. ■: .-Y BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA 1912 — Anno XLIII 1912 - Anno XLlll BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D'ITALIA VOLUME QUARANTATREESIMO (3® della V Serie) N. 1 a 4 COOPERATIVA TIPOailAlTCA MANUZIO Via di Porta Salaria -28-6 1913 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL' BOLLETTINO DEL 1912 (Volume quarantatreesimo, o terzo della 5^ serie) NOTE ORIGINALI. Pag. C. F. Paroma. — Fossili neocretacei della conca anticolana 1 Relazioni preliminari sulla campagna geologica del 1911 : B. Lotti. — Umbria 19 D. Zaccagna. — Toscana 25 V. Novarese. — Alpi Occidentali 30 V. Sabatini. — Vulcani Vulsinii 39 S. Franchi. — Appennino ligure 41 — Alta Valle di Susa 50 — Valle Sesia e Biellese 60 C. Crema. — Abbruzzo aquilano 61 — Lazio 68 C. PiLOTTi — Sardegna 69 — Umbiia 71 M. Cassetti. — Campania 72 — Abbruzzo 73 — Marche 73 V. Sabatini. — Classificazione delle roccie dei vulcani Cimini ... 75 G. Dal Piaz. — Alpi venete 82 P. ViNASSA DE Regny. — Alpi venete 84 M. Gortani. — Alpi venete 88 — Rilevamento geologico della tavoletta “ Pontebba „ (Alpi carnicbe) . . 91 P. Toso — Sul modo di formazione dei priucipali giacimenti metalliferi aventi forma di irregolari ammassi o di strati, coltivati in Toscana ed in altre regioni d’Italia 113 M. Gortani. — La serie devoniana nella giogaia del Coglians (Alpi car- nicbe) 235 S. Squinabol. — Radiofari della strada nazionale al Monginevro .... 281 y VI — Pag. L. Fiorentin. — Il Monte Snbasio 291 Gr. Polle. — Il manganese della regione di Portoscuso (Sardegna) e le formazioni tradiitiche che lo accompagnano 321 P. Moderni. — Contributo alla conoscenza del sottosuolo dell’estuario veneto 336 Relazioni preliminari sulla campagna geologica del 1912 : D. Zaccagna. — Liguria orientale 344 — Prealpi bergamasche 345 M. Cassetti. — Lazio 350 — Campania . . 352 — Monti della Majella ... 357 P ViNASSA de Pegny. — Avanza e Val Pesarina 364 M, Gortani. — Nucleo centrale carnico 371 ILLUSTRAZIONI. Fossili neocretacei della conca anticolana {C. F. Parona) (figure nel testo) 5, 6, 8, 9, 10, 11, 13, 14 Id. 2 tavole 16 Trincea della ferrovia fra Aosta e Quarto {S. Franchi), fig. nel testo . . 33 Sinclinale retico-liasica del Chaberton {detto) id 52 Elissoide triassico della Punta Muta e Gran Poc, id 56 Taglio lungo la strada di 'Castelmenardo (C. Crema), id 65 Sezione fra Colle Voltella e Petrignano {detto), id 66 Profilo del M. Slenza {M. Gortani), id 103 Profilo dal M. Cuel Mat al M. Valerle {detto), id 106 Profilo dalla Val Pontebbana al M. Valerle {detto), id 107 Carta geologica dei dintorni di Pontebba {detto'^, tavola . . . . • . , . 112 Le crete di Gleriis. Pieghettatura negli strati neopermici {detto), id. . '. 112 Giacimenti metalliferi aventi forma di irregolari ammassi e di strati, col- tivati in Toscana ed in altre regioni d’Italia (P. Toso), 22 figure nel testo . 135, 137, 147, 160, 164, 171, 175, 176, 181, 182, 183, 188, 192, 194 196, 197, 198, 204, 205, 209 Id. 2 tavole 230 VII Pag. Grlabella, gaancia e pigidio di Proétus {Cyrtosymbole) italicus Gort. {M.. Gor- tani)., fìg. nel testo 2Gb Sezione schematica attraverso il Monte Coglians {detto)., id 272 Possili della serie devoniana del Coglians yM. Gortani)., 3 tavole. . . . 274 Radiolari della strada nazionale al Monginevro {S. Squinahol), 1 tavola . 230 Lato destro della Valle delle Carceri: Sovrapposizione dei tre piani del Lias {L. Fiorentin), fìg. nel testo 23G Lato sinistro della Valle delle Carceri: Piega a ginocchio degli scisti mar- nosi del Lias superiore {detto)^ id 299 Presso Collepino : Sottili banchi di calcare neocomiano nella zona di pas- saggio agli scisti a fucoidi {detto)., id 301 Strada da Collepino a S. Giovanni: Scaglia rosata al passaggio alla sca- glia cinerea {detto)., id 305 Copernieri: Strati di scaglia argillosa {detto), id 307 Copernieri : Pormazione marnoso-arenacea al passaggio alla scaglia cinerea {detto), id 308 A M. E. del Mónte Pietrolungo: “Il Lago,, {detto), id 314 Lato sinistro della Valle delle Carceri: Paglia {detto), id 318 Carta geologica del Monte Subasio {B. Lotti e L. Fiorentin), tavola . . 320 Monte Subasio: Carta idrografìca e sezioni {L. Fiorentin), id. . . . . . 320 Trachiti vacuolari lungo la ferrovia Monteponi-Porto Vesne {G. Pullè), fìg. nel testo 323 Trachiti vacuolari alterate di reg. Chilotta {detto), id 324 Monte Cirfìni: Contatto fra le trachiti e i tufi, {detto), id 325 Balze trachitiche di Punta Majorchina {detto), id . . ....... 328 Tufi, caolinizzati di Punta Majorchina {detto), id 329 Punta Majorchina; Vene inanganesifere {detto), id 329 Sezione schematica ISl. S. del giacimento di Punta Majorchina {detto) . . 330 Micrografìe {detto), tavola 334 Sezione schematica dimostrativa (P. Moderni), fìg. nel testo 341 Sezione traverso la Cresta del Gallo (M. Cassetti), id . . . 353 Sezione nel gruppo dell’Avanza {Vinassa de Begny), id. . 367 Profìli dalla Cima Oregone a Piè della Costa e dal Monte Pietrabianca allo Scheibenkofel {M. Gortani), 2 fìg. nel testo 3 Bibliografìa geologica italiana {Veggasi indice alfabetico alla fine della bi- bliografia stessa). vili PARTE UFFICIALE. B. Lotti. — Relazione al R. Comitato Geologico sui lavori eseguiti per la Carta Geologica d’Italia nel 1911 e proposta di quelli da eseguirsi nel 1912-13 Fase. 1® Verbale dell’adunanza del 3 giugno 1912 del R. Comitato geologico. „ 2o-3° INDICE DEI FASCICOLI. Fascicolo 1° : Note originali. Bibliografìa . „ 1 a 52 Atti Ufficiali . „ i a XI Fascicoli 2° e 3® : Note originali Bibliografì.a „ 53 a 92 Atti Ufficiali . „ I a V Fascicolo 4®: Note originali Bibliografì,a . „ 93 a 156 16 Voi. XLIII (3" dello Serie V') Unno 191Z - Fase. I' BOLLETTINO R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA vV- SOMMARIO DEL FASCICOLO i Note originali. — I. - C. F. Parona : Fossili neocretacei della Conca Anticolana. — II. - Relazioni preliminari sulla campagna geolo- j gica del 1911. — III. -M. Oortani ; Rilevamento geologico della i tavoletta Pontebba. a ' Bibliografia geologica italiana per il 1911. i Parte ufficiale. — B. Lottì: Relazione al R. Comitalq geologico Jmi I lavori eseguiti per la 'Carta geologica d’ Italia- nel 1911 e proposta di quelli da eseguirsi nel 1912-13. ; 1 - ROMA STAB. TIP. DELLA SOCIETÀ EDITR.. LAZIALE (S. R.). 1912 ELENCO DEI COjVIPONENTI IL GOMITATO E L’UFEICIO GEOLOGICO (3! marzo 1912) R. Comitato geologico. Capellini Gtiovanni, Senatore del Begno, prof, di geologia, B. Univer- 'sità di BÌologna, Presidente. Bassani Francesco, prof, di geologia, B. Università di Napoli. Cermen ATI Mario, Deputato al Parlamento, prof, di storia delle scienze natui-ali. B. Università di Boma. Cocchi Ioino, prof, di geologia, Firenze. De Lorenzo G-ihseppe, prof, di geografìa fìsica, R. Università di Napoli. IssEL A-RTURO, prof, di geologia, B. Università di Uenova. Pantanelli Dante, prof, di geologia, B. Università di Modena. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, B. Università di Torino. Strììver GtIO VANNI, prof. di mineralogia, B.. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Direttore del B, Istituto geografico militare in Firenze. Il Presidente della Società geologica italiana. Mazzuoli Lucio, Ispettore superiore. Capo del R. Corpo delle Mi- niere, Roma. Baldacci Luigi, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, Roma. Lotti Bernardino, Ing. capo ^ del R. Corpo delle Miniere. Direttore del B.. Ufficio geologico. Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Dir e sio ne: Ing. Mazzuoli Lucio, predetto. Ing. Baldacci Luigi, predetto. R. Ujficio Lotti Bernardino, di- rettore deirUfficio. Taccagna Domenico. Aichino G-io vanni, vi- ce-direttore. Novarese Vittorio. Sabatini Venturino. Franchi Secondo. Crema Camillo. PiLOTTi Camillo. j FiORENTiN Luigi. [ PULLÈ CrUIDO. geologico : [ Cassetti Michele. Aiutanti ) Tissi Enrico. principali j Moderni Pompeo. f Lusv^ergh Cesare (a). ArohivistiU Cozzolino Filippo. disegnatori) Aureli Amedeo. Ufficiali J CflAMMARCHI CrETULIO. I d’ordine ( Nocito Pietro. / Sparvoli Vincenzo ^ (preparatore presso il Uscieri \ laboratorio chimico- I petrografico). \ Salvatelli Filippo. Ing.’^' capi ( (a) Distaccato presso 1’ ufficio tecnico per la costruzione della nuova sede del Ministero di Agricoltura. IkB. sede del R. Ufficio GtEOLOGIco ,è in Roma, via Santa Susanna, n, 13. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia Serie Y, Voi. III. Anno 1912. Fascicolo 1*^ NOTE ORIGINALI I. C, F. PARONA • FOSSILI NEOCRETAGEI DELLA CONCA ANTICOLANA (2 tavole e 11 figure nel testo). Oggetto di questa nota è lo studio di una piccola fauna a rudiste raccolta dairing. C. Crema nei calcari della Conca anti- colana (provincia di Roma), nelFeseguire il rilevamento particola- reggiato di detta regione. Questa fauna si dimostra in prevalenza di età turoniana, e, data la presenza 6 relativa abbondanza degli esemplari della Sauvagesia Sharpei, si può attribuire al Turoniano inferiore (Ligeriano), piuttosto che al superiore (Angumiano). Tuttavia non si può escludere resistenza del Senoniano, per il fatto della presenza fra i fossili raccolti dalFing. Crema di altre forme ritenute spettanti a quest’ altro piano più recente del Cretaceo supe- riore. Ma, d’altra parte, l’uniformità litologica della serie dei calcari, la scarsità dei fossili, ed in particolare di fossili determinabili, rendono, se non impossibile, estremamente difficile il riconoscere e segnare i limiti fra i due piani Turoniano e Senoniano. Riguardo alle rudiste turoniane credo opportuno di notare, che i due Eoradiolites di Anticoli si trovanò anche nel lembo cretaceo di- Poggio Pannona, presso Apricena ad ovest del Gargano, già riconosciuto dal Ricciardelli E, poiché mi si presenta l’occasione di accen- nare al Turoniano di Poggio Pannona, noterò ancora che di questo gia- 1 M. Ricciardelli : Sulla costituzione geologica dei dintorni di San Severo. «Boll. d. Soc. g. I. )), XVII, 1898, pag. 168. C. F. PARONA cimento io ebbi in gentile comunicazione dal Museo di Firenze un esemplare di eccezionale grandezza di Durania, specificamente non determinabile, ma senza dubbio appartenente al gruppo della Diir, cornu-pastoris. Nella nota del Ricciardelli si accenna inoltre ad un vero JJippurites, il quale genere non è però rappresentato fra i fossili avuti in esame. Ritengo ad ogni modo fuori di questione l’età turoniana dal lembo di Poggio Pannona. Dato il piccolo numero delle rudiste, che costituiscono la fauna anticolana, non è il caso di estendersi in confronti con faune sin- crone di altre regioni e di trarne delle deduzioni. A conferma di- quanto ho esposto in altro lavoro posso tuttavia rilevare i rap- porti di affinità colle faune della parte meridionale della regione me- diterranea, Portogallo, Nord-Africa, in accordo col carattere deH’in- sieme della fauna turoniana-senoniana appenninica. Il Senoniano nella Conca anticolana è comprovato dalla presenza del Badiolites angeiodese della, Stromatopora Virgilioi Os., in quanto che il tipo di questo idrozoo appartiene appunto al Senoniano di Cimini (Acquaviva) nel barese. Di più, a prova della coesistenza del Turoniano col Senoniano, sta anche la circostanza, che, mentre il calcare con ru- diste turoniane manca od è povero di miliolidi, altri calcari litologica- mente identici abbondano invece di miliolidi trematoforate, come si os- serva altrove nei calcari senoniani, e come già rilevai in altre occasioni. Anzi, a questo proposito, posso notare che a sud di Cisterna di Turrita ed a Colle Vigli, il calcare contiene una fauna a miliolidi, con forme ben sviluppate di Idalina, Periloculina, Lacazina, Cuneolina, ecc., affatto simile a quella specialmente diffusa nel Senoniano della Provenza, della Spagna e da me riconosciuta in diversi giacimenti italiani. Posso ancora osservare che a Colle Vigli le lacazine (La- cazina compressa (d’Orb.) Mun. Ch.) si presentano con dimensioni ec- cezionali, di poco più piccole di quelle, assai grandi, del Senoniano superiore di Pian d’Aups, nella Catena della Ste. Baume in Provenza, ^ C. F. Paroma: Nuovi studii sulle Budiste deW Appennino (Radiolitidi). « Mem. R. Accad. d. Se. di Torino », T. LXII, 1911. FOSSILI NEOCRETACEI DELLA CONCA ANTICOLANA 3 come n .i fu possibile di verificare in confronto con esemplari raccolti dairing. Crema appunto in questa località. Ed è in questo calcare a miliolidi trematoforate, d’età più pro- babilmente sendniana che turoniana, che si trova un’ altro interes- sante fossile, e cioè una nuova forma di Chondrodonta affatto priva di coste e però affine alla più antica forma americana, Ch. glabra Stant., e ben distinta dalla Ch. Joannae Choff. e dalle altre forme costate. Rappresentano dunque il Senoniano i calcari con Stromatopora Vir- gilioi, Chondrodonta sellaeformis, Radiolitesangeiodes. Rad. spinulatus, ed il Turoniano i calcari con Eoradiolites coluhrinus, Eorad, cfr. liratus, Bournonia, sp., Sauvagesia Sharpei, Durania runaensis, Dur. Arnaldi. Stromatopora Virgilioi Osimo. (Tav. 1. fig. 1-6). 1910. — G. Osimo: Alcune nuove Stromatopore giuresi e cretacee della Sardegna e dell’ Appennino, «Mem. r. Acc. d. Se. », Torino, tomo LXI, pag. 289 (13), tav. II, fig. 2, 2^, 2^\ 2«. La signorina Osimo ha già fatto notare le rilevanti dimensioni, di 14 cm. di diametro maggiore, dell’esemplare di Cimino Acquaviva, nel barese, da lei descritto; ma l’esemplare di Anticoli (ad est della^ R. Oppietta), raccolto dall’ing. Crema, è ancora più voluminoso, pre- sentandosi come un corpo massiccio subsferico, schiacciato, irrego- lare col diametro massimo di 21 cm. circa (fig. 1). E’ dunque una delle più grandi stromatoporidi, e certamente il più grande idrozoo finora raccolto nell’Appennino. Il suo stato di conservazione permette di completare la de- scrizione data dalla signorina Osimo, in quanto riguarda i caratteri della superficie esterna, che non è conservata nell’esemplare raccolto- dal Virgilio a Cimino. La superficie, ben conservata, è ondulata, sinuosa, finissimamente punteggiata, con cavità più o meno profonde, irregolarmente distribuite, arrotondate, semplici, qualche volta binate od a gruppi, interpretabili forse, secondo l’idea espressa dalla 4 C. F. PAFOXA OsiMO, come gonoteche (fig. 2). Un sufficiente ingrandimento mette in evidenza gli sbocchi aH’esterno dei fitti canali radiali, che nel- rinsieme danno alla superficie l’aspetto punteggiato (fig. 3). Come già fu osservato per l’esemplare di Cimino, non vi sono vere astrorize regolari, ma le sezioni tangenziali dell’esemplare anticolano e me- glio ancora i caratteri della superficie (fig. 3 e 4) mostrano nell’in- treccio dei canali meandriformi, notato dalla Osoro, una tendenza ad accentrarsi appunto a guisa di astroriza. Del resto nei caratteri delle sezioni tangenziali (fig. 5), e radiali (fig. 6), gli esemplari di Ci- mino e di Anticoli si corrispondono in modo perfetto. Sopra un fianco, quest’ultimo esemplare (fig. 1), si presenta spezzato e lavorato dall’erosione, che ne ha posto in risalto la strut- tura interna e la sovrapposizione delle zone, le quali hanno un an- damento meno eccentrico, di quello che si osserva nell’ esemplare di Cimino, il che evidentemente consegue al fatto, che esso è una massa assai allungata, mentre quest’ altro esemplare ora descritto b subrotondo. Chondrodonta sellaeformis n. f. Il genere Chondrodonta fu istituito nel 1902 da Stanton^ in base alla presenza nella regione dell’apice di due apofisi legamentari a ■cucchiaio (chondrofori), una per ciascuna valva, riconosciute in due forme, nella Chondr. Munsoni (Kill) (genotipo) e nella Chondr. glabra Stanton, d’età precenomaniana (Sistema di Glen Rose), e que- st’ultima più antica dell’altra. Nello stesso anno //. Douvillé -, prendendo occasione dal lavoro dello Stanton, illustrava e precisava 1 Timothy W. Stanton; Chondrodonta, a new Genus of Ostreiform mol- lusks from thè Cretaceous, with descriptions of thè Genotype and a netv species. « Proceedings of thè U. S. Nat. Mnseum », voi. XXIV, 1902, pag. 301, tav. XXV e XXVI. 2 H. Douvillé : Sur le gerire Chondrodonta Stanton, «B. S. G. d. Fr. » (4), T. XII, 1902, pag. 314. — P. Choffat: Beo. d'étud. paléont. sur la Fanne Crétaciq. du Portogai, voi. I. (1902), pag. 157. FOSSILI NEOCRETACEI DELLA CONCA ANTICOLANA 5 con maggiore dettaglio i caratteri dell’apparato apofisario del gen. Cliondrodonta studiandolo su esemplari della Chondr. Joannae Chof- fat (Turoniano) e della Chondr. Desori [Coq.] (Cenomaniano), e con- cludeva coll’esprimere Topinione, che il genere appartenesse al grup- po dei mitilidi, piuttosto che a quello dei pectinidi, come aveva giudicato Stanton. L’esistenza e diffusione in Italia della Chondr. Joannae in orizzonte turoniani sono ormai note; e, col rilevamento geologico det- tagliato dei monti dell’Abruzzo, l’ing. Crema riconobbe altri giaci- menti di questo fossile, allo stesso livello sopra gli strati cenoma- C. F. PARONA \ niani ad JJimeraelites, oltre quello dei Monti d’Ocre, già fatto cono- scere, e la coesistenza nel Turoniano dello stesso Appennino abruz- zese e della Conca anticolana di un altra forma di Chondrodonta , ben distinta dalla Ch. Joannae, perchè affatto priva di coste e, per questo riguardo, assai affine alla Ch. glabra Stanton, dalla quale tuttavia si distingue, come risulta della descrizione che segue. Gli esemplari sono numerosissimi, ma tenacemente compresi nel calcare compatto, ed in generale sono visibili in sezione sulle super- fìci di erosione e di rottura della roccia e tuttavia ben caratteriz- zati dalla mancanaza sulle due valve delle pièghe, corrispondenti alle coste, distinte invece sulle sezioni della Ch. Joannae. Una sola valva, superiore, si presenta in condizioni da poter essere descritta. Valva sub triangolare, allungata nella regione posteriore dove è pianeggiante e stretta, e colFapice a forma di becco prominente, allar- gata nella anteriore e marcatamente selliforme nel senso trasversale con ampio lobo concavo ripiegato n basso su ciascun lato (fig. 1,2); sùperfìcie affatto liscia anche nella zona marginale, con linee di accrescimento poco distinte. Della valva inferiore si può dire che è conforme alla su- periore. Dei caratteri interni soltanto mi fu possibile di verificare che la cerniera è quella propria del genere, es- sendo riuscito con qualche taglio a mettere allo scoperto la sezione delle apofisi legamentari a cucchiaio, come ri- sulta dalFunita figura (fig. 3). Questa descrizione, per quanto incompleta, dimostra, ehe la n. f . è ben diversa dalla Chondrodonta Joannae Chofiat, ed alle differenze, che dipendono dalla completa assenza di coste e dalla con- formazione a sella delle valve, si può forse aggiungere quella di un maggior spessore del guscio delle valve. Notevole tuttavia è la somi- glianza che la valva descritta presenta con certi esemplari di Ch. Joannae illustrati da Choffat b per la spiccata forma a becco del- fìg. 3. 1 Choffat: op. cit., tav. Ili, fig. 14, 16, 17. FOSSILI NEOCRETACEI DELLA CONCA ANTICOLANA lapice. La mancanza di costolature e la conformazione stessa della valva la distinguono dalla Ghondrod. Bosei Wredenb. ^ Gli stessi caratteri che permettono di distinguerla facilmente dalle forme costate ravvicinano invece in modo evidente alla Chondr. glabra Stanton, della quale si direbbe un derivato evo utivo; e aggiun- gerei che la Ch. sellaeformis sta alla Ch. glabra, come la Ch. Joannae sta alla Ch. Munsoni (Hill). Il contorno subtriangolare e la confor- mazione a sella distinguono la nostra Ghondrodonta dalla più antica torma americana; ma forse non è da escludere che questi siano carat- teri individuali più che delle specie. E però soltanto quando meglio si conosceranno i caratteri delFuna e dell’altra, in base all’esame di numerosi e ben conservati esemplari, si potranno precisare le ca- ratteristiche differenze specifiche di queste due forme, di sedi così lontane e di età notevolmente diversa, albiana o aptiana l’ame- ricana e turoniana la nostra. Gli esemplari provengono da Colle Vigli, dai pressi, a Sud, di Trivigliano, e da Valle Mara presso il Pozzo di facciata fredda. Eoradiolites colubriniis n. f. Nei calcari a Rudiste del Cretaceo superiore appennino sono piuttosto frequenti certe forme cilindroidi, tortuose, costate, assai allungate ed esilissime. Queste forme dagli autori furono riferite al Radiolites lumbricalis d’Orb., che è un tipico Biradiolites, fino a questi ultimi tempi imperfettamente conosciuto. Infatti dice, Tou- CAS -, che « cette petite espèce a été décrite et figurée d’una manière tout à fait incomplete par d’Orbigny ». Ciò spiega l’errore commesso ^ E. W Vredenburg : Note on A Hippurite - hearing Limestone in Seistan and on thè Geology of thè adjoining Begion. « Ree. Geol. Surv. of India », 1909, voi. XXXVIII, tav. 16, fig. 2. — Id., Ghondrodonta Ròsei : a new species of fossil Lamellihranchs from thè Hippurite-hearing heds of Seistan. « Journ. and Proceedings, Asiatic Society of Bengal », voi. VI, 1910. ^ A. Toucas : Etud. sur le classificat. et Vévolut. des Badiolitidés. « Mém. S. Gr. d. Fr., Paléont. », Tome XVII, 1909 ; pag. 99, tav. XIX. 8 C. F. PARONA dagli autori coll’ attribuire alla specie orbigniana delle forme, che da essa differiscono per caratteri generici ed anche per la grande sta- tura ch’esse raggiungono Il Bimdiolites lumbricalis, quale risulta dalla illustrazione fat- tane recentemente anche da H. Douvillé se non manca al Tu- roniano dell’Appennino, vi dev’essere assai raro. Certo è che io non lo O riconobbi nelle collezioni finora avute in esame; studiando le quali, ho verificato che le forme cilindroidi, sottili, allunga- tissime suaccennate, non sono biradioliti, e vanno invece ripartite fra i generi Eora- ' diolites, Distefanella e Durania. Il genere Distefanella è già noto nelle sue diverse forme, ed in altra occasione ho fatto conoscere una forma assai allungata di Durania: ora descri- verò una nuova forma di Eoradiolites, pure caratteriz- zato dalle singolari esilità e lunghezza. Valva inferiore cilindroide, tortuosa, esile, allunga- tissima, costata. Le coste, una ventina all’ incirca, decor- rono longitudinalmente seguendo le sinuosità della valva; sono ineguali, più o meno sporgenti, acute, qua e là accompagnate da fini cordoncini. Nessun esemplare è completo e quindi non è possibile di rilevare le di- mensioni esatte ; ma, a dare un’ idea della sotti- gliezza e sviluppo in lunghezza della valva, bastano queste misure : esemplare di medio sviluppo, incompleto, spezzato ai due capi : lunghezza circa min. 120 larghezza all’estremità superiore circa ...» 20 E’ un radiolite, e più precisamente un’ eoradiolite considerando la situazione delle regioni sifonali secondo l’interpretazione del Dou- 1 C. F. Parona : Mem. cit., 1911, pag. 4 (276) e 12 (284). 2 H. Douvillé : Etud sur les Budistes. Budiste de Sicile, d'Algérie, d'‘Egy'pte,. du Lihan et de la Perse. « Mém. S. G. de Fr., Paléont. ». Tome XVIII, 1910,^ pag. 73, tav. I, fig. 5. Fig. 5. FOSSILI NEOCRETACEI DELLA CONCA ANTICOLANA 9 viLLÉ. Le sezioni trasversali (fig: 4, 5) mettono in evidenza il poco spes- sore del guscio compatto e resistenza della cresta legamentare, assai poco sviluppata, relativamente all’ampiezza del vano interno, sen- z’ altra traccia evidente dell’apparato cardinale. Il margine interno della sezione subcircolare del guscio presenta sul lato posteriore due leggiere sinuosità, che guidano a riconoscere la posizione delle aperture sifonale E, S; ad esse infatti corrispondono all’esterno due prominenze selliformi, più o meno evidenti, talora ben delimitate, bifide, subeguali e separate da un’interfascia incavata, o lobo. Una terza sinuosità interna è sempre più o meno distinta all’ avanti della sella anteriore, in coincidenza colla prima costa, o meglio col primo fascio di pieghe; di guisa che si avrebbe quel- l’insieme di caratteri sui quali il Douvillé istituì il suo n. g. Eoradiolites La valva superiore è imperfettamente conosciuta, ma dalle traccie che se ne hanno, si può argomentare ch’essa sia opercoliforme. Infatti un’esemplare parzial- mente scoperto dalla roccia presenta in sezione longi- tudinale il contatto delle due valve (fig. 6), e pare se ne possa dedurre, che la valva superiore sia concava e si innesti infos- sata entro il margine dell’apertura della valva inferiore. Questa nuova forma di Eoradiolites si trova anche nel calcare bianco ceroide, compatto di Apricena sul fianco occidentale del Gar- gano (fig. 5) (raccolta Ricciaedelli, Museo di Firenze). Gli esemplari provengono dalle alture ad Est di M. Arciano. Eoradiolites cfr. liratiis (Conr ). Si distingue dalla forma ora descritta essenzialmente perchè la sua valva inferiore è assai più breve, più robusta, meno tortuosa, ed inoltre per il maggior spessore del guscio e per la costolatura sui fianchi interrotta, ad intervalli irregolari, da lamine più espanse e più prominenti all’esterno. Fig. 6. 1 H. Douvillé, Op. cit., 1910, pag. 22. 10 C. F. PARONA Fig. 7. Il carattere dell’ ornamentazione, più che dal fianco degli esem- plari liberi più o meno erosi, si rileva dalle sezioni di quelli compresi nel calcare; risulta infatti costituito, sulla sezione trasversa (fig. 7, 8), da creste irregolari in larghezza ed altezza, separate da insenatura più o meno profonda. Le sezioni fanno notare un’altra differenza in confronto delF^^or. colu- brinus, ed è che la cavità si presenta subovale, col 'E diametro minore nel senso antero-posteriore. Sono evidenti le sinuosità sul margine interno del guscio, che segnano la localizzazione delle aperture sifonali E, S, analogamente a quanto si è descritto per la forma precedente. Mentre Y E or. colubrinus non si presta a confronti con altre forme congeneri, questa ora descritta si può dire strettamente affine, se non identica, sAVEorad. liratus (Conr.) ^ del Turoniano della Siria; se ne distingue alquanto, come mi risulta al con- fronto diretto coi ben conservati esemplari di E. li- ratus del Museo di Torino, per l’aspetto cilindroide e per il maggior sviluppo della conchiglia. Anche il Douvillé, che ebbe occasione di vedere un esemplare della forma di Anticoli, riconobbe la corrispondenza GoWEorad. liratus: tuttavia, in attesa che altri esem- plari, meglio conservati e liberi dalla roccia per- mettino un confronto definitivo, lascio per ora incerto il riferimento. Accennerò infine al fatto notevole della associazione di questa forma cóW Eorad. colubrinus anche nel calcare bianco-cereo compatto del giacimento suaccennato di Apricena. Fig. 8. ^ C. F. Parona : Badiolites liratus (Conr.) e A'pricardia Nótlingi Blanch, nel Cretaceo superiore della Siria. « Atti r. Acc. Se. Torino », 1909, voi. XLIV, tav. fig. 1-6 — H. Douvillé, op. cit., 1910, pag. 70, tav. I, fig. 2-4, ta- vola IV, fig. 6, tav. V, fig. 3 {Eoradiolites lyratus Conrad). Conservo il nome specifico come fu scritto da Conrad, perchè panni arbi- traria la correzione di liratus in lyratus, ritenendo che l’A. nel dare il nome siasi riferito, non a lyra, bensì a lira sinonimo di sulcus, d’onde esattamente liratus. FOSSILI NEOCRETACEI DELLA CONCA ANTICOLANA 11 UEorad. cfr. liratus si raccòglie al M. del Lago, presso la C. Lu- eatelli ed al convento dei Cappuccini. Rafliolites aiigeiodes (Picot de Lap.). 1781. — Ostracites angeiodes, Picot de Lapeirouse, Déscrijjtion de plusieurs nouvelles espèces d’ Orthoceratites et d' Ostracites, pag. 40, tav. XII e XIII. 1841. — Sphaerulites ventricosa, 0. Rolland du Roquan, Déscript. des coquilles fossiles de la famille des Budistes, qui se trouvent dans le terrain crétacé des Corhières, pag. 61, tav. VIII. 1847. — Radiolites angeiodes, A. d’Orbigny, Paléont. franQ. Terr. crét., tom. IV, pag. 206, tav. 549. 1908. — Radiolites angeiodes, A. Toucas, Etud. sur la Classific. et VEvolut. des Radiolitidés , Mém. S. G. de Fr., Paléont., tom. XVI, pag. 77, tav. VI, fig. 10-15. Questo radiolite fu già citato da qualche autore fra i fossili del Cretaceo delhAppennino, ed io stesso notai esemplari imperfetta- mente conservati del Barese ad es- so affini, ma sen- za poterne veri- ficare r identità specifica; e però non ho compreso questa specie nel- Pelenco recente- mente pubblica- to dei Radiolitidi deir Appennino. Ma ora posso dire che il Rad. angeiodes fa parte realmente della nostra fauna senoniana, perchè ho potuto convincermene disponendo di un piccolo esemplare completo ben caratterizzato (fig. 9), simile alla figura 2 della tav. XIII del Picot de Lapeirouse (Ostracites 12 C. F. P ARON A angéiode, dont la hauteur égale le diamètre, à valve inférieure cour- bée), ed in particolar modo somigliante alFesemplare rappresentato dal Rolland du Roquan colla fig. 4 della tav. Vili per il grande sviluppo e per la forma a cappuccio coll’apice eccentrico della valva superiore. Le due valve si dispongono di fatto come due coni opposti ricoprentisi esattamente per le basi ; quella inferiore più alta della superiore, l’una e l’altra con numerose coste longitudinali, dirette e subeguali nella valva inferiore, più o meno marcate ai margini e sfumanti assai prima dell’apice nella superiore. Le due fascie E, S, corrispondenti ai seni sono imprecisate, probabilmente perchè l’in- dividuo è giovane ; la cresta legamentare è manifesta sulla superficie di rottura della valva inferiore. Fu raccolta sulle falde N 0 del monte Pila Rocca verso Piglio. Toucas assegna il Rad. angeiodes alla base del Campaniano, al limite col Santoniano, vale a dire agli strati già antichi del Senoniano superiore. Radiolites spiniilatiis n. f. Valva inferiore cilindro-conica, arcuata, più alta che larga (altezza mm. 100 circa, larghezza massima mm. 54); irregolarmente arrotondata sui fianchi, e con appiattimento nella regione sifonale ; con strozza- ture profonde e trasversali a intervalli irregolari, numerose coste longi- tudinali sottili, diritte, quasi laminari, più o meno prominenti, più sviluppate e spaziate sul lato anteriore, più fitte e più piccole sul po- steriore, intersecate da fine pieghe di accrescimento ; esse portano con irregolarità di successione numerose e alte spine, che danno loro un insolito aspetto seghettato. La fascia sifonale^ è molto larga, evi- dentissima, depressa nel mezzo, sinuosa, senza coste, soltanto segnata trasversalmente dalle pieghe di accrescimento ; la posteriore S è assai più stretta e meno evidente ; sono separate dall’ interf ascia costi- tuita da due coste. Cresta legamentare a lamina robusta, prominente. Valva superiore leggermente convessa con apice subcentrale, decor- ticata e con scarse traccie dell’ornamentazione ; essa lascia allo sco- perto il margine boccale della valva inferiore che si presenta striato. FOSSILI NEOCRETACEI DELLA COJ^CA ANTICOLANA 13 Appartengono a questa forma quattro esemplari ; uno completo, quello descritto, (fig. 10), e tre frammenti di valve inferiori. Essa appartiene evidentemente al gruppo del Rad. angeiodes, avvicinandosi in modo particolare ai Rad. galloprovincialis Math. e Rad. praegal- loprovincialis Touc. per l’andamento subrettilineo delle coste, ma differendone per il fatto delle numerose spine, di cui esse sono prov- viste e per avere meno larga e meno ben individuata la fascia posteriore. L’aspetto spinoso, che con minor svi- luppo è manifesto anche nella forma dal Toucas attribuita al Rad. Gui- scardii (Pir.) si presenta assai evi- dente in quella dal Pirona riferita con dubbio alla Sphaendites Ponsiana d’Orb. e che verisimilmente appar- tiene invece allo stesso gruppo del Rad. angéiodes : anzi può darsi che la forma appenninica e quella friulana siano spe- cificamente identiche, ma non posso affermarlo specialmente perchè dalle figure risulterebbe che nella forma friu- lana la fascia sia più larga e distinta. Gli esemplari, raccolti presso la Madonna del Monte nel territorio di Piglio, furono cortesemente donati all’ Ufficio Geologico dal si- gnor Sabatino Santarelli, al quale si rinnovano i ringraziamenti. Bouriioiiia sp. n. f. Provvisoriamente attribuisco a questo genere un esemplare in- completo di valva inferiore incrostato da calcare ed eroso, per modo che non è possibile formarsi un’idea chiara dei suoi caratteri d’or- ^ A. Toucas : Op. cit., 1908, pag. 76, tav. XV, fìg. 6-9. ^ G. A. Pirona; Le Ippuritidi del Colle di Iledea nel Friuli. Mem. d. R. Ist. Veneto, Voi. XIV, 1869, pag. 20, tav. IL fìg. 8-9. Fig. 10. 14 C. F. PARONA namentazione: soltanto il lato anteriore, caratteristico per il suo appiattimento, è parzialmente libero e presenta qualche piega ot- tusa longitudinale e numerosi fini cordoncini, che decorrono nello stesso senso. L’appiattimento del lato anteriore, considerato come superficie normale di fissazione nell’età giovanile ed i caratteri della sezione lascian ritenere, che si tratti di una forma del genere Bournonia, se- condo i concetti diagnostici esposti da Douvillé. Infatti la sezione trasversale (fig. 11), subovale, troncata sul lato sifonale, manca assolutamente di cresta legamen- tare, mostra un guscio di notevole spessore, compatto, con striatura radiale poco evidente, ed al- l’esterno della regione sifonale una costa prominente, che separa una poco profonda insenatura anteriore, corrispondente afi’apertura sifo- nale E, da una prominenza posteriore corrispondente all’ apertura sifonale S. Per tali caratteri questa forma si avvicina alla Bournonia Four- taui Douv. ^ del Turoniano di Egitto, differendone per la poca pro- fondità delle due insenature della regione sifonale e per la fine co- stelline arrotondate dei fianchi, che risultano chiaramente sul mar- gine della sezione trasversa. Fu raccolta nel versante N E di M. Radicoso. Saiivagesia Sharpei (Bayle). 1886-1902. — Sauvagesia Sharpei. Choffat, Recueil. d'étnd. paléont, sur la faune crei, du Portugal (Trav. géol. du Portugal), voi. I, pag. 29; tav. II, III, IV, fig. 1; tav. Vili, fig. 14. ^ H. Douvillé, op. cit., 1910, pag. 24, 25 e 49, tav. Ili, fig. 8. FOSSILI NEOCRETACEI DELLA CONCA ANTICOLANA 15 1909 — Sauvagesia Sharpei, Toucas, Etud. sur la classific. et l’évol. des Radiolitidés, «Mem. S. G.d. Fr., Paléontologie », Tom. XVII, pag. 88, tav. XVII, fig. 5-7. A questa specie, già da me riconosciuta nell’ Appennino nei calcari Turoniani dei monti di Caserta, dei monti d’Ocre (Aquila) e di S. Benedetto presso Subiaco, riferisco numerosi esemplari (valve in- feriori) di Anticoli, assai mal ridotti da rotture e dall’erosione, ma tuttavia, quattro specialmente, riconoscibili nei caratteri dell’ap- parato cardinale, della struttura del guscio e dell’ornamentazione esterna. Questi esemplari provengono dalle falde NO di M. Pila Rocca, verso il Piglio, e da M. Civitella (base del versante S) e dalle falde occi- dentali di C. Stefano. Burania runaensis (Choffat). (Tav. II flg. 1-5). 1901 — Biradiolites Arnaudi var. runaensis et var. expansa, Chof- FAT, Recued d’étud'. paléont. surla faune crét. du Portugal (Travaux; géol. du Portugal), voi. I, pag. 142 e 144, tav. Vili, fig. 1-8, 9-12. 1909 — Sauvagesia Arnaudi, var., A. Toucas, Et. s. la classi/, et Vévol. des Rad., Mém. S. G. de France, Paléont., tom. XVII^ pag. 93, tav. XVIII, fig. 6, 7. Choffat considera questo radiolitide del Turoniano di Runa, come mutazione o forma atrofizzata del suo Biradiolites (Durania) Arnaudi, dal quale differisce per le coste più distanziate, alternate ed ottuse, per l’interfascia ridotta ad una sola costa, e per la debolezza o scomparsa completa dell’ornamentazione delle fascie. Questi ca- ratteri sono appunto manifesti negli esemplari incompleti di valve inferiori della collezione in esame, uno dei quali trova un perfetto riscontro nella figura 1 (forma tipo) di Choffat, anche nell’aspetto della sezione trasversale. Un’altro esemplare, raccolto alle falde NO di M. Pila Rocca verso il Piglio, merita particolare menzione per la bella conservazione e^ 16 C. F. PAEONA per certe sue particolarità. (Tav. II, fig. 1-5). E’ una valva inferiore di notevole grandezza, mm. 100 di altezza, min. 65-70 di diametro all’ apertura, e somiglia assai alla forma che Choffat sin dal 1891 (Crétacique de Torres-Vedms, p. 214) distinse come Biradiolites Eu- naensis « variété évasée ». I due seni sono assai larghi e di poco più ampio l’anteriore E, concavi e con lievi traccie di fine costolature; la costa che li separa è assai prominente; il fianco porta quattro coste, successive alla fascia 8, che sono ben sviluppate e distinte, e nel resto è percorso da pieghe irregolari longitudinali, irregolarmente troncate dalle lamine trasversali, ineguali e più o meno sporgenti. Il margine dell’apertura è ampio, concavo e crestato all’ esterno, salvo in corrispondenza dei seni, dove si restringe assai, presen- tando una forte angolosità in coincidenza della interf ascia. Già Douvillé 1 accennando all’ affinità della D. runaensis con la D. Dacqué, ha notato che tuttavia le due forme si distin- guono, poiché il guscio alla fascia E nella D. runaensis non è cosi estremamente sottile come nella D. gaensis, della quale costituisce in- vero una caratteristica. Durania Arnaiidi (Choffat). 1901 — Biradiolites Arnaudi, Choffat, Ree. d’ét. paléont. sur la Faune crét. du Portugal, pag. 138, tav. VI e VII. 1905 — Biradiolites Arnaudi, C. F. Parona, App. p. lo stud. del Cret. sup. nelV App., « Boll. S. G. Ital. », voi. XXIV, pag. 655. 1909 — Sauvagesia Arnaudi, A Toucas, Et. s. la class, et Vévol. des Rad. «Mém. S. G. de France, Paléont. », tome XVII, pag. 93 (part.) fig. 60, tav. XVIII, fig. 1-5. 1910 — Durania Arnaudi, H. Douvillé, Rud. de Sicile, d' Algerie, d' Egypte, ecc., Ibid. tome XVIII, pag. 50, tav. Ili, fig. 1. Sono cinque gli esemplari di valva inferiore che ritengo riferibili a questa forma strettamente affine alla Dur. cornupastoris (Des. M.), ma tuttavia facilmente distinguibile, e che ne confermano la presenza IH. Douvillé, op. cit., 1910, pag. 50. U. M. S’ SJtaCa. Vol. XLIII c. F. PARONA - Foss. cret. d. Conca Antic, E. Forma fot, Off. Fototecnica Ing Molfese - Torino >,oU. H. <2ow. Seoi. a’ Italia. Vol. XLIII c. F. PARONA - Foss. cret. d. Conca Antic. T. 11 Off. Fototecnica Ing. Molfese - Torino FOSSILI NEOCRETACEI DELLA CONCA ANTICOLANA 17 nel Turoniano dell’ Appennino, già da me notata nel 1905. Tutti, ed in particolare due meno incompleti e meno deformati da pressioni, per il grande sviluppo delle coste minori, ed anche per le dimensioni somigliano assai alla fig. 1 e, senza presentare la torsione a spirale, alla fig. 9 della tav. VI di Choffat. Queste valve furono raccolte alle falde del M. Pila Rocca verso il Piglio. DESCRIZIONE DELLE TAVOLE. 1. Stromatopora Virgilioi Osimo. Fig. 1. — Esemplare impicciolito (diametro massimo, in grandezza naturale, cm. 21), » 2. — Aspetto della superficie in grandezza naturale. » 3. 4. — Aspetto della superficie in grandezza doppia. » 5. — Sezione tangenziale (x 10). » 6. — Sezione radiale (x 10). IL Fig. 1-3. Durania runaensis (Chofiat). 2 II. RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ANNO 19111 I. Ing. B. LOTTI UMBRIi. Foglio I3I (Tav. Bevagna). A scopo di contributo per la risoluzione del problema strati gra- fico relativo alla età della formazione arenaceo-marnosa delFUmbria furon fatte dallo scrivente nella decorsa campagna nei dintorni di Bettona e di Deruta alcune escursioni di cui si espongono qui i princi- pali risultati. L’arenaria dei dintorni di Bettona e di Deruta è del solito tipo eocenico e racchiude qualche strato di calcare marnoso, tipo alberese^ che presso la Molinella è stato scavato per cemento. Nell’alto del Rio Grande queste arenarie dominano quasi esclusivamente e sono in grossi banchi regolari, molto inclinati ed intercalati da sottili strati di scisti argilloso-arenacei e di marne simili a quelle a pteropodi di altre parti dell’Umbria, le quali poi predominano in basso fino a di- venire esclusive. In alto invece le arenarie passano a conglomerati nei quali si osservano ciottoli di calcare nummulitico insieme ad altri di rocce cristalline probabilmente arcaiche. Il calcare nummulitico di questi ciottoli sembra quello della scaglia, e ciottoli di questa si osser- vano infatti nel conglomerato stesso. La presenza di ciottoli di calcare nummulitico in questo conglo- merato strettamente collegato all’arenaria sembrò a taluni un argo- mento decisivo per escludere l’età eocenica di questa e delle marne 1 Preparata per la riunione di giugno 1912 del R. Comitato geologico. 20 ING. B. LOTTI associate, ma contro tale affermazione giova osservare che un conglo- merato analogo, formato esso pure di ciottoli cristallini e nummuli- tici, si ritrova a Mosciano presso Firenze, associato indissolubilmente air arenaria 'di. quei dintorni, ben determinata come eocenica dalla sua posizione sotto ai calcari nummulitici del Bartoniano. (A. Mar- tèlli : Ciottoli di rocce cristalline nelVEocene di Mosciano presso Firenze. «Ann. Ist. di studi sup. ecc. », Firenze, 1909). Il conglomerato di Deruta e di Bettona adunque, lungi dal dimo- strare l’età miocenica della formazione arenaceo-marnosa dell’Um- bria, può essere invocato, per analogia, in appoggio della sua età eo- cenica. D’altronde poi io feci notare altrove («Boll. B. Comit. geol.», 1900) che in un terreno corrispondente, a breve distanza, presso Mar- sciano, una puddinga con grosse nummuliti autigene racchiudeva ciottoli di un calcare con piccole nummuliti. Foglio 131 (Tav. Foligno). Proseguendo il rilevamento della tav. di Foligno venne esaminata la sezione della valle del Renare che taglia la serie normalmente alla direzione dei terreni. Incominciando dallo sbocco della valle presso Uppello si osserva il passaggio graduale della formazione arenaceo-marnosa alla scaglia argillosa per mezzo di quelle marne dure listate di selce nera che ca- ratterizzano quasi dappertutto nell’Umbria questo passaggio. Risa- lendo la valle si passa dalla scaglia argillosa alla rossa senoniana, quindi agli scisti a fucoidi dell’Aptiano presso il castello medioevale di Sasso Vivo, poi al calcare con selce neocomiano nel M. Serrone. Sotto a questo terreno, come sempre notevolmente sviluppato, se- guono successivamente: una zona non molto potente di calcari selci- feri sottilmente stratificati, con scisti e diaspri varicolori ad aptici, rappresentant 3 nel complesso il Giurassico superiore e medio; altra zona ancora meno potente di scisti e calcari marnosi del Lias supe- riore e finalmente presso Casale e nel M. Aguzzo i calcari marnosi con selce del Lias medio e il calcare bianco ceroide del Lias inferiore. La serie conserva un’inclinazione regolare verso ovest. RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ ANNO 1911 21 Foglio 123 {Tav. Gualdo Tadino). Nella tav. di Gualdo Tadino si ha la stessa serie e una disposi- zione tettonica dei terreni analoga a quella della tavoletta contigua di Nocera Umbra che fa seguito a sud e sulla geologia della quale fu riferito dallo scrivente nell’anno decorso (/ monti di Nocera Umbra^ «Boll. R. Comit. geo!.», 1911). La linea di spartiacque dell’Appennino che, come dissi allora, aveva seguito ranticlinale Colfiorito-M. Finiglia, volgendo ad angolo retto al M. Finiglia stesso penetra neiranticlinale più occidentale che da Annifo in quel di Nocera va verso nord fino al M. Maggio, passando pei monti Penna e Serrasanta presso , Guai do Tadino. La massa principale di questa anticlinale-spartiacque è formata dal cal- care con selce neocomiano fiancheggiato dalla zona degli scisti a fu- coidi e dalla scaglia. Dove essa è intagliata da valli trasversali lascia vedere un’ossatura di terreni più antichi, da quelli del Giurassico su- periore a quelli del Lias inferiore. Cosi nella valle di Capo d’Acqua, a sud di Gualdo, si affacciano in finestra i calcari verdastri selciferi con aptici e i diaspri variegati del Giurassico superiore e medio, e certi calcari marnosi probabilmente del Lias superiore. A Gualdo nella valle del torr. Feo questi terreni giurassici sono ancora più svilup- pati e sotto ad essi comparisce il Lias medio e il Lias inferiore. Sulla costa destra del torr. Feo la parte superiore del Lias inferiore è for- mata da un calcare roseo pieno di fossili, specialmente ammoniti e terebratule. Il prof. Parona, che fece un esame sommario dei cam- pioni inviatigli, trovò che essi corrispondono, perfettamente nel ri- guardo paleontologico e quasi perfettamente nel riguardo litologico, al calcare dolomitico del Lias inferiore con Arietites solarioides della regione Vallestrina (Castel del Monte) sotto il Gran Sasso («Boll. R. Comit. geol. », 4, 1908). Nel M. Maggio a nord di Gualdo il Neocomiano circonda uno spuntone di calcare del Lias inferiore sovrapponendosi ad esso diret- tamente, salvo che per un breve tratto a SO nella valle di Vaccara, dove fra i due terreni interponesi un lembo di calcari e scisti ad aptici del Giurassico superiore e medio. 99 IXG. B. LOTTI L’anticlinale dello spartiacque viene interrotta da una sinclinale trasversale appuntp presso il M. Maggio, intorno al quale, sul lato nord, i terreni son disposti a mantello. Questa sinclinale abbassa la catena a soli 750 m. e di tale abbas- samento approfittaTio la ferrovia Roma-Ancona e la strada provinciale per valicare l’ Appennino. Appena due chilometri più a nord ranticlinale risorge nei monti Testagrossa e Cucco, deviando alquanto verso ovest, ed è formata anch’essa in massima parte dal calcare con selce neocomiano rivestito lateralmente dagli scisti a jucoidi e dalla scaglia. L’anticlinale di Gualdo Tadino come quello di Annifo, di cui rap- presenta la continuazione, è ribaltata verso est, per cui in tutto il lato orientale della catena, lungo le valli longitudinali di Campodonico e di Serradica, la serie dal Neocomiano alla scaglia superiore o cinerea è completamente invertita. Anche nei dintorni di Gualdo Tadino, dove non è coperta da depositi più recenti, vedesi la formazione marnoso-arenacea far pas- saggio graduato alla scaglia superiore. Punti importanti per osser- vare questo passaggio sono la Madonna del Prato presso Sigillo e Fossato di Vico. Foglio 123 {Tav. Padiile). Il rilevamento della decorsa campagna si estese anche ad una parte della tavoletta di Padule, contigua a quella di Gualdo verso est. Esso ebbe lo scopo specialmente di studiare i rapporti stratigra- fici fra la formazione marnoso-arenacea e le argille scagliose con rocce ofiolitiche attribuite per consenso quasi unanime all’Eocene. Come lo scrivente già pubblicò nel «Bollettino della Società geologica ita- liana» (voi. XXX, fase. 3, 1911), le argille scagliose nella valle della Rasina e del Chiascio, presso Schifanoia, e in quella dell’Acquina, presso Gubbio, sono disposte in sinclinale sulla formazione arenaceo- marnosa con pteropodi e foraminifere di specie attribuite al Miocene medio, e sono quindi indubbiamente d’età più giovane. RELAZIONI PEELimNARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ ANNO 1911 '2H Agli argomenti addotti in quella nota possono aggiungersi le seguenti osservazioni locali. Presso Montecchio si osserva la estremità sud della sinclinale delle argille scagliose del Chiascio che termina in coda sulla formazione marnoso-arenacea. Il passaggio avviene per mezzo dei seguenti strati dall’alto al basso e da ambedue i lati della sinclinale: a) scisti argillosi rossi e verdastri; b) marne grigie con calcari verdastri in strati sottili; c) scisti argillosi e calcare alberese; rJ) scisti argillosi con straterelli arenacei: e) marne con banchi d’arenaria; /) calcari con LepidocycUna, ecc.; g) formazione marnoso-arenacea. Sotto le balze di S. Giorgio e della Lama, fra C. Castalda e Schifanoia, si vedono le argille scagliose della stessa sinclinale del Chiascio cuoprire piccoli affioramenti della formazione marnosa, mentre nè al piede delle balze stesse, nè in alcuno dei numerosi e pro- fondi solchi scavati nella formazione marnoso-arenacea si vedono affiorare le argille scagliose. Sotto Col d’Orto a S 0 queste argille compariscono sulla groppa d’una collina costituita dalla formazione marnoso-arenacea. Ad ovest della Romita il contatto tra le due formazioni è ben caratterizzato dalla sovrapposizione delle argille scagliose aH’arenaria della formazione marnosa-arenacea, e tra la Romita e C. il Monte le argille scagliose stendonsi sui ripiani di colline costituite dalla forma- zione stessa. Un curioso fenomeno, che forse potrà dare la chiave per la riso- luzione di questo problema dell’Umbria, è offerto in questi dintorni da una roccia conosciuta sotto il nome di conglomerato di Schifanoia, di cui molti autori, fra i quali Verri, De Stefani, Bonarelli ed altri, hanno già fatta menzione. E’ questa roccia formata da arenaria gros- solana e da puddinga i cui elementi provengono in parte da rocce della formazione marnoso-arenacea, in parte dalle argille scagliose. Essa è zeppa di Pecten tra i quali prevalgono due specie che il Parona 24 ING. B. LOTTI riferì olV Aequi'pecten scabrellus Lk. (colla varietà elongatula Sacco) specie del Miocene superiore e del Pliocene, e al Pecten Jesslingi Sniith (gruppo del P. subhenedictus Pont.) specie del Langhiano e dell’Elve- ziano. Questa roccia oltreché presso Schifanoia, si ritrova, sia sotto forma di conglomerato sia sotto forma di calcare a Pecten in vari altri punti di questi dintorni, ma sempre in lembi isolati sulla for- mazione marnoso-arenacea o sulla linea di separazione fra questa e le argille scagliose; mai comparve finora sulle argille scagliose. L’origine, l’età e la posizione di questa roccia appariscono adunque a primo aspetto un po’ enigmatiche. Intanto però, quanto alla origine e all’età, è certo che questo conglomerato è stato fatto a spese tanto della formazione marnoso-arenacea, quanto delle argille scagliose, quindi è più giovane di ambedue queste formazioni ed è probabile che questi lembi fossiliferi siano veramente miocenici e che rappre- sentino residui di un terreno più giovane che cuoprì un tempo tanto la formazione marnoso-arenacea quanto le argille scagliose. La ragione per cui oggi non ne troviamo traccia sulle argille sca- gliose deve riconoscersi probabilmente nello sconvolgimento e nella denudazione che queste subirono, per cui il terreno più giovane che vi riposava sopra dovette sparire, mentre si conservò sulla più salda formazione marnoso-arenacea. Resta però sempre il fatto che questa formazione marnoso- arenacea con strati marnosi a pteropodi e gasteropodi e con calcari a Lepidocy cline, Ampìiistegine, ecc., fossili ritenuti del Miocene medio da alcuni, dell’Oligocene da altri, è più antica delle argille scagliose con serpentine. Per conseguenza, o queste argille scagliose sono esse pure mioce- niche, o la formazione marnoso-arenacea è eocenica. Il primo corno del dilemma non pare ammissibile, mentre molti fatti stanno in ap- poggio della seconda soluzione. 2. Ing. D. ZACCAGNA TOSCANA. Foglio 97 (S. Marcello Pistoiese). E’ noto che in Val di Lima a monte dei Bagni di Lucca, fra le roccie eoceniche esiste un largo affioramento di roccie secondarie, che la Lima taglia prof ondamente fra Lucchio e Palleggio. Il nucleo di questo lembo secondario è formato da roccie liassiche le quali, fortemente raddrizzate, lasciano apparire lungo la Lima, alle Strette di Còcciglia, degli straterelli di calcare marnoso, scistoso variegato, il cui aspetto è assai diverso dalle solite roccie liassiche della To- scana. Esse però vennero attribuite a quella formazione dietro al- cune traccie di ammoniti che il Lotti raccolse negli strati calcari immediatamente soprastanti agli scisti marnosi varicolori, ai quali fanno passaggio. Lungo la Lima, al Balzo Lezze ed al Poggio di Gasoli che vi sta di fronte, sopra queste roccie si stende una massa considerevole di calcare dolomitico e cavernoso, perfettamente identico a quello che nelle vicine Alpi Apuane occupa la base del Retico. Questo calcare e l’aspetto particolare degli scisti sottostanti a cui abbiamo accennato rendevano esitante lo stesso Lotti nel collocare nel Lias la formazione scistosa ed anche, conseguentemente, il calcare cavernoso che vi so- vrasta. Tuttavia la serie venne così ordinata in attesa che altre os- servazioni stratigrafìche ed altri fossili meglio conservati di quelli raccoltivi, venissero a risolvere definitivamente i dubbi che rimane- vano al riguardo. In una prima visita fatta a questa località nel 1896, constatai io pure la perfetta somiglianza del calcare cavernoso della Val di Lima con quello retico delle Alpi Apuane. Al Balzo Lezze anzi non mancano neppure gli strati di calcare compatto con letti scistosi o 26 ING. D. ZACCAGNA banchi di calcare grigio con venature giallo-ocracee; appunto come si t ’ova nella serie caratteristica deH’Infralias. Si aggiunga poi che rimontando la costa del Prato Piorito, dalla Scesta al Pian di Luco, sopra al calcare cavernoso, la serie liassica molto sviluppata su questo iato sinistro del vallone presentasi con dei calcari grigi e rossigni com- patti che mi sembrò potessero rappresentare il Lias inferiore; con calcari grigi stratiformi selciferi, aventi cioè la facies abituale del Lias medio; infine con dei calcari marnosi scistosi a Pos. Bronni del Lias superiore che giungono all’altezza del Pian di Luco. Restava cosi meglio avvalorata l’idea che il sottostante calcare massiccio e cavernoso dovesse veramente rappresentare il Retico; ed era quindi ammissibile il dubbio che i calcari grigi a sottili strati sottostanti al calcare cavernoso e gli scisti marnosi variegati occupanti il punto più profondo della formazione, dovessero riferirsi a qualche piano del Trias superiore, ad esempio, al Raibliano, che nelle Alpi setten- trionali si presenta spesso con quelle forme litologiche. Da ciò l’op- portunità dello studio stratigrafico intrapreso la scorsa estate, rile- vando nuovamente con cura diligente la maggior parte di questo gruppo secondario. Risulta da questo studio che il calcare cavernoso affiorante sulla destra della Scesta sotto ai calcari grigi e rossigni della costa di Pian di Luco, è rappresentato da una massa conformata a cuneo, termi- nante sul fondo del torrente; ma poggiante a sua volta sopra calcari grigi e rossigni stratiformi in continuità con quelli che vi stanno al disopra. Xel Balzo Lezze che sta fra la Scesta e la Lima, la massa del calcare cavernoso è maggiormente potente; e diviene potentissima, sulla sinistra della Lima, nel M. Memoriante; dove raggiunge oltre 1000 m. di spessore. Viceversa, il calcare con selce sovrastante al ca- vernoso, rappresentante la forma normale del Lias medio, la quale predomina nella falda sottostante al Pian di Luco, al M. Memoriante esiste bensì, ma è ridotta ad un’esigua cintura che sale dalla Valle- magna sulla Lima al colle Romitorio. Sembra quindi doversi con- cludere che il calcare cavernoso ed il calcare grigio e rossigno con selce siano due forme litologiche complementari, entrambe da attribuirsi HZLAZIOXI PRilLIAIIXAEI SULLA CAAIPaGXA GEOLOGICA DELL. ANNO UU 1 alla formazione del Lias medio, come già opinava il Lotti. La loro equivalenza resta però stabilita dal fatto che i calcari stratiformi delle Strette di Còcciglia sono quegli stessi che si ritrovano sul fondo della Scesta, e che sottostanno tanto al calcare cavernoso di questo vallone che a quello di M. Memoriante. Si tratta adunque di un grande cuneo di calcare cavernoso che ha il suo massimo spessore al M. Me- moriante. e va a terminare nel vallone della Scesta, in seno ai cal- cari del Lias medio a facies normale, dei quali è una forma laterale. I calcari inferiori che, come abbiamo notato, dove termina la massa cavernosa sono in continuità con quelli soprastanti, possono appartenere ancora al Lias medio, ma anche far passaggio al Lias inferiore in un cogli scisti variegati sottostanti: come appunto ac- cennerebbero le traccie dei fossili raccoltivi. Le risultanze dello studio stratigralico e dello studio paleontologiet) sono quindi le stesse e si confermano reciprocamente. Nelle stesse escursioni venne pure rilevata a nuovo gran parte della formazione giurassico-infracretacea che si sovrappone a quella liassica, risolvendo alcime incertezze che ancora restavano verso la parte orientale, per la somiglianza delle forme litologiche che affetta la zona degli scisti a Pos. Broiini con quella diasprina del Tit onice, separante il calcare giurassico dal neocomiano. Così anche in questa formazione vennero messe in evidenza alcune nuove movenze tet- toniche. Inline nei depositi di Quaternario antico, che si presentano ter- razzati a varie altezze sulle roccie secondarie ed eoceniche, ho creduto riconoscerne alcune che hanno carattere nettamente morenico, e che vanno distinte da quelle di origine alluvionale, colle quali si trovavano confuse. Secondo me dovrebbero ascriversi al morenico le masse cao- tiche di ciottoli e minuto detrito di macigno che coprono i ripiani di Pian di Lago, quelle di Palleggio, del Lago di Gasoli e del Poggio Cor- bitoro. ]Ma per completare questa distinzione occorrerebbe estendere le osservazioni oltre al campo di quelle che ho potuto fare nella scorsa campagna. 28 ING. D. ZACCAGNA Foglio 96 {Massa). Nelle Alpi Apuane, oltre a varie revisioni di secondaria impor- tanza, ho creduto necessario ritornare sulhesame del problema stra- tigrafico-paleontologico che si presenta sul versante Nord, relativo alla presenza di calcari con Nummulitidae o vere Nummuliti fra gli scisti del Trias superiore. Rammento qui le tre località in cui l’inserzione di questi calcari si presenta : ai Giovetti sotto Monte Tonterone, ai Prunacci presso Camporgiano ed alla Costa dei Cerri presso Minucciano. In tutte e tre le località i lembi nummulitici trovansi nella zona triassica a poca distanza dal soprastante calcare cayernoso retico; e ciò senza che ap- pariscano discordanze o disturbi stratigrafici. Ciò nonostante, se veramente si trattasse di nummuliti eoceniche, si potrebbe ammet- tere per le due prime località un’inserzione meccanica dei calcari nummulitici fra gli scisti verdi e rossi sericitici del Trias, che potreb- bero anche in parte riferirsi allo stesso piano eocenico. Ma per la Costa dei Cerri le cose si presentano sotto un aspetto meno facile a fornire una soluzione razionale. Anche qui gli strati calcari con nummuliti e se- zioni di, crinoidi si trovano subito sotto al Retico accompagnati dai soliti scisti verdastri. Ma questi stessi scisti e gli strati di brecciole e cal- care screziato si prolungano per qualche chilometro rimontando la valle del Serchio sino all’Orto di Donna; e formano anzi una stessa cosa coi calcari a liste di selce che ivi danno luogo a pieghe ripetute tra gli scisti ..triassici e le due zone marmoree del Pizzo d’ Uccello e del Pisanino, serbando in tutto il percorso perfetto parallelismo e con- tinuità di formazione. Ma vi ha di più: alla Costa dei Cerri quegli stessi calcari alternanti cogli scisti rossi e verdastri incurvandosi, si abbassano verso N per passare colla più grande regolarità sotto al calcare retico. Il problema è quindi stratigraficamente insolvibile. Si potrebbe tutt’al più ammettere, in via conciliativa, che i primi banchi di brec- ciola a nummuliti sotto al Retico possano appartenere veramente all’Eocene, mentre gli altri dovrebbero ascriversi indubbiamente al RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ ANNO 1911 29 Trias superiore. Ma è questa una soluzione ancora incerta ed arbi- traria; poiché questi banchi sottostanti trovansi in associazione cogli stessi scisti, hanno facies perfettamente identica a quella del solito nummulitico e presentano, apparentemente, le stesse traccie di fos- sili. Uno studio al microscopio accurato e metodico di queste roccie in vista di scoprirvi le d Gerenze fra gli organismi che possono pre- sentare i banchi più alti e quelli più profondi della brecciola calcare, potrebbe forse dar norma per risolvere questo problema che attende ancora una soddisfacente spiegazione. Fra le diverse pieghe formate da questi j calcari screziati e scisti verdastri del Trias all’Orto di Donna, una ve n’ha che prende na- scimento da una larga roccia sorgente per pochi metri al disopra del fondo del Serchio, detta sul luogo la Tecchiola. Essa è formata da scisti verdastri più o meno dia sprizzati, i quali avvolgono la cerniera della piega, che ha per nucleo i calcari grigi- selciferi. La roccia è par- ticolarmente interessante, perchè ha il dorso totalmente arrotondato e striato, portando essa le traccie più evidenti del passaggio d’un ghiacciaio, sì da costituire uno dei più splendidi esempi di roccia moutonnée. Questa roccia striata venne da me osservata fino dal 1884; ma tornando ora in quel luogo, vidi con rincrescimento che dopo l’apertura delle cave marmoree da alcuni anni esercite dalla Società Nord-Carrara, la Tecchiola veniva manomessa utilizzandone il ma- teriale per l’inghiaiatura della strada dei carri. Sono lieto però di aver potuto, almeno per ora, dietro le pratiche fatte presso la Direzione di quella Società, sottrarre alla distruzione quel magnifico documento a conferma della esistenza dei ghiacciai nell’Alpe Apuana, che però merita di esser difeso con maggiore efficacia. 3. Ing. V. NOVARESE ALPI OCCIDENTALI. Foglio 61 (Pinerolo) . La revisione mirava a riempire una lacuna rimasta nell’alto del valloncino Garnier, in Val Chisone, fra la valle della Germanasca ed il vallone Borsetto, ed a collegare i rilievi fra la sinistra del Chisone sopra Roure con quelli delFarea compresa nell’angolo formato da Germanasca e Chisone fin sopra Ferrerò. Questo territorio, sebbene ristretto, è di una grande importanza, perchè sopra uno spazio limitatissimo si susseguono, da valle a monte, la formazione grafitica di vai Chisone, gli gneiss e micascisti del mas- siccio Dora-Valmaira, e la serie mesozoica di calcescisti e pietre verdi, che in quel punto tutti insieme mutano bruscamente direzione da N-S in E-W. L’alto valloncino Garnier è importantissimo perchè in esso af- fiora la prosecuzione, con direzione ancora N E e pendenza non molto forte (300) verso W, di quell’orizzonte di banchi di calcari cristallini associati a lenti di talco, che, con brevi interruzioni, si può seguire dalla valle del Pellice (Vallone Subiaschi) attraverso la vaile Germanasca (Nido deh’ Orso, Sapatlè, Rocca Bianca, Malzas, Fontane, Maniglia) per l’alto vallone Garnier fino a quello di Borsetto. Oltre questa loca- lità esso scompare per un tratto abbastanza lungo il quale corrisponde alla valle del Chisone, ingombra di masse detritiche che mascherano la roccia, per riapparire potentissimo sulla sinistra del fiume, ma molto in alto, alle note cave della Roussa nel vallone della Balma, e prose- guire ancora nelle valli di Giaveno e di Susa. Questi calcari, saccaroidi e talora pariacei, sempre più o meno magnesiaci, sono costantemente racchiusi negli gneiss e micascisti RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’aNNO 1911 ‘Sì del massiccio Dora~Valmaira, e spesso vicinissimi alle masse di gneiss ghiandone che esso contiene. Nello stesso valloncino Garnier, presso le case Bernard, s’incontra ancora una grossa lente di tale gneiss, ap- poggiata agli gneiss grafitici e sottostante ai micascisti granatiferi che racchiudono l’orizzonte calcare. Questa lente di gneiss ghiandono è certamente il punto estremo settentrionale dell’allineamento che in Val Germanasca sale da Trussiere per San Martino al Colle Buffa ^ Appare assai probabile che il lunghissimo allineamento di lenti calcaree, associate al talco anche nel valloncino Garnier, dove esi- stono ricerche, formi un orizzonte abbastanza continuo ed in po- sizione costante, nel qual caso le irregolarità del suo andamento, e le frequenti interruzioni e raddoppiamenti che risultano dalla carta rilevata, sarebbero un indizio di forti complicazioni nella tettonica interna del massiccio Dora-Valmaira, complicazioni d’altronde indi- cate anche dai singolari andamenti delle zone grafitiche, e nella valle del Pellice pure dalle intercalazioni di calcari e calcescisti certamente mesozoici. Fogli 28 e 29 {Aosta e Monte Rosa). I dintorni della città d’Aosta, specialmente nella parte verso oriente, fra il Mont Mary ed il Monte Emilius, presentano per la loro complicazione un interesse geologico straordinario, perchè corrispon- dono ad un vero ombilico tettonico. Le revisioni hanno avuto per iscopo di completare, confermare e coordinare tutte le osservazioni fatte durante il rilevamento nelle precedenti campagne geologiche. Ciò aveva tanto maggiore importanza in quanto che appunto in pub- blicazioni recenti i fatti singolari che si osservano nella valle fra Chatillon ed Aosta hanno dato luogo ad interpretazioni di vario ge- nere, ed a discussioni, di fronte alle quali importa di stabilire esatta- mente i rapporti di posizione fra le diverse formazioni ed unità geologiche che vengono a contatto. ^ V. Novarese. Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in Val Ger- manasca {Alpi Gozie). « Boll, del Com. Geol. », 1895, n. 3, pag. 253. 32 ING. V. NOVARESE [Sinistra della Dora). Alla base del Mt. Mary lungo la sinistra del corso inferiore del Buthier, i calcescisti s’immergono con pendenza non molto forte verso E, sotto gli gneiss e micascisti del Mt. Mary stesso; ma a cagione di un ripiano morenico molto potente non si può osservare il contatto diretto delle due formazioni. Però le colline rocciose di Beauregard o Busse] a, che sono lo sprone più basso e prossimo alla città della cresta che scende dal Mt. Mary sopra Aosta, sono costituite da scisti sericitici grigi e verdognoli, talora con struttura porfiroide, assoluta- mente identici a quelli del Mt. Chetif nell’alta valle, e che al micro- scopio si rivelano come ortoscisti derivati da un porfido o da una por- firite quarzifera fortemente laminata. La stessa roccia affiora pure qualche chilometro più ad Est, a Rollin presso Quart, sempre nel basso della valle. Nelle vicinanze di Aosta questi ortoscisti stanno certamente fra gli gneiss del massiccio del Mont Mary ed i calcescisti sottostanti, e se si ritengono cronologicamente equivalenti di quelli permiani del Mont Chetif, si avrebbe la serie normale completamente rovesciata coi calcescisti in basso, indi il Permico ed infine lo gneiss in alto. Man- cherebbero i calcari del Trias, che compaiono qualche chilometro più a N nella valle del Buthier, formando la nota sinclinale o fascia triasica Roissan-Col de St. Barthelemy - Chàteau des Barnes. Presso ad Aosta la coperta morenica non permette di vedere se tali calcari esistano o no fra calcescisti e Permico, ma alcuni indizi lo fanno ri- tenere probabile. Precisamente a Beauregard, nella villa Jocteau, nei riempimenti morenici che s’incontrano nelle concavità fra quelle rocce potentemente arrotondate, sono abbondantissime le quarziti tabulari identiche a quelle del Trias alpino. Sulla sponda opposta del Buthier, verso il L km. della strada del Gran S. Bernardo abbondano straordinariamente nel morenico, coperto di vigneti, i calcari e le car- niole del Trias. Trattandosi di morena tutto è possibile, ma se si osserva che i frammenti di queste rocce triasiche sono localizzati pre- RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ANNO 1011 33 cisamente là dove dovrebbero essere se la serie fosse completa, e racchiusi in lembi della morena di fondo, annidati per così dire negli angoli morti delle rocce arrotondate, sorge spontaneo il dubbio che essi siano stati strappati ad affioramenti vicini in parte distrutti ed in parte nascosti daU’ammanto morenico. Sempre nel basso della valle, assai prossima a Beauregard ed a 2 km. circa dalla stazione di Aosta, una trincea della ferrovia presso le case dette Cogniod sulla carta, e Cognon nella scritta comunale, offre un profilo del tutto inaspettato. Si vedono in essa succedersi da W verso E, un granito schietto a due miche con anfibolo, un banco Trincea della ferrovia fra Aosta e Quart, presso le case Cogniod (2 km. da Aosta). D = diorite e dioritoscisto con qualche alternanza di micascisto. ms = micascisto grigio fìlladico. G = granito grigio. Q = quarzo in filoni. di Tnicascisti grigi di 8-10 m. di 'potenza con inclinazione di 50^ verso WSW, ed una massa di diorite e dioritoscisto di 40 m. almeno di potenza, che presso il contatto alterna con qualche sottile letto di micascisto. La diorite è evidentemente laminata, con occhi anfibolici di forma lenticolare, a grana piccola. Il micascisto grigio ha aspetto fìlladico e presso al contatto dei granito diventa rubiginoso per. limonite infiltrata. Il granito allontanandosi dal contatto collo scisto acquista una grossolana foliazione che lo fa sembrar gnessico, e si arricchisce di anfibolo a detrimento della miche. Nè il granito nè la diorite rassomigliano ad alcuna delle altre rocce conosciute, non solo nei dintorni, ma in tutta la valle d’Aosta, e senza alcuna analogia col granito archesinico o le dioriti della zona dioritico-kinzigitica nella non lontana Valpelline. 3 34 ING. V. NOVARESE Quindi a meno di 2 km. da Aosta appaiono intercalati, fra gli gneiss del Mt. Mary ed i calcescisti, gli ortoscisti di Beauregard, il gra- nito e la diorite di Cogniod, tre tipi di rocce che non rassomigliano nè si connettono in alcun modo con quelle conosciute nei due massicci gneissici del Mt. Mary e del Mt. Emilius, che si stringono per cosi dire intorno ad Aosta. Fra la trincea di Cognicd ed il piede dei monti sulla destra della valle v’hanno non meno di 2 km. coperti di alluvioni e morenico, che impediscono ogni osservazione diretta, e possono nascondere per ciò molte cose. (Destra della Dora). Il terreno sulla destra del fiume è profondamente diverso da quello che gli sta dirimpetto sulla sinistra, fra Aosta e Quart. Con un dislivello che non ha l’uguale nelle Alpi, il Mt. Emilius incombe sul piano in cui si stende la città, e dalla sua vetta la dirupata pendice scende in balze ed altissimi scaglioni, per circa 3000 m. verticali sopra una distanza orizzontale di appena 6 km. Il piede di questa balza, dal pianoro morenico di Charvensod verso levante fin presso allo sbocco del vallone di St. Marcel, è formato da una massa poderosa di rocce verdi, con predominio di eufotidi a grossa macchia. La struttura mas- siccia delle eufotidi non lascia vedere il senso della pendenza, ma ap- pena indurre una direzione generale parallela al contatto cogli gneiss e micascisti che formano le cime della Becca di Nona e del M. Emilius, è all’incirca diretto a NE. Per chiarire la tettonica ed i rapporti fra gli gneiss delle vette e l’eufotide delle basi bisogna ricercare i contatti di questa coi calcescisti a W ed a E, e quelli cogli gneiss in alto. A W delle eufotidi, verso Charvensod, affiorano presso Rever- rier, e precisamente fra Baudin e Champé, dei calcescisti con direzione N 30° W ed una fortissima pendenza verso NE, vale a dire s’immergerebbero sotto le eufotidi e gli gneiss. Risalendo più in alto, verso Sud, al Col Pian Fenètre ed al Segnale Sismonda, la continua- zione degli stessi calcescisti mostra pendenze in senso opposto di 30<^-40‘^ verso W e NW, cioè i calcescisti ammantano regolarmente le pra- RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’aNNO 1911 35 siniti che formano il fianco sinistro del bacino di Comboè e poggiano sugli gneiss. Dentro al massiccio gneissico, e principalmente nei micascisti granatiferi ed eclogitici che costituiscono la Becca di Nona la stra- tificazione è tormentatissima; sulla vetta si osservano contorsioni grandiose, talché la cima suprema è formata da un vero riccio stra- piombante; però in generale la stratificazione è diretta come il con- tatto a NE, e la pendenza prevalentemente verso W e NW. Sulla vetta del M. Emilius, secondo le osservazioni del Mattirolo, si ha in- vece una direzione N 10^ E ed una pendenza di 30° verso W. In tutta questa parte più occidentale del massiccio del M. Emi- lius il contatto fra gli gneiss ed i calcescisti e le pietre verdi che rav- volgono si mantiene elevatissimo, ed in buona parte pressoché inac- cessibile fra i dirupi a N della Becca di Nona, a quote superiori sem- pre ai 2000 m. e che risalgono rapidamente verso il vallone di Arbole, volgendo a S. Non é che verso W nel vallone di Laures che il contatto incomincia a scendere verso St. Marcel. Il punto dove la massa gneissica del M. Emilius più si avvicina alla Dora si trova presso il villaggio di Vervians sulla sinistra dello sbocco del vallone di St. Marcel (725 m.). Qui T affioramento forma sulla carta un vertice acuto, e gli gneiss e micascisti granatiferi che lo costituiscono verso ponente si appoggiano in concordanza sopra la massa di rocce verdi in cui é aperto il vallone di Saint Marcel, e verso E o meglio verso NE si immergono sotto le eufotidi già più volte nominate, con una pendenza di 60^ verso NW. Però gli gneiss non giungono fino alla valle come finora si era presunto a cagione della morena che copre la pendice inferiore del monte a Vervians, e s’insinua nello stesso vallone di Saint Marcel. Presso le case più orientali di Vervians spunta fra il morenico un calcescisto grigio filladico con direzione NW e pendenza non mag- giore di 300-40° verso SW, vale a dire con direzione quasi ad angolo retto con quella degli gneiss della pendice- sovrastante, il cui affioramento più prossimo dista al massimo di un 300 m. dai calce- . scisti. Non credo dover dare un gran peso a questa discordanza, 36 ING. V. XO VARE SE considerata la ristrettezza dell’ affioramento e la frequenza con cui nei calcescisti s’incontrano disturbi locali. Il fatto veramente inte- ressante è la presenza stessa dei calcescisti, che dimostrano chiara- mente il chiudersi della enorme lente di eufotide addossata agli gneiss, ed il termine molto probabile di questi ultimi, perchè sulla destra del torrente di St. Marcel, presso il paese, spuntano fra il morenico calcescisti e rocce verdi e non v’ha più traccia di gneiss, che eviden- temente o cessano, o scompaiono in profondità nel senso della loro direzione. Le più minute ricerche non hanno menomamente confermato l’affermazione comparsa in qualche pubblicazione straniera, che pre- cisamente nei pressi di Vervians e Brissogne gli strati che stanno a NW degli gneiss s’immergono sotto questi. Nel tratto di valle fra Aosta e St. Marcel considerato finora, le differenze stratigrafìche e tettoniche fra i due lati della valle sono tal- mente manifeste che a spiegarle è giocoforza ricorrere ad un notevole disturbo stratigrafico, naturalmente diverso a seconda delle diverse scuole. Questa differenza fra i due versanti continua ad osservarsi nel tratto di valle più ad oriente, fra St. Marcel e Chatillon, non ostante la circostanza sfavorevole di essere la valle aperta attraverso lafor- mazione dei calcescisti e pietre verdi, priva di orizzonti sicuri e va- riabilissima nella sua composizione. Tuttavia un’attenta considerazione della carta rilevata e più ancora le notevoli divergenze nella direzione e pendenze degli strati a destra e sinistra della valle, anche in quei luoghi, come immediata- mente a monte della stazione di Chatillon, in cui le roccie dei due fianchi si avvicinano notevolmente, basta a persuadere che anche qui la differenza continua. Cessa soltanto colà dove la valle muta bruscamente il suo corso da WE in NS, a Saint Vincent. Ma se da St. Vincent si prosegue verso E, cioè verso il Col de Joux, s’incontra nel prolungamento orientale della direzione della Valle d’Aosta.la grande frattura a cui ho dato il nome della Ranzola, RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’aNNO 1911 37 perchè può seguirsi dal Joux fino a quest’ultimo passo, attraverso la valle deirEvan9on. Lungo questa frattura quasi verticale (inclina alquanto verso N) i calcescisti che coprivano a S il piccolo elissoide gneissico di Arceza sono stati rigettati in basso di un’altezza pari almeno a tutta l’enorme potenza della formazione, ed affiorano al piede settentrionale della balza gneissica, mentre alquanto più ad Est, presso la Croix, gli gneiss e micascisti della zona Sesia- Val di Lanzo, sovrastanti ai calcescisti, giungono quasi a sfiorare gli gneiss inferiori di Arceza. Queste osservazioni confermano quanto già avevo esposto nella mia relazione sul rilevamento del 1903, ed è già stato pure pubbli- cato nella cartina che accompagna la memoria dell’ing. Stella sul «Problema tettonico dell’Ossola e del Sempionè » e nella carta al 400,000 delle Alpi occidentali. Foglio 16 (Cannobio), Foglio 30 (V amilo), Foglio 31 {Varese). Nei tre fogli sopradetti la costruzione di parecchie nuove opere stradali, quali la ferrovia a dentiera del Motterone, la strada carroz- zabile da Maccagno superiore al confine svizzero lungo la sponda del lago Maggiore, la funicolare al Sacro Monte di Varese ed al Pa- radiso, ha dato origine a numerose trincee e scoperchiamenti che urgeva visitare finché erano ancora freschi. Lungo la nuova linea del Motterone si osserva nel tratto inferiore da Stresa a Prato Fiorente, in molti dei tagli nel terreno erratico, una incipiente alterazione comune a tutti gli elementi del morenico, che non è ancora la totale disgregazione del ferretto, ma è già un sensibile disfacimento degli elementi cristallini che hanno inco rinciato a per- dere ogni saldezza. Oltre Prato Fiorente la ferrovia sale lungo un cordone morenico che è il più esterno dell’anfiteatro verbanense, e che può considerarsi come l’inizio a destra dell’arco frontale, fino quasi a 1000 m., presso la stazione di Borromeo. Il ramo dello stesso ghiacciaio che scese al lago d’Orta, all’al- tezza di Omegna giungeva sùlla sinistra quasi a 900 m. sotto ai Tre 38 ING. V. NOVARESE Alberi, forcella che non superava, e sulla sinistra giungeva ad arroton- dare le rupi del Castellacelo di Quarna (890 m.) lasciando a XW di questo il piccolo cordone morenico di Campello, che giunge a 930 m. Se si ricorda che la Serra d’Ivrea s’inizia sopra Andrate a 940 m., e che il ghiacciaio della Dora Riparia giunse pure poco sotto la cima della Sacra di San Michele a 900 m., si può concludere che i grandi ghiacciai wiirmiani delle Alpi occidentali iniziarono la loro espansione nel piano, e la costruzione degli archi frontali, press’a poco tutti alla stessa quota, compresa fra i 900 ed i 1000 m. sul mare. Alla stessa quota s’inizia pure d’altronde a Pont l’apparato frontale del ghiacciaio wiirmiano dell’Orco, che pure è rimasto in gran parte entro valle, e così a Santa Cristina quello della Val Grande di Danzo che vi è rimasto del tutto. 4. Ing. V. SABATINI VULCANI VULSINIIi Durante l’anno 1911 fui quasi completamente assorbito dalia fine della redazione della memoria sui Vulcani Cimini, e daH’inizio della sua pubblicazione. Come lavoro di campagna eseguii delle escur- sioni complementari sui medesimi Cimini e mi occupai, per quanto bre- vemente, del rilevamento dei Vulsinii. Lo studio di questa regione avanza sul terreno. Lo scorso anno me ne occupai rivedendo qualche parte delle regioni già rilevate, e continuando il lavoro nei dintorni di Collere e di Tessennano. La cam- pagna fu breve per l’esigua somma messa a mia disposizione, che mi obbligò a limitarla anche più della precedente. Il territorio ri- levato fu molto uniforme. Vi rinvenni il seguito d’imponenti colate di lave, già trovate nei siti più prossimi alle bocche vulsine, ed in una di queste colate un interessante esempio di pseudo-inclusi, che è l’equi- valente di quelli nei tufi, di cui mi sono occupato a lungo a proposito della necrolite tipica dei Cimini. E’ il caso di descriverlo, visto che in Italia a questo fenomeno, già noto altrove, si è prestato sempre poca attenzione, onde diversi autori non ne interpretarono la natura e credettero si trattasse di veri e proprii inclusi. Nel Fosso della Cadutella presso Tessennano, di cui un tratto è scavato dentro una corrente di lava, si osserva l’interessante sezione alla quale alludo. Si vede una lava grigia, alterata passare gradata- mente ad una massa ancora più alterata, giallognola.il passaggio però ^ Lo studio dei vulcani Cimini essendo terminato, l’ing. Sabatini ha creduto opportuno presentarne al Comitato le conclusioni, le quali vengono inserite in seguito alle relazioni sui lavori di campagna. 40 ING. V. SABATINI è brusco in molti punti. Nella parte giallognola si passa soventi a nu- clei più intatti, nei quali si osserva tutta una scala di passaggi fino a nuclei isolati dalla massa circostante, con contorni curvilinei o retti- linei. Si arriva così al distacco dalla massa circostante e alla sporgenza sulla superficie esterna della medesima. E vi sono punti in cui tali in- clusi finiscono col formare un vero conglomerato senza parti interposte. Vi sono inoltre nuclei violacei accanto a nuclei grigi, ma si verifica che non si tratta d’inclusi diversi, bensì talvolta d’un’unica massa. Difatti in qualche punto si vede sulla massa giallognola della roccia deli- ncarsi una regione parte grigia e parte violacea. Il passaggio è netto; ma un’incrinatura già comincia a separare le due parti. Cade anche l’obiezione che potrebbe farsi nel vedere che molti nuclei violacei appariscono finamente porosi, poiché da punto a punto si vede la massa della roccia passare da una vera continuità alla fine porosità di molti di questi nuclei. Se questa lava contiene veri inclusi, essi non possono essere che frammenti dello stesso materiale, racchiusi nella colata durante il suo scorrimento, sia perchè cadutivi su per effetto di proiezioni; sia perchè, distaccatisi dalle parti già solidificate, vennero di poi trascinati dalla corrente. Ma, senza contrastare una tale possibilità, è indiscutibile che la grande maggioranza dei nuclei racchiusi sono parti della massa totale, separate dalla medesima per opera dell’alterazione meteorica, pure ammettendo che quest’altera- zione profittò della variabile aggregazione molecolare della massa medesima, e quindi della diversa resistenza opposta nei suoi di- versi, punti. Ing. S. FRANCHI APPENNINO LIGURE. (Tavolette di Rivarolo Ligure e di Voltaggio). Conosciuto il lavoro dei signori P. Termier e J. Boussac « Sur réxistence dans TAppennin Ligure au N. 0. de Gènes, d’un passage latéral de la sèrie christallo-phyllienne dite de schistes lustrés à la sèrie sédimentaire ophiolitique de Fappennin », pubblicato nei C. R. dell’Acc. delle Se. di Parigi (t. 152, p. 1361, Seduta 22 maggio 1911), rivolsi preghiera alla Direzione del Servizio di essere autorizzato a fare alcune escursioni in quella regione, che io avevo in parte ri- levata or sono molti anni, quando la zona delle pietre verdi era da tutti ritenuta incontestabilmente arcaica, allo scopo di rendermi conto sui luoghi della fondatezza dei nuovi concetti dei colleghi fran- cesi. E debbo ringraziare il sig. Direttore del Servizio geologico, il quale si interessa pure vivamente a quella regione, al cui studio egli ha validamente contribuito col chiarissimo prof. Issel, di avere ac- colta la mia domanda. I concetti dei colleghi francesi sarebbero fondanientalmente i seguenti: 1° Gli affioramenti di Trias allineati fra Sestri Ponente ed Isoverde rappresentano i resti di una anticlinale. 20 Le formazioni con pietre verdi che si trovano ai due Tati di quegli affioramenti, insieme alle roccie scistose che le includono, rappresentano due facies di uno stesso terreno in diversi stati di metamorfismo. 30 Le serie di Valle Polcevera (alla cui sommità è la formazione di calcari alberesi ad TI elminthoida labyrinihica, e presentante alla sua base le pietre verdi), ritenuta finora eocenica dalla grandis- 42 ING. S. FRANCHI sima maggioranza del geologi, ed al più cretacea da qualcuno, rap- presenta una serie comprensiva di terreni post-triasici. Bisogna riconoscere che, dopo la dimostrazione deU’età secon- daria della zona delle pietre verdi, a cui appartiene la formazione del gruppo di Voltri, che sta a ponente dei suddetti affioramenti tria- sici, r osservazione della distribuzione quasi simmetrica ai due lati di essi di masse di roccie verdi può facilmente suggerire i due primi concetti sopra enunciati, specialmente a chi osservi una carta lito- logica della regione. Ed anche dopo la osservazione che, tanto il com- plesso scistoso che include le masse di roccie verdi che le varietà da queste rappresentate e il loro stato diverso di metamorfismo, danno ai due complessi rocciosi delle impronte molto diverse, in forza delle idee ormai accettate generalmente sulle grandi variazioni nel grado di metamorfismo di una medesima formazione in regioni vicine, quei due primi concetti non potrebbero a priori ritenersi inaccettabili. Le cose prendono invece un altro aspetto quando ci facciamo a considerare che la formazione di Val Polcevera non rappresenta che il seguito, verso Occidente, della formazione scistosa con pietre verdi tanto sviluppata e così nota in tutto FAppennino Orientale Ligure, formazione la quale tanto attorno alle Alpi Apuane, dove presenta alla sua base degli strati nummulitici, che nei dintorni della Spezia, riposa sopra alcuni orizzonti appartenenti indubbia- mente al Cretaceo. E questo riposo non è punto dovuto a falde di ricoprimento, come ha creduto lo Steinmann e come il Termier ritenne per dimostrato. Tutti i geologi che hanno studiato anche molto minutamente le Apuane - una delle regioni meglio studiate - e lo Spezzino, sono concordi neH’escludere un tale ricoprimento, e affermano trattarsi di un contatto normale per deposito, ossia di un contatto stratigrafico, secondo l’espressione degli egregi Colleghi. E le pietre verdi di quella formazione sono precisamente degli stessi tipi di quelle della Valle Polvecera, e, come queste, assai distinte da quelle del gruppo di Voltri. Cpsichè le osservazioni della grande maggioranza dei geologi starebbero in opposizione dei nuovi concetti dei sigg. Termier e Boussac.. RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ANNO 1911 4H Si potrebbe emettere una ipotesi conciliativa, supponendo che nella serie di Val Polcevera, anziché una sola formazione ne siano rappresentate due: quella contenente le pietre verdi, che potrebbe essere essenzialmente basica, e quella che termina cogli strati ad H. labyrinthica, la quale dovrebbe essere eocenica. Ma con essa si sposterebbe solamente, non si risolverebbe la questione; e per soste- nerla bisognerebbe trovare un limite tra le due ipotetiche formazioni della Valle Polcevera, limite che non è stato da alcuno finora meno- mamente sospettato, nonché intraveduto. D’altra parte questa ipo- tesi ne dovrebbe sottintendere un’altra: che la formazione eocenica della Valle Polcevera manchi di pietre verdi nella sua parte infe- riore, mentre esse hanno tanto sviluppo in quella formazione di tutta la Liguria Orientale, alla quale evidentemente, essa passa senza interruzione. Esposte queste considerazioni procediamo all’esame obbiet- tivo dei fatti da me osservati, sia precedentemente che nelle recenti revisioni del luglio 1911, eseguite specialmente nei dintorni di Iso- verde, di S. Martino e poscia con qualche traversata dalla Valle del Lemina a quella della Scrivia. Trias-medio superiore. — Non havvi dubbio sulla pertinenza a questi membri del Trias delle dolomie del M. del Gazo e degli affioramenti che gli fanno seguito verso nord, molto ridotti in po- tenza a Prato kS. Pietro, al colle della Rondinina, a Nià di Puh, e che presentano una grande espansione a Monte dei Tordi,., si restrin- gono verso S. Martino e si riespandono nel noto grande affioramento di Isoverde. Io stesso vi rinvenni diplopore quantunque indetermi- nabili, dopo il De Stefani, e pure ne rinvenne il Rovereto; e nei ban- chi superiori delle dolomie nel contrafforte settentrionale di Monte Terbi io rinvenni di recente esemplari di quelle piccole turricolate, confrontabili a Loxonema, che trovai nei banchi più alti di molte masse dolomitiche delle Alpi Cozie ed anche presso Corona in Ligu- ria (Val Maira, Valgrana, Borgo S. Dalmazzo, Boves). 44 ING. S. FRANCHI Retico(ì). — Ma al disopra di queste dolomie si sviluppa a Monte Torbi, nella massa di Isoverde ed in alcuni punti interposti una for- mazione calcareo-soistosa, a luoghi fossilifera, che molti anni addie- tro nei miei rilievi avevo posto dubitativamente nel Lias. Per la sua posizione e per i suoi caratteri litologici, calcari scistosi e com- patti scuri, a patina giallognola ecc. con lumachelle scistose e com- patte, con corallari fascicolati indeterminabili perchè spatizzati, ma molto simili a quelli del Retico a me noto della Valle Penna vaira, dell’Alta Valle di Susa, della Valtellina, e con banchi a terebratule. e per i loro rapporti colle Dolonie in alcune delle masse citate avanti, sembrerebbe che questa formazione possa rappresentare il Retico. Tale formazione si sviluppa cingendo nei suoi lati S. 0. e S. E. la massa dolomitica di Isoverde, presso il cui abitato sono in essa aperte diverse cave per materiali da costruzione. Ivi essa sem- brerebbe in trasgressione sopra le Dolomie, a causa di una visibile discordanza stratigrafica angolare che si osserva in tutta la zona a Nord e Nord Ovest del villaggio. AU’infuori di questa zona, ed in piena massa scistosa con pietre verdi, affiorano presso il detto vil- laggio diverse masse di gesso, certamente in grazia di forti disturbi tettonici. E’ per me ancora dubbio se sieno gli equivalenti delle do- lomie o rappresentino già la formazione che riferisco dubitativamente al Retico, delle zone di calcari tabulari, schistosi ed a luoghi arenacei che si addossano direttamente alle belle Iherzoliti, con filoni di eufo- tidi, ai piedi del B. Roncasci, dal lato di levante di quest’ultima massa dolomitica. Quel terreno, colle sue forme litologiche caratteristiche, ri- copre pure il ristretto affioramento di dolomie formanti le alte rupi a S.O. del cimitero di Galano ta, e presenta un [piccolo affioramento interposto fra le dolomie di S. Martino e le serpentine soprastanti, presso la strada mulattiera che dal villaggio conduce alle cave di questo nome. Ma dove il terreno in questione ha un grande sviluppo si è nel gruppo del Monte dei Torbi. Tutto il costolone di questo monte, diretto verso N.O. e tutta la falda scendente verso l’abitato di Torbi, RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ANNO 1911 45 dove per una accidentalità tettonica riemerge un ristretto affiora- mento di dolomie, la testata di quota 721 m., e tutta la falda verso sud e verso est, scendente sulla bocchetta di Lencisa, sono da at- tribuirsi a questo terreno, al quale si sovrappongano ivi ripetuti e grossi banchi dei calcari selciosi, già probabilmente liasici. Una lin- gua di quel terreno si interpone quindi fin presso Nià di Puh, tra le Dolomie e gli scisti con pietre verdi. Forse ancora a questo terreno sono da riferirsi sottili zone interposte fra le dolomie e le diabasi di tipo eocenico presso Serra, e fra le prime e le serpentine nella falda occidentale della Costa di Serra, in Valle Chiara vagna. Sembra inoltre che lo stesso terreno sia rappresentato a sud di Vaccarezza, dove esso sarebbe coricato sotto le. dolomie e sovrap- posto ad una zona di calcescisti che lo separa dalle serpentine del gruppo di Voltri. Tale terreno però manca assai probabilmente lungo tutto il contatto orientale delle dolomie a mezzodi del Colle della Ron- dinina, lungo il quale esse si trovano a volta a volta direttamente a contatto colle serpentine, con delle quarziti micacee e con eufotidi più o meno laminate e metamorfosate in prasiniti, talora glau- cofaniche. In ogni caso quel terreno si può dire largamente rappresentato in Valle Polcevera, in modo da poter figurare nelle carte geologiche anche in piccola scala. Le due serie scistose con pietre verdi. — Non si esclude che le roccie della formazione di Val Polcevera possano in seguito ad intense azioni metamorfiche produrre i tipi litologici altamente cristallini includenti le roccie verdi della serie del gruppo di Voltri; e vi sono difatti nella parte più occidentale di essi delle zone che assumono l’aspetto di veri calcescisti e di filladi. Questo è piena- mente conforme a fatti ben noti e sui quali ebbi più volte a ritor- nare nelle discussioni che ebbi a sostenere sull’età secondaria della formazione cristallina detta « zona delle pietre verdi ». Uno di essi è quello di calcari con nummuliti i quali sono ricchi di mica autigena e che presentano dei passaggi a veri calcescisti, nella più occidentale 46 ING. S. FRANCHI delle sincilnali eoceniche nella valle Stura di Cuneo e nella valle del Gesso. Questi fatti corrispondono perfettamente ai concetti che ci siamo formati sul metamorfismo che si osserva nelle Alpi Occiden- tali, il quale sarebbe in parte posteriore ai ripiegamenti post-oligo- cenici. D’altra parte noi conosciamo nella regione del Monte Bianco due zone di terreni giusassici fossiliferi adiacenti e presentanti delle serie litologiche diversissime sia per costituzione che per grado di metamorfismo. Nessuna incompatibilità aprioristica può esistere adunque contro i concetti dei sigg. Termier e Boussac, anche se per esempio io trovo un distacco litologico fortissimo fra gli scisti del contraf- forte di Caffarella che stanno ai due lati della sottile zona di carniole che ivi rappresentano, a mio avviso, il Trias, come estremo assot- tigliamento, per azioni tettoniche, della massa dolomitica di S. Mar- tino; e se non trovo nessuna rassomiglianza tra le diabasi di Corni- gliano, di tipo identico a quelle dell’Eocene ligure e le diabasi por- firitiche di Begli, trasformate in glaucofaniti compatte a lawsonite, e fra le diabasi dello stesso tipo eocenico della Costa di Serra, a le- vante della zona dolomitica del Gazo, e le eufotidi laminate glauco- faniche del Monte Spasoià, che ne stanno a ponente, le quali si do- vrebbero fra loro corrispondere ai due lati deH’anticlinale triasica. E quello che è più interessante si è che non posso finora negare che corrispondano pure al vero le osservazione dei colleghi francesi riguar- danti la regione a Nord della massa dolomitica di Isoverde, dove, mancando per un lungo tratto gli affioramenti di Trias, le due for- mazioni con pietre verdi vengono a diretto contatto. Un limite stra- tigrafico od un contatto meccanico fra le due formazioni non mi è stato possibile di segnarlo, nelle poche traversate che feci passando dalle rocce altamente metamorfiche (calcescisti con eufotidi e dia- basi glaucofaniche) agli scisti argilloso-calcari lucenti con lenti di oficalci e di diabasi di tipo eocenico. Cosi dall’oficalce di Pietralavezzara, inclusa in scisti lucenti, ancora però di tipo eocenico, si passa, dopo alcuni risvolti della car- rozzabile della Bocchetta, a dei calcescisti includenti diabasi glau- cofaniche ed ai calcescisti tabulari tipici delle cave sopra il Barac- RELAZIONI PRELIMINARI SELLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’aNNO 1911 47 cone. Ivi a calcescisti si associano calcari cristallini tabulari con struttura pseudo-oolitica, simili ad altri da me descritti dei dintorni di Cesana e di cui parlo in altri parte di questo relazione, e calcari cristallini compatti, a frattura bigia ed a patina giallognola, zeppi di minuti organismi tubiformi grossi da un quinto a mezzo millimetro, sinora indeterminate, ricordanti le analoghe forme che sono frequenti nelle minute lumachelle del Retico di varie regioni. Nello stesso ver- sante orientale del Monte Leco figurano eufotidi, a luoghi glaucofa- niche, e a poca distanza delle oficalci come quelle di Pietralavezzara. Poco oltre i Molini di Voltaggio esiste un complesso litologico al- tamente metamorfico, caratteristico della zona delle pietre verdi sia sulla strada che nella regione a sinistra di chi scende, mentre quando si sale dal lato destro verso Castagnola e di qui si scende verso Busalla, si raggiungono le forme prettamente eoceniche, senza che si riesca a segnare con sicurezza il limite fra le due formazioni. Tale limite potremo noi segnarlo eseguendo un minuzioso rileva- mento in questa zona interessantissima? Se veramente si tratta di due formazioni diverse fra le quali interceda un hyatus nel deposito, o esista una frattura, questo limite si dovrà trovare, anche se il me- tamorfismo abbia cancellate o attenuate di molto le originarie dif- ferenze. Occorre adunque proseguire le ricerche, e al più presto, per giungere ad una soluzione di questo interessantissimo quesito, di grande importanza, sia locale che generale. Tettonica. — Il Trias rappresentando in ogni caso il terreno più antico della regione, se non è portato ad affiorare per effetto di fa- glie o di ricoprimenti, esso deve affiorare naturalmente per effetto di piega anticlinale coricata sulla formazione de’ Veltri, che ne è più gio- vane. A mio avviso anzi i due ordini di fenomeni si possono osservare, a volta a volta, nei diversi punti nel tratto di 12 Km. circa lungo il quale affiora il Trias fra il mare ed Isoverde. Sebbene le pendenze al Monte del Gazo sembrino accennare ad una struttura anticlinale, non mi pare dubbio che il limite orientale delle dolomie tra questo monte ed il colle della Rondinina corrisponda ad un contatto mec- 48 ING. S. FRANCHI canico; e nelle tratte dove la zona è più ristretta, dalla Costa di Coppa al Colle della Rondinina, mi sembra che si possa fare la stessa affer- mazione anche a riguardo del limite orientale. Una struttura amigdaloide rovesciata verso ponente, laminata alle sue estremità, si intravede nella massa del M. Torbi, sempre però con evidenti segni di contatto meccanico nel lato occidentale, alla boccheta di Vaccarezza e giù verso il R. Marasso, e quindi ad occi- dente della massa dolomitica di S. Martino. Il comportamento tettonico di quest’ultima massa è, a mio av- viso, alquanto diverso da quello che parve ai Signori Termier e Bous- sac, i quali dicono che quel Trias passa sotto il Colle di Cacarella « comme en un tunnel ». Io ho potuto osservare cke Taffioramento dei calcari dolomitici con carniole di S. Martino si prolunga, assot- tigliandosi, in direzione della vetta del Monte Pesuego, di quota 673 metri, giungendo ad un livello di poco inferiore all’abitato di Caffa- rella; e che due lembi di dolomie carnioliche stanno proprio sul cri- nale del colle, poco ad occidente dell’abitato di Cacarella, e preci- samente interposte fra certe rocce prasinitiche glaucofaniche, con resti di diopside della diabase da cui derivano, e gli scisti, ancora netta- mente di tipo eocenico, includenti la massa serpentinosa sulla quale sta la cappella del villaggio. Un’altra piccola striscia della stesse roccie carnioliche scende nel versante settentrionale del contrafforte. Se adunque noi dovessimo giudicare la questione partendo solo dal- l’esame della massa di S. Martino, le nostre conclusioni dovrebbero essere del tutto contrarie a quelle dei signori Termier e Boussac. L’i- potesi secondo la quale il Trias sia ivi compreso fra due superficie di contatto meccanico che lo separino dalla serie cristallina sottostante a ponente e dalla serie eocenica sovrapposta a levante, sarebbe quella che meglio riassumerebbe le osservazioni da me fatte. Ancora meno semplice è la tettonica della massa di Isoverde, sulla quale si appoggia, con visibile discordanza angolare in alcuni punti, la formazione fossilifera che dissi avere delle affinità col Re- tico, la quale sta a sua volta al disotto della formazione scistosa [con pietre verdi di tipo eocenico. Quella discordanza la si può osservare RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL' ANNO 1911 40 nettamente a nord e a nord-est della cava aperta nei fianchi del monte che domina l’abitato di Isoverde verso settentrione. Dal lato N.O. le dolomie vengono a brusco contatto con delle peridotiti serpentini z- zate, e nel lato N., tra Gravasco e Pieralavezzara, il limite corri- sponde ad un salto, al cui piano, pendente verso S., sono normali o quasi bianchi di dolomia, ivi pressoché verticali. Il piano di frattura è reso molto evidente dalla sporgenza sui calcescisti delle rupi dolo- mitiche originate dal salto. Perciò la caduta periclinale degli strati da questo lato della massa dolomitica, affermata da Termier e Boussac, non esiste affatto; ed è probabile anzi che un contatto meccanico corrisponda a tutto il limite settentrionale, quasi rettilineo, della massa in questione. Ma l’interessante sta qui nel fatto che la serie scistosa con pietre verdi di tipo eocenico si sovrappone alla formazione fossilifera, che io sarei indotto a riferire al Retico, senza che sia possibile tro- vare tra di esse un limite che corrisponda ad una possibile interru- zione del deposito. Il contatto non chiaramente concordante della dolomia colla formazione com,plessa includente corallarii, terebra- tule e gasteropodi, e la sfumatura di queste cogli scisti che fanno se- guito verso mezzodì si possono osservare molto bene nel letto roc- eioso ,del torrent e che attraversa l’abitato di Isoverde poco a monte di esso. Quantunque lo stato dei fossili ivi raccolti non permetta una deteriT.inazione specifica, per la quale si possa addivenire alla fissa- zione dell’orizzonte a cui appartengono, sembra poco probabile, an- che per i rapporti di concordanza, osservabili a monte Torbi fra le dolomie e questa formazione, nella quale ivi pure ho trovato dei corallari identici a quelli di Isoverde, che la formazione fossili- fera suddetta possa riferirsi all’Eocene. Solo in questo caso, poco probabile, si potrebbero ritenere fin d’ora completamente infondate le nuove idee dei signori Termier e Boussac. Se adunque per qualche punto io debbo contradire le osservazioni loro, per alcuni rispetti le mie osservazioni non potrebbero contrapporsi alle loro conclusioni; e se gli strati fossiliferi rappresentano veramente il Retico, la serie 4 50 ING. S. FRANCHI scistosa con pietre verdi direttamente sovrapposta, finora senza visibile discordanza, dovrebbe appunto rappresentare il Lias. Ma come conciliare questi concetti con quelli da noi avanti espressi sulla formazione eocenica con pietre verdi dell’ Appennino Ligure orien- tale? Per la soluzione dell’importante quesito sollevato dall’interes- sante lavoro dei sigg. Termier e Boussac occorrono adunque ulte- riori studi sul terreno. Bisogna proseguire le ricerche di fossili allo scopo di stabilire con certezza l’età della formazione sovrapposta alle dolomie e che io ritengo assai probabilmente retica, e continuare minuziose indagi- gini onde scoprire il limite stratigrafico o tettonico eventualmente esistente fra la suddetta formazione ed un’altra che le si sovrapponga del lato di levante nelle valli Polcevera, Lemina e Scrivia. ALTA VALLE DI SUSA. (Tavolette di Bardonecchia, Oulx, Cesana Torinese, Susa, Novalesa, Moncenisio). Bardonecchia. — Dopo la scoperta del Retico presso Melezet e nel Vallone della Rho era necessario fare delle osservazioni che per- mettessero di riconoscere e delimitare le zone di quel terreno che si fossero eventualmente trovate nell’alta regione della catena dei Tre Re, nella quale oltre alla nota grandiosa anticlinale coricata, poteva esistere qualche piega sinclinale secondaria, in cui quel terreno avrebbe potuto affiorare. Orbene, le gite da me fatte nel gruppo della Punta Gasparre sia dal lato della valle Stretta che dal monte Tre Croci, mi permettono di escludere 1’ esistenza di sinclinali retico-liasiche nell’alto del gruppo, in cui ho potuto seguire le diverse zone dolomitiche di vario aspetto dall’uno all’altro dei due versanti. Una ascidentalità stratigrafica notevole si osserva però ai baraccamenti delle Tre Croci, dove una zona di calcescisti, larga circa 200 metri, si interpone in sinclinale e forse in parte per salto, fra il Trias della detta cima, che è in dolomie RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ANNO l9ll ol e carniole molto sconvolte, ed il costolone della Punta quotata 2700 metri nel contrafforte orientale della punta Gasparre. Questo fenomeno tettonico, corrisponde probabilmente alla rien- tranza, verso Occidente, per sinclinale rotta, del contorno dei calce- scisti in mezzo alle rocce del Trias, quale si osserva nel contrafforte settentrionale della Guglia del Mezzodi, fra le Grangie Teppas (1644 metri) e la quota 2180 circa, in prossimità della grande frattura del Col des Acles, della quale ho parlato in un precedente lavoro. Frat- ture con spostamenti disarmonici di grandi pile di strati e con breccie di frizione caratteristiche ho potuto osservare in diversi punti ai due lati della Valle Stretta. Quelle breccie si notano presso il con- tatto fra le quarziti dell’Eotrias e le dolomie salendo alle Grangie Chavilliot dalle Grangie Valle Stretta, presso le quali si osservano dei gessi alla stesso contatto. Nella regione si hanno adunque dei gessi alla base del Trias medio ed alla base del Retico, accompagnati soventi da carniole rutilanti, frequenti e sviluppatissime in molti punti (Melezet, Guglia Rossa, Guglia del Mezzodì, Comba del Gorgias, ecc.). Queste meno ancora che i gessi si potrebbero riferire ad un determinato orizzonte. In- teressantissimi sono i ripiegamenti alle falde della Guglia Rossa e nel contrafforte N.N.E. della Cima della Sueur, accennanti a numerosi ripiegamenti secondari, che dovettero accompagnare la produzione della grandiosa anticlinale dei Tre Re. Il nocciolo visibile di questa, costituita da Carbonifero e da Eotrias (quaziti ed anageniti) osser- vasi al confine franco-italiano fra i laghi Thurres e Belletis, coricato verso N.E. L’enorme pila che presentano le dolomie tra il Col de Thurres e la sinclinale suddetta delle Tre Croci, estesa in pianta circa 3700 metri, rappresenta il solo ramo inverso della anticlinale dolomi- tica, la cui enorme potenza è certo dovuta in parte alle ripetute pie- ghe secondarie alle quali si è accennato. * * * Gruppo del Monte Chaberton. — Ho proseguito le revisioni ini- ziate nella campagna 1910 in questo gruppo, specialmente nell’ in- 52 ING. S. FRANCHI tento di vedere se fosse possibile di distinguere il Lias dal Retico nella complessa sinclinale che dicemmo del Chaberton. La grande ampiezza di questa è originata in parte dalle numerosissime pieghe M. Chaberton Piano delle Marmotte 3135 m. Petit Vallon Fig. 1. — La, sinclinale retico-liasica del Chaberton dalle falde del M. La Piane. di quei terreni, e specialmente ai due lati del Clos des Morts. Questo, corrispondendo ad una più profonda incisione della sinclinale, mette in vista le pieghe dell’orizzonte più profondo, ossia del Retico, men- tre il Lias si sviluppa nelle parti alte della sinclinale in corrispon- denza del Piano delle Marmotte e della Rocca Charnier. Il limite dei due terreni non è peranco precisabile ovunque, e ciò si concepisce. RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELl’aNNO 1911 59 in causa dei numerosi ripiegamenti, tanto interessanti e complessi del Clos des Morts. Inoltre' i fossili dell’ Hettangiano die si sono raccolti nella regione non furono trovati in posto, e quelli del 8i- nemuriano, di cui parlerò fra breve, si trovarono bensì in posto, ma in soli due punti ai due lati del Clos des Morts. Il gruppo stratigrafico costituito da calcari coralligeni, calcari compatti scuri e giallognoli con terebratule e numerosi tipi di lumachelle, alternanti con scisti calcari scuri, il quale per la sua unità era da me ritenuto rappre- sentare il solo Retico, deve ritenersi comprendere pure nella sua parte superiore alcuni orizzonti del Lias, poiché un banco di calcare compatto scuro a patina bruna mi ha fornito molti articoli di un Peri- tacrinus che, secondo il prof. Parona, sarebbe da riferirsi al P. Sca- laris Goldf . del Lias inferiore. Ecco la piccola lista di fossili, raccolti specialmente nella salita dal Piano della Rocca Charnier alla cima omonima, favoritami dal prof . Parona, al quale debbo sentite grazie a nome mio personale e dell’Uf- ficio Geologico per aver voluto studiare i fossili da me raccolti nella scorsa campagna come già fece per quelli delle campagne precedenti. Grypìiaea arcuata Lmk., esemplari più piccoli di quelli dei Colle di Purriac e di Sambuco, mal conservati. Ostrea (Sott. Lopha Alcctryonia) con molta probabilità riferibile all’O. electra d’Orb. del Lias inf. del bacino del Rodano. Cardinia sp., piccola valva spettante probabilmente a giovane indi- viduo della grande Cardinia phitea d’Orb (Talassitet giganteus Quenst.), pure del Lias inferiore suddetto. Pecten? Assai mal conservato, di dubbia determinazione generica. Pentacrinus scalar is Goldf. Il prof. Parona aggiunge che, litologicamente e paleontologica- mente, gli sembra che si tratti della zona sinemuriana del Baraccone di Purriac e del Col des Encombres. Io non ebbi la ventura di trovare nella regione nè ammoniti nè belemmiti, tanto abbondanti nel Sinemuriano di quelle località. Ad ogni modo la constazione del Sinemuriano, dopo quella del- r Hettangiano fatta l’anno scorso, nella sinclinale del Monte Cha- 54 ING. S. FRANCHI berton ha una grande importanza, e la posizione degli strati che fornirono quei pochi fossili ci permette di affermare che nel crinale fra la rocca Charnier e la Challanche Ronde ed anche a N. E., ad E. e a S.-E. del Chaberton esistono ancora orizzonti più alti del Lias rappresentati da forme sistose fìlladiche, fìlladico-arenacee passanti in più punti a dei veri calcescisti, specialmente nel diruto costolone a N. della rocca Charnier. Io debbo quindi per questa parte modificare quello che dissi in un lavoro precedente in seguito alla conoscenza incompleta della sinclinale in discorso: che in essa non fosse rappresentato cioè il Lias a facies piemontese. Ciò rimane vero per la mancanza delle roccie verdi, ma non per ciò che riguarda la facies di calcesseisti, i quali vi figurano e sono su- periori air orizzonte sinemuriano suddetto. In altri punti si osserva una zona di rocce in straterelli in parte cristallini e micacei, con inte- strati di calcari ocracei, e precisamente fra le dolomie superiori ed i banchi a corallarii ; ad esempio ad occidente della Rocca Charnier e della Rocca Itampie. Nel parlare della tettonica del Chaberton nel mio precedente lavoro, accennai fra l’altro ad una grande frattura in corrispon- denza del Vallone dei Morti. Nella ultime revisioni ho potuto osser- vare che la medesima frattura passa pel colle Chaberton, dove cor- risponde ad una zona di dolomie intensamente fratturate, e donde scende nel versante del Rio secco, dove si coinnesta con fratture minori. A nord di questa frattura la sinclinale retico-liasica che era molto aperta e coricata si raddrizza e si restringe sensibilmente ai due fianchi e specialmente in quello rovescio, mostrando che la massa del monte Chaberton si deve essere abbassata di molto rispetto a quella della Rooca Charnier. La grande frattura da me detta Grangie Sacoche-Mont Janus diretta approssimativamente S.O.-N.E., separante le dolomie dalle masse di pietre verdi delle punte Rascias e La Piane, nell’attraver- sare oltre confine l’inizio del corso della Dora, separa dei calcescisti, affioranti sulla riva destra, dalle dolomie della testata 2065, che stanno RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL'aNNO 1911 55 sulla sinistra e nel fondo stesso di quel corso d’acqua. L’andamento quasi orizzontale degli strati di dolomia del Mont Janus mostra al- l’evidenza che un grande salto le deve separare dai calcescisti del Vallone e della Cima Gondrand. Si è per effetto di questa faglia che il fronte della piega coricata del Pie de R ochebrune, omologa a quella orientale del Chaberton, viene spostato verso S. 0. 