riori col banco maestro non è conciliabile con una semplice ripiega- tura, per quanto brusca; data la forte inclinazione del banco, vi deve essere stata necessariamente una lacerazione con notevoli movimenti e scorrimenti. Quindi bisogna ammettere un’importante frattura h Conforta pure l’opinione di una notevole dislocazione nella re- gione di San Feriolo, l’ andamento del banco di Ribolla nella sua parte più orientale e più vicina alla supposta frattura ; il banco, a lavante del pozzo Costantino, accenna a passare gradatamente dalla direzione E.W alla N.S, volgendo verso S con pendenza a W ; poi ad un tratto formando un’ acuta cuspide si volge a N 30° E con fortissima pendenza ad E. Disgraziatamente fra questo punto ^ Siccome l’accidente stratigrafico di San Feriolo per la sua singolarità ha importanza non solo locale, ma presenta un’interesse scientifico generale, mi riservo di farne argomento di studio speciale in altra occasione. 103 — estremo e la miniera di San Feriolo v’ha una striscia di oltre 800 metri di larghezza finora completamente inesplorata, e co- perta dalle alluvioni antiche, e bisogna quindi attendere dai la- vori, che indubbiamente dovranno farsi in avvenire, la risoluzione dell’interessante quesito. Dislocazioni nella conca di Casteani. — A Casteani il banco di lignite della miniera, affiora, o meglio affiorava prima di essere colti- vato, lungo il fosso Manieratico, con direzione analoga a quella di San Feriolo, e cioè N 15° E e pendenza dolce di 15° a 20° verso W. Queste condizioni si mantengono costanti in tutti i lembi di banco conosciuti. Il banco però presenta una serie di disturbi, una parte dei quali sono stati paragonati a rotture o faglie longitudinali più o meno vicine aU’orizzontale, per cui il banco è diviso in una serie di lembi paralleli allungati da S a N leggermente spostati gli uni rispetto agli altri, come mostrano le figure della tav. II. Verso S tutte queste strisce parallele di carbone sono brusca- mente troncate lungo una linea diretta all’ incirca N 50° W che è stata sempre considerata come una delle solite interruzioni ' oriz- zontali, ma che è invece una vera e propria frattura trasversale della massima importanza, come mi hanno dimostrato lo studio del terreno e le determinazioni dei fossili usciti da un vecchio poz- zino d’ indagine. Questa frattura può già essere sospettata dall’esame della su- perficie, perchè, tagliando essa obliquamente il poggio di Casteani, passa fra il pozzo Dispensa e la casa padronale, a S di questo, e porta a contatto diretto, alla superficie stessa, le argille a cardium del letto, colle argille ciottolose ed i conglomerati del piano inferiore della serie lignitifera. A N del pozzo il terreno su- perficiale è totalmente argilloso, ed il pozzo stesso ha attraversato per 73 m. le argille del letto; a S incominciano quasi subito le argille ciottolose coi caratteristici ciottoli di eurite tormalinifera. In miniera, pochi metri a S del pozzo, il banco di carbone finisce, e gli avanzamenti verso S delle gallerie in direzione sono in ste- — 104 — file, per modo che sotto la casa padronale non v’ha alcun lavoro di coltivazione o di ricerca. Ogni dubbio che queste circostanze avessero potuto lasciare, è stato tolto dal pozzino di ricerca già nominato nelle pagine che precedono, da cui furono tratti i fossili del Miocene medio, raccolti dall’ing. Ciampi e determinati dal dott. Nelli. Questo pozzo scavato sulle falde occidentali del poggio, a S dal pozzo Dispensa, collo scopo di rintracciare la continua- zione del banco, oltre la presunta lacuna orizzontale, dopo avere attraversato per 40 m. le argille ciottolose, ha trovato al di sotto di queste gli strati marini. Nella prima figura della tav. II si riproduce una sezione lon- gitudinale del poggio di Casteani, nella quale è stato tenuto conto di tutti i fatti sovra esposti. Solo l’inclinazione della frattura è segnata arbitrariamente, non essendo stato possibile determinarla coll’esame dei lavori di miniera, diventati ora inaccessibili in quel punto. La superficie coperta da coltivazioni agricole e dalle sca- riche delle escavazioni, non consente osservazioni attendibili. La direzione della frattura però risulta assai bene dalla pianta ed è prossima alla direzione NW-SE, vale a dire sarebbe diretta preci- samente verso la Collacchia. Non è improbabile che la frattura oltrepassi quest’ ultima in- sellatura e si prolunghi verso S, perchè la fascia di conglomerati miocenici che avvolge il poggio delle Nebbia] e, come si vede dalla carta geologica, è interrotta nella conca di Ribolla per un certo tratto, lungo il quale le argille a Cardium coperte da un velo di alluvione, vengono a diretto contatto dell’Eocene. L’altezza dello spostamento nei pressi del pozzo Dispensa, non dev’essere minore di cento metri circa, perchè precisamente sotto questo, profondo 73 m., e che non è stato proseguito vertical- mente fino al banco, ma lo ha raggiunto con una traversa, la lignite è portata dalla frattura in contatto degli strati marini, la- sciando sopra di sè a S, oltre la faglia, tutta la potentissima serie di argille e conglomerati del letto. — 105 — E’ probabile che anche nella conca di Ribolla esista una simile frattura con direzione prossima da E a W a N della miniera; difatti dietro questa, a settentrione della comunale per Monte Massi, si eleva il poggio su cui sta il podere di Poggio Morettino, quasi iso- lato e costituito dai conglomerati rossi inferiori. Siccome a N di esso ricompaiono le argille, indi riaffiorano i conglomerati pog- gianti sull’Eocene, è presumibile che esista un disturbo parallelo alla direzione, in relazione coll’ inclinazione piuttosto forte del banco verso S. Le « faglie ». — Oltre le grandi fratture o spostamenti di San Fenolo e di Casteani, ora descritti, che hanno certamente impor- tanza regionale, il banco presenta non poche altre interruzioni di minor conto, denominate in miniera genericamente faglie, sebbene sia discutibile se tal nome sia sempre esattamente applicato. Sic- come la lacuna che queste « faglie » determinano nel banco, ha sempre una certa estensione nel senso orizzontale, esse sono pure dette faglie orizzontali, distinguendole in longitudinali e trasversali, a seconda dalla loro posizione relativamente alla direzione e pen- denza del banco. La circostanza più notevole, e che certo ha molta importanza nella spiegazione del fenomeno, frequente in miniera, si è che lungo la presunta superfìcie di spostamento si trova sempre carbone più o meno puro e con maggiore o minore potenza. Cosicché è legit- timo il dubbio che in molti casi la presunta faglia non sia altro che un assottigliamento originario del banco. L’ing. Cortese, il quale, avendo diretto per parecchi anni le miniere, ha potuto farvi pre- ziose osservazioni, richiesto recentemente da me, in una sua let- tera dell’ 11 gennaio 1908, esprime l’opinione che una parte delle faglie di Ribolla non siano che « promontorii sterili, che si avan- zavano nella palude lignitigena, come lingue fangose, e che nel sol- levamento hanno assunto l’aspetto di vere interruzioni del banco, strappando anche il velo di carbone là dove, a una certa profon- dità di palude, si era generato. Così è sorta l’idea che il giaci- — 106 mento di Ribolla fosse tormentato e rigettato da faglie, mentre esso è stato realmente formato in tanti seni separati fra loro da questi nasi melmosi, simili a lingue protendentesi dalla spiaggia ». Tuttavia non deve tacersi che la maggior parte di queste « faglie orizzontali » sono accompagnate da spostamenti più o meno notevoli del banco, cosicché l’ipotesi di un assottigliamento origi- nario non è del tutto soddisfacente. La sezione trasversale della miniera di Casteani mostra la disposizione dei varii lembi del banco di lignite, disgiunti da alcune di tali faglie. Anziché a fratture poco inclinate, quali sono indicate dalle punteggiate della figura, potrebbe supporsi che le accidentalità del banco fossero dovute ad un sistema di pieghe parallele, ma in tal caso non si capirebbe troppo perché soltanto le gambe orientali delle anticlinali, ad onde larghe e dolci, dovessero corrispondere alle parti sottili del banco, mentre quelle grosse si sarebbero disposte secondo le gambe occidentali. Tale, tuttavia, dev’essere stata la spiegazione ammessa nel pe- riodo in cui le miniere furono dirette dallo Haupt, perché allora a questi disturbi degli strati fu dato il nome di selle, riconoscendo che esse non solo restringono, ma rigettano gli strati. (Vili, 210). Nella miniera di Ribolla sono pure state riconosciute non po- che di tali interruzioni, alcune delle quali, fra le minori, sono ri- prodotte nelle figure inferiori della tav. II. Anche qui però le « faglie » più importanti sono sempre accompagnate da disturbi stratigrafici sensibili. In complesso, indipendentemente da quanto si é potuto de- durre dallo studio della regione circostante e che ho riprodotto nella sezione n. 11 della tavola II di profili della Carta geologica della Toscana, i lavori minerari! hanno dimostrato direttamente che il terreno lignitifero nella parte esplorata e prossima a.gli affioramenti, é interessato da notevoli disturbi stratigrafici, forse non minori di quelli che mostrano i terreni coevi della formazione solfifera in Sicilia Essi sono indizio di notevoli movimenti avvenuti dopo il 107 Miocene, probabilmente in due volte almeno ; una prima ancora della deposizione del Pliocene, che è in trasgressione ed in discor- danza sul Miocene; l’altra durante il Quaternario, forse quando avvennero le eruzioni trachitiche, perchè il Pliocene si presenta pure dislocato sebbene in misura minore del Miocene. CAPO V. — Caratteri e proprietà della lignite. Le proprietà ed i caratteri della lignite di Ribolla e Casteam sono state descritte troppe volte per che sia necessario soffermarsi a lungo su tale argomento. Si tratta di una lignite picea, di un nero quasi perfetto, che sotto il punto di vista tecnico, si avvicina molto a talune qualità di litantrace magro a lunga fiamma. Molte analisi ne sono state pubblicate in vari tempi, stampate e ristam- pate più volte. Le più recenti delle analisi pubblicate risalgono al 1888 e si trovano in un opuscolo fuori commercio (XIX) che riferisce le espe- rienze sui combustibili e minerali italiani fatte dall’ing. G. Sagramoso. Siccome l’opuscolo è 'divenuto rarissimo, stimo assai utile ripro- durre qui l’analisi in questione, non facilmente reperibile. Il carbone analizzato fu estratto dalia miniera di Ribolla e pre- cisamente dal cantiere detto Casetta Papi, che si trova fra la Ri- bolla e la Follonica, vicinissimo a quest’ultimo torrentello, nel cui letto esisteva anzi un affioramento non più visibile ora. Oltre al carbone fu pure analizzato un prodotto della miniera Casteani, chiamato trito di miniera, nome con cui si designa la spaz- zatura dei cantieri, impropria a qualunque uso e che si gettava allo scarico. Riproduco pure quest’analisi, sebbene si tratti solo di un miscuglio accidentale ed artificiale di carbone e di sterile, perchè di esso sono state analizzate con molta accuratezza non solo le ceneri, ma anche quella parte di sostanza lapidea (scisto argilloso) che non essendo intimamente mescolata al carbone, poteva esserne separata con un’accurata scelta in laboratorio. - 108 — Il confronto delle analisi fra le ceneri del carbone, del trito e di questa sostanza scistosa, cruda e calcinata, offre argomento a qualche interessante considerazione. Quadro I — Composizione immediata della lignite. COMPONENTI Lignite fresca Lignite essiccata 1 a 100° i Acqua igroscopica i:i.i5 Ceneri 8.86 100 10.21 100 Materie volatili 37.79 43.50 Carbonio fisso 40.20 46.29 Zolfo totale 2.701 3.110 » combustibile 2.598 2.991 » incombustibile 0.103 0.119 Quadro II — Composisione elementare della lignite. COMPONENTI Lignite fresca Lignite essiccata a 100° Acqua igroscopica 13.15 Ceneri 8.86 10.21 Carbonio 55 . 66 64.08 Idrogeno 4.62 5.32 Ossigeno 11.35 13.07 Azoto 3.76 4.33 Zolfo (combustibile) 2.598 2.991 99.998 100.001 — 109 — Quadro III — Composizione immediata del trito di miniera \ COMPONENTI Lignite fresca Lignite essiccata a 100" Acqua igroscopica 10.07 . . Ceneri 26.93 100 i 29.94 100 Materie volatili 30,00 33.36 ! Carbonio fisso 33.00 1 ’ 36.70 Zolfo totale 3.10 3.45 » combustibile 2.54 2.83 » incombustibile 0.56 1 0.6-2 Quadro IV — Composizione elementare del trito di miniera ^ COMPONENTI Lignite fresca Lignite essiccata a 100° Acqua igroscopica 10.07 Ceneri 26.97 29.91 Carbonio 39.12 43.51 Idrogeno 3.69 4.10 Ossigeno 14.41 16,02 Azoto 3.24 ' 3.60 Zolfo (combustibile) 2.54 1 2.83 ^ Polvere di rifiuto della miniera Casteani. — 110 — Quadro Y — Analisi delle ceneri delle ligniti e dello scisto associato. COMPONENTI I II IH a) i ! IV 6) 1 Silice 24.97 47.22 35.50 ' 43.69 Allumina 29.42 20.14 22.45 1 27.63 Calce 6.09 3.89 10.05 12.37 Magnesia 1.38 2.17 1.88 1 2.31 Perossido di ferro ......... 35 05 21.38 9.25 ! 11.38 Anidride solforica 2.92 5.20 1.48 1.82 Anidride fosforica 0.17 Ossido di manganese •• •• . 0.64 0.80 Perdita al fuoco 0, COg) 18.75 I. Scisto della lignite di Casetta Papi, di cui sono date ie analisi immediata ed elementare nelle tabelle 1^ e 2^. II. Ceneri contenute nella misura del 26.93 per 100 nel trito di miniera (analisi 3^ e 4*'). III. Scisto argilloso intercalato fra 1 pezzi del trito di miniera di peso specifico 2.228. a) Crudo. h) Calcinato. Per quanto riguarda la composizione del carbone richiamano Tattenzione l’alto tenore di azoto, molto superiore anche a quello dei litantraci e l’elevato tenore di solfo combustibile. Quest’ultimo, se si pon mente anche alla forte quantità di ferro contenuta nelle ceneri è senza dubbio dovuto in gran parte alla pirite esistente nel carbone, spesso visibile in squamette sulle facce di schistosità. Però l’alto tenore di solfo registrato nella tabella è una peculia- rità del campione, perchè secondo il Toso (XVIII, 74- 75), le ligniti del giacimento di Ribolla (Montemassi) hanno tenori di solfo assai più bassi ed appena superiori in qualche caso all’l per cento. — Ili — Il tenore di azoto è veramente rilevante; secondo il Sagra- moso la lignite della Bruna ne contiene tre volte tanto quanto i litantraci che ordinariamente si sottopongono alla distillazione nelle officine di gas illuminante. Da questa ricchezza in azoto deriva senza dubbio il fatto che i prodotti della distillazione della nostra lignite hanno reazione alcalina, come quasi tutti i litantraci, anziché acida come la maggior parte delle ligniti. Nell’analisi delle ceneri di carbone di Casetta Papi, oltre al forte tenore in ferro dovuto alla pirite, salta subito agli occhi la sensibile prevalenza della allumina sulla silice, ciò che basta a in- dicare che le ceneri non sono dovute unicamente all’argilla marnosa che può inquinare il carbone, ma che vi debbono essere altre so- stanze minerali commiste. Si potrebbe pensare alla presenza nel carbone di quel singolare composto organico che è la mellite (Ci2 Ojo A]„ 18H, 0), proprio appunto di talune ligniti, ma in tal caso dovrebbe essere così abbondante che sarebbe strano non fosse mai stato finora rinvenuto in cristalli o almeno macroscopico, nelle miniere della Bruna. La presenza dell’acido solforico nelle ceneri suggerisce l’idea del solfato semplice di allumina o di un allume che dagli scisti incassanti ricchi di sostanza carboniosa e finamente impregnati di pirite, e per ciò nelle migliori condizioni per dar luogo a terre al- luminose, potrebbe essersi infiltj*ato colle acque circolanti nelle fen- diture di ogni genere che solcano il banco. Ma la quantità di acido solforico rivelato dall’analisi non è nemmeno essa sufficiente a spie- gare tutto l’eccesso deU’allumina sulla silice e conviene per ciò am- mettere la presenza di quei silicati di allumina idrati con eccesso di allumina sulla silice, del gruppo dell’ allofane, o di quelle miscele di silicati idrati e di idrossidi di allumina del genere della collirite. Siccome in questo caso si tratta anche di prodotti diretti od indi- retti delle terre alluminose, è necessario ammettere che le argille carboniose al tetto ed al letto del banco si trovano almeno local- mente ed in vicinanza della superficie, in tali condizioni. Altro in- — 112 dizio di tal fatto si ha nella natura delle acque di miniera cariche di solfati in soluzione^ Le analisi delle altre ceneri, del trito e dello scisto crudo e calcinato, confermano queste deduzioni, perchè se pel forte conte- nuto di scisto argilloso non mostrano più la prevalenza dell’allu- mina sulla silice, contengono sempre notevoli quantità di acido sol- forico, anche nello scisto crudo, ed hanno un rapporto fra silice ed allumina assai più elevato di quello che si riscontri nell’analisi delle argillle ordinarie. Questo fatto spiega inoltre la poca o nessuna fu- sibilità delle ceneri delle nostre ligniti. Queste accurate analisi delle ceneri dànno altresì un criterio per giudicare fino a che punto siano attendibili le cifre delle due analisi elementari del combustibile, sopra riportate, e spiegano anche talune anomalie rivelate dal confronto fra di esse. La so- stanza lapidea inquinante il carbone è certamente una miscela di scisto marnoso, con silicati di allumina idrati e con piriti di ferro. Contiene perciò acqua combinata ed acido carbonico, i quali si estri- cano, forse non totalmente, nel tubo di combustione, e che ven- gono ad influire sulla determinazione del C, dell’H e dell’O. Di più le piriti perdono, durante l’ossidazione, lo zolfo che si deter- mina, ma che è sostituito dall’ossigeno per formare Fe^ 0., oppure rimane combinato con altro assorbimento di ossigeno per formare del solfato di ferro, di calce o di allumina. Quindi tutte le cifre corrispondenti agli elementi sovra enumerati od alle ceneri presen- tano, sotto il punto di vista scientifico, una tal quale incertezza, mentre sono più che sufficienti per gli scopi tecnici a cui le de- stinava ring. Sagramoso nel suo eccellente lavoro. Queste considerazioni spiegano, p. es., come nella composizione elementare del trito di miniera con 26.57 per 100 di ceneri figuri “ Lo Haupt (Vili, 203) accenna alla presenza di un alluminato di ferro (s/c) nelle argille superiori. Suppongo che abbia creduto designare con tale espressione ciò che in tedesco si chiama Thoneisenstein^ cioè la sferosiderite con- crezionare nelle argille. — 118 — un tenore di ossigeno notevolmente superiore a quello del carbone di Casetta Papi, che pure non ha che r8.86 per 100 di ceneri. L’unica quantità paragonabile fra la parte organica delle due analisi oltre l’azoto, è l’idrogeno libero fettivamente, se non rigorosamente proporzionali, almeno più in armonia colle rispettive percentuali corrispondenti di materia com- bustibile scevra di ceneri e di acqua igroscopica. Potere calorifico ed evaporante. — Il potere calorifico della li- gnite di Ribolla e Casteani oscilla fra le 4200 e le 5400 calorie, ed è stato finora solo determinato o col metodo di Berthier o con quello di Dulong fondato sulla composizione elementare, com’ è detto nelle relative pubblicazioni; non v’ha, che io sappia, alcuna determinazione coi metodi moderni calori metrici diretti, come quello del Mahler. In grazia di una cortese comunicazione fattami dall’ing. P. Ma- rengo, amministratore delegato della Società delle miniere di Mon- tecatini, sono in grado di pubblicare una determinazione pratica molto attendibile del potere evaporante delle ligniti di Val di Bruna, dedotta dai risultati ottenuti nell’impianto di caldaie a vapore nella miniera di Boccheggiano, dove per molti anni s’impiegò la lignite delle non lontane miniere di Casteani e Ribolla. Le caldaie del- l’impianto erano di tipo Cornovaglia. I valori sono dedotti dai ri- risultati di 29 mesi d’esercizio, dall’agosto 1898 a tutto dicembre 1901, durante i quali si pesava regolarmente ogni giorno il combusti - bile bruciato, il residuo incombusto {ceneri pratiche) e si misurava il consumo di acqua di alimentazione. Il carbone proveniva promiscuamente ora da Ribolla ora da Casteani e come lo dimostra l’elevato tenore medio di ceneri pra- tiche, si adoperarono anche qualità scadenti, che si dovettero ab- battere per soddisfare gli impegni, essendosi in quel periodo svi- luppato a Ribolla un incendio che costrinse ad abbandonare molti dei cantieri migliori. I risultati della produzione di vapore sono stati, nella media generale di 29 mesi, di 5.23 kg. di vapore per ogni kg. di li- gnite bruciata (potere evaporante lordo), con una percentuale di ceneri pratiche del 21.46. Deducendo le ceneri, la quantità di car- bone effettivamente bruciata avrebbe prodotto per ogni kg. 6.68 kg. di vapore (potere evaporante netto). Il massimo e minimo potere evaporante lordo furono rispettivamente di 6.87 e di 3.52 kg.; il massimo e minimo lordi delle medie mensili 5.68 e 4.78. Il massimo e minimo di ceneri oscillarono fra il 40.40 ed il 10 %. Notevolissimo il risultato che il massimo potere evaporante lordo non corrisponde al minimo di cenere, ed il massimo potere evaporante medio lordo e netto rispettivamente di 5 . 68 e di 8.30 kg. furono otte- nuti da un carbone col massimo medio di ceneri di 31.50%, con un potere evaporante lordo di 5 . 68, superiore cioè alla media. Questi risultati, che sembrano anormali, sono stati ottenuti negli ultimi 12 mesi del periodo considerato e possono dipendere da una più abile condotta del fuoco, dagli operai, che avevano acquistato maggior conoscenza del combustibile impiegato e lo adoperavano nel modo più efficace ; ma la differenza è così costante e notevole, che bisogna pure ammettere nella parte effettivamente combustibile del carbone più inquinato dallo scisto un potere calorifico maggiore che non nelle qualità più pure. E orna, giugno 1908. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. Tavola I. 1 Pozzo Toscano — 2 Pozzo San Feriolo nuovo — 3 Pozzo Ribolla — 4 Pozzo Casetta Papi — o Pozzo Costantino — 6 Pozzo Cortese — 7 Pozzo Ximenes — 8 Pozzo Dispensa — 9 Pozzo Teodoro — A Pozzino di ricerca a Casteani — B Pozzino di ricerca al Pian del Melo. Tavola II. Sesioìiì longitudinale e trasversale del Poggio di Casteani. udì = argille superiori a Gardiiim della serie lignitifera. ndi = argille e conglomerati inferiori della serie lignitifera, nim = miocene medio marino. f = frattura. II. jB. Lotti. — La faglia inversa Lngnano-Monte Tolentino^ tra Faltipiano di Rieti e quello di Leonessa, Nella descrizione della geologia dei dintorni di Rieti, che fu oggetto di pubblicazione in questo periodico nell’ anno decorso \ ebbi occasione di porre in rilievo la presenza nella parte occiden- tale del gruppo del Terminillo di un accavallamento o faglia in- versa, che dalla strada rotabile di Lugnano, rasentando ad Est il Monte Calcarone e il Monte Palloroso, poteva seguirsi per oltre dieci chilometri fino al Monte Macchialaveta sullo spartiacque fra il bacino di Rieti e quello di Leonessa. Aggiunsi che questa dislo- cazione proseguiva verso N.E, essendo stata riconosciuta dall’ in- gegner Crema sulla pendice settentrionale del Monte Leprino, e che forse doveva ricercarsi anche più oltre ad oriente del Monte Catabio, presso la Forca dei Faggi, dove, secondo il rilevamento del Moderni, il calcare del Lias superiore sembrava ricoprire la scaglia senoniana, il Neocomiano, il Lias superiore e il Lias medio. Questa faglia nel versante di Rieti si manifesta segnatamente per affioramenti interrotti di strati di calcare retico, posti sopra un allineamento rettilineo, lungo il quale questo calcare sovrap- ponesi indifferentemente a terreni più giovani, a cominciare dal Lias medio fino al Neocomiano, con la superficie di contatto inclinata nello stesso verso degli strati retici sovrastanti, e quasi concordante con quelli più giovani sottostanti. ^ B. Lotti. Osservasioiii geoìogiclie nei dinfornì di Rieti. (Boll. Comit, geo- logico, 4, 1907). — 116 — Due tagli quasi naturali dilucidavano queste condizioni stra- tigrafìche. Nella decorsa campagna geologica estiva fu mia cura di stu- diare la prosecuzione di questa faglia verso N.E nel territorio di Leonessa, ove infatti potei constatare la sua presenza e rendermi conto delle sue condizioni tettoniche non solo nel versante nord del Monte Macchialaveta, dove era stata notata, come fu detto, dal Crema, ed alla Forca dei Faggi, tra il Monte Catahio e il Monte di Cambio, dove il rilevamento del Moderni segnalava con- dizioni anormali di rapporti stratigrafici, ma anche più oltre verso nord, nel Monte Tolentino, dove, pure secondo il rilevamento del Moderni, si vedevano le varie formazioni secondarie, dalla scaglia al calcare neocomiano, questo compreso, in zone regolari che ri- cingono la massa di calcare basico del monte stesso prima da sud verso N.E, poi, di seguito, da est verso N.O immergendo sotto di essa. Ai dieci chilometri circa che misurava la faglia Lugnano- Monte Macchialaveta devonsene pertanto aggiungere ora altri quat- tordici che dànno così alla intiera faglia una lunghezza di venti - quattro chilometri circa. Però la faglia che da Pugnano corre rettilinea, da S,0 a N.E, fino all’incontro del piano di Leonessa, da questo punto fino al Monte Cornillo a nord del Monte Tolentino, dove sembra aver fine, corre invece da sud a nord. La ragione di tale deviazione dobbiamo forse ricercarla nel fatto che proprio nel punto di deviazione, al piede N.E del Monte Catabio, la faglia inversa di cui è parola viene tagliata quasi nor- malmente da un’altra grande faglia, questa però diretta, che dal piede settentrionale del Monte La Pelosa ad O.N.O di Leonessa giunge fin presso Posta sul F. Velino con circa 17 chilometri di percorso, lungo la quale faglia si ha per uno stesso strato un rigetto di oltre 700 metri. Nel versante reatino del Monte Macchialaveta la linea di con- tatto della faglia Lugnano-Monte Tolentino è scortata ad ovest 117 - dal Ketico e ad est successivamente, salendo, dal Lias medio, dal Lias superiore, dal Giurassico medio e superiore e dal Neocomiano. Il calcare retico però non raggiunge lo spartiacque, dove invece il contatto per faglia avviene fra il calcare del Lias inferiore ed il calcare giurassico, fors’ anche in parte neocomiano, ma oltrepassato di poco lo spartiacque, scendendo in Vallonina sulla sinistra del Tascino, scuopresi di nuovo il Retico costituito dal solito calcare compatto o granulare, grigio, dolomitico, di lucentezza un po’ madreperlacea e fetido. Esso viene in contatto successivamente, dall’alto al basso, col calcare giurassico, con gli scisti a fucoidi e col calcare neocomiano del Colle Organo. Dall’altro lato del Tascino \ cioè sulla destra, nel Bosco Val- lonina il calcare del Lias inferiore sovrapponesi direttamente alla scaglia rossa fino alla Forca dei Faggi, che è la sella fra il Monte Catabio e il Monte di Cambio, ambedue formati da calcare del Lias inferiore. Percorrendo il dorso di questa sella da N.O a S.E, dalla scaglia sottostante al Lias inferiore si passa agli scisti o fu- coidi dell’Aptiano, al calcare neocomiano e al calcare giurassico, il quale si addossa direttamente alla massa basica del Monte di Cambio. Una esigua finestra aperta nel calcare giurassico lungo una valle- cola che scende verso ovest dal vertice del Monte di Cambio lascia vedere uu piccolo lembo di calcare marnoso rosso con ammoniti del Lias superiore. Il calcare giurassico è qui del più tipico ed è for- mato dal solito calcare bianco granulare a crinoidi, con strati di ^ Il torrente Tascino, che passa sotto Leonessa, non è che il tratto più elevato del torrente Corno che scende al fiume iN’era ed è perciò chiamato anche Tascino di Corno. Questo nome di Tascino che con lievi variazioni troviamo applicato a diversi torrenti di questa regione, è considerato dai pae- sani come nome comune e quasi sinonimo di torrente. Così, come feci osser- vare altra volta, oltre questo Tascino di Leonessa abbiamo il Tescino di Terni, il Tissino di Spoleto, il Tissino di Ponte di Cerreto. Potrebbe fors’anche esi- stere una relazione fra questi nomi di torrenti e quello del fiume Ticino (fran- cese Tessìn). 8 — 118 — brecciola colitica punteggiata di minuscoli frammenti rosei, essa pure con crinoidi. Scendendo dalla Forca dei Faggi, al piano di Leonessa vedesi il calcare del Lias inferiore del Monte Catabio addossarsi successi- vamente alla scaglia, agli scisti a fucoidi, al calcare neocomiano, al calcare giurassico, ai calcari marnosi del Lias superiore ed ai calcari con selce del Lias medio, in zone non molto potenti e leg- germente inclinate verso N.O, come mostra la uni- ta sezione (fìg. 1) alla sca- la di 1 : 50,000. Sotto alla Rocchetta scendendo verso Pie’ di Poggio, presso il piede nord del Monte Catabio, il contatto per faglia av- viene anche fra Lias inferiore e Lias inferiore, ma si osserva che la parte di esso Lias inferiore scorsa sopra presenta delle sezioni di Me- galodus che ordinariamente segnano il passaggio tra il Lias inferiore e il Retico, come avviene nel Monte Pali oroso e nel IVfonte San Pancra- zio presso Calvi h mentre la parte sottostante, che servì di letto allo scorrimento, è costituita in prevalenza da quel calcare grigio ten- dente al roseo, con crinoidi, che trovasi di solito al passaggio fra il Lias medio e il Lias inferiore ^ Da questo punto per tre chilometri e mezzo, procedendo verso nord, le tracce della faglia si perdono sotto il detrito di falda, il Quaternario ed il Pliocene lacustre del piano di Leonessa, ma circa 600 metri ad Est di Vallunga, al piede meridionale del Monte To- lentino, in una vallecola che scende in direzione meridiana dal Monte Forra fleiFapgf MaiiCaiulao mo lostt ^ B. Lotti, loc. cit. e I terreni secondari nei clinforni di Narni e di Terni. (Boll. Comit. geoL, 1903). “ B. Lotti, I terr, second,, 1. c. — 119 — di Volciano, propaggine del Monte Tolentino stesso, si osserva che il calcare del Lias inferiore viene in contatto successivamente, dal- l’alto in basso, con la scaglia rossa del Senoniano, col calcare bianco probabilmente cenomaniano, con gli scisti a fucoidi dell’Aptiamo e col calcare bianco con selce del Neocomiano, come viene indicata dalla qui unita sezione (fig. 2) alla scala di 1 : 50,000. Sulla pendice meridionale del Monte di Volciano gli strati dei terreni secondari superiori sono quasi orizzontali e vanno ad urtare bruscamente contro la massa del Lias inferiore ; a cominciare però M-Oniejitro M.Toìenfuio T-VrillcLiii'iyi/ 120a tiTZ .920 dalla sommità del monte stesso, andando verso nord, il contatto fra il Lias inferiore e la scaglia rossa segue una linea di livello per circa cinque chilometri, girando il lato orientale della massa basica del Monte Tolentino prima da S.O a N.E poi da S.E a N.O. Lungo questa bnea la scaglia immergesi costantemente e con pendenza minima sotto alla massa calcarea del Lias inferiore, avendo sotto di sè la serie regolare degli altri terreni secondari inferiori fino al Neocomiano, essi pure leggermente inclinati verso l’interno del monte, salvo in una piccola area sopra Vindoli, dove la scaglia rossa, forse per un franamento locale in massa, inclina piuttosto fortemente in senso opposto. Evidentemente dunque in questa parte orientale del Monte Tolentino il calcare del Lias inferiore cuopre la scaglia senoniana con contatto quasi orizzontale e la sezione non può essere che quella rappresentata dalla figura 2. — 120 — F La conformazione dei terreni cretacei in sinclinale coricata e smembrata nel ramo superiore, come apparisce nel taglio, non è arbitraria ma è resa verosimile dalla disposizione in sinclinale delle formazioni stesse nel Monte Cornillo all’uscita di queste a nord, disotto alla massa del calcare basico del Monte Tolentino. Questa zona di ricuoprimento non sembra prolungarsi più oltre a settentrione del Monte Tolentino, dove le formazioni secon- darie superiori pare che si succedano regolarmente, almeno per un certo tratto fino al Monte Pizzo; ma non può asserirsi con tutta sicurezza, per ora, che qualche traccia di tale dislocazione non abbia a ricomparire procedendo in questa direzione verso Cascia, e dovremo attendere per questo che il rilevamento venga esteso ad una gran parte del torrente Corno, ciò che sarà fatto nella prossima campagna geologica estiva. In questa regione umbro-abruzzese la faglia inversa di cui è parola fa parte di un sistema di dislocazioni parallele con preva- lente direzione N.N.E-S.S.O, in parte pieghe ribaltate, in parte accavallamenti con rottura o faglie inverse che misi in evidenza altrove ^ e di cui la più importante è quella che da Rivodutri spingesi verso Monteleone di Spoleto. In un prossimo lavoro dimostrerò che essa continua nella stessa direzione fin quasi al Ponte di Cerreto in Val di Nera. Un’altra dislocazione parallela, e non molto distante dalla fa- glia Lugnano-Monte Tolentino, si verifica più ad Est ed è stata seguita nel corso del rilevamento geologico da Paterno sul Velino, presso la sorgente di Peschiera, fin oltre Cittareale per circa 35 chilometri, passando per Micigliano, Monte Jazzo, Favischio, Monte Boragine ; ma delle condizioni tettoniche di questa sarà detto in un prossimo numero di questo Bollettino. Queste ultime due dislocazioni parallele, dirette da N.N.E a ^ B. Lotti, Sui risultati del rilevamento geologico nei dintorni di Piedi- luco, ecc. (Boll. Comit. f?eol., 1906). I — 121 — S.S.O, che passano per F altipiano di Leonessa, sono tagliate quasi normalmente dalla grande frattura con rigetto Monte La Pelosa - Posta di cui fu fatta menzione più sopra; tutte poi sono state riportate nella Carta tettonica del Sacco unita alla sua memoria sugli Abruzzi h ^ F. Sacco. Gli Abrussi. (Boll. Soc. geol. ital.. XXYI, 3). 1907. J i \ À III. M. Cassetti. — A proposito della memoria del prof. Sacco : Il gruppo del Gran Sasso d' Italia Mentre sto attendendo alla compilazione di una piccola nota sulla struttura geologica della Valle dell’ Aterno, mi giunge una memoria del prof. Sacco dal titolo: « Il gruppo del Gran Sasso di Italia ». Alla memoria è annessa una carta geologica comprendente una vasta regione adiacente al Gran Sasso, la quale si estende appunto ^d una buona parte del territorio cui si riferirà la mia nota, e precisamente di quello che abbraccia la valle dell’ Aterno dai pressi di Aquila alla conca di Sulmona, del quale, per incarico dell’Ufficio geologico, ho già eseguito un dettagliato rilevamento. A tal uopo, in detta località, ho fatto, per due anni di se- guito, non poche escursioni in vario senso, ritenute assolutamente necessarie sia per la studio delle varie accidentalità tettoniche ivi esistenti, sia per potere delimitare, con la massima possibile esat- tezza, i diversi e frastagliati terreni che vi affiorano^ sia infine per la ricerca e raccolta dei fossili necessari alla determinazione di tali terreni. Ora se da un canto mi ascrivo a dovere di manifestare all’il- lustre prof. Sacco la mia sincera gratitudine per la sua squisita cortesia nel farmi dono di molti dei suoi lavori, sempre utili e molto interessanti, non posso esimermi dal fare rilevare alcune differenze, più o meno notevoli, che mi risultano confrontando la carta geologica, che illustra la detta sua Memoria, colle mie minute di campagna, differenze che concernono specialmente la determina- w — 124 - zione dell’età di alcune importanti masse calcaree, costituenti la ci- tata valle dell’ Aterno. Lascio ai cultori di paleontologia la soluzione del problema, che da lungo tempo si dibatte, sul riferimento al periodo eocenico o a quello miocenico, di alcuni depositi di calcari terziari a pecten dell’ Appennino e che s’incontrano piuttosto estesi anche nella re- gione di cui mi occupo, dappoiché tale soluzione è principalmente ba- sata sulla discussione, fìnoranon esaurita, della fauna di detti calcari. Mi limito soltanto a quanto riguarda la estensione del calcare secondario, che rappresenta il terreno basa-le della valle dell’ Aterno, rispetto ai successivi calcari terziari, come risulta da sicuri elementi paleontologici. Le accennate differenze si riferiscono tutte alla regione mon- tuosa che s’innalza sulla sponda sinistra dell’ Aterno. Nella carta geologica del prof. Sacco trovo segnata come eoce- nica tutta la massa calcarea, che costituisce la lunga ed elevata catena di monti che dall’alta sponda del Tirino, o meglio dal ter- ritorio di Capestrano, si estende a quello di Navelli, di San Pio delle Camere, di Carapelle Calvisio, e si prolunga fino all’alto monte detto della Selva, a nord di Barisciano, comprendendo successiva- mente: il Monte Asprino, il colle Moscato, il Monte Castellone, il Monte Marrone, il Monte Rotondo, la selva di San Pio, il Monte Gentile, La Serra, il Monte Mattone, il Monte Camarda e la re- gione Force. Dai miei rilievi risulta invece che dell’ accennata catena di monti i calcari riconosciuti eocenici si arrestano alla cosidetta valle di Jena, che separa la Serra o Capo di Colle dal Monte Asprino e che scende dalla pianura di Navelli alla valle del Tirino. Dal fondo di detta valle di Jena, e più precisamente dalle adiacenze della piccola Cappella presso Navelli, sulla rotabile che porta a Capestrano, cominciano ad affiorare i calcari cretacei, e questi proseguono senza interruzione fino a raggiungere il citato Monte della Selva sopra Barisciano. — 125 — Ho infatti constatato, mediante accurate escursioni: 1° Che il monte a cui è addossato l’abitato di Navelli e il contiguo Monte Asprino, sono costituiti di calcari di varia struttura, ma general- mente compatti e semicristallini, i quali mostrano qua e là delle impronte di turriculate e avanzi di rudiste, indeterminabili perchè completamente spatizzati; 2° Che nel monte Castellone sopra Civita- retenga, nel Monte Morrone, nel Monte Rotondo e nei successivi monti di San Pio delle Camere, ma più specialmente nella località denominata la Selva di San Pio, affiorano i calcari di scogliera, aventi una fauna- assai più povera ma del tutto analoga a quella di Colle Pagliare dei Monti di Bagno, illustrata recentemente dal prof. Parona^ e da questi determinata come cenomaniana; 3° Che proseguendo verso Nord vediamo affiorare i calcari a requienie, i quali vanno a costituire i successivi Monte Gentile, Monte Mattone, Monte Viano, Monte Camarda, la Conca della Selva e risalgono verso Santo Stefano di Sessano ; 4° Che finalmente giunti al Monte della Selva ci troviamo di fronte ad una roccia calcarea, i cui ca- ratteri litologici rammentano il terreno liasico. In questo monte ho fatto una sola escursione, ma mi riserbo di studiarlo accuratamente; ad ogni modo i calcari di cui esso è costituito sono indubbiamente secondari. I calcari terziari e certamente eocenici, giacché contengono ab- bondanti nummuliti, che io ho raccolto ed il cui studio è stato affidato al dott. Prever del R. Museo di Torino, cominciano ad affiorare ad ovest del detto monte della Selva e precisamente nella regione La Ville e alla Croce di Poggio Picenze, da dove scendono fin verso l’abitato di questo comune, e per queste località sono per- fettamente esatte le indicazioni del prof. Sacco. Nella carta in esame, è indicato come cretaceo, contornato da ' C. F. Parona. Risultati di uno studio nel cretaceo superiore dei monti di Ragno {^AquiUi). Rend. della R. Acc. dei Lincei. Voi. XXI, serie 5, 2® fase. 4®, 1907. sera.. — 126 — un mantello di breccia, determinata come quaternaria, il deposito che costituisce il monte, sulle cui falde occidentali si appoggia il paese di Barisciano; invece io ho constatato che il calcare cretaceo è soltanto limitato alla parte più bassa del ripido versante orientale di detto monte, da dove si collega a quello del contiguo Monte Castorina, e che il citato mantello, consistente in una massa brec- ciosa fortemente cementata, s’innalza fino alla cima di esso, dove presenta parecchi metri di potenza, e che su questa breccia sorge il diruto castello di Barisciano. Della regione montuosa che si estende a S.E di San Demetrio ne’ Vestini, il prof. Sacco riferisce all’ Eocene tutta la potente massa calcarea che costituisce il gruppo di monti compreso tra gli abitati di Caporciano, Tussio, Prata d’ Ansidonia, San Nicandro, Ripa, Bagnano e San Pio di Fontecchia, del quale fanno parte: il Monte Boria, il Monte delle Macchie, il Monte B uscito, il Monte Cerasa e il Monte Polveroso. Al contrario, dalle mie accurate osservazioni, risulta che tale gruppo di monti è essenzialmente formato di calcari cretacei, appar- tenenti in gran parte alla zona a requienie e in piccola parte alla zona superiore a 'rudiste, dappoiché esemplari di requienie, assai ben riconoscibili, benché generalmente mal conservati, s’ incontrano con maggiore o minore frequenza, nei calcari del Monte Buscito, del Monte Ceraso, del Monte delle Macchie e in quelli che si affacciano lungo le ripide coste dei monti, sulle quali si addossano i paesi di Ripa e di Vallecupa, nonché nei calcari del monte sulla cui cima sorge il vecchio e diruto castello di Prata d’ Ansidonia. I calcari a rudiste appaiono nel Monte Boria e nel vicino Co le Rischia. Il calcare terziario con pecten e foraminiferi, ma senza num- muliti, abbraccia soltanto pochi e limitati lembi sparsi qua e là nella regione in esame e appoggiati più o meno concordemente al calcare cretaceo, e il cui riconoscimento con relativa delimitazione non é possibile se non mediante accurate e minuziose escursioni. Di tali lembi i più estesi sono: 1° quello che comprende la parte più alta dei monti di Fagnano Alto a Nord -Ovest sopra San Pio di Fontecchia, il quale dalle alture del Monte di San Pio pro- segue fino poco al di là dell’abitato di Fagnano, si estende cioè per una lunghezza di circa tre chilometri, ed in larghezza va da sopra Frascara ai pressi di Opi, vale a dire per poco più di un chilometro; 2° quello che occupa l’altipiano soprastante alla costa cretacica su cui è addossato il paese di Ripa, avente presso a poco la medesima estensione del precedente, giacche esso si prolunga fino al di là della chiesuola detta La Maddalena ad Est di Ripa, e comprende gli strati superiori dei calcari del monte che sorge tra la chiesetta di Sant’Antonio sopra Ripa e la cappella dell’Annun- 2;iata; 3° quello che dall’abitato di Fontecchia si estende al Monte Prata Castellana e scende fin presso l’abitato di Santa Maria del Ponte. GH altri lembi di calcare terziario, di molto minore estensione dei precedenti, s’incontrano: uno nel piccolo altipiano adiacente al <}Ocuzzolo del monte in cui giace il diruto castello di San Nicandro, un altro nella parte più bassa della valle interposta tra il Monte Cerasa e il Monte Polveroso, rappresentato da una striscia, la quale dalla Selva di Tussio si inoltra fin presso l’abitato di Castello di Prata ed un terzo che afiiora lungo la falda settentrionale del citato Monte Polveroso. Citerò infine quei due piccoli lembi contigui di ealcare terziario, situati a differente livello ed uniclinali, a causa di una piccola frattura intermedia, i quali si appoggiano sui calcari ■cretacei dei due colli attigui, che s’innalzano a destra della strada provinciale Aternina, a Nord-Ovest presso Vallecupa. In ultimo dirò che i calcari formanti il piccolo e isolato colle, sulla cui estremità S.E è fabbricato il paese di Prata d’Ansidonia, anziché appartenere tutti al Terziario (Eocene), come risulta dalla carta del prof. Sacco, sono invece in gran parte cretacei, giacché mostrano, benché raramente, avanzi di requienie. Soltanto è co- stituito di calcari a jpecten un piccolissimo lembo che abbraccia gli strati più alti di detto colle e sui quali rimane fabbricata la parte — 128 — più elevata del paese, mentre la parte bassa è appoggiata sui cal- cari cretacei. Tralascio di fare menzione di altre differenze, doppoichè riguar- dano principalmente i contorni dei vari depositi che affiorano nella regione in discorso. Esse potranno meglio essere rilevate dal confronto che faranno gli studiosi, tra la Carta geologica annessa alla Memoria del pro- fessor Sacco e quella che verrà quanto prima da me pubblicata ad illustrazione della mia nota sulla Valle dell’ Aterno, alla quale ho accennato in principio di questi appunti. Roma, maggio 1908. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOORAFIA. OEOLOOIO^ ITALTA.]V^ PER l’akn^o 1907 ^ De Stefani C. — / terreni e le acque cloro-sodiche della Salute in Li- vorno. (Mem. della Soc. Toscana di Se. Nat. Yol. NNIII, pag. 88-124). — Pisa, 1907. Dopo un breve riassunto storico della scoperta delle Acque della Salute, Fautore fa la descrizione geologica della regione nella quale si trovano le sor- genti; a questa fa seguito un quadro comparativo della serie dei terreni tra- versati nella perforazione di alcuni pozzi, dai quali si potè rilevare pure che i livelli acquiferi principali sono almeno quattro. Tratta poi della portata e temperatura delle varie sorgenti: quindi della composizione chimica di dette acque, delle quali riporta in un quadro le analisi chimiche di 6 sorgenti. Da ul- timo, fa il paragone di queste acque con quelle di altre sorgenti minerali, sgorganti da altri terreni dei Monti Livornesi. De Stefani C. — Le cave di Granito al Seccìieto nelVisola diElba (opu- scolo di 23 pag.) — Firenze, 1907. Le cave sono aperte nella grande massa granitica del Monte Capanne, fra la punta dei Cavoli e Fetovaia, nella località detta il Seccheto. Sono cave conosciute fin dall’antichità ed i Romani, i Pisani, i Fiorentini vi estrassero grossissimi blocchi, però senza aprirvi veramente una cava nel senso moderno della parola: tutto il monte era una cava dal quale secondo i casi estraevano il materiale di cui abbisognavano. Nell’epoca attuale, la facilità dell’imbarco ha suggerito agli industriali d’aprire una serie di cave lungo il ^ Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d’Italia od hanno rapporto con essa. — 130 — mare, dove però trovandosi i lembi più esterni della massa granitica ed i più vicini alle roccie terziarie, ivi sparite per denudazione, il granito ha assunto una certa scistosità, che lo ridusse in banchi più sottili, che furono più alterati dall’azione delle acque. È indiscutibile però che in tale località la quantità del granito è illimitata e vi si possono estrarre massi di qualsiasi dimensione. De Stefani C. — Dìe Phlegràischen Felder bei Neapel. (Petermann’s Mitteil. — Erganzungsheft N. 156 : pag. 201, con carta geologica e 67 figure nel testo). — Grotha, 1907, Questa estesa ed importante memoria presenta uno studio completo del classico distretto vulcanico dei Campi Flegrei. N'ella sintetica ed erudita intro- duzione si riferiscono brevemente gli accenni degli antichi autori (Aristotele, Eforo, Polibio, Dionigi d’Alicarnasso, Strabono, ecc,) sulla regione, alla quale anticamente si attibuiva una estensione maggiore di quella odierna, e si ac- cenna alla base sedimentaria del distretto vulcanico, costituita in piccola parte da argilla e quasi totalmente dai noti tufi gialli e grigio-cinerei. IS'ella descrizione dei vari apparati vulcanici, cui sono destinati 28 capi- toli sui 38 che costituiscono la memoria, l’autore segue un ordine cronologico dai più recenti ai più antichi. Gli apparati vulcanici, accuratamente descritti in ogni loro particolarità di forma e di struttura sono i seguenti: Monte IS’uovo, Solfatara di Pozzuoli, Montagna Spaccata, Campana e Pisano, Senge o Fossa Lupara, Astroni, Fondo Riccio e Concola, Santa Maria del Cavone e Santa Maria del Pianto, lago di Averno, Cigliano, monte Olibano, Baia e Fondi di Baia; Agnano, Quarto, montagna di Santa Teresa, monte di Cuma, Capo Mi- seno, Bacoli, Campiglione, Teano, Torre Franceschi, Piperno (Pianura, Seccavo, JJ’apoli), traehite di Montesanto, Trapeli- Capodimonte, Posillipo, Fuorigrotta, Monte di Precida, Arco Felice e Monte del Gaudo, Punta dell’Epitaffio, Poz- zuoli, Crateri supposti da alcuni autori. Il Capitolo XXIX tratta della successione dei più profondi strati del ter- reno, rivelata dagli scavi e trivellazioni, e nel seguente capitolo sono esposte le relazioni stratigrafiche, età e successione dei tufi e la cronologia delle ma- nifestazioni vulcaniche^ i cui dati sono raccolti in un quadro sinottico (p. 135), che reca in colonne distinte i fenomeni di esplosione, eruzioni di tufi, eruzioni di scorie ipocristalline, eruzioni laviche. I capitoli successivi sono destinati allo studio della natura delle varie eruzioni, a quello chimico, mineralogico, fisico e petrografico delle roccie. I — 131 — capitoli XXXVI e XXXVII contengono importanti considerazioni sul raffred- damento e consolidamento e cristallizzazione dei loro componenti. Xell’ultimo capitolo si studiano le alluvioni recenti. La nota, ricca di osservazioni e di vedute personali, porta un largo e im- portantissimo contributo alla conoscenza di quella classica regione vulcanica. De Stefani C. — Posso artesiano al Ponte a Elsa nel Valdarno inferiore. (Griornale di Greol. pratica, Voi. V, fase. II-III, pag. 99-103). — Perugia, 1907. L’autore rende conto della riuscita di un pozzo artesiano praticato a Ponte a Elsa (Valdarno inferiore), che alla data di una di lui visita era giunto a circa 28 metri di profondità sotto il suolo, traversando terreni argillosi plio- cenici marini, senza trovare acqua. Dallo studio del terreno circostante l’autore riconobbe la probabilità di raggiungere uno strato sabbioso acquifero, affiorante a circa mezzo chilometro di distanza, approfondendo il foro per altri 15 metri. Infatti a 39 metri fu tro- vata acqua saliente a più di 1 metro sulla superficie del terreno. Per ragioni di cattiva costruzione od altre il pozzo venne poi abbandonato. Diresione del Bollettino del R. Comitato Geologico (Franchi S. e Crema C.) — Riunione annuale della Soc. (3reol. Ital. in Piemonte (Boll, del R. Com. (xeol. d’Italia, Serie 4, Voi. Vili, fascicolo 3®, pag. 222-229). — Roma, 1907. È il resoconto delle sedute e delle escursioni della Società Geologica in Piemonte: il giorno 8 gita ai giacimenti di magnesite del monte Musini e al Castello di Avigliana dove le rocce prasinitiche conservano la tracce dell’antico giaccialo. Il 10 per Superga a Baldissero dove si osservarono diversi piani del Mio- cene e si fece in essi abbondante raccolta di fossili. L’il per la Ressa a sud del Eric Porasso, Roc di Gassino, quindi a Pe- daggio di Bussolino; qui i congressisti videro diversi lembi di Eocene ed in essi fecero raccolta di campioni e fossili ; la sera poi per ferrovia si recarono ad Aosta. Il 12 per la borgata Grand Crè a Villeneuve, Avise, Darby e Prè Saint- Didier; i gitanti osservarono i calcescisti, i micascisti e gli affioramenti della formazione antracitifera ; poi recatisi a Courmayeur visitarono i porfidi laminati — 132 — della Saxe, le morene lasciate dal ghiacciaio della Brenna, il ghiacciaio stesso, ed in Yal Yeni le rocce del Giuralias. Il 13 una parte dei congressisti si recò per il colle dell’Arp e il monte Fortin da Courmayeur a Dolonne, colle di Chécouri, lago di Comhal dove fece osservazioni nei calcescisti, nei calcari a crinoidi, negli scisti filladici, nella formazione gessoso-carniolica, nel morenico del lago Chécouri e nel Trias. L’altra parte dei congressisti si recò in automobile al colle del Piccolo San Bernardo dove a La Thuile vide la posizione rispettiva delle carniole, dei gessi e dei calcari cristallini ; alla G-oletta fece osservazioni nelle morene dell’antico ghiacciaio del Ruitor e su i contatti fra i calcescisti con calcari cristallini, le carniole, i gessi e gli scisti del Carbonifero. Alla sera ebbe luogo la seduta di chiusura del Congresso. Di Stefano Gt. — / calcari cretacei con orhitoidi dei dintorni di Termini Imerese e di Bagheria {Palermo), (dal Griorn. di Se. Nat. ed eco- nomiche, Yol. XXYII, pag. 12 in-4^). — Palermo, 1907. In seguito ad osservazioni del Douvillé ed ai dubbi del Silvestri l’autore ha riesaminata la stratigrafia dei dintorni di Termini-Imerese e di Bagheria. Egli ha constatato che un pò di confusione dev’esser nata per l’esistenza d*una breccia eocenica nella quale sono mescolati elementi diversi; nelle argille sca- gliose eoceniche si trovano anche dei blocchi di calcare cretaceo con ippuriti ed orbitoidi. Però al disotto vi sono delle assise nettamente cretacee con orbi- toidi nelle quali molte forme non possono essere separate dalle lepidocicline; al disopra si eleva una lunga serie nummulitica, che si estende dal Luteziano al Bartoniano, la quale i*acchiude egualmente delle lepidocicline. L’età cretacea degli strati ad orbitoidi è provata dalla presenza di diverse rudiste e .del S/- derolithes calciti' apoides che sembra anche assai caratteristico. Secondo quindi l’autore le lepidocicline invece di caratterizzare un orizzonte, sembra abbiano avuto una vita lunghissima, poiché comparse nel Dordoniano, si possono [se- guire in tutto l’Eocene per arrivare ad un vasto orizzonte nell’Aquitaniano. Di Stefano Gr. — / pretesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia (Rend. R. Acc. dei Lincei, Serie Y, Yol. XYI, fascicoli 5^^ e 6®, sem., pag. 258-271 e 375-381). — Roma, 1907. I signori professori M. Lugeon ed E. Argand in una esplorazione assa rapida della Sicilia, credettero di vedere in alcune parti dell’ isola dei gran- — 133 - diosi fenomeni di carreggiamento, indicando come falde di slittamento, prove- nienti dal Tirreno, le isole Egadi, i monti del Palermitano e dell’Agrigentino, le Madonie e i Peloritani; nella Sicilia occidentale poi, a sostegno della loro teoria, essi affermavano che il Flysch eocenico si sprofondava sotto allo masse calcaree e dolomitiche del Mesozoico. Il prof. Di Stefano, in questa sua Memoria, comincia facendo rilevare come tale sprofondamento di rocce eoceniche sotto quelle del Mesozoico, non |puossi chiaramente vedere in nessuna località della Sicilia occidentale ; dimostra come in molte località la sporgenza dei dossi calcarei, sia l’effetto di vere faglie longitudinali e trasversali. Esamina poi successivamente le masse triassiche di alcune località, dimostrando in modo assoluto,che in nessuno dei casi esaminati possa trovare il benché minimo appoggio la teoria del carreggiamento. Osserva che la somiglianza fra certe marne argillose triassiche (veramente sottoposte ai calcari del Trias superiore) e il Elysch può aver tratto in errore i due geologi stranieri. Illustra poi la serie seguente di fatti sfavorevoli alla nuova ipotesi : la presenza di vere anticlinali mesozoiche ben radicate sotto all’Eocene ; la pendenza variabile delle masse secondarie, diretta ai punti più diversi e non già costantemente a sud; Taffiorare in varie località al disotto dell’Eocene del substrato mesozoico autoctono. L’ autore termina facendo osservare come l’ipotesi dei signori Lugeon e Argand, obblighila cercare stretti rapporti tettonici e stratigrafici fra la Sicilia e l’Algeria-Tunisia, da cui proverrebbero le falde di slittamento siciliano; e siccome tali rapporti effettivamente non esistono, così bisognerebbe ideare nuove ipotesi per rendere ammessibile la nuova teoria ; per queste ragioni l’autore la ritiene insostenibile in ogni sua parte. Douvillé e. — 8iir les argiles écaìlleuses des environs de Palerme^ sur le Tertìaire de la còte d'Otrante^ et sur celui de Malte. (Bulletin de la Société Géologique de Erance, 4® Sèrie, tome YI, pag. 626-634). — Paris, 1907. L’autore descrive le escursioni fatte in Sicilia, alcune delle quali as?sieme ai signori Di Stefano, Schoppen, Carapezza e Ciofalo, onde verificare se le Lepidocicline hanno l’estenzione verticale riconosciuta dal Di Stefano, Choc- chia-Eispoli ed altri, ovvero se l’estensione delle medesime sia limitata fra 16 Stampiano e il Burdigaliano, come egli ed altri ritengono. Visitate le argille scagliose dei dintorni di Palermo (Termini-Imerese e Bagheria), gli strati a 9 134 — Lepidocicline di Malta e la costa fra Otranto e Leuca; Fautore si è confermato nella sua opinione: 1® perchè una parte dei calcari creduti eocenici (come fra Tricase e Castro) situati trasgressivamente su gli strati cretacei a Eudiste appartengono invece, secondo Fautore, alFAquitaniano ; 2° perchè egli crede che l’Eocene vero sia stato per la massima parte asportato e non ne esista più che in piccoli lembi estremamente ridotti. In certi punti questi lembi sono presi fra il Cretaceo ed il Miocene, che ricopre tutto trasgressivamente, e sono quelli che avrebbero dati i fossili creduti contemporanei delle Lepidocicline; errore facile a commettersi vista la grande somiglianza delle facies cretacea, eoceni>‘a e miocenica. Do a VILLE K. — Observations sur quelqiies travaiix r elafi fs aii genreljQ- pidocyclina. (Feuille des Jeunes naturalistes, pag. 169*174). — Paris, 1907. L’autore, il quale sempre sostenne che le Orthophragmine sono esclusive dell’Eocene e le Lepiclocg cline del Miocene esamina in questa nota alcuni re- centi lavori di Verri e De Angelis, Gentile, Checchia-Rispoli, Silvestri e Giovanni Di Stefano, nei quali si sostiene l’esistenza delle Lepido cg cline fin dal Lute* ziano inferiore e per conseguenza la loro contemporaneità colle Orthophragmine, Egli si sforza di dimostrare che nessuno dei fatti citati è decisivo, sostenendo che occorre tener gran conto della possibilità che siano avvenuti rimaneggia- menti, assai facili per questi generi, ed anche penetrazioni meccaniche di fossili di un terreno in altro in seguito a grandi movimenti orogenici. Douvillé B. — Sur Vàge des Lépidocgclìnes. (Feuille des Jeunes natu ralistes, pag. 121). — Paris, 1907. In questa brevissima nota Fautore ritorna nell’argomento della nota pre- cedente rispondendo ad una controreplica del prof. Silvestri e sostiene l’impos- sibilità di riunire in un sol genere Te Orbitoides s. s. e le Lepidocy cline. Eichleiter C. F. von. — Chemische Untersuchung der Arsen-Eiseiiquelle von S. Or sola bei Per g ine in Sììdtirol. (Jahrb. der K. K. Geologis- chen Keichsanstalt, Jahrg 1907, B. LYII, Heft. 3. pag. 529-534). — Wien, 1907. La nota tratta di una sorgente arsenicale di S. Orsola presso Porgine (Tirolo meridionale), la quale era da lungo tempo nota nei dintorni, ma che ~ 135 — solo in questi ultimi anni si incomincia ad utilizzare. Essa sgorga in un voc* chio cunicolo in una vallecola laterale del Eersina, che sbocca presso Trento. L’acqua presenta in generale una composizione chimica analoga a quella del- l’acqua arsenicale di Levico. Il tenore in anidride arsenica è di 0.0960 g. su 10,000. È degna di nota la presenza di solfato di nichelio (0.0059 g. su 10,000) e di fosfato di calcio (0.5971 g. su 10,000). La nota presenta il confronto della composizione chimica di questa acqua con quelle di altre sorgenti arsenicali (Levico, Eoncegno, Cerni Guber), e con- clude con una breve esposizione della origine della sorgente stessa, che l’au- tore fa provenire dalle impregnazioni di pirite esistenti nella roccia (porfirite di S. Orsola) da cui essa nasce. Fabiani E. — Sulla costituzione geologica delle colline di Sarcedo nel Vicentino. (Atti E. Istituto Veneto, Serie 8% Voi, IX, disp. 6®, pa- gine 407-424). — Venezia, 1907. Dopo una breve descrizione topografica del gruppo collinare che da Las- sano si distende ai piedi dei Sette Comuni, l’autore fa la descrizione geologica, dalla quale si rileva che il gruppo preso in esame è costituito per tre quinti di basalti e di tufi e brecciuole basaltiche ; per il resto di arenarie e calcari arenacei del Miocene inferiore (Aquitaniano). Eiporta l’analisi microscopica di alcuni campioni di rocce eruttive, e la suddivisione delle rocce sedimentarie in calcare marnoso o arenaceo, sosti- tuito spesso da arenarie, in arenaria e in calcare puro bianco o arenaceo grigio. Da ultimo l’autore descrive i fossili rinvenuti. Intercalata alla descrizione è una cartina geologica in nero ed una sezione del gruppo descritto. Fabiani E. — Sulla presenza della fauna Liiteziana del Guzzo di Zoven- cedo in un'altra località dei Colli Borici. (Atti dell’Acc. Se. Veneto- Trentino-Istriaua. Nuova serie, anno IV, fase. V e 2°, pag. 36-43). — Padova, 1907. Studiando la fauna rinvenuta nel tufo della valle del Gazze, il Bittner prima, l’Oppenheim poi, la riferirono all’orizzonte di S. Giovanni Ilarione; il Vinassa invece la riferì ad un livello un po’ più giovane di Eoncà. Essendo stati chiusi i pozzi da cui proveniva il materiale contenente la fauna del Gazze, l’autore, facendo ricerche in altre località, rinvenne lo stesso orizzonte sul ver- — 136 — sante orientale del Monte Caldiero di Grancona ed alla fontana del Cavaliere; nella quale ultima località egli potè fare abbondante raccolta di fossili. Dallo studio dei medesimi, fra cui ve ne sono alcuni non ancora segnalati a S. Gio- vanni Ilarione e propri invece di formazioni più recenti, l’autore ritiene che a questa fauna del Gazzo e della fontana del Cavaliere, si deve attribuire una età un po’ più recente di quella attribuitagli dal Bittner, dall’Oppenheim e dall’autore stesso in altra sua nota, quella forse del piano di Roncà, come opi- nava il Yinassa. Fabiani R. — Sulla probabile origine del caolino del Tretto in provincia di Vicenza. (Atti delFAcc. Se. Yeneto-Trentino-Istriana. Nuova serie, anno lY, fase. 1° e 2®, pag. 67-74). Padova, 1907. L’autore, in questa sua nota preliminare, esamina dapprima le varie opi- nioni che si hanno su le origini del caolino, fermandosi principalmente a quella del Rbsler e del Weinschenk, i quali hanno creduto di spiegare la caolinizza- zione delle rocce feldispatiche con l’azione su esse esercitata dai gas e vapori o dalle acque termo-minerali, che oltre alla caolinizzazione del feldispato pro- vocherebbero la formazione di minerali che non erano presenti nella roccia primitiva. I principali argomenti che appoggiano questa ipotesi sono: le for- mazioni di caolino accompagnano filoni di minerali metallici; spesso in vici- nanza dei depositi di caolino si trovano delle sorgenti termali; questi depositi si trovano soventi a grande profondità e le parti più profonde sono le più completamente caolinizzate. Per le osservazioni che l’autore ha potuto fare sul giacimento di caolino del Tretto, egli crede che l’ipotesi del Rbsler, divisa anche dal Weinschenk, sia quella che meglio si accorda con tutte le circostanze di fatto per spiegare il fenomeno della caolinizzazione delle porfiriti del Tretto. Fabiani R. — Anomalie negli ambulacri di un Echinolampas. (Atti del- l’Acc. scientifica Yeneto-Trentino-Istriana. Classe I, anno lY (1907), fase. 1®, pag. 6). — Padova, 1907. Descrive le deformazioni constatate negli ambulacri di un Echinolampas dei Colli Borici, e la modificazione nella forma delle singole piastre ambula- crali, tanto più accentuata quanto più si trovano vicine allo strozzamento del rispettivo petalodo. — 137 — Falqui Gt. — Sili alcune piante fossili del Miocene inferiore {Oligocene) di Zusi (Sardegna), (Opusc. di 20 pag. con 1 tav.). — Cagliari, 1907. L’autore descrive macroscopicamente e microscopicamente tre piante fos- sili silicizzate, appartenenti alla collezione Lovisato, delle cui sezioni sottili fa un confronto con quelle di piante similari viventi. Da questo studio ha potuto convincersi che uno dei fossili s’accosta al genere Robinia e perciò egli l’ha chiamato Robinioxglon ; gli altri due mostrano i caratteri delle Eritrine o fu- rono chiamati Enjthrinoxijlon. Fornasini C. — Indice critico delle Biloculine fossili d'Italia. (Dalle Mem. R. Acc. Se. Ist. di Bologna, Serie YI, Yol. lY, pag. 22, in-4®, con 3 tay.). — Bologna, 1907. Quest’indice è la revisione delle forme neogeniche di Biloculine italiane citate od illustrate da autori diversi; con esso l’autore ha voluto dare un’idea relativamente esatta dello stato attuale delle nostre cognizioni su l’argomento, e fornire una guida per la compilazione di una monografia completa delle Bi- loculine che si raccolgono nel IN’eogene italiano. La memoria è accompagnata da tre tavole nelle quali sono riprodotti i tipi di Biloculine fossili e recenti, italiane e straniere. Franchi S. — Sulla scoperta di roccie nefritiche nella Liguria orien- tale. (Boll. Soc. Geol. Ital., Yol. XXYI, fase. pag. XXX-XXXIII). — Roma, 1907. Il prof. Ernesto Kalkowski nello studiare le roccie ofiolitiche della Liguria orientale scoperse vario masserelle di roccie nefritiche sulle quali pubblicò un lavoro nello Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft (Jahrg. 1906, H. 3). L’autore, nel presentare alla riunione iemale della Società geologica ita- liana una serie di venti campioni dei vari tipi di quelle roccie nefritiche man- date in dono al R. Ufficio geologico, riassume brevemente il lavoro sud- detto. L’indicazione avuta dell’esistonza di masse rocciose durissime tra le serpentine e le masse minerali nella miniera di Libiola mise sulla buona via il prof. Kalkowski, il quale trovò in seguito dei noduli nefritici inclusi in molte masse di serpentine, le quali ne sarebbero le roccie madri. Il prof. Kalkowski crede la loro genesi dovuta ad un fenomeno di dinamo metamorfismo (nefritizzazione) che sarebbe in rapporto con estese fratture. I 138 — tipi di nefriti (o di nefrititi secondo l’autore), sono molti, dipendentemente da minerali accessori importanti, oltre l’attinoto a struttura feltrata clie ne è il costituente essenziale. L’autore ricorda che roccie nefritoidi cloritiche furono da lui trovate in Yalgrana (Cuneo) e che roccie nefritoidi si potrebbero dire molte delle roccie a glaucofane della zona delle pietre verdi, le quali sono costituite da un feltro di minuti aciculi di glaucofane, anziché di attinoto. Di tali roccie, che potreb- bero dirsi glaucofaniti nefritoidi, sono costituiti alcuni dei manufatti delle ca- verne liguri. L’autore si augura che la scoperta del Kalkowski preludi al ri- trovamento di nefriti nobili nella zona delle pietre verdi delle Alpi occidentali e della Liguria. Franchi S. — Escursioni in Valle di Aosta. (Boll. Soc. Greol.Ital.,Yol. XXYI. fase. 2°, pag. 157-183). — Eoma, 1907. È il resoconto delle escursioni fatte dalla Società geologica nella Y alle di Aosta nei giorni 12 e 13 settembre 1907. In esso l’autore introduce i principali passi di una breve conferenza tenuta la sera del 10 dello stesso mese a Torino, onde illustrare un profilo schematico che desse la sintesi geologica della regione da visitarsi. Enumerate le zone di terreni attraversate dalla bassa valle della Dora, l’autore descrive il profilo al 50,000 annesso. Coordinando le poche cose viste dai congressisti con fatti ormai notori come quello della presenza di be- lemniti e di roccie verdi nei calcescisti presso il piccolo San Bernardo, l’autore dimostra come la deduzione dell’età secondaria della zona delle pietre verdi debba parere logica e necessaria ai colleghi che presero parte alle gite nella Yalle d’Aosta, Xella gita al piccolo San Bernardo, l’autore trovò delle belemniti nei cal- cescisti, proprio a contatto col Trias, per cui tutti i calcescisti della regione devono ritenersi liasici. Fotografie originali nel testo ed in tavole illustrano la parte del gruppo del Monte Bianco visitata dalla Società. Franchi S. — Osservazioni sopra alcuni recenti lavori sulla geologia delle Alpi Marittime. (Boll. E. Comit. Geol. d’Italia, Serie 4*'^, Yol. YIII, fase. 3®, pag. 145-170, con 3 tav.). — Eoma, 1907. L’autore fa un esame critico di tre lavori del prof. Sacco. Eiguardo al lavoro Le sorgenti della galleria del Colle di Tenda l’autore rivendica la priorità di molte osservazioni pubblicate nel 1900 in un lavoro dell’ing. Baldacci e suo, che era corredato da una carta geologica al 100,000 e da un profilo al 50,000. -- 139 — A proposito del lavoro Sur Vàge du gneiss du massif de V Argenterà, cho il prof. Sacco vorrebbe dimostrare permo-carbonifero, colle osservazioni fatto nella nota sinclinale Colle Sabbione-Lago del Yei dal Bone, l’autore dimostra che un esame attento degli elementi di quella sinclinale può condurre a con- clusioni sensibilmente differenti. Che poi gli gneiss del massiccio siano molto più antichi è dimostrato dalla discordanza angolare originaria prossima a 90® fra i banchi degli gneiss e quelli del Trias inferiore nel lato orientale e con quelli del Permiano nel lato meridionale. L’autore dimostra pure che il passaggio dagli gneiss ai graniti affermato dal prof. Sacco, è insostenibile, dopo una visione della zona di contatto, in cui la intrusione dei graniti è di una grande evidenza. Sul terzo lavoro I monti di Cuneo tra il gruppo della Besiinauda e quello deir Argenterà, che è corredato da una carta geologica al 100,000 di una estesa regione, che va dalla Stura di Cuneo ai pressi di Tenda, l’autore osserva che il testo non può considerarsi come una adeguata illustrazione stratigrafica e tettonica della carta ; ad esempio sono citate liste di fossili mai rinvenuti nel- l’area della carta ; e questa, mentre da un lato presenta errori inammissibili per una carta direttamente rilevata, dall’altro presenta coincidenze notevoli coi contorni di certe minute del rilevamento geologico della regione dairUfficio geologico date in esame a diversi geologi. Sorvolando sull’indicazione con una sola tinta degli gneiss e dei graniti, conseguenza questa di un erroneo concetto, più sopra combattuto, l’autore di- mostra completamente arbitrario il raggruppamento in un sol terreno di una parte della zona delle pietre A^erdi, ivi pure tanto caratteristica, con parte del Permiano pure distintissimo e col Trias inferiore tipico, terreni che in prece- denti lavori con l’aiuto di profili erano stati razionalmente distinti. L’autore rileva la contradizione fra una parte del profilo e l’età permo- carbonifera attribuita agli gneiss. Infine l’autore dà un abbozzo della costituzione geologica del contrafforte fra Stura e Gesso, del più alto interesse per le numerose pieghe e le fratture importanti che lo attraversano. Galdi B. — Notizie sui giacimenti di lignite delV Iglesiente. (pag. 56, in-8^, con 6 tav.). — Eoma, 1907. L’autore distingue due bacini compresi ambedue nella formazione eocenica, quello di Gonnesa e quello di Piolanas e del Rio Cixesi, al primo dei quali appartiene la più importante miniera di lignite della Sardegna, quelle di Bacii Abis ed altre che furono già da tempo coltivate per un periodo più o meno lungo. Il secondo bacino comprende i terreni eocenici che cominciano ad affio- rare a IS’E di Gonnesa e di Torre Segade e prolungandosi in una specie di pianura fra Iglesias e Yillamassargia si immergono sotto i terreni alluvionali di Musei e di Siliqua. In questo bacino solo in questi ultimi anni si comincia- rono delle ricerche, per le quali si accertò subito resistenza di banchi di lignite di qualità eguale a quella della vicina regione di Gonnesa. Dopo la descrizione dei due bacini e dei lavori in essi eseguiti, l’autore dà i caratteri e proprietà della lignite dell’Iglesiente, riportando numerose ana- lisi e risultati di prove con esse eseguite, augurando un bell’avvenire a questo ottimo combustibile. Galdieri a. — Osservasionì geologiche sui Monti Picentini nel Saler- nitano. (Rend. della R. Acc. dei Lincei, Voi. XYI, Serie 5^, 2° sem., fase. 8®, pag. 529-534). — Roma, 1907. La nota fa conoscere gli importanti risultati di ricerche compiute dall’aii- tore nei Monti Picentini (Salerno). I terreni più antichi, costituiti da calcari a noduli di selce e scisti argilloso* silicei, affiorano nelle valli del Picentino e del Prepezzauo, e in base ad alcuni frammenti di Halobia l’autore li ritiene identici a quelli formanti la base del Trias nella Basilicata. Sono descrìtti litologicamente e paleontologicamente i terreni che in po- tente serie poggiano sui precedenti, e che sono costituiti specialmente da do- lomie, calcari dolomitici e calcari, fra cui notevoli specialmente i calcari dolo- mitici racchiudenti la nota fauna ittiolitica di Giffoni, ascritta dal Bassani alla Dolomia principale, e le poco estese lenti di scisti carboniosi (ligniti di Giffoni). La serie stabilita dall’autore è dall’alto al basso la seguente : Dolomia princi- pale, San Cassiano-Raibl, Ladinico. L’autore fa però risaltare la presenza di molti fossili del San Cassiano-Raibl in un livello certamente superiore a quello della Dolomia principale, ciò che dimostra, come già aveva osservato il Di Ste* fano, che in questa regione una netta separazione fra i due piani non può sinora stabilirsi. I calcari poggianti in leggiera trasgressione sulle formazioni triasiche sono dubitativamente riferiti dall’autore al Cretaceo. Egli esclude tuttavia, e con piena ragione, che debbano, secondo ciò che asseiì il De Amicis, ritenersi cre- tacei gli strati più alti della Serra del Pettine, i quali fanno essi pure parte della serie triasica. — 141 — • La nota tratta poi della disposizione tectonica di quei sedimenti, inclinati generalmente a ISTO e a IN’E e attraversati da numerose fratture longitudinali e trasversali, per le quali risulta una disposizione a gradinate spostate verso Sud. Si hanno le più importanti sorgenti al contatto fra le grandi masse dolo- mitiche e i sottostanti calcari e scisti. Si fa poi cenno dei depositi terziari e quaternari e degli antichi terrazzi, di cui rimangono ora pochi avanzi, e si attribuisce la forma attuale di quei monti in parte ai sistemi di fratture e in parte all’erosione. Gl AT TINI G. B. — Osservazioni geologiche sopra i terreni terziari di San Valentino {Chieti) e sopra i loro giacimenti di bitume, (Giorn. di Geologia pratica, Anuo Y, fase. Y-YI). — Perugia, 1907. Dopo un breve riassunto cronologico degli autori che si sono occupati della zona bituminifera del Chietino, ed alcuni cenni topografici della regione di cui si occupa questa memoria, l’autore passa in rassegna i diversi terreni comin- ciando dal conglomerato di Turrivalignani e sottoposte argille, ch’egli dubita- tivamente assegna al Pliocene. Descrive poi dettagliatamente la formazione miocenica, assai sviluppata nei dintorni di San Valentino e cioè : un lembo della zona solfifera ed il masso bituminoso di San Giorgio, contenuti nel Miocene superiore, che ritiene abbia molti punti di contatto con quello di Castellina Marittima e del Bolognese; i terreni del Miocene medio con le miniere bituminifere di Ponticelli, Crocefisso ed Acquafredda in essi scavate. Tratta in seguito dei terreni dell’Eocene, costituiti per la maggior parte da calcari, e delle miniere di Santo Spirito in essi aperte, ma la cui utilizzazione venne sospesa a causa della loro distanza dal centro minerario. Dopo un quadro riassuntivo dei terreni ed orizzonti bituminiferi descritti, l’autore descrive la tettonica della regione e da ultimo la morfologia dei gia- cimenti bituminiferi, senza per altro voler entrare in merito alla genesi dei medesimi. La Memoria è accompagnata da una cartina tettonica della regione de- scritta e da una sezione del giacimento di San Giorgio (Roccamorice). Gòrgey R. V. — Nene Mineralvorhommen aiis Elba. (Min. Petr. Mitt., Wien Bd. XX ^1-4, Heft, pag. 335-340). — Wien, 1907. Vengono descritti in questa nota i seguenti minerali dell’Isola d’Elba: Ambligonite dei filoni di pegmatite tormalinifera della Fonte del Prete presso San Piero; Ihleite della miniera di Vigneria presso Rio; Lettsomite (?) pure — 142 — di Rio; Cuprite di Calamita ; Jarosite della stessa località; Pirite nella Ematite di Terranera ; Barite e Pirolusite di Capobianco ; sabbia calcitica della Y aldana ; Wollastonite pure della Yaldana; Granato in roccia della stessa località; Gim- nite nella serpentina decomposta di Bagno presso Marciana; Marmolite del Yolterraio; Topazolite di Bagno. Gortani M. — Contribuzione allo studio del Paleozoico Gamico. Parte II ; Faune devoniane. (Pal^eontographia Italica, Yol. XIII, pag. 1-63, con 2 tav.). — Pisa, 1907. L’autore inizia con questo lavoro lo studio delle faune devoniane nel ver- sa te italiano delle Alpi Carniche, e nella introduzione fa notare come la Carnia possieda i soli giacimenti devoniani finora scoperti nella Penisola italiana, e presenta una storia sommaria degli studi finora compiuti sopra di essi. Dalle due parti in cui è diviso il lavoro, la prima illustra 9 specie del Monte Germula fCarnia orientale) fra le quali egli riconosce una nuova forma di Orthothetes e una varietà {rugosa) di Atrgpa desquamata. La piccola fauna spetta al Devoniano medio, orizzonte nuovo per la geo- logia italiana. Della Cianevate e del Monte Coglians sono poi ricordate 59 forme, fra le quali sono nuove le seguenti: Karpinskga Consuelo var. alpina, K. C. var. Taramellii, K. C. var Geyeri, Bhijnchonella canovatensis, Loxonema Marìnellii, L. Urhanisi, Bronteus alpinus. La fauna appartiene all’Eodevonico Superiore, orizzonte non ancora sicu- ramente stabilito nel versante italiano delle Alpi Gamiche. Fra i brachiopodi si nota la predominanza assoluta degli individui a su- perficie costata. Singolari fra tutte sono le strane, grandi e bellissime forme di Karpinskya, da considerarsi fra i fossili più importanti e preziosi del Devo- niano carnico ; e sulle quali l’autore potè stabilire le tre varietà sopra indicate. Esse gremiscono talvolta la roccia in modo da costituire un vero e proprio calcare a Karpinskya. Gortani M. — Escursione supplementare in Val di Cogne. (Boll, della Soc. Geol. Ital., Yol. XXYI, fase. 2”, pag. 192-193). — Roma, 1907. È una breve relazione di una gita nella quale accenna sommariamente alle bellezze della forra della Grand Eyvia, alle caldaie dei giganti, alle morene su i fianchi della valle ed ai materiali di cui sono costituite, alla superba veduta 143 — del ghiacciaio della Tribolazione, alla contemporaneità dei calcescisti o dello pietre verdi che ha potuto osservare comodamente nella salita alla punta Creja, la quale era la meta dell’escursione. Gtortani M. — Sopra Vesìstensa del Devoniano inferiore fossilifero nel versante italiano delle Alpi Gamiche. (Eend. K. Acc. dei Lincei, Serie Y, Yol. XYL fase. 2®, sem., pag. 108-110). — Roma, 1907. Con una breve critica dei lavori precedenti, l’autore dimostra come finora non fosse conosciuto alcun fossile del Devoniano inferiore nel versante italiano delle Alpi Gamiche, E annunzia di averne scoperti alcuni giacimenti; di cui uno ricco e importante nella più alta giogaia di quelle Alpi (m. Kellerwand). L’elenco provvisorio della fauna conta 55 forme, di cui 10 nuove ; notevole è la comparsa in massa del singolare e poco noto genere Karpinskya, con una specie e più varietà finora ignote. GrORTANi M. — Appunti geologici sull’ alta valle del Tagliamento. (Atti Congr. Nat. it. in Milano, pag. 10 in-8®). — Milano, 1907. L’autore richiama l’attenzione su quattro argomenti principali : 1° il rilievo accurato dei terreni mesozoici della regione, che finora era stato eseguito solo in modo sommario, e che gli permise di interpretare meglio la tettonica della vallata e di scoprire numerosi depositi fossiliferi; 2^ l’esistenza di molti lembi morenici non ancora segnalati; 3® la presenza di abbondanti argille lacustri, che stanno a testimoniare resistenza di un grande lago quaternario di sbarra- mento originalo da un grandioso scoscendimento post-glaciale; 4^^ la presenza di numerose doline nei vari terreni infraraibliani, raibliani e dolomitici della regione, massime nelle rocce cavernose e gessose. Gtortani M. — Contribuzione allo studio del Paleozoico carnico. P. Ili: La Fauna a Climenie del Monte Primosio. (Mem. della E. Acc. delle Se. deiristit. di Bologna, Serie 6^, Tomo lY, pag. 201*246, con 2 tav.). — Bologna, 1907. La memoria è destinata a presentare una monografia generale della zona a Climenie (Devoniano Superiore) nelle Alpi Gamiche, e ciò in base ad una ricca fauna da lui scoperta nel Monte Primosio (alta Gamia orientale). Quel — 144 — piano era finora assai poco conosciuto nelle Alpi Orientali, e solo vi avevano raccolto fossili il Frech, il Oeyer e il De Angelis, ma soltanto alcuni di essi erano stati studiati in modo speciale. L’autore descrive 44 specie fra le quali le seguenti nuove ; Orthis foroju' liensis, Posidonia primosica^ Macrodon (i) Taramellii, Edmondia Clijmeniae^ Plafyceras pnnctillum, Tornoceras Escoti Frech, var carnicnm. Trimerocephalns carnicns, T. (cfr,) pseiidogramilatiis, Dechenella Vìnassai, D. italica. Egli fa poi notare l’importanza delle numerose forme spettanti al genere Trimerocephalns, le quali gli facilitano una revisione completa delle specie che si possono ricondurre a questo genere controverso, nel quale distingue e rag- gruppa le varie forme, attribuendole rispettivamente a due sottogeneri: Entri- merocephaliiSy Occhi nulli, e Microphtalmus^ Occhi ridotti. Esaminati i rapporti con le più note faune sopradevoniche l’autore con- clude che nel mare relativamente poco profondo che ricopriva la regione car- nica sul finire del periodo devoniano, regnavano condizioni fisiche e biologiche molto simili a quelle dominanti sull’Europa centrale. Greco M. — Determinazione sperimentale diretta dtlcoe^ciente di Poisson in ima pietra tafacea della Sicilia. (Atti del Collegio degli inge- gneri e Architetti in Palermo, 1907, gennaio-dicembre). — Pa- lermo, 1907. La nota contiene il resoconto delle esperienze dell’autore per determinare i coefficienti di elasticità del calcare di Comiso (prov. di Siracusa), molto usato in Sicilia per mensole, balaustri, cornici e altre decorazioni architettoniche. I risultati delle esperienze eseguite su 5 prismi di quella roccia sono consegnati in un gr/inde quadro sinottico (pag. 14 e 15). Hammer W. — Bericht uber die Nenaufnalime der Ortlergruppe. (Vor- trag Yerh. d. k. k. geol. Reichs., 1907, n 7). L’autore riferisce brevemente sui risultati del suo rilevamento nel gruppo deirOrtler, rilevamento limitato alla regione di alta montagna compresa fra le due grandi linee di frattura, linea del Zebru e linea del Trafoi — Zumpanell, regione costituita da roccie triasiche. Illustrano la relazione una veduta della montagna presa da oriente ed a colori geologici, come anche molti profili e l’esame di un certo numero di cam- pioni. ~ 145 - L’autore si riserva di trattare questo soggetto ampiamente, estendendo le osservazioni alla regione circostante. Henrotin L. — Monografia del giacimento calaminaredipo delle Miniere di Nehida. (Resoconti riunioni Ass. mineraria sarda. Anno XII, n. 3, seduta 19 marzo 1907, pag. 8 12, con tavola). — Iglesias, 1907. Dopo brevi considerazioni sulla utilità della geologia nello studio dei gia- cimenti minerari, la nota intraprende la descrizione del giacimento diXebida, e stabilisce dapprima una distinzione fra il calcare metallifero superficiale, do- lomitico e giallo e un calcare bianco, duro, siliceo che sta col primo in un con- tatto molto irregolare. I giacimenti di Xebida sono di due nature e cioè: quelli così detti cala- minari (prevalentemente con carbonato di zinco) aventi direzione X S parallela alla stratificazione, e quelli di galena argentifera formanti un sistema di filoni diretti E O. II giacimento calaminare tipo si divùde in cinque zone ben distinte, se- condo che il minerale si trova nella dolomia, nel contatto o nel calcare bianco. Il carattere e modo di concentrazione del minerale sono minutamente descritti con l’appoggio dei fatti constatali nei lavori di coltivazione. La nota termina con qualche cenno riguardo all’ordine di deposizione dei vari minerali ed alla loro genesi. Una sezione geologica normale alla direzione del giacimento calaminare, cioè E O, dà uno schema della distribuzione dei minerali nelle 5 zone e delimita il contatto fra dolomia e calcare bianco. Hobbs W. H. — The geotectonic and geodgnamic aspects of Calabria and northeastern Sicily. (Beitràge zur Greophysik, B. YIII. H. 2, pag. 293-362, con 12 tavole). — Leipzig, 1906. L’autore visitò, poco dopo il disastroso terremoto della Calabria (8 settem- bre 1905) gran parte degli abitati danneggiati dalla catastrofe e basandosi sulle sue personali osservazioni e sulle notizie ottenute dagli uffici governativi e dai funzionari militari e civili distaccati per la luttuosa circostanza in Calabria, espone le sue idee sulla distribuzione delle linee sismotectoniche nella Cala- bria e Sicilia nord-orientale. L’importante studio, preceduto da una prefazione del sismologo conte do — 146 — Montessus de Ballore, incomincia con cenni generali snlla speciale configura- zione deiritalia meridionale e sulle grandi dislocazioni tectoniche riconosciute nella regione. Tiene qui accennato al fatto che la sismicità della Calabria di- mostra che i movimenti tectonici non vi sono ancora terminati. Fa seguito una descrizione geografica e geologica della regione e uno studio sulle linee vulcano-tectoniche e sulla distribuzione dei vulcani italiani. La determinazione delle linee sismotectouiche della Calabria e Sicilia nord-orientale viene fatta prendendo a fondamento i meno disastrosi fra i ter- remoti calabro-siculi dal 1693 al 1898, i quali, non avendo fortemente pertur- bata la regione, si prestano meglio a stabilire degli allineamenti fra le località più danneggiate. Con lo studio dei terremoti meno intensi può stabilirsi il si- gnificato tectonico di certe linee, che risultano poi essere il luogo dei mag- giori terremoti. L’ autore dimostra così, basandosi sul modo col quale si ri- partiscono sul terreno i danni prodotti dai grandi terremoti, che questi spen- dono la loro energia quasi esclusivamente lungo certe linee fisse della regione colpita. Secondo Fautore, queste linee di distruzione, sempre le stesse per i diversi terremoti di una medesima regione, corrisponderebbero tratto per tratto alle dislocazioni o alle linee strutturali, topografiche e geologiche, della regione de- vastata. Coi dati storici, geofisici e sismici Fautore è riuscito a tracciare sulla Calabria e Sicilia nord- orientale un fitto reticolato di ben 47 linee sismo- tectoniche, incrociantisi in tutti i sensi (v. tav. Ili), le quali dovrebbero, se- condo la sua idea, corrispondere ad altrettanti piani di distacco dei vari blocchi ivi componenti la superficie terrestre. In fatto però, per la più gran parte tali linee di frattura non sono in alcnn modo rintracciabili e riconoscibili sul ter- reno e, fino a prova contraria, sono da ritenersi come assolutamente ipote- tiche. Seguono notizie sulla geografia sismica dell’Etna, sulla distribuzione dei brontidi o mìst-poeffers in Calabria, che Fautore raggruppa in linee brontido- tectoniche, le quali seguirebbero i contatti geologici e i tratti caratteristici del ri- lievo terrestre, sulla distribuzione degli epicentri abituali e sulla orientazione comparativa dei differenti sistemi geotectonici. Chiude il lavoro una tavola comparativa mostrante la orientazione dei piani tectonici nella regione considerata, e da questa risulterebbe che i massimi più notevoli si trovano presso il meridiano (N 1® E e JS" 2® 0) e presso la di- rezione equatoriale 84® — 89® 0). Questi massimi principali coinciderebbero così con due delle quattro più prominenti direzioni strutturali rivelate da un paragone con quelli osservati nelle roccie di varie regioni degli Stati Uniti. 147 IssELi A. — Cavità rupestri simili alle caldaie dei giganti. (Atti della Società Ligustica di Se. Nat. e Greogr., Yol. XYIII, n. 2, pag. 96-104). — Grenova, 1907. La nota descrive alcune cavità rupestri esistenti nell’arenaria eocenica a grossi elementi che forma la costa a levante di Bordighera. La roccia, bizzar- ramente incavata ed incisa dalle onde è quivi tutta foracchiata di cavità emi- sferiche o cilindracee da 2 o 3 fino a 15 o 20 cm. di diametro, con profondità variabile ma generalmente non maggiore del diametro. Le cavità sono in mag- gior numero a 2 o 3 metri al di sopra del livello del mare. L’autore trova qualche analogia fra queste cavità e quelle di Corsica, note sotto il nome di tafoni, le quali sono però dovute a un processo meteorico di decomposizione. Richiamate poi le opinioni di precedenti autori sulle diverse manifestazioni di cavità rupestri, l’autore propone per quelle di Bordighera il nome di caldaje dei pigmei, e le ritiene dovute principalmente alla disaggre- gazione di una roccia clastica, determinata da piccoli vortici acquei provocati dalle onde marine, che si infrangono sulla riva, e in via subordinata, dall’azione » chimico-fisica dell’acqua sui materiali di cui è composta la roccia. La nota descrive in seguito altre cavità che si presentano nella volta della grotta ossifera detta Arma del Sanguineto o Grotta della Matta presso Final- borgo, sotto forma di fori circolari a fondo cieco e con l’apertura rivolta in basso, e l’autore distingue queste singolari cavità col nome di caldaje degli gnomi. JoHNSTON Lavis H. J. — De la relation existant entre Vactivité du Vé- siive et certains phénomènes météorologiqnes et astronomiques, (Bull, de la Soc. Belge de Géologie, de Paleontologie et d’Hydrologie, Tome XXI (1907), pag. 303-324, con 1 tav.). — Bruxelles, 1907. L’autore espone delle osservazioni state fatte al Yesuvio ed in altri vul- cani circa i periodi di maggiore o minore attività in rapporto con i fenomeni metereologici ed astronomici; descrive i metodi da lui seguiti nelle osserva- zioni fatte al Yesuvio e quindi riassumendo viene alle seguenti conclusioni: che, per quanto le investigazioni finora fatte permettono di generaliz- zare, sembra che vi sia una relazione distintissima e marcatissima fra la pres- sione atmosferica e le variazioni dell’azione vulcanica stromboliana ; che, in molti casi, vi è un’evidenza apparente dell’azione delle maree sulle variazioni dell’attività stromboliana; però, considerato il breve periodo — 148 — di tempo durante il quale poterono esser fatte le osservazioni, si deve consi- derare tale questione come non risoluta, abbenchè la bilancia penda in favore di questa soluzione; che, se questa azione delle maree esiste veramente, essa tenderebbe a provare la esistenza d’un mare sotterraneo di magma fluido di superficie considerevole influenzato dalla luna e dal sole. Isella tavola che accompagna la Memoria è disegnata la luna nelle sue diverse fasi, e sotto di esse la curva dell’attività del Vesuvio, quella della pressione barometrica, e l’altezza della pioggia in millimetri. Klemm Gr. — Bericht tiber Untersnchnngen an den sogenannten « Gneissen » iind den metamorphen Schiefern der Tessiner Alpen, IV. (Sitzungsb. der K. preiiss. Akad. der Wiss., Jahrg 1907, n. XLXIII, pag. 245-258). — Berlin, 1907. Scopo principale dell’autore nelle escursioni della scorsa estate fu quello di studiare la costituzione e le relazioni di connessione dei sedimenti metamor- fici di Bellinzona, nonché la loro condizione di giacitura da un lato in rapporto al granito ticinese, dall’altro in rapporto a quella parte della caténa lacuale si- tuata tra Bellinzona, Locamo, Luino e Lugano. Dalle sue osservazioni risulta che le rocce cristalline della catena lacuale sono intieramente indipendenti da quelle delle Alpi ticinesi e sono veramente di un’età più antica. Esse sono inoltre separate fra loro da una notevole dislo- cazione che in parte è nascosta sotto l’estremità Kord del Lago Maggiore e sotto quel tratto della valle del Ticino che corre da Est ad Ovest al disopra del lago stesso. Essa stendesi fra Giubiasco e Camarino e va probabilmente nella valle della Morobbia e, attraversando il passo di San Jorio, spingesi nei dintorni di Gravedona sul lago di Como. Sulla costituzione delle Alpi ticinesi e sulla natura ed età del granito del Ticino scrissero di recente Termier, Schmidt e Steinmann, ammettendo concor- demente l’esistenza nelle Alpi centrali di molte falde fra loro sovrapposte che si stendono molto innanzi verso Kord. Però, mentre Schmidt ritiene lo « gneiss del Ticino » come una roccia precarbonifera solidificatasi da un magma, Ter- mier lo riguarda come un sedimento metamorfico d’età carbonifera. L’autore si schiera in modo assoluto contro queste idee e sostiene che lo « gneiss ticinese » è un granito intrusivo che s’iniettò anche nelle rocce basiche producendo in esse alterazioni di contatto, e che per conseguenza è per lo meno d’età giurassica. — 149 — ;Kol»derup C. Fr. — Vesuvs vìrksomhed vaaren 1906,{^2iiviv(in^ Xsivg.'iM, D. 2, pag. 57-63). ~ Bergen, 1907. Premessa una breve descrizione fisica del Vesuvio, distinguendone le due parti, Monte Somma e cono vesuviano propriamente detto, l’autore fa un cenno della storia della sua attività e dei suoi periodi di calma. Per la esposizione molto particolareggiata del fenomeno eruttivo del 1906, l’autore si riferisce in gran parte ai lavori di Jaekel, di Lacroix e di Wegner del quale ultimo riporta una carta del vulcano e dei suoi dintorni in cui son distinte le colate laviche, le ceneri e i lapilli. Lacroix A. — Sur la constitiitìon pétrographique du massif volcanique dii Vésuve et de la Somma, (Comptes rendus Acad. des Se., Tome CXLIV, n. 23, pag. 1245-1251). — Paris, 1907. La costituzione petrografica del Somma- Vesuvio è stata finora conside- rata come assai semplice, e ciò perchè gli studi su questo centro vulcanico si portarono sempre sui prodotti delle eruzioni storiche o sui filoni del Somma, ^he sono tutti leucotefriti di composizione identica o assai analoga. L’autore si propone di studiare in questa nota i prodotti proiettati, che esistono in estrema abbondanza e sono formati da roccie bianche o di color chiaro. Queste roccie devono dividersi in due gruppi, secondo che esse sono microlitiche oppure a fine grana o granulose. Fra le roccie microlitiche l’autore studia petrograficamente le roccie leu- -citiche (fonolite leucitica di Pompei, leucotefrite a grosse leuciti), quelle senza leucite (trachito, lava a breccia di Scacchi con frammenti angolosi di calcare, trachi te fonolitica) le quali tutte contengono grandi cristalli di minerali del gruppo delle werneriti, dovuti a processi pneumatolitici, posteriori alla conso- lidazione. Le roccie granulose o microgranulose hanno aspetto filoniano o di profon- dità. Li queste, la nota studia le sanidiniti e le microsanidiniti a leuciti (che «ostituiscono la forma profonda delle fonoliti, e sono paragonabili alle sieniti antiche), le monzoniti, le sommaiti (monzonifi ad olivina e leucite). Lo studio chimico delle varie roccie, eseguito per incarico deH’autore da Pisani, è presentato in un quadro siiiott 252 (I7aso) . . . . » 4 — » 269 (Paterno) ...» 5 y> 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) . . . » 3 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) ...» 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) ...» 4 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 260 (IS'icosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» 3 » 261 (Brente) . . . • » 5 — » 277 {mto) . ...» 3 Tavola di sezioni I (annessa , ai fogli 249 e 258) . . L. 4 — » IN". II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » -N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 202) » 4 - » 'N. lY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » iST. V (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . L. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio 17. 220 (Yerbicaro) . . E. 3 — Foglio T7. 242 (Catanzaro) . . L. » 221 (Castrovillari) . » 5 — » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — zato) . . . » 7> 228 (Cetraro) . . . » 3 — » 245 (Palmi) . . . » 229 (Paola) . . . » 5 — » 246 (Cittanova) . . y> » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » d 231 (Ciro) . . . . » 3 — » 254 (Messina). . . » 7> 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Gerace) . . . » y> 237 (S. Giovanni in F.)» 5 — » 263 (Beva) .... » » 238 (Cotrone) . . . » 3 — » 264 (Staiti) .... » > 241 (Mcastro). . . » 4 — Tavola di sezioni T7. I (236, 237, 238, 241, 242), 17. II (245, 246, 247, 2.55, 263), 17. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna L. — 164 — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. ISTe sono pubblicati i fogli seguenti Foglio ’N. 201 (Matera) . . . L. 3 — Foglio ]V. 213 (Maruggio). . L. 1 — » 202 (Taranto) . . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . » 2 — » 203 (Brindisi) . . . » 3 — » 215 (Otranto) . . » 1- » 204 (Lecce) . . . » 2 — » 223 (Tricase). . . » 2 — Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in 6 fogli e Una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamento come segue: Foglio IN". 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara). . » 5 — Foglio 'N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 150 (Roma) ...» 5 — » 158 (Cori). . . . » 4 — Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, volo di sezioni, con copertina. — nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 ta- Roma, 1897 L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzena L. 5 — » Castelnuovo » 5 — » Seravezza » 3 — Lo tavole di sezioni, ciascuna . . . L. 5 Carta geologica della Toscana {in corso di stampa) nella scala di 1 a 100,000. T^e sono usciti i fogli: Livorno (L. 2); Volterra (L. 5); San Lasciano Val di Pesa (L. 5); Massa Marittima (L. 4); Siena (L. 5); Piombino (L. 3); Grosseto (L. 4) ; Santa Fiora (L. 5) ; Orbetello (L. 4) ; Toscanella (1j. 5) ; Tav. I e II di sezioni (L. 4 ciascuna). Carta geologica delP Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria delP Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geólogica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 »5 — Carta geologica delle Alpi Occidentali, nella scala di 1 a 400 000, in un foglio. — Roma, 1908 »6 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e IVapoli. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE R. Comitato geologico. - Verbale delle adunanze del giorni 8 e IO giugno 1908. Ordine del giorno. Comunicazioni della Presidenza. 2° Comunicazioni della Direzione del Servizio. 3° Discussione delle eventuali proposte dirette a rendere più efficace l’azione del Comitato. 4® Relazione della Direzione del Servizio sui lavori di campagna, d’ufficio e di laboratorio e sulle pubblicazioni nel 1907. 5® Proposte della Direzione del Servizio relative ai lavori di campagna e alle pubblicazioni pel 1908. Seduta antimeridiana dell’ 8 giugno 1908. La seduta è aperta dal presidente Capellini alle ore 9,50, essendo presenti i membri Bassani, Bucca, Cocchi, Issel, Mazzuoli, Parona, Struver, Taramelli, Zezi, il direttore del regio Istituto geografico militare, maggior generale Gliamas e l’ingegnere capo del regio Ufficio geologico, Baldacci, il quale delega ad as- sistere alla seduta in qualità di segretario l’ingegnere Crema. Il Presidente ricorda commosso che, or fa meno d*un anno, appena tra- smesso al Ministero il resoconto dell’ultima seduta del Comitato, ebbe la triste notizia della grave malattia dell’ispettore Pellati e pochi giorni dopo quella del- l’inaspettata sua perdita. Crede inutile di ricordare qui i grandi servizi da lui per oltre tre lustri resi all’istituzione e le sue rare doti; con sentimento di profonda riconoscenza manda alla sua memoria un reverente saluto. 2 — 6 -- Essendo questa la prima seduta del Comitato dopo il luttuoso avvenimento propone che venga inviata alla vedova una lettera di condoglianza firmata da tutti i membri del Comitato e che una grande fotografia del compianto diret- tore venga messa accanto a quella del suo predecessore Giordano, nella sala delle adunanze. Il Comitato approva unanime. Il Presidente comunica le condoglianze giunte al Comitato : continua quindi aggiungendo che, morto il Pellati e superstite col Cocchi della Commissione del 1861, ritenne venuto per lui il momento di ritirarsi e di aver perciò mandato al Ministero le sue dimissioni facendo voti che persona più energica fosse chia- mata a succedergli. Il Ministero rispose pregandolo vivamente di restare per non privare della sua collaborazione il servizio della carta geologica, avvertendo che per il buon andamento di esso egli avrebbe potuto suggerire quelle modi- ficazioni che fossero richieste da esigenze nuove o prevedibili. Benché abbia insistito nelle presentate dimissioni il Ministro lo riconfermò nella carica di presidente inserendo però nell’ordine del giorno dell’attuale adunanza, la di- scussione di eventuali proposte dirette a rendere più efficace l’azione del Co- mitato da lui presieduto. Dà quindi la parola al direttore del servizio. Massmli ringrazia innanzi tutto il presidente delle parole pronunciate in memoria del compianto ispettore Pellati e delle fatte proposte. Annunzia che per disposizione del Ministero tutti i servizi dipendono dall’ispettore superiore più anziano e che dietro sua proposta il comm. Baldacci venne nominato Capo dell’Ufficio geologico ed aggiunto con voto consultivo al Comitato con facoltà di nominare di volta in volta il segretario. Espone quindi alcune idee sull’andamento generale del servizio della carta geologica, insistendo principalmente sulla necessità di pubblicare con la mag- giore sollecitudine i risultati dei rilevamenti man mano che vengono compiuti, e di non trascurare alcuna occasione per rendere sempre più evidente che la geologia può arrecare vantaggi pratici della più grande importanza. Per quest’ultima considerazione credette opportuno di fare incominciare la carta geologica della Sardegna che, per i suoi giacimenti di piombo, ferro, zinco, argento, antimonio, combustibili fossili, costituisce un cosi importante centro minerario. Riconosce che su questo proposito avrebbe dovuto interpel- larsi il Comitato, ma lo stato di crisi in cui si trovava per le avvenute dimis- sioni del suo presidente, glielo impedì; confida in un bill d’indennità. Parla quindi di un altro lavoro da lui affidato al personale dei distretti ma in istretto nesso colla geologia, e cioè il rilevamento tettonico dell’Appen- — 7 - nino Emiliano che riescirà di incontestata utilità nella coltivazione dei giaci- menti di idrocarburi di cui è ricca quella regione. Sempre nell’ordine d’idee suesposto, annunzia ancora che si è proposto di adibire alle Commissioni così frequenti in occasione di lavori pubblici, inge- gneri dell’Ufficio geologico e constata con compiacimento che la loro opera fu molto apprezzata. Per le visite da compiersi in tali occasioni ha raccomandato agli ingegneri che le osservazioni eventualmente fatte vengano pubblicate nel Bollettino, nel quale saranno così intercalati argomenti di carattere pratico a quelli d’indole più specialmente teorica. Accenna infine ad una proposta che gli ha preannunziato di voler fare il prof. Issel, della formazione di un casel- lario comprendente appunti di ogni lavoro che riguardi la conoscenza del sot- tosuolo nella regione italiana dal punto di vista delle applicazioni. Comunica quindi una lettera del Comitato ordinatore del Congresso geologico che avrà luogo nel 1910 in Stocolma. Desiderandosi che abbia luogo una discussione sui giacimenti di ferro del mondo intero, si prega di far preparare, secondo certe norme, una memoria sui giacimenti italiani. Tale incarico venne affidato all’ingegnere capo Aichino. Dice da ultimo che non presentò quest’anno la consueta relazione stampata sembrandogli che una esposizione orale renda più proficue le discussioni. Ove però il Comitato creda preferibile il sistema fin qui adottato non troverà alcuna difficoltà a seguirlo per le prossime adunanze. Il Presidente fa notare che parecchie delle disposizioni comunicate avreb- bero dovuto partire dal Comitato; le trova però tutte degne di approvazione. Dà quindi lettura di una lettera del prof. Portis, attuale presidente della Società geologica italiana, il quale scusa la sua assenza motivandola col timore che le sue idee personali, in disaccordo coll’indirizzo seguito dal Comitato geo- logico, potessero intempestivamente turbare la buona armonia sempre esistita fra il Comitato stesso e la Società. Il Gomitato .ne prende atto non senza dolersi che il prof. Portis non abbia approfittato dell’occasione per esporre ad una proficua discussione le sue idee. Il Presidente apre quindi la discussione sul 3® argomento indicato nell’or- dine del giorno : « Eventuali proposte dirette a rendere più efficace l’azione del Comitato ». Parona dice che avendo esaminato le disposizioni del regolamento interno del Comitato, deliberato nella seduta del 18 dicembre 1890 ed approvato dal Ministero con nota 2 febbraio 1891 le trovò ottime e tali da assicurare un sod- disfacente andamento del servizio. Prega perciò il presidente di volerne far dare lettura. — 8 — Dietro invito del presidente il segretario legge successivamente i vari articoli di detto regolamento, i quali non danno luogo ad alcuna proposta di modificazioni. Terminata la lettura ha luogo uno scambio d’idee fra i vari membri del Comitato, i quali come conclusione approvano all’unanimità il seguente ordine del giorno : « Il Comitato riconoscendo che per il passato, specialmente per le continue riduzioni del fondo per la carta geologica, dovette rinunziare a molte delle at- tribuzioni affidategli dal regolamento del 2 febbraio 1891, limitando così l’effi- cacia della sua opera, fa voti affinchè, aumentando l’assegno per detto lavoro, il Comitato stesso sia messo in grado di esplicare in modo più energico e più rapido la sua azione, sia per ciò che riguarda i rilevamenti sia per le pub- blicazioni ». La seduta è tolta alle ore 11.15. Seduta pomeridiana dell’ 8 giugno 1908. La seduta è aperta alle ore 17 coll’intervento del presidente Capellini, dei membri Baldacci, Bassani, Bucca, Cocchi, Gliamas, Issel, Mazzuoli, Parona, Striiver, Taramelli, Zezi e del segretario Crema. Quest’ultimo, ad invito del presidente, dà lettura del verbale della seduta antimeridiaua che è approvato. Il Presidente dà la parola al direttore del servizio per la sua relazione sui lavori di campagna, d’ufficio e di laboratorio e sulle pubblicazioni del 1907. Massuoli prega l’ingegnere Baldacci, nella sua qualità di capo deH’Ufficio geologico, di voler fare egli detta relazione. Baldacci incomincia la sua esposizione e dà conto dei lavori di campagna eseguiti nel 1907, riassumendo la relazione che verrà stampata integralmente in appendice al presente verbale. Massiioli esprime il suo compiacimento per i molti incarichi stati affidati a richiesta di altre Amministrazioni dello Stato, come risulta dalla detta rela- zione, al personale dell’Ufficio, scorgendovi una sicura prova della considera- zione in cui questo è tenuto ed un ottimo mezzo per far sempre meglio cono- scere i vantaggi che si possono avere nel campo pratico dagli studi geologici. Capellini e Taramelli lamentano l’eccessivo disturbo che tali incarichi ar- recano ai normali lavori di rilevamento. Ma33uoli trova teoricamente giusta tale osservazione, ma dice che in pra- tica non si ebbe alcun danno sembrandogli inutile di aumentare sempre più la quantità dei lavori rimasti inediti per mancanza di fondi. — 9 — Issel nota come alcuni degli incarichi eseguiti debbano considerarsi corno veri rilevamenti e che in genere questi danno sempre occasione ad utili revi- sioni, spesso fonte di importanti ritrovamenti di fossili o di feconde osserva- zioni che possono poi essere utilizzate per i normali lavori dell’ufficio. Si ral- legra quindi della operosità dimostrata dal personale. Baldacci fa osservare che dalla enumerazione da lui fatta, il tempo impie- gato in tali incarichi'potè forse parere assai maggiore che in realtà non sia stato. Prescindendo dagli incarichi di carattere assolutamente eccezionale, eseguiti in occasione dei disastrosi terremoti della Calabria, si tratta in generale di lavori brevissimi ed in totale ogni ingegnere non vi dedicò più di una diecina di giorni. Taramelli apprezza le osservazioni fatte ma ritiene che il rilevamento e la pubblicazione della carta geologica del Regno debbano essere la funzione principale se non esclusiva del personale dello ufficio. Capellini si preoccupa del ritardo così frapposto alla formazione della carta temendo che il Parlamento possa un giorno trovare esagerate le somme accor- date a tale scopo in confronto dei risultati ottenuti. Massuoli insiste nelle fatte considerazioni e sarebbe lieto se il Comitato si pronunziasse sulle due tendenze delineatesi. Capellini crede impossibile di dare norme precise al riguardo e che si tratti essenzialmente di una questione di misura. Propone che si compia intanto un inventario dei rilevamenti già pronti per essere pubblicati. Parona osserva che trattandosi di funzionari dello Stato sembra naturale ebe il Ministero abbia il diritto di utilizzarli talvolta anche in servizi affini; gli pare quindi che al più il Comitato potrebbe esprimere il desiderio che gli incarichi straordinari vengano loro affidati soltanto nei casi di vera necessità. Issel trova legittime le osservazioni fatte dal presidente e dal collega Taramelli, ma trova che il direttore Mazzuoli vi ha esaurientemente risposto poiché per acquistare simpatie alla loro scienza i geologi devono rendersi utili nei servizi pubblici intervenendo nella risoluzione delle questioni d’indole pra- tica. Del resto è convinto che gli operatori lasciati in ozio perderebbero assai della loro pratica e della loro dottrina. Per utilizzare poi i rilevamenti com- piuti ma tuttora inediti si chiede se non sia il caso di pubblicare delle carte in piccola scala. Taramelli approva l’inventario proposto dal presidente ma non vede l’op- portunità di pubblicare carte in piccola scala trovando sufficienti quelle già esistenti ed in gran parte dovute all’iniziativa privata. Insiste nella necessità di pubblicare i rilevamenti fatti, anche per dare una meritata soddisfazione, scientifica ai loro autori. 10 — Issel dice che la sua proposta non ayera che il carattere di ripiego teni' poraneo. Massmli è d’accordo con Taramelli nella necessità di non ritardare più oltre la pubblicazione dei lavori eseguiti. Cocchi dice che la questione si riduce tutta ad ottenere un aumento di fondi. Taramelli propone che si chieda al Ministero uno stanziamento straordinario onde mettersi al corrente colle pubblicazioni. Crede che per il decoro della scienza italiana esso sia assolutamente necessario. Massmli si jissocia. Capellini propone che Finventario delle carte pubblicate venga fatto da una Commisione di 3 membri la quale preparerà anche il preventivo della spesa. Il Comitato approva, affidando al presidente la nomina di tale Commissione. Il Presidente chiama a comporla i colleghi Taramelli, Bassani e Parona. Dopo brevi osservazioni del presidente e di vari membri resta stabilito che la Commissione si riunirà immediatamente facendo proposte concrete nella prossima adunanza. La seduta è tolta alle ore 19.15. Seduta del 10 giugno 1908. Si apre la seduta alle ore 16. Son presenti il presidente Capellini, i membri Baldacci, Bass 1,127.40 » 3,211. 39 »• 2,024. 14 » 311.40 L. 11,326.36 Totale . . . L. 11,326.36 » 699.10 L. 12,025.46 L. 12,025.46 A riportarsi ... L. 15.895,46 — 36 - Riporlo . . . Ili. Spese d 'Ufficio, Biblioteca e Collezioni : Cancelleria, posta, ecc L. 2,261.00 Spese d’ Ufficio ordinarie » 366. 80 Riparazione locale, riscaldamento, illuminazione, ecc » 4,592.04 Consumo di carte topografiche, stampe di tavole e cartine » 1 ,488. 75 Acquisto di pubblicazioni, periodici, ecc » 2,064. 55 Rilegature libri > 103. 00 Spese di campagna (guide, ecc.) > 1,000.00 Trasporti vari > 323. 25 Materiale per collezioni e laboratorio > 430. 50 Totale . . . L. 12,629.89 IV. Pubblicazioni : Stampa del Bollettino L. 3.000.00 Impegno Carta Alpi Occidentali > 6,100.00 Totale ... L. 9,100. 00 V. Spese diverse: Sussidio alla Società geologica L. 500.00 Assicurazione incendi » 114.00 Compenso al portiere dell’ Ufficio di Torino » 100.00 Incoraggiamenti e sussidi a privati per lavori geologici » 750.00 Compensi vari al personale subalterno d’ufficio per lavori straordinari . » 963. 00 Totale . . . L. 2,427.00 L. 15,895.46 L. 12,629.89 L. 9,100.00 L. 2,427.00 Fogli della Lucania (impegno) Totale . . . L. 40,052.35 > 6,500. 00 Totale . . . L. 46,552.35 NB. Lo stanziamento non era che di L. 43,500, alla differenza venne provveduto con la Legge sugli storni, che permise di prelevare da altri capitoli la differenza stessa. Ripartizione delle spese per II 1908. Lavori di campagna ed escursioni diverse L. 13,000 Spese diverse deU’Ufficio > 15,000 Pubblicazione Bollettino » 4,000 Pubblicazione della Memoria del prof. C. F. Parona sul Cretaceo dell’Abruzzo > 2,500 Pubblicazione di 5 fogli della Carta geologica della Toscana a 1 : 100,000 » 6,500 Spese impreviste > 1,000 Totale . . . L. 42,000 Sarebbe desiderabile che nel futuro esercizio forse pubblicata la Memoria descrittiva della Toscana, già preparata dall’ing. Ijotti. Le memorie che vanno a corredo di quelle sulle Alpi Apuane, in prepa- razione per parte dell’ing. Zaccagna, e cioè quella paleontologica del prof. Ca- navari e quella petrografica degli ing. Mattirolo e Franchi, e per le quali era stata nell’anno precedente prevista una spesa di lire 800, potranno essere pub- blicate in seguito, insieme con la memoria generale. PRESENTE^) 2 4 OCT ;r98 I Annunzi di pubbiicazioni ^'Clerici E. -- Sugli scavi per le fondazioni del palazzo pel Parlamento in Roma. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXVII, fase. 1®, pag. 21-21). — Roma, 190S. : Idem. — Resoconto del XXVI Congresso Greologico italiano tenuto in Torino nel settembre 1907. (Ibidem, Voi. XXYI, fase. 2®, 1 fase, di 126 pag,, con 4" tav.). — Roma, 1908. . Y Idem. — Ricerche inicroscopiclie su calcari Rasici di Tivoli. (Ibidem, Yol. XXYI, fase. 3^^, pag. 461-464). - — Roma, 1908. Idem. — Analisi microscopica del calcare farinoso di S. Demetrio nei Testini. ■ (Ibidem, pag. 557-564). — Roma, 1908. YCruciani a. — Contributo allo studio geologico dei giacimenti di salgemma -- della Sicilia. (Rassegna della industria solfifera, Anno XXI, nn. 33 e 37, pag. 3 e 16, con tav:). — Caltanissettà, 4907. - r ^ - D’Achiardì G. — Considerazioni critiche sulla origine dell’acido borico nei X soffioni boriferi della Toscana. (Mem. Soc. Toscana di Se. nat., Yol. XXIII, - ir pag- 8-19). — Pisa, 1908. Dal Piaz G. — Sull’età degli strati coralligeni di Monte Zovo presso Mori nel Trentino. (Rend. R7Acc. dei Dincei, Ser. 5% Yol. XYII, fase. 3^ "Y:. 1® sem., pag. 116-124). — Roma, 1908. •4 y'f. Idem. — Sui vertebrati delle arenarie mioceniche di Belluno. (Atti Acc. Scien- ■-'l tifica Yeneto-Tren tino-istriana, classe I, Anno Y, pag. 19). — Padova 1908. ^ Del Campana D. — Fossili della dolomia principale della Valle del Brenta. (Boll. Geol. ital., Yol. XXYI, fase. 3®, pag. 465-404). — Roma, 1908. ^ J Db Lorenzo G. — I crateri di Miseno nei campi Flegrei. (Atti R. Acc. Se. fis. e nat.. Seria 2% Yol. XIII, pag. 25, con 3 tav.). (Società Reale di Xa- ' J.' poli). — Xapoli, 1908. ^ De Stefani C. — Le marne a cardium j, del Ponte Molle presso Roma. , (Boll. Soo. Geol. ital., Yol. XXYI, fase, 3°, pag. 579-584, con 1 tav.). — '.i Roma, 1908. ■■-r V ^ Idem. — Di alcuni carreggiamenti locali recentemente supposti in Italia. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XXYII, fase. 8^ 1® sem., pag. 486.4951. — Roma, 1908. (Segue) (Seguito: Y. pagina (precedente) - . « Di Franco S. — Nuoto osservazioni sulla Aragonite di Sicilia. (Atti Aw^ Gioenia, Serie 5% Voi. I, con 5 fig. e 1 tar.). — Catania, 1908. *-1 Di Stefano G — Foche altre parole sull’Eocene della Terra d’Otranto. (Boll] Soc. Geol. ita!., Yol. XXYII, fase. .1°, pag. 17-20). — Roma, 1908. Fabiani R. — Paleontologia dei Colli Serici. (Mem. Soc. ital. delle Se. de|a dei « Xii », Serie 3% T. XY, pag. 208, con tav.). — Roma, 1908. Hammer W. — Die Ortlergruppe und der Ciavalatschkamm. (Jalirbuch de« K. K. Geòl. Reiehsanstalt, Jahrg. 1908, 1 Heft, pag. 79-196, mìt zwei KaiS tenskizzen). — WÌ3n, 1908. IssEL A. — Liguria preistorica* (1 Yol. di pag. 765, con 8 tar. e 271fig. n«R testo). Genova, 1908. . , 9 Lacroix A. — La Montagne Pelée après ses éruptions avec ohservations sufi les éruptions du Vésuve en 7^ et en 1906. (1 Yol. in-F, con 321 fig. testo, pubblicato dalla « Académie des Sciences»). — Paris, 1908. S Martelli A. — . Di alcune recenti idee sulla struttura dell’ Appennino e cialmente di un preteso carreggiamento Dalniato-Oarganico. (Riv. geog^ ital., Anno XY^ iasc. lY, pag. 193-207). — Firenze, 1908. Rovereto G. — Studi di Geomorfologia. Yol. 1®: nn volume in-8®, di pag. 27(% con 70 ine. nel testo e 7 tav. — Genova, 1908. S Taramélli T. — A proposito di upa nuova ipotesi sulla struttura delPA^ffi pennino. (Rend. R. Istituto lombardo di Se. e lett.. Serie II, Yol. XTìM pag. 126-139). — Roma, 1908. Yinassa de Regny P. — Nuove osservazioni geologiche sul nucleo centrtì™ delle Alpi Gamiche. (Atti Soc. Toscana di Se. nat.; Proc. verb.. Yol. XYÌM n.^ 4). — Pisa, 1908. ^ Idem. — Osservazioni geologiche sui dintorni di Rosia (Siena). (Ibidem, mIE morie, Yol. XXI Y). — Pisa, 1908. Yiola C. — Appunti su minerali italiani. (Rend. R. Aec. dei Lincei, S. Yol. XYII, fase. 8*^, V sem., pag. 496-506). — Roma, 1908. e S; I*r-ez5zo del presente fa.@cieolo t L. ^3. ROMA TIP. NAZIOT^ALE DI G. BERTEKO E C. R. 3.“ Trimestre Voi. 0 della 4* Serie ITALIA 1908 ELENCO del personale componente il Comitato e l'UfTicio geologico -s^T' R. Comitato geologico. Capellini (jiovanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Cermenati Mario, prof, di storia delle scienze naturali, R. Università di Roma Cocchi Igino, prof, di geologia, Firenze. ; IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Uenova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver G-iovanni, prof, di mineralogia, R* Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del" R. Istituto geografico militare in Firenze. Mazzuoli Lucio, Ispettore superiore. Capo del R. Corpo delle Miniere, Roma Zezi Pietro, Ispettore superiore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Baldacci Luigi, Capo del R. Ufficio geologico. Personale addetto ai lavori delia Carta geologica. Direzione : _ , Ing.^MAzzuoLi Lucio, predetto. Cassetti Michele. Moderni Pompeo. Luswergh Cesare. CozzoLiNO Filippo. Aureli Amedeo. (jIAMMARCHI (jETULIO. Nocito Pietro. Andreis Nicolao. Sparvoli Vincenzo. Salvatelli Filippo. La sede del R. Ufficio geologico è in Roma, via Santa Susanna, n. 1. Ingegneri Ing. Zezi Pietro, predetto. R, Ufficio geologico: / Baldacci Luigi , Capo Aiutanti j dell’Ufficio. principali i Lotti Bernardino. Aiutante . . Zaccagna Domenico. Mattirolo Ettore. Disegnatori j ( Aichino (jiovanni. Novarese Vittorio. Sabatini Venturino. - Amanuensi Franchi Secondo. Stella Augusto. \ ( Crema Camillo. PiLOTTi Camillo. Uscieri . . | BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IV, Voi. IX. Anno 1908. Fascìcolo 3*^. SOMMAEIO. Note originali. — I. - B. Lotti. Cenni sulla geologia della Toscana. — II. - A. Stella. Relazione sulle ricerche minerarie nei giacimenti cupriferi del circondario di Alghero (Sassari). (Con due tavole). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per Tanno 1907. Pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Atti ufficiali. NOTE ORIGINALI I. B. Lotti. — Cenni snìla geologia della Toscana, Questa breve nota è destinata a servire di schiarimento ai primi 15 fogli della carta geologica di questa regione, recente- mente pubblicati alla scala di 1 : 100000, e a supplire in parte e momentaneamente alla memoria alquanto voluminosa, compiuta da tempo ad opera dello scrivente, la quale non potrà esser pub- blicata prima dell’anno venturo. GENERALITÀ. Sotto l’aspetto geologico ed orografico la Toscana può conce- pirsi divisa in due aree notevolmente diverse : una orientale co- stituita dal vero Appennino e dalle sue ondulazioni secondarie più o meno parallele, quali il Monte Morello, il Pratomagno, il Monte Albano e il Chianti ; l’altra occidentale formata da una serie d’alture le quali o vanno bruscamente a tuffarsi in mare 11 — 166 ~ eon contorni frastagliatissimi o sovrastano a pianure alluvionali di formazione recente e talvolta anche storica come gran parte dell’attuale maremma. Di quest’area fanno parte le isole dell’Ar- cipelago Toscano, i monti della Spezia, le Alpi Apuane, il Monte Pisano, i monti di Campiglia e di Massa Marittima, la Monta- gnola Senese, i monti dell’Amiata, quelli della Maremma grosse- tana, quelli di Cetona e finalmente il Monte di Canino A differenza della regione appenninica, i cui membii o se- guono l’andamento e la direzione della catena principale o stac- cansi normalmente ad essa a guisa di contrafforti, questa regione littoranea presenta una disposizione orografica irregolarissima che è ben lungi dal rappresentare, come generalmente, il risultato finale di prevalenti azioni denudatrici su catene di piega a nor- male andamento. A questa serie di alture, apparentemente fra loro indipen- denti e che per la tettonica e per la natura geologica dei terreni da cui sono formate tanto si distinguono da quelle che costi- tuiscono il vero Appennino, il Savi fino dal 1837 dette il nome di Catena Metallifera, perchè in esse, come nell’Erzgebirge della Sassonia, hanno sede, come vedremo in appresso, i numerosi giaci- menti di minerali metallici di cui è ricca la Toscana occidentale. I fogli della carta geologica alla scala di 1 : 100000 finora pubblicati comprendono in massima parte la zona della Catena Metallifera, e sono quelli di Orbetello, Toscanella, Piombino, Grosseto, Santafiora, Massa Marittima, Siena, Montepulciano, Li- vorno, Volterra, Pisa. Solo quelli di San Casciano, Val di Pesa (in parte), di Lucca (in parte) e di Firenze si estendono alla zona della catena appenninica e delle sue appendici occidentali. Un semplice sguardo su questi fogli della carta geologica basta a porre immediatamente in rilievo la notevole differenza nella costituzione fisica di queste due parti del suolo toscano. ^ Quest’ultimo, i monti della Spezia e le Alpi Apuane, sebbene fuori della Toscana, fanno parte dello stesso sistema montuoso littoraneo. — 167 — Mentre nell’area occupata dall’ Appennino e dalle sue dipendenze vedonsi sviluppati con grande prevalenza i terreni eocenici, in quella della Catena Metallifera si presenta una straordinaria va- rietà di formazioni tanto sedimentarie che eruttive, dalle più an- tiche alle più recenti. TERRENI SEDIMENTARI. Presiluriano. — I più antichi terreni sedimentari, forse ar- caici ma certamente presiluriani, compariscono soltanto nell’Isola d’Elba e constano principalmente di scisti gneisici tormaliniferi, gneiss minuti, micascisti, calcescisti e calcari cristallini cui si as- sociano rocce eruttive basiche antiche sotto forma di serpentine scistose e scisti diabasici. Siluriano. — Anche il Siluriano non fu osservato che all’Isola d’Elba ed è costituito da scisti bituminosi, argillosi ed ardesiaci con Orthoceras, Gardiola cfr. bohemica, Actinocrinus. Nella parte più alta di questa formazione, in certi strati argilloso-micacei, già dallo scrivente riferiti dubitativamente al Carbonifero, il De Ste- fani raccolse in seguito i seguenti generi: Plumulites, Beyrichia, Goniatites, Alacrochilina, Naticopsis, Bellerophon, Euphemus, Mur- cMsonia, Loxonema, Antracoptera, Myolina^ Macrodon, Tellinomya, Edmondia, Sanguinolites, Goniophora, Leptodomus, Schizodus, Gar- diola, Hyolithes, Actinocrinus tenuistriatus PhilL, e il De Angelis vi trovò successivamente un’impronta vegetale che ricorda VAste- rophyllites rigidus Stbg. Carbonifero e permiano.. — Sopra il Siluriano seguono im- mediatamente all’Isola d’Elba i conglomerati quarzosi, le arenarie quarzitiche e gli scisti micacei del Verrucano riferibili al Permiano ad eccezione degli strati più bassi nei quali dovrà forse ricono- scersi parte del Carbonifero, come a Jano presso Volterra, dove son racchiuse una flora ricchissima ed una fauna decisamente spettanti al Carbonifero superiore. Gli strati del Verrucano sono assai sviluppati in tutta l’area della Catena Metallifera e special- — 168 — mente nell’Isola d’Elba, nei monti deUa Maremma grossetana, nella Montagnola Senese, nel Monte Pisano e nelle A1]dì Apuane. Nel Monte Pisano presso Santa Maria del Giudice questo terreno offrì una ricca flora in cui predominano le specie : Callipteris conferta, Taeniopteris multinervis, T. var. fallax, T. var. abnormis, Walchia piniformis, Bay era sp., Ginkgo primigenia, che, secondo il De Bosniaski, sono le più caratteristiche del Permiano e presen- tano grandissima analogia col Permiano di Autun in Francia. Nelle Alpi Apuane le rocce del Permiano sono notevolmente diverse da quelle degli altri gruppi della Catena Metallifera, poiché constano di scisti gneisiformi, micascisti, quarziti, cloritoscisti e calcescisti, nei quali ultimi si rinvennero specie indeterminabili di Orihoceras e Actinocrinus . Questi strati furono già dallo scrivente riferiti al Siluriano, ma lo Zaccagna, in seguito a studi compa- rativi nelle Alpi Marittime ed Occidentali credè di doverli attri- buire al Permiano. Trias. — Verosimilmente parte degli strati superiori del T^er- rucano spettano al Trias inferiore, dimodoché può ritenersi che fra il Permiano e il Trias esista concordanza e continuità. Nelle Alpi Apuane sopra questi strati del Trias inferiore fanno seguito dei calcari dolomitici, detti grezzoni, con Encrinus lilii- formis Mill. del Trias medio, masse di marmo con Avicida exìlis. Turbo solitarius, Gyroporella triasina, Chemnitzia, Aulacoceras, Pecten, Psiloceras, Nautilus, Pentacrinus, cioè con una fauna mista di tipi triasici e basici, poi calcescisti, micascisti, calcari con selce, scisti argillosi e ardesiaci, ed arenarie dei Trias superiore. Queste formazioni triasiche, potentissime nelle Alpi Apuane, vanno diminuendo d’importanza a misura che procedesi verso Sud. Così nel Monte Pisano ove, per uno strano fenomeno di disloca- mento, le troviamo sovrapposte a quelle basiche, esse consistono soltanto in calcescisti, scisti argillosi e ardesiaci ed arenarie. Nella Montagnola Senese abbiamo tutte le formazioni triasiche delle Alpi Apuane ad accezione dell’arenaria, ma notevolmente ridotte nella loro potenza; nei marmi di questa località si rinvennero i — 169 — seguenti fossili: Encrinus cfr. granulosus Munst., Vermiceras perspi- cuum, Fue., Montivaultia, Pentacrinus, Terehratula, Phylloceras Li- poldi Hauer, Bachophyllites, Lytoceras Phillipsi Sow., Arnioceras, specie anche qui, come nelle Alpi Apuane, in prevalenza di abito basico; ma la posizione di questo terreno fra il Permiano e il Retico e la sua perfetta analogia litologica col Trias delle Alpi Apuane non lascia dubbio alcuno sul suo riferimento. In tutti gli altri gruppi della Catena Metallifera questo terreno o non com- parisce affatto o è rappresentato soltanto da pochi scisti micaceo- argillosi e da strati calcarei, generalmente cristallini, che si trovano qua e là fra il Permiano e il Retico. In un punto, presso Casal di Pari, fra Siena e Grosseto si rinvennero in questo terreno le se- guenti specie decisamente triasiche : Encrinus liliiformis Mill. E., cfr. silesianus Beyr., Cidaris transversa May. Retico. — Il Retico, ove è completamente sviluppato, come nei monti della Spezia, nelle Alpi Apuane, presso Caprona nel Monte Pisano, allTsola d’Elba e nel Monte di Cetona, è costituito in basso da calcar^ cavernosi dolomitici cui fanno seguito supe- riormente calcari stratificati grigio-cupi con Avicula contorta, Bac- tryllium ed altri fossili infraliasici, e finalmente dolomie ; negli altri gruppi della Catena Metallifera prevalgono o dominano esclu- sivamente i calcari cavernosi cui spesso si associano masse di gesso metamorfico, come nel Capo Argentario, a Capalbio, a Pa- iamone, nell’Isola di Giannutri, nei monti di Sangimignano, a Casal di Pari e alle Bruscoline presso Massa Marittima. Lias. — Le formazioni basiche succedono al Retico con per- fetta concordanza e con passaggio graduato nei monti della Spezia, nelle x41pi Apuane, nel Monte Pisano, ai Bagni Casciana, all’Isola d’Elba, nelle alture di Massa Marittima, a Gavorrano e a Roselle presso Grosseto, nel monte di Cetona e in quello di Canino. Esse sono costituite o da grosse masse amigdalari di calcare bianco subcristallino o da calcari grigiocupi stratificati con abbondante fauna del Lias inferiore, da calcari rossi marnosi con Arietites ed altre specie di passaggio fra il Lias inferiore e il Lias medio, da — 170 — calcari grigiochiari con selce contenenti Harpoceras ed altre forme del Lias medio, e da calcari marnosi, scisti calcarei, scisti argil- losi e diaspri con Posidonomya Bronni del Lias superiore. XelFIsola d’Elba il Lias superiore, oltreché in serie continua sugli altri piani basici, si osserva direttamente sovrapposto al Retico, al Permiano, al Siluriano ed anche all’Arcaico. Presso Campiglia Marittima e a Gavorrano, in contatto delle masse granitiche di queste località, i calcari bianchi del Lias in- feriore sono parzialmente divenuti cristallini e non dissimili da quelli triasici delle Alpi Apuane. Negli altri gruppi della Catena Metallifera mancano le forma- zioni basiche e in più luoghi vedesi l’Eocene od il Cretaceo supe- riore sovrapporsi direttamente al Retico od ai terreni più antichi. I terreni finora notati, sebbene di preferenza sviluppati nella Catena Metallifera, non sono ad essa esclusivi; anche nel vero Appennino, come per esempio a Mommio, a Corfino in Garfagnana e nella Val di Lima compariscono plaghe, del resto non molto estese, di terreni permiani, retici e basici. Titoniano e Neocomiano. — A questo punto della serie stra- tigrafica ci troviamo in presenza di una discontinuità che, mentre nella Catena Metallifera si manifesta colla sovrapposizione diretta e trasgressiva degli strati del Giurassico superiore su tutti i ter- reni più antichi, nell’Appennino apparisce solo come una lacuna, persistendo la concordanza stratigrafica. II Giurassico superiore e, più precisamente, il Titoniano, formato da scisti ardesiasi e dadiaspri rossi Gon A ptyclius punctatus o\ìz, Aptychus Beyrichi Opp. e Belemnites, da calcari scistosi variegati e da calcari con selce grigiocupi, ed il Neocomiano che ad esso fa seguito con perfetta continuità ed è costituito da calcari bianchi con selce e da scisti marnosi con Aptychus anguloco status Pet., compariscono nei monti della Spezia, nelle Alpi Apuane, nella Val di Lima, nel Monte Pisano, nei monti d’Oltre Serchio, a Mon- summano e a Montecatini in Val di Nievole, ai Bagni di Casciaiia, — 171 — a Jano presso Volterra, nei monti di Rapolano e nel Monte Amiata. Essi mancano per tutt’altrove. Senoniano. — E qui ha luogo un’altra notevole discontinuità. Il Cretaceo superiore e l’Eocene vanno a ricoprire direttamente e spesso con manifesta discordanza, tanto nell’ Appennino che nella Catena Metallifera, tutti indifferentemente i terreni più antichi dal Neocomiamo al Presiluriano. Queste due trasgressioni coincidono esattamente con quelle riconosciute sopra una gran parte della superficie terrestre da vari osservatori e messe dipoi in evidenza dal Suess {Das Antlitz der Erde) rispettivamente sotto il nome di trasgressione hatoniana e trasgressione cenomaniana. Il Cretaceo superiore è assai sviluppato nelle Alpi Apuane, nella Val di Lima, nei Monti d’Oltre Serchio, nel Monte Pisano, nella Val di Nievole, nei monti del Chianti, nel Monte Amiata ed in altri gruppi della Catena Metallifera ed è formato o da calcari marnosi rossi o rosei (scaglia), come presso Carrara e nel Monte Amiata, o da scisti argillosi policromi, con tracce di solfuri di rame, e da diaspri manganesiferi, come nella Val di Lima, a Ra- polano e negli altri gruppi della Catena Metallifera, nonché nei monti del Chianti. Nei monti presso Grosseto agli scisti argillosi policromi si associano strati di un’arenaria quarzosa rossa e di una puddinga pure quarzosa alternante con calcari rosei e giallastri. L’arenaria e la puddinga assomigliano non poco alle rocce analoghe del Verru- cano ed ebbero per ciò dallo scrivente il nome di P scudo- verrucano. Eocene. — È difficile segnare un limite netto fra questo ter- reno riferito al Senoniano e l’Eocene; si può anzi affermare che il limite debba ricercarsi per entro alla stessa formazione degli scisti policromi, perchè in più luoghi e specialmente nelle Alpi Apuane la parte superiore di essi racchiude strati e lenti di cal- care nummulitico. Il terreno eocenico, da cui principalmente risulta costituito — 172 — r Appennino settentrionale e che è pure assai sviluppato in tutta la Catena Metallifera, è rappresentato da tre principali forme lito- logiche, cioè arenarie, scisti argillosi e calcari marnosi (alberesi), le quali o alternano fra loro strato per strato o sono raggruppate in masse distinte e di notevole potenza. Di solito, come ad esempio nelle Alpi Apuane, nel Monte Amiata, nei monti di Firenze e altrove, le arenarie si trovano alla base sopra a grossi banchi di calcare nummulitico; succede in alto la zona delle rocce calcareo- argillose o delle argille scagliose, e questa è, a sua volta, ricoperta dalla zona dei calcari marnosi od Helminthoida lahyrinthica . Tal- volta però si osserva, come ad esempio nei monti della Val di Sieve, nel Casentino, nei monti di Arezzo e altrove che la zona calcarea ad Helminthoida passa lateralmente e gradatamente ad arenaria. In questo caso si manifestano due zone d’arenaria : una inferiore ed una superiore. Nella formazione calcareo-argillosa stanno interposte frequen- temente in forma di amigdale, delle masse di rocce ofìolitiche di svariate dimensioni, costituite da serpentina proveniente da Iher- zolite, da eufotide (gabbro) e da diabase. Generalmente queste masse eruttive basiche son coperte da strati di diaspri e di ftaniti rosse, quasi intieramente composte di spoglie silicee di radiolarie. Un fatto degno di studio per l’Eocene toscano e che, del resto, ha riscontro anche in altri punti deH’Appennino settentrio- nale, si ha nella comparsa in esso, sopra e sotto a strati num- mulitici, di fossili di tipo cretaceo. Nel Casentino, a Monte Ri- paldi e a Pontassieve presso Firenze, nei monti di Pistoia, in quelli di Barigazzo, in quelli della Spezia e altrove, in certi strati di arenaria calcarifera detta 'pietraforte si raccolsero inocerami, ammoniti, turriliti ed altri generi ritenuti un tempo esclusiva- mente cretacei. Siccome non vi è alcun dubbio sulla posizione stratigrafica delle rocce che li contengono e poiché esse son sempre di natura clastica è a ritenersi probabile che tali fossili siano stati divelti da terreni cretacei e trasportati nel mare eocenico. — 173 — In appoggio di questa soluzione starebbe il fatto che le S7)ecie raccolte a Monte Ripaldi, nella stessa cava di pietra che serve alla pavimentazione delle vie di Firenze, furono dal De Stefani riconosciute spettanti a vari piani del Cretaceo inferiore e medio, cioè al Senoniano superiore, al Santoniano e al Coniaciano, al Turoniano e Cenomaniano. A misura che si procede verso il dorso dell’Appennino e più oltre nel suo versante adriatico, in quella che chiamasi Romagna toscana, il terreno eocenico tende ad assumere un aspetto di mag- giore uniformità. I calcari marnosi ad Helminthoida e le argille scagliose cedono il posto all’arenaria che prende uno sviluppo sempre maggiore e passa lateralmente ad una formazione di marne e di arenarie in strati alternanti in cui si raccolsero, segnatamente nei monti della Val di Sieve, pteropodi, bivalvi del genere Lu- cina, cassidarie ed altri fossili aventi una marcata analogia con forme mioceniche di prossime località, motivo per cui il terreno che li racchiude fu riferito da vari autori aH’Oligocene e al Mio- cene. Così avvenne per le arenarie di Porretta, di Ronta, degli Allocchi e di Dicomano, ma tale riferimento non potè reggere di fronte alle osservazioni stratigrafiche in un rilevamento geologico in grande scala. Del resto se si pensa che nel versante orientale dell’Appennino Tosco-Romagnolo quasi tutto l’Eocene e il Mio- cene inferiore e medio, fino alla formazione gossifera del Sarma- tiano, sono rappresentati dalla stessa formazione di arenarie, che passano a molasse, e di marne alternanti, possiamo spiegarci fa- cilmente questo fenomeno della presenza d’una fauna eocenica analoga a quella miocenica, poiché era naturale che restando invariato l’ambiente di deposito le faune successive non dovessero presentare variazioni notevoli. Miocene. — Una delle gravi difficoltà che s’incontreranno quando si procederà al rilevamento geologico di questa regione adriatica dell’Appennino, sarà appunto quella di poter segnare il limite fra l’Eocene e il Miocene. ? — 174 — \ Il Miocene inferiore, rappresentato come abbiamo veduto e forse assai sviluppato nel versante adriatico dell’ Apppennino, manca completamente nella Catena Metallifera. Quivi comparisce invece il Miocene superiore e parte del medio costituito da strati marini, salmastri e lacustri di conglomerati ed arenarie con fos- sili marini, argille e marne fetide a congerie con banchi di lignite picea, tripoli, calcari marini e argille con gessi talvolta solfifere come presso Siena. Questo terreno è di preferenza sviluppato nelle valli della Cecina, della Cornia, della Pecora, della Bruna, dell’Ombrone e dell’Albegna. Lembi di esso si osservano inoltre a Caniparola presso Sarzana, nei monti Livornesi, in Val di Sterza presso Vol- terra, in Val d’Elsa presso Poggibonsi, nella valle della Feccia fra Radicondoli e Chiusdino e nella Val d’Orcia presso la stazione ferroviaria di Monte Amiata. Una speciale formazione marina riferita al Miocene superiore dal Simonelli che ne studiò la fauna, comparisce nel Casentino e in Val Tiberina in piccoli lembi isolati di cui il maggiore forma lo scoglio su cui è fabbricato il convento della Verna sullo spar- tiacque fra l’Arno e il Tevere. La roccia è costituita in parte da un calcare coralligeno, in parte da arenaria calcarea. Un’esigua striscia di terreno miocenico comparisce finalmente sulla costa N.O dell’Isola di Pianosa e consiste di strati di argille marnose e talvolta bituminose sottostanti al calcare a nullipore ed ai conglomerati del Pliocene. Anche di questo terreno furono studiati i fossili dal Simonelli che li ritenne del Miocene medio. Pliocene (marino). — Il Pliocene comparisce in plaghe este- sissime sulla sinistra dell’Arno penetrando profondamente nelle valli de’ suoi tributari Era ed Elsa; sulla destra stendesifino alla Valdinievole ma è in gran parte ricoperto dal Quaternario. Esso forma poi un’ampia zona tra Siena e Orvieto, diretta da N.O a S.E e varie plaghe isolate nei monti Li\'ornesi, nella Val di Ce- cina, presso Chiusdino nella Val di Merse, a Roccastrada, nella Val d’Ombrone e nella Val d’Orcia, nella valle d’Albegna e nel Monte Amiata, dove giunge all’altezza di 900 metri. Esso forma inoltre quasi per intiero l’Isola di Pianosa, mentre manca completamente in tutte le altre isole dell’Arcipelago toscano. Questo terreno consta a luoghi, come nel Senese e nel Vol- terrano, di sole argille marine, brulle e sterili, a luoghi di alter- nanze di argille, sabbie e ciottoli su cui svolgesi la più rigogliosa vegetazione. Di solito si ha in questo terreno la successione ascen- dente: argille, sabbie e ciottoli, ma localmente si osservano le argille, anche al disopra delle sabbie, come ad esempio fra Ca- stelfiorentino e Montaione nella Val d’Elsa. Oltre a queste formazioni compariscono qua e là nel Plio- cene dei calcari marini caratterizzati di solito Amphistegina. Essi occupano la parte superiore del terreno, spesso in sostitu- zione dei conglomerati, e presentano il loro maggiore sviluppo presso i Bagni di Casciana nel Pisano, presso Riparbella, a Po- marance e a San Dalmazio in Val di Cecina, a Montaione, a Gambassi e a Sangimignano in Val d’Elsa dove ricuoprono diret- tamente il calcare retico, e finalmente a Sarteano. Pliocene (lacustre). — Nella Val di Serchio in Garfagnana, presso Massa Marittima alla Ghirlanda e nel bacino di Prata, nella conca di Firenze, nella Val di Sieve, nel Casentino, in Val Tiberina, presso il Monte Cetona, a Montepulciano e a Capalbio in provincia di Grosseto e nel Valdarno superiore il terreno plio- cenico è lacustre ed è formato esso pure da argille, sabbie e ciot- toli Le argille racchiudono banchi di lignite xiloide. Nelle indicate località questo terreno lacustre occupa il fondo di bacini isolati, dove mai penetrò il mare; altrove però, come nella Val di Chiana, presso Chiusdino in Val di Merse, e presso Roccastrada esso trovasi a contatto col Pliocene marino e lo ri- cuopre direttamente, dimostrando così di essere alquanto più giovane. Non è difficile che questo terreno, almeno nella sua parte superiore, rappresenti una formazione di passaggio fra il Pliocene — 176 - e il Quaternario, come sembrerebbe accennare una certa promi- scuità negli avanzi di mammiferi pliocenici e quaternari rinvenuti in esso presso Montevarchi. T ;nto la fauna malacologica del Pliocene marino, come quella dei mammiferi del Pliocene lacustre è abbondantissima, ed ha formato oggetto di studio per molti e sommi paleontologi. Quaternario. — Le formazioni quaternarie antiche della To- scana, che meritano di esser segnalate, constano principalmente: di travertini antichi, come nel Massetano e in vari punti della regione amiatina e del Grossetano ove non si ha più traccia delle sorgenti che li produssero; di accumulamenti morenici nelle Alpi Apuane e in qualche punto dell’ Appennino pistoiese; di depositi di ciottoli e sabbie ocracee in terrazze nelle Alpi Apuane e nella Val di Lima; di calcari marini (panchina) lungo tutto il littorale fra Livorno e Civitavecchia e nelle isole, ove raggiungono talora, come all’Elba, altitudini di circa 200 metri. Al Quaternario recente sono da riferirsi: tutti i travertini de- positati, e tuttora in via di deposito, dalle numerose sorgenti ter- mali sparse lungo la zona littoranea della Toscana ed anche nel- l’interno come a Colle Val d’Elsa, a Rapolano, a Sarteano e altrove; le torbe, i terreni palustri e i depositi fluvio-marini, che occupano le estese pianure littoranee di Pisa, di Campigiia, di Grosseto e d’Albegna, e quelle interne di Lucca, di Firenze e della Valdichiana. ROCCE ERUTTIVE. La zona littoranea della Toscana oltreché per la straordinaria varietà di formazioni sedimentarie interessa sommamente il geologo per le sue rocce eruttive. Rocce ofìolitiche presii uriane. Fra le più antiche eruzioni di rocce basiche sono da annoverarsi le serpentine dell’Isola d’Elba racchiuse fra gli scisti arcaici della costa orientale immediatamente sotto al Siluriano. — 177 — Rocce ofìolitiche triasiche. — Fanno seguito in ordine ascen- dente d’età le serpentine con scisti cloritici e crocidolitici, l’eufo- tide, le anfìboliti con glaucofane e lawsonite e le diabasi granulari e porlìritiche racchiuse negli scisti triasici dell’Isola di Gorgona, del Capo Argentario e dell’Isola del Giglio analogamente a quanto si verifica nelle Alpi Occidentali. Rocce ofìolitiche eoceniche. — Ma le maggiori eruzioni di rocce basiche ebbero luogo nel periodo eocenico. Queste rocce, costituite essenzialmente di serpentina mista a Iherzolite, da cui essa proviene per idratazione successiva o più probabilmente contemporanea alla eruzione, di eufotide, di diabase e più raramente di granito cloritoso, sono enormemente sviluppate nell’alta Garfagnana, nel Monte Beni presso Firenzuola sull’ Ap- pennino, nel Monte Ferrato presso Prato, nei dintorni dell’Impru- neta presso Firenze, nei Monti Livornesi, nella Val di Cecina, nei dintorni di Montaione in Val d’Elsa, nei Monti di Murlo presso la confluenza della Merse coll’Ombrone, nella Val Tiberina e nel- l’Isola d’Elba dove, a contatto col granito, subirono profonde al- terazioni. Masse sporadiche di queste rocce si osservano nel pro- montorio di Piombino, nelle colline di Follonica, tra Massa Marittima e Prata, a Roccatederighi e Montemassi, a Castiglione d’Orcia, nella Val di Sieve, intorno al Monte Amiata, tra Roccalbegna e Saturnia e alla Rispescia presso Grosseto. La costante posizione di queste masse ofiolitiche fra sedimenti eocenici della stessa natura e spettanti allo stesso livello strati- grafico ci autorizzano a concludere] che esse trovansi nella loro giacitura originaria e sono contemporanee agli strati che le rac- chiudono; non puossi ammettere quindi l’idea che esse rappresen- tino scogli di rocce antiche emergenti dai terreni eocenici o residui di esse staccati e impigliati nei terreni eocenici stessi in conse- guenza di movimenti della crosta terrestre, e nemmeno intrusioni laccolitiche nell’Eocene perchè manca qualunque traccia di meta- — 17S morfismo al loro contatto. Esse quindi altro non possoiio essere che espansioni eruttive sul fondo del mare eocenico. Rocce eruttive acide mioceniche. - Nel Miocene ebbero luogo le intrusioni di granito e di porfido quarzifero e le eruzioni di tracliite pure quarzifera, geneticamente fra loro collegate, dell’Elba, delle isole di Montecristo e del Giglio, di Gavorrano presso Massa Marittima e di Campiglia. Contemporanea a queste si ritiene l’eru- zione di trachite della Tolfa in provincia di Roma. Il granito penetra negli strati eocenici e li altera presso Fe- tovaia nell’Isola d’Elba e nei calcari triasici e basici, convertendoli in marmo, a Gavorrano e a Campiglia. I porfidi quarziferi e i graniti porfirici attraversano pure gli strati eocenici all’ Isola d’Elba e le trachiti porfiriche penetrano in filoni negli strati basici di Campiglia. I ciottoli di queste rocce eruttive trovansi nel Miocene supe- riore della Val di Bruna nella Maremma grossetana e in quello della Marsibana presso Massa Marittima; nessun dubbio, adunque, che la loro età sia compresa fra l’Eocene e il Miocene superiore. Rocce eruttive quaternarie. — Nel Quaternario si ebbero eru- zioni di trachite quarzifera cordieritica presso Roccastrada, di trachiti andesitiche a Montecatini in Val di Cecina, a Orciatico in Val d’Era e nel Monte Amiata, e di an desite e basalto a Ra- dicofani, nel Monte Calvo sulla destra del fiume Fiora presso Capalbio e nel Monte Rosso sulla sinistra presso Sorano, colle quali eruzioni si apre la serie delle rocce vulcaniche del sistema vul- sinio. Ai Quaternario appartengono forse anche le trachiti, le an- desiti e i basalti dell’Isola di Capraia. GEOLOGIA ECONOMICA. Una gran parte della Toscana e in special modo la zona della Catena Metallifera si presenta notevolmente ricca di depositi di minerali metallici, di sorgenti termo-minerali, di emanazioni gas- sose, di combustibili e di materiali edilizi ed ornamentali. — 179 — IVIinerali metalliferi. — In accordo col fatto, ormai ricono- sciuto dovunque e dalla generalità dei geologi, che uno stretto legame esiste fra le manifestazioni eruttive e le metallogeniche, si annoverano in Toscana tre gruppi di giacimenti metalliferi in cor- relazione coi tre periodi eruttivi di cui è stata fatta menzione. Così alle eruzioni di rocce basiche dell’Eocene troviamo associati numerosi giacimenti di minerali cupriferi, a quelle di granito e di trachite del Miocene si collegano minerali di rame, piombo e zinco non che ossidi di ferro e piriti, a quelle trachitiche e ande- sitiche del Quaternario vanno uniti quasi esclusivamente minerali di mercurio e d’antimonio. Per la incerta loro classificazione genetica e perchè infine son fuori della regione toscana, tralascio di prendere in rassegna i gia- cimenti metalliferi delle Alpi Apuane. Essi debbono essere proba- bilmente preeocenici perchè sono stati in massima parte distur- bati dai movimenti del sistema appenninico e perchè sembrano essere in relazione con una roccia porfiritica tormalinifera, essa pure laminata e sconvolta. I minerali di rame delle rocce ofiolitiche eoceniche sono intie- ramente ad esse collegati, facendo parte della roccia stessa, in cui compariscono come prodotti di segregazione e concentrazione magma tica. Può dirsi non esistere massa serpentinosa che non racchiuda almeno tracce di solfuri di rame, e non solamente in Toscana ma anche nell’Emilia e in Liguria; sono però rari e, diciamolo pure, eccezionali in queste rocce i depositi cupriferi industrialmente utili. Così sono stati oggetto di attive ricerche i giacimenti di Montaione, delle Cetine di Volterra, del Terriccio, di Monte vaso, di Monterufoli, di Montecastelli, e lo sono stati e lo sono tuttora quelli di Riparbella, dell’Impruneta e di Roccatederighi, ma finora si ottennero risultati positivi, e veramente splendidi, soltanto dal giacimento cuprifero di Montecatini Val di Cecina, oggi esso pure apparentemente esaurito. — 180 — I giacimenti di solfuri metallici, di ossidi di ferro e di man- ganese, e di piriti, in relazione colle eruzioni acide mioceniche, constano essenzialmente di filoni di frattura, di ammassi di con- tatto e di masse di quarzo metallifero e di ossidi di ferro formatisi per sostituzione su banchi calcarei. I più importanti giacimenti metalliferi di questo periodo son quelli di minerale di ferro dell’ Isola d’Elba, quelli di pirite cu- prifera e solfuri misti di Massa Marittima e di Boccheggiano, e quelli di pirite pura di Gavorrano, di Vallebuia e di Molignoni presso Boccheggiano. I giacimenti ferriferi dell’Isola d’Elba sono generalmente di sostituzione ai calcari e compariscono sempre a questi associati a diversi livelli della serie dall’Arcaico al Lias su- periore. Quelli cupriferi di Massa Mariitima e di Boccheggiano son pure in gran parte di sostituzione molecolare e compariscono in tre masse quarzose filoniformi di notevole potenza, dirette da nord a sud, le quali o son racchiuse intieramente dentro l’Eocene e in con- cordanza con i suoi strati, come quella delle Capanne vecchie, o sono al contatto trasgressivo fra l’Eocene e i terreni permiano e retico, come quelle di Serrabottini e di Boccheggiano. Un altro filone importante di questi dintorni è quello di calcopirite e sol- furi misti del Poggio Guardione il quale avendo una direzione est-ovest sembra attraversare quello delle Capanne Vecchie presso la sua estremità nord, ma in realtà si raccorda gradatamente con questo, in armonia col cambiamento di direzione degli strati eocenici. Le rocce eoceniche e specialmente i calcari sono profonda- mente alterati intorno a queste masse quarzose, e son convertiti in silice e silicati ferrocalciferi. Gli scisti argillosi furono invece solfatizzati e si formarono delle allumiti che presso Massa e a Montioni alimentarono in passato per molto tempo l’industria della fabbricazione deU’allume. II giacimento di pirite di Gavorrano trovasi al contatto fra il granito e le rocce calcaree e scistose del Trias. Esso ha la forma — 181 — di filone diretto da nord a sud di potenza variabile che è giunta a 10 e più metri di spessore, ma è da riguardarsi come un gia- cimento di segregazione dal magma granitico all’epoca delli sua solidificazione. I giacimenti di Vallebuia e dei Molignoni presso Boccheggiano son depositi formatisi al contatto fra i calcari cavernosi retici e gli scisti permiani, e sono in relazione manifesta con la vicinissima massa filoniforme quarzoso-cuprifera. Il loro spessore è notevole e sembra raggiungere ed anche oltrepassare i cinque metri. A questi giacimenti, che sono attivamente escavati, devonsene aggiungere altri, in esplorazione, non esplorati o abbandonati, fra i quali sono da ricordarsi: i filoni cupro-plumbiferi di Montieri e di Gerfalco; gli affioramenti ferriferi delle Case Dolaghe e di Val- daspra; le calamine con solfuri misti della Niccioleta, di Val- daspra e delle Bruscoline, sempre nel Massetano; la massa filoni- forme quarzosa con solfuri misti di Castel di Pietra, compresa fra l’Eocene ed il Miocene superiore; i filoni cupro-plumbiferi di Cana- piglia associati nella stessa spaccatura a porfidi trachitici ed au- gi tif eri; i minerali di ferro e di stagno pure presso Campiglia in masse nei calcari basici; i minerali di manganese del Monte Ar- gentario in masse fra il calcare r etico e il V errucano; le piriti cu- prifere dell’Isola del Giglio associate al granito al contatto con le rocce sedimentarie come a Gavorrano. In relazione colle eruzioni trachitiche ed andesitiche quater- narie sono i giacimenti cinabriferi dell’Abbadia San Salvadore, di San Filippo, del Siele, del Cornacchino, di Montebuono, di Corte- vecchia ed altri minori, presso il Monte Amiata. Affioramenti di cinabro fuori della regione amiatina si hanno a Saturnia, a Ca- pita e a Pereta in provincia di Grosseto, a Jano presso Volterra, a Ripa e a Levigliani nelle Alpi Apuane. I depositi cinabriferi compariscono in terreni svariatissimi: negli scisti carboniferi a Jano, nel Trias nelle Alpi Apuane, nei calcari basici al Cornacchino, nel calcare nummulitico, nell’are- 12 — 182 — naria e nel calcare alberese dell’Eocene all’Abbadia, al Siele, a Cortevecchia e a Montebuono nel Monte Amiata, nelle sabbie plio- ceniche a Pereta dove il giacimento, di recente scoperto, è stato ormai messo in evidenza con razionali lavori di ricerca. In generale la mineralizzazione cinabrifera avviene per la dis- soluzione di calcari marnosi e precipitazione del cinabro sul re- siduo argilloso di essi. I giacimenti antimoniferi attualmente coltivati son quelli delle Celine presso Siena, di Casal di Pari tra Siena e Grosseto e di Pietratonda presso Paganico in provincia di Grosseto. Essi sono racchiusi nel calcare retico o in masse di quarzo calcedonioso com- preso di solito fra questo calcare e i sottostanti scisti del Verni- cano. Altri giacimenti si rinvengono nelle stesse condizioni a Pog- gio Fuoco in provincia di Grosseto e, in associazione col cinabro, alle Zolfiere di Pereta, a Montante, a Capita, a San Martino e a Selvena pure in provincia di Grosseto. Oltreché nelle citate località compariscono tracce di stibina in altri punti della Toscana come ad esempio a Micciano presso Poma- rance, al Prataccio presso Massa Marittima, a Calafuria nel Livornese. Tanto i giacimenti cinabriferi quanto quelli antimoniferi sono quasi sempre accompagnati da circostanti emanazioni di acido carbonico e solfidrico (putizze) e da sorgenti acidule e sulfuree. Le emanazioni sulfuree del giacimento antimonifero di Pereta, in relazione manifesta con quello cinabrifero, dettero luogo ad un importante deposito di solfo, un tempo scavato. Sorgenti termominerali. — Fra i vari fenomeni geologici di cui è ricca la Toscana, non è forse uno dei meno interessanti quello delle sorgenti termominerali che in buon numero trovansi disseminate in questa contrada e di cui poche soltanto sono oggi utilizzate a scopo idroterapico od igienico, mentre ben molte altre potrebbero esserlo, come già lo furono al tempo dei Romani. Fra le principali, chè troppo lungo sarebbe enumerarle tutte, sono da ricordarsi: quelle saline purgative dei Bagni di Lucca — 183 — in Val di Lima, di Montecatini e Monsummano in Val di Nievole cui si associa Temanazione sotterranea di vapore acqueo ed aria calda della celebre Grotta, e quelle della Salute presso Livorno; quelle alcaline e acidule di San Giuliano, d’Agnano e d’Oliveto ai piedi del Monte Pisano e di Chianciano in provincia di Siena; quelle sulfuree dei Bagni di Casciana, di Gavorrano e di Roselle, di Petriolo, del Doccio, delle Galleraie, di San Filippo, di Rapo- lano, di San Casciano de’ Bagni, cui sono da aggiungersi quelle di grande portata delle Caldane presso Campiglia, di Saturnia in provincia di Grosseto e del Bagno a Vignoni in provincia di Siena, nonché quelle peculiari manifestazioni idrotermali ad altis- sima temperatura, costituenti i soffioni boraciferi di Monterotondo presso Massa Marittima, del Sasso, di Lustignano, di Serrazzano, di Castelnuovo, di Travale e di Larderello in provincia di Pisa, dai quali si ritrae una gran parte dell’acido borico usato in com- mercio. Dalla distribuzione topografica di queste sorgenti termali si apprende in primo luogo che esiste un intimo legame tra le ma- nifestazioni idrotermali e quei gruppi di rocce secondarie e pa- leozoiche il cui insieme costituisce, come fu detto, la Catena Me- tallifera, poiché mentre tali sorgenti son frequentissime nell’area di questa catena, non se ne osservano che per eccezione nel contiguo Appennino; in secondo luogo si manifesta per alcune di esse la connessione con faglie o con linee di dislocazione indicate dai brusco limite delle basse pianure coi rilievi di terreni antichi ai piedi dei quali esse scaturiscono. Molte acque medicinali e gazose della Toscana rientrano fra le acque termali ora descritte o trovansi con esse in così stretta relazione da costituire un sol fenomeno; così quelle saline purga- tive di Montecatini Val di Nievole, quelle acidule d’ Asciano, d’Agnano e d’Oliveto nel Monte Pisano, quelle purgative della Salute presso Livorno, l’acqua acidula del torrente Riguardio presso i Bagni di Casciana, le acque ferruginose della Cappella di Santa Lucia e di San Leopoldo e quella purgativa della Perla in Val di Cecina, l’acqua acidulo -ferruginosa delle Galleraie presso i soffioni di Travale, l’acqua acidula di Montalceto, quella del Bagno Santo di Saturnia, l’Acqua Santa, pur essa acidula, dei Bagni di San Filippo in Vai d’Orcia, non che quella omonima ed analoga dei Bagni di Chiane iano. Per ciò che riguarda l’epoca della comparsa di queste mani- festazioni idrotermali è da ritenersi che esse, insieme con alcuni fenomeni metallogenici quali i giacimenti di mercurio o d’anti- monio, siano in correlazione con fiatture avvenute in questa contrada nei primi periodi dell’era quaternaria, allorché ebbe luogo l’inabissamento della regione tirrenica. Sorgenti produttrici d’energia. — Alle sorgenti termali so- praccennate altre sono da aggiungersene che per avere una tem- peratura di poco superiore a 20 ’ C. potrebbero dirsi col Bepetti semitermali. Son queste le sorgenti deli’Aronna e delle Venelle presso Massa Marittima, le Vene di Cieiano tra Massa e Siena, le sorgenti d’Onci e di San Marziale presso Colle di Val d’Elsa, quelle di Sant’Albino tra Chianciano e Montepulciano e quelle di Sarteano presso il Monte Cetona. Le caratteristiche di queste sorgenti consistono: 1° nell’essere in relazione geologica coi calcari cavernosi retici, notevolmente permeabili; 2^ nell’avere una temperatura intermedia fra quella delle sorgenti ordinarie di acqua potabile e quella delle sorgenti termali vere e proprie; 3° nel tenere in soluzione forte dosi di I biearbonato di calce per cui hanno dato origine ad estese e po- ■ tenti masse di travertino; 4° finalmente nell’abbondanza delle loro i acque mercè la quale sono utilizzate come generatrici di energia. In una parola queste sorgenti, di cui il regime è manifesto, I formano un termine di passaggio fra quelle ordinarie e le termali j propriamente dette delle quali non è possibile stabilire od anche | semplicemente intravedere il corso sotterraneo. Emanazioni di H'S e CO^. — Le emanazioni di acido solfidrico o putizze sono in gran parte collegate alle sorgenti termali sulfuree, ai soffioni boraciferi e, miste ad acido carbonico, ai giacimenti di mercurio e d’antimonio; alcune di esse però sembrano essere af- fatto estranee a quei fenomeni ed appariscono sporadicamente dis- seminate sempre però dentro i limiti della regione littoranea della Toscana. Le putizze in stretta relazione con le sorgenti termali sono quelle di Petriolo, di Rapolano e di Sant’Albino; dipendenti dai soffioni boraciferi son quelle delle Galleraie e di Castelletto presso Travale, di Micciano, dei dintorni di Larderello e di Casteinuovo in Val di Cecina; associate ai giacimenti cinabriferi e antimoni- feri son quelle del Monte Amiata e di Pereta nella Maremma gros- setana. Le putizze dei dintorni di Livorno, della Chiecinella, di Querceto, dei pressi di Sangimignano e di Gambassi, della Mon- tagnola Senese, di Castel di Pietra in Val di Bruna e del Ba- gnacelo in Val d’Ambra sembrano estranee ai fenomeni endogeni e metallogenici ora ricordati. A questo stesso ordine di fenomeni sono da attribuirsi certe emanazionni violente d’acido carbonico cui vien dato localmente il nome di soffioni. Ne abbiamo a Cinciano presso Siena associate alle sorgenti acidule della stessa località, a Montione presso Arezzo, a Pergine sulla sinistra del Valdarno e nel Botro di Bagnala presso Bapolano forse in relazione colle sorgenti termali e acidule di quella località. Tutti questi soffoni eccettuato l’ultimo sono stati utilizzati per la fabbricazione della biacca e per la prepara- zione dell’acido carbonico liquido. Combustibili. — Tn Toscana si hanno depositi di combustibili fossili a vari livelli della serie geologica e cioè nell’Eocene, nel Miocene superiore, nel Pliocene e nel Quaternario. I depositi dell’Eocene sono insignificanti e consistono in stra- terelli o piccoli banchi lenticolari di carbone antracitico e di li- gnite picea racchiusi dentro le arenarie. — 186 — Si rinvennero in varie parti della Toscana ma solo in pochi punti ne fu tentata invano la utilizzazione, cioè alla Piastra, a Pruneta e a Pupiglio, tutti nelFAppennino pistoiese. Di molto maggiore entità sono i depositi di combustibili del Miocene superiore e di questi i più cospicui sono quelli di Ca- steani e di Ribolla in Val di Bruna con circa 6 e 7 metri di po- tenza, da molti anni attivamente scavati. Il potere calorifico di questa lignite picea raggiunge e oltrepassa talvolta le 5000 colorie. Giacimenti di un combustibile analogo son quelli ora abban- donati, e in parte non ancora esplorati, dell’Acqua Nera presso Roccatederighi, di Monte bamboli in Val di Cornia, di Monterufoli in Val di Cecina, di Murlo e di Cana in Val d’Ombrone e di vari punti della Val di Sterza in provincia di Pisa. A questo stesso periodo, ma forse ad un livello un poco più alto sono da riferirsi i depositi del Casino, di Pigliano e di altri punti della valle di Staggia, presso Siena. Alla parte più giovane del Pliocene spettano le ligniti xiloidi degli antichi bacini lacustri dei Valdarno, del Casentino, della Val di Sieve, della Val Tiberina, quelle di Montefollonico presso Monte- pulciano nonché quelle torbacee di Monticiano, di Ricausa e di Bellavista fra Siena e Massa Marittima e di Quarata presso Arezzo. Il più cospicuo di questi depositi è quello del Valdarno che comprende i gruppi di escavazioni di Castelnuovo, di Tegolaia e di Gaville. I banchi di lignite di questo bacino hanno presentato talvolta lo spessore di 30 e più metri. Alla parte più recente del Quaternario spettano i giacimenti di torba di Viareggio, di Tombolo presso Pisa, d’Orentano nel padule di Bientina, della Valdichiana e del padiile di Burano presso Capalbio in provincia di Grosseto. Sali. — Banchi di sale sono associati alle marne con gessi del Miocene superiore nella Val di Cecina presso Volterra, ove ali- mentano una piccola industria. Il sale si ottiene estraendo dai pozzi, all’uopo escavati, le sue soluzioni acquose le quali vengono — 187 — poi evaporate in appositi recipienti riscaldati per mezzo di com- bustibili vegetali. Altre sostanze saline fornite dal suolo toscano sono Tallume e il borato di soda derivato dall’acido borico, dei quali prodotti fu già fatto cenno. Materiali edilizi. — Quasi tutte le rocce che compongono il suolo toscano si prestano come materiale edilizio e specialmente i vari calcari secondari, i calcari alberesi eocenici e le arenarie. Queste ultime specialmente, sotto il nome di macigno o pietra serena sono largamente scavate presso Signa ed in altri punti della catena del Monte Albano, e presso Fiesole. L’arenaria calcarifera o calcare psammitico detto pietraforte viene scavato presso Fi- renze, a Monte Ripaldi ed in altri punti circostanti ed impiegato molto convenientemente per la pavimentazione delle vie di Firenze. È abbondantissimo in Toscana il materiale per la fabbrica- zione delle calci idrauliche e dei cementi ed è fornito in massima parte dai calcari marnosi (alberesi) dell’Eocene; buone calci idrau- liche si ottengono però presso Pisa, ai Bagni di San Giuliano ed ai Bagni di Casciana anche dei calcari del Lias medio. 1 calcari eocenici sono scavati per la preparazione del cemento all’Incisa ed a Figline nel Valdarno, a Monte Pilli presso Firenze, nella valle della Bifonica presso l’Impruneta e presso Modigliana nella Ro- magna Toscana. In molti altri punti però i calcari eocenici della Toscana si potrebbero utilizzare a questo scopo. A Campiglia, a Montioni e alle Capanne Vecchie presso Massa Marittima sono usati sotto il nome di pozzolana, per la prepara- zione delle malte, i residui della lisciviazione delle allumiti, di cui si hanno dei depositi presso quelle antiche allumiere. Non manca però la vera pozzolana vulcanica, e di questa se ne ha un deposito presso Manciano in connessione colle contigue for- mazioni tufacee del sistema vulsinio. Come materiali refrattari sono da citarsi in Toscana la ma- gnesite e il caolino con le sue varietà più o meno impure che — 188 — passano ad argilla. La magnesite trovasi solo all’Isola d’Elba e proviene dalP alterazione completa delle rocce serpentinose presso il granito del Monte Capanne. Argille caolinose e caolino compa- riscono all’Isola d’Elba presso il Capo Bianco, ad Altopascio presso Lucca, a Querceto ed in altri punti della Montagnola Se- nese, all’Acquaviva presso Campiglia, a Montioni, a TornieUa presso Roccastrada e a San Francesco nell’Isola del Giglio. All’Isola d’Elba, al Giglio e a TornieUa il caolino si produsse per la decomposizione di rocce granitiche e trachitiche; a Cam- piglia e a Montioni è associato alla allumite; nella Montagnola Senese e ad Altopascio è dovuto alla alterazione e decomposi- zione degli scisti triasici e permiani. Materiali silicei adoperati per le vetrerie e per altri usi sono il quarzo, le sabbie silicee e la farina fossile (Kieselgur). Il quarzo trovasi in vene e in masse lenticolari negli scisti presiluriani del- l’Isola d’Elba, in quelli triasici dell’Isola del Giglio e in grossi fi- loni piritosi presso Castel di Pietra in Val di Bruna, alle Capanne Vecchie e a Boccheggiano presso Massa Marittima. Le sabbie si- licee bianche e pure si rinvengono in grosse lenti fra le sabbie gialle del Pliocene marino a Tripalle nelle colline pisane, e in quelle del Pliocene lacustre del Valdarno presso San Giovanni. Una sabbia quarzosa grossolana che estraesi dal fondo e dalle sponde del lago di Massaciuccoli presso Viareggio viene largamente utilizzata per la segatura dei marmi nei centri industrali delle Alpi Apuane. Singolari depositi di silice pura allo stato di massima suddivi- sione sono, finalmente, quelli della fariva fossile del Monte Amiata, sostanza quasi intieramente formata dai gusci silicei di diatomee. Essa trovasi in piccoli bacini della massa trachitica presso la sua periferia e segnatamente al Bagnolo e alle Bagnore j^resso San- tafiora, al Pino presso Aicidosso e a Casteldelpiano. In intima associazione con la farina fossile trovansi nel Monte Amiata le terre gialle con cui si fabbricano quei colori no- tissimi sotto il nome di terra di Siena naturale, terra di Siena — 189 — bruciata e terra d'ombra. Son due essenzialmente le varietà di terre colorate che si estraggono da questi depositi: l’ocra gialla, che calcinata diventa d’uno speciale color rosso ed il bolo che è una ocra scura con particelle umiche Le escavazioni principali di queste sostanze sono sotto Casteldelpiano, presso Arcidosso e a Piancastagnaio. Se ne osservano però tracce anche alle Bagnore e all’Acqua passante presso l’Abbadia S. Salvatore. Gessi e alabastri. — Abbiamo veduto trattando dei terreni sedimentari, che il gesso comparisce in Toscana in due orizzonti geologici: nel Miocène superiore e nel Retico; come eccezione lo troviamo in un sol punto nel Lias medio e nell’Eocene. Al Miocene superiore spettano i gessi dei monti di Livorno e di quelli della Castellina Marittima, del bacino dell’Era Morta ad Est di Volterra, di Cello, Pomarance e Montingegnoli in Val di Cecina e di Chiusdino in Val di Merse. A Castellina, nell’Era Morta e presso Chiusdino le amigdale di gesso racchiudono nuclei sferoidali di alabastro candido od agatato che viene estratto ed impiegato nell’arte scultoria e per uso decorativo. A Lornano in Val di Staggia presso Siena vi si associano strati di calcare sol- fìfero, come nel corrispondente terreno della Sicilia, della Calabria e della Romagna. I gessi di questo terreno sono di natura sedi- mentaria e contemporanei alla roccia che li racchiude. I gessi del calcare Retico invece, benché compariscano quasi esclusivamente in questo orizzonte, sono di natura metamorfica. Come fu già accennato parlando di questo terreno, essi si trovano in molti punti della Catena Metallifera e cioè: al Cornocchio tra Volterra e Sangimignano, presso Montarrenti, Ricausa e Pento- lina a Sud della Montagnola Senese, alla miniera antimonifera di Casal di Pari, a Patassano presso Monterotondo Marittimo, in Valdaspra e nella miniera delle Bruscoline presso Massa Marit- tima, a Chianciano in provincia di Siena, al Capo d’Uomo presso Paiamone, alla Cala, del Gesso nel Monte Argentario, al Franco nell’Isola del Giglio, nell’Isola di Giannutri e finalmente nei monti di Capalbio in provincia di Grosseto. — 190 — Il Lias medio è gessificato presso i Bagni di S. Filippo alla base del Monte Zoccolino in Val d’Orcia, e, a poca distanza nel fosso Rondinaia, presentasi gessificato il calcare nummulitico. Pietre ornamentali. — La Toscana è poi ricchissima in pietre ornamentali. Senza contare le Alpi Apuane, dove si scavano i più bei marmi del mondo, si hanno marmi bianchi nel terreno presi- luriano dellTsola d’Elba, nel Trias della Montagnola Senese e nel Lias inferiore di Campiglia Marittima e del Monte Pisano ; marmi rossi alla base del Lias medio a Gerfalco, a Castagneto, a Sas- setta, a Campiglia, a Gavorrano, a Caldana, nel Poggio di Mo- scona presso Grosseto, a Montalceto presso Asciano e nel Seno- niano a Montieri; marmi grigi (bardigli) e neri nel Lias inferiore a Campiglia, nel Trias superiore nella Montagnola Senese, nell’ Eo- cene a Montieri; brecce variegate, broccatelli e marmi gialli brec- ciati nel Trias della Montagnola, alla base del Lias medio a Ca- stagneto e a Caldana, nella quale ultima località distinguesi per la sua bellezza una breccia a tinte ^delicate somigliantissima al- l’antica portasanta] alabastro orientale nel travertino quaternario di Castelnuovo dell’Abate in Val d’Orcia e nelle brecce ossifere di Vecchiano, di S. Giuliano e d’Oliveto presso Pisa, alabastri gessosi nel Miocene superiore nei luoghi menzionati parlando dei gessi; diaspri variegati nel Senoniano di Barga e di Montefegatesi in Val di Serchio; calcedoni splendidi in vene nelle rocce ofioh- tiche e formatisi per le alterazioni di queste rocce a Monte- rufoli in Val di Cecina e presso Occhibolleri nei Monti liivor- nesi; serpentina (verde di Prato e ranocchiaia) nel Monte Ferrato presso Prato, a Bolgheri presso Cecina e a Vallerona nel gruppo del Monte Amiata; quarzo ametista in vene nell’arenaria eoce- nica presso Colonna (oggi chiamata Vetulonia) in Maremma; granito presso il Seccheto nell’Isola d’Elba e nell’Isola del Giglio. II. y. Stella. — Relazione sulle ricerche minerarie nei fjia- cimenti cupriferi nd circondario di Alcjhero [Sassari). (Con due tavole). SoMiviARiO: 1. Premessa topografica. — 2. Geologia e cenno generale sui giacimenti cupriferi e sugli studi anteriori. — 3. Giacimenti del gruppo Nord: Bessude, Ticsi, Cheremule, Giave. — 4. Gia- cimenti del gruppo Sud: Mara. — 5. Alcune idee sulla genesi di questi giacimenti. — 6. Tenore del minerale e quantità pre.su mibile nei giacimenti di Mara. — 7. Id. nei giacimenti del gruppo i^ord. — Conclusione. 