0. di 2 o 3 Km. * * * Monte Grand Roc e Punta Muta. — L’esistenza del Retico in questo gruppo in corrispondenza della zona di transazione fra le dolomie ed i calcescisti, da me affermata precedentemente in base alle osservazioni litologiche, corroborate dalla presenza di corallarii raccolti dal Gastaldi al Roc del Boucher, e illustrati, quantunque inesattamente determi- nati, dal Michelotti, potè essere confermata dalle osservazioni compiute nelle ultime revisioni fatte nel versante della Ripa. Il limite superiore delle dolomie dalla Valle di Thurras raggiunge il sottile costolone di displuvio poco a S.E. della Punta Muta (3073 m.) poi gira nell’alto della Conca che da quella alta cima scende verso Xord, e si porta ai piedi della cresta frastagliata che la chiude verso levante, che è co- stituita dai banchi del Retico e dai sovrapposti calcescisti, i quali man mano si rovesciano verso levante, accennando ad un sentito rovescia- mento dell’ ellissoide da quella parte. Il contatto delle dolomie col Retico lo si osserva assai bene ad Ovest del Monte Plarella b alla confluenza del torrentello che scende alla Ripa dal Colle Chalvet colla Comba scendente dal Grand Roc. Esso è caratterizzato da alternanze di dolomie con calcari scuri cri- stallini, talora micacei, i quali poscia prevalgono, presentando interca- lazioni di calcari compatti, a patina bruna o giallognola, di calcescisti e di calcari micaceo-arenacei tabulari. E’ in questa zona che sono fre- quenti delle colonie più o meno grandi di corallarii i quali sono talora abbastanza ben conservati, quantunc^ue la roccia mostri un’alta cri- stallinità e un abbondante sviluppo di mica autigena. Altre volte i ^ Vedansi le nuove carte al 25,000 del 1. G. M. 56 IX G. S. FRANCHI corallari sono in rade ramificazioni dispersi in lenticole di calcare cristallino incluse in veri calcescisti, ed allora sono difficilmente ri- conoscibili. Non mancano banchi sottili di lumachelle, non molto dis- Roc de] Boucher Punta muta Gran Cima 3285 m. 3069 m. Grand Poc M. Forgon Col Chalvet Fig. 2. — Elissoide e triasico della Punta muta, e Grand Roc, nel gruppo del Roc del Boucher. simili da quelle della sinclinale del Chaberton, però senza fossili de- terminabili nemmeno genericamente. La tettonica di questo gruppo è molto interessante poiché il contatto tra le dolomie ed i calcescisti è solo normale nei lati S.O., S. ed E.; dal lato di N.E. una linea condotta dall’abitato di Lause al colle Chalvet, e di qui lungo il torrente che ne scende, verso la Ripa, lìnea avente direzione N. E., segna l’andamento di una grande RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ ANNO 1911 57 frattura che tronca Fellissoide coricato, portando le carniole ed i gessi della 'grande massa di Lause, e le dolomie dei contrafforti del Monte Furgon a brusco contatto coi calcescisti. Chiamato a completare sotto un punto di vista particolare il rilevamento del gruppo, ese- guito anni sono dalFIng. Mattirolo, sono lieto di affermare che il con- torno da lui dato dell’affioramento dolomitico è assai prossimo al vero e che al Retico deve essere attribuita una sottile zona di calcesciti da questi segnata a diretto contatto con le dolomie nei lati sopradetti S.O.S. ed E. Oltre al rovesciamento suddetto, che mi era sfuggito nello schema tettonico dimostrativo del gruppo, da me dato nel 1898 basandomi sui rilievi dell’ing. Mattirolo e su qualche gita fatta solo dal versante di Thurras, sono interessanti le masse di serpentina, rilevate esatta- mente dal mio Collega, inserite nei calcescisti a poca distanza dal loro limite colle dolomie. Cito la massa importante del M. Courbiun e quella minore presso il lago Brussain a levante, quella piccola della Punta Castagnera a S.E., ed infine le due grandi ed interessantis- sime masse inserite nei calcescisti nel fianco sinistro della Valle della Ripa, sottostanti per rovesciamento al Retico e mediatamente alle dolomie del Trias. Queste masse, in mancanza di altre rocce verdi, stanno ad indicare che è proprio la così detta « zona delle pietre verdi » che incappuccia coll’intermediario di un Retico a facies cristallina o piemontese l’ellisoide dolomitico della Punta Muta e del Gran Roc. * * * Regnosa di Sestrières e Monte Banchette. — Io sono lieto che mi sia stata presentata l’occasione di visitare gli affioramenti di Trias indicati in questi due monti nei rilevamenti precedenti, specialmente a causa delle numerose masse serpentinose che li circondano da ogni lato. La mia speranza di trovarvi rappresentato il Retico fu però delusa; nelle gite da me fatte non rinvenni nè tracce di fossili, nè i tipi litologici caratteristici di quel terreno; non escludo però che ulteriori ri- cerche nell’alto versante orientale del Monte banchette possano farne riconoscere qualche ristretto lembo. L’interesse delle revisioni da me' 58 ING. G. FRANCHI fatte sta nella scoperta di grossi banchi di breccie poligeniche ad elementi dolomitici, di quelle che hanno costituito uno degli argo- menti principali in favore dell’ età secondaria dei calcescisti in cui erano intercalate. La posizione di queste breccie, talora micacee e cristalline, a diretto contatto colle dolomie nel versante settentrio- nale del M. Banchette e a poca distanza da esse nel contrafforte Nord della Rognosa di Sestrières mostrano trattarsi di quella formazione brecciosa nota sotto il nome di hrèche dii thélégrajphe, rappresentante il Lias a facies hrianzonese nella finitima regione oltre confine. Quar- ziti, anageniti, gneis minuti, calcescisti e molte varietà di rocce ser- pentinose si associano così intimamente alle dolomie che la tettonica di quelFinsieme riesce di difficilissima spiegazione. Anche qui come al Gran Roc sembra che le masse triasiche si arrestino contro una frattura avente direzione N.E., la quale sembra allineata con quella limitante quel gruppo dal lato N.O. Alcune gite fatte al M. Fraiteve, costituito essenzialmente da calcescisti, aventi dolce pendenza verso 0., mi permisero di osservare nella parte alta di esso numerose striscie di scisti diasprigni rossi e verdi e numerosissimi banchi di quei calcari cristallini a struttura colitica, dei quali parlai in una nota in un lavoro precedente. Pro- babilmente dalle falde di questo monte sono scesi, colla morena di destra del ghiacciaio della valle della Ripa, i numerosi blocchi di quelle rocce che si osservano nel morenico a monte di Cesana. * * * Dintorni di Exiles e di Chiomonte. — Sempre allo scopo di me- glio precisare la posizione dei calcari dolomitici del Trias fra gli gneiss e micascisti del massiccio d’Ambin ed i calcescisti, ho percorso la valle della Dora da Exiles a Susa. Sovente i calcari dolomitici e cri- stallini, che tutti sono concordi nel riferire al Trias, si appoggiano sui primi direttamente o sopportano i secondi; ma in alcuni punti sotto i calcari stanno delle quarziti micacee, rappresentanti sporadici del- RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’aNNO 1911 Ó9 TEotrias: per es. al risvolto della strada presso la fucina diruta ad un Km. e mezzo da Exiles e al basso della salita che dal ponte sulla Dora a N.O. di Chiomonte conduce a S. Giuseppe. Moncenisio. — Una zona di quarziti micacee tabulari del tipo hargiolina si trova sopra la strada del Moncenisio presso Case Blaves, dove esse sono scavate per pietrisco; e separano gli gneiss minuti dai calcescisti, presentanti ripetute intercalazioni di breccie ed ele- menti dolomitici fortemente laminate e con grande sviluppo di mica (Lias?). Cosi tutto lo sperone compreso fra la Cenischia e la Dora da Case Blaves ai dintorni di Prapiano ed alF abitato di Clarea è co- stituito da calcescisti aventi pendenze verso S.E. predominanti e quindi appoggiantisi sopra agli gneiss. In alto presso il piano del Moncenisio ho preso in esame la zona limite degli gneiss nei monti D’Ambin colle note masse calcari di S.Kicolas. In mezzo ai calcari marmorei bigi sovrastanti a quelli bian- chi cristallini e micacei sono diversi banchi di breccie poligeniche micacee ad elementi dolomitici, di quelle tipiche che sogliono rife- rire al Lias a facies hrianzonese. Lungo il contatto fra calcescisti e gneiss di qui alle falde del Corno Bosso e del Monte Malamot il Trias tipico è rappresentato da poco calcare, il quale manca nel ver- sante occidentale di quest’ultimo monte. Però verso la bassura ^el Colle del Piccolo Moncenisio quel terreno prende un grande sviluppo, comprendendo una forte potenza di quarziti localmente sviluppate., e maggiori masse di carniole e di gessi, il cui esteso affioramento cor- risponde poi, attraverso al lago nel Moncenisio ed alle falde del Monte Lama e del Rocciamelone nell’alto Circo di Novalesa, a quella inte- ressantissima anticlinale triasica laminata, rotta e forse in parte carreggiata, compresa in mezzo a una potentissima formazione cal- cescistosa con pietre verdi la quale, alle falde del Rocciamelone, si sviluppa sopra una potenza superiore ai 3000 metri. 60 ING G FRANCHI Ho già accennato precedentemente alle variazioni grandi e ra- pide di sviluppo e di tipo dei due membri del Trias ed alla indipen- denza delle zone isopicbe da quelle tettoniche attorno al massiccio Dora-Valmaira. La grande varietà di sviluppo e di tipi che si os- serva nel Trias che recinge e in parte ammanta il gruppo gneissico micascistoso dei monti d’Ambin è pure altamente istruttivo. VALLE SESIA E BIELLESE. Sul finire della campagna mi occupai a completare il rileva- mento della zona diolitico-Kinzigitica Ivrea-Verbano nelle tavo- lette di Varallo, di Bannio, di Borgo-Sesia e di Coggiola. 6. Ing. C. CEEMA ABRUZZO AQUILANO Foglio 145 {Avezzano). L’area studiata corrisponde essenzialmente alla porzione di foglio compresa fra il fiume Salto ed il gruppo del M. d’Ocre, già rilevato e pubblicato a parte (1909), e fra il rio Torto e quella serie di pianori digradanti che, partendo dalla E. Pizzodente sotto il villaggio di Torano, fa capo per la valle Amara al bosco di Cerasolo, presso il M. Or sello. Sarebbe qui affatto inutile una descrizione topografica, anche succinta, della regione presa in esame: passo quindi senz’ altro alla enumerazione delle formazioni osservate per poi procedere ad una sommaria descrizione del loro modo di presentarsi. Avverto espres- samente che questi pochi cenni hanno un carattere affatto prelimi- nare, essendo poco più che iniziato lo studio del materiale raccolto ed in parecchi punti le ricerche sul terreno non potendosi ancora con- siderare come sufficienti. Nella costituzione della regione considerata prevalgono di gran lunga sugli altri terreni per potenza ed estensione i calcari mesozoici, i quali formano l’impalcatura fondamentale sulla quale si adagiano i calcari eocenici, scarsi e poco potenti, la formazione calcareo-mar- noso~arenacea del Miocene, estesa ma largamente rappresentata sola- mente nelle pendici di media e bassa elevazione, ed infine il Quater- nario che si sviluppa principalmente in vicinanza del Salto. Ho detto calcari mesozoici, non volendo escludere pel momento che possano in qualche punto comparire anche terreni precretacei, come in larga scala si verifica nell’adiacente foglio di Aquila, ma, a parte questa riserva, l’impalcatura rocciosa è esclusivamente costituita dai 62 ING. C. CREMA calcari cretacei, i quali compaiono qui coi consueti, noti caratteri, ma forse con una potenza ancora maggiore che nel foglio ora accennato. Non è facile stabilire quali siano gli orizzonti rappresentati in questa enorme pila calcarea, che presenta una grande uniformità di facies e nella quale gli avanzi organici, per quanto abbondanti, non sono ugualmente distribuiti nei varii livelli : tanto più che la tenacità della roccia e V avanzata spatizzazione dei fossili rendono il più delle volte impossibile V estrazione di esemplari sufficientemente ben con- servati. Tuttavia, grazie alle determinazioni gentilmente compiute dal prof. C. F. Parona sul materiale da me raccolto, è rimasta accertata la presenza di almeno tre piani : il Cenomaniano, il Turoniano ed il Senoniano. Il Cenomaniano è senza confronto il più sviluppalo dei tre, e per tacere dei punti ove la sua presenza non si può citare per ora che con dubbio, quali il versante settentrionale del M. Castello e la R. Cera- solo, esso è largamente rappresentato nel versante occidentale del M. Rotondo, lungo il rio Torto (sotto Le Macchiole) ed ai monti di Ruella. Fra i fossili prevale la Monopleura forojuliensis Pir., la quale è accompagnata da Itieria acteonelliformis Schnarr., Fibula rupestris Par., N evita Aterni Par., N. Schnarr enhergeri Par., Pileolus Ghelussii Schnarr., Trochus foveae Par., T. spiralis Schnarr., T. Cremai Par., Tylostoma Stenii Ciof., Nerinea forojuliensis Pir., ecc., Milleporidium sp., Stromatopora n. sp., Tetraploplorella sp.: frequente pure è la pic- cola Requieniaì nuda, così comune nell’ Appennino centrale e meri- dionale, ma finora non ben identificata; in una parola, si ha qui la stessa fauna che nel Cenomaniano del gruppo del M. d’Ocre. Sulla destra dell’ Aterno questa fauna è già stala riconosciuta in molti punti fin presso il corso del Velino, a Nord di Antrodoco, e si può dire che la sua estensione geografica va continuamente crescendo man mano che progrediscono le nostre conoscenze sull’ Appennino . Il Turoniano sembra assai meno esteso e non può essere citato con sicurezza che a] M. Rumo, in seguito al ritrovamento di un fram- mento di Durania del gruppo della D. cornupastoris e di una forma affine silV Eoradiolites liratus Conr., nonché al Colle Voltella, dove potei RELAZIONE PRELIMINARE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ANNO 1911 63 constatare la presenza della Chondrodonta sellcLe formis Par. ; quivi la roccia in molti punti è un agglomerato di valve di Monopleura (forse più di una specie) fortemente cementate, per cui finora non fu possibile estrarne individui liberi che permettano V esame dei ca- ratteri specifici esterni. Con riserva il Turoniano può ancora essere indicato presso la Portella ed al M. Rosa, dove poco sopra Le Ville rinvenni una dubbiosa Sauvagesia Sharpei Bayle sp. Anche il Senoniano non è largamente rappresentato; tuttavia esso affiora con certezza nel vallone Gregoli, tributario dell’Apa presso il ponte dell’Ospedale, dove la roccia si presenta straordinariamente ricca di TJippurites (Orhignya) colliciatus Woodw. caratteristica del Senoniano medio. E’ probabile più che possibile che ulteriori ricerche conducano alla scoperta di altri orizzonti. Poco estesi ma frequenti affioramenti di bauxite si osservano nella serie cretacea, agli stessi livelli, nelle stesse condizioni di giacitura e cogli stessi caratteri che nel vicino gruppo del M. d’Ocre; ne ho rinve- nuto fra i] M. Frontino e la Fossetta, presso la Difesa del Dente e nel tratto settentrionale del M. Cornacchia, presso la cresta : di due altri affi or an enti, situati nel vasto bosco di Cerasolo, ebbi notizia dai na- turali, ma non riuscii a rintracciarli. Appartengono all’Eocene tre esili lembi, uno che dal poggio di Castiglione si dirige alla Coppa delle Serre uscendo subito fuori della regione studiata, del quale non mi occuperò, e due presso il limite settentrionale del foglio, rispettivamente al C. Ripa ed alM. la Serra. Quest’ultimo lembo è costituito da calcari bianchi nummul itici dello spessore di pochi metri e forma una striscia che partendo dalle vici- nanze della fonte Acquoli si svolge sul versante orientale della Serra^ scendendo a mezza costa fin sotto la Crocetta S. Nicola, dove sparisce per ricomparire probabilmente più ad Est. Questi calcari nummulitici a Nord della fonte Acquoli proseguono fuori dei limiti del foglio, fino alle propaggini orientali del M. Calvo, facendo lateralmente pas- saggio alla scaglia nummulitica, rosea o verdiccia. 64 ING. C. CKEMA L’altro lembo eocenico,, pur esso in forma di esile nastro, compare sul versanto occidentale del colle Ripa, che contorna a Sud, spingen- d,osi sul versante orientale della Costa Grande, dove si dilegua. Anche questo lembo è costituito da calcari bianchi nummulitici, che più a Nord fanno passaggio alla scaglia, nella quale, presso Genzano, è sca- vata la pittoresca gola detta Le Vene. Quivi la scaglia rosea o ver- diccia si presenta ben stratificata, a strati di poco inclinati ad Est, con inter strati e noduli di selce nerastra o rossa, ed è scavata come materiale da costruzione. Gli strati eocenici sono concordanti coi banchi del Cretaceo e con- tengono, come ho saputo dal prof. Prever che gentilmente esaminò qualche campione, Paronaea discorhina D’Arch. e P. suh-discorbina De La Harpe; appartengono quindi all’Eocene inferiore. Il Miocene è largamente rappresentato dalla nota formazione calcareo-marnosa-arenacea, la quale si osserva di preferenza nelle porzioni meno elevate del territorio, ma in piccole placche residuali si trova anche nei punti più alti. Senza ripetere cose già note, rile- ■ verò soltanto come sia sempre ben visibile il graduale passaggio fra i varii membri di questa formazione: abitualmente i calcari marnosi si trasformano superiormente prima in marne argillose indi in argille, e queste fanno passaggio per successive alternanze alle arenarie. Gli strati argillosi formano in generale un complesso di poca potenza, talvolta anzi mancano quasi del tutto e può aversi alternanza fra calcari ed arenarie. Il Miocene e l’Eocene presentano gli strati sensibilmente paralleli, ma sono in trasgressione. Basterà a questo proposito ricordare che poco a Nord dei limiti del foglio, presso Preturo, al M. La Torretta, in una bella sezione naturale si osservano discordanze per erosione ben evidenti fra i calcari nummulitici ed i calcari marnosi con fossili mio- cenici, e che inoltre fra le due serie si interpone quivi per quasi un chilometro un conglomerato della potenza di una diecina di metri, costituito esclusivamente da ciottoli dei varii calcari eocenici. Tutto ciò mostra che vi fu veramente emersione fra il depositarsi delle due serie di strati. RELAZIONE PRELIMINARE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA U)ELL’ ANNO 1911 65 Il Miocene accompagna sempre 1’ Eocene, ma dove questo manca, e cioè nel maggior numero dei casi, poggia direttamente sul Creta- ceo. Stabilito che i calcari marnosi miocenici stanno in trasgressione sui calcari nummulitici, non avrebbe più alcun interesse lo studio dei loro rapporti di giacitm’a con terreni più antichi, tuttavia è qui neces- sario esaminare anche quelli coi calcari cretacei, perchè qualche geo- logo sostiene che questi tarmo passaggio gradualmente ai calcari mar nosi con fossili miocenici (particolarmente a quelli a Pecten), inferen- done che questi ultimi debbono perciò ritenersi eocenici. Come era da prevedersi dopo le osservazioni fatte al M. La Torretta, le ricerche compiute hanno condotto ad un risultato ben diverso, ed ecco quanto potei constatare : lo Fra i calcari del Cretaceo ed i calcari marnosi non si può mai osservare passaggio graduale, chè anzi, do\nmque vi ha un tagho recente, ben si manifesta la brusca transizione fra i calcari cre- tacei bianchi, compatti, subceroidi, in banchi regolari attraversati Fig. 1. — Tagho lungo la strada di Castelmenardo C, calcari cretacei; m^, calcari marnosi. perpendicolarmente da fine diaclasi, ed i calcari a Pecten granulari, a frattura subconcoidale, a degradazione più o meno irregolare per la scarsa omogeneità della massa. Il taglio a monte della strada a mezza 66 ING. C. CREMA costa che sale a Castelmenardo (fig. 1) mostra sopra il fosso Perdano un buon esempio di tale brusco salto. 2° Presso Le Ville ai piedi del colle Cannavino, pochi passi a monte della strada rotabile, fra i calcari cretacei ed i calcari a Pecten si interpone, con una potenza di forse 10 m., una lente brecciosa co- stituita da elementi cretacei tenuti assieme da un cemento calcareo - marnoso, di color bianco-verdastro. 3® Infine, in altri punti la discordanza per erosione fra le duo formazioni considerate non potrebbe essere più evidente, perchè i cal- cari marnosi formano delle placche addossate alle testate dei banchi cretacei, come, ad es., nel già citato vallone Gregoli e sulle falde meri- dionali del M. Moro, oppure il Cretaceo forma degli isolotti che spuri-- tano frammezzo ai calcari marnosi, come, ad es., al colle Voltella in fac- cia a Petrignano. La fìg. 2 dà una sezione di questa località e serve Fig. 2. — Sezione fra Colle Voltella e Petrignano. 0, calcari cretacei; , calcari marnosi, argille e arenarie del Miocene^ nello stesso tempo ad illustrare i rapporti esistenti fra i varii membri del Miocene. Data rimportanza dei fatti ora enumerati, che varrebbero a sta- bilire definitivamente l’età miocenica della formazione calcar eo-mar- nosa-arenacea dell’ Appennino Aquilano, permettendo di considerare come chiusa per tale regione la così detta questione eo -miocenica, mi RELAZIONE PRELIMINARE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ANNO 1911 07 parve utile che le mie osservazioni venissero senza indugio sottoposte a controllo, e pregai perciò l’ing. B. Lotti di visitare almeno le più inte- ressanti delle località su accennate (Colle Cannavino, vallone Gregoli, pressi di Castelmenardo, colle Voltella, M. La Torretta). Avendo egli gentilmente acconsentito, sono lieto di poter aggiungere che ebbe a confermare pienamente le mie osservazioni e le mie deduzioni, auto- rizzandomi a pubblicarlo. Riprendendo ora la rassegna dei terreni della regione studiata,, non mi resta che parlare delle formazioni diluviali, le quali sono par- ticolarmente sviluppate nel territorio di Borgocollefegato, dove for- mano le terrazze che si stendono tra il capoluogo e Le Ville, a Nord di Collorso, ed a Sud di Colle Breccioso, la quale ultima doveva essere originariamente assai più estesa delle prime. Le profonde in- cisioni del Salto e dei suoi affluenti mostrano che si tratta essen- zialmente di depositi ciottolosi con poca sabbia, di una potenza vi- sibile di un centinaio di metri. In parecchie escavazioni praticate per estrarne materiale d’inghiaiamento, o per altre ragioni, si rinvennero ossa di grossi mammiferi, ma disgraziatamente affatto indetermi- nabili. Generalmente questi depositi presentano una cementazione scarsa o nulla, ma a Le Ville essi sono dotati di grande compat- tezza, tantoché in questo villaggio alcune abitazioni hanno la parte inferiore (compresa la volta fra la cantina ed il pianterreno) co- stituita dal conglomerato in posto convenientemente escavato e riquadrato. Nel vallone Bur ornar o e sulla sinistra della Valle Fura si osservano delle argille marnose, fine, grigiastre o gialliccie, ben stratificate, con numerosi avanzi di gasteropodi (Helix, Planorhis, ecc.), quelle della V. Fura sono inoltre ricche di resti vegeta] i (fìlliti) e contengono strati di tripoli e letti lignitiferi; lo studio di questi fossili permetterà, spero, di meglio precisare l’età di tali formazioni ed i loro rapporti coi de- positi ciottolosi diluviali nei quali sembrano intercalate. La grande potenza delle formazioni diluviali in confronto della ristrettezza dei singoli bacini e la conformazione di questi ultimi rende '68 IXG. C. CEEMA verisimile l’ipotesi che esse si siano depositate entro antichi laghi, poi prosciugatisi. Sulle falde settentrionali del v*asto piano Camarone e ad una settantina di metri su di esso, fra Santo Stefano e Corvaro, si ha un mi- nuscolo lembo di pozzolane, nel quale venne aperta una cava in occa- sione della costruzione dell’acquedotto di Borgocollefegato, avvenuta nel 1904. Per quanto minuscolo questo deposito non è però privo d’in- teresse, poiché sta a testimoniare l’importanza del manto di materiali endogeni che ricopriva altra volta gran parte della regione e traccie meno appariscenti del quale si hanno nei materiali vulcanici spesso commisti alle formazioni recenti. Da ultimo ricorderò ancora una breccia, ad elementi di non grandi dimensioni, debolmente cementata, probabilmente di età olo- cenica e che con una larghezza superiore a mezzo chilometro si stende sulle due falde del M. Castelvecchio, da Collefegato a Dorano. lia tettonica della regione sembra sia essenzialmente determinata da alcune grandi faglie messe in evidenza dall’ orografìa e più ancora dai contatti anormali che determinano fra i varii orizzonti del Cre- taceo. Queste faglie paiono molto estese, ma sarebbe ora prematuro l’entrare in maggiori particolari, la regione studiata essendo relativa- mente poco ampia, priva di regolare delimitazione come di ogni unità orografìca o geognostica ed inoltre trovandosi ancora in gran parte circondata da territorii non per anco riconosciuti. LAZIO. Foglio 151 {Alatri). Causa r inclemenza della stagione già avanzata, non ebbi campo di fare in questo foglio che poche ricognizioni fra Anagni e Piglio, e vi accorino soltanto perchè potei osservare che in questa regione il Miocene si presenta cogli stessi caratteri e nelle stesse condizioni di giacitura che nell’Abruzzo Aquilano. Ing. C. PILOTTI SARDEGNA. TgLE STENTE. Dovendo iniziare ii rilevamento dell’ Iglesiente, feci in tale regione alcune escursioni preliminari per avere una prima idea di quella serie di terreni. Durante queste escursioni ebbi occasione di trovare le cosi dette anageniti in punti dove non erano ancora state segnalate (Domusnovas), e di riconoscere la presenza di calcari « e calcari scistosi a Coscinocyathus nei pressi di Casa Olla, presso il Rio Corongiu, e cioè in zone di calcescisti, o almeno di roccie aventi lo stesso aspetto litologico di quelle che cosi sono chiamate nell’ Igle- siente, lasciando per ora impregiudicata ogni questione sulla giaci- tura di questa serie di roccie. Lembi di calcari scistosi a Coscinocyathus si presentano anche a Monte Ollastu (Villamassargia). Mi propongo, tornando nell’ Iglesiente, di fare delle ricerche per vedere se anche le zone di calcescisti tipici (Monteponi. ecc.), presentino per avven- tura traccie di fossili \ Foglio 180 (Tavolette di Nulvi e Castelsardo). Nella campagna autunnale continuai nella parte nord dell’isola i rilevamenti ivi già iniziati negli anni precedenti, ed in particolare mi parve opportuno di fare escursioni nell’Anglona (parte setten- trionale della tavoletta di Nulvi e tavoletta di Castelsardo) dove, oltre alla formazioni vulcaniche, mi interessava di studiare la for- mazione lacustre di Martis e Perfugas, che il Lamarmora aveva sin- cronizzato con quella di Oschiri, da me studiata nelle campagne pre- cedenti. La scarsezza del tempo di cui disposi mi permise soltanto ^ Cfr. le comunicazioni fatte nella Seduta 31 marzo 1912 della Società Geologica Italiana. Le determinazioni dei fossili sono dovute al prof. Parona. 70 ING. C. PILOTTI delle ricognizioni preliminari: ma ciò nonostante potei fare alcune osservazioni di qualche interesse. Nelle pendici settentrionali del Monte Sassu rilevai un lembo di Cretaceo del tutto analogo a quello già da me segnalato Tanno scorso presso Tuia e che, con tutta probabilità, è quello a cui allu- deva il prof. Lovisato citando un lembo di Cretaceo al « Sasso di Per- fugas»’. Esso si trova presso Ernia, frazione di Perfugas, e, come supponevo Tanno scorso, appartiene probabilmente ad una stessa formazione con quello di Tuia, ed è quindi, come questo, ascrivibile al Senoniano medio. Anche esso riposa sui micascisti e gneiss che ivi formano l’ossatura del Monte Sassu, ed è ricoperto dalle roccie vulcaniche. Il ritrovamento di alcuni fossili presso Martis e Perfugas per- mise poi di determinare Tetà di alcuni livelli della formazione lacustre di Perfugas. Questa formazione, che in alcuni punti ha una potenza abbastanza considerevole, è composta di strati suborizzontali o leg- germente inclinati, di varia natura litologica. Il prof. Parona, che colla sua usata cortesia si è gentilmente incaricato di studiare i fossili da me trovati, ha riconos iuto in uno dei campioni raccolti un ceppo silicizzato di Rhizocaiilon Brogniarti Sap. chiaramente caratterizzato; ed in alcuni campioni calcarei tracce di Helix, forse VIJ. Ramondj, sebbene i fossili siano schiacciati e poco determinabili. Di modo che, secondo il prof. Parona, ci troviamo con ogni pro- bababilità in presenza dello Chattiano (strati a TJelix) e del sotto- stante Rupeliano (strati a Rhizocaulon): ciò che non discorda con le mie osservazioni stratigrafiche, le quali mi facevano supporre che la formazione fosse più antica delTAquitaniano. ^ V. Eelazione per la campagna del 1910, Bollettino B. Gomitato Geologico, Voi. XIII, fase. 2, pag. xliii. Il prof. Lovisato, con cui ebbi occasione di parlare, mi disse infatti che il lembo da lui ritrovato trovavasi nelle alture 3, SE di Perfugas. RELAZIONI PRELIMINARI SUI LAVORI DI CAMPAGNA DELL’aNNO 1911 Tl E’ da notarsi che la formazione di Perfugas è molto estesa, più assai di quella di Oschiri, pur tenendo conto che questa è in buona parte mascherata da depositi posteriori. Umbria. Fogli 131, 123, 124 {Tavolette diFoligno, Nocera-Umbra e Camerino). Le mie escursioni nel territorio compreso nelle tavolette sopra menzionate furono semplicemente dirette a completare i rilievi già fatti nella stessa località dal Direttore dell’ Ufficio. 8. Ing. M. CASSETTI CAMPAMA. Foglio 172 {Caserta) e 173 {Benevento). La revisione di questi fogli, già da me rilevati negli anni 1 887-88 89, è stata fatta non solo allo scopo di verificare la esattezza dei contorni dei vari terreni, ma altresi per raccogliere valevoli elementi atti a risol- vere un problema geologico assai importante, e cioè quello della determinazione dell’età di numerosi depositi di arenarie di vario aspetto, più o meno estesi e talvolta assai limitati, che affiorano nelle dette provinole e nelle limitrofe del Molise, insieme alle argille sca- gliose e ai calcari mummulitici a queste intercalati. Si tratta cioè di stabilire se tali depositi di arenarie siano da ri- ferirsi all’Eocene o al Miocene, e qualora risulti che essi non siano contemporanei, procedere alla necessaria distinzione. E’ questa una quistione analoga a quella che da qualche tempo si dibatte per la regione umbra, sollevata dall’ing. Lotti, il quale ha pure riconosciuto molta somiglianza litologica fra i campioni di roc- cia arenacea delle regioni da me rivedute con quelli da lui raccolti neirUmbria. Le osservazioni da me fatte in proposito nelle ultime escursioni non sono sufficienti per risolvere l’accennato problema, dappoiché mentre, in conseguenza dei dati tettonici da me rilevati, io sarei in- clinato a ritenere le dette arenarie del periodo eocenico, come le ar- gille scagliose e i calcari mummulitici, invece le osservazioni paleon- tologiche fatte, dietro mia preghiera, dal dott. Prever, mi danno ragione solo in parte, giacché in alcuni campioni di roccia arenacea RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DELL’ ANNO 101 l T'.i da me raccolti, il prelodato dottore ha riscontrato dei foraminiferi eocenici e in altri dei foraminiferi miocenici. E’ necessario quindi che io ritorni sul posto, e possibilmente col concorso dell’ing. Lotti, per fare più accurate osservazioni e racco- gliere ulteriori elementi, nella lusinga di risolvere la quistione di cui si tratta. ABEUZZO. Foglio 146 (Sulmona) e 147 (Lanciano). Le mie escursioni nel versante settentrionale della Maiella, che si protrassero fino alla valle del Pescara, sono state sufficienti non solo per farmi riconoscere 'il notevole sviluppo della zona gessoso-solfì- fera, o zona a congerie che affiora in qnella regione e che accompagna i calcari asfaltiferi, ma altresì per formarmi una idea abbastanza chiara della tettonica dei vari terreni che lo costituiscono, i quali vanno dalbEocene al Quaternario; cosi che, dopo altre poche escur- sioni, che mi sono proposto di farvi nella prossima campagna del 1912, spero di averne completato il rilevamento e nello stesso tempo essere in grado di pubblicare una nota geologica descrittiva di questa parte dell’Abruzzo Chietino, assai interessante sia dal lato geologico corno dal lato industriale. MARCHE. Foglio 109 (Pesaro). Il rilevamento delle Marche si svolse nella valle del Metauro a XE di Fossombrone e fu limitato ad una gita di pochi giorni. In questa gita la maggiore mia attenzione fu rivolta al ricono- scimento della zona gessoso-solfìf era, che affiora sulla sponda sinistra di detto fiume, in prosecuzione di quella della sponda opposta, già da me studiata, dove s’incontra il bacino solfifero del Peglio, in cui è stata aperta la miniera omonima e che io ho illustrato con una nota inserita nel secondo fascicolo del « Bollettino geologico ». 74 ING. M. CASSETTI Le poche escursioni fatte furono dirette a constatare la esistenza e indicare la ubicazione di molti affioramenti di gesso, alcuni dei quali si presentano insieme a quelli di calcare solfìf ero, in diversi punti dell 'accennata sponda del Metauro. Questi affioramenti sono sempre allineati da NO a SE e si trovano più esattamente nei finitimi ter- ritori di Montefelcino, Isola del Piano e Petriano, da dove poi si inol- trano nelle successive valli del Marecchia e del Savio. Ing. V. SABATINI CLASSIFICAZIONE DELLE ROCCE DEI VULCANI CIMINE In una nota precedente ho già dato la serie delle eruzioni ci- mine h Ora, con T interpretazione delle analisi chimiche potrò dare un primo accenno dell’ evoluzione dei magmi relativi Ricorderò che le prime eruzioni sicure del Vulcano Cimino det- tero la necrolite delle alture, roccia di dubbia origine, non essendosi potuto determinare con sicurezza se sia un tufo o una lava. Verso la fine di tali eruzioni (o in principio di quelle di necrolite tipica) si eb- bero delle colate sicure: le oligolabradoriti di Montecchio e di Monte Torello, di cui forse si ha un lembo anche ai Tre Camini. Seguirono (o continuarono) le emissioni di ceneri, che produssero la necrolite tipica, vero tufo, sull’origine del quale il dubbio non è più permesso. In un posteriore periodo dell’attività di questo vulcano si ebbe Toligoclasite della Quercia e qualche altra colata, seguite da altra sosta dell’attività. Si ebbe quindi una serie recente, costituita da oligoclasiti, tra cui le colate di Santa Lucia e di Loreto; e le oligolabradoriti della Trinità, di Soriano e del fianco orientale del vulcano. Il rapporto tra le due ultime famiglie di lave non potetti stabilirlo. Sul terreno non si hanno elementi sicuri e, per quanto queste famiglie si distinguano abbastanza bene, macro e microscopicamente, non può non sorgere il dubbio che si tratti di variazioni di un solo tipo oligoclasi- ^ Boll. Com. Geol., 1910, 4. ^ Le anahsi chimiche adoperate furono tutte quelle jjreesistenti e dovute ad autori diversi, con l’aggiunta di molte altre eseguite dall’ Ing. Aichino nell’Ufficio Geologico. 76 ING. V. SABATINI tico, che ora si sposta verso le trachi ti e ora verso le labradoriti. Mentre si hanno due gruppi di colate di natura diversa, nasce il sospetto che potrebbero derivare tutte dalle oscillazioni d’uno stesso magma e da quelle delle condizioni della relativa cristallizzazione. Queste lave in generale contengono, nel secondo tempo, sanidina oligoclasia e labra- doro, dei quali variano solo le proporzioni tra limiti molto estesi. Ma, a togliere qualunque incertezza, interviene l’analisi chimica, la quale, se mostra una stretta parentela tra le oligolabradoriti an- tiche e le oligoclasiti, mostra pure invece una netta differenziazione tra !e seconde e le oligolabradoriti recenti. Tale differenza è tanto più notevole in quanto le due ultime famiglie devono appartenere allo stesso periodo dell’attività del vulcano. Io ho seguito due sistemi di classificazione, entrambi dovuti a Michel-Lévy, perchè parmi si completino, sebbene il secondo, pro- posto più tardi, sia stato ritenuto dal detto autore come migliore del primo. Del resto entrambi saranno da me discussi a lungo, a propo- sito delle rocce cimine, nella mia grande memoria di cui riassumo le conclusioni Quanto alle differenze tra le oligoclasiti e le oligolabra- doriti recenti del Vulcano Cimino, esse appariscono già col primo si- stema di classificazione, ma si deducono anche meglio col secondo. Ne risulta che con grande probabilità si può stabilire la relazione tra le lave suddette. Col primo sistema di classificazione, basato sui rapporti tra potassa soda e calce felspatizzabili, oltre che su quello tra magnesia e calce -, l’e- voluzione dei magmi generatori pel Vulcano Cimino risulta la seguente : I. M. diahaso lamprofirico con M. leucotejritico. (Necrolite delle alture. Stretta parentela co’ magmi delle oligolabradoriti antiche)^ II. M. tonalitico con M. minettico. (Necrolite tipica); III. M. esterellitico con M. leucito dioritico. (Oligoclasite della Quercia); 1 I Vulcani delV Italia Centrale e i loro prodotti. Parte seconda. Vulcani Cimini. Mova, descr. Carta Geol. d’It., XV. Eoma, Bertero, 1912. ^ Classification des magmas, Bull. 8oc. Oéol. d. Fr., 1897. ^ M = magma . CLASSIFICAZIONE DELLE ROCCE E DEI VULCANI CIMINI IV. M . da esterellitico a lamprofirico con M . minettico. (Oli- goclasiti di Santa Lucia e di Loreto); V. M. esterellitico con M. minettico. (Oligoiabradoriti recenti). La serie del Vulcano di Vico s’inizia assai probabilmente con eruzioni fonote''ritiche. Seguono le eruzioni di leucotefriti del cra- tere A. E quindi quelle di trachioligoclasiti dello stesso cratere, e di leucotefriti del cratere B. Questi due gruppi di lave appartengono a due periodi diversi dell’attività del Vulcano di Vico, ma allo stesso periodo dell’evoluzione dei magmi dei relativi focolai b Applicando a queste lave la classificazione precedente si ha: I. M. esterellitico con M. domitico. (Fonotefriti); II. M. da esterellitico a lo.m'profirico con M. da minettico a domitico. (Leucotefriti di A); III. M. esterellitico con M. sienitico. (Trachioligoclasiti di A e leucotefriti di B). Ove si applichi il secondo sistema di classificazione basato sui pa- rametri magmatici pel Vulcano Cimino nelle variazioni dei quat- tro parametri, fi>, r, C' W si hanno le evoluzioni seguenti. Qui, tanto la fumarola come la scoria, si scindono in due magmi elementari. 4) r C’ W Necrolite d. alture 1 2.3 - 3.2 1 1.4 -1.6 o b p b 1.9 -4.9 Necrolite intatta . 3.2 1.9 0.1 2.9 Oligolabradoriti antiche 2.5 1.1 0.2 2.7 Necrolite tipica 3.1 -3.9 1.9 -2.1 0.0 -0.2 2.6 -4.1 Oligoclasite della Quercia 2.9 LO 0.2 2.8 Oligoclasiti di S. a Lucia e di Loreto . 2.3 -3.7 0.7 - 4.7 0.07 - 0.2 0.7 -4.6 Oligolabradoriti recenti 5.6 4.8 0.1 0.7 ^ Quest’ultimo periodo magmatico è determinato in base all’interpreta- zione di due sole analisi, quella della vetrallite sulla Via Aurelia, e quella di una lava di Monte Tenere (entrambe dovute a Washington). 2 Michel-Lévt, Bull. Carte Géol. d. Fr., 1903-904. n. 96. 78 ING. V. SABATINI E chiamando rispettiva xen te gl’intervalli successivi delle varia- zioni dei diversi parametri, nel quadro di classificazione di Michel- Lévy, coi numeri 2, 3, ecc., si ha: I. 4.5 - 2.1 {Alcalino granitico, megapotassico - mesocalcico, ma- gnesiaco). (Necrolite intatta = necrolite delle alture non alterata); II. 3.5 - 3.1 (Sienitico, megapotassico -megacalcico, magnesiaco). (Oligolabradorite di Montecchio). III. 4.5- 1.1 (Alcalino granitico, megapotassico - microcalcicoy magnesiaco). (Necrolite tipica); IV. 3.5 -3.1 (Sienitico, megapotassico -megacalcico, magnesiaco)' (Oligoclasite della Quercia); V. 3.5 - 3.1 (Idem). (Oligoclasite di Santa Lucia e di Loreto) ; VI. 6.0- 1.1 (T onalitico, perpotassico- microcalcico, magnesiaco). (Oligolabradoriti recenti). Parrebbe che nei primi quattro periodi ci siano stati due ritorni indietro col periodo II e col IV, ma il fatto si spiega ammettendo che periodi I e III, avendo prodotto materiali di proiezione, attinsero alle regioni più superficiali del bagno fuso; mentre gli altri periodi, avendo prodotto lave, attinsero a regioni più profonde e perciò diversamente evolute. Fatta tale probabile ipotesi, per le lave cimine si sarebbe avuto un lungo periodo 3.5 -3.1, e il periodo 6.6 -1.1 deve averlo seguito, essendo poco probabile che si sia in esso intercalato. Ma. data l’incer- tezza di queste classificazioni e più ancora delle analisi chimiche su cui si basano b conclusione precedente va accolta con grande ri- serva. Intanto parrebbe da quanto precede che le oligolabrado- riti antiche siano varianti mineralogiche delle oligoclasiti, mentre le oligolabradoriti recenti rivelano la sola variazione effettiva dei magmi ^ L’ incertezza deriva dal piccolo numero di queste analisi, e dall’ es- sere state in gran parte eseguite quando non si prevedeva a quali delicati calcoli e controlli dovessero servire. CLASSIFICAZIONE DELLE ROCCE DEI VULCANI CIMINI originarli avendo io già spiegato le apparenti variazioni anomale corrispondenti alle necroliti. La detta variazione effettiva dei magmi, sarebbe avvenuta sul finire dell’attività del Vulcano Cimino. Un fatto analogo troveremo anche nel Vulcano di Vico. Applicando a quest’ultimo la classificazione basata sui parametri magmatici, troveremo: d> r C’ T Fonotefriti 1.7 1.9 0.2 45.0 Leucotefriti di A 1.5 -2.3 0.8 -2.5 0.05 - 0.2 1.9 -7.3 Trachiohg. di A e leucotefriti di B . 1.9 -2.0 2.8 - 2.0 0.1 2.9 - 3.2 Quindi l’evoluzione dei magmi vicani sarebbe stata: I. 1.5 - 3.3 {Leucitico, megapotassico - megacalcico, ferrico).. (Fonotefriti); II. 1.5 -3.3 {Idem). (Leucotefriti del cratere A); III. 2.6 -3.2 {Alcalino sienitico , perpotassico - megacalcico, fer- romagnesiaco). (Trachioligoclasiti del cratere A e leucotefriti del cratere B), Si vede perciò che, al pari di quanto avvenne nel serbatoio del Vulcano Cimino, in quello del Vulcano di Vico i magmi si mantennero costanti per lungo tempo, quindi subirono una differenziazione note- vole. Le differenze tra questi vulcani furono due: P Nel serbatoio del Vulcano Cimino l’evoluzione suddetta ^ Queste ohgolabradoriti recenti contengono una maggior quantità di microliti basici (come nelle lave da cui provengono le analisi chimiche) pure passando a quelle che contengono maggior quantità di microliti acidi. Perciò nella citata memoria le ho chiamate lahroUgoclasiti (passanti talvolta ad oli- golàbradoriti) . Inoltre le lave antiche di Montecchio e di Monte Torello sono vere oligolabradoriti per la maggior quantità di microliti acidi che conten- gono, rispetto a quelli basici. 0 ING. V. SABATINI pare che avvenisse sul finire dell’ attività, nelle sue ultime manifesta- zioni. Nel serbatoio del Vulcano di Vico l’evoluzione certamente av- venne dopo una lunga serie di eruzioni, ma quando un’altra lunga serie doveva seguire coi magmi così differenziati. Difatti dopo le eru- zioni di leucotefriti del cratere A, avvennero nel medesimo eruzioni di trachioligoclasiti, e in ultimo quelle che demolirono il detto cratere, essendo inoltre tutte intramezzate da eruzioni di prodotti di proie- zioni; e finalmente seguirono le eruzioni che costituirono il cono B di Monte Venere, le quali furono certamente parecchie; 2° La differenziazione dei magmi principali del primo vulcano fu più completa, perchè avvenne in entrambi, e in entrambi i magmi elementari di cui sono costituiti, nell’ipotesi della classificazione pa- r ametrica. Fa eccezione il magma elementare indicato dal quarto pa- rametro, perchè facilmente alterato da errori nella sua valu' azione. Invece la differenziazione dei magmi del secondo vulcano avvenne solo nella fumarola - l’agente modificatore per eccellenza, visto che, più che vera differenziazione, produce aggiunta di sostanze - mentre la scoria non subì variazioni sensibili. Le conclusioni precedenti si basano sulle analisi chimiche fatte finora. Tra quelle fornitemi dall’Ing. Aichino e quelle preesistenti se ne ha un buon numero; ma se il medesimo si mette in rapporto col numero delle rocce considerate, se ne vedrà a colpo d’occhio l’in- sufficienza. Quando la stessa colata può dare analisi abbastanza di- verse, come la colata di Capo di Bove, o molto diverse come quelle di Santa Lucia di Soriano, rende assai pensosi il fatto che d'intere serie di eruzioni non possediamo spesso che una o due analisi sole. Purtroppo oramai è dimostrato che la composizione mineralogica e la struttura sono basi troppo incerte di classificazione, dipendendo, oTre che dalla natura dei magmi, anche da condizioni speciali della cristallizzazione. Quindi si arriva al fatto che emissioni diverse d’uno stesso materiale, e perfino la stessa emissione, possono presentare differenze tali da richiedere nomi diversi con le classificazioni mineralogiche. E’ noto come spesso, conoscendosi l’origine comune di certi campioni, si fanno delle faticose dissertazioni per. dimostrare che occorre dare un nome CLASSIFICAZIONE DELLE ROCCE DEI VULCANI CIMINI 81 solo a prodotti che nel microscopio appariscono diversi. Una classi- ficazione ben fatta deve invece basarsi sull’essenza dei corpi da clas- sificare, e non già sui loro caratteri accidentali e quindi mute voli. Ma non sarà possibile avanzare sulla buona via se non si avranno gli elementi per farlo, e tali elementi sono, prima di tutto, numerose analisi chimiche. Il dilemma quindi apparisce chiaro: o aumentare la potenzialità dei nostri laboratorii chimici, o rinunziare a qualunque progresso di questa petrografia, che in Italia è anche troppo negletta. 6 STUDI NELLE ALPI VENETE 1. G. DAL PIAZ. I lavori di studio e di rilevamento geologico che il sottoscritto ebbe l’onore di compiere nella campagna 1911 per incarico del R. Comitato geologico, si svolsero attorno a tre centri principali e durante tre periodi distinti. 1. — Durante il primo periodo venne continuato il rilevamento della regione Cadorina, con speciale riguardo alle tavolette Cibiana e Pieve di Cadore. A lavori completati un’apposita memoria illustrerà questa importante regione della quale fanno parte terreni delia serie triasica e del Permiano superiore. Particolarmente interessante di tutta la successione è la zona delle pietre verdi, zona che occupa un determinato livello, il Ladinico, e che è costituita da un insieme di materiali assai svariati, quali : ftaniti, quarziti, tufi, diabasi, por- firei, rocce serpentinoso-cloritiche, calcari subsaccaroidi alternati ad argille scistose, gessi, ecc. Non meno interessante della serie dei terreni è la tettonica, tanto nella parte occidentale, che ha il suo centro nel M. Ritte e che ri- sponde ad una grande piega rovesciata ed accompagnata da piccoli ma numerosi salti, quanto nella parte orientale fra il Tranego e Rio Talagona, dove, pure in conseguenza di una grande piega-faglia rove- sciata, i terreni del Muschelkalk sono andati a ricoprire, verso sud, la serie rovesciata del Trias superiore. 2. — La seconda parte della campagna geologica fu occupata nel rilevamento della tavoletta Trichiana (Belluno SO). In questa regione sono larghissimamente rappresentate le formazioni ino- STUDI NELLE ALPI VENETE 83 Feniche; l’Eocene con facies di Flysch ad intercalazioni di banchi nummulitici; ed il Cretaceo costituito dai soliti materiali: Scaglia e Biancone. Nella parte sud-orientale della tavoletta medesima co- minciano a mostrarsi le prime tracce di calcari a Rudiste, la cui lipii- fazione di affioramento merita d’essere particolarmente curata per i confini che separano le due facies del Cretaceo superiore. In complesso^ meno un piccolo appezzamento, venne rilevata l’intera tavoletta. La tettonica vi è particolarmente semplice; salvo una dolce infiessione nella parte mediana, tutta la serie dei terreni è uniformemente incli- nata da sud a nord e costituisce la gamba meridionale della larga sin- clinale bellunese. 3. — L’ultimo periodo della campagna geologica venne impie- gato nel continuare il rilevamento della provincia di Treviso, e più precisamente dei fogli Vittorio e Cison di Val Marino. Di particolare interesse per questa regione sono le formazioni moreniche e le allu- vioni interglaciali di cui sono esempi bellissimi gli altipiani di Farro presso Pieve di Soligo. In questi altipiani non si devono ravvisare, come opinano Penk e Bruckner, le testimonianze di quattro periodi glaciali, ma (come sarà di rostrato col necessario dettaglio altrove) di due soltanto, ciò che sta in pieno accordo anche coi risultati delio- studio sulla distribuzione altimetrica delle morene. Del Pliocene marino (al contrario di quanto si riscontra nelle colline all’ovest del Piave) non rinvenni, nell’area in esame, tracce sicure. Il Pliocene continua an- che qui con quella fase prima salmastra, iniziatasi già nel Miocene superiore (Pontico), e poi .terrestre, costituita da conglomerati con lenti di argille, sabbie e ligniti, in banchi fortemente inclinati a sud e contenenti resti di faune salmastre, palustri e terrestri. Succedono, in perfetta concordanza, altri banchi ad elementi più minuti, con grosse intercalazioni marnose, contenenti una ricca fauna di Mollu- schi marini tortoniani, particolarmente frequenti nella Valletta del Ru all’ovest di Ceneda e alla Costa di Anzano. Marne, argille, strati calcareo-argillosi e arenarie micacee di tipo molassa, rappresentano l’Elveziano ed il Langhiano, generalmente ricchi di Lamellibranchi 84 G. ' DAL PIAZ schiacciati e calcinati. L’Aquitaniano è rappresentato da un' am- masso di arenarie, calcari marnosi da calce idraulica e calcari are- nacei aNullipore, Pettinidi ( Pasinii) e numerosi Echinidi (Scu- tella, Clypeaster, ecc.) propri degli strati di Schio (parte superiore) e delle arenarie che nel Bellunese stanno fra le glauconie inferior- mente e le molasse burdigaliane a Delfinidi superiormente. I materiali riferibili airAquitaniano, per la loro tenacità, sporgono notevolmente su tutti gli altri (tortoniani-elveziani-langhiani) di natura assai più erodibile, i quali Coincidono invece, nella generalità dei casi, con aree depresse od incavate a conche piatte e larghe. Per queste constatazioni, si può affermare con certezza che la morfologia della regione fornisce subito dei criteri generali sulla presenza e sulla distribuzione locale dei vari terreni riferibili al Miocene. Anche qui la tettonica ha linee semplici; tutta la serie è più o meno fortemente inclinata da N a S e fa parte della gamba sud del- Panticlinale prealpina. Degno di menzione è il particolare che gli strati diretti da NE a SO ad occidente di Vittorio, col progredire verso oriente si ripiegano ad arco, assumendo prima direzione E-0 e poi SE~NO, mentre contemporaneamente si fa sempre più forte anche rinclinazione, finché al paese di Sonego (appena appena all’est dell’area rilevata) i conglomerati del Miocene superiore sono completamente rovesciati . 2. P. VINASSA DE REGNY. Foglio 13 (Tav. Prato Gamico). La porzione da me rilevata quest’anno si estende dal Passo di Volaia pel Rio Landri, Rio Moraret e Rio Follin al Ponte coperto: da qui, per la riva sinistra del Degano, raggiunge ancora il confine al Giogo Veranis. Comprende in tal maniera tutto il gruppo malage- vole e scosceso dei Monti di Volaia o Biegengebirge dalla cima di M. Canale-Sasso nero sino al passo di Giramondo; comprende poi tutto l’interessante gruppo Cretabianca-Vas, poi l’intricatissimo e mala- gevole Avajust-Bordaglia, e finalmente le cime eruttive della Creta verde e di Fleons. Per connettere il gruppo rilevato quest’anno col rilevamento precedente, interrotto alla, Creta di Collina, manca il gruppo del Coglians, del quale si è incaricato il prof,. Gortani, come quello che meglio era adatto a rilevarlo in causa dei suoi studi prece- denti. ^ , Il nuovo rilevamento è stato di grande interesse. Uno sguardo alla carta del Geyer (per non parlare di quella del Frech) ed alla nuova rilevata può bastare a mostrare come le eondizioni siano risultate profondamente diverse. L’interesse massimo è dato dal nucleo siluriano dell’Avajust, per rinvenire il quale occorre penetrare in forre profonde e salire e scen- dere per prati duri e ripidissimi, a picco su .brutte discese. Il nucleo anticlinale siluriano dell’Avajust rende semplicissima la tettonica della montagna, che, coH’interpretazione del Geyer, necessitava di salti e faglie ed irregolarità non poche. Anche il seno di Bordaglia, apparentemente complicatissimo, si può ridurre‘a una sinclinale ristretta e schiacciata tra le due grandi masse devoniane dei M. Volaia - Cretabianca e deH’Avajust. Si cori- 86 Pi VINASSA DE REGNY ferma cosi J’idea, già da me espressa, che la piegatura ad S dei M. di Volaia sia da riportarsi ad una compressione in senso E-W della ca- tena devoniana calcarea. Per tale compressione si hanno terreni ri- dotti a pochi decimetri di spessore, altri del tutto scomparsi. Ed al solito, per la varia resistenza delle singole rocce, si ha che i terreni scistosi e friabili si riducono ed anche scompaiono, mentre resta pre- valentemente il calcare compatto. Altro nucleo siluriano, già noto però, si ha presso il passo di Vo- laia. Un tal nucleo è importante, poiché esso si continua in territorio austriaco all’Alpe di Volaia ed è evidentemente il nucleo di tutta la massa calcarea devoniana dei Monti Canale e Volaia. La scoperta del "Neodevonico con Cìymenia lungo il rio Chianaletta, scoperta inte- gratala quelle fatte dal Gortani a sud del Coglians delle medesime forme fossili, toglie ogni dubbio sulla forma ad ellissoide di queste montagne, colla esclusione di faglie rivoluzionatrici. La Cretabianca è un massiccio calcareo devoniano, ricoperto da scisti carboniferi: spuntoni di calcare devoniano si spingono fino a Forni, sporgendo dalla copertura trasgressiva. Altri spuntoni devoniani si hanno pure in relazione all’Avajust, anch’esso ricoperto in trasgressione dagli scisti. Sull’età carbonifera dei quali non si può aver dubbio: i calcari con Fusulina della Staipa Bi jalezzis e più ancora forse la serie di Piz Forca, che dal Carbonifero, trasgressivo sul Devoniano, arriva sino al Trias medio, stanno a dimostrarla inoppugnabilmente. La massima estensione di questi scisti e delle connesse porfiriti eruttive si ha a nord della linea Giogo Veranis-Val d’inferno. In que- sto punto la carta del Geyer segna in fondo alla valle scisti paleosi- luriani, a metà costa scisti paleozoici di età incerta, sulla vetta porfiriti. Per quanto abbia fatto ricerche per- tentare il modo di tro- vare una diversità tra i due tipi di scisti distinti dal Geyer non vi sono riuscito. Anzi mi sono preso premura di seguire un banco scistoso, che partendo da circa 2200 sotto la Creta verde, si dirigeva a WSW verso Casera Fleons. Ho potuto constatare, senza il più piccolo dubbio, che questo banco si perdeva sotto i detriti della valle. Non si ha dun- STUDI NELLE ALPI VENETE 87 que diversità di età negli scisti, inquantochè si tratta sempre dei me- desimi banchi che dalla vetta scendono sino in fondo alla valle. Niente di speciale è da osservare rispetto al Permiano ed al Trias, che si presentano coi soliti caratteri precedentemente notati. Per la curvatura verso nord dei terreni paleozoici, il Trias è maggiormente sviluppato in questa Tavoletta che non in quella di Paluzza adia- cente. Al solito sono frequenti le morene ed i giacimenti morenici rima- neggiati. Grande sviluppo anche hanno i detriti, specialmente nella valle di Fleons. 3. M, GORTÀNI. Il rilevamento geologico a me affidato nel 1911 fu compiuto in due settori distinti: valle di Corto e monti fra Paularo e Pontebba. Nella valle di Corto ebbe particolare interesse lo studio del monte Coglians e cime contermini. Le osservazioni tettoniche e i fossili rac- colti in posto diedero risultati di un certo valore per la conoscenza geologica della più alta giogaia delle Alpi Gamiche. Riconobbi in essa i seguenti orizzonti: Neosilurico; Eodevonico inferiore, medio e supe- riore; Mesodevonico inferiore e superiore; Neodevonico inferiore e superiore; Neocarbonifero. Il Mesodevonico inferiore non era ancora stato segnalato nelle Alpi Gamiche. Il Neodevonico inferiore è fos- silifero in tutto il versante orientale della Greta di Gollina, e compare anche presso la sommità della Greta di Gollinetta. Il Neodevonico superiore si estende in lembi discontinui sul ver- sante meridionale del Goglians, per continuarsi più a occidente sul fianco esterno dei monti di Volaia; l’estensione di questo orizzonte — noto per studi precedenti nei monti di Timau, e segnalato dal Vi- nassa e da me presso e sopra la casera di Gollinetta — è notevole sopra tutto per il suo valore nell’interpretazione tettonica. I colossi silurico- devoniani della catena principale carnica si risolvono così in una serie di ellissoidi, completi in generale nel nostro versante. Sugli ellissoidi intaccati ed erosi si stende poi la copertura neocarbonifera tra- sgressiva. Ad occidente del gruppo del Goglians, e dei gruppi della Greta- bianca e monti di Volaia rilevati dal Vinassa, lo studio dei terreni triassici tra Forni Avoltri e Sappada ha permesso di seguire il com- plicato andamento e prosecuzione occidentale della sinclinale triassica di Bordaglia. STUDI NELLE ALPI VENETE 89 Parimenti in terreni triasici si è svolta la seconda serie di ricer- che fra Paularo e Pontebba, ove si eccettui un'escursione nei ter- reni neocarboniferi del Piano di Lanza. Quivi ebbi la fortuna di sco- prire un giacimento di belle filliti, di cui diedi comunicazione al Con- gresso geologico di Lecco; le numerose specie vegetali, determinate dal Vinassa, corrispondono pienamente alle specie presenti al monte Pizzùl. Noterò da ultimo come il rilevamento eseguito sui monti di Pon- tebba mi abbia condotto a riconoscervi una serie di pieghe longitudinali compresse contro il massiccio antico della catena di spartiacque. L’interpretazione da me adottata è diversa da quelle degli autori pre- cedenti, e induce a ritenere che anche la linea tettonica Pontebbana- Fella sia una vera piega-faglia. III. MICHELE GORTANI RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA “PONTEBBA,, (Alpi Carniche) ’ I. — Introduzione. Le condizioni topografiche dei dintorni di Pontebba sono ben note. Corre a nord, diretta da levante a ponente, la catena principale delle Alpi Carniche. Alla corrispondente valle longitudinale si innesta a mezzodì una valle trasversale, perpendicolare alla prima. Si ha così un incrocio a T: il fiume-torrente Fella ne percorre la traversa orien- tale, il torrente Pontebbana ne percorre la traversa occidentale, e riu- niti volgono a sud. Alla confiuenza sorgono sulla sinistra Pontafel, sulla destra Pontebba. Il torrente Pontebbana segna il confine poli- tico austro-italiano. I monti di Pontebba hanno una certa rinomanza nella geologia alpina; sopra tutto per le celebri faune carbonifere del Nassfeld e monti contermini. Ma non di questi ci dobbiamo ora occupare; poiché es^ sono esterni alla linea del confine politico, che è pure il confine della tavoletta topografica e quindi anche del nostro rilevamento. Il quale resta cosi limitato alla metà destra (o meridionale) del bacino della Pontebbana; bacino che, pur così dimezzato, si estende ancora per più di 30 kmq. e inclina i suoi pendii fra 555 m. (confluente Fella-Pontebbana) e 2046 m. (cima settentrionale del monte Ciavals), -ossia entro un dislivello massimo di quasi 1500 metri. Questo non è tutto compreso nella tavoletta «Pontebba», ma si 92 MICHELE GORTAXI estende anche a piccola parte delle tavolette « Paluzza SW » e « Chiu- saforte NW ». Mi pare tuttavia opportuno di considerarlo nel suo insieme e senza trascurare le digitazioni più settentrionali del con- tiguo bacino dell’Aupa, che si insinuano tra le sue ramificazioni. Tra- lascierò invece l’estremità nordoccidentale del bacino, della quale il ViNASSA ^ ha già dato il rilevamento definitivo :jc Hs Il piccolo territorio che consideriamo fu esaminato da autori di- versi, ma per lo più soltanto di sfuggita. Esso è compreso nelle carte geologiche del Taramelli, del Frech e del Geyer, ai quali sono do- vuti i lavori più notevoli che lo riguardano in maggiore o minor parte. I tre autori non sono molto concordi. Per il Taramelli ^ si tratta di una successione indisturbata di strati pendenti a mezzodì e af- fioranti in guisa da presentare, da nord a sud, una serie regolare di terreni compresi fra il Permiano e il Trias superiore. Secondo il Frech da nord a sud affiorano invece striscie al- ^ P. ViNASSA DE Regny: Rilevamento geologico della tavoletta « Paluzza » « Boll. R. Com. geol. dTt. », XLI, 1910. ^ Saranno opportune alcune aggiunte e correzioni alla carta deUTstituto geografico militare. 11 M. Crete della tavoletta va corretto in Cì'eta di CerescJiia- tis; fra esso e il M. Valerle è la Sella di CerescJiiatis. Appena a nord della Creta, il dosso quotato 1540 è il Guèl des Jerhis (colle delle erbe), e il rivo che ne scende a nord non è rio dell’ 0 v o ma rio del Lóv o Lovo (rio del lupo). Bavetta 1707, da cui scende il rio di Liùs, è il M. Palis di Liiis; a SE di questa, F altura 1466 è il Cuèl dal Sai. A nord di Aupa e Studena alta, le rupi che si spingono a m. 1223 sono comprese col nome di M. Clapèit; e fra Studena e Pontebba il Cuèl Fortin porta gli stavoli omonimh Prossima ad Aupa è infine la minusola borgatella di Frattis. — Queste aggiunte e correzioni sono riportate nella unita cartina. Quivi però, per errore delFincisore, fu scritto B. Pontehha invece di B. Pontehhana e Stadera bassa in luogo di Studena bassa. ® T. Taramelli: Osservazioni strati graftche sulle valli delVAupa e del Fella. «Ann. se. R. Ist. Tecn. ». Udine, 11, 1868, pag. 43, tav. 1. - Id.: Carta geologica del Friuli, Udine, 1881. F. Frech: Die Karnischen Alpen. Estr. d. Abh. Naturi. Ges. Halle, 1892-94 (vedi pag. 171 e foglio Oberdrauburg-Mauthen della Carta). RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA PONTEBBA 93 terne di calcare a Bellerophon e arenarie di Werfen, in mezzo a cui si trovano per faglia due spuntoni dolomitici corrispondenti ai monti Clapeit e Creta di Cereschiatis. Il Geyer infine ^ sta fra l’uno e l’altro degli autori precedenti, poiché, mentre segna una lunga striscia di dolomie e calcari permiani in seno alla zona eotriassica, fa succedere a questa una serie regolare fino alla dolomia dello Schlern o infraraibliana. L’interpretazione che io Lo dato alla struttura del territorio è no- tevolmente diversa. 2. — Carbonifero e Permiano. Il rio Saline, tributario destro della Pontebbana, segna press’a poco il confine meridionale della formazione neocarbonifera. Quest’ul- tima entra per breve tratto nel territorio della nostra carta, ed è con- tinuazione del giacimento neocarbonifero del M. Pizzùl. Scisti e are- narie, bruni od ocracei, fortemente micacei e quarzosi, danno qui regolarmente passaggio alle arenarie vinate del Permiano inferiore, mentre sulla sponda sinistra della Pontebbana vanno a battere contro le dolomie del Trias. Il Permiano inferiore, rappresentato dalle arenarie di Val Gardena con i loro caratteri normali, affiora soltanto in una stretta fascia con direzione est-ovest a tramontana del monte Salinchiét-Cuel Mat; a oriente, subito al di là della Pontebbana, si arresta anch’esso contro la dolomia triassica; più a occidente invece si sviluppa in estensione e potenza verso la conca di Paularo. Alle arenarie di Val Gardena seguono i calcari bituminosi e le dolo- mie biancastre o giallognole e cariate (« carniole ») del Permiano supe- riore. La dolomia cariata non è gessifera nel nostro versante, ma si hanno lenti di gesso nel fondo e poco al di là della Pontebbana. L’estensione di questa formazione neopermica, considerata dapprima grandissima dal 1 G. Geyer: Aus der Gegend von Pontafel. « Jalirb. k. k. geol. Eeichsanst., XLVI, 1896, pag. 127. - Id.: Geologische Speziallcarte der Oest.-ung. Monarchie Blatt Oberdrauburg-Mauthen. Geol. Karte und Erlàuterung. Wien, 1901. 94 MICHELE GORTANI Taramelli e dal Geyer (1896), si venne man mano restringendo, pel ri- trovamento di fossili triassici nelle masse calcaree e dolomitiche dalla Brizzia ^ al Salinchiét Il Frech era partito da concetti opposti, esa- gerando l’estensione dei calcari e dolomie mesotriassici (Muschelkalk e Schlerndolomit) fino al punto da includervi tutte le dolomie cariate del- l’alta valle della Fella; è però singolare come egli all’incontro riferisca al Permiano rocce realmente mesotriassiche fra Pontebba e il M. Cullar. Ma- anche la carta definitiva del Geyer è a questo riguardo nettamente diversa dalla mia. In piccola parte ciò è dovuto alla maggior preci- sione della carta topografica italiana e al maggior tempo disponibile, che mi hanno permesso di rettificare i confini e di raccogliere fossili eotriassici sulla cima del M. Glazàt, dove il Geyer prolunga una stri- scia di calcari neopermici. Ma la differenza essenziale, che porta con sè una ben diversa interpretazione tettonica, è di altra natura. Devo ricordare a questo proposito una circostanza messa in luce dal Geyer stesso nel 1899. Durante le sue ricerche neH’alta Gamia occidentale, egli si avvide che i calcari dolomitici del Muschelkalk in- feriore simulano spesso perfettamente le dolomie cariate permiane; e solo tenendo contro, di questa identità di facies, non avvertita dal Frech, egli riusci a sbrogliare i complicati terreni a ridosso di Forni Avoltri Lo stesso fatto, che per la geologia carnica ha pratica- mente un’importanza notevole, fu constatato da me in più luoghi; ad es. sui monti di Sutrio dove l’equivalenza della dolomia ca- riata al tipico conglomerato brecciforme del Muschelkalk inferiore ^ G. Geyer: TJeber neue Funde von Trias jossilien im Bereicìie des Dipìo- porenkalk und Dolomitzuges nòrdlich von Pontafel. « Verh. k. k. geol. Keiclisanst. », 1898, pag. 242. ^ P. ViNASSA e M. Gortani: Osservazioni geologiche sui dintorni di Fau- laro. « Boll. Soc. geol. ital.», XXIV, 1905, pag. 10 d. estr. ® G. Geyer: TJeber die geologischen Aufnahmen im Westahschnitt der Kar- nischen Alpen. « Verh. k. k. geol. Reichsanst. », 1899, pag. 113. ^ M. Gortani: Bilevamento geologico della Valcalda. «Boll. E. Coni. geol. d’It. », XLI (1910), 1911, pag. 14 d. estr. RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA PONTEBBA 95 è comprovata dalla circostanza che i due terreni in qualche punto sfumano uno nell’altro. Lo stesso fenomeno si ripete anche nei monti di Pontebba. Tutta ima fascia dal M. Cullàr al Glazàt, che Frech e Geyer segnano per- miana, è per me mesotriassica; tanto più che essa non affiora tra due zone di arenarie werfeniane, come segnano i precedenti autori, ma separa invece le arenarie werfeniane dagli scisti e arenarie dei piani di Buchenstein e Wengen. Ciò posto, il Permiano superiore è limitato a un ristretto affiora- mento a nord del Salinchiét-Cuel Mat e a una zona (già inclusa nel Muschelkalk dal Frech) lungo la Pontebbana. Zona a cui gli scon- certi stratigrafìci impediscono di riattaccarsi direttamente con gli affioramenti più occidentali, mentre a levante è in diretta continua- zione con la formazione permiana fossilifera ^ dell’alta vai della Fella. Lungo la Pontebbana, questa zona neopermica è talvolta molto arricciata, dove è compressa contro la dolomia mesotriassica della sponda sinistra. Ne dà un esempio la fig. 2 delJa tavola, che riproduce una fotografia presa lungo il torrente all’altezza della borgata Costa.. 3. — • Trias inferiore. Da quanto si è accennato, risulta che anche il Trias inferiore ha nella nostra carta estensione ridotta. I suoi limiti si accostano ai con- fini tracciati dal Taramelli; mentre il Geyer vi include parte degli strati di Buchenstein e Wengen, e il Frech vi include non soltanto questi, ma persino i calcari dolomitici del monte Slenza. La zona di affioramento delle arenarie eotriassiche costeggia la Pontebbana, con una larghezza di circa un km. in proiezione orizzon- tale; si continua direttamente nei monti di Paularo a ovest e oltre la Fella a levante, dove acquista estensione alquanto maggiore. La po- tenza apparente oltrepassa il mezzo migliaio di metri; ma qui la po- ^ Cfr. G. Stache : Nachweis des sudtirolischen Bellerophonlcalk-Horizon- tes in Kdrnten. « Verh. k. k. geol. Keichsanst. », 1887, pag. 320. 96 MICHELE GORTANI tenza reale è molto accresciuta dalle piegature e pieghettature: L’in- tensità dell’arricciamento è ad es. ben manifesta sui fianchi del colle del Fortin, massime sopra la stazione ferroviaria di Pontebba. I caratteri litologici del Trias inferiore sono qui un po’ meno uniformi che altrove. Le arenarie micacee violacee o rosso cupe, pre- valenti, si alternano con arenarie grigiastre e plumbee e con straterelli calcarei cinereo verdognoli, talora molto duri e compatti; al Salin- chiét la facies calcarea è dominante; sopra cas. Montute (M. Palis di Liùs) si nota una facies a scisti verdi e violacei e calcari arenacei grigi venati di giallo; a sud ovest di Pontebba, le falde del M. Slenza sono invece chiazzate di un rosso vinato acceso dalle arenarie che si fanno scistose e prendono aspetto simile a quelle eopermiche. Il con- sueto tipo arenaceo rosso cupo è forse più costante negli strati inferiori e medi; si trova però anche in alto, e quivi è più spesso fossilifero. Ho riscontrato in più luoghi avanzi organici; tutti riferibili a molluschi, e spesso contorti o stirati o anche ridotti a semplici noduli in seguito alle intense pressioni. Materiale abbastanza buono ho po- tuto raccogliere nel rivo che scende dal Fortin poco a sud di Pontebba, sul m. Glazàt fra le due casere omonime, e nel Lo del Lóv sotto cas. Ladussèt. Vi ho riconosciuto le specie seguenti: M. Fortin M. Glazàt R. del Lóv Avicula venetiana Hauer . . . + + A. Taramellii Tomm + ■ Pecten aff. discites Schloth. . . . . . H- Gervillia mytiloides Schloth.. . . . . + + G. alf. Meneghina Tomm. . . . G. aff. incurvata Leps + Myophoria elegans Dunk. . . . • V • + ? M. cfr. laevigata Goldf . . . + Myacites fassaensis Wissm. sp. . . . + + + M. haconicus Bittn . . . + Naticella costata Mstr . . . -f- + + Tirolites sp . . . + + Alcuni esemplari sembrano spettare a forme non ancora de- scritte. RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA PONTEBBA 97 Non son riuscito a rintracciare il calcare colitico a minuti Ga- steropodi, che è frequente nell’alta Gamia occidentale; il suo livello è rappresentato da un calcare colitico ferruginoso che raccolsi sulle Palis di Lius. In esso non si scorge traccia di avanzi organici, e la roccia è costituita da minute sferule legate da calcite granulare. Le sferule hanno da 0.5 a 1 mm. di diametro e son formate da tante lamelle concentriche di calcite, limonite e ematite depositate attorno a un nucleo di calcite granulare o cristallina. Una roccia iden- tica accompagna sovente in Gamia l’oolite a Gasteropodi; la quale d’altronde partecipa anch’essa dei caratteri accennati, distinguendosi soltanto perchè gli elementi costituenti sono più grossi e il nucleo è quasi sempre un piccolo guscio invece di un semplice granello calcareo. 4. — • Trias medio. A) Serie normale. — • I cambiamenti di facies, tutt’altro che rari nelle formazioni mesotriassiche, rendono opportuno di descrivere prima la serie normale completa e passare quindi alle sue modificazioni e alla distribuzione dei vari terreni. Il complesso prevalentemente arenaceo del Trias inferiore è ri- coperto per lo più da un insieme non molto potente di calcari friabili e dolomie cariate, che già dicemmo avere aspetto somigliantissimo alle rocce del Permiano superiore. Si può notare soltanto che, mentre queste ultime hanno di solito una tinta giallognola sulle superficie sfiorite, le analoghe rocce triassiche sono in prevalenza di color bianco latteo alla superficie e hanno tinta più chiara anche sulle fratture fresche. Alla convenienza di includere questo orizzonte (che è sempre privo di fossili) nel Trias medio anziché nel Trias inferiore, ho già altra volta accennato ^ ; e le escursioni nei monti di Pontebba me ne hanno riconfermato l’opportunità. Sarebbe infatti assai più ma- ^ M. Gortani: Rilevamento geol. della Valcalda. L. c., pag. 14. 98 MICHELE GORTANI lagevole delimitare F orizzonte stesso dagli strati calcarei sovrastanti che non dal complesso arenaceo o calcareo-arenaceo inferiore; d’altra parte calcari e dolomie cariate sfumano verso oriente nella breccia e nel conglomerato grigio o policromo, che ivi costituisce un orizzonte caratteristico e concordemente incluso nel Muschelkalk. A queste rocce, di facies prevalentemente lagunare o littorale, seguono banchi calcareo-dolomitici, sovente bituminosi e stratificati in basso, poi grigio chiari, corrispondenti per posizione stratigrafica alla dolomia della Mendola. La potenza complessiva è talora assai li- mitata, talora fortissima, sino a molte centinaia di metri. La roccia è compatta e quasi sempre sterile. Soltanto nel dossone Salinchiét- Cuel Mat il Vinassa ed io ^ rinvenimmo calcari a Diplopore con Di'plo'pora annulata Schafh. D. cfr. cylindrica Gùmb. D. infundihuliformis Gùmb. Gyro'porella sp; e presso la cima orientale del M. Slenza, nella parte più alta della serie, si hanno calcari con Thecosmilia caespitosa Reuss e calcari con Diplopore e Crinoidi, da cui estrassi esemplari di èpiriferina fragilis Schloth. sp. Sp. {Mentzelia) Mentzeli Dune. sp. Naticopsis (Fedaiellaf) declivis Kittl N. (Hologyra) cfr. Castigata Stopp.: specie che nel loro insieme si possono riferire al Muschelkalk superiore, e che presentano interesse anche per la generale sterilità del nostro Trias medio. ip. Vinassa e M. Gortani: Osserv. sui dint. diPaularo. L. c.,pag. 10 d. estr. RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA PONTEBBA 09 Gli strati di Buchenstein e di Wengen, che sovrastano a codesti calcari, non si possono tenere distinti fra loro. Il carattere litologico dominante, comune ad entrambi, è di argilloscisti marnosi grigio gial- lastri, fulvi, o lionati, coi quali il più sovente si alternano in alto stra- terelli calcarei scistosi (livello di Wengen) e in basso intercalazioni di calcari silicei nodulosi, di arenarie grigio giallastre e della così detta «pietra verde» (livello di Buchenstein). A questi tipi litologici altri si associano qua e là, come arenarie plumbee, arenarie e marne fo- glietta te giallastre con vermicolazioni, calcari compatti neri con pirite e a frattura concoide. Col nome di « pietra verde » i geologi austriaci comprendono almeno tre rocce diverse, connesse fra loro. La prima, che è la meno diffusa, è una tipica roccia eruttiva: per lo più una por- ,firite quarzifera. La seconda è un tufo porfìritico, costituito da fran- tumi della roccia precedente; a questi elementi si uniscono talvolta granuli calcarei, e la roccia passa a una vera e propria arenaria. La terza roccia, che non manca mai, è una specie di ftanite verde o verde mare, a struttura microcristallina, dura poco meno del quarzo, ten- dente a rompersi in parallelepipedi. Tufi, arenarie e ftaniti, talvolta accompagnate da separazioni di selce nerastra, compaiono alla sella di Cereschiatis, a Costa Landri, verso forca Griffon, sopra cas. La- dussét e sopra tutto sul Cuel dal Sai, dove i tufi sono particolarmente abbondanti e accompagnano con tutta probabilità la colata porfirica ^ Nei tufi ho riscontrato quarzo, ortose, felspati plagioclasici, biotite e apatite come minerali di prima formazione; sericite, epidoto, caolino e clorito come minerali di alterazione. Lo stato avanzatissimo di alterazione mi ha impedito di distinguere se Fanfìbolo o il pirosseno prevalessero nella roccia primitiva. La roccia che provvisoriamente chiamo ftanite, si mostra costi- tuita da elementi argilloidi e cloritici con quarzo e numerosi minerali acces- sori (felspati in prevalenza, mica, calcite, anfìbolo, apatite ecc.). Non è facile stabilire come questa roccia, che è tanto diffusa negli strati di Buchenstein, si sia originata. Può darsi che alla sua costituzione non sia estraneo un metamorfismo dei contigui scisti marnosi; benché la durezza elevata sembri contrastare una simile ipotesi. Ho voluto analizzare una ftanite di sella Cereschiatis, un tufo arenaceo 100 MICHELE GORTANI Nell’ insieme della formazione di Buchenstein-Wengen, i fossili sono rari. Negli scisti argillosi rinvenni impronte di Daonella Moussoni Mér. neirincisura di un piccolo rivo che dalla sella di Cereschiatis scende verso Aupa e Frattis. Le arenarie giallastre contengono spesso frustoli vegetali indeterminabili; ma soltanto sul Cuci des Jerbis rinvenni tracce simili a Equisetum arenaceum Jaeg. sp., e presso la forca Griffon raccolsi impronte che si possono avvicinare allo stesso Equisetum e a Voltzia heteropJiylla Schimp. Finalmente, nella parte superiore della serie, il Geyer ^ trovò calcari scistosi con Daonella Lommeli Wissm, sp. sopra la sella di Cereschiatis, alla base del M. Valerle. B) Facies vicarie. — • Alla serie mesotriassica che ho detto nor- male perchè corrisponde a quella più diffusa nelle Alpi Venete, e che è la più particolareggiata, si accompagnano serie parallele in cui lo sviluppo dei singoli membri e anche il loro numero varia in guisa più o meno notevole. del Cnel dal Sai e un tufo porfìritico di Costa Landri. L’analisi mi fia dato: Tufo porfìritico Arenaria Uifacea Ftanite Si O2 . . . . . 65.0 51.3 67.7 Ab O3 . . . . 1S.5 18.9 15.4 Fea O3 ( Fe 0 ( • . . 2.8 2.7 4.2 Ca 0 . . . . . 1.2 8.5 3.1 Mg 0. . . . . 0.4 0.9 tracce Na2 0 ) K2 0 ! ' . . 9.1 8.3 7.2 C02. . . . . . — 4.9 1.8 H2 0 . . . . . 2.5 3.4 1.2 99.5 98.9 100.6 ^ G. Geyer: Aus der Gegend von Pontafel. L. c., pag. 207 e 231. Erldu- ierung citata, pag. 63. La sella di Cereschiatis è dal Geyer chiamata « Aupa- sattel «. RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA PONTEBBA 101 La facies scistosa non scompare mai del tutto; però talora è molto assottigliata, a benefìcio della facies calcarea. Così dai fossili raccolti sulla cima orientale del M. Slenza sembra che quei calcari possano rappresentare anche una parte delF orizzonte di Buchenstein. Non di rado scompare invece la zona massiccia calcareo-dolomitica, pog- giando gli scisti e arenarie sulla dolomia cariata; nè manca il caso estremo di vedere la formazione scistoso-arenacea mesotriassica so- stenuta direttamente dalle arenarie werfeniane: cosi sul M. Glazàt e più a occidente verso Dierico. Presso Dierico anzi, come già il Vinassa ha osservato (1. c., pag. 35), anche il Trias inferiore compare con facies di Wengen, a scisti calcareo-marnosi nerastri; cosicché si può dire che in qualche punto la facies scistosa perdurò dalFEotriassico fino al principio del Trias superiore. C) Distribuzione dei terreni. — Una serie di pieghe dirette da oriente a occidente complica la distribuzione dei terreni, già irregolare in causa delle varie facies contemporanee. La parte inferiore, prevalentemente calcarea, è ripetuta tre volte con gli affioramenti Salinchiét-Cuel Mat, Cullar-Cuel das Jerbis, Creta di Cereschiatis-Clapeit-Slenza. La prima linea di affioramento si continua nelle grandi masse oltre la Pontebbana; la seconda ter- mina a lente fra Cuel des Jerbis e M. Glazàt; la terza si continua a est e sud est oltre la Fella, e termina invece a lente verso ovest, dove i calcari dolomitici della Creta di Cereschiatis si attenuano e spariscono fra gli scisti marnosi e tufi dell’alta vai d’Aupa. La prima zona (Salin- chiét-Cuel Mat) è essenzialmente calcareo-dolomitica; nella seconda, che appare molto sviluppata al M. Cullar anche in grazia dell’intensa piegatura, prevalgono (massime ad oriente) le dolomie cariate e calcari annessi ^ Le stesse dolomie cariate compaiono nella terza zona alla base orientale del M. Slenza, sul fianco settentrionale del M. Clapeit verso il R. delle Rusce,e nella valletta del R. Glazàt dove esso incide Tanticlinale Creta di Cereschiatis- Clapeit. Quest’ultimo affioramento, benché in regolare continuazione col prece- dente, fu scambiato per dolomia neopermica dal Frech, che immaginò una fa- glia quadrangolare per interpretarlo. 102 MICHELE GOETANI Le marne scistose e arenarie hanno enorme sviluppo nella vai d’Aupa e a sud est di Dierico. Le ripetute piegature rendono impos- sibile una stima anche approssimativa della potenza massima, che certamente raggiunge più centinaia di metri. Le rocce eruttive, tu- facee e ftanitiche, segnate dal Geyer in linee d’affioramento molto regolari, sono invece molto irregolarmente distribuite, con centri prin- cipali a sud est di Dierico e nel bacino del rio Landri, e centri secon- dari presso forca Griffon e sella di Cereschiatis. Le stesse rocce ricom- paiono nello stretto affioramento tra le due cime della Slenza, che ha interesse per la stratigrafia della montagna e che non era stato mai segnalato. Qui sono caratteristici i compatti calcari neri con pirite e qui si mostrano anche alla base della serie i calcari selciferi che ta- lora (come nella sella di Cereschiatis) sono intercalati nella serie stessa e talora mancano totalmente. 5. — Trias superiore. Data l’incertezza degli autori sulla posizione del limite fra Trias medio e superiore, noi possiamo chiudere il mesotriassico col livello di Wengen. Ciò è tanto più opportuno nel territorio considerato, in quanto che, almeno nella grande maggioranza dei casi, con l’orizzonte di Wengen si può considerare ultimata la facies scistosa. Può darsi che in taluni punti la facies medesima si sia continuata più a lungo: cosi presso il Pian di Muele, sotto forca Griffòn, ho raccolto in posto negli scisti marnosi di tipo wengeniano un piccolo Protrachyceras molto simile a forme di S. Cassiano. D’altra parte, dove la serie sci- stoso-arenacea è molto ristretta, come sul M. Slenza, è probabile che già nel livello di Wengen si inizi la dolomia infraraibliana. Ad ogni modo, siano più o meno antichi i suoi strati inferiori, il complesso calcareo-dolomitico infraraibliano (dolomia dello Schlern) è sempre presente. I grandi torrioni de le Crete di Gleriis (fig. 1 della tavola) e cime contigue, alti fino a un migliaio di metri, sono tutti for- mati da cotesta dolomia, che qui simula la dolomia principale e si mantiene invece distinta anche per il tipo di paesaggio dai calcari do- lomitici del Trias medio. RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA PONTEBBA 103 Caratteristica è a questo proposito la bifida cima del M. Slenza, le cui due vette calcareo-dolomitiche appartengono alle due forma- zioni diverse e sono separate dalla erodibile zona di Buchenstein- wengen in cui è scavata F insellatura che le divide (fig. 1). Fra le due Cima Ovest Cima Est Fig. 1. — Profilo del M. Slenza. — Scala di 1 a 25,000. — (1 calcari dolomitici del Muschelkalk inferiore ; 2 calcari fossiliferi del Muschelkalk*. 3 strati di Buchenstein; 4 dolomia infraibliana). cime è tipica la differenza di conformazione orografica e di model- lamento superficiale. 6. — Quaternario. 1 monti di Pontebba conservano le tracce di un intenso glacia- lismo. Sopra tutto il M. Glazàt, il Fortin e più a oriente il dossone della Veneziana (sproni facilmente erodibili e avanzati sul confluente Pon- tebbana-Fella e sull’incrocio delle rispettive valli longitudinali con la valle trasversale della Fella stessa), sono energicamente limati e arrotondati, e sopportano estese e feraci morene. Le più estese plac- che moreniche sono quelle di Studena alta-Fortin, Costa, M. Glazàt, che assieme ricoprono quasi due kmq. di superficie. Depositi glaciali e tracce di morfologia glaciale sono anche evidentissimi nella Pradu- lina, nei dossi e ripiani di Ladussét, nella sella di Cereschiatis e in ge- 104 MICHELE GORTANI nerale nei punti più erodibili dello spartiacque fra la Pontebbana e la vai d’Aupa. Una parte di codeste morene, parzialmente rilevate e ritenute morene laterali dal Geyer erano state già osservate nel 1868 dal Taramelli il quale aveva anche notato in esse la presenza di calcari e conglomerati carboniferi che riteneva provenienti dal Xas- feld, cioè dall’opposto versante della Pontebbana. Anche dopo la scoperta del giacimento carbonifero di M. Pizzùl sul nostro versante, l’osservazione rimane esatta. Gli elementi carboniferi erratici sono infatti troppo copiosi per provenire dal Pizzùl, il quale, per la sua poca altezza (700 m.) sul fondo vallivo, doveva essere in gran parte ricoperto dai ghiacci; per di più, oltre ai materiali carboniferi e a ma- teriali devoniani e siluriani, io ho notato nelle morene di M. Glazàt, Costa e Fortin anche calcari rosei con Fusuline e Schwagerine per- mocarbonifere, che non possono provenire se non dal Trogkofel o dalla Reppwand-Tròger Hòhe, a nord della Pontebbana. Il Taramelli era condotto a supporre che le morene a sud della Pontebbana fossero da considerarsi come insinuate; ipotesi che do- vremmo accettare se non ci venissero in aiuto altri fatti. Ho già ac- cennato alla spiccata morfologia glaciale intorno a cas. Ladussét, dove il crinale non soltanto è ondulato in ripiani e dossi arrotondati, ma presenta persino due piccole conche lacustri. In grado minore, ondulazioni dello stesso tipo si notano anche nella sella di Cereschiatis; a confortare l’interpretazione morfologica, sta inoltre la presenza di conglomerati carboniferi e calcari permocarboniferi anche nelle mo- rene dell’alta vai d’Aupa, fra Costa Landri e cas. Cereschiatis. Dob- biamo perciò concludere che dal ghiacciaio della Fella-Pontebbana partivano diramazioni che lo congiungevano direttamente alla vai d’Aupa circondando la Creta di Cereschiatis; forse altre diramazioni lo univano alla vai d’Incaroio attraverso le selle di Pizzùl e della Pra- dulina. La presenza di rocce del versante settentrionale (sinistro) ^ G. Geyer: Aus der Gegend von Pontafel. L. c., pag. 232. ^ T. Taramelli; Osservai, stratigr. ecc. L. c., pag. 52. RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA PONTEBBA 105 della Pontebbana nelle morene a mezzodì (cioè a destra) della bassa vai Pontebbana, si spiega agevolmente quando si noti che il ghiac- ciaio di questa valle confluiva qui nel ghiacciaio della Fella, che era ben più potente e lo doveva quindi sospingere energicamente ad ovest . Tra i depositi quaternari si possono anche menzionare: le alluvioni e i prodotti di disfacimento che si accumulano nell’alta vai d’Aupa; le alluvioni di Pontebba e Pontafel, in parte terrazzate e costi- tuite in certa misura da materiali di sfacelo morenico; l’ampio cono di deiezione di Studena alta, ora estinto e rivestito di prati, che offre una superfìcie uguale e in dolce declivio all’abitato e alla sua cam- pagna. 7. — Tettonica. Della regione esaminata abbiamo già tre interpretazioni tetto- niche diverse. Per il Takamelli ^ si tratterebbe di una pila unicli- nale di strati, corrispondente a una porzione di sinclinale addossata alle formazioni paleozoiche. L’idea di questa semplicità di struttura deriva dal rilievo geologico sommario, per cui dovettero sfuggire all’autore gli affioramenti ripetuti dei calcari mesotriassici e della formazione di Buchenstein e Wengen. Il Frech vede le cose in modo diverso. Scambiando per calcari permiani i terreni del Muschelkalk inferiore, egli deve ammetterò alcune pieghe di arenarie werfeniane e calcari neopermici dirette da est a ovest sui monti Glazàt e Cullàr 2; Tinesatto rilevamento gli fa ritenere inoltre che sia delimitato da faglie il Salinchiét e che faglie longitudinali e trasversali a reticolo delimitino e spezzino la giogaia Creta di Cereschiatis-M. Clapeit. Quivi, egli dice, « liegen inmitten der vorherrschenden Werfener Schichten zwei schmale aus Schlern- dolomit bestehende Grabenversenkungen », che corrisponderebbero alla Creta e al Clapeit e sarebbero separate da uno sbuzzamento di calcare neopermico. Ma basta osservare: che quest’ultimo è invece Muschelkalk inferiore sottoposto al Muschelkalk dolomitico e messo ^ T. Taramelli: Osservai, stratigr., ecc. L. c., tav. I, profilo I. ^ F. Frech: Karn. Alpen, pag. 171. 106 MICHELE GOETANI ^ giorno dall’erosione del rio Glazàt; che il preteso Werfeniaho era già stato esattamente rilevato come wengeniano dal Taramelli; che il rilevamento del Frech è inoltre così inesatto da segnare werfeniana anche la massa calcarea e dolomitica del M. Slenza. Il Geyer nota la inammissibilità della « tektonische Abnormi- tat voluta dal Frech, e rimette a posto la serie nella sella di Cuel Mat Cas. Ladusset Creta di Cereschiatis M. Valeri mia cariata neopermica; 5 arenarie eotriassiche; 6 Mnschelkalk; 7 scisti e 8 porfiriti e ftaniti del piano di Buchenstein; 9 dolomia infraraib liana; 10 Quaternario). Cereschiatis. All’ assottigliarsi della lente calcareo-dolomitica della Creta di Cereschiatis verso ponente, egli dà il significato di uno scon- certo stratigrafico. Interpreta con faglia o piega -faglia il ripetuto affiorare della dolomia cariata che egli pure riferisce quasi per intero alla zona a Bellerophon. In complesso, dal profilo a pag. 191 del suo primo lavoro (1896), dalle correzioni rilevabili sulla carta definitiva (1901) e dalle annesse note esplicative, risulterebbero: a) una zona permotriassica, fratturata lungo la Pontebbana, dove poggia contro masse di dolomia probabilmente trasgressive sul massiccio antico; b) una serie indisturbata, dal Neopermico al Neotriassico, pendente a sud e appoggiata contro la zona fratturata. Si ritorna cioè al profilo del Taramelli, modificandolo però nella sua parte settentrionale. ^ G. Geyer ; Aus der Gegend von Pontafel, L. c., pag. 206. RILEVAMENTO GEOLOGICO DELLA TAVOLETTA PONTEBBA 107 Il minuzioso rilievo che io ho cercato di compiere, mi porta a un risultato notevolmente diverso dagli autori precedenti. Consideriamo una sezione lungo una linea che tagli i diversi af- fioramenti nella successione più regolare, e cioè dal M. Cuel Mat al M. Valerle, passando per Ladussét e la Creta di Cereschiatis (fig. 2). Le inclinazioni e i rapporti reciproci dei terreni affioranti persuadono R. Pontebbana M. Glazàt M. Clapeit M. Valerle Fig. 3. — Profilo dalla vai Pontebbana al M. Valerle. — Scala di 1 a 50,000. — (Segni come nella fig. 2). a interpretare la loro giacitura come effetto di un energico piegamento della serie eo e mesotriassica. Il Salinchiét-Cuel Mat corrisponde a una sinclinale, appoggiata alla serie carbonifero-permiana; alla sin- clinale succedono a sud est, due pronunciate pieghe anticlinali. La prima, coricata a sud, ha la copertura erosa e appare col nucleo, cor- rispondente alle arenarie werfeniane delle Palis di Liùs; la seconda, quasi raddrizzata, cela il nocciolo werfeniano sotto un forte spessore dei calcari mesotriassici, che si elevano rigidamente nella Creta di Cereschiatis. Fra le due anticlinali sono strizzati gli scisti e arenarie di Ladussét e Cuel das Jerbis (livello di Buchenstein-Wengen); scisti dello stesso orizzonte riposano invece indisturbati sul declive meri- dionale della Creta di Cereschiatis, sopportando poi in concordanza le dolomie infraraibliane di M. Valerie, Gleriis ecc. Nel complesso della sezione, la diversa potenza che assumono da luogo a luogo i termini della serie è già abbastanza istruttiva, e ci può aiutare nella interpretazione del profilo trasversale R. 108 MICHELE GORTANI tebbana-M. Glazat-M. Valerle (fig. 3). In questo profilo, obliquo ri- spetto al precedente, si mantiene lo stesso motivo tettonico, ma però con modificazioni. Per essere lo spazio molto più ristretto, le pieghe furono più fortemente compresse contro il massiccio paleozoico, e la diversa resistenza e sviluppo dei vari terreni causarono stiramenti e slittamenti parziali. Il nucleo sinclinale corrispondente al Salinchiét- Cuel Mat si riscontra qui a nord della Pontebbana. Esso è in contatto immediato con il massiccio devonico. Codesta giacitura, interpretata dal Geyer come trasgressiva i, potrebbe forse meglio spiegarsi come una piega-faglia; tanto più che nel versante meridionale delle Alpi Gamiche il Trias non è mai trasgressivo, ma sempre in piena concordanza sui terreni permiani. La trasgressione sarebbe quindi troppo locale; e le condizioni locali si spiegano anche con una piega faglia. Esempi di pieghe-faglie con lacune sono frequentissimi nel Trias alpino e sono molto facilmente comprensibili dati i mutevoli caratteri delle sue facies. Inoltre, i calcari mesotriassici lungo la Pon- tebbana presentano spesso superfici specolari di laminazione o di slittamento, testimoni delle intense compressioni subite. L’anticlinale di M. Glazàt, continuazione delFanticlinale delle Palis di Liùs, ha anch’esso lacune ed è probabilmente complicato da pieghettature secondarie delle arenarie eotriassiche che ne costitui- scono gran parte. Le arenarie stesse vengono in contatto con la for- mazione di Buchenstein-Wengen senza F interposizione del Muschel- kalk, che si assottiglia a lente fino a scomparire. L’assottigliamento era già ben visibile nell’affioramento di Ladussét; si palesa così an- cora una volta lo sviluppo lenticolare di questo terreno. Nel complesso, l’andamento delle pieghe nel territorio conside- rato si può tracciare come segue, da nord a sud: a) Sinclinale ^Salinchiét-Cuel Mat Cinque saggi di fondo del Lago Maggiore. (Atti Soc. ligust., voi. XXII, n. 4, pag. 31 3-31 5). — • Genova. L’autore presenta in questa nota la composizione mineralogica di 5 saggi di fondo del Lago Maggiore, ordinati secondo l’ordine decrescente delle pro- fondità da cui vennero presi. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 35 Saggio n. 1. Raccolto nei pressi di Maccagno, alla profondità di ni. 310, è costituito da una sabbia micacea giallastra che non dà effervescenza con HCl, e non mostra alcuna sensibilità alla calamita. Al microscopio si rivela composta in gran parte da biotite, da poca dolomite, da feldspati acidi e da molto quarzo. Notata la presenza di minerali rari cioè zircone, cianite, staurolite, tor- malina. Notevole in questo saggio l’enorme preponderanza della biotite. Saggio n. 2, raccolto presso Maccagno, alla profondità di m. 145. E’ una melma non effervescente con HCl e non attirabile dalla calamita. E’ formata da piccolissimi granuli opachi, tra i quali con difficoltà l’autore ha potuto de- terminare granato, anfìbolo verde e feldispati acidi. Saggio n. 3, raccolto tra Locamo e Magadino, alla profondità di 103 m. Fanghiglia finissima non effervescente e solo in minima parte attratta dalla calamita. Abbondanti la biotite e l’anfibolo verde; frequente il rutilo, scarsi muscovite, epidoto, granato, cianite. Saggio n. 4, raccolto presso Beigirate, alla profondità di m. 97. Non effer- vescente. Nella scarsa parte pesante notasi biotite, muscovite, epidoto, an- fibolo, zircone, granato, staurolite. La parte leggera è formata da elementi opachi di quarzo e di feldspato. Saggio n. 5, raccolto tra Locamo e Bagadino alla profondità di m. 96. Non effervescente. Abbondanti la biotite e l’ anfìbolo verde; rari cianite, stau- rolite, granato, zircone, epidoto, magnesite e tormalina bruna. (E. Tissi). Chelussi I. — Psammo grafia di alcune {( terre rofise » italiane. {Boll. Soc. geol. it., voi. XXIX (1910), fase. 3-4, pag. 487-507). — Roma. • L’A. riferisce i risultati di uno studio su alcuni campioni di « terre rosse » raccolti in località diverse del Carso triestino, del Sienese, dell’Abruzzo aqui- lano e della Sicilia. L’esame del residuo sabbioso delle « terre rosse » dopo la loro frantuma- zione, lavatura e decalcificazione, riesce di grande aiuto allo studio petrografico delle roccie dalla cui degradazione esse prendono origine: nelle terre rosse si ritrovano infatti quei minerali rari che diffìcilmente potrebbero essere presenti nelle sezioni sottili. L’A. espone i risultati ottenuti dall’analisi fisico-chimica e microscopica delle sabbie esaminate, e giunge alla conclusione che esse sono costituite per la massima parte di granuli opachi, angolosi o sferici, riferibili a composti di ferro, ai quali si aggiungono, in quantità variabile ma sempre scarsa, minerali trasportati dai venti o dalle correnti acquee, e che in ogni caso non si riscon- 36 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 trailo nelle roccie circostanti alle località nelle quali le « terre rosse » Tennero raccolte; di tali minerali di trasporto, principali sono: lo zirconio e la tormalina, poi l’augite, Folivina, il glaucofane, l’epidoto, la stanrolite, il rutilo, la bio- tite, ecc.;la loro natura e la quantità oltre a variare da luogo a luogo, variano colla profondità alla quale furono presi i campioni. L’A. a proposito di due campioni raccolti presso il Colle Cerasetti ed il Monte d’Ocre, nell’Abruzzo Aquilano, osserva che queste terre rosse -fatta astrazione dai' loro minerali caratteristici, minerali allotigeni per la maggior parte - sono molto simili alle bauxiti del monte Sevice, nel gruppo del Telino, e però esprime il parere che queste bauxiti, come pure quelle che si ritrovano nei calcari eocenici del monte Carce presso Magliano de’ Marsi in Abruzzo, siano da ritenersi come « terre rosse » formatesi dalla degradazione dei calcari durante il periodo cretaceo. (L. F.). Clerici E. — • Una trivellaziom eseguita nel Tevere in Roma al ponte Fahri- cio. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, voi. XX, fase. 12, R sem., pag. 922- 926). — ■ Roma. In seguito alla memorabile piena del Tevere verificatasi nel 1900, doven- dosi riparare ai danni da essa recati ai muraglioni e ristabilire il corso del fiume nel ramo sinistro dell’isola di S. Bartolomeo, furono eseguite tre trivellazioni allo intento di esplorare la natura del suolo nei pressi del ponte Fabricio. Una di tali trivellazioni, praticata nel fornice della pila di detto ponte, riuscì specialmente interessante perchè raggiunse la profondità di m. 35.90. L’autore espone partitamente la natura e gli spessori dei materiali attra- versati dalla trivellazione in parola e rileva che la serie incontrata si accorda, in massima, con quella osservata a Ripetta durante le escavazioni per il ponte Cavour, e conclude che dovendosi ormai escludere l’origine marina delle sedi- mentazioni della pianura del Tevere, rimane ora da delimitare meglio la for- mazione fluvio -lacustre profonda, della cui esistenza si hanno già parecchi dati, e stabilire se la ragione della sua profondità debba ricercarsi nella anteriore erosione operata dalle acque correnti, o nei movimenti del suolo od anche in altri fattori. (E. Tissi). Clerici E. e De Angelis d’OssAT G. — Sui dintorni del Casale Lunghezza presso Roma. (Boll. Soc. geol. it., voi. XXX, fase. 10-2^, pag. 151-166). — Roma. La memoria ha lo scopo di mettere in luce i particolari sulla costituzione geologica della zona esistente nei pressi della stazione di Lunghezza sulla linea BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 37 Koma-Tivoli-Siilmona, e particolarmente sulla natura di una lava dimostra- tasi diversa da quella estratta nelle cave vicine, così per il colore come per il modo di frattura e per altri caratteri. (E. Tissi). CoLAMONiCQ C. — ■ Studi cowlogici sullaPuglia. — Sul nome yiù 'proprio da darsi alVinsieme delle alture pugliesi. (Voi. di 130 pag.). — Bari. In questa accurata memoria l’autore mette anzitutto in evidenza la sin- golarità del rilievo delle Puglie e l’importanza del suo studio nei rapporti geo- logici, morfologici e strutturali con le regioni circostanti. Ricorda quindi i precedenti storici, le discussioni sull’indipendenza del gruppo apulo-garganico e le questioni geologiche relative. Passa poi a descri- vere i caratteri unitari del sistema montuoso della penisola italica ed i caratteri differenziali fra il rilievo apulo ed il resto dell’ Appennino. Tratta in seguito dell’Adriatide, ossia della ipotetica terraferma adriatica sprofondata, descrivendo i rapporti geologici, morfologici e biologici esistenti fra le due opposte sponde dell’Adriatico. Accenna, infine, alle differenze formali che passano fra il rilievo di Puglia e r Appennino vero e proprio, e ritiene che la denominazione più appropriata per le alture pugliesi, comprendenti le Murge, il Gargano e le Serre Salentine, sarebbe quella di Preappennino Adriatico. (E. Tissi)'. Colomba L. — Sopra alcune esperienze riguardanti la struttura della leucite. (Estr. dalla Riv, di Minerai, e Cristallogr. it., voi. XL). Opusc. dipag. 11, con 1 tav.). — ^ Padova. L’A.,a conferma di quanto accennava in una precedente nota sulla leucite del tufo di Pompei, pubblicata nel voi. XXIII del Boll, della Soc. Geol. Ital. (anno 1904), riferisce i risultati di alcune esperienze, i quali dimostrano come sui caratteri ottici e strutturali dei cristalli di leucite possano avere una sen- sibile infiuenza le condizioni nelle quali avviene il raffreddamento. L’A. sperimentò su lamine tagliate normalmente ad uno degli assi prin- cipali in un cristallo a struttura lamellare; riscaldate ad una temperatura su- periore a quella richiesta perchè si abbia il passaggio alla fase cubica, passaggio reso evidente da Klein nelle sue ricerche sulla leucite, l’A. notò che con un raf- freddamento molto lento la struttura lamellare si conservava evidentissima: con un raffreddamento rapido invece, tendevano a comparire delle plaghe aventi grande analogia con i settori proprii dei cristalli del secondo tipo fonda- mentale di Klein. 38 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 L’A. nota inoltre come dai risultati delle sue esperienze, si possa dedurre che i cristalli del secondo tipo presentano un grado di stabilità molto maggiore che i cristalli a struttura lamellare. (L. F.). Cortese E. — Giacimenti ferriferi e carboniferi nelV Ogliastra (Sardegna). (Rass. Min., voh XXXV, n. 4, pag. 49-51). — ^ Torino. In questi ultimi tempi si è annunciata la scoperta nell’ Ogliastra di impor- tanti giacimenti ferriferi e di affioramenti di carbone fossile (lignite picea). Sia gli uni che gli altri sono al contatto di un calcare ad ellipsactiniae, che FA. ascrive al Cretaceo, e che forma la cima dei caratteristici tacchi (acrocori na- turali) della regione, con le fìlladi sottostanti: e più precisamente sono in una formazione scistosa estuario-lacustre che, sebbene non sempre, è interposta fra il calcare e le fìlladi. La lignite è in più banchi, di cui uno abbastanza po- tente: il carbone pare assai buono, per essere una lignite. Il minerale di ferro, un vero e proprio minerale delie paludi (limonite e talvolta semplice ocra), si presenta in amigdale di grossezza assai variabile, completamente avvolte in scisti lucenti: talora una serie di amigdale forma una specie di strato oppure una lente. La formazione è dunque analoga a quella che si ha a Pazzano e Bi- vongi in provincia di Reggio Calabria, e, come questa, è caratterizzata dall’ir- regolarità di disposizione e di potenza, se potenza si può chiamare la somma delle grossezze medie dei vari letti di amigdale sovrapposti. Il minerale è ab- bastanza buono; utilizzabile, purché si possa risolvere bene il problema del trasporto alla marina di Tortoli. (C. P.). Cortese E.* — Il giacimento ferrifero di Costacciaro (Umbria). (Rass. Min., voi. XXXV, n. 8, pag. 124-125). — Torino. Si tratta di concentrazioni limonitiche nei ealcari bianchi che dovrebbero appartenere al Cretaceo superiore e medio, le quali non costituiscono affattò un giacimento ferrifero industrialmente utilizzabile come da taluno orasi fatto supporre. Del resto anche se effettivamente esistesse ivi un buon giacimento, il suo sfruttamento sarebbe oggidì irrealizzabile stante la sua sfavorevole ubicazione e le conseguenti difficoltà dei trasporti. Furono eseguiti alcuni saggi alla quota di 1350 metri ricavandone esigue quantità di minerale. (E. Tissi). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 39 Ora VERI M. — Note preliminari sui fenomeni esodinamici delVOssola. (Boll. Soc. geol. it., voi. XXX, fase. 10-2°, pag. 203-244). — Boma. Eilevato che la bellissima regione alpina formante il Circondario di Domo- dossola e comprendente il bacino imbrifero del fiume Toce ha già avuto nu- merosi e valenti illustratori, tra cui Fing. S. Traverso, che nel suo lavoro «Da Geologia delVOssola ne mise in chiara luce la oro-idrografia, la, titolo già eia tet- tonica, e ricordate poscia le ricchezze minerarie di questa splendida valle Le- pontina. Fautore dimostra nella presente memoria come in una limitata regione delle nostre Alpi si possano studiare quasi tutte le più notevoli azioni esodi- namiche dovute alV atmosfera, alV acqua, agli organismi. Nel capitolo I - L'atmo- sfera - egli prende anzitutto in considerazione il clima, che dice variabile ma non eccessivo, così che non si hanno massimi e minimi di temperatura molto distanti fra loro. Parla poi della precipitazione atmosferica, sotto forma di pioggia e di neve; detrazione chimica e dell' azione fisico^meccanica dell' atmosfera che si manifesta colla caolinizzazione, ferrettizzazione, decalcificazione e disgregazione delie rocce. Nel capitolo 11 — L'acqua -V autore, considera anzitutto ì ghiacciai, i nevai o campi di neve, le valanghe, i couloirs, le marmitte dei giganti, le rocce striate € lisciate, le cime arrotondate dall'azione degli antichi ghiacciai, le morene, i massi erratici, le forre, le caldaie, le piramidi di erosione, le cascate, il fenomeno della risorgenza, le alluvioni vaganti, i meandri, i terrazzamenti, le conoidi di deie- zione, le fasi di deltazione, le frane, i laghi di sbarramento, intermorenici ed oro- grafici, le acque sotterranee, le sorgenti ordinarie e termali, ecc. Nel capitolo 111 -Gli organismi - Fautore rileva che anche prescindendo dell’azione modificatrice esercitata sul terreno dai lomhrici, dal microorgani- smi nitriflcanti, eco. non mancano nelFOssola veri depositi di origine organica. (E. Tissi). Craveri M. — La valle di Bognanco e la pianura alluvionale di Domodossola. (Opus, in-80, di 29 pag.). — •Domodossola. Osserva Fautore che se la Val Bognanco non baie dolci bellezze dell’aprica valle Vigezzo, nè offre l’imponente spettacolo dell’alta Valle Formazza, nè le magiche aurore della Valle Anzasca, ha tuttavia una sua speciale bellezza austera che non la rende meno delle altre simpatica. Descrive in seguito la genesi idrografia del Bogna, che chiama il « fiume sacro » dei Domesi e che presenta tutte le caratteristiche dei torrenti, cioè corso relativamente breve, alveo scavato in ripido pendìo, con periodica rovinosa alternanza di magre e di piene. 40 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Rileva che le origini di questa valle ed il successivo delincarsi di un primi- tivo bacino idrografico, assai diverso dall’attuale, si confondono coll’inizio del sollevamento alpino. Enumera la serie litologica costituente il fondo ed i fianchi della valle, cioè le rocce pirossenico-anfiboliche (diorite, gabbro, anfi- bolite) e le rocce peridotiche (peridotite e serpentina), da alcuni geologi clas- sificate sotto la generica denominazione di pietre verdi. L’alveo del torrente è per un tratto aperto nei potenti banchi di quel gneiss scistoso producente le belle lastre dette beote. Quanto all’età l’autore ritiene spettare il gneiss all’èra Arcaica od alla pa- leozoica e le pietre verdi ai primi periodi della mesozoica. Viene quindi a parlare del fenomeno glaciale, che lasciò tracce evidentissime nella Valle di Bognanco come in tutta l’Ossola. Enumera partitamente le montagne che formano lo sfondo e che recin- gono i fianchi della valle e ne cita le rispettive quote altimetriche. Ricorda le famose sorgenti minerali di Bognanco Dentro. Riepiloga le vicende deU’inva- sione glaciale nella valle in parola ed accenna alle frequenti frane facilitate della struttura scistosa delle rocce ricche di mica che ne agevola il clivaggio. Spiega la ragione della forma ad U del vallone profondo in cui scorre il torrente, incassato tra pareti a picco alte talora fino a 100 metri, ricordando, infine, la conoide di deiezione del Bogna, che si confonde colle alluvioni vaganti del Toce, e descrivendo l’attuale morfologia del paese. (E. Tissi). Ora VERI M. — • Avanzi fossili animali e vegetali di Civezzano alle Fornaci nel Trentino. (Boll. Soc. geol. it., voi. XXX (1911), fase. 3°, pa- gine 877-886). — Roma. La nota concerne alcuni fossili rinvenuti in certi scavi di argille per la- terizi alle Fornaci, presso Trento, a dieci metri di profondità sotto il piano di campagna, insieme ad uno scheletro di Cervo e - a quanto pare - insieme ad ossa ed altri avanzi deH’Uomo preistorico. Gli ossami d’Uomo e di Cervo furono inviati al Museo di Vienna, mentre alcuni avanzi organici, specialmente di Pesci e di Molluschi d’acqua dolce, nonché di Conifere ed altri vegetali indubbiamente quaternari furono regalati al Museo di Storia naturale del Collegio Mellerio-Rosmini in Domodossola ed esaminati dall’autore formano l’oggetto della presente nota. Il terreno in cui si rinvennero i suddetti resti è un’argilla sabbiosa grigio- azzurrognola, quale bene spesso si trova sul fondo dei laghi intermorenici in tutta la regione delle Alpi. L’autore ritiene che i resti d’Uomo trovati a Civezzano ed inviati al Museo BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 41 di Vienna dovettero appartenere agli abitatori delle palafitte lacustri stabilite sul margine del lago che andò poi ritirandosi fino all’attuale riviera di Caldo - nazzo, sotto Porgine, per azione delFinterrimento operato dal torrente Fersina. Quanto allo scheletro di Cervo, l’autore crede si tratti del Gervus eurij- ceros, od altra forma contemporanea dell’uomo primitivo. L’autore descrive quindi e classifica i resti organici di pesci, molluschi e conifere regalati al Museo Mellerio-Kosmini di Domodossola, i quali sono tutti quaternari e provano che alla profondità di 10 metri sotto il suolo di Civezzano doveva esistere un lago che fu poi colmato dalle potenti alluvioni fluviali spe- cialmente del Fersina. (E. Tissi). Craveri M. — ■ Determinazione dei fossili italiani, francesi, svizzeri ed ame- ricani del Museo Galletti in Domodossola. (Opusc. m-4P, di pag. 3). — Domodossola. L’autore porge una elencazione dei numerosi esemplari di Invertebrati e di Vertebrati fossili esistenti nel Museo di Storia Naturale della Fondazione Galletti in Domodossola, i quali sono in gran parte di provenienza francese; alcuni pochi sono italiani, svizzeri ed americani. L’autore si riserva di esaminare in seguito anche la raccolta di ossami e di finiti del Museo stesso. (E. Tissi). Craveri M. — Il tufo calcareo o breccia concJiigliare dei templi di Girgenti. (Boll. Soc. geol. it., voi. XXIX (1910), fase. 3-4, pag. 403-410) . — Roma. Rileva l’autore che mentre l’odierna città di Girgenti nulla ha in sè di notevole, storicamente ed archeologicamente importantissimi sono invece gli antichi famosi Templi greco-siculi della Concordia, di Giunone Lucinia, di Giove Olimpico, di Ercole, di Vulcano, di Castore e Polluce, di Esculapio, di Cerere, di Proserpina, nonché la tomba di Perone, l’Oratorio di Falaride, ecc. alcuni dei quali hanno le colonne ancora erette e sostenenti la massiccia tra- beazione, mentre altri sono ridotti ad un cumulo di macerie. Ma più ancora dei famosi Templi sono, secondo l’autore, interessanti per la loro origine e misteriosa destinazione Ipogei,! quali formano un intricato labirinto di gallerie sotto la città odierna, con feritoie aperte nei cieli perchè vi entri aria e luce. L’origine di questi Ipogei si perde nella notte dei tempi come la storia della città. C’è chi sostiene che servissero di rifugio nella stagione invernale; chi vuole 42 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 fossero ridotte per celarsi ed assalire improvvisamente il nemico. Altri li inter- pretano per avanzi di acquedotti; altri infine suppongono che gli Ipogei fos- sero segreti recessi adibiti a speculazioni sacerdotali. L’autore invece crede di poter paragonare gli Ipogei alle Latomie di Sira- cusa ed alle Catacombe di Eoma, ma che poi, nelle ulteriori vicende della città, essi siano diventati cave e siano stati ampliati per estrarne il tufo calcareo o breccia conchigliare di cui sono costruiti gli antichissimi Templi sopra men- zionati. Il materiale in parola è, secondo l’autore, il tufo calcare pliocenico e non già il tufo quaternario antico a facies marina (piano Siciliano) che moltissimo gli somiglia e che forma una cròsta poco potente posante sul primo. Ma una tale particolarità non è ancora bene accertata, e l’autore confida che un accurato esame su diversi compioni tolti dalle pareti degli Ipogei e delle colonne dei Templi possa recare una difinitiva conferma alla sua ipotesi. (E. Tissi). Crema C. — Sezione geologica attraverso la valle di Licenza, nel hachw del- VAniene. (Boll. R. Comitato geol. d’Italia, voi. XLI, anno 1910, fasci- colo 40, pag. 406-422, con 3 fig.). — Roma. La sezione considerata taglia trasversalmente la valle di Licenza presso il borgo omonimo e la sua descrizione permette all’A. di illustrare brevemente la costituzione della parte mediana di detta valle. Dopo pochi cenni topografici e bibliografici l’A. dà la serie dei terreni appartenenti tutti al Mesozoico ed al Cenozoico. Il Mesozoico è assai meno esteso che non si credesse; tuttavia spin- gendosi un po’ fuori della valle la serie va dalLias medio al Cretaceo coll’avver- tenza però che i riferimenti sono fatti quasi esclusivamente in base ad analogie litologiche o di posizione. Sul Cretaceo senza discordanza apparente si ha l’Eo- cene (inf. e medio) rappresentato da 2 formazioni eteropiche scaglia rossa e cinerea da una parte e calcari cristallini con scaglia bianca dall’altra. Al Miocene è riferita la nota zona calcareo-marnosa ricca di foraminiferi e con grandi Lucine. Il Quaternario comprende pochi lembi senza importanza. I terreni secondarii non compaiono nella sezione che per un piccolo tratto, ad Ovest: il resto è occupato dalle formazioni terziarie che formano due anticli- nali, delle quali quella ad Ovest è rovesciata sulla sinclinale che le riunisce. Questo rovesciamento esclude la necessità di ricorrere ad una faglia, come fece il prof. Sacco per spiegare il contatto anormale del Miocene coll’ Eocene (C. C.). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 43 Cruciani a. — Contributo allo studio dei giacimenti di salgemma della Si- cilia. (Rass. ind. solf., anno XXIII, n. 2, pag. 1-4 e n. 12, pag. 1-4). In questa nota l’autore si occupa del giacimento solf o-salif ero Gibellini- Gargilata a N-E di Racalmuto, che dal punto di vista geologico e tectonico costituisce, secondo lui, una formazione assai singolare e così ricca di acciden- talità da giustificare una speciale ipotesi sulla sua configurazione stratigrafica. (E. Tissi). D’Achiardi G. — Minerali dei marmi di Carrara (Minerali di rame). (Boll. Soc. tose., proc. verb., voi. XX, n. 5, pag. 77-78) — Pisa. Esaminato ed assaggiato chimicamente un piccolo campione di un mi- nerale con apparenza cubica o quadrato-prismatica, di colore grigio, con caratteri ricordanti quelli della galena, l’autore potè constatare in esso la pre- senza del rame e del solfo mentre non potè constatare quella del piombo, del- l’antimonio e del bismuto. Dovendo pertanto escludere che si tratti di galena, nè potendo avvici- nare il minerale, per il suo abito e per altri caratteri, a nessun minerale di rame a tipo di solfuro, nè potendo d’altra parte supporsi che si tratti di un solfo- sale, l’autore dichiara esser necessario attendere nuovi esemplari, se sarà pos- sibile averli, prima di pronunziarsi sulla determinazione specifica di questo minerale. (E. Tissi). De Angelis d’OssAT G. ■ — Sulla geologia della provincia di Roma, XIV, Pozzo trivellato presso la nuova officina del gas di Roma. (Boll. Soc. geol. it., voi. XXX, fase. 10-20, pag. 260-262). — Roma. Rileva l’autore che una delle principali difficoltà che si presentano nella spiegazione storico-genetica dell’Agro Romano, risiede nella inferiore giacitura dei più profondi depositi del Tevere rispetto al livello marino. Dagli studi finora eseguiti risulta che aUa profondità di m. 16,49 sotto al livello marino si rinvengono materiali sicuramente fluviali, e poiché una tale profondità non può nè poteva essere raggiunta dal fiume neppure nelle più irruenti sue piene, l’autore opinò, anche in passato, che la causa di ciò dovevasi attribuire ad un avvenuto cambiamento di rapporto fra continente e mare, convinzione che vennegli confermata dai risultati di due terebrazioni eseguite per conto della Società Anglo-Romana nel recinto della nuova officina del Gas, presso S. Paolo, sulla sponda sinistra del Tevere, alla distanza di circa 10 metri da questo. 44 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Il piano di campagna trovasi a circa 14 metri sul mare, ed i due pozzi fu- rono spinti a 63 metri di profondità, cioè fino a m. 49 sotto il livello marino. Con riserva di effettuare un accurato esame dei campioni raccolti, l’autore ne descrive intanto le determinazioni litologiche desunte macroscopica- mente e ne indica i relativi spessori, osservando che se lo strato ciottoloso di fondo potesse con certezza riferirsi a deposizione fluviale, ne scaturirebbe un argomento inconfutabile attestante una valle tiberina ora sotto il livello marino. Questa, alla sua volta, fornirebbe la prova di un notevole e recente abbas- samento del continente, per il quale il fiume avrebbe necessariamente dovuto cambiare il suo profilo di equilibrio. Osserva, d’altra parte, l’autore che non lungi dagli accennati pozzi esistono cave aperte nel più profondo livello delle pozzolane, e che poco sotto di queste giace ordinariamente una formazione argillo-sabbioso-ghiaiosa maremmana, che non potrebbe ancora logicamente riferirsi alla formazione marina che lar- gamente affiora a Nord e ad Est della località in parola, per la constatatavi presenza di molluschi d’acqua dolce e continentali e per qualche altro carattere. (E. Tissi). De Angelis d’OssAT G. — Le rocce e le acque delVAgro Romano rispetto alla calce. (Rend. R. Acc. Lincei, voi. XX, fase. 4P, l^ sem., pag. 259-266). — Roma. Dalle eseguite ricerche è risultato che nella composizione delle rocce della Campagna Romana, la calce è relativamente scarsa ed è specialmente conte- nuta dai feldspati plagioclasici, dall’augite, dalle miche, dalla leucite, dall’ha- uyna, dalla melilite, dai granati, dalla gismondina, dall’apatite, ecc. La media di 14 analisi di lave leucitiche risulta di 10,90 %, e nei tufi vul- canici si hanno valori più bassi ancora, pur comprendendo la parte insolubile nell’HCl, quella cioè che costituisce la ricchezza di un remoto avvenire. Per riconoscere la quantità di calce disponibile nelle rocce dell’Agro co- stituenti comunemente il terreno agrario autoctono, l’autore ha intrapreso uno studio sulle pozzolanelle, sulle pozzolane grigie e rosse e sui tufi terrosi dei dintorni di Roma, sottoponendo dei campioni di detti materiali, per un anno intero, a condizioni diverse rispetto alle acque e cioè: R Stato naturale (per confronto); 2° All’aria libera ed alla pioggia; 30 All’adacquamento con acqua distillata del commercio; 40 » » Paola; 50 » » Felice; 60 » Acetosa. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 45 Dagli ottenuti risultati l’autore trae le seguenti conclusioni: a) che tutte le acque adoperate aumentano il quantitativo solubile della calce, contenuta nelle rocce sperimentate, aumentandone la potenza; h) che rispetto al quantitativo della calce le acque più energicamente produttrici sono quelle che, in composizione, ne contengono meno; c) che il terreno agrario deve poter assorbire tutta l’acqua pluviale; ad esso poi ne va somministrata per irrigazione quanta ne può mantenere. Nell’un caso e nell’altro non debbonsi avvivare correnti che allontanino l’ac- qua insieme alle materie fertilizzanti elaborate. (E. Tissi). De Fiore O. — Il periodo hawaiano ddVEtna nel 1910-1,911,. (Riv. geogr. it., anno XVIII, fase. IV, pag. 205-212). — Firenze. In questa nota l’autore descrive lo Stato del createre centrale delV Etna dopo V eruzione del 1910, i fenomeni eruttivi, il cratere centrale dopo questi fenomeni, il materiale emesso, ed osserva che i descritti fenomeni, quasi del tutto identici a quelli che seguirono l’eruzione laterale del 1892, caratterizzano questa fase eruttiva dell’Etna come hawaiana, poiché, sebbene in piccola scala rispetto ai vulcani d’Hawai, si è verificata la riproduzione dei fenomeni presentati da questi. L’autore rileva poscia il fatto della comparsa della lava incandescente nel cratere centrale a breve distanza da una grande emissione laterale, e lo spiega ammettendo che il magma, che staziona nel condotto eruttivo centrale, tra- bocca per l’eruzione, vuotando il condotto medesimo fino all’altezza ove trovasi la frattura emissiva laterale. Ma il raffreddaménto del dicco risalda questa frat- tura, ed allora, quando una nuova forza impulsiva spinge in alto il magma, la fuoruscita laterale più non essendo possibile, ne avviene il riempimento del cratere centrale fino a che le lave non abbiano riacquistata la forza necessaria a riaprire una nuova via laterale. (E. Tissi). De Gasperi G. B. ^ — 1 terrazzi anteriori alVultima fase glaciale nella pia- nura friulana. (Cron. Soc. alp. Friulana, anno XXII, s. 2^, n. 5-6, pag. 97-105, con 4 fig.). — ^ Udine. L’autore esordisce rilevando che lungo le falde dei colli eocenici che cin- gono ad oriente la pianura friulana si trovano alcuni lembi di terrazzi più an- tichi delle alluvioni che costituiscono la pianura attuale, i quali stanno perciò a testimoniare un livello del piano superiore di alcuni metri a quello odierno. 46 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Uno di tali lembi si trova presso Carraria, allo sbocco delle valle del Na- tisene nella pianura di Premariacco. Un altro è situato aUe falde settentrionali del gruppo dei colli di Buttrio; altri se ne vedono verso lo sbocco delle valli del Malina e del Torre, a Spessa ed in altri punti. Rileva altresì l’autore che lo stato d’alterazione dei materiali alluvionali dei singoli terrazzi non offre elementi sicuri per ritenere eh’ essi siano tutti d’una stessa epoca, poiché i lembi di Carraria, di Spessa e di Butrio dimostrano una decomposizione più avanzata che quelli del Racchiusana, del Malina e del Torre; comunque, a parte questa differenza, la loro posizione rispetto alla pianura attuale e rispetto alle alluvioni più recenti li farebbe ritenere lembi sparsi di un medesimo livello alluvionale, riferibile alle alluvioni degli altipiani. Questi lembi sarebbero pertanto gli ultimi resti di una pianura formatasi anteriormente al JRissiano, la quale subì poscia un profondo scavo e terraz- zamento, e successivamente un nuovo alluvionamento che coprì anche i ter- razzi medesimi. Quattro figure illustrano la nota. (E. Tissi). De Gaspebi G. B. — Catalogo delle Grotte e voragini del Friuli. dal « Mondo sotterraneo » rivista di Speleologia e Idrologia, anno VII, opus, di 40 pag. con 1 carta). — Udine. L’autore ha riassunto in un catalogo tutto quanto si conosce finora sulla distribuzione topografica, sull’estensione e sui più importanti caratteri delle grotte friulane. Con questo lavoro l’autore ha somministrato una conoscenza abbastanza ampia dei fenomeni del sottosuolo, conoscenza che si fa però man mano più scarsa a misura che ci si inoltra nella zona alpina. L’ordine seguito nella compilazione del catalogo è quello topografico, prendendo a base di studio regioni geograficamente ben definite da corsi d’ac- qua. Con tali criteri l’autore è riuscito ad elencare 153 cavità, topograficamente ripartite come segue: Regione delle Alpi Giulie, cavità N. 4 » delle Prealpi del Judrio ... » » 32 » delle Prealpi del Torre .... » » 49 » dei Colli miocenici e morenici » » 3 )) delle Alpi Carniche » » 19 » delle Prealpi Tramontine . . » » 18 )) del Gruppo del Cavallo ... » » 28 Totale N. 153 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 47 Il massimo sviluppo dei fenomeni carsici si ha nei terreni cretacei ed in quelli eocenici ove predomina il calcare. Minore invece si manifesta nelle dolo- mie e nei calcari anteriori al Cretaceo; più scarse ancora nei conglomerati re- centi. L’autore classifica le cavità studiate anche in base ad altri peculiari ca- ratteri, cioè: a) in cavità assorbenti, che servono da colletrici ad un corso d’acqua di qualche importanza, e le suddivide in grotte e voragini; h) in cavità di sbocco, dalle quali esce un corso d’acqua che può essere perenne o intermittente. c) in cavità inattive, cioè cavità costituenti un fenomeno avente limi- tate relazioni coll’idrografia sotterranea, ripartite anche queste in grotte e voragini. L’autore rileva che su questo argomento molto resta ancora da fare, sia per ultimare le esplorazioni in corso, sia per studiare le cavità finora soltanto segnalate, sia - infine - per scoprirne di nuove che certamente non mancano nelle plaghe tuttora inesplorate di quella regione. (E. Tissi). De Gasperi G. B. — 1 ghiacciai del Canin [Osservazione del 1910). (Cronaca bimestr. Società Alp. Friulana, anno XXII (Serie 2^), n. 1). — Udine. D’incarico del prof. Marinelli, impedito di recarsi al Canin perle consuete annuali misure dei ghiacciai, l’autore si recò nel settembre 1910 per eseguirvi i riscontri dei segni collocati per lo studio della variazione delle fronti. Ma, stante la grande quantità di neve incontratavi, l’ideata operazione non potè avere completo e metodico eseguimento, essendo stato trovato il ghiac- ciaieto dell’Ursic interamente coperto da rivestimenti nevosi, e solo parzial- mente scoperti i ghiacciai (orientate ed occidentale) del Canin. Soggiunge l’autore che i ricoprimenti nevosi riscontrativi erano veramente eccezionali, minimo essendo stato durante l’estate lo scioglimento delle nevi, così che le zone scoperte dei ghiacciai erano solo quelle ubicate in ripido pendio. (E. Tissi). De Marchi L. — SulV idrografia carsica nelV Altipiano dei Sette Comuni. (R. Mag. Acque, Ufi. Idrogr., pubblicaz. n. 22, 1 voi. in-S®, pag. 47, 4 tavole ed una carta). ^ — -Venezia. La somma importanza che presenta lo studio dell’idrografia sotterranea della regione Veneta, consigliò il R. Magistrato delle Acque di afiìdarne lo stu- 48 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 dio aU’ autore, il quale nella presente memoria riassume il risultato delle ri- cerche da lui eseguite sulla idrografìa superfìciale e profonda dell’Altipiano dei sette Comuni, ricerche che si propone di estendere anche aUe contermini plaghe. Descritte partitamente le caratteristiche topografìche, geologiche e mor- fologiche, nonché l’idrografìa superfìciale e carsica dei Sette Comuni, esami- nate ed annoverate le varie sorgenti; esposte le proprie vedute intorno all'esi- stenza di un diverso stato idrografìco anteriore ed intorno ad un supposto abbassamento dell’acqua di base, l’autore riassumete risultanze del suo studio che, succintamente, possono essere enunciate come segue: 1° Le condizioni idrografìche dell’altipiano corrispondono nelle varie sue parti aUa posizione dieWacqua di base rispetto alla superfìcie. 2° Le sorgenti attorno a GaUio sono le sole che, nell’altipiano di Asiago, possono considerarsi come efflussi superfìciali dell’acqua di base. 3° Nella parte alta dell’altipiano sono da considerarsi come affloramenti dell’acqua di base le sorgenti della Renzola, quelle di Malga Campo Rosato e quelle che alimentano le fontane del Termine e del Ghertale; tutte le altre sor- genti elevate sono scoli di stillicidi mantenuti in parte dalle nevi che si conser- vano nelle depressioni (buse). 4P L’acqua di base afflora in basso nei fìumi e nelle sorgive che scatu- riscono presso il fondo delle valli. 5° Tutte le sorgive risentono prontamente l’ effetto delle pioggie, au- mentando notevolmente di portata ed intorbidandosi. 6° Le condizioni attuali dell’altipiano dipendono in parte da recenti fenomeni tectonici di corrugamento e sollevamento che hanno aperto nuove fratture ed iniziato un periodo di più intensa elaborazione carsica della su- perfìcii. La memoria è corredata da 4 nitide tavole fotografìche, da una carta geo- logica delle regione, alla scala di 1; 100 mila e da un dettagliato elenco delle sorgenti rinvenute e studiate. (E. Tissi). D’Erasmo G. — Risultati ottenuti dallo studio di alcuni ActiTwpterigi del calcare cretacico di Pietraroja in provincia di Benevento. (Estr. dagli Atti Soc. it. per il progr. scienze, IV Riun., Napoli, dicembre 1910, opusc. di 4 pag.) — Roma. La nota concerne lo studio particolareggiato, eseguito dall’ autore, degli ittioliti provenienti dal calcare silicifero gvigio, compatto, a frattura concide ed a grana finissima, che afflora immediatamente al di sotto dell’abitato di BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 49 Pietraroja, in provincia di Benevento, i quali furono a più riprese illustrati dal Costa e si conservano nel Museo geologico della E. Università di Napoli. L’autore vi lia riconosciuto le seguenti specie: IO Coelodus grandis (Costa) Heckel; 2° Coelodus sp.; 30 Palaeohalistum Bassanii n. spc.; 40 Notagogus Pentlandi Ag.; 50 Propterus cfr. ScaccMi (Costa) Bassani; 60 Lepidotus sp.; 70 Belonostomus Crassirostris (Costa). 80 Belonostomus sp.; e li ritiene riferibili al Conomaniano. (E. Tissi). H’Erasmo G. — Sopyra alcuni avanzi di pesci cretacei della provincia di Lecce. (Estr. dal voi. XV, serie 2^, n. 5, Atti R. Accad. Se. fis. e mat. di Napoli, opus, di 8 pag. con 1 tav.). — Napoli. Degli esemplari studiati in questa nota VHalec Bassanii si conserva nel Museo geologico dell’ Università di Napoli; gli individui di Scombroclupea macropTithalma appartengono alla collezione paleontologica del R. Ufficio geo- logico, e dei due avanzi di Coelodus sp. uno è di proprietà del Gabinetto di Storia naturale dell’Istituto tecnico di Lecce, l’altro fa parte della collezione del prof. Cosimo De Giorgi in Lecce. I suddetti avanzi farebbero ritenere che il calcare dolomitico che li contiene debba essere riferito al Cenomaniano, ed è questo un nuovo argomento per dimostrare resistenza del Cenomaniano nel Leccese, finora sostenuto dal Parona, dal Dainelli e dal De Franchis. (E. Fissi). De Stefani C. — Sunto geologico dei Monti Livornesi. (Atti Soc. tose., Mem., voi. XXVII, pag. 63-75). — Pisa. L’autore espone la descrizione geologica dei Monti Livornesi, i quali seb- bene in superfìcie occupino un piccolo spazio e giungano a modesta altezza, non sono tuttavia da considerarsi come un unico ammasso montuoso regolar- mente degradante dalla cima alle falde, ma siano invece da ritenersi come un aggregato di diverse isolette che sembrano oggidì fuse insieme, ma che nei più recenti periodi del mare terziario emersero separatamente dalle acque e ri- masero intersecate da golfì e da stretti nei quali si depositarono i sedimenti miocenici. 50 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 L’autore descrive la successione stratigrafìca eocenica, miocenica, plioce- nica e postpliocenica di quelle colline, rilevandone i caratteri petrografici e le determinazioni paleontologiche. Accenna poi al sollevamento attuale dei terreni postpliocenici e più an- tichi, sollevamento che si estende a Nord, ad Est ed a Nord-Ovest nella pia- nura pisana, e ricorda, infine, l’ orogenesi delle valli sottomarine, che si formano nel prolungamento diretto di quelle terrestri. (E. Tissi). De Stefani C. — ■ Il Paleozoico inferiore di Alì nel Messinese. (Atti Soc. Toscana di Se. nat., Processi verbali, voi. XX, n. 2, pag. 21-25). La nota contiene il resultato della osservazioni fatte dall’A. sui terreni dei dintorni di Ali nel Messinese, la cui serie sarebbe invertita in conseguenza di tre pieghe locali, che avrebbero portato in basso i calcari giuresi e triassici, su cui riposerebbero altimetricamente i terreni cristallini e semicristaUini più antichi. Secondo l’A. gli scisti filladici carboniosi sovrastanti al Trias sarebbero quindi più antichi di questo e più recenti delle prasiniti e dei micascisti che li ricoprono: essi apparterrebbero verosimilmente al Carbonifero inferiore, se non al Devo- niano, come risulterebbe dagli indizi abbondantissimi di Lepidodendron e dalla mancanza di felci. Il Permiano non esisterebbe nei dintorni di Ali. Alle prasiniti e ai micascisti farebbe seguito lo gneiss, a tipo gneiss dìAn- tigorio, che i più dei geologi hanno posto in alto della serie capovolgendola, e che costituirebbe, invece, secondo rA.,il terreno più antico visibile in Calabria. (D. P.). De Stefano G. — Sui pesci pliocenici dell’ Imolese. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XXIX (1910), fase. 3-4, pag. 381-402, con 1 tav.). — Roma. La nota si riferisce ad alcuni avanzi fossili dell’ ittiofauna imolese, prove- nienti dalle marne e dalle argille che affiorano lungo la vallata del Santerno, e facenti parte delle raccolte paleontologiche del Museo Civico di storia na- turale di Imola. Il materiale consiste in denti isolati e in due vertebre appartenenti alle specie che seguono, nuove per l’Imolese e tutte figurate: Carcharodon Bondoleti Mùller et Hen. Odontaspis contortidens Agassiz. Odontaspis ferox Risso sp. Oxyrhina hastalis Agassiz. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 51 Oxyrhina S'pallanzani Bonaparte. Carcharias (Prionodon) glaucus Linn. sp. , Scymmus lichia Cuvier. Myliohatis sp. Dentex sp. [cfr, D. vulgaris Cuvier Valenciennes]. Sargus sp. [cfr. S. Jomnitanus Valenciennes]. CTirysopJirys sp. [cfr. C. Agassizzì E. Sismonda]. CrysophryB sp. Sotto l’aspetto stratigrafìco i pesci fossili deirimolese starebbero ad indi- care nel loro complesso, una formazione essenzialmente pliocenica, ma secondo l’A. non è possibile stabilire con precisione l’orizzonte al quale tali specie appar- tengono. Come conclusione generale l’A. fa osservare che a mano a mano che au- mentano le ricerche la ittiofauna del mare pliocenico italiano si appalesa sem- pre più identica a quella che popola l’attuale Mediterraneo. (G. P.). De Stefano G. — I Mammiferi preistorici deir Imolese. (Paleontogr. ital., voi. XVII-1911, pag. 49-140, con 9 tav.). — -Pisa. E’ un dotto ed. elaborato studio il quale rende noti i risultati delle ri- cerche fatte dall’A. sopra un rilevante numero di ossami trovati nella Terra- mara del Monte Castellacelo presso Imola e conservati nel Museo civico di Storia naturale di questa città. I risultati ai quali è giunto l’A, non si limitano a considerare il solo mate- riale del Monte Castellacelo, ma si estendono a quello delle altre stazioni prei- storiche congeneri della regione emiliana, e sembrano essere tanto più inte- ressanti in quanto sono alquanto diversi da quelli a cui erano giunti lo Strobel e gli altri naturalisti che hanno studiato i vertebrati delle palafitte e delle ter- remare dell’Italia settentrionale. II lavoro comprende un profondo esame di osteologia comparata cuna conseguente serie di osservazioni sistematiche e filogenetiche sui seguenti ge- neri di mammiferi: I. Ungulata Perissodaetyla: Gen. Equus Linn. II. Ungulata Artiodactyla: Gen. Sus. Linn.; gen. Gapreolus H. Smith; gen. C ervus Jjmn.; gen. Capra Linn.; gen. Ovis Linn; gen. Bos Linn. III. Bodentia Sciuromorpha: Qen.Gastor Linn. IV Carnivora fissipedia: Gen. Canis Linn.; gen. Vulpes Brisson; gen. Ursus Linn.; gen. Mustela Linn. (G. P.). Ò2 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 De Toni A. — La fauna liasica di Vedana [Belluno). Paiate 'prima: Bra- chiopodi. (Mémoires de la Soc. Paléontol. Suisse., voi. XXXVII (1910- 1911). Opus, di 29 pag. con 1 tav.). — Genève. 11 materiale studiato proviene da un grande masso di calcare bianco, sac- caroide, pieno di fossili, delle vicinanze del convento di Vedana (Sospiro lo) e elle con tutta probabilità proviene da una posizione poco discosta dove affiora uno strato di roccia del tutto analoga. 1 fossili sono in maggioranza Bracbio- podi, ma non mancano Ammoniti, Lamellibrancbi e Gasteropodi, i quali gruppi formeranno oggetto di un’ altra pubblicazione. Caratteristica è una riduzione nelle dimensioni degli individui. Le specie di Brachiopodi rappresentate sono 27 fra le quali abbondanti sono la Bhynchonella palmata, la Eh. fascicostata, la Eh. lubrica, la Terehratula Aspasia e ìaW aldheimia avicula,e, relativamente fre- quenti la Spiriferina ohtusa, la 8p. angulata e la Eh. inversa. Due specie sono di dubbio riferimento e due nuove: la Waldheimia Dalpiasi e la W. plavensis. La fauna in questione appartiene al Lias medio, ma ogni discussione sulla sua età e sulle sue affinità con altre faune è rimandata a quando sarà ultimato 10 studio dei molluschi. (C.C.) De Toni A. — Di alcuni recenti lavori sui colli Euganei. (Opusc. di 12 pag., tip. Giov. Batt. Bandi). — Padova. L’ autore riporta in questa nota gli studi e le osservazioni di vari scrittori che si occuparono dell’orogenesi dei Colli Euganei, studi che se in parte confer- marono le vedute dei vecchi geologi veneti, determinarono tuttavia una rico- struzione più razionale e più completa della serie dei fenomeni eruttivi che si manifestarono in quella interessante regione. Le opere prese in esame sono quelle dello Starck, del Cornu, del Lachmann, del Maddalena e del Pendi, e dal contesto della medesime, egualmente che da numerose ricerche diretta- mente eseguite in questi ultimi anni, emergerebbe che le teorie del Suess e del Reyer sull’ origine degli Euganei vanno radiate dal campo dei fatti positivi. Presentemente non si ammette più resistenza di trachiti giurassiche, ma si suppone che l’attività degli Euganei si sia svolta completamente durante 11 periodo terziario. I massicci trachitici e riolitici di cui risultano formati i sin- goli colli non sono più considerati come estremità di colate aventi tutte un’u- unica provenienza centrale, mR bensì come intrusioni verificatesi in sito tra i sedimenti per opera di un magma estremamente denso. Molto si potrà ancora discutere sul modo con cui avvennero queste in- trusioni, ed un largo campo di ricerche rimane perciò aperto all’attività degli studiosi, ma l’esposta ipotesi, corroborata da argomenti morfologici, geologici e petrografici, è - secondo l’autore - quella che finora porge la spiegazione più •completa e più esauriente dell’ origine dei Colli Euganei. (E. Tissi). BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Volume quarantatreesimo (3o della V Serie) 1912 4' ATTI UFFICIALI RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO sui lavori eseguiti per la Carta geologica d’Italia nel 11)11 e proposta di quelli da eseguirsi nel 1912-18 Rilevamenti e revisioni. Allo scopo di procedere più speditamente nella pubblicazione regolare della Carta geologica ed in accordo col voto emesso dal Comitato nella sua se- duta del 5 giugno 1911, l’attività del personale operatore nella decorsa campa- gna fu concentrata in massima parte nella revisione di alcune aree comprese nei 5 fogli alla scala di 1/100,000 di Monte Bianco, Aosta, Monte Rosa, Gran Paradiso e Ivrea delle Alpi Occidentali e dei 3 di Terracina, Gaeta e Caserta^ ormai in corso di pubblicazione, non cbe di altri che saranno al più presto con- segnati all’Istituto geografico De Agostini, fra i quali i due fogli di Susa e Pinerolo, i tre di Spezia, Massa e S. Marcello Pistoiese pure al 1/100,000 e le nove tavo- lette al 1/25,000 che costituiscono il gruppo centrale delle Alpi Apuane. Non fu però trascurato il lavoro di nuovo rilevamento, il quale con- tinuò ad estendersi, secondo il programma preordinato, nell’ Umbria, nelle Marche e nel nord della Sardegna. Al lavoro di rilevamento regolare si aggiunsero studi importanti e lavori di preparazione nelle Alpi Venete non che revisioni spe- ciali già iniziate nell’anno precedente nella regione a NE della Maiella. Poiché in conformità del desiderio espresso dal Comitato neH’adunanza sopracitata i risultati delle osservazioni fatte [^dai geologi operatori, sono pubblicate a nome dei singoli autori ed uniti alla presente relazione, il compito del sottoscritto sarà limitato alla registrazione della parte materiale del lavoro eseguito da ciascuno di essi. Il sottoscritto, grazie al valido aiuto prestato dal vice direttore dell’Ufificio, ing. Aichino, potè attendere anche in quest’anno alle studio dell’Umbria ormai prossimo al suo termine, iniziando il rilevamento nella tav. di Bevagna (fo 131) ed estendendolo in quelle di Foligno {P 131) e di Padule e Gualdo Tadino (f® 123) che sono ormai pressoché complete. L’ing. capo Zaccagna dedicò la sua campagna estiva alla revisione di varie località della Val di Lima e delle Alpi Apuane , in vista specialmente della pub- blicazione dei fo^i al 1/100,000 di S. Marcello Pistoiese e di Massa, che dovranno IV ATTI UFFICIALI far seguito a quelli della Toscana recentemente pubblicati, e delle tavolette al 1/25,000 del gruppo centrale apuano, la pubblicazione delle quali fu deliberata dal Comitato nella sua ultima riunione. " • L’ing. capo Novarese anche in questa campagna, come nella precedente del 1910, esegui soltanto delle revisioni allo scopo della pubblicazione dei fogli delle Alpi Occidentali di cui fu fatto cenno in principio. Tali revisioni furon compiute nelle tavolette al 1/25,000 di Luino SE, Aosta NE e SE, Morgex NO, Omegna NE e SE, Gavirata SO, Stresa SO, Pallanza NO, Eoure SE, Fenestrelle SO e Porosa Arg. NE. L’ing. capo Sabatini, oltreché ad alcune revisioni nei Monti Cimini, ne- cessarie alla pubblicazione della sua Memoria sui medesimi, dedicò la cam- pagna del 1911 allo studio e al rilevamento dei Vulsinii, rivedendo parecchi punti del territorio di Montefiascone e rilevando circa 40 chmq. del territorio di Collere e di Tessennano. L’ing. capo Franchi, dovette dedicarsi, come il collega Novarese, alla revi- sione delle Alpi Occidentali. Egli fece alcune'escursioni in Val Folce vera, nei din- torni specialmente di Isoverde e nell’alta Valle della Scrivia per esaminare la questione sollevata da P. Termier sulla equivalenza cronologica della zona delle pietre verdi del Gruppo di Voltri e la serie da tutti ritenuta eocenica della Valle Folce vera. In seguito proseguì le revisioni nei fogli di Bardonecchia e di Cesana Torinese per precisare i limiti del Retico col Lias a facies Piemontese nei gruppi dei Tre Re, del Chaberton, del Gran Roc e della Rognosa di Sestrière. Fece pure qualche revisione allo stesso scopo nella valle della Dora fra Oulx e Susa ed al Moncenisio e finalmente si occupò di completare il rilevamento della Valle Sesia nelle tavolette di Varallo e Borgosesia. L’ing. Crema in primavera fece una ricognizione nella valle dell’Aniene. Nella estate poi riprese il rilevamento dell’Abiuzzo Aquilano, al quale dedicò la massima parte della campagna. La zona studiata e quasi intieiamente rile- vata tiovasi tutta nel f^ 145 e rimane compresa fra il fiume Salto e il gruppo del M. D’Ocre, già pubblicato a paite, e fra il Rio Torto ed una serie di conche che dal villaggio di Torano sale per la valle Amara fino al bosco di Cerasolo presso il M. Orsello. Alcune località da lui indicate come particolarmente istruttive pei la risoluzione della controversia relativa all’età della formazione calcareo - marnosa furono visitate, a sua richiesta, insieme col sottoscritto, il quale ebbe occasione di verificare l’esattezza delle precedenti osservazioni e deduzioni RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO V deiring. Crema, quali risultano dalla sua relazione preliminare pubblicata in questo stesso fascicolo (v. pag. .61 e seguenti). Egli fece inoltre speciali ricerche paleontologiche nei calcari secondari della regione. NeH’autunno proseguì il rilevamento nella valle del Sacco limitandolo a parte dei dintorni d’Anagni e del Piglio. L’ing. Pilotti iniziò il lavoro di rilevamento dell’Iglesiente con osserva- zioni generali nelle tavolette 1/25,000 d’Iglesias, Nebida, Barbusi, Domusnovas ed altre contigue. Nella estate proseguì il lavoro incominciato l’anno precedente neirUmbria, coadiuvando il sottoscritto nel rilevamento delle tav. di Foligno e Nocera Umbra e penetrando in quella di Camerino. In autunno poi riprese il rilevamento delle tav. di Nulvi e Castelsardo nella Sardegna settentrionale. L’aiut. princ. Cassetti diresse le prime escursioni della campagna alla re- visione geologica dei fogli 172 e 173, rilevati da lui stesso circa 20 anni fa, che comprendono gran parte delle due Limitrofe provincie di Terra di Lavoro e di Benevento e che dovevano esser preparate per la pubblicazione. Successiva- mente iniziò un rilevamento più dettagliato dei due versanti orientale e setten- trionale della Majella , in considerazione specialmente delle importanti miniere di calcare asfaltifero che si esercitano nei pressi di S. Valentino in prov. di Chieti. Altre escursioni finalmente furon destinate alla continuazione del rilevamento delle Marche e precisamente della valle del Metauro a NE di Fosso mbro ne. Incarichi straordinari. Anche per questi lavori si richiese agli autori sigg. Dal Piaz, Vinassa e Gortani una relazione preliminare pubblicata di seguito a quelle del perso- nale dell’Ufficio. Pubblicazioni. Durante l’anno decorso fu iniziata la pubblicazione della carta geologica deU’Umbria coi fogli di Perugia, Orvieto e Terni e fu pubblicato lo studio degli ingegneri Camerana e Galdi del Distretto di Bologna sui petroli emiliani, che venne ad ariicchire la serie dei volumi delle Memorie descrittive, formandone il XIY. Furono inoltre portati a compimento e consegnati alla stampa i cinque fogli della carta geologica delle Alpi Occidentali: M. Bianco, Aosta, Monte Posa, Gran Paradiso e Ivrea; i tre di Terracina, Gaeta e Caserta nelle provincie meridionali, nonché il voi. XV delle Memorie Descrittive, contenente lo studio dell’ing. Sabatini sui Vulcani Cimini e quello delle Meme rie per servire alla de- VI ATTI UFFICIALI scrizione della Carta geologica, contenente lo studio del dott. Prever sulla fauna a nummuliti ed orbitoidi dell’alta valle dell’Aniene. Nell’anno corrente, oltre alle memorie citate ed ai fogli in corso di stampa, cui si aggiungeranno quelli di S. Marcello Pistoiese, di Massa e di Spezia, non- ché le tavolette al 1; 25000 delle Alpi Apuane, si propone al Comitato la pub- blicazione d’una carta geologica della città di Poma alla scala di 1/15,000, approfittando del ricco materiale d’osservazioni che il generale Verri ha rac- colto e che metterà gentilmente a disposizione dell’ Ufficio. Questa carta, cor- redata di sezioni, riuscirà un’opera interessantissima per la conoscenza del sottosuolo di Roma e di grande utilità pratica specialmente per la viabilità sotterranea e per l’edilizia della città. Laboratorio chimico-petrografico . Il laboratorio chimico continuò ad essere affidato al solo ingegnere Aichino il quale, frequentemente distratto da altre occupazioni d’ufficio in aiuto e sosti- tuzione del direttore, non potè, malgrado ogni suo miglior volere, che eseguire i lavori più urgenti. Essendosi alla fine dell’anno definitivamente ritirato dal ser- vizio ring. Mattirolo, divenne sempre più manifesta la necessità di provvedere al normale funzionamento di questo nostro laboratorio, che, per rispondere al suo scopo, ha bisogno di un sufficiente personale che vi attenda in modo regolare e continuo. Le sezioni sottili di rocce, per lo studio petro grafico e paleontologico, ese- guite nel corso dell’anno furono circa 1200. Collezioni. L’aumento costante e progressivo delle collezioni litologiche, mineralogi- che e paleontologiche, in relazione col progredire dei lavori di rilevamento, in- comincia a preoccupare in considerazione dello spazio ristretto di cui possiamo attualmente disporre. Ed appunto per il difetto di spazio non è stato possibile finora, e non lo sarà per molto tempo, di dare un ordinamento alle voluminose collezioni del materiale geologico delle Alpi. Buona parte di questo materiale si dovette chiudere in casse e depositare in un locale dell’Ufficio provvisoriamente destinato ad uso di magazzino di sgombro, in attesa di avere a disposizione adatti locali. Oltre agli esemplari di rocce raccolte dai vari operatori a corredo del rile- vamento, la collezione litologica si è arricchita in quest’anno di due importanti raccolte: una delle quali riferentesi alla esplorazione di S. A. il Duca degli Abruzzi nel Karakoram (Imalaia), di cui fu fatto lo studio petrografico dall’ing. Nova- rese, e l’altra relativa ad una nuova visita dell’ing. Baldacci nell’Eiitrea. RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO VII X)al collega ing. Mattirolo poi, in occasione del suo lamentato ritiro dal ser- vizio, fu fatte dono al nostro Museo di alcuni splendidi esemplari di oligisto del- l’Elba e di solfo della Romagna nonché di vaii campioni relativi a fenomeni di dinamismo geologico. •Tjf" Fra i fossili aggiunti alle collezioni paleontologiche [sono da notarsi quelli cretacei dell’ Appennino aquilano e romano e quelli terziari della Sar- degna settentrionale. Biblioteca. L’enorme incremento della nostra Biblioteca, l’importanza della quale, cerne raccolta di tutto o quasi tutto lo scibile geologico, è oramai riconosciuta e dimostrata dalle continue richieste’ di cóli sulta zioni in sede e fuori, manifesta, alla stessa guisa delle collezioni, gli stessi inconvenienti per insuffìcienza di spa- zio, tanto che se non vi si ponesse rimedio, si correrebbe rischio di vederla non corrispondere più al suo scopo, per il disordine inevitabile che ne deriverebbe nella disposizione materiale e nella classificazione delle opere e delle carte geolo- giche. Tra acquisti, cambi e doni l’aumento della Biblioteca è stato nel 1911 di 1358 opere (volumi, fascicoli e opuscoli) e 155 carte. I libri si suddividono in 149 monografìe ed in 1209 volumi o fascicoli di Rivista . Le Riviste pervenute sono in totale 168, delle quali 52 dai vari Istituti «cientifìci d’Italia e, complessivamente, 104 dall’Europa, -1 dall’Africa, 8 dal- l’America, 1 dall’Asia, 2 dall’Australia. Le carte si suddividono in 150 carte geologiche e 5 diverse. Incarichi speciali affidati al personale. II sottoscritto, nella sua qualità di Direttore dell’ Ufficio geologico, prese parte alle riunioni del R. Comitato Talassografico che ebbero luogo neU’otto* bre 1911. L’ing. capo Aichino fece paite della Commissione giudicatrice del concorso a professore straordinario di Arte mineraria e metallurgia nel R. Istituto tecnico superiore di Milano. L’ing. capo Novarese ricevè ed eseguì i seguenti incarichi: 1° Esame di un presunto bolide caduto nel giardino dell’ Intendenza di finanza a Novara, per incarico del Ministero delle finanze; 20 Visita della valle superiore del torrente Aveto, per riferire siUla . stabilità della roccia, ed impermeabilità del suolo, nei luoghi dove sono proget- tate le dighe dei grandi bacini di ritenuta progettati per un impianto idrcelet- vili ATTI UFFICIALI trico: in Commissione coi funzionari del G-enio civile delle provincie interessate^ per incarico del Ministro dei lavori pubblici; 30 Per incarico del Ministro dei lavori pubblici visita ai Comuni di Fei ruz- zano, Gallico ed altri in Calabria, in Commissione coi funzionari del G. C. del compartimento, per esaminare i reclami contro l’esecuzione del E. D. lo lu- glio 1909. L’ing. capo Franchi fu incaricato : 1° Dal Ministero dei lavori pubblici di esaminare quali parti del terri- torio di Taormina si potessero esentare dai vincoli imposti dai regi decreti 18 aprile, n. 193, e 15 luglio, n. 342, riflettenti i territori colpiti dal terremoto del dicembre 1908. Fece il sopraluogo nel mese di febbraio 1911. 2° Di rispondere ad una memoria del prof. Hugi, dell’ Università di Berna, sulla questione riflettente il trattamento doganale dei materiali deUe cave di Iselle e di Valle Antigorio. Visitò le cave delle valli Devero, Antigorio e Ticino nel mese di giugno, e presentò una elaborata memoria corredata da molte foto- grafìe. (In seguito a questa il governo svizzero propose di tenere prossimamente una riunione in Roma presse il Ministro della Confederazione svizzera, affine di definire la questione). 30 Di eseguire una perizia amministrativa per conto del Demanio in- sieme all’ing. De-Casfro, in merito ai pretesi giacimenti di ocre che sarebbero esistiti in un fondo appartenente alla Bergwerk-Gesellschaft di Amburgo, pei quali questa chiedèva al Demanio, che li avrebbe in parte ricoperti colle discariche delle miniere di ferro, un indennizzo di 800,000 lire. 4° Di prendere parte ad una Commissione presieduta dall’Ispettore supe- riore Luigi Bruno, del Genio civile, x er esaminare le condizioni del terreno lungo una strada carrozzabile in progetto dalla stazione ferroviaria all’ abitato di Guardia Piemontese. L’ing. Crema fece parte di Una Commissione nominata dal Ministero dei lavori pubblici ed incaricata dello studio del tracciato della strada nazionale nu- mero 53, nei suoi due tronchi Ponte Agri-Fontana Azzaro e Missanello-P. Agri, in provincia di Potenza. , Prese parte, quale segretario, ad alcune adunanze straordinarie della Com- missione Reale per la designazione delle aree più adatte alla ricostruzione degli abitati colpiti dal terremoto del 1908 od altri precedenti. Fu incaricato di recarsi nella Liguria orientale per raccogliere informazioni sui pozzi artesiani eseguiti in tale regione. La relazione presentata dall’ing. Cre- ma sarà inserita nel 4o fascicolo del Bollettino (1911). L’ing. Pilotti prese parte a due sessióni d’esami per fuochisti a Chieti ed a Reggio Emilia. RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO IX PEOGEAMMA DEI LAVOEI DI EILEVAMENTO E DEGLI STUDI DA ESEGUIESI NEL 1912. Alvi occidentali e centrali. — L’ing. capo Novarese proseguirà il rilevamento già avviato della regione dei laghi lombardi in quelle parti della fronte meridio- nale di esso che riterrà più opportuno per la migliore interpretazione dei fatti e per il più ordinato svolgimento del lavoro. Inizierà pure il rilevamento regolare dell’alta Valcamonica a nord di Breno, dove si hanno solo recognizioni. Sarà inoltre necessaria qualche gita di revisione nelle Alpi occidentali per completare i fogli intorno al Verbano e preparare le seziom che dovranno accompagnare i fogli in corso di pubblicazione. In questo si unirà albing. Novarese il nuovo, ingegnere Pullé, il quale verrà in tal guisa iniziato nello studio e nella pratica del rilevamento dei terreni alpini. L’ing. capo Franchi, oltre ad alcune revisioni nell’alta Valmaira e nella valle dello Stura di Cuneo, proseguirà il rilevamento nel foglio di Biella conti- guo a quelli in corso di pubblicazione. Prealpi lombarde. — L’ing. capo Zaccagna proseguirà lo studio ed il ri- levamento nei dintorni del lago d’Iseo. TAguria. — Lo stesso ing. capo Zaccagna continuerà lo studio e il rileva- mento della Liguria, portando a termine specialmente i quadranti S E e S 0 del foglio 83 per congiungersi col rilevamento già eseguito nel foglio 82 di Genova. Umbria e Marcile. — Il sottoscritto potrà anche quest’anno attendere al rilevamento dell’Umbria terminando la tavoletta di Foligno 1 : 50,000 e portando avanti quelle contigue già iniziate di Fabriano, Gubbio, Assisi, Bevagna e Massa Martana. In questo lavoro sarà accompagnato e coadiuvato dall’ing. Fiorentin, il qual nuovo ingegnere, verrà cosi iniziato nello studio dei terreni secondari e terziari dell’ Appennino centrale. L’ing. Filetti terminerà la tavoletta di Foligno e quelle di Nocera Umbra e possibilmente quella di Gualdo Tadino per la parte di esse compresa nel versante marchigiano, estendendo il rilevamento in quelle contigue di Camerino e di Fabriano. Nelle Marche sarà pure continuato il rilevamento per opera dell’aiut. princ. Cassetti che estenderà quello già intrapreso nei dintorni di Fossombrone fra le valli del Metauro e del Foglia. Vulcani deir Italia centrale. — L’ing. capo Sabatini proseguirà lo studio dei Vulsinii, già da tempo in corso, estendendo le sue osservazioni alla Tolta, al- l’isola di Capraia e a qualche altra località analoga della stessa provincia petro- grafìca. X ATTI UFFICIALI Egli procurerà altresì di compiere la revisione e lo studio delle rocce di quella parte dei Vulsinii cLe entra nel loglio d’ Orvieto, destinato a prossima pub- blicazione. Lazio. — L’ing. Crema continuerà il rilevamento delle tav. di Anagni e di Alatri dove avrà occasione di verificare se i rapporti stratigrafici fra i cal- cari marnosi terziari. e il Cretaceo siano quelli stessi già da lui constatati nel- l’Aquilano. Abruzzi. — Lo stesso ing. Crema dedicherà una gran parte della campagna estiva alla prosecuzione del rilevamento nelle tav. di Borgo CoUefegato e diFiami- gnano nell’ Abruzzo Aquilano. Egli eseguirà inoltre delle recognizioni allo scopo speciale dì studiare la zona di passaggio tra la facies meridionale e quella setten- trionale del Cretaceo, zona che partendo dai pressi di Tivoli e passando pei monti di Licenza e Borgo CoUefegato, stendesi sui due lati dell’ Aterno presso Aquila e spingesi fino al M. Conero per ricomparire, dopo un lungo percorso sotto l’A- driatico, nel Bellunese. Questa zona di transizione fra due facies litologiche e pa- leontologiche spiccatamente caratteristiche di due diversi ambienti di deposito, merita la più grande attenzione, e l’ing. Crema procurerà di mettere in evidenza i fenomeni che la caratterizzano specialmente neUe appendici occidentah del Gran Sasso. ‘ L’aiut. princ. Cassetti continuerà il rilevamento a N E deUa MaieUa. Molise e Campania. — Saranno proseguite pei opera deUo stesso aiut. piinc. Cassetti le revisioni nel foglio di ^Benevento e limitrofi, che fanno seguito a queUi in corso di pubblicazione. Sardegna. — ^ Nei mesi di primavera ed autunno attenderanno al rileva- mento, già iniziato, dell’Iglesiente alla scala di 1 : 25,000, gli ingegneri Nova- rese, Filetti e PuUé. L’ing. Filetti procm’erà inoltre di dedicare parte del tempo propizio alla prosecuzione di quello della regione trachitica deUa Sardegna set- tentrionale, condotto già a buon punto. Spesa per il servizio della carta geologica nel 1911. Indennità, di campagna: Al personale dell’Ufiìcio L. 11,725.21 Ai proff. Dal Fiaz, Vinassa e Gortani » 2,360 — 14,085.21 L. 1,004.23 » 837.56 Riunioni del R. Comitato geologico Spese di guide, portatori, ecc. . . . Da riportarsi , . . L. 15,907.00 RELAZIONE AL R. COMITATO GEOLOGICO XI Eiporto L. 15,907.00 Spese d’Upficio: Acquisto di libri per la Biblioteca e rilegatura » 2,409.75 Carte topografiche » 96.20 Strumenti ed apparecchi vari (microscopio, apparecchi fot., ecc.) » 1,966.22 Cancelleria, reattivi, esecuzione di sezioni sottih di rocce, posta » 2,031.94 Mobili » 840.00 Eiscaldamento ed illuminazione » 1,572.28 Telefono, assicurazione incendi, trasporti » 708.22 Eiparazioni ai locali » 503.30 Pubblicazioni: Carte geologiche » 2.800.00 Memorie ...» 3,444.92 ' Bollettino » 5,551.81 Impegno con l’Istituto geografico De Agostini » 10,000.00 Varie: Compenso al dottore Scaha » 500.00 Sussidio alla Società geologica » 1,000.00 Per lavori straordinari » 304.75 L. 49,656.49 Dedotte le indennità non pagate sul Bilancio della Carta ...» 11,725.21 Spese sul Bilancio della Carta L. 37,931.28 Il Direttore delVTJficio B. Lotti. PUBBLICAZIONI RICEVUTE IN DONO dalla Biblioteca dei R. Ufficio geologico Agamennone Gr. — Il terremoto del 24 gennaio 1012 nelle isole .Ionie t* sua Telocità di propagazione. Estr. « Rend. R. Acc. Lincei», (1 op. in-4'^). — Roma, 1912. Arschinow W- W. — Uber zwei feldspato aus dén Ural. (1 op. in-8o) — Moskau, 1911. Idem. — ^ Ziir geologìe der lialbinsel Kryn, (1 op. in-S®). — Moskaw, 1910. Bassani F. e Misuri A. — Sopra un delfìnorineo del calcare miocenico di Lecce. (Ziphiodelphis Abeli, Dal Piaz). Estr. «Rend. R. Acc. Lincei», (1 op. in-40, con tav.). — Roma, 1912. Capellini G. — La Carta geologica d’ Italia e la^ Società geologica italiana dal 1861 al 1911. Estr. « Boll. Soc. geol. it. ». (1 op. in-8o). — Roma, 1912, Cateux L — Description physique de. Pile de Délos : Rr partie. (1 voi. in-folio, con tav. e carte). — Paris, 1911. Craveri M. — La raccolta paleontologica del Museo Mellerio-Rosmini di Domodossola. (1 op. in-8o). — Domodossola, 1912. ^ Checchia Pispoli G, — Sopra alcuni molluschi eocenici della Sicilia. Estratto I Giornale di Se. Nat, ed Econ. », (1 op. 1^4*^, con tav.). — Palermo, 1912. Idem. — Osservazioni geologiche sull’ Appennino della Capitanata. Parte D. Estr. ( Giornale di Se. Nat. ed Econ.». (1 op. m-4o). — Palermo, 1912. De Angelis d’Ossat G — Applicazioni della geologìa: Yll. Di un igrolisi- metro. Estr. « Ann. di Botanica». (1 op. in-S®, con tav ). — Roma, 1912. De Gasperis G. B. — Catalogo delle grotte e voragini del Friuli. Estratto «Mondo Sotterraneo». (1 op. in-8°, con tav.). - — Udine, 1911. Di Stefano G. — Intorno ad a'ciine faune cretaciche del deserto arabico. Estr. «Rend, R. Acc. Lincei». (1 op. in-4^). — Roma, 1912. Fabiani R. — Nuove osservazioni sul Terziario fra il Brenta e P Astico. Estr. « Atti Acc. Ven.-Trent.-lstr. ».. (1 op. in-8°, con tav.). — Padova, 1912, Idem. — Nuovi resti di vertebrati scoperti nella « VClìka Jama » in Friuli. Estr. «Mondo Sotterraneo». (1 op, in-4o, con tav.). — Udine, 1912. Gregory J. W. ed altri, — Contributions to thè Geology of Cyrenaica. Estr. « Quart. J. Geol. Soc.». (1 op. in-80, con tav.). — London, 1911. Kayser e. — Lehrbuch der Allgemeinen geologie: I theil (4. anfl.). (1 voi. in-8°). — Stuttgart, 1912. r Kranz W. — Das Tertiàr zwischen Castelgomberto, Montecchio Maggiore, Creazzo und Montcriale in Vicentin. Estr. « N. Yahrb. f. Min., Geol. Poi.». (1 op. in-80). Stuttgart, 1911. Idem. — Vulkanismus und Tektonick ini Becken von Neapel: I, Phlegràisch Felder; IR Ischia; III, Roccamonfìna und Vesuv; IV, Tuff e am Gebergs- rand; V, Zur Tektonik des Beckens von Neapel. Estr. «Petermann Geogr. Mitt. ». (3 op. in-4o). — Gotha, 1912. Lovisato D. — Note di paleontologia miocenica della ^ Sardegna : specie nuove dì Clypeaster e di Amphiope. Estr. « Pai. it. ». (1 op. in-4o, con tav.). — Pisa, 1911. Idem. — Altre specie nuove di Clypeaster del Miocene medio dì Sardegna. Estr. «Boll. Soc. geol. it.». (1 op. in 8», con tav.). — Roma, 1911. Idem. — Anflboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sardegna). Estr. I Rend.. R. Acc. Lincei». (1 op. in-4o). — Roma, 1912. Meli R. — Notizie di una zanna e di altri resti elefantini fossili descritti da Giambattista Passeri nel 1759, oggi conservati nella biblioteca Oli- veriana di Pesaro. Estr. « Boll. Soc. geol. it. ». (1 op. in-8°). — Roma, 1911. Millosevich F. — Zeunerite ed altri minerali dell’isola di Montecristo. (1 op. ) in-40). — Roma, 1912. iStgae) Pflloux a — Sopra alcuni mmerali dell’ arcipelago della Maddalena (Sat degnai Esti « Ann. Mn.eo Civ. St. Xt. Genova .. , (1 op. m-go). - Oe- IDEM^^— ’coniiellitc di Arenas in Sardegna. Idem idem. (1 op. 111-8°). — Ge- PlataI^a G. — G’ eruzione etnea del 1910. Estr. ' Riv. geogr. it. &. (1 op. lDEM!’^^ L7g^anT%Aizi^^^^ etnea del settembre 1911. Idem. (I op. in-8). Pee7r^P^L^^’— ienonieno glaciale nella vaile del Pellice. Estr. Boll. Soc7eol. it. >. (I op. in-go).— Boma, 1911. _ r- ' Principi P. — Fenomeni carsici nei terreni mesozoici ad est di Perugia. Estr. « Eiv.- geogr. it. ». (1 op. in-g°). -y- Firenze, 19tL. ^ ^ ^ Idem. Idrologia sotterranea della provincia di Aorcia. Estr. < Boll, m . EocSri A^7 Glauconite della Ficiizza e di Corleone (Palermo). (Estr. Gior- Idem" - ìe ^mgeXdèì d^li^ Estr. lDEM.^L^moXVe7?ef aZgtnUe'gn^^^^^^ Mollieres (Alpi marittime). (1 op. in-8°, con tav.). *011110, 1911.^ ^ Sveco F — Il gruppo del Cenisio-Ambin-Fréius. Studio geologico applicato al progetto di ima nuova galleria ferroviaria tra la valle della Dora Ri- naiia e la valle delFArc. (1 op. in-g°, con carta) . — Tonno, 1910. Sad4ra Masò M. — Volcanic eruptions in thè Philippmes m relation to earthquakes and subterranean noises, to rainfall and a mospheric pressure. Estr «Bnll. Weather Bureau. (1 op. in-4°). — Manila. Idem - The carthquake of thè Agusan Valley and thè eastern coast of Mindanao, Jnly, 1911. Idem. (1 op. in-4°). Manila SevLiA S. La fauna del Trias del gruppo di monte .Indica. Estr. «Atti Acc Gioenia». (2 op., con tav.): — Catania, 191^12. -pii- Vo Stefanini G. — Osservazioni sul Miocene del Friuli. Estr. «Atti R. Gt. An- neto» (1 OD. in-g°). — ■ A^enezia, 1911. . Idem. — Note echinologiche. Estr. « Eiv. it. di Paleont. ». (1 op. in-g ). IdeJl^— Sugali Echini terziari dell’ America del Nord. Estr. « Boll. Soc. geol. Taramelli T.^— Sulle valli sommerse del golfo ligure. EsVr. « Natura». (1 op. Tokioto” S’tuai^sopia i limiti altimetriei : III. I limiti altimetrici nMla Vai Visdende (Comelico). Estr. «Memorie Geogr... suppl. alla Eiv. VxnÌs? t* Rxcoò“c,.x.coko S., ZafparaL., De Exoke 0. — L’ eruzione etnea del 1910. « Mem. Acc. Gioenia». (1 voi. in-4o, con tav.). — Catania, 1910. Recenti pubblicazioni del R. Ufficio geologico. Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia, ciw* I vulcani dell’Italia centrale c i loro prodotti: Parte II : ^ 1 voi. 111.80 (cm. 18 X 26), di pag. 639, con 17 tav. e 1 carta. — Roma. 1912 *’’'®“carta gtlogica d’. Italia alla scala di 1 : 000.000 : Foglio n. 170 (Terracma) prezzo . . n. ^.ou » » 171 (Gaeta) » ^ _ » » 172 (Caserta) » ^ Abbonamento annuo al “Bollettino,,: per l’Italia, l. 8; per l’estero L. 10 Prezzo del volume L. 10; del fascicolo L. ,v.50. Rivolgersi alla ditta Fratelli Treves. 1 7 1915 VÓI. XLIII (3” della Serie VI Vano I91Z - Fase. Z'T . BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA ìt.‘ SOMMARIO DEL FASCICOLO Note originali. — I. - P. Toso: Sul modo di formazione dei prin- cipali giacimenti metalliferi, aventi forma di' irregolari am- massi o di strati, coltivati in Toscana ed in altre regioni d’ Italia. — II- - M. Gortani : La serie devoniana nella giogaia del Coglians. — III. - S. Squivabol: Radiolari della strada nazionale al Monginevro. Bibliografia geologica italiana per il 1911. (e’ontinu)izione). Parte ufficiale. — Verbale dell’adunanza del 3 giugno 1912 del R. Comitato geologico. T ROMA STAR. TIP. DELLA SOCIETÀ EDITR. LAZIALE ,S R ) 1913 ELENCO DEI COMPONENTI IL COMITATO E L’UFFICIO GEOLOGICO (settembre 1912) R. Comitato geologico. Capellini GtIOVANNI, Senatore del Regno, prof, di geologia, R. Univer- sità di Bologna, Presidente. Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. Cermenati Mario, Deputato al Parlamento, prof, di storia delle scienze naturali, R. Università di Roma. Cocchi Igino, prof, di geologia, Firenze. De Lorenzo Dixjseppe, prof, di geografia fisica, R. Università di Napoli. IssEL A.RTURO, prof. di geologia, R. Università di Denova. PàntanElli Dante, prof, di geologia, R. Università di Modena. Parona Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. Università di Torino. Struver GtIOVANNI, prof. di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof di geologia, R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Il Presidente della Società geologica italiana. Mazzuoli Lucio, Ispettore superiore. Capo del R. Corpo delle Mi- niere, Roma. Baldacci Luigi, Ispettore superiore del R^ Corpo delle Miniere, Roma. Lotti Bernardino, Ing. capo del R. Corpo delle Miniere, Direttore del R. Ufficio geologico. Personale addetto ai lavori delia Carta geologica. Direzione : Ing. Mazzuoli_^Lucio, predetto. Ing. Baldacci Luigi, predetto. R. Ufficio geologico: ! Lotti Bernardino, di- ' rettore dell’Ufficio. Zaccagna Domenico. ^ , Aichino Diovanni, vi- Ing." capì A ce-direttoi-e. Novarese Vittorio. Sabatini Venturino. Franchi Secondo. ; Crema Camillo. ] PiLOTTi Camillo. Ingegneri ■ Pjqbentin Luigi. [ PuLLÈ Dumo, 7 Cassetti Michele. Aiutanti ) Tissi Enrico. principali y Moderni Pompeo. ' Lusvtergh Cesare (a). Archivisti j Cozzolino Filippo. disegnatóri/ Aureli Amedeo. Ufficiali j .Diammarchi Detulio. d’ordine / CacIoppo Antonino. Sparvoli Vincenzo \ (preparatore presso il Uscieri a laboratorio chimico- petrografico). Salvatelli Filippo. A datare dal 18 marzo 1912 il dottor Filippo Ratto dell’Ispettorato idraulico fu distac- cato presso il Laboratorio cbimico del R. Ufficio geologico. (a) Distaccato pres.so 1’ ufficio tecnico per la costruzione della nuova sede del Ministero di Agricoltura. La sede del R. Ufficio Geologico è in Roma, via Santa Susanna, n» 13. PUBBLICAZIONI DEL R. UFFICIO GEOLOGICO Aggiunta aii’elenco del 30 aprile 1912 (15 marzo 1913) Memorie per seryire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. V, Parte 2.^ — P. L. Preveii : La fauna a nummuliti e, ad orhitoidi dei terreni terziarii delValta valle dell’ Aniene. — Un volume in-4° di pag. XII, 259, con XIV tavole, Roma 1912 L. 25 — Memorie descrittive della Carta geologica d’ Italia : Voi. XV. — V. Sabatini : 1 vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. — Parte 2'^ : Vulcani Cimini. — Un volume in-8° (li pag. (139, con 17 tav. e 1 carta, Roma 1912 » IG __ Carta geologica d’ Italia nella scala di 1 a 100.000 : Foglio n. 27 (Monte Bianco) ....... L. 2,50 » 28 (Aosta) ' . . . . » 4 — » 29 (Monte Rosa) » 4 50 » 41 (Glran Paradiso) 4 __ » 42 (Ivrea) » 5 — » 170 (Terracina) » 2 50 » 171 (Gaeta) .... »3 — » 172 (Caserta) » 5 __ Per le commissioni rivolgersi cdla ditta libraria Fratelli Treves in Roma, Bologna, Milano e Napoli. Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia Serie Y, Yol. III. Anno 1912. Fascicoli 2® e 3^^ NOTE ORIGINALI I. P. TOSO Sui modo di formazione dei principaii giacimenti metaiiiferi aventi forma di irregolari ammassi o di strati, coltivati in Toscana ed in altre regioni d’Italia PREFAZIONE. Sono molti gli studii sui filoni metalliferi di ogni paese ed è ormai ben noto il modo di disporsi dei minerali nei giacimenti di natura prettamente filoniana, compresi tra fratture del terreno, ben definite, regolari e quasi costanti per potenza. Non è cosi pei numerosi giacimenti metalliferi così detti irregolari che si presentano sotto forma di lenti, colonne od ammassi che si arre- stano a profondità molto limitate e passano da grandi potenze a bruschi restringimenti, giacimenti dai quali anzi si ricava la mag- gior quantità di minerali. Per queste irregolari concentrazioni me- tallifere come pure pei cosi detti filoni strati, filoni di contatto, f ahlbande , gli autori si trovano sempre incerti e dubbiosi per stabilire le cause del loro modo di disporsi, della loro genesi, per cui suc- cede di frequente che valenti scienziati diversamente interpretano uno stesso giacimento, alcuni trovando argomenti per riferirlo a formazione sedimentaria, altri ad origine filoniana, altri infine, per definirlo quale risultato di una differenziazione magmatica. I giacimenti metalliferi del Massetano e quelli non meno numerosi della regione del Monte Amiata sono quasi tutti da 114 P. TOSO ascrivere fra gli irregolari, quindi essi forniscono un campo vasto e favorevole per lo studio della loro genesi, perchè agevolato dal fatto che le concentrazioni metallifere sono di epoca recente, epperciò su di esse riesce meno difficile riconoscere il percorso delle emana- zioni che le formarono e rilevare l’influenza che l’andamento e la natura delle formazioni sedimentarie attraversate, esercitarono sul modo di disporsi dei minerali. ^ Chiamato per molti anni a seguire lo svolgersi dell’industria mineraria della Toscana, mi interessai dello studio dei suoi giaci- menti metalliferi ed in special modo delle loro genesi, perchè si- mile studio ha una grande importanza pratica, giacché nella ge- nesi si hanno riassunte, come in una formula algebrica, tutte le norme, tutti i concetti direttivi a cui attenersi, sia nelle ricer- che minerarie, sia nell’apprezzazione dell’importanza dei giacimenti metalliferi. Ora nelle mie visite alle miniere toscane parvemi d’aver trovato quali dovettero essere le cause che motivarono le forme irregolari di quei giacimenti, ed in questa lusinga esporrò qui i principali fatti che mi indussero a formulare una nuova ipotesi sulla genesi dei giacimenti irregolari, genesi che trovai poter estendersi a spiegare anche i giacimenti irregolari di parecchie altre regioni che ebbi occasione di studiare. Per svolgere l’argomento prefìssomi ho creduto opportuno previa- mente di riassumere le teorie generali, comunemente ammesse sulla formazione dei giacimenti metalliferi e quindi di fare un cenno dei principali fenomeni che accompagnano i soffioni boraciferi che tro- vansi appunto in vicinanza dei numerosi giacimenti metalliferi del Massetano, e ciò per mettere in rilievo la grande analogia di questi fenomeni attuali con quelli che dovettero verificarsi du- rante la formazione delle concentrazioni metallifere. Le ricchezze minerarie della Toscana vennero in modo par- ticolare studiate dal Lotti e le sue due classiche opere: Descrizione geologico -mineraria dei dintorni di Massa- Marittima, del 1888 e la memoria descrittiva sulla Geologia della Toscana, del 1910 forniscono SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 115 particolareggiate e precise descrizioni dei giacimenti metalliferi di tutta la Toscana. In questo mio studio mi limiterò a descrivere i giacimenti recentemente scoperti, e degli altri esporrò solo alcuni dati rilevati nell’ ispezionare i lavori minerari, dati che giustificano la nuova teoria che andrò formulando sulla genesi degli ammassi metalliferi. PRELIMINARI. 1. — Generalità sulla genesi dei giacimenti metalliferi Si ammette che col raffreddamento della crosta terrestre e còlle successive erosioni prodotte dallo scorrere delle acque e con- seguenti depositi sedimentari formatisi, i metalli contenuti nella zona più superficiale della crosta terrestre, vennero grandemente suddivisi e disseminati, e solo in rari e speciali casi poterono mediante l’azione delle acque essere ridisciolti e dalle loro soluzioni formarsi in alcuni punti delle concentrazioni di qualche importanza da ren- dere possibile ed economico il loro sfruttamento. I giacimenti metalliferi a cui l’uomo generalmente ricorre hanno un’altra origine; essi sono la conseguenza dei corrugamenti subiti dalla crosta superficiale terrestre, da alcuni autori attribuiti allo spostamento dell’asse di rotazione della terra; i quali originarono fratture che misero in comunicazione le profonde zone con quelle superficiali e lungo queste fratture transitarono o roccie eruttive oppure minerali metallici, i quali, allo stato gassoso e dotati di alta temperatura, si sprigionarono dai magma interni e vennero a conconcentrarsi e depositarsi in queste stesse fratture. La formazione di catene montuose, l’apparizione alla superfi- cie di rocce eruttive, le emanazioni vaporose e gassose e le sorgenti termali sono perciò fenomeni aventi diretti rapporti colle concen- trazioni metallifere. Studiando il fenomeno che presentano le lave e le fumarole dei vulcani in attività, si venne a dedurre che questi magma interni Ì16 P. TOSO devono, analogamente alle lave, contenere gas e grandi quantità d’acqua che sogliono sprigionarsi dalla loro massa silicea, a misura che essi vanno raffreddandosi. I minerali metallici non combinati con la silice si presentano in combinazione con corpi, come il fluoro, cloro, solfo, boro, ecc., i quali danno loro grande fluidità e sono perciò chiamati agenti mineralizzatori. Il vapor d’acqua e questi agenti mineralizzatori combinati coi metalli formarono le soluzioni metallifere che si ritengono le generatrici dei diversi giaci- menti metalliferi. In un’eruzione vulcanica, studiando il raffreddamento progres- sivo della lava in un punto dato, oppure studiando nello stesso istante una colata di lava d’un capo all’altro della sua lunghezza, si trovò (vedi De Launay, Formation des Gites Métallifères) che da essa, a temperatura superiore ai 500°, si sprigionano specialmente dei cloruri e fluoruri d’oro e di stagno accompagnati da bismuto e tungsteno, ed in piccola quantità dei solfuri di zinco, piombo, rame, ferro, ecc. e dei carburi generalmente mascherati dalla predomi- nanza di cloruri. Fra 300 e 400°, dei solfuri d’antimonio, piombo, zinco con rame, ferro, ecc. Al di sotto di 200°, mercurio con apparizione di carburi che ab- bondano nei giacimenti di cinabro. Al di sotto dei 100^ il ferro ed il manganese allo stato di carbonato. Si ammette che in una stessa catena di montagne, formatasi per il corrugamento della superficie terrestre, si possano avere delle emanazioni clorurate, solfurate, cinabrifere o carbonate, a secondo che le fratture prodottesi interessarono le parti più o meno pro- fonde e per conseguenza più o meno calde del magma eruttivo ; inoltre che nelle catene di montagne formatesi in epoche geolo- giche più recenti, a parità di profondità delle fratture, queste generalmente abbiano incontrato magma più freddi e quindi abbiano dato più frequentemente origine ad emanazione di solfuri cina- briferi e di carburi. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 117 Giacimenti primitivi e derivati. Dei giacimenti metalliferi si suole fare una prima divisione e cioè: P Giacimenti primitivi originati direttamente da emanazioni sprigionantesi da rocce interne. 20 Giacimenti derivati dai precedenti per la ridissoluzione dei minerali contenuti nei giacimenti primitivi stati poi trasportati e concentrati in altra sede o per precipitazione chimica o per tra- sporto meccanico. Il numero dei giacimenti primitivi è tanto maggiore di quelli derivati, anzi nel Massetano non si hanno che giacimenti primitivi. Mi limiterò in questa memoria a far cenno di questi ultimi. I giacimenti metalliferi primitivi poi devono la loro origine a due distinti processi genetici e si hanno ; a) Giacimenti d'estrazione magmatica dovuti al processo detto pneu- matolitico idrotermale. Questi giacimenti sono formati da incrostazioni prodotte da soluzioni metallifere, generalmente dotate di alta temperatura ed accompagnate da grande quantità di vapor d’acqua, le quali spri- gionatesi da magma interni attraversarono, salendo verso l’esterno, le formazioni sedimentarie e talvolta anche preesistenti formazioni di rocce eruttive. Questo processo viene ahisomouio processo per estra- zione magmatica oppure pneumatolitico idrotermale. Lo studio di questi giacimenti porta a rilevare i fenomeni che si verificarono lungo il percorso seguito dalle soluzioni metallifere dal loro sprigionarsi dal magma fino al giungere alla superficie: di questi fenomeni, alcuni sono dovuti a combinazioni chimiche che possono effettuarsi fra gli elementi delle soluzioni stesse e quelli delle pareti delle fratture, altri sono dovuti a fenomeni fisici e cioè al raffreddamento e alle diverse disposizioni assunte dalle frat- ture. Io mi limiterò ad esaminare quasi esclusivamente questi ul- timi fenomeni e cioè i fisici. La temperatura delle soluzioni ed il loro successivo raffred- damento sono i fattori principali che influirono sull’andamento e 118 P. TOSO disposizione dei giacimenti e perciò per il loro studio sarà necessario desumere se un giacimento venne prodotto da soluzioni vaporose oppure liquide. Si dedurrà che le fratture dei terreni arrivarono a grandi profondità ed incontrarono magma dotati di alta temperatura, se le emanazioni pervennero allo stato di vapore ad alta tensione ; invece le fratture interessarono magma più superficiali e più freddi, se da essi dovettero sprigionarsi, analogamente a quanto osservasi dalle fumarole di bassa temperatura, solo soluzioni metallifere le più volatili, accompagnate da vapor d’acqua a bassa temperatura con H^S e CO^ Può essere avvenuto che le fratture avessero sufficiente altezza perchè le soluzioni, dapprima vaporose, gradatamente si raffreddassero e divenissero liquide, anche perchè incontrarono nel loro percorso acque superficiali in quantità tale da condensare il vapore; in questo caso per una stessa frattura dovettero circo- lare soluzioni vaporose in basso e liquide più in alto. Vedremo come i giacimenti del Massetano siano da ascriversi fra quelli formati da soluzioni vaporose analoghe a quelle che nella stessa regione si sviluppano dai soffioni boraciferi, mentre i giaci- menti cinabriferi del Monte Amiata provengono da soluzioni termali liquide accompagnate da H^S e CO^. Ricorderò infine come dalle stesse fratture possono col tempo essere emanate soluzioni che variarono di natura col progressivo raffreddamento del magma da cui esse si sprigionarono. Dalle stesse fratture, attraverso cui già emanarono i giacimenti metalliferi del Massetano ritenuti post -miocenici, come da quelle racchiudenti i giacimenti cinabriferi del Monte Amiata, attribuiti al Quaternario, si svolgono attualmente gaz H^S e CO^, gaz che come dissi, si spri- gionano dalle lave quando la loro temperatura si aggira sui 100<^. b) Giacirmnti di concentrazione magmatica dovuti al processo di differenziazione . b) Questo processo chiamato per segregazione o differenzia- zione magmatica presuppone che, verificandosi un raffreddamento SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 119 parziale di un magma interno dotato di alta temperatura e quindi allo stato vischioso se non fluido, si sia effettuata la separazione dei minerali metallici, perchè dotati di maggior fluidità, dai sili- cati, portandosi i primi verso la parte del magma che subì maggior raffreddamento e ciò analogamente a quanto si osserva verificarsi nel raffreddamento di rocce fuse composte di elementi aventi di- verso grado di fusibilità. A questo fenomeno stesso di differenziazione magmatica si attribuisce la separazione da uno stesso magma di silicati basici da silicati acidi, portandosi quest’ultimi verso la parte maggiormente raffreddata. Quando s’incontra un giacimento metallifero al contatto di rocce eruttive non riesce sempre agevole stabilire se esso venne for- mato per differenziazione da queste stesse rocce eruttive, oppure sia dovuto ad emanazioni metallifere provenienti da magma più pro- fondi e venute a condensarsi al contatto di terreni eruttivi preesistenti. Pare logico ammettere che quando la separazione fra il gia- cimento metallifero e le rocce eruttive è netta, quando le concen- trazioni metallifere non si presentano irregolarmente sparse per la superficie di contatto delle rocce eruttive, ma piuttosto formano striscio o zone continue, simili giacimenti sian dovuti al processo pneumatolitico, mentre sono indubbiamente da attribuirsi a differen- ziazione quelle concentrazioni metallifere dove i minerali sono gra- datamente meno frammisti a rocce eruttive, quanto più ci allonta- niamo dal loro contatto. Il processo per concentrazione magmatica presuppone che un magma interno, durante il suo raffreddamento, non abbia avuto co- municazione, per mezzo di fratture, con l’ esterno; perchè altrimenti i minerali combinati coi gas mineralizzatori avrebbero trovato più fa- cile sprigionarsi ed allontanarsi dalla massa eruttiva, anziché segregarsi e depositarsi al contatto: inoltre è logico ammettere che le concentra- zioni metallifere di qualche entità si siano differenziate da grandi magma, essendo sempre relativamente molto piccola la proporzione 120 P. TOSO degli elementi metalliferi combinati cogli agenti mineralizzatoli e racchiusi nei magma silicei. Ne consegue che non devono presentare concentrazioni metallifere dovute a differenziazioni, le rocce eruttive sotto forma di filoni dette intrusive e quelle formanti colate od effusive, perchè generalmente di piccole potenze, e perchè non subirono un lento raffreddamento quale si richiede per la differenziazione magmatica. I giacimenti metalliferi prodotti da differenziazione magmatica sono più generalmente formati da ossidi metallici anziché da solfuri. Di questi giacimenti non abbiamo esempi nel Massetano. II. — Considerazioni sui soffioni boraciferi della Toscana. I giacimenti metalliferi del Massetano essendo il prodotto di soluzioni vaporose dotate di alta temperatura, trovo qui oppor- tuno di ricordare i principali fenomeni presentati dai soffioni bo- raciferi, che appunto sono un esempio , esistente nella stessa regione Massetana, di emanazioni di vapori dotati di alta temperatura. Tralascio la descrizione di questi soffioni descritti da tanti geo- logi e più recentemente dal Lotti nella precitata opera : Geologia della Toscana e dal Nasini nella sua pregevole monografia ; I Soffioni boraciferi della Toscana (Komd,, Tipografia dei Lincei, 1907). Porto solo r attenzione sui seguenti fatti citati dai predetti autori, fatti che parmi valgano a dimostrare la grande analogia di queste emanazioni con quelle che dovettero originare i giacimenti metal- liferi del Massetano, e cioè : 1° Le linee, secondo cui i soffioni boraciferi sono disposti, corrispondono alle linee tettoniche della regione Massetana, dirette NNO-SSE, direzione corrispondente a quella dell’asse dell’Ap- pennino ed assunta, come vedremo, da tutti i giacimenti del Mas- setano. 20 I soffioni trovansi lungo il contatto di due formazioni e cioè Eocene e Lias, oppure Eocene e Permiano, oppure Eocene e cal- care retico. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFEJil, ECC. 121 3° Le profondità delle trivellazioni che si eseguiscono f)cr ot- tenere dei soffioni artificiali, vanno sempre aumentando quanto ]:)iù la loro ubicazione si allontana dai soffioni naturali o su})erficiali. Questa relativa maggior profondità, che indica Tandamento dei per- corso seguito dai vapori boraciferi per venire aH’esterno, corrisponde sempre alFinclinazione del contatto di due formazioni geologiche. La maggior parte dei giacimenti metalliferi, come vedremo, trovasi generalmente in analoghe condizioni dei soffioni , cioè al con- tatto di due differenti formazioni. 40 Nella regione interessata dai soffioni boraciferi hanno luogo di quando in quando dei movimenti tellurici di notevole intensità, non avvertiti fuori di essa, che sono indotto a ritenere dipendenti da s^corrimenti locali dei banchi. Simili frequenti movimenti sismici circoscritti alla regione fanno supporre che, anche durante la for- mazione dei giacimenti metalliferi dei Massetano, debbono essere successi ripetuti scorrimenti di banchi di diversa natura lungo il loro piano di contatto, fenomeno che io fui indotto a ritenere siasi verificato, basandomi, come dirò in seguito, su altre considerazioni. L’aver trovato segnalato nelle opere del Lotti questo fatto valse a confermare le deduzioni da me fatte, e di cui si dirà in seguito, sulla grande influenza dell’azione degli scorrimenti delie diverse formazioni sedimentarie sulla disposizione che presentano gli irregolari giacimenti del Massetano. 50 Le rocce dei dintorni dei soffioni sono impregnate di piriti. 6*^ Le emanazioni di vapore hanno prodotto incrostazioni calcaree e gessose ed hanno silicizzato ed alluminizzato i calcari lias- sici e le rocce calcaree eoceniche; vi si formò pure della silice con- crezionata o geyseriana. Di questi soffioni credo poi interessante rilevare il seguente fatto. Le ultime esperienze eseguite dal Nasini, allo scopo di risol- vere il problema dell’applicazione dei vapori- dei soffioni per la produ- zione di forza motrice, fornirono importanti dati sulla tempera- tura e pressione di cui sono dotati i vapori dei principali soffioni, tanto naturali che artificiali. 122 P. TOSO Risulta che la temperatura varia da soffione a soffioner. Per quelli umidi e saturi la temperatura si aggira sui lOO^C. General- mente però i soffioni danno getti di vapore dotati di temperatura più elevata ed allora il vapore è soprariscaldato. Nel Foro Forte o Larderello la temperatura è di 162o con pressione di atm. 2.5 » Venelle » » 150° » » 4.0 » Piazza Anna » » 162° » » 3.5 Al Sasso si hanno soffioni a 190® di temperatura. Panni logico ammettere che queste diverse temperature e pressioni dei vapori dei soffioni naturali ed artificiali non vogliano significare resistenza di tanti canali interni isolati che si prolungano a grandi profondità, percorsi da distinte emanazioni vaporose boracifere dotate di diversa temperatura e pressione. Pare più ov- vio ammettere che i canali che penetrano in profondità siano limitati in numero e percorsi da poche sorgenti vaporose dotate di una eguale altissima temperatura e pressione e che questi canali si siano ramificati presso la superficie, dove in essi penetrano acque superficiali, che in maggiore o minore quantità venendo in contatto coi vapori ne diminuiscono in modo diverso, a seconda dei punti, la temperatura e la pressione, conservandosi però nel maggior nu- mero dei casi allo stato di vapori soprariscaldati. Se i vapori emanati dal foro Forte dotati di 162^ di tempera- tura, a seconda delle osservazioni del Nasini, fossero saturi avreb- bero dovuto possedere la pressione di 6 atm. anziché di 2.5. Il fatto che i soffioni ottenuti principalmente con fori artificiali presentano vapore soprariscaldato, porta ad escludere la teoria, da alcuni ammessa, che questi vapori siano dovuti esclusivamente ad acque superficiali profondamente infiltratesi, perchè anche ammesso che esse abbiano qui, per qualche speciale disposizione del terreno, potuto penetrare 'in regioni profondissime per raggiungere la tempe- ratura di oltre 20(J<^, queste acque superficiali prima di raggiungere simili profondità dovevano Vaporizzarsi: ed una volta trasformate in vapore, questo nello espandersi doveva seguire la via più facile SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. Ì2li per uscire alFesterno, la quale non poteva essere che quella, sempre aperta verso Testerno, percorsa dalle acque superficiali discendenti ; venendo questi vapori al contatto di tali acque essi avrebbero do- vuto uscire alFesterno saturi, il che è dimostrato non avviene. Il Lotti giustamente fa osservare a questo proposito come il regime dei soffioni e della loro speciale mineralizzazione è diverso da quello delle comuni sorgenti termo-minerali e come quei vapori possono ritenersi come estrinsecazioni dirette di magma eruttivi e potrebbero chiamarsi acque vergini, traducendo così la parola juvenile adottata da Suess, per quelle acque termali che mai per lo avanti videro la luce. Queste considerazioni fanno perciò ritenere perfetta l’analo- gia dei soffioni boraciferi con le emanazioni idrotermali metallifere che produssero i giacimenti metalliferi primitivi nella stessa regione ed in conseguenza sia da escludere l’ipotesi, che i soffioni siano da paragonarsi alle sorgenti termali dovute ad acque superficiali, che si sparsero su vaste estensioni del sotterraneo, ove riuscirono a sciogliere i giacimenti primitivi ed a depositarli nuovamente, for- mando quelli che si definiscono còme derivati. Ricorderò che col vapor d’acqua dai soffioni emanano gas aventi in complesso appena un volume dal 2 al 3, 5 % del volume del vapore. L’analisi di questi gas diede le seguenti composizioni: Anidride carbonica . . . . . . 87,70 90,47 87,90 Idrogeno solforato . . 1,30 4 20 6,10 Azoto . . 6,80 1,90 2,93 Ossigeno ' — — . Idrogeno . . 2,20 1,43 2,10 Metano . . 2,00 2,00 0,97 Totale . . . . . 100,00 100,00 100,00 La piccola proporzione di gaz per rispetto al vapor d’acqua che emana dai soffioni boraciferi, tenuto pur conto che a formare questo vapore d’acqua abbiano contribuitole acque superficiali che si uni- 124 P. TOSO rono alle acque di origine endogena od acque vergini, viene a dimo- strare che il vapor d’acqua trovasi in proporzioni tanto maggiori che non i gaz. Anche gli elementi metallici contenuti nelle emana- zioni vaporose che si gettano nell’atmosfera sono rappresentati da cifre esigue come risulta dalla seguente tabella. L’acido borico grezzo ha, secondo il Nasini, la seguente com- posizione: Acido borico cristallizzato 82,32 Acqua G,18 Parte insolubile 0,96 Ammoniaca . 1,23 Soda e potassa 0,72 Calce 0,40 Magnesia 0,83 Cloro 0,06 Acido solforico 7,04 Le acque madri dell' acido borico contengono: Solfato ammonico 5,328 Solfato magnesiaco 4,116 Solfato calcico 0,160 Solfato potassico 1,086 Solfato sodico 0,266 Cloruro ammonico 0,187 Ammoniaca. 0,159 Oss do di ferro e allumina . . . r> . . . 0,019 Acido borico 8,111 Acqua 84,577 Totale . . * . . 100,000 La piccola quantità di sali metallici contenuta nell’acido borico grezzo, sali che nella superiore tabella sono compresi fra la parte insolubile nell’ acqua, non esclude che le emanazioni vaporose ne contengano in proporzioni maggiori in profondità, perchè le sostanze metalliche devono essersi nella maggior parte depositate già lungo i canali percorsi dai vapori, appena questi diminuivano di temperatura, e cioè avvicinavansi all’esterno. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 125 L ’esame della tabella indicante la natura dei gaz accompa- gnanti i vapori boraciferi segna la presenza dell’ idrogeno, azoto, solfo, sostanze ammoniacali, elementi che non paiono provenire dalla dissoluzione delle rocce sedimentarie attraversate, come da taluni venne ammesso, ma bensì dal magma interno. PARTE I. Filoni di frattura ed ammassi metalliferi irregolari. Tutti i giacimenti metalliferi del Massetano si trovano rag- gruppati attorno a tante emergenze della formazione più antica della regione e cioè degli scisti permiani, i quali appariscono in di- verse località sotto forma di grandi elissoidi fiancheggiati da ter- reni più recenti. Questi elissoidi permiani ed i terreni che direttamente li ri- coprono sono tanti centri di emanazioni metallifere, le quali produs- sero degli esili e ristretti filoni di frattura fra gli scisti permiani, mentre, fra le formazioni soprastanti, originarono delle relativa- mente potenti concentrazioni metallifere sotto forma di irregolari ammassi lenticolari o colonnari, talora di filoni strato o di filoni di contatto, i quali fanno contrasto coll’esiguità dei suddetti rego- lari filoni di frattura. Filoni di frattura. Dove gli scisti permiani non sono ricoperti da formazioni più recenti, si vedono affiorare frequenti filoni generalmente poco estesi in direzione, di picco a potenza, disposti verticalmente ed aventi una stessa direzione circa nord-sud. A Valle Buia, come si dirà in appresso, fra gli scisti permiani s’incontrano filoncini o vene di pirite presentanti ramificazioni. A 8errabottini , invece, s’incontrarono coi lavori sotterranei, fra gli scisti permiani, due filoni pi à importanti paralleli, i quali non affio- rano e si estendono per oltre un chilometro. Ì26 P. TOSO Queste fratture in seguito mineralizzate, possono essere state originate o dall’ arcuarsi dei banchi permiani in epoca tanto po- steriore alla loro formazione, quando cioè essi assunsero la forma di elissoide, oppure da parziali abbassamenti prodotti dal restringimento delle formazioni eruttive che si suppongono direttamente sottostanti. A mio modo di vedere , la prima di queste cause deve maggiormente avere influito a produrre questa molteplicità di piccole crepe, che è a supporsi attraversino tutta la potenza della formazione per- miana, si restringano in larghezza colla profondità ed arrivino di- rettamente al magma eruttivo ed esse rappresentino il primo tratto percorso dalle emanazioni metallifere attraverso i terreni sedimen- tari. Questi filoni di frattura di poco divergenti dalla verticale hanno per caratteristica una disposizione zonata dei minerali, simmetrica attorno all’asse del filone. In occasione di una visita fatta alla regione metallifera di Almaden de la Piata presso Siviglia (Spagna) vidi per tutta un’estesa formazione di scisti siluriani verificarsi lo stesso fenomeno e cioè l’esistenza di numerosi filoncini di pirite cuprifera sparsi per tutta quella regione, disposti quasi verticalmente, di potenza, piccolissima e cioè di pochi decimetri e di estensione limitata a qualche deca- metro. La Società che coltivava questi giacimenti aveva venti con- cessioni, della superfìcie complessiva di circa 700 ettari di terreno, comprendenti ciascuna di esse diversi affioramenti metalliferi rico- nosciuti da lavori oppure accertati dalla esistenza di numerose vestigia di antiche ricerche abbandonate. Per dimostrare le piccole proporzioni dei filoni intersecanti quella potente formazione siluriana, mi basterà ricordare che la miniera ritenuta di maggiore importanza sfruttava un filone di pirite cuprifera che misurava circa 150 metri in direzione e com- prendeva quattro piccole concentrazioni o colonne cuprifere la cui potenza massima, compresa la ganga, arrivava a circa un metro. Un’altra miniera presentava un fascio di cinque filoncini che non si estendevano oltre i venti metri. Tutti questi filoni di frattura appaiono in rapporto colle diabasi che emergono in diversi punti degh scisti. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 127 Per queste fratture appare più adatta l’ipotesi che esse ripe- tano la loro origine da abbassamenti del terreno scistoso, causati dal raffreddamento delle diabasi sottostanti. Ammassi melalliferi irregolari. Col sollevamento ed arcuarsi della formazione permiana, che forma Tassise più profonda dei terreni sedimentari noti nella regione Massetana, abbiamo detto che si produssero delle numerose crepe più o meno lunghe che interessarono tutta la potenza degli scisti permiani ; resta a vedere quali fenomeni si produssero nel contempo dove la formazione scistosa trovavasi ricoperta da banchi di diversa natura. Non è possibile immaginare che una serie di banchi sovrappo- sti prenda la forma di un’elissoide sotto Fazione di una spinta late- rale o proveniente dal basso, senza che, mentre il banco inferiore si incurva e si frattura, i diversi banchi sovrastanti non assumano , unitamente a rotture, degli scorrimenti fra di loro, ossia dei pic- coli carreggiamenti. Il piano lungo cui dovettero prodursi questi scorrimenti deve corrispondere, il più delle volte, lungo il contatto di due formazioni dotate di roccie di differente resistenza e com- pattezza, come per esempio, le calcaree e le scistose. Per ben osservare questo fenomeno di scorrimento basta in- curvare un libro ed esaminare come per questo fatto, la disposi- zione assunta dai singoli fogli rappresenti un relativo spostamento di uno di essi sul successivo. Consideriamo ora quale possa essere il modo di comportarsi delle soluzioni metallifere di fronte a questo semplice fatto del cur- varsi e fratturarsi degli scisti permiani e dello scorrimento subito dai terreni soprastanti. Se le soluzioni metallifere, dopo avere attra- versato le fratture degli scisti permici ed in esse avere deposto un filone di frattura , pervennero all’esterno, esse andarono perdute e le acque piovane dovettero trascinarle nei torrenti, come vedremo succede attualmente al Botro Rosso; se invece trovarono sbarrata 128 P. TOSO la via per uscire alFesterno, da banchi di formazione più recente che non risentirono l’azione che produsse le screpolature degh scisti, esse dovettero qui arrestarsi e depositare minerali metalhferi entro queste fratture producendo però solo limitate apofìsi di mine- rali, perchè la formazione di un giacimento filoniano nel processo pneumatolitico non può avvenire senza una corrente di emanazioni metallifere dall’interno verso l’esterno, continua, e duratura per molto tempo. Nel caso più frequente, succede invece che le stesse emanazioni metallifere, dopo avere percorso le fratture degli scisti permici, incontrarono tra i terreni soprastanti una faglia od un piano di scorrimento e ciò durante il periodo di tempo in cui si stava effettuando il sollevamento dell’elissoide e formandosi la faglia o lo scorrimento, allora dovette verificarsi, come vedremo essere successo nei giacimenti metalliferi del Massetano, che queste emanazioni per portarsi all’esterno seguirono, appena incontratolo, il piano di scorrimento fra le due formazioni sedimentarie di natura diversa e qui ebbero agio di estendersi e di formare depositi metalliferi sotto forma di ammassi, lenti, colonne. In altre parole, se superiormente alle fratture verticali degli scisti si produsse una faglia, il suo piano di scorrimento funzionò come un collettore delle emanazioni metallifere uscenti da diversi punti della parete inferiore del piano di scorrimento per portarsi alla superficie e le emanazioni metallifere, giunte entro il piano di scorrimento o della faglia, qui dovettero effettuare il deposito dei minerali dalle soluzioni stesse pei seguenti fatti di ordine fisico: P Lo scorrimento lento e prolungato del tetto sul muro durante la formazione di una faglia, agevolò il progressivo conti- nuato allargamento del vuoto prodotto dalla faglia e ciò mercè l’azione erodente della corrente vaporosa metallifera. 20 Le emanazioni metallifere appena penetrate nel piano della faglia o di seorrimento dovettero subire una brusca diminu- zione di temperatura e di pressione, sia perchè venne ad esten- dersi ed allargarsi la via per cui passavano le soluzioni metallifere, sia perchè in questo ultimo tratto le acque superficiali ebbero agio SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 129 di penetrare nella faglia e raffreddare le soluzioni e conseguente- mente accumulare delle incrostazioni metallifere. Questo raffred- damento deve essere tanto più accentuato, se il piano di scorri- mento ha al tetto dei banchi di calcare permeabili all’acqua. 30 I giacimenti metalliferi formatisi lungo le faglie o lungo il piano di scorrimento di due formazioni e durante lo scorrimento stesso, non poterono più assumere una struttura zonata e simme- trica all’asse del filone come è nel caso dei filoni di frattura, ma piuttosto presentare l’aspetto di irregolari giacimenti listati con apparente sedimentazione parallela al piano della faglia, alternando il minerale con strati sterili paralleli più o meno importanti, formati da rocce staccatesi dal tetto per effetto di lente corrosioni o subi- tanei distacchi di grandi blocchi. 4P A seconda della diversa inclinazione sull’orizzontale del piano di scorrimento, della compattezza delle rocce che formano il tetto ed il letto di detto piano e della pressione di cui sono dotate le emanazioni, queste originarono concentrazioni metallifere di forme le più svariate, di filoni strati, di filoni di contatto o di ammassi come dirò più specialmente parlando del giacimento piritoso di Agordo. 50 Se nel sollevamento dei detti elissoidi permiani si produs- sero diversi piani di scorrimento fra i banchi di diversa natura ricoprenti gli scisti permiani, può verificarsi che le emanazioni me- tallifere, dopo avere attraversato rotture di questi banchi, siano venute a disporsi contemporaneamente lungo due o più piani pa- ralleli di scorrimento e produrre i giacimenti metalliferi di con- tatto paralleli che a Val d 'Aspra si incontrarono, come diremo in seguito, tanto a letto come al tetto di uno stesso banco di calcare retico. 6® Questi giacimenti che per essersi disposti fra piani di scorrimento di faglie durante lo scorrimento chiamerò semplicemente filoni di scorrimento non si estendono per tutta la profondità della faglia o del piano di scorrimento entro cui sono racchiusi, ma cessano bruscamente dove essi incontrarono il filone di frattura 2 130 P. TOSO generalmente dotato di diversa direzione, d’inclinazione maggiore, di piccola potenza e che potrebbesi chiamare filone generatore. 70 Esistono filoni di frattura i quali presentano grandi po- tenze con una disposizione dei minerali dissimmetrica per rispetto all’asse mediana de' filone, come i filoni dell’Harz, potenti da venti a ottanta metri, ma questi partecipano pure della natura del filone di scorrimento, perchè, quantunque formati entro una vera grande frattura, questa subi successivi spostamenti di una delle pareti e si verificarono cioè gli stessi fenomeni che diedero origine ai filoni di scorrimento. 8° Nella coltivazione dei filoni di scorrimento, il più delle volte non è dato di riconoscere il filone generatore, perchè esso talvolta si riduce ad una vena di pochi centimetri di potenza come s’incon- trò a Valle Buia, ed allora il filone di scorrimento si presenta sotto forma di un’ammasso isolato laccolitico. Concludendo: Alla distinzione fatta dai geologi di giacimenti filo- niani regolari e di ammassi irregolari, di giacimenti laccolitici, di filoni strati, di filoni di contatto parmi si possa sostituire quella di filoni di frattura e di filoni di scorrimento e così racchiudere nella definizione stessa le cause che motivarono gli irregolari ammassi metalliferi. Ricordo come già il De Launay (Vedi Métallogenie de ritalie et des régions avoisinantes , Mexico, 1906) trovò opportuno di intro- durre il nome di filone-faglia per definire alcuni giacimenti del Massetano, ritenuti da lui come filoni prodottisi in vuoti preesi- stenti di una frattura formatasi lungo una faglia, sempre però nel- l’idea che questo filone-faglia rappresenti « un remplissage d’un vide préexistant ». E secondo il De Lannay la breccia da lui osser- vata al muro della faglia di Boccheggiano, misurante una decina di centimetri « accuse le phénomène de broyage antérieure à l’in- crustation pyriteuse ». Col nome da me adottato di filone di scorrimento intendo di definire un giacimento filoniano che si andò formando entro il piano di scorrimento prodottosi in una faglia nello stesso periodo di tempo in cui effettuavasi la faglia stessa. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. J31 Per dimostrare come gli ammassi metalliferi sotto le forme più irregolari, se originati per processo pneumatolitico, non sono che filoni di scorrimento, passerò in rassegna i diversi tipi dei gia- cimenti del Massetano discutendone le genesi ; oltre ciò prenderò in esame alcuni fra i giacimenti ritenuti come i più difficili a spie- gare epperciò i più discussi; e ciò per mettere in rilievo che essi trovano un’ovvia spiegazione considerandoli come filoni di scor- rimento. PARTE II. Classificazione dei giacimenti metalliferi del Massetano. I giacimenti metalliferi del Massetano trovansi racchiusi fra cinque potenti formazioni e cioè : a) Scisti argillosi, di color violetto chiaro, lucenti, micacei, con noduli di quarzo attribuiti al Permiano. b) Calcari alternanti con scisti argillosi varicolori, triassici. c) Calcare cavernoso dolomitico di color grigio cupo appar- tenente al Retico. d) Scisti argillosi ed arenarie alternati con banchi di calcare marnoso (alberese) attribuiti all’Eocene. e) Granito porfirico attraversato da filoni di microgranito tormalinifero, la cui eruzione supponesi avvenuta nel periodo miocenico. Mi limito solo ad enumerare queste formazioni geologiche, perchè il lettore può trovare di esse un ampio studio nelle opere precitate del Lotti. Dei principali giacimenti metalliferi del Massetano adotterò la seguente classificazione basata sulle diverse formazioni geolo- giche entro cui questi giacimenti vennero a deporsi e cioè: I. Giacimenti metalliferi racchiusi negli scisti permiani sotto forma di esili filoni di frattura. Esempio : Botro Rosso presso Valle Buia (Montieri) e Serra Bottini (Massa Marittima). 132 P. TOSO II. Giacimenti al contatto fra gli scisti permiani ed il cal- care retico: Valle Buia, Molignoni (Montieri), Val d’Aspra (Massa Marittima) e Ravi (Gavorrano). III. Giacimenti al contatto fra gli scisti permiani e scisti eocenici: Boccheggiano (Montieri) e Serra Bottini (Massa Marittima). IV. Giacimenti fra il calcare retico: Niccioleta, Val d’Aspra. V. Giacimenti al contatto fra il calcare retico e gli scisti eocenici: Bruscoline e Val d’ Aspra (Massa Marittima). VI. Giacimenti fra gli scisti eocenici. Fenice Massetana (Massa Marittima). VII. Giacimenti intercalati fra graniti ed al contatto fra graniti e calcari triassici: Gavorrano e Ravi (Com. di Gavorrano). § 1. Giacimenti racchiusi negli scisti permiani. La formazione sedimentaria più antica del Massetano, cioè la permiana emerge in tre località (vedi tavola 1) e cioè: a) Nelle alture comprese fra gli abitati di Montieri e Boc- cheggiano dove scorre il Botro Rosso ed il Mersino; h) A Serra Bottini cioè a sud dell’ abitato di Massa Marittima nei pressi della miniera della Fenice Massetana e Capanne Vecchie; c) All’estremità Nord e Sud del dicco granitico che emerge fra Gavorrano e Ravi. Tutte e tre queste emergenze di scisti permiani furono centri attivi di emanazioni metallifere, che si devono supporre di ana- loga composizione e prodottesi nello stesso periodo geologico. Nella tavola 1 è indicata una quarta emergenza di scisti per- miani presso Frassino, a Nord Ovest di Massa Marittima. Il Lotti, nella sua carta geologica al 100,000 segnala la presenza, attorno a questi scisti permiani, di masse di quarzo ed allumite, sostanze queste, che generalmente accompagnano i giacimenti metalliferi. Di esse non farò parola non essendo qui state fatte ricerche mi- nerarie. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFEIil, ECC. 133 a) Filoncini pir itosi presso il Botro Rosso. Presso il Botro Rosso, alla superfìcie degli scisti permiani ancor oggi giorno si vedono formarsi dei depositi metallici. Chi nei pressi di Boccheggiano, a partire dal fiume Merse, sale verso il Nord, lungo la valletta bagnata dal Botro Rosso, sempre restando sugli scisti permiani, incontra un gran numero di putizze emananti gas acido carbonico e solfidrico, e qui si vede come i piccoli rigagnoli che affluiscono al Botro Rosso, sono coperti di depositi o d’incrostazioni marcatamente colorati in rosso da ossidi di ferro, i quali ad ogni acquazzone sono trascinati nella Merse e di continuo si riprodu- cono: egli è per questa colorazione che questo botro prende il nome di Botro Rosso. Presso le ripide sponde del Botro Rosso s’incontrano inoltre frequenti filoncini di pirite a ganga quarzosa presentanti delle ra- mificazioni, dai francesi chiamate griffon, sui quali si fecero inda- gini che li riconobbero limitati in potenza ed in direzione. La ricerca principale fra gli scisti permiani fu quella detta S. Sal- vatore presso Fontebuona, praticata sull’ affioramento di un filoncino di pirite a ganga quarzosa avente circa venti centimetri di potenza ; si spinsero i lavori per circa cinquanta metri, ma essendo scomparso il filoncino, sempre dimostratosi molto esile, la ricerca venne abban- donata. E’ degno di nota che all’imboccatura stessa della galleria si ha un’abbondante emanazione di acido solfidrico e carbonico intestata sull’ affioramento del filone di pirite di San Salvatore. A circa duecento metri da questa ricerca nei ' lavori sotterranei fatti sotto la grande concentrazione piritosa detta Fontebuona, coltivata, dalla Miniera di Valle Buia, e di cui si parlerà più parti- colareggiatamente in seguito, s’incontrò una vena di pirite quasi verticale, avente solo circa 5 centimetri, di potenza, la quale è racchiusa tra gli scisti permiani e termina in alto, quando rag- giunge la lente piritosa suddetta posta al contatto fra gli scisti permiani e il calcare retico. 134 P. TOSO b) Filoni fra gli scisti 'permiani a Serrahottini. S’incontrarono recentemente fra gli scisti permiani due filoni di spaccatura che presentano qualche importanza industriale. La Società di Montecatini, per indagare e preparare alle coltivazioni il filone di Serrahottini, posto al contatto fra gli scisti permici e gli scisti eocenici e formato da minerali misti, fece eseguire delle tra- verse per riconoscere la potenza e la ricchezza dello stesso giacimento; alcune di esse vennero proseguite oltre al letto, cioè entro gli scisti permici. Con queste traverse, dopo 50 metri, a partire dal con- tatto, s’incontrò un primo filone di spaccatura nel permico, di- retto anch’esso come il giacimento di Serrahottini circa NS., con pendenza ad Est di circa 50^; dopo altri 15 metri di traversa si rinvenne un secondo filone. Il primo filone venne riconosciuto per circa 600 metri in direzione, di potenza variabile con una media di circa metri 1 , con allargamenti fino a metri 4 ; la ganga è quarzosa ©d il minerale è costituito in prevalenza da calcopirite accompa- gnata da galena e blenda. Il tenore in rame è circa il 3.25 %. Il secondo filone non venne ancora indagato che in pochi punti ; pare però molto più esile. Questi filoni di spaccatura non sem- brano affiorare e si suppone che vadano a finire in alto contro una striscia di calcare retico che ricopre qui l’anticlinale permica che si estende dal Carpignone a Serrahottini. Questa striscia di calcare è profondamente alterata e presenta masse quarzose. Alcuni pozzi recentemente praticati in questa zona mineralizzata hanno riscontrato in prossimità ed al contatto del permico delle argille alterate, impregnate di minerali misti. Parrebbe anzi, che il giacimento coltivato dagli antichi nel pog- gio di Serrahottini sia appunto quello formatosi fra il calcare retico ed il permico. L’andamento del filone di frattura e di quello di contatto di Serrahottini è indicato dall’unito schizzo (fig. 1). Questo filone di frattura fra gli scisti permici, pressoché paral- lelo tanto al filone -faglia di Serrahottini come a quello della Fenice SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, E(JC. I.‘ì5 per la sua potenza e lunghezza, ha carattere alquanto diverso dai filoni spesso ramificati (griffons) incontrati al Botro Rosso; esso deve rappresentare una frattura accompagnata da scorrimento con rigetto molto meno accentuato di quello subito dai filoni di scorrimento di Serrabottini e Fenice che trovansi più lontani dalla anticlinale presen- tata dall’elissoide permiana. u o i ) Scisti permiani, Z) Calcare retico.^) Calcare eocenico. Fig. 1 — Sezione geologica indicante F andamento del filone di frattura e di quello di contatto di Serrabottini e dell’ attiguo filone della Fenice. c) Filoni di granito ior malini fero fra gli scisti permiani a Gavorrano-Ravi. Entro la formazione permiana del centro metallifero di Gavor- rano-Ravi non s’incontrarono finora concentrazioni piritose, ma solo filoni di granito tormalinifero che interessarono la massa sci- stosa, metamorfizzandola, rendendola cioè più siliciosa, pur conser- vando lo stesso aspetto. Concludendo. I giacimenti metalliferi compresi fra gli scisti permiani sono filoni di frattura che si devono attribuire ad un’epoca 136 P. TOSO posteocenica e forse miocenica. Le attuali abbondanti emanazioni di acido solfìdrico e di acido carbonico presso i filoni piritosi del Botro Rosso, come pure le sorgenti termali accompagnate da acido solfidrico e carbonico incontrate nei cantieri più profondi della miniera di Boccheggiano fra gli scisti permici mineralizzati, e di cui si dirà parlando del giacimento coltivato in questa miniera, giusti- ficano l’ipotesi che esse rappresentino l’ultima fase del fenomeno endogeno che produsse le numerose concentrazioni metallifere del Massetano. §. 2. Giacimenti piritosi al contatto fra gli scisti permiani ED IL CALCARE RETICO. Il giacimento di pirite coltivato nella miniera di Valle Buia (detta anche di Montieri) come pure quello della miniera Molignoni (detto anche Nuova miniera di pirite di Boccheggiano), ed il gia- cimento riconosciuto col nome di miniera di Rigagnolo, tutti in comune di Montieri, entrano in questa categoria. Mi limiterò a descrivere più specialmente il giacimento di Valle Buia, il più studiato con recenti lavori ed ora in piena colti- vazione; gli altri del resto hanno col primo perfetta analogia, dif- feriscono solo per estensione e potenza delle rispettive concen- trazioni piritose. a) Giaciìnento di Valle Buia. Questo giacimento presenta le seguenti caratteristiche. Ha per letto gli scisti permiani, al tetto potenti banchi di calcare retico. La sua potenza, che agli affioramenti più alti misura 2 metri, va gradatamente aumentando fino a raggiungere 6 metri nel punto più basso. L’inclinazione sull’orizzontale è di circa 12q La proiezione orizzontale e le due sezioni verticali di cui una, la xx\ passante per la direzione e l’altra, ì^yy' , per la linea di mas- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI M ETALLIFEPvI , ECC. 137 sima pendenza del giacimento (la quale è circa N8) sono indicate nei tre seguenti schizzi (fig. 2, 3, 4): F,g2 Proiexionc onxyLon/filr 1) Scisti permiani. Z) Ca/carì retici. 3) Ah nei ale Fig. 2-3-4 — Proiezione orizzontale e sezioni verticali del giacimento x>iritoso di Valle Buia. A Valle Buia il calcare retico ha la forma di una cupola la cui base è grossolanamente circolare con un diametro di circa 500 metri. Il minerale non si estende per tutta la base di questa cupola calcarea, finora si riconobbero solo due concentrazioni metallifere sotto forma di irregolari lenti situate ad Est e ad Ovest delia 138 P. TOSO cupola stessa: la lente posta ad Est porta il nome di Fontebuona, quella ad Ovest di Fontini. A Fontebuona la lente misura secondo la direzione, che è Est Ovest, circa 150 metri; secondo F inclinazione mi- sura 200 metri con una potenza che dal basso procedendo verso l’alto va decrescendo, come si disse, da 6 a 2 metri. Verso il basso la lente piritosa cessa bruscamente per finire in un’argilla rimaneggiata. La lente di Fontini venne riconosciuta in direzione per soli 50 metri con potenze eguali a quelle di Fontebuona. Il tratto inter- medio fra le due lenti, il quale misura circa 300 metri, venne solo parzialmente indagato con fornelli praticati sopra una galleria di carreggio scavata negli scisti permiani, la quale unisce i cantieri di Fontini con quelli di Fontenuova. In alcuni punti questi for- nelli incontrarono il contatto sterile, in altri s’incontrarono concen- trazioni di pirite, ma con esili potenze e quindi vennero trascurate. Sopra agli afifìoramenti posti a monte di Fontebuona gli scisti permiani sono per un largo tratto scoperti dal calcare e sopra di essi s’incontrano frequenti ammassi ferriferi ocracei isolati, superficiali, i quali furono già oggetto di ricerca per minerali di ferro. AH’inizio dei lavori di ricerca di Valle Buia s’indagarono ap- punto questo ammassi ferriferi ritenuti già come cappelli di ferro di un importante filone racchiuso fra gli scisti permiani; gli sfavo- revoli risultati ottenuti indussero i ricercatori ad eseguire dap- prima una lunga galleria nel calcare retico, dove non si rinvenne traccia di minerale, ed infine, avendo praticato una galleria al con- tatto fra calcare e scisti, appena scavati pochi metri di galleria, fra un materiale ocraceo, d’un tratto s’incontrò la pirite con una potenza di 6 metri. Questa scoperta mise in rilievo che gli ammassi ocracei sui quali si fecero ricerche, non erano che i residui del succitato giacimento di pirite alterati dalle azioni atmosferiche, dopo che vennero erosi i calcari che li ricoprivano. Per conseguenza deve dedursi che mentre il giacimento cessa bruscamente in basso, cioè verso Sud, a Nord, invece, esso originariamente aveva una lunghezza molto maggiore dell’attuale che è, come si disse, di 200 metri. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 13(1 La lente di Fontini subì a Sud uno spostamento dovuto ad una faglia diretta quasi Est Ovest, la quale però, non interessò la lente di Fontebuona. Ricorderò che nella discenderia principale scavata negli scisti permiani, a qualche metro sotto il giacimento, destinata ad abbassare la pirite ottenuta nei piani superiori alla galleria di ribasso, s’incontrò una colonna di pirite («a, vedi fig. 4), di pochi cent, di diametro che sale verticalmente e va ad unirsi alla grande lente di pirite di Fontebuona soprastante alla detta galleria. Natura del minerale. Il giacimento di pirite di Valle Buia si presenta formato da una serie di strati piritosi sovrapposti, paralleli al contatto degli scisti permiani, strati aventi circa 10 a 20 cent, di potenza di pirite alternati con straterelli di scisti poco coerenti che si riducono facil- mente in sottili scaglie, le quali conservano ancora distinta la lucen- tezza propria degli scisti permiani della regione, per il che devonsi indubbiamente ritenere provenienti dal disfacimento degli scisti per- miani. In alcuni pochi punti la pirite è cuprifera; la percentuale del minerale avente il 3 % in rame non supera però che qualche cen- tesimo del totale. Verso la parte più bassa, tanto della lente di Fontini come di quella di Fontebuona, dove la lente assume maggiore ingros- samento, si osserva che al tetto della lente piritosa, a contatto col cal- care, la pirite è pura, dotata di compattezza con una piccola percen- tuale di quarzo ed è affatto esente da elementi scistosi; per conseguenza la miniera produce pirite pura compatta, che viene semplicemente macinata, e pirite frammista ad elementi scistosi argillosi, la quale, dopo essere lavata, fornisce una pirite minuta, in gran parte già quasi ridotta in polvere. Un altro fatto è degno di nota: seguendo in direzione la lente di pirite di Fontebuona verso la sua estremità occidentale, essa si presenta intercalata da lenti di calcare bianco cristallino listato, con stratificazione regolare e parallela al contatto cogli scisti e queste lenti vanno gradatamente ingrossando di potenza, dimi- 140 P. TOSO nuendo così la parte utile piritosa, fino a che tutta la lente piri- tosa si è convertita in un banco di calcare saccaroide, di natura af- fatto diversa dal calcare retico cavernoso magnesiaco. Questi calcari vennero seguiti per qualche diecina di metri e poi, perchè trovati sterili, la ricerca non venne più continuata. L’estensione non piccola di questo calcare cristallino incontrato pure nella ricerca detta Rigagnolo, a circa un km. più a Sud di Fon- tebuona, dove s’indagò l’andamento di un’analoga lente piritosa, ha fatto dapprima supporre che si trattasse di una speciale forma- zione calcarea più antica, perchè sottostante al retico e che fosse anzi questo il calcare metallifero, i cui meati fornirono la via più facile al passaggio delle soluzioni mineralizzanti ed ove si accumu- larono le incrostazioni metallifere da esse depositate. Dopo aver trovato anche nel giacimento piritoso di Ravi (Ga- vorrano) un simile calcare cristallino e dopo aver visto analoga- mente metamorfosati certi blocchi di calcare retico racchiusi fra la pirite, parve non dubbio che questi calcari saccaroidi debbano rappresentare il deposito prodotto dalle abbondanti emanazioni di acido carbonico, che tutt’ora s’incontrano in alcuni punti prossimi alla miniera, le quali disciolsero insieme coll’acqua il calcare retico soprastante, per nuovamente depositarlo sotto forma di banchi listati e disposti parallelamente al contatto. Sulla genesi del giacimento di Valle Buia. Appena scoperto il giacimento di Valle Buia la genesi di esso, che in sulle prime apparve la più ovvia per spiegare come la mine- ralizzazione si dispose limitatamente al contatto fra calcari e sci- sti, fu l’ammettere che le emanazioni metallifere dotate di alta pressione per portarsi all’esterno, dopo aver percorso la via indi- cata dalla vena generatrice, qui riconosciuta fra gli scisti permiani, incontrando i banchi di calcare retico, ne percorsero il contatto cogli scisti, dove i meati del calcare dovevano presentare la via più facile. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 141 Ipotesi questa generalmente ammessa per spiegare tutti i giacimenti metalliferi posti al contatto fra scisti e calcari. Un più attento esame dimostrò come questa genesi non può essere accettata, poiché se fossero stati i meati del calcare a fornire il passaggio delle soluzioni metallifere, gli scisti permiani dovrebbero essere pressoché intatti, mentre invece il giacimento ha la sua sede principale fra gli scisti, e la pirite trovasi per la massima parte de- positata fra gli scisti rimaneggiati, ed é solo in una limitata zona verso il tetto del giaciménto che incontrasi la pirite pura e compatta, indizio di deposito fra i vuoti formatisi al letto dei banchi di calcare. D’altra parte non si può spiegare in che modo le soluzioni me- tallifere abbiano potuto circolare fra gli scisti permiani compatti ed impermeabili e nemmeno lungo il piano di contatto, dove non potevano esistere vuoti o distacchi, essendo gli scisti gravati da] peso di potenti banchi di calcare compatti. Le emanazioni vaporose metallifere dotate di alta temperatura e pressione non dovevano arrestarsi una volta arrivate al contatto dei calcari, ma piuttosto farsi strada o penetrando fra i meati del calcare, mineralizzandoli per estese zone, oppure fratturando i ban- chi di calcare secondo il piano di minor resistenza che, nel caso con- creto, avrebbe dovuto essere un piano verticale, poiché la potenza dei banchi di calcare non arriva a 50 metri, mentre la lunghezza del contatto lungo cui avvenne la mineralizzazione, doveva originaria- mente misurare oltre 300 metri. Anche tenuto conto delle erosioni che possono avere sensibilmente modificata la primitiva altezza dei calcari, resterebbe sempre la verticale, la linea di minor resistenza per l’uscita delle emanazioni metallifere se queste fossero state do- tate di sufficiente pressione per farsi strada attraverso la formazione calcarea. La spiegazione più ovvia della disposizione assunta dalla mi- neralizzazione di Valle Buia é l’ammettere che, durante il periodo in cui si svolgevano dall’interno le emanazioni metallifere attraverso gli scisti permiani, la formazione calcarea abbia subito uno scorri- mento sugli scisti permiani, ossia un piccolo carreggiamento, prò- 142 P. TOSO ducendo così al contatto un piano di rottura. Sono tante le dislo- cazioni, le faglie subite dalle formazioni sedimentarie del Massetano, prima che esse dessero alla regione l’orografia attuale, per ammettere ovvia l’ipotesi che anche a Valle Buia, nonostante che il calcare appaia normalmente e direttamente adagiato sugli scisti permici, siasi prodotta una serie di scorrimenti dovuti a spostamenti disuguali in lunghezza subiti dalle due formazioni nel loro sollevamento. Del resto è appunto al contatto di due formazioni dotate di diversa natura e compattezza che più facilmente deve succedere uno stacco ed uno scorrimento, se esse risentono spinte di diversa intensità o direzione. Non ho bisogno di dimostrare che appena iniziato questo scorrimento, anche se esso si fosse subito dopo arrestato, alle sorgenti metallifere dotate di alta pressione venne aperta una via verso l’esterno ben più facile che non i meati del calcare e questa fu la sola via per- corsa dalle emanazioni metallifere le quali perciò non si infiltrarono fra i meati del calcare. E’ quindi più ovvio ammettere che il regolare deposito dei minerali su tutto il percorso seguito dalle emanazioni metallifere sia avvenuto per effetto di un lento e continuato movimento di una delle formazioni di contatto e non per effetto di un solo primo distacco, perchè in questo secondo caso, le incrostazioni metallifere in via di deposito e le pressioni dei terreni al tetto avrebbero osta- colato il regolare e prolungato passaggio, se pure non l’avrebbero interrotto, delle emanazioni metallifere, anche se dotate di altissime pressioni. I frequenti e circoscritti movimenti sismici segnalati nella prossima regione dei soffioni boraciferi darebbero anche ra- gione a questa ipotesi. Delle due rocce lambite dalle soluzioni, naturalmente gli scisti, per essere rammolliti dal vapor d’acqua, maggiormente risentirono dell’azione erodente delle correnti di vapore e di gas. Nella formazione del giacimento di Valle Buia devonsi consi- derare due periodi: nel primo le correnti iretaJlifere cominciarono ad effettuare un esteso scavo fra gli scisti, nel secondo col decrescere della pressione e della temperatura, sia per l’allargamento del vuoto SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 143 prodotto, sia per la diminuita pressione, anche per la presenza di acque superficiali filtrate attraverso i calcari, avvenne il deposito del minerale fra le acque sempre torbide e melmose, dando origine, come si disse, aH’alternanza di straterelli di scisti rimaneggiati e di pirite. La pirite pura e compatta che si presenta verso il tetto sarebbe dovuta all’azione chimica delle sorgenti mineralizzanti che attaccarono i calcari dopo aver depositato al letto gli strati di pirite frammisti agli scisti. È da rimarcare come la separazione fra il giacimento di pirite ed i soprastanti calcari è netta, e fra i calcari non s’incontrano apo~ fisi piritosi. La mancanza di penetrazione del minerale fra i banchi di calcare parmi debba dipendere dal seguente fatto. Le soluzioni vaporose nel percorrere il piano di scorrimento fra gli scisti e i calcari, se dotate di alta temperatura, dovettero assorbire le acque piovane infiltratesi gradatamente nel calcare del tetto ed uscire all’esterno sempre conservandosi allo stato di vapore, non altri- menti di quel che succede per i soffioni boraciferi ; e noi sappiamo come i getti di vapore aspirino i liquidi che trovano nel loro passaggio anziché spingerli fra le pareti e produrre ([ui delle infiltrazioni. E’ infine logico ammettere che la maggiore energia fisica e chimica di erosione esercitata sulle pareti dalle soluzioni vaporose debba essere stata in basso, al loro uscire dai filoni generatori e qui esse forma- rono una maggior altezza di vuoti e qui maggiormente dovette cre- scere la potenza delle incrostazioni metallifere depositate. Devesi perciò concludere che il giacimento piritoso di Valle Buia avente la forma di una serie di ammassi isolati di differenti potenze ed estensioni, tutti posti al contatto fra gli scisti e calcari, ammassi poco inclinati sull’orizzontale, che finiscono bruscamente dove appunto è massima la potenza, la quale, a partire dal basso decresce in modo continuo fino all’ affioramento, deve ritenersi come il tipo più caratteristico dei filoni di scorrimento. Sulla forma assunta dal filone di scorrimento di Valle Buia. Le osservazioni succitate spiegano il perchè l’ammasso metalli- fero di Valle Buia si presenti in basso molto potente e vada dimi- 144 P. TOSO nuendo di potenza gradatamente verso l’alto, cioè verso gli affiora- menti, mentre nella maggior parte dei casi i giacimenti metalliferi fra i calcari sono ristretti in basso e si allargano verso l’alto, ossia prendono, come si suol dire, la forma d’imbuto, nota per avere spesse volte portato disillusioni ai coltivatori di miniere che tro- varono colla profondità rimpicciolire simili giacimenti, tanto pro- mettenti alla superfìcie. Sono ricordati come caratteristici i giacimenti imbutiformi ca- laminari dell’Iglesiente ed anche in Toscana è ancora recente la sorpresa recata dal giacimento cinabrifero del Siele, il quale, com- preso fra un grosso banco di calcare marnoso, eocenico, mineraliz- zato per gran parte della sua potenza, presentava agli affioramenti, secondo la direzione, una lunghezza di circa 130 metri di banco mi-' neralizzato, il quale in profondità andò sempre restringendosi, tanto che a circa 200 metri in profondità si ridusse ad una sorgente di H^S e CO2 emanante da un terreno argilloso rimaneggiato con tracce di cinabro frammisto a sali di magnesia e di ferro, terreno limitato entro un cerchio di circa 10 metri di diametro. Da questa profon- dità verso la superfìcie il giacimento cinabrifero aveva grossolana- mente la forma di un ventaglio. La disposizione imbutiforme dei giacimenti metalliferi fra i calcari dovette avvenire tutte le volte che non si verifìcò una rego- lare frattura od uno scorrimento che valse ad aprire una facile via fra i calcari stessi, o fra il loro contatto cogli scisti, alle emanazioni metallifere tendenti verso l’esterno. Ed in fatto è ovvio che quando delle soluzioni metallifere, siano esse vaporose e dotate d’alta temperatura, oppure semplicemente ter- mali, ma accompagnate da CO^ e da H^S, dopo avere attraversato delle fratture fra gli scisti, trovarono per uscire alla superfìcie sbar- rata la via da formazioni calcaree permeabili alle acque; queste so- luzioni, quantunque in principio stentatamente, dovettero pur penetrare fra i meati dei banchi calcarei e formare una corrente ac- quifera ascendente, lenta ma continua, mossa dall’azione del vapore oppure da gas che, frammisti all’acqua, le diedero minor densità e SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 145 provocarono una colonna ascendente mineralizzante. Questa poi, nell’ innalzarsi, dovette subire successive diramazioni, allargandosi cosi verso l’alto e depositare minerali nel suo percorso, dando ori- gine ad un giacimento imbutiforme. E’ quindi da escludere l’idea che emanazioni metallifere pe- netrando in una formazione calcarea acquifera debbano impregnare tutta la formazione stessa: il loro percorso si limita ad isolate correnti ascendenti che hanno tendenza a trascinare le acque incontrate nel loro percorso, anziché ad infiltrarsi lateralmente fra i meati. A queste colonne acquifere ascendenti accompagnate da CO^ sud- descritte devonsi pure attribuire le numerose formazioni di travertino che si incontrano in Toscana, specialmente nelle regioni metallifere, formazioni dovute, come è noto, a depositi di acque ricche di car- bonato di calce. E’ anzi degno di osservazione il fatto che l’ubicazione di questi banchi di travertino, il più delle volte, è non in basso, ma allo stesso livello dei banchi di calcare retico coi quali sono in rap- porto. Ciò trova una spiegazione in queste stesse correnti ascendenti promosse dalle emanazioni di gas, che susseguirono al periodo delle emanazioni metallifere, le quali correnti attraversando banchi di calcare retico riportarono in alto le acque più profonde e più cariche di sali del bacino acquifero, acque che si riversarono dall’alto e formarono banchi di travertino ad altezze poco inferiori ai banchi di calcare retico. h) Giacimenti di 'pirite Rigagnolo e Molignoni. Al sud della miniera di Valle Buia, a circa un km., la Société Anonyme Belge ha aperto nella località detta Rigagnolo lavori di ricerca in un giacimento di contatto fra calcare retico e scisti per- miani di egual natura di quella di Valle Buia. Anche qui la parte inferiore della lente presenta minerale piritoso-argilloso, o meglio frammisto a scisti rimaneggiati lucenti, mentre la parte superiore è data da pirite ricca compatta con pochissima matrice quarzosa. 3 146 P. TOSO Cogli stessi caratteri presentasi il giacimento di pirite ai Mo- lignoni a poco più di un km. a Sud Ovest di Valle Buia. Le diverse succitate concentrazioni metallifere, quantunque iso- late e disposte sporadicamente, situate tutte al contatto fra calcare retico e scisti permiani, possono essere considerate come formanti un solo esteso giacimento prodottosi contemporaneamente ed in analoghe condizioni. §. 3. Giacimenti al contatto fra gli scisti permiani E GLI SCISTI ARGILLOSI EOCENICI. Nel Massetano sono noti due di questi giacimenti, quello di Serrabottini, nei pressi della miniera Fenice e quello di Boccheg- giano, posto solo a poco più di un km. a est di Valle Buia. In questi ultimi anni solo quest’ultimo fu oggetto di un’in- tensa coltivazione; mi limiterò perciò qui a descriverne le condizioni. Giacimento di pirite cuprifera di Boccheggiano. Di questo giacimento, ora esaurito, descritto dal Lotti con par- ticolareggiati e precisi ragguagli, io ricorderò solo quei fatti i quali meglio ne caratterizzano la natura e l’andamento. L’ammasso quarzoso piritoso filoniforme di Boccheggiano è di- retto Nord Sud ed è inclinato verso Est di circa 40^ sull’orizzontale. Misura una lunghezza di circa 3 km. ed ha una direzione quasi retti- linea. Ha per letto gli scisti permiani e per tetto gli scisti eocenici. Esso presenta delle potenze variabili da uno a 20 metri. Le maggiori concentrazioni o colonne non seguono la massima inclinazione del filone, ma tutte pendono da sud a nord. Nel tratto più meridionale del filone, verso Acqua Calda, dove esso ha per muro il calcare re- tico e per tetto sempre gli scisti eocenici, il filone quarzoso è non solo più variabile per potenza, ma anche per natura del mine- rale: qui in vicinanza del calcare predomina la galena e la blenda, mentre a nord fra gli scisti permiani ed eocenici non si hanno che minerali piritosi più o meno cupriferi, con abbondante matrice quarzosa. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 147 I lavori di coltivazione dimostrarono come il filone consisteva in una serie di strati di quarzo piritoso cuprifero, disposti parallela- mente al letto, formato da scisti permiani, e questi strati quarzoso- piritosi erano alternati con strati argilloso- piritiferi. Mentre il tetto del filone si presentava ondulato e le rocce eoce- niche in contatto col filone erano silicizzate con apofisi mineraliz- zate che s’inoltravano a qualche distanza dal tetto fra gli scisti eoce- nici, il letto, invece, presentava un piano regolare con distacco netto fra minerale e scisti permici, ricoperto però da una brecciuola formata di elementi piritosi e scistosi. La sezione trasversale geologica, secondo la linea di maggior pendenza del filone, è data dal seguente schizzo. Boccheggiano Delle vicende incontrate nella coltivazione di questo giacimento ricorderò il seguente importante fatto, successo in questi ultimi anni, il quale motivò la chiusura di quella miniera. Coi lavori di coltivazione si era arrivati al livello 320 sul mare e cioè a 125 metri sotto il fiume Merse: mentre si stava pre- parando un nuovo livello più profondo, per il che si erano fatti pozzi e gallerie negli scisti permiani, che sempre si erano dimostrati asciutti, 148 i». TOSÒ da una fessura fra questi scisti si ebbe un'improvvisa venuta di ac- qua calda borica a circa 45 centigradi di temperatura , la quale innondò la miniera. E’ da notarsi che nel frattempo cessò la sorgente detta Acqua Calda posta a sud di Boccheggiano ad un km. circa di distanza. Mediante una porta in ferro si riuscì, dopo molte fatiche, a sbar- rare queste sorgenti e a liberare la miniera di queste acque ter- mali. Un manometro applicato alla suddetta porta di sbarramento segnava una pressione di circa 7 atmosfere. Dopo questo impor- tante risultato conseguito dal direttore della miniera sig. ing. Ma- rengo, d’aver cioè rese nuovamente normali le condizioni della mi- niera, si verificò un altro grave ed inaspettato accidente; le colonne di minerale, che a partire dagli affioramenti sempre si conservarono potenti e continue per tutta la loro profondità, cominciarono a di- minuire quasi bruscamente di potenza a partire dal livello di 320 metri sul mare, al quale livello s’incontrarono le spaccature fra gli scisti per- miani mineralizzate che portarono tanta acqua calda in miniera, per il che la miniera stessa venne definitivamente abbandonata. Nella massa filoniana a questo livello si incontrarono inoltre sorgenti di acido car- bonico e di acido solfìdrico. Sulle cause che motivarono la speciale natura e V andamento del giacimento di Boccheggiano. Questa grande massa filoniforme avente, come si disse, un’incli- nazione di circa 40° sull’orizzontale e potenze che variano da 20 me- tri a pochi cent, venne finora ritenuta, conformemente al parere dèi Lotti, il risultato della quarzifìcazione e della mineralizzazione di grossi banchi o di un complesso di banchi calcarei eocenici racchiusi fra gli strati prevalentemente argillosi. Ed il Lotti adduce le seguenti considerazioni per giustificare questa sua convinzione : «All’idea che questi filoni siano il risultato del riempimento « di una spaccatura aperta si oppongono difficoltà insormontabili: SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 149 « infatti, oltre che non sapremmo spiegarci come spaccature della cro- « sta terrestre, che a luogo raggiungono ampiezze superiori a 20 me- « tri ed inclinate anche meno di 45^, possano rimanere aperte per un « certo tempo per essere poi riempite; resterebbe sempre un problema « la formazione degli strati quarzosi-pirossenici-metalliferi regolar- « mente alternati con letti scistosi quasi inalterati che accompagnano « in concordanza i filoni principali. Non può escludersi che gli at- « tuali grossi filoni rappresentino, almeno in parte, il riempimento di « vuoti interstiziali formatisi entro una breccia di frizione ». Per spiegare come una così grande massa quarzoso -metallifera abbia potuto disporsi fra terreni sedimentari, il Lotti, fra le due ipo- tesi del riempimento di una frattura e quella per sostituzione meta- somatica di un banco di calcare, non potendo ammettere resistenza di una frattura così ampia e tanto poco inclinata, dovette neces- sariamente vedere nel giacimento un deposito metasomatico, nono- stante che non gli possa essere sfuggito come gli strati scistosi e calcari eocenici sono dotati di frequenti ritorcimenti, mentre la massa metallifera filoniforme è regolarmente inclinata di circa 40^ e forma un piano regolare per oltre 3 km. Sta il fatto che il filone di Boccheggiano trovasi, come dimo- stra la fig. 5, lungo una tra le più grandi faglie del Massetano, la quale rigettò gli scisti permiani per un’altezza di oltre 400 m. e perciò se noi consideriamo questo giacimento come un filone di scorrimento, diviene ovvia e facile la spiegazione dell’andamento e della strut- tura, della mineralizzazione e di tutti i particolari di questo filone quali vennero descritti dal Lotti. La stessa genesi attribuita al giacimento di Valle Buia vale per- ciò anche per il filone di Boccheggiano. Anche qui come a Valle Buia, oltre ad incontrare strati di minerale alternati con letti sci- stosi si verificò il fatto più caratteristico dei filoni di scorrimento, cioè lo arrestarsi quasi bruscamente della mineralizzazione, e l’arresto avvenne appunto dove si presentarono fratture degli scisti permici {aa) che si deve presumere fossero le vie per cui emanarono le soluzioni metallifere dotate di alta temperatura, le quali salirono all’ esterno 150 P. TOSO passando lungo il piano della faglia e ciò durante tutto il lungo pe- riodo di tempo in cui si effettuò il movimento di una delle pareti in- cassanti. A Boccheggiano l’azione erodente delle soluzioni metallifere si portò principalmente sugli scisti argillosi del tetto e qui esse quarzificarono le testate dei banchi di calcare alberese. E’ ammissibile che la grande potenza del filone di Boccheggiano abbia relazione colla grande lunghezza del rigetto che, come si disse, misura circa 400 metri e rivela una lunga durata di tempo durante cui lo scorrimento sempre facilitò il passaggio delle soluzioni me- tallifere ed impedì r otturamento, facilitando l’accumularsi delle in- crostazioni. Per dimostrare che la principale generatrice del filone di scor- rimento di Boccheggiano trovasi appunto al livello 320 dove s’incon- trarono sorgenti di acqua calda e di gas e dove venne ed assottigliarsi la massa minerale e che non siamo in presenza di un limitato ed accidentale restringimento, vale anche la seguente osservazione. Nella coltivazione di questa miniera coll’ approfondire dei la- vori, le acque sotterranee non aumentarono sensibilmente anche quando i lavori si approfondirono fino al livello di 320 metri sul mare. Si ritiene che a Boccheggiano i banchi di calcare retico, che sono qui ricoperti dagli scisti eocenici, siano acquiferi perchè ad Est della miniera, sotto Chiusdino nella località detta Cicciano (a 350 metri sul mare), dai calcari retici scaturisce una grande sor- gente di acqua calda detta La Vena (v. tavola 1) e si ha motivo di credere che i calcari da Cicciano si estendano fin sotto alla miniera. Da questo dato si può arguire che se la massa quarzosa piri- tifera di Boccheggiano non si arrestasse in a (vedi fig. 5), ma si spin- gesse in profondità lungo la faglia fino a raggiungere i banchi di calcare retico eminentemente acquiferi e cioè in 6, in questo caso il livello delle acque nei calcari essendo alla sorgente di Cicciano a 350 metri sul mare, ossia 30 metri superiore al livello più profondo della miniera, ne deriverebbe che le acque dei calcari dovrebbero salire in grandi quantità lungo la massa porosa filoniana se questa si SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 151 prolungasse. Invece nella miniera di Boccheggiano, come dissi, la quantità d’acqua sotterranea non crebbe sensibilmente coH’ap- profondire dei lavori, il che giustifica di ammettere che, fra il li- vello 320 e quello del tetto della formazione calcarea, non esista lungo la faglia la massa quarzosa piritifera, e la faglia sotto al livello 320 (a) sia sterile. Ho citato quest’ultimo fatto, quantunque di secondaria impor- tanza per lo studio di questo filone, solo perchè il fenomeno con- trario, come a suo tempo dirò, esiste alla miniera Fenice, dove le acque sotterranee crebbero enormemente coll’ approfondire dei lavori; per il che devesi supporre che alla Fenice quel filone at- traversi tutto il calcare retico sottoposto agli scisti eocenici, i quali alla Fenice, come si dirà, formano le rocce incassanti di quel filone. Il giacimento di Valle Buia e quello di Boccheggiano sono esempi tipici di filoni di scorrimento perchè in essi si può riconoscere an- che il percorso dei rispettivi filoni generatori. Sulla disposizione che assumono entro il filone di scorrimento le maggiori concentrazioni metallifere. Ho più sopra accennato come le maggiori concentrazioni me- tallifere, dette anche colonne, nel filone di Boccheggiano non seguono la massima inclinazione del filone, ma tutte tendono, conservandosi parallele e continue in profondità, da Sud a Nord. Queste colonne inclinate sono un fenomeno riscontrato in molti filoni. Il Groddeck (1) così le definisce: « Ce sont des parties riches de faible largeur, allongées dans le « pian du gite dans une direction diagonale, c’est-à-dire intermediaire « entre la direction et l’inclinaison ». Di questo fenomeno, che il Groddeck -accenna verificarsi tanto nei filoni di frattura, come negli ammassi stratificati, da lui ritenuti (1) Pag. 97. Traité des gites métallifères par Alb. von Groddeck, traduit de rallemand par H. Kuss, Paris, Dunod, 1884. 152 P. TOSO d’origine sedimentaria, egli dà la seguente spiegazione: « il pourrait « s’expliquer aussi d’une manière suffisante en admettant que le mi- « nera! au moment du dépòt sur un pian horizontal, a formé des « trainées auxquelles le soulèvement a plus tard donné une position « inclinée ». Per i filoni così spiega la loro formazione: « Les colonnes inclinées peuvent aussi se former par l’orienta- « tion de nids de minerai suivant une direction diagonal dans le « pian du filon ». Ammettendo che questi giacimenti siano dei filoni di scorri- mento originati nel modo suddescritto, parmi più convincente la se- guente spiegazione del noto parallelismo delle colonne di minerale e della loro inclinazione non corrispondente alle linee di massima inclinazione del filone. La spinta che obbligò il tetto di una faglia a scorrere sul suo letto (o viceversa), raramente deve avere avuto la stessa direzione della linea di massima pendenza della faglia, quindi lo scorrimento prodotto da questa spinta dovette effettuarsi il più delle volte se- condo una linea obliqua alla linea di massima pendenza. Per questo fatto è ovvio che le singole emanazioni metallifere dopo avere attraversato i terreni del letto della faglia, incontrando il piano della faglia stessa , trovarono più facile, nella loro salita verso Festerno, farsi strada seguendo la direzione stessa dello scor- rimento subito dal tetto. Ad ognuna di queste emanazioni dovet- tero corrispondere altrettanti allargamenti scavati nella faglia e corrispondenti ingrossamenti delle concentrazioni metallifere, ossia altrettante colonne le quali tutte dovettero disporsi secondo la di- rezione dello scorrimento e perciò parallelamente. Le stesse emana- zioni si estesero per il piano della faglia per grandi tratti, però, allontanandosi dall’asse mediano della colonna, l’azione erodente delle correnti metallifere fu meno intensa e, conseguentemente, riu- scirono gradatamente meno potenti le concentrazioni metallifere. In altre parole gl’ ingrossamenti dei filoni, detti colonne, \ quali s’in- contrano susseguiti da restringimenti, rappresentano tanti isolati SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 153 centri di emanazione idrotermale metallifera che vennero ad incon- trare il piano della faglia e lungo questo piano corsero parallela mente verso l’esterno nella direzione della spinta che produsse il movimento di una parete sull’altra parete della faglia. § 4. Giacimenti fra il calcare retico. Nel Massetano s’incontrano giacimenti metalliferi, non solo alla base del calcare retico ma anche, come vedremo, al tetto del calcare retico al contatto cogli scisti eocenici. Le emanazioni metallifere per formare questi ultimi giacimenti dovettero necessariamente essere prima passate attraverso fratture del calcare retico e qui formare delle concentrazioni metallifere le quali, per rispetto a quelle che si formarono superiormente al con- tatto degli stessi calcari cogli scisti eocenici, devono avere analo- gìa con i filoni di frattura che abbiamo visto esistere fra gli scisti permici. I giacimenti fra i calcari retici devono, in conseguenza, incon- trarsi nelle regioni stesse e sottostanti ai giacimenti posti al contatto fra i calcari retici e gli scisti eocenici e, se finora nel Massetano ven- nero riconosciuti pochi giacimenti metalliferi fra i calcari, egli è perchè i loro affioramenti generalmente rimangono coperti dagli scisti eocenici. Questi giacimenti metalliferi fra i calcari devono presentarsi irregolari, sia perchè le fratture dei banchi di calcare presentano tanto maggiore irregolarità che non quelle dei banchi scistosi, sia perchè i calcari permettono di essere erosi dalle soluzioni metallifere e formano vuoti più irregolari entro cui si depositarono i minerali. Nel Massetano il più esteso giacimento di contatto fra calcare retico e scisti eocenici è quello posto a nord est di Massa Marittima, il quale a partire dalla Niccioleta e Val d’ Aspra si dirige a sud per circa 6 km. fino a Poggio Sciamagna o Bandita di Prata. Egli è solo sotto questo giacimento nelle località Niccioleta e Val d’ Aspra, dove le erosioni asportarono gli scisti eocenici, che si vedono afflo 154 P. TOSO rare i seguenti due giacimenti di Niccioleta e Val d’ Aspra posti tra i calcari. Un’altro giacimento fra i calcari retici venne incontrato coi lavori sotterranei alle Bruscoline, sottostante a quello di contatto cogli scisti eocenici e di esso si farà un cenno parlando di que- st’ultimo giacimento. Niccioleta. Ad est della Niccioleta nella Valle dello Stregalo s’incontrarono molti pozzi antichi aperti nel calcare retico che arrivano a profon- dità fino a 150 metri. Coi lavori eseguiti nell’anno 1897 si penetrò entro alcuni dei tanti vuoti scavati dagli antichi, entro cui si tro- varono le pareti ancora tappezzate di calamina, avendo gli antichi scavata solo la calcopirite e la galena. S’incontrarono pure alcune lenti ancora vergini formate da calamina, pirite cuprifera e blenda dis- seminata quasi uniformemente nel minerale con piccole proporzioni di galena. La galena predomina nelle zone più superficiali del cal- care retico. In una galleria scavata fra il calcare, ma verso la super- ficie, venne trovato un’abbondante quantità di noduli di galena con piccola quantità di blenda e pirite, noduli che erano disseminati in una massa argillosa. Questa galleria, che venne chiamata galleria del piombo, venne a dimostrare che il giacimento incontrato era affatto superficiale, non stato eroso perchè compreso in una depres- sione formata dal contatto superiore del calcare retico cogli scisti eocenici, e perciò questa concentrazione di galena pare si possa già ascrivere fra quelle di contatto, anziché fra quelle di frattura fra il calcare retico. Dal complesso dei lavori eseguiti si riconobbe che il giaci- mento della Niccioleta è formato da una serie di fratture nel calcare attraverso cui s’infiltrarono le emanazioni metallifere e formarono masse irregolari di minerali che s presentano come ristrette vene, che talora assumono irregolari ingrossamenti, aventi generalmente una direzione circa Nord- Sud con una piccola inclinazione verso Est. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 155 Val d' Aspra. A sud della Niccioleta s'incontra una striscia, parzialmente in- terrotta, di affioramenti di minerali di ferro, diretta nord sud e per una lunghezza di circa 3 km. I lavori eseguiti dimostrarono che questi affioramenti ferriferi rappresentano estese testate di diverse colonne che in profondità vanno molto assottigliandosi, mantenendos però sempre continue. II minerale di Vai d’ Aspra è formato da limonite, da ocre, rara- mente incontrasi oligisto. In molti punti il minerale contiene una percentuale relativamente rilevante di rame. La maggior quantità di minerale di ferro a Val d’ Aspra trovasi alla superficie e siccome in alcuni punti il minerale presentasi ricoperto dagli scisti eocenici, stati in gran parte erosi, puossi con- siderare questo giacimento piuttosto come di contatto fra i calcari retici e gli scisti eocenici, anziché fra i calcari. Per dimostrare come le colonne di minerale di ferro fra i calcari rappresentino solo esili generatrici del giacimento di contatto, ricorderò i seguenti dati. Con una galleria detta Baderna, lunga 560 metri, scavata nel calcare retico per incontrare in profondità gli ammassi ferriferi super- ficiali detti Terra Rossa, Giglio I, Giglio II, non s’incontrarono che tracce di minerali. Con un’altra galleria detta Germania, lunga 550 me- tri, pure aperta nel calcare retico, si penetrò sotto un’antica galleria detta dei Morti riconosciuta mineralizzata, si trovarono tre colonne di minerale aventi una potenza non superiore a dieci metri. In fine colla galleria Emilio, lunga 350 metri si rinvennero due colonne aventi rispettivamente un diametro di 15 e 20 metri. Concludendo: I giacimenti metalliferi del Massetano compresi nel calcare retico risultano di piccola importanza industriale; essi, rispetto ai giacimenti posti al contatto fra calcare retico e scisti eocenici hanno gli stessi rapporti dei giacimenti racchiusi fra gli scisti permici con quelli del contatto fra gli stessi scisti ed il calcare retico. 156 P. TOSO § 5. Giacimenti al contatto FRA IL CALCARE RETICO E GLI SCISTI EOCENICI. Questi giacimenti molto numerosi nel Massetano, furono i soli coltivati dagli antichi, perchè contenenti calcopirite e galena; gli antichi trascurarono naturalmente i filoni quarzosi cupriferi sopra descritti, perchè agli affioramenti essi si presentano come ammassi quarziferi sterili, spugnosi, privati dei minerali di rame già racchiusi fra il quarzo, minerali stati disciolti dalle acque superficiali ; sia perchè le piriti cuprifere quarzose erano troppo povere per essere trattate per via ignea, non essendo dagli antichi conosciuto il trat- tamento di quei minerali poveri per via umida. Attualmente non si hanno miniere attive che coltivino giaci- menti posti al contatto fra calcare retico e scisti eocenici. Si fe- cero però recentemente delle ricerche sopra uno di questi giacimenti lasciato intatto dagli antichi, il quale affiora nella regione Altini presso Massa Marittima ; questi lavori vennero ora sospesi per studiare il modo di risolvere il difficile problema dell’ esaurimento delle acque che qui invadono i banchi del calcare retico. Per rilevare la natura e l’andamento di questi giacimenti, mi limiterò a descrivere il giacimento delle Bruscoline perchè fu il più studiato coi lavori di ricerca eseguiti dalla Société Anonvme Belge, negli anni 1897 e 1898. Giacimento delle Bruscoline. La regione Bruscoline trovasi a circa 4 km. a nord-ovest della città di Massa, nella prosecuzione settentrionale del filone di Serra- bottini, lungo la quale si vedono affiorare rocce quarzose. Il cal- care retico alle Bruscoline emerge sotto la forma di una cupola tutto attorno ricoperta da scisti eocenici. I lavori di ricerca eseguiti dalla Société Anonyme Belge vennero sviluppati al contatto fra il retico e gli scisti eocenici per una lunghezza di circa 400 metri se- condo l’inclinazione e di circa 125 metri secondo la larghezza, ossia SUL MÒDO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECO. 157 secondo la direzione, nel versante sud-est del Poggio delle Bruscoline e vennero pure fatte ricerche entro la formazione calcarea del retico. Con questi lavori si sperava di trovare ancora ampie zone di giacimento intatte; invece si riconobbe come gli antichi esaurirono quasi completamente il giacimento fino al livello delle acque (m. 164 sul mare). Sotto il livello delle acque non si pensò di spingere i lavori, sia per l’abbondanza delle acque che si sarebbero dovute sollevare, sia perchè era da aspettarsi che si sarebbero deviate le sorgenti Venelle e con ciò provocati dei litigi. La natura di questo giacimento venne da me così descritta nella Rivista sul Servizio Minerario degli anni 1897 e 1898: « Nei lavori di coltivazione alle Bruscoline venne riconosciuto « come il minerale verso al tetto trovasi fra argille nere sotto forma «di noduli dove predomina la galena, oppure sotto forma di noduli «di calcite impregnata di solfuri misti: difficilmente il minerale «s’incontra per più di un metro di altezza negli scisti eocenici. Nei « punti ove il contatto è riccamente mineralizzato il tetto scistoso non « si presenta con una normale stratificazione, ma bensì sotto forma di «un’argilla rimaneggiata; dove invece il contatto è sterile, la strati- « ficazione degli scisti è ben marcata ed è distinta fino al calcare, il « quale al contatto è di color rossastro, tinta che va sperdendosi « allontanandosi dal contatto stesso. In una zona variabile, ma non « superiore al metro, si hanno nel calcare impregnazioni di blenda « e quasi mai di galena. La pirite è appena rappresentata. In un «punto solo si riscontrò a due metri dal contatto della calcopirite « pura, contornata da calcite ed in altro punto delle geodi di stibina. « I lavori antichi lasciarono sempre intatta la mineralizzazione nel « calcare e si scavarono i noduli di galena che si trovavano fra le « argille. « Fra il calcare retico si rinvenne un grande ammasso di gesso « che venne riconosciuto con un diametro di circa 100 metri e nei « pressi di tale ammasso si rinvennero lenti di calcare quarzoso are- « naceo ; tanto il gesso come il quarzo sono impregnati di noduli di « blenda e galena. 158 P. TOSO << L’asse maggiore di questa colonna è diretto NO -SE, ossia essa « troverebbesi sul prolungamento del filone di Serrabottini. Siccome « poi nell’intervallo che separa quest’ultimo filone dal giacimento «delle Bruscoline, nel piano della Valle di Massa Marittima, s’in- « contrano vari promontori di calcare retico ricoperto da materiale « quarzoso, ciò parrebbe indicare ché la colonna gessosa trovasi « sulla stessa frattura attraverso la quale emersero le emanazioni « metallifere che diedero origine al filone di Serrabottini e al giaci- « mento di Bruscoline, le quali erano accompagnate da gas solfidrici « che trasformarono lungo il loro passaggio il calcare retico in « gesso )). Quando io scrivevo questi cenni sul giacimento di Bruscoline, mentre trovavo ovvia l’esistenza fra i calcari retici di ammassi ges- sosi quarziferi, più o meno metalliferi, che quantunque non ricono- sciuti in profondità era da ritenersi raggiungessero gli scisti per- mici, non riuscivo a spiegarmi per quali fenomeni le sorgenti metallifere, dopo aver attraversato quasi verticalmente i ' banchi di calcare, fossero andate a circolare in alto, limitatamente e lungo al tetto del calcare retico, in contatto cogli scisti eocenici e qui avessero potuto dare origine ad un giacimento metallifero regolare stratiforme di grande estensione. Restava poi ancora tanto più inesplicabile il fatto che gran parte della mineralizzazione aveva sede fra gli scisti argillosi sem- pre ritenuti come impermeabili alle soluzioni metallifere. Per amor di brevità mi limito a fare osservare che la stessa genesi attribuita ai filoni di scorrimento di Valle Buia e di Boccheg- giano viene a spiegare perfettamente tutti i suddetti fenomeni che presenta il giacimento di Bruscoline che perciò devesi ritenere un filone di scorrimento. Porto l’attenzione su due fatti caratteristici di questo giaci- mento e cioè: I. Gli scisti del tetto si presentano rimaneggiati limitata- mente nella zona mineralizzata, mentre essi sono regolarmente stra- tificati e compatti dove il contatto è sterile. Questo identico fatto, Sul modo di formazione dei principali giacimenti metalliferi, ecc. 150 che vedremo ripetersi anche nei giacimenti cupriferi ofiolitici posti al contatto fra diabase ed eufotide, viene a provare che l’estensione di questi giacimenti rappresenta l’estensione della via seguita dalle emanazioni metallifere lungo il contatto fra calcare retico e scisti, ove esse provocarono l’erosione del tetto scistoso ed anche la caduta di blocchi che vennero rimaneggiati dalle correnti vaporose. II Che questi filoni di scorrimento sono in alto formati in prevalenza da noduli di galena disseminati nelle argille, mentre la blenda e la calamina è frammista col calcare limitatamente alla zona più alta del calcare. La galena depositandosi da soluzioni fangose non quarzose assunse la forma di noduli tondeggianti. Questi due fatti sono caratteristici per tutta la regione Massetana, ed infatti, come già ho ricordato, alla Niccioleta la galleria detta del Piombo s’incontrò in prevalenza in noduli di galena, perchè, la galleria lambiva una depressione superficiale del calcare ricoperta dagli scisti. Analogo fatto si verificò alla Lecceta, regione posta a sud-est di Massa Marittima. Anche qui nei punti dove la superficie del calcare retico presenta delle cavità, le quali non permisero l’erosione degli scisti ecocenici soprastanti, s’incontrano noduli di galena e pezzi di calamina i quali ultimi portano ancora tutto l’aspetto del calcare alberese stato metamorfosato dalle soluzioni mineralizzanti. Anche nella regione posta fra gli abitati di Ravi e Caldana s’in- contrano dei noduli di galena pura o frammista con calcopirite, sparsi irregolarmente sulla superficie del terreni fra le argille. Vennero qui fatti alcuni scavi, ma non si riusci a trovare i rapporti fra questi tro- vanti ed il giacimento primitivo; pare però non dubbio debba esi- stere nella regione un analogo giacimento di contatto fra calcare retico e scisti eocenici travolto dalle frane degli scisti che lo con- tenevano. Questo modo di presentarsi dei minerali a nodo fi pare generale 1 quando la mineralizzazione è formata fra gli scisti, ed il Lotti lo ri- I corda pure nel giacimento di Vagli nelle Alpi Apuane, il quale trovasi ^ analogamente a quello delle Bruscoline al contatto fra la formazione I calcarea dei marmi apuani e la formazione scistosa immediatamente 160 P. TOSO sovrapposta ai marmi stessi. Qui il rame si trova, come scrive il Lotti, allo stato di erubescite compatta in forma di venule e masserelle amigdaloidi. Giacimento detto Scar icone presso Val Aspra. Presso Val d’ Aspra, a fianco della massa ferrifera succitata, in una ricerca detta lo Scaricone si rinvenne un giacimento fra il cal- care retico e gli scisti eocenici, la cui sezione geologica venne dal Lotti rappresentata dal seguente schizzo : eyScis/i argillosi e cafcan eocenici ] Qnorxo cherwficL parte inferiore cfiriene ferragmoso e racchiude so tfati òasìci di pis>inbo, T(\x\)Ossidi manganese. cì)Ca/an?ina. r) Calca re refico. Fig. 6 — Sezione trasversale del giacimento detto Scaricone presso Val d’ Aspra. Anche qui troviamo che i minerali di zinco interessano più i cal- cari: i minerali di piombo stanno verso l’alto cogli scisti eocenici. Que- sto giacimento diversifica da quello delle Bruscoline, inquantochè i minerali di piombo si trovano compresi fra il quarzo e quindi non prendono più la forma di noduli isolati. Questa ricerca venne ab- bandonata. Sul doppio giacimento metallifero incontrato a Val d' Aspra, di cui uno al contatto superiore e Valtro al contatto inferiore del calcare retico. Dopo che si scoperse resistenza nel Massetano d’importanti giacimenti piritosi al contatto fra il calcare retico e gli scisti permici, si esegui una ricerca in Val d’ Aspra, nel punto dove l’attività endo- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 161 gena dovette essere massima, a desumere dalla potenza del gia- cimento tra calcare retico e scisti eocenici, ricerca che aveva per scopo di riconoscere se qui era mineralizzato anche il contatto fra calcare retico e scisti permiani. All’uopo si riparò un vecchio pozzo verticale, che dopo avere attraversato tutta la potenza del calcare retico già aveva raggiunto gli scisti permici e dal fondo del pozzo si scavò per circa 150 me- tri una galleria al contatto tra le due formazioni e si incontrò una lente di pirite frammista a scisti permici analoga a quella di Valle Buia, ma di una potenza solo di circa un metro. Anche nel Massetano si verifica perciò il caso di due giaci- menti metalliferi posti l’uno a tetto e l’altro a letto del calcare retico, al contatto cogli scisti, analogamente a quanto si osserva nei giacimenti metalliferi del Laurium in Grecia. E’ noto come i principali giacimenti del Laurium trovansi al contatto fra calcari cristallini e scisti micacei che si alternano fra loro, dando luogo a tre contatti metalliferi. Oltre a questi giacimenti si hanno dei filoni di frattura che attraversano scisti e calcari. Per spiegare questo curioso fenomeno che le concentrazioni metallifere si depositarono per grandi estensioni, limitatamente ai contatti cogli scisti, Haton de la Goupillière, nel suo noto Cours de r E xploitation des Mines, dà la seguente spiegazione basata sull’esi- stenza di banchi più o meno ribelli all’azione dei liquidi minera- lizzanti e così egli al ritardo scrive: « Les bancs rébelles à l’ action des liquides minéralisants ont « formò eri quelque sorte des barrages qui en génant la circulation «des eaux, les ont amenées à s’étendre au largo au dessous de cet « écran, de manière à de^elopper leurs actions dans cotte région. C’est « ainsi que dans la formation du Laurion, où les calcaires alternent « avec les schistes, le gisement de plomb et de zinc s’épanouit dans « le calcaire à chaque contact de cotte conche avec un banc schisteux «qui le surmonte ». Ho ricordato questo modo di spiegare i giacimenti del Laurium per mettere in rilievo come, considerandoli invece come due filoni 4 162 P. TOSO di scorrimento originati contemporaneamente dalle stesse soluzioni metallifere, tanto meglio si comprende l’andamento assunto dalla mineralizzazione nelle miniere del Laurium ed a Val d 'Aspra; § 6. Giacimenti fra gli scisti eocenici. Sono conosciuti due di questi giacimenti e cioè quello di Mon- toccoli e quello coltivato dalle tre miniere Fenice, Capanne Vecchie e Carpignone. Dirò solo di quest’ultimo e cioè del più importante, non essendo quello di Montoccoli oggetto di lavorazione. Giacimento della Fenice. E’ questo formato da una massa filoniana compresa fra gli scisti eocenici, la quale misura circa 4 km. di lunghezza ed è oggetto di tre coltivazioni attigue portanti il nome di Fenice, Capanne Vecchie, e Carpignone. Il giacimento presenta grande analogia con quello di Boc- cheggiano, ha cioè la stessa direzione nord -sud, la stessa inclina- zione ad est di circa 40^ sull’orizzontale. Anche esso forma degli ingrossamenti di potenza, ossia delle colonne, susseguiti da restrin- gimenti. Si contano 6 distinte colonne a cui si diede il nome di Nord, Val Calda, Alborello, Salerno, Paolo, S. Cerbone, le quali misurano una potenza fino a 20 metri e presentano continuità verso la profondità. Due fatti caratterizzano questa massa filoniana quarzoso- piritosa e cioè : D in corrispondenza alle colonne succitate s’incontrano, fuori filone, delle concentrazioni di minerale che in alcuni punti si spinsero fino a 50 metri oltre l’ordinario tetto del giacimento. In queste concentrazioni è minore la quantità di quarzo e conseguente- mente lo scavo di questo minerale riesce più facile. 20 il minerale è una pirite con molta ganga quarzosa. Dalla cernita si estrae un minerale detto di prima, avente circa il 10 % di SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 163 rame ; il minerale ordinario contiene il 2.5 % di rame ed il 14 % di zolfo. Se noi paragoniamo questo minerale con quello di Boccheggiano, che aveva lo stesso tenore in rame ma il 25 % di zolfo, deve de- dursi che quest’ultimo ha una percentuale quasi doppia di pirite di ferro per lo stesso tenore in rame. In altre parole, se nei due mine- rali si considerano i soli solfuri metallici e si fa astrazione della ganga, quello della Fenice ha circa una ricchezza doppia in rame in confronto di quello di Boccheggiano. Per questo motivo il trat- tamento per via umida del minerale alla Fenice sempre presentò maggior facilità e diede maggior rendimento, perchè la cementa- zione del rame si fa tanto meglio e con minor consumo di ferro, se minore è la proporzione di solfato acido di ferro esistente nelle acque di lisciviazione. Nel giacimento della Fenice si verificò pure il fatto che il mi- nerale colla profondità andò man mano perdendo della sua ric- chezza in rame e ciò indipendentemente dal fenomeno, verificatosi anche a Boccheggiano, che sotto agli affioramenti formati da quarzo poroso, cariato, sterile, il minerale per un tratto di circa 20 metri segnava una speciale maggior ricchezza dovuta al rame solfatizzato che le acque qui trascinarono. Nel giacimento della Fenice verso sud, cioè verso il Carpignone, dove esso interseca il calcare retico, predominano i solfuri misti, analogamente a quanto succede nel filone di Boccheggiano. Il filone della Fenice è costituito da banchi quarzosi , entro cui sta disseminata in modo irregolare la pirite cuprifera. La mag- gior mineralizzazione si ha nel letto del giacimento, al tetto poi si hanno banchi di quarzo cuprifero alternati con lenti argillose. Lenti di scisto argilloso-lenticolari, talora di 5 metri di lun- ghezza, interpongonsi pure alla massa quarzosa. In un punto anzi una massa lenticolare di scisti suddivide il giacimento in due rami, che si riuniscono nuovamente dopo 20 metri di lunghezza della lente stessa. Tanto al letto come al tetto del giacimento stanno numerosi banchi silicizzati piritiferi alternanti con letti ar- gillosi. 164 P. TOSO La sezione geologica di questo giacimento può essere rappre- sentata dal seguente schizzo : {)Scìs ti permiani. Calcari retici Scisti eocenici , Yig. 7 — Sezione attraverso il giacimento della Fenice Massetana. Sull’ estensione in profondità del giacimento della Fenice. Ho accennato come del giacimento di Boccheggiano si conobbe il termine in profondità e come il suo arrestarsi bruscamente ad una relativa piccola profondità sia anzi uno dei caratteri prin- cipali dei filoni di scorrimento, mentre i filoni di frattura si spin- gono a grande profondità verso il magma interno, col quale essi sono in diretto rapporto. Viene ora ovvia la domanda se esistono argomenti per desumere fino a quale profondità potrà spingersi il giacimento della Fenice. Dirò subito che teoricamente, per le considerazioni su esposte, si deve dedurre che il giacimento della Fenice deve prolungarsi SUL MODO DI FOKMAZIONE DEI PlilNCIPALl GIACIMENTI METALLIFERI, ECO. 105 in profondità per tutta la formazione eocenica ed in seguito pro- trarsi fra i banchi di calcare retico fino airincontro degli scisti per- miani, dove deve trovarsi il filone di frattura generatore {aa, vedi fig. 7), Ciò si può dedurre anche per altre considerazioni. Prima che venisse scavata la grande galleria di scolo lunga circa 3 km., che attualmente esaurisce tutte le acque della miniera, se ne aveva un’altra situata ad un livello di circa 60 metri più alto. La portata delle acque che uscivano da quest’ultima galleria era di circa 15 litri al secondo: la portata dell’attuale ribasso è nelle magre di circa 150 litri. Tale straordinario aumento nella portata delle acque che scaturiscono dal sotterraneo, non può dipendere che in minima parte dal maggior sviluppo in direzione dei cantieri sotterranei, perchè esso fu insignificante e gli affioramenti devono perciò raccogliere pressoché la stessa quantità di acqua piovana, mentre d’altra parte le pareti del giacimento, per essere formate da scisti sono impermeabili alle acque. La causa di questa maggior portata delle acque sotterranee deve ricercarsi nel maggior dislivello di 60 metri della nuova gal- leria di ribasso. Questa viene a ricevere non solo le acque piovane filtrantesi attraverso gli affioramenti, ma anche le acque sotterranee che salgono lungo la massa quarzosa metallifera, la quale per po- tere ricevere queste acque deve necessariamente spingersi in basso, non solo fra gli scisti eocenici, ma arrivare tra i calcari sottostanti acquiferi. Naturalmente la portata di queste sorgenti sotterranee è in funzione del dislivello che colla nuova galleria di ribasso venne a formarsi fra di essa ed il livello del bacino acquifero dei calcari. Queste considerazioni, mentre fanno ritenere che il giaci- mento della Fenice si spinga fra i calcari per arrivare agli scisti permiani, fanno escludere l’idea che il giacimento stesso debba considerarsi come una sostituzione chimica ad uno strato o com- plesso di strati calcarei intercalati fra gli scisti eocenici. Ricorderò come, nei rapporti della coltivazione delle parti più profonde di questo giacimento, non sia più possibile scavare altre 166 P. TOSO gallerie di scolo più basse, a motivo della piccola altezza sul li- vello del mare dell’attuale ribasso e, se si vorranno approfondire i lavori, si dovrà andare incontro ad ingenti spese per sollevare ac- que che in progressione crescente aumenterebbero colle maggiori profondità dei lavori sotterranei. Modo di formazione. Per coloro che si dedicano alle miniere del Massetano deve in- teressare la soluzione del problema della genesi del più importante giacimento della regione, perciò svolgerò qui più particolarmente le ragioni per cui esso debbasi ritenere un filone di scorrimento anziché uno strato o complesso di strati calcarei eocenici stati mi- neralizzati, come finora venne ritenuto dal Lotti. Le ragioni da lui addotte per sostenere tale ipotesi (vedi: Me- moria descrittiva della carta geologica d’ItaMa- Geologia della To- scana - Roma, 1910) sono a pagina 338 così riassunte: 1.0 Concordanza del giacimento della Fenice con gli strati incassanti del tetto e del letto. Se in qualche punto nell’ interno della miniera in contatto con strati scistosi sembra affacciarsi qual- che eccezione, ciò è dovuto al diverso modo di comportarsi di rocce relativamente plastiche e di rocce rigide di fronte a movi- menti orogenici. 2.0 Presenza di veri strati di quarzo cuprifero al tetto e al letto dei grossi filoni -strati. 3.0 Stratificazione evidente in vari punti di questi grossi filoni. 4.0 Mancanza assoluta in essi di struttura simmetrica od almeno listata. 50 Inclinazione variabile e generalmente minore di 45o con- cordante coll’andamento generale degli strati eocenici incassanti. 6.0 Inclinazione in senso inverso e convergente verso il basso dei filoni di Capanne Vecchie e di Mont eccoli, distanti fra loro due km., in accordo con la sinclinale formata dal terreno eo- cenico. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 167 70 Interposizione di zone scistose di natura argillosa, cioè di rocce non sostituibili dentro la massa del filone. 8.0 Tenore notevole in allumina riscontrato nel quarzo, la quale allumina parmi poter rappresentare il residuo della sostitu- zione di calcari marnosi. 9.0 Inverosimiglianza del fenomeno di spaccature aperte con 15 a 20 metri di ampiezza ed un’inclinazione massima di 45o, L’origine per sostituzione è dunque appoggiata - così scrive il Lotti - a dei fatti e non ha contro di sè valide ragioni; l’altra per riempimento di spaccature non ha alcuna osservazione in favore, e contro di essa stanno le più grandi difficoltà. Le ragioni per cui appare invece giustificata l’ipotesi che il .giacimento della Fenice si sia ' formato entro i vuoti prodotti dallo scorrimento di una faglia, o meglio esso sia un filone di scorri- mento, potrebbero essere cosi riassunte: 1.0 Mentre non è dubbio che gli scisti eocenici racchiudano banchi calcarei anche di grossa potenza, intercalati cogli scisti, d’altra parte questi banchi, se non sono perfettamente regolari, hanno generalmente la forma di estese lenti, mai presentano quella di una serie di colonne o di ingrossamenti e restringimenti, come suolsi direa rosario, propria dei filoni, come si verificano alla Fenice. 2.0 Anche ammesso che possano essere eccezioni i punti (come quello da me accennato nella Rivista sul servizio minerario del 1892) della discenderia Salerno, dove al tetto del filone si os- servano strati regolari di scisti galestrini che pendono distinta- mente al nord, mentre il filone sottostante pende ad est, non si può ammettere che uno strato calcareo intercalato fra le formazioni scistose dotate di tante contorsioni, come gli scisti eocenici, abbia potuto mantenersi qui secondo un piano che si estende con tanta regolarità per 4 km. D’altra parte il parallelismo, incontrato in qualche punto fra il giacimento e gli strati del terreno incassante, può esser dovuto al fenomeno che si osserva di frequente, che presso le fratture susseguite da scorrimento, le testate dei banchi nei pressi della faglia si piegano e tendono a disporsi parallelamente alla faglia stessa. 106 P. TOSO 3.0 Si ha motivo, per le ragioni su esposte, di credere che il giacimento quarzoso-piritoso si spinga in profondità e s’insinui trU il calcare retico, e perciò esso non può essere la sostituzione metaso- matica di un banco di calcare eocenico. 4.0 Che la silice filoniana abbia, per un fenomeno metaso- matico, in molti punti sostituito il calcare alberese è cosa non dub- bia, perchè maggiormente mineralizzate sono le testate dei banchi di calcare che vanno contro il filone, ma questi calcari silicizzati portano ancora i caratteri esterni del calcare alberese, mentre la grande massa filoniana compatta non porta più tale aspetto. 5.0 La stratificazione di questi filoni quarzosi, la mancanza di struttura simmetrica, l’interposizione di zone scistose di natura argillosa, l’inclinazione di 40o, tutti 'questi fatti trovano una tanto più facile spiegazione se, invece di un filone di frattura, suppo- niamo l’esistenza qui di un filone di scorrimento depositatosi con- temporaneamente al movimento di scorrimento prodottosi nelle pareti della faglia. Le numerose faglie prodotte dal grande movi- mento orogenico che, come si disse, ebbe luogo dopo l’epoca eocenica nel Massetano, provano che debbono essere stati numerosi questi scorrimenti atti a convogliare nei piani di scorrimento stessi le nume- rose emanazioni metallifere della regione. § 7. Giacimenti interposti fra i graniti ED AL CONTATTO TRA I GRANITI E CALCARI TRIASSICI E RETICI. A circa un km. e mezzo a nord dell’abitato di Gavorrano (vedi tav. II), come pure nei pressi dell’abitato di Ravi, emergono sopra una ristretta superficie gli scisti permiani, che formano un’ellissoide in gran parte ricoperto dai calcari, avente un’asse longitudinale che si allinea secondo una direzione NNO-SSE. Questo sollevamento degli scisti permiani fu il campo di eru- zioni granitiche e di emanazioni metallifere ; le prime presentano alla superficie la forma di un ammasso il cui asse maggiore misura circa due km. ed è diretto circa a nord-sud con una larghezza me- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 109 dia di circa ^ km. Non si conosce la disposizione che prende questo ammasso granitico in profondità. I lavori sotterranei misero in rilievo : P che esso verso sud forma un esteso espandimento od una colata per cui i graniti ricopersero in alcuni punti i calcari ; al- trove, mancando i calcari, essi vennero direttamente a sovrapporsi agli scisti permiani ; analoghi espandimenti è a supporsi presenti l’ammasso granitico verso nord. 20 che verso ovest l’ammasso granitico termina con un’estesa parete liscia, formante un piano inclinato di circa 60 gradi sull’oriz- zontale, colla solita direzione NNO-SSE, parete fiancheggiata da calcari triassici e calcari retici. Verso est non si fecero che pochi lavori sotterranei e quindi non si conosce l’andamento da questa parte del /ammasso granitico ; ma, a desumere da una di- scenderia fatta a Monticelli, al contatto fra calcari e graniti, par- rebbe che qui la parete del granito sia pressoché verticale. Tutto fa ritenere che il granito formi un grande filone della potenza massima di circa 350 metri, il quale presenta alle due estremità nord e sud espandimenti che vanno a ricoprire gli scisti permici ed i calcari (vedi tav. I e II) ; che questo filone poi occupi solamente il tratto mediano di una frattura rettilinea lunga circa 5 km., la quale è segnalata: 1® a due km. a nord dell’abitato di Gavorrano, cioè al Bagno di Gavorrano, da una sorgente di acqua avente 35^ di temperatura con sviluppo di gas acido carbonico; 2® ed a due km. a sud di Ravi, lungo lo stesso allineamento, da un’altra sorgente intermittente di acqua calda, la quale ha dato il nome di Caldana al villaggio prossimo ad essa. Questa frattura deve essere stata accompagnata da scorri- mento, perchè lungo questo allineamento , e precisamente sulla strada che unisce Gavorrano con Ravi, fra il granito ed il calcare del Lias, interponesi, come osservò il Lotti, una breccia di frizione formata da frammenti calcari rilegati da calcite ferruginosa con minutissima pirite e vene di oligisto. La tavola II indica l’esten- sione dell’ammasso granitico e l’andamento della parete filoniana 170 P. TOSO granitica verso ovest, lungo la quale esistono i lavori della miniera di Gavorrano. Ricorderò per ultimo che tanto rammasso granitico come gli scisti permiani sono intersecati da filoni di granito tormalinif ero , con traccio di pirite, la cui eruzione si deve per conseguenza ritenere più recente. Questo sollevamento ad ellissoide formato dagli scisti permiani fu pure un eentro di emanazioni metallifere ed attualmente le sorgenti termali di gas carbonico e d’acido solfìdrico segnano l’ultimo stadio dei fenomeni endogeni che si susseguirono in questa regione. Giacimenti pir itosi di Gavorrano e di Ravi. I lavori eseguiti in questa regione scopersero successivamente quattro differenti, concentrazioni metallifere di cui farò un parti- colareggiato cenno, per conchiudere poi, come esse in ultima analisi, non sono che il deposito formato dalle stesse soluzioni vaporose metallifere nel percorso da loro fatto attraverso terreni di di- versa natura. a) Banchi di pirite racchiusi tra i graniti. I primi lavori in questa miniera furono aperti entro un banco di pirite a cui si diede il nome di Massa Praga, il quale am- masso affiora presso la sorgente detta Fontevecchia ai piedi del- l’abitato di Gavorrano. Esso ha la potenza di 6 metri, è formato di pirite quasi pura, a grossi cristalli, frammista ad un po’ di quarzo ad è completamente racchiuso nella grande massa granitica. La separazione fra granito e pirite è netta tanto al letto come al tetto. I lavori riconobbero che questo giacimento si limita ad un lembo isolato di banco di pirite disposto quasi orizzontalmente o meglio leggermente inclinato a nord, con un estensione superficiale di circa 100 X 30 metri. Questa concentrazione piritosa è rappre- sentata nel seguente schizzo colle lettere aa : Questa figura rappresenta una sezione geologica secondo un piano verticale est ovest, o più precisamente secondo xy (Vedi SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 171 Tav. II), passante per il Pozzo Principale della Miniera. Essa indica la disposizione ipotetica delle quattro concentrazioni piritose di cui si dirà in appresso. I lavori di scavo eseguiti in questi ultimi tempi dimostrarono esistere allo stesso livello Fonte vecchia fra i graniti un altro lembo di banco piritoso parimente isolato, chiamato in miniera Massa Cambi per distinguerlo dal precedente detto Massa Praga. Tutti e Sezione OC-y de//a Tav.//. due hanno la stessa potenza con piccoli rigetti ed un’inclinazione a nord un po’ più accentuata per Massa Cambi, inclinazione presso che uguale a quella della superficie esterna che qui presenta il monte granitico. Con un livello detto S. Barbara, sottostante a quello di Fon- tevecchia s’incontrò un’altra Massa piritosa fra i graniti segnata colle lettere hh detta Risorgimento, avente gli stessi caratteri delle due precedenti, ma però con una potenza costante di soli due metri. Tutte queste masse piritose isolate, comprese fra i graniti ven- nero scoperte perchè si estendono fino al contatto dei graniti colle formazioni sedimentarie, contatto stato seguito con lavori a diversi li- 172 P. TOSO velli. Questa disposizione del giacimento piritoso giustificò la supposi* zione che esso fosse un esempio raro, ma non dubbio, di un giaci- mento d’ inclusione fra rocce acide prodotto per concentrazione magmatica. Osservando il vuoto prodotto dagli scavi eseguiti per la colti- vazione di queste masse piritose e vedendo il tetto ed il letto for- mato da superficie piane e parallele, si ha Timpressione di una coltivazione di un regolare banco sedimentare e, a motivo poi della regolarità della potenza della pirite e del suo distacco netto dal granito, sia a tetto come a letto, si è indotti ad escludere che que- ste lenti piritose comprese fra il granito possano essersi prodotte da una differenziazione magmatica della pirite dal granito. Non saprei come spiegare altiiimenti queste concentrazioni pi- ritose, se non ammettendo che esse rappresentino dei lembi di banchi di calcare stati avvolti dalFeruzione granitica, lembi di cal- care che in seguito vennero mineralizzati dalle soluzioni metallifere (forse durante la formazione dei filoni tormaliniferi), le quali pene- trarono fra rotture subite tanto dalla formazione granitica, come dagli scisti permiani e vennero a sostituire con processo meta- somatico questi lembi di calcare racchiusi fra il granito stesso. Questa spiegazione parrebbe essere confermata dalla scoperta fatta dalFingegnereC. Martelli di alcuni campioni di calcare cristal- lizzato racchiusi fra la pirite di questo giacimento. b) Concentrazioni piritose al contatto fra graniti e scisti calcarei. Più tardi si scopersero nella miniera di Gavorrano a fianco dei banchi di pirite su accennati, delle concentrazioni piritose di ben maggiore importanza, non più poste entro l’ammasso granitico, ma al contatto fra il granito ed i calcari triassici, sotto forma di colonne filoniane. La sezione verticale indicante queste nuove concentrazioni è indicata nella figura 8 colle lettere a, 6, e. Esse formano una massa SUL MÒDO Di LOUMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLrPEHI, ECC. 173 piritosa filoniana, diretta pressoché nord-sud, con inclinazione di circa 60*^ ovest, che lambisce la parete occidentale del grande filone granitico; ed è costituita da una serie di colonne isolate che raggiungono potenze di circa 15 metri, le quali son continue verso la profondità. Questo giacimento di contatto fra graniti e calcari trassici ha cioè grande analogia coi grandi filoni di Boccheggiano e della Fenice. Il minerale è formato da una pirite quasi pura, cristallina, con piccole proporzioni di quarzo senza tracce di rame. A letto verso i graniti la separazione della pirite è netta: in- vece a tetto questo giacimento è formato da un’alternanza di strati di pirite con rocce quarzose ed argillose molto alterate. La stratifica- zione dei banchi di calcare e scisti triassici presso ai tetto del gia- cimento metallifero appare molto sconvolta e quasi concordante col giacimento e quindi col granito, ma a qualche distanza dal tetto si verifica che gli strati calcarei, pur pendendo a nord-ovest, vanno .quasi pianeggiando e quindi sono in stratificazione discor- dante col piano di contatto coi graniti, piano che, come si disse, presenta una superficie regolare e liscia. E’ degno di osservazione il fatto che le colonne od ingrossamenti del giacimento aumentano sensibilmente di potenza colla profondità e ciò analogamente a quanto si osservò nel giacimento di Valle Buia. Secondo la direzione il giacimento pare che abbia una note- vole estensione; a nord dei lavori attuali della miniera, gli scavi non poterono estendersi perchè essi si sarebbero portati sotto l’a- bitato di Gavorrano; si procedette cogli avanzamenti verso sud e qui si riconobbe che la potenza del filone è sempre piccola nei livelli più alti e va crescendo nei livelli più profondi. Il giaci- mento stesso è in diversi punti intersecato da filoni di granito tor- malinifero che attravesano il dicco granitico e s’inoltrano entro la formazione sedimentaria. Questa massa piritosa per essere co- stantemente a contatto col granito venne pure supposta essere il prodotto della differenziazione magmatica delle piriti dai graniti. Se si considerano i diversi dati caratteristici di questo giacimento e cioè r aumento di potenza colla profondità l’alternanza verso il 174 P. TOSO tetto di strati di argilla con strati di pirite, si è indotti a credere invece, che anche questo giacimento possa definirsi come un filone di scorrimento che deve la sua genesi al processo pneumatolitico, come tutti gli altri giacimenti del Massetano fin qui presi in esame. c) Concentrazione di pirite fra i calcari scistosi triassici. ■ Xell’eseguire i lavori preparatori onde coltivare la detta concen- trazione di pirite del contatto coi graniti, ad un livello inferiore di 30 metri sotto la galleria di ribasso, si scavò in pozzo verticale segnato nella fig. 8 colle lettere P. F. ed una traversa F. e. che dallo stesso pozzo va alla galleria di ribasso e. Questa traversa di- partendosi dal giacimento incontrò dapprima banchi di calcare scon- volti che dopo divennero di poco inclinati sull’orizzontale portando sempre indizi di pirite. A 80 metri dal filone ed a circa 50 metri dal pozzo s’incontrò, intercalato fra i calcari, un banco di 6 metri circa di potenza di pirite, inclinato verso ovest di circa 15® (cioè verso il pozzo PF), segnato nello schizzo con le lettere gg. Coll’approfondamento del pozzo, a 18 metri sotto la galleria di ribasso, s’incontrò la pirite che venne attraversata col pozzo per circa 20 metri senza avere an- cora raggiunto il letto del giacimento. Questa scoperta fu interessante, economicamente perchè arric- chì la miniera di un nuovo importante giacimento non ancora cono- sciuto, geologicamente perchè si venne a precisare che a Gavorrano la mineralizzazione non trovasi solo all’ immediato contatto coi graniti, ma anche fra i calcari; e perciò sia da scartarsi l’ipotesi che la pirite nel giacimento di Gavorrano sia dovuta alla differenzazione magmatica del granito. d) Concentrazioni piritose di Ravi. P Ammasso piritoso del Gr ottone. La scoperta del giacimento di Valle Buia, colla quale venne dimostrata resistenza di grandi ammassi piritosi al contatto fra gli scisti permiani ed il calcare retico, indusse ad eseguire un’ inda- gine fra gli scisti permiani ed il calcare retico nella località detta StJL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERf, ECC. 175 Grottone, poco a nord delFabitato di Ravi, dove gli scisti permiani si presentavano silicizzati e si avevano affioramenti ocracei. Appena con una galleria di pochi metri, si fu arrivati al contatto degli scisti permiani coi calcari s’incontrò una potente massa piritosa con mine- rale ricco a grossi cristalli e poco quarzoso. Verso il letto del giaci- mento la pirite si presentò, per una potenza di circa un metro, a piccoli element ed alternata con elementi argillosi. Verso il tetto s’in- contrarono frequenti blocchi di calcare cristallino frammisti colla pi- rite. L’ammasso piritoso incontrato misurò in direzione circa 60 metri e dopo subi un restringimento. Essendo stato seguito il contatto verso nord, esso non diede che tracce di mineralizzazione, però il calcare retico si presentava metamorfosato e cioè cristallino. In profondità quest’ammasso cessò bruscamente tanto che da esso non si ricavò che circa 50,000 tonnellate di pirite. Una sezione passante per la linea di massima pendenza di questo giacimento sarebbe rappresentata dal seguente schizzo ; \) Scisti permiani 2,) Calcare retico .!>) Pirite , h)Cappeì(0 ocracee, ò) Vene di granito tomiattnifero. Fig. 9; Sezione attraverso rammasso piritoso del Grottone presso Ravi. 2) Ammasso piritoso presso la Fonte. A nord dell’ammasso del Grottone esiste un’altra concentra- zione piritosa che pare debba essere di importanza maggiore, per quanto si può desumere dalla potenza del cappello ocraceo che af- 176 P. TOSÒ fiora a circa 150 metri a nord dal Grottone, e più precisamente a monte della sorgente pubblica di Ravi. Qui però l’affioramento od i] cappello ocraceo suddetto è compreso fra gli scisti permiani ed una colata di granito. Per indagare se questo nuovo ammasso, di cui si conoscevano solo gli affioramenti, continuava in profondità si fece un pozzetto di ricerca col quale si attraversò tutta la potenza della copertura di granito e dopo 25 metri s’incontrò la pirite. La sezione di questo ammasso è data dal seguente schizzo : \') Scisti pernii ani. 2) Granito 3 )Min€raIe Cappello ocraceo. Fig. 10. Sezione attraverso rammasso piritoso detto della Fonte di Eavi. Dalla miniera del Grottone coll’avanzamento nord della galleria di ribasso, posta al contatto fra scisti e calcari, si tende a questa se- conda massa piritosa. Accennerò qui che mentre la società di Mon- tecatini stava con una galleria dal Grottone seguendo il contatto de- gli scisti per arrivare a questa seconda concentrazione detta della Fonte, i ricercatori Marchi & C., che da anni indagavano senza ri- sultato la regione posta più a sud dell’abitato di Ravi, iniziarono tosto lavori di scavo in un loro terreno situato poco lontano dal pozzetto succitato e tosto poterono raggiungere, con un altro pozzo, questo stesso ammasso di cui ora stanno sfruttando la parte compresa nella proprietà. Non tralascio dr ricordare come l’ammasso della Fonte presenta bensì all’affioramento una grande quantità di ocre, ma in profondità SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 177 sotto questo cappello di ferro il granito posa direttamente sulla pirite, o meglio, fra granito e pirite non esiste che un insignificante straterello di ossido di ferro. Questo fatto è importante perchè viene a dimostrare che le emanazioni metallifere sono posteriori alle eru- zioni del grande ammasso di granito. Ed infatti, se la pirite si fosse depositata precedentemente ai- fi eruzione granitica, essa sarebbe stata esposta all’azione dell’atmo- sfera e quindi dovrebbe presentare al tetto un’accentuata ossidazione che avrebbe dovuto essere poi ricoperta dalla colata di granito. Appare qui troppo evidente che il granito venne a ricoprire un banco di calcare e, posteriormente all’espandimento del granito, le emana- zioni metallifere, circolando al contatto degh scisti col calcare, per azione metasomatica, sostituirono con pirite gran parte del banco di calcare ricoperto dai graniti. Sul modo di formazione dei giacimenti della regione Gavorrano Ravi. Da quanto venne esposto sulle quattro diverse forme di concen- trazioni piritose di questa regione, parmi si possa desumere che lungo la direzione, pressoché nord-sud, presentata dalle emergenze degli scisti permiani, corrispondente all’asse di sollevamento di essi ed alla direzione assunta dal grande filone granitico, gli scisti per- miani dovettero subire molte profonde fratture, le quali servirono di passaggio ad eruzioni di granito dapprima e poi ad emanazioni me- tallifere, le quali si disposero fra le rotture tanto della grande massa granitica come fra quelle degli scisti permiani. All’uscita dagli scisti permiani ledette emanazioni metallifere (aa) si insinuarono al contatto fra gli scisti permiani ed i calcari, in ciò agevolate da scorrimenti e produssero una serie di concentrazioni piritose analoghe a quelle di Valle Buia, come lo dimostrano gli am- massi del Grottone e della Fonte. Nei 'punti invece, dove queste emanazioni nella loro ascesa verso fiesterno trovarono la via sbarrata dall’ammasso granitico, esse ne- cessariamente lambirono il contatto fra graniti e calcari, lungo il 178 P. TOSO quale contatto poterono facilmente circolare perchè agevolate da scorrimenti dei banchi calcarei avvenuti durante il periodo delle emanazioni metallifere stesse. Per conseguenza si può ritenere che a Gavorrano i giacimenti al contatto fra graniti e calcare non siano che un’apofìsi del giaci- mento principale che ha la sua sede fra scisti permici ed i calcari, apofisi che si incontreranno sempre più potenti in profondità fino all’incontro degli scisti permici. E’ perciò a supporre che al con- tatto fra calcare e scisti permici esisterà il giacimento principale sotto forma di una serie di ammassi isolati, ma che si prolunghe- ranno non interrotti fino a raggiungere le rispettive vene generatrici (a). Secondo questi criteri, approfondendo il suddetto pozzo verti- cale di Gavorrano dovrebbesi attraversare tutto la potenza del giacimento di contatto per raggiungere poi a letto gli scisti permiani. Quanto al banco incontrato fra i calcari triassici, parmi logico ammettere che anche esso non sia che un’altra apofisi del giacimento di contatto, formatasi dove forse i calcari subirono una dislocazione o frattura, lungo la quale vennero a insinuarsi le emanazioni metal- lifere, dipartendosi dal loro principale percorso lungo il contatto. L’andamento probabile che avranno in profondità le concen- trazioni metallifere di Gavorrano parmi perciò possa essere sche- maticamente rappresentata dalla sezione geologica superiormente segnata colla fig. 8. PARTE III. Sul quarzo che accompagna sia i giacimenti metalliferi del Massetano, come quelli antimoniferi della Toscana. I filoni di scorrimento di Boccheggiano e della Fenice sono formati, come si disse, da grandiose masse quarzose filoniformi con minerale irregolarmente disseminato. Troviamo pure quarzosi, ma con tanta minor quantità di quarzo, alcuni dei giacimenti al contatto fra calcare retico e scisti eocenici, come quello accennato detto SUL MÒDO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 179 Scaricone, mentre è quasi privo di quarzo il giacimento delle Bru- scoline. Nei potenti giacimenti piritosi al contatto fra scisti permiani e calcare retico, invece, la pirite è sempre pressoché esente di quarzo. Dalle osservazioni fatte sui diversi giacimenti del Massetano parmi si possa dedurre, come regola generale, che sono dotati di grande quantità di matrice quarzosa quei filoni di scorrimento for- mati da soluzioni vaporose aventi alta temperatura che tro- varono al tetto della faglia, o del piano di scorrimento, degli scisti argillosi; e non hanno che trascurabili quantità di quarzo quei gia- cimenti aventi un tetto calcareo, oppure se formati da soluzioni li- quide aventi bassa temperatura. Nei rapporti della formazione del quarzo fra i giacimenti la natura del letto non ha influenza. La ragione di questo fatto, a mio modo di vedere, deve anche ripetersi dalle conseguenze prodotte dallo scorrimento delle pareti dei filoni di scorrimento durante il deposito dei minerali. Ed infatti le soluzioni vaporose nel percorrere il piano di scorrimento do- vettero portare la loro azione quasi esclusivamente sul tetto che erosero e, se esso era argilloso, dovette avvenire lo scioglimento della silice dai silicati alcalini contenuti negli scisti argillosi e la silice prodottasi andò, frammista col minerale, a deporsi sul letto che venne cosi gradatamente ricoperto e posto subito fuori dal contatto delle soluzioni metallifere, mentre il tetto rimase costantemente scoperto. Quando invece il tetto è calcareo, le soluzioni metallifere non poterono trovare modo di arricchire di silice i depositi metal- liferi; la piccola quantità di silice che pur sempre si incontra può essere stata prodotta dalle pareti delle esili vene generatrici poste nei sottostanti scisti permici. Siccome l’alta temperatura favorisce energicamente la decom- posizione dei silicati alcalini, ne deriverebbe che le soluzioni liquide a bassa temperatura, generalmente accompagnate da acido carbo nico, produssero piuttosto matrici calcitiche anziché quarzose. I minerali che trovammo nei giacimenti al contatto fra cal- cari retici e scisti eocenici alle Bruscoline quasi privi di matrice quar- 180 P. TOSO zosa, sotto forma amigdalare o di noduli tondeggianti frammisti ad argilla, paiono prodotti da soluzioni metallifere vaporose, ctié però al loro arrivo al contatto superiore del retico già si erano raffred- date o divenute liquide. Possiamo perciò ritenere che la matrice quarzosa dei minerali non proviene dal magma interno, ma rappre- senta il prodotto della decomposizione dei silicati delle pareti filo- niane dovuta all’azione delle emanazioni metallifere dotate di alta temperatura. Una dimostrazione indiretta di questa deduzione la troviamo nel fatto che nei filoni di frattura, dove non avvennero scorrimenti delle pareti, il quarzo si limita generalmente solo a tappezzare la parete esterna del filone metallifero e cioè la parte del filone che sta a contatto colle rocce scistose incassanti. Nel libro già citato del Groddek, a pag. 79, sono segnate le figure 48,49,50 che indicano le sezioni dei filoni di frattura diFrei- berg: queste sezioni dimostrano che costantemente il quarzo si li- mita a tappezzare le pareti scistose dei filoni, le quali, una volta ricoperte dal quarzo, non vennero più intaccate dalle soluzioni me- tallifere e perciò fra i minerali metallici zonati, disposti simmetri- camente, nei più dei casi non s’incontrano elementi quarzosi. Anche nei giacimenti antimoniferi della Toscana troviamo po- tenti masse quarzose filoniane se ricoperte da scisti argillosi eoce- nici. Citerò ad esempio uno solo di essi e cioè quello di Pietra Tonda (Comune di Campagnatico) di cui qui sotto presento uno schizzo indicante la sezione geologica (fig. 11). Questo giacimento antimonifero è formato da un ammasso di quarzo compatto con una piccola percentuale di stibina disseminata nella massa calcedoniosa ed ha per tetto gli scisti argillosi eocenici e per letto il calcare retico. Noto come sugli scisti eocenici v’ha un banco di sabbie composte di quarzo quasi puro, contenente sporadicamente delle grandi masse amigdalari formate di argille refrattarie frammi- ste colle sabbie stesse. Queste sabbie vennero giudicate plioceniche. La prossimità di emanazioni metallifere può far dubitare che queste abbiano in- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLrFEIlI, ECC. 181 vece rapporti colla formazione di questo ammasso di sabbio quar- zose tormalinifere senza apparente stratificazione. moli ì fero. It) Sabbia qua r'zosa con /j'accio cfitùrniaììna eoi aminassi disaòbie frannnisfe vid arqi7/e refra/larìe 'ò)Terreno di riporto. Fig. 11 — Sezione attraverso il giacimento antimonifero di Pietra Tonda. Nel giacimento antimonifero di Casal di Pari avente a letto gli scisti permiani ed a tetto i calcari retici, il minerale è formato da ossidi d’antimonio senza ganga silicea. I giacimenti di ferro di Rio Marina (Elba), i quali, solo per ec- cezione contengono un po’ di matrice quarzosa, hanno un anda- mento ed una genesi analoga a quella formulata per Valle Buia ; an- che essi hanno al letto gli scisti ed al tetto i calcari. I giaci- menti di ferro elbani diversificano dal giacimento di Valle Buia solo perchè i primi presentano molte dislocazioni del letto formato da scisti siluriani, le quali apportarono una maggior irregolarità nella potenza del minerale, ed inoltre perchè per una gran parte il calcare venne eroso dalle soluzioni metallifere che qui depositarono piriti, state in seguito trasformate in minerali di ferro, e quindi i giacimenti fer- riferi appaiono a Rio Marina ed a Rio Albano sotto la forma di una serie di ammassi superficiali che riposano sulla formazione sci- stosa siluriana. 182 P. TOSO Alla miniera del Giove si coltiva un irregolare ammasso di mine- rali di ferro di forma colonnare compreso fra gli scisti siluriani, esso deve rappresentare uno dei filoni generatori delle grandi concentra- zioni superficiali. La sezione verticale del giacimento di Rio Marina è rappre- sentata dal seguente schizzo: Mare 1 ) Scis/i supposti si/iiriaiii Z ) Catt ure t/ussico 3 ) Miiiei ate. Fig. 12 — Sezione trasversale est ovest del giacimento di ferro di Eio Marina. Dal rinomato giacimento di ferro di Mokta el Hadid (Algeria) si ricava minerale avente il 60 % di ferro metallico senza matrice quarzosa. Anch’esso trovasi con un tetto calcareo e gli scisti al letto. Il Czyszkowski nella sua opera, Les minerais de /er(Sfc. Etienne, 1882), rappresenta questo giacimento colla seguente sezione (fig. 13) dove apparisce che il minerale trovasi parimenti al contatto fra scisti e calcari ed il calcare ne forma il tetto. Sulla serie dei minerali depositati dalle soluzioni metallifere NEL LORO PERCORSO ASCENDENTE. Le soluzioni metallifere nel loro corso ascendente dovettero depo- sitare dapprima i minerali meno solubili, i quali perciò debbono tro- varsi nei giacimenti verso la profondità, mentre i più solubili, come SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 183 per esempio i minerali cinabriferi, dotati anche di maggior volatilità, poterono essere trasportati più lontano verso la superficie e for- marono la parte più superficiale dei giacimenti stessi. Per questo fatto si ammette che i giacimenti cinabriferi nella loro profondità devono essere costituiti da solfuri di altri metalli più stabili e da ciò alcuni autori vorrebbero trarre la deduzione che se nei depositi metalliferi aventi solfuri metallici più stabili, come \)S'isfraf’gi^^ostmicacer. 2) Ca/can cipoUJ.ni , 3j Ferra. Fig. 13 — Sezione attraverso il giacimento ferrifero di Mokta el Hadid. per esempio quelli del Massetano, non troviamo nelle parti più super- ficiali minerali cinabriferi, egli è perchè la zona più superficiale di questi giacimenti venne col tempo erosa ed esportata dagli agenti esterni. Mentre non è dubbio che colla profondità i giacimenti metalli- feri debbano variare e presentare progressivamente minerali meno solubili, non credo si possa ammettere che tutti i giacimenti che presentano minerali tra i meno solubili, come quelli del Massetano, dovessero essere in origine dotati alla loro parte superiore di mi- nerali cinabriferi, attualmente mancanti solo perchè erosi. Abbiamo infatti già notato la grande analogia delle emanazioni metallifere che dovettero originare i giacimenti del Massetano con i soffioni boraciferi; ora dai soffioni ottenuti con profonde trivella- zioni abbiamo visto prodursi delle emanazioni vaporose che si get- 184 P. TOSO tano nell’ atmosfera a temperature non inferiori a 200° e questo fatto dimostra la possibilità che anche molte antiche emanazioni metallifere possono essere arrivate alla superficie tanto calde da non potere depositare i minerali più solubili, come il cinabro, i quali perciò andarono perduti nell’atmosfera. Lo studio delle diverse regioni minerarie portò a concludere solo come regola quasi generale che le dislocazioni avvenute in epoche geologiche più antiche, per avere rapporti con magma dotati di tem- perature più alte, diedero origine a soluzioni metallifere più calde ed il contrario suole succedere pei giaci r enti metalliferi più recenti ; non devesi però a priori escludere che anche in epoche recenti pos- sano essersi prodotti corrugamenti e fratture che interessarono grandi profondità, da cui si emanarono soluzioni tanto calde da arrivare alla superficie senza avere depositato i minerali più solubili. Devesi perciò concludere, che i giacimenti cinabriferi debbano essere in rapporto con fratture meno profonde che interessarono solo la zona più superficiale e più fredda dei magma interni, dalla quale zona, come accennammo, le fumarole emanano solo i corpi più volatili e ciò indipendentemente dall’epoca più o meno recente della catena montuosa che produsse queste fratture. Questa deduzione pare anche giustificata dal fatto che il cor- rugamento che produsse i giacimenti del Masse tano fu più accen- tuato, tanto da portare alla superficie formazioni più antiche, quali la permiana, mentre quello verificatosi al Monte Amiata non in- teressò che formazioni mesozoiche. Ciò premesso dirò come gli autori ritengono che non si possa stabilire precisamente quale sia la serie dei depositi fatti da una stessa soluzione a misura che andò raffreddandosi, coll’ avvicinarsi alla superficie, perchè le profondità dei filoni riconosciute coi lavori minerari sono relativamente piccole. Nel tratto di un km. di profon- dità, finora raggiunto coi lavori minerari più profondi, le soluzioni metallifere, racchiuse fra strette pareti nei filoni di frattura, non po- terono risentire che insensibili raffreddamenti. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 185 Però non credo sia cosi pei filoni discorrimento, i quali, perchè dotati di minor inclinazione sull’ orizzontale e j)erciò più j)rossimi alla superficie, dovettero risentire un maggior raffreddamento; inoltre negli stessi filoni di scorrimento le emanazioni metalliferevaporo.se, pel fatto che si espansero bruscamente per un esteso piano di scor- rimento, dovettero necessariamente in un breve percorso diminuire sensibilmente di pressione e di temperatura. La regione Massetana deve ai suoi numerosi filoni di scorrimento il fenomeno singolare che le stesse soluzioni metallifere emanatesi in diversi punti, formate da una miscela di minerali di ferro, rame, zinco e piombo, nel passaggio a traverso i diversi terreni sedimentari subirono una specie di dùtillazione frazionata in modo da formare tanti singoli giacimenti di diversa natura e cioè di pirite pura, pirite cuprifera, blenda, galena ed infine di n inerali misti. Esaminando i diversi filoni di scorrimento del Massetano si verifica costante la seguente serie nella deposizione dei minerali metallici col progredire del raffreddamento delle soluzioni nel loro cammino ascen- dente e cioè dapprima, a partire dal basso, predomina il deposito della pirite di ferro con piccola proporzione di calcopirite; in se- guito aumenta la percentuale della calcopirite di fronte a quella della pirite e cominciano ad apparire le prime tracce di blenda; piu in aito cessa quasi per intero la pirite per trovarsi solo più la calco- pirite con blenda o calamina; la galena è F ultima a depositarsi. Ed infatti nel giacimento di Boccheggiano, dove le emanazioni metallifere provenivano direttamente dagli scisti permiani, esse de- positarono una pirite tanto meno cuprifera che non alla Fenice dove le emanazioni metallifere effettuarono depositi quando avevano già attraversato tutto il calcare reti co. La percentuale media del minerale in rame di questi due gia- cimenti è bensì uguale e cioè di circa il 2.5 %, ma se si fa astrazione, come ho già osservato, della matrice quarzosa e si tiene conto solo dei solfuri di ferro e di rame, alla Fenice la proporzione in rame è quasi doppia. Questo proverebbe il detto dei minatori locali, che cioè colla profondità va diminuendo la percentuale in rame dei minerali. 186 P. TOSO I minerali di zinco e di piombo dovettero depositarsi dopo un maggior raffreddamento delle soluzioni ed infatti li troviamo appa- rire fra i calcari facili conduttori del calore ed acquiferi e perciò il loro posto è più specialmente nei giacimenti al contatto superiore del calcare retico cogli scisti eocenici. Abbiamo poi visto come la galena trovasi nella zona più alta di questi ultimi giacimenti e si depositò per ultima. Parrebbero far eccezione da questa regola i giacimenti posti al contatto fra scisti permici e calcare retico, i quali solo in qualche speciale punto contengono pirite cuprifera e quasi tutta la massa si può dire formata da pirite pura esente di rame, mentre, secondo la suddetta regola, dovrebbe avere pressoché la stessa ricchezza in rame del giacimento di Boccheggiano. La mancanza di rame in questi giacimenti parmi debba provenire dal fatto che i calcari retici posti al tetto, per essere eminentemente porosi e permeabili, per- misero alle acque piovane, durante il lento deposito della pirite cuprifera, di eliminare il rame dai depositi formatisi, e ciò nello stesso modo che coll’ irrora mento dei cumuli di minerale cuprifero nelle miniere di Huelva si ricavano soluzioni di solfato di rame e si ottengono piriti dette lavate, con sole tracce di rame. Nei minerali di Boccheggiano e della Fenice il rame potè essere protetto da questa lisciviazione naturale, che in questi giacimenti non si potè effettuare, a motivo della matrice quarzosa che avvolge i minerali stessi. Neh e miniera di Boccheggiano e della Fenice si verifica come il minerale è formato da pirite cuprifera avvolta in ganga silicea nei tratti più a Nord del filone, dove le roccie incassanti sono sci- stose, mentre a Sud dove i detti filoni penetrano fra i calcari non si hanno che minerali misti. Un tale fenomeno, che si ripete anche a Serrabottini, trova una spiegazione nell’esistenza di possibili bacini a quiferi nel calcare retico, durante il ] eriodo in cui avvennero le emanazioni metalli- fere, nei quali dovette prodursi un subitaneo raffreddamento di esse, il che diede origine al deposito non più frazionato, ma imme- diato di tutti i minerali disciolti, SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PIlINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 187 PARTE IV. Analogie e differenze fra l’andamento dei giacimenti imetal- LIFERI DEL M ASSETANO E QUELLI CINABRIFERI DELLA REGIONE DEL MONTE AmIATA. I giacimenti cinabriferi del Monte Amiata, se confrontati con quelli del Massetano, trovansi dotati di un’impronta speciale che credo di qualche interesse di rilevare e di discuterne le cause. Tutti e due sono di epoca terziaria, ma apparisce chiaro come i giacimenti del Massetano vennero formati da soluzioni vaporose ad alta temperatura, come i limitrofi soffioni boraciferi, mentre i gia- cimenti cinabriferi del Monte Amiata son dovuti a soluzioni liquide termali a bassa temperatura. Questa minor temperatura delle soluzioni cinabrifere da attribuirsi, come si disse, a fratture meno profonde, che cioè interessarono solo le parti più fredde e più alte dei magma eruttivi, avrebbe relazione col fatto che i corrugamenti delle formazioni del Monte Amiata meno accentuati non portarono alla superfìcie che terreni meso- zoici, mentre nel Massetano i giacimenti sono tutti in rapporto con la formazione più profonda della regione, cioè la permiana. Prima conseguenza della bassa temperatura delle soluzioni ci- nabrifere si è che la ganga che accompagna il cinabro non è più la silice in grande abbondanza, ma bensì la calcite e più specialmente l’argilla. Nei filoni del Massetano incontriamo masse potenti quar- zose frammiste al minerale, attribuite all’azione più energica delle soluzioni vaporose a sciogliere la silice dagli scisti argillosi. Nei potenti filoni cinabriferi di Abbadia S. Salvatore e di S. Filippo com- presi fra calcare marnoso eocenico, le soluzioni cinabrifere accom- pagnate da CO^ sciolsero, come ben dimostrò l’ing. Mattirolo, il cal- care dai calcari marnosi e depositarono col cinabro grandi masse di argilla plastica con vene di «calcite e blocchi di calcare indecomposti. Le soluzioni vaporose metallifere dotate di alta pressione nel Massetano dovettero comportarsi come un getto di v apore che, nel suo 188 P. TOSO percorso per uscire aH’esterno, aveva la proprietà di assorbire le poche acque incontrate fra i meati degli strati porosi, anziché in- filtrare in essi depositi metalliferi e quindi le pareti dei filoni di scor- rimento presentano distacchi netti anche fra banchi porosi. Non altrimenti si comportano le soluzioni liquide a bassa tem- peratura, le quali pure, formando una colonna ascendente, si in- nalzarono, però con tanta minore velocità, lungo le faglie ed attra- verso i meati dei banchi acquiferi per effetto dell’azione dei gaz; nel seguente caso però il modo di comportarsi delle soluzioni ter- mali è diverso da quello delle soluzioni vaporose. Supponiamo che una estesa formazione calcarea acquifera B sia ricoperta da banchi di scisti alternati con banchi di arenarie A e che il contatto delle due formazioni A e B sia prodotto da una faglia come indica il seguente schizzo. (Fig. 14). Se Imigo questa faglia venisse a passare una soluzione metal- lifera vaporosa si formerebbero, come si disse, minerali esclusivamente al contatto senza infiltrazione di essi nè verso il terreno A, nè verso B. Nel caso invece che lungo lo stesso contatto scorresse una co- lonna ascendente liquida dovrebbe succedere il seguente fenomeno. Essa avrebbe tendenza ad assorbire le acque che dal bacino acqui- fero B gradatamente si infiltrassero verso la faglia e quindi non dovrebbe verificarsi alcuna penetrazione metallifera verso B, mentre verso A la pressione idraulica esercitata dalia colonna ascendente avrebbe per effetto di spingere una parte delle soluzioni metallifere verso Festerno, cioè attraverso gli strati di arenarie che necessaria- mente saranno perciò mineralizzate per tutta la loro potenza, accen- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 189 tuaiido la mineralizzazione nei punti dove Farenaria si presenta più porosa e permette più fa ile il passaggio delle soluzioni metallifere verso l’esterno. S’incontrano nel Monte Amiata giacimenti cinabriferi al con- tatto fra calcari e scisti, oppure in fratture di calcare più o meno marnoso ma compatto, non s’incontrano però mai giacimenti cinabri- feri entro fratture prodottesi fra gli scisti argillosi. Ciò è ovvio per- chè fratture fra gli scisti argillosi eocenici poco compatti non possono essere percorse da soluzioni liquide a bassa pressione, essendo simili fratture facilmente otturabili, mentre le soluzioni ad alta pressione possono farsi strada anche fra scisti argillosi, tanto più se col mi- nerale si depositarono roccie quarzose. I giacimenti cinabriferi presentano ancora un’altra differenza da quelli del Massetano. In questi ultimi le soluzioni metallifere debbono essere uscite all’esterno dalle fratture o dai piani di scor- rimento con impeto per perdersi poi nell’atmosfera, analogamente a quanto succede pei sofEoni boraciferi. Le soluzioni cinabrifere invece arrivate alla superficie esterna, se incontrarono un terreno clastico o franoso dovettero river- sarsi su di esso e scorrendo sulla superficie verso il basso trova- rono tutte le condizioni propizie per depositare tutto il minerale tenuto in soluzione e formare 'per discensum un giacimento super- ficiale d’importanza forse superiore a quello fatto per ascensum. Analogo fatto deve succedere se nel percorso ascendente le so- luzioni cinabrifere trovarono un banco permeabile, lungo il quale scorreva lenta una corrente acquifera discendente, le soluzioni ci- nabrifere dovettero in tal caso mineralizzare queste correnti acqui- fere le quali, divenute per tal fatto debolmente mineralizzate, spar- sero poi la mineralizzazione attraverso terreni acquiferi per larghe estensioni. Devesi a ciò se a Saturnia ed a Pereta s’incontrano delle sabbie plioceniche e dei conglomerati quaternari debolmente mine- ralizzati in cinabro per estensione di molti ettari. Ricorderò qui un’ultima differenza, già da me però superior- mente accennata. 190 P. TOSO I giacimenti del Massetano sono tutti prodotti da soluzioni vaporose attraverso fratture o piani di scorrimento, mentre invece, neH’Amiata incontransi pure giacimenti cinabriferi non formatisi fra piani di scorrimento ma bensì fra i meati dei calcari marnosi; aventi una forma imbutiforme colla sezione maggiore verso l’alto* Come già accennai questi ammassi non sono in rapporto con feno- meni di scorrimento, ma piuttosto appaiono originati da emanazioni metallifere che dopo aver percorso profonde fratture trovarono la via sbarrata da banchi di calcari permeabili acquiferi, entro i quali però esse poterono infiltrarsi e formare delle correnti lentamente ascendenti. Le emanazioni stesse, come già ebbi a dire, sia per la loro temperatura, sia perchè cariche di gas promossero una colonna acquifera mineralizzata ascendente, tendente ad allargarsi verso Testerno dando cosìo rigine ad un giacimento cinabrifero imbutiforme, quale è quello del Siele. Premesse queste considerazioni farò un cenno del modo di for- mazioni dei principali giacimenti cinabriferi del Monte Amiata. Giacimenti cinabri feri al contatto fra calcari nummulitici e scisti eocenici. Nell’Amiata incontransi parecchi giacimenti cinabriferi posti al contatto fra due formazioni di natura diversa da ascriversi fra i filoni di scorrimento. Tralasciando di parlare del filone di Jano (Co- mune di Montaione, Provincia di Firenze) situato in una faglia fra gli scisti carboniferi e le argille plioceniche e di diversi altri, ricor- derò solo quello di Corti Vecchie perchè presenta le particolarità di una doppia mineralizzazione al contatto superiore ed inferiore di un banco di calcare nummulitico. Questo giacimento è in rapporto con una grossa lente di calcare nummulitico, la quale posa su calcari marnosi (scaglia rossa) del Seno- niano ed è ricoperto da calcari marnosi alternati con scisti argillosi eoce- nici. Le concentrazioni cinabrifere stanno tanto al contatto superiore come a quello inferiore del calcare nummulitico colle rocce marnose SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI CxIACTMENTI METALIAFEIir, ECC. 191 che ne formano il tetto ed il letto; entro la massa del calcare num- mulitico, invece, s’incontrano solo rare concentrazioni di poca impor- tanza nelle fratture. Questa disposizione del minerale limitata quasi esclusivamente nella zona dei due contatti del calcare nummulitico, venne generalmente spiegata ammettendo che le emanazioni cina- brifere circolarono bensì per tutti i meati della massa calcarea, ma non poterono fra di essi far depositi di qualche entità, perchè i calcari nummulitici non contengono elementi argillosi atti a pro- muovere la precipitazione del cinabro, mentre lungo gli strati cal- carei argillosi del letto e del tetto poterono espandersi e preci- pitare. Non parmi che queste concentrazioni del contatto siano do- vute ad un fenomeno chimico; per analogia coi giacimenti del Mas- setano è da credere invece che si sia verificato il fenomeno più volte ricordato, che le soluzioni cinabrifere depositarono minerali lungo le vie da loro percorse, che non poterono essere che le fratture subite dai banchi di calcare od i piani di scorrimento formatisi al contatto superiore ed inferiore del calcare nummulitico. Giacimenti cinahriferi compresi fra banchi di arenarie eoceniche e sabbie plioceniche. Abbiamo esempi di questi giacimenti a Reto-Montebuono, Sa- turnia, Pereta. Il giacimento di Reto-Montebuono è un filone di scorrimento che trovasi al contatto del calcare nummulitico cogli scisti cal- carei ed in taluni punti colle arenarie eoceniche che lo rico- prono. La mineralizzazione anche qui è limitata ad una ristretta zona nei tratti ove il calcare nummulitico è ricoperto da scisti o calcari marnosi; ove invece il tetto è formato da arenarie, queste si incontrano disseminate di cinabro per tutta la loro potenza A Reto-Montebuono la disposizione del calcare nummulitico rispetto agli scisti argillosi od alle arenarie che lo ricoprono è data dallo schizzo della fig: 15. 192 P. TOSO A Montebuono presso rimbocco della galleria di ribasso, ove il calcare nummulitico affiora esiste una importante sorgente che ac- cumulò air esterno depositi di travertino. La galleria di ribasso aperta nel contatto mineralizzato fra calcare nummulitico ad are- narie ed argille eoceniche, venne scavata a pochi metri sopra il livello acquifero del calcare nummulitico e della sorgente. E’ a no- tare che in alto si fecero ricerche a Casa Testi, le quali dimostra- 1 ) (h/care mimmu/ifico. 2 ) Scisfle caìcai'i argij/o • si eocenici . 3 ) Arenarie eocenic/ie minera/ixxufe Fig. 15 — Sezione attraverso il giacimento cinabrifero di Leto -Montebuono. rono come anche qui tutto il contatto fra calcare nummulitico e gli scisti eocenici è mineralizzato. Presso Casa Testi esistono pure depositi di travertino che indicano come la stessa sorgente sgorgava in alto, quando le erosioni sofferte dagli scisti eocenici non avevano ancora messo allo scoperto il calcare nummulitico in basso a Mon- tebuono. Il calcare nummulitico presenta, al contatto colle arenarie, delie grandi cavità prodotte da erosioni riempite da arenarie disgre- gate e sabbiose aventi in media il 5 per mille di cinabro. Sono frequenti al contatto del calcare, straterelli gessosi ed ocracei. La potenza dei banchi di arenarie mineralizzate misura dai 10 ai 15 metri. Non v’ha dubbio che questo giacimento ha la stessa origine di tutti i giacimenti metalliferi al contatto, fin qui passati in rassegna. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 193 e non T avrei qui ricordato se non era per mettere in rilievo come qui a Montebuono apparisce il fatto succitato che la mineralizza- zione si è infiltrata per tutta la potenza delle arenarie del tetto, mentre si limitò appena a lambire il calcare nummulitico, quan- tunque esso non sia meno permeabile delle arenarie e ciò per le ragioni sovraesposte. Il giacimento cinabrifero di Saturnia descritto dal De Angelis d’Ossat {Rassegna Mineraria dicembre 1902) e quello di Pereta (descritto dal Lotti Rassegna Mineraria, luglio 1908) compresi fra le sabbie plioceniche e conglomerati quaternari, dove la mineraliz- zazione si estende per parecchi ettari di superficie, sempre però scarsa (presentando solo rari punti ove queste sabbie raggiungono il te- nore del 5 per mille), sarebbero a mio modo di vedere dovuti alle correnti acquifere sotterranee state leggermente mineralizzate per avere incontrato nel loro percorso delle emanazioni cinabrifere. Queste correnti percorrendo banchi di sabbie e di conglomerati pote- rono in essi espandersi e disseminarono su vasta superficie del ci- nabro, senza però che queste sabbie mineralizzate possano essere industrialmente coltivabili per il basso loro tenore in mercurio. Giacimenti cinabri feri formati in parte per ascensum ed in parte per discensum delle soluzioni cinabrifere. I giacimenti coltivati nelle due importanti miniere del Cornac - chino e di Abbadia S. Salvatore, presentano il fenomeno che una parte di essi è formata per ascenstom lungo le fratture dei calcari, ed una parte, la più importante, per discensum della stesse soluzioni senza che per ciò si possa dire che si abbia qui un giacimento metallifero da definire per derivato. Giacimento del Gornacchino. Nel rapporto sul Servizio Minerario del Distretto di Firenze per l’anno 1899, su questo giacimento così scrivevo: Nella miniera del Cornacchino il cinabro si trovò dapprima limitato ed irregolarmente sparso entro due banchi che si sovrappon- 6 194 P. TOSO gono, di cui r inferi ore è formato da ftaniti (focaio) ed il superiore da calcari marnosi del neocomiano, tutti e due paralleli e dotati di una leggera pendenza (10 %) verso nord: questi banchi verso sud vennero erosi ed affiorano, ed è da questi affioramenti che si iniziò il lavoro di coltivazione (vedi fig. 16). Nei banchi marnosi il cinabro si presenta entro fessure, dette vene, riempite di argilla plastica (biocca) Nord Sud 1; Ca/cart «xtnseìce. 2) Ftaniti^. 3) Calcare neocot/tiano . if)Scis/e rossi man. ^atiesrfisri. 5) Calcare nUmmuUtico . a a Fralliiraft/onìtsna con cinabro for^ malosi per ascensum. A A Giacimenti cipabriferi formalisiperdiscensuin. Fig. 16 — Sezione trasversale del giacimento cinabrifero del Cornacchino. contenente granelli di cinabro; nel banco delle fianiti il cinabro riempie, sotto forma di venule, i meati della stratificazione; le fianiti per essere silicee non vennero attaccate dalle soluzioni acide cinabrifere. Al Cornacchino quando coi lavori di scavo si arrivò, sempre salendo, a 350 metri di distanza dagli affioramenti, s’incontrò una grande faglia verticale (aa) diretta est- ovest, la quale fece abbassare a nordi detti banchi per oltre 50 metri. Questa faglia venne trovata minera- lizzata ed in essa si praticarono diversi piani di coltivazione, di cui il più basso fu di 80 metri sotto al livello del banco mineralizzato delle ftaniti. L’andamento di questo giacimento è indicato dalla SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 195 fig. 16, che rappresenta una sezione verticale passante per una linea nord-sud perpendicolare al piano della faglia. Nella frattura si presentavano due principali concentrazioni o colonne di potenza di circa 2 metri e queste due colonne verticali corrispondevano alle due altre suddette concentrazioni cinabrifere, di tanta maggior importanza ed affioranti, aventi in media 20 metri di altezza, poco inclinate sull’orizzontale, racchiuse in parte nel calcare neocomiano ed in parte nelle sottostanti ftaniti. Gli scisti rossi del tetto si trovarono affatto privi di minerale. Queste due concentrazioni sono cosi disposte, che a nord l’arricchimento è limitato al calcare neo- comiano e le ftaniti sottostanti sono sterili ; procedendo verso sud viene sterile il calcare e mineralizzato il focaio. Dirò più precisamente che la mineralizzazione trovasi a nord ad un livello 30 metri più alto che a sud e la distanza dal filone di frattura agli affioramenti cina- briferi è di circa 350 m. La zona mineralizzata ha un potenza di 10 a 16 metri nel calcare ed ha 15 a 30 metri nelle ftaniti. Da questi dati viene ovvio dedurre che il percorso delle emanazioni cinabrifere dovette effettuarsi per ascensum lungo la grande faglia (aa) del nord, ed in se- guito per discensum, dirigendosi verso l’esterno, formando una zona ci- nabrifera (aa) attraverso i meati del calcare neocomiano e delle ftaniti. E’ da supporsi che la corrente discendente delle soluzioni cina- brifere dovette abbassarsi col successivo erodersi degli affioramenti del banco di ftaniti e per effetto di tale progressivo abbassamento, esse poterono disseminare minerali cinabriferi per un’altezza di circa 30 metri. Giacimento di Ahhadia S. Salvatore. Anche ad Abbadia abbiamo un esempio di mineralizzazione pro- dottasi per ascensum da soluzioni cinabrifere che percorsero frat- ture del calcare eocenico e per discensum delle stesse soluzioni lungo un banco formato da elementi franosi caotici. Sono due le fratture filoniane, aventi rispettivamente circa 140 m. e 50 m. di potenza, aperte fra banchi calcari marnosi eocenici, riempite da masse argillose e blocchi di calcari nummulitici nelle 196 P. Tóso quali è frequente la presenza di acido carbonico ed acido solfìdrico e quindi sono due i giacimenti filoniani i quali in alto vanno a confon- dersi con un giacimento formato di roccie clastiche, argillose, cinabrifere e blocchi di calcare, ricoperti da una colata di trachite. L’andamento di questo giacimento è rappresentato dal seguente schizzo. 1) Ca/cart marnosi sftafi fica!/ eocenici. 2) Tradì ite, ’ii)Argi//e cinaòriferecon òlocc/ii c/i ca/ca re. Fig. 17 — Sezione attraverso i! giacimento di Abbadia S. Salvatore. Queste argille rimaneggiate cinabrilere, come giustamente os- serva il Lotti, possono essere il risultato di una frana discesa dal Monte Amiata ed in seguito ricoperta da una colata di trachite, op- pure una massa rimaneggiata prodotta dallo scorrimento di questa copertura trachitica sui terreni sedimentari, avvenuto mentre erano attive le emanazioni cinabrifere. Questa seconda ipotesi parmi la più probabile. Il giacimento cinabrifero del contatto colla trachite non ha minore importanza di quelli compreso fra le fratture del calcare. PARTE V. Giacimento piritoso cuprifero di Valle Imperina PRESSO Agordo (Prov. di Belluno). Coi criteri sopra esposti per l’interpretazione dei giacimenti me- talliferi filoniani irregolari, parmi si possa pure desumere una spie- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 197 gazione plausibile della disposizione e natura del grande ammasso piritoso cuprifero di Agordo. Presso Agordo esiste una grande faglia che sollevò gli scisti quarzosi micacei, talora carboniosi (non ancor precisati se permiani o carboniferi) e li portò a contatto col calcare dolomitico triassico. Salendo il letto del fiume Cordevole, scavato fra la dolomia principale (haupt dolomit), ed arrivati presso la miniera, e cioè, dove il torrente Impenna sbocca nel Cordevole, s’incontra questa faglia 1 ) Scisti {fucrrzosl Z ì CtrìcarecTo/omUico 3 ) Pirite . 