1 . L' area che racchiude i giacimenti minerari di cui dobbiamo occuparci forma la porzione S.E del circondario di Alghero, com- prendendo parte dei mandamenti di Tiesi e Pozzomaggiore. È rap- presentata nell’ unita cartina geologica ^ che dà in pari tempo una sommaria idea della topografìa generale della regione; topografìa collinesca dalle movenze non molto pronunciate ma piuttosto com- plicate. L’altitudine media è all’incirca quella dei due capoluoghi Tiesi (470"^) e Pozzomaggiore (460“); dal primo scendesi verso N.E di più che un centinaio di metri alla stazione ferroviaria di Tor- ralba (332“^); più rapidamente a S.O all’abitato di Padria (311). Il grande piano centrale di Campo Giavesu è a poco più di 400'^L mentre le alture toccano frequentemente i 500™ e i 600™, e li oltrepassano anche lungo una linea mediana centrale passante per Costa di Cossoine (637™) M. Cuccuruddu (676) e M. Pelao (730). La accennata complicazione delle movenze orografiche dipende ^ Essa è tutta compresa nel foglio 193, Bonorva, dell’ I. G. M. al 100.000. Per l’intelligenza della nostra esposizione è necessario avere sott'occhio le rela- tive Tavolette che sono: Tavol. Tiesi al 25,000; Tavolette Ittiri, Bonorva, Poz- zomaggiore al 50,000. dalla speciale posizione in cui trovasi la nostra area per rispetto alla rete idrografica generale. Trovasi essa a formare lo spartiacque di tre diversi bacini, giac- ché le sue acque versano al F. Coghinas verso N.E, al Rio di Porto Torres verso N.O e al Temo o Rio di Rosa verso S.O; mentre il restante quadrante di S.E dà principio al grande altipiano della Campeda. È importante notare come queste acque, provenendo in gran parte da fonti perenni legate al contatto di una estesa formazione calcare con un sottofondo impermeabile (come vedremo), scendano a raccogliersi prontamente in corsi di acqua, che presentano fin dall’inizio una relativa costanza di portata, sì da meritare di es- sere presi in attenta considerazione per il caso di eventuali im- pianti a servizio di una coltivazione dei giacimenti cupriferi della regione. Anche la rete stradale si presenta abbastanza favorevole da questo punto di vista. Come si vede dalla carta annessa, la ferrovia Chilivani-Macomer, attraversa la porzione orientale della regione, il suo tracciato intrecciasi con quello della grande strada nazionale Sassari -Cagliari; e a queste arterie principali si innestano le strade rotabili per Tiesi, Ittiri, Alghero con diramazione a Cheremule, e la trasversale Pozzornaggiore-Padria che raggiunge la grande strada per Alghero e per Rosa. Allo scalo di Rosa poi giunge pure la linea ferrata della Rete secondaria sarda staccantesi da Macomer; mentre colle due linee ferrate biforcantesi da Chili ^ani si raggiun- gono gli scali di Porto Torres e di Tersane va e Golfo Aranci. 2. La costituzione geoiogica della regione è a grandi linee ab- bastanza semplice, e corrisponde a quella della più gran parte del Sassarese già nota a Lamarmora. Un imbasamento di roccie eruttive trachitiche, su cui poggiano sedimenti terziarii poco distur- bati, a loro volta ricoperti da lave basaltiche ora smantellate dall’ erosione. — 193 — Senonchè i sedimenti terziari! generalmente fossiliferi, che il Meneghini aveva classificato nel terziario superiore fra i terreni subappennini, meglio studiati nella loro relazione con gli altri ana- loghi della Sardegna e del continente e nelle forme fossili rac- chiusevi, (specialmente per opera del Lovisato ' e di una schiera di paleontologi italiani ^), anche nella nostra regione debbono invece essere ascritti al terziario medio o Miocene, e con tutta probabilità al Miocene medio. La quale classificazione io ho adottato nella serie dei terreni come risultato, dal quale nessuna ragione avrei di scostarmi. Però ho introdotto in questo gruppo miocenico delle suddivisioni, che, senza avere la pretesa di corrispondere a piani od orizzonti di carattere generale (forse inesistenti di fatto) hanno nella nostra area una ragione nella natura litologica e nella naturale successione stratigrafica, ciò tanto più perchè un notevole oriz- zonte cicprifero stendesi ai limite fra due di esse suddivisioni. In- fatti nella massa dei sedimenti miocenici si individua abbastanza bene un orizzonte mediano specialmente calcare; al tetto del quale si adagia una formazione prevalentemente marnosa, mentre al riposo si sviluppa una formazione che io chiamerò arenaceo-tufacea, perchè composta per un piccolo spessore superiore di arenarie con argilla e conglomerati e nella inferiore porzione di tufi pomice!. È nella parte suprema di questa formazione, immediatamente sotto al banco calcare, che si sviluppa lo strato mineralizzato cupri- fero, il quale altro non è che la detta porzione suprema per lo più arenacea, impregnata di carbonati di rame (malachite e azzur- rite) spesso concrezionari. Si ha con ciò una notevole analogia col giacimento cuprifero attivamente coltivato a Boléo nella Bassa California, ove è noto, che si hanno impregnazioni cupriche (ossidi, earbonati e solfuri) in ^ Lovisato, opuscoli 1885, — 88, — 96, 1902. " Airaghi C.: 1905, 1906. Bassani F.; 1889, 1891. Capeder G.; 1906. Capei- lini G. : 1886, 1887. De Stefani C. : 1891. De Angelis e IN'eviani: 1897. Mariani e Parona: 1888. Portis: 1901. — 194 — più strati intercalati in una formazione di tufi trachitici e conglo- merati. Ivi pure la formazione cuprifera appartiene al Miocene; è poco disturbata; e mentre appoggiasi in discordanza a monti tra- chitici, èricoperta da colate basaltiche. (Cf. Beck: Erzlagerstàtten). La nostra mineralizzazione non invade le formazioni sopra- stanti, mentre mostra in qualche punto (come vedremo) di estendersi alle formazioni sottostanti fino alle roccie trachitiche: il cui esame presenta quindi un certo interesse. Il nome di roccie trachitiche va inteso però nel senso com- prensivo di formazione geologica più che di individuazione litolo- gica; chè in realtà le schiette trachi ti non sono dominanti. Si ha tutta una serie di roccie da tipi più acidi trachi to-liparitici gene- ralmente più chiari, a tipi di media acidità trachiandesitici rossi e grigi (talora con anfibolo), a tipi più basici scuri andesitico- basaltici: gli uni e gli altri con abbondante sviluppo vetroso e ta- lora scoriaceo e con alternanze di banchi tufacei. Questi però non sono frequenti e neppur sempre con certezza distinguibili dalle trachiti, specialmente se alterate; e, ad ogni modo, nulla hanno di comune coi tufi pomicei che si sono sopra indicati alla base dei sedimenti miocenici. Molto più uniformi nell’aspetto delle roccie trachitiche sono le roccie basaltiche che incappucciano i sedimenti miocenici e talora anche le masse trachitiche, sebbene anch’ esse comprendano varietà più o meno basiche, cioè: basalti felspatici, basalti andesitici e ba- salti propriamente detti, con molta olivina. Più però che nella variazione di composizione mineralogica mascherata sotto un uni- forme aspetto della roccia scura e compatta, si appalesano le va- rietà di tessitura: frequenti le varietà bollose e anche scoriacee, accompagnate talora da masse sciolte di lapilli e vere pozzolane h ^ Contributi allo studio litologico di queste roccie trachitiche e basaltiche hanno dato; Bertolio; 1898-1897 — Doelter C. : 1877-78 — Dannemberg A.: 1902-905 — D’Achiardi G.: 1897 - Deprat M.: 1907 — Millosevich F.: 1907 — Serra A.; 1907. — 195 — Lo studio finora fatto su quest’area non abbastanza estesa, non permette una distinzione cronologica delle roccie basaltiche; tende- rebbe però a renderci molto prudenti nell’ accettare, come provata, la presenza dei coni e crateri vulcanici quali dal Lamarmora in poi si vollero enumerare nella regione; basandosi piuttosto sul- l’orografica esterna forma e sulla presenza di materiali sciolti, che su un rilevamento geologico particolareggiato. Questo fa vedere, come la giacitura delle roccie basaltiche, è quella di sottili colate laviche stendentisi sulle formazioni mioceniche che tutt’ attorno le ri cingono e di sotto si sottintendono, messe in evidenza dallo smem- bramento dell’erosione. Solo in un punto, cioè sul monte Cuccù - ruddu, sopra Cheremule, a questa forma di espandimento orizzon- tale della colata lavica litoide si aggiunge dal lato meridionale e si fonde la forma a cupola leggermente soprelevata sul tavoliere con materiali specialmente sciolti scoriacei e tufacei, che dalla cu- pola sbrecciata a forma di cratere svasato scendono verso S.E con naturai declivio fino al piano generale della base collinesca. Anche qui però le formazioni del Miocene affiorano non soltanto tutto attorno al tavoliere della colata lapidea in alto, ma anche nel bel mezzo dell’accumulo di scorie e lapilli del versante S.E (Regione su Tippiri). Cosicché è a ritenersi, che, anche ammessa la presenza di un vero vulcano locale, ben piccola estensione occupi il suo ca- mino di eiezione. Ciò è in perfetto accordo collo stato di grande fluidità, che devono aver avuto le colate così distese, alle quali possono essere bastati piccoli camini o fenditure successivamente in gran parte svuotate. Altrimenti difficile riesce lo spiegarsi la as- soluta mancanza di filoni basaltici per entro alle preesistenti for- mazioni mioceniche così ampiamente e profondamente messe allo scoperto dalla erosione. Questa induzione, già formulata con felice intuizione dal De Vecchi, l’acuto compagno di lavoro del Lamarmora, ha una impor- tanza non solamente teorica, ma anche pratica notevolissima nel caso nostro. Infatti nel caso nostro l’orizzonte cuprifero (come ve- — 198 — dremo) viene ad essere ricoperto sotto Clieremule da queste for- mazioni vulcaniche basaltiche, ed è importantissimo sapere se e come queste l’abbiano eventualmente attraversato e se possono in- terromperne la continuità sotterranea. Ultima delle formazioni geologiche, di cui occorre parlare, è la più recente di tutte, cioè quella dei terreni quaternari o di tra- sporto, i quali, se anche non mostrano molta estensione sulla no- stra cartina geologica, hanno per noi importanza rispetto alla ri- cerca mineraria. All’infuori del ripiano di Campo Gia^vesu, poco importanti sono anche nella nostra regione, come in generale, i terreni allu- vionali propriamente detti, segnati anche sulla nostra cartina; ma acquistano importanza per noi i detriti di falda. Essi non vi sono segnati, data la piccolezza della scala; ma vengono a orlare colle loro scarpate le balze calcari deH’orizzonte mediano da me distinto, mascherando così in gran parte il contatto di esso calcare colla formazione arenacea sottostante, che è appunto la sede della mine- ralizzazione cuprifera. Di questa veniamo più specialmente a dire. Ci conviene subito distinguere i giacimenti del mandamento di Tiesi, da quelli del mandameuto di Pozzomaggiore: diremo i primi gruppo Nord, e gruppo Sud i secondi. Tanto gli uni che gli altri richiamarono da qualche tempo l’attenzione non solo dei pratici ricercatori, ma anche degli studiosi. Del giacimento di Mara (gruppo Sud) ebbe ad occuparsi il prof. E. Millosevich dando un contributo specialmente mineralogico b Del giacimento di Cheremule (gruppo Nord) fece un cenno in- teressante il collega ing. E. Mattirolo ^ dopo avere studiato dal ^ F. Millosevich, Appunti di mineralogia sarda. Il giacimento di azzur- rite del Castello di Bonvei presso Mara., con alcune osservazioni sulla formazione dei carbonati di rame naturali, Rend. R. Acc. dei Line. Classe di se. fis., raat. e nat., voi. XV, 2° sem., pag. 732, 1906. ^ E. Mattirolo. Osservazioni su minerali cupriferi provenienti da roccie sedimentarie del Sassarese. Rassegna mineraria e delle ind. ehim., voi. XXVII, n. I, luglio 1907. — 197 punto di vista chimico una serie di campioni raccolti dall’inge- gnere D. Zaccagna in una rapida visita da lui fatta alla località per invito del Signor G. Manfredi. Egli poi ha continuato lo studio chi- mico sul materiale da me raccolto, comunicandomene cortesemente i risultati, come dirò al paragrafo 6. 3. Gruppo Nord. — Nel mandamento di Tiesi le ricerche prin- cipali sono nel territorio di Cheremule, ma si estendono anche a quello di Tiesi e di Bessude a Nord, e a quello di Giave a Sud: e seguono V affioramento dello strato cuprifero più o meno minera- lizzato alla base dell’ orizzontale calcare. Questo ultimo torma una piattaforma rialzata a N. verso la massa trachitica e ribassantesi verso E e S. E con orlo a balza caratteristico. Questo da M. .Sa Silva (Bannari) a m. 560. corre a S per F.^ Funeri, indi verso S.S E, abbassandosi a m. 500 in Reg. Terra Ruia fino al Nuraghe Mat- tarigozza a m. 440, con rientranze notevoli corrispondenti ai val- loncelli di Badde Selu, Badde Umulu, Badde Serena, Rio Borgussa. Da quello sperone gira verso E e N.E con andamento sinuoso per fontana Mattarigozza, F."" Nurighe, Sos Forighesos (m. 400) donde si perde sotto i materiali basaltici di Cheremule, di mezzo ai quali però riappare in una incisione di R. su Tippiri. Al di là la formazione calcare e con essa lo strato arenaceo sono ricoperti dalla formazione marnosa soprastante, mà riappaiono con balza sinuosa e discontinua attraversata dalla strada rotabile fino alla stazione di Giave (monte Figuini), a Sud della quale nuo- vamente si abbassa e si perde. Lungo questa linea d’affioramento lo strato arenaceo, sottile com’è (non più di m. 1 circa), non è però sempre visibile, che anzi è in massima parte mascherato dai detriti che orlano al piede la balza calcare; e là, dove non è visibile, è ben lungi dall’ essere ovunque mineralizzato. Le ricerche finora fatte non si estendono quanto sarebbe desi- rabile, e sono limitate a mettere in evidenza lo strato mineralizzato 13 — 198 — nei punti meglio accessibili dove esso tale si presentava ai primi assaggi; ma possono darci un’idea della natura di questi giacimenti che meritano anche industrialmente qualche attenzione. Passeremo in rivista i punti di ricerca, che sono quelli M. Ruinas (Bessude); valle Badde Serena all’origine (Tiesi); Terra Buia, Nurighe, Sos Forighesos, Su Tippiri (Cheremule); M. Figuini (Giave). 1° Bessude — ricerca M. Ruinas. Se da Bessude si raggiunge la F.^ Funeri si percorre la groppa dell’altopiano di Sa Silva costituito dal calcare bernoccoluto fossi- lifero della zona miocenica media, che si alza a ovest a M. Ruinas. Scendendo alla fonte sull’orlo occidentale si vede molto bene come essa zampilli a contatto del calcare colla sottostante formazione composta di arenarie straterellate più o meno argillose, senza mi- neralizzazione visibile e di piccolo spessore, poi di arenarie grossolane e conglomerati a impasto argillo-steatitoso; e più sotto di una grande potenza di tufi pomicei cui si intercalano bancherelli marnosi. Ancor meglio si vede questa serie di terreni se invece si ac- cede a Reg. Ruinas di Tiesi seguendo la mulattiera, che staccasi dalla rotabile Tiesi-Tttiri al km. 45 dirigendosi a Bannari: la quale mulattiera correndo dapprima su tufi presso agli spuntoni di tra- chite visibili a W è dominata dalle balze calcari, a cui salendo si accosta in alto per oltrepassare il colletto che porta appunto in R^®. M. Ruinas, rimpetto alla groppa trachitica di monte Sa Pat- tada. Ivi l’orlo dell’altipiano gira sinuosamente e lascia scorgere al piede qua e là gli affioramenti del banco arenaceo. In tre punti questi furono intaccati con piccoli tagli o meglio semplici scassi: uno a oriente, gli altri due a occidente del sentiero. Essi mettono in evidenza la presenza di mosche di malachite e più raramente di azzurrite del banco arenaceo e talora grossolano a impasto alquanto argilloso, banco del quale ivi non è stato raggiunto il riposo, ma i che dalle osservazioni contigue dovrebbe avere piccolo spessore. I ricercatori, aspettavano di essere muniti di regolare permesso di i — 199 — ricerca per iniziare una serie di lavori, che dovrebbero essere di- retti a scoprire e assaggiare sistematicamente, in molti punti pros- simi fra di loro, tutto l’affioramento che presenta un notevole svi- luppo: ma che più a Sud è mascherato da detriti della balza calcare. 2°. Tiesi, — Anche di sotto all’altopiano calcareo di Tiesi la successione della formazione si può studiare bene scendendo nelle profonde vallecole di già enumerate di Badde Selu, Badde Umulu, Badde Serena e Rio Borgussa. Ma qui pure è molta la presenza di detriti di falda al piede dell’orlo calcare, mascheranti la sottile zona arenacea. Questa però insieme colla inferiore formazione tu- facea si può vedere affiorante lungo la rotabile da Tiesi per Ittiri, e lungo la mulattiera per C. Pinna (con fontana di contatto in am- bedue i luoghi). Meno bene si vede lungo il sentiero di Borgussa; meglio lungo la vecchia strada per Cheremule. Però soltanto in questa ultima è dato avvertire la mineralizzazione; e qui infatti si sono eseguiti dei lavori di ricerca, che hanno valso a mettere in evi- denza lo strato mineralizzato lungo l’orlo delle balze calcari che chiudono i due rami confluenti nel vallone di Badde Serena a monte della mulattiera ora indicata. Percorrendo questa, chi viene da Tiesi incontra lo strato mine- ralizzato affiorante imperfettamente alla discesa sotto l’abitato di Tiesi, e precisamente in destra di chi scende, pochi metri più in basso della fontana di San Giovanni (fontana di contatto) sotto la balza del calcare zeppo di ostree; di poi oltrepassati dapprima i detriti di falda in discesa, indi lo slargo alluvionale, si trovano in salita i tufi bianchi e teneri inferiori, e sopra questi al sommo delle giravolte dette Scala e Chescas si ritrova ancora lo strato mineraliz- zato potente un 60 centimetri e ricoperto dal calcare attraverso il quale continua la mulattiera verso C. Peddi. Osservando dal sommo di Scala e Chescas la valle di Badde Serena coi suoi due rami di confluenza, si ha innanzi agli occhi una magnifica trincea naturale, biforcantesi, che intacca la coperta — 200 — calcare e sì affonda nella formazione arenaceo-tufacea, rispetto alla quale il calcare forma il solito orlo in forte risalto che F occhio ac- compagna colla massima evidenza, e sotto al quale giace lo strato che è sede della mineralizzazione cuprifera. Esso è però in massima parte mascherato dai detriti della balza franosa calcarea; ma con lavori di semplice attacco a scasso è molto facile metterlo in evi- denza, il che fu fatto finora soltanto in minima parte, cioè a monte della mulattiera nei due rami di confluenza. Questi lavori consistono in sgomberi di detriti talora potenti, e in intagli della scarpata al riposo del calcare, i quali hanno messo allo scoperto lo strato cuprifero nei seguenti punti. Anzitutto sotto S. Gio- vanni con un primo intaglio; poi in tre altri punti attorno allo spe- rone, detto Cuccuruddu, di confluenza dei due valloncelli; e infine più verso monte nel valloncello sud con due tagli, l’uno in destra e l’altro in sinistra sponda. Le osservazioni fatte in questi diversi punti si possono rappre- sentare sintetizzate in un profilo che si potrebbe dire riassuntivo come alla fìg. Ili della tav. IV; notando che lo spessore medio del- Varenaria minuta cuprifera è circa di 40 cm. sullo spossare totale variabile da 50 a 80 cm. del banco arenaceo. Va notato che passando da R. Cuccuruddu a R. Salighes, cioè da W a E di una vallicella che anche sulla Tav. Tiesi 1 25,000 tro- vasi segnata (originante al punto quotato 428 della rotabile Tiesi- Stazione Torralba) si ha un disturbo stratigrafico per salto, con un rigetto d’una ventina di metri in senso verticale, per cui lo strato cuprifero dai due scavi più a monte in Reg. Salighes viene ad af- fiorare a livello dei fondo di valle da ambi i iati. I due scavi immediatamente a valle, lo mostrano in alto sotto al ciglio della balza sia in destra verso Reg. Cuccuruddu sia in sinistra al sommo della salita di Scala e Chescas. Aggiungerò che da quell’ ultimo punto verso valle, girando sem- pre a mezza costa sulla sinistra del Vallone di Badde Serena, ho potuto constatare in due punti l’affioramento dello strato cuprifero, — 201 il quale però più in là di una piccola fonte ivi uscente non è ulte- riormente constatabile senza qualche lavoro di scasso. 3°. Cheremule. — Le ricerche minerarie ivi si svolgono lungo l’orlo giù addietro indicato, dell’ altipiano calcare, che da sotto la coperta basaltica di Cheremule scende con declività generale N.W-S. E senza raggiungere il rio Mannu. Verso questo esso è delimitato dai piani di Campo Giavesu e di Bacu-Abas che in esso si internano anche con insenature corrispondenti ad altrettanti rii influenti nel Rio Mannu e aventi origine alle diverse sorgenti di contatto che sgor- gano lungo il piede della balza calcare. I lavori di ricerca furono fatti più attivamente nella porzione di insenatura corrispondente al Rio Nurighe, ove più evidente si mo- strava la mineralizzazione, la quale non si presentò finora altret- tanto promettente nei saggi sia ad Ovest che a Est della detta regione, come vedremo. I lavori sono tagli, trincee e brevi cuniculi eseguiti alla fronte dello strato arenaceo che spunta lungo il ciglione dello sperone do- minato da Nuraghe R®^ Manna, alto una diecina di metri sul piano alluvionale del rio e che verso Nord, cioè in regione Sos Forighesos, si abbassa fino a livello del piano stesso; mentre a Ovest s’innalza ancora verso Mulino Sanna di un’altra diecina di metri. Dalla balza di Nuraghe Rocca Manna alla fonte Nurighe sono tre trincee che si avanzano fino a intaccare lo strato arenaceo cuprifero a mezza costa: da Rocca Manna invece verso N a Scala Munduza si ha un altro intaglio in quel basso terrazzo; e più oltre si hanno due gallerie sotto il Nuraghe (non segnato sulla tavoletta topografica) avanzantisi per un 6“ nel banco, con larghezza di 2^ e uno slargo alla avanzata; e finalmente si hanno gallerie ge- melle in regione Sos Forighesos le quali dalla fronte di affiora- mento si internano orizzontalmente nel banco cuprifero per un 4’“ su altezza di 2“ : aventi al tetto il banco calcare e intaccando oltre allo strato cuprifero arenaceo (spessore 0.20-0.60) anche il conglomerato sottostante. — 202 In tutti questi punti il banco arenaceo si mostra mineralizzato; qui possiamo pure compendiare le osservazioni fatte con profilo sintetico medio come alla fig. IV della tav. IV, notando che lo spes- sore medio àeW arenaria minuta cuprifera risulta di 50 cm. sullo spessore totale del banco arenaceo variabile da 60 a 100 cm. Da Reg. Sos Forighesos verso N la formazione calcarea suboriz- zontale declina e si abbassa, e lo strato non è più affiorante e anzi appena rimontando la falda verso Cheremule è anche ricoperto dai materiali basaltici. Però fu raggiunto da uno scavo a pozzo, profondo una diecina di metri, affondato a distanza di alcune cen- tinaia di metri a monte della galleria di Sos Forighesos. E inoltre riappare nel bel mezzo del caotico accumulo di scorie e massi ba- saltici di Reg. su Tippiri in una incisione a vallecola; nella quale fu messo in evidenza con un lavoro di scasso e raggiunto con una trincea cui fa seguito un breve cunicole, che mostra lo strato ab- bastanza ricco per qualche decimetro di spessore, internarsi di sotto al solito tetto caJeareo a sua volta sopportante il ricoprimento ba- saltico. Invece più verso Est non parrebbe continuare la mineralizza- zione, poiché fu constatato sterile lo strato arenaceo attaccato con tagli da ambi i lati della rotabile a Sud di Cabu Abbas, ove essa entra nell’ altipiano di Borgolo; e pure sterile io ebbi a constatare le arenarie sottostanti al calcare sotto la chiesetta di Nostra Signora di Cabu Abbas. Passando poi all’esame delle ricerche da F^^. Nurighe verso W si ritrova lo strato mineralizzato al ciglio opposto dell’insenatura del Mulino affiorante per breve tratto in destra della mulattiera che sale sull’altipiano in R. su Lutturorigalzu. Proseguendo poi sempre a W si perviene alla insenatura di re- gione Orto de Puttu corrispondente al rio che scende fra i due speroni di Nuraghe S’Ulza e Mattarigozza; e alle origini di questa insenatura si può ancora constatare la presenza dello strato mine- ralizzato nella grotta naturale da cui esce ia fontana detta di Sai- — 203 — narzu (fontana di contatto segnata anonima sulla tavoletta topo- grafica). Poco più oltre lo si ritrova in una trincea di ricerca pra- ticata al piede del ciglione calcare, sotto il quale lo strato cupri- fero messo in evidenza mostra spessore di qualche decimetro fra il calcare del tetto fossilifero (bivalvi ed echinidi) e il conglo- merato steatitoso del riposo quasi a livello del ripiano alluvionale. Finalmente da questa insenatura a Ovest, procedendo, attraver- siamo r ultima piattaforma calcare, sulla quale ci eleviamo marca- tamente proseguendo verso W finché arriviamo al Nuraghe Cun- zadu affacciandoci al grande ciglione, che, elevato di un 60^ sul piano di Campo Giavesu, corre a Nord fino a regione Terra Ruia e a Sud fino al Nuraghe Mattarigozza. La scarpata di questo sca- glione di sotto alla suprema balza del calcare è costituito della nota formazione tufaceo-arenacea ben visibile nella parte inferiore, meno bene nella parte superiore (ohe più ci interessa) a causa del forte ingombro di detriti. L’esame però di questa parte superiore che dovrebbe mostrare la prosecuzione dello strato mineralizzato è reso possibile in più punti da affioramenti naturali, e in altri punti da alcuni lavori di ricerca consistenti in intagli a trincea. Quattro di questi, distribuiti fra Nuraghe, Mattarigozza e Reg. Terra Ruia, raggiungono lo strato arenaceo e si può per tal modo constatare due fatti pur troppo sfavorevoli. Avviene in primo luogo che lo strato arenaceo solito fra il calcare al tetto e il conglomerato steatitoso al riposo è spesso assai sottile e ridotto, e in secondo luogo tende talora tutta la formazione lungo il contatto a diventare grossolana, sì da avere aspetto conglomeratico, non solo al riposo, ma anche al tetto, ove il calcare spesso fossilifero (ostree) contiene ciottoli di roccie trachi tiche fino a passare a una vera puddinga grossolana a cemento calcare. Inoltre in nessun punto è dato constatare la mineralizzazione cuprifera caratteristica, sebbene si fossero da principio concepite speranze dall’indizio di mineralizzazione eccezionale trovata nei tufi pomicei inferiori di Terra Ruia. - 204 — Ivi infatti si fecero alcuni lavori di ricerca seguendo una vena verde di aspetto diasproide (cuprico -silicea) che attraversa verti- calmente la massa di tufi, a mezza altezza della scarpata e appena a Est della stradella che sale V erta balza, detta di Scala Sabazzu, Si vede un intaglio a trincea praticato nel tufo e sulla parete di fondo alta 2 m., e sulla suola del taglio lunga una diecina di metri affiora il filoncello cuprico, con uno spessore di non più che un centimetro. Per meglio seguirlo fu costruita una galleria di qualche metro biforcantesi verso il fondo e alla soglia della suola un poz- zetto di 4 m. di profondità. Il filoncello continua contro monte senza crescere di spessore, ma non così verso valle dove cessa in corrispondenza del pozzetto, sebbene continui in profondità. Il ma- teriale singolare che lo costituisce fu riconosciuto dall’ing. E. Mat- tirolo essere di natura cupro-silicea ; solo eccezionalmente nella massa opalina di un bel verde smeraldo si vedono mosche di azzur- rite a struttura fibroso-raggiata di un colore blu intenso. 4. Giave. — Anche dalla parte meridionale di Campo Giavesu le formazioni mioceniche che costituiscono la collina di Giave in- capucciate in alto dalla coperta basaltica presentano la triplice di- visione, bene avvertibile anche dalla rotabile, che vi corre al piede da cantoniera Campo Giavesu alla stazione di Giave. Qui pure riesce evidente il risalto della zona calcare intermedia che se- guesi coll’occhio a mezza costa abbassarsi da N.E a S. W. cioè verso M. Figuini, attraversata dalla rotabile che sale all’abitato di Giave. Lungo questa non è avvertibile mineralizzazione nel banco arenaceo imperfettamente affiorante, e invece la si può consta- tare sotto M. Figuini ove furono praticati alcuni piccoli scavi. Ivi il banco arenaceo affiora sotto la balza calcare pochi metri più in alto della rotabile, a poche centinaia di metri a S di Stazione Giave; e poggia sui tufi sfatti della scarpata collinesca coltivata; ricoperto dal banco calcareo alquanto variabile come già fu altrove notato (Mattarigozza), con banchi a ostree, e parti arenacee passanti a brecciole e a puddinghe a grossi ciottoli trachitici. Anche il banco arenaceo potente anche più di 1 ni. è piuttosto irregolare, e irrego- larmente mineralizzato con mineralizzazione povera sparsa a zo- nule sottili e discontinue, specialmente nella metà superiore. Gruppo Sud. 5. Mara. — Mentre i giacimenti fin qui enumerati sono fra loro strettamente legati, appartenendo ad un unico banco ora smem- brato dall’erosione, le ricerche di Mara (Mandamento di Pozzo- maggiore) mettono in evidenza giacimenti alquanto speciali, mal- grado certe analogie coi precedenti. Dall’ispezione della carta geologica si vede, come passando dal territorio di Cheremule versu Ovest in quello di Mara, si trovi a\ di là di Campo Giavesu dapprima un grande predominio della massa trachitica che culmina alla Costa di Cossoine, quindi si ritrova il Miocene a coprire discontinuamente le roccie trachitiche. La re- gione a Nord di Mara, compresa nell’angolo fra la rotabile di Al- ghero e il rio Toscanu presenta appunto questa caratteristica: un complicato sistema di affioramenti della massa trachitica di mezzo alla coperta miocenica prevalentemente costituita dalla formazione calcare intermedia. E questi affioramenti presentano un duplice ca- rattere, cioè: o si trovano a formare erte prominenze rocciose ricinte dal Miocene, o spuntano di sotto alla coperta miocenica nelle in- cisioni profonde dei rii che la solcano. La cosa riesce molto evidente lungo la valle del Rio Baddeda là dove questo si allarga nel Miocene sotto la chiesa di Bonighino per poi rinserrarsi nella gola trachitica dominata dal Castello di Bonvei. In questo tratto di transizione della valle cadono le ri- cerche minerarie di R. Cadis e di Reg. Sulizzu rispettivamente in sinistra e in destra del fiume, proprio là dove il Miocene viene a terminare contro e sopra la massa trachitica che prima gli spunta di sotto sui fianchi della gola, e quindi lo domina chiudendolo ai lati e a valle colle ripide pareti della duplice catena che da Bonvei e da Pedra di Multa converge a M. Au. 206 — Nella Sezione della Tav. IV ho cercato di mostrare le condizioni geologiche dei due gruppi di ricerche Cadis e Sulizzu. a) Cadis. — Si accede a queste ricerche di Regione Cadis per la mulattiera che da Sud segue in sinistra sponda il rio Baddeda lungo la gola, per poi sorpassarle su un ponticello rimpetto al Monte Pedras. In alto, sulla sinistra, torreggia la massa frastagliata della trachite anfibolica su cui stanno i pochi ruderi del castello di Bonvei (500 m.); al piede di essa stendesi la falda dolcemente declive dei detriti del monte, ridotti a, cultura; mentre più giù si vede emergere la cordonata rocciosa del bancone siliceo, al cui piede scende il pendìo incolto a boschina, percorso dalla mulattiera. Questa, salendo dal breve ripiano alluvionale, lascia ben presto la coperta calcare del Miocene, e girando a mezza costa quasi in piano, trova subito la sottostante roccia trachitica rossastra alquanto alterata, la quale coperta in parte da detriti, costituisce la scarpata incolta del monte. Una quarantina di metri più in alto riappare la formazione miocenica conterminata al sommo del banco siliceo e va a morire poco oltre a mezza costa, appena al di là di una fonte che ne è l’ultimo indizio. Le ricerche minerarie qui in regione Cadis, sono appunto nella zona di contatto fra questo ultimo lembo di Miocene e la sotto- stante trachite; l’uno e l’altra alquanto singolari nel loro sviluppo e parzialmente mineralizzati. Sono due diversi lavori di ricerca ambedue soprastanti alla mulattiera sotto il banco siliceo, e di- stanti uno dall’altro una cinquantina di metri misurati a mezza costa da Sud a Nord. Il lavoro più meridionale consiste in una trincea di una decina di metri di lunghezza su una larghezza di due, che si interna nel monte intagliando il contatto fra la trachite e il sovrastante Miocene calcareo-siliceo. All’ avanzata della trincea fa seguito una breve gal- leria di otto metri circa, che penetrando viene ad attraversare il piano di contatto appena leggermente inclinato contro monte, e — 207 — quindi attraversa molto obliquamente un sottile banco argilloso mi- neralizzato di contatto, cominciando a seguirlo all’avanzata, dove esso accentua alquanto la sua inclinazione contro a monte. L’altro lavoro più settentrionale consiste in un taglio a mezza costa, cui fa seguito una trincea di approccio al piede della balza coronata dal bancone siliceo. La trincea intacca su una lunghezza di una ventina di metri la massa trachitica alterata e mineralizzata, salendo a gradinata irregolare per una quindicina di metri fino a raggiungere alla avanzata il contatto della massa trachitica col soprastante Miocene calcareo siliceo, sgomberato del poco terriccio di ricoprimento. Nella ricerca più meridionale, dunque, si è messa in evidenza una condizione di cose analoga fino a un certo punto a quelle delle ricerche Tiesi-Cheremule. Si ha cioè uno strato mineralizzato al riposo del calcare miocenico; ma qui lo strato mineralizzato è ar- gilloso, e il banco calcare del tetto è accompagnato (e talora sosti- tuito) da un durissimo bancone siliceo, mentre al riposo mancano conglomerati e tufi, e si ha invece direttamente la roccia trachitica. Il detto strato mineralizzato ha piccolo spessore, nella porzione intaccata finora, variabile da 50 a 10 centimetri ; è di natura argillosa, contiene spalmature, zonule e noduli di azzurrite e più raramente di malachite, distribuite però molto irregolarmente nella massa, la quale in certi punti ne è priva per tutto lo spessore del banco. Molto bene visibile è le successione dello strato calcareo di pochi deci- metri e del soprastante bancone siliceo al tetto dello strato mine- ralizzato, specialmente all’avanzata della galleria, ove la inclina- zione cresce sensibilmente fino a 30° contro monte. Alla base dello strato si passa da esso alla massa trachitica, coll’ intermezzo fre- quente di una sottile zona di contatto, quasi di miscela, mentre anche al tetto si osserva una zona di transizione fra il banco cal- care e quello siliceo. V’è anche intreccio tra i due, come si vede all’imbocco della galleria e ancor meglio all’uscita della trincea dal lato settentrionale, come ho schematicamente indicato nella figura. — 208 — Tanto in galleria, quanto all’ uscita di essa in trincea si vede poi, come la mineralizzazione si estende appena debolmente alla trachite sottostante, la quale nella zona immediatamente al riposo delio strato cuprifero è alquanto più alterata, e contiene mosche ed esili venuzze con i carbonati di rame, e anche filoncelli di baritina. Mano a mano però che usciamo in trincea il fenomeno si perde, come si perde pure io strato cuprifero, e si ha ivi la formazione calcareo-silicea del Miocene a diretto contatto con trachite rossa abbastanza fresca. Se dall’imbocco della trincea si sale verso Nord in groppa al ])ancone siliceo del tetto, lo si ritrova continuamente affiorante finché si perviene al ciglio superiore dello scavo settentrionale sopra indicato. Si vede anzitutto come questo bancone siliceo cresca in potenza e si presenti abbastanza abbondantemente fossilifero (bi- valvi, gasteropodi, echinidi, denti di pesce), e sotto ad esso scen- dendo nel taglio dello scavo, si trova il calcare esso pure cresciuto assai in potenza (come indica la figura), e molto alterato e impre- gnato di ossidi di manganese. Al riposo di esso, senza interposizione di strato argilloso, si trova direttamente la trachite, in cui è aperta la trincea sopra indicata. Ma qui invece è la trachite che si presenta fortemente alterata e visibilmente mineralizzata: l’alteraziione mette in evidenza una tessitura globulare in grande, e un reticolato di litoclasi con alterazione ferruginosa crescente dal centro dei nuclei alla periferia, e massime lungo la litoclasi: e le parti maggiormente alterate si presentano irregolarmente impregnate di carbonati (ma- lachite e subordinatamente azzurrite) in mosche, venuzze e mac- chiette verdi e azzurre. È un modo di presentarsi che richiama quello degli stockwerk auriferi nelle roccie trachi tiche propilitizzate della Transilvania. b) Sulizzii. — Meno importante si presenta la mineralizzazione nelle ricerche contigue di Regione Sulizzu dalla banda opposta del Rio Baddedu. Ivi, com’è schematicamente segnato sulla cartina al 100,000 della regione, troviamo pure la formazione miocenica — 209 — che viene a morire sopra F imbasamento trachitico scoperto in nna ansa del fiume. I lavori eseguiti da tempo e ora franati, sono in area coltivata, e consistono in tre pozzetti di qualche metro di profondità a se- zione quadrata, e una trincea a mezza costa di pochi metri di lun* ghezza. Questa attacca il contatto fra il Miocene e la sottostante trachite, occupato in parte da un agglomerato di ciottoli trachitici a cemento argilloso. I pozzetti intaccano soltanto la trachite affiorante, e si trovano distribuiti su una piccola area irregolarmente circolare, avente un raggio di non più che un centinaio di metri. Dall’ esame di questi tagli si vede, che qui fra il Miocene calcareo-marnoso e la trachite si ha uno strato argilloso di piccolo spessore (minore sempre di 1’“) molto debolmente mineralizzato, come lo è pure il conglomerato di contatto, mentre ancora meno lo è la sottostante trachite, solo per piccolo spessore alterata, mentre poi sotto è rocciosa e sterile com- pletamente. 5. Se tentiamo di affrontare il problema della genesi di questi giacimenti cupriferi siamo condotti a riconoscerlo ancora oscuro, per quanto esso sia intereressante non solo scientificamente, ma anche praticamente. Ci interesserebbe infatti anche praticamente di sapere, se la sede originaria della mineralizzazione cuprica sia nella roccia trachitica, sicché internandoci coi lavori, p. es., nella massa trachitica minera- lizzata di Regione Cadis (Mara), possiamo presumere di passare dalla zona superficiale dei carbonati a una zona profonda di solfuri. I Una tale idea trova appoggio in alcuni indizii; come la presenza I di erubescite sporadica in nuclei ricchi di malachite la sopra j ^ Erubescite, già menzionata dal Millosevich nella nota citata, fu anche da me constatata. Ifon così la calcopirite, di cui qualche frammento mostratomi dal cav. Pinna di Pozzomaggiore ha assai probabilmente lontana prove- nienza. — 210 — accennata presenza di vene di baritina nella trachite, e la pur ac- cennata analogia della alterazione della nostra trachite mineralizzata col fenomeno della propili tizzazione legata a filoni metalliferi solforati. Tale ordine di idee sarebbe ancora rafforzato dal fatto della presenza effettiva di filoncelli di solfuri più o meno cupriferi nelle masse tràchitiche che sono la prosecuzione di quelle della nostra regione. Tali sono i filoncelli che hanno dato origine alle ricerche minerarie di Pala di Sossastru a sud di Ittiri; di Fontana Sa Pedra presso Osilo, e della zona costiera a nord di Posa (studiati questi ultimi dal De Angelis). Ciò posto, e tenuta presente la contiguità della mineralizzazione cuprica nella trachite di Mara e della uguale mineralizzazione nello strato miocenico che la ricopre, si sarebbe facilmente condotti a supporre quest’ ultima direttamente proveniente dalla trachite; e al- lora si sarebbe naturalmente condotti ad attribuire analoga prove- nienza a tutta quanta la mineralizzazione del banco cuprifero anche del gruppo Nord (Tiesi, Cheremiile, Bessude, Giave), e ad attribuire grande importanza alla presenza del filoncello cupro- siliceo nei tufi del riposo, constatato nelle ricerche di B. Terra Buia. Ma a un tale schema genetico, forse seducente, ma certamente troppo semplice, oppongono gravi difficoltà Finsieme delle condi- zioni di fatto osservate. E anzitutto viene naturale l’obiezione, dell’assenza assoluta di mineralizzazione in tutta la massa trachitica che emerge ad ovest sotto la formazione miocenica racchiudente i giacimenti cupriferi del gruppo Nord; mentre poi questi giaci- , menti si trovano in un orizzonte stratigrafico ben definito e sottile, separato dalla sottostante trachite mediante la potente forma- zione arenaceo-tufacea completamente sterile. i D’altra parte anche a Mara in regione Cadis, mancano fatti ! che dimostrino un diretto legame fra la mineralizzazione della tra- | chite e quella dello strato miocenico : chè anzi si è visto esser sterile il Miocene direttamente sovrapposto alla porzione mineralizzata j — 211 — della trachite, e sterile invece la trachite sottostante al banco minera- lizzato del Miocene. Parrebbe adunque di dover escludere una diretta provenienza genetica semplice, che dalla mineralizzazione dei filoni solfurati della trachite giunga, attraverso la zona carbo- nata di questi, fino ai banchi mineralizzati del Miocene; pur am- mettendo che fra questi tre tipi di mineralizzazione cuprica, esista un legame non accidentale. Piuttosto, data la presenza di giacimenti cupriferi solfurati nel grande imbasamento trachitico preesistente alla deposizione del Miocene, non è affatto straordinario il fenomeno di una alterazione di essi seguita da rimaneggiamento e concentrazione di carbonati cuprici, che deponendosi in un dato momento si siano localizzati in certe porzioni di un determinato sedimento miocenico. Ciò ren- derebbe ragione dei giacimenti cupriferi stratiformi del Miocene. Quanto al giacimento nella roccia trachitica di Mara, non sarebbe neppure strano supporre, che la alterazione e mineralizzazione della trachite fosse avvenuta posteriormente al deposito del Miocene per opera di acque circolanti da quello provenienti. A meno che si trattasse della casuale presenza di una zona della trachite origina- riamente mineralizzata e di poi superficialmente alterata nell’area medesima in cui si depose poi lo strato cuprifero di Mara; la quale ultima ipotesi è forse la più semplice e suggerita dalle considera- zioni sopra accennate. Come si vede, siamo innanzi a un problema genetico ancora alquanto oscuro, da tenere presente negli ulteriori lavori di ricerca, i quali a lor volta potranno portare nuova luce alla sua soluzione. 6. La im portatila mineraria dei giacimenti esaminati non è facile ad essere valutata allo stato attuale degli studi e delle ricer- che: io cercherò di portarvi il contributo degli elementi risultanti dalla conoscenza finora acquisita, in riguardo sia alla qualità del mi- nerale cuprifero, sia alla quantità disponibile o meglio presumibile nei singoli campi di ricerca, e in genere nell’ area dei giacimenti rilevati. — 212 — Gruppo Sud. — E cominciando dalF ultimo descritto, cioè da quello di Mara, è evidente come sia da distinguere in esso lo strato argilloso mineralizzato dalla trachite mineralizzata, ambedue, come ho detto, irregolarmente cupriferi. Nel primo, i noduli e le zo- nule e le spalmature cupriche tendono a disporsi concentrati e ah lineati in zone-lenti nello strato, cosicché si possono in esso distin- guere zone mineralizzate e zone sterili o almeno praticamente tali. Si può ritenere, dall’esame della porzione di strato messo in evidenza in galleria, che la parte mineralizzata sia una quota-parte subordinata rispetto alla massa totale, e ne rappresenti forse non più del 10 %. Io ho avuto cura di raccogliere una certa quantità di materiale da quelle zone mineralizzate e prepararne così un campione che si può ritenere rappresentare il tipo medio. Esso campione all’ analisi ha dato un contenuto in rame metallico dell’ 8.40 % e residuo insolu- bile del 75 %. Sicché il tenore medio dello strato verrebbe a risul- tare meno dell’ 1 %b Quanto alla mineralizzazione della trachite sottostante allo strato cuprifero, considerando tutta insieme la massa esplorata finora, si può dire esservi: della trachite affatto sterile (tagli della mulattiera), della trachite così poco mineralizzata da essere praticamente sterile (taglio dei lavori meridionali a Cadis), infine della trachite minera- lizzata a impregnazione irregolare e capace di dare un minerale cu- prifero utile (trincea dei lavori settentrionali). L’esame di questa zona cuprifera sulle fronti di taglio visibili mostra, che solo una quota-parte minima è impregnata in modo sensibile, capace cioè di dare del materiale che si possa dire un minerale cuprico. E tale por- zione parmi valutabile in non più del 10 %, mentre la restante parte è praticamente sterile. Un campione preparato di questo minerale cuprifero in modo da rappresentare la media natura dei minerale contenuto nella massa. ^ Questa e le successive analisi sono dovute all’ing. E. Mattirolo, direttore del Laboratorio chimico del R. Ufficio geologico. — 213 — ha dato all’analisi un tenore in Cu. del 14.37 %; residuo insolubile 56 %. Il che darebbe a questa zona irregolarmente mineralizzata della trincea un tenore medio complessivo poco inferiore all ’l e 14 %•' Date le condizioni del giacimento, non è da escludere, che anche un tale basso tenore complessivo possa essere eventualmente col- tivabile, purché si potesse contare su una rilevante massa di tale trachi te mineralizzata escavabile a giorno. Ma per un tale computo bisognerebbe assolutamente farsi un’idea concreta della relativa di- stribuzione delle zone trachitiche mineralizzate e di quelle pratica- mente sterili. Ciò ora non è dato; ma non sarebbe difficile, mediante semplici lavori di attacco a mezza costa lungo tutta la pendice in- colta che sta fra la mulattiera e i dirupi del soprastante Miocene. Con tali lavori si verrebbe contemporaneamente a mettere in evidenza la presenza ed eventuale continuità dell’affioramento dello strato cuprifero soprastante alla trachite ; il quale da solo non pare possa con sì piccolo spessore e con così basso tenore diventare og- getto di coltivazione; tenuto conto del fatto, che la sua estensione contro monte è evidentemente limitata all’area di pochi ettari rac- chiusa fra la corona del bancone siliceo affiorante e la scarpata sot- terranea della retrostante massa trachitica di Bonvei. 7. Gruppo Nord. — Qui come sappiamo la mineralizzazione cuprifera è legata a uno strato arenaceo abbastanza regolare che dal territorio di Cheremule si estende a quelli di Tiesi, Bessude e Giave, come fu detto e come risulta dalla carta (Tav^. Ili) e dalla sezione della fig. I della tav. IV. In territorio di Cheremule le ricerche furono più attive e mi- sero in evidenza lo strato mineralizzato abbastanza, perchè si possa farsi una idea della sua media composizione, in modo naturalmente approssimativo. Le fronti di taglio messe in evidenza ed esaminate hanno complessivamente uno sviluppo di circa 1500“^ distribuiti su numerosi punti di attacco enumerati addietro. In questi fu da me fatta la presa dei campioni. 14 — 214 — Limitandoci a considerare la porzione superiore del banco are- naceo, cioè quella che io ho indicata nello schema della fig. Ili della tav. IV come arenaria w.innta cuprifera, si può in essa distinguere diversi tipi di materiale, che rispetto ai carbonati cuprici (malachite e azzurite), sono caratterizzati nel modo seguente: A. Arenaria minuta a zonature cupriche predominanti sul resto della massa. B. Arenaria minuta fortemente impregnata dei carbonati cuprici. J5b Nuclei ancora più fortemente mineralizzati. C. Arenaria impregnata e chiazzata mediocremente. D. Arenaria talora molto argillosa e poco coerente, qua e là mac- chiettata dai carbonati. E. Arenaria a grana grossetta molto debolmente macchiettata, pas- sante a arenaria conglomeratica simile a quella della porzione inferiore del banco. L’ing. E. Mattirolo ha eseguito le analisi su campioni di cia- scuno di questi tipi nel laboratorio del R. Ufficio geologico, ve- nendo ai seguenti risultati: um. Tipo del campione Punti di prelevamento del campione Cu % Residuo insolubile 0/ C 1 A Sos Forighesos 8.73 78 2 B Sos Forighesos (*) 5.75 3 B' Sos Forighesos (*) 19.10-19.89 60 4 C Scala Munduza 1.80 88 .5 D Rocca Manna 0.83 89 6 D Rocca Manna e F. T^^iirighe 0.62 84 7 D Scala Munduza 0.84 — 8 E Sos Forighesos 0.32 94 9 E A di T^^urighe presso la fonte. . . . 0.13 92 i (*) Per questi tipi di minerale le analùi qui riportate sono quelle riferite già nella Nota addietro citata dall’ing. Mattirolo; i cui campioni furono da me paragonati ad analoghi personalmente raccolti. Si può dalle osservazioni fatte ritenere, che la gran massa del banco è costituita di materiali del tipo medio C e D, che sfumano l’uno nell’altro: e che solo talora s’impoverisce fino al tipo E, mentre contiene qua e là parti molto più ricche dei tipi A B B' . Possiamo fare la media dei tenori dei campioni raggruppati come segue : Cu % N. 4 1.80 » 5 0.84 » 6 0.83 » 7 0.62 » 8 0.32 » 9 0.13 » 1 19.5 » 2 8.76 » 3 5 . 45 1.02 % tenore medio in Cu della massa principale 0.22 % tenore in Cu delle parti povere 12.3 % tenore in Cu delle zone ricche. Ora, volendo riassumere in numeri le osservazioni fatte sulle fronti di taglio, mi pare di poter dare alle singole parti così defi- nite le seguente proporzioni: 7]o massa principale 7io parti povere zone ricche Sicché sul totale del banco cuprifero il percentuale in rame si rica- verebbe così: Cu contenuto nella massa principale . 1.02 X 0.8 = 0.80 Cu % Id. id. id. parte povera. . . 0.22 X 0.1 = 0.02 » » Id. id. nelle zone ricche . . . 11.3 X 0.1 = 1.13 » » Id. id. sul totale 1.95 Cu % - — Cioè in cifra tonda verremmo a valutare il tenore medio com- plessivo del materiale totale costituente il banco, al 2 % in Cu. Anche i lavori di ricerca sotto Tiesi permettono di valutare in modo analogo la ricchezza del banco cuprifero lungo quell’ affiora- mento sviluppantesi su una lunghezza di circa un chilometro. Qui la natura litologica del banco è un poco diversa; in generale l’arenaria è più fina ed argillosa e alquanto incoerente, sebbene non manchino parti più sode; e, almeno nei tagli finora fatti, invero ancora superficiali, non furono trovate zone riccamente mineralizzate. Si possono qui distinguere tre tipi di minerale nella porzione superiore del banco, diviso nel modo già indicato sopra. a) arenaria fina alquanto incoerente, grigia scura a chiazze e spalmature e venuzze cupriche; b) arenaria più soda, chiara e più grossetta a spalmature e poche chiazze cupriche; c) arenaria alquanto grossolana, solo fcalora visibilmente cu- prifera, passante alla arenarea grossolana, simile a quella della por- zione inferiore del banco. Dei campioni prelevati per ciascun tipo, non furono fatte dallo ing. E. Mattirolo analisi complete quantitative, ma solo saggi col metodo colorimetrico dai quali si poterono indurre i seguenti tenori : Tipo a, tenore in Cu di circa il 2 %. Tipo b, tenore in Cu dall’l % fino al 0.5 %. Tipo c, tenore in Cu inferiore al 0.5 % e fino a sole traccie. E dall’esame dei tagli si può ritenere, che la massa princi- pale del banco sia costituita dal materiale tipo b mediamente mi- neralizzato, che raramente passa al tipo c povero, mentre associasi abbastanza costantemente al tipo a più ricco. La quale proporzione espressa in numeri io ra})presenterei : Materiale tipo a costituisce i '7 10 del totale » b » » » » c — 217 - Cosicché il tenore medio complessivo del banco cuprifero si ri- caverebbe così : Cu contenuto nella massa principale mineralizzata 0.7x0.6 = 0.42 % Id. » nelle zone più ricche 2 x 0 . 3 = 0 . 60 % Id. » zone povere 0.2x0.1=0.02% e pel totale rame contenuto 1.04% E cioè il banco mineralizzato preso nel suo complesso avrebbe qui un tenore medio in rame dell’l % circa. Quanto agli altri due campi di ricerca, cioè in territorio di Bessude e di Giave, si è visto trattarsi di semplici attacchi in singoli punti dell’affioramento. Però a giudicare da questi si può dire, che a Bessude (M. Ruinas) il banco presenta mineralizzazione ben vi- sibile e con zonule di arricchimento così da dare tenori intermedi fra i due precedenti; mentre a M. Figuini (Giave) il materiale ad alternanze di arenarie grossette e finissime si mostra sporadica- mente mineralizzato, sì da avere tenori medi certamente non su- periori a quelli dei tipi poveri addietro esaminati. Ancora è da aggiungere una osservazione a proposito di quella che io ho chiamata arenaria grossolana o conglomeratica povera, e che si interpone quasi sempre fra il banco cuprifero e il conglo- merato del riposo. Dal confronto dei campioni di questo strato po- vero coi tipi poveri del banco cuprifero fin qui esaminati si viene alla conclusione, che il materiale che lo costituisce ha complessiva- mente mineralizzazione che neppure pareggia quella dei tipi più poveri addietro studiati; sicché questo strato povero è da ritenersi praticamente sterile in rapporto a una eventuale coltivazione di questi giacimenti basata sulla cubatura di minerale disponibile, del che ora veniamo a dire. Veramente, piuttosto che di cubatura di minerale disponibile nei nostri campi di ricerca, si tratta di farsi un’idea della quantiià — 218 — presumibile in base ai non molti lavori di ricerca finora fatti e agli affioramenti visibili. E anzitutto, esaminando carta e profilo geologico e richiamando alla memoria il già detto, possiamo ritenere, che nell’area totale, chiusa dagli affioramenti noti del banco arenaceo sottostante al cal- care, esso banco si presenta mineralizzato discontinuatamente, cosic- ché si devono avere sulla totale estensione del banco aree minera- lizzate e aree sterili. La distribuzione di tali aree si potrebbe con ulteriori facili lavori conoscere entro certi limiti conducendo siste- maticama mente altri attacchi lungo il perimetro di affioramento geo- metrico, da me indicato sulla carta, il quale finora solo ci è noto in pochi punti per essere effettivamente mascherato dai detriti superficiali. Ora il poco che ci è noto nella ricerca Monte Ruinas nulla di preciso ci autorizza a dire sulla effettiva estensione eventuale del minerale cuprico nel territorio di Bessude, dove abbiamo solo i due punti accennati di attacco di Reg. M. Ruinas. In territorio di Tiesi vediamo, come lungo il margine occiden- tale lo strato sia sterile nel punto attraversato dal profilo; mentre è constatato mineralizzato nel campo di ricerche sotto San Giovanni, con tenore medio probabile delFl % nel materiale studiato pro- veniente dal banco utile avente spessore medio ragguagliabile in 40 c. m. L’area su cui si sviluppano le ricerche può compu- tarsi un rettangolo di quasi ^ per 14 lato; dove però, una parte ragguardevole essendo occupata dalle incisioni della valle, lo strato effettivamente manca. Potremmo non crederci az- zardati se riterremo di poter contare sulle prosecuzioni entro monte dall’affioramento di tanto da dare l’equivalente dell’area mancante. Ciò ammesso si potrebbero ivi presumere probabilmente disponibili e facilmente estraibili un 50,000 me. pari aH’incirca a 100,000 tonnel- late di minerale bruto cuprifero all’l % di Cu. tenore medio totale. Alquanto maggiore è l’area totale coperta dai punti di ricerca di Cheremule, lateralmente alla quale però, verso W e verso E e — 219 — verso S, sappiamo essersi constatati punti e allineamenti sterili. Ma tenendoci all’area studiata, se computiamo come probabilmente mineralizzata un’area rettangolare avente una lunghezza N.S, che va da Rocca Manna a su Tippiri, cioè di circa 1 km ; e da E e W da Forighesos e Ortii da Puttu di % km., otteniamo ^ kmq. Anche qui r area ha delle interruzioni che possiamo presumere compensate da porzioni contigue sotterranee dello strato mineralizzato. Com- putandone la potenza media utile in 50 cm., abbiamo dunque un 250.000 me. pari a 14 milione di tonnellate, in cifra tonda, di minerale cupifero bruto al 2 % tenore medio totale di Cu. Quanto al campo di ricerca di Qiave gli assaggi finora eseguiti s’è visto che hanno messo in evidenza mineralizzazione molto povera, onde non è neppure il caso di parlare di cubatura senza ulteriori preliminari ricerche. Le cifre esposte sulla cubatura e sul tenore del minerale del gruppo Nord, io le ho date, più che altro per ritrarre in modo concreto, dal punto di vista minerario industriale, la effettiva na- tura e importanza dei campi di ricerca finora più o meno esplo- rati. Ma risulta evidente, che le ricerche finora fatte sono ancora da ritenersi preliminari; se hanno valso a dimostrare la presenza di minerale cuprifero in quantità e tenore meritevoli di attenzione, devono essere seriamente completate prima che si possa parlare di coltivazione mineraria. E queste dovrebbero secondo me avere di mira contemporaneamente una serie sistematica di assaggi lungo l’intero perimetro degli affioramenti, e un certo numero di ulteriori lavori di ricerca, che sarebbero anche di preparazione allo scopo di constatare effettivamente nel campo di ricerche di Cheremule e Tiesi, e possibilmente in quello intermedio una massa di minerale dispo- nibile ben maggiore di quella sinora messa in evidenza. Durante questo periodo di ulteriore ricerca e tracciamento si avrebbe modo di studiare poi la soluzione di non pochi problemi inerenti e alle condizioni locali di trasporto e di forza motrice e all’eventuale cernita e trattamento del minerale. — 220 — Importantissimo fra questi è lo studio delle condizioni del livello acquifero, condizioni che insieme colla piccola potenza del banco costituiscono certo una difficoltà, ma delle quali non bisogna dimenticare la importanza resa evidente dalla presenza delle nu- merose sorgenti periferiche già citate, che sgorgano specialmente a S. appunto all’affioramento dello strato mineralizzato lungo il contatto fra il calcare e il conglomerato steatitoso impermeabile del riposo. Quanto alla qualità del minerale, se il nostro studio ha confer- mato la costante natura della ganga priva di carbonati e quindi favorevole a un trattamento acido, è però necessario studiare su grandi quantità la effettiva distribuzione e la importanza relativa dei diversi tipi da me distinti, per meglio valutare il tenore me- dio del banco e la convenienza di una cernita che sia punto di partenza dell’ ulteriore eventuale trattamento. 8. Conclusione. — Volendo brevemente riassumere i risultati del nostro studio, possiamo dire quanto segue : I giacimenti cupriferi a carbonati di Cu oggetto di ricerche mi- nerarie nell’ Algherese orientale, sono distribuiti in due aree distinte, cioè un’area ampia settentrionale cui spettano i giacimenti dei co- muni di Bessude, Tiesi, Cheremule, Giave (gruppo Nord); ed un’area ristretta meridionale, che racchiude i giacimenti del comune di Mara (gruppo Sud). I giacimenti del gruppo Nord sono stratiformi e appartengono tutti ad un unico orizzonte arenaceo dei terreni miocenici ivi svi- luppati, e precisamente alla porzione media di essi fra calcare al tetto e conglomerato steatitoso al riposo. L’andamento generale è poco disturbato, suborizzontale. Il banco arenaceo ha potenza pic- cola, e in generale la parte superiore e più minuta del banco è quella sensibilmente mineralizzata; per uno spessore da un deci- metro a un metro, e una media di circa mezzo metro nelle parti esplorate. La massa arenacea è di tipo arkose, praticamente — 221 — priva di carbonati terrosi, contiene i carbonati di rame, (malachite ed azzurrite) in concrezioni, mosche, vene e zonule, talora con parti molto ricche e altre molto povere; sicché il tenore medio del minerale totale nelle zone esplorate si può con probabilità ritenere varii dall’l % (Tiesi) al 2 % (Cheremule) in Cu. Le osservazioni fatte agli affioramenti e nei lavori di ricerca permettono di affer- mare esservi nella estensione pianimetrica dell’ orizzonte arenaceo aree sterili ed aree mineralizzate; fra queste presentano finora una qualche importanza quella di Tiesi (vallecola a S. del paese) e quella di Cheremule (R. Forighesos e contigue). Ma prima di pensare ad una eventuale coltivazione mineraria sono consigliabili una ulteriore esplorazione generale agli affioramenti su tutto il gruppo Nord, e ulteriori lavori di attacco e di preparazione nei due campi di ri- cerca ora citati. Sarebbero da studiare in pari tempo le condizioni locali, tenendo conto della presenza, nell’orizzonte arenaceo, di acqua, messa in 'evidenza dalle sorgenti periferiche lungo gli affio- ramenti. I giacimenti meridionali di Mara sotto il castello di Bonvei (in Regioni Cadis e Sulizzu) comprendono pure un banco mineraliz- zato allo stesso livello miocenico dei giacimenti del gruppo Nord: potenza % metro, ganga argillosa mineralizzata da carbonati ad azzurrite prevalente, tenore medio 1 % Cu. Ma mentre al tetto del banco argilloso cuprifero si ha il calcare miocenico accompa- gnato da un bancone siliceo, spunta al riposo di esso la massa trachitica, che ivi affiorando {)resenta delle zone mineralizzate con irregolare impregnazione di carbonati. Queste raggiungono un tenore medio di Cu 1 ^ % circa nei punti esplorati di regione Cadis. La giaci- tura delle masse trachitiche attaccabili a giorno rende consigliabile una ulteriore esplorazione sistematica lungo la scarpata del monte onde conoscere la distribuzione delle zone eventualmente minera- lizzate, le quali meritano attenzione più del banco cuprifero, date le condizioni speciali di giacitura di questo lembo miocenico che termina in breve spazio contro la massa trachitica di Bonvei. 222 Quanto alla genesi probabile dei nostri giacimenti cupriferi essa ci rimane ancora alquanto oscura. Dalla discussione dei dati finora acquisiti parrebbe probabile (tenendo conto della presenza di giacimenti cupriferi solfurati nell’ imbasamento tracbitico del Sassa- rese e deir Algherese), che i nostri giacimenti di carbonati cuprici nell’orizzonte cuprifero miocenico fossero di natura sedimentare, originati per rimaneggiamento e concentrazione di carbonati cuprici provenienti dalle porzioni superficiali alterate di originari i giaci- menti solfurati della trachite. E quanto al giacimento nella trachite di Reg. Cadis, parrebbe naturale dovesse rappresentare appunto uno di questi casi di alterazione superficiale; senza però che si possa escludere una eventuale origine per semplice infiltrazione posteriore dallo strato cuprifero miocenico ad essa soprastante. Bollett. del R. Comit. Geol. d'Italia Carta geologica-raineraFia di una parte del Circondario di Alghero comprendente i giacimenti cupriferi Istituto Geografico De Agostini - Roma Anno 1908 Tav. III. (Ing. A. Stella) SPIEGAZIONE DEI SEGNI a Alluvioni Quaternario Rocoie basaltiche Postmiocene nric Formazione marnosa superiore Formazione calcare intermedia Formazione arenaceo-tufacea inf. Miocene T Premiocene _____ Banco cuprifero riconosciuto L 5^ j Giacimento cuprifero di Mara Traccia di Sezione geologica Scala 1 : 100.000 Anno 1908 Tav. IV ^Ingf, A. Stella) - del R. Comit. Geol. d’ Italia, FIG. I SEZIONE GEOLOGICA ATTRAVERSO ALLE RICERCHE DEL GRUPPO NORD FIG. Il FIG, III SCHIZZO DI SEZIONE GEOLOGICA ALLE RICERCHE DI MARA 0 , IO 80 50 u no ISO" Jai/a apprauimahva^ Tiesi — Cattare fossilifero de! fello Arenaria nrinn fa cuprifera A renana grossolana po vera Contflomeralo stea filoso al riposo Fot. Dooosi - Ror,* NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOORAF-IA. oeolooio^ PER l’anno 1907 ^ Mercalli Gr. — Notizie vesuviane. Anno 1905. (Boll, della Società Sism. Ital., Yol. XII, n. 6, pag. 225-244, con tavole). — Modena, 1907. Si espongono dapprima in questa nota le notizie riguardanti le varie ma- nifestazioni del Vesuvio nei mesi dal gennaio a tutto dicembre 1905, con par- ticolare riguardo ad un eflusso lavico subterminale cominciato il 27 maggio, e che si manifestò dapprima con l’apertura di una nuova bocca di efflusso a 1245™ di altitudine presso il Piano delle Fumarole, quindi con l’apertura di altre due bocche inferiori dalle quali cominciò subito a fluire la lava. L’attività del Vesuvio durante il 1905 viene dall’autore quindi riassunta a cominciare da una fase esplosiva prevalentemente stromboliana che, accen- tuandosi verso la fine di gennaio, raggiunse il suo massimo verso il 26-27 maggio : si espongono poi i fenomeni avvenuti sul cratere centrale in rap- porto con quelli delle nuove bocche sopra indicate. Le lave di queste erano a superficie unita (pahoehoe), mentre alla base del cono principale erano a superficie frammentaria (aa). Il magma si raf- freddava e perdeva la sua fluidità con rapidità notevole. Le misure sulla ve- locità della lava dettero m. 7 1^2 minuto nei primi giorni e 6 m. dopo. Una misura eseguita dall’ing. Moser nel 14 agosto mostrò che da una delle citate bocche sgorgavano circa 20000 m, c. al giorno. Due tavole dimostrano graficamente lo svolgersi dei vari fenomeni. Mercalli G-. — Sullo stato attuale della Solfatara di Pozzuoli (dagli Atti Acc. Pontaniana, Voi. XXXVII, pag. 16 in-8°j. — Napoli, 1907. Dopo alcuni dati storici sulla così detta « Bocca della Solfatara » e sulle misure di temperatura ivi eseguite a diverse riprese da precedenti autori, viene esposta una serie di 12 misure praticatevi dall’autore fra l’ottobre 1900 * Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d’Itnlia od hanno rapporto con essa. — 224 — e il 25 marzo 1907. Queste variano fra 152® e 157®.5. La massima tempe- ratura fu osservata il 28 gennaio 1905, quando anche tutte le fumarole minori della Solfatara mostravano maggiore attività. [N^ell’aprile 1906 mentre l’eruzione del Vesuvio era ancora fortissima, l’autore si accertò che, nonostante l'opi- nione delle guide che l’attività delle fumarole fosse diminuita, il loro stato era quello normale osservato negli ultimi anni, avendo la fumarola grande 154® 5 e la piccola 98® 5 ; l’autore ritiene invece che vi sia stato un incremento nel 1905, poco prima dell’eruzione stessa. La nota quindi riferisce i risultati di analoghe misure dell’autore sulle fumarole minori, la cui temperatura fu trovata variabile fra 97® e 100® 5, ed accenna alla differenza di prodotti fra queste e la fumarola grande, ciò che lo porta a ritenere che la via per cui vengono alla luce i gaz e i vapori delle piccole fumarole debba esser diversa e affatto distinta da quella che dà esito ai prodotti della fumarola grande. La nota tratta poi di una nuova fumarola apertasi nell’agosto 1904, degli pseudo vulcanetti fangosi sul fondo della Solfatara, delle osservazioni fatte al pozzo di acqua termo-minerale profondo m. 10,80 nella parte Sud della Solfatara stessa, nel quale sembra che il livello dell’acqua e la temperatura (69®) si siano sensibilmente elevati dalla data delle osservazioni del De Luca (1871-78). Si espongono i dati su altre fumarole e sulla loro posizione, che viene indicata in una cartina nel testo. L’autore conclude che i prodotti della Solfatara sembrano provenire non dal condotto centrale, ma da spaccature radiali, che l’attività della solfatara stessa presenta un’alternanza di massimi e minimi propri dei vulcani non spenti ma quiescenti, che da parecchi anni l’attività è in sensibile incremento, e che in coincidenza con la grande eruzione vesuviana del 1906 l’attività ri- mase perfettamente stazionaria. La nota è corredata da 4 vedute in fototipia e dalla cartina cibata. Merlo (4. — I giacimenti calaminari deW Algeria e della Sardegna. {Rassegna mineraria, Voi. XXVI, n. 7, pag. 105-107). Torino. 1907. Idem. — (Resoconti riunioni Acc. min. Sarda, Anno XII, n. 2, seduta 17 febbraio 1907, pag. 25-29). — Iglesias, 1907. L’autore si propone di istituire un confronto fra i giacimenti calaminari dell’Algeria e quelli della Sardegna. Dal punto di vista geologico si osserva già una profonda differenza, trovandosi i giacimenti di Sardegna al contatto — 225 — o prossimi al contatto fra gli scisti fillaclici probabilmente cambriani coi po- tenti strati di calcare e dolomia che sembrano formare l’assisa media del Cam- briano. Invece in Algeria essi sono compresi nei terreni secondari dal Lias al Cretaceo e generalmente in quest’ultimo, Hello due regioni il prodotto della mi- neralizzazione è la calamina, generalmente carbonato di zinco, più raramente silicato, e il fenomeno della mineralizzazione si è prodotto nello stesso modo nonostante la differenza di età geologica fra i terreni. Esposte varie particolarità che caratterizzano i giacimenti delle due re- gioni sia dal punto di vista genetico che da quello tectonico, e le differenze notevoli per questo riguardo, essendo i giacimenti sardi quasi tutti verticali e talvolta rovesciati, mentre in Algeria essi sono rappresentati dal riempimento di fessure prodottesi al contatto fra scisti o marne e calcare, od anche negli strati stessi calcarei, si accenna alle differenze che ne conseguono nel rapporto della loro coltivazione e agli indizi, che occorre seguire per rintracciare le masse calaminari, e a quelle nel genere del minerale. In Sardegna la produ- zione di materiali poveri o da laveria è molto grande in confronto a quello di materiali ricchi, mentre in Algeria i giacimenti sono suscettibili di dare della ca- lamina in roccia in quantità relativamente grandi in confronto di quelle da laveria. Millosevich e. — Le rocce vulcaniche del territorio di Sassari e di Porto Torres [Sardegna). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. T., Yol. XYI, fase. 7°, 1^ sem., pag. 552-551). — Roma, 1907. In questo studio preliminare l’autore fa notare che le rocce vulcaniche costituiscono una formazione importante ad Ovest e Hord-Ovest di Sassari. Di più si trovano nei pressi della Crucca, nella vallata del Rio Mannu, alla foce di questo presso Porto Torres e nella Hurra a 4 chilometri circa a Sud-Ovest di questa città. Quasi dappertutto esse appaiono sotto gli strati calcarei del Miocene (Elveziano) e mostrano due tipi, se non mineralogicamente molto di- versi, certo strutturalmente assai differenti e una numerosa serie di passaggi dall’uno all’altro. L’autore in questa nota si limita a descrivere i due tipi principali, dei quali riporta pure le analisi chimiche; il primo tipo a struttura ipo e quasi olocristallina presenta grandi e numerosi interclusi di plagioclasio, interclusi più piccoli e più rari di angite, ancor più rari di ipersteiie e di magnetite; la massa fondamentale risulta di feldispato alcaìino (sanidino), di feldispato cal- deo-sodico (oligoclasio)^ di augite e di poca o punta base vetrosa; la struttura è trachitica. — 220 — L’altro tipo, schiettamente vetroso, è assai più frequente; si tratta di una roccia nera o nerastra a volte con l’aspetto esterno di un’ossidiana, a volte con l’apparenza di una pietra picea. Gl’ interclusi più frequenti sono di plagio- clasio (anclesina e labradorite): molto più rari, e in talune varietà mancanti del tutto, quelli di feldispato alcalino {sanidino sodico)-, abbastanza frequenti gl' in- terclusi di aiigiie e più rari quelli iperstene. Il vetro della massa fondamen- tale si presenta poco trasparente, poco omogeneo, di color bruniccio e con marcata struttura fluidale. Le rocce vulcaniche del territorio di Sassari e di Porto Torres si possono chiamare trachi-andesiti, perchè mineralogicamente e chimicamente stanno fra le trachiti propriamente dette e le andesiti augitico-ipersteniche. Millosevich F. — Appunti di mineralogia sarda. Ematite di Padria. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y., Yol. XYI, fase. 10°, 1° sem.. pag. 884-889). — Eoma, 1907. Trattasi di ematite vulcanica simile a quella dell’Etna, dello Stromboli, del Vesuvio ecc., proveniente da Padria e precisamente dal tratto interposto fra il Xuraghe Siliga e il Xuraghe Eosa presso il Riu Cumone. Secondo l’autore, questa ematite presenta soltanto le poche forme semplici comuni anche all’ematite vulcanica di altre località; cioè la base [111] sempre bene sviluppata e nella maggior parte dei casi prevalentissima su tutte le altre forme, il romboedro diretto fondamentale [tOO] con facce nitide e perfette, il prisma di secondo ordine [101] quasi sempre presente e il romboedro inverso di simbolo [110] con piccole facce in qualche raro cristallo. Questa ematite presenta un numero di forme semplici inferiore a quelle dell’Etna e del Vesuvio e lo stesso numero di forme riscontrato dallo Struver in quella di Stromboli. Le combinazioni osservate dall’autore sono soltanto le seguenti: [111] [100] [111] [100] [101] [111] [tOO] [110] [101] L’autore si limita in questa JSTota a descrivere e raffigurare quelli abiti cristallini e quei modi di aggruppamento, che presentano una qualche diversità da quelli già noti. — 227 Millosevich F. — Sulle rocce vulcaniche della Sardegna settentrionale. (Atti della Soc. Ligustica di Se. Nat. e Greogr., Yol. XVIII, n. 2, pag. 83-95). — Grenova, 1907. Dopo un esordio sull’importanza, non diminuita dal tempo, della classica opera del La Marmora, l’autore dice che per la grande estensione che hanno le rocce sedimentarie nella parte Nord-Ovest della Sardegna, qui meglio che altrove si potè determinare l’età relativa delle formazioni vulcaniche. Moltis- sime sono le località dove si vedono chiaramente le trachiti sottostare ai cal- cari elveziani: trachitico è lo zoccolo di tutto l’altipiano calcareo sassarese, zoccolo che appare allo scoperto in molte delle profonde valli d’erosione dei dintorni di Sassari; nella regione fra Pozzomaggiore, Villano va Monteleone e Ittiri il fondo delle valli è generalmente trachitico mentre le colline circostanti sono calcaree; nell’Anglona, il Déprat ha osservato parecchie sezioni che mo- strano gli strati delI’Elveziano e del Burdigaliano riposanti in trasgressione sulle rocce vulcaniche. La maggior parte dei prodotti di queste eruzioni preelveziane apparten- gono al gruppo intermedio delle trachiandesiti: sene in generale rocce a base vetrosa o felsitica abbondante, con interclusi di feldispato calcico-sodico pre- valenti di numero e di grandezza su quelli di feldispato alcalino sempre rari e talora anche mancanti, e con elementi colorati piuttosto scarsi. Fra questi hanno grande diffusione i pirosseni che sono augite ed iperstene; vi si trova spesso anche la mica biotìte e si hanno prevalentemente tipi o pirossenici o micacei. Per la natura degl’ interclusi queste rocce si dovrebbero considerare come vere andesiti micacee o augitico-ipersteniche, ma la loro massa vetrosa rivela all’analisi chimica natura prettamente trachitica. Alcune di queste rocce sarde hanno grande analogia chimica e mineralogica con le trachiti deirAmiata, della Tolta e di Cerveteri, per le quali il Washington ha proposto il nuovo nome di Toscanite. Più rari sono i tipi trachiandesitici a struttura trachitica, con massa fon- damentale quasi olocristallina e con abbondanza di microliti del periodo effu- sivo: questi sono in gran parte di feldispato alcalino, mentre anche qui gl’ in- terclusi sono per lo più di feldispato calcico-sodico molto basico. Questi tipi per composizione chimica si avvicinano di più alle andesiti. Un fatto che colpisce l’osservatore è la quasi assoluta mancanza di aiifi- bolo in questa grande massa di rocce : finora le sole trachiandesiti ad orne- blenda sono quelle rinvenute al castello di Bonvei ed al Monte Au. Sono rocce che si allontanano dalle precedenti anche per la struttura e per la maggior acidità, oltrecchè per la presenza dell’orneblenda verde. — 228 — Fra i prodotti di queste eruzioni pre-elveziane, Fautore ho trovato anche dello vere andesiti normali, delle rioliti con biotite ed egirina-augite, e presso Pozzomaggiore delle rioliti sodiche che ricordano le comenditi delFIsola di S. Pietro. ! 1 tufi sono in grande quantità dove, esistono rocce di tipo più acido (rio- liti ecc.), mentre scarseggiano o mancano affatto dove sono rocce di tipo basico. Queste cosi dette rocce trachitiche della Sardegna sono spesso mineraliz- zate, contenendo filoncelli plumbeo-zinciferi, minerali cupriferi, lenti di pirolusite. Dopo il Miocene vi furono grandi eruzioni con prodotti basici, special- mente basalti, la caratteristica delle quali è la mancanza di bocche o di aper- ture crateriformi, e l’emissione, senza un centro apparente, di grandi masse che dovettero essere molto fluide per ricoprire estese superfici orizzontali o po- chissimo inclinate. Mentre le eruzioni precedenti si limitarono alla parte occidentale dell’ isola, l’eruzione basaltica si estese anche nella regione orientale ed è probabile che la medesima coincida con la fase basaltica delle eruzioni di Monte Ferru. Sono basalti feldispatici a struttura ofitica, con interclusi assai rari, specialmente feldispatici, e con presenza di noduli d’olivina. Chiudono la serie delle rocce vulcaniche di Sardegna le eruzioni recenti che presentano ancora gli apparati eruttivi più o meno conservati: sono i vul- cani della così detta Alvernia Sarda, cioè del territorio di Pozzomaggiore, Giave, Tiesi, Mores, Torralba, Ploaghe ecc., ove secondo il Déprat si avrebbero non meno di 15 coni: fra questi egli distingue, eruzioni più antiche con basalti molto peridotici e più basici, ed eruzioni più recenti con basalti di tipo andesitico. Napoli F. — Intorno alla formazione di Monte Verde e di alcuni fossili riih venutivi. (Mem. Pontif. Acc. Eomana dei Nuovi Lincei, Yol. XXV, pag. 79-82). — Koma, 1907. L’autore, in questa breve nota tratta della costituzione geologica del Monte Verde la quale^ secondo il medesimo, ha un’importanza speciale, staccandosi assai dalla natura delle prossime formazioni del Gianicolo. La località è parte di una valle di erosione riempita poi, ed almeno in due tempi distinti, da ma- teriali diversi. In ordine cronologico prima colmarono la cavità il complesso dei tufi vulcanici ed in seguito depositi fluviali e stagnali. La potenza delle deposizioni è considerevole specialmente quella del tufo litoide da costruzione: anche il complesso sabbioso misura una notevole potenza, e da esso si estrag- gono delle varietà che trovano applicazioni industriali. 229 — La successione degli strati è la seguente: 9. Terreno vegetale ; 8. Complesso di strati alterni di argille sabbioso, sabbie, eco, ; 7. Sabbie ; t). Ghiaie a piccoli elementi: 5. Sabbie argillose ; 4. Argille marnose e travertino ; 3. Tufo vulcanico omogeneo stratificato ; 2. Tufo litoide da costruzione ; 1. Sabbioni e ghiaie. L’autore, dopo aver descritto una caratteristica giacitura delle sabbie qua- ternarie, riporta da ultimo la nota dei fossili rinvenuti in questa località. La tavola rappresenta due sezioni del Monteverde. Nelli B. — Formazione calcarea dello scoglio Troia [litorale livornese). (Boll. Soc. Geol. Ital., Yol. XX YI, fase. 2°, pag. 172-174). — Koma, 1907. Lo scoglio Troia trovasi a Sud del Romito a cinque miglia da Castiglion- cello e precisamente dirimpetto alla foce del Fortullino. Una volta su questo scoglio dovevano esistere dei calcari poiché dei medesimi se ne conservano dei campioni nel Museo di Firenze; attualmente però di calcari non ve n’ è più traccia, perchè asportati probabilmente dal mare, e lo scoglio si presenta al- l’osservatore costituito interamente di serpentina. L’autore che ha studiato i campioni conservati nel Museo dì Firenze, dà l’elenco dei fossili in essi contenuti e, dallo studio di questi, conclude che detto calcare dovesse appartenere all’Elveziano. Nelli B. — Il Miocene del Monte Titano nella Repubblica di San Marino. (Boll. Soc. Greol. Ital., Yol. XXYI, fase. 2°, pag. 239-322, con 3 tav). — Roma, 1907). Dopo un elenco cronologico dei geologi che si occuparono delia forma- zione calcarea del Monte Titano e del criterio che di essa si erano formati, l’autore presenta un quadro sinottico dei fossili miocenici di questo monte. Te- nendo conto non solo della costituzione del calcare, ma principalmente dei fossili, che sono appunto del Miocene medio, all’autore sembra evidente che il calcare di San Marino siasi depositato in una zona intermedia fra quella delle 15 - 230 — laminarie e quella coralligena, corrispondendo all’Elveziano di Player, di mare alquanto profondo. Da ultimo descrive una numerosa serie di fossili, fra i qu«li si notano le seguenti nuove specie : Echinidi. — Cidaris Scarabellii Stefanini^ Psammechinus Mansoniì, Clijpeaster Capellina, Sciifella Airaghii, EcJiinolampas Stefaninii, Echinolampas Stefaiiinii fvar. oblunga), Pliolampas titanensis, Eiipatagiis Sanmarinensìs, Enpatagns? Anellidi. — Serpnla snbmimmiiliis. Lambllibranchi. — Spondgliis Manzonii. Nicolis B. — Geologia applicata agli estimi nel nuovo catasto con car- tina geo-agrologica delle valli e delle pianure {provincia di Verona), (Un volume di pag. 96 in 4^, con carta). — Verona, 1907. Durante tre anni di osservazioni in campagna su la costituzione e su l’ossatura litologica dei singoli bacini montuosi, su le aree di fondo delle valli e di rispettivo dominio in pianura, su la plastica del terreno e su l’idrografia antica ed attiva, ecc.. queste all’autore si addimostrarono ottime guide per l’esame della proporzionalità, equità, perequazione e congruenza con quelle già definitive delle proposte tariffe d’estimo, e potè constatare ch’esiste un vin(‘olo armoniale fra la geologia, la morfologia esterna e la paleoidrografia con le estimazioni nei riguardi del nuovo catasto. Infatti, se per vie differenti, cioè con norme naturali alle scienze di os- servazione e con raggruppamenti di suoli, dettati da criteri genetici, diagno- stici e geognostici, cioè con speculazioni geologiche, si arriva a commisurare produzioni e graduazioni di produzione (che in materia di censo si traducono in reddito) assai avvicinantesi a quelle anteriormente previste dai competenti corpi tecnici, che dal punto di vista agrologico, economico ed a base di minute di stima, di analisi, di contratti di fitto, ecc., lo ricercarono analiticamente, ciò dimostra, secondo l’autore, non solamente il nesso intimo dei vari rami della geologia con il catasto estimativo, ma che anzi, dalle indagini di geologia agraria, si possono trarre utili ammaestramenti per rilevamenti catastali di massima. Perciò in questa Memoria egli ha voluto presentare una sintesi descrittiva e comparativa dei singoli membri agrari della provincia di Verona, assieme a molti dati di estimazione definitiva con la misura dell’estensione delle rispettive classi. — 231 — La Memoria, corredata di una carta geo-agronomico del lilievo morenico delle valli e della pianura veronese, è suddivisa nei seguenti capitoli : 1. Premessa. 2. Generalità. 3. Motivo orografico e costituzione geologica applicata. Regione di montagna: A) Gruppo del Baldo. B) Catena dei Gessini e parte del gruppo della Posta. 4. Contrafforti prealpini, loro valli e rispettive aree di dominio in piano : A) Lago di Garda e valle del suo emissario. B) Valle dell’Adige. C) Valli Lessinee e del gruppo della Posta. B) Valli dell’Alpone e dell’Aldega. B) Aree di dominio delFAgno-Guà e del rilievo cretacico-terziario- vulcanico dei confini vicentini. 5. Morene. 6. Loess. 7. Piano generale diluviale atesino. 8. Dossi di sabbia. 9. Valle atesina alluviale nella pianura diluviale. 10. Bassa pianura : A) Zone d’impaludamento. B) Terreni d’inondazione. C) Valli Grandi Veronesi. 11. Conclusioni. Nicolis e. — Carta geo-agronomica del rilievo morenico delle valli e della pianura veronese (una carta a colori). — Milano, 1907. Questa carta, tirata anche a parte, è la stessa che accompagna la Me- moria precedente. Nicolis E. — Di un fenomeno carsico collegato alVidrologia delle colline calcari presso Verona, (Giornale di Geol. pratica, Voi. V, fase. II-III. pag. 108420, con tavola). — Perugia, 1907. Dopo aver descritto la topografia della regione, la sua costituzione, il re- gime idrologico, i caratteri organolettici, fisici, ecc., comparativi delle sorgenti — 2B2 del vallone di Quinzano, aver riportato i dati meteorici e climatologici di altre sorgenti, nonché i risultati di esperimenti con la fluorescina, l’autore viene alle seguenti conclusioni: 1. Che le acque del bacino superiore e medio di Quinzano, almeno dalla sorgente Capo in su, dopo avervi recapitato, sfuggono daH’alveo del torrente. 2. Che al loro fatale cammino sono anche attratte dalle cavernosità o reto idrografica interna, constatata per mezzo delle spighe o voragini idrovore, che inghiottono anche le acque della valle chiusa de’ Ronchi. 3. Che tali cavernosità (fenomeno carsico) della valle di Quinzano, attra- verso il sottosuolo roncano, continuano fino nei dintorni di Parona, ove affiorando, adducono tanta acqua sottratta naturalmente al suo naturale recapito e percorso, 4. Infine che tutto ciò induce a ritenere che l’acqua della sorgente Patrizi- Casetta non può avviarsi nè portar tributo alla sorgente Xasce, che alimenta il centro abitato di Quinzano, escludendosi, di conseguenza, ogni le- game fra esse. Osoio Gf. — Il genere « Siderolithes Lamk >» (dagli Atti R. Acc. delie Se. di Torino. Voi. XLII, pag. 16, con tavola). — Torino, 1907. L’autrice comincia per far la storia della separazione del genere Sidero- lithes Lamk, dal gen. Calcarina con il quale prima era confuso. Questa confu- sione era forse venuta da alcune punte calcaree, più o meno lunghe, in nu- mero maggiore o minore e disposte variamente, che possono aver origine fin dai primi, o nei successivi giri di spirar, tali punte che Fanimale formava in date condizioni d’ambiente, per sostegno o per difesa, possono trovarsi in quasi tutti i forarainiferi. Le punte costituiscono, secondo Fautrice, un carat- tere variabilissimo e d’importanza secondaria ; essa crede che le classificazioni debbono piuttosto essere fondate su altri fatti più costanti che danno alla conchiglia, o meglio alla parte dell^ conchiglia che costituisce le camere d’a- bitazione dell’animale una forma particolare. Tratta poi particolareggiatamente delle sezioni delle punte calcaree e di quelle delle camere della conchiglia; da ultimo descrive alcune nuove forme di Siderolithes. Pagani U. — Linea di faglia e terremoti nel Pesarese (Boll. Soc. G-eol. Ital., Voi. XXYI, fase. 2°, pag, 175-188), — Roma, 1907. Lungo il litorale marchigiano vi sarebbe, secondo l’autore, una faglia se- gnata al monte Ardizzo, alle Ripe (monti di Fiorenzuola) che coincide forse con quella del monte Cenerò, al limite |[>robabile dello sprofondato massiccio continentale cristallino delFAdria. Questa faglia che spezza due anticlinali, quelle del monte Ardizzo e dei monti di .Fiorenzuola sarebbe la causa dei ter* remoti marchigiani, avvenuti appunto per la massima parte lungo il litorale, come dimostrano 15 anni di osservazioni riportate in due prospetti. A sostegno della sua ipotesi. Fautore fa un confronto fra alcune sezioni geologiche delle colline pesaresi e quella della valle del Grati in Calabria, dove esiste una fa- glia, che interrompe quasi nel suo mezzo una sinclinale, anche qui origine e via di propagazione dei terremoti. Padani IT. — I tuoni della montagna', hrontidi sismici gn Basilicata (dagli atti del Congresso dei Nat. ital. in Milano, pag. 10 in-8®) — Milano, 1907. Panebianco Gt. — Descrizione di alcune fosgeniti di Sardegna. (Rivista di min. e crist. ita!.. Voi. NXNin, fase. I e lY, pag. 1-2) — Pa- dova. 1907. Idem — (Resoconti riunioni Ass. mineraria sarda, anno XII, n. 3, se- duta 17 marzo 1907, pag. 16-17). — Iglesias, 1907. Descrive con i caratteri cristallografici, undici campioni di fosgenite prove- nienti dalla miniera di Monteponi e dalFingegner Merlo regalati al Museo di mineralogia delFUniversità di Padora. Pantanelli D. — Acque .sotterruMee fra Secchia e Panaro (Atti del Reale Istituto veneto di Se. lett. ed arti, Tom. LXYI, disp. IO*', pag. 761-807). — Venezia, 1907. L’autore si trattiene dapprima intorno alle formule migliori indicate per l’andamento delle acque sotterranee, ed intorno a quelle da lui dedotte con un apparecchio di sua invenzione. Descrive poi particolareggiatamente le condi- zioni idrologiche della pianura tra i fiumi Secchia e Panaro, la via Emilia e le colline fra Sassuolo e Vignola, Le acque si trovano nel mantello quater- nario il quale è tanto più potente quanto più è vicino al Po (a Modena supera i 150 metri). Tre sono le principali zone acquifere riconosciute, dovute ad an- tichi corsi del Secchia e del Panaro; tali corsi si trovano tutti alla stessa pro- fondità ed hanno una pendenza del 10 per 1000 mentre i fiumi attuali hanno — 284 — una pendenza soltanto del 5 per 1000. T)a ultimo, applicando le varie formule al calcolo dell’efflusso che dovrebbero dare i pozzi artesiani della regione, l’autore trova una conferma a quanto ha già esposto altra volta e cioè che la pressione degli strati sovrapposti alla falda acquifera, concorra alla salienza delle acque, riassumendo anche i principali lavori di recente pubblicazione che confermano la sua teoria. Pantanej^li D. — Il petrolio emiliano. (Atti Soc. Ligustica di Se. Xat. e aeogr., Yol. XVIII, pag. 105-115). — aenova, 1907. L’uso del petrolio nella regione emiliana è antichissimo e le sue sor- genti hanno servito da secoli al rifornimento delle farmacie locali per usi te- rapeutici. Sono in generale tenui gemicazioni dalle rocce impregnate di petrolio, quando questo non sia portato in alto dalle acque insieme al cloruro di sodio, accompagnato da emissioni di idrocarburi gassosi, nel qual caso si hanno le fontane ardenti di Piotramala, Barigazzo, ecc., e i fuochi di Velleja. Tutti gli idrocarburi, qualunque sia il loro stato fisico, escono dalle ar- gille scagliose e sembrano raccogliersi in maggior quantità doA'e gli strati cal- carei, raramente intercalati alle argille stesse, fungono da protettori al suo di- sperdimento; questa funzione protettrice è esercitata assai A^alidamente' dalla singolare alternanza di strati di calcare marnoso, di arenarie e di argille fis- sili, caratteristica dell’Oligocene dell’Apennino settentrionale. Oltreché nel- l’Oligocene il petrolio si presenta anche nel Miocene medio a Montegibbio, nel Pliocene a Madesano e nel Quaternario a Morreali presso Modena. Le manifestazioni di idrocarburi sono in relazione con la formazione ser- pentinosa, ma non si verificano nelle grandi masse della Liguria e del Pia- centino, bensì ove le masse serpentinose sempre più piccole si suddhùdono e si moltiplicano. A partire dalla Trebbia e dalla Xure, i serpentini tendono ad allinearsi lungo due direttrici, una immediatamente alla base della maggiore solleA'a- zione eocenica dell’ Appennino settentrionale, l’altra lungo ed internamente alle ultime colline contro la pianura padana. A quella di queste direttrici più vi- cina al crinale appenninico corrispondono in prevalenza le fontane ardenti; all’altra le sorgenti di petrolio propriamente dette. Il petrolio appenninico appartiene al tipo di quello deH’Enropa orientale; con esso ha comune la presenza d’idrocarburi della serie grassa e della serie aromatica che mancano nei petroli americani; differisce da quello del Caspio per la percentuale in benzina' che in questo raggiunge la media del 10 %, mentre in quello emiliano può raggiungere e superare il 40 %, accostandosi per questa condizione ai petroli galliziani e rumeni. La profondità dei pozzi è varia; per quelli che si sono mostrati più ricchi « specialmente più lungamente fruttiferi, ha oscillato fra 300 e 000 metri. La regione si divide in zone di raccoglimento fruttifere, e in zone di disperdi- mento che non lo sono. Appartengono alle prime: Rivanazzano, Montechiaro, Velie,]' a, Medesano e forse molte altre ancora sconosciute. Velia conclusione della sua Memoria, l’autore accenna alla possibile ori- gine minerale del petrolio facendo notare la relazione esistente fra le zone pe- troleifere e quelle di massima sismicità, conseguenza forse di uno stesso fe- nomeno più generale. Paroxa C. F. — Notizie sommarie dì geologia Valsesiana (1 opusc. di 22 pag. con tav., estratto dal volume «La Yalsesia»). — Torino, 1907. In questa succinta nota viene data una sintetica e chiara idea fondamen- tale sulla struttura geologica della Yalsesia, la quale, per il predominio dei terreni massicci, cristallini, scistosi e metamorfici, presenta grande analogia con le altre valli del Piemonte. L’autore esamina dapprima brevemente i caratteri orografici della regione in rapporto colla varia natura delle roccie che la costituiscono, dimostrando che la valle manifesta nel suo modellamento la prevalenza delle forze epigenetiche. Passa poi in rassegna i diversi complessi rocciosi cristallini e metamorfici, se- guendo l’ordine col quale il corso del fiume li attraversa a partire dalle sue origini. Gneiss del Monte Rosa, zona delle pietre verdi, gneiss-Sesia, Scisti calcareo-filladici di Fobello-Rimella, zona delle roccie basiche, di Yarallo, Scopa, Fobello, gneiss- Strona, graniti della bassa Yalsesia; quindi i terreni di età accertata meno estesi e limitati quasi alla parte bassa della valle : porfiriti, porfidi e roccie derivate dal Permiano, arenaria e calcari dolomitici del Tirios, Arenaria e scisti calcareo-selciosi del Lias, depositi argillosi e sabbiosi del Pliocene, terreni alluv io-morenici del periodo glaciale. L’autore accenna alla mancanza del sistema prealpino considerato nel senso geologico ed orografico al piede delle Cozie e delle Graje, propendendo per la non originarietà di questo fatto, ed infine dimostra che lo schema oro-idrografico valsesiano doveva essere già tracciato anteriormente al Pliocene. La nota è corredata di tre nitide eliotipie di paesaggi della valle. 1 — 236 — Parona C. F. — Risultati di uno studio sul Cretaceo superiore dei Monti di Bagno presso Aquila. (Rencl. R. Acc. dei Lincei, classe di Se. fis. mat. e nat., voi. XVI, fase. 4®, 2® sem., pag. 229-236). — Roma, 1907. L’autore, facendo seguito alle notizie preliminari già pubblicate e confer- mandole, riassume in questa nota i risultati del suo studio definitivo sui fossili cretacei del monte d’Ocre, in attesa che esso venga pubblicato per intero col necessario corredo di profili e di tavole. Gli orizzonti riconosciuti dal prof. Parona costituiscono, dall’alto al basso, la seguente successione : Senoniano? — Calcari bianchi ad orbitoidi e calcari cereo-chiari compatti con piccoli gasteropodi e foraminiferi {Orbitoides, Idalina, Lacazina^ ecc. Tiironìam. — Calcari chiari con ippuriti e biradioliti. Calcari cerei e bianchi a lumachella, con Nerinea iichauxiana, N. incavata.^ Glaucoma Renaiixiana, Actaeo- nellae., Cliondr adonta Ioannae, ecc. (monte La Quartara, monte Cerasetti). ? — Calcari compatti cerei non Elipsactiniae e piccole Requieniae. Cenomaniano, — Calcari biancastri o giallastri, stratificati o massicci, assai potenti a Nerinaea forojnliensis^ inglobanti per passaggi laterali ed intercala- zioni : a) Calcari bianchi di scogliera con orbitoline, corallari e molluschi, spe- cialmente chamacee e gasteropodi (Fossa Agnese, Fossa Mezza spada, ecc.). b) Calcari stratificati con marne intercalate di vario colore, brecciose, con detriti di rudiste, gasteropodi mal conservati e numerosi coralli (orizzonte della fonte Cerasetti e di Fossa Mezza spada). A dimostrare l’importanza di tali conclusioni, se ve ne fosse bisogno, basterà ricordare che esse sono basate sullo studio di una fauna composta di oltre 250 specie, rappresentato quasi tutte da numerosissimi individui. Parona C. F. — A proposito dei resti di un elefante (El. primigenius^ Blum.) scoperto in un deposito quaternario della collina di Torino. Congresso dei Natur. ital., settembre 1906 (con tav.). — Milano 1907. L’autore descrive e figura il terzo molare della branca di sinistra della mandibola e la metà posteriore del suo corrispondente di destra, mettendone in rilievo la sottigliezza relativa delle lamine e la regolarità delle figure di abrasione soltanto in parte completamente aperte. Questi caratteri collegano strettamente il dente in esame con quello delle arenarie quaternarie di Pe- tersdorf (Geinitz), con quelli del bacino quaternario del Rodano (Lartet o Chantre) e con quello della Dobrogea (Ricci). — 237 — Il terreno sul quale si ritrovò il fossile è un ammasso caotico di orij^ino franosa, direttamente coperto dal loess, e non più antico della seconda glacia- zione. Questo rinvenimento è segnatamente importante, in quanto che nella collina di Torino i vertebrati fossili quaternari sono estremamente rari e perchè di quello ora trovato fu possibile verificare esattamente la giacitura in rapporto con un terreno di età glaciale dimostrata. Passerini N. — Contributo allo studio della composizione delle ceneri e dei lapilli eruttati dal Vesuvio durante il periodo di attività del- V aprile 1906. (Le stazioni sper. agr. ital. Yol. XL, fase. 1°, pa- gine 40-53). — Modena, 1907. È una ristampa dell’articolo inserito negli Atti dei Georgofili (vedi 1906 1. Pene A. — Ueber interglaciale Ahlagerungen im Etscìitalgebiete. (Mo- natsb. der Deut. geal GeselL, 1907, 1, pag. 4). — Berlin, 1907. L’autore dà brevi notizie sui depositi interglaciali della Valle dell’Adige e di alcuni suoi affluenti. Accenna dapprima alla caratteristica impronta che la Valle dell’Adige e la bassa valle del Sarca ricevono dagli estesissimi depo- siti postglaciali dovuti non solo ai coni di defezione, ma altresì a potenti frana- menti. Oltre a questi depositi, altri se ne trovano come residui di depositi di età più antica, i quali con maggiore o minore sicurezza possono ritenersi come interglaciali. Era questi vengono citati dall’autore: 1® Il cono di dejezione in- terglaciale allo sbocco del Varone presso Riva, ricoperto da morene. 2° Dei conglomerati presso Pederzano, aumentati dalle morene dei dintorni e che ripo- sano su una breccia grossolana, dovuta a un antico scoscendimento. 3° Una breccia presso Malpensada a Sud di Trento, interposta fra due morene. 4^^ Dei residui di un antico cono di dejezione allo sbocco della valle del Branten presso Leifers, ricoperto da morene e poggiante su un filone di porfido con forme chiaramente arrotondate. 5*^ Un cono di dejezione presso Merano coperto da morene e da depositi della Valle dell’Adige, nel quale pure si trova del ma- teriale erratico. Perret P. a. — Notes on thè electrical pìienomena oftlie Vesnvian eruption^ Aprii 1906. (The Museum of thè Brooklyn Institute of Arts and Sciences — Science Bulletin, Voi. I, N. 11, pag. 307-312). — 1907. L’autore, che si trovava all’Osservatorio vesuviano durante l’eruzione del 1906, presenta in questa nota alcune notizie e considerazioni sui fenomeni elet- — 238 trici che accompagnarono l’eruzione stessa. L’assoluta mancanza di apparecchi impedì di ottenere esatte determinàzioni scientifiche. Le scariche elettriche producevansi nell’interno del pino e fra questo e la terra. L’autore rileva l’analogia fra i fenomeni elettrici delle eruzioni e quelli ottenuti artificialmente ed in miniatura coll’apparecchio idroelettrico di Armstrong, nel quale un getto di vapor d’acqua parzialmente condensato, sfug- gendo sotto notevole pressione si elettrizza per frizione. Le scariche nell’interno del pino sono evidentemente dovute a differenze di potenziale fra i vortici di vapore ed il materiale solido: quando l’emissione diviene più uniforme ed i detriti più omogenei, l’intero pino si elettrizza in un senso ed allora hanno luogo le scariche fra esso e la terra. Le esperienze di Armstrong mostrano che il vapore di pura acqua di pioggia non ha effetto elettrico, quello di acqua contenente soda o potassa è energicamente positivo, e quello contenente un po’ di acido nitrico, negativo. Per analogia può ritenersi che le manifestazioni elettriche di un’eruzione sieno in qualche misura dipendenti dalla costituzione chimica dei suoi prodotti, e che un’eruzione possa essere interamente priva di manifestazioni elettriche. Poiché^ però, è difficile concepire un vapore vulcanico composto di acqua pura, si possono limitare le condizioni essenziali ad una sufficiente pressione dì vapore ed a una sufficiente quantità di detrito: in altri termini, una forte fase « vulcaniana » o « stromhovulcaniana ». L’autore non conosce che siensi mai osservati fenomeni elettrici in un pino semplicemente « sfromboli ano ». Perret F. a. — Notes on thè eriiption of Stromboli. Aprii, May, Jiiiie 1907. (The Museum of thè Brooklyri Institute of Arts and Sciences — Science Bullettin, Yol. 1 n. 11, pag. 313-323). — 1907. L’autore ha visitato lo Stromboli due volte durante Teruzione dell’aprile- giugno 1907 e nella presente nota descrive le osservazioni fatte e talune de- duzioni derivanti da esse e delle informazioni raccolte in tutto il periodo eruttivo. Questo periodo, egli dice, fu notevole per la durata, la violenza delle esplosioni, il considerevole ingrandimento del cratere e per la corrispondenza dei suoi massimi con le fasi lunisolari. A quest’ultimo riguardo l’autore osserva che la relazione fra l’attività dei fenomeni vulcanici e le fasi lunisolari fu già segnalata da Palmieri, Riccò e Mercallì, per il Vesuvio, lo Stromboli e un’eruzione sottomarina di Pantelleria.. — 239 Ma la serie di corrispondenze durante il periodo eruttivo del 1907 è veramente notevole, e l’autore ha tracciato un diagramma, dal quale risultò rimmancabilo ricorrenza di un massimo esplosivo ad ogni congiunzione ed opposizione. PiUTTi A. e CoMANDTJCCi E. — Analisi chimica delPacqua termominerale Greco nei lenimenti di Contarsi (Salerno). (Eend. Acc. Se. fis. e mai, (3) XIII, 5.7, pag. 160-177). — Napoli, 1907. Questa sorgente cominciò a scaturire circa 40 anni fa e dopo 14 diminuì a tal punto da divenire un filo insignificante; ma dopo due anni si riattivò e si mantenne in attività per altri 6 anni e d’allora, con vari periodi d’inter» mittenza di 5 in 6 anni, è divenuta di deflusso costante. Dalle analisi qualita- tative e quantitative, riportate nella Memoria, risulta che quest’acqua appartiene al tipo — acqua termominerale^ carbonica, sulfurea, alcalina, calcareo, magne- siaca — contenendo inoltre piccole quantità di iodio, litio e boro. Platania G-. — Sul magnetismo delle lave delVEtna. (Atti Congresso Naturalisti ital., pag. 208-213). Milano, 1907. Come si sa, le rocce vulcaniche, specialmente se basiche, sotto l’azione elei fulmine assumono una forte polarità magnetica. Nella campagna romana sono stati trovati molti massi fortemente magnetici: furono chiamati punti di- stinti quelli nei quali esiste una polarità magnetica così forte da fare ruotare di 180® l’ago di una bussola tascabile, e zone distinte quelle più o meno estese ed allungate. L’autore insieme al fratello prof. Giovanni, avendo intrapreso nella regione etnea la ricerca di quinti e sone distinte, trovò che queste erano numerose e potè anche constatare che il fulmine magnetizza fortemente le rocce basaltiche ed i mattoni anche quando la scarica passi a distanza di parecchi centimetri da essi lungo il filo isolato dei parafulmini. Dalle osservazioni fatte si sono potute trarre le conclusioni seguenti: 1*^ Se la scarica elettrica ha seguito il conduttore del parafulmine, essa ha avuto luogo dalla terra (anodo) alla nube (catodo). 2® Le roiice basaltiche diventano magnetiche non solo alla superficie, ma anche a qualche decimetro nell’ interno. 