4) Sastfrimane^giatia/ìéta Fig. 18. Sezione verticale est ovest del giacimento piritoso cuprifero di Agordo. che portò la formazione scistosa a circa 1000 metri sopra il Cor- devole, Questa faglia è diretta est-ovest, è verticale e passa per il letto del torrente Impenna. Il giacimento piritoso si trova lungo questa faglia entro gli scisti a soli pochi metri (2-25) dal contatto calcareo. Esso perciò trovasi in un piano verticale diretto est ovest e cioè quasi parallelamente al contatto stesso. Quantunque il giacimento metallifero non sia esattamente al contatto, puossi però ritenere si trovi sempre nella zona interessata dalla faglia, zona abbastanza estesa in potenza a motivo delle on- dulazioni della superficie calcarea; anzi qui succede che le fratture dei calcari dolomitici avvenute presso la grande faglia, resero possi- 198 P. TOSO bile che gli scisti penetrassero per circa 20 metri entro le fratture stesse dei calcari, per cui il piano di scorrimento della faglia non Fig. 19 — Sezione yy, nord sud del giacimento piritoso cuprifero di Agordo. corrisponde perfettamente in ogni punto al contatto delle due roccie di natura diversa. L’ammasso metallifero ha la forma indicata nei due prece- denti schizzi (fig. 18 e 19). SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 199 Lo spessore dell’ ammasso varia da 15 a 80 metri. La lunghezza ^,(7 è di circa 500 metri. Esso è interamente racchiuso fra gli scisti; nella parete nord, ossia al muro, il giacimento ha pochi cent, di sai- banda formata da scisti biancastri caolinizzati; nella parete sud, ossia a tetto dell’ammasso, tutta la parte di scisti interclusa fra l’ammasso ed il calcare dolomitico è più o meno alterata. Lungo il bordo inferiore A,B,C della lente piritosa esiste poi una potente massa di scisti argillosi biancastri, plastici per i quali l’alterazione è così potente che alcuni suggerirono di assoggettare questi scisti bianchi alterati ad un lavaggio per ricavare del caolino commercia- bile. Nell’ammasso stesso mineralizzato verso il letto, incontransi pure lenti di questi scisti biancastri alterati. Il minerale è una pirite con pochissima matrice quarzosa senza cristallizzazione apparente e presentasi uniforme per tutto l’am- masso. Si ritiene che in media abbia il 43 % di solfo, ri.25 % di rame, con piccole proporzioni di quarzo, arsenico, selenio, zinco e piombo. L’analogia del giacimento di Agordo con i giacimenti piritoso- cupriferi della provincia di Huelva è perfetta. Anche i giacimenti spagnoli e portoghesi sono rappresentati da grandi ammassi di minerale con pochissima matrice quarzosa, ove il rame è pure unifor- memente sparso per tutto l’ammasso. E’ a notare che nel giacimento di Agordo, verso il basso, lungo la linea A, B,C (fìg. 18) il minerale è più quarzoso e quindi tanto più povero e più compatto. I cantieri più profondi, disposti lungo que- sta linea, detti Bacino, Cappella Dura, non vennero lavorati dagli antichi, appunto perchè fornivano minerale scadente tanto pel te- nore in rame, come in zolfo. I lavori su questo giacimento datano da due o tre secoli; ven- nero fatti scavi sopra tutti i livelli, per cui attualmente la colti- vazione si riduce ad un lavoro di spigolamento delle parti lasciate dagli antichi. Fino a questi ultimi anni la coltivazione procedette necessariamente disordinata, perchè si doveva proteggere il sotter- raneo da possibili sprofondamenti della superficie, i quali avreb- 200 P. TOSO bero causato un’irruzione entro il sotterraneo delle acque del torrente Impenna che scorre sopra il giacimento piritoso. Per questo motivo non vennero fatti dagli antichi che parziali scavi nella parte superiore del giacimento, cioè verso gli affioramenti, dove perciò tuttora esistono importanti colonne ed archi di minerale che possono ora essere sca- vati regolarmente, senza pericolo d’innondazioni in miniera, poiché, mediante una galleria-canale lunga circa 600 metri scavata nel calcare dolomitico, venne, dietro mio suggerimento, deviato il torrente Im- penna per tutta la lunghezza del giacimento. Sul modo di formazione di questo giacimento si fecero le più svariate ipotesi. Deve escludersi che il giacimento si sia formato contemporaneamente al deposito degli scisti, ossia possa ritenersi di formazione sedimentaria, perchè gli scisti presentano una mar- cata stratificazione con inclinazione verso nord, mentre l’ammasso ha il suo asse disposto in un piano verticale diretto est-ovest, con un’inclinazione verso est. E nemmeno si hanno caratteri da po- tersi definire un filone di frattura; come pure diversifica alquanto dai filoni di scorrimento stati in questo mio scritto ricordati, perchè nel giacimento di Agordo non si osserva quella frequente alternanza di scisti e di minerale disposti parallelamente al piano della faglia, alternanza che incontrammo nei filoni di scorrimento su descritti. Studiando questo giacimento riportai la convinzione che an- che esso non sfugga all’origine citata dei filoni di scorrimento, ma che però ne formi un caso particolare dovuto a due circostanze speciali che caratterizzano tanto il giacimento di Agordo come quelli di Spagna, e cioè, primieramente che essi sono situati in faglie quasi verticali ed in secondo luogo fra rocce molto compatte. Anche gli scisti siluriani ed i porfidi che comprendono il giaci- mento di Tharsis e di altri limitrofi (Prov. di Huelva) sono tanto com- patti da permettere dei grandi scavi eseguiti in quella miniera a * cielo aperto, profondi 200 metri e disposti a gradinata, come in un anfiteatro, con scarpate inclinate di circa 70'^ a 80° sull’ orizzonte, senza che si abbiano a lamentare distacchi di roccia che sarebbero molto pericolosi in quel lavoro di scavo. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 20 1 Ecco in che modo io spiegherei l’origine di queste gigantesche concentrazioni metallifere. Il deposito di così potenti ammassi piritosi, senza ganga, senza cristallizzazione apparente, giustifica la supposizione che queste con- centrazioni metallifere si siano formate entro bacini d’acqua sot- terranei che vennero riempiti ed alimentati da soluzioni metallifere; ed entro questi bacini si depositarono i minerali, non altrimenti che si deposita il solfato di rame entro cassoni, producendo cristalli tanto più piccoli, quanto più profondi sono i recipienti di cristal- lizzazione e le acque sono agitate. Mentre è facile immaginarsi come possano prodursi dei grandi vuoti sotterranei fra i calcari, non è così se fra gli scisti compatti. Ecco in quali condizioni suppongo possibile si formino questi grandi vuoti fra gli scisti compatti. Quando si produce una faglia con un’inclinazione inferiore a circa 60 gradi sull’orizzontale, se essa è percorsa da emanazioni metallifere, durante lo scorrimento di una parete sull’altra, non possono formarsi che dei ristretti vuoti, perchè il peso della parte di terreno formante il tetto della faglia, obbliga la parete del tetto a poggiarsi su quella del muro, lasciando dei vuoti molto estesi ma di piccola altezza; in simili vuoti però, per i motivi più volte accennati, le emanazioni metallifere possono accumulare ciò non ostante grandi depositi di minerali. Fenomeni diversi devono succedere se la faglia o le fratture sono verticali e le pareti non si combaciano. In questo caso se si formò una frattura non susseguita da scor- rimento, le emanazioni metallifere circolanti fra essa non avranno tardato coi loro depositi ad otturare la frattura stessa, dando origine ad un vero filone di frattura. Quando invece, una delle due pareti verticali tende di continuo ad abbassarsi, allora non avverrà pii che sulla parete del muro si accumuli indisturbato il minerale e solo il tetto venga eroso; ma le soluzioni metallifere vaporose, agevo- late da questo movimento, se i terreni incassanti sono compatti, eroderanno gradatamente tutte e due le pareti ed allargheranno la 202 P. TOSO frattura, formando tanti vuoti quanti sono i centri delle singole emanazioni esistenti lungo una stessa estesa faglia. Le roccie stac- cantesi dalle pareti, in parte saranno lanciate fuori dall’ impeto del vapore, ed in parte cadranno sul fondo del vuoto prodottosi, tanto più se il suo asse, pur restando sempre nel piano verticale della fa- glia, avrà una piccola inclinazione sull’orizzonte. Quando l’erosione avrà tanto allargato il vuoto che le ema- nazioni metallifere vaporose, per esso transitanti, non sono più in grado di evaporizzare nè le acque di condensazione che si an- dranno formando in qualche punto della faglia più lontano dal centro di emanazione, nè le acque piovane che possono qui con- fluire dalla superficie, allora tale vuoto comincerà a riempirsi di soluzioni metallifere liquide e si inizierà la precipitazione del mi- nerale da queste soluzioni attraversate continuamente dalle sorgenti metallifere. Durante la precipitazione del minerale non si avranno più che rari distacchi di blocchi di roccie dalle pareti a motivo della loro compat- tezza e perchè sottoposte alla pressione esercitata dal liquido; tutt’al più, si formeranno lentamente delle erosioni che potranno avere rese torbide le soluzioni, e solo leggermente inquinare di ganga i de- positi metalliferi. In questo modo parmi si possa spiegare le formazione del giacimento di Agordo e di quelli della Spagna e del Portogallo, tutti aventi le caratteristiche di essere compresi fra roccie scistose compatte e disposti in piani verticali. E’ a ritenersi che nel giacimento di Agordo il movimento della parete sud della faglia abbia avuto la stessa direzione dell’asse maggiore dell’ammasso piritoso, il quale è disposto in un piano ver- ticale ed inclina verso est di circa 20° sull’orizzontale. Il primo vuoto o canale apertosi dalle emanazioni vaporose in Agordo doveva corrispondere press’a poco al perimetro inferiore del l’ammasso piritoso cioè C, B, A (vedi fig. 18) In seguito le emanazioni intaccarono il cielo di questo canale e lo scavarono fino ad assu- mere la linea C, D. Mentre che si effettuava quest’azione di erosione SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 203 e di scavo, gran parte del materiale eroso o staccatosi dall’alto dovette cadere in basso lungo la linea C , B, A \ eà in fatto nei punti dove coi lavori si scavò il bordo inferiore del giacimento piritoso (sopra la galleria S. Barbara), qui si incontrò una potente massa argillosa pla- stica biancastra che evidentemente proviene da materiale delle pa- reti scistose state caolinizzate dalle soluzioni metallifere. Il trovare poi marcatamente più quarzoso il minerale verso il bordo inferiore deU’ammasso, confermerebbe l’ipotesi, perchè la zona più quarzosa dovette essere la prima a depositarsi quando il vuoto era ancora di strette dimensioni e doveva avere una temperatura pia elevata e quindi più propizia a decomporre la silice dai silicati alca- lini delle pareti scistose. Nulla si incontrò nel sotterraneo che accenni rappresentare il filone generatore di quest’ammasso piritoso. Certo è che in alcune locahtà vicine alla miniera la formazione scistosa presenta alcuni esili affioramenti di minerali piritosi, per indagare i quali, si otten- nero permessi di indagine minerale e si fecero ricerche che non ebbero favorevole esito; essi appaiono indicare resistenza di vene che attra- versarono tutta la massa scistosa, senza avere però trovato condizioni propizie, per essere lontane dal piano della grande faglia succitata, a formare una concentrazione di minerale di qualche importanza. Però a circa 600 metri più ad ovest deH’ammasso piritoso di Agordo, detto anche di Valle Impenna, non lungi dal contatto col cal- care si fece un’indagine colla quale si scoprirono alcune antiche gallerie e si incontrò un ammasso di pirite più piccolo, ma della stessa natura del grande ammasso di Valle Impenna; questa ricerca venne però da alcuni anni abbandonata, senza avere chiarito la vera importanza di questa concentrazione metallifera. Giacimento del Bett e Ghinivert (Prov. di Torino). Questo giacimento piritoso cuprifero venne particolarmente de- scritto dairing. Novarese (Rassegna Mineraria, XII, 1900). Esso è formato da due concentrazioni di pirite cuprifera con pochissima ganga quarzosa, racchiuse fra gli scisti calcitici, le 204 P. TOSO quali distano fra di loro circa 1200 metri. Al tetto di esse si in- contrano frequenti banchi di roccie verdi. La concentrazione più importante è quella del Ghinivert, non essendosi al Bett fatto che poche ricerche. La prima ha la forma di una striscia stratiforme non interrotta di minerale piritoso-cuprifero avente cir a il 2 % di rame ed il 45 % in solfo, con una potenza variabile da metri 0.35 a 2.00 ed una larghezza quasi costante di circa 40 metri misu- rati secondo la direzione ed una lunghezza già riconosciuta di oltre 400 metri, misurati verso la profondità secondo Tasse mediano di questa striscia mineralizzata. Il giacimento per tutta questa striscia è continuo, non interrotto che per effetto di qualche piccolo rigetto. Il minerale appare interstratificato fra i calcescisti ed in molti punti ha al tetto banchi di roccie serpentinose (prasiniti). La striscia di mine- rale formante questo giacimento ha una piccola inclinazione sul- Torizzontale e nelTapprofondirsi segue un andamento obliquo e non secondo la massima inclinazione del piano su cui essa si adagia. L’andaménto di questo giacimento è rappresentato dai seguenti due schizzi che indicano, uno la proiezione verticale sopra un piano xx passante per la linea di massima pendenza (fig. 20), l’altro la proie- zione orizzontale (fig. 21). 1) ih/cescisfì . 2) Prasinitì . 3 ) Minerale . Fig. 20 — Sezione trasversale?del|giacimento piritoso cuprifero del Bett e Ghinivert. I lavori principali di tracciamento fin qui eseguiti consistono in una galleria trasversale di ribasso lunga circa 400 metri che dopo aver attraversato i calcescisti del tetto, raggiunge il giacimento ad un livello di circa 120 metri sotto agli affioramenti; ed in una discen- Sul modo di formazione dei principali giacimenti metalliferi, Fcc. 205 deria a b, lunga circa 400 metri, che parte dagli affioramenti e va al fondo h di detta galleria trasversale, sempre conservandosi nella parte mineralizzata del giacimento che nel seguente schizzo è co- lorata in nero. Questo giacimento ha un andamento singolare, è stratiforme ed ha tutta l’apparenza di essere contemporaneo ai calcescisti che lo racchiudono, da altra parte però è limitato ad una lunga e stretta striscia regolare e quasi costante nella sua larghezza. Questa cosi ristretta striscia non appare un lembo staccato da un giacimento più esteso, stato tagliato da due fratture parallele, poiché i bordi di essa presentano un restringimento graduale senza traccia di rot- ture. La lunghezza di questo giacimento, secondo la profondità su- pera di molto i 400 metri perchè con un pozzo eseguito sotto la galleria di ribasso si riconobbe che esso continua in profondità. La presenza di roccie ofiolitiche (prasiniti) fra gli scisti calci- tici ha fatto supporre che la mineralizzazione piritoso- cuprifera sia il resultato di una differenziazione magmatica, non potendo attri- buirsi questo giacimento ad un prodotto di sedimentazione e tanto meno ad un filone di frattura. Ma il fatto che le prasiniti sono di limitata potenza ed estensione e perchè inoltre, il giacimento per gran parte della sua estensione è posto completamente fra i cal- cescisti, ed inoltre non vi ha alcun indizio di transizione graduale fra il banco di minerale e le roccie che lo racchiudono, siano esse 206 P. TOSO roccie verdi, siano calcescisti, tutto ciò rende quest’ipotesi poco adatta a spiegarne l’origine. Per trovare una spiegazione del modo di formarsi di questo sin- golare giacimento ricorderò come nel versante del Monte Ghinivert verso la valle Germanasca, solo a qualche centinaio di metri dagli affioramenti, esistono dei punti mineralizzati segnati nel superiore schizzo colla lettera c c i quali vennero indagati per qualche decina di metri e si riconobbe che queste concentrazioni metallifere rap- presentano le testate di piccole colonne quasi verticali, di sezione ir- regolare, attraversanti gli scisti calcitici, le quali contrastano con la regolarità del giacimento coltivato nella limitrofa miniera, chiamata più comunemente col solo nome del Bett, il quale pende verso la Valle del Chisono. L’esistenza di q[ueste colonne mineralizzate parmi possa fornire una spiegazione sul modo di formazione del giacimento in parola. Se supponiamo che una di queste diverse colonne piritoso- cuprifere affioranti fra gli scisti calcitici della regione, che rappre- sentai con c c nella superiore sezione, mentre era in via di formazione e cioè veniva percorsa da soluzioni metallifere, sia stata troncata da una faglia o da un piano di scorrimento, per le ragioni tante volte espresse, queste stesse soluzioni per portarsi all’esterno dovettero percorrere tale faglia e dare origine ad un filone di scorrimento quale s’incontrò al Bett. In altre parole il giacimento del Bett puossi ritenere un filone di scorrimento che ebbe per vena generatrice uno dei diversi gia- cimenti colonnari che s’ineontrano sporadieamente nella regione, e per piano di scorrimento una faglia che interessò la formazione degh scisti calcitici racchiudenti lenti di prasiniti. La direzione della spinta che produsse la faglia fra gli scisti calcitici, perchè obliqua alla direzione della massima inclinazione, dovette obbligare le soluzioni stesse ad assumere tale direzione obliqua. L’esistenza di questa fa- glia è dimostrata da una losima argillosa che si incontra in miniera ed avente la stessa direzione del giacimento; losima stata seguita in al- cune ricerche, fatte però solo per pochi metri nel senso della dire- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 207 zione del giacimento, allo scopo di rinvenire altre probabili zone mineralizzate. E’ da supporre che eseguendo ricerche lungo questo piano di faglia si possano incontrare altre zone mineralizzate, ana- logamente prodotte e quindi parallelamente disposte a quella finora stata riconosciuta. Non tralascio di ricordare come l’ipotesi delle genesi di questo giacimento per processo pneumatolitico parrebbe provata anche dal fatto che la ricchezza in rame del minerale venne sensibilmente a diminuire colla profondità, il che si verifica in tutti i filoni di pi- rite cuprifera. Mentre il Novarese segnalava nei cantieri pia alti della Miniera del Ghinivert una ricchezza media in rame del minerale del 3,54 %, nei cantieri più bassi essa risultò in media del f; %. I depos t pir tici della Norvegia paiono molto ana ogh al giacimento del Bett, a desumere dalla descrizione che di essi vien fatta dal Lotti nella sua opera: I Depositi dei minerali metalliferi, (Torino, Unione Tipografica Edit., 1903), dove si legge : « Questi giacimenti ad eccezione di alcuni pochi racchiusi nel « gabbro compariscono in forma di lenti fra gli scisti cambro- « siluriani, di solito fortemente alterati per metamorfismo regionale « ed in stretto legame topografico con una massa intrusiva di « gabbro. Le masse piritiche sono di forma lenticolare e per lo più « concordanti cogli strati, ma talvolta li tagliano e vi si insinuano sotto « forma di vene. Hanno notevole spessore in confronto colle altre di- « mensioni e sono nella maggior parte listate ed in zone parallele « alle roccie includenti. Il Vogt ritiene che questi depositi siansi « formati per soluzioni metallifere estratte del magma eruttivo e « spinte in forza di un’enorme pressione, dentro gli scisti circostanti ». L’ipotesi che questi giacimenti di Norvegia siano dei filoni di scorrimento spiegherebbe la limitata estensione e la grande potenza dei depositi piritosi, come pure la disposizione listata del minerale e l’esistenza di vene che tagliano gli strati contemporaneamente ad altre concordanti agli strati stessi, ed infine, come sia stato pos- sibile il passaggio delle soluzioni metallifere fra gli strati , anche senza ricorrere alle enormi pressioni immaginate dal Vogt. 208 P. TOSO Giacimenti metalliferi stratificati. Sono numerosi i giacimenti metalliferi stratificati specialmente fra le formazioni permo-triasiche, quali gli strati di arenarie cuprifere di Wallerfangen e di S. Avold nei Vosgi, i conglomerati cupriferi delle Alpi marittime, gli scisti cupriferi del Mansfeld, le arenarie di Perm in Russia, di Corocoro in Bolivia, da alcuni autori conside- rati come prodotti da elementi metallici che si precipitarono al mo- mento in cui si sono formate le roccie sedimentarie che li racchiu- dono ; da altri invece come il risultato del trasporto o del deposito di minerali stati corrosi da giacimenti preesistenti ; mentre il De Launay ed il Beck ammettono che essi sono originati da infiltra- zioni posteriori. Farò qui un cenno dei fatti più rilevanti che caratterizzano tre di questi giacimenti per mettere in rilievo come quest’ultima origine meglio spiega la loro natura se si considerano come filoni di scor- rimento. a) Giacimenti di S. Avold e Wallerfangen {Vosgi). Trascrivo qui la descrizione di questi giacimenti fatta dal Groddeck a pag. 128 e 129 della sua opera sopra citata. « Le grès de Vosges, ou grès bigarré principal, ne contient ni « minerai ni pctrification jusqu’à son assise la plus élevée, formée « par un banc de conglomérat de 9 mètres de puissance, lequel est « cuprifère. Par contre les couches de grès bigarré qui le recou- « vrent renferment des minerais. << Les minerais s’y trouvent surtout sous forme de dépòts spora- « diques voisins des fentes et des failles; il est cependant impossible « de démontrer que ces fentes représentent les canaux d’arrivée des « eaux minérales qui auraient impregnò les grès; diverses considéra- « tions militent contre cette manière de voir. Ce ne sont jamais que « certains bancs déterminés de m. 0.06 à m. 0.60 de puissance, qui ren- « ferment les minerais de cuivre tandis que d’autres bancs non moins SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECO. 209 « poreux, au toit ou au mur n’en contiennent pas. Puis on voit les « minerais s’étendre en zones absolument indépendentes des cassures « souvent perpendiculaires sur elles. « L’observation peut se faire dans les mines de Wallerfangen, « par exemple, où plusieurs zones métallifères parallèles separées par « de zones stériles ont été suivies sur 4 km. de longueur (com^ indica il seguente schizzo). Fig. 22 — Proiezione orizzontale e sezione verticale di due striscie mineralizzate del giacimento cuprifero di Wallerfangen. « Les minerais se trouvent en inclusions pulvérulentes en grains « de la grosseur d’un pois à celle d’une noix, en enduits dans les « fentes, ou comme matière incrustante des restes de plantes ». Il Groddeck sostiene l’ipotesi che le soluzioni metallifere si siano depositate durante la formazione degli strati, perchè egli osserva che se esse fossero penetrate più tardi fra gli strati stessi avrebbero do- vuto produrre un’imbibizione completa dell’intiero massiccio di grès, mentre l’impregnazione si portò solo su qualche strato e sono steri’.! gli strati vicini ed intermediari. E inoltre, anche ammesso, dice il Groddeck, che le fratture che si constatano siano realmente i canali lungo i quali le soluzioni metallifere sono salite da profondità in- cognite, l’esistenza di impregnazioni metallifere che si prolungano a grandi distanze dei canali d’accesso, resterebbe sempre inesplicabile. Il Groddeck spiegherebbe l’arricchimento che si constata presso le fratture od i filoni, argomento considerato come principale dai 7 210 P. TOSO sostenitori dell’ipotesi dell’ accesso dei minerali attraverso ,questi filoni, ammettendo che sia avvenuta la dissoluzione dei minerali dagli strati superiori ed il loro successivo deposito ad un livello inferiore, sia entro le fratture, come nelle parti adiacenti. D’altra parte, però, i sostenitori dell’ipotesi che il minerale siasi depositato contemporaneamente cogli strati di grès che con- tengono il minerale, non sanno dare nessuna spiegazione del fatto, .che il minerale nello stesso strato mineralizzato si presenta a zone regolari e molto lunghe sotto forma di striscio alternate con zone affatto sterili. I dati caratteristici di questi giacimenti e cioè: P l’esistenza dei filoncini rnineralizzati disposti verticalmente alla principale mi- neralizzazione che si presenta a strati paralleli ; 2^ la continuità del giacimento per grandi estensioni; 3° la disposizione della mine- ralizzazione in; regolari striscio incastrate fra strati sterili, sono i dati che, abbiamo visto, caratterizzano i filoni di scorrimento, e per que- sto motivo questi giacimenti parmi possano essere ascritti fra i filoni di scorrimento. Le soluzioni mineralizzanti venute dal basso lungo i filoncini verticali dovettero in seguito avere percorso dei piani di scorrimento pressoché orizzontali, e qui depositare i minerali sotto forma di tante striscie, per le stesse j*agioni che negli altri filoni più inclinati abbiamo visto formarsi delle concentrazioni metallifere sotto forma di tante colonne parallele separate da zone pressoché sterili. b) Giacimento del Capo Oaronne {Alpi marittime, Francia). Questo giacimento, di cui traggo la descrizione da una mono- grafia del Lotti pubblicata nel Bulletin de la Société Belge de Geo- logie (Année 1901), trovasi nel versante francese delle Alpi Marittime ed è situato nella zona di passaggio fra il permiano ed il trias. Esso è formato da uno strato, di 3 a 5 metri di potenza, di con- glomerati quarzosi, impregnati di minerale di rame e di piombo, strato «he separa nettamente il terreno triasico dal Permiano. Questo SUL MODO Di formazione DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 21 conglomerato metallifero ha per tetto le arenarie variegate e per letto gli scisti rossi con arenarie ed è composto da ciottoli di quarzo bianchi, cementati da un materiale analogo al caolino, oppure da materiale micaceo o dal minerale. La mineralizzazione si trova ordi- nariamente nella parte mediana del banco e forma uno strato metal- lifero che varia da 50 a 120 centimetri. In questa zona si trovano due parti diversamente mineralizzate : una parte superiore minera- lizzata esclus vamente dal minerale di piombo (galena), ed una in- feriore che contiene solamente del minerale di rame : fra i due strati poi esiste ordinariamente una separazione ben netta. Si veri- fica poi che là dove il minerale di rame è in più quantità, il mine- rale di piombo diminuisce e reciprocamente. Tanto il minerale sotto forma di ossido o di calcosina, come il minerale piombifero, si trovano in grani; si hanno pure cri- stalli di galena con barite avvolti a roccia quarzosa, granulare, im- pregnata di minerale sotto forma di ciottoli, come pure frammenti di galena cristallina con forma ovoidale, ricoperti da roccie clastiche. Dieulafait ritenne che i depositi cupriferi permo-triasici del Varo e delle Alpi Marittime avessero la stessa origine di quelli di Russia e della Bolivia e che in questi giacimenti il minerale di rame si trovi in roccie, di cui gli elementi provengono direttamente dalla distruzione del terreno delle formazioni primordiali ; ma il minerale, secondo lo stesso autore, sarebbe invece stato formato nello stesso tempo che le roccie, per precipitazione chimica delle acque del mare, in seguito all’azione dei vapori solforosi, che si svolgono nei bacini chiusi e negli estuarii. Lotti invece vede nel giacimento del Capo Garonne un deposito di trasporto, per mezzo di corsi d’acqua, di materiale quarzoso e metallifero dei giacimenti filoniani preesistenti che racchiudono della galena e delle calcosina. Il quarzo e gli elementi metallici possono, secondo l’autore, essere stati forniti dal Cambriano ed Arcaico, che si trovano immediatamente sotto il Permiano e sono ricchi di lenti di quarzo e filoni quarzosi di blenda e di calcopirite. Considerando primieramente che il minerale e la ganga hanno ^12 P. TOSÒ la forma di grani e di ciottoli avviluppati da materiale clastico cao- linoso, il che dimostra l’azione di dislocazioni e scorrimenti, ed in secondo luogo che le formazioni sottostanti al Permiano hanno numerosi filoni quarzosi piombiferi e cupriferi che possono avere funzionato come filoni generatori, non parmi dubbio che anche questo giacimento stratificato debba ascriversi fra i filoni di scor- rimento. Osservo inoltre, come il fatto rilevato dal Lotti che nella parte superiore dello strato metallifero trovasiesclusivamente galena, mentre nella parte sottostante il minerale è cuprifero e v’ha una separazione netta fra le due zone, non può essere spiegato considerando il giaci- mento come un deposito di trasporto di minerali abraso da giacimenti filoniani preesistenti, perchè non si comprende un simile trasporto che non produca un deposito di minerali alla rinfusa; mentre trovasi un’ovvia spiegazione di detto fatto, ricordando come le emanazioni provenienti da magma interni variano di elementi a misura che essi vanno raf- freddandosi e si verifica nel Massetano che le emanazioni piombifere successero appunto a quelle cuprifere, per cui il deposito delle prime entro i piani di scorrimento, dovette effettuarsi esclusivamente sopra il minerale cuprifero. c) Giacimento d' ferro di Pazzano {Prov. di Reggio di Calabria). Credo di qualche interesse aggiungere anche un cenno di questo giacimento stratificato che, al tempo del Governo Napoletano, for- finiva il minerale a due altiforni a carbone di legna dello Stabilimento siderurgico della Mongiana (Calabria), giacimento che tuttora viene ricordato fra quelli che potrebbero fornire minerali per alimentare gli alti forni ora in attività in Italia. Questo giacimento è stato descritto dal Czyszkowski nella sua monografia Régions ferrifères de Calabre (Alais 1883) e dal Cortese nella Descrizione Geologica della Calabria Esso consiste in un filone strato di ferro limoni tico compreso fra gli scisti filladici ed i ba n- chi di calcare, che il Cortese attribuisce rispettivamente al Devo- niano ed al Giurese. I calcari formano il tetto e le filladi il letto. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 213 Lo stesso strato limonitico presenta un’ inclinazione di ha una potenza variabile da 1 a 3 metri ; in molti punti però il contatto venne trovato sterile. Il minerale è formato da una limoni te molto friabile. L’ing. Cortese segnala d’avere trovato in un punto prossimo al letto del minerale, un accumulo di ciottoli tondeggianti di galena tutti coperti ed impastati di ematite. Lo stesso autore attribuisce questo giacimento ad origine sedi- mentaria ed all’epoca giurese, perchè, egli dice, sotto tutte le altre masse di calcare giurese in Calabria, si vede alla base di esse una zona di detriti rossi, ossia stracarichi di ossido di ferro, che forma il primo strato delle serie giurese. Le prime acque giuresi, scrive il Cortese, giungevano alle lagune littorali cariche di ferro e quindi, per l’azione delle piante lacustri probabilmente, e delle loro altera- zioni, quei sali si decomponevano, lasciando precipitare gli ossidi idrati di ferro con i detriti melmosi e le argille tenui che erano in sospensione. Accidentalmente presso Pazzano, la limoni te si è for- mata in una laguna o palude che aveva ricevuto o riceveva dei ciottoli arrotolati di galena, strappati dai filoni traversanti le filladi. Il CzYSZKOwsKi ammette pure che questo giacimento sia di origine vsedimentaria, ma che venne formato da sorgenti termali ferruginose, sorte al fondo del mare, verso la fine del periodo Arcaico (Devoniano secondo Cortese) durante cui si depositarono gli scisti filladici : esclude l’origine filoniana perchè non si hanno traccio di minerali nelle fessure del calcare del tetto. E’ di somma importanza lo stabilire l’origine di questo giaci- mento se si vuole desumerne l’importanza, oppure trarre norme per eseguire ricerche, perchè, se esso fosse d’origine sedimentaria, a quest’origine va annessa l’idea della continuità, della regolarità, della grande estensione, dell’esistenza cioè di un vero orizzonte ferrifero per tutto il contatto fra filiali e calcari. L’origine sedimentare, a mio modo di vedere, appare poco pro- babile anche per il solo fatto che i lavori di ricerca, fatti ad est dell’abi- tato di Pazzano, a qualche centinaio di metri, cioè presso il Monte Consolino, trovarono sterile il contatto fra calcare e filladi verso 214 P. TOSO gli affioramenti. Se poi consideriamo come per tutta la regione si trova sottostante ai banchi di calcare, una zona di detriti rossi fer- ruginosi che dinotano come col sollevamento degli scisti del Devo- niano avvennero dislocamenti e scorrimenti della formazione calcarea soprastante ed inoltre che nel giacimento ferrifero si incontrarono ciottoli tondeggianti di galena coperti ed impastati d’ ematite, non risulta più dubbio trattarsi di un filone di scorrimento pro- dotto da uno dei tanti esili filoni generatori che nella località at- traversano le filladi. Tale origine giustifica la supposizione che in esso invece della continuità ed uniformità si dovranno incontrare tante concentra- zioni metallifere isolate, diverse per potenza ed estensione a seconda dell’intensità, durata e pressione delle singole emanazioni metalh- fere, con tendenza a disporsi a lenti, la cui potenza andrà aumentando verso il punto in cui queste concentrazioni stratificate incontrarono i rispettivi filoni generatori. Giacimento antimonifero di Su Suergiu Comune di Villassalto (Cagliari). Questo giacimento è un bell’esempio di un filone di scorrimento sotto forma di un ammasso irregolare isolato, che cessa nettamente in profondità, situato però a qualche distanza dal contatto di due forma- zioni, per cui alcuni caratteri paiono giustificare l’origine sedimentare, mentre altre considerazioni lo fanno ritenere di origine filoniana. Il grande ammasso antimonifero di Su Suergiu è racchiuso negli scisti calciferi, talora neri, grafitosi attribuiti al Devoniano, i quali posano sopra un’altra formazione di scisti color verde-gial- lastro attribuiti al siluriano. Il contatto fra le due formazioni è diretto Est-Ovest, ed ha, nei pressi dell’ ammasso antimonifero, una pendenza di 50^^ sul- l’orizzontale, ma più verso levante, cioè verso Martellai-Carcinar- giu, lo stesso contatto stato seguito con lavori sotterranei, si ri- conobbe più raddrizzato ed in alcuni punti quasi verticale. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFEIII, ECC. 215 Per molti fatti, e cioè per le contorsioni e rotture presentate dagli scisti grafitici presso al contatto, per il loro aspetto scaglioso rimaneggiato, questo contatto, che dista circa 40 metri dall' am- masso antimonifero, venne da tutti ritenuto essere stato la super- ficie lungo cui si effettuò lo scorrimento degli scisti devoniani su quelli siluriani. Il contatto non presenta però traccie di mineralizzazione. Il giacimento antimonifero di Su Suergiu è formato da un am- masso che presenta una direzione Est- Ovest, parallela alla superficie di contatto suddetta, misura in direzione circa 200 metri, ha una potenza (ossia una larghezza Nord-Sud) di circa 40 metri ed un’altezza di 70 metri a partire dagli affioramenti fino al livello più profondo detto Margherita. Sotto a questo livello le ricerche dimostrarono che la mineralizzazione cessa quasi bruscamente. Le dimensioni di quest’ammasso vanno restringendosi gradatamente verso l’alto. Seguendo con gallerie di ricerca il contatto fra le due forma- zioni scistose si incontrarono verso levante altre concentrazioni anti- monifere, ma molto più piccole, meno distanti dal contatto ed a Carcinargiu si incontrò anche il contatto mineralizzato. Il minerale è formato da stibina a grana finissima, frammisto a marcassite senza ganga quarzosa. Il minerale penetrò fra gli scisti neri sconvolti e rimaneggiati, i quali si presentano come iniettati dalla stibina. L’ ing. G. B. Traverso mise in rilievo come lo scisto nelle parti mineralizzate è nero, lucido, grasso, untuoso al tatto, mentre nelle parti non mineralizzate perde questa qualità, diviene più compatto e più resistente. Questo fatto, a mio parere, lascia supporre che la deposizione dei minerali venne accompagnata o susseguita da idrocarburi. L’ammasso antimonifero di Su Suergiu, che fu il più ricco gia- cimento italiano di antimonio, venne ritenuto dagli ing. Mazzetti e De Castro come un filone di spaccatura. L’ing. A. Ferrari lo defini come un filone di contatto fra Siluriano e Devoniano. Gli ingegneri Traverso lo ritennero d’origine sedimentare ed anche io nel 1897 fui di quest’ultimo avviso (Vedi «Resoconto della Riunione del l’Associazione Mineraria Sarda dell’anno 1897 »). 216 P. TOSO L’interessante argomento della genesi di questo giacimento fu recentemente oggetto di nuovi ed accurati studi dell’ing. M. Ta- ricco, che li pubblicò nel Bollettino della Società Geologica del- l’anno 1911. L’ing. Taricco, basandosi sulle analogie di questo giacimento con altri della stessa regione da lui studiati, non ostante il fatto che esso trovasi completamente fra gli scisti grafìtici ed abba- stanza lontano dal contatto suddetto, ossia dalla faglia, e che que- sta si trovi sterile, giustamente esprime l’avviso che questo gia- cimento debba ritenersi di origine fìloniana. Egli al riguardo così scrive: « La discrepanza delle varie opi- « nioni sulla genesi di questo giacimento è giustifìcata in un giaci- « mento in cui per la sua stessa genesi sono conservati dei carat- « teri di sedimentarietà e dei caratteri di riempimento di frattura « e il vario giudizio è dipeso dai caratteri a cui si dà maggior peso ». L’ing. Taricco ricorda come sarebbe importante il potere stabi- lire con certezza se a Su Suergiu la dislocazione abbia accompagnato il fenomeno di mineralizzazione. Egli però intravide la contempo- poraneità dei due fenomeni e dà infatti maggior peso ai caratteri che proverebbero l’origine fìloniana. Questa contemporaneità del fenomeno della mineralizzazione con quello della dislocazione pare a me sia ampiamente dimostrata se si considera che questo giacimento presenta tutti i caratteri es- senziali dei filoni di scorrimento, che abbiamo visto consistere ap- punto in un’apparente stratificazione sedimentare del minerale parallelamente al contatto, nell’ingrossamento delle sezioni del- l’ammasso verso la profondità ed un brusco arrestarsi della mi- neralizzazione, nella continuità dell’ammasso per tutta la sua al- tezza fino all’ affioramento. Considerando perciò il giacimento di Su Suergiu un filone di scor- rimento prodotto da soluzioni metallifere emanate da magma interni, forse (come ammette il Taricco) dalle stesse diabasi porfìroidi che si spinsero fino al livello Margherita, le quali attraversarono gli scisti micacei in diversi punti e si introdussero poi lungo la superfìcie SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIxMENTI METALLIFEIil, ECC. 2J7 di scorrimento e durante lo scorrimento stesso, noi abbiamo una spiegazione facile di tutti i fenomeni che presenta questa singolare concentrazione antimonifera. Qui credo però opportuna una osservazione. Nel maggior nu- mero dei casi i filoni di scorrimento presentano la maggiore minera- lizzazione esattamente al contatto di due formazioni che subirono fra loro uno scorrimento. A Su Suergiu, come già abbiamo visto ad Agordo, la superficie di scorrimento si trova a qualche distanza dal contatto ; basta per ciò che la formazione sottostante sia più compatta ed abbia una superficie ondulata ossia con qualche prominenza, perchè il piano di scorrimento in alcuni punti si formi entro il terreno sovra- stante, tanto più se meno compatto, e quindi a qualche distanza dal vero contatto delle diverse roccie costituenti le due formazioni. Filoni antimoniferi dell’Alvernia (Francia). I fenomeni che si osservano nei giacimenti del Massetano ed in quelli del Monte Amiata, dimostrano come già si disse, che per la stessa frattura da cui dapprima emersero le emanazioni metalli- fere, successivamente si svolsero solo più dei gas e specialmente dell’acido carbonico. Anche nei filoni antimoniferi dell’ Alvernia, parimenti di epoca posteocenica, si verificò il doppio fenomeno di emana- zioni metallifere ad alta temperatura susseguite da sorgenti di gas specialmente di acido carbonico. Per il che quelle fratture filoniane, per essersi prodotte in una formazione scistosa, vennero dapprima riempite da minerale con ganga quarzosa, in seguito le sopra venute sorgenti gassose provocarono nelle fratture stesse delle correnti acqui- fere ascendenti che ebbero per effetto di erodere le pareti incassanti costituite da roccie scistose compatte e produssero una massa argil- losa plastica che avvolge il minerale e ne forma una potente salbanda. L’altipiano deH’Alvernia (Grand Plateau Central) che si eleva a 800 metri circa sul mare e si estende per un diametro di circa chilo- metri 150 è formato da micascisti azoici molto compatti ricoperti qua e là da dicchi trachitici e da colate basaltiche. Numerosi filoni di 218 P. TOSO frattura lunghi parecchi chilometri intersecano questo altipiano che presenta profonde vallate di erosione, le quali resero fin qui facile la coltivazione di questi filoni mediante gallerie di ribasso: essendo oramai esaurite le parti più alte di essi, quelle iriniere ri- chieggono ora rimpianto di macchine per l’eduzione delle acque e per l’estrazione del minerale. I filoni antimoniferi hanno una potenza da 1 a 5 metri, sono tutti quasi verticali e presentano nella loro parte centrale delle vene di stibina quarzosa della potenza media di 30 o 40 cent, avvolte da potenti salbande argillose plastiche. Il minerale ha una ricchezza dal 10 al 30 % di antimonio metallico, a seconda del tenore del quarzo che trovasi intimamente frammisto col minerale. Nella massa filoniana incontrasi molta acqua proveniente tutta dagli affioramenti, essendo i niicascisti incassanti impermeabili alle acque. Nelle gallerie di scolo, scavate entro le fratture filoniane, si os- servano al muro sorgenti di acido carbonico accompagnate da sorgenti d’acqua. Sono le emanazioni di gas che qui richiamano le acque pro- fonde e le sollevano in alto, formando delle correnti ascendenti che col loro movimento diedero origine alle erosioni delle pareti incassanti e quindi alle argille plastiche decolorate che accompagnano il minerale, verificandosi il fenomeno raro ed in sulle prime inesplicabile che questi filoni, posti fra rocce compattissime, presentano alle loro coltiva- zione gli stessi inconvenienti dello scavo fra roccie plastiche e franose. A questo stesso fenomeno devesi attribuire il potere eminen- temente incrostante delle sorgenti di quella regione, dove esse at- traversano in profondità banchi di calcare. PARTE VI. Sui giacimenti metalliferi COMPRESI FRA LE ROCCIE OFIOLITICIIE DELLA TOSCANA. In Toscana trovansi numerosi giacimenti piritoso-cupriferi fra le roccie ofiolitiche, i quali formarono oggetto di molte indagini, ripe- tutamente abbandonate per essere di nuovo riprese quando i prezzi SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 2l!l del rame si elevano. Questi giacimenti sempre presentarono molte attrattive, non per l’estensione e potenza delle concentrazioni cu- prifere, ma a motivo della ricchezza in rame dei campioni di mine- rale che s’incontrano e perchè sono noti i larghi benefìzi ricavati dalla coltivazione del giacimento cuprifero ofìolitico di Montecatini, che agli affioramenti presentavasi come un esile filone, ma che in profondità crebbe in potenza fino a che poi cessò bruscamente. Per i geologi rimane ancora un’incognita la genesi delle for- mazioni ofiolitiche ed altrettanto puossi dire di quella dei giacimenti cupriferi ad esse annessi, per cui credo di qualche interesse fare un cenno delle osservazioni da me raccolte su questi giacimenti. Dirò subito che viene generalmente ammesso che le roccie ofiolitiche sono roccie eruttive che si disposero sotto forma di co- late al fondo del mare, e qui, pel processo di differenziazione magma- tica, i minerali piritoso-cupriferi in esse contenuti si separarono, age- volati in ciò dal loro maggior peso rispetto a quello delle roccie litoidi e formarono delle concentrazioni al contatto della diabase nella zona dell’eufotide. Le osservazioni da me fatte su questi giacimenti mi danno motivo a credere invece che anche questi giacimenti debbano la loro origine al processo pneumatolitico idrotermale, come tutti gli altri del Massetano e che il disporsi dei minerali nelle eufotidi al con- tatto delle formazioni diabasiche, dipenda dal fenomeno già stu- diato dello scorrimento prodottosi fra le diverse formazioni ofio- litiche durante il periodo di tempo in cui emanarono le soluzioni metallifere; od in altre parole, anche i giacimenti ofiolitici al con^- tatto delle diabasi siano dei filoni di scorrimento. Naturalmente se fu il processo pneumatolitico a dare origine ai giacimenti cupri- feri ofiolitici, ne deve conseguire che le formazioni ofiolitiche dovet- tero essere preesistenti alle emanazioni metallifere. Parrebbe adunque che per il fenomeno già accennato che le emanazioni endogene cambiano col tempo di natura, ma persi- stono durante diversi periodi geologici attraverso le stesse frat- ture e dislocazioni subite dai terreni sedimentari, le emanazioni 220 P. TOSO cuprifere non siano che una seconda fase del fenomeno endogeno che diede primieramente origine alle roccie ofìolitiche. Non altri- menti abbiamo visto verificarsi' a Gavorrano, ove si ebbe dap- prima l’eruzione dei graniti susseguita dalle emanazioni metallifere. Per discutere i fatti che appoggierebbero questa mia ipotesi farò primieramente un cenno dei dati caratteristici delle roccie ofìolitiche e dei loro giacimenti cupriferi della Toscana, desumen- doli dagli studi del Lotti. Questi dati possono essere nel seguente modo riassunti: P Le roccie ofìolitiche sono contemporanee ai banchi sci- stosi e calcarei eocenici che le racchiudono; viene esclusa l'idea che esse rappresentino intrusioni plutoniche o che siano scogli di roc- cie antiche emergenti di fra i terreni eocenici, e perciò sono da con- siderarsi come spandimenti eruttivi sul fondo del mare eocenico. 20 II contatto dei banchi sediìnentari colle roccie ofioliti- che è senza alterazione ed è perfettamente concordante colla stra- tificazione delle roccie sedimentarie, e cioè non avvennero qui spo- stamenti di stratificazione che si verificano invece presso i dicchi granitici la cui presenza non va mai disgiunta da fratture delle roccie sedimentarie per dare passaggio al sollevamento di masse eruttive. Le roccie ofìolitiche presentano ad un tempo per la loro natura i caratteri di roccie eruttive e per l’andamento della stratificazione i caratteri di roccie di sedimentazione. 30 La diabase forma la parte superiore delle roccie ofioli- tiche, la serpentina colla Iherzolite la parte inferiore, mentre l’eu- fotide, come pure le roccie serpentinose steatitose che da essa de- rivano, stanno in mezzo alle due precedenti, per lo più in lenti amigdalari e discontinue. Gli studi moderni insegnano a eonsiderare l’eufotide come un modo speciale di cristallizzazione della diabase. Non v’ha massa ofiolitica, per quanto piccola, che non presenti traccie di rame. 5*^ S’incontrano filoni regolari di diabase porfiroide nella ser- pentina immediatamente sottoposta alla diabase ordinaria. $UL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 221 I giacimenti piritoso-cupriferi racchiusi nelle roccie ofiolitiche hanno i seguenti caratteri: 1® S’incontrano concentrazioni cuprifere costantemente nel- l’eufotide, al contatto di essa colla diabase ed al contatto colle roccie sedimentarie quando manca la serpentina. Presso al contatto 1’ eu- fotide metallifera presenta zone cloritose steatitose sempre limitate da superfìcie di scorrimento. I giacimenti cupriferi al contatto fra la serpentina e la diabase sono di minor importanza di quelli al con- tatto della diabase colle rocce sedimentarie calcaree. 20 II minerale costituito da calcopirite, erubescite e calco- sina si trova generalmente disseminato, sotto forma di noduli tondeg- gianti di varia grandezza nel materiale decomposto e spesso laminato del giacimento, il cui letto presenta spesso una superfìcie piana levi- gata che sembra il resultato di scorrimenti : le concentrazioni metal- lifere prevalgono in prossimità di questi piani e nelle insenature o tasche della parete del fìlone. 30 Si osservano nelle eufotidi e nella serpentina delle vene di silice concrezionata simile alla geyserite. Talvolta in queste vene di silice sono racchiusi frequenti calcedoni. L’ipotesi che i giacimenti metalliferi ofìolitici siano dovuti a segregazione magmatica dalle diabasi è essenzialmente basata : a) sulla frequenza nelle roccie ofiolitiche di traccie di minerale di rame; h) perchè nei banchi sedimentari eocenici che racchiudono queste roccie non s’incontrano minerali cupriferi; c) sulla speciale disposizione che presentano queste concentrazioni metallifere in no- duli sferoidah entro un materiale alterato steatitoso, noduli in cui alcuni credettero di vedere il risultato di azioni elettriche prodot- tesi durante la segregazione; d) infine perchè questi giacimenti si trovano costantemente al contatto fra le diabasi e l’eufotide. Tutti questi fatti non sono, a mio parere, sufficienti per giu- stificare l’ipotesi della concentrazione magmatica. Ed infatti il trovarsi questi giacimenti al contatto delle diabasi non può caratterizzarli come prodotti dalla differenzazione, perchè anche il giacimento di Gavorrano posto al contatto coi graniti è di- 222 P. TOSO mostrato oramai non essere prodotto da segregazione magmatica. Vedremo del resto come in Liguria i giacimenti al contatto delle diabasi coll’eufotide sono sempre accompagnati da sottostanti filoni quarzosi attraversanti la diabase stessa, i quali appaiono i filoni go- dei giacimento di contatto. Il non aver poi fin qui trovato minerali cupriferi fra i ban- chi eocenici sottostanti (il De Launay afferma invece il con- trario) non può essere che una prova negativa di poca importanza, perchè si son fatte troppo poche ricerche fra queste roccie per escludere che fra esse esista una vena generatrice dei giacimenti sovrastanti, vena che può anche essere esilissima. Altrettanto può dirsi della disposizione del minerale sotto forma di noduli sferoidali, poiché trovammo infatti simili noduli di minerali essere la caratteristica dei minerali depositatisi nei filoni al contatto fra calcare retico e scisti eocenici alle Bruscoline, alla Leccetta, a Vagli, ecc. D’altra parte non vedesi nemmeno come siasi potuta effet- tuare la supposta segregazione di minerali quando l’esperienza dimostrò che il processo di differenziazione ha solo luogo nelle roc- cie basiche di profondità, solo eccezionalmente in quelle di filone, mai in quelle effusive superficiali. Le roccie ofiolitiche dimostrandosi in Toscana appunto effusive ed in fondo al mare, la parte di esse che maggiormente risentì del raffreddamento, dopo T avvenuta effusione, dovrebbe essere stata la superficie della diabase bagnata dalle acque, e qui avrebbe dovuto richiamare una parte dei solfuri metallici se fosse avvenuta la segregazione e non al letto della formazione diabasica al con- tatto coi calcari eocenici. Queste considerazioni fanno credere che questi giacimenti ab- biano origine dal processo pneumatolitico e abbiano perfetta ana- logia con quelli già descritti del Massetano, il che appure confermato dai seguenti fatti che si osservarono a Montecatini nella miniera meglio studiata e descritta dal Lotti, dall’ing. L. Schneider e dal De Launay. SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFEIII, ECf:. 223 A Montecatini le concentrazioni metallifere non sono sparse sporadicamente per tutto il contatto della diabase, ma formarono due sole colonne irregolari però ben definite e continue, le quali co- stituiscono il così detto filone bianco e che partono dalla roccia sedimentare, lambiscono il contatto fra calcari eocenici e le dia- basi per portarsi non interrotte fino alla superficie esterna. Nel- Tultimo tratto verso gli afiìoramenti, il giacimento di Montecatini non sta al contatto della diabase, ma trovasi tra un’esile frattura delle diabasi stesse, la quale agli affioramenti misura solo pochi centimetri di potenza. A queste concentrazioni metallifere comprese fra la diabase, a motivo della loro colorazione venne dato il nome di filone rosso. Oltre la continuità è da considerarsi che il giacimento cresce sempre di potenza colla profondità, tanto che alla profondità di 150 m. arrivò a misurare circa 100 m. di potenza, per cessare poi bruscamente. Ricordo che questi due formano i caratteri essenziali dei filoni di scorrimento. E’ ovvio perciò supporre che l’andamento di queste due colonne deve rappresentare il percorso seguito dalle emanazioni metallifere nella loro ascensione verso l’esterno. A Montecatini le roccie che racchiudono le colonne mineralizzate si presentano di natura steatitosa cloritica, molto pastosa, ossia non sono altro che un’eufotide alterata, mentre l’eufotide si conserva dura, inalterata nelle regioni del contatto non mineralizzato. Un ana- logo fenomeno abbiamo visto essere stato prodotto dalle emanazioni metallifere alle Bruscoline, le quali alterarono e rimaneggiarono solo la zona degli scisti da esse lambita. Al contatto mineralizzato s’incontrarono poi a Montecatini su- perficie levigate che dimostrano essere qui avvenuti quegli scorri- menti fra le roccie sedimentarie e le diabasi, i quali facilitarono il passaggio delle soluzioni metallifere e permisero l’accumularsi dei depositi di minerali. In questo modo di formazione del principale dei giacimenti metal- liferi ofiolitici parmi si possa trovare anche la spiegazione del perchè in Toscana sono generalmente ricchi i giacimenti di contatto dove. ■224 t». TOSO come a Montecatini, manca la serpentina e dove Feufotide posa, diret- tamente sui calcari eocenici. In questo caso infatti le emanazioni metallifere trovarono, appena ebbero attraversati i calcari, più facile percorrere il contratto fra diabase e roccie sedimentarie, epperciò affluirono qui con maggior abbondanza, che non nel caso in cui dovet- tero dapprima attraversare banchi di serpentina, roccia questa che nei terreni terziari presenta maggior plasticità che non i calcari e le diabasi e quindi le fratture nella serpentina sono meno nette e più facili ad otturarsi. Questa è forse la sola ragione per cui in Toscana fra le serpentine non s’incontrano filoni generatori cupriferi ben marcati, ma solo piccole concentrazioni metallifere con vene di silice, senza conti- nuità, e ciò forse a causa delle dislocazioni e contorsioni subite dalla serpentina stessa. In Liguria invece, dove, come si dirà, le diabasi sottostanno alle serpentine, sono più ricchi i giacimenti al contatto fra le ser- pentine e le diabasi, perchè le diabasi, come roccie più compatte, presentano fratture più nette e più facili al passaggio delle emana- zioni metallifere per portarsi in alto ,sia al contatto colle serpentine come fra le serpentine nella prossimità del contatto stesso. Sul giacimento di Montecatini il DeLaunay, nel suo libro succi- tato (La métallogénie de V Italie) fa una particolareggiata descrizione, basandosi sui più recenti rilievi geometrici che di quel giacimento fece ring. Ridoni. Descrivendo il filone bianco, il De Launay osserva come « tout « confirme la supposition d’un transport avec friction opéré sur cette « salbande argileuse et stéatiteuse. Ainsi on trouve, dans le filon blanc « près de son contact sud avec les phtanites, un véritable conglome- « rat de galets arrondis et la méme disposi tion s’ accuse dans les mi- « nerais eux-mèmes, qui pour nous sont les débris disloqués et « roulés d’une formation métallique sulfureuse, produite d’abord « par ségregation sulfureuse au contact de la diabase ». Parlando dei filoni rossi inglobati nella diabase, di cui solo il principale affiora, i quali divergono e si atrofizzano di più in più SUL MODO Di FORMAZiOND DUI PRtNOlPALl GIAClMEJlTI METALLIFElt I, ECO. 22t) a misura che si allontanano dal filone bianco a salbande argillose, al quale i primi si congiungono, il De Launay cosi dice: « Commentse « sont formés ces sortes de ramifica tions qui n’ont évidemment d’un « filon que l’apparence tout à fait grossière, il est assez difficile de « s’en rendre compte ». È quindi opinione del De Launay che a Montecatini si ebbe « d’abord une segrégation au contact de la diabase: puis un charriage « dans lequel tonte la masse de diabase avec ses minerais connexes « aurait été déplacée et disloquée au dessus des couches éocènes ». L’ipotesi da me formulata, basandomi essenzialmente sull’a- nalogia dei fenomeni osservati a Montecatini con quelli presentati specialmente dal filone, di scorrimento di Valle Buia, mentre am- mette con il De Launay lo scorrimento della diabase sugli strati eocenici, considera invece il filone bianco come un normale filone di scorrimento depositatosi durante lo scorrimento delie diabasi, ed originato per processo pneumatolitico e non per differenziazione mag- matica come suppone anche il De Launay; i filoni rossi poi sarebbero semplici apofìsi del filone bianco. Così interpretando il giacimento di Montecatini si ha una plau- sibile spiegazione dei tanti fenomeni descritti dal Lotti e dal De Lau- nay, compreso il più inesplicabile, per chi vuole in tutti questi gia- cimenti vedere una differenziazione magmatica, citato dal De Launay e cioè: « enfin il y a lieu de remar quer comme un fait impor- « tant pour la genèse du gite, que Fon a autrefois rencontré à titre « très-exceptionnel des veines de chalcopyrite penétrant dans le cal- « caire eocène- sous jacent ». Giacimenti cupriferi RACCHIUSI NELLE ROCCIE OFIOLITICHE DELLA LIGURIA. I giacimenti piri toso-cupriferi della Liguria presentano diffe- renze marcate con quelli della Toscana. In Liguria troviamo la stessa natura delle roccie ofiolitiche, ma si verifica una completa inversione della serie. La diabase forma 8 226 P. TOSO qui il basso della serie ofiolitica, Feufotide la parte mediana e la ser- pentina la parte più alta. Il Lotti già aveva incontrato al CovigLiaio ed a Sasso di Castro nel versante adriatico delFAppennino tosco-romagnolo che la serie delle roccie ofiolitiche è precisamente inversa a quella trovata costan- temente per tutta la Toscana nel versante mediterraneo delFAp- pennino : egli attribui F eccezionalità del caso alla presenza molto probabile di una piega anticlinale. Tale inversione della serie trovasi pure in Liguria. Io non in- tendo ora qui di approfondire la questione se cioè in Liguria i ter- reni ofiolitici subirono un completo rovesciamento od invece si tratta effettivamente di una serie inversa, e cioè in J^iguria le diabasi furono depositate prima delle serpentine, mentre in Toscana le serpentine formano la base dei terreni ofiolitici. Allo scopo prefissomi mi basterà mettere solo in rilievo come in Liguria quando si svolsero le emanazioni piritoso-cuprifere già le diabasi stavano in basso sotto alle serpentine. Questa inversione deducesi anche da che in Liguria le sotto- stanti diabasi sono intersecate da numerosi filoni di frattura quarzo- piri toso- cupriferi, che per la loro ubicazione si devono supporre come i filoni generatori del soprastante giacimento di contatto. In Toscana fra le diabasi, per essere soprastanti, non si incontrarono simili filoni, mentre si incontrarono, quantunque raramente, colonne quarzose calcedoniche fra le sottostanti serpentine. Allo scopo riporto qui una descrizione riassuntiva di questi giacimenti fatta dal distinto ing. P. Marengo, che fu già direttore delle miniere di Montecatini, ove ebbe occasione di studiare anche le roccie ofiolitiche e i giacimenti cupriferi della Toscana. I seguenti brani di descrizione vennero desunti da una relazione peritale sulle miniere di Sestri Levante (Relazioni sulle Miniere e Stabilimenti della Società Ligure Ramifera, Genova, 1908). « Questi giacimenti, scrive Fing. Marengo, sono subordinati alla « presenza delle tre roccie eruttive serpentina, diabase ed eufotide, « delle quali esistono numerose ed estese masse in tutta questa SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 227 <( regione. Esse appariscono nell’Eocene; questa formazione geolo- « gica è rappresentata qui, partendo dagli strati superiori di essa, « da calcari alberesi e calcari bianchi silicei, inferiormente ai quali « appariscono i diaspri seguiti da galestri, che contengono arenarie « interstratificate: in questi galestri si presentano estese colate delle « tre roccie eruttive menzionate, che sembrano succedersi per modo « che la inferiore di esse è la diabase e la superiore la serpentina, « essendo l’eufotide associata alla diabase. E’ lungo il contatto fra « due di queste roccie eruttive non solo, ma anche lungo il contatto « fra una qualunque di esse e i sedimenti eocenici ed in vicinanza « di questo contatto, che si presentano i giacimenti cupriferi in « questione, che sono in generale contenuti in una delle roccie co- « stituenti i contatti stessi. « Nel caso speciale che consideriamo non si sono finora rinve- « nuti giacimenti al contatto fra roccie eruttive e sedimentarie, men- <( tre se ne conoscono altrove (Montecatini, Cerchia, Monte Mesco). « Si hanno poi numerosi giacimenti di forma nettamente filo- « niana che si presentano come veri filoni di spaccatura, partenti « però sempre dal contatto fra quelle roccie eruttive, come è risul- « tato dai lavori fin qui fatti non solo, ma anche in quei casi in cui « sembra trattarsi di un’eccezione, non essendo ora dimostrabile in << modo apparente tale relazione coi contatti, è assai probabile che « essa esistesse, mentre attualmente essendo erosa in parte una delle « roccie del contatto, non può essere osservata. Questo fatto si pre- « senta, fra altri, specialmente interessante nella parte superiore « del Rivo di Pian Martino, nella cui sponda destra, formata, « per erosione della serpentina, dal contatto denudato fra questa e « la diabase, si internano nelle diabase stessa varie spaccature, una « delle quali fu esplorata ed in parte coltivata. « Tali filoni hanno un’estensione piuttosto limitata, e che non « raggiunge in generale se non qualche diecina di metri, mentre <( la loro potenza è variabilissima, ed altrettanto variabile ne è la ^ mineralizzazione, che bruscamente può passare da molto ricca a « poverissima e viceversa. Queste fenditure sono, come nella mag- 228 P. TOSO <( gior parte dei filoni di spaccatura, riempite da materiale ' prove- « niente dalla roccia incassante, e che è cementato sopra tutto da « quarzo: questo è specialmente abbondantissimo nelle spaccature « subordinate alFeufotide. « La mineralizzazione più importante e relativamente più co- « stante, sebbene spesso variabilissima, è quella che si presenta « lungo i contatti ed in vicinanza di essi, in una delle roccie che « li costituiscono: in questo caso si ha da fare con vere colonne o « lenti di estensione a volte anche considerevole e di potenza che, « pur essendo molto variabile, può raggiungere e sorpassare i 10 me- « tri, mentre la potenza dei giacimenti di carattere filoniano rare « volte oltrepassa il metro ». A complemento di quanto dice Ting. Marengo, aggiungerò come nei giacimenti cupriferi di contatto in Liguria si constata come essi sono composti di diverse concentrazioni isolate disposte sporadicamente, però sempre unite da una losima steatitosa pla- stica che si suole seguire nei lavori di ricerca per rintracciare la serie di queste concentrazioni. Quando il giacimento di contatto forma, come alla miniera Gallinaria, un piano molto inclinato sull’ orizzonte, le diverse con- centrazioni prendono la forma di colonne continue che tendono all’e- sterno. L’ing. Marengo si limita a constatare che sottostante ai gia- cimenti di contatto esistono fra la diabase dei filoncini quarzosi che si dipartono dal giacimento principale che è quello al contatto. Resterebbe ora a meglio precisare se queste fratture della dia- base furono percorse da emanazioni metallifere ascendenti che si portarono superiormente e qui si disposero al contatto, oppure se le emanazioni stesse si dipartirono dal contatto dove arrivarono per differenziazione magmatica dalle eufotidi per portarsi in basso fra le fratture della diabase. In nessun punto i lavori di scavo dei filoncini suddetti vennero spinti fin verso il letto della formazione diabasica, cioè verso gli strati eocenici, e qui non si potè riconoscere l’andamento in prò- SUL MODO DI FORMAZIONE DEI PRINCIPALI GIACIMENTI METALLIFERI, ECC. 229 fondita di essi; eran troppo poveri questi filoncini per spingere la loro coltivazione a grandi profondità. Pare, del resto, più ovvio ammettere che le emanazioni metal- lifere salirono dalfiinterno e si diffusero verso l’alto, e qui si sia ripetuto il fenomeno verificatosi nel giacimento di Valle Buia. Non sarebbe infatti naturale che questo giacimento metallifero, se formato per segregazione, dopo di essersi depositato fra le serpentine e l’eufo- tide fra elementi steatitosi plastici senza la presenza di quarzo, potesse essersi ancora infiltrato per descensum fra spaccature sotto- stanti, trascinando col minerale non più gli elementi steatitosi che accompagnano il minerale in alto, ma elementi quarzosi di cui è esente il giacimento del contatto. Per queste ragioni parmi che non sia da escludere l’ipotesi che i giacimenti cupriferi ofiolitici tanto in Toscana come in Liguria rappresentino il prodotto della seconda fase del fenomeno endogeno che, in uno stesso campo di fratture, primieramente portò alla superficie le roccie ofiolitiche aventi traccie di pirite, ed in secondo luogo le emanazioni metallifere, e ciò analogamente a quanto suc- cesse a Gavorrano, dove si ebbe dapprima l’eruzione dei graniti, in alcuni punti tormaliniferi e piritosi, e dopo successe l’emanazione piritosa che in molti punti venne a disporsi a contatto coi graniti. CONCLUSIONE La dottrina dei giacimenti metalliferi, non ostante gli studii del Groddeck, De Launay, Posépny e del Beck si rivela pur sempre molto deficiente a spiegare gli ammassi irregolari, i filoni di con- tatto, i filoni strati, le fahlbande, per i quali gli stessi autori ma- nifestarono tanti dubbi e controversie. Mi lusingo che la nuova teoria svolta sui filoni di scorrimento valga ad apportare un po’ di luce sull’origine di tali giacimenti e ad agevolarne lo studio pratico. Ricorderò per ultimo che, colle osservazioni da me aggiunte sui giacili enti cupriferi ofiolitici, non ho la pretesa di ritenere ri- 230 P. TOSO solto il problema della loro genesi, perchè furono troppo pochi i giacimenti ofiolitici che ebbi occasione di studiare; intesi solo di portare l’attenzione su alcuni fatti che mi paiono degni di essere presi in considerazione da chi dedicherà ulteriori studii a questo argomento che tanto interessa il nostro paese che conta numerosi giacimenti cupriferi ofiolitici. BOLL. R. COM. GEOL. D’ITALIA VOL. XLIII P. TOSO — Genesi giac. met. TAV. aiiKoosnjg • Sorgenfi 5org'' fermali. 5olTioni bora. <2> Quarzo. CTferi f I 'I J 1 BOLL. R. COM. GEOL. D’ITALIA VOL. XLIII P. TOSO — Genesi JAV II Quaternario. ^^^^Terziario Calcare secondario liassico. Calcare reti co. | ] Permico. Granito. / INDICE DELLE MATERIE Prefazione Pag. 113 PRELIMINARI. I. Generalità sulla genesi dei giacimenti metalliferi 115 Giacimenti primitivi e derivati . 117 Giacimenti d’estrazione magmatica dovuti al processo detto pneuma- tico idrotermale » Giacimenti di concentrazione magmatica dovuti al processo di diffe- renziazione 118 II. Considerazioni sui soffioni boraciferi della Toscana 120 PARTE L Filoni di frattura ed ammassi metalliferi irregolari 125 Filoni di frattura » Ammassi metalliferi irregolari 127 PARTE II. Classificazione dei giacimenti metalliferi del Massetano. ... 131 1. Giacimenti racchiusi negli scisti permiani 132 a) Filoncini piritosi presso il Botro Rosso 133 b) Filoni fra gli scisti permiani a Serrabottini 134 c) Filoni di granito tormalinifero fra gli scisti permiani a Gavor- rano-Ravi 135 2. Giacimenti piritosi al contatto fra gli scisti permiani ed il calcare retico 136 a) Giacimento di Valle Buia . » Natura del minerale . . . . 139 Sulla genesi del giacimento di Valle Buia 140 232 INDICE DELLE MATERIE Sulla forma assunta dal filone di scorrimento di Valle Buia. Pag. 143 h) Giacimenti di pirite al Rigagnolo e Molignoni 145 3. Giacimenti al contatto fra gli scisti permiani e gli scisti argillosi eocenici 146 Giacimento di pirite cuprifera di Boccheggiano Sulle cause che, motivarono la speciale natura e P andamento del giacimento di Boccheggiano 148 Sulla disposizione che assumono entro il filone di scorrimento di Boccheggiano le maggiori concentrazioni metallifere 151 4. Giacimenti fra il calcare retico 153 Niccioleta 154 Val d’ Aspra 155 5. Giacimenti al contatto fra il calcare retico e gli scisti eocenici . . 156 Giacimenti delle Bruscoline » Giacimento detto Scaricone presso Val d’ Aspra 160 Sul doppio giacimento metallifero incontrato a Val d’ Aspra, di cui uno al contatto superiore e l’altro al contatto inferiore del cal- care retico » 6. Giacimenti fra gli scisti eocenici 162 Giacimento della Fenice » Sull’estensione in profondità del giacimento della Fenice 164 Modo di formazione 166 7. Giacimenti interposti fra i graniti ed al contatto fra i graniti ed i calcari triassici e retici 168 Giacimenti piritosi di Gavorrano e di Ravi 170 a) Banchi di pirite racchiusi fra i graniti » b) Concentrazioni piritose al contatto fra graniti e scisti calcarei . 172 c) Concentrazioni di pirite fra i calcari scistosi triassici ... . 174 d) Concentrazioni piritose di Ravi *> 1® Ammasso piritoso di Grottone » 2° Ammasso piritoso presso la Fonte di Ravi 175 Sul modo di formazione dei giacimenti della regione Gavorrano - Ravi 177 PARTE III. Sul quarzo che accompagna sia i giacimenti metalliferi del Massetano, come quelli antimoniferi della Toscana. 178 Sulla serie dei minerali depositati dalle emanazioni metallifere nel loro per- corso ascendente 182 INDICE DELLE MATERIE ’ZXi PARTE IV. Analogie e differenze fra i giacimenti metalliferi del Massetano e (Quelli ci- nabriferi della regione del Monte Arniata 1^^ Giacimenti cinabriferi al contatto fra calcari nummulitici e scisti eocenici 190 Giacimenti cinabriferi compresi fra banchi di arenaria eocenica e sabbie plioceniche 191 Giacimenti cinabriferi formati in parte per ascenìiim ed in parte per di- scensum delle soluzioni cinabrifere 193 a) Giacimento del Cornacchino » b) Giacimento di Abbadia S. Salvatore 195 PARTE V. Giacimento piritoso cuprifero di Valle Impenna, presso Agordo . . . . 196 Giacimento piritoso cuprifero del Bett e Ghinivert . 203 Giacimento metalliferi stratificati 208 a) Giacimenti di Saint Avold e Wallerfangen (Vosgi) . » b) Giacimento del Capo Garonne (Alpi Marittime Francia) 210 c) Giacimento di ferro di Razzano (Reggio di Calabria) 212 Giacimento antimonifero di Su Suergiu ...214 Filoni antimoniferi delFAlvernia (Francia) 217 PARTE VI. Giacimenti cupriferi compresi fra le roccie ofiolitiche della Toscana. . . 218 Giacimenti cupriferi racchiusi nelle roccie ofiolitiche della Liguria . . . 225 Conclusione 229 i'ivV ..* ■ r, yi;..^:aA%ri3ì^i*‘’-v 'i= jj«i#. -14*,'.' n J-L-, i'i ifbìH^ '* '>hI(. l?b ixe^IJid'jjxt, ih *^!:r’*ii:< f i;74 ‘«(rnoTlp »> y <:\k' m- '* '•'■ W }[ . 4:*.):ììiiiA -tGol/'. b»b 9iioi»^.»'i ufiob ho^h iH^r {.‘>in?v>o 1 it«H' ■'» i/ìii }if M {(iniyxf jril 05l.t4S.iuo.o (4» noljtrrfi.iiH ifftoi'nirMji») utPh*iir‘j’i« ib'iilaxr/id ibwtqxna'ì naJhfUfiio, linouuoiiir^ ><-• i'*'*Ah';v là >y>e' »: '• \ v r ii.- -u.!'* ui > "_ i«I . . . eiloiflA')^>}I/j' , ìW l'.M, ^sìp*ì (Il O nolari^sOi?) ; ;>. ." 7‘-‘ , “ ■ ; ,7 V:*- , i . . , . . . . . . : .. ,, ^ . . r ofi;iio?>8inoC> UJb ttv» *' ^^7- - 4»-i: rciie^ - .'. • ■ • " \ ^ T' òn , / . . . . . . K . . ^ ;.io^ /tó .fi r.ibftddA Ib {? i i Civ* nf& . i(ifX) ^)^^l078t> oqK!‘>jlob (A.„ L(i ' : ! . ^^. ’*^. ^. ii> oi^^^‘’H) ìt) jtflonìijirtì oJaHXjtinib;^ V- ' ^ nd0Ìionii7ntì inijr^'5 xn . 7: (- . ii^' -'■• -iv; ^ ‘ .1? ?rni AH t»viO )- *■<- f ■7 '■* m iì)li a»4»ici 7A»tÌ3i^nhQf*^ll^‘ ébiiìMo iti' titì ’iéDTiiffi()^> rt3>n^|ub i^irbuiiofiì’T) . . ìih :rnr 1 ftllftì ‘ (bfòiiiM»)’ oU^Ìi\' 'iaiiidybjit il'iThitWb Mbeinruift) «*? ^'ì; ■7'-:-'i^'“‘^i:'H ■ , ':ajai.i/i'>Hio /.A /( !iàv5r7'-^>’'- * _• ; • ,^ • •- ^ , , , Y-./'J - 'i^'(;,,?v twk-*f^1a ititvì Sai' )•»««.■-. ■ t»,.^»i>hldf. Con ragione il Perner ^ osserva che sotto codesto nome sono qui riunite specie diverse. Mi sembra però che egli cada in errore identificando con la stessa fig. 6 del Whidborne il suo B. W hidbornei ; nel quale le strie di accrescimento formano un angolo più ottuso, gli anfratti hanno il dorso tettiforme, la carena è delimitata da solchi laterali. - 1 Cfr. Th. Tscheknysciiew : D''e Fauna des m^ttleren und oheren Devon din Westahhange des Urals. « Mém. Coni. géol. St. Pétersb.», Ili, 3, 1887, * pag. 192. ? Perner iu Barrande ; 8yst. Silur., IV, 19o7, pag. 135. LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COGLI ANS 201 Analoga delimitazione della carena si ritrova, stando alla descrizione, nel B. angustomphalus Spitz \ specie che è però figurata in misura insufficiente. Murchisonia {Goniostropha ?) cfr. rotundata 8pitz « Gastrop. Karn. Unterdevon» . L. c., p. 149, t. XIV, f. 18. — Spira acuta, con angolo apicale di IG^; anfratti con altezza uguale a o Vs del diametro, arrotondati, ma con l’angusta fasciola deli- mitata da due ben rilevate carene mediane longitudinali. M. (Goniostropha ?) V inassai n. f. Tav. II, fig. 7. — Conchiglia turricolata, con angolo apicale di 18‘^ o 20°. Anfratti alti, angolosi, con suture lineari inclinate 10® o 12^ sull’asse della spira. Fasciola stretta, infossata fra due spiccate carene longitudinali mediane. L’altezza dei giri equivale a ‘"’l^ del diametro. Le strie di accrescimento sono oblique, quasi diritte, continuandosi direttamente da una sutura all’altra senza piegare simmetricamente ad angolo verso la fasciola. - Quest’ultimo carattere distingue la M. Vinassai dalle numerose forme prossime. L’andamento delle strie è analogo al nostro nella M. Davousti Oehlert dell’Eodevonico francese, avente però giri molto meno angolosi e fasciola relativa- mente molto più larga e più bassa. Pleurotomaria trochoides Whid porne « Dev. Fauna S. England» I, 4, 1. c., 1892, p. 287, t. XXVII, f. 17-19. — Spira di 6 giri, non ombelicata, con angolo apicale di circa alta mm. 10 e larga mm. 9. Diametro dei giri triplo della loro altezza. Giri angolosi, percorsi sul lato esterno da tre carene longitudinali, di cui le due superiori sono avvicinate e delimitano la fasciola. Le due zone laterali alla fasciola sono percorse da costi- cine trasversali che determinano altrettanti tubercoli sulla carena superiore. La zona longitudinale più bassa è invece liscia. - L’esem- plare si avvicina specialmente alla fig. 18 del Whidborne, pur ^ A. Spitz : Gastvop. Karn. U nlerdevon. L. c., pag. 120, t. XI, f. 13. ^ D. P. Oehlert: Fossiles dévoniens de la Maijenne. «B. S. géol. Fraiice», (3) 5, 1877, pag. 587, t. IX, f. 8, 252 MICHELE GOETANI avendo la fasciola più stretta e le costicine trasversali presenti anche nella zona longitudinale superiore. La PI. trochoides mostra d'altronde un elevato grado di variabilità. E’ specie del Mesodevonico. Euomphalus sp. Piccolissimo esemplare, avente mm. 5 di diametro e mm. 2 di altezza ; spira avvolta in un solo piano ; sezione degli anfratti ogivale arrotondata ; superfìcie apparentemente liscia. Salvo le minori di- mensioni, ha molta somiglianza con la conchiglia riprodotta dallo Tschernyschew ‘ sotto il nome di E. cfr. planorhis A. et V. Macrochilina cfr. eiecta Whidborne « Dev. Fauna S. England». I, 4, 1. c., 1892, p. 170, t. XVII, f. 13 (= Phasianella fusiformis Goldfuss. « Petrefacta Germaniae», t. 198, f. 16, non f. 15 ; = Macrochilina an Fusispira ì Perner in Barr. « Syst. Sii.», IV, t. 108, cas. VI, f. 1, 2) — Tav. II, fìg. 8. — Spira di 6 giri, acuta, fusiforme, slanciata, alta mm. 11. Ultimo anfratto alto quanto gli altri riuniti e con altezza (mm. 6) alquanto superiore al diametro (quasi mm. 5), mentre nei giri precedenti il diametro è quasi doppio dell’altezza.. Bocca ovato- triangolare. La superfìcie presenta tracce di fina striatura trasversale. E’ dubbio se a questa forma sia da riunirsi la M. Whidbornei Perner Orthoceras (?) sp. Frammento che per la fìtta striatura obliqua ricorda l’O. vincidiim descritto dal Maurer (« Nachtràge zur Fauna und Stratigrapliie der Orthoceras-Schiefer des Rupbachthales ». N. Jb. f. Min., Beil. II, t. XVI, f. 10) nell’Eodevonico superiore del Reno. L’insieme della fauna ha una fìsonomia schiettamente mesode- vonica. Manca però qualsiasi forma caratteristica del Mesodevonico superiore, a cominciare dallo Stringocephalus Burtini. Proprie del Me- sodevonico inferiore sarebbero, invece, Alveolites suhoì'hicnlaris var. minor e Cyathophyllum helianthoides var. philocrinimi, e talune forme 1 Th. Tscuernyschew: Mittl.u. oh. Devon d. Urals. L. c., t. VI, f. 5. 2 Perner in Baku.: Syt. 8il., IV, 1903-07, pag. 358, f. 258 nel testo, t. 57, f. 3-5, 253 LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COfILIANS presentano analogie con specie alquanto più antiche. Notevolissima è la presenza dei grandi Pentameri costati, molto prossimi a tipi che in Russia e Stiria sono propri delFEodevonico superiore o del Meso- devonico inferiore. Codeste forme, le quali secondo Tschernyschew caratterizzano il Mesodevonico inferiore degli Urali, dànno una im- pronta speciale anche alla nostra fauna. Adunque gli strati in questione spettano stratigrafie amente e paleontologicamente al Mesodevonico inferiore ; e, prendendo ad esempio lo Tschernyschew, potremo indicarli come strati a Pen- t am er US cfr. pseudo-haschkiricus. Allo stesso livello spetta probabilmente una serie di banchi cal- carei che si incontrano nella Ciane vate fra gli strati a Karpinskya Consuelo e gli strati a Stringocephalus Burtini. Affiorano sul fondo della Ciane vate, fra 2100 e 2200 m. La loro fauna è povera e non molto caratteristica : Stromatopora columnaris Barr. sp. (Eodevonico medio). Clatkrodictyum regulare Nich. var. carnicum Vin. (Mesode- vonico). Pachypora reticulata (de Blainville sp.) Gùrich. « Das Palaeozoicum im Polnischen Mittelgebirge ». Verh. k. russ. min. Ges. (2), XXXII, 1896, p. 135, t. V, f. 4 a-e; Vinassa. « Rile- vamento geologico della tavoletta Paluzza ». Boll. R. Com. geol. it., XLI, 1910, p. 44, t. I, f. 5. — Piccoli tronchi compaiono tagliati in sezioni sottili di un calcare con clathrodictyum raccolto a 2100 m. Nettissimi sono i polipieriti poligonali, col lume delle camere forte- mente ridotto dallo sclerenchina secondario ; nettissima è pure la divisione della parete. Le dimensioni dei polipieriti sono molto va- riabili, ma sempre piccole : oscillano in media da I/2 a % milli- metro e non giungono mai a 1 millimetro. Il carattere della pic- colezza dei polipieriti, che è proprio della P. reticulata in confronto, ad es., con la P. cervicornis Blainv. sp., appare quindi ancor più esagerato. Striatopora suhaequalis M. E. et H. sp. var. angustiorCXJBKJK. «Palaeoz. imPoln.Mittelgeb.». L.C., p.l42. — Tav.III,fig. 3a,ò. — 254 MICHELE GORTANI La S. subaequalis è, secondo Frech \ molto affine olV Alveolites ver- micularis M. Coy, la quale ne differisce per minor diametro delle celle e dei tronchi, maggior frequenza dei pori, minore sviluppo delle tra- verse. Dalle figure del Frech, il Gììrich (Op. cit., p. 144) opportuna- mente rileva una più importante differenza : e cioè essere i calici per- pendicolari alla superficie esterna nella vermicularis e obliqui nella subaequalis. Questa differenza è assurta dal Gììrich a valore generico, basando egli su di essa il nuovo genere Plagiopora, che però non mi sembra sostenibile se non come sottogenere. In ogni modo, tenendo conto di questo fatto, è giustificata la var. angustiar stabilita dal GtÌRiCH per forme di 8. subaequalis con celle piccole e calici obliqui. Seguendo tale criterio, deve probabilmente rientrare qui anche la aff. vermicularis (non M. Coy) Lebedew 2, che ha appunto gli anzidetti caratteri di celle e calici. - L’esemplare della Ciane vate ha i calici obliqui, ma largamente patenti ; le celle in sezione trasversale appaiono reniformi e misurano da mm. 0,4 a 0,7 in lunghezza, da mm. 0,2 a 0,4 in larghezza. Alveolites suborbicularis Lmk. A. suborbicularis var. minor Frech Cyaihophyllum ceratites Goldf. Frech. « Cyathoph. u. Zaphrent. deut. Mitteldevon ». L. c., p. 178, t. XVII, f. 4-10, 12, 14-16. — Tav. II, fig. 10. — Un solo esem- plare, con diametro di mm. 20, teca relativamente sottile, setti in numero di 30 fi- 30. I setti di I ordine si arrestano liberi a qualche millimetro dal centro ; quelli di II ordine sono lunghi da % a dei primi. Pur essendovi accenno a disposizione bilaterale, tutti irraggiano verso il centro in linea retta o alquanto sinuosa, e sempre senza riu- nirsi nè fondersi assieme. Nella sezione non compaiono traverse di ^ Vedi F. Frech: Die Korallenfauna des Oherdevons in Deutscliland. « Zeits. deiit. geol. Gres.», XXXVll, 1885, p. 106. Come risulta dalla spiegazione della tav. XI, noi testo per lapsus calami è detto 8. ramosa Stein, invece di S.su- haequalis M. E. et H. 2 Vedi Lebedew: Die Bedeutung der Korallen in den devonischen Ahlage- rungen Russlands. Mém. Qom.géol. St. Pétersb., XVII, 2, pag. 31 el43,t.I,f. 3-5. LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COGLIANS 255 sorta. Questo carattere, unitamente al numero, distribuzione e lun- ghezza dei setti, è sufficiente alla determinazione ; bastando a distin- guere C. ceratites da C. Lindstròmi il minor numero dei setti e la maggior lunghezza dei setti secondari, da C. dianthus il minor numero dei setti e la minor lunghezza dei setti secondari, da C. hathycalyx la maggior lunghezza dei setti medesimi. C. Lindstròmi Frech « Korallenfauna d. Oberdevons. » L. c., p. 38; « Cyathoph. u. Zaphrent. deut. Mitteldevon ». L. c., p. 183, t. XIII, f. 8-17. — Tav. Ili, fig. 1. — Cinque esemplari, con diametro variabile fra 12 e 25 mm. Teca sottile, con solchi settali fini e paralleli. Sezione trasversale di forma ovale. Numero dei setti variabile da 72 a 80, divisi in due cicli. I setti di I ordine si dirigono verso la zona centrale, terminando liberi a qualche millimetro dal centro ; quelli di II ordine, brevissimi, appaiono spiniformi e diritti nella sezione trasversale, e taluni mancano o sono obliterati. Traverse settali fine, poco numerose, disposte più o meno regolarmente nella zona perife- rica. - La sezione verticale mostra le arcuate tavole settali, che occu- pano grandissima parte della cavità endotecale. In due esemplari sezionati, di 12 e 18 millimetri di diametro, le tavole si estendono ri- spettivamente per 9 e 14 millimetri, occupando così da a Vg del diametro. Le tavole sono relativamente appressate, distando sol- tanto 1 mm. una dall’altra. Per la maggior parte, si tratta di forme estese dalFEodevonico superiore al Neodevonico inferiore. E’ però da notarsi che la Stro- matopora columnaris è forma eodevonica ; che il Cyatli. ceratites ha il massimo sviluppo nel Mesodevonico inferiore, e che allo stesso Me- sodevonico inferiore sembrano finora limitati Clathr. regalare var. carnicum e Alveol. suhorbicularis var. minor. 7. — Mesodevonico superiore. Già si è detto come il Mesodevonico superiore sia Forizzonte più estesamente rappresentato nel versante italiano della nostra 256 MICHÈLE GÓRTAìJt giogaia. Infatti la grande scogliera, dal Coglians fino alla Creta di Collina, per una lunghezza di oltre 5 km., inclina verso Italia con una superficie prevalentemente incisa nei calcari dell’ orizzonte a Stringocephalus ; orizzonte che tanto per il suo sviluppo quanto per la sua fauna corrisponde forse al periodo di vita più rigogliosa nel bacino devoniano c amico. Ho già detto che, salendo al Coglians, dalla forcella Monumenz fino a 2700 m. si tagliano strati con fossili di questo piano. Ecco un breve elenco di forme : Actinostroma clathratum Nich. (m. 2350, 2400, 2600). Stromatopora concentrica Goldf. sp. (m. 2350-2400). 8. columnaris Barr. sp. var. gentilis Gort. (m. 2600). 8. Bucheliensis Barg. sp. (mm. 2600). 8. Beuthi Barg. (m. 2600). 8tromatoporella curiosa Baro. var. carnica Gort. (m. 2400-2500). Caunopora sp. (m. 2400-2600). Cyathophyllum caespitosum Goldf. Lebedew. «Devon. Korallen Russlands». L. c., p. 70 e 149, t. II, f.l 8-20. {curri, syn.) — Della notissima forma, già conosciuta nel Meso- devonico carnico, ho raccolto a 2400-2500 m. un esemplare incro- stato da 8trom. curiosa var. carnica. Ha mm. 4 di diametro ; mostra una trentina di setti distribuiti in due cicli, al primo dei quali ne spetta una ventina, essendo abortiti molti setti del secondo ciclo. Setti brevissimi, così che i primari si arrestano quasi tutti prima del centro, e i secondari giungono appena a V} del raggio. Tutti i setti sono ispessiti da stereoplasma nella zona periferica, dove le traverse sono sottili e molto numerose. C. vermiculare Goldf. ViNASSA. « Rilevam. tavoletta» Paluzza ». L. c., p. 42, t. I, f. 1. - Tav. II, fig. 2. — Da m. 2400-2500 proviene un esemplare conico allungato, con diametro di mm. 14, teca ispessita, 30 setti pri- mari + 20 setti secondari. Questi sono lunghi da a 2/3 dei primi, ma non son più sottili di essi. I setti primari hanno spiccata ten- denza a ruotare sull’asse nella seconda metà del loro decorso, por- LA SÈKÌE DEVONIANA NELLA GÌOGAÌA DEL COGLTANS 257 tandosi spesso nel piano dei setti di II ordine ; nel centro si uniscono a formare nettamente la falsa columella. Le traverse sono ricurve, numerose, frequenti specialmente in una zona anulare mediana. Il tessuto vescicolare occupa oltre due terzi della cavità endotecale. - Due altri esemplari, con setti primari ancora più contorti e setti secondari più brevi, furono raccolti a metri 2300-2400. Stringocefhalus Burtini Defr. (m. 2400, 2500, 2600). S. Burtini var. dorsalis Goldf. fm. 2700). Gosseletia sp. Conocardium artifex Bare. Murchisonia sp. In posizione analoga sono i calcari che rinserrano la Cianevate e che da essa digradano a casera Monumenz. Il grande campo solcato a monte della casera e le contigue rupi della Cima Monumenz, delle Kellerpitzen e della Creta di Collina mostrano frequentemente se- zioni di An-tozoi e Idrozoi mesodevonici e di Stringocephalus Burtini. Di questa specie, nei calcari a ridosso della casera Monumenz ho iso- lato un esemplare più grosso di un pugno. Dalla casera salendo di- rettamente verso la Cianevate, fra 1800 e 2000 m., ho raccolto: Actinostroma clathratum Nich. Stromatopora concentrica Goldf. sp. Alveolites suborhicularis Lmk. Pachypora cervicornis Blainv. sp. Cyathophyllum, caespitosum Goldf. Orthis striatula Schloth. sp. Spirifer cfr. inflatus Schnur Pentamerus glohus Bronn Stringocephalus Burtini Defr. Conocardium cfr. artifex Bare. Bellerophon sp. Murchisonia cfr. angulata Phill. M. (Lophospira) sp. 10 258 MICHELE GORTANÌ Su per giù alla medesima altezza, il Vinassa ^ ha segnalato Coralli verosimilmente dello stesso piano sul versante meridionale della Creta di Collina e più a oriente anche sulla Creta di Collinetta. In alto, lungo il crinale dalle Kellerspitzen alla Creta di Collina e sulla cima di questa, ricompaiono i calcari a Stringocephalus, con una fauna composta specialmente di Brachiopodi, Corallari e Stromato- poroidi, noti per gli studi del Feech e del Geyer. Anche a valle di casera Monumenz i banchi a Stringocephalus si continuano per lungo tratto. Fra le casere Monumenz e Val di Col- lina (a circa 1700 m.) si annida la ricchissima fauna da me recente- mente illustrata, che annovera 100 forme di Briozoi, Brachiopodi, Molluschi e Crostacei, insieme con numerosi Antozoi attualmente in corso di studio. La facies corallina, con fossili stupendamente con- servati, prevale di nuovo intorno alle casere Val di Collina e Collina Grande (m. 1550-1650). A confermare la sua pertinenza all’ orizzonte in questione, valga le presenza di : Orthis striatula Schloth. sp. 0. gentilis Gort. Atrypa aspera var. laevicosta Gort. Rhynchonella angularis Phill. sp. Stringocephalus Burtini Defr., tutte forme già note a Monumenz, e che ho isolato frammezzo ai Co- ralli presso la cas. Val di Collina. 8. — Neodevonico inferiore. Nella maggior parte del nostro versante meridionale, i calcari mesodevonici si immergono direttamente sotto la copertura sci- stosa. Lembi di strati neodevonici rimangono bensì in qualche punto, come vedremo ; ma finora non vi si è potuto riconoscere paleontolo- gicamente il Neodevonico inferiore. Questo piano compare invece ^ P. ViNASSA: Rilevamento nelle tavolette di Paluzza e Prato Carnico. «Boll. E. Com. geol. it. », XLIl, 1912, pag. 217. LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COGLIANS 259 più ad oriente, nelle Crete di Collina e di Collinetta. Della sua pre- senza alla base di queste montagne, intorno alle casere Collinetta di sopra e di sotto, già demmo notizia il prof. Vinassa ed io ^ , che per primi riuscimmo a trovarlo in posto. Lo stesso orizzonte si continua però anche in alto, rivelato a quando a quando dalla caratteristica fauna del calcare dell’Iberg. Infatti, seguendo dalla cas. Collinetta di sopra la via segnata per raggiungere la cima della Creta di Collina, si incontrano : a) a 2000 m., calcari grigio scuri zeppi di Waldheimia cfr. Whidhornei Dav. ; h) a 2300 m., calcari grigi con Orthis striatula Schloth. sp. Atrypa reticularis L. sp. Rhynchonella laevis Gtìrich. « Das Devon von Dembnik bei Krakau». Beitr. z. Pai. Oe.-Ung. u. Or., XV, 1903, p. 150, t. XV, i. 12 a-d. — Tav. Ili, fìg. 10 a-c. — Esemplari più piccoli e più depressi dell’ individuo tipo. Tali diffe- renze sono però d’indole secondaria e dovute a uno stadio giovanile, come appare anche dalla descrizione del Gììrich. Perfetta è invece la concordanza nel contorno esagonale subreniforme e nella curvatura del seno e del lobo, che occupano oltre un terzo della rispettiva valva. Seno e lobo, sfumati entrambi lateralmente, appaiono ben netti nella commessura frontale e sono caratterizzati da una leggiera piegolina mediana. - Astrazion fatta da quest’ultimo carattere, che in altri esemplari è maggiormente accentuato, la forma generale ricorda assai da vicino la Atrypa Thetis Barr. che è essa pure quasi certamente una Rhynchonella. Waldheimia Whidhornei Dav. W . iuvenis Sow. sp. ; ^ Cfr. Vinassa e Gortani: Nuove ricerche geologiche sul nucleo centrale delle Alpi Gamiche. 4 Rend. R. Acc. Lincei») (5) XVlll, 2® sem. 1908, p. 60 7. — Vinassa: Bilevam. Paluzza e Prato Gamico. L. c., pag. 223 e segg. 2 Barrande: Syst. SU., V, 1879, t., 86, cas. , IV, t. 133, cas. I. 26Ò MICHÈLE GORTANi c) a 2450-2500 m., calcari grigio chiari costituenti una vera lumachella di Productella subaculeMta Murch. sp. var. forojuliensis (Frech). - Tav. Illjfig. 5. P. TJerminae Frech. - Tav. ITI, fig. 4 n, h, insieme con Spirifer cfr. elegans Stein. S. canaliferus Lamarcki var. alatus Gùrich ({ Palaeoz. im Poln. Mittelgebirge » . L. c., p. 249, t. IX, f. 11. — Tav. Ili, f. 6 a, 6. — Una valva ventrale, peravere gran parte delle c ostie ine sdoppiate, rientra nel ciclo dello S. canaliferus piuttosto che dell’affine S. disjunctus. La valva è alata, meno però che nell’esem- plare del Gììrtch, e le c ostie ine sono più fine e numerose. Il seno si allarga rapidamente dall’apice alla fronte, con un angolo di circa 60^; ma rimane nettamente delimitato, differenziandosi cosi tanto dal- l’esemplare che Tschernyschew a mio parere erroneamente, rife- risce a S. canaliferus, quanto dall’affine 8. óbtusus Gììrich (Op. cit., p. 250, t. IX, f. 5 e 6). L’apice è diritto, acuto, così che la valva prende forma nettamente piramidale. A ciò contribuisce pure il fatto di esser l’area non perpendicolare, ma inclinata rispetto alla valva dorsale, cosi da formare (in profilo) un angolo molto aperto con la valva ventrale ; carattere che mi sembra il più saliente della var. alatus, benché il suo autore neppure vi accenni. 8. {Reticularia) lineatus Mart. sp. Aihyris concentrica v. Buon var. pentagonalis Kayser « Die Brachiopoden des Mittel- und Ober-Devon der Eifel». Zeits. deut. geol. Ges., XXIII, 1871, p. 549 (Rif. a Schnur. « Brachiop. d. Eifel». L. c., t. XXVII, f. 3 c, d). — Tav. Ili, f. 7.— La valva ventrale in ^ Farmi giusta l’osservazione del G-osselet {Etude sur les variations de Spirifer Verneuili. « Mém. Soc. géol. du Nord », IV, 1, 1894) che il Va- lenciennes, citato probabilmente per errore dal Davidson come fondatore di questa specie, e posteriormente mantenuto come tale da molti autori, non ha invece alcun titolo a questo riguardo. ^ Tscherntschew : Oh. u. mittl. Devon d. Urals. L. c., t. IX, f. 2,3. LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COGLIANS 261 esame differisce dalle figure dello Schnur per essere più rigonfia e più angolosa, non arrotondata alle estremità della linea cardinale ; il con- torno risulta perciò nettamente pentagonale. Ricorda la A. fJel- merseni v. Buch sp. ^ che è ancor più angolosa e con le pieghe fi ancheggianti il seno molto più forti. Corrisponde perfettamente agli esemplari di A. concentrica figurati dallo Hudleston d) a 2450-2500 m., calcari grigi oscuri costituenti una luma- c bella di Atìiyrides e Rhynchonellae, spettanti a : AtJiyris collinensis Drevermakn « Die Fauna der oberdevonischen Tuffbreccie von Langenaubach beiHaiger». Jb. k. Preuss. geol. L.-Anst. f. 1900, LI, p. 185. — Pic- coli esemplari, spettanti in parte alla var. seg. A. collinensis var. elongata (Frech sub A. globosa). Rhynchonella Roemeri Dames « Ueber die in Nieder Schlesien auftretenden devonischen Ablage- rungen». Zeits. deut. Geol. Ges., XX, 1868, p. 498; Vinassa. « Rile- vam. Paluzza e Prato Gamico ». L. c., p. 226, 1. 1, f. 4-11. — Tav. Ili, fig. 9 - Piccoli esemplari, che spesso per conformazione e statura simulano la specie precedente, distinguendosene talora soltanto per le minute c ostie ine radiali. Rh. acuminata Mart. Rh. acuminata var. platyloha (Sow.). Modiomorpha sp. ind. Valva sinistra, che per il contorno e la conformazione del guscio presenta analogia con la M. westphalica Beushausen (« Die Lamelli- branchiaten des rheinischen Devons » . Abh. k. Preuss. geol. L.-Anst., N. F., XVII, 1895, p. 26, f. 2, t. Ili, f. 5), del Mesodevonico supe- riore del Reno. Conocardium sp. ind. ; 1 Cfr. DE Verneuil: Paléontol. de la Russie, 1845, t. IX, f. 3. ^ Hudleston. Fossils fromthe Hindu Khoosh. « Geol. Mag. », (4) IX, 1902, t. Ili, f. 2, 3, 262 MICHELE GOPvTANI e) a 2550 m., lumachella grigio chiara costituita da piccoli esemplari di : Athyris collinensis Drev. Rhynchonella Roemeri Dam. Rh. acuminata Mart. In tutti questi saggi, le Productellae, Atliyridcs e Rhynchonellae sono caratteristiche del Neodevonico inferiore. Sopra i 2550 m., nè il Vinassa nè io abbiamo potuto rinvenire fossili, se non presso la cima (m. 2690), dove compariscono gli Stroma- toporoidi mesodevonici e lo Stringocephalus Burtini già segnalativi dal Frech ^ . Si può concludere adunque che nel versante sud-orien- tale della Creta di Collina il Mesodevonico è ricoperto da una estesa placca di Neodevonico inferiore, da 1600 a 2600 metri all’ incirca sul livello del mare. Malgrado questa grande estensione in altezza, la potenza della formazione neodevonica è relativamente tenue, data la notevole inclinazione degli strati verso est e sud-est. Condizioni poco dissimili si hanno sulla Creta di Collinetta, dove però il Neodevonico inferiore è a sua volta nascosto in parte dal calcare a Climenie. Quando è asportata la copertura, si nota anche qui, sovrastante al Mesodevonico, il calcare con fauna deH’Iberg. Il ViNASSA ha già descritto le forme di questo piano rinvenute da noi a 1350-1400 m., presso la casera Collinetta di sotto, in un calcare bruno reticolato. A 2000 m. ho rinvenuto i fossili in un calcare grigio chiaro : una vera lumachella di : Rhynchonella Roemeri Dam, in esemplari tipici (Tav. Ili, fig. 8), prevalentemente assai grandi, insieme con pochi individui di : S'pirifer cfr. undiferus Roem. Athyris concentrica v. Buon sp. Rhynchonella pugnus Mart. sp. Chiton collinensis n. f. F. Frech : Die Karnischen Alpen. Halle, 1892-94, pag, 261-62 LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COGLIANS 263 Tav. Ili, fig. 13 a, h. — Placca cefalica acoDtorno dittico, misu- rante in lunghezza mm. 17, in larghezza min, 11 e in altezza min. 6. Il contorno anteriore è arrotondato, il posteriore è inciso ; ma da questo lato il fossile è guasto cosi da non lasciar apparire le condi- zioni primitive. L’apice, molto ottuso, è situato verso i due quinti della lunghezza a partire dal margine anteriore ; innanzi ad esso la placca è arrotondata, poco o punto depressa ; in addietro, invece, è solcata da una profonda depressione longitudinale. Vista di fianco, la placca ha un profilo ad angolo ottuso di circa 110^. La superficie mostra le tracce di leggiere strie concentriche. - Sono simili alla de- scritta le placche cefaliche di Ch. laevigoÀus Roemer ^ e Ch. inflaius Trenkner -, entrambe del Neodevonico inferiore dello Harz. Da entrambi però differisce il Ch. collinensis sia per la posizione più centrale dell’apice e la maggior simmetria del profilo longitudinale, sia per la conformazione della regione posteriore della placca. 9. — Neodevonico superiore. Per lungo tempo si è ritenuto che nelle Alpi Gamiche i calcari a Climenie fossero hmitati al gruppo dei monti Pai e Creta di Timau. A’el 1908 il ViNASSA e io ■’ demmo notizia della scoperta di Climenie sul versante meridionale della Creta di Collinetta e presso cas. Colli- netta di sotto, in calcari molto simili ai neosilurici e perciò sovente confusi con essi. Data questa rassomiglianza di facies litologiche, sor- geva spontaneo il dubbio che parecchi affioramenti indicati come neosilurici potessero in realtà non essere tali. E infatti le nostre ri- cerche posteriori ci hanno condotti a riconoscere una larga diffusione dsl Neodevonico lungo l’orlo meridionale del Nucleo centrale carnico. Nel gruppo del Coglians, a occidente della Creta di Collina i calcari a Climenie si trovano in una sola località, e precisamente in una ^ F. A. Roemer: Beitrdge zur Kenntniss des nordwestl. Harzgebirges .Ili. i Paleontogr. », V, 1855, pag. 148, t, XXll, f. 8 a,, h. ^ Cfr. Clarke: Die Fauna des Iberger Kalkes. a N. Jb. f. Min. », Beil. Ili, 1884, pag. 339, t. IV, f. 16, 17. ? ViNASSA. e Gortàni: Nuove ricerche geol. ecc. L. c., pag. 606 e segg. 264 MICHELE GORTAXI stretta fascia, qua e là discontinua, fra la cas. Monumenz e la for- cella omonima, lungo il confine tra la massa calcarea e la formazione scistosa. La roccia è generalmente un calcare molto compatto, grigio scuro o anche rossiccio, con vene giallastre, che sulle superfici erose compariscono denticolate in maniera da ricordare le suture cra- niali. A questa roccia si accompagnano anche calcari selciferi, in cui i nuclei selciosi sono talora enormemente sviluppati e diffusi, I fossili sono rari e mal conservati. Da un calcare grigio scuro, rossiccio sulle superfici sfiorite, raccolto poco sopra la sorgente Acquanera (m. 2000 circa), potei isolare le forme seguenti : Am'plexus sp. ind. Pleurotomaria sp. ind. (nucleo). Murchisonia (Goniostropha ?) turbinata Schlotheim sp. Whidboexb. « Devon. Fauna S. England». L. c., 1892, p. 306? t. XXIX, f. 1-16, t. XXX, f. 1-4, non f. 5-12 {syn. partim excì.). — Tav. Ili, fig. 11, 12. — Pur accogliendo in linea generale la sintesi del Whidborne, a me sembra che egli estenda troppo i limiti della specie includendo nel ciclo della M. turbinata anche i tipi di M. angulata Phill. et Auct. pi., M. Barrelieri Oehl. e affini. Anche dalle sue nu- merose figure non si rivela un passaggio tra le forme tubercolate e le forme liscie ; e perciò ritengo che l’intero suo « gruppo angulata » debba escludersi dall’ ambito della M. turbinata. - L’esemplare che riproduco nella fig. 12 segna, invece, un passaggio tra M. turbinata (gruppo intermedia) e M. V icariana Whidborne, che già l’autore inclinava a riunire alla prima. L’esemplare mostra infatti tra la su- tura e la fasciola una sola carena tubercolata, come nella M. turbi- nata ; ma l’avvolgimento della spira, l’acuto angolo apicale (meno di 200) e la disposizione minuta e serrata dei tubercoli (oltre 20 per giro) ricordano assai da vicino la M. V icariana. Questa forma di pas- saggio a M. Y icariana non è rara nei calcari dell’ Acquanera L Al- ^ Per la sinonimia noto come al gruppo intermedia si accostino moltis- simo gli esemplari neodevouici, descritti dal Gùrich <( Devon von Dembnik f>. L. c., pag. 153, t. XY, f. 16-18) come M. angulata var. Zarecznyi et var. Ferdinandi. LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COGLIANS 26.') tri quattro esemplari, di cui uno è riprodotto nella nostra fig. 1 1, rap- presentano, invece, la forma spinosa, con angolo apicale più largo (35°) e tubercoli molto grossi, rilevati e più radi (circa 12 per giro). Infine un ultimo individuo, piccolo e mal conservato, per l’apertura dell’angolo apicale (50°) si avvicina alla forma curia del Whtdborne. Naticopsis cfr. striolata Roemer sp. « Beitr. nordwestl. Harzgeb. I. ». L. c.. Ili, 1850, p. 33, t. V, f. 7. — Due esemplari molto simili alla figura tipica, ma relativamente meno alti e più allargati. Misurano infatti rispettivamente mm. 8 e 10 di altezza, mm. 8 e 10 di larghezza, mentre nel tipo si ha altezza di circa mm. 12 contro una larghezza di mm. 10. Orthoceras sp. ind. (cfr. 0. lineare Mùnster in Roemer). Clymenia {Cyrtoclymenia) laevigata Mstr. Gortani. « Contribuzioni allo studio del Paleozoico carnico. III. La fauna a Climenie del monte Primosio». Mem. R. Acc. Se. Bolo- gna, (4) VI, 1907, p. 217, 1. 1, f. 18 a, b. — Tav. Ili, f. 14. — Il piccolo esemplare figurato corrisponde perfettamente a quelli raccolti presso la cas. Primosio. Nei campioni raccolti sembra però che la Cl. lae- vigcita sia qui di gran lunga meno diffusa. Cl. (Oxylymenia) linear is Mstr. Frech. « Ueber devonische Ammoneen ». Beitr. Pai. Oe.-Ung. u. Or., XIV, p. 34, t. I, f. 13. — Tav. Ili, fig. 15 r, h. — Esemplare assai piccolo: linea lobale angolosa, come nella Gl. undulata: giri lenti e non involuti, come nella Cl. laevigata. Cl. (Oxyclyìnenia) cfr. undulata Mstr. Gortaxi. « Contrib. Paleoz. carnico. Ili ». L. c., p. 220, t. II, f. 6, 7. — Tav. Ili, fig. 16. — Esemplare anche questo molto gio- vane e simile a quelli di Primosio. Proètus (Gyrtosymbole) italicus Gortaxi. « Contrib. Paleoz. carnico. Ili ». L. c., p. 237. t. I, f. 27, e t. Il, f. 32, (sub Dechella) ; Richtbr. « Beitrage zur Kenntniss devonischer Trilobiten, II. Oberdevonische Proetiden ». Abh. Senckenberg. naturi. Ges., XXXI, 1912, p. 398, t. XXIII, f. 2. — Fig. 1 a-c nel testo. — Numerosi avanzi, raccolti in parte da me sopra PAcquanera, e in 266 MICHELE GORTANI parte dal prof. Dal Plaz sotto T Acquanera stessa, rni sembrano identificabili con questa forma, sinora solo per una sola glabella raccolta presso cas. Primosio. Forma, contorno, suture, solchi e la finissima granulosità superficiale della glabella concordano con i caratteri da me accennati e dal Richtee più minutamente descritti ; potendosi notare soltanto che la sutura facciale si accosta di più alla porzione rilevata della glabella posteriormente. In avanti, il lembo è assai fragile eia sua parte più esterna facilmente si perde. — Fig. 1. — Glabella, guancia e pigidio di Proètus {Cirtosymbole) italicus Gort. ingrand. 8 volte. Le guancie presentano delimitata da un solco profondo la regione oculare. Convessità debole; lembo di larghezza uniforme tanto ai lati che posteriormente, delimitato anch’esso da un solco ben netto, e striato per lungo. Contorno posteriore quasi rettilineo, brusca- mente inflesso per raccodarsi con la punta laterale. - La forma del pigidio permette di accertarsi che si tratta realmente di una Cyrto- symhole, come aveva sospettato il Richtee. Esso infatti presenta l’asse breve (circa del pigidio), con pochi e poco distinti seg- menti, come è nel genere Proèivs e suoi sottogeneri, a differenza delle Dechenella. L’asse è anzi cosi debolmente segmentato nono- stante il suo forte rilievo, da ricordare molto i Proètus (suhg.?) siihzarinthiaous Richtee e P. (suhg.?) palensis Richtee (1. c., t. XXIII, f. 15, 17), con anelli piatti e solchi superficiali. Le pleure sono caratterizzate da un numero di coste assai piccolo (8 per ciascun lato); soltanto tre o quattro coste anteriori sono un po’ ridevate ; le altre sono a mala pena visibili per la loro sottile e leggiera carena mediana. Una costicina consimile si trova in corri- LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COGLIANS 267 spoDdenza dell’asse quasi a prolungarlo in addietro. 11 letiibo è molto meno convesso delle pleure, liscio superiormente, striato sulla faccia inferiore. Proétus (Cyrtosymholé) sp. ind. Alcuni avanzi di glabelle e pigidi, specificamente indeterminabili, non hanno interesse se non pel fatto che il sottogenere Cyrlosyrnbole è esclusivo del Neodevonico. E’ da notarsi che mancano Gonioclymeniae e che la M. lurhmata è prevalente in depositi eo e mesodevonici. Perciò la faunula sarebbe da riportarsi alla parte inferiore degli strati a Climenie. Questa con- clusione è pure avvalorata dal fatto che la CI. laevigaia, dominante per diffusione e per numero di individui nei livelli superiori, sembra invece scarsa nei calcari dell’Acquanera. 10. — Carbonifero. , Il complesso delle formazioni calcaree testé esaminate viene ad immergersi sotto la discussa formazione scistosa, o meglio scistoso- arenacea. In questo terreno abbiamo potuto raccogliere finora i se- guenti fossili : N evrodondopteris auriculata Brongniart sp. Piimula descritta in: Gortani. « Sopra alcuni fossili neocar- boniferi delle Alpi Gamiche ». Boll. Soc. geol. it., XXV, 1906, p. 259, fig. 1, 2. Alla medesima specie può forse spettare un secondo avanzo, ridotto alla metà sinistra di una pinnula lunga mm. 50, e prove- niente, come il primo, dalla cresta tra le Forcelle Morarét e Monu- menz. Il secondo avanzo non è però determinabile, essendo troppo incerti i caratteri del suo contorno e della sua nervatura mediana. Sphenophyllum cuneifolium Sternberg sp. Zeiller. « Flore fossile du Bassin houiller de Valenciennes», 1888, p. 413, t. 62, f. 1, t. 63, f. 1-10. — Tav. Ili, fig. 17, 18. — Negli scisti grafitici della cresta fra Pie Chiadin e Forcella Monumenz ho rinvenuto due frammenti di verticilli, che senza alcun dubbio spettano alla forma saxifragaefolium Goeppert in Bronn. Le foglie sono profonda- mente e dicotomicamente laciniate ; hanno l’angolo basale di 15'^-30o, 268 MICHELE GOKTANI misurano in lunghezza da 7 a 9 mm., e sono larghe in alto da 3 a S inm.; la nervatura, unica alla base, si suddivide per dicotomie successive in tanti rami quante sono le lacinie ; le lacinie stesse sono acute al- l’apice e sono fino all’apice percorse dalla nervatura rispettiva. - Dopo che lo Zeiller constatò la presenza sullo stesso ramo di foglie spettanti al tipico S. cuneifolium e di foglie identiche al tipico S. saxifragaefolium, non è possibile di tenere separate le due deno- minazioni, e tutt’al più si può riguardare l’ultima forma come una variazione della prima. L’una e l’altra sono estese dal Carbonifero medio al Permiano inferiore. Calamites Cisti Brongniart em. L’esemplare più tipico rimane quello già descritto nella mia nota già citata (« Sopra alcuni fossili », ecc., 1. c., p. 260, fig. 4), rac- colto sul versante orientale del Pie Chiadin. Aggiungerò che nel- l’esemplare stesso, benché ridotto al nucleo, è visibile l’impronta della massa organica, distinta anche nella figura ; dalla quale risulta uno spessore dell’astuccio calamitico di circa mm. 7, pari a Vo del diametro del nucleo. Allo stesso C. Cisti si può forse riferire l’esemplare riprodotto nella fig. 19 della tav. Ili, per i suoi internodi allungati, le coste ar- rotondate sul dorso e all’estremità e la poca larghezza delle coste (mm. 1,6-2), che sono separate da solchi sottili e moderatamente pro- fondi. Nell’ esemplare si osserva però che le coste dell’ internodio su- periore non si alternano, ma si continuano con quelle dell’ internodio inferiore ; onde risulta una disposizione che simula da vicino V Aste- rocalamites scrohiculatus . Ritengo che in questo caso il genere Aste- rocalaynites sia da escludersi, sopra tutto per la profondità del solco internodale ; tanto più che disposizioni consimili già furono osservate in molti Calamites (C. Schiltzei Stur, C. cruciatus Brgn., C. TJeeri De Stee., ecc.) e nello stesso C. Cisti L Calamites sp. pi. ^ Cfr. ad es. Sterzel: Die Flora des Bothliegendes im nordwestl. Sachsen. (( Palaeorit. Abh. v. Barnes u. Kayser», 111, 1880, pag. 246 e segg. LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL OOGLTANS 209 Parecchie impronte di Calamites^ con linea nodale manifesta, raccolte in più luoghi da Collina alle forcelle Morarét e Monumenz e alle casere Monumenz e Collinetta, non permettono una determina- zione specifica. Io confesso che sono molto scettico sulla possibilità di determinare i Calamites, a meno che non si tratti di esemplari grandi e molto ben conservati. - Accennerò soltanto che un esemplare raccolto alla Punta Plotta, con costicine appena distinte, larghe 3-4 mm. e minutamente striate per lungo, ricorda il C. nodosns Brgn. ^ ; e che un altro esemplare, riprodotto nella nostra tav. Ili, fig. 20, malgrado le tracce di un invoglio carbonioso, abbastanza spesso, si avvicina al C. ramosus Artis. 2. Lepidophyllum trigeminum Heer. « Flora fossilis Helvetiae», p. 38, t. XII, f. 1 a 5. — Tav. Ili, fig. 21. Non ostante lo scarso valore delle impronte calamitoidi, la florula è di tipo neocarbonifero. Contro codesto risultato starebbero gli avanzi raccolti dal Geyer e dal Krause. Il Geyer, come è noto rinvenne presso la forcella Morarét un avanzo di Monograptus. Potei vedere io pure la piccola lastrina di scisto, su cui la Graptolite si disegna ben netta. Essa, come gen- tilmente ci comunicò il suo scopritore, fu raccolta, non però in posto, un centinaio di metri sotto il Ricovero Marinelli, salendo dalla cas. Morarét. Il prezioso avanzo è finora unico, nonostante le lunghe e ripetute ricerche. Si noti che tettonicamente gli scisti della cresta Pie Chiadin-Floriz, dai quali presumibilmente potrebbe venire la Graptolite, sono o almeno sembrano sovrastanti agli scisti con piante carbonifere*. Siccome questi ultimi sono perfettamente in posto e ab- ^ BrongniArt: Histoire des végétaux fossiles, 1828, 1, pag. 133, t. XXIII, f.2-4. ^ Artis: Antediluvian Phytology, 1825, t. IL — Brongniàrt: Op. cit., pag. 127, t. XVII, f. 5, 6. ^ G. Geyer; Ueher neue Funde von Graptolithen-Schiefer in den Sud- Alpen, « Verh. k. k. geol. R.-Anst. », Wien, 1897, pag. 237 e segg. 270 MICHELE GORTANI bastanza estesi, e siccome la presenza di faglie deve essere esclusa per le condizioni tettoniche generali, non vi sono che due ipotesi possibili : o un nucleo di scisti siluriani è rimasto impigliato nella pie- ghettatura, ovvero la Graptolite è erratica in seno alla formazione carbonifera. A oriente del Ricovero Marinelli il Krause ^ raccolse avanzi determinati come Stigmaria ficoides Sterne, e Asterocalamites scro~ biculatus ScHLOTH. La Stigmaria non ha un preciso valore cronolo- gico, essendo diffusa in tutto il Carbonifero ; ma Y Asterocalamites è finora proprio del Carbonifero inferiore ; e perciò il Krause ed il Frech 2 riaffermano la pertinenza della zona scistosa al Culm. ISTon è da escludere in via assoluta che negli scisti possano esser presenti anche piani del Carbonifero anteriori allo Stefaniano, specialmente se in lembi isolati e di non grande estensione. Ma va anche con- siderata la difficoltà di distinguere V Asterocalamites anche da Cala- mites tipici, quando non si abbiano che mal conservati modelli in- terni, come è nel nostro caso. L’esemplare che ho figurato (Tav. Ili, fig. 19) mi sembra istruttivo a questo proposito. In ogni modo, di fronte alle altre specie da noi rinvenute, l’impronta segnalata dal Krause perde ogni valore generale, come già il Vinassa ed io ab- biamo ripetutamente osservato. 11. — Tettonica. Sul motivo tettonico dominante nelle masse calcaree della gio- gaia del Coglians, non sussiste più dubbio alcuno. Il tratto Coglians- Creta di Collina costituisce una regolare porzione di ellissoide, con l’asse principale in direzione est-ovest, troncato dal lato settentrio- nale. Verso occidente l’ellissoide non è chiuso, ma si riattacca diret- tamente all’ellissoide dei monti Canale e Volala. Verso oriente, in- ^ P. G. Krause: TJeher das Vorkommen von Kulm in der Karmschen Hauptkette. « Verh. k. k. geol. K.-Anst.», Wieii, 1906, pag. 64 e segg. 2 Cfr. C. R. XI Congrès gèologique international, Stockholm (1910), 1912, pag. 1012. 