3® Lo zone distinte a nastro si possono formare anche su i muri a secco interessando i diversi pezzi di lava non cementati. - 240 — PoRTis A. — Di alcuni avanzi fossili di grandi ruminanti principalmente della provincia di Roma. (Paleontographia italica, Yol. XIII, pa- gine 141-198). — Pisa, 1907. Allo scopo di portare a conoscenza del pubblico, le correzioni fatte alle indicazioni di avanzi fossili di Ruminanti dei terreni terziari superiori special- mente della provincia di Roma, esistenti nel museo geologico universitario di Roma, l’autore si è deciso a pubblicarne la descrizione. In questa prima Me- moria egli tratta di alcune specie di Bovidi, descrivendo minutamente 33 pezzi (teschi, crani e caviglie carnigere) appartenenti al Bos primi gerì in s, 3 pezzi (crani e teschi) appartenenti al Gen. Bison e due denti appartenenti ad un individuo del Gen. Bibos e Leptohos (Bos etruscus). La Memoria è corredata di 4 tavole nelle quali sono illustrati i fossili descritti. PoRTis A. — Di due notevoli avanzi di carnivori fossili dai terreni, tu- facei di Roma. (Boll. Soc. Geol. ital., Yol. XXYI, fase. 1°, pag. 63- 86 con 2 tav.). — Roma, 1907. L’autore descrive minutamente il cranio di un leopardo Felis arveriiensis. Croiz et Job., rinvenuto nello scavare le sabbie ricchissime di materiali vulcanici che venivano sfruttate lungo l’Anione, in una località detta dei Campi fiscali, alla base del Monte Sacro. Egli fa dei raffronti con le figure e con le misure di altri Felis riportate dal Tuccimei e da Pròre Indes, constatando che i Felis finora trovati in questi terreni sarebbero 4 e cioè: Felis leo Limi, (spelaea) Goldf., Felis arveniensis Croiz. et Job., Felis Ignx Linn. e Felix catiis ferii s Linn. Passa quindi a descrivere una mandibola di Ursus horribilis o fero\ rin- venuta nelle sabbie a copiosi elementi vulcanici, ch’egli ritiene come quelle in cui fu trovato il cranio del leopardo, appartenenti al così detto piano siciliano, a Monte Yerde (Yigna S. Carlo). L’autore crede che questa specie discenda direttamente dal pliocenico Belar ctos od Ursus etruscus del Cuvier altrimenti detto U. arveniensis da Croizet et Jobert; questa specie vive ancora nell’Ame- rica settentrionale. A queste conclusioni egli giunge dopo aver fatto particolareggiati raffronti con altri fossili appartenenti a specie diverse di Ursidi. Xelle due tavole che accompagnano la Memoria sono rappresentati i fossili descritti. PoRTis A. — A proposito dì avanzi elefantini recentemente scoperti nella valle del Po. (Boll. Soc. Greol. Ita!., Yol. XXVI, fase. 2^, pag. 159-171). — Eoma, 1907. Essendo stato mostrato all’autore un dente di elefante proveniente da Moncalieri, trovato e illustrato dal prof. Parona, egli conviene nella determi- nazione fattane e cioè appartenere il medesimo ad un individuo della specie Elephas prìmigenius Blum. Questo ritrovamento viene a comprovare l’esattezza della determinazione di un altro dente di Elephas primigeniiis Blum, prove- niente da La Loggia presso Torino, fatta antecedentemente dall’autore, e i due denti sinora trovati sarebbero gli unici testimoni sicuri della presenza di que- sta specie elefantina nellTtalia settentrionale, mancando essa completamenie nell’Italia media e meridionale. L’autore descrive quindi minutamente l’analisi comparativa da lui fatta per giungere alla sua conclusione e confuta diffusamente le determinazioni del Mariani. Prever P. L. — Sulla costituzione dell’anfiteatro morenico di Rivoli in rapporto con successive fasi glaciali., (Mem. Beale Acc. delle Se. di Torino, Serie II, Tomo LYIII, pag. 301-383, con tav.). — Torino, 1907. L’anfiteatro morenico di Bivoli, a somiglianza di quello d’Ivrea e di altri anfiteatri del Xord delle Alpi, presenta tre diverse fasi glaciali, contraddistinte tutte da caratteristiche speciali. Il ghiacciaio in tutte le successive glaciazioni costruì, allo sbocco della valle in pianura fra Sant’ Ambrogio e Collegno, dei cordoni morenici, del tutto o parzialmente conservati o più o meno profondamente alterati. I residui di quelli più antichi sono più profondamente alterati e ricoperti da uno strato di ferretto, che raggiunge in taluni punti lo spessore di 6 metri. Questi sono sempre i più esterni perchè qui come pure nell’anfiteatro morenico d’Ivrea, la seconda espansione glaciale fu meno notevole della prima, a differenza di quanto avvenne al Xord delle Alpi. Ye ne sono poi altri, occupanti un’esten- sione assai maggiore, molto meno alterati, perchè fortemente cementati e rico- perti in molti punti da un mantello di lehm, alle volte calcarifero, che rag- giunge finanche lo spessore di 4 metri. AU’interno si trovano cordoni assai meglio conservati, a ciottoli spesso cementati, ricoperti in taluni punti da un lehm più sabbioso del precedente, meno compatto e meno potente. In complesso fra bene e male conservati, l’an- fiteatro è formato da 10 o 11 cordoni. — 242 — Più specialmente su i cordoni appartenenti alla seconda espansione, ma anche su quelli della terza fase glaciale, si trovano depositi, talvolta assai po- tenti, di loess, il quale può raggiungere 16 metri di spessore ed è fossilifero ; esso fu deposto sul Morenico in due periodi successivi. Esternamente all’anfiteatro, fra Pianezza e Grugliasco ed anche in qualche punto su l’anfiteatro stesso, si trova una formazione sabbiosa ordinata in dossi collinosi, formata probabilmente da residui di dune. Per i successivi ritiri del ghiacciaio si formarono, entro le cerehie mo- reniche, dei laghetti, alcuni dei quali esistono parzialmente anche oggi. Le acque del Sangone defluivano prima verso l’interno dell’anfiteatro e andavano a mescolarsi con quelle della Dora, che in tutte le fasi, dal principio del Grlaciale, scorreva nell’interno dell’anfiteatro, uscendo poi tra Alpignano e Collegno. Durante la prima e la seconda fase glaciale e durante una parte della seconda fase interglaciale, il Sangone si aprì invece una via verso Trana e Grugliasco, e per un certo tempo nella seconda fase glaciale e certamente al- l’inizio della fase interglaciale successiva, scavò i due solchi profondi attorno al Truc Monsagnasco, entro i quali scorrono ora la Garotta di Rivoli e quella di Rivalla, ed erose profondamente i cordoni morenici delle due prime espan- sioni tra Rivalla e Grugliasco. Fuori dell’anfiteatro la Dora ebbe nei due primi periodi un regime ad alluvioni vaganti, onde le sue acque andavano, in parte direttamente al Po, parte alla Stura di Danzo, e in qualche periodo della se- conda fase interglaciale anf'he al Sangone. Dopo il terzo periodo glaciale, la Dora continuò solo per breve tempo il regime ad alluvioni vaganti su la propria conoide, ma ben presto iniziò l’escavazione di un alveo fisso, le cui sponde coincidono con il gradino più alto, che ora si vede nel Diluviale superiore lungo il corso del fiume. IN’ella prima fase interglaciale poi, e specialmente nella seconda, il corso delle acque nella conca intermorenica era assai instabile, e queste si riversarono talvolta sul Morenico fra Casellette, Brione, Druent e Pianezza, demolendo i cordoni morenici, terrazzandoli e scavando dei valloni anche ora assai evidenti. Il Sangone pure ruppe i cordoni morenici che si trovavano fra Trana, Sangano e Bruino, a destra del corso attuale, e li terrazzò profondamente. Su i cordoni morenici recenti, l’erosione si esercitò assai meno; fu quasi nulla sulla porzione destra dell’anfiteatro, più sensibile su la sinistra in un tratto fra Casellette e Alpignano. La Memoria è accompagnata da una carta geologica in nero deiranfi- teatro morenico di Rivoli, e da una tavola nella quale sono riportate 15 vedute panoramiche dei luoghi più caratteristici dell’anfiteatro. Prever P. L. — Su alcuni terreni a Niimmiiliti e ad Orhitoidi delValta valle delV Aniene. (Boll, del E. Com. Greol. d’Italia, Serie IV, Vo- lume YIII, fase. 2°, pag. 101-108). — Poma, 1907. Il materiale studiato è quello raccolto dagli operatori del Eegio Ufficio Geologico, e si riferisce a due periodi distinti: all’eocenico quelli contenenti Nnmmiilites e Orthophragmina, al miocenico quelli contenenti Lepidocjjcìina e Mioggpsina, oltre ad un certo numero di campioni da attribuirsi all’Oligocene. Le faune nummulitiche delle singole località risultano abbastanza uni- formi. In esse si notano dappertutto delle Paronaett, caratteristiche quasi tutte del Luteziano, qualcuna anche del Bartoniano , ma già presenti nei due piani sottoposti. Il rimanente delle nummuliti, è rappresentato da forme appartenenti a Brngiiierea, Laharpeia^ Guemhelia, proprie delFBocene inferiore e medio. Lo stabilire con precisione il sottopiano a cui si possono riferire, è cosa molto difficile; ad ogni modo si possono considerare queste faunule come rap- presentanti due orizzonti successivi, riferibili entrambi all’Eocene inferiore. La fauna orbitoidica miocenica delle altre località è composta di Lepido^ cgcliìia prevalentemente e di Mioggpsina. Il fatto di avere assieme Lepidocycliiia di grandi e medie dimensioni con delle Mioggpsina dovrebbe far conchiudere trattarsi di terreni langhiani, ma l’autore non ne è sicuro. Aspettando che ulteriori studi gli permettano di risolvere la questione, egli per ora si limita a riferirli al Miocene inferiore, riservandosi di dire poi se questi terreni ap- partengono tutti al Langhiano, oppure devono essere ripartiti in questo piano e nell’Aquitaniano. Prever P. L. — Aperta géologique sur la Colline de Turin. (Estratto dalle « Mémoires de la Société géologique de Prance ». Sèrie, Tome : opusc. di 48 pag. con carta geologica). — Paris, 1907. Durante la riunione straordinaria della Società geologica francese a Torino fu visitata la serie dei terreni terziari della collina di Torino, facendo delle escursioni attraverso la regione chiamata « Colli torinesi »: la prima, da Torino a Lauriano e ritorno per Gassino ; la seconda, da Torino a Superga e dintorni. A Lauriano i geologi esaminarono un giacimento interessantissimo formato dalle argille scagliose, dai calcari alberesi, dai calcari a fucoidi, dai calcari rossastri a brachiopodi del Lias, dai calcari arenacei ad Orbitoline del Cretaceo ed infine dalle puddinghe del Quaternario. In seguito gli escursionisti studiarono le formazioni eoceniche dei dintorni di Gassino, dell’altra escursione, da Torino a Superga e — 244 — BaldisserOj si osservò minutamente la formazione assai potente dei conglomerati, alternanti con degli strati marnosi e sabbiosi, spesso fossiliferi, attribuiti al Langhiano ed all’Elveziano. In questa memoria l’autore ha voluto dare delle notizie su i fossili che si trovano in alcuni di quei terreni, discutere l*età che si può attribuire loro e dare qualche notizia su la loro tettonica. Descrive perciò il giacimento di a'rgille scagliose presso Laudano. ì cal- cari con i quali alternano, i blocchi di calcare liassico che contengono, e nota i fossili rinvenuti in questi blocchi; riporta diversi pareri su l'età delle argille scagliose e conclude dichiarando che si debbano ritenere appartenenti all’Eocene inferiore. Passa quindi a descrivere i terroni eocenici di Glassino, e dopo avere ac- cennato alle generalità, fa un sunto dei diversi lavori esistenti su di essi; poi passa in rassegna i lavori paleontologici riportando le note dei fossili stu- diati dai diversi autori; nello studio stratigrafico presenta il quadro della suc- cessione dei terreni dall’alto in basso; discute l’età dei medesimi e conclude che in questo giacimento si possono distinguere 5 livelli, ch’egli ritiene ap- partenere tutti al Luteziano. Segue lo studio dei terreni miocenici della Collina di Torino: descrivo la costituzione dei due piani Langhiano ed Elveziano, i loro rapporti tettonici con altri piani ed i fossili che contengono; riporta numerose liste di fossili trovati in località diverse, discute l'età degli undici orizzonti in cui si dividono gli affioramenti della collina di Torino compresi fra il Bartoniano e il Torto- niano e presenta un quadro della loro successione. Dopo alcune considerazioni paleografiche e tettoniche, fa un breve cenno dei depositi quaternari della Collina di Torino. La memoria è accompagnata da un ricco indice bibliografico, da una ta- vola di sezioni fatte attraverso i Colli torinesi, da una carta geologica dei din- torni di Torino, in cromolitografia, e da alcune vedute panoramiche intercalate nel testo. Prever P. L. — Escursione sui Colli di Torino : 10 settembre — Escur- sione a Superga e a Baldissero; 11 settembre — Escursione nei dintorni di Gassino. (Boll. Soc. Gleol. Ital., Yol. XXYI, fase. 2*^, pag. 145-155). — Roma, 1907. Il 10 settembre dopo aver visitato la basilica di Superga, su la pittoresca strada mulattiera che conduce a Baldissero, gli escursionisti poterono ammirare — 245 — bellissime sezioni naturali nelle marne e nei conglomerati: nello marne del Bricli Palouch cominciarono a rinvenirsi dei molluschi. Ritornando dalla strada mulattiera alla strada provinciale, precedente* mente abbandonata, riattraversarono i due orizzonti marnosi a facies di -iScA //>/•, nei quali raccolsero fossili; al disotto di esse rinvennero delle marne fogliet* tate, dure, grigio-cenerognole, spesso bluastre, ricchi di fiditi e anche di mol- luschi, tra cui abbondanti esemplari di Ancillaria. Alla Croce di Berton notarono un orizzonte sabbioso-arenaceo, il quale, a cagione della differente resistenza che offrono i diversi strati all’azione del vento, presenta dei bizzarri effetti d’erosione. Giunti a Baldissero raccolsero abbondanti fossili in quel giacimento generalmente noto. Durante la gita gli escursionisti ebbero agio di constatare che i massi e ciottoli dei conglomerati della collina di Torino, non sono affatto a spigoli vivi, ma arrotondati. L’il settembre cominciarono per addentrarsi nella valle del Rio Maggiore, percorrendo la strada che conduce a Bardassano; videro delle marne cenero- gnole, compatte e fortemente inclinate, sotto alle quali si scorge la formazione conglomeratica che ricopre la formazione calcareo- marnosa conosciuta con il nome di calcare di Gassino. Proseguendo, a Cascina Battaina, cessarono i con- glomerati e si videro affiorare le sottostanti marne giallastre ad Atiiria-Rova' sendiana Par., Nautilus sp. Esaminarono anche gii strati sabbiosi, i quali sono quelli che in maggior numero contengono le nummoliti e le ortofragmine di questo piano, e ne raccolsero. Discendendo verso le cave, gli escursionisti giunsero infine a Tigna Mela, sul calcare di Gassino ; ivi fecero abbondante raccolta di fossili e presso la cava Chiesa osservarono uno di quegli orizzonti sabbiosi a terebratuline, che si ripetono parecchie volte nella serie calcareo-marnosa ; poi scesero a visitare la cava Yandetti e più tardi le Cave Defilippi, aperte negli strati più vecchi della formazione eocenica di Gassino, ove fecero abbondante raccolta di num- meliti e ortofragmine. Alla relazione è unita una tavola della successione dei differenti orizzonti della serie terziaria della collina di Torino sino al Tortoniano, con a lato la classificazione del professor Sacco e quella dell’autore. Principi P. — Cenni geologici sul Monte Malbe presso Perugia. (Rend. R. Acc. dei Lincei, Yol. XYI, fase. 8; 2^ sem., pag. 535-537). — Roma, 1907. L’autore studia il M. Malbe, che sorge a circa 2 chilometri e mezzo a Ovest di Perugia, e vi stabilisce dal basso allenito la serie seguente : Dachstein, 16 — 246 — Retico (calcari scuri con ricca fauna di Lamellibr anelli, gasterepodi e bra- cbiopodi), Lias inferiore, Lias medio, Lias superiore (ben distinto per la sua fauna caratteristica), Titoniano, R'eocomiano, Senoniano, Eocene. Di vari ter- reni si danno elenchi di fossili. La tettonica è secondo Tautore assai complessa, ma nell’insieme il !Monte Malbe costituisce una cupola ellissoidale incompleta dal lato T^-E, dove esi- sterebbe una faglia. L’autore nota trasgressioni fra il Senoniano e il jS^eocomiano e fra il Tito- nico e il Lias superiore. Accenna poi alla struttura carsica della regione (doline e Kavren) e ad lino speciale prodotto [cenerenté) del disfacimento delle roccie del Retico e del Dachstein. Ricco A. — Les paroxysmes de Stromboli (Compt. rend. Acad. des Se., T. CXLY, n. 7, pag. 401-404). - Paris, 1907. È una tavola dei parossismi degli ultimi sedici anni, dalla quale risulta il giorno e l’ora in cui ebbe principio ogni singolo parossismo, in rapporto con la fase lunare e con la pressione barometrica osservata alle 7 del mattino in estate ed alle 8 in inverno. Sono anche notate le epoche di calma del vulcano. I parossismi sono raggruppati per stagioni. Di questi dati l’autore si serve per una serie di considerazioni su le cause che possono avere influito a determi- nare il parossismo. Ricco A. — Sur Vactivité de VEtm. (Comptes rendus Acad. des se., T. CXLV, n. 22, pag. 289 291) — Paris, 1907. È una statistica dello eruzioni di questo vulcano ; se ne conoscono 138 delle quali 5 preistoriche e 70 posteriori all’XI secolo. Queste ultime separate per anni, o raggruppate per stagioni sono oggetto di svariate osservazioni e deduzioni da parte dell’autore. Da ultimo, viene descritto sommariamente lo stato del vulcano dalla grande eruzione del 1892 ad oggi. Ricco A. — Perìodi di riposo delVEtna, (Boll. Acc. Grioenia di se. nat., fase. XCIY, pag. 2-6).. — Catania, 1907. Trascurando tutte le eruzioni delle quali si hanno notizie incomplete e incominciando la statistica delle eruzioni solo da quando non vi è più alcuna — 247 — lacuna nella data del principio, si può rimontare solo all’eruzione del 1759. Da questa a quella del 1892 vi sono 25 eruzioni e quindi 24 intervalli : dopo aver determinato la durata media d’ogni intervallo, l’autore considera le cause dei lunghi intervalli e più specialmente dell’ultimo che dura dall’eruzione del 1892, dovuta secondo lui, alla grandissima resistenza che troverebbero le forze in- terne del vulcano a romperne la grossa schiena. Eiccò A. — Attività dello Stromboli (Boll. Acc. Gioenia di se. nat., fase. XCIY, pag. 7-12). — Catania, 1907. Abbenchè questo vulcano fosse generalmente conosciuto fin dalla più remota antichità, pure osservazioni sistematiche su la sua attività non furono incominciate che nel 1898. Di queste osservazioni, l’autore presenta una tabella nella quale per ogni parossismo è notato l’anno, il mese e giorno, l’ora e mi- nuti del principio, l’intensità in una scala arbitraria da 1 a 5, le fasi prossime della Luna, la pressione barometrica, e gl’intervalli fra i parossismi. Questi dati servono all’autore per una serie di considerazioni al fine di rintracciare le cause che possono avere influito sulla deteriuinazione dei parossismi. Rimatori C. — Esame chimico deU’acqua potabile di Laconi {Sardegna). (Boll. Soc. Cultori se. mediche e naturali, n. 3, pag. 1-4). — Ca- gliari, 1907. Rizzo G. B. — Contributo allo studio del terremoto della Calabria del giorno 8 settembre 1905. (Degli atti R. Acc. peloritana, pag. 86 in-8°, con tavole) — Messina, 1907. Questa Memoria è divisa in due parti ; nella prima l’autore ha riunito le osservazioni più importanti sul terremoto dell’8 settembre 1905; nella seconda egli fa delle considerazioni di ordine generale sul terremoto stesso e su le aree colpite. Fanno seguito i particolari su l’eruzione di fango tra Montalto Uff Ugo e San Vincenzo la Costa e su le analogie fra questo terremoto ed i grandi terremoti calabresi precedenti. La Memoria è accompagnata da una carta nella quale sono riportate le linee isosismiche per la grande scossa dell’8 settembre 1905. Roccati a. — Escursione a Pìanessa, Caselletfe ed Auìglìana (9 set' tembre 1907) Boll. Soc. Greol. Ital., Yol. XXTI. fase. 2^, pa- gine 135-142). — Roma, 1907. Descrive un’escursione fatta dalla Società geologica italiana: dapprima fu visitato il masso erratico dedicato a Gastaldi, quindi fu inaugurata la lapide sull’altro masso erratico dedicato a Sacco. I gitanti si recarono poscia a visitare le cave di magnesite da dove si ricava l’opale per materiali refrattari, la ma- gnesite per la preparazione del solfato di magnesio e per un tipo speciale di mattonelle da pavimento: tornando a Casellette poterono osservare anche la Iherzolite ed i suoi prodotti di alterazione. Attraversata la grande pianura dell’anfiteatro della Dora, dove si raccolsero numerosi ciottoli glaciali striati, i congressisti si recarono ad Avigliana. In una gita pomeridiana gli escursionisti, dopo aver visitato gli antichi edilizi medioevali, si recarono su i ruderi del castello da dove poterono am- mirare l’incantevole panorama di tutto l’anfiteatro morenico. Discesi dal castello es'si attraversarono il piano torboso che segna un’antica area lacustre; poterono esaminare gli affioramenti di serpentina, e finalmente fecero in parte il giro del lago di Avigliana, osservando le circostanti colli- nette moreniche. Rodriguez Fr. — Le miniere di grafiti e di piriti cuprifere nelle Alpi Cosie: contributo alla genesi. (Pag. 20 in-8®, con 7 tavole). — To- rino, 1907. In questa Memoria sono descritte e figurate parecchie accidentalità che si osservano nei giacimenti di grafite delle Alpi Cozie e che si poterono stu- diare durante la coltivazione di alcuni di quei giacimenti, mentre prima non se ne avevano che dei cenni. L’autore espone anche una sua teoria su la genesi di quei giacimenti. Rosati A. — Scisto ottrelitico ed anfibolite sodica del vallone di Monfiek presso Demonte. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XYI, fase. 5*^, 1° sem., pag. 343-347). — Roma, 1907. teneste due roccie furono raccolte dall’ing. Zacpagna nel vallone di.Moa- fieis; lo scisto ottrelitico si trova nella parte alta del vallone in lenti di di- screto spessore fra gli scisti sericitici, gli scisti carboniosi e le arenarie del Garbo- — 249 — nifero; l’anfibolite sodica epidotica con lawsonite, trovasi aH’estremità del vallone di Monfieis in massa lentiforme fra i calcescisti arcaici del Monte Pergo. Lo scisto ottrelitico ha una massa fondamentale fillitica data da un intimo miscuglio di quarzo e mica bianca, dentro cui sono disseminati elementi porl i - rici più 0 meno sferoidali e consistenti in aggruppamenti di cristalli verdastri ottrelitici. 11 rutilo, con forme aciculari e spesso geminato, è abbondantemente disseminato in tutta la roccia. Yi si osservano anche granulazioni di ossidi di ferro non bene determinabili. L’anfibolite è roccia grigio-azzurrognola, finamente scistosa; si riconosce facilmente per roccia metamorfica, nella quale quasi tutti i minerali appaiono di origine secondaria. Prevale il glaucofane, dopo questo, altro costituente importante è l’epidoto, poi la clorito in discreta quantità, ilmenite, leucoxene, titanite, pirite parzialmente limonitizzata, quarzo, plagioclasio albite. Per i rapporti che questa roccia ha con ammassi diabasici ed eufotidici sembra probabile ch’essa provenga dalla trasformazione di rocce eufotidiche, diabasiche e variolitiche, ovvero dai loro materiali tufacei. Posati A. — Rocce liguri raccolte nel circondario di Savona. (Eend. B. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XYI, fas. 7^^, sem., pag. 555-561).. — Boma, 1907. Sono rocce raccolte dall’ing. Zaccagna. Diabase porfirica. — La massa diabasica è inclusa negli scisti sericitici accompagnanti le quarziti del Trias inferiore sotto all’abitato di Biestro presso Ballare. È notevole la profonda alterazione subita dalla roccia; la massa fon- damentale è quasi completamente trasformata in minerali secondari fra cui si distinguono albite, clorito, epidoto, antibolo, leucoxene : la metamorfosi non è avvenuta con uniformità in tutta la massa. Segue lo studio di un’altra roccia che non si è potuta determinare: questa roccia si sovrappone alla besimaudite gneissica sotto la quarzite triassica, nello sperone che dalla Cascina Bove scende su la Bormida, presso Ballare. È una massa fondamentale olocristallina prevalentemente sericitica in cui sono inclusi grandi cristalli di quarzo. Serpentina. — Forma due o tre masse fra gli scisti sericitici del Trias inferiore come la diabase, sul crinale del Bric Yeriosa presso Ballare. Male si riconoscono i residui dei minerali originari, per la loro quasi completa altera- zione. Xella massa serpentinosa sono distinguibili alcuni grandi cristalli lucenti — 250 — che si devono riferire alla bastile. Sono infine presenti la magnetite per lo piu in cristalli ettaedrici, la cromite in granuli trasparenti di color rosso-bruno, ed un minerale anch’esso granulare che potrebbe forse essere picotite. Gneiss cloritìco-miiscovitico. — La roccia trovasi in associazione a mica- scisti ed anfiboliti sul crinale del M. Cucco presso Savona. Gli elementi es- senziali della roccia sono; quarzo, feldispato e musco vite, ai quali si aggiun- gono come minerali accessori: biotite, apatite, dorile, ossidi di ferro, zircone. Il quarzo è abbondantissimo; anche il feldispato è largamente rappresentato; vi si distingue Tortoclasio (predominante), il microclino, la micropertite e il plagioclasio. Dall’insieme dei caratteri della roccia si rileva che la sua costi- tuzione mineralogica corrisponde a quella dei graniti e degli gneiss: però, te- nuto conto del senso di stratificazione che osservasi nel campione e della pre- senza di muscovite e di dorile, l’autore ha creduto doverla classificare come gneiss cloritico-muscovitico. Dosati A. — Rocce liguri presso Miirialdo. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XYI, fase. 8°, P sem., pag. 639-644). — Roma, 1907. Sono campioni raccolti dall’ing. Zaccagna, come quelli che hanno già fornito all’autore l’oggetto di due note precedenti. Il primo è un porfido quarzifero incluso negli scisti permiani presso l’abitato di Cavallotti: in esso sono note- voli alcuni grandi cristalli verdi a contorno irregolare, sfrangiati e contorti, che il Rosati ritiene di angite ; il secondo è un micascisto gneissico che fa parte della formazione scistosa carbonifera ed è stato raccolto presso la fra- zione Fiano; il terzo è uno scisto sericitico, che fa parte degli scisti permiani sovrastanti al Carbonifero di Murialdo, poco a monte di Borda. Di ognuno di essi il Rosati descrive minutamente i minerali principali ed accessori. Rossi G. — Sulla radioattività della cotunnite Vesuviana. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XYI, 2^^ sem., pag. 630-638). — Roma, 1907. L’autore ha studiato la radioattività di questo minerale vesuviano, su cui il doti. Zambonini aveva richiamato l’attenzione con una nota precedente. Il doti. Rossi arriva fra l’altro alle seguenti conclusioni; che la cotunnite vesu- viana non contiene, almeno in modo apprezzabile, il radio, data l’assenza della emanazione e della sua attività indotta a rapida evoluzione; che le sostanze che attivano la cotunnite sono quelle che costituiscono la cosi detta attività indotta del radio a lenta evoluzione (radio-piombo); che altre sostanze radio- — 251 — attive pare che non accompagnino la cotunnite, data l’assenza dell’ uranio, ri- scontrata con metodi chimici, e data la mancanza dell’emanazione e della cor- rispondente attività indotta. Kovereto — Ualta montagna in Corsica. (Estratto dalla « Riv. Ligure di Se. Lett. ed Arti »: un opusc. in-8® di 12 pag.). — Grenova, 1907. È uno studio geomorfologico, in cui l’autore descrive le diverse forme caratteristiche presentate dalle montagne corse, e le mette in relazione colla costituzione delle roccie componenti. Dopo aver accennato che dove esistono graniti tipici a feldspati alcalini le forme montuose non presentano spiccate irregolarità, egli passa a descrivere l’aspetto irregolare e variatissimo delle montagne a graniti con feldspati calco-sodici, e specialmente a granuliti bioti- tiche e sodiche (adamelliti, protogino). Segnala poi le variazioni di aspetto do- vute all’azione glaciale, notando come d’ordinario le vestigia di questa azione siano assai più marcate sul versante orientale della spina corsa, che non sul- l’occidentale : forse perchè sull’orientale la precipitazione fu maggiore, o perchè la preesistente forma dei bacini d’origine delle sue valli era più ampia e meno acclive, e favoriva quindi il raccoglimento di più estese falde di ghiaccio. Sempre a proposito dell’azione glaciale, il prof. Rovereto rileva, servendosi anche dei dati raccolti in un recente studio dal Dainelli, come dal confronto delle altitudini cui si rinvengono, in diversi sistemi montuosi, le traccio lasciate dai ghiacciai, risulti che quanto più la montagna è bassa, tanto più i ghiacciai si trasportano ad un livello inferiore : e ciò, naturalmente, sino a che si abbia un’altitudine sufficiente per rendere persistenti le nevi. L’autore passa infine ad esaminare il gruppo più alto dell’isola, quello del M. Cinto, il quale, quan- tunque di composizione litologica diversa dagli altri prima descritti, non pre- senta forme molto differenti da quelle delle montagne a feldspati calco-sodici. Rovereto Gr. — LHsola di Capri. Nota preliminare. (Dagli Atti Soc. Li- gustica di Se. nat. e geogr., voi. XYIII, pag. 6 in-8®, con tavola). — Grenova, 1907. L’autore ricorda la sintesi tettonica dell’isola data dal Walther, ed i suc- cessivi lavori deirOppenhein e del De Lorenzo che in parte l’ammisero, in parte la modificarono. Secondo il Walther, Capri risulterebbe di due porzioni di calcare cretaceo riunite da una terza zona abbassata nella quale poserebbe discordante sul — 252 — Cretaceo il macigno da lui erroneamente riferito all’Oligocene : il prof. Rovereto invece, osservando i reciproci rapporti fra l’Eocene (e non l’Oligocene) ed il Cretaceo dell’isola, giunge alla conclusione che Capri costituisce una falda di ricoprimento e che questa è di struttura non semplice, poiché la massa calcarea del Cretaceo è corrugata sull’Eocene in forma di piega chiusa, aperta verso il sud. L’autore termina la sua breve nota osservando che bisogna chiedersi ove siano le radici della massa cretaceo-eocenica di Capri, e, per ciò che riguarda le suddivisioni cronologiche da introdursi nella pila calcarea, ricorrere neces- sariamente alla paleontologia, non potendosi più distinguere con sicurezza quali siano gli strati inferiori e quali i superiori. Rovereto G. — Vile de Capri est un lambeau de recomrement. (BulL Soc. Gréol. de France, 4“^® Sèrie, TomeYII, fase. 3-4, pag. 462-163). — Paris, 1907- L’autore accenna brevemente alla sua constatazione di cui alla nota pre- cedente, ed ai problemi che da tale constatazione possono sorgere. Sabatini Y. — / diversi modi di attività dei vulcani italiani e rultima eruzione del Vesuvio. (Atti della Soc- Ligustica di Se. Nat. e &eogr.,. voi. XYIII, n. 3-4, pag. 161-166, con fototipie nel testo). — (re- nova, 1907. L’autore mostra dapprima come le manifestazioni vulcaniche, sia recenti,, sia antiche, della regione italiana presentino la più grande varietà e per la loro forma e per i loro prodotti. Egli descrive poi brevemente i nostri vulcani, attivi, e si sofferma sull’ultima eruzione del Yesuvio, che ha dato modo di constatare alcuni fenomeni, poco osservati o male interpretati nelle precedenti eruzioni. Tali fenomeni sono gli sbuffi pesanti (volute di fumo con poco vapor d’acqua, che tendono a rotolare lungo i fianchi del monte : ciò avvenendo, esse produrebbero le terribili nuvole ardenti della montagna Pelée, di San Yincenzo,- di San Giorgio alle Azzorre, ecc.) ; i torrenti di cenere lungo i fianchi del cono, dovuti al dissociarsi delle volute di fumo ore accennate, e, in parte, all' equi- librio instabile delle ceneri calde e secche accumulate sul cono ; ed infine le colate di fango dovute all’azione delle pioggie cadenti dopo l’eruzione. L’autore dà poi qualche cenno sui soffioni della Toscana, rammentando le diverse teorie emesse per spiegare l’origine dell’acido borico in essi conte- — 258 — noto ; sui giacimenti di idrocarburi solidi o liquidi e sulle emanazioni pure di idrocarburi ; sui vulcani di fango e sulle sorgenti termali esistenti in varie nostre regioni. Sabatini V. — La macaliiba di Lassano in Teverina. (Boll. R. Com. G^eoL, voi. XXXYIII, n. 1, pag. 54-56). — Roma, 1907. Xella località « Laghetto «, presso la stazione di Lassano, vi è un piccolo stagno, che forse è quel che rimane dell’antico Yadimone: la superficie del- l’acqua di questo stagno mostra un gorgoglio intermittente, con piccoli sbuffi fangosi. Ad intervalli variabili di mesi, o anche di anni, l’argilla del fondo si gonfia, si solleva di 2 o 3 m,, si crepa in alto e lancia un getto fangoso ne- rastro di un paio di metri di altezza in media. Il fenomeno dura alcune ore o qualche giorno : poi tutto torna in calma, non restando che lo sviluppo di bolle gassose, dovute soprattutto ad acido carbonico (il che è dimostrato dalle in- crostazioni calcaree che si producono continuamente nelle forme o canali di scolo), e, talora, a traccio di acido solfidrico, accusato dal suo odore caratteri- stico, odore che si accentua durante i parossismi. A proposito della produzione di travertino, è bene notare ohe tutto il fondo della valle è coperto da un ta- volato di travertino recente. Sabatini Y. — I vetri forati di San Giuseppe e d'Ottajano durante Veni- sione vesuviana del 1906. (Boll. R. Com. Greol. d’Italia, voi. XXXYIII, fase. 4°, pag. 44, con tav.). — Roma, 1907. L’ing. Sabatini ritorna sull’argomento già da lui altra volta trattato, per esporre il risultato di molte sue esperienze e per combattere alcune obiezioni mosse alla sua nota precedente. Dopo essersi occupato nuovamente della orien- tazione dei vetri rotti, e degli addensamenti lineari, o strie, che a suo parere si sarebbero formati nella nube di lapilli del 14 aprile 1906 e avrebbero pro- dotto in massima parte le perforazioni, egli rende conto delle prove fatte ti- rando contro delle lastre di vetro, in differenti condizioni, dei proiettili unici o multipli. I proiettili unici furono lanciati con armi da fuoco (rivoltella, fucile Flobert), oppure coll’arco (e si trattava qui di lapilli o nocciuole), o a mano libera (nocciuole, o noccioli di pesca, proiettili che pel loro peso e per la loro rugosità si avvicinano ai lapilli). I tiri con proiettile multiplo vennero eseguiti col fucile Flobert, sostituendo alla carica ordinaria un’altra a pallini, e. con opportune variazioni della quantità di polvere contenuta nella carica, cercando 16* - 254 — anche di ottenere, in una serie di esperienze, oltre Furto dei proiettili, anche >in espandimento gassoso contro la lastra. Specialmente nelle esperienze con proiettile multiplo, l’autore è riuscito ad avere moltissimi fori che somigliano assai a quelli riscontrati in Ottaiano : egli però ammette che, sebbene all’urto di proiettili multipli o semplici debbano ritenersi dovute la maggior parte delle perforazioni, pure vi possano essere altre cause. E cioè che le condizioni mo- lecolari delle lastre, ch’egli esamina e studia con qualche dettaglio, siano tali, specialmente in seguito alla struttura perlitica assunta dalla massa vetrosa nel raffreddarsi e nel centrarsi, che un urto qualsiasi possa produrre una perfo- razione circolare ; cosi che nemmeno si possa escludere, come fanno i profes- sori Bassani e Galdieri, che i movimenti violenti dell’aria possano produrre delle perforazioni nette, come quella citata dal prof. Galli quale effetto dello scoppio della polveriera di Porta Portese a Poma. Sacco F. — / Monti di Cuneo tra il gruppo della Besimauda e quello delV Argenterà. (Atti E. Acc. delle Se. di Torino, voi. XLII, disp. 1% pag. 61-78, con carta geologica). — Torino, 1906. Ael testo l’autore illustra compendiosamente i terreni che figurano nella carta al 100,000 che accompagna la nota. All’illustrazione segue una biblio- grafia che comprende 52 numeri e che sarà assai utile agli studiosi. Sacco F. — Il gruppo del Gran Sasso d’Italia. (Dalle Mem. K. Acc. delle Se. di Torino, Serie II, Tomo LIX, pag. 88 con carta). — To- rino, 1907. È lo studio geologico particolareggiato della regione aquilana che contiene il gruppo montuoso del Gran Sasso. Yi sono descritti successivamente i terreni che vi affiorano e cioè ; Infralias, Giuralias, Cretaceo, Eocene, Mio-pliocene, Plistocene ed Olocene, con indicazioni dei fossili, dei caratteri litologici, dei fenomeni stratigrafici, ecc. Vi sono segnalate le potenti formazioni organoge- netiche del Cretaceo e dell’Eocene, le zone speciali conglomeratiche o della locale nel Miocene superiore ; i depositi glaciali assai estesi in diversi punti del gruppo centrale del Gran Sasso e che discendendo notabilmente in basso c’indicano un glacialismo estesissimo e caratteristico. La Memoria si chiude con una bibliografia, disposta in ordine cronologico, di circa 70 opere geologiche e paleontologiche, ed è accompagnata da una Carta geologica in cromolitografia, alla scala di 1 ; 100,000. — 255 — Sacco F. — Gli Abruzzi^ schema geologico. (Boll. Soc. Geol. Ita!., Vo- lume XX VI, fase. 3°, pag. 377460 con carta geologica e cartina tettonica). — Eoma, 1907. Dopo una breve prefazione, l’autore passa a descrivere la regione abruz- zese, nella quale compariscono i seguenti terreni: Infralias, Giuralias. Cretaceo, Eocene, Miopliocene, Pliocene, Plistocene ed Olocene. Egli indica i caratteri generali di ogni formazione, i fossili principali, la tettonica, la potenza, l’alti- metria, i rapporti con i terreni situati sopra e sotto, lo sviluppo regionale ecc. Per il Cretaceo segnala una fauna avente caratteri parzialmente giurassici, ed indica al contrario un’estesa formazione d’Eocene superiore, conglobante una fauna a facies pseudomiocenica, con Lepidocycline, Miogypsine, Echinidi, Mol- luschi, ecc. Xei depositi quaternari egli esamina separatamente i terreni diluviali, vulcanici e glaciali, segnalando anche dei fenomeni carsici e simili. Xella conclusione la regione abruzzese è distinta in quattro zone princi- pali, cioè: una occidentale a tipo umbro, una centrale o abruzzese, una sud- orientale o del Molise ed una periadriatica. Alla Memoria è unito un indice bibliografico di 260 numeri; una piccola Carta geotettonica dove sono indicate le principali fratture degli Abruzzi le quali mostrano essenzialmente due direzioni prevalenti e cioè una X-S nella parte occidentale ed una XO-SE nella parte centrale ed orientale; una Carta geologica in cromolitografia alla scala di 1 : 500,000, che mostra lo sviluppo delle differenti formazioni indicate. Sacco F. — Geologia applicata della città di Torino. (Dal « Giornale di Geologia Pratica », anno Y, fase. lY, opusc. di 42 pag.). — Perugia, 1907. Premesso un cenno sulla geologia dei dintorni di Torino, l’autore esamina sotto l’aspetto estetico, di resistenza e di convenienza economica tutti i mate- riali usati a Torino per la costruzione, l’ornamentazione, la pavimentazione e l’inghiaiamento. Concludendo fa rilevare l’evoluzione avvenuta nell’uso di questi materiali per le facilitate comunicazioni, cosicché le ottime e copiose calci del Casalese sostituirono quelle scarse di Superga, gli gneiss di Yal di Susa sosti- tuirono quasi completamente tutti gli altri; i magnifici graniti bianchi e rosei delle Prealpi novaresi vennero abbondantemente ad ornare Torino e la sienite a facilitarne il carreggio ; i marmi bianchi e grigi delle Alpi Occidentali ce- — 256 — dettero quasi del tutto davanti la splendida invasione dei marmi apuani, i marmi colorati piemontesi perdettero gran parte della loro importanza per l'ar- rivo dei bei marmi rosei e gialli del Veronese; i calcari marmorei gassinosi scomparvero dall’uso ornamentale davanti ai calcari migliori del Comense. del Varesotto, del Bresciano, del Veronese e del Vicentino, mentre si affacciano ora per vari usi gli scisti verdi della Eoja. Infine il cemento, tratto dalle pros- sime colline eoceniche del Casalese, si è sviluppato trionfalmente nelle costru- zioni, tanto da solo quanto congiunto alla sabbia, alla ghiaia, al ferro, ecc. Da ultimo esamina sommariamente le condizioni d’alimentazione idrica di Torino, per constatare che fatta dapprima semplicemente con pozzi pescanti nella falda acquea del sottosuolo della città, passò ad utilizzare acque suballu- vionali lontane, assurgendo ora ad acque o di alta montagna o di grandi pro- fondità nella pianura. Sacco F. — Le pieghe degli gneiss tormaliniferi della bassa Val di Snsa (dagli atti del Congresso dei naturalisti italiani, pag. 10 in-8®, con tavola). — Milano, 1907. Dopo una concisa descrizione dell’affioramento gneissico della bassa Val di Susa, dischiuso da numerose cave (Vayes, S. Antonino, Villarfochiardo, S. Giorio, Borgone, S. Basilio, ecc.), compilata sui lavori di Zaccagna, Ziveti e Franchi, Tautore commenta brevemente alcuni ripiegamenti secondarii degli gneiss che si osservano nelle frojiti di cava, e quelli più minuti osservabili sui campioni, rappresentati nelle sei fototipie della bella tavola annessa alla me- moria. Sacco F. — Le facies faunistiche del Miocene torinese. (Kiv. ital. di Pa- leontologia, anno XIII, pag. 110-116). — 1907. Mentre che la fauna litorale o di mare basso del Miocene delle Colline di Torino è già ben conosciuta (fauna di Superga), la fauna dei depositi argillosi di mare tranquillo, avente una certa profondità, dello stesso Miocene di Torino è poco conosciuta e non distinta dalla prima, tanto più che i resti ivi esistenti sono più difficili da raccogliersi e da studiarsi. L’autore presenta una lista delle forme conosciute fino ad oggi di quest'ultima fauna, ma egli non crede che si debbano considerare come altrettante vere facies i depositi locali di minima esten- sione, racchiudenti delle forme speciali. — 257 — Sacco F. — Sur Vàge da gneiss da Massi f de V Argenterà. (Bull, de la Soc. Géol. de Franco, sèrie, tome VI, pag. 484-490). — Paris, 1907. L’autore ritiene potere attribuire al Permo-carbonifero gli gneiss del mas- siccio deir Argenterà, detto anche del Mercantour o delle Alpi Marittime, sulla base di alcuni profili che ha creduto osservare ai colli del Sabbione e dei Vej -del Bouc, per la stretta connessione colle anageniti e quarziti del Trias inferiore. Salinas e. — Avanci preistorici nel travertino clelV Acqua dei Corsari presso Palermo. (Eend. E. Acc. dei Lincei, S. Y, Voi. XYI, fase. 2®, 1^^ sem., pag. 111-112). — Eoma, 1907. Dopo aver accennato alla serie dei terreni quaternari su i quali riposa il giacimento di travertino dell’Acqua dei Corsari, l’autore descrive sommaria- mente il giacimento stesso dando la nota dei fossili in esso trovati. Il giaci- mento di travertino ha la potenza di met. 2.50, separato in due banchi di potenza eguale, da uno strato di humus di natura calcarea e nerastro avente la potenza media di 0.40. In questo straterello di hiimiis, l’autore rin- venne dei pezzetti d’ossidiana, qualche coccio preistorico, valve di patelle, una serie di molluschi terrestri eduli ed avanzi di carbone. La posizione singolare di questi avanzi- prova l’antichità grandissima di una stazione umana in questa località. Salmojraghi F. — U avvallamento di Tavernola sul lago di Iseo {3-4 mar so 1906) con un cenno sulla instabilità delle rive lacuali. (Atti della Soc. Ital. di Se. Nat. e del Museo Civico di Storia Nat. in Milano, Voi. XLYI, fase. 2°, pag. 134-176 con 4 tavole). — Milano, 1907. Tavernola Bergamasca è situata allo sbocco della valle di Yigolo, percorsa dal torrente Eino. L’abitato principale si addensa sulla parte meridionale della conoide, che questo torrente eresse e protese nel Sebino in forma di delta ottuso. Le cause che hanno predisposto la catastrofe di Tavernola del marzo 1906 sono principalmente due; l’imprevidenza degli antichi nello spingere le costru- zioni murarie su la spiaggia della conoide verso la corona dello scanno, donde scende ripida una scarpa detritica fino alle maggiori profondità del lago e la manomissione continuata per secoli su la parte superiore della scarpa stessa, che ha avuto per effetto di aumentarne ivi la declività e quindi menomarne — 258 — la stabilità. A queste due cause se ne può essere aggiunta una terza, che Fau- tore ritiene meno importante, cioè di un’alterazione nel sottosuolo di Taveruola per le oscillazioni della falda freatica od aves, oscillazioni dovute a quelle del lago, nonché al variabile e discontinuo afflusso delle acque alimenta trici del- Vaves stesso, penetranti naturalmente nella conoide o artificialmente condotte per usi domestici e industriali. Date queste cause predisponenti, Fautore è d’avviso che la causa determi- nante sia da attribuirsi al sopraccarico, che pochi giorni prima della catastrofe si aggiunse alla conoide per l’improvviso affluire delle acque anzidette, con- seguente ad un insolito scioglimento di nevi, e specialmente per il diffondersi nel sottosuolo del tributo di una fontana scaricantesi in un pozzo interrito, pre- cisamente sotto Fedifizio ove l’avvallamento ebbe principio, mentre il lago era in uno stato di magra ordinaria. La Memoria è accompagnata da 4 tavole; la rappresenta Tavernola prima dell’avvallamento, la 2^ Tavernola dopo l’avvallamento, la 3^ è la pianta topografica di Tavernola, la 4* sono sezioni, in scala diversa, del sottosuolo di Tavernola, Salmojraghi F. — SiilP orìgine padana della sabbia di Sansego nel Quar- nero (Rend. R. Istituto Lombardo, S. II, Vói. XL, pag. 867*888). — Milano, 1907. L’autore avendo studiato al microscopio alcuni campioni di sabbia prove- nienti da questa località, dopo aver descritto i risultati ottenuti per ogni singolo campione, ed averli comparati con i risultati ottenuti dall’esame di altri cam- pioni di sabbie del litorale istriano, discute la provenienza della sabbia di Sansego ; conclude ritenendo d’aver dimostrato che la sabbia fluviale qua- ternaria di Sansego e attigui giacimenti nel Quarnero, per la sua natura mineralogica diversa da quella delle sabbie di spiaggia dalla Dalmazia a Ve- nezia, ed uguale a quella della sabbia del Po e litorale italiano fino agli Abruzzi, non può derivare che da un’area scisto-cristallina. Xessun’area di tale costituzione risponde, nelle regioni finitime, alle condizioni idrografiche richieste e possibili nel Quaternario, tranne quella delle nostre Alpi ; quindi il fiume che la depose è il Po, un Po plistocenico, che si spingeva fino al Quarnero acco- gliendo la confluenza dei fiumi veneti, e primo fra essi dell’Adige; sicché gli elementi minerali che questo fiume toglieva alle Alpi Trentino si mescolavano a Sansego con quelle che il Po trasportava dalle Alpi Occidentali. {Continua). PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO (30 1003) LIBRI Bollettino del R. Comitato ^teologico; Yol. I a XXX Vili, dal 1870 al 1907. Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem dell’abbonamento annuale in Italia » 8 — Idem idem all’estero » 10 — Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze 1871. — Introduzione. — B. Gastaldi: Sfndii (jeolofjicì sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G. Strubver. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella ' zona solflfera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrizione geologica delV Isola cVElha. — C. D’Ancona : Malacologia pliocenica italiana. — Un volume in-4® di pag. 364 con tavole e carte geologiche . Voi. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: Monografia geologica delV Isola d' Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formazione terziaria nella zona solfi fera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: 3Ialacologia piliocenica italiana (seguito). — Un volume in-4® di pag. 264 con tavole e carte geologiche Voi. II, Parte 2^. Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Un volume in-4° di pag. 64 con tavole Voi. Ili, Parte 1^. Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponza. — C. De Stefani: Geologia del 31 onte Pisano. — Un volume in-4® di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche Voi. Ili, Parte 2^ Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia cleir Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari : Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spezia. — Un volume in-I*^ di pag. 230 con tavole Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica fluorifera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. — Un volume in-4® di pag. 136 con tavole 35 - 5 — 10 — 15 — 8 — — 260 — Voi. IV, Parte 2^. Firenze 1893. — C. A. Weithofer: PrO‘ hoscidianì fossili di Valdarno in Toscana. — M. Canavari: Idrosoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — Un volume in-U di pag. 211 con tavole . . . L. 16 Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacci : Descrizione geologica delVIsola di Sicilia. — Un volume in-8® di pag. 436 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti: Descrizione geologica del- l’Isola d’Elba. — Un volume in-8'^ di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. III. Roma 1887. — A. Farri: Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi: Descrizione geologico-mi- neraria dell’Iglesiente {Sardegna). — Un volume in-8'^ di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologico- mineraria della zona argentifera del Sarrabiis {Sardegna). — Un volume in-8‘^ di pag. 78 con tavole e una Carta geologico-mineraria » 8 Voi. VI. Roma 1891. — L. Baldacci: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume in-8® di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Voi. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-petrografìca delle Isole Eolie. — Un rolume in-8® di pag. 144 con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geologico- mineraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — Un vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8‘^ di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini: / vulcani dell’Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico -agraria . » 8 Voi. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8^ di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » 10 Appendice al Voi. IX. Roma, 1904. — G. Di- Stefano : Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8® di pag. 120, con tavola di sezioni » 3 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 2^ edizione. — Roma 1889 Prezzo L. a 1 000 000, in due fogli : 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione e copertina. — Roma 1886 . 100 — NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue : Foglio JS”. 244 (Isole Eolie) . . E. 3 — Foglio 'N. 262 (Monte Etna) . . L. » 265 (Mazzara del Vallo) » » 266 (Sciacca) » 267 (Canicattì) » 268 (Caltanissetta) ; » 269 (Paterno) . » 270 (Catania) . » 271 (Girgenti) . » 272 (Terranova) » 273 (Caltagirone) » 274 (Siracusa) . » 275 (Scoglitti) . » 276 (Modica). . » 277 (Voto) . . ai fogli 249 e 258) . . E. ai fogli 252, 260 e 261) » ai fogli 253, 254 e 262) » ai fogli 257 e 266) . . » ai fogli 273 e 274) . . » V. 244 (Isole Eolie) . 248 (Trapani) . . 249 (Palermo) . . 250 (Bagheria) . . 251 (Cefalù) . . . 252 (Vaso) . . . 253 (Castroreale) . 254 (Messina) . . 256 (Isole Egadi) . 257 (Castelvetrano) 258 (Corleone) . . 259 (Termini Imerese) 260 (Vicosia). . 261 (Brente) . . Tavola di sezioni V. I (annessa » » V. II (annessa » » V. Ili (annessa » » V. IV (annessa » » V. V (annessa E. 3 — » 3 — » 4 — » 3 — » 3 — » 4 — » 4 — » 4 — » 3 — » 4 — » 5 — 5 — 5 — 5 — 4 — 4 — 4 — 4 — 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 tavole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . E. 60 — NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio V. 220 (Verbicaro) . . E. 3 — Foglio V. 242 (Catanzaro) . .E. 4 — » 221 (Castrovillari) . » 5 - » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — ziito) ...» 3 — » 228. (Cetraro) . . . » 3 — » 245 (Palmi) ...» 3 — » 229 (Paola) . . . » 5 — » 246 (Cittanova) . . » 5 — » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » 3 — » 231 (Ciro) . . . . » 3 — » 254 (Messina) ...» 4 — » 236 (Cosenza) . . . » 4 — » 255 (Gerace) ...» 4 — 237 (S. Giovanni in F.)» 5 — » 263 (Beva) .... » 3 — » 238 (Cotrone) . . . * 3 — » 264 (Staiti) .... » 3- » 241 (Vicastro). . . » 4 — Tavola di sezioni V. I (236, 237, 238, 241, 242), V. II (245, 246, 247, 255, 263), V. Ili (220, 221, 229, 230), ciascuna E. 4 - co co — 262 — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. 'Ne sono pubblicati i fogli seguenti; Foglio N. 201 (Matera) . . . L. 3- Foglio N. 213 (Maruggio) . . L. 1 — » 202 (Taranto). . . » 2 — » 214 (Gallipoli) . . » 2 » 203 (Brindisi). . . . 3 — » 215 (Otranto) . . » 1 — » 204 (Lecce) . . . » 2 — » 223 (Tricase). . . » 2 Carta geologica della Lucania nella scala di 1 a 100 000. Foglio N. 198 (Campagna) . . L. 4 — Foglio N. 211 (S. Arcangelo) L. 5 — » 199 (Potenza). . . » 5 — » 212 (Tursi) . . . » 3- » 200 (Lauronzana) . » 4- Sezioni geologiche Tav. I . . » 3 — » 209 (Vallo Lucania) 4 — » IL . » 4~ » 210 (Lagonegro). . » 5 — * III . » 4- Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella scala di 1 a 100 000, in 6 fogli e una tavola di sezioni, con copertina. — Roma, 1888 L. 25 — NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamento come segue: Foglio N. 142 (Civitavecchia) L. 4 — 2> 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara) . . » 5 — Foglio N. 149 (Cerveteri) . . L. 4 — » 150 (Roma) ...» 5 — » 158 (Cori). . . . . 4- Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 a 50 000, in 4 fogli e 3 ta- vole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo » 5 — » Seravezza » 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . . L. 5 Carta geologica della Toscana {in corso di stampa) nella scala di 1 a 100,000. IS'e sono usciti i fogli: Livorno (L. 2); Yolterra (L. 5); San Lasciano Val di Pesa (L. 5); Massa Marittima (L. 4); Siena (L. 5); Piombino (L. 3); Grosseto (L. 4); Santa Fiora (L. 5); Orbetello (L. 4); Toscanella (L. 5); Pisa (L. 3); Lucca (L. 5); Firenze (L. 4); Arezzo (L. 4); Montepulciano (L. 5); Tav. I e li di sezioni (L. 4 ciascuna). Carta geologica delP Isola d’ Elba, nella scala di 1 « 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell* Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 ...... » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886 » 5 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 » 3 — Carta geologica dei Vulcani Vnlsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 » 5 — Carta geologica delle Alpi Occidentali, nella scala di 1 a 400 000, in un foglio. — Roma, 1908 » 6 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e Napoli. PRESENTED GMAIL303 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE CoD R. Decreto del 18 agosto 1908 sono state accettate le dimis- sioni del Prof. Lorenzo Bucca da membro del R. Comitato geolo- gico, ed è stato chiamato a sostituirlo il Prof. Mario Cermenati della R. Università di Roma. X Annunzi di pubbiicazioni Anelli M. — L’Eocene nella yallata del Parma. (Boll, della Soc. Geoloj'ìf il al., V Voi. XXVIT, fase. 2^, pap:. 124-158), — Eoma, 1908. Bassani F. e Galdieri A. — La sorbente minerale di Valle di Pompei. (Atti ^ , E. Accademia delle Se. fis. e nat. di Xapoli, Voi. XIY, serie 2% n. 2, pag. 8>, ^ — Xapoli, 1908. Bertrand L. — Sur Pextension originelle probable des nappes de charria^e alpines dans les Alpes Maritimes. (Bull. Soc. Géolog. de France, Tome Vili, fase. 3-4, pag. 136-142). — Paris, 1908. Braun. — Morfologia dell’ Appennino Settentrionale. (Eiv. di fisica matematica e se. naturali, n. 107, pag. 502). Cacciamali G. B. ed altri. — Studio geologico-viticolo della parte bresciana dell’anfiteatro morenico benacense. (Opuscolo di 30 pag. con 1 tavola). — Brescia, 1908. Canestrelli G. — ReTisione della fauna oligocenica di Laverda nel Vicen- tino. (Atti della Sòc. Ligustica, Voi. XIX, n. 2, pag. 97-152). — Genova, 1908. Gas ARDI F. — Le condizioni idrologiche della provincia di Bari. (Giornale di Geologia Pratica, Anno VI, fase. 4-5, pag. 97-136, con 1 tav.). — Perugia, 1908. Colomba L. — Note mineralogiche sulla Valle del Chisone. (Atti E. Accad. delle Scienze di Torino, Voi. XLIII, pag. 12, con 1 favola). — Torino, 1998. Del Campana D. — Fossili della dolomia principale della Valle del Brenta. (Boll, della Soc. Geol. italiana. Voi. XXVI, fase. 3®, pag. 465-494). — - Eoma, 1908. De Lorenzo G. — I crateri di Miseno nei campi Flegrei. (Atti della E. Acc. delle Scienze fisiche e matem. (Società Eeale di Xàpoli), Serie 2% Voi. XTII, pag. 25, con 3 tav.). — Napoli, 1908. y Idem. — Il cratère di Nisida nei campi Flegrei. (Atti della E. Acc. della Se. fis. e matem. (Società Eeale di Napoli), Serie 2% Voi. XIII, pag. 14. con I 2 tav.). — Napoli, 1908. ^ {Segui'^ (Seguito: Y. pagina precedente) Db Stefani C. — Di alcuni carreggiamenti locali recentemente supposti in Italia. (Rendic. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XYII, fase. 8°, semestre, pag. 486495). — Roma, 1908. Di Stefano Gr. — Poche altre parole sull’Eocene della Terra d’ Otranto. (Boli, della Soc. Geol. italiana, Yol. XXYII (1908), fase. 1®, pag. 17.20). — Roma, 1908. Fabiani R. — Paleontologia dei Colli Serici. (Mem. della Soc. italiana delle Scienze, detta dei XL, Serie 3% Tom. XY, pag. 208 con tav.). — Roma, 1908. Hammer W. — Dìe Ortlergruppe und der OìaTalatschkamm. (Juhrbuch der K. K. Geol. Reichsanstalt. Jahrg. 1908, 1 Heft, pag. 79-196, mit zwei Kar* tenskizzen). — Wien, 1908. , IssEL A. — Liguria preistorica. (1 Yol. di pag. 765, con 8 tav. e 271 fig. nel testo). — Genova, 1908. Lacroix a. — La Montagne Pelée après ses érnptions avec ohservations sui* les érnptions du Vésuve en 79 et en 1906. (1 Yol. ìn-4®, con 321 fig. nel testo, pubblicato dalla « Académie des Sciences »). — Paris, 1908. Idem. — Les lares des dernières érnptions de Vulcano (iles Éoliennes). (Comptes Rendus des séances de FAcad* des Sciences, T. 147, n. 26, pag. 1451-1455). — Paris, 1908. Marinelli O. — Nuove osservazioni sopra i ghiacciai del Canin. (In Alto, Anno IX, n. 6, pag. 49-53). — Udine, 1908. Martelli A. — Di alcune recenti idee sulla struttura dell’ Appennino e spe- cialmente di un preteso carreggiamento Dalmato-Oarganico. (Riv. geogr. ital.. Anno XY, fase. lY e Y, pag. 193-207). — Firenze, 1908. P riscontra somiglianza strutturali fra i generi Pseudochaetetes e Lithothamninm. ^ Fra i corallari il dott. Prever distinse parecchie f. n.: ad esse non ac- cenno, perchè egli sta preparando uno studio illustrativo di questa interes- sante fauna a coralli. Pecten anastomoplicus Gemm. et Di Bl. Id. aratoplicus Gemm. et Di Bl. Opis sp. (cfr. 0. Beneckei Boehm). Diceras sp. (cfr. D. Luci Defr.), Pachyrisma Bayani Gemm. Natica venir icosa Zitt (?). Nerita Seehachi Ziti. Id, sulcatina Buv. Zittelia crassissima Zitt. Itieria austriaca Zitt. Id. Stazycii Zeuschn. Ptygmatis Vasinskiana Zeuschn. Cryptoplocus depressus Voltz. Le aggiunte all’elenco precedente confermano nel miglior modo, che non si tratta soltanto di una fauna con grandi affinità col Titonico, ma che è effettivamente una fauna titoniana ben caratte- rizzata, con esclusione di forme cretacee e con evidenti e numerose corrispondenze colle faune di Stramberg e di Siciha. Non mi pare quindi il caso di sospettare un rimaneggiamento di fossili giurassici accidentalmente giacenti nel Cretaceo ; ed il fatto, dei calcari di Calascio con ellipsactinidi e con fossili esclusivamente del Giurassico superiore, mi sembra ben diverso da quello dei calcari con ellipsa- ctinidi di Capri; perchè nell’Isola si tratta di verificare, se i fossili giurassici si trovano, come si ritiene in generale, in giacitura se- condaria nei calcari urgoniani, oppure se vi esistono realmente, oltre la serie cretacea, dei calcari del Giurassico superiore. II. V. Sabatini. — Relazione su di un viaggio al Messico, come rappresentante deir Italia al Congresso geologico internazionale del 1906. L’onorevole incarico di rappresentare il nostro^ Paese alla Ses- sione di Messico del Congresso geologico internazionale, tenutosi nel settembre 1906, mi fu affidato troppo tardi perchè avessi po- tuto prepararmi ad un viaggio così interessante, e per poter pren- dere parte al maggior numero delle escursioni destinate ai congres- sisti. Ebbi appena il tempo di far le valigie e partire. Per chi non è mai stato in quei lontani paesi, il viaggio per raggiungerli sembra assai difficile. Invece, co’ mezzi attuali di tra- sporto, è più facile arrivare a destinazione nelle capitali delle lon- tane Americhe che non in certe cittadine dell’Italia meridionale, fatta la dovuta proporzione per le diverse distanze. Difatti in due giorni di ferrovia si va da Roma a Le Havre, donde in sei giorni, sopra uno dei veloci e comodissimi transatlantici, si attraversa l’Oceano e si giunge a New York. Finalmente in cinque giorni com- pleti di ferrovia si percorre la distanza da questa città a Messico. Tredici giorni in tutto. I Messicani avevano preparato le cose da gran signori. Il nuovo Istituto geologico di Messico, ricco ed elegante, si doveva inaugu- rare con le nostre sedute. E se nel Congresso di Russia rimase me- moranda l’escursione di Finlandia, per le feste infinite e cordialis- sime che ricevemmo; se in quello d’Austria l’escursione di Boemia riuscì piena di attrattive ; in questo di Messico le dimostrazioni ai rappresentanti della Geologia di tutto il mondo si dovevano se- guire ininterrotte tutti i giorni per lo spazio di oltre due mesi, così — 274 — nella capitale durante le sedute, come nei centri minori ed in cam- pagna durante le escursioni. Il Messico, dopo essere stato assoggettato lungo tempo alle do- minazioni straniere, ed in preda, durante e dopo, alla guerra ci- vile e al brigantaggio, da pochi anni ha preso il suo assetto sta- bile e definitivo. Divenuto padrone di sè, si è dato il reggimento più liberale e ha preso addirittura la corsa nel campo della civiltà. Ha rapidamente sviluppato una prima rete di ferrovie, ha dato vita a nuove industrie ed ha annodato relazioni commerciali col mondo intero. Per lo sviluppo delle sue infinite e vergini energie chiama a sè gli stranieri, offrendo loro parità di trattamento coi proprii cittadini. Gl’istituti scientifici ed artistici, come gl’ impianti industriali, si vanno moltiplicando. Con la derivazione dell’Atoyac si sono prodotti ventitremila cavalli di forza. Il risanamento della Valle di Messico, la quale fu già un pantano sconfinato, soggetto a terribili inondazioni, che in una sol volta produssero trentamila vit- timi distruggendo la capitale, è oramai un fatto compiuto, dopo un lavoro durato alcuni secoli. Ma le cure maggiori il Governo mes- sicano le dedica all’agricoltura, e, a tale scopo, pochi mesi fa, ri- chiese al Governo nostro notizie particolareggiate su’ nostri istituti agrarii, ed un personale competente, per eseguire dapprima gli studii preparatorii ed istallare quindi consimili istituti sul suo vasto ter- ritorio, la di cui estensione è da sette ad otto volte quella del- l’Italia. ^ Ed ora, sia perchè, orgoglioso del cammino così presto per- corso, ci tiene a mostrare al mondo il suo avanzato incivilimento ; sia perchè sente il bisogno di attirare a sè, con la fiducia delle altre nazioni, anche le loro braccia e i loro capitali, il Messico tra- ^ È da augurarsi che tali trattative si concludano, poiché oltre al van- taggio morale che ne ritrarrebbe il nostro Paese, un grandissimo numero di professionisti usciti dalle nostre scuole d’agricoltura potrebbero trovare delle posizioni che invano sognerebbero in Italia. sforma in manifestazione politica, in affermazione del suo valore, ogni manifestazione scientifica, ogni convegno di stranieri in terra propria, come ogni suo intervento in paesi altrui. Del resto, il Go- verno messicano è un Governo forte e che merita la fiducia degli stranieri. Basta a provarlo il fatto che nelle loro campagne, dove si percorrono centinaia di chilometri senza incontrare nè un uomo nè una casa, e che erano infestate, fino a pochi anni fa, da die- cine di migliaia di briganti, ora si cammina soli, sicuri, come nella nostra Calabria e nella Basilicata. Anche il Congresso geologico fu quindi una manifestazione politica, a cui presero parte il presi- dente della repubblica, i suoi ministri e gli alti funzionari dello Stato. In tali condizioni, le sedute del Congresso passarono in seconda linea. I nostri ospiti avevano troppe cose da mostrarci, e noi, stu- pefatti, troppe cose da vedere. Commissioni diverse a cui ho dovuto prender parte per inca- rico del Ministero, e lavori d’ufficio, hanno di molto ritardato questa mia relazione. Ed ora, che il resoconto dei lavori del Congresso è già pubblicato, non mi resta che ad accennare alle comunicazioni più importanti, quelle cioè d’ indole generale, fatte al Congresso di Messico. Heilprin. The Conciirrence and Interrelation of Volcanic and seisinic pheno- mena. — I sismi d’origine tettonica si distinguono con incertezza da quelli d'ori- gine vulcanica. Vi è concomitanza tra sismi e fenomeni magnetici. (Tra gli stessi americani che prendono parte alla discussione non vi è accordo rispetto alle precedenti conclusioni). Brech. Ueher die Kliinanderiingen der geologi sche vergangenheit. — L’evo- luzione climaterica della Terra dal Paleozoico aH’attuale è sempre stata in cor- relazione certa co’ cambiamenti delle proporzioni d’acido carbonico e di vapore d’acqua neH’atmosfera. L’aumento di questi due elementi è dovuto alle esala- zioni vulcaniche, la diminuzione è prodotta dalla combustione organica e spe- cialmente inorganica. Davis osserva che pare, da scoperte recenti, che i climi anticamente oscillassero poco intorno alle medie annuali d’oggi. Veli' Africa me- ridionale le precipitazioni avvenivano più abondantemente d’estate, non d'in- verno ; quindi di estate il raffreddamento era sufficiente per produrre le nevi. - 276 — Beker dice che neir89-90 ci ebbero precipitazioni doppie che d’ordinario, e se ciò fosse durato, la Sierra IS’evada sarebbe stata coperta da ghiacciai. Gl’inverni umidi e le estati secche sono la causa più probabile dei ghiacciai. Heilprix nota che la spedizione polare antartica del 1901-04 ha scoverto che i ghiacciai diminuiscono con l’abbassamento e non già con l’elevazione della temperatura» Philippi paragona la formazione glaciale permocarbonifera con quella di Dwyka dell’Africa meridionale, ma emette dei dubbii a proposito della formazione gla- ciale permocarbonifera di Westfalia. Crede che dal principio del Terziario ci fu diminuzione graduale di temperatura. Burckhardt crede che un clima uni- forme abbia esistito ai tempi antegiurassici, dovendosi ammettere che le migra- zioni marine avvenissero a traverso latitudini molto estese e diverse. Rothpletz dubita che gli animali marini possano guidare alla ricerca dei climi. Attira l’at- tenzione sulTinfluenza dei venti e delle correnti marine. Le conclusioni tirate dalla flora carbonifera per provare un clima tropicale non sono giustificate» Diener crede invece che le zone di climi si possano costruire con gli animali marini del Cretaceo : prima no. L’estensione dei ghiacciai permocarboniferi nelle regioni tropicali è sorprendente, è più considerevole che nel Pleistocene, Kerner dice che la flora tropicale delle Alpi orientali indica un abbassamento di tem- peratura tra l’Oligocene e il Miocene. Yorverg pensa che i fenomeni glaciali delle regioni tropicali si spiegano con la grande elevazione sul mare. Lieker nota l’assenza di prove di grandi altitudini nel Permocarbonifero. Prech dice che, al contrario dell’Africa meridionale, in Austria avvennero piegamenti mon- tuosi importanti durante il Permocarbonifero. Allorge fa delle riserve su’ ciot- toli striati, come prove d’azioni glaciali. Rothpletz dice che le strie d’origine glaciale si distinguono dalle altre. Da questa lunga ed importante discussione sui climi restano acquisiti i fatti seguenti: esistenza di un periodo glaciale permocarbonifero, unifor- mità di climi nel Trias e nel Giurese, zone di climi distinti a partire dal Cretaceo medio, diminuzione graduale di temperatura nel Terziario e nel Qua- ternario. Marsden Manson. The causes of thè glacial epodi. Prech nota che Arrhe- nius si è occupato deU’influenza del calore interno sull’atmosfera. Bain. Some relations of Paleogeographij to ore deposit in thè Mississipi valleg. Yon Inkey. Relation entre Vétat propglitiqiie des andésites et la génèse des filons liés à cette roche. Kemp. Ore deposits at thè contacts of intrusive rodcs and limestones and their significance as regards thè formation of veins. Lindgrbn. Ore deposit and depth. Anderson (Gr.) parla sui principali risultati della spedizione antartica sTedese. Heilprin sulle manifestazioni vulcaniche della Martinica. Anderson (T.) sulle manifestazioni vulcaniche di San Vincenzo (Antille). Konigsberger, Ueher den Verlaiif der Geoisothermen in Bergen iind sei ne Beeinsfiiissnng durch Schichtstelliing , Wasserldiife iind cìiemische Processe, Con un apparecchio ad elementi termici si potrebbero determinare le variazioni di temperatura ad una certa profondità sotto la superficie del suolo, equivalenti ai movimenti delle masse di lave e quindi predire le eruzioni. Becker dice che dai rapporti tra acque termali e rocce eruttive, tra ten> sioni di rocce e conducibilità elettrica, si potrebbero determinare le variazioni di tensioni e quindi predire i terremoti. Diaz presenta la serie dei fenomeni del Collma durante le ultime eruzioni. Dice che questo vulcano mostra una periodicità che potrebbe essere in rap- porto con quella solare. Becker rinnova — e viene approvata — la proposta già fatta a Vienna per creare un Istituto modello di geofisica. Tschernyschew propone la costituzione di una Commissione per lo studio del grado geotermico, coi membri indicati dal Congresso di Liegi di miniere,, metallurgia, ecc., e dagli uffici geologici dei varii paesi. È approvato. Sabatini descrive e discute i fenomeni studiati nell’eruzione vesuviana del precedente aprile, soffermandosi su quelli apparsi come nuovi, perchè non osservati o studiati prima. Una serie numerosa di proiezioni illustra tale co- municazione, già stampata negli atti del Congresso. Ransome e Reid parlano sul movimento delle fratture terrestri. Come tema pel premio Spendiaroff si dà ; Descrisione di ima fauna in rap- porto con la sua evoluzione e con la sua distribuzione geografica. Si vota un biasimo alla Commissione della Carta geologica d’Europa, che, malgrado richieste con lettere raccomandate, da parte del Comitato ordinatore del Congresso, non si curò di mandare alcun rapporto, e nemmeno di ri- spondere. La Svezia invita a tenere a Stockholm nel 1910 la prossima riunione del Congresso. Si lascia capire che si preferirebbe riunirsi il 1909 — cioè dopo i soliti tre anni — e si accetta votando la riunione pel 1909 o pel 1910, Stefanescu e Sabatini elogiano la buona riuscita del Congresso di Mes- sico, e ringraziano, in nome dei Governi che rappresentano ed in nome proprio^ per le cortesie ricevute. 