271 LA SERÌE devoniana NELLA GIOGAIA DEL (X)GLIANS vece, Fellissoide è completo e chiuso; e vi si connette, come piega subordinata, Fellissoide della Creta di Collinetta, anch’esso ridotto alla sola porzione meridionale. Noi abbiamo più volte insistito su tali fatti, ormai ammessi e riconosciuti, dimostrando erronee non soltanto costruzioni ingenue e basate sull’errore come quella pubblicata dal De Angelis C ma anche costruzioni complicate come quelle del Frech e di altri geologi di oltr’alpe. La semplicità del motivo tettonico risulta da due ordini di fe- nomeni : la presenza di lembi neodevonici e la giacitura trasgressiva della formazione scistosa. La pertinenza al Neodevonico di calcari già ritenuti siluriani e giacenti sul Devoniano medio, toglie ogni ragion d’essere a supposte linee di faglia. Inoltre la presenza di questi terreni ci permette di com- pletare gli ellissoidi e di provare nel modo più esauriente la giacitura trasgressiva degli scisti. Vediamo infatti che gli scisti ricoprono calcari di età diversa da punto a punto. Sulla base di numerosi fossili, abbiamo riconosciuto in contatto diretto con gli scisti: а) calcari mesodevonici, a ovest di Forcella Monumenz, a est di cas. Monumenz, e presso cas. Val di Collina e Collina Grande; б) calcari del Neodevonico inferiore, presso le cas. Collinetta di sopra e di sotto ; c) calcari del Neodevonico superiore, all’ Acquanera e presso cas. Collinetta di sotto. E’ perciò evidente, e l’osservazione in situ lo conferma, che gli scisti sono venuti a ricoprire una formazione già erosa (fig. 2). Il preteso «incunearsi» dei calcari negli scisti si riconduce sempre e facilmente a tipico esempio o a particolari mo- dalità di questo fenomeno. ^ G. Dé AngElis d’Ossat: Seconda contribuzione allo studio della fauna fossiU paleozoica delle Alpi Gamiche. « Mem. R. Acc. Lincei)), (5) III, 1899, pag. ult. d. estr. 272 MICHELE GORTANi Nè si obbietti che per accogliere tale ipotesi sia indispensabile la presenza di una breccia o conglomerato di trasgressione. In primo luogo si noti che, fra calcari e scisti, è talora presente una breccia for- temente cementata : cosi sopra cas. Collinetta alta e, ad ovest di cas. Monumenz, all’altezza della Punta Flotta ; in modo nettissimo e in Forcella Morarét M . Pie Chiadin Forcella Monumenz M. Coglians Passo della Valentina Fig. 2. — Sezione schematica attraverso il monte Coglians. Scala di 1 a 25.000. — / Siluriano, 2 Strati a Rh. Megaera, 3 Eodevonico inferiore, 4 Eode- vonico medio, 5 Eodevonico superiore, 6 Mesodevonico inferiore, 7 Meso- devonico superiore, 8 Neodevonico inferiore, 9 Neodevonico superiore, 40 Carbonifero superiore. condizioni analoghe, il fenomeno si ripete sotto cas. Chianaletta nel gruppo del monte Canale. In secondo luogo, si badi che in tutta la Carnia orientale, dove il Neocarbonico fossilifero è tipicamente tra- sgressivo sul Neosilurico e sul Devonico, pure qua e là fossiliferi, la breccia esiste molto di rado. Contro le regole fatte a tavolino, l’os- servazione dimostra esser forse più necessaria una breccia di frizione per ammettere una faglia, che non una breccia o conglomerato di base per ammettere una trasgressione. 12. — CONCLTJSIOm. Il profilo schematico della fig. 2 riassume sinteticamente le fatte osservazioni. Nel profilo, condotto in direzione NNW-SSE dal Passo LA SERIE DEVONIANA NELLA GIOGAIA DEL COGLIANS 273 della Valentina alla Forcella Morarét, sono state riportate geometri- camente, nei limiti del possibile, le suddivisioni cronologiche stabi- lite nelle varie località fossilifere. Il profilo riesce soltanto approssi- mativo, benché tagli più di una località tipica, per il fatto che la potenza dei singoli orizzonti è molto variabile da luogo a luogo. Tut- tavia esso dà una chiara idea dell’ insieme, sotto il punto di vista stra- tigrafico e tettonico. La serie devoniana nella giogaia del Coglians è ora la più com- pleta delle Alpi. Nel versante italiano, approfittando anche delle profonde incisioni del Passo di Volaia e della Cianevate, si riscon- trano fossilifere tutte le suddivisioni finora stabilite, le quali si pos- sono riassumere nel prospetto della pagina seguente. La serie posa in perfetta concordanza sul Neosilurico più recente (orizzonte a Rhynchonella Megaera), ed è ricoperta dagli scisti carbo- niferi trasgressivi. La trasgressione risulta nel modo più netto : a) dalle condizioni di giacitura, per cui gli scisti vengono a colmare le irregolarità di una superficie già profondamente erosa; h) dallo studio paleontologico, onde risulta che i calcari in contatto con gli scisti sono di età diversa da punto a puntò, a se- conda che vennero più o meno erosi durante la prima emersione della catena paleocarnica. L’età neocarbonifera della formazione scistosa nel suo complesso sembra ormai fuori di discussione. Discutibile può essere ancora la presenza nel suo seno di orizzonti carboniferi più antichi; ma si deve escludere che la massa prevalente spetti airEocarbonico. Per tutte queste considerazioni confermiamo nuovamente che il corrugamento orogenico paleocarnico avvenne nel Carbonifero in- feriore, e non nel Carbonifero medio, come si disse e si ripete dagli Autori di oltr’alpe. 274 MICHELE GOPvTANI Lacuna e trasgressione. o H- 1 O w Q o pa ■ Calcari con C y ri oclym enia laevigata, Oxyclymenia sup. j linearis, O. undulata, Murchisonia turbinata, Cyrtosymbole italica, ecc. inf. Calcari con Productella H ermin ae , P. forojuliensis, Athyris collinensis , Ehynchonella Eoemeri, Eh. pu- gnus, Eh. acuminata. Eh. laevis, ecc. ■| G O S O w Q O sup. Calcari con Atrypae {A. Julii, A. flabellata, A. Arimaspus) e Stringo cephalus Burtini ; Spirifer subumbonus, S.dis- junctus, Pentamerus galeatus, P. globus, Pugnax Julii, Wil- sonia procuboides, W. implexa, TentacuUtes Julii, Kophino- ceras acutecostaUim, Bronteus granulatus ; Actinostroma eia- thratum, Stromatopora concentrica, S. Beuthi, Pachypora cervi- cornis, Alveolites suborbicularis, Cyathophyllum caespitosum, ecc. Calcari con P entam erus aff. pseudo-basckiricus P. cfr. Petersi, P. globm, Spirifer digitatus, Pleurotomaria tro- choides, Murchisonia Vinassai; Stromatopora columnaris, Acti- nostroma stellulatum var. italicum, Alveolites suborbicularis var. minor, Cyathophyllum vermiculare var. philocrinum. Calcari con Karpinshy a G onsu elo , Spirifer infimus, Ehynchonella princeps. Eh. subtetragona, Euomphalus subalatus, Calymmene reperta, Proètus bohemicus, P. subfrontalis, Chei- rurus Sternbergi, ecc. O o h- 1 o !> Q O medio Calcari con K arpinsTcya conj ugul a, Orthis praecursor, Atrypa paradoxa, Spirifer Bischof, S. pseudo-viator, S. carin- thiacus, Pentamerus integer, P. procerulus. Eh. princeps. Eh. nympha, Myalina declivis, Ctenodonta Frechi, Polytropis invo- luta, Naticopsis confusa, Orthonychia acuta, Cheirurus Stern- bergi, ecc. inf. Calcari con Merista h erculea, Ehynchonella volaica, Bel- lerophon altemontanus, T r emanotus f orti s var. alpinus, Mur- chisonia Davyi var. alpina, Pleurotomaria euomphaloides var. al- pina, P. evoluta, Euomphalus KoTceni, E. solutus, Loxonema ingens, L. magnifeum, H ercy nella b ohemica , H. carnica. Calcari con Ehynchonella Megaera. r.:AT.«!oy . .h ^ . k . < . 5 ^, '.yj::r u ci MvJJ.V i'i ^5- ' l ' ■*'‘'' ■ • ■ ■/,-•■■■'•'* 'si • bìtm " ‘ - 4v i vi/ur.i'i -Cd* .t'JjQ ,.'ir3ÌlÌ» -'.Ij;»! t-, • V' ■ ;• ■ ' ; , ' ■^jUirìW -^^^.STVl'ó ^H/>1>V'**Ìi*>Ì5D itVlAiC^Ut^V' - i\ -. *’ .oH - J/ìit .f»csiìit)-- .H wtr»4ito\\rt4t^4'\ — r-, ^ .34iq ,,i»l0i Ìj:. >)' ^ . ‘ (^ a5UOti\>AAVTi>\f. ) K4!Vl>A^*\tll 1 StliiiH^OÌr*»’/»!!. ' i -. ,liìu Jmiii'» - ; (?) TtrvV'i\ - «»*)i iTt) I — . ìiLkCìF *1 i óuX'VVif’'» ivW'vS '. - >7i»bo:t - - .'ITJOS jft :;tì'::-' i>^VjìUvi',ììU^ìhyAoìi^^^ - f • * .;;? ^.ioY^*v.'! - .£• .i^-ffl - .>:a:rìi a: .r'iiq ,oiJ><9m .hti*iii) * ri ^nf l.tkin «l./iiifT.. ut. - ."iMOr^ 4>xoS>i>»4;>i^ *-* r .«ilb'Vfa •*.>laoY''bn.'7 - .aUt^ 01 ■■ ■" r ‘ .1' t'Hvi Mi ■- . la : ' .:>iM J c^VjSo^yIL -r* 'A ‘^Ukx Ó 1 f .afooil’iiJiijfJr ' f»£t0il.\.*^' IH 1 : . [ i> n iir' ri' .liiiq alai or)iaovabo-.aM ~ vT ; uce - ' ■■■ .*.4 0' i4 ■ ^ . r? / ' 'f i' . ■ /i’- ^tyt Ai . 11» , 276 MICHELE GORTANI Spiegazione della Tav. I. Figura \ a- d — Tremanotus fortis Bare. var. àlpinus Spitz. - Grand, nat. - Eodevonico infer., pag. 239. » 2 a, b — Bellerophon altemontcmus Spitz. - Grand .nat. - Eode> vonico infer., pag. 237. *> 3 — Pleurotomaria evoluta Frech. - Grand, nat. - Eodevonico infer., pag. 238. » ^ a, b — Euomphalus {Morphotropis f) KoTceni Spitz. - Grand, nat. - Eodevonico infer., pag. 239. » 5 a — G — Idem (?) ; opercolo. - Grand, nat. - Eodevonico infer. pag. 239. 6 — Holopella enantiomorpha Frech. - Eodevonico medio, pag. 243. » 7 — Bhynchonella volaica Spitz in Scup. - Ingr. 2. - Eodevo- nico infer., pag. 339. » 8 b ■ — Karpinshya conjugula Tschern. - Ingr. 2. - Eodevonico medio, pag. 242. » 9 — Spirifer trisectus Kays. var. carinthiacus (Frech). - Grand, nat. - Eodevonico medio, pag. 243. » 10 — Atrypa paradoxa Scup. - Es. in grand, nat., dal lato ven- trale. - Eodevonico medio, pag. 242. « 11 a, fe — Alveolites suborbicularis Lmk. var. minor Frech. - Fig. 11 a sezione longitudinale, 11 ò sezione trasver- sale ; ingr. 7. - Mesodevonico infer., pag. 246. GORTANi. - M. Coglians. Tav. I. le 1 d éBo«. SI. Sor,-.. §eo{. S’3ta{ia, V0L.,XLIII. Off. Fototecnica ing. Molfese - Torino 278 MICHELE GORTANI Figura » ♦ » » » » » » t> Spiegazione della Tav. II. ■ 1 a, h — Alveolites irregularis n. f. - Fig. I a sezione longitudi- nale, ingr. 5 ; fìg. I b sezione trasversale, ingr. 10. - Mesodevonico infer., pag. 246. 2 a, 6 — Cyatho'phyllum helianthoides Goldf. var. philocrinum Frech. - Fig. 2 a, sezione longitudinale mediana (schematica), fìg. 2 6, sezione trasversale. Ingr. 1,5. - Mesodevonico infer., pag. 247. 3 — Pentamerus glohus Bronn. - Esemplare dal lato ventrale ; grand, nat. - Mesodevonico infer., pag. 249. 4 — Spirifer digitatus Barr. - Esemplare c. s., grand, nat. - Mesodevonico infer., pag. 248. 5 a, b — Pentamerus cfr. Petersi Hoern. in Pen. - Valva ventrale ; grand, nat. - Mesodevonico infer., pag. 249. Q a, b — Pentamerus aff. Tschern. - Valva ven- trale ; grand, nat. - Mesodevonico infer., pag. 249. 7 — Murchisonia {Goniostropha ?) Vinassai n. f. - Ingr. 2. - Mesodevonico infer., pag. 251. 8 — - MacrochiUna cfr. eiecta Whidb. - Ingr. 2. - Mesodevonico infer., pag. 262. 9 o - c — Bellerophon Taramelli n. 1 - Fig. 9 a, 5 in grand, nat. ; fìg. 9 G (particolare deirornamenazione) ingr. 10. - Mesodevonico infer., pag. 260. 10 - — Cyathophyllum ceratites Gldf. - Sezione trasversale, ingr. 1,6. - Mesodevonico inferiore, pag. 264. ®off. £)ì. (Som. §coi. d’StaUa, VOL. XLIII. GORTANi. - M. Coglians. Tav. II. Cff Fototecnica Ing. Molfese Torino 280 MICHELE GORTANI Spiegazione della Tav. IIL Figura 1 ‘ — Cyathophyllum Lindstrómi Frech. - Sezione trasversale, ingr. 1,5. - Mesodevonico infer., pag. 255. » 2 — GyathophyWum vermicùlare Gldf. - Sezione trasversale, ingr. 2,5. - Mesodevonico super., pag. 256. » d a, b — Striatopora^ suhaequalis M. E. et H. var. angustiar Guk - Fig. 3 a sezione verticale, 3 h sezione tangenziale ; ingr. 5. - Mesodevonico infer., pag. 233. i 4 a, 5 — Productella Herminae Frech. - Fig. 4 a dal lato ventrale ; fig. 4 b profilo della valva ventrale stessa ; grand, nat. - Neodevonico infer., pag. 260. 5 — ProducteMa subaculeata Murch. sp. var. forojuliensis (Frech). - Due esemplari, in grand, nat. - Neode- vonico infer., pag. 260. » 6 a, b — Spirifer canaliferus Lmk. var. alatus GtÙr. - Valva ven- trale ; fig. 6 a dal lato ventrale, fig. 6 5 di fianco ; grand, nat. - Neodevonico infer., pag. 260. & 7 — Athyris concentrica v. Buch. var. pentagonalis Kats. - Valva ventrale ; grand, nat. - Neodevonico infer., pag. 260. » 8, 9 — Bhynchonella Eoemeri Dam. - Grand, nat. - Neodevonico infer., pag. 261, 262. D 10 a-c — Bhynchonella laevis Gur. - Esemplare giovane, visto dal lato frontale, di fianco e dal lato dorsale”; ingr. 2. - Neodevonico infer., pag. 259. » 11 — Murchisonia turbinata Schloth. sp. var. spinosa Whidb. - Grand, nat. - Neodevonico super., pag. 264. » 12 — Murchisonia turbinata Schloth. sp. var. intermedia Whidb. - Grand, nat. -Neodevonico super., pag. 264. » 13 a, 6 — Ghiton eollinensis n. f. - Placca cefalica, vista dal lato dorsale e di fianco ; grand, nat. - Neodevonico in- fer., pag. 262. » 14 — Glymenia^ {Gyrtoclymenia) laevigata Mstr. - Ingr. 2. - Neodevonico super., pag. 265. » 15 a, b — Glymenia {Oxylymenià) Unearis Mstr. - Ingr. 2. - Neo- devonico super., pag. 265. * 16 — Glymenia {Oxyqlymenia) cfr. undulata Mstr. - Ingr. 2. - Neodevonico super., pag. 265. > 17, 18 — Sphenophyllum cuneifolium Stern. for. saxifragaefolium (Gòpp.). - Foglioline, ingr. 5. - Carbonifero super., pag. 267. » 19: — Galamites Oisii ^ Brgn. ? - Grand, nat. - Carbonifero super., pag. 268. » 20 ^ Galamites aff. ramosus Art. ? Grand, nat. - Carbonifero super., pag. 269. » 21- - — Lepidophyllum trigeminum Heer. - Grand, nat. - Carbo- nifero super., pag. 269. ^oii, (?oin. ^teol. a’^laCia, VOL. XLlI! GORTANi. - M. Cogiiar.s. Tav. HI. 1 Off. Fototecnica Ing. Molfese Toriro •fv- III. S. SQUINABOL RADIOLARI DELLA STRADA NAZIONALE AL MONGINEVRO (Con una tavola). L’ing. Franchi ebbe la ventura di scoprire nel 1910 una sot- tile zona di radiolarite al letto (per rovesciamento) della lente di roccia diabasico-variolitica, fortemente laminata, che è attraversata dalla strada nazionale del Monginevro, all’ ultimo acuto risvolto di essa prima di raggiungere le caserme sotto la batteria del Petit Vallon (1), ed un campione da lui riportato presentava delle zone più fortemente colorate in rosso cupo violaceo, ricchissime di radiolarie. Le sezioni delle radiolariti erano state comunicate per esame al prof. Parona, il quale, ritenendo opportuno che se ne occupasse un’altro studioso di radiolari rimasto finora estraneo alla questione relativa all’età dei terreni che accompagnano le . serpentine (zona delle pietre verdi), ha voluto gentilmente che io lo surrogassi, ciò che ben volentieri ho accettato di fare e vedere se era possibile risolvere la questione della età di quelle formazioni. Le radiolarie finora non hanno potuto che ben limitatamente servire di criterio cronologico, per la loro incompleta conoscenza ; io credo però che quando sarà noto il massimo numero di esse (e ve ne sono in tutti gli orizzonti) ciò che io sto facendo per l’Ita- lia, esse saranno di prezioso e sicuro aiuto anche in mancanza di qualunque altro fossile. Disgraziatamente, come già feci osservare in altro mio lavoro (2), il loro studio in sezioni sottili di rocce è pur (1) S. Fra-Nchi. — L'età e la struttura della sinclinale piemontese dopo la scoperta del luetico nell'alta valle di Susa. Boll. B,. Com. geol. Voi. XLII. fase. 2®. (2) S. Squinabol. — Badiolarie cretacee degli Euganei. Atti e Memorie R. Accad. Se. Lett. e Arti di Padova. Voi. XX, pag. 10 e seg. (estratto). Padova, 1904. 282 S. SQUINABOL troppo poco proficuo, conducendo a risultati troppo spesso inesatti, e dovendosi non tener conto di una infinità di sezioni di tali fossili che pur avrebbero grande importanza, qualora gli individui si potessero se- parare dalla roccia e osservare nella loro integrità. Per questo nella determinazione delle radiolarie, che tanto interessano, del Mon- ginevro, ho tenuto conto soltanto di pochissime forme, in confronto delle numerosissime che si osservano nelle sezioni (fig. 1) per non creare inutilmente specie o forme nuove, che a nulla servirebbero per la nostra questione e che probabilissimamente dovrebbero essere rettificate in seguito. Data la quantità veramente grande di radiolarie racchiuse nella roccia, qualora fosse possibile, o avere un numero maggiore di sezioni, o tentarne Tisolamento, si potrebbe aumentare il nu- mero delle specie e venire a conclusioni più sicure. Tuttavia dalle specie descritte, non credo errare nel conchiu- dere che la roccia a radiolarie del Monginevro appartenga quasi certamente al neo-giurassico e che si possa mettere a livello di quelle dei noduli selciosi di Cittiglio. Specie rinvenute. Come dissi nelle poche parole di introduzione non ho tenuto conto di un gran numero di forme che era impossibile determinare con sicurezza. Fra quelle scartate vi sono i gen. Cenosphaera, Ce- nellipsis, Lithapium, Stauralastrum, Tricolocapsa, Lithocampe, che soltanto genericamente e anche ciò con dubbio, ho potuto sta- bilire. Oltre a queste, quelle che hanno meritato uno studio, sono le seguenti: 1. — Trochodiscus helios, n. sp. (fig. 2). Bella forma abbastanza frequente, munita di numerosissime spine alla periferia, che in qualche punto sembrano abbinate, piut- tosto corte e robuste. Ornamentazione del guscio non conservata. RADIOLARI DELLA STRADA NAZIONALE AL MONGINEVRO 283 Diametro 0.360; spine lunghezza da 0.04 a 0.05. Non è simile a nessuna delle specie note nè fossili, nè viventi ; si avvicina però, ma ne è tuttavia abbastanza diversa, ai Trochodiscus indeterminati figurati dal Parona nelle fig. 8, 9, 10 nella memoria sugli scisti si- licei a radiolarie di Cesana. 2. — Heliodiscus Franchii, n. sp. (fig. 3). Forma evidentemente a doppio guscio, Tinterno di diametro 0.130, Testerno di 0.230. Spine in numero da 18 a 20, corte (0.04 di lunghezza) robuste, probabilmente conico-schiacciate. Anche in questo r ornamentazione del guscio non è visibile essendo scomparsa completamente . Comune. 3. — Staurodictya longispina^ Vin. (fig. 4). 1900. — Staurodictya longispina. Vin., Rocce e fossili dei dintorni di Grizzana. « Boll. Soc. geol. ital. », voi. XIX, fase. 2, pag. 20 (estratto), tav. Ili, fig. 26-27. Non ostante il cattivo stato di conservazione non vi è alcun dubbio nell’ assimilare la specie della nostra figura a quella di Bis- sano del Vinassa, i cui aculei sottilissimi e lunghissimi sono ca- ratteristici. Medesime dimensioni. 4. — Amphibrachium Isseli, n. sp. (fig. 5). Corpo tozzo, cilindrico, poco sviluppato con due rigonfia- menti terminali subrotondi muniti di spine corte e numerose tanto lateralmente ai r‘ gonfiamenti, quanto alle loro estremità. Non è possibile per lo stato di conservazione determinare F ornamenta- zione del guscio. Lunghezza totale 0.300, lunghezza del corpo mediano 0.095, dei rigonfiamenti 0.100 e 0.105, larghezza della parte cilindrica 284 3. SQUINABOL 0,050, dei rigonfiamenti 0.090. Non vi è, a mia conoscenza, alcuna forma fossile a cui si possa riferire la specie del Monginevro ; quella che più d’ogni altra si avvicina per dimensioni e fisionomia gene- rale (salvo la mancanza di spine e la forma diversa dei rigonfia- menti) è VA. cordiforme (nel testo cordiformis) descritto dalFHinde del giurese di Mount Badau. 5. — Rhopalastruiii pedemontanum^ n. sp. (fig. 6). Se si potesse non tener conto della disuguaglianza degli an- goli e delle braccia, ben visibili nel nostro esemplare, questo sarebbe da assimilare al Dictyastrum lombardicum Par. del giurese di Citti- glio. Tale genere essendo però da escludere, non vi è che da ascri- vere la forma al gen. Rhopalastrum. Il braccio più lungo dal centro del corpo alFestremità, esclusa la spina, è di 0.300, quello minore di 0.245, e quello di media lun- ghezza è di 0.2(/‘. La larghezza massima delle espansioni terminali è 0.100. Le spine s« io lunghe, in media, 0.030. 6. — Rhopalastrum Cappellinii, Vin. (fig. 7). 1900. — Rhopalastrum Capellmil, Vin. loc. cit., pag. 23 (estratto) tav. Ili, fig. 22. La piccola differenza di dimensioni fra il nostro esemplare e quello descritto e figurato dal Vinassa non mi autorizza a farne specie diversa, mentre per tutto il resto concorda esattamente. Esemplare del Vinassa ('-Esemplare dei Moiiirinevro Braccio maggiore 0.320 0.290 )) medio 0.279 0.250 » minore 0.210 0.200 Lungh. mass, delle espansioni 0.126 0.110 Potrebbe anche assimilarsi a questa forma quella disegnata dal Parona nella memoria sugli Scisti silicei a radiolarie del Mon- ginevro, nella fig. 28 della tavola annessa e da lui lasciata indeter- RADIOLARI DELLA STRADA NAZIONALE AL MONGINEVRO 285 minata; ma non mi fu possibile decidere, essendo ignoto l’ingrandi- mento delle figure. E’ però probabile siano una stessa cosa. Come specie prossima si può citare il Rh. pistillum Hiiide del Trias di Bolo, Anak e Rotò. 7. — Hagiastrum Paronae^ n. sp. (fìg. 8.). 1892. — Hagiastrum sp., Parona: Sugli scisti silicei a radiolarie di Gesana. «Atti Accademia Se. Tor. », voi. XXVII, pag. 17 (estratto) fìg. 31. 1895. — Hagiastrum sp. Parona: Dias%)ri permiani a radiolarie di Montenotte (Liguria occidentale). «Atti Acc. Se. Tor. », voi. XX, pag. 12 (estratto), fìg. 42. Si tratta evidentemente della stessa forma illustrata dal Pa- rona nei diaspri di Montenotte e che FA. pur figurandola ha lasciato indeterminata e che io dedico a lui. Anche Fesemplare del Mungi- ne vro non è completo, permette però di dare la misura della lun- ghezza di un braccio, mentre quello figurato dal Parona le ha tutte e quattro troncate. Queste hanno la medesima disposizione ango- lare in tutti e due gli esemplari e la stessa orientazione rispettiva; dimodoché prendendo le braccia due a due opposte fra loro, si ha che due sono in continuazione Funa dell’altra, mentre le altre due sono leggermente spostate Funa rispetto all’altra. La lunghezza del braccio quasi completo è di 0.280, il corpo centrale ha 0.113 nel diametro maggiore, 0.080 nel minore. Non credo errare di assimilare poi questa forma con quella de- lineata dallo stesso Parona nella memoria sopra citata sugli scisti silicei a radiolarie di Cesana, la diversità apparente di aspetto nel corpo centrale potendo derivare semplicemente dal modo con cui fu sezionata. Debbo qui far notare che a mio parere, giudicando dalle forme illustrate, i diaspri includenti le radiolarie di Montenotte non sono permiani, ma secondari e con tutta probabilità giuresi, come è di- mostrato dalla comunanza di forme colla fauna a radiolarie di 286 S. SQUrS'ABOL Me. Cruzeau e dal fatto che certe specie eguali o simili che irRiist descriveva come carbonifere, per es. quelle dei diaspri di Sicilia, sono invece giuresi. Tutto al più si potrebbe trovare per la fauna di Montenotte un’affinità con forme triassiche, ma si avrebbe sem- pre a che fare con faune secondarie e non paleozoiche. 8. — Halicapsa aculeata, n. sp. (fìg. 9). Forma di tipo assai prossimo alla Halicapsa elongata Nev. (Supplem. alla Fauna a rad. delle Rocce mesozoiche del Bolognese, pag. 16, tav. X, fìg. 4) e che forse si potrebbe identifìcare con quella, se la fìgura dell’ esemplare di Santerno fosse completa, o per meglio dire se l’esemplare di cui si tratta avesse permesso un disegno più preciso e non mancante della parte inferiore. Il corpo della nostra specie è a fìasco e per questo si avvicina alla H. V inassai Squin. di Teoio) a collo lungo e slanciato, termi- nato chiaramente in una lunga spina conica e robusta (come nella H. maxima Squin. di Teoio). Il guscio è regolarmente aculeato con spine robuste che si continuano anche sul collo; quindi la specie va ascritta al sottogenere Echinocapsa. Altezza totale senza la spina 0.500 Lunghezza della spina 0.150 Diametro massimo del guscio 0.180 9. — Sethocapsa horrida^ n. sp. (fìg. 10). Guscio ovato piriforme formato da due segmenti di cui l’infe- riore ovale ed il superiore allungato a forma di collo, ambedue armati di potenti spine uncinate (?). Spina terminale piuttosto sot- tile, conica e diritta. L’insieme dei due segmenti ha un’altezza di 0.360, spine del gu- scio 0.05, spina terminale 0.07-0.08. Questa specie non ha riscontro preciso in altra; ma, nella memoria sugli Scisti silicei a radiolarie di Cesana, il Parona, senza descriverle, fìgura ai n. 41, 42, 43 delle forme affini, le quali hanno però il collo (segmento superiore) privo di spine. Ciò potrebbe derivare solo dallo stato di conservazione, e, RADIOLARI DELLA STRADA NAZIONALE AL MONGINEVRO 287 quando ciò fosse, andrebbero quelle tre forme ascritte alla specie presente. E’ pure prossima la nostra forma alla S. (?) f. ind. della fig. 50 delle radiolarie di Montenotte. 10. — Dictyomitra^ sp. (fig. 11). La mancanza di ornamentazione quasi completa mentre non impedisce di determinare genericamente il fossile rende però im- possibile di classificarlo specificamente. Per la forma si discosta ad ogni modo da quelle delle specie fossili note. La testa è visibilmente grossa e tozza ed è seguita da 4 seg- menti regolarmente ingrossantisi (rultimo è incompleto) ciascuno di forma doppiamente conica. Parrebbe che tutto il guscio fosse o gremito di prominenze, oppure ornato da costicine sporgenti, se questo significato hanno quelle specie di sfilacciature che si vedono da una parte e dall’altra lungo il contatto fra il fossile e la roccia. Altezza complessiva 0.400, larghezza massima 0.270. 11. — Eusyringiuiii bracliisiphou^ n. sp. (fig. 12). Guscio formato da 5 segmenti crescenti in diametro dall’alto al basso e un sesto assai più stretto trasversalmente e formante un corto tubo. Spina terminale molto piccola e indecisa quasi nell’ esemplare. Ornamentazione non conservata Altezza totale 0 .660 Larghezza dei penultimo segmento 0.470 Larghezza del sesto segmento 0.340 12. — Lithocampe (?) ingens, ^Riist. 1892. lAthocampe ingens Riist. «Neue Beitr. z. Kenntn. d. foss. Rad. und Gest. d. Jura und d. Kred. Palaeontographica », Band XLV, pag. 62, tav. XVIII, fig. 13. Il pimto interrogativo al genere è dovuto al fatto che men- tre i Riist dà la specie come appartenente al gen. Lithocampe^ 288 S. SQTilNABOL quindi a bocca aperta, di cui parla anche nel testo, viceversa dalla figura appare nettamente a bocca chiusa, quindi andrebbe col ge- nere Stichocapsa. Io non posso decidere dall’esemplare del Mongine- vro se vi sia o no la bocca ; dal complesso parrebbe piuttosto che no, ma per ora lascio il fossile ascritto a Lithocampe. Qualunque cosa sia non vi è dubbio sull’identità della specie. Lithocampe ingens è del Giurese di Cittiglio. 13. — Spirocapsa Hindei, n. sp. (fig. 14). Il Riist nel 1892 stabiliva il gen. Spirocapsa per un Lithocam- pide chiuso (Stichocapside) cogli anfratti disposti spiralmente. E’ il genere corrispondente a Spirocampe negli Stichocoridi. L’esem- plare descritto da Riist proveniva dai diaspri siciliani, che egli erroneamente ascriveva al carbonifero. Nel 1900 il Vinassa ne descriveva un’altra specie miocenica. Il ritrovamento di una terza specie al Monginevro è quindi assai sintomatica e parla assai chiaro in favore della giurassicità del giacimento. La specie è a guscio turricolato, a molti segmenti disposti evi- dentemente a spirale; non visibile l’ornamentazione salvo che la presenza di coste esse pure disposte spiralmente. Altezza complessiva 0.500; larghezza massima versola base 0.150; altezza dei segmenti inferiori 0.035; dei superiori da 0.008 a 0.010. 14. — Stichocapsa saturnalis^ Riist. (fig. 16). 1898. — Stichocapsa saturnalis Riist. Neue, ecc., pag. 67, tav. XIX, fig. 4. Benché lo stato di conservazione sia tutt’ altro che buono ed il guscio abbia subita una forte distorsione, non vi è dubbio che si tratti di questa forma caratteristica del Giurese di Cittiglio, che non può confondersi con altre per le sue sporgenze anullari, che sono in numero da 10 a 11. Le dimensioni corrispondono a quelle assegnate dal Riist, arrivando a 0.430 di altezza per 0.344 di larghezza massima. RADIOLARI DELLA STRADA NAZIONALE AL MONGINEVRO 289 CONCLUSIONE. Le 14 specie di radiolarie sopradescritte, di cui 5 non hanno al- cun riscontro in altre già note, sarebbero poche per poterne fare delle deduzioni cronologiche se non vi fossero fra esse alcune forme speciali e caratteristiche che non permettono alcun dubbio sul periodo a cui si deve ascrivere la roccia a radiolarie delMonginevro. Tra esse primeggiano: Liihocaìn'pe (?) ingens. Riist; Stichocapsa Satur- nalis Riist; Rhopalastrum Capellina Vin.; Staurodictya longispina Vin. che appartengono certamente ed esclusivamente ad orizzonti del Giura superiore. Se a queste si aggiungono Trochodiscus helios che probabilmente è la stessa cosa con Tr. sp. di Cesana del Parona; Halicapsa aculeata e Stichocapsa horrida che non distano di molto da H. elongata Nev. dei diaspri giuresi di Santerno, e 8t. sp. Par. di Cesana e Montenotte, non credo essere lontano dal vero nell’ asserire che la roccia a radio- larie della salita al Monginevro debba ascriversi ad un orizzonte francamente giurese ed anche precisando meglio neo-giurassico, ciò che si accorda colle idee relative all’età delle radiolariti espresse nella relazione Taramelli-Parona sulla nota questione delle zone delle pietre verdi. Certo si potrebbe ciò asserire con molto maggiore od anche con assoluta sicurezza quando si potesse esaminare un mag- gior numero di sezioni di quella roccia, ciò che è desiderabile po- tesse farsi. y ;r!© Issali UT/ ;;.a- >j .j irj) O.}.. ;, fii'V ■ .. V-W^v*Vj' • v^W'S'èlt ^ ■■ .^4' ■ " m} ■ '■ ' < ^\'>V'''^’'V' uISO!|J;!ì;4"' p. j vi' ,V>^ V4v>\r.v\:‘ .\A /J> H b ■ ,rA. ih ^ .Vy-Kf ,S-i‘^OÌnnk ■ :-:ì’'I -f /i l’ ■■ • •% 'T . : j ^ > L - ■• ■ ’. ^ 'jii > t '■ V rir;?nih f h . -r:) oboTO - . j .. j "jb H. , . ok:*;::://?: : )'■ V i? Dii- ’bj •'11 G'iGxau:! . , ..:;.ì;ìÌ 1?' i s. feV- [4 ij SQUINABOL. - Radiolari d. strada naz. al Monginevro • .•’è'ircfio. VOL XLII’I. Off. Fototecnica Ing. Molfese - Torino BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ANIS^O 1911. 12 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Di Franco S. — Struttura columnare della lava etnea nella valle dell’Alcan- tara. (Boll. Soc. geol. it., voi. XXIX (1910), fase. 3-4, pag. cxxv- cxxvi). — Roma. Riferisce l’autore che ai piedi della collina su cui si aderge il paese di Motta Camastra, il fiume Alcantara attraversa una stretta gola, larga appena pochi metri, detta valle del Petrolo, le cui pareti sono formate da roccia nera erut- tiva a struttura marcatamente prismatica, analoga alle formazioni basaltiche columnari che rinvengonsi in varie località della regione etnea, come all’Isola dei Ciclopi, ad Acì-Trezza, Acì-Castello, Motta S. Anastasia. A breve distanza dall’anzidetta gola la roccia mostra invece tutti i carat- teri delle lave ordinarie dell’Etna; si tratta infatti della colata lavica, eruttata in tempi preistorici dal Monte Mojo, che scorrendo per una lunga vallata si prolunga fino al mare, dove forma il Capo Schisò. Anche lo studio petrografico conferma trattarsi di lava e non di basalto. L’autore spiega la causa della struttura columnare che la roccia presenta nella gola del Petrolo, ammettendo che la corrente lavica fu quivi obbligata a passare attraverso uno spazio più angusto, che ne fece aumentare l’altezza 0 spessore e ne ritardò il raffreddamento nella parte assiale, mentre che i mar- gini si consolidarono in precedenza. Col raffreddamento della parte centrale ebbero a verificarsi delle intense contrazioni che determinarono la struttura columnare della roccia e fors’anco una iniziale fenditura che venne in seguito ampliata dalle acque dell’Alcantara, derivandone la pittoresca valle del Petrolo. (E. Tissi). Di Franco S. — Le lave adOrneblenda dell’Etna. (AttiAcc. Gioenia, S. V., voi. IV, 12 pagine con 2 tav.) — Catania. Con questa nota l’autore dimostra che Vornehlenda nelle lave dell’Etna è più diffusa di quanto si crede e non è limitata alle sole rocce antiche riferibili al primo periodo dell’attività del vulcano, ma rinviensi anche nelle correnti laviche relativamente recenti. L’autore osserva inoltre che laddove Vornehlenda compare, essa non si presenta come un’accidentalità localizzata, masi appalesa in tutta la massa effusiva di una data eruzione, per cui essa deve considerarsi come un elemento costante ed essenziale delle lave dell’Etna. Il possibile passaggio à.Q\V ornehlenda ad augite lascia anche supporre che in origine tutte le lave avessero contenuto Vornehlenda, ma che nella mag- gior parte di esse sia poi scomparsa per effetto di azioni secondarie verificatesi 54 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 anteriormente al periodo effusivo, risolvendosi nelle piccole augiti che oggidì si osservano nella massa. Due tavole con 12 figure illustrano la memoria. (E. Tissi). Dreger J. — Miocdne Brachiopoden aus Sardinien. (Verandl. k. k. geol. Reichs, Jahrg. 1911, n. 6, pag. 131-138, con 5 fig.). — ^ Wien. E’ una memoria descrittiva di due brachiopodi sardi, redatta dall’A. in base ad un ricco materiale gentilmente favoritogli dal prof. Lovisato. Il primo di questi brachiopodi è una Lingula, somigliantissima alla Lin- gula Suessi del calcare della Leitha, e specialmente interessante per trovarsi racchiusa in un calcare miocenico proveniente dal disfacimento di banchi a nullipore, e per aver quindi appartenuto ad una fauna di mare poco profondo. Secondo una nota del prof. Lovisato, che accompagnava il materiale inviato all’A. e che testualmente è riprodotta nella memoria, quattro specie di Lingula. provenienti dal Cambro-siluriano di Canalgrande e di San Pietro di Masua nel Fluminese sarebbero state scoperte e descritte dal Bornemann e in parte del Meneghini, che ne avrebbe anche trovato una specie nuova a Nebida.Ma il pro- fessore Lovisato, senza pronunziarsi in merito all’ età cambriana o siluriana degli scisti in cui sarebbero stati trovati i lingulidi paleozoici, fa notare che nelle sue molte escursioni non ha mai avuto la fortuna di incontrare un solo esemplare di questo genere in una formazione più antica del Miocene medio. La Lingula cagliaritana apparterrebbe appunto a questa formazione e, precisamente, al piano Elveziano, piano che non è molto esteso in Sardegna ma che presenta facies assai differenti. A Cagliari esso è caratterizzato da un calcare omogeneo, compatto, sovrapposto a un calcare marnoso, ed è nel calcare superiore che si trova il maggior numero di Lingulae. L’A. in un esame comparativo della Lingula miocenica sarda con la Lin- gula del calcare della Leitha, già descritta ed illustrata da lui e, posteriormente dall’Andreae, mette in rilievo la perfetta rassomiglianza delle due forme. L’ altro brachiopodo di cui parla la memoria è una piccola Bhyncìwnella {B. Lovisati n. sp.), che si presenta abbondantissima in Sardegna durante il Cambriano e il Siluriano, ed è stata ritrovata dal prof. Lovisato in un grès bianco, terziario che dovrebbe appartenere all’ orizzonte di Grunder. Questo grès si incontra nel Nord dell’Isola fra Cadreas e Bornova. L’A. dà una chiara descrizione di questa elegante Bhyncìwnella non ancora trovata in alcun’ altra parte, e la dedica al suo scopritore, zelante e illustre studioso della bella isola sarda. (G. PULLÉ). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 55 Fabiani R. — La Sezione di Storia Naturale del Munto Civico di Vicenza. Notizie e piano di riordinamento. (Estr. dal Boll, del Museo Civ. di Vicenza, fase. Ili e IV, luglio-dieembre 1910, Opu.9c. di 11 pag. con 2 fìg.)- — ■ Vicenza. Dopo aver rilevato essere il Vicentino una regione che j>uò giustamente considerarsi privilegiata in fatto di naturali ricchezze mineralogiche e paleon- tologiche, e dopo aver ricordato che trai suoi figli si annovera un ricco stuolo di appassionati studiosi dei fenomeni naturali, tra cui vanno specialmente ci- tati rArduino, il Fortis, il Maraschini, il Castellini, lo Scortegagna, il Marzari- Pencati, il Calvi, lo Starchi, il Pasini, il Lioy, il Molon, ecc., l’autore ricorda il modo in cui il cospicuo patrimonio scientifico (consistente in numerose colle- zioni di mineralogia, paleontologia, zoologia, botanica e paletnologia) era rac- colto ed ordinato nel Museo Civico di Vicenza, e descrive poscia le modalità del nuovo ordinamento da lui progettato, in seguito al quale quel Civico Museo resta suddiviso in tre grandi sezioni, cioè : F la sezione di mineralogia e litologia, con 2 sale ; 2^ la sezione di paleontologia, con 5 sale; 3° la sezione biologica (zoologia e botanica), con 2 sale. Osserva poi l’autore che allorquando sarà completato almeno l’ordina- mento di collocazione, chiaro apparirà quale importante posto occupi la pro- vincia di Vicenza nel campo delle scienze naturali e segnatamente in quelle paleontologiche, e si vedrà che se quel Civico Museo racchiude un invidiato patrimonio artistico, iiossiede pure una vera ricchezza di tesori naturali. (E. Tissi). Fabiani R. — • Di una nwova specie di Phlyctenodes (Phl. Dalpiazi) delVO- liqocene dei Serici. (Aggiunta a I Crostacei terziari nel Vicentino). Opusc. di 6 pag. con 1 tav.). — Vicenza. L’autore descrive paratamente il Phlyctenodes Dalpiazi n. sp., stato da lui trovato nei calcari tongriani di S. Feliciano (Colh Berici meridionali). La specie in esame differisce notevolmente dalPà?. tuberculosus, Phl. pustu- losus, Phl. Nicolisi e Phl. Steinmanni, e si avvicina invece al tipo Phl. Krenneri. (E. Tissi). 56 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIAXA, 1911 Fabiani R. — La regione dei Berici. Morfologia, idrografia e geologia e carta della permeabilità delle rocce. (Pubbl. n. 28 e 29 delPUff. Idrogr. del Mag. Acque, con 7 tav. e 4 %•)• “ Venezia. Il presente lavoro, eseguito dall’ autore d’incarico del R. Magistrato alle Acque, è diviso in due parti. La prima è suddivisa in tre capitoli principali, di cui il primo comprende alcuni cenni topografici, la morfologia nei suoi tratti più caratteristici e l’idrografia della regione Serica ; il secondo capitolo con- tiene la descrizione stratigrafica ed il terzo quella tettonica. Nella seconda parte l’autore si occupa delle condizioni presentate dalla regione dei Berici in rapporto alla permeabilità delle rocce. Corredano la memoria due nitide tavole in fotografia con 8 figure; una ta- vola di profili idrografici ; 1 carta geologica dei Colli Berici a colori, alla scala di 1,25,000 ; una seconda carta geologica, parimente colorata, dei dintorni di Grancona in scala di 1 : 25,000 ; una tavola di sezioni geologiche dei Lessini e dei Berici, e, finalmente, una carta a colori rappresentante la permeabilità delle rocce della regione Serica. (E. Tissi). Fabiani R. — Fauna dei calcari grigi della Valle del Chiampo {Vicenza). (Atti R. Ist. Ven., anno 1910-911, tomo LXX,. parte 2^, pag. 1445- 1470). — Venezia. Nella memoria si descrivono alcuni fossili dei calcari grigi del Giura, in parte raccolti dall’ A. nella Val Bona, afifiuente di sinistra del Chiampo, in parte provenienti da quella stessa località o dalle immediate vicinanze e da un livello ben definito presso le case Levati sotto Burlo (destra del Chiampo), e conservati nel Museo Geologico dell’ Università di Padova (Collezione De Zigno). Dei fossili raccolti dall’ A. nella Val Bona sono nuovi per i calcari grigi del Veneto le specie Ampultina tridentina Seneche e Avicula volanensis Lepsius; e sono nuovi, a conoscenza dell’ A., nella serie dei calcari grigi in generale, le specie : Neritopsis cfr. hebertana D’Orb ; Purpurina aff. P. carinata Terq., Pecten {GhlamPs) Bonaen. sp. (figurata), Pecten ThiolUerei Martin, Lima {Pia- giostoma) punctata Sow., Gypricardia rostrata Morr. et Lyc., Astarte aff. A. bulla Roemer. Dei fossili della collezione De Zigno è nuova per i calcari grigi in generale la specie Lima {Plagiostoma) semicircularis Goldf., proveniente da Val di Bona, ed è nuova per i calcari grigi del Veneto la forma Avicula volanensis Seneche, proveniente dal giacimento di Casa Dovati. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 57 Senza scendere a deduzioni cronologiche particolari per la iriancanza di elementi sicuri di riferimento, FA. fa osservare come il suo studio porti un con- tributo in appoggio all’ opinione che gli strati a Terehratula Rotzoana del Veneto e del Trentino sieno riferibili alla parte media del Lias. (G. P.). Fabiani R. — • Sulle rocce eruttive e yiroclastiche dei Colli Serici. (Atti Acc. Ven. Trent. Istr., S. 3^, anno IV, fase. 1» e 2^, pag. 3-54, con 2 tavole e 5 fig.). — Padova. Dallo studio petrografìco risulta che le rocce eruttive dei Colli Berici ap- partengono esclusivamente al gruppo basico e quasi tutte alla famiglia dei basalti labradoritici. Si riscontrarono infatti : F Basalti ordinari ; 2° Basalti ofìtici e dolori tici; 3® Roccia plagioclastica con augite ed anfibolo; 40 Augitite. Le masse eruttive più importanti si trovano nei Berici occidentali da Alonte a S. Gaudenzio e sono formate di basalti veri e propri, appartenenti cioè al gruppo più basico della famiglia. Nei Berici orientali si nota una minor frequenza di rocce eruttive rappre- sentate sporadicamente da filoni, oppure affioranti entro necks (condotti di esplosione). Le rocce piroclastiche sono formate esclusivamente di tufi e brecciole ad elementi basaltici più o meno alterati, cementati da calcite. Provengono in maggioranza da materiali di proiezioni appartenenti a fasi eruttive diverse, spesso mescolati ad elementi allogeni, come frammenti di rocce calcaree o fossili. Le rocce piroclastiche fossilifere sono anche stratificate e costitui- scono delle lenti nel mezzo di altre rocce sedimentarie. Le brecciole non strati- ficate riempiono più comunemente dei necks. L’autore viene quindi a parlare delle azioni di metamorfismo e poscia della distribuzione cronologica e delle principali fasi eruttive, rilevando che le rocce piroclastiche più antiche appartengono all’Eocene inferiore; che l’Eocene medio è caratterizzato da notevolissima attività eruttiva; che l’Eocene supe- riore segna un periodo di calma, seguito però da un risveglio di attività erut- tiva che perdurò in tutto l’Oligocene superiore e nel Miocene inferiore. Il carattere più sahente di quest’ultima fase è dato dalla frequenza delle forme esplosive che originarono i necks. E. Tissi). 58 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Fabiani R. — • Il hasalte colonnare dei Panarotti, presso S. Giovanni Ila- rione nei Lessini. (Opus, di 6 pag. con 1 tav.). — Padova. L’autore esordisce col ricordare che Tossatura delle articolazioni sud- orientali dei Lessini è costituita da rocce d’origine endogena, cioè da forma- zioni basaltiche massicce e piroclastiche che in molti punti attraversano le rocce sedimentari ed in particolar modo le terziarie, o che le ricoprono per lar- gii! tratti con poderose colate. Uno dei fenomeni più caratteristici di quella plaga è la presenza di masse basaltiche a struttura colonnare, fra cui singo- larmente tipica è quella detta dei Panarotti, presso S. Giovanni Ilarione (Vi- cenza), che forma appunto l’oggetto della presente nota. Trattasi di un basalto comune a struttura porfìrica ipocristallina con labra- dorite relativamente scarsa e con abbondantissima augite. I microliti d’aii gite si sono consolidati prima del plagioclasio, del quale non si riscontrano che elementi di seconda generazione. (E. Tissi). Forn ASINI C. — Sulla nomenclatura di una Cristellaria pliocenica. (Riv. it. di paleont., anno XVII, fase. IV, pag. 78-80). — Parma. Forma oggetto della presente nota un esemplare di Cristellaria del Plio- cene senese, che si conserva nelle collezioni del Museo geologico di Pisa sotto il nome di Cr. cornucopia n. sp., e che l’autore crede di poter ascrivere a Cr. galea F. c. M. sp. (E. Tissi). V. Friedlander S. — Der Kraier des Vesuv in Mdrz 1911. (Naturwiss. Woch. N. F. X, n. 29, 1911, e Geol. Zentr., Bd. 16, n. 14, S. 678), — Leipzig, La nota contiene la descrizione del continuo sfacelo dei bordi del cra- tere, manifestatosi sopra uno sviluppo lineare di circa un centinaio di metri. (E. Tissi). Fucini A. — Fossili nuovi o interessanti del Batoniano del Sarcidano di Laconi in Sardegna. (Opus, di 17 pag. con 1 tav.). — Pisa. L’A. descrive alcuni fossili provenienti dai calcari dolomitici grigi del Sar- cidano di Laconi in Sardegna. Questi calcari apparterrebbero all’Oolite supe- riore, ossia al Batoniano, e sarebbero una continuazione dei calcari di Nurri, similmente riferibili alla stessa formazione. feréLlDiGEAt'IA (ÌEOLOGICÀ II’ÀLÌANA^ lÌ)ll “jO Le specie descritto appartengoPò quasi per intero ai ìaniclli brandii, ed otto sono completamente nuove per la Sardegna. Lima strigillata, Laube Ttigonia tripliGata, Sow. Lima cardiformisi Sow. Vnicurdium c/r. gihhosum, M. è L. Lima complanata, Laube. Echinobrissus clunicularis, D’Orb. Lima Lycetti, Laube. Eleurosmilia Benoisii, Koby. Le relazioni che risultano dai confronti con i depositi batoniaiii dclhiii- ghilterra/del Balin in Francia, e della Svizzera confermano le idee già espresse dail’Autore e dalDainelli {Fosn. batoniani in Sardegna, 1903) intorno ail’inn portanza e all’estensione del Batoniano in Sardegna. (G. B.). Fucini A. — Verrucano e pseudoverrucano in Toscana. (Atti 8oc. tosc.j Proc. Verb., voi. XX, n. 4, pag. 61-65). — Pisa. La constatazione fatta daH’ing. Lotti fino dai 1801 della esistenza diroccedi tipo verrucano nel Cretaceo superiore dei dintorni di Grosseto e che egli chiamò pseudoverrucano, fu invocata dal prof. Fucini di Fisa in appoggio della sua idea che tutto il verrucano della Toscana debba ritenersi cretaceo (v. Sulla età e sulla posizione del verrucano in Toscana. Proc. verb. Soc. tose., ecc. Mag- gio 1910). 11 Fucini esponeva in questa nota varie considerazioni litologiche in seguito alle quali concludeva per la identità fra i due terreni. 11 Lotti si oppose a questa conclusione dimostrando le differenze esi- stenti fra il pseudoverrucano ed il verrucano permiano di cui la principale sarebbe la presenza nel primo di frammenti di selce pirornaca che manca affatto nel secondo. Riportò a tal uopo, l’esame petrografìco di un campione di pscudo- verrucano, eseguito dall’ing. Franchi, da cui risulta dimostrata la presenza in esso di selce pirornaca. L’autore della presente nota sostiene invece che anche nel vero verrucano compariscono frammenti di selce nera identica a quella del pseudoverrucano cretaceo. A questa affermazione fa seguire poi varie considerazioni stratigrafiche per confutare le argomentazioni del Lotti. (B. L.). Fucini A. — Alcune interessanti ammoniti di Pioraco nelV Appennino Cen- trale. (Riv. it. di Paleont., anno XVII, fase. Ili, pag. 45-50, con l ta- vola). — Catania. Le ammoniti descritte {Vermiceras prolaquense n. sp., V. Vinassai n. sp., AmpMceras appenninicum n. sp., Hildoceras emaciatum Cat.) provengono dai 60 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 dintorni di Pioraco, località Le rupi, e furono raccolte dal prof. Canavari. Le due prime appartengono ad un tipo di Arietites di Lias inferiore piuttosto basso, la terza rappresenta il Lias medio profondo. lu Hildoceras emaciatum Cat. apparterrebbe ad un gruppo di ammoniti proprie del Lias medio elevato, mentre, per la roccia in cui è fossilizzato, sem- bra provenire dal Lias medio profondo : l’A. crede che ciò sia realmente. (C. P.). Gauthier V. — Uidrografla delVAgro teUsino. (Boll. Soc. Naturalisti in Napoli, voi. XXIV [S. II, voi. IV], pag. 9-17). — Napoli. Premesso che nell’Agro Telesino si rinvengono 33 sorgenti di acque dolci e minerali, delle quali 23 solfureo-carboniche, 3 alcaline e 7 dolci, l’autore ricorda che la costituzione geologica di quell’ Agro, dalla piana di Amorosi al torrente Saneto, risulta - dall’alto in basso - di un mantello di materiali vulca- nici più o meno incoerenti, dovuti ai vulcani Flegrei ; quindi di un banco di travertino di spessore variabile sotto cui stanno i terreni eocenici e più sotto i calcari dolomitici. Il travertino fu deposto dalle acque calcarifere provenienti dagli alti monti del Matese, le quali formavano un vasto lago che occupava tuttala zona in- terposta fra il Matese ed i monti di Solopaca, lago che si prosciugò dopo che il fiume Calore apri il suo sbocco al mare. Soggiunge l’autore che questa regione non fu teatro di conflagrazioni vul- caniche ma andò invece soggetta a movimenti del suolo, uno dei quali, molto violento, appalesatosi poco dopo il 1000 dell’èra cristiana, determinò il defi- nitivo assetto della pianura telesina e generò una linea di frattura diretta E-0 lungo la base del M. Pugliano, donde scaturirono le acque minerali. Circa la provenienza di tali acque le opinioni sono discordi ; l’autore però le crede derivanti, ugualmente che quelle dolci, dal lago del Matese, situato a 1007 metri s. m. ed appartenente alla categoria dei laghi carsici. (E. Tissi). Gauthier V. — Foche osservazioni al lavoro del prof. L. Ricciardi « Su le Relazioni delle Reali Accademie delle Scienze di Napoli e dei Lincei di Roma sui terremoti calai) ro-siculi del 1783 e 1908. (Boli. Soc. Na- turalisti in Napoli, voi. XXIV [S. 2^, voi. IV], pag. 113-116). — Na- poli. Con questa nota l’autore confuta il sopirà citato lavoro del prof. Ricciardi e dichiara non risultare provato che i due terremoti calabresi del 1783 e 1908 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 01 siano stati causati da eruzioni di vulcani sottomarini, soggiungendo anzi che le argomentazioni all’uopo adotte dal prof, Ricciardi non fanno che aumen- tare la confusione che tuttora esiste sulla genesi dei terremoti. (E. Tissi). Gemmellaro M. — Sui fossili degli strati a Terebratula Aspasia della (Con- trada Rocche Rosse 'presso Galati (Messina). Cefalopodi (fine), Gaste- ropodi. [Giornale di scienze naturali ed economiche voi. XXVIII, pag. 203-246, tav. VIII-X). — Palermo. Questa memoria è la continuazione della monografia omonima di G. G. Gemmellaro e la revisione di una nota del Seguenza, nella quale è dato un elenco descrittivo dei fossili delle Rocche Rosse (1885). L’A. ha utilizzato il materiale della raccolta privata del Seguenza, materiale ora passato all’Uni- versità di Palermo. I cefalopodi illustrati appartengono a sei specie, di cui quattro nuove Nautilus Di Stephanoi n. m. (= N. affinis G. G. Gemm.), N. demonensis G. G. Gemm. in sch., N. Mariani G. G. Gemm. in sch., N. Paretai G. G. Gemm. in sch. ; dei gasteropodi sono illustrate 24 specie, fra le quali 9 nuove ; Discohelix Mariae, Trochus Falcai, Galliastama Sartariusi, Callia starna Salvataris, Chrysa- stama Seguenzai, Pramathildia demanensis, Ghemnitzia galatensis, Zygapleura f duhia, Gupaniella biplicata [Gupaniella è un nuovo genere, prossimo a Exelissa Piette e a Gryptaptyxis Cossmann). Delle altre quindici specie di gasteropodi, quattro, indicate per primo dal prof. Seguenza, sono finora esclusive del gia- cimento delle Rocche Rosse : le rimanenti undici si ritrovano nel Lias di Hierlatz e di altre località : una è stata anche indicata in Italia dal Fucini nel Lias inferiore di monte Pisano. (C. P.). Gianno’ 8. — / bacini minerari della T r ipolitania . I giacimenti di fosfato e di solfo. (Estr. dal fase. X [ottobre 1011] dell’Esplorazione Commer- ciale, organo della Soc. It. di esplor. geogr. e comm., con 2 carte geo- grafiche). — Milano. Questo lavoro, che rimonta al 1902, non fu pubblicato xuiina d’ora per ragioni d’opportunità. Non risulta possibile distinguere fra le notizie in esso contenute quali sieno dedotte da operazioni personali e quali iuvece derivino da informazioni o voci raccolte dall’autore. (G. A.). 62 BIBLIOGRAFÌA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Gignoux M. — Lc.s couchcs à 8trombus bubonius (Lmk) dans la Médi- terranée occidentale. (C. R. Acad. des Sciences, 1911. Prem. Sem., tome 152, n. 6, pag. 339-342). — Paris,. IVA. ritorna con questa nota suH’orizzonte a bubonius caratterizzato dal punto di vista paleontologico dall’ apparizione in una fauna identica a ((uella mediterranea attuale di forme di origine dell’Atlante equatoriale e dal punto di vista statigrafìco da una trasgressività su tutte le formazioni ante- riori, il Siciliano compreso. L’apparizione della fauna a Sirombtis nel Mediterraneo sarebbe contem- poranea, ove la si consideri come d’ordine eustatico, ad una linea di spiaggia situata a 35 m. d’altezza, salvocliè nello stretto di Messina, ove movimenti locali lianno sollevato l’antica spiaggia fino a 100 metri. (C. C.). Gignoux M. — Ancora due parole sulla geomorfologia della Calabria. (Riv. geogr. it., anno XVIIl, fase. X, pag. 612-621). — Firenze. L’autore risponde ad alcune critiche fatte dall’ing. Cortese ad un suo la- voro precedente sulla Calabria e nota essenzialmente che l’ affermazione che nei terrazzi quaternari calabresi si trovino dei fossili marini non può accogliersi senza riserve, poiché i terrazzi con fossili marini sono sempre sovrapposti al Pliocene e possono essere considerati come Post-pliocene inferiore o « Cala- briano », nome proposto dallo stesso Gignoux, mentre sui terrazzi poggianti sul terreno cristallino non si riscontrano depositi marini recenti. Esclude pure che possano ritenersi dimostrate le grandi faglie che secondo il Cortese deter- minano la morfologia della Calabria e lo stretto di Messina, e nota non potersi affatto accogliere l’osservazione del Cortese sul senso dei bradisismi nello stretto di Messina, perchè solo un’osservazione superficiale dei fatti conduce alla legge « tutte le coste rocciose si sollevano, tutte le coste sabbiose si abbassano », che è evidentemente falsa. (V. X.). Gortani M. — Contribuzioni allo studio del Paleozoico carnico. IV. La fauna mesodevonica di Monumenz. (Paleontogr. ital., voi. XVII, pa- gine 141-228, con 5 tav.). — Pisa. La fauna mesodevonica di Monumenz, studiata dall’autore, comprende 100 forme, delle quali : 15 proprie, fino ad oggi, del Devoniano medio ; 1 propria del Devoniano superiore ; 16 del Siluriano superiore e Devoniano inferiore ; SlÉLIOGRAl'lA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 63 6 del Devoniano medio e superiore ; 7 del Devoniano inferiore e medio ; 55 senza valore cronologico assoluto, ma che tendono, in complesso, ad invecchiare piuttosto che a ringiovanire la fauna. I dati di cui sopra sono riepilogati in un apposito quadro, nel quale, insieme alla composizione della fauna studiata, sono anche indicati i suoi rapporti di affinità con quelle devoniane più conosciute, vale a dire con quelle delle Asturie, della Francia, dell’Inghilterra, della Kegione Renana, della Boemia, della Polonia, degli Tirali e dell’America Settentrionale. (E. Tissi). Gortani M. — Di un’antica frana presso Tolmezzo. (Cron. Soc. alp. friu- lana, anno XXII, S. 2^, n. 5-6, pag. 106-111, con 3 fig.). — Udine. La nota concerne l’antica frana conosciuta localmente col nome di Prà Castello, che domina l’abitato di Tolmezzo. E’ un vasto pendio erboso, a con- torno convesso, che scende dai ripidi fianchi calcareo -dolomitici del M. Strabùt. Che si tratti di un cono di frana lo si deduce dal suo profilo, dai caratteri pe- trografie! del materiale che lo compone e dalla configurazione del M. Strabùt nel suo versante meridionale, da dove, cioè, si è staccata la frana. II conO: infatti, è costituito da un ammasso caotico di ciottoli e blocchi an- golosi, calcareo-dolomitici in grandissima prevalenza, mescolati a pochi ele- menti argilloso -arenacei. I primi sono identici alla roccia che costituisce la massa principale, infraraibliana, del M. Strabùt ; i secondi provengono da strati sot- toposti alla massa calcarea ed affioranti anche a destra ed a sinistra del cono. Il versante meridionale dello Strabùt, prospiciente la frana, mostra una figura angolosa e rozzamente intagliata, e quindi in aperto contrasto coi cir- costanti pendìi nettamente arrotondati e ondulati. L’autore ritiene che la frana di Tolmezzo appartenga alle frane di roccia per crollo, secondo la classificazione dello Heim e del Braun ; alle frane di di- sgregamento secondo la classificazione dell’Issel, o alle frane per rotolìo secondo la definizione dell’Almagià. Sarebbe stata causata dal disgregamento dei cal- cari dolomitici sotto l’azione degli agenti esterni e si sarebbe prodotta nel- l’epoca postglaciale. La nota è illustrata da 3 fotografie e da una figura. (E, Tissi). CoRTANi M. — Escursioni sui monti della Valcalda. (Cronaca Soc. Alp. friulana, anno XXII, S. 2A n. I). — Udine. Ricordato che la Valcalda, nonostante la singolare bellezza del paesaggio che la rende uno dei luoghi più attraenti della Gamia, è poco percorsa, così 64 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 che i suoi monti sono fra i meno esplorati della regione, l’autore ne enumera le vette principali, che sono la Tenchia (1835 m.), il Zoufplàn (2001 m.), il Cimon (2105 m.), il Monte di Terzo (2036 m.), la Vaisecca (1977 m.), il Picon di Pici- mede (2095 m.), il Picon di Crasulina (2087 m.), il Monte Pizzacul (2176 m.) e con ampiezza di particolari ne descrive le speciaK caratteristiche, la morfologia, le più facili vie d’accesso, ecc. Per la loro natura e struttura i monti della Valcalda presentano un inte- resse particolare ed una fìsonomia tutta propria. Nelle arenarie e dolomie ca- riate triassiche l’erosione ha isolato delle guglie imponenti, tra cui primeggia il bellissimo obelisco detto Torr di Coti, rappresentato nella fotografia annessa alla memoria. L’autore fa poscia seguire una descrizione geo -litologica della regione e la illustra con apposito schizzo. Descrive infine le vestigia glaciali lasciate sui fianchi arrotondati dei monti e la rigogliosa flora che li riveste e li adorna. (E. Tissi). Gregory J. W. and others. — Contrihuiion to thè Geology of Cyrenaica. (Quart. Journ. Geol. Soc., voi. LXVII, n. 268, pag. 572-680, with pls.). — London. Gli autori esordiscono col rilevare che la Cirenaica si presenta come un aggetto della costa settentrionale dell’Africa tra il Golfo di Sidra (Gran Sirte) a ponente e la Baia di Bomba a levante. Sotto il nome di Cirenaica si comprende spesso anche la Marmarica e la costa fino ai limiti occidentali dell’Egitto, ma, secondo gii autori, la restrizione dell’ appellativo di Cirenaica alla regione occupata dalla famosa colonia greca, la cui capitale era Cirene, sembrerebbe rispondere ad una più naturale divi- sione geografica. In tal modo definita e delimitata, la Cirenaica è un paese classicamente interessante ; essa comprende l’antica Pentapoli, Cirene, i Giardini delle Esperidi e lo storico fiume Lete. Geologicamente parlando essa è forse la meno conosciuta delle plaghe costiere mediterranee. La geologia di quella parte dell’Egitto che confina colla Cirenaica è conosciuta per gli scritti dello Zittel e del Fuchs, nonché dai lavori dello Schweinfurth, del Ball, del Pachundaki e del Blanckenhorn. Un riassunto delle cognizioni geologiche concernenti la Cirenaica fu pub- blicato nel 1904 per opera dell’Hildebrand, il quale ebbe a constatare che le precedenti nozioni in argomento erano monche ed incerte. feiBLlOGRAriA GEOLOGICA ITALIANA, IOTI Sempre secondo gli autori tre differenti ipotesi furono avanzate per spie- gare la struttura geologica della Cirenaica, cioè : lo che essa sia un residuale frammento del sistema montuoso congiuri - gente un tempo l’Atlante colle montagne di Creta e dell’Asia Minore ; 20 che sia un altipiano roccioso eocenico, corrispondente alle Mokattam Series dell’Egitto ; 30 che si debba ritenere un grosso pilastro (horst) della formazione cal- carea miocenica e pHocenica, un tempo unita con quella di Malta. Le prime notizie sulla struttura geologica della Cirenaica furono pubbli- cate dal dott. Della Cella, un medico italiano che accompagnò una spedizione militare organizzata nel 1817 attraverso la Cirenaica dal Bey di Tripoli. Gh autori ritengono essere la Cirenaica costituita da un altipiano calcareo eocenico, coperto da formazioni calcaree deH’Aquitaniano e del Miocene. L’inclinazione predominante è verso Est, così che i calcari miocenici vi- sibili nella Cirenaica orientale e nella costa occidentale dell’Egitto, sono al li- vello del mare. L’altipiano Cirenaico può quindi riguardarsi come il ramo o gambo occidentale della grande sinclinale egiziana. L’altipiano è stato isolato e fratturato da una serie di faglie nell’ultimo periodo cenozoico. x^lcune di tali faglie corrono in direzione Est- Ovest lungo la costa settentrionale ; altre sono orientate da S-0 a N-E; altre, infine, sono di- sposte in direzione Nord-Sud. Queste ultime hanno determinato alcune delle principali pieghe che si manifestano nella costa settentrionale della Cirenaica e nella parte occidentale dell’Egitto. Queste tre serie di faglie si connettereb- bero, secondo gli autori, con quelle che hanno disturbato l’Eubea e che origi- narono le depressioni che ora separano l’Eubea stessa dal rimanente della Grecia. I terreni della Cirenaica possono classificarsi come segue ; Pleistocene Depositi alluvionali Miocene Calcari del Gubak Oligocene Calcari di Cirene / Calcari di Slonta Eocene ’ Calcari di Derna ^ Calcari di Apollonia I calcari sono di origine organica e contengono sporadicamente granelli di quarzo e qualche po’ di argilla. Devono essersi formati in acque chiare ed a non grandi profondità. La serie stratigrafica comincia dal basso col calcare d’ Apollonia, che corri- sponde all’Eocene inferiore della serie egiziana. 66 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, l9ll I calcari di Derna, di color crema, sono caratterizzati dalla tipica Num- mulites gizehensis. Ai calcari di Derna seguono, in ordine ascendente, certi calcari marnosi contenenti Fibularia luciani, a cui succedono i calcari stratifi- cati di Slonta, che presso Cirene sono rappresentati da una formazione calca- rifera tenera, mummulitica, di colore crema, contenente la N. gizehensis, var. Lyelli. Segue, ascendendo, il calcare giallo di Cirene, caratterizzato dall’abbon- danza di Operculina e da riferirsi aU’Aquitaniano. Le rocce mioceniche (calcari) si mostrano a Dubuh e lungo il piano co- stiero ad est di Bengasi. La regione si sarebbe sollevata, secondo gli autori, dopo il Miocene medio e fece allora parte di una vasta estensione terrestre includente anche Creta. Un successivo abbassamento di una parte di quella plaga isolò Creta, la- sciando la Cirenaica a guisa di horst, limitato a Nord e ad Ovest dalle accennate faglie e degradante insensibilmente a Sud. Le formazioni pleistoceniche sono costituite da dune sabbiose, da argille bgunari, da depositi alluvionali, dai tufi calcarei di Derna e dal calcare a Ce~ rastoderma edule giacente ad est di Bengasi. Le depressioni vallive ed i burroni nella Cirenaica settentrionale devono essersi formate quando le precipitazioni atmosferiche erano assai più abbon- danti delle attuali, ossia in epoca preistorica, mancando segni evidenti che dalla colonizzazione greca (620 anni a. C.) in poi si siano verificate sensibili variazioni nelle condizioni climatiche ed idrologiche della regione. La memoria contiene anche una particolareggiata descrizione ed illustra- zione dei fossili della Cirenaica. (E. Tissi). / Grill E. — Osservazioni cristallografiche su V ematite delV isola d^Elba. (Opusc. in-80 di 23 pag., con 1 tav.) — Firenze. La memoria riassume alcune osservazioni cristallografiche fatte dall’au- tore sopra la numerosa serie di esemplari di ematite elbana che fa parte delle collezioni del R. Museo mineralogico di Firenze. Nella trattazione delle forme osservate, l’autore segue il metodo dell’ ag- gruppamento in zone, premettendo per ciascuna di queste poche considera- zioni, poi descrivendo le singole forme. Su 44 forme descritte, 19 risultano nuove per la specie, 5 nuove per la località. L’autore accenna alla varietà grandissima di combinazioni che deriva da questa ricchezza di forme, osservando però che nei giacimenti elbani man- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1 9l 1 07 cano o per lo meno sono rari i cristalli molto ricchi di faccie. TI maggior numero di essi presenta le cinque forme caratteristiche (100), (311), (211), (332), (511) dalle quali deriva quell’aspetto tipico che permette di distinguere l’ematite dell’Elba da quella di molte altre località. 1 valori angolari delle forme rare e nuove con le forme più comuni sono riportati in un quadro che fa seguito alla memoria, e furono calcolati in base alla misura dello spigolo (311 : 131) che servì a determinare l’angolo fonda- mentale (100:010) uguale, secondo l’A., a 93° 50’24”. (G. P.). Grubenmann U. — Uher die Tessiner « Gneiss » (Zeitschr. der Deutsch. Geolog. Gesellsch. n. 3, 1911, S. 186-187). Breve comunicazione epistolare riferentesi a questioni di priorità, nella quale l’autore riconosce essere stato il Klemm il primo a pubblicare l’ipotesi intorno aU’origine mista degli gneiss del Ticino. (V. N.). Haenel G. — Di Morphologie und llydrographie der Oonsen %n der Sa- hara; 1895, Bunzlan. (Riv. fis. inat. se. nat., anno 12, n. 144, pag. 565 (citato). — Pisa-Pavia. Hammer W. — Vorlage eines neuen Alpenquerschnittes . (Verandl. k. k. geol. Reichs, n. 3, S. 87). — Wien. E’ una sezione che a partire dalla superiore valle del Wertach (Baviera) attraverso il passo del Tonale mette capo a Salò, sul Garda, e la cui dettagliata descrizione comparirà nel Jahrbiieh d. k. k. Oeol. Beichsanstalt (Wien). (E. Tissi). IssEL A. — ■ Devoluzione delle rive manne in Liguria. — (Boll. Soc. geogr. it., S. IV, voi. XII, n. 9, pag. 1085-1113, e n. 11, pag. 1315-1344, con 25 fig.). — Roma. Riconosce l’autore essere arduo il compito di rintracciare le vicende su- bite dal litorale ligure in base alle tracce lasciate dagli antichi livelli marini, tracce bene spesso occultate dalla degradazione meteorica e dai fenomeni di erosione ed ablazione determinati dalle acque correnti. Ritiene che al principio dell’Oligocene, in Liguria, e specialmente nel Sa- vonese, si succedettero in lungo volgere di tempi almeno tre oscillazioni com- plete, accusate da depositi marini alternanti con formazioni d’acqua dolce o 13 68 SlBLÌOGilAFIA GEOLOGICA ITALIAifA, 1911 d’estuario, e che pertanto si produssero almeno tre scaglioni ad altezze di- verse, che furono distrutti completamente o quasi da fenomeni posteriori. Più tardi, prima del Pliocene, movimenti orogenici assai estesi e complicati ebbero per ultimo risultato di sollevare antichi fondi marini fino ad oltre un migliaio di metri, originando pieghe assai accentuate e forse terrazzi. L’A- quitaniano mitigò la profondità dei fondi marini, ma poco aggiunse aUa esten- sione delle terre asciutte. L’Elveziano ed il Tortoniano corrisponderebbero ad una fase di sollevamento. Alla fine dell’età tortoniana i fondi marini si innal- zano, si producono bassifondi, pianure e colline litorali per vasto tratto di paese ; col Messiniano l’emersione si estende a sud. Il periodo in cui si svolge la storia orogenica del golfo di Genova e delle sue rive incomincia alla fine del Miocene, col principio del Messiniano. L’autore riassume poscia gli avveni- menti che, a suo modo di vedere, si sono svolti dopo l’ anzidetto periodo e pre- cisamente nelle epoche Messiniana, Piacenziana, Astiana, Infraquaternaria, Medioquaternaria, Sopraquaternaria, Neolitica, Storica, e descrive l’orografia, l’idrografia, il clima e la fauna della regione durante ciascuna di tali epoche. Osserva che la grande sommersione e successiva emersione plioceniche sono indubbiamente da attribuirsi ad oscillazione bradisismica, mentre la sommer- sione recente ed attuale, in alcuni tratti del litorale ligure come in molti altri delle rive del Mediterraneo, è da ritenersi dovuta all’assettamento o al prosciu- gamento progressivo dei materiali sciolti o melmosi. Circa al contributo appor- tato al fenomeno in parola dalle vibrazioni sismiche, l’autore riconosce essere questo un dato di assai difficile valutazione. I risultati della livellazione geome- trica compiuta nel Messinese e nella Calabria dopo il cataclisma del 28 dicem- bre 1908 dimostrano che quel sisma non produsse dislivelli permanenti no- tevoli, e diligenti osservazioni confermarono che l’infiuenza esercitata dai ter- remoti sulla morfologia terrestre è irrilevante. Ciononostante, anche i terremoti vanno annoverati tra i fattori dei soUevamenti e degli avvallamenti e quindi delle emersioni e delle sommersioni. Dal complesso delle effettuate osservazioni l’autore è indotto a ritenere che si manifesti una corrispondenza quasi per- fetta fra le linee litorali quaternarie della Liguria occidentale e quelle delle rive africane del Mediterraneo, e ciò conferma la supposizione che tanto le ime quanto le altre ripetano la loro formazione da un movimento discendente della idrosfera (pelagosismo). Prima del Pliocene la morfologia del litorale ligure, mediocremente fra- stagliato, era subordinata a condizioni orografiche e stratigrafiche alquanto di- verse dalle attuali. Collo svolgersi dei tempi pliocenici le rive rimasero in gran parte costituite da depositi marini argillosi, sabbiosi, ghiaiosi e ciottolosi ed i assunsero perciò un profilo più uniforme, essendosi venuti colmando molti dei preesistenti anfratti. I rilievi orografici costieri si fecero poi grado grado più BIBLIOGRAFIA GEOLÒGICA ITALIANA, lOll 69 alti, ma ben presto, in seguito a denudazione, le formazioni clastiche saperli, ci ali furono abrase e vennero in luce tipi diversi di sponde stratiformi e mas- sicce che, in generale, continuarono a sollevarsi sul livello marino. Ad eccezione di un certo numero di lembi poco estesi, residui di rivestimenti più vasti e po- tenti, il litorale rimane ora costituito da depositi eocenici, mesozoici, paleozoici e fors’anche in piccola parte arcaici, resi più saldi per opera di masse rocciose ignee intercluse (graniti, labradoriti, serpentine, peridotiti, eufotidi, ecc., nella Riviera di Ponente; roccie ofiolitiche in quella di Levante), come pure da un intenso metamorfismo dovuto a cause assai complesse, fra le quali ben mani- feste le idro ter miche e le meccaniche. Secondo la definizione del Rovereto, il litorale delle due riviere appartiene ora al tipo ligustico, il quale si distingue per il fatto che le coste vi appariscono discordanti per recenti pieghe di nuova origine e di direzione diversa dalle an- teriori. (E. Tissi). IssEL A. — Origine e conseguenze delle frane. (Natura, 1, pag. 427-439 e 441-458). — Milano. L’autore classifica le frane in diversi tipi e precisamente : frane di scivolamento; frane di schiacciamento (cedimento del materiale sottostante); frane di scalzamento (per opera di fiumi, torrenti, moti ondosi, ghiacciai) ; frane di sprofondamento (in cavità sotterranee prodotte dalle acque o dal- l’uomo) ; frane di disgregamento (per azione chimica o meccanica) ; frane di ammollimento (per imbibizione) ; frane di carreggiamento (per falde di ricoprimento) ; frane di alluvione (correnti fangose) ; frane nevose (prodotte da valanghe) ; frane asciutte (generate da materiali vulcanici incoerenti) ; frane sottomarine ; frane dovute a più cause simultanee. L’autore descrive quindi le conseguenze meccaniche e morfologiche delle frane in relazione alla suesposta loro origine, ed accenna ai fenomeni concomi- tanti e precursori delle medesime ed ai provvedimenti intesi a contenerle ed a combatterne gli effetti, ricordando anche che il rimboschimento non è sempre efficace. (E. Tissi). IssEL A. — • Alcuni mammiferi fossili del Genovesato e del Savonese. (Atti R. Acc. Lincei, S. 5^ voi. Vili, pag. 38, con 4 tav.) — Roma. In questa memoria l’autore descrive vari resti di mammiferi fossili, appar- tenenti in parte a specie non ancora segnalate nella regione ligure, tra cui : una mandibola di Bhinoceros etruscus Falc., proveniente da una località de- 70 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 19ll nominata Braia, a monte del tratto ferroviario Savona- Vado, riferibile al Piacenziano ; alcuni avanzi appartenenti a Bhinoceros sp. e a Mastodon aver- nensis, spettanti anch’essi al Pliocene di Savona; un molare di Elepliaa meri- dionalis (?), ritrovato nell’alveo del torrente Legins ; due frammenti di molare di Elephas antiquus Pale, rinvenuti nel travertino di Spotorno ; due molari inferiori di giovane Elephas primi genius provenienti dalle alluvioni della Nervia presso Ventimiglia ; avanzi di Felsinotherium rinvenuti negli scavi per la sistemazione della piazza Deferrari a Genova, nella marna grigia pliocenica ; avanzi di Felsinoterio del Pliocene di Kio Torsero presso Albenga ; avanzi di Sireni di varie località dell’ Appennino ligure ; un dente assai compresso, in forma di lama di sciabola, presentante i caratteri specifici dei canini superiori del gen. Machaerodus, trovato nella melassa oligocenica di Sassello. L’autore espone quindi le considerazioni che lo indussero a tenere distinta la specie del Bhinoceros etruscas Pale, dal Bhinoceros Merchi Jàg.,ed a riferire * al genere Felsinotherium gli avanzi rinvenuti negli scavi di piazza Deferrari in Genova. Quattro tavole corredano la memoria. (E. Tissi). IssEL A. — Per V Italia assetata. Acque artesiane presso le foci dei nostri fiumi e torrenti. (Giornale d’Italia n. 80, del 21 marzo 1911). — Roma . Questo breve articolo fa seguito ad altro dello stesso titolo, comparso (ibid., 27-11, 1910) in occasione del preannunzio di importanti provvedimenti legislativi in favore dei comuni privi di buone acque potabili, nel quale si di- mostrava la necessità di ritoccare in alcuni punti la legislazione sulle acque pubbliche e si raccomandava la formazione di un archivio idrologico italiano. L’A., ricordato come si siano formati alle foci dei corsi d’acqua della Li- guria, ecc., potenti depositi alluvionali nei quali possono trovar sede importai! i falde subalvee di buone acque, facilmente utilizzabili mediante pozzi trivel- lati, richiama l’attenzione sul fatto che vari indizi lasciano supporre che un tale stato di cose si estenda a tutto o quasi tutto il perimetro della Penisola. (C. C.). Kampffmeyer G. ~ Der Name von Tri polis in N orda f riha (Peterm. Mitt. 57 Jlig. 1911, Halbband., pag. 269). — Gotha. La forma ellenica Tripolis è naturalmente l’origine della forma araba Tràbulus, diventata Tarablos nella bocca del popolo. La forma Tripoli italiana è stata accolta anche dalla letteratura francese, inglese, ed anche in quella te- bibliografia geologica italiana, 1911 71 desca fino al secolo xviii ; la forma originaria Tripolis è tornata nel Fuso scien- tifico o pseudo-scientifico solo nel secolo xix. Invero, siccome dall’uso italiano medioevale sono rimaste nel linguaggio generale europeo le forme Cairo, Aleppo, Marocco, non v’è seria obbiezione a conservare anche in tedesco la forma Tripoli, chiamando naturalmente Tripolitania il territorio. (V. N.). Kerner V. F. — Die geologischen Verhàltnisse der Zirona-Inseln. (V'erandl k. k. geol. Reichs, Jahrg., 1911, n. 5, pag. 111-119). Le Isole Zirona giacciono tra la protuberanza costiera detta Mandoler e l’isola di Salta a Nord-Ovest dell’isola Brazza, nella media Dalmazia; si chia- mano la Zirona grande e la Zirona piccola e sono essenzialmente costituite da formazioni del Cretaceo superiore. L’autore descrive dettagliatamente la tee tonica di quelle due isole, e le particolarità orografiche delle medesime e delle isolette adiacenti. Ricorda le due caratteristiche insenature dette Porto Giorgio e Valle So- linska, la lingua di terra detta Bassuzzo, i due isolotti detti Krknas mali Krknas veli, situati presso la costa orientale di Zirona grande e costituiti da alternanze di calcari e di dolomie. Ricorda quindi l’insenatura detta Porto 'pic- colo, sulla costa occidentale di Zirona grande e la regione collinosa detta Siran, formata di calcari bianchi a rudiste con interstratificazioni dolomitiche. Accenna al singolare fenomeno che si manifesta all’estremità sud-occi- dentale della stessa isola, dove, al livello del mare, scorgesi una spaccatura dalla quale sembra provenire uno strano rumore, talora somigliante al gorgo- glìo prodotto da inghiottimento d’acqua, talora invece paragonabile a gemiti e rantoli che si ripetono ad ineguali distanze. A Sud-Ovest di Zirona grande emergono dal mare altri due scogli, detti l’uno Scoglio Orut e l’altro scoglio Ma- kiaknar, e fra Zirona grande e Zirona piccola emerge lo Scoglio Malta, tutti for- mati da banchi parte calcarei e parte dolomitici. Zirona piccola appare come un residuale avanzo delle assise superiori cre- taciche di Zirona grande ed è pure costituita da banchi calcarei con interstrati- ficazioni dolomitiche. Le sue più elevate alture si chiamano Vela Glavica e Mala Glavica. (E. TiSSi). Klebelsberg K. — Zur Geologie des unteren Marauner Tals (Ulten, Sudlirol). (Verandl. k. k. geoJ. Reichs., n. 2, 8. 54-60). — Wien. E’ la descrizione di una serie stratigrafica, probabilmente permotrias- sica, che si manifesta nei fianchi della Valle delle Giudicarle, ove presenta uno spessore di circa 20 metri, 72 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Alquanto più a sud sgorga la sorgente minerale di Mitterbad, la quale scaturisce da uno scisto argilloso -micaceo che probabilmente costituisce il letto del porfido quarzifero. (E. Tissi). Kober L. — Der Aufhau der óstlichen Nordalpen. (Sitzungsb. d. k. Ak. d. Wiss., Bd. CXX, 80 bis 10 H., Jahr., 1911, 8. 1115-1124). — Wien. In relazione a precedenti ricerche jiresenta l’autore in questa nota le prin- cipali indicazioni dei risultati dei suoi studi sulla parte orientale delle Alpi settentrionali, con riserva di ritornare sull’ argomento in successive pubblica- zioni. Egli osserva che la regione presa in esame può ritenersi costituita da for- mazioni autoctone e da formazioni di ricoprimento (Deckengebirge). Le prime comprendono i sistemi orografici detti boemi (bòhmischen Masse), la zona mio- cenica (Miocànzone) ed in parte anche la zona del Flysch (Flyschzone). Le formazioni di ricoprimento comprendono tre principali ordini di car- reggiamenti (Deckenordnungen) cioè l’elvetico, il lepontinico e Test-alpino. L’autore si occupa soltanto dei due ultimi. Suddivide il lepontinico nei due sottordini che denomina sistema carreggiato del Semmering (Semmering deckensystem) e zona a scogli (Klippenzone) e Test-alpino nei due sott ordini di superiore ed inferiore. L’autore porge la descrizione geologica, morfologica, litologica e tetto- nica dei singoli gruppi e sottogruppi illustrandola con una figura e riepilogandone le caratteristiche in un apposito quadro. (E. Tissi). Kranz W. — Hohe Strandlinien auf Capri. (Sonderabdr. aus dem XIII Jahresber. der Geograph. Gesellsch. Greifswald 1911-12, con 2 tav.). L’autore ritiene che Capri sia stata sollevata obliquamente in una delle fasi dislocative del periodo terziario, anteriormente alle eruzioni verificatesi nel bacino di Napoli e che nel Diluvium si sia di nuovo sommersa. I più elevati depositi marini si scorgono a circa 200 m. sul livello del mare ; la più alta segnalazione di linea sicuramente litoranea è visibile a circa 200 m. dal mare a Capri ed a circa 150 m. ad Anacapri. La più recente mani- festazione di linea di spiaggia scorgesi, in tutto il perimetro dell’Isola, a po- chi metri sul livello marino. Di abbassamenti eccedenti la linea di 200 ni., non vi sono traccio e gli ultimi sollevamenti devono essersi verificati verticalmente. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 73 L’autore ritiene che l’Isola nel Diluvium recente fosse ancora unita al continente, ma che non si possano tuttavia stabilire diretti confronti coi mo- vimenti verificatisi nella regione appenninica meridionale. (E. Tissi). Kranz W. — Das Tertiàr zwischen Castelgomberto, Montecchio Maggiore Creazzo und Monteviale im Vicentin (Fortsetzung). (N. Jb. f. Min., Geol., Pai.. XXXII, Beil. Bd., 3oHeft, S. 701-729). — Stuttgart. L’autore enumera e descrive in questa nota le varie specie fossili da lui e da precedenti cultori rinvenute nelle formazioni della regione in esame, nonché quelle della regione stessa che si trovano nel Museo di Monaco, indi- cando le località in cui i singoh esemplari vennero raccolti e descrivendone lo stato di conservazione ed i principali caratteri strutturali. (E. Tissi). Krause G. a. — Zur Rechtscreibung des Namens der Stadi Tripoli in Africa. (Peterms. Mitt., 57 Jahrg. 1911, Sept. Heft., pag. 145). — Gotha . L’autore si dimostra sorpreso di aver veduto comparire nelle Petermanns Mitteilungen la denominazione Tripolis, e sa che in Germania tale nomencla- tura è adottata dalla burocrazia. Sostiene che una città appellantesi Tripolis non è mai esistita e che solo recentemente i Tedeschi hanno adottato quella denominazione come una rico- struzione etimologica, locchè però non è razionale, poiché allora dovrebbesi dire anche Napolis invece di Napoli, Costantinopolis in luogo di Costantinopoli, Gallipolis invece di Gallipoli, e così via. Kicorda che H. Barth, in nessuno dei suoi viaggi nel Mediterraneo e deU’interno dell’Africa ha mai avuto contezza d’una città di nome Tripolis, e che anche nelle citate Peterms. Mitt., come nell’Atlante di Stieler si scriveva dapprima sempre Tripoli. Tripoli si vede stampato anche nella nuova carta dell’Africa del me- desimo citato Atlante. L’autore fa risalire a G. Rohlfs la colpa della recente adozione in Germania dell’appellativo Tripolis, e soggiunge che il Rohlfs cita in suo apjioggio gli scritti di Ritter, ma lo fa erroneamente, poiché quest’ultimo, nella grande pluralità dei casi, usa la denominazione Tripoli anziché Tripolis. Rileva infine che anche l’Almanacco di Gotha_é! fluttuante^ ed indeciso sulla adozione del nome in parola, ma che nelle più recenti sue pubblicazioni si vede usato l’appeUativo di Tripoli d' Africa. (E. Tissi). 74 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Lautensach Dr. H. — Ueber alpine Randseen und Erosionsterrassen. {Be- merkungen zìi Dr.E. Gogartens gleichnamiger Arheit.). (Peterms. Mitt.. 57 jahrg. 1911, januar-heft. S. 9-12). — Gotha. Dopo aver rilevato come d’anno in anno aumenti il numero delle pubbli- cazioni concernenti la morfologia alpina, pubblicazioni basate tutte sull’opera fondamentale del Penck e del Brùckner Die Alpen im Eiszeitdlter, e dopo avere notato che nel novero delle accennate pubblicazioni è compresa an- che quella del Gogarten, l’autore ricorda le ipotesi emesse dall’Heim e dai suoi scolari sulla origine [dei laghi periferici alpini e delle terrazze entro valle, ipo- tesi che non furono però ammesse nè dal Penck nè dal Briickner. Sulla scorta di più accurate ricerche Gogarten anahzza e discute le teorie di Heim, e l’autore dal proprio canto esprime al riguardo le sue particolari ve- dute, dichiarando anzitutto che le valli alpine state un tempo invase dai ghiac- ciai presentano aspetto tutto diverso da quelle che non lo furono. Mentre in- fatti queste ultime mostrano chiaramente i caratteri genetici fluviali, le prime invece si distinguono per la marcata diversità dei loro profili e per la subitanea, ripida elevazione dei fianchi. Kileva altresì chei laghi periferici alpini si trovano esclusivamente nelle ultime citate valli e precisamente in prossimità agli antichi limiti dei ghiacciai, mentre le valli che nell’ ultima glaciazione non furono invase dai ghiacci, quali le valli bavaresi del Traun, dell’Enn, del Thur e del Napf; quelle provenzali ; le valli meridionali del Bergamasco e del Bresciano e varie altre non racchiu- dono laghi periferici, i quali pertanto devono considerarsi strettamente con- nessi colle glaciazioni, nonostante la contraria opinione del Bruhnes, del Ki- lian e dello stesso Gogarten. (E. Tissi). Lincio G. — Di una dolomite ferrifera del traforo del Sempione. (Atti R. Acc,, 8c., XLVI, disp. 15^, pag. 969-988). — Torino. Durante i lavori del traforo del Sempione l’autore trovò nelle discariche, sul versante italiano, alcuni interessanti esemplari d’ima dolomite femfera. Altri esemplari della medesima gli vennero poi forniti da un minatore che disse di averli raccolti nella grande galleria a 4590 metri d’avanzamento, sul ver- sante italiano. Il minerale in parola si depositò sulle pareti d’uno scisto micaceo già ri- vestite da cristalli di mica, clorite, pirite, quarzo e siderite ; ad intervalli di tempo jiare che con essa siasi depositata anche la calcite. BIBLIOGRAFIA. GEOLOGICA ITALIANA, 1911 7D La dolomite si presenta cristallizzata in aggregati di cristalli costante- mente a facce curve, e mostra la tendenza ad una specie di bi- e tri-geminazione. Il suo peso sp., determinato al picnometro, è 3.005 a 14^- 15^ C.; la composi- zione chimica si avvicina alla formula (3 Ca CO^ -f- 2 Mg CO^ Fe CO®) e l’autore l’ascrive pertanto al Braunspat. L’autore passa quindi a considerare le figure di corrosione (incavi) otte- nute su lamine di sfaldatura, nonché le inclusioni liquide e gassose, le quali ultime si presentano molto simih alle inclusioni studiate dal prof. (1. Spezia e descritte nel suo lavoro : Sulle inclusioni di anidride carbonica liquida nella anidride del traforo del Sempione. (E. Tissi). Lincio G. — Einschlilsse im Granii von Roccapietra. Bassa Valsesia. Ita- lie,n. (N. Jb. f. Min., GeoL, Pai., Jahrg. 1911, II Bd., 2° Heft. S. 75-85. mit 2 Taf.). — Stuttgart. Avendo l’autore osservato che nella massa del granito chiaro, a grana media, che si estrae dalle cave di Cilimo, presso Koccapietra (Alta VaLsesia), erano commiste altre masse di granito bigio a grana più fina e che, oltrecciò, il granito chiaro racchiudeva degli inclusi di roccia scistosa e che quello bigio albergava degli inclusi di forma arrotondata, di colore oscuro ma circondati da un’aureola chiara, stimò opportuno di esaminare accuratamente il feno- meno di cui trattasi, dopo aver presa cognizione degli studi in precedenza eseguiti su quella regione, ed in parte anche su quel granito, dal Parona, dallo Struever, dall’ Artini e dal Melzi. Dalle accennate ricerche sarebbe quindi risultato che gran parte dei cri- stallini compresi negli inclusi sono di tormalina e propriamente di tormalina magnesiaca. Per mezzo delle sezioni sottili l’autore riscontrò accanto alla tor- malina anche dell’ apatite allotriomorfa. Cristallini idiomorfi di apatite e di zircone furono dall’autore osservati anche nel quarzo. La tormalina si jiresenta nel granito in vene insieme al quarzo, op^iure in noduli della forma e grossezza d’un uovo, o anche sferoidali o allungati o cilindrici, e sono allora detti occhi di tormalina (Tormalinaugen). L’autore esprime, infine, alcune ipotesi sulla genesi di quella interessante roccia e degli accennati inclusi. (E. Tissi). Lorenzi A. — La provenienza delle acque e la. regione rorgentijera del fumé Stella nel Friuli. (xMem. Geogr. di G. Danieli!, n. 15, pag. 182, con 29 fig. nel testo e 2 tav.). — Firenze. Il fiume Stella è una delle correnti tipiche della zona inferiore della pia- nura friulana. L’autore, che ha studiato quella pianura , ha riconosciuto che nella 76 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 parte superiore essa è costituita da conoidi ghiaiose, dove i fiumi si espandono in letti vastissimi perdendo gran parte delle loro acque ; nella parte inferiore invece è formata da alluvioni minute, irriga te da copiose sorgenti perenni dovute al rinascere delle acque assorbite nella zona superiore. Le sorgenti dello Stella, ed in generale le paludi di resultiva sotto la linea Codroipo-Castions, sembrano determinate da uno sfioratore che smaltisce reccedenza di una colonna idrica derivante da infiltrazioni del Tagliamento. (E. Tissi). Lotti B, — / monti di Nocera Umbra. (Boll. Coni. geoL, voi. 42°, pa- gine 79-97, con 4 fìg.). — Roma. Premessi alcuni cenni suU’ubicazione della zona che forma oggetto della memoria e sulla orografìa e morfologia della medesima, l’autore passa a descri- vere la Htrntigrafia, e la Tettonica di questa zona montuosa, osservando anzi- tutto che le formazioni geologiclie costituenti i dintorni di Xocera Umbra non scendono, in generale, al di sotto del Ncocomiano, e che il terreno più gio- vane, in massima parte di età quaternaria recente, rappresentato da depositi fluviali che occupano il fondo delle valli, da sedimenti lacustri e palustri dei bacini carsici e da ammassi di detriti sparsi sulle falde ed ai piedi dei monti. L’autore descrive particolareggiatamente i caratteri stratigrafiei e litolo- gici di quelle formazioni, rilevando, quanto alla tettonica, che i lembi di cal- cari basici che spuntano di mezzo al Neocomiano rappresentano evidente- mente dei residui di formazioni dislocate e denudate intorno alle quali si de- positarono i calcari neocomiani, e che i suddetti spuntoni compariscono in prossimità dei bacini carsici dello spartiacque, per la qual cosa è lecito sup- porre che tra i due fenomeni esista una stretta relazione. S^oggiunge l’autore che le masse dei calcari basici e neocomiani costitui- scono nell’ Umbria i grandi serbatoi delle acque sotterranee e le vie profonde da esse percorse, per cui i dintorni di Nocera, e segnatamente la zona dei suoi monti mesozoici, sono riccLi di acque sorgive ottime e copiose. Con ampiezza di particolari l’autore descrive le principali di quelle sor- genti che classifica in due categorie : quelle, cioè, della zona vadosa e quelle | di livello idrostatico, ossia di trabocco da serbatoi sotterranei. Le prime sono - caratterizzate da una mediocre portata con quota d’elflusso generalmente i elevata sul fondo delle valli ; le seconde si distinguono per la loro notevole por- • tata con orifìzi d’efflusso presso il fondo delle valli. La nota è iUustrata da 4 sezioni geologiche intercalate nel testo. ; (E. Tissi). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 77 Lotti B. — La formazione arenaceo -marno sa delVUmbria , con fossili rite- nuti miocenici, è più antica delle argille scagliose con ofioliti. (Boll. Soc. geol. it., voi. XXX, fase. 3®, pag. 474-478). — Roma. Come contributo alla questione sulla età geologica della formazione are- naceo-marnosa deirUmbria, la quale, pur contenendo fossili ritenuti miocenici, stratigrafìcamente sembra attribuibile alPEocene, l’autore riporta le sue re- centi osservazioni fatte presso Scliifanoia, fra Gualdo "ladino e C. Castalda, dalle quali risulta, che la complessa e caratteristica formazione delle argille scagliose con ofioliti costituisce in quella località una sinclinale sovrapposta alla formazione arenaceo -marnosa e conclude quindi che o quest’ultima in- sieme colle argille scagliose è eocenica o anche le argille scagliose sono mioce- niche. (B. L.), Lovisato D. — Note di paleontologia miocenica, della Sardegna. Specie nuove di Clypeaster e di Amphiope. (Palentogr. ita!., voi. XVII, 1911, pag. 37-48, con 3 tav.). — Pisa. Premesse alcune parole di rimpianto per la morte di Vittorio Angusto Gauthier, il valente scienziato di 8ens, l’ impareggia bile echinologo che con tanto amore e con tanta competenza si occupò della fauna ecliinologica della Sardegna, rautore descrive in questa nota il ClypcAister Gauthieri Lov., il Clìjpeaster Balillai Lov,, il Clypeaster Coniivecchii Lov., e V Amphiope Monte- zemoloi Lov., raccolti in diverse località della Sardegna. (E. Tissi). Lovisato 1>. — Nuove specie d% « Clypeaster » del Aliocene medio di Sar- degna. (Riv. Ital. di Paleont., anno XVII, fase. I-II, pag. 29-35). — ■ Catania. In questa nota l’autore descrive 5 specie nuove di Clypeaster, già esami- nati dal Cotteau e dal Gauthier e stati dapprima confusi fra specie già cono- sciute. Essi sono ; Clypeaster Capellini Lov. ; * T or guati Lov. ; * Canavrii Lov. ; » Bassanii Lov. ; » Isseli Lov. rinvenute nel calcare elveziano del Camposanto di Cagliari. 78 BIBLIOGKAPIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 L’autore si riserva di dare in se.ijuito la descrizione di altre specie nuove della fauna eehiuodeimica dei terreni miocenici della Sardegna, fauna elle è una delle più interessanti che si conosca, comprendendo essa la più ^rran parte dei generi e specie di tale famiglia clic si rinvennero nella Corsica, in Calabria, a Malta, in Isvizzera, nella Provenza, nella Catalogna, oltre ad un gran nu- mero di specie nuove. (C. Tissi). Lovisato D. — Altre specie nuove di « Clypeasier » del Miocene medio di Sardegna. (Boll. Soc. geol. it., voi. XXX (1911), fasc.S^, pag. 457-472, con 2 tav.). — Roma. Facendo seguito a precedenti memorie, Tautore illustra e descrive nella presente nota altre 4 specie di Chjpeaster da lui rinvenuti in varie località della Sardegna e che egli denominò ; Ch/peaster Miccai Lov.; p Ficcioiiii Lov.; » Imhriani Lov.; D Cavaììoitii Lov.- riservandosi di descrivere in successive monografìe le rimanenti .30 specie di questi Ecliinidi irregolari da lui scoperti in qiieH’isola . (F. Fissi). Lugeon M. — Sur rexistence de deux phases de plissemenis paléozoiqucs dans les Alpes occidenlales . (C. R. Ac. 8c., tome 153, n. 18, pag. 842- 843) — Paris. L’autor(>. mette in rilievo la marcata differenza esistente tra la direzione dei gneiss e del Carbonifero del massivo delle Aiguilles-rouges-Prarion com- parativamente a quella che j)resentano le medesime roccie del versante set- lentrionale del massivo del ?donte Bianco ; le direzioni in parola si tagliano quasi ad angolo retto, porgendo Timpressione che i massivi di Prarion e di Por- menatz s’immergano sotto quello del Monte Bianco. Nel massivo del Monte Bianco il Carbonifero concorda cogli scisti cristallini, ed ugual cosa si verifica nella regione assiale del massivo deff’Aar e nei territori limitrofi alla zona del protogino. Dall’insieme delle suddette circostanze l’autore deduce che il massivo del Monte Bianco e la regione a protogino del massivo dell’Aar, ugualmente che la zona a Sud della sinclinale della Jungfrau e la sua prolun- f BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA .1911 79 gazione verso TE-st. sono reeiproeamenTe meno antiche dei massivi delle \i- guilles-ronofes, Prarion. Belledonne e la zona granitica di Gastern c dei gneiss d’Erstfeld in Isvizzera. L’autore ritiene altresì che il massivo del Monte Bianco e la regione a protogino del massivo delEAar, che non erano corrugati ante- riormente al periodo Stefaniano, lo erano invece nettamente all'inizio dell’èra triasi<-a ; la loro età è dunque permiaua. Per distinguere poi le due fasi del cor- rugamento erciniano nelle Alpi, fasi che ebbero una considerevole rij>ercu-- sione sui susseguenti fenomeni, Fautore propone l’espressione di phose aéga- launienn^ per designare lo stadio antistefaniano e quella di phase aV.ohrogif^nne per la stadio antHriasico. Alla stessa maniera, ossia in dipendenza di due fasi di successivi corru- gamenti, si spiegherebbe la dissonanza tra- la direzione dei gneiss e del Carbo- nifero dell’estremità .Sud del massivo delle A iguilles-rouges, comparata a quella dei gneiss del massivo del Monte Bianco. (E. Ttssi). Lugeon M. — Sur quelques conséquences de Vhypotlièse d'uji dualisme des plissernents paUozoìques dans es Aljjes occidentales. :C. R. Ac. Se., tome 153. n. 20, pag. 984-985). — Paris. Riferendosi alla precedente nota, nella quale è fatto cenno delle due ca- tene paleozoiche d'età diversa nelle Alpi Franco-Svizzere, vale a dire della cìialne ségidaiinienne, che è antistefauiana, e della cTtcnne o.ììohrogienne. che sarebbe Soltanto a nti -triassica, l’autore dichiara che una diversità si verifica anche in altri punti della catena francese, e che una conseguenza deiripotesi di cui trattasi concerne l’età del protogino. che - secondo l'autore - non poteva af- fiorare nel periodo stefaniano. Il protogino del massivo del Monte Bianco sarebbe d’età poststefaniana e antitriassica: sarebbe quindi permiano. ^ La cìuitne aUohrogìenne àvrehhe dato luogo alle falde elvetiche, allorquando sulle formazioni ségalauniennes scivolarono le masse .sedimentarie. La chaine aUohrogìenne sormonta quella che le fu anteriore, ma un tale accavallamento è d’età terziaria. Il massivo del Monte Bianco e la zona a protogino del mas- sivo dell’Aar sono stati spinti di qualche chilometro verso l’esteriore alpino, ed a tale avanzata l'autore attribuisce La marcata difì’erenza tra la direzione degli scisti cristallini del Monte Bianco e quelli dell’estremità meridioni* le del massivo delie A iguilles-rouges. (E. Tissib 80 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Maddalena L. — Le, nuove vedute sulV origine del caolino ed il giacimento di Tretio (Vicenza). (Rass. min., voi. XXXIV, n. 4, pag. 50-53). — Torino . Premesse alcune considerazioni sulla scarsezza di buoni caolini italiani e sulla conseguente necessità di importare daH’estero la maggior parte del caolino occorrente aU’industria ceramica nostrale, l’autore passa a descrivere i giacimenti caoliniferi di Tretto, nell’alto Vicentino, che sono i più impo- tanti del nostro Paese. Nel giacimento di Tretto il caolino si presenta sotto forma di un grande filone principale e di parecchi altri minori diretti da NE. a SO., con leggera inclinazione a SE. La terra caolinica è quasi sempre inquinata da sostanze ferrose, motivo per cui tale caolino non si e ancora potuto usare per porcellane finn ; è tut- tavia adoperato per la confezione di ottime terraglie uso inglese, come pure nell’industria della carta, dei saponi, dei mastici, dei colori, ecc. Le roccie da cui deriva il caolino di Tretto sono porfìriti, quando micacee, quando anfìbo- liche, spesso quarzifere, riferibili al piano di Wengen, e sono simili per com- posizione chimica e mineralogica a quelle da cui provengono i celebri caolini di Meissen e di Halle, coi quali si fabbricano delle porcellane finissime. T/autore ritiene pertanto <^he migliorandone convenientemente la lavo- razione possa raggiungersi anche col caolino di Tretto un grado di purezza suf- ficiente per adattarlo alla fabbricazione di buone porcellane. Quanto aU’origine l’autore crede che esso derivi dalla trasformazione di porfìriti triasiche per opera di emanazioni gazose che per la via aperta dalle dislocazioni tectoniche del corrugamento terziario provennero dai vicini fo- colari vulcanici. fE. Tissi). Manasse E. — Sopra alcuni ^minerali della Toscana. (Mem. Soc. Tose., voi. XXVII, pag. 76-92 (estratto). — Pisa. L’A. dà notizia di alcuni minerali raccolti in varie località della Toscana e da lui determinati : così, di un esemplare di millerite, trovato nella miniera antimonifera della Cetine di Cotorniano qualche anno fa, riferisce i caratteri fisico -chimici. Dall’analisi chimica di alcuni campioni di minerali di ferro pro- venienti dal cantiere di Rosseto della miniera di Rio Marina (Elba), e che dal loro aspetto potrebbero essere classificati come gòthite, risidta invece trat- tarsi di composti riferibili alla turgite (Hg Fe ^ 0’): essa si presenta con struttura fìbroso-lamellare o fìbroso-raggiata o stallattitica, e, sopra alcuni BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 8Ì dei campioni di quest’ultima varietà, FA. trovò alcuni cristalletti a faccio incurvate e fortemente striate : l’analisi chimica rivelò trattarsi di una va- rietà di rodocroisite, ricchissima in zinco (45 % di ZnCO^). Dalla miniera di ferro di Capo d’Arco, fra Rio Marina e Capo Calamita, nell’Isola d’Elba, provengono dei campioni di gòthite che si presentano sotto forma di incrostazioni a struttura fibrosa, in istrati di 2 o 3 millimetri di spessore, sopra alcuni esemplari di limonite giallo -bruna ; la sua com- posizione chimica ben concorda con quella calcolata sulla formula teorica Fe^ 0 H20; alcune incrostazioni di cristalli minuti trovati sopra altri campioni di hmonite provenienti dalla stessa località vennero dall’A. determinati come noduletti cristallini di j arosite, e dall’analisi chimica risultò doversi riferire tale j arosite ad una varietà prevalentemente potassica, a differenza di altra, raccolta in locahtà poco discosta (Capo Calamita) che, analizzata dallo stesso A., risultò quasi esclusivamente sodica. L’A. riferisce pure i risultati dello studio ottico-cristallografico di alcuni campioni di allumogeno raccolti alla miniera di Vigneria (Elba) : tale minerale, la cui formula sembra risultare dall’analisi chimica^AP (SO^)^, 16 H^O, si sa- rebbe formato dall’attacco dell’acido solforico, prodotto dalla ossidazione delle piriti all 3 quali il minerale si trova associato, sui silicati di allumina componenti gli scisti argillosi sopra cui trovasi il giacimento ferrifero di Vigneria. Un campione di fibroferrite di Capo Calamita (Elba), ed altri, prove- nienti dalle miniere di Vigneria e di Capo d’Arco, formano oggetto d’un accu- rato studio comparativo, chimico -microscopico. L’A., in base ai risultati otte- nuti, non esita a riconoscere nei campioni di Vigneria e di Capo d’Arco un mi- nerale riferibile alla fibroferrite, malgrado che la quantità di materiale a sua disposizione fosse troppo piccola per poterli determinare chimicamente con l’analisi quantitativa. (L. F.). Manasse E. — Sulla composizione chimica di alcuni minerali del gruppo del cloritoide. (Atti Soc. toscana, Proc. Verb. voi. XX, n. 3, pa- gine 29-42). — Pisa. L’A. che in una nota precedente dimostrò l’identità della ottrelite apuana col cloritoide, non solo dal lato ottico-cristallografico, ma anche da quello chi- mico, prende ora in esame altri cinque minerali dello stesso gruppo : la ma- sonite di Natrick, la sismondina di Champ de Praz, l’ ottrelite di Ottréz, l’ot- trelite del Monte Fenouillet e la venasquite di Venasque. 82 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 19 il Dopo aver riferito i risultati ottenuti dalle analisi conclude doversi ri- tenere che i cinque minerali studiati siano riferibili tutti alla specie cloritoide Il III III II R R Si 0% ove R è principalmente Al ed in seconda linea Fe, R è Fe, Mg, e Mn, e, in via eccezionale, Ca. •(L. F.). Manasse E. — Identità della cosideAta ihleite elbana con la copiapite e composizione chimica di questa. (Atti Soc. tose., Proc. Verb., voi. XX, n. 4, pag. 65-76). — Pisa. L’A. fa uno studio comparativo fra la cosidetta ihleite elbana e la copia- tite cilena, deducendo dalla perfetta corrispondenza delle proprietà ottiche, cristallografiche e chimiche di questi due minerali che la sostanza di color giallo-solfo, soffice, minutamente cristallina e sensibilmente pleocroica, rin- venuta negli affioramenti di alcuni giacimenti ferriferi elbani e riferita dal Gòrgey aU’ihleite, deve invece considerarsi come una varietà microcristallina, quasi pulverulenta e impura della copiatite stessa, simile al « Misy » dei mi- natori dell’Harz e alla cosi detta « j anosite » di Bòckh e Emszt. DaH’esame microscopico è risultato evidente all’A. l’abito trimetrico del minerale cibano ; onde egli ritiene coi più che la cristallizzazione della co- piatite sia trimetrica e non monoclina. La composizione chimica di questo minerale, sebbene difficile a stabilirsi con precisione, specialmente per le impurità che il minerale stesso contiene, sarebbe, con grande probabilità, Fe^ 16 H^O, e, strutturalmente O C Fe Fe Fe Fe [S 04] [S 04] [S 04] [S 04] [S 04] 16H 20 L’acqua della copiapite, tranne una piccola quantità che probabilmente è igroscopica, sarebbe cioè tutta acqua di cristallizzazione, e non parte di cri- stallizzazione e parte di costituzione, come alcuni ammettono. (O. P.). Manzi L. — Tripolitania o Napolitania antica. (Boll. Soc. Afr. d’Italia anno XXX, fase. IX-X, pag. 197-206 e fase. XI-XII, pag. 246-256). — Napoli. Dopo aver rilevato che presso gli antichi scrittori la città di Tripoli di Barberia è indicata coll’ appellativo di Napoli, che significa città nuova nel 8 enso di rinnovamento etnico e coloniale dei greci sulla costa settentrionale BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 83 africana, l’autore s’addentra in una larga serie di considerazioni etniche, sto- riche, archeologiche, non disgiunte da quelle naturali e geografiche sulla Tri- politania e sulla Cirenaica, adombrate però dai miti e dalle tradizioni, special - mente per quanto riguarda la Sirte. (E. Tissi). Mariani E. — Di alcune recenti ricerche su calcari da cemento nella Lom- bardia. (Giorn. geol. pr., anno IX, fase I-II, pag. 1-8). — Catania. Essendo state eseguite, in questi ultimi anni, nella regione lombarda compresa fra il Lago Maggiore e la Valle Brembana parecchie ricerche di calcari atti alla fabbricazione di cementi a lenta presa (tipo Portland), l’autore ha do- vuto occuparsi di alcune di tali ricerche, sia per delimitare geologicamente di- verse masse calcaree rivelatesi utilizzabili al suddetto intento, sia per studiare la convenienza di nuove ricerche in formazioni spettanti a differenti piani geo- logici. Nella presente nota l’autore si limita a dar conto dei risultati delle ri- cerche eseguite nei terreni del Sopracretaceo e dell’Eocene e dichiara essere ri- sultata migliore la zona calcareo-argillosa del Parisiano, cioè quella medesima zona che nel Casalese è da tanto tempo sfruttata per la produzione dei pregiati cementi a lenta ed a rapida presa. Non crede tuttavia l’autore che nelle suaccennate formazioni geologiche della Lombardia possa farsi sicuro assegnamento su una larga utilizzazione dei calcari da cemento, anche perchè in quelle masse calcaree si manifesta frequen- temente una sensibile percentuale di magnesia a scapito della calce, della quale non ha lo stesso valore. Egli riterrebbe pertanto più utile di preparare i cementi Portland artifi- cialmente, mediante miscele omogenee atte a dare prodotti costanti, giusta quanto si pratica all’estero, dove circa l’SO % del cemento che si consuma è prodotto in tal modo, e giusta quanto utilmente si fa a Ponte Chiasso (Como), a Vittorio, nel Veneto, all’officina della Giudecca a Venezia ed in altri luoghi. (E. Tissi). Marinelli 0. — Prime ricerche sui ghiacciai del gruppo del Brenta. (Tri- dentum, Riv. di studi scient., anno XIII, fase. VI- VII, pag. 311-313). — Trento. I ghiacciai del gruppo del Brenta, topograficamente riconosciuti e sui quali furono anche eseguiti rilievi, sono quelli di Flavona, di Vallesinella, di Brenta, del Crozzòn e di Tosa. 14 84 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Specialmente accurate furono le ricerche nel ghiacciaio inferiore del Brenta, dove poterono essere posti segni per lo studio delle variazioni delle fronti e collocata una serie trasversale di sassi per le constatazioni relative alla velocità del movimento e per lo studio dei futuri ritiri od avanzamenti frontali. Nel complesso i ghiacciai del gruppo del Brenta hanno grande analogia oon quelli delle Dolomiti propriamente dette, salvo alcune differenze in rap- porto alla minore elevazione del limite climatico delle nevi ed alla morfologia, alquanto diversa, della regione. (E. Tissi). Marinelli O. — Fenomeni carsici nei gessi dei dintorni di Costeggio. (Mondo sott., anno VII, n. 3-4, pag. 54-60, con 1 fig.). — Udine. La nota concerne la grotta di Camerà, detta anche buca di Cainerà o di Pegassera, esistente nella formazione gessosa dei dintorni di Casteggio (Pa- via), la quale costituisce un classico esempio di idrografìa carsica, con le re- lative manifestazioni superficiali. Dopo avere ricordato gli studiosi che si sono in precedenza più o meno diversamente occupati della grotta in parola, cioè il cav. Giov. Serafino Volta, il Breislak, il Parona, il Taramelli ed il Sacco, l’autore descrive i caratteri oro- grafici della regione e quelli stratigrafìci della formazione gessosa in cui è aperta la grotta in parola, indicando di quest’ultima l’andamento e le dimensioni e ricordando che il complesso dei fenomeni che vi si osservano offrono non piccolo interesse perchè rappresentano un saggio abbastanza tipico di circolazione car- sica nei gessi e nel medesimo tempo un marcato esempio di cattura di un corso d’acqua minore per opera di uno maggiore, avvenuta per perdite sot- terranee. (E. Tissi). Martelli A. — Notizie illustrative su Valahastrite del Senese. — Tip. M. Ricci, Firenze, I9II. Martinelli G. — Notizie sui terremoti osservati in Italia durante Vanno 1907. (R. Ufficio Centr. di Meteorol. e Geodin. Appendice al vo- lume XIV, 1910 del Boll, della Soc. Sismol. ital.). — Roma. E’ la descrizione particolareggiata dei terremoti osservati in Italia nel corso del 1907, esposti per ordine cronologico, coll’indicazione delle località in cui furono avvertite le scosse e da quali osservatori ed apparecchi sono state segnalate. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 85 Sono descritti i caratteri specifici e salienti relativi alle singole segnala- zioni, cioè rintensità del fenomeno sismico, l’ora della segnalazione, la durata del periodo, l’ampiezza e modalità delle ondulazioni, la forma del tracciato, gli effetti materiali del fenomeno, le impressioni subite dalle popolazioni, i segni precursori, ecc. Vi è poi uno speciale accenno dei terremoti più notevoli verificatisi du- rante lo stesso periodo tanto in Italia quanto nelle altre regioni del Globo. ^ (E. Tissi). Martonne (de) e. — Principe.s de Vanalyse morphologique des niveoux d'érosion appliquée aiix vallées alpines). (C. R. Ac. 8c., voi. CLIII, pag. 309-312). — Paris. Premesso che le vallate alpine presentano tracce evidenti di vari livelli di erosione, sotto forma di ripiani interrompenti a diverse altezze le ripide chine dei fianchi, e che solo l’analisi morfologica permette di stabilire le rela- zioni esistenti fra i suddetti ripiani, l’autore indica i requisiti a cui una tale analisi deve soddisfare per l’esauriente e logica dimostrazione dei fatti. (E. Tissi). Meli R. — Sidla rimarchevole frequenza di proietti lavici hombiformi dis- seminati nelle pozzolane bigie adiacenti alla Stazione ferroviaria di Salone presso Roma. (Boll. 8oc. geol. ital., voi. XXX, fase. 1® e pag. 253-258). — Roma. Nel banco di pozzolana bigia esistente nei pressi della Stazione ferro- viaria di Salone (linea Roma-Tivoli-Sulmona) l’autore ha osservato una grande quantità di interclusi, ossia di proietti lavici aventi forma sferoidale od elissoi- dale, con diametri variabili da 5 a 10 centimetri. Si tratta di vere bombe vulcaniche, di cui alcune sono scoriacee all’esterno, mentre aU’interno mostrano zone concentriche; altre sono internamente porose. La crosta scoriacea è talvolta alterata. Nelle piccole cavità si osservano, tanto in superficie quanto neH’interno, minerali di formazione secondaria, come zeoliti biancastre più o meno alterate. Le più piccole di tali bombe sono scoriacee in superficie e porose all’in- terno ; le maggiori invece non hanno crosta superficiale ed internamente con- stano di lava compatta. Nelle pozzolane bigie su menzionate si rinvengono, oltre alle descritte bombe, anche dei blocchetti costituiti da lamelle di mica giallastra, con parec- chi altri minerali più o meno alterati. 14* 86 BIBLIOGBAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 L’autore ritiene che i proietti di cui trattasi possano essere provenuti da qualche bocca eruttiva secondaria apertasi nelle pendici settentrionali del grande cono laziale, bocca che fu poi distrutta o sepolta sotto i materiali delle successive eruzioni. (E. Tissi). Meli R. — Notizia di una zanna e di altri resti elefantini fossili, descritti da Giambattista Passeri nel 1759, oggi conservati nella Biblioteca Oli- veriana di Pesaro. (Estr. Boll. Soc. geol. it., voi. XXX (1911), fa- scicolo 3*^, pag. 895-908). — Roma. L’autore descrive i resti fossili conservati nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro, tra cui una zanna fossile elefantina di mediocre lunghezza e la man- dibola con i molari in posto di un piccolo elefante, forse riferibile ad un gio- vane Elephas meridionalis Xesti. Il dente fossile (zanna) fu trovato verso la metà del secolo xviii in Or- ciano di Pesaro dal dott. Cosimo Betti, podestà di Orciano, che lo donò all’al- lora incipiente Museo di Storia naturale dell’Acca demia pesarese. Dei suddetti resti elefantini parla, pel primo, Giambattista Passeri in una sua memoria quasi ignorata dai paleontologi e così intitolata : Osserva- zioni del signor abate Giambattista Passeri di Pesaro... sopra V avorio fossile e sopra alcuni monumeìiti greci e latini conservati in Venezia nel 3fuseo delVec- cellentissima patrizia famiglia Nani dNSS. Gervasio e Proto sio. Oltre la mandibola e la zanna di cui sopra il Passeri ricorda nella sua me- moria anche una seconda zanna elefantina, scavata parimenti in Orciano un secolo prima dell’altra e ohe fu per qualche tempo sospesa airingresst) della chiesa principale di quel paese, donde in seguito fu tolta perchè andata in pezzi. Ricorda altresì una terza zanna di elefante trovata nel territorio di Gub- bio, verso Scheggia, e che dovrebbe tuttora conservarsi nella Libreria pubblica di Gubbio. (E. TiSvSi). Meli R. — Sopra alcune specie di bivalvi fossili dei dintorni di Monte S. Giovanni Campano, in provincia di Roma. (Boll. 8oo. geol. ital., voi. XXX, fase, lo e 2^, pag. 245-252). — ■ Roma. La nota concerne alcuni esemplari di una grande specie di 3Iodiola, rac- chiusi nelle marne bituminifere di Monte S. Giovanni Campano, specie che l’autore ritiene molto affine alla 3Iodiola incurvata Phil, trovata fossile nelle sabbie argillose di Piazza Armerina in Sicilia, alla quale specie rassomiglia così per la forma come per le dimensioni. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 87 La nota concerne altresì alcuni fossili marini (molliisclii ed echinodermi) raccolti dall’ing. V. Novarese nelle suddette marne bituminose c pn^cisarnente nei materiali di scavo della galleria Ortensia, jjresso Punta Serra S. Nicola, sotto Monte S. Giovanni Campano. I fossili in parola sono conservati nelle collezioni paleontologiche del R. Ufficio geologico ; le marne da cui proven- gono pare possano ascriversi alla parte più alta del Miocene. (E. Tissi). Meli R. — Cenili so'pra una Monodonta fossile della Valle delV Inferno (Roma) e notizie delle specie di Trochidi estratte finora dal Pliocene re- cente delle colline romane sulla destra del Tevere. (Boll. Soc. Zoolog. ital., voi. XII, fase. V-VIII, serie 2^ pag. 89-98, anno 1911). — Roma. Esaminato un esemplare di Trochide fossile raccolto, tempo addietro, dal sig. Gioacchino Frenguelli nelle sabbie gialle del Pliocene superiore (piano Astiano) dell’alta Valle dell’Inferno, presso Roma, l’autore potè stabilire che si trattava di una specie appartenente al gruppo delle Monodonte, e, proba- bilmente, di una forma nuova . L’esemplare in parola presenta va molte analogie col sottogenere Mono- donlella, ed in particolar modo si avvicinava alla Monodontello taurelegans Sacco per la forma generale e per la elegante ornamentazione esterna della conchiglia, ma ne differisce per le maggiori dimensioni in confronto alla spe- cie descritta dal Sacco. L’autore parla quindi dei Trochidi fossili rinvenuti nelle sabbie del Plio- cene superiore delle colline sulla destra del Tevere a N-N-W di Roma, non- ché a valle della città nelle località denominate Acquatraversa, Monte Mario, Malagrotta, Magliana o Ponte Galera c porge un elenco delle specie estratte dalle suddette sabbie. (E. Tissi.). Merlo G. — DelV esistenza di un lerrìibo carbonifero fra Monteponi e San Giorgio. (Res. Ass. Min. Sarda. Anno XVI, n. 1., pag. 25-27). — Igle- sias. L’A., intende dimostrare che un lembo di terreno a stratificazione quasi orizzontale, situato fra Monteponi e San Giorgio, ed adagiato sugli scisti cam- biani vada ascritto all’Eocene e non al Carbonifero, (C. P.) 88 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Michielt a. — Il flagello delle frane ed i mezzi 'per difendersene. (Riv, di Fis. Mat. e Se. Nat., anno 12, n. 135, pag. 197-213). — Pisa-Pavia . Osserva Fantore che fra i pili grandiosi fenomeni del diuami.smo esogeno, purtroppo assai frequenti in Italia per la natura dei terreni terziari e quater- nari che in gran parte la compongono, sono da annoverarsi le frane, distacchi rovinosi di una parte del ricoprimento dei monti o delle pendici. Gli studiosi più autorevoli le classificano, generalmente, nelle due grandi categorie di frane di cadimento e frane di distacco. Le prime si compiono di so- lito in un periodo di tempo relativamente lungo e con qualche apparente in- tervallo; le seconde si manifestano invece improvvise e con effetti quasi sem- pre catastrofici. Il problema delle frane presenta due aspetti entrambi di grande inte- resse : quello scientifico per tutte le osservazioni geofisiche cui può dar luogo una sua completa disamina, e quello economico per le conseguenze antropo- geografiche che esso determina. D’incarico della Società geografica italiana compì recentemente uno stu- dio sulle fj'ane appenniniche il dott. Roberto Almag.ià, ed i risultati delle sue diligenti ricerche lurono raccolti in due volumi col titolo di Studi geografici sulle frane in Italia, pubblicati uno nel 1908 e l’altro nel 1910. Secondo quell’autore, sede non esclusiva, ma, principale delle manife.sta- zioni franose sono i terreni ad argilla terziaria, e le zone franose più imponenti sono in Val di Trebbia, Val di Nure, nel bacino del Taro, in Val di Secchia e in Val di Panaro. Nella Liguria orientale e nel Pontremolese vi sono pure dei distretti franosi, ma con carattere meno profondo e più spar.so. Relativamente alla corologia delle frane rispettivamente ai classici ter- reni dell’ èra neozoica, Tindagine dell’Almagià ha accertato che il fenomeno si manifesta in tutta la sua violenza nelle formazioni eoceniche : che nel Miocene le grandi frane sono piuttosto rare, e che nel Miopliocene, ed in particolar modo nel Pliocene inferiore, foggiato oggi nella tipica forma dei calanchi, le frane assumono di solito il carattere di smottamento. I ter- reni dell’Italia centrale e meridionale più spesso colpiti dal flagello sono i terziari argillosi, ed in ispecial modo tutte quelle argille, galestri, marne e sci- sti policromi noti sotto i) nome generico di FZy.srà. Le zone in cui il flagello si manifesta in forma più grave sono quelle comprese tra la Stafl'ora e il Reno, il. Savio e la Marecchia ; la regione del Molise meridionale, parte delle valli del Volturno, del Calore, del Corvo, del Seie : tutte le terre solcate dai fiumi jonici (da Val Bradano a Val Crati), quelle del Cilento e del Noce. Relativamente alle cause è certo che ogni fenomeno di franosità è in stretta relazione colle condizioni meteorologiche del paese in cui si verifica c BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 s9 che la quantità delle precipitazioni atmosferiche ha su queste condizioni una importanza primaria. Oltre a determinare un cambiamento nella morfologia dei profili, le frane accrescono notevolmente i materiali di trasporto dei fiumi, ostruiscono sor- genti e corsi d’acqua, alterano le linee di displuvio, ritardano il conseguimento del profilo d’equilibrio e creano dei veri bacini lacustri. Ricordato che il fenomeno deUe frane in Italia è di una gravità ecce- zionale, l’autore crede che i provvedimenti di difesa da adottarsi dovranno riassumersi nelle seguenti categorie : a) Provvedimenti diretti, intesi cioè al con.solida mento delle parti fra- nose impedendone gli ulteriori progressi, cioè muri vii sostegno, argini, opere di fognatura e di regolarizzazione delle acque nella plaga franosa ; b) Provvedimenti indiretti, cioè rimboschimenti, sistemazione dei corsi d’acqua, specie nel tratto montano, con chiuse, arginature ed altre opere di protezione del letto e delle sponde ; c) Trasferimento in sede jiiù sicura degli abitati danneggiati o gra- vemente minacciati. (E. Tissi). Migliorini C. — Sul calcare miocenico casentinese (con 4 fig-)- (Boll. 8oc. geol. Ital., voi. XXIX (1910), fase. 3-4, pag. 423-456). — Roma. L’autore considera anzitutto la sttatigrafia e la tettonica generale della regione Casentinese, ed afferma che i terreni più antichi che affiorano tra il T. Archiano e la Verna appartengono aU’Eocene e sono, dal basso in alto, cosi costituiti : a) Arenaria macigno, nei soliti banchi di arenaria intercalati con scisti arenaceo -argillosi b) Galestri scuri, varicolori, prevalentemente bruno -rossastri. c) Alberese costituito da calcari compatti, brecciole nummulitiche e scisti marnosi. Quanto alla tettonica l’autore rileva che la valle del Casentino coincide con una sinclinale nella cui parte mediana scorre TArno ; l’asse di questa larga sinclinale, pur non avendo una direzione molto costante, è parallela all’Ap- pennino. L’autore parla quindi dei lembi miocenici che si trovano su ambedue le sponde dell’Archiano, a nord di Bibbiena, descrivendo sx>ecialmente quelli di Gressa e di Partina. La roccia che costituisce quei depositi è perfettamente uguale a quella della Verna : un calcare impuro, grossolano, arenaceo, talvolta 90 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 spatizzato, die si mostra formato di frammenti di echini, lamellibranclii, brio- zoi e foraminifere. Descrive in seguito i grandi massi miocenici isolati che si trovano sulle pendici tra la Verna ed il Corsalone, che egli crede rappresentino gli ultimi avanzi di lembi miocenici già esistenti, mentre tutti i precedenti autori li cre- dettero massi staccatisi dalla Verna. Eelativamente aU’età del calcare miocenico Casentinese, l’autore, dopo aver rilevato la diversità delle opinioni al riguardo manifestate da diversi stu- diosi, esprime il convincimento che esso sia da riferirsi al Miocene medio, e precisamente al piano Elveziano. L’autore fa quindi seguire una particolareggiata descrizione delle specie fossili rinvenute nel calcare in parola. (E. Tissi). Millosevich F. — Forme nuove del berillo elbano. (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, voi. .XX, fase. 3^, 2° sem., pag. 138-144). — Roma. Nel riordinare le ricchissime collezioni elbane del Museo di Firenze, l’autore ha dovuto esaminare ad uno ad uno i numerosi esem^plari di berillo provenienti dalla collezione Foresi, dalla collezione Roster e da acquisti vari. Ha potuto così osservare deUe forme di questo minerale nuove per la specie o per la località, e nella presente nota descrive i risultati ottenuti dalle ricer- che praticate su 8 cristalli, provenienti da S. Piero e da S. Ilario in Campo. Sog- giunge l’autore che dopo lo studio in parola si possono aggiungere aH’elenco delle forme del berillo elbano dato dal |)rof. Cr. D’Archiardi le seguenti, nuove per la località o per la specie : 2 bipiramidi di primo ordine ; 4 bipiramidi di secondo ; 3 bipiramidi dodecagono. ' (E. Fissi). Millosevich F. — Fiudi sulle rocce vulcaniche di Sardegna. — II. Le rocce di Uri, Olmedo, Itliri, Futi figari e delle regioni adiacenti. (R. Acc. Lin- cei, Mem., voi. Vili, S. 5^, con 1 tav.). — Roma. Premessi alcuni cenni d’ordine geognostico, l’autore descrive i caratteri microscopici e chimici dei principali tipi di rocche vnlcaiiiche della regione stu- diata, cioè le felsotrachidaciti, felsodaciti, vitrodaciti, vitrotrachidaciti. vi- trotrachiandesiti (toscaniti), andesiti ipersteniche, andesith^ugitiche, le rocce degli inclusi nelle trachidaciti e trachiandesiti, gli elementi del conglomerato poligenico di Monte Palmas ed i tufi vulcanici. Dagli eseguiti studi sarebbe risultato che vi furono due eruzioni di roccie effusive, acide e basiche, verificatesi a notevole intervallo nell’epoca miocenica. (E. Tis§i). , Ì3TÈLÌ0GRAFÌA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 91 Ministero delle Finanze. — Relazione della SoUo-CommissÌQne incM- ricata dalla' Commissione Centrale di esaminare le tariffe d^ estimo della provincia di Cuneo. Cenni geologici .(pag. 14-23). (Voi. di 263 pag., con 1 carta top.). — Roma. ' ■ ‘ ' Le parte della relazione avente per oggetto la costituzione geologica della provincia di Cuneo mette in rilievo che tuffa la serie stratigrafìca. dal Carboni- fero in poi e fino ai depositi alluvionali, vi è rappresentata, oltre ad una gl ande estenvsione di terreno sicuramente pre -carbonifero rappresentato dalle roccie cristalline del Mercantour o dell’ Argenterà . Il Carbonifero, il Trias, il Tnas e forse anche il Giurese vi sono rappresentati da due facies completamente di verse, cioè la facies ordinaria e quella metamorfica cristallina, recentemente denominata facies piemontese . Nella nota sono quindi particolareggiatamente descritte le seguenti zone ; F zona del Monte Bianco, del Pelvoux e del Mercantour ; 2° zona del Brianzonese, detta anche zona del Colle di Tènda ; 3® zona permo -carbonifera, detta, anche zona assiale carbt)nifera; zona dei terreni secondari a facies cristallina (zona delle pietre verdi) . Segue quindi l’esame dei terreni terziari medio -superiori, cioè i terreni dei tre periodi Oligocene, Miocene e Pliocene depostisi dojio il corrugamento alpino e poscia la descrizione delle formazioni quaternarie, cioè le formazioni alluvionali del Diluvium antico e del Diluvium recente, e, per ultimo, quella dei terreni morenici, sviluppati nelle valli che sono state sedi di importanti ghiacciai. (E. Tis«i). Misuri A. — Soj/ro un nuovo Trionichide deir arenaria miocenica del Bel- lunese. (Trioiiyx belliinensiis Dcd Piaz in sch.). Con 2 tav.). — Pe- rugia . Questo fossile, che il prof. Dal Piaz aveva riconosciuto come nuovo e catalogato col nome di Trionyx hellunensis, proviene dal noto giacimento di aienaria miocenica di Bolzano, presso Belluno, nel quale furono ri'n veduti nu- merosi avanzi di altri vertebrati. ' Deirinteressantissimo avanzo sono conservate Fimproiita e la cohtrim- prorita in due blocchi rocciosi. Mancano il capo, gli arti e la quarta parte ante- riore del clipeo. Dalle considerazioni esposte dalFautore ' risulta che nessuna delle specie di Trionyx italiane ed estere, finora descritte presenta caratteri y2 bibliografìa geologica italiana, 1911 *ali ifunii?*^5?ìéiri'‘’*-‘^ ; *' oJbocn n r,^.l ':i|>t#3^ ^aitl»^ ,^jìu. i;]^y , ^>r.'> a.Mì-i.‘.K.'a ; > q^t«Jviii4i5;fc «iui oiW.irf>hì i i *' - ■■ Mt?iiVK;^^iJ\4.'44KvI m : ihAv i^.h- -»snfr,iai»É i^i V' (fi jjiWlJfXjM J 'j«Ì0rtH’.WJt|fW9« ,^> vl^niHtyjk 't,pq ,»5«viy5^iW; '>4^>^+ onvvix'5 J? arit^lvÉ^^ ih ia oiathaw'.^ U ^n0Ìif9'Ì w^ ili '•i^fi:il‘‘ti> ififÌfN>aAl>iH)ii *^#00»; UftfT :i’ fùl';" V( iì- di ùut’ ‘f*f:$,'’ c ì-'l::ì .:nWj;ir--: ì> ■r ■ «'\ .y ■ '.■ •. j’"' • ; ^1??, -• .. ;-v’v CvMt ^^-r- tr;^i r■ jiaW^p^ic'W 'Ìr-< '.inr^^-;':! ..«i'. -'v. vyrf f*r*^ , ...; " ■ . ':.4i£?' ■ ?,i . ., '..4.-. .'.-. -. , ..aa. , .■.„,-.>;.,;£--,c-.i-)l PUBBLICAZIONI RICEVCTU IN DONO dalla Biblioteca del R. Ufficio geologico' Aloisi P. — Cerussite ed anglcsite di Rosseto (Elba). Kstr. « Prot;. veri). 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Rivolgersi alla ditta Fratelli Treves. Anno 1912 - Fase. k". Xllll (3° della serie VI BOLLETTINO del COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA I SOMMARIO DEL FASCICOLO : Note originali. — I. - L. Fxorkntin^ Il monte Subasio. — II. Gr. Pullé, ij II manganese della regione di Portoscuso (Sardegna) e le for- j mazioni trachltiche che lo accompagnano. — III. - P. Moderni, ! Contributo alla conoscenza del sattosuolo dell’estuario ve- I neto. — IV. - Relazioni preliminari sulla campagna geolo- ; gica del 1912. I Bibliografia geologica italiana per il 1911. (Continuazione e fine). ROMA - COOPERATIVA TIPOGEAH’ICA MANDZIO Via di Porta Salaria, 23-b 1913 ELENCO ; ' _ ■ ' DEI COMPONENTI IL COMITATO E L’UPFICIO GEOLOGICO -J r ' • ì R. Comitato geologico. ; Capellini Giovanni, Senatore del Regno, prof, di geologia, R. Università di; Bologna, Presidente. i Bassani Francesco, prof, di geologia, R. Università di Napoli. , ^ Cermenati Mario, Deputato al Parlamento, prof, di storia delle scienze naC turali, R. Università di Roma. Cocchi Igino, prof, di geologia, Firenze. " • '-i De Lorenzo Giuseppe, prof, di geografìa fìsica, R. Università di Napoli. ^ IssEL Arturo, prof, di geologia, R. Università di Genova. Pantanelli Dante, prof, di geologia, R. Università di Modena. Parola Carlo Fabrizio, prof, di geologia, R. ''Università di Torino. Struver Giovanni, prof, di mineralogia, R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia, R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografìco militare in Firenze. Il Presidente della Società geologica italiana. Mazzuoli Lucio, Ispettore superiore. Capo del R. Corpo delle Miniere, Roma.; Baldacci' Luigi, Ispettore superiore del R. Corpo delle Miniere, Roma. - Lotti Bernardino^ Ing. capo del R. Corpo delle Miniere, Direttore del R: Uf.^ / fìcio geologico. ; '' Personale addetto ai lavori della Carta geologica. Direzione : Ing. Mazzuoli Lucio, predétto. Ing. Baldacci Luigi, predetto. R. Ufficio geologico: Ing. ri capi Lotti Bernardino, di- rettore dell’Ufficio. Zaccagna Domenico. ] Aichino Giovanni, vi- ce-direttore. Novarese Vittorio. Sabatini VenturiHo. Franchi Secondo. / Crema Camillo. ^ . ] Pilotti Camillo. Ingegneri -r, -r ® ® i Fiorentin Luigi. \ PuLLÈ Guido. Aiutanti principali Cassetti Michele. Tissi Enrico. Moderni Pompeo. Luswergh Cesare Archivisti ^ Cozzolino Filippo. disegnatori ^ Aureli Aiviedeo. Uscieri S p A R V 0 l I Vincenzo (preparatore presso il laboratorio chi- mico petrografìco).\ Francesconi Giusepp». Salvatelli Filippo. ^ • A datare dal 18 marzo 1912 il dottor Fii.ippo Katto dell’ Ispettorato idraulico fa distewj- eato pressò il Laboratorio chimico del H. Ufficio geologico. (a) Distaccato presso l’uffioio tecnico per la costruzione, della nuova sode del Ministero di Agricoltura. La sede del R. Ufficio Geologico è in Roma, via Santa Susanna.^ n. 13. Bollettino del R. Comitato Geologico d’ Italia Serie Y - Yol. III. Anno 1912. Fase. 4:^ NOTE ORIGINALI I. Ing. L. FIORENTIN IL MONTE SUBASIO. Cenni topografici. A Nord dell’ indiistre città di Foligno, fra 1’ ampia vallata umbra e la Vaitopina si incunea una regione montuosa il cui rilievo mag- giore è il gruppo del monte Subasio. La caratteristica forma a guscio di testuggine lo fa immediatamente distinguere dalle alture circo- stanti da cui lo separano la valle del Teselo a Nord e ad Est, e la valle del Cbiona ad Est e Sud mentre la valle umbra ne termina il contorno a Sud e ad Ovest. Cosi delineato il gruppo del Subasio comprende, oltre ai due monti Subasio e Civitelle, che ne costituiscoiio il nucleo principale,, il colle S. Rufino a Nord ed il monte Pietrolungo a Sud, alle cui falde si trovano, dominanti la fertile vallata Umbra, le due antiche città di Assisi e di Spello. Quest’enorme cupola si eleva su una base press’a poco ellittica il cui asse maggiore misura, da Spello alla valle del Teselo, un poco più di 12 Km., e l’asse minore supera, da S. Trinità a C. Cipriani, sotto Armenzano, i 7 Km. ; essa copre per tal modo un’area di circa 5000 ettari con una sopraelevazione massima sul livello medio del piano di base di 950 m. circa. La forma del monte, che s’avvicina ad una semiellissoide scTiiac- ciata, permette di valutarne a circa 6000 ettari la superficie late- 292 ING. L. FIORENTIN vale, la quale si estende con pendenza quasi uniforme ad oriente, mentre sul lato occidentale ad una parte superiore a pendio ripido e dirupato segue una parte collinosa che con dolce declivio si stende fino alla pianura. L’ asse maggiore dell’ ellisse basale è diretto da NKO. a SSE., orientazione comune ad altri rilievi vicini, come il monte Tezio*ed il monte Malbe. La configurazione effettiva del Subasio differisce però notevol- mente dalla semiellissoide schiacciata che ne rappresenta per cosi dire la superficie ideale. La linea di spartiacque è una curva che salendo da Assisi pel colle S. Rufino segue il profilo dei monti Subasio e Ci vitelle per discendere dalla Madonna della Spella per monte Pietrolungo e per Poggio Caselle sino a Spello. Dei due versanti del monte cosi deter- minati, quello orientale è inciso da fossi non molto profondi ma numerosi, le cui acque torrenziali alimentano i fiumi Tescio, Topino ed il torrente Chiona. Le due selle che in corrispondenza di C. Ci- priani e di M.na Copernieri stabiliscono un passaggio dal monte Subasio ai monti della Vaitopina, delimitano la zona i cui torren- telli vanno ad ingrossare il corso che lungo il Fosso dell’Anna affluisce al Topino : la parte del monte a Nord di questa zona tributa le sue acque al fiume Tescio, quella a Sud al torrente Chiona. Il versante occidentale oltre a numerosi fossi porta due profondi valloni che modificano la configurazione del monte: il Fosso delle Carceri, cosi chiamato dal nome di un Santuario eretto entro la valle, che isola, per cosi dire, 1’ altura del colle S. Rufino, ed il Fosso Renaro, profonda incisione che penetra nel nucleo del Subasio fino quasi alla M.na della Spella, separandone il monte Pietrolungo. , Mentre sul lato orientale del monte il terreno è formato quasi ovunque da rocce in posto, sul lato occidentale, a valle di una certa linea che da Assisi passando a Nord di S. Vitale va a Capo d’ Acqua, si incontra una formazione detritica costituita da breccia calcarea mescolata a materiale terroso. IL MONTE SUBASIO 293 Di questo terreno sono formate per la maggior parte le colline che digradano con leggiere ondulazioni fino alla pianura; la stessa formazione poi si insinua entro il Fosso Denaro, formandone il lato sinistro e, conùnuando sotto Poggio Caselle^ circonda quest’ultimo inoltrandosi a DE. di Spello lungo la valletta dell’altro Fosso De- naro. Questo terreno vegetale, che è largamente rappresentato nel- l’Umbria sulle pendici dei monti ove predominano i calcari mesozoici, ** riposa sopra una roccia, affiorante in varie località, di formazione pure detritica, costituita dallo stesso breccime saldato da un cemento calcareo -limoniti co ; tale roccia, disgregata per degradazione meteo- rica alla superfìcie, acquista in profondità compattezza e resistenza, tanto da poter essere considerata come buon materiale da costru- zione. Il terreno sovrastante può dunque ritenersi un suolo autoctono, partecipante delle proprietà e della composizione della roccia sotto- stante da cui direttamente deriva : considerato come una formazione unica di breccia e materiale minuto, esso è un terreno calcareo- argilloso, ricco di limonite ed a tenore di silice molto basso ; in ta- luni punti, specialmente dove la forte pendenza provocò il dilava- mento dei materiali terrosi da parte delle acque meteoriche, esso acquista carattere prevalentemente calcareo. Data la poca coerenza dei materiali da cui questo terreno è costi- tuito, esso può essere considerato come una terra leggiera, ad ele- vato grado di igroscopicità e abbastanza permeabile. I limiti verso monte di questa formazione, che viene sul posto designata col nome di renaro, coincidono press’a poco coi limiti della piantagione dell’olivo ; è questa la coltivazione più importante della regione per quantità e qualità del prodotto, e per l’industria borente a cui dà vita. Altre culture che più generalmente si vedono praticate qui e là sul Subasio, dove il terreno meglio si presta, specialmente riguardo alla sua locale confìgurazione, sono quelle dell’orzo, del granturco e perfìno della vite, che però oltre una certa altezza non giunge a 294 ING. L. FIORENTIN maturità. Queste culture si incontrano di preferenza in un terreno- vegetale che, partecipando del basso tenore di silice del renaro, è tuttavia di questi più argilloso e risulta dal disfacimento degli scisti marnoso-argillosi della zona degli scisti a fucoidi. Infine sul versante orientale del monte, là dove la pendenza lo consente, nelle conche ed entro le vallette, si è tratto profitto — meno forse di quanto si avrebbe potuto fare con una migliore siste- mazione delle zone coltivate e con un più razionale sistema di cul- tura — dei terreni risultanti dalla disgregazione superficiale delle formazioni terziarie calcareo-marnose e marnoso-arenacee, sufficien- temente ricche in silice e perciò più adatte del renaro ad un buon sfruttamento agricolo. In tempi non molto lontani una folta selva ammantava la vetta del Subasio che ora, completamente diboscata e ricoperta da un tap- peto erboso, offre abbondante pascolo a numerosi greggi di pecore.. Sul versante orientale, verso il paesello di Armenzano, esistono- ancora delle macchie boschive di proprietà in parte privata ed in parte comunale, che non tarderanno però a scomparire per habban- dono in cui sono lasciate e la poca sorveglianza. Eppure il boschetto che circonda il Santuario delle Carceri, pro- tetto dall’amore di quei buoni frati che o*pp or tun amente lo cinsero di una muraglia lungo tutto il perimetro, può . ben dare un’idea dell’aspetto che il Subasio dovette avere quando il bosco dominava su tutta la sua superficie, protettore delle sottostanti vallate contro- l’azione devastatrice dei torrenti, riserva di ricchezza per i paeselli sorti qui e là alle falde del monte. Cenni geologici. Il monte Subasio non presenta nelle formazioni che lo costitui- scono grandi differenze litologiche. Le rocce che vi si incontrano- ritraggono dei caratteri generali delle formazioni sedimentarie umbre- e la loro successione attesta come da un periodo di deposizione in mare profondo — mare secondario — la regione sia passata lenta- IL MONTE SUBASIO 295 mente ad un regime di mare interno nel quale avvenne la deposi- zione di materiali più grossolani abrasi e trasportati da rive non troppo lontane (1). Cosi alle potenti formazioni calcaree secondarie, ^che nel passaggio dalle rocce più antiche alle più recenti hanno tuttavia una tendenza generale a divenire di più in più marnose, seguono con stratificazione concordante le formazioni calcareo-mar- nosa e marnoso-arenacea del terziario. ÌN'ella piccola anti cimale del monte Subasio si può considerare come nucleo centrale, direi quasi come ossatura del rilievo, la for- mazione giuraliassica, rappresentata dai tre piani del Lias e dalla poco potente formazione del Griura medio e supcriore; sopra questa si stendono a guisa di mantello i calcari più teneri del Cretaceo che vi comprende le zone della maiolica e degli scisti a fucoidi per rinfracretaceo, e la scaglia rossa, che culmina il monte, per il Cretaceo superiore. Sulle falde orientali è largamente rappresentata la formazione eocenica colle zone della scaglia cinerea e marnoso-arenacea. Si incontra dunque nel monte Subasio tutta la serie dei terreni che dal Lias inferiore sale all’Eocene. Lias inferiore. Questo terreno affiora soltanto in pochi punti sul lato occiden- tale del Subasio entro la Valle delle Carceri; nella parte più pro- fonda dell’incisione prodotta dalle acque, l’erosione mise a nudo due lembi di roccia riferibili a questo terreno ; un lembo superiore, a circa 700 m. di altezza ed un lembo di maggior estensione in prossimità della Eonte Panzo ; probabilmente quest’ultimo continua sotto i detriti. Un altro e più importante affioramento di Lias inferiore si in- contra fra S. Onofrio e Satriano nel gruppetto dirupato distinto ■col nome di Sasso Rosso; lungo il lato destro del Fosso Renaro, (1) A. Verri, Un Capitolo della Geografia fisica delVUìnbria {Atti del JV Congresso Geografico Italiano, Milano, 1901). 296 ING. L. FIORENTIN nella sua parte più profonda, due altri dirupi sono forse testimoni di una larga zona di questo terreno ricoperta quasi interamente dalla formazione detritica. Fig. 1. — Lato destro della Valle delle Carceri, Sovrapposizione dei tre piani del Lias. Si tratta di un calcare massiccio dall’aspetto abbastanza carat- teristico, presentandosi esso in blocchi di colore grigio-cenerognolo,, nei quali non si scorge traccia di stratificazione. L’erosione delle acque facilitata dalle numerose diaclasi che fìssurano la roccia ha foggiato questo terreno in massi a pareti ver- IL MONTE SUBASIO 297 ticali profondamente scanalate, sormontati da torrette e pinnacoli, che hanno di lontano la bizzarra apparenza di castelli in rovina. Questo calcare ha struttura cristallina, compatta ; spesso la massa è solcata da straterelli di calcite che in qualche punto divengono frequentissimi; la frattura presenta un colore talvolta biancastro, più spesso grigio chiaro, che conferisce alla roccia l’aspetto ceroide. Questo terreno non conserva che scarse tracce di fossili — gaste- ropodi e crinoidi. — Tuttavia il suo costante rapporto di posizione con gli strati di Lias medio laddove esso affiora lungo la frattura che da Assisi a Trevi mette a giorno i terreni mesozoici, induce a ritenere con sufficiente sicurezza che esso appartenga alla stessa serie alla quale appartengono i calcari della Cava di Bovara (Trevi) che vennero riferiti dal Prof. Parona, in base al riconoscimento di fossili ivi raccolti, al Lias inferiore (1) ; e, data l’esigua potenza e l’immediata sovrapposizione dei calcari del Lias medio, questi strati sarebbero da riferirsi al Sinem urlano (2). Lias medio. Crii affioramenti di Lias inferiore sono quasi dovunque accom- pagnati, nel monte Subasio, dalla formazione del Lias medio che compare tuttavia, presso Satriano, S. Benedetto e nella parte supe- riore del Fosso Renaro, anche là dove il Lias inferiore, essendo co- perto dai detriti, non è visibile. Questo terreno si presenta in banchi talvolta molto potenti di calcare grigio, subcristallino, compatto, con straterelli di silice interposti, alternati con strati più sottili di calcare rosato, marnoso e tenero. Nella parte superiore questi calcari alternano spesso con sottilissimi letti di marna calcarea, scistosa. (1) C. F. Parona, Sulla fauna e sull’età dei “ Calcari a Megalodontidi „ delle Cave di Trevi {Spoleto), {Atti Acc. Reale delle Scienze di Torino, voi. XLI). (2) P, Principi, Osservaz. geolog. sul monte Subasio {Boll. Soc. Geol. voi. XXVIII). 298 ING. L. FIORENTIN In generale si nota, dagli strati piu profondi di questa forma- zione agli strati superiori, un progressivo arriccliimento in argilla, cosicché questo terreno si può considerare, litologicamente, come una formazione di passaggio fra i calcari cristallini del Lias inferiore ed i calcari marnosi del Lias superiore. Le assise superiori di questo terreno e specialmente gli strate- relli marnosi a cui accennai più sopra sono ricchi di ammoniti, di cui pure si trovano impronte e sezioni, quantunque abbastanza rara- mente, sulle superfìci nude della roccia, insieme con tracce di lamel- libranchi e di brachiopodi (vedi Nota in fine). Nella parte superiore del Fosso Fenaro, sotto C.ta Sermolla, affiora, in istrati quasi orizzontali di qualche decimetro di spessore, un calcare omogeneo, compatto, a struttura leggermente cristallina ed a frattura liscia di color grigio chiaro; in questi strati venne aperta una cava, per pietra litografica, che ora sembra abbandonata. Verso Spello, in un affioramento di questo terreno, riferibile ai piani superiori del Charmoutiano, furono dal dott. Bellini trovati vari fossili (1): Harpoceras cornac aidense (Tausch.), Arieticeras algovianum (Opp.), Rìiacophyllites lariensis (Menegh.), Phylloceras selinoides (Menegh.) ed altri, alcuni dei quali attestano una proba- bile relazione colla fauna dei calcari domeriani della Lombardia. Lias superiore. Con questo nome intendo indicare la formazione, litologicamente non uniforme, che, succedendo nella serie al calcare del Lias medio, costituisce la base su cui riposa con stratificazione concordante il terreno giurassico medio e superiore. (1) R. Bellini, “ Cycloseris Paronae „ Bellini. Nuovo corollario del Lias medio [Boll. Soc. Geol. Ital..^ voi. XXII). In questa, Nota l’A. descrive un esemplare di corallario da lui raccolto nel 1902 nella suindicata località e rite- nuto, prima di allora, appartenente al Cretaceo. IL MONTE SUBASIO 299 Il Lias superiore, ricchissimo di ammoniti, è maggiormente rap- presentato nel Subasio entro la Valle delle Carceri, nella sua parte superiore; sul lato destro di essa una bella sezione mostra la sovrap- posizione dei tre piani del Lias (Vedi fig. 1). Ijo si incontra poi, con minor potenza affiorante, in forma di striscia, dal Fosso Rosceto a Grabbiano, ed ancora compare nel Fosso Renaro, là dove comincia la valletta che separa la C.ta Ser- molla dal monte dello Spella. In alcuni punti la formazione è prevalentemente calcarea, più 0 meno marnosa, a strati sottili, per lo più ondulati e pieghettati, di colore variabile dal rosso al grigio rossastro, spesso a chiazze violacee, vinose; altrove invece essa diviene schiettamente marnosa, a straterelli di colore alternativamente rosso cupo e grigio, tormen- tati e contorti in istrette pieghe che attestano la poca rigidezza della roccia. Fig. 2. — Lato sinistro della Valle delle Carceri. Piega a ginocchio degli scisti marnosi del Lias superiore. 300 ING. L. FIORENTIN I calcari del terreno ammonitifero hanno ima struttura caratte- ristica ; essi sono costituiti da noduli lenticolari di consistenza suffi- cientemente compatta per conservare la loro forma se la roccia viene sgretolata, immersi entro una pasta un po’ più marnosa e- facilmente friabile. Questa struttura, che si sarebbe tentati di chiamare clastica se- non vi si opponesse l’identità del tipo litologico nelle varie parti della roccia e la sua origine, dovuta a sedimentazione in mare aperto,, si riscontra anche in qualche località della Toscana, negli strati ad Arietites della parte inferiore del Lias medio (1). In questa formazione si distinguono gli strati a Hildoceras bifrons del Toarciano e quelli ad Erycites fallax dell’Aleniano (2). Giurassico medio e superiore. Come il Lias ed in generale tutti i terreni più antichi del Cre- taceo, il Giurassico compare nel Subasio solo sul versante occiden- tale ed accompagna, affiorando in istradi poco potenti, il Lias superiore. Litologicamente questa formazione si differenzia dalla precedente per una maggior ricchezza in silice: questa, o si trova depositata in straterelli rossi, grigi, verdastri, scistosi, alternati con strati sot- tili di calcare generalm.ente marnoso, oppure si trova sotto forma di noduli grigiastri nella massa di un calcare verdognolo di ecce- zionale durezza. In questa formazione vennero individuati, oltre ad un pianO' inferiore, a cui deve attribuirsi (3) una sottile zona di calcari gial- lastri immediatamente sovrastanti agli strati ad Erycites fallax^ un. (1) B. Lotti, Studi stratigrafici sulle formazioni liassiche e cretacee dei dintorni di Camajore e Pescaglia {Alpi Apuane) {Boll» Comit. Geol. 1880). (2) Del Toarciano il dott. Principi determinò numerose forme di cui diede notizia nella Nota citata. (3) P. Principi, loco cit. IL MONTE SLBASIO 301 piano medio (1), negli strati ad aptici (2) rappresentati dalla facies scistosa di questo terreno, e un piano superiore, forse corrispondente al Titoiiiano, nei calcari silicei che fanno passaggio graduale al Neocomiano. Infracretaceo. In questo rilievo costituito da terreni che appartengono preva- lentemente al Cretaceo, il Neocomiano ha considerevole estensione;, esso si presenta per lo più sotto forma di banchi di non grande spessore, regolarmente stratificati. Fig. 3. — Presso Collepino. Sottili banchi di calcare neocomiano nella zona di passaggio agli scisti a fucoidi. (1) G. Bonarelli, Miscellanea di note geologiche e paleontologiche per Vanno 1892 {Boll. Soc. Geol. Ital.^ voi. XXII). (2) Durante l’escursione al M. Subasio fatta nel settembre 1912 dai membri della Soc. Geol. Ital., il prof. Parona raccoglieva, in questa zona, una valva di 302 ING. L. FIOEENTIN Da Assisi a Spello una zona di questo terreno, continua, per 'quanto variabile in potenza, modella le falde del monte rivelandosi pel particolare aspetto roccioso del suolo che, troppo asciutto e calcareo, è completamente sterile. La roccia è un calcare compatto a grana finissima, omogenea, nella cui massa si scorgono, al microscopio, rare venule e globuli di calcite, rappresentanti, probabilmente, degli avanzi molto oblite- rati di foraminifere e crinoidi spatizzati; la frattura leggermente 'Concoide, liscia, bianca o ceroide, giustifica il nome di maiolica che venne dato ai calcari neocomiani lombardi litologicamente simili a questi. In alcune località, tuttavia, questa roccia assume un aspetto massiccio a piani di stratificazione non ben definiti; a questa forma esteriore corrisponde internamente una massa a grana grossolana, degradata dagli agenti meteorici per qualche decimetro di spessore e solcata in profondità da numerosissimi strati di calcite interse- 'Cantisi in tutte le direzioni che conferiscono alla roccia un aspetto ■quasi conglomeratico : cosi essa si presenta, per esempio, nell’ alli- neamento di dirupi detto Sasso piano. Questo terreno viene ascritto al I^eocomiano per i caratteri lito- logici che lo fanno rassomigliare al calcare di questo piano di altre località dell’ Appennino umbro e, sopratutto, per il suo rapporto stratigrafico, con i piani del Giura su cui riposa e dell’ Albi ano a cui fa da sostegno, cronologicamente determinati, in base a dati paleontologici. Ai calcari compatti neocomiani si sovrappone una zona di terreni che salendo dalla Valle del Tescio a Fonte Maddalena, segue, per cosi dire, da questa località fino alla Madonna . della Spella, l’anda- mento delle curve di livello, per poi espandersi a formare la vetta del monte Pietrolungo. Inoceramus\ si tratta di un esemplare di Inoceramus Oosteri, E. Faure, il cui rinvenimeuto co of erma la determinazione cronologica di questi strati (Vedi P. Principi, Escurs. 13 seti, ad Assisi eo? al monte iSubasio] Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXXI). IL MONTE SUBASIO 803 Nell’annessa cartina geologica, rilevata dallo scrivente sotto la di- rezione dell’ing. Lotti, questo terreno è indicato col nome di Aptiano, quantunque esso rappresenti, e per la posizione relativa occupata dagli strati, operi caratteri paleontologici e litologici, almeno due formazioni. A Nord del monte Pietrolungo, entro il valloncello che sale verso Madonna della Spella, e lungo la stradicciuola che a questa conduce, si può osservare una bellissima sezione di questo terreno a contatto coi banchi del calcare liassico; è una successione di stra- terelli argillosi più o meno calcarei, varicolori. Sotto la località denominata il Lago „ questa serie acquista la potenza di una sessantina di metri. Vi si possono agevolmente distinguere gli scisti argillosi dai colori variegati, dal grigio al rosa, al violaceo, al verde, quasi orizzontali, ricchi di fucoidi, riferibili all’Albiano. Di questi scisti è costituita pure la roccia sovrastante al calcare neocomiano sulla falda N-0 del Colle S. Rufino, e a Sud del monte Civitelle. In questa formazione scaturiscono le acque di Fonte Mad- dalena e di Fonte Pregno. Nella suaccennata località, a Nord del monte Pietrolungo, sopra gli strati a fucoidi, riposano altri strati, pure argillosi e sottili, il cui colore dal giallo scuro passa gradualmente al bruno : sono questi degli scisti bituminosi con rari frammenti di ittioliti che probabil- mente sono da attribuirsi al Cenomaniano. A questi scisti scuri segue nella serie una roccia calcarea, com- patta, a caratteri litologici molto simili a quelli dei calcari neoco- miani, con numerose traccie di fucoidi; di questa roccia è costituita la parte superiore del monte Pietrolungo e la striscia che da Ma- donna della Spella si prolunga quasi fino alla Valle delle Carceri. Non mi fu dato però notare la esistenza degli scisti bituminosi sot- tostanti a questo terreno in altre località, oltre alla suindicata, che alle falde del Colle S. Rufino dove gli scisti bituminosi si trovano pure sovrapposti agli scisti varicolori dell’Albiano. Probabilmente anche questo calcare, che sulla cartina geologica che accompagna questa memoria è riunito agli scisti a fucoidi, è riferibile alla stessa formazione cenomaniana. -304 ING. L. FIORENTIN Sopracretaceo. Dalla Valle del fiume Teselo a Collepino tutta la parte superiore dell’altopiano del Subasio è costituita da una roccia calcareo-mar- nosa, rossastra che si estende per una larghezza media di due chi- lometri e forma le vette del Colle S. Rufino, del Subasio, delM. Civitelle e la minore della Madonna della Spella; dello stesso terreno sono formati a Nord il colle su cui è edificata Assisi, a Sud il Poggio ■Caselle. Delle formazioni di questo gruppo mesozoico è questa, la più recente, quella maggiormente sviluppata. Vi si possono distin- guere due modi differenti di presentarsi della roccia : l’uno è a banchi in generale di non grande spessore, tutti sgretolati alla superficie, là dove non sono ricoperti da mantello erboso che li ripari dal- l’azione del gelo ; tale è l’aspetto del cosidetto calcare rosato^ svi- luppatissimo nel Subasio. Questa roccia presenta una colorazione variabile dal bianco roseo al rosso scuro, è talvolta facilmente sfaldabile, ma più di sovente è compatta e resistente; nella frattura, osservata alla lente, presenta spesso dei minutissimi punti di un rosso più scuro, dovuti senza dubbio agli ossidi di ferro la cui alterazione ha prodotto la carat- teristica colorazione della roccia: al microscopio essa si presenta c.ome una pasta venata di numerosi straterelli sottilissimi di con- centrazione di calcite, per lo più paralleli e ricchissima di resti di foraminifere (globigerine, rotalie, testularie) spatizzati. A questi banchi calcareo-marnosi rosati si trovano qui e là in- tercalati dei banchi dello stesso calcare di color bianco-grigio, che portano interstratificati dei letti di silice, generalmente rossa, pure Ticca di avanzi di foraminifere. Una lamella tagliata in corrispon- denza del contatto del calcare colla silice, mostra al microscopio il graduale passaggio dall’una all’altra specie litologica. La scaglia rosata invece, che riposa per lo più sul calcare rosato e rappre- senta quindi la parte superiore della formazione, si presenta in un unodo un po’ differente ; essa è costituita da strati sottili, contorti e IL MONTE SUBASIO FjO'Ò pieghettati, colorati generalmente in rosso violaceo ed è in questo gruppo molto meno sviluppata del calcare rosato ; è una roccia re- lativamente tenera e friabile e passa gradualmente come colore e struttura agli scisti grigio -verdastri della scaglia cinerea. Litologicamente la forma2Ìone è unica; essa però, da una com- posizione prevalentemeni:e calcarea, che contraddistingue il calcare rosato^ va acquistando insensibilmente carattere sempre più mar- noso negli strati superiori della scaglia rosata.^ fino a confondersi cogli scisti marnosi o scaglia cinerea dell’Eocene inferiore. In questo terreno mancano quasi assolutamente tracce di fossili, la sua determinazione cronologica non può essere fatta quindi che in base a criteri stratigrafici e per via di analogia con altri terreni fossiliferi di formazione contemporanea. Fig. 4. — Strada da Collefino a S. Giovanni. Scaglia rosata al passaggio alla scaglia cinerea. 306 ING. L. FIORENTIN Il prof. Parona riferirebbe la zona del calcare rosato al Toro- niano (1), riservando al Senoniano la scaglia rossa e la scaglia ci- nerea che fa graduale passaggio all’Eocene; il dott. Principi ritiene doversi considerare il calcare rosato^ la scaglia rossa e la scaglia cinerea come rappresentanti di tre sottopiani del Senoniano; infe- riore, medio e superiore (2) ; nel calcare rosato^ sopra Armenzano- furono trovati alcuni esemplari di Stenonia tubercolata Defr. Si tratta ad ogni modo di un terreno dovuto a sedimentazione ma- rina ininterrotta, avvenuta durante il periodo di deposizione dei calcari a rudiste e ad ippuriti a Sud della regione considerata, e, come- questi, facente graduale passaggio ad un tipo litologicamente simile e cronologicamente determinabile perchè fossilifero. Alla natura di questo terreno è dovuta la particolare configura- zione del Subasio a guscio di testuggine, come alla sua struttura e composizione chimica noi dobbiamo il fenomeno carsico colla for- mazione della terra rossa e l’enorme quantità di detrito di falda che costituisce il più importante e fertile terreno vegetale del monte.. Eocene. La scaglia rosata nella sua parte superiore presenta un’alter- nanza di scisti marnosi rossi, grigi, violacei, verdastri ai quali suc- cedono dei calcari argillosi, scistosi, teneri, di color rossiccio, grigio- chiaro e grigio-azzurro, alternanti con straterelli di calcare grigio nummulitico . Questo terreno, che è indicato nell’annessa cartina col nome di scaglia cinerea^ si estende sul versante orientale del monte per una larghezza media di circa un chilometro, formandone la parte inferiore ; un piccolo affioramento di esso s’incontra anche (1) C. P. Parona. Trattato di Geologia. Ditta Pr, Vallardi, Milano. (2) P. Principi, loco citato. IL MONTE SUBASIO 307 a Nord-Ovest, immediatamente sopra Assisi, e a Sud, sopra S. Lu- ciola. Fig. 5. — M.na Copernieri. Strati di scaglia argillosa. A questa scaglia argillosa eocenica succede a Nord di C. Ci- priani la formazione marnoso-arenacea entro cui è scavata la Valle del fiume Teselo fin presso Ponte Grande e che sale sulle falde dei monte fino a Costa di Trex. È un terreno costituito di un’alter- nanza di banchi calcarei, di discreta potenza, con strati sottili di arenarie e marne scistose. Questa roccia affiora sul lato occidentale del monte, sotto il cu- mulo di detriti, presso S. Potente, con una striscia lunga poco più di un chilometro, dentro un valloncello presso Viole e forma la col- linetta su cui è edificato l’oratorio di S. Trinità. \ 2 308 ING. L. FI0B.ENT1N Formazione marnosa arenacea al passaggio alla scaglia cinerea. Quaternario Antico. Della formazione detritica che ricopre sui versante occidentale (iel Subasio i terreni mesozoici già parlai a proposito del terreno vegetale ; aggiungo qui che la stessa formazione ricopre a Nord due larghe zone sulle falde del Colle di Assisi ed a Sud, sotto Collepino, si estende verso valle lasciando affiorare qui e là i calcari argillosi della scaglia cinerea ed i calcari e le arenarie della formazione mar- noso-arenacea. IL MONTE SUBASIO 309 Il terreno alluvionale, composto di ciottoli, sabbie ed argille si incontra nei campi coltivati vicino a Spello e sotto Assisi. Recente. La pianura che dalle falde del Subasio si stende fino alla linea di collinette e di poggi che va da Bettona a Bevagna costituisce la parte settentrionale della Valle Folignate; questa, occupata durante il Quaternario da un’ampio lago, venne lentamente prosciugandosi •da Sud verso Nord, cosicché ancora in tempi storici la porzione a Nord della conca, la più bassa, era occupata dalle acque che costi- tuivano il lago di Assisi (1); questo andò pure a poco a poco asciu- gandosi, ma il fondo della vallata fu soggetto ancora per lungo tempo ai ristagni, finché, nella prima metà del secolo scorso ven- nero intrapresi i lavori di bonifica che guadagnarono all’agricoltura la bella e fertile zona. Il terreno vegetale di cui é costituita la pianura ad occidente del Subasio ha dunque origine da materiale di trasporto fluviale, sia depositato in seno alle acque di un lago, sia, più tardi, deposi- tato sotto forma di alluvione. Cenni idrografici. La regione umbra nonostante l’effetto dell’erosione delle acque -che ne modificò la primitiva configurazione, ha conservato nelle grandi linee l’oroplastica dovuta alle sue caratteristiche tettoniche; €Osi noi troviamo corrispondere la Vaitopina, la Valle Umbra, la Val Tiberina superiore e la Val di Chiana ad altrettante sinclinali pri- mitive. A Nord di Foligno, entro l’ubertosa vallata umbra scorre il fiume Topino, che, dopo aver percorso con direzione N-S parte della sin- (1) A. Verri, loco citato. 310 ING. L. FIOEENTIN cimale della Vaitopina, segue la direzione della Valle Folignate- fìno alla sua confluenza col Chiascio. Le acque di scorrimento del monte Sub asic*, convogliate in ru- scelli e piccoli torrenti entro i solchi ed i fossi scavati dall’ erosione- sulle falde del monte, scendono dal versante occidentale diretta- mente nella Valle Folignate e si raccolgono nel torrente Ose, af- fluente del Topino; dal versante orientale esse affluiscono in parte,. come già ebbi a notare, al torrente Chiona ed al Fosso dell’Anna, pure affluenti del Topino, ed in parte si versano direttamente nel fiume Teselo che si congiunge presso Bastiola col Chiascio. Il monte Subasio appartiene dunque, idrograficamente, al sistema del fiume Chiascio. Data la scarsità dei dati pluviometrici, è cosa assai difflcile poter stabilire l’altezza media di pioggia che annualmente cade su questo monte, nè mi sembra possa essere sufficiente a fornire notizie di cosi grande importanza per lo studio di una regione, la sostituzione di criteri di analogia con altre località vicine, ed in condizioni simili,, ai sicuri dati sperimentali. E perciò da augurarsi che sorgano nel bacino del Chiascio delle stazioni udometriche in numero sufflciente e che vengano rese permanenti le pochissime che già esistono e le cui osservazicni, per essere saltuarie, non possono fornire che dati di scarso valore per la determinazione delle medie. Consentendo tuttavia in alcune considerazioni fatte dal dott. Pre- ziotti (1), ritengo che non si scosti molto dal vero il suo apprez- zamento che farebbe adottare pel Subasio un’altezza di pioggia di 950 mm., altezza che corrisponde anche alla media stimata dal si- gnor Terrone, in base ai dati udometrici delle stazioni di N’ami, Todi, Orvieto, Perugia, Spoleto ed Assisi, per una larga zona alla sinistra del fiume Topino (2). Delle acque di precipitazione meteorica, una parte, la maggiore (1) A. Preziotti, Le acque sotterranee della Valle Folignate. {Giorn. di Geol. pratica, anno 1909, voi. VII).. (2) Carta Idrografica à?ltalia, 1908. IL MONTE SUBASIO 311 senza dubbio, viene assorbita dai calcari cretacei e liassici di cui è costituita una grande estensione della superfìcie del monte. Nel fìssare però a Y4 della quantità totale d’acqua cadutala quantità che s’infìltra nelle formazioni suddette (l),mi sembra che non si sia te- nuto in debito conto il differente grado di permeabilità delle rocce del Subasio ; di esse solo una parte molto piccola può essere riferita alla cate- goria delle rocce permeabilissime, mentre non esigue porzioni del monte sono costituite sul versante orientale dagli scisti prevalente- mente argillosi delia scaglia cinerea^ e, più a Nord, anche dalle marne della formazione marnoso-arenacea, e sul versante occidentale, dagli scisti calcareo-argillosi dell’Albiano, e perciò devono essere ri- tenute come praticamente impermeabili (Vedi l’unita cartina idro- grafìca del monte Subasio). Il mantello terroso semipermeabile che copre la parte superiore del monte contribuisce di molto a sottrarre alle acque di dilavamento una gran parte della precipitazione atmosferica. Esso infatti, imbi- bendosi, diventa serbatoio d’una rilevante quantità d’acqua destinata poi ad essere smaltita penetrando lentamente nei sottostanti calcari. Quella parte delle acque meteoriche che, infiltrandosi nel sotto- suolo, raggiunge gli strati profondi, si raccoglie in corrispondenza delle due zone di terreno sopra indicate e cioè la zona degli scisti marnosi e calcari scistosi del Lias superiore e del Giura e la zona degli scisti argillosi dell’Albiano. Dalle due falde acquifere che per tal modo vengono a formarsi prendono origine, lungo l’affìoramento di questi terreni sul versante occidentale del monte, numerose sorgenti; di esse nominerò le più importanti: allo strato acquifero superiore (scisti a f uccidi) si alimen- tano la Fonte Bregno sotto la C.ta Sermolla, la Fonte Maddalena sotto Colle S. Rufino e le sorgenti di S. Silvestro che forniscono di acqua il paesello di Collepino ; in questi strati si trova pure il pic- colo serbatoio, detto “ il Lago „, nella depressione che separa il monte Pietrolungo dal monte della Spella; allo strato acquifero inferiore (1) Carta Idrografica d’Italia, 1908, pag. 430. 312 ING. L. FIORENTIN (scisti rossi ammonitici e scisti ad aptici) si alimentano le Tre Fon- tane, sotto Sasso Piano e le fonti di S. Benedetto e di Satriano. Sul lato orientale gli strati di scisti calcareo-argillosi della scaglia cinerea e le marne che ricoprono i fianchi del monte costituiscono- un mantello impermeabile e ciò spiega come non esistano o quasi nella parte superiore di questo versante del Subasio acque sorgive ; esse vengono a giorno invece verso valle, là dove l’erosione delle acque superficiali, incidendo il terreno impermeabile, ha sfiorato il livello idrostatico ; così ebbero origine le polle che si trovano presso- S. Giovanni, Madonna Copernieri e sotto Collepino donde provengono le acque che alimentano la città di Spello. Oltre a queste sorgenti che chiameremo di roccia, ne esistono numerose altre nel terreno detritico che copre le falde occidentali del Subasio; le più importanti sono: Fonte Panzo, la Fonte presso S. Vitale, Fonte Malerina ed Fonte di Satriano. Esse sono alimen- tate dalle acque che scendono a valle sia penetrando in profondità attraverso eventuali fessure degli strati di sostegno delle falde acqui- fere, sia filtrando direttamente attraverso.il terreno detritico. Queste ultime non sono quindi troppo raccomandabili, sotto il punto di vista deirigiene, per servire all’alimentazione : la variabilità della tempe- ratura secondo le stagioni e della portata secondo i periodi di maggior o minor abbondanza di pioggia le rivelano infatti per sorgenti di superficie. Altre sorgenti invece, ad esempio la Fonte di Gabbiano e la Fonte di S. Lucia, quantunque aperte in terreno detritico, credo siano- da considerarsi come sorgenti di acque profonde le cui scaturigini reali, situate nella roccia sono state ricoperte dai detriti. Forse la stessa osservazione può ripetersi per la Fonte Maggio alle falde del Colle S. Rufino. La falda freatica della Valle Folignate viene alimentata preci- puamente dalle acque filtranti attraverso il potente cumulo di detriti che si estende per circa 20 Km.^ su questo lato del monte; ne è prova l’identità e la contemporaneità delle variazioni qualitative e- quantitative delle acque dei pozzi e di quelle delle sorgenti di super- IL MONTE SUBASIO 313 fide, in relazione alle vicissitudini atmosferiche; perciò anche le acque dei pozzi non presentano i migliori requisiti come acque po- tabili. La composizione dei terreni che costituiscono l’ellissoide meso- zoica del monte Subasio spiega la natura carsica di questo rilievo, che si rivela colla presenza di doline e colla formazione della terra rossa che ricopre la parte superiore del monte: è questa una terra prevalentemente argillosa, di color bruno, quasi nera, ricca di silice e di idrossido di ferro, igroscopica e addatta alla produzione di buoni prati. Il dott. Gortani in una sua Memoria (1) descrisse dettagliamente le cinque fosse carsiche che si aprono nella parte più elevata del Subasio: la Fossa Rotonda, la Fossa Cieca, il Mortaro delle Troscie, il Mortaiuolo ed il Mortaro Grande. Nel classificare secondo la loro genesi queste doline il Gortani, in base alle caratteristiche morfologiche, assegnò al tipo delle doline di erosione superficiale le due fosse ed al tipo delle doline di spro- fondamento i tre Mortai! ; con felice terminologia specificò meglio questi ultimi chiamandoli doline di cedimento. Tale denominazione è spiegata dal particolare processo di formazione di queste fosse che dovettero aver origine dal lento ripiegarsi degli strati superficiali del calcare, provocato dal progressivo abbassamento degli strati infe- riori per effetto dell’erosione delle acque sotterranee, venendo per tal modo gli strati superiori a mantenersi in contatto costante cogli inferiori. Attestano una tale genesi e l’inclinazione verso l’interno della dolina degli strati superficiali ed il loro incurvarsi sui bordi verso il centro dell’imbuto. La Fossa Rotonda presenta una forma piuttosto aperta ed al- quanto allungata secondo un diametro della bocca; la Fossa Cieca, molto più piccola, ha un contorno quasi circolare: queste due cà- (1) Dott. M. Gortani, Fenomeni carsici nell’ Umbria centrale [Rend. Sess, R. Acc. Scieme, voi. XII, fase. IV). Bologna, 1908. (l) Gr. CviJic, Da^ Karstphànomen [Geogr. Abhandl. herausgeg. v. A. Penck., Wien, 1893, V, 3). 314- ING. L. FIOEENTIN vità si possono ascrivere morfologicamente al tipo delle doline a piatto (1). Quanto ai Mortari e per la forma del loro profilo che assume l’aspetto di un calice più o meno allungato e per il piccolo valore del rapporto fra il diametro medio della bocca e la profondità del fondo, essi possono essere considerati appartenenti al tipo delle doline ad imbuto. Fra il monte Pietrolungo e la Madonna della Spella, nel terreno argilloso-calcareo della zona degli scisti a f uccidi esiste una depressione a forma di conca molto aperta, il cui fondo è occupato normalmente dalle acque di un minuscolo laghetto; durante i tempi di grande siccità questo piccolo serbatoio asciuga. Fig. 7. — A N-E del M. Pietrolungo. - “ il Lago IL MONTE SUBASIO 315 Io non so vedere in questa depressione un prodotto del fenomeno carsico puro e semplice : a me sembra che a spiegare la formazione di questa valletta e la configurazione caratteristica della conca me- glio risponda 1 ipotesi di una causa tettonica iniziale a cui si aggiunse l’effetto posteriore dell’erosione e corrosione superficiale delle acque. In corrispondenza infatti di questa depressione, nella Valle del Fosso Renaro, esiste una dislocazione, dovuta probabilmente alla stessa faglia che ha determinato laffioramento sul versante occidentale del Subasio dei terreni più antichi del Cretaceo. Nel gruppo del Subasio s’incontrano quindi, a mio modo di vedere, vere doline soltanto sopra l’altipiano costituito dai calcari rossi mar- nosi della zona della scaglia rossa ; l’erosione delle acque meteoriche è manifesta tuttavia sopra tutte le superfici calcaree denudate, con o minore intensità secondo il grado di compattezza e la struttura della roccia 5 ne sono testimoni le frequenti scanalature che incidono e frastagliano i calcari liassici ed i meno profondi ma non meno frequenti solchi dei calcari cretacei. Questo fenomeno karrenico, sempre accompagnato dalla forma- zione della terra rossa, si verifica sopra la maggior parte della super- ficie del monte, ma dove la pendenza lo consente esso è nascosto dal mantello terroso che la ricopre. Tettonica. La regolare sovrapposizione delle rocce del monte Subasio, che si succedono con stratificazione concordante dal Lias inferiore all’Eo- cene, testimonia una sedimentazione ininterrotta per tutto il periodo compreso entro i suddetti limiti ; e, come le condizioni della sedi- mentazione e la natura dei materiali depositati non dovettero variare bruscamente, cosi si verifica quasi sempre al contatto di due piani un cambiamento progressivo più o meno lento nei caratteri struttu- rali e nella composizione delle rocce. Là dove questo passaggio non si constata o per mancanza di 316 ING. L. FIORENTIN qualche piano a caratteri intermedi, o perchè vengono a contatto formazioni di età molto differenti, ciò è dovuto non a discontinuità nella sedimentazione ma a dislocamenti posteriori causati probabil- mente dal fenomeno orogenetico. Dalle varie pubblicazioni dell’ing. Lotti sulla geologia dell’ Umbria e da un piano inedito da esso tracciato delle linee tettoniche di questa regione, del quale potei prendere visione per gentile condiscendenza dell’ A., risulta che nella parte di essa che si trova ad Est della grande sinclinale del Tevere le linee orotettoniche hanno un parti- colare comune comportamento per cui dalla direzione approssimati- vamente NhTO.-SSE che ne determina l’andamento a Nord fra i paral- leli 43,20' e 43,5'^ esse volgono a Sud di quest’ultimo verso Ovest fino ad assumere la direzione NNE.-SSO. Affettano questa forma curva la piega rovesciata dei monti Penna e Merlano che finisce coi rilievi dei monti Brunette e Serano,. sopra Campello, e l’altra, pure rovesciata, il cui nucleo forma la vette dei monti Nievo, Faeto, Aguzzo e Cologna. Più ad Ovest, fra la sinclinale della Vaitopina, che continua a Nord formando la conca di Gubbio, e quella della Valle Umbra, è compresa un’anticlinale che a Nord forma il monte di Urbino e passando presso Valfabbrica determina alla confluenza delle due vallate suddette il rilievo del Subasio. Il piano assiale di questo gruppo non è isoclinale con quello- delle pieghe accennate più sopra, ma deve ritenersi approssimativa- mente verticale; ciò è dovuto probabilmente al fatto che il regime degli sforzi che hanno originato i*l corrugamento di questa regione- è venuto modificandosi verso Sud, per modo da far variare la dire-, zione della spinta risultante da ENE.-OSO verso ESE.-ONO. Mentre* una tale variazione determinava la convergenza delle linee orotet- toniche a Sud, la parte terminale dell’ anticlin ale compresa fra le- due valli dovette necessariamente essere sottoposta ad una somma di sforzi che, pur provocando il sollevamento dell’anticlinale secondo- una data direzione dovuta all’orientamento della spinta maggiore^ IL MONTE SUBASIO 317' non permise tuttavia il prevalere di questa fino a causare J inclina- zione del piano assiale. Alla stessa causa forse è dovuta la frattura che provocò un evi- dente dislocamento nei terreni secondari lungo le pendici dei monti» da Trevi ad Assisi e che, verosimilmente, prosegue attraverso la Valle Umbra fino al punto di confluenza colla Valle Tiberina. Cosi può darsi che il rigetto esistente sul versante orientale dei. monti Tezio e Malbe sia pure dovuto allo stessa frattura (1). Condizioni tettoniche perfettamente simili s’incontrano verso Terni' nell’anticlinale che da monte Martano va a monte Torre Maggiore- costituendo il rilievo compreso fra la sinclinale della Valle Umbra e quella del Tevere, che oltre Todi volge verso Est. Qui pure le* sinclinali hanno una tendenza a congiungersi a Sud racchiudendo’ la regione dei monti Martani^ e qui pure esiste una frattura la cui orientazione è presso a poco parallela a quella della Valle Umbra;; essa mette in contatto i terreni del Secondario con quelli dei pianL superiori del Terziario. Nel Subasio l’effetto della rottura sul versante occidentale è evi- dente sol che si guardi la cartina geologica che correda questa nota.. Lo sprofondamento di un lato della cupola mise a giorno tutta la serie dei terreni descritti, più antichi del Senoniano; l’erosione' delle acque, facilitata da crepacci e fessure prodotte dallo stesso- scoscendimento, completò l’opera di denudazione incidendo le falde- dei monte specialmente entro i due valloni del Fosso delle Carceri e del Fosso Fenaro. Il dislocamento prodotto dalla rottura prende origine con_ tutta probabilità a Nord sotto Fonte Maddalena, e la sua presenza è qui rivelata dalla brusca flessione che hanno subito gli strati sul colle- di Assisi e precisamente in prossimità di questa città (2), flessione- che potrebbe far pensare ad una piccola piega monoclinale se non vi si opponesse la complicata tettonica del gruppo. (1) P. Principi, Osserv, geol. sul M. Subasio {Boll. Soc. geol. ital.. 2, 1909 )., (2) B. Lotti, Escursione nella Valle delle Carceri (presso Assisi) {Boll.. Soc. geol. ital.^ voi. XXXI). 318 ING. L FIORENTIN Passando sotto la vetta del colle S. Pnfìno, la frattura «segue entro la valle delle Carceri; qui il rigetto che determina il contatto dei blocchi di calcare massiccio del Lias inferiore cogli strati del Lias superiore e del G-iura è evidente specialmente sul lato sinistro >del Posso. Fig. 8. — Lato sinistro della Valle delle Carceri - Faglia. = Lias inferiore — Z^ = Lias superiore — g = Giura. Sul lato destro la faglia passa più in alto dislocando i terreni ■del Giura ; proseguendo, gli spuntoni di calcare neocomiano, che IL MONTE SUBA SIO 319 affiorano nella località detta Sasso Piano, segnano forse la linea di passaggio della stessa faglia. Più a Sud due lembetti di scaglia rossa che si trovano in con- tatto coi terreni del Lias e del G-iura, accusano, coll’inclinazione dei loro strati, che sono paralleli agli strati senoniani della parte superiore della cupola, lo spostamento subito dalla loro originaria posizione e sono forse testimoni di una più grande porzione di questo terreno sprofondato, in parte ora distrutta dall’erosione delle acque, in parte ricoperta dai detriti. Altri indizi del passaggio di una faglia s’incontrano lungo il Fosso Penaro; questo a circa 700 m. di altezza, presso la località dove venne aperta la cava di pietra litografica, si divide in due rami, dei quali l’uno, il principale, sale verso Madonna della Spella, l’altro piega a Sud: entro quest’ultimo si può osservare il contatto dei cal- cari del Lias medio colle marne e coi calcari della zona degli scisti a fucoidi. A questa vailetta corrisponde superiormente una sella a forma di conca il cui fondo è spesso occupato, come già ebbi a no- tare, dalle acque di un laghetto; tale depressione segna il limite della facies argilloso-marnosa della zona degli scisti a fucoidi : a ponente seguono i calcari bianchi del Cenomaniano che formano la vetta del monte Pietrolungo. La frattura avrebbe quindi prodotto un rigetto lungo una linea che dal Fosso Renaro per “ il Lago „ e S. Silvestro va a Collepino, isolando per cosi dire dal resto del gruppo il monte Pietrolungo che avrebbe subito in conseguenza un* abbassamento relativo. Se le complicazioni tettoniche ora accennate ripetano tutte la loro origine da una causa unica e siano contemporanee oppure se si debba ricercarne la genesi in particolari differenti sistemi di spinte determinatisi successivamente per cause locali, mi sembra assai diffi- cile di poter stabilire con certezza; tuttavia l’orientazione presso a. poco costante delle diverse fratture, che coincide approssimativamente con quella delle direttrici orotettoniche, ed il ripetersi del medesimo fenomeno colle stesse caratteristiche in località vicine, suggerisce l’idea che lo sprofondamento della parte occidentale della cupola sia- :320 ING. L. FIORENTIN stato provocato dalla permanenza delle stesse forze che determina- rono la formazione delhanticlinale, e che i rigetti che si presentano nelle diverse località siano avvenuti per cedimenti successivi degli .strati come conseguente add attamente alle nuove condizioni di equi- librio prodotte dalla rottura primitiva, e debbano quindi essere con- .siderati come effetto della stessa causa iniziale. I^OTA. — Durante una delle escursioni fatte sul Subasio dal Direttore del- l’Uffi-cio geologico, ing. Lotti, collo scrivente, vennero raccolti in questi strati "vari fossili che furono inviati per lo studio al prof. Parona. La determinazione specifica di essi, gentilmente comunicatami daH’ing. Lotti, ^.giunse dopo la compilazione del presente lavoro : perciò la riporto qui in appen- dice: Arieticeras retrorsicosta (Opp.), A. algovianum (Opp.); Hildoceras bo- scense (Reyn.), Harpoceras cornacaldense (Tausch.) (?); questi strati sono perciò riferibili al piano inferiore del Lias superiore — Domeriano — piuttosto che al piano superiore del Lias medio. La determinazione fatta dallo stesso chiarissimo professore, di altri fossih raccolti sopra Gabbiano rivela la presenza in quella località dei piani Toarciano ed Aleniano del Lias superiore; nel primo vennero raccolte le specie seguenti: Phylloceras Nilssoni (Heb.), Ph. doderleinianum (Cat.), Hildoceras {Lillix) Mercati (Hauer), Dumortieria Meneghini (Zitt.), Peronoceras subarmatuni (J. et B.), H animato ceras Victorii (Bon.) ; nell’ Aleniano fu raccolta la sola specie Catulloceras Dumortieri (Thioll.). SPIEGAZIONE DEI SEGNI a dr Ar/m/fTip. e rnamp. cwv ha/u^ calcarpt. niame' duTP con selr-e nord.. Sda/i caJcarPO an/itlosi FuripoJori ( actuflùi- cùuTFa ). (ìUfori rossi, marnosi ( scoglia rossa ) . Scis/i argillosi o calcartu rarirolon (srisfi a /ùroieh l. I li Ca/cart con selce (maioà'ca ^ Scisfì , ccUcari scislost e ritaspri con aptict . (altarf e scisti tossì e grigi con ninnìtmiti . Ca/carp Utogra/ico Calcari hianrhì ran selce /mrrnemttifiri Ca/cart' ÒioTu/n cerauli rtm ptuttcropotli S^roLr c/f /:r>0000 \ 'i fi j I Aliuttùmi /uviali. dt v.'v.'v.Xl Detriti. [ [ OioUoli e $abbi«. Sciiti caleareo-argilloti varicolori (gcagiia cintrta). o sr g j I I Calcari rotti mamoti (tcaglia rotta). cS 1 ils ^1 I I argilloti e calcarei varicolori {tcitti a fticoidi). 1 III il Calcari bianchi con tele» (maiolica). Sciiti, calcari teittoti e diatpri con aptiai. 5" J I I Calcari e tcitti rotti e grigi con ammoniti. ° 1 1 I Calcare litografico. I* Calcari bianchi con lelce ammonitiferi. I’ Calcari bianchi ceroidi con gatUropodi. Inclinazione degli tirati. ■* — ► Strati orizzontali. » Località fottUifere. ■ Cava di pietra litografica. O Sorgerla. Linee di faglia. Scala di 1 ; 60 000 V' À II. iNa. GUIDO PULLÈ IL MANGANESE DELLA REGIONE DI PORTOSCDSO (SARDEGNA) E LE FORMAZIONI TRACHITIGHE CHE LO ACCOMPAGNANO Lo studio dei terreni clie affiorano al limite occidentale dei mas- sicci antichi dell’ Iglesiente e del Sulcis, ha permesso di constatare che le manifestazioni vulcaniche posteoceniche dell’Occidente sardo dovet- tero estendersi per ampio tratto ad Est dei confini segnati dall’orlo di quel grande altipiano trachitico che limita a Mezzogiorno e a Ponente la linea di affioramento del bacino eocenico di Gonnesa. A Cuccuru Suergius, ed in altre località limitrofe fra Gon- nesa e Barbusi, la serie dei depositi psammitici e psefitici che ri- copre superiormente l’Eocene a lignite, ha conservato la potenza che aveva al momento in cui avvenne il fenomeno eruttivo appunto in virtù di una copertura lavica, i cui avanzi sono ancora oggi evi- denti. E quindi probabile che quelle roccie trachitiche che in regione di Portoscuso ricoprono i terreni di sedimento eocenico, abbiano ri- coperto la massima parte di queste stesse formazioni fino ai limiti del bacino in cui si deposero. La sovrapposizione delle roccie anogene ai terreni terziari è visi- bile in numerosi punti, non solamente lungo l’orlo dell’altipiano, ma anche in piena formazione eruttiva, dove alcune valli di erosione, nhe con breve corso discendono al mare, la incidono profondamente mettendo a nudo i terreni sottostanti. L’ing. Sartori ha reso nota una bella sezione naturale che può osservarsi attraverso il vallone del Dio Acqua sa Canna (1). La so- (1) F. Sartori, Res. Ass. Min. Sarda., anno Vili, n. 3. Igiesias, 1903. 322 ING. GUIDO PUDLÈ vrapposizione appare anche in alcuni valloni meno importanti di regione Garoneddn presso la scogliera che cala a picco sul Mediter- raneo (1). * * Le formazioni vulcaniche che riposano sui terreni di sedimento sono costituite da un’alternanza di tufi e di lave appartenenti a quel grande gruppo di roccie trachitiche che si estendono su tutta la parte occidentale della Sardegna da Capo Sperone a Castel Sardo sul golfo dell’Asinara. L’erosione ha potentemente lavorato su queste formazioni met- tendo a giorno le parti più profonde dell’espansione del magma e determinando un avanzato grado di alterazione negli elementi delle roccie. In regione di Portoscuso predomina una varietà di lava trachi- tica rosso-violacea sovrapposta ad un’assisa tufacea di notevole po-= tenza. Questa lava mostra una bella struttura tluidale subito rivelata da grandi cavità allungate e da nuclei di una sostanza bianchiccia e spugnosa. Tanto le bolle che i nuclei si ripetono in seno alla massa fino ad assumere delle proporzioni microscopiche , onde sembra probabile che le une e gli altri siano dovuti allo sviluppo dei gas che si estrinsecarono in seno al magma durante la sua consolida- zione (2). Finché la fluidità della lava fu tale da permettere una certa (1) La sovrapposizione delle tracciti all’Eocene in regione di Portóscaso è stata notata dallo stesso La Marmora {Voyage en Sardaigne^ III™® partie, tome I), il quale ha particolarmente osservato che le formazioni trachitiche di M. Sirai riposano in discordanza sui banchi dell’Eocene, come “ au Noraghe de sa Saracca près de Gonnesa^ où ils soni également récouverts de roche tra- chytique pag. 497). E la sez. Vili della tav. I dell’Atlante, da Nuraghe de sa Saracca a Capo Aitano, conferma questa sua maniera di vedere, contrariamente a quanto può apparire dall’esame dell’altra sezione data a pag. 245 del testo, la quale limita il bacino eocenico di Gonnesa all’orlo dell’altipiano trachitico, con riferi- mento al Siluriano di una molassa, probabilmente eocenica, che si osserva a Nuraghe de sa Saracca. Eu l’esame di questa sezione che indusse taluno a con- siderare come un fatto nuovo la continuazione dei terreni del Terziario inferiore sotto le trachiti di Portoscuso. (2) V. Sabatini, Boll. Soc. Geol.., 1896, pag. 491. IL MANGANESE DELLA REGIONE DI PORTOSCUSO, ECO. 323 permeabilità ai gas, la roccia ebbe tendenza a divenire spugnosa e si originarono i nuclei bianchi e pomicei, i quali sembrano talora simulare dei veri inclusi; quando il magma era già divenuto troppo pastoso perchè i gas potessero infìltrarvisi, si formarono delle bolle, le quali raggiunsero talora delle proporzioni ragguardevoli (fìg. 1). La forma allungata, e la disposizione parallela delle cavità e dei nuclei stanno a indicare che i gas seguirono il movimento della colata e furono trascinati con questa. Oltre agli pseudo-inclusi pomicei dovuti ad una differenziazione strutturale del magma, la trachite contiene dei veri inclusi andesi- tici, e dei noduli e delle vene di retinite e ossidiana. Questa lava si presenta sotto forma di una colata tabulare di- retta costantemente da N-N.O a S-S.E con inclinazione di 8 a 10^ verso Sud. La colata sembra aver avuto in origine una grande unif ornata di composizione e di struttura, la quale è stata parzialmente di- strutta da un processo di alterazione che si iniziò dapprima alla superfìcie esterna dei banchi, dando luogo alla formazione di ripide balze e di blocchi arrotondati apparentemente divisi dal reso della colata ; quindi penetrò nella massa mutando notevolmente i caratteri 3 324 ING. GUIDO PULLÈ Fig. 2. — Trachiti vacuolari alterate di reg. Chilotta. L’esame microscopico, condotto sopra una serie di campioni rac- colti qua e là dove la roccia si mostrava meno alterata, lia rivelato i caratteri di una trachite quarzifera (v. tav., fìg. 1) a struttura flui- dale ben marcata. I fenocristalli sono essenzialmente feldspatici. Il quarzo di prima consolidazione è assai raro; nè abbondano gli elementi ferro-ma- gnesiaci, corrosi, dove esistono, dal magma, e quasi completamente trasformati in magnetite ed augite. Si potè determinare qualche lamella di mica nera, energicamente pleocroica, con inclusioni di piccoli prismi di apatite. L’apatite si trova anche come inclusione nei feldspati. Questi sono essenzialmente riferibili alla sanidina, all’anortosa e all’oligo- litologici della formazione e originando dei porfidi argillosi difficil- mente distinguibili dai tufi (fig. 2). i ^ • I ■ IL MANGANESE DELLA REGIONE DI PORTOSCUSO, ECO. 325 =clasia. Nei geminati polisintetici, per le misure fatte nella zona per- pendicolare a (010), si notò tuttavia qualche massimo di estin- zione superiore a 5®, che rivelò la presenza di plagioclasi più basici dell’oligoclasia. Il fondo è assai vetroso, con rari accenni a principi di struttura microlitica e microfelsitica. Spesso si ha una granulazione di mine- Tali bianchi dovuti di preferenza a quarzo del magma. Talvolta la pasta è interamente vetrosa e la trachite fa passaggio a belle va- rietà retinitiche (v. tav., fìg. 2) e perlitiche. La colata trachitica descritta riposa sopra una specie di tufo (fìg. 3) Fig. 3. — M. Cirfìni. Contatto fra le trachiti e i tufi. -ora conglomeratico, ora cineritico, di colore roseo o biancastro, ricco in feldspati più o meno ridotti in frammenti (tav. I, fìg 3). Si in- contrano le stesse varietà feldspatiche notate nella trachite sopra- stante; tuttavia l’anortosa sembra predominare. 326 ING. GUIDO PULLÈ Il Fouqué (1) ha notato che questi cristalli di anortose sono rimar^ chevoli per l’assenza di calce e per la loro ricchezza in potassa; talché potrebbero prendersi per delle sanidine, se non se ne diffe- renziassero per il maggior valore dell’angolo degli assi ottici e per- l’estinzione a 9® da pg^ in (010). Il tufo contiene abbondanti inclusi di trachite, retinite e pomice.- Un incluso di retinite fu studiato dal Bertolio (2), il quale vi notò gli stessi elementi costitue'nti da noi riscontrati nella trachite va- cuolare, con le stesse inclusioni andesitiche, e la presenza di augite aegirinica formatasi posteriormente ai feldspati. Ciò confermerebbe l’ipotesi emessa dal La Marmora (3) che delle dislocazioni e dei rimaneggiamenti siano avvenuti nei tufi non ancora coerenti durante- le prime eruzioni della trachite che loro si sovrappose, in seguito a cui una parte del materiale lavico restò inglobata nei tufi stessi. E però probabile che alcuni inclusi trachitici derivino da una eruzione la quale dovette precedere la proiezione del materiale fram- mentario che dette origine all’assisa tufacea. I prodotti di questa eruzione si dovettero espandere sopra una superfìcie relativamente- limitata, mentre i tufi superiori si estesero maggiormente venendo a diretto contatto coi terreni eocenici. La deposizione avvenne in senso orizzontale e in leggera discordanza di stratificazione colle formazioni sedimentari; poi i terreni inclinarono sensibilmente a S.O in seguito a movimenti tettonici direttamente collegati coll’eruzione delle trachiti. * * Le due formazioni descritte, in regione di Porto Scuso, formano la quasi totalità di un vasto altipiano che, scendendo dalle località dette della Torretta e di Corona Maria ò limitato a Sud e ad Ovest (1) T. Touqdé, Contribution à Vétude des feldspaths des roches volcaniques' {Bull, de la Soc. Frang. de Minéralogie, t. XVII, nov. 1891, pag. 409). (2) S. Bertolio, Contribuzione allo studio dei terreni vulcanici della Sar- degna, {Boll. R. Corri. Geol.., anno 1896, n. 2). (3) La Marmora, op. cit., pag. 482. IL MANGANESE DELLA REGIONE DI PORTOSCUSO, ECC. 327 ^dalle sabbie di duna. Ma, mentre la formazione tufacea non si estese probabilmente in origine al di là dell’orlo superiore di questo altipiano, i limiti della copertura lavica furono invece retrocessi fino ad esso dal suc- cessivo lavoro della erosione. Ciò spiegherebbe perchè i tufi, i quali raggiungono talora una potenza di 40 m., affiorino saltuariamente, e sotto un piccolo spessore, lungo questo stesso limite orientale. Alcuni affioramenti di una trachite rossa, compatta, a magma molto vetroso, sembrano accennare a quel periodo di eruzioni lavi- che, che dovettero precedere, come sopra si è accennato, il deposito dei tufi, al quale fecero seguito prima l’eruzione delle trachiti va- ^cuolari. e poi altre proiezioni di materiale frammentario ed altre eruzioni di lava. Percorrendo la costa da Porto Scuso alle foci del Rio Perda Maiori è facile farsi un’ idea della successione delle colate e persua- dersi che i tufi gialli e rosei di Capo Aitano, friabilissimi e pulve- / rulenti, e ricchi di inclusi delle formazioni sottostanti, sono poste- riori alle trachiti descritte ed anteriori a quelle grigie, compatte, di Crobettana Manna. Ma ci basti l’aver qui semplicemente accennato a queste diverse formazioni, non essendo nostro scopo di dare una descrizione geolo- gica e petrografica di questa interessante regione, la quale, per ba- sarsi sui resultati di osservazioni parziali, riescirebbe necessaria- mente incompleta. Quanto abbiamo detto potrà essere sufficiente all’interpretazione di un fenomeno metallifero che si osserva di preferenza al contatto delle trachiti vacuolari coi tufi sottostanti, quantunque non affatto •caratteristico di questi due speciali orizzonti vulcanici (1). (1) Al di sopra delle trachiti di Porto Scaso non appariscono altre formazioni all’ infuori di alcuni avanzi di panchina quaternaria, associata a dei sabbioni gial- lastri. Questa panchina, a stratificazione discordante, di carattere litoraneo e per- fettamente analoga a quella che affiora a Fontana Morimentu e a Porto Paglia, •e, in generale, sulle coste del Mediterraneo, è da distinguersi da alcune sabbie agglomerate, con principio di stratificazione, provenienti da una cementazione più recente del materiale di disfacimento delle roccLe vulcaniche della regione. Finalmente si hanno le sabbie di duna che avanzano da S O, ricoprendo per ampio tratto i tufi e le lave fino alla prima balza dell’altipiano. 328 ING. GODO PULLÈ La regione di Porto Senso è stata la sede di nn interessante fenomeno di mineralizzazione per cui si originarono nelle roccie tracliitiche delle impregnazioni e delle vene di manganese, la cui presenza era stata notata da tempo per i numerosi frammenti di psilomelano che lungo i corsi delle valli si trovavano commisti ai detriti delle roccie. Una serie di lavori di esplorazione recentemente intrapresa sulle- traccie di vecchie ricerche, ha confermato la diffusione del minerale in questi terreni. I saggi sono stati iniziati in varie località lungo le valli del Pio Strurruliu, del Pio s’Acqua Estadi e presso il villaggio di Xuraxi Eigus; ma le ricerche hanno preso uno sviluppo particolarmente interessante a Punta Majorchina (1). Delle trincee profonde ed una galleria di ribasso, aperte sul ver- sante occidentale della montagna, hanno messo a giorno una grande quantità di fìloncelli di piccolo spessore, i quali si iniziano quasi sempre al contatto della trachite quarzifera col tufo bianco, cao- linizzato, su cui questa riposa (lig. 4, 5). Fig. 4. — Balze trachitiche di P.ta MaiorchiBa. (1) Rivista Servizio Minerario. 1909, pag. 222 ; 1910, pag. 78; 1911, pag. 88. IL MANGANESE DELLA REGIONE DI PORTOSCUSO, ECO. 829 Fig. 6. — Punta MaiorcMna. Vene nianganesifere. La loro potenza è assai variabile, ma sempre molto piccola, poiché oscilla fra i 2 e i 20 cm., raggiungendo raramente il li- mite superiore. Talvolta si hanno delle concentrazioni in arnioni di 20 o 30 cm. che allargano localmente le vene, ma queste si riducono subito di potenza per scomparire completamente a pochi metri di profondità. Questi fìloneelli sembrano appartenere a due sistemi distinti di fenditure, l’uno diretto approssimativamente N-S, Taltro IN’-GO^^-E, ambedue con immersione quasi verticale (fìg. 6). Fig. 5. — Tufi caolinizzati di Punta Afaiorcliina. 330 ING GUIDO PULLÈ Il minerale si presenta sotto forma di psilomelano mamellonare, apparentemente privo di ganga, e separato dalla roccia incassante per mezzo di una sottile crosta silicatica, impregnata di ossidi di ferro. P.ta Maiorchina 163 m. Fig. 7. — Sezione schematica N-S del giacimento di Punta Maiorchina. Tr: trachiti — tufi — mn-. concentrazioni e vene manganesifere. Se però il minerale non ha ganga differenziata, esso si trova in realtà commisto ad una quantità ragguardevole di quarzo, di cri- stalli feldspatici e di minuti frammenti di trachite e di tufo. Tutte queste impurità sono cosi intimamente disseminate nella sua massa che i più minuti elementi non sono visibili ad occhio nudo. L’esame microscopico rivela che le impurità ripetono la natura delle roccie ambienti o dei loro elementi, e che quindi subirono un trasporto meccanico restando inglobate nel minerale come in un cemento all’atto della deposizione di questo. I cristalli feldspatici sciolti sembrano essere prevalentemente riferibili all’anortosa e pro- vennero forse dai tufi, che più facilmente poterono essere disaggregati dalle acque (v. tav., fig. 5 e 6). In conseguenza di queste impurità, il minerale di P.ta Maiorchina si presenta molto ricco in silice. Un campione da me prelevato, e gentilmente sottoposto ad analisi dall’egregio Dott. Filippo Ratto, IL MANGANESE DELLA EEGIONE DI PORTOSCUSO, ECO. 881 nel laboratorio del Regio Ufficio Gieologico, ha dato i seguenti ri- sultati : 88.70 SiO^ 37.08 CaO 1.42 BaO 1.75 Fe^O» 1.56 AW 9.36 TiO" 0.15 Na"0 2.10 K^O 3.05 Perdita al caler rosso 5.40 100.57 In Reg. s’Acqua Estadi le concentrazioni manganesifere comin- ciano ad apparire nella trachite stessa (v. tav., fìg. 4), ma quasi sempre alla parte inferiore della colata, dove questa presenta nu- merose fenditure che tendono a dividere la roccia in grossi prismi irregolari. Nella valle del Rio Strurruliu il minerale sembra essersi depo- sitato in condizioni alquanto differenti, perchè mentre diventano più rari i cristalli feldspatici sciolti ed i minuti frammenti di trachite c di tufo, abbonda un materiale detritico di natura più grossolana che ha dato luogo a bei fìloncelli brecciati di 15 a 20 cm. di po- tenza. Il diverso stato della ganga potrebbe rendere più facile Tarric- chimento del minerale. La mineralizzazione però è meno diffusa che a P.ta Maiorchina, ed anche qui dispare completamente a pochi metri di profondità. * * ^ Il ripetersi di questo fatto induce a pensare che le vene man- ganesifere di Porto Scuso non siano altro che il prodotto di una concentrazione operatasi, per azione degli agenti superficiali, sui sali di manganese venuti a giorno colle trachiti e da queste liberatisi in seguito ad un processo di estrazione magmatica. 332 ING. GUIBO PULLÈ La lava tracliitica ci sta infatti a rappresentare una scoria 'silica- tica la quale, in ragione della propria acidità, e col concorso dei metalloidi volatili che debbono necessariamente abbondare nella zona più profonda della litosfera, potè facilmente assorbire in questa stessa zona una certa dose di manganese, il quale, associato a pic-^ cole quantità di bario, magnesio e calcio, ed a quantità più o meno grandi di ferro, trovò la via di venire a giorno, come costi- tuente accessorio del magma. Durante il periodo di consolidazione della roccia, i sali manga- nesiferi, che probabilmente si trovavano allo stato di silicati, facil- mente si decomposero e subirono l’azione di dissolventi energici che facilitarono un primo trasporto ed una prima concentrazione del mi- nerale in seno alla roccia madre. Le acque calde e ricche di mineralizzatori, che abbondarono nella regione come manifestazione postuma dell’attività vulcanica dopo la consolidazione delle trachiti, continuarono poi questo processo di estrazione, e il metallo, rimesso in movimento per le reazioni capil- lari cui la roccia venne sottomessa per porosità, si concentrò sempre più dando luogo a formazione di ossidi meno stabili dello psilome- lano. In una fase più recente questi ossidi furono alla lor volta disciolti delle acque di superficie, ed un nuovo spostamento tenne dietro a questa dissoluzione permettendo la precipitazione del metallo non appena furono soddisfatte le condizioni capaci di dar luogo ad una perossidazione dei sali in soluzione. Ciò avvenne di preferenza al contatto delle trachiti coi tufi argil- losi sottostanti, le cui fenditure funzionarono da piani di drenaggio delle acque sotterranee. I tufi argillosi, costituendo infatti un’assisa impermeabile rispetto alle trachiti, determinarono una falda acquifera, e le acque, non po- tendo discendere al disotto del livello idrostatico cosi determinato, precipitarono per saturazione e perossidazione i sali metallici che avevano disciolti nel loro cammino. Queste acque, raccolsero il materiale detritico che si distaccava IL MANGANESE DELLA EEGIONE DI PORTOSCUSO, ECO. 833 dalle pareti dei filoni, una parte de] quale rimase poi inglobato nel minerale all’atto della sua deposizione, originando le impurità cui abbiamo altrove accennato. ❖ Un’obbiezione che si potrebbe fare a questa teoria genetica, è che la quantità di manganese contenuta nelle trachiti vacuolari è rela- tivamente piccola. All’analisi la trachite di P.ta Maiorchina ha rivelato infatti 0.19 7o. di manganese. Però è noto che delle traccie anche infime di questo metallo, per azione delle acque di pioggia, arrivano a costituire delle incrostazioni nel volgere di pochi mesi. Se quindi si tiene conto non solamente del limite di tempo in cui possono essersi formate le concentrazioni di Porto Scuso, ma anche del fatto che la quantità di manganese attualmente esistente- nella roccia madre non è che il residuo di una estrazione, la quale- può essersi operata sopra una proporzione molto maggiore di metallo, . il valore dell’obbiezione ci sembra molto diminuito (1). ^ si: Abbiamo detto che il fenomeno metallifero non è affatto carat- teristico di quello speciale orizzonte con cui è visibilmente collegato- a P.ta Maiorchina e nelle regioni limitrofe. (1) In un recente Memoriale a stampa (Tip. Edit. Iglesiente, Iglesias, 1913) dell’Ing. Agostino Busachi, sono esposte alcune considerazioni sui giacimenti di Nuraxi Eigus e Punta Maiorchina, i quali sarebbero, secondo l’autore, netta- mente filoniani e proverebbero, da una specie di estrazione non dalle roccie eruttive che accompagnano il giacimento^ ma da quelle che probabilmente esi- stono sotto e che costituiscono la parte più profonda del magma eruttivo. Questa genesi non sembra a noi compatibile con la disparizione costante in profondità delle vene manganesifere. Tuttavia crediamo doveroso ricordarla, l’eiiregio Ing. Busachi essendosi occupato a lungo e con profonda conoscenza dei., giacimenti manganesiferi della Sardegna. -334 ING. GUIDO PULLÈ Traccie di manganese appaiono infatti nei tufi di Capo Ai- tano al contatto colle trachiti di Orobettana Manna ; e anche al di fuori della regione di Porto Scuso, numerosi sono gli affioramenti manganesiferi in visibile relazione colle diverse eruzioni di trachiti posteoceniche. Basti ricordare quelli dell’isola di San Pietro e quelli di minore importanza di Ittiri, Osilo, Ozieri, Castelsardo e di molte -altre località della Sardegna. Le condizioni di sedimentazione che determinarono la forma- zione del noto giacimento pirolusitico di Capo Becco nell’isola di -San Pietro (1) furono però assai più complesse di quelle che origi- narono le concentrazioni di Porto Scuso e le vene e i noduli di -analoga formazione che si incontrano a Gruardia dei Mori, ai Bombi ed in altre località della stessa isola di San Pietro. * * * Belativamente alla quantità di minerale esistente in regione di Porto Scuso, non è facile fino ad oggi esprimere un esatto parere. La mineralizzazione è notevolmente diffusa, ma finora non furono messe a giorno concentrazioni tali da alimentare serie speranze di successo in giacimenti di questo genere, la cui rapida disparizione in profondità può rendere instabili e precarie le coltivazioni. Del resto i resultati di più ampi la\rori di esplorazione e molti altri fattori d’indole tecnica ed economica, che qui non è il caso di considerare, potranno notevolmente influire sulla determinazione del valore reale del giacimento. Poma, marzo 1913. (1) E. Halse, The Manganese deposit of thè islet of San Pietro, Sardinia '(North. of England Institute of mining and meclianical Engineers, Transactions, voi. XXXIV, 1884-85). S. Bertolio, Appunti geologico-minerario sull’isola di San Pietro {Sar- degna), (Boll. R. Comitato Greologico, 1896, n. 4). BOLL R. COM. GEOL D’ITALIA, VOL XLIII ING. G. PULLÈ — Il mang. della reg. di Portoscuso ecc. 5 6 È ii . I IL MANGANESE NELLA REGIONE DI PORTOSCUSO, ECO. 335 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Trachite vacuolare di Pia Maiorchina. Cristalli feldspatici. Diffe-- renzione del magma. - Ingr, 36 d. - Luce, naturale. 2. Retinite nera di Pia Maiorchina. Feldspati, biotite e prodotti di alterazione degli elementi ferro-magnesiaci. Parte vetrosa a strut- tura fluidale. - Ingr. 36 d - Luce naturale, 3. Tufo trachitico di P.ta Maiorchina. Feldspati con inclusioni di apa- tite. Biotite. Ossidi ferriferi, ecc. - Ingr. 36 d. - Luce naturale. 4. Trachite manganesifera di Rio s’ Acqua Estadi. Struttura fluidale. - - Manganese e ossidi ferriferi. - Ingr. 36 d. - Luce naturale. 5 e 6. Minerale di manganese di P.ta Maiorchina. Inclusioni feld- spatiche e quarzose. - Ingr. 36 d." - Luce naturale. III. POMPEO MODERNI CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL SOTTOSUOLO DELL’ESTUARIO VENETO Le isole delFEstuario Veneto non hanno, come si sa, altra acqua per gli usi domestici, all’infuori di quella meteorica raccolta in cisterne, più o meno coperte e non sempre rivestite internamente di cemento. A fornire dette isole, di acqua potabile migliore, due progetti SODO stati ripetutamente studiati dalle autorità governative e dai Consigli dei diversi comuni interessati: aumentare la por- tata dell’acquedotto di Venezia con un altro sifone e diramare que- st’acqua alle isole; 2® provvedere di acqua le isole mediante lo scavo di pozzi trivellati. Il primo progetto si presenta assai costoso, ma di esito sicuro; il secondo sarebbe molto meno costoso, ma di esito incerto. Stante la differenza grande nel costo per l’eseguimento dei due progetti, si volle tentare la trivellazione di parecchi pozzi, alcuni dei quali incontrarono acqua saliente fra i 100 e i 200 metri di profondità, altri, benché a poca distanza dai primi, non trovarono acqua affatto ; quasi tutti poi, fra i 100 e i 200 metri, ebbero svi- luppo di gas infiammabili e qualcuno anche con forte proiezione di sabbie, spinte fuori dai gas stessi a forte pressione che, come in un quar- tiere di Venezia, provocarono franamenti e lesioni nei fabbricati vicini. Nel 1911, durante una recrudescenza dell’epidemia colerica, si dovettero far chiudere tutti i pozzi di varie isole, fra cui quella di Pellestrina, rifornendole d’acqua con le cisterne galleggianti della R. Marina, che giornalmente, ma non abbondantemente, gliela por- tavano da Venezia. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL SOTTOSUOLO DELl’eSTUARIO VENETO 837 Qualcuno che aveva veduto in azione a Foggia la grande tri- vella Express^ di proprietà del Ministero di agricoltura, e sapeva che in 27 giorni di lavoro aveva potuto perforare nelle argille plio- ceniche un pozzo di 225 metri di profondità, propose che si tentasse la perforazione di un pozzo anche nell’isola di Pellestrina. La proposta fu subito accolta, tanto più che pochi mesi prima, l’autorità militare aveva fatto perforare un pozzo artesiano nella stessa isola, per fornire d’acqua uno dei forti che sono a difesa del porto di Malamocco, e tale pozzo, a metri 118,90 di profondità, aveva tro- vato acqua saliente. L’acqua non era in grande quantità, (25 litri al minuto primo, che diminuisce di poco durante la notte), ma suffi- ciente ai bisogni del forte; conteneva una leggiera quantità di gas acido solfìdrico, ma non era disgustosa al palato. L’isola di Pellestrina è formata dallo stretto cordone litoraneo, o, per essere più esatto, dalla ruga più alta ed emergente fuori dalle acque, del cordone litoraneo che separa il mare dalla laguna, fra l’imboccatura del porto di Malamocco e quella del porto di Chioggia. Questa ruga emergente dalle acque, non solo è assai stretta (in qualche punto raggiunge appena i 50 metri di larghezza ed all’e- stremità Sud si restringe ad una ventina di metri appena), ma è anche assai bassa, tanto che per impedire alle onde del mare di passarvi sopra, modifìcandone continuamente la forma o spezzan- dola in più isolette, dalla parte del mare, lungo tutta l’isola, fu innalzato dalla Repubblica veneta un terrapiano di circa tre metri di altezza, rivestito di muro inclinato a 45^, fatto di grossi pezzi squadrati di calcare cretaceo, trasportato probabilmente dalla costa dalmata. Questa colossale costruzione, che si estende per molti chi- lometri ed è difesa da una scogliera artifìciale, viene chiamata in paese 1 Muracci. Incaricato della direzione dei lavori di perforazione, su questo cor- done litoraneo, d’un pozzo che avrebbe dovuto raggiungere i 200 metri di profondità, fìn dal primo momento constatai che la trivella Express a sistema idrico, di proprietà del Ministero di agricoltura, non era adatta a perforare potenti formazioni di sabbie; però sul principio 338 POMPEO MODEENI non perdetti la speranza di poter raggiungere almeno la profondità di 120 metri e verificare se Facqua saliente incontrata nei dintorni di S. Pietro in Volta, in uno dei forti che, come si disse, difendono il porto di Malamocco, apparteneva ad un livello acquifero costante e si estendeva fino a Pellestrina, distante da quel punto di oltre cinque chilometri. Ogni sforzo fu inutile, man mano che il pozzo si approfondiva le difficoltà aumentavano, finche giunta la perforazione a 53 metri di profondità, il funzionamento della macchina si arrestò e si dovette rinunziare a continuare con il sistema idrico l’appro- fondimento di quel pozzo. Nell’assumere la direzione del lavoro, avevo preso le necessarie disposizioni per eseguire, il più esattamente possibile, il rilevamento della sezione del pozzo e lo studio petrografico di tutto il materiale che avrei incontrato nella perforazione; le vicende però della lavo- razione hanno impedito che il mio progetto avesse esecuzione e per conseguenza di poter fare oggi una descrizione documentata del sottosuolo dell’Estuario fino a 200 metri di profondità. Per quanto i dati raccolti e le osservazioni fatte siano ben poca cosa, in con- fronto di quelli che avrei voluto raccogliere e fare, pur tuttavia ho creduto che potesse essere utile la loro pubblicazione. Le rocce attraversate con la perforazione di questo pozzo, sca- vato entro l’abitato di Pellestrina e precisamente su la piccola piazza denominata Campiello dei tre gobbi, sono le seguenti: fino a 3 metri di profondità, fanghiglia turchiniccia de] fondo di laguna, impre- gnata di acido solfidrico perchè contenente alghe, pezzi di legno ed altro in putrefazione. Da 3 a 5 metri, sabbia grigio-giallognola delle dune attuali con conchiglie marine. Da 5 a 16 metri, sabbie tur- chine, finissime come smeriglio, ricche di, mica gialla e nera con rari pezzetti di augite e molte conchiglie marine; queste sabbie conten- gono pure ciottoli di trachite di color bianco-giallastro, dovuto evi- dentemente all’alterazione della roccia. Da metri 16 a metri 21,50,. argille turchinicce intercalate da due piccoli strati di sabbia gros- solana giallastra. Poi è cominciato un intercalamento di piccoli strati di argilla e di sabbie turchine, più raramente giallastre, con CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL SOTTOSUOLO DELl’eSTUARIO VENETO 339 prevalenza ora di argilla ora di sabbia e cosi fino a 37 metri. Da 37 a 53 metri, la prevalenza è stata decisamente sabbiosa, ma ad un occhio esercitato non poteva sfuggire la presenza di esili stra- terelli di argilla, rivelata dal colore e dall’untaosità speciale del- l’acqua di spurgo, come anche da una specie di vellutamente che le sabbie offrivano al tatto, appena depositatesi dalle acque nell’u scire dal foro. Intercalati alle argille ed alle sabbie si attraversa- rono piccolissimi strati di torba, e fra i 31 e 37 metri se ne attra- versò uno maggiore che, da quanto si è potuto giudicare, doveva avvicinarsi ad un mezzo metro di potenza. Antecedentemente a questo tentativo di pozzo trivellato, ne era stato fatto anche un altro nell’abitato stesso di Pellestrina, distante un paio di chilometri da questo secondo descritto. Il primo pozzo, eseguito da una ditta privata per conto del Comune di Pellestrina, raggiunse la profondità di circa 80 metri : anche qui si attraversa- rono sabbie ed argille però non con la stessa successione e con la potenza da me indicate. Se i dati contenuti su i campioni conse- gnati dalla ditta assuntrice del lavoro, fossero attendibili, essi rive- lerebbero che i banchi di sabbie e di argille nel sottosuolo di Pel- lestrina hanno la forma lenticolare e perciò alcuni non sarebbero comuni ai due pozzi, altri avrebbero una potenza diversa. Pur troppo però, quando si tratta specialmente di rocce non lapidee e che si intercalano con strati aventi piccolissima potenza, non si può pre- tendere da queste ditte assuntrici di lavori di perforazione, la presa dei campioni con quella scrupolosa esattezza e competenza indispen- sabili per ottenere una sezione del foro sufficientemente appros- simata. 11 capitano del genio, direttore dei lavori di perforazione del pozzo trivellato, già ricordato, situato in uno dei forti del porto di Malamocco, mi assicurava che in quel punto non furono attraver- sate argille di sorta, ma soltanto sabbie. (1) Le argille quindi incontrate (1) Il pozzo, scavato completamente nelle sabbie, fu eseguito dalla ditta Piana: veniva iniettata dell’acqua nel foro, quindi si affondavano i tubi di ri- 4 340 POMPEO MODERNI nei due tentativi di pozzi trivellati, perforati entro l’abitato di Pel- lestrina, non si estenderebbero fino all’estremità settentrionale del- l’isola. Avrei potuto procurarmi ed aggiungere qui i dati geognostici degli altri pozzi perforati a Venezia ed al Lido, ma questi dati, non presi sistematicamente per lo studio delle sezioni di quei punti, non avrebbero avuto che un valore molto relativo. Dati, invece, interes- santi, sono quelli che si riferiscono alle differenti profondità alle quali furono incontrate le acque nei diversi pozzi ; o il non averne incontrata affatto in un pozzo situato a breve distanza da altro che aveva dato acqua saliente. Questo ultimo fatto esclude che le acque incontrate alle varie profondità, possano rappresentare dei veri livelli acquiferi; e nemmeno si possono considerare queste acque come pro- venienti da tasche o serbatoi sotterranei, perchè qualcuno di tali pozzi, attivo già da diversi anni, sarebbesi ormai esaurito. Esistono nelle alluvioni delle vallate, strati di sabbia (sola o mescolata a pic- cola ghiaia) di forma lenticolare e irregolarmente distribuiti come, più o meno nella figura qui unita: questi strati contengono del- l’acqua, alle volte sotto pressione perchè scendente dall’alto, e che perciò possono dare acque perenni. Il fenomeno che si verifica nelle isole dell’Estuario dipende forse da un altro fatto: nelle alluvioni delle vallate vi sono a profondità vestimento battendoli ; dall’interno di essi si estraeva poi la sabbia con cuccbiare speciali. Con questo sistema si otteneva una perforazione media di 6 metri al giorno. La ditta dovette fare due tentativi. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL SOTTOSUOLO DELl’eSTUARIO VENETO 841 diverse, antichi letti di fiumi che oggi funzionano da gallerie filtranti, -e nei quali, andando a cadere la trivellazione di un pozzo danno acqua saliente. Questo fatto si è constatato nella media valle del Po e perciò dovrebbesi ritenere che al disotto della laguna passas- sero appunto questi antichi letti di fiumi, la cui disposizione deve avere una certa rassomiglianza con quella della sezione qui unita. Questa ipotesi è avvalorata dagli studi del sottosuolo della valle padana fra i quali interessantissimo quello dello Squinabol. In un pozzo artesiano perforato a Villafranca Padovana (1), cioè ad una •distanza in linea retta di chilometri 42,50 da Venezia, furono attra- versati tre sedimenti fiuviali accompagnati da torba e legni, evi- dentemente finitati, fino alla quota di metri 76,20 sotto il livello del mare, e dai quali si ebbe acqua saliente. Anche il Pantanelli (2) •cita i pozzi perforati che attingono acqua dalla parte più profonda del conoide del Secchia, la profondità dei quali raggiungerebbe i 50 metri sotto il livello del mare. Lo stesso autore in altra sua pub- blicazione (3) dimostra che il corso del Po in tempi forse storici, certameiite non molto lontani dalle prime colonizzazioni romane della destra del Po, doveva correre assai più a Sud del corso attuale e sboccare in mare a Ravenna; quindi passando all’e- same della distribuzione dei materiali detrici nelle potenti allu- vioni che ricoprono la valle del Po, viene alla conclusione che il movimento del suolo, almeno per la riva destra del fiume, dovette essere di sprofondamento nella parte centrale e di sollevamento su i fianchi, ossia che i punti di una linea tracciata su la superficie, nei primordi dell’epoca quaternaria, trasversalmente alla valle del Po, oggi si troverebbero sopra una linea fortemente concava pro- fonda oltre trecento metri nella parte centrale, rialzata dalla primi- (1) Squinabol S., Alcune osservazioni sul pozzo artesiano di Villafranca Padovana [Atti e Memorie della R. Acc. di Re., Leti, ed Arti di Padova, voi. XVIII), Padova, 1902. (2) Pantanelli D., Sui pozzi modenesi {Rend. del R. Ist. lomb. di Se. e Lett., serie 2% voi. XXXI), Milano, 1898. (3) Pantanelli D., / terreni quaternari e recenti delV Emilia {Atti della R. Acc. di Se., Lett. ed Arti in Modena, serie 2^, voi. IX), Modena, 1893. 342 POMPEO MODERNI tiva posizione dove le ultime colline plioceniche si raccordano con il piano. Citerò da ultimo l’importante pubblicazione del Salmoj- raghi (1) nella quale, dopo uno studio analitico del materiale, viene alla conclusione che la sabbia fluviale quaternaria di Sansego e attigui giacimenti nel Guarnero, per la sua natura mineralogica diversa da quella delle sabbie di spiaggia dalla Dalmazia a Venezia,, ed eguale a quella della sabbia del Po e litorale italiano Ano agli Abruzzi, non può derivare che da un’area scisto-cristallina. Nessun area di tale costituzione rispondendo, nelle regioni flnitime, alle condizioni idrografiche richieste e possibili nel Quaternario, tranne quella delle nostre Alpi, la sabbia di Sansego deve derivare neces- sariamente dalle nostre Alpi e il fiume che la depose non può essere che il Po : un Po plistocenico, che si spingeva fino al Guarnero accogliendo la confluenza dei fiumi veneti e primo fra essi dell’Adige sicché gli elementi minerali che questo fiume toglieva alle Alpi trentine si mescolavano a Sansego con quelle che il Po trasportava dalle Alpi occidentali. Questi fatti ed altri dello stesso genere che si potrebbero citare,, permettono, parmi, di considerare le acque salienti trovate con i pozzi trivellati, perforati a Venezia e nelle isole vicine, come provenienti dai letti di antichi fiumi, che attraversano, a profondità varie, il sot- tosuolo dell’Estuario. I materiali costituenti il cordone litoraneo su cui trovasi Pelle- strina, evidentemente devono essere stati trasportati per la massima parte dal Brenta, la cui fDce trovasi poco a Sud di Chioggia. Infatti,, l’abbondanza della mica gialla e nera, indica chiaramente la sua provenienza perchè appunto i materiali del letto del Brenta sono- ricchi di miche (2). Anche i ciottoli di trachite, che provengono sicu- ramente dai Colli Euganei, appartengono ai materiali di trasporto del Brenta. Alla costituzione dell’isola di Pellestrina devono però (1) Salmojraghi r., Sull’ origine padana della sabbia di Sansego nel Guar- nero {Rend. del R. Ist. lomh. di Se. e Leti., Ser. 2'‘, voi. XL), Milano, 1907. (2) De Toni F., Studio mineralogico della sabbia della Piave (E,. Magi- strato alle acque, ufficio idrografico, pubblicazione n. 2), Venezia, 1910 CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL SOTTOSUOLO DELl’eSTUARIO VENETO 843 .aver concorso, sebbene in proporzioni minori, anche i materiali trasportati dal Piave. Il De Toni (1) dice che (Caratteristica per la sabbia del Piave è la frequenza dell’augite, proveniente assai probabilmente dai porfidi dell’alto Agordino, sicché i rari frammenti di augite trovati assieme alle miche, nelle sabbie turchine di Pellestrina, potrebbero indicare la presenza di materiali trasportati dal Piave. Devo aggiungere però che ai Colli Euganei vi sono trachiti contenenti dell’augite (2j -chiamate dal Bertolio (3) trachiti con mica nera ed augite, e dal Billows (4) classificate come trachiti anortoclasico-biotitiche dalle -quali pure potrebbero provenire i frammenti di augite delle sabbie di Pellestrina. Del resto, si comprende facilmente come per costituire il cor- done litoraneo che separa il mare dalla laguna, devono aver contri- buito, con i loro materiali di trasporto, tutti i fiumi che a breve distanza hanno le loro foci a Nord e Sud della medesima, in pro- porzioni varie, a seconda delle correnti marine dominanti in questo o in quel momento. (1) De Toni A., opera citata. (2) Maddalena L., Contributo allo studio geologico e petrografico dei Colli Euganei (Atti della Soc. ital. di Se. Mai., voi. XLIX), Pavia, 1910. (3) Bertolio S., Note sur quelques roches des Collines Euganéennes {Bull, de la Soc, géol, de France, troisième sèrie, XXI), Paris, 1893. (4) Billows E., Su alcune trachiti anortoclasico-biotitiche degli Euganei k{Rìv. di Min., voi. XXXII), Padova, 1905. IV. RELAZIONI PRELIMINARI SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DEL 1912 1. Ing. D. ZACGAaiSTA LIGURIA ORIENTALE. Foglio 83. In questa regione la formazione eocenica è esclusivamente rap- presentata dalla zona degli scisti galestrini i quali, in tutta la estensione considerata, sono privi di masse ofìolitiche, che acquistano invece tanta frequenza ed importanza nel vicino quadrante [hl-E. della tavoletta al 1:50000 (Borzonasca) comprendente il gruppo del M. Ajona. I galestri però si associano frequentemente a banchi di un’are- naria che non va confusa col macigno propriamente detto, sebbene ne abbia tutti i caratteri; il quale appartiene ad un piano più basso e non comparisce nella regione considerata. Questa arenaria supe- riore, oltre all’alternare più volte cogli scisti galestrini, forma pure masse considerevoli le quali acquistano talvolta importanza orografica, come è quella del M. Ramaceto (1345 m.) che pel M. Cucco, M. Ca- stello e M. Camello si prolunga verso S-E., oltre il quale, alternando cogli scisti, si suddivide in lenti equivalenti che ne formano il pro- lungamento e vengono a terminare attorno a Sestri Levante. Come è noto, nella regione è attivissima l’industria delle lavagne y che sono date da una varietà di galestri calcareo-marnosi grigio-cupi,, a pasta fina, omogenea e resistente; ma nei quali, se di fresco sca- vati, a mezzo di taglienti e di cunei, si può provocare facilmente la sfaldatura secondo larghe superfici piane, per ricavarne le lastre RELAZIONE PRELIMINARE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA PEL 1912 345 impiegate nella copertura dei tetti e per grondaie, ed anche tavole di grandi dimensioni, che sono oggetto di un importante commercio. Ho già fatto altra volta notare che questa varietà di scisto si trova costantemente in vicinanza delle masse di arenaria od anche in associazione con banchi di questa roccia. Evidentemente questa concomitanza non è casuale: poiché devesi probabilmente alla pro- tezione offerta da quei banchi di arenaria, rigidi e resistenti, se i vicini scisti tegulari hanno potuto conservare intatto il loro piano di sfaldatura e sono quindi esenti dagli accartocciamenti e dalle fratture che, discostandosi dall’arenaria, frequentemente si presen- tano negli scisti. Inoltre, anche la composizione delle lavagne che è diversa da quella solita negli ordinari galestri che sono essenzial- mente argillosi, forma, in certa guisa, il passaggio a quella di una finissima arenaria in cui domina invece il cemento argillo-calcare. Al M. Verzi, sopra Cicagna, le numerose cave stanno tutte attorno al ciglione formato dai soprastanti banchi di arenaria che ne co- ronano la vetta. Quelle pur numerose ed importantissime di Orerò sono pure in contatto di banchi di arenaria, i quali trovansi normal- mente al tetto dell’ escavazione, che viene d’ ordinario praticata in galleria. Una disposizione analoga si osserva anche nella zona gale- strina presso al contatto di quella dell’alberese, cioè nella parte più alta della zona, che costituisce pure un livello in cui le lavagne vengono scavate, come nei pressi di Coreglia, di Tribogna, ecc. ; ma neppur qui manca l’associazione colle arenarie. PREALPI BERGAMASCHE. Fogli 33 e 34 {Lago d' Iseo). Formazioni secondarie. — Il rilevamento eseguito nelle Prealpi bergamasche comprende la regione a S. di Lovere, che si stende fra il gruppo del M. Clemo, la valle di Fonteno e la conca di Pian- gaiano. Come è noto, questa regione è costituita essenzialmente da for- 346 ING. D. ZACCAGNA inazioni secondarie, e cioè dalla dolomia principale che abbraccia il gruppo del M. Clemo; dalla formazione ohe comprende l’ in- senatura di E/iva di Solto e la conca di Piangaiano; dalla forma- zione Massica che dalla valle di Ponteno sale al M. Boero, al M. Torrezzo ed alla Corna Colognola verso il lago di Endine. Eel gruppo del M. Clemo la dolomia principale presenta i soliti caratteri d’un calcare dolomitico cristallino bianco-grigiastro in grandi banchi, ordinariamente compatto; ma talora anche brecciforme o cavernoso, come alle voltate della rotabile sotto Pianico, al Bogno di Castro, alla Bocca e sulla vecchia strada di S. Maurizio per Povere. I fossili caratteristici non vi sono infrequenti. Ho raccolto VAvicula exilis sotto Bossico, presso la vetta del M. Clemo, a S. Hocco di Esmate, a Mano di Sovere; il Turbo solitarius presso Sovere, sotto S. Defendente, alla Punta delle Croci bergamasche d.ove trovasi mirabilmente conservato. Spesso questo calcare offre anche quei rilievi di forma globosa a sfoglie concentriche già descritti dallo Stoppani col nome di Evinospongia vesiculosa. La nuova strada lungo il lago, da Castro a Riva di Solto, offre modo di studiare nei tagli di fresco praticati, tanto la formazione della dolomia principale che quella del Retico; la quale viene a so- vrapporvisi in strati quasi verticali nell’insenatura detta il Bogno di Zorzino. Roto frattanto, di passaggio, che sotto le balze dell’inse- natura analoga, detta il Bogno di Castro, dove il Salmoiraghi ha segnalato degli strati gessiferi che egli riferisce al Raibliano, non ho potuto rilevarne la presenza malgrado le accurate ricerche e sebbene il taglio recente della strada dovesse metterli in maggiore evidenza. La formazione retica nel suo contatto colla dolomia principale segue un allineamento che dal Bogno di Zorzino si dirige ad Esmate e di qui scende a Croce Menta in Val Cavallina. Essa si compone di strati regolari piuttosto sottili, di un calcare nero alla base; di una zona mediana di strati marnosi neri fogliet- tati od aciculari che da Riva di Solto traversano la Sella di Solto e si dirigono verso Rova; di una terza zona calcare composta dap- RELAZIONE PRELIMINARE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DEL 1912 347 prima di calcari marnosi no'astri, poi di calcari grigi più o meno dolomitici in banchi o strati, che corrispondono probabilmente ai •calcari a Conchodon dei dintorni di Lecco. Crii strati marnosi di questa terza zona sono quegli stessi che allo sbocco del vallone di Fonteno, sul lago, vengono attivamente scavati per ricavarne il cemento rinomatissimo dello Stabilimento Pesenti. Sopra Xino, sulla via di Fonteno, questi stessi strati offrono VAv. contorta, la Cardita austriaca, la Plicatula intusstriata ed altri fossili caratteristici della formazione. Lo spessore complessivo delle tre zone infraliassiche è qui straor- dinariamente potente; poiché nella sua larghezza trasversale, fra Esmate ed il M. Boero non intercedono meno di 4 chilometri; ed anche tenendo conto dell’ inclinazione e dei contorcimenti locali, ■che non sono molto notevoli, si deve ammettere almeno una potenza di 2000 metri. Al Ronco di Rova, fra gli scisti neri della formazione retica, ivi abbondantemente ricoperti dal Morenico, devo segnalare l’affio- ramento di una piccola massa ài porfirite a grossi cristalli di feldspato profondamente alterato. Essa forma evidentemente il seguito delle masse già conosciute affioranti presso Ranzanico. Crii strati retici sono regolarmente sormontati da una zona di calcare biancastro, ceroide, massiccio, di 150 a 200 metri di spessore, formante una balza quasi continua, dalla Corna Scalvina sul lago d’Iseo, al M. Boero sopra Fonteno, e di qui a Corna dei Fondi e ^Corna Colognola verso il lago di Endine. E la zona del Lias infe- riore che fa seguito a quella del M. di Grrone e del M. Bronzone in Valle d’Adrara, di cui già tenni parola nella relazione sui rile- vamenti eseguiti nel 1910. Sopra questa s’ appoggia, coi suoi dolci contorni, la formazione •del medolo bresciano, cioè il calcare grigio con selce stratiforme del Lias medio, nel quale è scavata la valle superiore di Fonteno, 'Che si diparte dal M. Torrezzo. Terreni quaternari. — Fra questi, il più antico è certamente quello rappresentato dalla breccia che trovasi in vari punti accollata 348 ING. D. ZACCAGNA sulla dolomia principale, e che a Poltragno sotto Pianico viene- scavata da tempo come pietra da taglio, conosciuta sotto il nome di crespane, localmente molto apprezzata per la sua resistenza e relativa facilità di lavorazione. La stessa breccia è stata scavata pure a Greno sulla pendice E. del poggio di S. Defendente, presso al lago, dove se n’è ripigliata l’estrazione, dopo l’apertura della nuova strada da Piva a Castro. È una breccia fortemente cemen- tata, formata dal detrito di falda della dolomia, che spesso vi con- tiene i suoi fossili, come ho potuto vedere in entrambi i luoghi accennati. Insieme ai frammenti angolosi della dolomia principale^ nell’impasto trovansi altresi dei frammenti rotolati delle rocce crL stalline di Valcamonica, di arenarie grigie e rosse permiane, scisti e calcari raibliani ed infraraibliani. Questi ciottoli anzi, in altri luoghi, - sono dominanti, e si ha cosi invece una puddinga od un conglo- merato, come avviene all’imbocco del Sogno di Castro, a S. Mau- rizio e sulla rotabile di Dovere. Il Salmoiraghi perciò opinò che questa varietà puddingoide debba separarsi da quella brecciforme in cui domina il detrito calcare; e mentre attribuisce la prima al preglaciale, ascrive il crespane ad un periodo interglaciale. Io però ritengo che esse abbiano origine coeva, postochè i ciottoli di quelle rocce antiche accompagnano anche la breccia calcare e che fra le due vari soltanto l’abbondanza o la scarsezza degli ele- menti ciottolosi. Esse appartengono certamente, entrambe, al più antico periodo glaciale, se non addirittura, al più antico quaternario. Questa breccia porta difatti, in più punti, non dubbi segni dell’ar- rotondamento e delle solcature glaciali, come può osservarsi sulla vecchia strada da Dovere a Sedere, sulla sinistra del Borlezza. Vuoisi però osservare che in certi casi non riesce facile distin- guere la breccia in parola da quella che fa parte della dolomia trias- sica e sulla quale talora direttamente riposa. Cosi avviene alle voltate di Poltragno, dove abbiamo la breccia triassica somigliantissima a quella quaternaria che vi si appoggia più in basso, egualmente com- patta e tenace, ma da essa discernibile per la presenza di rari ciottoli delle roccie sopraindicate e per l’inclinazione del banco che seconda RELAZIONE PRELIMINARE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DEL 1912 349 Tandamento della falda dolomitica del cui detrito si compone e sulla quale è fortemente cementato. Glaciale. — Tutta la regione è ricoperta dal deposito morenico, che fu già abbondantissimo e continuo, mentre attualmente è fra- zionato in lembi staccati, di cui i più notevoli sono quelli di Pianico, di Severe, di Fonteno e di Piangaiano. Ma lembi minori sono sparsi dovunque, sui fianchi dei poggi e nelle frequenti sinuosità, ridotti talora a sottili e brevi ricoprimenti; circostanza che assorbe un tempo lunghissimo per la loro delimitazione sopra una carta a grande scala. N^on di rado il manto glaciale che una volta ricopriva qnasi tutte queste alture venne completamente spogliato, restandovi però come testimonio, qualche grosso masso sparso qua e là a notevole altezza, come ad esempio, sulla vetta del M. Clemo. Nei pressi di S. Defendente ho osservato un masso isolato di porfido di Valca- monica, che misurava almeno 6 o 7 metri cubi. Frequentissime poi sono le tracce di arrotondamento glaciale in tutta l’ampiezza del bacino di Piangaiano. Ivi la roccia scistoso-calcare molto erodibile del Petico, fu facile preda dell’azione glaciale: per cui tutte le asperità della conca furono o abrase o ridotte a dossi tondeggianti e depressi, che spuntano fra la morena o sul piano alluvionale che le circonda. Molti di questi sparsi lembi morenici conservano tuttavia le tracce dei terrazzamenti subiti per opera delle successive glaciazioni che, sia colle loro morene laterali, sia col rimaneggiamento di quelle preesistenti, vi formarono una sorta di argine o cordone, di cui rimasero a varie altezze soltanto dei segmenti, perchè interrotti e frazionati dalla erosione. Cosi nei lembi che si stendono sulla falda N. del M. Boero prospicente verso Piangaiano, sotto un primo terraz- zamento ad 800 metri di altezza cadente presso il Boccolo Valzelli, ne abbiamo successivamente uno a 700 metri alla Cascina Parete, uno a 650 a Piazzabona, uno a 550 a Perlungo e finalmente la morena fiancheggiante il fondo della valle fra le quote di 400 e 350 metri. A questi segmenti ne corrispondono altri situati alle stesse altezze 350 ING. D. ZACCAGNA »su questa falda del M. Boero ed anche più lontano, che qui sarebbe troppo lungo enumerare. Lacustro-glaciale. — Il periodo glaciale mi porta a far cenno della formazione marnosa sottostante al morenico che occupa la depressione del torrente Borlezza, fra Pianico e Severe. Su questo deposito lacustre non ho nulla da aggiungere a quanto fu scritto diffusamente da vari autori. Osserverò soltanto che la roccia chiu- dente a valle il bacino, e nella quale è praticato il profondo solco, laddove s’inabissa il torrente, alla stretta del Tinazzo, non è già un conglomerato calcare, come da taluno si è supposto, ma la dolomia principale a facies compatta, massiccia, non brecciforme, la quale -afìiora distintamente all’Officina elettrica. Il riferimento di questo deposito al quaternario lacustro-glaciale sembra giustificato oltreché dai numerosi fossili, dall’irregolare stratificazione delle marne e dalle lenti di ciottoli che vi stanno •confusamente intercalate nel basso, le quali darebbero indizio di invasioni glaciali che tratto tratto venivano a turbare la regolarità ■^del deposito portandovi il detrito morenico. M. CASSETTI LAZIO {Monti Lepini sopra Terracina) Foglio 170. La gita in questi monti ebbe la durata di soli 6 giorni. Essa fu fatta al solo scopo di riconoscere e di distinguere i di- versi piani ai quali potevano riferirsi i calcari cretacei che li costi- tuiscono, ciò che era stato omesso nel precedente rilevamento. Nei monti di cui trattasi, come in generale in tutto il resto dell’esteso gruppo montuoso dei Lepini, la formazione calcarea- secondaria si presenta con una grande regolarità di stratificazione, in modo da rendere assai facile lo studio tettonico. Ma pur troppo - la serie degli strati calcarei del periodo cretacico, malgrado il suo grande sviluppo e la sua notevole potenza, non offre sufficienti avanzi di resti organici da permettere una separazione, anche appros- simativa, dei vari piani. Dovetti perciò necessariamente limitarmi a fare la semplice distin-- zione di due grandi zone, come fin oggi ho fatto per analoghe for- mazioni cretacee dell’ Appennino, e cioè la più bassa, che diremo eocretacica^ nella quale sono compresi il Neocomiano, il Barre- miano, VAptiano e VAlhiano e che sarebbe rappresentata dagli strati di calcari dolomitici, affioranti alla base della serie locale e dai successivi strati di calcare semicristallino, nei quali si scoprono qua e là delle impronte di Requienie e di turricolate (probabilmente Nerinee)^ e la più alta che chiameremo neocretacica, comprendente i tre piani superiori del Cretacico, vale a dire il Cenomaniano il Turoniano e il Senoniano rappresentata dagli strati calcarei sopra- stanti, nei quali si incontrano con frequenza modelli di rudiste e 352 M. CASSETTI specialmente di Ippuriti^ di Sferuliti e qualche rara impronta di Acteonella, non ben determinabili. CAMPANIA {Monti Irpini - prov. Avellino) Foglio 186. La regione di cui ci occupiamo è stata rilevata dallo scrivente nell’anno 1889. Dovendosi ora procedere alla pubblicazione del corrispondente 'foglio, era assolutamente necessario ritornare nuovamente sul posto nell’intento di eseguire un» attento lavoro di revisione. Le escursioni fatte in quest’anno sono state limitate al territorio montuoso adiacente alle sponde dell’Ofanto, a partire dalle sorgenti di questo fiume (che scaturiscano tra il monte su cui poggia l’abi- tato di Nusco, e quelli che si elevano sopra Bagnoli) fino alla valle sottostante al monte su cui giace il paese di Calitri. Le prime escursioni furono esclusivamente dedicate ad uno più accurato esame della struttura geologica del monte denominato Cresta del Gallo della catena appenninica, e che fa da spartiacque tra la valle del Seie e quella dell’Ofanto. Questo monte, per la ragione che viene attraversato dalla più lunga ed importante galleria dell’ acquedotto pugliese, quella cioè che, unendo le due valli suddette, passa dal versante Tirreno a quello Adriatico, formò oggetto di speciale attenzione da parte di chi ebbe ad occuparsi dello studio geologico di quella regione prima dell’inizio dei lavori (1). E sul proposito si espresse l’opinione che la pila di strati cal- carei, che formano la parte più alta di detto monte, era da ritenersi (1) Dottor Vittorio Simonelli, Risultati delVispesione geologica compiuta nel settembre 1906 sul percorso della R tratta del P tronco dell’ acquedotto pugliese. RELAZIONE PRELIMINARE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DEL 1912 85.'i mdubbiamente dell’epoca secondaria e propriamente del periodo cre- tacico, anziché dell’epoca terziaria e precisamente del periodo eoce- nico, come risultava dal mio vecchio rilevamento del 1889. Tale opinione era fondata sul fatto di avere trovato nei calcari di Cresta del Grallo delle foraminifere ritenute caratteristiche del Cretaceo, e più specialmente per la presenza di numerosi frammenti di rudiste. Ma le mie accurate osservazioni fatte in quest’ultima gita con ripetute escursioni, dirette essenzialmente a constatare l’ esatta posizione della suindicata pila di strati calcarei rispetto alle argille che l’accompagnano, non fecero che convincermi sempre più della esattezza della mia prima conclusione, e cioè che i calcari del monte Cresta del Gallo sono nè più nè meno che intercalati nelle argille e marne eoceniche, e più esattamente, sono sovrapposte a quelle che si affacciano nel fianco sud-est del detto monte e discendono nella valle del Seie del versante Tirreno, e sottostanti a quelle che, insieme a strati di arenaria, affiorano nell’opposto versante Adriatico sotto Teora e discendono nella valle dell’Ofanto, nel modo indicato nella sezione seguente : 77 ff fiumice//o Teora. Cresta cf et Gatto eeo S(Ì7 Aryi//e - AT/er'/? aranci c/ò 4, Conglomerati permocarboniferi - 5, Arenarie di Val Grardena - 6, Per- miano superiore - 7, Trias inferiore - 8, Dolomia infraraibliana. — Scala di 1 a 50,000. fetìLAZÌÒNÉ PRELIMINARE SULLA CAMPAGNA GEOLOGICA DEL 1912 873 La giacitura, trasgressiva degli scisti sopra i calcari è provata: a) dalla diversa inclinazione degli uni e degli altri ; b) dal frequente emergere di creste, cime e dossoni calcarei fuori della copertura scistosa: a questo riguardo sono particolar- mente istruttivi i dintorni del Passo dell’Oregone (ove è anche ri- prodotto in piccola scala il motivo strutturale e morfologico della Cretabianca) e le alte valli dell’Oregone e d’Antola; c) dal comparire frequente del substrato calcareo nelle inci- sioni dei rivi e torrenti: cosi sulla costa a sud fra i monti Antola e Pietrabianca, e in fondo alla vai d’Antola presso le case Piè della Costa (fìg. 1) ; d) . dai numerosi lembi di scisti che rimangono ancora a varie altezze negl’incavi, ripiani, ecc., dei massicci calcarei: cosi su tutta la cresta fra le cime Pietrabianca e Peralba; e) dall’irregolare andamento che presenta sotto il mantello sci- stoso la superfìcie dei calcari, quale si può ricostruire in base ai suoi sparsi affioramenti (1). Concordanti con gli scisti, e spesso impigliate nelle loro pieghe (fìg. 2), sono le arenarie di Val Gardena, che rappresentano il Per- miano inferiore. Fra gli scisti (neocarboniferi) e le arenarie (eoper- miche) sono interposte in più luoghi (malghe Casa Vecchia e Sesis, Col d^lla Varda) lenti di un conglomerato quarzoso che potremmo dire permocarbonifero, e che presenta ora un cemento arenaceo bruno o fulvo come nei giacimenti neocarboniferi della Carnia, ora un cemento vinato, di tipo più schiettamente permiano. Per caratteri e disposizione di terreni, si hanno dunque nella zona studiata condizioni perfettamente analoghe a quelle delhalta Carnia orientale e centale. La trasgressione carbonifera non si ar- (1) Non è inutile osservare che dalle stesse descrizioni e figure dedicate alle montagne in discorso dal Erech {Karnische Alpen^ 1894, pag. 110-17) risulta non un incuneamento dei calcari negli scisti, o una ripiegatura degli scisti sopra i calcari, come egli vorrebbe, ma bensì la giacitura trasgressiva degli scisti, naurtalmente pieghettati dal corrugamento mesozoico. 374 MICHELE GORTANÌ resta al Peralba, ma si continua ampiamente nel Comelico; e il motivo tettonico sostenuto da me e dal Vinassa viene ad essere riconfermato per questa estremità del nucleo centrale carnico e ad essere esteso alla porzione occidentale della catena. * * 4; 11 lavoro di revisione, limitato ad alcuni dei tratti più difficili, 0 meno accuratamente studiati, dell’alta Gamia, mi condusse a ri- conoscere i fatti seguenti. Un grande ammasso spilitico affiora nella valle del Chiarsò da Battala a cas. Tamai^ sul fianco meridionale del M. Grermula, e una potente colata porfirica si nota fra le cas. Dimòn e Dimonùt, sul fianco settentrionale del M. Dimòn. Alla Stua di Bamàz è presente il Mesosilurico fossilifero, a con- tatto con calcari neosilurici pure fossiliferi. Sono molto estesi verso ponente i calcari neosilurici del M. Culèt, 1 quali, giungendo al B. Michel e ricomparendo nel fondo della Cercevesa, si collegano ai pieghettati calcari neosilurici della Cima Costa Alta. Vi è un collegamento diretto fra i calcari neosilurici di cas. Bamàz e Meledis e quelli della Creta Bossa e Costa Alta, dove si rinven- gono anche fossili ben determinabili. Le pieghe allungate e appressate di M. Lodin e Costa Alta pro- seguono nella conca di Scarniz tedesco e dell’alto B. Kòder, ove le pieghe stesse emergono fuori delia coltre scistosa, che nella grande massa è anche qui non siluriana, ma neocarbonifera e trasgressiva. Dagli affioramenti neosilurici poco a nord del Passo di Primosio, e non dalla sovrastante copertura scistosa, proviene verosimilmente il frammento di G-raptolite rinvenuto dal Taramelli (1). . (1) Cfr. Vinassa. Sull’ estensione del Carbonifero superiore nelle Alpi Gar^ niche. “ Boll. Soc, geol. ital. „ XXV, 1906, èèLaziòne preliminare sulla campagna geologica del 1912 375 La trasgressione carbonifera, che continua ad ovest anche nella valle dell’ Anger (conca di Plòcken), si estende altresi sull’ellissoide eroso dei Pai : cosi presso la forcella Pai Glrande, ove si hanno anche elementi porfiritici, e presso la cas. Pai Glrande di sotto, ove gli scisti carboniferi ricoprono i calcari devonici e vengono anche a contatto con il Neosilurico fossilifero. Il Heosilurico è a sua volta abbastanza esteso lungo tutto l’orlo meridionale del Freikofel, da cas. Pai Grande a cas. Pai Piccolo di sotto. hlei calcari presso la cima della Creta di Timau si hanno copiosi fossili, che sono forse i meglio conservati nella nostra fauna a Cli- menie. Nella conca di Volaia è da notarsi la presenza dell’Eodevonico superiore a Karpinskya Consuelo nel versante settentrionale del M. Coglians. Riconobbi altresi che la Creta di Collinetta (Cellonkofel) forma un ellissoide chiuso anche a nord, e che le giogaie Creta di Collina-Coglians e Mooskofel-Gamskofel formano non una semplice, ma una duplice serie di pieghe. L’alta Valentina interposta fra esse, non è cioè una valle d’anticlinale ; e le giogaie del Mooskofel e del Coglians continuano rispettivamente le serie di pieghe Elferspitze- Pollinig e Creta di Timau-Pal-Creta di Collinetta. In questo senso vanno corretti i profili pubblicati dallo Spitz e da noi stessi. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 98 Ogilyie-Gtordon M. M. — Ueber Lavadiskordanzen und Konglomerathildun- gen in den Dolomiten Sildtirols. (Verandl. k. k. geol. Reichs., Jahrg. 1911, n. 9, pag. 212-222, con 5 fig.)* — Wien. L’autrice descrive le speciali forme di giaciture e di contatto che, nel Tirolo meridionale, presentano le formazioni calcaree triasiche e quelle erut- tive, e ne cita i tratti più caratteristici, tra cui possono annoverarsi i se- guenti: brusco cambiamento nelle discordanze alla base della serie vulca- nica; notevole diffusione del magma fra le stratificazioni sedimentarie ed inclusione di grandi e piccoli pezzi di lava; accumulamento, nei periodi d’inazione vulcanica, di masse detritiche in forma di conglomerati grosso- lani e nel medesimo tempo deposizione di brecce fini, di tufi, di arenarie tufacee o calcaree, ecc. (E. Tissi). OsBio G. — Alcune nuove Stromatopore giuresi e cretacee della Sar- degna e dell’ Appennino. (Mem. R. Acc. Se. Torino, S. 2% tomo LXI, pag. 277-292, con 2 tav.). — Torino. L’autore descrive alcuni esemplari di Stromatopore: а) Slromatopora Tornquisti Den., proveniente dai calcari giuresi giallo-rossastri a crinoidi di Pinette d’Elva (Portotorres) ; б) Stromatopora Franchii n. f., raccolto dall’ing. S. Franchi nel cal- care giurese giallo-rossastro a crinoidi di Pinette d’Elva e Fonte Basso, presso Fiume Santo (Portotorres); c) Stromatopora Saccoi n. f., raccolto dal prof. Sacco nel calcare cre- taceo di Ofena (Aquila); d) Stromatopora Virgilioi n. f., raccolto dal prof. Virgilio in un cal- care cretaceo di Cimino (Acquaviva); e) Stromatopora Costai n. f., raccolto in un calcare cretaceo di un giaci- mento fossilifero del Gargano, di località imprecisata, insieme con altre interessanti forme di Idrozoi, che non formarono ancora oggetto di studi speciali e fanno parte della collezione Costa. (E. Tissi). Pagani U. — Avanzi di vertebrati quaternari scavati a Navezze (Gussano) presso Brescia (Boll. Soc. geol. ita!., voi. XXIX (1910), fase. 3-4, pa- gine 477-486 con 3 fig.). — Roma. La nota ha per oggetto la descrizione dei resti di Rhinoceros.^ di Cervus capraeolus^ di Cervus elaphus., di Sus., ò^Hystrix.^ rinvenuti nella frazione V 94 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 di Navezze del comune di Grussago (Brescia) e dall’autore raccolti e studiati. Dal complesso di tutti i suoi caratteri il Rhinoceros di Xavezze do- vrebbe, secondo l’autore, ascriversi al Rhinoceros megarhinus anziché al più comune Rhinoceros Merchi^ e soggiunge ancora l’autore che della specie megarhinus è questo l’unico esemplare di così giovane età che siasi assai bene conservato fino ai nostri giorni, così da permettere anche interessanti disamine odontogenetiche. (E. Tissi). Palazzo L. — Meteorologia e Geodinamica. (Estratto da : Cinquanta anni di Storia italiana (1860-1910) ; Pubbl. fatta sotto gli auspici del Go- verno e della R. Acc. dei Lincei: opus, di 54 pag.). — Roma. In questa memoria sono descritte, con grande ampiezza di particolari, le vicende dello sviluppo che hanno assunto in Italia gli studi meteorologici e geodinamici nel cinquantennio decorso dall’unificazione del Regno e le condizioni in cui tali studi si trovavano anteriormente all’istituzione del- l’attuale Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica in Roma. (E. Tissi). Panebianco H. — Breunnerite in una roccia effusiva dei colli Euganei. (Riv. di min. e crist. it.., voi. XL, fase. Ili, IV, V e VI, pag. 79-84). — Padova. La roccia contenente la breunnerite è una andesite anfibolica che si trova in località denominata Sciesa, presso Castelnuovo di Teoio, e che con- tiene le segregazioni seguenti: Plagioclasio copioso in cristalli, per lo più limpidi e freschi, con fre- quenti geminati secondo le due leggi riunite Albite-Karlsbad ; Orneblenda bruna con qualche inclusione di apatite; Augite bruno-chiara o giallognola; Magnetite in cristalli piuttosto grandi. La massa fondamentale è costituita principalmente da microliti di pla- gioclasio. Sparse qua e là nella massa si trovano laminette di biotite, gra- ndetti di augite cristallina e frequenti noduletti di calcite spatica che rag- giungono talvolta la grossezza d’un uovo di piccione. Attorno a detti noduli di calcite, fra essi e la roccia, vi è un sottile involucro di breunnerite giallo-rossastra o rosso-bruna. (E. Tissi). 95 BIBLIOGEAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Panichi U. — Sul topazio dell’Elba. (Rend. R. Acc. dei Lincei, 8. V, vo- lume XX, fase. VI, 2® sem., pag. 279-283). — Roma. Rileva Fautore che i cristalli di topazio delFElba, perfettamente lim- pidi ed incolori come i cristalli di berillo di S. Piero e di 8. Ilario, pro- vengono da una geode del granito nei pressi di 8. Ilario e furono scoperti dal noto ricercatore di minerali Luigi Celleri. I cristalli di topazio esaminati dall’autore sono pochi, ed in essi pos- sono distinguersi due abiti diversi, nel senso che alcuni hanno predomi- nante sviluppo secondo l’asse verticale mentre altri hanno aspetto tabulare secondo la base [001]. Dai valori angolari ed assiali e dalle costanti da lui determinate, l’autore viene nella conclusione che il topazio elbano è probabilmente una varietà meno ricca di fluoro del topazio degli Urali studiato da Kokscharow. Questi importanti cristalli, così rari da noi, fanno ora parte della col- lezione elbana del gabinetto di mineralogia di Firenze. (E. Tissi). Panichi U. — Sui minerali del giacimento di Tiriolo (Catanzaro). I. Il Gia- cimento. (Rend. R. Acc. dei Lincei, 8. V, voi. XX, fase. Vili, 2® sem., pag. 421-424). — Roma. II giacimento di Tiriolo è forse il più importante giacimento di minerali della Calabria. Esso è situato a levante del paese omonimo, in località detta Donna Angelica, presso il Rio Savino. La sua importanza fu già dimostrata da vari cultori, quali il v. Rath, il Lovisato, il Xeviani, lo Strùver, il Mauro, lo Scacchi. L’autore precisa nella presente nota le particolari condizioni di giacitura ed il modo di presentarsi dei minerali distribuiti nella zona di contatto fra le roccie cristalline e le soprastanti roccie calcaree che costituiscono il monte Tiriolo, come anche le roccie che comprendono la detta zona. (E. Tissi). Panichi. U. — Minerali che accompagnano il giacimento ferrifero della Buca della Vena presso Stazzema (Alpi Apuane). (R. Acc. dei Lincei, Rend., 8. V, voi., XX, fase. 10®, 2® sem., pag. 568-571). — Roma. Alla Buca della Vena, nota soprattutto come giacimento di magnetite con ematite e limonile, e citata come “ esempio di associazione della cal- cite alle masse ferree sono state recentemente messe a nudo, mediante scavi, nuove cristallizzazioni che l’autore descrive nella presente nota. (E. Tissi). 96 BIBLIOGEAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Panichi U. — Molibdenite ed altri minerali di Bivongi e di Bazzana {Reggio Calabria). (Rend. R. Acc. Lincei, S. V, voi. XX, 2® sem., fa- scicolo 11®, pag. 654-658). — Roma. I giacimenti metalliferi dei dintorni di Bivongi e Razzano sono ricor- dati dagli storici calabresi, i quali certamente ne esagerarono Timportanza* descrivendoli come ricchi in ferro, argento, piombo, oro, manganese e rame, mentre la sola miniera ferrifera di Razzano, ormai chiusa da lungo tempo, ebbe effettivamente una discreta importanza. Anche il v. Rath parla di escavazioni di calcopirite nelle miniere Argen- tiera e Raspa nei pressi di Bivongi ; più recentemente (1894) il Cortese dava notizia della presenza di molibdenite in località prossima al torrente Argenterà, in territorio di Bivongi, ove del bisolfuro di molibdeno, asso- ciato ai soliti minerali, si presentava in un filone di materia friabile, tra le filladi. Secondo Tautore si hanno effettivamente in quella regione giacimenti metalliferi che si presentano come filoni nelle roccie antiche (scisti filladici o graniti) le quali sono superficialmente separate dai terreni più recenti da una linea retta che da Agromastelli, per Razzano, giunge all’incontro del fiume Assi. Lungo questa linea, nel tratto compreso fra il fiume Assi a XE ed il monte Manganare a SO, sono compresi i minerali di Bivongi e di Razzano. II giacimento più importante di molibdenite è quello che affiora a circa 550 m. sul livello del mare presso il torrente Bardalà, poco a monte della confiuenza del Biglia nel Bardalà stesso. Questo giacimento non è negli scisti filladici come quello accennato dal Cortese, ma bensì nel granito biotitico che si estende sui detti scisti. La roccia incassante è bianca, con grossi ed abbondanti cristalli di mica nera, ed è intersecata da numerosi filoncelli di quarzo nei quali si trova la molibdenite, la quale si presenta d’ordinario in forma di tavolette esagonali raggruppate a ventaglio od a rose. L’abito a rose è frequente e se ne os- servano di bellissime, (E. Tissi). Rantanelli D. — Lembo quaternario nell’interno della Valle di Reno. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XXIX (1910), fase. 3-4, pag. cxxiii-cxxiv). — Roma. Nel tratto di Reno bolognese tra la cinghia di Berretta e quella di Riolo, l’autore ha riconosciuto il residuo di una terrazza orografica a notevole altezza sul fondo della valle attuale. 97 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 L’autore ritiene che quel giacimento, che nella parte più dirupata ha uno spessore inferiore ai 15 m. ed appoggia sugli scisti sabViiosi cosi di fre- quente intercalati nelle argille scagliose tipiche dell’Eocene superiore, altro non sia che un residuo di un antico fondo della valle, quando le due cinghie di Porre tta e di Piolo non erano ancora incise come al presente. (E. Tissij. Pantanelli D. — Argille post plioceniche ad Ittioliti dei dintorni di Taranto. (Atti Soc. tose, di Se. Nat., Processi verbali, voi. XX, n. 3, pag. 42-47). — Pisa. L’autore ha intrapreso uno speciale studio sulle argille del Plistocene inferiore dei dintorni di Taranto, le quali per la notevole abbondanza di avanzi di pesci erano state in precedenza esaminate da altri studiosi. Lo studio che l’autore ha compendiato nella presente nota ebbe special- mente lo scopo di stabilire se i molti pesci che vi lasciarono le traccie delle loro parti solide avessero lasciato anche qualche indiziale elemento indicante una possibile trasformazione in idrocarburi. Ma il risultato delle eseguite ricerche indussero l’autore a ritenere che la distruzione naturale degli animali non possa per ora invocarsi come ori- gine dei petroli, e che solo quando si conosceranno i processi della decom- posizione dei corpi grassi e delle sostanze proteiche nel fondo delle acque la questione potrà essere ripresa con qualche utilità ; per ora l’autore crede di dover accordare la preferenza ai risultati ottenuti dai Sabatier, che ha ricavato dai carburi metallici, con l’intervento di elementi metallici somma- mente divisi, i più importanti tra gli idrocarburi dei petroli, e specialmente quelli della serie cicloformenica ed aromatica che finora erano sfuggiti a tutte le operazioni tendenti ad ottenere questi idrocarburi con la distilla- zione secca delle sostanze animali o vegetali. (E. Tissi). Pantanelli D. — Sulla estensione dell’ Oligocene nell’ Appennino settentrio- nale. (Atti Soc. nat. e mat., Modena, S. IV, voi. XIII, pag. 28-37). — Modena. Premesse alcune notizie d’ordine cronologico sugli studi geologici e pa- leontologici stati in precedenza eseguiti sulla regione in esame, l’autore si occupa in special modo dei rapporti di posizione delle argille scagliose e dei serpentini rispetto alle arenarie che per comodo di dizione egli chiama “ arenarie centrali „, appunto perchè occupanti la parte centrale e più eie- 98 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 vata dell’Appennino, deducendone che a queste sono evidentemente sotto- stanti le argille scagliose. Al preteso rinvenimento di fossili cretacei nelle argille scagliose egli accorda un valore molto relativo, e crede che quei fossili possano solo ser- vire a tener desta l’attenzione degli studiosi sopra un problema geologico che per ora è ben lungi da una razionale soluzione. (E. Tissi). Parlati L. — Sulla possibile applicazione industriale di alcune argille di Montescaglioso [Potenza). (Atti E. Istit. di Incoraggiamento, LXII, pag. 289-296). — Napoli. Determinata la composizione chimico-mineralogica di queste argille l’au- tore ritiene che esse possano servire come materia prima di molti prodotti ceramici, non esclusi i grès comuni e fini, tanto usandole sole quanto in mescolanza con altro materiale, o dopo lavaggio con acido cloridrico diluito. (E. Tissi). Parona C. P. — Le Rudiste del Senoniano di Buda sulla costa meridio- nale delVIsola di Lissa. (Atti della E. Acc. delle Se. di Torino, volu- me XLVI, disp. 7^, pag. 380-389). — Torino. I radiolitidi della costa di Euda (Lissa) dall’autore riconosciuti appar- tengono alle sette specie seguenti: Praeradiolites Boucheroni (Bayle), Pr. Hoeninghansi (Des M.), Ra- diolites galloprovincialis (Math), R. angeiodes (Picot de Lap), Bournonia Bournoni (Des M.), Durania Martella n. f., Lapeironsia Jouanneti (Des M) (?). Trattasi di una fauna schiettamente senoniana ; la n. f. Durania Martella ritrovandosi anche in Puglia in calcari affatto simili ed insieme a rudiste d’fetà senoniana, ciò che costituisce una nuova conferma della corrispon- denza nella serie del Cretaceo superiore sui due opposti versanti dell’Adria- tico, corrispondenza che viene integrata anche dall’identità dei caratteri litologici. (E. Tissi). Parona C. F. — Per lo studio del Neocretaceo nel Friuli occidentale. (Atti E. Acc. Se. Torino, voi. XLVI, disp. 15% pag. 887-892). — Torino. L’autore ebbe recentemente occasione di studiare una serie di fossili raccolti dal prof. G. Dal Piaz in Val Collina ed a Clapons, e dal dott. Ste- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 99 fanini a Pónte Paoli nella Valle del Meduna, l’esame dei quali fossili com- pleta e controlla le notizie già pubblicate da Futterer, Boebm e Douvillé sulle rudiste dei calcari di scogliera neocretacei delle suaccennate due valli. (E. Tissi). Parona C. F. — Nuovi studi sulle Rudiste dell’ Appennino (Radiolitidi) . (Mem. E. Acc. Se. Torino, serie II, tom. LXII, pag. 273-293, con 2 tav. e 7 fig.). — Torino. La fauna a radioliti dell’Appennino centrale e meridionale è una delle più ricche fin qui conosciute e comprende ben 20 forme diverse. Esposta la cronistoria delle ricerche effettuate sul Turoniano e Seno- niano dell’Appennino, accennate le località ove furono raccolti i fossili da lui studiati, dati alcuni cenni sulla disposizione degli strati calcarei e sulla distribuzione della fauna radiolitica, l’autore porge della fauna stessa un catalogo ragionato, illustrando 7 specie nuove: Radiolites saticulanus^ R. pencetius, R. Dainellii^ Distefanella Salmojraghii, Sauvagesia garganica^ Durania arundinea, D. ìiippuritoidea. (E. Tissi). Parona C. F. — Sulla presenza del Turoniano nel monte Conero presso Ancona. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XXX, fase. l®-2®, pag. 108-112). — Poma. La serie stratigrafica del monte Conero fu in questi ultimi tempi studiata da diversi autori, e da essi differentemente interpretata. Avendo il Povereto annunziato che nei calcari detti pietra a soletti (cave del Poggio) ed in quelli sottostanti a letti e noduli di selce sarebbero stati trovati radioliti, conservate ora nell’Istituto Tecnico di Ancona, l’autore — che da tempo studia le rudiste del Cretaceo italiano — volle esaminare gli accennati fossili. Per i fossili delle cave del Poggio, nonostante che i me- desimi non siano determinabili con sicurezza, egli crede di poter affermare che non si tratta di avanzi di radioliti, ma bensì di traccie di Cyclolites^ co- ralli comuni nel Cretaceo. Un bell’esemplare di rudiste, ben caratterizzata e determinabile, è invece quebo trovato nel calcare a nuclei e strati di selce sottostante al calcare a so_ letti. E un grande esemplare di valva inferiore del Biradiolites cornupastoris (Des Moul.), specie che recentemente H. Douvillé propose a tipo del nuovo genere Durania. E poiché la Durania ^cornupastoris è caratteristica degli orizzonti più 100 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 alti del Turoniano (Angoumiano), la sua presenza dimostra che questo piano esiste nella serie del Cretaceo superiore del monte Conero e che i calcari bianchi a soletti rappresenterebbero il Senoniano inferiore (Emscheriano). (E. Tissi). Paulcke W. — Alpiner Nephrit und die “ Nephritfrage „ . (Verhandl. des' Naturwissensch. Vereins in Karlsruhe, 23 Band., 1909-1910, pag. 75-86. con 21 tavole e 15 figure nel testo). — Karlsruhe. L’autore ricorda la rinomanza che la nefrite (jadeite) aveva acquistata nell’antichità ed aggiunge che la prima monografia al riguardo è dovuta al inineralogo freiburghese Heinrich Fischer, al qual scopo egli consultò autori di diverse nazionalità ed ebbe corrispondenze con sapienti di lontani paesi, con missionari, ecc., giungendo però alla conclusione che in Europa non esistevano giacimenti di questo minerale. E poiché una tale opinione era divisa anche da altri studiosi, quali il Keller, il Damour, il Fellenberg, lo Schlagintweit, ecc., si ritenne che questa pietra verde (non esclusa quella rinvenuta nelle palafitte dei laghi svizzeri e lavorata sotto forma di accette, di utensili e monili) fosse stata importata in Europa e specialmente dall’Asia e dalla Nuova Zelanda, nei quali paesi era tenuta in grandissimo pregio. Ma più tardi la jadeite o jada (nefrite) fu rinvenuta in posto in Ger- mania, nella regione del Gottardo ed in Liguria, per cui l’antica credenza venne sfatata e si riconobbe che quella'^ ritrovata nelle palafitte italiane e svizzere deve essere provenuta dal complesso delle rocce eruttive basiche del sistema alpino e stata trasportata dagli antichi ghiacciai. L’autore ritiene che questa pietra verde possa rinvenirsi in vari altri punti ed in vari orizzonti della serie orografica alpina. (E. Tissi). Pelloux a. — Contributi alla descrizione dell’ Anglesite Sarda. I. Angle- site di Monte Scorra^ Masua e S. Giovanni d’ Iglesias. (Estr. dagli Ann. del Museo Civico di Storia Nat. di Genova, Serie 3^, voi. V (XLY), 30 luglio 1911, opusc. di 7 pag.). — Genova. L’autore descrive in questa nota i cristalli di anglesite di Monte Scorra, di Masua e di S. Giovanni d’Iglesias, esistenti nella collezione mineralogica del Museo Civico di Genova, riservandosi di esporre, in successive memorie, il risultato delle sue osservazioni sulle anglesiti provenienti da altre miniere della Sardegna. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 101 I cristalli di anglesite di Monte Serra rivestono le geodi della galena a struttura compatta e sono talora ricoperti da piccolissimi cubottaedri di questo minerale, ed anche da indistinti cristallini di anglesite di formazione più recente. Varie sono le forme osservate di questi cristalli, forme che dànno luogo a combinazioni più o meno complesse che possono raggrupparsi intorno ai seguenti quattro tipi: a) cristalli prismatici secondo V asse verticale; b) cristalli prismatici secondo la macrodiagonale ; c) cristalli hipiramidali ; d) cristalli tabulari secondo il pinacoide (100). I cristalli di anglesite della miniera di Masua tappezzano le cavità della galena mista talora a pirite ed a cerussite compatta; sono anche sovente- mente ricoperti da limonite térrosa ed ocracea. I cristalli di Masua sono meno ricchi di forme di quelli di Monte Scorra, e le loro combinazioni dànno luogo a due tipi diversi, cioè a cristalli di abito piramidale ed a cristalli tabulari secondo (100). I cristalli di anglesite di S. Giovanni sono quasi costantemente accom- pagnati da quarzo. L’abito dei cristalli è simile a quello del primo tipo di Monte Scorra, cioè cristalli prismatici secondo l’asse verticale. (E. Tissi). Penck W. — Der geologiscìie Bau des Gehirges von Predasso. (N. Jb. f. Min., GeoL, Pah, XXXII Beil. - Bd, II Heft,, S. 239-382, con 2 tav. e 10 fìg.). — Stuttgart. Picordati alcuni precedenti storici l’autore viene a parlare della crono- logia delle formazioni costituenti quella classica regione, nonché della geo- morfologia ed orotettonica della medesima e specialmente del M. Mulat, già centro di un’intensa attività vulcanica, mettendo in relazione le proprie ricerche coi precedenti studi di Marzari-Pencati e di J. Pombergs. Stabilisce la serie delle rocce eruttive che vi si riscontrano e manifesta il convincimento che le rocce granitiche siano meno antiche delle lave. Pelativamente ai fenomeni vulcanici, un tempo manifestatisi in questa regione, l’autore crede che i medesimi debbano aver presentato grande analogia con quelli che attualmente si appalesano nel Kilauea e che furono da lui personalmente studiati nel 1909. (E. Tissi). 102 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Pervinquière L. — Sur la geologie de V Extrème Sud de la Tunisie et de la Tripolitaine^ spécialement des environs de Ghadamès. (C. R. Ac. Se., tome 153, n. 23, pag. 1183-1186). — Paris. Rileva l’autore che la dirupata sponda che delimita la Geffara è coronata da una coperta di calcare turoniano ebe dalla Tunisia si estende fino in Tripolitania e nel quale si trovano delle rudiste affini alla Caprimda Sharpei Choff, e delle Praeradiolites Pontianus d’Arch. I dintorni di Ghedames hanno fornito una bella fauna maestrichtiana, caratterizzata dal Libycoceras Ismaeli Zitt. ; più in alto si sviluppano le stratificazioni a Cardila Beaumonti d’Arch., così che le affinità petrografiche e paleontologiche coll’Egitto e coll’India sono evidenti. La regione emerse definitivamente dopo l’epoca cretacea, ed il mare terziario ha soltanto eroso i bordi dell’altipiano. A Bengasi è stato trovato il Clypeaster acclivis Porne!., caratteristico del Burdigaliano dell’Algeria. Presso ad Homs un calcare arenaceo a Pecten cf. Scahrellus Lamck., ed a P. cf. opercularis L., rappresenta indubbiamente il Pliocene. (E. Tissi). PiLOTTi C. — Notizie geologiche sulle tavolette di Oschiri e Nulvi {Sardegna). (Boll. Com. geol. it., voi. XLII, fase. 2®, pag. xLm). — Roma. In questa nota l’autore rende conto delle osservazioni da lui effettuate dui’ante la campagna geologica autunnale del 1910 in Sardegna, e, più pre- cisamente, nei dintorni di Oschiri,- Tuia e Ploaghe. Xella parte occidentale della tavoletta di Oschiri i terreni sono preva- lentemente costituiti da scisti cristallini, roccie granitoidi e roccie trachi- tiche. La separazione tra le due formazioni granitica e scistosa non è tut- tavia netta e regolare. L’autore ha potuto altresì riconoscere, presso Ber- chidda, la presenza di strati di materiale diatomeifero appartenenti ad una formazione lacustre che sembrerebbe in relazione con quella segnalata dal Lamarmora ad Oschiri e sue vicinanze immediate. Gli scisti cristallini del Tulese, tormentati da intrusioni granitiche, con- tinuano verso Ovest e formano, nella tavoletta di Xulvi, la base del monte Sassu, il quale, nella sua parte superiore, è costituito da roccie trachitiche. Xella tavoletta di Xulvi l’autore ha riscontrato un piccolo lembo di calcare cretaceo, affiorante sotto le trachiti' del monte Sassu ; trattasi di un calcare compatto, ricco di rudiste, tra cui il prof. Parona potè riconoscere VHippu- rites cornovaccinum e presentante, nelle sezioni sottili, una fauna a milioliti 108 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 tr ematoforate che possono far riferire il calcare in parola al Senoniano medio e parallelizzarlo così a quelli dell’ Algherese. Il ritrovamento di questo lembo potrebbe giustificare l’ipotesi che il Cretaceo del nord della Sardegna sia più esteso di quanto fu sinora creduto. Nella tavoletta di Ploaghe assume particolare importanza la formazione basaltica con numerose ed ampie colate, dicchi e conetti di scorie, ciò che attesta il modo effusivo ed in parte anche esplosivo di quelle manifestazioni vulcaniche. Il modo esplosivo è dimostrato anche dal fatto che l’autore ha potuto raccogliere dei blocchi di basalto aventi il caratteristico aspetto delle bombe vulcaniche. (E. Tissi). PiOLTi Gr. — Sintesi della Smithsonite e delV Anglesite. (Estr. dagli Atti della P. Acc. Se. di Torino, voi. XLVI, opusc. di 8 pag.). Torino. Le esperienze eseguite dall’autore lo portano a ritenere che la forma- zione della smithsonite negli strati superficiali della crosta terreste e nelle roccie calcaree contenenti blenda è dovuta all’ossidazione di questa, alla consecutiva formazione di solfato di zinco, e, finalmente, alla mutua reazione fra il calcare ed il solfato, con formazione di gesso e di smithsonite. Quanto alla minerogenesi dell’anglesite l’autore crede di poter affermare che essa nelle parti superficiali dei giacimenti deriva dall’ossidazione del solfuro di piombo, poiché è appunto nella parte più esterna dei giacimenti che acque contenenti nitrati alcalini possono liberamente circolare ed eserci- tarvi la loro azione ossidante. In ambedue i suddetti casi di sintesi mineralogica entra, naturalmente, in funzione il tempo. (E. Tissi). Platania G. — Intorno ad alcune sorgenti termali nelle isole Eolie. (Boll, delle sedute dell’Accad. Gioenia, gennaio 1911, fase. 15®, pag. 19-24 [serie seconda]). Catania. In occasione dell’impianto di un osservatorio meteorologico nell’isola di Vulcano, l’autore ebbe l’opportunità di esaminare la sorgente termale nel porto di Levante, in vicinanza del Faraglione Piccolo. L’acqua termale, ad alta temperatura, si può rintracciare in diversi punti lungo la riva, scavando delle fossette nella ghiaia; l’acqua stessa del mare ne è — dove più dove meno — riscaldata, cosicché la fauna e la flora marine sono scarse in vicinanza alla spiaggia. 104 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Fatte scavare due vasche alla distanza di 5 e di 10 metri dal mare e fatta entrare in queste l’acqua termale, l’autore ebbe modo di constatare le variazioni di temperatura e di livello della medesima e l’ampiezza delle relative oscillazioni, come pure di misurare la temperatura superficiale del- l’acqua del mare a varie distanze dalla spiaggia, ecc. La temperatura della sorgente può variare financo di 18® in due ore, e ' l’autore crede che le variazioni di temperatura vanno connesse con la varia- zione della portata, la quale, a sua volta, dipende dal livello del mare ; e ritiene, anche d’accordo col Grablovitz, che questi fenomeni non hanno bisogno di essere attribuiti nè a spinte nè ad assorbimenti di origine vulcanica. L’autore esaminò anche le sorgenti termali dell’isola di Salina, rilevando che presso Lineila, a circa 200 metri dalla riva, in mare, si verificano, a lunghi intervalli, emissioni violente di gas, producenti getti d’acqua alla superficie del mare dove vengono a galla grandi accumuli di posidonie e di alghe con diffusione di odore di putrido. Tate fenomeno è da alcuni chiamato sconquasso] gli abitanti di Salina indicano quel luogo col nome di fossa (cratere), e le emissioni gasose con quello di scatti. (E. Tissi). Platania G. — Badioattività di materiali etnei. (Boll, delle sedute del- l’Accad. Gioenia, gennaio 1911, fase. 15®, pag. 25-28 [serie seconda]).— Catania. In questa nota sono esposti i risultati delle esperienze eseguite dall’au- tore sopra un gran numero di campioni di materiali frammentari etnei non recenti, allo scopo di stabilire il grado di radioattività dei medesimi. I materiali che formarono oggetto dello studio in parola furono ceneri, arene e materiali diversi (scoriette, lapilli, lava, fango, tufo, terra agraria, ecc.), stati eruttati dal cratere centrale o da bocche laterali in differenti epoche. I valori ottenutine dimostrano che la radioattività dei materiali etnei è, in generale, molto debole; che le ceneri sono più attive delle arene e che una maggiore radioattività mostrano i tufi e le terre agrarie. (E. Tissi). Ponte G. — Fase hawaiana dell’attività delV Etna. (Eend. P. Acc. dei Lincei, S. V, voi. XX, fase. 4®, 1® sem., pag. 257-259). — Poma. Pileva l’autore che la mattina del 26 gennaio 1911 sulla città di Catania BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 105 si trovò disteso un lieve strato di sabbia nera eruttata dall’Etna nella notte precedente. Quella sabbia era costituita da piccoli granuli e da esili filamenti, che il prof. Bucca per il primo notò essere in tutto simili a quelli emessi dal Kilauea e da tutti i vulcanologhi conosciuti col nome di capelli di Pelè. Nel Kilauea questi fili capillari si formano per stiramento del vetro basal- tico (jalomelano) che viene proiettato nelle esplosioni delle fontane ardenti, tanto caratteristiche di quel cratere. I detriti filamentosi osservati a Catania presentano tutte le forme carat- teristiche dei capelli di Pelè descritte e disegnate dal Krukenberg e di quelli posseduti dall’Istituto di Mineralogia e Vulcanologia dell’Università di Catania. Taluni sono esili filaménti, altri hanno la forma di clave, di lagrime, di fuscelli sfibrati, di reticolati spesso riuniti da membrane, simili ad alette di mosca, e di moltissime altre forme. Le membrane e le scheggie sottili sono molto trasparenti, mentre i fila- menti sono di color bruno-oscuro e presentano delle nervature longitudinali. Visti per riflessione mostrano delle iridescenze interne dovute alle bol- licine gassose inclusevi; tra i nicols incrociati restano sempre inattivi. Osserva l’autore che un così interessante fenomeno non era stato in precedenza osservato sull’Etna e che i caratteri in quella occasione mani- festati dal grande vulcano sembrano corrispondere ad una vera attività hawaiana. (E. Tissi). PoRLEzzA C. e Norzi G. — Nuovi studi sui gas dei soffioni horaciferi di Larderello. (Pend. P. Accad. Lincei, S. 5^, voi. XX, 2« sem., fase. 7, pag. 338-342). — Poma. Le esperienze degli autori, condotte specialmente alla ricerca dei gas rari, portarono a stabilire la presenza dell’argo e dell’elio e ad escludere quella del neo, del cripto e dello xeno. Pelativamente al contenuto in emanazione radioattiva le ricerche in parola stabilirono che in un metro cubo di gas tale quantità ascende a: 4,813 X 10- 7 mm.^ risultato che — ammesso il dato di Putherdorf — starebbe in equilibrio radiottivo con : 8,02 X 10- 7 gr. di radio. Quantitativamente risultò che azoto, argo ed elio stanno fra loro nelle seguenti proporzioni: azoto 97,10; argo 1,77; elio 1,13: totale 100. (E Tissi). 106 BIBLIOGEAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 PoRLEzzA C. e Norzi G. — Sul tufo radioattivo di Fiuggi - Gas occlusi - Con- tenuto in radio ed uranio (Pend. P. Acc. dei Lincei, S. V, voi. XX, fase. 12, 1® sem., pag. 935-939). — Poma. Lo studio di cui è oggetto la presente nota si ricollega ad altro in pre- cedenza compiuto dai professori Xasini e Levi sulle acque di Fiuggi, dal quale sarebbe risultato che non solo le acque stesse sono fortemente radio- attive, ma che lo è grandemente anche il tufo da cui le acque scaturiscono, onde fu anche tentata una concentrazione del prodotto radioattivo contenuto nei tufi medesimi. Assai interessante si presentava pertanto lo studio dei gas occlusi in detti tufi, ciò che appunto gli autori hanno voluto eseguire pervenendo ai seguenti risultati: 1® Che nel tufo di Fiuggi, pur cosi radioattivo, l’elio occluso si trova in piccolissima quantità. 2® Che la quantità di radio contenuta in un grammo di tufo è di 5 X grammi di radio, contenuto abbastanza rilevante quando si ri- fletta che le roccie più attive dànno un contenuto, secondo Strutt, di 7.15 X 10 — grammi di radio per grammo di roccia. 3® Che un grammo di roccia darebbe un contenuto di 0.76 X 10 ““ ® grammi di uranio, oppure grammi 0.676 X 10 ^ di uranio se a base del calcolo si adotta la suindicata quantità di radio (5 X 10~i2j; la differenza nei due risultati potrebbe dipendere dalla antichità della roccia. (E. Tissi). Porro C. — Note geologiche sulle Alpi Bergamasche e Bresciane (Pend. P. Ist. lomb., S. II, voi. XLIV, fase. XV, pag. 863-883, con 2 tav.). — Milano. E una replica ad alcune critiche sollevate in merito alla pubblicazione dell’autore intitolata: “ Carta geologica delle Alpi Bergamasche „, nella quale opera il prof. Tarameli! avrebbe rilevato alcuni errori ed alcune omissioni specialmente per ciò che concerne le due valli del Mora e del Brembo di Mezzoldo, le quali convergendo ad Olmo formano la vera e propria vallata del Brembo. Con la presente nota l’autore dimostra che dal lato tettonico nessun fatto veramente nuovo è venuto ad aggiungersi, trattandosi del solito mo- tivo della catena Orobica, che, pur variando nelle modalità, continua sino alla valle Camonica. Sono, cioè, pieghe che tendono a raddrizzarsi ed a ro- vesciarsi a Sud, con le conseguenti dislocazioni, scoriimenti ed accavalla- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 107 menti; sono, come ultimo risultato predominante, gli scisti cristallini che vengono a trovarsi accavallati a Sud sulle formazioni permo-triassiche, pro- ducendo fra loro e con la dislocazione principale delle vere e proprie embri- cazioni di strati. Osserva per ultimo l’autore che il fenomeno è stato causato da una spinta orogenetica alquanto obliqua all’orizzonte, e che sarebbe interessante di sta- bilire se questa sia stata una sopra od una sottospinta. (E. Tissi). Prever P. L. — Il fenomeno glaciale nella vaile del Pellice (Boll. Soc. geol. it., voi. XXX, pag. 755-813). — Eoma. Dal contesto della memoria si rileva che la valle del Pellice fu antica- mente occupata da un ghiacciaio che la percorse tutta sino a tre chilometri, circa, a valle di Torre Pellice. L’invasione glaciale non fu unica, chè anzi si notano visibili traccio di tre espansioni rispettivamente sempre più limi- tate, nonché depositi morenici riferibili al Mindeliano, al Eissiano, al Wur- miano, ed a valle i tre diluviali corrispondenti più o meno nettamente ter- razzati. Durante il Wurmiano il ghiacciaio sostò, per un certo periodo, al limite estremo che raggiunse a valle; nello stadio di Bùhl all’espansione massima seguì una rapida ritirata ed a questa una discreta sosta. I depositi morenici sono spesso nettamente terrazzati, e la loro facies è, generalmente parlando, la medesima che riscontrasi in altre valli alpine e nei depositi di pianura, nonostante che il ferretto sia comparativamente meno abbondante. Molti dei depositi morenici si devono riferire agli stadi di Bùhl, di Gschnitz, di Dann. I depositi di Bùhl sono ancora distinguibili dagli altri più recenti ; quelli di Gschnitz e di Dann non sono sempre separabili e ri- montano sino ai più alti circhi montani non più attualmente occupati da ghiacciai o da vedrette. II Diluvium inferiore non è rappresentato nella valle principale; il medio ed il superiore lo sono assai scarsamente. Le alluvioni antiche non si trovano che fuori della valle ; quelle più re- centi sono prevalentemente concentrate in due conoidi, una delle quali è presso Bobbio e l’altra presso il ponte nuovo di Bibiana. (E. Tissi). 108 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Principi P. — Idrologia sotterranea della pianura di Norcia (Boll. Soc. geol. it., voi. XXX (1911), pag. 849-862). — Poma. L’autore porge anzitutto una descrizione orografica e morfologica dei ba- cini detti di S. Scolastica e di Castelluccio, che costituiscono i due princi- pali fattori dell’idrologia sotterranea della regione in esame. Il bacino o piano di S. Scolastica è una vasta conca pianeggiante, che, ad un’altitudine di circa 650 m., si estende per 7 km. in lunghezza e per circa 3 km. in larghezza nei dintorni della città di Xorcia ed è circondato da rilievi spettanti alla serie cretacea. Il bacino di Castelluccio trovasi ad Est di Norcia, alla quota di circa 1300 m. Ha una superficie complessiva di 75 kmq. ed è anch’esso. contor- nato da rilievi della serie mesozoica, cioè dalla serie cretacea ad occidente e dai terreni giuraliassici ad oriente. L’autore descrive quindi l’inghiottitoio che si trova presso quest’ultimo bacino e che consiste in una cavità irregolare larga circa 50 e profonda 10 metri. A Nord ed a Sud di esso si allineano numerose doline, aventi l’aspetto di piccole cavità imbutiformi od a piatto, con diametro oscillante fra 8 e 20 metri e con profondità superanti raramente gli 8 metri. Le sorgenti del bacino di Castelluccio sono in numero di 9, con portata complessiva di m.^ 0.0344 al 1"; quelle del bacino di Norcia sono 11 con un complessivo deflusso di m."^ 2.6 al 1". L’autore tratta poi delle acque freatiche le cui falde hanno livello idro- statico assai vicino alla superficie del suolo, tanto che in alcuni punti esso diventa positivo traboccando all’esterno. Infine, l’autore si occupa dell’utilizzazione di queste acque e di quelle delle sorgenti nei riguardi agricoli ed industriali, come pure della possibi- lità di rintracciare acque artesiane, possibilità che non sembrebbe esclusa data la conformazione tettonica di quei bacini. (E. Tissi). Principi P. — Sul periodo sismico di Mucciafora e Roccatamhuro (Spo- leto) del giugno-ottobre 1910 (con 1 fig.) (Boll. Soc. geol. ital., voi. XXIX (1910), fase. 3-4, pag. 411-422). — Roma. Il periodo sismico, oggetto della presente memoria, si iniziò verso le ore 13.30 del 29 giugno 1910, e, salvo qualche interruzione, durò fino a tutto l’ottobre di quell’anno. Le scosse produssero danni notevoli a Mucciafora e Roccatamburo, fra- 109 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 zioni del comune di Poggiodomo, ad Est di Spoleto, recando in quella po- polazione seri allarmi. Le scosse si susseguirono numerosissime a breve distanza di 4-5 minuti e durarono, quasi ininterrottamente, fino alle 18.30. Leggere dapprima, assunsero poi una certa gravità e la più intensa fu av- vertita verso le ore 15. Esse furono assai sensibili a Cascia, Monteleone, Koccaporena, Scheggino e furono avvertite anche in paesi più lontani come Cittaducale, Rieti, Macerata, Pergola, Urbino. I paesi maggiormente danneggiati, cioè Mucciafora e Roccataihburo, pog- giano sul calcare rosato del Cretaceo superiore e gli edifici sono costruiti in modo assai difettoso. Le fondazioni, in genere, sono poco profonde ed il materiale edilizio è costituito da frammenti irregolari di calcare rilegati da pessime malte. Le scosse sembravano provenire da S-0, cioè dal monte Coscerno. L’autore ritiene che causa dei frequenti terremoti umbri sia l’adatta- mento graduale di masse spezzate da un complicato sistema di fratture, senza escludere tuttavia che alcuni terremoti della regione spoletina, avendo avuto un’area assai ampia, debbano collegarsi ai movimenti dei vari centri sismici dell’Appennino centrale ed anche di centri più lontani. (E.. Tissi). Raffo Gr. — Ancora sulla densità di alcune lave delVEtna, del Vesuvio e di alcuni mattoni (Boll. Acc. Gioenia di Se. nat., fase. 18, pag. 4-10). — Catania. Le esperienze che formano oggetto della presente memoria ebbero per iscopo di stabilire se la densità delle lave diminuisca dopo che queste sono state ad altissime temperature, ma specialmente quale differenza risulti nella densità a seconda che il raffreddamento sia stato lento o brusco. In apposito elenco l’autore indica la natura dei materiali sottoposti all’esame, il luogo di loro provenienza ed i relativi caratteri fisici, ed espone, in speciali colonne, il loro peso specifico al naturale e quello riscontratovi dopo averli portati ad altissime temperature e successivamente raffreddati in modo lento ed in modo brusco. Dai suddetti esperimenti sarebbe risultato che le lave e tutte le altre sostanze portate ad altissime temperature, diminuiscono di peso specifico se raffreddate lentamente^ mentre tendono piuttosto ad aumentarlo se il raf- freddamento avviene bruscamente. II peso specifico diminuisce invece molto sensibilmente, se si raffreddino sia in modo lento, sia in modo brusco, se le sostanze stesse sono state fuse. (E. Tissi). 2« 110 BIBLIOGEAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Rasce W- — Petrographische Untersuchung der dioritischen Gesieine aus dem Gahhrogehiet des oberen Veltlin (Neues Jahrb. fiir Min., GieoL, und Pai., XXXII Beil. Bd., 1® H., pag. 197-238, con tav.). — Stuttgart. La memoria concerne gli studi sulla metamorfosizzazione di alcune roccie raccolte da Link, quali.il granito, la diorite,' il gabbro e la norite, e la deter- minazione nelle medesime del feldispato secondo i metodi di Fouqué, Becke e Schroeder. (E. Tissi). Regalìa e. — Fauna glaciale in due grotte di Equi (Alpi Apuane) (Riv. Ital. di Paleont., anno XVII, fase. I-II, pag. 24-28). — Catania. La nota concerne lo studio e la descrizione dei rèsti fossili rinvenuti in due grotte vicine ad Equi, nelle Alpi Apuane, grotte conosciute coi nomi di Buca e di Tecchia. Nella prima, che si compone di diverse cavità situate a differenti livelli, furono rinvenuti 4 elementi di GalluslAmi.] un elemento di Syrnium Aluco Linn; 4 elementi di piccoli ruminanti uno dei quali potrebbe provenire da una Capra Ihex Linn., ed un elemento di Canida^ un po’ maggiore di uno sciacallo. La seconda, ossia la Tecchia, è situata a circa 350 m. sul mare ed è di non facile accesso. Si compone di due grandi cavità, di cui la sinistra è più vasta e più rientrante. Vi furono trovati avanzi di pesci, di volatili non domestici e di mammiferi. Tra questi ultimi si ricordano : Capra IbexlÀnìi.^ LepuslAmi.’, Canis Lupus Cimi. ] UrsusspelaeusBhim.] Mustela Erminia Linn.; HyaenaBriss.\ Felis par dus Linn. (E. Tissi). Ricci L. — Prime osservazioni fisiche sul ghiacciaio del Trobio (Alpi Ber- gamasche) (Riv. geogr. ital., anno XVIII, fase. 5®, pag. 267-278, con 4 fìg.). — Firenze. Nella nota sono esposti i risultati delle osservazioni fìsiche eseguite dall’autore nella zona montuosa compresa tra il Pizzo del Diavolo di Tenda ed il Pizzo Torena, la, sezione più alta delle Alpi Bergamasche, che ospita un numero notevole (circa 25) di piccoli ghiacciai di second’ordine, tra i quali è considerato come principale il ghiacciaio del Trobio (detto localmente Vedretta del Trobio), situato 'al piede settentrionale delle cime del monte Glene, in vai Soriana, al quale ghiacciaio questa nota particolarmente si ri- ferisce. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 111 Sono descritti Tubicazione e forma del ghiacciaio, il suo regime d’ali- mentazione, l’ampiezza, la conformazione complessiva, l’inclinazione, l’anda- mento altimetrico, il movimento o spostamento annuo, ecc., dati che vennero dall’autore assunti nel sessennio 1905-1910, con riserva di completarli ed estenderli quanto prima agli altri ghiacciai della regione. (E. Tissi). Ricci L. — Osservazioni sulla temperatura delle sorgenti del Livenza (Mondo Sott., anno VII, n. 5-6, pag. 93-103). — Udine. Osserva l’autore che le sorgenti del Livenza richiamarono da lungo tempo l’attenzione degli studiosi sia per i loro speciali caratteri sia per i problemi che riguardano la provenienza delle acque che le alimentano, acque che, secondo le più recenti osservazioni, debbono ritenersi di natura sicuramente carsica e rappresentano gli emuntori del bacino chiuso del Cansiglio. La nota concerne specialmente le due maggiori sorgenti del Livenza, denominate della Santissima e del Gorgazzo^ nonché le due minori dette Livenzetta e Naorin^ le quali scaturiscono tutte dai calcari cretacei senza però che si possa riconoscere alcun rapporto tra la direzione e inclinazione dei banchi calcarei e l’ubicazione delle sorgenti. L’autore si occupa quindi della portata, della trasparenza e della tempe- ratura delle sorgenti e dell’aria esterna compendiandone i dati in appositi quadri. Espone quindi le proprie vedute intorno alle cause della bassa tem- peratura delle sorgenti stesse ed intorno ai rapporti tra la medesima tem- peratura e la portata delle sorgenti riferibilmente alle varie stagioni del- l’anno. (E. Tissi). Ricciardi L. — Su le Relazioni delle Reali Accademie di Scienze di Napoli e dei Lincei di Roma sui terremoti calahro-siculi del 1783 e 1908 (Boll. Soc. di Naturalisti in Napoli, voi. XXIV (S. II, voi. IV), pag. 23-75). — Napoli. Riferendosi al contesto delle Relazioni presentate dall’Accademia di Scienze di' Napoli e dei Lincei di Roma sui terremoti calabro- siculi del 1783 e 1908, l’autore esamina e discute le opinioni e le ipotesi manifestate da vari geologi italiani e stranieri sulla natura dei fenomeni vulcanici e tettonici in genere, descrivendo poi con grande copia di particolari le ca- ratteristiche dei terremoti calabro-siculi del 1783 e del 1908 e parlando, in separati capitoli, della relazione tra il vulcanismo ed il sismismo, dei ma- 112 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 remoti sulle coste calabro-sicule del 1783 e 1908, delle isole Eolie e dei terremoti calabro-siculi nelle anzidette due epoche e, per ultimo, dei feno- meni di propagazione del moto attraverso i mari. Egli è convinto che la causa dell’ immane disastro del 28 dicembre 1908 va ricercata nel vulcanismo, tanto più che i principali fatti che precedono, accompagnano e seguono i fenomeni vulcanici, e soprattutto il riscaldamento dell’acqua sui versanti calabro-siculi non può piu revocarsi in dubbio. Osserva inoltre che la terribile scossa del dicembre 1908 superò per intensità tutte le precedenti e fu intesa in tutte le parti del moado. Rombi e boati precedettero, accompagnarono e seguirono i maremoti ed i terremoti calabro-siculi, fenomeni che, unitamente a tanti altri da lui ac- cennati, formano, egli dice, la caratteristica delle eruzioni sottomarine. Tutte le regioni vulcaniche del Mediterraneo vanno soggette a movi- menti macrosismici e microsismici subaerei e submarini che si ripetono da epoche immemorabili e gli immani disastri sopraccennati sono stati pro- dotti da abortite eruzioni sottomarine; nell’atto che il dinamismo endoge- nico tentò manifestarsi nello stretto di Messina, provocò pure il maremoto che più o meno intensamente investì la parte orientale della Sicilia e le coste occidentali della Calabria. L’autore respinge pertanto ogni concezione di assettamento tettonico e rileva che se in epoche remote la Sicilia si distaccò dal continente, ciò fu per la violenza del dinamismo endogeno a cui seguirono le formazioni vul- caniche dello Stromboli e delle isole Eolie. Rileva, per ultimo, che quando il vulcanismo si manifesta colla violenza del 28 dicembre 1908 e 1® lu- glio 1909 nulla esso rispetta, ed è quindi ozioso parlare di aree immuni o ponti, di terreni e fabbricati che possano resistere a quelle esplosioni od a quei terribili sussulti. (E. Tissi). Ricciardi L. — Il sismismo, il vulcanismo e la costituzione geofisica del geoide (Boll. Soc. di Naturalisti in Napoli, voi. XXIV (S. II, voi. IV), pag. 121-154). — Napoli. Il contesto di questa memoria tende a dimostrare che la causa dei feno- meni vulcanici e delle perenni oscillazioni del geoide è dovuta alla pene- trazione dell’acqua del mare o per effetto della permeabilità delle rocce o direttamente attraverso le fratture abissali, o dai crateri sottomarini che si formano in tutte le latitudini, longitudini e profondità. L’acqua del mare, in uno dei suddetti «iodi penetrata, continuerà la sua discesa nel geoide finche le condizioni termiche glielo consentiranno, poiché giunta nella zona di ri- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 113 pulsione abbandonerà i sali che tiene disciolti e si trasformerà in vapore, diffondendosi tutt’ intorno se non ritornerà per la via percorsa. I residui salini ed i depositi abissali trascinati dal mare venendo a con- tatto col magma arroventato ne modificheranno la composizione, dando luogo a reazioni chimiche per le quali le rocce passeranno dal tipo acido al tipo basico, formando poi nei vulcani attivi una serie di rocce identiche, per composizione, a quelle che costituiscono la serie geologica dalle arcaiche alle diabasiche ed ai basalti. Dev’essere colà che deve prodursi l’immane conflitto fra l’enorme ten- sione dei vapori e dei gas e le parti che li circondano e li racchiudono. Infatti l’istantanea, enorme emissione di vapori e di gas deve indub- biamente esercitare una straordinaria pressione in tutti i sensi ed anche, naturalmente, sul magma medesimo. Queste pressioni provocheranno scuoti- menti sussultori, microsismici o macrosismici, rompendo in tal modo l’equi- librio instabile del nostro geoide, che dal principio dell’evoluzione della nebulosa si agita e si agiterà senza tregua. L’ incontro dell’acqua col magma arroventato deve necessariamente pro- durre esplosioni, dissociazioni, emissioni istantanee di enormi miscele di va pori e di gas e provocherà, come ha provocato in tutti i tempi, le immani catastrofi sismiche. Allorquando il dinamismo endogeno è così violento da provocare nell’in- volucro esterno, relativamente rigido, delle fratture, allora avviene uno scoppio. Lo scoppio è seguito da eruzione e allora il fumo, che n’è una delle prime manifestazioni, contiene, secondo l’autore, il 999 per mille di vapore a cqueo ; è quindi questo vapore acqueo l’agente provocatore capace di agitare, e spesso in modo terribile, tutta la enorme e pesante massa. Son questi bruschi ed istantanei movimenti, come pure le eruzioni, che producono la nutazione dei poli e la conseguente variazione delle latitudini ter- restri. Quindi non è l’ isostasi, ma bensì il vulcanismo, cou la circolazione delle sostauze minerali e coll’ indispensabile concorso del mare, che compie l’evolu- zione delle rocce, modifica la morfologia della terra e la tiene in perpetua agitazione. Le eruzioni vulcaniche avvengono quindi per l’incontro dell’acqua ma- rina e d’infiltrazione col magma arroventato nell’interno del geoide. La sismologia non possiede ancora strumenti perfezionati e capaci di re- gistrare sismogrammi di sicura interpretazione, ma dai dati che finora ha forniti si può ritenere come stabilito; a) che il geoide è diuturnamente scosso; h) che la scossa, sempre sussultoria all’ipocentro, sussultoria e ondu- 114 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 latoria a distanza, può essere microsismica e locale, o macr osismica e uni- versale ; c) che la scossa può essere più sensibile in una che non in altre parti del geoide ; d) che ad una profondità variabile il geoide è costituito di rocce uni- formi e continue, buone conduttrici delle onde sismiche ; e) che la velocità di propagazione delle onde sismiche varia entro limiti assai distanti; /) che la registrazione del sismo nel primo momento è dovuta a causa meccanica ; g) che il mare non modifica la conducibilità delle vibrazioni sismiche. (E. Tissi). Eicciardi L. — Su la invenzione del Tectonismo. (Boll. Soc. dei Natura- listi in Napoli, voi. XXIV (S. II, voi. IV), pag. 309-336). — Napoli. In questa nota, dopo avere descritti i fenomeni che accompagnarono i più memorabili terremoti, specialmente italiani, e ricordate le nuove teorie al riguardo espresse da vari scienziati, alcuni dei quali intendono spiegare col tectonismo le frequenti e disastrose convulsioni telluriche di cui furono teatro la Calabria e la Sicilia, l’autore pienamente conferma le opinioni da lui in proposito costantemente manifestate, che, cioè, i ter- remoti sono dovuti al vulcanismo, ossia all’infiltrazione marina o da ana- loghi fenomeni dipendenti dall’azione dell’acqua che viene a contatto col- l’interno magma incandescente. (E. Tissi). Biccò A. — Eruzione Etnea del 1911. (Boll. Soc. sism. it., voi. XV, nn. 6-7, pag. 273-280, con 4 fig.). — Modena. La nota descrive le varie fasi di attività vulcanica ed i vari fenomeni sismici presentati dall’Etna nel 1911 ed in ispecial modo durante il periodo compreso tra il 9 e il 22 di settembre, nel quale periodo ebbero a verifi- carsi emissioni di lava, di vapori, di fumo, di cenere, di lapilli, di pietre, tanto dal cratere centrale quanto da varie bocche laterali. Si produssero altresì ampie e lunghe fenditure, gruppi di crateri secondari, ingenti co- late di lava, fumarole, ecc. L’eruzione, malgrado l’imponente apparato, terminò al 13° giorno e tran- quillamente, con poche e deboli scosse. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 115 La ferrovia circumetnea rimase occupata per una distesa di HOO metri, e sopra di essa la lava raggiunse uno spessore di circa 30 metri. La fronte più avanzata delle colate laviche è arrivata fino al Vallone Crasso, circa 2 chilometri oltre la ferrovia anzidetta. Cenere e sabbia furono eruttate dal cratere centrale in quantità gran - dissima, e molta ne cadde sopra Catania, specialmente il giorno 15 set- tembre. Allorché cadeva la pioggia di cenere l’atmosfera era torbida; il sole sopra all’orizzonte sembrava rossastro e contornato da un’aureola gialla ; non venne però fatto di osservare- il grande anello di diffrazione di Bishop come dopo l’eruzione del Krakatoa del 1883. Anche la luce emanata dal sole era rossastra; collo spettroscopio si vedeva soltanto un assorbimento generale, non forte, della luce di più breve onda. L’Osservatorio Etneo è rimasto coperto da alcuni centimetri di sabbia. (E. Tissi). Rizzo G. B. — Sulla propagazione dei movimenti prodotti dal terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. (Mem. R. Acc. Se., Torino, S. II, tomo LXI, pag. 355-417, con 1 tav.). — Torino. La presente memoria ha lo scopo di portare un contributo allo studio delle cause e delle leggi secondo cui si è propagato sulla superficie ter- restre il moviménto del suolo prodotto dal memorabile terremoto del 28 di- cembre 1908, e ciò perchè le leggi della propagazione dei movimenti sismici sulla superficie della terra sono strettamente collegate colla natura e colle proprietà fisiche dei materiali attraverso i quali quei movimenti si propagano, e dipendono altresì dalla profondità dell’origine e dai caratteri delle scosse. L’autore, che insieme alla propria famiglia ebbe la fortuna di scampare da quell’immane disastro, riferisce di non aver mai provato l’impressione che il moto fosse quello di un inabissamento del suolo, ma che invece la scossa fosse prodotta da un colpo diretto dal basso in alto. Stando ritti — egli scrive — pareva, per effetto di una scossa un po’ forte, di sentirsi sollevare in alto da un urto sotto le piante dei piedi. I movimenti prodotti dal terremoto si propagarono a tutta la superficie terrestre e furono registrati, si può dire, in tutti gli osservatori sismici del mondo. E poiché i direttori di quegli istituti ebbero la compiacenza di trasmettere all’autore gli elementi delle registrazioni rispettivamente ri- levate, il lavoro dell’autore è anche il frutto della loro cooperazione. In app ositi quadri sono indicati i risultati delle osservazioni di cui trat- 116 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 tasi, rilevate in 110 stazioni ed osservatori, di cui 19 in Italia, 58 di altri paesi d’Europa e 33 di altre regioni. Tali risultati sono riferiti adoperando le notazioni cosi dette di Grottinga. Un quadro riassuntivo indica i valori dei tempi di propagazione per le diverse fasi delle registrazioni sismiche dedotte dalle curve odografe fino alla distanza di 11,000 chilometri dall’epicentro, ed i corrispondenti valori delle medie velocità superficiali, (E. Tissi). Eoccati a. — ^ Le sorgenti del piano della Mussa [Valle della Stura di Ala). (Estr. dalla Eiv. d’ingegneria sanitaria e di Edilizia moderna, anno VII, nn. 3 e 4, 1911. Opus. in-4° di 10 pag.). — Torino. La memoria si occupa dell’acqua che alimenta i fontanili del Piano della Mussa, i quali, in un avvenire più o meno prossimo, dovranno con- correre all’alimentazione idrica della città di Torino. Le sorgenti della Mussa si trovano nella parte orientale del piano e formano due gruppi. Il primo comprende la così detta fontana del Prete., intermittente, e le sorgenti inferiori perenni ; il secondo gruppo comprende le sorgenti superiori intermittenti. La loro portata varia fra 63 litri al 1" nel mese di marzo e 1513 nel mese di giugno. La temperatura va da un minimo di 4°.3 ad un massimo di 4°.6 ; la durezza, espressa in gradi francesi, oscilla tra 9.5 e 10.5. L’acqua è sotto ogni rapporto ottima e regge vittoriosamente al con- fronto con le migliori acque potabili. L’autore fa quindi una dettagliata descrizione orografica e morfologica della regione per spiegare l’origine dell’acqua che alimenta i fontanili in parola. Geologicamente tutta la regione del Pian della Mussa, come del resto l’intera Valle di Ala, appartiene alla cosiddetta formazione delle pietre verdi del Gastaldi, formazione che poggia in concordanza sui gneiss costi- tuenti i due massicci del Gran Paradiso e della Dora Val-Maira. Nella Valle di Ala sono predominanti i serpentini ai quali si associano rocce anfiboliche (anfiboliti, granatiti, prasiniti, ovarditi, ecc.), calcescisti micacei ed arenacei, calcari cristallini, cloritoscisti e talcoscisti. L’autore ritiene che la falda acquea che genera le sorgenti della Mussa provenga dal potente detrito di falda, permeabile, che ammanta la balza su cui sorge il rifugio Gastaldi. (E. Tissi). BIBLIOGEAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 117 Eoccati a. — Il 'pozzo trivellato di Carmagnola {Torino). (Estr. dalla riv. d’ingegneria sanitaria e di Edilizia moderna, anno VII, n. 11, 1911. Opus. in-4° di 6 pag.). — Torino. La memoria si riferisce al pozzo trivellato eseguito dalla ditta Antoli e Bertola di Torino nella città di Carmagnola per la ricerca di acqua saliente. La trivellazione, cominciata il giorno 21 luglio 1910, terminò il giorno 9 del successivo agosto, ed il risultato fu veramente ottimo, poiché alla pro- fondità di circa 70 metri fu incontrata un’abbondante falda acquea, che diede una portata di circa 4 litri al secondo, con getto elevantesi di me- tri 3.30 sopra il livello del suolo. Nella trivellazione in parola furono attraversate formazioni tutte riferi- bili al Quaternario recente che l’autore partitamente descrive, osservando in proposito che le alluvioni più profonde del sottosuolo di Carmagnola rappresentano, a partire da 50 metri circa, il materiale depositato durante il primo ed il secondo periodo delle Terrazze. Tale materiale dev’essere stato allora portato essenzialmente dal Tanaro. Superiormente ai 50 metri si avrebbero le alluvioni corrispondenti al terzo periodo delle Terrazze, durante il quale l’alluvionamento fu ancora prodotto dal Tanaro e suoi affluenti, mentre poca o nessuna influenza deve avervi avuto il Po che doveva scorrere ad una certa distanza da Carmagnola. L’acqua di questo pozzo trivellato è buona e perfettamente adatta ad uso potabile, con temperatura costante di 13®. 1 centigradi. (E. Tissi). PoccATi A. — La Mollieresite. Anagenite gneissificata del Vallone Marges, presso Mollières {Alpi marittime). (Atti R. Acc. delle Se. di Torino, voi. XLVI, disp. 13^, pag. 733-744, con ] tav.). — Torino. Questa monografia ha per oggetto un’interessante e curiosa formazione esistente in una ristretta zona del territorio di Mollières, per la quale il prof. Sacco avrebbe proposto il nome di mollieresite. E una roccia d’origine evidentemente clastica-conglomeratica, in cui è specialmente interessante la natura del .cemento che tiene uniti i ciottoli, essendo desso di natura gneissica, in tutto corrispondente, per la compo- sizione, a quella dei caratteristici gneiss ar cosici od anagenitici così am- piamente sviluppati nella parte superiore della formazione cristallina che costituisce il massiccio gneissico dell’ Argenterà, o, come dicono altri, del Mercantour. Il tipo litogico in esame, ossia la mollieresite, costituisce, secondo l’au- 118 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 tore, un vero anello di congiunzione tra le anageniti tipiche, così potente- mente diffuse nella zona sud-orientale del gruppo dell’ Argenterà, ed i gneiss ar cosici sopra accennati. L’autore, oltre che la natura e la composizione della mollier esile ^ de- scrive anche quella degli scisti gneissici che la ricoprono o che s’interca- lano localmente ad essa, nonché i caratteri fisici e litologici dei ciottoli e frammenti che entrano a costituirla, i quali sono principalmente rappresen- tati da quarzo ialino o latteo, quarzite, aplite, microgranito, gneiss a mu- scovite, gneiss a due miche, gneiss micaceo anfibolico. Oltre a queste rocce di tipo nettamente cristallino originario, si notano pure con una certa frequenza nella mollieresite ciottoli e frammenti prove- nienti da rocce clastiche, come argilloscisto metamorfico, scisto nero, arcosi. (E. Tissi). E-OCcati a. — La galleria Branego sul tronco Vievola-Tenda della linea ferroviaria Vievola-Ventimiglia- Nizza. (Boll. Soc. geol. ital., voi. XXX, fase. l°-2®, pag. 35-48). — Eoma. Durante i lavori di scavo della galleria Branego, della linea Cuneo-Ven- timiglia-Xizza, l’autore ebbe occasione di fare una raccolta sistematica delle rocce in cui si svolge quella galleria, rocce che sono da riferirsi essenzial- mente al Trias. Le formazioni rocciose che affiorano sul versante orientale del monte Branego, cioè verso la Roia, sono esclusivamente rappresentate da calcari dolomitici in grandi banchi, a stratificazione regolare e cristallinità spic- cata, ciò che può valere a spiegare in essi la mancanza di fossili. Sono riferibili al Trias medio o superiore. Le rocce incontrate nel traforo della galleria, specialmente nella sua seconda metà, verso l’imbocco Ventimiglia, sono invece le anageniti, che corrispondono alla tipica formazione così sviluppata nell’alta Valle della Roia e che vengono indicate come appartenenti al Fermo-Trias. L’autore descrive i caratteri dell’alterazione dell’anagenite granulare, incontrata nell’ultimo tratto della galleria, alterazione dovuta probabilmente all’azione dell’acido solforico formatosi per decomposizione della pirite, che ha ridotto la roccia ad una sabbia sciolta, essenzialmente quarzosa. (E. Tissi). Roccati a. — Glauconite della Ficuzza e di Corleone [Palermo). (Gior. Se. nat. ed econom., XXVIII, pag. 247-262). — Palermo. L’autore ha esaminato alcuni esemplari delle arenarie del Casale di BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 191 1 119 Busandra (Ficuzza) e di Corleone, nelle quali lo aveva colpito la frequenza, talora rilevantissima, di un minerale granulare verde, che qua e là la co- lora intensamente, e che fu constatato trattarsi di glauconite. Le arenarie glauconitiche della Ficuzza e di Corleone presentano sempre una grana minuta, talora anzi minutissima. Hanno stratificazione abbastanza netta, colore variabile dal verde al rosso-bruno a seconda dell’abbondanza e dello stato di conservazione della glauconite. Variabile è anche la coesione della roccia, e ciò anche indipendente- mente dal grado di alterazione; rilevante la sua porosità e quindi il rela- tivo grado di permeabilità o di imbibizione. I costituenti della roccia, dopo trattamento con acido - cloridrico, risul- tarono i seguenti: quarzo accompagnato da feldispato, tormalina, zircone, granato, anfibolo, mica, magnetite, pirite. Si hanno poi abbondantissimi gusci di foraminifere appartenenti ai gruppi dei Rotaidi e degli Opercu- linidi^ qualche rara spicula silicea di spugne e nell’arenaria di Corleone fu constatata anche l’esistenza di denti di pesci. L’autore riferisce i risultati dell’analisi chimica della glauconite, da lui eseguita. (E. Tissi). Bodriguez F. — Giacimenti di calcare marnoso nel Casalese. (Rass. min., voi. XXXV, n. 6, pag. 85-86). — Torino. Premessi alcuni dati statistici concernenti l’importanza dell’industria dei cementi e delle calci idrauliche del Monferrato, l’autore descrive la forma- zione calcareo-marnosa che alimenta tale industria e che affiora nelle colline eoceniche del Casalese, tra Casale e Quarti nel senso E-0 e dal Po ad Ozzano nel senso X-S. Tale formazione è costituita da una serie di banchi calcareo-m arnesi, di potenza variabilissima, alternanti colle marne e attraversati da piani di rottura (diaclasi e paraclasi) riempiti da un’argilla tufacea in cui si anni- dano idrocarburi gassosi. In dipendenza delle accennate fratture i banchi calcarei restano suddi- visi in prismi e presentano anche diversi rigetti. Interposti ai banchi cal- carei industrialmente utilizzabili ve ne sono altri, detti venoni, i quali re- stano in coltivati perchè più poveri di argilla e di carbonato di calce. L’autore espone, dopo ciò, alcune teorie sulla genesi di quei depositi e sulle circostanze che, secondo lui, generarono le variazioni nella composi- zione dei banchi di calcare marnoso. (E. Tissi). 120 BIBLIOGEAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Rodeiquez F. — L’ Italia mineraria. (Opusc. in-8®, di 101 pag., con 6 tav. e 5 fig.)- — Torino. In questo lavoro sono riassunti alcuni fra i principali elementi che con- cernono Findustria mineraria italiana sia dal punto di vista industriale sia da quello scientifico. Tali elementi, desunti in gran parte da pubblicazioni ufficiali o da spe- ciali monografie, si riferiscono ai giacimenti minerari della Sardegna, delle Alpi, degli Appennini, ai giacimenti solfiferi della Sicilia e alle cave di marmo delle Alpi Apuane. Vi è annesso un elenco bibliografico e alcune tavole. (E. Tissi). Rolliee L. — Revision de la Straiigraphe et de la Tectonique de la Mo- lasse au Nord des Alpes en général et de la Molasse subalpine suisse en partieulier. (Neue Denkschr. Schweizer naturf. Ges., Bd. 46, Abt. 1, 84 S). — Ziirich. Dalla revisione generale della melassa del nord delle Alpi risulta che in essa possono distinguersi due piani: la melassa antica (oligocenica) e la re- cente (miocenica). Il cosidetto Nagelfluh subalpino sarebbe una facies di delta di quest’ ultima, mentre prima era ritenuta equivalente della melassa inferiore di acqua dolce o di età oligocenica superiore (Aquitaniano). Il ter- reno aquitaniano invece forma sempre il letto del Nagelfluh. In corrispon- denza di questa nuova interpretazione sono da attribuirsi al Miocene i ter- reni del Bigi, di Rossberg, Speer, Pfònder, ecc., i quali vengono ad essere coevi colle formazioni della Turenna e del bacino di Vienna. Il corrugamento delle Alpi ha costipato per modo gli strati della melassa, che la zona subalpina di questa potente dai m. 2000 è stata spinta verso il nord ed è stata rovesciata sotto il piede della massa alpina. La linea di spiaggia della melassa già parzialmente erosa del periodo del corrugamento è ora seppellita dai corrugamenti e la si rinviene in scarsi relitti nelle Alpi bavaresi ed in Val di Kliy. Il materiale da cui le molasse sono costituite proviene in parte da una falda di flysch molto potente ed estesa sulle Alpi, ed in parte dall’antica catena vindelica di cui sono resti le Prealpi settentrionali ed il Rhàtikon, e dalle Alpi bavaresi. Dall’esame dei relitti miocenici sulla catena del Giura risultò che il canale elvetico-b avarino giungeva fino al tavoliere giurese subvosgiano e penetrava nella valle del Reno. Quando rimase tagliato fuori dalla valle del Rodano BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 121 e dal bacino di Vienna si trasformò in un lago di acqua dolce di breve durata. Questo importantissimo lavoro di revisione e di coordinamento segna un notevole progresso nello studio dell’ardua questione, e susciterà senza dubVjio feconde discussioni. (V. K). Rosati A. — Su alcune rocce vulcaniche dei dintorni di Lunghezza (Roma). (Boll. Soc. geol. ital., voi. XXX, fase. l®-2®, pag. 25-34)^ con 1 tav.). — Roma. Nei pressi del Casale di Lunghezza, lungo la ferrovia Roma-Tivoli, affio- rano leucititi, tufi, inclusi vulcanici e conglomerati di materiale vulcanico, che richiamarono in questi ultimi tempi l’attenzione dei geologi. L’autore si occupa anzitutto della grand-e colata di lava leucitica, a struttura grossolanamente prismatica, giacente a circa 1 km. dalla stazione ferroviaria di Lunghezza, nella quale colata è aperta una cava per l’estrazione di mate- riale utilizzato nelle opere edilizie e stradali. La lava ha color grigio cenere, è compatta, ma con struttura finamente granulare. E una leucitite con me- lilite e nefelina abbondanti, che per i caratteri esterni non differisce dalle comuni rocce leucitiche del gruppo Laziale. L’autore descrive poscia l’imponente corrente di lava leucitica, con bel- lissima struttura prismatica, rivelata da una recente trincea in località vici- nissima ai ponti, a pochi passi dall’anzidetta stazione di Lunghezza, sulla sinistra dell’Aniene. La roccia è tutta intersecata da grosse venature bianche o bianco-giallastre di silicati idrati; è una leucitite con scarsa melilite. Successivamente l’autore descrive un incluso nel tufo vulcanico giallognolo sottostante alla pozzolana rossa, sulla riva destra dell’Aniene, costituito da una lava granulare, porosa, di color grigio cenere; ed un tufo vulcanico gial- lastro, a struttura terrosa, che si trova pure sotto la pozzolana rossa sulla riva destra dell’Aniene. (E. Tissi). RtìHL A. — Studien in den Kalkmassiven des Appennin. (Zeitschr. d. Gres. f. Erdkd. z. Berlin, n. 2, pag. 67-102). — Berlin. Le osservazioni dell’autore concernono: Il monte Matese, tra le valli del Volturno e del Calore, con un tipico lago carsico (lago Matese) ed una serie di bacini distribuiti in un’ampia insenatura. Il Monte è costituito da calcare dell’ Urgoniano e del Turoniano ; 122 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 le formazioni che ne ammantano le pendici sono invece costituite da roccie argillose ed arenacee dell’Eocene e da depositi alluvionali. 2® Le sorgenti del Volturno, che si manifestano sui margini di un altipiano ricoperto da una coltre travertinosa, presso il piede del monte Roc- chetta che è formato da calcari eocenici. Tali sorgenti si presentano con un imponente volume d’acqua, ciò che induce a ritenere che si formino origi- nariamente in località piuttosto lontana e probabilmente nel massivo del Meta. 3*^ Il corso del fiume Sangro, che nel tratto a monte attraversa i cal- cari dell’Eocene e del Cretaceo, mentre nel tratto a valle, fin quasi allo sbocco, attraversa le formazioni del Miocene e del Pliocene. 4® La regione degli “ Altipiani „ . Si tratta di una serie di altipiani avvallati che si manifestano tra il corso superiore del Sangro ed il bacino di Sulmona, il fondo dei quali è formato da detriti calcarei frammisti a terra rossa, senza alcun regime idrico superficiale. 5® La sorgente di Stiffo. 6® La valle dei Sagittario e le sorgenti di Villalago. L’autore rileva il carattere antropogeografico di quel massivo calcareo colle sue alternanze di roccie permeabili ed impermeabili che contribuiscono alla speciale idrologia del luogo, e mette altresì in evidenza la peculiare morfologia dell’Abruzzo le cui caratteristiche alpine sono da ascriversi ai fenomeni glaciali. (E. Tissi). Sacco E. — Fenomeni filoniani e pseudofiloniani nel gruppo delV Argen- terà. (Atti Soc. it. se. nat., voi. L, fase. 2® e 3®, pag. 132-141, con 1 tav.). — Pavia. Il grandioso gruppo montuoso dell’ Argenterà, che colla sua massa essen- zialmente gneissica, avviluppata da una estesa fascia mesozoica, costituisce il nucleo principale delle Alpi Marittime, presenta una straordinaria quan- tità di fenomeni filoniani e pseudofiloniani assai interessanti sia per sè stessi sia in relazione al problema della formazione del granito. Tali fenomeni si manifestano sotto la forma di vene od intercalazioni apli- tiche, microgranitiche, dioritiche, ecc., nelle masse gneissiche e specialmente nei dintorni dei grandi affioramenti granitici. Col sussidio di numerose figure, l’autore illustra in questa memoria gli accennati fenomeni, mettendo graficamente in evidenza i corrugamenti, le fratture, le inclusioni, i passaggi tra le formazioni granitiche e quelle gneis- siche, nonché le caratteristiche intercalazioni di grandi lenti di gneiss tipici nel cuore della regione granitica. (E. Tissi). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 128 Sacco F. — Il Gruppo delV Argenterà. (Mem. K. Acc. Se. Torino, serie II, tomo LXI, pag. 457-504, con carta e sez. geolog.). — Torino. Con questa monografìa geologica sul gruppo montuoso dell’Argentera, detto anche del Mercantour che forma il massiccio principale e quasi centrale delle Alpi Marittime e costituisce una delle unità geologiche più spiccate delle Alpi Occidentali, l’autore esamina i principali studi geologici e paleon- tologici sulla regione, e quindi passa alla descrizione delle singole forma- zioni che lo costituiscono, cominciando da quella gneissica, che è la più antica, la più potente e la più estesa nella costituzione di quel massiccio. L’autore ritiene che quei gneiss, anziché arcaici come si era finora gene- ralmente creduto, rappresentino invece il risultato del profondo metamorfìsmo dei depositi paleozoici, tanto più che nelle propaggini più orientali della formazione gneissica in questione l’autore ha potuto constatare la comparsa di roccie cristalline di tipo appenninitico tra lo gneiss ed il soprastante terreno triasico. Vengono quindi presi in considerazione i rapporti dei graniti coi gneiss, segnalando delle lenti ed una potente zona di gneiss compresi nella tipica formazione granitica. In seguito viene descritta la formazione permo-triasica, costituita da ter- reni sedimentari, scisti argillosi e anageniti riferibili al Permiano, e quar- ziti con altri scisti argillosi che rappresentano il Trias inferiore. Nei successivi capitoli vengono esaminate le formazioni mesozoiche ed eoceniche nei loro caratteri litologici, paleontologici e tettonici, e poscia l’autore si occupa dei depositi e fenomeni quaternari, che nella regione mon- tuosa di cui trattasi ebbero uno straordinario sviluppo, specialmente i feno- meni glaciali, che vi lasciarono profonde ed estese traccie con depositi mo- renici, laghetti, arrotondamenti, ecc. (E. Tissi). Sacco F. — Vesogenia quaternaria del gruppo dell’ Argenterà [Alpi Marit- time). (Giorn. geol. pr., anno IX, fase. V-YI, pag. 161-206). — Parma- Perugia. Osserva l’autore che la trasformazione delle aspre e rocciose regioni al- pine in regioni parzialmente abitabili e coltivabili, è dovuta ad un com- plesso di azioni superfìciali ed esogene che, con varia intensità ed in vario modo, si verifìcarono in dette regioni da quando esse cominciarono ad emer- gere dal mare sino ad oggi. Tali azioni furono tuttavia più intense durante le Ere terziaria e quaternaria, in dipendenza dei fenomeni orogenetici e climatologici allora accentuatisi. 124 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 In linea generale si può affermare che l’orogratìa alpina, già profonda- mente tratteggiata nell’ Era terziaria e quindi definita nell’ Era quaternaria, è dovuta essenzialmente all’azione disgregante degli agenti chimico-fisico- meteorici, all’azione ablatrice ed erosiva delle acque selvaggie torrenziali, nonché, specialmente a valle, all’azione depositrice delle acque alluvionali. L’azione niveo-glaciale fu invece conservatrice, perchè esplicatasi in difesa delle forme orografiche già foggiate dagli agenti meteorici ed acquei, essen- dosi i ghiacciai limitati a limare, arrotondare, striare le forme stesse e solo erodendo alquanto i fondi di circo e le parti basse di alcune valli, depo- nendovi poi i terreni morenici. Tali fenomeni si verificarono in diversi periodi del Plistocene o Saha- riano e dell’Olocene o Terrazziano. Oggi la regione alpina, per quanto an- cora soggetta a tutte le suaccennate azioni esogene, si trova in un periodo di relativa sosta o rallentamento nella sua trasformazione. (E. Tissi). Salmoiraghi e. — Saggi di fondo di mare raccolti dal B,. Piroscafo ‘‘ Wa- shington „ nella campagna idrografica del 1882. Nota 2% postuma, puh- hlicata a cura del prof . E. Artini. (Rend. R. Ist. lomb., S. II, voi. XLIV, fase. XVI-XVII, pag. 951-963). — Milano. In questa 2^ nota (postuma) che fa seguito ad altra congenere e pub- blicata sotto il medesimo titolo, sono esposti i risultati dello studio minera- logico di altri 32 saggi di fondo di mare raccolti dal R. piroscafo Washing- ton nella campagna idrografica del 1882 nel Tirreno, e precisamente dei 15 estratti su una linea retta che va dall’isola d’Elba al Capo S. Vito in Sicilia (gruppo jS"), e dei 17 estratti pure su una linea retta dall’isola di Tavolara (Sardegna) all’isola di Montecristo nelFArcipelago toscano (gruppo X). I risultati ottenuti dallo studio dei menzionati saggi sono dall’autore riepilogati in un’apposita tabella ove è indicata la composizione mineralo- gica ed i gradi di frequenza dei singoli componenti, e portano alla consta- tazione dei seguenti fatti: a) che nei saggi di fondo della zona centrale del Tirreno sono pre- senti, benché affatto subordinati, elementi terrigeni di dimensioni sufiicienti per la diagnosi microscopica (sabbia), e che questi sono riferibili, per la pro- venienza, in parte alla regione sardo-corsa ed in parte alla regione laziale ; ò) che con ravvicinarsi alla costa gli elementi terrigeni aumentano, naturalmente, di quantità, e precisamente i minerali vulcanici aumentano procedendo verso X-E, mentre quelli provenienti da rocce cristalline sardo- corse aumentano col procedere verso X-W. BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 125 c) che la composizione delle melme di fondo può variare abbastanza rapidamente e notevolmente col tempo in un medesimo punto, senza potere tuttavia affermare o negare che a ciò possa contribuire il trasporto eolico ; d) che alcuni minerali duri e molto resistenti alle alterazioni chimiche, come il granato melanite e lo spinello, appariscono in questi saggi con una frequenza relativa, superiore a quella ch’essi presentano nelle sabbie e nelle roccie delle regioni originarie. (E. Tissi). Sartori F. e Testa L. — Il calcare della Grotta di Domusnovas. (Res. Ass. Min. Sarda, anno XVI, n. 1, pag. 11-13). — Iglesias. Dopo aver dichiarato che il loro lavoro non è che un modesto contributo alla soluzione dell’affascinante problema della stratigrafia del calcare metal- lifero, gli autori rilevano che il calcare, ossia la roccia che nella località sembra prevalere sulle altre (scisto silurico e quarziti), si riduce, in defini- tiva, ad una serie di lembi e zolle staccate formanti una coperta appena bastevole a celare lo scisto sottostante, e che lo spessore di tale coperta è in alcuni punti veramente modesto. Dalle sezioni disegnate apparirebbe altresì che la grotta di S. Giovanni sia aperta in un enorme lastrone di calcare, caduto da un lato per m. 100 d’altezza e rimasto appoggiato sul fianco orientale della valle di Su Visu-Rey^ diguisachè la grotta non sarebbe altro che il canale scavato attraverso il piede del lastrone dalle acque provenienti dalla valle dell’Oridda. Anche il Lamarmora aveva già rimarcato la mancanza in essa di breccie ossifere e la mancanza altresì della caratteristica terra-rossa^ così comune alle caverne del Cagliaritano. Anche le ricerche di monte Acqua confermerebbero il fatto del calcare in banco sottile, avendo le gallerie, perforate nello scisto, trovato al tetto il calcare quasi pianeggiante. La quarzite, sparsa in numerosi blocchi nelle vicinanze della grotta, occupa la sommità dei banchi calcarei ; l’esame della roccia in sede permette di accertare che la silice non costituisce una roccia a sè ma deve conside- rarsi come un elemento di sostituzione nei calcari. Gli scisti, piuttosto tormentati, ed in alcuni punti raddrizzati e ripiegati^ sono siluriani e stanno sotto al calcare, il quale però sarebbe affatto parti- colare della regione del Manganai e sembrerebbe tutt’altra cosa dai calcari e dalla dolomia delle miniere di Monteponi, Xebida, Masua, ecc. (E. Tissi). 126 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 Scarpa 0. — Analisi della radioattività delle acque termali Fornello e Fontana di Porto d’ Ischia e Manzi di Casamicciola (Atti R. Ist. di Inco- raggiamento, LXII, pag. 1-26). — Napoli. Dalle eseguite analisi risulterebbe che le acque esaminate contengono, benché in diversa misura, l’emanazione del radio. Nelle acque di Porto d’ Ischia, oltre ad una notevolissima emanazione di radio, è forse contenuta, in lievissima quantità, anche dell’emanazione di torio; quest’ultima non si appalesa invece nelle acque del Gurgitello-Manzi nelle quali si manifesta soltanto, in mediocre quantità, l’emanazione del radio. (E. Tissi). ScHWEiz Geol. Kommission. — Geologische Karte der Schweiz 1 : 500,000. (II Auflage 1911). — Winterthur. È la seconda edizione della nota carta geologica della Svizzera pubbli- cata nel 1894 in occasione del Congresso Geologico Internazionale a Zurigo, con notevoli miglioramenti che riguardano non tanto la parte svizzera, quanto e forse più i paesi confinanti. La compilazione è stata diretta dal prof. Heim. (V. N.). Serra A. — Appunti mineralogici sulla miniera di Calahona f Alghero). (Pass. min. voi. XXXIV, n. 8). — Torino. La nota concerne le osservazioni eseguite dall’autore sopra un abbon- dante materiale raccolto nella regione Calabona, a S-SE di Alghero, nella quale fin da tempi assai remoti furono praticate ricerche minerarie. A Calabona la mineralizzazione si sviluppa principalmente nella parte media del calcare che costituisce il Monte Argenterà. I minerali dei quali si constatò l’esistenza sono: smithsonite, pirolusite, calcite, quarzo, pirite, calcedonio, diaspro, selce piromaca ed argilla; di essi l’autore espone le caratteristiche più importanti. Quanto alla genesi degli accennati minerali l’autore ritiene che la piro- lusite si sia formata per rimaneggiamento dei materiali profondi provenienti dalla trachite, e che gli altri derivino dalla decomposizione della roccia trachitica per influenza dell’acqua, dell’anidride carbonica e della tempera- tura, con trasformazione di silicati alcalini in carbonati e con separazione di silice, che diede luogo al quarzo, al calcedonio, al diaspro. Il silicato di alluminio sarebbe rimasto a costituire l’argilla, mentre i BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 127 carbonati alcalini, solubili, furono asportati, determinando però la formazione della smithsonite che costituisce, nel giacimento, uno dei minerali più frequenti. (E. Tissi). SiDEBOTTOM H. — Repovt on thè Recent Foraminifera from thè Bay of Palermo^ Sicily. (Mem. and Proc. Manchester Lit. and Phil. Soc., voi. LIV, 1909-1910, pa^te III, n. 16, pag. 1-36, tav. I-III). — Man- chester. In questa memoria — che fa seguito ad altra precedente, avente per oggetto la somiglianza tra le forme plioceniche e le recenti dei Pizopodi reticolari — viene descritta una ricca e variata faunula non facile a trovarsi presso le coste dei nostri mari, nella quale però l’autore non ha rinvenuto specie nuove, all’ infuori di una, VAmmodiscus perversus^ forma aderente del genere Ammodiscus^ di esiguo valore tassinomico, dovendosi evidente- mente considerare quale mostruosità. Di tale fauna l’autore illustra e descrive i soggetti maggiormente note- voli, ed in particolar modo una bella serie di Lagene. (E. Tissi). Silvestri A. — Distrih listone geografica e geologica di due Lepidocicline comuni nel terziario italiano. (Mem. Pont. Acc. Nuovi Lincei, voi. XXIX, pag. 1-77). — Roma. E lo studio dell’età delle Lepidocicline sannoisiane di Antonimina in Calabria con considerazioni relative alla dispersione orizzontale e verti- cale delle due Lepidocicline di cui trattasi, vale a dire della Lepidocy- clina Tour noneri Lemoine e Douvillé e Lepidocyclina dilatata (Miche- lotti), che l’autore ritiene strati graficamente comprese tra l’Oligocene in- feriore ed il Miocene medio, distinguendo in due orizzonti quelle dell’Oli- gocene, cioè l’inferiore, che assegna al Priaboniano, ed il superiore che riferisce al Sannoisiano. La rilevante diversità di facies paleontologica tra questi due orizzonti, derivante soprattutto dai fossili che accompagnano le dette Lepidocycline, viene dall’autore spiegata mediante una trasgressione che assumerebbe una capitale importanza nell’interpretazione di fatti d’ordine geologico e bio- logico. In un apposito quadro viene riassunta la distribuzione geologica e geo- grafica delle due lepidocicline; al quadro segue un elenco bibliografico 128 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 delle opere concernenti o l’enunciata distribuzione o la loro morfologia e tassinomia, oppure altri problemi geologici connessi con lo studio di cui trattasi. (E. Tissi). Silvestri A. — La Marginulina fissicostata (Gumbél) del Pliocene della Farnesina. (Atti Acc. Pont, dei Nuovi Lincei, anno LXIV, Sess. VII, pag. 177-183). — Poma. L’autore ha sottoposto a nuovo esame alcuni esemplari della forma delle sabbie grigie della Farnesina, illustrata nel 1906 dal dott. F. Napoli quale Marginulina raphanus var. crehricosta Seg., e sui risultati delle nuove ri- cerche riferisce nella presente memoria. (E. Tissi). Silvestri A. — Sulla vera natura del Palaeodictyon. (Boll. Soc. geoL ital., voi XXX, fase. 10-2®, pag. 85-106, con 2 tav. e 2 fig.). — Eoma. Conformemente all’opinione in proposito espressa dal Meneghini, l’autore attribuisce l’origine dei singolari rilievi reticolati, conosciuti col nome gene- rico dà Palaeodictyon, di, modelli di un’alga affine dàV Hydrodictyon pentago- num (Vauch.), della famiglia delle Idrodittiacee, pur ammettendo la possi- bilità che sotto il nome di Palaeodictyon siano state comprese anche im- pronte dovute a fenomeni fisiologici o fisici: motivo per cui l’autore stesso riterrebbe opportuna una revisione delle forme che soglionsi comprendere nella denominazione in parola. (E. Tissi). Simonelli V. — Sopra un avanzo di Ittiosauro trovato nélV Appennino bolo- gnese. (Mem. P. Acc. Se. dell’Ist. di Bologna, S. VI, t. VII, pag. 367- 372, con 1 tav.). — Bologna. La nota concerne lo studio, eseguito dall’autore, di iin masso di lignite silicizzata,* rinvenuto nel Miocene medio del Bolognese, nel quale trovavasi impigliato un mozzicone del rostro di un grosso sauriano, che l’autore crede di poter riferire al genere Ichthyosaurus. (E. Tissi). SoELLNER J. — tiber Fayalit von der Insel Pantelleria. (Zeitschr. f. Krystallogr. u. Miner. 49®^ Band, 2® heft, pag. 138-151 — Leipzig. Pileva l’autore che in occasione degli studi da lui compiuti sulla cossi- BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 129 rito del cratere Cuddia Mida nell’isola di Pantelleria, Ja sua attenzione fu attratta da un minerale oscuro, che sebbene a prima vista poco diverso dalla cossirite, se ne distingue tuttavia per la maggiore lucentezza delle faccie e spesso anche per la sua trasparenza, caratteri che tosto inducono a classificarlo tra le fayaliti oliviniche. Costituendo la fayalite, in buoni esemplari misurabili, sempre una rarità nel campo cristallografico, l’autore ravvisò opportuno di studiare a fondo gli esemplari da lui raccolti a Pantelleria, e ciò anche in considerazione che gli studi finora compiuti da Iddings e da Pienfield sulla fayalite nell’ossi- diana di Lipari e quelli di Scacchi e di Zambonini sulla fayalite del Ve- suvio riflettono solo i caratteri cristallografici, senza però fornire determi- nazioni sulle proprietà ottiche e sui quantitativi analitici, mentre, per con- verso, degli esemplari raccolti in altre località, se si conoscono le risul- tanze dell’analisi chimica e dei caratteri ottici, nulla invece si conosce della misure angolari e delle altre determinazioni cristallografiche. Egli presenta pertanto una particolareggiata descrizione della fayalite di Pantelleria e specialmente di quella rinvenuta sugli orli del cratere di Cuddia Mida, rilevandone accuratamente i caratteri fisici, chimici, ottici e cristallografici, mettendoli anche a confronto con quelli di fayaliti di altre località. (E. Tissi). Spitz a. — Geologische Studien in den zentralalpen, (Carinthia — Mitt. natur- hist. Landesmuseums f. Kàrnten, Jahrg. 1911, N. 3 und 4, pag. 145-149). E una descrizione particolareggiata della costituzione geologica e tectonica specialmente dei dintorni del Wolayersee, basata sui precedenti studi di Erech e di Geyer, e che in special modo si riferisce alla formazione silu- riana, la quale, secondo l’autore, si presenta con tre facies diverse (la Plòcken-Fazies, la Wolayer-Pazies e la JBànderkalk-Eazies), che egli parti- tamente descrive nei loro caratteri geologici, tectonici e morfologici, accen- nando pure alle vedute al riguardo espresse oltre che da Erech e da Geyer, anche dal Krause, dal Vinassa e dal Gortani. (E. Tissi). Stefanini G. — Sulla stratigrafia e sulla tettonica dei terreni miocenici del Friuli. (Con 1 tav.). (Pubb. n. 31 dell’ Uff. Idrogr. del P. Mag. delle Acque). — Venezia. La nota contiene le osservazioni sulla stratigrafia e sulla tettonica dei terreni miocenici del Eriuli, derivanti dallo studio espressamente eseguito 130 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA. 1911 dall’autore per incarico del R. Ufficio Idrografico del Magistrato delle Acque^ allo intento di compilare la carta della permeabilità dei terreni del bacino del Meduna ; carta che, insieme ad altre congeneri riflettenti la permeabilità superficiale dei terreni in base alla natura litologica del suolo, deve servire allo studio completo dei diversi bacini fluviali del territorio veneto e man- tovano. (E. Tissi). Stefanini G. — Osservazioni sul Miocene del Friuli. (Atti del R. Ist. Yen. voi. LXX, disp. 8% pag. 751-761). — Venezia. Basandosi specialmente sullo studio dei lembi esterni dei terreni mio- cenici che compaiono nel Friuli e che sono quasi esclusivamente limitati alla parte occidentale della regione, l’autore ha potuto distinguere nel Miocene friulano tre diversi orizzonti, corrispondenti evidentemente a differenti con- dizioni di forma e di sedimentazione. Essi sono: 1® livello inferiore, costituito da arenarie e molasse glauconiose e micacee, con ricca fauna di Pecten, Brachiopodi, Coralli, Balani, Echini, Pesci, ecc. ; 2° livello medio, concordante col precedente e costituito inferiormente da marne con Molluschi, e superiormente da sabbie con Molluschi marini alternate con conglomerati ad Ostrea crassissima ed Ostrea giugensis., con intercalativi sottili banchi di lignite incassati in lenti marmose e sabbiose a fauna salmastra; 3° livello superiore, costituito da conglomerati alternanti con sabbie, quasi prive di resti organici. L’autore attribuisce, per ora, a questi orizzonti o livelli solo un valore locale ; lo studio completo degli abbondanti materiali, da lui e da altri rac- colti, permetteranno tuttavia di stabilire la precisa equivalenza stratigrafica di questi tre livelli con alcuni piani delle tipiche località mioceniche anche estere. Dal punto di vista paleontologico l’autore segnala intanto l’esistenza di una faunetta di molluschi terrestri nei conglomerati di Polcenigo ed il ri- trovamento, nei conglomerati della Valle del Ponteiba, di resti di un cer- vide che sembra affine ai Dicrocerus.^ ma che è contraddistinto da alcuni curiosi caratteri arcaici. (E. Tissi). BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA, 1911 ÌHÌ Stefanini G. — Le frane dell’ Appennino centrale e meridionale secondo iog“rafici nel cinquantenario della fondazione della R Scuola di applicazione per gPing’egnerì in Torino. Estr. “ ll Va- lentinq „ (1 op. — Torino, 1911. - Idem — La courbe hypto^rapliique de Pdcorce terrestre (1 op. in 8). — To- rino, 19J2. Steinmann G. — Ùber Haliserites. Estr. “ Ber. Versam. des XiederrlieiniscHen gest. Vereins. (1 op. in-8°). — Bonn, 1911. Stuart Menteath B^^W. — Sur les gisements métallifères des P^Ténées occi- dentales^ 10™® partie (1 op. in-S®, con tav.). — Biarritz, 1913. Taramelli T. — Il nubifragio del 21 e 22 agosto 1911 in Taltellina in rela-^ zione alle condizioni del siiolo^ Estr. “ Boll. Soc. geol. „ (1 op. in-8°). — Roma, 1911. . Idem. — A proposito del giacimento carbonifero di Manno presso Lugano. E^tr. “ Bend. B^Ist. lomb. „ (1 pp. in-S®). -r-llilaiio, 1912. Idem. — ^ La foresta e le sorgenti. Estr. “ Giorn. geol. pr. „ (1 opusc. in-8®). — Parma, 1912. Idem. — Rapporti fra popolazione e natura del suolo nel Friuli e nelPAppen- nino payese. Estr. “ Giorn. geol. pr. „ (1 op. in-S®, con tav.). — Parma, 1912. ^ Vinassa de Begny P. E. IVote geologiche sulla Libia italiana. Estr. “ Atti Soc. it. per il progresso delle se. „ (1 op. in-8®). — Roma 1913. Recenti pubblicazioni del R. Ufficio geologico. - Carta geologica d’Italia alla scala 1: 100.000: Foglio n. 55 (Snsa) . L. 4.50 - „ 67 (Pinerolo) „ 4.50 „ „ 97 (S. Marcello Pistoiese) . . . . . . „ 5 — Abbonamento annuo al Bollettino per l’Italia, L. 8; per l’estero L. 10. - Prezzo del volume L. 10; del fascicolo L. 2.50. Per V acquisto delle pubblica sioni del “ R. Ufficio geologico „ rivolgersi alla ditta F.lli Treves. Le carte sono anche in vendita 2)resso V Isti- tuto geografico De Agostini.