278 — Le escursioni, prima e dopo il Congresso, erano state organiz- zate su vasta scala. Io, però, arrivato alla vigilia deirapertura delle sedute, trovai già eseguite quelle che erano destinate alle regioni vulcaniche, e che erano le più interessanti per me. Perciò, a Congresso finito, organizzai parecchie escursioni per conto mio nelle regioni vulcaniche dei dintorni di Messico, di Munoz, del- Orizaba e del Colima. Di quest’ ultima, che fu la più interessante di tutte, dirò a parte. Per ora mi limito a ringraziare le persone che mi facilitarono queste escursioni con ogni sorta di aiuti. Tra queste cito i Ministri e Sottosegretarii dei lavori pubblici e del- l’agricoltura del Governo Messicano, e il cav. Silvio Contri, nostro illustre concittadino, stabilito a Messico, dove esercita con grande competenza e valore la sua professione d’ingegnere. Roma, giugno 1908. III. V. Sabatini. — lì vulcano “ Colma Il CoHma pare sia, tra tutti i vulcani del Messico, quello le di cui eruzioni avvengono più frequentemente. Prende il suo nome dalla città di Colima onde chiamasi pure vulcano di Colima. Fino al secolo XVII non si conoscono notizie scritte su questo vulcano. Il primo a parlarne è Humboldt ^ che dovette averlo visto solo di lontano. Ne parla poi K. Pieschel ~ che ne fece l’ascensione nel 1852. Più tardi lo visitarono E. de Montserrat e A. Dollfus h tre anni prima che entrasse nel periodo eruttivo, cominciato il 1869 e che modificò la forma del cono e del cratere. Fig. 1. — Il vulcano Colima visto dalla città di Colima (Arreola). Il vulcano {Volcan de fuego) è costituito da un cono comple- tamente isolato di lapilli rossastri e nerastri di circa 800 metri d’altezza, con la cima a 3860 metri sul mare. ^ Kosmos, I, 2. parte, e note 106 e 176. ^ Zeitschrift fiir allgem. Erdkunde, 1856. ° Archives de la Commission Scientif. dii Mexiqiie, Paris 1867. 18 — 280 — La sua piattaforma è un recinto semicircolare, scavato nei fianchi ripidissimi del N evado de GoUrna {Volcan de nievé), cioè del massiccio ugualmente vulcanico che si eleva immediatamente a Nord. Mentre l’orizzonte intorno al cono attivo è quindi chiuso da quel lato, è invece aperto nel resto del giro, l’occhio spaziando sopra una lunga distesa di montagne ad Est, e sulla Piana di Co- lima (cioè della città di Colima) ad Ovest e a Sud fino al Pacifico. Non di rado un denso strato di nubi copre il panorama sotto- stante di 3000 metri al vulcano, il quale par che si elevi sopra un mare di bambagia. In basso del cono, il lapillo è ritenuto da una vegetazione di muschi e di licheni che risaltano in grigio-chiaro sui colori più scuri dei frammenti vulcanici, i quali sembrano così im- pastati e tenuti insieme da un cemento calcareo. Nelle parti su- periori invece il materiale è sciolto e mobilissimo e la pendenza diviene ripida (da 38 a 40^) onde l’ascensione vi è assai penosa. Poco al disotto del vertice, de Montserrat e Dollfus notarono una leggera depressione con piccolo circuito di lava fessurata, la quale mostrava alterazioni recenti e croste di allume con parti- celle di solfo. Gli autori suddetti credettero si trattasse di bocca estinta poco tempo prima. L’orlo esterno del cratere terminale era formato da un muro di lava, e il cratere aveva la forma di catino di 250 metri di pro- fondità. La larghezza era di 500 metri in direzione N 55*^ E, e di 450 metri in direzione normale. Il diametro del fondo era di 50 metri. Le fumarole apparivano in gran numero (21 punti prin- cipali), e le più attive erano sul fianco esterno di N.O, presso la cima. La temperatura era di 76°-80'’ per le fumarole esterne, mentre era di 80° all’ interno del cratere. Nel luglio 1869 cominciò un nuovo periodo eruttivo con forti sbuffi di vapore a N.O. e con detonazioni sotterranee. Un cratere avventizio si formò sul versante di N.E, donde uscì una corrente di lava, che circonda il piede del cono principale a N.E. e a N. L’orlo di questo cratere secondario trovavasi a circa 300 metri al Fig. 2. — Rilevamento topografico del cono Colima. (Scala 1 a 50,000). disotto di quello principale, il quale pare che a quell’epoca non losse molto attivo. Il 21 agosto seguente parecchie persone, avan- — 282 — zatesi fino al piede settentrionale del cono, videro la detta lava già uscita, e con essa ricolma la valle profonda della Piava, esi- stente tra il cono e il Nevado, fino ad un’ altezza di 300 metri. Fig. 3. — Il cono del Colima dalle pendici del Nevado. (Il vertice è coperto dal fumo bianco delle fumarole). Fine settembre 1906. Questa lava era sempre in movimento e si sollevava di due a sei metri per ogni ventiquattro ore. Nei due anni seguenti, Fattivi tà fu meno forte e non dette luogo ad alcuna eruzione importante. Ma nel 1872 le eruzioni ricominciarono nei due crateri. Nel 1873 si ebbero altre eruzioni nel cratere principale, mentre pare che quello avventizio restasse in calma. Nel 1877 e nel 1884 av- vennero altre eruzioni ancora, ma non forti, sebbene l’attività du- rasse sempre in questo periodo di tempo. Il 26 dicembre 1885 l’eruzione riprese con grande attività nel cratere principale e con attività un po’ minore nell’altro. Si eb- bero prodotti frammentarii e, pare, anche lava. Durante lo stesso anno si formò a S.O, sotto il cratere terminale, una cavità da cui la lava incandescente rotolava in frammenti, e si ha motivo di credere che il cratere stesso si fosse riempito, mentre un conetto terminale vi si era formato. Una nuova eruzione cominciò il 15 febbraio 1903. Una sottile colata di lava non si sa se uscì per trabocco dall’orlo del cratere o da una fenditura del cono. Essa colò ad Ovest del cono stesso, sulla lava attribuita all’eruzione del 1885. Il 23 febbraio fra le ore 15 e 17 le ceneri caddero così abon- danti su Zapotlan che F aria vi si oscurò completamente . La piog- gia vulcanica si estese su di un raggio di 50 chilometri. Il 24 la cenere, deviata dal vento, raggiunse Guadala j ara e Uruapam si- tuate a 200 chilometri dal cratere, e in direzioni opposte rispetto al medesimo L In giugno si ebbero le ultime recrudescenze; in agosto l’eruzione era attenuata. La regolarità perfetta del cono, di cui parlarono de Montserrat e Dollfus, è sparita con l’eruzione del 1869 (fig. 5 e 7), ma, per chi guardia distanza, tale regolarità appare ancora (fig. 1). Inoltre la colonna di fumo attualmente si eleva spesso sul cratere, mentre le sue fumarole fu- mano quasi continuamente. Il loro fumo ordinariamente si dissipa ^ Cfr. E. Ordo^ez. Les deriiìèves éniptions dii Volcan de Collina. Mem. Soc. Alzate, Messico, 1903. P. Waitz, Le Volcan de Golima. Livret-giiicle poiir le Cougrès géol. iuteru. de Messico, 1906. •284 — al mattino, e quindi riappare e copre il cielo per tutta la giornata. Le lave del Colima scendono a Sud fino aH’altitudine di 2000 metri e a Nord coprono tutta la Playa, ad un’altitudine media di 3000 metri . Queste lave nel loro insieme sono in piccola quantità, Fig. 4. — Il cono del Colima dalle pendici del Nevado. Fine settembre 1906. ciò che provocò, in coloro che osservarono a grande distanza le eruzioni di questo vulcano, la falsa credenza che esso non dette mai colate di lava a causa della grande altitudine sul mare h Lo stesso errore si trova in Arreda e fu riprodotto dal iMercalli ^ Cfr. Waitz, loc. cìt., pag. 20 {estratto), Les eriiptiones del Volcan « Colima » en Fehrero ij riarso del corri ente aiìo* Guadalajara, Gonzalez, 1903, The recent rnptions of Golima. Joiirn. of Geology, noT. die. 1903. ” / Vulcani attivi della terra, pag. 349. Milano, Hoepli, 1907. — 280 — Al Messico s’incontra spesso la combinazione d’un vulcano senza cratere con un altro munito di cratere e compreso tra i suoi con- trafforti. Così Nevado e Colima, Ixtaccihuatl e Popocatepetl, Cotre de Perote ed Orizaba. E’ lo stesso fatto che si ritrovò neH’Equa- tore col Cotocachi e Cuicocha (che è un cratere -lago). Ma occor- Fig. 5. — Il cono dpi Collina col cono avventizio del 1869 (preso dalla Playa a Sud, cioè quasi al suo piede). Fine settembre 1906. rerà d’intendersi sulla frase « Vulcano senza cratere » che, fino a nuove e migliori ricerche, deve intendersi nel senso di vulcano con cratere scomparso perchè demolito. Io ritornerò sull’argomento a proposito del Nevado di Colima, Le lave del Colima sono andesiti augitiche con iperstene (Waitz) con una quantità di silice compresa tra i 57 \ e 62 % circa . Quando io visitai questo vulcano alia fine di settembre del 1906. sulla cima del cono esistevano numerose fumarole, all’esterno e aU’interno del cratere, il quale fumava anche dalla sua bocca prin- Fig, 6 — Il cono avventizio formatosi su quello del 1869 (da Sud). Fine settembre 1906. cipale interna. Anche il cratere avventizio del 1869 fumava dalie- molte aperture che erano sui suoi fianchi esterni ed interni. Le nubi spesso durante la giornata nascondevano la parte superiore del cono. Le lave — almeno quelle della Playa da me osservate — sonf> tutte frammentarie. È rossastra quella del 1903, emessa dall’alto del cono, grigia quella del 1869, emessa dal cratere parassita di X . E. I lapilli che coprono il cono, almeno dal lato Nord, dal quale io feci l’ascensione, sono poco scoriacei. Fig. 7. — Particolari della cima del cono del Colima e del cono avventizio del 1869 (da Sudì. Fine settembre 1906. Il cono è situato davanti agli ultimi contrafforti meridionali del Nevado di Colima. Un recinto alto, sottile, con pareti molto ripide, lo circonda su parte del giro a X.O, determinando un ac- cenno di atrio, il quale pare che tronchi i contrafforti del Nevado. onde si dedurrebbe che sia ad essi posteriore, se potessero aver valore le mie rapide osservazioni. Il Nevaio di CoKma mi apparve come un vulcano dalle dimensioni colossali e molto complesso. A me non sembra troppo prudente l’affermazione del signor P. Waitz b che il Xevado non abbia avuto mai cratere sol perchè oggi non vi si vedono gli indizii relativi, i quali possono essere scomparsi, ciò che è diverso dal dire che non siano mai esistiti. La Joya, il vasto catino, che tro- vasi in alto del Nevado, « è un buco », dice il Waitz. Ma si badi bene che questo « buco » è in forma di avvallamento, per attra- versare il quale occorrono due ore di cavallo. Sopra i fianchi esterni di questa depressione risalgono numerose barranche b le di cui origini si trovano su di una cinta comune, per quanto incompleta. La Joya è il prodotto dell’erosione, dice sempre il Waitz. D’accordo, come pure ritengo esatto che essa non sia un cratere nel senso di cavità prodotta dalle eruzioni. Ma, probabilmente, quella cavità è ciò che V erosione ha prodotto lavorando nell’antico cratere eruttivo. Un vulcano senza cratere non si concepisce che in due modi: o come un frammento d’altro vulcano con cratere, o come una cupola, cioè una montagna formatasi per accumulazione di lava, ^ Log. cit. ^ È curiosa l’abitudine che abbiamo un po’ tutti, in tutti i paesi, di prendere da lingue straniere con cui abbiamo familiarità, dei vocaboli di cui ignoriamo il significato preciso e di adattarli alla lingua nostra storpiandoli nella forma, e dando loro un significato più lato o più stretto, so non del tutto diverso da quello che hanno nella lingua a cui appartengono. Così valle nel significato più ge- nerico si dice in ispagnolo harranca^ da cui deriva harranqiiità. I francesi hanno mutato in barranco (al maschile) col significato ristretto di valle (T erosione jjvo- fonda, relativamente stretta e con pareti quasi verticali. Nei paesi tropicali, dove Terosione spesso produce effetti considerevoli, tali valli abondano, ma ci sono altresì quelle di tutte le altre forme, e tutte si dicono harraiiche. E noi, italiani, invece di prendere la parola spagnuola dallo spagnuolo, F abbiamo presa con- traffatta dal francese. Assai più classico è l’esempio della parola « mofeta » di origine italiana. Avendo noi, da tempo immemorabile, innumerevoli mani- festazioni a cui corrisponde questo vocabolo, abbiamo pure il vocabolo che le definisce. I francesi lo hanno tradotto in mofette, e molti geologi italiani lo ritraducono dal francese in mo fetta ! — *289 — senza il seguito di un periodo esplosivo. Non insisto sulla prima ipotesi. Troppe minuziose osservazioni occorrerebbero per discuterla, ed io passai molto rapidamente in questa complicatissima regione. Ma devo escludere la seconda ipotesi, poiché, come io stesso Waitz conferma, il Ne vado di Colima è costituito da strati sovrapposti di Fi?. 8. — La capanna in legno a piedi del cono (nella Playa) costruita per alloggiarvi i congressisti, e trovata mezzo demolita quando vi fui io un mese dopo (fine settembre 1906). I tre uomini fotografati sono da sinistra a destra la mia guida, il gendarme di scorta e il mulattiere. andesite (con augite e con anfibolo). Se dunque è un vulcano strati- ficato, esso deve aver avuto un cratere. Dal lato Sud della depressione della Joya si osservano banchi e fileni numerosi di lava. Uno di tali banchi, .con forte potenza e divisione verticale, forma il punto culminante del massiccio del Nevado, a circa 4300 m. d’altitudine (fig. 10)* Questo banco si — 290 — segue fino alla Puerta de los Colimos per alcune centinaia di metri, all’esterno e aH’interno del recinto. Ma il fatto di diversi dicchi di lava, con direzione che mi parve radiale rispetto alla depressione suddetta, potrebbe convalidare l’ipotesi del cratere. Notai pure che il fianco del massiccio rivolto a Zapotlan, cioè Fig. 9. — La vetta del l^evado de Colima, a sinistra della Puerta de los Colimos (dai pressi della Joya). a Nord, è coperto da lapillo abondante, e diverso — almeno in apparenza — da quello che trovasi sul versante opposto e che cer- tamente è dovuto al cratere attivo del Colima. Questo lapillo del versante Sud del Nevado, come pure quello del cono attivo, appare finamente poroso o compatto, di dimensioni molto uniformi e di colore grigio o rossastro; l’altro invece si mostra ora grigio, ora — 291 - giallastro, ora biancastro, e non ha l’ uniformità del precedente, sebbene sia anch’esso ora compatto ed ora finamente poroso. Ora se il cratere attivo lancia attualmente, con le ceneri, qualche lapillo grande come noce fino a Tonila, a Tuxpam e a Colima \ può- aver anche lanciato in epoche anteriori il lapillo Fig. 10. — Banco di lava formante la vetta del Nevado de Colima visto da vicino quasi a Nord. Il punto più depresso a destra (ad ovest) è la Puerta de los Colimos. che copre il versante Nord del Nevado. Ciò non di meno un’ analisi petrografica potrebbe stabilire qualche differenza, e dare una certa probabilità all’ ipotesi che questo lapillo del versante Nord provenga dal cratere del Nevado ^ Il fianco di questo massiccio non è molto ripido dal lato Nord, ma è ripidissimo dal lato Sud, come ripidissimi sono i fianchi dei ^ E. Ordonez, loc. cit., pag. 102. ^ Sono assai dolente di non aver raccolto campioni di questi lapilli. — 292 — contrafforti dallo stesso lato. Una magnifica foresta lo ricopre tutto _ In alto sono pini quasi esclusivamente, nel resto ai pini si uni- scono tutti gli alberi e le altre piante della smagliante flora tro- picale, i di cui caratteri si vanno facendo più spiccati procedendo dai fianchi alle falde. Il cono attivo invece è nudo, niente altro che ceneri, lapilli e blocchi accatastati, e fa vivo contrasto col suo vicino più anziano, col verde Nevado, che gli si addossa e quasi lo ricopre da un lato. Uno dei motivi pei quali il Colima non può essere studiato bene, è la sua lontananza da ogni centro abitato. Ci si va da Guadalajara per Zapotlan, che è una piccola cittadina di 17,600 abitanti, dove si lascia la ferrovia. Da Zapotlan si va al cono,. dopo avere scavalcato il Nevado. Sono tredici ore faticosissime a cavallo, attraversando campagne deserte, dove non s’incontrano, in fatto di abitazioni, altro che una vaccheria poco dopo lasciata la città, e una capanna di pastori in fondo alla depressione della Joya, in alto del Nevado. A Guadalajara si trova un Osservatorio geodinamico e meteorologico diretto da un giovane e simpatico prete, il prof. Severo Diaz, molto colto e molto attivo. Egli ha seguito e registrato tutte le fasi delle ultime eruzioni del Colìma \ Un altro giovane e studioso naturalista è il rev. prof. José Malia Arreola, che dimora anche a Guadalajara, e che ha pubblicato una nota syll’eruzione del Colìma del 1903 ^ Egli ha compiuto, ma non pubblicato, un lungo lavoro grafico rappresentante tutte le fasi della colonna di fumo della stessa eruzione, disegnate quasi di ora in ora, con grande precisione, durante due o tre mesi, in tutte le loro evoluzioni. Un altro Osservatorio trovasi nella città di Colìma, che non visitai. Roma, giugno 1908. ^ Y. Compie -rendiis della Sessione di Messico del Congresso geologico in- ternazionale. “ Loc. cit. IV. B. Lotti. — Coìitributo allo studio dei Mistpoefers. Fino dal 1867 Gaurdas Bysack in una memoria letta nell’adu- nanza di maggio della Società Asiatica del Bengala a Calcutta pre- sentò una breve descrizione d’un curioso fenomeno fisico consistente in certe serie di rumori simili a detonazioni lontane del cannone, che si udivano a Bagerhat e lungo tutta la zona del delta del Gange, ed espresse l’opinione che esse detonazioni fossero provocate da qualche agente sotterraneo o vulcanico di natura ignota. Egli chiamò tal fenomeno « Barisal Guns ». E. van den Broeck nel periodico inglese (Barisal Guns and Mist Poeffers, LII, 31 Ott. 1895, pag. 650) richiamò l’atten- zione sulla analogia di questo fenomeno con quello dei mistpoeffers del Mare del Nord e provocò due corrispondenze, una di R. Mel- dola, l’altra di N. C. Davison, nel numero successivo del 7 no- vembre, sotto il titolo « Gurious Aerial or Subterranean Sounds » concludendo ambedue favorevolmente alla ipotesi di un’origine sotterranea del fenomeno. Me. Kenny Hughes nel numero del 14 novembre dello stesso periodo parla dei mistpoeffers della regione di Lancaster nel mare d’Irlanda e dei caratteri comuni che essi hanno coi Barisal Guns del Bengala, notando a riguardo della loro origine che una rottura d’equilibrio nelle rocce prodotta da una causa qualunque può trasformarsi in movimento accompagnato da rumori e detonazioni. Queste azioni sotterranee allorché son ridotte a fasi e ad effetti di minima intensità (screpolature, cedimenti, spostamenti), non ci permettono di percepire che i suoni prodotti sotterraneamente, ma allorché si effettuano in più grande scala, sia che debbansi o — 294 — a franamenti sotterranei o a fenomeni geogenici, costituiscono tre- miti o terremoti nei quali oltre il suono vien percepito anche il movimento del suolo trasmesso alla superficie. Nella seduta del 26 novembre 1895 della Société Belge de Geo- logie eie., il Van den Broeck ^ insiste sul fenomeno esponendo nuovi fatti. Dice che i mistpoeffers (explosion de brouillards) sono détonations sourdes et sans mdement che si fanno sentire princi- palmente nella mattinata dalle 10 alle 12. Egli constatò il fe- nomeno ogni anno ; in certi anni da sei a dieci volte almeno, in certi altri da tre a cinque volte. Esso consiste in serie di colpi da due o tre e talvolta da tre a cinque. Anch’egli inclina a credere trattarsi di un fenomeno sismico. In Italia il fenomeno dei mist'poe^ers fu segnalato per la prima volta dal compianto prof. Cancani deirUfficio centrale di Meteo- rologia e Geodinamica sotto il nome di marina ^ e di esso si oc- cuparono poi rissel ^ il Simonelli il Baratta e in modo spe- ciale l’Alippi ^ Il Cancani fece le sue osservazioni in una gran parte dell’Italia centrale e della Calabria e concluse affermando che questo feno- meno, conosciuto, a seconda dei luoghi, col nome di marina, hon- nifi, haturlio, homhonamento, ecc., e che egli pure dice consistente ^ E. Yan den Broeck, Les mistpoeffers oii détonations mijsférìpiises de la Mer dn Nord (Bull, de la Soc. Belge etc. IX, 1895-96). ^ A. Cancani, Barisal Giins, Mistpoeffers, Marina (Boll, Soc. sismologica italiana. III, 9, 1897). ^ A. IsSEL, Il terremoto del 18 dicembre 1897, (Atti Soc. Ligust. di Scienze uat. IX). ^ Cultura Geografica, 15 marzo 1899. ® M. Baratta, A proposito dei mistpoeffers italiani (Boll. Soc. geogr. it. serie 4% II, 10, 1901). ® Tito Alippi, 7 mist-poeffers calabresi (Boll. Soc. Sism. ecc. YII, 1, 1901), I <-< bonniti y> del M. Nerone (Ibid. YIII, 6,1902), Bonniti e bombiti siilPalto Ap- pennino marchigiano ecc. (Ibid. IX, 9, 1903), Il haturlio della marina nelle cam- pagne aretine ecc. (Ibid. X, 3, 1904-905). Di un fenomeno acustico della terra o deir atmosfera (Ibid. XII, 1 e 2, 1907). — 295 — in sordi rombi simili a cannonate in lontananza, dovesse attribuirsi secondo la più probabile ipotesi, ad origine endogena. Prendendo in rassegna gli studi del prof. Mercalli e le Notizie sismiche pub- blicate dairUfficio centrale di meteorologia e dalla Soeietà Sismo- logica Italiana egli compilò un catalogo dei principali rombi e rumori di presunta origine endogena avvertiti in Italia dal se- colo XVI ad oggi e ne dedusse quanto appresso: 1° in alcuni casi i rombi son prenunzi di un periodo sismico; 2° essi dominano nei paesi più soggetti a terremoti; 3° son più frequenti durante i pe- riodi sismici; 4° sono stati descritti rombi sotterranei ed aerei con- temporaneamente, oppure delle vere scosse accompagnate da rombi aerei. In tali casi questi rombi aerei sono stati evidentemente l’effetto del moto vibratorio rapidissimo del terreno; 5° in altri casi poi vi sono stati dei rombi forti accompagnati o preceduti da scosse quasi insensibili. Da tuttociò conclude il Cancani che i rombi della marina, o sotto altri nomi conosciuti, sono accompagnati da scosse il più delle volte insensibili e sono di origine endogena \ L’Alippi, cui si devono molte interessanti osservazioni sul detto fenomeno al quale egli volle dare il nome di brontidi, pubblicò recentemente ^ i risultati di un’inchiesta promossa dall’ Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, sul fenomeno stesso e credè di trovare in essi la conferma della ipotesi già da lui avan- zata in precedenza ^ che « nell’interno della terra per cause si- smiche e nell’atmosfera per cause ancora ignote, si originano spesso rumori che, se di debole intensità, passano molte volte e in molte regioni inosservati. Là però dove fratture, grotte, cavità sotter- ranee, come sulle catene di montagne, lungo i littorali marini, nei bacini lacustri, nelle valli fluviali, possono rinforzare tali rumori. ^ A. Cancani, Rombi sismici (Boll. Soc. sism. ital. YII, 1, 1901). ^ T. Alippi, Di un fenomeno acustico, eco. loc. cit. ^ F. Alippi, Bonniti e bombiti siill'aìto Appennino, ecc., loc. cit. 19 — 296 — essi sono avvertiti daU’uomo e costituiscono i rombi dei terremoti o i mistpoeffers dell’atmosfera. Spesso gli uni vanno confusi cogli altri; ma essi non avrebbero in comune che una modalità del fenomeno: il rinforzo del suono dovuto a vacui sotterranei. Del resto non sembra all’autore ancora completamente risolta la questione e propone un piano di future ricerche per stabilire fra l’altro in modo indiscutibile se i cosidetti hrontidi siano tutti d’origine si- smica od anche in parte d’origine atmosferica. Più recentemente ancora E. Lagrange nel « Bullettin de la So- ciété Bèlge de Geologie, etc. » ^ richiama l’ attenzione degli studiosi di fenomeni sismici sul problema dei ìnistpoeffers notando che le recenti ricerche fatte in Italia tendono a dare una base molto seria ad una teoria che permetterebbe di rannodare i rumori mi- steriosi del Mare del Nord ad una causa microsismica. Il problema trovasi dunque ben avviato verso la soluzione, ma non può dirsi ancora completamente risolto ed un nuovo con- tributo, benché modesto, di osservazioni come quelle che mi ac- cingo ad esporre, non sarà del tutto privo d’interesse, tanto più poi se si considera che queste osservazioni furon fatte e conse- gnate in archivio nel 1883, quando cioè nessuno aveva ancora ri- chiamata l’attenzione degli studiosi su questi mistpoeffers. In un periodo avanzato delle ricerche intorno ad un fenomeno, quando sono state proposte soluzioni diverse e ciascuno si è for- mata un’opinione o è stato indotto dalle proprie osservazioni o dalla critica di quelle degli altri a dare la preferenza ad una piut- tosto che ad altra soluzione, è naturale che non possa escludersi che un qualche preconcetto possa presiedere alle ulteriori osser- vazioni destinate a schiarire il fenomeno; ma quando il problema non è stato ancora posto, le osservazioni istituite su di esso feno- meno sono da ritenersi perfettamente obiettive e scevre da precon- cetto. È appunto questo il caso di una relazione fatta dal compianto ^ E. Lagrange, Sismologie et Géologie. (Bull. Soc. Belge XXI, 2, 1907. — LM)7 — professore Antonio D’ Achiardi e dallo scrivente al municipio di Lo- renzana, circa 25 anni fà e dalla quale estraggo qui la })arte più importante per il nostro studio. Nel dicembre del 1883 fummo invitati dal Prefetto della pro- vincia di Pisa a studiare certi fenomeni che si verificavano presso Lorenzana nelle colline pisane e consistenti in boati e scuotimenti di suolo che avevano destato un panico nella popolazione ricor- dante le catastrofi del violento terremoto avvenuto in quei din- torni nel 1846. Prima nostra cura, appena giunti nel paese, fu di interro- gare il maggior numero di persone del luogo. Tutte unanimemente ci dissero che da vari giorni, e precisamente dal giorno 8 dicembre si udivano ripetutamente e ad intervalli, periodici secondo alcuni, secondo altri no, e meglio di notte che di giorno, certi rumori che qualificavano come rombi o boati e che provenivano dalla parte d’Orciano, cioè da S.S.O. Notisi che Orciano fu il paese più col- pito dal terremoto del 1846. Si aggiungeva che una sera, e secondo altri più volte, si saprebbero sentite lievi oscillazioni del suolo, che i vetri delle finestre a quei rumori tremavano, ma alla domanda se contemporaneamente a quei battiti dei vetri avessero visto muoversi o ondulare oggetti appesi, tutti risposero negativamente, onde nasceva il sospetto che potesse trattarsi di detonazioni esterne, tanto più che i cosidetti rombi o boati si affermava provenissero da un dato punto e da lontano e non di sotterra, come cupo e mal definito rumore. Il 14 dicembre, fra le 3 e le 4 pomeridiane, era avvenuta una scossa a Firenze e a Faenza, ma mentre in quel giorno vi fu a Lorenzana maggior frequenza di detti boati, nessuno ne fu avvertito ed anzi fu escluso che si verificasse in quell’ora. Nessun fenomeno di cambiamento di livello e di intorbida- mento nelle acque dei pozzi, nessuna apparizione di fessure nel suolo; soltanto credè taluno d’avere avvertito dell’inquietudine negli animali in occasione di quei rombi. — 298 — Fra le 11 e le 12 del giorno 17, eravamo tutti raccolti in una sala della Villa Giuli in Lorenzana, ed il medico, dott. Bianchini, il quale più d’ogni altro aveva seguito il fenomeno e ne sosteneva la periodicità, ci avvertì che in quell’ ora avremmo dovuto udire un rombo. Erano le 1 1 ^4 quando infatti udimmo una detonazione come di una lontana cannonata o di uno scoppio di mina. A breve distanza dal primo se ne ripetè un secondo. Per quanto facessimo attenzione non ci occorse di osservare il più piccolo movimento negli oggetti della stanza e nemmeno in un lume pendulo che stava dinanzi a noi. Domandammo poi in paese se quei due rumori fossero stati avvertiti e i più risposero affermativamente, pur dichiarando che nessuno scotimento si era verificato. Ci facemmo il quesito se potesse essere stato uno scoppio di mina, un colpo di cannone o il passaggio del treno dalla prossima galleria ferroviaria della stazione d’Orciano, ma l’udirsi di questi rumori la notte escludeva la possibilità di mine e di cannonate, come l’udirsi solo da pochi giorni escludeva che potessero attri- buirsi al passaggio di treni, cosa che avrebbe spiegato anche l’as- serita periodicità. In conclusione non avremmo data importanza a questi fatti se altrove, nei dintorni di Lorenzana, non aves- simo avuto le più sicure testimonianze di ripetuti movimenti del suolo. Tali movimenti insieme ai boati erano stati percepiti special- mente al di là del torrente Torà nella direzione d’Orciano, a poco più d’un chilometro di distanza da Lorenzana. Interrogati i con- tadini di varie case coloniche poste nel fondo della valle (l’abitato di Lorenzana è posto sulla sommità d’una collina), tutti ci dis- sero di avere udito un sohhallamento del suolo e più volte erano fuggiti di casa e si erano ridotti, dalla paura, a dormire in ca- panne, ad onta della stagione contraria. Essi non facevano que- stione di rumori, ma di instabilità del suolo. Tutti affermavano la stessa cosa che, cioè, le scosse erano state molte ma leggerissime tanto che, tranne il movimento del suolo e degli oggetti, non erano avvenute fenditure nei muri e nel terreno. Tutti poi si accorda- rono nel dire che si sentivano sollevare, e perciò dovrebbe con- cludersi che i movimenti, benché leggeri, avevano carattere sus- sultorio. Anche per questa gente i rumori provenivano da 8.S.O., cioè dalla parte d’Orciano, ma il curioso si è che ad Orciano pare che li avvertissero come provenienti da più in là nella stessa di- rezione. Ci fu anche asserito che nell’ora stessa in cui noi ave- vamo udito le detonazioni a Lorenzana, laggiù nella valle ave- vano avvertito scosse leggerissime. La conclusione delle nostre indagini si fu: 1° che se scuotimenti di suolo si avevano questi furono leggerissimi, malgrado il loro carattere sussultorio, e che durando da nove giorni non aumentarono d’intensità; 2*^ che il campo di questi scuotimenti era molto ristretto e limitato alle colline circostanti alla valle della Torà nei comuni d’Orciano e di Lorenzana; 3° che nessun danno, anche il più leggero, fu da questi scuotimenti cagionato; 4° che i rumori ascoltati non potevano da noi definirsi come rombi, nè come boati, ma piuttosto come detonazioni; 5° che essi sembravano provenire da S.S.O.; 6° che l’area ristretta in cui avveniva il fenomeno, il mo- vimento sussultorio, ma leggerissimo e non propagantesi lonta- namente, faceva credere ad un’azione molto localizzata e proba- bilmente non molto profonda. Ci fu riferito che poco dopo la nostra visita il fenomeno cessò completamente. In seguito agli studi da me fatti successivamente in quella regione pel rilevamento della carta geologica, risultò dimostrato che la località di cui abbiamo fatto parola, e che è un’area sismica, fa parte di una zona longitudinale di terreni terziari superiori, compresa fra due gruppi montuosi di terreni eocenici: quello dei Monti Livornesi e quello dei Monti della Castellina, e che fra i due gruppi eocenici passa una faglia avente la stessa direzione nord- sud della zona terziaria. Lungo questa faglia corrono in verso opposto e divergente il torrente Savolano a sud e il tratto infe- riore del torrente Torà a nord, delle quali depressioni approfitta la linea ferroviaria Pisa-Roma per valicare quella regione collinesca Presso la metà di questa linea di dislocazione si trovano gli abitati d’Orciano e di Lorenzana. » NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE ^TJSJLiTaGTtA^FTA. OEOLOGtlO.^ ITA.X^I PER l’axxo 1907 \ Salomon IV. — Die Entstehung der Serisitschiefer in der Val Canio- nica {Lomhardei). (Ber. tiber die 10 Vers. d. Oberrbein. geol. Ver. zu Lindau, 1907). La parte VE. della zona permiana della valle delFOglio racchiude alla sua base potenti masse di scisti e quarziti a sericite, mentre in altri punti di questi dintorni trovansi di solito a quel livello masse di porfido quarzifero. Si ha così la prova da un lato per le osservazioni geologiche, daH'altro per le ricerche microscopiche e chimiclie, che le quarziti a sericite provennero dai porfidi quarziferi per pressione, e che l’intiero gruppo degli scisti sericitici a sfoglie sottili rappresenta il membro estremo di questa trasformazione, la quale consiste essenzialmente nella decomposizione del feldspato e nella nuova formazione di quarzo e sericite, dove il tenore in alcali della roccia venne molto ridotto. In prossimità delle tonalite le rocce permiane, indubbiamente compresse per la prima volta in seguito ai movimenti orogenici terziari, subirono un suC’ cessivo metamorfismo di contatto, ciò che è una nuova prova per Tetà terziaria della intrusione tonalitica. Sandberg C. Gr. S. — L'Age dii Granii alpiii. (Arch. des Se. phvs. et natur., t. XXTII, p. 581-594). — GrenèYe, 1907. L’autore risponde alla critica fatta dal Lupare al suo studio geologico del massiccio delia Pierre-à-Voir (Bas Valais) e specialmente su ciò che questi ^ Vi sono comprese anche quelle pubblicazioni, che pur trattando di loca- lità estere, interessano la geologia d'Italia od hanno rapporto con essa. — 302 — dice a proposito della distribuzione e dell’origine del metamorfismo e su l’età del granito delle Alpi occidentali. Egli insiste sulla relazione evidente fra la distribuzione del metamorfismo nelle Alpi occidentali e la tettonica della regione, rilevando i seguenti fatti importanti: che il metamorfismo d’un certo gruppo di strati aumenta nella direzione della radice in un anticlinale e nella direzione della cerniera in una sinclinale; che le eruzioni basiche sono localizzate nelle sinclinali delle grandi pieghe coricate. Conclude per l’età terziaria del granito delle Alpi occidentali, pel fatto che il metamorfismo vi è evidentemente generato dall’azione della roccia erut- tiva non ancora consolidata all’epoca del grande corrugamento alpino. L’autore infine fa risaltare nei termini seguenti, la poca serietà degli argomenti dei quali si servono per dimostrare l’Epoca precarbonifera del gra- nito del Monte Bianco, e per concluderne che il metamorfismo (detto regionale) dei terreni sedimentari « sarebbe anteriore al corrugamento definitivo » (Termier e. a.): « Ma ammettiamo per un momento le idee del non metamorfismo dei ciottoli inclusi nelle puddinghe e della inattività della forza metamorfica durante i corrugamenti e vediamo dove esse ci condurrebbero. I ciottoli del conglomerato precarbonifero che forma la base della Dent de Morde, sono stati testimoni del metamorfismo che avrebbe subito il com- plesso sedimentario che li racchiude all’epoca della geosinclinale caledoniana prima del corrugamento susseguente. Solo essi furono risparmiati dal meta- morfismo. In seguito è venuto il corrugamento caledoniano durante il quale il me- tamorfismo sarebbe ancora rimasto inattivo, poi si è formata la geosinclinale erciniana ed il metamorfismo si sarebbe fatto sentire di nuovo, agendo su gli strati precarboniferi e carboniferi. Di nuovo soltanto i ciottoli del conglomerato sarebbero rimasti incolumi. Un secondo periodo di corrugamento e d’inazione metamorfica sarebbe ve- nuto poi, dopo il quale si formò la geosinclinale alpina. II metamorfismo riprese allora la sua attività trasformando ancora il Pre- carbonifero, il Carbonifero ed il Trias, ed in certe parti tutti i sedimenti fino all’Oligocene. Questa volta ancora, soltanto i ciottoli del conglomerato precar- bonifero sarebbero stati accuratamente risparmiati, nonostante che fossero situati in un punto dove l’azione trasformatrice doveva avere la sua massima forza. Finalmente è sopraggiunto il corrugamento alpino, durante il quale il metamorfismo sarebbe rimasto nuovamente inattivo ». — mi — Savornin J. — A propos de la protogine de la Corse. (Bull, de la Soc. Gréol. de France, 4^»^© sèrie, faRC. 7, pag. 604-HOd). — Paris, 1907. È una breve nota di carattere polemico: Fautore non è d'accordo col Deprat, il quale riporta all’Eocene la puddinga contenente ciottoli di protogìno e situata al disotto dei terreni sedimentari, puddinga che Fautore ritiene pre- Massica, sostenendo tale sua opinione con svariati argomenti. La differenza di vedute fra i due geologi si estende per conseguenza fino alla genesi stessa del protogino ed a complicate questioni di stratigrafia. Scalza S. — I fossili del Trias superiore delT Acqiianova e di Paraspora {Monte Scalpello). (Boll. dell’Acc. G^ioenia di Se. Nat., fase. XCY, 1 opusc. di 3 pag.). Catania, 1907. In questa breve nota si dà conto sommariamente dei numerosi fossili che si rinvengono nella formazione marnosa del Monte Scalpello che dapprima rite- nuta terziaria deve ora riferirsi indiscutibilmente al Trias. Questa formazione è costituita da marne grigie o giallastre, alternanti con scisti arenaceo-marnosi, con lastre di calcare fibroso grigio-fumo a splendore sericeo, con frequenti brecciole calcaree o calcareo-marnose, con strati di calcari compatti nero-blua- stri, con calcari marnosi a volte brecciati, con arenarie giallastre e con grossi banchi di calcare finemente granuloso grigio- chiaro. Nelle marne giallastre e nelle brecciole calcareo-marnose dell’ Acquanova, che sono le più fossilifere, Fautore ha trovato assieme a molti altri fossili una quantità di specie nuove appartenenti ai generi seguenti; Avicula, Cassianella, Plicatula, Mgtiliis, Modiola, Niiciilci^ Leda, Gonodon, Mgophoria, Mgoconca, Cardita, Hoernesia, Mij sidi opterà, Cuspidaria, Dentalium, Patella, Acmea, Worthenia, Cheilotoma, Gollonia, Clan- ciiliis, Delphiniiloptis, Neritopsis, Paleonarica, Naticopsis, Natica, Loxonema. Coelostylina, Promathildia, Acteonina, Orthoceras, Naiitilus, Geratiles, Arcestes, Lohdes, Tracliyceras, Sireiiites, Tropites, Entomaceras ed altri. ScALiA S. — Il Postpliocene dell'Etna. (Atti Acc. Gioenia di Se. nat., S. 4% Yol. XX, Mem. XII 1, pag. 44 in 4« con tav.). — Catania, 1907. Dopo aver passato in rassegna i lavori esistenti, che per la massima parte considerano come pliocenici i depositi argillosi che affiorano ai piedi dell’Etna, Fautore descrive geologicamente questi depositi, riporta un catalogo di 374 specie fossili raccolte nei medesimi, e dopo aver fatto delle considerazioni stra- — 304 — tigrafiche conchiude; nella regione ora occupata dall’Etna e dalla fertile Piana di Catania, esisteva durante il Postpliocene un ampio golfo. Terso la fine del Pliocene s’iniziò nel nostro mare un progressivo sollevamento del fondo do- vuto alle pieghe nei nuovi sedimenti, ad eruzioni sottomarine e ad altre cause. Mentre presso le spiaggie del nuovo litorale si andavano accumulando qua e là numerose spoglie di organismi marini dei più giovani orizzonti del Piano Siciliano, su le terre da poco emerse avvenivano le prime eruzioni subaeree, le cui deiezioni andavano in fondo al mare ad interstratificarsi con le argille sabbiose. Quasi contemporaneamente, dei banchi di sabbia e dei cordoni di dune si formavano presso la soglia della nuova costa, mentre delle sabbie argillose a facies salmastra si andavano depositando qua e là su le plaghe pianeggianti che il mare non aveva ancora abbandonato completamente, e che venivano inondate di tempo in tempo da fiumane vaste e poco profonde. Mentre avveniva Temersione di questi depositi marini e salmastri, delle grandi correnti alluvionali provenienti dal I^^ord-Ovest accumulavano su di essi dei potenti banchi di ciottoli arrotondati di gneiss, di graniti, di scisti diversi, di calcari compatti, di brecce calcaree, di calcari nummulitici e di arenarie, nonché di numerosi ciottoli basaltici, evidentemente strappati alle formazioni che si moltiplicavano nella regione ora occupata dall’Etna. Durante il periodo di queste alluvioni, avvenivano grandiosi parossismi vulcanici, i quali andavano accumulando numerose correnti di lava ed un’enorme quantitcà di scorie, di ceneri e di lapilli, che dilavati e convogliati dai torrenti si depositavano qua e là in grossi banchi di tufo su le argille e sui conglomerati. Altre correnti laviche deviarono posteriormente i corsi di questi torrenti, o li seppellirono in parte, preservando i tufi dall’erosione. Così a poco a poco, con il continuo moltiplicarsi delle eruzioni, e con l’enorme accumulo di materiali vulcanici su l’ampia base postpliocenica, andò formandosi, in tempi geologica- mente molto recenti, la poderosa massa del grande vulcano. ScHALLER W. F. — Mineralogical notes. Toiirmaline from Elba. (The American Journal of Science, S. IT, Tol. XXIT, n. 140, pag. 157). — New-Haven, 1907. Era i minerali di varie località studiate dall’autore in questa nota è com- presa, una tormalina rosea dell’Isola d’Elba, di cui egli presenta la seguente analisi ; Densità = 3.04 — 3.05. Analisi chimica SiO, B„0„ • — 10. 2S A1»0, - 43.85 Ti. O, — 0.04 FeO — 0.11 Mn O — 0.11 CaO — 0.07 Xa^ O — 2.43 Li,0 — 1.66 H^O co lì 1 F - 0.10 100.01 ScHUBERT. E. J. — Ueber Fischotolithen am dem sardischen Mfoccin. (Yerhandlangen der k. k. geolog. Eeichs., n. 14, pag. 341*343). — Wien, 1907. Queste otoliti provengono da due località della Sardegna ed appartengono al Museo della Università di Cagliari. L’autore determinò le seguenti specie ; 1. Dalle marne a lamellibranchi del Miocene medio di Florinas (Sassari); Otolithiis {Gohins) vicinalis Kok; 0. (G*). intimiis Proch., 0. (G.) aff. Telleri Schub.. 0. {Trigla) sp. ine!., O. {Cepola) praernhescens Bass. et Schub. 2. Dalle marne del Langhiano di Fungario presso Cagliari; forme molto affini al recente Scopeliis Rafinesquii, probabilmente identiche aW Otolithus Sco- pe liis (« Berycidarum ») ausfriaciis Koken. Oltre queste otoliti di Scopelus si osservano in queste marne anche otoliti di Oadidi e gran quantità di foraminifere. Sequenza L. — Nuovi resti di mammiferi pontici di Grarifelìi presso Messina. (Boll. Soc. Gieol. ital. Yol. XXYI, fase. 1^, pag. 89-122. con 3 tavole). — Roma, 1907. In uno strato di argille palustri con molluschi, pesci e sopratutto con mammiferi, che appartiene al piano Pontico ed è situato al disotto di uno strato di argille con molluschi marini l’autore ha potuto raccogliere una fauna mam- — 306 — mologica quasi del tutto nuova per l’Italia, circostanza che conferisce un’im- portanza grandissima a questa località. Segue la descrizione particolareggiata di 88 fossili che sono poi illustrati nelle 3 tavole che accompagnano la Memoria. Serra A. — Su alcune pirrotine della Sardegna. (Eend. E. Acc. dei Lin- cei, S. Y., Yol. XYI, 1® sem., fase. 5®, pag. 347-350). — Eoma, 1907. L’autore ha eseguito uno studio chimico su materiale esistente nell’Istituto di Mineralogia della E. Università di Sassari e cioè su campioni provenienti da Lula, Baccu Arrodas, Monte Xarba e Giovanni Bonn. Il giacimento di Lula consiste in un filone estendentesi lungo la valle Omini a 3 chilom. circa dal paese. Xel Sarrabus la pirrotina esiste assai dif- fusa, in ammassi, in venule, finamente disseminata nelle rocce quarzose oppure a contatto di queste con i porfidi; nei filoni si trova prevalentemente fra i materiali delle salbande. I campioni di Baccu Arrodas sono accompagnati da pirite, galena ed argento rosso, nello schisto talcoso. A Monte Xarba trovasi in piccoli ma ben definiti cristalli d’abito prismatico esagonale, nonché in sottili lamelle, pure esagonali, associata alla ullmannite, alla breithauptite, aH’arseniur'o di ferro cobaltifero, alla blenda. A Giovanni Bonn giace in lenti intercalate negli scisti incassanti il filone. Facendo un raffronto fra i valori dati dalle analisi eseguite dall’autore ed i valori calcolati, risulta come alle pirrotine analizzate più attendibilmente si appropri la formula Fe^^S^^. Determinò quindi la formula empirica ed ottenne : per la pirrotina di Lula. . . . Fe“S^^ id. Baccu Arrodas FeS id. Monte Xarba Fe“S^‘^ id, Giovanni Bonn Fe^^S’^^ L’autore fa notare particolarmente il contenuto in antimonio della pirro- tina di Baccu Arrodas e di quella di Monte Xarba, contenuto la cui presenza non era stata ancora rinvenuta in tale specie jninerale. Serra A. — Studio litologico-chimico delle rocce del Coloni {Sardegna seti.) (Eend. della E. Acc. dei Lincei, Yol. XYI, serie 5‘\ 2^^ sem., fase. 5^, pag. 253-356). — Eoma, 1907. Chiamasi Coloru (serpe) un’interessante colata di lava, che si è distesa a breve distanza dal fondo della gran valle di Campomela. Con andamento sen- — 807 — sibilmente sinuoso si estende per un percorso di oltre 10 eliilomotri, da lOoatrIie verso Ovest, sino al Kio de Montes. Dall’aspetto esterno si possono distiuguere due varietà. Una, che no forma la parte superiore, lia struttura apparentemente compatta, cristallina, finamente granulare; coloro grigio, piuttosto oscuro. Presenta delle cavità rotondeggianti, di dimensioni assai variabili; queste, ora sono vuote, ora ripiene di piccoli aglietti di calcite ed aragonite, talvolta contengono nidi di minerale giallo-ver- dastro in cristalli non ben definiti e che all’analisi chimica si rivelò per olivina. L’altra varietà si presenta distintamente vacuolare; mostrasi a rare alter- nanze con la prima, nella parte inferiore dèlia colata, ed ha color variabile dal grigio al rosso-bruno per il vario grado di alterazione. L’autore ha eseguito l’analisi chimica quantitativa della prima varietà, ed i risultati ottenuti dimostrano che trattasi di un basalto feldispatico, avente grande analogia con altri basalti di Sardegna. Serra A. — Intorno alla tormalina delV Asinara {Sardegna). (Rend. R. Acc. dei Lincei, S. Y, Yol. XYI, 2® sem., fase. 10®, pag. 702-704). — Roma, 1907. È ranalisi chimica della tormalina dell’ Asinara, che trovasi in grossi cri- stalli neri, a tinta uniforme in tutta la loro estensione, non terminati all’estre- mità e contenuti in una roccia pegmatitica. Per quanto riguarda la composizione chimica, sembrerebbe avere una certa corrispondenza con quella verde-nera dell’Elba analizzata da Rammelsberg. Silvestri A. — Fossili dordoniani nei dintorni di Termini -Imerese {Pa- termo). (Atti Acc. pont. dei Nuovi Lincei, Anno LX, Sess. Ili, pag. 105-110). — Roma, 1907. L’autore ha studiato i fossili contenuti in due rocce esistenti in contrada Casalaccio ed in tali rapporti fra di loro da farle sembrare, a prima vista, parti d’una medesima formazione. L’una è un calcare brunastro organogenico, in via d’alterazione; l’altra è pure un calcare simile, ma pochissimo alterato, di color grigio con macchie verdicce, in straterelli di appena 2 cent, circa. In seguito ai fossili che il medesimo ha potuto determinare nelle due rocce, egli crede si debba concludere che: nei dintorni di Termini-Imerese verificasi il — 808 — contatto di un Eocene dalla facies variabile da luogo a luogo, ma definibile in complesso come hitesianO'hartoniana^ inferiormente con il senoniano superiore. e superiormente con un Oligocene più giovane degli strati di Priabona, ed at- tribuibile, secondo l’autore, al Toiigriano. Silvestri A.. — Comidermionì paleontologiche e morfologiche sui generi « Operculina, Heterostegina, Cycloclypeus ». (Boll. Soc. Greol. Ital.. Yol. XXYI (1907), fase. I, pag. 29-62 con tavola). — Roma, 1907. Con questo lavoro l’autore vuole stabilire il valore stratigrafico delle va- riazioni fondamentali del genere Operculina che, per convenzione, prendono i nomi di generi Heterostegina e Cycloclypeus, giungendo alle seguenti conclu- sioni : Operculina, Heterostegina e Cycloclypeus non hanno un valore geologico ben definito, poiché tutt’al più, se rappresentati da esemplari numerosi e grandi, indicano la preesistenza di mare tropicale o subtropicale dell’Eocene medio o superiore o deli’Oligocene o del Miocene inferiore oppur medio. La presenza poi di Operculina da sola ci significa acque assai basse, d’Heterostegina e Cy- cloclypeus assieme od isolatamente, acque meno basse o di media profondità. Xella Memoria sono illustrate l’Heterostegina anghiarensis, l’Heterostegina depressa d’Orb., var. cycloclypeus Silv., ed una forma recente dell’Adriatico del Cycloclypeus Carpenteri Brady, di singolare interesse per ]’ habitat. Essa contiene inoltre varie osservazioni morfologiche, e deduzioni filogenetiche; una delle quali ultime spiega quel che l’autore intenda con il nuovo genere Orbi- toclypeus. Silvestri A. — Forma italiana della Lingulina impressa, Terqiiem. (Rivista ital. di paleontologia, Anno XIII, fase. II, pag. 66-70). — Perugia, 1907. L’autore ha studiato un calcare giallastro dei dintorni di Castel -Madama (Roma) raccolto dal Sacco e da lui ritenuto eocenico, mentre egli crede che debba essere classificato nell’Oligocene. L’autore vi ha trovato una specie di foraminifera, esteriormente inseparabile dalla Lingulina impressa Terq. ; ma avendo voluto conoscerne i caratteri interni si accorse che non era una Lin- gulina e creò per questa foraminifera il nuovo genere Ellipsolingulina ; infatti nell’interno si scopre un sifone centrale, proprio dei generi ellipsiformi. Silvestri A. — La questione delle Lepidocicline nellHJmbrìa. (Atti Aco. pont. dei Nuovi Lincei, Anno LX, Sess. V, pag. 1()7-IS7). — Roma^ 1907. La questione dell’età delle Lepidocicline ha una gi-ande importanza por la classificazione delle formazioni terziarie dell’ Appennino, questione nettamente posata dal Sacco con la sua Memorie: La questione eoiniocenica deli Appennino . L’autore ha studiato i materiali raccolti dal Verri, d;d Teliini, dal Le An- gelis d’Ossat, dal Portis, e dal suo studio risulta che nessuna raccolta contiene assieme alle Lepidocicline delle Nummuliti caratteristiche. Nei campioni dove le Nummuliti sono sicuramente eoceniche, non vi sono Lepidocicline; nei cam- pioni dove le Lepidocicline sono abbondanti le Nummuliti caratteristiche man- cano ; non ci si può basare nè su la Af. anomala^ nè su la N. Melii delle quali il giacimento di origine è mal determinato. Nell’Umbria, la questione delle Lepidocicline si presenta ora nel senso che la loro esistenza nelTEocene non è provata. Le liste dei vecchi lavori non possono servire poiché altre volte vi sono stati degli scambi di campioni, degli errori di determinazione o di giacimento, quando non si poteva supporre Timportanza delle minime particolarità su le quali oggi si discute. Queste considerazioni dell’autore si riferiscono anche alle sue comunicazioni precedenti. Spezia G-. — Sulle inclusioni di anidride carbonica liquida nella caL die di Traversella. (Atti R. Acc. della Se. di Torino, Voi. XLII, disp. 7% pag. 409-417 con tavole). — Torino, 1907. Descrive i metodi seguiti per la determinazione delle inclusioni di anidride carbonica liquida, fra i quali l’autore propone, quando non si abbiano condi- zioni per trovare con il riscaldamento il punto della temperatura critica, di prendere in considerazione la contrazione prodotta dall’abbassamento di tem- peratura, consigliando l’Impiego dell’etere. Quindi l’autore fa osservare che la calcite studiata costituiva un pezzo di sfaldatura, per cui non sa se apparte- nesse ad un grosso cristallo di calcite proveniente da una drusa del giacimento di Traversella, ovvero ad un cristallo inchiuso e facente parte della ganga di esso; ma ritiene più probabile quest’ultimo caso. Lo studio genetico delle inclusioni di anidride carbonica liquida nei mi- nerali, offre un difficile problema a risolversi. Se le inclusioni si trovano in minerali costituenti giacimenti speciali o rocce sedimentarie cristalline o me- — 310 — tamorfiche, le ipotesi della genesi loro non sono difficili, perchè la temperatura della formazione di dette rocce essendo discutibile fra bassi limiti, può ridursi a quel grado che soddisfi l’ipotesi, senza ammettere che la pressione, necessa- riamente concomitante, sia molto forte. Ma quando si trovano inclusioni di ani- dride carbonica liquida, per esempio nell’augite, nelFolivina e nei plagioclasi di basalti e lave basaltiche, per le quali si ha una temperatura certamente su- periore ai 900®, il problema genetico è molto più difficile. Sembra all’autore che la presenza di anidride carbonica liquida nelle inclu- sioni dei minerali componenti rocce, che ebbero uno stadio di magma fuso, po- trebbe spiegarsi con l’ipotesi che all’altissima temperatura facesse equilibrio una pressione tale da ridurre l’anidride carbonica ad avere la densità dello stato liquido, pur rimanendo in quel certo speciale stato di aggregazione superiore alla temperatura critica. Quindi l’anidride carbonica, inchiusa con tale densità nei minerali, assu- merebbe, con il raffreddarsi delle rocce, lo stato liquido, riempiendo tutta o parzialmente l’inclusione. Stefanini — Echini fossili del Miocene medio delV Emilia. (Rend. R. Acc. dei Lincei, Yol. XYJ, 2^^ sem., fase. pag. 538-541). — Roma, 1907. L’autore studiò le ricche faune echinologiche del Miocene Emiliano, e cioè quelle raccolte dal dott. A. Manzoni e dalPab. G. Mazzetti, conservate oggi per la maggior parte presso l’Istituto Superiore di Firenze, e quella conservata presso rUniversità di Modena, messa a di lui disposizione dal prof. Panta- nelli. L’autore dà l’elenco delle specie studiate, che sono 58, distribuite in 28 ge- neri: di queste, 10 sono specie nuove, 9 altre sono fino ad oggi esclusive delle formazioni in studio, ed a 6 l’autore non attribuì nome specifico a cagione del loro imperfetto stato di conservazione. Le altre 33 specie sono note come ap- partenenti al Miocene della Regione mediterranea. I dati paleontologici concordano per far ritenere quelle abbondantissime faune (l’autore ha potuto esaminare più di 2000 echini) come appartenenti al Miocene medio, includendo in questo il Globìgerìna limestone di Malta e la mo- lassa burdigaliana di Yence. L’autore non ritiene esatta l’opinione che attri- buisce parte di quei fossili ai Miocene inferiore, quantunque vi si trovino echini di tipo antico: le specie però sono nuove e nettamente distinte. Yell’esame comparativo di così gran numero di echini l’autore riconobbe — 811 — ima notevole variabilità nell’ambito della specie, avendosi anche talvolta delle vere e proprie serie di lento e graduale passaggio. Le nuove specie appartengono ai generi Spafanf/us, Macropneustes, Metalia. Brissus, Opissaster. Cijclaster, Dictijaster, TristomanthiiSy Ecìiinolampas, Cidaris, Tijlocidaris. Stefanini G^. — Fenomeni carsici nei gessi della Val d’Kra. (Rivista Geografica Italiana. Annata XIY, fase. X, pag. 545-557). — Fi- renze 1907. Dopo aver descritto sommariamente la geologia della regione e più diffu- samente la forma delle singole cavità osservate, l’autore conclude che i gessi della Querce e delle Marmale (le due località studiate) presentano due sorta di cavità d’erosione: le doline, grandi, imbutiformi, relativamente poco profonde e appartenenti al tipo noto con il nome di doline-inghiottitoio : e le voragini, piccole, cilindriche, relativamente più profonde. Quanto all’origine, egli la ritiene dovuta nella maggior parte dei casi, all’azione concorde, in parte consecutiva e in parte combinata, dell’erosione prevalentemente chimica dei gessi affioranti o poco profondi, e dell’erosione meccanica delle argille ad essi contigue: nelle voragini l’erosione meccanica sembra avere minore sviluppo che nelle doline. Dell’attività di tale processo di soluzione farebbe fede anche l’aspetto dei massi gessosi affioranti, che hanno una superficie molto scabrosa e appariscono coperti da una fitta rete di doccie e di solchetti paralleli o confluenti, separati da acute creste, e prodotti evidentemente dalle acque di pioggia scorrenti su la superficie del suolo, prima di potersi raccogliere in rigagnoli o in ruscelli. Stega&no G. — / laghi intermorenici àelV anfiteatro Benacense — Laghiy Stagni e Paludi. (Meni, della Soc. Geograf. Ital., Yol. XII, 1905. fase. 8 di 110 pag.). — Roma, 1907. Premessa una breve esposizione dei metodi seguiti e degli strumenti ado- perati per le misure batometriche, di temperatura, di trasparenza, per determi- nare il colore delle acque e per la compilazione delle Carte ; l’autore descrive sommariamente l’idrografia superficiale dell’anfiteatro benacense ch’egli divide in quattro zone idrografiche. Passa quindi alla descrizione particolareggiata della prima zona, la più in- terna e la più estesa, divisa dal Mincio in due settori, quello bresciano su la 20 — 312 — destra, doppio di quello veronese su la sinistra del fiume ; in questa zona il lago più importante è quello del Frassino di cui l’autore descrive la posizione e la morfometria, le condizioni fisiche, il bacino idrografico, la geologia, la fauna, la flora e l’antropogeografia. Descrive poi più succintamente il laghetto artificiale di Saltarin, quelli di Leeone, di La Blasia, di Palò, di Sovenigo e di Puegnago. Segue la descrizione della seconda zona, mediana rispetto alle altre, che presenta il maggior sviluppo su la fronte dell’anfiteatro a destra del Mincio: in questa zona il lago più importante è quello di Castellare. L’autore ne fa un esame particolareggiato identico a quello fatto per il lago di Frassino ; con- tinua poi con la descrizione succinta del lago Paulòn, della palude temporanea di Candellara, dei laghi Capei del Pré e Lavagnone. Delle numerose e minuscole raccolte d’acqua che si trovano disseminate nella terza zona, formata dal bacino idrografico del fiume Tiene, egli descrive soltanto la palude periodica detta Laghizzòlo di Pastrengo e la cosidetta Tasca di Montezin, la quale ultima è la sola che presenti veri caratteri di conca la- custre, le altre non costituendo che pozze o bacinetti sorgentiferi, veri fontanili, che alimentano cavi d’acqua scolanti in R. Bissavola e R. Tione. Uniche rappresentanti di depressioni a raccolta d’acqua nella quarta zona sono due minuscole paludi esistenti nel fondo di piccole conche intermoreniche nel comune di Castiglione delle Stiviere, una delle quali è anche temporanea e che l’autore chiama lago di Cà del Lupo e palude temporanea di Cà del Cervo. Descritti sommariamente questi due laghetti, accenna anche ai numerosi bacinetti artificiali ed alle numerose pozze sorgentifere. Da ultimo, l’autore fa seguire alcune considerazioni generali su la genesi delle innumerevoli conche e vallecole chiuse, su la natura del terreno glaciale che costituisce l’anfiteatro, su le distribuzioni dei laghetti orizzontalmente e verticalmente, su la loro profondità, colore, ecc. La Memoria è accompagnata da tavole analitiche della Diatomaflora dei laghetti intermorenici ; della tabella comparativa dei laghi e della Carta idro- grafica dell’anfiteatro morenico del Garda. Steinmann G. — Alpen limi Apennin. (Monatsber. d. Deiitscb. geol. Gesell., Voi 59, n. 819 - estratto - 8 pag.). — Berlino, 1907. Secondo l’autore, le condizioni geologiche dell’ Appennino settentrionale sono tanto semplici e chiare da persuadere senz’altro della bontà della teoria dei ricoprimenti, così da convertire ad esso la maggior parte degli increduli. Essendo oramai dimostrato che la zona calcarea meridionale delle Alpi ha una — 318 struttura assai semplice, e consta di zolle divise da fratture e s})OHtate h; ime rispetto alle altre, l’autore ne segna il percorso da oriento verso ponente, ed osserva che oltre il lago di Como il suo tipo, che chiama austro-alpino, perde la sua purezza e compagine nelle diverse formazioni e facies che ricor- dano quelle della regione settentrionale idei sistema. Nell’ Appennino setten- trionale, nel versante padano fra Alessandria e Parma non si riti-ova più al- cuna traccia di calcari o dolomie del tipo austro-alpino, che non riappaiono che nei monti della Spezia, nelle Apuane, ecc. Questi affioramenti calcarei sono circondati da macigno eocenico, ma sopra questo è adagiata una potente massa scistosa con ofioliti, diaspri a radiolarie che l’autore chiama radiola- riti, ecc., ritenuta da quasi tutti i geologi italiani come eocenica, ma che l’autore ritiene una serie comprensiva che dall’Eocene scende fino almeno al Trias su- periore, e corrisponde alla così detta « rhatische Deche » o falda (di ricopri- mento) retica, un membro della serie di ricoprimento lepontinica, I monti della Spezia, delle Apuane, i monti Pisani, e tutti gli affioramenti in genere di cal- cari mesozoici della catena metallifera fino a Campiglia sarebbero finestre nella falda retica, che porterebbero a giorno un complesso di facies austro-al- pino, stato ripiegato. Solo nell’ Appennino Umbro e più a sud, questo complesso è sfuggito al ricoprimento, e forma tutta la montagna. Questo ricoprimento retico, che sarebbe l’equivalente dei calcescisti con pietre verdi delle Alpi occidentali, avrebbe nell’ Appennino settentrionale una lunghezza di 270 chilometri. Le radici sue sono da ricercarsi in Corsica. La falda retica sarebbe stata spinta nella sua posizione attuale durante l’Oligocene, perchè su di essa si osserva il Miocene in trasgressione; sarebbe stata corrugata dopo lo stesso Miocene, perchè le pieghe osservabili interessano pure quest’ultimo. Stegl K. — Ueber dìe fossìlìen Brennmaterialen Italiens iind die Braiinkohlenwerke Ribolla und Casteani in der Provine Grosseto. (Oester. Zeit. furBerg-uiidHuttenwesen,LY Jalirgang, n. 42-46, 1907, pag. 509, con carta geol. a colori). — Yienna, 1907. Questo articolo d’indole specialmente tecnica, scritto coH’intento di far co- noscere all’estero un giacimento lignitifero, è per quanto riguarda i dati di fatto, compilato esclusivamente sopra fonti italiane, e principalmente sopra le pubblicazioni ufficiali del Corpo Reale delle Miniere e dell’Ufficio geologico. La stessa carta geologica che accompagna il lavoro riproduce ingrandito al 75,000 il quadrante NW del foglio 128 (Grosseto) della Carta del E. Ufficio Geologico comparsa nel 1906. — 314 — L’autore nella parte mineraria descrive minutamente miniere ed impianti: calcola la quantità presumibile di carbone esistente in quei giacimenti e fa le previsioni più lusinghiere per il loro avvenire. Stella A. — Appunti geologici sulla strada ferrata Arona- Domodossola- Iselle. (Boll. E. Com. aeoi., Yol. XXXYIII, n. 1, pag. 2341, con 3 tavole).. — Eoma, 1907. Questa nota è la descrizione sommaria di due profili studiati dall’autore. Il primo, quello del tronco Arona-Domodossola, costeggia il Lago Mag- giore tenendosi sopra alla strada nazionale; attraversato il ripiano di sbocco della Toce nel lago, gira il laghetto di Mergozzo, e dalla stazione di questo nome s’inoltra nella bassa Ossola rimontando la valle a sinistra della Toce fra il fiume e il piede del monte fino a Bonza; qui attraversa obbliquamente la vallata per raggiungere la stazione internazionale di Domodossola. Fra i terreni tagliati dal tracciato di questo tronco hanno grande impor- tanza quelli di trasporto che ricoprono con maggiore o minore potenza la roccia in posto su grandi estensioni; questi terreni di trasporto furono distinti in al- Invioni recenti, terreni morenici e terreni rimaneggiati (di materiale essenzial- mente morenico). Come rocce in posto, furono attraversati i calcari triassici, la forma- zione porfirica a contatto della quale e ad essa sottostanti in discordanza stanno i micascisti, pure attraversati, e che contengono numerosi filoni di porfiriti compatte. Al di là del piano di Baveno affiora il noto granito ; dopo la galleria di Monte Orfano il tracciato taglia un complesso di gneiss minuti e tabulari . Xella valle della Toce taglia le dioriti massiccie e zonate, e fra Yogogna e Benza, delle zone gneissiche {gneiss bindellini, gneiss leptinitici, gneiss di Benza). Il secondo profilo^ quello del tronco Domodossola-Iselle, d’accesso al Sem - pione, parte dal piano di Domodossola, sale a mezza costa sul versante di Preglia, penetra mediante galleria nell’augusta valle della Diveria che rimonta fino a Yarzo; di qui si eleva all’imbocco della grande galleria del Sempione mediante una galleria elicoidale e due gallerie rettilinee. Anche fra i terreni attraversati da questo secondo tronco hanno grande sviluppo i terreni di trasporto, specialmente coni di deiezione. L’esame delle rocce in posto attraversate ha in questa tronco una impor- tanza anche maggiore che nel precedente. Anche qui, pure non essendo con- tinui i tagli in roccia, tuttavia essi incontrano le diverse zone geognostiche che costituiscono la regione geologicamente molto complicata. Da Domodossola — 315 — verso monte, si presentano sul profilo nel modo sei^uonte : 1'* f/nriss di J/rej^Iia; 2^^ complesso di calcari, scisti e (jneiss di Ponte dell’Orco; 3*^ (faci ss della Val Diveria ; 4® calcari e scisti della galleria elicoidale; (jneiss dallo sbocco di €[uesta a Iselle. In ultimo l’autore accenna alle acque d’infiltrazione ed al fenomeno d’ero- sione verificatosi nella galleria elicoidale. Stoklasa J. — Ueher den Ursprung des Ammoniaks in den Prodiikten der Vesuveruption in Aprii 1906. (Centralblatt f. Min., Geol. und Pai., Jahrg. 1907, n. 6, pag. 161-166). — Stuttgart, 1907. L’autore che ha trattato ripetutamente questo stesso argomento in altre ri- viste (v. Bericlite dentsch. chim. Gesells., Jahrg. XXXIX, H. 13, Berlin 1906; Chemiker Zeitiimj, Jahrg 1906, n. 61 e questa Bihliogr. geoL, 1906, pag. 134), aggiunge qui nuovi documenti e nuove osservazioni in favore della sua tesi che la presenza di ammoniaca nei prodotti delle eruzioni vesuviane non è do- vuta a cause secondarie epigee, ma è originaria e dovuta a fenomeni chimici, aventi la loro sede nell’interno della terra e nella lava fusa. Taramelli M. — Condizioni geologiche del tracciato ferroviario Ronco ' Voghera. {Rendi. R. Istituto lombardo, S. II, Voi. XL, fase. IX, pag. 484-491). — Milano, 1907. L’autore essendosi occupato del tracciato ferroviario Genova-Rigoroso, che rappresenta la parte più importante della direttissima Milano-Genova, ha vo- luto esaminare anche il tracciato Ronco- Voghera, con il quale s’intende evitare l’ingente spesa che le condizioni geologiche della linea richiedono. Dopo aver passato in rassegna le diverse formazioni che affiorano lungo il tracciato, egli conclude che le condizioni geologiche del tracciato Ronco- Voghera, se non si possono dire nel loro complesso molto cattive, sono però per buona parte del percorso in collina, abbastanza gravi per richiedere grandi cautele, in causa della erodibilità dei terreni attraversati. Per la porzione della linea, che cor- risponde alFaffioramento delle argille scagliose, questa necessità è ancora più imperiosa e va tenuta presente nel calcolare il preventivo del costo comples- sivo della linea, lunga più di 45 chilometri, dei quali oltre il 35% in galleria, cioè metà del percorso di essa linea nella regione collinesca tra lo Scrivia ed il Curone, di circa 32 chilometri. Condotto sia a Ronco che a Rigoroso, il trac- ciato di Voghera non sarà molto agevole, sebbene la orografia della regione collinesca possa farlo ritenere tale. — 316 TARA3IELLI T. — Della ntilìs^asione dei lagliì e dei piani lacustri di alta montagna per sopperire alle magre dei nostri fiumi. (Boll, della Soc. deol. Ital.. Yol. XXYI, fase. 2° pag. 235-238). — Eoma. 1907. Con questa breve nota, l’autore propugna lo sbarramento dei laghi e delle pianure d’alta montagna per farne dei serbatoi d’acqua a servizio delle in- dustrie in tempo di magra. Egli vorrebbe che tanto i laghetti esistenti quanto queste pianure, che rappresentano antichi laghi colmati, fossero approfonditi o riscavati : con il terriccio^proveniente dallo scavo fossero fatte le dighe per formare il serbatoio : come pure che fossero scavate trincee o gallerie che per- mettessero di fare la presa d’acqua sul fondo del lago onde utilizzarla tutta. Accenna anche al bisogno di conservare ed estendere le foreste onde arre- stare a monte le deiezioni che colmerebbero di nuovo ed in breve tempo i laghetti. Taramelli T. — Notizie circa il pozzo artesiano di Bagnacavallo. (1 opusc. in-8® di 11 pag). — Perugia, 1907. È un contributo alla conoscenza delle alluvioni padane ; vi sono riportati i dati del pozzo artesiano di Bagnacavallo, di quelli di Lugo e Massa Lom- barda con altre notizie su le perforazioni profonde d’Imola, di Sesto Imolese e di altre località del piano tra l’Appennino e il Po. La perforazione di questi pozzi ha fatto conoscere il sottosuolo della re- gione, ed ha permesso di farsi un concetto dell’idrografia sotterranea alle falde dell’ Appennino. IJu pozzo ad Imola ha dato della buona acqua potabile sa- liente fino a metri 1.80 dal suolo; lo strato acquifero si è trovato a 126 metri dal suolo e ad 81 metri sotto al livello marino. Tenendo conto dell’inclinazione, lo strato acquifero dovrebbe passare al disotto di Bagnacavallo a più che 200 metri di profondità. Ad una tale profondità, l’autore non crede possibile ottenere dell’acqua potabile: il pozzo di Bagnacavallo spinto fino alla profon- dità di 120 metri diede risultati negativi. Inoltre, essendosi constatato che alla profondità di 108 metri cominciano i terreni decisamente marini, egli è d’opinione che spingere lo scavo ad una profondità maggiore dei 120 metri raggiunti, sarebbe un tentativo sorretto da assai scarsa probabilità di riuscita. Taramelli T. e Menozzi A. — Sulle acque minerali di Santa Caterina in Val Fnrva. (Rend. R. Istituto lombardo, S. II, Yol. XL, fase. lY. pag. 139-160). — Milano, 1907. Le fonti minerali sono due, poco discoste l’una dall’altra : la più abbon- dante è carbonicata e ferruginosa mentre l’altra, meno abbondante, è altresì — 317 leggermente solforata. Sgorgano dalle alliiYioiii torboso che ricoprono le fil- ladi dalle quali, secondo l’autore, provengono. Queste filladi, stando al Curioni apparterrebbero al Carbonifero; l’autore però non ne è ben sicuro, ed atteiule dal rilevamento sistematico del R. Ufficio Geologico la determinazione esatta della loro età. Egli non crede neppure che l’acqua sia mineralizzata dal poco potente strato di alluvione torbosa che ricopre le filladi, ma che si debba rite- nere endogena Torigine dell’acido carbonico, che tanto abbonda nella fonte principale, e probabile la origine del bicarbonato ferrico da lenti o filoncelli di siderite esistenti tra le filladi. Allo studio geologico delle due fonti fatto dal Taramelli segue uno studio chimico eseguito dal Menozzi, dal quale si rileva che la temperatura è di 6^^ C. e la portata di circa 200 litri ; che quest’acqua contiene una grande ricchezza in acido carbonico, ed in ferro sotto forma di bicarbonato ferroso, contenente bicarbonato di sodio e tracce di litio ; è quindi un’acqua carbonica, ferru- ginosa, alcalina. Termier P. — Sur la nécessité d'nne noiivelìe interprétation de la fedo- nìqiie des Alpes FrancO’lfaliennes. (Bull, de la Soc. Géolog. dePrance 6ème Serie, t. VII, fase. 3-4, pag. 174-190). — Paris, 1907. In seguito alle note di M. Lugeon e Argand sulla tettonica delle Alpi piemontesi, che l’autore suppone corrispondere alla realtà almeno nelle linee generali, ed ai ritrovamenti importantissimi fatti in Savoia di Lias e di Gin- rese superiore a facies brianzonese, al Plan-de-ITette, nel vallone della Leisse e nello zoccolo della Grande-Sassiére, dal prof. W. Kilian, l’autore crede di dover modificare l’interpretazione data nel 1903 della tettonica delle Alpi franco-italiane « (Quatres coupes à travers les Alpes franco-italiennes) ». Il Giurese del vallone della Leisse, che dovrebbe rappresentare una lamina di tale terreno compreso fra il Trias, rende necessaria l’ipotesi di falde di ri- coprimento {nappes) nella struttura della Yanoise, cupola permiana sotto una pila di nappes. Riconosciuta questa struttura, la sovrapposizione dei calcescisti {.schistes lihstrés) al Trias, che era nel 1884 per Marcel Bertrand rargomento principale per sostenerne l’età secondaria, perderebbe ogni valore. Rimarrebbe l’argomento dei passaggi laterali fra Trias ordinario e Calcescisti constatati da Bertrand, da Franchi e da Kilian, e quello dei fossili trovati da Franchi nel 1896 e nel 1899. Mentre W. Kilian spiega la finestra giurassica del Plan- de-nette con pieghe coricate verso est, l’autore crede si possa spiegarla con pieghe rovesciate verso ovest, basandosi sull’ipotetica struttura della zona del Pie- — 318 — monte secondo Lugeon e Argand, per cui il Monte Rosa ed il Gran Paradiso non sarebbero che delle gibbosità o involucri [carapaces] di pieghe di terreni cristallini, aventi le loro radici molto più a Sud-Est. Tutta la grande zona car- bonifera attuale delle Alpi franco-italiane si collegherebbe alle gibbosità sud- dette e galleggerebbe sopra delle pieghe coricate di terreni più giovani. Si avrebbe quindi un grande ed esteso pays de nappes fra la pianura piemontese e la zona di flysch del Brianzonese, che in sinclinale coricata si estenderebbe per molti chilometri verso oriente, sotto le pieghe coricate dei terreni più antichi. L’età permiana degli scisti e degli gneiss della Vanoise non potrebbe più, come prima, esser basata sulla sua intercalazione fra Carbonifero e Trias inferiore, ma avrebbe il suo fondamento nei passaggi laterali fra quelle roccie e degli scisti nettamente de tritici come sostennero Lachat (1861) e Zac- cagna (1887), e nei passaggi del Carbonifero ad antracite a micascisti e gneiss coll’intermediario di scisti sempre più cristallini al Mont-Pourri e nella Yal- grisanche. La struttura a ventaglio nelle Alpi franco-italiane sarebbe dovuta ad un fenomeno di compressione nel ripiegamento secondario della grande piega in ricoprimento. L’autore esamina poscia l’estensione ed i rapporti dei diversi ter- reni metamorfici, e ne deduce che il Permo-carbonifero ed i Calcescisti (zona delle pietre verdi) divennero cristallini in due periodi distinti, anteriormente al Lias il primo, aH’inizio dell’Eocene i secondi. L’autore discute in seguito se la grande zona assiale di Carbonifero sia il risultato di una piega coricata {nappe de genre) o una falda di ricoprimento con relativa superficie di slit- tamento {nappe de 2è'>ne genre), e conclude verificarsi il primo caso, sia per con- siderazioni locali che per l’altra di ordine generale, che cioè le nappes allo esterno della grande frattura alpino-dinarica sono tutte di primo genere, ossia delle pieghe coricate. In questo caso si troverebbero tutte le Alpi occidentali, nelle quali l’autore crede si verifichino le ipotetiche concezioni di Lugeon e Argand. Ad ovest della zona di flysch, cioè nel Pelvoux e nei gruppi delle Grandes-Rousse e di Belledonne, si troverebbe il paese autoctono, non con- servante traccie delle falde che già lo ricoprivano. La zona di calcescisti con pietre verdi di Courmayeur sarebbe ancora pags de nappes, queste essendo però molto raddrizzate. A questo studio l’autore unisce i quattro profili del lavoro del 1903 con le nuove interpretazioni. Le differenze essenziali consistono nella ipotetica molto maggiore estensione verso levante della sinclinale eocenica, e nella supposta assenza di nappes della zona carbonifera e delle masse gneissiche del Piemonte, con quella cronologicamente assimilate, non meno che di tutte le masse di calcescisti con pietre verdi della cosidetta zona del Piemonte o del Monte Rosa. Ugolini E. — Monografia dei Pettinidi neogenici della Sardegna. (Paleon- tographia Italica, Voi. XIII, pag. 238-242). — Pisa, 1907. È la descrizione particolareggiata di otto Pettini della Sardegna fra i quali le seguenti nuove specie: Amnssiopecten fìahellnni e Amussiopeclen IV nassai. Verri A. — Una sezione naturale nel Monte Verde. (Boll. Soc. Geol. Ital., Voi. XXV^I, fase. 4", pag. 1-24) — Eoma, 1907. Premessa una breve rassegna delle opinioni dei diversi autori che hanno studiato la collina di Monte Verde o località vicine, l’autore le riassume nei tre seguenti postulati: — I. Proseguimento di sedimentazioni d’ un estuario ma- rino, con le modificazioni inerenti al processo d’interrimento ed alle oscilla- zioni dal suolo. — II. Trasformazione d’un estuario marino in bacino lacustre, e proseguimento di sedimentazioni in questo, pur modificato man mano dalle azioni endogene ed esogene. — III. Trasformazione d’un estuario marino in bacino lacustre, trasformazione di questo in bacino fluviale, eppoi ritorno d’un grande bacino lacustre su le zone meno elevate del bacino fluviale. Segue la descrizione minuta di 6 sezioni per dimostrare la disposizione dei materiali che costituiscono i depositi fluviatili e lacustri nonché quelli delle più antiche deiezioni vulcaniche sub-aeree e sub-acquee. Da ultimo egli dichiara di ritenere fluvio-lacustri i depositi soprastanti al tufo litoide di Monte Verde simili a quelli di Ponte Molle; a quelli che stanno sopra ai travertini, ai tufi grigi antichi ed al tufo litoide nelle adiacenze del Ponte Xomentano e di altre località. Conviene che non si possa escludere as- solutamente che deiezioni del Vulcano Laziale siano piovuto sul bacino lacu- stre di Monte Verde, ma crede si possa affermare che dovevano essere cessate quelle grandi eruzioni, le quali avevano elevato il piano della Campagna di Eoma con masse potentissime di tufi e pozzolane. Conseguentemente egli ri- tiene della più alta importanza, per la storia fisica della Campagna di Eoma, il ricercare quali siano state le cause per cui un territorio dov’era stabilita un’idrografia fluviale, con piano delle valli ad altitudine poco differente del- l’attuale, sia stato ridotto al punto che, nelle sue vallate e su i colli adiacenti l’acqua siasi elevata in maniera, da lasciare depositi lacustri copiosi sino al- all’altezza di una quarantina di metri sopra al livello odierno del Tevere. — 320 — Verri A. — Sulle pozzolane ed altri materiali da costruzione della Cam- pagna romana (dal Griornale dei Lavori Pubblici, n. 22. pag. 12 iii-8®). — Roma, 1907. Dopo un breve cenno su le condizioni del suolo dei dintorni di Roma prima delle eruzioni del Vulcano Laziale, rifa succintamente la storia di queste eruzioni, mettendo in evidenza i tre differenti periodi durante i quali si depo- sitarono le pozzolane rosse, quelle grigie e le pozzolanelle ; descrive i risultati d’una trivellazione al forte Appia antica e riporta una sezione teorica presa in quella località, nella quale sono disegnati i diversi materiali vulcanici deposi- tatisi successivamente sopra ai sedimenti marini. Descrive quindi queste poz- zolane, la loro giacitura ed estensione, e da ultimo presenta le analisi chimiche dei tre tipi di pozzolane, eseguite dal prof. Trottarelli. Verri A. — Sin grandi giacimenti delle pozzolane di Roma (pag. 14, m-8°). — Roma, 1907. Premesso un accenno su la costituzione della Campagna romana, l'autore parla delle pozzolane romane; della loro genesi, delle loro differenti rarietà, dei loro caratteri e proprietà, della loro posiziono rispettiva e della loro po- tenza. Riassume le esperienze comparative fatte dal Genio civile su le poz- zolane di Roma e di Bacoli, ed accenna anche alle analisi chimiche che sono state fatte. Pa rilevare che sulla distribuzione delle pozzolane hanno influito l’orientamento del getto di esplosione, le circostanze atmosferiche, la velocità iniziale comunicata alle materie espulse e la distanza dalle bocche eruttive. Parla quindi brevemente dei tufi litoidi che si trovano sotto la pozzotanella, o strato superiore di pozzolana, ed accenna anche ai peperini. Presenta da ultimo due sezioni teoriche da servire per le escursioni del 3 giugno 1907 dell’Associazione italiana per gli studi sui materiali da costru- zione, e di queste sezioni fa la descrizione. Verri A. e Clerici E. — Escursione a Tivoli della Società geologica italiana, (Boll, Soc. Geol. Ital., Voi. XXVI, fase. 1^, pag. XXXIV- XXXIX). — Roma, 1907. Dalla gola detta del Forello, per la quale il Tevere esce dalla vallata del- l’Dmbria, alla gola dove l’Aniene sbocca nella Campagna romana, le catene ultime del Subappennino, nelle linee generali, mostrano frammenti d’una grande — — anticlinale spaccata, di cui il ramo Est elevato compone la montagna, la de- pressione del ramo Ovest è la causa della costituzione delia vallata tiberina: per tale disposizione ad Ovest sono scoperte le formazioni secondarie più basse. Ciò premesso, gli autori descrivono sommariamente l’escursione fatta nei monti tiburtini, appunto fra le rocce del secondario, accennando ai vari piani del Lias attraversati, ed ai fossili più caratteristici raccolti. Chiudono la breve nota, alcune osservazioni su la cascata di Tivoli. Yiola C. e Sangiorgi D. — jSopm i giacimenti granitici dell' AppemiUio Parmense. (Rend. R. Ac. dei Lincei, Yol. XYI, 2° Sem., fase. 5®. pag. 332-337). — Roma, 1907. Fra i vari supposti giacimenti granitici dell’ Appennino Parmense la nota studia particolarmente quello di Groppo del Yescovo. Gli autori riconobbero che, contrariamente alle opinioni di vari precedenti autori, il supposto granito di questa località non è che un agglomerato di frammenti di granito di tipo diverso, talvolta anche di arenarie quarzitiche, analoghe a quelle eoceniche, e di calcari di aspetto eocenico. Tutti questi elementi eterogenei sono rinsaldati assieme dagli elementi del granito. Waagen L. — Die Lamellibranchiaten der Pachgcardientuffe der Seiser Alm nehst vergleichend paldontologischen und phglogenetischen Stiidien. (Abhandlungeij der kk. geol. Reichsanst. B. XYIII, H. 2, 1907. Yo- lume di 180 pag. con 10 tav.). — Wien, 1907. Questa memoria fa seguito a quella di Bittner sui Lamellibranchi di San Cassiano (A. Bittner Lamellibranchiaten elee Alpinen Trias. Abhandl. der k. k. geol. Reichsanst. XVIII, 1, 1907), Fra le specie descritte sono da rilevarsi specialmente la Paclnjcardia ru- gosa Hauer e la Myophoria Kefersteini Mlinst., la prima delle quali presenta le varietà Pleiningeri Brodi e snbanodonta Bittn ; la seconda ne presenta otto. Queste e i generi Trigonodiis ed Heminajas formano la famiglia delle Trigoiiiidae, la prima descritta. Segue la famiglia delle Astartidae coi generi Mgophoriopsis, Cardila, Opis {Coelopis), Mgoconcha; quella delle Liicinidae col genere Schaf- haiitlia Cossm. ; quella delle Miitilidae col gen. Septiola; delle Aviculidae com- prendente i generi Cassianella, Aviciila, Avicnlopecten; delle Mijalinidae col ge- nere Joannina; delle Pernidae coi generi Edentula nov. gen., Gervillella nov. gen., Aiigustella nov. sub gen.; delle Arcidae coi generi Macrodon, Cncullaea. — 322 — Arcoptera; delle Niiculidae coi generi Palaeoneiso. Phaeondesmia: delle Pedi- nìdae con un sol genere di Pecten\ delle Limidae. coi generi Lima e Mijsì- dioptera; delle Spondilidae col gen. Prospondyliis ; delle Ostreidae col genere Ostrea. Alla descrizione delle numerose forme spettanti ai generi suindicati fa seguito un appendice sopra le generalità di alcune specie, le loro affinità e la loro distribuzione nei depositi triasici. Con questa memoria vengono notevolmente arricchite le nostre cognizioni sopra i lamellibranchi triasici. WiLKENS Otto. — Uber den Bau nordóstlichen Adiilagehirges. (Centralbl. f. Min., Greol., u. Pai., 1907, N. 11, S. 341-348). — Stuttgart, 1907. !N^ella zona del gneiss micaceo e dei micascisti della parte T^E. della catena dell’ Adula compariscono intercalazioni di marmo dolomitico che dal- l’Heim furono ritenute d’età incerta prima, ma poi dal medesimo insieme con Schmid! comprese fra gli scisti cristallini antichi. L’autore in seguito al rilevamento geologico e ad accurate osservazioni giunse alla conclusione, che queste dolomiti sono triasiche anziché arcaiche, e ciò non per ragioni paleontologiche, ma per analogie litologiche che egli ri- conosce ed enumera nella serie stratigrafica di quella regione. La riunione di queste rocce al Trias permette di schiarire la tettonica della parte IN'E. della catena dell’ Adula, poiché invece d’intercalazioni queste masse dolomitiche devono essere riguardate come sinclinali coricate e quindi questa catena come una regione di intensivo corrugamento. Le stesse dolomiti appariscono più volte piegate e contorte. L’autore espone molti fatti in appoggio di questa tesi e conclude che il gruppo dell’Adula non é un massiccio ma una catena di piega. Zaccagna D. — Sulle condizioni idrologiche della Valle Pedogna [af- fluente di destra del fiume Serchio). (Boll. E. Com. Greol., To- lume XXXYIII, n. 1, pag. 42-54). — Eoma, 1907. L’autore, esposte succintamente le condizioni delle sorgenti che attual- mente forniscono l’acqua potabile alla città di Livorno, situate, come é noto, nel gruppo dei monti del Gabbro, ad Est della città, passa ad esaminare le condizioni d’impianto di un bacino o lago artificiale progettato mediante lo sbarramento della Yal Pedogna nelle Alpi Apuane, dalla quale dovrebbero trarsi le acque sorgive per un nuovo acquedotto; mentre il bacino avrobì)e lo scopo di compensare la vallata della sottrazione di queste sorgivo, destinando le acque piovane in esso raccolte a scopo irriguo ed industriale. Premesso un breve cenno sulla struttura geologica della Val Pedogna, sulla permeabilità delle roccie che la compongono e sul regime delle ac(jue del torrente che scorre nella valle, della quale dà una sezione longitudinale, l’autore dimostra l’opportunità di portare più a monte il progettato bacino, onde evitare la probabile dispersione delle acque portatevi dal bacino imbri- fero in causa dei fenomeni carsici che si manifestano in vari punti del letto del Pedogna ; se pure non si vogliono raccogliere direttamente mediante un canale collettore altre sorgenti, le cui acque mentre restano ora inutilizzate, vanno disperso in causa dell’assorbimento carsico, evitando per tal modo la costruzione del lago artificiale. Zambonini F. — Sulla radioattività della cotunnite vesuviana. (Rend. R. Acc. Lincei, Ser. Y, Voi. XVI, V Sem., fase. 12, pag. 975-978). — Roma, 1907. Riassunte le esperienze state fatte su la radioattività delle rocce vulca- niche, descrive quella eseguita su un campione di cotunnite vesuviana quindi conclude: dalla tabella riassuntiva pubblicata dallo Scarpa, risulta che, ad eccezione delle terre di Capri, studiate da Elster e Geitei, la radioattività dei prodotti vulcanici italiani finora studiati è compresa fra circa un millesimo ed un mezzo decimillesimo di quella dell’Uranio. La radioattività della cotun- nite vesuviana, sarebbe enormemente più grande di quella di tutti i prodotti vulcanici fin qui esaminati. Aggiunge in ultimo che anche la galena formatasi nelle fumarole è fortemente radioattiva. Zambonini F. — Notizia cristallografica siilV azzurrite del Timpone Rosso presso Lagonegro. (Rend. R. Acc. dei Lincei, S V., Voi. XYI, 2° Se- mestre, fascicolo 11, pag. 740-745). — Roma, 1907. L’autore espone i risultati delle misure cristallografiche da lui intraprese sull’azzurrite dei pressi di Lagonegro, della quale il prof. De Lorenzo gli af- fidò vari cristallini, che egli riteneva di speciale interesse, non essendo stati finora descritti che pochissimi giacimenti italiani di azzurrite cristallizzata. Oltre che in venuzze e in granuletti l’azzurrite si presenta qualche volta in piccoli — 324 — cristallini che raramente superano il millimetro, nei quali il De Lorenzo aveva già riconosciute le forme (HO) e (101). Sono indicate le misure angolari e figurate le forme principali di quei cristalli, che presentano somiglianze con quelli dell’azzurrite di Lemheck (Belgio! studiati dal Cesaro e con quelli di Chessy, descritti dal Michel Lévy. Zambonini F. — Striiverife^ un nuovo minerale. (Eend. Acc. Se. fis. e. nat., S. 3* Yol. XIII, fase. 2°, pag. 35-51). — Napoli, 1907. È un juinerale contenuto, assieme ad altri, nella pegmatite di Craveggia: si presenta in masserelle evidentemente cristalline, impigliate nel quarzo e nel feldspato. Tutti i campioni sono sempre più o meno inquinati dal quarzo: il colore è nero-ferro, lo splendore assai vivo sulle fratture fresche. In molti punti si osservano dei cristalli assai imperfetti, che sovente non mostrano ni- tida che una sola faccia, talvolta due e più di rado tre, costituenti un’unica zona. L’autore fa la descrizione cristallografica di questi cristalli, concludendo che cristallizzano nella forma tetragonale. Segue poscia l’esposizione dell’analisi chimica fatta dal Prior, e della determinazione del peso specifico fatta dal Pol- gheraiter. Dai risultati ottenuti, l’autore ritiene trattarsi di un nuovo minerale al quale egli propone si dia il nome di Striiverite. APPENDICE Airaghi C. — Coralli dei calcari grigi del Veneto. (Atti Congr. Nat. ital., Milano, 1907, pag. 18, con 1 tav.). li’autore avendo avuto opportunità di studiare una ricca fauna di coralli provenienti da varie località, contenuta nei calcari grigi a terebratula rotzoana, ne fa la descrizione dettagliata. Dallo studio fatto di questi calcari sembra che i medesimi siano liassici ; senza escludere che possano rappresentare anche una parte del Dogger. ^ Sono pubblicazioni non pervenute all’ufficio o pervenutevi troppo tardi per poterne fare la bibliografia in tempo debito. Fra le 18 specie riconosciute, le 15 seguenti sono nuove: Montlivaultia pc- (liceìlata, M. flexiiosisepta^ M. paulumseptata, M. deformis, M. erecta, M. acuti- septa^ M. Dallaf/ri, M. flàhelliformis^ M. Osascoi, M. angusta^ M. Rialti J/., Nagi, Isastrea Osascoi, Thecosmilia veneta, Thammastrea Nagi. Brun a. — C ristai lisation de P obsidienne de Lipari. (Arch. des Se. nat. de Grenève, tav. XXIY, pag. 97*98). « Riscaldando durante 14 giorni a 550° dell’ossidiana di Lipari, Tautore è riuscito a far nascere in quel vetro delle sferoliti a croce nera, raggiungenti fino a Vio di millimetro e ricordanti assai le sferoliti di calcedonia osservate da Michel Lévy e Munier Chalmas. Questa cristallizzazione si è effettuata senza intervento nè d’acqua nè di pressione. Capellini- Gt. — Mastodonti del Museo geologico di Bologna. — I Me- moria. (Mem. R. Acc. delle Se. dell’Ist. di Bologna, Serie VI, Tomo lY, pag. 127-146). — Bologna, 1907. Tracciata brevemente la storia della provenienza dei resti di Mastodonte del museo di Bologna, l’autore descrive minutamente 79 frammenti (denti per la maggior parte) di Mastodonte, seguendo l’ordine con il quale sono distri- buiti cronologicamente nella collezione generale dei vertebrati fossili. Checchia-Rispoli. G-. — Bulla provenienza di alcune Lepidocicline dei dintorni di Termini-Imerese {Palermo). (Giorn. di Se. Nat. ed Bcon., XXYII, pag. 1-7). — Palermo, 1907. E’ una nota polemica, in cui l’autore si difende vivacemente contro l’ac- cusa fattagli di aver sbagliato località circa la provenienza di tre forme di Lepi- docicline. Queste sarebbero le prime finora trovate, secondo l’autore, in giaci- menti eocenici, mentre i contraddittori asseriscono che provengono da strati che per la loro fauna furono sinora ritenuti oligocenici. L’autore insiste nel ritenerli eocenici e dichiara che, se anche quelle tre Lepidocicline furono studiate in un materiale non da lui raccolto, dalla medesima località e da altre egli ed altri raccolsero abbondanti Lepidocicline eoceniche, per modo che nessun dubbio può più sussistere su l’eocenicità di queste Lepidocicline, credute finora oligo- ceniche o soltanto mioceniche. — 326 — - W Kilian W. — Ohservations au sujet de la note de M. Termier sur la tectonique des Alpes franco-italiennes. (Bull. Soc. Gréol. Fr., 4 Sér.. t. YII, p. 190). — Paris, 1907. Il prof. W. Kilian a proposito della nota del Termier osserva che tì sono di versi fatti i quali impediscono di ammettere che nelle Alpi franco-italiane l'Eocene sia autoctono mentre il Carbonifero sarebbe esotico. Fra quelli cita : 1^^ la iden- ticità di facies nel Lìas e nel Trias ai due lati della sinclinale eocenica ; 2^ resi- stenza nelle quarziti triasiche di conglomerati con elementi di porfidi quarziferi del Pelvoux ; 3® l’esistenza nell’Eocene di anticlinali di terreni a facies brian- zonese con Carbonifero e lamine di granito del Pelvoux. Malgrado le superficie di slittamento osservabili l’autore non può credere che esse abbiano l’importanza ad esse attribuita dal Termier, per cui egli ritiene di non poter trarre dai nuovi fatti venuti in luce nell’Alta Tarantasia citati dal Termier, delle conseguenze grandiose che non potrebbero essere chiara- mente dimostrate. PoRTis A. — A” dimostrata la contemporaneità delPUomo paleolitico col- V Elefante antico^ V Ippopotamo ed un Rinoceronte in Italia? (Boll. Soc. Beol. Ital., Yol. XXYI, fase. pag. XXYIII-XXIX). — Eoma 1907. Essendo stata replicatamente annunziata la scoperta di documenti com- provanti la coesistenza dell’uomo paleolitico con VElephas ànfiqnns Pale.. V Hippopofamus amphihiiis Linn. od anche Pentlandi Cuv. ecc. ecc., coesistenza che fu poi smentita da osservazioni più accurate, l’autore afferma che neppure nel caso di Capri tale coesistenza è sostenibile. In prova di ciò egli cita le parole stesse di Cerio il quale aveva creduto di aver trovato documenti di con- temporaneità dell’uomo paleolitico e di grandi mammìferi nelle argille di Capri. Eegàlia e. — SulIEqiuis (Asiniis) ìigdriintinìis Regàlia della Grotta di Romanelli {Castro, Lecce). (Est. Archivio p. Antropol. e Etnologia. Yol. XXXYII, fase. 3^ pag. 16). — Firenze 1907. L’autore descrive altri denti asinini di Eomanelli e quindi ue fa un esame comparativo con l’A. onager, VE. hemioniis e con VAsimis vulgaris, venendo alla conclusione, che la specie leccese non è varietà àCiVìiemioniis ma proprio una specie diversa, e perciò propone di chiamarla E. {Asiuns) hijdriinfinus. Eiguardo - 327 alla provenienza di questa specie di eqnide di steppa si può aminottoro tanto cbe sia venuta dall’ Africa nel Quaternario antico, attraverso la Sicilia, quanto dall’Asia o dall’Europa orientale per il Gargano che era congiunto aW Adria. Regalia E. — Sulla fauna della « Grotta del Castello » di Termini Imerese (Est. Arch. p. Antropol. e Etnologia, Voi. XXXVII, fase. 3°, pag. 38). — Firenze, 1907. L’autore descrive una grande quantità di ossa scoperte nella grotta di Termini dal signor prof. Giuseppe Satiri. Sembra si tratti di una grotta pa- leolitica e non neolitica e le specie rappresentate sono numerosissime. La più importante è VEqnns [Asimis] hydruntinus var. siciilus rappresentato da un frammento d’ulna e uno di tibia, più cinque incisivi e venticinque molari. La specie è assai minutamente descritta e dalla descrizione si deduce che se la medesima si allontana dalle specie attuali, non si allontana invece dalla specie di Romanelli, della quale si considera come una varietà. L’industria umana della Grotta di Termini, secondo l’autore, dovrebbe essere anteriore all’ultimo periodo glaciale. 21 ELENCO del personale componente il Comitato e ruiclo poloiico alla fine iell’anno 1908 R. Comitato geologico. Capellini (rio vanni, prof, di geologia, R. Università di Bologna^ Presidente. Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Cermenati Mario, prof, di storia delle scienze naturali, R. Università di Roma. Cocchi Igino, prof, di geologia, Firenze. Issel Arturo, prof, di geologia, R. Università di Uenova. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Strùver (jiovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Presidente della Società geologica italiana. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Mazzuoli Lucio, Ispettore superiore. Capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Zezi Pietro, Ispettore superiore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Baldacci Luigi, Capo del R. Ufficio geologico. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Mazzuoli Lucio, predetto. Ing. Zezi Pietro, predetto. R. Ufficio geologico: Ing.” capi Aiutanti principali Zaccagna Domenico. MATT.ROLO Ettore. ' | Cozzol.no Filippo, Aichino Giovanni. Archivisti ) Cozzolino Filippo. disegnatori ( Aureli Amedeo. Ufficiali ) (jIAMMARCHI GeTULIO. d’ordine \ Nocito Pietro. ; Novarese Vittorio. \ Sabatini Venturino. Ingegneri Franchi Secondo. Andreis Nicolao. i Crema Camillo. \ PiLOTTi Camillo. La sede del R. Ufficio geologico è in Roma, via Santa Susanna, n. 1. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO CEOLOGICO (31 lOO^i) LIBRI Bollettino del R. Comitato (teologico; Voi. I ci XXXIX, dal 1870 al 1908. Prezzo di ciascun Tolume L. 10 Idem dell abbonamento annuale in Italia » 8 Idem idem aH’estero » 10 Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia : Voi. I. Firenze' 1871. — Introduzione. — B. Gastaldi: Shidii geologici sulle Alpi Occidentali, con appendice mineralogica di G. Struever. — S. Mottura: Sulla formasione tersi aria nella sona solfi fera della Sicilia. — I. Cocchi: Descrisione geologica deir Isola cVElha. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana. — Dn Tolnme in-4® di pag. 364 con tavole e carte geologiche . » 35 Voi. II, Parte 1^. Firenze 1873. — Introduzione. — C. W. C. Fuchs: fonografia geologica deW Isola d' Ischia. — F. Giordano: Esame geologico della catena alpina del San Gottardo che deve es- sere attraversata dalla grande galleria della ferrovia italo-elvetica. — S. Mottura: Sulla formasione tersiaria nella sona solfifera della Sicilia; Appendice. — C. D’Ancona: Malacologia pliocenica italiana (seguito). — Un volume in-4® di pag. 264 con tavole e carte geologiche » 25 Voi. II, Parte 2X Firenze 1874. — B. Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte seconda. — Un volume in-4® di pag. 64 con tavole » 5 Voi. Ili, Parte l‘\ Firenze 1876. — C. Doelter: Il gruppo vulcanico delle Isole Ponsa. — C. De Stefani: Geologia del Monte Pisano. — Un volume in-4° di pag. 174 con tavole e carte geo- logiche » 10 Voi. Ili, Parte 2^. Firenze 1888. — G. Meneghini: Paleon- tologia delV Iglesiente in Sardegna. — M. Canavari: Contribuzione alla fauna del lias inferiore di Spesici. — Un volume in-4'^ di pag. 230 con tavole » 15 Voi. IV, Parte 1^. Firenze 1891. — A. Scacchi: La regione vulcanica finori fera della Campania. — G. Terrigi: I depositi la- custri e marini riscontrati nella trivellasione presso la via Appia antica. — Un volume in-4° di pag. 136 con tavole. 8 B30 Voi. IV, Parte 2\ Firenze 1893. — C. A. Weithofer: Fro- hoscidiani fossili di Valdarno in Toscniia. — M. Canayari: Idrozoi titoniani della Regione mediterranea appartenenti alla famiglia delle Ellipsactinidi. — Un volume in-U di pag. 211 con taA'ole . . . L, 16 Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Roma 1886. — L. Baldacgi ; Descrizione geologica delV Isola di Sicilia. — Un volume in-8® di pag. 136 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. II. Roma 1886. — B. Lotti; Descrizione geologica del- l’Isola crElha. — Un volume in-8® di pag. 266 con tavole e una Carta geologica » 10 Voi. III. Roma 1887. — A. Farri: Relazione sulle miniere di ferro dell Isola d'’Elha. — Un volume in-8® di pag. 174 con un atlante di carte e sezioni » 20 Voi. IV. Roma 1888. — G. Zoppi; Descrizione geologico-mi- neraria deiriglesiente {Sardegna). — Un volume in-8^ di pag. 166 con tavole, un atlante ed un Carta geologica » 15 Voi. V. Roma 1890. — C. De Castro: Descrizione geologi co- mineraria della zona argentifera del Sarrahiis {Sardegna). — Un volume in-8® di pag. 78 con taimle e una Carta geologico -mineraria » 8 Voi. VI. Roma 1891. — L. Baldacgi: Osservazioni fatte nella Colonia Eritrea. — Un volume 111-8*^ di pag. 110 con Carta geologica annessa » 6 Vói. VII. Roma 1892. — E. Cortese e V. Sabatini: De- scrizione geologico-petrografìca delle Isole Eolie. — Un volume in-8® di pag. Ili con incisioni, tavole e carte geologiche ...» 8 Voi. Vili. Roma 1893. — B. Lotti: Descrizione geolog ico- miueraria dei dintorni di Massa Marittima in Toscana. — LTii vo- lume in-8® di pag. 172 con incisioni, tavole e una Carta geologica » 8 Voi. IX. Roma 1895. — E. Cortese: Descrizione geologica della Calabria. — Un volume in-8® di pag. 338 con incisioni, ta- vole ed una Carta geologica » 12 Voi. X. Roma 1900. — V. Sabatini; / vnlcani dell Italia centrale e i loro prodotti. Parte : Vulcano Laziale. — Un vo- lume in-8® di pag. 392, con incisioni, tavole ed una Carta geologica » 12 Voi. XI. Roma 1902. — A. Stella: Descrizione geognostico- agraria del Colle Montello {provincia di Treviso). — Un volume in-8® di pag. 82, con tavole ed una Carta geognostico-agraria . » 8 Voi. XII. Roma, 1903. — Autori diversi: Studio geologico- minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali ita- liane. — Un volume in-8^ di pag. 232, con incisioni, tavole e e Carte geologiche » 10 Appendice al Voi. IX. Roma, 1901. — G. Di-Stefano : Os- servazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel Circondario di Rossano. — Un volume in-8® di pag. 120. con tavola di sezioni » 3 CARTE Carta geologica d’Italia nella scala di 1 a 1000 000, in duo fogli: edizione. — Roma 1889 Prezzo L. 10 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 a 100 000, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’nnione e copertina. — Roma 188(5 . 100 NB. 1 fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue Foglio Y. 244 (Isole Eolie) . . L. 3 — Foglio Y. 262 (Monte Etna) . . L. 5 » 248 (Trapani) . . . » 3 — » 265 (Mazzara del Yallo) » .3 » 249 (Palermo) . . . » 4 — » 266 (Sciacca) ...» 4 » 250 (Bagheria) . . O . » o — » 267 (Canicattì) . . . » 5 251 (Cefalù) . . . . » 3 — » 268 (Caltanissetta). . » 5 » 252 (Yaso) . . . . » 4 — » 269 (Paterno) . . . » 5 » 253 (Castroreale) . . » 4 — » 270 (Catania) ...» 3 » 254 (Messina) . . . » 4 — » 271 (Girgenti) ...» 3 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 — » 272 (Terranova) . . » 4 » 257 (Castelvetrano) . » 4 — » 273 (Caltagirone) . . » 5 » 258 (Corleone) . . . » 5 — » 274 (Siracusa) ...» 4 259 (Termini Imerese) » 5 — » 275 (Scoglitti) ...» 3 » 260 (Yicosia). . . . » 5 — » 276 (Modica). ...» 3 » 261 (Brente) . . . . » 5 — » 277 (Yoto) . ...» 3 Tavola di sezioni Y. I (annessa , ai fogli 249 e 258) . . L. 4 — » » 'N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 — » » jST. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 — » » 'N. lY (annessa ai fogli 257 e 266) . . » 4 — » » Y. Y (annessa ai fogli 273 e 274) . . » 4 — Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 100 000, in 20 fogli e 3 taA^ole di sezioni, con copertina. — Roma 1901 . . . R. 60 NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Y. 220 (Yerbicaro) . . E. 3 — Foglio Y. 242 (Catanzaro) . . L. » 221 (Castrovillari) . » 5- » 243 (Isola Capo Riz- » 222 (Amendolara) . » 3 — zuto) ...» » 228 (Cetraro) ...» 3 — » 245 (Palmi) ...» » 229 (Paola) ...» 5 — » 246 (Cittanova) . . » » 230 (Rossano). . . » 4 — » 247 (Badolato) . . » » 231 (Ciro) .... » 3 — » 254 (Messina) ...» » 236 (Cosenza) ...» 4 — » 255 (Gerace) . . . » » 237 (S. Giovanni in F.)» 5 — » 263 (Beva) .... » » 238 (Cotrone) ...» 3 — » 264 (Staiti) .... » - 241 (Yic astro). , . » 4- Tavola di sezioni Y. I 255, 263). Y. Ili (236, 237, 238, 241, 242), Y. II (245. 246. 247 (220, 221, 229, 2.30), ciascuna L. 4 co ìO co — 332 — Carta geologica della Puglia, nella scala di 1 a 100 000. sono pubblicati i fogli seguenti: Foglio 'N. 201 (Matera) . . . L. 3 — » 202 (Taranto) , . . » 2 — » 203 (Brindisi) . . . » 3 — » 204 (Lecce) ...» 2 — Foglio iS'. 213 (Mar aggio) 214 (Gallipoli) 215 (Otranto) 223 (Tricase). Carta geologica della Lucania nella scala di 1 a 100 000. 4 — Foglio 211 (S. Arcangelo) 5 — » 212 (Tursi) . . . 4 — Sesioni geologiche Tav. I . . 4 — ■ » II. . 5— » III . Foglio 198 (Campagna) . . » 199 (Potenza). . . » 200 (Lauronzana) . > 209 (Vallo Lucania) » 210 (Lagonegro). . Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe nella 1 a 100 000, in 0 fogli e una tavola di sezioni, con copertina. - 1888 ■ NB. I fogli e la tavola di questa Carta si vendono anche separatamento come segue: Foglio V. 142 (Civitavecchia) L. 4 — » 143 (Bracciano) . . » 5 — » 144 (Palombara). . » 5 — Foglio A. 149 (Cerveteri) » . 150 (Roma) . » 158 (Cori). . Tavola di sezioni (annessa ai fogli 142, 143, 144 e 150). — L. 4 Carta geologica delle Alpi Apuane, nella scala di 1 « 50 000, in 4 fogli e 3 ta- vole di sezioni, con copertina. — Roma, 1897 L. 30 — NB. I fogli e le tavole di questa Carta si vendono anche separatamente come segue: Foglio Carrara L. 5 — Foglio Stazzema L. 5 — » Castelnuovo » 5 — » Seravezza ...... 3 — Le tavole di sezioni, ciascuna . . . L. 5 Carta geologica della Toscana {in corso di stampa) nella scala di 1 a 100,000. Ve sono usciti i fogli: Livorno (L. 2); Volterra (L. 5); San Casciano Val di Pesa (L. 5); Massa Marittima (L. 4); Siena (L. 5); Piombino (L. 3); Grosseto (L. 4|; Santa Fiora (L. 5); Orbetello (L. 4); Toscanella (L. 5); Pisa (L. 3); Lucca (L. 5); Firenze (L. 4); Arezzo (L. 4); Montepulciano (L. 5): Tav. I e li di sezioni (L. 4 ciascuna). Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 a 25 000, in due fogli con sezioni. — Roma, 1884 L. 10 — Carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente (Isola di Sardegna), nella scala di 1 a 50 000, in un foglio. — Roma, 1888 » 5 — Carta geologico-mineraria del Sarrabus (Isola di Sardegna), nella scala di 1 « 50 000, in un foglio. — Roma, 1889 » 5 — Carta geologica della Sicilia, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio con sezioni. — Roma, 1886. Carta geologica della Calabria, nella scala di 1 a 500 000, in un foglio. — Roma, 1894 Carta geologica dei Vulcani Vulsinii, nella scala di 1 a 100 000, in un foglio, con testo. — Roma, 1904 Carta geologica delle Alpi Occidentali, nella scala di 1 a 400 000, in un foglio. — Roma, 1908 3- o — 6 — Per le commissioni rivolgersi alla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e Vapoli. _ PRESEUTED ?r 4PR.Ì909 SrHr Annunzi di pubblicazioni Franchi S,, Kilian W, e Lory P. — Sur les rapporta des schlstes Instré-» aree les facies dauphinois et briaiK^onnaìs du Lias. (Bull, des Serrit es a., la Carte géol. de trance, t. XVIII, n. 19). — Paris, 1908. Fucini A._— Synopsis delle ammoniti del Medolo. (Annali delle l^niversitit toscane, Voi, XXVIII, pag. 108, con tav.). — Pisa, 1908, D iDisM. — La Pania di^Corfiuo. (Boll, delia Soc. geol. ital., Voi. XXVII, fase. 1 ss -e 2^, con 3 tav^.). — Eoma, 1908. Oaldhbri a. — Sul Trias dei dintorni di Òiffoni - Contributo alla conoscenza del terreno triassico nel Salernitano. (Atti Acc, Pontaniana, Voi. XXXVIII. pag. 123, con 3 tav.), — Xapoli, 1908. Haberle v. D: — Palaeontologisclie Untersuchung triadischer Gastropodeu aus dem Gebiet von Predazzo. (Verhandl. natur. Ver., IX Band, Heft.. 2-3, pag. 247-637). — sHeidèlberg, 1908. Lotti B. —• Cenni sulla geologìa dèlia Toscana. (Boll. R. Com. geol. d'Italiaf Serie IV, Voi. IX, 1908, fase. — Roma, 1908. Mariani E. — Contributo allo studio delle Bivalvi del calcare di Esino nella Lombardia. (Atti Soc. Ital. di Se. nat., Voi. XLVI, con 2 tav.). — Mi- lano, 1908. ■ ». Xóvarese V. — I terreni miocenici in Val di Bruna (Maremma Toscana) ed i loro giacimenti di lignite. (Boll. R. Com, geol. d’Italia, 1908, pag. 55. con 2 tav.), — Roma, 1908. Parona C. F. — Saggio per uno studio sulle Caprini di dei calcari di sco- gliera (orizzonte del Col dei Sebiosi) nelle Prealpi Venete. (Mem. R. À‘cc. dei Lincei, Serie 5^, Voi. VII, pag. 30). — Roma, 1908. Idem. — Sopra alcune rudiste del Cretaceo superiore del Cansiglio nelle Prealpi Venete. (Mem. R. Acc. delle Scienze di Torino, Serie II. Tom. LIV. con tav.). — Torino, 1908* {Sagm) (Seguito: V. pagina precedente] Balomon W. — Die Adamellogvxippe, ein alpìnes ZeutralmassìT, nnd seine Bedentung fìir die Gebirgsbildimg and nnsere Kenntniss Ton dem Mecha» nismns der Intrnsionen. I Teil : Iiokale Beschreibung, kristallìne Schiefer, Perm, Trias. (Abliandl. der K. K. geol. Reichsanst., Band XXI, pag. 433, con tav.). — Wien, 1908. Sequenza L. — Il Miocene della Provincia di Messina. (Rend. R, Acc. dei Lincei, Voi. XVII, Serie 5^, 1° sem.). — Roma, 1908. Idem. — SnlPetà e la posizione del Salgemma in Sicilia. (Atti R. Acc. Pe- “lontana, Voi. XXIII, fase. 1®). — Messina, 1908. Stella A. — Relazione snlle ricerche minerarie nei giacimenti cupriferi nel circondario di Alghero (Sassari). (Boll. R. 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COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA Volume Trentanovesimo (9® della 4^ Serie) N. 1 a 4 ■ tK’ -ÈHM.*’»— ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALF. A i. r/?* I ■■ ■ j ■ v ■ - •% ANNO mi , ' ■ vHf